La Storia del Mondo della Magia

di Aiqul Marnerazver
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione al libro ***
Capitolo 2: *** Prologo ***
Capitolo 3: *** Inizio ***
Capitolo 4: *** Amico ***
Capitolo 5: *** Imprevisto ***
Capitolo 6: *** Il Re ***
Capitolo 7: *** Gli Impellerossa ***
Capitolo 8: *** Ricordi ***
Capitolo 9: *** Udinski ***
Capitolo 10: *** Kohu ***
Capitolo 11: *** Riabilitazione ***
Capitolo 12: *** Patto ***
Capitolo 13: *** Addestramente ***



Capitolo 1
*** Introduzione al libro ***


Prima di leggere questo libro dovete sapere qualche piccola cosa.
Questa storia è ambientata su un mondo chiamato Mondo della Magia, che è diviso nettamente in due parti; su un lato del pianeta regna l’oceano, mentre sull’altro vi sono tre grandi continenti; Neria, Verdia e Rossia, nel mezzo dei quali penetra l’oceano. Ogni terra ha una propria capitale, omografa al nome dello stato. Qui vivono delle creature chiamate mageschi: esseri umanoidi con la coda che utilizzano, come avrete già capito, la magia. Essa non è come la immaginiamo. Non si tratta di pronunciare incantesimi, né tantomeno dell’uso di armi futuristiche. La magia utilizzata in questo mondo è strettamente collegata all’anima degli esseri che la popolano, infatti tutti i mageschi hanno un’anima colorata, il che condiziona tutta la loro magia e il loro corpo, come per noi il DNA nel nostro sangue. L’unica differenza esistente fra i colori è quella fra puri e impuri, in quanto i primi sono coloro che hanno l’anima appartenente a un solo colore e sono (solitamente) più potenti dei secondi. Ma le differenze non finiscono qui; i mageschi non hanno la cultura dell’allevamento, non amano mangiare molto, sono quasi del tutto vegetariani, fanno le uova, ma non hanno una riproduzione riconducibile ad una delle specie del nostro mondo (non entro nel dettaglio per rispetto dei minori), non ingrassano, non hanno bisogno di defecare… potete immaginare quante differenze sul piano biologico e culturale ci siano fra la nostra specie e la loro.
Nel Mondo della Magia i regni sono governati da 3 potenti famiglie: la famiglia verde, la famiglia rossa e la famiglia nera, le più nobili di tutte. Questa storia è ambientata venti anni dopo lo scoppio della prima Grande Guerra fra Verdia e Rossia, nella quale Verdia ha conquistato Neria dopo che essa, seguendo le sue tradizioni, era restata neutrale. Infine, il rifiuto dei mageschi nei confronti della tecnologia li porta a trovarsi in un periodo simile al nostro medioevo.
Quindi se al posto di “uomo” troverete “magesco” non spaventatevi. Se trovate parole che non hanno senso dovreste trovare questa simbologia *(esempio)* con all’interno la spiegazione del termine.
Un’ultima cosa:
Questo non è un romanzo normale. E’ il racconto di una vita di sofferenza e dolore, della nascita della fiducia in se stessi, della trasformazione di un ragazzo in un guerriero. Questa è la storia di un destino spietato, di tradimenti e della crudeltà che le persone possono dimostrare.
Questo libro non è per i deboli di cuore, ma per coloro che vogliono crescere e credere in loro stessi. Per coloro che si sentono inadatti alla società in cui vivono. Per coloro che sentono di volere di più dalla loro vita.
Inoltre è protetto da Copyright, quindi non provate a copiarlo!
Spero di aver chiarito qualche dubbio.
Il mio nome è Aiqul, e sarò la vostra guida in questa Storia, grazie dell’attenzione e buona lettura.
                                                                                                            -L’autrice

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Capitolo 2
*** Prologo ***


Dolore. Alle braccia, alle gambe.
 Una voce mormorava nel buio.
«Mio signore, è troppo pericoloso, forse c’è ancora tempo…». Un'altra voce rispose piano. Era roca, come di un ubriaco a cui si è appena incastrato in gola un sorso troppo lungo.
«Non c’è più tempo, lo hai visto tu stesso» disse. Poi prese un grande respiro. «Procedi».

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Capitolo 3
*** Inizio ***


Luce.
Forte, chiara, accecante.
Zl *(si legge Zetaelle)* si strofinò gli occhi e si guardò intorno. Era su un piccolo cumulo di terra piatta, ricoperta d’erba e fiori, sul quale svettava l’albero immenso al quale si stava appoggiando. Il ragazzo sbadigliò guardandosi attorno.
Verdia si era svegliata da poco, e nelle strade in pietra c’erano solo poche persone che si affrettavano ad andare a lavoro. La Strada Principale, che collegava i luoghi più importanti della città, giaceva alla sua destra, srotolandosi pigra verso il grande palazzo visibile in lontananza, un enorme edificio interamente di pietra verde pieno di torri e finestre squadrate, balconi e cortili, nella quale soldati, camerieri e funzionari si agitavano continuamente per tenere vivo quel complesso che donava uno splendore unico alla città. Alla sinistra della strada, davanti al ragazzo, si trovava la Scuola Militare, un lungo parallelepipedo di pietra scura dall’aria spartana che stava aprendo i cancelli di ferro battuto in quell’esatto momento. Zl guardò automaticamente a destra, seguendo con gli occhi una traversa della Strada Principale che portava all’orfanotrofio di Verdia, che sembrava quasi più spartano della Scuola.
Zl strinse i pugni. Non sarebbe più entrato lì. Ne era uscito solo pochi giorni prima, ottenendo finalmente il permesso di andarsene e una borsa di studio all’Accademia Militare grazie ad un colpo di fortuna, e non sarebbe mai più tornato. Era successo circa un mese prima, quando c’era stata la visita dei funzionari delle tasse all’orfanotrofio. Erano restati colpiti dai suoi voti scolastici superiori alla media dei ragazzi della sua età, e lo avevano ritenuto idoneo per uscire dall’istituto. Quando aveva varcato per la prima volta quei cancelli, la sera prima, si era sentito libero. Ma poi erano cominciati i problemi: dove andare, cosa fare, dove procurarsi cibo, acqua e vestiti e soprattutto dove dormire? Aveva solo uno zaino in spalla, contenente un cambio di vestiti, un panino e una borraccia. Il panico lo aveva colto quasi subito, e fu solo un caso se era riuscito a trovare una vecchia coperta e un telo di plastica sporco in uno dei cassonetti sparsi nella capitale. Per la notte avrebbe voluto accamparsi vicino al castello, ma le guardie lo avevano cacciato. Allora era andato nei pressi della piazza del mercato, dove un altro senzatetto gli aveva rubato il panino che si apprestava a mangiare. E così aveva finito per nascondere il suo zaino su quell’albero, si era avvolto nella vecchia coperta e nel telo di plastica, e aveva provato a dormire, ringraziando gli Dei per il fatto che faceva caldo.
Si era svegliato per lo sgocciolio della rugiada accumulatasi sulle foglie dell’albero, realizzando che era mattina. Guardò fra i rami cercando con lo sguardo il suo zaino e tirò un sospiro di sollievo vedendolo ancora incastrato fra le fronde. Scostò il telo e la coperta e, dopo aver controllato che nessun potenziale ladro fosse nei paraggi, salì sull’albero e recuperò lo zaino. Ripose il suo letto di fortuna nella sacca, schiacciandolo il più possibile per farcelo entrare, poi prese la borraccia e bevve un sorso d’acqua, che aveva iniziato ad acquisire un sapore polveroso a causa del tempo. Altra brutta notizia che gli fece storcere il naso: puzzava. E non un puzzo leggero portato dal sudore, puzzava di rancido e di cassonetto, un tanfo probabilmente regalatogli dalla coperta in cui si era avvolto. Tirò in fretta e furia il pezzo di stoffa e il telo fuori dallo zaino prima che anche il suo cambio di vestiti prendesse quell’odore e sospirò. Di bussare alla casa di qualcuno per chiedere ospitalità non se ne parlava proprio. Sapeva che era inutile. Diede un’occhiata al sole, sollevando il braccio e controllando il suo Segnalatore *(bracciale su cui è legato un cerchio di legno con delle tacche raffiguranti i movimenti di Rhynor  -il sole del Mondo della Magia- in alto e quelli della stella notturna Shïnar in basso. Si usa come un nostro orologio)*. Aveva ancora un’ora prima del Riconoscimento, nel quale avrebbe ricevuto il suo orario scolastico, e alla sua sinistra, oltre la collina e le case dei Verdiani, poteva vedere uno degli affluenti del Vär, il grande fiume di Verdia. Valeva la pena tentare.  
Si avviò verso il fiume, tenendo d’occhio l’orario per non fare tardi, il telo e la coperta sotto il braccio. Scese il piccolo dislivello sterrato dietro la scuola e si inoltrò per il quartiere signorile, il quale era pieno di grandi case rettangolari a due piani in legno con i tetti spioventi. Molte di esse avevano dei collegamenti sotterranei con il fiume, impianti di cui Verdia si vantava molto in quanto era una moda diffusasi solo da pochi anni e, essendo molto costosa, non tutti i paesi si erano presi l’impegno di applicarla. Neria era stata la prima a svilupparli, essendo essa costruita su un piccolo arcipelago in mezzo al mare che si diceva fosse stato benedetto da Dioren, il dio del Mondo della Magia. Zl era sempre stato affascinato dai miti degli Dei. Secondo la cultura magesca, essi erano delle persone comuni che, una volta aver creato qualcosa di indimenticabile, erano diventati immortali, ed erano così potenti da riuscire ad unire la loro anima con l’essenza di un mondo. Certo, di Dei se ne conoscevano tanti, in quanto i mageschi sapevano che c’erano numerosi mondi abitati da esseri come loro nel loro stesso sistema solare, ma Dioren era uno dei più famosi e potenti. Egli aveva trasformato l’acqua dallo stato gassoso, l’unico che era presente nei mondi, allo stato liquido, trasformando mondi secchi e aridi in magnifiche foreste ricche di frutti di ogni genere, e rendendo la vita dei mageschi infinitamente migliore.
Persino Zl, che si lavava nel fiume cercando di tenere i suoi pochi averi sopra la testa, non poteva fare a meno di essere grato di quel dono. Uscì dal fiume tremando, cambiandosi velocemente in una nicchia fra dei cespugli. Avrebbe voluto dare una lavata anche al telo e alla coperta, ma si disse che lo avrebbe fatto più tardi, in quanto non aveva un posto dove stenderli e il Riconoscimento stava per iniziare. Si asciugò con i vestiti sporchi come meglio poteva, sperando di non riottenere l’odore sgradevole che si era tolto poco prima. Ficcò tutto nello zaino alla rinfusa e si diresse verso la scuola, l’eccitazione che cominciava a montare dentro di sé.
Arrivò davanti al grande cancello di ferro insieme a molti altri studenti, una massa vociante di ragazzi dai capelli di colori vivaci che ridevano e scherzavano fra loro, lamentandosi a gran voce dell’inizio della scuola *(nel Mondo della Magia ci sono due grandi stagioni, simili al nostro inverno e alla nostra estate. L’estate comprende la fine e l’inizio dell’anno, l’inverno gran parte del periodo fra essi. Possiamo dunque dire che al momento siamo all’inizio dell’anno, in piena estate)*.
Zl camminò fra gli studenti, sorridendo, cercando qualcuno che sembrasse solo come lui o che avesse un aspetto abbastanza simpatico a cui presentarsi, ma notò con crescente disagio che al suo passaggio tutte le chiacchiere si abbassavano di volume, diventando bisbigli, mentre lo sguardo di tutti i ragazzi veniva catturato dai suoi capelli e dai suoi occhi. Il suo sorriso si sciolse come cera di una candela. Abbassò la testa e si diresse verso il portone interno della scuola.
Odiava già tutti.
Il sangue che scorreva nelle sue vene era sempre stato un problema rilevante a causa della Grande Guerra. I suoi occhi e i suoi capelli, così neri da sembrare innaturali, lo avevano sempre bollato come un intruso. Ma la domanda che tutti, Zl incluso, si chiedevano era la stessa: come era possibile che un nero vivesse a Verdia?
Il mistero si infittiva se si considerava il fatto che Zl era orfano, ed era ancora più complesso se si metteva in conto che il suo uovo era stato trovato già all’interno di una delle culle dell’orfanotrofio.
Cercò di non pensarci. Quella sarebbe stata una bella giornata, il primo vero giorno fuori dalla sua prigione, non doveva rovinarselo.
Varcò il grande portone in legno dell’istituto con un sorriso quasi di sfida, guardandosi attorno. Era in un grande corridoio orizzontale, bucato da innumerevoli porte, probabilmente classi, e attraversato da un altro tunnel in pietra dritto davanti a lui che portava ad una grande sala con la porta della mensa a destra e una grande scala a sinistra che doveva portare ai piani superiori.
Alla sua destra, in una nicchia proprio accanto al portone, c’era una piccola scrivania di legno davanti alla quale si affacciavano molti studenti. Il primo della fila porse un cartellino bianco al magesco dietro al tavolo, che gli diede una breve occhiata e gli disse: «Gira a destra, seconda scrivania». Il ragazzo ringraziò e si diresse alla destra del corridoio. Zl, che si era messo in fila con gli altri studenti, sporse la testa e vide che il grande passaggio era occupato da altri 5 tavoli, ognuno con un magesco che controllava un registro con i nomi degli studenti.
«Beh?»
Zl sussultò. Senza rendersene conto, era arrivato il suo turno. Il magesco lo squadrava come se fosse un grande e ingombrante pezzo di polvere.
«S-scusi?» chiese il ragazzo, a disagio.
«Mi serve la tua tessera di riconoscimento» rispose l’altro, stizzito.
Una stretta spiacevole annodò lo stomaco di Zl.
«Non… non mi hanno dato nessuna tessera»
Il magesco alzò un sopracciglio, scettico.
«Allora sei nel posto sbagliato, ragazzo»
Zl cercò di farsi forza.
«Ho ottenuto una borsa di studio, ma non mi hanno dato nessuna tessera»
Il magesco sembrava quasi dire il contrario con lo sguardo, squadrandolo dalla testa ai piedi e storcendo il naso. Zl si chiese distrattamente se puzzasse ancora.
«Sei sicuro di essere iscritto qui? Da dove vieni?»
«Dall’orfanotrofio»
«Sei sicuro di non venire dalla strada? Ne ho visti tanti di giovani senzatetto che provano ad imbucarsi qui…»
«Non sto cercando di imbucarmi, sto cercando di entrare a scuola legalmente. Non c’è un registro o simili che puoi controllare?» ribatté arrabbiato.
Dietro di lui i ragazzi cominciavano ad ammassarsi, chiedendosi quale fosse il problema. Zl sentì molti aggettivi coloriti nei suoi confronti. Per fortuna, qualcuno di questi venne colto anche dal magesco, che storse la bocca.
«A che anno sei iscritto?» abbaiò.
«Terzo» rispose con il cuore in gola.
«Terza scrivania qui a destra, e bada di dire la verità o giuro che ti farò imparare io cosa significa mentire ad un segretario»
Zl non si soffermò di più. Seguì le indicazioni e si infilò in un’altra fila. Sospirò lievemente e sbirciò fra gli studenti. La massa aveva cominciato di nuovo a muoversi lentamente. La seguì con lo sguardo. Adesso, davanti al segretario che lo aveva accolto c’era un ragazzo con i capelli corti biondi e gli occhi color tronco chiaro, che gli ricordavano il colore dell’albero sotto il quale aveva dormito. Qualche studente prima di lui c’era una ragazza bellissima, inusuale per la città di Verdia: aveva degli occhi rosso rubino e i capelli dello stesso colore avvolti in una coda di cavallo, anche se erano talmente lunghi che le ricadevano sulle spalle formando dei piccoli boccoli. Eppure, nonostante sembrasse una rossa pura, il nemico giurato di qualsiasi Verdiano, nessuno sembrava guardarla come guardavano lui. “È solo un’impressione”, si disse, cercando di non far scivolare lo sguardo sul corpo snello e sensuale della ragazza. Osservò gli altri studenti per distrarsi, a disagio. C’era un altro magesco degno di attenzione dietro di lei. Aveva i capelli rosso scuro, quasi bordeaux, così come gli occhi rosso sangue, e l’aria annoiata eppure tesa, come se cercasse qualcuno. Il suo sguardo si perse fra gli altri studenti: chi mangiava, chi rideva, chi si lamentava: chi aveva i capelli fucsia, chi rosa, chi marroni. Un ragazzo con i capelli blu stava conversando animatamente con qualcuno dai capelli verdi. D’un tratto, i loro occhi si incontrarono, e quello impallidì di colpo, indicandolo con un cenno del capo all’altro ragazzo con cui stava parlando, che subito si girò per vedere. Aveva capelli e occhi completamente verdi, d’un verde smeraldo assoluto e incontrastato. I loro sguardi si incrociarono.
Fu un attimo.
Una sensazione orribile travolse Zl, come se il suo stomaco e il suo petto avessero deciso di andare a fuoco per scherzo, la sua vista si appannò, riempendosi di tanti puntini gialli e blu, come se stesse per svenire, mentre l’incendio dentro di lui aumentava sempre di più, come fosse deciso a soffocarlo…
E, in un attimo, la sensazione svanì.
Zl si massaggiò le tempie con la mano. Era sicuro di aver barcollato, ma non sembrava che nessuno se ne fosse accorto. Raddrizzò la schiena per darsi sicurezza, e lanciò uno sguardo verso l’altro ragazzo.
Stava sorridendo, come se avesse ricevuto un grande regalo. Eppure… era solo una sua impressione, o quel sorriso aveva un che di malvagio?
Insicuro, sorrise anche lui. L’altro ricambiò alzando un sopracciglio, come se gli avesse appena fatto una smorfia. Del resto, era talmente smarrito che non sapeva bene che espressione aveva fatto. Nel dubbio, distolse lo sguardo e lo abbassò lentamente sulle sue scarpe, dondolandosi sui talloni, a disagio. Doveva aver avuto un malore, non c’era altra spiegazione, un malore accidentale probabilmente dovuto alla fame, visto che non mangiava dalla mattina del giorno prima.
Finalmente era arrivato il suo turno, e il segretario dietro la scrivania alzò lo sguardo, senza notare la sua confusione.
«Nome?» chiese.
«Zl»
«Cognome?»
«Non ce l’ho» rispose semplicemente.
«Un attimo» disse l’altro, affondando il naso nel suo registro.
Essendo cresciuto in orfanotrofio, non aveva mai avuto un cognome, e per legge non ne avrebbe mai ottenuto uno almeno che non si fosse sposato, acquisendo allora il cognome della moglie.
«Ecco il tuo orario, le lezioni inizieranno domattina alle otto in punto, aula tre, secondo piano. È tutto scritto qui» disse il segretario, dandogli dei fogli.
Zl si rilassò e sorrise, ringraziandolo. Si diresse fuori dalla scuola con rinnovata speranza. Ora la sua unica preoccupazione era trovare del cibo, e gli sembrava di aver intravisto dei frutti sull’albero sotto il quale si era accampato.
Eppure non riusciva a togliersi di dosso la sensazione di conoscere il ragazzo dai capelli verdi, come se quell’emozione avesse un motivo per nascere in lui e per essere così violenta. Perché Zl non poteva negare a sé stesso che, nel momento in cui il suo sguardo aveva incontrato quello del ragazzo, il suo cuore era stato travolto da un unico, assoluto sentimento: odio.v

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Capitolo 4
*** Amico ***


Zl corse verso la scuola, il fianco che gli doleva per lo sforzo, i polmoni che cercavano di compensare i battiti veloci del cuore.
Attraversò il cancello dell’accademia senza fermarsi, ed entrò nell’edificio con slancio, realizzando solo in quel momento che non sapeva in quale classe doveva andare. Imprecando ad alta voce, posò lo zaino a terra e cercò il suo orario, maledicendosi per la propria stupidità.
Quella mattina si era svegliato all’alba, e nonostante questo era comunque in ritardo. Aveva fatto colazione con uno dei frutti del solito albero, che fortunatamente aveva riconosciuto: erano molto comuni all’orfanotrofio, in quanto erano selvatici e facili da raccogliere, e quindi più economici, la regola madre di qualunque cosa entrasse nell’istituto: si era lavato come il giorno prima, ma questa volta si era dimenticato di tenere d’occhio il suo segnalatore, e il risultato era l’essere in ritardo.
«Cerchi qualcosa, signor Borsa di Studio?» gli chiese una voce divertita.
Zl sobbalzò e si girò di scatto, una mano ancora infilata nello zaino. Probabilmente avrebbe gridato per lo spavento se non fosse che aveva ancora difficoltà a respirare. Il segretario con qui aveva litigato il giorno prima era seduto alla sua solita scrivania, e lo guardava malignamente. Zl non rispose alla sua domanda, prese il suo orario dalla borsa, la richiuse e si avviò per il corridoio, corse per le scale e cercò la sua classe. Lesse il cartello “3° livello” su una delle aule e aprì la porta senza neanche pensare a bussare, ancora ansimante. Un professore smise di parlare all’improvviso, un libro di storia ancora in mano, guardandolo in modo scocciato.
«Scusi» disse Zl, sbiascicando le parole a causa dell’affanno. Ci fu qualche risatina nella classe, ma cercò di non badarci.
«Sei di questa classe?» chiese il professore, cercando di mantenere un tono calmo, anche se era visibilmente scocciato.
«Sì» balbettò il ragazzo.
«Siediti, la lezione è iniziata già da dieci minuti. La prossima volta non ti farò entrare»
Zl annuì e chiuse la porta, il cuore in gola. Andò a sedersi nell’unico banco libero in fondo alla classe nell’angolo a destra, cercando di ignorare le risatine che lo seguivano.
«Come stavo dicendo» riprese il professore «le discordie fra Verdia e Rossia sono sempre state presenti, nonostante non furono mai così potenti da scatenare una vera e propria guerra come quella che c’è adesso…»
«Ma professore» lo interruppe un’allieva dai capelli a metà fra il blu e il giallo e gli occhi verdognoli «com’è possibile che nessuno faccia qualcosa? Voglio dire, Dioren ha già fermato altre guerre prima d’ora, no?»
«Vero» convenne il professore «tuttavia Dioren è sparito da quasi vent’anni, dopo la Battaglia di Neria. Ad ogni modo» aggiunse prima che l’alunna potesse interromperlo di nuovo, «preferirei parlare dell’argomento del giorno. Dunque, siamo arrivati alla Grande Carestia, giusto? Bene, allora…» e iniziò a spiegare nel malcontento generale. Zl cercò di stare attento come poteva, ma era molto più difficile di quanto credesse: non aveva un foglio né uno Stilo *(strumento simile alla nostra penna, con la differenza che è in legno e che va intinto nell’Argar, che è simile all’inchiostro)* , e non se la sentiva di chiederli in prestito. Come se non bastasse, il professore parlava velocissimo, cosa che in altre situazioni gli sarebbe piaciuta, ma in quella era davvero insostenibile. Passò la prima ora così, sforzandosi di imparare tutto e subito. La seconda e la terza ora si susseguirono veloci, ognuna più difficile da ricordare dell’altra: la professoressa di chimica li accolse con un sorriso e chiese velocemente come stavano prima di iniziare una spiegazione lunga e difficile sui legami atomici: il professore di Strategia Militare tenne una lezione ancora più complessa ripassando, con l’aiuto degli studenti che seguivano il suo corso da più tempo, tutti i metodi con il quale un battaglione può essere circondato in uno scontro. Zl cercò di tenere a mente date, strategie, composizioni atomiche e altro, ma era troppo anche per lui: doveva assolutamente trovare un modo per guadagnare abbastanza soldi per comprare carta, stilo e argar.
Finalmente arrivò il momento della pausa, segnalato da tre rintocchi della campana dell’accademia. Il professore di Strategia uscì dalla classe nella gioia degli studenti, che si alzarono e cominciarono a chiacchierare, sgranocchiando panini e dolcetti portati da casa. Zl guardò affamato alcuni degli spuntini degli altri ragazzi, lo stomaco che si stringeva in una morsa. Si alzò, cercando qualcuno con cui parlare. La pausa durava venti minuti: era più che sufficiente. Si avvicinò ad un gruppo di amici vocianti e si stampò un sorriso in faccia, cercando di sentire cosa dicevano.
«… incredibilmente noioso», stava dicendo uno dei ragazzi, «non posso credere che non sei riuscita a distrarlo, Mirsa»
La ragazza dai capelli a metà tra il blu e il giallo sorrise, furba: «Non è colpa mia se quello ha capito che la sua lezione è noiosa. La prossima volta provaci tu, mica è facile!» disse fra le risate di tutti. Zl ridacchiò con loro, malgrado il provare a distrarre un professore dalla lezione non gli sembrava giusto. Uno dei ragazzi, il più alto, con i capelli verdi-arancioni, lo guardò dall’alto al basso, con un sopracciglio alzato, scettico. Zl si schiarì la gola, in imbarazzo.
«Ciao» disse «Mi chiamo Zl, sono nuovo qui. Tu come ti chiami?»
«Ghenfio» rispose l’altro. I suoi occhi schizzarono ai suoi capelli neri, per poi tornare ai suoi occhi, sempre con uno sguardo scettico. «Non sei tu quello che ha fatto arrabbiare il segretario, ieri? Quello che ha vinto la borsa di studio»
I ragazzi risero. Zl sorrise, cercando di non lasciarsi scoraggiare.
«Già… è un tipo piuttosto irascibile, vero?»
«Beh» disse Ghenfio, guardandolo con un sorriso di scherno «anche tu avresti dovuto mostrare la tessera. Voglio dire, c’è un motivo se si chiama Riconoscimento, no?»
Le risate crebbero.
«Sì ma…» balbettò Zl «a me non hanno dato nessu…»
«Ehi, che hai in questo zaino?» chiese uno dei ragazzi, gettando uno sguardo nella sua sacca. «Bleah! Cos’è questo coso?» domandò tirando fuori un pezzo della sua coperta ancora umida di rugiada.
«Allora è vero che vieni dalla strada!» rise la ragazza dai capelli blu-gialli.
«No! Io… cioè…»
«Ehi, Borsa di Studio, bella coperta!» disse il ragazzo vicino al suo zaino, tirando fuori il pezzo di stoffa. I ragazzi iniziarono a passarsi la coperta fra loro, ridendo, e ad ogni passaggio quella si strappava sempre di più. Zl riuscì ad afferrarla solo quando ormai il suo spessore si era ridotto di molto, e si risedette al suo banco, ficcando il pezzo di stoffa sbrindellato nello zaino con furia, gli occhi lucidi dalla rabbia. Non sapeva cosa avrebbe dato per tirare un pugno a tutti quegli idioti. Il gruppo tornò pian piano a parlare dei fatti propri, ignorandolo.  
«Fame?» chiese qualcuno.
Zl alzò lo sguardo e vide un ragazzo dai capelli bordeaux e gli occhi rosso sangue, lo stesso che aveva notato al Riconoscimento, che lo guardava tendendogli metà del panino che teneva in mano, un sorriso gentile sul volto.
«Io… ehm…»
«Prendi pure» disse l’altro, ficcandoglielo in mano. Prese la sedia del banco davanti a lui e la girò con un gran frastuono, si sedette e gli sorrise. Uno dei ragazzi del gruppo lo guardò con stizza, probabilmente perché quella era la sua sedia, ma l’altro non ci fece caso. Zl ridacchiò e diede un gran morso al panino, che sembrava cotto un po' male, visto che era pieno di pezzi di farina, ma la fetta di formaggio che conteneva era spessa e dolce. Il ragazzo aveva talmente fame in quel momento che non ci fece nemmeno caso.
«Io sono Mario» si presentò il ragazzo dai capelli bordeaux.
«Zl» rispose il ragazzo, la bocca piena.
Mario ridacchiò, offrendogli l’altra metà del panino.
«Oh, no, grazie, io non…»
«Tranquillo, ne ho un altro» rispose lui, tirando fuori un altro panino dalla tasca.
Zl strabuzzò gli occhi, guardando il pezzo di pane e formaggio semi-spappolato che teneva in mano.
«O almeno» disse lui, guardando dubbioso le fette sbriciolate «era un panino»
Zl scoppiò a ridere, prima piano, poi sempre più forte.
«Oh beh, il cibo è sempre cibo» disse Mario ficcandosi in bocca il panino sbriciolato e dandogli l’altra metà di quello sano.
«Grazie» disse Zl, accettandolo ridacchiando.
Fuori dalla classe, la campana suonò di nuovo tre volte, e un professore entrò nell’aula fra gli sbuffi dei ragazzi.
«Ci vediamo dopo» disse Mario, tornando al suo banco, nell’angolo in fondo a sinistra della classe.
«Ciao» rispose Zl, sorridendo.
Nel giro di dieci secondi aveva già finito il secondo pezzo del panino per quanta fame aveva. Scoccò uno sguardo a Mario, che stava scarabocchiando sul suo foglio. A giudicare dai movimenti del suo stilo, non sembrava stesse prendendo appunti. Come se non bastasse, ogni tanto il suo sguardo si fermava su un angolo del foglio, e non si rivolgeva mai al professore. Zl si accorse che la sua espressione continuava a mutare, come se stesse parlando con qualcuno. D’un tratto, il ragazzo si girò verso di lui, guardandolo con le sopracciglia aggrottate, confuso. Zl arrossì, abbozzando un sorriso. Mario ricambiò, scrisse qualcosa sul suo foglio e, dopo aver gettato un’occhiata al professore per accertarsi che non stava guardando lui, lo alzò in modo che Zl potesse leggere. Hai da fare dopo? recitava la scritta. Il ragazzo scosse la testa. Mario scrisse qualcos’altro e rialzò il foglio. Vuoi venire a casa mia? lesse il ragazzo, sorpreso. Con un sorriso, annuì.
 
