Absolute Beginners

di Clockwise
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Caffè ***
Capitolo 2: *** Solitudine ***
Capitolo 3: *** Giardinaggio ***
Capitolo 4: *** Caffè parte 2 ***



Capitolo 1
*** Caffè ***



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1.
 
 
Prodigal, you have given me love—therefore I to you give love! 
O unspeakable passionate love. 
W. Whitman, Song to Myself
 
 
Era marzo, la vita scorreva rapida fra le foglie d’erba e i boccioli di narciso, le nuvole si ricorrevano nei cieli, uno schizzo di pioggia seguiva un timido sole, il giorno diventava sempre più riluttante a scomparire dietro il mare. È allora che le loro vite collidono, davanti ad una caffetteria, mentre uno entra e l’altra esce. Se Adriano avesse tardato trenta secondi per andare a prendersi il suo caffè o Bianca fosse arrivata trenta secondi prima, probabilmente non si sarebbero mai incontrati. Era una coincidenza strana come ne capitano tante, a cui uno non fa nemmeno caso, e Bianca ci ripensava spesso, quando si preparava il caffè – pensava a treni e orologi. Per un po’, l’aveva considerata un colpo di fortuna – dopo un po’, si pentì di essere mai salita su quel treno.
«Gesù, Giuseppe e Maria!»
«Oddio, oddio, oddio, scusa! Che t’ho preso?»
«No, no, no, tranquillo, tutto a posto, mi sono solo spaventata. Colpa mia, che non guardo dove vado…»
«Scusami proprio! Sto ancora mezzo addormentato…»
«Ti capisco, ti capisco.» Sorride, scrollando le spalle. «Prima del caffè siamo tutti zombie.»
Lui le sorride di rimando, poi si acciglia, socchiude gli occhi.
«Aspetta un attimo, ma io non ti conosco? Ti ho già vista da qualche parte…»
«Dici? Non so, magari a lezione? Che corsi hai?»
Schiocca le dita, agitando un indice verso di lei.
«Storia moderna! Giusto?»
Il sorriso di lei si allarga. Il ragazzo aveva occhi vivaci e giocosi, dietro le lenti sottili, la sua figura ossuta e longilinea le ricordava Pinocchio, nella versione di Benigni – la metteva di buonumore, per qualche strano motivo.
«Sì, io sto a storia moderna, ma non ricordo di averti mai visto…»
Abbassò gli occhi, lusingata che lui la ricordasse ma imbarazzata di non poter fare altrettanto.
«Io ci sto giusto andando adesso, vai anche tu, oppure…?»
«Sì, sì, vengo anch’io, vengo…» Il sorriso gli illuminava tutto il volto. «Aspetta solo che prendo la mia droga mattutina e andiamo insieme, ci metto un attimo» disse, sparendo dentro il bar. Bianca ci mise un minuto prima di realizzare che stava ancora sorridendo al marciapiede vuoto.
L’opinione universalmente riconosciuta è che ci voglia qualche miracolo misterioso, un allineamento astrologico o una predestinazione perfetta perché qualcosa come una storia d’amore possa iniziare. Sarà stato vero per Romeo e Giulietta, Artù e Ginevra, Dante e Beatrice – o meglio, così hanno deciso i cantastorie che li hanno inventati, illudendosi di creare qualcosa di unico e immortale, per scongiurare la banalità dell’amore di tutti i giorni. E invece quanta meraviglia c’è nello scontro casuale di due persone – questione di coincidenze ferroviarie, un errore o un calcolo sbagliato