COLD COFFEE

di memyselfandbia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO II ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO I ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO II ***


CAPITOLO DUE


 
Il vento mi scompiglia i capelli, mi stringo le braccia al corpo cercando di non mollare la presa della busta della spesa. La mia Montreal ha il talento di esser soleggiata un attimo prima per poi creare un vento fortissimo, bello cominciare la propria settima di riposo dal lavoro con il brutto tempo. Non è sarcasmo, io amo il freddo, la neve, il vento, il fruscio delle foglie, il profumo della pioggia, soprattutto l’essenza che emana la foresta dopo che ha piovuto.
Quello che detestavo era il raffreddore che avrei avuto dopo.
Ero contenta di essere a casa per qualche giorno, ma mi mancavano i miei pazienti.
Come la signora Stone, che con i suoi capelli color del latte mi accoglieva sempre con un sorriso e mi raccontava di come di notte, da ragazza, fuggiva di nascosto dai suoi genitori per incontrare colui che sarebbe diventato suo marito e padre dei suoi otto figli. Una volta mi cantò la canzone che le aveva dedicato il suo amore, piansi come una bambina mentre sentivo le parole cariche di emozione fuori uscire dalla sua bocca.
Oppure Robin, la ragazza che si era ustionata la mano perché voleva provare con l’attività di candele profumate fatte in casa, era convinta che due o tre ‘do it your self’ visti da internet bastassero per diventare una donna in carriera.
Poi c’era il piccolo Stephan, alla fine si era scoperto che il suo malessere era dovuto ad un virus e ad una leggera anemia, probabilmente ereditata dalla madre; ma con un dieta apposita, le medicine e qualche accorgimento sarebbe stato il bimbo più sano e forte di questo mondo. Era uscito dal ricovero due giorni dopo il nostro primo incontro. Mi mancava la tenerezza di quel bambino. Non posso dire lo stesso di Deniel, che razza di stronzo egocentrico. Ma davvero crede che quell’approccio incanti le ragazze?  I miei fratelli penso se l’appunterebbero da qualche parte nel loro cervello per poi uscire e provare la nuova tattica.
“Melissa! Sig…Infermiera? Melissa! Fratello, è la ragazza dell’ospedale che cazzo mi picchi” mi sentii chiamare, con cautela mi girai, dato che molte volte mi era capitato di voltarmi e con il forte vento trovarmi foglie umide in faccia.
Li riconobbi subito erano due dei fratelli di Deniel Il Deficiente, sorrisi al pensiero che se avessero saputo che nomignolo avevo affibbiato al loro fratello mi avrebbero presa per pazza.
“Ciao! Sì, sono io. Il pugno dovresti restituirglielo dato che hai azzeccato chi ero.” Sorrisi, quanto sapevo essere stronza a volte.
“L’avevo capito subito che eri una forte” detto questo restituii il pugno a suo fratello, forse con un po’ troppa potenza dato che aveva cacciato un urlino e si teneva il braccio mentre guardava in cagnesco il fratello.
“Come sta Stephan? Ehm…scusate non ricordo i vostri nomi!” sapevo di esser diventata rossa per l’imbarazzo, ma davvero non ricordavo come si chiamassero, ma a mia discolpa potevo dire che quel giorno ero stanca e la mia mente aveva messo in archivio le informazioni di seconda importanza.
“Tranquilla, io sono Drew e lo stronzo che mi ha probabilmente slogato la spalla è Jared.”
“Di nuovo piacere Drew e Jared. Vuoi che ti dia una controllata alla spalla? Ho anch’io due fratelli e ormai spalle, gambe, polsi rotti o solo leggermente feriti sono una delle mie specialità.” Appena quelle parole mi uscirono di bocca seppi che avevo appena detto una cavolata.
“Sarebbe grandioso, abitiamo proprio nella via qua a sinistra, così rivedi anche Stephan.”
E Deniel Il Deficiente pensai.
 