«Che fatica!» sospirò Mario.
Era la fine delle lezioni, e i due ragazzi erano appena usciti dall’accademia. Zl ancora non credeva alla sua fortuna: aveva trovato un amico, aveva mangiato un panino e probabilmente avrebbe potuto mangiare qualcos’altro di lì a poco, magari avrebbe addirittura pranzato con lui. Non erano grandi aspirazioni per un ragazzo di diciassette anni, ma quando non hai né una casa né del cibo, tutto inizia a diventare più prezioso.
«Cosa?» chiese Zl, ridacchiando.
«Tutto! Odio stare seduto per ore, è davvero allucinante. Vieni, casa mia non è lontanissima da qui»
Si avviarono per la traversa che portava all’orfanotrofio, girando poi a sinistra e avviandosi verso la foresta. Chiacchieravano del più e del meno: le lezioni, i professori, la città di Verdia…
All’improvviso, dopo un momento di silenzio, Mario si illuminò e sorrise, divertito. Zl iniziava a notare che lo faceva ogni volta che aveva un’idea.
«Secondo te» cominciò con un sorriso da piantagrane «cosa succederebbe se io tirassi un pugno a Vii Verde?»
«A chi?» chiese Zl, confuso.
«Vii Verde» rispose Mario, sorpreso. «Il principe di Verdia. Non lo hai visto, ieri? Era al Riconoscimento, con quel colore così puro non passa certo inosservato».
Un brivido freddo corse per la schiena di Zl. Ecco perché aveva l’impressione di conoscere il ragazzo: chissà quante volte lo aveva visto sui pochi giornali che passavano per l’orfanotrofio, e chissà quante volte aveva sentito nominare distrattamente il suo nome. Vide che Mario lo guardava, interrogativo.
«Penso che finiremmo entrambi in prigione» disse senza pensarci, come se la sua bocca avesse volontà propria.
«Entrambi?» chiese Mario, confuso.
«Certo, credi che ti lascerei mai picchiare da solo il principe di Verdia? Non ti voglio mica lasciare tutto il divertimento» rispose, quasi in tono acido.
Mario sembrò sorpreso, poi scoppiò a ridere, contagiando anche Zl, senza riuscire a smettere: risero così tanto che dovettero fermarsi a riprendere fiato, le lacrime agli occhi.
«Beh, amico mio» disse poi Mario, dandogli una pacca sulla spalla, «benvenuto a casa!»
Zl si guardò intorno. Senza rendersene conto si erano inoltrati nella foresta, e fra gli alberi ricchi di rami alti e forti *(gli alberi della grande foresta che circonda Verdia sono simili ad un incrocio fra una quercia e un pino)* non c’era nemmeno un sentiero, figurarsi una casa. Probabilmente Mario percepì il suo smarrimento, perché gli diede una lieve gomitata e accennò col capo alla cima di uno degli alberi. Zl seguì il suo sguardo e rimase a bocca aperta.
Una sottospecie di baracca di legno era incastrata fra i rami di cinque alti alberi disposti a formare un pentagono, le cui fronde sostenevano le assi, inchiodate in qualunque punto venissero a contatto con uno dei rami. Un sesto albero, più grande degli altri, entrava direttamente nel pavimento, rispuntando poi dal tetto, coprendo con i suoi rami la casa e mimetizzandola perfettamente con il bosco.
Zl si girò verso Mario, completamente stupito. L’atro lo guardava fiero, come se per tutto il tempo che avevano passato assieme non avesse voluto fare altro che mostrargli quella casa.
«Una volta chiamavano anche me senzatetto» disse «ora non osano fiatare»
«Ma tu… come… come hai…»
«Ho lavorato: sono scappato dall’orfanotrofio a quattordici anni, sono stato assunto da un fabbro come assistente e gli stavo così simpatico che, quando è morto, mi ha lasciato un po' di soldi. Così ho comprato assi e chiodi e mi sono costruito questa casa, anche se» si interruppe, lanciandogli uno sguardo indagatore. «È piuttosto triste stare da soli, sai?» disse lentamente, come a misurare ogni parola.
Zl lo guardò, riuscendo finalmente a chiudere la bocca per lo stupore. Non ci aveva nemmeno pensato: Mario sembrava stare così bene che il fatto che potesse essere nella sua stessa situazione non lo aveva neppure sfiorato.
«Beh?» domandò l’altro.
«Cosa?»
«Credi che ti abbia mostrato la mia casa e il mio nascondiglio per niente?»
«In che senso?»
«Zl» disse Mario, come se stesse spiegando qualcosa di ovvio ad un bambino, «mi sono stufato di vivere da solo, e tu sembri essere quello meno rompiscatole con cui vivere. Se decidi di restare, possiamo condividere casa mia»
«Davvero?» chiese Zl, non riuscendo a credere alla propria fortuna.
Mario annuì, lanciando gli occhi al cielo.
«Sarebbe magnifico, io…»
«Risparmia i convenevoli: sì o no?»
«Sì, certo che sì! Come posso…»
«Vieni, dai» lo interruppe Mario, sorridendo, «è da tanto che non ho ospiti, quindi c’è un po' di disordine, inoltre non c’è la scala, ti toccherà arrampicarti…»
Zl lo ascoltò distrattamente, senza riuscire a credere a cosa gli stava accadendo. Una persona come lui che gli offriva non solo un posto dove stare, ma anche la sua amicizia in cambio di nulla? Era più di quanto avrebbe sperato.
«… e non si tocca il cibo senza di me, chiaro?» chiese Mario, una mano e un piede già appoggiati al tronco, pronto per salire.
«Grazie» riuscì a malapena a dire Zl, colto alla sprovvista da tutto quello che stava succedendo.
Mario lo guardò, sorpreso, le sopracciglia alzate in modo buffo. Poi sorrise anche lui, arrampicandosi sul tronco, ridendo. 

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Capitolo 5
*** Imprevisto ***


«Zl» lo chiamò qualcuno.
Una figura alta con un mantello nero che lo avvolgeva completamente in modo da non lasciar trasparire nemmeno un dettaglio di sé stava in piedi nell’oscurità.
«Che cosa vuoi?» chiese il ragazzo, mentre la paura lo conquistava.
«Tu avrai bisogno d’aiuto, lo sai…»
«Chi sei?» domando di nuovo Zl, ora completamente terrorizzato.
«Quando sarai in pericolo, avrai bisogno di me…» continuava la voce, implacabile, «tu sai come chiamarmi… devi solo chiedere…»
Tutto si appannò, come se una grande nebbia gli coprisse gli occhi.
«Tu sai come fare…» diceva la voce, svanendo. «Chiamami»
«Forza! Siamo in ritardo, alzati!» disse Mario, scuotendolo con un sorriso. «Vatti a lavare, puzzi di strada. C’è un fiume qui sotto, io sono appena tornato. Mentre vai preparo qualcosa da mangiare da portarci per dopo. Sbrigati!»
Zl non se lo fece ripetere due volte: scese dall’albero cercando il più possibile di non cadere o graffiarsi, si lavò al piccolo fiumiciattolo che scorreva non lontano dagli alberi che sostenevano la casa, si cambiò, prese il suo zaino e si avviò verso la scuola insieme a Mario, chiacchierando. Mario sembrava rilassato e attento al tempo stesso: Zl aveva lentamente iniziato a notarne le abitudini. Ogni volta che era a disagio si passava la mano destra fra i capelli, ma mai la sinistra: camminava in modo estremamente silenzioso, eppure sgraziato, come un predatore lievemente ubriaco. E, soprattutto, mangiava costantemente, senza mai fermarsi: sgranocchiava un panino e dopo pochi secondi mangiava un frutto, masticava del formaggio e subito dopo aveva in bocca decine di bacche selvatiche. Nel tragitto fra la casa e la scuola aveva mangiato due panini, tre frutti di vari alberi incontrati per strada e almeno una ventina di piccole bacche che aveva colto da un cespuglio. Con una piccola e divertita morsa d’invidia, Zl si rese conto che Mario non era affatto grasso, anzi: la maglietta a maniche corte scopriva delle braccia forti e abbastanza muscolose, il collo era asciutto e secco e il ragazzo avrebbe giurato che il suo nuovo amico avesse anche degli addominali.
Entrarono in classe proprio al suono della campana che segnalava l’inizio delle lezioni, si sedettero ai loro posti e incominciarono ad ascoltare. Mario, come il giorno prima, era completamente disinteressato. Questa volta non guardava nemmeno il foglio che aveva sul banco: il suo sguardo era fisso fuori dalla finestra, la testa mollemente appoggiata alla mano e la schiena gobba. Zl, invece, era esattamente l’opposto: Mario gli aveva prestato un paio di fogli, uno stilo e una boccetta di argar, e subito le lezioni erano diventate più utili e interessanti. Ma dopo un paio d’ore il ragazzo iniziò a capire il suo amico. Stare attenti tutto il tempo e a tutte le ore era matematicamente impossibile. Le prime tre ore passarono lentamente nell’attenzione annoiata della classe. Finalmente, la campana suonò tre volte, e tutti gli studenti si alzarono.
«Che dici, facciamo una passeggiata in cortile? Ho due panini al formaggio e altre bacche che ho conservato da questa mattina»
La proposta era più che allettante, e Zl accettò. Si diressero entrambi giù per le scale, attraversarono il portone di legno della scuola mentre Zl cercava di sfuggire alle occhiate del segretario e iniziarono a passeggiare per l’ampio cortile rettangolare circondato da mura, il cancello di ferro battuto davanti a loro. Molti altri ragazzi avevano avuto la loro stessa idea. C’erano gruppi di studenti sparsi ovunque: chi rideva, chi chiacchierava, chi copiava i compiti o studiava argomenti in vista della prossima ora…
Zl e Mario chiacchieravano senza un argomento preciso, come al solito. D’un tratto, Mario si illuminò.
«Scommetto che non riesci a stare in verticale per dieci secondi» disse.
Zl scoppiò a ridere.
«No, hai ragione, non ci riesco. Scommetto che non ce la fai nemmeno tu»
Mario rise di gusto, poi si girò e, come se fosse naturale, si diede un lieve slancio con le gambe e si mise in verticale, il sorriso sotto sopra e gli occhi rivolti verso di lui.
«Uno, due, tre…» iniziò a contare.
«Attento al vento, è molto forte qui» disse Zl, malgrado di vento non ce ne fosse neanche l’ombra. «Ops…» ridacchiò poi, dando una lieve spinta alle caviglie di Mario con il dito, abbastanza da fargli perdere l’equilibrio. Mario si rimise in piedi poco prima di cadere, dandogli un pugno sul braccio mentre rideva.
«Hai barato! Non vale così!»
«Tu mica hai specificato le condizioni in cui dovevi stare in verticale. Io ti ho pure avvertito che c’era vento» rise Zl.
Ridacchiarono insieme per un po', poi Mario si guardò le mani sporche di polvere e fece una smorfia.
«Vado in bagno, ci vediamo in classe se non faccio in tempo a tornare prima della campana» disse.
Zl annuì e lo guardò sparire oltre il portone di legno. Si guardò intorno, osservando i vari gruppi di ragazzi. Camminava senza badare ai suoi piedi quando all’improvviso quasi inciampò su un quaderno. Perplesso, lo prese in mano. Aveva una copertina di legno, resistente, e sembrava contenere molti fogli sparsi e staccati dalle sue pagine. Ma la cosa che più lo stupiva era che il quaderno si teneva insieme grazie a tanti piccoli anelli di ferro, un lavoro davvero raro nel Mondo della Magia. Costruire un blocco come quello era davvero costoso, un’opera di ingegneria davvero rara in quanto fatta completamente a mano. Stava per aprire il quaderno, quando qualcuno glielo strappò di mano.  Provò a protestare contro lo sconosciuto, quando si girò e incontrò i suoi occhi verdi come smeraldo, due fredde foglie congelate dall’inverno.
«Che cosa stavi facendo? Dove hai preso questo quaderno?» gli chiese la voce graffiante e irata di Vii Verde.
Senza rendersene conto, Zl era stato circondato da un gruppo di ragazzi.
«Io non… l’ho trovato per terra» disse, il cuore in gola.
«Non mentire, non stava di certo per terra. Dove lo hai preso? Lo hai rubato?»
«No!» rispose Zl, indignato. Una bolla di rabbia innaturale si ingrossava sempre di più nel suo petto.
«Era nel mio zaino» ribatté Vii, irato. Eppure c’era una sfumatura strana nella sua voce, la sua coda si agitava veloce nell’aria, come se fosse… spaventato?
«No, era per terra. E se ci sei così affezionato, allora dovresti averne più cura» sbottò Zl.
«Sai, di solito non mi aspetto che la gente mi derubi»
«Io non ti ho derubato»
«Come no, e io sono un Lõm»
«Io non l’ho rubato!»
«Naturalmente… Borsa di Studio»
La bolla di rabbia nel petto di Zl scoppiò all’improvviso. Senza rendersi conto di quello che faceva, tirò un pugno dritto in faccia a Vii, colpendolo forte al naso. Sentì distintamente qualcosa di caldo colargli sulla mano, mentre il Principe cadeva a terra, il naso che colava sangue verde. Rendendosi improvvisamente conto di quello che aveva fatto, Zl fu preso dal panico. Corse rapidamente attraverso i corridoi e per le scale, pulendosi la mano nella parte interna della maglietta per non lasciare tracce troppo visibili. La campana suonò tre volte nel momento esatto in cui entrò in classe. Mario lo guardò sorridendo, e subito cambiò la sua espressione dopo una breve occhiata al suo viso.
«Che cosa è successo?» domandò, preoccupato.
«Io non… io ho… credo…» balbettò Zl, le parole che si accumulavano nella sua bocca.
«Cosa?»
«Ho tirato un pugno a Vii Verde» riuscì a dire il ragazzo.
Mario lo guardò come se avesse detto qualcosa di impossibile.
«Cosa?» ripeté.
«Ho… ho dato un pugno a Vii Verde»
L’altro lo guardò come se non avesse ancora capito. Ma prima che qualcuno dei due potesse aggiungere altro, un professore entrò nella classe. Con un nodo allo stomaco, Zl riconobbe il preside.
«Tu. Con me. Subito» disse quello, indicandolo.
Zl gettò uno sguardo terrorizzato a Mario e seguì il preside. Il professore lo portò nel suo ufficio e lo fece sedere su una sedia davanti alla sua scrivania. Prese un respiro e incrociò le mani davanti a sé.
«Zl» disse, «Io sono il professor Nharbu, il preside di questa scuola. Sai perché sei qui?»
Lentamente, il ragazzo annuì, il cuore in gola e lo stomaco così aggrovigliato che era convinto che se un medico lo avesse visitato in quel momento, lo avrebbe definito sicuramente come un malato terminale.
«Racconta, allora»
Zl raccontò tutto: la passeggiata nel cortile, il ritrovamento del quaderno, la breve discussione con Vii, il pugno e la sua fuga. La sua storia fu seguita dal silenzio.
«Zl» sospirò il preside, «ho visitato il principe Vii in infermeria, poco fa, e…»
«Sta bene?» chiese subito Zl. Si disse che voleva accertarsi che il principe stesse davvero bene, ma una parte di sé sperava il contrario.
«Non ha subito danni permanenti, anche se per pochi centimetri non gli hai rotto il naso» disse il professor Nharbu, la voce dura. «Voglio che tu sappia, Zl, che ciò che hai fatto è molto grave e…»
«Lo so, e mi dispiace» disse Zl, sinceramente, anche se non era sicuro di essere dispiaciuto per Vii o per sé stesso, visto che sarebbe stato un miracolo se non fosse stato espulso. Il professore lo fissò negli occhi per qualche secondo, poi abbassò lo sguardo e parlò a voce più bassa, come se non volesse farsi sentire.
«Zl, ti dirò un paio di cose molto sinceramente. Sai perché il principe studia qui?»
Il ragazzo scosse la testa.
«Fui io a fare molte promesse al Re per convincerlo ad iscriverlo qui. È ricco, potente e famoso. Il principe di Verdia che studia in questa scuola, puoi immaginare quanta pubblicità ci faccia ogni anno». Fece una pausa. «Tuttavia» aggiunse, «non posso negare il fatto che il principe abbia un carattere un tantino… particolare. Non è la prima volta che si immischia in una rissa. Il problema, Zl, è suo padre. Tu capisci che il re Tivius non è un tipo molto… gentile, vero?»
Zl annuì. Tivius, il tiranno di tutta Verdia, colui che aveva scatenato la guerra in cui vivevano, era descritto come un tipo molto severo, iracondo e intelligente. Tutti coloro che si mettevano contro di lui spesso scomparivano senza lasciare traccia, o venivano condannati per misteriosi crimini conto lo stato.
«Se il Re prendesse male la notizia, la scuola potrebbe andarci di mezzo» disse, guardandolo negli occhi, facendogli intuire che quando diceva scuola, intendeva la sua stessa vita.
«Lo capisco» rispose il ragazzo.
«D’accordo, allora sarò breve. Zl, temo di doverti espellere»
Il ragazzo se lo aspettava, ma la notizia fu comunque un duro pugno allo stomaco. Annuì in silenzio. Il loro colloquio durò solo pochi minuti, e mancavano ancora due ore alla fine della scuola. Con un nodo alla gola, Zl pensò a Mario: che cosa sarebbe successo ora? Era sicuro che Mario non lo avrebbe abbandonato se fosse stato solo espulso, ma il fatto che si era fatto nemico Vii Verde lo rendeva pericoloso.
«Puoi andare, ragazzo. Mi dispiace» gli disse il preside.
Zl non lo salutò nemmeno, si avviò lentamente verso l’ingresso. Sapeva che non era colpa sua, e che nemmeno lui aveva scelta, ma la sua espulsione gli bruciava comunque. A questo punto, l’unica speranza che aveva era quella di aver fatto il più male possibile a Vii, malgrado tutto ciò che questo comportava. Stava camminando senza badare ai suoi passi, quando all’improvviso qualcosa di molto duro lo colpì alla nuca, mentre delle mani gli bloccavano la bocca per impedirgli di gridare. La sua vista si appannò, mentre il dolore lo stordiva completamente e gli faceva fischiare le orecchie. Improvvisamente, si rese conto che qualcuno lo stava trascinando verso un corridoio che non conosceva, lontano dall’ingresso. Qualunque fosse il motivo, di certo non era niente di buono per lui. Zl cercò di gridare aiuto, di mordere le mani che lo tenevano fermo e di divincolarsi in tutti i modi, il cuore che gli batteva ferocemente nel petto, come impazzito. In un attimo disperato, intravide il segretario all’ingresso. I loro sguardi si incrociarono per un attimo e il ragazzo implorò una muta richiesta d’aiuto. Ma il segretario, dopo aver dato un’occhiata alle persone dietro di lui, distolse lo sguardo e si risedette alla sua scrivania, evitando i suoi occhi. Le mani lo trascinarono giù per delle scale, per altri corridoi che non conosceva e lo chiusero in una camera buia. Udì vari passi e sussurri di molte persone, poi una candela rischiarò la stanza, e finalmente Zl vide il suo aggressore.
«Mi hai colpito prima» disse Vii, strofinandosi il naso gonfio e verdognolo, ad indicare la formazione di un grande livido.
Zl sentì la rabbia e la paura mischiarsi dentro di sé. Senza sapere da dove prese il coraggio, sbottò.
«Sei molto perspicace, eh?»
Qualcuno gli rifilò un violento pugno nello stomaco che gli tolse il fiato e per poco non lo fece vomitare. Con crescente orrore, si rese conto della situazione in cui si trovava: bloccato in ginocchio chissà dove alla mercé del principe a cui aveva dato un pugno poco prima. Perché non aveva pensato che avrebbe voluto farsi giustizia da solo? Avrebbe potuto tranquillamente capire che sarebbe stato un bersaglio di Vii e del suo gruppo di amici, sarebbe dovuto andare via più velocemente, avrebbe dovuto prestare più attenzione.
«Non ti ritenevo così impulsivo. Devi essere molto coraggioso, Borsa di Studio… o molto sciocco» disse Vii. Parlava con una voce molto particolare, il tono calmo e basso, lento, le pause calcolate, le parole scelte con cura. Sembrava quasi che si fosse allenato per fornirgli un’accurata tortura psicologica. Zl non gli rispose, la paura che aveva ormai avuto la meglio in lui.
«Vedi, io e i miei amici formiamo un gruppo molto unito» spiegò, il tono d’improvviso più veloce, ma di quel poco che bastava da terrorizzarlo ancora di più. «Se, per esempio, qualcuno di noi è triste, lo siamo tutti. Se qualcuno non si sente bene, stiamo tutti male. Se qualcuno viene colpito… è come se venissimo colpiti tutti». Gli sorrise con una pausa snervante, quasi come se lo sfidasse a parlare. Passarono vari secondi prima che la sua voce tornasse a scalfire il silenzio. Questa volta era quasi un sussurro, un mormorio basso e snervante. «Conosci la legge della bilancia? È una legge a cui si può ricorrere nei tribunali, qualche volta. L’idea è semplice: quello che fai…» disse e, senza preavviso, gli tirò un pugno sul naso, facendolo gemere per il dolore, mentre del sangue denso e nero gli colava in bocca. «…ritorna indietro» concluse, asciugandosi la mano sulla sua maglietta.
Zl tossì, cercando di riprendere fiato e contemporaneamente di sputare il sangue che aveva in bocca. Vii gli prese il mento con la mano, costringendolo ad alzare lo sguardo, e gli ripulì il viso con un fazzoletto, il tocco delicato e leggero, come se non volesse fargli male, una precisione talmente accurata che Zl, nonostante il dolore e la paura, non poté non notare.
«Come ti ho detto, siamo un gruppo piuttosto unito e, sfortunatamente per te, tutti noi supportiamo la legge della bilancia. Ma non preoccuparti, io sono onesto: non mi hai lasciato danni permanenti, per cui farò in modo che non restino nemmeno su di te. Sarà solo una piccola… lezione».
Improvvisamente, delle persone iniziarono a sistemarsi in fila dietro al principe, che si alzò e iniziò a spiegare agli altri ragazzi dove colpirlo per fargli male senza conseguenze. Zl chiuse gli occhi, il terrore che lo conquistava sempre di più. Aveva bisogno di aiuto, ma come chiamarlo? Come fare? Dove trovarlo? L’unica persona che lo aveva visto era il segretario, e lo aveva completamente ignorato. Mario era a lezione, non poteva sapere cosa stava succedendo. Nessuno poteva aiutarlo, nessuno, sarebbe stato pestato e nessuno lo avrebbe salvato…
E, d’un tratto, Zl ricordò la voce del suo sogno, quella voce che prometteva aiuto. Era impazzito? Sì, doveva essere impazzito per aver pensato anche solo per un attimo a quella voce. Eppure…
Il gruppo di Vii si era ormai sistemato, e il principe gli sorrise.
«Direi di iniziare» suggerì, mentre uno dei ragazzi si faceva avanti.
Tu sai come chiamarmi… aveva detto la voce. Lui lo sapeva? No, era chiaro, non sapeva nemmeno chi era la voce, era solo un sogno…
Dei ragazzi lo costrinsero in piedi, bloccandogli le braccia dietro la schiena, mentre un altro si avvicinava per tappargli la bocca con un pezzo di stoffa.
Senza nemmeno riflettere, Zl chiuse gli occhi, abbandonandosi all’istinto.
«Is evoko co, Oremun Udinski!» gridò con tutta la forza che aveva nei polmoni.
Un enorme nube nera nacque dal nulla e sbalzò tutti i ragazzi contro il muro, senza nemmeno dargli il tempo di gridare, spegnendo la candela. Zl cadde in ginocchio nel buio, più terrorizzato di prima. Nella stanza non si udiva più nemmeno un lamento. Colto dal terrore, Zl strisciò lungo la parete tremando, inciampando sui corpi degli altri ragazzi e aprì la porta. Spaventato, usando la luce che filtrava dal corridoio, guardò i ragazzi stesi per terra. Sembravano solo svenuti, respiravano in modo più veloce di prima. “Che cosa ho fatto?” si chiese Zl, terrorizzato. Nessuno gli rispose.
Senza pensarci due volte, chiuse la porta e corse per i corridoi, cercando l’uscita. Arrivò all’atrio e lo attraversò correndo, notando solo di striscio l’assenza del segretario.
Corse per la città di Verdia, lontano dalla scuola e dalla casa di Mario, in preda al terrore.
 
