Do you remember me?

di ArtistaDiStrada
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32- Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


1°   3 Aprile 2017 


Un raggio di sole alquanto fastidioso lo colpì dritto sugli occhi, costringendolo a serrarli per impedire al mondo esterno di destarlo del tutto. Quando capì che quell’infimo spiraglio tra le tende non si sarebbe chiuso da solo, impedendo quindi alla luce di filtrare, decise di abbandonare anche per quel giorno le calde coperte e si tirò a sedere, stendendo le braccia per stiracchiarsi con un sonoro sbadiglio.

Con un’occhiataccia alla tenda traditrice, la sua mente iniziò a carburare, finché in una manciata di secondi non fu abbastanza vigile da notare un particolare che sembrava richiamarlo dal fondo della sua stanza.
Poggiato sulla scrivania faceva mostra di sé un pezzo di carta, che Stiles catalogò come una foto. Si massaggiò la nuca, non ricordandosi di aver appoggiato nulla la scorsa sera, men che meno una fotografia. Perciò, con curiosità crescente, si alzò dal letto, pronto a curiosare com’era nella sua natura. Furbo e curioso come una volpe, così era solita chiamarlo la madre.

Con un sorriso mesto provocato dal ricordo della donna, era ormai prossimo a dissipare tutti i dubbi provocategli da quel misero pezzo di carta che, seppur piccolo, sembrava urlare il suo nome, brillando di luce propria. E ci sarebbe riuscito, se suo padre non fosse entrato nella stanza con un gran sorriso ad adornargli il viso e un vassoio su cui era posta quella che aveva tutta l'aria di essere la sua colazione.

“Oh. Sei già sveglio.” esclamò l’uomo sorpreso, ma fermo nel suo sorriso, quando lo vide alzato. Insolito per essere mattina, pensò Stiles, ma non ci fece molto caso. Era abituato alle stranezze di suo padre.

“Sì. Devo aver chiuso male le tende ieri.” borbottò. “Anche se sono quasi sicuro di averle controllate…”

Lo sceriffo si lasciò andare ad una risata nervosa, scuotendo la testa. “A volte mi chiedo come tu riesca anche solo ad arrivare a scuola con quella testa che ti ritrovi.”

Il ragazzo gli lanciò un’occhiataccia, che non sortì l’effetto sperato, ingozzato com’era di cibo. Eppure, non gli era sfuggito che il padre gli avesse portato su la colazione, sostituendola al solito urlo del mattino. “A cofa devo, mmh…?” chiese, infatti, a bocca piena indicando il vassoio, incerto. Possibile si fosse dimenticato una qualche ricorrenza?

L’uomo, in tutta risposta, si alzò e, quando fu ormai prossimo alla porta, gli lanciò uno sguardo d’avvertimento. “Vedi di non fare tardi a scuola anche questa volta o mi costringerai a requisirti l’auto.”

Stiles, sentita tirare in causa Roscoe, si dimenticò del resto, lanciando un urlo al padre già sceso di sotto. “Non mi separerai mai da lei!”

Dopo una decina di minuti, pronto e già con lo zaino in spalla, si precipitò di sotto, afferrò svelto le chiavi e mandò un saluto al padre, optando alla fine anche per rispondergli alla precedente conversazione. “E poi sono gli altri che sono in anticipo. Io sono perfettamente puntuale.”

 
***

 
“Scott! Scoooott!” chiamò sbracciandosi quando, parcheggiata la sua bambina, intravide il suo migliore amico.

 
“Ehi, Stiles. Come va?”

Il giovane Stilinski, con una mano sul fianco e il fiato mozzato a causa della precedente corsa per raggiungere il ragazzo, lo guardò strano. “Sei strano.” Appunto.

“Eh?” chiese quello, confuso, intento a sorreggerlo. “Che vuol dire che sono strano?”

“Quello che ho detto. Cos’era quel ‘come va?’ ?”

“Che vuoi di-”

“Ci siamo sentiti ieri al telefono! Lo sai che va uno schifo: non sono riuscito a finire il saggio per Harris e sono sicuro che quell’uomo mi ammazzerà. E mio padre venderà sicuramente la mia bambina. Amico, non posso neanche pensare che fine farà la mia piccola!”

“La tua piccola?” si intromise Isaac, affiancandoli.

Il ragazzo annuì. “Roscoe, piccola mia, non preoccuparti. Zio Scott ti salverà dalle grinfie di quell’uomo!”

“Chi è che deve salvare Scott?” si aggiunse la rossa più famosa della scuola, osservandosi distrattamente le unghie.

“Roscoe. Lo farai, vero, Scottie?” continuò imperterrito Stiles, scuotendo il suo quasi-fratello per le spalle.

L’altro annuì divertito. “Comunque non ce ne sarà bisogno. Potrai farlo tu stesso quando tornerai a casa.”

“Ma allora non mi ascolti. Sarò fatto fuori da Harris tra non meno di …” asserì controllando l’ora sull’orologio “… sei minuti e quaranta, trentanove, trentotto, trentasette… la mia vita è finita!”

Scott scosse la testa divertito dalla commedia dell’amico e provò a ribattere, ma Isaac fu più veloce. “Non te l’hanno detto?”

“Detto cosa?”

“Che Harris ha deciso di saltare parte del programma di questo mese. Siamo indietro, a quanto pare.” Gli spiegò Lydia con finto distacco, dato il piccolo accenno di sorriso che le increspò la bocca quando il giovane fece un salto, entusiasta.

“Sono salvo!” urlò incominciando a correre per il corridoio.

“Sì, amico. Lo sei.” Sussurrò mestamente Scott mentre lo seguiva con lo sguardo, guadagnandosi due paia di occhi consapevoli su di sé.
 
***
 
Stiles, intendo com’era a parlare animatamente con Scott dell’ennesima pazzia di Harris, non si accorse del corpo in movimento che si stava avvicinando pericolosamente a loro. Quando l’inevitabile contatto avvenne, il ragazzo si ritrovò a terra, con il sedere che gli doleva terribilmente e un tornado di ‘scusa’ rivolto alla sua persona.
 
“Oddio, scusami tanto. Scusa, scusa, scusa. Sono un disastro con queste scarpe. È perché sono in ritardo per la lezione, perciò correvo. Scusa, scusa ancora.”

Stiles venne stordito da quel fiume di parole che avrebbero benissimo potuto fare a gara con le sue per il primo posto. Quando alzò lo sguardo, si scontrò con una ragazza dai tratti asiatici e lunghi capelli neri che lo guardava mortificata, neanche avesse messo sotto un signore in carrozzina, andiamo!

“Oh, nono. Non ti scusare. È stata colpa mia… credo. Anzi, molto probabilmente. Comunque io so-”

A sentire quelle parole, la ragazza si sentì sollevata e non gli diede tempo di continuare, bloccandolo. “Ora devo andare o farò tardi a lezione. Scusa ancora, Stiles!” gli urlò, già intenta a correre verso un’aula, lanciando un sorriso colpevole allo sguardo torvo del professore una volta arrivata.

Quando Stiles si voltò verso Scott, lo trovò intento a guardare intenerito il punto in cui la ragazza era sparita. Il castano scosse un paio di volte la testa, confuso. “Ehm… amico? Ehilà… Scott!”

L’altro si riscosse e finalmente lo guardò. “Cos’è che dicevi?”

Il ragazzo strabuzzò gli occhi, balbettando. “No, io non… non stavo dicendo nulla. Ma per caso la conosci?”

Il moro sgranò impercettibilmente gli occhi. “Cosa? No, c-certo che no!”

L’altro, a quella risposta così affrettata, lo guardò sospettoso. “Mmh… comunque conosceva il mio nome. Ma io non ci ho mai parlato. Non mi pare almeno. Anzi, credo sia nuova: non l’ho mai vista.”

Dire che Scott era sbiancato sarebbe stato un eufemismo, ma fu veloce a riprendersi, mettendo svelto un braccio intorno alle spalle del ragazzo e spingendolo verso gli spogliatoi. “Forse ti ha visto alle partite.”

“Mmh… forse.” gli concedette il castano, dirigendosi verso il proprio armadietto.

Scott, invece, rimasto indietro, fu affiancato da Isaac. Il moro, preoccupato, non aveva staccato gli occhi di dosso al suo migliore amico, ignaro. “Kira oggi l’ha chiamato per nome.” annunciò, voltandosi verso il riccio. “E per quanto ne sappia Stiles, lui non l’ha mai vista.”


***

 
Stiles si fiondò su per le scale e poi in camera sua. Era stata una giornata stancante. Sdraiato sul letto orizzontalmente a fissare il soffitto pensò due cose: la prima era che avrebbe dovuto dare una nuova mano di vernice al soffitto quanto prima; la seconda, che mai giorno era stato più ... strano. Sorvolando sulle stranezze del padre, Harris aveva dato il meglio di sé: non solo sembrava realmente intenzionato a saltare una parte di programma, ma era stato anche gentile! Harris! Con lui! E sebbene questo avvenimento, anche da solo, l’avrebbe resa la giornata più insolita, si era anche scontrato con una ragazza che era certo di non aver mai visto, ma che, a dispetto di tutto, invece sembrava conoscere lui. Lo stesso Stiles Stilinski che, per quanto Scott ne dicesse, rimaneva in panchina tre volte su tre. 

Sbuffò, infastidito. Non gli piacevano le stranezze. Almeno non quelle che non era in grado di risolvere. Un secondo sbuffo seguì quel pensiero. Storse il viso, serrando gli occhi e cercando di coprirsi con un braccio quando un raggio di sole lo colpì in viso. Un forte senso di déjà-vu lo colse e ripensando alla curiosità di quella stessa mattina si alzò, raggiungendo la scrivania con un balzo. La delusione che provò quando non trovò nulla sul ripiano fu tanta. Si piegò, cercando a terra nel caso la famosa foto di quella mattina fosse caduta, ma quando giunse alla conclusione che il pavimento fosse sgombro, iniziò a rovistare tra le carte sul tavolo.
 
Non sapeva perché, ma la sparizione improvvisa di quella foto lo scombussolava alquanto. Voleva trovare quel dannato pezzo di carta che sembrava star giocando a nascondino. Quando si arrese al fatto che in camera sua non ve ne fosse traccia, decise di ricorrere al suo asso nella manica.

“Papà!” urlò, cercando di richiamare l’attenzione del genitore al piano inferiore. “Hai per caso visto una fotografia in camera mia?”

Non ricevendo risposta, si incamminò di sotto, superando gli ultimi due gradini con un salto. Trovò il padre in salotto intento a guardare la televisione e, certo che non l’avesse sentito, pose nuovamente la domanda. Le spalle dell’uomo si irrigidirono più di quanto già non fossero.

“No. Non ho visto nessuna foto. Perché?”

Il ragazzo sospirò nervoso. “L’ho notata questa mattina sulla mia scrivania, ma quando sono andato a cercarla poco fa non l’ho più trovata. Sei sicuro di non averla vista? Non mi pare fosse molto grande.” spiegò cercando di riprodurre le dimensioni del foglio con le mani, ma lo sceriffo scosse la testa.

“L’hai… l’hai vista?” si arrischiò a chiedere l’uomo, cercando di ostentare sicurezza. Stiles non si accorse del sospiro di sollievo che l’uomo tirò quando gli disse di non essere riuscito a vederla. L’uomo gli diede una pacca di consolazione sulla spalla, tornandosene poi davanti alla sua partita di basket e lasciando uno Stiles insoddisfatto.
 
 
***

 
Stava tagliando le patate da mettere nella teglia assieme al pollo che stava già cuocendo, quando udì il campanello suonare. Sentì il padre avvisarlo che se ne sarebbe occupato lui e tornò a concentrarsi sulla cena. Con molte probabilità si trattava di un collega del genitore. Gli erano sempre interessati i casi di polizia, specialmente quelli più movimentati e per essersi recati a casa dello sceriffo doveva essere qualcosa di importante, così alla fine provò a concentrarsi sulla conversazione dei due, sebbene poco gli arrivasse vista la sua postazione.

“Che cosa…” “… in mente?!” sentì dire dal padre. La voce che seguì, però, non gli fu familiare. Probabilmente si trattava di una nuova recluta.

“Mi dispiace, non ho ragionato…” “… mai fargli del male.” Storse il naso indispettito quando non gli arrivarono tutte le parole. Era frustante.

“Non deve più…” “… una cosa del genere. Intesi?”

“Ma signore-”

“Niente ‘ma’. Intesi?”

“Sì, …” “… come sta?”
“Non sono affari tuoi, …” “… tornatene a casa tua e stai lontano…” “… lui!”

Prima che il padre potesse cacciare definitivamente il povero ragazzo dalla voce molto sexy, a detta della vocina nella sua testa, afferrò uno strofinaccio e, ancora intento a pulirsi le mani, si avvicinò al genitore.

“Papà,” incominciò a pochi passi dalla porta “vuoi che aggiunga un piatto in più a tavola? Il tuo amico potrebbe fermar-” ma si interruppe quando vide l’uomo chiudere di botto la porta con sguardo allarmato. Quando si voltò nella sua direzione, aveva negli occhi colpevolezza e rabbia.

“Che cosa fai qui?”

Stiles gli lanciò uno sguardo confuso. “Ero venuto a vedere se dovessi aggiungere un posto a tavola, ma a quanto pare…”

“No! Non serve.” quella risposta affrettata fece indietreggiare il ragazzo. Ooook, questo era strano, persino per suo padre.

“Cosa ti ha fatto quel ragazzo? Gli hai chiuso la porta in faccia!” lo sgridò, cambiando argomento Stiles, poco contento delle maniere usate dal padre. Tutte quello che disse, però, non fece che far diventare lo sceriffo più bianco di quanto già non fosse.

“L’hai visto?”

“Cosa?”

“Hai visto quel ragazzo?” lo aggredì l’uomo, afferrandolo per le spalle, ma senza stringere troppo. Stiles scosse la testa, pietrificato. Non aveva mai visto il padre così spaventato; perché l’uomo non era arrabbiato, era solo tanto tanto spaventato. Troppo per essere normale, anzi, non lo sarebbe proprio dovuto essere. Chi era quel tipo?

Raccolse l’asciugamano, che non si era accorto di aver fatto cadere, con gesti lenti, come si fa con gli animali quando si cerca di non allarmarli. “Papà…”

L’uomo però sventolò una mano, dirigendosi nervoso verso il salone. “Lascia perdere, Stiles. Dimentica tutto.” Le sue spalle sobbalzarono alle sue stesse parole, ma non aggiunse altro, così il ragazzo si trovò costretto a rinunciare ad ottenere risposte e si diresse ancora scosso in cucina, dove un pollo bruciato lo aspettava nel forno. 







Note dell'autrice.
Ciaoo! E grazie, perchè se state leggendo queste note vuol dire che siete arrivati fino a qui. Allora, piccoli accorgimenti: come scritto nell'intro, questa storia si ispira al film "50 volte il primo bacio" che, a chi non l'ha visto, consiglio vivamente. Ovviamente gli assomiglia in tutto e non gli assomiglia in niente, in quanto il mondo di Teen Wolf è ben lontano dalle commedie americane, ma a noi questo mondo piace, perciò ben venga. 
E' il primo capitolo e a primo avviso sembra ... strano -o almeno è questa l'intenzione che volevo dare. Ovviamente per iniziare a capire la portata del problema un capitolo non basta, ma niente paura! Già dal secondo si potranno iniziare a fare ipotesi su ipotesi, che, per chi conosce il film, porteranno ad una sola conclusione. 
Quasi dimenticavo: è una STEREK, perchè la sterek è LA ship e merita di essere raccontata almeno nel mondo delle fanfiction. 
Spero che come primo capitolo vi abbia incuriosito. Ho già scritti un paio di capitoli e l'aggiornamento dovrebbe essere settimanale -si spera. Ogni tipo di recensione è ben accetta, manco a dirlo quelle positive un po' di più ;) 
Penso di essermi dilungata abbastanza. Al prossimo capitolo! :*)
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


2°   3 Aprile 2017 


Stiles aprì stanco un occhio. Odiava scoprirsi stanco anche dopo un’intera nottata e in quei momenti odiava doversi alzare, abbandonando il cuscino che sembrava così morbido. Alla fine si fece forza e osservò con circospezione il padre di fronte al letto che lo fissava con un sorriso insolito, data l’ora. Il ragazzo si osservò in giro, sicuro che quella felicità mattiniera non potesse essere dovuta a lui. Strabuzzò maggiormente gli occhi quando si accorse di un vassoio su cui faceva mostra di sé un bicchiere di succo e diversi toast.
Poteva essere mai possibile che si fosse dimenticato il suo stesso compleanno? Si domandò confuso. Il genitore, da parte sua, non aiutò, poggiandogli il ripiano di legno sulle gambe.

“Oh… ehm, grazie?”

L’uomo continuò a mantenere il sorriso, sebbene gli angoli avessero perso la tendenza verso l’alto. Sentendosi in colpa, Stiles addentò svelto una fetta di pane alla marmellata di albicocca, la sua preferita. Il suo cervello lo spinse a sorridere imbarazzato, mentre intanto si arrovellava per dare una spiegazione a quell’assurda situazione.

“Ti piace?” gli domandò lo sceriffo, fermo accanto al letto. Il ragazzo ebbe come la sensazione che stesse aspettando qualcosa, così annuì con ancora la bocca piena.

Il sorriso del padre tornò raggiante, ma si spense di colpo, sebbene l’uomo avesse cercato di non darlo a vedere, quando il figlio si azzardò a chiedere una spiegazione. “A cosa devo… tutto questo?”

Lo sceriffo sospirò leggermente, sconfitto, ma continuando a sorridere, sebbene in maniera più abbattuta. Scosse la testa, avviandosi verso la porta. “A niente, Stiles. Mi ero solo svegliato prima. Sbrigati o farai tardi! Di nuovo.”

Lo Stilinski più piccolo sembrò credergli, perché gli sorrise già euforico per il buon inizio della giornata. “Grazie, Pa’!”
 

***
 

“Amico! Non sai cosa mi è successo questa mattina.”

“Ehi, Stiles. Racconta, avanti.” lo spronò il suo migliore amico, una volta trovatesi nell’atrio della scuola.

“Ok. Allora, mi sveglio e c’era mio padre in camera…”

“Ti prego, amico, dimmi che non stavi facendo cose.” quasi lo supplicò il moro, chiudendo gli occhi come a prepararsi ad un colpo.

“COSA?! Ma sei fuori? Ti pare che io faccia cose del genere…”

“O grazie al cielo!”

“… di mattina?!” finì di parlare oltraggiato il ragazzo. “Impiego ben tre minuti e venti secondi per svegliarmi del tutto. E mio padre entra in camera al minuto due. Non durerei mai così poco!”

Scott gemette. Non voleva, non voleva, sapere cosa il suo migliore amico facesse e in quanto tempo!

“Chi è che non durerebbe così poco?” si sentì dire da una voce alle loro spalle. Girandosi riconobbero Erica, che si trascinava dietro un Boyd dall’aria particolarmente incazzata, ma quella era la solita espressione del ragazzo, quindi nulla di cui preoccuparsi.

“Io!” esclamò offeso Stiles indicandosi. “Per la precisione, io imp-”

“E ok! Basta così. Davvero. Non …” troncò la conversazione Scott “ … non ci interessa. Non è importante saperlo. Vero, Erica?” tentò guardando implorante la bionda, che gli sorrise maliziosa, ma a dispetto di tutto a parlare non fu lei.

“Oh a me interessa, invece. Jackson crede di essere il dio del sesso,” si intromise nel discorso Lydia, arrotolandosi con fare civettuolo una ciocca di capelli sul dito “ma io credo che inve-”

“No.” la interruppe il moro, guadagnandosi un’occhiata oltraggiata “Non parleremo di questo.”

Lydia alzò gli occhi al cielo, stizzita. “Come se tu non l’avessi mai fatto con Allison.”

Il ragazzo con la mascella storta rischiò di strozzarsi, ma per sua fortuna intervenne Stiles a salvare la situazione.

“Ehilà! Vorrei ricordare che stavamo parlando di me, Stiles, il ragazzo sfigatello con gli occhi nocciola e il disturbo di iperattività.” rammentò a tutti sventolando una mano nell’aria in sua direzione e quando ebbe il via libero generale, riprese a raccontare di quella piacevole mattina. “Dicevo, mi sveglio e trovo papà con il vassoio della colazione che usiamo quando qualcuno di noi è malato. Mi aveva preparato e portato in camera la colazione, capisci! Senza un motivo apparente. E dopo, quando sono sceso, mi aveva lasciato dieci dollari per il pranzo. Senza contare lo shampoo nuovo che mi piace tanto. Dimmi tu se è un padre normale.”

Scott si grattò il mento, dubbioso. In effetti era strano. “Sicuro che non fosse una qualche vostra festa… che so?”, ma lo Stilinski scosse felice la testa. Prese a saltare, entusiasta dell’inizio felice che aveva preso la sua giornata, certo che non sarebbe che servito, dato quanto lo stava aspettando nella classe di chimica, precisamente quella del professor Harris. Quel pensiero gli fece scemare il sorriso come un fulmine a ciel sereno.

“Scott, e se sapesse che oggi morirò e quindi ha voluto concedermi un degno risveglio? O mio dio! Anche lo shampoo per farmi andare impeccabile contro la morte.”

Il gruppo di ragazzi non capì a cosa si riferisse, finché il ragazzo non li guardò con fare ovvio. “La ricerca di Harris… ?”

Erica parve irrigidirsi, ma forse era dovuto alla brezza non così primaverile. Scott, d’altro canto, si schiaffò una mano sulla fronte, guardandolo poi mortificato -ma neanche troppo, secondo Stiles, visto quello che gli avrebbe detto di lì a poco. “Scusami tanto, amico. Me ne ero completamente dimenticato: Harris ha rimandato la ricerca.”

Il ragazzo guardò stranulato quel suo migliore amico con la memoria di un sessantenne. “Come hai fatto a dimenticartene se te ne ho parlato ieri al telefono?”

L’altro, dal canto suo, fece un sorriso stirato, facendo scendere in campo i suoi occhioni da cucciolo. Imbroglione! Urlò la mente dello Stilinski.

“Sostiene che stiamo indietro. Sicuramente parla di voi mediocri, perché per quanto mi riguarda credo di saperne più di lui.” sospirò annoiata la rossa, ponendoli in questo modo la risposta alla fremente domanda che martellava nella testa del castano.

“Grazie dei complimenti, Lydia. Sempre modesta.” la prese in giro Stiles, ringraziandola però sul serio. La ragazza sbuffò un ‘non c’è di che’, conscia che stessero entrambi scherzando.

“Beh, sono un uomo libero allora!” si mise ad urlare Stiles, costringendo i suoi amici a tenerlo con i piedi ancorati al suolo prima che potesse mettersi a saltare per tutto l’atrio.
Dall’alto della sua felicità, il ragazzo non poté che notare due ragazzi, che, seduti di fronte su una panchina, si stavano baciando. Sarebbe stato tutto normale se non fosse stato…

“Ehi, Scott, ma quello non è Isaac?”

“Chi?” gli domandò confuso il ragazzo, facendo vagare lo sguardo per il cortile.

“Isaac. Lì! È il ragazzo che si sta baciando con quella ragazza. Quella con i capelli scuri, come quelli di Allison… O MIO DIO, ma quella è Allison!” esclamò Stiles fissando sconvolto i due ragazzi ancora intenti a baciarsi e ignari di essere il fulcro della loro conversazione. “Mi dispiace tanto, amico. Non pensavo… non credevo che dopo solo qualche settimana sarebbe tornata in carreggiata. E con Isaac! Oh, ma quel ragazzo mi sentirà ora che-”

Il moro deglutì, nervoso, ma si riscosse e assieme a Boyd riuscì a frenare Stiles dall’andare a dirne quattro ai due ragazzi. Allo sguardo confuso del ragazzo, si affrettò a rassicurarlo che per lui andava bene, che lo sapeva. Solo allora il giovane Stilinski si lasciò condurre verso l’aula di chimica, girandosi ad osservare ancora dubbioso la nuova coppia felice.
 

***
 

“Papaaaà!”

All’urlo del figlio, lo sceriffo era accorso svelto in camera del ragazzo, trovandolo seduto a gambe incrociate sul pavimento con i più svariati oggetti di cancelleria sparsi per terra.
“Dove sono finiti tutti i giornali?!” esclamò, spalancando le braccia, il ragazzo. “Li ho cercati ovunque: mi servono per un lavoro di scuola.”

Lo sceriffo perse un battito a quella domanda. Cercando di sviare l’argomento, propose l’utilizzo di cartoni di cui avevano una discreta scorta, considerando i pacchi che mensilmente inviava loro una lontana parente. Il diniego sconsolato del figlio lo spinse a cercare il modo per consolarlo. “Che ne dici se rimandi quello che devi fare a domani e ordiniamo d’asporto?”

Le spalle del ragazzo si afflosciarono, ma seppur impercettibilmente, lo sceriffo se ne accorse e morì dentro. Nessun genitore vorrebbe vedere il proprio figlio triste. Ma stavano parlando del suo Stiles, che infatti non si smentì, aprendosi in un sorriso e alzandosi, spazzolandosi poi i pantaloni con le mani. “E cibo d’asporto sia! Ma dovrai rinunciare agli hamburger che ti mangi di nascosto a lavoro.” aggiudicò, senza dimenticare le condizioni del padre.

L’uomo annuì, conscio che il figlio non potesse sapere che quei panini non li mangiava più ormai da mesi.     
 

***
 

Lo sceriffo si rilassò contro lo schienale del divano. Il figlio aveva accettato di buon grado la sua idea di ordinare cinese e la proposta della visione di uno dei dvd del ragazzo era stata la scintilla per far dimenticare al ragazzo del piccolo intoppo incontrato per il progetto scolastico.

L’uomo sospirò, passandosi una mano sul viso. Il mattino seguente si sarebbe recato all’istituto per cercare di sistemare la questione. Sapeva che quello che stava facendo non era appoggiato da nessuno, né dalle istituzioni scolastiche o da quello mediche e né tanto meno dagli amici del figlio e dai suoi. Persino Melissa si era detta contraria, sebbene l’avrebbe appoggiato qualsiasi decisione avrebbe preso.

C’erano volte in cui si chiedeva se quello che stava facendo non fosse sbagliato, ma sbagliato sul serio. Si metteva a pensare, ad immaginare cosa avrebbe consigliato se la situazione non avesse avuto niente a che fare con lui, se fosse stata estranea alla sua famiglia. Molte volte aveva l’impulso a cedere, a lasciare andare tutto, ma ogni volta veniva fermato da interventi esterni che gli dimostravano, seppur indirettamente, quanto il mondo potesse essere pericoloso per il suo bambino.

Lasciò cadere frustato un pungo sul divano accanto a lui. Odiava quella situazione. Non avevano già dovuto penare abbastanza lui e Stiles?

“Papà, va tutto bene?” si sentì chiedere da una voce preoccupata.

Lo sceriffo sobbalzò quando si accorse del figlio che lo guardava confuso dalla porta e si affrettò a rassicurarlo, aprendosi in uno dei sorrisi dietro ai quali si nascondeva ultimamente.
 

“Stiles usa il sarcasmo per difendersi, Noah. Ma è anche il primo a reagire. Tu ti difendi dietro all’illusione che ogni cosa vada bene e chiudi tutto fuori. Non va bene così, devi imparare a reagire come Stiles ha sempre fatto.” asserì Melissa, mettendoli una mano sulla spalla nel tentativo di consolarlo.
 

“Papà! Sceriffo, mi stai ascoltando?”

L’uomo si riscosse dai suoi pensieri e osservò il figlio con in mano due custodie di dvd per diversi secondi prima di capire di dover scegliere. Ne indicò uno a caso, sicuro che a Stiles non sarebbe cambiato poi molto e sbatté più volte le palpebre cercando di riprendersi.

“Sai, pa’, oggi Jackson è venuto a scuola con un’auto nuova. Il principino ha una nuova Porsche.” lo prese in giro il ragazzo “Io davvero non capisco cosa ci trovi di tanto speciale in quelle auto. Prendi ad esempio una Camaro nera. Non sarebbe molto meglio?”

Lo sceriffo sussultò a quelle parole. Perché, ad ogni dannatissimo minuto, ogni cosa doveva riportarlo alla triste realtà, perché?

“Da… da quando in qua ti interessi alle auto, figliolo?”

Stiles, intento a inserire il dvd nell’apposito lettore, non aveva notato nulla. Alla domanda del genitore si fermò, pensandoci su seriamente. “Non lo so.” convenne alla fine, dubbioso “Ho pensato ad un’auto particolarmente bella e mi è venuta in mente una Camaro. Che poi, com’è fatta una Camaro?”

Il padre scosse la testa, fingendo noia, ma dentro morì. Si permise di osservare il figlio con la coda dell’occhio, che svelto si era posizionato accanto a lui sul divano e pendeva emozionato davanti alla sigla dell’ennesimo film della Marvel.

Non avrebbe permesso a niente e nessuno di ferire il suo bambino. Non di nuovo. 







Note dell'autrice. 
Eccoci giunti alla fine del secondo capitolo e grazie a te che sei arrivato a leggere fino a queste note. 
Allora, in questo capitolo si inizia a capire sempre di più che un problema c'è e l'unico che sembra non accorgersene è Stiles. Lo sceriffo? Povero, povero uomo. Un po' di angst ci vuole sempre ;)
Quale sarà questo fantomatico problema? Probabilmente si sarà già capito o almeno ipotizzato o forse no, ma state tranquilli: dal prossimo capitolo sarà molto più chiaro e alla luce del sole per tutti... o quasi. 
Grazie a chi sta leggendo questa storia, a chi l'ha messa nelle preferite, a chi nelle ricordate, a chi nelle seguite e a Zoey Charlotte Baston che l'ha recensita. Vi adoro ;*)
Ogni parere è ben accetto, purchè sia costruttivo e, perchè no, a far felice questa povera ragazza in cerca di pareri ;)
Al prossimo capitolo! 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


3°   3 Aprile 2017


“Ha trovato più niente?” disse la voce dall’altro capo del telefono.

“No, Scott. Ho parlato con lui. Non accadrà più.” rispose l’uomo con una nota determinata nella voce.

“Cosa?! È venuto a casa? E l’ha…”

“No, lui non l’ha visto. Sono riuscito a mandarlo via in tempo. Non voglio che gli si avvicini, puoi fare qualcosa?”

L’uomo percepì un sospiro. “Sceriffo, si metta nei suoi panni. È difficile anche per lui, forse più che per tutti noi, ma tenterò. Ora devo andare… mamma mi sta chiamando.”

“Grazie, ragazzo. Certo, vai, così vado a svegliare Stiles.” lo ringraziò, sperando che almeno lui sarebbe stato in grado di risolvere la faccenda.

“Ah, sceriffo…”

“Dimmi.”

“Stiles non è stupido. Se ne accorge… ogni giorno.”  lo informò il ragazzo, marcando tristemente le ultime parole senza aggiungere altro, certo che l’uomo avrebbe capito.

“Buona giornata, Scott.”

Il ragazzo si lasciò andare ad un mesto sospiro. “Buona giornata a lei.”

 
***


Stiles si stava rilassando all’ombra degli spalti sul campo di lacrosse. Era stata una giornata piacevolmente diversa dalle altre: suo padre lo aveva svegliato portandogli la colazione e con Harris era andata particolarmente bene.
Poggiò la testa all’impalcatura, beandosi del piccolo momento di solitudine che era riuscito a ritagliarsi: Scott lo aveva seguito tutta la mattina e a Stiles non sarebbe sembrato così strano -anche se l’accompagnarlo in bagno forse lo aveva trovato un tantino eccessivo-, se non fosse stato che il ragazzo lo aveva completamente ignorato. Ora, Stiles sapeva che spesso Scott aveva la testa fra le nuvole, sapeva che non per forza dovevano parlare ogni minuto della loro giornata, ma da lì a venire considerato quasi un pacco da custodire su cui scritto fragile ce ne passava. Per la precisione quello era il primo momento, da quella mattina, in cui si trovava da solo con se stesso e la sua amata tranquillità.

Poteva sembrare strano, considerando il soggetto, ma Stiles amava il silenzio. Gli piaceva poter pensare liberamente e quella era sempre stata l’occasione migliore. Parlava, certo. Si lasciava andare a discorsi logorroici, sì, ma lo faceva solo quando sentiva che il silenzio presente fosse sbagliato, opprimente, che non fosse come quello che lo tranquillizzava e non lo faceva sentire a disagio. Se si soffermava a pensare da quanto lo apprezzasse realmente, rimaneva particolarmente confuso: da che ne aveva memoria aveva sempre riempito l’assenza di rumori con le sue mille domande e poi, una volta cresciuto, con le proprie conoscenze e il sarcasmo. Sentiva fosse qualcosa di recente, che quell’amore non fosse nato da solo, ma che si ricordasse nessuno mai gli aveva elogiato l’utilità del silenzio.

Era per discorsi come quelli che, altrettante volte quante gliene venivano in mente, si ritrovava costretto a limitarsi a pensarli e non a dirli. Qualche volta sentiva quasi il bisogno impellente di aprire la bocca e rivelare tutto quello che gli passava per la testa, senza filtri o condizioni. Sfogarsi veramente. Ma, mai nella sua vita, aveva incontrato qualcuno disposto a quel genere di conversazione, qualcuno disposto ad ascoltarlo, indipendentemente da ciò che diceva o con che velocità.

Era con questi pensieri, che spesso lo tormentavano durante la giornata, che si lasciò andare ad un sospiro stanco. La sua vita era sempre stata monotona, noiosamente normale e più volte si era ritrovato a sperare in un cambio repentino, qualcosa che la sconvolgesse e gli permettesse di vivere per un motivo, ma non aveva mai voluto strane sensazioni a lui estranee nella sua vita.
Perché mai, tra tutti gli adolescenti del mondo, toccava a lui svegliarsi la mattina e sentire qualcosa -o meglio-, sentire che qualcosa mancava. Che cosa assurda! Non bastava lui, ora ci si mettevano anche emozioni del tutto sconclusionate. Mancavano le vampate di calore e la voglia matta di gelato al pistacchio alle quattro di notte.

“Perché tu sei Stiles Stilinski e sei l’emblema della sfortuna. Devi pur dare l’esempio, no?” borbottò fra sé e sé.

“Piacere, Stiles Stilinski-simbolo della sfortuna.” si udì dire all’improvviso.

Stiles saltò in aria e lanciò un urlo poco virile, lanciando un’occhiataccia ad un promettente serial killer. “Ma dico, sei impazzito?! Potevo morire!” esclamò portandosi una mano sul cuore con fare teatrale “Anzi, credo di essere già morto…”

… e di essere in paradiso, pensò non appena l’altro fece un passo avanti, lasciandosi illuminare dal sole. Un dio. Ok, niente da fare, sono morto. Sapevo che c’era di più oltre quel signore anziano con la barba bianca…

Il dio ridacchiò divertito e, con sommo dispiacere di Stiles, indietreggiò riportandosi nella semi oscurità. In tutto questo, sebbene Stiles avesse appena appreso che quella visione non gli dispiacesse affatto, visto il calore traditore che aveva invaso le sue guance, rimaneva un punto non particolarmente trascurabile: chi diavolo era quell’uomo?

“Ehm… comunque era ‘emblema’. Così giusto per…”

Il dio alzò un sopracciglio e Stiles provò un inaspettato senso di calma. Con qualche secondo di ritardo capì che l’altro non avesse capito e si ritrovò a spiegare. “Io ero Stiles Stilinski, l’emblema della sfortuna. Non … non il simbolo.”

Quello, però, non sembrò curarsi molto delle sue parole, intento ad osservarlo con un sorriso che il più giovane avrebbe detto quasi... nostalgico. Deglutì, imbarazzato dalla naturalezza con cui tutto si stava svolgendo. “E tu saresti…? Oltre ad un assassino mancato, si intende.”

Il bel dio, eufemismo di cosa si trovasse davanti, sbuffò divertito. Aveva appena aperto bocca quando piegò impercettibilmente la testa di lato, tanto che Stiles non se ne sarebbe accorto se non fosse stato intento a sbavargli dietro. Socchiuse gli occhi e serrò le labbra, prima di rivolgersi a lui e aprirsi in un ghigno. “È stato un piacere, Stiles Stilinski-emblema della sfortuna.”

Stiles aprì la bocca per ribattere, ma fu distratto dalla voce di Scott che lo chiamava. Quando si voltò in direzione dell’altro, di quello non c’era più alcuna traccia.
Si stava ancora guardando intorno interdetto, quando il messicano lo affiancò con un leggero fiatone da corsa.

“Stiles! Sono tre ore che urlo il tuo nome.” lo riprese, ma quando si accorse dello sguardo confuso dell’altro, che vagava come a cercare qualcosa, lo fece voltare verso di lui. “Stiles, cosa ci facevi qui?”

Il castano scosse la testa, cercando di riprendersi. Possibile si fosse immaginato tutto? Era davvero messo così male?

“Ni… niente.” si ritrovò a balbettare, lanciando di tanto in tanto occhiate furtive intorno. “Stavo solo riposando.”

L’amico lo osservò attentamente, dubbioso. “Sicuro di star bene?”, ma Stiles annuì distratto, “Sì. Penso di sì.” prima di scansarlo e uscire dall’ombra delle scalinate.
Cosa poteva mai dirgli? Ehi, guarda, Scott, probabilmente - dico probabilmente, perché oggi ho già avuto sensazioni strane ed improbabili- ho incontrato un dio, di cui non conosco il nome, ma la cui immagine credo non se ne andrà mai più dalla mia testa, mentre parlavo da solo. Ma sto bene, eh.
Mai e poi mai. Piuttosto morire. Ci mancava che adesso gli si mettesse ad entrare dalla finestra per controllare che di notte non organizzasse piani di sterminio mondiale. Ma che poi, perché avrebbe dovuto scavalcare la finestra?

“Stiles, di solito non si risponde con un ‘penso’: è poco convincente.”

“Ah sì?” fece il ragazzo, intento ad avanzare verso l’edificio per raggiungere gli spogliatoi.

“Sì. Ne sono piuttosto sicuro.” gli rispose l’amico, costretto subito dopo ad accelerare per tenere il suo passo “E perché ora stai correndo?”

Neanche a farlo apposta, lo Stilinski arrestò di colpo la sua andatura veloce. Scott doveva sempre esagerare. “Non sto correndo. Sono fermo.”

Il moro dovette stringere le mani tra loro per evitare di tirare un pugno al ragazzo. Era tutto il giorno che lo faceva penare. Aveva preso come suo compito personale quello di seguire il ragazzo ovunque andasse e bloccare un qualsiasi tentativo da parte di ‘estranei’ come richiestogli dallo sceriffo. Era un brav’uomo e Scott un po’ lo capiva: voleva solo il bene per suo figlio, così come lui per il suo migliore amico. Ma Stiles sembrava essersi messo di impegno quella mattina a cercare di seminarlo. Rintracciare il suo odore non era stato difficile; spiegare come avesse fatto a trovarlo nello sgabuzzino dell’inserviente… ecco, quello era stato un tantino più complicato.

Scott, a dispetto di quanto Stiles credeva, lo capiva -a dir la verità lo percepiva- quando in alcuni momenti il ragazzo si sentiva sperduto o scosso per qualunque cosa passasse per quella sua testolina. Lo capiva, ma non sapeva come aiutarlo. Più i giorni passavano e quelle sensazioni crescevano con lo Stilinski, più nella testa di Scott andava via via prendendo vita, sottoforma di unica soluzione, la figura di una persona. Una persona effettivamente particolare, ma anche unica. L’unica.

“Ehilà, Scottie? Perché non ti sei ancora cambiato?” gli chiese Stiles sventolandogli una mano davanti al viso. Quando il ragazzo ottenne la giusta attenzione, decise di snocciolare l’idea che gli era venuta poco prima: un modo per cercare di ritrovare un po’ di normalità nella sua vita. “Che ne dici: io, tu, pizza e videogiochi?”

Il moro ci pensò un attimo, prima di annuire. “Ci vediamo direttamente là. Devo prima fare una cosa.” lo salutò, dandogli una pacca su una spalla.
Appena si fu cambiato, si affacciò al parcheggio e vide l’inconfondibile Jeep di Stiles immettersi in strada. Afferrò quindi il cellulare e mandò il solito messaggio.

È partito.

Aspettò i soliti cinque secondi prima di ricevere la risposta.

Ricevuto.

Fatta la sua parte, si diresse verso il campo, un dubbio che si faceva sentire e il desiderio di scioglierlo. Sospirò profondamente quando ciò che aveva supposto si rivelò veritiero e decise che quanto prima avrebbe dovuto risolvere lui stesso la faccenda.
 

***

 
“Scottieee! Concentrati. È una questione di vitale importanza.” lo richiamò il liceale, afferrandolo per le spalle. “Ci sono poche certezze nella vita e io ultimamente le sto perdendo tutte, quindi…” prese un profondo respiro “Call of Duty o Dark Souls?”
 
“Call of Duty.” Affermò deciso l’altro, con la stessa serietà, dopo una manciata di secondi. Stiles alzò al cielo le mani, iniziando una litania di grazie a qualche dio dei videogiochi.

“Grazie al cielo. Stavo perdendo le speranze quando hai scelto i popcorn invece delle patatine fritte!”

“Già… ero distratto.”

“Lo vedo.” convenne l’altro, prima di passargli un joystick. “A cosa stai pensando?”

“Oggi, al campo… ho sentito una voce. Hai per caso visto qualcuno mentre eri lì?” domandò, fingendo disinteresse, mentre osservava lo schermo per impostare il suo personaggio. Sentì Stiles deglutire e il suo cuore accelerare, ma l’amico non distolse lo sguardo dal televisore neanche per un secondo.

“No. Non mi pare. Perché?”

Scott udì un cuore accelerare a quelle parole ed era sicuro non fosse il suo. Scosse la testa, facendo finta che non fosse nulla di importante e quando inspirò percepì un sentore di sollievo. Lanciò un’occhiata di sottecchi al ragazzo sedutogli affianco. Pensava di essere riuscito a mentirgli… a quella rivelazione il cuore di Scott si strinse in una morsa.

“No, niente. Mi sarò confuso.”
 
 
***


“Stiles? Sono a casa.” urlò appena entrato, posando poi le chiavi e la giacca. Non sentendo il ragazzo, ma avendo la certezza che fosse tornato a casa, ipotizzò si trovasse nella sua camera. Afferrò una mela, perché ‘La salute è importante, papà!’ e si diresse di sopra. Quando aprì la porta, però non si aspettò di vedere …il caos.
Patatine fritte e popcorn erano disseminati per terra, un trancio di pizza pendeva pericolosamente dal cartone posato malamente sul bordo del letto e suo figlio e il suo inseparabile amico erano intenti a premere quanti più bottoni possibili su quei cosi, a cui lui si rifiutava di avvicinarsi, per far muovere dio solo sa cosa sullo schermo. L’uomo ipotizzò si trattasse di un uomo, se di scarsa qualità o di scarsa credibilità doveva ancora stabilirlo.

“Ciao, Scott.” salutò, ma i due ragazzi non lo degnarono di uno sguardo.

“Oh, ciao, pa’!”

“Salve, sceriffo.”

Alzò gli occhi al cielo quando suo figlio esultò alla vittoria lanciando per aria il joystick che colpì la lampada, che cadde. Ovviamente. “Io scendo di sotto. Prima che Scott se ne vada, pulite tutto!”

Come risvegliatosi da uno stato di trance, Stiles lo fermò prima che potesse chiudersi la porta dietro di sé. “No, papà. Scott può rimanere a dormire qui?”

L’uomo stava già per rifiutare quando vide lo sguardo da cucciolo del figlio. Quella era la brutta influenza del messicano, ne era certo.
Non vedeva Stiles così rilassato da tempo, così si ritrovò costretto ad acconsentire. Dopo essersi sorbito una sfilza di grazie, si incamminò in salotto scuotendo la testa felice. Si ricordò solo all’ultimo gradino di una questione piuttosto spinosa.

“Scott, dovrai aiutarmi questa sera.” sussurrò, certo che il ragazzo lo avrebbe sentito. Non seppe che lo sguardo del moro a quella frase divenne vitreo per qualche secondo prima di assecondare qualsiasi cosa Stiles gli stesse chiedendo.
 

***


“Bene, ragazzi. Credo sia ora di andare a dormire.”
 
Stiles guardò il padre come a chiedergli se fosse serio. “Papà, sono le undici!”

Il genitore annuì. “E infatti è tardi. Domani dovete andare a scuola e io a lavoro. Quindi…”

Il ragazzo alzò le mani, sconfitto. Quando suo padre incominciava con l’ ‘è tardi’ non si discuteva. Salutato il padre e cambiatosi in fretta, si addormentò nel giro di qualche minuto.
Quando Scott sentì il suo respiro farsi regolare e il suo cuore perdere la solita irrequietezza, si alzò cauto e si diresse al piano di sotto dove in cucina lo aspettava lo sceriffo.

“Sta dormendo?” Il ragazzo annuì e lo guardò, aspettando che iniziasse a dare indicazioni. “Bene. Allora, ora saliamo: tu ti occuperai di recuperare il suo telefono e io della stanza.”

Il moro annuì, sorpreso, ma accondiscendente. A metà della rampa di scale, però, lo sceriffo si voltò verso di lui. “Scott, è della massima importanza fare silenzio. Intesi?”

Aspettò che annuisse prima di raggiungere definitivamente la camera del figlio. Entrarono nel silenzio più totale e mentre Scott si diresse spedito verso il comodino dove era posato il cellulare di Stiles, lo sceriffo iniziò a spostare alcuni libri e un paio d’abiti. Non li stava ordinando, notò Scott, li stava semplicemente mettendo in altri punti che apparentemente non avevano nulla di speciale se non si conosceva la situazione in cui la famiglia Stilinski vigeva da qualche settimana.
Finito quel ‘riordino’, l’uomo si sedette sulla sedia girevole e accese il computer. Scott gli si avvicinò curioso e apprese come la vita di quell’uomo nel giro di poco fosse cambiata così tanto.
Era risaputo, specialmente per lui che frequentava casa Stilinski con assiduità da che ne aveva memoria, che lo sceriffo tutto accettava, meno che le nuove tecnologie. Si permetteva solo il forno a microonde e la televisione. Il computer era una prerogativa di Stiles e l’uomo lo aveva sempre visto con astio; persino a lavoro i suoi agenti ormai gli consegnavano esclusivamente documenti cartacei. E ora, stava abilmente smanettando tra le impostazioni per cambiare ora e giorno. Una volta spento il computer e risistemta la sedia, lo sceriffo afferrò il cellulare del figlio e effettuate le medesime modifiche del computer lo posizionò nuovamente sul comodino.

Uscirono in fretta e si diressero di sotto. Scott seguiva le mosse dello sceriffo con sconcerto, ma come promesso non aveva emesso un suono. L’uomo lo guidò fino al garage, dove prese una scatola posizionata strategicamente in fondo a delle altre. Una volta privatala del coperchio, il moro poté vedere decine e decine di giornali. Osservandoli meglio, notò sconvolto che erano tutte copie. Ne afferrò una e iniziò a sfogliarla a scatti nervosi. Era come rivivere un incubo. Continuò a girare le pagine, riconoscendo gli annunci e gli articoli riportati. Chiuse di scatto il plico di fogli e lesse la data con la mani che tramavano, se di rabbia o paura non sapeva.

14 Marzo 2017

Era Martedì. Scott si sarebbe ricordato per sempre di quel giorno. Il giorno in cui la vita di tutti loro era cambiata.

“Scott?” Lo sceriffo gli aveva poggiato le mani sulle sue, fermando quel tremore che le scuoteva e di cui non era molto cosciente. L’uomo stava cercando di fargli allentare la presa spasmodica con cui stava stringendo il giornale. “Scott, lascialo.” Lo richiamò rassicurante, ma con tono deciso.

Il ragazzo annuì. Sapeva di doverlo fare, così separò le dita quel tanto che bastò allo sceriffo per sfilargli il giornale e riporlo nella scatola, che richiuse e nascose con attenzione.
“Mi… mi dispiace. È che…” , ma l’altro lo fermò prima che potesse continuare. “Lo so, ragazzo. Lo so.” e lo abbracciò.

Stettero in quella posizione per diversi minuti. Ormai doveva essere notte inoltrata, ma nessuno dei due riusciva a trovare il coraggio per andare avanti. Il primo a riprendersi, forse per abitudine, fu lo sceriffo, che, sciolto l’abbraccio, indirizzò entrambi in salone, diretti rispettivamente uno alla propria poltrona e l’altro al divano: né Scott né lo sceriffo sarebbero riusciti a prendere sonno.  

“Come fa?” chiese il ragazzo, dopo minuti di silenzio a fissare il vuoto. “Come fa a fare tutto questo ogni giorno?!” 

L’uomo sospirò profondamente. “Scott, non c’è alternativa.” , ma l’altro prese a scuotere la testa con fervore, intonando una serie di no a ripetizione. 
“Scott, ascoltami.” iniziò lo sceriffo alzandosi e afferrando il ragazzo per le spalle, “Non puoi cambiare quello che è. Nessuno può. Ma non puoi neanche permettere che Stiles soffra. Non lo puoi fare.”

“Ma gli stiamo mentendo. Tutta la sua vita è una menzogna!” esclamò sollevandosi di scatto. “Ogni giorno arriva a scuola con la convinzione che litigherà con Harris perché non ha finito quella dannatissima ricerca. Ha amici che non si ricorda più! Lo sa che l’altro giorno si è scontrato con Kira e lei per sbaglio l’ha chiamato per nome? Quando a casa si è resa conto, ha pianto per ore! Non si ricorda che io ed Allison non stiamo più insieme da anni! L’ha vista con Isaac ed è stato uno shock.”

Lo sceriffo era scattato indietro a quel movimento improvviso, ma si era ripreso in fretta. Mentre Scott andava avanti a parlare, l’aria diventava sempre più satura di tristezza, rabbia e frustrazione. “Basta! Pensi che non lo sappia? Ogni giorno, ogni maledettissimo giorno, spero che si ricordi qualcosa, anche la più piccola. Gli porto la colazione ogni mattina a letto con la speranza che il giorno dopo non abbia rimosso tutto completamente. Non di nuovo. Ogni giorno lo sento raccontarmi la sua giornata, dove si sorprende che i professori siano andati avanti con il programma o che persone sconosciute lo salutino. Vivo con il terrore che se dovesse scoprirlo impazzirebbe. Non ho intenzione di perdere mio figlio! Non anche lui.”

Scott espirò forte dal naso. Si stava innervosendo e attaccare lo sceriffo non era la soluzione.

“Ma non è l’unico. Non è l’unico! Io lo capisco, è difficile, ma non può addossare a lui la colpa di quello che è successo. Perché non ne ha, non ha alcuna colpa.”

L’uomo lo guardò freddamente. “Aveva promesso di proteggerlo. E così non è stato!”

“Ma non sta ferendo solo lui. Stiles sta male. Lo sento.”

Lo sceriffo si passò una mano sul viso. “Scott, credo sia meglio che tu vada.”

“Sceriffo…” sussurrò il ragazzo, la rabbia sparita, ma l’uomo scosse la testa, non guardandolo negli occhi e precedendolo all’entrata. “Stiles non ti deve trovare qui. Non capirebbe.”

Il ragazzo annuì, sconfitto. Ci avrebbe provato, ci avrebbe provato ancora, si ripromise mentre a testa china usciva dalla casa.

Una volta che Scott se ne fu andato, lo sceriffo si affacciò alla camera del figlio, assicurandosi che non si fosse svegliato. Gli sistemò le coperte che gli si erano arrotolate intorno alle gambe, scoprendolo e gli lasciò una carezza sulla fronte.
Non si diresse in camera, ma raggiunse la credenza al piano di sotto dove vi si appoggiò, sfinito. Chiuse gli occhi, stanco di dover portare quel dolore e di sentirsi anche dire che stava sbagliando. Lui aveva sempre e solo voluto il bene per il suo bambino! Non gli aveva mai fatto mancare niente e la sola idea di perderlo, gli straziava il cuore.

Spalancò la vetrina, afferrando la prima bottiglia di scotch che vide.

Quando aveva perso Claudia, Stiles ne era uscito distrutto, ma alla fine era stato devastato anche da lui stesso. Lui che era troppo occupato a bere per potersi accorgere di un dolore che non fosse il proprio.

Afferrò un bicchiere e lo strinse forte tra le dita.

Non avrebbe mai più commesso un errore del genere. Non avrebbe mai più messo il proprio dolore davanti a quello del figlio. Era una sofferenza accorgersi che la realtà di Stiles, per quanto provasse a convincersene, era finita. Era terminata in un loop temporale eterno. Vedeva la sua vita passargli tra le mani senza neanche che questo se ne accorgesse.

Tirò indietro una sedia dal tavolo e vi si lasciò cadere sopra pesantemente. Stappò la bottiglia, fermandosi poco prima che quel liquido cadesse nel bicchiere.

Quello era suo figlio. Lui conosceva suo figlio: se avesse dovuto scoprire la verità, ne sarebbe uscito distrutto. Di nuovo. Gli altri non sapevano, non erano stati presenti durante le visite in ospedale per Claudia, non erano stati presenti al suo funerale, né quando le lacrime di Stiles si erano tramutate in sarcasmo pungente. Non c’erano stati durante le notti segnate dagli incubi del figlio, non vivevano in casa con loro e non potevano vedere la disperazione del ragazzo e l’obbiettivo che si era prefissato di prendersi cura di lui. Stiles non avrebbe mai sopportato di essere un peso, piuttosto si sarebbe lasciato morire. L’unica cosa che desiderava era allontanare ogni dolore e fonte di tristezza da suo figlio. Risparmiargli l’ennesimo dolore. Si ripeteva che non sapeva se Stiles sarebbe sopravvissuto anche a quello, ma la verità era che non credeva che lui sarebbe stato capace di vivere in un mondo senza Claudia e Stiles.
Aveva già perso sua moglie, senza poter fare niente. Non avrebbe permesso che succedesse la stessa cosa anche a Stiles. Non avrebbe permesso a nessuno di far del male al suo bambino.

Bastò un lieve movimento del polso ed il liquido riempì il bicchiere. Il primo di una lunga serie. 





Note dell'autrice. 
E... ciao! Ecco il terzo capitolo. Finalmente tutto diventa più chiaro. Abbiamo visto cosa comporta effettivamente la situazione di Stiles per tutti i suoi amici, ma soprattutto per lo sceriffo: un copione da ripetere ogni giorno. Cosa avreste fatto voi al posto dello sceriffo? Avreste deciso di proteggerlo così come sta facendo lui o in un altro modo?
E poi, ovviamente, sebbene non siano stati fatti nomi, abbiamo visto anche quel bellissimo dio greco *-* Spero siate riusciti a fare il collegamento... altrimenti immaginatevi un dio con i capelli neri ed è fatta!  
Grazie a chi ha messo la storia nelle preferite, ricordate e seguite. E grazie a DarkStar per aver recensito lo scorso capitolo ;) 
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


4°   3 Aprile 2017


Stiles aprì gli occhi di soprassalto, una strana sensazione all’altezza dello stomaco. Molte volte nella sua vita gli era capitato di svegliarsi nel bel mezzo della notte con la paura di essere in ritardo per la scuola o per una visita importante. E altrettante volte, con il cuore più sollevato, si era accorto che in realtà era piena notte, beandosi della sensazione di avere ancora diverse ore per dormire e tornando tra le calde e soffici coperte. Ecco, era quella sensazione che lo aveva svegliato e il ragazzo stava già per girarsi dall’altra parte, dando le spalle alla luce della finestra. Si mise a sedere di scatto, il sonno lasciato alle spalle, quando realizzò che fosse giorno. Afferrò svelto il cellulare di fianco al letto, rischiando di cadere sul pavimento, e quando ebbe acceso la schermata, l’imponente figura delle otto e trenta fece bella mostra di sé.

Nel tentativo di alzarsi, inciampò nelle coperte e cadde a terra, ma si rimise svelto in piedi afferrando il primo paio di pantaloni trovati in giro. Rischiò di rompersi l’osso del collo un paio di volte mentre saltellava per infilare una gamba, con la testa impigliata nella maglietta.
Una volta riemerso dal mare di vestiti afferrò a due mani il bordo del jeans e li tirò su senza troppo cerimonie, poi afferrò lo zaino e lo aprì, mentre con un braccio fece scivolare dentro tutto ciò che ricopriva la scrivania in quel momento.
Si lanciò verso la porta della camera, per rientrare due secondi dopo e infilarsi svelto un paio di scarpe da ginnastica. Mentre scendeva trafelato le scale e malediva il fiatone già di prima mattina, si guardò intorno, cercando la figura del padre, che non trovò. Si affacciò in cucina solo con la testa e ugualmente in salotto: era solo.

Appena sveglio non si era accorto di non essere stato svegliato dal genitore, troppo occupato a prepararsi in fretta, ma mentre accendeva la Jeep iniziò a preoccuparsi. Era raro che il padre uscisse di casa senza prima avvisarlo, anche con un semplice biglietto. L’auto di ordinanza non si trovava nel vialetto e questo voleva dire solo che fosse dovuto correre via, ma Stiles non riusciva ad impedirsi di preoccuparsi.
Mandò veloce un messaggio a Scott, informandolo che si era svegliato tardi, e subito dopo chiamò la centrale, maledicendo l’odio del genitore verso la tecnologia, ma volendosi accertare delle sue condizioni. Gli rispose una voce femminile, che non riconobbe, probabilmente una nuova recluta, e che non seppe rispondergli, riferendogli che lo sceriffo non si trovava in ufficio. Mancavano ancora un paio di minuti prima di arrivare a scuola, così chiamò l’unica altra persona in grado di sapere dove fosse suo padre. Del resto, se era dovuto correre via per un caso importante, non sarebbe andato in ufficio.  

“Sì? Pronto, Melissa? Ciao, scusa il disturbo, ma mio padre è lì con te?”

Ciao, Stiles… sì, è qui. È qui con me.”

Il ragazzo si lasci andare ad un sospiro di sollievo. “Oh grazie al cielo. Ho sperato non si trovasse sulla scena del crimine.”

Sulla scena del crimine?”

“Beh, sì. Non si trova in ospedale per la vittima? Il caso per cui è dovuto scappare via…” Seguirono pochi secondi di silenzio, ma furono abbastanza per allarmare il ragazzo. “Melissa…” , ma fu prontamente interrotto dalla voce della donna. “Oh, sì, certo. La vittima. Sì, è… è qui per quello. Niente di grave. Nulla di cui preoccuparsi.”

“Mmh, ok. È lì con te? Posso parlargli?” domandò, mentre effettuava le manovre di parcheggio, ma “No! Non può parlare adesso. È molto impegnato, sta interrogando la… vittima. Non preoccuparti. Piuttosto, tu non dovresti essere a scuola?”

Chiusa la portiera dell’auto, Stiles si stava dirigendo verso l’entrata di corsa. “Cosa? Ah, sì. È che non mi sono svegliato. Di solito mi chiama papà. Comunque ci sono.” La informò, subito dopo aver spinto le porte e aver fatto il suo ingresso in un corridoio vuoto. “Vado. Grazie, Melissa!”

 
***
 

“Ciao, Stiles.” mormorò Melissa prima di chiudere. Appena messo il cellulare in tasca, si girò verso lo sceriffo, guardandolo con rimprovero.
L’uomo era seduto di lato sul lettino, nella stessa identica posizione in cui lei lo aveva trovato la donna un’ora prima. Teneva lo sguardo puntato sul pavimento e le spalle basse, stanco.

 
‘Lo abbiamo trovato in un parcheggio deserto… Abbiamo pensato fosse meglio portarlo qui.’ Le avevano detto poco prima di lasciarle uno sceriffo decisamente reduce da sbronza. L’uomo aveva inveito contro i suoi agenti nel lasso di tempo che era servito agli infermieri per portarlo in una stanza quella mattina presto.
 

“Noah…”

“Non ne voglio parlare.” sussurrò, però, quello, interrompendola.

“Perché?” gli chiese lei, ignorandolo. “Perché ci sei ricaduto? Avevi fatto tanto. L’avevi fatto per Stiles…” continuò poggiandoli una mano su una spalla, ma l’altro alzò così di scatto la testa, che lei fu costretta ad indietreggiare per la sorpresa.

“Credi non lo sappia?! Che non mi vergogni?”, ma Melissa scosse la testa, riavvicinandosi. “Non sto dicendo questo.”

“Oh, io credo proprio di sì, invece. Mi guardi come fai con i tossici appena investiti. Ti faccio pena e mi giudichi. Io lo so cosa pensi: io sono l’uomo debole, il padre assente… MA IO SO COSA È BENE PER MIO FIGLIO! A nessuno, a nessuno importa di lui!” urlò arrabbiato, fregandosene se qualcuno lo avesse sentito. Tanto, ormai sarebbe stato solo uno dei tanti nomi da aggiungere alla lista: lo sceriffo pazzo.

Melissa, contrariamente a quanto aveva ipotizzato lo sceriffo, lo guardò con uno sguardo carico quasi della stessa rabbia repressa dell’uomo che aveva di fronte. “A me. A me importa di Stiles. L’ho cresciuto come un figlio, al meglio che potessi. Per Claudia, per te, ma soprattutto per lui. Perché allora suo padre era troppo occupato ad ubriacarsi e a spendere lo stipendio dietro all’ennesima bottiglia.” Lo sceriffo sbuffò risentito, volgendo la testa di lato a quelle parole. “Ma poi suo padre ha capito e ha iniziato ad affrontare il problema seriamente, diventando un genitore sempre presente, pronto a fare di tutto per suo figlio.” continuò poi più dolcemente Melissa. “Noah, sei un padre fantastico e nessuno mette in dubbio che tu voglia solo il meglio per Stiles, ma devi capire, così come allora,” gli disse, mettendogli le mani sulle spalle e facendolo voltare verso di lei, abbassandosi quel poco per essere alla medesima altezza “… che non sei solo. Non lo eri quando Claudia vi ha lasciato e non lo sei adesso. Ora meno che mai.”

L’uomo si lasciò andare ad un sospiro stanco, prima di iniziare a scuotere la testa. “Tu non capisci…”, ma l’infermiera lo bloccò sul nascere, raddrizzandosi e attirando così la sua attenzione. Il suo sguardo era deciso e lo sceriffo desiderò così ardentemente quella decisione nella sua vita.

“No. Io capisco benissimo. So come ti senti, perché lo provo tutti i giorni con Scott. Ogni giorno ringrazio il Signore che sia salvo, che stia bene e spero che il suo unico problema per quel giorno sia quale maglia indossare. Muoio dentro ogni volta che un qualche problema spunta fuori e dio, tu non hai idea di quante volte abbia visto su mio figlio ferite che un qualsiasi medico reputerebbe mortali. E diavolo, io non sarò un medico, ma credo di averne viste abbastanza.” esclamò, lasciandosi andare ad una risata nervosa verso la fine. “È come se dimenticassi che lui possa guarire. Ogni volta vedo mio figlio salutare la morte come se ormai fosse abituato e dannazione, è solo un adolescente! Io ho cercato di fare tutto il possibile per lui e provo ancora a dare il massimo, ma a volte posso solo sperare che quello che gli ho insegnato sia abbastanza e che quello che lui ha imparato con le sue gambe sia sufficiente. Quindi non puoi dirmi che non capisco!”

Una lacrima era sfuggita al suo controllo e mentre se l’asciugava rapidamente, lo sceriffo vide per la prima volta quanto fosse simile al suo il peso che quella donna, la sua più cara amica, portava su di sé.

“Mi dispiace. Hai ragione, io…”

“Lo so. Lo so che ho ragione e che non era tua intenzione, ma l’hai detto. Dicendoti questo non voglio mortificarti, ma farti capire che così come non ti sei accorto di star ferendo me, potresti non esserti reso conto di aver ferito loro.” gli spiegò, facendo un passo avanti. “Hai allontanato tutte le persone vicine a Stiles in un inconscio tentativo di proteggerti. Tu pensi di starlo aiutando, tu pensi che se scoprisse la verità, tutto cadrebbe in pezzi. Ma l’unica cosa che andrebbe in frantumi sarebbe questa fantasia, il mondo perfetto che hai creato, non Stiles.” aggiunse poco più forte di un sussurro, inginocchiandosi e prendendo le sue mani tra le proprie. “Noah, devi capire e accettare che la vita di Stiles è irrimediabilmente-”

“Non lo dire.” La supplicò con un mormorio l’uomo, ma Melissa scosse la testa.

“È irrimediabilmente cambiata. Non sarà mai più la stessa, ma ciò non vuol dire che non possa essere ugualmente… bella.” terminò testarda, guardandolo dal basso con gli occhi pieni di speranza. 

Lo sceriffo, che aveva tenuto il capo chino per tutto il discorso, ormai sconfitto, alzò impercettibilmente la testa, bloccando i suoi occhi in quelli di Melissa che lo guardava con un timido sorriso.

“Stiles è molto più forte di quello che pensi. E molto intelligente. Cosa gli dirai quando sarà sabato o domenica e lui crederà che lo aspetti un giorno della settimana?”

L’uomo sospirò. Purtroppo quelle erano cose a cui aveva già pensato. “Che la scuola è chiusa per un qualunque motivo: una disinfestazione, una trave caduta.”, ma Melissa scosse di nuovo il capo con un sorriso triste. “E cosa gli dirai invece quando si vedrà più grande? Quando i programmi scolastici saranno troppo avanti per la sua classe o vedrà una foto di istituto, una partita. Non è detto neanche che gli altri riescano a mantenere il segreto: una parola, un riferimento, un ricordo può sempre sfuggire, Noah. Cosa gli dirai quando tutto il suo mondo crollerà e tu non sarai con lui quando questo accadrà?”

“Io…”

“Non voglio credere che tu aspetterai il giorno dopo, illudendoti di poter eliminare quel particolare traditore. Non voglio credere ad una cosa del genere.” rivelò alzandosi, quasi temendo di udire quelle parole. “Adesso riposati.” gli raccomandò, già pronta a chiudersi la porta dietro di sé. Quando l’uomo acconsentì e si stese, la luce ora spenta, abbassò la maniglia tirandola verso di sé per lasciare la giusta privacy all’uomo, ma questo la richiamò appena in tempo.

“Melissa…”

“Non dirò nulla a Stiles, puoi stare tranquillo.” lo rassicurò, e lo sceriffo fu certo di aver sentito una nota di rimprovero, come quelle che Claudia rivolgeva a Stiles quando faceva qualche danno involontariamente.  
 
 
***

 
Stiles stava correndo nel tentativo di entrare in orario almeno in seconda ora. Il rumore delle sue scarpe sul pavimento e il suo fiatone erano gli unici suoni presenti. Svoltò a sinistra, pronto a lanciarsi in segreteria per il permesso, ma fu bloccato prima. Una donna, spuntata dal nulla, lo aveva afferrato per le spalle per impedirgli di cadere una volta avvenuto lo scontro.

“Oh, mi… mi scusi.” le disse alzando le mani “Devo andare in classe e… sono in ritardo.”

La donna, che Stiles non aveva mai visto, lo squadrò ancora scossa dallo scontro, ma senza farsi da parte, cosa che turbò il ragazzo. “L’orario per entrare era un’ora fa.” lo informò come se fosse un esterno e non uno studente. Stiles la guardò negli occhi per la prima volta da quando le aveva sbattuto contro. “Lo so. È che la sveglia non ha suonato e ho fatto più in fretta che ho potuto. Io devo andare in classe.” snocciolò, già prossimo a recarsi in segreteria, ma “Posso sapere il suo nome?” gli domandò invece la donna, quasi il ragazzo non avesse parlato.

Stiles la guardò stranulato. “Non capisco. Non è mai stato un problema e poi io non l’ho mai vista. Chi è lei?” indagò. Conosceva tutti i professori di quella scuola ed era piuttosto sicuro di non aver mai visto una donna dai capelli neri.

“Sono la professoressa Blake.” rispose interdetta lei, sorprendendo il ragazzo. Possibile che avessero assunto un nuovo docente nel giro di una giornata?  Il castano ingoiò a vuoto, prima di decidere che fare ciò che gli dicesse la professoressa fosse la cosa migliore per evitare di peggiorare la situazione. “Stiles Stilinski.”

Dire che non si fosse aspettato niente sarebbe stata una bugia. Molti professori, prima di rinunciare a chiamarlo con il suo reale nome, erano rimasti interdetti -tranne Harris. Harris al suo sereno ‘può chiamarmi Stiles.’ l’aveva guardato con aria di sufficienza e ‘Stilinski, interrogato.’ era stata l’unica cosa che aveva detto-. Ugualmente, però, altri avevano mostrato solo visi confusi, mentre adesso la nuova professoressa lo stava guardando quasi spaventata. La donna si aprì in un sorriso tirato, palesemente finto e annuì tra sé e sé.

Oh, certo Stiles Stilinski. Lei non mi conosce, sono la nuova professoressa.” si presentò, mal celando la sua agitazione; si arrischiò addirittura ad allungare una mano. Stiles la guardò come se fosse pazza, ma ricambiò la stretta, portando subito dopo l’arto a sistemare meglio lo zaino in spalla. “Io… dovrei andare.”

La donna si riscosse e annuì, snocciolando una sequenza di ‘ma certo’, ma prima che il ragazzo potesse aggirarla, lo trattenne per un braccio.  
“Prima… prima che tu vada…” lasciò cadere la frase nel silenzio, tanto che Stiles la incoraggiò con lo sguardo, iniziando a sentirsi a disagio per la strana situazione in cui si era ritrovato. “Ecco, ci sono stati dei cambiamenti.” iniziò non riuscendo a guardarlo negli occhi “Qualunque cosa tu pensavi di fare oggi non si farà. È una nuova… normativa.”

Il ragazzo la guardò dubbioso, ma sussurrò un ‘Oh, ok.’, desiderando solo di andarsene e liberandosi lentamente dalla presa della donna. Fortunatamente quella gli rivolse un sorriso assente, lasciandolo fare. Stiles si girò un paio di volte per accertarsi che non si fosse immaginato tutto, ma la professoressa era ancora lì immobile a rivolgerli quel sorriso di circostanza. In quell’istante suonò la campanella e decine di studenti si immisero in corridoio, ma prima che il chiacchiericcio potesse aumentare ulteriormente, la Blake gli urlò: “Mi occuperò io del suo permesso, signor Stilinski.”   


***
 

“Dio, Scott, non puoi capire cosa mi è successo!”

 
Il moro chiuse l’armadietto e gli rivolse uno sguardo confuso. “Una donna, una professoressa, la… Blake, forse? Mi ha fermato in mezzo al corridoio e mi ha chiesto il nome, parlando di orari, entrare e vallo a capire. Poi, quando ha saputo il mio nome si è trasformata!”

Scott quasi non si strozzò con la propria saliva. “Si è trasformata?”

Al che Stiles annuì, infervorato, mentre sbatteva l’anta dopo aver preso i dovuti libri. “Sì. Ti dico che è diventata subito gentile e mi ha detto che le lezioni erano cambiate, possibile?” gli domandò dubbioso. Il ragazzo era tanto occupato a raccontare cosa gli fosse accaduto che non si accorse del sospiro di sollievo che trasse l’amico.

“Sì, i programmi scolastici sono stati rivisti. Una nuova idea del preside.” spiegò, mentre si dirigevano verso l’aula. Stiles però si voltò verso di lui, assumendo un’aria confusa. “Lei aveva parlato di una nuova normativa. Certo, non sembrava molto in sé, però...”

“Ah sì, forse. Oh, guarda: c’è Isaac! Andiamo?”

Il giovane Stilinski alzò un sopracciglio. Persino un cieco si sarebbe accorto che il ragazzo aveva cercato di sviare l’argomento. E sempre un cieco avrebbe potuto notare quella particolare espressione, così estranea al ragazzo, ma così comune in qualcun altro di loro conoscenza.

“Ehi, ragazzi.” li salutò il riccio, presto affiancato da Erica. “Pronti per chimica?” domandò la bionda, afferrandoli a braccetto e trascinandoli dentro pimpante.
 
 
***
 

Stiles stava vagando per il corridoio. Aveva un’ora libera in assenza di un professore e ne aveva approfittato per schiarirsi un po’ le idee. Da quella mattina erano successe diverse nuove stranezze: si era trovato nello stesso corridoio della Blake e la donna aveva provato a parlargli, ma era stata intercettata prima dal preside della scuola, che l’aveva condotta via. E quell’uomo non usciva mai dal suo ufficio! Stiles e gli altri ne conoscevano l’aspetto solo per il verificarsi di un allarme chimico avvenuto il loro primo anno.
Un gruppetto di cheerleader, poi, aveva preso a bisbigliare nel momento esatto in cui lui era passato, mettendolo a disagio e tastarsi, alla ricerca di un qualche biglietto cretino attaccato sulla schiena. E come se non bastasse il coach aveva deciso di cambiare gli schemi su cui lavoravano da settimane dall’oggi al domani.

La sua intenzione, ora, era quella di dirigersi in bagno per darsi una rinfrescata, ma quando vide il suo migliore amico e Isaac uscire da una delle aule, decise di andargli incontro. E l’avrebbe fatto se Erica e Boyd non si fossero aggiunti ai due ragazzi, seguiti poco dopo da Lydia e una ragazza dai tratti asiatici che Stiles non aveva mai visto. L’istinto lo portò ad indietreggiare e a nascondersi, capendo che quello non fosse un incontro casuale, ma una vera e propria riunione premeditata, quando arrivata anche Allison il gruppo uscì in cortile.
Stiles sapeva che era sbagliato, che non avrebbe dovuto seguirli -perché non li stava spiando; stava semplicemente passeggiando a portata d’orecchio-, ma quelli erano i suoi amici e neanche loro avrebbero dovuto tenerlo all’oscuro di qualsiasi cosa avessero intenzione di fare. Li seguì, quindi, utilizzando gli armadietti e le porte aperte del corridoio per non essere visto, finché, una volta fuori, non li vide raggiungere un’auto nera. Appoggiato al veicolo c’era il ragazzo più sexy che Stiles avesse mai visto, inquietante, certo, ma sexy. Indossava un paio di occhiali da sole e una giacca di pelle, nera come tutti i suoi abiti.

Si avvicinò abbastanza da poter udire quanto i suoi amici stavano dicendo, ma non troppo da poter essere visto. Inclinò stupidamente la testa di lato, come se in questa maniera potesse capire meglio.
 
“Dobbiamo trovare una soluzione.” stava dicendo Lydia. “E non è questa.” precisò Scott. Le parole che seguirono gli arrivarono ovattate e Stiles si ritrovò a maledire la voce bassa di Allison, senza parlare di quella della ragazza sconosciuta. Fu, invece, particolarmente orgoglioso di Erica che sembrò lanciare una frecciatina al bel ragazzo tenebroso, come Stiles lo aveva soprannominato. “Come se tu non ti appostassi tutte le notti sotto casa sua…”

Stiles si rialzò, dalla posizione accucciata che aveva assunto. Uno stalker? Pazienza, se avesse stalkerato lui, gli sarebbe andata molto più che bene, pensò squadrando il ragazzo.
“Questa storia deve finire. Volente o nolente, devo almeno poterlo vedere!” disse quello e Stiles pensò che fosse ingiusto che avesse anche una voce così!

“Ma non è questo il modo! Dio, lo vuoi capire che la prossima volta probabilmente ti sparerà?”

Ti sparerà?! Ma che diavolo...?

“Ci stiamo provando tutti. Troveremo una soluzione, te lo prometto.” Provò a rassicurarlo Scott, allungando una mano per posargliela sul braccio, ma questo scosse la testa rabbioso e aprì la portiera dell’auto. “Non me ne faccio niente delle tue promesse! Me la vedrò da me.”

Al rumore del metallo su metallo, Scott e Boyd provarono ad intervenire per cercare di calmarlo, ma rinunciarono presto, sconfitti, indietreggiando e lasciandogli libero il passaggio. Isaac provò ad avvicinarsi, ma l’auto ruggì, messa in moto, costringendo così il ragazzo a fare un passo indietro. In quelle condizioni persino Stiles dalla sua postazione sospettava che il moro non avrebbe esitato a mettere sotto qualcuno pur di andarsene di là.  

“Per favore, non agire di istinto.” gli urlò dietro Lydia. “Derek!”

Derek, si ripeté Stiles in mente, mentre guardava l’auto sfrecciare via. Si voltò, rientrando giusto in tempo per l’ora successiva. Nell’esatto momento in cui vide il suo migliore amico rientrare e venire verso di lui con un sorriso, tutta la precedente conversazione cancellata, Stiles decise che avrebbe fatto finta di niente, indagando il giorno dopo. 






Note dell'autrice.
Ed eccoci qua. Ok, premetto che la parte che amo di più e quella che è il reale fulcro del capitolo è la conversazione tra Melissa e lo sceriffo (adoro le parti introspettive *-*); pertanto mi scuso se le restanti parti possono essere sembrate trascurate o altro. 
Melissa cerca di far rinsavire lo sceriffo e Derek sta iniziando a perdere la pazienza, ma se c'è una cosa certa è che in qualunque occasione, a Stiles non è così indifferente il nostro sourwolf. Povero il nostro piccolo che pensa di avere giorni a disposizione per indagare :( 
Beh, fatemi sapere cosa ve ne pare ;) 
Al prossimo aggiornamento!

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


5°   3 Aprile 2017



“Nonono, avanti Roscoe. Su, piccola mia, non puoi abbandonarmi così…”

Lo sapeva, Scott una volta gli aveva detto: ‘Le cose non possono andare sempre male, prima o poi si bilanciano’, viceversa se tutto va sempre bene. Ed era quello che era appena successo a lui quella mattina. Ancora non ci credeva che al posto del consueto urlo, il genitore lo avesse svegliato con la colazione già pronta. Questo era stato il suo ‘cose belle’, non molte effettivamente, ma lui doveva far eccezione -ovviamente- perché i casini erano già arrivati: Roscoe si rifiutava di partire e la scuola non avrebbe aspettato lui.

Stiles sbuffò dal naso e tirò un pugno al volante. Neanche a farlo apposta il clacson suonò, prendendolo alla sprovvista e facendolo sbattere contro il tettuccio dell’auto. Subito seguì il dolore alla mano e lui iniziò a borbottare una sequenza di imprecazioni mentre si massaggiava l’arto dolorante.

“Serve una mano?”

Troppo distratto a vedere impotente la sua mattinata andare a rotoli, Stiles non si era accorto della presenza divertita di fianco alla sua Jeep, che -casualità- lo fece saltare con un urlo decisamente poco virile, facendolo cozzare con la testa contro l’auto, di nuovo. Ancora intento a massaggiarsi il capo, aprì la portiera, ma non prima di aver afferrato l’immancabile nastro adesivo.

“Ma è modo di spaventare la gente così? Avrei potuto morire di infarto! Dovrebbe vergognarsi di spaventare un povero ragazzo indife…” partito come un degno discorso, pian piano che il ragazzo metteva a fuoco la figura del nuovo arrivato, le parole gli morirono in bocca. “… indifeso.”

Quello lo guardò confuso, mal celando il divertimento che spillava dai suoi occhi. “L’avrò chiamata non meno di un paio di volte.”

“Oh.” fu tutto ciò che il più giovane riuscì a dire, prima di scuotere la testa e riprendersi “E comunque dammi del tu, amico. Che sono, una nonna indifesa?”

A quelle parole l’altro fece per aprire la bocca, ma fu bloccato prima che riuscisse a proferire parola. “Non rispondere. Ti prego.” lo supplicò imbarazzato Stiles, che aveva realizzato solo dopo averlo detto che lui stesso si era definito indifeso. L’uomo sorrise divertito e quella era forse la cosa più bella che il più piccolo avesse mai visto.

“Allora, ti serve una mano con quella?” riprovò, indicando il cofano ora aperto della Jeep.

“Nah, ce la faccio. Ha solo… bisogno di…” Stiles doveva star dando davvero un bello spettacolo, piegato con quasi tutto il busto verso il motore, mentre cercava di improvvisarsi meccanico -ma ehi, la sua bimba non si era mai lamentata-, perché quando si voltò, l’altro lo stava guardando con uno sguardo predatorio. Arrossì, tirandosi immediatamente su, ma non aveva fatto i conti con il cofano che sembrava averlo aspettato a braccia aperte.

“Ma che diamine-” borbottò massaggiandosi poco sopra la nuca. Ok che poteva sembrare divertente, ma tanto da ridere come l’uomo di fronte a lui era esagerato. No? “Mi fa piacere che almeno qualcuno si diverta delle mie disgrazie.” borbottò, non sapendo chi guardare male tra l’auto e il ragazzo moro. Quello smise di ridere e gli si avvicinò, provocandogli un brivido d’aspettativa -di cosa, non lo sapeva neanche lui-.