La loro casa era veramente bellissima, non saprei definire lo stile che adottava, non c’ho mai capito niente di cose tipo chic, bohemian e robe del genere.
“Vieni accomodiamoci in sala, Jared prepara… caffè o thè?” mi chiese con un sorriso Drew.
“Oh ehm… thè, bollente se possibile”
“Non vorrai mica ustionarti proprio a casa nostra e infangarci la fedina?”
“No, è che solitamente ci metto tanto prima di finirlo e così quando arrivo all’ultimo goccio anch’esso è tiepido o ancora caldo e non freddo. Detesto il thè freddo.” Spiegai.
Dalla cucina sentì Jared urlare “sai vero che non gli ho fatto così male e che sta solo fingendo perché è un brutto porco bugiardo?!” mi coprì la bocca con la mano tentando di non scoppiare a ridere di fronte a Drew.
“Fratello ti conviene cominciare a scappare!” e accadde tutto troppo velocemente in un secondo Drew era già in cucina sopra di Jared e aveva cominciato a prenderlo a pizzicotti, schiaffi e solletico sotto le ascelle, io non riuscì più a trattenermi e scoppiai a ridere. Santo cielo, questi sono più matti dei miei fratelli!
“Ma porca vacca, non si può nemmeno fare un riposino in questa casa, oh ciao! Ti sono mancato tanto da venir a casa mia” dalle scale scese Deniel e le mia risa di un attimo prima si cessarono lasciando spazio a un sorriso molto forzato.
“Se ti piace pensarlo. Ma Stephan?” chiesi volgendo la mia attenzione verso gli altri due fratelli ancora a terra.
“È su con Brandon e la sua ragazza, se vuoi ti accompagno così ti mostro anche la mia camera” mi rispose Deniel il Deficiente continuando a fissarmi con una faccia da culo incredibile.
“Non vorrei prendermi qualche malattia.”
“Oh oh, fratello che fine ha fatto il tuo…come lo chiamavi… ah sì ‘tocco magico” scoppiamo tutti a ridere meno che Deniel che alzo il dito medio rivolto a Drew.
“Oh, che carino! Anche tu sei il mio numero uno” ribatté quest’ultimo.
 Mi avvicinai alle buste della spesa che avevo appoggiato vicino al divano “ora dovrei andare.”
“E la mia spalla?” Drew mi guardò e facendo finta di piangere si accarezzò il punto dove Jared l’aveva colpito. “Credo sia guarita.” Dissi sorridendo.
Deniel si avvicinò a me e prese le buste “forza, ti accompagno. Credo che comincerà a diluviare” lo fissai intensamente per tre minuti.
 
Mi devo fidare?


“Non ti mangio, Miele, sto cercando di essere un gentil uomo.” Miele?
“Mi chiamo Melissa” precisai
“Lo so, ma i tuoi capelli mi ricordano il miele. Seguimi, la macchina è parcheggiata sul vialetto” detto questo andò fuori con le mie buste.
Pensai al soprannome che mi aveva affibbiato, certo, era sempre più raffinato rispetto a quello che gli avevo dato io, ma capivo il perché l’avesse scelto. I miei capelli erano biondi dorati come quelli di mia madre e spesso mi erano stati fatti complimenti oppure la maggior parte delle donne mi chiedeva che brand di tinta usassi, onestamente non capivo perché tutti nutrissero questa particolare attenzione verso il colore dei miei capelli. Io li vedono normali senza nessuna speciale stranezza.
Il clacson mi risvegliò dai miei pensieri, Deniel il Deficiente mi stava gentilmente chiamando.
“Ciao ragazzi, è stato un piacere. Date un bacio da parte mia a Stephan.” Raccolsi la mia borsa e uscii di casa con il coro di Drew e Jared che mi salutavano.
Mi sistemai sul sedile dell’auto, mi legai la cintura e sperai di non dovermi subire le sue perle di stupidità durante il viaggio.
“Mi dispiace” disse Deniel rompendo il silenzio.
“Come scusa?” lo guardai stranita, se si stava scusando per le cafonate che mi aveva ricolto da quando ci eravamo conosciuti potrei giurare di aver visto un asino volare.
“Per il mio atteggiamento, scusami.” Sì credo proprio sia un asino che vola quello.
“Davvero? Sei serio?” facevo meglio a non continuare a chiederglielo poi se ne sarebbe pentito.
“Mi dispiace se ho esagerato, per il resto vorrei davvero uscire con te.”
“Oh” lo fissai.
“Sarebbe un sì o un no?”
“Un no. Non offenderti, ma sei proprio quel tipo di ragazzo da cui le madri consigliano la distanza di sicurezza perché finite per farci procreare”
Deniel scoppiò a ridere, svoltò nella via che gli avevo detto in precedenza, fermò poi l’auto, si allungo sul sedile posteriore e mi passò le buste.
“Son troppo giovane per diventar padre e anche troppo bello” ecco tornato il Deficiente sapevo che non ne n’era andato tanto lontano questo suo lato.
“Peccato, a me i padri giovani e belli piacciono tanto. Si vede che non è destino” lo presi in giro.
 
