La vita e l'Immaginazione

di Ronnie92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La formichina incastrata ***
Capitolo 2: *** Lo stanzino ***
Capitolo 3: *** Quando arriva la notte ***
Capitolo 4: *** Leoncina e Panda ***
Capitolo 5: *** La tigre e la gru ***
Capitolo 6: *** 12 Anni Dopo ***



Capitolo 1
*** La formichina incastrata ***


                                                     Capitolo 1
                                       La formichina incastrata

“Tutto parte dall’immaginazione  Arturo!” gli ripeteva sempre la mamma.
“Se ti serve qualcosa, allora immaginala, creala nella tua testa e desiderala intensamente. Qualcosa sicuramente accadrà!”.
Arturo era un bambino speciale, non era intelligente, né era sopra o sotto la media, non era un bambino bellissimo né decisamente volenteroso.
Ma Arturo aveva qualcosa che tutti gli altri  coetanei cominciavano a perdere: l’Immaginazione!
Costretto a casa per dei continui malanni lievi, tosse, influenze varie, Arturo si costrinse a percepire la realtà in modo diverso rispetto agli altri.
A 5 anni ebbe la sua prima “Esperienza immagino-speculare della realtà”, così la chiamavano i medici.
Per Arturo era solo la sua vita.
Tutto partì da quel pomeriggio di qualche anno prima…

Un rumore di passi.
Silenzio.
Un rumore di passi più svelto ancora.
E poi silenzio.
Arturo era seduto nella poltroncina, aveva in mano un fumetto, di quelli divertenti, ma quel giorno non riusciva a concentrarsi.
Quel rumore di passi lo distraeva in modo inconcepibile.
Non era strano che a 5 anni avesse già voglia di leggere così tanto, dopotutto era un bambino estremamente curioso, ed estremamente rinchiuso!
“E così il mago Lippo ottenne la sua bacchetta per la prima vo…”
- Boounf – tichi, tichi, -Boounf.
Quello zampettio lo deconcentrava.
Il rumore diveniva sempre più consistente, tanto che fu costretto a posare il fumetto sul tavolino quadrato al suo fianco.
La sua indole lo costrinse ad alzarsi e a dirigersi  verso quel rumore assordante.
“Aiuto!” –tichi, tichi-
“Aiutoooo!” – tichi, tichi-
Un gridolino scomposto proveniva da dietro il termosifone spento.
“Non può essere il termosifone – pensò – fa ancora troppo caldo perché possa essere un sbuffo di vapore”.

Con lo sguardo curioso di chi ha appena cominciato a scoprire il mondo, e il vocabolario di un linguista di 73 anni, Arturo si affacciò senza paura dietro il termosifone.
“Oooooooh, finalmente qualcuno!”
Una formichina, intrappolata in una intercapedine fra muro e termosifone, gridava aiuto con tutta la voce che aveva nel suo piccolo ma forzutissimo corpicino.
“Aiuto!A-a-aiuto! Ti prego tirami fuori di qui”.

Arturo non disse una parola, mise la mano nell’intercapedine, afferrò quanto più delicatamente la formichina e la tirò fuori da quel pastrocchio.
La guardava fissa, posandola poi sul tavolino, affianco al fumetto.
“Adesso mi dici come sei arrivata dietro al termosifone?”

La formichina, ancora scossa, mosse  la testa freneticamente.
Era rimasta intrappolata per giorni e giorni.
Aveva fame, era triste, pensava di non farcela più.
Ma poi, la manona di quell’essere umano l’aveva salvata.
“Grrrrazie… Grazie di cuuuore” gli diceva mentre era avvolta da una valle di lacrime, vista la salvezza appena ottenuta.
Ma senza dire null’altro scappò via freneticamente, scese dal tavolo, e Arturo la vide andar via velocemente sul pavimento, finto marmo, di cui la mamma andava tanto fiera.

Arturo si andò a sedere, e senza più rumori strani la sua concentrazione si calmò e riprese a rileggere il fumetto.
Quella con la formichina fu la sua prima esperienza immaginativa.
Arturo sentiva le cose muoversi intorno a lui.

