Dark and Light

di SheDark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** 01. A wonderful shit day ***
Capitolo 3: *** 02. Math lesson ***
Capitolo 4: *** 03. Party time ***
Capitolo 5: *** 04. Good morning Princess ***
Capitolo 6: *** 5. I need a bit of eggs ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


Sentii qualcuno scuotermi la spalla nell'intento di svegliarmi, ma pensai (o meglio sperai) che se avessi finto di stare ancora dormendo mi avrebbe lasciato stare.
«Sophie alzati, tra poco dobbiamo andare.»
«Ancora cinque minuti mamma.» cercai di negoziare.
«Dai forza o libero i cani.» la sua finta minaccia mi ricordò il signor Burns dei Simpson.
Pochi minuti dopo due pesi si buttarono sul mio petto iniziando a leccarmi la faccia.
«Piggy, Snow giù!» risi cercando di togliermi di dosso i due cani, ormai ero abituata a svegliami così dato che accadeva quasi tutte le mattine.
La prima, una Bulldog Francese marroncina dai grossi occhi a palla neri, obbedì subito e si mise seduta mentre il secondo, un candido cucciolo meticcio dagli occhi azzurri, continuò imperterrito a sartiarmi addosso scodinzolando. Dovrò insegnargli ad obbedire ai comandi, pensai mentre bloccavo la sua frenesia.
«Sophie tra poco dobbiamo andare,» ripeté mia madre, «potresti aiutarci a portare fuori gli ultimi scatoloni?»
A già il trasloco!  Mi guardai intorno per la stanza pressoché vuota: ero un po' triste di trasferirmi poiché ero cresciuta tra quelle mura, ma allo stesso tempo ero felice di andare via: la nuova casa era davvero bellissima e spaziosa, e il quartiere era tranquillo, un posto perfetto.
Mi alzai dal mio letto improvvisato (un semplice sacco a pelo) lamentandomi per il mal di schiena e mi vestii con gli indumenti che mi ero preparata la sera prima, ritirai le ultime cose e presi gli scatoloni come mi aveva chiesto mia madre, prima di andare controllai di non aver dimenticato nulla. Sulla porta diedi un ultimo saluto alla casa e poi salii in macchina. Mezz'ora più tardi mio padre parcheggiò sul vialetto della nostra nuova abitazione: una graziosa villetta a due piani, esattamente identica a quelle vicine.
 
*  *  *

Scesi dalla macchina seguita ovviamente dai due cani che iniziarono subito a rincorresi nel giardino anteriore. Mentre mio padre dava indicazioni agli addetti al trasloco mia madre mi raggiunse alla porta d'ingresso aprendola, poco dopo due uomini iniziarono a svuotare il furgone rosso che ci aveva seguito per tutto il tragitto e che ora era parcheggiato sulla strada, lasciando che mio padre e un altro si occupassero di portare i mobili dentro casa.
Entrai nella nuova casa storcendo il naso all'odore ancora percepibile del bianco alle pareti, la maggior parte dei mobile erano già stati sistemati i giorni prima e mancavano solo più le ultime cose. L'entrata si affacciava da un lato sul salotto e dall'altro sulla sala da pranzo, che era a sua volta aperta sulla cucina, di fronte c'era la porta del bagno ed accanto una scala ad L. Iniziai a salire gli scalini: al piano superiore c'erano un altro bagno, un balconcino e tre camere da letto, raggiunsi la mia.
I muri della mia stanza erano stati pitturati tutti di bianco tranne uno su cui invece era stata appiccicata una carta da parati dai motivi argentati su base lilla, dello stesso colore erano le ante dell'armadio alla parete vicina, dalla parte opposta c'era un grosso scaffale al cui interno era stata ricavata una scrivania, il letto si trovava di fronte alle finestre appoggiato all'unico muro colorato.
Mi affacciai ad una delle finestre che davano sulla strada e notai che mia madre stava parlando con un paio di ragazzi, mi sembrava di averli già visti a scuola ma non ne ero sicura, decisi di scendere per andare a presentarmi. La ragazza aveva lunghi capelli biondi dai riflessi dorati e gli occhi erano due specchi d'acqua, era poco più bassa di me; accanto c'era il ragazzo, molto alto, i suoi capelli erano di un castano chiaro ma mi parve di notare alcune ciocche rosa e la frangia gli ricadeva su un sopracciglio, gli occhi avevano un colore indefinito, come il muschio in una giornata di nebbia. Come avevo immaginato conoscevo entrambi poiché frequentavano la Nortwest Christian College, lei si chiamava Samantha Harris ed avevamo anche alcune lezioni insieme, lui invece l'avevo già visto qualche volta ma non conoscevo il suo nome.
«Ehi Sophie,» mia madre si accorse che ero sulla porta, «loro sono i nostri vicini.» disse invitandomi a raggiungerli.
«Abitiamo qui davanti.» precisò il ragazzo indicando la casa alle sue spalle.
«Ragazzi, lei è mia figlia Sophie...» iniziò mia madre facendomi irritare e non poco.
Non poteva lasciare che mi presentassi da sola? Mi faceva sentire come se fossi stupida. Tutte le volte era la stessa storia: prima diceva che dovevo sbloccarmi dalla timidezza e quando poi si presentava l'occasione faceva tutto lei facendomi sentire come se fossi un'incapace, a volte mi sembrava che mi trattasse ancora come una bambina.
«Sophie loro sono...»
«Ci conosciamo già: andiamo a scuola insieme.» intervenne la ragazza con un sorriso, mi chiesi se fosse così ovvio che quella situazione mi stava innervosendo. «Come va? Non sapevo che ti saresti trasferita qui.» disse avvicinandosi per abbracciarmi come se fossimo grandi amiche quando invece in classe ci parlavamo appena.
«E io non sapevo che tu abitassi da queste parti.» cercai di scherzare io.
«Allora visto che vi conoscete di già vi lascio tranquilli.» ci salutò mia madre allontanandosi.
«Invece lui è...?» dissi indicando il ragazzo.
«Lui è Michael, mio fratello.»
«Credevo fosse il tuo ragazzo.» dissi ricordando di averli visti insieme a scuola e non certo in comportamenti da semplici fratelli.
«Anche.» si intromise lui.
Ero visibilmente confusa.
«Storia lunga.» rise Samantha.
«Avete bisogno di una mano?» si propose Michael.
Mi guardai intorno prima di rispondere: su buona parte del marciapiede era stato scaricato il contenuto del furgone e c'era un via vai dalla casa all'esterno. «Ehm... sì, grazie. Potreste aiutarmi a portare dentro gli scatoloni, anzi, magari tu puoi aiutare gli uomini con le cose più pesanti.» gli dissi.
Il ragazzo annuì e poi si diresse verso mio padre, invece Samantha mi aiutò a portare in casa tutti gli scatoloni che lasciammo nelle apposite stanze e ad iniziare a riordinare le mie cose nella cameretta.
 
* * *

I nuovi vicini di casa se ne andarono prima di ora di pranzo, come anche gli addetti al trasloco. Io passai il resto della giornata ad aiutare i miei genitori a mettere a posto il contenuto dei vari scatoloni e verso sera riuscimmo a finire di fare tutto.
Mi misi a letto stancata per la giornata pesante, senza che lo chiamassi Snow abbandonò la sua cuccia sotto ad una delle finestre e saltò sulla coperta lilla iniziando a reclamare delle carezze, che ovviamente accontentai. Mentre coccolavo il cucciolo bianco iniziai a pensare che ero felice di essere li, e il fatto che i vicini fossero due ragazzi della mia stessa scuola mi spinse a sperare che sarei riuscita a stringere una buona amicizia con loro.
«Nuova casa, nuova vita, nuovi amici.» pensai ad alta voce.
Sebbene lo dissi più a me stessa che al cane, Snow mi guardò con i suoi occhi di ghiaccio come se capisse quello che intendevo. Non avevo molti amici ma la cosa non mi importava granché perché stavo bene con me stessa, però ai miei genitori preoccupava vedermi sempre da sola. Non ero mai stata brava a relazionarmi con le persone e a stringere una qualche forma di amicizia con qualcuno, ma Samantha e Michael mi sembravano due persone a posto e mi ripromessi che con loro avrei fatto uno sforzo.
 
_________________________
ANGOLO AUTRICE

Approfitto di questo piccolo spazio per dare alcune informazioni.
La protagonista femminile si chiama Saphie Todd e da quello che si può dedurre si è appena strasferita in un nuovo quartiere e ciò la porterà a conosce e fare amicizia con nuove persone, non voglio anticipare troppo perciò dovrete continuare a leggere se volete scoprire chi.
Come ho già scritto nella descrizione della storia questa è la seconda fanfiction della serie "5 Stuff Of Season" ...per chi fosse interessato la prima si chiama "Siblings by Chance" e tratta la storia di Michael e Samantha, non è comunque obbligatorio averla letta dato che sono entrambe storie a se, anche se alcuni personaggi o situazioni sono collegate tra una ff e l'altra e la lettura di quella prima sarebbe utile per comprendere meglio questa.
In oltre, come la prima storia, anche questa non sarà molto lunga, pressoché una ventina di capitoli e conterrà dei capitoli più brevi visti dal lato del protagonista maschile (non svelo chi) di cui però avviserò nei capitoli che li precederanno. L'aggiornamento avverrà ogni cinque/dieci giorni, tempo permettendo.
Penso di aver detto tutto, un grazie in anticipo a tutti e lettori.
Alla prossima!

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Capitolo 2
*** 01. A wonderful shit day ***


Inizialmente non fu facile ambientarsi nella nuova casa, e soprattutto nel nuovo quartiere, e mi ci volle una settimana buona per riconoscerla tra tutte quelle vicine.
Una volta scambiai la villetta accanto per la mia: avevo bussato sicura alla porta e, solo dopo essermi trovata davanti una vecchietta ed aver notato un esercito di gatti all'interno, mi ero resa conto di aver sicuramente sbagliato; mi scusai all'istante e lei mi chiese tutt'altro che gentilmente di tenere lontano i miei cani dai suoi amati felini, due di essi che si stavano strisciando sulle sue gambe venose mi soffiarono come a valorizzare le parole della padrona. Me ne andai a gambe levate ripromettendomi che avrei fatto attenzione a non fare più figure del genere, anche se sapevo che non ci sarei riuscita: io e le figure di merda andiamo a braccetto.
Una cosa positiva di quel quartiere era che si trovava abbastanza vicino alla mia scuola e che quindi non dovevo più svegliarmi tre ore prima come succedeva invece alla vecchia abitazione. Inoltre mio padre solitamente mi dava  un passaggio mentre andava al lavoro e, a parte i rari giorni in cui ero obbligata a prendere i mezzi pubblici, arrivavo persino in anticipo.
Il fatto che quel martedì mattino fosse proprio uno di quei rari giorni e che io avessi disattivato la sveglia anziché rinviarla non mi aiutò ad avere un buon risveglio: quando mi accorsi che era piuttosto tardi e che avevo appena cinquanta minuti per essere a scuola mi alzai imprecando ed iniziai ad insultami da sola per essere sempre tanto pigra. Perché il letto diventa così dannatamente comodo la mattina?
Indossai velocemente una schifosa tuta in vista delle prime tre ore di educazione fisica, presi ben due zaini e mi precipitai giù dalle scale, passai dalla cucina per afferrare un pacco di biscotti -la mia colazione- ed uscii dalla porta sul retro. Come se non bastasse, appena arrivata sul vialetto con il fiato corto per aver fatto il giro della casa di corsa, l'autobus mi sfrecciò davanti,  tentai di rincorrerlo sbracciandomi per indurlo a fermasi ma senza risultati, inutile dire quanti santi tirai giù verso l'autista. Sbuffando guardai l'ora sul cellulare constatando che avevo ancora trentadue minuti per arrivare in orario, tornai nel giardino per prendere la mia bicicletta, con lo zaino più pesante con i libri e i biscotti nel cestino mentre quello con la  divisa della scuola in spalle, inforcai il manubrio iniziando a pedalare riuscendo fortunatamente ad arrivare a scuola con solamente cinque minuti di ritardo.


