Brilli più di una Stella

di lessi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Se quel giorno non fossi andata a scuola tutto sarebbe andato diversamente e soprattutto non l’avrei mai conosciuto. Erano le 7:10, la sveglia suonava già da dieci minuti ed io non accennavo a volermi alzare quando mio padre, un uomo di quasi cinquant’anni, comparve sulla porta di camera mia. "Ehi, perché sei ancora a letto?" Non volevo alzarmi, il mio corpo non voleva muoversi ma con tutta la volontà che possedevo scostai il piumone e l’aria fredda del mattina mi colpì in pieno facendomi desiderare ancora di più di voler rimanere nel mio lettino caldo. "Ora mi preparo" Misi le pantofole e mi diressi in cucina dove una fumante tazza di tè mi stava aspettando. Mi sedetti e con entrambe le mani afferrai il tè . finì la mia misera colazione e velocemente mi preparai, per le 7:50 ero pronta. Uscì dall’androne del mio palazzo e il gelo mi travolse, mi strinsi nel mio giubbino per riscaldarmi. Presi coraggio e mi diressi in macchina, almeno lì c’erano i riscaldamenti. In cinque minuti ero già a scuola, mio padre mi lasciò fuori al cancello e ripartì. Mi avvicinai alle mie amiche che stavano chiacchierando. "Buongiorno, ragà" "We Stella! Come va? Ti vedo un po’ assonnata" Se ne è accorta anche lei che sono rimasta mentalmente a letto. "Non mi andava di venire stamattina. Ma poi l’ho vista come un’assenza inutile" "Ah cett’ cett’" disse la mia amica Valentina, quella mattina aveva molta voglia di scherzare. "Ridi, ridi tu. Intanto il mio letto mi sta ancora chiamando, urlando a squarciagola" "Ah è vero! Lo sento anch’io" sentì dire alle mie spalle, mi voltai e trovai Daniele, l’unico maschio della mia classe ed anche il più desiderato di tutto il mio indirizzo, il linguistico. Io sinceramente non lo trovavo così bello come lo definivano per me il vero bello era Alessandro, l’imprescindibile, Alessandro Berti. Biondo e con gli occhi verdi come smeraldi, che ipnotizzano, fisico da giocatore di football e dolce come pochi. "Ehi? Ti sei incantata?" Mi disse Daniele passando la mano davanti ai miei occhi. "Stavo pensando ad una bella cosa". Risposi divertita. "Allora pensavi a me?" "Non montarti la testa non sei il centro del mondo. Beh ma se vuoi saperlo … pensavo ad un ragazzo" "La nostra Soriano è innamorata" Urlò l’idiota. "No, ma è un bel vedere" "E chi sarebbe il fortunato?" "Non sono affari suoi signor Fergola" "Ah, allora …" Girò le spalle e se ne andò, senza nemmeno salutare. Il solito maleducato. Quando entrammo in classe il prof era già pronto seduto dietro la cattedra con il registro in mano. Ma perché doveva essere così antipatico? Non era nemmeno iniziata la giornata che lui progettava già a chi mettere il prossimo due in filosofia. Io ero ricercata dal prof da settimane, poiché ogni volta che c’era lui io mi assentavo perché non riuscivo mai a studiare ed anche quel giorno non era diverso dagli altri. Non ci riuscivo a studiare, la filosofia era incomprensibile per me, forse quando prendevo gli appunti qualcosa capivo ma se dovevo studiare dal libro, niente non mi entrava una singola virgola. Ma prima o poi avrei dovuto affrontare il prof. "Buongiorno signorina Soriano, finalmente! Credevo fosse morta" "Buongiorno, prof. Da come può vedere sono viva" risposi. Mi andai a sedere a mio posto e aprì il libro facendo finta di ripetere qualcosa. La classe man mano si riempì a parte qualche assente. "Ovviamente la priorità per l’interrogazione va a lei, signorina Soriano" “Ovviamente” pensai. "Prof è inutile non so niente. Mi metta il due" "È sicura? Poi non potrà dire che non l’ho chiamata, perché io l’ho fatto" "Certo, non si preoccupi" "Come vuole". Aprì il registro, cercò la pagina col mio nome e mise il due. Spesso a scuola ero strafottente, sembrava che non mi interessasse nulla delle insufficienze e quando un prof diceva qualcosa che a me dava fastidio io rispondevo anche se nei limiti dell’educazione. Ma come ho detto “sembrava” perché mi importava più di quello che credevano