Un posto in cui tornare

di Feni_rel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno ***
Capitolo 2: *** Due ***
Capitolo 3: *** Tre ***
Capitolo 4: *** IV Capitolo ***
Capitolo 5: *** V Capitolo ***
Capitolo 6: *** VI Capitolo ***
Capitolo 7: *** VII Capitolo ***



Capitolo 1
*** Uno ***


Ed ecco la nostra fanfiction concepita e scritta a quattro mani. E' nata dalle nostre chiacchere successive alla puntata 45 e da lì si è dipanata fino a diventare una vera e propria storia. Avendo sviluppato buona parte della trama nelle settimane successive alla puntata, ci sono ovviamente cose che si discostano dal finale ufficiale. Alcune le abbiamo adattate in corsa, altre sono rimaste uguali perchè... le avevamo indovinate e l'anime è andato effettivamente in quella direzione. Altre ancora sono rimaste nettamente diverse, e quindi alla fine la storia è diventata una What if?.
E' stato molto divertente e stimolante scrivere in questo modo, e spero che leggendo vi appassionerete tanto quanto ci siamo appassionate noi nel buttarla giù.
Non ci dilunghiamo oltre: buona lettura!

 
Capitolo 1

“… non ho intenzione di morire. L’obiettivo è in vista. E io vivrò per vederlo.”
Norba Shino si rese conto all’improvviso di non riuscire più a visualizzare il ‘futuro’. Ciò che aveva sempre desiderato e immaginato, cominciava a perdere chiarezza all’interno della sua mente, i contorni di quei luoghi e delle figure dei suoi compagni finalmente liberi diventavano sempre più sfocati, quasi evanescenti.
Faticò a ricordare cosa gli fosse successo: era salito con sicurezza sull’Hotarubi ormai vuota e aveva puntato il Super Galaxy Cannon contro la flotta di Arianrhod: Un solo colpo e l’avrebbe spazzata via. Qualcosa, però, non aveva funzionato, il suo cannone era stato falciato in due dal colpo di un qualche mobile suit nemico coinvolto nella battaglia e lui stesso aveva visto il raggio deviare tristemente e spegnersi senza successo nello spazio. La vista del nemico ancora intatto era impressa nel suo cervello.
Aveva gridato “maledizione!” con tutto il fiato in gola, ricordava di aver tirato un pugno violento sullo schermo laterale del cockpit. Poi, la frustrazione e il terrore per la sorte dei compagni lo avevano travolto, insieme a quella che era sempre stata la parte più forte della sua indole: l’impulsività. E così, d’istinto, si era lanciato contro la flotta nemica, finendo investito dalla pioggia di colpi dei dainsleif imbracciati dai mobile suit schierati a difesa di Arianrhod. Ricordò il boato di un’esplosione, le fiamme che divampavano nel cockpit, il dolore del fuoco sulla propria carne. Il Ryusei-go aveva tremato nel perdere i propri arti e nell’accartocciarsi delle lamiere della sua corazza.
In quel momento, però, non avvertiva più nulla. Non c’erano fiamme intorno a lui, ma neppure fragori, era come se tutto si fosse improvvisamente acquietato. Sforzandosi di mettere a fuoco davanti a sé, Shino notò di avere il cockpit squarciato e di riuscire a vedere oltre quell’apertura. Era strano il colore dello spazio: rosso, troppo rosso, pensò, mentre del sangue colava dal suo occhio destro. Intravide poi qualcosa fluttuare lungo il lato sinistro e riconobbe le bende con cui Yamagi gli aveva fasciato il braccio ferito, lo stesso che ora non riusciva nemmeno a muovere, perché non lo sentiva più. Ma non era soltanto il braccio, non c’era muscolo che rispondesse ai suoi comandi, tutto il corpo gli sembrava un pesante macigno e l’unica cosa che avvertiva era un dolore lancinante, come se fosse stato fatto a pezzi.
E pensò che, con tutta probabilità, era davvero così.
All’improvviso, il colore rosso dello spazio cominciò a mescolarsi ad uno più nero e tutto si fece più scuro, deformato. Shino si sentiva sempre più stordito, e comprese che ben presto avrebbe perso definitivamente conoscenza. Non sapeva se aveva fatto la cosa giusta, ma lo sperò. Sperò, con quel gesto spericolato, di aver dato ai suoi compagni una possibilità di salvezza e che ora fossero al sicuro da qualche parte nello spazio.
Quante volte aveva fatto preoccupare Yamagi per la sua imprudenza? Il ricordo del compagno gli provocò uno strano dolore fra stomaco e torace, diverso da quello che gli stava corrodendo le ultime forze.
“Yamagi”
Mosse le labbra ed ebbe l’impressione di sentire la propria voce pronunciare il suo nome. Yamagi, che gli era sempre stato vicino, che si era sempre preso cura di lui con discrezione, che l’aveva amato in silenzio.
Yamagi, che stava aspettando il suo ritorno.
Per la prima volta nella sua vita, Shino provò un profondo senso di inquietudine e abbandono e capì con amarezza di stare temendo la solitudine della morte. Dentro di sé chiese perciò scusa a Yamagi per non poter mantenere la promessa di andare a bere insieme. Ma, soprattutto, gli chiese scusa per non poter mantenere quella più importante: sopravvivere.
Non aveva ancora terminato il flusso di pensieri che ciò che gli era sembrato il proprio respiro si bloccò, il corpo divenne rigido e l’oscurità finì per inghiottirlo.
Ormai, Shino non poteva più sapere che sulla Isaribi Yamagi Gilmerton stava tremando, scosso da un’angoscia e da quel brutto presentimento che era sempre stata la sua più grande paura.

 

I danni erano stati ingenti anche questa volta. C'era una lista infinita di riparazioni da fare, ma i pezzi di ricambio scarseggiavano, e la maggior parte degli interventi sulla nave e sui mobile suit non sarebbe stata possibile fino a che non avessero avuto nuovi rifornimenti.
Lui e gli altri meccanici avevano già sistemato il possibile, e infatti molti di loro non si trovavano nemmeno lì. Facevano bene a riposarsi e dedicarsi ad altro, visto che non sapevano cosa avrebbero dovuto affrontare una volta arrivati su Marte, ma lui non ci riusciva.
Yamagi aveva un bisogno disperato di lavorare, o sarebbe impazzito. Dopo lo sfogo con Orga, dopo aver parlato con Eugene, i suoi pensieri ed il suo dolore per la morte di Shino erano divenuti un'accozzaglia continua che si rimescolava nella sua mente senza ordine e senza interruzione. L'unico modo per rimanere lucido era tenersi impegnato, continuando a mostrare agli altri quella facciata impassibile e schiva che col tempo Shino era riuscito a smantellare almeno in parte, e che ora gli si era richiusa attorno come una tagliola, intrappolandolo.
Si posò su una delle piattaforme accostate al cockpit del Landman Rodi, e cominciò a scorrere le informazioni sul tablet. Se non poteva sostituire parti meccaniche, forse poteva dare un'occhiata alla sezione dei comandi. Non si orientava bene tra le informazioni di quel modello: si era sempre occupato quasi esclusivamente del Ryusei-go, e quando aveva copiato quei dati, nei giorni precedenti, non aveva nemmeno avuto la forza di organizzarli in maniera logica.
Quando, scorrendo le pagine, si trovò davanti agli occhi la schermata con i piani di montaggio del cannone dainsleif, l'apatia che lo aveva rivestito fino a quel momento venne squarciata da un dolore acuminato che gli bloccò il fiato in gola, offuscandogli la vista e facendolo accasciare a terra. Il tablet gli scivolò dalle mani e finì con lo sbattere contro il pavimento della piattaforma, per poi sollevarsi di rimbalzo e finire a fluttuare poco distante. Il rumore metallico produsse una eco contro le pareti dell'hangar deserto.
Si prese la testa tra le mani, stringendo gli occhi. Perché aveva accettato di montargli quel maledetto cannone? Avrebbe voluto piangere, ma il nodo che aveva alla gola era così stretto e doloroso che non lasciava passare nemmeno le lacrime.
 

“Non è colpa tua.”
La voce di Kassapa lo riscosse. Si ritrovò a sbattere le palpebre un paio di volte, completamente disorientato. Doveva essere fermo in quella posizione da un po', perché le spalle e le ginocchia gli fecero male quando provò a girarsi verso il capomeccanico.
“C-cosa?” Balbettò.
“Ho detto che non è colpa tua. - Ripeté l'altro, indicando con un gesto la schermata del tablet, ancora acceso su quella pagina. - E' stata una decisione di Shino.”
Yamagi non si stupì che l'uomo avesse capito perché si trovava in quello stato. In fondo lo conosceva da quando era un bambino.
“Non è vero! E' stata una decisione stupida, nient'altro che un suicidio! E io lo sapevo, lo sapevo nel momento stesso in cui me ne ha parlato... ma ho accettato. Sarebbe bastato che gli dicessi di no... e lui avrebbe rinunciato. - Strinse i pugni con rabbia, mentre finalmente le lacrime arrivavano fino agli occhi, senza però riuscire a staccarsene. - E invece gli ho montato quel maledetto cannone. Sono io che l'ho mandato a morire in quel modo!”
Kassapa rimase per un attimo spiazzato da tutta quella rabbia, ma poi si riscosse.
“Spettava a Shino decidere, e tu gli hai permesso di scegliere il proprio destino. Hai dimostrato coraggio lasciandolo libero.”
“Coraggio... - Ripetè amaramente Yamagi mentre si aggrappava al parapetto della piattaforma per rimettersi in piedi con fatica. - Non è stato coraggio, ma solo egoismo. Avrebbe potuto chiedermi qualsiasi cosa e io l'avrei fatta. Gli ho montato il dainsleif semplicemente perché... perché l'idea di deluderlo mi spaventava troppo.”
Il vecchio sospirò, sedendosi sul bordo del cockpit aperto.
“Se Shino non avesse fatto di testa propria, non saremmo riusciti a fuggire. Probabilmente a quest'ora molti di noi sarebbero morti.”
Yamagi strinse le labbra, abbassando lo sguardo. Kassapa ricordava le sue parole, mormorate tra i denti il giorno stesso della battaglia: per lui non aveva alcun valore un luogo in cui tornare, se non poteva condividerlo con Shino. Così il vecchio cercò di aggiustare il tiro.
“Yamagi, come credi che si sentirebbe ora Shino, se avesse rinunciato alla possibilità di salvarci? Forse sarebbe vivo, ma credi che starebbe bene?”
Il ragazzo sollevò lo sguardo verso di lui, sorpreso. Per un attimo sembrò soppesare quelle parole, ma poi tornò a guardare in basso.
“Io... non lo so cosa sarebbe successo. E non so come si sentirebbe lui. - Scavalcò il parapetto con un gesto nervoso. - So soltanto che Shino è morto, e questa è la mia punizione.”
E prima che l'altro potesse rispondere, si allontanò. Un paio di gocce d'acqua e sale rimasero sospese, brillando nel riflesso delle luci fredde dell'hangar.