Scesi dall’auto, lo ringraziai e mi diressi verso la porta di casa.
“Possiamo sempre metterci a lavoro per cambiare la situazione Miele!” Alzai il dito medio, gli mandai un bacio sarcastico e mi rintanai in casa.
Mi diressi in cucina per cominciare a sistemare i prodotti che avevo comprato nel pomeriggio, ero stanca nonostante non avessi fatto granché durante il giorno, nella testa continuava a ronzarmi la voce di Deniel cosa che trovavo irritante e che mi fece venire il malumore.
 
Che scatole.
 
Controlli l’orologio e notai che era quasi ora di cena perciò mi misi hai fornelli. Stasera la chef offriva lasagne al forno con una quantità esagerata di besciamella.
“Sorella siamo a casa!” “Cosa ci hai cucinato di buonissimo?” sia John che Matt mi passarono di fianco stampandomi un bacio sulla fronte e strofinandosi la pancia segno che avevano molta fame.
“Su, andate a lavarvi nel frattempo che finisco di preparare il tutto” gli dissi.
“Sì, signor capitano!” esclamarono.
 
Quanto adoravo quei babbani.
 
 
 
 
 
             

Ciaooo!
Spero che il nuovo capitolo vi piaccia!
Grazie mille per l'attenzione!
Buon inizio settimana!
Un abbraccio, Bia!


 

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Capitolo 2
*** CAPITOLO I ***


CAPITOLO UNO
 
Erano da poco passate le quattro del mattino, ed a passo stanco mi recai nella sala relax dell’ospedale presso cui lavoravo da ormai un anno e mezzo come infermiera. Avevo iniziato la mia carriera prima come stagista e in seguito come dipendente, ero stata fortunata, molti dei miei vecchi compagni universitari non avevano ancora un lavoro stabile e più volte mi era giunta voce che presi dallo sconforto lasciavano Montreal o addirittura il Canada. Quando ne venivo a conoscenza sentivo nei loro confronti molta stima e ammirazione per la loro presa di coraggio, io non so se riuscirei a lasciare i miei fratelli, la mia città, cominciare da zero in un nuovo paese con differenti culture e accenti.
Mi chiusi alle spalle la porta della sala relax dove, con le braccia converse e il capo chino, uno specializzando si riposava, decisi di prendermi una tazza di caffè non era il massimo del gusto, ma almeno mi avrebbe aiutata a superare le ultime due ore di lavoro. Era stata una notte tranquilla senza particolari gravi incidenti. Ricordo come fosse ieri la mia prima notte in ospedale: erano da poco passate le due del mattino fino a quando la responsabile ci informò che stavano arrivando due ambulanze con due persone molto gravi, si chiamavano Steve e Lucy. Erano una giovane coppia da poco sposata e quella sera nel tornare da un concerto il ragazzo aveva perso per un millesimo di secondo il controllo della macchina, un secondo di troppo. Sono deceduti entrambi poche ore dopo esser giunti in ospedale, avevano ferite profonde, sono state le ore più intense che avessi mai provato e durante quella notte capii il vero senso di tristezza e verità che si nascondeva dietro alla frase “abbiamo fatto il possibile”, andai al loro funerale perché per qualche assurdo motivo sentivo che dovevo esser là, nonostante non li conoscessi.
 