tutti, la mia vita girava intorno alla scuola e la cosa più brutta era leggere la delusione negli occhi di mio padre ogni volta che avevo un’insufficienza. Il suo volto mi comparve nella mente e avevo solo voglia di mandare a fan culo il prof e piangere, piangere fin ché non mi si fossero seccati i condotti lacrimali. Sentivo di non potermi trattenere allungo. "Posso uscire, prof?" "Sì, vada Soriano. Tanto che importa se non ascolta la spiegazione?" chiese ironico, ma feci finta di non aver sentito e uscì. Nemmeno il tempo di chiudere la porta che le mie guance erano già zuppe di lacrime. Non riuscivo a fregarmene come facevo credere. Percorsi il corridoio e stavo per arrivare al bagno quando andai a sbattere contro qualcuno. "Scusa" dicemmo contemporaneamente. Quando sentì la sua voce alzai lo sguardo e incontrai i suoi occhi, in quel momento vidi il sorriso sparire dal suo volto e diventare serio. "Ma tu stai piangendo". Disse "Che scoperta". Risposi acida, ero troppo arrabbiata per essere gentile. "Posso sapere perché?". Ma perché non la smette? Che vuole da me? Non sono dell’umore per chiacchierare, forse in un altro momento l’avrei fatto, è un bel ragazzo ora che ci faccio caso, ma fa troppe domande. "Non ci conosciamo nemmeno perché dovrei dirtelo?". Chiesi ironica, ero pronta ad allontanarmi da lui ma parlò prima che potessi farlo. "Appunto per questo! Non ci conosciamo e quindi potresti sfogarti, liberarti di un peso e poi non ci vedremo più. Tanto la scuola è grande, quante possibilità ci sono di incontrarci senza conoscere qual è la nostra classe?". "Hai ragione ma non mi va di raccontare i miei problemi ad uno sconosciuto". Feci di nuovo per andarmene però fui fermata dalla sua mano sul mio braccio. "Sfogati, non ci rivedremo, non ci sarà imbarazzo e posso assicurati che non dirò niente a nessuno". "Non è il caso" se insisteva ancora avrei confessato anche un omicidio. Senza lasciarmi il braccio rispose "Non ti lasciò fin ché non butti tutto fuori" Stavo per controbattere quando suonò la campanella dell’intervallo. "È anche suonato l’intervallo abbiamo tempo" Non era certamente uno che molla. Ma non conoscevo nemmeno il suo nome … volevo sfogarmi, buttare fuori tutta la rabbia. "Come ti chiami?" gli chiesi. "Sono Lorenzo. Tu?" "Stella, ora almeno non sei più uno sconosciuto. Vieni con me andiamo nel cortile". Mi lasciò il braccio, presi a camminare e lui mi seguì. Mi andai a sedere sulle scale di emergenza della scuola e lui fece lo stesso. “Stavo davvero per sfogarmi con uno sconosciuto?” pensai. "Da dove vuoi partire?" Disse incatenando i suoi occhi ai miei. "Ho preso un due in filosofia, l’ennesimo. E l’ironia di quello stronzo di un professore mi ha fatto scattare" "E piangi per questo? Scommetto che il tuo prof è Allocca, vero?". Annuì a testa bassa. "Lo sapevo. È uno stronzo. È anche il mio professore. Io nella sua materia ho un costante due ma alla fine dell’anno compare magicamente un sei" "Sì, ma il mio è un due perché mi rifiuto di andare all'interrogazione" "Perché non vai e ti prendi il due senza provarci?" "Perché non so niente, zero. E … perché … avvicinarmi alla cattedra mi fa andare in panico. Poi tutti credono che non me ne freghi niente perché sono strafottente, facendoglielo credere. Mi fa male sapere che nessuno mi conosce davvero". "Non hai mai studiato dall'inizio dell’anno? Non ci hai mai provato?" ""Non ho tempo" risposi telegrafica. "Cos'hai di così impegnativo ed importante da fare che non ti permette di studiare?". Mi disse con un sorrisino "Ho tutto da fare. Occuparmi della casa, di mio padre e di mio fratello" risposi in un sussurro. "Tua madre?". "Non c’è. Non c’è da tre mesi, se conti l’ospedale sono sette. Era malata di tumore". "Ah. Mi dispiace" disse abbassando la testa diventando cupo. Lo sapevo tutti si scusano quando viene fuori che mia mamma non c’è più, odio quando le persone lo fanno. Che hanno da scusarsi, mica l’hanno uccisa loro? È stata quella malattia del cazzo e questa terra tossica. Poi la sua voce