Abby's Long Dark

di itachiforever
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Il quaderno ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Mistery Lake ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - L'inizio del viaggio ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Cabine, cabine, cabine ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Il primo incontro ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - La baita del cacciatore ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - L'attacco ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Paesaggi e tormente ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Il quaderno ***


Capitolo 1 – Il quaderno

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Questo quaderno appartiene a Abby Moss.
Lascio una mia foto che avevo con me di un paio d’anni fa, in caso qualcuno trovi questo quaderno o, magari, il mio corpo.
Sono bloccata in questo posto da tanto, troppo tempo. Non so come fare per andarmene e non so per quanto tempo riuscirò a resistere.
Mentre sono stata qui ho distrutto e rubato un bel po’ di cose, e sicuramente dovrò farlo ancora. Chiedo scusa ai proprietari, ma ho dovuto farlo, la mia vita dipendeva da questo. Anche questo quaderno è rubato, ma avevo bisogno di un posto dove annotare tutto.
Mentre sto scrivendo questo non so ancora cosa sia successo.
Mio padre lavora alla Carter Hydro Dam e quest’anno doveva fare il turno invernale. Non avevo sue notizie da un bel po’ e lui mi chiamava ogni giorno. Io vivo da sola per la metà dell’anno da quando mia madre è morta, quindi avevo deciso di venirlo a trovare.
Non so se riuscirò a farcela, quindi voglio lasciare qualcosa di me su questo quaderno. Voglio che si sappia cosa mi è successo, dato che io non so cosa stia succedendo nel resto del mondo. E poi voglio anche riuscire a tener conto del tempo che passa.
Il piccolo aereo che doveva portarmi alla città più vicina alla diga è precipitato all’improvviso. Non ricordo molto bene ciò che è successo quel giorno. L’aereo tremava e ad un certo punto le luci si sono spente e ha iniziato a precipitare nel vuoto. Devo aver battuto la testa perché sono svenuta e tutto è diventato sfocato e poi nero. Quando ho ripreso i sensi non riuscivo a capire bene. C’era freddo e non vedevo quasi nulla. Era buio e sentivo il vento soffiare con violenza. Mi slacciai la cintura che mi aveva tenuto attaccata al sedile e mi alzai, sentendo scricchiolii poco rassicuranti. Mi guardai intorno e vidi una cosa molto strana. La coda dell’aereo non era dove avrebbe dovuto essere. Mi avvicinai a quel punto, non riuscendo a capacitarmi di quello che stava succedendo. Andai nella cabina di pilotaggio, ero l’unica passeggiera oltre ai due piloti, ma la trovai vuota. Il portello sul fianco era aperto e la neve stava iniziando ad accumularsi all’ingresso. Tornai indietro verso la coda mancante, fermandomi a prendere il mio zaino dalla cappelliera. E poi ho fatto la cosa più stupida di tutte: ho continuato a camminare in avanti. Vedevo tutto bianco a causa della tempesta di neve e vento che imperversava, ero convinta che ci fosse del terreno sotto i miei piedi. E invece l’unica cosa che sentii era il vuoto sotto di me e il gelido abbraccio del vento e della neve prima di piombare di nuovo, solo la seconda di molte volte che sono seguite, nella lunga oscurità.
 



Angolo Autrice:
Ciao a tutti!
The Long Dark è uno dei miei giochi preferiti e questa storia l’avevo in mente già da un po’. So che sto scrivendo già altre due storie, ma non sono riuscita a impedirmi di iniziare a scrivere anche questa.
Ad agosto uscirà la modalità storia ma per il momento qui non ne terrò conto, magari in futuro. Le ambientazioni saranno quelle del gioco, ma potrei cambiare qualcosa per dare un po’ più di realismo alla vicenda.
Non so quando pubblicherò il prossimo capitolo comunque.
In ogni caso, a presto!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Mistery Lake ***