“Sono ben altre le disgrazie della vita.”

Stiles deglutì. Il suo tono era stato così sincero e triste che si sentì in dovere di scusarsi, ma l’altro dovette capirlo perché minimizzò con la mano, avvicinandosi poi fino a stringere il metallo dell’auto. “Bene.”

“Bene.” ripeté il più piccolo. Dall’alto della sua fortuna, non si sarebbe mai azzardato a sperare che un principe vestito di nero sarebbe giunto a salvarlo da una puffo Jeep, come si divertiva a chiamarla Erica. Figurarsi che sarebbe stato in grado di aggiustare la sua bambina.

“È semplice: l’unica cosa che devi fare… è lasciarla al primo sfasciacarrozze che vedi.”

Ecco, appunto. La sua fortuna.

“Ah-ah, spiritoso.” gli rispose lui, scostandolo dall’auto. “La mia bambina non si tocca. E se non puoi aiutarmi ti pregherei di levare le tende, ragazzo inquietante che non conosco.”

“Ma tu mi conosci.” rimbeccò l’altro e allo sguardo confuso di Stiles si spiegò meglio “Mi hai già visto… nei tuoi sogni.” concluse con uno sorriso sghembo.

“O mio dio…” gemette Stiles passandosi una mano sugli occhi, incredulo. “Ma perché tutte a me?! Non bastava che Roscoe si fosse rotta, oh no! Ci mancava l’inquietante e psicopatico ragazzo apparso dai boschi!”

A quelle parole il ghigno sul viso del moro sparì, sostituito dalla linea dura delle labbra. Il cambio era stato così repentino che Stiles pensò di aver esagerato, ma quello lo guardò attentamente, prima di chiedergli: “Come fai a sapere che vengo dal bosco?”

Il giovane Stilinski davvero non capiva come fosse possibile che l’altro fosse in grado di cambiare emozioni così dal nulla… e per motivi del tutto inutili! Si voltò scocciato, sperando che appiccicare un po’ di scoth a caso riuscisse a risvegliare la sua bambina. Bofonchiò solo una frase, una piccola e apparentemente insignificante frase, che però fece gelare il sangue al ragazzo dietro di lui. “Che vuol dire come faccio a saperlo? Tu vieni sempre dal bosco, Sourwolf!”

Passarono una manciata di secondi di puro silenzio che costrinsero il ragazzo a voltarsi per accertarsi che l’altro fosse ancora dietro di lui. Lo guardò, non capendo cosa lo avesse ridotto in quello stato, ma dopo quella che gli sembrò un’eternità, si decise a parlare. Balbettare più che altro, lo corresse la sua mente.

“Cosa… cosa hai detto?”

Ok. Ricapitolando: era un ragazzo del tutto inutile, rideva di lui, non lo conosceva né si erano mai visti ed era anche sordo. E sexy, ma quella era un’altra storia. “Amico, sicuro di star bene? Non è che sei scappato da qualche ospedale o che so io… ?” gli domandò, lanciando occhiate in giro come se si aspettasse che da un momento all’altro sarebbe spuntato un branco di infermieri con del sedativo. 

Il moro scosse la testa, quasi in trance. “No, no. Io… tu prima hai… prima…”

Gli fece quasi pena, così provò a venirgli incontro, avvicinandoglisi un po’, ma sempre a distanza di sicurezza, perché l’idea dell’ospedale non sembrava così assurda adesso. “Quello che ho detto prima?” e quello annuì. “Oh, ok. Amico mi dispiace se ti ho turbato o… o se ti sei sentito offeso. Cioè inquietante lo sei, eh, ma psicopatico è un modo di dire… credo.”

“No. Hai detto che… che vengo sempre dai-”

“Oooh, quello.” esclamò Stiles, grattandosi la nuca imbarazzato. “No, guarda dimenticalo. Non so neanche io perché l’ho detto, sinceramente.” Spiegò dubbioso, prima di tornare dalla sua bambina. O almeno ci provò, perché fu bloccato prima dalla mano del moro che si serrò attorno al suo polso. Assurdamente, invece che spaventarsi del gesto, si ritrovò a pensare quando l’altro si fosse avvicinato così tanto.

“Aspetta! Mi hai… tu mi hai chiamato sourwolf.”

La luce disperata negli occhi dell’altro non lo allarmarono come avrebbe dovuto, ma lo spinse, invece, a muoversi più lentamente e ad assumere un tono di voce più dolce e rassicurante. “Amico, non lo so perché ti ho chiamato in quel modo. Forse lo avrò sentito da qualche parte, ma veramente non ne ho idea. Mi dispiace.”

Quelle scuse, sebbene non servissero, Stiles le sentì, le sentì veramente. E parve capirle anche il ragazzo di fronte a lui, perché annuì titubante, allentando la presa quanto bastò al più piccolo per sfilarsi con una dolcezza inaspettata.  

“Mi dispiace… io non so cosa…” iniziò indietreggiando il moro, ma Stiles lo interruppe, alzando le mani e guardandolo con un sorriso che sperava fosse rassicurante. “Ehi, amico, è tutto ok. Nessun problema, davvero.”

“È che... un’altra persona mi chiamava così.”

Lo sguardo del castano scattò negli occhi dell’altro, occhi tristi. “Mi dispiace. Doveva essere una persona molto speciale.”

“Come fai a sapere che non lo è più?”

Sospirò, Stiles. “Perché hai lo stesso sguardo che ho io quando ricordo mia madre. E sono sicuro che siano ancora entrambe delle persone speciali. Solo perché non possiamo più vederle, non vuol dire che non ci sono vicino.” Si lasciò andare ad una risata nervosa, colma anche di tristezza “Scusa. È patetico lo so. Dimentic-”

“Non è patetico. Grazie.” lo interruppe, però.

Per qualche minuto regnò un silenzio imbarazzante. Nessuno dei due aveva il coraggio di parlare e alla fine a romperlo fu il moro con parole che più efficaci per svegliare il figlio dello sceriffo non ne esistevano. “Non stai facendo tardi?”
Lo Stilinski seguì il suo sguardo fino a posarlo sulla sua amata Jeep. La sua amata e rotta Jeep. “Dannazione! Me ne ero dimenticato!”

Il moro sbuffò dal naso. “Andiamo. Ti accompagno io.” , ma non riuscì a trattenersi allo sguardo sconvolto dell’altro. “Non mordo mica!”

Stiles, seppur titubante, gli si avvicinò. “Quindi… non sei scappato da nessun ospedale?”
L’altro alzò un sopracciglio e il più piccolo si sentì ridicolo per quell’ipotesi. Magari era scappato, ma molto più probabilmente da un’agenzia di modelli. “No, perché sarebbe mio dovere di cittadino riportarti da dove sei venuto per la sicurezza tua e di chi hai attorno.” snocciolò, anche se nel frattempo aveva chiuso il cofano e lanciato in auto il nastro adesivo.

“Se hai finito di ripetere le azioni del buon cittadino… la mia auto è parcheggiata qui vicino.”


***


“Stiles? Ehi amico, allora sei venuto! Ma come? Non ho visto la Jeep fuori.”

Stiles si voltò verso Scott che lo stava raggiungendo agli armadietti. Sperò che non si accorgesse del sorriso cretino che si era scoperto avere. Aveva provato a smettere di sorridere, ma poi si distraeva e tornava al punto di partenza.

“Ehi, Scottie. Roscoe questa mattina non partiva.” Non una bugia, ma neanche una risposta. Non sapeva perché, non ne aveva la più pallida idea, ma non voleva che l’amico sapesse come fosse arrivato, ma principalmente con chi. Era ridicolo, ma più ci pensava, più si convinceva di essere geloso di quei pochi minuti passati in compagnia dell’altro. Sorrise al ricordo.

 

Ma cosa gli aveva detto la testa per farlo salire in macchina con uno sconosciuto?! Possibile che bastavano un paio di muscoli -e che muscoli- per farlo capitolare così? E se fosse stato davvero uno psicopatico? Del resto non aveva negato, aveva solo alzato quel suo sopracciglio così espressivo.
Ma questa non è la strada per la scuola… oddio! Lo sapevo. Adesso mi porterà in un vicolo e mi scuoierà vivo come ha fatto con le sue vitti- tò, ma guarda! La scuola. Non sapevo ci fosse una scorciatoia.

“La smetti?” esplose il suo improvvisato autista. Sobbalzò, temendo che l’altro gli avesse letto nel pensiero. Si diede del cretino subito dopo per aver pensato una cosa del genere. Nel dubbio: mentire fino alla fine! “Di fare cosa?”

“Di pensare.” grugnì l’altro, incurante del cuore di Stiles, che aveva preso a battere freneticamente.

“Che… che intendi?”

“Riesco a sentire il tuo cervello lavorare. Placati.” e lo guardò con due occhi penetranti, facendolo annuire diligentemente.

Nei minuti che seguirono Stiles provò a pensare il meno possibile, ma questo non gli impedì di lanciare veloci occhiate al ragazzo sedutogli affianco.
“Ti piace quello che vedi?”

Ok, era decisamente troppo. Il rossore che gli invase le guance fu una risposta più che sufficiente. “Vai o farai tardi.”

“Vai?” e il moro annuì divertito, indicando con il mento la scuola che Stiles non si era neanche accorto avessero raggiunto. “Oh, certo… la scuola. Beh, ehm… grazie del passaggio?”

“E lo chiedi a me?” domandò quello inarcando un sopracciglio.

“No! Cioè, grazie. Sul serio. È stato… gentile da parte tua. Non è da tutti accompagnare uno sconosciuto.”

“Sì, è stato gentile.” concordò, ma quando vide che il ragazzo non dava segni di voler uscire alzò entrambe le sopracciglia, invitandolo con lo sguardo. “Io non ho problemi, ma se vuoi divertirti io sceglierei un posto diverso dal parcheggio di una scuola.”

Stiles si riscosse e arrossì di nuovo quando realizzò le parole dell’altro. Capì che stava scherzando, tranquillizzandosi, quando notò il suo sguardo divertito. “Cosa?! Nono, non lo farei mai!” e all’aria fintamente delusa del moro, si affrettò ad aggiungere “Cioè, ovviamente che lo farei. Voglio dire: guardati! Ma ad ogni modo io mi sto rendendo ridicolo e dio, ti prego, dimentica quello che ho detto. Solo, lo farei ma anche no.”

La risata del ragazzo lo colse del tutto impreparato. “Tranquillo, ragazzino. Ci si vede in giro.”
Stiles annuì, muto. Non voleva ancora sostituire il suono di quella risata. Se avesse potuto avrebbe spento ogni rumore tranne quello.
Quando ormai era prossimo alle porte d’ingresso, si voltò e si sorprese di trovare l’auto ancora lì. Agitò una mano, salutando quell’insolito ragazzo dai capelli neri e le giacche di pelle. Lo vide indossare un paio di occhiali da sole e rivolgergli un ghigno, prima di sgommare via.


 
“Amico, tutto ok?” gli domandò Scott, preoccupato dall’aria assente dell’altro. Stiles rise, non riuscendo a non riportare il momento in cui aveva fatto la stessa domanda al moro. “Stiles, mi stai preoccupando.”, ma quello scosse la testa, con ancora strascichi di risa. “Niente, Scottie. Va tutto bene. La vita è bella e questa sarà una fantastica giornata.”
Il suo amico annuì stranito da quelle strane parole, ma felice di vedere il ragazzo così sorridente.
 






Note dell'autrice.
Salve a tutti con il quinto capitolo. Scusate: è un po' più corto del solito, ma per forza di trama si doveva fermare qui. 
Non sono riuscita a pubblicare questa mattina e lo faccio solo ora, ma è stata una giornata a dir poco orribile, ma non vi sto ad annoiare e spero vivamente che il 'primo' incontro effettivo tra Derek e Stiles vi sia piaciuto. 
Stiles che ha sporadici momenti in cui sembrerebbe ricordare... cosa vorrà dire? Segreto.
Come sempre, fatemi sapere cosa ne pensate ;) e coglo l'occasione per ringraziare chi ha recensito i vecchi capitoli e anche chi partecipa 'in silenzio'. 
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


6°   3 Aprile 2017



“È tutto chiaro, signor Stilinski?”

Signor Stilinski. Ormai la sua carica era stata surclassata dal suo nome; nulla di rilevante, in condizioni normali, ed era quello il problema. Noah sapeva che, nonostante sembrasse una semplice formalità, quel cambio lo aveva reso un semplice cittadino. Un semplice padre.
Annuì, stringendo la mano postagli solo per mera educazione e uscì di lì con passo malfermo. Come si faceva a trovare un rimedio a qualcosa che un rimedio non ha? Il suo pensiero andò per abitudine alla bottiglia di whisky nella credenza del salone: un sorso, piccolo, giusto per permettendogli di dimenticare almeno per un po’. La lucidità, se ne rendeva conto, lo stava pian piano abbandonando e c’era una sola persona in grado di sorreggerlo. “Pronto, Melissa?” 



“Piano, Noah. Finirai per strozzarti così. Respira e raccontami cos’è successo.”

L’uomo annuì, prendendosi il suo tempo per bere anche l’ultimo sorso d’acqua. Il rumore secco del bicchiere a contatto con il legno del tavolo fu accompagnato da un suo respiro pesante, necessario per infondergli coraggio. “Questa mattina, mi ha chiamato la scuola di Stiles.”
Melissa trattenne il fiato, ma non disse niente, lasciandolo continuare.
 
 

“Ah è qui! Bene, buongiorno sceriffo. Mi scusi per l’orario scomodo, ma questa è una questione che necessitava essere risolta al più presto.” asserì il dirigente scolastico del liceo di Beacon Hills. L’uomo gli aveva stretto la mano, invitandolo poi a sedersi prima di fare altrettanto e congiungere le mani sotto il mento. “Conosciamo le sue condizioni famigliari e le siamo ancora fortemente vicini; abbiamo rispettato il suo volere, coinvolgendo l’intero dipartimento, come lei sa.”

“E ve ne sono molto grato.” si intromise lo sceriffo, preoccupato dalle pieghe che il discorso stava prendendo. Non voleva che la scuola credesse che tutto gli fosse dovuto solo perché a capo dell’ordine della polizia e ci teneva che fosse ricordata la sua riconoscenza.

“Sì.” annuì l’altro, assumendo un tono imbarazzato prima di tornare alla normale freddezza. “Il fatto è, signor Stilinski, che è quasi un mese -venticinque giorni, per l’esattezza- che la scuola si fa carico di questo compito. E sicuramente altrettanto sarebbe andata avanti, se non fossero avvenuti degli episodi di non poca rilevanza.” gli annunciò, guardandolo attentamente negli occhi. Lo sceriffo rabbrividì a quel ‘signor Stilinski’. “Una nostra nuova docente, la professoressa Blake, era stata debitamente informata, ma durante uno scontro avvenuto un giorno in cui suo figlio era in ritardo… precisamente due giorni fa”, disse consultando distrattamente alcune carte; lo sceriffo si sentì sommerso dal senso di colpa, rammentandosi che l’unico motivo per cui quella mattina non aveva svegliato suo figlio era stato a causa della sua più grande debolezza “La professoressa, per semplici motivi di suddivisione oraria, non aveva mai avuto modo di incrociare il ragazzo e possiamo dire sia stato shoccante per entrambi. Vede, signor Stilinski, converrà con me che questa sia una situazione delicata e già la rottura di routine del ragazzo potrebbe risultare un problema e in precedenza le avrei suggerito un maggiore controllo, onde evitare inconvenienti. Ma, ” e fece una pausa “suo figlio non è stato l’unico danneggia-”

“Mi scusi.” Lo riprese lo sceriffo, innervositosi al termine usato. L’uomo di fronte a lui piegò la testa di lato in segno di scuse. “Mi perdoni, intendevo dire che le conseguenze non sono seguitate solo per il ragazzo: la professoressa Blake ne è uscita particolarmente… come dire… scossa. Ha provato a parlare con il ragazzo, signore Stilinski.” gli rivelò, lanciandogli un’occhiata eloquente.

“Mio figlio…?!”, ma l’uomo scosse la testa. “No. Siamo intervenuti in tempo. Io sono intervenuto. La professoressa ora è sicura, ma è proprio qui il problema.” precisò staccandosi dallo schienale di pelle e avvicinandosi a lui con il busto. “La scuola non ha intenzione di creare un probabile shock a suo figlio. Abbiamo consultato degli psicologi che hanno espresso la possibilità di una probabile reazione negativa da parte di suo figlio.”

“Ma…”

“Ciò che ne uscirebbe, potrebbe essere motivo di una causa, signor Stilinski, e l’istituto ha convenuto di voler prendere le distanze. Sa, i fondi scolastici…”

“Cosa?! Lei vuole stravolgere la vita di mio figlio per meri motivi economici! Non mi venga a parlare dell’interesse del mio ragazzo se nella stessa frase include cause e fondi economici!” esplose lo sceriffo, alzandosi così di scatto in piedi, che la piccola poltrona produsse uno spiacevole stridio sul pavimento. Il preside a quella reazione non aveva sbattuto ciglio, storcendo giusto il naso al pensiero del pavimento del suo ufficio rovinato.

“Signor Stilinski…”

“Sceriffo, per lei!”

L’uomo, che aveva tenuto lo sguardo sempre basso, lo alzò con aria di sfida. “La prego di comportarsi da persona matura, signor Stilinski.” rimarcò appositamente il nome, invitandolo con un gesto elegante delle mani a sedersi nuovamente. “Non è nell’intenzione della scuola, provocare problemi a lei e alla sua famiglia; non l’abbiamo supportata per nulla, in questi giorni difficili, ma perché ci sta a cuore la salute di ogni nostro studente. Ed è proprio per questo, per la salute mentale di Stiles, se abbiamo deciso sia ora di adoperare un nuovo percorso.”

“Ma quale?”

“Questo sta a lei, signor Stilinski.” Gli rispose con un sorriso e rivolgendo i palmi delle mani verso di lui. “Non vorrei dovermi ripetere, ma per sicurezza sarò più chiaro: la scuola non ha più intenzione di appoggiare la sua idea di fingere che non sia cambiato nulla; i professori non dovranno ricorrere a spiegazioni che ne minerebbero la credibilità, né gli studenti dovranno assecondare più questa realtà. Ovviamente per il ragazzo ci sarà sempre un particolare riguardo e un trattamento più specifico, come per i nostri ragazzi speciali.” chiarì, non dando particolare segno di aver notato la contrazione del viso dello sceriffo al nominare i ‘ragazzi speciali’.



“Mi dispiace così tanto, Noah, ma sapevi che questo giorno sarebbe arrivato un giorno o l’altro.” provò a rassicurarlo Melissa, stringendogli una spalla.

“Lo so, ma non pensavo così presto!” gemette quello, rivolgendosi allo sguardo consapevole della donna.

“Se non fosse stato oggi, sarebbe stato domani. Sapevamo che questa non era una soluzione, ma solo un’alternativa momentanea. È un mese, Noah. Tra poco sarebbero diventati due e poi tre e avresti dovuto trovare un motivo per spiegare a Stiles perché dall’oggi al domani interi programmati sono stati portati avanti, perché persone che non conosce gli parlano come amici o anche solo per quale motivo ci sono nuove matricole quando per lui sarà sempre…”

“… sempre quel dannato tre aprile. Lo so. È solo che finché tutto andava bene, era come se non fosse successo nulla. Come se fosse tutto ancora normale, che lui fosse ancora il mio Stiles.”

Melissa gli sorrise mestamente, andando in cucina a prendere il thè che aveva messo a fare. Gli versò una tazza fumante e tornò a sedersi, preparandosene una anche per sé e iniziando a sorseggiarla piano.

“Non voglio, Melissa, non voglio che Stiles soffra, che mi odi perché gli ho mentito fino ad oggi.” sussurrò, stringendo più forte la tazza che aveva tra le mani, lo sguardo perso fisso sul tavolo. Alzò gli occhi solo al movimento della donna che colse con la coda dell’occhio. “Noah, Stiles non potrebbe mai odiarti. Certo, sarà scosso, il suo intero mondo crollerà, ma non dubitare, neppure per un secondo, che ti odierà mai.”


***
 
 
“Scott.”

Un ringhio, basso, deciso. Il mannaro si fece subito attento, udendo la voce del suo Alpha. Acuì l’udito, riuscendo ad identificarlo nel parcheggio della scuola su cui dava la classe di biologia che stava frequentando.

“Questo pomeriggio, all’uscita di scuola, non avviserai il vicesceriffo Parrish degli spostamenti di Stiles.”

Scott sobbalzò, muovendosi a disagio sullo sgabello. Quello che Derek gli stava chiedendo non era cosa da poco; e per quanto ne sapeva, Derek non doveva neanche essere a conoscenza di quei piccoli controlli che effettuavano alle spalle di Stiles.

“Gli dirai che siete insieme. Per cosa, ci penserai tu.”

Isaac ed Erica, seduti qualche banco più avanti, aveva ascoltato tutto e si voltarono verso di lui curiosi. Scott, invece, era diviso in due: da una parte, il non voler deludere quello che per lui era stato come un padre, dall’altra il desiderio di aiutare il proprio Alpha e -ne era certo- anche Stiles. Lanciò un’occhiata ai due biondi, che gli fecero un cenno d’assenso con la testa, prima di tornare al loro progetto. Scott sospirò pesantemente. “Ok. Lo farò.” sussurrò, certo che il mannaro l’avrebbe sentito. Ma quando provò a verificare la posizione dell’uomo, non lo trovò più lì: Derek se ne era già andato, consapevole che il messicano non avrebbe disubbidito al suo ordine. Udì chiaramente le risatine dei due Beta davanti a lui.
 

***


Stiles, dopo aver salutato Scott, si diresse pimpante verso la sua Jeep. Stranamente era stata una giornata positiva e particolarmente soleggiata, notò quando fu costretto a coprirsi gli occhi dai raggi del sole con una mano. Occupato com’era a cercare di non diventare cieco, dato il sole che era decisamente un tantino troppo luminoso, andò a sbattere involontariamente contro un muro. Non ricordava ci fosse una parete lì e neanche che fosse così dura e deforme, pensò sentendo sotto la mano libera dei rigonfiamenti. Quando finalmente si decise ad abbassare la mano che fungeva da parasole, mise a fuoco una maglietta nera molto aderente. Nonostante avesse compreso che quello non fosse un muro, non si decideva ancora a togliere la mano da lì. Solo quando alzò lo sguardo e ne incontrò un altro, dai bellissimi occhi verdi, si accorse che quello che stava palpando con la mano altro non era che un pettorale, duro come la roccia, ma pur sempre un pettorale. E nonostante tutto, non riusciva a distogliere lo sguardo né ad allontanare la mano. Il dio, perché solo di dio si poteva parlare, alzò un sopracciglio e fece correre i suoi occhi da lui alla sua mano. Ebbe il tempo di farlo un paio di volte, prima che Stiles finalmente si risvegliasse e si allontanasse come scottato.   
 
“Ehi!”
Stiles impiegò un paio di secondi, si girò anche, prima di capire che a parlare era stato lui. Si portò le mani alla bocca per frenare eventuali prese di posizione della sua lingua, non approvate dal cervello, ma quando andò a ripensare a dove la sua mano era poggiata solo cinque secondi prima, le allontanò di scatto.
Nel mentre, e Stiles lo maledì per quello, il corpo del reato -in tutti i sensi- non aveva smesso di guardarlo dubbioso. Si sentì preso in giro, quando ebbe prese coraggio e lo guardò negli occhi, scorgendo un divertimento velato.

“Scu- scusa. Non mi ero reso conto…”

“Me ne sono accorto.”

Lo sguardo che il più piccolo gli lanciò era il massimo dell’indignazione. “Scusami tanto, eh, se ti sei piazzato qui dal nulla con il sole alle spalle. E poi perché di fianco alla mia bambina?!”

Il dio alzò un sopracciglio. “Questa cosa è tua?” disse indicando l’auto con il mento e Stiles pensò seriamente di odiare quella spocchiosa statua greca.

“Hai qualche problema, amico? Primo, quella cosa è la mia auto; secondo, non si insulta la mia auto; terzo, togliti da davanti che devo tornare a casa con la mia auto, che ripeto: non è una cosa con quel tono e quelle sopracciglia parlanti!” disse elencando con le dita della mano.

“Sopracciglia parlanti?” ripeté divertito. Il più piccolo gli lanciò l’ennesima occhiataccia, provando a scansarlo ed ad entrare nel veicolo, desiderando allontanarsi da lì e dimenticare quell’uomo che gli stava provocando reazioni contrastanti. O almeno quella era la sua idea, venne infatti bloccato nel suo intento da una mano che si poggiò fulminea sulla portiera, impedendogli di aprirla. “Non così in fretta. Questo catorcio oggi ha tagliato la strada a mia sorella, facendola sbattere contro un albero. I fari anteriori hanno rinvenuto dei danni e…”

“E aspetta aspetta aspetta!” lo interruppe il ragazzo, alzando le mani “Non mi pare di aver mandato fuori strada proprio nessuno. Anzi, la strada era anche particolarmente libera. E pure che fosse -e non è-, come avresti fatto tu -e non lei- a trovarmi?”

“Evidentemente la strada non doveva essere così libera;” ribatté facendogli il verso e ricevendo l’ennesimo sguardo di fuoco “e lei ha preso la targa, è così che ho trovato l’auto. Ti ha visto in faccia e un ragazzino non ha molta scelta di dove andare la mattina, mi pare.”

“Ehi! Non sono un ragazzino e ti ripeto che me ne sarei accorto se avessi creato un incidente! E poi non mi hai detto perché ci sei tu e non lei -sempre se quella esiste davvero.”

L’uomo gli lanciò un’occhiataccia, nel tentativo di nascondere la paura di essere scoperto: Stiles non aveva idea di quanto si fosse avvicinato alla realtà. “Siccome lei era occupata, ha mandato me a parlare con il pirata della strada che per poco non l’ha ammazzata.” Decise quindi di far leva sui sensi di colpa del più piccolo, e a quanto vide ci riuscì appieno.
Stiles sospirò, passandosi una mano sul viso, e sotterrando l’ascia di guerra. “Okok. Allora, cosa vuoi che faccia? Io… io non ho molti soldi…”

“Frena, ragazzino. Non ho intenzione di parlare di questo in un parcheggio di una scuola. C’è un bar, qui vicino.” propose, dirigendosi già dal lato del passeggero.

“Oh, sì. Beh, ok. Penso si possa fare, va bene. Ma… che stai facendo?” gli domandò quando lo vide entrare in auto. Entrare nella sua auto. Quello si allungò verso di lui, guardandolo con fare ovvio. “L’auto, che guidava mia sorella, era la mia.” Stiles annuì, distratto mentre entrava e si allacciava la cintura, dandosi dello stupido per non averci pensato prima e poi dandosi uno schiaffo mentale quando si rese conto che non c’era nulla di ovvio in quello e che il ragazzo al suo fianco lo aveva fatto sentire un cretino gratuitamente. Gli lanciò un’occhiata furtiva e lo vide a suo agio, spalle rilassate -molto più di come erano prima-, sguardo rilassato, senza quell’aria da spaccone che aveva tenuto prima e un braccio appoggiato al finestrino che penzolava fuori. Sentì per un momento la voce di sua nonna riprenderlo: ‘Tiralo dentro, che se passa una macchina te lo porta via, Stiles!’ e scosse la testa nel tentativo di riscuotersi ed impedirsi di dire quelle stesse parole; così, mordendosi la lingua, mise in moto.
 

***
 
 
“Quindi, premesso e non concesso che io abbia provocato sul serio un incidente, ho due domande.” Annunciò il giovane, stringendo tra le mani il suo frappè. “La prima, come sta lei?”
 
Il più grande sembrò sorpreso di quell’interessamento. Ok che insisteva di non credere a quella storia -ma, perché la strada era davvero deserta!-, ma se invece fosse stato vero, in ogni caso credeva che tutti si sarebbero interessati della sorte del malcapitato. Il moro, invece, avendo annusato le sue emozioni e avendone captato della stizza, trasse un sospiro di sollievo nell’apprendere che Stiles avesse frainteso il suo tentennamento. Non credeva che si sarebbe parlato così tanto di Cora, ma in effetti, trattandosi di Stiles era stato sciocco da parte sua non prepararsi prima.

“Sta bene.” secco, veloce, conciso. Vai così, Derek!

“Oh, ok. Menomale.” Sospirò il castano, seppur confuso dai modi dell’altro. Prese un lungo sorso dal frappè, prima di porre la seconda domanda. “Seconda, cosa vuoi da me?”

Sorrise, nascondendosi dietro al cappuccino che aveva ordinato. Ora sì che riconosceva il suo Stiles. “Dipende. Cosa puoi darmi?”

L’altro boccheggiò, non aspettandosi quella risposta. Cos’era, uno scherzo? “Io non ho molti soldi, anzi, non ne ho per niente. Hai visto la mia bambina! Va avanti a nastro adesivo e preghiere. Credo cammini ancora solo perché le faccio pena, perché neanche tre meccanici, tre, hanno saputo dirmi come faccia a non cadere in pezzi. Quindi se sono soldi quelli che stai cercando, mi dispiace amico, ma non penso di avere tutti quelli che ti servono, anzi, ne sono più che sicuro. Potrei chiedere a mio padre, ma penso che non te li darei mai più alla fine, perché mi ammazzerebbe prima, il mio buon caro vecchio. Se ti accontenti delle scuse, invece, sarei più che disposto a incontrare tua sorella e a porgergliele personalmente o anche per telefono o e-mail, visto che è molto impegnata; anche con una cara vecchia lettera, se non le piacciono le tecnologie come a te. Alla fine siete fratelli, qualcosa in comune ce l’avrete. Chissà perché penso che anche le sopracciglia siano un gene che condividete. Non se ne vedono molte in giro così. Qualcuno che conoscevo parlava solo con le sopracciglia… ma ora che ci penso non ricordo chi.”

Gli sproloqui, ecco cosa era mancato nella precedente conversazione a scuola. Il moro si limitò a guardarlo, cercando di non apparire troppo sconvolto da mare di parole che il ragazzo sembrava capace di dire in un tempo limitato in cui lui era giusto riuscito a prendere un sorso di caffè. Senza parlare dei battiti del suo cuore quando l’altro aveva accennato a qualcuno che usava le sopracciglia per parlare: era piuttosto sicuro che fosse il solo, Stiles glielo ripeteva sempre, pensò con nostalgia. 

“Come fai a sapere quanti soldi mi servono?” domandò, invece. Questa volta fu il turno del castano di guardarlo con fare ovvio. “In macchina, prima, hai detto che è una Camaro nera. È una macchina costosa. Credo che una sola lampadina dei suoi fari valga più di Roscoe.”

Un battito saltò nel cuore del moro. Se ci fosse stato un altro mannaro a portata d’orecchio, avrebbe sicuramente pensato che si stesse sentendo male tra tutte quelle accelerazioni e battiti mancati. “Non ho mai detto che la mia macchina è nera.”

Il ragazzino lo guardò dubbioso, prendendo un altro sorso dal frappè ormai quasi finito, e lui veramente si chiese quando avesse avuto modo di berlo, dato che il suo caffè era ancora tutto lì e non aveva neanche parlato. “Sicuro? Bah, sarà che mi sembri così tenebroso che avrò fatto un collegamento mentale.” gli rispose con un’alzata di spalle. L’uomo era pronto a sentire sproloquiare Stiles per altre tre ore, quando sentì la voce del vicesceriffo parlare alla ricetrasmittente della polizia, dicendo di aver individuato la Jeep. Facendo un paio di calcoli, Parrish sarebbe entrato lì dentro tra una manciata di secondi, così si alzò, lasciando cadere sul tavolo più soldi di quanto in realtà costassero le loro due ordinazioni. Il più piccolo lo guardò confuso, non riuscendo a capire quel comportamento improvviso e credendo di aver detto qualcosa di sbagliato aprì la bocca per rimediare, ma fu battuto sul tempo dal mannaro. “Non voglio i tuoi soldi.”

Dire che quella fu un’uscita ad effetto sarebbe stato riduttivo. Dal punto di vista di Stiles, con il sole del pomeriggio che entrava dalle grandi vetrate, colpendo l’uomo in piedi di fronte a lui come in un flash mode, lo stesso uomo che aveva imboccato la porta sul retro nello stesso momento in cui il vicesceriffo Parrish era entrato nel bar con altri due agenti, quella era stata la scena più irrealistica della sua intera esistenza.
Per tutto il tempo, non badò all’agente che gli fece una serie di domande, volendosi accertare che stesse bene, né si curò di quelle del padre che gli aveva urlato dietro, intimandogli di non farlo mai più, una volta rientrato a casa. Sembrava trovarsi un mondo tutto suo, ad un metro da terra, e quando si addormentò i suoi pensieri non si erano staccati neanche per un attimo dall’uomo misterioso di quel pomeriggio, di cui neanche conosceva il nome.

Quell’uomo, invece, nell’esatto momento in cui era uscito dal bar, si era accostato al bosco, vedendo l’intera scena di Stiles che veniva scortato a casa da tre agenti in volante e quando questi erano spariti dalla sua visuale, aveva composto uno dei pochi numeri che aveva sulla sua rubrica del telefono.

“Scott?”

Derek, ti prego non uccidermi. Ci ho provato, ma non hanno voluto sentire ragio-

“Si tratta di Stiles.”

Cosa? È successo qualcosa?

“Credo che ricordi. Credo che ci sia una possibilità.”  








Note dell'autrice.
Ehilà! Ben venuti al primo appuntamento degli Sterek! Se così si può chiamare... 
Sourwolf è sempre Sourwolf e si diverte a mettere in imbarazzo il povero Stiles, che giustamente non ci capisce nulla. 
Stiles ricorda? C'è una possibilità? Da cosa -o da chi- è dato questo sblocco mentale? Chissà... 
Lo sceriffo, povera anima... Melissa sempre dolce e pronta a consigliarlo; non c'è nulla da fare: Mellissa è tutta di Noah, altro che Chris Argent (che giusto per precisare è di Peter Hale da qui e per sempre, con annesse resuscitazioni *-*) 
Questo capitolo è un po' più lungo degli altri per scusarmi dell'altro. 
Spero vi sia piaciuto e ogni vostro parere è molto ben accetto ;) Come sempre, grazie a chi recensisce e ai lettori silenziosi. 
Al prossimo capitolo! 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


7°   3 Aprile



Tre tocchi. Non violenti, ma così decisi che l’uomo quando aprì la porta non si sorprese affatto del proprietario della figura di fronte a lui.
“Dobbiamo parlare.” poche parole, semplici e allo stesso tempo irremovibili. Non era un consiglio o un’esortazione, era un ordine.

Noah guardò il ragazzo, sedutosi sul divano del suo ufficio senza invito. La barba era di qualche giorno e decisamente priva di cure; sotto gli occhi facevano bella mostra di sé due occhiaie, nascoste normalmente dagli onnipresenti occhiali da sole; il portamento sembrava ancora più rigido del solito, la tensione era palpabile, ma quello che più lo colpì furono gli occhi. Erano occhi spenti, tristi e arrabbiati al tempo stesso. Sospirò quando riconobbe il dolore che più faceva male: la perdita. Si vergognò di se stesso. Con il tempo quel ragazzo era diventato qualcosa di più di un semplice estraneo e lui lo aveva trattato come il peggiore degli assassini, addossandogli colpe non sue. Era stato così occupato ad incolparlo per quanto accaduto a Stiles, minacciandolo e cacciandolo via, che non l’aveva neanche mai guardato realmente, senza potersi quindi accorgere dello stato in cui verteva. Derek Hale era distrutto.

“Mi dispiace.” non riuscì ad impedirsi di dire, afferrando una sedia lì vicino e sedendogli davanti. Il più giovane parve sorpreso da quelle parole, perché boccheggiò, non sapendo come reagire. Sorrise mestamente lo sceriffo, quando notò lo sguardo di cui suo figlio si era innamorato farsi nuovamente duro. Non gli credeva. “Non ho intenzione di andarmene da qui, finché non mi avrà ascoltato.” asserì, infatti. Era stato un mostro, pensò Noah guardando la paura negli occhi del più giovane. Sebbene fosse lì, sebbene lui lo stesse ascoltando, credeva ancora che sarebbe stato cacciato alla prima occasione. Anzi, era anche piuttosto sorpreso di non essere stato già mandato via o che lui, lo sceriffo, fosse ancora lì, ragionò l’uomo.

“Non devi andartene.”

Il moro sbatté più volte le palpebre, cercando il tranello. “Lei mi deve ascoltare-”

“E lo farò.” acconsentì, certo che l’odore del suo senso di colpa fosse giunto fino all’altro nell’esatto momento in cui lo aveva visto squadrarlo dubbioso, non certo di potersi fidare.

“Derek,” sospirò tristemente “non vado da nessuna parte. Puoi parlare.” e sperò vivamente che così come sentisse tutto il resto, avesse avvertito anche la verità nelle sue parole.

“Ok. Ora lei mi ascolterà e mi lascerà parlare.” ricapitolò quello, cercando sicurezza, mentre lo sceriffo annuiva accondiscendente. “O-ok. Non ho molto da dirle in realtà. Era… era Stiles quello bravo con le parole.” sbatté ancora una volta un paio di volte le palpebre, cercando di riscuotersi. “Ed è proprio di questo che voglio parlare: non ho intenzione di dimenticare Stiles e non lo abbandonerò. Fosse anche l’ultima cosa che faccio, ma devo poterlo almeno vedere!”

Lo sceriffo si passò una mano sul mento, fingendosi sovrappensiero. “Eppure credo che tu lo veda lo stesso mio figlio. Parrish mi ha riferito di non essere stato avvisato da Scott e quel ragazzo non farebbe niente contro il tuo volere.”

“È quello che le sto dicendo: non ho alcuna intenzione di rischiare di essere arrestato o di ricevere un caricatore di proiettili addosso solo perché ho portato fuori il mio ragazzo!” esordì, alzandosi di colpo e lanciando fiamme dagli occhi. Era pronto alla guerra.

L’uomo alzò lo sguardo, ma non si sentì più inferiore dell’Alpha che ora lo stava guardando facendo illuminare gli occhi di rosso. C’era stato un tempo, forse… ma troppe volte suo figlio gli aveva raccontato di come quegli occhi, sebbene rossi, non avrebbero mai fatto del male a nessuno. Conosceva quel giovane ragazzo, che aveva perso la sua famiglia in un incendio di tanti anni fa molto, molto più di quanto chiunque potesse pensare, anche lui stesso; aveva imparato a conoscerlo insieme a Stiles. Lo Stiles che ormai si era arreso a definire suo e di Derek Hale.

“Tu tieni a mio figlio. Tu lo ami.” pensò ad alta voce, ma il moro dovette scambiarla per una domanda, perché si affrettò ad annuire. “Sì. E credevo di averglielo dimostrato.”

“Siediti, ragazzo. Ho una certa età, il collo non è più quello di una volta.” lo pregò, facendogli cenno di riaccomodarsi, come se le prime frasi sul piede di guerra non fossero mai state dette. Non sapeva da dove iniziare e iniziò a comprendere cosa intendesse prima il moro. “Sai che la scuola ieri mi ha mandato a chiamare?” Non si aspettava una risposta, ma l’altro scosse lo stesso la testa. Sembrava quasi un cucciolo che non capiva cosa il padrone gli stesse dicendo, ma lui sapeva che Derek non era un cucciolo e lui ben che meno il suo padrone. “Volevano gentilmente informarmi che non hanno più intenzione di seguire Stiles. Si tirano fuori da qualsiasi implicazione ne potrebbe uscire.”

“Ma non possono farlo!”

“E invece sì. E a buon ragione, anche.” lo contraddì, guardandolo negli occhi. “Ho impiegato del tempo a capire che tutto questo non fosse contro Stiles. Certo, non è stata una decisione così sofferta per loro, ma quello che io stavo facendo, oh, quello sì che era sbagliato. Vedi,” sospirò “avevo così tanta paura di perderlo realmente questa volta, che non mi decidevo a capire che invece lo stavo rovinando solo di più. Non volevo lasciar andare il mio bambino. Penserai sia stupido, che ormai è grande e, credimi, so che è molto più maturo di qualunque ragazzo della sua età.” mormorò, con lo sguardo vacuo perso nei ricordi. “Nessun bambino di otto anni avrebbe anche solo pensato di imparare a cucinare e a prendersi cura della casa perché il padre era ubriaco. Nessun ragazzo sarebbe riuscito a sopportare tutto quello che ha passato, che avete passato tutti insieme. Io faccio ancora fatica a distinguere un Kanima da una Kitsune! Ma ad ogni modo, quando il mio mondo è realmente caduto l’altro giorno, ho capito che prima o poi sarebbe dovuto succedere. Negare la sua situazione è l’unico vero modo per fargli male realmente! Stiles non potrà mai più ricordarsi tutto ciò che è successo e succederà dopo quel dannato giorno!” quasi urlò, liberandosi. Sorrise amaro. “Ci crederesti che non l’avevo mai detto ad alta voce?”

Il mannaro in tutto quello era rimasto in silenzio, aveva provato più volte a intervenire, non convenendo con l’uomo, ma era stato sempre fermato in tempo. Gli sembrava ancora surreale star avendo quella conversazione. Mentre bussava alla porta, stava già cercando il modo di pianificare il prossimo incontro ‘casuale’ con Stiles senza farsi scoprire. Era stato sorpreso quando non solo era riuscito a superare i due minuti in presenza dello sceriffo, ma addirittura che l’altro si stesse aprendo. Erano state davvero tante novità per lui. Se fosse stato umano, avrebbe avuto sicuramente quel fastidioso martellare alle tempie di cui gli umani si lamentavano tanto.

“Quindi… lei mi sta dicendo che posso vedere Stiles qualche volta?”

“No.” gli rispose laconico lo sceriffo. “Ti sto chiedendo di non lasciare mai andare il mio bambino, di non farlo mai soffrire e di trovare il modo, che io non sono riuscito a trovare, di renderlo felice.”
 

***
 
 
“Derek! Parrish mi ha appena detto che lo sceriffo ha intenzione di non far più seguire Stiles! Cosa gli hai fatto?!” gli domandò preoccupato il messicano. Derek storse il naso a quella così grande forma di fiducia.

“Cosa ti fa pensare che gli abbia fatto qualcosa?” domandò, ma Scott e il resto del branco lo guardarono con aria di sufficienza. Sbuffò, andando a prendersi qualcosa dal frigo prima di tornare nel grande salone del suo loft. “Non c’è stato bisogno di dire niente, era già pronto ad accettare.”

“Accettare cosa?” chiese Lydia, sperando vivamente nell’ipotesi che la sua mente aveva appena partorito. Derek nascose il suo sorriso dietro la bottiglia di birra non appena ebbe lanciato la bomba. “A lasciarci vedere Stiles e a trovare il modo di dirgli la verità.”

Dire che la felicità era esplosa nel suo loft sarebbe stato troppo poco. Sorrise, vedendo i suoi Beta saltarsi al collo felici. Appoggiò le spalle al muro, godendosi la scena da spettatore, come a Stiles piaceva definirlo.


***
 
 
“Quindi questo sarebbe il piano?”

Scott guardò male Peter, arrivato poco prima e solo per criticare l’idea che avevano partorito in quelle ore. “Sì. Questo sarebbe il piano. Cos’ha che non va?”

Il maggiore degli Hale sbuffò dal naso, divertito, ma anche molto preoccupato. Era un piano pessimo! Forse il peggiore che avessero mai potuto concepire. “Si vede quanto vale un membro solo quando questi non lo è più.”

Lo scatto era stato così repentino, che nessuno se ne era accorto. La schiena di Peter cozzò contro la parete, i denti del nipote ad una distanza di qualche millimetro. “Stiles è ancora parte del branco.” ringhiò.

“Certo. Dicevo solo che …”

“Non è morto! È. Ancora. Parte. Del. Branco.” gli urlò, facendo illuminare gli occhi di rosso. “Vedi di non dimenticarlo.”

Peter annuì accondiscendente, prima di lisciarsi la maglia che indossava con aria di sufficienza. Bastò, però, un’occhiata da parte dell’Alpha a rimetterlo al suo posto.
“Quale parte è così drastica?” domandò la rossa del branco, per smorzare la tensione, rivolgendosi all’uomo. “Non è un segreto che faccia piuttosto schifo.” spiegò allo sguardo interrogativo degli altri. L’Hale ignorò Scott che stava borbottando un ‘per me è perfetto’ poco convinto, aprendosi in un ghigno, mentre si riavvicinava al tavolo di fronte alla vetrata.

“Grazie, banshee. Ad ogni modo, quale parte è così drastica? Oh, non saprei, vediamo… forse quella dove i Beta di mio nipote lo prendono e lo portano di peso in una casa bruciata per raccontargli una storia pari ad un libro di favole o forse quella dove il suo migliore amico si fa spuntare peli sulla faccia e denti aguzzi? O… no, forse quella dove viene preso, portato in un loft apparentemente abbandonato, di nuovo -sul serio, da dove è spuntata questa fissa?- e quello che sostiene di essere il suo ragazzo si trasforma in un grazioso e del tutto innocente LUPO NERO DAGLI OCCHI ROSSI E DENTI AFFILATI?! Scherzate?! Qual è il problema, chiedete, eh.”

Lydia deglutì, concordando sull’effettiva assurdità del loro piano e rabbrividì quando le riaffiorò alla mente la considerazione che quello fosse la loro idea migliore.
“Cosa proponi, quindi?” proruppe spazientito Isaac, uscendo dall’ombra che era stata il suo porto sicuro per tutto quell’assurdo pomeriggio. Era ormai quasi sera e avevano lavorato tutto il giorno su quel dannato tavolo. Era stanco. E frustrato.

“Finalmente qualcuno che ragiona. Mi sorprendi, Ricciolino. Veramente pensavate di organizzare un piano quantomeno decente senza il mio aiuto? In mancanza di quel ragazzino, qui, l’unica persona che può ragionare è la banshee, che però, a quanto pare, ha deciso di assecondare le vostre folli idee.”  

“Invece di blaterare, parla.” gli ringhiò contro Derek, che mal stava sopportando le parole dello zio. Peter sbuffò, sentendo davvero tanto la mancanza del piccolo logorroico. “Vi state focalizzando sul problema sbagliato. E pure male!” esclamò esasperato aprendo le braccia. “Siete così intenti a cercare il modo di rivelare a Stiles il mondo sovrannaturale, che avete perso di vista l’obbiettivo principale!”, ma gli sguardi confusi del gruppo non fecero che irritarlo di più. Fremeva dalla voglia di essere capito senza dover per forza spiegare nulla. Girò su se stesso, fino a fermarsi di fronte alla ragazza dai tratti asiatici e i lunghi capelli neri, la nuova aggiunta. “Anche se trovaste un modo per fargli accettare che Kira è una kitsune, Stiles non saprebbe neanche chi è Kira! Non sono i lupi mannari né le banshee o i cacciatori, adesso, quello che dobbiamo rivelare a Stiles, ma la sua vita! Quel ragazzino non sa neanche di star rivivendo lo stesso giorno da settimane! Lui non conosce parte del branco, non sa neanche che esista un branco. Vi state preoccupando dello shock sbagliato: credete davvero che davanti alla rivelazione che la sua testa, ogni notte, azzeri tutto, dandogli l’impressione che tutto quello che ha vissuto non sia mai esistito, lui si fermerà ad ascoltarvi parlare di elfi e fatine?! Siete così sciocchi da non rendevi conto che il mondo sovrannaturale è l’ultimo dei vostri problemi, è l’ultimo dei suoi problemi!”

Quando stimò di essere stato abbastanza chiaro, fissò gli occhi in quelli del nipote. “Se questo è davvero il vostro modo di aiutarlo… fate prima a rinchiuderlo in un ospedale psichiatrico, perché ne uscirà pazzo.”
 


 
Derek sospirò, stringendosi la base del naso. Odiava ammetterlo, ma suo zio aveva ragione. Non avevano che perso tempo, trovando una soluzione -se così si poteva chiamare- che facesse comodo solo a loro, non preoccupandosi di Stiles. Da dove potevano mai iniziare per rendere meno sconvolgente forse una delle notizie peggiori al mondo?

“Forse ha ragione…” si sentì borbottare. Derek alzò gli occhi, senza togliere la mano dal viso, ma Lydia fu più svelta e prese in giro stizzita il messicano “Tu credi?”
Kira si avvicinò in consolazione al suo ragazzo, venendo abbracciata subito. Allison invece cercò la mano di Isaac, mentre Jackson, prossimo a Lydia, espresse la domanda a cui tutti stavano pensando. “Quindi?”

“Quindi ci mettiamo a lavoro e ci riprendiamo il nostro Batman!” esclamò Erica, facendo sorridere orgoglioso Boyd e risollevare gli animi di tutti.
 

***
 
 
“Derek?”

“Salve, sceriffo.”

“Cosa- cosa fai qui? Stiles potrebbe vederti…” iniziò l’uomo, pur facendosi da parte per farlo entrare.

Il moro annusò l’aria, captando i classici odori di bucato, caramello e… ansia. Sorrise. Ormai quell’odore gli era così famigliare da associarlo direttamente al suo giovane umano. Si concentrò sui battiti che riusciva a sentire, escludendo i suoi e quelli dello sceriffo, lasciando risuonare nelle sue orecchie solo quelli ritmati e cadenzati di Stiles.

“Stiles è di sopra. Non si è accorto di nulla.” lo rassicurò.

“E tu come fa-… giusto, poteri da lupi mannari. Non mi ci abituerò mai.” borbottò lo sceriffo, invitandolo ad accomodarsi in sala da pranzo. “Devo prendere il whisky?”

Derek, sedutosi, scosse la testa divertito. “No, non servirà. Non è nulla di sconvolgente, non si preoccupi.” e lo sceriffo rilassò le spalle, raggiungendolo e sedendogli di fronte.

“Crediamo di aver trovato un modo per rivelare tutto a Stiles.”

“Tutto?” deglutì l’uomo, guardandolo allarmato, ma Derek si premurò di rassicurarlo “Non la parte sovrannaturale.” le spalle dello sceriffo tornarono basse “Abbiamo intenzione di iniziare con le piccole cose e modificare quelle che non dovessero riuscire. Cercheremo di limitare lo shock, ma se qualcosa dovesse andare storto, saremo pronti per… per la volta dopo.”

“Per la volta dopo… ”

Il mannaro annuì, muovendosi nervoso sulla sedia. Anche se cercava di darlo a vedere il meno possibile, il parere dello sceriffo lo spaventava. Era importante, fondamentale, che l’uomo appoggiasse la loro idea; senza di lui il piano non avrebbe funzionato.  “Non- non sono parole che mi piace usare, ma…”, venne però fermato prima.

“Tranquillo, ragazzo. Capisco e provo lo stesso, ma alla fine sono parole, parole vere. E noi dobbiamo accettarlo.”

Derek aveva capito che quel riconoscere assiduamente di non poter cambiare realmente le cose, riconoscere ad alta voce il problema di Stiles, era il modo per lo sceriffo di affrontare e metabolizzare il tutto. Non riuscì a evitare di sorridere internamente, però, quando si accorse del plurale che l’altro aveva usato. Ancora non riusciva a credere che quel periodo, quelle orribili settimane di dolore, quando era stato costretto ad appostarsi di nascosto pur di vedere il ragazzo, quando si faceva bastare quei momenti fugaci, fossero finite.

“Non parlo, di solito. Stiles dice che devo provare ad aprirmi di più, quindi le volevo dire che… lei è un buon padre. Quello che faceva per Stiles prima, quello che ha fatto dall’incidente e quello che sta facendo ora… non tutti ne sarebbero stati capaci. Non ha sbagliato, non ha mai sbagliato e qualunque cosa accadrà, Stiles continuerà a volerle bene.”

Lo sceriffo lo guardò con gli occhi lucidi. Non sapeva di aver avuto così tanto bisogno del perdono di quel ragazzo, finché non lo ebbe. Nessuno lo aveva mai appoggiato veramente, neanche Melissa in fondo. Avevano rispettato le sue decisioni, lo avevano ascoltato e avevano obbedito a ciò che proponeva, ma mai, mai avevano condiviso le sue scelte. Si era sempre sentito criticare, più o meno direttamente, e sentirsi dire di essere un buon padre, che il suo rapporto con Stiles non sarebbe cambiato, proprio dalla persona che più aveva fatto soffrire con le sue scelte lo aveva fatto rinascere. Si asciugò gli occhi con una mano, rivolgendo al ragazzo un sorriso sincero. “Grazie, Derek.”

Il moro fece solo un segno con la testa che se Stiles fosse stato presente avrebbe dato uno scappellotto in testa a entrambi, dando loro degli apatici. Sbuffò un sorriso, sciogliendo le spalle per smorzare la tensione provata fino ad allora.

“Beh, forza, allora.” esclamò lo sceriffo, battendosi i palmi delle mani sulle cosce dopo minuti di imbarazzante silenzio. “Quale sarebbe questa soluzione?”

Lo sguardo acceso di Derek incuriosì l’uomo. “Ci servirebbero delle cose.”

Ci?” chiese sorpreso e Derek annuì. “E quali sarebbero queste cose?” 









Note dell'autrice. 
Capitolo 7, raggiunto! Agognata pace tra Derek e lo sceriffo, conquistata! Piano per iniziare Stiles alla verità... sarà spiegato nel prossimo capitolo, niente paura ;)
Il povero Sourwolf non si fidava ancora, ma nonostante tutto, non smetterà di vedere lo sceriffo nel bene e Stilinski senior finalmente è riuscito ad aprire gli occhi grazie a Melissa e una notte ristoratrice. Peter... Peter ci doveva essere, perchè è lui e tanto basta *-* e poi, a modo suo, sente anche lui la mancanza dell'umano del branco.
Stiles sarà sconvolto? Il piano funzionerà? Chissà... non resta che scoprirlo ;)
Alla prossima e grazie a chi ha recensito i precedenti capitoli!  

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


8°   3 Aprile



Stiles aprì un occhio, per poi serrarlo subito quando la luce lo accecò. Si sentiva beatamente scaldato dal sole e si godette quel tepore, sotto le coperte, finché la parte razionale del suo cervello non gli fece notare come il sole delle sette non potesse essere così forte. Maledicendo il suo acume, attivo e presente anche di mattina, si fece coraggio e si stiracchiò stendendo braccia e gambe, ruotando al contempo polsi e caviglie. Suo padre lo aveva chiamato gatto per un periodo quando quel suo fatiscente stendersi si era verificato in pieno salotto, con ospiti a casa -perché lui è Stiles Stilinski e la sfiga è sempre lì dietro l’angolo.

Sorrise a quel ricordo, mantenendo però cocciutamente gli occhi chiusi per farsi da schermaglia dal sole. Dopo qualche attimo e diversi tentativi, riuscì ad abituarsi alla luce del giorno e si mise a sedere grattandosi la nuca. Più guardava fuori dalla finestra, più la luce gli sembrava troppo… troppa, semplicemente troppa, sì. Afferrò il cellulare e ne guardò l’ora, sbiancando quando notò fossero le dieci di mattina. Non pensò neanche, il suo corpo agì da solo; prima che però potesse aprire l’armadio, un post-it attaccato su un’anta catturò la sua attenzione -arancione, come uno dei suoi. Lo afferrò, apprendendo che il padre avesse deciso che quel giorno non sarebbe andato a scuola. Il foglietto diceva solo di scendere quando si fosse svegliato e possibilmente con decenza.

Nonostante sapesse che un biglietto non potesse parlare, gli sembrò di sentire la voce del padre leggere quelle note. Rivolse al nulla uno sguardo corrucciato -lui era sempre perfetto. Era la decenza che veniva sopravvalutata- e prese a vestirsi in fretta, curioso.
Una volta pronto, dovette fermarsi e darsi un contegno o si sarebbe lanciato per le scale, cadendo con certezza assoluta e ruzzolando giù.

“Papà? Ehi, pa’, ma cos’è successo, perché oggi niente scuola? Non che mi lamenti, ovvio,” iniziò a blaterare una volta giunto nei pressi della cucina “però, mi preoccupo: l’ultima volta era perché credevi di morire. Io te lo avevo detto che mangiare tutte quelle salsicce ti avrebbe fatto male… ma no, non ascoltiamo Stiles, ‘starò benissimo’, hai detto, ‘ho mangiato di pegg-’ ho ciao pa’.”

Il genitore lo aveva intercettato, uscendo dalla cucina prima che l’altro potesse continuare quel suo monologo. Aveva uno sguardo strano, quando parlò. “Stiles, dobbiamo parlare. O meglio… c’è qualcuno che vorrebbe parlare con te.”

 
 
Il ragazzo deglutì, iniziando a pensare a tutto ciò che avesse potuto combinare. Si stava innervosendo e non riuscire a trovare una soluzione lo rendeva solo più ansioso. “Andiamo in salotto.” lo invito il padre, stando un passo dietro di lui.
Chissà cosa si era aspettato, pensò. Le spalle gli si erano sciolte e aveva assunto un’aria più rilassata, quando, varcata la porta, aveva incontrato lo sguardo tranquillo di Scott. “Ehi, amico! Papà mi aveva fatto preoccu-” iniziò, ma da dietro il suo migliore amico si fece avanti una ragazza dai tratti asiatici -che lui non conosceva, sottolineò la sua mente. Così come non conosceva neanche la ragazza con gli shorts o quello che considerò come il moro più affascinante che avesse mai visto. Vagando, il suo sguardo si fermò anche sulle mani unite di Allison e Isaac e sul braccio di Scott sulle spalle della ragazza più minuta. Tutto quello che vedeva non aveva senso…
Un groppo gli si formò in gola, impedendogli di continuare oltre quelle ultime sillabe “-pare.” 

“Stiles,” intervenne suo padre, guardandolo fermo, ma rassicurante. “è meglio se ti siedi.”

Mentalmente il ragazzo lo ringraziò di avergli detto cosa fare, perché la sua mente era diventata di colpo bianca, facendolo sentire a disagio e nervoso di fronte a sette ragazzi nel suo salotto, se si contavano anche i visi conosciuti di Erica e Boyd.
Lo sceriffo gli si era seduto affianco, poggiandogli una mano sul ginocchio, in un tentativo di focalizzarne l’attenzione. Stava per riprendere la parola, ma fu distratto dall’arrivo di Lydia… e quello era Jackson?! Ok, la confusione iniziale che aveva generato il suo improvviso mutismo era decisamente finita.

“Eeee… ok. No, sul serio. Ora mi spiegate cosa ci fate tutti voi qui e soprattutto cosa ci fa lui qui. E anche chi diavolo sono loro!” esplose indicando freneticamente ciascuno dei nominati.

“Stiles…”

“E perché dici il mio nome come se stessi per dirmi qualcosa di brutto, papà? È qualcosa di brutto, non è così? Oh mio dio, ti prego dimmi che non sono dei figli che hai avuto nel momento da hippy prima di conoscere mamma. Tipregotipregotiprego, a me piace essere figlio unico, davvero! Dimentica tutte le volte che chiedevo un fratellino: erano bugie, capricci di un bambino, ok? Io non li voglio dei fratelli. Ti preg-”

“Stiles!” lo richiamò il padre, travolto dal mare di parole. “Non sono figli miei e mi avevi promesso che di quel periodo non avresti più parlato.”

“L’avevo detto che non avrebbe retto. Sgancia, Isaac.” gongolò felice Erica, ricevendo subito dopo venti dollari da un Isaac decisamente scocciato.

“Ma che…” fece Stiles, vagando con lo sguardo da uno all’altro dei ragazzi presenti -che si fosse soffermato più sul moro dalla giacca di pelle era un’altra storia.

“Stiles, calmati.” si sentì sussurrare alla sua destra, suono che lo fece voltare e scontrare con due smeraldi e non passò inosservato ai mannari nella stanza il suo battito che accelerò sensibilmente. Deglutì, nervoso, ma prima che la sua lingue lo facesse trovare a dire cose di cui si sarebbe potuto pentire, suonarono alla porta. Ringraziò chiunque avesse fatto suonare il campanello, servendogli una scusa per allontanarsi da lì. “Vado io!” urlò, saltando in piedi e lanciandosi contro la porta d’ingresso prima che qualcuno potesse fermarlo. “Salve!” disse con una risata nervosa mentre apriva, ritrovandosi davanti un postino annoiato che gli mise in mano senza troppe cerimonie un pacco. “Cos’è questo?” domandò, cercando di capire cosa ci fosse dentro, scuotendolo, ma l’altro lo ignorò. “Una firma qui.”

“Stiles, chi è?” domandò la voce lontana dello sceriffo, voce che venne prontamente ignorata. Il giovane Stilinski afferrò, infatti, la penna, rivolgendo un sorriso imbarazzato all’uomo e iniziando a firmare per la ricevuta, quando l’occhio gli cadde sulla data. Si corrucciò, afferrando meglio il pacco con una mano, mentre con l’altra si avvicinava il foglietto al viso. “Mi scusi… ci deve essere uno sbaglio.”, ma l’uomo, controllata la data, scosse la testa scocciato. “È impossibile, davvero. Sono sicurissimo che oggi sia il quattordici marzo.” insistette confuso il ragazzo.

“Oggi è il ventisette aprile e io dovrei andare, quindi potrebbe firma-”

“Oggi è il ventisette aprile?! Ma cosa…”

“Stiles, chi è?” domandò lo sceriffo una volta affiancato il figlio sullo stipite. Da quel momento, agli occhi del genitore, accadde tutto velocemente.

Stiles continuò a scuotere la testa e afferrò il proprio cellulare per dimostrare la veridicità delle sue parole, ma quando anche il dispositivo mostrò il contrario, chiunque avrebbe mentito se avesse negato di aver visto il mondo crollare in quegli occhi d’ambra. Subito dietro di loro apparve il moro che prima tanto aveva scosso il più piccolo, ma lì, ora e in quel momento, Stiles sembrò non vederlo neanche. Mollò il pacco a terra, non curandosi delle proteste del postino e si fece spazio fra quei visi sconosciuti che erano accorsi a capire il motivo di tanta confusione. Forse sentì in lontananza la voce del padre che lo chiamava, ma se anche fosse stato, non diede segno di averla percepita; si diresse, invece, diretto in sala da pranzo dove sapeva il genitore lasciasse sempre il giornale. Sicuro raggiunse il tavolo e afferrò deciso il plico di fogli. La salivazione gli si azzerò quando lesse la data del giorno.

“Stiles…” sentì dire da qualcuno, ma lo ignorò, così come ignorò anche tutte le altre voci, correndo fuori casa e andando a bussare a casa dei vicini. Il signor Harmel lo assecondò, preoccupato dall’aspetto del ragazzo, e gli consegnò il proprio giornale. Il ragazzo non aveva mai smesso di scuotere la testa e sussurrare una litania di no, quando si fece consegnare il cellulare da un passante. Non si era neanche avvicinato alle persone in casa sua, perché sarebbero state le prime che avrebbe consultato se si fosse trattato di uno scherzo, perché era uno scherzo, doveva essere uno scherzo!

“Stiles!”
Improvvisamente il giovane Stilinski arrestò la sua corsa e guardò sconvolto il ragazzo di fronte a sé. Aveva lo sguardo perso e al mannaro si strinse il cuore a quella visione.

“Non capisco…” sussurrò solo.

Vennero raggiunti immediatamente dallo sceriffo che lo prese per le spalle e lo accompagnò dentro casa. Il ragazzo ormai alternava i ‘no’ a una sequela di ‘non capisco’.

“Stiles? Stiles, mi devi ascoltare ora. Hai capito? Mi senti, Stiles?” e sebbene stesse scuotendo la testa, i suoi occhi erano avidi di spiegazioni. Bisognosi di sentirsi dire che si trattava tutto di uno scherzo. “Avevamo intenzione di dirtelo questa mattina, prima che… prima che lo scoprissi da solo.”

“Prima che scoprissi da solo cosa?” domandò, lasciandosi cadere sul divano.

“Stiles, hai… hai avuto un incidente. Più di un mese fa.”

Noah pregò di non dovere ripetere quelle parole mai più, perché lo sguardo sconvolto del ragazzo fu la cosa più dolorosa che si era ritrovato a provare dalla morte di Claudia. “Un incidente… ? Ma, è impossibile. Me lo ricorderei! Me lo ricorderei, no?” intervenne cercando supporto in quelle persone a lui sconosciute, ma tutti si erano raccolti lungo una parete della stanza, chi piangendo, chi guardandolo dispiaciuti o rammaricati.   

Lo sceriffo scosse la testa, inginocchiandoglisi davanti. “No, Stiles. Dopo l’incidente, tu… sei stato in coma per ventiquattr’ore, ma il tuo cervello… ha subito dei danni.” a quelle parole la mano del ragazzo corse alla testa e il padre gli fece un sorriso di incoraggiamento. “La tua memoria, Stiles. È stata danneggiata la tua memoria a breve termine. Ogni, ogni notte, la tua mente resetta la giornata appena trascorsa. E ogni giorno,” gli disse, prendendo un profondo respiro “ credi sia il quattordici di marzo. Mi dispiace, Stiles. Mi dispiace così tanto…”
 

Due calde lacrime gli solcarono il viso e senza che ne fosse cosciente provò ad asciugarsele con mano tremante. “Io… io non capisco.” mormorò guardando il padre come se fosse la sua unica ancora di salvezza. Anche lo sceriffo piangeva e silenzioso allungò una mano verso il book che gli venne posto da qualcuno, Stiles non ebbe neanche la forza di alzare lo sguardo e controllare chi fosse. Ormai gli sembrava tutto così estraneo che persino la presenza di Scott l’avrebbe sorpreso.
Quando il genitore gli allungò quello stesso album, Stiles lo afferrò titubante e lo aprì lentamente. La prima immagine che vide lo costrinse a chiudere gli occhi e voltare la testa, mentre una lacrima gli scendeva sulla guancia. Tirò su col naso e si fece forza, ancorandosi a quell’unica mano del padre ferma sulla sua gamba ad infondergli la forza necessaria. Un’unica foto, grande poco meno dell’intera pagina, che lo raffigurava su un letto d’ospedale. Aveva una lunga striscia rossa sul naso, segno che fosse rotto, e parte della testa era fasciata, mentre l’altra metà presentava escoriazioni. Si dovette costringere a non chiudere gli occhi, quando girata la pagina, si ritrovò di fronte se stesso con quelle che sembravano decine di graffi che andavano dal collo all’addome. Represse un conato alla visione di quanto sangue avesse perso.
Nonostante tutto quello che aveva visto, però, continuava a non capire. Alzò gli occhi quel tanto che bastò per legarli a quelli del genitore. “Come?” domandò flebilmente.

L’uomo deglutì, asciugandosi in fretta il viso. “È complicato...”

“Cosa è complicato?” insistette duro, necessitando della verità, pure e semplice. Ripeté la domanda quando il padre scosse la testa, rifiutandosi di parlare. “Cosa è complicato, papà?”

“È stato abbastanza per ora, Stiles. È ancora uno shock troppo grande perché tu sappia altro-”

“E quando sarò abbastanza pronto? Domani?!” ironizzò amaramente il ragazzo, interrompendolo. “Se quello che mi hai detto è vero, domani non ricorderò niente. Voglio sapere! Voglio sapere, papà…” concluse con un mormorio indistinto. Il cenno d’assenso dell’uomo fu impercettibile, ma per l’uomo seduto alla sua destra fu sufficiente, perché gli sfiorò una spalla, richiamandone l’attenzione.

I suoi occhi erano quegli stessi occhi verdi che l’avevano incantato all’inizio e Stiles si chiese che tipo di rapporto avesse con quell’uomo dagli occhi così tristi. “Stiles, io sono Derek. Derek Hale.”

Il più piccolo sussultò appena, riconoscendone il cognome. “Hale? Come la famiglia Hale della villa nella riserva?” Il moro innalzò appena un angolo della bocca a mo’ di sorriso. La famiglia Hale era famosa per l’incendio, sicuramente non per la loro casa. “Sì, era la mia famiglia. Sono successe un po’ di cose da quell’incendio… cose che tu hai dimenticato.”

Il più piccolo si accigliò. “Ma, ma papà ha detto che l’incidente è stato, è stato solo due mesi fa.”

L’altro annuì, saputo e quando lo guardò negli occhi, Stiles capì che dietro a quello che sembrava essere solo un brutto sogno si celava l’Inferno. “C’è un motivo per cui non ti ricordi di noi anche se ci hai conosciuti prima dell’incidente.” rivelò, indicando i ragazzi dietro di lui. Stiles se li era completamente dimenticati. “C’è un motivo per il tuo incidente. Non è stato involontario, Stiles. Chi ti ha fatto del male, voleva fartelo.”

Il giovane Stilinski trattenne il fiato. Riprese a scuotere la testa, sebbene impercettibilmente. Era tutto così assurdo! Chi avrebbe voluto ridurlo in quel modo? Chi avrebbe mai fatto una cattiveria simile?!

“Stiles,” si intromise Scott abbassandosi al suo livello nella stessa posizione dello sceriffo “non credi solo di rivivere lo stesso giorno, hai rimosso dai tuoi ricordi anche tre anni della tua vita e diversi momenti precedenti.”
 

Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Stiles sgranò gli occhi e spalancò la bocca in un grido muto. Sentì il fiato mancargli, il cuore accelerare pericolosamente e la testa prese a vorticargli, mentre una morsa al petto lo costrinse a stringerselo. Un senso di nausea lo colse violentemente, facendolo cadere a terra, in ginocchio, con la testa tra le mani nel tentativo di fermare quell’opprimente dolore. Stava cercando di prendere aria, ma il suo corpo sembrava non rispondergli.
Percepì in lontananza delle voci, come se fossero ovattate. Sentì diverse mani toccarlo, ma lui se le scrollò di dosso di scatto, solo due resistettero al suo rifiuto e lui dovette riconoscere che il suo corpo non ne evitava il contatto, ma anzi, sembrava andar loro incontro. Provò a focalizzarsi solo sulla voce del proprietario di quelle mani che tanto lo facevano sentire al sicuro.

“Stiles. Stiles, respira con me. Fai come me. Avanti, Stiles.”

Il ragazzo alzò lo sguardo, ritrovandosi a fissare due occhi verdi spaventati, ma determinati. Provò ad imitarlo e pian piano, dopo una serie di minuti interminabili, ci riuscì, sentendo finalmente l’aria fluire nei suoi polmoni e il dolore al petto affievolirsi. Il ragazzo di fronte a lui continuò a mostrargli come respirare, finché non si sentì abbastanza sicuro da allentare la presa sui suoi polsi, afferrati inconsciamente durante l’attacco di panico. Non credeva di averne avuto uno più pericoloso di quello.

“Stiles?” lo chiamò il padre, preoccupato, ma il ragazzo scosse la testa, fissando il pavimento sotto di lui. “Sto bene, papà. Ora voglio solo parlare con il medico che mi ha seguito. Voglio sentirmelo dire, voglio avere la certezza che non sia tutto un brutto, orribile incubo. Devo farlo.”

Lo sceriffo tentennò a quella richiesta, ma Derek fu più veloce. “Ti ci accompagnerò io. Ti accompagnerò io, Stiles. Ho bisogno… ho bisogno di sentirlo anche io.”
 

***
 
 
“Stiles.” lo salutò appena entrati un uomo di colore. “È un piacere vederti.”

Il suo sorriso di circostanza gli fece capire che conoscesse la sua storia. Chi non l’avrebbe saputa a Beacon Hills?, ragionò amaramente.

“Lei, lei è il capo di Scott, non è così?” chiese e quello annuì. “Io ti conosco molto bene, Stiles. Ma per te sono ancora uno sconosciuto. Permettimi quindi di presentarmi: sono Alan Deaton.”

Il ragazzo gli strinse la mano, ma lo guardò dubbioso. “Papà mi ha detto che è stato lei ad occuparsi di me, dopo… dopo-”

“Dopo l’incidente.” gli venne in soccorso l’uomo.

“Sì, dopo l’incidente. Ma lei, lei è un veterinario.”

Deaton gli sorrise saputo. “All’occorrenza.”

Stiles boccheggiò confuso, ma prima che potesse parlare fu invitato dal ragazzo dagli occhi verd- Derek, fu invitato da Derek a prendere posto. Il ragazzo gli rimase vicino, non perdendolo d’occhio neppure per un istante.

“Bene, Stiles. Prima di spiegarti come sono andate le cose e le tue condizioni, devo sapere cosa sai. In questo momento la tua mente ha subito uno shock, cerchiamo di non sconvolgerla più del dovuto.” gli spiegò. Annuì e sebbene desiderasse scoprire tutto e subito, dovette dare ragione a quell’uomo e ripetere quanto avesse scoperto.



 
“Scott, tu e gli altri rimarrete qui. Aggiornate Melissa e spiegate a Parrish la situazione, penserà lui ad occuparsi della centrale. Lydia, chiama Deaton e avvisalo che stiamo arrivando.” ordinò il moro e benché conscio di essere all’oscuro di molte cose, anche Stiles percepì il tono di un ordine. Una volta fuori, si diressero tutti: lui, suo padre e il ragazzo dagli occhi verdi, verso una bellissima Camaro nera, di proprietà di quest’ultimo. Lui e suo padre andarono a sedersi dietro, mentre l’altro metteva in moto l’auto.

“Quindi, ogni giorno voi siete costretti a mentirmi? Ad inscenare lo stesso giorno…” ragionò ad alta voce, affranto. Suo padre abbassò lo sguardo e non gli sfuggì neanche quando il loro improvvisato autista serrò la mascella.

“È gentile da parte tua accompagnarmi.” aggiunse, poi, in un mormorio imbarazzato. Il ragazzo in questione sbuffò dal naso. “Ho fatto di peggio per te.”
Stiles arricciò il naso, punto sul vivo da quell’affermazione mal interpretata. “Che vuol dire che hai fatto di peggio per me? Io neanche ti conosco!” esclamò.

Le spalle del maggiore si irrigidirono, ma non disse nulla per contraddirlo. Ci pensò suo padre. “In realtà ci esci insieme.”

“Io COSA?!”

“Sai, le solite cose… farsi trovare nudi da tuo padre in camera tua, ricevere denuncie per disturbo della quiete pubblica perché intenti in azioni poco… consone.” iniziò ad elencare, facendolo sbiancare.

“Derek!” lo richiamò lo sceriffo, facendo ridere quest’ultimo. Si rivolse poi ad uno Stiles più che confuso “Sta scherzando. Non sono mai successe queste cose.” lo rassicurò provocandogli un sospiro sollevato.

“E… e noi abbiamo, sì insomma, abbiamo … fatto sesso?” trovò il coraggio per chiedere all’ultimo Stiles. Suo padre quasi si strozzò a quella domanda. Alla fine però stavano guardando entrambi impazienti verso il mor- Derek, lo corresse la sua mente, chi per un motivo, chi per un altro, visto lo sguardo omicida del padre.

“No.” ammise quello alla fine “Ma tu lo vorresti.”   

“Oh.”

Passarono una serie di minuti di silenzioso imbarazzo, prima che Stiles facesse un’altra domanda. “Quei ragazzi che si trovavano a casa, li conosco?”

Derek annuì. “Sono tuoi amici.”

“E tu sei il capo.” continuò ad ipotizzare il più piccolo.

“Più o meno. È un legame particolare il nostro. Siamo più di semplici amici, siamo un… gruppo.” spiegò senza distogliere lo sguardo dalla strada.

“Come un branco?”

Il cuore del moro mancò un battito. “Sì. Come un branco…”

“Oh. E anche Jackson è un mio amico?”

“Diciamo di sì. Sempre che Jackson si possa considerare amico di qualcuno.” sbuffò. Stiles si ritrovò a convenire, annuendo.

“Il motivo per cui ho avuto quell’incidente… è collegato a loro?”

Lo sceriffo trattenne il fiato, ma Derek sembrò sicuro quando rispose. “In parte.”

“E perché non posso saperlo?”

“Lo saprai.”

“Quando? Perché non ora?” incalzò nervoso il più piccolo.

“Non credo che una macchina sia il posto migliore.” spiegò il moro, guardandolo dallo specchietto retrovisore.

Passarono un’altra manciata di minuti e poi “Come facevo con la scuola?”

Questa volta a rispondere fu lo sceriffo. “Scott e gli altri si inventavano sempre qualcosa. La versione ufficiale era che eravate indietro con il programma e che avreste saltato alcune cose.”

Stiles annuì non molto presente. “Questo vuol dire che ogni giorno mi angosciavo per quella ricerca di Harris inutilmente?” ironizzò. “Non poteva succedere, che so, il giorno prima? Sfigato anche nella sfiga.” borbottò, alleggerendo l’aria nell’abitacolo.
 
 
 

“Perfetto direi.” disse il veterinario, esibendosi in un’espressione soddisfatta.

“Cosa è perfetto?” domandò stizzito il più piccolo e Derek, appoggiato di fianco alla parete, dovette pensarla allo stesso modo, perché serrò le braccia intrecciate ancora di più.

“Beh, dal modo in cui ne hai parlato, non sembri rifiutare l’idea di avere come amici i ragazzi. È già un passo avanti. Devi sapere, che non tutti mantengono il medesimo carattere o le medesime percezioni nei confronti delle stesse persone. Avrebbero potuto star antipatici e noi non avremmo potuto nulla. Questo è perfetto.”

Stiles sgranò gli occhi, colpito, e seguì con meno riluttanza l’uomo quando lo invitò a seguirlo nella sala medica. Gli mostro delle ecografia, le sue ecografie, e ne indicò una in particolare. “Vedi? Questa è l’area del tuo cervello che è stata danneggiata. Il lobo temporale ha sofferto un trauma molto grave, ma credo sia questo tessuto cicatriziale che impedisce alla tua memoria a breve termine di convertirsi in memoria antica mentre dormi.” spiegò indicando diverse zone, che a Stiles sembravano tutte uguali. Cosa importava se una figura era in grado di spiegare dove fosse il problema se tanto non sarebbe servito a nulla saperlo? Cosa importava sapere quale parte del suo cervello fosse rovinata se tanto la sua vita sarebbe stata a metà per sempre?!

“Stiles…” provò Derek, avendo avvertito il cambio di umore nell’altro, ma il ragazzo lo ignorò. “Mi hanno detto che ho dimenticato tre anni, tre anni della mia vita e persone che avrei
dovuto conoscere. Com’è possibile? Com’è possibile questo?”

Il veterinario sospirò. “Temevo questo momento. Non mi illudevo di certo che non ci saresti mai arrivato, ma devo ammettere che speravo prima metabolizzassi la cosa. Devo farti una domanda, Stiles, e mi devi rispondere sinceramente: ti senti davvero pronto a sentirti raccontare tutta la storia?” e al cenno affermativo del ragazzo, prese fiato e lo invitò a sedersi. “Bene, è una tua scelta e tua soltanto.” precisò alla volta di suo padre e Derek, che non sembravano d’accordo con la sua decisione. Stiles ringraziò mentalmente quell’uomo, l’unico che lo facesse sentire una persona normale. “Devi sapere, Stiles, anche se credo ti sia già stato detto, che il motivo del tuo incidente, i problemi della tua memoria e le persone scomparse dai tuoi ricordi sono in realtà tutte collegati da un comun denominatore. Ti chiedo di ascoltare e prenderti i tuoi tempi per metabolizzare il tutto; cercherò di metterti al corrente di tutto con la maggior delicatezza possibile: le tue condizioni ora sono stabili e purtroppo permanenti, ma non è da escludere il sorgere di un altro problema, come può essere la mancanza di ossigeno al cervello… causata magari da un attacco di panico.” terminò alludendo al suo precedente attacco.

Il più piccolo arrossì, ma fu con sicurezza nella voce e un battito regolare che asserì di voler sapere tutta la verità.