 
ANGOLO AUTRICE
Scusate la lunghezza di questo capitolo, ma l’originale superava le dieci pagine ed è stato difficile da ritoccare in modo da non uccidere chiunque si appresti a leggerlo (e non sono sicura di esserci riuscita del tutto, ma ho fatto del mio meglio). Spero che vi sia piaciuto, lasciate un voto se potete! La storia, da qui in poi, sarà molto più movimentata, per cui se non volete perdervi niente aggiungetela alla vostra biblioteca!
Per chi se lo stia chiedendo, i Lõm sono dei animali tipici delle foreste molto docili e tranquilli, noti amici dei mageschi. Vi piacerebbe se facessi una pagina di Google+ o un libro di Wattpad con degli easter egg relativi alla storia? Ci sarebbero delle descrizioni della vita dei mageschi, della flora, della fauna, della cultura generale… può piacervi? Lasciatemi un commento per farmelo sapere!

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Capitolo 6
*** Il Re ***


Delle grida si susseguivano senza sosta, dei passi veloci e affannati di centinaia di persone in fuga si ammassavano tutti attorno a lui. I suoi occhi erano chiusi, o l’oscurità aveva preso il posto dell’aria? Aria… un’aria densa di polvere e di un odore metallico… l’odore del sangue. I suoi occhi si aprirono su uno scenario sfuocato: c’erano delle fiamme, fiamme potenti, così alte da sovrastare ogni cosa, che tuttavia non riuscivano a rischiarare l’oscurità in cui era avvolto. E poi lo vide: alto, imponente, le mani macchiate di sangue di tutti i colori: un magesco avvolto in un mantello nero indistinto, che copriva completamente il suo corpo e il suo volto. Ma non i suoi occhi: occhi neri come una nuvola di pioggia prima di un temporale. Occhi macchiati da una rabbia e una ferocia senza pari, privi di pietà, di gioia, di amore, ma ricchi di rancore e odio. In un attimo, il suo stomaco si contorse per l’incredulità e il disgusto. Un urlo terrorizzato fuoriuscì dalla sua bocca, mentre l’oscurità conquistava anche i suoi occhi. Cadeva, cadeva girando su sé stesso, come in un forte tornado. Vide delle immagini confuse: un castello nero alla sinistra di un grande deserto, un medaglione nero con una grande pietra incastrata nel mezzo, degli occhi neri, i suoi occhi neri, che si chiudevano per un attimo, per poi riaprirsi a mostrare delle pupille verticali spaventose dall’iride blu elettrico. Un bastone, un bastone lungo con una parte a semicerchio alla fine, circondato da erba e da fiori, che si spezzava, distruggendo tutto ciò che c’era intorno a sé…
Zl si alzò di scatto, ansimante. La luce colpì i suoi occhi come un colpo di frusta, facendogli alzare d’istinto un braccio per coprirsi. Che razza di sogno era? Non aveva mai avuto così tanta paura in tutta la sua vita: mai gli era capitato di avere un incubo così ricco di emozioni, così forte: nessun sogno lo aveva terrorizzato a tal punto da svegliarlo.
«Tutto bene?» chiese una voce.
Zl tolse il braccio dagli occhi, ormai abituati alla luce, e si guardò intorno. Si trovava nella foresta, schiacciato fra le radici dell’albero sotto il quale si era addormentato la sera prima. Davanti a lui, un ragazzo lo guardava, preoccupato.
«Mario! Che cosa… cosa ci fai qui?» chiese Zl, meravigliato e felice.
«Ti ho cercato, ieri. Per tutto il pomeriggio. Credevo che ti fosse successo qualcosa, soprattutto perché non c’eri a casa. Mi hai fatto preoccupare. Ho saputo dell’espulsione quasi subito, gira voce che tu abbia tirato un pugno a Vii durante la pausa»
Il ricordo colpì Zl come un pugno nello stomaco, e ormai aveva abbastanza esperienza per fare quel paragone.
«Io non… io non volevo… almeno credo… Mario, ascolta, è successo qualcos’altro, temo di averlo lanciato contro un muro, era svenuto e…»
«Non preoccuparti, sta bene, l’ho visto io» rise Mario.
«Tu non… non sei arrabbiato?»
«Arrabbiato? Perché dovrei essere arrabbiato? Ho sempre sognato di poter dare un pugno a quell’idiota, ma non ne ho mai avuto il coraggio, e tu ci sei riuscito al posto mio! Zl, non hai idea di quanto io ti stimi in questo momento» disse Mario, scoppiando a ridere.
Zl lo guardò, stralunato. Un grande peso si dissolse dal suo stomaco come per magia, e forse proprio di essa si trattava: Vii e il suo gruppo stavano bene, non era successo niente, forse era stato tutto un sogno. Già, un sogno… come quello che aveva avuto la notte precedente, come quello che aveva avuto quella stessa notte. Che il sognare il tizio con il mantello nero sbloccasse i suoi poteri? Sin da piccolo era stato negato con la magia, non era mai riuscito ad eguagliare i suoi coetanei. In molti dottori avevano parlato di un blocco psicologico e per la prima volta Zl iniziò a pensare che avessero ragione. Eppure… quella voce, quel magesco, quei sogni gli davano un brutto presentimento, come della calma prima della tempesta.
«Allora, vieni?» disse Mario, riscuotendolo brutalmente dai suoi pensieri.
«Cosa?»
«Non puoi entrare a scuola, ma mi ci puoi accompagnare. Mentre io sono costretto a scaldare una sedia, magari potresti cercare un po' di cibo in giro, che ne dici?»
«Volentieri!» disse Zl, felice di potersi finalmente rendere utile.
Mario gli porse il suo zaino.
«Lo avevi lasciato a scuola. Non hai avuto freddo?»
«Un po'» ammise Zl, prendendo riconoscente lo zaino. Era vero: quella notte sarebbe quasi morto di freddo se non fosse stata estate e se non avesse trovato quell’albero le cui radici offrivano un perfetto riparo dal vento. Si avviarono insieme verso la scuola.
«Che stavi sognato?» domandò Mario, offrendogli un panino e una bottiglia d’acqua che Zl accettò ringraziando.
«In che senso?»
«Ti stavi agitando molto quando ti ho svegliato. Che stavi sognando?»
«Francamente non ne ho la minima idea. Non mi era mai successo di fare un sogno così strano»
«Qualcosa ti ricorderai» disse Mario, ficcandosi in bocca un enorme pezzo di pane e guardandolo incuriosito. Zl esitò. Non voleva sembrare un bambino spaventato davanti a Mario, soprattutto dopo che lo aveva trattato così bene. Decise di eliminare la maggior parte dei dettagli.
«Non ricordo bene» disse, evasivo. «Ricordo solo un paio di occhi strani e un vortice che mi faceva cadere. Un classico, eh?» scherzò con un sorriso. Per evitare di sembrare pazzo o imbarazzato, diede un morso al suo panino.
«Erano degli occhi con le pupille verticali?» chiese Mario, indifferente.
Zl per poco non si strozzò: il panino gli si bloccò in gola di colpo. Tossì varie volte, prese un sorso dalla borraccia d’acqua e guardò stralunato Mario.
«Se stai morendo soffocato dimmelo, so come aiutarti»
«No, io… bene, grazie» disse Zl, tossendo. Mario ridacchiò.
«Ho indovinato?»
«Sì, ma… come fai a sapere…?»
«Semplice, probabilmente sarà stato un Demone»
«Un che?»
«Un Demone» rispose Mario. «Non sai cosa sono?» aggiunse, sorpreso.
Zl scosse la testa. Notò che l’altro sembrò vagamente a disagio per un attimo, ma dovette accorgersene, perché subito gli sorrise.
«I demoni» spiegò, «sono delle personificazioni delle nostre paure. Sono solo degli Incubi più potenti. Sai, quando tu fai un brutto sogno è perché un incubo ti ha posseduto. Se gli incubi riescono a far realizzare la peggiore paura del magesco a cui appartengono, diventano dei Demoni, che sono esseri corporei simili ai mageschi… credo. Di storie ne girano tante. Queste leggende valgono anche per i Sogni e gli Angeli»
«Non sapevo che fossi superstizioso» commentò Zl, sorpreso.
«Non lo sono. Non è una superstizione. I demoni esistono, e anche gli angeli. Per esempio, quando un magesco commette un crimine gravissimo, tipo uccidere tanti mageschi o torturare persone innocenti, può essere condannato al Giudizio dei Demoni. È come un normale tribunale, sono che è tenuto dal Re dei Demoni, che è un giudice sempre imparziale. Lui stabilisce una condanna: il colpevole può essere spedito, a seconda della gravità del suo crimine, in uno dei tre gironi di Inferia, la città dei demoni. Nessuno sa cosa accada lì sotto di preciso, ma coloro che tornano non commettono più errori di nessun genere»
«E gli angeli? Si hanno prove anche su di loro?»
«Certo» disse Mario. «Chi credi che sia colui che assegna i mondi agli Dei? Chi credi che li renda immortali? Il Re degli Angeli, naturalmente. Altro tipo imparziale, o almeno così dicono le leggende. Francamente, non so come funzioni di preciso. Quello che tutti sanno, tuttavia, è che funziona. E questo è l’importante»
Zl continuò a camminare, pensoso. Demoni, angeli… potevano esistere davvero delle creature così strane e potenti? O era una superstizione talmente radicata nei mageschi da essere diventata parte della loro cultura?
«Cos’è tutto questo casino?» disse d’un tratto Mario, bloccandosi.
Zl seguì il suo sguardo e si fermò anche lui, sbalordito. Davanti ai cancelli della scuola c’era un’enorme folla di persone, talmente ampia da bloccare la Strada Principale: mageschi di tutte le età cercavano di vedere cosa succedeva nel cortile della scuola, senza tuttavia varcare i cancelli. Una ragazza di massimo vent’anni gli passò accanto correndo, fermandosi davanti ad un gruppo di mageschi che la accolsero con una raffica di domande.
«Come sta?»
«È vero che è stato ferito?»
«È morto?»
«No» rispose la ragazza, ansimando per la corsa, «lo hanno trovato chiuso in una stanza, ferito, ma non morto: è su una barella»
«E si è riuscito a capire chi è stato?»
«Non lo so, ma temo che molti professori saranno presto nei guai, alcune guardie minacciano di chiudere la scuola. È appena arrivato il Re in persona!»
«Il Re?» chiesero i mageschi, stupiti.
Mario lo strattonò all’improvviso, trascinandolo di peso verso un punto più distante dalla folla, abbastanza lontano da non essere sentiti.
«Cosa stavi dicendo questa mattina? Che avevi lanciato Vii contro un muro?» gli chiese, la voce tesa e spaventata.
«Io non… tu hai detto che lo avevi visto, hai detto che stava bene!» gli disse terrorizzato Zl, capendo all’improvviso cosa era successo.
Vii non doveva essersi risvegliato dal loro ultimo incontro, e ora il Re in persona era andato nella scuola per avviare le ricerche e per punire i colpevoli. O meglio, il colpevole: era stato lui a causare tutto questo, e appena Vii si fosse svegliato avrebbe sicuramente fatto il suo nome.
«Ma intendevo subito dopo la pausa! Si può sapere che cosa hai fatto?»
«Io… io...» ansimò Zl, spaventato. E se il Re lo avesse voluto morto?
«Zl, calmati e spiegami, non abbiamo molto tempo: cos’è successo? Sei stato tu?»
«Io non… io…» provò a rispondere Zl, ma era troppo terrorizzato per riuscire a parlare.
«D’accordo, facciamo così: corri a casa, non ti fermare e nasconditi. Io vado a vedere cos’è successo, magari riesco a capire se ti stanno cercando oppure no» gli disse Mario.
Poi, senza preavviso, corse nella folla, verso il cancello. Zl guardò il punto in cui era sparito, lo stomaco aggrovigliato come non mai. La mossa più saggia per lui era quella di nascondersi, ma Mario era in pericolo: lui non sapeva che il Re avrebbe presto capito, se non lo aveva ancora fatto, chi era il responsabile di tutto quello, ed era sicuro che la maggior parte dei professori li aveva visti insieme. E se lo avessero catturato per arrivare a lui? Non poteva lasciare che il suo unico amico fosse imprigionato per colpa sua, doveva aiutarlo. Zl corse verso il cancello della scuola, cercando la testa dai capelli bordeaux di Mario: doveva fermarlo prima che potesse essere visto, dovevano fuggire insieme. Fendette la folla fino a trovarsi davanti al cancello, ma di Mario non c’era nessuna traccia. Disperato, percorse con lo sguardo tutto il cortile, cercando un segno dell’amico, quando si bloccò per lo stupore.
Al centro c’erano una decina di guardie vestite con armature verdi scintillanti con un triangolo sul petto, il simbolo di Verdia: delle barelle erano poggiate per terra eccetto una, che era tenuta in mano da due soldati. Accanto alla barella c’era un magesco che non poteva essere altri che il Re Tivius. Era incredibile quanto somigliasse a Vii. Gli occhi erano verdi come i suoi, ma di una sfumatura più brillante, più calda, come il muschio appena nato, i capelli verde chiaro si confondevano con la grande corona di smeraldo che portava sulla testa, il mantello color foglia era lungo fino ai suoi piedi e lo avvolgeva completamente. Non sembrava avere l’aspetto del tiranno crudele di cui tutti parlavano: sul suo viso era dipinta un’espressione di pura preoccupazione e angoscia, era inginocchiato vicino alla barella senza curarsi dello sporco del terreno e chiedeva con insistenza qualcosa al magesco dall’altra parte della barella, probabilmente un dottore, che cercava di tranquillizzarlo con una smorfia simile ad un sorriso.
All’improvviso, una mano gli afferrò la spalla da dietro, facendolo sobbalzare.
«E tu chi saresti?» gli chiese un soldato, guardandolo male.
«Io…» balbettò Zl, il cuore in gola.
Senza nemmeno rendersene conto, per vedere meglio il Re, aveva fatto qualche passo avanti verso di lui e non si era accorto della guardia che lo osservava finché essa non lo aveva bloccato.
«Un momento, io quello lo conosco! È lui! È lui, mio Re, ne sono sicuro!» disse una voce.
Zl guardò per la prima volta le persone alle spalle del Re, terrorizzato. Il segretario lo stava indicando, lo sguardo arrabbiato e spaventato. In un attimo, tutte le guardie si girarono verso di lui, e così fece anche il Re, la preoccupazione che defluiva dal suo viso per lasciar posto ad un’espressione di ira assoluta. Zl cercò di protestare, mentre una guardia lo trascinava davanti al Re, ma la sua voce sembrava essere fuggita come gli aveva suggerito Mario, perché appena lo sguardo del Re si posò su di lui, il ragazzo non riuscì più ad aprir bocca, terrorizzato.
«Così sei stato tu, non è vero?» gli chiese il Re.
In quell’attimo di terrore puro, Zl notò distrattamente che la sua voce era l’unica cosa che non aveva minimamente in comune con il figlio: era bassa e potente, eppure trattenuta, come un domatore di bestie con un animale inferocito al guinzaglio. Zl scosse piano la testa, senza riuscire a parlare. Il Re sollevò un sopracciglio, scettico.
«Mio Re, non gli creda! L’ho visto io, lo giuro!» gridò di nuovo il segretario. Zl notò che aveva delle catene ai polsi.
«Silenzio» ordinò il Re, e l’altro si zittì all’istante. «Nell’attesa che mio figlio si svegli, tu, ragazzo, sei considerato colpevole da numerosi testimoni. Perciò, almeno che tu non abbia una prova schiacciante della tua innocenza da offrirci in questo in questo preciso momento, sarai condotto nelle prigioni del mio castello in attesa di un processo. Portatelo via» disse poi alle guardie, che subito si avvicinarono e gli misero delle catene ai polsi.
«Aspettate! Aspettate, io… io sono innocente, non sono stato io…» provò a dire Zl, ma le guardie erano irremovibili.
Il ragazzo cercò disperatamente una via d’uscita, ma era talmente terrorizzato che non riusciva nemmeno a opporre resistenza. Un cocchio di legno senza finestre, il carro dei prigionieri, veniva trascinato dentro il cortile da dei Becchi-lunghi *(esseri simili agli struzzi, forti come orsi e usati come cavalli)*.
Zl chiuse gli occhi in preda al terrore e alla paura. Gli serviva aiuto, un aiuto disperato… gli serviva una via d’uscita, qualcuno che lo aiutasse. In un impeto disperato, Zl ripensò al giorno prima, a quando aveva pronunciato un incantesimo senza conoscerlo, una magia che lo aveva salvato dal pericolo…
Senza rendersi conto di ciò che faceva, aprì gli occhi di scatto e si abbandonò all’istinto.
«Udinski, hetara is!» gridò.
In un attimo, un enorme ondata di fumo nero si riversò fuori dalle sue mani, avvolgendolo come una coperta. Senza sapere cosa faceva, come se qualcun altro comandasse il suo corpo, Zl tocco le guardie che lo trattenevano e il fumo le sbalzò via, scaraventandole via a metri e metri di distanza fra le grida terrorizzate della folla. Il ragazzo alzò poi una mano verso il Re, che si era alzato di scatto come per attaccarlo, il fumo si appiattì come un proiettile e lo colpì al petto. Tivius ebbe appena il tempo di fare un’espressione di puro stupore, prima di cadere a terra.
In un attimo, il terrore riprese il controllo della mente di Zl. Il ragazzo guardò il corpo esanime del Re, mentre una strana sensazione di potere gli stritolava lo stomaco. Senza pensarci due volte, approfittando dello stupore delle guardie e del caos della folla, fuggì, correndo fuori dal cortile. I suoi piedi lo trascinarono verso la foresta, cercando disperatamente di tornare alla casa di Mario. Era così preso dalla paura che si scontrò violentemente contro l’amico, che sembrava quasi essersi materializzato dal nulla.
«Zl! Eccoti! Dove sei stato? Perché non sei a casa? Cos’è successo?» gli chiese, mentre attorno a loro la folla si disperdeva, urlando di terrore, senza sapere dove scappare.
«Io non… Mario, aiutami, non so cosa sia successo, io…» provò a spiegare Zl, le lacrime che scorrevano incontrollabili.
«Lascia stare, dimmi solo cos’è successo»
«Io… io ho…» provò Zl, senza riuscire a parlare. Prese fiato e riprovò: «Io ho ucciso il Re»
Mario lo guardò sbalordito, senza riuscire a proferir parola. Poi lo prese per un braccio e lo trascinò verso la Strada Principale, seguendo la via opposta al castello.
«Mario, cosa…?»
«Ascoltami bene: ti sto portando in un rifugio sicuro, ma non devi parlarne con nessuno, chiaro?». Zl provò a chiedere qualcosa, ma l’altro gli fece segno di stare in silenzio con la mano, tirandolo con un braccio e costringendolo a correre.
«È un covo di ribelli di Rossia, io ne faccio parte. Lì sarai al sicuro. Non farmi altre domande, non so cosa posso dirti, non ho il permesso, teoricamente. Ti tratteranno bene, appena sapranno cosa hai fatto. Non commentare nulla, non parlare se non sei interpellato, fai quello che ti dicono e non protestare mai»
«Ma io…»
Mario non lo ascoltò nemmeno. Erano giunti in un piccolo vicolo fra due locande che portava ad una piazza spoglia. Dopo aver controllato che non ci fosse nessuno in giro, Mario si accovacciò per terra e sollevò un grande tombino tondo e arrugginito. Zl ormai era troppo stupito per protestare. Mario gli fece segno di calarsi per primo. Il ragazzo scese i piccoli gradini in ferro scivoloso e Mario richiuse l’entrata dietro di lui con uno stridio acuto e metallico.
«Apri la seconda botola e scendi» gli ordinò.
Zl, ancora stordito da tutto ciò che stava succedendo, non riuscì ad opporsi. Sbucò in un’enorme grotta rettangolare di pietra biancastra alta più di sette metri, illuminata da decine di torce con dei buchi nel soffitto per lasciare una va libera al fumo, che doveva trovare una via d’uscita da qualche parte sopra di loro. Alla sua destra c’erano una dozzina di porte numerate, mentre davanti a loro c’era un gigantesco tunnel che girava a sinistra, da cui si udivano dei passi frettolosi e delle voci concitate.
«Dove siamo?» chiese Zl con ciò che gli era rimasto della sua voce.
«Benvenuto nel quartier generale degli Impellerossa», disse Mario, «spie scelte della Resistenza».

ANGOLO AUTRICE
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Se è così, lasciate un voto e un commento!
Più andiamo avanti, più la vita di Zl si complicherà, e d’ora in poi introdurremo molti nuovi personaggi, quindi vi consiglio di aggiungere il libro alla vostra biblioteca, così da non perdervi nulla!
Siccome io conosco il Mondo della Magia e la sua cultura molto bene, potrei dare alcune cose per scontate per cui, se non capite qualcosa, scrivetemelo in un commento.
Grazie dell’attenzione e buona settimana! 

