Atavism

di Tefnuth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un'offerta allettante ***
Capitolo 2: *** Pain ***
Capitolo 3: *** Fuga da Alcatraz ***
Capitolo 4: *** Wood ***
Capitolo 5: *** Andreea ***
Capitolo 6: *** Rellik in caccia ***
Capitolo 7: *** Incubo ***
Capitolo 8: *** Rebirth ***
Capitolo 9: *** Il club degli orrori ***
Capitolo 10: *** Dragon girl ***



Capitolo 1
*** Un'offerta allettante ***


Aveva deciso di andarsene dalla città in cui era nata perché da troppo tempo vedeva solo un velo grigio davanti a sé; non c’era più nulla che l’attirasse o le piacesse (e, in effetti, non c’era mai stato), e più cresceva e maggiore era il senso di oppressione che provava. Si annoiava, in quel piccolo paesino dove sembrava che tutto si fosse fermato in una cupola di vetro, e lei non voleva subire lo stesso destino; perciò aveva approfittato della fine del liceo per lasciare la sua casa e prendere un appartamento in affitto da condividere con altre studentesse universitarie come lei.

La facoltà di biologia era il posto ideale dove trascorrere il tempo, tra lezioni e studio, eppure c’era sempre qualcosa che le mancava; per questo la telefonata che ricevette da un vecchio conoscente del passato, proprio dopo la fine della triennale di biologia, fu una tentazione cui Tricha non riuscì a dire di no.

Era un giovedì mattina di Febbraio, il cielo era ancora oscurato dalla notte (in fondo, erano solo le sei) e la luce della lampada sul comodino tagliò il buio della stanza. Per Tricha ormai era un’abitudine alzarsi così presto la mattina, anche se non aveva lezioni da seguire come quel giorno, perché ormai era una routine cui il suo corpo continuava ad ubbidire. Dopo aver fatto le faccende di casa che le spettavano, e se stessa, Tricha era uscita dal proprio appartamento per immergersi tra la folla che già occupava le strade: era giorno di mercato e le piccole stradine si erano ristrette ancora di più, a causa dei banchetti. Ciò che le piaceva di più di quegli stand non era l’offerta di abiti, bensì i prezzi molto abbordabili di frutta e verdura; meno piacevoli erano gli sguardi delle persone (e soprattutto dei ragazzi) che la circondavano; sapeva di essere una di quelle ragazze che verrebbero definite “belle”, almeno così le avevano detto, ma dietro al fisico sportivo si nascondeva una giovane donna cui non piaceva ricevere molte attenzioni, se non per qualche commento sul particolare taglio di capelli: corvini, lunghi fino alle spalle e rasati sul lato sinistro (quello preponderante, dal momento che era mancina) e decorati con sottili mèches verdi sul lato destro. Al suo ritorno a casa, dopo aver fatto rifornimento di cibo per riempire il frigo, la coinquilina le aveva fatto notare che, come al solito, aveva dimenticato il cellulare sul tavolino in camera sua

“Dovresti stare più attenta – l’aveva redarguita la ragazza con i capelli rossi. – Comunque l’ho sentito suonare un paio di volte, ti conviene controllare e rispondere” le consigliò poi.

Così aveva fatto Tricha, limitandosi solo a controllare il numero che l’aveva chiamata; erano passati anni dall’ultima volta che aveva visto quell’insieme di numeri, eppure l’aveva riconosciuto subito. Ciò nonostante, forse per capriccio, aveva deciso di attendere che fosse quella persona a richiamarla; ciò avvenne circa un’ora più tardi, e la casa risuonò della musica a tutto volume del suo cellulare.

“Pronto?” esclamò Tricha appena aperto il contatto

“Ti sei fatta desiderare, eh? Brava bambina” dall’altro capo del telefono le rispose una voce graffiata e distaccata: quello del nonno materno Joseph, un brillante scienziato dell’Alaska.

“Non mi sembra che tu abbia fatto di meglio: sono dieci anni che non ti fai sentire” ribatté dura lei, non le era per niente piaciuto il modo in cui, anni prima, il nonno aveva interrotto ogni relazione con la famiglia e sentire la sua voce ora le aveva riportato alla mente il brutto ricordo di lui che sbatteva la porta davanti alla sua faccia dopo averle detto addio

“Mi dispiace tanto, cara. Credimi se ti dico che ci ho pianto molte notti. – Joseph sospirò. – Senti, ehm, vorrei parlarti di una cosa; che ne diresti se ti offrissi un caffè questo pomeriggio? Vorrei cercare di rimediare, ora che sono nei tuoi paraggi” propose il vecchio, e questa volta fu la ragazza a sospirare prima di parlare

“Se è così urgente. Conosci Boho’s? Ci possiamo vedere lì per le cinque” propose

“Lo posso trovare facilmente. Ci vediamo lì” rispose semplicemente Joseph prima di chiudere.

“Tutto a posto Tri? Hai una faccia…” domandò a Tricha la ragazza con i capelli rossi, aveva assistito in prima linea alla perdita di colore del viso della coinquilina

“Sto bene Marie, grazie. – Tricha fece un finto sorriso. – Era una persona che, pensavo, non avrei più rivisto”.

Boho’s era un piccolo bar che occupava un angolo tra il vialone che portava all’università e la strada dell’appartamento di Tricha; un posticino simpatico con gli arredamenti in viola e bianco, luci a soffitto al neon, e un bancone angolare dietro cui lavoravano due bariste more molto simpatiche e appassionate di tutto ciò che poteva essere definito “glam”. Al suo arrivo al bar Tricha vide che il nonno la stava già aspettando dentro, seduto ad un tavolo per due e con indosso il camice da lavoro bianco del lavoro; aveva i gomiti sul tavolino e il mento era appoggiato alle dita intrecciate. Mancavano ancora alcuni minuti prima delle cinque, e Tricha se li prese tutti per osservare da lontano quell’uomo che, ormai, era quasi diventato un estraneo. In realtà era cambiato meno di quanto la ragazza si fosse aspettata: i capelli, che una volta ricordavano il castano della gioventù, si erano ingrigiti eppure il volto dell’uomo riportava solo una o due rughe in più di quelle che ricordava Tricha.

 Quando l’orologio digitale che portava al polso trillò lo scoccare delle cinque, Tricha oltrepassò la porta del Boho’s e la prima cosa che fece fu quella di salutare Sara, la barista tutto pepe leggermente sovrappeso che le domandò immediatamente se volesse il solito ordine

“Bello forte, e viziami che oggi ne ho bisogno” le disse Tricha in risposta, solo allora si sedette al tavolino al posto davanti al nonno.

“Quasi non ti riconoscevo, quando sei entrata; sei cresciuta tanto” commentò Joseph, aveva già preso la sua tazza di caffè ed era in procinto di prendere la seconda

“Ho ventun anni adesso, mi sembra normale. Tu piuttosto, non sei cambiato quasi per niente” gli fece notare Tricha poco prima di accogliere dalla sua parte di tavolo un bicchiere riempito per metà con del caffè e per l’altra con panna sormontata da cricchetti di zucchero viola “Grazie mille Sara”

“Potresti portarmi un altro caffè, per favore? – Ordinò Joseph alla cameriera. - E metti tutto sul mio conto”.

“Allora, hai detto che volevi parlarmi di qualcosa” ricordò Tricha al nonno, mentre si divertiva a mescolare la panna col caffè usando il cucchiaino col manico lungo che le aveva portato Sara

“E’ un argomento delicato, perciò ti chiedo di ascoltarmi fino alla fine; dopo potrai dirmi quello che vuoi” la pregò Joseph subito prima di bere in un sol sorso la seconda tazza di caffè che gli aveva potato Mara, l’altra barista. Tricha non disse niente, si era limitata solo ad annuire e ad accennare con la mano destra come per dire al nonno che poteva proseguire

“Ti ricordi, quando eri piccola, tutte le storie che ti raccontavo sulle creature magiche discendenti degli elfi? Allora pensavi che me le inventassi di sana pianta, prendendo spunto dai miei studi, e dicevi che facevo così perché non volevo rivelarti quello che facevo. Non erano bugie – esordì Joseph, e Tricha inarcò il sopracciglio sinistro (stava bevendo e non poteva fare altro). – Io lavoro in un posto dove studiamo veramente queste creature, e vorrei che tu venissi a lavorare con me, in Romania dov’è la nostra sede” le propose

“E secondo te io ci credo. Stiamo, anzi no, TU stai parlando di creature che esistono solo nei libri; come puoi pensare che io…” Tricha non seppe come terminare la frase, la richiesta del nonno l’aveva lasciata del tutto spaesata

“Non mi aspettavo che lo facessi – Joseph prese le mani della nipote, e la guardò in modo implorante. – Ti chiedo solo di venire con me, e di constatare tu stessa; se anche allora non mi crederai potrai ritornare a casa, io non ti fermerò” le promise il vecchio, non c’era ombra di bugia nei suoi occhi e Tricha, alla fine del suo caffè speciale, accettò.

Non sapeva perché aveva detto di sì a quella richiesta così assurda, forse era stata spinta più dalla prospettiva di un viaggio così lontano da casa che dalla voglia di vedere il lavoro del nonno; sta di fatto che, appena tornata a casa, la ragazza aveva annunciato alle coinquiline che se ne sarebbe andata e aveva fatto le valigie in tutta fretta. Non dovette fare grosse rinunce nella scelta delle cose da portare con sé, non aveva una quantità esagerata di capi d’abito come le sue coinquiline e le cose che non le piacevano più le aveva volentieri lasciate a loro. Il giorno seguente, dopo tanti abbracci e baci, Tricha lasciò per sempre il suo appartamento; fuori dal cancello Joseph la stava già aspettando su una maggiolino rossa presa a noleggio (lo diceva la targhetta che penzolava dal retrovisore). Non avrebbero preso un aereo di linea, come aveva pensato Tricha, bensì un jet privato con la scritta “K.agency” sulla fiancata il cui pilota stava attendendo che gli unici due passeggeri salissero.

“Quando vuoi” esclamò Joseph al pilota, il quale accese i motori che Tricha sentì vibrare sotto i suoi piedi

“Perché hai scelto me?” domandò la ragazza per distrarre la mente dalla sensazione che di lì a poco sarebbe venuta, a causa della partenza del mezzo

“Perché fin da quando eri piccola ti ho sempre vista come la mia possibile erede. Hai sempre avuto un modo tutto tuo di vedere le cose, non ti limiti a seguire le regole” le spiegò il nonno mentre si serviva un bicchiere di vodka (era impressionante come la sua mano fosse ferma, nonostante il movimento dell’aereo), ne aveva offerta anche a lei ma Tricha aveva rifiutato

“Non sembrano delle referenze molto solide. Come lo spiegherai al tuo capo? In fondo ho solo una laurea base in biologia, non ho altro” ribatté Tricha, era una domanda giusta eppure Joseph sogghignò

“Secondo te cosa significa la sigla sulla fiancata? Quella K sta per Kiruna, il nostro cognome, e io sono il capo. – Joseph avvicinò il suo viso a quello di Tricha, il leggero odore di vodka che fuoriusciva dalla bocca dell’uomo fece arricciare il naso alla ragazza. – E io dico che tu sarai perfetta” aggiunse in seguito, facendo l’occhiolino.

Quando arrivarono in Romania Tricha ebbe solo il tempo di posare le valigie nell’appartamento del nonno (una casa con arredamento in legno scuro che le dava un tocco di classicità e seriosità), perché Joseph volle subito condurla al suo laboratorio a Bucarest; un modesto edificio che dall’esterno sembrava tutto fuorché un palazzo dove si conducevano studi scientifici. Tricha non scordò mai le parole che le disse il nonno mentre, sull’ingresso dell’edificio, le porgeva una mascherina per coprirsi la bocca e il naso

“Molto probabilmente ti servirà, mentre saremo dentro”.

Se dall’esterno il palazzo sembrava una normalissima costruzione, l’interno somigliava molto di più ad una scenografia da film horror: dietro l’ampia e luminosa hall, arredata con poltrone in stile contemporaneo e lampadari a candelabro che pendevano dal soffitto, i corridoi interni puzzavano di marcio e nella penombra si potevano scorgere lunghe crepe e…schizzi di sangue. Tricha non riuscì a frenare l’impulso di indossare la mascherina, sapeva di saponetta alla lavanda ma era sempre meglio del fetore del corridoio, anche se questo la fece sentire una bambina che non sopportava niente

“Non ti preoccupare, non sei l’unica a portarla qui dentro; comunque tra poco l’odore sarà più sopportabile” la rincuorò il nonno che, invece, non aveva indossato la protezione.

Dopo una lunga camminata in discesa il paesaggio cambiò, e il fetore si fece meno intenso tanto da permettere a Tricha di togliersi la mascherina: c’erano delle celle, come in una prigione, ma invece dei soliti criminali c’erano uomini e donne che strillavano parole incomprensibili all’orecchio della ragazza; la situazione la spaventò un po’, soprattutto perché ancora non capiva il motivo della loro presenza e della loro condizione, anche se vederli dietro le sbarre la rassicurava.

“Mi vuoi spiegare?” chiese Tricha al nonno, tuttavia la sua domanda non ricevette una risposta a causa di una voce dal dolce e gentil suono proveniente da una delle celle

“Buongiorno dottore, chi è la pulzella?” sembrava che a parlare fosse stato il prigioniero dietro le sbarre alla destra di Tricha

“Lei è la mia dolce e intelligente nipote, Tricha” disse il dottore, come lo aveva chiamato il carcerato, mentre con una mano avvicinava la nipote alle sbarre in modo che lei potesse vedere lui e viceversa “Cara, lui è Xander, ed è uno dei miei ospiti più graditi” aggiunse poi

“E’ un vero piacere conoscerla, madame” la salutò il misterioso interlocutore da u angolino buio, nonostante la poca visuale a Tricha sembrò che lui avesse più o meno la sua stessa età, forse un paio di anni più grande, ma a lei importava molto di più poter vederne il volto nella sua interezza

“Anche per me, ma gradirei che ti facessi vedere; o non vuoi farlo perché sei ripugnante come il tuo vicino?” chiese Tricha riferendosi ad un prigioniero accanto, che aveva i denti simili ad una tigre e il naso schiacciato (la ragazza aveva pensato che fosse il risultato di alcune operazioni); quando sentì il suo commento l’uomo-tigre emise un ringhio mostruoso che fece distogliere lo sguardo di Tricha da Xander, il quale ne approfittò per avvicinarsi alle sbarre e accarezzare la guancia di lei

“Credi che io sia così ripugnante, senza nemmeno avermi visto in faccia? Possibile che tu provi già così tanto odio?” le chiese il ragazzo mentre Tricha lo studiava con lo sguardo per definirne i lineamenti: occhi di un colore che ricordava molto l’oro con appena una leggera sfumatura blu, capelli corti castani un po’ sbarazzini, zigomi alti e marcati. Sarebbe potuto passare per un normale ragazzo tra i venti e i trent’anni, se non fosse stato per le grandi ali d’aquila marroni e bianche; erano stupende e dalla loro lunghezza (toccavano terra) Tricha capì che dovevano avere una splendida apertura alare. Anche i suoi piedi ricordavano le zampe di un rapace dal momento che attaccate alla pianta non c’erano cinque piccole dita ma ce n’erano solo tre, lunghe e dotate di artigli ricurvi e affusolati e il dito posteriore dotato anch’esso di artiglio, tuttavia Tricha non potè far a meno di fissare il suo sguardo su quelle piume.

