Scontro a Sethanon - fra un'eledhel e un moredhel di Kaiyoko Hyorin (/viewuser.php?uid=738793)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Welcome to Elvandar ***
Capitolo 3: *** Ambush ***
Capitolo 4: *** Impossible escape ***
Capitolo 5: *** The Dark Brother ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Il mondo di Midkemia sta sprofondando nell'ombra di un'oscura ed ai più ignota minaccia. Sono molto poche le persone che nel Regno sono a conoscenza degli accadimenti nefasti che la stanno realmente coinvolgendo: due gruppi del tutto diversi fra loro ma uniti nell'amicizia sono partiti, lasciando le loro case e le loro famiglie per far fronte al pericolo imminente. Arutha e Pug sono i protagonisti indiscussi, un valoroso principe ed un potente mago, che per vie separate tentano di combattere la stessa battaglia ed avere la meglio sugli intrighi e le macchinazioni di un Elfo che risponde al nome di Murmandamus.
La nostra storia si discosta tuttavia dalle loro peripezie, per seguire quelle di altre anime coinvolte in questa vicenda.. ed ha tutto inizio in un territorio dominato da altre razze, ben più antiche e longeve degli uomini.
1. Prologo
–
Morandis!
Il
moredhel si voltò ad osservare l'amico e compagno di molte avventure
andargli incontro, ritrovando sul suo volto la stessa apparente
indifferenza sfoggiata da lui stesso. Fermandosi, attese che lo
raggiungesse con calma studiata, prima di parlare.
–
Cosa c'è, Elwar?
–
Dove stai andando?
–
Ho una questione importante di cui occuparmi – rispose rimanendo
sul vago e restando impassibile, nonostante lo sguardo inquisitore
dell'altro.
Elwar
non gli rispose ma Morandis seppe da subito di non essere stato
convincente e l'avrebbe lasciato lì coi suoi dubbi se non fosse
stato per il legame di amicizia che li univa. Il silenzio tuttavia
non si protrasse a lungo, perché il moro parve cogliere qualcosa ed
i suoi occhi a quel punto si sgranarono.
–
No – esclamò quasi fra sé e sé – Non puoi farlo, Morandis!
–
Ho fatto la mia scelta – ribatté lui con assoluta calma ed un vago
piccolo sorriso – E sai che non sono avventato quanto te.
L'espressione
sul volto di Elwar si indurì ed il suo sguardo color dell'ambra più
preziosa diventò freddo come il ghiaccio. Quando estrasse la spada
dal fodero, l'altro non se ne sorprese né si mosse per contrastarlo
in qualche modo.
–
Ma io non te lo permetterò.
Morandis
annuì ancora di fronte a tanta risolutezza, eppure non vacillò
minimamente.
–
Lo sai meglio di me che non potresti ostacolarmi. Oramai il Sentiero
Oscuro non ha più alcuna influenza su di me, pertanto è inutile che
io rimanga.
Elwar
strinse la presa sull'impugnatura della sua arma ed un'ombra calò ad
incupirgli i lineamente del volto, quindi sollevò la lama,
puntandogliela contro.
–
Mi spiace, ma le conosci le regole.
Morandis
annuì per l'ennesima volta – Sì, le conosco – ribatté,
attendendo un solo istante prima di continuare e nelle parole a
seguire lasciò trapelare tutta la propria serietà di elfo – Ma se
vorrai fermarmi dovrai farlo ora, perché me ne vado. Addio,
fratello.
Detto
ciò si voltò ed iniziò ad avviarsi con passo deciso nella
direzione in cui si stava dirigendo prima di quell'incontro. Ogni
passo portato lo affrontò con tutto il suo coraggio, perché ognuno
era un passo in più a separarlo da ciò che era stata la sua vita sino a quel momento,
ma ancor di più era l'approfondirsi di quel baratro che
aveva già iniziato a dividerli l'uno dall'altro.
E la
consapevolezza di quell'addio minacciò di farlo fermare più d'una
volta.
Intanto
Elwar, rimasto fermo immobile nel medesimo punto, osservò la schiena
di quello che fino a pochi minuti prima aveva chiamato fratello
allontanarsi nel sottobosco, stringendo con sempre maggior vigore la
presa sulla spada. Soltanto una volta che l'amico fu scomparso dal
suo campo visivo qualcosa scattò in lui e con rabbia, ma anche
frustrazione e senso di perdita, scagliò l'arma al suolo,
conficcandola nel terreno erboso.
–
Dannazione.. – sibilò a denti stretti, dando libero sfogo
all'astio che lo assalì al pensiero di non aver avuto la forza di
fare il proprio dovere: non avrebbe mai potuto attaccare il suo
migliore amico, men che meno alle spalle, e questo doveva saperlo
anche Morandis, perché la cosa doveva essere reciproca.
Rimase
con lo sguardo perso nel vuoto alcuni minuti ancora, finché non fu
sicuro di aver ripreso il controllo delle proprie emozioni ed ebbe
riflettuto sul da farsi. Soltanto quando ebbe preso una decisione su
come procedere, Elwar Garaniel liberò la propria spada dal terreno e
si voltò indietro, per far ritorno all'accampamento dei Lupi Grigi.
–
Elwar – il capoclan attirò la sua attenzione appena lo vide di
ritorno – Dov'è Morandis?
–
È andato a dare il cambio a Gill per un nuovo giro di perlustrazione
dei dintorni.
Quello
annuì ed Elwar, ignorandone il cipiglio perplesso, gli diede le
spalle, diretto alla propria tenda.
***
La
foresta era tranquilla, ma la sua quiete era punteggiata dai continui
richiami degli uccelli e dai rumori di animali che indicavano come
tutto fosse come doveva essere sotto le fronde. Martin e Baru stavano
viaggiando da quattro giorni, spingendo i cavalli al limite della
resistenza, e avevano attraversato il fiume di Crydee solo alcune ore
prima.
Aredhel
fu la prima a notarli. Li conosceva, avendo passato l'infanzia a
giocare col duca per il breve periodo nel quale egli era vissuto con
gli elfi; inoltre aveva avuto modo di incrociare l'Hadati un paio di
volte in quell'ultimo anno trascorso.
Ora
ella aveva appena compiuto 54 anni, età che la classificava a poco
più di una ragazza secondo gli standard degli elfi, e per sua somma
gioia l'avevano assegnata a Tarlen ed alla sua guida. Egli aveva il
compito di istruirla nel sorvegliare gli accessi di quel tratto di
foresta ed altre piccole cose, come eludere degli inseguitori fra gli
alberi o seguirne le tracce, ma anche celar le proprie oppure evitare
di lasciarle affatto.
Svelta
saltò giù dall'albero sopra il quale era seduta, atterrando con
grazia e senza il minimo rumore; anche questo le era stato insegnato
dall'elfo. Tuttavia non fu abbastanza rapida: Tarlen la precedette di
netto, frapponendosi davanti ai due viaggiatori.
–
Ben incontrati, Martin Longbow e Baru Uccisore del Serpente.
–
Salute a te, Tarlen – rispose Martin – Siamo venuti a chiedere
consiglio alla Regina.
–
Allora proseguite pure, poiché tu e Baru siete sempre i benvenuti
alla sua corte. Io devo restare qui di guardia, perché la situazione
si è fatta un po' tesa dall'ultima volta che siete stati nostri
ospiti.
Aredhel
colse nel tono del parirazza una certa preoccupazione. Come
biasimarlo? Il Principe Tomas era recentemente scomparso; in più con
gli ultimi avvenimenti accaduti...
–
Vi accompagnerò io, se me lo permettete – soltanto in quel momento
l'elfa si scostò da dietro un tronco adiacente al trio per
affiancarsi a Tarlen, il quale non parve prendere molto bene
l'iniziativa, data l'occhiata in tralice che le rivolse.
Martin
rimase per un attimo a fissarla, prima che un accenno di sorriso gli
comparisse sul volto tirato – Aredhel! Sono felice di rivederti...
e ci farebbe molto piacere che ci accompagnassi ad Elvandar.
Lanciando
uno sguardo a Tarlen, lei sorrise ampiamente soltanto quando, una
manciata di secondi dopo, questi annuì nonostante le palesi riserve,
ed esclamò in loro direzione: – Venite allora, vi precedo!
Durante il tragitto Martin chiese ad Aredhel notizie sui recenti
problemi ai quali aveva accennato Tarlen, ma ella gli rispose
semplicemente che sarebbe stata la Regina stessa ad esporglieli,
appena fossero giunti a destinazione.
Più
tardi i due cavalieri, anticipati dalla ragazza-elfa a piedi, si
inoltrarono nel cuore della foresta di Elvandar, l'antica dimora
degli eledhel. La città arborea si presentò pervasa di luce perché
il sole era alto nel cielo ed incoronava gli alberi massicci con il
proprio chiarore, strappando riflessi verdi e oro, rossi e bianchi,
argento e bronzo alla volta di foglie che la ricopriva.
Un
elfo li avvicinò non appena i due smontarono di sella.
–
Ci occuperemo noi delle vostre cavalcature, Lord Martin – disse
rivolgendo uno sguardo anche all'elfa che li aveva accompagnati fin
lì, prima di proseguire – Sua Maestà desidera vederti
immediatamente.
Martin,
Aredhel e Baru si affrettarono a salire le scale intagliate nel
tronco di un albero che portavano alla città elfica, attraversando
gli alti archi formanti il dorso dei rami e salendo sempre di più,
fino a raggiungere un'ampia piattaforma che costituiva il centro di
Elvandar, la corte della Regina.
Aglaranna
sedeva in silenzio sul trono, affiancata dal suo consigliere anziano,
Tathar, e tutto intorno alla corte erano seduti gli Anziani
Intessitori di incantesimi che costituivano il consiglio. Il trono
accanto a quello della sovrana però era vuoto e sebbene
l'espressione d'ella fosse indecifrabile, Aredhel avvertì l'ormai
consueta tensione che da un po' aleggiava fra quelle fronde
nell'aria. Eppure, nonostante l'atmosfera, la loro Regina appariva
sempre splendida e regale, e il saluto con cui accolse i viaggiatori
fu pieno di calore.
–
Benvenuto, Lord Martin – disse – Benvenuto, Baru degli Hadati –
e nel posar lo sguardo su di lei, Aredhel abbozzò un inchino
piuttosto rigido – E grazie, Aredhel, per averli condotti sin qui.
Entrambi
gli uomini si inchinarono, mentre la ragazza, dopo un momento di
ossequioso silenzio, si indietreggiò sino a potersi allontanare
nella stessa direzione dalla quale erano venuti, ben consapevole
dell'inutilità della propria presenza. Scendendo le scale in tutta
fretta ripensò brevemente a ciò che stava accadendo.
Non
si poteva di sicuro biasimare la regina: Tomas se n'era andato chissà
dove senza lasciar detto nulla a nessuno. Inoltre, dalla costa fino
all'est si erano visti i segni di una massiccia migrazione di
orchetti verso nord, ed i moredhel si stavano facendo insolitamente
audaci nelle loro spedizioni lungo il limitare della foresta di
Elvandar. Si era ipotizzato fosse per qualche strano effetto dovuto
alla situazione instabile del Regno, ma alcuni di loro stavano
iniziando a chiedersi se non ci fosse dell'altro.
Poi
si erano avvistate bande di rinnegati umani dirette verso nord,
vicino alla Montagna di Pietra, ed i gwali, creature delicate quanto
magiche, erano fuggiti verso sud, fin dentro il Cuore Verde, come se
temessero l'avvicinarsi di una minaccia incombente. In aggiunta a
tutto ciò, da mesi si faceva sentire un vento pervaso di malvagità
che portava con sé qualcosa di mistico, come se un grande e oscuro
potere stesse venendo concentrato al nord. La situazione era
preoccupante per tutti.
Arrivata
in fondo si arrestò nell'incrociare il passo di suo fratello, il
quale non la segnò di un solo sguardo prima di superarla e
scomparire oltre la spirale delle scale, seguito dallo sguardo carico
di perplessità d'ella. Soltanto quando, un paio di secondi dopo,
tornò a volger l'attenzione dinanzi a sé comprese il motivo di
tanta fretta e spalancò ancor di più lo sguardo, sorpresa oltre
ogni dire.
Un
gruppo di guerrieri eledhel stavano scortando un elfo dai corti
capelli scuri e gli abiti grigi, un moredhel; ma in egli v'era
qualcosa di strano, di diverso, a contraddistinguerlo: una calma del
tutto estranea ai componenti della sua razza.
Aredhel
fece due passi avanti, ma si scostò al sopraggiungere della regina,
facendosi da parte rispetto a lei ed al suo seguito. Anche il
moredhel la notò e si inchinò profondamente davanti a lei,
abbassando il capo.
–
Signora, sono tornato – mormorò.
Aglaranna
rivolse un cenno a Tathar, e subito lui e gli altri Intessitori
d'Incantesimi si raccolsero intorno al moredhel. Un momento più
tardi Aredhel avvertì una strana quanto familiare sensazione a fior
di pelle, come se l'aria fosse pervasa d'elettricità e da una sorta
di musica soave e leggera. Non dovette nemmeno guardarli che comprese
fosse opera degli Intessitori, i quali stavano operando uno dei loro
incantesimi. Come accadeva ogni volta, del resto. I Ritorni erano
rari ed era capitato che i moredhel avessero tentato di ingannarli in
più occasioni, con lo scopo di introdurre delle spie fra loro.
Soltanto grazie alla magia nessuno di loro era riuscito ad ingannare
gli eledhel.
Ci
volle una manciata di minuti, ma infine quell'attesa terminò.
–
È tornato! – esclamò Tathar, infrangendo l'atmosfera creatasi.
–
Come ti chiami? – domandò Aglaranna.
–
Morandis, Maestà.
–
Non più – affermò pacatamente – Ora il tuo nome è Lorren.
Il
sollievo che permeò gli astanti, compreso il nuovo eledhel, infuse
una nota di positività in quell'aria dapprima tanto pregna di
tensione e ansie, e Aredhel abbozzò meccanicamente un mezzo sorriso.
Non
vi era mai stata alcuna differenza vera e propria fra moredhel ed
eledhel, perché entrambe erano in realtà due branche della stessa
razza, quella degli Elfi, separate soltanto dal potere del Sentiero
Oscuro. Per questo erano anche chiamati Fratelli Oscuri, vincolati ad
una vita pervasa di odio omicida nei confronti di chi non
appartenesse alla loro razza. Anche se fra eledhel e moredhel era
comunque presente una sottile differenza determinata dai metodi, dal
portamento e dall'atteggiamento, esteriormente li si poteva definire
quasi identici.
L'ex
moredhel si risollevò dal suo inchino e gli elfi lo aiutarono a
togliersi la tunica del colore proprio dei clan moredhel della
foresta. Appena gli fu data una tunica marrone anche la più piccola
differenza cessò di esistere fra il nuovo venuto e gli altri elfi.
Dal canto suo, Aredhel non finiva mai di stupirsi per quel piccolo
miracolo, a testimonianza che in passato non vi fosse stato nulla a
dividerli gli uni dagli altri. Gli occhi ed i capelli avevano la
tinta più scura tipica fra i moredhel, ma del resto anche fra gli
eledhel ce n'era qualcuno bruno di capelli così come capitava di
trovare qualche moredhel biondo con gli occhi azzurri.
–
Di tanto in tanto qualcuno dei nostri fratelli si allontana dal
Sentiero Oscuro – stava spiegando Tathar a Martin – Se gli altri
non si accorgono del suo cambiamento e non lo uccidono prima che
possa arrivare fino a noi, accogliamo il suo ritorno a casa, che è
motivo di gioia.
E
Aredhel annuì fra sé a quella affermazione, mentre rimaneva un
attimo ad osservare il nuovo elfo con un vivace sorriso sulle labbra.
Era la prima volta che assisteva ad un Ritorno e quella novità la
portava istintivamente a provare una sorta di insolita simpatia,
mista a naturale curiosità, nei confronti del nuovo venuto, mentre
questo già veniva accolto dai suoi parirazza.
–
Succede spesso? – domandò allora Baru, continuando la
conversazione con Tathar.
–
Io sono il più anziano fra quanti vivono ad Elvandar, e prima di
questo ho visto soltanto altri sette Ritorni – replicò l'anziano,
poi rimase in silenzio per qualche tempo prima di aggiungere – Noi
speriamo un giorno di poter redimere in questo modo tutti i nostri
fratelli, una volta che il potere del Sentiero Oscuro sarà stato
finalmente infranto.
–
Venite, dobbiamo festeggiare – disse allora Aglaranna, rivolta a
Martin.
–
Noi non possiamo, Maestà – rispose questi – perché dobbiamo
riprendere il cammino per incontrarci con altri.
Aredhel
si fece ancor più attenta, tendendo le orecchie a punta per
ascoltare il resto senza tuttavia voltarsi a guardar direttamente il
gruppetto, avvertendo una nota di dispiacere sporcare quel momento di
serenità nel proprio animo: non si era affatto aspettata la
possibilità che non si sarebbero fermati neanche un giorno.
–
Posso conoscere le vostre intenzioni? – chiese con discrezione la
regina.
–
Sono semplici – replicò il Duca di Crydee – Troveremo
Murmandamus.
–
E lo uccideremo – concluse Baru.
continua...
Ciao a tutti!
Sono emozionata: è tanto che lavoro a questa storia e non vedevo l'ora di pubblicarla e, nonostante mi fossi ripromessa di farlo soltanto una volta che l'avessi conclusa, beh, sono decisamente a buon punto e mi sono detta "perché no? vedere se piace ed eventuali commenti potrebbero aiutare la mia ispirazione!"
Non so se alcuni di voi conoscono le opere di Feist, ma io personalmente leggendo la sua trilogia sulla Saga di Riftwar, me ne sono innamorata a tal punto da volerci scrivere qualcosa su, e così eccomi qui!! Non mi dilungo, questo è solo un prologo e di norma i capitoli veri e propri saranno un po' più lunghetti (anche perché altrimenti qui non finiremo più!) quindi niente paura, nonostante gli aggiornamenti non proprio rapidissimi avrò di che farmi perdonare.
Detto questo, spero che questo primo capitoletto vi sia piaciuto e/o abbia stuzzicato la vostra curiosità. Dovrei averlo ricontrollato un numero di volte sufficiente a liberarmi di tutti gli errori di battitura e le sviste e le riscritture, ma se mi fosse sfuggito qualcosa vi invito a segnalarmelo senza indugio (mi viene l'orticaria a lasciare errori).
Non fatevi problemi e ditemi pure ciò che ne pensate! Intanto, buon inizio agosto!!
Kaiy-chan |
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Capitolo 2 *** Welcome to Elvandar ***
2. Welcome to Elvandar
–
Buona fortuna.
Martin
ricambiò quell'augurio con un cenno del capo ed Aredhel abbozzò un
lieve sorriso di commiato. Quindi l'uomo e l'hadati porsero i loro
ultimi saluti alla regina e si allontanarono, scortati da un paio di
guardie elfiche che li avrebbero accompagnati sino ai confini di
Elvandar.
La
giovane eledhel fece per muoversi a sua volta in quella direzione, ma
un'occhiata di Varsel la anticipò.
–
No, Aredhel – le disse suo fratello.