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Capitolo 7
*** Gli Impellerossa ***


«Lo sapevo…» disse una voce roca.
«Deve esserci uno sbaglio…» lo interruppe qualcuno.
«Non può essere andata davvero così…» fece un altro.
«Mi avete chiesto una prova; eccovela. Udinski ci ha sempre mentito, non possiamo fidarci di lui. Pretendo la vostra massima collaborazione d’ora in poi, sono stato chiaro?»
Ci fu un attimo di pausa in cui nessuno parlò, poi delle voci mormorarono un debole assenso.
«Bene…» continuò la voce roca, diventando sempre più confusa e indistinta.
«Bene…»
 
Zl aprì lentamente gli occhi. Si trovava in una stanza spoglia e sotterranea; l’unica luce presente veniva da una torcia appesa al muro con un buco nel soffitto sopra di essa. C’erano un letto senza una gamba mezzo caduto sul pavimento su cui era steso, un semplice e spartano armadio di legno e una scrivania vecchia e scheggiata in un angolo, vicino ad un’altra porta che conduceva ad un piccolo bagno con delle tubature connesse all’acqua proveniente da uno degli affluenti del Vär. Era avvolto in delle coperte calde e pesanti, nell’aria c’era odore di chiuso, il sonno rendeva difficile pensare. Ma la sua memoria funzionava ancora bene e i ricordi della mattina precedente lo colpirono come una violenta e gelida raffica di vento.
Una volta arrivati al Covo, così come lo aveva chiamato Mario, erano stati accolti da una decina di ragazzi vestiti con abiti leggeri da soldato, ognuno con una spada appesa alla cintura e un’aria sorpresa in volto.
«Lui cosa ci fa qui?» aveva chiesto uno in particolare. Aveva l’aspetto di un ragazzo giovane, di massimo diciotto anni, i capelli color nocciola e gli occhi viola scuro. Pareva incredibilmente scontento del suo arrivo.
«Ha ucciso Tivius» aveva detto Mario senza mezzi termini, sconcertando ancora di più l’altro ragazzo.
«Lui?» avevano chiesto gli altri.
Persino smarrito com’era in quel momento Zl si era accorto che tutti avevano più o meno la sua età. Dopo una breve spiegazione dell’accaduto, Mario, che gli aveva raccomandato più volte di stare zitto, aveva chiesto di farlo entrare nel gruppo. C’erano volute molte discussioni, finché una ragazza non era arrivata dal tombino dietro di loro e aveva zittito tutti all’istante con un ceno della mano. Zl l’aveva riconosciuta; era la ragazza dai capelli e gli occhi rossi che aveva notato durante il Riconoscimento. Mario provò a raccontare ciò che era successo, ma lei lo aveva bloccato quasi subito.
«So tutto, ero lì fuori anche io»
«Sì, ma…»
«Può restare, ho già chiesto ai Piani Alti»
Dopodiché si era rivolta a Zl, sorridendo.
«Il mio nome è Fiama, e questo è il Covo. Noi siamo gli Impellerossa, siamo spie del governo di Ros…»
«Non può farlo davvero restare!» l’aveva interrotta il ragazzo dagli occhi viola.
«Silenzio, Freezer» aveva ordinato lei.
Gli aveva spiegato che il governo di Rossia, che era in guerra con i Verdi da vent’anni, aveva deciso di inviare delle spie esperte nella capitale nemica per riuscire ad assassinare il Re. Per questo, spiegò, erano tutti così giovani: erano gli unici ragazzi-spie che potevano avvicinarsi a Vii senza destare sospetti e, una volta catturato il Principe, avrebbero chiesto come riscatto la vita dello stesso Re. Zl si era lasciato scivolare addosso quelle spiegazioni come acqua piovana sui tetti. A lui interessava solo una cosa; aveva ucciso. Si era macchiato di un crimine orribile, ed era ormai certo che quegli incantesimi che aveva usato non erano né normali né sicuri per la sua incolumità e per quella degli altri. Non era in grado di controllarli, anzi, era come se loro controllassero lui. Aveva deciso di non utilizzarli mai più, e non ne aveva parlato con nessuno, nemmeno con Mario. Era spaventato da sé stesso, da quello che era riuscito e poteva fare.
Fiama, alias il Capitano, come la chiamavano tutti, aveva stabilito che a Zl fosse assegnata una stanza dove passare la notte e che entrasse ufficialmente nel loro gruppo. Senza che il ragazzo acconsentisse o dicesse alcunché, Mario lo aveva portato in una delle camere che aveva notato alla destra del tombino, lo aveva tranquillizzato con discorsi che Zl non si era dato la briga di ascoltare e se ne era andato per lasciarlo ambientare. Ma il ragazzo era stato colto da un dubbio orribile; Mario aveva detto che faceva parte di quel gruppo da anni, e si era chiesto se non lo avesse avvicinato sin dall’inizio solo per reclutarlo. Infondo, Rossia aveva un costante bisogno di soldati per combattere le forze Verdiane, e chi gli assicurava che Mario non era lì apposta? Alla fine, confuso, spaventato e stanco, si era addormentato in quella stanza, vinto dalla fatica e dallo stupore. 
Si alzò lentamente, ancora semi-addormentato e notò che qualcuno bussava prepotentemente alla porta.
«Arrivo» sbiascicò Zl, la bocca impastata dal sonno.
Si aspettava di trovare Mario, per cui fu una sorpresa quando si trovò faccia a faccia con Freezer, il ragazzo dagli occhi viola.
«Perché non c’eri alla mensa?» chiese arrabbiato.
«Mensa?»
«La colazione è finita più di mezz’ora fa. Perché non c’eri?»
«Io non… non sapevo di dover andare da qualche parte… non mi sono proprio svegliato…»
«Beh, vedi di muoverti a svegliarti, allora. Torno fra dieci minuti, vedi di farti trovare pronto»
«Pronto per cosa?»
«Per allenarti» disse Freezer, scocciato. A Zl iniziava a ricordare il segretario della Scuola Militare. Non gli lasciò il tempo di chiedere spiegazioni e se ne andò. Confuso, Zl si diresse verso l’armadio e lo aprì, sperando di trovarci qualcosa di indossabile. Mario gli aveva detto che quelle grotte erano sempre state sconosciute a Verdia, e che una spia di Rossia le aveva scoperte per caso qualche anno prima. Dall’ora, quell’insieme di cunicoli era diventato uno dei covi dei gruppi di soldati di Rossia in incognito. Zl prese una delle magliette appese nell’armadio e se la rigirò fra le mani, confuso. Sembrava una semplice maglietta nera, ma aveva due grandi tagli che lasciavano scoperti i fianchi e due pesanti cinture di cuoio che dovevano esser state progettate per venir legate alle cosce, in modo da non far cadere la stoffa, la quale non aveva modo di reggersi da sola per via dei tagli. Zl la guardò, indeciso. Ma del resto non aveva una maglietta di ricambio, e quindi non aveva nemmeno scelta; si cambiò velocemente, cercando di capire come andavano allacciate quelle bizzarre cinture. Avevano due fibbie, in modo da chiudersi più facilmente attorno alla coscia. Eppure, contro ogni previsione, Zl trovò l’indumento stranamente comodo, come se si adattasse perfettamente al suo petto. Fece appena in tempo a mettersi le scarpe quando sentì Freezer bussare di nuovo alla porta.
«Arrivo!» disse per la seconda volta il ragazzo, correndo verso l’uscio e aprendolo di scatto.
Freezer lo guardò come se gli volesse fare una ramanzina, ma si fermò alla vista della maglietta.
«L’ho trovata nell’armadio» si giustificò Zl, «non avevo altro da mettermi»
Freezer sembrò indeciso per un attimo, come se volesse chiedergli qualcosa. Poi ci rinunciò e gli fece cenno di seguirlo nel corridoio. Svoltarono alla sinistra dell’entrata, dove un lungo tunnel di pietra biancastra illuminato da innumerevoli torce si snodava in tutta la sua lunghezza. C’erano diverse grandi porte che si aprivano sui lati, tutte ad una distanza insolitamente lunga l’una dalle altre. Passarono davanti ad una porta ad arco con due ante di legno bordate di ghirigori di ferro con sopra una vecchia insegna appesa al muro che recitava la parola mensa in caratteri quasi cancellati dal tempo. Si fermarono davanti ad una lunga porta rettangolare di ferro rosso arrugginito, la quale base si conficcava direttamente nella pietra, come una porta scorrevole. Freezer si avvicinò e l’aprì con difficoltà, facendo stridere diverse paia di cardini vecchi e arrugginiti. L’aprì quanto bastava per entrare e gli fece di nuovo segno di seguirlo.
Sbucarono in un’enorme camera rettangolare dal soffitto alto almeno sei o sette metri, tanto che Zl si chiese come potesse passare inosservato ai mageschi che abitavano lì sopra. Mario gli aveva detto che le due locande accanto al tombino erano state costruite dai ribelli che avevano occupato quelle grotte prima di loro, e che erano state edificate in modo che dai loro camini uscisse il fumo delle torce, e che le loro fondamenta non sbucassero nel Covo. Il ragazzo si chiese distrattamente se avessero fatto lo stesso lavoro per le case sopra di loro. Tutta la stanza era lunga circa una decina di metri, e larga almeno quindici; al centro c’era un rettangolo di terra battuta soprelevato con un’enorme bersaglio di paglia e legno sulla destra, tenuto sollevato da un palo di ferro e da un complicato meccanismo di sbarre di legno, che probabilmente nascondevano delle funzioni aggiuntive che lui non riusciva a cogliere. Zl non poté fare a meno di chiedersi a cosa servisse, visto che era troppo grande per essere usato per allenarsi con nel tiro con l’arco.
«Allora?» gli chiese Freezer, scocciato.
Era salito sul campo e aveva una spada in mano. Era un’arma molto bella ed elegante; la lama era lunga e viola, l’elsa marrone scuro sembrava essere stata incisa da uno scultore un po’ ignorante, più che da un fabbro; la lama era un parallelepipedo molto meno piatto del dovuto, la punta era più corta del normale. Malgrado questo sembrava molto affilata, come se quello scultore avesse limato i bordi troppo larghi fino a renderli degli spigoli incredibilmente taglienti.
«Allora cosa?»
«Prova ad attaccarmi, ho bisogno di capire a che livello sei prima di poterti allenare. Ora che sei uno di noi, devi imparare a difenderti»
«E come dovrei fare?» chiese Zl, a disagio. Non aveva mai brillato per capacità fisiche, e siccome sapeva che Freezer era un soldato esperto non aveva molta voglia di tentare di combatterlo.
«Prova a disarmarmi» disse l’altro, annoiato.
In un attimo, si mise in una rilassata posizione di difesa.
«Posso avere anche io una spada?» chiese, insicuro.
Freezer lo guardò come se gli avesse appena sputato in faccia. Zl si chiese se lo guardasse così apposta per metterlo a disagio.
«No» disse Freezer lentamente, come se stesse parlando con un pazzo. «Iniziamo così»
Zl lo guardò confuso. Come poteva disarmare un soldato armato e allenato come Freezer? Cercò di non lasciarsi scoraggiare e studiò la sua guardia. Non trovandoci un punto debole, si gettò contro di lui completamente a caso, senza pensare a strategie o tecniche.
Tentò di abbassarsi per evitare un probabile fendente e di fargli uno sgambetto, ma Freezer piantò la spada nel terreno, proprio di fronte al viso di Zl, che si rimise in piedi in un lampo e provò a tirare un pugno che Freezer parò, le mani corse a difendersi, lasciando scoperta l’elsa della spada. Zl cercò di prendere l’arma dalla lama viola che era rimasta incastrata nel terreno, ma un calore innaturale proveniente dall’elsa gli scottò la mano, facendolo allontanare con un piccolo grido di dolore e protesta.
«Che demone fai?» sbottò Freezer. Sembrava arrabbiato, sconvolto e spaventato allo stesso tempo, tanto che aveva assunto senza rendersene conto il dialetto della terra di Neria, che Zl aveva imparato a conoscere da una delle badanti dell’orfanotrofio.
«Che ho fatto di male?» chiese, quasi offeso. Era quasi riuscito a disarmarlo, e si aspettava ben altro di un’accusa.
«Come osi toccare la mia spada? Ti sei rincitrullito?»
«Che c’è di male?»
«È la mia Arma dell’Anima, idiota! Non puoi toccarla!»
«La tua che?» domandò Zl, confuso.
Freezer lo fissò per un attimo, come non capendo la domanda.
«Arma dell’Anima» ripeté. «Non… non sai cosa sono?» aggiunse, il tono nervoso e indeciso.
Zl scosse la testa, guardandolo incuriosito. Freezer sembrò terribilmente a disagio.
«Le Armi dell’Anima» spiegò lentamente, nervoso, «sono delle Armi fatte con l’anima di un magesco»
«Fin qui c’ero arrivato» borbottò Zl.
«Beh, non c’è molto altro da sapere. Tutti i mageschi possiedono un’Arma, o più raramente due, che possono evocare. Nessuno può toccare l’Arma di un altro magesco, almeno che il magesco in questione non riponga una fiducia incondizionata in quel qualcuno. Per il resto, toccare l’Arma dell’Anima di un altro magesco è simbolo di grande maleducazione»
«Ah»
«Per cui non lo rifare mai più, chiaro?»
«Scusa» disse Zl. Poi, dopo qualche esitazione, non riuscì più a trattenersi.
«Mi puoi insegnare ad evocare la mia?» chiese, speranzoso.
Freezer lo guardò di nuovo in modo strano, come se stesse cercando di capire quanto grande fosse la sua stupidità.
«Non è una cosa che si può insegnare» disse Freezer.
Per non dargli il tempo di fare altre domande, iniziò a insegnargli alcune tecniche di base. Gli diede un semplice bastone corto per esercitarsi, e si tenne sempre a distanza, come se non avesse digerito il malinteso di poco prima.
«Basta così» disse ad un tratto.
Dovevano essere passate delle ore da quando erano entrati, e Zl era stanco come non mai. Freezer prese una borraccia d’acqua posata su un tavolo lì vicino e si sedette sul bordo del campo, rivolto verso la porta. Il ragazzo lo imitò.
«Sai» disse Freezer, appoggiando la sua spada al lato opposto a Zl e offrendogli la borraccia. «Forse il Capitano aveva ragione su di te»
Lo stomaco di Zl fece un lieve balzo.
«Su di me?» chiese, cercando di apparire indifferente.
«Sei abbastanza sfigato da entrare nel gruppo» ridacchiò l’altro.
«In che senso?» domandò Zl, contrariato. Sperava in aggettivi ben diversi da “sfigato”, soprattutto se pronunciati da una ragazza bella come Fiama.
«Beh, ecco, non sei l’unico ad avere una storia… complicata. Quasi tutti noi non abbiamo avuto un passato facile» spiegò Freezer.
«Tu come sei finito qui?» chiese, incuriosito.
Capì subito di aver fatto una domanda sbagliata; Freezer si irrigidì, come se qualcuno gli avesse lanciato addosso un secchio d’acqua gelida.
«Non sei costretto a dirme...» provò a dire Zl.
«No, no, non ti preoccupare. Infondo, anche il Capitano dice che parlarne mi farà bene… prima o poi». Prese fiato e iniziò a fissare la porta. «Io vivevo in una casa nella foresta sul confine tra Rossia e Neria. Un giorno arrivarono dei soldati, io avevo quattordici anni. Uno di loro era gravemente ferito, così i miei genitori li accolsero e li ospitarono. Ci giunse la voce che questi soldati facevano parte di una gilda speciale, che si diceva potesse curare anche chi era ad un passo dalla morte»
Zl notò che la sua voce traballava lievemente.
«Mia sorella era molto malata. Aveva un anno in meno di me. Le volevo molto bene. Perciò chiesi ai soldati di curarla. Quello che era stato ferito, che era il capo di quel gruppo, mi disse che lo avrebbe fatto solo se io fossi entrato nella loro gilda. Io accettai»
Più andava avanti e più la voce gli tremava.
«Passarono tre anni. Mia sorella cresceva bene, e io ero felice. Mi insegnarono molte cose; metodi di cura più innovativi, una scienza piena di studi complicati e di… incantesimi antichi. C’erano delle persone lì che, come me, cercavano la salvezza. Non importava se era per loro o per i loro cari; se la volevano, dovevano pagarla, e chi non era abbastanza bravo da superare l’ultimo esame diventava una cavia per i loro esperimenti. Io fallii quell’esame»
Fece una pausa, poi continuò il racconto sussurrando, quasi come se non volesse sentire la fine della storia.
«Utilizzarono molti incantesimi su di me, tante che persi la mia memoria a lungo termine per un po’. Durante questo lasso di tempo, venivo allenato come un soldato per difendere la Gilda, ero comandato come una marionetta grazie ai sigilli che mi avevano imposto. Una notte ero di guardia all’entrata e vidi… vidi qualcuno cercare di entrare nella Gilda. Senza pensarci, l’ho attaccato. Avevo perso la memoria, in quel periodo, e quando uccisi quell’intruso non riconobbi in lei mia sorella»
Zl smise di respirare, attento e incredulo. L’accenno di una lacrima pendeva incerta dall’occhio di Freezer.
«Dall’ora mi diedero un altro nome, un nome in una lingua che si dice provenga da un mondo sconosciuto; mi chiamarono Freezer, colui così freddo da riuscire ad uccidere anche la propria sorella»
Per un attimo nella stanza regnò il silenzio.
«Mi… mi dispiace» provò a dire Zl, ma l’altro non diede segno di ascoltarlo.
Si alzò di scatto e la sua Arma dell’Anima si dissolse in un fascio di fumo luminoso che venne assorbito dalla sua mano.
«Vedi di non saltare anche il pranzo» disse, uscendo dalla sala senza guardarlo.
Zl osservò la porta da cui era sparito, maledicendosi per avergli chiesto la sua storia
 
 
ANGOLO AUTRICE
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Se è così, lasciate un voto e un commento!
Se c’è qualcosa che non vi è chiaro o Qualche dettaglio che ho distrattamente omesso, sappiate che sono sempre disposta a chiarire eventuali dubbi, quindi non esitate a chiedere!

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Capitolo 8
*** Ricordi ***


«ComfandtallcoFrezr?»
Zl fece una smorfia.
«Se parli a bocca piena non capisco»
Mario inghiottì l’enorme insieme di verdure grigliate che aveva in bocca e sorrise.
«Ti ho chiesto com’è andato l’allenamento con Freezer»
«È andato bene»
Mario sollevò un sopracciglio, prese un pezzo di pane e ci spalmò sopra del formaggio. Erano seduti ad uno dei lunghi tavoli della mensa, una camera spartana scavata nella pietra abbastanza grande da contenere tre tavoli e sei panche. C’erano altri tre ragazzi oltre a loro, i quali mangiavano nell’angolo opposto della stanza parlando sottovoce.
«Sicuro? Perché Freezer sembrava parecchio sconvolto, per non dire arrabbiato. Che gli hai fatto?» chiese Mario.
«Non è colpa mia se è arrabbiato» disse Zl in un moto di stizza. Come poteva anche solo immaginare che Freezer avesse una storia simile alle sue spalle?
«Sì, certo» disse Mario addentando il pane.
«Tu non mi credi»
«Sìcfetcrfedo»
«Cosa?»
Mario inghiotti il panino tutto intero e iniziò a prepararne un altro.
«Sì che ti credo. Solo che è strano. Dai, scocca la freccia, con me lo puoi fare» *(Scocca la freccia è l’equivalente magesco di sputa il rospo)*.
Si ficcò il secondo panino in bocca.
«Mi ha detto che avete tutti delle storie tragiche e io gli ho chiesto la sua»
Mario spalancò la bocca dallo stupore, tanto che il panino che aveva in bocca ricadde nel piatto.
«Mario, che schifo!» esclamò Zl. Lui non ci badò.
«E ti ha risposto?»
«Sì»
«Ti ha raccontato della sorella?»
«Sì»
«E della gilda?»
«Ti ho detto di sì!»
«Per gli Dei» disse lui, visibilmente sconvolto. Pulì distrattamente il tavolo con un tovagliolo.
«Ci credo che era arrabbiato» commentò.
«Non potevo immaginare che…» cercò di giustificarsi Zl.
«No, certo che no. Però è strano…»
«Cosa?»
«Lui odia il suo passato. Credo che se potesse si cancellerebbe la memoria. Io so la sua storia perché…» iniziò, ma si incupì e non finì la frase.
«Perché?»
Mario scosse la testa, lo sguardo imbarazzato.
«Dai, scocca la freccia» disse Zl con un ghigno.
«In quella gilda ci siamo stati tutti»
Il ghigno di Zl si sciolse come neve al sole.
«Cosa!?»
«Già. Il governo di Rossia ci ha pagati per venire qui» disse lui prendendo un altro panino.
«Tu… voi siete…» provò a dire Zl, le parole che si ammassavano nella sua bocca.
«Stati in quella gilda in veste di cavie? Sì. Nessuno però ha una storia brutta come quella di Freezer. Io, per esempio, ci sono nato»
«Tu sei nato in quel posto?» chiese Zl, sconvolto.
«Sì. Cioè no. I miei genitori sono morti assassinati da un gruppo di banditi. Loro mi hanno trovato e mi hanno cresciuto, quindi è come se fossi nato lì»
«Stai scherzando»
«No»
«Come puoi essere così normale se hai vissuto lì?» domandò sconvolto.
«Guarda che non sono così cattivi come dice Freezer. È vero, hanno fatto cose orribili, e non hanno mai smesso, ma fanno esperimenti solo su chi gli fa un torto grave»
«Freezer mi ha detto che chiunque falliva nell’esame finale diventava una cavia» disse Zl, confuso.
«Falso. Inoltre Freezer aveva passato ogni limite»
«Freezer non aveva fatto niente di male»
«Tralasciando il fatto che aveva tentato di uccidere il capo della gilda»
Zl sgranò gli occhi.
«Cosa?»
«Lo ha fatto senza motivo o, se aveva uno scopo, non l’ha detto a nessuno. Non è riuscito ad ammazzarlo, ma ha ucciso molte guardie e ha ferito molti innocenti»
«Come ha fatto?» domandò l’altro, incredulo.
«Ha provocato un incendio. Blaterava cose senza senso, era in stato di stato di shock quando lui lo ha fermato»
«Lui chi?»
Mario esitò. Sembrava quasi come se si stesse rimproverando mentalmente per aver detto troppo.
«Un tizio che stava là» disse, cercando di rimanere vago.
«Chi?» chiese Zl, curioso.
 «Era la guardia del capo della gilda, la nostra guida e il nostro insegnante» spiegò Mario.
Zl notò che la sua voce era malinconica e arrabbiata allo stesso tempo.
«E dov’è ora?»
«Sottoterra»
All’espressione sorpresa di Zl scoppiò a ridere.
«Non ti preoccupare, non è morto. Anche se sarebbe meglio se lo fosse»
«Cosa intendi?»
«Intendo che è peggio che morto. Ha cercato di abbandonare la gilda proprio mentre stava per completare una missione molto importante e segreta. Ha abbandonato il lavoro di una vita perché doveva ammazzare un tipo che nemmeno conosceva, e bada che era un sicario da anni. Diceva che qualcosa in lui gli aveva fatto capire che quello che faceva era sbagliato, o qualcosa di simile»
«E perché si trova sottoterra?»
«Perché il capo della gilda non voleva distruggere tutto il lavoro di suo padre più il suo solo per un solo ribelle, quindi sta cercando di estorcergli informazioni. Era molto potente, e conosceva incantesimi necessari per la difesa della gilda che non ha mai voluto condividere ed era lui a controllare Esper. Inoltre il capo è sicuro che gli stia nascondendo qualcosa di grosso. Nessuno si rivolterebbe contro i propri amici così velocemente senza motivo. Non era da lui comportarsi così»
«Chi sono gli Esper?»
«È l’abbreviato di Esperimenti. Sai, quando ti devono chiamare di fretta è molto più comodo dire “Esper” e poi un numero, piuttosto che ricordarsi il tuo nome»
Zl lo guardò, indeciso. Mario aveva ripreso a mangiare, ma ora evitava il suo sguardo. Sembrava molto triste, come se avesse riposto una fiducia assoluta in quel magesco che poi lo aveva tradito. Malgrado tutto ciò, Zl non riusciva a capacitarsi del fatto che qualcuno potesse essere torturato solo perché voleva lasciare il suo lavoro. Infondo, uccidere era sbagliato, e se quel magesco lo aveva capito era solo un bene per lui. Anche se Mario aveva detto che quella gilda non era del tutto malvagia, Zl iniziava a credere che lo dicesse solo perché lui era nato lì. Si chiese distrattamente se la differenza dei punti di vista fra lui e Freezer non derivasse dalla loro provenienza. Freezer gli aveva taciuto dei dettagli molto importanti, ma Zl iniziava a credere che avesse ragione lui e non Mario: chiunque agisse così non poteva avere niente di buono in sé. 
«Forse non… non hai mai pensato che magari non voleva più fare il sicario da tempo? Voglio dire, uccidere non è proprio… bello, ecco. Forse era indeciso se andarsene o no da un bel po’, e magari il tizio che doveva uccidere è stata la cosa che lo ha fatto scegliere» provò a spiegare a Mario. 
Lui lo guardò con un misto di incredulità, confusione ed incertezza. Zl si chiese perché l’amico non ci avesse mai pensato prima.
«Forse» concesse l’amico «Ma allora non capisco… lui non ha mai voluto dirci nemmeno il nome del tizio che aveva scovato. Lo ha nascosto per un sacco di tempo»
«Che c’è di male?»
«Beh, se quel tizio gli ha fatto cambiare idea non vedo perché non avrebbe dovuto presentarcelo. Eravamo suoi amici»
«Forse perché voi non avreste capito. Probabilmente quel tizio gli aveva ricordato qualcosa, o qualcuno di particolare, e magari è stato questo a fargli cambiare idea, quindi deve aver pensato che per voi sarebbe stato solo un magesco normale. Inoltre, se il piano originale era di farlo uccidere, chi gli assicurava che non voi ci avreste provato? Forse non ve lo ha detto per non dovervi combattere. Ci possono essere tantissime ragioni»
Mario sembrò riflettere per un attimo, il volto segnato da un’indecisione senza pari. Ma prima che potesse replicare alcunché, Fiama entrò nella mensa e si avvicinò a loro.
«Scusate se vi interrompo» disse, facendo sobbalzare Mario, che non l’aveva notata.
«Che succede?» chiese, contrariato.
«Per te, nulla» ridacchiò lei, divertita dal suo spavento. «Zl, questo pomeriggio ti allenerai con Rew»
Zl riuscì a malapena ad annuire, sperando di non arrossire per l’imbarazzo. O meglio, annerire, visto che il sangue che scorreva nelle sue vene era nero. Fiama gli sorrise e se ne andò. Il ragazzo espirò sonoramente, come se fosse stato in apnea. Mario lo guardò, l’espressione cupa sostituita da un ghigno divertito.
«Che c’è?» chiese Zl, per niente rassicurato da quell’espressione.
«Oh, niente» disse Mario con voce affabile, fingendo indifferenza. «Ho solo vinto una scommessa»
«Su cosa?»
«Prova ad indovinare» ridacchiò Mario.
Zl guardò lui, poi la porta da dove era uscita Fiama e capì.
«Io…lei…non…» balbettò, imbarazzato come non mai.
«Sì, sì, certo» rise Mario, prendendo un altro panino.
 