«Ehi Sophie, non abbiamo nemmeno iniziato e già col fiatone?» scherzò Samantha riferendosi alla mia faccia paonazza. Ero consapevole di essere in uno stato pietoso: con le guance rosse ed alcune ciocche appiccicate alla fronte. «Perso il bus stamattina?» commentò sedendosi accanto a me sul pavimento bordeaux della palestra, «Ti ho visto dal finestrino.» ammise con un sorriso dopo che mi fui voltata verso di lei.
Annuii mentre cercavo di sistemare i capelli nell'unico modo in cui la lunghezza e i boccoli mi permettevano: due codini stupidi che non avevano senso di esistere. «Quel maledetto dell'autista non si è voluto fermare.»
«Me ne sono accorta,» rise, «però credo che ti abbia sentito.»
«Oh, ops...» ero mortificata: avrei aggiunto la scenetta alla lmia unga lista delle figure di merda. «Bhe, almeno la prossima volta si fermerà!» iniziai a ridere unendomi a lei.
Da quando abitavamo vicine Samantha si fermava più spesso a parlare insieme a  me e la cosa mi rendeva felice, era una delle poche persone con cui avevo legato a scuola, e forse saremmo diventate buone amiche. Il divertimento durò poco poiché l'insegnate, una donna sulla cinquantina dal fisico palestrato e il taglio mascolino, ci obbligò ad iniziare la lezione con dei giri di corsa della palestra.
«Ti prego: uccidimi!» dissi affiancando Samantha. Non ero mai stata una persona molto atletica.
«Solo se tu poi uccidi me!» commentò anche lei con il fiatone, «Da quanto corriamo? Non ne posso più.»
«Non lo so, ma dieci minuti dovrebbero essere quasi passati. Spero.»
«Todd. Harris. Meno chiacchiere, più gambe.» ci richiamò l'insegnante.
«Prof, quando possiamo fermarci?» chiese la mia amica.
«Quando ve lo dirò io,» disse di rimando la donna, «e visto che avete ancora abbastanza fiato per parlare: ancora altri dieci minuti.»
«Ma ci prende in giro?» sussurrò sconcertata Samantha.
«Quella donna è sadica.» commentai sottovoce.
«Secondo me non scopa abbastanza.» si lasciò sfuggire la mia amica facendomi ridere.
La professoressa (che per fortuna non ci aveva sentito) ci richiamò nuovamente e poi decise di separarci perché parlavamo troppo.


Il resto della giornata non andò meglio: il mio migliore ed unico amico non era venuto a scuola e quindi finii per passare la ricreazione e la pausa pranzo da sola, poi l'insegnante di matematica ricordò alla classe che il giovedì di quella  settimana avremmo avuto una verifica ed io caddi dalle nuvole dato che non me lo ricordavo e non avevo nemmeno idea su che cosa fosse, in fine all'ultima ora mi arrivò un messaggio ma quando provai a leggerlo il professore di letteratura mi vide e me lo ritirò restituendomelo fortunatamente a fine lezione. Per continuare in bellezza aveva anche iniziato a piovigginare ma, dato che non mi andava di abbandonare la bicicletta a scuola per prendere l'autobus (scelta che sarebbe stata decisamente più saggia), decisi che per due gocce potevo resistere, peccato che pochi minuti dopo cominciò a diluviare più forte ed io non potei che pentirmi della mia decisione. Ero indiscutibilmente una cogliona!
Arrivai a casa fradicia ed infreddolita, abbandonai la bici per correre alla porta iniziando a suonare il campanello  assaporando già il calore che avrei trovato all'interno. Aspettai che mia madre mi venisse ad aprire, ma dopo che furono passati alcuni minuti mi insospettii, così presi il cellulare ricordandomi del messaggio ricevuto poco prima in classe: mamma mi avvisava che era dovuta andare al lavoro per sostituire una sua collega e che sarebbe tornata per cena. Feci quindi per prendere le chiavi sicura di averle, cercai nelle tasche e svuotai entrambe le borse, ma di esse nemmeno l'ombra. Baciata dalla sfiga proprio!
A quel punto mi venne in mente un'idea geniale per poter entrare in casa anche senza disporre delle chiavi. Recuperai la bicicletta per posarla nel giardino posteriore e poi mi avvicinai alla porta sul retro analizzando la porticina basculante: se i cani ci passavano perché non potevo farlo anche io?
Prima spinsi all'interno le due borse e poi mi infilai io: feci passare le braccia, seguite dalla testa e poi mezzo busto, ma quando toccò al fondo schiena mi resi conto che quel paio di chili in più -da cui non riuscivo liberarmi- mi impedivano di far passare il resto del mio corpo. Amareggiata  tentai di tornare fuori ma mi accorsi di essere incastrata: non potevo ne uscire ne entrare.
«Magnifico, davvero magnifico! Una fantastica giornata di merda!» commentai sbuffando cercando di prendere il mio cellulare dalla tasca della borsa, nel frattempo Snow e Piggy mi avevano raggiunto nella cucina e mi osservavano incuriositi.
Il mio migliore amico rispose subito, «Adam, ho un problema!»
«Ciao anche a te So, dimmi tutto.»
«Sono rimasta chiusa fuori casa.» spiegai.
«Capito. Se vuoi poi andare da me, la chiave di riserva è nel vaso, lo sai. Ti raggiungo quando ho finito.»
«Grazie, ma non posso. Sono... Stai giù tonto di un cane, smettila!» mi interrompei per gridare a Snow che aveva iniziato a leccarmi la faccia.
«Ti prego dimmi che non hai fatto quello che penso che tu abbia fatto.» commentò il mio amico.
Adam mi conosceva così bene che poteva persino averci azzeccato. «Bhe, dipende. Cosa pensi che abbia fatto?» chiesi innocentemente.
«Hai provato ad entrare dalla porticina per cani e sei rimasta incastrata.» lo disse come se fosse la cosa più semplice del mondo. Come diavolo aveva fatto? Il mio silenzio fu preso come una risposta positiva, «Oh mio dio, l'hai fatto veramente!» la risata fragorosa del mio amico mi raggiunse e dovetti allontanare il cellulare per non assordarmi.
«Smettila, non è divertente!» lo ammoni, in realtà in altre circostanze avrei riso sicuramente anche io. 
«Scusa Sophie, però devi ammettere che è memorabile come cosa. Ma come ti è saltato in mente?» commentò continuando a ridere.
Sbuffai alzando gli occhi al cielo, «Puoi venire ad aiutarmi?»
«Cosa? Mi spiace, ma...»
«Ti prego! Ti sto implorando in ginocchio!» ed effettivamente lo ero veramente, «Non posso rimanere così fino a stasera.»
«Sai che sarei accorso subito solo per poter fare una foto e poterti poi ricattare.»
«Grazie mille, bell'amico!» ironizzai.
«...Ma sono dal dentista e tra poco è il mio turno, non posso proprio andarmene.» si interruppe un attimo, «Ecco: tocca a me. Ciao Sophie, e buona fortuna!»
«Contavo su di te!» gli gridai prima che spegnesse la chiamata. Ed ora che faccio?
Lasciandomi sfuggire varie maledizioni continuai a tentare di liberarmi ma purtroppo con scarsi risultati: avevo avuto una pessima idea!
Sentii il campanello suonare e non potendo andare ad aprire rimasi in silenzio, poco dopo qualcuno iniziò chiamarmi e io non sapevo se gioire sperando in un'anima gentile che mi avrebbe salvato da quella situazione imbarazzante o se continuare a fingere di non esserci per evitare un'ulteriore figuraccia (per quella giornata ne avevo già fatte abbastanza). Non dovetti scegliere dato che avvertii il cancelletto del giardino cigolare e poi dei passi percorrere il perimetro della casa avvicinandosi.
«Sophie, sei in casa?»
«Samantha? Oh Sam, grazie al cielo sei tu!» se mi avesse aiutato senza fare commenti a riguardo sarebbe stata un'amica perfetta. «Sono qui!» dissi muovendo le gambe per attirare la sua attenzione.
«Sophie... che ci fai lì?» chiese sconcertata, mi accorsi che tratteneva a stento  le risate ma non potevo biasimarla: quella scena era davvero comica.
«Fingevo di essere un cane,» cercai di sdrammatizzare provando anche a ridere, ma ne uscì una mezza risata nervosa «però sono rimasta incastrata.»
«Oh ok,» aveva capito che stavo mentendo ma non fece domande, «aspetta che ti aiuto.»
Samantha mi prese per le caviglie ed iniziò a tirare mentre io cercavo di renderle l'azione più semplice spingendomi indietro con le braccia facendo pressione sulle mattonelle della cucina. Dopo un paio di tentavi e varie imprecazioni da parte di entrambe riuscimmo finalmente a liberarmi, sedute sul lastricato ancora bagnato dalla pioggia che aveva smesso di cadere ci guardammo in faccia iniziando a ridere.
«Questa cosa rimarrà tra noi!» dissi puntandole l'indice contro fingendo di minacciarla.
«Te lo giuro!» promise facendosi una “X” sulla bocca con le dita. «Però ora mi devi dire che cosa stavi facendo veramente.»
«Sono rimasta chiusa fuori. Il resto penso si capisca da sé.» ammisi alzandomi ed aiutando poi anche lei a fare lo stesso riprendendo a ridere.
«E non ti è passato per mente di venire da noi?»
Giusto, perché non ci avevo pensato? Ah già: sono troppo timida per solo immaginare di scomodare qualcuno. «In verità no. Non volevo disturbare.»
«Ma quale disturbo? Non provare nemmeno a pensarlo!» mi ammonì affettuosamente.
«Grazie.» poi pensai che Sam fosse lì per un motivo, «Come mai mi stavi cercando?»
«Ah già! Per sbaglio nello spogliatoio ho preso la tua maglietta e sono venuta a restituirtela, l'ho posata là.» spiegò indicando il tavolino di ferro alle nostre spalle, sullo schienale di una delle sedie c'era la mia t-shirt nera. Non mi ero nemmeno accorta di non averla presa.
Samantha mi invitò da lei e senza nemmeno aspettare una risposta mi prese sotto braccio per trascinarmi verso casa sua, proprio in quel momento qualcuno ci raggiunse nel giardino.
«Ecco il tuo salvatore che accorre in tuo aiuto:» riconobbi la voce di Adam, «ho anche portato della vasellin...» Il mio migliore amico si presentò esibendo un barattolo che nascose subito dietro la schiena quando si accorse che non ero da sola, notai che era evidentemente deluso nel trovarmi fuori dai guai.
«Ehi Adam, come vedi ho già fatto: e senza il tuo aiuto!» dissi facendo una smorfia che il ragazzo dai capelli rossi ricambiò.
«Samantha lui è il mio migliore amico: Adam Cooper. Adam lei è Samantha Harris: la mia salvatrice.» dissi facendo le presentazioni.
«Stavamo andando a casa mia, ti unisci a noi?» gli chiese Samantha ed io mi meravigliai dell'ospitalità di quella ragazza.
«No, ma ti ringrazio.» reclinò l'invito e si incamminò per poi tornare indietro come se avesse dimenticato qualcosa, «Ti prego dimmi che hai almeno fatto una foto.» chiese alla mia amica.
Sam si morse il labbro con fare colpevole annuendo, ed io mi voltai di scatto fulminandola con lo sguardo. «Scusa Sophie, ma faceva troppo ridere!» La scusai non potendo darle torto.
«Oh ma io ti adoro!» commentò invece il mio amico esuberante come sempre, «Me la passi, vero?»
«Solo con il consenso di Sophie.»
Adam iniziò a fissarmi aspettando una risposta. «È ovvio che è un no.» gli dissi ridendo e ricevendo un dito medio da parte sua, «Anche io ti voglio bene scemo!» commentai mentre si allontanava.
«Anche io matta, ci vediamo domani!»
«Vedi di venire a scuola sta volta!» gli gridai dietro prima che andasse via definitivamente.
 