“Melissa, ti stanno cercando giù in pronto soccorso, credo che la nuova arrivata abbia bisogno del tuo aiuto” dalla porta sbucava la testa del mio amico e collega di lavoro Marley.
“Sì, arrivo. E togliti quel sorriso idiota dalla faccia anche te sei stato in difficoltà quando sei arrivato.” posai la tazza di caffè nella piccola lavastoviglie, mi strofinai gli occhi e raggiunsi Marley.
Per arrivare al pronto soccorso dalla sala relax bastava percorre venti metri di corridoio e prendere l’ascensore, comodo se solo non avessi una paura enorme verso quei aggeggi. Il lato positivo era che la sua discesa e salita durava pochi secondi, poi potevo tornare a respirare regolarmente.
“Allora, che fai finito il turno?” mi chiese Marley.
“Dormo” gli risposi guardandolo e facendo spallucce come a dirgli ‘non tutti siamo mondani come tè.’
Salimmo sull’ascensore, strinsi forte gli occhi e cominciai a contare 1,2, 3, 4, 5, 6, DIN! Le porte si aprirono e io tirai un sospiro di sollievo.
“Postazione numero 7, in bocca al lupo mio fiorellino di campo.” mi prese in giro Marley, aiutare un nuovo arrivato era sempre una fatica perché dovevi aggiustare la situazione con il paziente e tranquillizzare il tuo collega.
“Vaffanculo” gli dissi sorridendogli.
“Che donna raffinata.” e se ne tornò al suo lavoro.
 
Scostai la tenda della postazione e mi resi conto che c’era un po’ troppa gente.
C’erano cinque ragazzi, si assomigliavano parecchio perciò dedussi dovessero essere fratelli o qualcosa del genere, uno di loro era seduto sul lettino accanto ad un bambino che avrà avuto poco più di un anno e mezzo. Mi sorrisero perciò ricambiai e scrutai a destra e sinistra per vedere dove fosse la ragazza alle prime armi, la trovai accanto al mobiletto del lettino con la cartelletta del paziente tra le mani tremanti.
“Salve! Ivy mi daresti la cartella?” allungai un braccio e con sguardo sereno la rassicurai e le feci cenno di accostarsi a me, vidi che trasse un sospiro e l’ansia che le avevo letto in viso qualche secondo prima cominciò ad abbandonarla.
“Allora… Stephan?” sapevo che la loro presenza in pronto soccorso fosse dovuta alla febbre del piccolo Stephan dato che tutte le informazioni erano scritte dettagliatamente sulla cartella, ma chiesi comunque sperando di ottenere qualche informazione in più.
“Sì, è questo ometto seduto accanto a me.” mi disse il ragazzo. Era alto e molto muscoloso, ma non di quel genere pompato dove passano la vita in palestra, no, era il tipo di fisicità che si ottiene lavorando o praticando sport con necessità di grande stazza, mi accorsi che anche gli altri ragazzi presenti erano più o meno come lui. Aveva i capelli scuri e gli occhi di un verde bottiglia, labbra carnose e un viso dalle linee dure.
“Ciao Stephan, io sono Melissa e sono un’infermiera, ti va di fare un gioco con me?” mi chinai leggermente verso il bimbo e gli sorrisi, volevo infondergli sicurezza e simpatia cosicché si sarebbe rilassato facilitando così tutti gli esami prescritti dal medico che l’aveva visitato prima che arrivassi io.
Stephan scosse la testa e lanciò uno sguardo ai suoi familiari.
“Fa fatica a lasciarsi andare con le persone, doveva vedere prima con il medico. Una tragedia. Comunque io sono Deniel e loro sono i miei fratelli Brandon, Drew, Gabriel e Jared e il marmocchio è nostro nipote.” disse il ragazzo seduto sul lettino.
Sorrisi a tutti, poi mi venne un’idea.
Presi un bastoncino di quelli che si usano per abbassare la lingua e controllare la gola, mi avvicinai a Stephan e gli dissi che era una spada che regalavo solo ai bambini bravi come lui, quest’ultimo sorrise e con la sua dolce manina afferrò il pezzetto di legno.
“Atie.” lo interpretai come un ‘grazie’ e con accortezza gli passai dolcemente la mano sulla sua guanciotta. Aveva dei tratti che mi ricordava il viso di qualcuno, ma non sapevo chi.
“Scommetto che con questa spada non avrai paura di fare due giochini con me, no?” tese le braccia verso di me come a voler dire che si sentiva pronto e che avevo la sua fiducia. Lo presi, lo appoggiai sul fianco sinistro del mio corpo e gli stampai un leggero bacio sulla fronte. Stephan poggiò la testa sulla mia spalla e mi sussurro un flebile ‘andiamo’. Alzai lo sguardo rendendomi conto che tutti nella stanza mi fissavano con sorriso ebete, Ivy mi guardava con aria ammirata e notai che aveva gli occhi lucidi. Non capii perché, di certo non era la prima volta che vedevano una donna con in braccio un bambino.
Dissi ai cinque fratelli che erano liberi di aspettare in sala d’attesa o che se preferivano uno di loro poteva venir con me, fu Deniel a proporsi e così ci dirigemmo verso la sala dedicata agli esami del sangue.
“Mi chiedevo quale fosse il suo cognome.” disse Deniel interrompendo il silenzio imbarazzante che si era creato mentre facevo il prelievo del sangue a Stephan.
“Non credo sia di rilevante importanza dirglielo”
“Sarebbe stato più semplice trovarla sull’elenco telefonico per chiederle di uscire.” sgranai gli occhi. Nessuno era mai stato mai così sfacciato da propormi un appuntamento nel pieno di un esame, per di più con suo nipote. Magari avrei potuto deconcentrarmi e sbagliare.
 Okay Melissa, rilassati non ti ha chiesto di donargli un rene.
“Chiedermi direttamente di uscire non sarebbe stato più semplice?”
“Non impazzisco per le cose facili.” disse con un sorrisetto arrogante stampato in viso.
Che gran faccia di idiota stupito egocentrico, ne avevo conosciuti di tizi come lui e non desideravo frequentarne altri.
“Beh… dato la sua galante richiesta indiretta il mio rifiuto non sarà da meno.” detto questo sollevai il piccolo e mi incamminai verso la stanza per il secondo esame.
“Non sa cosa si perde” pronunciò Deniel che camminava un paio di metri dietro di me.
 