Zl entrò nella grande palestra. Un magesco lo attendeva seduto sul bordo del campo, esattamente dove si era seduto Freezer quella mattina. Aveva un fisico atletico come tutti gli Impellerossa, i capelli biondi e gli occhi blu.  Zl notò alcune cicatrici sul suo collo e sulle braccia che sembravano concentrarsi sulla spalla destra, la quale non era visibile a causa della maglietta che indossava.
«Tu devi essere Zl» disse alzandosi.
Zl annuì, nervoso. Questa volta non voleva rovinare tutto come aveva fatto con Freezer, ed era pronto a impegnarsi il più possibile.  Per sua fortuna, il suo nuovo insegnante sembrava molto meno scorbutico del precedente, e aveva un sorriso incoraggiante impossibile da non ricambiare. Zl salì sul campo.
«Io sono Rew, e ti allenerò sui tipi di magia da usare in caso di attacco. Ti insegnerò principalmente barriere, ma anche attacchi ai sistemi nervosi e cure per le ferite»
Zl annuì di nuovo, questa volta più nervosamente. Se non era bravo nell’allenamento fisico, nell’allenamento sulla magia era ancora peggio visto che non era mai riuscito ad utilizzare i suoi poteri. Come se non bastasse, una parte di sé non voleva usare la magia per paura di scatenare di nuovo quella forza che aveva causato la morte del Re.
«Credo che potremmo partire dalle barriere, visto che sono la cosa più utile in battaglia. Per prima cosa, bisogna evocare una sfera di magia»
Detto ciò, come se nulla fosse, aprì il palmo della mano destra e lo rivolse verso l’alto, e subito una sfera di un blu dorato dal diametro di una spanna eruttò dalla sua pelle. Sembrava fatta di fumo condensato, e cambiava continuamente tonalità del colore. Zl sentì una lieve morsa allo stomaco.
«Io non... non so evocare sfere»
Rew lo guardò per un attimo in silenzio, stupito.
«Beh, allora partiamo da quello!» disse, il sorriso rimasto invariato. «Non sei il primo allievo che non riesce a farlo. Ne ho avuti altri tre fin ora»
Zl gli sorrise, anche se dubitava che le sue parole fossero vere.
«Devi focalizzare una sorta di calore all’interno del tuo corpo, devi immaginare di muovere questa forza, di portarla fuori dal tuo corpo attraverso le mani». Fece una pausa e rifletté un attimo. «Ti conviene stare in piedi. Tieni le gambe leggermente divaricate e i piedi paralleli. Schiena dritta»
Mentre parlava, Zl eseguiva, rapido.
«Allarga leggermente le braccia. E chiudi gli occhi»
Osservò la posizione che aveva preso Zl e annuì soddisfatto.
«Ognuno acquista la sua posizione dopo un po’, ma all’inizio è meglio partire così. Ci vuole solo pratica e pazienza» disse sorridendo. Zl ricambiò.
Quell’atmosfera di lavoro giocoso iniziava a metterlo a suo agio.
«Avanti, ora. Non pensare al tempo che impieghi. Abbiamo tutto il pomeriggio libero»
Detto ciò, per solidarietà, si sedette a gambe incrociate, le mani dal palmo rivolto verso l’alto appoggiate inerti alle ginocchia, la schiena non perfettamente dritta e gli occhi chiusi.
Zl esitò, poi chiuse gli occhi anche lui e provò a concentrarsi. Cercò a percepire quella strana forza di cui aveva parlato Rew e a portarla fuori dal corpo, ma qualcosa lo bloccava. Spinse la sua volontà fino allo stremo, ma non funzionò. Il tempo scorreva come se fosse immerso nel miele: a volte scorreva veloce, altre volte era di una lentezza esasperante. Col passare dei minuti il collo iniziò a fargli male, così come le gambe e tutto il corpo provato dal perdurare della posizione. Era appena passata mezz’ora quando sentì qualcuno aprire la porta.
«Silenzio!» disse Rew, scocciato.
«Scusa!» mormorò una voce.
«Che vuoi?» rispose il ragazzo, sempre con un tono molto basso.
«Volevo sapere come va»
«Così così. Ci sta lavorando, ma non ci riesce»
Zl capì che il qualcuno entrato dalla porta era un maschio, probabilmente uno degli Impellerossa che non conosceva. Scrollò la testa e prese fiato. Non poteva restare così. Pensò a cosa gli aveva detto Rew sulle posizioni, sul fatto che ognuno aveva la sua. Decise muoversi quel tanto che gli serviva per placare il dolore al collo. Scosse lievemente le spalle e si bloccò di colpo. Un’energia che fin ora non aveva percepito scorreva nel suo petto, come un fiume d’acqua calda che passava dal fianco sinistro a quello destro, per poi passare fra le scapole, salire sul suo collo e sul suo viso e infine riscendere per la stessa strada. Confuso, si chiese se fosse quella la magia che scorreva in lui. Provò a smuoverla lievemente col pensiero, e sentì un formicolio sulla nuca. Le due voci ammutolirono all’improvviso. Senza rendersene conto, si lasciò andare all’istinto. Lasciò la testa libera di ciondolare sul petto, chiuse le mani e fece ruotare i pugni quanto più gli concedevano i polsi, tanto che li sentì scricchiolare. Una volta fatto il giro completo, aprì le palme. Due sfere nere emersero dalle sue mani: sembravano fumo dentro una bolla di sapone nera, ed erano due volte più grandi di quelle di Rew.
Senza rendersene conto, come se il suo corpo fosse controllato da qualcun altro, mosse le dita e subito le sfere si sciolsero in volute di fumo nerastro e presero ad ingigantirsi, diventando un enorme colonna di fumo silenzioso.
«Però! Mica male!» provò a dire la voce estranea. Ma fu interrotta da un’altra, densa di panico.
«Non parlare! Quello è l’incantesimo del Drak, se ti colpisce ti entra nella mente! Dobbiamo chiamare Freezer, lui è l’unico che può contrastarlo. Credo che Zl non sia cosciente» disse Rew.
«Sei tu che drammatizzi» disse l’altro con un sonoro sbuffo.
«Zitto!» lo rimproverò Rew, la voce densa di panico.
«Oh, andiamo. Sta solo evocando delle sfere di magia, non c’è pericolo»
«Lui non si rende conto di quello che sta succedendo! Non devi farti coinvolgere, se il Drak ci sente…»
«Parli come se fosse vivo…» disse l’altro, ridendo.
Il fumo che si era condensato attorno alla sedia cambiò direzione all’improvviso, trascinandosi verso quel suono chiaro e cristallino.
«Ti ha sentito! Presto, andiamo da Freezer!»
«È solo del fumo, Rew. Guarda» disse l’altro.
Dei passi risuonarono nella stanza, mentre il proprietario della voce si avvicinava al fumo.
«Allontanati!»
La voce sconosciuta lo ignorò, mentre il fumo lo circondava. Zl percepì distrattamente la magia di quella voce, scorreva come fosse sangue. Il fumo vorticò creando un cerchio sempre più stretto attorno alla voce, che si fece esitante.
«Certo che è strano…»
«Scappa, prima che…»
Non terminò la frase che il fumo si raggruppò in una nuvola e attaccò il proprietario della voce.
 
Un grande buco nel terreno. Una vasta pianura circolare. Delle costruzioni indistinte si agitavano sfuocate nell’enorme fossato.
«Ho paura» disse.
«Fai bene ad averla» rispose qualcuno.
Il proprietario della voce si girò, mentre la scena si schiariva lentamente. Il buco era circolare e aveva un diametro di circa venti metri e una profondità di almeno quindici. Delle scale in metallo davanti a lui portavano sul fondo. Sul lato destro del buco, soprelevato rispetto al fondo, c’era un corridoio che portava ad un piccolo spazio coperto da un tetto di pietra e dalla terra circostante. Non aveva la porta e si poteva intravedere un tavolo con sopra dei libri aperti e disordinati. Sotto al corridoio, nella parte più a destra sul fondo del buco, c’era un grande portone di legno.
Il resto della struttura non era visibile da dove si trovava.
«Non dovresti confortarmi? Potrei morire fra poche ore per colpa tua, se non l’hai notato»
L’altro rise. Il proprietario della voce si girò verso di lui per guardarlo male. Era un magesco coperto da un mantello nero dal cappuccio che terminava con un triangolo rovesciato probabilmente situato in corrispondenza col naso. Non riusciva a vedere nulla del magesco, nemmeno le gambe o il petto, come se la notte stessa fosse ricreata sotto quella stoffa, probabilmente il frutto di un incantesimo. Solo una cosa era visibile: un paio di occhi neri come la notte.
 «Se io provassi a consolarti, ci riuscirei? No. Sappiamo entrambi che le probabilità di sopravvivere dipendono dalla tua volontà»
Parlava con una voce graffiante che gelava il sangue nelle vene. Tuttavia il proprietario della voce non ci fece caso.
«Facile per te! Così se mi uccidi puoi dire che non è colpa tua!»
Un vago sorriso illuminò il volto coperto del magesco, un sorriso caldo dai denti bianchi che creavano un curioso contrasto con gli occhi gelidi.
«Beh, il piano è questo» disse.
L’altro fece un verso a metà fra uno sbuffo di esasperazione e una risata.
«Sei di pessima compagnia»
«Chissà perché questa frase mi è famigliare»
Il proprietario della voce rise, una risata nervosa, come di chi sta per affrontare un duro esame e che si lascia andare alle battute più stupide per tirarsi su.
«Non voglio morire» disse poi in tono serio. La scena divenne di nuovo sfuocata, questa volta a causa dei suoi occhi lucidi.
«E chi lo vuole davvero? Affidati alla tua volontà. La paura non ti aiuterà molto»
«Come faccio a non avere paura, me lo spieghi?»
«Non ho detto che non ne devi avere. La devi controllare»
L’altro sbuffò.
Rimasero così per qualche secondo, fino a che non si udì il suono di un corno provenire dal buco circolare. Il ragazzo impallidì e iniziò a respirare più velocemente, come se stesse avendo un attacco di cuore.
Si avvicinarono al bordo del buco. Da lì si vedeva una folla di gente e un grande stemma appeso al muro in fondo: un asterisco con sopra un cuore, il tutto chiuso in un cerchio.
«Ultimo desiderio?» disse la figura. La voce graffiante si marcò di quello che sembrava nervosismo. Ma non era niente in confronto a quello del proprietario della voce che, incredibilmente, sorrise.
«Non toccare il tatuaggio»
 
D’improvviso la terra svanì da sotto i suoi piedi e il suo corpo venne catturato da un enorme tornado. Vide delle immagini confuse: un castello alla sinistra di un grande deserto, un medaglione nero con una grande pietra incastrata nel mezzo, degli occhi neri con le pupille verticali dall’iride blu elettrico, un bastone lungo con una parte a semicerchio alla fine…
E un magesco alto, imponente, le mani macchiate di sangue di tutti i colori, avvolto in un mantello nero indistinto, che copriva completamente il suo corpo, gli occhi neri come una nuvola di pioggia prima di un temporale. Un urlo terrorizzato fuoriuscì dalla sua bocca, mentre l’oscurità lo conquistava.
 
 
 
ANGOLO AUTRICE
Se vi è piaciuto il capitolo, lasciate un voto e un commento! Se mi sfuggono eventuali errori/orrori grammaticali nonostante i miei numerosi controlli, vi pregherei di avvertirmi.
Grazie a tutti e buon fine settimana! 

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Capitolo 9
*** Udinski ***


«Non può essere un caso! Questo spiega tutto, lo hai detto tu stesso che…»
«Non possiamo esserne sicuri, né possiamo mollare tutto ora…»
«Avete la prova che volevate! Non potete continuare a…»
«SILENZIO!» gridò una voce roca.
Le voci si zittirono all’improvviso, anche se numerosi mormorii ripresero quasi subito a consumare il silenzio.
«Continueremo…» disse la voce roca.
«Ma lui ha detto…»
«SO COS’HA DETTO! NON HO INTENZIONE DI MOLLARE PER UNA COSA FUTILE COME QUESTA!» tuonò, ma si interruppe all’improvviso con dei violenti colpi di tosse. Il mormorio riprese, questa volta più alto e definito.
«Continueremo… e non voglio sentire altre lamentele, sono stato chiaro!?»
Il mormorio si chiuse in un silenzio di protesta e rassegnazione.
«Bene…» mormorò la voce roca, «Bene…»
 
Zl si svegliò di soprassalto.
Ansimante e coperto di sudore freddo, guardò attorno a sé. Si trovava nella sua camera, steso sul letto, impossibile dire che ore fossero. Si sedette sulle coperte lentamente, la testa che gli doleva come non mai. Pian piano, a fatica, si trascinò nel bagno barcollando e, senza sapere bene come, si ritrovò a vomitare nel lavandino. Nonostante la mente fosse ancora annebbiata dal brusco risveglio, i suoi pensieri erano invasi di confusione: non capiva come fosse arrivato nella sua stanza, né perché era lì, né quanto ci fosse restato. Ma una domanda in particolare emerse fra tutte le altre: cosa era successo?
Prima che potesse chiedersi altro, appena i conati si fermarono, sentì qualcuno aprire la porta della stanza.
«Zl?» chiese voce.
«Sono qui» disse lui con una strana tonalità roca.
Mario entrò nel bagno con un’espressione confusa che subito sparì alla vista del lavandino. Storcendo il naso per la puzza, lo sorresse e lo aiutò a ritornare a letto.
«Grazie» gracchiò Zl.
«Figurati. Basta che poi pulisca tu» disse Mario con un sorriso preoccupato. Zl sorrise debolmente, mentre il suo stomaco borbottava con violenza, come se fosse pronto a farlo vomitare di nuovo.
«Tutto bene?» chiese Mario, preoccupato.
«Sì, credo. Che cos’è successo? Come sono arrivato qui?»
«Devo farti i miei complimenti, Freezer dice che hai usato poteri molto potenti, incantesimi che nemmeno lui conosce. Sembrava invidioso»
«Che tipo di poteri?»
«Telepatia. Sei un telepatico, anche se Freezer continua ad insistere nel dire che questa parola non esiste. Si dice sakuri, secondo il signor Voi-Siete-Solo-Ignoranti»
Zl ridacchiò piano, cercando di muoversi il meno possibile per non scatenare un altro conato, mentre un senso di terrore e di panico montava dentro di sé peggiorando la situazione. Ancora una volta aveva usato dei poteri a lui sconosciuti, ancora una volta li aveva usati male e ancora una volta non era riuscito a controllarli: sembrava che più fosse deciso a liberarsene più essi lo cogliessero impreparato.
«Mario, credo di… ho un problema» provò a spiegare, «Non riesco a capire cosa mi sta succedendo. Io non ho mai… non sono mai riuscito ad usare poteri così forti, non avrei mai pensato di riuscire a… ad uccidere, e non sono mai entrato nella mente di una persona. Non sono io che controllo questi poteri, Mario, sono loro che controllano me!»
«Che intendi?» chiese Mario, preoccupato e attento.
«Quando ho ucciso il re, quando ho scaraventato Vii contro il muro, io non volevo farlo, ho solo seguito ciò che mi diceva l’istinto»
«Non... cosa intendi per istinto
«Intendo che il giorno prima di attaccare Vii ho sognato questo tizio che mi parlava, e ogni volta che…»
Si bloccò di colpo, come se avesse ricevuto uno schiaffo in faccia.
Il magesco con il mantello nero dei suoi sogni.
Il magesco dei ricordi che aveva appena violato.
Il fatto che non si sentisse padrone del suo corpo quando usava i suoi poteri.
«Devi vomitare di nuovo?» chiese Mario, preoccupato.
«Chi… di chi è la mente in cui sono entrato?»
«Di Cancieco, perché?»
«È un Esper anche lui?»
«Perché ti interessa?» chiese Mario, sospettoso e confuso.
«Viene dalla tua gilda?»
«Sì, e allora?»
«Il vostro maestro, quello che ora è sottoterra… portava un mantello nero? Un mantello a becco d’aquila?»
 Mario lo fissò per una decina di secondi senza parlare, stupefatto. Zl ragionava, i pensieri impazziti. Come era possibile che avesse sognato lo stesso identico magesco che si trovava nei ricordi di uno degli Impellerossa? O meglio, perché? E in che modo questo magesco aveva a che fare con i suoi misteriosi poteri? Ogni volta che li aveva usati si era sentito come se il suo corpo fosse controllato da qualcun altro, ma era davvero così?
«Cosa… cosa sai di lui?» mormorò Mario, incredulo.
«Non… non capisco. Da quando l’ho sognato la mia vita continua a peggiorare. Credevo fossero solo sogni, non pensavo che potessero essere reali. Mi ha detto che avrei avuto bisogno del suo aiuto, prima o poi, e il giorno dopo sono stato espulso. Io credo di averlo chiamato, ma non so come ho fatto, né il perché… Mario, tu ne sai qualcosa? Perché ho sognato il vostro maestro? Che cosa mi sta succedendo?»
«Calmati» borbottò Mario. «Calmati» ripeté, posandogli una mano sulla spalla.
«Pensavo che… non pensavo che avrebbe mai provato a… lui ci perseguita, Zl, mi dispiace, non credevo che avrebbe mai provato a fare una cosa simile, non lo ritenevo capace…»
«A fare cosa?» chiese Zl, terrorizzato.
«A controllarti»
 
«Potrebbe essere, in effetti. Spiegherebbe tante cose» disse Freezer.
Appena Zl era riuscito a mettersi in piedi, era andato insieme a Mario dall’unica persona che poteva chiarire il mistero: Freezer.
Malgrado mancasse più di due ore al pranzo, si erano seduti ad uno dei tavoli della mensa per discutere dell’accaduto.
«È probabile che, in qualche modo, sia riuscito ad evadere dalla prigione solo con il pensiero. Lui era un potente sakuri, usava la telepatia senza nemmeno avere il bisogno di pronunciare incantesimi: potrebbe aver trovato il modo di controllare la mente delle persone. In questo caso, è probabile che abbia provato a cercarci»
«Perché avrebbe dovuto farlo?» chiese Zl, le mani avvolte attorno ad una tazza contenente qualcosa di caldo e verde che gli aveva portato Mario.
«Per vendicarsi, suppongo»
«Sicfrmenfe» disse Mario, masticando un panino, il modo migliore secondo lui di scaricare lo stress.
«Ma perché prova a controllare me? Perché non controllare voi?»
«Semplice: non può. Noi siamo degli Esper, non possiamo essere controllati facilmente. Tu invece sei abbastanza raggiungibile: hai il suo stesso colore, sei un sakuri come lui, quindi hai una mente più invadibile di quelle normali, e sei in contatto con noi. Sei il magesco perfetto» spiegò Freezer.
«E come facciamo a mandarlo via? C’è un modo, vero?»
«Ci deve essere, ma va cercato. Mi servirà tempo, ma ho alcune ricerche che ho portato dalla gilda quando ce ne siamo andati, forse lì posso trovare qualcosa»
«Non preoccuparti» lo interruppe Mario, «Non lasceremo che ti controlli di nuovo. Possiamo aiutarti. Bevi, ti farà bene, tremi come una foglia»
Zl non rispose, spaventato. Non sapeva più cosa peggiorasse di più la sua vita, se il fatto che fosse ricercato o se fosse probabilmente controllato come una marionetta. Malgrado Freezer gli avesse offerto più di una ragione sensata per il quale quel tizio dovesse controllarlo, Zl non riusciva ancora a credergli: era sicuro che quel magesco dal mantello nero cercasse molto di più di un burattino per i suoi scopi, anche se non sapeva bene dire il perché. Tuttavia, anche se l’idea di essere posseduto da un eventuale assassino non lo alettava, una parte di sé non poteva fare a meno di essere sollevata. Infondo, se era stato posseduto, voleva dire che tecnicamente non era stato lui ad uccidere il re, e quindi, in teoria, non era un assassino. Probabilmente era l’unico pensiero che gli impediva di avere una crisi nervosa.
«Per cui ora che facciamo?» chiese Mario a Freezer.
«Aspettiamo. O meglio, voi aspettate, io cerco un modo per tenerlo fuori dalla sua testa. Non abbiamo altra scelta, mi sembra»
«Quanto ci metterai?»
«Non lo so»
Mario sbuffò, irritato, e Freezer gli rispose con uno sguardo di superiorità.
«Posso aiutarti in qualche modo?» si rivolse Mario a Zl, che scosse debolmente la testa.
«Sicuro? Vuoi mangiare qualcosa? Ti preparo un panino?»
Zl scosse di nuovo la testa.
«Lascialo in pace, ha bisogno di riposo, entrare nella mente di una persona non è semplice» disse Freezer.
«Cancieco come sta?» gli chiese Mario.
«Meglio»
«Aspettate, ho fatto male a qualcuno? Credevo di essere solo entrato nei ricordi di Can-coso, non credevo di avergli anche fatto del male» disse Zl.
«Non preoccuparti, si è solo spaventato» spiegò Mario, «Sta bene ora. Comunque, è Cancieco, non Can-coso»
«Che razza di nome è Cancieco?» sbottò Zl, senza riuscire a trattenersi.
«Prima si chiamava Canvier, da tutti chiamato Can. Poi ha perso un occhio durante gli esperimenti, e dall’ora si chiama Can-cieco. Quasi tutti noi abbiamo cambiato nome, dopo essere diventati Esper»
Zl rimase in un silenzio sconvolto per quasi un minuto. Perdere una parte del corpo era cosa rara per i mageschi: nella cultura comune, mutilare qualcuno era un crimine grave in qualsiasi situazione, persino nella guerra o nella tortura, ed era incredibilmente insolito incontrare qualcuno con parti del corpo mancanti. All’improvviso sentì la porta della mensa chiudersi, e capì che Freezer era uscito.
«Anche tu hai cambiato nome?» chiese Zl, cercando di cambiare discorso.
«Non proprio. Io sono nato come Esper, e mi hanno sempre chiamato otto, o numero otto»
«E allora come mai ora ti chiami Mario?»
L’altro non gli rispose, indeciso, ma ad uno sguardo di Zl cedette.
«Lui… mi ha chiamato così il nostro maestro. Diceva che essere chiamati come un numero era come essere trattati da animali. Così mi chiamò Mario. Deriva dal verbo meraze del magesco antico»
«Che cosa significa?» chiese Zl senza riuscire a trattenersi.
«In realtà, il mio nome sarebbe Merio, ma a me non piaceva, quindi lo abbiamo cambiato in Mario»
«Ma cosa vuol dire?»
«Niente di che» mormorò l’altro, scrollando le spalle. Zl notò che aveva gli occhi lucidi.
«E il… il vostro maestro, anche lui era un Esper? Anche lui ha cambiato nome?» domandò velocemente.
«Sì, lui era… lui era l’undicesimo Esper. Aveva un nome, credo, ma non ce l’ha mai detto. Siccome lui si lamentava spesso del fatto che venisse chiamato undici, Il capo della gilda lo chiamava Udinski, il che è molto da ipocriti, visto che Udinski vuol dire comunque Undici in magesco antico» disse con voce amara.
«E non gli dava fastidio?»
«Non lo so. Non credo, in realtà. Sai, l’undici e il venticinque sono considerati i numeri più magici di tutti, per i superstiziosi. E lui era la persona più scaramantica che io conoscessi»
«Ma l’undici non è il numero che porta sfortuna?»
«Guarda dov’è finito adesso» ironizzò Mario «Forse avrebbe dovuto essere più scaramantico»
«Se era l’undicesimo Esper» lo interruppe Zl, confuso «e tu eri l’ottavo, come mai non comandavi tu?»
«Perché tutti gli Esper, dal primo all’ottavo, sono stati cavie dalla nascita, lui era più grande di me e era l’ultimo di noi, e quindi quello più riuscito»
«Ma in cosa consistevano gli esperimenti che vi facevano? E Freezer a che numero corrisponde?»
«Freezer è il decimo. Gli esperimenti erano vari»
«Ma in cosa…»
«Non me lo chiedere» lo interruppe Mario, secco.
Zl non lo aveva mai sentito parlare con quel tono: non era solo rabbia, ma anche… odio? Non riusciva a capirlo, ma sapeva che qualunque cosa fosse doveva essere terribilmente grave, perché Mario aveva smesso di mangiare.
«Zl, ascoltami bene, per favore» gli mormorò d’un tratto Mario, come se non volesse essere sentito, anche se non c’era nessun’altro nella stanza oltre a loro. «Ho bisogno che tu mi dica una cosa, e ti prego di rispondermi con la massima sincerità: quando hai parlato con Udinski, lui come stava? Aveva un medaglione con sé? Un medaglione nero, con una pietra al centro?»
Zl lo guardò sconvolto, senza capire. Una sensazione orribile e sconosciuta si fece strada dentro di sé, come se, per un attimo, Mario si fosse trasformato in uno sconosciuto, uno sconosciuto che sapeva cose di lui che non avrebbe mai dovuto sapere.
«Traditore…» sussurrò una voce nella sua testa, la stessa voce dei suoi sogni.
Fu un attimo.
Un enorme boato spezzò il silenzio della stanza. Tutte le gallerie tremarono, dei pezzi di intonaco e della polvere caddero dal soffitto e una crepa comparve sopra la porta, mentre diverse grida risuonavano per i corridoi.
Mario lo prese per un braccio senza preavviso e lo scaraventò lontano dal tavolo: pochi istanti dopo un enorme masso cadde dal soffitto, spezzando a metà il legno e sbalzando via le panche dove erano seduti fino a pochi momenti prima. Una pioggia di schegge esplose in tutte le direzioni, colpendo le pareti e infiltrandosi nell’enorme cratere che si era aperto nel pavimento.
«CORRI!» gli gridò Mario, trascinandolo a forza verso la porta e aprendola con una spallata.
Il corridoio stava ancora tremando, il soffitto era percorso da innumerevoli crepe che si moltiplicavano come fiumi in piena, il rumore di rocce che si spezzavano era così assordante che risuonava persino nelle loro ossa. Corsero insieme lungo il corridoio, la mano di Mario ancora serrata attorno al braccio dell’amico, come se fosse deciso a non lasciarlo finché non lo avesse portato fuori da quel terremoto che stava distruggendo il loro rifugio. Sbucarono ansimanti nella sala d’ingresso, dove il resto degli Impellerossa si affollava attorno al tombino come uno sciame di insetti impazziti. Mario lo spinse verso le scale con così tanta veemenza da fargli sbattere la testa contro la scala, facendogli perdere l’equilibrio. Una mano sconosciuta corse ad aiutarlo, issandolo sopra la prima botola e guidandolo su per i gradini di ferro.
Finalmente sbucarono alla luce del giorno. Tutti i dodici Impellerossa, esclusi Zl e Mario, avevano i vestiti bruciacchiati e sporchi di cenere e sembravano terribilmente malridotti: molti di loro tossivano, Freezer era chino verso un ragazzo con un’ampia bruciatura sul braccio, Rew vomitava in un angolo: il fumo doveva averli danneggiati molto di più del fuoco.
Ansimando, Zl si guardò intorno, e sentì il cuore pietrificarsi dall’orrore.
«Cos’è successo?» chiese Mario.
«Mario…» provò a chiamarlo Zl.
«Una bomba incendiaria» gracchiò Fiama, appoggiata ad uno dei muri delle locande.
«Mario…»
«Che c’è? Vorrei sapere chi ha lanciato la bomba, Zl, se non ti dispiace» sbottò lui.
Zl indicò la piazza verso il quale si affacciavano le due locande. L’enorme spazio circolare era invaso di soldati vestiti con armature d’un verde splendente con sopra inciso un triangolo, disposti a semicerchio per far passare un magesco sorridente con una corona verde smeraldo sulla testa.
«A questo credo di poter rispondere io» disse Vii.
 