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Capitolo 2
*** Due ***


Mancava poco meno di mezz'ora all'alba.
Si erano raccolti nello spiazzo davanti alla base di Tekkadan, per ascoltare ciò che aveva da dire loro Mikazuki, il quale restava in piedi nel cockpit aperto, aspettando che il brusio cessasse.
A quell'ora si alzava sempre un po' di vento: l'aria fredda si insinuava sotto le giacche verdi con il simbolo del giglio bianco, ma nessuno di loro ci faceva caso, mentre nel gruppo serpeggiavano voci di sconforto, di rabbia e di vendetta.
Le ultime ore erano state un susseguirsi di eventi frenetici. Disperazione e speranza si erano alternate nell'apprendere dell'ultimatum di Gjallarhorn, dell'esistenza del tunnel, della possibilità di raggiungere Chryse e di contattare la Terra per provare a ricominciare con un altro nome.
Poi Orga, assieme a Kudelia, Dante, Ride e Atra, era riuscito a rompere le linee nemiche, e per un attimo era sembrato che avrebbero potuto salvarsi. Ma la chiamata di Ride era stato un colpo che li aveva lasciati tramortiti, senza nemmeno la forza di piangere colui che li aveva guidati fino a quel momento.
Yamagi si passò la mano guantata sul viso. Quella notte non aveva chiuso occhio, come tutti gli altri, e ormai si sentiva quasi un sonnambulo, che osserva le cose senza davvero vederle.
Dopo lo sfogo con Kassapa, un paio di giorni prima, l'apatia aveva soppiantato tutti gli altri sentimenti nel suo cuore. La possibilità di fuggire e ricominciare, che aveva infiammato Orga e gli altri, lo aveva a mala pena sfiorato.
E anche se la morte di Itsuka era stata l'ennesima ferita che lo aveva colpito, non riusciva a provare altro che lo stesso cupo sconforto che lo aveva pervaso negli ultimi giorni.
Mikazuki ruppe il silenzio, e tutti si fermarono ad ascoltarlo.
Yamagi osservò i volti dei suoi compagni passare dalla rabbia alla commozione, per poi abbandonare ogni proposito di vendetta. Mika aveva detto appena poche frasi, ma era riuscito a convincerli che ciò che avrebbero fatto non sarebbe stato combattere e morire per vendicare Orga, ma lottare per cercare di salvarsi o di salvare almeno i propri compagni, continuando a seguire la volontà di colui che era stato il loro capo.
Yamagi sentì brillare dentro di sé una piccola scintilla.
Forse era questo ciò che avrebbe potuto fare per Tekkadan. Poteva combattere accanto a loro, proteggendo i suoi compagni proprio come avrebbe voluto Shino.
Lui era in grado di farlo come gli altri. Anzi, più degli altri, perché per la prima volta in vita sua, non aveva paura di morire.
E se aiutare quella che Shino aveva considerato la propria famiglia lo avesse portato alla morte, Yamagi sperò che avrebbe potuto raggiungerlo sapendo che sarebbe stato orgoglioso di lui.

 

Allora vivete fino alla morte seguendo i suoi ordini”.
Erano state queste le ultime parole di Mikazuki. E lui si era trovato d’accordo: non si sarebbero dovuti fermare, mai. Eppure, anche se condivideva quel pensiero, Eugene Sevenstark sentiva di non comprendere bene i propri sentimenti. Se qualcuno, nel futuro, gli avesse chiesto come si era sentito quelle poche ore prima dell’ultima battaglia, non avrebbe saputo rispondere. Scosse la testa, pensando che fosse inutile rimuginare su simili scenari, visto che non sapeva se il giorno dopo sarebbe riuscito a vedere quello stesso cielo ormai rischiarato.
Mikazuki era stato capace di placare gli animi di coloro che cercavano solamente vendetta, dando coraggio allo stesso tempo a chi, come lui, si stava facendo prendere dalla confusione e dallo sconforto.
Essere responsabile di tutte le vite di Tekkadan: l’aveva desiderato tanto quel ruolo. Ne aveva parlato tempo prima anche con Shino, che l’aveva preso in giro, dicendogli che non avrebbe mai pensato volesse diventare come Orga. Ma dopo averlo sbeffeggiato, l’aveva incoraggiato.
Tuttavia, alla fine, come vicecapo non aveva combinato nulla di buono. In fin dei conti, quello del comando, era un ruolo adatto soltanto a uno come Orga.
“Sono davvero un perdente, eh?” Sospirò, alzando gli occhi al cielo, come a voler cercare una risposta nelle stelle sempre più fioche che scorgeva sopra la sua testa. Non volle scacciare la tristezza che lo accarezzò nel pensare all’amico perso nell’infinità dello spazio.
Aveva provato sì rabbia nei confronti di Orga e delle sue ultime scelte, ma non avrebbe mai potuto gettargli addosso dell’astio, visto che lo capiva. Perciò, quando Yamagi Gilmerton lo aveva accusato di essere un codardo se si fosse tirato indietro, dopo che molti dei loro compagni erano morti seguendo i suoi ordini, si era sentito sollevato. Anche se aveva capito subito che, nonostante avesse parlato al plurale, Yamagi si stesse comunque riferendo a Shino.
Eppure la colpa era sua, non di Orga. Avrebbe dovuto prendersela con lui.
Lasciare morire il proprio migliore amico… ancora non sapeva dove aveva trovato una tale freddezza. Forse era stato l’istinto di sopravvivenza insieme al desiderio di proteggere le vite di tutti.
“Non ti incolperemo se moriamo”, gli aveva detto la stessa volta Shino, ridendo, e ora il ricordo di quelle parole gli sembrava assumere una punta di cattivo gusto.
Che il loro piccolo meccanico avesse una cotta per il suo amico l’aveva sempre saputo e quando Shino gli aveva chiesto cosa ne pensasse si era stupito parecchio. Aveva sempre pensato che anche lui sapesse, ma che evitasse la cosa fingendosi ignaro. Che stupido che era stato! Shino non era di certo capace di simili recite, lui era sempre stato un ragazzo spontaneo e schietto. Il sapere poi che dopo la loro chiacchierata aveva cominciato a considerare Yamagi sotto una luce diversa… scosse la testa, non volendo dare voce a quel senso di colpa.
All’inizio lo divertiva osservare come Yamagi si dedicasse a Shino, come cercasse di nascondere i sentimenti dietro a un atteggiamento distante ed a volte davvero rigido nei confronti dell’oggetto delle sue attenzioni. Era buffo vederlo rabbuiarsi quando Shino andava a donne o parlava in modo alquanto grezzo delle forme femminili. A volte l’aveva pure trovato irritante e fastidioso e dentro di sé l’aveva un po’ preso in giro. Invece, era stato davvero immaturo e superficiale. Se ne rendeva conto soltanto ora.
Quella di Yamagi non era la semplice cotta di un ragazzino. Quando gli aveva sentito dire di preferire morire con lui, piuttosto che vivere senza di lui, Eugene aveva aperto gli occhi. E si era spaventato, perché udire un membro di Tekkadan desiderare la morte minava il suo senso di responsabilità nei confronti delle vite dei suoi compagni. Quelle stesse vite che aveva promesso a Shino di proteggere. Per fortuna, Yamagi era poi tornato in sé, prendendosi l’impegno di fare qualcosa per Tekkadan, in nome di Shino.
Aveva finalmente compreso la profondità di quei sentimenti.
“Questo sì che è un amore che non si può comprare, vero Shino?”

 

Come annunciato, l’attacco di Arianrhod arrivò preciso a mezzogiorno. Il ramo più influente di Gjallarhorn non aveva permesso ai ragazzi di Tekkadan di arrendersi, perciò coloro che erano sul campo di battaglia non avrebbero potuto fare altro che difendersi, anzi, difendere i compagni che sarebbero scappati nel tunnel sotterraneo. Il suolo di Marte stava per macchiarsi del sangue di entrambe le parti.
“Maledizione, Orga!” Esclamò Eugene, a bordo dello Shiden che avrebbe dovuto usare il loro capo. “Obbligarci a fare questo lavoro inopportuno! È sempre stato così, si atteggiava a grande capo. Avrei voluto vendicarmi prima o poi.” La voce del vice di Tekkadan non nascondeva l’ondata di disperazione del suo cuore, nonostante le mani non esitassero a sparare sul nemico.
Non c’era stato il tempo di piangere Orga, così come non c’era stato il tempo di piangere Shino e gli altri compagni caduti nelle ultime settimane. Eugene lo sapeva bene.
“Se dobbiamo morire, almeno facciamolo lentamente!”
Lui, Mikazuki, Akihiro, Dante e tutti gli altri sapevano che quella sarebbe stata l’ultima battaglia, la stessa che avrebbe messo fine alle loro vite. Eppure sembravano sereni, decisi ad andare fino in fondo per proteggere i compagni superstiti che si sarebbero dati alla fuga e che avrebbero costruito anche per loro quel futuro di pace tanto agognato.
Quando i mobile suit scesero in campo, non ebbero neppure il tempo di stimarne il numero, poiché l’attacco li travolse all’istante, ma nessuno sul campo aveva paura. Avevano tutti impresso nel cuore l’ultimo desiderio di Orga Itsuka, e non si sarebbero fermati prima di portarlo a termine.
Il Barbatos Lupus Rex cominciò a sbaragliare tutti i nemici che incrociava nella sua controffensiva. Sembrava proprio una bestia affamata di sangue. “Il demone bianco” incuteva enorme soggezione in campo, molti mobile suit non riuscivano nemmeno a reagire e venivano sbriciolati dai i colpi violenti della sua mazza. Anche il Gusion stava dando prova della sua enorme potenza, quando fu circondato da tre mobile suit che gli puntarono contro dei cannoni a particelle, ma Akihiro non si perse d’animo. Imbracciando l’imponente ascia del suo modello, si scagliò con violenza sugli avversari, riuscendo a colpirne due con un solo affondo. Con tutta la rabbia che gli ribolliva nelle vene, il ragazzo sollevò l’arma per colpire il terzo, ma nell’istante in cui quella puntò il cielo, il raggio di un rifle la colpì in pieno, spezzandola.
“Dannazione!” Gridò frustrato, e gli sarebbero sfuggiti altri improperi se la vista del mobile suit che l’aveva disarmato non gli avesse bloccato il fiato in gola, raggelandogli il sangue.
“Non è possibile…” Fu la voce di Eugene, subito dopo aver visualizzato sullo schermo la macchina che in lontananza aveva sparato. Riconobbe subito quel modello fra la polvere che si alzava, il colore unico che lo caratterizzava. Era… intero. Eppure lo aveva visto finire distrutto sotto l’assalto dei nemici solo qualche settimana prima.
“… quello è il Flauros…” Balbettò e tutti i compagni in collegamento poterono sentirlo, sorprendendosi con lui. Ma il tempo di stupirsi finì in una manciata di secondi, visto che l’offensiva non s’interruppe. Anche perché quel mobile suit dimostrò subito di essere dalla parte di Arianrhod.

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Capitolo 3
*** Tre ***


Eccoci qui con il terzo capitolo. Chi ci sarà a bordo del Flauros appena sceso in campo?
Seguiteci e avrete la risposta!!
Grazie a voi che leggete <3




III Capitolo



“I nostri sono in difficoltà!”