Appena entrai nella casa di Samantha mi dovetti ricredere sull'idea che mi ero fatta sulle case di quel quartiere che, sebbene fossero identiche all'esterno, non lo erano affatto all'interno, o almeno la sua non lo era. All'ingresso c'era sempre la scala ad L, ma la porta accanto dava su un grande soggiorno, mentre la cucina e la sala da pranzo si affacciavano entrambe sull'ingresso; il piano superiore era invece completamente diverso, c'erano quattro stanze disposte a due a due sul corridoio centrale, l'unica cosa identica era il balconcino che dava sul lato posteriore della villetta.
Samantha mi presentò a sua madre, Rose-Anne, che trovammo nella sala da pranzo intenta ad aiutare il fratellino minore di Sam a fare i compiti, poi mi invitò in camera sua dove mi prestò degli indumenti mentre i miei, che erano ancora umidi di pioggia, si asciugavano su un termosifone.
«Che stavi facendo?» chiesi notando dei libri aperti sulla scrivania.
«Studiavo matematica, o almeno, ci provavo. Non è proprio una delle mie materie preferite.» ammise.
«Come ti capisco, io la odio.» dissi sorridendo, ero fiera di me stessa: era raro che riuscissi a sostenere un discorso. «Pensa che oggi ho scoperto che giovedì ci sarà una verifica ed io non ne avevo nemmeno idea.» mi lamentai sedendomi accanto sprofondando nel materasso del letto.
«Anche io giovedì ho una verifica, infatti domani mi vedo per studiare con un amico che è un asso in matematica.»
«Perché io non conosco gente del genere?» scherzai.
«Vuoi venire? Non credo che sia un problema se ci sei anche tu.»
«Bhe, non saprei.» iniziai io, avrei voluto dire di no ma sapevo quanto mi servissero delle ripetizioni di matematica, «Sì, ti ringrazio.»
«Perfetto, ci troviamo qua da me subito dopo scuola, ma se vuoi all'uscita puoi venire direttamente con noi.»
«In realtà solitamente il ritorno lo passo con Adam, vi raggiungo appena arrivo.»
«Come preferisci.» Notai il cellulare che avevo posato sulla scrivania accendersi ad avviso di un messaggio, così mi alzai per andare a leggere e mi lasciai sfuggire un sospiro. «Tutto bene Sophie?» domandò Sam notando che avevo cambiato espressione.
«Mia madre mi ha appena scritto che ha un emergenza e tornerà tardi. Sam, posso fermarmi qui per cena?» L'avevo già disturbata abbastanza e mi dava fastidio doverle chiedere anche quello, ma non avevo molta scelta. «Prometto che me ne vado appena uno dei miei genitori torna dal lavoro.»
«Certamente, nessun problema.»
A cena conobbi anche Daryl Clifford, il compagno della madre di Samantha nonché padre di Michael. Rimasi dai vicini fino a quando mio padre non tornò a casa, prima di incamminarmi verso il garage dove stava parcheggiando la sua auto, ringraziai Samantha e la sua famiglia per l'ospitalità e mi ripromisi che avrei poi dovuto ricambiare il favore.

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Capitolo 3
*** 02. Math lesson ***


Quella mattina fortunatamente fu mio padre a portarmi a scuola, decisi quindi di impiegare quei dieci minuti di anticipo per raggiungere la classe dove si sarebbe tenuta la prima lezione, quella di fotografia. Non era ancora arrivato nessuno così posai lo zaino su un banco e pensai di poter sfruttare quel tempo per iniziare a sviluppare con tutta calma il negativo di alcune foto che avrei poi dovuto consegnare.
La camera oscura era separata dall'aula da una porta che si poteva chiudere solo dall'interno, non c'erano finestre e l'unica luce era quella inattinica rossa, apposita per non compromettere lo sviluppo delle stampe, su un tavolo erano posate delle bacinelle rettangolari con accanto i recipienti contenenti gli agenti chimici.
Stavo per mettermi all'opera quando qualcuno entrò nell'aula ed immaginai che fosse il professore, mi allarmai sapendo che il fatto che mio padre avesse uno studio fotografico non mi dava il diritto di stare li senza la supervisione di qualcuno di competente. Mi preparai mentalmente una scusa plausibile ed uscii, fui sollevata quando vidi che si trattava solo di un'alunna.
«Ciao Samantha.» salutai la ragazza riconoscendola seppure di spalle.
«Ehi Sophie, non ti avevo visto.» si voltò sorridendo, «Che ci facevi là?»
«Volevo portarmi un po' avanti con il lavoro.» spiegai mentre spostavo lo zaino sul banco vicino a quello dove si era messa lei, «Ti dispiace?»
«No, no figurati, almeno avrò qualcuno con cui chiacchierare.»
Mi sedetti accanto a lei mentre l'aula iniziava a riempirsi di alunni. «Come sei messa con il progetto?»
«Domanda di riserva?» scherzò, «La consegna è tra una settimana ed io sono in alto mare. E tu?»
«Abbastanza bene, ho quasi finito, devo ancora far visionare alcuni negativi al prof prima di fare le stampe vere e proprie.»
«Io manco quelli ho fatto,» guardò in basso amareggiata, «se non finisco entro il prossimo giovedì prenderò un voto negativo.»
Il compito che ci aveva assegnato il professore, ovvero rappresentare la nostra vita attraverso una ventina di scatti e di consegnarli su un tabellone con tanto di didascalie, valeva metà dei voti di quel trimestre quindi era molto importante fare un buon lavoro.
«Se vuoi ti posso dare una mano io.»
«Grazie, ma non penso che in sole tre lezioni riesca a finire in tempo. Devo praticamente fare ancora tutto.»
«E chi ha detto che abbiamo solo le ore di lezione a disposizione?» Samantha mi guardò senza capire a che cosa alludessi, così spiegai meglio: «Si da il caso che abbia una piccola camera oscura a casa. Se vuoi un pomeriggio puoi venire da me così sviluppiamo le tue foto.»
Il viso di Samantha si illuminò e si gettò al mio collo per abbracciarmi, «Oh grazie mille Sophie, mi hai salvato la vita!» nel frattempo la campanella suonò ad avviso dell'inizio delle lezioni.

L'ora di fotografia passò abbastanza velocemente, sia per il fatto che fosse una delle materie che preferivo sia perché per lo più la passai a chiacchierare con Samantha. Prima di cambiare aula per l'ora successiva Sam mi ricordò l'appuntamento di quel pomeriggio a casa sua per le ripetizioni di matematica e poi io mi avviai alla mia successiva lezione che, per una strana e diabolica coincidenza, era proprio matematica.
Durante quell'ora la professoressa, in vista del test del giorno successivo, decise di darci degli esercizi da risolvere alla lavagna chiamando a sorte e notai che tra i malcapitati ovviamente non c'erano gli alunni che di solito andavano bene. Una decina di minuti prima della fine della lezione, proprio quando stavo mentale esultando di non essere stata chiamata, il fato volle ricordarmi che la sfiga era una mia s-leale compagna.
«Todd, vieni a risolvere tu l'ultima espressione?» disse Mrs. Jackson e sebbene sembrasse una domanda a cui potevo dire di no sapevo che invece non lo era.
A passi pesanti raggiunsi la lavagna e iniziai a fissare la serie di numeri bianchi senza avere la più pallida idea di che fare o da dove iniziare, mi voltai allora verso la professoressa che mi scrutava sotto alle spesse lenti, ma quando stavo per dirle che non lo sapevo fare mi accorsi che qualcuno alle sue spalle si sbracciava per attirare la mia attenzione, appena capii di chi si trattava mi prese un colpo.
Il ragazzo per cui avevo una leggera cotta (e per leggera intendo dall'inizio dell'anno scolastico) stava cercando di suggerirmi muovendo molto lentamente la bocca, provai a concentrami su quello che stava cercando di dirmi, ma la mia attenzione finì sul piercing che gli ornava il lato sinistro del labbro inferiore. Perché doveva essere così sexy?
Mrs. Jackson si voltò richiamando il ragazzo, «Hemmings, perché non vieni alla lavagna ad aiutare la signorina Todd?»
Il biondo si alzò ubbidiente, osservai gli occhi azzurri e il naso perfettamente a punta mentre si metteva al mio fianco, sentii le guance accaldarsi e colorarsi di una leggera tonalità di rosso appena le sue dita affusolate sfiorarono le mie nel prendere il gessetto. Rimasi stupita quando risolse l'espressione senza battere ciglio ed io non potei che vergognarmi della mia stupidità, finì proprio poco prima che la campanella annunciasse la ricreazione.
«Ehi Lucas...» lo richiamai prima che se ne andasse.
«Chiamami Luke.» disse voltandosi. I suoi occhi erano due pezzi di cielo.
«Ehm ok, Luke.» automaticamente mi spostai una ciocca dietro l'orecchio, «Grazie.»
Non era stato obbligato ad aiutarmi eppure lo aveva fatto.
«Figurati, mi sa che ne avremmo un po' da lavorare oggi.» scherzò ed io mi imbambolai ad osservare il sorriso che sfoggiò.
Aspetta, che aveva detto?
«O-oggi?» balbettai pensando di aver capito male.
«Si, per il ripasso di mate. Samantha mi ha detto che ti saresti unita a noi, ho capito male io?»
Rimasi un attimo spiazzata dalla notizia. Perché Sam non mi aveva detto che era lui a darle ripetizioni? Mi accorsi che aspettava una risposta. «Certo che ci sono!» dissi cercando di non far trasparire troppo la contentezza.
«Perfetto, ci vediamo più tardi allora. Ciao Sophie!»
Oddio sapeva il mio nome!  Potevo svenire da un momento all'altro ma mi contenei per ricambiare il saluto.
Luke uscì dalla classe, lo seguii a ruota nel cortile cercandolo con lo sguardo: lo vidi sedersi ad un tavolino insieme a Samantha e Michael e poco dopo un altro ragazzo si unì a loro. Quando Sam si accorse che guardavo verso di loro alzò il braccio per salutarmi, leggermente imbarazzata ricambiai con un gesto della mano prima di voltarmi e andare a cerare il mio migliore amico.
 