 

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Capitolo 2
*** Lo stanzino ***


                                                      Capitolo 2
                                                    Lo stanzino

Nella Grande Casa dove viveva, Arturo aveva una stanza preferita.
Non era la stanza dei giochi, né quella con la televisione e neppure quella dove si mangiava.
La sua stanza preferita era Lo stanzino!
Lo stanzino era lo sgabuzzino di casa, dove mamma e papà conservavano le cianfrusaglie dei loro viaggi, della loro vita passata.
Arturo credeva che tutto vi potesse accadere al suo interno, e per questo non vi entrava mai.
Bisogna dire che a volte Arturo aveva un po’ paura.
Ma la sera, prima di andare a letto, chiedeva alla mamma il permesso di sedersi dietro la porta dello stanzino.
E la mamma non gli diceva mai no.
“Si ma mi raccomando, al massimo 10 minuti, poi a nanna!”
Le regole della mamma erano ferree, non poteva sgarrare.
Ma per Arturo, detto Artù, quei 10 minuti erano i più belli di tutta la giornata!

Il rituale era semplice, saliva i tre scalini che lo separavano dalle altre stanze, si sedeva con le spalle alla porta e socchiudeva gli occhi.
Nella sua mente un mondo di mille colori sconosciuti si ricreava.
Se c’era silenzio riusciva persino a sentire il rumore del ruscello che correva felice nello stanzino.
Un’alta montagna si stagliava altissima, fin sopra le nuvole, e il Sole emetteva i suoi raggi caldi e bellissimi su una distesa di verde immensa.
Decine e decine di scimmie volavano fra liane sottili come fili di seta e duri come l’acciaio, coccodrilli e panda danzavano chi nell’acqua, chi tra gli alberi per propiziare la pappa.
Poco distante vi era una piramide dorata, di quelle che avevano incisioni enormi che raffiguravano scene di un passato bellissimo e avvincente.

Arturo amava la storia, qualsiasi storia, reale o immaginaria.
E nello stanzino tutto poteva accadere.
Decine di Albatros volavano lungo le rive del ruscello che via via si ampliava e aumentava la forza del suo flusso, fino a sfociare in un mare dall’azzurro che quasi non poteva essere descritto a parole.
Un colore che ricordava il cielo poco prima dell’alba, quando i primi chiarori risvegliano quella luminosità intrinseca della vita.
E mille pappagalli dai colori diversi volavano tra gli alberi.
Serpenti tentatori attendevano le loro prede con astuzia.
Leonesse dal colore della sabbia più bella e pura si riunivano per la caccia, e enormi Elefanti e Ippopotami condividevano un bagno rinfrescante.
Habitat diversi si fondevano per creare qualcosa di illogico e armonioso, tutto era delicato e decisamente irreale, ma di quella irrealtà che faceva sorridere Ar..

“Artù! Forza sono passati undici minuti, uno in più del previsto. E’ ora di andare a dormire!”

Ogni sera era sempre la stessa storia. Quando stava per cominciare una delle sue avventure il tempo finiva.
Ma un giorno sarebbe cresciuto, e quel giorno sarebbe stato seduto fuori lo stanzino per tutto il tempo che desiderava.

Messosi nel letto la mamma arrivava e gli rimboccava le coperte, lo baciava sulla fronte e gli diceva di amarlo, di amarlo più d’ogni cosa al mondo.
Arturo allora sorrideva ancora di più e, placido, si abbandonava al dolce sonno.


 

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Capitolo 3
*** Quando arriva la notte ***


                                                      Capitolo 3
                                         Quando arriva la notte

La notte era un bel momento per Immaginare.
Non c’erano più limiti.
Poteva volare insieme alle colombe bianche, immaginare  di nuotare e visitare gli abissi oceanici più vasti.
Poteva scalare l’Everest, o essere lui stesso l’Everest!

Quando la notte si vuole dormire i rumori che vengono dall’esterno possono essere terribili, e Arturo lo sapeva bene
Ma quando i rumori provengono dalla tua testa?
Artù era un bambino speciale, non sapeva ammetterlo, e ancora oggi non direbbe mai di essere un uomo speciale.
Ma lo era, lo era decisamente, definitivamente e assolutamente, senza poter negare una realtà che la stessa realtà sosteneva.