Capitolo 2 – Mistery Lake


 
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Quando mi svegliai mi ritrovai in una specie di grotta naturale completamente ricoperta dalla neve. Sulla cima del tetto della caverna si apriva un foro, quello dal quale ero caduta, da cui spuntavano un paio di lunghi tronchi d’albero, non saprei dire se caduti o cresciuti storti. Di certo ho fatto un bel volo. Faceva freddo ma la tempesta sembrava essere passata ed era arrivato il giorno, in ogni caso stava ancora nevicando leggermente. Portai le mani alla testa e me la massaggiai, cercando di alleviare il mal di testa lancinante che era sopraggiunto al mio risveglio. Cercai di non farmi prendere dal panico, non mi sarebbe stato certo d’aiuto. Come se non bastasse i miei vestiti non erano affatto adatti ad escursioni sulla neve. Una felpa e una canottiera di cotone, calze di lana, jeans e scarpe da ginnastica non erano sufficienti per proteggermi dal gelo. Fortunatamente nello zaino avevo un cappotto con cappuccio abbastanza pesante, per un po’ sarebbe bastato, quindi mi affrettai a mettermelo. Presi anche il mio cellulare, ma non si accendeva, probabilmente si era scaricato. Decisi di incamminarmi per cercare aiuto, o almeno per riuscire a capire dove mi trovavo.
Appena uscita dalla caverna mi resi conto di essere in una foresta. Alle mie spalle si trovava un’alta parete di roccia, ed ero circondata dalle montagne. Dritto davanti a me, a non troppi metri di distanza, c’era una piccola struttura in legno sopraelevata rispetto al terreno. Mi avvicinai  guardandomi intorno, avrebbe potuto esserci qualche animale selvatico e io non ero certo nelle condizioni (o in grado) di affrontare lupi o orsi. Capii che doveva trattarsi di uno di quei punti di osservazione che usano i cacciatori. Salii i gradini e mi sedetti sulla panca di legno che trovai al suo interno, non prima di aver messo da parte una lattina di aranciata e un pacchetto di carne secca, entrambi vuoti. Trovai un grosso proiettile, chiaramente per un fucile, e una confezione di antidolorifici in una cassetta del pronto soccorso abbandonata sotto la panca. Per sicurezza li presi, non si può mai sapere in queste situazioni, e col mio mal di testa una compressa si sarebbe potuta rivelare un’ancora di salvezza.
Dato che la valigia che avevo in stiva è al momento da considerarsi persa, pensai che fare un inventario di ciò che avevo nello zaino sarebbe stato utile. Avevo il mio piccolo kit di pronto soccorso personale (disinfettante, antibiotico, benda e pastiglie per purificare l’acqua), una confezione di fiammiferi di legno, un’esca per il fuoco, un bengala, una barretta di cioccolato con arachidi, un pacco di crackers e una bottiglietta d’acqua. “Mai venire in posti del genere senza essere preparati ad ogni evenienza” mi dice sempre mio padre. Fortunatamente trovai anche un berretto e una sciarpa di lana e un paio di guanti, temevo di averli messi nella valigia.