mi destò dai miei pensieri "Io ho perso mio padre come te e ho dovuto prendere il suo posto" Oramai stavo piangendo di nuovo, però non sapevo più se per me o per lui. Forse per entrambi, sì, perché entrambi occupavamo posti non nostri, contro la nostra volontà e mentre eravamo troppo giovani. "La cosa peggiore sono quelli che cercano di capirti e ti dicono devi essere forte. Oppure chi dice ora devi essere tu la roccia della famiglia. Cavolo! Ho solo sedici anni! Non dovrei essere io la roccia" dissi singhiozzando. "Lo so come ti senti. Forse io non devo occuparmi della casa ma ora tocca a me lavorare e lo faccio già da più di un anno, in un pub, il ché significa attaccare alle 19 e finire verso le due di notte quasi tutti i giorni, per non parlare dei weekend estivi in cui si finisce anche alle cinque". "Allora come fai a studiare?" mi voltai verso di lui e mi accorsi che suoi i occhi erano verdi ed in quel momento lucidi, pensai che da un momento all’altro avesse pianto anche lui, ma non lo fece. "Studio poco e provo ad andare alle interrogazioni e anche se i miei voti vanno dal due al quattro poi compaiono tutti sei. Non voglio nemmeno lontanamente paragonarmi a te perché una madre è il centro di tutto ma dovresti, che so’ almeno fare un paragrafo. Così sanno che ci stai provando" "A che anno sei?" "Quarto. Ma non cambiare discorso" "Lo farei se volessi davvero" gli risposi senza rendermene conto.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


"Lo farei se volessi davvero". gli risposi senza rendermene conto. "Che significa?" "Che non volevo studiare qui, mi ci sono ritrovata, perché tutti mi dissero che non dovevo sprecarmi in una scuola che non sfruttava il mio potenziale e quindi il liceo era l'unico posto dove sarei dovuta andare". "Quale avresti scelto tu?". "Studiare moda, arredamento, grafica. Per poi specializzarmi in moda per diventare una stilista". "Perché non sei andata contro i loro consigli?". "Non lo so, forse per non deludere nessuno". Abbassai lo sguardo al pavimento per non incontrare i suoi occhi. "Credo che forse siamo stati nella stessa situazione, ma diciamo al contrario. Io voglio diventare avvocato ma tutti dicevano che non ero abbastanza intelligente per esserlo, che é troppo difficile per me. Ma ho deciso che ci avrei provato lo stesso". Appena Lorenzo finì di parlare suonò la campanella, in quel momento desiderai di non dover tornare in classe e rimanere a parlare con lui, mi faceva bene tirare tutto fuori, aveva ragione. "Devo andare, sono da piú di mezz'ora fuori". Dissi. " Sì, anch'io". "Grazie". "Di niente è servito anche a me parlare con qualcuno che mi capisce". Mi alzai dalle scale "Ciao". "Ciao, Stella" mi rivolse un sorriso e si alzò anche lui. Mi diressi in classe come un fulmine per evitare richiami. Ora mi sentivo più leggera ma ero ancora triste e più confusa che mai sul mio futuro. Volevo farla finita con quella scuola al più presto, però mi sentivo male al solo pensiero di deludere mio padre e di dover affrontare tutti gli altri. Ma il mio sogno? Come avrei potuto realizzarlo? Non c'era via d'uscita... Il mio sogno sembrava impossibile da realizzare... 'In quel momento, Claudia, sapevo benissimo cosa fare, abbracciarsi forte forte il petto e poi ricominciare a pensare al suo cammino, su quel cuscino, faticando con le sue gambe. Affidandosi prepotente al fato, all'istinto che gliene avrebbe riservate ancora tante' Tornata a casa mi misi a cucinare il pranzo mentre aspettavo che mio fratello tornasse da scuola con mio padre. Finito di preparare mi sedetti sul divano e accesi la televisione quando sentì il mio cellulare vibrare, lo presi e notai che avevo una notifica su Facebook, una richiesta di amicizia: Lorenzo Semeraro. 