Quella
sola negazione da colui che era un suo diretto superiore bastò alla
ragazza perché sopprimesse sul nascere qualunque tipo di reazione
contrariata e, seppur senza convinzione, voltò le spalle ai pochi
rimasti e si diresse nella direzione opposta, senza una parola.
Varsel
era il primogenito e l'erede della diretta approvazione paterna, ma
questo non aveva impedito all'elfo di instaurare un particolare
legame con la sorellina. Era stato lui ad ispirarla, così come era
lui quello che da sempre aveva avuto la tendenza a proteggerla e
giustificarla di fronte alla disapprovazione del loro genitore, ed
era questo il motivo per cui Aredhel non avrebbe mai sognato di
ribellarsi alla sua parola.
Per
quanto in cuor proprio covasse un'indole che molti eledhel avrebbero
definito difficile, la stima che covava per lui era la chiave della
sua devozione alla causa elfica ed il motivo scatenante che l'aveva
condotta al suo apprendistato presso Tarlen. Non poteva deludere
anche lui.
Con
un sospiro emulato con discrezione, Aredhel lasciò che ogni
sentimento inquieto scivolasse fuori dal proprio corpo e quando tornò
a sollevare gli occhi chiari individuò Lorren in compagnia di una
delle guardie elfiche al comando di suo fratello. L'afflusso di elfi
accorsi a dare il benvenuto al nuovo eledhel sembrava essersi già
placato e la ragazza, senza pensarci più d'un secondo, si avvicinò
ai due.
–
Puoi andare, ci penso io qui – affermò con un ampio sorriso,
comparendogli al fianco.
Il
soldato non ebbe un sussulto ma dallo sguardo che le rivolse ella
comprese di averlo sorpreso, cosa che le causò un piacevole senso di
soddisfazione che le fece piegare un poco di più un angolo delle
labbra verso l'alto. Dopo un paio di secondi di pacato scetticismo ed
uno sguardo ammonitore, l'elfo si allontanò con un saluto, lasciando
il nuovo arrivato a lei.
A
quel punto la sua attenzione fu completamente per Lorren, così come
era stato nel primo momento in cui l'aveva visto. In realtà non
v'era nulla di esteriormente insolito in lui, né era particolarmente
avvenente, ma ciò che rappresentava era fonte di interesse notevole
per una come lei: il suo istinto le diceva che doveva essere un tipo
interessante ed era sempre stata un'elfa piuttosto curiosa, in
special modo nei confronti di tutto ciò che riguardasse la vita al
di fuori della Foresta di Elvandar, caratteristica che in effetti le
aveva causato alcuni guai in passato.
Altri
popoli vivevano oltre i loro confini, non soltanto uomini, ed in
particolar modo la questione dei Fratelli Oscuri era ancora fonte di
svariati interrogativi, nonostante le molteplici spiegazioni che le
erano state date dagli elfi anziani.
Come
poteva esistere un astio tanto profondo e radicato in creature tanto
simili a loro? Davvero la loro esistenza era tutta incentrata
sull'influenza che aveva il Sentiero Oscuro sulle loro anime?
Possibile non ci fosse altro, oltre all'odio, nei loro cuori?
Magari,
parlando con quel nuovo eledhel, avrebbe appreso qualcosa di nuovo
sulla vita dei moredhel, qualcosa che l'aiutasse, se non a
comprendere fino in fondo, a placare la propria irrequieta voglia di
sapere.
I
loro sguardi si incontrarono, argento vivo contro castano scuro, ed
Aredhel distinse un singolare guizzo di curiosità in quell'iridi e
provò un'insolita empatia nei confronti del loro proprietario. Gli
sorrise, un sorriso incoraggiante e solare, e questi dopo un attimo
la ricambiò con un'espressione altrettanto amichevole.
–
Benvenuto ad Elvandar, Lorren – esordì, seppure un istante dopo si
pentì delle parole usate: era un Ritorno, pertanto le circostanze
imponevano che usasse la formula “Bentornato”; per non parlare
della banalità di quel saluto: doveva senz'altro essergli stato
rivolto sino alla nausea.
Eppure
l'altro, seppur non senza inarcare un sopracciglio in un primo
momento, non smise di sorriderle con sincerità e subito la ricambiò.
–
Grazie... – il moro accennò un inchino del capo e lasciò la frase
in sospeso in un modo caratteristico e la ragazza non ebbe dubbi.
–
Aredhel... Aredhel Duhlyn. Lieta di fare la tua conoscenza –
concluse per lui, presentandosi.
–
Il piacere è il mio.
–
Penso ti troverai bene qui... – esordì, in un tentativo di
conversazione piuttosto blando.
Lorren
annuì con un cenno del capo – Sì, lo credo anche io.
–
Vieni – gli disse dopo un momento di silenzio, senza lasciarsi
vincere dall'insicurezza di quel primo incontro – Ti mostro il tuo
alloggio... la tua nuova casa – si affrettò a correggersi,
rendendosi conto di avere non poche difficoltà ad interagire in
maniera naturale con quell'eledhel.
Strano,
si ritrovò a pensare corrucciandosi in volto. Solitamente dava
miglior prova di sé.
Gli
fece strada, conducendolo su per la scalinata più vicina e poi fra i
pontili intagliati e gli spessi rami che conducevano in alto, nella
zona adibita a dimora del popolo di Elvandar. Procedettero dapprima
in silenzio e man mano che avanzavano, passo dopo passo, Aredhel si
rese conto con crescente sollievo che l'impaccio andava sciogliendosi
e ben presto si ritrovarono a sostenere una conversazione spigliata e
dai toni leggeri. Altri elfi nell'incrociarli li salutarono con
sorrisi ed educati cenni del capo, eppure anche in essi la formalità
dei loro gesti non venne meno e, seppur fosse un comportamento a cui
la ragazza-elfa era abituata sin da bambina, il suo subconscio non
mancò di notarlo.
Scacciando
quella sensazione da sé, Aredhel si ritrovò a sorridere quando una
voce conosciuta li trattenne e quando entrambi si voltarono videro
un'elfa dall'aspetto non più giovane e dalla corporatura più
robusta della media ferma sul pianerottolo di uno degli accessi ad
una delle dimore famigliari. Aveva in mano una ramazza ed il richiamo
con cui li indusse ad avvicinarsi non aveva quella velata cortesia
distaccata che sino a quel momento era stata loro riservata.
–
Tu devi essere quello nuovo – esordì una volta che i due l'ebbero
raggiunta, cordiale, rivolgendosi a Lorren – e vedo che hai
individuato la nostra gemma più preziosa...
Lo
sguardo furbo che l'elfa scoccò ad Aredhel la fece arrossire.
–
Per favore signora, non esageri come al suo solito – cercò di
ribattere quella, già pentita per la propria scelta. Per quanto
trovasse piacevole il temperamento insolitamente schietto ed aperto
della signora, se avessero preso un'altra via all'ultimo bivio
avrebbero evitato facilmente quell'incontro che si prospettava
tutt'altro che innocuo.
–
Suvvia non fare quella faccia o finirai per somigliare a un pesce
rosso – ribatté l'altra con quei modi amichevoli e gioviali per
cui era rinomata. Aredhel la conosceva da molto tempo, sin da quando
era bambina, e la considerava una sorta di eccentrica zia acquisita,
e come tutte le parentele vantava pregi e difetti tutti suoi.
Restava
comunque il fatto che l'aveva vista crescere e diventare la giovane
elfa che era, cosa che Aredhel non poteva affatto rinnegare,
nonostante il bonario rimprovero che questa amava rivolgerle di
frequente. Rimprovero che comunque la diretta interessata non poteva
prendere sul serio.
–
Se non fosse per il tuo animo spericolato e la tua propensione alla
carriera militare, avresti una fila di pretendenti davanti alla tua
porta ogni mattina.
Lorren
nel mentre, osservatore silenzioso e discreto come la più delicata
delle brezze, aveva in volto un'espressione che tradiva dietro una
piega seriosa delle labbra un guizzo oltremodo divertito negli occhi
scuri e sembrava del tutto intenzionato a non perdersi un solo
dettaglio di quella conversazione inaspettata.
–
Mia cara signora, un giorno ringrazierà la mia propensione per la
vita da soldato – rispose a quel punto Aredhel, cercando di darsi
un contegno dinanzi ad occhi estranei, battendosi una mano chiusa a
pugno sul petto con fare orgoglioso.
–
Ne sono sicura, cara – ribatté con noncuranza l'altra elfa, prima
di farsi pensierosa e dopo un istante schiarirsi all'improvviso in
volto, come rianimandosi – Quasi dimenticavo! – poggiò la
ramazza di fianco alla porta aperta ed entrò in casa, per uscirne
meno di un minuto dopo recando con sé un un cesto intrecciato
ricolmo di dolcetti elfici.
Aredhel
spalancò gli occhi dalla sorpresa.
–
Sarai affamato dopo il tuo viaggio fino a noi – si rivolse
direttamente a Lorren, porgendogli il cestino – Non fare
complimenti ed accettali come dono di Bentornato, caro.
Seppur
un poco sorpreso, Lorren accettò con un sorriso – Grazie, signora.
–
È un piacere... ma chiamami pure Lihara.
–
Come vuole, signora Lihara – fece allora lui, mentre entrambi si
congedavano con un breve inchino.
Allontanandosi
Aredhel scoccò un'occhiata in tralice all'ex moredhel e non riuscì
a frenarsi dallo sfoggiare un sorrisetto sghembo.
–
Hai fatto colpo su Lihara, i miei complimenti. Di solito è molto
gelosa dei suoi manicaretti: a me ne regala un piattino di tanto in
tanto, di ritorno da una spedizione, ma a te ne ha dato addirittura
un cestino!
Lorren
non parve affatto scomporsi ma ricambiò la sua espressione con
un'occhiata d'intesa, rispondendole a tono – Credo sia stata anche
la tua compagnia a farmeli guadagnare... o sbaglio? – domandò
furbescamente, ridendosela palesemente sotto quell'aria compassata.
Aredhel
fece spallucce e tornò a guardare avanti a sé, senza tuttavia
smettere di gongolare fra sé e sé nell'aver trovato tanta
complicità in un nuovo elfo di Elvandar.
–
In effetti non posso darti torto – ammise alla fine, agguantando un
biscotto con un movimento improvviso e tornando a rivolgergli un
mezzo sorrisetto ironico – Sapeva che non avrei resistito alla
tentazione!
Doveva
aver fatto un'espressione alquanto buffa perché l'ex moredhel
scoppiò a ridere e lei finì per seguirlo a ruota, contagiata da
tanto buonumore. Stavano ancora ridacchiando e scambiandosi battute
di spirito quando giunsero davanti ad uno degli accessi della dimora
elfica che era la loro meta. Questa era stata modellata in parte
all'interno del grosso tronco ed in parte costruita all'esterno, con
l'ausilio di lisce assi di legno finemente lavorato dalle mani dei
fabbricanti di Elvandar. L'atrio e la balconata sospesa antistante
sembravano in tutto e per tutto parte della maestosa pianta a cui
erano fissati per colore ma anche per foggia, ed era un'arte di cui
potevano vantarsi solo loro, anche grazie all'ausilio della magia
insita in quel luogo.
Si
fermarono entrambi sulla soglia e Lorren ebbe così occasione di
guardarsi intorno, ammirando il panorama che da quell'altezza si
apriva sulla città elfica e sulla foresta che ne era parte
integrante ed anima.
–
Elwar ne sarebbe rimasto impressionato... – commentò dopo un po'
l'elfo al suo fianco, facendosi sfuggire un sospiro ed un vago
sorriso malinconico a incurvargli le labbra.
Aredhel
inarcò un sopracciglio, voltandosi a guardarlo.
–
Chi è Elwar?
Incrociandone
i profondi occhi castani l'elfa venne travolta da un mare di
rimpianto e senso di perdita che le mozzarono il fiato, stringendosi
in una morsa al centro del petto.
–
Era il mio migliore amico.
A
quella mesta replica ella serrò le labbra rosee in una piega
sottile, non trovando nulla da replicare a quel dato di fatto, così
si ritrovò a deviar lo sguardo argenteo in un punto indefinito oltre
il parapetto, nelle varie fasce di verde e oro che tinteggiavano lo
sfondo.
Pensò
a come avrebbe potuto sentirsi lei al suo posto e realizzò, non
senza una punta di biasimo per sé stessa e la propria precedente
superficialità, che la scelta di Lorren non doveva esser stata così
facile come l'aveva inconsciamente considerata. Sicuramente aveva
dovuto rinunciare a qualcos'altro insieme all'influenza del Sentiero
Oscuro, qualcosa a cui era legato nella sua vita precedente.
–
E sono convinto – riprese a parlare Lorren all'improvviso, con un
tono più leggero e sereno – che gli saresti piaciuta anche tu!
Tale
affermazione ebbe il potere di far tornare quell'atmosfera carica di
complicità che li aveva accompagnati da metà viaggio sino a quel
momento, e fu facile per entrambi tornar a vestire quei sorrisi
divertiti e spontanei.
–
Ma dai! – si schernì la ragazza, arrossendo un poco e portando la
sua attenzione sulla porta.
Lorren
si avvicinò a sua volta, il cestino di dolcetti mezzo vuoto saldo in
una mano, mentre l'altra ne pescava l'ennesimo per mangiarselo.
Aredhel
lanciò un'occhiata al contenuto e strabuzzò gli occhi nel non
vederne più nessuno: vuoto. Lorren teneva fra le mani l'ultimo
dolcetto elfico.
Dalle
labbra le uscì un gemito sommesso.
–
Davvero buoni questi biscotti. La signora Lihara aveva ragione –
affermò senza badar a lei il nuovo eledhel. Sembrava del tutto
incurante della reazione della giovane elfa ancora ferma a fissarlo
con sgomento, mentre questi era in procinto di dargli il primo morso.
All'ultimo si fermò, la bocca aperta e la mano alzata, finalmente
degnandola di attenzione, cosa che andò a suo vantaggio: invece di
ultimare il movimento scoppiò invece a riderle in faccia, divertito
un'altra volta dalla vista d'una espressione tanto eloquente.
Le
palpebre d'ella a quel punto si socchiusero, riducendo gli occhi a
due fessure taglienti, mentre un inquietante sorrisetto le si dipinse
sulle labbra.
Intuendone
le intenzioni, Lorren portò il suo bottino lontano dalla portata di
lei, sollevando il braccio sopra la testa.
–
Spiacente: è troppo buono per cedertelo così facilmente.
–
Su, andiamo. Fa il cavaliere! – Lo incalzò lei, imbronciandosi,
prima di cercare di sottrarglielo.
Fra
i due iniziò una sorta di balletto costituito da saltelli e
girotondi, che vedeva come premio l'ultimo dolce, fra risate e
sotterfugi per ottenerne il possesso. La ragazza tentò perfino di
fargli il solletico, ma ben presto quella tattica le fu rivoltata
contro ed alla fine fu costretta ad arrendersi.
–
Ahah! No! Ahah! Basta! Basta, hai.. ahah! Hai vinto! – riuscì
finalmente a dire, fra una risata e l'altra, riuscendo così a far
cessare quella tortura. Tenendosi la pancia con ambo le mani e
cercando di riprendere fiato, scoccò un'occhiata in tralice
all'avversario – Tieniti pure il tuo biscotto!
Lasciandola
libera, Lorren le lasciò i suoi spazi per riprendersi e nel mentre
divise l'oggetto della contesa a metà, prima di porgergliene una.
–
Te la sei guadagnata – affermò ancora sogghignando.
Aredhel
accettò, ridacchiando a sua volta, e soddisfatta infine aprì la
porta.
Davanti
ai loro occhi si palesò un piccolo corridoio, al termine del quale
scendeva una scala che conduceva ai piani inferiori. Ai lati di esso
si accedeva ad altre due stanze che erano rispettivamente il salotto
e la sala da pranzo. Il tutto era finemente arredato con intagli
negli stipiti e quadri raffiguranti fiori e gwali ed altri piccoli
animali e tutto ciò che un elfo poteva considerare degno d'essere
immortalato.
La
luce era introdotta grazie a delle caratteristiche finestre a goccia
e, al calar della notte, alcune luminarie naturali rischiaravano
l'ambiente altrimenti tetro, emettendo una luce verde-azzurrina che
contrastava coi colori predominanti, che andavano dal marrone al
rosso fuoco del sole al tramonto.
Eppure,
mentre Lorren a quella vista venne accolto da una sensazione di
familiarità e dal pensiero irrazionale di essere giunto a casa,
Aredhel non poté far altro che reprimere il vago senso di
inadeguatezza ormai familiare natole nel momento esatto in cui si era
ritrovata a dover muovere passo all'interno di quella dimora.
–
Vivono almeno cinque famiglie per albero, qui ad Elvandar – affermò
per scacciare quell'emozione dalla propria mente, accompagnando
l'elfo verso quella che sarebbe stata la sua stanza – Quello da
dove siamo passati era uno dei tre accessi disponibili, gli altri due
sono situati più in basso e ci si arriva da vie alternative – si
fermò un attimo, accorgendosi che il discorso stava diventando un
po' complesso da spiegare e gli rivolse un sorriso di scuse, prima di
aggiungere – Magari poi te li mostrerò. Questo dal quale siamo
entrati è il più accessibile rispetto alla strada che abbiamo
percorso. Le altre due invece sono meno dirette e si spostano su più
livelli.
Lorren
annuì, quindi la ragazza-elfa continuò, riprendendo a camminare.
–
La tua stanza è più vicina a questo comunque. La mia è situata un
livello sopra di questo, semmai dovessi venire a cercarmi –
snocciolò brevemente – Ogni elfo ha una stanza personale, ad eccezione
delle aree comuni, come quella che abbiamo attraversato poco fa.
Si
fermò davanti ad una porta di legno bianco finemente intarsiato e
finalmente tornò a voltarsi a guardare il suo compagno, donandogli
un nuovo sorriso amichevole.
–
Ecco: questa è la tua stanza.
Lorren
annuì, ricambiandola – Grazie Aredhel.
–
Se hai bisogno di qualcosa fammi sapere – ribatté lei di rimando,
prima di accennare ad allontanarsi – L'addestramento mi aspetta,
ma... ci vediamo, d'accordo?
Lorren
annuì ancora una volta, poi Aredhel gli voltò le spalle e lo lasciò
a quella nuova vita.
Ancora non sapeva che quell'incontro non era altro che il preludio di una serie di eventi che avrebbero stravolto la sua, di vita.
continua...
Ehi eccomi qui!
Finalmente un po' di tempo per aggiornare la storia! Mi spiace averci messo così tanto ma sono stata costretta a posticipare la pubblicazione di questo primo vero capitolo a causa di impegni universitari.. e poi era estate, molto probabilmente è stato meglio così!
Non mi dilungherò oggi, spero solo che questo pezzo valga la pena di qualche piccola recensione o faccia anche solo sorridere qualcuno come ha fatto sorridere me nello scriverlo. Sperando di aver reso giustizia ai personaggi coinvolti, vi lascio! Alla prossima puntata capitolo!
Kaiy-chan |
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Capitolo 3 *** Ambush ***
3. Ambush
Tutto
ciò non lo convinceva per niente.