Uscendo dal casottino mi accorsi di alcuni cespugli di rosa canina con alcune bacche sui rami. Non sono una botanica ma so che si possono preparare delle tisane utili contro i sintomi dell’influenza, dolori articolari e simili. Se sei una ragazza che vive da sola e con un padre lavoratore nelle foreste del nord del Canada, queste cose bisogna saperle. Presi anche le bacche e continuai a camminare, seguendo una zona senza alberi che sarebbe potuto essere un sentiero ricoperto di neve. Ad un certo punto vidi anche un cervo, un imponente maschio con grandi corna, che scappò non appena si accorse della mia presenza. Se non fossi stata ancora spaventata per quello che era successo, e a rischio di ipotermia, sarei potuta rimanere lì ad ammirare la bellezza di quello spettacolo naturale per ore.
Arrivai ad un fiume ghiacciato dopo un’ora di camminata circa (o almeno credo, non sono molto brava ad orientarmi con la posizione del sole) e dopo aver constatato che era sicuro camminarci sopra lo seguii verso sinistra, arrivando a breve ad un lago circondato da alberi, con qualche isolotto roccioso che spuntava in mezzo ad esso e punteggiato da cabine per la pesca sul ghiaccio.
Il posto mi sembrava familiare, ma del resto questa zona è piena di laghi, stagni e fiumi, quindi non gioii troppo. Ma forse era il posto giusto per trovare qualcuno a cui chiedere aiuto. Continuai a camminare, dirigendomi verso la più vicina di quelle cabine. La neve stava scendendo più fitta e mi rendeva difficile vedere in lontananza. Riuscii però ad intravedere quella che sembrava una capanna vicino alla sponda più vicina del lago, sulla destra. Ma avevo bisogno di riposarmi un attimo, quindi entrai nella cabina e mi sedetti sopra la cassettiera che c’era al suo interno per recuperare un po’ di energie. Era una cabina piccola e molto semplice, dipinta di verde e col tetto rosso, senza porta, con un paio di mensole, la cassettiera, un altro piccolo mobiletto e una stufa a legna utilizzabile anche come fornello. Ovviamente non mancava il buco nel pavimento in un angolo per pescare. Cercando di trovare qualcosa di utile anche lì, trovai un paio di pezzi di legno per il fuoco accanto alla stufa e dentro ai mobili un kit da cucito con un pezzo di stoffa, un bengala, due lenze e un amo, un paio di vecchi guanti di pelle rovinati, dell’accelerante per il fuoco, un giornale arrotolato vecchio di mesi, una Summit Soda, una barretta di cioccolato con le nocciole e addirittura un’accetta. Almeno sapevo che per un po’ sarei stata tranquilla. Potevo difendermi, pescare e accendere un fuoco.
Uscii per arrivare alla capanna, facendo scappare un altro cervo (chissà se era lo stesso di prima…) e avvicinandomi sempre di più vidi che era molto più grande di quel che mi sembrava prima. La bandiera canadese sventolava sulla sua asta e non potei trattenere un’esclamazione di gioia alla vista del cartello di legno davanti al cottage: “Ufficio del Guardiaparco – Mistery Lake”.
Se ero davvero lì allora ero anche vicina alla diga dove lavorava mio padre! Mi precipitai all’interno, convinta di trovare qualcuno in grado di aiutarmi. Ma non trovai nessuno, eccetto il cadavere di un uomo sulle scale.
 