Alcuni ragazzi giunsero trafelati nel reparto meccanico di Tekkadan su Chryse. Kassapa rivolse loro l’intera attenzione, visto che erano quelli che comunicavano con i piloti dei mobile suit in campo. Avevano tutti lo sguardo sconvolto. “Arianrhod si è impossessata del Flauros! E lo stanno usando contro di noi!” Annunciò uno di loro.

Il capomeccanico spalancò gli occhi, provando la medesima confusione dei compagni. “Il Flauros? Ne sei certo?”
Il ragazzo annuì. “Ho sentito le voci dei ragazzi, Eugene ha confermato che si tratta proprio del Flauros!”
Kassapa avvertì un brivido gelido lungo la schiena. “Ma com’è possibile? Era andato disperso nello spaz-” S’interruppe, pensando che quelli che si erano dati alla fuga erano stati loro, mentre la flotta nemica aveva di certo avuto tutto il tempo di recuperare il loro mobile suit. “Che stiano sfruttando ragazzi dotati del sistema Alaya Vijnana? Proprio Gjallarhorn che ne aveva vietato l’uso?” L’uomo si passò una mano in viso, faticando a mantenersi lucido. “Non mi stupirebbe nemmeno se con la loro tecnologia fossero riusciti a modificare il sistema di utilizzo del Flauros…”

“Ryusei-go!”

Una voce dura alle sue spalle lo fece sussultare.

“Ryusei-go.” Ripetè Yamagi, pugni stretti e uno sguardo ostile che Kassapa non gli aveva mai visto. “Ryusei-go. Non avete alcun rispetto per Shino?” Il giovane meccanico stava tremando. Mai aveva provato una sensazione simile. Mai, neppure alla morte di Shino. Si era disperato, è vero, ancora cercava di nascondere quella disperazione. Si era sentito impotente, si era sentito in colpa, arrabbiato anche, ma non aveva avvertito un odio simile a quello nutrito in quel momento.  

“Ce lo hanno strappato via…” sibilò fra i denti. “Non abbiamo nemmeno avuto la possibilità di recuperarlo, mentre loro se ne sono impossessati impunemente, usandolo contro di noi. Infangando Shino… non posso perdonarli.”

“Yamagi, calmati…” Lo esortò Kassapa, preoccupato per il ragazzo. Il suo tono aspro non gli stava piacendo e nemmeno la luce che aveva negli occhi. Lo sguardo così accecato dall’odio, quasi omicida, non s’addiceva per nulla al suo piccolo aiutante. Ma, prima che la propria mano potesse raggiungerlo, Yamagi era già corso via e nell’inseguirlo nell’hangar, l’uomo ebbe conferma dei suoi timori. “Non fare pazzie, Yamagi!” Gridò, vedendolo salire su uno degli Shiden rimasti vuoti. Proprio uno di quelli appartenenti alla squadra Ryusei di Shino. “Ti farai ammazzare inutilmente!” Insisté, senza successo.  

Il cockpit si chiuse davanti ai suoi occhi allarmati.  

“Hanno osato mettere le mani sul Ryusei-go…” Yamagi parlava a voce alta, in preda a una cieca rabbia. Si levò con decisione la giacca, abbassando poi la zip della tuta per scoprire la parte superiore del corpo. Azionò i comandi, spingendosi all’indietro. Il cavo del sistema Alaya Vijnana s’innestò facilmente nella sua schiena, provocandogli un moto di nausea e una fitta alla testa. I nervi cervicali erano stati collegati. Dopo il discorso di Mikazuki si era fissato sulla schiena l’apparecchio per il collegamento, vagliando la possibilità di dover prima o poi scendere in campo.

L’aveva addirittura sperato.

Non era un pilota, è vero, non era mai stato portato per guidare mobile suit. Gli orfani come lui, alla CGS, subivano l’operazione senza distinzioni, per poi venir testati in battaglie simulate per verificarne le abilità. Lui era stato scartato sin da subito, mentre altri, anche più piccoli, erano stati selezionati per pilotare i mobile worker. All’inizio si era sentito parecchio frustrato e inutile, poi, invece, scoprendo le proprie abilità come meccanico, aveva deciso di affinarle per dedicarsi a rendere sicure le macchine sulle quali sarebbero saliti i suoi compagni.

Quando poi aveva conosciuto Shino, si era ripromesso di avere cura di quelle che avrebbe utilizzato lui. Quello era l’unico modo in cui poteva proteggerlo. E se ancora sentiva forte il senso di colpa per avergli montato il dainsleif, non poteva perdonare la condotta di Arianrhod.

“Quello è il mobile suit al quale ho lavorato con tutte le mie forze. Per Shino. Solo per lui…” Mentre lo Shiden si attivava, Yamagi notò le proprie mani tremare, ma cercò di soffocare la paura alimentando la propria rabbia.

Quando marcò il suolo brullo di Marte, la luce del sole e la nube di polvere sollevata dalla battaglia in corso gli ostruirono la visuale, tanto che faticò nell’immediato a riconoscere i mobile suit in campo. In poco tempo, però, distinse i suoi compagni, i nemici e individuò quello che un tempo era stato un alleato.

La vista del Flauros impegnato in una battaglia contro lo Shiden bianco pilotato da Eugene fu come una zannata dritta sul cuore. Il suo cuore, che era già stato lacerato dalla morte di Shino e che ora Arianrhod si stava divertendo a ridurre a brandelli.

“Se proprio dovevate usarlo…” nemmeno lui si riconosceva in quel tono basso e grave “almeno dovevate cambiargli il colore!” Gridò poi con profondo disprezzo, lanciandosi contro quello che riteneva un affronto alla persona che amava, una violenza ai suoi sentimenti.

“Ma cosa…” Eugene riconobbe lo Shiden che si scagliò con tutto il corpo sul Flauros come uno dei loro, ma non capì chi potesse aver avuto la folle idea di gettarsi in quel modo su un avversario, soprattutto un Gundam frame. Nella frenesia della battaglia, la sua mente trovò comunque la lucidità per dare un volto al pilota sconsiderato. “È un suicidio! Torna indietro, Yamagi!”

Il giovane meccanico non ascoltava le parole del vicecapo che continuava a pregarlo di ritirarsi, mentre si difendeva a sua volta, ma lui non le sentiva neanche, preso com’era dal colpire in continuazione il Flauros con l’ascia del suo mobile suit.
Si rendeva conto di stare agendo senza criterio, forse i suoi movimenti risultavano prevedibili e impacciati, ma non gli importava. Il Gundam frame indietreggiava sotto i suoi affondi, difendendosi con le sole braccia. Fuori di sé, Yamagi continuava a colpire alla cieca e nel frattempo apriva le comunicazioni con quel mobile suit.

“Mi senti, pilota?” Chiamò, la voce che traboccava di rancore. Ma dall’altra parte non ci fu alcuna risposta. Yamagi sentì solo un breve respiro, senza accorgersi del sussulto all’interno dalla cabina di pilotaggio. “Lo so che mi senti.” Incalzò. “Come hai potuto sederti là dentro. Tu non sei degno…” Afferrò l’ascia con entrambe le mani e la sollevò con tutta la forza che aveva. “Non sei degno di pilotare il Ryusei-go!” Affondò sul fianco del mobile suit e il sistema Alaya Vijnana gli rispose con una scarica elettrica che avvertì fino alla testa e che gli fece inarcare la schiena e colare il sangue dal naso.

Il Flauros incassò ancora, tuttavia i colpi di Yamagi erano troppo deboli per potergli causare danni ingenti. Ma al ragazzo non importava, continuava a infierire, senza chiedersi perché l’altro non reagisse. “Quello è il mobile suit di un nostro compagno, un membro della nostra famiglia!” Yamagi sentiva di non avere più fiato nei polmoni, il sistema impiantato sulla sua schiena lo stava sfinendo, ma non si sarebbe comunque fermato. Aveva ancora tutta l’adrenalina a scorrergli nelle vene. “Shino… Shino ha dato la vita per la causa di Tekkadan! Voi ce l’avete strappato… lui, che era così importante per tutti noi…” La voce improvvisamente gli venne meno, ma non era colpa dell’Alaya Vijnana.

Il pilota taceva ancora, ma le dita della sua mano destra si stringevano a pugno, così come quelle di Yamagi che continuava: “… era importante per me…” Un solo singulto, prima di venir afferrato per un braccio e sentirsi improvvisamente scagliare lontano, come se fosse stato più leggero di una piuma. Sgranò gli occhi, di fronte a un raggio che colpiva a vuoto il suolo marziano e che era appena riuscito a evitare.

No, si rese conto che il Flauros lo aveva appena salvato. Fissò stordito lo schermo che gli mostrava il Ryusei-go in tutta la sua imponenza. L’aveva visto così tante volte da vicino. Ma ora lui era in terra, mentre quello gli stava davanti, immobile, facendolo sentire impotente e confuso.

“Allontanati dalla battaglia, Yamagi. Tu non sei capace di combattere!”

Il pilota a bordo del Flauros aveva appena parlato e quella frase lo fece tremare come un bambino. Il proprio nome pronunciato da quella voce era sempre stato impresso nella sua testa. Negli ultimi tempi l’aveva rievocato così tanto, nella paura che quel ricordo si potesse affievolire. Era incredulo. Gli avevano detto che si era gettato sulla flotta nemica con una manovra suicida, che i dainsleif dei mobile suit di Arianrhod lo avevano devastato, che la cabina di pilotaggio era saltata in aria. E loro non avevano potuto fare niente per salvarlo. Per questo non aveva lontanamente pensato che potesse trattarsi di…

“Shino…?” Chiamò sconvolto, incredulo. “Sei vivo…” Tese la mano e il suo Shiden rispose allo stesso modo. Anelò quel contatto che si era convinto non avrebbe mai più potuto avvertire: la presa salda di Shino che l’aveva fatto emozionare molto tempo prima, quando ancora i suoi sentimenti erano acerbi.

Il Flauros si mosse a sua volta, ma a tendersi furono i cannoni sulle spalle che Yamagi si vide all’improvviso puntati contro. “Ritirati Yamagi, non sarò così indulgente una seconda volta.”

In un primo momento, il meccanico pensò di essersi sbagliato, che il pilota non fosse realmente Shino ma, un attimo dopo, realizzò che a chiamarlo in quel modo poteva essere soltanto lui.

“Che… che dici?” Balbettò scioccato, senza riuscire a realizzare ciò che stava accadendo. Shino gli era proprio davanti, all’interno del mobile suit al quale aveva lavorato con impegno per mesi, rendendola la macchina perfetta per lui. Innumerevoli volte il Flauros l’aveva guardato dall’alto in basso, ma Yamagi non ne aveva mai avuto alcun timore, perché quello non era solo un Gundam Frame, bensì il Ryusei-go, l’anima di Norba Shino. Mai l’avrebbe immaginato ostile. “Tu sei un nostro compagno, no?” Domandò con voce spezzata dall’emozione, cercando di sottolineare quello che doveva essere qualcosa di naturale.  Credevamo di averti perso per sempre… io mi sono sentito pers-”

“Noi non siamo più compagni.” Lo interruppe l’altro. “Quindi ritirati, ora!”