*  * *
 

La giornata scolastica passò con inesorabile lentezza, proprio come accadeva di solito, e sentii un senso di libertà quando finalmente l'ultima campanella suonò annunciando che anche quel mercoledì era giunto al termine. Seguii il mio migliore amico fuori dall'aula di informatica e ci dirigemmo insieme al parcheggio della scuola.
Osservai il ragazzo che conoscevo da diverso tempo: i lunghi capelli arancioni erano legati scompostamente poco sopra la nuca rasata come anche i lati, il piercing sul setto nasale e i dilatatori ad entrambi i lobi gli conferivano un'aria da duro ma in realtà era tutt'altro che cattivo, forse solo un po' ribelle; forse era anche per questo che era stato bocciato per tre anni ed ora eravamo finiti a frequentare gli stessi corsi, dopotutto si sapeva che non era un grande studioso e non si applicava nemmeno un po', però i suoi genitori lo obbligavano ugualmente a frequentare la scuola. A primo impatto Adam poteva non sembrare la persona più raccomandabile della terra ma io gli volevo bene così, e non mi importava di quello che gli altri pensavano di lui.
Appena fui salita sull'auto tossii percependo un forte odore di fumo. Lui e quel suo maledetto vizio! Mi voltai per rimproverarlo e sbuffai quando lo trovai a maneggiare con l'accendino nell'intento di accendere la sigaretta tra le labbra. «Adam!»
«Scusa So, oggi è stata una giornata pesante.» cercò di giustificarsi, «Tira giù il finestrino se ti da fastidio.»
“Se mi dava fastidio?” Certo che mi dava fastidio, e lo sapeva bene!
Tirai comunque giù il finestrino cercando di non polemizzare troppo, dopotutto macchina sua, regole sue. Nel frattempo Adam girò la chiave e dopo un paio di tentativi a vuoto riuscì ad azionare il motore, notai che pian piano stava migliorando: aveva preso la patente da poco e spesso capitava che non riuscisse a mettere in moto subito. Mi domandai come ce l'avesse fatta non essendo proprio un tipo molto responsabile, ma sopratutto come facessi io a fidarmi a farmi portare a casa da lui sapendo com'era fatto.
«Allora che hai fatto di così pesante oggi?»
«A parte il test di matematica?» commentò con ironia.
«Io ce l'ho domani... Com'è andata?»
«Penso bene, anche se i miei compagni hanno detto che è stata una strage.»
«E come fai ad esserne così sicuro?»  Se per gli altri non era stata semplice, com'era possibile che per lui non lo era stata?
«Ovvio: perché ho copiato!» ammise ridendo. Sorrisi e scossi la testa allo stesso tempo: dovevo aspettarmelo. «Sai che stavo pensando?»  non attese una risposta: «Mrs. Jackson di solito non cambia mai le verifiche, e sicuramente la tua avrà gli stessi identici esercizi della mia.»
«Si, è probabile. E quindi?» non capivo dove volesse andare a parare.
«E quindi mi chiedevo se volessi un'anticipazione...» disse ammiccando, «ho una copia della verifica nello zaino.»
«E come hai fatto ad averla?»
«Me l'ha data un... ehm, amico.» sorrise con innocenza.
Stava mentendo! L'aveva sicuramente avuta da uno dei bidelli addetti alle fotocopie. «Adam non si può fare, lo sai! Se ti dovessero scoprire andresti nei casini.»
«Per ora non è successo.» si vantò, «E poi devo pur cavarmela in qualche modo, no? Non voglio ripetere l'anno un'altra volta.»
«Bhe, su questo non hai tutti i torti...» ammisi.
«Grazie. Allora?» chiese ancora facendo un cenno verso in suo zaino, «Lo so che lo vuoi!»
Accettare la sua offerta significava barare. Inizialmente ero decisa a dirgli di no ma poi pensai che una sola lezione, anche con tutto l'impegno del mondo, non mi avrebbe sicuramente aiutata a superare il test del giorno successivo. Presi il suo zaino, «Tu mi porterai sulla cattiva strada!» sbuffai.
«L'ho già fatto, baby.» rise, «È nel quaderno verde, purtroppo non ha i risultati perciò dovrai comunque risolvere gli esercizi, ma almeno sai quali saranno... sempre che la verifica sia la stessa.»
Intanto eravamo giunti a casa mia, «Grazie mille, A. Domani ti faccio sapere com'è andata.» Lo salutai dandogli un bacio sulla guancia solcata da un accenno di barba, e scesi dalla macchina.
«Dove stai andando?» mi gridò dal finestrino notando che mi stavo dirigendo dalla parte opposta.
«A studiare da Samantha.»
«Allora salutala da parte mia, e buon studio!»
Aspettai che il mio amico se ne fosse andato, piegai la copia della verifica posandola nella borsa e poi suonai il campanello di casa Harris.
Rose-Anne, la madre si Sam, mi venne ad aprire poco dopo e mi accompagnò alla sala da pranzo dove la figlia e Luke erano già con la testa sui libri. Sentii Samantha chiedere qualcosa a proposito dell'utilità della matematica e il ragazzo risponderle con saccenza, lei roteò gli occhi commentando che era una battuta.
«Ehi Sophie, sei arrivata!» mi salutò Sam appena si accorse di me.
«Vedo che non sono l'unica ad avere grossi problemi con la matematica.» scherzai.
«Già, 'sta matematica dovrebbe iniziare a risolversi i proprio problemi da sola.» rispose a tono cominciando a ridere.
«Battuta vecchia.» commentò il biondo.
«Luke sei un guasta feste!» Samantha si voltò verso di lui scuotendo la testa, poi spostò l'attenzione di nuovo su di me, «Di solito non è così serio: secondo me sono i numeri a fargli un brutto effetto.» scherzò, poi indicò la sedia difronte a lei, «mettiti comoda Sophie.»
Feci come mi aveva detto, disposti così Luke stava al centro in modo da prestare attenzione sia a me che a lei. La madre di Samantha ci disse che portava Marvin, il figlio più piccolo, al parco per lasciarci studiare con più tranquillità. Decisi di aspettare che se ne fossero andati per mostrare quello che mi aveva dato Adam, sperando che i miei amici non mi giudicassero.
«Ragazzi, credo di avere qualcosa che ci può essere utile...» tentai non sapendo esattamente come spiegarlo. Luke e Sam mi guardarono incuriositi,   «...però vi chiedo che rimanga tra noi.» dissi prima di posare la copia della verifica al centro del tavolo.
Luke afferrò il foglio analizzandolo attentamente, quando capì di che si trattava i suoi occhi si spalancarono per la sorpresa, «Sophie, ma questo è un test di Mrs. Jackson, vero?»
Annuii con un po' d'imbarazzo, «Sì, è molto probabile che sia lo stesso di domani.»
«Come l'hai avuta?» chiese Sam che nel frattempo aveva preso il foglio.
Iniziai a sentirmi giudicata, forse non era stata una buona idea. Deglutii abbassando gli occhi, «Non ve lo posso dire, però giuro che non è stata una mia iniziativa.»
Dalle loro espressioni, Luke e Samantha non sembravano tanto convinti, si guardarono senza dirsi niente e poi fu il ragazzo a prendere la parola: «Va bene, farò finta di niente: ora risolviamo insieme questi esercizi ma poi mi devi promettere che butterai via il foglio.»
«Te lo prometto!» giurai.
Avevamo iniziato da poco quando Michael, che non credevo fosse in casa, ci distrasse presentandosi sulla porta della sala da pranzo, «Sam, tesoro, dove sono le chiavi della Mini?»
La ragazza roteo gli occhi chiari sbuffando, «A che ti serve?»
«Vado da Cal.»
«E non puoi andarci a piedi?»
«Sì potrei, ma in macchina ci metto meno.»
«Perché invece non viene lui qui e studiamo insieme?» propose Luke intromettendosi.
«Ottima idea. Digli di venire qui, vi ricordo che anche voi domani avete il test di matematica.»
«Grazie dell'invito, ma io e Cal studiamo da soli.»
«Oh certo, so come studierete!» commentò Samantha mimando con le mani un joystick.
«Studieremo!»
«Cocciuto!»
«Senti chi parla!» rispose prontamente il ragazzo, «Allora queste chiavi?»
«Guarda che se prendi un brutto voto non venire poi a lamentarti da me!» lo ammonì la ragazza alzandosi per andare a prendere le chiavi della macchina.
«Ma fanno sempre così?» mormorai a Luke, che annuì ridendo.
Samantha tornò a sedersi e Michael la raggiunse prendendole il mento per voltarle il viso e darle un bacio a stampo, poi si girò verso me e Luke salutandoci, solo in quel momento si accorse del foglio al centro del tavolo.
«Che cos'è questo?» chiese prendendolo, non ci fu bisogno di rispondergli: «Ma è una copia della verifica. Chi l'ha portata?»
Alzai la mano imbarazzata, «Io, ma non posso dirti chi me l'ha data.»
«Non lo voglio sapere. Ti dispiace se faccio una foto, può tornarmi utile.»
«Accomodati pure, però non andare a dirlo in giro, per favore.»
«Tranquilla, grazie.» Michael fece una foto della verifica col cellulare, «Ciao ragazzi e buon “studio”.» ci salutò mimando con le dita le virgolette sull'ultima parola.
 

*  *  *
 

Io, Luke e Samantha studiammo senza sosta per più di un'ora e poi decidemmo di fare una piccola pausa. Presi un biscotto dal piatto che la padrona di casa aveva posato sul tavolo.
«Sophie, che fai questo venerdì sera?» mi chiese Luke.
«Niente, perché?» risposi un po' disorientata.
«Un nostro amico da una piccola festa a casa sua, ti va di venire?»
«Io non saperei...»
«Dai Sophie vieni! Mi terrai compagnia e passerai una serata diversa,» mi spronò Samanta, «se vuoi parlo io con i tuoi genitori.»
Ci pensai un po' su, mi sarebbe piaciuto andare alla festa e con l'aiuto di Sam sarei anche riuscita a convincere i miei a lasciarmi partecipare, e poi non potevo assolutamente dire di no ad un invito di Luke Hemmings. «Va bene, ci sarò. Grazie mille.»
«Grande! Se vuoi ti diamo un passaggio io e Mike.»
Sorrisi annuendo e ringraziando Samantha.
«Perfetto. Che ne dite di riprendere con matematica ora?» propose il biondo.
Io e la mia amica ci guardammo sbuffando e lamentandoci, ma alla fine dovemmo continuare con lo studio anche se contro voglia. Fortunatamente Luke era davvero bravo e grazie alle sue spiegazioni a fine giornata riuscii anche a capire qualcosa di utile di quella maledetta materia.