“Sono molto belle, vero Tricha?” chiese Joseph alla nipote, e lei si accorse appena di avergli risposto per monosillabi “Devo andare, ho un paio di cosucce di cui occuparmi. Se prometti di non far del male a mia nipote, Xander, posso lasciarti parlare con lei finché non ne avrò bisogno” propose al ragazzo alato che fece segno di giuramento.

“Com’è che una ragazza come te è venuta in un posto del genere?” domandò poi Xander a Tricha, non appena Joseph ebbe svoltato l’angolo del corridoio svanendo come se fosse stato inglobato nel muro

“Dove stavo prima non c’era niente che mi appagasse, e quando il nonno mi ha offerto il lavoro ho accettato. In realtà non so ancora che cosa dovrò fare, mi sembra di essere finita in un’altra dimensione” rispose la ragazza con nonchalance

“E io che pensavo che le ragazze di oggi, tutte, pensassero solo a mettersi lo smalto alle unghie. – Xander circondò una sbarra con la mano, mostrando le unghie appuntite. – Evidentemente mi sono sbagliato” ammise il ragazzo aquila

“Ci sono anche loro, ma io faccio parte di quella schiera di ragazze che pensano a tutt’altro e cui non interessa lo smalto. I tempi sono cambiati” ribatté la ragazza, si sentiva stranamente a suo agio mentre parlava con Xander; tanto che poi gli venne spontaneo chiedergli se fosse nato con le ali oppure no

“Sono arrivate con la pubertà – Xander avvicinò il viso a quello di lei, per non farsi sentire dagli altri. – Ci hanno messo tre giorni per crescere, e sono stati un vero inferno: non riuscivo a muovermi per il dolore, e quando sono uscite dalla mia schiena ho provato il dolore più grande della mia vita – il ragazzo si ritrasse. – Ma credo che a te interessi di più vederle aperte, vero?” le domandò, e lei fece un piccolo cenno di assenso con la testa.

Senza dire altro, Xander appoggiò la schiena alle barre della cella, facendo sì che le ali fuoriuscissero, e le dispiegò

“Sono bellissime” commentò Tricha, toccando nel punto dove c’erano l’osso radio e l’omero potè sentire la muscolatura che si contraeva e rilassava

“Grazie, anche se non è facile essere come me” confessò lui mentre ripiegava le ali “Non pensavo che tu potessi parlare così apertamente con me, vedendo quel che sono. Credevo che ti avrei fatto scappare per il terrore”

“Io non giudico dall’aspetto, ma dal cuore. Tu mi sembri un bravo ragazzo, anche se non capisco che ci fai qui, e comunque non credo che potrai farmi del male finché sei lì dentro” puntualizzò Tricha incrociando le braccia

“Oh bhè, allora non ti dispiacerebbe parlare un altro po’ con me? E’ molto difficile trovare qualcuno disposto a parlare, tra questi energumeni” la pregò Xander con occhi da cucciolo, sembrava proprio che avesse un bisogno disperato di qualcuno con cui parlare

“Mi piacerebbe molto, tanto qui ancora non ho niente da fare” accettò di buon grado Tricha nonostante alle sue orecchie fosse arrivato uno sbuffo dal vicino del ragazzo alato, il quale forse non gradiva la sua presenza

“Grazie” la ringraziò Xander sfoggiando un bellissimo sorriso.

I due continuarono a parlare per circa un’ora, il loro era tutto un dialogo fatto di botta e risposta, e fu divertente per Tricha vedere Xander rimettere in riga gli altri prigionieri che protestavano per il loro chiacchiericcio; persino gli scienziati, che passavano vicino a loro di tanto in tanto, rimasero stupiti di come lei parlasse così apertamente con il ragazzo. Poi un addetto, un uomo che avrà avuto sui quarant’anni e visibilmente esausto, venne a dire a Tricha che Joseph voleva parlarle nel suo ufficio e lei, salutato Xander, si lasciò condurre fin davanti alla porta dello studio del direttore (così diceva l’etichetta); un ingresso austero che dava su una stanza arredata allo stesso modo dell’appartamento in cui viveva il suo proprietario. Joseph era lì, seduto alla scrivania in legno massiccio, che per la quantità di cassetti ricordava uno di quei marchingegni in cui ci si poteva nascondere i segreti più importanti, e da dietro gli occhiali tondi stava osservando un plico di documenti. Tricha si domandò cosa mai ci fosse scritto sopra.

La ragazza dovette tossire un paio di volte per attirare l’attenzione di Joseph, che sembrava completamente rapito da quei fogli; e quando alzò la testa il vecchio invitò la ragazza a sedersi sulla poltrona bordeaux trapuntata davanti a sé. Con riluttanza Tricha obbedì e si accomodò, anche se aveva sempre trovato scomode quel tipo di poltrone.

“Spero che tu abbia fatto una bella chiacchierata” disse Joseph alla nipote senza mai staccare del tutto gli occhi dalla sua lettura

“C…come – Tricha provò a riformulare il discorso. – Xander, l…lui è” niente da fare, per quanto si sforzasse la ragazza non riuscì a formulare un discorso serio

“Lui, come molti altri, è un discendente di quelle creature magiche che noi abbiamo sempre creduto leggenda” spiegò Joseph, avendo inteso qual era la domanda che la nipote avrebbe voluto porgli, sembrava felice di averla colta di sorpresa

“Ma com’è possibile?” chiese Tricha, che finalmente aveva ritrovato la parola

“Evidentemente tutte le storie dell’antica mitologia, quelle di ogni civiltà, si basavano su creature realmente esistite; le buone e le cattive. Ciò spiegherebbe anche l’enorme varietà di racconti, ed immagini, che ci sono pervenute” suggerì lo scienziato assumendo una posizione più comoda per la sua schiena

“Da quando ci lavori? E perché loro sono qui, e come fai a tenerli sotto controllo? Non verrai a dirmi che sono tutti criminali, Xander non lo sembra” domandò la ragazza gesticolando un poco con le mani, un espediente che usava spesso quando si sentiva nervosa (e in quel momento lo era molto)

“Dal momento in cui vi ho lasciato, per rispondere alla prima domanda, anche se ci penso da tutta una vita – Joseph si alzò e si diresse verso la piccola vetrina che conteneva diversi modelli anatomici. – Per rispondere alla seconda, posso dirti che li stiamo studiando, per capire quale miracolo della natura sia il loro genoma, e che riusciamo a tenerli qui grazie ad uno speciale bracciale che gli induce uno stato di incoscienza, nel caso in cui uscissero dalle loro gabbie” chiarì Joseph senza mai guardare la nipote negli occhi, poi non aggiunse altro, in attesa che Tricha gli desse la risposta tanto agognata che cercava. Quando la ragazza capì il motivo del silenzio del nonno, si prese alcuni istanti per fare chiarezza nella sua testa; era come essere di nuovo davanti alla vetrina del Boho’s, e ora lei osservava la schiena dello scienziato come aveva osservato il suo viso.

“Resterò!” proferì infine Tricha, e in quel momento le sue parole le crearono una strana sensazione allo stomaco

“Perfetto!” esclamò Joseph girandosi, la luce della lampada sulla scrivania gli illuminava gli occhiali enfatizzando ancora di più il suo entusiasmo.

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Capitolo 2
*** Pain ***


Senza indugiare oltre, Joseph portò la nipote in infermeria per fare un esame del sangue. L’infermeria aveva le pareti color terra di Siena, e dentro c’erano strumenti di ogni tipo oltre ad un paramedico che invitò subito Tricha a sedersi sul lettino prima di disinfettarle il punto in cui sarebbe penetrata la siringa. Fu lo stesso Joseph a fare il prelievo.

“Perché devo farlo? Non mi sembra di averti detto di avere una strana malattia del sangue” osservò la ragazza mentre l’ago le trapassava la pelle ed entrava nella vena

“E’ una misura di routine, ci serve per verificare se qualcuno dei nostri dipendenti ha qualche legame di parentela, se così possiamo dire, con i nostri ospiti” spiegò lo scienziato, aveva ottenuto la sua fialetta di sangue e aveva apposto un batuffolo di cotone sul piccolo foro nel braccio della nipote

“Su questo devo deluderti: sono certa di non avere stranezze nel mio d.n.a.” ribatté la ragazza con un accenno di risata, tuttavia il nonno non sembrava essere della sua stessa opinione

“Non fare sentenze su cose che non puoi vedere, nipote” la rimproverò Joseph mentre etichettava con cura prima la fiala e poi la busta di plastica trasparente destinata a fare da contenitore al flaconcino.

Tricha iniziò a lavorare già il giorno seguente, anche se le sue mansioni erano così ristrette che la ragazza avrebbe potuto buttare tutti i suoi studi dalla finestra (se solo ce ne fossero state). Era stata assegnata al controllo della zona femminile del laboratorio, e doveva accompagnare periodicamente le “pazienti” dall’assistente addetto alle visite mediche; tuttavia non aveva il permesso di condurle davanti alla porta dello studio, partecipare alle visite, né vedere i risultati

“Come potrei essere l’erede di tutto questo, se nemmeno mi fanno vedere gli esiti dei test”.

La sezione femminile era molto meno caotica di quella maschile, le sue abitanti non parlavano mai tra di loro, e fu oltremodo difficile per Tricha trovare qualcuno con cui conversare in modo pacifico; quasi tutte le ospiti erano molto restie ad abbattere il muro tra loro e lei, che veniva vista più come un nemico. Solo Abnoba, il soggetto della cella numero quindici (sulle ottanta di quel corridoio), ebbe il coraggio di rivolgerle la parola. Le aveva fatto prendere un colpo quando dal buio della sua cella aveva appoggiato il muso alle sbarre

“Sei molto stanca, il tuo flusso di energia è molto basso” le disse la prigioniera, una ragazza con la pelle color ebano, zigomi felini e lunghi capelli verde chiaro (sembrava quasi la reincarnazione di un bellissimo albero)

“Tu dici? – Tricha si grattò leggermente sul collo. – Come fai a dirlo?” domandò avvicinandosi alla ragazza il cui nome era inciso sotto la targhetta col numero della cella

“E’ il mio dono: percepisco il flusso di energia di ogni cosa” rispose Abnoba e Tricha pensò che lo sguardo di quella donna fosse molto regale, non come quello di altre sue vicine “Tu sei la ragazza nuova, vero?” domandò subito dopo la donna albero

“Esatto, sono Tricha”.

Abnoba si dimostrò una buona amica, quasi al pari di Xander, ma non tutte quelle che parlavano con Tricha erano gentili come lei; poco a poco alcune iniziarono a rompere il gioco del silenzio solo per insultarla in modo molto pesante

“Sto solo facendo il mio lavoro” si ripeteva sempre Tricha assieme ad altre frasi che presto diventarono un mantra per evitare di rispondere a tono.

Poi c’era Silex, la donna gargoyle con la pelle grigia e i capelli color argento raccolti in una coda morbida che le ricadeva sulla spalla destra; aveva delle piccole protuberanze sulle spalle e una muscolatura molto ben pronunciata, tuttavia ciò che la rendeva pericolosa era la lingua tagliente che le aveva permesso di scatenare alcune risse tra le guardie

“Devi stare molto attenta con lei” l’aveva redarguita Joseph quando gliel’aveva presentata, davanti alla sua cella di isolamento.

Il giorno in cui Joseph disse alla nipote che avrebbe dovuto scortare Desdemona la ragazza ebbe un nodo alla gola

“Non so se ce la farò” borbottò nel corridoio mentre percorreva gli ultimi passi verso la cella della donna.

Era sicura di essere sembrata una bambina, mentre apriva la cella di Silex tentando inutilmente di nascondere il tremore alle mani; anche quando le loro braccia si incrociarono Tricha ebbe un fremito di paura: sotto la pelle coriacea che le era valsa la sua nomea, Silex aveva i muscoli tesi e rigonfi.

“Sei mansueta come un cagnolino, è per questo che ti hanno scelto?” domandò Silex a Tricha mentre avanzavano per il corridoio, era un percorso pericoloso perché la donna avrebbe potuto tranquillamente liberarsi (la cavigliera era stata disattivata per permetterle di uscire), e scappare dopo aver messo fuori gioco le due guardie che le aspettavano davanti all’ascensore

“Non è molto educato, trattare così le persone” ribatté la ragazza cercando di stare il più calma possibile

“Non è così? Esegui degli ordini come un automa, senza farti alcuna domanda su cosa sia questo posto. E non mentirmi dicendo che lo sai: lo vedo dai tuoi occhi che non ne hai idea; sei buona solo a scodinzolare dietro al tuo nonnino” la criticò di nuovo la gargoyle. Questa volta Tricha non si trattenne e le si parò davanti, forte anche del fatto di essere vicino alle guardie

“Io non sono un cane! Pensi di poter fare la voce grossa, perché sei due volte rispetto a me, ma non tollero che mi si parli così” fece la ragazza con una grinta che non aveva mai mostrato prima, anche Silex ne sembrò incuriosita e mentre le guardie la ammanettavano per poterla scortare nell’ascensore lasciò le sue ultime parole alla ragazza

“E’ vero, forse non sei un cane. Ma pensa a quello che ti ho detto, o trasformerai il tuo vero io in un oggetto da tappezzeria”.

Nonostante tutto Silex non era la presenza più inquietante, in fondo non si rischiava niente se non la si provocava, perché rinchiuso nell’edificio c’era chi aveva una reputazione ancora peggiore: Rellik. Tricha non ebbe mai la possibilità di vederlo né di passare davanti alla sua cella (la cui locazione era sconosciuta), poiché Joseph non lo avrebbe mai permesso, e tutto ciò che lei sapeva su quel tipo l’aveva letto sulla documentazione: SOGGETTO CON UNA SPICCATA PROPENSIONE AL CANNIBALISMO.

Una persona decisamente poco raccomandabile che Tricha sperò di non dover mai incontrare.

Sarebbe stato un vero inferno per lei lavorare in quel posto, se non avesse avuto il permesso di parlare con Xander ogni qualvolta lo desiderasse (doveva solo farlo presente a Joseph)

“Le ragazze mi odiano, per non parlare di Silex che sembra la reincarnazione di un diavolo” gli disse Tricha durante una delle loro chiacchierate, inginocchiata a terra sul freddo pavimento come aveva preso a fare da un po’ di tempo in avanti

“E’ una reazione normale” le rispose semplicemente lui, con quel tono di voce sempre gentile e con una mano tra i capelli di lei “Per quanto riguarda la gargoyle ti consiglio di lasciarla fare, ho sentito che fa così con tutti”

“Dimmi la verità: vi fanno del male durante gli esami? - Una domanda a bruciapelo, nata dalla discussione con Silex, che fece strabuzzare gli occhi di Xander. “Inizio ad avere dei seri dubbi, già non capisco il perché vi tengano in gabbia, e mio nonno non mi dice niente”

“Ma che ti viene a pensare? – Ribatté il ragazzo alato con la voce tremula. – Va tutto benissimo” eppure si sentiva che c’era qualcosa che non andava.