Vivere in un bosco pieno di animali diversi era il sogno più bello che provava.
Cricri era il Grillo più fastidioso che avesse mai conosciuto, perché non friniva mai!
Era l’unico grillo al mondo che non diceva mai una parola, mai niente da ridere su nulla! Era la pecora nera della sua specie!
Ma per questo Artù lo amava, almeno tanto quanto lo trovava fastidioso.
Nei suoi sogni, Artù camminava felice nel bosco con Cricri.
Artù gli dava sempre dei suggerimenti per evitare che si facesse male, una sorta di regola al contrario.
Arturo era la coscienza del grillo, e il grillo, per essere al passo con la sua coscienza, combinava sempre tantissimi casini.
Come quella volta che aveva lasciato la sua pianta per girare il mondo, ma dopo aver trascorso un giorno di viaggio, stanco e intontito dal caldo, voleva tornare di corsa a casa ma non trovava più la strada.
Per fortuna che c’era Rocky il Gallo, che passò di lì salvandolo.
Rocky, detto “Rock”, era il Gallo più strano del mondo.
Amava fare risse, adorava le belle gallinelle, e ruspava a più non posso, e fin qui tutto normale.
Ma Rock aveva un sogno: Rock, più delle gallinelle e delle risse desiderava volare.
“Un giorno volerò amici miei – diceva rivolgendosi ad Arturo e a Cricri-  volerò così in alto da sfiorare il Sole, e sarò felice come un Capretto a Pasqua!”.
Si è vero! Nel bosco dei sogni, nei giorni di Pasqua, i Capretti erano gli animali più felici.
Venivano accuditi e coccolati da tutti, amati e abbracciati.
Un po’ il paradosso del sogno.
Arturo amava i paradossi.
Erano tutto ciò di più intrigante potesse creare; come costruire labirinti via via più complessi.

E quel fatidico giorno Rock salvò Cricri, perché aveva cominciato a volare.
Il desiderio era divenuto realtà.
E da quella volta Artù e Cricri volavano insieme a Rock, e in quei momenti Rock era il Gallo più strano e felice di tutti i mondi possibili, reali o immaginari.


 

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Capitolo 4
*** Leoncina e Panda ***


                                                        Capitolo 4
                                                Leoncina e Panda

Leoncina e Panda erano i due amanti più belli del Bosco dei sogni.
Quando nelle notti più fredde Arturo si avvolgeva nelle coperte sognava l’abbraccio coccolone di Panda.
E quando invece era in vena di correre, era al fianco di Leoncina.
Leoncina era la regina delle Leonesse del Bosco.
Viveva insieme ai suoi simili ma era diversa.
Era forte, fiera, splendida nel suo manto dorato.
Tutti i leoni la desideravano come compagna, eppure il cuore di Leoncina apparteneva a Panda, il re del Bosco.
Panda era tranquillo, a volte un po’ irascibile e testardo, ma in realtà era un pezzo di pane. Ed era proprio questo che piaceva a Leoncina.
Arturo attraverso di loro capiva l’amore.
Qualcosa di difficilissimo eppure semplicissimo.
Qualcosa che non si soffermava sulle apparenze di specie o colori, o dimensioni, ma qualcosa che veniva dai caratteri, dal “cercarsi” reciprocamente.
Ogni notte Artù accompagnava Leoncina da Panda, e Panda abbracciava forte la sua Leoncina, e tutti e tre dormivano insieme.
Ogni volta che faceva quel sogno Arturo non sentiva mai freddo.
E in fondo era proprio quello che gli insegnavano i due amanti.
Leoncina gli diceva questo: “L’Amore piccolo Artù è non sentire mai freddo. Non sentirsi mai scoperti, non essere mai soli, anche quando ti ritrovi da solo”.
Artù a volte non riusciva a capire certe cose, perché sapeva di dover provare su di lui quelle parole.
Anche quando ricordava le parole di Panda rimaneva sempre un po’ perplesso:
“Arturo, piccolo mio, dai tempo al tempo ed ogni risposta ti sarà svelata. Non cercare di crescere velocemente, perché ciò che hai è il dono più prezioso che esiste”.
Eppure oggi, le parole di Leoncina e Panda non possono essere più vere e sincere.
L’immaginazione crea mondi imperfetti perché attraverso l’imperfezione si può sempre migliorare, e migliorare la realtà con la sua immaginazione era il sogno più vero di Arturo.