Da
tre giorni erano partiti alla volta del Nord per unirsi all'esercito
di Murmandamus, ma Elwar non riusciva a scacciare la sensazione che
ci fosse qualcosa di strano, qualcosa di sbagliato: il suo naturale
scetticismo non voleva saperne di star tranquillo.
Fin
dall'inizio le incognite erano state molte, lui era sempre stato un
tipo particolarmente diffidente per uno della sua stirpe e quella
storia di Murmandamus non s'era dimostrata un'eccezione. I punti
oscuri erano troppi perché nel suo animo si votasse ad una causa
talmente megalomane quanto rischiosa quale era quella del Signore
Oscuro. Tuttavia, non era certo lui il capoclan, né poteva far
qualcosa riguardo l'opinione dei suoi compagni, pertanto non gli
rimaneva altra scelta se non obbedire e fare il suo dovere.
Per
non dire che sarebbe stata una follia mettersi contro Murmandamus,
soprattutto per un infimo sentimento di miscredenza.
Stavano
attraversando il letto di un torrente per mezzo di un tronco quando,
con aria terribilmente concitata, un esploratore tornò di corsa da
loro, fermandosi a parlare a mezza voce col capoclan.
–
Accidenti.. non ci voleva! – borbottò questi digrignando i denti,
per poi rivolgersi a tutti gli altri – Nani stanno pattugliando il
sentiero a poca distanza dalla nostra posizione: dobbiamo trovare un
nuovo passo fra le rocce. E in fretta.
Nessuno
fece domande o si sorprese per la novità e subito due esploratori
tornarono indietro, lungo il sentiero, per trovare un'altra strada ed
aggirare quel nuovo problema seguiti dai compagni a cavallo.
A
quella notizia Elwar si incupì in volto.
Nani...
phua!
Sputò
nell'acqua cristallina per togliersi il sapore amaro che gli era
salito in bocca; detestava i nani ed al solo pensiero gli si chiudeva
la bocca dello stomaco per ore. Nel bel mezzo di quella piccola
considerazione tuttavia, fu assalito da una nuova ed inquietante
sensazione, e guardandosi intorno all'improvviso si rese conto di
quanto fosse silenziosa la montagna. Era come se la terra stessa
stesse trattenendo il respiro.
Due
pareti di roccia nuda e segnata dalle intemperie svettavano ai lati
del sentiero e gettavano lunghe ombre lungo il percorso, tali da
fargli nscere un pensiero nella mente: È il posto ideale per
un'imboscata.
Quell'idea
ebbe il potere di smorzargli il respiro ed il sospetto nacque e si
ingigantì nella sua anima, facendogli tendere ogni muscolo. Rimase
in ascolto e notò come nessuno dei suoni della natura raggiungeva
più le sue orecchie: né un richiamo lontano o il più piccolo
cinguettio sovrastavano il cadenzato scalpitio di zoccoli.
Inoltrandosi
dietro ai suoi compagni in quella sorta di basso crepaccio, Elwar
avvertì l'inquietudine serrargli in una morsa la bocca dello
stomaco, ma si sforzò di mantenere calma e sangue freddo: non era
l'unico moredhel presente e nemmeno poteva dirsi il più abile fra i
suoi confratelli, sebbene non si contassero ché sulle dita di una
mano coloro che avrebbero potuto vantare la loro supremazia in uno
scontro. Sicuramente ognuno di loro era in allerta ed il loro
capoclan più di tutti doveva esser sicuro della strada intrapresa.
Scoccando un'occhiata di sottecchi agli altri, non si sorprese quindi
della tensione che scorse sui loro lineamenti.
Tuttavia
continuarono ad avanzare senza intoppi né il più piccolo segno di
pericolo, uscendo uno ad uno da quella stretta gola in un tratto di
sentiero più ampio e meno soffocante, il silenzio interrotto solo
dal rumore degli zoccoli dei loro cavalli riecheggiante sulle rocce.
Elwar, dopo aver adocchiato la pendenza quasi a picco del versante
alla loro destra, era ormai pronto a tirare un sospiro di sollievo
quando le sue più nere aspettative vennero esaudite: schiocchi ed un
sibilo di ghiaia smossa lo fecero sussultare e sollevar lo sguardo
appena in tempo per vedere la frana riversarsi nella gola appena
superata.
Il
grido di allarme riecheggiò in contemporanea a quello d'attacco dei
nani, che balzarono fuori dai loro nascondigli lungo la parete
rocciosa, riversandosi giù dal versante con le armi spianate a
reclamare il loro sangue.
Elwar,
senza più indugiare, si affrettò a sguainare la propria spada,
pronto ad affrontare quella minaccia incombente, ma un secco comando
del loro capo li indusse a cercare di fuggire. Il moro non fu il
primo a tentare di seguirne l'esempio ma chi lo anticipò non fece
molta strada.
Grida
echeggiarono per il passo tutt'intorno a lui e gli fecero capire che
ogni via di fuga, avanti come dietro di loro, era ormai bloccata.
Digrignando i denti in una smorfia di furore, Elwar serrò la presa
sull'impugnatura della propria lama e lasciò divampare dentro di sé
l'odio verso il loro nemico, traendone intimo rinvigorimento ed una
muta determinazione. Anche in superiorità numerica, ogni nano di
quella stramaledetta montagna avrebbe pagato cara la decisione di
mettersi contro di loro.
Con
furore abbatté il primo assalitore ed a colpi di spada tentò di
aprirsi un varco in quello che ormai era divenuto il caos più
completo. Sangue scarlatto andò presto ad impregnare la polvere
sotto stivali e zoccoli, e nitriti di dolore si mescolarono alle
grida di elfi e nani. Forse fu la situazione disperata a spronarlo,
oppure l'ebrezza dello scontro e del sangue versato, ma Elwar per una
manciata di istanti riuscì nel suo intento e, cogliendo l'attimo,
spronò il proprio cavallo a far un balzo in avanti.
Tuttavia
non fu abbastanza rapido: l'animale nitrì di dolore a un passo dalla
salvezza e cadde, abbattuto dal filo di un'azza nanica.
Elwar
venne sbalzato in avanti finendo a rotolare nella polvere ed evitando
per miracolo un fendente nemico diretto al suo collo. Quando l'attimo
dopo balzò nuovamente in piedi, si ritrovò di fronte un nuovo
nemico e non esitò a scagliarcisi contro. Le armi cozzarono ancora
in un clangore metallico che si mescolò alla cacofonia
dell'ambiente circostante ed il disprezzo aleggiò a pari merito sui
volti di entrambi i nemici. Elwar, dopo una fase di stallo, riuscì
ad avere la meglio ed abbatté rapidamente il suo avversario, ma
l'attimo seguente, il fiato corto ed i muscoli doloranti per la botta
col terreno, sentì ogni speranza di vittoria svanire quando ebbe
modo di lanciare uno sguardo alla situazione: i suoi compagni,
nonostante l'accanimento, stavano venendo decimati.
Comprese
con agghiacciante nitidezza di non avere alcuna possibilità, eppure
nel riprendere a combattere non sottrasse potenza ai propri colpi, né
la sua fermezza vacillò, e continuò a battersi come una furia, non
permettendo a sé stesso nemmeno per un secondo d'arrendersi.
Se
così doveva finire, se ne sarebbe andato con l'orgoglio di aver
lottato sino al suo ultimo respiro.
Incalzato
dal nemico fu costretto ad indietreggiare, finché ad un certo punto
il suo tallone poggiò nel vuoto, sbilanciandolo. Totalmente
spiazzato, fece appena in tempo a scoccare un'occhiata alle proprie
spalle prima che la scarpata sulla sommità della quale era finito lo
reclamasse con sottili dita d'acciaio.
Il
respiro gli si smorzò in gola ed un attimo dopo il mondo intorno a
lui si capovolse: iniziò a rotolare giù, incapace di trovare un
appiglio a cui aggrapparsi per frenare la caduta e quando infine
raggiunse il fondo le acque fredde e tumultuose di un torrente di
montagna si richiusero su di lui. Le rapide lo trascinarono via e gli
fecero perdere la presa sulla propria spada, così Elwar venne
sballottato dalla corrente per un buon tratto prima di riuscire a
risalire in superficie e riempire i polmoni in fiamme. Fu un breve
momento di sollievo perché subito dopo i frangenti lo riportarono
sotto, costringendolo a lottare con tutte le proprie forze per non
farsi dominare dai turbinii della corrente. Con il rombo del fiume a
riempirgli le orecchie ed i polmoni a reclamare aria sempre più
disperatamente venne trascinato verso valle, riuscendo sporadicamente
a prendere una o due boccate d'aria prima di venir di nuovo sommerso.
Il
moredhel lottò strenuamente per la propria vita contro le forze
della natura e quando l'andamento delle rapide si attenuò,
permettendogli di restare finalmente a galla, avvertì il panico che
gli aveva torto le viscere sino a quel momento attenuarsi in favore
di una punta di sollievo. Nonostante l'acqua lo accecasse ancora e
fosse a malapena in grado di tenersi a galla, il peggio sembrava
passato.
Non
fece nemmeno in tempo a pensarlo che alle orecchie gli giunse, al di
sotto del fragore delle onde, un rumore più cupo e diffuso che con
il trascorrere del tempo si fece sempre più forte, mutandosi ben
presto in un rombo sempre più distinto ed apparentemente proveniente
dalle fondamenta della terra stessa.
Non
gli ci volle molto per intuirne la natura e nel momento in cui la
risposta gli balenò alla mente, la paura tornò a minacciare di
soffocarlo e gli immobilizzò ogni muscolo, cosicché finì per
tornare con la testa sott'acqua per una manciata di secondi.
Una
cascata!
Riemergendo
e tossendo, riuscì finalmente a scorgerne il bordo davanti a lui di
poche decine di metri ed il terrore puro lo assalì per la prima
volta in vita sua, più micidiale di qualsiasi altra emozione di
timore provata sino a quel momento e seppe d'istinto di essere
spacciato.
Così
se ne sarebbe andato: senza la gloria di una morte avvenuta in
battaglia.
Quando
giunse il momento del salto nel vuoto, il fragore della cascata coprì
l'urlo che gli sgorgò dal fondo della gola ed Elwar chiuse
strettamente gli occhi di fronte al mondo che gli andava incontro ad
velocità vertiginosa.
Poi
gelo e buio lo inghiottirono.
***
–
Che effetto fa essere un moredhel?
La
domanda di Aredhel per Lorren fu talmente inattesa da fargli perdere
l'equilibrio e l'eledhel cadde rovinosamente sul terreno fitto di
cespugli di quella parte di sottobosco. Lei lo raggiunse un attimo
dopo, trafelata.
–
Stai bene? – gli chiese, aiutandolo ad alzarsi, mortificata – Mi
dispiace molto.
–
No... non fa nulla. Non preoccuparti – ribatté lui tirandosi in
piedi e rivolgendole un sorriso di rassicurazione – È che... be',
non me l'aspettavo – affermò solo, portandosi la mano destra a
sfregarsi il collo.
Era
trascorso un po' di tempo dal Ritorno di Lorren e lui ed Aredhel
avevano finito per fare coppia fissa in molti degli incarichi
assegnati. Il tempo trascorso insieme aveva permesso loro di
conoscersi meglio ed il legame che ne era nato aveva ben presto preso
forma in quella che s'era rivelata una solida e spensierata amicizia.
Quel
giorno entrambi erano stati inviati da Varsel in avanscoperta lungo i
confini di Elvandar, con il compito di appurare se davvero vi fosse
stato un cambiamento della situazione nei territori contesi con i
pochi clan di Fratelli Oscuri che popolavano il territorio.
Ormai
s'erano avventurati per un buon tratto nel sottobosco comunemente
definito “terra di nessuno” e si erano persino imbattuti
nei resti di un accampamento apparentemente abbandonato. Lorren non
aveva detto molto se non che il clan che l'aveva allestito doveva
essersi spostato altrove, presumibilmente verso le montagne, ma
Aredhel aveva scacciato la sensazione di incompletezza che le aveva
dato il fare del compagno di ronda: se c'erano abitudini abbastanza
radicate in lui da metterlo in difficoltà sul divulgare certe
informazioni, gli avrebbe dato tutto il tempo che gli serviva per
venire a patti con sé stesso e la propria natura.
Avevano
pertanto continuato la perlustrazione, procedendo per lo più
d'albero in albero finché la foresta lo aveva permesso. Era da poco
più di mezz'ora che avevano preso a spostarsi via terra.
–
Se non vuoi parlarne non intendo insistere: non era importante –
riprese Aredhel, tentando di toglierlo d'imbarazzo.
–
No, no – egli scosse la testa in segno di diniego senza apparirle
turbato, nonostante la sua reazione iniziale – Non è un male il
desiderio di conoscere. Dimmi pure cosa vuoi sapere.
Entrambi
gli elfi si fermarono e scelsero di fare una pausa, sedendosi ai
piedi d'una grossa quercia secolare. I grandi rami sopra le loro
teste proiettavano una vasta ombra sul sottobosco e le foglie
stormirono gentilmente, mosse dalla brezza di un'estate che sembrava
restia a concludersi; era un vento tiepido che staccò qualche foglia
e che tuttavia portò con sé l'odore tipico delle piogge autunnali.
Aredhel
rimase inizialmente in silenzio, prendendosi il tempo necessario per
formulare correttamente la prima domanda.
–
Che.. cosa c'è di diverso fra eledhel e moredhel? – chiese infine,
per poi correggersi inevitabilmente ed aggiungere – Cioè.. quali
differenze hai notato tu, come esperienza personale?
Lorren
si concesse un secondo di riflessione – Per prima cosa, – esordì
– l'ordine.
Aredhel
sorrise, un po' incredula ma divertita da quell'affermazione.
–
Sì, te lo assicuro – ribatté, anch'egli ridacchiando, notando la
sua espressione – In un villaggio moredhel la locazione delle
capanne è disposta secondo logica ma mai ordinata, non nel vero
senso della parola, e per la verità anche il loro comportamento
rispecchia perfettamente questo stile di vita – sembrava venirgli
incredibilmente facile riferirsi a coloro che un tempo doveva aver
chiamato compagni come estranei, ma ella ebbe l'accortezza di
tener quel pensiero per sé, ascoltandone le parole a seguire – I
moredhel sono un popolo principalmente migratore, non si fermano
quasi mai nello stesso luogo per più di una stagione, anche a causa
delle rivalità fra clan. Una cosa che mi ha fatto riflettere è la
sincronia dei movimenti dei soldati che mi hanno scortato sino ad
Elvandar – rivolse alla ragazza con espressione interrogativa –
Sono tutti così?
Aredhel,
che fino a poco prima lo osservava attenta a ogni sua parola, dovette
frenare una risata nell'annuire, seppur faticando a comprenderne la
domanda – Sì, credo di sì.
Per
lei era una cosa del tutto normale e non aveva avuto altri termini di
paragone, perciò non aveva idea di come fossero coordinazione e
disciplina militare al di fuori di Elvandar. Eppure, rammentò,
c'erano state delle volte in cui una parte di lei aveva pensato,
vedendo un drappello di soldati attraversarle la strada, a quanto
somigliassero ad una sola entità talmente erano compatti ed in
sincronia fra loro e la natura circostante. E sempre quella parte di
lei aveva provato una punta di estraneità che solo la sua
cocciutaggine aveva soppresso.
Lorren le fece cenno di procedere con un movimento del capo, così
Aredhel diede voce alla seconda domanda.
–
C'è una cosa che mi sono sempre chiesta – esordì con una certa
esitazione che non sfuggì al suo interlocutore – Se davvero il
Sentiero Oscuro li porta a disprezzare e rifiutare tutti gli altri,
fra di loro come sono i rapporti? Sono in grado di provare altri..
sentimenti? Ad esempio fra maschio e femmina.
Quella
domanda lasciò interdetto l'elfo, che rimase a guardarla per alcuni
secondi con espressione perplessa.
–
Come mai ti interessa?
Aredhel
esitò un istante, prima di accennare ad una breve alzata di spalle.
–
È che gli Anziani hanno sempre detto che a causa dell'influsso del
Sentiero Oscuro, i moredhel non riescono a provare e comprendere cosa
siano l'amore ed il rispetto per la vita, ma forse... forse non è
così. Insomma, magari sono in grado di provare qualsiasi tipo di
sentimento ma hanno un modo diverso di dimostrarlo.
–
Be'... la società moredhel è basata sul rispetto reciproco e sul
riconoscimento del valore individuale ed i sentimenti benevoli per lo
più vengono considerati una debolezza, ma non sono impossibilitati a
provarli. Chi non svolge delle mansioni, non aiuta la comunità e si
rivela un incapace anche a combattere, alla fine viene allontanato.
Non vi sono grosse distinzioni fra maschi o femmine in questo caso e
non vi è magnanimità verso i più deboli. Quando i bambini sono
abbastanza grandi da poter impugnare una spada corta si inizia ad
istruirli all'uso delle armi.
–
Anche le femmine? – lo interruppe lei.
Lorren
scosse il capo – Non nel clan in cui sono cresciuto. Alle femmine
moredhel vengono riservati altri compiti come cacciare, cucinare,
badare ai bambini e altre cose di natura più ordinaria. Per lo più
restano tutte all'insediamento e il più delle volte non viene loro
permesso nemmeno di accompagnare i guerrieri nelle loro spedizioni
più lunghe, ma anche se così non sembra hanno un'importanza
fondamentale nel loro contributo alla collettività che ogni moredhel
non può non riconoscere loro.
A
quelle parole seguì un breve periodo di silenzio, prima che Aredhel
dopo aver riflettuto su quelle informazioni lo interrompesse un'altra
volta.
–
Possono scegliersi il proprio compagno?
–
Sì. Ognuna ha il diritto di accettare la corte di un uomo o di
rifiutarla secondo i suoi desideri, ma credo che alcune si concedano
con troppa facilità ed in genere i maschi sono soggetti estremamente
possessivi ed orgogliosi per ammettere di non avere l'ultima parola
in merito. Quando un moredhel però sceglie la sua compagna è per
la vita e se ella si concede ad un altro è legittimo per il compagno
tradito lavare l'onta col sangue di entrambi. Non esiste il perdono
per nessun tipo di tradimento e perdonare un torto è già di per sé
considerato come un segno di debolezza.
Aredhel
inarcò un sopracciglio a quelle parole, serrando le labbra in una
linea piatta e tesa, mentre le implicazioni di quelle affermazioni le
inondarono la mente. Lei stessa non tollerava molto bene azioni quali
il tradimento, ma il pensiero d'una tale reazione sanguinaria le fece
salire un brivido freddo lungo la spina dorsale.
Fu
sul punto di aprire di nuovo bocca ed aggiungere qualcos'altro quando
tuttavia si bloccò sul nascere, risvegliata all'ambiente circostante
da un fioco rumore giuntole alle orecchie a punta. Si mise
meccanicamente in ascolto, le orecchie tese a captare il più piccolo
suono, ed al pari di lei anche Lorren si irrigidì, guardandosi
attorno con espressione tesa.
Il
silenzio calato intorno a loro venne nuovamente infranto da un altro
rumore sommesso, simile ad un fruscio, ed entrambi a quel messaggio
implicito si alzarono immediatamente in piedi mettendo mano alle armi
e ponendosi schiena contro schiena, sondando la selva intorno a loro.