Deficiente.
 
Terminati i due esami riaccompagnai Stephan e Deniel alla sala d’attesta dove i fratelli di quest’ultimo e Ivy aspettavano. Posi a Brandon suo nipote che lo sollevo sulle spalle scatenando la risata del piccolo.
“Ora Ivy vi accompagnerà nella camera che occuperete nel mentre aspettiamo i risultati degli esami, va bene? Per qualsiasi cosa potete chiamare me o Ivy saremo entrambe di turno fino alle 6 poi una collega verrà in nostra sostituzione. Ciao campione, sei stato bravissimo!” detto questo accarezzai la testolina riccia e bionda del piccolo e salutai i fratelli.
Deniel continuava a fissarmi e questo mi metteva a disagio e a tempo stesso mi faceva incazzare. Detestavo essere guardata.
“È stato un piacere conoscerti” mi salutarono i ragazzi.
“Già, concordo con i miei fratelli” se ne uscì Deniel.
Lo mandai mentalmente al gabinetto e lanciando un ultimo sorriso a Stephan me ne andai.
 
6.30 a.m.
 
Cercai le chiavi di casa nella borsa azzurra che mi aveva regalato un paziente poco tempo prima, finalmente avevo finito il turno e non vedevo l’ora di tuffarmi nel letto e dormire con un orso in tempo di letargo.
I miei fratelli, John e Matt, erano già usciti per andare a lavorare quindi non avrei dovuto rispondere alle solite domande del tipo ‘com’è andata a lavoro? ’ o ‘è arrivata qualche nuova infermiera sexy? ’, girai la chiave nella serratura e spalancai la porta. Finalmente a casa.
Mi tolsi le scarpe buttandole una a sinistra e l’altra a destra, salii le scale che portavano alla mansarda dove c’era la mia amata camera e togliendomi i jeans strappati mi buttai sul letto, poco dopo crollai in un sonno profondo.
 
Buonanotte Melissa.

 
 
 
 
 

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