“Bene, lascia che ti racconti allora ciò che è protagonista nella tua vita da ormai cinque anni e che ha stravolto la tua vita: il sovrannaturale. Hai letto, e so che lo hai fatto, decine di libri, se non centinaia, sul mondo sovrannaturale: leggende metropolitane, storie del terrore o di folklore nazionale, con protagonisti esseri magici, di fantasia. Cosa penseresti se ora ti dicessi che tutte quelle storie hanno un fondo di verità? Cosa penseresti se ti dicessi che da cinque anni a questa parte licantropi, volpi oscure, giaguari mannari e cacciatori sono entrati nella tua vita? Non ti sto prendendo in giro, Stiles. Se avessi voluto avrei potuto raccontarti cose imbarazzanti sul tuo conto, mai accadute. E né tuo padre mi avrebbe permesso di confonderti così in un momento tanto delicato per te.” lo rassicurò quando vide sconcerto nei suoi occhi. “Il mio compito oggi è solo da mediatore, fra te e la tua vita. Tutto è cambiato quando Scott è stato morso…
 
e gli raccontò di lupi mannari Alpha, di Kanima e cacciatori, di branchi di Alpha, Noghitsuni e kitsuni, di ex cacciatrici psicopatiche diventate giaguari mannari e di altrettanti zii con il pallino del potere. Gli raccontò di persone ringiovanite, di altre rapite e altre ancora sacrificate. Gli parlò di come loro, nonostante tutto, fossero rimasti uniti. Stiles apprese dell’esistenza delle chimere e dei Dottori del Terrore, dei cavalieri fantasma e dei segugi infernali. Venne a conoscenza dell’esistenza delle banshee e di come, nonostante fosse l’unico umano, lui fosse sempre sopravvissuto a tutto e avesse sempre affrontato ogni cosa a testa alta, ritagliandosi una posizione centrale all’interno del branco, prima come mente del gruppo e poi come anche compagno dell’Alpha.

Durante tutto il racconto Stiles era rimasto in silenzio come promesso, ma non aveva potuto evitare che calde lacrime salate gli percorressero il viso nello scoprire di avere dei veri amici e non ricordarsi poco o nulla di loro. Derek e suo padre gli erano stati vicini, senza però invadere i suoi spazi e lasciandolo assimilare da sé tutte quelle nozioni.
 

… poi finalmente prese ad andare tutto per il verso giusto, fino a quattro mesi fa. Era arrivato in città un nuovo branco con l’intento di prendere possesso del potere del Nemeton. Nato da poco, ma con membri potenti. Ci furono una serie di guerriglie durante i primi tempi, ma nulla di serio o concreto e continuò così finché tu non radunasti il branco, mettendolo al corrente del dubbio che ti tormentava. Eh già, l’avevi capito, avevi capito le loro intenzioni e il vero motivo dietro a tutti quegli attacchi ed era testare le nostre abilità e scoprire i nostri punti deboli.
Proponesti al branco di fronteggiarli, puntando sull’effetto sorpresa per cacciarli definitivamente da Beacon Hills.”

“Non funzionò?” domandò titubante il ragazzo, interrompendo per la prima volta quello che aveva scoperto essere anche un druido.

“Oh, al contrario, Stiles. Funzionò, invece. Il branco fu sconfitto e se ne andò… o così credevamo. Vedi, c’era stata solo una cosa che avevamo sopravvalutato, insignificante per noi -abituati ad un branco così eterogeneo-, ma di vitale importanza per loro: l’onore. Devi sapere, Stiles, che non tutti i licantropi approvano e concordano con la possibile presenza di umani all’interno di un branco: li vedono come insignificanti e la stessa identità dei druidi viene talvolta celata; forse perché privi di poteri e fragili o dotati di una forza di volontà più forte e svincolati dalle leggi del branco, nessuno lo sa. Sta di fatto che però non dovettero accettare di essere sconfitti da un umano, perché tornarono.
Avevano già provato a battere il branco di Derek, ma non ci erano riusciti. Quindi, se non avrebbero potuto vendicarsi in quel modo, si sarebbero rifatti sul compagno dell’Alpha.”

Stiles trattenne il fiato, riportando alla memoria le immagini di se stesso steso su un letto d’ospedale e cosparso ovunque da serie di graffi che ora sapeva causati da artigli. Con la coda dell’occhio vide Derek irrigidirsi e guardare ovunque tranne che lui e Stile seppe, fu sicuro, che in quel momento il mannaro si ritenesse ancora responsabile per quello che gli era accaduto. Aveva un forte desiderio di andare lì e consolarlo, rassicurandolo che tutto andava bene, ma si frenò, non sicuro di poter essere l’ancora di qualcuno se per primo necessitava di qualcuno lui a cui appoggiarsi.

“Ti trovarono nei pressi del Nemeton che vagavi alla circa di erbe. Ti trovarono e… ti torturano per cercare di carpirti il modo per riattivare l’albero, ma quando si resero conto che non avresti parlato, decisero che, se se ne fossero dovuti andare, avrebbero lasciato dietro di loro quanti più danni possibili. Volevano che ti dimenticassi ogni cosa, che diventassi un guscio vuoto. L’Alpha ti privò della tua memoria, Stiles.
Derek vi trovò che il processo non era ancora terminato, ma non se ne accorse né lui né il branco e attaccarono. Bisogna che tu sappia che quando questo tipo di scambio è in atto, non lo si deve interrompere a meno che non si voglia causare una grave mancanza da entrambe le parti. In quel momento, quanto gli artigli dell’Alpha ti furono staccati via dal collo, parte della tua memoria rimase ancorata a te.”

Il ragazzo si portò una mano alla nuca, dove poté sentire sotto i polpastrelli cinque rilievi callosi: le ferite causate dagli artigli.

“Il primo che venne ucciso fu proprio l’Alpha.” seguitò a raccontare Deaton “La sua morte è stata un sacrificio, Stiles. Il Nemeton non dà niente in cambio di niente: quella morta è servita all’albero per portare a termine la cancellazione della tua memoria. È per questo che ora non ricordi le persone legate al sovrannaturale, ma solo quelle che hai conosciuto o che già conoscevi prive di quella scintilla di sovraumano.

Purtroppo però due dei Beta dell’altro branco riuscirono a raggiungerti. Quando ti portarono da me, Stiles, non c’era centimetro del tuo corpo che non fosse segnato da lunghe artigliate. Clinicamente parlando tu dovevi essere morto. E lo sei stato, ma è intervenuto il Nemeton. Ricevendo in sacrificio, seppur indirettamente, i tuoi ricordi, è stato in grado di salvarti la vita e di guarirti, fisicamente, ma anche mentalmente. Se anche fossi sopravvissuto, la tua mente sarebbe impazzita perché privata di troppi ricordi: il Nemeton ha riempito quei buchi con momenti fittizi e ha costretto la tua mente in un eterno loop che ti impedisce di far crollare quella rete di informazioni che ha creato per te, ma che sono fragili come una piramide di carte. Se anche tu scoprissi tutto, come oggi, la tua mente resisterebbe, perché soggetta a poco tempo per metabolizzare il tutto. C’è un motivo per cui ogni notte la
tua testa non riesce a convertirti la memoria, perché se lo facesse … moriresti.

Stiles, so che adesso può sembrarti tutto un grande e gigantesco incubo e ti starai chiedendo come sarebbe andata se il Nemeton non avesse accettato il sacrificio, ma devi sapere che se non avesse perso parte della tua memoria, adesso non saresti qui.
Le esatte dinamiche mi sono ancora in parte estranee, ma posso dirti questo: quel giorno, quel quattordici di marzo, al Nemeton sono stati fatti due sacrifici. Con la sua morte, l’Alpha è riuscito a privarti della tua memoria, ma la perdita della stessa è diventata il secondo sacrificio, sufficiente a farti rimanere in vita.” 










Note dell'autrice.
Oh dei, quanto è stato difficile scrivere questo capitolo! Ho avuto solo due giorni per scrivere 10 pagine!!!! Mai capitolo fu più lungo di questo nella mia breve vita. 
Oh, beh, cosa dire? FINALMENTE
Allooora in questo capitolo si inzia subito bene: al diavolo qualsiasi fosse stato il piano iniziale del Branco! Angst tutta la vita! Ma del resto si sa: i piani A non funzionano mai.
Stiles povero cucciolo vittima di qualcosa più grande di lui. Spero di aver reso il quadro generale della sua scoperta nel migliore dei modi.
Non potevano mancare le domande e per di più quelle imbarazzanti del piccolo di casa Stilinski, capaci di far strozzare Stilinski Senior. C'est la vie!
Deaton come voce narrante e rivelatrice di quanto accaduto credo sia azzeccato, lui è colui che tutto sa e nulla dice, era perfetto nella parte almeno secondo me e spero vi ritroviate nella scelta.
Ora, eccezion fatta per il racconto molto scarno di cinque anni di Teen Wolf, considerate come libertà d'autore giorni, date e datine perchè non so se abbiano senso e ne sono uscita matta per cercare di trovarcelo. Così come tutti gli eventi sovrannaturali che sono stati spalmati -ovviamente- prima gennaio, all'incirca. Quindi, non cercate un senso logico, perchè sì c'è, ma l'ho perso anche io. 
Il motivo per cui abbiamo trovato Stiles smemorato finalmente è giunto! Spero sia piaciuto a tutti e che sia stata abbastanza chiara la spiegazione che ho dato. Per me ha un senso, ma avendola pensata io, forse non è così, quindi chiunque volesse dei chiarimenti... chieda pure :) 
Grazie a chi ha recensito la storia e addio! Vado a svenire da qualche parte. Fatemi sapere cosa ne pensate ;) 
Al prossimo aggiornamento! 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


8°   3 Aprile



Dopo aver ricevuto le adeguate spiegazioni da Deaton, Stiles era salito sull’auto del mannaro, rivolgendo lo sguardo al paesaggio fuori dal finestrino e chiudendosi in un mutismo che non risparmiava neanche il padre. I due uomini lo guardavano mentre immobile, con la tempia appoggiata al vetro, non faceva trapelare emozioni. Giusto Derek poteva essere partecipe del dolore e della confusione che il ragazzo stava provando, ma non per volere del giovane Stilinski, sfortunatamente. Con un orecchio sempre prossimo a sentire i battiti del ragazzo, li percepì chiaramente, nonostante il cambiamento fosse stato impercettibile, aumentare in prossimità di casa Stilinski.

E se i due uomini, seppur potevano immaginarlo, non sapevano cosa passasse per la testa del più piccolo, Stiles ne era fin troppo cosciente. Nella clinica del druido aveva dovuto far appello a tutto l’autocontrollo di cui era capace per non cedere ad un attacco di panico. In auto, invece, aveva cercato di mantenere una parvenza di equilibrio, innalzando una facciata di indifferenza. Chissà poi per quale motivo gli erano venuti in mente due paia di occhi verdi, gli occhi di Derek Hale per la precisione, ma aveva scartato il collegamento mentale, credendolo frutto della stanchezza generale.

Il capo di Scott, che aveva scoperto aver visto per più di un paio di volte, gli aveva spiegato cosa fosse un licantropo e come loro agivano e Derek aveva fatto da dimostrazione vivente. Era quindi al corrente che il mannaro fosse in grado di ascoltare il suo cuore e non aveva dubbi al riguardo, vista la staticità con cui guidava e la piccola sbandata al suo picco d’agitazione quando si era intravista casa sua.

Non era poi una così brutta cosa scoprire di avere degli amici in più, amici che tenevano a lui, ma era terrorizzato all’idea di incontrarli, specialmente tutti insieme. Non voleva deluderli, non voleva far pensare che tenesse meno a loro, ma dal suo punto di vista, con molti dei ragazzi avrebbe parlato quel giorno per la prima volta. Tanto era assorto da quelle sue paure, che non si era accorto che fossero arrivati né che Derek gli avesse aperto la portiera, facendolo ruzzolare a terra. O meglio, quella sarebbe stata la sua fine, se prima due braccia possenti non avessero interrotto la sua caduta afferrandolo al volo. “Andrà tutto bene.” gli sussurrò con voce calda all’orecchio prima di lasciarlo andare.
Sorprendentemente quel contatto ravvicinato non gli diede alcun fastidio, ma anzi, si ritrovò a desiderare poter sentire quella voce per ore. Annuì, nervoso e si lasciò portare dentro.
Al suo rientro, tutti i ragazzi che aveva visto quella mattina erano ancora lì, chi stravaccato sul divano, chi per terra o intento a fare avanti e indietro per la stanza. Si sentì ancora più in colpa per averli fatti preoccupare tanto e il suo odore non passò inosservato. Quelli, che avrebbe potuto identificare a colpo sicuro come mannari anche senza l’elenco di Deaton, si voltarono di scatto nella sua direzione, seguiti dalle due umane del branco.

“Ehm… ciao?”

Come se avesse sciolto il gelo con quella sua uscita infelice, un urlo generale di ‘Stiles!’ lo travolse assieme ai rispettivi proprietari di quelle voci. Venne trascinato sul divano, con forse più delicatezza dopo il ringhio di avvertimento di Derek. Sospirò sollevato, Stiles, quando si accorse che il suo corpo non aveva reagito negativamente a quel suono. Era diventato un quesito importante per lui: come avrebbe reagito alla parte lupesca, sebbene tutti gli avessero assicurato che non si era mai tirato indietro, né per licantropi amici né con i nemici. Era raggelato a quella scoperta, dandosi mentalmente dell’idiota ma sentendosi al contempo orgoglioso di sé. 

“Batman, come ti senti?” gli domandò Erica, sedendogli affianco e appropiandosi di uno dei suoi bracci. Stiles sorrise a quel soprannome, felice di trovare qualcosa che ancora era rimasta la stessa. Quando palesò quella sua felicità, la ragazza per poco non scoppiò a piangere, ammettendo di non avere avuto più la possibilità di chiamarlo così dall’incidente per paura si trattasse di uno dei tanti ricordi toltogli.

Scott gli si era seduto poco lontano, non distogliendo lo sguardo da lui neanche per un secondo e facendolo sentire protetto. Ci fu poi un lungo momento imbarazzante quando i ragazzi gli raccontarono di quella volta in cui aveva avuto intenzione di andare a picchiare Isaac per essersi fidanzato con Allison. Nessuno se l’era presa ed anzi, era stata l’occasione per presentargli Kira, la kitsune del tuono che lottava con una katana -Stiles le aveva fatto diverse, molteplici, domande riguardo a quell’arma, sfoderando tutta la sua conoscenza in materia- e la nuova coppia del branco a cui il giovane Stilinski ancora faticava ad abituarsi.

Era stato poi piuttosto imbarazzante venire a scoprire di aver avuto una relazione con Malia, la cugina di Derek, suo attuale ragazzo, relazione di cui non ricordava minimamente nulla. All’odore del suo imbarazzo, la coyote lo aveva però rassicurato che si erano lasciati di reciproco accordo e con serenità, ma lo sbuffo di Derek gli aveva fatto ipotizzare che non doveva essere andata propriamente così e i risolini di alcuni ragazzi, precedenti e seguenti il ringhio infastidito della ragazza, ne erano stati la prova.

Nel complesso aveva accettato senza troppe difficoltà tutte quelle novità, ma quando gli avevano detto che fosse diventato il migliore amico di Jackson era scoppiato il caos.

“Ah-ah, davvero spiritosi. Non sarà un lupo, ma so fiutare anche io una menzogna e questa è grande come una casa, miei cari lupi spelacchiati! Quindi cercate di confondermi ancora e giuro che vi metterò dello strozzalupo nel pranzo!” li minacciò e davvero, non era mai stata sua intenzione fare una cosa del genere. Evidentemente aveva preso la faccenda troppo poco sul serio vista l’aria sconvolta dei diretti interessati. “Ehi, ragazzi, mi… mi dispiace. Non dicevo sul serio. Non voglio farvi del male o-”, ma fu interrotto prima da Lydia che scosse la testa commossa.

“No, Stiles. È solo che questa…”

“… era una frase che dicevi spesso.” terminò per lei Derek, scioccato quanto gli altri. Gli occhi nocciola di Stiles saettarono in quelli emozionati del mannaro, facendolo perdere in quel mare color smeraldo. Avrebbe fatto di tutto perché quello sguardo vivesse in eterno, a costo di lasciar libera la sua bocca di parlare e dire le cose più imbarazzanti sperando di dirne anche solo una che avrebbe sorpreso a tal punto l’Alpha.

Riscosso da un colpo di tosse strategico, la sua mente iniziò a lavorare. “Aspettate. Deaton ha detto che l’incantesimo è irreversibile. Che non peggiorerò più, ma che non migliorerò mai. Com’è possibile che-”

“-che ti ricordi cose avvenute dei tuoi ricordi rubati?” ragionò con lui Lydia. Annuì vigoroso, sentendo la speranza crescergli dentro. Speranza che fu stroncata sul nascere dalla mano di Erica, posatasi sul suo braccio a richiamarlo.

“Stiles, quelli che forse ricordi sono solo frammenti, una minima parte di un insieme molto più grande. Non voglio fare la guastafeste, ma non voglio vederti cadere a pezzi. Di nuovo.”
Malia ringhiò contro la bionda, avvertita la tristezza avvolgere il giovane umano, ma Stiles la fermò con un blando gesto della mano e un sorriso triste. “No, ha ragione. Il fatto che ricordi due frasi in croce non vuol dire niente. Illudersi sarebbe solo peggio.” concluse traendo un forte sospiro. Erica lo guardò dispiaciuta e gli mimò un ‘mi dispiace’ prima di accoccolarglisi contro ancora di più, ancorandosi al suo braccio. Quella vicinanza, che al suo corpo non pareva estranea -certo, non la inseguiva come con l’Alpha, ma sembrava essere abituale- lo mise in allerta.

“Erica?” la chiamò e quando ottenne un mormorio di assenso, continuò a bassa voce, provando a creare quel minimo di privacy che tra tutti quei mannari non sarebbe più esistita.

“Ma noi, ecco… abbiamo avuto una… relazione?”

Il gelo era sceso nella stanza, prima di far scoppiare tutti a ridere allo sguardo terrorizzato che Stiles rivolse al loro Alpha, mostratosi interessato alla risposta. Erica in compenso deglutì, lanciando un’occhiata veloce a Boyd appoggiato al muro della parete opposta e che non la perdeva di vista un attimo. “Ehm… in realtà qualcuno avrebbe potuto definirlo ‘rapporto aperto’.”

“COSA?! Quel tipo di rapporto aperto?!” si era allarmato il ragazzo. Non credeva di essere un tipo del genere, ma pensandoci Erica non aveva specificato con chi avesse avuto quel tipo di relazione. Ovviamente si doveva trattare di Derek, insomma, bastava guardarlo! Improvvisamente un moto di gelosia lo riempì. Stava per chiedere di più, quando la voce di Jackson lo bloccò.

“Andiamo, Reyes. Piantala prima che i miei vestiti si impregnino irrimediabilmente della gelosia di Stilinski!”  

“Ed ecco perché io e lui non potremmo mai essere amiconi.” ironizzò Stiles, sebbene ringraziò il ragazzo per avergli fatto intuire la verità. “E per quanto riguarda te-” incominciò puntando un indice contro Erica “-considerati fortunata ad idolatrare la luna e ad essere immune alle intolleranze, perché fossi stata umana una bottiglia di latte avariato a colazione non te l’avrebbe risparmiata nessuno!”

In risposta la bionda gli baciò svelta una guancia, lasciandogli il segno del rossetto, che Stiles si premurò di cancellare visto lo sguardo omicida che Derek stava rivolgendo a quel segno rosso. Non fare adirare il lupo cattivo, mai, scherzò mentalmente.
Lo sceriffo, che in tutto quello era rimasto vicino la porta, non come l’Alpha che si era seduto sulla poltrona -gambe aperte e braccia appoggiate ad esse, proteso interamente verso il figlio, pensò divertito-, si schiarì la voce. “E se non fosse un caso singolo?”

Il silenzio era sceso immediato, mentre l’attenzione prendeva il posto dell’ilarità generale. “Che vuoi dire, papà?”

Sospirò in imbarazzo, lo sceriffo, prima di spiegare. “Se non fosse la prima volta che ricordi? È capitato, almeno una volta, che tu facessi riferimenti di cui non capivi l’origine. Ma solo perché ti mancavano dei tasselli.”

“Cosa ricordavo?” domandò agitato ed euforico il figlio. Lo sceriffo sbuffò dal naso. “Sempre e solo il grande Alpha laggiù. Quella volta, in particolare, la sua auto.”
Stiles arrossì di botto. “La sua auto?” gracchiò, cercando di sviare l’attenzione sull’oggetto e meno sul dio che ora lo stava guardando curioso. Il padre annuì saputo “Oh, sì. mi facesti prendere un colpo quando te ne uscissi con colore e modello.” rivelò, per poi aggiungere -giusto per bilanciare le dosi di imbarazzo- “Temevo che ti fossi accorto dell’auto di pattuglia che sostava sempre dall’altro lato della strada la notte.”

Un fischio d’ammirazione partì dal branco, facendo illuminare gli occhi di rosso ad un Hale decisamente imbarazzato -e senza l’intervento del caro e vecchio zio Peter.

“Ma io non so che macchina abbia.” protestò il ragazzo. “Se me lo chiedeste adesso non saprei che dirvi.” alzando le spalle.

“Forse…” ragionò ad alta voce Lydia “non si tratta tanto di ricordi, quanto di flash. Immagini e informazioni improvvise di cui non sei realmente cosciente. Fatti appartenenti alla memoria remota, forse sono fatti così profondi che anche se avvenuti in questi anni si sono sedimentati. Forse sei tempestato da brevi frammenti che non ti spieghi e che scambi per pensieri sconclusionati. Chissà quanto quello che pensi non sia solo frutto della tua immaginazione...”

“Questo vorrebbe dire che forse, qualcosa a cui penso e che non mi sembra inerente, in realtà, sia solo un flash o un’associazione mentale riguardo a qualcosa che non ricordo? Giusto, è così? Ho capito bene?” domandò, muovendosi entusiasmato sul divano. La rossa annuì, pensierosa, non volendo illudere l’amico ma non desiderando neanche nascondergli considerazioni capaci di migliorare la situazione.

“Bene! Facciamo un esperimento allora!” esclamò esaltato Scott, battendo le mani. “Forza, che qualcuno faccia delle domande a Stiles.”
Si guardarono tutti per un secondo, ancora poco convinti. Fu Isaac a fare la prima mossa. “Ok, dove si trova la cripta degli Hale?”

“Gli Hale hanno una cripta?!” urlò, strabuzzando gli occhi Stiles. “Dov’è?”

“Se te lo domando io, forse è perché dovresti dircelo tu?” lo rimproverò il riccio, ma Lydia lo interruppe. “No, non così. Devono essere domande con un margine di immaginazione. Se stuzzichiamo la sua fantasia, sarà molto più probabile che i flash si presentino.”

“Oh, allora falle tu le domande, visto che sembri così prepa-”

“La prima auto che ti viene in mente.” lo interruppe svelto il moro. Stiles chiuse gli occhi, cercando di immaginare l’auto giusta per il lupo.

“No, Stiles. Non devi pensare. Devono essere risposte spontanee.” gli ricordò questa volta Allison, avendo capito cosa l’amica intendesse prima.

“Oh, ok. Allora… ma non prendetemi in giro, eh.” e ricevuto un segno d’assenso generale, lasciò scivolare dalla bocca quelle piccole paroline, chiudendo gli occhi subito dopo quasi a prepararsi ad un colpo. “Una Camaro nera.”

Aprì un occhio per volta, quando non udì alcun rumore, trovando tutti a bocca aperta e mal interpretando quello sbigottimento si affrettò a giustificarsi. “Oh lo sapevo! Non ho idea, okay, di come sia fatta una Camaro. Né perché abbia detto nera. Le uniche auto costose che conosco sono quelle del lupastro laggiù.” spiegò, indicando Jackson che ricambiò stizzito l’occhiata “E ora che ci penso non so neanche se sia un’auto costosa. Oddio ma la piantate tutti di guardarmi così? Avanti, di quanto ho sbagliato?”

“Visto? Che vi dicevo?” se ne uscì lo sceriffo, prima di dirigersi borbottando verso la porta mandando al cielo le mani. “Aah, Dio, chi me l’ha fatto fare.”

Stiles, che in tutto quello poco aveva capito, continuò a guardare confuso gli altri. “Allora? Qualcuno vuole parlare o devo mettermi a chimar-”

“È l’auto giusta.”

“Cosa?”

“È l’auto giusta, Stiles. Modello. E colore.” ripeté con voce più sicura Derek. Quando i loro occhi si incatenarono, il giovane Stilinski scorse della speranza in quello sguardo.

Evidentemente suo padre non doveva aver reso pubblici quei momenti. Si infastidì al pensiero che il genitore avesse deciso al suo posto di tenere lontano delle persone, perché era sicuro fosse andata così. Lanciò un’occhiata di sottecchi alla porta su cui era appoggiato prima il padre, ma decise di ignorare la faccenda -per il momento.

“Oh, mamma. Ok, ok! Fatemi un’altra domanda.”

“Il luogo più impensabile dove nascondere una cripta.” avanzò Kira, riprendendo la domanda iniziale di Isaac. Stiles socchiuse gli occhi, ragionando. “Mmh… in un hotel?”

“In un hotel? Ma come ti viene? Come… chi nasconderebbe una cripta in un hotel!” si intromise Jackson, ruotando gli occhi scocciato dalla piega che l’intera situazione stava prendendo.

“Scusami tanto, eh, se avete detto la cosa più impensabile.” borbottò offeso. Seguirono a quella un’altra serie di domande, ma tutte con esito negativo sfortunatamente per i ragazzi. I mormorii sconfitti del branco ormai erano diventati un vociare fastidioso, attutito giusto per le volte in cui le bocche erano piene di tranci di pizza, gentilmente offerti dallo sceriffo in veci di pranzo.

“Fermi tutti.” li zittì la banshee “Lo sapevamo che non avrebbe potuto ricordare tutto. Non fa niente, Stiles. Sul serio.” lo rassicurò abbracciandolo e il ragazzo annuì, sconfitto.

“Un’ultima domanda.”

“Derek, non credo di farcela a sopportare un altro buco nell’acqua.” protestò, però, il più piccolo, rammaricato, ma il mannaro insistette e a lui non restò che sottostare.

“Da dove posso venire? Io, da dove posso venire?”
I ragazzi si guardarono confusi, persino Allison si ritrovò ad alzare le spalle allo sguardo da cucciolo di Scott. Jackson mormorò un ‘ma che diavolo vuol dire’ e questa volta Lydia lo lasciò fare, concordando. Provarono ad intervenire, ma furono prontamente bloccati dal ringhio di avvertimento dell’Alpha. Stiles, d’altro canto, non sembrava particolarmente colpito dalla domanda.

“Oh, ma questa è facile. Tu vieni dai boschi come il grande e grosso lupo cattivo.”
Il sorriso orgoglioso e appena accennato dell’uomo lo convinse di aver azzeccato la risposta, sebbene non riuscisse a trovarne il senso. “Oh, mamma!”

“Come diavolo…” borbottò l’ex-kanima, guardandoli sorpreso e lo stesso branco appoggiò quell’affermazione. La confusione alleggiava nell’aria ed era palpabile anche per il giovane umano, che -ovviamente- si mise a sproloquiare nervoso.

“Come facevi a sapere che a quella avrebbe saputo rispondere?” interruppe Lydia, per ricevere risposta subito dopo. “Semplice. Non è la prima volta che l’ha detto.”

“COSA?!”

“Oh, andiamo, Stiles. Non puoi essere così ingenuo: è logico che tu e Derek vi siate visti in questo periodo. Ma quello che piuttosto interessa a me…” minimizzò lo shock del ragazzo, la banshee “… è che se si fosse trattato di un flash, il suo ripetersi sarebbe stato molto improbabile e invece è accaduto. Prima di dirvi cosa penso sia successo, devo farti una domanda, Stiles. Cosa pensi, se ti dicessi: freddo…” ,ma il ragazzo scosse la testa “spoglio…” e ancora nulla, finché “un buco.”

“Ah! Il loft di Derek!” esclamò contento, paralizzandosi il secondo dopo. “Ma che diavolo… hai un loft?!”
Lydia ignorò i commenti del ragazzo, focalizzandosi con un sorriso malefico verso il loro Alpha. “Bene, bene, bene. Non so cosa o come tu abbia fatto, Derek, ma gli unici flash di cui è dotato Stiles… riguardato te e solo te.”

“Eh?!”

“Hai sentito bene, Stilinski. Deve essere un amore profondo…”

Dire che Stiles fosse diventato viola, non sarebbe bastato. Il ragazzo continuava a mormorare una sequenza di ‘io non c’entro, nono’ e ‘ma perché tutte a me?’
Lo sceriffo decise di interrompere proprio in quel momento, facendo strozzare il figlio con la coca-cola che stava bevendo. “Per quanto voglia sapere l’amore che mio figlio prova per un ragazzo il cui fascicolo si trova ancora sulla mia libreria… vi devo chiedere di andare. Si sta facendo piuttosto tardi e credo che per oggi sia abbastanza. Per tutti noi.”
Stiles, dopo aver maledetto suo padre per avergli mandato di traverso la bibita e averlo messo in imbarazzo davanti a tutti, lo ringraziò mentalmente, avendo già sentito da un po’ la stanchezza avvolgerlo. Era solo pomeriggio inoltrato, ma tutti gli eventi di quel giorno lo aveva sfiancato notevolmente. Stava già pianificando di invitare tutti a pranzo per il giorno dopo, quando si ricordò che tutto quello che era successo e che aveva scoperto non sarebbe più esistito, almeno per lui.
Il suo nervosismo non passò inosservato all’Alpha, che gli si avvicinò deciso per prendergli una mano. In condizioni normali Stiles sarebbe andato a fuoco, avere un contatto lì, davanti a tutti, ma il quel momento era l’unica cosa a cui poteva aggrapparsi, di cui aveva bisogno. “Stiles, non preoccuparti. Per questa mattina avevamo pensato ad un modo per dirtelo, migliore di com’è andata.” sbuffò, al ricordo. “Andrà tutto bene. Sempre… sempre che tu voglia ancora saperlo, dell’incidente e… di tutto.” Aggiunse poi titubante guardandolo con il terrore negli occhi. Stiles inorridì all’idea di continuare quella farsa. “Mai. Lo vorrò sempre sapere. Sempre.”
Il sorriso misurato, ma spontaneo di Derek lo ripagò del tuffo al cuore che gli aveva provocato alla possibilità di continuare a vivere senza di loro e all’oscuro di tutto.

“O-ok. Va bene.” e tutti, chi con qualche lacrima in più (Erica ed Allison), lasciarono la casa. Scott sarebbe rimasto per la notte e Stiles stava accompagnando Derek alla porta, ancora nervoso. “Quindi, domani. A domani, no?”

Derek, già fuori dalla porta, lo guardò intenerito. “Sì, Stiles, a domani. Sarò qui.” lo rassicurò “Domani.” aggiunse battendolo sul tempo prima che ripetesse la domanda, facendolo quindi ridacchiare nervoso.

Si era ormai distaccato dall’uscio di casa, pronto a rientrare, mentre Derek era già prossimo alla Camaro, quando lo richiamò. “Derek!” il mannaro si voltò subito, aspettando che continuasse. Il cuore che gli batteva a mille e sperò che Scott non stesse origliando. “Domani, mi piacerebbe andare a prendere un gelato. Alla vaniglia!” propose, nervoso. Sebbene sapesse che erano in realtà già fidanzati, a lui sembrava il loro primo appuntamento. “Il gelato mi aiuta quando ho mal di testa.”

Il mannaro fece una riverenza appena accennata, ma sufficiente a far ridere il più piccolo. “E gelato alla vaniglia sia.”

Non si scambiarono la buonanotte, bastarono i loro sguardi, prima che Stiles venisse richiamato in casa da Scott e Derek mettesse in moto. 










Note dell'autrice.
Ed eccoci qua, nono capitolo caldo caldo, appena uscito dal computer. 
Stiles affronta il problema con più autocontrollo di quello che ci si sarebbe potuti immaginare e Derek è sempre lì, pronto a scattare per qualsiasi cosa. Il rapporto Stiles/Scott non è molto visibile in questo capitolo, ma -come Derek e lo sceriffo- Scott rimane in disparte a godersi il suo migliore amico tornato come un tempo. Le possibili reazioni di Stiles sarebbero potute essere migliaia, quindi prendete come buona questa e siate felici. 
Anche scoprire di conoscere diversa gente di cui non si ricorda nulla è particolarmente traumatico, specialmente se a quelle persone si è legati da un rapporto come quello che Stiles ha con il branco. 
La data ad inizio capitolo, invece, è la stessa del precedente, trattandosi dello stesso giorno. E dal prossimo, invece, venendo Stiles a scoprire tutto, nel pacchetto scoprirà anche il giorno e pertanto si inierà a seguire una datazione normale ahah. 
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, così come la rivelazione del precedente. Le visite sono state tante, ma non ho ben capito se l'idea vi sia piaciuta o meno. Spero di sì perchè mi ci sono arrovellata sopra delle ore per riuscire ad incastrare tutto. 
Beh, fatemi sapere e ... al prossimo capitolo! 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


28 Aprile



Sarebbe dovuto essere tutto normale quella mattina: lui si sarebbe svegliato con l’urlo del padre, mentre il genitore leggeva il giornale sorseggiando il suo caffè, senza il quale non poteva iniziare la giornata. E invece aveva trovato un post-it in cui gli si diceva di scendere in salotto appena fosse stato pronto e ora si trovava seduto sul divano con dieci paia di occhi che lo fissavano, immobili -e dieci, solo perché suo padre era occupato a smanettare con il televisore. 

“Ehm… salve?” provò agitando scioccamente una mano. Mano che venne osservata dagli altri neanche fosse stata blu. Stiles stava davvero considerando l’idea di star ancora sognando. Solo nei sogni ci sarebbe potuto essere così tanto silenzio, solo nei sogni lui sarebbe potuto stare così tanto in silenzio. “No? Ok.”

Anche Scott se ne stava religiosamente in silenzio a fissarlo, certo, c’era stato un momento di shock iniziale quando Stiles si era accorto della presenza di Jackson Whittemore, ma sarà stata l’aura di mutismo generale o la staticità anche del suo migliore amico, fatto sta che rimase in silenzio anche lui.

Era inquietante, davvero. Si sentiva come un animale da laboratorio da cui gli scienziati si aspettavano o un grande risultato… o la morte immediata. Stavano forse aspettando la sua morte? Era così teso e distratto dalla situazione che saltò come una molla quando il ragazzo apparentemente più grande -e attraente a suo parere- lo richiamò toccandogli una spalla. Il contatto era stato così delicato, che in altre circostanze non lo avrebbe neanche percepito, ma in quel momento gli altri furono costretti a sorreggerlo per evitare che ruzzolasse giù dal divano.

“Sì?” domandò con voce più stridula di quando volesse.

“Ora ti faremo vedere un video-”

“Io non ho fatto nulla!” esclamò immediatamente Stiles, lanciando una veloce occhiata al padre, che però sembrava tranquillo, giusto un poco nervoso.

“Lo sappiamo.” lo rassicurò sbuffando il moro “Però è importante che tu lo veda. Non è nulla di… male. Ok?”

Stiles lo guardò inarcando un sopracciglio, imitato di riflesso dal bel ragazzo. Agli occhi degli altri dovevano essere uno spettacolo divertente. “Sul serio? Sul serio, amico? Ti sei mai ascoltato quando fai rassicurazioni? Beh, lasciati dire che dovresti farlo. Ti saresti agitato da solo se ti fossi visto prima! Non è nulla di male, certo. E io sono cappuccetto rosso.”

Quello parve… ringhiare? Era un ringhio quello?! “Non mi interessa se sei tranquillo-”

“-o ma grazie eh. Questo dovrebbe cercare di calmarmi?”

“Ora ti siedi qui e-”

“-sono già seduto.”

“Sme.tti.la.” ringhiò, frustrato l’altro. Di nuovo. “Ora stai fermo qui e-”

“Derek.” venne richiamato il moro da una mano sulla spalla da parte di Erica. Da quando la ragazza conosceva gente del genere, pensò Stiles, da quando conosceva gente del genere e non gliela la presentava?!

“Stiles, so che adesso può sembrare tutto strano.” intervenne Lydia affiancandolo, in un vano tentativo di rassicurarlo.

“Molto strano.” la corresse Erica all’espressione incerta del ragazzo. La rossa annuì. “Ma devi fidarti di noi, dei tuoi amici, e vedere questo video. Appena l’avrai visto capirai tutto, te lo prometto.” gli spiegò andando a stringergli una mano fra le sue. A Stiles non passò l’occhiata velenosa che Mr. Simpatia aveva lanciato alle loro mani unite e neanche l’occhiataccia in risposta della rossa. Fece un piccolo cenno d’assenso e lanciò una veloce occhiata a Scott, che gli sorrise incoraggiante, prima di sistemarsi meglio ed osservare curioso lo schermo appena illuminatosi.
Da quel momento, tutti i suoni esterni all’audio del registratore o immagini altre vennero rinchiusi in una parte della sua mente.
Trovò divertente il conto alla rovescia della cinepresa dei classici film d’un tempo e corrucciò lo sguardo quando apparve una scritta:
 

Ciao, Stiles. Ci sono alcune cose che sono accadute, ma che tu non ricordi.
Lascia che te le mostriamo.
 

Aveva fatto per girarsi verso il genitore, quando l’immagine della squadra di lacrosse con la coppa della finale di stagione era entrata in scena e aveva richiamato la sua attenzione. Ma quello era impossibile perché la partita decisiva si sarebbe tenuta solo fra un mese…
Seguirono un’altra serie di immagini con notizie di giornale da prima pagina, brevi spezzoni di canali televisivi o delle sue serie tv preferite. Ed erano cose così assurde, perché lui era molto attento a vedere i nuovi episodi appena usciti e riteneva impossibile che ne avesse tralasciati così tanti…

Poi i contenuti cambiarono e si vide una foto di tutti loro -anche delle persone che vedeva per la prima volta- insieme davanti ad un falò. Un’altra a seguire che li raffigurava nei pressi di una vecchia villa diroccata con lui che distribuiva panini a tutti. Erano tutte foto di giorni che sembravano particolarmente felici, ma di cui lui non aveva memoria…

Arrivò poi il turno di una foto di sole due persone. Isaac ed Allison, mano nella mano, che si baciavano sorridenti. Il suo sguardo saettò immediatamente nella direzione della mora, trovandoci anche Isaac. Non sapeva se provare rabbia per protezione del suo migliore amico, felicità che finalmente quei due avessero trovato la persona giusta o confusione per non riuscire a ricordare particolari che potessero ricordargli un loro coinvolgimento amoroso. Allison, accortasi del suo fissare, gli sorrise timida, intimandogli con lo sguardo di continuare a prestare attenzione e Stiles desiderò tanto non averlo fatto così alla leggera, perché la foto di lui e Jackson, blandamente abbracciati e zuppi dalla testa ai piedi, ma soprattutto sorridenti, gli fece bloccare il respiro in gola. La scritta che seguì la trovò di pessimo gusto e a detta dello sbuffo che emise il biondo, non doveva essere stato l’unico…

 
E già… è successo anche questo.
Ma se hai dimenticato queste cose, un motivo c’è…
 

Senza preavviso alcuno, apparve una sua foto. Era disteso su un letto d’ospedale. Una fascia gli circondava parte della testa, il naso era visibilmente rotto e presentava diverse escoriazioni. A quella, seguirono altre foto: parti del suo corpo completamente ricoperte di tagli e graffi. Sgranò gli occhi e si voltò repentino verso il padre, che evitava di guardarlo, ma stringeva le mani a pugno, cercando di contenersi mentre osservava quelle immagini.

 
Stiles, se quello che ti stai chiedendo ora è come sia possibile, devi sapere che è successo perché stavi difendendo le persone che ami.
Persone che non ricordi tutte, ma per cui hai rischiato la vita… più volte.

 
Iniziò un video, girato in un luogo davvero che lui non conosceva, ma dotato di due grandi vetrate e un salotto arredato dalla mano di Lydia. Lì erano sparsi, chi a terra chi seduto, le stesse persone presenti con lui in quel momento. Centinaia di foto era sparse sul pavimento e sul tavolino. Una ragazza con gli short e i capelli castani afferrò una foto e la mostrò restia alla telecamera, ancora diffidente a condividerla con altri. Venne zoomato su quella piccola foto che rappresentava lui, malamente appoggiato ad un lettino d’ospedale che stringeva tra le sue una mano della ragazza, incosciente.  

“Ciao, Stiles. Sono Malia, una tua cara amica -e per un po’ anche qualcosa in più.” si presentò la ragazza, che sembrava concentrata a cercare di mettere le parole una dietro l’altra. “Tu mia hai salvata e seguita nel mio percorso di “riabilitazione”, non curandoti che nel giorno in cui questa foto è stata scattata, ti eri rotto un polso. Ti avevo detto di rimanere a casa!” ci tenne poi a precisare, offesa.

Stiles lanciò una veloce occhiata alla versione reale della ragazza, ricevendo in cambio uno sguardo per nulla imbarazzato, piuttosto alla ‘io te lo avevo detto’.
Quando riportò l’attenzione sul televisore, l’inquadratura, cambiata, stava filmando uno Scott sorridente ed un Isaac avvolto da una delle sue sciarpe. Il messicano teneva in mano una foto, che come per la precedente, fu inquadrata meglio prima di riportare l’attenzione sui due. In quel piccolo pezzo di carta si vedeva lui che reggeva Isaac che sanguinava copiosamente e Scott non messo molto meglio. Pareva cercare di portarli dentro quella stessa villa abbandonata di qualche foto prima.

“Ehi, bro. Beh noi ci conosciamo, di me e di Isaac ti ricordi,” sorrise divertito Scott “però non ti ricordi di quante volte ci hai caricati, portati e curati a villa Hale.”

“Cosa non necessaria se non fosse stato per quel tuo fidanzato incline alla violenza!”

Precisò, poi, Isaac, ricevendo uno scappellotto da una mano priva di proprietario, ma che lo fece borbottare fra sé ‘Ma è vero!’ e ‘È  inutile che te la prendi, lo sai anche tu.’ prima di venir zittito da un ringhio. Nel frattempo, però, Stile aveva strabuzzato gli occhi, non capendo a quale diavolo di fidanzato si riferisse.

Questa volta la foto venne spiattellata sulla cinepresa a distanza così ravvicinata che la camera impiegò qualche secondo per poter mettere a fuoco. L’immagine raffigurava lui ed Erica intenti a disegnare un paio di baffi sul viso addormentato di Boyd.

“Batman!” urlò la bionda, prima di essere ripresa in piedi dietro al divano “Tu sei il mio eroe e non solo metaforicamente parlando. Hai salvato il culo a me e Boyd diverse volte e ti ringrazia anche lui.” disse prendendo possesso della cinepresa poco delicatamente e inquadrando da vicino -troppo vicino- il volto neutro di Boyd. E mentre Erica cercava di spronarlo a fare almeno una smorfia, muoveva la telecamera, premendo un paio di volte per errore sullo zoom e rendendo noto a tutti quanti fosse perfetta la pelle del suo ragazzo.

Ottenuto il cenno, poi, si inquadrò di nuovo da sola. “Non ricordo effettivamente quante, in realtà, ma non fa nulla: non le ricordi neanche tu, quindi…” e la telecamera le venne definitivamente tolta dalle mani, andando ad inquadrare il pavimento. Quello che seguì dopo fece scoppiare a ridere Stiles “Boyd, non mi guardare così! Era una battuta, cav-”

“Può bastare! Forza, alza quella telecamera, grande Alpha.” si sentì ordinare dalla voce di Lydia, Lydia che apparve subito dopo nell’inquadratura, perfetta come sempre, seduta sul
divano composta. “Ok, premetto che io avrei scelto una foto quantomeno più decente,” iniziò facendo una smorfia a quanto teneva fra le mani, prima di girarla e mostrare alla telecamera sé stessa e lui seduti sul divano della ragazza con due cioccolate calde in mano e due occhiaie spaventose. “Tò, guarda che roba e dimmi tu se è accettabile. Comunque,” aggiunse, addolcendo lo sguardo “questa foto l’abbia scattata per testimoniare una delle tante notti in cui mi facevi compagnia perché non riuscivo a dormire. Sai, le voci…” scherzò amaramente, prima di lanciare alla telecamera un sorriso affettuoso e voltarsi verso la successiva inquadrata: Allison.

“Ciao, Stiles. Per te magari i nostri rapporti si limitano alla semplice compagnia a scuola, ma… ma invece sei molto di più. Questa,” disse afferrando e guardando dolcemente una foto tra le tante sparse sul tappeto accanto a lei “è stata scattata da mio padre durante il nostro ‘Club di umani’.” ridacchiò al nome “Ho sempre creduto fosse una cosa un po’ triste, però tu hai sostenuto così tante volte che gli speciali in un gruppo di speciali sono le persone più normali, che me ne sono convinta e insieme l’abbiamo trascritto nella mia camera.” gli spiegò, sebbene lui non avesse ben afferrato quel discorso di umani e speciali. L’immagine raffigurava proprio lui e Allison intenti a dipingere le pareti della stanza della ragazza con più vernice addosso che sul muro.

I suoi occhi seguivano ogni singolo fotogramma con un'attenzione tale da isolarlo dal resto del mondo. Era come assistere ad un film, bellissimo, ma pur sempre un film. Ma la cosa che più faceva male era la sensazione che fosse il film di qualcun altro.  

“Tocca a me? Allora, tocca a me? Qualcuno mi dice quando è partita?” chiese Jackson guardandosi sperduto in giro, una volta che la telecamera lo ebbe inquadrato.

“È partita, paparino!” si sentì scherzare da Isaac. “Eppure dovresti sapere come ci si comporta davanti alle telecamere. Visto che di solito le usi per filmare te e L-”

“Isaac!” Stiles si guardò intorno confuso, ma divertito dall’urlo oltraggiato di Lydia, preferendo non scendere nei dettagli. Quel filmato, che rappresentava la quotidianità, gli dava l’impressione di conoscere quelle persone da sempre e sicuramente si sentiva meno come un paziente che si vede presentati mali e medicine.

La telecamera si mosse frenetica, segno dell’impazienza del cameraman e il biondo si affrettò a parlare. “Okok. Allora, Stilinski, qui tutti sono stati sdolcinati. Ma non farti strane idee, io non ti tratterò diversamente solo perché hai un buco in testa.”

“Non ha un buco!” e “Non è un gioco la perdita di memoria, Jackson.” fecero alzare gli occhi al cielo al ragazzo. “Lo vedi con cosa devo convivere?!”

“Mostra quella dannata foto, Jackson!” si sentì sibilare da quello che Stile avrebbe potuto giurare fosse il moro sedutogli affianco.

Bene. Eccola.” sbuffò il biondo “Questa risale a… fu un giorno poco piacevole.” disse abbassando lo sguardo e facendo scemare per un secondo il vociare soffuso del video. L’immagine di cui parlava li mostrava solo di viso, ma chiaramente bagnati fradici che si guardavano tra il torvo e il riconoscente. “Avevo avuto un problema insignificante…”

“Insignificante? Sei caduto in acqua e ti sei quasi messo a piangere!”

“Non è colpa mia se mi è rimasta la paura dell’acqua!” sbraitò furioso l’altro, andando a riguardare la foto che teneva in mano.
La camera, sebbene in movimento, inquadrò perfettamente il ragazzo infilarsi con cura l’immagine in una tasca dei pantaloni, ma i presenti non parvero accorgersene.  

“Ehilà, Stiles.” salutò la nuova protagonista: una ragazza dai tratti asiatici, la stessa che ora si trovava poco dietro il suo migliore amico. “Non ti ricorderai di me, né nei vecchi ricordi né dei nostri piccoli incidenti a scuola… ops.” scherzò, mordendosi il labro inferiore, indecisa se ridere o mortificarsi. “Ti chiedo scusa, perché diverse volte ti ho causato qualche mal di testa.”

“Una volta per poco non ci scopriva.” si sentì borbottare.

“Già… il fatto è che quando sono distratta mi dimentico che, beh… insomma, tu non ricordi.” sorrise imbarazzata, lasciando intendere i loro possibili incontri. Stiles sorrise intenerito agli scenari che dovevano essere avvenuti. “Ah giusto, la foto!” esclamò poi all’improvviso, buttandosi nel mare di diapositive sparse ed uscendone fuori in possesso di una dal classico stile delle vecchie fotocamere. “Questa -indicò- è di quando ti fulminai. Per sbaglio, eh!” ci tenne a precisare, mentre mostrava lei stessa mortificata per la scossa passatagli.
Non doveva essere stata una scossa molto leggera, visto lo stato stordito in cui si trovava. Ridacchiò divertito, lanciando un’occhiata alla ragazza che ricambiò imbarazzata.  

Arrivati a quel punto mancava solo una persona. Si sentì sospirare profondamente, prima che la telecamera venisse girata, rivelando il viso imbarazzato di Derek. Servì un altro respiro per far prendere coraggio all’uomo. “Ciao, Stiles. Come avrai capito hai molti più amici di quello che credi e il tuo senso di sopravvivenza va di pari passo con loro.” sbuffò, provando a non dare a vedere di star cercando al contempo la giusta angolazione. “Sono Derek, anche se tu mi chiami spesso-”

“Sourwolf!” urlò Erica, comparendo nella visuale “Sourwolf e Batman, il nuovo duo di piccioncini!” esclamò fingendo di star leggendo il futuro titolo in copertina di un giornale. La sua fantasia venne però stroncata dallo spintone che le riservò il moro, deciso a riappropriarsi della scena.

“Sì, beh… come ha detto lei. Comunque, quello che stiamo cercando di dirti è che a dispetto di quanto sia successo e tu possa ricordare, hai una famiglia che ti vuole bene.” gli rivelò l’uomo, poco prima di voltare nuovamente la cinepresa e inquadrare tutti i ragazzi intenti a fissarlo sorridenti. Stiles sentì scioglierglisi qualcosa all’altezza del petto. Non si era neanche accorto di essere sceso da divano ed essersi inconsciamente proteso verso lo schermo.

“Sappiamo che questa scoperta è sconvolgente.” parlò Lydia, sorridendo alla camera “Ma devi fare un altro piccolo sforzo, Stiles.”

“Vuoi scoprire perché ti è accaduto quello che ti è accaduto, no?” incalzò Malia, “E allora mettiti comodo e preparati a rivivere una vita, fratello!” esclamò Scott. Il sorriso del suo migliore amico fu l’ultima cosa inquadrata prima che una sequela di immagini e piccoli filmati apparissero davanti ai suoi occhi.
 

“Ehi, salutate Stiles!” strillò la voce di Kira alla volta di alcuni di loro. Scott ed Isaac intenti a lottare contro Erica in un giardino si fermarono e tutti e tre mantennero i loro volti trasfigurati mentre agitavano le mani e urlavano un saluto alla volta del cellulare della ragazza.
 
Seguì una foto di Allison e il signor Argent spalle contro spalle mentre impugnavano due balestre e sorridevano al fotografo.
Gli si fermò il respiro in gola quando apparve l’immagine di un coyote grigio e di un bellissimo lupo nero ai limi di un bosco. Se i due non avessero avuto rispettivamente gli occhi di un blu brillante e di un rosso scintillante, intenti a fissare in camera, Stiles avrebbe giurato fossero selvaggi allo stato puro, tanta era la fierezza che trasmettevano.
Dovette farsi forza e chiudere la bocca che non si era reso conto di aver aperto.
In veloce sequenza passarono le immagini di Isaac e Boyd completamente trasformati, intenti in un combattimento corpo a corpo e di Malia che sorrideva vittoriosa, seduta su Kira, atterrata.
 

Lo sguardo di Stiles venne poi catturato dall'inizio di un breve filmato. “Ciao, Stileees!!!” urlarono in coro tutti, raccolti all’ombra di un albero, cercando di entrare nel raggio di ripresa del cellulare di turno.
 

“Vedi?” disse la voce di Lydia, partito un secondo filmato. La mano della ragazza stava indicando delle righe sottolineate su un testo antico. “Un Kanima è un mutaforma derivato da una mutazione del gene della licantropia. Come il nostro Jackie.” spiegò contenta la rossa, illuminata solo dalla luce della lampada al suo fianco. Sorrise malefica ai gemiti insofferenti di Jackson “Ma quando la finirete di riportare a galla quella storia?!”
 

“Der, sorridi in camera!” urlò la voce di Erica, intenta a filmare l’uomo impegnato ai fornelli. “Cosa?” mormorò l’altro, girandosi e venendo accecato da una decina di flash. Ringhiò infastidito, togliendosi con uno strattone il grembiule da cuoco su cui faceva mostra di sé la scritta ‘Al papà pack migliore del mondo!“Adesso basta! Mi avete scocciato con queste foto ogni volta che cucino!” Erica fu brava a seguire la lotta che seguì in soggiorno, la cui vittima fu l’innocente Jackson che stava dormendo ignaro sul divano. “Oh, ma insomma! Perché ci devo di andare di mezzo sempre io?!”
 

Stiles si lasciò andare ad una risata liberatoria e andò ad asciugarsi quelle lacrime che non si era corto di aver versato. Furono i seguenti filmati a lasciarlo però con il fiato sospeso.
 

“Sorridi, Sourwolf!” urlò lui?!, richiamando l’attenzione del suo Sourwolf, prossimo ad uscire dal lago nella riserva con gli abiti completamente bagnati e indecentemente attaccategli addosso.

“Stiles, giuro che se metti quella foto sulla tua pagina di facebook-”

La sua versione più sorridente e spensierata ridacchiò divertito. “Ops… troppo tardi!”

Lo scatto di quello che aveva appreso essere un mannaro fu fulmineo. Derek agguantò il ragazzo, mettendoselo su una spalla sordo alle preghiere di quest’ultimo. “Oh, andiamo, Sourwolf! È solo una fot- ehi, ehi, ehi. Cosa stai facendo?”

“Solo una foto? Sì, ma per l’album che hai creato su di me! E che conta…”

“Trecentoventisei foto.”
gli venne in soccorso Boyd, immobile mentre il proprio Alpha aveva preso a fare il solletico al ragazzo.

“Grazie tante, Boyd!” sentì dire, Stiles, dall’altro se stesso intento a dimenarsi, prima di volgersi serio alla telecamera principale. “Lydia, non rendere vano il mio sacrificio. Tappezza la Terra di quelle foto! Il mondo deve sapereee!!!” urlò in ultimo, prima di lasciarsi definitivamente andare alle risate.

 
Forse tu non ricordi, Stiles. Ma noi sì e non smetteremo di ricordartelo.
 
 







Note dell’autrice.
Eccoci qua! Scusate per il ritardo -in realtà è saltato l’aggiornamento- ma a mia discolpa non avevo il computer per aggiornare e al mare non si comanda.
Bene, allora, questo è in realtà più un capitolo di passaggio. Il vero protagonista è il video che Stiles andrà a vedere ogni giorno, giorno dopo giorno, e meritava le giuste attenzioni.
Spero di essere riuscita a trasmettervi la vecchia quotidianità del branco così come l’avevo immaginata io e di avervi strappato almeno un sorriso.
Il prossimo capitolo sarà sempre lo stesso giorno, quindi il 28 Aprile e non si azzererà nulla. Avverrà anche l’incontro tra Stiles, Derek e il gelato alla vaniglia.
Fatemi sapere cosa ne pensate e se volete che accada qualcosa, ditelo e, se sarà possibile, provvederò. Non mi dispiacerebbe aggiungere qualche vostra idea :)
Un saluto a tutti, alla prossima! ;*  

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


28 Aprile



“Stiles? Va tutto bene…”

Il ragazzo si voltò e incrociò lo sguardo preoccupato di Lydia. Annuì, incerto, prima di iniziare a scuotere la testa in un moto convulso. La rossa lo affiancò immediatamente, abbracciandolo in segno di conforto.

“Non dicevi sempre di voler qualcosa che stravolgesse la tua vita?” domandò, prendendogli il viso tra le mani. Stiles sbuffò una risata.

“Dai, fratello, vedila così: la verginità che tanto odiavi ora può avere una soluzione.” provò Scott, avendo giusto il tempo per vedere l’amico arrossire fino alla punta dei capelli, mentre il ringhio di Derek sovrastava i colpi di tosse dello sceriffo. “Esempio sbagliato, vero?” mormorò alla volta di Kira, che lo guardò intenerita, prima di annuire divertita.

“Ehm, quindi voi” disse Stiles, andando ad indicare i mannari nella stanza “siete dei lupi mannari…” lo scetticismo che si poteva sentire anche ad orecchio umano “mentre tu sei una mannara, ma …”

“Coyote.” gli venne in soccorso Malia. Stiles annuì fra sé e sé. “Sì, e tu una volpe?”

Kira alzò le spalle. “O kitsune. Ma anche volpe va bene.”

“Mentre tu e tuo padre siete dei cacciatori…”

Allison annuì. “Tutta la mia famiglia, in realtà.”

“Ah ah… e tu, cacciatrice di lupi mannari, prima eri fidanzata con Scott, lupo mannaro…” ripeté con un punto interrogativo sulla testa grande come una casa. Si era portato una mano alla bocca e guardava i due ragazzi tra l’incredulo che fossero riusciti a combinare anche quello e il rassegnato.
I due ebbero la decenza di arrossire, mentre Erica preferì scoppiare a ridere nel silenzio più totale. Quello stemperò l’atmosfera di ghiaccio che si era creata e fece sorridere Stiles.
“Dio,” rideva la bionda, sdraiata a terra sul tappeto “sapevo che sarebbe stato divertente, ma così è troppo!”

Stiles si sentì fiero di sé. Si schiarì la gola prima di riprendere il suo epilogo.

“Invece, Lydia, tu sei una banshee. E l’hai scoperto quando Peter, lo zio psicopatico di Derek, dopo … essere diventato Alpha, ti ha quasi uccisa, mi ha rapito per farmi trovare Derek e poi è morto e tu l’hai resuscitato?” era incredulo, detto ad alta voce era decisamente peggio.
Lydia sembrava decisamente imbarazzata e a nulla valsero le sue scuse su l’essere influenzata da Peter. E non fu di molto aiuto neanche Erica, scoppiata di nuovo a ridere. Ben presto gli aveva fatto compagnia anche Jackson, ma la minaccia di Lydia di portarlo in piscina Stiles non l’aveva ben capita.
In tutto quello, Derek invece non aveva sentito altro che la premura del ragazzo di evitare di nominare l’assassinio di sua sorella. Né gli era sfuggita l’occhiata di sottecchi che il ragazzo gli aveva lanciato in quel momento.

“Derek!”

L’Alpha inarcò un sopracciglio e Isaac gli indicò con il mento Stiles. Lo vide boccheggiare imbarazzato, ma non capiva cosa si fosse perso, ma ci pensò Boyd. “Derek, Stiles ti ha chiesto da quanto state insieme.”

Quando riportò l’attenzione sul ragazzo, si accorse della sua esitazione. “Tre anni.” Rispose senza esitare, scontrandosi con lo sguardo sbalordito dell’altro.

“Tre anni e non mi conosci abbastanza da sapere che lasciare quaranta secondi di silenzio alla domanda ‘quanto stiamo insieme’ non è il massimo?!” esclamò “Amico, mi hai fatto persino pensare che avessi sbagliato persona!”

“In realtà non lo hai mai chiamato amico, sai?” si intromise Lydia sovrappensiero. Stiles inarcò un sopracciglio, confuso. “Derek, Sourwolf…”

“… lupo costipato sentimentalmente…” si aggiunse Erica. “Orsacchiotto mio…”

Stiles arrossì di colpo, ma al ringhio di Derek la ragazza ritrattò ridendo. “No, okok. Questo non l’hai mai detto.”

Il giovane Stilinski sbuffò, ma rimase fermo nelle sue convinzioni. Non era stato piacevole aspettare tutto quel tempo ad una domanda che riguardava lui e, per quanto ne sapeva, uno sconosciuto. Che fosse un gran bel pezzo di sconosciuto e che lui avesse avuto più paura che l’altro ci avesse ripensato era un’altra storia.

“Sì, ma prima l’avrò pur dovuto chiamare in qualche modo.” fece notare, ma fu colpito alle spalle proprio da suo migliore amico, che grattandosi il mento lo corresse sovrappensiero.
“In realtà… se non ricordo male, lo definivi ‘quell’assassino’ o era ‘ricercato’ ? Non è che ci fosse questo grande affetto tra di voi… prima.”

Stiles boccheggiò un paio di volte, confuso e imbarazzato all’estremo. “Ma-ma quindi come siamo arrivati a…” e mosse le mani tra lui e Derek ad indicare lo spazio fra di loro, che a dirla tutta non ricordava fosse così poco… quando si era avvicinato all’uomo?

“Non credo che tutti debbano ascoltare.” chiarì il mannaro.

“Ma io voglio sapere! È mio diritto.”

“Non davanti a tutti, Stiles. Non voglio ripetermi.” ringhiò, seppur debolmente, Derek in segno di avvertimento. Il ragazzo gli lanciò un’occhiataccia, ma non parve turbato da quel suono né dallo sguardo torvo dell’altro.

“Lupo asociale!” ebbe, anzi, l’ardire di ribattere.

E quando calò quel silenzio sconvolto, Stiles seppe di aver combinato qualcosa. Anche se nessuno si abbassava a dirgli effettivamente cosa. “Cosa ho fatto?” gemette sconsolato, mentre si nascondeva gli occhi dietro le dita di una mano. Dita rigorosamente aperte, per permettergli comunque di sbirciare.

“È solo che… lo dicevi spesso.”

E se fosse stato un cane, le sue orecchie si sarebbero rizzate, attente. “Cosa? Nel video diceva che non posso ricordare, come…?”

Derek prese un profondo respiro, ma si vedeva fosse in difficoltà. All’ennesima occhiata che rivolse alle donne del gruppo, queste decisero di intervenire.
“Devi sapere, Stiles, che non hai propriamente dimenticato tutto.” disse Lydia, richiamando l’attenzione del ragazzo. “Ti sono rimasti pochi flash, se vogliamo dargli un nome.”

“Ma solo riguardanti Derek.”

“Eh?!” esclamò Stiles, voltandosi repentino verso Allison, accucciata al suo fianco. Il sorriso triste che gli rivolse la ragazza, gli fece capire che non stava scherzando. “Quindi ricordo poco e solo di Derek?”
Tutti i presenti annuirono, meno il lupo che lo osservava.

“Voglio parlare con il dottore che mi ha seguito. Quello… quello dell’incidente. Voglio sapere cosa mi è successo. C’entra il sovrannaturale, non è così?” e l’unico ad annuire questa volta fu proprio l’Alpha, quasi sapesse cosa avrebbe detto, quasi sapesse che ci sarebbe arrivato.

“Io e Derek ti ci porteremo.”

Gli occhi di Stiles e quelli del mannaro saettarono sulla figura dello sceriffo, che silenziosa era andata a prendere le chiavi dell’auto. Il mannaro annuì una volta sola.
Si sorprese, Stiles, quando si vide porgere una mano. E quando alzò lo sguardo si scontrò con due occhi verdi, gli occhi di Derek. Accettò l’aiuto e continuò a guardare le loro mani, che il mannaro mantenne unite anche dopo averlo aiutato ad alzarsi.
“Sapete cosa fare.” stava dicendo, prima di tirarlo debolmente verso l’esterno, dove lo sceriffo li stava già aspettando.

 
***


“Stiles.”

Fu l’unico saluto che ricevette, prima di assistere alla presentazione dell’uomo e alla spiegazione, al racconto, della storia della sua vita, la parte sovrannaturale ovviamente, di quei tre anni.
Il druido -perché i druidi esistono e fanno magie- gli aveva dato una pacca sulla spalla, prima di tornare dai suoi animali e mormorare un ‘Ci vediamo domani’, che Stiles comprese solo quando erano ormai di fronte all’auto di pattuglia del padre.

“Ero già venuto qui, non è vero?”

Il padre annuì. “Solo ieri, per il momento.”

“Quindi è tutto vero?”

“Cosa intendi?” 

Stiles aveva lo sguardo perso. “Domani non mi ricorderò nulla. Ogni giorno per me è sempre lo stesso. La vostra vita è segnata dalla mia? … sempre che si possa chiamare vita.”

“Stiles!”

Il ragazzo parve come risvegliarsi all’urlo arrabbiato del padre. Entrambi, sia il genitore che Derek, lo stavano guardando feriti. “Pensi che per noi tu sia un peso? Che tu non possa vivere più una tua vita?”

Il ragazzo alzò le spalle, disinteressato. Lo sceriffo sarebbe intervenuto, se Derek non lo avesse fermato, notato lo sguardo basso e triste del ragazzo.

“Noah, ho la Camaro parcheggiata qui vicino. Te lo riporto questa sera.” Lo sguardo d’intesa che il mannaro gli lanciò lo fece desistere da qualsiasi replica e con un secco cenno del capo salutò e montò in macchina.

Erano rimasti solo loro e Stiles benedì l’altro per quella proposta. Non voleva ferire il padre. “Non volevo dire quelle cose, prima.” mormorò, infatti, intento a guardare i suoi piedi calciare un sassolino. “È che so o cosa si prova a… a sperare che qualcuno guarisca, ma poi vederselo portare via senza poter far nulla. Dopo la morte di mamma, io-”

“Stiles, non devi-” provò a fermarlo Derek, ma il ragazzo scosse la testa e incatenò a quello sguardo color smeraldo i suoi occhi, ormai offuscati dalle lacrime.

“Io mi ero ripromesso che papà non avrebbe più sofferto così, che me ne sarei preso cura io. E… e scoprire che adesso sono proprio io la sua fonte di dolore, io…”

“Lo so.” fu tutto ciò gli disse Derek, sorridendogli appena. 

“Wow.”

“Cosa?” domandò il mannaro, acuendo i sensi per controllare a cosa si riferisse il ragazzo, ma senza staccare però gli occhi dai suoi.

“Nulla. È che dovresti sorridere sempre.”
Quando si rese conto di ciò che aveva detto, sbarrò gli occhi imbarazzato e iniziò a nutrite un forte interesse per le stringhe delle sue scarpe. Derek ghignò a quella visione.

“Andiamo, la mia auto si trova più avanti.”
 

***


“Come facevi a sapere quale gusto volevo?”

Avevano raggiunto una gelateria in poco tempo e mentre Stiles era andato a cercare un tavolo, Derek si era occupato dei gelati, presentandosi poco dopo con un cono alla frutta per sé e uno rigorosamente alla vaniglia per Stiles.

“Segreti del mestiere.”

“Mh-mh, e quale sarebbe questo mestiere?”

“Renderti felice.” rispose schiettamente Derek, ghignando al color ciliegia che le guancie del ragazzo avevano assunto.

Il mannaro si sedette e appoggiò entrambi i gomiti sul tavolo. “Allora?” chiese interrompendo i borbottii imbarazzati dell’altro.

“Allora cosa?”

“Allora, cosa mi vuoi chiedere.”

Stiles boccheggiò un paio di volte, prima di cedere. “Sempre segreti del mestiere?”

“Sempre segreti del mestiere.” annuì il moro, andando a mangiare il proprio gelato. Con la coda dell’occhio vide Stiles che annuiva fra sé.

“Ok. Ok, allora… tutti voi siete lupi mannari, coyote, volpi, banshee…  ci sono persino dei cacciatori! E io sono umano. Perché?”

Derek rispose con una naturalezza disarmante. “Non hai mai voluto il morso.”

“Ah… sì, mi pare sensato. Ma perché non sono stato addestrato?”

“Lo sei stato. Le famiglie di cacciatori si basano, appunto, sulla famiglia. È raro che qualcuno possa essere incluso e non hai mai dichiarato quest’intenzione. Chris ti avrebbe anche accettato, suppongo. Ti addestravamo noi, ad ogni modo: esercizi quotidiani e allenamenti con il branco. Però non sempre bastano di fronte al nostro mondo…” terminò con un sorriso amaro.

Stiles lo osservò attentamente. “E tu eri sempre solito prenderti colpe che non hai?” e sebbene non si mosse, lo sguardo dell’Alpha saettò immediatamente su di lui, divenendo rosso.

“È mio compito prendermi cura di ogni membro del branco, ma è il mio solo scopo di vita prendermi cura del mio compagno.”

Lo sguardo dell’umano si addolcì.
“Cosa?” gli chiese, ma Stiles scosse le spalle, divertito.

“Sei tenero.”

Derek alzò un sopracciglio, completamente interessato alla questione. “Tenero?”

“Oh beh, non nel comune senso del termine, immagino.” rise il ragazzo. “Ma è bello ricevere questo tipo di attenzioni. Il modo in cui ti preoccupi, il fatto che ti incolpi per qualcosa che non potevi impedire…” prese ad elencare, sottolineando la sua passione per l’auto flagellazione “È dolce.” Terminò iniziando a gustarsi il proprio gelato. Sorrise di nascosto quando vide il moro sbuffare, ma non riuscire ad impedirsi un piccolo sorriso.

“E quindi ricordo solo di te…” se ne uscì ad un certo punto. Derek gli rivolse uno sguardo curioso. “Interessante, no?”, ma il mannaro non dava segni di voler parlare, ottenendo solo
di far muovere nervoso il ragazzo sulla sedia. “Beh deve essere lusinghiero da una parte-”

“Stiles.”

“Sì?!” esclamò, rizzandosi a sedere composto immediatamente, contento che quel suo strano discorso fosse stato interrotto.

“Vai al punto.” Lo ammonì Derek, ricevendo un sorriso colpevole.

“Va bene. Pensavo, non mi è ancora ben chiara la portata di ricordi che possiedo su di te, perciò stavo pensando, magari, che tu potresti aiutarmi a ricordare.” L’altro socchiuse gli occhi, concentrato a cercare di capire lo scopo di quel discorso. Deaton era stato chiaro sulla possibilità di ricordare, qualsiasi cosa. “Aiutami a ricordare, Derek. Fammi rivivere quello che sento c’è, ma che non riesco ancora a vedere.”









Note dell'autrice.
Ciao a tutta quella bella gente che sta continuando a leggere la storia! 
Sterek. Niente da fare, questo capitolo è dedicato a quei due piccioncini, se lo meritano *-* 
Derek coccolone, Stiles che alterna momenti di panico per l'incidente (giustamente) a momenti di completa adorazione per il suo Sourwolf (meno scontato, ma più che giusto: è Sourwolf, insomma!) 
Grazie a tutti quelli che recensiscono e leggono *fa un inchino togliendosi il cappello* ... mi sento ispirata oggi :)
Al prossimo capitolo! 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


29 Aprile



“Sceriffo, posso parlarle?” domandò Derek e lo sceriffo lo seguì di buon grado in cucina.
 


 
“Cosa?! No! Assolutamente no, Derek.”

“Mi lasci spiegare-”

“Non c’è nulla da spiegare! Tu pensi che solo perché ora sa, sia tutto come prima. Non lo è!”

“Ehi, ma cosa sta succedendo?” esclamò Scott, accorso in cucina a causa delle grida dello sceriffo. I due però continuarono come se non fosse presente.

“Tu… tu non puoi, non puoi. Scott, diglielo tu!” mormorò l’uomo, voltandosi all’ultimo verso uno Scott più che confuso. “Dirgli cosa, sceriffo?”

“Scott, non credo sia-”

“No!” lo fermò lo sceriffo con sguardo fermo mentre l’odore di rabbia invadeva l’aria. “Deve sapere, devono sapere tutti quello che hai intenzione di fare. Tu… bruto di un essere sovrannaturale… vuoi portarmi via il mio Stiles!”

Lo sguardo di Scott saettò verso il proprio Alpha, chiedendo spiegazioni. “Non ho mai detto-” iniziò il mannaro, cercando di mantenere la calma.

“Vuoi iniziare a frequentarlo di nuovo. Non è forse la stessa cosa?!”

“Derek…” mormorò il messicano ad occhi sgranati.

“Cosa succede qui? Sveglierete Stiles di questo passo.” li sgridò Erica, seguita da Malia.

“Il vostro Alpha ha intenzione di riprendere a frequentare mio figlio.” spiegò lo sceriffo, marcando sul grado del lupo come se fosse un insulto.  

Erica rimase immobile per un secondo. “Oh.” e quello fu la goccia che fece traboccare il vaso già pieno di Derek.

“Adesso basta! Non ho intenzione di stare qui a spiegare qualcosa che riguarda solo me e il mio compagno.” ringhiò, facendo indietreggiare primi tra tutti i suoi Beta, che avevano percepito nell’aria la furia del loro Alpha insieme al pericolo. Purtroppo lo sceriffo non era un lupo e non era in grado di avvertire che ormai sia era spinto troppo oltre.

“Non è il tuo compagno! È Stiles, mio figlio. Non è forte come un lupo, non guarisce come un lupo, perché non è un lupo. Devi mettertelo in testa, Hale. Lui non ti conosce, hai capito? Non sa chi sei. Non ho intenzione di vederti ogni giorno abbordare mio figlio, trattandolo come se nulla fosse successo mentre lui non ha la più pallida idea di cosa stia succedendo. Non venderò mio figlio solo perché tu sei troppo egoista per capire che non potrai mai più riavere Stiles così com’era!”

Derek indietreggiò a quelle parole, come se fosse stato colpito.

I tre Beta presenti trattennero il fiato. Se c’era una cosa che il loro Alpha non avrebbe mai potuto fare era essere egoista. Aveva sempre messo il bene degli altri davanti al suo, aveva persino rifiutato Stiles per quasi un anno perché voleva essere sicuro che l’altro lo desiderasse davvero, senza forzature di sorta. A seguito dell’incidente del ragazzo si era incolpato per così tanto tempo da convincersi di esserne stato davvero lui la colpa di tutto. Tutto questo lo sceriffo lo sapeva e mentre Scott aveva capito che l’uomo non fosse in sé, le due ragazze la videro come una minaccia verso il loro Alpha.

Due ringhi si propagarono per l’intero abitacolo, richiamando l’attenzione anche degli altri mannari presenti in casa.
Quando entrarono, non servirono spiegazioni, ma solo la sensazione di minaccia. Una minaccia proveniente dal padre di Stiles.
L’unico che sembrava se non essere immune, almeno capace di scindere la sua parte animale da quella umana, pareva Scott che si mise davanti allo sceriffo, pronto a difenderlo.

Al ringhio che si propagò nell’aria nell’esatto momento in cui lo sceriffo mise mano all’arma di ordinanza, Derek si riscosse. Il suo sguardo si assottigliò e divenne gelido, mentre con un cenno della mano rassicurava i suoi Beta prima di rivolgersi per l’ultima volta in quel giorno allo sceriffo.

“Stiles si è svegliato, quindi ora andiamo tutti di là. Quello che è successo non dovrà trasparire.” ordinò, facendo vagare lo sguardo su tutti i presenti, fermandosi alla fine sullo sceriffo. “Per quanto riguarda l’altra faccenda, se mi avesse lasciato spiegare, avrebbe saputo che è stato Stiles a chidermelo. Forse non lo Stiles che scenderà le scale tra poco, ma sicuramente lo Stiles che sente di essere il mio compagno, nonostante non sia un lupo, quello sì.”

Senza curarsi dello sguardo sgomentato dell’uomo né dell’aria ancora tesa tra il branco, si avviò verso la porta. Quando vide che tutti erano rimasti immobile, però, fece illuminare gli occhi di rosso, ringhiando. “Tutti. Di. Là. Ora.

 
***
 

Quella mattina era stata molto simile alle altre, sebbene la tensione fosse palpabile, ma che per fortuna era stata scambiata per agitazione. Stiles ne era rimasto sconvolto, ma non si erano più verificati attacchi di panico. Come da prassi si erano recati d Deaton, da cui erano rimasti quasi tutta la mattina, il tempo necessario per mettere Stiles al corrente dell’altra parte della sua vita. Tutti quanti, in generale, erano diventati più bravi a rispondere alle domande del ragazzo. Deaton aveva preso a rispondere alle possibili domande prima ancora che venissero poste.

Una volta fuori dallo studio si ripeté una conversazione analoga a quella del giorno prima, ma fu prontamente sventata da Derek che si impose indirettamente sullo sceriffo, invitando Stiles ad uscire, invito che venne sorprendentemente accettato con disinvoltura da parte del ragazzo. Erano quindi saliti in silenzio sulla Camaro e si erano recati alla stessa gelateria del giorno precedente con grande gioia di Stiles.

“Wow, però che giornata, eh?” se ne uscì Stiles, tra uno sbrodolamento e l’altro. Derek sbuffò una mezza risata, seguito dal giovane.

“Però aspetta, per me questa sarebbe la prima… quale sarebbe per te?”

“La terza.”

“Oh. Wow, ragazzone, e non ti annoi ogni giorno a rifare la stessa cosa? Anche il capo di Scott… mi ha detto ‘a domani’. È normale?”

“Chi, Deaton? No, è solo che da quando Peter ha iniziato ad andarlo a trovare, ha acquisito un po’ del suo senso dell’umorismo.” spiegò con disinvoltura Derek, sorseggiando il suo milk-shake.

“Ah. Peter, lo zio psicopatico…” e il mannaro annuì “E cosa dovrebbe fare tuo zio alla clinica?”

Derek ci pensò un attimo, prima di rivelare con un sorriso divertito e un’alzata di spalle: “L’ultima volta si è procurato dell’erba gatta. Non chiedere, nessuno di noi ha idea di come l’abbia usata.”

Il ragazzo annuì, ma non gli era sfuggita la mancata risposta del mannaro, ma neanche a Derek. “Stiles, non mi pesa. Non pesa a nessuno di noi.”

L’umano alzò lo sguardo, esitante. “Ma-”

“Perché dovrebbe annoiarmi prendermi cura della persona che amo?”

Derek trattenne il fiato, insieme a Stiles. Ma se lui riuscì a mantenere la calma, ostentando sicurezza, l’altro andò in pezzi e si ricompose in una frazione di secondo.

“Tu… tu mi… io? Cioè, cosa intendi con… sul serio?

“Sì, Stiles. Sul serio. Ma respira.” gli assicurò il moro con un ghigno. Il ragazzo in risposta gli lanciò un’occhiataccia.

“La fai facile, tu. A me nessuno ha mai detto quelle parole. È… è sconvolgente! E assurdamente… bello. Perché è così bello? Io non dovrei conoscerti, cioè sì, però… oh, hai capito!”

Lo sguardo del moro si rattristò per un momento e Stiles si portò entrambe le mani alla bocca, avendo realizzato solo dopo cosa avesse detto. “Derek, mi dispiace. Non volevo dire-”

“Io. Te lo dicevo io, tutti i giorni.” gli rivelò con un sorriso amaro. Prima che l’altro potesse intervenire, però, scosse la testa tornando con i piedi per terra. “Per quanto riguarda quello che provi… si tratta di una forma di amore diversa da tutte quelle che conosci. È un amore istintivo, animale.”

“Ma io non sono un lupo.” obbiettò il ragazzo, fingendo per Derek che la precedente conversazione non fosse avvenuta.

“Ma io sì.” rimbeccò il mannaro. “E non sono solo un semplice lupo, ma un mannaro. Un mannaro Alpha. Sai che i lupi sono monogami.” e Stiles annuì “Gli umani no, ma se la parte umana prova la stessa cosa del lupo, il sentimento è amplificato. Se si aggiunge a questo, il fatto che sono un Alpha…”

“Il tutto risulta alla massima potenza.” concluse per lui Stiles, ammaliato da quel mondo di cui non ricordava niente ma a cui apparteneva completamente.

Derek sbuffò, mal celando un sorriso. “Gergalmente parlando. Ad ogni modo, nonostante tu non sia un lupo, ami con tutta la tua parte umana e a quanto pare è bastato a creare il legame.”

“Perché parli di questo legame come un essere venerabile?” domandò realmente curioso Stiles.

“Perché lo è. Il legame, specialmente di questo tipo, avviene solo fra lupi. È il primo caso, da che ne sappia, in cui si verifica con una delle due componenti umana.”

“Oh. Oh.” mormorò Stiles, dopo aver compreso la portata di quanto detto dal lupo. “È una sorta di ver-”

Derek annuì tra lo scocciato e il divertito. “Vero amore. Sì.” 

“Cavolo, sono davvero prevedibile.” rise l’umano, trascinando poco dopo con sé anche il moro.

“In realtà ti è sempre piaciuto definirlo così.”

Le sue guancie divennero di un bel rosso, ma fece finta di non accorgersene. “E quindi è così forte da farlo percepire anche a me? Nonostante l’incantesimo?”

“Tu lo percepisci nella massima forma umana, io anche con quella animale. Ed evidentemente sì. Lydia sta indagando insieme a Deaton, ma crede comunque che, se tu ti ricordi inconsciamente di me, sia grazie al legame.”

“Ah sì? Anche la parte animale, eh? Ed in cosa consisterebbe per il lupo?” gli chiese con un ghigno, poggiando innocentemente il mento sui palmi delle mani, alla giusta altezza per poter afferrare con le labbra la cannuccia del milk-shake del moro.
Quel gesto fece scattare qualcosa in Derek, qualcosa che gli fece illuminare per un secondo gli occhi di rosso. Stiles si sollevò appena a quella visione, rimanendone completamente incantato. Un angolo della bocca gli si sollevò in un sorriso e Derek ringraziò tutte le possibili Lune esistenti per non aver fatto spaventare il ragazzo.