Parlare con Xander per Tricha era sempre un vero e proprio toccasana, nonostante lei sapesse che lui avrebbe potuto farle del male in qualsiasi momento in un tentativo di fuga. L’occasione buona si presentò circa un paio di mesi più tardi, quando il nome di Xander comparì sulla lista di coloro che sarebbero stati chiamati per il controllo. Per quel giorno Tricha chiese insistentemente al nonno di poter accompagnare il ragazzo fin davanti alla porta dello studio, da sola, e, se possibile, assistere alla sua visita medica. Purtroppo non riuscì ad averla vinta con la seconda richiesta

“Non gli faremo del male, mia cara. Fidati, sono solo degli innocui controlli di routine” le aveva risposto Joseph per liquidarla, ma la ragazza già sapeva che il nonno non gli stava dicendo tutta la verità: aveva visto gli ematomi sulla pelle di Felis, il vicino di cella di Xander sui 35 anni con la dentatura a tigre.

Nell’istante in cui Tricha aprì la porta di Xander sentì un senso di odio crescente verso quel posto

“Stà calma, andrà tutto bene” le disse lui appena entrati in ascensore, loro due e la telecamere

“Lo dici come se fosse vero, ma stai mentendo. Ho visto i segni di Felis, e non sono certo quelli che può lasciare un comune ago” sbottò lei, per un istante aveva avuto timore della telecamera sulle loro teste per poi ricordarsi subito che non registrava l’audio. Nell’istante in cui finì di parlare una lacrima scese a rigarle il volto, ma non ci fece molto caso perché la mano di Xander scattò al pulsante che frenò la corsa dell’ascensore

“Perché l’hai fatto?” chiese Tricha sentendo crescere la paura dentro di sé, soprattutto nei secondi in cui il ragazzo alato fece passare le mani sopra la sua testa per stringerla in un tenero abbraccio (ma allo stesso tempo pericoloso).

“Perché?” sussurrò imbarazzata perché aveva appoggiato istintivamente le mani sui pettorali di Xander, sentiva le guance arrossarsi

“Io non morirò, non è accaduto agli altri e non succederà di certo a me. Perché ti sto abbracciando? Perché credo che tu abbia bisogno di affetto, e credo proprio che tuo nonno se ne sia scordato; ma forse non sono la…persona più adatta per dirti certe cose” rispose lui mentre gentilmente le accarezzava la guancia per consolarla. Per evitare di mettersi a piangere Tricha sciolse l’abbraccio e riavviò l’ascensore, che presto aprì le porte di acciaio su un corridoio stretto con solo quattro porte; purtroppo ormai non aveva più scelta che lasciare che Xander entrasse in una delle sale mediche, tanto disgustata da quello che stava facendo che riuscì solo ad augurargli buona fortuna prima che gli assistenti le chiudessero la porta in faccia.

Dal momento che non poteva entrare in quella stanza, Tricha fece l’unica cosa che le era venuta in mente: andare a parlare con Silex, per chiederle cosa facessero in quello studio. Sarebbe potuta, e avrebbe preferito, parlare con Abnoba ma nell’istante in cui ci aveva pensato una parte della sua testa le aveva sconsigliato di farlo perché, a causa del rapporto di amicizia che avevano costruito, non le avrebbe detto la verità per non ferirla. Con lo stesso ascensore che l’aveva fatta salire scese giù fino al piano in cui erano rinchiuse le pazienti femmine, fece vedere il proprio badge all’agente di guardia e attraversò a grandi falcate il corridoio. Passò anche davanti alla cella di Abnoba la quale, per fortuna, si era sdraiata sul lettino per riposarsi (aveva degli strani ritmi biologici). I numeri sulle targhette scorsero veloci davanti ai suoi occhi, finché non arrivò al numero 80 dietro una svolta a gomito.

“E perché dovrei dirtelo, cagnolino?” le domandò Silex dopo che Tricha le aveva fatto la fatidica domanda

“Perché si e basta. – Sbottò lei d’istinto, ma poi si era ricordata con chi stava parlando. – Per favore”

“E’ per il ragazzo alato, vero? Ho sentito alcune guardie parlare delle tue lunghe chiacchierate con quel tipo, Xander giusto?”

“Ti prego” la supplicò la ragazza, parlava sempre a bassa voce perché nonostante la posizione ideale per discorsi del genere era sempre meglio essere discrete. Finalmente convinta, Silex si avvicinò alle sbarre (era di un’altezza impressionante) “Prima ti fanno un check-up completo, lo fanno ogni volta e non so il perché, quello che segue dipende dalla tua struttura fisica e dalle caratteristiche; per me sono prove di resistenza della pelle: braci ardenti, scariche elettriche e lame trattate chimicamente. Inutile dire che fanno male, ma non è niente in confronto agli incroci genetici e robe varie; lì si che può scapparci il morto”.

Tricha non rispose, era rimasta paralizzata dalle parole della donna e aveva iniziato a sentirsi sporca

“Non so cosa potrebbero fare al tuo amico” aggiunse la donna gargoyle.

Presa dai sensi di colpa, Tricha restò nella sala caffè giusto il tempo che le permise di scrivere un biglietto in cui diceva, a se stessa, cosa avrebbe dovuto fare; solo una riga nera su foglio bianco. Poi incapace di bere il proprio caffè, e di restare ancora seduta preferì aspettare davanti alla cella di Xander dove ricevette altre brutte notizie da Felis

“Vi fanno combattere contro i vostri simili?” la ragazza ormai era al limite di una crisi di nervi

“Dire che sono nostri simili è un po’ forte. – La corresse l’uomo tigre, - ma è quello che succede. Ecco perché di alcune mie ferite”

“Sono stata così stupida” si rimproverò la ragazza, aveva di nuovo i lacrimoni agli occhi

“Non ti preoccupare: è un po’ secco rispetto a me, ma non così scemo da farsi ammazzare” la rinfrancò Felis, sembrava un duro ma sotto la scorza si nascondeva una persona generosa che si preoccupava per gli altri.

Alcuni minuti più tardi Xander fu portato nella sua cella da due energumeni, più tozzi di Felis, che lo tenevano sollevato da terra stringendolo per le braccia; il ragazzo sembrava molto stanco e aveva delle contusioni sul viso.

“Fate piano” ordinò Tricha ai due giganti ma loro non le dettero ascolto, dopo aver bruscamente gettato Xander nella sua cella se ne andarono subito borbottando qualcosa tra di loro

“Cosa ti è successo?” domandò lei al ragazzo, invece di chiudere la cella era entrata pur sapendo del pericolo che correva, voleva solo occuparsi del suo amico

“Sciocchezzuole, ho solo avuto uno scontro con uno che non è stato graziato da madre natura” minimizzò lui sdraiandosi (non sarebbe servito a niente mentire in quelle condizioni), in questo modo potè distendere l’ala sinistra che si era fratturata

“Sciocchezze un par di palle. – Tricha premette sul punto rotto, giusto per fargliela pagare di aver mentito. – Sei uno stupido!” era proprio arrabbiata

“Durante lo scontro quello là mi ha preso e lanciato contro un muro, poi ci ha messo il piede e l’ha rotta” confessò Xander, il tono di voce era stanco come il suo corpo e se avesse potuto si sarebbe subito addormentato.

“Ehi, che ci fai ancora lì dentro?” era una guardia che si era accorta che Tricha non stava osservando le regole, ed era proprio davanti alla cella

“Sto controllando come sta, ha un’ala spezzata”

“Chissenefrega. Fuori di qui!” gridò imperiosa la guardia

“FOTTITI! Uscirò quando avrò finito, lasciami in pace” sbottò Tricha gesticolando con le dita, era pronta a combattere con le unghie ma la guardia se n’era andata senza replicare oltre, se fosse veramente successo qualcosa probabilmente non sarebbe intervenuta per fare un dispetto alla ragazza.

“Sei grande occhi belli” si complimentò Felis facendo arrossire Tricha, la quale invece era più intenta a trovare una soluzione per l’ala di Xander e, anche, per la condizione dei suoi nuovi amici

“Non è niente di grave, ma dovrai tenerla stesa per far saldare l’osso” affermò lei dopo aver esaminato e riposizionato l’osso, poi espose la propria idea a Xander mostrandogli il foglio che aveva scritto in caffetteria: “Vi farò uscire da questo inferno”.

“Non puoi farlo, ti considereranno una matta e ti ripudieranno” la rimproverò Xander stringendole delicatamente il polso

“Perché che vuol fare?” chiese Felis, anche se il suo vicino aveva parlato piano le sue orecchie avevano comunque captato quello che aveva detto

“Il nostro principe azzurro” rispose Xander con una chiara allusione che non poteva di certo essere mal interpretata

“Ma ti sei ammattita? Ti metteranno in una cella e butteranno via la chiave” dichiarò Felis a Tricha che, per poter parlare ad entrambi contemporaneamente (e per non avere altre visite indesiderate), uscì dalla cella di Xander

“Non mi interessa, meglio così che stare in mezzo a loro. Sono stata così stupida a non accorgermene prima, e voglio fare di tutto per liberarvi” ribatté lei cercando sempre di tenere la voce bassa e un occhio sulla guardia in fondo al corridoio

“Ne sei certa? – Xander stava raccogliendo le ultime forze per parlarle. – Se qualcosa non va per il verso giusto, ci rimetterai di brutto” era sensibilmente preoccupato

“Nessun dubbio” affermò lei con convinzione.

----------------​Nota autrice-----------

Ciao ragazzi/e, come va? Grazie per essere passati di qua :) Vorrei sapere che ne pensate del racconto, anche se sono solo al secondo capitolo (sapete le cose basilari, stile, dettagli etc...).

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Capitolo 3
*** Fuga da Alcatraz ***


Il primo tentativo consistette nel provare semplicemente a parlare, in modo pacifico, con Joseph. Non potendolo fare al laboratorio, dal momento che i colleghi guardavano ogni suo movimento sospetto (qualcuno aveva riferito la sua piccola bravata), Tricha parlò all’uomo nel privato del suo appartamento. I due finirono col litigare pesantemente.

“Non puoi affezionarti a loro: non sono persone normali. Non potrai mai avere lo stesso rapporto che hai con un’altra persona” le gridò lui sbattendo perfino i piedi sul pavimento

“Ti riferisci a te? In tal caso ti conviene riformulare la risposta perché, ti ricordo, mi hai mollata come fossi un pezzo di carta vecchia!”

“Ti ho già detto che mi dispiace! – Joseph si avvicinò a Tricha, cercando di ritrovare la calma. – Quello che intendevo era…, ah insomma, loro non hanno niente a che fare con noi. Molti di loro hanno fatto del male” continuò Joseph.

Tricha ribatté di nuovo dicendo che non tutti erano così (accadeva anche per gli umani), ma poiché il nonno sembrava non volerla ascoltare espresse la sua vera opinione

“Tutti voi pensate che ognuno di loro sia un assassino, e li rinnegate senza nemmeno conoscerli! Non dico che tutti siano buoni, ma dovremmo pensare che una parte di loro voglia integrarsi con noi. Sicuramente sarebbero meglio di molti umani” un’azione che le costò uno schiaffo in pieno volto, e che avrebbe lasciato il segno per tre giorni.

La mattina seguente Tricha cercò di nascondere il livido sotto il correttore per le occhiaie, ma la cosa non passò inosservata agli occhi di Xander che appena la vide passare le prese la testa tra le mani, per esaminare il lato colpito

“Chi ti ha fatto questo? Tuo nonno?”

“Passerà presto” rispose evasiva la ragazza

“Dovresti far pace con tuo nonno, e lasciar perdere tutto” cercò di convincerla Felis, tuttavia Tricha era irremovibile

“Se farò pace con lui, sarà solo per avere accesso ai documenti” replicò

“Cocciuta ragazza” la rimproverò l’uomo tigre.

Finita la perlustrazione mattutina, Tricha trovò del tempo libero durante la pausa pranzo per andare nell’ufficio del nonno; di solito erano tutti a mensa a quell’ora, ma già dai suoi primi giorni di lavoro la ragazza aveva notato che lui preferiva stare da solo nel suo ufficio. Bussò, ed entrò subito dopo che Joseph ebbe detto avanti.

“Ah, sei tu! Sei venuta per altre delucidazioni sulla superiorità dei tuoi nuovi amici?” c’era una nota acida nella voce dello scienziato, come quella fetta di limone che stava avidamente addentando per ripulire la bocca dal pranzo appena consumato

“Mi dispiace, di aver detto quelle cose. – Tricha strinse i pugni per aiutarsi a tirar fuori le parole. – E’ solo che mi preoccupo per loro: ho visto alcuni rientrare dalle visite con delle ferite” accennò la ragazza

“Davvero? – Joseph finse dello stupore, anche se era un pessimo attore. – Forse si sono dimenati un po’ troppo durante gli esami, succede”

“Può darsi, era solo per informarti” concluse Tricha prima di dirigersi alla porta, sapeva che avrebbe dovuto dire altro per rendere più credibile il suo dispiacere, ma proprio non gli riusciva

“Prenderò in considerazione la cosa, grazie” rispose Joseph con un piccolo sorriso. Fu l’ultima cosa che Tricha sentì prima di chiudere la porta alle sue spalle.

 

Dopo la chiacchierata tutto sembrò tornare alla normalità, eppure Tricha notò che la maggior quantità di lavoro affidatole (come fosse stata una promozione), era solo uno stratagemma per tenerla sotto controllo; cercare una possibile falla nella sicurezza diventò ancora più difficile.

Al culmine della disperazione, Tricha trovò un salvatore proprio in Joseph che informò la ragazza di una riunione a cui avrebbe voluto invitarla a partecipare

“Si terrà mercoledì” le disse e la ragazza accettò subito

“La cosa più bella che avresti mai potuto dirmi” lo ringraziò mentalmente Tricha mentre, tutta contenta, continuava il suo lavoro come nulla fosse immaginando nella sua testa il piano di fuga come un ragno che tesse la tela.

“Cinque giorni” si ripeté più volte Tricha quella sera, nella sua camera da letto, distesa sul letto a una piazza e mezzo con un semplice batti piedi in legno chiaro; sopra al materasso lenzuola bianche e trapunta primaverile color beige.        Cinque giorni era il tempo che le rimaneva prima della riunione e, in quel lasso di tempo, doveva assolutamente trovare una soluzione al problema. Non si trattava di liberare una sola persona, ma ben quattro: Xander (che ormai era guarito), Felis, Abnoba e…Silex (le doveva un favore, per quello che le aveva rivelato). Non sarebbe stato complicato trovare una scusa per non partecipare alla riunione, lo sarebbe stato tenere per sé le chiavi dei braccialetti elettronici e, soprattutto, evitare che gli altri prigionieri iniziassero a schiamazzare (avrebbe potuto liberare anche loro, ma non era sicura di quale sarebbe stata la loro condotta).

Incerta sul da farsi, Tricha si alzò dal letto e andò nello studio del nonno (speculare a quello nel laboratorio). Non c’era nessuno perché il suo proprietario era solito passare i venerdì e il sabato sera sul posto di lavoro, per rientrare alla domenica mattina. Solitamente la porta della stanza era chiusa a chiave, ma lei aveva visto un numero di film di spionaggio sufficiente ad insegnarle come scardinare una porta senza lasciare segno. Messe in atto, con successo, le sue conoscenze, Tricha entrò nel regno perfettamente in ordine del nonno dove ogni oggetto in quella stanza era così ben ordinato che temette che, se avesse spostato o anche solo toccato qualcosa, il nonno se ne sarebbe accorto. Si sedette sulla scrivania, e con molta cautela frugò nei cassetti tra quei pochi fogli tenuti lì in bella mostra finché le punte delle dita non toccarono il ferro del corpo della chiave elettronica. Era stata nascosta molto bene in fondo a un cassetto della vetreria, ed era impolverata perché era solo una copia che Joseph teneva di riserva (anche se era così preciso che, di sicuro, non avrebbe mai dovuto usarla). Con mano lesta Tricha se la infilò in tasca, con il proposito di non lasciarla mai in camera (già una volta aveva scovato il nonno a curiosare nella stanza), e si augurò che Joseph non si accorgesse mai della perdita.