Sconvolto, Yamagi provò a parlare ancora, ma l’improvviso “per favore” sussurrato con timbro nervoso da quello che sembrava davvero essere Shino, lo fece indietreggiare. D’un tratto, fu di nuovo capace di sentire i colpi e le esplosioni della battaglia in corso. Oltre che la voce di Eugene che gli ordinava di tornare alla base. Nonostante i sentimenti che lo stavano travolgendo come un fiume in piena, il giovane meccanico chinò la testa e obbedì all’intimazione di colui che era ancora la persona più importante della sua vita.

Tremò, nell’abbandonare il campo di battaglia. E Kassapa lo trovò così, quando aprì dall’esterno il portellone del cockpit: il corpo che ancora tremava, le mani strette sui comandi come quelle di un bambino che non sa come manovrarli e lo sguardo fisso nel vuoto.

“Yamagi, stai bene? Sei ferito?” Il capo meccanico lo afferrò per le spalle, preoccupato che il sistema Alaya Vijnana potesse avergli causato dei seri danni. Aveva un rivolo di sangue che colava dal naso.

Di colpo il ragazzo si scosse, guardandolo negli occhi con i propri che erano tornati espressivi, come se vedessero per la prima volta. “Era davvero Shino. È vivo. Ed è nostro nemico.” E solo in quel momento le lacrime ebbero la forza di rigargli il viso.


FINE III capitolo

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Capitolo 4
*** IV Capitolo ***



... rieccoci, non eravamo scomparse! Scusate se andiamo un po' a rilento, ma gli impegni della vita quotidiana incombono. Nonostante
tutto ci portiamo avanti con la storia, grazie di avere la pazienza di seguirci ^___^



Un posto in cui tornare
IV Capitolo



Il risveglio su Marte o sulla Isaribi negli ultimi anni era sempre stato frenetico. Quando lavorava per la CGS non aveva avuto molta scelta: se non si fosse alzato e messo a lavoro immediatamente, avrebbe rischiato di venir punito o malmenato. Quando poi si era unito a Tekkadan, soprattutto i primi tempi, la paura di venire schiacciati da Gjallarhorn li aveva sempre tenuti in allerta e quindi non aveva potuto far altro che svegliarsi di tutta fretta per uscire a combattere o ad allenarsi insieme ad Akihiro o alle Turbines. Tuttavia, anche nei momenti in cui non c’erano urgenze, aveva sempre trovato qualcosa da fare, qualcuno con cui chiacchierare. In fondo, solo il poter parlare liberamente con i suoi compagni, senza avere nemici alle costole o a fare da cane da guardia, era per lui un buon motivo per svegliarsi.

In quel momento, invece, non aveva nemmeno la forza di muovere un solo muscolo. Aprì gli occhi a fatica e tutto ciò che vide fu un colore bianco quasi fastidioso, causato dalla luce elettrica che lo costrinse a socchiudere gli occhi abituati da troppo tempo all’oscurità. Era stordito, sentiva come un macigno al posto del cervello e faticava anche solo a ricordare il proprio nome. Riuscì a muovere la testa, inclinandola su un lato e così, pian piano, quell’ambiente ovattato e tiepido cominciò a prendere le forme di un soffitto, delle pareti e di un tavolino accostato al muro. Nel mettere a fuoco quei dettagli, primi frammenti di ricordi presero ad affacciarsi alla memoria: la Hotarubi sotto i piedi del suo mobile suit, lui che prendeva la mira, il Super Galaxy Cannon che veniva spazzato via, il salto nel vuoto, i mobile suit nemici che gli sparavano contro e poi le fiamme, il dolore su tutto il corpo, l’aria che gli mancava… la paura di…

… quel suono, basso e cadenzato, che avvertiva però chiaramente, lo riscosse: era il suo cuore che batteva ancora una volta. Trattenne a stento le lacrime che sentì salirgli agli occhi. Ora gli era tutto chiaro, prima la trasparenza non gli aveva fatto notare il vetro che lo circondava: si trovava all’interno di una nanomacchina medica. I suoi compagni lo avevano recuperato. In qualche modo ce l’avevano fatta. D’un tratto, vide una figura avvicinarsi e quella testolina bionda dissipò ogni dubbio. Soltanto lui sarebbe stato così folle da aspettare il suo risveglio. “Ya.ma.gi.” Pronunciò e la voce gli uscì con un sibilo.

“Guarda si è svegliato! Ha appena detto qualcosa…”

Spalancò del tutto gli occhi, rendendosi conto che quella era una voce femminile e che la persona che aveva di fronte non era Yamagi Gilmerton, bensì una donna con indosso la divisa di Gjallarhorn.

“Finalmente!” Esclamò qualcun altro, premendo il pulsante per aprire la nanomacchina.

“Dove sono? Chi siete?” Si agitò il ragazzo, provando, senza successo, a sollevarsi. Era ancora molto debole.
“Calmati…” Gl’intimò la figura che si era avvicinata poco prima. Era un giovane uomo dai capelli viola e lui era sicuro di non averlo mai visto prima. “Io sono Gaelio Bauduin e tu ti trovi sulla nave di Arianrhod.

Quel nome l’aveva già sentito e qualcosa lo ricondusse alle sette stelle di Gjallarhorn. Il suo presentimento divenne brutalmente reale. “Non è possibile…” Balbettò.
“Ti ho recuperato io, altrimenti a quest’ora saresti già un detrito dello spazio. La distruzione del portello del cockpit è stata la tua salvezza, la mancanza di ossigeno ha spento le fiamme.” Gli disse quel Gaelio, accennando un sorriso quasi gentile.

Già. Cominciava a ricordare l’esplosione, visualizzò chiaramente la cabina di comando squarciata e un brivido gelido lo scosse. Aveva mancato l'unico colpo che avrebbe potuto sconfiggere Gjallarhorn, spazzarne via la flotta e determinare la vittoria di Tekkadan. Preso dalla rabbia per aver fallito, si era lanciato contro di loro, ma era riuscito soltanto a farsi abbattere.
Il cuore prese a battergli velocissimo, preso all’improvviso dal dubbio che il suo attacco non fosse stato sufficiente a difendere la Isaribi e gli altri mobile suit.

“Che cosa è successo? I miei... i miei compagni, dove sono? Cosa gli avete fatto?”
“I tuoi amici se la sono data a gambe, anche se non so se questo dovrebbe renderti felice. Con tutta probabilità stanno cercando di tornare su Marte.” La voce di Gaelio ora sembrava priva di inflessione.
Il ragazzo ferito socchiuse gli occhi, improvvisamente sollevato. Per fortuna il suo tentativo non era andato del tutto a vuoto. Un sorriso gli sfuggì, mentre mormorava “Meno male...”

“Adesso sorridi?! Tu non ti rendi conto, cosa diavolo pensavi di fare con quel cannone, eh?” Lo aggredì la donna. “Ti ho fermato giusto in tempo!”
“Julieta, smettila. Non è il momento…” Gaelio l’afferrò per il polso, ma l’altro aveva già cominciato ad agitarsi.
“Tu! Sei stata tu a colpire il mio cannone?” Gridò, riuscendo con enorme sforzo a sollevare la schiena. “Tu eri a bordo di quel mobile suit verde che combatteva contro Mikazuki!”

“Ehi, calmati!” Gaelio gli artigliò braccio destro e spalla sinistra, bloccandolo. “Cerca di stare calmo o verranno i medici a sedarti! Sei su una nave nemica, cerca di ficcartelo in testa!”
“Lasciami andare!” Gridò il ragazzo, cercando di divincolarsi. Il suo sguardo era puro odio. Fece un movimento per cercare di respingere Gaelio con il braccio libero, quando si rese conto di non avere il controllo sull’arto sinistro. Confuso, posò lo sguardo sulla parte e un lampo d’orrore gli attraversò gli occhi: il suo braccio non c’era più.

La presa di Gaelio si allentò. “Julieta… va’ via per favore.”

La ragazza tacque e seguì il suggerimento del compagno, nonostante il suo cuore fosse attanagliato dai più disparati sentimenti, perlopiù contrastanti.

“Hai perso un braccio e il tuo corpo era pieno di bruciature.” Sospirò Gaelio dopo alcuni minuti di silenzio, durante i quali si era seduto di fianco al ragazzo. “Ti rimarrà qualche cicatrice, ma col tempo ci farai l’abitudine. Rendono più affascinanti, non trovi?”

L’altro alzò lo sguardo, notando solo allora gli sfregi su quel volto. Era un tipo strano, quel Gaelio Bauduin. Apparteneva allo schieramento nemico, quasi sicuramente aveva partecipato alla battaglia in cui era stato catturato. Ma per qualche motivo non provava astio nei suoi confronti. Sarà stata la gentilezza che gli stava dimostrando o forse era lui ad essere ancora troppo debole e sconvolto per ciò che gli era accaduto e che gli stava accadendo. “Perché mi hai salvato?”

Gaelio sospirò. “All’inizio ho pensato che il tuo mobile suit potesse tornarci utile, nonostante fosse malconcio. Poi, però, ho visto che respiravi ancora… non aveva senso lasciarti morire.”
“Respiravo? Ma io non indossavo il casco…”
“Veramente sì… se non lo avessi indossato saresti morto di certo. È stato di sicuro il tuo istinto di sopravvivenza…”

Il ragazzo guardò Gaelio disorientato. In effetti ricordava di aver avuto difficoltà a respirare in mezzo alle fiamme e, con tutta probabilità, l’istinto era intervenuto al posto della ragione, muovendogli il braccio a chiudere casco e visiera. Era possibile. Oppure si era attivato un qualche sistema automatico.

“Hai avuto un gran coraggio a gettarti in quel modo sulla nostra flotta. O la tua era disperazione?” Domandò Gaelio e le sue parole non avevano un filo di scherno.

“Considerami pure un pazzo. Ma per salvare la propria famiglia si è disposti a tutto.”
“Siete tutti fratelli, voi di Tekkadan?” Chiese con un po’ di curiosità il pilota del Gundam Vidar.
“Non di sangue, certo. Però ci proteggiamo a vicenda, guardiamo al futuro insieme. Siamo amici, fratelli… che importanza ha? È la nostra famiglia.”

“Famiglia, amici…” Ripeté l’altro e per un istante il suo sguardo si adombrò nel rivangare il passato.

“Che ne sarà di me? Volete fucilarmi come uno dei ribelli? In quel caso avresti fatto prima a lasciarmi dov’ero.”

“Questo non spetta a me, deve deciderlo Rustal Elion.”

“E Chi sarebbe?”

Gaelio spalancò gli occhi sorpreso. “Ma… è il capo di Arhianrhod, il membro più influente di Gjallarhorn. Non conosci il nome del tuo principale nemico?”
Il ragazzo ferito, nonostante il dolore che ancora si faceva sentire, non poté fare a meno di scrollare le spalle. “No… per noi tutta Gjallarhorn è il nemico. Io sono abituato a combattere, dei nomi e delle questioni politiche sono Orga ed Eugene a occuparsene.”

“Sei un tipo curioso… a me, invece, piacerebbe conoscerlo il tuo nome, membro di Tekkadan.”

Quell’epiteto lo colpì molto e il ragazzo comprese al volo che Gaelio Bauduin non l’aveva pronunciato per caso, bensì per convincerlo a rispondergli. Decise, quindi, di dargli quella soddisfazione. Non aveva di certo paura.