'Non può essere lui, aveva detto che non ci saremmo più parlati, ora che vuole?' Pensai. Non volevo accettare ma sembrava maleducato non farlo in fondo avevamo parlato di cose non proprio semplici. Decisi di non accettare subito e gli inviai un messaggio : 'Mi avevi detto che non avremmo più parlato perché mi hai inviato una richiesta? E poi come mi hai trovata?' Mi rispose subito:"Non è stato difficile trovarti abbiamo un amico in comune. E non avevo detto che non avremmo più parlato, ma che non ci saremo visti, è diverso... Ti ho inviato la richiesta perché siamo molto simili come le nostre storie e ho pensato che ci saremmo potuti aiutare, senza doverci incontrare." Non lo risposi più mi aveva lasciata senza parole. Era vero, eravamo simili e più che noi le nostre storie. Saremmo potuti diventare "amici di penna", senza incontrarci, anche se ora non c'era più motivo per non farlo in fondo era meglio parlare da vicino che attraverso Facebook. Ma io non l'avrei mai ammesso. Senza pensarci ancora accettai la sua richiesta e chiusi Facebook. Ci saremmo aiutati più di quanto potevamo immaginare... Dopo poco sentì il rumore delle chiavi nella serratura e la porta si aprì. "Ciao Stella. Cosa si mangia di buono??" disse mio fratello Francesco. "Pasta al pesto e hamburger" "mmmh buono" "Ciao Stella" "ciao papà" Mangiammo tranquilli, vedendo la TV, poi lavai le stoviglie e mi rintanai in camera mia. Tentai di studiare qualcosa, ma niente, passai circa due ore sulla stessa pagina di storia, e ne avrei dovute studiare circa quindici, per non parlare di storia dell'arte, altre venti pagine. Sconfitta chiusi il libro di storia e presi uno dei miei tanti romanzi, in quel momento ero all'inizio di "Ti prego lasciati odiare" la classica storia di due che inizialmente si odiano per finire poi ad amarsi da morire, io amavo i libri di quel genere, mi piaceva vedere i protagonisti farsi dispetti per poi finire a baciarsi. Lessi quattro capitoli poi mi fermati per non rischiare di divorarmi il libro. Presi il cellulare ed entrai su Facebook avevo più di dieci notifiche tutte di Lorenzo, aveva messo "mi piace" a quasi tutte le foto in cui c'ero io, compresa una di quando ero piccola mentre ero nel passeggino accanto a mia madre sul lungo mare di Mergellina. Da ciò dedussi che aveva esplorato tutto il mio profilo, poi pensai che io non avevo notato nemmeno la sua immagine, così digitai il suo nome e clicca i sulla foto. Era seduto su un muretto a gambe incrociate, una smorfia sul viso, i pollici all'insù e dietro sullo sfondo il mare, poi come immagine di copertina una bambina di qualche mese con un grande sorriso. Mi resi conto che le nostre foto erano simili, infatti entrambi eravamo al mare seduti con le gambe incrociate, ma mentre lui era felice io ero malinconica e triste. Non sapevo nemmeno perché l'avessi scelta ma in fin dei conti mi rappresentava molto... Lorenzo in tutte le sue foto appariva sorridente e forse, in quei momenti, era stato davvero felice, era ancora più bello in foto con i suoi capelli cenere e quegli occhi verdi, ancora più bello di Alessandro Berti... Bello sì, ma io non potevo pensare ai ragazzi in quel momento della mia vita era già troppo se la schiavo entrare un amico, figurarsi un fidanzato. Allora era come se mi fossi sposata e avessi avuto un bambino, che tanto bambino oramai non era più con i suoi dieci anni, tutto di un colpo, senza lasciar spazio alla mia vita sociale. Tutti mi ripetevano in continuazione di volermi aiutare ma io mi sentivo debole ogni qualvolta ero costretta ad accettare, era sempre una sconfitta doverlo fare; avevo tutti intorno convinti che senza di loro non ce l'avremmo fatta. Ma il problema non era la parte pratica, che svolgevo senza fatica, bensì la parte psicologica: ero io ora a dover supportare mio padre, col suo carattere insicure e a dover consigliare e guidare mio fratello. Con tutti quei pensieri come potevo riuscire a studiare, ammetto che fossi anche un po' pigra, ma se davvero avessi voluto diplomarmi in lingue la forza l'avrei trovata. "Stella vieni a mangiare?" urlò mio padre dalla cucina. Così usci dal profilo di Lorenzo che mi aveva provocato già troppi pensieri. "Arrivo" risposi. Cenai, vidi un film con la mia famiglia, poi mi immersi nel mio caldo lettino e caddi in un sonno senza sogni...