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Capitolo 4
*** 03. Party time ***


Posai lo zaino vicino alla scrivania lasciandovi accanto anche le scarpe. La giornata scolastica non era stata troppo impegnativa: alle prime due ore avevo avuto chimica insieme a Hemmings che mi aveva ricordato della festa di quella sera, come aveva fatto anche Samantha ad arte; durante la lezione le avevo confessato che non avevo ancora idea di come vestirmi così ci eravamo date appuntamento nel tardo pomeriggio per prepararci insieme a casa mia. Recuperai dalla sedia una tuta e mi diressi al bagno per fare una doccia.
Avevo appena terminato di vestirmi quando il campanello suonò annunciando l'arrivo della mia amica, mi avvolsi un asciugamento sui capelli ancora umidi e scesi le scale raggiungendo l'entrata dove i due cani abbaiavano, li calmai prima di aprire la porta. Samantha si presentò con una grossa borsa e un largo sorriso.
«Allora Sophie hai deciso che cosa mettere?» chiese chinandosi per dare una carezza al cucciolo bianco.
«No, non ne ho la più pallida idea.» ammisi con un sorriso, «Speravo in qualche consiglio.»
«Bene,» rise, «Dai vediamo come posso aiutarti.»
Annuii invitandola a salire in cameretta, «Avremmo il pubblico.» scherzai riferendomi ai due cani che ci seguirono scodinzolando.
Mostrai i completi che a mio parere andavano bene, senza che dovessi provarli Samantha ne scartò un po' lasciando la scelta su sole due opzioni: una maglia a righe orizzontali bianche e nere abbinata ad una gonna a vita alta bordeaux, oppure un vestito blu notte che arrivava poco sopra al ginocchio.
«Tu invece che cosa metti?» le chiesi mentre infilavo la maglia a righe.
«Questo qui!» disse prendendo dal suo borsone un vestito rosso con lo scollo a cuore.
«È bellissimo!» dissi sistemandomi la gonna. «Opzione numero uno:» mi guardai nello specchio sull'anta interna dell'armadio: carino. «che ne pensi Sam?»
«Niente male, ma vediamo anche l'altro.»
Presi l'abito che mi porgeva. Mi ero innamorata di quel vestito a prima vista ma non avevo ancora avuto l'occasione di indossarlo: aveva un ampia scollatura che arrivava a metà schiena mentre sul davanti copriva il decoltè formando un triangolo il cui apice si univa a due lembi di pizzo nero che si legavano dietro il collo. Mi avvicinai allo specchio per guardarmi meglio.
«Oddio Sophie, non sapevo avessi un tatuaggio!»
«Oh sì, l'ho fatto insieme ad Adam.» sorrisi, voltandomi di trequarti per osservare il riflesso della mia schiena dove una mezza luna stilizzata spiccava  poco sotto alla base collo, «Il mio primo ed ultimo tatuaggio.» scherzai. «Allora, che ne pensi del vestito?»
«Perfetto. Devi mettere quello, assolutamente.»
«Lo penso anche io.» assentii, «E voi invece che ne pensate?»  chiesi voltandomi verso di due cani.
Snow abbaiò scodinzolando mentre Piggy, che se ne stava sdraiata sul pavimento, scosse velocemente la coda corta provocando il movimento di tutta la parte posteriore del corpo. Io e Samantha ridemmo delle loro reazioni.
«Piace anche a loro.» commentò la mia amica.
«Già, e invece i capelli: li piastro o li lascio mossi?»
«Mossi, potresti legarli per lasciare la schiena libera.»
Annuii. Aspettai che anche lei si fosse vestita e ci spostammo entrambe nel bagno, mentre io mi asciugavo i capelli lei invece si truccava. Samantha si offrì di truccare anche me (se non ci fosse stata lei io non l'avrei fatto essendo una vera frana con il make up) e poi mi aiutò a sistemare i capelli in una coda alta. Quando finimmo di prepararci salimmo sull'auto di Samantha, una mini cabriolet celeste, e ci dirigemmo alla festa; la casa in cui si sarebbe tenuta si trovava alla fine del nostro stesso quartiere quindi il viaggio fu relativamente corto.
Arrivammo anche con qualche minuto di ritardo, ma Samantha mi fece notare che bisognava farsi aspettare. La ragazza parcheggiò davanti ad una villetta tutta illuminata da cui, per la gioia dei vicini, proveniva della musica a volume alto: da quanto avevo capito i genitori dei padroni di casa non c'erano e così i figli ne avevano approfittato per dare una festicciola con i loro amici.
Ero abbastanza nervosa ed emozionata: era la mia prima festa e non sapevo esattamente come dovermi comportare, ma sapevo di poter contare sulla mia amica; era anche grazie a lei se ero riuscita a convincere i miei genitori a lasciami andare. Presi un profondo respiro e poi seguii Sam all'entrata dell'abitazione.
Dovemmo aspettare un po' prima che qualcuno venisse ad aprirci ed immaginammo che con quella musica era possibile che non avessero sentito il campanello, Sam fece quindi per suonare una seconda volta ma si fermò quando notò che la porta si stava aprendo. Quello che immaginai l'organizzatore del party, un ragazzo dalla pelle olivastra e gli occhi grandi leggermente a mandorla, ci accolse con un sorriso.
«Ehi Samantha.» salutò prima la mia amica e poi porse a me la mano presentandosi, «Piacere Calum.»
«Sophie, piacere mio.» risposi stringendogliela. Notai che sul dorso, tra pollice e indice, aveva una scritta: “DSH”; alzando poi lo sguardo vidi che quello non era l'unico tatuaggio che aveva, sul braccio destro infatti ne spiccavano altri che però non ebbi tempo di osservare bene.
Il ragazzo si illuminò, «Quella Sophie? Ti devo ringraziare, se non fosse stato per il tuo prezioso aiuto non avrei superato il test di matematica.» disse ammiccando. Io non riuscii a capire a cosa si riferiva.
«Michael...» mormorò a denti stretti Samantha. Come se l'avesse sentita il fidanzato si presentò sulla porta ma non fece in tempo ad aprir bocca dato che la bionda gli puntò il dito contro evidentemente arrabbiata: «Ti avevamo chiesto di non dirlo a nessuno!» lo apostrofò.
«Tranquilla Sam, Mike ha mostrato solo a me la copia della verifica.» il moro prese le difese dell'amico.
«Poi ho cancellato la foto. Giuro!» disse Michael che si trovava ancora sotto agli occhi inquisitori della sua ragazza.
«Sono felice che vi sia servita.» dissi cercando di calmare le acquee.
Il padrone di casa ci invitò quindi ad entrare: la festa si svolgeva al piano inferiore e nel giardino, mentre il piano superiore era off-limits. C'era davvero una sacco di gente ma a prima vista non riuscii a riconoscere nessuno che conoscessi, così decisi di seguire Samantha e Michael che si diressero insieme nella cucina per prendere da bere. I miei genitori si erano raccomandati con me di non assumere alcolici ma pensai che un po' di birra non mi avrebbe fatto male così ne presi un bicchiere anche io.
Mi guardai intorno alla ricerca di Hemmings. Attraverso la finestra lo intravidi nel giardino intento a parlare con una ragazza, era di spalle quindi non potei sapere di chi si trattava; aveva i capelli neri lisci come seta, era alta e slanciata, e il vestito azzurrino le avvolgeva i fianchi magri . Mi rattristai: come avevo solo potuto immaginare che Luke si potesse interessare ad una come me?
Bevvi un sorso dal bicchiere e trattenni una smorfia quando il liquido amarognolo mi scese in gola, qualcuno sembrò notarlo e mi si avvicinò ridendo.
«Tu che bevi birra, non si era mai visto!»
Mi voltai incredula riconoscendolo all'istante non solo dalla voce ma anche da uno dei suoi tanti tatuaggi: metà cartello romboidale giallo con un canguro nero al centro spuntava infatti da sotto la manica destra della T-shirt. «Adam, che ci fai qui?»
«Maly-Koa, la figlia degli Hood, lavora con mia sorella ed invitando lei ha automaticamente invitato anche me.» spiegò con un sorriso.
«C'è anche V?»
«Sì, è di la. Bel vestito, almeno ogni tanto lo mostri quel tatuaggio.»
«Grazie. Ehi ma quello è mio.» protestai quando Adam mi prese dalle mani il bicchiere portandoselo alle labbra.
«Ma se non ti piace nemmeno. Tieni, bevi questo.»
Presi il bicchiere che mi porse e ne assaggiai il contenuto assaporandone il gusto fruttato, «Buono, cos'è?»
«Vodka alla pesca più succo d'arancia.»
Seguii il mio migliore amico nel soggiorno dove trovammo sua sorella intenta a ballare insieme ad un ragazzo, la notai subito grazie alla chioma chiara: quando l'avevo appena conosciuta credevo che se li decolorasse prima di scoprire che aveva naturalmente i capelli di quel biondo lunare.
«Ehi Violet!» la salutai abbracciandola.
«Sophie, non sapevo ci fossi anche tu!» ricambiò la stretta, «Lui è Ashton, il mio fidanzato.» disse poi presentandomi il ragazzo accanto a lei.
Lo osservai attentamente: era poco più alto della mia amica, gli occhi erano nocciola come anche i capelli, i cui ciuffi ribelli spuntavano dalla bandana rossa arrotolata sulla fronte, al lati delle labbra sottili si disegnarono due fossette appena sorrise. A prima vista sembrava una persona simpatica e socievole.
Dopo aver ballato per un po' io, Adam e la coppia ci spostammo dalla pista da ballo improvvisata ed andammo nel giardino per prendere una boccata d'aria. Notai che Luke e la ragazza erano ancora li fuori, ma non erano abbastanza vicini perché riuscissi a sentire quello che dicevano. Poco dopo anche il padrone di casa uscì all'esterno unendosi a noi.
«Ehi ragazzi, non state li da soli, venite qui con noi.» gridò Calum appena notò la coppia dall'altra parte del giardino. Di certo quel ragazzo non aveva il senso della discrezione, immaginai che doveva essere un tipo abbastanza impiccione.
Luke si voltò facendo un cenno di assenso all'amico e si incamminò nella nostra direzione seguito dalla ragazza, quando la riconobbi mi vergognai della mia gelosia infondata nei suoi confronti: era Gwendolyn, coinquilina e carissima amica di Violet e suo fratello.
«Sophie, che bello vedere che ci sei anche tu, Sam mi ha detto che non è stato facile convincere i tuoi.» mi salutò Luke.
«Già, sono dei fantastici genitori, ma volte sono un po' troppo apprensivi.» dissi.
Ci spostammo in gruppo in un angolo del giardino, io ero seduta sul dondolo insieme ad Adam e Gwen, su uno sdraio era steso Luke mentre sull'altro c'erano Ashton con in braccio Violet. Calum, che era rimasto in piedi, si accese una sigaretta passando successivamente l'accendino ad Adam che si era alzato; i due si scambiarono così di posto. Il dondolo ondeggiò quando il moro si sedette accanto a me, uno sbuffo di fumo mi danzò davanti al viso e non riuscii a trattenermi dall'allontanarlo con un movimento della mano.
«Ti da fastidio?» chiese Calum notandomi.
«Un po', scusa.»
«Scusami tu.» disse il ragazzo alzandosi. Rimasi colpita dal gesto gentile.
Vidi Samantha raggiungere il giardino guardandosi introno prima di incamminarsi velocemente verso di noi, appena ci raggiunse notammo tutti che sembrava piuttosto preoccupata.
«Va tutto bene?» le chiese Luke.
Samantha scosse la testa: «Michael sta male.»
«Dov'è adesso?» s'informò Calum.
«In bagno che rimette, credo abbia bevuto troppo...»
«Ma sono appena le dieci e venti, come fa ad essere già ubriaco?» notò Adam controllando l'ora dall'orologio al polso.
«Gli avevo detto di non esagerare!»  
«Vado da lui.» Calum spense la sigaretta nel posacenere e a passo svelto  tornò dentro casa. Ashton lo raggiunse per dargli una mano.
Samantha si voltò verso di me, «Sophie, scusami se ti abbandono, ma devo portare Mike a casa.»
«Tranquilla, capisco.» la rassicurai. Mi sarei fatta dare uno strappo da Adam e Violet.
«Luke, ti dispiace darle un passaggio tu?»
Il biondo annuì, «Certo, nessun problema.»
Samantha lo ringraziò riconoscente, salutò velocemente gli altri scusandosi ancora con me e poi corse dentro casa. Luke ed Adam decisero di seguirla per vedere se avesse bisogno di aiuto, io rimasi fuori a parlare con Gwen e Violet fino a quando il fidanzato della bionda non tornò annunciando che Michael e Samantha erano andati via, Ashton ci disse che il ragazzo era stato davvero tanto male, mi preoccupai e così mandai un messaggio a Sam scrivendole di aggiornarmi sulla salute di Mike.
Era passata circa mezz'ora da quando i miei vicini di casa se n'erano andati  prima dalla festa, avevo ballato un po' con Adam finché non ci eravamo stancati e così ci eravamo seduti sul divano in salotto a sorseggiare i nostri drink, era forse il mio terzo o quarto bicchiere: quell'intruglio di vodka e succo era così buono che ne avevo perso il conto.
Violet si fece strada tra gli invitati trascinando Ashton con se, dietro li seguiva Gwendolyn.  «Adam andiamo, domani io e Gwen dobbiamo svegliarci presto.» disse incitando il fratello ad alzarsi dal divano.
«Sophie hai bisogno di un passaggio?» chiese il mio amico
«No no, volevo restare ancora un po'. Luke ha detto che mi poteva portare lui a casa.»
Adam non insistette sapendo quanto mi piacesse quel ragazzo e mi salutò augurandomi “buona fortuna”. Quando mi alzai per ricambiare i saluti ebbi un leggero capogiro, immaginai che il volume della musica unito all'alcool che avevo ingerito potevano essere la causa del mio mal di testa e così decisi di andare fuori per prendere una boccata d'aria fresca.
Mi stesi sul dondolo dandomi una leggera spinta e solo in quel momento mi resi conto che sentivo gli occhi stanchi e pesanti, tentai di resistere a quel dondolio che mi cullava con leggerezza e mi imposi di non addormentarmi. Feci di tutto per tenere le palpebre aperte però era una forza con cui non potevo competere ed ogni secondo che passava le sentivo sempre più pesanti. Alla fine dovetti cedere al loro volere. Pensai che se chiudevo gli occhi solo per un secondo forse nessuno se ne sarebbe reso conto, e così feci, sicura che li avrei riaperti nell’istante seguente.