“Wow.”

“Scusa, non so cosa mi sia preso, non accadrà più-”

“Eh, no, ragazzone. Quello” disse indicandogli gli occhi “è quanto di più bello io abbia mai visto e quindi sì, deve accadere. Di nuovo, di nuovo e di nuovo ancora. Ok?”

Derek scosse la testa divertito, ma quando riportò lo sguardo sul ragazzo lo fece illuminando per una frazione di secondo gli occhi, cogliendolo così completamente impreparato e facendogli cadere addosso tutto il gelato.

“E non guardarmi così!” lo riprese con un’occhiataccia che voleva essere intimidatoria, sebbene grondasse gelato e fazzoletti da tutte le parti. “È colpa tua se ho combinato questo pasticcio, lupo da strapazzo, quindi una mano sarebbe gradita.” 

Cinque minuti e tanti fazzoletti dopo la situazione si poteva dire più che peggiorata. Provò a venir loro in soccorso persino una cameriera, ma dove non vennero le parole per buon cuore, ci pensarono gli occhi affranti della ragazza a far comprendere ai due che forse era l’ora di andare via. Ringraziarono e si scusarono un’ultima volta, prima di allontanarsi da lì ridendo.

“Hai visto la faccia che ha fatto il cassiere?”

“Ma perché, lo sguardo di puro terrore che aveva quella dolce vecchietta con quell’adorabile gusto nel vestire?” rimbeccò Stiles, riferendosi ad una rana vestita di orribile pizzo fucsia che li aveva guardati schifata, scansandosi neanche avessero addosso del sangue. Derek fece una smorfia al ricordo, portando Stiles a ridere ancora di più. Neanche si resero conto di essere giunti al parco lì vicino, almeno finché non si sedettero all’ombra di un paio di alberi. Strascichi di risate che ancora sopravvivevano.

“Comunque, lasciati dire che non sei il massimo nel ripulire.” constatò il ragazzo, verificando i danni della sua maglia.

“Non ti sei mai lamentato…” gli sussurrò Derek vicino, dannatamente vicino.

Stiles arrossì al doppio senso. “Brutto pervertito spelacchiato! Ma ti sembrano cose da di- … e adesso cosa stai facendo?!”

Aveva iniziato con tanto cuore quella ramanzina, ma poi il moro si era alzato, dandogli le spalle, e iniziando a sfilarsi la maglia che indossava.
“Der…?” lo richiamò debolmente, la salivazione a zero mentre faceva vagare lo sguardo su quella distesa di pelle e muscoli, tanti muscoli, … e quello era un tatuaggio?!

“Chi era il pervertito qui?” gli disse, una volta scoperto a fissarlo. Stiles arrossì di botto, distogliendo immediatamente lo sguardo.

“Chi, io? Naah, stavo… stavo solo guardando quello… quello scoiattolo la giù, sì.”

“Stiles, lo sai che posso fiutare le tue emozioni…” gli mormorò all’orecchio Derek abbassatosi svelto al suo livello. Sussultò, Stiles, facendolo scoppiare a ridere.

“Sei uno stronzo. E perché ti sei levato la maglietta? Ci stanno guardando tutti.”

“Non parlo con una schiena.” rimbeccò il mannaro, costringendo con uno sbuffo il ragazzo a girarsi. Si stava divertendo un mondo a vedere come Stiles cercasse di guardare altrove.

“Primo, ci sta guardando solo quella signora laggiù, che, per tua informazione, è la signora River, una graziosa vedova di settant’anni che non ha mancato di farmi notare più volte come io sia un ragazzo davvero tenero.” lo informò sorridendo sotto ai baffi, mentre osservava l’espressione dubbiosa di Stiles. Abbassò la testa per nascondere il sorriso che gli era nato quando l’altro si era voltato, fulminando la signora River, che prontamente aveva distolto lo sguardo.

“Secondo, non puoi rimanere in queste condizioni. Quindi tieni, mettiti questa.”

Stiles osservò la maglia e, non senza un certo imbarazzo, si tolse la propria indossando quella del mannaro. Quella grande del mannaro, si rettificò osservando, ormai in piedi, come gli arrivasse sotto al sedere. Cos’era questa storia che con l’Alpha sembrava star per scoppiare e ora lui invece ci poteva entrare due volte?!
Si stava ancora osservando, quando due mani gli si poggiarono senza malizia sui fianchi. Sentì il fiato caldo di Derek sul collo prima ancora che l’altro parlasse.

“Terzo, tu ami questo stronzo.” azzardò, trattenendo il respiro.

Stiles rimase immobile e Derek stava già togliendo le mani, maledicendosi, quando Stiles afferrò quelle stesse mani e se le portò al petto, facendosi abbracciare.
Derek rilasciò un sospiro felice, sorridendo appena, mentre si stringeva a sé il ragazzo, appoggiando la fronte alla nuca dell’altro.

“Sì. Io amo questo stronzo.” affermò Stiles, rigirandosi nell’abbraccio. “Amo il modo in cui cerchi di nasconderti quando sorridi e sei felice.” sussurrò, alzandogli il viso, prendendolo per il mento. “Amo quei tuoi fantastici occhi. Di qualsiasi colore siano.” continuò, facendo incatenare i loro sguardi. “Amo il modo in cui ti preoccupi per me, specialmente quando arricci quel tuo naso adorabile per captare gli odori. E sì, me ne sono accorto.” rise allo sguardo sorpreso dell’altro. “Ma cosa più importante, non so perché ti amo. Non ho memoria di qualcosa che sei solito fare o di te che prepari la colazione la mattina.” disse e lo sguardo del moro si intristì, ma Stiles gli sorrise dolce “Sarebbe così facile amarti… eppure, mi è bastato indossare un gelato per poter dire con assoluta certezza che no, non so perché ti amo, Derek, ma so per certo che lo faccio. Io ti amo e non so perché. Dovrei esserne spaventato, terrorizzato… ma non lo sono e non so perché. Ci sono così tante cose che non so, Derek, perciò mi aggrappo a quegli unici punti fermi che ho: tu sei uno di quelli. Non dubitare mai che io non ti ami. Mai, hai capito? In qualsiasi forma tu sia, qualunque sia il colore dei tuoi occhi, qualunque cosa io sappia, continuerò a sentire questo. Sempre.” e fu con l’amore negli occhi che Stiles lo baciò.

Stiles baciò Derek. Derek baciò Stiles. Erano baci privi di foga, dolci, lenti. Si assaporarono come se fosse la prima volta. Stiles alternava quei baci con dei sorrisi, che Derek si premurava di baciare, uno ad uno. Appoggiò la sua fronte a quella dell’altro, Derek. Entrambi ad occhi chiusi e con un sorriso felice. Entrambi sprizzanti gioia all’ombra di quei due alberi. Stiles rise, una risata liberatoria, tenendosi con le braccia che aveva allacciato al collo dell’altro in un momento non ben precisato, ma sentiva anche le mani di Derek sulla schiena, dolci e delicate, ma era sicuro che se ne avesse avuto bisogno sarebbero state lì pronte a sorreggerlo, forti.

Non seppe, Stiles, quanto tempo passarono lì, in quel modo. Non seppe quando si sedettero a terra né quando si addormentò fra le braccia di Derek. Non seppe quando l’altro lo prese in braccio e lo portò a casa e ben che meno seppe quando il mannaro lo aveva depositato dolcemente sul suo letto, lasciandogli un bacio a fior di labbra. Non seppe mai nulla di tutto ciò, ma fu cosciente quando sorrise tra sé, dopo aver visto la figura dell’uomo stagliarsi sull’uscio e lanciargli un ultimo sguardo. 









Note dell'autrice. 
Ciao a tutti! Inizio con il dire che in realtà questo capitolo doveva essere diverso, ma più andavo avanti più mi convincevo che questo fosse come doveva realmente essere. Si è praticamente scritto da solo. Fluff che cadono così dal nulla, io bho. 
Venendo al capitolo... Derek che prova a mettere in atto quanto chiestogli dal più piccolo *-* e lo sceriffo contrario :( Premetto che siccome alla fine cosa pensano i personaggi lo decide chi scrive (dittatura ahah), io ero d'accordo sia con Derek che con lo sceriffo. E' normale, secondo voi? Però, pensandoci, da una parte c'è un padre preoccupato: Derek gli ha pur sempre detto che ha intenzione di strapazzare il suo figlio smemorato, che tra le altre cose non ricorda neanche chi Derek sia. E non è sbagliato. Poi Noah ha questa tendenza a ferire e ad attaccare quando si tratta di Stiles che, beh, è discutibile. Derek, invece, è un lupo coccoloso che si trattiene dal saltare alla gola dello sceriffo: mai inimicarsi il suocero ;) Però si rifà con il suo status di Alpha e con le frecciatine che lancia a Stiles. Povera vittima innocente. 
Quello che volevo mettere in questo capitolo, credo che lo inserirò nel prossimo, tanto non è che Stiles possa andare da qualche parte (che commento cattivo ahah) 
Voi cose avete pensato di questo capitolo? Vi è piaciuto? Fatemi sapere cosa ne pensate ;) 
Alla prossima! 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


30 Aprile



“Quindi voi fate questo ogni giorno?”

Derek e lo sceriffo si ritrovarono ad annuire simultaneamente per la quarta volta in una settimana alla stessa domanda.

“Ma non ci pesa-” disse lo sceriffo, stroncando sul nascere ogni possibile paura del figlio.

“Né ci scoccia.” terminò Derek.

Stiles parve dubbioso, ma non commentò, preferendo seguirli silenziosamente verso l’auto.

“Pensavamo di tornare a casa.” Gli disse ad alta voce il moro, informandolo indirettamente, per poi aggiungere: “Se per te non è un problema.”

Stiles scosse la testa, disorientato. “No, nessun problema, credo.”

“Bene.” sorrise Derek, montando in macchina e accendendola. “Iniziavo a preoccuparmi che tutto quel gelato ti stesse facendo male.”

Lo sceriffo si sentì addosso lo sguardo confuso del figlio. “Siete… siete soliti andare a prendere un gelato dopo… ehm, dopo.”

“Un gelato alla-”

“Alla vaniglia. Rigorosamente alla vaniglia.” Continuò per lui Derek, osservandolo dallo specchietto retrovisore. Stiles trattenne a stento un sorriso. A metà strada, però, lo sguardo del giovane Stilinski si corrucciò.

“Aspetta un attimo… hai detto che andiamo sempre a mangiare un gelato.”

“Tu principalmente. Anche se l’ultimo te lo sei rovesciato addosso.” Asserì il maggiore.

“Ma è tantissimo uguale! Sarò sicuramente ingrassato!” esclamò il ragazzo, muovendo convulsamente mani e braccia. “Sono una palla. Oddio, sono una palla! Sono una palla, papà?”

I due uomini si guardarono da prima allarmati, poi esasperati. Nonostante le rassicurazioni dello sceriffo, però, Stiles mantenne il broncio, iniziando a tastarsi le braccia alla ricerca della “ciccia incriminata. Perché è incriminata, papà.”

Quando entrarono nel salotto di casa Stilinski, l’odore di Stiles mutò sensibilmente. Da confuso, ma a suo agio, aveva iniziato ad agitarsi alla vista di tutte quelle persone che gli erano corse incontro. Derek dovette illuminare gli occhi di rosso per avvertire gli altri, ottenendo l’unico risultato di sbuffi da parte del branco e uno sguardo ammaliato e sorprendentemente tranquillo da parte di Stiles. Il mannaro ancora non si spiegava da cosa nascesse quel particolare interesse.

“Stiles, come ti senti?”

“Frastornato.” rispose il ragazzo, sorridendo incerto ad Erica. “E confuso. E shockato. E… incuriosito. È normale?”

La ragazza le sorrise sorniona, ma fu un’altra la voce che si udì. Una voce che fece ringhiare Derek.
“Oh, ma certo che è normale, Stiles. Ce l’hai nel sangue.”

Stiles si voltò e trovò un paio di occhi color ghiaccio e un ghigno divertito. Lanciò un’occhiata curiosa alla reazione del mannaro al suo fianco. “Peter?
Gli occhi di tutti si girarono verso di lui, persino quelli di Derek, che non aveva perso di vista per un secondo lo zio. “Lo avete descritto così bene che…”

“Ma certo che sai chi sono! Ormai sono di famiglia!”

“Ah sì?” domandò imbarazzato Stiles, lanciando fugaci occhiate al padre e a Derek.

“Ovvio! Ho capito subito che ti saresti integrato alla grande tra gli Hale dal primo giorno che denominasti mio nipote con quel soprannome adorabile.” spiegò serafico, riferendosi a ‘Sourwolf’

“Peter…” lo avviso però l’Alpha, ammonendolo dal dirlo qualsiasi cosa alla ‘Peter’, ma l’uomo lo ignorò.

“Visto?!” fece indicando Derek “Comunque dicevo, ho capito invece che la famiglia Stilinski faceva per me…”

“Peter.” ringhiò Derek.

“… quando vi beccai a strusciarvi a vicenda! Fu piuttosto imbarazzante, se non ricordo male. Coprivano poco i vestiti, almeno quelli che ancora indossavate...”

“Io. Ti. Ammazzo.” Ruggì Derek, facendo scattare gli artigli. “Di nuovo!” urlò, avventandosi sull’uomo.

Ma lo sceriffo non sembrava dello stesso avviso. “Voi cosa?! Tu e mio figlio avete… tu e, tu e il mio bambino. Io ti uccido, per forza. Ti uccido.”

“Oh, ma andiamo, sceriffo. Cosa si aspettava da un ragazzo con gli ormoni in subbuglio e un dio greco?” provò a farlo ragionare Erica, ma l’uomo la guardò strano.

“Un dio greco?” chiese, sicuro di aver capito male. La bionda però alzò le spalle, indicando Stiles, rosso di vergogna.

“Non guardi me, sceriffo. È Stiles che lo chiama così.”

Lo sguardo omicida del ragazzo, si trasformò in uno imbarazzato. Ma che diamine! Lui neanche sapeva chi era Derek prima di quella mattina!

Un dio greco?”  ripeté l’uomo, questa volta rivolto al figlio. La sua voce era stata ridicolmente acuta.

Stiles lo guardò spaesato, confuso dalla situazione. Il suo sguardo alternava da Derek prossimo alla trasformazione che inseguiva Peter, Peter che scappava intervallando risa inquietanti e preghiere alle dea Luna, e suo padre che lo guardò sbalordito prima di mettere mano alla pistola.

“Non ti uccideranno, ma vediamo se ti sono tanto indifferenti.” borbottò tra i denti, prendendo la mira.

Stiles si rivolse a Erica, sperando in un aiuto, ma la ritrovò a parlare con Boyd, incurante del doppio omicidio che si stava per svolgere. Nel suo salotto! “Secondo te ho fatto male a invitare Peter?” stava dicendo sovrappensiero. Boyd le lanciò un’occhiata più che eloquente.

Un urlo richiamò la loro attenzione. Un urlo emesso da Peter, agguantato da Derek, che aveva la pistola dello sceriffo puntata alla tempia. Peter a dispetto di tutto rideva.

“Ti ha messo nel sacco, eh nipote?” rise rivolgendosi alla canna della pistola premuta ancora alla testa del ragazzo. Derek ringhiò, stringendo la presa sul collo del parente.

“Non così in fretta, Hale.” Sibilò lo sceriffo.

“A quale dei due ti riferisci, Noah? Sai, siamo molti, noi Hale.” ammiccò Peter e lo sceriffo deglutì nervoso.

“Oh, la prego spari! Tutto piuttosto che questa scena.” gemette Derek, alzando gli occhi al cielo.
Stiles nulla stava capendo, ma l’occhiata che Peter aveva rivolto a suo padre era stata parecchio rappresentativa della pazzia del momento.

“Ma che diamine sta succedendo?!” domandò esasperato. Venne affiancato da Lydia e Malia, che però non staccarono gli occhi dal trio neanche mentre parlarono.

“C’è una questione tra te e Peter-”

“Risolta.” La interruppe affrettato lo stesso sceriffo. Stiles si accigliò.

“Io la definirei irrisolta.”

“Malia!”, ma la ragazza alzò il mento, risoluta. “Toglierà quella pistola dal mio Alpha?”

Lo sceriffo la guardò male, ma ripose la pistola.

“Peter fa le avance allo sceriiiffoo.” cantilenò Erica, battendo le mani felice.

L’uomo la guardò malissimo, ma la mannara alzò le mani. “Io non avevo promesso nulla.”
 



 
Diverso tempo e diversi shock dopo, stavano tutti seduti a tavola. Le ragazze avevano aiutato Stiles a cucinare, mentre i mannari, dotati di forza sovrumana avevano delicatamente apparecchiato.

A detta di Derek, Stiles non aveva passato molto tempo con i suoi amici in quegli ultimi giorni. Addirittura con alcuni non aveva un reale contatto dal giorno dell’incidente e perciò aveva accettato di buon grado gli assalti di coccole da parte di Kira, così come si era congratulato con la nuova coppia, le nuove coppie. Era felice che Scott fosse riuscito a riprendersi dalla rottura con Allison e felice che Isaac avesse trovato un po’ di felicità.

Si trovava alla fine del tavolo, con il padre a capotavola a sinistra e Derek pressatogli accanto: a quanto pare il tavolo non era grande abbastanza per contenere tutti, ma il mannaro non ne sembrava affatto dispiaciuto, vista anche la mano che, a metà pranzo, aveva afferrato la sua sotto il tavolo.
Gli sembrava tutto così surreale, un altro mondo di cui sentiva di far parte, ma di cui non ricordava nulla. L’inclinazione dei mannari allo sniffare la gente, poi, era stata rivalutata da parte di Stiles. Infatti, ogni qualvolta che si perdeva in pensieri tristi, che lo facevano isolare mentalmente e ne alteravano l’odore, era allora che qualcuno dei ragazzi col naso da tartufo lo interpellava per questioni di poca importanza o raccontava aneddoti capaci di distrarlo dai suoi stessi pensieri e fargli tornare il buon umore.

“Te lo giuro, fratello. Quel giorno hai creato il panico.” esordì Scott, provocando diversi mormorii di assenso.

Stiles ormai ci aveva fatto l’abitudine a sentire di cose che lui aveva fatto, cose imbarazzanti, ma di cui non ricordava nulla. Arrossiva giusto un poco, ma nulla di troppo visibile.

“Non è da tutti affrontare un orso mannaro.” stava dicendo l’amico “Se poi ci aggiungi che sei sparito in una nuvola di polverina…”

“Polverina?” intervenne curioso Stiles e Allison annuì. “Oh sì, una polverina fucsia molto carina.”

“Carina un cavolo. Ci sono voluti quattro giorni di docce per toglierla dai capelli!” I ragazzi convennero con Jackson, perché si toccarono i capelli rabbrividendo.

“Io ho trovato che mi risaltasse i punti luce.” ammise Lydia, pettinandosi distratta i capelli. Stiles alzò gli occhi al cielo. Adorava quella rossa.

“Ad ogni modo la tua sparizione ci mandò parecchio nel panico. Non sapevamo che gli orsi stavano collaborando con una strega, perciò puoi immaginare cosa poteva passarci per la testa.” riprese Scott, ridacchiando nervoso.

“Cos’è, pensavate che l’orso cattivo mi avesse mangiato in un sol boccone?” rise Stiles. Smise, però, quando nessuno reagì alla sua battuta. “Oh mio dio, voi lo avete pensato!”

I ragazzi abbassarono gli occhi, imbarazzati. Solo Peter mantenne lo sguardo strafottente. “Fortunatamente non siamo tutti così… Ragazzino, non sai quanto mi sei mancato quando mi sono ritrovato questi cretini disperati, convinti che tu fossi stato mangiato.” gemette sconsolato, fingendo disperazione.

“Ho paura a chiederlo, ma… come mi avete trovato?”

Erica fece un ghigno per niente rassicurante. “Oh, quello sì che fu divertente.” e alla scintilla di curiosità negli occhi di Stiles si affrettò a spiegare, ignorando il basso ringhio proveniente dal suo Alpha “Il tuo amato Sourwolf è diventato un grosso e peloso lupetto nero e ha iniziato a sniffare ogni centimetro della città finché non ti ha trovato.”

Gli occhi di Stiles si sgranarono e quando si voltò verso Derek, i presenti poterono giurare che fossero i classici occhi a cuoricino di cui tanto si legge sui social. Derek, d’altro canto, aveva lanciato un’occhiataccia alla bionda e aveva messo su un broncio adorabile, a detta dell’umano.

“Io non sono grosso.” borbottò.

“Oh, certo che no, Der. Sei sicuramente adorabile.” Lo rassicurò il giovane Stilinski, prendendogli il viso tra le mani e stampandogli un bacio fugace sulle labbra. Derek rimase di sasso, mentre lo sceriffo prese a tossire, strozzatosi con il boccone che aveva appena fatto in tempo a portare alla bocca.

“Okok, penso che possa bastare. Stiles, perché non porti i piatti di là?” propose l’uomo e con in sottofondo le lamentele di Peter per l’interruzione di, testuali parole, “finalmente un po’ di pepe nella vita di mio nipote” Stiles si recò felice in cucina.
 
 


Non era molto che stavano parlando, ma Stiles era già confuso da tutte le articolate supposizioni di Lydia e a quanto pare anche di Deaton.

“Non ho capito.” disse Malia e Stiles annuì concorde.

La banshee li guardò male, ma prese un profondo respiro e riprovò. “Premesso che è un evento più unico che raro, pari a una leggenda. Le notizie sono davvero poche, ma Deaton è riuscito, mediante una vecchia conoscenza, ad entrare in possesso di un vecchio volume. Questo qui, per l’esattezza.” spiegò mostrando il vecchio libro che teneva in mano. “In un passaggio si parla di memoria recondita. Una memoria capace di eludere persino il sovrannaturale. Stiamo parlando della memoria che contiene le informazioni sulla lingua, la capacità d’azione. La leggenda vuole, che alcuni momenti di vita vissuta possano sopravvivere in piccoli frammenti di ricordi nella memoria recondita. Stiamo parlando di un fenomeno quasi impossibile, talvolta neanche il nome sopravvive nella memoria.”

Nessuno aveva parlato, troppo assorti dalla spiegazione data dalla banshee. Solo Stiles stava oltre e non si fece attendere la sua domanda. “Lydia, di quale paragrafo stai parlando?”

La rossa guardò seria lui e Derek. “È il capitolo del legame.”









Note dell'autrice. 
Salve a tutti! Il capitolo è un po' corto, ma mi serviva finirlo in questo modo. 
Finalmente Stiles passa del tempo anche con il branco. Sorry Sterek, but not sorry. Alla fine però sono riuscita a metterla lo stesso ;) Ci tenevo ad inserire questo capitolo sul Branco, in quanto lo ritengo parte integrante della vita del nostro Stiles e 'dimenticarlo/lasciarlo ai margini' così mi sembrava davvero brutto. Senza dimenticare le utilissime scoperte di Lydia. Ma cosa più importante di tutte... Peter!! Io amo quell'uomo e dovevo assolutamente inserirlo nella storia di nuovo. Cosa ne pensate poi delle avance che il nostro psicopatico fa a Mr. Stilinski? Personalmente Peter lo shippo con molte persone, neanche fosse un jolly ahahah   
Fatemi sapere cosa ne pensate ;) 
Al prossimo capitolo! 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


30 Aprile



“Il capitolo del legame?” quasi si strozzò Stiles. Lydia annuì.

“Lo sapevamo. Và avanti, Lydia. Cos’altro dice?” si intromise Derek, i muscoli in tenzione e l’agitazione crescente dentro di sé. Se c’era anche solo una possibilità per il suo Stiles, l’avrebbe trovata.

“Oh certo, ovviamente lo sapevamo. Peccato che quel ‘noi’ in cui includi anche me in realtà contiene solo te e quindi alla fine è un ‘io’ che saresti tu, quindi per me un ‘tu’. Io non so proprio un bel niente, perché io dimentico tutto durante la notte, ricordi? Ovvio che ricordi, quello smemorato sono io.” borbottò, sproloquiando come suo solito. La rossa lo ignorò completamente e fece del suo meglio per spiegare quanto aveva scoperto mediante poche righe su qualche libro.

“Vedete, il legame è sempre stata una forma di magia potente, sebbene molti druidi avrebbe da ridire sulla denominazione. E il legame è risaputo avvenire solo fra esseri sovrannaturali, da entrambe le parti.” fece una piccola pausa “Questo legame, invece, non solo è avvenuto fra un lupo mannaro ed un umano, ma ha anche subito l’ulteriore intervento dell’Alpha, che ha provato ad intromettersi fra Stiles e il mondo sovrannaturale; e ci è riuscito. Non… non c’è scritto da nessuna parte cosa succede se una parte perde la memoria o se rammenta solo qualche frammento…” spiegò, sfogliando velocemente le pagine del libro, nella speranza di vedere qualcosa che in tutte quelle ore di lettura le poteva essere sfuggito. Sospirò affranta quando si ritrovò a tornare alla pagina di partenza. “Non viene neanche preso in considerazione, perché secondo questo libro è impensabile anche solo che il legame avvenga con un umano! Questi, questi sono volumi antichi, forse ne esistono di più moderni, io… mi dispiace, ragazzi.” terminò scuotendo convulsamente la testa e con un principio di lacrime di frustrazione pronte ad uscire.

Una mano si posò sulla sua, fermanone il tremare involontario. Quando si voltò incontrò due occhi d’ambra, gli occhi di Stiles.

“Ehi, non fa niente, Lydia. È tutto ok. È tutto ok.” la rassicurò il ragazzo, prima di cedere il posto a Jackson, che accolse la rossa fra le sue braccia. Stiles si andò a sedere ai piedi di Derek.

Dopo qualche secondo di silenzio, Derek lanciò una veloce occhiata al ragazzo ai suoi piedi, prima di rivolgersi alla banshee. “Lydia.” e ottenuta la sua attenzione, illuminò gli occhi di rosso, cercando di apparire più sicuro. “Stiles dice sempre che sei la ragazza più intelligente della scuola. Molte volte aiuti nei piani e hai un grande intuito che non ti permette di sbagliare.”

“Sì, ma cosa c’entra adesso…”

“Dimentica quel libro. Io voglio sapere cosa pensa Lydia Martin.”

La ragazza deglutì, ma annuì, seppur poco convinta.

“Sono convinta che il legame c’entri qualcosa. Però non so cosa!” ammise portandosi le mani ai capelli.

“Pensa, Lydia. Solo tu hai letto tutti quei libri, oltre a Stiles.” la spronò Derek.

“Sei l’unica in grado di riuscirci.” annuì convinta Malia, appoggiando il cugino.

La ragazza guardò tutti i membri del suo branco, ma fu quando incontrò lo sguardo di Stiles, senza pretese, senza accuse, che annuì decisa.

“Allora, pensiamo… non esiste alcuna trstimonianca di un legame comprendente un essere umano. Non sappiamo perché, però, il lupo di Derek ti ha scelto, Stiles, come suo compagno. È qualcosa di raro e… estremamente importante… Ma certo! L’Alpha è riuscito ad eliminare tutti i tuoi ricordi sul sovrannaturale, MA sono sopravvissuti alcuni ricordi che hai di Derek. Ricordi così importanti da risiedere nella memoria recondita. Secondo me, e ne sono particolarmente convinta,” disse iniziando a sfogliare freneticamente il grande tomo “il legame che hai con Derek ti ha in qualche modo tutelato, protetto. Ha impedito che alcuni ricordi venissero rimossi. E adesso ti si ripresentano sotto forma di flash.” fece una pausa, battendo una mano sulla pagina appena trovata. “Credo che nessun legame sarebbe stato in grado di proteggerti allo stesso modo… ma il vostro non è un legame come tutti gli altri: Derek quello che provi è amplificato essendo lupo e triplicato essendo un Alpha. È scritto chiaramente. Stiles, tu sei un umano e questo rende il vostro rapporto diverso. Tutto quello che ne è venuto dopo è stato solo un esempio di come il vostro legami funzioni.”

“Vuoi dire che-”

“Diverso, Stiles, non vuol dire per forza che sia peggiore. Il fatto che non ce ne siano tracce, lascia solo un grande punto interrogativo; non condanna il vostro legame, semplicemente perché non ne sa nulla.”

“Quindi questo può aiutarci?” le domandò Erica.

Lì Lydia tentennò appena, ma tornò decisa subito, scuotendo la testa alla domanda della mannara. “No, non più di quanto possa essere utile sapere che i ricordi gli sono stati tolti dall’Alpha. Però questo può portare a qualcos’altro: se non esiste un libro su quest’argomento, vorrà dire che saremo noi a scriverlo.”

Stiles prese a boccheggiare, incerto, lanciando lunghe occhiate a Derek, occhiate che venivano ricambiate con lo stesso dubbio, la stessa paura di non riuscire a risolvere nulla.

“E come pensi di fare, banshee?” si intromise Peter con tono seriamente interessato. La ragazza sospirò sollevata, dopo aver notato di non sembrare totalmente pazza e inutile almeno agli occhi di qualcuno.

“Ci sarà bisogno di documentare i miglioramenti o in ogni caso le azioni di Stiles. Quando questi flash si verificano? Come avvengono? Ma soprattutto, se questa capacità può essere ampliata.”

“Spiegati.”

“Fin’ora abbiamo capito che è stato il legame a trasferire alcuni ricordi su Derek nella memoria recondita di Stiles, ma non abbiamo scoperto quanti sono questi ricordi.” ammise, mentre sentiva l’adrelina per quelle scoperte pervaderla completamente. “E se questi flash che Stiles presenta fossero solo la punta dell’icerbag? E se i ricordi potessero essere sbloccati, come?”

L’ex-Alpha si passò una mano sul mento, pensieroso. Stiles e Derek intanto stavano acquisendo sempre più fiducia, iniziando forse a concedersi il lusso di sperare.

“Cosa dovrei fare?” si fece sentire per la prima volta da tempo Stiles.

“Dovresti fare delle analisi da Deaton. Non sappiamo se questo può avere ripercussioni sul tuo organismo. Sarebbe sempre bene fare controlli periodici.” avanzò la rossa e il ragazzo annuì, concorde. “Poi potresti… non lo so, filmare le tue giornate.”

Il giovane Stilinski storse il naso. “Vorrei evitare di sommergere le mie giornate di video da vedere. Per quanto possa essere carino il vostro filmato, ragazzi, non credo di poter reggerne altri due, tre, otto.”

“Un diario.”

“E?” chiese, voltandosi verso Derek. Si era quasi dimenticato che l’Alpha potesse esprimersi anche a parole, nonostante avesse avuto un ruolo rilevante per spronare Lydia ad aprirsi.

“Potresti tenere un diario.” ripetè l’uomo. “Pensaci, sarebbe qualcosa di tuo. Unicamente tuo. Sarebbe come parlare al te stesso di domani: sapresti cosa trascrivere delle scoperte che facciamo o dei possibili… possibili miglioramenti, sapresti come scriverlo, come dirlo per sconvolgerti il meno possibile.”

Stiles arricciò il naso, pensieroso. Fissava il pavimento sotto di sé a gambe incrociate. “Questa è un’idea… geniale. Derek, sei uno Sourwolf geniale” esclamò saltandogli in braccio e cogliendo tutti di sorpresa, primo tra tutti lo stesso Alpha. Derek, però, si riprese in fretta e avvolse la vita del suo ragazzo con un braccio. Appoggiò la fronte contro la sua spalla, cosa che fece sorridere intenerito il più piccolo e capire al resto del branco che era giunto il momento di lasciare la coppia da sola. Da sola, ma con lo sceriffo.
Peter decise quindi di intervenire. Afferrò per le spalle il genitore e lo spinse verso la porta d’entrata e poi fuori, sordo alle proteste dell’uomo. “Forza, Noah, offrimi un caffè.”
 
 
***
  

“Che dici, ti piace?”

Derek lanciò un’occhiata al piccolo libricino che Stiles teneva fra le mani. Quello stesso pomeriggio erano usciti per comprarlo e avevano optato per un diario neutro, così che Stiles potesse personalizzarlo e sentirlo suo al massimo.
L’oggetto in questione adesso presentava una foto di Stiles insieme a sua madre in copertina. Il ragazzo era sicuro che vedere una foto della madre lo avrebbe fatto sentire al sicuro.
“Questa la scattammo il giorno in cui mamma mi portò a prendere il mio primo gelato alla vaniglia. Avevo litigato con Scott e credevo che la mia vita sarebbe finita… se solo avessi saputo…” gli aveva detto con sorriso amaro. In quel momento Derek lo aveva baciato e aveva continuato finchè non gli aveva tolto il fiato e l’odore di tristezza.

Nel frattempo che Derek rimaneva fermo al suo fianco intento a rimirarlo, Stiles aveva aggiunto altre foto e adesso, a cornice della foto principale con la madre, facevano mostra di sé immagini del ragazzo e Scott, della squadra di lacrosse, di lupi e dell’immancabile Star Wars. Derek sbuffò a quella visione. Era un’accozzaglia di foto, ricordi e scritte, qualcosa di così lontano dall’ordine e dal possedere un senso logico che chiunque avrebbe potuto riconoscere quel diario come di Stiles.

“Direi che è perfetto.”

Sorrise quando Stiles iniziò a gongolare per il suo commento.

“Bene. Ora arriva il difficile. Cosa ci scrivo?!” esclamò a corto di idee il ragazzo, voltandosi repentinamente verso di lui con sguardo terrorizzato. Il mannaro alzò un sopracciglio.

“Perché non parti da quello che hai fatto oggi.” gli propose. Stiles annuì nervoso. La penna nella sua mano tremava, così Derek vi sovrapposse la propria, cercando di calmarlo, rassicurarlo che non era solo e che lui c’era. Stiles sorrise appena, lo sguardo fisso sulle loro mani unite.

Gli lanciò un’ultima occhiata timida, prima di afferrare la sua mano con la sua sinistra e portarsela al petto. Derek lo assecondò in ogni movimento, abbracciandolo così da dietro e lasciandogli libera la mano destra, così da permettergli di scrivere. Non guardò, voleva lasciare a Stiles la propria privacy, si limitò a lasciargli ogni tanto qualche bacio sul collo che fece ridere Stiles, mentre sprizzava felicità e sicurezza da ogni poro.
 

Non inizierò questo diario con il classico e noioso Caro diario, quindi…

Ciao, Stiles!

Sono Stiles! Divertente eh? Io che scrivo diari. Beh, lasciati dire che non fare nulla è l’unica altra alternativa e fa davvero schifo. Sono sicuro che in questo momento ti starai scervellando per ricordare quando hai iniziato questo diario. (Ps. Lo so, è davvero fighissimo!) Non farlo.

I ricordi, che parola strana non è vero? Ovviamente ricordo viene da ricordare, ma ricordare deriva dal latino, da recordari che a sua volta è derivato da cor. Sai cosa vuol dire cor, Stiles? Cuore. Cor vuol dire cuore. I Romani erano infatti convinti che la memoria risiedesse nel cuore.
Tienilo a mente durante questi incontri (questo sarà solo il primo di molti. Lo so, stai saltando dalla felicità). C’è un bellissimo video che vedrai o avrai già visto. Se lo hai visto, sai già tutto, fatti coraggio e vai al punto 2; se non l’hai ancora visto, vai al punto 1.

1.Fai un respiro profondo, vestiti -bene possibilmente- e preparati a scendere e fare la conoscenza di tante belle persone. Non preoccuparti, tutto andrà bene. Ogni cosa troverà una risposta e puoi star sicuro che tutti ti aiuteranno. (Beh, forse Erica no. No, decisamente Erica ti conviene evitarla. Decisamente.) Ps. NON AZZADDARTI A LEGGERE IL PUNTO 2. TI CONOSCOO, ALZA QUEGLI OCCHI DA LI’!!

2.Ma ciao! Sospetto che tu non abbia seguito il punto 1, perciò resterò sul vago. (Nessuno può battere Stiles, neanche Stiles del futuro!) Allooora, tu sai, sai tutto. Sicuramente avrai già parlato abbastanza con gli altri, lasciati dire che ti capisco e non sai quanto.
 
Ciao di nuovo, Stiles. Effettivamente non so se seguirai quello che ti ho detto e non andrai avanti a leggere questo, perciò SE SEI LO STILES DEL PUNTO 1 TE LO RIPETO UN’ULTIMA VOLTA: CHIUDI IMMEDIATAMENTE QUESTO DIARIO FINCHE’ NON SARAI SCESO DI SOTTO.
Scusami, Stiles del punto 2, ma non si può mai sapere: io mi conosco.

Allora, perché ho iniziato questo diario? Perché ogni persona ha bisogno di un po’ di tempo per sé, anche se quella persona è smemorata come me. Lydia ritiene che sia importante mantenermi in contatto con il me di ieri, io penso sia fondamentale.

Oggi -come ogni mattina a quanto pare- mi sono svegliato, sono sceso di sotto, ho avuto diversi infarti alla vista di un po’ di estranei nel mio salotto, due quando ho visto Jackson e poi è stato un susseguirsi di scoperte quindi mi pare del tutto normale. Siamo andati con Derek e papà dal dottor Deaton, il capo di Scott. È un veterinario, ma anche un druido. È un uomo inquietante, non è vero? Comunque dopo siamo tornati subito a casa. Derek ha detto che negli ultimi giorni ho mangiato troppo gelato, uff. Comunque sono stato con i ragazzi, abbiamo pranzato e poi Lydia è arrivata alla conclusione che io e Derek abbiamo un legame diverso dal normale e questo può essere la causa per cui ogni tanto ho dei frammenti di lui.

È un bravo ragazzo. Forse sei spaventato, sicuramente non ci starai capendo nulla, ma lo so che senti quello che sento io: questa sensazione di protezione ogni volta che lui è vicino, quella tenerezza improvvisa che ti assale quando lo vedi sorridere appena o distogliere lo sguardo appena ti volti e credendo che tu non l’hai visto. Sourwolf è il nome che fa per lui, ma devo dire di star pensando ogni tanto a Sweetwolf. E vuoi sapere in tutto questo lui dov’è mentre scrivo? È proprio qui, accanto a me. Beh, in realtà si trova dietro di me, in questo momento sta baciando il mio collo e ti giuro che se non fosse per te avrei già lanciato tutto in aria. (Ps. Se hai modo, bacialo. Bacialo tanto e tante volte. Lo amerai *-*)

Ora ti devo lasciare, Stiles. Domani io non ricorderò nulla, non ricorderò del pranzo di questa mattina, né del fatto che Peter, lo zio psicolabile di Derek, ci provi da tempo con mio padre!! Dio mio, non mi sono ancora ripreso. Credo che una parte di me rabbrividirà ogni volta che li vedrà vicini, ricordi o non ricordi. Certe cose non si dimenticano. Tornando a noi, non ricorderò neanche che disgraziatamente io e Derek non l’abbiamo ancora fatto, anche se Peter ha in qualche modo fatto sapere che comunque non siamo dei santi… almeno questo! Ma cosa più importante, non ricorderò che questo lupo musone oggi non mi ha mai lasciato, non mi ha mai permesso di rimanere triste per più di qualche secondo, non ha mai smesso di dimostrare quanto tenga a me. Non so se gli ho mai detto ‘ti amo’. Oggi non me la sento, per quanto senta questa… cosa, questo legame, Derek rimane il ragazzo che ho scoperto di avere solo questa mattina. Ma chissà, magari tu domani, rileggendo questa giornata, ti sentirai più sicuro e glielo dirai o magari no e servirà questo e un’altra dozzina di diari per trovare il coraggi di dire alla persona che ami le uniche due parole che sarebbero in grado di tenerlo al tuo fianco per sempre. Non è la paura di venire abbandonato che mi impedisce di parlare, ma proprio di ritrovarmi Derek al mio fianco per il resto della mia vita, ma non il Derek che amo, non il Derek che mi ama.

Questo piccolo sfogo non ho intenzione di farlo mai leggere a nessuno, perciò l’ho coperto con questa foto. Ti prego, se tu che stai leggendo non sono io, lasciami almeno questo spazio e vai avanti.

Un saluto, Stiles. Ci vediamo domani.  









Note dell'autrice. 
Ciao, bella gente! Oggi mi sento particolarmente felice, sarà che ho scoperto una nuova ff o che scrivere di questi due pasticcioni sta diventando sempre più facile. 
Beh, cosa dire: i nostri eroi dall'armatura luccicante stanno facendo progressi. Stiles che inizia un diario -grazie Derek, ci sarà da divertirsi ;)-. Non è una cosa dolce *-* (che poi l'ho inventata io questa cosa del diario, quindi mi sto dicendo dolce da sola, che soggetto -.-, eh ci vuole pazienza) 
Riuscirà il nostro principe a prendere coraggio e ad essere egoista per una volta e dire le parole proibite a Derek? 
Ma cosa più importante... riuscirà Peter Hale a conquistare lo sceriffo???????? 
Ta-ta-ta-taaaan!!! 
Ok, la smetto. La felicità mi fa male ahah. Al prossimo capitolo!

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


1 Maggio



Stiles si era svegliato quella mattina di buon umore, sebbene stanco. Le cose si erano svolte più o meno così: lui che si svegliava di soprassalto, malediva il padre per non averlo svegliato e si vestiva in fretta senza degnare di un’occhiata il piccolo diario sulla sua scrivania. Era stato mentre cercava di infilarsi i pantaloni saltellando su una gamba sola, che era caduto, battendo la testa. Mise il broncio, terribilmente offeso con il pavimento, e lanciò una blanda occhiata alla sveglia. Impallidì notanto fosse mattina inoltrata: non l’avrebbero mai fatto entrare a scuola a quell’ora. Fu quando realizzò questo che alzò le spalle e si alzò massaggiandosi il capo. Poco male, per quel giorno sarebbe stato a casa, poteva permettersi un giorno d’assenza.

Come poco prima, non vide né il diario né il post-it di suo padre e scese tranquillo in cucina.

Dire che gli era venuto un colpo quando, bicchiere di late alla mano e un biscotto in bocca, si era ritrovato davanti suo padre e un ragazzo a lui sconosciuto. Mandò giù imbarazzato e si guardò in giro.

“Ehm, ciao papà!” salutò, continuando ad avere un’espressione tra il colpevole e il confuso.

“Non hai letto il diario?” domandò il moro seduto accanto a suo padre. Stiles corrucciò la fronte. Il diario? Che diario?

“Che diario?”

Sbuffò, lo sconosciuto, prima di alzarsi insieme al padre.

“Nulla, lascia perdere.” si intromise il genitore “Stiles, ti presento Derek Hale.”

Stiles arrossì guardando le proprie mani occupate, agguantò con l’altro braccio il pacco di biscotti e tese la mano destra, riuscendo miracolosamente a rimanere in piedi.
Il ragazzo si sentì lo sguardo addosso dell’altro per tutto il tempo che impiegò a lasciare sul bancone della cucina la propria colazione e a seguirli in salotto.

“Papà, ma perché non mi hai svegliato oggi? E lui chi è? Un tuo collega? State lavorando ad un caso? Oh, papà posso vedere le foto, ti preeego…” sproloquiò, non riuscendo a rimanere fermo, ma il genitore scosse la testa.

“No, Stiles. Prima c’è una cosa che devi vedere.”

Il più piccolo lanciò un’occhiata al moro seduto poco lontano da lui, che lo osservava. Inquietante, pensò. “E lui deve rimanere qui?”

“E lui deve rimanere qui, sì.” gli rispose lo sceriffo, facendo un grosso respiro preoccupato e premendo play sul videoregistratore. “Ci sarebbero dovuti essere anche Scott e gli altri, ma non potevano perdere altri giorni di scuola.”

“Altri giorni di scuola? Ma di cosa stai parlando, papà? E cos’è che devo vedere?” Stiles alternava lo sguardo fra il padre e il ragazzo nuovo. Derek, lo corresse la sua mente.

“Capirai tutto, solo… guarda questo video.”
 

Il video iniziò, proseguì, mostrò tutto quello che Stiles doveva sapere e il ragazzo non faceva che versare delle lacrime silenziose. Quando tutto terminò, rimase immobile. Si sentiva stanco, svuotato.
Derek gli si era avvicinato e senza pensarci due volte, Stiles si era lasciato stringere. Le braccia del moro attorno a lui e gli occhi segnati del padre incatenati ai suoi. Erano rimasti così per un tempo infinito, finchè Derek non aveva aumentato la stretta per poi lasciarlo e andare a recuperare qualcosa di sopra. Ne era disceso poco dopo con un piccolo diario tra le mani, che gli aveva provocato una lacrima alla vista della copertina.

“L’hai iniziato ieri.”

“Tu l’hai…?” iniziò a chiedere, ma il mannaro scosse la testa. “Oh”

Stiles ci passò incantato le dita sopra e sorrise grato a Derek. L’aprì e lesse le prime pagine, lasciandosi andare ad una risata. Aveva riconosciuto la grafia come propria, ma era il contenuto che non gli aveva lasciato alcun dubbio sull’autenticità del diario.

Dopo aver preso un respiro profondo si lasciò cadere contro lo schienale del divano.

“E così,” iniziò “ogni giorno mi fate vedere quel video.” I due uomini nella stanza annuirono nervosi, spaventati da un'altra conversazione come quella di qualche tempo addietro. “E quante volte sono che ho pianto davanti a tutti?” scherzò, invece, il ragazzo tirando fuori un sorriso stanco.

Il padre sorrise, mentre il ragazzo al suo fianco sbuffò.

“Ehi, sto cercando di sdrammatizzare qui!” si finse offeso, ma l’altro fece illuminare gli occhi di rosso per un istante, lasciandolo incantato e facendogli dimenticare tutto.

“Cosa, o mio dio, ma cos’era quello? Era… era fantastico! Dio, ti prego rifallo. Voglio dire erano…” iniziò a balbettare avviccinandoglisi e inziando a scuoterlo, quasi stesse cercando un interruttore. Quando il mannaro lo accontentò, si lasciò cadere sul divano.

“Wow.”

Derek rise, divertito dalla sua reazione, ma lo sceriffo non era dello stesso avviso. Quasi più rassegnato. “Ma si può sapere perché ti piacciono tanto? A me inquietano parecchio.” borbottò, non venendo minimamente preso in considerazione dal figlio.

“Non so perché,” iniziò Derek, facendo illuminare gli occhi di nuovo poco dopo e facendo così fermare incantato il ragazzo “ma ogni volta che li vede, si ferma.”

Stiles, ancora assorto da quella visione, lo corresse senza distogliere mai lo sguardo. “Non è che mi fermo. Mi calmano, mi fanno sentire… protetto.”

Lo sceriffo fece una smorfia, dissentendo. Derek, invece, sorrise appena nostalgico.

“Beh, vogliamo andare o no?”

Entrambi i ragazzi, seppur a malincuore, si girarono verso lo sceriffo, chiavi già alla mano.
Derek si schiaffò una mano sulla fronte, dandosi del cretino, mentre si dirigeva in cucina. 

“Dove?” domandò ingenuamente Stiles.

“A filmare le tue spiegazioni!” esclamò il mannaro tornando con una cinepresa.

“Le mie cosa?”

“Da Deaton, il dottore che ti ha curato.” gli spiegò il genitore, spingendolo verso l’auto d’ordinanza. “Derek, la Camaro si trova già lì o volete un passaggio più tardi?”

“Vogliamo?” si intromise Stiles, ma fu bellamente ignorato.

“No, grazie lo stesso, Noah. L’ho lasciata lì questa mattina.” rifiutò il mannaro, chiudendo la portiera e affiancando uno Stiles sempre più confuso.

“Ma lasciata cosa?!” sbuffò il più piccolo.
 
 
***
 
 
“Ed ecco tutto.”

Stiles aveva gli occhi fuori dalle orbite. “Ah. E questa sarebbe la versione breve?”

Alan Deaton ridacchiò, ma fece sì e no con la testa. “Dammi il braccio, forza.”

“Devo proprio?” chiese terrorizzato il ragazzo, tenendosi stretto al petto il braccio incriminato. Non si sarebbe fatto bucare se non per una buona causa! Proprio no!

“Una volta, proprio su questo stesso tavolo, stavi per tagliarmi un braccio.” mormorò divertito Derek, lanciando un’occhiata al tavolo di ferro al centro della sala.

“COSA?!”

“Con una motosega se non sbaglio.” continuò assorto fra i pensieri.

“Oh, sì. Me lo ricordo. Fu il periodo in cui non facevo che trovare sangue ovunque.” disse Deaton con un poco velato tono di rimprovero.

“Oh mio dio, penso che sverrò…”

Derek rise divertito. Per loro fortuna lo sceriffo era dovuto andar via prima del solito per un problema in centrale. Era ormai al corrente di tutto, ma non sapeva proprio ogni cosa.

“Forza, Stiles. Devo prenderti solo un po’ di sangue. Una piccola fiala…” provò ad avvicinarsi Deaton, ma il più piccolo scattò indietro.

“Primo,” disse contando sulle dita della mano “una fiala non è un po’ di sangue, è tanto sangue! Uno; due,” continuò ignorando l’alzata al cielo degli occhi del druido “è una fiala enorme! E tre, perché non prende del sangue a Sourwolf. Lui non sente dolore.”

Deaton gli lanciò una lunga occhiata. “Come posso fare delle analisi del tuo sangue se è quello di Derek?! Forza, Stiles. Basta storie, dammi quel braccio.”, ma il ragazzo scosse la testa spaventato dall’ago che vedeva nelle mani del veterinario.

“Ah-ah.” negò scuotendo la testa. Prima che potesse scappare di nuovo, però, si sentì afferrare per i fianchi e spingere verso il tavolo. “No! Non voglio, Derek. Ti prego non farmi questo!”

“Andrà tutto bene.” gli sussurrò il mannaro all’orecchio, afferrandogli il polso e facendogli distendere il braccio. “Chiudi gli occhi.”

Stiles fece come gli era stato consigliato e Derek non lo lasciò neanche per un secondo. Mantenne la sua mano sul suo braccio per tutto il tempo, che alla fine si rivelò essere particolarmente breve e indolore.

“Ecco qua!” esclamò il druido, osservando la fiala che teneva fra le mani. Stiles però continuava a mantenere gli occhi serrati.

Derek sorrise. “Stiles?”

“Mh-mh?” chiese ancora spaventato quello.

“Puoi aprire gli occhi adesso.” e Stiles lo fece, seppur titubante.

“Niente più aghi, vero?” chiese rigirandosi in quello strano abbraccio. Derek annuì. “Niente più aghi.”

Stiles stava annuendo contento fra sé e sé, quando sentì Deaton ridacchiare. “Oh, certo. Niente più aghi… fino alla prossima volta.”

“Cosa?! Derek, avevi detto niente più aghi!” urlò il più piccolo.

Il mannaro lanciò un’occhiataccia al druido. “E infatti.”

“Sì, sì. Ma tanto di cosa ti preoccupi, Stiles, la prossima volta per te sarà la prima, no? Dormi tranquillo.”

“Deaton!” ringhiò Derek, mentre Stiles aprì la bocca sconcertato.

“È a questo sadico che mi lasciate, quindi?! Derek, ti prego voglio cambiare medico!”

Deaton si fermò, sempre di spalle. “In realtà non sono un medico.” corresse sovrappensiero. Stiles però si voltò così repentinamente verso Derek da far scricchiolare il collo.

Cosa?!

“Lascia stare. È meglio… è meglio se andiamo.” Provò a distrarlo l’Alpha mentre lo spintonava verso l’uscita. Deaton intanto se la rideva, sordo alle esclamazioni preoccupate di Stiles.   
 



 
 
“Ma secondo te è normale quell’uomo?”

“Assolutamente no.” concordò l’Hale, mentre si avviavano verso la Camaro, parcheggiata poco più avanti.

“E mio padre mi lascia in mano a … quello?! Io, sangue del suo sangue, scaricato ad un veterinario. Dimmi, sono forse un cane? Non ci posso credere, seriamente.” borbottò ricevendo brevi cenni d’assenso da parte del moro.

“Deaton può essere particolare.”

Stiles si voltò verso di lui, interessato. “Lo conosci bene?”

Derek sorrise, pur non incrociando il suo sguardo, perso nei ricordi. “Sì, abbastanza. Non ricordo molto, ero piccolo quando mamma lo invitava a casa.”

“Tua madre doveva essere una donna molto forte.” asserì il ragazzo, ricevendo un’occhiata curiosa. “Beh, pensavo… per sopportare un tipo come Deaton bisogna avere i nervi di ferro. Ed è vero che voi siete anche lupi e tutto, ma… Derek, ma che motivo c’era di prendere come medico di famiglia un veterinario?!”

Il mannaro scoppiò a ridere. Visto da occhi esterni, effettivamente Stiles non aveva tutti i torti. Per lui e Laura Deaton era sempre stato il druido della loro famiglia, il loro porto sicuro, quella persona capace di proteggerli. Non l’aveva mai visto sotto quest’ottica.

Stiles, nel frattempo, sorrideva intenerito, fiero di aver cambiato argomento senza troppi danni. Probabilmente Derek non se ne era accorto, ma lui sì, lui lo aveva notato lo sguardo malinconico dell’altro, sebbene sorridesse. L’aveva notato e aveva capito. La spiegazione di Deaton si poteva ritenere tutt’altro che sommaria, ma non aveva vissuto su pelle cosa tutte quelle disavventure avessero comportato; ma quando Derek aveva assunto quello sguardo, si era rispecchiato nell’espressione che assumevano sempre lui e il padre ogni qual volta si parlasse di Claudia. Perciò era davvero fiero di sé e contento del sorriso tornato anche agli occhi del mannaro.
 
 

 


“Dove stiamo andando?” domandò, una volta salito in macchina.

“Tu dove vuoi andare?” gli domandò di rimando Derek, provando a proporgli qualcosa visto lo sguardo perso del ragazzo. “Possiamo andare a pranzare. C’è una pizzeria poco lontano.”

Stiles annuì contento e durante tutto il breve viaggio non fece che chiedere qualunque cosa gli passasse per la testa e che riguardava quei mesi di vuoto.
Quando arrivarono Derek ordinò per entrambi, divertendosi alle espressioni sbalordite dell’altro. Era bello sorprendere Stiles qualche volta.

“Quindi io e te ci frequentiamo, mmh e… sono il tuo compagno?” domandò ad un certo punto Stiles, prima di addentare un pezzo di pizza fumante.

Derek corrucciò lo sguardo. “Sì, certo che sei il mio compagno.”

“Nono, io entendevo se sono il tuo compagno in modo effettivo.” specificò con nonchalance il ragazzo, dando un altro morso. Quella pizza era fantastica.

Derek si strozzò con la birra che stava bevendo.

Come?” chise con un filo di voce, aspettando che l’aria tornasse a fluirgli nei polmoni.

“Beh sai, un conto è riconoscere il proprio compagno e ok, ma un altro è renderlo tale a tutti gli effetti. Sai, marchiarlo.”

Questa volta Derek prese a tossire violentemente, costringendo Stiles ad aiutarlo con pacche sulle spalle. “Sourwolf, così mi preoccupi.”

“Come, come sai del marchio?” trovò la forza di chiedere alla fine, non appena l'altro tornò al suo posto.

Stiles ebbe la decenza di arrossire. “Potrei aver cercato, mentre ordinavi, cosa comportasse essere il compagno di un lupo mannaro e avrei sempre potuto trovare che il legame si suggela attraverso il marchio che si dà nel massimo momento-”

“Ok, ok. Sono come funziona, Stiles. E a quanto pare anche tu…”

Il ragazzo sfoderò il suo massimo sorriso d’angelo, ma prima che potesse riprendere quella conversazione, il cellulare del mannaro squillò. Derek rispose, nonostante un iniziale tentennamento, e la sua espressione cambiò nel giro di qualche frazione di secondo.
Un momento prima era rilassato, imbarazzato certo, ma pur sempre rilassato e un secondo dopo si era alzato di scatto chiudendo nervoso la conversazione.

“Qualche problema?”

Derek lo guardò come se si fosse accorto di lui solo ora. “Dannazione!”

“Oh, ma grazie.” borbottò l’umano, mentre veniva poco gentilmente spinto fuori dalla tavola calda. Capì che era qualcosa di serio quando notò il conto spropositato lasciato dall’altro.

“Ehm, Derek… sono piuttosto convinto che questa pizza per quanto buona non costi così tanto né che quaranta dollari di mancia siano necessari… Derek, mi stai ascoltando?!”

“Muoviti.” ringhiò di rimando l’altro, spingendolo in macchina e guardandosi intorno nervoso.

“Non c’è bisogno di ringhiare.” borbottò l’umano, incrociando le braccia offeso.

“Stiles.” lo richiamò arrabbiato l’altro. “Non. È. Il. Momento.”

“Okok, grande Alpha. Non è il momento, certo non diciamo nulla al povero Stiles. Tanto non ho lo sguardo assatanato e gli occhi a raggi x, sicuramente rimarrà tranquillo. Derek, io prendo l’Adderall per un motivo!!”

In risposta Derek lo guardò male, ma contro ogni più florida aspettativa del ragazzo, alla fine si decise a parlare. “Scott.”

“Ah-ah. Conosco anche io Scott, sai?”

Gli occhi del mannaro lo fu limarono sul posto. “Ha fiutato un branco nemico. E io ti sto portando al sicuro.”

“Un branco nemico?” chiese Stiles, con un’altra domanda nella testa però.

“Sì, Stiles. Quel branco.”

Inconsiamente la mano del ragazzo andò titubante alla nuca, trovandovi la cicatrice lasciata dagli artigli dell’Alpha. Derek non si era perso nessun movimento del proprio umano e strinse la mascella mentre metteva in moto.

Nessuno si sarebbe avvicinato a Stiles. Nessuno lo avrebbe toccato di nuovo. 









Note dell'autrice. 
Eccomi di nuovo qui. Bene, questo è un capitolo più soft degli altri diciamo e quello seguirà credo sia uno dei miei capitoli preferiti della storia.
Ta ta taan, il branco dell'Alpha è tornato! Che intenzione avranno? Avanzare una proposta di pace o dichiarare guerra, vendicandosi? Le percentuali di probabilità non giocano a favore del ramo d'ulivo, ma mai dire mai. 
Stiles e Derek sembrano sempre più gli Sterek che conosciamo, chissà cosa riusciranno a scoprire pian piano...
Fatemi sapere cosa ne pensate delle ricerche a tempo perso di Stiles ;) 
Un saluto e al prossimo capitolo! 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


1 Maggio



“Cosa diavolo vuol dire che non può rispondere?! Si tratta di suo figlio!”

Stiles se ne stava seduto sul divano di casa sua da più di mezz’ora, mentre Derek non aveva smesso un secondo di sbraitare al telefono facendo avanti e indietro. Stiles si stava preoccupando più per la sanità mentale del moro, che del pericolo nei suoi confronti.

Aveva provato ad intervenire, provando a tranquillizzarlo, ma all’ennesimo tentativo bloccato dal ringhio dell’Alpha aveva rinunciato, sedendosi sul divano e osservano il moro creare un solco sul pavimento per consumazione.

“Perché credo che lei non lo abbia neanche avvisato?” disse amaramente Derek, richiamando l’attenzione di Stiles. “Non me ne frega nulla se avete trovato un corpo! Passi questo fottuto telefono allo sceriffo Stilinski!!” ringhiò alla fine, facendo sobbalzare l’umano.

Stiles sollevò lo sguardo di scatto, allarmato, quando il ringhiare dell’altro si interruppe di colpo. Guardò con la paura negli occhi il telefono nelle mani del mannaro. Derek lo guardava stranamente calmo. Troppo.

“Mi ha attaccato.”

“Derek… perché ora non posi quel telef-”

Stiles neanche aveva fatto in tempo a finire la frase che il telefono in questione aveva preso a squillare. Il ragazzo sospirò, passandosi una mano sul viso.

“Scott. No! Non risponde, non riesco a parlarci! Sì, sono qui con Stiles. Non so come fare.” ringhiò, ovviamente. Nonostante quanto si aspettasse, Stiles si sorprese di vedere finire la conversazione dopo alcuni secondi di silenzio, in cui evidentemente Scott stava parlando.

Il mannaro non lo degnò di uno sguardo, mentre recuperava un borsone dallo sgabuzzino -borsone che Stiles non credeva neanche di avere- e lo posava poco gentilmente sul tavolino in salotto. Stiles si fidava di lui, ma si stava iniziando a preoccupare.

“Derek, cosa stai-”

“Prendi qualche vestito e fai in fretta. Prima ce ne andiamo, prima sarai al sicuro.” biascicò, infilando nel borsone anche la cinepresa che quella mattina aveva ripreso lui e la spiegazione di Deaton, prima di dirigersi in cucina. Stiles era pronto a ribattere di non essere un cucciolo indifeso e aveva appena aperto la porta della cucina, quando aveva visto Derek con le mani sul ripiano dell’isola che provava a regolare i respiri. Vedeva chiaramente gli occhi cambiare colore ad intermittenza, segno che ci fosse qualcosa che non andava.
Stiles non lo aveva mai visto così nervoso. In realtà non lo aveva mai visto in nessun modo prima di quella mattina, ma sentiva che quello non era normale.

Senza fare storie decise, quindi, di fare quanto chiestogli dal moro e bussò alla porta per richiamarlo, una volta sistemato il borsone.

“Derek..”

“Eccomi.” si riscosse il mannaro e, prima che Stiles potesse chiedergli alcun che, erano già fuori casa. “Forza, andiamo.”

Finalmente in macchina, Derek sembrò rilassarsi un po’ e Stiles ne approfittò. “Derek, posso sapere dove mi stai portando?”

“Da Deaton.” E prima che il ragazzo potesse obbiettare, si spiegò. “La clinica è costruita con del frassino. Nessun mannaro potrebbe entrare se Deaton non lo volesse. Lì sarai al sicuro.”

Stiles sospirò, rasegnato e si limitò ad appoggiare la fronte contro il finestrino. Senza accorgersi si era fatto pomeriggio e nel giro di qualche ora la luce avrebbe iniziato ad andarsene. Per la prima volta, Stiles pensò a suo padre. Là fuori con un branco di lupi mannari pronti ad uccidere. Provò paura per il genitore come mai in vita sua.

“Mio padre…” mormorò terrorizzato all’idea che gli potesse capitare qualcosa. “Mio padre sta indagando su un cadavere. Dimmi la verità, Derek, la persona trovata potrebbe essere stata uccisa da questi altri mannari?”

L’altro gli lanciò una lunga occhiata triste. “No, non è probabile. È certo.”

Il respiro si mozzò in gola al ragazzo. “Vuoi dire che mio padre è in pericolo?”

“So che è dura per te, ma non sarebbe la prima volta, Stiles. Tuo padre ne ha affrontate di peggiori.”

“Non me ne frega niente se c’è stato di peggio! Quello che so ora è che mio padre è là fuori con dei fottutissimi lupi mannari che uccidono le persone!” sbraitò con gli occhi lucidi.

Derek lo guardò dispiaciuto e quando provò ad afferrargli una mano, Stiles si ritirò. Sospirò sconfitto, prima di svoltare nella via della clinica e mormorare un ‘mi dispiace’ flebile.
 
 
 
 
 


Appena arrivati, l’intera situazione sembrò surreale. Era tutto fin troppo calmo e Derek che si mise a fiutare l’aria come un cane da tartufo non migliorò le condizioni di Stiles.

Il moro gli aveva ordinato di rimanere in macchina e così ora si ritrovava da solo ad osservare inerme l’entrata della clinica. Un tuono lo riscosse dai suoi pensieri e quando guardò fuori intravide un temporale prossimo a loro. Si sorprese: fino a qualche minuto prima in cielo non si trovava neanche una nuvola. Sobbalzò quando un altro tuono, questa volta più vicino, si schiantò sulla strada poco lontano da lui. Quando il cielo si oscurò definitivamente, iniziò a pensare che la macchina non fosse poi un posto così sicuro. Perché diavolo Derek ci stava impiegando tanto?!

Aveva appena fatto in tempo a formulare quel pensiero, che il mannaro era apparso e aveva aperto di fretta la portiera.

“Dio, Derek. Ma da dove spunti?!” urlò il ragazzo, portandosi una mano al cuore per lo spavento.

“Deaton. Non c’è.” disse solo, prima di mettere in moto e sgommare via.

Derek gli raccontò di essere entrato e di aver chiamato il druido, poi siccome non aveva ricevuto risposta era entrato nella sala operatoria. Lì aveva trovato solo decine di fiale sparse e rotte per terra e fogli volati ovunque. Ne aveva afferrati un paio, ma era stato richiamato dall’abbaiare frenetico e spaventato degli animali nel retro. Era subito corso all’entrata quando aveva sentito i tuoni e solo allora si era accorto del piccolo cancelletto aperto.

“Cosa vuol dire questo?”

“Vuol dire che chiunque sia andato lì prima del nostro arrivo, è stato in grado di oltrepassare il frassino. Deaton non avrebbe permesso a sconosciuti di entrare.”

Stiles rabbrividì. “Quindi Deaton è stato rapito?” domandò titubante, guadagnandosi un’occhiata preoccupata da Derek.

“Sinceramente? Non lo so.”

“Dobbiamo andarlo a cercare-”

“Non se ne parla.” lo stroncò sul nascere il mannaro. Stiles lo guardò allibbito.

“Ma potrebbe essere in pericolo… Derek, non puoi fare una cosa del genere. Non puoi voltargli le spalle così!”

“Il mio compito è proteggerti, Stiles! E se per farlo devo sacrificare la vita di qualcuno, non esiterò a farlo!” ringhiò con il doppio timbro da Alpha.

Stiles sussultò, non seppe se per il tono dell’altro o per le parole usate, sta di fatto che gli diede le spalle, preferendo guardare fuori dal finestrino le gocce che avevano preso a scendere furiose.

“Pronto? Scott! Deaton non si trova alla clinica. Era tutto sottosopra e… e sono riusciti ad entrare. No, sta in macchina con me, ma non so dove portarlo. Cosa? Sei convinto? Sei sicuro che possa funzionare? Va bene.” e chiuse la telefonata. Senza nessun ‘ciao’ o ‘a dopo’. Tipico, pensò l’umano sbuffando. Sapeva che sta facendo tutto quello solo per lui, per proteggerlo, ma ciò non gli evitava di sentirsi come un dannatissimo pacco postale.

Si raddrizzò meglio, quando riconobbe casa di Scott. Era quello il posto sicuro? Una semplice casa? Derek dovette leggergli in faccia le sue perplessità, perché si affrettò a spiegarli.

“Abbiamo scoperto diverso tempo fa che la casa di Scott è costruita con lo stesso materiale della clinica: sorbo degli uccellatori. È sicura, puoi stare tranquillo.”
Stiles deglutì, appena nervoso. Derek si affacciò sui sedili posteriori, afferrando il borsone e caricandoselo in spalla. Fecero una corsa veloce e finalmente dentro trassero un sospiro di sollievo.

“Starò solo -” iniziò, ma fu interrotto da una voce familiare.

“Stiles! O dio, grazie al cielo stai bene.” lo accolse la voce rassicurante di Melissa McCall. La donna lo stritolò in un abbracciò togli respiro e Stiles sorrise, memore degli stessi abbracci che un tempo gli dava sua madre.

“Derek, Scott mi ha detto di Deaton! Ma com’è possibile?”

Il mannaro scosse la testa. “Non ne ho idea. Non sembravano esserci segni di colluttazione, era solo tutto… incasinato. Come se qualcuno avesse cercato qualcosa.”

“Mmh… va bene, Deaton è un uomo saggio, saprà come cavarsela. Invece, Stiles perché non vai a farti una doccia? Sembri un pulcino bagnato.” avanzò la donna, sospingendolo verso le scale. “Ho già preparato gli asciugamani puliti.”

Stiles le sorrise riconoscente e, lanciato un ultimo sguardo a Derek, corse al piano di sopra. Nel mentre Melissa aveva già afferrato un asciugamano dal bagno al pian terreno e adesso lo stava porgendo al mannaro. Derek lo utilizzò per frizionarsi un po’ i capelli.

“Allora, immagino che non lascerete la casa scoperta. Resterai tu o verrà qualcun altro?” gli domandò mentre metteva a fare del tè caldo.

Il moro non provò neanche a domandarle come facesse a saperlo; ormai per Melissa erano all’ordine del giorno cose come quella.

“Rimarrò qui finché non arriverà Jackson. Poi andrò ad aiutare gli altri nelle ricerche.”

“Jackson?” chiese scettica l’altra, appoggiandosi al bancone della cucina.

“Non sarà il massimo della compagnia, ma è un bravo guerriero.” spiegò e lei annuì.

“Bene, allora dovrò mettere a fare altro tè.” scherzò.   




 
Derek aveva poi portato su il borsone di Stiles, lasciandolo sul letto di Scott. Sorrise quando sentì i mugolii contenti dell’umano dovuti al getto d’acqua calda. Non doveva finire così quella giornata. Avrebbero dovuto finire di mangiare la loro pizza e fare una passeggiata al parco. Loro non sarebbero dovuti scappare via in quel modo. Stiles non avrebbe dovuto vivere tutto quello. Il branco dell’Alpha non sarebbe dovuto tornare, dannazione!

Uscì in fretta dalla camera, il sorriso sparito, quando sentì chiudere l’acqua della doccia. Vide Stiles tornare in camera e buttarsi sul letto esausto. Indossava ancora solo l’asciugamano legato in vita, ma sembrava così indifeso in quel letto così grande…
Nessuno si sarebbe avvicinato a Stiles. Lui non lo avrebbe permesso.

Scese di fretta le scale e fece giusto in cenno a Melissa, andando ad aprire la porta di ingresso dove stava aspettando uno Jackson bagnato.

“Sai cosa fare.” fu tutto ciò che gli disse, illuminando anche gli occhi di roso, prima di dirigesi a passo spedito verso la propria auto. Non si accorse dello sguardo di un ragazzino preoccupato che lo seguì fino a che la pioggia non gli permise più di vedere oltre.
 
 

 
 
 
“Jackson, sei sicuro di non volere che ti preparo il divano letto?”

“Sicurissimo: non me ne farei niente.” rispose convinto il ragazzo, declinando per l’ennesima volta l’offera della madre di Scott.

“Ma non puoi rimanere sveglio tutta la notte!” protestò quella, ma il ragazzo la guardò con una serietà disarmante.

“Il mio compito è di sorvegliare che nessuno entri in questa casa.”

“Ma-”

“Il mio Alpha mi ha dato un ordine. Non si può disobbedire agli ordini.” disse alla fine, giocandosi la carta del Beta obbediente. In realtà anche se non avesse ricevuto alcun ordine non avrebbe passato la notte a dormire invece che proteggere un membro del suo branco, che si trattasse di Stilinski o meno.

La signora McCall gli lanciò un’occhiata saputa, ma non disse niete. Gli poggiò, invece, accanto una tazza di tè caldo e gli diede la buonanotte, riuscendo a strappare un sorriso al biondo.


 
 
 
Una volta di sopra, Melissa pregò che a suo figlio non succedesse nulla. La mezzanotte era passata da poco più di venti minuti e con lei il limite di tempo massimo che i agazzi si erano dati per poter tornare a casa. Una volta passata la mezzanotte, infatti, Melissa avrebbe dovuto assicurare la casa, spargendo il sorbo e chiudendo così il cerchio. Nessuno sarebbe potuto più entrare… o uscire.

Entrò nella camera di Scott, trovandoci Stiles ancora con i jeans e la felpa di quella mattina.

“Scommetto che non avrai preso il tuo pigiama, mh?” gli domandò, sapendo già la risposta e dirigendosi alla cassettiera del figlio. “Tieni. È un vecchio pigiama di Scott, dovrebbe entrarti.”

Il ragazzo le sorrise riconoscente e afferrò gli indumenti. Era fin troppo silenzioso per i gusti di Melissa. “Torno tra qualche minuto. Tu intanto cambiati e lascia pure là su quella sedia i tuoi vestiti.”

Come promesso tornò un paio di minuti dopo con un vassoio in mano. Conosceva Stiles, si poteva dire che lo aveva cresciuto e sapeva riconoscere i silenzi da shock del ragazzo. Così, come quando le succedeva di doverne sventare uno e il bambino aveva otto anni, aveva recuperato un bicchiere di latte caldo e un pacco di biscotti. Non era riuscita ad impedirsi di allungare un’altra busta al biondo nel suo salotto e a sussurrargli l’ennesima buonanotte.

“Stiles? Sei vestito, posso entrare?” domandò. Non ricevendo risposta, entrò nella stanza di spalle per poi voltarsi e trovare il ragazzo intento a osservare una foto. Quando la riconobbe, sorrise intenerita.

“Mi rigordo quel giorno. Andaste in quel locale qui vicino e vi ubriacaste. Credevate che non me ne fossi accorta, ma super poteri o no, riesco ancora a sentire quando qualcuno entra in casa mia. Specialmente quando si mettono a chiedere scusa a un vaso per averlo fatto cadere.” ridacchiò, mentre posava il vassoio sul comodino lì vicino.

“Credevo che i lupi mannari non potessero ubriacarsi.”

“Oh, lo credevo anche io e tutti gli altri, ma a quanto pare quella sera alla festa qualcuno si divertì particolarmente con le erbe e riuscì a creare inconsciamente qualcosa di non immune ai lupi mannari.” gli spiegò, battendo poi una mano per invitarlo a raggiungerla sul letto.

Stiles posò la foto al suo posto e si rammaricò di non riuscire a ricordare nulla.

“Scott mi ha accennato a un diario.”

Il ragazzo arrossì. “Oh, sì quello.”

“È un’idea molto carina e intelligente. Non credo che tu abbia avuto il tempo per aggiornarlo, oggi. Perché non lo fai mentre vado a cambiarmi? Indosso questi vestiti da questa mattina e non vedo l’ora di indossare il mio pigiama.” gli propose, ridendo alla fine.

Stiles annuì, andando a recuperare il proprio libricino. Melissa lo guardò passarci sopra le dita e si recò nella sua stanza solo dopo essersi accertata che Stiles avrebbe realmente continuato a scrivere.

 
Ehi, Stiles.

Come va? In teoria tu dovresti essere il me di domani, ma per come stanno andando le cose non so se ci arriverò a domani, ma ehi! Se stai leggendo questo vuol dire che tutto male non è andato alla fine.

Sono particolarmente scosso, perciò mi limiterò a riportare i fatti che sono successi oggi:

-il branco nemico, quello dell’Alpha che ti ha quasi ucciso, è tornato in città.
-gli altri volevano mollarmi da Deaton, il druido sadico, ma SORPRESA! Deaton è sparito. Non si sa ancora se è stato rapito, ma nessuno sembra considerare l’idea di andarlo a cercare…
-Derek oggi si è comportato in modo strano. Tanto era preso dal proteggermi che mi ignorava completamente. Lo so che io non ricordo praticamente nulla e invece loro sì e sono più pratici di me in tutte queste faccende sovrannaturali, ma credo sia più una questione personale.

Sono rimasti tutti fuori questa notte a fare ricerche. Ho paura. Il che è assurdo, perché molti di loro non li conosco neanche, ma sono terribilmente preoccupato per tutti loro. Dio, sono persino in ansia per Jackson al piano di sotto che questa notte non dormirà per fare la guardia.
Al momento mi trovo a casa di Scott che, altra scoperta, è fatta di un materiale capace di tenere lontani i lupi mannari: frassino, mi pare. È tutto così assurdo. E non faccio che pensare a mio padre che potrebbe essere in pericolo. Spero vivamente che ne escano tutti illesi.
 

Stiles posò la penna e chiuse il diario poco prima che Melissa fece la sua comparsa in pigiama.

“Allora tesoro, hai già finito?” gli domandò la donna e lui annuì, mettendo da parte il diario. “Oh bene, allora è finalmente giunto il momento dello spuntino di mezzanotte!”

Prese e portò il vassoio su letto, passando direttamente al ragazzo il bicchiere di latte e agguantando invece per sé il pacco di biscotti.

“È da tanto che non parliamo noi due. O almeno non con te… cosciente. Come ti senti?”

“Bene, credo.” mormorò addentando un biscotto passatogli da Melissa.

“Quindi non ti ha per niente sconvolto scoprire che hai perso la memoria, che hai amici di cui non ricordi, che esiste un mondo sovrannaturale… e che sei fidanzato con Derek Hale.

Nessuna emozione, immagino.” Si interstadì la donna, facendo arrossire il ragazzo.

“Beh, potrebbe esserci stato qualcosa che mi ha lasciato leggermente scosso. Quello sì.” ammise alla fine.

“Ah-ah. Giusto leggermente.” lo punzecchiò. “Avanti, Stiles. Non preoccuparti di Jackson, la camera è insonorizzata: Scott credeva di avermelo tenuto nascosto… ma sai, un figlio adolescente, con super forza e una bella ragazza come fidanzata…”

“Okok, ho capito. Per favore risparmiami i dettagli della vita sessuale di Scott.” la pregò, prima che scoppiassero entrambi a ridere.

“Seriamente, Stiles. Tutto quello che ti ritrovi ad affrontare ogni giorno è tanto. Non sei meno forte se ne parli con qualcuno. Il diario è sicuramente un buon mezzo, ma parlarne è la soluzione migliore.” provò a spronarlo, sistemandosi meglio a gambe incrociate sul letto.

Stiles la guardò, sembrava così minuta e fragile, ma sapeva che in realtà era una donna forte e coraggiosa. Aveva cresciuto da sola Scott quando il padre se ne era andato e poi lui quando ad andarsene era stata sua madre, anche se per ragioni diverse. Melissa era da sempre stata la sua seconda madre e solo vedendola pronta ad ascoltarlo si rese conto di quanto desiderasse qualcuno con cui parlare liberamente e sfogarsi.

“È un inferno, Mel. Questa… questa vita fa davvero schifo. Il mio corpo, il mio istinto mi dicono di fidarmi, ma la mia testa mi dice tutto il contrario, perché io non so chi sono. Sto morendo dalla preoccupazione per persone che non conosco, vorrei essere lì con loro per poterli aiutare, vorrei… vorrei fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma non posso! Non posso perché… non posso per questa dannata testa, questi... questi ricordi!” esplose portandosi le mani alla testa.

“Stiles… capisco quello che provi. Vedere qualcuno che ami rischiare la vita, molte volte per te, e non poter fare niente è devastante. Non sai quante notti abbiamo passato in ansia io e tuo padre, aspettando una qualche vostra chiamata che assicurava che tutto andava bene.”

Il ragazzo alzò la testa, gli occhi lucidi. “E come si fa a sopravviverea questo?”

Melissa gli sorrise debolmente. “Ti fidi di loro. Metti da parte l’istinto che ti dice di correre e proteggerli e semplicemente ti fidi di loro. Credo sia quanto di più difficile esista: lasciar andare le persone care; ma devi farcela o finirai per impazzire. Io faccio una lista, qualcosa per ricordarmi chi è mio figlio. Scott tiene ai suoi amici, sarebbe pronto a tutti per proteggerli e ha un forte branco; è un lupo mannaro con forza e tante altre cose sovrannaturali; è sopravvissuto a tanto, davvero tanto. Dopo questo non cambierà nulla, rimarrò sempre preoccupata, ma mi fido di mio figlio e in questo modo sono sicura che saprà cavarsela anche senza il mio aiuto.
Esiste il cosidetto ‘panico di massa’. È qualcosa secondo cui le persone, senza neanche conoscere l’entità del pericolo, entrano del panico e come un circolo vizzioso contagiano anche tutti quelli che stanno loro intorno. È questo che devi evitare, Stiles. Non puoi permetterti di agitarti inutilmente, perché il tuo restare calmo potrebbe salvare la vita delle stesse persone per cui temi.”

“Loro sono là fuori, non è così?” domandò Stiles dopo qualche secondo di silenzio e guardando verso la finestra. “Sono là fuori per trovare le persone che mi hanno fatto questo: sono lì per me. E io sono qui.”

Melissa gli poggiò una mano sulla spalla. “Stiles, saperti al sicuro permette loro di combattere con meno preoccupazioni e più probabilità di riuscita. Questo nuovo branco, poi, ha dichiarato guerra al vostro prima ancora che tu venissi preso. Non è colpa tua, loro stanno semplicemente difendendo quella che per loro è famiglia. Tu non saresti forse pronto ad uscire a combattere a loro fianco solo per aiutarli e proteggerli?” gli chiese poi retoricamente.

Stiles annuì debolmente, lasciandosi abbracciare dalla donna. Qualche minuto più tardi, Melissa era pronta di nuovo all’attacco.

“E che mi dici di Derek, invece?” gli domandò con un sorriso furbo.