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Il giorno dopo si ricominciò tutto da capo. Sveglia alle sette e mi ritrovai a scuola per le otto, ed ecco di nuovo quell'ansia di quando non riuscivo a studiare, mista al senso di colpa, verso mio padre ed i prof che erano disponibili verso di me. Ero tentata di non entrare, di marinare la scuola, ma sarebbe stato peggio. Sapevo che anche quel giorno avrei pianto e l'unica che avrei voluto davvero vicino non poteva essere lì, la mia migliore amica Monica, che inizialmente frequentava con me il linguistico ma si era trasferita all'artistico, io andai in panico, non riuscivo più ad andare a scuola, senza di lei, ma poi grazie a mia madre riuscì a farmi coraggio e a continuare. Decisi così che sarei entrata ma quel pomeriggio sarei andata a trovare Monica. Mentre salivo le scale e stavo per arrivare in classe, da lontano intravidi Lorenzo che parlava con dei ragazzi e mi resi conto che era sulla porta dell'aula 27, la IV C Scientifico, beh avevo già intuito che fosse allo scientifico, ma conoscere la sua classe era un punto a mio vantaggio. Allora accelerai il passo e mi alzai la sciarpa coprendomi il viso per non farmi vedere. Salì l'ultimo piano ed entrai in classe. Come previsto quel giorno non fu facile. Mi ero per l'ennesima volta giustificata con la prof di storia e mentre lei spiegava un nuovo capitolo io stavo di nuovo per scoppiare a piangere. "Prof, posso uscire?" "Certo, Stella. C'è qualcosa che non va?" mi chiese avendo notato i miei occhi lucidi. "No, prof. Non si preoccupi". Quando stavo per chiudere la porta dell'aula sentì la voce di Valentina <>. "Sì, vai." Percorsi i corridoi fino al primo termosifone che vidi e mi ci appoggiai. "Perché sei venuta con me? Non ce n'era motivo sto bene". "Non credo che tu stia bene. Lo vedo dai tuoi occhi. Cosa ti succede?" "Niente e tutto" "Con me puoi parlare lo sai" "È la scuola. Non riesco più studiare, e ci sto male" a quelle parole non riuscì più a trattenere le lacrime. "Credevo non ti importasse di come va la scuola" "E invece no!" quasi urlai dalla rabbia "Mi importa anche troppo". "Non lo sapevo" Disse appoggiandomi una mano sulla spalla. Incontrai i suoi occhi ed iniziai a piangere ancora di più singhiozzando, così Valentina mi abbracciò forte. Mentre ero tra le sue braccia incrociai gli occhi di chi non mi sarei aspettata di vedere, di nuovo. Mi fissava da lontano, immobile, senza accennare di volersi avvicinare, dedussi perché ci fosse Valentina. Però quando la mia amica mi sciolse dal suo abbraccio gli feci cenno che poteva avvicinarsi ma lui non capì il mio gesto "Lorenzo" e lo chiamai. "Stella tutto bene? È di nuovo colpa di Allocca?" "Diciamo di sì e no, non è Allocca" "Piacere, Valentina. E tu sei Lorenzo giusto?" si intromise la mia amica. "Sì, giusto. Scusami se te lo chiedo ma puoi lasciarci da soli, sempre se Stella è d'accordo ..." chiese guardandomi negli occhi. Annuì. "Va bene, ci vediamo dopo." disse rivolta a me e lasciandomi un bacio sulla guancia. Quando Vale si allontanò anche Lorenzo si appoggiò al termosifone e agganciò i suoi occhi verdi ai miei nocciola, chiedendomi silenziosamente il motivo delle miei lacrime. "Sempre lo stesso" risposi "non riesco a studiare. È inutile ripetere tutto. Ho solo voglia di piangere". Conclusi mentre le lacrime rigavano una dopo l'altra le mie guance. "Non puoi stare così tutti i giorni. Devi trovare il modo di risolvere" "Cosa posso fare? Dimmelo tu, perché io non lo so" "Lascia" "Cosa?" "Lascia. Sono convito che tuo padre ti capirà e se tu sarai felice lui sarà contento per te" "E cosa farò? Non posso rimanere a casa tutto il giorno e poi che lavoro farò un giorno? No, non posso mollare così" "Sì che puoi. Oltre a fare moda, cosa vorresti