Mercoledì arrivò più in fretta di quanto Tricha si sarebbe mai aspettata, così lei si ritrovò a limare gli ultimi dettagli del piano all’ora di pranzo, quando si ricordò di quello che Abnoba poteva fare con la sua voce (una cosa che sapeva solo lei, dati che l’amica non ne aveva mai dato mostra).

Dopo pranzo, a poco meno di mezz’ora dalla riunione, Tricha andò da Joseph con l’espressione più brutta che avesse in repertorio; lui si preoccupò così tanto al solo vederla che le chiese immediatamente se stesse bene

“Mi sento malissimo, potrei saltare la riunione?” mentì lei simulando una raucedine (si era allenata per un giorno intero)

“Ma certo cara, desideri che ti accompagni in infermeria?” propose Joseph, una cosa impossibile

“Oh non stare a disturbarti: avrai molte cose da fare, prima dell’incontro. Andrò da sola e mi farò dare qualcosa” affermò la ragazza sperando che il pesce abboccasse all’amo. Con riluttanza Joseph accettò la proposta della nipote e, dopo averle promesso di riferirle tutto poi, la salutò dandole un bacio in fronte.

Non appena lui sparì Tricha, con le chiavi di scorta nascoste nella tasca (assieme ad un altro accessorio essenziale per il piano), scese giù fino al corridoio della sezione femminile. Non si sorprese nel trovare le guardie al loro posto, sospettose come sempre.

“Ancora qui? Vuoi che ti metta in cella?” le gridò uno dei due uomini

“Sto solo facendo il mio lavoro!” ribatté lei mettendo le braccia sui fianchi, se sentiva sollevata perché, a quanto pare, non erano stati informati del fatto che lei avrebbe dovuto essere in un’altra stanza, e prima che le cose potessero precipitare dette inizio al piano.

Tirò fuori dal camice una piccola cartella blu, e cercando di mantenere il passo più calmo possibile (per non allertare i guardiani) percorse il corridoio giù fino alla cella n° 80, prendendosi qualche istante per mostrare ad Abnoba qualcosa che si era scritta sulla mano. Silex era sveglia, accigliata come sempre, seduta sulla branda a gambe divaricate e le braccia sulle ginocchia. Tricha nemmeno si annunciò e sbattè le cartella sulle sbarre, mostrando la scritta sul primo foglio: VOGLIO FARTI USCIRE DA QUI!

Gli occhi di Silex diventarono due palle per la sorpresa, stava per emettere un gridolino ma Tricha le fece segno di no e col dito indicò la telecamera, La donna gargoyle soffocò l’impulso, e Tricha scrisse sul secondo foglio: HO UN PIANO, MA NON DEVONO SCOPRIRCI.

“Dì la verità, hai bisogno di me per uscire da qui” sussurrò Silex con un piccolo ghigno, con una mano aveva coperto la bocca dalla parte della telecamera

“Forse, anche se ho la mia carta buona – scrisse Tricha. – Consideralo un ringraziamento per avermi fatto aprire gli occhi”

“Va bene tesoro, fammi vedere”.

Ci vollero pochi secondi a Tricha per aprire le porte della cella di Silex, ce ne sarebbero voluti altrettanti per togliere il bracciale ma la donna gargoyle lo distrusse calciando contro lo spigolo della parete (il che fece venire un colpo alla ragazza). Silex era già pronta a procedere ma Tricha la bloccò subito, l.e porse dei paraorecchie e le fece cenno di aspettare il suo segnale. Con la protezione alle orecchie, Tricha bussò alla cella di Abnoba e le fece vedere la scritta sull’ultimo foglio: CANTA.

La voce melodiosa di Abnoba si diffuse per il corridoio del piano, incantando tutti quelli che la ascoltavano; bellissima, sicuramente, ma intrappolava le vittime in uno stato di semi-incoscienza (anche per un periodo di tempo limitato dopo la fine della canzone).

“Ti senti bene, vero?” chiese Abnoba a Tricha mentre le veniva disattivato il bracciale, dovette ripetere la domanda perché, a causa dei tappa orecchie, Tricha non l’aveva sentita

“Sono perfettamente lucida – Tricha fischiò per segnalare il via libera a Silex. – Dobbiamo passare nella sezione maschile, devo…”

“Non serve che ce lo spieghi – la interruppe Silex. – Forza andiamo”.

 

“Non dovresti essere in riunione?” chiese il guardiano della sezione maschile quando vide Tricha comparire sulla porta, mentre Abnoba e Silex si tenevano nascoste in un cono d’ombra

“Non mi sono sentita molto bene. – Mentì su due piedi. – Sono stata in infermeria e mi hanno dato un farmaco che mi ha fatto stare meglio, ora però mi annoio e visto che non sarebbe educato interrompere una riunione…”

“Allora?” domandò la guardia inarcando un sopracciglio

“Potrei parlare con Xander? Per favore” lo pregò lei, e lui annuì (forse solo per togliersela dai piedi).

Con il cuore che le batteva in gola Tricha bussò alle celle di Xander e Felis, e prima ancora che i due potessero dire alcunché porse anche a loro due paia di tappa orecchie, ordinando loro di metterseli. Le presero i brividi di freddo, quando uno dei prigionieri dietro alle sue spalle si mise a gridare

“Che hai dato a quei due? Cos’era?”

“Che succede laggiù?” gridò la guardia allarmata, mano al manganello appeso alla cintura proprio accanto alla fondina con la pistola

“Ha dato qualcosa a Xander e Felis! L’ho vista dargli…” il prigioniero si interruppe, Silex era uscita allo scoperto e aveva messo fuorigioco la guardia con una presa anaconda.

Le grida che si sollevarono subito dopo erano così forti da far tremare le pareti che, per fortuna, erano insonorizzate, e Tricha non riusciva più a sentire né i suoi pensieri né il rumore che fecero le celle di Xander e Felis quando si aprirono, seguite poco dopo dai bracciali. Dovette nuovamente intervenire Abnoba per far cessare quelle urla.

“Brava driade” commentò Felis alla fine della canzone, facendo arrossire la ragazza

“E ora che facciamo?” domandò Xander sfilandosi i paraorecchie

“C’ è un parcheggio coperto a piano terra, lì ci sono dei furgoncini che potremmo usare” propose Tricha mentre il gruppo già si era incamminato per le scale.

Il parcheggio era freddo e pieno zeppo di auto di ogni genere, dalle più economiche a quello più costose. Poco più in là, in uno spazio apposito, una mezzo dozzina di furgoncini bianchi, di proprietà dell’azienda, con la grande “K” impressa in argento sul portellone posteriore.

“Uno di questi potrebbe andare, se solo avessimo la chiave” osservò Silex facendo venire in mente a Tricha di essersi dimenticata di quel piccolo particolare, molto importante, tanto che si mise le mani nei capelli maledicendosi

“Calma occhi belli, non è grave. – La rassicurò Felis mettendole una mano sulla schiena. -  A questo posso pensarci io”.

Detto questo l’uomo tigre si acquattò a terra e, gattonò tra le automobili senza far rumore fino alla postazione di guardia, dove venivano custodite le chiavi di accensione. Il piccolo ufficio era abitato da un uomo corpulento, intento a leggere il quotidiano; non c’era una vetrata a sua difesa e, con un’unica velocissima mossa, Felis afferrò la guardia per il colletto e la scagliò fuori dal casottino contro una parete. Quando tornò dagli altri stava facendo tintinnare orgoglioso un mazzo di chiavi

“Guido io, voi sedete dietro” ordinò l’uomo tigre prendendo il posto di guida sul mezzo, Silex si sedette nel posto vicino e gli altri nello spazio dietro.

“Sei sicura di volerlo fare? Puoi ancora tornare indietro, se vuoi” disse Xander a Tricha ancora prima che salissero, le aveva preso delicatamente la mano e la stava guardando preoccupato

“Non posso tornare indietro, non voglio. Preferisco stare con i mei amici” rispose ferma lei, mentre lui la aiutava a salire.

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Capitolo 4
*** Wood ***


L’idea di viaggiare su un furgoncino era sicuramente poco pratica, dal momento che lo spazio non permetteva di stare comodamente seduti (soprattutto per Xander, che a causa delle ali non poteva assumere certe posizioni), senza contare il fatto che avrebbero potuto facilmente essere rintracciati dagli agenti della polizia non appena si fossero messi sulle loro tracce. Una possibilità che faceva tenere tutti sulle spine. Quando decisero di fermare il motore del mezzo di trasporto ormai erano nel folto del bosco, a notte inoltrata e con il vento che iniziava a soffiare tra le foglie creando una bassa colonna sonora.
“Per adesso ci fermiamo qui! Non so voi, ma io ho una fame che non ci vedo. Penseremo a stomaco pieno a dove poter trovare un rifugio” propose Felis annusando l’aria intorno in cerca di odori che gli stuzzicassero l’appetito
“Tutti noi abbiamo fame, ma qualcuno deve restare con Tricha: c’è il rischio che le accada qualcosa mentre noi non ci siamo” osservò Xander, cercando di distogliere l’attenzione dal brontolio allo stomaco.
“Potrei venire con voi; sono abbastanza grande per vedere certe scene” suggerì Tricha, che non voleva essere di peso a nessuno
“Non vorremmo che tu diventassi un bersaglio facile durante la caccia. E’ un momento in cui, di solito, ci facciamo prendere dall’istinto e chiunque potrebbe diventare un probabile pasto” spiegò Silex, a braccia incrociate e con un sorriso malizioso.
“Non scherzare Silex. – La rimproverò Abnoba, rivolgendosi poi a Tricha. – Non preoccuparti, non è vero quello che dice, non siamo mica i vampiri delle leggende. Comunque resterò io con te così il maschiaccio e gli omaccioni possono cenare come gli pare a loro” propose gentilmente e a tutti sembrò una buona idea, talmente tanto che la approvarono subito senza altre contrattazioni. Dopo aver ringraziato i ragazzi, e Silex (che non fece gli stessi convenevoli), sparirono tra gli alberi. Abnoba, invece, si accostò ad un albero e dopo aver tolto un pezzo di corteccia infilò l’indice destro nel tronco della pianta; i suoi capelli si misero ad ondeggiare.
“Che fai?” domandò Tricha avvicinandosi, affascinata dallo spettacolo di quei capelli che sembravano vivi
“Mi faccio un piccolo antipasto: io mi nutro di linfa e frutti della terra. Più tardi dovrò andare in cerca di bacche, per me e per te, ma per il momento mi basta questo” spiegò la ragazza estraendo il dito, ancora gocciolante del prezioso liquido dell’albero
“Per me?” chiese Tricha, non voleva dover dipendere dagli altri anche se in effetti non ricordava quando era stata l’ultima volta che aveva mangiato
“Certamente, anche tu hai uno stomaco. Ti farei assaggiare la linfa, ma sono sicura che per te sarebbe indigesta” ipotizzò la driade
“In effetti è un’esperienza che vorrei evitare di provare” disse Tricha .

Nel frattempo Xander, Silex e Felis avevano indetto una gara per chi fosse riuscito a trovare la preda migliore
“Ci conviene sbrigarci, per non lasciare le ragazze sole per troppo tempo” disse Xander, appollaiato su un albero in cerca di qualche serpentello o di un uccello, ma le sue parole furono immediatamente fraintese da Felis
“Senti come gracchia il volatile. Vuoi già tornare da lei? Non è che sotto sotto tu…” insinuò lui da sotto l’albero su cui stava il ragazzo aquila.
“Ma che stai dicendo? – Xander arrossì di colpo. – Sto solo dicendo che prima torniamo e meglio è, ma solo per la sicurezza delle ragazze” rispose, e purtroppo per lui anche Silex si unì alla discussione spalleggiando l’uomo tigre
“Certo, come no, ma ti senti quando parli di Tricha? Secondo me…EHI! – Urlò la donna, quando Xander la gettò a terra dopo averle fatto fare un breve volo. – CRETINO FIGLIO DI…” i suoi muscoli si contrassero intimando a tutti di stare lontani
“Così impari a farti gli affari tuoi!” trionfò Xander dall’albero su cui, per ovvie ragioni, aveva trovato riparo dai compagni di viaggio.
Quando tornarono dalla battuta di caccia, avevano tutti e tre bocca e denti ancora leggermente sporchi di sangue, il che fece imbestialire Abnoba che ordinò subito loro di ripulirsi a dovere
“Oh per favore! Cosa saranno mai due schizzi?” ribattè Felis, ma dovette subito ritirare ogni parola quando la ragazza gli piazzò uno schiaffo in faccia
“Mai sentito parlare di galateo? Ci sono delle signore maleducato! - Gli urlò in faccia. – E ora sparisci, devo andare a mangiare” terminò, e con Silex al seguito anche lei andò a prendersi il meritato pasto.
“Un bel caratterino, non c’è che dire. – Sentenziò Felis massaggiandosi la guancia colpita, poi si rivolse a Tricha e Xander. – Voi due restate qui, io farò da vedetta e vi avvertirò se succede qualcosa” e si appostò in un punto non troppo lontano, ma abbastanza perché i due non lo vedessero più.

Per la prima volta dopo mesi, Xander e Tricha restarono veramente soli, e visto l’evidente imbarazzo che era sceso su di loro il ragazzo aquila pensò che fosse arrivato il momento giusto di ringraziare come si deve la sua salvatrice
“Sei stata molto coraggiosa, per quello che hai fatto. Non sono molte le persone che farebbero una cosa del genere, non per quelli come noi” nel parlare giocava con le dita della mano.
“Ma figurati” rispose semplicemente Tricha, che sentì il sangue fluire velocemente dai piedi al viso inondandolo di calore. Si girò di scatto, consapevole che il rossore sulle guance non la stava aiutando per niente a gestire la situazione, eppure lui non ci fece caso e le accarezzò il viso con la mano sinistra. Per un momento la ragazza ebbe timore che lui volesse ucciderla, che tutto fosse stato un inganno fin dall’inizio, ma ogni dubbio fu cancellato dai dolci occhi color oro di lui. Ebbe i brividi di freddo quando Xander le baciò la fronte e il suo cuore fece una gigantesca capriola, purtroppo tutto fu interrotto da Abnoba che era appena ritornata dalla caccia
“Ooops, se lo avessi saputo prima avrei aspettato ancora qualche minuto; mi dispiace tanto” ridacchiò imbarazzata, anche se il colore della sua pelle impediva di vedere se fosse anche arrossita o meno; dietro di lei Silex stava alzando gli occhi al cielo, un commento che diceva tutto su cosa lei pensasse di certe cose.
“Vi avevo detto che quello era COTTO! – Dichiarò Felis tornando dal suo posto di vedetta. – Si è anche scordato che io era nelle vicinanze a fare la guardia, chissà cosa avrebbe potuto combinare ancora” anche lui stava ridendo, mentre Tricha e Xander cercavano di nascondere il loro imbarazzo.
“Vuoi un bel pugno in faccia, Felis?” lo attaccò Xander, anche se la sua minaccia non era resa credibile a causa del rossore sul viso
“Vieni a prendermi, se ci riesci” l’uomo tigre si allontanò a corsa, inseguito dal ragazzo aquila.
“Non ti preoccupare cara, stiamo solo scherzando” disse Abnoba a Tricha mentre le porgeva alcune bacche che aveva appositamente raccolto per lei, oltre ad un piccolo sacchetto fatto di foglie che conteneva dell’acqua
“Grazie mille, ma tu hai mangiato?” chiese Tricha dopo essersi infilata in bocca una di quelle succose bacche
“Certo, stai tranquilla” sorrise la driade inclinando leggermente la testa.
“EHI RAGAZZI! – Tuonò Felis riavvicinandosi al trio delle donne. – Ho appena avuto un lampo di genio”
“Nel senso che ti ha appena colpito un fulmine?” cercò di ironizzare Silex, Felis non ci dette corda
“Mi sono appena ricordato che, non troppo lontano da qui, abita una mia vecchia conoscenza. Potremmo chiedere ospitalità a lui: la sua casa è ben protetta” propose Felis.
“Un’ottima notizia, che aspettiamo allora?” esclamò Xander alzando in aria un braccio per incitare tutti a salire sul furgone, ma di nuovo quando fu il momento per Tricha di salire nel retro la fermò. “Scusa, per la figuraccia: era così tanto che non avevo contatti con una persona che mi sono lasciato andare” si giustificò
“Non c’è problema” gli sorrise lei.
 