“Il mio nome è Norba Shino.” Pronunciò con orgoglio.

FINE IV Capitolo



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Capitolo 5
*** V Capitolo ***


Rieccoci!!
Grazie di avere la pazienza di seguirci... <3




Un posto in cui tornare
5 Capitolo






Nei punti in cui aveva i segni delle bruciature la pelle gli tirava parecchio, soprattutto viso e collo. Gli erano rimasti dei bei marchi anche sul resto del corpo, ma ormai sembravano cicatrici di vecchia data: le nanomacchine mediche facevano proprio miracoli. Non erano però riusciti a salvare il suo braccio sinistro che era andato distrutto a causa dell’esplosione nel cockpit. Gaelio gli aveva riferito che ce l’aveva ancora quando lo avevano trascinato fuori dal mobile suit, ma dopo avergli sfilato la tuta spaziale… non c’era stato nulla da fare. Nel guardarsi l’arto mancante, Shino provò una grandissima frustrazione e un po’ di tristezza. Con quel braccio aveva perso anche la fasciatura che Yamagi gli aveva fatto prima che si gettasse in battaglia. Deglutì a vuoto con grande sconforto. Ripensò a quegli occhi preoccupati e alle sue parole: “Non ti perdonerò se muori”.

Sospirò. Non era morto in effetti, ma, di sicuro, i suoi compagni ormai lo credevano tale.

Era felice che comunque si fossero salvati grazie al suo sacrificio, ma non si sentiva per nulla tranquillo: dopotutto erano riusciti a scappare, non a vincere la guerra. Arianrhod disponeva di una grandissima e potente flotta. I suoi compagni di Tekkadan erano forti, è vero, ma la battaglia li aveva di sicuro provati, sarebbero riusciti a fare rifornimento e a sistemare i mobile suit? Temeva la risposta a quella domanda. Inoltre, la sicurezza di Rustal Elion non gli piaceva per niente. L’aveva incontrato qualche giorno prima, quando due soldati lo avevano portato al suo cospetto. Era un uomo alto che sfoggiava uno sguardo fiero e sprezzante. Shino non si era trattenuto, lo aveva aggredito verbalmente e l’avrebbe fatto anche fisicamente se i soldati non gli avessero puntato i fucili contro.
“Se devi uccidermi fallo subito.” Gli aveva ringhiato. “O vuoi usarmi come ostaggio per ricattare i miei compagni?”
Rustal Elion lo aveva guardato con un sorriso beffardo. “Hai un modo di pensare troppo semplicistico, ragazzo.” Gli aveva risposto, senza perdere la propria compostezza. “Non ho bisogno di un ostaggio. La morte di un’unica persona non mi servirebbe proprio a nulla.”
Shino non aveva afferrato il senso di quelle parole, accecato dal desiderio di poter schiacciare quell’uomo con le proprie mani. Rustal Elion era la causa della morte di molti dei suoi compagni, quegli stessi compagni che lui avrebbe voluto proteggere.

Si passò la mano destra fra i capelli, cercando di non farsi prendere dalla rabbia. Sapeva di dover pensare a mente lucida e con calma, ma quella non era la sua qualità più nota.

Per prima cosa, avrebbe voluto far sapere ai propri compagni di essere vivo. Di certo, Eugene e Orga non avevano il tempo di piangerlo, mentre quello sciocco di Yamagi sicuramente stava soffrendo come un matto, nascondendo però i sentimenti agli altri… come aveva sempre fatto. Shino sapeva di essere stato egoista a chiedergli di montare il dainsleif sul Ryusei-go, ma si fidava ciecamente solo di lui, e non soltanto perché aveva lavorato quasi da solo a quel Gundam Frame.
Si era accorto dei sentimenti di Yamagi proprio grazie alla dedizione che aveva sempre dimostrato verso i suoi mobile suit, soprattutto quando rientrava dalla battaglia. Di solito, infatti, il meccanico mollava qualsiasi lavoro per andargli incontro, sincerarsi delle sue condizioni e poi dedicarsi alla manutenzione della macchina. Nel tempo aveva cominciato a notare i suoi sguardi, ad ascoltare le sue parole, a leggere in maniera diversa quei: “Stai attento, Shino”, prima di ogni combattimento. Inizialmente si era trovato spaesato, perché per lui Yamagi era un membro della sua famiglia. “Come possono succedere certe cose fra membri di una famiglia?” Ne aveva anche parlato con Eugene.

Pian piano, però, aveva cominciato a osservarlo a sua volta, a trovare divertenti e poi piacevoli le attenzioni che gli riservava. Infine indispensabili. Purtroppo, però, quando aveva compreso i propri sentimenti, la battaglia contro Arianrhod era arrivata al culmine e lui aveva avuto soltanto il tempo di fargli quella promessa.

Fece un grosso respiro. Per poterla mantenere doveva uscire di lì al più presto, Yamagi e i suoi amici avevano bisogno di lui. Sapeva che scappare era davvero difficile, seppur fosse sorpreso che non lo avessero chiuso in una cella, ma fosse tenuto sotto sorveglianza in una normale camera che poteva aprirsi solo dall’esterno. Dietro la porta stavano fissi i soldati armati e anche quando gli portavano i pasti c’erano sempre due o tre a puntargli le armi. Come avrebbe potuto fuggire o anche guidare un mezzo, soprattutto ora che aveva un solo braccio?

Nel fare quelle riflessioni si accorse con ritardo dell’ingresso di Julieta Juris. La ragazza stava ferma sulla porta, il vassoio con il suo pranzo fra le mani e un’espressione strana, un po’ irrequieta, sul viso. Sembrava non saper bene cosa fare. Ad un certo punto avanzò, poggiando con poco garbo il vassoio sul tavolino vicino al quale era seduto Shino. “To’, mangia!”
Il prigioniero la scrutò, era la prima volta che entrava in quella camera, da sola, poi. Lei era il braccio destro di Rustal Elion ed era anche colei che gli aveva impedito di annientare la flotta di Arianrhod. Così, lo stupore iniziale si trasformò in diffidenza.
“Guarda che lo puoi mangiare.” Sbuffò la ragazza, intuendo i sospetti dell’altro dallo sguardo obliquo sul cibo. “Non avrei bisogno di ricorrere a simili trucchetti se volessi farti fuori.”
Shino era poco convinto. Resse il suo sguardo per qualche secondo, poi si arrese: “Al diavolo!” Esclamò, fiondandosi sul pranzo. Aveva molta fame. I primi giorni, infatti, si era rifiutato di toccare il cibo del nemico, ma poi aveva capito che quel comportamento non lo avrebbe di certo aiutato. Era ancora un po’ debole e se voleva trovare un modo per fuggire da lì doveva essere al pieno delle forze, quindi approfittare di tutto.

Julieta lo osservò mangiare con foga. Guardò quel ragazzo con un misto di biasimo e curiosità, sentimento che gli aveva trasmesso Gaelio.
“Dovresti parlare con lui… ti aiuterebbe a comprendere molte cose.” Gli aveva detto il compagno qualche ora prima. Julieta, infatti, non riusciva a capire perché Gaelio Bauduin dimostrasse tanta attenzione al prigioniero, quello, poi, che era stato vicino ad annientarli tutti.

“Siete pazzi, voi di Tekkadan.” Quel pensiero le sfuggì dalle labbra senza controllo.
Shino alzò lo sguardo, perplesso. “E perché?” Domandò in tutta tranquillità, mentre addentava il pezzo di una carne che non conosceva, ma che trovava piuttosto buona. Doveva essere cibo terrestre.

Julieta, in piedi di fronte a lui, capì che non poteva trattenersi. “Vi siete alleati con un uomo come Mc Gillis che sta cercando di distruggere il sistema, mettendovi contro tutta Gjallarhorn… non ce la potrete mai fare. Che cosa vi spinge a tanto?”
A quel punto, Shino smise di mangiare e guardò Julieta chiedendosi come facesse a non capire. “Per proteggere la nostra famiglia. Per dare un futuro ai nostri compagni, ai bambini di Marte che vengono sfruttati e trattati come schiavi. Per impedire che altri bambini subiscano senza possibilità di scelta l’innesto dell’Alaya Vijnana.”

‘Senza possibilità di scelta…’ Quelle parole scossero Julieta nel profondo. Fino a poco tempo prima era stata davvero sul punto di scegliere quell’operazione che le avrebbe tolto la sua umanità. Si sentì tremendamente sciocca e poco rispettosa nei confronti di coloro che, invece, erano costretti a subirla.


“Hai mai sentito parlare dei rifiuti umani?” Domandò Shino.

Julieta strinse i pugni. “Sì.”

“E allora se lo sai non dovresti farmi domande così ovvie!” Esclamò il ragazzo, riprendendo a mangiare come se nulla fosse.
“Ma in questo modo state perdendo la vostra umanità. Come il pilota di quel diavolo bianco…”
“Uh? Mikazuki?” Domandò Shino, senza guardarla in faccia, ma puntando gli occhi sul piatto nel tentativo di capire che tipo di verdure fossero quelle ‘cose’ colorate. “Lui è incredibile. Ha una forza che nessuno può eguagliare.”
“Me ne sono accorta. Non sono mai riuscita a batterlo.”

Il tono frustrato di Julieta sorprese Shino, che sollevò ancora una volta lo sguardo. “E non ci riuscirai…”
“Forse hai ragione.” Quella risposta lo stupì non poco. “Ma farò di tutto per riuscirci. Diventerò più forte, senza perdere la mia umanità.”

Shino non afferrò bene il senso di quelle parole. Non conosceva Julieta e non sapeva neppure perché lei fosse lì in quel momento a parlargli di cose che capiva poco.

“Non posso negare che abbiate motivi nobili. Ma lo state facendo nel modo sbagliato.” Continuò la ragazza dopo qualche istante di silenzio.

Shino sorseggiò un po’ d’acqua dalla cannuccia del bicchiere. “Giusto, sbagliato, chi lo sa. Noi conosciamo solo un modo per portarci avanti: combattere e ribellarci.”

Lo sguardò di Julieta cambiò improvvisamente. “È proprio perché combattete in maniera violenta e sconsiderata che molti dei nostri compagni sono morti. Io… non vi perdono per aver ucciso Galan Mossa.”

La pronuncia di quel nome scosse a sua volta Shino, facendogli riscoprire il risentimento. “Quel mercenario? Ha cercato di distruggerci dall’interno! E ha causato la morte di Aston!” Alzò la voce, sbattendo un pugno sul tavolo. “Lui era un rifiuto umano. Un essere umano considerato al pari di un oggetto di poco valore, da disporre a piacimento. Con noi aveva cominciato a vivere una vita normale e voi lo avete ucciso… aveva appena diciassette anni. Era un bambino! Non sai quanto è difficile togliere dalla mente di un bambino la convinzione di non valere nulla.”

“I bambini non dovrebbero combattere!”

Shino si irritò ancora di più. “Ed è proprio per questo che lottiamo, te l’ho detto! Puoi riempirti la bocca di belle parole, ma non sai cosa significa vivere in certe condizioni...” Shino si guardò la mano, ripensando con dolore ai bambini che era stato costretto a uccidere lui stesso sulla nave dei Brewers.  