 
_________________________
ANGOLO  AUTRICE
 
Chiedo immensamente scusa per il ritardo nell'aggiornamento ma il pc non voleva proprio collaborare... Ma bando alle ciance (o ciancio alle bande? Ok no, la smetto!) come state trovando la ff? Mi farebbe piacere sapere che ne pansate, non siate timide: lasciate una piccola recensionsioncina.
Grazie di cuore a chi è arrivato a leggere fino a qui, al prossimo aggiornamento!

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Capitolo 5
*** 04. Good morning Princess ***


Mi stiracchiai sbadigliando portandomi successivamente una mano sulla fronte massaggiandomela mentre un fastidioso mal di testa mi tamburellava le tempie, i ricordi della sera prima erano confusi e non riuscivo a ricordare quando e come fossi tornata a casa dalla festa. A quanto pareva l'alcool faceva dei brutti scherzi, e diedi la colpa al fatto che avessi esagerato non essendo nemmeno abituata a bere.
Sollevai la testa dolorante e con gli occhi ancora appannati dal sonno mi guardai intorno rendendomi subito conto che effettivamente non ero in casa mia.
Cercai di non andare nel panico e, dopo essermi stropicciata le palpebre con il dorso delle mani,  mi sforzai di rimettere a posto le idee: ricordavo di essermi addormentata sullo sdraio in giardino eppure mi ero svegliata su un comodo letto in una camera che non avevo idea di chi fosse. Ma allora come diavolo ci ero finita li?
In quel momento un ragazzo della mia età si affacciò sulla porta, aveva una faccia conosciuta a cui però non riuscivo ad associare nessun nome. Il viso dalla carnagione olivastra era squadrato, gli occhi avevano una forma allungata e i capelli neri ricadevano sulla fronte poco sopra le sopracciglia spesse, sulle labbra carnose si formò un sorriso.
«Buongiorno principessa! Credevo non ti svegliassi più.» disse con voce  leggermente nasale.
Non ero pienamente sicura di conoscerlo e inoltre non avevo idea di dove fossi, così presi la prima cosa che mi trovai vicino e mi alzai per affrontarlo coraggiosamente.
«Non so se ridere di più per la tua faccia o per quella.» disse indicando la mia mano.
La sua risata era inebriante, ma io rimasi seria indispettendomi: come si permetteva di ridermi così in faccia?
Seguii comunque il suo sguardo e mi scappò mezza imprecazione dato che gli stavo puntando contro una ciabatta rosa in peluche: di certo non era un'ottima arma.
Le guance mi si accesero di rabbia e imbarazzo, «Ti avverto: ho una ciabatta e non ho paura di usarla!» Ok, ammetto che detta così non era tanto convincente. Mi resi conto che ora non era l'unico a ridacchiare, la situazione stava diventando davvero imbarazzante e non sapevo come tirarmene fuori.
Gli ordinai di smettere di ridere e quando non diede segni di finirla gli tirai addosso la pantofola, o almeno quello era il mio intento, ma non avevo mai avuto una buona mira e quindi volò fuori dalla porta senza nemmeno sfiorarlo.
«Credo che tu mi abbia mancato.» mi fece notare reprimendo un'altra risata, io alzai gli occhi al cielo infastidita dalla sua spiritosaggine. «Comunque quella ciabatta non è mia, ma di mia sorella... anzi la dovresti ringraziare.»
«Cosa, la ciabatta?»
«Ma no. Credevo che avessi solo i postumi di una sbornia, non che avessi pure sbattuto la testa.» scherzò ricevendo una mia occhiataccia in risposta, «Intendevo mia sorella Mali-koa: ti ha lasciato dormire nella sua stanza.»
«Grazie. Senti, ma tu chi sei?» mi dispiaceva chiederglielo ma non riuscivo proprio a ricordare il suo nome.
«Continuo a pensare che tu abbia preso una botta in testa.» rise porgendomi la mano «Piacere, di nuovo, Calum Hood.»
«Ah già.» Gli strinsi la mano mentre i ricordi frammentati della sera prima iniziavano a riaffiorare nella mente.
«Hai il sonno pesante eh, ... e russi anche un po’, lo sai?»
«Io non russo!» Battei i piedi a terra alterata, subito dopo mi massaggiai una tempia lamentandomi del dolore martellante che non voleva attenuarsi.
«Tutto bene?» si preoccupò.
«No, ho un mal di testa terribile. Mi sento come se un tir mi fosse passato sopra.» mi lamentai. Dopo quella serata avrei ripudiato l'alcool fino alla fine dei miei giorni.
«Aspetta qui.» uscì dalla stanza. Si ripresentò pochi minuti dopo con un bicchiere e un'aspirina, «Ecco, tieni.» disse porgendomeli.
«Grazie.»
Lo sguardo del ragazzo si accigliò quando guardò l'ora sul display del cellulare che aveva in mano. «Si sta facendo tardi: io devo andare, tu fa pure come se fossi a casa tua. Se hai fame in cucina ci dovrebbero essere dei biscotti, cercali, e nel frigo del latte. Ti lascio dei soldi per il taxi sul tavolino dell'entrata così puoi tornare a casa.» Fece per andarsene e poi tornò a guardami con i grandi occhi scuri, «Ah, hai ricevuto un po' di chiamate: ti conviene poi controllare di chi erano,» indicò la mia borsa posata ai piedi del letto, «e magari prima di uscire lavati la faccia.» disse sorridendo facendomi l'occhiolino, «Buona giornata, e arrivederci Principessa!»
Appena sentii la porta d'entrata chiudersi recuperai il telefonino dalla mia borsetta e accesi lo schermo per esaminarlo: ventitré chiamate senza risposta, non mi era mai capitato!  Inoltre non ero mai stata fuori casa tanto a lungo senza neanche avvisare: questa volta l’avevo fatta davvero grossa e sapevo che non me la sarei cavata solo con una semplice ramanzina, mi avrebbero messo in castigo per un'eternità. Feci per comporre il numero di casa, ma lo schermo si spense: il cellulare mi aveva abbandonato. Ovvio, ogni volta che ne avevo bisogno quello aveva la batteria scarica.
Recuperai le scarpe alte che avevo indossato alla festa, e che mi erano state tolte quando mi avevano messo a letto,  riponendole nella borsa ringraziando di essermi portata in più le mie comode Sneakers. Dato che ormai ero in estremo ritardo decisi di andare in cerca del bagno, appena mi guardai allo specchio capii cosa intendeva Calum: quando mi ero sfregata gli occhi avevo sparso il trucco per tutto la faccia, in quelle condizioni potevo fare concorrenza ad un panda. Mi rinfrescai il viso con acqua tiepida e con molta pazienza iniziai a struccarmi.
Quando ebbi finito scesi le scale notando che il piano inferiore, sebbene fosse stato ripulito dai bicchieri di plastica ed altri rifiuti, era ancora reduce della festa della sera prima. Ascoltando il mio stomaco che aveva iniziato a lamentarsi mi recai in cucina: il lavello era stracolmo di stoviglie sporche e sul tavolo trovai un bicchiere quasi vuoto di spremuta e una grossa tazza posati sopra ad una lurida tovaglietta di plastica macchiata da quello che sembrava caffellatte; inutile dire che mi passò la fame all’istante.
Controllai di non aver dimenticato nulla e mi diressi all'entrata, proprio come aveva detto, Calum mi aveva lasciato dei soldi sul tavolino accanto la porta. Non avevo bisogno di prendere un taxi potendo tranquillamente andare a casa a piedi, durante quei venti minuti di tragitto avrei potuto anche pensare ad una scusa credibile da recitare ai miei genitori. 
Presi il quadernino che mi portavo sempre appresso (non era propriamente un diario, ci riportavo solo i miei pensieri) e sull'ultima pagina vuota scrissi velocemente dei ringraziamenti per l'ospitalità, lo strappai malamente posandolo accanto ai soldi. Uscii dalla casa preparandomi mentalmente all'imminente sfuriata di mio padre.
 

* * *
 

Quando arrivai a casa non trovai nessuno, probabilmente i miei genitori erano già andati al lavoro e mi ritenni fortunata sperando che non si fossero accorti della mia assenza. Mi tolsi l'abito color blu notte che indossavo ancora e andai in bagno; il flusso di acqua calda che mi scivolava sulle spalle era un toccasana ed uscii dalla doccia sentendomi rinata, mi sciolsi i capelli che avevo fatto attenzione a non bagnare e li ravvivai. Ripensai alla festa: avevo passato una bella serata, mi ero divertita con i miei amici ed avevo conosciuto gente nuova, mi dispiaceva solo non essere riuscita a rimanere da sola con Hemmings, ma pensai che ci sarebbero state sicuramente altre occasioni.
Tornai in camera a controllare il cellulare che avevo messo precedentemente in carica, oltre alle varie chiamate dei miei genitori c'erano un paio anche da parte di Samantha. Chiamai la mia amica.
«Sophie! Fortunatamente stai bene, mi hai fatto prendere uno spavento:» rispose subito la ragazza, «ieri notte mi hanno chiamato i tuoi genitori chiedendomi perché non eri ancora tornata a casa, erano preoccupatissimi. Per tranquillizzarli gli ho detto che ti eri fermata a dormire da me dato che era tardi. Ma che fine avevi fatto?»
Tirai un sospiro di sollievo, «Grazie mille Sam.» fortunatamente mi aveva coperto, se i miei avessero saputo la verità non mi avrebbero più fatto andare a nessuna festa, «Mi sono addormentata e Hood mi ha ospitato da lui fino ad ora, sono arrivata a casa adesso.»
«E Luke, non doveva portarti a casa lui?»
«Già, ma credo non abbia voluto svegliarmi.»
«Adesso mi sente quel ragazzo.» commentò alterata Samantha.
«Non serve, tranquilla. Come sta invece Michael?» cambiai discorso.
«Più o meno, ha l'influenza. È per questo che è stato male, non aveva bevuto abbastanza per stare in quelle condizioni.»
«Povero, salutamelo e auguragli buona guarigione.»
«Sarò fatto. Ah Sophie, quando hai tempo per quelle foto da sviluppare?»
Ah già: il progetto di fotografia, me n'ero quasi dimenticata.
«Anche oggi, se ci sei.»
«Sì, certo. Grazie!»
Guardai l'ora notando che non era nemmeno mezzogiorno. «Figurati, ti aspetto per le due?»
«Va bene, a più tardi allora.»
«A più tardi.»
Chiusi la chiamata e notai che avevo ricevuto un messaggio da parte di un numero sconosciuto, accigliata lo aprii per leggerlo.