Stiles arrossì, nascondendo il viso dentro il pacco di biscotti. “Non so di cosa parli.” Borbottò con la bocca piena.

“Ah no? Nessun tuo pensiero è ricollegabile a quel gran pezzo di ragazzo?”

“Melissa!” la riprese lui, tossendo per il boccone andatogli di traverso alle parole della donna.

“Cosa?” si difese “Sarò anche una mamma, ma sono una mamma single e con gli occhi.”

“Dio…” gemette Stiles pressandosi un cuscino sul viso e facendola ridere.

“Posso continuare per tutta la notte, considerando che di spunti su cui parlare ce ne sono un bel po’…” rivelò con fare allusivo, ottenendo un tentato suicidio da parte di Stiles.

“E va bene. Non mi è completamente indifferente.” si ritrovò ad ammettere il ragazzo.

“Mmh-mmh”

“Ok! Non mi è per niente indifferente, va bene?!” esclamò rosso come un peperone. “È solo che è… complicato.”

“Cosa è complicato, tesoro?”

Stiles non la guardò negli occhi mentre provava a spiegarsi. Trovò invece particolarmente interessanti le sue mani. “Ecco, io sento… c’è questa cosa, che non so cos’è ma c’è e mi spinge ad andare da lui, mi… mi fa calmare pensare a lui e soffro terribilmente quando lo vedo triste per me. Vorrei, vorrei abbracciarlo e assicurargli che non fa niente, che sto bene e che non è colpa sua -perché sono sicurissimo che lui invece la pensa così-, ma poi… poi mi ricordo che io non lo conosco, che fino a poco fa pensavo di essere innamorato di Lydia e che non posso convincerlo che va tutto bene se non va tutto bene. È tutto… è tutto così difficile, perché so che basterebbe davvero poco per farlo stare bene, ma io non posso. Semplicemente non posso.” rivelò asciugandosi svelto le lacrime sfuggite al suo controllo.

“Cosa non puoi fare, Stiles? Derek non ti lascerebbe mai, per nessun motivo.”

“Non posso dirgli che lo amo! Non posso essere così egoista!” urlò, lasciando questa volta che le lacrime scorressero. “Lo so che Derek non mi lascerebbe mai ed è di questo che ho paura. Non voglio che passi tutta la sua vita a rincorrere me e a farmi innamorare di lui ogni giorno. Questa non è vita! Non posso dirgli che lo amo con la consapevolezza che lui non mi lascerà mai rinunciando a una vita normale...”

Melissa si portò le mani alla bocca, sconvolta. “Stiles, ma Derek ti ha scelto. Lui non potrebbe mai amare qualcun altro.”, ma il ragazzo scosse la testa.

“Non è vero. Il lupo di Derek mi ha scelto. È dovuto a lui il legame e non alla parte umana di Derek. Ho… avevo fatto delle ricerche e ho trovato la cronologia sul telefono… è vero, il lupo quando sceglie un compagno gli rimarrà fedele per sempre, ma… ma Derek non è solo un lupo. La sua parte umana sarebbe in grado di innamorarsi di altre persone. Gli basterebbe non essere troppo distante da me, voglio dire, Beacon Hills non è così grande, gli basterebbe incrociarmi per strada una volta ogni tanto ma avere comunque una famiglia da cui tornare la sera. Una famiglia che si ricorda di lui.”

“Stiles, ma cosa-”

“Io non posso dirgli che lo amo con la consapevolezza che poi lui si sentirà in dovere di rimanere al mio fianco nonostante quello che sono ora! Non posso negargli la felicità che si merita… e che io non posso dargli. Non posso essere egoista con lui.”

“Oh, Stiles…” mormorò Melissa, andando ad asciugargli le lacrime e stringendoselo al petto mentre ancora singhiozzava. “Non pensi che debbe spettare a lui questa decisione? E poi potrebbe essere solo lo stress del momento a farti parlare così… è vero, a sceglierti come compagno è stato il lupo, ma è stato Derek all’inizio a permettere questo, è stato lui a dimostrarti quanto ti ama.”

Il ragazzo scosse la testa. “Le ricerche che ho fatto… risalgo a qualche giorno fa. Non sono lo sfogo di un momento. Anche nel diario…”

La donna lo strinse forte a sé e sistemò la stanza in poco tempo, perché ‘oggi dormo con qui con te, non ti lascio da solo.’ Stiles aveva sorriso debolmente, lasciandosi andare alle braccia e alle consolazioni sapute di Melissa.

Prima che finalmente si addormentasse, con la pioggia che batteva forte e la preoccupazione costante per suo padre, i suoi amici… Derek, sussurrò una frase che portò la donna a stringerlo più forte e a lasciargli un bacio fra i capelli.

Non posso fargli questo… non posso, Mel.”
 








Note dell'autrice. 
Salve a tutti! Come avrete notato ho pubblicato prima del solito, ma questo solo perchè non potrò farlo per tutto agosto: domani parto e sfortunatamente non avrò internet ç-ç 
Comunque, tornando a noi... 
Derek è in modalità Sergente Papà Pack: non guarda in faccia nessuno, più per paura di far vedere il suo terrore che per reale intento scortese. 
Stiles, invece, piccolo di casa ha paura di costringere un giorno il suo Sourwolf a rimanere al suo fianco. Riuscirà mai a dirgli che lo ama?
Deaton... non si sa. Disperso nel nulla ahah No, scherzo: ogni cosa avrà un suo perchè. 
Mi dispiace davvero di non poter aggiornare per un intero mese, ma la speranza è l'ultima a morire, no? ;) 
Fatemi sapere cosa ne pensate e un grazie a chi recensisce (Vi amo davvero tanto *-*) e a chi legge.
Un saluto a tutti e buone vacanze! 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


2 Maggio



“Melissa? Ma che diamine…!” erano state queste le urla che avevano riscosso Jackson e lo avevano costretto a salire svelto al piano di sopra. Lo spettacolo che si era trovato davanti in condizioni normali lo avrebbe fatto ridere a crepapelle: Stilinski aveva afferrato la prima cosa disponibile -in questo caso una lampada- e la teneva stretta a sé come se ne valesse della sua vita. In condizioni normali, Jackson si sarebbe fatto beffa dell’atteggiamento del ragazzo, ma lo sguardo terrorizzato e al contempo spaesato nel non capire come fosse possibile che si trovasse in una casa non sua, non le rendeva condizioni normali.

Stiles aveva sbarrato gli occhi quando lo aveva visto sulla porta, ma si era fatto togliere dalle mani la lampada senza fare storie. Jackson aveva, poi, preparato il video, facendo partire all’ultimo la registrazione effettuata allo studio di Deaton solo il giorno prima. Era rimasto in disparte, seppur nelle immediate vicinanze, mentre la signora McCall lo consolava. Gli aveva dato una pacca sulla spalla che voleva essere amichevole, ma che aveva fatto sobbalzare il ragazzo, prima di porgergli il diario.

Doveva ammettere che essere una di quelle persone che vivevano in prima linea il dolore di Stiles ogni mattina era difficile e si ritrovò a provare una nuova ammirazione nei confronti dello sceriffo e del suo Alpha. Fu anche fiero di Stiles, però, quando questo prese a respirare lentamente nel tentativo di calmarsi e non piangere, preferendo pensare al branco e chiedere sue notizie dopo che la donna al suo fianco lo aveva aggiornato sugli ultimi dettagli.

“L’ultimo messaggio l’ha inviato Scott un paio d’ore fa: stavano tutti bene.” e alla domanda muta di Stiles aggiunse: “L’avrei saputo se fosse successo qualcosa.”

Lo sguardo agitato, ma notevolmente più tranquillo del ragazzo, fu l’unica cosa che Jackson si concesse di vedere, prima di voltarsi e dirigersi al piano inferiore, deciso a riprendere il suo compito. Melissa lo aveva seguito poco dopo, dando un bacio sulla fronte a Stiles e andando a preparare la colazione.
 


 
E ora, si trovavano tutti e tre a sorseggiare nervosi una tazza di caffè, giù in cucina.

“E se i telefoni fossero scarichi?” domandò nervoso Stiles. Jackson gli lanciò un’occhiataccia.

“Tutti e dieci?”

Stiles mise il broncio, borbottando un ‘era per dire’, prima di addentare un biscotto colto dalla noia.

“Andrà tutto bene, Stiles.” lo rassicurò Melissa, facendo seguire un’occhiataccia alla volta del biondo. Stiles non si perse lo sguardo esasperato di Jackson, ma fu più catturato da dei fogli che campeggiavano sulla sedia dietro di lui.

“Cosa sono quelli?”

Melissa seguì il suo sguardo, illuminandosi non appena si ricordò. Se li fece passare dal ragazzo lì a fianco e li mise ordinati sul tavolo.

“Tu e Derek ieri siete andati da Deaton -che era il posto in cui dovevi stare inizialmente-, ma non lo avete trovato. In compenso Derek è tornato indietro con questi. Dice di averli trovati sparsi in giro.” spiegò, afferrandone uno e cercando la pagina compagna.

“Eccola.” disse Stiles, porgendole il foglio che ne doveva seguire.

“Cosa dice?” domandò Jackson, prendendo una sedia e sedendosi al tavolo.

Melissa lesse veloce con sguardo confuso. “Parla di… erbe.”

“Erbe?”

Annuì. “Erbe curative, credo. Questa, dice, dovrebbe essere in grado ripristinare il funzionamento del sistema circolatorio.”  

“E questa i tessuti del cervello.” si aggiunse Stiles, avvicinando un altro foglio. E così fecero con gli ultimi rimasti.

“E quindi? Cosa c’è di strano? Deaton è un druido, è ovvio che abbia libri e piante su queste cose.” intervenne il Beta, non capendo quell’improvviso interesse per quei fogli.

“No, penso ci sia qualcosa di più. Questa,” indicò Stiles, rivolgendosi ai fogli in mano a Melissa “è la Ginkgo biloba, mentre questa… è il Calamo Aromatico, per non parlare del Rosmarino e di-”

“Okok, Stilinski. Sai leggere il nome delle piante, e quindi?”

Il ragazzo gli lanciò un’occhiataccia. “E quindi queste sono tutte piante con proprietà guaritive nell’ambito…”

“Della memoria! Ma certo! Come ho fatto a non riconoscerle.” Esordì Melissa, afferrando e ricontrollando tutti i fogli.

“Ok. Piante sulla memoria. Interessante…” borbottò Jackson non riuscendo a provare eforia per qualcosa che per lui era nulla.

“Dovremmo controllare gli altri appunti rimasti alla clinica e verificare che non sia solo un caso.”

“Potremmo vedere da che volumi sono state prese queste pagine…” inizò concorde Stiles.

“… e controllare quelle mancanti!” terminò per lui Melissa.

“Perfetto. Facciamolo, allora!”

“Facciamolo!”

Jackson aveva assistito annoiato allo scambio di battute, avendo rinunciato a seguire le macchinazioni d’erboristeria di quei due, e aveva addirittura mormorato sovrappensiero un ‘facciamolo’ anche lui, prima di rendersi conto di quanto era stato detto e d’aver scorto la donna infilarsi il cappotto. Una frase della conversazione gli era balenata in mente all’improvviso: dovremmo controllare gli altri appunti rimasti alla clinica. Sbiancò, quando realizò.

“Fermi tutti e due! Ma siete matti?! Andare alla clinica?!” esclamò, alzandosi in fretta.

“Ma se fino a poco fa eri d’accordo…” mormorò Stiles, guardandolo confuso.

Jackson arrossì, non volendo ammettere di non aver seguito nulla. “Beh, ho cambiato idea. Ero… ero distratto.” Si giustificò. “Ma ciò non cambia niente. Non uscirà nessuno da questa casa!”

“Cosa? E perché?”

Forze perché c’è un branco assassino assetato di vendetta che è pronto ad ucciderti, Stilinski?” lo prese in giro, facendo dell’ironia, che tanto ironia in fondo non era.

Si schiaffò una mano sul viso mentalmente, all’uscita del ragazzo ‘Non ti facevo così premuroso, Whittermore’ e all’annuire intenerito e saputo di Melissa. Che poi, saputo di cosa! Lui non era premuroso, o meglio, lo era ma nei suoi confronti: Derek e Scott lo avrebbero ammazzato se fosse successo qualcosa a quei due.

“Non mi interessa. Ho ricevuto degli ordini e voi due non mi metterete i bastoni fra le ruote.” li avvisò, puntando loro contro un dito.

“Da quanto so, i tuoi ordini sono quelli di proteggerci e non far entrare nessuno.” iniziò Melissa e all’annuire secco del biondo continuò “Ma nessuno ha vietato a noi di uscire.” terminò indicado se stessa e Stiles al suo fianco.

Jackson si ritrovò a boccheggiare –mentalmente, si intende. Dall’esterno doveva solo avere lo sguardo sorpreso. Indietreggiò di un passo all’avanzare della signora McCall, andando a sbattere contro la porta d’ingresso. Non ricordava che si fossero spostati così lontano. Quella donna era davvero perfida!

“De-Derek mi ha ordinato di proteggervi. Come potrei farlo se voi non vi trovaste in casa?” domandò appendendosi all’ultima possibilità rimastagli. Non poteva di certo usare la violenza, con molte probabilità Derek e Scott lo avrebbero conciato peggio che se li avesse lasciati andare; ma alla fine permettere loro uscire era davvero meglio che tenerli al sicuro con la forza? Jackson stava impazzendo a stare con quei due.

Isaac! La prossima volta se ne sarebbe dovuto occupare Isaac!

“Semplice. Vieni con noi.” Disse Stiles come se fosse ovvio.

Il biondo iniziò a scuotere la testa. “Questa- questa è una cosa…” assurda! Li avrebbe protetti, ma sarebbero stati esposti, e lui aveva degli ordini. Era anche vero, però, che sarebbero andati da Deaton, un altro posto sicuro. Non era forse quello il luogo in cui Stilinski doveva trovarsi inizialmente? Se lui fosse rimasto sempre con loro, avrebbero solo cambiato residenza, ma ai fini della sicurezza non sarebbe cambiato poi molto. Certo, sempre meglio che lui fosse presente per difenderli, così li avrebbe protetti come Derek voleva e non sarebbe stato costretto a rinchiuderli in una stanza, cosa che gli sarebbe costata qualche ossa… “… perfetta!” terminò, alla fine del suo contorto discorso di incoraggiamento.

“Bene, ora che siamo tutti d’accordo, direi di andare.” Propose Melissa, facendolo scostare dalla porta e rompendo la linea di sorbo.

Quei due sarebbero stati la sua rovina, se lo sentiva.


 
***




“E così questo è il luogo in cui venivo spesso?” chiese scettico Stiles, afferrando con due dita una siringa caduta a terra e lasciandola ricadere su un ripiano con aria scettica.

“Esattamente quello che ho sempre pensato io! Cosa ci trovavi in un posto come questo?” concordò Jackson, facendo una smorfia di fronte allo stato in cui vigeva la clinica: era stata messa completamente sottosopra.

“Derek credeva che fosse una mano conosciuta quella che aveva frugato qui. E credo di pensarla come lui.” mormorò Melissa, osservandosi intorno con fare attento.

“E da cosa lo deduce?”

“Dal fatto che i libri sono stati presi e sparsi per terra, ma che non sono stati presi tutti i libri. Qui… ogni cosa è piante e medicine! Anche in quei libri sugli scaffali lì se ne parla e se fosse davvero venuto qualcuno di sconosciuto a frugare tra la roba di Deaton…” disse accovacciandosi e raccogliendo dei fogli caduti a terra.

“… avrebbe cercato anche in tutti gli altri libri.” Terminò Stiles, osservando i volumi rimasti.

“Esattamente. Invece sembra più che qualcuno stesse cercando qualcosa… come se avesse fretta di andarsene.”

“Vuole dire che a combinare questo è stato il druido?” domandò scetticamente Jackson, guardandosi attorno.

“Per l’appunto.”

“È… assurdo. Perché sarebbe dovuto scappare così all’improvviso?”

“Che intendi per ‘all’improvviso’?” chiese confuso Stiles, guardandolo dal basso, occupato a raccogliere i volumi caduti a terra.

“Voglio dire che ieri mattina era qui, tranquillo, a parlare con voi e tempo di andare a pranzo e tornare ed era già sparita lasciando tutto così?”

Stiles parve soppesare le sue parole e lanciò uno sguardo preoccupato a Melissa, ma la donna non si fece scoraggiare e si alzò, poggiando sul tavolo le carte raccolte. “Non importa come l’abbia fatto né dove sia andato, la cosa che urge sapere ora è perché. Quindi, forza. A lavoro!”
 


 
 
Era passata poco più di un’ora, dovevano essere nove della mattina circa, quando il telefono di Jackson aveva preso a squillare incessantemente. Si erano voltati tutti verso il cellulare, abbandonato sul tavolo tra i mille libri, e lo guardavano spaventati -Jackson più di tutti. Era impossibile, sciocco addirittura, che loro sapessero chi stava chiamando. Il biondo si avvicinò titubante al telefono, quasi temendo che ne uscisse la figura dell’Alpha, solo dopo aver ricevuto una gomitata nelle costole da parte di Stiles, che voleva essere di incoraggiamento ovviamente.

Deglutì, Jackson, quando si portò quell’aggeggio infernale all’orecchio. Lo sguardo di Melissa sembrava quasi pentito, come se solo ora si fosse resa conto della situazione in cui aveva cacciato il Beta.

“Oh, dallo a me!” si innervosì Stiles, infastidito da quell’assurda paura dell’altro. Cosa avrebbe mai potuto fare Derek di così terribile?!

Pigiò sul tasto per accettare la chiamata poco prima che questo smettesse di squillare e ricominciasse. Le parole gli già quasi uscite di bocca quando la voce dell’Alpha lo precedette, dando il meglio di sé.

“Dove cazzo siete?! Giuro su Dio che ti ammazzo, Jackson. Se è successo qualcosa a Stiles…”

“Ehi! Modera i termini, ragazzone!” lo riprese il ragazzo, guardando con un cipiglio severo il cellulare che era stato costretto ad allontanare, tanto aveva urlato Derek. Jackson invece, appena era partita la chiama, aveva chiuso gli occhi e assunto un’espressione colpevole. E che sarà mai successo!

“Stiles?”

“No, sono l’abominevole uomo delle nevi.” Ironizò l’altro, ancora piccato per le urla ricevute.

“Dove siete?” fu tutto ciò che la voce disse. Stiles si ritrovò ad allontanare di nuovo il telefono e a guardarlo sinceramente scioccato. Lo riavvicinò in fretta, deciso a chiare la questione.

“Allora, prima di tutto: ciao anche a te! Secondo, non mi stai facendo una buona impressione come primo incontro -anche se teoricamente non è un incontro, ma il concetto di base è lo stesso.- Terzo, sono sinceramente sconcertato di scoprire che minacci le persone in questo modo, specialmente quando queste non hanno fatto niente di male, e veramente non capisco come io possa essere finito con uno Sourwolf come te!”

Jackson guardò Stiles a bocca aperta. Dall’altro capo del telefono c’era solo silenzio e il ragazzo poteva benissimo immaginarsi il suo Alpha intento a massaggiarsi il ponte del naso per il mal di testa dovuto allo sproloquiare del suo compagno. Non era la prima, anzi, non c’era mai stata una volta in cui questo non era successo.

“Stiles,” sospirò la voce, visibilmente alla ricerca di calma per non urlare di nuovo per favore mi puoi dire dove siete? Siamo solo tutti preoccupati per voi.” Terminò con tono più accondiscendente.

Stiles parve pensarci un attimo e quando raggiunse l’inevitabile conclusione che non avrebbe ottenuto di più si arrese. “Mh, va meglio. Siamo alla clinica veterinaria, da un certo Deaton.”

“Rimanete lì!” urlò di nuovo la voce, chiudendo la telecomunicazione in faccia al ragazzo e facendogli stringere le mani a pugno, colto da un moto di stizza.

“Oooh, quel lupasto adesso mi sente!” esclamò con gli occhi che brillavano di una luce sadica, mentre si tirava su le maniche e iniziava a smanettare tra le erbe di Deaton, sotto lo sguardo divertito di Melissa e quello decisamente preoccupato di Jackson.
 








Note dell'autrice. 
Ma ciao! Avrei voluto pubblicare domani, ma non ho resistito. Lo so lo so, forse questo non era il capitolo che vi aspettavate, ma ho preferito dividerlo, così d'aggiornare il prima possibile. E' un capitolo di passaggio, come già detto, ma mi piace vederlo come uno scorcio della vecchia normalità di Stiles e del carattere che aveva prima dell'incidente, nonostante sappia. 
Si è visto l'animo non così stronzo di Jackson e sorpresa! si è scoperto quello sadico di Mama McCall ahahah Povero Jackie. Tornando ai nostri ciccini, invece, Derek se la dovrà vedere con uno Stiles arrabbiato. 
Deaton sta bene? E' stato rapito o c'è dell'altro sotto? Ci sono alcuni piccoli indizi (neanche così piccoli alla fine...) su quanto hanno scoperto e scopriranno i ragazzi su cos'è successo al druido-sadico. 
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, al prossimo! ;)

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


2 Maggio  



“Stiles.”

“Oh, non iniziare con Stiles. Non ti azzardare.”

Stiles guardava Derek Hale con una rabbia famelica. Come osava quel sacco di peli pretendere di avere anche ragione?! Il mannaro d’altro canto si era ritrovato spaesato per i primi minuti, prima di inizare ad innervosirsi all’inspiegabile comportamento del compagno.

“Non sto iniziando con niente, io voglio solo capire cosa diavolo è suc- e la vuoi smettere di lanciarmi addosso tutte queste cose?!” sbraitò alla fine dopo aver ricevuto l’ennesimo vasetto contro.

“Tu,” iniziò il ragazzo scagliandogli contro una fiala che si ruppe nell’impatto “non hai il diritto di capire” altra fiala “un bel niente! Non sono un dannatissimo” vasetto “pacco postale; non mi puoi controllare con i tuoi Beta. E per nulla al mondo mi farò dire” fiala “cosa fare, da nessuno!” concluse guardandolo torvo.

Alle sue spalle Jackson e Melissa trattennero il fiato, probabilmente per ragioni diverse. Stiles quasi riusciva a sentire le preghiere di Jackson in sottofondo ai complimenti di Melissa. Dall’altra parte Derek, che nulla stava capendo, non poteva in nessun modo superare il cancelletto in frassino che impediva a lui e al resto dei membri del branco di entrare, fatta eccezione per Lydia, che però non sembrava intenzionata a muovere un dito, pienamente d’accordo con l’umano. Come ad avvalorare la sua posizione, ogni tanto annuiva persino alle parole del ragazzo.

“Io oggi mi sono svegliato in una casa non mia, ho visto quel dannatissimo video con l’unica persona che pensavo mi odiasse e ho appreso del mio incidente. Dio, ancora non ho neanche realizzato!”

Lo sguardo dell’Alpha si addolcì appena. “Stiles, avrei voluto esserci, ma non potevo. Nessuno di noi poteva…”

A quelle parole qualcosa nello sguardo del ragazzo si ruppe. “Ecco a cosa mi riferivo...” sussurrò. “Davvero credi che sia arrabbiato per quello? Mi fai davvero così meschino da mettermi prima dei miei amici?”

Tutti, dal primo all’ultimo, dopo quella frase si ritrovarono confusi. Derek primo fra tutti e Stiles lo notò.

“Ero preoccupato per voi! Ero preoccupato per te, dannazione! Dopo tutto quello che avevo scoperto, dopo che la mia vita era stata stravolta nel giro di un’ora, io non riuscivo a pensare ad altro che a voi, come steste, se foste vivi. E quando sento la tua voce per la prima volta mi sento trattare come un oggetto, senza che mi venga detto nulla. Il fedele cagnolino. Ecco cos’è successo!”  

Per qualche secondo l’unica cosa che si potè udire era l’umano che cercava di riprendere fiato. Ben presto la vergogna e la tristezza invasero l’abitacolo. Era stato debole, si era lasciato andare più di quanto gli fosse permesso. Si era mostrato come un bambino davanti a perfetti sconosciuti. Sentì improvvisamente l’aria mancargli e andò ancora di più nel panico quando si rese conto che invece di cercare lo sguardo di Scott, l’unico a conoscenza dei suoi attacchi di panico, i suoi occhi saettarono in quelli verdi di Derek.

“Stiles, calmati. Respira.” lo incitò il mannaro, andandogli incontro. Il cancello era però ancora tra loro. Derek inveì contro quel pezzo di legno. “Stiles, apri questo cancello. Hai bisogno di aiuto.”

La mano del ragazzo, che già si trovava sul chiavistello, si sollevò di scatto appena il mannaro finì di parlare. Scosse la testa convulasamente.

“No.”

Derek lo guardò come se fosse pazzo. L’impulso di aiutare il suo compagno lo portava a raggiungerlo, ma quel pezzo di legno glielo impediva. “Dannazione, Stiles!”

“Io non ho… io non ho bisogno di-di aiuto. Io ho una vita nor-normale. Io ce la posso fare.” singhiozzò alla ricerca di aria, cercando di convincere più se stesso che Derek.

Il mannaro stava per ordinare a Lydia di aprire lei il cancello, quando avvertì un giramento e vide tutto nero. Cadde a terra e dopo di lui tutti gli altri mannari nella stanza. Rimanevano coscienti, ma solo molto stanchi e provati.

Solo allora Stiles ruppe il blocco di sorbo e corse all’uscita. Si girò solo per lanciare un’occhiata a Derek e rassicurarlo.

“L’effetto durerà poco, solo su di te poco di più avendo ricevuto le erbe direttamente. Mi- mi dispiace.” e corse fuori.
 

***
 

“Dio, Derek, ma quanto pesi?” gemette Isaac cercando di sollevare l’Alpha, ma ricevendo solo un’occhiataccia.

“Dai ti aiuto.” intervenne Scott, afferrando per un braccio Derek e mettendolo seduto.

“Cosa. Diamine. È. Successo.” ringhiò questo quando ebbe ripreso fiato. Qualunque fosse stato l’intrglio che lo aveva ridotto così, lo stava stancando fin troppo.

“Quello che doveva succedere.” gli rispose Melissa, incrociando le braccia al petto e guardandolo come solo una mamma che sgrida il proprio figlio sa fare.

“Mamma, che intendi?”

La donna si girò verso suo figlio e addolcì appena lo sguardo. “Stiles è esploso. E mi sorprendo che abbia tenuto così tanto.” Lo sguardo confuso degli altri la spronò a continuare. “È solo un ragazzo. Cosa vi potreste mai aspettare se non un crollo nervoso da qualcuno la cui vita è stata stravolta e che si vede trattare così.” spiegò, guardando l’Alpha quando disse le ultime parole.

“Così come?”

“Non ti sei accorto che Stiles ha rifiutato il tuo aiuto?” si intromise Lydia, rimasta in silenzio fino ad allora. “È una condizione comune nelle persone che si ritrovano a non poter fare più qualcosa a causa di un incidente o una patologia. Stiles non vuole accettare il suo incidente, non è vero?” chiese conferma a Melissa, che annuì tristemente.

“Stava andando tutto bene, stava riuscendo a mantenere la pressione sotto controllo e ci stava riuscendo perché si stava rendendo utile cercando di scoprire cosa fosse successo a Deaton. Stiles non è abituato al tuo modo diretto, Derek.” confermò, facendo una smorfia al nominare il carattere dell’Alpha.

Scusatemi tanto se c’è un intero branco che vuole ucciderlo! E ora lui è lì fuori. Da solo.” ringhiò infastidito Derek.

Perché nessuno sembrava capire che l’ultima cosa che voleva fare era ferire Stiles? Lui voleva solo proteggerlo, non poteva permettere che quel branco riuscisse a mettere di nuovo le mani su di lui. Tutto quello che desiderava era riuscire ad mantenersi di nuovo sulle sue gambe e andare a cercare quel ragazzino testardo.

“Non ti devi preoccupare di questo.” lo rassicurò Melissa “Stiles ha chiamato Parrish poco prima che voi arrivaste. È con lui.”

Quello che doveva rassicurarlo, invece lo irritò.

Parrish?”

La signora McCall annuì. “Ritira gli artigli, Hale. L’ha accompagnato a casa mia dove c’è suo padre che lo sta aspettando.”

Melissa non riusciva a non provare stizza nei confronti del moro. Comprendeva, ma non condivideva il suo atteggiamento. Stiles era un ragazzo speciale, ora più che mai. Era diventato ancora più fragile e si sa che con si deve giocare con gli oggetti di vetro. Il ragazzo avrebbe potuto benissimo trattare l’umano con più tatto, lui più di tutti. E ora dubitava addirittura della fedeltà del ragazzo?

“A casa nostra?” domandò Scott, confuso.

Jackson fece una risata nasale, mantenendo lo sguardo basso e Melissa sorrise.

“Stiles sarà anche esploso, ma non è uno stupido. Sa quello che rischia e cosa avete fatto voi perché questo non accadesse. Aveva solo bisogno di tempo con se stesso.”

“Non si direbbe visto cos’è successo.” borbottò Isaac, ricevendo un’inaspettata occhiataccia da parte di Jackson.

“Sareste stati deboli per oltre dure ore se non fosse stato per lui.” ringhiò, prendendo le difese dell’umano e sorprendendo tutti.

“Che vuoi dire?” si intromise Erica, lanciando un’occhiata al proprio Alpha che sembrava aver riacquisito resistenza almeno nelle braccia.

“Vuol dire che Stiles ha preparato quella polvere di mano propria. L’ha chiusa all’interno delle fiale che ti ha lanciato contro, Derek. Quando queste si sono rotte, la polvere ha iniziato a fare effetto. Il contatto diretto ti ha reso più vulnerabile, come ti ha detto anche lui.”

Il moro trattenne il fiato, sorpreso da quella rivelazione.

“Ma l’effetto non è durato così tanto.” fece notare Erica, dubbiosa.

“Questo perché Stiles non ha lanciato l’ultima fiala.” rivelò la donna, indicando con il mento una piccola fiala rimasta lì vicino.

Lo sguardo di tutti seguì la direzione indicata, mentre un silenzio imbarazzante si apprestava ad essere decisamente di troppo.

“Quindi, avete intenzione di dirci cos’è successo o aspettate un invito formale?” li richiamò all’ordine Melissa, con cipiglio impaziente.
Scott si scambiò un veloce sguardo con Derek, prima di rivolgersi alla madre. “Li abbiamo trovati.”
 

***


“Quindi, mi state dicendo che avete scoperto dove si trovavano e li avete attaccati senza un piano.” ricapitolò Melissa, lanciando una lunga occhiata al figlio. Non era questo che erano soliti fare.

“Abbiamo dovuto agire in fretta.” si giustificò Erica, prendendo indirettamente le difese del proprio Alpha. Non le era piaciuta l’aria di rimprovero che la madre di Scott aveva avuto con Derek.

“Non vi sto giudicando.” la rassicurò Melissa, guardando per ultimo il moro, sicura che il ragazzo avrebbe compreso. Derek infatti fece un cenno quasi impercettibile. Poteva essere rude e brutale quanto gli pareva, ma era in grado di riconoscere un tentativo di protezione quando glielo si sbatteva in fronte.

“Erano preparati. Sapevano del nostro arrivo-” riprese Scott.

“O semplicemente se ne sono accorti.” lo corresse irritato Isaac, segno che quella conversazione fosse già avvenuta e non avesse trovato una fine pacifica.

Scott gli lanciò un’occhiataccia. “Non importa.” asserì prima di seguitare a raccontare “Erano in tre e ci hanno attaccato appena siamo entrati. Con l’arrivo degli altri siamo riusciti a farli scappare.”

“Dove li avete trovati?” domandò Jackson, che ancora non digeriva di essere stato fatto rimanere indietro.

“Un locale abbandonato in periferia.”

“Dove abbiamo trovato questi.” aggiunse Derek, mettendo con poca delicatezza una manciata di fogli sul tavolo. “Ti ricordano niente?” chiese retoricamente alla donna che ora teneva in mano pagine di quegli stessi libri che aveva sfogliato solo un’ora prima.

“Appartengono ai libri di Deaton.” confermò sfogliandoli veloce. “Ma non credo si siano soffermati a vedere cosa stavano prendendo. Sono particolarmente confusi presi singolarmente e quanto meno inutili.”

Ci fu un sospiro di sollievo generale, prima che Isaac parlasse. “Ma se li avevano vuol dire che hanno preso loro Deaton.”

“Non è detto.” lo corresse Melissa dopo un lungo silenzio. “Per quanto ne sappiamo potrebbero averli presi prima dell’arrivo di Derek. O dopo.”

“Lo credi sul serio?” le domandò il moro, avendo captato il dubbio nella voce della donna. Melissa però scosse la testa. “Non importa quello che credo io. Non ne siamo ancora sicuri e tanto mi basta per preoccuparmi di altro: voi state sanguinando.”

Lo sguardo di Jackson saettò svelto a Lydia, che però lo rassicurò con un sorriso tirato. Non era lei quella con squarci di artigli al petto e alla schiena.

“Il quarto?”

“Mh?” fece Scott non capendo.

“Il quarto Beta. Avete detto che erano in tre. Dov’è il quarto?” ripetè Jackson, libero di preoccuparsi per l’altra parte del branco ora che era sicuro Lydia stesse bene. L’espressione affranta del messicano non aiutò.

“Non lo sappiamo. Gli altri lo stanno cercando: ci siamo divisi. Crediamo che se hanno preso loro Deaton, è lui che lo controlla.”

“Vado con loro.” decise subito il biondo, lanciandosi verso la porta. Lydia lo trattenne solo per un istante, prima di lasciarlo andare titubante e dirgli di fare attenzione. Jackson sorrise, quel sorriso che rivolgeva solo a lei, e corse fuori.

Seguirono tutti con lo sguardo lo scambio fra la rossa e il suo ragazzo. Ognuno era nervoso e preoccupato a modo suo per la salute del proprio compagno, ma fra tutti Derek era l’unico a sentire anche un pizzico di nostalgia: sapeva che anche se Stiles era salvo, non avrebbero mai più potuto avere quel tipo di rapporto. Non si sarebbero più potuti capire con uno sguardo, non avrebbero più potuto litigare perché ritenevano che le azioni dell’altro fossero troppo pericolose e che avessero già fatto gli eroi abbastanza, non se Stiles non si ricordava neanche chi lui fosse, figurarsi cosa aveva fatto per il branco, per lui. Derek sarebbe tornato da Stiles senza l’altro lo aspettasse e avrebbe dovuto fingere che andava tutto bene quando l’unica cosa che voleva era stringere a sé quel ragazzino e sentirgli dire che andava tutto bene e che tutto era solo un brutto sogno.

Si passò stanco una mano sugli occhi. Non poteva permettersi di cedere, ora più che mai. Quando alzò lo sguardo incontrò però quello di Melissa, che sembrava sapere già tutto e lui non poteva sopportare di ricevere la conferma che tutto quello fosse reale, così distolse lo sguardo e tornò a fare quello per cui non serviva pensare al passato.

“Hai detto che avevate scoperto qualcosa…”

La donna annuì, sembrando capire il suo disagio, e cercò di spiegare il più velocemente possibile.

“Io e Stiles abbiamo scoperto su cosa stava indagando Deaton: erbe in grado di agevolare e curare la memoria. Crediamo stesse cercando informazioni per trovare un modo di aiutare Stiles.” riferì felice di portare almeno qualche buona notizia, ma tornò ben presto il suo spirito medico alla vista del sangue rappreso sulle magliette dei ragazzi.

“Erica,” chiamò, vedendo fosse quella messa peggio “vieni qui. Ti devo controllare, non ho intenzione di lasciarvi andare così.”

La ragazza si era avvicinata senza fiatare, mentre Melissa si era fatta portare delle bende da Scott e del disinfettante da Isaac. “Lydia, potresti aiutarmi, controllando Isaac?”

Melissa si era voltata verso suo figlio, per accertarsi che potesse resistere finché Erica non fosse stata fuori pericolo, ma aveva visto l’impazienza di Derek di correre via.

“Derek, sono certa che Stiles sarà in grado di prendersi cura di te. Perché non vai a casa.”

E nessuno aveva ritenuto debole il ragazzo perché era corso via appena ricevuto il permesso, né qualcuno aveva pensato fosse strano che nonostante Stiles non si trovasse al loft, casa per Derek significava dove fosse Stiles.

Melissa sorrise fra sé e sé, tornando poi a concentrarsi sui ragazzi. 











Note dell'autrice.
Ed eccomi qua! E' stato un parto questo capitolo, sia per le dinamiche che per le tempistiche. 
E' stato particolarmente complesso riuscire a rendere quall'aria di perenne 'Chi va là' all'interno del branco e spero di esserci riuscita.
Se c'è qualcosa che non rimane mai invariato, quello è il relazionarsi delle persone in caso di pericolo: i ragazzi sono spossati e preoccupati per gli altri membri del branco che non vedono da tempo, mentre Stiles viene colpito da troppe rivelazioni e sensazioni tutte assieme. Si è vendicato, pur salvaguardando la sua vittima :) 
Nel prossimo capitolo conto di avere più momenti Sterek ;)
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto! Al prossimo aggiornamento ;*

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


2 Maggio



Appena si era introdotto nella stanza, Derek si era guardato attorno confuso. Prima di arrampicarsi fino alla camera di Scott, si era accertato che Stiles fosse in casa e il battitto irregolare ma così tipico del ragazzo non aveva potuto nasconderlo, eppure la luce era spenta.

Scavalcò, maledicendo il messicano per aver avuto l’insana idea di collocare il letto proprio sotto la finestra, e fece brillare gli occhi, così da poter vedere meglio nel buio della stanza. Si concentrò nuovamente sulle presenze in casa, essendosi accertato di essere solo. Un battito regolare e tranquillo gli fece individuare lo sceriffo al piano di sotto, probabilmente seduto sul divano, ma non fece in tempo ad isolare il secondo, che la porta della stanza si aprì, cogliendolo di sorpresa.

Stiles, dall’altro canto, dopo essersi fatto accompagnare a casa ed essere stato con suo padre semplicemente in silenzio a guardare insieme una vecchia partita di basket, aveva deciso di farsi una doccia, nella speranza di dissolvere ogni pensiero con l’acqua calda. Non aveva smesso di avere un’aria distrutta fino a qualche minuto prima, quando finalmente, mentre si stava dirigendo nella stanza di Scott per potersi cambiare, aveva smesso di pensare.

Aveva aperto la porta con tranquillità, accendendo distrattamente la luce e con una mano già pronto a sfilarsi l’asciugamano bagnato che teneva in vita, quando aveva alzato gli occhi e aveva visto Derek Hale, fermo nel mezzo della stanza.

E giustamente aveva lanciato un urlo molto poco virile. “DEREK! Dio, mi vuoi uccidere?! E che diamine ci fai qui?!”

L’altro continuava a guardarlo come paralizzato. Arrossì, Stiles, quando notò come lo sguardo dell’uomo saettasse da ogni parte del suo corpo, dalle gambe, al petto, per poi soffermarsi sul viso e ricominciare a far vagare gli occhi. Inspiegabilmente quello sguardo non lo percepì invasivo e fu questo probabilmente a spaventarlo di più.

“Derek!” lo richiamò. Si guardò attorno alla ricerca del suo zaino contenente il cambio e sospirò sconfitto quando lo vide esattamente alle spalle dell’altro. Stranamente l’idea di stare lì imbambolato sembrava migliore di aggirare l’ostacolo e recuperare i vestiti, specialmente se quell’ostacolo era Derek Hale.

L’Alpha si riscosse solo al suo richiamo, il suo secondo richiamo, per la precisione. Eppure i suoi occhi non riuscivano a staccarsi dalla figura del giovane. Dio, non ricordava neanche quanto tempo addietro aveva potuto stringere quel corpo a sé, vederlo così di fronte a lui senza vergogna. Perché lo aveva capito lui, e anche Stiles stesso, che la vergogna che il ragazzo provava era dovuta all’iniziale assenza della stessa: si sentiva a disagio nel non sentirsi timido e se quello per Stiles era motivo di panico, per lui era un ritorno al passato, un motivo di gioia. L’umano poteva anche averlo dimenticato, ma il suo corpo no e questo fece ululare di felicità il suo lupo interiore.

“Ciao.” fu tutto ciò che riuscì a dire, troppo occupato a cercare di sopprire un sorriso per rendersi conto di ciò che stava dicendo.

Stiles strabuzzò gli occhi, sorpreso. Ciao? Ciao?!

Ciao, Derek? Davvero? Non hai niente di meglio da dire, tipo che cosa ci fai qui e come sei entrato, per esempio?” lo rimpeccò aprendo le braccia come a chiedergli di farsi avanti e parlare. Nel farlo, però, il nodo lento che teneva su l’asciugamano si sciolse come un cubetto di ghiaccio al sole e lui fece appena in tempo a recuperarlo prima di sentire un ringhio contrariato provenire dal moro. Stiles lo guardò come se avesse avuto due teste: era davvero quello il momento di palesargli il suo desiderio di vederlo nudo?! Assurdo, il ragazzo trovava tutto quello assurdo. E Derek non era da meno: era assurdo! Come aveva fatto quel ragazzino con i riflessi di un bradipo a riuscire ad afferrare quel dannato affare?! Come?!

“Ero venuto a vedere come stavi e sono passato dalla finestra.” mormorò, sforzandosi di guardarlo negli occhi. E Stiles non seppe se esserli grato o meno, perché in quel modo era portato a perdersi in quelle gemme di smeraldo e lui non era davvero pronto a quello.

“Dalla… dalla finestra.” balbettò dubbioso, ingoiando a vuoto nervoso. Derek annuì e Stiles imprecò mentalmente. Gesù, lo stava letteralmente mangiando con gli occhi! “E chi ti ha permesso di… entrare?”

Stiles sperò ardentemente che il genitore non entrasse nella stanza in quel momento, dovevano sembrare due pazzi visti da fuori: entrambi a sussurrare e a guardarsi negli occhi ad una distanza davvero troppo lontana, per Derek, e vicina, per Stiles.  

“Tu.” gli rispose il mannaro, sorprendendo se stesso e il ragazzo per aver dimostrato di aver addirittura ascoltato la domanda.

“Io?” si riscosse all’ultimo Stiles, sbattendo gli occhi per cercare di riprendersi.

Derek annuì. “Hai lasciato la finestra aperta.” gli ricordò, come se quello avesse tutt’altro significato dal voler, che ne sapeva, cambiare l’aria.

“Mh, giusto. Quindi tu entri in tutte le case con le finestre aperte?” ironizzò, facendo ghignare l’altro.

“Solo in quelle che mi interessano.”

Stiles si ritrovò a sorridere, ma provò a mascherarlo fingendosi ancora irritato. “Ciò non toglie che non dovresti essere qui. Cosa sei venuto a fare?” sbuffò, incrociando le braccia al petto.

“Te l’ho detto: volevo vedere come stavi.”

Stiles alzò un sopracciglio, dubbioso. Dopo quello che gli aveva fatto -dopo il modo in cui era stato trattato principalmente- non si sarebbe aspettato quella premura. Sebbene avesse letto il diario, quando si era scontrato per la prima volta con la voce dell’altro, al telefono, l’unica cosa che aveva provato era stata solo tanta rabbia. Il Derek Hale che si era figurato nella sua mente dopo quell’incontro era stato un uomo arrogante, terribilmente possessivo, disinteressato, decisamente maniaco del controllo e soprattutto con istinti omicidi. Aveva anche ricontrollato che la scrittura del diario fosse la sua, non credendo alle parole che aveva letto. E ora invece il Derek che aveva davanti somigliava molto di più a quello amorevole e gentile descritto da lui stesso, ma anche parecchio attraente e decisamente, decisamente, lussurioso.

“Sto… bene, ma perché ti interessa?” appena finì di pronunciare l’ultima parola si schiaffò mentalmente una mano sulla fronte, ricordando che loro due fossero fidanzati e addirittura Compagni, e il sopracciglio alzato di Derek non aiutò. “Niente, scusa. Mi ero dimenticato…” mormorò, bloccandosi all’ultimo e assumendo una nota amara, che fece storcere il naso al moro.

“Stiles…”

“No, davvero. Sto bene.” lo bloccò l’altro, pur evitando di incrociare il suo sguardo.

“Non volevo dirti questo.” disse Derek, facendogli alzare curioso la testa. “Stai tremando.”

Stiles guardò lì dove la mano del mannaro si era stretta appena sopra il gomito. Quando diavolo si era avvicinato?! Fu il suo primo pensiero, prima di vedere la pelle d’oca su tutto il corpo. Un soffio di vento non fece che peggiorare la situazione.

“Forse è meglio… è meglio che mi vesti.” mormorò, allontanandosi e sorpassandolo, diretto al proprio zaino. Provò a non pensare che l’assenza del contatto con l’altro gli avesse dato fastidio, desiderando di tornargli anche solo vicino.

“Non guardare!” lo ammonì, facendo roteare un dito per fargli capire di doversi voltare. Derek soffiò una risata, ma quando capì che l’altro era serio lo guardò contrariato.

“Stiles, per te forse sarà tutto nuovo, ma non c’è niente che io non conosca di te.” gli ricordò serio, facendolo arrossire. “Fidati.”

“Non mi importa. Ora voltati. E non sbirciare!” rimase fermo della sua idea il ragazzo e, seppur controvoglia, Derek dovette obbedire, non rinunciando a fargli sapere il suo dissenso con diversi sbuffi.

Si girò, Stiles, giusto per controllare che Derek non stesse imbrogliando, e poi lasciò cadere l’asciugamano a terra. Afferrò svelto le mutante, a cui fece seguire i pantaloni della tuta che si era portato e indossò la sua amata felpa, mettendo così fine agli spifferi provocati dal vento e sospirando di sollievo. Quando si voltò, però, gli si gelò il sangue.

Si stava bellamente guardando in uno specchio, che non ricordava stesse lì, e non solo lui! Derek non aveva smesso di seguirlo con lo sguardo, utilizzando la sua immagine riflessa. Stiles arrossì violentemente e quasi si sentì male, quando ricordò le pose poco caste che era stato costretto ad assumere, ad esempio quando si era piegato per recuperare i vestiti. L’unica cosa che voleva fare in quel momento era scavarsi una buca e sotterrarsi. E si chiedeva con che coraggio ora l’Alpha lo stesso guardando negli occhi! Non aveva neanche avuto la decenza di scusarsi!

“Non mi sono voltato.” rise invece. Stiles buttò fuori tutta l’aria che aveva in corpo, troppo shockato. “Non preoccuparti. È tutto come l’avevo lasciato.”

Un colpo di tosse violenta, costrinse il ragazzo ad appoggiarsi alla scrivania presente nella stanza. “Ti diverti?!” chiese con voce strozzata, non riuscendo ancora a credere a quanto aveva sentito.

Derek ghignò, avvicinandosi a lui e a poco valsero i suoi tentativi di indietreggiare. Che idea geniale appoggiarsi al tavolo, davvero geniale, Stiles. Si maledì. E si maledì anche della reazione che aveva avuto il suo corpo, quando quello del mannaro era stato ad un solo centimetro di distanza dal suo. I loro visi erano così vicini, che se solo avesse avuto il coraggio di alzare lo sguardo e guardare l’altro negli occhi, le loro bocche si sarebbero scontrate. Derek si avvicinò ancora e Stiles era quasi certo che lo volesse baciare. E la cosa che lo turbava di più era che in tutto questo, invece di preoccuparsi di allontanarlo, lui stava pensando a quanto potessero essere invitanti le labbra del lupo e a come sarebbe stato assaggiarle. Chiuse gli occhi istintivamente quando sentì il fiato caldo dell’altro sulla sua bocca, ma all’ultimo Derek deviò strada, avvicinandosi al suo orecchio e mormorando tre semplici parole che gli provocarono dei brividi lungo la schiena. “Non sai quanto.” 

Ci mise un po’ a collegare quella frase alla sua precedente e retorica domanda e quando accaddè stava tenendo ancora gli occhi chiusi. Sentì l’Alpha ghignare.

“Sei uno stronzo.” borbottò senza crederci davvero -anche se doveva ammettere che era rimasto quasi deluso. Dannazzione, lui lo voleva quel bacio! Pensò, sorprendendo se stesso per la veridicità di quelle parole. Ma nonostante tutto, quando alzò finalmente lo sguardo, Derek aveva assunto invece un’aria preoccupata, che non comprese, almeno finchè l’altro non gli chiese, quasi supplice, se davvero lo credesse, se davvero pensasse che lui fosse uno stronzo. E Stiles davvero col senno di poi avrebbe considerato assurda quella situazione: lui, quello che era stato preso in giro da quando il moro aveva messo piede in quella casa, si ritrovava ora a rassicurare il mannaro. Ovviamente non era stato serio, ma impiegò più tempo del dovuto a convincere l’altro.

Tanto era preso dal rassicurarlo, che non si accorse immediatamente, quando Derek lo afferrò per i fianchi avvicinandolo e nascondendo il suo viso contro il suo collo. Rabbrividì a quel contatto e si avvicinò impercettibilmente al corpo dell’altro, anche se non l’avrebbe mai ammesso.

“Quindi non pensi che io sia uno stronzo?” gli domandò per l’ultima volta Derek, con un tono divertito, mentre strofinava come un gatto, il naso sul suo collo, appena sotto all’orecchio -e Stiles sentì che quella fosse una cosa da lupi.

“A volte non capisco quando scherzi.” decise di dire la verità, assumendo un tono serio, pur non permettendo all’altro di allontanarsi, non che Derek ne avesse intenzione. Finalmente poteva stringere di nuovo tra le braccia il suo Stiles e il suo lupo, nonostante non avesse accettato di buon grado la decisione di non baciarlo, ora sembrava essersi acquietato, abbaiando felice.

“Tanto tempo fa mi dicesti di provare a prendere la vita con minore serietà e che l’importante era provarci, prima o poi ci sarei riuscito.” rivelò stringendolo inconsciamente più a sé.

“Davvero? Io ho detto questo?” scherzò Stiles, ma la risata gli morì in gola quando sentì le labbra del lupo posarsi sul suo collo, lasciandovi un leggero bacio. “Si-sicuro?”

“Mh-mh.” mormorò Derek, lasciandogli un altro bacio, qusta volta più vicino alla mascella.

Stiles sospirò profondamente. “Probabilmente mi hai preso in un momento come… come qu-questo.”

“Intedi mentre ti sciogli?” ghignò contro il suo collo l’Alpha, suscitando un senso di orgoglio nell’umano.

“Ehi, io non mi sto sciogl-” iniziò, ma proprio in quel momento il mannaro iniziò a mordicchiargli la mandibola, risalendo fino all’orecchio e lasciando una scia di baci. Si avvicinò poi sempre più alle labbra dell’altro e quando Derek gli lasciò un ultimo bacio all’angolo della bocca, Stiles decise che quello potesse essere l’inizio della fine. “Forse un pochino…” mormorò, ricercando la bocca del lupo, che questa volta non gli negò il bacio.

Iniziò tutto in modo dolce e delicato, ma a sorpresa di entrambi, quello che volle approfondire maggiormente il bacio fu proprio il più piccolo, che artigliò i capelli della nuca del moro, spingendolo più vicino. Quello che Derek non aveva avuto il coraggio neanche di immaginare, figurarsi sperare, stava avvenendo proprio lì, dopo che quella stessa mattina si erano urlati contro, dopo che Stiles era scappato via e lui l’aveva rincorso. Sorrise nel bacio quando si rese conto che tutta la giornata che lui aveva maledetto, in realtà non era stata che uno dei tanti loro giorni.

“Tutto ok?” gli chiese Stiles, senza staccarsi realmente da lui. Il sorriso dell’Alpha si allargò solo di più.

“Tutto alla grande.” fu tutto ciò che disse prima di riappropriarsi della bocca del Compagno, che non si esentò da palesare il suo apprezzamento, mugugnando nel bacio.

Le mani di Stiles presero a vagare sul petto dell’altro. Si muovevano smaniose di maggior contatto, così non persero tempo a sfilargli la giacca di pelle, subito seguita dalla maglietta. L’umano registrò appena che fosse squarciata in più punti e Derek non gli diede neanche modo di poter realizzare, perché fece fare alla sua felpa la stessa fine, riportando Stiles di nuovo in quel vortice di emozioni.
Nessuno dei due seppe quando, o tantomeno come, finirono sul letto con Derek che si sorreggeva per non gravare sul ragazzo mentre si scambiavano l’ennesimo bacio.

“Dio, non hai idea di quanto tu mi sia mancato.” sussurrò il lupo, cospargendo il viso di Stiles di teneri baci.

“Si?” chiese piuttosto distratto il più piccolo e Derek annuì. “È assurdo che provassi la stessa cosa senza conoscerti?”

“No.” sorrise l’altro, strofinando il naso sul suo collo. “No, nient’affatto.” 

“Mh, è una buona cosa.” gemette Stiles ad un morso appena accennato proprio sotto l’orecchio, ben visibile. “Giusto?”

“Stiles…”

“Hai ragione, scusa. Smetto di parlare.” rise il ragazzo, poggiando la sua fronte su quella dell’altro. “Ora posso avere un altro bacio?” pretese, incrociando le mani dietro alla testa del lupo.

“Tutto quello che vuoi.” fu la risposta che lo fece sciogliere definitivamente. Fece passare le mani tra i capelli scuri del maggiore, attirandolo più vicino. Stava per congiungere di nuovo le loro labbra, quando Derek lo fermò delicatamente.

“Stiles, quando ti ho detto che sono entrato dalla finestra… lo sai anche tu perché hai lasciato la finestra aperta, vero? Perché lo sai, non è vero?” gli chiese con voce incerta, quasi supplicandolo.

Stiles gli sorrise dolcemente, andando ad accarezzargli la nuca. “Sì, lo so perché.”

E Derek lì smise di chiedersi se fosse la cosa giusta, se Stiles lo volesse davvero, se se se… smise semplicemente di pensare. Probabilmente non avrebbe mai saputo se il Compagno gli avesse detto la verità e ricordasse di tenere la finestra aperta anche in pieno inverno solo per permettere a lui di entrare. Probabilmente non lo avrebbe mai saputo e con molte probabilità alla fine non sarebbe stato neanche vero, ma Stiles era sembrato così sicuro, che Derek aveva rivisto nei suoi occhi la stessa luce del suo Stiles e il suo mondo era rinato. Poco gli importava se per una bugia o per una verità. Tutto quello che sapeva, era di avere tra le braccia il ragazzo che amava.

Stiles aveva osservato qualcosa cambiare nello sguardo di Derek quando gli aveva fatto quella domanda e aveva risposto senza pensare. Sapeva che uno sbaglio avrebbe provocato una rottura definitiva nell’uomo, ma non era stato per quello che aveva dato quella risposta. Non era per carità che aveva detto di saperlo. Tutto quello che poteva dire, era di averlo sentito, aveva sentito che dietro ci fosse qualcosa di più importante e per un secondo si era immaginato lui che aspettava Derek, seduto sul proprio letto, lo sguardo fisso sulla finestra.

Quando poi aveva visto quella scintilla di felicità nello sguardo del mannaro alla sua risposta, il cuore gli si era sciolto. Tutto sommato gli Stiles del diario non avevano tutti i torti, si ritrovò a pensare prima di perdersi di nuovo ad un bacio dell’Hale.

Percorse con le mani il suo petto fino ad arrivare alla cintura dei pantaloni. Era già pronto a sfilargliela, quando una mano si sovrapporse alle sue, fermandolo. Derek gli prese il mento tra le dita, cercando i suoi occhi con i propri.

“Sei sicuro? Per me possiamo anche fermarci qui. Non c’è biso-” iniziò, ma Stiles gli mise due dita sulle labbra, zittendolo.

“Lo voglio.” gli mormorò sulle labbra. “Ascolta i miei battiti.” lo incitò, quando scorse il dubbio negli occhi dell’altro. “Lo voglio.” ripetè e seppe di aver già vinto quando Derek trattenne il respiro.

“E poi, non avevi detto che non c’era niente che non conoscessi di me?” lo sbeffeggiò con un ghigno “Dovresti sapere quanto sono testardo quando voglio qualcosa.”

Derek gli fece un sorriso sghembo, divertito, ma anche completamente assorto dal luccichio di desiderio e amore negli occhi del Compagno. “Oh, fidati. Lo so.”

E Stiles sorrise, un sorriso che prospettava tanto, sfilandogli la cinta e lanciandola da qualche parte nella stanza. E non gli importava che suo padre sarebbe potuto entrare, non gli interessava che conoscesse Derek solo da quella mattina, sebbene la sua realtà fosse alterata. Non gli importava, perché si fidava del suo Compagno, si fidava di Derek e niente lo avrebbe mai convinto che potesse esistere un posto più sicuro che tra le braccia del suo lupo. Niente. 










Note dell'autrice.
Ok, sono abbastanza nervosa. E' la prima volta che scrivo un capitolo simile: nonostante ami la sterek e ne legga in ogni sua forma, non ne avevo mai scritto sopra in questo modo. Che poi non è che abbia detto molto, ma non lo so... ditemi voi. Ho anche un dubbio, che mi farà sembrare la nuova arrivata, ma amen: secondo voi il raiting vale ancora? Ho provato a capire fino a che punto dovesse essere cambiato, ma non è ben definito e non voglio incappare in problemi. Anche perchè magari ne usciranno altre di scene simili, non lo so! Quei due si scrivono praticamente da soli! 
Ad ogni modo spero che il capitolo vi sia piaciuto, che sia tutto chiaro e che le cose non sembrino affrettate. Va ricordato che, sebbene Stiles sia arrabbiato con Derek, sente di esserne irrimediabilmente innamorato (colpa del Legame) e oltre ad aver visto il video con la loro vecchia quotidianità, ha letto il suo diario dove 'Gli altri Stiles' ne parlano in modo particolarmente entusiasta, quindi ecco, tutto qui. 
Capitolo total Sterek e non c'è altro da dire che ... al prossimo capitolo! 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


3 Maggio
 
Derek sentì il fruisciare leggero delle coperte, mentre un piacevole tempore gli scaldava il viso, e mormò un assonnato “Buongiorno…” prima di mettere a fuoco e sorridere appena mentre guardava il profilo del suo compagno, proprio di fronte a lui.

Stiles in risposta strusciò il viso sul cuscino, ancora nel mondo dei sogni e sorrise inconsciamente, ma poi aprì improvvisamente gli occhi, consapevole, e lanciò un urlo spaventato.

Derek sbiancò, ora completamente sveglio e memore del piccolo problema che il suo compagno aveva. Noah lo avrebbe ammazzato.

“Ehi, nono! Calmati, Stiles.” provò a rassicurarlo, mentre al contempo cercava di coprirsi con quelle poche coperte che erano rimaste sul letto e che il ragazzino non si era tirato addosso per coprirsi quando era schizzato di colpo fuori dal letto.

Stiles però non parve averlo sentito, perché afferrò la prima cosa che gli capitò tra le mani e gliela lanciò contro terrorizzato. Mentalmente il ragazzo, si ripromise di ricomprare la lampada del suo migliore, pur non capendo come fosse arrivato in quella stanza.

“No, Stiles! Ascoltami, ehi Stiles, lo so che per te è difficile capire adesso, ma noi due stiamo insieme, siamo compagni da diverso tempo.” tentò di nuovo, alzando e mostrando le mani nel vano tentativo di fargli capire di non avere intenzione di fargli del male.

A poco valsero, però, le sue parole, perché Stiles si voltò svelto per afferrare e lanciargli contro due libri che si trovavano ignari sulla scrivania.

Gli avrebbe ricomprato tutto, si costrinse a giurare il ragazzo, mentre faceva fare la stessa fine dei libri anche a quello che doveva essere un raccoglitore di penne.

“Se non dicessi la verità come potrei sapere così tante cose? Che da grande vuoi diventare un angente di polizia, che adori prendere il gelato alla vaniglia quando sei triste, che ami la tua jeep perché ti ricorda tua madre e che nonostante tieni tuo padre a dieta, gli permetti di mangiare le patatine che crede tu non abbia ancora scoperto?”

Ma “Stupratore!” fu tutto quello che il ragazzo gli urlò, prima di colpirlo con un vaso, che finì con l’andare in mille pezzi nell’impatto.

In quell’esatto momento, lo sceriffo, accorso alle grida di Stiles -e ben consapevole della situazione da quando li aveva scoperti abbracciati e addormentati quella mattina- spalancò la porta di colpo, ritrovandosi il figlio che guardava sconvolto alcuni pezzi di porcellana conficcati nel viso e nel petto del moro.
 
 
***
 
 
“Beh, io non sono riuscito a farti fuori, ma mio figlio sì.” borbottò l’uomo, entrando in salone con aria stanca.

“Grazie, Noah.” mormorò Derek, prendendo il panno bagnato che gli stava porgendo l’uomo, per potersi pulirsi il sangue delle ferite ormai già rimarginate. “Come sta?”

“Diciamo che è un po’ scosso, ma si riprenderà. Troppe sono state le volte in cui si ubriacava con Scott e poi non ricordava dove fosse o come ci fosse arrivato, oggi non è poi tanto diverso. Sta guardando il video al momento.” lo informò con tono divertito, mentre scuoteva la testa e si lasciava cadere sulla poltrona vicino al divano.

Ancora si sorprendeva di quanto facilmente avesse accettato la situazione e di come ora fosse in grado di gestirla con maggiore tranquillità e minore apprensione. Suo figlio era forte e lo aveva dimostrato in più di un’occasione.

Quando aveva ricevuto la sua telefonata il giorno prima, dove gli chiedeva di farsi trovare a casa di Melissa era stato piacevolmente sorpreso di scoprire successivamente dalla donna che il suo bambino aveva dato del filo da torcere a Derek Hale, ma si era sentito anche molto fiero quando era venuto a sapere di come Stiles si fosse preoccupato del branco e di non rischiare la pelle per una brutta, ma anche stupida lite.

Il suo bambino era diventato un uomo e, a dispetto di tutto, l’aveva capito solo quella mattina. Era entrato nella stanza solo per controllare che fosse tutto ok, ma la situazione sembra tutto meno che a posto! Dovette ammettere, col senno di poi, che il suo primo istinto di uccidere il mannaro fosse stato leggermente eccessivo, ma andava capito, insomma! Derek Hale aveva osato toccare il suo bambino! Meritava di morire con una bella pallottola in testa, ma si era ricreduto quando aveva messo in secondo piano tutti i possibili scenari della precedente sera per soffermarsi sul viso rilassato di suo figlio, su come fosse inconsapevolmente proteso verso il mannaro e di come l’altro lo avvolgesse con un braccio sembrando volerlo proteggere anche mentre dormivano.

Probabilmente, e a buon ragione, se i due si fossero svegliati in quel momento e l’avessero visto lì, l’avrebbe preso per pazzo: una mano sulla fondina, ma un sorriso intenerito sul viso, senza contare la presenza non desiderata nella stanza.

Sorrise al ricordo, scuotendo nuovamente la testa divertito e guadagnandosi un’occhiata curiosa dal moro, che, forse intuendo il fulcro dei suoi pensieri, si tenne ben alla larga dal chiedere spiegazioni.
 
 
***
 
 
Stiles, dall’altro canto, aveva tutta l’intenzione di andarsi a scavare quanto prima una fossa in giardino e non aveva ancora deciso se per l’enorme figuraccia fatta o perché il padre lo aveva beccato nudo con un altro uomo, nudo anche lui. Suo padre lo sapeva almeno che era gay?!

Il video lo aveva sconvolto e il suo cuore aveva saltato qualche battito, ma niente a confronto con il colpo che gli era venuto alla vista di Derek nel suo letto. Nel letto di Scott in realtà. Era raggelato quando aveva realizzato che la sua prima volta era avvenuta nel letto del suo migliore amico!

Aveva appena aperto la porta, quando aveva udito la voce di Derek. Era ancora preoccupato per l’altro, ma il padre lo aveva assicurato che, tempo di uscire dalla stanza, e le ferite sarebbero guarite. A Stiles, però, poca importava che invece che qualche giorno avrebbe impiegato una manciata di secondi a guarire. O meglio, si sentiva sollevato e felice per il moro, ma lo aveva ugualmente ferito e senza sapere delle capacità guaritive dell’altro! Se si fosse fermato a pensare, sarebbe arrivato alla conclusione che magari non era una mossa esattamente saggia, per uno stupratore, quella di restare a dormire a casa della vittima.

Si sentiva davvero in colpa, ma prima che potesse farsi coraggio e scendere per scusarsi come di dovere, udì la voce del padre che lo costrinse a fermarsi sulla scale ad origliare.
 

 
“Bene, Derek, i ragazzi mi hanno detto che hai intenzione di andare a New York per Cora. Quand’è che hai pensato alla possibilità di trasferirti lì?”

“Veramente ci stavo pensando già da diverso tempo, due anni per la precisione, da quando ritrovai Cora e inizia ad informarmi per permetterle di avere di nuovo un posto da poter chiamare casa.” mormorò il mannaro, assumendo un tono più dolce al nominare la sorella e a Stiles si sciolse il cuore. La frase che seguì, però, paralizò il ragazzo, curioso di sentire la risposta.

“Lo hai già detto a Stiles, del viaggio?”

Stiles sentì Derek esitare e credette che non avrebbe risposto, quando: “In realtà non c’è niente da dire: ho deciso di non partire. Stiles ha bisogno di me qui e non lo lascerò, in più mi preoccupa il fatto che se mi dovessi allontanare il tempo necessario a Cora per ambientarsi nella nuova casa… rovinerei tutti i progressi che ha fatto. Lo so che lei ci crede pazzi, ma io penso che nel profondo Stiles stia cominciando a ricordarsi, almeno di me.”

Stiles trattenne il fiato a quella rivelazione, andando a sfiorare con le dita la cicatrice degli artigli che aveva dietro al collo. Era davvero possibile che stesse ricordando, seppur lentamente? La risposta che però diede il padre lo stroncò, e non solo lui.

“No, Derek. È quello che vorresti credere, anzi, è quello che tutti vorremmo credere, ma non succederà mai.”

“… ok, come crede. Ora devo tornare dal Branco, mi stanno aspettando. Può dire a Stiles che passerò più tardi? Grazie.” si congedò con freddezza Derek, prima di aggiungere un ancora più distaccato “Arrivederci, sceriffo.” che fece sospirare suo padre, quando la porta di casa fu chiusa.  
 
 
***
 
 
Riprendersi quel giorno sembrò essere più difficile del solito, almeno secondo il suo diario. Continuava a sfogliare e rileggere vorace le pagine che aveva già scritto, non avendone mai abbastanza, ma tra tutte, quella che aveva letto più volte e su cui finiva sempre per tornare era quella risalente alla sera prima.
 

 
2 Maggio, 23.54

Ciao Stiles, sono Stiles. Tra poco più di cinque minuti sarà mezzanotte e non so se la mia memoria sparirà già da allora come in una fottuta storia di principesse, ma non voglio correre il rischio.

Mi sono svegliato poco fa e ho ringraziato il cielo o chiunque abbia permesso che Derek non si accorgesse di niente. Quando ho aperto gli occhi e l’ho visto addormentato accanto a me, credo di aver pianto come una ragazzina… a quanto pare è sul serio una fiaba per bambini. Ricordare quello che era successo, ricordare quello che avevamo fatto, ricordarmi di lui per la prima volta è stato il regalo più bello che potessi ricevere. Durerà poco, non sono un ingenuo, so che domani dimenticherò tutto di nuovo, ma in quel momento ho solo vissuto la normalità che mi è stata portata via.

Ti sto scrivendo al buio, con la sola luce della luna, perché non voglio rischiare che Derek si svegli. Sembra non dormire da giorni e non mi sorprenderebbe scoprire che sia realmente così. Ha così tante responsabilità e preoccupazioni e avrebbe così tanto bisogno di qualcuno che si occupasse di lui… vorrei esserne in grado, vorrei poterlo fare di nuovo come mi hanno raccontato già facessi. Vorrei potermi prendere cura del mio Alpha e del mio Compagno come merita, senza che sia costretto a fare da balia ad un ragazzino che neanche si ricorda di lui.

Se lo amo? Assolutamente sì. Perché? Non ne sono sicuro. L’ho visto oggi per la prima volta, ma mi sembra di conoscerlo da una vita… spero che questo basti per non farmi passare per uno facile, perché io non sono facile, proprio per niente. Mi fido di Derek e gli affiderei la mia vita. In realtà io già dipendo da lui, tutta questa storia sembra volermi urlare quanto lui stia facendo per me senza che io ricambi in alcun modo. Io vorrei, lo vorrei tanto…  

Mi piace vederlo dormire. Ho come il presentimento che stia sempre sull’attenti anche quando dorme e in un certo qual modo mi sento orgoglioso del fatto che ora sembri calmo e rilassato. Ogni tanto arriccia il naso e io la trovo una cosa così carina… suppongo sia un comportamento da lupi. Chissà se sta sognando di fiutare qualcosa.

Vorrei poter fermare questo momento per sempre e restare semplicemente a guardarlo per il resto della mia vita, ma gli occhi mi si stanno facendo pesanti e inizio a fare fatica a mantenere la penna in mano.

Caro Stiles, sebbene avessi giurato di non iniziare mai così, questa volta devo, perché oggi, questa sera, tu sei caro, sei felice e sei fottutamente fortunato. Il lupo di Derek ti ha scelto e tu hai avuto la fortuna che anche la sua parte umana si innamorasse di te.

Credo che questa sia la prima volta in cui mi addormenterò felice. Non ricordo l’ultima volta in cui lo sono stato realmente…

Prenditi cura di lui, Stiles. A qualsiasi costo,

tuo, Stiles.
 

 
Stiles chiuse il diario di colpo. Un’idea folle, pazza e che avrebbe causato tanto dolore, ma che avrebbe portato anche ad una soluzione, gli balenò in mente.

Poteva funzionare, poteva essere un nuovo inizio.

Prima che quei pensieri diventassero troppo reali, però, venne interrotto dal bussare alla porta di qualcuno. Urlò un avanti e quando si palesò la figura del suo migliore amico, accantonò qualunque ragionamento stesse facendo.

Scott lo guardò con sguardo fiero. “Abbiamo trovato Deaton.” 









Note dell'autrice.
Buondì! E' sera lo so, ma non mi importa, quindi buondì a tutti. Mi scuso per il ritardo, ma in questi giorni non sono stata bene, ma andando al capitolo...
Ovviamente un brusco risveglio per Derek e uno ancora più sconvolgente per Stiles! Ho adorato quella scena nel film e ho cercato di riprodurla più fedelmente possibile. Voi come reagireste se vi trovaste in una casa non vostra e a letto con uno sconosciuto? Bellissimo, ma pur sempre uno sconosicuto? 
Se c'è un pezzo che mi piace davvero nel film e che qui è presente è lo "Stupratore!" urlato dai poveri smemorati ;)

Lo sceriffo che becca i due piccioncini a letto è stato il trauma numero 3 del capitolo. 
Shock n° 4: l'annullata partenza di Derek per New York. Non ve lo aspettavate eh? -SPOILER Ma in un modo si deve pur arrivare al momento angst della storia ;)   
Stiles ha pensato ad una soluzione, ora tocca scoprire in cosa consiste, ma è già sicuro che non sarà piacevole. Idee? (per chi volesse un aiutino... tornare allo shock n°4)
E dulcis in fundo... Deaton è vivo! Non che importi a nessuno dell'enigmatico druido, ma un infermiere sovrannaturale fa sempre piacere, che si tratti di curare lupetti a fettine ... o risolvere problemi di memoria.

Vi avviso ora che il prossimo capitolo molto probabilmente slitterà fra due settimane, in quanto la prossima sarò impossibilitata a scrivere per cause di forza maggiore. 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto ;)
Al prossimo aggiornamento!  

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


3 Maggio



“Stiles? Stiles, mi senti?”

Il giovane Stilinski guardava fisso davanti a sé senza riuscire a percepire nient’altro. Le voci gli giungevano ovattate e un qualsiasi contatto era nullo. Tutto ciò che non era il suo obbiettivo era sfocato. Tutto ciò che non era Alan Deaton steso sul tavolo della sua stessa clinica veterinaria era vano. Tutto ciò che non fosse il viso tumefatto dell’uomo, le braccia livide e il respiro annaspante era inesistente agli occhi del ragazzo.

“Non- non ce la faccio.”

Scott fece un fischio sollevato nell’apprendere almeno una reazione da parte del suo migliore amico. Da quando erano entrati nella stanza, Stiles si era pietrificato.

“Cosa non riesci a fare?” gli domandò Lydia, mentre gli appoggiava una mano sull’avambraccio, ma il ragazzo se la scossa da dosso e prese a scuotere la testa senza mai distogliere il suo sguardo, lasciando la rossa confusa.

“Devo… io devo uscire.” riuscì a dire prima di catapultarsi fuori dalla stanza.

Scott gli corse dietro automaticamente, ma quando lo raggiunse lo trovò fuori dalla clinica con Derek, che doveva essere appena arrivato. Stiles teneva la schiena appoggiata al muro e la testa fra le mani mentre compiva respiri lenti e controllati. Stava avendo un attacco di panico.

“Stiles!” lo richiamò spaventato Derek, prima prenderlo per le spalle e aiutarlo a calmarsi. In mezzo a tutta quell’ansia da parte dell’umano, Scott riuscì a captare qualche parola smorzata dal corpo di Derek che ora Stiles stava stringendo. “Deaton… lui è… è colpa mia.”

“Diavolo!” mormorò portandosi una mano fra i capelli, Scott.

La testa del moro saettatò immediatamente verso di lui con le fiamme che gli uscivano dagli occhi. Stiles era ancora aggrappato a lui e Derek lo circondava con entrambe le braccia, ma se c’era una cosa che Scott sapeva del suo Alpha era che gli bastava un secondo per atterrare qualcuno, specialmente se c’entrava Stiles.
Non fu perciò inaspettato quando illuminò gli occhi di risso e gli ringhiò contro. “Spiegati.”

“Io- senti, mi dispiace. Dico davvero. Non- non credevo che avrebbe reagito così. Con tutta questa situazione io non riesco a capire come e a cosa possa reagire. Io… l’ho portato da Deaton.” e mentre lo diceva si rendeva sempre più conto di quanto fosse stata una cosa stupida, troppo.

“Tu COSA?!” sbraitò, infatti, Derek e Scott era già pronto a ricevere l’ira del proprio Alpha, se non fosse stato per tre parole pronunciate da Stiles che fecero gelare il sangue ad entrambi.

“È colpa mia.”

Derek parve dimenticarsi del suo Beta e si concentrò unicamente sul cuo compagno. Sul suo compagno che faceva sempre ragionamenti sbagliati, dannatamente sbagliati e autodistruttivi. Lo allontanò da sé quanto necessario per afferrargli il mento e fargli sollevare lo sguardo.

“Ascoltami bene, tu. Sono stanco di vedere le persone prendere decisioni stupide,” disse lanciando alla fine una lunga occhiata al messicano poco lontano da loro, che rispose con uno sguardo colpevole “ma fra tutte, se c’è una decisione ancora più idiota che non sopporto, è quella di addossarsi colpe che non si hanno. Quindi ascoltami bene:” quasi ringhiò facendo brillare gli occhi di rosso “non fare l’idiota e non comportarti nello stesso modo che non mi perdonavi tempo fa. Sarebbe da ipocriti.”

Scott aveva assistito al discorso meno consolatorio della storia, al più schietto e privo di tatto di tutta la sua vita, ma Stiles non dovette averla pensata ugualmente, perché aveva annuito, increspando appena le labbra in quello che doveva essere un sorriso. Derek rilasciò un sospiro, prima di lasciargli un bacio sulla fronte sollevato. Scott non si sarebbe mai spiegato come quei due fossero finiti assieme o come la loro relazione si svolgesse, ma Derek per Stiles rimaneva sempre un punto di riferimento, nonostante tutto e beh, per Derek, Stiles era il suo tutto.

“Ok. Torniamo dentro.” Decise sicuro il ragazzo e Derek non obbiettò, non chiese se fosse sicuro o pronto, ma lo guardò in quel modo fiero che tante volte Scott aveva visto far sciogliere il suo migliore amico.
 
 
***
 
 
Quando rientrarono Deaton si trovava ora seduto mentre Melissa gli oscultava il cuore e Lydia la aiutava portandole le medicine necessarie per alleviare almeno il dolore di qualche livido.

“Doc! Come sta?” accorse Scott non appena si accorse che l’uomo fosse finalmente sveglio.

L’uomo gli sorrise mestamente, o almeno ci provò. “Ora so cosa provano i miei pazienti, almeno.” scherzò, prima di fare una smorfia.  “Scusa.” mormorò Melissa intenta a spalmarli una pomata sul braccio, ma il druido scosse la testa, minimizzando.

“Cos’è successo?”

Lydia lanciò un’occhiataccia in direzione di Derek, sgridandolo indirettamente per il poco tatto che aveva mostrato, sempre se ce ne fosse stato, ma Deaton ridacchiò. “È sempre un piacere, Derek.” 

“Perché sei sparito?” continuò però imperturbato il moro, stringendo appena la presa sul polso di Stiles, appena dietro di lui.

“E che diavolo, Derek!” sbraitò Scott guardandolo estereffato. “È stato rapito!” 

“Non sarebbe successo se lui non avesse deciso di sparire nel nulla senza dire niente a nessuno.” ringhiò, infastidito dalla situazione. A quelle parole Lydia, già pronta a controbattere, chiuse la bocca. Scott non fu dello stesso avviso.

“Non ha importanza perché l’ha fatto. Importa che ora sta male e si deve riprendere, senza qualcuno che lo minacci.”

Stiles avrebbe voluto intervenire a difesa di Derek: il moro non aveva minacciato nessuno, ma non ne era così sicuro alla fine, considerando il ringhio non così amichevole uscitogli poco prima.

“Importa, invece. Perché se non te ne fossi reso conto là fuori c’è ancora un branco in cerca di vendetta e, se sapere per quale motivo lo hanno preso, aiutasse a liberarcene e proteggere tutti, allora sì, è importante!”

Scott guardò male il proprio Alpha ed era pronto a prendere le difese del suo mentore, ma l’uomo lo fermò prima. Gli mise una mano sul braccio, richiamandolo, e scosse la testa come ad impedirgli di mandare avanti quel teatrino. “Basta, Scott. Derek ha ragione.”

Il messicano lanciò uno sguardo stizzito al mannaro, che aveva incrociato le braccia e lo guardava con aria di sfida. Derek aveva ragione e lo sapevano tutti.

“Mi dispiace di non aver detto nulla e di avervi fatto preoccupare.” si scusò, fermando con un gesto Melissa dal continuare a medicarlo. “Ma avevo le mie ragioni.”

Passaro dei secondi interminabili in cui i pochi presenti nella stanza aspettarono ansiosi che l’uomo spiegasse, ma quando fu chiaro a tutti che ciò non sarebbe avvenuto, Derek si lanciò contro il druido, afferrandolo per la maglietta e sbattendolo sul tavolo e a nulla valsero i tentavidi di Scott di fermarlo.

“Derek, no!” provò a richiamarlo il Beta, ma Melissa si mise in mezzo, allontanando suo figlio dal mannaro. Lanciò una veloce occhiata ai due alle sue spalle e quando riportò lo sguardo su Scott, bastò per fargli capire che ora era il momento di mettersi da parte. Capiva cosa provasse Derek in quel momento, perché in parte lo provava anche lei: la situazione era grave e non serviva qualcuno che solleticasse ancora di più la frustrazione del branco.

Derek d’altro canto si era ritrovato senza rendersene conto con il viso a pochi centimetri da quello del druido, le zanne bene in mostra e gli occhi di un rosso furente. Il supporto dei presenti, escluso quello di Scott, non aveva fatto altro che infondergli maggior coraggio. I suoi pensieri erano rivolti a Stiles, aveva paura di come avrebbe potuto reagire a quella scena, temeva che avrebbe potuto avere paura di lui da allora, non lo aveva mai visto realmente trasformato, ma non poteva permettere che questo lo fermasse dal mettere in chiaro le cose una volta per tutte. Quello era il suo branco e lui doveva dimostrare di essere l’Alpha che meritavano.

“Vedi di ascoltarmi, perché non lo ripeterò una seconda volta.” iniziò, permettendosi di rilasciare un ringhio basso e potente “È finito il tempo dei giochetti, Alan. Pensi che non mi sia accorto che tu sapevi dell’arrivo del Branco? Mh? Pensi che io sia uno stupido?”

A quella rivelazione persino Scott assunse un’aria confusa, smettendo di battersi per impedire a Derek di ferire il suo capo.

“Lungi da me-”

“Sta. Zitto!” lo zittì Derek con uno strattone che gli fece battere la testa sul tavolo.