“Io…” la voce di Julieta tremò. “Ho rischiato di diventare un ‘rifiuto umano’.” Le sue parole guadagnarono la totale attenzione di Shino. “Non ero nessuno, non avevo nessuno. Ma Galan Mossa mi ha salvata, aiutata e addestrata. Non mi ha mai fatto del male. Per me era come un padre.”
Shino spalancò gli occhi. “… quell’uomo?”
Julieta annuì. “Grazie a lui sono entrata a far parte dei soldati di Rustal. Grazie alle mie capacità, non per il mio rango. In questo, di certo, sono stata più fortunata di voi… però, io…” Non terminò, evidentemente turbata da sentimenti contrastanti.

“In guerra perdiamo tutti qualcuno d’importante.” Sospirò Shino, dopo essersi concesso una pausa di riflessione. “Io combatto proprio per questo: per evitare la morte dei miei compagni, per salvarne più che posso…”

“Per questo ti sei gettato contro di noi in quella maniera suicida, quando ho deviato il tuo colpo? Eri disposto a morire per loro?”
“Sì.” Rispose Shino senza esitazione.

Julieta appoggiò la schiena alla parete, come se soltanto in quell’istante avesse cominciato a rilassarsi. “Sei comunque un pazzo. Ma… ti ammiro…” Disse piano, fissando un punto imprecisato di fronte a sé.

Gaelio le aveva detto che avrebbe trovato delle risposte. Invece, si sentiva sempre più confusa.

FINE V Capitolo


E pian piano i tasselli della vita di Shino su Arianrhod vengono fuori... io e Fenice abbiamo riflettuto moltissimo su questa parte, abbiamo voluto mostrare ogni lato della medaglia, approfondire i vari personaggi coinvolti e farvi capire il perchè di alcune scelte che ci saranno da parte di tutti i pg coinvolti... stiamo andando piano ma ci siamo <3 grazie di seguirci!!!

Fenice&Rel

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Capitolo 6
*** VI Capitolo ***


Quel vino aveva un profumo dolciastro, diverso da quelli sorseggiati fino ad allora. Il colore, poi, non era così tanto simile al sangue, ma si avvicinava più a quello di un rubino. Nel farlo oscillare all’interno del bicchiere, Shino aveva l’impressione brillasse, nonostante le luci fredde della stanza. Gaelio gli aveva detto che quella era una qualità pregiata, proveniente da uno Stato terreste di cui aveva già scordato il nome. Nel bagnarsi appena le labbra, si accorse che anche il sapore era dolce.

E il gusto, improvvisamente, fece riemergere i ricordi di quegli istanti: la sua mano che aveva agito da sola, portando indietro i capelli di Yamagi affinché, nel pronunciare quelle parole, potessero guardarsi dritti negli occhi. Allora non c’era stato più tempo di aggiungere altro, ma aveva rimandato quel tempo a un indefinito ‘dopo’ sul quale aveva fatto la sua promessa…

‘… e allora beviamo io e te fino al mattino.’

“Maledizione!” Shino poggiò sul tavolino il bicchiere ancora pieno. Curvò le spalle, coprendosi il viso con la mano. “Non sei tu la persona con la quale dovrei essere seduto a bere.” Pronunciò con una nota afflitta.

“Ehi…” Le sopracciglia del suo interlocutore si aggrottarono. “Potrei offendermi!” Sbuffò Gaelio seduto di fronte a lui, un gomito poggiato sul tavolino e la mano a sorreggere la testa. Nell’altra teneva il suo bicchiere quasi vuoto. “Non mi avevi detto che avevi una fidanzata ad aspettarti su Marte o nell’equipaggio di Tekkadan.” Commentò con bonaria ironia.

Shino, però, tardò a controbattere. La mano che gli copriva il volto si chiuse in un pugno per poi poggiarsi sulle ginocchia, ma la testa rimase china. “No… lui è…” S’interruppe.

‘Lui?’ Ripeté mentalmente Gaelio.

“… il meccanico che si è sempre occupato dei miei mobile suit.” Riprese Shino, abbassando di un tono la voce.

"Uh! Il tuo meccanico personale?”

Shino sbuffò un sorriso. “Qualcosa del genere.” Poi continuò, senza prendere tempo. Forse il vino gli aveva fatto cadere tutte le barriere. “Gli avevo promesso di portarlo fuori a bere una volta tornato indietro.” O, forse, a farlo parlare era la complicità che stava sviluppando con quello che sarebbe dovuto essere soltanto un nemico. “Era… così sorpreso. Credo non ci abbia nemmeno creduto.”

“Una promessa da onorare, eh? Allora va bene…” Gaelio sospirò, abbandonando l’espressione corrucciata a favore di una più comprensiva. Nel guardare Shino, comprese subito il suo turbamento e se ne dispiacque. Purtroppo, non poteva fare altro per lui. Da un po’ di tempo aveva cominciato a ritagliarsi dei momenti per andare a trovarlo e lo faceva tutti i giorni, portandosi dietro una bottiglia di un qualche vino o liquore per alleggerire la sua tensione. E, probabilmente, anche la propria.

Quel pilota lo aveva colpito sin da subito. Anche lui aveva il corpo segnato dalla morte che gli era passata troppo vicina, anche Shino era una vittima dei piani folli di Mc Gillis, proprio come lo era stato lui stesso due anni prima. E poi… i suoi amici e familiari lo credevano ancora morto. Non sapeva se erano quelle similitudini ad avergli fatto provare un’immediata empatia nei suoi confronti, oppure se era stato il carattere forte e un po’ spavaldo, decisamente sconsiderato. Sta di fatto, che quando era in compagnia di Norba Shino, Gaelio Bauduin aveva l’impressione di ritrovare dei piccoli pezzetti di quel se stesso che era stato prima della battaglia di Edmonton.

Seppur fossero chiusi dentro una cella camuffata da camera, per Gaelio quella prigione era come una bolla di sapone che gli regalava il sapore della leggerezza di un tempo. Appena fuori di lì, anche se non più fisicamente, avrebbe ripreso a indossare la maschera di Vidar. Aveva appena annunciato al mondo il suo ritorno come Gaelio Bauduin, ma sapeva di non poter abbandonare ancora il significato di quella maschera, non fino alla resa dei conti con Mc Gillis.

“Gaelio… devi farmi fuggire da qui!”

L’interpellato spalancò gli occhi e anche la cicatrice sul suo viso sembrò allargarsi. “Shino, lo sai che non posso farlo.” Rispose perentorio.

Il pilota del Flauros scrollò le spalle. Sapeva bene che Gaelio gli avrebbe risposto in quel modo, non era la prima volta che glielo chiedeva. Si adagiò allo schienale della sedia in una posa scomposta. “Giusto, tu non tradiresti mai Rustal.”

“Già.” Lo sguardo di Gaelio si fece molto serio. “Non lo tradirei mai. Lord Rustal mi ha salvato la vita, permettendomi di perseguire la mia vendetta.”

Shino aveva capito che la parola ‘tradire’ non era parte del vocabolario di quel ragazzo. Gaelio gli aveva raccontato di Mc Gillis, del rapporto che avevano avuto e di quel tradimento in cui erano stati coinvolti perfino un suo sottoposto e una loro amica d’infanzia. Anche lui era stato in bilico fra la vita e la morte e se Rustal Elion non lo avesse salvato, avrebbe perso la vita all’interno del mobile suit colpito dalla mano di colui che per anni aveva creduto il proprio migliore amico. Doveva aver sofferto molto, non lo metteva in dubbio.

Con un gesto nervoso, Shino afferrò il bicchiere e bevve il vino tutto d’un sorso. “Io, però, non sono come te. Tu mi hai salvato, è vero. E di questo ti ringrazio. Ma non lotterei mai al tuo fianco per pura gratitudine.” Anche il suo sguardo tracimava di serietà. “Troverò un modo per fuggire di qui.”

“Farò di tutto per impedirtelo. Non permetterò che altre persone diventino le sue marionette.”

Marionette.’ A Shino non piaceva proprio quella parola. Gaelio sosteneva che loro fossero stati usati da Mc Gillis per raggiungere i suoi scopi, così come era successo a lui e ai suoi compagni. Ma Shino non si sentiva usato. “… noi non faremo la fine di Ein” Pronunciò quel nome tanto caro all’erede dei Bauduin.

Gaelio gli aveva parlato di Ein Dalton e dell’odio che aveva nutrito nei confronti di Tekkadan e soprattutto di Mikazuki, il quale, a bordo del Barbatos, aveva ucciso il suo superiore Crank. Shino si ricordava anche di quest’ultimo, perché dal suo mobile suit era nato il primo Ryusei-go. Perciò aveva rivelato a Gaelio com’erano andate effettivamente le cose: sconfitto, quell’uomo aveva chiesto a Mikazuki di porre fine alla sua vita, in modo che i suoi sottoposti non venissero accusati ingiustamente, assumendosi così la totale responsabilità della sua disfatta.

Gaelio aveva accennato un sorriso mesto. “Il tenente Crank era fatto così. Teneva ai suoi sottoposti come a dei figli. Non esistono quasi più uomini come lui negli eserciti.” Aveva detto, con l’espressione di chi toglieva un peso non soltanto a se stesso, ma anche a qualcuno di vicino. Shino si era sorpreso che avesse creduto subito alle sue parole. Era stato in quel momento che aveva capito quanto Gaelio fosse diverso da tutti gli uomini che aveva incontrato su quella nave.

“Io prima ero soltanto un ragazzino sciocco e benpensante.” Gaelio si versò un altro bicchiere di vino. “Poi ho conosciuto Ein e ho cominciato a comprendere la situazione di Marte. Essendo figlio di un terrestre e una marziana, i compagni di Gjallarhorn lo avevano sempre sbeffeggiato, ma lui andava avanti a testa alta. Era un ragazzo di grande valore e forti ideali.” Strinse il bicchiere con forza, ma non lo portò alle labbra. “Lui incarnava il vero spirito originario di Gjallarhorn. Non di certo Mc Gillis, che ha invece fatto leva sulla sua determinazione per trasformarlo in ‘quella cosa’.”

‘Quella cosa’ era il mobile suit che aveva sconfitto lui, Lafter e Azee durante la battaglia di Edmonton. Tramite Gaelio, era venuto a sapere che nel sistema Alaya Vijnana di quel mobile suit era stata fusa la personalità di Ein. Ogni volta che parlavano di Ein, tutto l’odio di Gaelio per Mc Gillis strabordava impetuoso come lava di un vulcano. “Per questo hai fatto l’operazione per l’alaya Vijnana? Per non sentirti in debito con lui, che ti ha salvato la vita?” Shino ebbe finalmente il coraggio di porgli quella domanda.

Gaelio lo guardò dritto negli occhi. “Sarò per sempre in debito con Ein, una semplice operazione non lo ripagherà di niente. Ma, così, io e lui potremo raggiungere il nostro scopo…”

Shino non capiva discorsi così complessi, né comprendeva perché Gaelio parlasse al plurale, ma non indagò oltre, lasciandolo continuare.

“Mc Gillis deve aver visto l’inferno, però… io e Carta eravamo davvero suoi amici. Non posso accettare il modo in cui sta perseguendo i suoi obiettivi. Allearsi con dei bambini soldato…” Gaelio abbassò gli occhi per poi serrarli con forza. “Sì è alleato con ciò che voleva estirpare. Tekkadan stessa è una contraddizione!”