Panda e Leoncina erano i suoi migliorissimi amici.
Sapeva di sbagliare dicendo “migliorissimi” ma non esisteva una parola migliore. Perché nelle amicizie esiste il tradimento, l’attesa, il non vedersi e il non sentirsi, ma così non era per loro tre.
Perché ogni volta che desiderava un consiglio loro erano lì, nei suoi sogni.
E quando era triste loro erano lì, e lo abbracciavano forte.
Che a spingerlo fosse la sua fervida immaginazione o il bisogno continuo di attenzioni non gli era chiaro, ad Artù importava essere felice al massimo che poteva.


 

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Capitolo 5
*** La tigre e la gru ***


                                                       Capitolo 5
                                               La tigre e la gru

Eppure Arturo era così, deciso e indeciso, un bambino dalle mille aspettative e dalle 3000 opportunità.
Per ogni traguardo raggiunto, la sua mente immaginava altri mille possibili scenari da realizzare.

A 11 anni Artù era un bambino davvero incredibile.
Aveva già immaginato l’impensabile, vissuto l’impossibile e coniato nuovi concetti astratti e irreali.
Era la personificazione dell’immaginazione.
E nell’immaginazione ritrovava la sua serenità.
In un mondo sempre più grigio, la sua mente operosa lo proiettava in posti sempre più fantastici. Non irreali ma meravigliosi. Posti idilliaci, come le bianche spiagge dei Caraibi, le meravigliose Aurore Boreali, le Oasi nel deserto, luoghi di pace.
Come quella volta che incontrò la tigre Barabat.
Erano andati tutti allo zoo, e mentre tutti si erano soffermati ad ammirare le tigri che mangiavano e giocavano, Artù si fermò innanzi alla vetrata di una tigre distesa al sole.
Aveva uno sguardo fiero, un portamento unico.
Sulla teca vi era l’incisione “Barabat, nato e cresciuto in cattività”.
Barabat non aveva mai visto il suo habitat.
Non lo conosceva, eppure… Eppure era la tigre più nobile e bella che potesse esistere.
Artù, al solo guardarla, ne rimase innamorato.
Era stupenda, dai colori sgargianti e dalla corporatura massiccia.
“Ad 11 anni – pensava Arturo - non ti stupisci più di nulla quando hai una immaginazione come la mia”.
Eppure quella tigre era un elemento shoccante.
Era fiera e bellissima, ma era triste, di una tristezza che Artù non aveva mai visto, né riteneva fosse possibile.
Si sentì stringere lo stomaco, fortissimo.
Corse verso la mamma.
“Mamma liberiamo Barabat”.
La madre, che era alle prese con i due fratellini più piccoli, lo guardò sorridendo: “Non oggi Artù, oggi no. Ma forse un domani possiamo. Forse domani potrai”.
Artù, per la prima volta, in quegli undici anni di vita, era in disaccordo con la madre.  Barabat doveva essere salvata subito. Ma per la prima volta Artù si sentiva anche impotente.
La sua immaginazione non poteva fare niente.
Ritornò davanti alla tigre.
E con un alitata sul vetro, il piccolo Arturo disegnò una gru.
Non un animale, ma una gru di quelle sollevano gli oggetti pesanti.
Lì per lì non capì il motivo di quella gru, ma negli anni ebbe a spiegarsi sempre di  più quel disegno che all’epoca gli sembrò irrazionale.
“La gru solleva, tira su tutto ciò che è pesante.
E più pesante della schiavitù non esiste niente”
Questo era il pensiero maturato negli anni.
Barabat era l’animale più fiero che avesse mai visto.
La sua immaginazione lo spinse ad una gru.

Quando tornarono a casa, Arturo andò a dormire senza cena.
Non si sedette nemmeno innanzi allo stanzino.
Non sognò nemmeno Leoncina e Panda, né Cricri e Rocky.
Privare Barabat della felicità era un atto che non riusciva a comprendere.
Decise in quel momento di usare tutta l’immaginazione che aveva per salvarlo.
Nei suoi sogni progettava, pensava, escogitava, ma nulla.
Non riusciva ad andare avanti.
Davvero l’immaginazione non poteva aiutarlo quella volta?
Davvero.

Quella notte cambiò Arturo.
Lo rese un bimbo più ancorato alla solidità della vita.