 



Angolo Autrice:
Ciao a tutti!
Eccomi tornata col secondo capitolo della storia. Seppur breve, spero vi sia piaciuto.
Probabilmente aggiungerò cibi che non ci sono nel gioco, in fin dei conti anche nel gioco tutto è successo da poco (almeno nella sandbox mode) quindi non vedo perché non aggiungere prodotti non a lunga scadenza, almeno per un po’.
Se avete consigli, domande o pareri non esitate a chiedere, risponderò a tutti!

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - L'inizio del viaggio ***


Capitolo 3 – L’inizio del viaggio


 
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Una volta entrata al rifugio, lo trovai vuoto, ma fui sommersa da una valanga di ricordi. Al primo piano si trovava una sorta di reception, pensata per far stare a proprio agio gli escursionisti, mentre al piano superiore si trovavano alcuni letti, me lo ricordavo benissimo. Mio padre, quando ero più piccola e venivo a trovarlo, mi faceva sempre fare delle belle passeggiate insieme a lui attorno al lago. Ero ancora troppo piccola per fare delle vere e proprie escursioni, quindi non facevamo mai molta strada. Spesso andavamo a trovare i ranger ai rifugi o i pescatori nelle loro piccole baracche.
Tutto sarebbe stato buio, se non fosse stato per la luce del sole che riusciva ad entrare dalle finestre coperte di ghiaccio. Provai ad accendere la luce, ma sembrava non funzionare. Quella del sole era sufficiente al momento. Giusto per controllare che il cottage fosse davvero vuoto andai al piano superiore, e fu lì che trovai il cadavere. Inutile dire che rischiai l’infarto per lo spavento. Non so chi fosse quell’uomo, non ho avuto il coraggio di indagare per capire di chi si trattasse. Non sono neanche riuscita a capire perché sia morto…forse per il freddo? Non sembrava in decomposizione, quindi probabilmente era anche successo da non molto tempo. Era seduto per terra, con la schiena appoggiata alla parete di legno, come se si fosse trascinato su per la rampa di scale e poi si fosse fermato per riposarsi. Spero solo che non sia stata opera di qualcuno. Non volevo restare lì più del necessario, quindi cercai dappertutto qualunque cosa che avrebbe potuto essermi utile, col buon proposito di restituire tutto se si fosse presentato il proprietario, prima di prepararmi per andarmene.
Trovai qualcosa da mangiare, ma nulla da bere purtroppo. Mi appropriai anche di una lanterna antivento mezza piena, un piede di porco, un coltello da caccia, una lente d’ingrandimento e alcune cose utili per accendere il fuoco. Non presi la legna perché non volevo appesantirmi troppo, dato che avevo anche trovato un sacco a pelo e un kit medico (cosa ci faceva un kit da cucito dentro la cassetta del primo soccorso?). Frugando nella “stanza da letto” trovai un maglione pesante di lana, abbastanza grande da poterlo indossare sopra la felpa, e un paio di scarpe da lavoro che sostituii alle mie sneakers. Avere i piedi un po’ più grandi della media femminile si era finalmente rivelato utile.
La fame e il freddo stavano già iniziando a farsi sentire, quindi accesi un fuocherello nella stufa a legna e mi sedetti per terra a mangiare pesche sciroppate e mezza barretta energetica ai frutti rossi e a bere qualche sorso d’acqua. Probabilmente avrei dovuto approfittarne per sciogliere e bollire un po’ di neve, e invece andai al banco da lavoro a farmi un paio di rudimentali canne da pesca con la lenza e gli ami che avevo trovato.
Provai ad usare la radio e il telefono satellitare per cercare di mettermi in contatto con qualcuno, ma nessuno dei due funzionò.
Prima di uscire diedi un’occhiata alla mappa della zona appesa sulla parete. Proseguendo sulla sponda destra del lago sarei arrivata a delle capanne, probabilmente quelle dove mi ricordavo che mi portava mio padre.
Uscii e mi accorsi che nevicava ancora più di prima. Seguendo le indicazioni viste sulla mappa arrivai in un’oretta alle capanne: tre piccole casette di legno costruite su una pavimentazione anch’essa di legno completamente sommersa si neve, con un pontile che si allungava sul lago e un paio di tavoli da pic-nic. Da piccola non ci avevo fatto caso, ma ora mi sono accorta che quelle capanne sono davvero minuscole! Ok, i pescatori le utilizzano solo per dormire, e in genere solo durante l’estate (questa zona in estate è stupenda), ma almeno una stufa potevano tenerla! Almeno non erano chiuse a chiave…papà mi ha detto che lo fanno per fornire un rifugio a chi dovesse perdersi, per questo non tengono cose di valore al loro interno.
La prima capanna aveva due letti a castello, un tavolo con una sedia, una panca di legno e alcuni scaffali e un pacchetto di carne secca, nulla di più.
La seconda era come la prima, compresa la carne secca, ma senza panca, con in più solo un kit da cucito e un libro (sugli alieni wtf?!).
La terza aveva una comoda poltrona azzurra al posto della sedia e una confezione di fiammiferi di cartone.
In fin dei conti mi ero procurata un bel bottino in poco tempo. (E fortunatamente ho una memoria abbastanza buona da farmi ancora ricordare cosa ho trovato e dove.)
Cominciai ad essere davvero stanca, quindi pensai di lasciare lo zaino dentro e sedermi su una panchina all’esterno a bermi una Summit Soda prima di concedermi un po’ di riposo. C’era freddo, ma le cabine mi davano la claustrofobia e poi fuori c’era un così bel panorama…
Mi sedetti sulla panchina a sorseggiare la mia bibita, guardando il cielo e l’acqua congelata, quando un paio di ombre scure in movimento attirarono la mia attenzione.
Sul lago, vicino una delle cabine da pesca sul ghiaccio, un lupo nero come la notte stava inseguendo un cervo, forse quello che avevo visto prima. Il cervo scivolò e il lupo gli fu subito addosso, uccidendolo in breve.
E se i lupi fossero stati di più? Se ce ne fosse stato tutto un branco? Andare in giro sarebbe stato parecchio rischioso, quindi preferii tornare dentro la cabina, finchè il lupo era ancora lì fuori.
Mi stesi sul letto inferiore, guardando il materasso di quello superiore e riflettendo su cosa sarebbe stato meglio fare.
Dopo poco mi addormentai, con l’ululato del lupo a farmi compagnia.
 