I
minuti si susseguirono lenti in quell'immobilità, ogni muscolo
rigido per la tensione del momento ed ogni senso volto a cogliere il
minimo accenno di cambiamento nella situazione in cui erano piombati.
Dopo una decina di minuti, lentamente, la tensione nei loro muscoli
prese a calare ed i due si scambiarono uno sguardo interrogativo.
–
Sarà stato un leprotto... – ipotizzò Aredhel, ma era palese il
fatto che non ne fosse per niente convinta perché nessun animale si
sarebbe avvicinato tanto a loro, ed anche Lorren doveva esserne
consapevole.
Poi
un'ombra si mosse nel sottobosco, seguita da un altro rumore che
l'elfa questa volta identificò come lo schiocco di un rametto che si
spezza. A quel punto l'evidenza della situazione le fu chiara e,
puntando nuovamente gli occhi nel sottobosco di fronte a sé
impallidì.
Siamo
circondati!
Quel
pensiero le attraversò la mente come una scarica elettrica e di
scatto girò il capo alla ricerca dello sguardo dell'amico, solo per
leggere in esso una conferma ai suoi più tetri timori. S'erano
distratti, erano stati incauti, ed ora erano nei guai.
Dal
folto si fece avanti il primo dei loro assalitori, un Fratello Oscuro
dai lunghi capelli neri raccolti in una treccia e l'espressione
tronfia di chi ha messo in trappola una ghiotta preda. Incrociandone
gli occhi scuri, Aredhel si sentì alla stregua di un cervo e dovette
deglutire per far sparire il nodo che le si era legato in fondo alla
gola quando altri moredhel seguirono l'esempio del primo e si
disposero tutt'intorno a loro.
–
Corvi – mormorò Lorren con una nota di astio nella voce.
Aredhel
gli scoccò un'occhiata confusa da sopra la spalla, in tempo per
notarne l'espressione tesa e corrucciata, quasi rabbiosa seppur
contenuta, prova di un'avversità radicata nel tempo.
–
Cosa?
–
Un clan in conflitto con quello al quale appartenevo – spiegò
allora lui, senza smettere di tenere d'occhio i nemici – ..una cosa
positiva è che fanno prigioniere le donne.
–
E di te che ne sarà? – lo incalzò allora, allarmata.
In
risposta lui le sorrise appena – Non temere... mi batterò fino
all'ultimo.
E
poi, come a suggellare l'ineluttabilità di quelle parole, lo scontro
ebbe inizio.
Aredhel,
già in posizione di difesa, affrontò il suo primo avversario in un
cozzar di lame e il mondo intorno a lei ridusse drasticamente la sua
prospettiva. L'adrenalina in circolo le alterò le percezioni come
non le era mai accaduto prima, alimentata dalla paura istintiva
dovuta al suo primo scontro con un Fratello Oscuro. Incrociando gli
occhi carichi di disprezzo del suo nemico, per ella fu come se
improvvisamente tutto il resto perdesse nitidezza in favore dello
scontro in atto e fu come se non vi fosse più nient'altro, soltanto
loro, eledhel e moredhel, faccia a faccia.
Solo
un attimo e la ragazza, grazie al duro allenamento a cui l'avevano
sottoposta in quegli anni suo padre e suo fratello, trovò una
breccia nella difesa avversaria e vi affondò con la lama,
trapassando l'elfo da parte a parte, ma non ebbe che un istante di
respiro prima che questi venisse subito rimpiazzato da un compagno.
Il
risultato si ripeté immutato ed anche il secondo in poco tempo finì
per ricadere a terra, gravemente ferito, ma a quel punto la
ragazza-elfa si ritrovò ad affrontare due avversari
contemporaneamente. Questi la presero dai due lati ed iniziarono ad
incalzarla con attacchi sincroni, costringendola a parare ed
indietreggiare, senza riuscire a contrattaccare in alcun modo. Non le
concessero alcuna tregua ma, ancor prima che iniziasse ad accusare la
stanchezza un terzo avversario si intromise, assalendola alle spalle.
Aredhel
venne ferita di striscio al fianco destro e si ritrovò a digrignare
i denti in una smorfia di dolore, ma con la forza della disperazione
tentò un contrattacco, invano. Le spade cozzarono ed il suo
disperato tentativo di avere la meglio fu parato con successo.
–
Aredhel! – la voce di Lorren la raggiunse, sopra il clangore del
metallo.
–
Vattene Lorren! Va' via! – gli gridò lei alla cieca, schivando
l'ennesimo assalto.
–
Ma non posso lasciarti qui!
La
ragazza si spostò leggermente, in modo da poterlo vedere senza
abbassare la guardia e riuscì a scorgerlo oltre le spalle dei tre
elfi che l'avevano stretta all'angolo, accerchiandola.
–
Devi! Lo hai detto tu che non mi uccideranno. Se resterai, morirai
per nulla e nessuno potrà avvertire gli altri di ciò che è
accaduto!
–
Ma... – tentò un'ultima volta lui; i loro occhi si incrociarono e
ogni sua obiezione gli morì in gola. Lo vide distogliere lo sguardo
dal suo e l'afflizione che gli lesse in volto era quasi tangibile –
D'accordo. Ma tornerò per liberarti! – esclamò alla fine questi,
respingendo un altro attacco del suo avversario e retrocedendo verso
il bosco.
Aredhel
non riuscì più a seguirne le movenze, riportata con l'attenzione al
proprio scontro da un movimento simultaneo dei tre moredhel. Ne parò
i tre colpi incrociati che, fendendo l'aria, sibilarono minacciosi
sino a fermarsi ad un palmo dal suo stesso capo. La forza
dell'attacco la costrinse in ginocchio e lei si lasciò sfuggire un
gemito a causa di una fitta proveniente dal fianco ferito.
Fu a
quel punto che uno di quelli scavalcò la sua difesa e le sferrò un
pugno dritto nello stomaco. L'eledhel boccheggiò alla ricerca d'aria
e si piegò in avanti, annaspando per reagire in qualche modo, ma i
moredhel furono più rapidi di lei. Il forte dolore alla nuca che
seguì le fece perdere la cognizione di sé stessa e l'oscurità calò
su di lei.
Perse
i sensi ancor prima di toccare terra.
continua...
Ciao a tutti!
Ok, i primi due capitoli erano un po' un unico prologo, gli eventi iniziano a muoversi solo da questo capitolo in poi, quindi posso capire come mai fin'ora le cose siano risultate un po' piatte.. ma comunque vi assicuro che da qui in avanti si farà tutto più interessante! *-* restate con me!!
Volevo ringraziare chi ha inserito questa storia fra le seguite <3 e vi invito a lasciarmi un parere quando volete.
Nel mentre vi saluto!!
Kaiy-chan |
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Capitolo 4 *** Impossible escape ***
4. Impossible escape
Quando
l'incoscienza iniziò a ritirarsi, per Elwar fu come risvegliarsi
dalla propria tomba.
Non
seppe stabilire nemmeno in seguito per quanto tempo era rimasto privo
di sensi ma quando ciò avvenne il primo messaggio che gli trasmise
il suo corpo dolorante fu un fastidioso indolenzimento alla schiena,
così come a gran parte dei suoi muscoli, e la percezione di un letto
di ciottoli decisamente scomodi sotto di sé, tanto da rendergli un
supplizio ogni respiro dei polmoni in fiamme.
In
quell'iniziale ed assoluta immobilità dovuta ad uno stordimento
pressoché assoluto gli ci volle una manciata di secondi per rendersi
conto d'esser vivo e poi, mentre tentava di lottare contro l'apatia
che gli offuscava la mente, iniziò a distinguere qualcuno dei suoni
dell'ambiente circostante. Si fece spazio nella sua coscienza un
rumore sordo, costante, pari ad uno scroscio fragoroso dapprima
lontano e indistinto e poi sempre più forte al suo fine udito. Fu il
rumore della cascata a poche decine di metri di distanza a scacciare
gran parte del suo stordimento, un attimo prima che una serie di
immagini mentali gli invadessero la mente.
L'imboscata!
Elwar
aprì di scatto gli occhi, trovandosi a combattere contro la luce che
gli ferì le pupille e la pesantezza delle membra mentre, con uno
scatto, si sollevava a sedere, pervaso da un'unica potente emozione:
l'incredulità dopotutto d'essere ancora vivo. Boccheggiando, fece
appena in tempo a raddrizzare la schiena che un'altra acuta fitta di
dolore gli trapassò il cranio, facendolo gemere e costringendolo a
portarsi una mano alle tempie.
Quando
la ritrasse, riconobbe immediatamente il sangue sulle proprie dita.
Senza
scomporsi né rimanerne sorpreso, distolse allora lo sguardo e si
guardò brevemente attorno per cercare di stimare la propria
posizione. Era più a valle di un buon centinaio di metri dal punto
in cui era precipitato ed aguzzando la vista, nonostante il mal di
testa, distinse senza problemi il punto in cui il dislivello del
terreno roccioso dava vita a quel salto terrificante.
Era
stato fortunato oltre ogni dire ad uscirne vivo.
Poi
i suoi occhi si focalizzarono su un riflesso poco distante presso la
riva del fiume e, dopo un paio di minuti impiegati a rimettersi in
piedi e ritrovare una certa stabilità sulle gambe, raggiunse quel
punto solo per chinarsi a raccogliere quella che si rivelò essere la
sua spada.
Che
strana fortuna.
Perplesso,
Elwar tornò a guardarsi attorno, sentendosi quasi sopraffatto dalla
sua stessa incredulità per tutta quella buona sorte. Gli ci volle
un'altra manciata di secondi per ritrovare la propria abituale
freddezza ed ipotizzare con un distacco autoimposto come fosse stata
la stessa corrente a spinger lui e la sua spada sin lì. Non si fece
altre domande in merito e, dopo essersi assicurato che non avesse
subito danni, la rinfoderò prima di uscire totalmente dall'acqua
fredda.
Quando
i suoi stivali calcarono nuovamente il terreno solido si diresse con
passo incespicante verso est, seguendo il corso del fiume: doveva
assolutamente capire dove era finito. Fu dopo un altro paio di
centinaia di metri di cammino che colse il rumore di un altro corso
d'acqua ed avanzando non dovette far molta strada per scorgere il
fiume ben più imponente che attraversava la piana: il Crydee.
Fermandosi
sulle rive di quest'ultimo nel punto in cui l'affluente affluiva ad
arricchire le acque del fiume principale, facendo mente locale riuscì
a stimare di trovarsi non troppo lontano dalle colline dello Yabon ed
a nord-ovest delle foreste di Elvandar: a pressapoco quattro di
giorni di cammino, nel suo attuale stato.
Ed
anche gli ultimi strascichi di stupore per la sua buona sorte
sfumarono completamente dal suo animo: Elvandar voleva dire eledhel
ed eledhel voleva dire soltanto guai, seppure non fossero così
vicini da costituire una seria minaccia.
Giudicando
poco prudente attardarsi allo scoperto, entrò al riparo di un
piccolo boschetto.
Non
voleva correre il rischio di imbattersi in qualche pattuglia di
sorveglianza dei confini del territorio Hadati, situato in un punto
imprecisato oltre le colline ad est, anche se normalmente non se ne
sarebbe curato: al confronto coi nani, i cavalieri delle colline
dello Yabon erano contadini con in mano dei bastoni.
Starnutì
sommessamente a causa di una folata di vento che gli rammentò
d'essere completamente fradicio e si mise meccanicamente alla ricerca
dell'occorrente per accendere un fuoco. Dopo che vi fu riuscito, non
senza qualche difficoltà dovuta al tremore delle mani ancora
intirizzite dal freddo, depositò accanto al focolare ciò che del
proprio equipaggiamento poteva togliersi di dosso prima di sedervisi
di fronte. Non dovette attendere molto prima che le fiammelle
guizzanti lambissero col loro calore la sua figura, ma quel tepore
ebbe anche un altro effetto: quello di risvegliare il suo stomaco.
Ben presto i languori della fame divennero talmente insistenti da
costringerlo a mettersi alla ricerca di un pasto e fortuna volle che
di lì a poco riuscì a imbattersi nella tana di una lepre protetta
da alcuni cespugli di bacche. Non gli occorse altro.
Si
appostò in attesa, con la pazienza dell'esperto cacciatore quale
era, finché non giunse l'occasione che aspettava. Con un colpo secco
del suo pugnale da caccia abbatté un giovane maschio dal pelo fulvo
e dopo averne appeso il corpicino ad un ramo a dissanguare raccolse
anche qualche bacca da quel cespuglietto rigoglioso, senza curarsi
del sangue e della polvere che gli era finito su braccia e mani.
Fu
quando tornò accanto alle braci del suo fuocherello che, avvertendo
la sensazione fastidiosa del sangue che gli si stava seccando sulla
pelle, sfoggiò una smorfia nel guardarsi. Se avessero potuto vederlo
i suoi confratelli lo avrebbero di certo preso in giro per il modo in
cui era riuscito a ridursi. Preda di quel pensiero istintivo fece per
ripulirsi, ma si bloccò con ancora la casacca umida a mezz'aria.
Che
stava facendo?
La
sua guida, i suoi compagni, coloro per cui si era sempre battuto ed
adeguato ad un determinato stile di vita non c'erano più: nessuno
gli avrebbe rimproverato il suo stato.
Le
braccia gli ricaddero lungo i fianchi, improvvisamente prive di
energia, e con un'ombra a calargli sul volto abbronzato si lasciò
scivolare di nuovo seduto dinanzi al focolare ancora acceso. Gli ci
volle una manciata di minuti per decidersi a riprendere da dove s'era
fermato, spinto più dai morsi della fame che da altro, e quando si
mise a pulire il suo pranzo i suoi gesti potevano dirsi quelli di un
automa.
Per
tutto il tempo, un solo interrogativo ad echeggiargli nella mente.
E
adesso?
***
Aredhel
riprese lentamente coscienza, stimolata dal buon profumino di
selvaggina che permeava l'aria. Lentamente e con una difficoltà mai
provata prima aprì gli occhi, riuscendo dopo un paio di battiti di
ciglia a focalizzare lo sguardo sul fuoco posto al centro di quello
che era in tutto per tutto un accampamento.
Un
accampamento moredhel.
I
ricordi dell'accaduto le inondarono la mente e lei in risposta si
irrigidì, assalita da un'inquietudine talmente intensa da essere sul
punto di sfociare in terrore. Eppure l'istante seguente ogni cosa
venne stroncata da una fitta di dolore che come una scarica elettrica
le invase la mente, rammentandole con estrema brutalità le sue
condizioni di prigioniera ferita. Dovette imporsi di tornare a
respirare con regolarità e cautela, non riuscendo a non digrignare i
denti per lo sforzo, prima di tentare di guardarsi nuovamente
intorno.
Accanto
al focolare un Fratello Oscuro stava tenendo d'occhio la cottura di
un grosso animale; doveva trattarsi di uno dei moredhel che aveva
ferito, a giudicare dalla fasciatura al fianco che spiccava sotto le
sue vesti scure.
L'istante
successivo a quei pensieri si rese effettivamente conto che la sua
visione del mondo era ribaltata e comprese di trovarsi riversa sulla
nuda terra, la sensibilità degli altri arti quasi nulla e le braccia
bloccate dietro la schiena e legate ad altezza dei polsi. E come se
non bastasse, un pezzo di stoffa le era stato rudemente legato sulla
bocca come un bavaglio, rendendole più difficoltoso respirare.
–
Amras – una voce aspra, quasi sgradevole, la distolse dal sommario
rapporto delle proprie condizioni fisiche e nel suo campo visivo
comparvero un paio di stivali in avvicinamento – Si è ripresa.
Spostando
leggermente il capo, l'elfa riuscì ad inquadrare il volto del nuovo
elfo nel proprio campo visivo. Aveva un'espressione austera che non
faceva altro che renderne più duri i lineamenti naturalmente fini,
ma qualcosa al limitare della sua consapevolezza le insinuò la
sensazione di non vederlo per la prima volta. Doveva essere il capo.
Gli
bastò un cenno e l'istante seguente un paio di mani l'afferrarono
senza grazia per le braccia, sollevandola a sedere e tenendola al
contempo ferma con presa ferrea. Quel cambiamento repentino e
l'indelicatezza usatale le procurarono una nuova scarica di dolore
dal fianco e per una manciata di secondi mille scintille le danzarono
davanti agli occhi. Serrando le palpebre attese con una smorfia
insofferente che quel momento passasse, di modo che la vista le si
schiarisse nuovamente, prima di azzardarsi a rivolgere una nuova
occhiata ai suoi carcerieri.
La
freddezza che colse negli sguardi altrui, mista a scherno e odio per
nulla celati, furono per lei come una serie di stilettate dritte al
petto che minacciarono di farla vacillare, ma un orgoglio insperato,
antico e prepotente, le impedì di abbassare il capo.
Nel
silenzio a seguire venne liberata del bavaglio e fatta bere, ma
terminati i pochi sorsi che le inumidirono la gola riarsa la
lasciarono ricadere distesa nella polvere in malo modo. L'impatto le
svuotò i polmoni con un gemito strozzato ed Aredhel rimase immobile
nel tentativo di riprendere fiato, cogliendo nel mentre il sibilo di
qualche risatina malevola. Poi i Fratelli Oscuri non la degnarono
d'altra considerazione e se ne andarono a sedersi accanto al fuoco
scoppiettante, dandole le spalle e tradendo quanta poca importanza le
dessero persino come prigioniera.
Doveva
esser quella considerazione che veniva rivolta agli eledhel come lei:
una creatura infima e inutile, tanto inferiore da non dover nemmeno
essere sorvegliata.
Di
nuovo quell'orgoglio che le aveva impedito di soccombere sotto gli
sguardi altrui le si agitò in petto, risvegliando in lei una
sensazione ribollente ed amara senza nome, qualcosa che non aveva mai
provato in precedenza e che si mescolò ad un'avversione nuova ed
istintiva per quei Fratelli Oscuri. Qualcosa che le impedì di
lasciarsi andare allo sconforto della sua situazione.
Lasciata
sola, raccogliendo come poté le poche forze di cui ancor giovava
nonostante l'accaduto, riprese da dov'era stata interrotta con un più
accurato esame sulle proprie condizioni fisiche. Mosse piano le dita
cercando di riattivare la circolazione, digrignando i denti per il
dolore. Quindi, resistendo al meglio alle fitte che ad ogni minimo
movimento le attanagliavano le viscere, tentò di ravvicinare le
gambe al ventre con lo scopo di rialzarsi, ma stavolta senza
successo: quando ci provò il bruciore nel punto in cui era stata
ferita tornò a ravvivarsi, divampando all'improvviso e riempiendola
di brividi di freddo che le tolsero le poche forze che aveva raccolto
sino a quel momento.
Fu a
quel punto che si rese conto delle reali condizioni in cui vigeva.
Quel
che aveva inizialmente supposto trattarsi di un taglio superficiale
doveva essersi aggravato durante la sua incoscienza, infiammandosi a
causa della mancanza di cure adeguate. Serrando i denti tentò di
rannicchiarsi maggiormente e con uno sforzo dei muscoli riuscì ad
esaminare visivamente il proprio fianco, prima di accasciarsi di
nuovo sul terreno con un sospiro. Almeno era stata fasciata.