ANGOLO AUTRICE
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
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Buon fine settimana a tutti!

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Capitolo 10
*** Kohu ***


Vii avanzava sorridente fra i suoi soldati che, dopo aver controllato con lo sguardo che nessuna delle Armi dell’Anima degli Impellerossa fosse in grado di ferire a distanza, si erano disposti a semicerchio intorno a lui, pronti ad attaccare.
Era incredibile quanto quello che una volta era il principe fosse cambiato: i capelli ordinati con un taglio corto tipico dei nobili erano ora incolti e pieni di nodi, e sembravano molto più lunghi a causa dell’imponente corona che li schiacciava in ogni direzione. Era vestito con i soliti abiti verdi, ma quanto prima erano stirati e brillanti, tanto più ora erano stropicciati e caotici, il verde chiaro della stoffa era macchiato in più punti e il mantello verde, il simbolo tipico di regalità magesca, era completamente assente.
Dei soldati appostati sul retro delle locande spinsero gli Impellerossa ad avanzare fino a trovarsi a circa cinque metri di distanza dal giovane Re, nel bel mezzo della piazza.
Zl sentiva il cuore battere così forte che si stupì che non gli avesse ancora bucato il petto, la sua gola era secca come mai prima d’ora e aveva le mani umide di sudore freddo. Gli Impellerossa si schierarono spalla a spalla per formare una linea che potesse fronteggiare e respingere eventuali attacchi da parte dei soldati, le spade spianate e pronte a combattere. Zl si avvicinò, senza avere la minima idea di come difendersi o di cosa fare. Sentì distintamente una risata tonante e priva di vera ilarità alla sua destra.
«Ma guarda un po’ chi si rivede, la nostra simpatica celebrità. Come deve essere bello per te l’aver trovato dei degni compagni di crimine, non è vero?» disse il Re.
«Stai zitto» borbottò Fiama dal centro della fila rivolta verso il Verde, senza riuscire a trattenersi.
«Dovrei?» chiese Vii, un’espressione di cortese sorpresa stampata sul suo volto.
«Sì, dovresti» ribatté l’altra, la voce colma d’ira.
«Proprio tu, Fiama» disse il Re scuotendo la testa con un’espressione sarcastica. «Da te mi aspettavo più capacità di giudizio»
«Ammetto di aver fatto vari sbagli, ma non ho rimpianti»
«Immagino di no. Tu hai solo scuse… deve essere comune fra i capitani degli Esper» sussurrò Vii con voce melliflua.
Senza preavviso, uno degli Impellerossa provò a scagliarsi contro il Re, subito trattenuto dagli altri.
«Ripetilo!» urlò Mario, la spada rossa come i suoi capelli abbandonata per terra. «Ripetilo, e ti giuro che ti faccio ingoiare quella corona che ti ritrovi!»
I compagni lo costrinsero ad indietreggiare, e Rew gli sussurrò qualcosa all’orecchio, indicando con piccoli cenni del capo qualcosa fra l’esercito di Vii. Zl guardò nella stessa direzione, ma non vide altro che i soldati. Vii sorrise.
«Gentile da parte tua» disse, «ma temo che l’unico che mangerà metallo qui sarai tu, quando in prigione non avrai altro da fare che rosicchiare le tue catene»
Mario lo guardò con odio, ma questa volta non rispose. Sembrava cercare qualcuno nella folla, il suo sguardo saettava fra i soldati come fosse impazzito.
«Dunque, cosa stavo dicendo? Ah, già… come ti sono sembrate le fogne, assassino?» chiese Vii, guardando Zl con uno sguardo indecifrabile.
«Io non sono un assassino» mormorò Zl, il cuore che batteva forte come non mai e lo stomaco che si rivoltava per il panico.
«La tua ignoranza mi stupisce sempre, lo sai? Per assassino si intende qualcuno che ha ucciso un’altra persona»
«So cosa vuol dire assassino»
«Allora sai anche che lo sei»
«No, è… diverso» disse Zl, la voce che celava a stento un lieve tremito. Non si era mai reso conto di quanto l’uccidere potesse lasciare un solco nella coscienza: era come se avesse una lama costantemente conficcata nella mente, e ogni volta che ci pensava il ricordo lo colpiva con rinnovata violenza. Tuttavia non era davvero un assassino, era stato quell’Udinski ad uccidere il Re, non lui. Strinse i pugni, cercando di aggrapparsi a quel pensiero per trovare coraggio.
«Diverso» ripeté Vii, gli occhi socchiusi rivolti al terreno. «Davvero hai il coraggio di definirlo diverso»
Zl lo fissò con attenzione. Non aveva mai immaginato alla morte del Re come alla morte del padre di Vii, e mai avrebbe pensato che qualcuno malvagio come quel ragazzo che non aveva esitato un istante a gettarlo in uno sgabuzzino per picchiarlo potesse provare sentimenti. Ma era come se, per la prima volta, lo vedesse davvero per ciò che era: un semplice ragazzo vittima del destino, non molto diverso da sé stesso. Ma l’attimo svanì alla vista di tutti coloro che stavano alle sue spalle: Vii non era come lui, il Re era pronto ad ucciderlo.
«Hai ucciso mio padre, Zl. Non meriti di essere considerato innocente» disse il Verde, alzando finalmente gli occhi e guardandolo con odio e ferocia. «Prendeteli!» ordinò.
I soldati si gettarono contro gli Impellerossa, i quali subito reagirono con violenza: ognuno di loro era allenato e addestrato a uno stile d’attacco molto diverso dal solito e tiravano fendenti mirando a qualunque brano di pelle del nemico fosse raggiungibile, a differenza dei soldati verdi i quali, per rispettare la tradizione magesca sul taglio degli arti, miravano solo al petto dei nemici. Zl, non essendo in grado di combattere e non avendo un’arma, aveva fatto l’unica cosa che chiunque altro avrebbe fatto in caso di panico: si era lanciato dietro ai compagni e non combatteva. Era caduto a terra ma, un po’ per lo shock e un po’ per il terrore, non si era rialzato, e guardava impotente il combattimento. Il suo sguardo vagava fra i soldati e i suoi amici, e ogni volta che essi sembravano sul punto di essere colpiti il suo cuore saltava un battito, per poi riprendere a pulsare con più violenza, scandendo il ritmo della sua paura. Presto si accorse che, malgrado la loro forza e la loro esperienza, gli Impellerossa non potevano durare in eterno, e che il cerchio andava pian piano a restringersi. Il primo a cadere fu Freezer: un soldato lo colpì con un fendente al petto, facendogli abbandonare il cerchio con un grido di dolore, e subito il suo posto fu rimpiazzato dagli altri, che si strinsero per compensare la mancanza del compagno. Zl si avvicinò all’Impellerossa caduto, che gemeva lievemente steso a terra, le mani corse a circondare la ferita.
Alla vista del sangue viola che bagnava la strada, una rabbia immensa travolse Zl, e per la prima volta la riconobbe come sconosciuta: un senso di oppressione al petto quasi lo soffocò, mentre la sua forza di volontà si piegava quasi all’istante di fronte a quella ben più potente dell’essere che cercava di controllarlo. Un calore immenso travolse il suo occhio destro, quasi come se un pezzo di metallo ardente avesse improvvisamente deciso di colpirlo. il volto del ragazzo si marcò di una furia senza pari, ben diversa dalla paura che c’era prima.
Udinski si alzò di scatto, e senza esitazione si gettò con un urlo di rabbia contro i soldati. Un’enorme nuvola di fumo nero emerse dalle sue braccia e si schiantò con la violenza di un uragano contro l’esercito, scaraventando via i soldati come foglie perse nel vento. Udinski corse dritto e deciso ad uccidere verso il Re, il quale cadde all’indietro per lo spavento. Ma proprio quando il magesco stava per sferrare il colpo finale, qualcosa di freddo, duro e affilato gli trapassò con violenza il fianco sinistro. Il ragazzo urlò di dolore, il controllo sulla sua mente scomparì rapido come era emerso mentre cadeva a terra con un gemito.
Improvvisamente, Zl sentì la battaglia alle sue spalle cessare e delle armi cadere a terra.
«State bene?» chiese qualcuno.
«Sì, io… sì, sto bene» rispose Vii.
Nella piazza calò un improvviso silenzio rotto solo dai respiri affannosi di Zl. Il ragazzo era rannicchiato a terra con le braccia serrate sul fianco ferito. Non aveva mai provato un dolore simile, e dubitava che sarebbe mai riuscito ad immaginarselo: sentiva lo spazio che la lama aveva creato dentro di sé, la contrazione innaturale dei muscoli attorno alla ferita, la difficoltà improvvisa nel respirare, il battito accelerato del cuore. Se a tutto questo si aggiungeva la sensazione disgustosa del sangue che colava fra le sue dita, non si accorgeva neanche delle lacrime che gli solcavano il viso.
Sentì dei passi, e qualcuno lo rivoltò sulla schiena, costringendolo a guardare in alto. Vii lo contemplava con disprezzo, un piede posato sul suo collo per impedirgli di muovere la testa e evitare il suo sguardo.
«Allora, sentiamo» mormorò piano il Re. «Sei o no un assassino, Zl?»
«No, io… tu non capisci…»
«Ti ostini a mentire, dunque…»
«No, c’è questo tizio, questo Udinski, è lui che mi controlla, non sono io, lo giuro!» provò a gridare Zl, ma la sua voce venne subito smorzata dalla pressione del piede sul suo collo. Per un attimo, fra le lacrime e il dolore, gli sembrò quasi che Vii lanciasse uno strano sguardo agli Impellerossa, ma probabilmente fu solo la sua immaginazione, perché appena batté di nuovo le palpebre trovò lo sguardo del Re puntato su di lui.
«Tu menti…»
«No, io non…»
«Sei solo un bugiardo!» urlò Vii, la rabbia che lo accecava come non mai.
«No! Non sono stato io, è stato lui, lo giuro! Chiediglielo! Chiedilo agli Impellerossa, non sto mentendo!»
«Non vedo perché dovrei fidarmi di…»
«Non sono stato io! Non sono stato io ad uccidere tuo padre, lo giuro!»
Senza dargli la possibilità di parlare ancora, Vii pestò il piede sul fianco ferito, facendolo urlare di dolore, e subito sentì parecchie voci indistinte gridare una protesta. Cercò di liberarsi, con l’unico risultato di ricadere a terra battendo violentemente la testa contro la pietra della piazza. Un fischio acuto lo stordì, talmente forte da affievolire tutto, persino il dolore: innumerevoli puntini blu gli appannarono la vista, i suoi occhi andarono fuori fuoco e sentì distrattamente il contatto del suo viso con il terreno.
Una macchia verde, probabilmente Vii, disse qualcosa che gli parve un urlo soffocato dall’acqua, e subito una macchia bianca apparve dietro al Re, bloccandolo per quello che doveva essere un braccio e dicendo qualcosa di indistinto.
Una sensazione di panico ben diversa da quella che aveva provato fin ora lo travolse come un’ondata d’acqua gelida: il suo respiro si bloccò di colpo, mentre il terrore di Udinski si riversava nella sua mente. D’improvviso, la sua vista si schiarì, e le paure del vecchio maestro degli Impellerossa si avverarono.
Colui che aveva bloccato Vii non era altro che un ragazzo magro e pallido di massimo diciotto anni con vestiti, occhi e capelli d’un bianco assoluto. Ma sulla maglietta candida, in corrispondenza del centro del suo petto, c’era un grande, pesante medaglione circolare in metallo nero ricco di meccanismi interni e con una pietra informe al centro.
«No…» mormorò debolmente Udinski, prendendo di nuovo possesso della mente di Zl.
«Bugiardo! Tu sei un assassino, smettila di mentire e accetta le conseguenze delle tue azioni!» urlò Vii.
Senza riuscire a trattenersi, il Re sferrò un potente calcio al ragazzo, che però parve incassare il colpo senza quasi sentirlo. Il suo sguardo sconvolto era fisso sul ragazzo dai capelli bianchi, come se per lui non esistesse altro.
«Kohu…» sussurrò Udinski, la voce colma di un dolore totalmente diverso e molto più profondo di quello che lambiva il suo fianco. «Kohu, che cosa hai fatto?»
Il ragazzo sgranò gli occhi pallidi, che d’improvviso si riempirono di lacrime. Prima che potesse dire qualcosa, tuttavia, una pietra delle dimensioni di un pugno colpì Vii alla nuca, facendolo cadere a terra incosciente. Il boato di numerose voci che urlavano contemporaneamente emerse fra i soldati, e gli Impellerossa riuscirono a liberarsi dall’esercito. La vista del ragazzo si appannò di nuovo, mentre la sua mente lottava per contrastare Udinski. Sentì qualcosa afferrarlo per le braccia e tirarlo su, e capì che qualcuno lo stava portando via dalla piazza e dai soldati, correndo il più veloce possibile.
«Resisti!» gli gridò Mario. «Andrà tutto bene, resisti!»
Lentamente, Zl cadde nell’incoscienza.
«No! Non puoi farlo! Ti uccideranno!» urlò un ragazzo.
Il magesco lo guardò con dolore, il cappuccio del mantello calato per celare il volto. Non riusciva ad accettare di vederlo legato ad un palo di ferro piantato nel bel mezzo dell’unica stanza di quella catapecchia di legno, ma continuava a ripetersi che lo aveva fatto per il suo bene, che era l’unico modo per accertarsi che lui rimanesse al sicuro.
«Mi dispiace, non mi lasci altra scelta…»
«Hai scelta! Resta qui! Rimani con me, ti prego! Loro ti uccideranno, lo sai!» gridò il ragazzo fra le lacrime, cercando di liberare la mano destra dalla corda che lo bloccava.
«Ascoltami ora. Ascoltami, non abbiamo molto tempo»
Il ragazzo lo guardò singhiozzando, il volto invaso dalle lacrime.
«Ora ti lascerò qui senza slegarti, non posso lasciare che tu mi segua. Questa» disse, mostrando al ragazzo una lima di metallo e posandola sul pavimento, «è la tua via d’uscita. Usala per spezzare la corda come ti ho insegnato, ricordi?»
«Non andare, ti prego, ti uccideranno…» singhiozzò l’altro asciugandosi le lacrime con la mano libera.
Il magesco lo guardò con immenso dolore, ma rimase fermo nei suoi obiettivi: lui doveva rimanere nascosto, doveva rimanere al sicuro. Si alzò, ignorando i tentativi del ragazzo di liberarsi dalla corda.
«No! Torna indietro! Non andare!» gridò appena raggiunse la porta.
Il magesco esitò solo un attimo.
«Perdonami, Kohu» mormorò varcando la soglia della casa.
«Udinski!» gridò il ragazzo, ma ormai sapeva che non sarebbe più tornato.
 
ANGOLO AUTRICE
Ecco il capitolo! Fortunatamente sono riuscita a scriverlo nonostante qualche piccolo contrattempo. Se vi è piaciuto, lasciate un voto e un commento! Se non avete capito qualcosa, non esitate a chiedere.

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Capitolo 11
*** Riabilitazione ***