fare?" "Non ci ho mai pensato. Fin da quando ero piccola ho sempre disegnato abiti non ho mai fatto altro" "Deve esserci qualche altra cosa che ti piace fare?" "Ragazzi che ci fate per i corridoi, dovete tornare in classe" ci interruppe il bidello. "Certo, ora andiamo" rispose Lorenzo. "Credo di dover tornare in classe ora" dissi. "Sì, certo". Tornammo nelle nostre classi e la giornata scolastica passò, anche se lentamente. Tornammo nelle nostre classi e la giornata scolastica passò, anche se lentamente. Tornata a casa come da copione misi a preparare il pranzo e mi sedetti sul divano ad aspettare mio fratello. Quando arrivò mangiammo e dopo lo aiutai a fare i compiti. Verso le cinque chiamai Monica per sapere se fosse a casa. "Pronto?" "Monica, sono Stella" "Ciao, tutto bene?" "Sì, sì. Bene" mentii. "Ti sento strana c'è qualcosa che non va?". Mi chiese conoscendomi come le sue tasche. "A dir la verità qualcosa c'è ... tu sei a casa?" "Sì, sono a casa "Posso venire?" "Certo che puoi. Dai fai presto, ti aspetto" "Ok, arrivo" Senza nemmeno preoccuparmi del mio aspetto lasciai mio fratello con mio padre e scesi per andare a casa di Monica che si trovava a pochi metri da casa mia. Arrivata al portone bussai al citofono dopodiché la nonna della mia migliore amica mi aprì il cancello e dopo anche la porta. "Ciao Stella" "Buona sera". "Tutto bene?". Mi chiese con dolcezza. "Sì, bene. Grazie" "Monica è in camera sua" Le sorrisi e andai dritta in camera di Monica. Quella era come la mia seconda casa, la conoscevo meglio della mia. Io e Monica eravamo amiche da orami dieci anni e minimo una volta alla settimana dovevamo vederci, era come un rito, o io da lei o lei da me oppure per strada, non importava dove l'importante era stare insieme. "Ehilà". "Ciao". "Allora, cos'hai? Vieni qua" disse battendo la mano sul suo letto dove era seduta. Così accolsi il suo invito e mi sedetti accanto a lei. "Tante cose ...". Dissi vaga. "Non ce la faccio più con quella scuola!". Continuai. "E posso immaginare il perché". Disse la mia amica. "Vorrei sapere perché mi sono lasciata condizionare e ho scelto il linguistico. Uffa!ti invidio per essertene andata all'artistico! "Fallo anche tu!" sentì dire alla madre di Monica, Simona, che era appena arrivata in camera. "Come faccio? Sono al terzo anno non posso cambiare ora" "Un modo forse c'è ... io mi informo, sei disposta a fare un esame per trasferirti?" "Sì, farei di tutto per scappare dal linguistico" "Entro domani ti faccio sapere". Ed uscì. "Tua madre trova sempre una soluzione a tutto" "Problema quasi risolto. Incrociamo le dita. Ma ci pensi? Di nuovo a scuola insieme!" "Ah che bello! Però non illudiamoci aspettiamo" "Ok". Forse tutto era risolto. Simona trovava sempre un modo, una scappatoia. Volevo con tutto il cuore poter frequentare l'artistico. Studiare le lingue mi piaceva ma era diventato un istituto oppressivo e triste, con persone false e costruite intorno che non facevano altro che aumentare la mia voglia di scappare, sarebbe stata dura lasciare, con tutti quei professori che avrebbero fatto di tutto pur di non accettare un fallimento professionale, quell'anno poi ce ne sarebbe stato un altro tra i ritirati, Daniele, il bello della classe che decise di andare a lavorare nel pub dei genitori. "In tutto ciò non ti ho neanche chiesto come va". Chiesi a Monica. "Bene, il solito" "Nessun pettegolezzo dall'istituto più pazzo di Acerra*?" Così Monica iniziò a raccontarmi delle nuove coppie che si erano formate e di quelle che erano scoppiate la maggior parte a causa di un tradimento a volte a causa di lui a volte a causa di lei. E mentre spettegolavamo mi arrivò un messaggio su Facebook. [*Acerra è un paese in provincia di Napoli]

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