per prendere il treno giusto o lasciarselo sfuggire. Adriano e Bianca non sentivano squillare trombe nel petto o l’urgenza di declamare in endecasillabi – si erano trovati sullo stesso treno, seduti vicini ad una lezione noiosa di cui non hanno sentito una parola, chiacchierando a bassa voce fra loro, scarabocchiandosi i quaderni con una calda, calma sensazione di tenera speranza che ribolliva in petto. Niente scintille, farfalle, sonetti o baci sotto la pioggia – invece infinite sequele di messaggi a tarda notte, sorrisi sognanti allo schermo del telefono il mattino dopo, occhi che si incrociano per un istante – un luminoso, dorato istante di comprensione, fiducia e affetto profondo – e quindi si allontanano in fretta. I loro baci sono impacciati, esitanti, timidi; diventano teneri, dolci, giocosi; si fanno affamati, vogliosi, invitanti – quindi stanchi, pigri, scherzosi, poi complici, affettuosi – felici. Bianca lo baciava appena dietro la mandibola, sul quadrato di pelle morbida fra il collo e l’orecchio; Adriano le mordicchiava dolcemente il labbro inferiore, pieno e tenero fra i suoi denti.
«Non mi hai mai raccontato del tuo primo bacio!»
Adriano si acciglia, chiaramente seccato di essere stato interrotto in un momento tanto piacevole. Scuote la testa e si china sul collo di lei, intenzionato, all’apparenza, a dipingerlo interamente di baci. Lei si divincola fra le sue braccia – le fa il solletico.
«E dai, tu le sai tutte le mie storie imbarazzanti, tocca a te.»
«Perché dai per scontato che il mio primo bacio sia stato imbarazzante, scusa?»
«E dai, perché è così per tutti – stai troppo vicino, i nasi, gli occhiali che impicciano, non sai che fare, dove mettere cosa, se ti devi muovere, se non ti devi muovere – è strano e basta.»
«Ah, pare che qualcuno abbia avuto un primo bacio imbarazzante…» mormora lui, spostandosi per raggiungere l’altro lato del suo collo. Lei solleva una mano fra i suoi capelli, giocherellandoci sovrappensiero.
«Sei solo troppo romantico per ammetterlo.»
Sorride sulla pelle di lei.
«Forse.»
Alza la testa per guardarla negli occhi. Le posa un bacio sulle labbra.
«Ma non credo che ti dispiaccia, il mio romanticismo.»
(Bacio.)
«In particolar» (bacio) «modo,» (bacio) «quando» (bacio) «ti» (bacio). Si scosta ed esita, le orecchie in fiamme. Bianca sorride, maliziosa – finite le chiacchiere. Si sporge in avanti, beandosi della sensazione delle proprie labbra su quelle di lui, dei capelli soffici, del braccio affusolato sotto le sue dita, del corpo caldo, morbido sotto il suo. Lui risponde con un brivido di sollievo, quindi un’onda di entusiasmo mentre la spinge gentilmente sulle coperte. Risolini, sospiri, gemiti si perdono fra le pieghe delle lenzuola – un brivido condiviso mentre il piacere scivola via dai loro occhi e restano solo respiri e risolini morbidi, baci soffici sui visi accaldati. Il pomeriggio sfuma dietro di loro, sbadigliando e stiracchiandosi, in una notte tiepida, pesante di pioggia. Il respiro di uno si infrange sulla pelle dell’altra, nel gentile abbraccio del sonno. La pioggia ticchetta sulle finestre, in punta di piedi.