Non
sarebbe morta dissanguata, si disse. Molto più probabilmente
l'avrebbe presa l'infezione che ne sarebbe venuta di lì a poco; se i
suoi aguzzini l'avessero lasciata vivere abbastanza a lungo,
beninteso.
Scacciò
quelle considerazioni controproducenti e continuò la sua ispezione.
Come ovvio constatò che era stata perquisita e disarmata e, cercando
con lo sguardo, vide il proprio equipaggiamento dall'altro lato di
quell'accampamento. Imprecando mentalmente per la distanza che la
separava da qualsivoglia lama, soppresse per mera forza di volontà
la sensazione di ineluttabilità che le ispirava la sua situazione
disperata, così tornò a guardarsi intorno. Ed a quel punto il cuore
le sussultò nel petto.
Questa
non è la foresta di Elvandar..
Gli
alberi erano più bassi di quelli a cui era abituata e le fronde
erano colme di una vegetazione dalle tonalità più scure, che
contribuiva a far aleggiare nel sottobosco circostante una penombra
che le impedì di determinare a che punto fosse il percorso del sole
nel cielo. Puntando un'altra volta l'attenzione sui moredhel che
l'avevano catturata, un'altra domanda affiorò inquietante fra i suoi
pensieri. Perché l'avevano tenuta in vita?
Quell'ultimo
interrogativo non fece che assillarla per tutto il resto del tempo in
cui rimase cosciente e le impedì di riposare al meglio delle sue
possibilità. Gelida, la morsa dell'ignoto le serrò la bocca dello
stomaco, accompagnandola nei momenti di veglia come in quelli di
incoscienza e non demordette mai, in quello come nei giorni che
seguirono.
Il
tempo iniziò a dilatarsi e deformarsi alla sua percezione a causa
delle ripetute perdite di coscienza, perdendo regolarità ai suoi
occhi ed il susseguirsi dei giorni si confuse, cosicché non riuscì
mai a stabilire quanti ne trascorsero durante la sua condizione.
Debilitata, tornava bruscamente alla realtà quando veniva
sbatacchiata da un campo all'altro o quando la destavano con
malagrazia per darle da mangiare o da bere in quantità a malapena
sufficienti a tenerla in vita.
Più
volte si rese conto, nel corso dei momenti di veglia, di qualche
Fratello Oscuro intento a fissarla con espressione indecifrabile,
sebbene per la maggior parte del tempo la ignorassero. Soltanto il
loro capo, Amras, le rivolgeva regolarmente parola ma solo per
rivolgerle qualche commento malevolo con il lampante intento di
spaventarla e piegare il suo animo, ma ben presto la ragazza si
impose di non dare alcun credito alle sue parole.
Iniziò
invece a concentrarsi su altro, come la routine che era la vita di
quei guerrieri moredhel, le loro abitudini, tentando di estrapolare
da questi uno schema che le avrebbe fornito un'occasione per salvarsi
la vita. Certo, attendere che fossero Lorren e gli altri a salvarla
sarebbe stato più comodo, ma non sapeva dove si trovava né dov'era
la squadra degli eledhel che doveva senz'altro essersi mobilitata
alla sua ricerca e farvi cieco affidamento sarebbe stata una pazzia.
In
un'occasione le parve persino di distinguere la direzione nella quale
si stavano muovendo grazie allo scorcio di alcune catene montuose fra
uno spiraglio di vegetazione e l'altro, ma non avrebbe messo la mano
sul fuoco sull'affidabilità delle sue deduzioni.
In
realtà fu dopo appena tre giorni dalla sua cattura che ebbe il vero,
primo, confronto degno di nota con Amras.
L'avevano
sistemata in una sorta di tenda, le avevano esaminato la fasciatura e
poi l'avevano lasciata lì a riposare per quelli ad ella erano
sembrati pochi minuti, prima di tornare da lei.
Aredhel
si sentiva stremata a causa del poco riposo e dello sforzo che il suo
fisico era stato costretto a sopportare sino a quel momento, pertanto
fu di soprassalto che si destò da quello che era un sonno leggero ed
inquieto non appena il drappo della tenda venne scostato e la luce
del giorno la colpì in pieno viso.
–
Bene.. – esordì la voce carica di scherno di Amras delineandosi in
controluce – Come sta la nostra ospite?
La
ragazza-elfa alzò lo sguardo appena in tempo per notare il
sorrisetto affilato che egli stava sfoggiando ed incrociandone gli
occhi scuri vi lesse lo stesso disprezzo malcelato che aveva visto
sul volto degli altri Fratelli Oscuri, sentimento che risvegliò in
lei quell'avversione mista a orgoglio e rabbia che le era nata in
petto sin dal primo giorno.
Il
ghigno del moredhel si accentuò in risposta al suo sguardo sfrontato
e le si avvicinò abbastanza da chinarsi e sollevarle il mento con
una mano. Il suo tocco indiretto, filtrato dal guanto che gli copriva
le dita, le procurò una smorfia malcelata.
–
Sai il perché sei ancora in vita?
Lei
non rispose, non batté ciglio, così come non si permise di
abbassare lo sguardo, traendo forza e sostegno dal suo solo orgoglio,
ma questo non parve impedire al moredhel di trarre le sue
conclusioni.
–
Come pensavo – ribatté infatti questi in tono risaputo e carico di
derisione – Voi eledhel siete troppo stupidi... Ebbene, te lo dirò
io – negli occhi dell'elfo passò un riflesso che ne rese
quell'esordio tanto inquietante da farle correre un brivido su per la
schiena ed il ghigno sul suo volto gli si accentuò di rimando nella
luce del crepuscolo incombente – Sei ancora in vita per il semplice
motivo che ci servi come tale. Almeno ancora per qualche tempo.
Sarebbe un peccato che un bel faccino come il tuo andasse sprecato,
non credi? – la mano destra che le aveva tenuto sollevato il mento
scese ad accarezzarle il collo e la spalla, provocandole un brivido
di repulsione e gelo che la fece tremare.
–
Non... non mi toccare! – esclamò scostandosi bruscamente e
lottando contro il senso di panico che minacciò di sopraffarla, ma
la presa sulla sua spalla si fece più salda, bloccandola.
Amras
scoppiò in una risata talmente tagliente da renderle ancora una
volta evidente in tutta la sua crudeltà la sua situazione di
prigioniera alla totale mercé dei suoi aguzzini e il respiro le
rimase impigliato in gola; non aveva alcuna possibilità.. né alcun
controllo sul proprio fato.
–
Come immaginavo: le eledhel sono di tutt'altra pasta rispetto agli
esseri umani. Ti riserverò un trattamento speciale – riprese il
moredhel in tono sommesso, avvicinando il suo volto a quello di lei –
Dopo che mi sarò divertito con te non avrai più così tanta voglia
di fare la difficile – quelle parole risuonarono nella mente della
ragazza più fredde di un blocco di ghiaccio – e allora forse
lascerò divertire un po' anche i miei ragazzi.
Aredhel
si ritrovò a sgranare gli occhi chiari preda di un terrore ed un
gelo che le avviluppò i sensi con una repentinità tale da smorzarle
il respiro e togliendole anche la più piccola padronanza della
propria voce.
Amras
parve accorgersene e l'istante dopo era di nuovo riversa a terra,
mentre quest'ultimo le volgeva le spalle, allontanandosi con ancora
quel ghigno sfrontato a delineargli le labbra sottili.
Fu
quello il primo ed unico momento in cui una calda lacrima le sfuggì
alle ciglia, rigandole la gota sinistra. La consapevolezza di quale
fosse il destino a lei riservato le strinse il petto in una morsa
soffocante.
Oh
Lorren... ti prego vieni a salvarmi.
E
tuttavia, come quel pensiero le si formulò nella mente, al contempo
la colse la disarmante consapevolezza che era una speranza vana e
flebile al pari di un filo di fumo nella bruma serale. Non avrebbero
fatto in tempo.
Avrebbe
dovuto trovare il modo di scappare da sola, a qualunque costo.
Era
tempo di reagire.
***
Erano
passati quasi sette giorni da quando quella ricerca era iniziata e la
spedizione partita da Elvandar s'era addentrata da tempo nelle terre
dello Yabon, seguendo le tracce lasciate dai Fratelli Oscuri. Da
quando avevano iniziato a costeggiare le colline il capitano del
drappello di elfi aveva raccomandato a tutti la massima attenzione e
cautela: gli uomini di quelle alture non erano rinomati per la loro
tolleranza verso chi invadeva il loro territorio. Per non parlare dei
moredhel che vi si nascondevano.
Eppure,
per quanto la perizia messa in quel compito fosse tale da poter
giustificarne la cosa, il fatto di non essersi ancora imbattuti in
alcun esploratore stava diventando rapidamente motivo di
inquietudine.
Col
calare del settimo sole si accamparono per passare le notte in una
macchia di vegetazione e fare il punto della situazione.
–
Vedrai che la ritroveremo – Lorren si avvicinò al loro
condottiero, fermandosi al suo fianco.
Il
fratello di Aredhel nel sollevare lo sguardo su di lui serrò le
labbra fra loro in una piega tesa. Sotto quello sguardo, l'ex
moredhel si sentì per l'ennesima volta attanagliato dai sensi di
colpa.
–
Mi dispiace, Varsel – mormorò, distogliendo il proprio.
Pensieri
ricorrenti si erano affacciati in quei giorni alla sua mente,
rimpianti, ipotesi, recriminazioni rivolte a sé stesso ed a come
erano andate le cose. Sentirsi responsabile per quanto avvenuto ad
Aredhel era il motore e il sostentamento dell'impegno che ci stava
mettendo a ritrovarla ed era una sensazione del tutto nuova che non
aveva mai provato, non così intensamente, prima di allora. Non
sapeva se era dovuto all'aver fatto Ritorno o se era per il legame
che stava iniziando ad instaurare con la ragazza-elfa, ma non sarebbe
rimasto a guardare. L'inattività non era mai stata da lui.
Avevano
già affrontato quel discorso ma, nonostante le rassicurazioni di
Varsel, non v'era modo per lui di scacciare il fantasma che gli stava
corrodendo l'animo dall'interno.
–
Non è stata colpa tua – rispose per l'ennesima volta il capitano
in tono stanco, scuotendo il capo nel tentativo di rimanere lucido –
Hai fatto il tuo dovere tornando subito ad Elvandar per avvertirci.
Lorren
rimase in silenzio mentre, per l'ennesima volta negli ultimi giorni,
riviveva l'accaduto.
Era
perfettamente consapevole di ciò che sarebbe potuto capitare ad
Aredhel sotto prigionia e non era certo una consapevolezza che poteva
giovare al suo stato d'animo. I Corvi erano Fratelli Oscuri senza
morale e con una soglia dell'onore più bassa di molti altri clan
moredhel della zona. L'unico motivo per cui facevano prigionieri era
per rivenderli come schiavi ad altri popoli o per giovarne loro
stessi finché questi non morivano di stenti. Era questo il motivo
per cui, ogni secondo che passavano senza procedere, la situazione
minacciava di sfuggirgli di mano.
Inspirò
a pieni polmoni, lasciando fuoriuscire in un sospiro parte della
tensione che gli irrigidiva le membra.
Quindi
pregò per l'ennesima volta la fortuna di assistere la sua amica.
***
Aredhel
venne svegliata bruscamente da una guardia che dopo averle assestato
un calcio contro una gamba le posò innanzi quello che era il suo
pasto: una ciotola di avanzi.
Il
moredhel non rimase a fissarla ma si allontanò senza indugi e lei,
dopo un istante, si concesse un sospiro di sollievo prima di
esaminare ciò che le era stato portato. Non molto in verità:
qualche brandello di carne ancora attaccato all'osso immerso in un
brodetto apparentemente disgustoso, ma che la fame le fece apparire
quanto di più delizioso potesse esserci al mondo. Con mani rese
incerte dalla stretta delle corde, grata che nessuno la stesse
fissando, si dedicò al sacro compito di riempire quanto più poté
il proprio stomaco.
Doveva
assolutamente recuperare e conservare quante più energie le era
possibile e l'unico modo per farlo era continuare a nutrirsi e
riposare ogni volta che poteva.
Il
male minore in tutta quella faccenda era il fatto che le avevano
cambiato le corde, legandole le braccia dinanzi al busto e non più
dietro la schiena, cosicché potesse nutrirsi da sola. Probabilmente
doveva ringraziare l'apparenza inoffensiva che era riuscita ad
ostentare sino a quel momento per questo e non mancò di
approfittarne ogni volta che poté. Era persino riuscita a sistemarsi
meglio la fasciatura intorno alla vita, stringendo maggiormente il
nodo delle bende e mitigando il dolore che ogni tanto le si
risvegliava sottopelle.
Non
passò molto tempo da sola tuttavia, una decina di minuti a seguire
Amras tornò a farle visita, sfoggiando quel suo ormai consueto
quanto malevolo sogghigno derisorio.
–
Sono venuto per annunciarti che fra pochi minuti ci rimetteremo in
viaggio – le disse con una certa arroganza – Mi auguro che
resisterai all'andatura, nonostante le tue condizioni.
Nel
suo sguardo ella vi lesse qualcosa che fece augurare la stessa cosa
anche a lei, ma riuscì a non battere ciglio di fronte alla
strafottenza del capo moredhel, rimanendo impassibile a sostenere
quell'ennesimo confronto di volontà. E il ghigno di Amras non mancò
di farsi più affilato.
–
Bene – disse soltanto. Fece per voltarsi ma venne raggiunto da uno
dei suoi subordinati; uno degli esploratori, a giudicare
dall'equipaggiamento.
–
Amras – il tono, come la sua espressione, tradiva una certa urgenza
– Eledhel.
Bastò
quella singola parola a far scomparire quel sogghigno dal volto del
loro capo e far spuntare, per contro, un flebile e spontaneo sorriso
su quello della prigioniera. Il primo dopo chissà quanto tempo.
Il
seme della speranza germogliò di nuovo nell'animo di Aredhel.
–
Dì agli altri di prepararsi a partire – comandò intanto Amras
congedando l'esploratore con un singolo gesto, prima di tornare ad
abbassare la sua attenzione su di lei – Pare che la fortuna stia
girando dalla tua parte oggi – poi quel ghigno in tralice riaffiorò
sul suo volto – ...o forse no.
L'eledhel
a quell'inquietante minaccia velata avvertì quel fugace guizzo di
positività venirle meno, sostituito da un profondo sconforto che le
fece chinar il capo verso il terreno. I pochi minuti a seguire venne
sgombrato totalmente il campo, sotto le direttive dell'ormai
familiare e sgradevole voce del moredhel al comando. Quando ormai
tutto fu pronto un moredhel tornò da lei, costringendola senza alcun
riguardo a rimettersi in piedi.
Venne
fatta avvicinare ad uno dei pochi cavalli del drappello, già sellato
e pronto alla partenza così come era pronto Amras, intento a
reggerne le redini.
Per
un fugace primo istante ad Aredhel venne in mente di stenderlo con
una testata dritta sul naso in un ultimo scatto disperato, quindi
montare in groppa all'animale e fuggire al galoppo mentre gli altri
moredhel nella più rosea delle aspettative erano ancora intenti a
chiedersi che cosa fosse accaduto, ma quello seguente la ragione
tornò a dissuaderla. La presa del suo custode era salda intorno al
suo braccio e le impediva ogni movimento che non fosse lui stesso ad
imporle.
Amras
salì in sella, ma poi si volse a guardarla ed a quel punto ella capì
che quella volta, anziché procedere a piedi, sarebbe dovuta salire a
propria volta. Il pensiero di trovarsi a così stretto contatto con
il suo principale aguzzino le fece salire un'ondata di disgusto che
minacciò di farle rivoltare quel poco che aveva mangiato a
colazione, ma riuscì a dominare i crampi alla bocca dello stomaco
seppur non a sopprimere la smorfia che le delineò le labbra
screpolate. Venne issata con malagrazia sul dorso del cavallo proprio
davanti al Fratello Oscuro, il quale non mancò di cingerla
saldamente in vita con il braccio sinistro mentre con la mano destra
strinse le briglie.
Sotto
il suo comando il piccolo gruppo si mise in marcia, cavalcando al
piccolo trotto attraverso la selva, la quale nel diradarsi in alcuni
punti permise ancora una volta alla ragazza-elfa di scorgere sprazzi
del mondo circostante. Quando contro il cielo plumbeo si stagliarono
le cime di una catena montuosa particolarmente imponente, le nozioni
che le erano state inculcate in testa dal suo precettore le andarono
in aiuto.
I
Denti del Mondo!
Lo
sconforto tornò a minacciare di afferrarle il cuore.
Si
trovava a leghe intere da Elvandar, in un territorio sconosciuto ed
inospitale e stavano senza dubbio dirigendosi verso nord-est, proprio
in direzione delle montagne. Un'ulteriore complicazione da
aggiungersi ad un suo tentativo di fuga.
Per
gran parte della giornata proseguirono a cavallo, concedendosi
soltanto brevi soste e mandando di continuo esploratori a piedi alle
loro spalle col compito di accertarsi della distanza che li separava
dagli inseguitori; due di loro non fecero ritorno.
Oramai
mancava meno di un'ora al tramonto.
–
Sono tenaci i tuoi amichetti – commentò Amras pesantemente
ironico, tanto vicino che ella ne percepì il lieve spostamento
d'aria accanto all'orecchio sinistro.
Preda
della repulsione suscitatale, Aredhel si scostò quel tanto che le
era permesso dalla presa del moredhel e cercò di non pensare a
quella mano che la teneva saldamente stretta alla vita.
–
Presto il tuo patetico orgoglio verrà spazzato via – le sussurrò
nuovamente in tono sprezzante, serrando le dita nel punto in cui
giaceva la sua fasciatura e strappandole un sussulto.
Aredhel
trattenne un gemito, il fiato di nuovo mozzatole in gola, ed avvertì
un lieve capogiro minacciare di destabilizzarla.
–
Smettila – quella parola sussurrata risuonò quasi come una
supplica, troppo vicina al proprio limite per opporsi con la consueta
fermezza: era stremata per la cavalcata e le emozioni negative della
giornata, la mente offuscata dall'avversione suscitatale dal capo dei
Corvi.
Amras
tornò a drizzare completamente la schiena sulla sella e un istante
dopo diede ordine ai compagni di trovare un luogo adatto per
accamparsi. Non dovettero fare molta strada: si fermarono in una zona
a ridosso delle prime montagne e ben riparata dagli alberi.
–
Ci fermiamo qui – annunciò il Fratello Oscuro prima di smontare di
sella.
Finalmente
libera dalla sua presenza oppressiva, Aredhel fu di nuovo in grado di
pensare e il pensiero che la colse fu improvviso non tanto per
natura, ma per l'intensità con cui la investì, tale da farle
entrare in circolo una nuova ondata di adrenalina.
Doveva
fuggire. Adesso.
Ogni
muscolo le si tese meccanicamente. Qualunque cosa avesse deciso di
fare, avrebbe dovuto farla subito.
–
Tiratela giù.