Mentre il loro viaggio riprendeva, nello studio di ricerca, qualcuno si accorse dell’assenza di alcuni prigionieri.
“Non è possibile! – Esclamò la guardia incredula, che poi prese in mano la radio. – ALLARME! DEI PRIGIONIERI SONO FUGGITI!” e continuò così finché tutti si precipitarono a vedere le celle vuote. Non lo fece Joseph, già consapevole di quello che era successo: al termine della riunione, qualche ora prima, era andato a vedere se la nipote stesse bene; non trovandola aveva controllato il suo armadietto e vi aveva trovato un biglietto indirizzato a lui.
Caro nonno, non ti arrabbiare per quello che ho fatto, ma non avevo altra scelta se volevo salvare i miei amici. Non avercela con loro che, al contrario, hanno cercato di dissuadermi; è stato tutto un mio piano. A proposito, niente male vero? Addio
Questo c’era scritto sul pezzetto di carta che fu accartocciato e rimesso con cura nella tasca dei pantaloni, in fondo se lo sarebbe dovuto aspettare. Al suo arrivo nel piano di detenzione tutti erano in fermento, e i prigionieri rimasti erano più irrequieti che mai soprattutto King (quello che aveva visto Tricha passare i tappa orecchie a Felis e Xander).
“E’ stata la nuova arrivata! Quella con i capelli rasati su un lato! Ha fatto fuggire due donne dall’altro piano, e poi è venuta qui a liberare gli altri due” gridò a squarciagola King aggrappato come una scimmia (come suggeriva il suo aspetto) alle sbarre
“Ne sei sicuro?” gli domandò Joseph facendosi largo tra il gruppo di guardie, pronte con i teaser
“L’ho vista dargli qualcosa in mano, a quei due, poi una donna con la pelle grigia ha messo fuori gioco la guardia e l’altra ci ha incantati” spiegò King, le sue parole trovarono conferma nel racconto della guardia di turno.
“Sua nipote ha tradito la nostra azienda!” lo accusò uno degli scienziati
“Sarà stata manipolata da uno dei quattro. – Mentì Joseph con tutta calma. – Dobbiamo riprendere in custodia i fuggitivi, e riportare a casa mia nipote”
“Io non credo che siano stati loro ad escogitare il piano, e anche nel caso che fosse così sua nipote potrebbe essere morta ormai” esclamò un altro a fianco di Joseph
“Se vogliono una morte indolore, sarebbe meglio di no” sentenziò l’uomo mentre già il suo cervello stava meditando come avrebbero potuto trovarli.

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Capitolo 5
*** Andreea ***


“Meraviglioso” si ripetè più volte tra se e sé Joseph, mentre osservava con avidità i risultati di alcuni esami eseguiti un po’ di tempo prima. Allegato ai plichi c’era il vetrino su cui era stata distesa la piccola quantità di sangue che, ormai coagulatasi, era stata sottoposta all’occhio di vetro del microscopio. Per evitare che qualcuno entrasse, e lo disturbasse, aveva persino chiuso a chiave la porta e la sola luce era quella della lampada sulla scrivania.

“Meraviglioso” disse nuovamente, questa volta con la voce un poco più alta e la mano tremula.

TOC TOC bussarono alla porta, proprio ciò che Joseph avrebbe voluto evitare per tutto il giorno. Malvolentieri si alzò dalla sedia e fece girare la chiave, per dar modo all’intruso di esaurire velocemente il suo compito.

“Cosa devi dirmi?” domandò lo scienziato all’uomo in camice bianco: un signore con una mano leggermente artritica e la pelle rovinata dai troppi fumi di laboratorio.

“Mi hanno chiesto di informarla, che la truppa che era stata inviata per le prime ricerche è tornata e.. . – L’uomo si prese un attimo per rifiatare. – Al momento non si hanno notizie dei fuggitivi, né di sua nipote”.

“Capisco, grazie” lo congedò velocemente Joseph, per poi chiudere nuovamente la porta e tornare alla lettura del plico che portava il nome di Tricha.

Cullata dal rollio delle ruote sotto di lei, Tricha si era addormentata poco dopo l’inizio della seconda parte del loro viaggio. Si era lasciata andare alla stanchezza che aveva accumulato nei giorni precedenti, lei, mentre gli altri discutevano sulla loro misteriosa destinazione.

“Allora, chi sarebbe questa tua conoscenza?” chiese Silex a Felis, aveva abbassato il finestrino e stava osservando il panorama con il vento che le scompigliava i capelli.

“Un mio vecchio amico. – Rispose Felis senza mai staccare gli occhi dalla strada. – Abita a Barlad, nei pressi della Moldavia” fece una piccola svolta, seguendo un percorso visibile solo ai suoi occhi da felino.

“Possiamo fidarci? – Domandò Xander, la cui testa fece capolino dalla maschera che divideva la parte anteriore del mezzo da quella posteriore. – Non è che non mi fidi di te, ma…”.

“E’ la sola possibilità che abbiamo. – Lo fermò l’uomo-tigre. – E poi…lui è stato come un fratello, per me, fin da quando sono venuto al mondo. Sono certo che di lui possiamo fidarci” un masso sporgente fece sussultare il mezzo, non ci fu alcun danno alle ruote.

“Me lo auguro, nella situazione attuale non possiamo permetterci di fare degli errori di valutazione” disse Abnoba, la cui spalla destra aveva da poco assunto la funzione di cuscino per la testa di Tricha, la quale sembrava totalmente immune da tutti i sobbalzi che stava facendo il furgoncino.

“Questo non è un errore di valutazione, sono sicuro al 100% che da Andreea saremo al sicuro” ribatté Felis

“Allora è questo il suo nome, ma ancora non ci hai detto cosa dovremo aspettarci da lui. – Affermò Silex. -  Se lo conosci fin da bambino, come dici, sarà sicuramente uno della nostra specie: com’è fatto?”

“Quando arriveremo lo vedrete” tagliò corto l’uomo tigre, stanco di quell’assurda conversazione.

Al loro arrivo a Barlad il sole era già alto, e faceva capolino dagli edifici della città. Per evitare di essere notati dalle persone che percorrevano le strade, Felis aveva deciso di non inoltrarsi troppo e di fermare il mezzo in una strada secondaria, ai limiti del paese.

“Il tuo amico abita in citta? – Chiese sbalordita Silex mentre Abnoba destava Tricha e le faceva il punto della situazione. – Ora come diavolo faremo a spostarci? Saremo sotto gli occhi di tutti”.

“Andreea non abita lontano da qui, se stiamo attenti potremmo farcela” ipotizzò l’uomo tigre, anche se nemmeno lui era molto contento della sua idea

“Forse tu e Abnoba, ma io e Silex siamo troppo…vistosi” replicò Xander, consapevole che, pur con la massima prudenza, avrebbe attirato l’attenzione.

“Suvvia ragazzi, troveremo il modo. – Li interruppe Tricha, cercando di calmare gli animi prima che si scaldassero troppo. Potremmo andare a cercarlo io e Felis, così poi potremmo portarvi qualcosa con cui coprirvi” suggerì, tuttavia prima che uno qualsiasi della compagnia potesse esprimere la propria opinione una voce, dall’esterno, li anticipò

“Non sarà necessario”.

Era stato un uomo, più o meno dell’età dell’uomo tigre, con corti capelli rossi e occhi nocciola; sul naso aveva un paio di occhiali tondi e da sotto la camicia si vedeva un accenno di pancia.

“Andreea! – Esclamò Felis prima ancora di abbassare il finestrino.  – Questo è di sicuro il momento migliore in cui potevi capitare” stava per aprire la portiera, ma Silex lo bloccò

“Aspetta un secondo! Il tuo amico è un UMANO” era già sul piede di guerra.

“Abbassa la voce. – La rimproverò Felis. – Te lo ripeto: lui non è un nostro nemico”

“Perdonate la mia insolenza. – Si intromise Andreea molto garbatamente. – Sarebbe meglio, per voi, togliervi dalla strada: qualcuno potrebbe vedervi, questa strada non è così deserta”.

“Il problema è che non siamo solo io e lei.  –Felis scese dal mezzo e aprì il portellone posteriore, per mostrare all’amico gli altri viaggiatori. – Hai qualche idea che potrebbe tornarci utile?” domandò socchiudendo la porta, Andreea ci pensò su qualche istante e poi espose la propria idea

“L’edificio in cui abito ha una scala antincendio, sulla facciata posteriore: potreste usare quella ed entrare dalla mia finestra”

“Sei un genio” rispose Felis.

Per poter percorrere in completa tranquillità il breve tragitto fino al loro prossimo rifugio, Silex raggiunse Tricha e gli altri nel retro del mezzo; in seguito Andreea prese il suo posto e guidò Felis fino al suo condominio. Una volta assicuratosi che non ci fosse nessuno nei paraggi, Andreea indicò al gruppo la finestra del suo appartamento; per ulteriore precauzione disse loro di aspettare un paio di minuti, in modo che potesse inventarsi una scusa per giustificare il rumore che avrebbe potuto sentire il portinaio. Trascorso il tempo stabilito dall’entrata di Andreea, il gruppo salì con molta cautela sulla scala antincendio (tutti eccetto Xander, che per evitare di fare rumore con gli artigli dei “piedi” volò direttamente sul piano) ed entrò. L’appartamento di Andreea era un bilocale, arredato con mobili di legno e decorazioni orientali che davano un tocco di colore ad un ambiente altrimenti austero e la cucina (la stanza su cui dava la finestra che aveva fatto da lasciapassare) era l’unica zona con un tocco di modernità, grazie agli elettrodomestici in acciaio con pensili color arancione.

“Vi pregherei di fare il minimo rumore possibile.  – Disse loro Andreea dalla camera da cui stava prendendo le coperte che avrebbero fatto da letto ai suoi ospiti. – Sfortunatamente la mia dirimpettaia è molto curiosa, e verrebbe a bussare al minimo rumore sospetto”.

“Saremo degli angioletti” promise Felis, mentre prendeva una bottiglia di acqua gassata dalla dispensa, costituita da un vecchio sgabuzzino rimesso a nuovo

“Io ancora non capisco come fai a conoscere un umano” si domandò Silex, seduta su una delle sedie attorno al tavolo in cucina ancora guardava di sottecchi l’uomo dai capelli rossi.

“In realtà è una cosa che ci siamo chiesti un po’ tutti. – La appoggiò Tricha, intenta ad osservare Abnoba che guardava un piccolo vaso con una pianta grassa.  – Sai, noi pensavamo che…”

“Che tu fossi come noi, e che non vivessi in una città” concluse Xander, aveva trovato posto sulla sedia vicina a quella di Tricha, e le sue ali toccavano facilmente il pavimento bianco; intanto Felis aveva appena svuotato l’intera bottiglia e si era appoggiato al piano di lavoro della cucina, e Abnoba aveva smesso di guardare con tanta venerazione le piante.

“In realtà è una storia abbastanza buffa. – Andreea si sedette sull’ultima sedia rimasta vuota. - E’ successo quando ero piccolo, avevo appena iniziato le medie, e dei bulletti di quartiere mi avevano circondato per divertirsi un po’ con me. Io all’inizio riuscì a sfuggirgli, correndo tra i vicoletti, ma non sono mai stato un buon atleta e sono stato facilmente bloccato in una strada senza uscita. Avevo preso i primi pugni in faccia che vedo un ragazzino, Felis appunto, saltare da dietro la recinzione che chiudeva la strada davanti a me e darne di santa ragione a questi bulletti. E’ così che è cominciata la nostra amicizia: appena potevo andavo a trovarlo a casa, e quando ho lasciato casa dei miei è diventato mio coinquilino per qualche anno”.

“Poi me ne sono andato, e mi hanno preso quelli della Kiruna” aggiunse Felis

“Quando l’ho saputo, per me è stato un vero shock. Sono veramente felice di vedere che ne sei uscito” disse rincuorato Andreea.

“Tutto grazie a questa ragazza. – Felis indicò Tricha, la quale arrossì per l’imbarazzo. – Lei ha rischiato tutto per renderci la libertà”

“Le dobbiamo molto” affermò Abnoba ponendo le sue mani sulle spalle dell’amica.

“Io di sicuro ti devo qualcosa” confermò a sua volta Andreea.

Intanto, nella K.agency…

“Ancora non avete trovato nessuna traccia di loro?” domandò Joseph durante la riunione straordinaria che aveva indetto, davanti a lui c’erano tutti i ricercatori e gli agenti che stavano partecipando alle indagini.

“Non ancora, direttore, ci dispiace molto” rispose uno di loro senza nemmeno alzare la testa

“Stiamo cercando in lungo e in largo, ma nemmeno i posti di blocco ci hanno segnalato del passaggio del nostro furgone” disse un altro.

“Non sono così stupidi da passare per una strada battuta: sanno che li stiamo cercando” affermò Joseph, con una punta di rimprovero nella voce.

“Sono passate poche ore dalla scomparsa, i nostri uomini riusciranno a trovarli. Hanno solo bisogno di tempo” suggerì uno degli uomini in piedi, e questo suscitò l’ira di Joseph che sbattè un pugno sul tavolo

“Devono trovarli SUBITO! C’è la vita di mia nipote in gioco! – Gridò, poi gli venne in mente un’idea. – E se usassimo alcune delle nostre cavie?”.

“Non sono ancora pronte! Rischieremmo di perderne il controllo” ribatté immediatamente l’uomo accanto a lui

“Allora i nostri prigionieri” propose Joseph.

“Non vorranno mai collaborare con noi” sostenne lo scienziato

“Uno di loro lo farebbe di sicuro, se ben ricambiato: Rellik” dichiarò Joseph, e nello sentire quel nome tutti i presenti trasalirono.

“E’ un cannibale! Inoltre la sua particolare struttura fisica gli renderebbe impossibile passare inosservato” affermò di nuovo lo scienziato accanto a Joseph che rispose immediatamente

“E chi dice che a me importi che lui non si faccia vedere? Voglio solo riavere mia nipote al sicuro!”

“Non glielo lascerò fare, non con quel pazzo criminale”.