[ Ehi sono Luke.
 Scusami se ti ho lasciato da Calum, ma dormivi così bene che mi dispiaceva svegliarti,
spero solo di non averti messo nei casini con i tuoi genitori. ]

Mi sorpresi che Hemmings avesse il mio numero ma immaginai che glielo avesse dato Samantha, mi fece piacere che mi avesse scritto. Salvai il nuovo contatto e gli risposi, mentre un sorriso da ebete si disegnava sulla mia faccia.

[ Ehi Luke, tranquillo... anzi grazie per avermi invitato alla festa. ]

Pochi secondi dopo il cellulare suonò in risposta ad un altro messaggio ed il mio sorriso si allargò ancor di più.

[ Figurati, spero non ti sia annoiata troppo.
 Ma sei ancora da Calum? ]

[ Ma va, mi sono divertita un sacco!
No no, sono arrivata a casa mia adesso. ]

Io e Luke continuammo a scambiarci messaggi per un po', commentando la festa. Non potevo essere più felice di così: finalmente il ragazzo che mi piaceva sembrava iniziasse ad accorgersi di me, e senza che io avessi fatto qualcosa di particolare.
Luke mi salutò dicendo che doveva andare a mangiare e che ci saremmo sentiti più tardi, appena posai il telefono lo stomaco iniziò a brontolare ricordandomi che non avevo ancora mangiato nulla dalla sera prima. Scesi in cucina ma prima che decidessi con che cosa pranzare fui travolta dall'abbaiare di Snow e Peggy, anche loro affamati, riempii le ciotole ai cani e poi mi accinsi a preparare una frittata per me. 
 

* * *
 

Samantha arrivò alle due e un quarto, si scusò del ritardo dicendo che aveva dovuto mettere a dormire i bambini, su due piedi la guardai stranita ricordando che aveva un solo fratellino più piccolo, e mi misi a ridere quando specificò che il secondo era Michael.  L'accompagnai nella camera oscura che mio padre aveva ricavato in un angolo del garage, Sam si era stupita che io avessi quelle apparecchiature e così le spiegai che mio padre aveva un negozio di fotografia ed a volte capitava che dovesse portarsi il lavoro a casa.
Lasciammo a riposare i negativi che avevamo appena sviluppato e salimmo in camera mia. Su richiesta di Samantha le mostrai il mo progetto che era quasi finito: su un cartellone bianco avevo applicato venti foto disposte a spirare e tra gli spazi vuoti avevo iniziato a scrivere alcune delle descrizioni, per queste ultime avevo deciso di utilizzare le frasi di alcune delle mie canzoni preferite per rendere il lavoro più originale.
Samantha passò in rassegna le fotografie: la maggior parte raffiguravano me insieme ai miei genitori o ad Adam, in altre i soggetti protagonisti erano i miei cani, mentre alcune ritraevano solo dei paesaggi che mi ricordavano qualcosa di speciale.
«Sophie sono davvero bellissime!» si complimentò la mia amica, poi ne indicò alcune in particolare: «Questa due sono stupende.»
«Sono le mie preferite.» ammisi con un sorriso.
Le fotografie in questione risalivano entrambe a circa sei anni prima ed erano state scattate in spiaggia al tramonto. Mi riportavano alla mente momenti felici con la mia famiglia.
«Chi le ha scattate?»
«Questa mio padre.» dissi indicando prima la foto dove io e mia cugina giocavamo a spingerci nell'acqua bassa, alle nostre spalle il sole calava sul mare piatto colorando il cielo con sfumature rossastre. Spostai poi il dito sull'altra in cui si vedeva un uomo di spalle con in mano una grossa macchina fotografica, nel primo piano della stessa foto c'erano, seduti sulle stuoie, mia madre e i miei zii intenti a chiacchierare; «Quest'altra invece l'ha fatta il fratello minore di mio padre.» lui era l'unico della famiglia che mancava nell'immagine, non gli era mia piaciuto comparire nelle foto.
Il timer che avevo impostato sul cellulare squillò richiamando la mia attenzione: i negativi delle foto di Samantha dovevano essere pronti. Scendemmo entrambe alla camera oscura in garage a controllare ed a finire il nostro operato.

 

* * *
 

La mia amica si fermò fino a poco prima di cena, mi ringraziò per il mio aiuto e ci demmo l'appuntamento a scuola per il lunedì. Appena chiusi la porta di casa il cellulare vibrò ad avviso di un messaggio così lo estrassi dalla tasca dei pantaloni e sorrisi quando lessi il nome del destinatario: Luke, proprio come promesso, mi aveva scritto, e io non potei che esserne immensamente felice.
La mia felicità durò poco poiché i miei genitori tornarono dal lavoro ed io ricordai solo in quel momento che con molta probabilità avrei dovuto subire una lunga tirata d'orecchi, feci un respiro profondo preparandomi e sperando di sbagliarmi.
Inutile dire che mio padre mi fece una bella sfuriata, mettendomi in punizione a seduta stante: per le due settimane successive non avrei potuto uscire né vedere i miei amici e tanto meno utilizzare il computer e il telefono, quest'ultimi me li confiscarono per essere più sicuri. Sapevo che avevano tutte le ragioni del mondo per essere arrabbiati, dopotutto li avevevo fatti stare in pensiero, ma avevo sperato che fossero più magnanimi. Proprio ora che Luke Hemmenigs aveva iniziato di sua spontanea volontà a scrivermi io non avrei più potuto rispondergli per due lunghe settimane: era davvero ingiusto!


 

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ANGOLO  AUTRICE

Ed ecco il quarto capitolo, mi piacerebbe sapere come state trovando la FF, fatemelo sapere con una recensioncina!
Al prossimo aggiornamento, che sarà il 30 Giugno (mi dispiace non poterlo fare prima, ma sono a corto di tempo... mi scuso immensamente).
Grazie di cuore a chi sta leggendo, a presto!

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Capitolo 6
*** 5. I need a bit of eggs ***


Mi sedetti su una delle poltroncine foderate di rosso, avevo deciso di saltare la pausa pranzo essendomi scordata sia il pranzo che il portafoglio per comprarmi qualcosa al bar della scuola, e mi guardai intorno nell'attesa che la prossima lezione, quella di Drama, iniziasse. Le ultime due ore del lunedì erano assolutamente le miei preferite trattandosi più di uno svago che uno studio.
Il luogo dove Mr. Lion teneva le lezioni di recitazione era un piccolo auditorium adiacente alla scuola; non eravamo in molti a seguire quel corso, appena una dozzina, e per la maggior parte eravamo li dal primo anno, era così che avevo conosciuto Adam. Davanti a me le file della platea scendevano leggermente verso il basso lasciando una buona visuale del palco, le pesanti tende rosse del sipario erano aperte ai due lati, un altro telo di colore nero invece costituiva il fondale separando così le quinte dal palcoscenico.
Quello era assolutamente il posto che preferivo al mondo, lì sentivo che potevo esprimermi come volevo, essere chi volevo. Se normalmente sembravo una persona timida e impacciata, quando mettevo piede sul palco mi trasformavo diventando tutta un'altra persona.  Mi ero accorta spesso di avere issato un muro protettivo che durante quelle lezioni scompariva, mettendomi quasi a nudo, ma era proprio in quelle occasioni che sentivo di poter respirare più liberamente. Forse ero più me stessa quando recitavo che nella realtà; già molte volte mi ero interrogata su ciò senza però riuscire a trovare una risposta chiara.
«Che ci fai qua tutta sola?» mi spaventai quando Adam si sedette accado a me distraendomi dai miei pensieri.
«Aspetto che inizi la lezione di drama.» risposi ricomponendomi. «A proposito, non credevo fossi venuto a scuola. Perché non c'eri all'ora di letteratura?» chiesi ricordando di non averlo visto per tutto il giorno.
«Ah già.» Adam si grattò la testa, «Diciamo che stanotte ho dormito poco e che non avevo proprio voglia di ascoltatore una delle noiosissime lezione di Mr. Robinson, così ho pensato di sfruttare la sua ora per farmi una bella pennichella in auto.» sorrise compiaciuto, «Mi sono svegliato poco fa.»
Alzai gli occhi al cielo: ciò significava che aveva dormito anche nell'ora successiva per un totale di quasi due ore. Era davvero incredibile, ma allo stesso tempo era anche una cosa che ci si poteva aspettare da lui. Glielo dissi mentre la campanella suonava ad avviso della ripresa delle lezioni.
«Ma dimmi: alla fine come è andata venerdì sera dopo che sono andato via?» chiese ammiccando mentre iniziavano ad arrivare i nostri compagni.
«Mhm, bene.» alzai le spalle.
«“Mhm, bene.” Tutto qui?» ripeté incredulo, non riusciva a credere che io snobbassi così l'argomento, «Allora come è andata con Hemmings?»
«In verità Luke non mi ha più portato a casa. Mi sono addormentata e così ha preferito lasciarmi da Hood per non svegliarmi.» spiegai
«E tu come fai ad esserne sicura?»
«Perché me lo ha detto lui il giorno dopo, e poi oggi a matematica si è di nuovo scusato.» sorrisi, «Ho il suo numero, sai?»
«Meno male, dai una cosa per volta. Vedrai che lo conquisterai!» disse facendomi l'occhiolino.
«Lo spero.»
«Ma certo: appena Luke si renderà conto di che meravigliosa persona sei non avrà occhi che per te.»
«Grazie per il complimento, ma tu sei di parte.»
«Si, forse. Ma è la pura verità.» Adam mi porse la mano aiutando ad alzarmi ed insieme ci avviammo verso Mr. Lion che ci stava chiamando a raggiungerlo sul palco per iniziare la lezione.
 