 



***
La mia testa ha vissuto in grande confusione, durante lo scorso anno. Questa è la cosa più coerente che io sia riuscita a produrre (!). Saranno pochi capitoli, è già tutta scritta, e penso di pubblicare abbastanza velocemente :) 
La citazione iniziale viene da Song of Myself, in Foglie d'Erba. Ho dovuto rileggere tutta la poesia - che è lunga qualcosa come 50 pagine - per un saggio che stavo scrivendo, e via via sottolineavo i versi che più mi colpivano. Alla fine, ho trascritto alcuni dei versi più belli - e toh, ecco una storia. 
Grazie di cuore, a chiunque sia arrivato fin qui. 
A presto!
–Clock

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Capitolo 2
*** Solitudine ***


2.
 
 
I hear the violoncello, (’tis the young man’s heart’s complaint) 
 
 
La primavera esplodeva in pieno fiore quando Adriano si rannicchiò intorno al suo cuore e tremò. Faceva male – terribilmente – aver perso l’orientamento, la strada per andare avanti.
È difficile dire quando fosse iniziata, puntare l’ago nell’esatto momento sulla tela del loro tempo insieme in cui Adriano aveva sentito l’aria fuggire dai polmoni per la prima volta – un pugno nello stomaco. Forse era stato in un lunedì di sole, dopo una lunga domenica solitaria – forse un venerdì sera, mentre si preparava a vedere Bianca e tutti i loro amici. Un’occasione, particolarmente violenta, è incisa nella sua mente. Bianca era seduta in cucina, lì di fronte a lui, ciuffi di capelli bagnati incollati alle tempie – non se ne curava, chiacchierando della rimpatriata del liceo da cui era appena tornata. Scuoteva la testa, gesticolava con le mani, raccontava le sue vicende con il corpo intero. Era ammaliante da guardare, eppure così doloroso – soffocante – Adriano sentì l’aria sfuggire dai suoi polmoni, la stanza schiacciarglisi intorno, il sangue urlare nelle sue orecchie. In quel momento, Adriano realizza quanto di lei ancora non sa – qual era il suo piatto preferito da bambina? la sua più grande paura di allora – e di adesso? ci sono mai state parole che hanno cambiato il corso della sua vita? cosa sognava senza raccontare a nessuno? sognava mai di lui? – e qui realizza che anche se chiedesse ed ottenesse delle risposte sincere, non riuscirà mai a capire veramente cosa lei provi – per quanto vicino possa arrivare a lei, non riuscirà mai, mai a capirla fino in fondo, nella sua interezza – mai nessuno. Poteva vedere le sue guance arrossate e gli occhi lucidi quando la baciava, poteva percepire la sua pelle rabbrividire sotto i suoi polpastrelli, i suoi muscoli fremere e tremare – reazioni chimiche, elettriche – ma lei, sotto la pelle, i muscoli, le ossa, cosa provava? Non l’avrebbe saputo mai. E allora lo colpì – mentre lei continuava a parlare e sorridere ed agitare le mani e scuotere la testa, gli occhi lontani, la mente vagante.
Le giornate, fuori, diventavano più lunghe e più calde, l’aria nel suo petto mancava sempre più spesso, i suoi disegni diventavano più scuri e più cupi. Selvagge, crude sferzate in vari toni di nero riempivano le bianche pagine, mostrando un profilo, una mano, un paio di spalle ed un collo longilineo. Aveva cura di nascondere per bene quegli schizzi, fra i libri di testo – ma Bianca non ebbe bisogno di vederli per insospettirsi comunque.
«Va tutto bene?»
«Ci sei?»
«Adriano? Adri?»
«Mi rispondi, per favore?»
Quel che è peggio, il suo cercarlo gli causava noia – e una sorta di repulsione. I suoi messaggi lo facevano sbuffare, spingendo via il telefono – non voleva pensare a lei e temere di soffocare, impotente, solo. Poi si sentiva in colpa, amaro, rancoroso – per nessuna, nessuna ragione! E questo lo rendeva soltanto più irrequieto, nervoso, la testa un vortice di pensieri sbatacchianti, un pipistrello in un armadio – nessuna via d’uscita, nessuna liberazione!
Quando le disse che sarebbe stato meglio smettere di vedersi, provò sollievo – orribile sollievo che gli riempì i polmoni come aria fresca. Si voltò e si allontanò con la mente vuota, il petto leggero. Sanguinava, ma non si guardò indietro.



 

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Capitolo 3
*** Giardinaggio ***


3.
 
 
Did it make you ache so, leaving me? 
 