“Bene, se è così. – Joseph tirò fuori dalla tasca del camice una pistola e sparò in bocca all’uomo. – Qualcun altro è in disaccordo con me? Vi avverto ho portato i proiettili di riserva e non mi farò scrupoli se dovrò crivellarvi il cervello”.

Nessuno rispose o reagì, erano tutti rimasti fissi ad osservare il sangue che sgorgava dalla bocca del collega deceduto.

“Così va meglio. – Joseph pose la pistola sul tavolo. – Vi ricordo che sono io il direttore di tutta questa giostra, e decido io come impiegare TUTTE le risorse in nostro possesso; perciò esigo che voi mi seguiate come delle formiche, senza obiettare” concluse prima di uscire dalla sala. Quale fosse la meta del suo viaggio era nota a tutti: la cella di isolamento del soggetto più pericoloso dell’intero edificio. A lui era stato riservato un intero piano (tenuto sempre al buio), e la sua era l’unica cella che vi si poteva trovare. Dietro un vetro elettrificato, tenuto al muro da catene a maglia grossa, stava Rellik l’uomo golem cui piaceva cibarsi di carne viva (non gli importava di chi fosse).

“Ho una proposta da farti, Rellik” dichiarò Joseph davanti al vetro, da quella posizione vedeva perfettamente il suo prigioniero

“Che vuoi?” la voce dell’uomo strideva come due pietre che cozzavano tra di loro, e gli occhi erano l’unica luce in quell’oscurità.

“Mia nipote, la mia adorata Tricha, è scappata con alcuni prigionieri. Sarei ben felice se tu mi aiutassi a riportarla a casa, viva e integra” rispose lo scienziato

“E io, che ci guadagnerei?” domandò il golem.

“Ti farei uscire da qui, e ti offrirei un lauto pasto”

“DEL TIPO?” Rellik si era interessato allo scambio.

“Ti ho chiesto di riportare mia nipote, ma non ho detto niente del genere sugli altri prigionieri” affermò Joseph, dando al golem il via libera sugli altri componenti del gruppo

“Mi sembra un buon compromesso, vecchio”.

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Capitolo 6
*** Rellik in caccia ***


“Grazie mille, per avermi accompagnata. Avevo proprio bisogno di un’uscita” disse Tricha ad Andreea davanti a una tazza fumante di caffè. Dopo una notte trascorsa a raccontare tutte le sue vicende alla Kiruna, Tricha era stata invitata dall’uomo ad una passeggiata esplorativa per Barlad; un’occasione per acquistare degli abiti di ricambio (quelli delle ragazze si erano logorati, mentre per gli uomini Andreea si era offerto di prestargliene dei suoi), oltre che per fare la spesa.

“Dovere. – Rispose Andreea posando la tazza da cui aveva preso l’ultimo sorso del suo caffè. – Mi dovevo sdebitare con te, per aver liberato il mio amico”.

“Ho solo seguito il mio istinto” affermò Tricha mentre rimetteva a posto la ciocca di capelli che, nel parlare, era scivolata in avanti.

“Com’è che hai deciso di fare questa cosa? Ieri ho ascoltato con attenzione il tuo racconto, ma non capisco qual è stato il sentimento che ti ha spinto a farlo” domandò il rosso, sporgendosi un poco verso la ragazza e posando i gomiti sul tavolino, in modo da avere un appoggio su cui mettere il mento.

“Il giorno in cui notai i lividi sul corpo di Felis, ho iniziato ad avere dei seri dubbi su tutto quello che stavo facendo. Quando poi Silex mi ha raccontato la verità, mi sono sentita sporca al solo pensiero di far parte di un simile schifo e ho deciso di andarmene. Non ho potuto far scappare tutti i detenuti perché, come succede per le persone normali, molti di loro sono soggetti pericolosi, ma ho voluto farlo almeno con i miei amici” rispose la ragazza.

Mentre Tricha stava gustandosi la sua pausa dalla passeggiata, Joseph e alcuni agenti della Kiruna avevano raggiunto il punto in cui si era fermata la loro precedente spedizione di ricognizione.

“Punto di controllo raggiunto. – Affermò il caposquadra al microfono. – Rilascio soggetto Rellik”.

Dal retro del furgone sui cui, al posto passeggero, stava seduto Joseph, uscì la sagoma imponente di Rellik: un uomo la cui struttura genetica aveva fornito una pelle molto ruvida, dura e irregolare simile alla pura pietra. Tra i detenuti al centro, lui era quello che più di tutti era tenuto sotto sorveglianza, poiché la sua particolare indole lo aveva reso un pericolosissimo soggetto cui piaceva cibarsi di carne viva (umana o animale, per lui non faceva differenza). Proprio grazie al suo vizio la Kiruna era riuscita a catturarlo: adescandolo in mezzo alle montagne con esche vive.

“Non tradire la mia fiducia. – Disse Joseph a Rellik. – Fai il tuo lavoro e avrai il tuo premio, altrimenti sarai tu la mia prossima cavia” nonostante fosse davanti al golem, non sembrava avere paura di lui.

“Dammi ciò che mi hai promesso, e vivrai a lungo” ribatté l’uomo di pietra.

Qualche chilometro più in là…

“Già volete andarvene? – Aveva domandato Andreea quando, al rientro suo e di Tricha nell’appartamento, Felis aveva comunicato la decisione di lasciare Barlad l’indomani mattina.  –Non è un po’ presto?”.

“E’ meglio per tutti: se restassimo troppo a lungo, le possibilità di essere scoperti sarebbero troppo alte” spiegò l’uomo tigre, facendo da portavoce per gli altri suoi compagni.

“Tricha è la sola, tra noi, a poter prolungare la sua permanenza. Se volesse…” propose Xander, che tanto si era battuto su questo punto.

“Potrei, ma non lo farò. – Replicò Tricha puntando i piedi. – Più mi allontano da mio nonno, e meglio sarà”.

“Lo avevo detto io, che avrebbe reagito così” commentò Silex.

“Oh, bhe. Se non volete considerare altre opzioni, me ne farò una ragione. – Si arrese Andreea. – Permettetemi almeno di procurarvi cibo e acqua per il viaggio”.

“Non devi disturbarti oltre: hai già fatto fin troppo per noi” replicò Abnoba.

“Insisto” ripetè il rosso.

“Meglio accontentarlo, o potrebbe murarci in casa” affermò scherzoso Felis, facendosi scappare anche una piccola risata.

“Solo per oggi. – Disse Xander, forse un po’ irritato per la decisione di Tricha. – Partiremo di buon’ora domani mattina, all’alba”.

Nel pomeriggio poco dopo l’ora di apertura dei negozi Andreea, ancora una volta accompagnato da Tricha, lasciò di nuovo la casa per fare rifornimento di cibo. Non andarono nel supermercato dove erano stati quella mattina, onde evitare di destare sospetti, e in questo modo Andreea potè mostrare alla sua ospite altri scorci di Barlad.

“Mi dispiace tanto, che dobbiate lasciare la città così presto” confessò l’uomo. Stavano passeggiando lungo il marciapiede, e anche se erano attorniati da altri passanti nessuno faceva caso a loro.

“La dura legge del fuggitivo. – Rispose Tricha, cercando di sdrammatizzare.  – Anche a me spiace lasciare un posto sicuro, ma dobbiamo allontanarci il più possibile; prima che sia troppo tardi”.

Mentre camminavano tranquilli qualcuno, correndo all’impazzata, urtò violentemente Tricha facendola cadere.

“CORRETE! SCAPPATE!” gridava l’uomo allontanandosi sempre più, e con lui altri correvano per la strada rischiando di essere investiti dalle auto.

“Questo ancora, mi mancava” disse Andreea mentre aiutava la ragazza a rialzarsi; dal suo tono sembrava che volesse scusarsi per quello che era appena successo.

Poi ci fu un grido, in fondo al viale, e la figura di un uomo di pietra. Pur non avendolo mai visto dal vivo, ma solo attraverso un foglio di carta, Tricha lo riconobbe all’istante.

“RELLIK” strillò terrorizzata, mentre la sua testa rimuginava su tutto quello che era scritto nel fascicolo di quella bestia. Subito le venne voglia di scappare.

“Sai cos’è quell’affare?” chiese Andreea portando la ragazza in un vicoletto, per non essere troppo in vista e per evitare altri spiacevoli scontri.

“E’ venuto per me, ne sono certa” rispose lei inspirando a fondo, in cerca di una soluzione.

“Lo penso anch’io, purtroppo. – L’uomo la coprì con la sua giacca. – Devo portarti al sicuro”.

“NO. – Replicò lei, autoritaria. – Devi avvertire gli altri, e metterli al sicuro. Anche tu, non devi essere visto con me” ordinò, e come una nuvola di fumo scattò verso al strada confondendosi tra coloro che stavano fuggendo, lasciando Andreea impietrito ne, vicoletto.

E mentre l’uomo si riaveva dallo shock causato dall’azione della ragazza, Rellik seminava panico e distruzione in tutta Barlad, alla ricerca dei suoi obiettivi. Muovendosi come un carro armato, pesante e incisivo sull’asfalto, avanzava imperioso per le strade lasciando ovunque, con piedi e mani, i segni del suo passaggio. Non aveva una gran vista, non era di certo un rapace, e per riuscire ad individuare Tricha in quella folla urlante preferì affidarsi al fiuto. Era sempre andato fiero, di quello che potevano fare le sue narici: sin dai primi mesi di vita, quando la sua pelle era ancora morbida e gli altri suoi sensi troppo poco sviluppati, gli avevano permesso di procacciarsi il cibo anche nella coltre oscura della notte, e di riconoscere un predatore da una preda anche tra mille odori diversi. Persino in quel marasma, fu un gioco da ragazzi percepire il profumo dolce della ragazza, misto a quello selvatico degli evasi, non appena questa uscì di corsa in strada.

“RAGAZZA!!!” ruggì il golem con la voce gorgogliante come lava bollente.

Il suo richiamo fece venire la pelle d’oca a Tricha, che si infilò di soppiatto in un negozio di abbigliamento nascondendosi all’interno del cerchio di una rella piena di vestiti. All’interno dell’esercizio avevano trovato rifugio altre persone: cinque anziane, che ben sapevano che non sarebbero mai scampate vive all’orrore.

Pensava di poter guadagnare tempo, nascosta tra abiti che ancora portavano l’odore del nylon in cui erano stati trasportati, invece vide Rellik sfondare la porta del negozio fin troppo presto.

“CREDEVI DI POTERTI NASCONDERE A ME? – Affermò il golem scostando gli abiti che avevano fatto da rifugio alla ragazza. – Sciocca presuntuosa”.

“Non sapevo, che l’azienda allenasse anche i cani” lo schernì lei, gattonando all’indietro come i gamberi.

Rellik la prese per un braccio, rischiando di romperle l’osso con la forza della sua presa.

“Dove sono i tuoi amici, quelli che hai aiutato a fuggire? – Le ruggì in faccia il golem. – Dov’è il mio PASTO?”.

“Non te lo dirò mai! – Dichiarò ferma la ragazza. – Non crederai davvero che dica una cosa del genere, proprio a te” la pressione sul braccio stava diventando troppo forte.

“Invece tu lo farai: loro sono la mia ricompensa, per aver trovato te” ribadì l’orco, sbattendola contro la parete.

“Mi dispiace. – La ragazza si rialzò. – Purtroppo sono una bambina cattiva”.

Fortemente adirato per l’arroganza con cui gli stava rispondendo Tricha, Rellik alzò il pugno al cielo dimenticandosi, per un attimo, di quello che gli aveva ordinato Joseph. Voleva sfracellarle la testa, oh quanto voleva farlo, e poi avrebbe cercato da solo il suo premio.

“NON OSARE TOCCARLA” gridò una voce. Era fuori dal campo visivi di Tricha e Rellik, ma era chiaro che si trattasse di Joseph; aveva con sé una scorta, ben fornita di armi.

“Sua nipote non vuole rivelarci la posizione degli evasi” affermò il golem, avvicinandosi a grandi passi verso la porta dove era Joseph.

“Non servirà che ce lo dica: loro verranno a riprenderla, non appena avranno ricevuto il mio messaggio. Per allora, avranno una bella sorpresa” disse lo scienziato, prima di accennare ai soldati di prendere la ragazza, la quale non oppose resistenza né pronunciò parola. Si concesse solo di fare una domanda al nonno, quando ormai era nel resto di uno dei furgoni.

Lui era seduto davanti a lei.

“Quale messaggio? Tu non sai dove sono”

“Non conosco il loro rifugio, è vero. – Affermò Joseph. - Ma penso che il cadavere del tuo amico rosso sia un messaggio che i tuoi mostriciattoli troveranno, e capiranno, subito” e rise, ripensando a come si era divertito nel vedere il corpo dell’uomo pieno di buchi di proiettile.

Inorridita da quella risate, Tricha si chiuse nel più completo mutismo e i suoi occhi si fecero di ghiaccio. Sperava di poter far sentire il nonno un po’ in colpa, anche sono un poco, ma purtroppo la sua reazione provocò solo piacere nell’uomo.

Appartamento di Andreea.

“Quei bastardi, ci hanno già trovato!” lamentò Xander, sbattendo con forza i pugni sul tavolo. Avevano da poco visto Rellik, e alcuni soldati, irrompere in città e mettere in fuga i cittadini. Ora le strade erano deserte, ma Tricha e Andreea non erano rientrato.

“Non avrei mai pensato, che avrebbero osato liberare Rellik” meditò Silex, ancora appoggiata alla finestra in perlustrazione.

“Gli avranno di sicuro promesso qualcosa, o non si sarebbe mai messo al servizio di qualcuno” ipotizzò Abnoba.

Di scatto Xander si diresse verso la finestra, e la aprì bruscamente. Aveva già messo u piede fuori, quando Felis lo bloccò trattenendolo per un’ala.

“Dove pensi di andare?” domandò l’uomo tigre.

“Non posso restare qui: Tricha potrebbe essere in pericolo” rispose il ragazzo alato.

“Andreea l’avrà già portata al sicuro” replicò Felis.

“E’ pur sempre un uomo, non può far nulla contro Rellik o i soldati” precisò Xander.

“Piumino ha ragione, forse dovremmo andare a cercarli” lo appoggiò Silex.

“Ormai non c’è più nessuno, per strada, perciò possiamo uscire indisturbati” aggiunse Abnoba, cui in realtà non importava nulla di essere vista.

“Va bene, ma cercheremo in gruppo: avremo più possibilità, nel caso incrociassimo il nemico” acconsentì infine l’uomo tigre.

Uscirono in strada, deserta come un villaggio western abbandonato, e usando la massima cautela (ancora non sapevano che chi l’inseguiva se n’era già andato), scrutarono ogni angolo della città. Stavano perdendo le speranze, ma poi la driade percepì qualcosa e si lanciò a capofitto in un vicolo. Aveva trovato Andreea, agonizzante e con ormai poco da vivere.

“L…l’hanno,ha…hanno preso…lei” rantolò l’uomo, il cui sangue stava gorgogliando in bocca; si era limitato a ripetere quello che gli aveva detto Joseph quando lo aveva trovato.

“La salveremo, ma prima dobbiamo occuparci di te” disse Felis, pur sapendo che ormai non c’era più speranza.

“S…sono già, morto” balbettò il rosso, prima di spirare.

Sul muro, sopra di lui, imperava una scritta rosso sangue.