L'ordine
perentorio di Amras fu il segnale che fece crollare ogni suo
tentennamento. Preda della disperazione del momento, con profonda
determinazione affondò i talloni nei fianchi del cavallo e questi si
impennò, riuscendo a strappare di mano al capo dei Corvi le proprie
redini con un forte nitrito di protesta. Gli zoccoli fendettero
l'aria ed esclamazioni d'allarme si levarono dagli elfi lì presenti,
mentre Aredhel si aggrappò con tutte le sue forze al crine
dell'animale riuscendo solo per miracolo a non scivolare a terra a
propria volta. E l'attimo seguente, spronato ancora una volta
dall'urlo dell'eledhel, lo stallone scartò di lato, balzando al
galoppo fra uno dei varchi della fitta vegetazione.
Stava
scappando.
Il
primo e più persistente pensiero che si sovrappose al fragore di
quella corsa ed al fischio del vento fu che stava scappando. Con
l'adrenalina in circolo ad acuire ogni suo senso, lottando per
rimanere in sella, la ragazza avvertì per la prima volta in vita sua
un'eccitazione ed una vitalità talmente intense che se non avesse
avuto il cuore saldamente piantato in gola avrebbe esultato e
gridato.
Era
riuscita a fuggire!
Sotto
il sibilo del vento delle urla risuonarono alle sue spalle, come echi
lontani e rabbiosi, ricordandole che non era ancora in salvo ed
inducendola a rimettere sotto controllo le proprie emozioni per
restare concentrata su ciò che stava facendo. Ogni sussulto infatti
minacciava di sbalzarla a terra ed ogni falcata dell'animale sotto di
lei sembrava incrementare la loro velocità lungo il pendio, tant'è
che si ritrovò a lottare contro un offuscante strato di lacrime nato
dal vento che le sferzava il viso.
All'ennesimo
salto del cavallo avvertì l'impatto di qualcosa di più rigido di
cuoio e finimenti contro la gamba destra e solo a quel punto si rese
conto della presenza di un coltello assicurato ad una fibbia accanto
alla sacca da sella. Con cautela e riuscendo miracolosamente a non
perdere l'equilibrio, Aredhel riuscì a sfilarlo dal fodero e, con
una destrezza che solo un appartenente della sua razza poteva
vantare, a tranciare con quella lama le corde che la legavano.
Perse
la lama l'istante seguente, ma finalmente libera da qualsivoglia
costrizione si sporse nuovamente in avanti nel tentativo di afferrare
le briglie della cavalcatura imbizzarrita sotto di lei.
Fortuna
e tenacia le andarono in soccorso e le impedirono di fare la fine di
quel coltello a discapito di quel galoppo sfrenato, permettendole di
arrivare alle cinghie di cuoio ed a tirarle con forza verso di sé.
Costretto a rallentare, il cavallo sbuffò e tentò di ribellarsi
alla sua nuova cavaliera ma poco dopo iniziò a frenare la propria
corsa.
Bastò
quel calo di velocità tuttavia a permettere ai suoni della natura
circostante di superare il fischio del vento e subito le giunsero
alle orecchie a punta i rumori provocati dai suoi inseguitori. Non
osò voltarsi indietro, spronò di nuovo il cavallo che aveva rubato
ad Amras al galoppo e questi balzò di nuovo in avanti con un nuovo
nitrito.
Sfrecciarono
fra gli alberi giù per il declivio di quel tratto di bosco come se
ne andasse della vita ed Aredhel, per la prima volta, sperimentò
l'eccitazione ed il terrore sordo tipici di una preda. Perché tale
era, braccata dai cacciatori moredhel a poche decine di metri da lei,
perfettamente consapevole che semmai fosse stata ricatturata, sarebbe
stata la sua fine.
Spronata
da quelle stesse emozioni, ella sfruttò tutta l'abilità di cui era
capace e anche di più spingendosi al limite in quella fuga
precipitosa, mentre la paura che attanagliava il cuore dell'elfa finì
ben presto per contagiare anche il suo cavallo, il quale iniziò a
schiumare dalla bocca a causa dello sforzo fisico, incapace di
fermarsi.
Attraversarono
tratti in cui la vegetazione era più rada e altri in cui ogni passo
del cavallo poteva essere l'ultimo, e quando avevano raggiunto il
tratto centrale di una delle radure più estese la ragazza trovò il
coraggio di scoccare un'occhiata alle proprie spalle, alla ricerca
dei suoi inseguitori. Li scorse al limitare del suo campo visivo
sotto forma di ombre fra gli alberi e quella vista non fece altro che
smorzarle ancora una volta il fiato in gola, inducendola a tornare a
chinarsi sulla groppa del suo cavallo ed a spronarlo ancora una
volta.
Un
secondo dopo gli alberi tornarono a coprirle i fianchi ed a
sfrecciarle accanto, mentre il terreno riprese un'andatura più
pianeggiante sotto gli zoccoli dell'animale. Poi, senza preavviso,
quegli stessi zoccoli sollevarono schizzi limpidi sino al suo viso
facendola meccanicamente sussultare. Drizzandosi sulla sella tirò
nuovamente le redini e la sua cavalcatura scartò di lato a quel
nuovo comando, minacciando di farla sbalzare di sella a causa del
cambiamento repentino di traiettoria.
Con
l'affanno a bruciarle i polmoni ad ogni boccata d'aria, Aredhel si
rese conto di aver incrociato quello che era il corso di un torrente
e, dopo un primo istante di stupore e smarrimento, tornò a
indirizzare con decisione il cavallo lungo la riva, per una via più
sgombra e meno pericolosa per le zampe dello stesso.
Non
aveva idea di dove stesse andando. Era a soltanto consapevole di
dover continuare a correre per porre quanta più distanza possibile
fra lei e i suoi inseguitori e così fece. Per questo motivo, preda
d'un potente istinto di sopravvivenza, non pensò al reale pericolo
che costituiva per lei quel tratto.
Fu
subito prima di una larga curva del torrente che, dopo aver appena
iniziato a pensare che forse ce l'avrebbe fatta, una freccia moredhel
raggiunse la sua cavalcatura, trapassando pelle e muscoli. L'animale
incespicò e cadde rovinosamente con un alto nitrito di dolore ed
Aredhel venne sbalzata in avanti con tale slancio che finì per
rotolare per diversi metri sul terreno disseminato di cespugli, prima
di finire contro un tronco d'albero in un brusco arresto.
L'impatto
le svuotò i polmoni e mille stelle iniziarono a danzarle davanti
agli occhi, ma il campanello d'allarme che le era risuonato nella
testa per tutto il tempo continuò a riempirle lo spazio fra le
orecchie a punta, impedendole di cedere all'incoscienza. Di nuovo
parzialmente dietro la copertura della vegetazione, digrignando i
denti per lo sforzo ed attingendo ad energie di cui ella stessa non
sapeva essere in possesso, si rialzò in piedi e si rimise a correre.
Non
poteva fermarsi.. non doveva!
Ignorò
le molteplici fitte di dolore che le giungevano da più punti del suo
corpo e, il respiro ormai tanto affannoso da raschiarle la gola come
fuoco rovente, si costrinse a non mollare. Caracollò in avanti
tuttavia quando sotto di lei una pietra perse stabilità, ma fu
quando si imbatté in una strada battuta e ben definita che finì
seriamente di finire a terra. Si aggrappò all'ultimo istante ad un
tronco vicino e, in un moto di rinnovata speranza, vi si gettò
letteralmente al seguito premendosi nel mentre un braccio contro il
fianco fasciato. La sensazione di umido che di lì a poco avvertì
fra le dita non fu che la conferma di ciò che già sospettava da
tempo: la ferita le si era riaperta, cosa che spiegava per quale
motivo ogni falcata era pari ad una vera e propria pugnalata.
Sarebbe
morta, se lo sentiva.
Ma
dov'è Lorren?! Si chiese disperata, incespicando di nuovo.
La
stanchezza ormai le appesantiva le gambe e il petto le bruciava
talmente tanto da renderle impossibile respirare. Solo la paura le
impedì di fermarsi o anche solo di voltarsi indietro, conscia che se
ci avesse provato avrebbe ceduto e non si sarebbe più rialzata.
Era
giunta al suo limite; era finita.
Poi
un nuovo rumore attirò la sua attenzione: un fischio penetrante
proveniente da un punto più avanti, oltre la schermatura del
sottobosco. Un richiamo che ella riconobbe.
Lorren!
Un
sorriso le tese le labbra screpolate e il cuore le ebbe un nuovo
guizzo di insperata energia in petto, rianimato dalla speranza che le
impedì di cedere al suo destino. Non ancora.
Continuò
a incespicare in avanti cercando disperatamente di raggiungere la
salvezza ormai tanto vicina. Era sul punto di gridare con il poco
fiato rimastole il nome dell'amico nel tentativo di farsi sentire
quando accadde l'inevitabile: una gamba le cedette e l'altro piede si
incastrò sotto una radice sporgente in mezzo al sentiero. Finì a
terra con un urlo strozzato, attutendo a malapena la caduta con le
braccia, schiacciata dal suo stesso peso.
Si
ritrovò riversa al suolo, ansimante, con la testa che le girava e
gli occhi colmi di lacrime. Tentò di rialzarsi ma il suo corpo si
rifiutò con tutto sé stesso di obbedire alla sua volontà,
paralizzandola con scariche di dolore e bruciore muscolare.
All'improvviso
l'eledhel accusò tutta la stanchezza, tutti gli sforzi sopportati
sino a quel momento ed ormai svuotata si sentì perduta.
Era
finita.
Chiuse
gli occhi, la rabbia e l'angoscia che presero il sopravvento,
combinandosi e dilaniandole l'animo tanto intensamente che ella finì
per non riuscire ad arrendersi. No, non poteva. Non con la squadra di
Elvandar così vicina.
In
un ultimo disperato tentativo tentò di muoversi, di spostarsi da
quel tratto allo scoperto per cercare riparo fra la vegetazione più
vicina che delimitava quel tratto di sentiero. Prese a strisciare
nella polvere, dando fondo a quelle poche scintille di energia che le
rimanevano riuscendo a malapena a guadagnare il ciglio della via
prima di avvertire improvvisamente due mani afferrarla intorno al
busto e trascinarla via, lontano dalla sua ultima speranza di
salvezza.
continua...
Ed imperterrita nonostante tutto, fra tempi geologici e riscontri deludenti, eccola di nuovo qui!
Sì, non c'è verso che io smetta di scrivere, mi spiace. Non lascio mai un'opera incompleta e inconvenienti permettendo - tempi geologici e impegni vari - finirò anche questa. Come preannunciato le cose iniziano a movimentarsi... speriamo che con il procedere arrivi la svolta che spero!
Non aggiungo altro, non lascerò anticipazioni di sorta quindi... beh se vi piace fin qui continuate a seguirmi!
Alla prossima!!
Kaiy-chan |
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Capitolo 5 *** The Dark Brother ***
5. The Dark Brother
Aveva
deciso di non rischiare di nuovo la traversata delle montagne dopo
quanto accaduto a causa di quei nani, così si era messo in viaggio
verso est con l'intento di aggirarle e raggiungere il Passo di
Cutter. Avrebbe atteso lì l'esercito di Murmandamus.
Era
più d'una settimana che seguiva il sole senza imbattersi in alcun
parirazza. Evidentemente non erano rimasti in molti a sud dei Denti
del Mondo, ma di questo non si diede pena. Si sentiva in realtà
sollevato al pensiero di non doversi trovare in obbligo di unirsi ad
un altro clan, così da non dover rendere conto a terzi dei propri
comportamenti. In realtà anche fra i suoi compagni spesso si era
trovato costretto a conformare il proprio modo di fare ed a
sottostare a modi di pensare che gli andavano stretti ed ora che si
ritrovava a viaggiare da solo avvertiva per la prima volta una sorta
di liberazione ad alleggerirgli l'animo.
Mantenne
un'andatura rapida, senza doversi preoccupare di allestire un campo
al calar del sole o di procacciare cibo in quantità per tutto il
gruppo. Viaggiò persino di notte, perché era ansioso di superare
quel tratto di territorio ostile e potersi lasciare l'accaduto
definitivamente alle spalle.
Giunse
il tramonto dell'ottavo giorno e, all'allungarsi delle ombre sul
terreno della selva che stava attraversando, Elwar era in bilico fra
il pensiero di passare un'altra notte in cammino oppure di cercare un
riparo per riposare un poco, quando si rese conto di non essere il
solo ad aggirarsi per il bosco. Improvvisamente in allarme, fece
appena in tempo a nascondersi dietro ad un albero quando alcuni
esploratori eledhel sbucarono dal fitto, con gli archi pronti e le
espressioni tese e guardinghe.
Che
ci fanno qui degli eledhel?
Si
appiattì contro il tronco dietro il quale aveva trovato riparo e le
cui radici nodose fuoriuscivano dal terreno creando piccoli ponti
sospesi fra i cespugli ed incorniciando quell'anfratto al pari delle
pareti di una culla naturale. In quel tratto la vegetazione era
straordinariamente fitta ed offriva un discreto numero di
nascondigli, e fu grazie a questo ed ai suoi riflessi che riuscì a
sottrarsi alla perlustrazione in atto di quegli elfi.
Messosi
ormai in allerta, Elwar stava ancora cercando di pensare ad un modo
per uscire da quella situazione incresciosa quando le sue orecchie a
punta vibrarono nel captare una nuova serie di suoni anomali alla
vita del bosco. Immobile al pari di una statua smise quasi di
respirare, quindi si arrischiò a lanciare una nuova occhiata da
dietro il proprio riparo appena in tempo per distinguere uno degli
esploratori di Elvandar scambiarsi un cenno con il compagno e poi
scattare nella direzione dalla quale era venuto, sparendo senza alcun
rumore in pochi secondi.
L'altro
invece, così come il moredhel, si appostò dietro uno degli alberi
vicini e rimase in attesa mentre quei suoni si facevano via via più
distinti. Un lontano eco di voci e fruscii si accompagnò ad un più
distinto scalpiccio.
Si
stava avvicinando qualcosa.. o meglio, qualcuno.
Quando
la ragazza comparve nel suo campo visivo, giungendo correndo ed
incespicando lungo il sentiero dalla parte opposta a quella da cui
aveva visto poc'anzi provenire quegli esploratori, Elwar si ritrovò
meccanicamente a trattenere il respiro ancora una volta. Era
un'eledhel.
Che
diamine sta succedendo?! Si ritrovò a chiedersi allibito, non
riuscendo a distogliere lo sguardo dalla fuggitiva. Ne notò gli
abiti laceri e sporchi, prova di quante volte avesse avuto un
contatto indesiderato con il terreno, ma più di questo il suo volto
serbava traccia, come il suo continuo incespicare, delle sue reali
condizioni. Incorniciato da una massa scomposta di capelli castano
chiaro, aveva un viso di un pallore estremo che non era mitigato
affatto dal rossore dovuto sforzo fisico che stava sopportando.
Quell'elfa
era al limite delle sue forze.
Ma
non era l'unica sagoma in movimento al di sotto della chioma degli
alberi: dall'altro lato del sentiero rispetto a lui, la ragazza era
inseguita da due ombre, due moredhel che muovendosi rapidi fra la
vegetazione la stavano aggirando.
L'esploratore
eledhel rimasto nascosto nelle vicinanze, dopo aver assistito alla
stessa scena di Elwar, parve allora decidere di intervenire e con un
movimento fulmineo lasciò il suo riparo per scoccare in rapida
successione due frecce proprio sui due Fratelli Oscuri
all'inseguimento. La prima fendette con un sibilo sordo l'aria ed
andò a segno, ma non fu così per la seconda, la quale andò a
conficcarsi nella corteccia di uno dei tanti alberi di quel tratto di
bosco.
E fu
a quel punto che si scatenò il caos.
I
due elfi ingaggiarono una lotta corpo a corpo, intensificando i
rumori e le grida che già riempivano l'ambiente sino a poco prima
pervaso di quiete, e la fuggitiva perse del tutto l'equilibrio
cadendo nella polvere con un gemito strozzato a meno di un paio di
metri proprio dal nascondiglio scelto da Elwar.
Ed a
quest'ultimo non occorse più di un secondo per rendersi conto di
un'altra presenza in avvicinamento. Dalla stessa direzione dalla
quale era sopraggiunta quell'infima elfa, improvvisamente sbucò un
altro elfo a cavallo il cui mantello dischiuso gli lasciò
distinguere chiaramente la caratteristica foggia della casacca
sottostante. Non appena ne riconobbe il clan di appartenenza, ogni
muscolo gli si irrigidì di colpo.
Corvi.
Il
disprezzo che gli nacque in petto fu tanto repentino e intenso da
spingerlo ad agire e, mosso dall'istinto si sfilò l'arco da sopra la
testa, incoccò una delle poche frecce che era riuscito a procurarsi
con esso, e dopo aver preso un ultimo respiro si sporse da dietro il
tronco e scoccò.
Il
dardo perforò l'aria con un sibilo appena distinguibile in mezzo a
tutto quel caos e l'istante seguente il moredhel, membro di uno dei
clan più avversi ai Lupi Grigi, scivolò di sella, riversandosi al
suolo privo di vita. L'animale scartò di lato appena in tempo per
evitare di travolgere la ragazza-elfa, la quale nel mentre stava
tentando invano di rimettersi in piedi. Elwar la vide premersi una
mano sul fianco sporco di sangue ed inarcò un sopracciglio
all'espressione sofferente che le vide deturparle i lineamenti, ma
colse anche qualcos'altro su quel volto, qualcosa che
sorprendentemente riconobbe: una profonda determinazione a non
arrendersi.
In
un lampo si rivide nel fronteggiare quell'imboscata che era valsa la
vita di tutti i suoi compagni, con la stessa cieca determinazione di
lei a non mollare, a non darsi per vinto, e quell'inattesa empatia
nei confronti di colei che invece avrebbe solo dovuto disprezzare lo
sconvolse e lo confuse.
Troppo
allibito dalle emozioni che gli erano in un istante affiorate in
petto, del tutto estranee alla sua natura di Fratello Oscuro, si
riebbe soltanto quando si rese conto che quella stessa eledhel era
riuscita a strisciare sino al limitare opposto del sentiero e
sembrava del tutto intenzionata a cercare rifugio proprio ove in
realtà, oltre il suo campo visivo, stava avvenendo lo scontro.
Lasciando
cadere l'arco, Elwar con un'imprecazione sommessa uscì dal suo
riparo ed afferrò l'elfa per la vita, trascinandola con sé
nell'unico posto sicuro che era divenuto quel suo riparo. Una volta
di nuovo al coperto se la strinse addosso, premendosi nuovamente
contro la dura corteccia, tenendole saldamente una mano sulla bocca
per impedirle di emettere il minimo suono.
Non
poteva in alcun modo farsi scoprire, da nessuna delle due fazioni.
La
sentì tentare d'opporre resistenza ma era fin troppo debole e gli
bastò rinsaldare la presa perché quella smettesse di dibattersi e
s'abbandonasse infine stremata contro il suo petto. Quel contatto
pregno di arrendevolezza gli trasmise un tepore che lo indusse ad
abbassare lo sguardo in un moto di sorpresa, distraendolo
dall'analisi che stava tentando di fare sugli accadimenti del
sottobosco per mezzo del solo udito. Lo scalpitare degli zoccoli di
alcuni cavalli faceva vibrare il terreno sotto di loro, grida ed
esclamazioni cariche d'astio riempivano l'aria ed il rintocco
metallico dell'incrociarsi delle spade spezzava il tutto, segno che
la battaglia era ormai entrata nel vivo.