*  *  *
 

Uscii dai cancelli della scuola seguita dal mio migliore amico, stavamo per raggiungere la sua macchina quando un colpo di clacson richiamò la mia attenzione e riconobbi l'auto di mio padre posteggiata accanto al marciapiede. Mi accigliai nel trovarlo lì.
«Sophie, sali in macchina.» mi intimò mio padre attraverso il finestrino abbassato.
Sbuffai, ma feci come mi aveva detto dopo aver salutato Adam. «Come mai sei venuto a prendermi?» chiesi una volta salita in auto.
«Sei in punizione, ricordi? Quindi per queste due settimane ti porterò e verrò a prendere io a scuola o, se non ci sono io, lo farà tua madre.»
Annuii trattenendomi dall'alzare gli occhi al cielo. Ero molto infastidita da questa cosa, come se i miei genitori non si fidassero di me, però non volevo rischiare di aumentare i giorni di reclusione solo per aver detto la mia, quindi rimasi in silenzio.
Mio padre mi lasciò davanti a casa per tornare immediatamente al suo negozio, salutai mia madre e salii in camera decidendo di dedicarmi ai compiti non avendo molto altro da fare per passare il tempo, senza niente a distrarmi li finii abbastanza velocemente. Mi spostai allora sul divanetto ricavato sopra al davanzale di una delle finestra iniziando a leggere svogliatamente un libro; mentre sbirciavo fuori dalla finestra mi accorsi che qualcuno che si trovava sul marciapiede opposto mi stava salutando energicamente: era quel ragazzo, quel Calum Hood.
Mossi leggermente la mano per ricambiare il saluto, ero imbarazzata dato che poteva sembrare che lo stessi spiando nascosta dietro al vetro. Intanto lui mi fece segno di scendere, ma io scossi il capo per fargli capire che non potevo, a quel punto prese la sacca blu che portava sulla schiena e ne estrasse un oggetto rettangolare che mi mostrò dalla strada.
Mi bastò un’occhiata per riconoscere il mio quadernino, avevo passato l'intera domenica a cercarlo e alla fine lo avevo dato per perso, invece  l’aveva avuto sempre lui. Mi allarmai pensando che l'avrebbe potuto leggere: anche se non c'era scritto niente di cui potevo vergognarmi erano comunque cose molto personali e mi avrebbe dato fastidio se non avesse rispettavo la mia privacy. Gli feci segno di aspettare.
«Mamma, volevo fare una torta, ne abbiamo di uova?» gridai mentre mi precipitavo giù dalle scale. In realtà sapevo perfettamente che non ce n’erano avendo usato l’ultimo uovo per la colazione di quella mattina.
«Non ne ho idea, guarda!» la voce della donna mi raggiunse dal salotto con il sottofondo del televisore.
Corsi in cucina e aprii il frigo senza neanche esaminarlo: «No, non c’è ne. Esco a comprarle!»
Avevo già la mano sulla maniglia della porta d’entrata quando mia madre mi si piazzò davanti con i pugni sui fianchi: «Ferma signorinella, tu sei in castigo o te lo sei già scordata?.»
«Come potrei: me lo ricordate in continuazione.» mi lamentai facendomi seria subito, «Dai mamma, faccio in un lampo, promesso!» la pregai sforzandomi di fare la faccia più convincente e innocente possibile.
Dopo averci pensato per qualche secondo interminabile mi diede il via libera: «Eh va bene, vai. Ma…»
«Oh grazie mammina! Ti voglio bene.»  le diedi un bacio sulla guancia. «Ma?!» Cavolo se odiavo quella parola: aveva il potere di infrangere interi sogni e progetti!
«Ma ti do' solo mezz’ora di tempo, se ritardi anche di un solo minuto la punizione aumenterà di altre due settimane.»
«Si capo. Vedrai: alle cinque sarò già in cucina ad impastare, ti do la mia parola. Ciao, a dopo.» salutai precipitandomi fuori di casa con uno smagliante sorriso per la vittoria: l’avevo fatta franca.
Quando fui in strada Calum fece subito per raggiungermi ma io gesticolai intimandolo ad aspettare, era molto probabile che mia madre mi stesse sbirciando dalla finestra e se avesse visto il vero motivo per cui ero voluta uscire o anche solo che ero in compagnia di un ragazzo sarei finita in grossi guai. Mi incamminai così verso il supermercato più vicino senza voltarmi, nel frattempo il ragazzo attraversò la strada per portarsi sul mio stesso marciapiede; sentivo i suoi passi calpestare l’asfalto a un paio di metri da me: non mi sentivo per niente a mio agio, sembrava di essere seguita da un malvivente.
Quando fummo fuori dalla portata dell’occhio vigile di mia mamma mi fermai voltandomi verso di lui osservandolo attentamente: le labbra carnose incurvate in un sorriso e gli occhi scuri che trasmettevano allegria, poteva sembrare un ragazzo affidabile.
«Questo deve essere tuo.» Calum mi porse il mio piccolo quaderno, io glielo strappai quasi dalle mani e iniziai a sfogliarlo velocemente. «Non l’ho letto, se è quello che stai pensando.» cercò di tranquillizzarmi.
«Sarà meglio!» risposi di getto. Mi accorsi di essere stata piuttosto acida con lui che aveva fatto tutta quella strada solo per restituirmelo, così addolcii il tono di voce e gli sorrisi, «Ehm, grazie per avermelo riportato.»
«Di nulla, e poi era una scusa per poterti rivedere.» disse sfoggiando un sorriso e strizzando un occhio.
«Come facevi a sapere dove abitavo?» gli chiesi incuriosita dal fatto che fosse venuto fin sotto casa mia.
«Me l'ha detto Samantha. In verità volevo ridartelo già stamattina a scuola ma l'avevo scordato e così ho pensato di riportartelo direttamente a casa.» spiegò con calma, «Ti va di fare due passi?»
Erano passati appena un paio di minuti o poco più quindi avevo un po' di tempo prima di dover tornare a casa, e poi mi sembrava scortese rifiutare, così annuii.
Ci avviammo per una meta indefinita chiacchierando del più e del meno iniziando a conoscerci meglio visto che alla festa non c'era stata l'occasione, mi trovavo davvero bene in sua compagnia, era molto simpatico, e scoprii anche che avevamo diverse cose in comune. Ero così a mio agio a parlare con lui che mi dimenticai di avere i minuti contati, almeno finché Calum non prese il suo cellulare per rispondere ad un messaggio ed io distrattamente lessi l’ora: le 4.43 pm.
Per poco non mi prese un colpo: «Ti prego, dimmi che quell’orologio è avanti.» supplicai sperando mentalmente in un si.
«No, affatto. Perché?»
Mi scappò un’imprecazione. «Grazie mille per la compagnia, ora devo andare, scusa. Ci vediamo!» 
Stavo già per correre verso casa, ma lui mi trattenne per un braccio: «Ehi aspetta un attimo. Che succede, come mai così di fretta?»
Cercai di liberarmi dalla sua presa supplicandolo, «No, no, no. Lasciami,» intanto le persone in strada si erano voltare ad osservarci accigliate, «devo proprio andare: sto facendo tardi!»
«Tardi per cosa?  Non capisco.»
«Sono in punizione! Ho detto a mia madre che andavo a fare la spesa per cucinare una torta così mi avrebbe fatto uscire, devo tornare prima delle cinque altrimenti sarò reclusa a vita… e non ho nemmeno comprato le uova, sono nei guai fino al collo!» le parole uscirono a ruota velocemente per non perdere altri secondi importanti.
Il ragazzo mi lasciò andare il polso,  «Ho avuto un idea, ma è un po’ pazza…»
« Parla!» lo intimai. Forse c’era una speranza.
«Siamo vicini a casa mia e guarda caso giusto stamattina mia sorella ha fatto la spesa, mi sembra di aver visto anche un pacco di uova… se vuoi puoi prenderlo tu.»
«Ma come faccio poi a tornare a casa in tempo?» chiesi cercando di mantenere la calma: da casa sua a piedi ci avrei messo almeno venti minuti ed io non avevo tutto quel tempo a disposizione.
«Per quello ci penso io. Ora andiamo, in fretta.»
Corremmo verso casa Hood che non era troppo distante, Calum si precipitò dentro mentre io rimasi fuori ad aspettarlo, tornò subito dopo con in mano il prezioso pacco di uova che infilò nella sua sacca prima di porgermi il tutto.  
«Possiamo andare, che ore sono?» chiesi agitata, mi sembrava fosse passata un’eternità.
Calum prese il telefono controllando l'ora, «Meno dieci, circa. Tu aspettami qui, io arrivo subito: ho una sorpresa!»
Lo guardai ritornare dentro casa senza che potessi chiedere spiegazioni. Cosa aveva di tanto urgente da fare mentre io invece rischiavo il destino di Raperonzolo nella torre?
I miei pensieri vennero interrotti dal rumore della saracinesca del garage che subito dopo venne sostituito da un forte rombo di un motore e, quando mi voltai per controllare, un motociclista in sella al suo veicolo si fermò davanti a me. «Dai forza, sali!» mi incitò Calum, la voce era camuffata dal casco  integrale nero che indossava; me ne porse uno grigio metallizzato facendomi segno di indossarlo.
Mi allacciai stretto il casco anche se non ero molto sicura di volergli dare ascolto. Squadrai la grossa moto, non mi erano mai piaciute e quindi non ci ero mai nemmeno salita, ne avevo anche un leggero terrore. «Io non ci salgo su quel trabiccolo!»
«E dai, non fare la bambina! Vuoi o no tornare a casa in fretta?» gli annuii poco convinta, «Dai allora, che stiamo perdendo tempo.»
«Eh va bene.» presi una profonda boccata d'aria cercando di nascondere la mia paura, poi mi sedetti dietro di lui stringendomi con le braccia al suo addome per tenermi, «Però non andare troppo vel…»
La moto era già partita senza darmi il tempo di finire la frase la cui ultima parola si perse nel vento.
Ci fermammo davanti alla villetta prima della mia per non essere visti, Calum scese e mi porse una mano per aiutarmi a smontare: «Allora sei ancora tutta intera?»
Mi sfilai il casco porgendoglielo, «Credo di sì. Come ti sembro?»
Il ragazzo si mise a ridere, «Come una che si è appena fatta un giro veloce in moto.»
Capii di avere i capelli tutti scompigliati e così cercai di aggiustarli, sapendo di fare ben poco dato che quasi sicuramente i boccoli si erano appiattiti, così optai per legarli un uno piccola coda alta.
Presi il pacco di uova constatando con meraviglia che erano tutte integre, restituii quindi al proprietario la sacca che avevo messo a spalle; Calum vi fece scivolare dentro il caso grigio e poi mi accompagnò vicino al lato sinistro della mia abitazione.
«C'è un’entrata sul retro?» s'informò.
«Sì, certo, da’ sulla cucina, perché?»
«Tu aspetta il segnale, poi entra da lì! Buona fortuna, ci sentiamo.» Calum mi salutò dandomi un bacio sulla fronte e si allontanò con il suo casco nero sotto braccio. Dopo aver ricevuto quel gesto di affetto, a mio parere pressoché senza motivo, rimasi imbambolata iniziando ad arrossire intensamente.
Non passò molto prima che udii il suono del campanello e mia madre che apriva la porta, riconobbi la voce di Cal che iniziava a inventare scuse per tenere la donna sulla porta e dare il tempo a me di intrufolarmi in casa. Immaginai che quello fosse il segnale così, senza fare troppo rumore, raggiunsi la porta sul retro richiudendola dolcemente ed iniziai a preparare immediatamente l’impasto per la torta, nel frattempo la porta di casa si richiuse.
«Ah sei già qui?» chiese mia madre che si era affacciata alla cucina.
«Sì, mamma, come avevo promesso, vedi?» avevo già le mani tutte sporche di farina.
«Bravissima. Allora ti lascio lavorare in pace, se hai bisogno sono di là.»
Appena se ne andò tirai un sospiro di sollievo e ringraziai mentalmente Calum: senza il suo aiuto non ce l'avrei fatta!

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