Il vento gli sferzava il viso.
Si sporse più di quanto fosse prudente per osservare il panorama magnifico. Dall’alta torre dell’immensa cattedrale su cui era accovacciato, l’oscura figura avvolta nel mantello dello stesso colore della notte che lo circondava guardava la grande accozzaglia di alte isole attorno a lui.
Erano molte e ripidissime: sembravano quasi un gigantesco pezzo di terra spezzatosi in dei grossi massi caduti nell’acqua.
Del resto era accaduto più o meno quello, ma era incredibile il fatto che i cittadini non avevano voluto abbandonare la loro città e avevano costruito dei ponti fra un’isola e l’altra collegati grazie alle esili spiagge che spuntavano fra le rocce delle scogliere.
«Vieni» mormorò la figura girandosi lentamente.
Aggrappato ad una delle grandi colonne che formavano un’apertura rettangolare per i due giganteschi cerchi di bronzo che fungevano da campana, c’era un ragazzo sui sedici anni con i capelli bianchi spettinati dal vento e gli occhi serrati dalla paura.
«Non ci vengo! Io ho paura delle altezze, lo sai!» disse, la voce soffocata a causa delle forti raffiche e il viso affondato nella spalla.
La figura ridacchiò.
L’unica cosa visibile del suo volto erano gli occhi freddi e neri, ma si intravedeva anche un sorriso caldo, confortante come un fuoco acceso nel gelo dell’inverno.
«Avanti, ti reggo io. Non ti lascio cadere, tranquillo».
Un occhio sbirciò il panorama, ma appena adocchiata la sporgenza il candido viso divenne lievemente verdognolo, e subito ragazzo scosse violentemente la testa e riseppellì il volto nella spalla.
«No, no, no e ancora no. Io li non ci vengo, Und, non sono così scemo»
La figura assunse un’aria scettica.
«Certo che sei proprio un fifone. E come mi hai chiamato, scusa?»
Il ragazzo lo guardò con aria di sfida.
«Und. Sai, Udinski è troppo lungo e difficile da pronunciare. Und è più rapido»
La figura si accigliò.
«Ud-in-ski…non è difficile…» borbottò. «Avanti vieni, o ti porto qui con la forza, e sai che lo potrei fare» continuò scocciato, alzandosi in equilibrio perfetto sul bordo del campanile nonostante il vento.
«No, dai, per favore!» disse il ragazzo.
Purtroppo le sue proteste servirono a nulla, e Udinski lo trascinò di peso fino al bordo del campanile, costringendolo a sedersi accanto a lui. Il ragazzo tremava violentemente e si tappava gli occhi con le mani.
«Guarda» lo invitò la figura. «Tanto ormai sei qui, tanto vale dare una sbirciata, non credi?».
Il ragazzo tolse lentamente le mani dal viso, ma gli bastò un’occhiata al panorama per dimenticarsi delle vertigini.
«Che ti avevo detto, Kohu?» disse Udinski, soddisfatto.
«È bellissimo» mormorò il ragazzo.
Scrutarono insieme la città addormentata restando in silenzio per qualche minuto.
«Mi prometti una cosa?» chiese Kohu socchiudendo gli occhi.
«Dipende» rispose l’altro, incuriosito.
«Mi prometti di difendermi da loro? Di non tradirmi, come loro vorrebbero fare con te? Di non dimenticarti della nostra amicizia?»
Udinski lo guardò sorpreso. Nessuno gli aveva mai chiesto qualcosa di simile: gli avevano chiesto di uccidere, di torturare, di spiare, di allenare, ma mai qualcuno gli aveva chiesto di essere protetto.
«Certo» disse, «anzi, ti regalo una cosa»
Lentamente, si sfilò dal collo una spessa catenella scura con attaccato un medaglione nero grande come un pugno e ricco di meccanismi interni.
«Cos’è?» chiese Kohu, curioso.
«È il mio medaglione. Custodisce i miei ricordi più preziosi. Se mai mi dovessi dimenticare di questa promessa, mi basterà vederlo per ricordare»
Kohu indossò piano il gioiello, come se fosse qualcosa di estremamente prezioso e delicato.
«Davvero lo vuoi dare a me?» disse il ragazzo, guardandolo negli occhi.
«Sì»
«Davvero davvero?»
«Davvero davvero» disse Udinski, rivolgendo lo sguardo alla notte.
Eppure c’era qualcosa che stonava in quel ricordo felice, come un’ombra che lentamente scoloriva i contorni di un quadro magnifico.
Un grido straziante di dolore emerse nella sua mente, facendolo precipitare verso il basso. Un castello alla sinistra di un grande deserto, un medaglione nero con una grande pietra incastrata nel mezzo, degli occhi neri con le pupille verticali dall’iride blu elettrico, un bastone lungo con una parte a semicerchio alla fine…
Zl si svegliò di soprassalto, trovando un paio di occhi rosso sangue che lo osservavano a pochi centimetri dai suoi.
Urlò per lo spavento, e subito Mario fece lo stesso e cadde all’indietro come se fosse stato colpito da una scossa elettrica. Si trovavano in una piccola tenda circolare costruita con rami secchi ricoperti di erba e fronde, il terreno ricoperto di foglie con sopra un lenzuolo a mo’ di letto su cui si trovava Zl.
«Mi hai fatto prendere un infarto! Che demone hai da urlare?» disse Mario premendosi una mano sul cuore e ansimando rumorosamente.
«Io ti ho fatto prendere un infarto? Si può sapere cos’hai in testa?» ribatté Zl.
L’altro scoppiò a ridere, ignorando i vari e deboli insulti che l’amico continuava a borbottare.
«Come ti senti?» chiese.
«Bene, credo»
Il dolore al fianco sinistro sembrava diminuito, ma la benda che lo fasciava era macchiata di sangue nero. Zl guardò Mario, cercando in lui qualche ferita o qualche livido, ma fu sollevato nel trovarlo illeso.
«Dove siamo?» gli domandò.
«Nella foresta di Verdia. Siamo riusciti a scappare tramite un altro tunnel costruito dai Rossi, ma Vii ha messo una taglia sulle nostre teste, quindi ci muoviamo in continuazione tutte le mattine in modo casuale per non farci trovare. Sei sicuro di stare bene? Sei stato incosciente per tre giorni»
«Tre giorni?»
«Già. Freezer dice che ti stai riprendendo però, quindi non ti devi preoccupare, quel senza-coda di Vii non ti ha lasciato danni gravi» disse con rabbia.
L’altro non ribatté. Dare del senza-coda ad un magesco era l’insulto più grave che esisteva, e malgrado Zl odiasse il Re, non riusciva a ritenerlo tale. Infondo Vii aveva delle ragioni più che buone per cercare di ucciderlo, e chi era lui per contestarle? Avrebbe voluto spiegargli la faccenda di Udinski, di quel capitano che controllava la sua mente e…
«Mario!» esclamò Zl, «è successo di nuovo!»
«Cosa?» chiese l’altro, confuso.
«Mi ha controllato! Ha ucciso tutte quelle persone tramite me! E adesso che cosa faccio? Devo andarmene di qui!»
«Calmati, che stai dicendo?»
«Mario, se Udinski mi può controllare a suo piacimento vuol dire che potrebbe controllarmi per uccidere voi
«Tranquillo, non può, lui…» cercò di rassicurarlo Mario, ma l’amico non lo ascoltò neppure.
«… e ha ucciso tutte quelle persone, non posso più continuare così…»
«Zl…»
«…devo andare via prima che lo faccia di nuovo…»
«Zl…»
«…forse dovrei costituirmi…»
«Zl!» sbottò Mario afferrandolo per le spalle e scuotendolo lievemente per farlo rinsavire senza danneggiare la ferita. «Non dire idiozie, per favore. Freezer è a lavoro per risolvere il problema, ti ha già imposto un sigillo per impedirgli di entrare nella tua mente! Stai tranquillo!»
Zl lo guardò come se fosse appena riuscito a respirare di nuovo dopo una lunga apnea.
«Perché non lo hai detto subito?»
Mario alzò gli occhi al cielo e scosse la testa con un sospiro esasperato.
«Indovina! Comunque non preoccuparti, va bene? Pensa solo a guarire il prima possibile. Quando ti ho visto a terra, nella piazza…» si interruppe per un attimo. «…ho pensato che saresti morto, non hai idea di quanto mi hai spaventato»
«E invece no» disse Zl con un sorriso. «Per tua immensa sfortuna, mi devi ancora sopportare»
Mario ridacchiò lievemente, lo sguardo ancora scosso, ma di meno rispetto a prima. Il suo stomaco borbottò rumorosamente.
«Hai fame?» tirò ad indovinare Zl.
«Non hai idea. Frutta e verdura sono entrambi dei cibi buoni e nutrienti, ma niente batte il pane e il formaggio… quel pane caldo e croccante…con quel bel formaggio morbido…» disse con aria sognante.
Zl scoppiò a ridere.
«Lo sai che prima o poi avrai un’indigestione? Una di quelle che ti fanno passare per sempre la voglia di magiare»
«E allora? Ne sarà valsa la pena. E poi, come faccio ad avere un’indigestione se non mangio nulla? Fiama ci sta facendo razionare il cibo!»
«Prima o poi succederà» disse Zl ridacchiando, «e spero di essere lì a dirti che te lo avevo detto»
«Simpatico da parte tua» rise Mario.
Mentre ridevano entrambi, Freezer entrò nella tenda da un’apertura triangolare che Zl non aveva notato perché nascosta da un telo marrone. Mario si alzò di scatto, come se fosse stato punto da un insetto, e subito il suo sguardo si fece freddo e arrabbiato.
«Ci vediamo dopo» disse brevemente, e senza aggiungere altro uscì.
«Che cosa…?» provò a chiedere Zl, confuso.
Freezer scosse le spalle senza incrociare il suo sguardo.
«Devo controllarti la ferita, puoi sdraiarti per favore?» domandò con voce inespressiva.
L’altro annuì e si stese sul letto. L’Impellerossa posò a terra una valigia di legno, l’aprì e prese un piccolo coltello. Tagliò la benda ed esaminò con attenzione la ferita: era un lungo taglio slabbrato poco sotto la sinistra della cassa toracica, non molto profondo ma gonfio e probabilmente infettato. Prima che Zl potesse dire qualcosa, Freezer chiuse gli occhi e avvicinò le mani al taglio. Una freschezza improvvisa e piacevole fece sparire il dolore dalla ferita, e subito il ragazzo si rilassò sul letto.
«È un incantesimo di guarigione» mormorò Freezer, «presto starai meglio. Ora che sei sveglio lo posso usare senza rischiare effetti collaterali»
Zl non ribatté, conquistato dalla magnifica sensazione. Eppure una cosa continuava a turbarlo: si chiese distrattamente cosa fosse successo fra Freezer e Mario di così grava da non farli nemmeno incrociare lo sguardo. Non era da Mario comportarsi in quel modo, o sì? Che ne sapeva lui dei rapporti fra Freezer e il suo amico? Che avessero litigato da sempre? No, era improbabile, al Covo non sembravano odiarsi. Ma allora cos’era successo?
Non era reso conto del passare del tempo finché Freezer non aveva rimosso le mani dalla ferita senza alcun preavviso, strappandogli un gemito di protesta.
«Starai bene. Ti ho portato la cena, mangia e cerca di dormire. Ci vediamo domani» disse. Poi posò una cesta di legno intrecciato con dentro della frutta vicino al suo letto, in modo da non farlo alzare, e iniziò a spalmare una crema verdastra sul taglio.
Zl guardò la ferita, meravigliato: non presentava più nessuna forma di infezione, il gonfiore era sparito quasi completamente e il tutto era già coperto da un sottile strato di crosta. Freezer finì di bendarlo il prima possibile e uscì portando con se la valigetta.
Rendendosi improvvisamente conto di quanta fame aveva, si gettò sulla frutta, divorandola con voracità. Trovò strano il fatto che non aveva nessun problema ad ingurgitare del cibo dopo tre giorni nel quale non aveva mangiato nulla, ma del resto lui non se ne intendeva di incantesimi curativi, e probabilmente Freezer era molto più bravo della media dei dottori mageschi vista la rapidità con cui aveva disinfettato la sua ferita e trovato un rimedio al problema con Udinski.
Già, Udinski. Cercò di ricordare il sogno che stava facendo quando si era svegliato, ma i dettagli continuavano a sfuggirgli, e più ci ripensava, più dimenticava. Quando, durante l’attacco, era stato controllato non si era reso conto di cosa stava succedendo: vedeva ciò che Udinski gli faceva fare, ma era tutto sfuocato e confuso. Ma del resto era inutile pensarci: Freezer aveva risolto il problema, ora era solo un ricordo passato, ora poteva concentrarsi sugli affari più importanti, prima fra tutti la sua salute.
Visto che nessuno lo venne a trovare e siccome la luce morente indicava che era ormai sera, decise di mettersi a dormire. Si stese sul lenzuolo sopra alle fronde, cercando una posizione comoda e posando il braccio a coprire le orecchie per scoraggiare eventuali formiche. Si coprì poi con una coperta pesante che Freezer aveva scostato per medicarlo e cercò di prender sonno.
Il tempo scorreva lentamente, mentre la notte si infittiva e una fresca aria profumata tipica delle sere d’estate filtrava nella tenda. Zl cercò di rilassare ogni muscolo del suo corpo per favorire il sonno, e prese ad ascoltare ai rumori della foresta per tranquillizzarsi: le chiome degli alberi che si agitavano al vento pigro, l’erba che danzava lievemente, decine di migliaia di insetti che conducevano indisturbati la loro vita…
«È il mio turno di guardia»
«Perché non torni a dormire? Posso fare anche il tuo, non sono stanco»
Zl aprì gli occhi di scatto e subito li richiuse, cercando di non badare alle due voci.
«Non c’è bisogno, posso farlo io, sto bene»
«Come no, e immagino che quelle occhiaie non siano dovute ad Udinski, o sbaglio?»
Zl si girò lievemente per sentire meglio, ogni proposito di dormire ormai abbandonato.
«Non sono affari tuoi» disse Freezer.
«Veramente sì, tempo che lo siano» ribatté Rew.
Freezer sospirò. Zl udì l’erba schiacciarsi, e capì che l’Impellerossa si era seduto.
«Vuoi parlarne?» domandò Rew.
«No» rispose l’altro. Dopo pochi secondi, tuttavia, cedette. «Non riesco a credere che mi abbia mentito. E dire che ho pure cercato di difenderlo»
«Ne sei sicuro?»
«Mi aveva giurato che lo aveva rubato, mi aveva detto che non aveva contatti con quel Demone»
«Forse lo ha rubato davvero»
«Nessuno può rubare Mellion. Stiamo parlando di uno Strumento da Demone, sono come per noi le Armi dell’Anima, non si possono rubare, specialmente se quello Strumento appartiene a Demoren Neri, si dice che fosse un Veggente»
«Non mi fido delle leggende sui Veggenti»
«È comunque impossibile, lo sai. Deve averglielo dato per distruggere la Gilda»
«Non puoi esserne sicuro»
«Quel medaglione è un’arma di distruzione assoluta. Sarebbe bastato usarlo per richiamare Demoren all’interno della Gilda e lui avrebbe ucciso tutti al posto suo»
«Demoren è pur sempre un Demone, nemmeno Udinski era così stupido da fidarsi dei Demoni. Inoltre lo hai sentito mentre lo torturavano, lui non ne sa niente, lo voleva solo per la sua collezione»
 
«Stava mentendo»
«Nessuno può resistere a quel livello di dolore, le barriere inibitorie crollano con i veleni che hanno usato, ce lo ha insegnato lui stesso»
«È proprio perché ce lo ha insegnato che potrebbe aver trovato un modo per contrastarli»
«Ne dubito seriamente»
Zl tese l’orecchio il più possibile, ma i due sembravano essersi zittiti all’improvviso. I rumori della foresta erano tornati i protagonisti della notte, anche se il vento sembrava aver cessato di soffiare. Aveva ormai perso le speranze, quando udì di nuovo qualcuno parlare.
«Anche se Demoren avesse davvero affidato il suo medaglione ad Udinski, ora lo rivorrà indietro, immagino» disse Rew, spezzando il silenzio.
«Temo di sì»
«Come credi che farà? Udinski non è esattamente in grado di parlare, lo sai»
«Lo so, ma una delle regole dei Demoni è di non attaccare i mageschi, quindi non andrà mai direttamente da Udinski a reclamarlo»
«E allora come farà?»
«Entrerà nella sua mente, è ovvio»
«Ma come? Lui è incosciente per la maggior parte del tempo, e Demoren ha conosciuto solo lui, quindi non può sapere dei suoi legami con noi, giusto?»
«Giusto, infatti non cercherà noi, andrà subito da lui utilizzando l’unico ponte disponibile»
Rew inspirò rumorosamente.
«Non vorrai dire che…»
«Sì, Demoren entrerà nella mente di Udinski tramite Zl»
 
ANGOLO AUTRICE
Se vi è piaciuto il capitolo, lasciate una recensione! Se non avete capito qualcosa, non esitate a chiedere!
Come forse avrete capito, la vita di Zl verrà presto stravolta da un altro temibile personaggio: un Demone chiamato Demoren che farà a breve la sua comparsa fra pochi capitoli, per cui questa volta vi lascio con un consiglio: iniziate a prepararvi psicologicamente! 

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Capitolo 12
*** Patto ***


«…potrebbe venire a cercarci! Non stiamo parlando di…»
«Dobbiamo nasconderci!»
«Ci ha già avvertiti una volta, non aspetterà altro…»
«SILENZIO!» tuonò una voce roca, e subito le grida spaventate si zittirono. «Non scordatevi perché siamo qui. Non ha importanza se qualche stupido idiota ci minaccia così, noi…»
«Ci ucciderà! Ci ucciderà tutti, lo vuoi capire o no?» urlò qualcuno.
«Non possiamo aspettare che ci venga a prendere!» sbottò un altro.
«Ho detto SILENZIO, per gli Dei! Che cosa ne sapete voi? Non verrà, ne sono sicuro!» ribatté la voce roca con rabbia.
«Hai delle prove? È venuto ieri a minacciarci, non vedo perché non…»
«Sì, ho delle prove: lui vuole quel maledetto affare, ma ho già provveduto a tutto»
«Che intendi?»
«Gli ho detto ciò che già sapeva: che è stato rubato. Non gli ho detto che è in nostro possesso, non…»
«Sei impazzito? Se dovesse scoprirlo…»
«Non lo farà. Non può utilizzare i suoi poteri senza il medaglione, non è un Veggente senza di esso. È solo un Demone spaventato, disarmato e debole».
Tutti si zittirono per qualche secondo.
«Ma…» provò a dire qualcuno.
«Non accetterò altre contestazioni» lo interruppe la voce roca, «Tornate a lavorare. SUBITO!»
 
 
«Sveglia!»
Zl si raddrizzò di soprassalto, andando a sbattere contro il fragile e spinoso tetto di foglie.
«Muoversi, Impellerossa! L’esercito si sta dirigendo verso ovest, dobbiamo spostarci anche noi o ci scopriranno!» annunciò Fiama.
Zl si passò una mano sul viso, cercando di ignorare il dolore al fianco sinistro, ridestato dal brusco risveglio. Aveva dormito un sonno agitato, vinto dalla stanchezza e dal torpore, ma tuttavia si sentiva stranamente attento: quella notte aveva pensato e ripensato alla discussione fra Freezer e Rew, e stranamente non si sentiva molto scosso. Infondo, se Freezer aveva trovato un modo per bandire Udinski dalla sua mente, perché non poteva farlo anche con un Demone? Inoltre anche se ipoteticamente questo Demone riuscisse a usare la sua mente come ponte, come aveva detto Freezer, non significava necessariamente che lo avrebbe danneggiato, no? Anzi, se fosse riuscito a liberarlo una volta per tutte da Udinski, chi era lui per contestarlo? Probabilmente lo avrebbe dovuto solo ringraziare.
Eppure… c’era qualcosa che lo manteneva inquieto, anche se non riusciva a capire cosa. Continuava a ripensare alla conversazione, ma la sua teoria non sembrava cedere, ma anzi andava rafforzandosi sempre di più. Forse era solo il modo in cui aveva reagito Rew, o l’adrenalina del momento a farlo sentire così. Eppure…
«’Giorno» borbottò Mario entrando nella tenda.
«Ciao» rispose Zl, distolto dai suoi pensieri.
«Credi di riuscire a camminare?» chiese l’amico porgendogli una piccola ciotola piena di bacche rosse.
«Penso di sì»
«Perfetto, cambiati allora, partiamo fra una decina di minuti»
«Va tutto bene?» chiese Zl, preoccupato.
«Sì, sì… abbastanza» borbottò Mario uscendo dalla tenda.
L’altro rimase ad osservare il punto in cui era sparito. Non era normale per Mario essere così taciturno, e questa volta Zl era quasi sicuro che il suo malumore non fosse influenzato dalla mancanza del pane e formaggio, o perlomeno non completamente.
Si alzò con cautela e si cambiò, e notò con sollievo che la ferita andava di bene in meglio grazie alle cure di Freezer: gli faceva male solo se si muoveva bruscamente o se piegava troppo la schiena. Uscì dalla tenda e trovò Mario accovacciato a terra con un grosso sacco e un telo vuoto ai suoi piedi. Senza preavviso, evocò la sua spada e, con un fendente preciso e sicuro, fece crollare la tenda. Prese poi a lanciare i rami sopra il piccolo telo quadrato e infine lo chiuse con una corda e se lo issò in spalla insieme all’altro, probabilmente contenente i resti della sua tenda.
«Cosa…?» provò a domandare Zl.
«Sarebbe sospetto trovare i resti di dodici tende in una radura sperduta della Foresta di Verdia, non credi? Ognuno prende i resti della legna della propria tenda e li riutilizza. Quando sono troppo consumati o malridotti, li bruciamo e ci cuciniamo sopra, oppure li nascondiamo sopra gli alberi, in modo che sembrino solo dei normali rami secchi»
«Beh, allora dammi il mio» disse Zl, cercando di prendere il sacco che Mario teneva sopra le spalle, ma l’amico fece un passo indietro ridacchiando.
«Non saresti in grado di portarlo, sarà già tanto se riuscirai a camminare per tutta la mattinata. Non ti preoccupare»
«Ma…»
Mario gli fece segno di stare in silenzio e seguì la comitiva nella foresta. Il bosco di Verdia era incantevole: enormi alberi dagli alti tronchi massicci sfociavano in dei giganteschi rami quasi orizzontali, i quali formavano un cerchio perfetto simile ad un enorme fiore legnoso sospeso a dieci metri da terra. Le foglie secche d’un verde scuro meraviglioso scricchiolavano al loro passaggio. *(nel Mondo della Magia le foglie secche cambiano colore a seconda della foresta in cui si trovano, ma non diventano quasi mai marroni come quelle a cui siamo abituati noi)*
Dopo qualche ora di camminata, Zl iniziò a rendersi conto di cosa intendeva Mario: più il tempo passava, più il suo fianco iniziava a protestare lanciandogli fitte di dolore costanti e facendolo diventare sempre più goffo, il che era un problema abbastanza rilevante considerando che la foresta di Verdia non era facile da attraversare a causa dei tanti massi nascosti sotto le foglie. Per sua fortuna, Mario era sempre accanto a lui per aiutarlo, e già due volte lo aveva preso al volo prima che cadesse.
«Grazie» disse Zl dopo che l’amico ebbe sventato l’ennesima caduta.
«Figurati. Cerca di camminare dove vedi un po’ di fango, vuol dire che sotto c’è la terra»
«Grazie» ripeté Zl.
Non passarono che pochi minuti quando Zl cadde di nuovo, ma questa volta Mario non riuscì ad afferrarlo in tempo.
«Tutto bene?» gli chiese Mario, aiutandolo a rimettersi dritto.
«Sì, io… bene, sì… certo…» ansimò Zl, cercando di ignorare il dolore al fianco che si era risvegliato più feroce che mai, deciso a mozzargli il respiro. Quasi non si era accorto che Freezer si era avvicinato.
«Stai sanguinando» disse, «è meglio se ci fermiamo per un po’, appena ti senti meglio ripartiamo»
«No» lo interruppe Mario, «è ferito, dobbiamo fermarci qui per la notte»
«Non possiamo fermarci qui, abbiamo fatto al massimo centottanta qyrie!» *(circa diciotto chilometri)*
«Non ha importanza, lui…»
«Mario, posso farcela, non è un problema, davvero…» provò a mentire Zl.
«Come no, e io sono un Lõm» ribatté Mario alzando gli occhi al cielo.
«Basta così» li interruppe Fiama, «ci fermeremo qui per la notte».
«Ma Capitano…» provò a protestare Freezer.
«È meglio così» lo zittì lei.
«Ehm… Capitano, io posso tranquillamente procedere, non è un problema, davvero, io…» provò a dire Zl, ma si zittì meravigliato quando lei gli sorrise.
«Non ne dubito» disse lei con gentilezza, accovacciandosi accanto a lui. Prese un fazzoletto dalla tasca e lo posò con delicatezza sulla ferita per tamponare quel poco di sangue che fuoriusciva dalle bende. «Ma è meglio non rischiare. Inoltre questo è proprio un bel posto, ho già notato tre o quattro alberi da frutto»
Zl gli rispose con un sorriso automatico che lei ricambiò con altrettanta naturalezza. Poi si alzò e iniziò ad impartire ordini agli Impellerossa, e Freezer si allontanò con rabbia.
«Stai sorridendo come un ebete» gli disse Mario, aiutandolo ad appoggiarsi ad un albero.
«Cosa?» chiese Zl, perso tra i suoi pensieri.
Mario alzò gli occhi al cielo e lo ignorò.
«Aspetta qui, vado a chiamare Freezer»
Zl lo osservò posare i sacchi della legna e sparire fra gli alberi. Prese piano il fazzoletto che gli aveva dato Fiama: era rosso e morbido al tatto, probabilmente era stato tessuto con delle stoffe molto pregiate e resistenti. Notò che un angolo era già stato macchiato molto tempo prima, e probabilmente qualunque cosa lo avesse sporcato non era rimovibile, perché attorno alla macchia c’erano vari segni di un tentativo di smacchiatura che doveva essere risultato inefficace. Confuso, Zl lo prese fra le mani e lo osservò meglio. Notò con stupore che le macchie che aveva lasciato il suo sangue assomigliavano molto a quelle già impresse sul fazzoletto, e più il sangue si seccava, più i due colori sembravano simili.
Freezer sbucò dalla foresta con la sua valigetta da medico in mano, riscuotendolo dai suoi pensieri. Istintivamente, appena l’Impellerossa fu a solo un metro di distanza, Zl strinse il pugno per nascondere il fazzoletto. L’altro non ci fece caso e iniziò a medicarlo come il giorno prima, in silenzio e senza dargli nemmeno un cenno di intesa. Passò quasi un’ora a curarlo senza parlare, e piano piano Zl incominciò ad assopirsi, fino ad addormentarsi davvero.
«Così questo è ciò che rimane di te…» mormorò una voce. Era cupa e profonda, fredda come il ghiaccio.
Nessuno rispose. Lentamente, del vento iniziò a soffiare, prima piano, poi sempre più forte: agitava delle fronde invisibili, come se fosse deciso a farle danzare fino a che non si spezzassero e venissero inghiottite dal buio.
«Oremun Udinski, caine iqu» pronunciò la voce, e subito il buio si schiarì.
I suoi occhi si aprirono, e osservò il luogo in cui si trovava con nostalgia. Un grande castello nero con tre torri, ognuna contenente due dischi di metallo a mo’ di campane in cima, un enorme portone d’ebano e metallo, un deserto vasto come l’oceano che si stendeva a perdita d’occhio alla destra dell’edificio, in contrasto con la foresta non più piccola alla sua sinistra.
«Cosa vuoi?» disse Udinski.
Gli bastò pronunciare queste parole per dare coscienza a Zl. Improvvisamente, il ragazzo capì che Udinski lo stava possedendo di nuovo, e che il luogo nella quale si trovava non era reale, ma era un sogno. Terrorizzato, cercò di lottare per la supremazia del suo corpo contro Udinski, il quale cadde a terra in ginocchio, ma non perse il controllo.
«Vedo che hai grandi problemi persino difronte ad un incantesimo debole come quello di Freezer. Mi fai quasi pena» disse la voce.
Udinski sollevò a fatica gli occhi, incrociando lo sguardo del Demone. Aveva l’aspetto di un magesco di non più di venticinque anni dagli occhi e i capelli neri, il viso affilato e pallido con delle occhiaie non poco evidenti che marcavano con violenza gli occhi, vestito in modo quasi identico a lui, con delle tipiche scarpe e pantaloni neri da magesco e una maglietta con le stesse strane cinture della sua. Ma c’erano dei piccoli dettagli che facevano intuire la sua vera natura: i capelli neri tagliati corti erano ritti sulla testa, come se una calamita invisibile li costringesse ad andare verso il cielo, gli occhi neri erano troppo scuri, simili a dei buchi che non riflettevano alcuna luce, come se il bianco della cornea fosse opaco. Come se non bastasse, le braccia erano riempite da innumerevoli cicatrici, e non serviva un esperto militare per riconoscere in esse i segni della tortura.
«Fatti gli affari tuoi» sbottò Udinski.
«Li sto facendo. Mi hai rubato una cosa molto importante, e sono disposto ad uccidere per riaverla, lo sai» disse Demoren con ira.
Zl notò che, nonostante la sua rabbia evidente, non aveva alzato la voce, ma anzi l’aveva abbassata, il suo corpo si era teso lievemente all’indietro, probabilmente per un riflesso automatico. Per un attimo, pensò che avesse paura: infondo si trovava davanti al maestro di tutti gli Esper, a colui che era stato persino rinchiuso e torturato per la sua potenza. Ma dopo pochi istanti realizzò che aveva commesso un grave errore: non era una creatura impaurita ed insicura, ma una bestia potente pronta a sbranarlo. Udinski scoppiò a ridere.
«Fai del tuo peggio» disse, «tanto ormai non mi è rimasto più nulla. Hai ragione, non riesco nemmeno a contrastare un incantesimo di Freezer. Sono diventato debole»
Demoren inclinò lievemente il capo verso sinistra e lo fissò per una decina di secondi abbondanti, senza distogliere lo sguardo e senza muoversi.
«Hai ragione» disse poi in modo lento e controllato, «uccidendoti ti farei solo un favore…»
«Puoi sempre farmi un altro favore, un favore che mi permetterà di ridarti il medaglione» disse Udinski, cercando di fare il sorriso schietto e furbo che sfoderava sempre durante le trattative. Ma ormai era stato portato oltre il suo limite di sopportazione: qualunque cosa gli avessero fatto lo aveva distrutto a tal punto da fargli fare qualsiasi cosa pur di tornare com’era prima. Dovette intuirlo anche Demoren, che sorrise in modo freddo, gli occhi che lasciavano intuire la velocità con cui poteva ucciderlo e il controllo che aveva della situazione. Ma la sua coda si agitò lievemente, simbolo di crescente curiosità. Zl capì che Udinski doveva aver puntato sul mistero, sapendo che il Demone non avrebbe saputo resistere.
«Un favore, dici? Che tipo di favore potrebbe farmi riavere il mio medaglione se non quello di ucciderti e prendermelo con la forza…» disse Demoren con voce melliflua.
«Ho anche il tuo mantello, ricordi? Il mantello che ti ha regalato il tuo maestro, l’unico regalo che hai ricevuto per il tuo ultimo compleanno, prima che smettessi di invecchiare… lo so che lo vuoi…e io sono l’unico che può trovarlo…» disse velocemente Udinski, mentre il terrore lo conquistava. Tuttavia doveva aver toccato il tasto giusto, perché la coda del Demone diede un altro guizzo improvviso.
«Il mio mantello, già… maledetto ladro…»
«Te lo restituirò, il mantello e il medaglione! E ti darò anche… anche…»
«Ho già tutto quello che voglio, è inutile…»
«Ti servirò in eterno! Eseguirò tutti i tuoi ordini, io…»
«Non mi interessa…»
«Ti darò soldi, fama e potere, sai che posso far…»
«Non ne ho bisogno…»
«Ti darò il Bastone! Il Bastone di Creor!»
Questa volta Demoren si zittì all’improvviso, socchiuse gli occhi e la sua coda si fermò in aria.
«Il… Bastone, dici? Non è più mio, non come lo era anni fa… è un’anima spezzata, non posso usarla…» mormorò lentamente, ma questa volta non sembrava più esser sicuro delle sue parole.
«Non hai mai provato, ti giuro che te lo darò! Ritornerà tuo, come se non lo avessi mai perso, e con il suo potere potrai tornare ad essere un Angelo, come hai sempre voluto!»
Demoren sembrò soppesare l’offerta, il viso marcato dall’indecisione.
«E se non funzionerà» gridò Udinski in preda alla disperazione, «potrai venderlo a chiunque vorrai, o portarlo al Re dei Demoni per farti riammettere ad Inferia!»
Demoren lo guardò per almeno mezzo minuto senza cambiare espressione.
«Se ipoteticamente io accettassi… cosa vorresti che faccia?» chiese lentamente.
«Dammi un modo per spezzare l’incantesimo di Freezer» disse Udinski, la voce colma di speranza, «e appena mi libererò ti darò tutto, lo giuro!»
Con un impeto di terrore, Zl riprese per un attimo il controllo del suo corpo.
«No! Non lo fare, è un assassino, lui…» provò a dire, ma non riuscì a completare la frase che venne di nuovo zittito dalla potenza dell’Esper. Demoren lo guardò negli occhi con volto inespressivo, ma i suoi occhi sembravano quasi riflettere i tanti ingranaggi in movimento dentro la sua testa.
«Ti aiuterò, ma non come vuoi tu» disse infine.
«Cosa?» chiese Udinski, sconcertato.
«Farò in modo che tu possa parlare con il ragazzo, ma non spezzerò l’incantesimo. Quando lo vorrà, potrà zittirti, e non potrai possederlo»
«Ma così non riuscirò mai a…»
«Non lascerò che tu uccida una persona innocente. Ho già versato abbastanza sangue negli ultimi tempi, e il ragazzo non ha colpa. Tuttavia, se non riuscirai a liberarti in meno di un mese, ti ucciderò. Se farai del male al ragazzo, ti ucciderò. Se il ragazzo sarà in pericolo di vita per condizioni che tu non potrai controllare, farò ciò che posso per salvare lui, ma non te. Se il tuo vecchio amico si farà vivo mentre tu stai possedendo il ragazzo, ti caccerò. Chiaro?»
Udinski rimase per un attimo senza parole. Poi abbassò la testa con rabbia e mormorò un assenso.
«Perfetto, allora direi di cominciare. Dovresti svegliarti il prima possibile»
«Perché?»
«Perché rischi di andare a fuoco»
 