SAPETE DOVE TROVARMI

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Capitolo 7
*** Incubo ***


Soffiava il vento sulla pianura del cimitero di Barlad, portando con sé minacciose nubi grigie. Pur sapendo della missione che li aspettava, Felis e gli altri fuggitivi erano stati di comune accordo nel dare, prima, una degna sepoltura al coraggioso Andreea. Dopo aver cancellato, in modo poco ortodosso, l’orribile scritta lasciata da Joseph, avevano portato il corpo dell’uomo fino al cimitero; avevano scavato una fosse dove riporre il corpo e infine vi avevano messo una lapide. Il tocco finale lo dette Abnoba, che compose un magnifico bouquet con i fiori di campo trovati nel cimitero.

“Mi dispiace per il tuo amico: era un brav’uomo” disse Xander a Felis, posando una mano sulla sua spalla in segno di condoglianze.

“Lo era, davvero. Ha fatto moltissimo per me. – L’uomo tigre si inginocchiò, e prese un pugno della terra di sepoltura. – Andreea, ti giuro che vendicherò la tua morte”.

E mentre loro discutevano sul da farsi, e su come penetrare nel laboratorio per salvare l’amica, il furgone che stava trasportando Tricha era ritornato alla base. C’erano volute alcune, noiose, ore di viaggio intervallate da un paio di soste per dar modo a Rellik di sfogare il suo perverso istinto omicida sui poveri animali. Tricha non ebbe modo di vedere il viaggio, né gli sfoghi del golem, poiché Joseph le iniettò del sonnifero poco dopo il loro alterco. Al suo risveglio, la ragazza si ritrovò distesa su di un tavolo operatorio. Era legata con delle cinghie, e a causa della troppa luce che le era puntata addosso le ci volle qualche istante, prima di riuscire a mettere a fuoco la vista. Attorno al tavolino, intenti ad osservarla con molta curiosità, c’erano tre uomini: Joseph, riconoscibile nonostante la mascherina che gli copriva quasi l’intero volto, e due assistenti più giovane dello scienziato. Tuttavia l’attenzione della ragazza si spostò velocemente, dai volti degli scienziati alla siringa che Joseph stava tenendo ben stretta nella mano sinistra.

“Ben svegliata, nipote” le disse l’uomo in modo abbastanza apatico, accarezzandole i capelli con la mano libera (guantata anch’essa come la sua compagna).

“Non toccarmi! – Affermò dura Tricha, scostando la testa per quanto le fosse permesso dalle cinghie.  –Sono stata una stupida a fidarmi di te”.

“Mia cara, non è stata quella la decisione sbagliata. – Joseph fece cenno ai due assistenti di lasciarli soli, e quelli obbedirono all’istanti. – Affezionarti a loro, e farli scappare, ecco cosa ti ha portato a questo punto”.

“Non rimpiango nulla. – Asserì Tricha. – Se dovessi mai tornare indietro, lo rifarei senza esitare”.

“Sei testarda, esattamente come tuo padre. – Joseph si allontanò dal tavolino, per inserire l’ago della siringa in una fialetta prendendo alcune gocce del liquido nero che vi era all’interno. – Prendi una via, e non la lasci più”.

La totale ignoranza su cosa fosse quella sostanza, fece assumere alla ragazza un’espressione interrogativa che lo scienziato colse con la coda dell’occhio.

“Questo, nipote, è il frutto di anni di ricerca: è in grado di attivare i geni che, se non fossero sopiti, renderebbero il loro portatore…speciale. – Spiegò lo scienziato. – Credo che tu sappia benissimo a cosa mi sto riferendo”.

“Ma solo se quei geni sono presenti. – Ribatté immediatamente Tricha. – Mi sembrava che entrambi fossimo d’accordo sul fatto che io non ne ho”.

“E’ solo una tua supposizione, io non ti ho mai detto niente del genere. – Joseph disinfettò l’area in cui avrebbe inserito l’ago. – Nel tuo d.n.a. c’è un piccolo gene che sta aspettando la sveglia, e sarò io a dargliela”. Lo scienziato iniettò il siero direttamente nel braccio destro della ragazza.

Inizialmente Tricha non avvertì alcun sintomi, ma poi un improvviso e insopportabile dolore si propagò dal braccio in tutto il corpo. Sentiva il suo essere disgregarsi e diventare di fuoco; tutti i muscoli fremevano sotto la cute, minacciando quasi di liquefarsi sotto la forza dei crampi. Persino le ossa sembrarono contrarsi, rompersi in una miriade di frammenti, e ricomporsi di nuovo. La ragazza dovette impiegare tutta la sua forza mentale, per evitare di impazzire dal dolore.

“A proposito. – Dichiarò Joseph, prima di uscire dalla stanza e lasciar sola la nipote. – Non ti disturbare a preoccuparti per i tuoi genitori: sono morti e sepolti già da un pezzo, nella loro bella casetta” e se ne andò, impaziente di vedere quale sarebbe stato il risultato dell’esperimento.

“MALEDETTO” gridò la ragazza con quella poca voce che riuscì a tirar fuori.
Poi ci fu il buio, e l’incubo.
C’era una radura, uno stupendo luogo verde baciato dai raggi del sole. Il vento soffiava dolce, piegando di qualche grado gli splendenti fili d’erba. Seduta sotto a un salice, nascosta in parte dai rami pendenti e con la schiena appoggiata al grande tronco, una ragazza.
Tricha le si avvicinò, notando che la sconosciuta le somigliava.
“Ciao” la salutò.
Quella, quasi destandosi dall’apparente stato di dormi-veglia, puntò su Tricha i suoi occhi. Non erano dolci come i lineamenti del viso, ma folli e rabbiosi tanto che la ragazza si spaventò ed indietreggiò.
Tutto il dolore che era stato dimenticato ritornò alla ragazza, e il mondo ameno si tramutò in un luogo infernale color sangue.

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Capitolo 8
*** Rebirth ***


~~Nonostante fosse già notte inoltrata quando arrivarono a Bucarest, le strade fremevano dei respiri degli abitanti e le luci degli edifici illuminavano un cielo senza stelle.
C’era odore di pioggia nell’aria.

A causa dell’ubicazione del laboratorio, Xander e gli altri non avrebbero mai potuto utilizzare unicamente i viottoli per arrivarci. L’unica soluzione era passare in mezzo alla folla.

“Ci spareranno a vista, appena metteremo il piede in strada” osservò Silex immediatamente, immaginandosi mentre trucidava gli umani nella fuga.

“Ci camufferemo, e cammineremo ai lati della strada” suggerì saggiamente Felis.

“Stai dicendo che dovremo rubare?” avanzò Abnoba, per nulla entusiasta dell’idea.

“Preferisci forse che ci vedano? - Le chiese Xander. – Dobbiamo entrare in quel laboratorio non visti, e onestamente non mi interessa di fracassare una vetrina” era visibilmente in ansia.

“Hai ragione, scusa” acconsentì la driade, comprendendo quale fosse la priorità.

Entrarono di soppiatto in un negozio di abbigliamento sportivo, sfondando la porta sul retro adibita alla ricezione delle merci. Dovettero fare molto in fretta, perché l’allarme scattò non appena la porta cadde giù, ma trovarono tutto ciò di cui avevano bisogno. Presero perlopiù pantaloni e giacche, oltre ad un’ampia cappa per coprire le grandi ali di Xander. Una volta pronti si incamminarono verso l’edificio, evitando con cura la polizia che si stava dirigendo verso il negozio e costeggiando le vetrine. Quando furono abbastanza vicini si nascosero in un angolo cieco, per costruire la seconda parte del piano.

“Dobbiamo disfarci dei due poliziotti all’entrata” affermò Xander, osservando gli uomini col fucile che stavano pattugliando la zona attorno alla porta principale del laboratorio.

“E mettere fuori gioco quelli nell’atrio” aggiunse Felis, che aveva visto delle ombre all’interno.

“Quelli potrei incantarli io” si propose Abnoba.

“Ma resta il problema dei poliziotti all’esterno”.

Al che Silex, stufa di aspettare e di sentire un mucchio di ipotesi, si alzò in piedi e andò verso i due uomini camminando come una donna in caccia commentando tra sé

“E’ ora di finirla con le gentilezze”.

Coperta dalla notte, e col cappuccio ben calato in testa per nascondere i capelli e il colore della pelle, la donna avanzò senza paura e disse ai due uomini

“Devono essere disperati, se hanno messo due mollaccioni come voi al servizio di sicurezza”.

“Tu non hai mai visto un vero uomo, piccola. – Rispose uno dei due poliziotti. – Possiamo fartelo vedere noi, anche adesso”.

Fingendo di civettare, Silex pose una mano sulla guancia di entrambi gli uomini

“Forse è vero. – Disse, poi fece cozzare le loro teste l’una contro l’altra. – Ma di certo non saranno due amebe come voi, a soddisfare le mie voglie”.

I corpi dei due uomini caddero a peso morto, trascinati dalla forza di gravità.

“Quella comincia a farmi paura” commentò Felis mentre lui e i compagni raggiungevano la donna gargoyle.

“Bella mossa” disse Xander, senza ricevere una risposta di ringraziamento (non che se l’aspettasse).

“Forza Abnoba. – Esclamò l’uomo-tigre, posando una mano sulla porta. - Incantaci”.

E mentre la voce della driade trasportava coloro che erano nell’atrio in uno stato di semi-incoscienza, gli occhi di Tricha si erano nuovamente aperti al mondo. Non provava più dolore, e i muscoli non tremavano più, eppure la ragazza percepiva il proprio corpo come qualcosa di estraneo alla parte conscia della sua mente. Era come se fosse un’altra parte del suo cervello, un lato che era rimasto sopito da sempre, a controllare il suo corpo. Un’altra persona sarebbe caduta nel panico, sapendo di non potersi più controllare, invece Tricha (almeno, la parte conscia di lei) rimase impassibile. Quel suo nuovo Io, benché sconosciuto, le sembrava uno spirito benevolo che l’avrebbe salvata.

“Si è svegliata. – Affermò una voce ovattata, lontana ma non troppo. – I parametri vitali sembrano buoni”.

“Qualche cambiamento particolare?” domandò qualcun altro, forse Joseph a giudicare dal tono.

“Nessuno, dovremmo fare dei test” suggerì l’altra voce.

“Allora cominciate subito! Fate tutto quello che è necessario”

Allarmata per quello che sarebbe successo, Tricha (anzi, il suo alter ego) cominciò a strattonare forte le cinghie che la tenevano ferma riuscendo a romperle con estrema facilità.

“Si è liberata! – Gridò Joseph. – Com’è possibile?”.

Continuando ad assistere alla scena, Tricha vide il proprio corpo sollevare il tavolino e spaccare il vetro di sicurezza che separava la sala delle torture da quella in cui il nonno e i suoi due assistenti.

“Ci rivediamo” disse la ragazza, con una furia omicida nel petto.

“Salve straniera” disse Joseph a tradimento, indietreggiando poco a poco.

“Ferma lì dolcezza. – Le disse uno dei due assistenti, che si era avvicinato a pochi centimetri da lei, imbracciando un fucile caricato con dei sonniferi. – Se ti muovi, ti scarico il caricatore in testa”.

Tricha sentì la propria lingua schioccare contro il palato, poi i muscoli del suo braccio sinistro scattarono e spinsero lateralmente l’arma che, dopo aver scaricato un colpo accidentale, cadde a terra. Gli stessi muscoli, con l’aiuto del braccio destro, afferrarono la testa dell’aggressore e gli fecero fare due giri rompendo pelle, muscoli e ossa. In seguito la ragazza afferrò il cranio, lo staccò definitivamente dal corpo, e lo lanciò contro Joseph che, assieme all’altro assistente, erano rimasti fermi a guardare.

“ASSASSINA!” la accusò il giovane, spinto da una botta di adrenalina sfumato in una banalità.

Tricha non colse la provocazione, ne sembrò aver alcun interesse per l’assistente. Al contrario i suoi occhi verdi, cui ora si era aggiunto un tono indaco, erano piantati fissi su Joseph.

“Divina” sussurrò l’uomo, ammirando la terribilità di quello sguardo.

Tricha restò muta, limitandosi a sottolineare il proprio odio con un respiro più marcato. Tuttavia il filo dei loro sguardi venne interrotto da un forte rumore di spari che, avendo attirato l’attenzione della ragazza, le fece istintivamente voltare la testa. I due scienziati ne approfittarono per uscire, non visti ma sentiti.

“TORNA QUI!” ringhiò la ragazza, che con un balzo coprì la distanza che la divideva dalla porta e, con una spallata, sfondò la porta blindata che dava sul corridoio.
Ad attenderla c’erano una dozzina di guardie armate di fucile, eppure nonostante il pericolo il nuovo istinto primordiale la spinse a disfarsene il più in fretta possibile. Inseguendo quel piccolo sussurro, fondendo il suo vecchio Io con quello nuovo, Tricha si abbassò di colpo cosicché due cecchini non troppo esperti, presi alla sprovvista, spararono ai loro compagni. A chi le capitò per primo sottomano, Tricha falciò le gambe spezzandogli i femori. A un altro invece, dopo che le sue spalle funsero come appoggio per una ruota in aria (che terminò con un calcio a un soldato), fu crudelmente spezzato il collo.

Non c’erano più nemici, e nessuno si sarebbe rialzato.

 

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Capitolo 9
*** Il club degli orrori ***


“Questo dannato posto! E’ ancora peggio di un labirinto” imprecò Xander, mentre lui e i compagni stavano cercando di trovare la strada per i laboratori sotterranei.

“Prima o poi la troveremo, abbi pazienza” tentò di rassicurarlo Abnoba, posando una mano sul torace in subbuglio dell’uomo aquila.

“Allora potrebbe essere troppo tardi”.

“Lo sarà di certo, se continuiamo a starcene qua” affermò Silex, continuando a scrutare i corridoi per un’eventuale nuovo assalto delle guardie.

“SMETTETELA SUBITO! – Ordinò Felis, imperioso come non mai. – Non la aiuteremo di certo in questo modo” e poi, mettendosi alla testa del gruppo e senza chiedere opinioni altrui sulle possibili vie, cominciò ad addentrarsi nell’intestino dell’edificio. Non fu un viaggio facile, dal momento che le guardie armate da mettere fuori gioco aumentavano ad ogni passo. Nonostante ciò, il gruppo avanzò aprendo ogni porta su cui c’era scritto “vietato l’accesso”.

Alla fine, dopo infiniti svincoli, arrivarono in un corridoio il cui pavimento era stato ricoperto con i corpi di alcuni soldati.

“Qualcuno si è divertito, beato lui” commentò la donna gargoyle, in un misto di divertimento e di invidia (le era stato detto di non uccidere nessuno).

“Chi può essere stato?” chiese Abnoba mentre, con cautela, avanzava tra i defunti cercando di non calpestarli.

“Non certo Rellik: li avrebbe mangiati senza lasciare gli stivali” ipotizzò Xander, provando un leggero brivido al pensiero che prima o poi avrebbe potuto incontrare l’uomo di pietra.

“In ogni caso, meglio non restare troppo a lungo nei paraggi” disse l’uomo tigre, incitando gli altri a continuare il loro percorso.

Non sapevano che avevano appena avuto un assaggio della nuova personalità di Tricha.

Aveva seguito le tracce di Joseph fino al suo ufficio, ma lui non c’era.

“Eppure, so che sei qui” pensò la ragazza, seguendo chissà quale ragionamento.