“Che vuol dire che lui sapeva del branco?” chiese Lydia facendo un passo avanti, ma non con l’intenzione di interrompere. Derek sbuffò una falsa risata, senza distogliere lo sguardo dall’uomo.

“Vuol dire proprio questo. Il caro veterinario innocente che sparisce all’improvviso, dato per disperso e impossibile da trovare perché c’è un fottutissimo branco nemico in città. Un bel piano, non trovi?”

“Non è mai stato questo il mio obbiettivo.” tossì Deaton, ancora con la mano dell’altro intorno al collo.

“Oh, ne sono sicuro. Tu hai sempre un obbiettivo che noi non conosciamo. Ma vedi? Il problema è proprio questo: io non mi fido di chi agisce alle mie spalle!” ringhiò, sbattendolo più forte sul tavolo.

“Derek, ti prego! Fa parte del branc-”

“NO!” esplose all’improvviso il moro, alla volta di Scott. “Lui. Non. Fa. Parte. Di. Nessun. Branco.”

Il ragazzo stava per ribattere, ma Melissa scosse la testa, mettendogli una mano sul petto.

“È questa la cosa che ci ha sempre fregato: pensare che ogni aiuto provenga dal branco, ma non è così! Lui non vuole il bene del branco. Lui vuole solo il suo, non è così?” chiarì rivolgendosi all’uomo steso sotto di lui.

“Derek,” provò l’uomo dimenando la testa nella speranza di far allentare la presa intorno al suo collo “non è come pensi…”

“E come penso, sentiamo. Io penso che tu sapessi dell’arrivo del branco e che non ci abbia avvertito. Io penso che tu abbia preso quello che ti serviva e che te ne sia andato senza pensare minimamente a cosa sarebbe capitato a noi. Io penso che tu sia stato intercettato in tempo e che ora tu stia inventando scuse per salvarti il culo. Ma aspetta, tu non ci hai neanche ancora dato una giustificazione. Allora? Com’è che penso?”

“Doc…” inizò incedulo Scott, ma Derek lo interruppe come se non si fosse neanche accorto che avesse parlato e guardò il veterinario con sguardo assassino.

“Tu dici di aver avuto un motivo per andartene senza preoccuparti che qualcuno di noi potesse morire, senza preoccuparti nonostante sapessi della situazione che stiamo affrontando, quindi ora ti do esattamente venti secondi per spiegare o ti prometto che quello che ti hanno fatto loro sarà una carezza a confronto di quello che ti farò io.”

L’uomo deglutì e lanciò uno sguardo supplicante a Scott, ma quando persino il suo pupillo distolse ferito lo sguardo, capì di non avere altre possibilità.

“Quindici.” soffiò Derek, riferendosi al conto alla rovescia. “Tik tok, Alan.”

“Derek…”

“Non avrai altro tempo. Una promessa è una promessa. Ti rimangono altri dodici secondi per convincermi che mi sei utile prima che ti faccia conoscere su pelle quanti danni possano fare gli artigli di un Alpha.” disse con uno sguardo disgustato, mentre muoveva le dita trasformate davanti agli occhi dell’uomo.

“Pensi che questo sia il modo migliore?”

“Penso che questo sia l’unico modo che mi darebbe soddisfazione se tu non mi rispondessi. C’è di mezzo il mio branco, Alan. C’è di mezzo il mio compagno. Credi davvero che mi farò scrupoli ad uccidere quella che ai miei occhi è una minaccia?”

Quell’ultima frase dovette sortire l’effetto sperato o forse Deaton dovette solo leggerci la più pulita verità, perché sospirò sconfitto.

“Okok. Ero andato a chiedere informazioni per Stiles. Stavo cercando un modo per aiutarlo, devi credermi.” rivelò, sebbene il suo sguardo non fosse rivolto al mannaro che lo teneva schiacciato al tavolo, ma a quello tenuto fermo dalla propria madre.

“Ok, no forse non ci siamo capiti.” mormorò Derek sovrappensiero, avendo capito le intenzioni del drudio, intenzioni che avevano avuto l’effetto sperato vista la scintilla passata negli occhi del suo Beta. Con la mano che ancora teneva ancorato l’uomo al tavolo, lo issò e con la stessa velocità usata prima per bloccarlo, ora lo scaraventò contro il muro alla sua destra.

Lydia lanciò un grido, indietreggiando spaventata e Derek sentì chiaramente Scott dibattersi, prima di avvicinarsi lentamente al corpo accasciato a terra. Si fermò solo quando sentì un respiro trattenuto, un tratto che avrebbe riconosciuto ovunque. “Lydia, porta fuori Stiles.” ordinò non volendo girarsi per incontrare lo sguardo giudicante del ragazzo, ma il suo corpo lo tradì, voltandosi, quando sentì la voce dell’umano. “No.”

“Stiles.” lo richiamò, ma quello lo guardò sicuro, senza alcuna traccia di paura o ribrezzo nei suoi confronti e quando provò ad annusare l’aria per capire meglio le intenzioni dell’altro, percepì solo fiducia.

“Io non ti lascio.” E davvero quella frase ruppe qualsiasi diga Derek si fosse creato mentalmente per impedirsi di perdere anche lui. Con la certezza che Stiles non lo avrebbe lasciato, si voltò, abbassandosi allo stesso livello dell’unica cosa che in quel momento era un pericolo per loro e la guardò negli occhi, pronto a farsi dire la verità o a mantenere la promessa che aveva fatto all’uomo. L’omicidio per risolvere i problemi era sottovalutato, gli aveva detto una volta Peter e mai come in quel momento si ritrovò a pensarla come suo zio. 













Note dell'autrice.
Ed eccomi di nuovo qui! 
Questo è un capitolo un po' complicato. Premetto che Deaton non mi è mai stato troppo simpatico, non lo odiavo certo, ma non lo vedevo come un reale amico del branco in quanto i ragazzi si ritrovavano spesso a fare ricerche su cose che il druido sapeva o avrebbe dovuto sapere e di cui non faceva parola. Se conosceva Talia e Laura avrebbe dovuto vedere con un certo riguardo almeno Derek Hale, che invece tratta come un completo sconosciuto, senza contare il fatto che lui spesso e volentieri conosceva la verità e le risposte che servivano per il mostro di turno e le rivelava al branco sottoforma di parziali verità, se le rivelava. Ecco, tutto questo ha iniziato a farmelo vedere fin dall'inizio come un personaggio ambiguo. La sorella era più utile... ed era del branco nemico! 
Ad ogni modo ho voluto riportare qui quel Deaton, ovvero quello che ha sempre un obbiettivo che noi non conosciamo, come ha detto Derek (basti vedere le sue capatine in Giappone per collezzionare alghe fosforescenti senza dire nulla, come se avessero potuto legarlo e impedirgli di salvarli tutti, bah, senza parole), perchè in questo modo ho potuto mostrare allo stesso tempo un nuovo lato di Derek. 
Derek è uno Sourwolf per definizione, ma non mi sono dimenticata della sfacciataggine che dimostrava quando era con Erica, della freddezza nell'uccidere suo zio o mentre guardava i suoi nuovi Beta combattere contro Scott. Derek sarà anche scorbutico, chiuso e diffidente, ma è anche quello che cercava vendetta per sua sorella, non fermandosi di fronte a niente, neanche ad un parente, uno dei quali era stato gran parte della sua adolescenza. Ecco, a me piace anche quel Derek e ho voluto inserirlo. 
Il capitolo originario era troppo lungo e perciò ho deciso di dividerlo in due. Per gli appassionati di Derek versione Alpha psicopatico/Peter, nessun problema ;) Nel prossimo capito si andrà avanti e si scoprirà perchè diavolo Deaton li ha lasciati senza dire nulla e soprattutto se ci si può realmente fidare di lui... 
Fatemi sapere cosa ne pensate! Al prossimo lunedì ;* 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


3 Maggio



Era stata dura vedere Derek in quel modo: non perché ne avesse paura, ma perché riusciva a vedere il motivo del suo comportamento ed era la paura e la preoccupazione. Stiles non aveva mai visto qualcuno così spaventato. Era persino pronto a prendersela con il suo migliore amico, incapace di vedere come realmente stessero le cose, ma Melissa era intervenuta prima.

Quando poi Lydia gli si era avvicinata, aveva compreso le parole del moro e aveva provato un moto d’orrore all’idea di abbandonare l’altro e l’aveva fatto presente. Benchè vedere qualcuno essere preso a pugni non fosse la sua massima aspirazione, si era ritrovato ad appoggiare Derek in tutto e per tutto e se questo voleva dire rimanere lì al suo fianco per dimostrargli che non lo avrebbe giudicato, allora sì, Stiles era disposto a farlo.

Perciò era per questo che ora si ritrovava a vedere quello che era il suo fidanzato sollevare come se non pesasse nulla quello che era il capo di Scott. La situazione di per sé era strana: Stiles già poco ne sapeva, ma quello di cui erano a conoscenza gli altri non si era dimostrato poi molto di più. Perché qualcuno che lui sapeva aveva aiutato il branco in passato, adesso ammetteva di averlo volontariamente negato? Che senso aveva mettere in pericolo persone a cui tenevi? -o almeno così sembrava dal comportamento di Scott.
Stiles proprio non lo capiva e smise di pensarci quando un rumore secco lo fece sobbalzare, strappandolo ai suoi pensieri.

Derek aveva appena sbattuto di nuovo Deaton sull’inquietante tavolo di ferro ed era davvero prossimo a squarciargli la gola con i denti. Chissà come diavolo gli era venuta in mente un’immagine del genere…

“Ti giuro che mi stavo informando per Stiles. Ho… ho contattato delle mie vecchie conoscenze, persone capaci che potrebbero aver già trattato casi come questo-”

“E allora spiegami perché non hai detto niente a nessuno?!” lo interruppe il moro, furioso.

“Io…”

“Te lo ripeterò un’altra volta. Una. Sola.” ringhiò l’Alpha “Dimmi il motivo per cui te ne sei andato. Quello vero questa volta o giuro che a ogni bugia che dirai, ne risentiranno le tue dita. Ti servono le mani, vero?”

Deaton rabbrividì alla prospettiva. Troppe volte aveva assistito feriti con ossa rotte e sapeva per esperienza che anche una semplice frattura di un dito avrebbe potuto provocare un forte dolore.

“Ok, te lo dirò.” cedette chiudendo sconfitto gli occhi “Ma tu lasciami andare.” rantolò quando sentì la stretta al collo di nuovo troppo pressante.

Derek ghignò, come se fosse divertito da quello che aveva appena detto, come se fosse talmente assurdo da essere considerato una barzelletta. “Non sei nelle condizioni di avanzare pretese.” sibilò alla fine, tornando di colpo serio. “Ora. Parla.”

Deaton annuì appena, c’era da aspettarselo.
“Non sapevo dell’arrivo del branco.” iniziò, ma fu colto di sorpresa dagli artigli dell’Alpha che premettero sulla sua gola. “Ma lo sospettavo!” si affrettò a precisare, sospirando quando non li percepì più.

“Spiegati.” lo spronò Derek, assottigliando lo sguardo.

“Mi era giunta voce di un branco di pochi Beta, privi di un Alpha, che si aggiravano nella contea-”

“Da chi? Da chi l’hai saputo?”

“I druidi! C’è una rete di informazioni di cui i druidi si occupano e da cui attingono. Altri emissari, di altre città.” aggiunse svelto, prima di indurire lo sguardo “Non ti dirò i loro nomi, se è questo che vuoi.”, ma il moro scosse la testa, disinteressato, così Deaton continuò.

“Me lo dissero poco dopo che voi ve ne andaste. Ho preso alla svelta quello che potevo e che mi avrebbe potuto aiutare con Stiles e sono andato via. Avevo intenzione di contattare queste mie conoscenze.”

“E questo potrebbe essere vero se non fosse che sono stati controllati anche altri tuoi volumi.” si intromise Melissa, parlando con una calma spaventosa, mentre con lo sguardo squadrava diffidente l’uomo sotto controllo di Derek. “Erano pochi e inizialmente non avevo dato loro rilevanza, ma alla luce di queste scoperte, non posso non trovare curioso il fatto che riguardassero solo ed esclusivamente il Nemeton.”

“Di cosa stai parlando, mamma?” domandò Scott, facendo un passo avanti.

“Sto parlando di informazioni non rilevanti con il caso di Stiles, che sono state ugualmente prese in un momento di panico e confusione. Deaton, lo sappiamo sia io sia te, che in situazioni del genere, ci si focalizza su singoli obbiettivi, cosa che tu non hai fatto. Perché prendere anche i documenti riguardanti il Nemeton, se non erano collegati a Stiles?”

Lo sguardo dell’uomo vacillò appena, ma fu lesto a riprendersi, tanto che Stiles pensò di esserselo immaginato.

“Stiles è stato curato dal Nemeton, la sua esperienza è strettamente collegata a quell’albero. Ho preso solo quello che mi sarebbe potuto servire, ve lo ripeto.”

“Perché non dire nulla, allora?” insistette, però, Mellisa.

“Perché non c’era tempo!”

“Non c’era tempo per cosa?” chiese Derek con una voce troppo bassa per essere considerata umana.

“Il branco era già in città! Era questione di poco e sarebbero risaliti alla clinica. Avrebbero potuto trovare le informazioni necessarie per qualsiasi cosa avessero in mente e ho dovuto agire in fretta. Salvare il salvabile.” spiegò concitato l’uomo, ma…

“Stai mentendo.” si sentì dire alle loro spalle. Derek assottigliò lo sguardo nel vedere Scott avanzare, non sapendo quanto fidarsi, ma il Beta non sembrò curarsene, gli occhi fissi in quelli del proprio capo. “La clinica è fatta col frassino, tu chiudi sempre il cancelletto ed è impossibile superarlo. Lo studio è dotato di un generatore elettrico di riserva nel caso dovesse succedere qualcosa al primo durante un intervento, quindi saresti stato capace ugualmente di comunicare con il telefono fisso se fosse successo qualcosa, ma non l’hai fatto. Hai scelto di scappare mettendo tutti noi in pericolo!”

“Scott! È assurdo… ascoltate i miei battiti. Sto dicendo la verità.” asserì il druido, facendo passare lo sguardo fra i due mannari.

Scott e Derek si scambiarono uno sguardo, consci che avesse ragione, ma a venire in loro soccorso fu Lydia.
“Quella dei battiti è una storia vecchia. Lo sanno tutti che si può ingannare un mannaro, purchè o si sia convinti di dire il vero o si dica una parziale verità, così da non mentire, pur omettendo particolari rilevanti.”

Stiles sbattè le palpebre confuso. Guardò Lydia mimando con la bocca come facesse a saperlo e la rossa sorrise, rispondendogli allo stesso modo ‘Jackson’. Stiles non voleva sapere cosa la sua amica nascondesse al ragazzo, ma le rivolse lo stesso un sorriso divertito, orgoglioso che la ragazza fosse stata capace di aiutare Derek.

“Dio, Alan… se solo sapessi quanto mi dispiace.” fu tutto ciò che Derek disse ironicamente, prima che Deaton vedesse tutto nero e perdesse conoscenza.
 

 

***
 
 

“Si sta svegliando?”

“Fategli spazio. Deve poter respirare, Scott!”

“Dovevi per forza colpirlo così forte?”

Quando Deaton riprese conoscenza, impiegò alcuni secondi per mettere a fuoco e altretanti prima di sentire una fitta al lato della testa, percependo poco dopo un liquido rappreso, molto probabilmente sangue.

Quasi da aspettarselo, la prima cosa che vide fu il viso serio di Derek a braccia incrociate che lo guardava fisso negli occhi, e a seguire tutti gli altri, intenti a parlare fra di loro, finchè non si accorsero di lui.

“Prendi questo. Ti aiuterà a sopportare il dolore.” gli mormorò Melissa, avvicinandogli alle labbra una ciotola. Il primo impulso fu quello di prenderla con le mani, ma quando provò a tirarle su, si rese conto che erano legate ai braccioli della sedia su cui era seduto. Rassegnato, si accinse a bere, chiudendo gli occhi dal sollievo che lo colse quando il pulsare frenetico alla tempia prese subito ad affievolirsi. “Grazie.” sussurrò.

“Non l’ho fatto per te. Ho fatto quello che dovevo per evitare di sentire le tue lamentele mentre ci spiegavi cosa ci facevi con le informazioni del Nemeton.” lo freddò Melissa, lanciandogli solo un’occhiata, prima di lasciare spazio a Derek.

“Io cercavo solo di aiutare Stiles, quante volte dovrò ripetervelo! Derek, stai costruendo una storia sul nulla.”

L’Hale stava per ribattere, quando Stiles gli mise una mano sul braccio, uscendo dall’angolino che si era ritagliato dietro al suo Compagno. Il ragazzo avanzò, abbassandosi appena al livello del druido.

“Io non ti conosco, ma sono piuttosto sicuro di non averti mai chiesto niente.”

Deaton sorrise appena. “Tu non hai chiesto neanche questo.” lo sfidò inclinando appena il capo e riferendosi al sangue ancora presente sulla parte sinistra del suo volto per il precedente colpo.

Stiles però scosse la testa. “Ma tu hai lasciato i miei amici a morire.” E l’uomo non seppe più cosa ribattere né ne ebbe modo, perché con un piccolo ringhio Derek fece capire a Stiles che era arrivato il momento delle risposte.

“Ricapitoliamo, Alan, ti va? Tu vieni a sapere del branco, prendi documenti anche inutili e decidi di andartene senza avvertire, adducendo come scusa la mancanza di tempo. Il tuo racconto ha due falle, te ne rendi conto?”

“Non è un mio problema se non mi credi.”

“Quel branco è ancora là fuori e questo è un mio problema, cosa che lo rende anche tuo, adesso. Sei stato preso dai Beta, questo vuol dire che non lavoravi con loro.”

“Io?! Lavorare per quel branco?!” esclamò visibilmente sorpreso da una simile idea, l’uomo.

Derek scosse la testa, disinteressato. “Sto vagliando ogni possibilità. Tocca a te decidere se essere sbranato per quella giusta o per quella sbagliata!”

“Derek!” lo trattenne Scott, al ringhio incontrollato dell’altro. Deaton era sobbalzato, quando si era visto arrivare di slancio il moro, serrando gli occhi per lo spavento. Fortunatamente
Scott riuscì a farlo desistere. “Ci servono delle risposte e se lo uccidi non le otteremo mai.”

“Non sono più così tanto sicuro di volerle.” ringhiò ancora il moro, sebbene si allontanò nervoso di qualche passo.

“Lascia provare me.” mormorò il messicano, avvicinandosi poi al proprio capo. Si abbassò, così da poterlo guardare negli occhi senza problemi e senza costringere l’altro ad alzare la testa. “Doc, se continuerai così, non so per quanto ancora potrò evitare che ti faccia del male. Parlaci, dicci la verità, ti prego.”

Stiles ghignò internamente, riconoscendo il classico gioco del poliziotto buono e quello cattivo, quando vide la sicurezza del veterinario vacillare.

Scott dovette aver notato la stessa cosa, perché continuò. “Lo capiremo alla fine. Con o senza di te e io non voglio che Derek ti ferisca o…” lasciò la frase in sospeso, risvegliando l’interesse dell’uomo “… ti consegni a quel branco.” L’odore della paura di Deaton gli impregnò gli abiti e internamente Scott chiese perdono a chiunque lo stesso ascoltando in quel momento “Farò di tutto per mantenerti al sicuro, ma tu devi collaborare.”

“Io non volevo farire nessuno. Volevo solo che ogni cosa tornasse al proprio posto.” momorò il druido.

“Quali cose?”

“L’ordine.” rivelò guardandolo negli occhi come se avesse rivelato il suo più grande segreto.

“Quale ordine? Cosa vuol dire?!” si arrabbiò Derek, quando nessuna spiegazione seguitò.

Il sacro ordine naturale.” sussurrò Lydia sovrappensiero. “È compito di ogni drudio mantenere l’ordine della natura. Ti riferivi al Nemeton, non è vero?”

Lo sguardo di tutti saettò su Deaton. L’uomo mantenne lo sguardo fermo, senza proferir parola.

“Melissa.” chiamò Derek.

“Eccoli.” accorse la donna, porgendogli i pochi appunti rinvenuti nel luogo del ritrovamento dell’uomo. “Parlano del Nemeton orginale. Io… io non ci avevo fatto caso, l’albero viene sempre raffigurato come prima di essere tagliato, sono pochi i disegni aggiornati.”

“A meno che gli altri non siano il Nemeton. O almeno non il nostro.” ipotizò Lydia.

“Credi che questi riguardino altri Nemeton?” le domandò Melissa, dubbiosa. La rossa annuì. “Ma è impossibile riportarlo indietro!”

“Così com’è impossibile l’esistenza di lupi mannari e banshee.” mormorò con una smorfia Stiles, arrossendo quando si accorse che tutti si erano girati a guardarlo.

“Vuoi dire che credi a questa storia?” gli chiese Derek scettico, beccandosi un’occhiataccia da parte di Lydia.

Stiles però scosse la testa. “Voglio dire che non deve essere realmente possibile. Bastava che Deaton ci credesse per provare a realizzarlo. Quello che stiamo cercando noi non è una possibilità nel risultato, ma la ragione per cui lui ha fatto quel che ha fatto. Non dobbiamo scoprire cosa sarebbe successo, ma cosa lui avrebbe voluto che accadesse.”

Si guardò attorno confuso quando vide Derek avanzare verso di lui, ma non fece in tempo a pensare ad altro, che il mannaro fece scontrare le sue labbra con le proprie, cogliendolo piacevolmente di sorpresa. Il contatto era stato veloce, ma dolce e questo era bastato a Stiles per farlo rimanere imbambolato con gli occhi chiusi anche dopo che l’altro si fu allontanato.

“Dio, sei un genio!”

Sorrise appena fra sé e sé, crogiolandosi ancora nella sensazione provata e dire che guardò male Lydia, quando questa lo riportò con i piedi per terra, sarebbe stato un eufemismo.

“Come l’hai dedotto?”

“Ho pensato che gli unici motivi per cui non avrebbe voluto dirci qualcosa fossero la vergogna o la consapevolezza. Ho escluso la prima, visto che da quello che mi pare di aver capito non è un tipo da rimpiangere le scelte che fa… sempre che le faccia.” spiegò, lanciando un’occhiata all’uomo, che non ricambiò. “Perciò non rimaneva che la seconda opzione.
Cosa avrei timore di dire a qualcuno, nonostante non me ne penti?” chiese retoricamente.

“Qualcosa che riguarda l’altra persona.” pensò ad alta voce Lydia e Stiles annuì.

“E per quale motivo questa cosa che riguarda noi, o almeno parte di noi, gli potrebbe creare problemi? Se fosse una cosa positiva, gliene saremmo grati… ma al contrario, se fosse una cosa negativa, di cui lui conoscesse già le conseguenze, allora non la direbbe. Non lo farei neanche io.”

“Questo cosa comporta?”

“Guai. Grossi guai a quanto pare.” mormorò dispiaciuto Stiles.

Lo scatto che fece Derek questa volta non lo riuscì a fermare nessuno, perché troppo repentino “Cosa hai fatto?!” urlò rivolto al druido.

“Non te lo dirà.” lo bloccò Stiles.

“Vuoi scommettere?” ringhiò l’altro, snudando le zanne e facendo sgranare gli occhi all’altro, spaventato. 

“Non te lo dirà, perché non lo sa. È troppo calmo per star nascondendo qualcosa.”

A quelle parle il moro fece passare lo sguardo tra il ragazzo e il druido, e dovette concordare, perché si allontanò, lasciandolo andare.

“E quindi? Che dovremmo fare ora?” chiese Scott, allargando confuso le braccia. Alla fine non erano giunti a nulla di rilevante, se non che Deaton aveva lavorato contro di loro.

“Il fatto che non lo sappia, non implica che non abbia fatto in tempo a fare nulla né che non sospetti cosa potrebbe accadere, se quello che ha fatto si avverasse.” rivelò Stiles con un ghigno. Poteva non conoscere chi fosse quell’uomo o la metà del branco che stava cercando di proteggere, ma rimaneva pur sempre il figlio dello sceriffo e tutti gli anni passati a spiare i casi del padre ancora li ricordava.

“Quando lo abbiamo trovato, il Beta lo stava minacciando, se non gli avesse rivelato dove fosse il ragazzino sopravvissuto.”

“Il ragazzino sopravvissuto?” domandò ingenuamente Stiles, prima di esprimersi in un ‘Ah’ allo sguardo imbarazzato della rossa. “Scusa, continua.” mormorò avvicinandosi impercettibilmente di più a Derek, che però lo notò e se lo tirò contro, circondandogli la vita con un braccio.

“E io non ho rivelato niente.” ricordò loro Deaton, parlando di nuovo.

“No, esatto. Hai fatto di peggio.” lo zittì la rossa “Ti ricordo che è colpa tua se sei stato costretto a non dire nulla.”

“Senza contare che non lo sapeva neanche.” aggiunse annoiato Derek, braccia conserte e sguardo per niente colpito.
Deaton alzò gli occhi al cielo.

“Perchè non ci dici la verità e basta?! Perché portare avanti questa storia e provocare più danni di quanti tu non abbia già fatto?” lo pregò Scott, avvicinandosi. “Noi ti abbiamo salvato. Ora è il tuo turno.” terminò con sguardo timoroso, quasi avesse paura di una risposta negativa da parte dell’uomo che per troppo tempo era stato per lui un punto di riferimento.

Deaton notò lo sguardo giudicante di Melissa e Lydia, ma più di tutti vide l’occhiata preoccupata che si scambiarono Stiles e Derek e sospirò.

“Il compito primario di ogni druido, ciò per cui nasciamo realmente, è preservare l’equilibrio delle cose e se questo viene sbilanciato, farlo tornare al punto d’inizio.” prese fiato e guardò un punto indistinto sulla parete “Io ho cercato solo di adempiere al mio compito.”

“Cos’hai fatto, Doc? Cos’hai fatto?” sussurrò il suo pupillo, ma lui lo sentì lo stesso.

“In questi anni, i sacrifici al Nemeton sono aumentati, portando ad uno squilibrio mai verificatosi prima! Tutti questi sacrifici accrescevano il suo potere, che attirava al contempo altre creature, che non facevano che provocare danni all’ordine delle cose! Ho chiesto quindi aiuto a una mia vecchia conoscenza: se c’era qualcuno capace rendere il Nemeton quello che era stato un tempo, era lei.”

“Perché dici ‘era’?”

“Perché avevo un solo tentativo per contattarla. Dove vive non può ricevere contatti; l’unico modo sarebbe un vecchio incantesimo: bruciare con delle erbe una pergamena costruita dalla sua stessa mano e io ne avevo solo una, in caso di necessità.” rivelò, consapevole che non ci fosse altro da fare ormai. “Quando il Beta mi ha trovato, non ero riuscito a completare l’incantesimo. Una parola mancante è determinante.”

Stiles si guardò attorno confuso. Non riusciva a comprendere appieno la portata di quelle parole.

“Ma potrebbe anche essere riuscito. Non è così?” chiese Lydia, sollevando lo sguardo. Non sapeva se essere speranzosa che potesse aver funzionato o contenta che così non fosse stato.

“Potrebbe. Non lo sapremo mai.” confermò l’uomo, sconsolato.

“Cosa avrebbe comportato?”

“Cosa…?”

“Cosa avrebbe comportato riportare il Nemeton a quello di un tempo.” ripetè assorto nei suoi ragionamenti, Stiles. Deaton tentennò e sussultò al ringhio dell’Alpha. “ Ti ha fatto una domanda.”

“Quasi sicuramente l’ultimo patto si sarebbe annullato.”

“Intendi che avrei ricordato?!” esultò il ragazzo, con gli occhi che brillavano di speranza, ma l’uomo lo guardò dispiaciuto e scosse la testa.

“Mi dispiace, Stiles, ma non sapremo mai cosa sarebbe successo. Ora come ora la tua mente sarebbe collassata…”

Il ragazzo indietreggiò sconvolto, incontrando le braccia di Derek che lo accolsero prontamente, facendogli nascondere il capo nel suo abbraccio. Illuminò gli occhi di rosso. Non ringhiò, però, per non turbare il compagno ancora di più. Ci pensò Scott, che per la prima volta si era rivolto con astio verso il proprio capo.

“Quindi non hai mai neanche pensato a Stiles?! Eri pronto a sacrificarlo!”  

“No! Avrei chiesto ad Amina di Stiles! Avevo realmente portato le informazioni anche su di lui! Se fosse stato possibile aiutarlo, lei lo avrebbe saputo.” ci tenne a precisare l’uomo, protendendosi in avanti.

“Ma se così non fosse stato, l’avresti condannato a morte!” urlò Scott, in preda alla rabbia e con gli occhi che cambiavano rapidamente dal suo colore naturale all’oro dei Beta.

Lydia sussultò a quella prospettiva. Cercò la mano di Melissa, che prima di stringerla forte a sé, la guardò con lo stesso senso di pura paura.

“Ma non ha funzionato, giusto? L’incantesimo non è riuscito. Non ha detto così? Lydia?” chiese conferma Stiles con voce spezzata, rigiratosi nell’abbraccio rassicurante del moro.

La ragazza lo guardò con un principio di lacrime e scosse impercettibilmente la testa. “Non lo sappiamo, Stiles. Mi dispiace così tanto…”














Note dell'autrice. 
Bam! Evil Deaton! A quanto pare con l'ultimo capitolo si è scoperto che molti non provano questa grande simpatia per Deaton e ne sono felice :) 
Come sappiamo i druidi sono super partes, forse un po' troppo nel caso di Alan, ma ok. E proprio per questa sua inclinazione, il druido ha messo il branco nei pasticci. 

So che questo capitolo è più lungo del solito e che potrebbe risultare confuso. Giuro che non era mia intenzione e l'ho cambiato tante volte per renderlo il più chiaro e semplice possibile, ma so anche che voi non siete nella mia testa e quindi... se ci dovessero essere dubbi, domande, perplessità, qualsiasi cosa, io sono qui pronta a dispensare chiarimenti ;)

Comunque, riassumendo ciò che si è scoperto: le intenzioni di Deaton non consistevano in altro che far tornare il Nemeton quello di un tempo, annullando così quel potere che al momento stava regnando incontrollato, andando così contro le leggi della natura. Così facendo, però, molto probabilmente la "magia", che permetteva a Stiles-scordarello di non impazzire e mortarlo quindi alla morte, si sarebbe annullata, ergo ciao ciao Stiles. Quell'uomo non guarda in faccia nessuno! 

Ovviamente le informazioni ricevute sono giunte mediante metodi non propriamente consoni (ogni riferimento a Derek Hale e alle sue minacce è puramente casuale), ma io amo troppo quando il nostro Sourwolf tira fuori gli artigli per Stiles e il suo branco, stiles PapàPack *-* 
In più, come da copione, Stiles non può avere una normale giornata e finisce sempre o spaventato a morte da sconosciuti nel suo letto o vittima di un mondo scoperto solo quella stessa mattina. Povero cucciolo... 

Nei prossimi capitoli si scoprirà che fine ha fatto il branco nemico e si rivedrà il branco ed è anticipato un po' di angst ;) 
Spero che vi sia piaciuto anche questo capitolo! Al prosssimo aggiornamento!

 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


3 Maggio



“Non riesco ancora a crederci.” mormorò cupa Allison, facendo annuire in accordo le ragazze presenti.

“A me non è mai piaciuto.” commentò Malia, mal celando un ringhio.

Stiles lanciò un’occhiata dispiaciuta alle ragazze al suo fianco. Subito dopo la confessione di Deaton, Derek aveva deciso di richiamare il resto del branco, qualunque cosa avessero scoperto, e così si era recati tutti al loft del mannaro.
L’unica a non essere venuta era Melissa, che si sarebbe occupata della supervisione del druido, presto raggiunta dallo sceriffo. Derek aveva tenuto a raccontare personalmente quanto accaduto all’uomo, ritrovando in lui le sue stesse sensazioni: rabbia e vendetta. Avevano lasciato Deaton a casa di Scott, consci che Melissa avrebbe stemperato qualsiasi intenzione del padre di Stiles.

Appena arrivati, Stiles si era guardato attorno, non riconoscendo il posto se non grazie ai fotogrammi del video destinatogli ogni mattina. Gli aveva fatto male non ricordare un posto che a quanto pare era così speciale per lui, ma quei pensieri si erano distolti quando ad accoglierlo aveva trovato i suoi amici.

Erica lo aveva abbracciato di slancio con sincera preoccupazione e subito dopo Malia si era voluta accertare che non fosse ferito, come se, per quanto brutte, le parole di Deaton avessero potuto provocargli danni fisici. Era stato loro grato, però, quando aveva accantonato i propri tristi pensieri.

“Ecco cosa succede a giocare a fare Dio! Si finisce sempre con il rovinare tutto.”

“Deaton ha sbagliato, ma non stava giocando a fare Dio.” intervenne Scott, ancora scosso dagli eventi.

“Ah no? E tu come lo chiami decidere chi deve morire e chi no?” sbraitò Erica, subito rassicurata da Boyd che l’abbracciò da dietro. La bionda posò la testa sulla spalla del ragazzo, chiudendo gli occhi, stanca. Erano giorni che non dormiva e scoprire di avere anche un nemico interno non era la sua massima aspirazione.  

“Erica ha ragione. Deaton non ha scusanti.” concordò Malia “E se ti sento di nuovo difenderlo, non ne avrai neanche tu.” avvisò alla volta di Scott, facendo illuminare gli occhi di blu e ricevendo in cambio un basso ringhio dall’altro.

“Malia, per favore…” provò a fermala debolmente Stiles. Voleva evitare che le cose degenerassero più di quanto già non avessero fatto.

“No!” lo interruppe la coyote. “Sono stanca di non sapere di chi fidarmi e per quanto mi riguarda, chiunque appoggi un traditore non merita una fine migliore.”

Tutti i presenti trattennero il fiato, permettendo così alla non tanto velata accusa, di pesare nell’aria.

“Cosa stai insinuando?” chiese Scott, assottigliando gli occhi.

“Esattamente quello che hai capito.”

“Deaton era il mio mentore! Lo è stato per tanto e non posso semplicemente cancellarlo dalla mia vita.”

“Quello che devi chiederti è se avresti pensato lo stesso se Stiles fosse morto, perché è a questo che puntava il tuo caro druido.” lo zittì Malia con una smorfia disgustata.

“Penso che siamo tutti stanchi.” si intromise Lydia, provando a placare gli animi.

“Tu credi?” la sbeffeggiò Isaac.

La rossa chiuse gli occhi, provando a calmarsi. “Perché non ordiniamo qualcosa da mangiare e ci rilassiamo solamente?” seguitò come se il biondo non avesse parlato.

Tutte le coppie si lanciarono occhiate stanche. “È un’idea fantastica e io ho fame!” si decise a intervenire Stiles, alzandosi svelto.

Notò qualche sorriso appena accenato e contento fece per dirigersi in cucina, ma subito venne affiancato da Derek.

“Dove stai andando?” gli mormorò quello, guardandolo confuso.

Stiles in risposta gli regalò un sorriso furbo. “A ordinare una quantità industriale di cibo giapponese.”

Il moro scosse la testa divertito, lasciandolo andare e senza soffermarsi a pensare come facesse Stiles a sapere dove teneva i numeri dei take-away o semplicemente dove fosse la cucina.
 
 
***
 
 
“E quindi Erica e Malia hanno attaccato il Beta. Non sai che faccia terrorizzata aveva!” rise Isaac.

“Ovviamente. Non aveva sicuramente mai visto una bellezza del genere.” si vantò Erica, scostandosi indietro i capelli con un movimento della mano.

“O semplicemente non aveva mai visto Erica sveglia da settandadue ore…” mormorò Jackson, riuscendo a schivare in tempo un raviolo lanciatogli dalla bionda. “Settandadue ore sveglia e senza l’aiuto di Boyd!” fischiò Isaac, scatenando una risata generale.

Stiles, anche, si lasciò andare ad una risata, ma quando si volto versò Derek al suo fianco, lo trovò incantato a guardarlo e si zittì. Arrossì, abbassando gli occhi e sordo ai tentativi di Boyd di calmare i tentati omicidi della fidanzata.

‘Tutto bene?’ gli mimò Derek con le labbra e lui annuì, prima di coglierlo di sorpresa e lasciarsi cadere con la schiena sul suo petto. Il moro rimase interdetto solo qualche secondo, prima di ricominciare a mangiare come se nulla fosse, non dopo esserselo tirato meglio contro.


***

 
“Perciò tu sei stato tutta la notte fuori e poi se venuto per me alla clinica?!” esclamò sorpreso Stiles alla volta di Derek.

“Rimpiango quando la prima persona per cui ti preoccupavi ero io.” commentò ironico Scott, facendo arrossire l’amico e ringhiare in protesta Derek.

“Tornando al branco…”

Il messicano annuì al proprio Alpha, tornando serio.

“L’ultima volta che abbiamo visto i due Beta erano vicino al quartiere di Eichen House. Li abbiamo affrontati, ma sono riusciti a scappare.” spiegò Isaac, ma per risolevvare gli animi Boyd ci tenne a sottolineare che fossero entrambi feriti. “Non andranno molto lontano.”

“Il Beta che teneva prigioniero Deaton, si trovava fuori città. Non sembrava un piano organizzato, quanto più qualcosa di improvvisato.” li informò Malia, riferendosi alla sortita che alcuni di loro avevano fatto per salvare il druido.

Jackson sbuffò. “Eravamo così vicini a scoprire dove si fossero nascosti…”

“Non ha importanza.” asserì Derek, per nulla pentito di aver richiamato i suoi Beta. “Il branco deve pensare ai nemici, ma io devo pensare al branco e sono troppi giorni che non riposate.”

“E poi avevamo troppe cose da dirci.” gli diede man forte Lydia, mettendo una mano sul braccio del proprio ragazzo.

“Bene e quindi? Ora che dovremmo fare?” domandò Isaac, confuso.

“Ora come ora, riposare.” ripetè Derek.

Scott annuì concorde. “E poi se erano feriti, avranno lasciato una scia di sangue.”

“Mio padre ci aiuterà.” si aggiunse Allison, stringendo una mano al biondo al suo fianco.

“Bene. Se vorrete rimanere qui siete i benvenuti.” disse l’Alpha, facendo annuire qualcuno, prima di far segno ad Isaac di seguirlo. “Di là ci sono dei vecchi materassi, ti mostro dove sono.”

Stiles osservò il moro allontanarsi, chiedendosi come avrebbe fatto a tornare a casa senza scomodare nessuno.

“A cosa stai pensando?” gli chiese Lydia accomodandosi sul divano accanto a lui. Gli altri erano già intenti a recuperare alcune coperte da una panca lì vicino.

“Niente, solo a come poter andare a casa.” le rivelò in imbarazzo “Non voglio che qualcuno mi debba pure accompagnare dopo tutto quello che è successo.”, ma la rossa gli riserbò un sorriso divertito.

“Pensi davvero che Derek ti lascerà andartene in giro di notte da solo?”

“Beh, lui sarà impegnato con il branco… ha delle priorità diverse dal farmi da autista.”

Lydia lo guardò intenerita, mettendogli una mano sulla spalla. “Stiles, tu sei la sua priorità. Nessun altro.” gli mormorò in un orecchio, facendolo arrossire, prima di alzarsi e fargli un occhiolino. “Ah, e dubito che Derek ti lascerà andare.”

Gli occhi del ragazzo si spalancarono sorpresi. “Cosa? Lydia, che intendevi... aspetta!”, ma la rossa era già uscita dal loft con Jackson, lasciandolo da solo all'ingresso dopo un vergognoso inseguimento.

“A quanto pare rimarranno solo Isaac, Erica e Boyd.” gli disse la voce di Derek, cogliendolo di sorpresa e facendolo saltare.

Stiles si portò una mano al cuore e l’altro lo guardò tra il confuso e il divertito. “Rilassati, Stiles. Sei al sicuro, qui.”

Annuì, rinunciando a rendere sincero il sorriso nervoso che gli era uscito, non appena il moro si fu allontanato per aiutare Erica a sistemare i materassi.

“Ehi, amico!”

“Gesù, Scott!” saltò per la seconda volta in due minuti Stiles, ma il messicano lo ignorò.

“Senti, non ti dispiacerà se torno a casa, vero? Sai, non voglio lasciare mamma sola troppo a lungo.” gli chiese, guardandolo con la coda dell’occhio.

“No, figurati. Capisco benissimo.” Stiles si era quasi dimenticato che Melissa si trovava ancora a fare da balia a Deaton. Probabilmente suo padre doveva averla già raggiunta, e l’ora confermò la sua ipotesi, ma trovarsi a fare da carceriera ad un traditore non doveva essere facile, specialmente quando non devi solo tenere a bada i tuoi istinti vendicativi, ma anche quelli di uno sceriffo arrabbiato… e armato. “Sì, fai bene.” si convinse alla fine, annuendo fra sé e sé, prima che gli venisse un’idea.

“Scott?”

“Mh?”

“Potresti darmi un passaggio a casa? La moto ha due posti tanto, no?” gli domandò, immaginando già in che condizioni dovesse vertere casa sua senza le sue amorevoli cure.

Scott fece per aprire bocca e rispondere, quando “Tu non andrai da nessuna parte e tanto meno salirai su una moto.”

Stiles quasi urlò questa volta. Perché dovevano tutti divertirsi a fargli prendere un accidenti! Cos’è, stavano forse attentando alla sua vita? Anche loro?! aggiunse una vocina nella sua testa.
Scott serrò le labbra e gli indicò Derek, come se fosse la risposta. “Non credo di potere, amico. Né di volerlo. Saperti qua con quattro mannari è decisamente una prospettiva migliore di te da solo.”

Stiles spalancò la bocca, scioccato. “Ma ci sarebbe mio padre!”

“Stiles, per quanto tuo padre sia abile a sparare…” iniziò Derek, incrociando le braccia al petto “Non sarebbe capace di fronteggiare tre beta. E credimi, lo sa anche lui.”

“Non approverà.” si impuntò il ragazzo, alzando il mento e credendo nel padre.

L’Alpha sbuffò dal naso, lasciando l'arduo compito di spiegare a Scott. “Ecco, vedi amico, non sarebbe la prima volta che tuo padre ti ordina espressamente di non allontanarti da Derek…” Ci tenne a trasmettergli tutto il suo dispiacere con il suo classico sguardo di scuse, totalmente inefficace con Stiles, che con quegli occhioni da cucciolo ci era cresciuto.

Bene. Quindi mio padre non solo ne è al corrente, ma è anche d’accordo. Padre snaturato… bene, anzi benissimo e sentiamo, su quale vecchio e pulcioso materasso dovrò dormire, mh?”

Scott e Derek si scambiarono una breve occhiata, piuttosto preoccupata a detta dell’umano che li guardava a braccia incrociate e ancora scocciato.

“Ecco…” iniziò Scott.

“In realtà…” partì Derek.

I due si interruppero non appena l’altro partì, finendo per ammutolirsi entrambi e Stiles davvero per un momento temette che sarebbe finito a dormire sul pavimento, ma la realtà fu di gran luga più… sconvolgente.
 
 
 


“Qui.”

“Sì.”

“Io dovrei dormire qui.”

“Sì.”

“Esattamente qui.”

“S-”

“E smettila di rispondere solo di sì o giuro che ti avveleno con lo strozza lupo, capito?”

“S-” iniziò distrattamente l’altro, ma Stiles lo fulminò con un’occhiataccia.

“Dio e io che darei oro per dormire su quel letto!” esclamò Isaac, cogliendo di sorpresa sia lui che Derek. Stiles lo trovò appoggiato allo stipide della porta, intento a fissare sognante il grande letto a due piazze al centro della stanza. La stanza di Derek Hale. La stanza dove avrebbe dovuto dormire lui. Con Derek Hale.

“Accomodati, io prenderò il letto vicino a Boyd…” esordì Stiles di fretta, ma un basso ringhio lo fermò.

“Tu non dormirai proprio vicino a nessuno che non sia io.” borbottò Derek e al che Stiles lo guardò incredulo.

“Sul serio, Derek? Sul serio?”, ma l’occhiataccia che ricevette fu sufficiente da convincerlo che il moro non scherzasse. “Perfetto, quindi ora non solo devo dormire in una casa non mia, con un qualcuno che non conosco, ma devo stare anche attento vicino a chi sto. Fantastico! Erica ti va bene, almeno?”

Un colpo di tosse proveniente dal biondo richiamò la sua attenzione. “Ehm, in realtà tu sei stato fidanzato con Malia. Derek si deve impegnare a ringhiare a tutti senza distinzione da quel giorno.”

E Stiles davvero non credeva di aver fatto qualcosa di così tremendo nella vita da meritarsi l’odio di una qualche divinità lassù.
Isaac, da parte sua, era scappato addirittura prima di finire la frase, urlando le ultime parole già per le scale, non lasciando così a Derek il tempo per farlo a pezzi.

“Davvero ringhiavi alle persone?!” esclamò sorpreso e anche un tantino lusingato, ma non lo avrebbe mai ammesso.

“Stiles-” iniziò Derek, con un’espressione colpevole in viso.

“Anzi, no.” lo frenò subito il ragazzo, mettendo le mani avanti e ripensandoci. “Non voglio saperlo.”

Per qualche strano motivo, il sentirsi raccontare dei momenti di Derek e il vecchio Stiles non lo entusiasmava poi molto.

“Io non ringhiavo.” borbottò invece offeso il mannaro. “Non a tutti, almeno…”

Il ragazzo aprì la bocca, ma decise di lasciar perdere. Scosse la testa e si strinse due dita alla base del naso, fissando incessantemente il letto. “Non importa, ora dobbiamo trovare una soluzione a questo.” chiuse l’argomento, indicando svogliatamente con una mano il fulcro dei suoi problemi.

Ma Derek scosse le spalle. “Non c’è niente da risolvere.” E prima che Stiles potesse aprire bocca, si levò la maglia rimanendo a torso nudo. “Io dormirò sulla poltrona.”

Stiles boccheggiò e non era ben sicuro neanche lui se per la proposta o per il tatuaggio che svettava sulla schiena del suo lupo. E davvero aveva appena definito Derek Hale come suo?!

“Io non, non…”

Derek aprì una cassettiera lì vicino, indossando una semplice maglia di cotone, ma prima che Stiles potesse rilassarsi si abbassò in un solo colpo i jeans.
Dire che il viso del ragazzo si chiazzò di rosso non avrebbe espresso al meglio la scena. E Stiles, come nelle migliori commedie di serie B, fingeva di essere interessato alla tappezzeria del muro, grattandosi la nuca, ma lanciando occhiate furtive a tutto ciò che il mannaro aveva da mostrare.
Quando finalmente a coprirlo ci furono un paio di pantaloni di una tuta, l’aria prese di nuovo a fluire nei polmoni di Stiles.

“Non credo sia una buona idea. Ecco, il letto è tuo e io non voglio che tu sia costretto a dormire lì sopra tutta la notte.” riuscì a biascicare Stiles, ma Derek si voltò e scosse le spalle.

“Davvero, non è un problema.” E il ragazzo si ritrovò costretto ad annuire, seppur riluttante.

Nei minuti che seguirono Stiles si rifugiò in bagno dove si cambiò gli abiti, indossano quello che riconosceva come uno dei suoi pigiami e davvero non era sicuro di voler sapere cosa ci facessero quei pantaloni e quella maglia lì, nel cassetto di Derek.
Quando uscì trovò il maggiore già seduto sulla sua poltrona, che cercava di trattenere uno sbadiglio, ma appena i suoi occhi incontrarono quelli dell’umano, parve risvegliarsi di colpo.

“I ragazzi si sono già messi a dormire. Scott, invece, è arrivato a casa e ha detto di dirti che tuo padre ti saluta e che sta bene. Di Deaton non si può dire lo stesso.”

Stiles si lasciò andare ad un mezzo sorriso, gattonando poi sul materasso per raggiungerne il lato sinistro. Quando si voltò vide lo sguardo di Derek su di sé e lo fraintese.

“Questo, questo è il tuo posto? Cioè la tua parte? Voglio dire, io dormo sempre sulla sinistra del letto, ma se è la tua e ti dà fastidio, io posso anche-”

“No, Stiles, va tutto bene. È che quella è la tua parte.”

“Oh.” mormorò il ragazzo, immobilizzandosi con ancora le coperte in mano.

La conversazione sembrò morire lì, perché Derek si sistemò meglio e così Stiles, mettendosi seduto e tirandosi al petto le pesanti coperte, ma poi il più piccolo ruppe il silenzio, poco prima che il mannaro potesse spegnere la luce dell’abat jour.

“Derek?”

“Sì?”

“Posso farti una domanda?” gli chiese prendendo coraggio Stiles e ricevendo in cambio un cenno d’assenso. “Tu hai detto che questa è la mia parte del letto,” e il moro annuì “e ci sono miei vestiti qui… però, ecco, nel mio diario ho letto che noi non l’abbiamo mai fatto ad eccezione dell’altra volta che è stata la prima e dio, è imbarazzante, ma allora perché ecco, qui c’è la mia roba e… gesù, capiscimi!” sproloquiò ad una velocità assurda.

Avrebbe persino temuto che il moro non lo avesse capito, se non l’avesse visto arrossire e boccheggiare nervoso.

“Chi- chi ti ha detto che noi non l’avevamo mai… hai capito.”

Stiles deglutì. Dannazzione a lui e alle sue domande. Vedere Derek Hale agitato, lo rendeva più nervoso di quanto già non fosse. “Stavo parlando con Erica, quando -non so neanche io come- lei si è messa a parlare di Boyd e di quanto ama quando hanno casa tutta per loro e che le dispiace che noi non abbiamo avuto l’occasione di provare i piaceri del -e mi rifiuto di ripeterlo. Credo che al Don da cui si confessava mia madre sarebbe venuto un collasso.- E quindi alla fine di tutto ho pensato a quello che avevo letto nel diario e ho capito che era stata la mia prima volta e che non ne ricordavo nulla, il che è abbastanza deprimente di suo, senza che ci aggiungiamo il fatto che ora io ti stia facendo dormire su una poltrona nonostante ecco, quello che è evidentemente accaduto e poi tu hai detto che non è la prima volta che dormivo con te e allora non capisco e mi sento confuso.” terminò, prendendo fiato. “Mi sento alquanto confuso.”

“Fidati. Anche io.” mormorò Derek, guardandolo scioccato.

Dopo tutti quegli anni insieme, Derek ancora non si era abituato a quanto veloce il ragazzo potesse parlare. E a quante cose potesse dire quando era nervoso.
Quando alzò lo sguardo incontrò quello imbarazzato, ma anche curioso di Stiles, che stava torturando un lempo delle lenzuola come antistress, e sospirò.

“Prima di tutto, Erica dovrebbe imparare a tenere la bocca chiusa. Secondo poi, sì, abbiamo dormito insieme, molte volte, ma era solo quello: dormire. È per questo che hai una parte del letto ed è sempre per questo che molti dei tuoi vestiti sono qui. Per quanto riguarda la nostra prima volta e del fatto che tu non te la possa ricordare minimamente, preferirei evitare.”

Stiles si ritrovò ad annuire distrattamente, concorde specialmente sulla loro prima volta. Era strano per lui leggere di se stesso entusiasta insieme a Derek, perché in contemporanea ricordava le sensazioni spiacevoli che aveva provato quella mattina, portandolo a vivere male quella che doveva essere una bella sensazione. 

Neanche si era accorto che Derek si era allungato per spegnere la luce, finchè il buio non lo circondò. Sospirò, lasciandosi scivolare sotto le coperte e mettendosi su un fianco.

“Buonanotte, Derek.” mormorò, già nel mondo dei sogni.

“Buonanotte, Stiles.” udì, poco prima che si addormentasse definitivamente con un sorriso.











Note dell'autrice.
Buondì, gente. Le stelle splendono e il buio ha avvolto tutto e questa è una bella giornata perchè, contro le mie più floride aspettative, sono riuscita a pubblicare in tempo. Giungendo a noi...

I nostri lupetti di nuovo riuniti! Aaah quanto amo Malia: per me quella ragazza è la bocca della verità, dice tutto quello che gli altri pensano, risolvendo il problema alla radice. Semplicemente fantastica. 

Scott, beh, Scott l'ho sempre trovato un personaggio molto positivo -nel senso che lui vedeva tutto positivo- che credeva nel buono anche di chi era marcio fino al midollo (Datti una svegliata, biscottino. Il mondo non è fatto di unicorni e arcobaleni.) e stranamente non si è mai fatto domande sull'aiuto-non aiuto del druido, credo proprio per questa sua inclinazione alla My Little Pony, quindi avrei sentito come se mancasse qualcosa se avesse eliminato Deaton dalla sua vita come se niente fosse, con una grande X rossa. Pertanto, lo Scott che abbiamo qui è uno che ancora fatica ad accettare il tradimento di un caro amico, specialmente quando questo tradimento non ha portato a nessun danno, anche se avrebbe potuto. Un po' come dire che siccome Stiles sta bene, Deaton non è una così brutta persona, il che è assurdo, ma Scott è Scott.  

Le chicche di Isaac e Jackson le credo, poi, fondamentali. Dimenticando per un momento lo sclero di Erica, è solo attraverso loro che si capisce quanto il branco sia stanco e stressato. Settantadue ore svegli... in giro per la città... non deve essere piacevole. 

E giungiamo infine alla nostra Sterek! Devo dire che l'idea iniziale era diversa, ma alla fine è andata così e col senno di poi mi piace. Spero di essere riuscita a trasmettere i sentimenti e le sensazioni di Stiles che sono particolarmente contrastanti: da una parte sentire di essere legati a qualcuno, leggere, vedere e sentirsi raccontare di una vita insieme e dall'altra trovare uno sconosciuto nel proprio letto, picchiarlo anche, vederlo in tutto e per tutto come un estraneo. Permettere a Derek di dormire con Stiles sarebbe stato troppo, troppo veloce e fuori posto considerando i trascorsi della mattina. Praticamente il rapporto che Stiles ha con Derek varia alla giornata, dipende tutto da come lo inquadra la mattina ahahah, ma che ci possiamo fare, capitelo. 

E siccome queste note stanno diventando chilometriche, vi lascio. Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Fatemi sapere cosa ne pensate ;) 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


4 Maggio



Quando Stiles aprì il primo occhio, lo richiuse subito, preferendo rigirarsi tra le coperte. Dopo un tempo non ben identificato, però, giunsero alle sue orecchie quelle che il suo cervello registrò come delle voci lontane. Emise un mugolio infastidito, non volendo iniziare a pensare a cosa potesse essere, perché così facendo si sarebbe svegliato, ma quando un rumore secco si propagò fino a lui, sbuffò, aprendo di colpo gli occhi, infastidito e furioso con chiunque lo avesse svegliato. A contare dalla luce debole non dovevano essere ancora neanche le sei.
Si alzò a sedere, pronto a marciare contro l’insensibile che l’aveva svegliato, ma quando i suoi occhi misero a fuoco, si immobilizzò.
Per un momento non seppe se preoccuparsi di più per il suo cuore che stava correndo ad una velocità decisamente fuori dagli standard vitali o se per il fatto che si fosse addormentato in camera sua e risvegliato in una stanza non sua, in una casa che non conosceva e… in un fottutto letto matrimoniale!

Iniziò a compiere respiri lenti e profondi, provando a regolarli e quando ci riuscì non fu ben sicuro se fosse la sua mente finalmente lucida o solo il raggiungimento della pazzia a spingerlo a scendere le scale provando a fare meno rumore possibile.
Giunto quasi a metà scala, ancora non visibile agli abitanti di quel posto, di quel dannatissimo posto sconosciuto, sentì delle voci conosciute, o quasi.

“Derek, stai per caso bruciando di nuovo le uova?”

“Ma di che diamine stai parlando? Ti devo ricordare di come voi tutti amiate le mie colazioni?”

“E allora perché puzzi così tanto d’ansia?”

“Puzzare d’ansia? Erica, ma che-” disse la voce che solo per un secondo gli era parsa familiare. Un uomo, un gran bell’uomo, scalzo, con indosso dei semplici pantaloni da ginnastica e una maglia prossima a scoppiare per quanto era tirata, si era immobilizzato quando lo aveva sorpreso sulle scale. E per un secondo Stiles pensò che, tutto sommato, se fosse stato lui a rapirlo, non sarebbe stato poi questo gran dramma. “-Stiles…”

“Stiles? No sono stata io a parla-” comparve finalmente Erica, la sua amica. Possibile che anche lei fosse complice nel rapimento? “Ahh. Stiles. Capito. Io vado, capo. Sarà di ritorno fra… una mezzoreta?”

L’uomo che rispondeva al nome di Derek, distolse lo sguardo da lui solo quando comprese le parole della bionda, ormai già prossima a chiudere la porta.

“Erica!” sibillò, provando a richiamarla con quanto più tatto possibile avesse, vista la sua presenza, ancora inesorabilmente immobilizzata sulle scale e con gli occhi sgranati. 

“Non preoccuparti, compro io la colazione. Non credo che avrai tempo per stare ancora dietro alle uova.” bisbigliò la bionda concludendo con un occhiolino finale.

Stiles era conscio che rimanere lì impalato, mentre l'uom- Derek si lasciava andare a maledizioni non troppo mormorate, non fosse esattamente la scelta migliore, ma il suo corpo non sembrava volerne sapere di muoversi e che ne so… scappare!

“Ok, ecco io… non volevamo svegliarti. È ancora presto, ma non credo tu voglia tornare a dormire?” e il ragazzo non era sicuro se quella fosse una domanda o meno. Né se avesse dovuto rispondere, ma ipotizò che la sua faccia avesse espresso alla perfezione il concetto, perché l’altro sospirò pesantemente, passandosi poi una mano sul viso. Continuò a tenersela premuta sulla bocca, mentre con gli occhi quasi lo supplicava di fare qualcosa. Il peggior rapitore della storia, pensò Stiles, prima di darsi del cretino.

“Vuoi… vuoi scendere?” propose il moro, ma lui continuò a rimanere fermo “O vuoi andare di sopra- E ok, preferisci di sotto.” constatò il moro quando lo vide scendere svelto le scale e fermarsi proprio dopo l’ultimo gradino.

Derek sospirò, nervoso. “Ok, io non mi avvicino, ma tu non devi sentirti minacciato. Solo… dammi la possibilità di spiegarti, tutto quanto.”

Stiles lo guardò poco convinto, azzardando un’occhiata in giro per poi riportarla immediatamente su di lui, quasi in una muta domanda.

“Oh, sì, certo, mettiti dove vuoi.” lLo rassicurò il moro, seguendolo come promesso da lontano. “Io mi siederò qui.” dichiarò sedendosi in pizzo sulla poltrona più lontana al divano su cui si era seduto Stiles.

“Ora ti spiegherò ogni cosa-”

“Lo sai che il mio cognome è Stilinski, vero?” lo interruppe prima il ragazzo.

“Sì.” rispose confuso il moro.

“E che è lo stesso cognome dello sceriffo...” continuò Stiles, come se stesse parlando con un bambino che non arrivava alla soluzione da solo.

“Stiles, so benissimo chi è tuo padre…”

“E quindi saprai che rapire il figlio dello sceriffo non sia la soluzione migliore a qualunque sia il tuo problema.”

“Ma cosa…” iniziò Derek, sbattendo le palpebre e iniziando finalmente a capire dove l’altro volesse andare a parare.

“Voglio dire, sono piuttosto sicuro che le cose si potrebbero risolvere per il meglio per entrambi se mi consegnerai di nuovo a mio padre. Io sto bene… almeno credo, e tu non mi hai fatto del male.” continuò, ma fraintese lo sguardo allarmato dell’altro, perché “Ma anche se fosse, non sarebbe un problema! Ehi, io sto bene, mi sento sano come un pesce e mio padre ne sarà felice…”

“Stiles, io-”

Il falso sorriso tranquillo del ragazzo si sgretolò di colpo, sostituito da uno disperato. “Ti prego, mio padre ha bisogno di qualcuno che lo segua! Quell’uomo mangerebbe schifezze dalla mattina alla sera e non sarebbe in grado di fare una spesa decente neanche volendo e ok che c’è Melissa che potrebbe aiutarlo ogni tanto, ma non potrà andare avanti per sempre! Devo costringerlo a mangiare la pasta con i broccoli spesso e, per quanto mi faccia schifo, lo devo fare però, perché io lo so, lo so, che quell’uomo il giovedì sera, quando dice di avere il turno più lungo, va invece a mangiarsi dio solo sa quanti di quei panini pieni di schifezze e cose non sane. Quindi se non per me, almeno fallo per lui.” lo pregò alla fine di quel suo sproloquio e Derek era sicuro, che se il ragazzo fosse stato rapito, sarebbe stato riconsegnato nel giro di un paio d’ore a causa della sua parlantina.

“Madre Luna, ma perché a me?!” mormorò esasperato, alzando gli occhi al soffitto.

“Ehi!” protestò Stiles offeso.

“Perché ogni volta se la prende sempre con me? C’era anche Erica, no? Quindi perché io? Prima stupratore e ora rapitore, sul serio?!” continuò Derek, strofinandosi alla fine gli occhi. Non erano neanche le sei e già si sentiva stanco.

Stu- stupratore?

Il mannaro allontanò la mano dagli occhi lentamente, non riuscendo a credere a quanto la sua sfortuna somigliasse ad un pozzo senza fine. Stiles lo guardava a bocca aperta, decisamente spaventato e lui non riuscì a far altro che boccheggiare alla ricerca di una spiegazione.

 

 
***


 

Quando Erica tornò, realmente in compagnia della colazione, trovò un silenzio innaturale ad accoglierla, insieme a diversi mobili spostati e non pochi fogli sparsi a terra, mentre di Derek e Stiles nessuna traccia.  

Si guardò intorno preoccupata, con ancora la busta del bar in mano, finchè non si affacciò in cucina, vedendo il suo Alpha, particolarmente frustrato, intento a rimettere al loro posto ogni coltello, forchetta, cucchiaio e cucchiaino, ed Erica giurò di aver visto anche un paio di cucchiarelle, esistente in quella casa, mentre Stiles lo guardava offeso dall’altra parte della stanza.

“Vedo che vi siete chiariti senza fare troppi danni.” esordì incerta la bionda, rompendo il silenzio interrotto solo dal tintinnare delle posate, ma ricevette da entrambi un’occhiataccia. “Beh, guardate il lato positivo, questa volta Stiles non ha rotto nulla di importante!”

La bionda percepì chiaramente lo sguardo oltraggiato del più piccolo addosso.

“Sempre se rifare le pareti della cucina non sia ritenuto importante.” borbottò il moro, senza neanche alzare lo sguardo da quello che stava facendo.

Erica non comprese appieno le sue parole, finchè non seguì lo sguardo per nulla pentito di Stiles. Alle sue spalle si estendeva la parete più grande della stanza e anche quella priva di alcun pensile, ma adesso incredibilmente… colorata?

“Ma questo è..” chiese avvicinando la mano ad uno schizzo grande come un pallone di un verde discutibile.

“Non so neanche che cosa sia né dove l’abbia trovato!” esplose esasperato il moro, cercando conforto nella bionda.

“È semplice pesto. Non sai neanche cos’hai in frigo.” ribattè Stiles, alzando il mento e guardandolo con aria di sufficienza.

“Hai sprecato del pesto?!” chiese oltraggiata la bionda, che adorava quella pietanza.

Il ragazzo in risposta la guardò come se fosse pazza. “Credi sul serio che avrei buttato così del cibo? Era andato a male! E poi era questione di vita o di morte, sai com’è… un pazzo stupratore mi stava inseguendo!”

La bionda aprì e richiuse la bocca, confusa. Derek, invece, spalancò gli occhi arrabbiato.

“Quante volte ti dovrò ripetere ancora che non ti ho rapito né stuprato?!”

L’umano lo guardò come se fosse scemo. “Mi hai detto tu che eri uno stupratore, cosa avrei dovuto fare? Proporti di vedere un film insieme?”

“Non. Sono. Uno. Stupratore. E lo avresti saputo se solo mi avessi lasciato spiegare!” esclamò esasperato il moro.

Stiles assottigliò gli occhi, ma decise di non ribattere, rivolgendo di scatto il suo sguardo altrove, degno di una prima donna.

Erica nel frattempo aveva seguito il loro scambio di battute come se stesse guardando una partita di tennis, alternando lo sguardo prima ad uno e poi all’altro.

“Io avevo portato del caffè… volete?” sussurrò, ancora confusa.

Stiles e Derek sussultarono all’unisono.
 




“Stiles, ti giuro che è la verità!”

“Oh, certo. Perché non fidarsi di un uomo che ti ha rapito e di cui non ricordi nulla!” lo prese in giro il ragazzo, correndo dietro l’isola della cucina “Mi credi stupido?”

“È la verità! Tu ogni giorno dimentichi tutto, è per questo che non ti ricordi di me.”

“Sicuro, ma sai che si può ottenere lo stesso effetto drogando qualcuno?!” ribattè Stiles, aprendo il primo cassetto a lui più vicino e cominciando a lanciargli contro tutte le posate che conteneva.

“Stiles.” ringhiò ora fuori di sé Derek, una volta schivato l’ennesimo coltello -e davvero gli stava lanciando contro dei cucchiaini da dolce?!

“E non ringhiare con me!” gli intimò l’altro, puntandogli contro una forchetta.

“Se solo tu mi ascoltassi…”

“Per sentirmi ripetere ancora che puoi farti crescere peli e unghie oltre misura? Estetista, Derek. Dovresti incontrarne una. Risolverebbe il tuo porblema!”

E fu lì che Derek si fermò, smettendo di cercare di raggiungerlo aggirando l’isola e prendendo un respiro profondo. Se Stiles non gli credeva c’era solo un modo per fargli aprire gli occhi.
Era ponto, sentiva la trasformazione prossima a partire e il suo lupo esultare felice, credendo di risolvere la situazione in quel modo, quando qualcosa di caldo lo investì in pieno.

Quando aprì gli occhi vide Stiles, non ancora consapevole, con la caffettiera in mano. Abbassò lo sguardo, scoprendosi ricoperto di caffè bollente dalla testa ai piedi -e veramente adesso quel ragazzino aveva oltrepassato ogni limite.
Lasciò perdere la trasformazione e lo guardò come un lupo guarda la sua preda. Stiles spalancò gli occhi, rendendosi conto del suo errore.





 
“No, grazie.” risposero in coro i due, rifiutando il caffè e lasciando ancora più perplessa la bionda.
 



 
***
 
 


“Tornando ho incontrato Jordan. Voleva sapere se oggi Stiles sarebbe andato a scuola.”

“Jordan Parrish?” chiese sorpreso Stiles.

Erica annuì appena, rivolta principalmente al suo Alpha. “Gli ho detto che sarebbe rimasto a casa.”

Derek fece un cenno d’assenso, tornando al suo libro, ma Stiles non sembrò dello stesso avviso.

“Cosa c’entra Parrish? Fa anche lui parte del branco… ?”

“Eww, no! Credo che pur volendo Jackson non lo permetterebbe mai.” esclamò la bionda, sedendosi compostamente sul divano di fianco all’umano.

Dopo che Derek aveva finito di riordinare la cucina, per quanto possibile, e sotto lo sguardo giudicante di Stiles, senza proferir parola era andato a prendersi un libro e si era seduto sulla sua poltrona. Qualcosa era scattato nella testa di Erica, quando Stieles era andato sovrappensiero diretto proprio verso quella stessa poltrona, pronto a sedersi sul mannaro, e lo avrebbe fatto anche nella mente di Derek, se solo questo non fosse stato uno sourwolf offeso e non avesse quindi guardato male il ragazzo.
Il povero Stiles aveva dovuto ripiegare per il divano.

“Cosa c’entra Jackson?” domandò ingenuamente, facendo alzare un sopracciglio perfino a Derek.

“Dici così solo perché non hai visto le scintille tra Lydia e Parrish. Fidati, se c’è una cosa che so fare bene, è riconoscere quando c’è della tensione sessuale fra due persone. E poi ho sempre indovinato, con voi l’ho capito subito.”

Stiles per poco non si strozzò con la propria saliva diventando paonazzo. Dovette tossire un paio di volte prima di poter acquisire nuovamente un colorito normale.

Con noi?

La mannara lo guardò confusa. “Hai visto il video, no?”

Stiles non fece in tempo a rispondere, che Derek lo anticipò, sbuffando dal naso.

“E questo che vorrebbe dire?” domandò piccato il ragazzo.

Il moro si abbassò il libro sul petto, guardandolo. “Converrai con me che non si può dire che tu abbia visto il video. O sbaglio?”
 
 



“Oh mio dio.” mormorò per la decima volta Stiles da quando il video era iniziato. “Oh mio dio.”

Come da prassi, Derek aveva fatto partire il video, ma non senza problemi. Prima che convincesse Stiles a calmarsi, il ragazzo aveva fatto in tempo a lanciare tutto il lanciabile, che fossero piatti, elettrodomestici o lampade –e davvero Derek non ricordava che avesse così tante lampade. Stiles riusciva a vedere un’arma anche nelle ricevute e nelle bollette della luce.

Derek doveva riconoscere che avesse combattuto fino alla fine e ne sarebbe stato persino fiero… in altri momenti. Sicuramente non in quello, quando era imbrattato di caffè e dio solo sapeva cosa, con mezza casa distrutta e tutti i documenti da dover riordinare, mentre un ragazzino logorroico continuava a sfuggirgli.

Era riuscito a prenderlo solo perché gli era arrivato alle spalle, utilizzando uno dei tanti buchi nel muro che Stiles gli aveva proibito di chiudere, perché in caso di attacco sarebbero potuti servire. E aveva ragione! Erano talmente nascosti e grandi al massimo per una persona, che organizzati così com’erano potevano diventare un vero labirinto.

Da che l’aveva preso poi, al metterselo in spalla per poter far partire il video senza problemi, era stato un attimo.
Quel momento l’aveva trovato anche particolarmente educativo: aveva imparato davvero tanti modi per insultare una persona grazie a Stiles.


Ed ora, finalmente fermo davanti al televisore, quello stesso ragazzino sembrava essersi impallato, continuando a ripetere sempre e solo la stessa frase. Derek iniziava a non poterne più e una piccola parte di lui era anche piuttosto convinta che lo facesse di proposito.

“Sai dire altro o è l’unica frase che ti è stata insegnata?”

Stiles si voltò solo per lanciargli un’occhiataccia. “Sono scioccato. Mi è lecito?”

“Prima eri spaventato, ma non sembrava che le parole ti mancassero.” ribattè il mannaro riferendosi a tutti gli impropri che si era sentito lanciare contro.

“Mi scusi tanto, signor Alpha, ma non sono abituato a svegliarmi in casa di uno stupratore e sentirmi dire che ho dimenticato tre anni della mia vita!”

“E smettila di dire che sono uno stupratore!” ringhiò Derek. Odiava sentirsi chiamare in quel modo proprio da Stiles, il suo Stiles. “E cos’è quel broncio adesso?”

Il ragazzino incrociò le braccia al petto, ma seduto così com’era sul tappeto, non faceva l’effetto sperato. “Sono arrabbiato.”

“Per…” chiese l’altro, dopo aver capito che Stiles non aveva nessuna intenzione di spiegarsi. Quasi gli ricordava il se stesso di qualche anno prima.

“A quanto pare quelle lampade le avevo scelte io e se tu ti fossi, che ne so… trasformato, avrei evitato di romperle.”

Derek strabuzzò gli occhi, incredulo “E di me non ti importa nulla?!”

“Certo che no. Da quando mi sono svegliato non hai fatto altro che spaventarmi.” gli spiegò tutto convinto, iniziando a contare sulle dita di una mano “Primo, mi hai fatto svegliare in un posto che non conosco. Da solo!” lo sguardo che gli rivolse fu di fuoco e a nulla valsero i balbetti del mannaro “Secondo, ti dichiari uno stupratore –e non venirmi a dire che non è vero!” lo ammonì, più che convinto “Terzo, passi la mattina a rincorrermi! E senza degnarti di darmi una spiegazione che andasse oltre il ‘fidati di me, stiamo insieme ma tu non lo ricordi’, perché ehi, anche io stavo insieme a Selena Gomez senza che lei lo sapesse, ma non è la stessa cosa!”

“Io ti rincorrevo, perché tu scappavi!” si giustificò Derek, aprendo le braccia sconfitto.


“Perché tu mi rincorrevi!” ribattè Stiles, ora in piedi anche lui, il filmato completamente dimenticato.

“Okok, così non andremo da nessuna parte.” provò a calmarsi Derek. Stava cercando di far mente locale, ma non riusciva a ricordarsi come diavolo fossero finiti a parlare di quello.

“Ma guarda, abbiamo un genio.” lo sbeffeggiò Stiles, incrociando le braccia.

Derek alzò lo sguardo su di lui lentamente e l’idea di ricaricarselo in spalla non gli sembrò poi così malvagia. “Ascoltami bene, ragazzino. Ci sono un’infinità di cose che non sai e se per te tutto questo,” disse indicando il loft “è nuovo, io lo vivo ogni giorno e un umano che mi viene anche a fare la predica non lo reggo. No.”

Stiles sembrò essersi calmato, ma poi assottigliò gli occhi. “Un umano? Sei anche razzista adesso?!”

E quello davvero fu davvero troppo per non essere neanche le sei.
Fece scattare la trasformazione, sperando di spaventare il ragazzo così che si calmasse, ma quello lo guardò ed iniziò a prenderlo in giro.
‘Dovresti darti una spuntatina’ o ‘Chiedi a Lydia, magari ha qualcosa per coprire… il brutto muso che ti ritrovi!’ furono solo alcuni dei suggerimenti, come li aveva chiamati Stiles, che ricevette mentre cercava di acciuffarlo.
Un paio di volte era persino andato a sbattere contro dei mobili che era piuttosto sicuro non si trovassero lì prima. Il divano era uno di questi.

 



 
Stiles gli fece il verso, da brava persona matura, ma neanche allora ribattè.

“Ok, beh non fa niente.” mormorò Erica, ormai più che convinta che quei due non gliela stessero raccontando giusta. “Ad ogni modo… come diamine è arrivato il divano qui?!” esclamò poi, guardandosi attorno e notando che le bastava allungare una mano per toccare la vetrata, solitamente distante… sei metri. 










Note dell'autrice. 
Ciao! Gesù, non sapete quanto è stato difficile riuscire a pubblicare. 
Mi credereste se vi dicessi che non ho avuto il tempo materiale neanche di dormire tra poco? Seriamente, sono state tue settimane davvero infernali e nonostante l'intenzione di pubblicare ci fosse -e pure il capitolo- non ci riuscivo mai. Ma ora eccomi finalmente qui, quindi al diavolo i problemi e passiamo al capitolo ;) 

Così com'era pensato il capitolo sarebbe venuto troppo lungo e quindi ho preferito dividerlo, perciò la mattina degli sterek non è finita e alcune cose verranno spiegate la prossima volta; ad esempio dove sono tutti gli altri... che non è questo gran segreto, perchè sono a scuola, visto che rimangono pur sempre liceali e ogni tanto qualche lezione la dovranno seguire pure loro. Ed Erica, beh è Erica e si è presa un giorno di ferie. 

Allora... cosa ve ne pare di questi due piccioncini? Più simili ad una vecchia coppia sposata piuttosto litigarella, che ad una coppia di ragazzi.
Personalmente mi piacciono molto quando si vivono reciprocamente in questi piccoli episodi quotidiani senza realmente accorgersene. E' come se Derek si dimenticasse di avere un occhio di riguardo per Stiles a causa della sua condizione e lo stesso Stiles dimenticasse chi ha di fronte, ovvero un gran bel pezzo di sourwolf che gli fa dubitare se essere più sorpreso del suo essere licantropo o del suo essere il suo ragazzo ;) 

Alla fine il capitolo non dice molto, se non un po' di sana sterek che non fa mai male, però se si legge attentamente c'è sempre qualcosina nascosto...

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto; mi scuso ancora per il ritardo e ci tengo a sottolineare che questa storia verrà conclusa: non mi piacciono le incomplete né lasciare una sterek senza soluzione (Cosa che dovrebbe essere considerata legge mondiale, dato che ci siamo). Fatemi sapere cosa ne pensate e al prossimo capitolo! 

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


4 Maggio



Faceva particolarmente fresco quella mattina, tanto da dover costringere Stiles ad accettare un maglione da Derek. Non era rimasto poi molto sorpreso di scoprire che alcuni dei suoi vestiti si trovassero in quella casa, ma turbato, quello sì: possibile che il vecchio Stiles non avesse avuto la decenza di portarsi qualcosa di più pesante di una maglietta?!
E così, dopo aver attentamente frugato alla ricerca di un indumento più caldo e possibilmente suo, si era arreso ad accettare controvoglia quello del mannaro.
Precisamente, in quel momento, stava guardanando annoiato fuori dalla vetrata, seduto proprio lì accanto, mentre Erica parlava.

Stiles ad un certo punto si era chiesto se la ragazza non stesse parlando con lui, visto che Derek non aveva aperto bocca, come sè, del resto.
Era mai possibile che adesso quello dalla parte del torto fosse lui? Lui che per poco non era morto di infarto dopo appena due secondi da che si era svegliato!
Certo, poteva riconoscere che la sua reazione potesse apparire esagerata per qualcuno che sapeva, ma era proprio quello il punto: lui non aveva la più pallida idea di niente.
Ok che Derek aveva provato a dirglielo e che lui avrebbe potuto evitare tutto quello se solo lo avesse lasciato parlare, ma era anche vero che il mannaro non si era poi così tanto sforzato.

Se c’era una cosa che Stiles aveva sempre odiato nei film era quando, invece di rivelare la verità, il protagonista finiva per tenersela per sé. Cosa diamine ci vuole ad urlare, anche se l’altro ti dà le spalle o fa finta di non sentire?! E Derek aveva fatto esattamente la stessa cosa.
Sapeva di essere testardo e particolarmente sordo alle volte, ma l’altro avrebbe potuto benissimo dirgli dell’incidente invece di rincorrerlo. Avrebbe funzionato, anche se sarebbe stato un po’ brutale e capiva perché l’altro non avesse agito così e tutto questo non faceva che innervosirlo di più, perché come la mettesse la mettesse, Derek aveva sempre agito nel suo interesse e quindi il suo atteggiamento nei suoi confronti era stato orribile.

Ma questo lui non lo avrebbe mai ammesso. Ovviamente: era troppo orgoglioso.

“Stiles? Mi stai ascoltando?”

Il ragazzo si riscosse appena, quando si sentì chiamare da Erica. L’espressione colpevole che fece provocò un cipiglio infastidito nella bionda.

“Non lo fa mai, cosa ti fa pensare che possa iniziare con te?” commentò Derek, senza alzare gli occhi dal libro. Il terzo, per la precisione. Il moro si era rintanato nella lettura pur di non avere a che fare con lui e Stiles si promise di bruciargli davanti agli occhi tutti quei volumi entro la giornata.

Il ragazzo preferì ignorarlo, deciso a non peggiorare la situazione, e si rivolse invece alla bionda. “Perdonami, Erica. Mi ero distratto.”

La ragazza aveva osservato il loro scambio di battute, notanto principalmente il passo avanti che Stiles sembrava voler compiere e un sorriso diabolico era sorto sulle sue labbra. Dimenticatasi della disattenzione del ragazzo, adesso lo guardava con un ghigno che non prometteva niente di buono e che fece deglutire nervoso Stiles.

“Niente di importante… piuttosto! È da diverso tempo che non stiamo insieme come ai vecchi tempi. Ti andrebbe di rimediare al tempo perduto?”

Il tono di voce decisamente troppo zuccheroso e benevolo, non fecero che allarmare ancor di più il ragazzo, che però annuì ugualmente. Con la coda dell’occhio la bionda vide persino il suo Alpha alzare un sopracciglio in sua direzione, ma fece finta di nulla, afferrando Stiles per una mano a trascinandoselo dietro.
 
 





 
“Non che non sia… felice di questa tua voglia di stare insieme, Erica, ma… cosa stai facendo?”

La bionda lo guardò fingendo di non capire. “Cosa intendi? Sto salvando questo momento facendo delle foto.”

Stiles deglutì in imbarazzo. “Sì… no, io intendevo cosa stai facendo qui.” precisò il ragazzo, facendo vagare lo sguardo su qualsiasi cosa non fosse il vistoso scollo della bionda. Seduta. Su di lui.

“Oh, ma così le foto vengono meglio.” rispose lei lanciando una veloce occhiata al moro che fingeva di non prestare attenzione. “Più siamo vicini, più bello è il risultato…” sussurrò poi lascivamente.