 
La primavera sbocciava in un grido, soffriva allungandosi per raggiungere qualcosa a cui non poteva arrivare – quando Bianca sentì un ronzio riempirle le orecchie e scintille bianche abbagliarle gli occhi. Adriano sembrava improvvisamente lontanissimo, le sue parole echi deboli nella sua testa. Quando si voltò e lei vide la sottile scia scarlatta dietro di lui, sentì le ginocchia farsi molli e bile amara riempirle la bocca. I fiori si facevano pesanti, saturi di colori e profumi, invadenti – le facevano girare la testa, nauseanti. Tutto quel che chiedeva era pace e quiete, per cercare di fare chiarezza nella mente, quando la natura aveva deciso di gridare e ballare in gioia sfrenata.
Non riusciva a capire, per quanto ci provasse, cosa fosse andato storto – non poteva leggergli la mente, o il cuore – ed era quello il problema. Ragionò che sarebbe stato saggio essere razionali e non piangere troppo sul latte versato: era stato bello finché era durato, ora era finita e bisognava andare avanti. Rifiutandosi di perdere tempo pensando a lui, si fiondava nello studio, usciva a trovare gli amici, usciva la sera, dormiva poco e mangiava anche meno. Sua madre la osservava con occhi dolci di tempo ed esperienza, ma non diceva una parola; la guardava prepararsi per uscire, torturandosi le mani e le labbra. Bianca evitava il suo sguardo nel riflesso dello specchio, passando e ripassando il correttore sulle occhiaie scure, spolverandosi le guance incavate con la cipria rosata, coprendosi le labbra pallide con un rossetto vivace, gli occhi più scuri che mai, incastonati in profondità nel viso, circondati da strati su strati di trucco, le ciglia lunghissime.
«Sai che non ti serve tutto quel trucco, amore, non ti fa bene alla pelle.»
Bianca si limitò ad un’occhiata torva attraverso lo specchio, gettando con forza il rossetto nella borsa. Si fece largo oltre la donna senza troppa gentilezza, uscendo e sbattendo la porta dietro di sé, i tacchi rumorosi sulla pietra levigata delle scale. Sua madre abbassò gli occhi, giocherellando con le dita, scuotendo la testa – Bianca faceva così quando era più piccola, nella sua fase di ribellione a quattordici, quindici anni, si infiammava per niente. In ogni caso, lei non si offese, ed era lì ad accoglierla la mattina dopo con caffè, pane e marmellata di arance – la sua preferita da bambina. Non servì altro, per far traboccare il vaso e farla crollare. Sua madre scosse il capo, abbracciandola. Bianca fece del suo meglio per non singhiozzare, le lacrime calde in rivoli lungo le sue guance, un groppo caldo, soffocante, nel petto e nella gola.
«Ti fa bene piangerci su, amore, ci siamo passati tutti.»
«Piangere…  non serve. È st-stupido.» Sii forte, sei adulta, sei una donna, lacrime di coccodrillo, non era una storia seria, è stata solo una bella avventura, è stato bello finché è durato, piangere non è mai servito a niente…
«Vieni qui, vieni qui… Tesoro mio…»
Sua madre le asciugò le guance, tenendole il viso fra le mani, come aveva fatto tante volte quando da bambina cadeva dalla bicicletta, o quando i bambini la prendevano in giro, o le ragazze sparlavano di lei, o i ragazzi le spezzavano il cuore – ogni volta che il mondo le dava uno schiaffo e la spaventava. Il viso di sua madre era cambiato negli anni: linee profonde le incorniciavano ora gli occhi e le labbra, i capelli fragili ed opachi, la pelle secca – ma le mani erano le stesse. Bianca annuì, deglutendo altre lacrime.
«Non è semplice dimenticare un amore.»
Sua madre sorrise – rose e spine nel suo sorriso, e lacrime e risate.