“Ehi!” Shino avrebbe voluto controbattere, ma l’altro non gli diede spazio.

“Mi hai detto che volete cambiare Marte. L’hai detto anche a Julieta che vorreste un mondo in cui i bambini non debbano più combattere o diventare rifiuti umani. Eppure, tu e i tuoi compagni siete stati i primi a scendere in campo come bambini soldato e molti di voi lo sono ancora. Non ti rendi conto che voi siete l’esempio di ciò che volete combattere?”

Shino, che di solito, quando Gaelio palesava il suo disappunto per il modo di agire di Tekkadan, ribatteva risentito, stavolta rimase ammutolito. “Te l’ho già detto” fece poi un enorme sforzo “noi sappiamo solo combattere.” Gaelio lo confondeva. “Vogliamo solo vivere in pace su Marte e ci proteggiamo l’un l’altro. Perché siamo una famiglia.”

“Famiglia… amici…” Gaelio riaprì gli occhi e la rabbia di poco prima era diventata malinconia. “Se Mc Gillis non mi avesse tradito, forse a quest’ora avremmo combattuto fianco a fianco. Lui mi avrebbe usato comunque.”

Quell’affermazione lasciò Shino impietrito. “Mi dispiace… ma io, comunque, non obbedisco a Mc Gillis. Nessuno di noi lo fa, perché obbediamo soltanto a Orga. Lui sa cosa è giusto e sbagliato.” Si accorse di non aver usato il solito tono deciso con cui gli rispondeva. Forse perché in quei giorni aveva avuto troppo tempo per riflettere sulle parole di Gaelio? Lui non aveva mai avuto tutto quel tempo, aveva sempre obbedito agli ordini, fidandosi ciecamente di Orga che incarnava lo spirito di Tekkadan. Improvvisamente, però, il comportamento ambiguo di Mc Gillis e l’ideale di diventare i re di Marte gli sembrarono pesare più del solito e in quella bilancia il piatto che si sollevava sempre più in alto, con facilità, era quello che conteneva la potenza della flotta di Arianrhod.

Scosse la testa, scacciando quei pensieri disfattisti. “Devo avere fiducia in Orga.” Si ripeté più volte.

“Se siete nel giusto o sbagliato, appena sarà finita questa battaglia lo scopriremo.” Gaelio troncò lì un discorso che stava diventando troppo complicato, ma la successiva risposta di Shino lo raggelò.

Lo scoprirai” Il sorriso ironico di Shino s’allungò sul lato sfregiato del viso. “Gaelio, io non so nemmeno se domani Rustal mi farà fucilare e tu mi parli del futuro?”

Il maggiore dei Bauduin aprì la bocca per dire qualcosa, ma finì per tacere. Shino aveva ragione. Nemmeno lui sapeva che cosa avesse in mente lord Rustal, né sapeva che il giorno successivo avrebbe fatto portare Shino al suo cospetto.

 

 

“È una follia.”

Shino fissò sconcertato il capo di Arianrhod che, seduto alla sua scrivania, non batté ciglio davanti alla sua reazione. Quando, poco prima, Julieta era entrata nella sua stanza, dicendogli che Rustal Elion voleva vederlo, nemmeno lontanamente avrebbe pensato a qualcosa di simile.

“È arrivata la mia ora?” Aveva detto a mo’ di scherzo, coprendo invece la paura di averci azzeccato. Non aveva ancora tentato di fuggire nemmeno una volta, che già l’avrebbero fatto fucilare?

“No, nulla di simile.” L’aveva zittito Julieta, mentre, con gli occhi abbassati, gli legava una specie di camicia di forza bloccandogli l’arto rimasto. Il suo sguardo era il più serio che le avesse visto negli ultimi tempi. Da quando aveva preso ad andare a trovarlo di tanto in tanto, la sua espressione si era spesso addolcita. Nel raggiungere l’ufficio di Rustal Elion, Julieta non avevano fiatato e a Shino era sembrato che fosse parecchio tesa.

“Non me lo sta chiedendo davvero!” Ribadì Shino, alterandosi.

“Calmati!” Julieta allungò un braccio a mezz’aria, impedendogli di avanzare oltre.

Il sorriso di Rustal Elion lo irritò ancora di più. “Perché no.” Disse l’uomo, le dita intrecciate sotto il mento. “Dopotutto, il Gundam Flauros è un’ottima macchina. I nostri meccanici sono già all’opera per rimetterlo in sesto, non ci vorrà molto. È un peccato doverlo tenere fermo perché non abbiamo piloti con l’Alaya Vijnana.” C’era del velato sarcasmo in quel tono. “Quindi perché non metterla al nostro servizio? Fra pochi giorni raggiungeremo Marte per mettere la parola fine a questa stupida battaglia. Di sicuro un Gundam Frame sarebbe utile contro il diavolo bianco.”

“E lei mi sta chiedendo di pilotarlo per voi?” Shino sentì il sangue andargli al cervello. “Non mi schiererò mai con Arihanrod! Il Ryusei-” Si bloccò, provando uno strano disgusto nel pronunciare quel nome che gli era tanto caro davanti a Rustal Elion: lui non era un membro della sua famiglia. “… il Flauros” si corresse con sofferenza “non combatterà mai contro i suoi compagni. Io sono un membro di Tekkadan e Tekkadan non abbandona mai i propri compagni. Né li tradisce. Se mi vuole ammazzare lo faccia pure, ma non pensi che io…”

“Tekkadan non abbandona mai i propri compagni?” Rustal non lo fece finire di parlare. Le sue labbra si piegarono concedendo un sorriso chiuso ma piuttosto ampio. Era come se il capo di Arianrhod stesse per scoppiare a ridere, ma si trattenesse. “Eppure con te l’hanno fatto.” Il suo sguardo affilato si scagliò contro quello di Shino, sfidandolo apertamente.

“Queste sono cazzate!” Rispose a tono il pilota del Flauros, ma qualcosa si stava agitando fra la gola e lo stomaco, cosicché il tono della sua voce fu meno fermo di quanto avesse voluto.

“Siamo noi ad averti salvato. Non loro.” Continuò Rustal Elion. “Se non l’avessimo fatto noi, saresti morto nello spazio, completamente da solo. Perché nessuno dei tuoi compagni si è azzardato a recuperarti. Hanno pensato soltanto a fuggire. Mentre tu hai avuto il coraggio di scagliarti contro di noi. Una mossa del tutto avventata e praticamente suicida, ma ammirevole, devo ammetterlo.” Il tono serio e fermo del capo di Arianrhod non s’incrinò nemmeno per un istante.

“Ho scelto io di sparare contro la vostra flotta, ho scelto io di gettarmi contro i vostri mobile suit dopo aver mancato quel tiro, io... non posso recriminare niente ai miei compagni.” Al contrario, quello di Shino sembrava sempre più turbato.

Era vero, era stata del tutto una sua scelta. Quell’azione sconsiderata aveva permesso ai suoi compagni di scappare, se avessero pensato a lui qualcun altro avrebbe rischiato di morire, tutta la Isaribi avrebbe potuto essere colpita. Conosceva bene Eugene, era certo che a malincuore aveva dato le spalle alla flotta nemica per fuggire, poteva intuire i suoi pensieri, ma… perché stava tremando?

Rustal Elion se ne accorse, ma non fiatò, continuando a fissarlo. Di certo se n’era accorta anche Julieta.

D’un tratto, il ricordo del cockpit aperto e dello spazio sconfinato di fronte a lui fecero riaffiorare l’angoscia e soprattutto la paura provate in quegli istanti. Paura di finire a vagare nello spazio per chissà quanto, paura di non rivedere più i suoi cari, paura di non aver più un posto in cui tornare. Paura di morire e della solitudine della morte. Senza accorgersene, Shino aveva trattenuto il respiro e si ritrovò con un grandissimo bisogno d’ossigeno, proprio com’era stato in quell’istante in cui la cabina di comando si era squarciata sotto l’attacco nemico. Stava sudando freddo.

E così, qualcosa dentro di lui tentennò e per un istante le parole di Rustal Elion non gli sembrarono più solo menzogne.

 

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Capitolo 7
*** VII Capitolo ***


Eccoci nuovamente! Scusate se la storia procede a rilento, ma non abbiamo dimenticato Shino&Yamagi <3
Pian piano cercheremo di portarla avanti e concluderla, grazie a voi che ci seguite!!!


Capitolo VII


“È uno scherzo, vero?” Domandò Eugene, quando il suo Shiden si trovò di fronte al Flauros. La gioia e il sollievo che aveva provato nel sentire che dentro quel Gundam ci fosse davvero il suo amico più caro erano però state fatte a pezzi nell’istante in cui si era dovuto difendere dall’affondo di una delle sue lame. L’amico che avevano dovuto abbandonare nello spazio, che si era sacrificato per loro era davvero diventato un nemico? Benché l’evidenza fosse davanti ai suoi occhi, il vice di Tekkadan non voleva crederci.

“Ti hanno costretto, vero?” Domandò, aprendo la comunicazione interna fra i mobile suit, che nessun altro avrebbe potuto udire. “Devi fingere, altrimenti…”
“Non devo proprio fingere niente, Eugene. E nessuno mi ha costretto. È stata una mia decisione.” La risposta che arrivò fu secca e perentoria e Eugene raggelò.

“Tu… sei diventato un traditore?”

Eugene non contò i secondi che passarono perché, nonostante ne fossero trascorsi diversi, per lui contò solo la risposta ricevuta: “Sì.” Allora capì che non c’era più tempo per chiarire le cose, poiché la battaglia imperversava intorno a loro e il tempo scorreva divorandosi via via i suoi compagni in campo. Alcuni erano già caduti, altri stavano provando a sopravvivere, quelli rimasti alla base dovevano fuggire e davanti a lui c’era soltanto un nemico.

“Va’ all’inferno!” Gridò, lasciandosi travolgere dalla rabbia che ormai stava cancellando la delusione, puntando il fucile contro il Flauros per sparargli a distanza ravvicinata. “Cos’è, sei tornato indietro perché non ti volevano laggiù?” Sputò astioso.

Il Ryusei-go evitò i colpi balzando indietro e sparò a sua volta con l’armamento montato sulle spalle. “Senti un po’, Eugene…” Riprese Shino, dopo che l’altro si era abilmente difeso, proteggendosi dietro lo scudo. La sua voce distaccata fece incazzare ancora di più il vicecapo di Tekkadan. “Si può sapere perché stai pilotando tu lo Shiden di Orga?” Una pausa, prima di aggiungere poche parole per dipanare quel dubbio che l’aveva sfiorato non appena aveva udito la voce di Eugene su quel mobile suit. “Lui Non ha intenzione di scendere in campo?”

E fu quell’improvviso tono sprezzante a mandare in frantumi le ultime remore di Eugene Sevenstark. “Scendere in campo? Orga?” Stava ridendo, ma lo stesso Shino comprese l’amarezza di quella risata. “Orga è morto!” Gridò tutto a un tratto. “Qualcuno lo ha ammazzato come un cane, quando lui è andato a cercare un modo per salvare Tekkadan, la sua famiglia.” Non calcò volontariamente su quell’ultima parola, ma la voce seguiva le forti emozioni che turbavano il suo cuore. “La stessa famiglia che tu hai abbandonato!”