La ragazza non sapeva se trovare più adorabile il tentativo di Stiles di guardarla negli occhi e non altrove o l’odore di gelosia che proveniva dal mannaro.

“Ma se non vuoi dei ricordi con me, lo posso capire. Sarai stanco e-”

“Nono.”sSi affrettò a rassicurarla il più piccolo, temendo di averla offesa “Facciamoci quante foto vuoi. Mi piacciono.”

Erica alzò un sopracciglio, realmente divertita e Stiles arrossì fino alle orecchie quando si accorse di aver parlato guardandole il seno. “Le foto! Mi piacciono le foto.”

E davvero non era colpa sua se la ragazza gli si era spalmata addosso. L’aveva preso in un momento di distrazione! A dirla tutta, lui aveva appena voltato lo sguardo dopo  aver ricevuto un’occhiata di fuoco dal mannaro. Era stata tutta una questione di coincidenze.
Quello che però Stiles non sapeva, era che l’occhiata era rivolta ad Erica. Derek si maledì mentalmente quando notò lo sguardo ferito del più piccolo, ma il suo orgoglio lo costrinse a digrignare i denti e fare finta di nulla. Aveva una vaga idea di cosa la sua Beta avesse in mente -e stava funzionando alla grande- , ma non sapeva perché. Perché metterlo in ridicolo davanti al ragazzo facendogli paselare la sua gelosia? Specialmente dopo la piega che aveva preso quella mattina.

“Erica, credo che Stiles si sia stancato.” disse, riuscendo appena a trattenersi dal ringhiare, dopo l’ennesimo scatto con la bionda che toccava il suo Stiles.

“Mh, sì. Penso che queste possano bastare.” decise Erica, alzandosi. Meglio non stuzzicare troppo il lupo cattivo, le consigliò la sua coscienza, ma si sa che in guerra e in amore tutto si può e si deve, perciò prese le guance di Stiles tra pollice e indice, facendogli assumere un’espressione buffa e aggiunse: “Magari poi scegliamo le migliori insieme.”
Finse di ignorare il ringhiò dell’Alpha, rivolgendosi a nessuno in particolare. “Io devo sbrigare delle commissioni, perciò, Batman, Capo, vi lascio per un po’.”

Stiles la guardò, ancora stordito, andarsene contenta. Cosa diamine era appena successo?! Si azzardò a lanciare un’occhiata a Derek, ma lo trovò particolarmente incazzato. Deglutì, prefigurandosi una luunga mattinata.
 
 

***
 


“Ragazzi! Vi ho portato una sorpresa!”

Derek alzò la testa, guardando entrare la bionda e corrucciandosi. Sorpresa? Di che sorpresa stava parlando? Conoscendola non sarebbe stato niente di piacevo-

“Nipote caro!”

E infatti.

“Peter.” ringhiò il moro, lasciando perdere quello che stava facendo. “Cosa ci fai qui?”, poi si rivolse alla bionda "Cosa ci fa lui qui?" 

“Oh, ho sentito che il nostro smemorato preferito si sentiva solo e ho deciso di venirmi a presentare. Di nuovo.” ghignò l’uomo, facendosi strada nel loft senza che Derek potesse evitarlo. E come se la colpa fosse sua, lanciò un’occhiataccia a Stiles, che in rimando alzò le mani. “Ehi, io neanche so chi sia.”

“Peccato, aggiungerei. Ma rimediamo subito.” iniziò il maggiore degli Hale, arrivandogli da dietro e mettendogli le mani sulle spalle. “ Vedi Stiles, io sono lo zio preferito di questo ragazzo qui.” e con una mano battè sulla spalla del nipote che ringhiò.
Peter fece una smorfia, togliendo subito l’arto e riprendendo il suo discorso di presentazione “Avrai sicuramente fatto la sua conoscenza: è un costipato sentimentale molto bravo nel mostrare quelle piccole zanne che ha…” spiegò mostrando i suoi denti. Stiles trattenne a stento una risata. “Ma vedi, ragazzo, io sono esattamente l’opposto: se mio nipote trova piacevole l’utilizzo dei denti per spaventare, io lo prediligo per ben altre cose… non so se ci intendiamo?” 

“Peter!” lo richiamò Derek, mentre Stiles arrossiva.

“Cosa c’è? Non è più un ragazzino o sbaglio?”, ma prima che potesse essere zittito nuovamente, cambiò argomento “Ad ogni modo, io solo lo zio più sexy e giovane di Derek.”

“L’unico.” precisò l’Alpha.

“Solo perché una pazza ha bruciato gli altri, ma lo ero anche prima.” ribattè il più grande, non curandosi del gelo che era sceso. “Dicevamo? Ah sì, sono una persona molto… aperta?”

“Aperta?” domandò Stiles, confuso.

Peter ghignò.

"Oh dio..." gemette Derek, ormai rassegnato, mentre Erica ridacchiava. 

“Oh, sì, piccolo umano. Diciamo che non mi faccio problemi a condividere.” spiegò percorrendogli il braccio con due dita.

“Ma io sì.” sibilò il moro, allontanando lo zio con una spallata.

“Mai dubitato di te, caro nipote. Ma mi chiedevo, se valesse anche per lui.” commentò sarcasticamente Peter, indicando Stiles. “Sai, ho saputo che qualcuno qui è stato un po’ trascurato…”

Il moro lanciò un’occhiataccia ad Erica, che ricambiò inarcando un sopracciglio. “Non erano affari di chi te l’ha riferito.”

“Forse, ma ora, essendo diventati anche miei, tantovale approfittarne, no?”

“E come potresti aiutarci tu?”

“Speravo me lo chiedessi, nipote.” esultò il maggiore, andando a sdraiarsi sul divano. “Prima di tutto, capendo il problema, per poi risalire alla radice e risolverlo. Nel nostro caso io direi che il problema già lo sappiamo e-”

“E quale sarebbe?” domandò Derek, seguendolo a braccia incrociate. L’altro lo guardò con la classica espressività degli Hale, in particolare quella che ti faceva sentire il più inetto del mondo. Tipica di Derek, anche se aveva migliorato, aggiunse la mente di Stiles.

“Ma ovviamente tu, caro nipote.”

“E questo che vorrebbe dire?!”

Peter Hale sospirò. “Speravo di evitare questa parte, ma fa niente. Se mi pare di aver ben compreso, questa mattina hai lasciato che Stiles si svegliasse da solo e lo hai anche spaventato. O sbaglio, Derek?” il mannaro stava per ribattere, ma fu bloccato prima “Perciò direi che il problema è chiaro a tutti.”

“In realtà Stiles stava dormendo.” venne in soccorso del suo Alpha Erica e Derek sbuffò. Alla buon’ora, Erica si era finalmente ricordata di chi fosse Beta.

“Oh, ma io infatti non dò la colpa a mio nipote, nonostante non sia stato particolarmente accorto.” chiarì serio Peter.

Tutti i presenti si scambiarono delle occhiate perplesse. Se non era colpa di Stiles né di Derek, a cosa si riferiva Peter?

“Sono confuso.” mormorò Stiles, sedendosi lì accanto. Erica annuì con lui, convenendo.

“Questo perché non tutti potete avere una mente come la mia: grande, potente, decisamente fant-”

“Peter.” lo richiamò il nipote, provocandogli uno sbuffo.

Bene, evidentemente vi interessano le cose più noiose, il che non mi sorprende.” borbottò mettendosi a sedere scompostamente. “Dovete capire, miei innocenti ragazzi, che non è colpa di una persona in sé, ma del sistema che sta dietro. Mi spiego meglio: per quanto l’operato di mio nipote sia giudicabile, possiamo dire che meglio di così non avrebbe potuto fare?”

“Lo stai chiedendo a noi?”

Il mannaro roteò gli occhi. “No, Derek. Quello che voglio dire è che forse aspettare per far vedere a Stiles quel video non sia la scelta migliore, visti i precedenti.”

“Quindi stai suggerendo di…” chiese dubbiosa Erica.

“Di fare in modo che la prima cosa che lui veda sia il bel film della sua vita!” sbottò con fare ovvio Peter.  

“Dovrei farglielo vedere da solo?! Dovrei fargli scoprire una cosa del genere senza alcun tipo di conforto?!” sbraitò Derek, per niente d’accordo con la proposta dello zio.

Dentro Stiles qualcosa si sciolse a quella rivelazione. Allora alla fine Derek non era veramente arrabbiato con lui, pensò con una nota di sollievo e speranza.

“Oh andiamo, Derek! È quasi maggiorenne ed è praticamente un adulto, se non per l’età almeno per tutto ciò che ha affronato e che sta tutt’ora affrontando. Devi smetterla di vederlo come un pezzo di vetro e iniziare a capire che se c’è una persona in grado di farcela, quella è Stiles.” lo riprese Peter e Derek davvero non ci poteva credere: suo zio stava facendo loro da psicoanalista.

L’uomo poi si rivolse al diretto interessato “Sei come un diamante, Stiles. Attiri l’attenzione e puoi sembrare fragile come il vetro, ma in realtà sei il gioiello più duro.”

Stiles guardò l’uomo sbalordito.
Derek ed Erica erano rimasti senza parole.

“Beh, cos’avete da sorprendervi tanto?” chiese offeso il più anziano degli Hale, alzandosi dal divano con uno sbuffo.

“Beh… credo tu abbia ragione.” mormorò Stiles, pensieroso.

“Ovvio che ce l’ho.”

“Posso farcela.” ripetè il ragazzo, questa volta più sicuro.
Il suo sguardo non aveva lasciato quello dell’Hale per cui sentiva quell’inspiegabile attrazione, quegli occhi verdi che esprimevano dubbio e paura, ma che divennero quasi rassegnati dopo che ebbe finito di parlare.

Il moro annuì, facendo per andarsene dalla stanza, ma Stiles fu più veloce, afferrandolo per un polso per fermarlo.

“Derek, possiamo… possiamo parlare? Per favore.” chiese esitante il ragazzo. Rilasciò un sospiro di sollievo quando l’altro annuì.

Il moro lo condusse vicino alla vetrata, lanciando ad Erica un’occhiata eloquente e facendola così sparire in cucina con suo zio. Inarcò entrambe le sopracciglia, invitandolo a parlare, non fiducioso nella sua voce dopo quello che era stato deciso poco prima.

Stiles sbuffò una risata dal naso. “Giusto, mi ero dimenticato che si può parlare con quelle lì.” disse con un sorriso nervoso, indicando le sue sopracciglia. “Comunque, ecco iovolevochiedertiscusa.”

“Cosa?”

Il ragazzino deglutì e il mannaro seguì il suo pomo d’adamo muoversi. Poteva sentire perfettamente il suo cuore battere all’impazzata.

“Io volevo chiederti scusa.” ripetè il più piccolo, mordendosi il labbro subito dopo.
Stiles agli occhi di Derek sembrava quasi timoroso che lui non lo potesse perdonare, quasi come se temesse che lui non lo avesse già perdonato, il suo Stiles. Come avrebbe potuto, come avrebbe anche solo potuto non farlo.

“Non hai nulla di cui scusarti.” gli disse, invece, perchè forse poteva far finta di essere arrabbiato per la cucina o i mobili, ma la realtà era che gli aveva fatto male sentire tutto quell’astio da parte del ragazzo, lo aveva ferito, più di quanto credesse.

“Sì, invece.” insistette l’umano, impuntandosi. “Ma non per quello che credi tu.” aggiunse deciso nella sua timidezza –e Derek davvero non credeva che si potesse essere sicuri anche quando si è timidi, ma quello era Stiles, niente aveva senso con lui.

Alzò un sopracciglio, scettico. Quelle erano le peggiori scuse che avesse mai ricevuto.

“Io non mi scuso per essermi difeso da quello che credevo un rapitore-stupratore.” precisò, all’occhiataccia del moro “Anche se devo dire che mi dispiace per quelle lampade… ma ad ogni modo, io volevo scusarmi perché, anche se non ho visto completamente il filmato, sento questa cosa, che se da una parte mi fa spavento, dall’altra mi rassicura, perché so che la provi anche tu e-”

“Stiles, respira.” provò a calmarlo Derek, quando l’altro prese a respirare troppo velocemente, mentre il suo cuore accelerava veloce, ma il ragazzo scosse la testa freneticamente.

“No! Io devo- tu devi ascoltarmi.”

“Va bene, va bene. Ti ascolto, Stiles, ma ti prego respira.”

Quei due occhi d’ambra si specchiarono nei suoi, prima che il loro proprietario annuisse e riprendesse a fare lunghi e profondi respiri. Quando finalmente si fu calmato, nessuno dei due commentò le mani di Derek strette sulle spalle dell’altro.

“Derek, se tu provi davvero quello che provo io, ti chiedo scusa. Io… se io mi fossi visto trattare come io ho trattato te nonostante tutto questo,” rivelò muovendo poi le mani scompostamente fra i loro due corpi vicini “io credo che ne sarei morto.”

“Stiles…”

Ogni giorno, Derek. Ogni giorno non sai se ti tirerò contro qualcosa o se vivrò la mia condizione con criterio. Der… mi dispiace così tanto…” riuscì a dire, prima che un singhiozzo gli impedisse di proseguire.

Qualcosa nel petto di Derek si ruppe. Stiles era terribilmente impregnato di tristezza e senso di colpa e dai suoi occhi non smettevano copiose di scendere delle lacrime che Derek avrebbe voluto cancellare una ad una. Il suo lupo desiderava distruggere ciò che aveva fatto anche solo rattristare il suo Compagno, ma era lui stesso e Derek non potette far altro che attirare rapido il corpo del ragazzo contro il suo petto.

Stiles era scosso dai singhiozzi e aveva preso ormai a bagnare la maglia del moro con le sue lacrime, ma a Derek non sembrava importare. A Derek sembrava importare solo di lui, di come fare per rassicurarlo e Stiles poteva percepire quanto l’altro si sentisse frustrato di non poter fare nulla; ne ebbe la certezza quando all’ennesimo singhiozzo più forte seguì un basso ringhio rivolto a nessuno in particolare.

“Stiles, guardami.” lo richiamò alla fine Derek, dopo quelli che parvero anni. Quando i loro occhi furono legati, il mannaro riprese. “Non devi mai, mai, chiedermi scusa perchè mi prendo cura di te.”

Il ragazzo tirò su col naso.

“Hai capito, Stiles?!” chiese duro l’Alpha, mal trattenendo un ringhio al solo pensiero che il suo Stiles potesse soffrire di nuovo a causa sua.

Annuì, Stiles, guardandolo assorto, come se lo vedesse per la prima volta.

“Stiles, tu sei tutto per me. Sei il mio Compagno, la mia famiglia. Non chiedermi di rinunciare a prendermi cura di te. Non farmi questo.”

Derek gli aveva preso il viso fra le mani e lo guardava terrorizzato. Voleva che capisse, che capisse davvero.

Il più piccolo sorrise appena, slanciandosi per abbracciarlo e se il mannaro non ritenne necessarie delle parole di conferma perché credeva il ragazzo fosse ancora troppo scosso, Stiles, dal canto suo, non aveva alcuna intenzione di giurare qualcosa che non avrebbe mantenuto.

Quella promessa era l’unica cosa che ciascuno degli Stiles di quei giorni, che fosse lo Stiles prima dell’incidente, durante quei mesi o di quei giorni, non avevano intenzione di mantenere, perché Derek si meritava molto. Tanto. Più di lui. 















Note dell'autrice. 
Salve a tutti! Dopo quella che mi sembra una vita, riesco a pubblicare. Dallo scorso aggiornamento credevo che le acque si sarebbero calmate, ma in realtà non è cambiato quasi nulla e il tempo per scrivere è diminuito drasticamente. Ho la certezza che questo sia solo un periodo, ma per il momento credo proprio che gli aggiornamenti non avranno una scadenza precisa, sebbene cercherò in ogni modo di essere il più puntuale possibile ;)
Ma passando al capitolo...
Tante cose sono successe: da Stiles che vuole fare pace con Derek ad Erica che cerca di sbrogliare la situazione provando a far ingelosire l'Alpha, ma che non riuscendo nel suo intento decide di ricorrere a lui... PETER HALE!! Io amo quell'uomo e lo ritengo molto intelligente, anche se spesso usa questa sua capacità per iniziative discutibili. Peter, ad ogni modo, è stato colto da un sentimento di bontà e ha fatto giustamente notare che non si può andare avanti a rifare la casa solo per gli infarti mattutini di Stiles. 
Come sempre sono stati seminati degli indizi lungo il capitolo, che per quanto piccoli, sono molto molto importanti. 
Nel prossimo capitolo, poi, conto di introdurre lo sceriffo, ma mi piacerebbe sapere se vi interessa un confronto in particolare ;) 
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto :) Alla prossima volta! 

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


4 Maggio



Stiles stava giocando al telefono appoggiato a Derek, quando il telefono di quest’ultimo aveva preso a squillare. Derek gli aveva dato un bacio sui capelli, alzandosi e rispondendo al telefono.
Doveva essere successo qualcosa di grosso visto che Erica era saltata in piedi immediatamente e Peter aveva aperto gli occhi, nonostante l’importanza del mio sonnellino di metà pomeriggio, come aveva detto loro quando aveva preso possesso del divano più piccolo. Sì, per far svegliare quell’uomo, doveva decisamente essere qualcosa di davvero importante.
Nonostante tutta la buona volontà di questo mondo, Stiles non riusciva a sentire altro che i mormorii di assenzo, così decise di richiamare Erica, tirandola per la manica della maglia quando questa inizialmente non lo calcolò.

“Cosa sta succedendo? Chi è?”

“È Scott. Lui e gli altri hanno riconosciuto fuori scuola l’odore di uno dei due Beta.” gli spiegò a bassa voce, per non disturbare l’Alpha.

“Deve essere stato davvero disperato per fare una mossa tanto stupida.” constatò Peter, facendo convenire la bionda.

Stiles ebbe appena il tempo di passare dalle espressioni dubbiose dei due Beta a quella corrucciata di Derek. “Che altro stanno dicendo?” 

Erica piegò un poco la testa, provando a concentrarsi. “Hanno intenzione di dividersi.”

“Dividersi?” chiese e la bionda annuì.

“Scott, Kira e Boyd seguiranno la scia di questo qui, mentre Allison, Isaac, Lydia e Jackson proveranno a trovare le tracce degli altri due da dove le avevamo abbandonate.” gli riferì nervosa.

“E Malia?” chiese questa volta Peter a Derek, che ripetè la domanda a Scott.

“Andrà con Lydia.”

“Allora andrò anch’io con loro.” annunciò Peter, alzandosi in piedi e preparandosi in fretta.

Derek lanciò una veloce occhiata ad Erica, prima di rispondere a Scott senza bisogno di parlarle. “Erica verrà con voi. Io e Peter raggiungeremo gli altri.”

Stiles vide la Beta annuire una volta sola, prima che si girasse verso di lui e gli riservasse un sorriso dolce, vedendolo spaesato e preoccupato. “Non preoccuparti, Batman. Andrà tutto bene.” e gli scossò un bacio sulla guancia.

“Sì, no… voglio dire, sicuramente, ma…” si impappinò vacendo vagare lo sguardo tra i presenti, per ultimo Derek, che quando si accorse dell’odore pungente dell’ansia che non faceva che crescere mise il telefono da parte e lo raggiunse.

“Ehi, Stiles. Va tutto bene, andrà tutto bene. Siamo in tanti e non accadrà niente a nessuno.” provò a rassicurarlo, abbassandosi al suo livello e accarezzandogli una guancia col pollice “Ho appena inviato un messaggio a tuo padre. Aspetterò qui con te finchè non verrà insieme a Melissa.”

“Melissa? Perché Melissa?”

Derek gli riservò un sorriso mesto “L’odore del Beta sembrava dirigersi verso l’ospedale e Scott non voleva corrrere rischi. Sarà più concentrato se la saprà al sicuro. E la stessa cosa vale per me, perciò tu te ne starai buono buono qui dentro, senza aprire a nessuno.”

“Ma…” provò a protestare il ragazzo.

“Stiles.” lo fermò il moro. “Promettimelo.”

“Derek, avanti è ridicolo...”

“Promettimelo.” insistette, facendolo sbuffare.

“E va bene, Derek. Ti prometto che non uscirò di nascosto da mio padre per andare in strada, che -per inciso- brulica di lupi mannari con il solo obbiettivo di uccidermi. Puoi stare tranquillo.” L’occhiata in tralice che gli mandò Derek fu sufficiente a farlo tornare serio. “Davvero, Derek. Puoi stare tranquillo.”

Il moro gli riservò un ultimo sorriso, che fece rimpiangere a Stiles la mattina passata a litigare. Avrebbe passato il resto della sua vita a guardare quel sorriso e adesso la sola idea che Derek sarebbe potuto rimanere ferito, o peggio, lo faceva uscire fuori di testa.

“Derek, sono qui. Dobbiamo andare.” richiamò il moro, Peter.

Il mannaro annuì, prima di alzarsi e lasciare un bacio a fior di labbra al ragazzino che lo guardava preoccupato. “Tornerò il prima possibile.” gli mormorò prima di uscire dal loft, guardandosi indietro solo una volta.
Per un solo istante Stiles si sentì completamente abbandonato. Quello non era il suo posto, lui doveva stare insieme a Derek, lui doveva-

“Stiles!”

Stiles si ridestò quando il padre lo chiamò dalla soglia e corse ad abbracciarlo.

“Grazie a Dio stai bene.” ringraziò l’uomo, mentre lui ricambiava l’abbraccio, nonostante con la testa fosse altrove.

“Papà, io…”

“Shh, va tutto bene. Mi dispiace di non essere potuto venire questa mattina, ma questa notte una donna è stata attaccata e noi abbiamo dovuto-” iniziò lo sceriffo, interrompendosi solo per passarsi una mano sugli occhi, stanco. Solo allora Stiles notò le profonde occhiaie che segnavano il viso di suo padre.

“Papà, papà, ehi… da quant’è che non dormi?” gli domandò, concentrandosi solo su di lui. Gli afferrò il viso con due mani per farsi guardare negli occhi, che vide arrossati come poche volte nella sua vita aveva visto a suo padre: era raro, ma qualche volta si presentava un caso particolarmente difficile, tanto da non permettere all’uomo di riposare. L’ultimo era stato l’incendio di villa Hale…

“Non è niente, Stiles.” sminuì lo sceriffo “Davvero.”

“E invece no. Stiles ha ragione, Noah!” lo smentì Melissa, raggiungendoli.

Afferrò svelta il mento dell’uomo, accendendo e puntando poi una piccola luce nei suoi occhi. Riuscì a dare solo un’occhiata anche all’altro, prima che lo sceriffo si dimenasse e la costringesse a lasciarlo andare, ma quello che aveva visto le era bastato.
“Devi riposare.” lo sgridò, riponendo la lucina in tasca. Stiles notò che indossava ancora la divisa da infermiera.

“Non ho intenzione di lasciare mio figlio per una dormita.” ribattè l’uomo, alzandosi e guardando male entrambi.

“Papà! Stai parlando seriamente?!”

“Noah, hai bisogno di riposo o potresti sentirti male. La tensione degli ultimi giorni e adesso questo potrebbe essere più pericolosa di quello che pensi.”

Lo sceriffo li indicò entrambi, indiganto. “Cos’è, avete deciso di coalizzarvi contro di me?”

Stiles sbuffò una risata. “Sicuro. Da quando Mel mi insegnò a preparare la mia prima insalata da portarti a lavoro.”

L’uomo spalancò la bocca. “Sei stata tu?! Mi sono chiesto per settimane chi gli avesse messo in testa una cosa del genere! Beh… beh, sappi che sei responsabile di lunghi anni di dieta. Anni orribili.”  

Melissa scosse la testa divertita, lanciando subito dopo un’occhiata eloquente a Stiles. Ora o mai più. Il più piccolo annuì, concentrandosi di nuovo.

“Avanti, ti faccio vedere dov’è la camera degli ospiti.”

“Avete una camera degli ospiti?” chiese dubbioso l’uomo, mentre seguiva il figlio su per le scale. Stiles sussultò alla naturalezza e spontaneità con cui suo padre aveva inteso quella casa sua, sua e di Derek.

“Beh, almeno credo. Mi pare di averne vista una questa mattina.” spiegò, tossendo imbarazzato.

Sospirò di sollievo quando aprì la porta giusta, ritrovandosi in una camera dalle dimensioni modeste, ma confortevoli.

“Credo che qui dorma Cora quando viene a trovare Derek.” commentò sovrappensiero Melissa, guardandosi attorno curiosa.

“Cora?” domandò Stiles, e se fosse stato un cane le sue orecchie si sarebbero rizzate su curiose, e gelose.

La donna annuì. “La sorella di Derek. Quella più piccola.”

“Ma io… pensavo fossero, sì, insomma… l’incendio.”

“No, non morirono tutti. Si salvarono Derek, sua sorella maggiore Laura e Peter. Abbiamo scoperto dell’esistenza di Cora solo qualche anno fa.” gli spiegò Melissa, sorridendogli appena. Quell’incendio era una ferita aperta per tutti loro. Lei conosceva Talia e la figlia Laura; la ragazza sarebbe voluta diventare medico… “Ad ogni modo, adesso devi riposarti, Noah. Se servirà, ti verrò a chiamare io personalmente.” chiarì poi alla volta dello sceriffo, rimboccandogli le coperte e controllandogli velocemente il battito del polso. “Ora riposa.”

Stiles vide il padre lanciargli un’ultima occhiata, che ricambiò con un sorriso, prima che Melissa lo invitasse ad uscire.

“Dici che si riprenderà?” le chiese adocchiando la porta chiusa.

“Sicuramente. Ha solo bisogno di dormire qualche ora di fila senza preoccupazioni.” lo rassicurò con quel suo sguardo da mamma che a Stiles tanto mancava. Accennò un mezzo sorriso nervoso, seguendola al piano inferiore. “Allora, suppongo ne avremo ancora per molto, che ne dici di un po’ di tè?”

“Oh, sì certo.” accettò volentieri lui, andando a prendere tutto l’occorrente sovrapensiero, senza soffermarsi a notare con che accuratezza avesse aperto i pensili giusti. 



“Mel?” la richiamò, poi, quando ormai la donna era intenta a versare l’acqua nella teiera dove aveva già messo le foglie. Lei alzò lo sguardo, invitandolo a parlare. “Di solito cosa succede, ecco, quando… quando vanno in giro?”

“Intendi quando escono per affrontare il cattivo di turno e ti lasciano da sola a casa a morire di preoccupazione?” provò a scherzare lei, riuscendo a farlo sorridere. “Beh, sfortunatamente non sanno quasi mai neanche loro chi affronteranno e spesso mi sono ritrovata a dover fasciare brutte ferite o a riassemblare ossa rotte. Ma vuoi sapere un piccolo segreto?” gli domandò, puntandogli contro il cucchiaino da caffè. Lui annuì, facendosi più vicino. “Guariscono in una frazione di secondo.” gli rivelò come se fosse il più grande dei segreti e annuendo fra sé e sé continuò: “Oh, sì. Loro si fanno male e tu non fai neanche in tempo a domandarti perché proprio a te sia dovuto capitare un figlio mannaro, che loro sono già lì fuori, pronti a prendere a pugni qualcos’altro. È un calvario e io non ho mai capito come tu ne sia sempre uscito indenne.”

“Ora come ora non lo so neanche io…” mormorò Stiles appoggiando il mento sul palmo della mano.

Melissa gli lanciò un’occhiata divertita. “Sono contenta che tu non abbia perso il tuo senzo dell’umorismo.”

Beh, a quanto pareva era l’unica cosa che gli era rimasta del vecchio Stiles.

“Sei preoccupato per loro?” gli chiese Melissa, fermandosi un attimo prima di versare l’acqua della tazze. Aveva praticamente cresciuto quel ragazzino e sapeva riconoscere quando con la testa fosse altrove, tanto quanto sapeva riconoscere le poche volte in cui invece quella di suo figlio fosse presente.

“Uh? Per loro…?” si riscosse Stiles, confuso, prima di collegare. “Ah, sì. Vorrei sapere come stanno.”

La donna gli lanciò un’occhiata di sottecchi. “Tutti o un ragazzo in particolare?”

Stiles sussultò, colto sul fatto. “No! Non vorrei che capitasse del male a nessuno di loro, io-”

“Stiles, Stiles, calmati! So che tieni a tutti loro, ma è normale preoccuparsi più per una persona, specialmente se è qualcuno che ami.”

“Quindi non è una brutta cosa preoccuparsi di qualcuno che conosci a malapena? Questo non fa di me una cattiva persona?” riuscì a chiedere prima che gli si spezzasse la voce e a quella visione a Melissa pianse il cuore.

Lo andò ad abbracciare immediatamente, dimentica del tè. “Oh, tesoro, assolutamente no. Non devi mai pensare che preoccuparti più per qualcuno a cui tieni sia qualcosa di sbagliato. Non permettere a nessuno di decidere cosa devi provare, neanche a te stesso.”
 
 
 
 



“Stiles, ne vuoi parlare?” gli chiese ad un certo punto Melissa, mentre sorseggiava il suo tè seduta sul divano.

“Di cosa?” domandò lui, fingendo di non capire e nascondendosi dietro un lungo sorso.

La donna socchiuse gli occhi. “Non credere di darla a bere a me, signorino. Mi riferisco a come ti senti riguardo a… Derek.”

Il ragazzo sussultò visibilmente a quel nome e qualcosa gli disse di essere arrossito. Sapeva che Melissa aveva ragione e che parlare con qualcuno lo avrebbe aiutato, ma lei era davvero in grado di capire quello che provava? C’era solo un modo per scoprirlo…

“Ti sei mai trovata a provare su pelle una persona?” le chiese, riuscendo finalmente a guarla negli occhi “Hai mai provato dolore fisico quando questa era lontana e a non capire perché hai bisogno di contatto fisico anche quando siete seduti di fronte? Hai mai provato il bisogno improvviso di sapere al sicuro quella persona o a svegliarti all’improvviso in un letto non tuo e sentire la mancanza di un pezzo? Ti sei mai sentita così forte e pronta a tutto pur di difenderla e proteggerla, anche a costo della vita? Hai mai…” sospirò, facendosi forza e mostrando una luce completamente nuova negli occhi “Hai mai avuto piena coscienza di dipendere da una persona?”

Melissa era rimasta senza parole. “Stiles…”

“Hai idea di quanto sia terrorizzante essere innamorati?” chiese, questa volta a nessuno in particolare e facendo sorridere mestamente Melissa. “Hai idea di come ci si senta a provare tutto questo e al tempo stesso sentirsi in colpa per ciò che provi? Ad assistere ad una perenne guerra fra cuore e cervello. Sai davvero cosa si prova ad essere innamorati di qualcuno senza neanche conoscerlo? Sai davvero quanto sia ingiusto soffrire per amore, senza aver però mai conosciuto quell’amore? A sperare che un uomo… un uomo che hai appena conosciuto torni a casa da te sano e salvo, senza neanche sapere quale sia il suo colore preferito o la canzone che odia. Sei davvero convinta che pregare affinchè non accada niente a qualcuno che non conosci, piuttosto che ai tuoi amici, sia giusto?”

Gli occhi dolci di Melissa erano lucidi e una scintilla d’amore materno le si irradiava dal cuore. Il bambino di otto anni che aveva preso sotto la sua ala era cresciuto e adesso si ritrovava a provare la gioia più granda, ma anche il dolore più profondo che qualcuno potesse generare. Il suo cucciolo era innamorato e non sapeva neanche di chi.

“No. Non posso dirti di aver mai provato quello che provi tu ora, né di sapere di cosa stai parlando.” mormorò, prendendogli le mani fra le proprie “Ma posso assicurarti che non c’è cosa più giusta di seguire il proprio cuore. Quello che senti, Stiles… è forse la forma più pura di amore. Forse noi semplici umani non potremmo mai avere la certezza che la nostra anima abbia davvero scelto quella persona, ma a te è successo e questo perché tu sei speciale, Stiles. È vero, è doloroso ed è ingiusto che tu senta tutto questo dolore senza aver mai sperimentato l’amore, ma è altrettanto vero che non tutti sarebbero riusciti a sopportarlo, non come lo stai affrontando tu, non con la stessa arrendevolezza con cui tu saresti disposto a sacrificarti per Derek.” gli afferrò poi il mento con una mano, costringendolo a guardarla “Stiles, tu sei l’essere più forte e con il cuore più grande di chiunque altro io abbia conosciuto: sei capace di amare anche qualcuno che non conosci ancora e a sentirti in colpa quando il tuo primo pensiero non sono i tuoi amici, anche se non riesci a pentirtene. Perché è questo che è il legame: è amore puro e incondizionato. E fa paura, tesoro mio, fa così tanta paura che non vorresti averlo mai trovato, ma se riesci a dargli tempo, ti ripagherà di tutto il dolore che hai provato e proverai. Devi darti tempo, Stiles e rammentare che amare non è mai una cosa brutta. E se tu non lo ricorderai, ci sarò io, ma soprattutto Derek a ricordartelo.” finì con un piccolo sorriso emozionato.
 
 
***
 
 
“Scott? C’è qualcosa che non va. Riesci a sentirlo?”

Il mannaro annusò l’aria, aggrottando subito dopo la fronte. Com’era possibile? “Sì…”

“Non riesco più a sentire il suo odore.” mormorò confusa Erica, prendendo a girare su se stessa, come a trovare la direzione migliore. “Sembra… sembra quasi che un altro lo copri.”

“Ma di cosa?” chiese Kira, nervosa quanto loro.

“Meglio dire di chi!” lo corresse Boyd, facendo brillare gli occhi verso un paio di alberi in penombra.

Erica aveva già le zanne snudate, ringhiante, quando videro una piccola volpe correre via spaventata.
I quattro Beta si guardarono fra di loro confusi, ciascuno certo di non aver sicuramente fiutato una volpe. Non fecero in tempo a riprendersi che Scott li chiamò poco lontano. Si teneva una mano sul naso, infastidito dall’odore, mentre con l’altra indicava la parte più bassa dell’albero di fronte a lui.
Erica si avvicinò di corsa, per poi fare un salto indietro storcendo il naso e ringhiando appena contro l’albero.

“Dio mio, ma cos’è?” tossì Kira, affiancandosi al messicano.

“È aceto. Viene usato per tenere lontani gli animali o… coprire gli odori.” spiegò Scott.

“Vuoi dire che-” iniziò Boyd, ma venne interrotto da un rumore alle loro spalle. Si trasformò immediatamente, voltandosi e mettendosi in difesa di un’Erica già pronta alla lotta. Il ragazzo era pronto ad attaccare chiunque fosse, quando di fronte a loro balzò Malia, gli occhi blu e le zanne ben in mostra.

“Malia?!” esclamò Scott confuso, mentre i due Beta tornavano alle loro forme normali e Kira riponeva la katana.

“Scott?! Cosa ci fate voi qui?”

“Noi stavamo seguendo l’odore del Beta.”

La ragazza lo guardò disorientata. “Anche noi degli altri due…”

“Malia, cos’hai trova-” li interruppe Peter, ammutolendosi quando vide il resto del branco. “E voi cosa state facendo qui? Non dovevate seguire l’altro?”

Presto li raggiunsero anche gli altri, tutti perplessi dalla situazione.

“Infatti…” commentò Scott, mentre il suo cervello iniziava a mettersi in moto.

“Com’è possibile!” sbraitò Derek quando Malia li disse di aver perso la traccia e Jackson confermò.

“Aspettate! Avete trovato odori strani?” chiese loro il messicano, passandosi una mano sulla bocca.

“Più del solito, intendi? Non mi pare.” provò a ricordare Isaac lanciando un'occhiata ad Allison per conferma.

“Io sì." si intromise Malia "Non so cosa fosse, ma lo trovavo vicino alle proprietà quando mi avvicinavo troppo ed ero ancora coyote.”

Scott spalancò gli occhi. “Per caso assomigliava a questo?” le domandò, facendola avvicinare all’albero. La ragazza si allontanò di corsa, infastidita e guardando con astio l’albero.

“Fin troppo, direi.”

“Cristo!” sbottò Peter, iniziando a lanciare occhiate preoccupate in giro. “Com’è possibile che non l’abbiamo sentito?!”

“La quantità è troppo piccola per essere fiutata da lontano, ma abbastanza forte da nascondere gli odori.” spiegò Derek dopo essersi accucciato vicino al tronco.

“E questo cosa significa?” domandò Jackson mentre un brivido gli correva lungo la schiena.

Il resto del branco era troppo intento a scrutare allarmato la vegetazione circostante per fare domande, ma con le orecchie stavano aspettando preoccupati la risposta del loro Alpha.
Derek in tutta risposta alzò lo sguardo, guardando rassegnato Peter.

“Vuol dire che siamo finiti in una fottuta trappola.” 











Note dell'autrice. 
Ehilà! Sono finalmente riuscita a tornare :) E' stato un calvario che non avrà la parola fine finchè non arriverà natale, ma noi ci proviamo lo stesso. Grazie a chi sta seguendo la storia nonostante queste "pause" e scusate ancora il ritardo @-@'''''' 

Passando al capitolo... 
Voi lo sapete già ormai che amo le conversazioni Melissa-chiunque, perciò ho particolrmente a cuore la loro conversazione e spero che sia trapelata tutta la confusione di Stiles, ma specialmente l'entità dei suoi sentimenti per Derek. 
Sorvolando sulla stanchezza fisica ed emotiva dello sceriffo che potrebbe benissimo essere paragonata alla mia in questo momento... il branco si era organizzato piuttosto bene, con un piano semplice e lineare, ma non si aspettavano di essere coinvolti in un'imboscata! Da cacciatori sono diventati cacciati... eh, c'est la vie.
Cosa accadrà? sopravvivranno? Ci sarà uno sterminio totale? Decideranno di seppellire l'ascia di guerra e scambiarsi pancake ai mirtilli? Si saprà solo vivendo, a voi le ipotesi. 

Piccolo avviso: ho fatto un po' il punto della situazione e -escluso questo-, se tutto va secondo i piani, mancano solo gli ultimi sei capitoli conclusivi. Per qualcuno saranno tanti, per altri pochi, a me ad esempio è preso già il magone, ma ogni cosa deve giungere a conclusione e credo che sia ora anche per i miei cuccioli. 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e ogni recenzione è ben accetta, anzi, mi aiuta ad uscire ogni tanto da quel baratro di libri che ora come ora vorrei solo bruciare. Tutto in modo pacifico, ovviamente :)
Al prossimo aggiornamento ;*
 

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


4 Maggio



Il primo Beta li colse inaspettati e Scott ricevette un calcio prima ancora che il branco riuscisse ad individuare gli altri due; il guaito di dolore del mannaro sembrò segnare l’inizio della battaglia. I ringhi iniziarono a propagarsi nell’aria, così come l’odore forte del sangue.
Derek si ritrovò a fronteggiare lo stesso mannaro che lo aveva ferito l’ultima volta e si sentì più agguerrito di prima. Fece illuminare gli occhi di rosso, ringhiando un avvertimento; si rilassò ulteriormente, concentandosi esclusivamente sul Beta, quando Boyd gli si mise schiena contro schiena, proteggendolo da attacchi alle spalle.

Il mannaro aveva preso a giragli attorno, cercando un punto debole con piccoli attacchi, ma Derek riusciva a mantenere una difesa a trecentosessanta gradi; si allarmò, però quando vide l’altro sorridere al suono di un gemito. Fu sicuro fosse di Erica quando percepì la mancanza di Boyd alle sue spalle. Il Beta ghignò un’ultima volta prima di ringhiare partendo all’assalto. Colse la sua distrazione nel volersi accertare che Erica stesse bene e riuscì a provocargli una profonda ferita sul petto. Un dolore lancinante costrinse Derek a chiudere gli occhi e quando capì cosa fosse ormai era troppo tardi: invece degli artigli, a squarciarlo era stato un pugnale grezzo.

“Derek!”

Scosse la testa, ridestandosi, quando sentì Isaac richiamarlo. Tirò indietro la testa solo per far brillare di nuovo i suoi occhi, desiderando di vedere quello stesso rosso delle sue iridi sul corpo dell’altro. Proruppe in un ruggito che spaventò e colse di sorpresa il Beta, ma il mannaro fu svelto a riprendersi. Presero a girarsi ancora attorno, studiandosi.

Derek sentiva la battaglia infuriare intorno a sé, percepiva il sangue zampillare dalle ferite, ma non sapeva dire se di amici o nemici, ma nonostante ciò mantenne la concentrazione. Aveva notato come gli altri due Beta lanciassero sporadiche occhiate al lupo di fronte a sé ed era più che convinto che fosse quello che facesse le veci di capo: se eliminava lui, gli altri due sarebbero caduti più facilmente.

Puntò i suoi occhi in quelli dell’altro e si preparò ad attaccare.
 
 
***
 
 
“Ciao, Stiles. Come avrai capito hai molti più amici di quello che credi e il tuo senso di sopravvivenza va di pari passo con loro.” sbuffò la figura nervosa e imbarazzata di Derek, che provava, nel mentre, a cercare l’angolazione migliore senza dare nell’occhio. “Sono Derek, anche se tu mi chiami spesso-”

“Sourwolf!” intervenne Erica con un urlo, affiancando l’Alpha. “Sourwolf e Batman, il nuovo duo di piccioncini!” esclamò entusiasta prima di venire spinta via dal moro con una spallata. “Sì, beh… come ha detto lei. Comunque, quello che stiamo cercando di dirti è che a dispetto di quanto sia successo e tu possa ricordare, hai una famiglia che ti vuole bene.” gli rivelò l’uomo, poco prima di voltare nuovamente la cinepresa.

Il video avrebbe continuato, ma Stiles lo bloccò. Si soffermò sulla figura imbarazzata di Derek: da una distanza così ravvicinata era in grado di scorgere tutte le pagliuzze verdi negli occhi del moro ed ormai gli era chiaro quanto irrigidisse la mascella quando era nervoso.

Con un tasto fece ripartire il filmato da qualche minuto prima.

Apparve di nuovo il moro e il ragazzo mormorò a mezza bocca quelle stesse parole dell’altro che ormai aveva imparato a memoria.

“Ciao, Stiles. Come avrai capito hai molti più amici di quello che credi e il tuo senso di sopravvivenza va di pari passo con loro. Sono Derek, anche se tu mi chiami spesso-” e il filmato si stoppò. Stiles passò le dita sul viso dell’altro, facendo scorrere la mano sullo schermo della televisione.

Si era chiuso dentro la camera da letto di Derek, la loro camera da letto, non appena Melissa si era appisolata stanca sul divano; l’aveva coperta ed era corso di sopra. Non sapeva quanto fosse passato, forse ore, ma lui non aveva fatto altro che rivedere e rivedere quel video… quasi come se cercasse di ricordare, imparandolo a memoria.
Fece ripartire il CD, mandando questa volta avanti. Rallentò solo quando riapparve la figura del moro.

“Der, sorridi in camera!” urlò Erica, intenta a filmare Derek impegnato ai fornelli. “Cosa?” mormorò quello girandosi e venendo accecato da una decina di flash. Un ringhio infastidito si propagò attraverso le casse della televisione fino a Stiles a cui venne la pelle d’oca; sebbene avesse rivisto quel momento diverse altre volte, il ragazzo si fece più attento, avvicinandosi allo schermo. Derek si tolse con uno strattone il grembiule da cuoco che indossava e su cui era scritto ‘Al papà pack migliore del mondo!

“Adesso basta…” anticipò Stiles, assorto nella visione.

“Adesso basta! Mi avete scocciato con queste foto ogni volta che cucino!” disse infatti subito dopo il Derek del filmato. Stiles stoppò di nuovo il video, tornando indietro.

“Der, sorridi in camera!”

“Cosa?”

Stiles tirò su col naso, distratto.

“Sorridi, Sourwolf!” urlò lo Stiles del video, richiamando l’attenzione di un Derek prossimo ad uscire da un lago, gli abiti completamente bagnati e attaccategli indecentemente addosso.

“Stiles, giuro che se metti quella foto sulla tua pagina di facebook-”

Stiles fece un’espressione amare quando vide la sua versione più sorridente e spensierata ridacchiò divertito “Ops… troppo tardi!” e Derek agguantarlo e caricarselo in spalla. “Oh, andiamo, Sourwolf! È solo una fot- ehi, ehi, ehi. Cosa stai facendo?” sentì dire dall’altro se stesso, mentre il moro aveva preso a fargli il solletico.

“Cosa stai facendo…” ripetè questa volta lo Stiles reale, allungando un’altra volta la mano verso il fotogramma del moro.

“Solo una foto? Sì, ma per l’album che hai creato su di me! E che conta…” lo accusò fintamento arrabbiato Derek, mal celando una risata; Boyd gli venne in aiuto con “Trecentoventisei foto.”, cosa che fece assumere ad entrambi gli Stiles, sia quello del video che quello reale, un’espressione fintamente ferita. “Grazie tante, Boyd! Lydia, non rendere vano il mio sacrificio. Tappezza il mondo di quelle foto! Il mondo deve sapereee!!!” riuscì ad urlare un attimo prima che il filmato venisse stoppato nuovamente.

“Cosa stai facendo…” sussurrò di nuovo Stiles, lasciando ancora una volta che le lacrime gli solcassero il volto, offuscandogli la vista e lasciandogli come ultima immagine la figura sorridente di Derek.
 
 
***
 
 
Derek balzò sul Beta, riuscendo a ferirlo abbastanza profondamente da fargli perdere per un momento i sensi. L’Alpha approfittò di quell’istante per lanciare uno sguardo al resto del suo branco: Kira giaceva incosciente poco lontano, la katana abbandonata lì vicino, e a proteggerla Scott che ringhiava a chiunque provasse ad avvicinarsi. Derek trasse un sospiro di sollievo quando vide Erica combattere a fianco di Boyd, segno che quel brutto taglio lungo il braccio non fosse così grave come sembrava.

Sobbalzò quando sentì una freccia fendere l’aria proprio al lato della sua testa; si voltò di scatto vedendola conficcata nella spalla del mannaro, ora sveglio di nuovo. Lanciò una veloce occhiata di ringraziamento ad Allison, che ricambiò con un cenno del capo prima che lei impugnasse di nuovo l’arco e lui ringhiasse di nuovo alla volta del Beta che lo stava fissando infuriato.

Il mannaro fece un passo avanti, esponendosi alla luce del sole e permettendo all’Alpha di vedere i suoi capelli slavati macchiati di sangue rappreso. Derek represse un conato, quando si accorse che all’altro non importasse minimamente.

“Com’è piccolo il mondo, eh, Derek Hale.” ghignò, avanzando con un’andatura zoppicante.  

“Questo è il mio territorio. Non avete alcun diritto, qui!” rispose Derek, seguendo i suoi movimenti attento. L’espressione divertita sul viso dell’altro mutarono improvvisamente, assumendo tratti spigolosi. Il moro venne invaso da una zaffata di odio e rabbia.

“Tu! Hai ucciso il mio Alpha!” gridò il biondo, sputando fuori a forza quelle parole. “Ci vuoi privare dell’unica vendetta che chiediamo?” continuò indicandolo con gli artigli, prima di rischiare di scivolare a causa di una pozza bagnata. Derek desiderò davvero non scoprire mai di chi fosse quel sangue.

“Di cosa stai parlando?” domandò riscuotendosi.

Il Beta sputò a terra, vicino ai suoi piedi. “L’umano.”

La mente di Derek si offuscò per un istante, confondendolo. Una piccola vertigine lo distrasse dalle parole dell’altro, ma Stiles, gli trasmise il suo cervello e fu sufficiente. Qualunque cosa avesse detto o intendesse quel lupo, Derek sapeva che non voleva che quel nome fosse pronunciato da una bocca infame come la sua. Non gli importava davvero più di parlare né di sentire cosa avesse da dire, un unico pensiero in testa: Stiles.

Con un balzo gli fu addosso e dall’espressione sbigottita capì che l’altro non se lo aspettava, non così all’improvviso almeno. Il biondo alzò il braccio verso l’alto, verso il suo stomaco, ma Derek ormai aveva fatto calare la mano e gli aveva squarciato la gola con gli artigli.

Solo quando si alzò si accorse di un pugnale conficcatogli in petto. Se lo estrasse quasi come se fosse impercettibile, del tutto impassibile.
Quando alzò la testa e fece ricadere a terra la lama, vide uno degli altri due Beta rimanenti correre alle spalle di Jackson. Fece per avvertirlo, ma la banshee lo precedette.

“Jackson, attento!” gridò Lydia, mentre il sangue gli si gelava nelle vene alla vista di uno dei mannari che stava per saltare addosso al suo ragazzo. Il biondo non fece in tempo a voltarsi in fretta, ma Lydia sì. Urlò con tutto il fiato che aveva in gola, riuscendo a scagliare il Beta contro un albero.

Jackson sussultò stordito quando la ragazza gli si lanciò in braccio, stringendola istintivamente a sé. Distrattamente vide Isaac e Scott tramortire il mannaro, prima che Kira lo trafiggesse con la propria katana, l’aura della volpe tutta intorno a lei.

Derek sentì un colpo e vide Boyd sorreggere Erica poco prima che si accasciasse contro un albero. Li raggiunse in fretta, osservando meglio la ferita della ragazza e mal trattenendo un ringhio quando si accorse di altre ferite, chi più chi meno profonda. Un ruggito lo fece voltare repentinamento verso gli altri.

Peter, deformato dalla trasformazione, era in piedi davanti a Malia, caduta a terra che guardava spaventata oltre il padre. Davanti all’uomo, l’ultimo dei Beta, che Derek si maledì di aver dimenticato. Avvolto da un silenzio opprimente, Peter estrasse lentamente la mano dallo sterno del mannaro. Derek sentì Boyd ringhiare schifato e voltarsi quando fu chiaro a tutti che ciò che l’ex-Alpha stava stringendo fosse un cuore.

Malia rilasciò tutta l’aria che aveva trattenuto, alzandosi barcollante sulle proprie gambe. Una volta che capì che il padre era rimasto paralizzato, lo sguardo fisso sulla propria mano ricoperta di sangue e un basso ringhio che ancora si propagava nell’aria, gli posò una mano sul braccio richiamandolo dolcemente.

“Peter, va tutto bene.” mormorò, ma l’altro parve non sentirla, così tentò di nuovo dopo un profondo respiro. “Sto bene, papà. Davvero…”

Peter parve risvegliarsi solo allora. Lanciò uno sguardo allarmato alla figlia, stringendo inconsapevolmente l’organo tra i propri artigli. Malia gli sorrise appena, mentre portava la propria mano sulla sua e gli faceva mollare la presa. “Va tutto bene, mi hai salvata, papà.” continuò a mormorargli, prima di essere abbracciata dall’uomo.
Derek chiuse gli occhi e sospirò sollevato.
 
 
***
 
 
“Stiles!”

Stiles sobbalzò all’urlo di Melissa dal piano di sotto. Spense la televisione che non aveva smesso di riguardare e si affrettò a raggiungerla. L’urgenza nella voce della donna lo aveva preoccupato più di quanto non volesse ammettere e mentre si lanciava giù per le scale si ritrovò a pregare mentalmente ‘Non Derek, ti prego, non Derek…’

Quando fu finalmente di sotto ad accoglierlo fu un odore nauseabondo che collegò al sangue non appena vide il branco entrare distrutto nel loft.

“Stiles, prendi delle bende!” gli urlò Melissa, mentre si metteva un braccio di Kira sulle spalle e l’aiutava a trascinarsi verso il divano.

Il ragazzo si guardò intorno spaesato, non avendo la più pallida idea di dove trovare quelle cose; fortunatamente in suo soccorso venne Lydia, che lo indirizzò verso una panca a muro lì vicino. “Tu prendi le bende, io mi occupo del disinfettante.”

Stiles annuì, trovando al primo colpo ciò che gli aveva chiesto Melissa e porgendoglielo subito. La donna prese le garze senza neanche guardarle e iniziando a medicare la ferita alla ragazza.

Guardandosi attorno vide i membri del branco aiutarsi a vicenda ad appoggiarsi da qualunque parte fosse possibile per riprendere fiato un attimo. Suo padre stava aiutando Boyd a trasportare un’Erica pallia come un lenzuolo sul tavolo del loft. Allison stava stringendo una mano ad Isaac, provando a rassicurarlo mentre Jackson gli estraeva dalla gamba un pezzo di legno. Stiles gli vide digrignare i denti dal dolore e quasi si sentì svenire quando vide la quantità di sangue rappreso sui vestiti di Peter. La testa aveva preso a girargli vorticosamente, quando…

“Stiles!” si sentì chiamare per la seconda volta l’umano in pochi minuti. Prima ancora di riconoscere la voce, il sollievo lo invase.

“Derek…” mormorò voltandosi verso il moro. Il sorriso di sollievo si trasformò in una smorfia di disgusto e panico quando vide attraverso la maglia ormai a brandelli di Derek due grandi scuarci attraversargli il petto.

“Grazie al cielo stai bene!” esclamò l’Alpha abbracciandolo di slancio, cieco alle sensazioni del ragazzo.

Stiles, infatti, ricambiò solo in parte l’abbraccio, preferendo allontanarlo per appurare meglio l’entità delle ferite. “Derek, tu sei ferito… stai perdendo sangue.” biascicò sconvolto, ma il moro scosse la testa.

“Io sto bene, ma tu? Puzzi terribilmente di paura.” sminuì il mannaro, prendendo invece lui per le spalle e incatenando i suoi occhi ai propri.

Stiles si perse un momento in quello sguardo, ma quando sentì qualcosa di viscido sulle dita si accorse che aveva poggiato le mani sul suo petto e che quello era il sangue di Derek. Si riscosse dall’effetto che l’altro gli faceva e si allontanò di colpo, rompendo l’incantesimo che lo aveva fatto rimanere lì imbambolato.

“Non sono io quello che gronda sangue!” gli urlò contro, terribilmente spaventato dalla poca considerazione che Derek aveva di sé. Come poteva pensare a lui anche in un momento come quello?!

“Stiles…” mormorò sorpreso l’uomo, allontanandosi ferito.

“Derek, stai male! Ti prego, fatti vedere da Melissa. Ti supplico!” lo pregò fra le lacrime, richiamando l’attenzione di tutti gli altri.   

“Derek, perché non stai guarendo?” intervenne Scott, osservando preoccupato le ferite dell’Alpha che non si stavano rimarginando.

“Che vuol dire che non si stanno rimarginando?” domandò Melissa, avvicinandosi allarmata al moro.

Stiles li seguiva tutti con lo sguardo impotente, la paura che cresceva sempre di più dentro di lui. Derek d’altro canto sembrava completamente assente. Era sbiancato in viso improvvisamente, allarmando Stiles ancora di più e facendogli levare un grido quando lo guardò un’ultima volta, sussurrando il suo nome, prima di cadere e perdere i sensi.

“Stiles…”










Note dell'autrice.
Ciao, come state? Io sono diventata un ghiacciolo con questo freddo ;)

Ecco a voi il nuovo capitolo! 
Che ve ne pare? Questa è la seconda scena di lotta che descrivo nella mia vita e sempre la seconda in una categoria 'mannara', quindi a voi i giudizi. Tutto sommato sono piuttosto soddisfatta di come è uscita, sono riuscita a toccare ogni singolo personaggio e nel loro piccolo ciascuno ha reso particolare questo capitolo. Come sapete è anche difficile scrivere di tante persone insieme, perciò... dite voi :) 

Derek cucciolo è preoccupato per Stiles, ma -giustamente- il ragazzo pensa prima a lupo ferito che a sè (che al massimo poteva essere un po' raffredato, al contrario di Derek che sembra aver perso tanto sangue da donarlo a dieci persone). Qualcosa è scattato nella testa del piccolo Stilinski e lo affronteremo anche più avanti. 
Nel frattempo... cosa succederà a Derek?

E vogliamo parlare di Stiles che si rivede il filmato per ore e ore solo per vedere la figura di Derek? Mi piangeva il cuore mentre lo immaginavo e spero vivamente di aver fatto intendere la serietà e la disperazione dietro quelle azioni :( 

 

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


4 Maggio



“Potete stare tranquilli.” esordì Deaton, riponendo lo stetoscopio nella borsa nera. Il branco trasse un sospiro di sollievo collettivo. La visita dell’uomo era stata accurata e meticolosa, era durata solo una mezz’ora, ma a Stiles erano parse ore.

“Che cos’ha?” chiese preoccupato mentre si torturava le mani. Occheggiò il moro disteso sul divano con uno sguardo agitato.

Il druido, che aveva appena finito di riordinare le sue cose, rinunciò a rassicurare il ragazzo, troppo agitato, e invece di un sorriso optò per la verità nuda e cruda. “È stato avvelenato con dello strozza lupo. La ferita ha i bordi netti e considerando quello che mi ha detto Scott l’attribuisco al pugnale del Beta.”

“Pugnale? Ma io credevo che combattessero con… gli artigli.” obbiettò il ragazzo, flettendo le dita in un’imbarazzante imitazione di una mano artigliata.

Deaton inclinò appena la bocca in un sorriso accennato. “È insolito sicuramente, ma la loro intenzione poteva essere quella di ferirvi permanentemente.” spiegò lanciando una lunga occhiata a Scott.

“E guarirà? Starà bene? Ci… ci vorrà molto? Posso fare qualcosa?” disse tutto d’un fiato Stiles, finendo col mordersi le pellicine del pollice in preda al nervosismo. Perché lì nessuno sembrava preoccupato quanto lui?

“Stiles,” lo interruppe Scott, avvicinandoglisi e mettendogli una mano sulla spalla per rassicurarlo “lo strozza lupo ci indebolisce e non ci permette di guarire velocemente, ma può essere eliminato facilmente.”

Il ragazzino trasse un sospiro di sollievo, sorridendo grato all’amico di avergli spiegato, almeno lui, cosa stesse succedendo.

“Gli ho già somministrato qualcosa che lo aiuterà, per il momento tutto quello che gli serve è un po’ di riposo.” disse Deaton, allontanandosi dal divano dove l’altro stava riposando. “Allora, chi è il primo?” domandò poi alla volta del branco, facendo già per dirigersi da Erica, ancora instabile.
 
 
***
 
 
Stiles accarezzava distratto i capelli di Derek, mentre lo guardava riposare. Quando lo aveva visto accasciarsi davanti ai suoi occhi aveva pensato di morire. Vedere la coscienza abbandonarlo, lo sguardo assente, gli arti inermi, incapaci di sostenerlo, e tutto quel sangue…
Per lui quello non era normale, per lui vedere gli amici tornare con i vestiti a pezzi e la pelle a brandelli, vederli ricoperti di una quantità tale di sangue da poter dissanguare una persona, Non. Era. Normale. Lui non era più lo Stiles di un tempo e, che gli piacesse o meno, in tutta la sua vita non aveva mai visto qualcuno ridotto in quello stato; era stato sconvolgente e sconcertante vedere feriti i suoi migliori amici, ma niente a che fare con quando aveva visto Derek: allora era stato devastante e logorante.

Non riuscì a trattenersi e sbirciò sotto alla maglia nuova del moro, non scorgendo altro che la ferita principale, quella avvelenata, tutte le altre erano semplicemente svanite.

“Che cosa stai facendo?”

Stiles sobbalzò quando si sentì afferrare il polso con il quale teneva alzata la maglietta, seguito subito dopo dalla voce di Derek.
Voltò il viso lentamente verso il moro, colto in flagrante, e si scontrò con lo sguardo divertito del moro, anche se cercava palesemente di mantenere un’espressione seria.

“Io stavo… io stavo controllando se-”

“Ti stavi preoccupando.” lo corresse Derek, facendogli mollare la presa e tirandolo a sè per farsi dare un bacio. Lo Stilinski aveva corrucciato lo sguardo, interdetto da quella risposta, per poi perdersi una volta che le labbra dell’altro si furono separate dalle sue.

Neanche aveva fatto in tempo a realizzare di star rispondendo al bacio, che l’altro si era staccato. Istintivamente gli andò di nuovo incontro, facendolo sorridere. Si imbronciò, guardandolo male per fargli capire che essere preso in giro non era il massimo del romanticismo, ma prima che potesse aprire bocca per dar voce ai suoi pensieri, Derek gliela aveva già chiusa con la propria, coinvolgendolo in un bacio più lungo e decisamente meno delicato.

Stiles senza accorgersene si sbilanciò in avanti e per evitare di cadergli addosso gli appoggiò automaticamente una mano sul petto. Derek grugnì dal dolore.

“Cosa state combinando voi due?!” urlò Melissa, che nel frattempo li aveva raggiunti e li aveva trovati particolarmente vicini, troppo. “Derek, ti fa male?” continuò la donna, mettendo per un secondo da parte la ramanzina per accertarsi delle condizioni del mannaro.

Stiles si fece da parte, indietreggiando immediatamente per fare spazio alla donna.
Melissa alzò la maglia del lupo per vedere la ferita e scoprire poi con raccapriccio che aveva ripreso a sanguinare. Derek fece una smorfia di dolore quando Mel gli tolse la fasciatura e poi la benda.

“Qualcuno mi porti delle bene nuove! E del disinfettante! I bordi della ferita stanno diventando neri…” ordinò la donna, sotto lo sguardo preoccupato di Stiles.

Derek venne invaso dall’orribile odore del senso di colpa e si maledì di esserne la causa. Non voleva che Stiles si sentisse responsabile, non era stato lui a ferirlo e non sarebbe morto per un po’ di dolore in più. Avrebbe rinunciato a un braccio se questo avesse significato poter baciare il ragazzino anche solo un’ultima volta.

“Ehi, Stiles. Va tutto bene, non fa così male.” gli mormorò dolcemente, allungando una mano verso di lui per farlo avvicinare. Sperò solo che la sua mascella contratta dal dolore non venisse notata.

Il ragazzo gli si avvicinò titubante, roso dai sensi di colpa e con il cuore che batteva a mille dall’agitazione, e riuscì a prendergli la mano, quasi avesse paura di fargli ancora del male toccandolo, solo dopo che gliela aveva afferrata Derek con la forza.

Lydia intanto era arrivata e stava passando tutto il necessario a Melissa, che non mancò di lanciar loro un’occhiataccia. Stiles non riusciva a smettere di guardare tutto quel sangue, che usciva e non si fermava, e allora Derek gli prese il mento con le dita costringendolo a farsi guardare in viso, così da distrarlo.

“Stiles, va tutto be- Ah!” aveva iniziato, prima di lanciare un urlo, molto più simile ad un ruggito, mentre Melissa gli tamponava la ferita con il disinfettante.

Fece più in fretta che potè e Derek cercò di tornare a respirare normalmente quanto più velocemente possibile, ma quando voltò lo sguardo incontrò due occhi lucidi e pieni di lacrime non ancora versate.

“Stiles…”

“Va tutto- va tutto bene. Devo… vado un attimo in bagno.” riuscì solo a dire il ragazzo prima che la voce gli si rompesse e le lacrime iniassero a solcargli il volto. Si alzò in fretta, sordo alle parole rassicuranti del moro, e corse via.

Derek provò ad affacciarsi oltre il divano, che gli impediva di vedere, per cercare di seguire Stiles almeno con lo sguardo, per accertarsi che stesse bene, ma un tampone poco delicato di Melissa lo costrinse di nuovo sdraiato. Si voltò, lanciandole un’occhiataccia, per poi incontrare però lo stesso sguardo. “Stai. Fermo.”

“Stiles è spaventato, devo sapere che sta bene prima di preoccuparmi per un po’ di sangue.” sibilò fra i denti, provando a mettersi seduto, ma Melissa gli piazzò una mano al centro del petto, rispedendolo giù.

Derek la guardò allibito, ma lo sguardo deciso dell’altra fu sufficiente a farlo rimanere steso.

“La ferita si sta infettando e i punti sono saltati. Gradire poter ricucirti senza rischiare di ricominciare da capo perché tu hai avuto la geniale idea di prendere e correre via!”

Derek serrò le labbra, stizzito, ma non riuscì ad impedirsi di lanciare un’occhiata lì dove effettivamente stava scorrendo più sangue del previsto.

“Sono preoccupato per Stiles, Melissa.” decise di rivelarle, sconfitto. Lo sguardo della donna non vacillò, ma si addolcì.

“Lo so, Derek. Ma questa volta devi pensare prima a te.”
 
 
***
 
 
Questa volta devi pensare prima a te. Questa volta devi pensare prima a te. Prima. A. Te.

Stiles continuava a ripetersi le parole di Melissa. Quando era scappato verso il bagno aveva avuto un ripensamento, dandosi del codardo e dell’egoista per aver lasciato Derek lì da solo, ed era tornato indietro, ma li aveva sentiti.
Melissa aveva specificato questa volta, aveva dato un peso maggiore a quelle parole e questo poteva significare solo una cosa: quante volte Derek aveva sacrificato se stesso per gli altri? Quante volte aveva sacrificato se stesso per lui?

Quelle domande non facevano che tormentarlo, mentre tornava lentamente dagli altri.
Si era sciacquato il viso, sperando di essere presentabile, ma quando aveva aperto la porta del bagno aveva trovato Scott là fuori con la mano alzata, pronta a bussare. Erano rimasti in silenzio per qualche secondo, prima che il mannaro gli riservasse un sorriso dispiaciuto e consapevole e lui scoppiasse in lacrime di nuovo.
Scott lo aveva stretto, dandogli rassicuranti pacche sulla schiena, ma senza dire una parola. Le emozioni che Stiles emanava erano sufficientemente eloquenti.
A Scott si strinse il cuore a vedere il suo migliore amico scosso così. Quando lo aveva visto scappare in bagno, avrebbe voluto fermarlo, ma sapeva che lo Stilinski avesse bisogno di un momento per se stesso.
L’unica cosa che gli rimaneva da fare era rassicurare Derek, sapeva che Stiles avrebbe voluto così se fosse stato solo un po’ più lucido, ma era stato frenato di nuovo quando aveva sentito le parole della madre. Aveva ragione, anche Derek aveva bisogno di un momento solo per sé.


Si era ritrovato quindi in poco tempo confuso come non mai: facendo qualcosa sarebbe stato di troppo, ma l’idea di non fare nulla lo faceva sentire un pessimo amico. Alla fine Kira, vedendolo così combattuto e immaginando cosa gli potesse passare per la testa, gli aveva messo una mano sulla spalla, facendogli cenno di andare da Stiles. E così aveva fatto.
Dopo un po' Stiles si era tranquillizzato e lo aveva fatto tornare da Kira, rassicurandolo che li avrebbe raggiunti subito. Il messicano aveva fatto la parte del fratello premuroso e oppresivo finché Stiles non era stato costretto a cacciarlo fuori a forza con la scusa di dover andare in bagno.

E ora Stiles stava tornando dagli altri, maledicendosi per l’ennesima volta quel giorno di non essersi preoccupato per i suoi amici neanche un po’. Era arrivato a metà scala e nella visuale già poteva vedere Erica che fortunatamente si era ripresa e stava riposando fra le braccia di Boyd, seduto a terra con un’espressione serena. Anche gli altrì sembrò che si fossero ripresi e sorrise intenerito quando scorse suo padre e Melissa prendere un caffè in cucina. Cercò con lo sguardo Derek, ma non riuscì a vederlo, così riprese a scendere le scale. Nessuno si era ancora accorto di lui, troppo presi a riposarsi, così fu facile per lui decidere di fermarsi per poter orecchiare la conversazione che sentì poco dopo.

“Perché non ci provi?” stava chiedendo Deaton.

“Ti ho già spiegato. E sai che non mi piace ripetermi.” ringhiò Derek.

Stiles si sarebbe pure fatto avanti se il tono della conversazione non fosse degenerato parola dopo parola. 

“Sto solo cercando di farti comprendere la gravità della ferita, Derek.” riprovò il druido, acquisendo un tono di voce più accodiscendente. “Come druido è mio compito aiutarvi, ma se tu non me lo permetti-”

“Non ci provare.” lo interruppe Derek arrabbiato “Ho visto come svolgi il tuo lavoro da druido! E se credi che io abbia dimenticato quello che hai fatto, solo perché sei qui, ti sbagli di grosso. Ci servi, solo questo. Quindi vedi di fare quello per cui ti abbiamo fatto venire e smettila di parlarmi.”

Stiles trattenne il fiato, indietreggiando appena, quando Deaton comparve nel suo campo visivo. L’uomo sembrava apparentemente calmo, ma gli occhi furenti e la mascella contratta erano segno di quanto in realtà poco gli piacesse la situazione.

“Passeranno giorni prima che il tuo corpo riesca ad assimilare tutto lo strozza lupo presente in circolo e che quella ferita si rimargini. Preferisci davvero farti vedere in questo stato da Stiles piuttosto che avviare la guarigione?!” sbraitò l’uomo, non capendo come l’altro potesse essere così cieco.

“Sì! Preferisco patire anche per settimane pur di non spaventarlo, perché una ferita è cruenta, ma realistica; spezzarsi le ossa del corpo per smettere di soffrire non ha il ben che minimo senso!”

Stiles sbarrò gli occhi, incredulo. C’era davvero un modo per far guarire Derek più in fretta? Possibile che rompersi le proprie ossa, come aveva detto, fosse l’unico modo? Rabbrividì per l’idea barbara, ma ben presto la rabbia prese piede dentro di lui, facendogli stringere le mani a pugno. Se c’era anche solo una possibilità, Derek doveva usarla. Rimandare, o peggio ancora rinunciare, era da schiocchi! Derek non poteva, non poteva sul serio anteporre lui a se stesso.

Ingoiò amaro, costringendosi a non correre e andare ad urlare in faccia al moro quanto potesse essere stupido, rimanendo invece fermo lì sulle scale dove si trovava, finchè non fu certo che Derek si  fosse allontanato e Deaton fosse impegnato.
Scese in fretta le scale, ricordandosi dell’udito sovrannaturale dei suoi amici e provando a regolare il suo battito. Non era ancora del tutto regolare, ma poteva essere benissimo attribuito alla precedente agitazione ancora presente.
Con suo sollievo vide come il resto del branco avesse riacquisito un’aria felice, o quanto meno serena, e mentre si dirigeva verso la cucina non riescì ad impedirsi di lanciare un’occhiata a Derek, intento a sdraiarsi di nuovo sul divano. Quando notò l’espressione sofferente dell’altro, sebbene riuscisse a nasconderla bene e fosse appena accennata, un’idea iniziò a prendere piede nella sua testa. Una decisione dura, ma necessaria.
 
 
***
 
 
“Stiles, sei sicuro che vada tutto bene?”

Stiles roteò gli occhi. Era la terza volta da che erano partiti che suo padre gli chiedeva se andasse tutto bene.

“Sì, papà. Te l’ho già detto, va tutto bene.” ripetè, per poi appoggiare la tempia al finestrino e lasciar vagare lo sguardo sulle case, ormai quasi completamente inghiottite dalla notte.

“Sono solo un po’ stanco.”

Intravide con la coda dell’occhio il padre lanciargli un’occhiata dubbiosa e lo ringraziò mentalmente quando questo non isistette oltre.
Quando finalmente arrivarono il ragazzo ebbe l’impressione che casa sua non gli fosse mai mancata così tanto come in quel momento. Voleva la sua camera, il suo letto che cigolava e la lavagna degli indizi; voleva svegliarsi e non dover vedere nessun video, voleva alzarsi la mattina e desiderare che qualcosa gli sconvolgesse la vita, per poi rimanere deluso quando tutto procedeva come aveva sempre fatto. Stiles aveva un così disperato bisogno della sua normalità, che fu persino felice di vedere i piatti sporchi, ancora da lavare, nel lavello della cucina.

“Papà-”

“Stiles-”

Dissero nello stesso istante, finendo col ridacchiare nervosi entrambi. Lo sceriffo si passò una mano sulla nuca, mentre il figlio si torturava le dita delle mani.

“Prima tu.” gli disse Stiles, quasi pregandolo. Il genitore gli sorrise mesto, sedendosi e invitandolo a fare altrettanto.

“Figliolo, lo so che tutto questo è difficile. So quanto possa essere stato sconvolgente venire a scoprire tutto insieme e ritrovarsi catapultato all’improvviso in un mondo di cui hai appreso solo qualche minuto prima. Lo so perché ci sono passato.” iniziò, rilasciando uno sbuffo divertito al solo ricordo.

“Davvero? E… e come?” domandò curioso e visibilmente sorpreso Stiles. Non riusciva proprio ad immaginarsi suo padre, il famoso sceriffo dalla sanità mentale di ferro, venire a patti con l’esistenza di lupi mannari e lucertoloni giganti.

“Beh, in realtà sei stato tu.”

“Io?” ripetè incredulo il ragazzo. Il padre annuì.

“Mi spiegassi chi fosse chi con i pezzi degli scacchi.” rivelò “Non ti dico che fu subito tutto chiaro, ma alla fine sono appena tornato da un loft pieno di ragazzini con l’abilità di guarire alla velocità della luce, quindi credo che abbia funzionato.”

Stiles si lasciò andare ad una risata liberatoria, sciogliendo un po’ della tensione che non si era accorto aver accumulato.

A Noah si strinse il cuore al pensiero che non vedeva suo figlio ridere così da tanto, troppo tempo.

“Quello che volevo dirti…” ricominciò poi, tornando di nuovo serio “è che è normale essere spaventati o desiderare solo che sia tutto un brutto scherzo. Ma devi sapere che noi siamo qua, io sono qua se hai bisogno. Quando vuoi, per qualsiasi cosa.” e non riuscì a dire altro, perché Stiles gli si era lanciato contro, abbracciandolo.

L’uomo lo strinse in un abbraccio soffocante, chiudendo gli occhi e godendosi il corpo del figlio sano e salvo, vivo, fra le sue braccia. Quella storia della memoria poteva anche aver rovinato le loro vite, ma non passava giorno in cui Noah non ringrazziasse la loro buona stella di aver concesso loro almeno la vita: mille volte meglio un rimpianto per il resto che dei tuoi giorni, che l’assenza totale di essi.

“Grazie, pa’.” gli mormorò Stiles sulla spalla, facendosi forza per non piangere.

Rimasero abbracciati ancora per qualche secondo, prima che si separassero per iniziare a preparare la cena. Lo sceriffo non ne volle sapere di far cucinare Stiles, lo credeva ancora troppo spossato, sebbene fosse lui quello che si trascinava dalla stanchezza, ma fu ben felice di poter cucinare di nuovo per entrambi.

Nel frattempo Stiles ne approfittò per correre in camera sua e buttarsi finalmente sul suo letto. Si lasciò cadere con un sospiro, tirandosi addosso il cuscino e rilassandosi a fissare il soffitto che tanto gli era familiare. Dopo un tempo che gli parve infinito si sollevò sui gomiti, godendosi la vista della sua camera con un sorriso soddisfatto sulla faccia. Fece scorrere lo sguardo su tutto, finchè non si soffermò su una scacchiera, messa in un angolo.

La curiosità prese il sopravvento e per un secondo dimenticò lo sguardo ferito che aveva fatto Derek quando lo aveva informato di voler tornare a casa per quella sera.

Aveva addotto come scusa il desiderio di vedere almeno un volto conosciuto la mattina successiva e quello ci aveva creduto, sebbene non ne fosse stato entusiasta; che poi alla fine non era neanche una scusa così falsa: Stiles voleva davvero svegliarsi per una volta senza il rischio di trovarsi una dozzina di persone in casa.

Aveva raccolto le sue cose in fretta, mettendosi a scrivere nel diario, che ormai si portava sempre dietro, tutto ciò che gli veniva in mente, quasi temesse di poterselo dimenticare nel percorso loft-casa. Aveva preceduto suo padre e mentre lo aspettava giù in macchina aveva avuto modo di riempire più di una pagina.

Per tutto il tempo il viso ferito del moro lo aveva tormentato e aveva continuato ad apparire persino quando chiudeva gli occhi, dietro alle palpebre. I sensi di colpa lo ghermivano da dentro, provocandogli il desiderio di andare e rassicurare Derek, ma fortunatamente resisteva. E adesso era riuscito finalmente ad annulare tutto, a silenziare qualsiasi volce nella testa gli gridasse di essere egoista, e a concentrarsi sulla familiare sensazione di curiosità.

Gli era sempre piaciuta, quella sensazione. L’adrenalina che sale ad ogni nuovo indizio, la voglia che ti spinge a continuare quando qualcosa sembra irraggiungibile e priva di soluzione; gli era sempre piaciuto, ma da quando si era svegliato si era ritrovato a ricevere scoperte su scoperte spiattellategli in faccia, si era ritrovato ad essere passivo nella sua stessa vita e privato persino della curiosità crescente che tanto lo distingueva.

Ma adesso, davanti a quella scacchiera, apparentemente intoccata da diverso tempo, si domandò con quale criterio avesse deciso di assegnare i nomi alle pedine, con quale collegamento aveva scelto una scacchiera al posto di uno schema o un disegno.

Ricercò tutti i nomi, sorprendendosi di trovare Jackson in quello che sembrava il ‘lato malvagio’, ma finì col trattenere il fiato quando lesse il nome di Derek sul re. Derek era il suo re, Derek era sempre stato il suo re, si sorprese a pensare. Era difficile credere di amare una persona da molto più tempo di quanto in realtà la si conoscesse e per Stiles era praticamente un record amare Derek da più di tre anni e conoscerlo da solo un giorno, ma vedere come anche il vecchio Stiles provasse quelle stesse sensazioni, quelle stesse emozioni nei confronti del moro, era sconvolgente e disarmante.

Derek Hale era il re: era importante, persino fondamentale all’interno di una partita, teneva unite tutte le pedine, cercava di sacrificarne il meno possibili e si occupava di distribuirle nel migliore dei modi; ma il re era anche molto fragile, bastava poco per accerchiarlo, e ancor meno per ucciderlo. Il Re sarà anche stata la pedina più importante, ma toccava alla sua Regina proteggerlo.
Per un secondo Stiles non capì perché la regina non avesse nome, poi però ebbe il colpo di genio.
Derek Hale era il suo Re, ma lui era la sua Regina.
 
 
***
            
 
“Papà, sono serio: domani non voglio che nessuno mi riveli la verità. ” 












Note dell'autrice. 
WOW! Ce l'ho fatta e ancora non ci credo!! Questo è stato il capitolo più difficile da scrivere di sempre: fra il tempo inesistente, i cali di creatività e i momenti in cui invece volevo dire più di quanto mi fosse concesso. Quando la gente dice che scrivere non è un lavoro... non ha la più pallida idea di quanto si sbagli. 

Ma passando al capitolo...
Boom! Una bomba caduta esattamente sulla coscienza di Stiles. Il poverino si è ritrovato di nuovo anteposto alla salute di Derek e questo non gli va giù: come si può accettare che la persona che ami si lasci morire per te?! Da una parte fa sicuramente piacere, ma deve essere davvero frustrante non riuscire a far capire che non si vuole questo, che l'ideale sarebbe due persone innamorate e possibilmente vive entrambe. E Derek sembra non capirlo. L'Alpha è così intento a non far preoccupare Stiles, da non accorgersi di quanto in realtà stia ottenendo l'effetto contrario (ma noi lo amiamo lo stesso *-*) 
Ho adorato, poi, scrivere il pezzo della scacchiera *-* non ho idea da dove mi sia uscito, non era programmato, ma sono stata ben felice di includerlo. 
C'è stato anche un momento padre-figlio, che personalmente ritengo molto importante, perchè le persone che più sono state colpite dall' 'incidente' sono state sì Derek e Stiles, ma anche lo Sceriffo ed è bene che venga fatta notare anche la sua di crescita personale e di cosa abbia significato per lui. 

Ora, passando alle cose non dette, ma accennate:
-Deaton: non so se si è capito, volevo aggiungerlo ma ai fini della trama serviva a poco e non avevo la più pallida idea di dove piazzarlo, ma alla domanda Cosa ci fa lì Deaton?, la risposta è che se lo sono caricati in spalla e l'hanno messo ai lavori forzati per aiutarli con tutti i feriti. Ovviamente è stato chiamato dopo lo svenimento di Derek, ma non chiedetemi dove o con chi stava prima: Noah e Melissa l'avranno rinchiuso da qualche parte, magari era controllato da Parrish, non ne ho idea. Io scrivo della Sterek, non dei soggiorni di druidi troppo neutrali ;) 
-Il branco: come ho detto prima, a me serviva far evolvere la situazione fra Derek e Stiles e principalmente far maturare l'idea (che poi scoprirete) di quest'ultimo, quindi il pezzo non c'è, ma Stiles li ha salutati tutti quando è andato via e loro sono tornati alle loro rispettive abitazioni.  