Eppure
ogni cosa scomparve nel momento in cui si fece distrarre da lei.
Incrociandone lo sguardo sbarrato, Elwar si ritrovò a fissare due
pozze velate di lacrime tanto spesse da riflettere come gemme
preziose i fiochi raggi del tramonto.
Per
la prima volta nella storia, l'argento più vivo incontrò l'oro.
Il
moredhel si sentì improvvisamente estraniare da tutto ciò che li
circondava, come risucchiato in una dimensione parallela il cui
centro erano quegli occhi tanto unici nel colore quanto
nell'espressività. Per una prima, fugace frazione di secondo, una
scarica elettrica gli attraversò tutto il corpo, risalendogli lungo
la spina dorsale e spazzando via ogni sentimento negativo che aveva
potuto serbare sino a quel momento nei confronti della proprietaria
di quello sguardo.
In
quell'unico singolo momento, ogni differenza fra loro scomparve,
dissolta nel nulla.
Poi
il momento passò e quelle emozioni terminarono tanto bruscamente
quanto erano sbocciate e lo scontro ancora in corso tornò prepotente
a richiamare l'attenzione del moredhel con i suoi rumori, facendolo
sussultare nel ritornare con la coscienza al presente.
Dovevano
andarsene da lì.
Prendendo
un bel respiro si preparò allo scatto e cambiò presa sul corpo
della ragazza. Le fece passare un braccio sotto le ginocchia mentre
con l'altro le cingeva la schiena, di modo da reggerla fra le
braccia. Un ultimo istante in cui gonfiò nuovamente i polmoni e,
senza più guardare la ragazza, scattò nuovamente in piedi,
spiccando la corsa nella direzione diametralmente opposta a quella in
cui stava avvenendo quel confronto tutt'altro che pacifico.
Non
aveva percorso più di pochi metri che una freccia gli sibilò
accanto, mancandolo per un soffio, ma Elwar continuò a correre,
consapevole che era l'unico modo per salvarsi la pelle. Superò un
tronco caduto con un balzo e deviò alla propria sinistra, prendendo
a procedere a zig-zag per un breve tratto fra gli alberi, finché i
rumori alle sue spalle non si attenuarono abbastanza da essere
sovrastati da quelli prodotti da lui stesso in quella folle corsa.
Soltanto
quando ogni altro suono che non fosse il suo stesso respiro scomparve
alle sue orecchie finalmente decise di rallentare, guardandosi
meccanicamente intorno alla ricerca di un altro riparo di fortuna
dietro il quale prendersi una pausa per riprendere fiato e schiarirsi
le idee.
Scelse
un masso ricoperto di muschio ed una volta appoggiata la schiena alla
pietra fresca non mancò, col respiro corto, di ringraziare
mentalmente gli Dei per essere ancora vivo e, soprattutto, per
l'assoluto silenzio in cui era sprofondata l'elfa che teneva fra le
braccia. Un silenzio insolito accompagnato da un'immobilità
pressoché totale.
Inarcando
un sopracciglio a quella considerazione, Elwar abbassò finalmente
ancora una volta lo sguardo sul volto della ragazza e soltanto a quel
punto si rese effettivamente conto della verità: aveva perso
conoscenza.
Ne
notò solo a quel punto come il respiro che le sgorgava dalle labbra
leggermente dischiuse fosse pesante e sofferto e quanto il rossore
superficiale che le aveva scorto inizialmente in volto aveva lasciato
il posto ad un pallore diffuso e lucido di sudore. Tutti quei segnali
ebbero il potere di fargli nascere in petto una nuova inquietudine
che lo spinse, contro ogni pronostico, ad accostare una guancia alla
sua fronte, sussultando non appena entrò in contatto con la pelle
d'ella: era bollente.
Un
nuovo grido in lontananza, a diverse centinaia di metri da loro, lo
riportò alla realtà rammentandogli che non era ancora fuori
pericolo e senza attendere oltre riprese a muoversi, seppur più
lentamente. Superò senza troppe difficoltà l'ennesimo cespuglio
comparso sul suo cammino con un agile balzo, ma si rese ben presto
conto di star sprecando più energie di quanto intimamente sperato:
portare di peso l'elfa abbassava drasticamente la sua abituale
resistenza ed era perfettamente consapevole che, anche a causa della
nuova pendenza in salita assunta dal terreno sotto di loro, si
sarebbe ritrovato a corto di energie molto prima di potersi
considerare al sicuro.
Dannazione!
Se solo ci fosse un cavallo a portata di mano! Imprecò fra sé e
sé, scoccando infine uno sguardo alle proprie spalle. Non vedendo
alcun segno di eventuali inseguitori si arrischiò quindi a
rallentare ulteriormente l'andatura.
Percorse
un altro centinaio di metri prima di sopraggiungere in una piccola
radura. Incassata in una discreta formazione rocciosa sovrastata di
vegetazione e riparata su tre lati, era il luogo ideale per una
sosta. Vi si inoltrò senza indugi e, una volta distesa la
ragazza-elfa sull'erba fresca, si permise di tirare un discreto
sospiro di sollievo nell'appoggiarsi con la schiena ad uno dei massi
chiazzati di licheni presenti.
–
Per lo meno non ci stanno più seguendo – mormorò fra sé e sé,
abbassando ancora una volta lo sguardo sul volto dell'eledhel che
inaspettatamente s'era portato appresso.
Stava
male, anche un bambino lo avrebbe capito, tanto era evidente il
tremore che a tratti le scuoteva le membra. Non si fece domande, si
limitò ad avvolgerla nel proprio mantello prima di iniziare a
predisporre il necessario per il fuoco. Era già a metà dell'opera
quando si rese effettivamente conto di ciò che stava facendo,
fermandosi di botto e voltandosi ancora una volta a fissare incredulo
quella ragazza-elfa.
Che
diamine stava facendo?
La
risposta tardò tanto a lungo ad arrivare che egli si ritrovò a
serrare meccanicamente la mascella per la frustrazione e la
confusione che gli si agitavano in petto.
Era
sbagliato.
Ciò
che stava facendo era totalmente sbagliato.
Non
c'era alcuna logica nell'aiutarla. Andava contro a tutto ciò che
sapeva ed in cui credeva, a tutto ciò che era stata la sua esistenza
sino a quel momento.
Andava
contro la sua stessa natura di moredhel.
Eppure,
quanto più a lungo rimase ad osservarla avvolta nella grigia stoffa
del suo mantello, tanto meno forte era la presa di quelli che fino a
quel momento aveva considerato i suoi naturali istinti. Alla fine,
scuotendo il capo con fare rassegnato, riprese ciò che stava facendo
ed una volta approntato il focolare tornò accanto all'eledhel,
accostando una mano alla sua fronte.
La febbre doveva essersi aggravata.
La
sollevò a sedere, circondandole le spalle con un braccio e facendola
poggiare al proprio petto di modo che non si accasciasse su sé
stessa, quindi recuperò con la mani libera la propria borraccia
accostandogliela alle labbra. Come il liquido fresco le si riversò
in bocca, quella iniziò presto a deglutire e ne vide l'espressione
del viso mutare, distendendosi appena seppur senza apparire meno
sofferente. Quando infine, alcuni sorsi dopo, scostò il proprio
recipiente per lasciarla respirare, quella schiuse di pochi
millimetri le palpebre, cercandolo.
In
quella frazione di secondo egli credette che fosse sul punto di dire
qualcosa, ma l'istante seguente ella tornò ad abbandonarsi contro il
suo petto, spossata e febbricitante. Allora lui la stese nuovamente
sul proprio mantello e dopo essersi assicurato che fosse ben coperta
si rimise a trafficare intorno alla legna del fuoco, adoperandosi ad
accenderlo.
Quando
finalmente le fiamme scoppiettarono allegre, rischiarando con la loro
tenue luce rossastra l'oscurità ormai calata sul mondo, egli sollevò
lo sguardo oltre il limitare della piccola radura montana, tendendo
al contempo le orecchie. Rimase in ascolto, cogliendo lo stormire del
vento fra i rami e qualunque altro suono proveniente dal sottobosco
circostante, in una veglia che lo avrebbe accompagnato per il resto
della notte.
***
Correre.
Non faceva altro che correre.
Correva
da ore, pervasa da un perenne stato di panico. Ma nonostante cercasse
di correre più veloce di quanto non avesse mia fatto in vita sua, la
consapevolezza di non poter sfuggire a ciò che la minacciava le
attanagliava il petto in una morsa sempre più stretta. Gli alberi
sfrecciavano indistinti intorno a lei, altrettanto oscuri e
minacciosi della cosa che la braccava tanto insistentemente.
Le
gambe iniziarono a farsi pesanti, come se fossero state trattenute da
delle catene fissate al suolo e ben presto la ragazza-elfa iniziò a
sentirsi sempre più stremata. Quando il fianco a cui era ferita
riprese improvvisamente a dolerle, perdendo fiotti di sangue,
incespicò e cadde al centro di una piccola radura. Tentò di
rialzarsi, ma le gambe non le rispondevano più e lei, presa dal
panico, abbassando lo sguardo ne comprese finalmente il motivo: dal
polpaccio sinistro spiccava l'asta di una freccia e quella visione la
raggelò. Era spacciata.
Immediatamente
un terrore sordo ancor più intenso di quello provato in precedenza
l'avvolse e la soffocò, accompagnato da un'ondata di lacrime che
silenziose e gelide le rigarono il viso.
Due
mani artigliate l'afferrarono improvvisamente per le spalle e la
costrinsero a guardare verso l'alto e le pupille le si dilatarono
tanto da minacciare di far scomparire per sempre l'iridi grigie.
Il
moredhel l'aveva ripresa ed ella, ancor prima di vederne il ghigno
sfrontato, già sapeva di chi si trattava. I suoi occhi incontrarono
quelli scuri di Amras... e gridò.
Gridò
con tutto il fiato che aveva, squarciando la quiete del mattino e
provocando il sollevarsi in volo di uno stormo di uccellini fino a un
momento prima appollaiati fra le fronde degli alberi vicini.
Due
mani la afferrarono saldamente per le spalle, riportandola
completamente alla realtà ed Aredhel quasi si strozzò nel
sussultare violentemente a quel contatto, cosicché mentre la voce
tornava a morirle in gola s'alzò di scatto a sedere con gli occhi
spalancati dal terrore. A quel movimento brusco la fitta al fianco
ferito le smorzò il respiro ed ella gemette per il dolore,
ripiegandosi subitaneamente su sé stessa e pesando maggiormente su
quelle braccia che, a dispetto di tutto, la sostennero senza
incertezze impedendole di ricadere fra le stoffe del suo giaciglio
improvvisato.
Col
capo ancora chino e gli occhi chiusi tentò di riprendere fiato, ma
come la consapevolezza della propria condizione tornò, così fecero
i ricordi degli ultimi giorni, che si mescolarono all'incubo appena
avuto. Per questo, quando l'attimo seguente riaprì le palpebre,
sollevando di scatto il capo, nel posar gli occhi chiari sul volto di
colui che ancora la sorreggeva, ogni traccia di calore la abbandonò.
Un
elfo dai lunghi capelli neri.
Al
suo volto si sovrappose nella mente di lei l'immagine di quello di
Amras ed un nuovo terrore si impossessò dell'eledhel, che cedendo al
panico distolse lo sguardo e riprese a dibattersi per cercare di
liberarsi.
–
No!! Lasciami stare! Non toccarmi! – esclamò con voce rotta, ma la
ferita al fianco si fece sentire immediatamente e già questa sarebbe
bastata a porre fine ai suoi tentativi di ribellione. Senza fiato,
senza speranze, avvertì le lacrime salirle prepotentemente agli
occhi e un groppo in gola le smorzò del tutto il respiro, facendola
boccheggiare.
–
Calmati! – la voce dello sconosciuto che ancora la reggeva per le
spalle le giunse all'improvviso, d'un timbro profondo e vagamente
roco a causa del tono brusco da lui utilizzato – Calmati,
dannazione!
Come
quelle parole infransero il momento, quel groppo alla gola che stava
minacciando di soffocarla scomparve e lei fu libera di respirare di
nuovo. Le ci vollero un altro paio di secondi per tornare padrona di
sé e lucida abbastanza da rendersi conto con sconcerto di essersi
aggrappata con forza alla casacca di quell'elfo, la cui presa sulle
sue braccia si fece più morbida.
Completamente
scioccata, solo a quel punto Aredhel tornò a sollevar lo sguardo sul
volto altrui, sbarrando nuovamente gli occhi argentei nel ritrovarsi
ad affondare in due pozze del colore dell'oro più splendente.
Completamente spiazzata, annichilita da quello sguardo caldo e freddo
insieme, smise del tutto di respirare e una sensazione nuova le
nacque in petto, sfiorandole l'animo al pari di una tiepida carezza
gentile.
Per
un unico primo istante le parve quasi di aver già visto quegli
occhi...
Deglutendo,
preda di un nuovo impulso deviò lo sguardo da quell'iridi per
abbassarlo sui lineamenti di quell'elfo, trovandoli solcati
d'apprensione ed una nota contrariata che ne rendeva lo sguardo ancor
più penetrante. La carnagione olivastra le rammentò in un angolo
della mente, lontano dalla sua consapevolezza, lo stesso colorito di
Lorren ed i capelli corvini che gli ricadevano ai lati del volto
tradivano una certa insubordinazione nei confronti del suo tentativo
di tenerli legati in una coda di cavallo.
Un..
un moredhel?
Si
riprese da quella sorta di trance contemplativa soltanto quando venne
riportata volutamente alla realtà dallo schiarirsi della voce
dell'altro, grazie al quale si rese finalmente conto dell'espressione
incredibilmente seccata che questi aveva assunto.
–
Bene – esordì quello che doveva essere effettivamente un moredhel,
ora che aveva la sua attenzione – Grazie a te fra poco avremo
almeno una pattuglia di guerrieri nemici alle calcagna – le
annunciò, mentre le sue mani non parevano voler ancora scostarsi da
lei, concludendo in tono sprezzante – Spero ne sarai orgogliosa.
–
Ma... io... – Aredhel non trovava le parole per esprimersi, ancora
sconvolta per l'incubo causato dalla febbre e confusa dall'evidente
difficoltà che aveva avvertito nel tentare di determinare la natura
dell'elfo che aveva di fronte. La gola le faceva male da quanto era
riarsa dalla sete ed il fianco le bruciava in un modo insopportabile,
tanto che finì per serrare la mascella in una smorfia di tensione.
Il
moredhel non aggiunse altro ma lasciò finalmente la presa e la
ragazza, priva di un appiglio, si ridistese cercando di regolare il
respiro e riordinare le idee all'interno della sua mente in
subbuglio.
Cosa
stava succedendo? Era stata ricatturata?
–
Hai la febbre – le disse colui che in teoria avrebbe dovuto non
interessarsi per nulla alla sua condizione, traendola dalla sua
confusione interiore solo per porgerle una borraccia colma d'acqua –
Bevi.
Ubbidì
meccanicamente a quel tono di comando e prese in consegna ciò che le
veniva offerto, traendo alcuni sorsi d'acqua mentre il moredhel si
mise a controllarle il fianco ferito. Quando le bende sporche di
sangue esposero all'aria fresca dell'alba la lacerazione, sul suo
volto abbronzato si delineò una nuova smorfia contrariata.
–
..e questa si è riaperta – annunciò senza alcun entusiasmo.
Aredhel
tentò di tirarsi su ma stavolta non vi riuscì e gemette alla fitta
di dolore che le attraversò in una scarica elettrica il cervello. Fu
quell'elfo ad aiutarla, ancora una volta, invitandola silenziosamente
a bere un altro sorso quando fu di nuovo seduta.
Si
lasciò accudire docilmente, ancora troppo confusa per fare
altrimenti, rimanendo in silenzio per tutto il tempo mentre il
moredhel le sistemava nuovamente il bendaggio di fortuna. Eppure,
prima che questi potesse aver finito, la miriade di interrogativi che
uno dopo l'altro le si erano formati nella mente iniziò ad assumere
un ordine che ben presto prese il sopravvento sul timore del momento,
inducendola a schiudere nuovamente le labbra.
–
Chi sei tu?
–
Io? – l'altro parve sinceramente sorpreso della domanda postagli,
ma le rispose senza nemmeno guardarla il viso – Mi chiamo Elwar.
Elwar Garaniel – quindi si fermò, sollevando finalmente lo sguardo
per fissarla dritto in volto, come in attesa di qualcosa.
–
Aredhel... – fece allora lei, sentendosi improvvisamente un po' a
disagio sotto quello sguardo penetrante – Aredhel Duhlyn.
–
Bene, Aredhel... – esordì Elwar – come ho detto poco fa, qui fra
poco sarà pieno di moredhel e per allora sarà meglio per noi aver
già levato le tende. Quindi, – affermò senza mezzi termini,
mortalmente serio – o sarai in grado di camminare da sola, o ti
lascerò indietro.
Quel cambiamento di toni fu tanto repentino ed in contrasto con le
attenzioni dimostratele un attimo prima da lasciarla nuovamente
spiazzata. Quando si riebbe abbastanza, il suo primo pensiero fu un
commento che tenne saggiamente per sé seppur ebbe il potere di
delinearle le labbra in una smorfia più che eloquente.
Spiccio
a parole, il moredhel!
Optò
per annuire comunque, riconoscendo seppur soltanto fra sé e sé che
quello strano moredhel non aveva tutti i torti sulla necessità di
muoversi. Eppure vi erano troppi interrogativi che ancora
necessitavano di un chiarimento per lasciar sfumare il momento.
–
Ma – tentò – perché mi stai aiutando? Non sei uno di loro.. sei
da solo? Dove sono i tuoi compagni?
Quello
che seguì fu un teso momento di silenzio, prima che Elwar si
decidesse a risponderle.
–
Non credo possano essere affari tuoi.
L'improvvisa
freddezza di quelle parole e del tono da lui usato le penetrò sino
al centro del petto, dandole per un attimo l'impressione di non
essere affatto riuscita a sfuggire alla situazione in cui si era
ritrovata sino a poche ore prima.
No,
c'era dell'altro. Alzandosi in piedi, non senza un aiuto, comprese
che il gelo che l'aveva pervasa a causa del comportamento di quel
nuovo moredhel era di una natura differente a quello sperimentato
presso i Corvi. Ciò che sottile le serpeggiava nella parte più
profonda dell'animo non era paura di lui.
Ferma
al centro della piccola radura stava ancora cercando di definire
quella sensazione quando nel suo campo visivo comparve il braccio di
Elwar, il quale gli stava porgendo un ampio indumento grigio scuro.
–
Tieni – le si rivolse senza alcuna traccia di emozione nella voce
come nello sguardo – Questo almeno ti aiuterà a mimetizzarti nei
tratti scoperti.
Aredhel
prese il mantello e se lo drappeggiò sulle spalle, scoccando
un'altra occhiata di sottecchi al moredhel che nel mentre si era
voltato a spegnere le ultime braci del fuoco. Quando tornò da lei il
suo tono autoritario la raggiunse senza difficoltà, altrettanto
impersonale di quello usato poco prima.
–
Per prima cosa dobbiamo trovare un corso d'acqua – le annunciò
indicandola con un vago cenno della mano – E dovremo cambiarti quel
bendaggio da macellai, altrimenti non farai molta strada.