Silenzio, dall’altra parte. Né un commento, né un respiro, ma Norba Shino sentì qualcosa avvolgersi nello stomaco e diventare pesante, molto pesante. Se il Ryusei-go fosse stato vivo, avrebbe avvertito con dolore la stretta sui comandi.

“Non dici nulla? Cos’è, i primi segni di rimorso?” Lo provocò Eugene. “È perché ti hanno salvato che ti sei schierato dalla loro parte?” Domandò senza aspettare le sue risposte. “È per riconoscenza che abbandoni la tua famiglia? Cosa ti hanno promesso? Di salvarti la vita? Soldi? Donne?” Le parole scorrevano veloci come le sue dita sui comandi. “Se avessi saputo che saresti diventato un simile bastardo, non avrei consolato Yamagi, alla tua presunta morte. Gli avrei detto che era stato un bene che tu ti fossi disintegrato nello spazio. Non hai rispetto neppure per lui, non hai idea di quello che ha passato!”

Shino inflisse un morso secco al proprio labbro inferiore, spingendo i denti con forza sulla carne. Solo così poteva evitare di far uscire le parole che aveva ferme in gola.
L’aveva notata la reazione di Yamagi poco prima e il solo vederlo scendere in campo in quel modo gli aveva fatto capire tutto… ma quello non avrebbe cambiato le cose. E anche se sentire pronunciare il nome di Yamagi da parte di Eugene era stato un vero colpo basso, lui non si sarebbe tirato indietro.

“Hai perfettamente ragione.” Disse poi al vicecapo di Tekkadan. “Avresti fatto meglio a dirgli che sono solo uno sporco traditore! Gli avresti risparmiato inutili sofferenze…”

“Ad averlo saputo prima…” Ringhiò Eugene.

“Eugene, attento!” Il richiamo di Dante lo fece voltare giusto in tempo per parare il colpo di un mobile suit nemico in avvicinamento, ma il compagno fu più veloce a raggiungerlo col suo UGY, riuscendo ad abbatterlo. “Non distrarti, può essere fatale. Lui… non è più uno di noi.” Pronunciò Dante con amarezza. “Dobbiamo aiutare Mikazuki e Akihiro, il grosso dei nemici è su di loro…”

“Non andrete da nessuna parte!” Facendo balzare il Flauros davanti a loro, Shino ostruì la via.

Eugene serrò i denti e gli puntò il fucile addosso. “Non eri tu quello che voleva proteggere tutti?” Il suo grido dimostrava che, nonostante le parole espresse un istante prima, il vicecapo di Tekkadan non riusciva a capacitarsi di quell’amaro risvolto.

“Proteggere tutti? Forse un tempo…” Rispose Shino. Poi il un sibilo strano, come quello di una risata, raggiungse le orecchie dei suoi compagni. “Ora, ascoltatemi bene, perché vi dirò cosa siete veramente...”


Alla base, Yamagi non riusciva ancora a rimettersi in piedi. Sapeva che non c’era tempo per riposare, dovevano al più presto fuggire per il tunnel sotterraneo, ma Kassapa gli aveva detto che poteva prendersi ancora qualche minuto. Così, accovacciato ai piedi del mobile suit dal quale era appena sceso, la testa nascosta fra le gambe, tentava di calmarsi. Aveva il corpo a pezzi, il dolore sulla schiena, all’altezza dell’innesto dell’Alaya Vijnana, non era ancora svanito del tutto. La testa gli scoppiava e avrebbe voluto vomitare. Il tremore del corpo si era calmato, ma vedeva ancora le esplosioni sul campo, udiva nelle orecchie i fragori della battaglia, nel cuore percepiva la paura di non poter più tornare. L’odore animalesco, misto a quello di sangue e sudore che più volte aveva sentito impregnare i mobile suit rientrati dalla battaglia, ora lo avvertiva anche su di sé e lo spaventava.

Shino e gli altri avevano sempre affrontato tutto quello?

Ora cominciava a capirlo un po’ di più, a comprendere perché lui stesso fosse stato scartato come pilota molti anni prima e il motivo per cui molti dei suoi compagni erano stati invece scelti. Perché Shino era stato capace di diventarlo. Ogniqualvolta era sceso in campo, lui aveva affrontato con freddezza la paura della battaglia, mettendo in conto la possibilità di non tornare. Adesso… lo capiva molto di più. Eppure, nonostante avesse fatto finalmente un passo verso di lui, Shino si era allontanato ancora.

Il tempo trascorso sul campo di battaglia era stato così veloce e frenetico che non aveva avuto il tempo di realizzare, anche se ancora non riusciva lo stesso a crederci: Shino era vivo. Gli scoppiava il cuore solo a pensarci. Fino a una manciata di ore prima l’aveva ritenuto morto nello spazio, dilaniato dalla flotta di Arianrhod, ora invece se l’era appena trovato di fronte… come nemico? Quella era la cosa più scioccante, che lo stava turbando da quando aveva messo piede alla base. Non aveva nemmeno avuto il tempo di gioire del fatto che fosse ancora vivo, che i cannoni del Ryusei-go lo avevano puntato minacciosi.

Shino era passato dalla parte dei nemici? Si chiedeva quale fosse il motivo, trovando più plausibile quello dell’essere stato salvato da loro. Gli sembrava però strano che voltasse le spalle a Tekkadan in quel modo. Dopotutto, contro di lui aveva esitato. Avrebbe potuto sbriciolarlo con quei cannoni, invece… gli aveva chiesto di ritirarsi. Lo aveva supplicato e il ricordo della sua voce lo faceva desistere dal ritenerlo seriamente un nemico. Sembrava stesse soffrendo. Anche se intorno a lui i compagni erano in fermento e udiva le loro parole chiamarlo traditore. La situazione era confusa, non c’era tempo per riflettere, diceva qualcuno. Eppure, Yamagi pensava che ci doveva essere una ragione per il suo comportamento e non erano solo i sentimenti a muovere i suoi pensieri, ma anche i ricordi. Lui conosceva il modo di pensare di Shino.
Quando, poche settimane prima, casco contro casco, si erano guardati negli occhi, in quello sguardo aveva visto la risolutezza di chi è disposto a tutto per proteggere gli altri, la volontà incrollabile di proteggere la propria famiglia. Non ne conosceva i motivi, ma di certo per comportarsi così lui...


… se, però, per qualche motivo che non riusciva a comprendere, Shino fosse realmente passato dalla parte di Arianrhod e avesse deciso di distruggere quella che un tempo era stata la sua famiglia, lui stesso cosa avrebbe fatto? Dopotutto, si era trovato quasi per caso dentro Tekkadan. Sì, era vero, anche lui era uno degli oppressi alla CGS, uno di quelli che aveva legato con il gruppo di Orga, soprattutto con Takaki e Ride. Ma il suo sguardo era sempre stato rivolto a Shino. Se aveva seguito i compagni in quel viaggio folle era stato perché Shino si era unito a loro sin da subito, anzi, era stato proprio uno di quelli ad aver caldeggiato la rivolta. Yamagi aveva intuito che le loro azioni sarebbero state rischiose, aveva sempre avuto il terrore di non poter tornare indietro e di essere distrutto da Gjallarhorn. Ma Shino lo aveva più volte rincuorato, dicendogli che ce l’avrebbero fatta. Che avrebbero avuto un futuro migliore… e lui ci aveva quasi creduto.

Invece, i suoi timori iniziali avevano avuto ragione.

Gjallarhorn non avrebbe dato alcuna via di scampo e se anche una parte di loro stava per fuggire, molti altri sarebbero morti sul campo. Però, Shino era dalla parte del nemico. Quel nemico contro il quale si era gettato giorni prima, rischiando un’azione suicida. Ed ora, Yamagi, cominciava a chiedersi chi fosse il nemico di chi e la risposta alla domanda ‘che cosa avrebbe fatto lui’, cominciò a farsi strada nel suo cuore.

Il giovane meccanico trasalì, nel comprendere la propria risposta.


L’improvviso rumore degli altoparlanti che si accendevano lo distrasse da quei pensieri: qualcuno aveva aperto la comunicazione con la base e quel “Ascoltatemi bene, ratti di Tekkadan” lo fece sobbalzare. Era la voce di Shino.

“Siete solo dei topi di fogna, non dimenticatevelo. Soltanto quello. Non potrete mai rialzarvi, potete solo cadere più in basso e strisciare nelle fogne, mentre i gatti vi inseguiranno per annientarvi. Quindi strisciate ancora più a fondo, fino all’inferno, così da non farci più preoccupare della vostra misera esistenza.”

In un primo momento, nessuno osò fiatare, i ragazzi rimasti alla base di Tekkadan erano senza parole. Poi, le prime che si sollevarono furono epiteti come “bastardo”, “maledetto”, “schifoso traditore”. Negli stessi occhi di Kassapa, Yamagi vide l’impulso di chi voleva dire qualcosa, ma comprese che il vecchio non parlava per rispetto nei suoi confronti. Così come comprese il suo stupore nel vederlo abbozzare un sorriso.

“Voi…” Yamagi fece un profondo respiro, trovando finalmente la forza di alzarsi. Ora gli era tutto molto più chiaro. Sapeva da che parte doveva stare.

“…voi non avete mai capito nulla di Shino!” Gridò a pieni polmoni.






Gli insulti di Eugene gli riecheggiavano ancora nelle orecchie, così come quelli di Dante e degli altri compagni. Shino li aveva incassati senza ribattere. In fin dei conti, pensava davvero di meritarseli. Solo Mikazuki e Akihiro non avevano fiatato. Proprio loro, che ormai erano gli unici rimasti sul campo di battaglia, dopo aver chiesto agli altri di ritirarsi.
Aveva udito benissimo Mika spronare Eugene, dicendogli di fare il suo dovere di vicecapo. Lo stesso aveva fatto Akihiro con Dante, chiedendogli di portare a termine gli ordini di Orga. Così i due avevano obbedito e insieme al gruppo dei piccoli come Elgar e Hirume, avevano lasciato la battaglia per aiutare i compagni rimasti alla base. Conosceva troppo bene Eugene per non immaginare con che stato d’animo si fosse ritirato, costretto a dare le spalle a parte della famiglia.

Di fronte, aveva ormai solo il Gusion e il Barbatos. C’era stato un tempo in cui avevano avuto lo sguardo rivolto nella stessa direzione ma, ormai, si ripeté a malincuore, quel periodo era finito da un pezzo.

“Fa’ quello che devi, Shino.” Quel richiamo greve lo fece sussultare. “…ma fallo il più lentamente possibile.”

“Mikazuki!” Chiamò Shino, ma il compagno aveva già chiuso la comunicazione fra i gundam.
Per la prima volta da quando pilotava mobile suit, Norba Shino avvertì un brivido gelido percorrergli la schiena. Una sensazione sconosciuta, che cominciava però a riconoscere come angoscia e rammarico.

Aveva fatto male i suoi calcoli… non c’era più alcuna soluzione. Mikazuki e Akihiro… avevano seriamente intenzione di morire?


FINE 7 Capitolo

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