«Non basta battere le mani, scuotere la testa e andare via – l’amore rimane lì. È come una pianta, lo sai, no?, nel giardino del cuore. Nasce quasi per caso, il polline che vola lì da chissà dove, una coincidenza fortunata. Poi però devi faticare tanto per farla crescere bene, darle l’acqua tutti i giorni, stare attenta agli animali e ai parassiti, togliere le erbacce, potarla quando serve, stare attenta al sole e al gelo. Non cresce mica da sola. Ma tu le sai queste cose.» I suoi occhi brillavano. «Hai un cuore buono. Però se ti siedi e la stai a guardare, pensando che magari adesso ti riposi – ecco che lì ti si ammala, senza che neanche te ne accorgi, finché un giorno le foglie sono tutte secche e ingiallite, e i fiori cadono e muoiono. E penserai che puoi soltanto alzarti e andartene, o tagliarla via – ma non è così che funziona. Più è grande, più era forte e rigogliosa la pianta, più sarà difficile liberarsene. Devi stare attenta ad estirpare tutte le radici, lunghe e robuste, senza danneggiare il tuo bel giardino. Ma non è semplice, non succede in un giorno e il tuo giardino ti sembrerà brutto e spoglio per un po’, ma è normale, è così che succede.»
Bianca abbassò le ciglia mentre sua madre l’abbracciava stretta, tenendole la testa sul petto, dondolandosi gentilmente avanti e indietro.
«Ma perché? È questo che non capisco. Che è successo? Andava tutto bene…»
Si morse il labbro per impedire che tremasse; sua madre la strinse ancora.
«Non te lo posso dire io. Magari devi provare a parlare ancora con lui, mettervi seduti e parlarne, tranquilli, giusto per capire, visto che ancora non ti dà pace. O magari ti devi solo sedere con te stessa e fare due chiacchiere, perché magari la sai la risposta. Lo sai, una verità difficile da accettare è che siamo soli, sempre, non importa quanto pensiamo di essere arrivati vicini ad un’altra persona – non riusciremo mai a capirli, comprenderli nella loro interezza, carpirli fino in fondo – nemmeno tu capisci fino in fondo te stessa!»
«Viviamo come sogniamo…»
«Da soli, sempre. Eppure, quando stiamo crescendo una così bella pianta con qualcuno – perché è uno sforzo condiviso, lo sai – bisogna sforzarsi di guardargli dentro il più possibile, chiederci come li stiamo facendo sentire. Non lo so che cosa ha allontanato Adriano – magari non lo sa bene neanche lui. Forse era troppo impegnato a capire sé stesso, e non aveva tempo per quella piantina, l’ha lasciata avvizzire e seccarsi. L’importante» disse, prendendo il viso di sua figlia nuovamente fra le mani, sollevandolo per guardarla negli occhi, «è che capisci che puoi piangere, essere triste e mangiare schifezze per un po’ di giorni, perché era una bella pianta, ed è giusto dispiacersi. Basta che poi hai qualcuno qui che ti passa i fazzoletti e la crema antibrufoli.»
Bianca sorrise, ricambiando l’abbraccio. Sua madre aveva ragione, quel che le serviva era un po’ di tempo e pace per fare i conti con sé stessa – e lasciarlo andare. Quel che temeva è che il dolore avrebbe lasciato cicatrici, e la prossima volta che avesse cercato di coltivare una nuova pianta con qualcuno, sarebbe stata spaventata o insicura – se mai fosse riuscita a crescerne un’altra.
Suo padre le trovò ancora abbracciate, gli occhi lucidi, il caffè freddo e il burro mezzo sciolto. Si accigliò dietro le lenti.
«Tutto a posto? Che combinate, voi due?»
Sua madre la lasciò andare, sistemandole i capelli dietro le orecchie.
«Ma niente, niente.» Le fece l’occhiolino, prima di alzarsi e dare un bacio al marito. «Problemi di giardinaggio» disse, mentre metteva a scaldare il caffè e sistemava piatti e tazzine. Suo padre spostò lo sguardo dall’una all’altra, perplesso e sospettoso. Bianca sorrise, imburrando una fetta di pane, mentre sua madre ridacchiava e posava un altro bacio sulla fronte del marito. Lui scosse la testa e sembrò realizzare che non ne valeva la pena, allungandosi per prendere il telecomando e sentire il telegiornale del mattino. Iniziarono quindi a chiacchierare con leggerezza, distrattamente – ciascuno isolato nella propria bolla di sapone, sforzandosi di avvicinarsi agli altri fra il caffè e la marmellata. E Bianca non poté fare a meno di chiedersi se anche Adriano aveva sentito la stessa acuta, bruciante stilettata di dolore fra le costole e il cuore – forse, forse no – non l’avrebbe mai saputo.