Arriviamo quindi al punto focale del capitolo che è l'idea, la consapevolezza, che sta prendendo piede in Stiles... o che forse che ha già preso. Ho iniziato a lasciare degli indizi già da qualche capitolo, ma per chi non avesse ancora collegato, non vi preoccupate: si scoprirà tutto il prossimo capitolo ;)

Credo che queste siano le note più lunghe della mia vita, perciò meglio terminarle qui. Mi scuso per l'enorme ritardo, ho fatto il meglio che potevo. Spero che il capitolo vi piaccia almeno un po' di quanto piace a me e auguro a tutti un buon 2018, anche se in ritardo ;* 
P.S.
Mancano purtroppo solo quattro capitolo alla fine della storia, ma vi avviso che probabilmente i tempi di pubblicazione non saranno più precisi come qualche mese fa. Al prossimo capitolo! 

 

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


6 Maggio



Aveva la bocca secca e non riusciva a parlare. Il cuore gli batteva forte, probabilmente troppo. Non sapeva dirlo né gli importava al momento. Aveva lo sguardo fisso sul tavolo di fronte a sè da tempo. Sicuramente da tanto, ma non sapeva dirlo con certezza. Non sapeva più niente.
Sentiva lo sguardo del padre addosso e poteva immaginarselo combattuto tra il lasciargli il suo tempo o provare a rassicurarlo. Qualunque cose avesse fatto, probabilmente non avrebbe cambiato nulla. Stiles si sforzò di sollevare lo sguardo vuoto solo per non torturare ulteriormente il genitore.

Lo sceriffo fece per dire qualcosa, ma ci ripensò subito dopo finendo con l’ondeggiare indeciso la testa da una parte all’altra, finchè non mandò al diavolo tutto e si sporse per stringerselo contro.
Stiles si lasciò andare ad un pianto silenzioso, stringendo l’uomo a sua volta. Quando finalmente si fu calmato, tirò su col naso, passandosi una mano sulla bocca.

“Ok. Ok, lo posso affrontare. L’ho fatto fin’ora, posso continuare. Giusto?” provò a convincersi, lanciando in ultimo uno sguardo supplice al padre. L’uomo non potè che annuire commosso, ma soprattutto orgoglioso. Il ragazzo lo imitò, annuendo più a se stesso che ad altri.

“Quindi ieri ti ho chiesto di non dirmi niente.”

“L’altro ieri, ma sì. Hai detto che volevi riposare e-e rivalutare a mente lucida.” lo corresse lo sceriffo.

“Rivalutare cosa?” domandò Stiles, scuotendo la testa confuso.

L’uomo sospirò e scosse la testa. “Questo non me lo hai detto. Però mi hai detto che avresti capito da solo dopo aver letto questo.” gli spiegò, finendo col porgergli quello che aveva tutta l’aria di essere un diario.

Stiles lo prese, passando il pollice sulla figura di sua madre, ma lo tenne in mano senza aprirlo. Aveva un’altra domanda da fare.

“Il resto del… branco, come hanno reagito? Al non dirmi nulla, intendo.”

Potè benissimo vedere le spalle di suo padre irrigidirsi e il fiato mozzarglisi. “Non- non ne sono stati entusiasti, ma l’hanno accettato. Non che tu abbia lasciato loro molta scelta.”

Stiles annuì. Non conosceva gli altri, ma Scott e il resto dei suoi amici non si sarebbero mai azzardati a venir meno ad una sua volontà.

“Stiles,” riprese a parlare suo padre, richiamando la sua attenzione “non so perché tu mi abbia chiesto di non dirti nulla, non te l’ho chiesto perché mi fido di te, ma ciò non toglie che sono preoccupato. Quando lo scoprirai, qualunque cosa sia, chiunque c’entri, voglio che tu sappia che io ci sono. Per qualunque cosa.”

A Stiles si inumidirono gli occhi, così come allo sceriffo, che si passò velocemente una mano sugli occhi.

“Non so nemmeno se sia la cosa giusta da fare.” sospirò l’uomo.

“Cosa?”

“Dirti la verità, farti vivere questo ogni giorno. Io- ieri mi sei sembrato così tranquillo e calmo, ma soprattutto felice e io-”

“Nono, fermati subito.” lo bloccò Stiles con movimenti sconnessi delle mani “Per quanto questo possa shockarmi, sarebbe mille volte più sconvolgente venire a sapere un giorno che la mia vita è stata una finta. Scoprire di non aver vissuto davvero.”

“Ma se io fossi attento, non lo verresti a scoprire.” insistette lo sceriffo.

Stiles sorrise intenerito dai pensieri del padre. “Magari non subito, certo, magari persino per qualche anno, ma cosa succederà quando inizierò a cambiare? Cosa accadrà quando mi vedrò allo specchio e non mi riconoscerò.” mormorò con tono calmo, per poi scuotere la testa con un sorriso. “No. La mia vita non sarà più la stessa. Dovrò rinunciare a intraprendere gli studi che volevo fare -o qualsiasi altra cosa, in realtà.” ridacchiò alla fine, stupendo il genitore che non comprendeva come potesse ridere su una cosa del genere “Ma sarebbe comunque la mia vita. Sarei io ogni giorno a decidere come vivere e non il volere di qualcun altro. Sarò io che dovrò essere in grado di prendere in mano la situazione e uscirne vincitore anche così, perché l’ho sempre fatto: sono o non sono il figlio dello sceriffo?” chiese fiero, mentre il suo sorriso si allargava “Sono o non sono l’unico umano in un branco di -ancora non riesco a crederci- lupi mannari ed altri esseri sovrannaturali? Io ho reso possibile l’impossibile. Svegliarmi la mattina senza dovermi vergognare delle terribili figuracce che ho fatto il giorno prima alla fine non è così male.”

Noah lo guardò con gli occhi sbarrati, ancora incredulo. Non riusciva a comprendere quanto la pazzia del figlio potesse essergli nociva.

“Papà, voglio arrivare alla fine della mia vita, sapendo di averla vissuta davvero. Senza rimpianti. Il mondo non è una favola e io lo so bene,” continuò, aprendo le braccia e sospirando rassegnato, ma anche in pace con se stesso. Il sorriso che continuava ad alleggiare sul suo viso “ma non voglio viverlo dietro ad una campana di vetro, perché prima o poi questa campana si romperà e nella traiettoria dei pezzi ci sarò io, e solo io. Voglio vivere con coscienza e non come un vegetale, costretto alle cure di qualcun altro, senza possibilità di scelta.”

Lo sceriffo prese ad aprire e chiudere la bocca ritmicamente, senza sapere come obbiettare. “Ma Stiles-” , ma il ragazzo non lo lasciò continuare.

“Sceriffo, sono ancora vivo! Permettimi di vivere.”

L’uomo lo guardò un’ultima volta dubbioso, ma poi scorse nei suoi occhi consapevolezza e determinazione. Le stesse che aveva visto in sua moglie il giorno che li lasciò. L’ultimo sguardo cosciente di Claudia ora glielo stava proponendo suo figlio. La consapevolezza che tutto era finito, ma che non per questo non si potesse creare altro.

“Tu… pazzo di un ragazzino!” fu tutto ciò che riuscì a dire, arrendendosi, prima di venire abbracciato di slancio dal figlio.
 
 
***
 
 
Stiles guardò attentamente il diario che teneva fra le mani. Lo aveva letto tutto. Tre volte. Scoprire quella mattina di essere fidanzato, ma specialmente di essere amato da qualcuno era stato strano; leggerlo e venirlo a sapere da se stesso con fatti estranei a tutti meno che a lui e all’altra persona Derek era stato decisamente sconvolgente. Gli dava un certo stato di conforto sapere che gli altri Stiles aveva provato la sua stessa sensazione; era anche piacevole notare come ognungo di loro avesse sperimentato esperienze diverse, ma alla fine convergessero tutte nell’unica soluzione possibile: quanto fosse irrimediabilmente innamorato di questo Derek Hale. Sorrise malinconico, quando riaprì per l’ennesima volta l’ultima nota che aveva scritto e che risaliva a due giorni prima.


Ciao, Stiles

Perdona la calligrafia pessima, ma sto scrivendo velocemente prima che possa ripensarci -o peggio, dimenticare. Da quanto ho capito non è stata una novità degli ultimi giorni, ma scrivere qui sopra -su questo coso che mi rifiuto di chiamare diario per questione puramente d’orgoglio; almeno questo me lo devi concedere- non è stato facile ultimamente, però una cosa l’ho capita: c’è un problema.

E non sto parlando del branco che voleva uccidermi e che ha quasi fatto fuori il branco o del capo di Scott che adesso mi mette davvero paura, ma di qualcosa di più importante e che non riguarda noi (io, te e tutti gli altri Stiles, si intende. Dio che cosa assurda, non avrei mai pensato di poter scrivere una cosa del genere… ma sto divagando. Però è strano, lo devi ammettere!).

Oggi, particolarmente, ho provato una paura così forte, che sarebbe meglio definirla terrore e ciò che mi ha sconvolto non è stato tanto per chi la provavo, ma cosa provavo.
È difficile da spiegare e cercherò di essere il più chiaro possibile. Lo so, l’ho capito ormai, l’ho accettato: sono innamorato di Derek. Credo e sento che ci sia sotto qualcosa di più, qualcosa che gli altri non hanno avuto modo di dirmi, ma che ritengo non sarebbero comunque in grado di spiegarmi bene. Ho solo letto vagamente in qualche pagina precedente che tra noi c’è una sorta di legame, Derek ha detto che siamo Compagni, e anche se non riesco bene a comprendere credo sia la definizione che forse sto cercando.

Ma non è questo il problema, o forse invece sì.

Quello che sto cercando di dirti è che non mi mette paura sapere di provare quello che provo per lui, ma il provarlo. Dio mio, quanto è difficile. Io amo Derek e lui ama me, siamo Compagni e questo significa che il dolore che ho provato io nel vederlo ferito, la paura, il terrore nel vederlo svenire in quel modo, ma soprattutto il desiderio di voler prendere tutte le sue sofferenze e metterle sulle mie spalle… lo prova anche lui. E me l’ha dimostrato, nel modo peggiore per qualcuno che ama.
Mi ha messo al primo posto, di nuovo, a discapito ok, forse non della sua vita in quel frangente, perchè sarebbe guarito in ogni caso, ma sicuramente a discapito di se stesso. E so che questa cosa capiterà di nuovo. Quello che voglio dire è che così come io darei la vita per lui, Derek farebbe lo stesso per me. Ma la differenza sta quando lui potrebbe rischiare, e rischia, praticamente sempre. Sembra avere i paraocchi quando si tratta di me. È cieco e questa cosa è troppo pericolosa per permetterla ancora.

Ho intenzione prendermi un giorno di ‘pausa’. So che quello che ho visto oggi, con Derek e tutti gli altri, mi ha scosso particolarmente. Non sono così sciocco da prendere decisioni su due piedi e forse a mente -letteralmente- fresca, vedrò le cose in modo diverso. Forse ci sarà una soluzione migliore, forse tutto si risolverà per il meglio, ma se così non dovesse essere… la scelta difficile dovrò prenderla io. Toccherà a me decidere di-

E lì Stiles chiuse il diario di colpo, non riuscendo a procedere. Più ci pensava e analizzava la situazione e più la soluzione gli sembrava una e una soltanto. Una lacrima scappò al suo controllo e si sorprese nel sentirla solcargli il viso.
 
 
***
 
 
“Derek…”

L’Alpha si voltò di scatto a quella voce. “Stiles! Cosa ci fai qui? Tuo padre…”

Il ragazzo si guardò intorno spaesato. Aveva visto foto di se stesso nei pressi di quella villa diroccata, ma non la ricordava. “Avevo bisogno di vederti.”

Lo sguardo del mannaro si assottigliò, avendo captato una nota d’allarme nella voce del ragazzo. “Certo.” gli rispose, facendolo allontanare dalla zona d’allenamente, dove gli altri si stavano allenando, e soprattutto da orecchie indiscrete. “Cos’hai lì?” gli domandò poi, indicando col mento ciò che il ragazzo teneva in mano e lui non riusciva a vedere bene.

“Oh, questo è il mio diario. Lo aggiorno tutte le sere” gli spiegò Stiles, sembrando più rilassato ad essere solo loro due. “Sai, ero particolarmente nervoso all’idea di venire qui ed incontrare la persona che mi fa innamorare di lui ogni giorno.”

“Forse pensavi che non fossi all’altezza del tuo diario?” scherzò Derek, adorando il modo in cui l’altro arrossì.

“No, ero nervoso perché… sono venuto a rompere con te.” rivelò tutto di un fiato con gli occhi lucidi e, prima che Derek potesse interromperlo, continuò “Tu avevi dei piani e una vita prima che… mi accadesse questo. E ora sei impegnato solo a occuparti di me ogni giorno.”

Il mondo di Derek gli crollò addosso, trascinandolo con sé. Non vedeva Stiles da un maledettissimo giorno, dopo che quel ragazzino aveva deciso di fargli quello stupido scherzo di non farsi rivelare niente, e quando aveva riconosciuto la sua voce e lo aveva visto avvicinarsi il suo lupo aveva uggiolato contento. Dire che il suo cuore fosse scoppiato di gioia sarebbe stato solo un eufemismo, ma così come si era riempito di felicità in fretta, altrettanto velocemente era andato in frantumi.  
 
“Cosa stai dicendo?! Non faccio solo questo. Sono un Alpha, mi occupo del Branco!“ lo fermò subito Derek, lanciando una veloce occhiata ai ragazzi, proprio mentre Isaac, troppo occupato a seguire Allison con lo sguardo, scivolava a terra poco gentilmente. “E mi toccherà farlo per un bel po’…”

Stiles, però, scosse la testa. “Derek… io vedo la vita di mio padre e non voglio che succeda anche a te.”

“E cosa vuoi che faccia? Che diventi uno stupido capitolo del tuo diario e quello che è stato è stato?!” sbraitò arrabbiato il moro. Stiles non poteva essere serio. Non poteva star succedendo davvero.

“No…” mormorò il ragazzo, prendendo un profondo respiro “Pensavo di cancellarti completamente, ecco. Come se non fossi mai esistito.”

Quando finalmente ebbe accumulato abbastanza coraggio da alzare lo sguardo, incontrò quello rotto del mannaro. “Perché vuoi farmi questo?” mormorò così piano Derek che Stiles fece fatica a sentirlo, ma lo fece e i suoi occhi si riempirono di lacrime solo di più.

“Perché tu devi capire che non c’è nessun futuro con me! Non vuoi avere un avvenire e… e sposarti e avere… avere una casa tua?” gli urlò con la voce rotta dal pianto.

“Una casa mia? Certo, che la vorrei. Sposarmi, anche!” esclamò Derek, non riuscendo a comprendere il motivo per cui l’altro avesse meditato quell’assurda convinzione.

“E come dovrei fare? Dovrei svegliarmi ogni mattina accanto ad un uomo senza nemmeno sapere com’è successo?” gli chiese amaramente, mentre si asciugava frettolosamente le lacrime che gli solcavano il viso. “Devo cominciare un altro diario dove tu non esisti. Ma prima di farlo… vorrei tanto che tu leggessi quello che ho scritto su di te.”

“Va bene. Lo leggerò, domani, quando avrai dimenticato quest’idea della separazione. D’accordo?” gli rispose a tono Derek e incrociando le braccia al petto, mentre dentro di sé non riusciva a ricordare quando fosse mai stato più terrorizzato come in quel preciso momento.

“Non credo che me ne dimenticherò. Ho già scritto tutto per non dimenticare e… farò quello che ti ho detto, che tu lo voglia o no!” disse alla fine Stiles con voce rotta, ma sicura. “Mi trovi a casa mia…”
 
 
***
 
 
“Ok, questo ce lo scriviamo: Ciao, Stiles! Sono Stiles! Divertente eh? Io che scrivo diari. Beh, lasciati dire che non fare nulla è l’unica altra alternativa e fa davvero schifo. Sono sicuro che in questo momento ti starai scervellando per ricordare quando hai iniziato questo diario…” iniziò a dettare Stiles divertito. “Oggi -come ogni mattina a quanto pare- mi sono svegliato, sono sceso di sotto, ho avuto diversi infarti alla vista di un po’ di estranei nel mio salotto, due quando ho visto Jackson e poi è stato un susseguirsi di scoperte, quindi mi pare del tutto normale.”

“Sono rimasti tutti fuori questa notte a fare ricerche. Ho paura. Il che è assurdo, perché molti di loro non li conosco neanche, ma sono terribilmente preoccupato per tutti loro. Dio, sono persino in ansia per Jackson al piano di sotto che questa notte non dormirà per fare la guardia.”

Derek non aveva fatto altro che scuotere la testa, divertito. Il mondo raccontato da Stiles era molto più schietto e semplice di quanto non sembrasse in realtà. Derek quasi si pentì di aver messo nella stessa frase lo Stilinski e l’aggettivo semplice. No, decisamente il suo Compagno non era semplice e con lui tutto ciò che pensava.

“Siamo andati con Derek- ok, no. Ferma.” lo bloccò Stiles dal continuare a digitare sul computer. Non lo guardò negli occhi mentre disse: “Cambialo con Sono andato con papà dal dottor Deaton, il capo di Scott. È un veterinario, ma anche un druido. È un uomo inquietante, non è vero? Comunque dopo siamo tornati subito a casa. Papà ha detto che negli ultimi giorni ho mangiato troppo gelato, uff.”


Derek strinse i denti, violentandosi per non commentare. Era l’unica cosa che aveva promesso a Stiles, il non provare a convincerlo.
Lasciò cadere un attimo l’occhio sul diario del ragazzo, scorgendoci poco più avanti il proprio nome. “Ah, qui c’è una cosa su di me.”

“Forse è meglio…” iniziò Stiles facendo già per strappare il foglio, tutto rosso in viso.

“No, voglio sapere.” insistette però il moro. Il più piccolo ingoiò a vuoto, nervoso, ma avvicinò il diario, affinché l’altro potesse leggere.

“È un bravo ragazzo. Forse sei spaventato, sicuramente non ci starai capendo nulla, ma lo so che senti quello che sento io: questa sensazione di protezione ogni volta che lui è vicino, quella tenerezza improvvisa che ti assale quando lo ved-”

“E può bastare!” si intromise Stiles imbarazzatissimo, togliendo da sotto agli occhi del mannaro la pagina prima che potesse proseguire oltre.

… sorridere appena o distogliere lo sguardo appena ti volti e credendo che tu non l’hai visto, terminò mentalmente l’umano lasciandosi sfuggire un sorriso. Aveva letto quella pagina così tante volte quella mattina da saperla a memoria.

“Sei sicuro che non vuoi che lo metta qui dentro?” gli domandò Derek, sperando in un cambio d’idea da parte del Compagno, ma Stiles in tutta risposta strappò la pagina, guardandola triste, prima di tornare a sfogliare il restante diario.

“Questo si può decisamente saltare…” mormorò imbarazzato ad un certo punto, ma Derek lo bloccò prima che potesse anche solo provarci.

“No, aspetta fammelo leggere. Domani io non ricorderò nulla, non ricorderò del pranzo di questa mattina, né del fatto che Peter, lo zio psicolabile di Derek, ci provi da tempo con mio padre!! … ok questo lo strappiamo!” concordò alla fine il mannaro, storcendo il naso nello stesso istante in cui l’altro fece una smorfia disgustata.

Stiles si fermò un attimo a guardarlo nostalgico. Gesù, quanto gli sarebbe mancato il suo viso… ma doveva farlo. Per lui, per Derek. Avrebbe sofferto, ma poi sarebbe andata meglio.
Una lacrima sfuggì al suo controllo e fu svelto ad asciugarla prima che l’altro la notasse, tornando veloce a dettargli cosa scrivere al computer.
 
 
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Quella fu l’ultima parola che stamparono.
 
 
***
 
 
“Beh, questo è quanto.” mormorò monocorde Derek, prima di dargli le spalle e allontanarsi, non sopportando la vista di tutte quelle pagine riguardanti lui e Stiles, bruciare.  

Il fuoco aveva distrutto per la seconda volta tutto quello che amava.

“Derek, aspetta!” lo richiamò il ragazzo all’ultimo. Sembrò esitare quando lanciò un’ultima occhiata al secchio contenente il fuoco alimentato dalle pagine del suo diario strappate, ma quando alzò gli occhi, il suo sguardo era sicuro. “Posso avere un ultimo primo bacio?”

Ci aveva sperato. Era assurdo, impensabile, ma ci aveva sperato. Derek aveva sperato che Stiles ci ripensasse, che decidesse di lasciar perdere quell’assurda idea che lui non era riuscito a smuovergli dalla testa. Ci aveva sperato e per questo era morto dentro, di nuovo.

Derek lo guardò attraverso la pioggia con uno sguardo così triste, che alla fine Stiles non resistette più e gli corse incontro, prendendogli il viso tra le mani e congiungendo le loro labbra con violenza.

Derek sovrappose le sue mani a quelle di Stiles, rispondendo al bacio con quanta più passione e dolcezza e amore potesse metterci, sperando di imprimere nella memoria del ragazzo almeno quello, prima di staccarsi di colpo ed entrare svelto in auto, mettendo in moto e allontanandosi senza guarda indietro, senza guardare dove il suo cuore era stato distrutto, dove era stato bruciato per l’ennesima volta. 










Note dell'autrice.
Eccoci ritrovati! Al momento mi trovo morente da tre giorni e nonostante tutto sto pensando a voi e sto aggiornando: amatemi.

Ma passando al capitolo…
Questo è un capitolo importantissimo. Stravolge completamente la direzione finalmente di pace e tranquillità che sembrava aver preso la storia, ma Stiles è sicuro della sua scelta. La meditava da tanto, ma non si rivelava mai il momento giusto per pensarci davvero. Adesso che però tutto è stato risolto, ha deciso che lasciare Derek fosse la scelta migliore. Secondo Stiles, il mannaro non è in grado di occuparsi anche di se stesso se lui continuerà a stargli vicino.

Essendo, poi, questa storia ispirata al film, ho cercato di essergli il più fedele possibile, persino nei dialoghi, ma a differenza di Henry (Di 50 volte il primo bacio) -che a mio parere ha preso la decisione di Lucy piuttosto bene- io ho preferito vederla invece come se Derek fosse talmente sconvolto dalla situazione, preso in contropiede da un’idea che non lo aveva mai neanche sfiorato, da non essere stato in grado di obbiettare. Cosa fare del resto quando la persona che ami prende la decisione di lasciarti, con o senza il tuo permesso? L'unica cosa che puoi fare è indorare la pillola e sperare che cambi idea.

i è dispiaciuto davvero tanto per Derek: dopo tutto quello che hanno passato, dopo essere riuscito finalmente a riprendersi il suo Stiles, dopo aver sventato il piano di Deaton e aver sconfitto il branco che li minacciava, la ferita più dolorosa gli viene inflitta proprio dal suo Compagno.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Ora tocca vedere se Derek rispetterà davvero la decisione di Stiles ;) 
 

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


7-23 Maggio

Derek sapeva che non ce l’avrebbe mai fatta.

Erano passate poco più di due settimane e mentre Stiles era andato avanti con la sua vita, quella di Derek si era irrimediabilmente fermata a quel bacio sotto la pioggia.

Quando Derek lo aveva rivisto, il suo cuore aveva perso un battito.
Era seduto insieme ad Erica al tavolo di una sconosciuta tavola calda nella periferia di Beacon Hills, scelta appositamente perché più distante dai locali che frequentava solitamente Stiles, quando la campanella sopra la porta era tintinnata e il figlio dello sceriffo aveva fatto il suo ingresso. La testa del mannaro era scattata immediatamente in alto, mentre tutto il suo corpo si era irrigidito. Preso dal panico aveva buttato sul tavolo sicuramente più soldi di quanto la pizza costasse ed era uscito di corsa in strada.

“Derek, devi provare ad andare avanti.” aveva provato a consolarlo Erica una volta tornati al loft, ma lui non aveva potuto far altro che voltarsi dall’altra parte e allontanarsi dalla mannara, sentendosi tradito. Proprio lei, che aveva trovato in Boyd il suo compagno, avrebbe dovuto capire: semplicemente certe volte non si può andare avanti.


 

***



Fuori villa Hale, Derek stava guardando i suoi Beta lamentarsi di essere stanchi ed era pronto a minacciarli di riprendere ad allenarsi o se la sarebbero dovuta vedere con lui, quando gli riaffiorò alla mente quel giorno in cui il branco si stava lamentando per gli stessi motivi e Stiles era arrivato con pacchi e pacchetti di caramelle, perché ‘ci vuole un po’ di dolcezza nella vita’.
L’Alpha sospirò, passandosi frustrato una mano sul viso. Voleva trasformarsi e correre via nella riserva, ma non credeva che sarebbe mai riuscito neanche a passare per il bosco senza ricordarsi di quante volte vi si erano nascosti lui e Stiles per poter stare lontani da orecchie indiscrete e finalmente soli. Loro due e nessun altro, loro due contro tutto e tutti, insieme, per sempre.

Ovunque guardasse ogni cosa gli parlava di Stiles e stava diventando matto a cercare di far finta di niente.


 

***



Non credeva di essere in grado di proseguire e non fermarlo se l’avesse visto. Semplicemente sentiva l’istinto spingerlo a parlarci, crearci almeno un minimo contatto: uno sfiorarsi di spalle, un incrociarsi di sguardi di qualche secondo… Derek non credeva di essere in grado di non farlo ed infatti così era stato, ma Scott glielo aveva sempre impedito, fermandolo prima che potesse andare ancora più in pezzi dopo che avesse ricevuto la più completa indifferenza da parte dell’umano. Perché Derek sapeva che avrebbe fatto male, ma non poteva impedirselo…  purtroppo per lui Scott non era sempre arrivato in tempo.

La prima volta che era successo, Derek era sicuro che non sarebbe riuscito a sopportarlo. Il dolore che aveva provato era stato troppo grande.

Per una pura coincidenza un giorno si era ritrovato al supermercato nella stessa corsia di Stiles. Il ragazzo era assorto nel leggere la lista che teneva in mano e fortunatamente non si era accorto del pacco di verdura surgelata lacerato dagli artigli di Derek, nel vano tentativo di farsi violenza e non parlargli. Sarebbe bastato così poco, bastava salutarlo fingendosi un amico dimenticato; ma poi Stiles lo avrebbe scritto sul suo diario -quello dove lui non c’era- o peggio ancora avrebbe iniziato a fare domande al branco e questo Derek non poteva permetterlo.

Però non riuscì né volle impedirsi di alzare lo sguardo per incontrare quello dell’umano. Non fece mai scelta peggiore: Stiles aveva sollevato lo sguardo dalla propria lista un istante dopo, ma Derek non l’aveva neanche visto, sorpassandolo invece per prendere una busta di spinaci di fianco a lui, esattamente alla sua sinistra.


 

***
 


Più passavano i giorni e più Derek semplicemente non pensava di poter passare anche solo una volta senza assicurarsi che Stiles arrivasse sano e salvo a scuola -o a casa; così lo seguiva dal bosco, passo passo, finchè non lo sapeva al sicuro.

“Ti stai uccidendo.”

Derek aveva fatto una smorfia disinteressata. Aveva sentito Malia avvicinarsi e la stava aspettando. La mannara gli si era avvicinata, prendendo a guardare il suo soggetto: Stiles.

“Da quanto lo segui?”

“Da quanto te ne sei accorta?” chiese invece lui, senza distogliere mai lo sguardo.

“Erano un paio di giorni che avevo una strana sensazione quando accompagnavo Stiles a scuola.”

“Gli altri?”

“Non credo proprio che se ne siano accorti.” borbottò la ragazza, incredula che Derek riuscisse a spiare Stiles senza che nessuno se ne accorgesse. Dubitava che fosse una cosa recente. “Perché lo fai?”

Solo quando la prima campanella suonò e Stiles entrò nell’istituto, il moro si permise di guardarla per la prima volta da quando era arrivata. “Tu perché lo accompagni a scuola?”

“Perché ha bisogno di un passaggio. La sua Jeep è in riparazione.” rispose atona Malia, sebbene entrambi sapessero che fosse per proteggerlo.

“Allora vedila come se fossi il passaggio di scorta qualora si rompesse anche la tua auto.” disse Derek, incamminandosi nel folto della riserva: ormai Stiles era al sicuro, sarebbe tornato all’ora d’uscita. Malia lo lasciò andare, senza dire nulla.
Non ne avrebbe parlato agli altri, perché non voleva mettere in ridicolo suo cugino per qualcosa che tanto non sarebbe cambiata... in più gli sembrava di aver colto una velata minaccia; ma non era ancora brava a capire il linguaggio degli umani, Stiles glielo stava ancora insegnando.



***



Derek non aveva ancora compreso le ragioni che avevano spinto l’umano a fare quello che aveva fatto, ma quando era tornato a casa quella sera stessa, dopo avergli detto addio, aveva trovato dentro di sè la consapevolezza che non lo avrebbe mai forzato in un rapporto che l’altro non voleva.

Non erano mancate le liti con suo zio, che lo invitava a riprendersi il suo Compagno o quanto meno a dirgli come stavano le cose, a spiegargli meglio in cosa comportasse il legame, cosa di cui Stiles non sapeva nulla e che avrebbe potuto cambiare tutto! Derek, però, era stato categorico: se c’era una cosa certa nella sua vita in quel momento, era che non voleva che Stiles stesse con lui per dovere. Stiles lo avrebbe dovuto volere, desiderare e se così non fosse stato allora avrebbe stretto i denti e continuato a fare come stava facendo.

“Soffrire come un cane. Ecco cosa stai facendo!” gli aveva urlato contro Peter.

“Sto rispettando i suoi spazzi, non deve piacermi per forza.” aveva ribattuto, guardandolo male. L’ex-Alpha aveva sospirato stanco, passandosi una mano sul viso.

“So che pensi di star facendo la cosa giusta rispettando quello che ti ha chiesto di fare, ma… ma se solo lui sapesse-”

“Se solo lui sapesse si sentirebbe in colpa e in dovere nei miei confronti! E questo è qualcosa che non posso sopportare!”
Andarsene e iniziare a correre nella riserva era stata una conseguenza naturale.



***



“Non ce la faccio, Noah.” Però aveva mormorato una sera, disperato davanti la porta di casa Stilinski, la pioggia che batteva forte alle sue spalle. Lo sceriffo lo aveva guardato, distrutto quanto lui; ma non aveva potuto far altro che mandarlo a casa con un mormorato “Devi farlo, Derek.”


 

***



“Scott, ho bisogno di parlarti.”

Il mannaro strabuzzò gli occhi: un attimo prima stavano giocando tranquilli alla playstation e ora Stiles si stava torturando le mani, mentre si mordicchiava nervoso le labbra. C’era decisamente qualcosa che non andava. “Va bene, Stiles. Parliamo.”


 

“Giura!”

“Stiles, ma pensi davvero che ti mentirei?!”

“Giura.” ripetè deciso il ragazzo.

Scott sbuffò, ancora incredulo. “Okok. Giuro che non ti mentirò. Va bene così?”

Stiles fece un cenno secco con la testa prima di sganciare la bomba. “Ci sono problemi nel branco a causa mia. È vero?”

Il messicano quasi si strozzò con la sua stessa saliva. “COSA?! Ma come ti salta in men-” aveva iniziato, prima di ricevere un’occhiataccia.

“Hai promesso, Scott.”

Era assurdo, tutto quello era assurdo. Come diavolo faceva Stiles a saperlo?

“Chi te l’ha detto?”

“Cosa?”

“Chi te l’ha detto. Qualcuno deve avertelo detto e io voglio sapere chi.” si impuntò il mannaro, pensando già a Malia: quella ragazza a volte parlava senza rendersene conto.

“Cosa? No, Scott, sei fuori strada! Nessuno mi ha detto niente, dico davvero.” lo frenò invece subito Stiles. “È solo che ultimamente mi sono accorto di alcuni comportamenti strani e… e ho visto che sono ripetuti o quantomeno frequenti nell’ultimo periodo. Perciò ho iniziato a registrare quello che succedeva e sono piuttosto sicuro che essere quasi picchiato da Jackson a scuola non sia esattamente una buona cosa.”
Scott questa volta rischiò davvero e fu costretto a battersi un pugno sul petto per riprendersi. “Come…”

“Ho iniziato a chiedere in giro e Greenberg era stato messo in punizione da coach quel giorno. Ha visto tutto.” gli spiegò Stiles “Ma non ha sentito nulla.”

Scott non fece in tempo a trarre un sospiro di sollievo che Stiles continuò. “Quindi ora voglio sapere da te perché ho rischiato di essere picchiato da Jackson. E perché nessuno del branco è intervenuto.”

“Stiles…”

“No. Voglio saperlo. Ho bisogno di saperlo.”  

Stiles lo vide affrontare una guerra interna, ma alla fine cedette.

“Vedi Stiles, tu hai… dio… tu hai fatto una scelta. Hai preso una decisione in realtà.” Si passò nervoso una mano sulla bocca. Doveva essere qualcosa di grave, pensò Stiles, visto come l’altro evitava di guardarlo negli occhi. “E questa scelta non è stata condivisa da tutti, ecco. Non… non posso dirti di più.” lo interruppe prima ancora che potesse chiedere oltre

“Perché sei stato tu stesso a non voler sapere, a voler dimenticare. Io non ti dico di condividere, ma… ma ti appoggio: so quanto è stata dura per te fare quello che hai fatto e so che ci hai pensato molto. Credevi fosse la scelta migliore e hai fatto bene a fidarti del tuo istinto, ma… ma non tutti hanno accettato la… cosa, insomma.”

Stiles aveva abbassato lo sguardo, pensieroso. “Quindi è per quello che ho fatto che il branco si sta disgregando?”

“Cosa?! No! Il branco non si sta disgregando, non sta succedendo niente del genere!” esclamò Scott, risvegliandosi dall’imbarazzo di poco prima.

“Allora mi stanno ostracizzando.” si corresse con una naturalezza disarmante Stiles.

“CHE?!”

“Sì, voglio dire: se sono tutti d’accordo nel pensare che abbia fatto una scelta sbagliata e Jackson non è riuscito nel suo intento solo perché sei arrivato tu…”

“Ma non tutti hanno partecipato! A dir la verità l’unico è stato Jackson, ma lo sai com’è fatto.”

“E Lydia.”

“… sì, ma solo loro! Gli altri non- gli altri non…”

“Ma non l’hanno impedito.” mormorò Stiles, non c’era condanna nella sua voce “Non lo stavano impedendo e questo perché in realtà erano d’accordo. Scott, senti: Jackson non è stato l’unico. So di Boyd, ok? So che ha smesso di parlarmi, completamente. E non sarebbe poi molto se Lydia non avesse preso ad evitarmi, pur di non lanciarmi frecciatine… o Isaac, se non avesse litigato con Allison quando a pranzo invece che sedersi con noi è andato avanti. E papà! Dio, Scott, è distrutto! E questi non sono atteggiamenti felici e normali. Non lo sono. E io… ho capito di essere io il problema, da qualche tempo.”

Scott era senza parole. Non credeva possibile che Stiles potesse essere riuscito a notare tutto questo, e con il suo problema poi! Ma qualche tempo…

“Da quanto? Da quanto lo sai?”

Stiles si mordicchiò il labbro superiore, temporeggiando. “… una settimana…” disse tutto d’un fiato.

Ok, no. Quello era decisamente troppo.

“Sette giorni che credi che il tuo branco ti odi e non mi hai detto nulla?! Perché?”

Stiles si alzò in piedi, prendendo a camminare per la stanza mentre Scott lo guardava sconvolto dalla sedia alla scrivania.

“Perché… perché speravo di sbagliarmi! Speravo che non fosse colpa mia, che non avessi creato l’ennesimo casino e-” urlò e si mise le mani nei capelli, incominciando a tirare.

“Ehi ehi ehi! Fermo! Ti farai male così.” lo fermò Scott, correndo a bloccargli i polsi. Quando Stiles alzò finalmente lo sguardo, gli occhi erano pieni di lacrime non ancora versate.

“Sono stanco, Scott.” mormorò, lasciandosi cadere contro il muro. “Sono stanco di creare sempre problemi. A te, a papà, al branco… Sono semplicemente stanco e sarà egoistico, ma non voglio vivere la mia vita con persone che mi odiano.”

Scott era pronto ad obbiettare, aveva aperto la bocca, le parole erano lì. Non era difficile, doveva solo dirgli che si sbagliava, che nessuno lo odiava, che sarebbe stato solo un momento e che tutto si sarebbe sistemato, ma… Stiles aveva ragione. Stiles aveva ragione e lui non poteva mentirgli.

Così scosse la testa, aprendosi in un sorriso mentre gli occhi erano tristi.

“No, non è egoistico. È giusto. Non te lo meriti, non ti meriti tutto questo e sono con te. Avanti! Dimmi a cosa avevi pensato.”

Per la prima volta in quella serata fu Stiles a rimanere sorpreso. Scott aveva capito, Scott aveva capito che la sua decisione lui l’aveva già presa e soprattutto l’aveva accettata.

“Mi sono informato e… esistono delle cliniche specializzate, in perdita della memoria.”

Scott trattenne il fiato, ma si sforzò di rimanere calmo, per Stiles.

“Io voglio andarci, Scott. Voglio andare in una clinica specializzata.”










Note dell’autrice.

Miraggio! O miracolo.

Non avete idea di quanto sia stato stressante questo capitolo. Purtoppo il momento per l’aggiornamento si era prolungato poco oltre le due settimane e quando vado ad aggiornare non mi si rompe forse il computer? Per tre settimane è stato in riparazione per poi tornare… senza aver risolto nulla –ovviamente. Come sfortuna comanda. E per di più con il capitolo completamente cancellato!
Senza contare il sito che mi ha fatto letteralmente impazzire, tornandomi sempre all’inizio durante la rilettura. Quindi prendetevi quello che è uscito e abbiate pietà.

Ma sorvolando sulle peripezie di questo capitolo…

Derek sta soffrendo, e tanto. Ci prova, ma non sempre riesce a mantenere la promessa che ha fatto a Stiles.
Il branco d’altro canto non è d’accordo con l’umano e paradossalmente l’ha presa peggio del suo Alpha. Aaaah, i cuccioli, quelli emotivi.

E giungiamo infine a Stiles che pare averci preso gusto a fare grandi rivelazioni. Lo so che può sembrare un clichè, ma non ci posso far niente; giuro però che se tutto va come previsto dovrebbe essere l’ultimo finale in sospeso ;)

Questo capitolo non è uno dei miei preferiti, o meglio, tutto quello che è successo per poterlo pubblicare ha influito; era nato in modo diverso, ma spero che possa essere arrivato anche così. Ho provato a rendere il dolore di Derek nelle piccole cose, quelle quotidiane che lo accompagnano sempre e al contempo a far capire le piccole crepe nel branco (ma sulla riuscita di questo ho qualche dubbio).

Fatemi sapere cosa ne pensate, perché in questo periodo mi serve tanto e perché non vi sento da un po’ ;)

A presto! Si spera ;*


 

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


27 Maggio


“Promettimi che avrai cura di te.” gli ripetè per l’ennesima volta Lydia con le lacrime agli occhi. “Promettimelo!”

Stiles le sorrise sornione. “Vado in una clinica proprio perché qualcuno si prenda cura di me, Lydia.”

La rossa fece un’esclamazione indignata e lo colpì al petto con entrambe le mani, ma poi ci ripensò e lo abbracciò di slancio. “Perdonami, Stiles. Io non… io non volevo. Ti prego…”

Da quando aveva parlato a Scott della sua idea e insieme al padre l’avevano resa realtà, le parole che aveva ricevuto di più dal branco erano state Scusa e Perdonami, ma lui non portava rancore, a nessuno! Secondo Scott, dichiarando la sua partenza, aveva fatto aprire gli occhi ai ragazzi, che inevitabilmente si erano sentiti in colpa.
Che avesse preso quella decisione anche per tutti i loro comportamenti a Stiles non importava: era la scelta giusta.

“Non hai nulla da farti perdonare.” le mormorò all’orecchio il ragazzo, sincero. Lydia emise un singhiozzo prima di convincersi a lasciarlo andare.

“Stiles.” lo chiamò il genitore dalla macchina, pronto a partire.

Il ragazzo lanciò uno sguardo ai membri del branco che lo guardavano tristi. Ebbe un tentennamento quando vide Melissa sorridergli con gli occhi lucidi. Malia, l’unica che sarebbe venuta con lui insieme a Scott e il padre, gli mise una mano sulla spalla e “Ci penso io.” gli disse prima di avviarsi verso l’auto. Stiles la vide con la coda dell’occhio scambiare due parole con lo sceriffo. Non volendolo far aspettare inutilmente si decise a darsi una mossa, ma poi Melissa aprì le braccia invitandolo a raggiungerla e tutto quello che aveva intorno sparì.

Le corse incontro, abbracciandola di slancio e lasciandosi andare ad un pianto liberatorio contro la sua spalla. Oltre lei, Melissa era stata la cosa più vicina ad una madre che avesse mai avuto e sapere che non l’avrebbe più rivista, se non per qualche visita sporadica, gli fece montare il panico. Aveva già perso una madre, voleva davvero rivivere quell’esperienza?
“Shh, Stiles. Va tutto bene.” gli sussurrò la donna, mentre con una mano gli accarezzava i capelli. “A qualunque cosa tu stia pensando… sappi che sono così fiera di te.”

Stiles sorrise contro la sua spalla, mentre il profumo dei ricci della donna lo circondava. Inspirò profondamente: non voleva dimenticare anche il suo odore.

Quando sciolse l’abbraccio non si guardò indietro. Non voleva mostrarsi debole e non voleva cadere in un altro tentennamento. Sapeva che il branco sarebbe venuto a trovarlo e che Scott stesso avrebbe accompagnato Melissa il più spesso possibile: glielo avevano assicurato quando ne avevano parlato a casa, perciò era inutile esitare ancora.

Salì davanti, mentre Scott e Malia prendevano posto dietro. Poggiò le mani in grembo e le guardò stupito di se stesso: stavano tremando. Aveva un martello al posto del cuore, un attacco di panico imminente e le mani che gli tremavano. Era sbagliato! Lui stava facendo la cosa giusta. Lui stava facendo la cosa giusta!

Le sue mani non dovevano tremare! Non ne avevano alcun diritto!

Stava per andare davvero in iperventilazione, ma poi una mano più grande e callosa si posò sulle sue. La guardò sorpreso, prima di incontrare lo sguardo rassicurante del padre. Lo sceriffo chiuse gli occhi e fece un grande respiro, imitato subito dopo da lui. Stiles si sentì più tranquillo, ma ebbe le forze solo di stirare le labbra in una brutta imitazione di un sorriso.

Fare la cosa giusta non significa sempre felicità.

Appoggiò la tempia al finestrino della macchina. Avrebbe voluto prendere la sua Jeep, ma il padre gli aveva detto sconsolato che non avrebbe retto un viaggio simile. Non che la clinica che avevano scelto fosse lontana: si trovava a poco meno di due ore di macchina. Niente in confronto al college dove sarebbe voluto andare. Niente in confronto ai posti che avrebbe voluto visitare…

Quando il paesaggio iniziò a scorrere come una pellicola sotto ai suoi occhi, qualcosa gli disse di alzare lo sguardo, su, verso il limitare della riserva. Sgranò gli occhi quando ne incontrò altri due, verdi come il bosco dietro di loro.

Quegli occhi erano incredibilmente tristi.

 


***



Benvenuti ad Eichen House diceva l’incisione sulla targa fuori dall’edificio. Era un bel posto quell’Eichen House: era circodata da verde e dava sul mare. Stiles si era subito innamorato di quella vista e Scott dovette aver provato la stessa cosa visto il fischio ammirato che aveva lasciato la sua bocca.

Malia non ne sembrò molto toccata e Stiles credeva di sapere anche perché: la mannara non avrebbe mai apprezzato il posto che lo stava allontanando da lei.

“Signor Stilinski! Salve, sono il Dottor Keats.” si presentò un uomo robusto, ma dal viso gentile, stringendo vigorosamente la mano allo sceriffo. “E tu devi essere Stiles. È un piacere.”

Nonostante la vivacità che a quanto pare lo caratterizzava, il suo sguardo si era appena addolcito quando gli si era rivolto. Stiles si sentì più tranquillo.
Dopo essersi scambiato un veloce cenno con i due mannari alle spalle di Stiles, il dottore li aveva invitati ad incamminarsi in un’ala meno passeggiata dell’edificio.

“Ho avuto modo di studiare le ecografie del tuo cervello, Stiles. Temo non ci siano miglioramenti dall’ultimo controllo che ti ha fatto il medico da cui eri in cura.” lo informò con serio dispiacere. Era però talmente concentrato a parlare di controlli e analisi con Noah, che si perse lo sguardo che si erano scambiati Scott e Malia al riferimento a Deaton. “Ad ogni modo qui ti troverai benissimo, Stiles. Abbiamo molti corsi che potrai frequentare e ti sorprenderai delle cose che puoi fare nonostante le limitazioni alla tua memoria. Del resto, poteva andare peggio.”

Stiles lo guardò scettico. “Sì? E come?”

Il Dr. Keats rallentò affinchè il ragazzo lo raggiungesse. Lo guardò con lo sguardo più serio che Stiles gli avesse mai visto fino ad allora. “È ora che tu conosca Tom dieci secondi.” 


 

***



“L’istituto Eichen è la miglior clinica neurotramautologica del bacino del Pacifico!” stava dicendo il dottore, mentre faceva attraversare loro un’ampia sala gremita di gente. Le persone erano molte, ma l’ambiente continuava ad apparire fresco e aperto.

“Siamo finanziati da un Filantropo dell’Ohio: T. B. Eichen, il magnate delle componenti automobilistiche.”

Lo sguardo di Stiles cadde su un gruppo di ragazzi intenti a parlare e scherzare fra loro mentre si cimentavano con la pittura: qualcuno era molto bravo, qualcun altro invece…

“E ora, signore e signori, vorrei presentarvi il nostro caso clinico più importante: Tom.” annunciò l’uomo, fecendoli entrare in una stanza più appartata.

Tom non doveva avere più di una trentacinquina d’anni e stava maneggiando un cubo per bambini, come quelli di legno dove si devono inserire gli oggetti nella forma giusta; appena li vide si alzò.

“Ciao, sono Tom.” disse tendendo la mano a Scott educatamente.

“Scott.”

“Noah.”

“Malia.”

“Stiles.”

“Ciao. Oh carini quegli anfibi. Dove li hai presi?” disse l’uomo, guardando gli stivaletti di Malia.

“Oh. Li ho presi al nego-” rispose sorpresa la mannara, ma Tom si era già distratto e stava guardando Scott.

“Ciao, sono Tom.” si ripresentò con un sorriso.

Scott lo guardò confuso. “Eh? Ah, Scott…”

“Salve.” salutò l’altro, mentre tendeva già la mano al prossimo.

“… Noah.” si ripresentò lo sceriffo confuso quanto Scott, seguito subito dopo da Malia e il figlio.

“Tom ha perso parte del cervello in un incidente di caccia. La sua memoria dura solo dieci secondi.” spiegò loro il medico, incurante dell’occhiata orripilata che Tom gli aveva lanciato.

“Ho avuto un incidente? Ma è terribile!”

“Non ci pensare. Te ne scorderai completamente in tre secondi.”

“Scordarmi?! Insomma che è successo? Mi hanno sparato al cervello, io…” aveva iniziato a straparlare, prima che il suo sguardo si facesse vacuo per un attimo e ritornasse poi, ma con una luce nuova. “Ciao, sono Tom.”

Stiles gli fece un grande sorriso, provando a nascondere quello che pensava realmente. “Ciao, sono Stiles.”

“Ciao.”

“Ciao, Malia…” fece la ragazza, avvicinandosi inconsciamente allo sceriffo.

“Noah.”

“Ehi, Tom, ti posso dire un segreto?” lo richiamò Stiles, con un’idea in testa.

“Oh, certo.” concesse l’uomo, avvicinandoglisi. Stiles gli bisbigliò qualcosa all’orecchio talmente a bassa voce che neanche i due mannari riuscirono a sentirlo. Quando l’umano ebbe finito di parlare, Tom scoppiò a ridere e poi si rivolse a Malia. “Non sei un po’ cresciuta per scegliere ancora le scarpe con qualcuno?”

Tutti si lasciarono andare ad una risata genuina. Sicuramente servì a smorzare la tensione che si era creata.

“Ciao, sono Tom.” si presentò di nuovo Tom a Malia, ma questa volta la ragazzo lo guardò male, ringhiando appena.

“Malia!” la richiamò lo sceriffo. Quei ragazzini lo avrebbero fatto impazzire.
 



***



Un mese  dopo…

Derek posò con forza la valigia sul nastro trasportatore e lanciò un’occhiata di sfida alla signora dietro di lui che, per tutto il tempo necessario per fare la fila, aveva guardato dubbiosa il suo bagaglio a mano.

“Questa va bene, signore. Non serve metterla in stiva se non vuole.”

Il mannaro alzò la testa trionfante e sorrise alla donna dietro al bancone, mentre poteva sentire l’ondata di irritazione provenire dalla signora alle sue spalle. Quando l’avrebbe raccontato a Cora la sorella si sarebbe messa a ridere e sicuramente avrebbe criticato il suo bagaglio; ma non era colpa sua se in tutti quegli anni non gli era servita più di qualche maglietta! Tutto ciò che aveva era entrato in una sola valigia e lui l’aveva guardata scettico, lì sul letto appena dopo averla chiusa, prima di rabbuiarsi: c’erano magliette che non metteva da tempo e altre che gli sembrava di non aver portato.

Un senso di vuoto si era fatto spazio in lui quando aveva realizzato che la maggior parte delle sue cose, quelle che utilizzava di più, quelle che gli sembrava di aver dimenticato, erano quelle che gli aveva regalato Stiles nel corso degli anni. Accanto alla valigia c’era un borsone più grande. Sospirò e si passò una mano sul viso nervoso.

Senza accorgersene aveva diviso le cose che possedeva in prima e dopo Stiles. Lo shampoo neutro nella valigia e quello al muschio nel borsone, le sue prime giacche di pelle nella prima e quella nuova che gli aveva regalato Stiles per lo scorso Natale nella seconda, i suoi jeans semplici e le sue magliette scolorite da una parte e i pantaloni attillati che tanto piacevano al ragazzino perché ‘quel ben di Dio va condiviso, Der' dall’altra. 

Gridò per la frustrazione e lanciò contro il muro la prima cosa che gli capitò sotto mano.

La lampada si frantumò sul colpo, sparpagliando i suoi pezzi in giro per la stanza. Derek li guardò atono: avrebbe fatto venire qualcuno a pulire. Afferrò svelto la valigia ed uscì, lasciando sul letto il borsone con tutto quello che gli ricordava Stiles. Sapeva che avrebbe ceduto presto e che se lo sarebbe fatto mandare da uno dei ragazzi, ma proprio non ce la faceva a portarlo con sé.


Una voce annunciò agli altoparlanti che l’aereo per New York della mattina avrebbe aperto il chek-in a breve.
Per Derek non fu un problema passare l’esame e raggiungere svelto la zona per l’imbarco. Fuori dalla finestra gli aerei atterravano e decollavano. Sbuffò al pensiero che somigliava tanto al suo branco: molti si erano uniti a loro con il tempo, alcuni erano partiti per brevi periodi, ma alla fine erano sempre tornati.

Il branco non aveva preso particolarmente bene la sua partenza, ma se ne erano dovuti fare una ragione in fretta: aveva già comprato il biglietto e sarebbe partito con o senza la loro approvazione. Scott sarebbe stato il suo vice e se ci fosse stato qualche problema sarebbe tornato con il primo aereo disponibile; in ogni caso sarebbe tornato nel giro di qualche mese, cinque al massimo. L’aria di New York, un’aria nuova, gli avrebbe fatto bene… o almeno era quello che sperava.

Lo sceriffo era sicuro che quanto meno rivedere la sorella fosse un buon motivo per andare. Si erano visti prima che Derek partisse, era stato l’ultimo da cui era stato e paradossalmente sentire parlare di Stiles gli aveva come tolto un peso dal petto. Sorrise ripensando a quando si erano salutati e che poco prima l’uomo era scoppiato a ridere, finendo col raccontargli di una stravagante passione che aveva trovato il figlio nell’ultimo periodo: aveva iniziato a scrivere racconti. “Un passatempo bizzarro.”, l’aveva definito lo sceriffo scuotendo la testa divertito “Si è inventato strane piantine viola.  Ah! Si è dato anche all’astronomia: si è fatto comprare un telescopio e non fa altro che studiare qualsiasi cosa passi il tempo a guardare.”

“Mi scusi? È in fila?”

Un uomo lo stava guardando con aria seccata. Derek inarcò un sopracciglio, lanciando prima un’occhiata alla persona avanti a lui e poi a quella dietro, tutti in una chiara fila ordinata. L’uomo, che sembrava avere tutte le intenzioni di voler sorpassare, sembrò rivalutare la situazione quando lo sguardo del mannaro divenne truce.
Certe persone erano davvero assurde. Stiles, che era convinto che in realtà nessuno fosse normale e che proprio i pochi normali al mondo fossero in realtà quelli assurdi, quella avrebbe però concordato con lui. Già, Stiles…

L’idea che adesso scrivesse lo tranquillizzava. Chissà se sarebbe mai riuscito a pubblicare un libro. Sicuramente i suoi scritti sarebbero stati le poche cose che gli sarebbero rimaste, almeno finchè non avrebbe deciso di volerle cancellare dalla sua vita bruciando tutto.

Ingoiò amaro e si impose di fare un respiro profondo per rilassarsi. Non voleva che la rabbia prendesse il sopravvento, anche perché la scelta di Stiles era stata del tutto legittima e per un buon motivo. Aveva riflettutto, infatti, e nell’ultimo periodo era arrivato alla conclusione che doveva esistere un motivo più profondo per ciò che il ragazzo aveva deciso. Stiles ne aveva sofferto, lo aveva visto quando si erano detti addio, ma non aveva voluto notarlo subito.

Sentiva il bisogno di autocommiserarsi e ogni tanto era anche giusto che lo facesse. Stiles aveva provato ad insegnarglielo con il tempo e ci era riuscito solo dopo che fu avvelenato con dello strozzalupo. Il ragazzino si era arrabbiato, minacciandolo di dargli il colpo di grazia, quando lui, per non far preoccupare il branco, aveva finto di stare bene: “Qualche volta va bene essere egoisti”.

Per mesi, ogni qual volta credesse che fosse necessario che lui pensasse un po’ a se stesso, in memoria di quanto successo Stiles gli faceva trovare un po’ ovunque per casa il disegno di una pianta dai fiori viola: strozzalupo.

Se Derek avesse avuto qualcosa in mano in quel momento sarebbe caduto.

Un passatempo bizzarro. Si è inventato strane piantine viola. 

Si è inventato strane piantine viola. 

Strane piantine viola. 


Non poteva essere un caso. Stiles era a conoscenza del mondo sovrannaturale, ma se ne era volutamente tagliato fuori. Non aveva alcun motivo per scriversi dell’esistenza dello strozzalupo. Non aveva alcun motivo, a meno che…

“Si ricorda.” mormorò con lo sguardo sgranato che fissava il vuoto. “Lui si ricorda.”

Le persone in fila non seppero mai dove fosse scappato quel ragazzo dall’aria burbera, ma dal bel viso, ad un passo dal salire sull’aereo. Sicuramente, però, il signore che lo aveva precedentemente disturbato fu ben felice di vederlo andare via: meno fila da dover fare.


 

***



Aveva il fiato corto. Lui, un lupo mannaro ridotto ad un misero fiatone per colpa di due guardie idiote! Aveva sfrecciato in autostrada per oltre tre ore, quasi sicuramente si sarebbe ritrovato una pila di multe a casa infinita, ma non gli importava: era disposto a tutto pur di non sprecare altro tempo; ma invece due dannatissimi uomini della sorveglianza avevano impedito l’accesso alla sua automobile. Inutile dire che si erano ritrovati con una Camaro nera ferma davanti al cancello a bloccare qualsiasi accesso. E adesso, dopo una corsa infinita per la tenuta circostante, si stava lanciando contro l’entrata.

Addocchiò subito le scale alla sua sinistra e fece per salire, ma un infermiere lo bloccò, chiamandolo da dietro il bancone.

“Ehi ehi ehi! Serve aiuto, signore?”

Derek lo guardò scocciato. Sembrava che il mondo si fosse coalizzato contro di lui per fargli perdere tempo. “Si, ho un appuntamento.” si inventò alla fine, sperando di liquidare lì la faccenda.

L’uomo annuì poco convinto. “Come si chiama?”

“Come mi chiamo?” ripetè Derek, colto di sorpresa. Lo sceriffo gli aveva raccontato quanto potesse diventare pericolosa la sicurezza lì alla minima minaccia. Derek non voleva essere una minaccia, perché voleva andare e riprendersi il suo Stiles il prima possibile! Non aveva tempo da perdere, ma non sapeva come uscire da quella situazione. “ Sì, mmh… il mio nome...”

“Dai, se lo è scordato.” sentì sussurrare dall’altro infermiere, quello dall’aria più cretina. “Si accomodi, signore! E tanti auguri per la sua memoria!” seguitò infatti a dire subito dopo.

Derek stirò appena le labbra in una smorfia. Non sapeva se essere grato alla Luna per aver mandato un tale idiota o se essere preoccupato di cosa sarebbe potuto succedere a Stiles con quell’essere di guardia. “Sì… grazie” mormorò prima di riprendere la sua corsa per le scale.

Urlò il nome di Stiles nei corridoi, fregandosene di cosa potessero pensare di lui, e controllò ogni dannatissima stanza, ma dell’umano neanche traccia, finchè una folata di vento non lo investì e lui potè cogliere l’odore del ragazzo.

I suoi occhi si accessero per una frazione di secondo di rosso, dopo un mese di lontananza costretta il suo lupo raschiava dentro di lui per uscire e riprendersi il suo Compagno.

“Stiles Stilinski.” il suo nome gli uscì dalle labbra appena lo vide, lì in piedi davanti a lui. Stiles, sentendosi chiamare, si voltò, bloccandosi alla sua vista.

Derek gli sorrise appena. “Posso farti una domanda?” gli chiese con il cuore che scoppiava di speranza. “Ti ricordi di me?”

Stiles inclinò appena la testa, mentre il suo sguardo sembrava attraversato dalla consapevolezza, ma poi… “No.”

“No…?” Il mondo di Derek gli crollò addosso. Se si concentrava poteva sentire il suo lupo ferito dai pezzi rotti del suo cuore.

Stiles, però, sembrava estraneo al suo turbamento interiore e proseguì per la sua strada. “Come ti chiami?”

“Derek. Mi chiamo Derek.” sospirò il maggiore, provando a controllarsi e ad impedire di lasciarsi andare davanti al ragazzo.

“Derek…” ripetè Stiles, saggiando quel nome.  “Voglio farti vedere una cosa. Vuoi venire con me?”

Il lupo era incredulo: perché Stiles non lo stava cacciando?

“Sì, certo.” rispose prontamente, facendo sorridere imbarazzato l’altro.

Stiles aspettò che lo seguisse prima di apire una porta lì vicino e farlo entrare.

“Ecco, questo è il mio studio.”

Derek non comprese appieno cosa volesse dire l’umano, finchè non entrò in quella stanzetta.

“Wow.”


Alle pareti erano appesi decine e decine di testi, proprio come gli aveva detto Noah. Sfiorò il foglio più vicino a lui. Di lune piene e branchi. Fece scorrere lo sguardo e rimase paralizzato.

Strozzalupo: cinque utilizzi.

Alpha, Beta, Omega.

Licantropi? Come riconoscerli.

Branco di Alpha.

Romeo e Giulietta sovrannaturali?

Incendio a villa…


Derek trattenne il fiato quando giunse all’ultimo titolo. Da lì in poi iniziavano una serie di racconti più specifici, troppo. Un lupo che perde la fidanzata umana; un ragazzo costretto ad uccidere lo zio malvagio; un Beta che diventa un Alpha, pur senza volerlo…

“Questo è il mio preferito…” gli sussurrò Stiles, allungandogli quello che sembrava un disegno ad acquarello. “C’è Rory, una ragazza molto brava a dipingere e-e mi aiuta quando non riesco a scrivere.”

Derek fece passare la punta delle dita su le tre paia di occhi che lo guardavano. Era lui, più giovane, poi ai tempi in cui ancora non si fidava di Scott e infine lui fino a qualche mese fa. Cambiavano gli occhi: dal giallo dorato al celeste elettrico, fino al rosso acceso. Era uno dei disegni più accurato e realistico che avesse mai visto.

“Non lo so chi sei,” lo richiamò Stiles, nervoso “però ti sogno quasi tutte le notti. Perché?"

Il moro rise dal naso, tutta l’agitazione dissolta. “Che penseresti se ti dicessi che quel diario che leggi ogni giorno, un tempo, era pieno di cose che riguardavano me?”

Stiles si aprì in un sorriso. “Penserei che la cosa è molto sensata.”

“Tu tu mi hai cancellato dalla memoria, perché credevi di impedirmi di avere una vita… piena e felice, ma hai fatto uno sbaglio. Vivere con te è l’unico modo che ho di avere una vita piena e felice. Tu sei il mio Compagno, Stiles, e a quanto pare io sono il tuo.” gli rivelò il maggiore, avvicinandoglisi e venendo prontamente imitato.

“Derek, è un piacere conoscerti.”

“Stiles, il piacere è tutto mio.” sorrise l’uomo.

 


***



Deaton stava ricontrollando la scheda di un paziente. Era tardi e Scott se ne era andato a casa già da un paio d’ore; era felice che con il tempo il ragazzo avesse ripreso a concedergli piccole occasioni per ridimersi. Sapeva che non avrebbe ottenuto molto presto la fiducia del branco dopo quello che aveva fatto a Stiles, probabilmente molti non gliel’avrebbero mai concessa: il giovane Hale sarebbe stato uno di quelli, lo aveva messo in chiaro fin da subito, e in memoria di sua madre a Deaton dispiaceva. Si chiedeva cosa avrebbe pensato Talia della sua scelta. Probabilmente avrebbe concordato col figlio…

Il druido era ancora sovrappensiero quando un rumore sordo lo riscosse. Posò cauto la cartella sul tavolo e andò a controllare le gabbie sul retro, ma gli animali dormivano tranquilli. Trasse un sospiro di sollievo e fece per tornare ai suoi appunti quando i suoi occhi iniziarono a lacrimare per una forte nebbia apparsa all’improvviso nel suo studio.

“Amina…”

“Ciao, Alan.”




“Mi spiace di non averti potuto raggiungere prima. Un’inondazione aveva colpito un monastero vicino e i monaci avevano bisogno di aiuto.” si scusò la donna regalandogli uno sguardo pieno di preoccupazione.

“Credevo… credevo che non avessi ricevuto il messaggio.” mormorò sorpreso il druido, ma lei scosse la testa con fermezza.

“Oh no, mi è arrivato solo frammentato. Ho trovato difficoltà a decifrarlo, ma avevo inteso non fosse nulla di immediato. Sai che preferisco non immischiarmi se posso, ma ero consapevole che quella era l’ultima pergamena rimastati e non l’avresti sprecata inutilmente.” 

Deaton era ancora felicemente sconvolto dal suo arrivo. La donna era apparsa nel mezzo dello studio ed era esattamente come se la ricordava: con i suoi lunghi capelli bianchi e i tipici occhi neri degli orientali.
L’ultima volta che l’aveva vista, aveva deciso di ritirarsi in Tibet; il branco a cui faceva da emissario era stato appena ucciso. All’epoca lui era solo un ragazzo e non poteva capire…
La postura rigida della donna gli fece intuire che raggiungerlo fosse stato uno strappo alla regola troppo grande per essere sprecato in tergiversazioni inutili, così si affrettò a raccontarle tutto quanto fosse successo.


“È per questo che ho deciso di rimanerne fuori, Alan. I conflitti non sono mai stati il mio forte.” esordì Amina dopo quasi un’ora di silenzio. Merito della meditazione, immaginava Deaton.

“Anche se era raro che tu ti trovassi in pericolo.” obbiettò il veterinario.

“Sai anche tu che non sono i conflitti fisici il problema.”  gli sorrise lei, andando a posizionarsi con le spalle al muro.

“Puoi aiutarmi?”

Amina si lisciò i semplici pantaloni di lino che indossava, mentre meditava cosa rispondergli. Era sempre stata un personaggio particolare: allevata come un druido aveva scoperto solo più tardi di essere una strega. Era unica nel suo genere, così come il suo branco piuttosto eterogeneo. Assomigliava molto a quello di Scott e Deaton era convinto che se fosse esistito qualcuno capace di conoscere qualunque cosa andasse contro la prassi e la normalità, quella sarebbe stata Amina.

“Sì.”

Deaton trattenne il fiato. Ci aveva sperato, ma non ci aveva creduto fino in fondo.

“Esistette un caso analogo, se non ricordo male. Secoli fa. È più una leggenda che si tramanda nei monasteri tibetani, ma… questo tuo ragazzo-”

“Stiles.”

“Stiles, sì, presenta lo stesso problema della leggenda. A questo punto mi viene da pensare che non fosse poi così tanto una favola da raccontare ai novizi.” ragionò ad alta voce. Fece una piccola pausa, ragionando su qualcosa che solo lei poteva sapere, finchè non rialzò la testa e Deaton capì che quelle sarebbero state le ultime parole che gli avrebbe rivolto, prima di sparire per sempre. Le rivolse un cenno con la testa, riconoscente a quella strega che avrebbe potuto cambiare le sorti del branco di Scott con le sue semplici memorie.

Ironia della sorte, la memoria era l’unica cosa che minacciava quei ragazzi.

“Stiles inizierà a ricordare. Ricorderà sempre più dettagli, sempre più giorni. Inizierà a ricordare, finchè la sua memoria non sarà tornata quella di un tempo… o quasi. La sua sarà una memoria parziale, perché non ricorderà altro che il suo Compagno.” gli rivelò Amina, prima di iniziare a svanire “Al momento dell’estrazione dei suoi ricordi, il loro legame era talmente forte da non poter essere distrutto insieme a tutto il resto: fu semplicemente recluso in un angolo.” Deaton non riusciva a muoversi, ormai della donna non rimaneva che la voce che si affrettava a dirgli le ultime parole. “Dì loro questo. Dì loro che Stiles ricorderà di nuovo.”











Note dell'autrice.

Wow.

Ancora non riesco a crede di star pubblicando di nuovo. E' passato tanto di quel tempo... ma a me sembra persino di più. Due mesi e mezzo, ragazzi: una vita.

Sono contenta di essere però finalmente qui; ho riletto e riletto questo capitolo decine di volte, cambiandolo e ricambiandolo, rendendolo irriconoscibile e poi magari riscrivendolo com'era nato in partenza. Ora come ora so dirvi solo che è stato un lungo lavoro: volevo renderlo il più fedele al film possibile, pur senza cadere dell'ovvio e lasciare in sordina la parte sovrannaturale. Ma ne parleremo sotto ;)

Stiles ha deciso di partire e lo vediamo riappacificarsi con il branco, Melissa svolge un ruolo fondamentale. E' sempre stata una presenza costante nella sua vita ed era giusto avessero un momento madre-figlio.
Non potevo non mettere Tom! Ho amato quel personaggio dalla prima volta in cui l'ho visto (E per i più attenti è stato addirittura inserito in un altro film dove recitavano proprio i due protagonisti insieme: passione Tom 10 secondi mode on) e Malia giustamente si è fatta sentire.

Ma passiamo a Derek...
Mentre il piccolo umano si divertiva a scrivere e fare amicizia, un lupastro di nostra conoscenza ha deciso di partire: Cora, l'ultima spiaggia, la sola speranza di andare avanti. MA ta ta ta taaaan! Colpo di scena inaspettato (almeno lo spero ahah): Stiles ricorda!
E' partita poi una corsa infinita (Corri, Forrest, corri!! Non so cosa mi sia preso oggi... giuro non mi drogo) che si è conclusa... ma ahimè, male. Voglio, però, sottolineare il momento in cui gli occhi di Derek brillano da soli quando lui riconosce l'odore del suo compagno. Amo gli occhi rossi di Derek e ci tenevo ad inserire il suo lato mannaro :)

Derek fa la fatidica domanda che poi in inglese dà il nome alla storia (Do you remember me?) e siccome se non c'è angst le persone non sono contente ecco che la risposta da film bellissimo a cui mancavano solo le colombe che volano e l'arcobaleno in lontananza si trasforma nell'incubo chiamato realtà. No, Stiles è smemorato e smemorato resterà. EPPURE ricorda, o meglio ricorderà.

Deaton una cosa buona l'ha fatta: contattare Amina.
Non che la strega abbia fatto qualcosa, ma sicuramente ci ha informati e ormai abbiamo capito che sapere e conoscere è più importante di quanto sembri.
In sostanza: grazie al loro legame i ricordi di Stiles relativi a Derek non sono andati perduti (come invece hanno fatto tutti gli altri), ma anzi ritorneranno pian piano. Non sarà una sorpresa molto grande, ma sicuramente darà una spiegazione a chi aveva colto tutti o almeno la gran parte degli indizi lasciati negli scorsi capitoli.

Siccome queste note stanno diventando un capitolo a parte (Ma mi siete mancati troppo), mi fermerei qui. Spero di essere riuscita ad amalgamare bene la parte comica alla parte seria senza strafare. Non mi ritengo pienamente soddisfatta del capitolo, ma è raro che accada quindi fatemi sapere voi ;)
P.S. Come già anticipato questo sarà il penultimo capitolo.
Alla prossima ;*

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Capitolo 32
*** Capitolo 32- Epilogo ***




Era rilassato. Stranamente si sentiva rilassato come non gli succedeva da secoli. Strofinò il naso sul cuscino: sapeva di bucato fresco. Adorava quando le lenzuola e le federe erano appena lavate. Un lenzuolo leggero gli copriva il corpo e le tende filtravano il sole, accompagnandolo nel risveglio con calma e pazienza. Stiles si girò a pancia in su, ancora ad occhi chiusi e con un sorriso sulle labbra che non voleva abbandonarlo, ma quando il suo braccio -invece di pendere nel vuoto- si scontrò con il materasso del letto, si paralizzò.

Aprì piano gli occhi e il cuore mancò un battito. Quello non era il suo soffitto. 

Girò la testa fissando il letto. Quello non era il suo letto.

Si alzò a sedere di scatto, ancora coperto dalle lenzuola, nel bel mezzo di un letto matrimoniale. Quella non era la sua stanza!

Le pareti avevano toni chiari, le tende erano di un verde chiarissimo e i mobili erano all’apparenza alquanto costosi. Stava per essere preda di un attacco di panico, mentre i suoi occhi saettavano da un libro lasciato su un comodino a una giacca appesa fuori dall’armadio, finchè il suo sguardo non si posò su delle foto. Foto sue! Foto che non ricordava di aver mai scattato, ma in cui sembrava sereno. C’era qualcosa che non andava.

Urlare era fuori discussione, di chiunque fosse quella camera era meglio non informarlo del suo risvegli; dall’altra parte non aveva la più pallida idea di come procedere. Non ricordava assolutamente nulla e non era da escludersi il rapimento, nonostante le foto. Un maniaco avrebbe potuto tenerle come trofeo o… o altro! Non lo sapeva, non era un maniaco! L’unica cosa che sapeva era che doveva capire dove fosse e in che guaio si fosse cacciato.

Si alzò, ancora titubante a lasciare il lenzuolo dopo il mezzo infarto che gli era venuto dopo aver scoperto di non indossare altro che la biancheria. I piedi nudi poggiarono sulla moquette e dio, lui amava la moquette in camera da letto. L’aveva sempre voluta. Trovava troppo violento il contatto con il duro pavimento ogni mattina, specialmente in inverno.

“Non ci posso credere…” bisbigliò fra sé e sé, mentre si guardava intorno alla ricerca di un telefono o qualsiasi cosa potesse aiutarlo. “Papà, ti giuro che questa volta io non c’entro. Almeno credo.”

Stava per aprire un cassetto del comodino quando notò un dvd con sopra un post-it giallo. Chi usava ancora i post-it gialli?!

Guardami.

Diceva solo quello. La calligrafia con cui era scritto gli sembrava familiare, ma ci sorvolò sopra, troppo impegnato nella ricerca di un lettore dvd, che trovò vicino la piccola tv nella stanza.
 

Ciao, Stiles. Ci sono alcune cose che sono accadute, ma che tu non ricordi.
Lascia che te le mostriamo.


Da lì iniziò una sequenza di foto, alcuni erano sconosciuti, altri erano i suoi amici, persino Jackson! Poi però andò avanti e apprese del suo incidente. Si portò una mano alla bocca sconvolto, mentre con l’altra andava a tastarsi la nuca. Una lacrima gli solcò il viso quando sentì delle piccole cicatrici a forma di lunette sotto i suoi polpastrelli. Non durò molto che già stava sorridendo a quello che a quanto pare era il suo branco! Lupi mannari, strani esseri urlanti e capaci di prendere fuoco, ma erano i suoi amici! Più andava avanti più apprendeva gli anni trascorsi e trattenne il fiato quando assistette per la prima volta al giorno del suo diploma. Quando lo aveva preso? Quanto tempo era passato?

E poi lo vide.

Quel giorno. Quello che dicono che non si scorda mai.

La telecamera percorse tutta la navata fino all’altare dove lui, se stesso, sorrideva raggiante ad uomo. Un bellissimo uomo.

“Derek…” mormorò allungando una mano a sfiorarne la figura. Ma così facendo un piccolo anello dorato al suo anulare richiamò l’attenzione su di te e Stiles quasi si commosse quando lo vide.

“-e prometto di essere l’uomo dei tuoi sogni, il custode dei tuoi ricordi, il Compagno della tua vita.” stava dicendo Derek, prima di infilargli l’anello al dito.

Stiles vide se stesso sorridere commosso e trattenersi dal non piangere, mentre a propria volta afferrava la fede che Scott gli stava porgendo e prendeva le mani di Derek fra le proprie.

Io …Mieczysław...” sussurrò, per poi riprendere un tono di voce normale e finire per far ridere tutti “Stiles Stilinski prendo te come mio sposo e prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita. E prometto di essere la felicità che meriti, l’ancora di cui necessiti, il Compagno della tua vita.”

Mal trattenendo un singhiozzo infilò l’anello a Derek e prima ancora che gli fosse concesso, si lanciò su suo marito e lo baciò.

Le foto che vennero dopo raffiguravano una cena di matrimonio con tutti i loro amici in un posto davvero splendido, c’erano persino delle foto di Scott ubriaco, sebbene credeva di aver capito che i lupi mannari non potessero ubriacarsi. Fu un susseguirsi di eventi, finchè


Forse tu non ricordi, Stiles. Ma noi sì e non smetteremo di ricordartelo.


Stiles si asciugò le lacrime che non si era accorto di aver versato e si alzò a fatica in piedi. Attaccato alla televisione un altro post-it, rigorosamente giallo.

Vestiti, che abbiamo ospiti.

Trovò tutto quello che avrebbe potuto servirgli esattamente nei posti dove lui li avrebbe messi. Era prossimo alla porta, quando un clacson decise di partire proprio in quell’istante e farlo sobbalzare. Senza pensarci due volte andò alla finestra e scansò le tende e quasi non svenne.

Di fronte a lui svettavano i grattacieli più alti che avesse mai visto. Se abbassava lo sguardo non riusciva neanche a vedere la strada, perché dannazzione stava dentro un grattacielo anche lui! Gli si mozzò il fiato quando scorse l’inizio di un parco e no, non poteva essere Central Park, non poteva… e invece era! Si trovava a New York!!

Non era mai stato a New York, pensò con uno strano moto di felicià. E a quanto pare invece ci viveva.

Ancora scosso e con un sorriso sulle labbra si era incamminato per il corridoio senza manco accorgersi nel parquet che aveva sostituito la moquette. Gli sembrava di vivere sulle nuvole e in un certo qual modo era così, si disse divertito. Era talmente assorto nei suoi pensieri per la nuova scoperta che si era dimenticato di tutto il resto, fu uno shock quindi ritrovarsi in una stanza nuova e questa volta… abitata.

Derek stava seduto esattamente di fronte a lui, a capotavola, con un giornale in mano. Lo vide alzare la testa e fargli un sorriso, prima di prendere un sorso dalla sua tazza di caffè nero. Perché sapeva che Derek prendeva solo caffè nero?

“Forza, vai a salutare papà.” Gli sente dire, prima che un bambino dai capelli castani e gli occhi nocciola gli corresse contro per saltargli in braccio.

“Papi!” gli urlò felice. Stiles si sorprese della propria agilità nel prendere il ragazzino al volo e si stupì della naturalezza con cui lo teneva in braccio, come se lo facesse da una vita.

Ancora concentrato sul bambino, sul figlio, non si era accorto degli spostamenti di Derek. L’uomo gli si era avvicinato e posandogli una mano sul fianco ne aveva richiamata l’attenzione. Stiles si era voltato istintivamente e l’altro lo aveva colto di sorpresa rubandogli un bacio a fior di labbra.

“Buongiorno.”

Con gli occhi ancora socchiusi, Stiles si leccò le labbra, sussurrando un “Der…” che fece fermare il cuore dell’Alpha come ogni volta.

E mentre il moro si avvicinava al lavello, Stiles –con ancora il bambino in braccio- girò su se stesso venendo accolta da un gigantesco salone illuminato dalle finestre che a quanto pare avevano sostituito le pareti… Aveva sempre voluto un locale unico: salone e cucina, pensò tra sé e sé, avrebbe sicuramente notato prima come quella fosse la casa dei suoi sogni se una figura familiare non lo avesse distratto.

Papà?!” gracchiò. Il genitore si voltò con ancora il telefono in mano.

“Figliolo! Pensavamo non ti saresti più svegliato.” Gli disse, avvicinandoglisi e dandogli due pacche sulla spalla. Stiles lo vide cercare Derek con lo sguardo.

“Ragazzo, Scott e Kira sono qui sotto, sono appena arrivati in moto.”

Stiles rivolse ad ognuno uno sguardo stranulato. Scott, a New York?

“Grazie, Noah. Lydia e Jackson stanno andando in aereoporto a recuperare gli altri. Saranno qui tra poco.” Li informò invece il moro con un’espressione rilassata. E Stiles davvero voleva chiedere, sapere qualcosa in più, come ad esempio cosa diamine stesse succedendo, ma vedere Derek così… così tranquillo e felice gli infondeva una calma sconvolgente.
Con ancora il figlio in braccio e dio, era padre! Quando era successo?! si avvicinò alle gigantesche vetrate e si perse ad ammirare una città che avrebbe sempre voluto vedere, la sua città. Derek gli arrivò di soppiatto, abbracciandolo da dietro e poggiandogli il mento sulla spalla.

“Ti amo, lo sai?” gli sussurrò il moro, rafforzando la presa che aveva sui suoi fianchi. E Stiles lo sapeva, lo sapeva davvero.

“Mh-mh.” Mormorò lui impercettibilmente. 

“E tu ami me.”

Stiles voltò il capo per squadrarlo. Sì, sapeva anche questo. E Derek anche. Il sorriso che aveva sul viso si tramutò in un ghigno. “Ma questo non ti servirà per risparmiarti il supplizio: voglio sapere tutto.”

Derek sbuffò dal naso, cercando di trattenere una risata e perdendosi in quegli occhi che aveva avuto la fortuna di poter legare a sé.

“Non è mai stato un supplizio farti ricordare.”






Note dell'autrice.

Ed eccoci qua! Finalmente l’ultimo capitolo. Ancora non ci credo che questa storia va avanti da più di un anno <3 Devo dire che mi sembra ieri che ho pubblicato il primo capitolo (Fa la mamma orgogliosa con tanto di lacrimuccia*)

Ma bando alle ciance!

Come già detto nel precedente capitolo, Stiles col tempo avrebbe riacquisito tutti i ricordi relativi al suo Derek. E infatti c’è già qualcosa qui, ovviamente sono passati solo pochi anni, ma in tutto ciò –nonostante il bello smemorato- hanno deciso di avere un figlio. Ta-daaan!

Sono molto orgogliosa di questi due tontoloni.

Spero che la storia vi sia piaciuta come a me è piaciuto scriverla.

P.S. per il futuro avrei già in mente un’altra storia, ma come avrete notato mantenere aggiornamenti costanti non è il mio forte, perciò forse quest’altra vedrà la luce solo una volta completa.

Ad ogni modo, grazie a chi ha letto, a chi ha inserito la storia fra le seguite, ricordate, preferite e a chi ha commentato (Vi si ama *-*)

Alla prossima ;) 







  

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