 

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Capitolo 6
*** 12 Anni Dopo ***


                                                                       Capitolo 6                                                 
                                                 12 Anni dopo

12 Anni.
Erano passati 12 anni.
Una vita a cambiare, plasmare il futuro.
Arturo era un giovane uomo adesso.
Non aveva altro che se stesso, la sua mamma, i suoi fratelli, il suo papà, il suo lavoro, i suoi libri, la musica,la sua fidanzata e il suo lavoro.
Erano tutto il suo mondo.
Aveva il suo mondo adesso, uno reale di cui prendersi cura.

15 Maggio 20**

“E’ dura oggi, fa molto più caldo del solito, saranno tutti irrequieti”.
Paola era abbastanza arrabbiata.
“Si, sono d’accordo. Non so quanti ne recupereremo, ma daremo il massimo” – rispondeva Arturo sopra il gommone mentre dava uno sguardo ai radar -.

Qualcuno aveva “perduto” qualche tonnellata di petrolio nel mare, e alcuni delfini abbastanza territoriali si erano insudiciati.
Ne avevano appena salvati tre, ma non era abbastanza.
Avrebbero continuato tutto il giorno.
E proprio tutto il giorno fu trascorso in balia del caldo, del vento, della marea e del salvataggio dei delfini che riuscirono a ritrovare.

“Artù te ne vai a casa?”
“Si Paola, assolutamente. Sono stanco oggi”.
Salutò Paola, il capo del suo team, e Artù se ne tornò a casa.

Quello fu il giorno della svolta.

Salì in macchina, accese il motore, e i fari illuminarono la strada buia.
Ingranò la prima e si mosse verso casa.
Quando qualcosa colpì la sua attenzione.
Una macchia arancione attraverso rapida la strada.




Accostò la macchina sulla destra, e scese di tutta fretta.
Inseguì la macchia di corsa, finché questa non si fermò.
La sentì ruggire.
Un suono così nitido che dei brividi gli corsero dietro la schiena.
Si avvicinò e la vide: la tigre, la stessa tigre di 12 anni prima.
“Barabat! – gridava – Barabat!”
La tigre si girò verso di lui, e si stese sotto le stelle.

“Non mi aspettavi vero?”
Arturo trasalì. La tigre gli stava parlando, parlando letteralmente.
“Dalla tua faccia vedo che non ci credi. Una tigre che parla!” – diceva la corpulenta tigre dalle quintalate di peso.

“Io non sono una tigre, sono il frutto della tua immaginazione.
Troppi anni sono passati, e troppo tempo doveva passare.
Ti racconterò la tua storia.
La tua immaginazione è stata sempre la tua salvezza, e sempre sei stato legato a lei.
Da quando  vedesti quella tigre ti rifugiasti nella realtà, accantonando la tua peculiarità.
Ora lei ritorna a te.
Sei diventato un uomo, ma un uomo può e deve immaginare.
L’immaginazione è tutto ciò che ti salva dal baratro.
L’immaginazione dà senso a tutto ciò che fai.
Dai senso a te, a me e a tutto ciò che senti.
La tua vita ha qualche spazio vuoto, colmala con l’immaginazione.
Quando non ti senti soddisfatto, usa l’immaginazione.
E se vuoi salvare Barabat, e tutti gli animali, fallo, ma non rinunciare mai a quell’idea che ti spinge ad essere migliore”

E così sparì.
                                                             
                                                             ***

Arturo riaprì gli occhi, era seduto con la schiena appoggiata al vetro.
Dietro di lui Barabat graffiava con insistenza.
Aveva ancora 11 anni.
Il tempo non era passato davvero.
La sua immaginazione lo aveva costretto a guardare in avanti, ad una vita senza di lei.
Una vita piena, intensa, ma priva di stimoli.
Arturo aveva 11 anni, ma aveva la coscienza di un uomo di 50 anni.
Era un bambino con i suoi valori.
Si era addormentato dopo le parole della mamma, ma solo dopo quel sogno aveva capito veramente le sue parole.

Crescere ti fa cambiare, ma certe cose devono rimanere per sempre.
La sua immaginazione, ancora una volta lo aveva aiutato, e si ripromise che un giorno avrebbe cambiato il mondo così come l’immaginazione aveva cambiato lui.


 

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