 

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Capitolo 4
*** Caffè parte 2 ***


4.
 
 
Failing to fetch me at first keep encouraged,
Missing me one place search another,
I stop somewhere waiting for you.
 

 
Novembre arriva quasi come una sorpresa – l’estate aveva pigramente allungato le gambe fino a settembre ed ottobre, spingendo via l’autunno – quando si incontrano di nuovo e il cielo incombe grigio sopra di loro, carico di temporali.
«Bianca. Ciao.»
È più bella di come la ricordasse – i capelli più lunghi, il viso disteso, una serenità soffusa le ammorbidisce ed illumina i tratti. Sorride, abbracciandolo per un saluto rapido ed educato – c’è veramente quella punta di affetto in più nelle sue braccia o la immagina soltanto?
«Ciao! Come stai?»
Si allontana da lui, tenendogli le mani sulle spalle. Lo osserva, confrontando ciò che vede con ciò che ricordava. Lui si stringe nelle spalle, abbassando gli occhi, intimidito.
«Bene, bene, tutto… E tu come stai? È tanto che non ci vediamo…»
Si morde le labbra pentito – l’ultima cosa che vuole è accusarla, eppure è così che suonava. Lei non sembra prendersela, si stringe nelle spalle.
«Tutto normale, a parte questa pioggia…»
«Lo so, ha fatto talmente tanto caldo…»
«Era anche ora!»
«Infatti…»
Adriano non riesce a sostenere gli occhi di lei, che non smettono di scrutarlo, curiosi, placidi, limpidi.
«E insomma… Università? Come sono andati gli esami?»
Bianca si stringe nelle spalle, senza staccare gli occhi da lui – gli era mancata, la sua figura da Pinocchio, il suo viso perennemente assorto.
«Niente drammi, tutto tranquillo. Storia mi ha fatto penare un po’…»
«E capirai, chi l’ha mai seguita storia…»
«Appunto! Ho dovuto pregare in giro per gli appunti…»
Avremmo potuto studiare insieme.
Nessuno dei due lo dice, ma entrambi lo pensano. E improvvisamente quella possibilità perduta si fa presente, ingombrante fra loro due, insieme a tutto ciò che avrebbero potuto condividere in quell’estate solitaria – le giornate al mare, le nottate di studio, il cinema all’aperto, le passeggiate in centro, tra i Fori e sul Lungotevere, sfuggendo le orde di turisti alla ricerca del gelato migliore. Ore ne sentono entrambi con dolore la mancanza e l’acuto desiderio – e si potrebbe ancora rimediare, anche se sta arrivando l’inverno, non fa ancora così freddo e possono ancora farcela, se si impegnano, se ci mettono buona volontà…
«Ci vieni al compleanno di Marcello?»
Bianca aggrotta le sopracciglia.
«Marcello?»
Era uno dei migliori amici di Adriano, si conoscevano dal liceo. Bianca andava molto d’accordo con lui, era un tipo spigliato e divertente, a volte esagerava, ma era sempre bello potersi fare quattro risate.
«E quando?»
«Sabato. Non ho capito ancora dove, ma fa una festa, probabilmente al locale dello zio. Qualcuno diceva anche di andare a ballare, ma non so se si farà… Marcello probabilmente si ubriaca troppo prima.»
Lei sorride, scrollando le spalle. Da una parte le piacerebbe – le è mancato tutto il gruppo di amici di Adriano, si era sempre trovata a proprio agio con loro – dall’altra esita. Non sa se vuole rivederli – e rivedere tutto ciò che ha perso.
«Ti faccio sapere, va bene? Può essere che devo studiare… Comunque grazie.»
Adriano scrolla le spalle, leggendo oltre la scusa banale, conscio dei veri dubbi.
«Se non ti va non farti problemi. Non ce n’è bisogno.»
Riesce a guardarla negli occhi ora, risoluto e improvvisamente serio. Sul suo viso non c’è la stessa serenità di quello di lei – linee dritte gli solcano la fronte, ombre gli gravano sulle guance, la barba incolta, gli occhi stanchi. Lei scuote la testa, avvicinandoglisi.
«Adriano… Tutto bene?»
Lui sembra capitolare – chiude gli occhi, lascia cadere le spalle e scuote la testa, traendo un respiro tremante.
«Non– non lo so, è tutto un periodo strano… Un po’ di dubbi qui dentro» mormora, picchiettandosi la tempia. Lei gli prende la mano, stringendola fra entrambe le sue. Non serve spiegarle altro – Adriano si è perso alla ricerca di sé stesso, si è lasciato prendere dai dubbi e le incertezze, le infinite domande a catena – ma è un pozzo da cui può tirarsi fuori soltanto lui stesso.
«Succede a tutti. Se ne vuoi parlare, ti ascolto. Se non vuoi, ti ascolto comunque.»
Riesce a farlo sorridere, esulta dentro di sé.
«Ti va un caffè? Ho un’ora di buco.»
Adriano annuisce, seguendola. Non sa se riuscirà a confidarle tutto quanto – più si interroga e più scopre profonde questioni irrisolte dentro di sé che affondano le radici lontano nel suo passato, problemi che tutti si trovano ad affrontare, prima o poi, che l’hanno gettato nello sconforto e nell’isolamento da mesi. Non sa se riuscirà mai a ritrovare la sintonia e l’attrazione che aveva prima per Bianca – e forse è giusto così. Lei sembra in pace, l’ha perdonato, è cresciuta e rilassata – nessuno dei due ha bisogno di altro, se non di un amico, di una voce che ascolti. E ci sono momenti imbarazzanti, in cui una scintilla di passato li abbaglia per un istante – e si fanno impacciati, esitanti per qualche minuto. Eppure realizzano, finendo gli ultimi sorsi di caffè, che provare rancore o animosità o qualunque altro sentimento sarebbe inutile, uno spreco di tempo – un torto alla bellezza del giovane amore che hanno condiviso. Per cui si sorridono, si abbracciano e si salutano – prendono strade diverse, lui torna in biblioteca, lei in cerca dell’aula giusta. Nei loro passi, nelle loro schiene dritte, che non si voltano indietro, la sicurezza di trovare un sorriso sincero e una mano tesa ad aspettarli ad ogni incrocio difficile, ad ogni strada dissestata – pronti a lasciarsi sorprendere da tutte le coincidenze, dal bizzarro gioco di dadi della vita. In fondo, hanno appena iniziato.
 







***
Ok, ed eccola qui. Grazie a chi ha seguito fin qui, a chi ha voluto lasciare due parole e ha chi l'ha inserita fra le varie liste - lo apprezzo moltissimo :) 
Tutti i versi ad inizio capitoli sono da Song of Myself, di Whitman. 
A presto!
-Clock

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