Zl si alzò di scatto, la mente ancora attorcigliata alle ultime parole del Demone. Davanti a lui, tutto era in fiamme: gli alberi erano diventati delle enormi torce roventi, alcuni tronchi erano caduti, le foglie che erano a terra erano diventate un oceano di fiamme danzanti. Ma il peggio era il fumo: era ovunque, oscurava la vista e gli bruciava i polmoni, facendolo tossire ripetutamente. Senza pensare nemmeno un attimo a ciò che faceva, corse nell’unica direzione dove il fuoco non aveva attecchito, ma le sue gambe si bloccarono poco dopo per il terrore.
«È una trappola» gli sussurrò Udinski nell’orecchio, e probabilmente Zl avrebbe urlato per lo spavento se il fumo gliene avesse dato la possibilità. «Vii vuole attirarvi laggiù. Conosco questo posto, c’è un fiume qui vicino, se riesci a raggiungerlo puoi nuotare fino al punto in cui hanno tagliato gli alberi per non far propagare le fiamme. Da lì sarai al sicuro»
Non aveva scelta. Zl corse per la foresta, cercando di seguire le indicazioni dell’Esper. Finalmente scorse l’acqua, e vi si buttò all’interno senza neanche pensarci. Questo fu il suo grande errore: la corrente era troppo forte per lui, e tra il dolore al fianco e la confusione creata dal fumo non riusciva a tenersi stabilmente a galla.
«Attento!» gridò Udinski nella sua mente.
Zl non fece in tempo a capire di cosa parlava che cadde dal ciglio di un’enorme cascata e svenne.
 
ANGOLO AUTRICE
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Capitolo 13
*** Addestramente ***


Zl si guardò intorno. Era buio, non c’era nessun rumore, e in qualche modo capì di trovarsi in un sogno. Tuttavia era strano: lui si sentiva perfettamente sveglio, e sapeva che, se si fosse mosso, il buio si sarebbe dissolto. Notò che nell’oscurità galleggiavano delle sfere luminose simili a delle dense bolle di sapone, tutte di diversa forma e colore. Galleggiavano nel buio: la maggior parte erano rinchiuse in delle catene ancorate ad un grande cubo di metallo qualche metro sotto di lui, alcune invece navigavano isolate. Senza muoversi, Zl ne osservò una in particolare: era grande quanto un pugno chiuso, ed era colorata da un lato con tutte le sfumature del giallo e del verde, e dall’altro di tutte quelle del grigio e del nero. Senza fare rumore, la bolla urtò il ragazzo, rischiarando il buio con la sua luce.
“Sono ricordi” fu l’ultimo pensiero di Zl.
 
«No, smettila di chiedermelo…» disse una voce lievemente scocciata.
«La prego! Solo un minuto, poi glielo lo ridarò, promesso!»
Si trovavano in una foresta ricca di alberi, tutti con un grande tronco scuro i cui rami robusti esplodevano a poco più di due metri d’altezza da terra, somigliando vagamente ad una mano dalle tante dita rivolte verso il cielo. A terra non c’erano foglie secche, ma solo un grande prato ricco di fiori, dove tanti piccoli insetti camminavano indisturbati. Davanti a lui c’era una persona seduta a terra, coperta interamente da un mantello nero a becco d’aquila, la schiena appoggiata ad uno dei tronchi: ricordava molto un predatore a riposo, di quelli che restano sempre pronti a scattare. Stava frugando dentro uno zaino riempito di libri, quaderni e fogli disordinati.
«Per favore, solo un minuto!» chiese di nuovo.
«No, smettila, non se ne parla nemmeno» disse l’altro in tono fermo, sollevando gli occhi neri simili a dei tunnel spalancati sul buio completo.
«Dai, Maestro, una volta sola…!»
«Stiamo parlando del mio mantello, non di un giocattolo. È pieno di incantesimi, non è progettato per altri eccetto me. Non dovresti nemmeno pensare di chiedermelo, Udinski…»
«Andiamo, solo una volta, le giuro che poi la lascerò in pace!»
L’altro alzò gli occhi al cielo.
«E sia! Ma non me lo chiedere mai più, chiaro?»
«Chiarissimo!» disse Udinski scattando in piedi, euforico come non mai.
«Quanto ti odio, a volte…» borbottò l’altro, slacciando la catenella del mantello.
Demoren lo osservò, visibilmente scocciato, il mantello stretto nella mano destra. Era completamente nero, tranne per una catenella argentata e una fibbia circolare ad incastro con sopra inciso un simbolo: due cerchi consecutivi, entrambi chiusi in un cerchio, quasi come un unico tratto disegnato da un bambino. Udinski provò ad afferrarlo, ma Demoren lo bloccò.
«Stai fermo, te lo metto io. Riconosce solo me come padrone, se tu lo toccassi quando è slacciato ti scaglierebbe via» disse.
Udinski si immobilizzò, il sorriso stampato sul viso e le braccia lungo i fianchi. Demoren gli sistemò la stoffa sulle spalle, ma non chiuse la catenella e non gli mise il cappuccio.
«Sai» disse esitante, il viso improvvisamente preoccupato, «non credo che sia una buona idea. Questo mantello è un contenitore di sensazioni e sentimenti, ed è progettato per le mie emozioni. Potrebbe farti del male, non so se…»
«Ha detto di sì, prima!» ribatté Udinski, indignato. «Non si vorrà rimangiare la parola, spero!»
Demoren alzò di nuovo gli occhi al cielo, ma rimase preoccupato.
«Sei sicuro?»
«Assolutamente sì»
Il Demone esitò un’ultima volta, poi chiuse la fibbia con uno scatto. Il cappuccio si mosse a coprire il viso del ragazzo, il quale improvvisamente venne coperto da una coltre d’oscurità che lasciava visibile solo gli occhi, frutto degli incantesimi impressi nella stoffa. Udinski si agitò lievemente per assaporare meglio quel momento.
«È proprio comodo» disse «è lievemente caldo, ma non troppo come tutti gli altri. L’incantesimo d’oscurità funziona?»
«Sì» rispose Demoren, preoccupato. «Sicuro di stare bene?»
«Sì, stia tranquillo, non sento niente di…»
La voce del ragazzo si interruppe di colpo, così come il suo respiro. I suoi occhi si chiusero improvvisamente, il suo viso si spianò.
«Udinski?» chiese Demoren, confuso.
Il ragazzo non rispose. Sul suo occhio destro iniziò a brillare un cerchio, poi apparvero delle linee, mentre pian piano un simbolo si delineava sempre di più, ingigantendosi sul viso.
«Udinski!» gridò il Demone, cercando di slacciare la fibbia, ma un lampo di luce nera lo scaraventò a metri e metri di distanza, finché un albero non bloccò la sua corsa con uno schianto.
L’Esper rise, il tono felice e spensierato divenne improvvisamente feroce e crudele, il viso venne coperto ancora di più dall’ombra, i suoi occhi diventarono gelidi e inespressivi, mentre sul lato destro del viso brillava un asterisco con sopra un cuore.
 
Zl tossì violentemente.
Per un attimo non riuscì a capire dove fosse, poi finalmente alzò la testa e si guardò intorno. Era accasciato sulla riva del fiume, le gambe e la coda ancora immerse nell’acqua e il fianco dolorante. Gli sembrava che qualcuno gli avesse preso la testa a martellate, i suoi muscoli erano stanchi come se avesse nuotato per ore.
«Più o meno» disse una voce nella sua testa.
Questa volta non c’era il fumo ad impedirglielo, e Zl gridò di spavento, togliendo di scatto le gambe dall’acqua e rimettendosi in piedi. Girò su sé stesso, cercando di capire chi gli avesse parlato.
«Sono nella tua testa, idiota» ringhiò Udinski.
Zl soffocò a fatica un altro grido e guardò alla sua destra. Era sicuro che la voce provenisse da lì, eppure non c’era nessuno. Si girò di nuovo dall’altra parte, anche se sapeva che era inutile.
«Quando hai finito, avvertimi»
Zl deglutì e strinse i pugni, cercando di farsi coraggio, anche se gran parte di sé voleva girarsi di nuovo.
«C-che cosa vuoi?» provò a dire, ma la sua voce era talmente debole e acuta da sembrare il rumore della gomma strofinata al metallo.
«Ne abbiamo di lavoro da fare…» sospirò Udinski.
«Vai via» provò di nuovo Zl, ma la sua voce somigliava sempre di più ad uno squittio.
«Non ho intenzione di ripetere le cose due volte, quindi chiariamoci bene. Tu non piaci a me, io non piaccio a te, tuttavia siamo costretti a collaborare per colpa di Demoren, quindi smettila da subito di fare il bambino, perché mi irriti»
Zl non rispose, terrorizzato.
«Ora» continuò l’Esper, «gli Impelle-cosi si sono fatti catturare come degli idioti, ma sono sicuro che Vii non li ucciderà subito, perché vorrà sapere dove sei tu, o meglio, dove siamo noi»
«Non… cosa intendi con subito? Intendi che li ucciderà?»
«No, perché dovrebbe farlo?» disse Udinski, sarcastico.
«Dobbiamo aiutarli! Sai dove si trovano?» domandò Zl in preda al terrore.
«Naturalmente, ma non ti lascerò andare da loro senza prima ricevere un minimo di allenamento»
«Ma sono in pericolo!»
«E quindi? Non è colpa mia se sono ricercati»
«Ma verranno torturati! Dobbiamo aiutarli, sono anche amici tuoi!»
Una fitta alla testa lo zittì quasi immediatamente, facendolo cadere a terra, mentre la rabbia dell’Esper gli invadeva la mente.
«Chiariamo una cosa» tuonò Udinski, «quelli NON sono miei amici. A me NON importa se vengono torturati. Francamente, se lo meriterebbero per quello che hanno fatto, sono solo dei traditori, dei bugiardi, degli ingrati, ed è solo un bene che ti stiano lontano!»
Zl si tappò le orecchie con le mani, mentre la disperazione e la paura davano forma ad una nuova rabbia dentro di sé.
«Loro non hanno fatto niente di male! Mi hanno salvato da Vii, mi hanno dato un posto dove stare, sono delle brave persone, non hai il diritto di parlare così solo perché hai fatto il doppiogiochista!»
«Io avrei fatto il doppiogiochista? Loro hanno tradito me! Loro non hanno voluto ascoltare le mie spiegazioni! Loro non mi hanno creduto! Hanno preferito consegnarmi al nemico, piuttosto che aiutarmi! Non meritano di essere considerati amici! Non meritano di restare in libertà!»
Zl si zittì, ammutolito. Improvvisamente, tutta la sua rabbia svaporò, così come gran parte della sua paura, mentre dento di sé nasceva un nuovo dubbio.
«Tu non… tu non li hai traditi?» chiese, allibito.
«No, certo che no, perché avrei dovuto? Non volevo fare nulla di male, volevo solo smettere di uccidere. È un crimine, ora? Visto come sono ridotto, direi di sì. Inoltre, anche se avessi voluto mentire, non ci sarei mai riuscito, non con quelle magie, non con quei… quei strumenti…»
Per un attimo, sia Udinski che Zl si zittirono.
«Tu mi hai sempre visto come un qualcuno che cerca di invadere la tua mente senza motivo, Zl» continuò Udinski, «Come un male, un reietto. La verità è che sono solo un disperato, e che i miei nemici più grandi sono le persone con cui hai fatto colazione ieri mattina. Non voglio farti del male, ho solo bisogno di mettere le mani sul medaglione di Demoren, e poi sarò libero. Non ti darò più fastidio. Ti aiuterò a salvare gli Impellerossa, se lo desideri, ma dovrai seguire le mie condizioni, e in cambio dovrai aiutarmi. Ti ho posseduto mentre eri incosciente, e ti ho guidato fin qui, sono stato io a salvarti, altrimenti saresti annegato. Posso renderti potente, Zl, potente come tu puoi solo immaginare, ma devi fidarti di me. Ci stai?»
Di nuovo, per qualche attimo regnò il silenzio. Poi, lentamente, Zl annuì.
 
In seguito, Zl non sarebbe mai riuscito a spiegare con esattezza che tipo di allenamento gli fece fare Udinski. Il fatto che lo facesse faticare molto, in aggiunta a tutte le volte che lo possedeva per mostrargli una tecnica, senza contare la stanchezza psicologica nell’addestrare i suoi poteri… il tutto lo aveva portato ad agire quasi in automatico: tutti i giorni si alzava ed eseguiva gli insegnamenti di Udinski, per quanto strani o pazzi sembrassero. Dopo appena due giorni, l’Esper era riuscito a guarire completamente il suo fianco, utilizzando degli incantesimi di guarigione molto più potenti di quelli di Freezer. Sapeva qual era la routine: alzarsi, allontanarsi per qualche centinaio di qyrie a passo di corsa per non farsi trovare dai Verdi, allenamento pomeridiano e caccia. Tuttavia più i giorni passavano, più i suoi ricordi diventavano vaghi e confusi, simili a nebbia. Solo un episodio brillava chiaro nella sua mente.
Era pomeriggio, si erano fermati in una piccola radura illuminata dal sole.
«Oggi» aveva detto Udinski nella sua mente, «ti insegnerò ad usare le Armi dell’Anima…»
«Finalmente!» aveva sbuffato Zl.
Anche se il suo maestro gli aveva detto più e più volte che poteva anche solo pensare una risposta, e non necessariamente pronunciarla ad alta voce, Zl non si riusciva proprio ad abituare, e continuava a rispondere come se Udinski fosse davvero lì con lui.
«Non ti esaltare» lo ammonì l’Esper, «non ti insegnerò ad evocare le tue»
«Perché?»
«Ci vorrebbe troppo tempo per farti padroneggiare la tua Arma come fanno gli Impellerossa. Ci metteresti un’eternità»
«Ma… ne sei sicuro? Secondo me posso riuscirci!» protestò Zl.
«Hai presente il tuo caro amico Mario?»
«Sì, e allora? Quanto ci ha messo, tre giorni?»
«No, ha impiegato quattro anni e mezzo per riuscirci»
Zl sospirò, rassegnato.
«E allora come faccio ad usare le tue? Non dovrebbero bruciarmi le mani o simili? Inoltre tu non sei qui, l’evocare Armi lontano dal corpo non ti fa male?»
«Dimentichi che sono qui mentalmente. Inoltre il mio corpo, o perlomeno ciò che ne rimane, non si rivolterà ad un dolore così piccolo, ne ha ben altri da gestire. Comunque le mie Armi ti brucerebbero solo se io non mi fidassi di te, ma io mi fido, quindi non c’è problema»
«Continui di parlare di Armi»
«Possiedo due Armi dell’Anima, per tua fortuna»
«D’accordo, allora. Come posso evocarle?»
«Tu non dovrai fare altro che afferrarle. Le evocherò io»
Zl si rilassò un pochino. I secondi passarono, ma non accadde nulla.
«Allora?» chiese, confuso.
«Non è così facile» mugugno Udinski, la voce concentrata e lievemente sofferente.
«Perché?»
«Hai la minima idea di quanto io sia malridotto? Non posso nemmeno più a rientrare nel mio corpo senza morire per il dolore, penso che anche il tuo cervellino ridotto possa comprendere la mia difficoltà nel richiamare ciò che resta della mia Anima» ringhiò Udinski.
Zl alzò gli occhi al cielo. L’Esper parlava sempre di quanto soffrisse, e dopo un po’ di tempo il ragazzo si era abituato a ignorarlo.
«Posso andare al fiume? Ho visto qualche pesce, prima…»
«No! Non ti muovere… ci sono quasi…»
Passò ancora qualche minuto senza che non accadesse nulla.
«Io vado al fiume» decretò Zl, avviandosi per la foresta che aveva imparato a conoscere.
«Maledetto quel sankari di scienziato!» esclamò Udinski in preda alla rabbia.
Il ragazzo si guardò bene dal chiedere cosa volesse dire sankari.
«Di chi parli?» chiese, interessato come non mai. L’Esper non gli permetteva mai di fare domande sul suo passato, ed era raro che si lasciasse sfuggire qualcosa.
«Del traditore che mi ha rinchiuso» sbottò Udinski, «L’ordine è partito da lui, come ogni singolo altro problema della mia vita!»
«Lavorava per la tua Gilda?» chiese il ragazzo, avido di sapere.
«Vorrai dire la sua Gilda! Ero io a lavorare per lui, quel piccolo pezzo di…»
«Com’era vivere lì?»
«Oh, è un posto magnifico» ironizzò l’altro, «finché al Genio non viene in mente di rinchiuderti sottoterra per nessuna ragione! E meno male che è considerato lo scienziato più brillante di tutti i Mondi! Gli dei dovrebbero ucciderlo per quello che ha fatto, dovrebbe essere mandato al Giudizio dei Demoni, quel traditore…»
«Perché non chiedi a Demoren di mandarcelo?» chiese Zl, confuso, «così potresti liberarti»
«Come no!» disse Udinski, «chiediamolo a Demoren, l’unico Demone bandito da Inferia! Il suo Re sarebbe felicissimo di ascoltarlo, perché no?»
«Perché non chiedi agli Dei, allora? Che ne sai, magari Dioren ti ascolterà, o simili…»
L’Esper rise in tono ancora più sarcastico.
«Oh certo, chiamiamo l’unica persona che non ci può aiutare nemmeno se lo vorrebbe!»
«Perché? Che cosa ne sai?»
«Zl» disse Udinski, «ci sono un paio di cose che non sai su di me. Primo, non sono religioso. Secondo, io e Dioren non siamo proprio quel che si dice amici, e penso che sarebbe felice di ciò che mi sta accadendo se, e qui arrivo al terzo punto, non fosse mio compagno di cella»
«Dioren è stato imprigionato con te? Ma lui è un dio! Lui non può…»
«Dei, mageschi, capre… credi che si siano fatti dei problemi morali quando ci hanno imprigionato? Inoltre, sappi che gli dei non sono poi così potenti, teoricamente non sono nemmeno dei, ma rappresentanti»
«Mi stai dicendo che tu conosci Dioren»
«Sì»
«Il dio del Mondo della Magia»
«Esattamente»
«E che lui è imprigionato con te»
«Se non mi credi chiedilo ad uno dei tuoi amici, non sapranno negartelo. In effetti provaci, voglio vedere le loro facce quando sapranno che te l’ho detto»
«Ma si può sapere chi demone era a capo della tua Gilda?»
«Non posso dire il suo nome, mi ha imposto un sigillo per non farlo. Ti basti sapere che è un maledetto genio, e che nessuno, nemmeno io, può competere con lui in furbizia. L’unica cosa che puoi sperare quando sei suo nemico è di riuscire a scappare. A quanto pare il provare a parlare della situazione, come ho fatto io, è del tutto inutile per il signor Capo degli Astequor»
«Astequor? È questo il nome della vostra Gilda?» chiese Zl, pieno di curiosità. Finalmente il famoso luogo natale di Mario aveva un nome.
«Sì, anche se chiamarla Ti-Sfrutto-Finché-Mi-Sei-Utile sarebbe più appropriato» borbottò l’Esper.
«Ma dov’è questo posto?»
«Non posso né voglio dirtelo. E comunque ora basta parlare»
«Perché? Non è che abbia di meglio da fare…»
«Sicuro? Guarda alla tua destra»
Zl si girò e guardò la sponda del fiume, dove giaceva una spada lucente. Era lunga quasi un metro e mezzo, completamente nera, il pomolo piccolo e appena accennato, l’impugnatura simile ad una colonna di marmo in miniatura, la guardia dritta e incisa per somigliare ad un ramo di un albero, la lama affilata da entrambi i lati e spessa un paio di centimetri. Zl la ammirò per dei lunghi secondi, affascinato. Poi, senza riuscire a trattenersi, la prese in mano e provò a sferrare dei fendenti all’aria. Era bilanciata in modo perfetto, l’elsa si adattava alla sua mano come nessun’altra spada aveva mai fatto, la lama fendeva l’aria con un sibilo serpentesco che non faceva che aumentare la sua euforia. Anche Udinski era felice, come se l’aver evocato la sua anima lo avesse liberato di un enorme peso, e gioiva nel provare di nuovo la sensazione di usare la propria Arma dell’Anima, anche se attraverso Zl.
Il ragazzo continuò a sferrare dei colpi agli alberi, senza curarsi dei segni che lasciava, finché non fu esausto. Si sedette sulla riva del fiume, rilassato e felice come non mai, i discorsi di prima ormai dimenticati.
«D’accordo, ora basta giocare» borbottò Udinski, anche se il tono lasciava trasparire quanta voglia avesse di riprendere in mano l’Arma. «Domani partiamo».
«Come ogni mattina» disse Zl, non capendo cosa voleva dire l’Esper. Avevano infatti mantenuto il ritmo degli Impellerossa, viaggiando tutta la mattina e allenandosi il pomeriggio.
«No, Zl» lo corresse Udinski, «domani torneremo a Verdia»
 
ANGOLO AUTRICE
Se il capitolo vi è piaciuto, lasciate un voto e un commento! Se non avete capito qualcosa, non esitate a chiedere.
Spero che la storia vi stia piacendo! Più andiamo avanti, più la vita di Zl si farà movimentata, per cui state attenti a non perdere nemmeno un capitolo.
Per chi se lo stesse chiedendo, sankari è un insulto in magesco antico che si adatta alla situazione in cui viene pronunciato. Se, per esempio, qualcuno facesse qualcosa di stupido, l’aggettivo sankari avrebbe il valore di sciocco. Spero di aver chiarito qualche eventuale curiosità.

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