Aredhel
si dette un'occhiata al fianco e alle bende sporche di sangue
rappreso. La blusa non era ridotta molto meglio e lo squarcio si era
slargato, arrivando a coprire mezza circonferenza. Le labbra della
ragazza si piegarono in una smorfia.
–
Quanti erano? – il tono di voce distaccato del moredhel la fece
distogliere dalle sue riflessioni ed ella lo osservò un attimo in
silenzio, prima di capire a cosa si riferisse.
–
Tre... – rispose senza troppo entusiasmo, mentre una nuova amarezza
le trapelava dalla voce al solo pensiero. L'aveva fatto per
permettere a Lorren di tornare ad Elvandar, solo per questo li aveva
affrontati.
In
quel momento, in un flash, le tornarono alla mente una serie di
immagini sconnesse del suo tentativo di fuga del giorno prima, di
com'era caduta miseramente, ormai priva di forze; del volo fatto
quando il suo cavallo era stato abbattuto; delle voci e dei rumori
dei moredhel al suo inseguimento mentre correva per il sottobosco;
del suo tentativo di strisciare al riparo in un ultimo atto
disperato. Ognuno di quei ricordi era intriso di disperazione e d'un
terrore talmente grande da smorzarle il respiro al solo pensiero,
tutti tranne uno. Quello di un paio d'occhi del colore dell'oro.
Gli
occhi di Elwar.
Per
riflesso si ritrovò a cercare di incrociarli un'altra volta, senza
successo. Il moredhel in questione era intento ad esaminare la
boscaglia ed i suoni che da essa provenivano presso uno dei grossi
blocchi di roccia che delimitavano la piccola radura nella quale
dovevano aver trascorso la notte. Osservandone la figura volta di
schiena, sempre lo stesso interrogativo tornò prepotentemente a
riaffiorare.
Chi
è? Qual'è il suo scopo?
Quello che i Corvi avevano avuto intenzione di farne di lei l'aveva
infine compreso, perché non ci voleva molto a tirar le somme di una
simile indole tanto meschina e maligna quale era quella di quei
Fratelli Oscuri, ma non era così per quello con cui si trovava ora.
Lui l'aveva aiutata e la stava aiutando persino in quel momento. O
almeno così sembrava.
Perché era così, no?
L'improvviso dubbio le fece tornare alla mente un altro ricordo del
dì precedente, seppur esso si racchiudesse tutto in una sola
emozione: la certezza di aver raggiunto Lorren. Quella consapevolezza
ebbe su di lei lo stesso effetto che le avrebbe fatto sentir franare
il terreno sotto i piedi e per poco non barcollò, sconcertata e
improvvisamente boccheggiante.
Era
vero, se l'era totalmente dimenticato. Negli ultimi momenti di fuga
aveva avuto la certezza che gli eledhel inviati a cercarla fossero
stati vicini, che avrebbero potuto salvarla. Perché Elwar l'aveva
portata via? Perché non aveva permesso loro di trovarla?
Perché
l'ha fatto? Si domandò sconcertata. Erano lì per me, perché
non ha lasciato che mi trovassero? Perché ha impedito a Lorren di
salvarmi?!
Un
groppo in gola tornò a spezzarle il respiro, sconcertata da
quell'improvvisa consapevolezza, ed una sensazione di delusione mista
ad indignazione la travolse, facendole serrar i pugni lungo i
fianchi. Puntò le iridi sull'elfo che intanto stava scendendo dal
suo avamposto di guardia e fu con lo stesso effetto che avrebbe avuto
uno schiaffo in pieno volto che si rese finalmente conto della realtà
dei fatti.
Ma
certo.. è naturale! È pur sempre un moredhel! Pensò
amaramente.
Elwar
in quel momento tornò a cercarla con lo sguardo ed i loro occhi si
incrociarono per l'ennesima volta, cosicché ella poté distintamente
vederne l'espressione cambiare. Lo sguardo ambrato di lui cambiò,
facendosi guardingo e scostante in reazione a ciò che doveva aver
letto sul viso di lei. Invece di fermarsi di fronte a lei, come se
nemmeno esistesse le passò accanto, superandola senza batter ciglio
e la ragazza non riuscì ad impedire al proprio petto di contrarsi.
Voltandosi,
lo osservò allontanarsi a quel modo ed un'improvvisa vergogna
l'assalì.
Certo,
era un moredhel, ma l'aveva tratta in salvo e le aveva persino dato
il suo mantello. Fino a poche settimane prima non avrebbe condannato
tanto facilmente le intenzioni di un Fratello Oscuro solo per essere
tale, nonostante le credenze del suo popolo. Poi scosse il capo, come
a voler estirpare quei dubbi. In fondo, fino a poche settimane prima
era ancora una ragazzina intenta a cercare di rendere reali i propri
sogni, molto più inesperta del mondo che la circondava. Da allora le
cose erano cambiate e lo stavano facendo ancora adesso,
tanto da renderle incomprensibile il modo in cui si sentiva in quel
momento nei confronti di tutta quella vicenda.
–
Muoviti!
Elwar
la fece tornare in sé e il suo tono duro rinsaldò in ella il
proposito di restare in guardia, ma fece ugualmente come le era stato
detto. Si incamminò e già al primo passo un ginocchio minacciò di
cederle, ma stringendo i denti tese ogni muscolo e lo raggiunse, solo
per fermandoglisi accanto, in attesa di spiegazioni sul da farsi.
–
Bene – fece questi, dopo aver sparso le ceneri del focolare per
tentare di cancellarne la traccia, voltandosi verso di lei – Dammi
le mani.
–
Cosa? – domandò spiazzata, senza muovere un muscolo.
–
Le mani – ripeté impassibile lui, porgendole la sua per farle
cenno di sbrigarsi.
Sebbene
lievemente imbarazzata, assalita da quell'emozione di disagio che le
fece nuovamente dimenticare la natura di chi aveva davanti, fece come
le era stato detto e sollevò ambo le palme in un impacciato
tentativo di posarle sulla sua. Il moredhel senza indugio le afferrò
e, tenendole unite, le legò velocemente i polsi con una corda.
–
Ma cosa...? – Aredhel era spiazzata dalla repentinità e dal
risultato di quel gesto e si ritrovò a boccheggiare come un pesce,
altalenando lo sguardo dal suo volto ai propri polsi.
L'aveva
legata!
In
tutta risposta Elwar le rivolse un sorrisetto ironico.
–
Sei mia prigioniera e come tale verrai trattata – le annunciò
senza troppi preamboli – In questo modo non ti verranno strane idee
in testa.
Totalmente
spiazzata le ci vollero un paio di secondi in più per elaborare il
significato di quelle parole e, quando ci riuscì, la rabbia le montò
in petto, mista ad un'irritazione di tutto rispetto per l'inganno. Si
era illusa e nient'altro, ecco cos'era accaduto sino a quel momento.
Quel moredhel, con quei suoi occhi ingannatori, l'aveva indotta a
credere di poter riporre in lui la sua fiducia, quando invece avrebbe
dovuto guardarsene tanto se non di più dei Fratelli Oscuri dai quali
era fuggita.
La
striscia di stoffa usata per legarla andò a sfregare negli stessi
punti in cui la pelle era già arrossata dalle corte corde usate in
precedenza dai Corvi, cosa che la indusse a tentare di allentarne la
morsa.
–
Sono troppo debole per tentare di sfuggirti – cercò di protestare,
al limite della sopportazione.
–
Oh, questo lo so benissimo anche io – le rispose lui mentre quel
sorrisetto gli si accentuava sul volto – ma non vorrei che ti
saltasse in mente di tentare qualche trucchetto con me.
Trucchetto?!
–
Tsk – fece soltanto lei in risposta, sempre più amareggiata.
Da
una prigionia all'altra.
Come
aveva fatto a credere di essere salva?
Si
allontanarono, inoltrandosi nel sottobosco, dirigendosi verso est
alla ricerca di un corso d'acqua, camminando per quasi un'ora prima
di trovare ciò che cercavano. Una volta ripulita la ferita e rimessa
la fasciatura, anch'essa accuratamente lavata nelle acque del
torrente, svoltarono poi verso nord, percorrendo diverse leghe senza
mai rivolgersi la parola se non per lo stretto indispensabile,
cosicché durante tutto il tragitto Aredhel ebbe la possibilità di
restar sola coi suoi pensieri.
Pensieri
amari, che non fecero altro che peggiorare il di lei stato d'animo.
Oh,
Lorren...
***
–
Lorren!
Varsel
lo raggiunse di corsa, afferrandolo per una spalla e costringendolo a
voltarsi ad affrontarlo.
–
Lorren, che vuoi fare?!
–
Era riuscita a fuggire! – esclamò lui in tutta risposta,
liberandosi della presa del suo capitano e riprendendo il suo
incedere fra il fitto del sottobosco. L'ansia che fin'ora lo aveva
tormentato aveva ormai superato il limite e l'eledhel non riusciva
più a dominare il nervosismo, soprattutto alla luce di quella nuova
scoperta.
Il
fratello maggiore della sua amica gli afferrò nuovamente il braccio,
facendolo fermare ancora una volta e dandogli una scrollata come a
volerlo far rinsavire. Intercettandone di nuovo lo sguardo, Lorren
vide nello sguardo altrui i suoi stessi sentimenti malcelati ed una
determinazione tanto ferrea da lasciarlo in preda alla confusione.
–
È inutile, lo vuoi capire? Ora come ora non le sei di nessun aiuto
se insisti a fare di testa tua! Anche io sono preoccupato, cosa
credi? Ma questo non è il nostro territorio – gli disse con
fermezza, in tono duro – Se ci dividessimo correremmo tutti un
rischio troppo grande!
L'eledhel
impiegò qualche istante prima di annuire, un poco spaesato per
l'irruenza di quelle parole ma, grazie ad essa, nuovamente padrone
delle proprie emozioni. Comprendeva le ragioni dell'elfo e si rendeva
perfettamente conto che era in pena quanto lui per la sorte di
Aredhel, ma le speranze stavano continuando ad assottigliarsi ogni
secondo trascorso in quella ricerca e ben presto sarebbe giunto il
momento in cui Varsel si sarebbe trovato in bilico fra il continuare
o il tornare ad Elvandar. E l'eventualità di abbandonare la
ragazza-elfa Lorren non riusciva a immaginarla.
La
frustrazione che aveva provato nel venire a conoscenza della reale
vicinanza a cui si erano inconsapevolmente trovati da lei aveva
rischiato seriamente di farlo precipitare di nuovo in quella marea di
emozioni riconducibili a quel periodo della sua vita trascorso come
Fratello Oscuro.
Tornando
sui suoi passi, studiò ancora una volta le tracce sul terreno in
silenzio, seguendo la scia e le orme lasciate da quella che ormai
aveva la certezza fosse la sua compagna di ronde. Un sentimento di
affetto e gratitudine gli sfiorò il petto al pensiero del tempo che
lei gli aveva dedicato, a differenza di molti altri elfi di Elvandar,
e cercando di dominare il battito del cuore si concentrò su quanto
stava facendo. Fu allora che si rese conto della presenza di altre
orme vicino al punto in cui ella doveva essere caduta, orme che si
riconducevano al tronco semi-cavo di un grosso albero: un
nascondiglio perfetto e ben riparato per quei momenti di totale
confusione.
Ed
allora strabuzzò gli occhi scuri.
Qualcosa
di inaspettato era accaduto. Qualcuno l'aveva afferrata e trascinata
con sé in quel punto riparato, allontanandola dal pericolo
incombente. Corrucciandosi in volto, cercando di far quadrare le
tracce che aveva sott'occhio con una serie consecutiva di eventi, non
gli fu difficile individuare poi la direzione nella quale quel nuovo
personaggio si era allontanato; una direzione diametralmente opposta
alla loro, segno che poteva voler dire soltanto una cosa: non poteva
essere né un eledhel, né un moredhel del clan dei Corvi.
Poi
con la coda dell'occhio scorse qualcosa fra radici ed arbusti e,
scostando una delle fronde del cespuglio più grosso, si ritrovò a
districare dalla vegetazione quello che era un arco di foggia Hadati.
Alternando allora lo sguardo dall'arma appena rinvenuta e le tracce a
terra, inarcò un sopracciglio.
Era
ancora intento a cercar di districare quell'enigma nella propria
mente, accovacciato sul terreno accanto a quelle orme leggermente più
nette delle altre, quando la voce di uno degli esploratori gli fece
sollevar di scatto il capo.
–
Alcuni Fratelli Oscuri si sono allontanati nel bosco – annunciò
questi rivolto al loro capitano, indicando proprio nella direzione in
cui le tracce che stava esaminando Lorren scomparivano.
L'eledhel
si sentì gelare il sangue nelle vene.
Chiunque
fosse il soccorritore di Aredhel, era seguito. Serrò i pugni lungo i
fianchi.
Se
soltanto avesse avuto la certezza che la sua amica stava bene...
***
Elwar
continuava a tormentarsi sin da quel mattino.
Non
riusciva a prendere una decisione sul da farsi.
Per
tutto il giorno non avevano fatto altro che camminare, nel tentativo
di allontanarsi il più possibile dal punto in cui v'era stato lo
scontro che aveva vista coinvolta l'elfa che portava con sé, ed al
sopraggiungere della sera erano riusciti a percorrere un notevole
tratto limitando al minimo le tracce dietro di loro. Il terreno umido
non facilitava le cose, ma lui era abituato ad aggirarsi su terreni
montani molto simili a quello, peccato non fosse altrettanto per la
ragazza al suo seguito. Ogni ora trascorsa ella aveva accusato sempre
più la stanchezza, tanto che alla tramonto Elwar si era visto
costretto a decidere di fermarsi per la notte.
Avevano
scelto una zona particolarmente fitta di vegetazione e s'erano
accampati senza alcun fuoco, per evitare di essere individuati.
Posando
il proprio sguardo ambrato sulla sua prigioniera ne distinse
chiaramente, nell'oscurità rischiarata dalla luna calante, i
lineamenti segnati dalla stanchezza del viaggio e ne notò il modo convulso in cui se ne stava rannicchiata ai piedi di un albero,
avvolta nel mantello che lui stesso le aveva dato. Tremava.
Elwar
avvertì in fondo all'animo una sensazione sgradevole, simile ad una
puntura fastidiosa e persistente che si affievolì solo quando si
impose di scacciare via qualunque pensiero la riguardasse dalla
propria mente. Non poteva rischiare di segnalare la loro posizione ai
loro inseguitori. Perché sì, erano seguiti. Era dal primo
pomeriggio che se n'era accorto grazie alla morfologia così varia
del territorio che stavano attraversando, cosa che lo aveva indotto a
cercare di eluderli come meglio potevano, senza successo. Aredhel,
con quella febbriciattola costante, non era stata assolutamente in
grado di mantenere l'andatura da lui richiesta, rallentandoli
inevitabilmente entrambi.
Ed
in tutto ciò, la cosa più importante era che non era riuscito a
capire, in quel fugace scorger di sagome in lontananza, se si
trattasse di eledhel o moredhel. Non che vi sarebbe stata differenza
in un caso o nell'altro. Poteva tentare di fare solo una cosa:
spingersi oltre la loro portata.
Non
aveva fatto un gran mistero della propria inquietudine con la sua
prigioniera, ma non gli era importato granché, finché ovviamente
non si erano fermati. Soltanto da quel momento aveva celato
accuratamente le proprie emozioni negative dietro una facciata di
pacata indifferenza, perché non voleva in alcun modo turbarla tanto
da indurla a non riposare adeguatamente: avevano entrambi bisogno che
recuperasse il maggior numero di energie possibili per l'indomani
mattina, quando si fossero rimessi in viaggio.
Così
ora se ne stavano in assoluto silenzio, lui con le orecchie tese a
sondare i rumori dell'ambiente circostante e la mente che continuava
a soffermarsi su un unico pensiero. Evidentemente quell'elfa era più
importante di quanto l'apparenza suggerisse. O questo, o
semplicemente era benvoluta fra i suoi compagni, per avere un'intera
squadra di eledhel sulle sue tracce. In quanto ai moredhel, non era
un mistero che i Corvi non prendessero bene uno smacco come la fuga
di una prigioniera, quindi non avrebbe considerato strano il loro
accanirsi nel riprendersela.
Era
stata molto fortunata a sfuggire loro, in effetti.
Se
non ci fosse stato lui non ce l'avrebbe mai fatta da sola. Non
conciata a quel modo.
Continuò
a scrutarla nell'oscurità della notte, senza reale interesse eppure
non per questo riuscì ad impedirselo, notando come apparisse scossa
in quella sua posizione raggomitolata su sé stessa. Si teneva le
ginocchia strette al petto e teneva gli occhi chiusi, ma la tensione
tradita dal modo in cui si abbracciava le gambe rendeva evidente il
fatto che non stesse dormendo.
Inaspettatamente,
dopo una manciata di secondi di muta osservazione qualcosa iniziò a
muoversi all'interno del petto del moredhel, una sensazione
differente da qualunque altra avesse mai provato e della quale non
riuscì ad identificarne la natura; qualcosa che lo lasciò turbato e
disorientato.
Con
energia scosse il capo, come a voler scacciare quella sensazione che
gli provocava solo disagio e, quando rialzò lo sguardo, notò che la
ragazza-elfa lo stava osservando con quei suoi occhi luminosi colmi
d'una domanda inespressa. La di lei perplessità acuì le emozioni
che gli erano nate in quel momento nell'animo e percepì per la prima
volta da quando aveva memoria il sangue salirgli bollente al volto.
Seccato, la ignorò come meglio poté e distolse lo sguardo per
dirigerlo verso le tenebre del sottobosco alla propria sinistra.
Le
notti stavano facendosi via via più fredde con il procedere della
brutta stagione, rifletté, e specialmente a ridosso di quelle
montagne, sotto le fronde degli alberi, stava sollevandosi un vento
freddo proveniente da nord; una brezza che sembrava possedere lo
stesso tocco della morte e che gli diede l'irrazionale impressione di
portarla con sé verso Regno degli uomini.
Inconsciamente
anche Elwar si ritrovò a rabbrividire, fatto che non fece altro che
aumentare il suo malumore.
Tsk,
dannata stagione.
continua...
Sono sempre più emozionata ad ogni capitolo che pubblico... o forse lascio passare talmente tanto di quel tempo che faccio in tempo a dimenticarmi l'emozione che sperimento prima... ç.ç scusateeee non vorrei nemmeno io procedere così tanto a rilento, potrei camparvi mille scuse e il resto, ma la verità è che va a rilento anche la stesura dei capitoli!
Ma eccolo qua! Il capitolo dell'incontro! Sì, come preannunciato le cose si fanno interessanti finalmente (almeno spero..)!
Inoltre, non contenta dell'impostazione delle pagine, ho aggiunto un bannerino ad inizio di ogni capitolo a ricordare a tutti di cosa si sta parlando... vi piace?? Ho faticato un po' a crearlo ma sono abbastanza soddisfatta del risultato.
Beh, che dire, spero che qualcuno di voi intrepidi alla fine decida di dirmi cosa ne pensa di questo mio parto secolare (^^°) nel frattempo vi auguro buona estate!
Alla prossima, gente!!
Kaiy-chan |
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