Nonostante l’evidenza, il suo istinto continuava ad urlarle che Joseph era ancora lì o che, perlomeno, ci era passato senza uscirne. Si sedette sulla scrivania, incrociando le gambe e guardandosi le ginocchia (la sua tipica posa da pensatrice), e il suo naso fu preso da un misto di aria fresca e acqua di colonia. Il profumo che usava lo scienziato. Si acquattò sotto la scrivania, divisa dal pavimento da un finto persiano, e porse un orecchio per ascoltare il rimbombo delle due bussate che dette. Approvato che sotto c’era uno spazio vuoto, la ragazza scostò bruscamente scrittoio e tappeto scoprendo una scala segreta impregnata dell’odore del nonno.

Un passo dopo l’altro, sempre più in basso, Tricha scese i quaranta gradini che la portarono in un corridoio. Rispetto alla parte superiore, quel sotterraneo era del tutto diverso: dall’intonaco spuntava muffa verde, e anche dove non c’era le chiazze di umidità mostravano il degrado dei mattoni. Non c’erano altri svincoli. Solo un'unica galleria nemmeno troppo lunga, e poi una porta blindata.

Dietro al metallo, che la ragazza poté aprire solo distruggendo il pannello di controllo (l’unica testimonianza di modernità), stava il mondo degli orrori. Sembrava che in quel luogo fosse stato riprodotto il set di un film giallo, e in particolare una stanza clandestina in cui di lì a poco sarebbe potuto entrare un criminale per farsi operare da un medico sottopagato. I tavoli operatori, sporchi e rovinati dal tempo, erano estremamente ammaccati; nella parte buia della stanza, invece, c’erano grandi gabbie per animali tutte arrugginite.

All’interno di una di queste stava ciò che un tempo si sarebbe potuto definire un essere umano: un ammasso rigonfio e livido, come se al suo interno fosse esplosa una bomba senza dilaniarne la carne, e la testa solo parzialmente sdoppiata. Aveva la bocca semiaperta, in atto di parlare, ma le sue corde vocali si erano dissolte nell’acido della saliva che aveva corroborato la grata. L’unico suono che emetteva era un fastidioso gorgoglio che faceva eco con quello dello stomaco.

Blaaaarg.

“Che razza di schifo sei?” chiese la nuova parte di Tricha mentre l’altra, poco a poco, provava pietà per quella persona.

“Non dovresti offenderlo così. – Le disse il gigante Rellik alle spalle. – Sarebbe potuto capitare anche a te”.

“Stai forse dicendo, che questo coso era un uomo?”.

“Una delle prime cavie del dottore” spiegò l’uomo di pietra, posando una grossa mano su un armadio graffiato.

“Una povera vittima delle assurde perversioni di Joseph” ribatté senza peli la ragazza.

“Molto probabilmente, era troppo debole per evolversi. Tu invece.. . – Rellik si avvicinò, e osservò Tricha da capo a piedi. – Sei venuta proprio bene, da far infuocare anche uno come me”.

“Stai lontano da me” ordinò lei, scostandosi con un gran passo. L’istinto aveva di nuovo iniziato a sussurrarle all’orecchio.
PERICOLO
 
“Di qua! – Esclamò Felis, seguendo il famigliare odore di Tricha, mescolato ad un altro più esotico. – Sento il suo profumo” affermò, continuando a guidare il gruppo.

“Ne sei certo? – Domandò Xander. – Non credo che l’abbiano portata fin qua”.

“Ti dico che è passata di qua. – Ripeté Felis, arrivando alla porta dello studio di Joseph. – Solo, non capisco a chi appartenga l’altro odore che sento”.

“Allora perché ci ha portati fin davanti allo studio del vecchio?” domandò Silex, scrutando la strada che si erano lasciati dietro.

Senza farsi prendere dalla rabbia, l’uomo tigre oltrepassò la porta d’entrata e vide immediatamente la botola aperta. Da lì l’odore di Tricha era più intenso che mai.

“Fate come vi pare, ma io seguo il naso e mi butto lì sotto” affermò.

“Ti seguiremo. – Asserì Abnoba iniziando già a scendere le scale. - TUTTI”.

Uno alla volta, con la driade davanti e Xander a chiudere, scesero la scala e arrivarono al tunnel in cui rimbombavano i rumori di una battaglia che faceva staccare l’intonaco marcio.

“Non potrai mai fuggire da me. Sei in trappola” tuonò la voce di Rellik, riempiendo a forza il cunicolo.

“L’uomo nero è tornato” commentò Xander.

“Forse il mio naso si è sbagliato” si criticò Felis, ma la sua affermazione fu immediatamente smentita dalla driade

“No invece. – Avanzò di un passo. – Laggiù ci sono due persone: Rellik e una donna”.

“E’ Tricha?” chiese immediatamente Xander, ponendosi davanti ad Abnoba.

“Non ne ho idea, ma…”.

“AAAAAAAAAAAH” gridò la donna misteriosa.

D’istinto, il gruppo iniziò immediatamente a correre verso quell’unica porta che c’era nella caverna e quando la oltrepassarono videro il gigantesco Rellik lanciare qualcuno contro la parete. Era una donna, come aveva detto Abnoba, ma non era umana. Nella parte più esterna degli arti, oltre che sulle scapole e sulle mani, la pelle si era ispessita formando delle piccole squame blu zaffiro cangianti in indaco. Come Silex, aveva delle piccole protuberanze ossee a cono, disposte in un’unica fila, che dal gomito arrivavano fino al polso. Lo stesso tipo di protuberanza aveva modificato la parte alta delle orecchie, rendendole più appuntite. Le unghie, infine, erano spesse e color avorio come le protuberanze. Non ne videro subito il volto, poiché nella caduta i capelli corvini le erano caduti davanti, ma nel momento in cui lei li riportò all’indietro e si svelò per Felis e gli altri il mondo si fermò.

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Capitolo 10
*** Dragon girl ***


“Non è possibile! – Esclamò Xander, tremante per lo stupore. – Non può essere vero” continuava a negare la presenza della persona che aveva davanti agli occhi.

“Finalmente siete arrivati. – Disse Rellik, voltandosi verso il gruppo senza alcuna preoccupazione. – Vi piace, la vostra nuova amica? Io la trovo un bocconcino appetitoso” si leccò le dita tozze.

“MALEDETTO! – Ringhiò il ragazzo aquila. – Cosa le avete fatto?”.

“Dovresti chiedere al dottore: è lui che ha fatto il miracolo. – Il golem si mise in posizione di attacco. – Ma per quello dovrete passare sul mio corpo”.

“Con piacere!” Xander si gettò ad ali spalancate su gigante di pietra, e con lui anche Felis.

“Ehi!” gridò Tricha, arrabbiata per essere stata tagliata fuori dalla lotto. Avrebbe volentieri ripreso a combattere contro Rellik, se Silex non l’avesse prepotentemente afferrata per un braccio.

“Ferma qui signorina” le ordinò, stringendo con forza l’arto ruvido a causa delle squame.

“LASCIAMI!” ringhiò Tricha strattonando il braccio prigioniero.

“Ti prego cara. – La implorò Abnoba, occupando completamente il campo visivo dell’amica. – Vogliamo solo aiutarti”.

Tricha non ascoltò, poiché il suo nuovo istinto le stava gridando di partecipare alla lotta. Fu il suo naso a farle cambiare idea: una folata d’aria le riportò alle narici il profumo di Joseph. Si fermò di colpo, e i suoi occhi individuarono immediatamente la porta, lasciata aperta da cui di certo era passato l’uomo. E non le importava se davanti c’era l’imponente uomo di pietra, che se la stava vedendo contro Felis e Xander. Con un paio di spallate, forti e improvvise, la ragazza si liberò dalla presa di Silex; scattò verso il golem e gli passò sotto le gambe i scivolata oltrepassando direttamente la porta.

“Ma dove va?” domandò allarmata Abnoba, pensando soprattutto a quello che avrebbero dovuto fare per raggiungerla.

“Dobbiamo riprenderla! – Propose Silex, anche se riconosceva il problema maggiore: superare la barriera mobile. – Io creerò un diversivo, e tu corri alla porta appena l’ammasso di ghiaia si sposta”.

“D’accordo capo”.

Aiutata involontariamente da Xander, che stava occupando la visuale di Rellik con l’apertura della sue ali, e da Felis che stava tentando di strangolare il mostro, Silex si attaccò alle gambe del golem e con molto sforzo riuscì a fargli perdere l’equilibrio.

“ORA!” urlò la donna gargoyle, ma la sua voce mise in allarme Rellik.

“Non credere di farmela!” il golem prese Xander per la collottola e lo lanciò contro la povera Abnoba.
 
La porta che aveva preso portava ad un nuovo corridoio con più ramificazioni e più porte segrete. Per una persona normale sarebbe stato impossibile trovare la sua preda, ma per una cacciatrice dall’olfatto sopraffino era fin troppo facile. L’unica difficoltà che doveva superare Tricha, era quella di distinguere la traccia nuova da quella vecchia; una cosa che imparò subito quando aprì la prima porta. Al suo interno non c’era Joseph, anche se sicuramente vi sarà entrato più di una volta, ma uno stuolo di corpi deformati. Moltissimi di questi erano ormai cadaveri in putrefazione, mentre pochi altri ancora dovevano esalare l’ultimo respiro. Se ancora fosse stata umana, Tricha sarebbe di certo scappata a gambe levate vomitando anche l’anima, e invece si limitò a guardare l’ammasso di marciume con indifferenza e a richiudere la porta. Fu l’unica volta in cui sbagliò il tiro, perché dopo qualche altro passo il soffitto si alzò fino al cielo. Era entrata in un hangar sotterraneo, collegato poi con l’esterno tramite una porta blindata automatizzata.

“FATTI VEDERE!” urlò Tricha, seguendo decisa la scia dell’odore. Sperava in una caccia all’uomo, ma Joseph la stava aspettando dietro ad un grande furgone telonato con un fucile in mano.

“Sei stata scaltra. – Le disse l’uomo, tenendo le distanze e tenendo in mano un display. – Usare i tuoi amici per superare Rellik, molto furba”.

“Lui è solo una pedina, io voglio il re. Che siano loro ad occuparsi del tuo leccapiedi” Tricha si avvicinò, e dal fucile di Joseph partì un colpo che la colpì sulla spalla; le squame pararono il proiettile e la ragazza sentì solo un lieve fastidio.

“Come immaginavo. – Affermò lo scienziato. – Ma la tua evoluzione è avvenuta poco fa, e scommetto che se sparassi qualche altro colpo finirei con il trapassarti” rise.

“Vuoi provarci? - Chiese lei, avvicinandosi fiera e decisa. – Vuoi davvero uccidere la creatura che tanto adori?”.

“Potrei farlo, ma preferirei di no. – Joseph abbassò l’arma. – Vieni con me” le propose.

“Ed essere cosa: la tua cavia, la tua schiava? – Tricha prese il fucile dalle mani del nonno. – Non ci penso nemmeno” lo colpì in pieno volto con l’impugnatura dell’arma, e poi gli diede un forte calcio allo stomaco. Joseph rotolò qualche metro più in là.
UCCIDILO

Gridò la voce nella testa della ragazza.

“Che ne dici, se adesso fossi io a giocare un po’ con te? – Domandò lei, rigirando il nonno con il piede. – Si giochiamo, come quando ero piccola” pose il piede sul braccio dell’uomo, e premette finché non sentì l’osso scricchiolare.

“Non farlo, ti prego cara” la implorò l’uomo.

“Adesso sono di nuovo la tua cara nipote? – Lei tolse il piede dal braccio. – Credevo di essere la tua dea, o forse sono la tua schiava? Deciditi”.
FALLO

Disse di nuovo la voce, e la ragazza ruppe l’osso del nonno con un colpo secco.

“AAAAAAAHH” gridò lo scienziato.

“Di che ti lamenti? – Chiese lei, facendo rotolare l’uomo un paio di volte. – Questo non è niente in confronto a quello che ho dovuto sopportare io” lo colpì di nuovo con il fucile.

“Ferma, ferma” la implorò Joseph, alzandosi con fatica.
NON ASCOLTARLO

“Hai idea di cosa voglia dire: sentire il proprio corpo che si sgretola? – Tricha colpì di nuovo, con più forza e sul braccio rotto. – Hai una vaga idea di quello che ho dovuto passare?” stava urlando.

“Ma guarda come sei adesso! – Provò a dire l’uomo. – Sei la creatura più bella che abbia mai visto”.
UCCIDILO
 
“Non hai idea del mostro che hai liberato” Tricha pose la canna del fucile sulla testa dell’uomo, pronta a tirare il grilletto.

“NON FARLO TRICHA! – Le gridò Xander, attirandone l’attenzione. – Non farlo” il suo volto era pieno di graffi, e le braccia viola per i lividi. Anche Felis versava nelle stesse condizioni.

“Dov’è Rellik?” chiese Joseph, incredulo nel vederli ancora vivi.

“Volevi dire lui? – Silex scoprì ciò che aveva in mano: la testa del golem. – Si è preso un lungo periodo di riposo”.

“Quel buono a nulla!” imprecò lo scienziato.

“ZITTO TU!” Tricha lo spostò violentemente di lato, ancora pronta ad ammazzarlo.

“Fermati Tricha. – La interruppe Abnoba, aggrappandosi al braccio dell’amica. – Non è così che risolverai le cose”.

“Forse no, ma almeno mi toglierò lo sfizio” la ragazza scostò la driade, e si preparò al colpo.

“Non ti permetterò di farlo! - Affermò Xander, avvicinandosi e togliendole il fucile dalle mani. – Tu non sei così”.

“E che ne sai? – Chiese lei fissandolo negli occhi. – Hai mai pensato che forse ha conosciuto solo una parte di me?”.

“Conosco la ragazza che mi ha salvato”.

“Tse, allora sei lontano dalla realtà. – Tricha spinse il ragazzo lontano da lei. – E ora lascia che mi faccia il regalo di compleanno” si girò, ma Joseph era sparito.

Il gruppo sentì il rumore di un motore, e poco dopo un furgone schizzò davanti a loro.

“Arrivederci ma cherie” la salutò Joseph uscendo dall’hangar.

“Tricha, n…noi” provò a dire Xander posando una mano sulla spalla della ragazza, ma quella si girò velocemente e gli ringhiò contro

“Lo hai fatto scappare! – Lo accusò, mostrando i denti. – Ce l’avevo in pugno”.

“Ti avrebbe uccisa, sai che ne sarebbe capace” le disse Felis.

“Un motivo in più per toglierlo dal mondo! – Affermò la ragazza. – E ora, grazie a voi, devo ricominciare da capo. Grazie tante” e corse verso l’uscita, sparendo all’orizzonte.

“TRICHA” la chiamò Xander, ma Felis lo fermò.

“Lasciala andare. – Gli disse. – Non è più la ragazza che abbiamo conosciuto”.
 
Il giorno seguente, tutti i notiziari riportarono la triste notizia:
“Questa mattina la polizia ha trovato i cadaveri di molti dipendenti della Kiruna Agency. Ancora non si conoscono le dinamiche dell’accaduto, ne l’arma con la quale sono state dilaniate le vittime, ma pare che l’assassino o gli assassini siano penetrati nel laboratorio e abbiano fatto una strage. Pare inoltre che il direttore, Joseph Kiruna, sia scomparso.  La polizia ha aperto un’indagine”.

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