 


 
Angolo Autrice:
Ciao gente!
Sono di nuovo qui!
Che ne pensate di questo capitolo? Vi sta piacendo la storia?
Pensate ci siano troppe parentesi? Ho pensato di scrivere così le “note a margine” di Abby. Alla fin fine questa storia è comunque scritta sotto forma di diario.
Non esitate a farmi sapere tutto. Ho leggermente modificato la parte del cadavere, su consiglio di Uptrand che voglio ringraziare per tutte le recensioni e i consigli datimi negli ultimi giorni.
A presto!

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Cabine, cabine, cabine ***


Capitolo 4 – Cabine, cabine, cabine

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Mi risvegliai che era ancora giorno, ma non avevo idea di quante ore fossero passate. Sapevo che se volevo trovare qualcuno dovevo andare da un’altra parte e in ogni caso quelle tre piccole cabine non mi sarebbero state di grande aiuto.
Uscendo vidi che aveva smesso di nevicare e sembrava che la giornata sarebbe finita tranquillamente. Prima di incamminarmi controllai bene che non ci fossero lupi, senza uscire dal piccolo portico di legno della cabina. Riuscivo a vedere la carcassa del cervo, sorvolata da chiassosi corvi intenti a banchettare, e non mi venne neanche l’idea di avvicinarmi. Magari i lupi sarebbero tornati presto e chi avrebbe provato a rubargli il cibo se la sarebbe vista brutta. Mi piacciono i lupi. Credo siano degli animali meravigliosi, anche se pericolosi. Non che altri animali lo siano di meno. Non mi avvicinerei mai ad un cervo maschio ad esempio. Quelle stupende corna le ha per un motivo.
In ogni caso, camminai continuando a seguire la riva del lago. Ricordavo che ci fossero più cabine e infatti le trovai subito. Due erano completamente distrutte, bruciate, e i tetti crollati avevano permesso alla neve di riempire i loro interni. L’altra invece era integra, più o meno identica comunque alle tre di prima. Esplorandola, trovai pesche sciroppate, zuppa di pomodoro, barrette dolci e una Stacy’s Grape Soda. Mi resi conto di dover assolutamente trovare dell’acqua, la bottiglietta che avevo si sarebbe svuotata presto e le bibite gassate non avrebbero certo fatto bene alla mia salute se avessi continuato a bere solo quelle. Soppressi la sete ancora per un po’.
Adocchiai un altro di quei casottini per la pesca sul ghiaccio non troppo distante e vi trovai una sciarpa di lana a strisce rosse e bianche. Ne avevo già una mia, ma meglio prenderla. Soprattutto perché il sole iniziava a calare e un piccolo termometro appeso alla parete segnava -9°C. Una temperatura decente rispetto a quelle delle notti di tempesta di cui mi parlava mio padre. Almeno non c’era molto vento e i vestiti mi proteggevano un po’.
Uscendo da li mi accorsi di un’altra cabina che non avevo notato. Una un po’ più grande delle altre, solitaria sulla riva del lago, col suo pontile personale. Ovviamente mi diressi lì, per sgraffignare qualcos’altro. Stavo già iniziando a prenderci gusto. Chi non ha mai sognato di poter rubacchiare senza conseguenze?
Arrivata davanti alla porta mi ricordai improvvisamente dove mi trovavo. La chiamavano cabina di Lone Lake. Ci abitava, durante l’estate, un uomo che stava sempre sulle sue, gli piaceva stare da solo. Lo avevo conosciuto insieme a mio padre, come tutte le persone che frequentavano quella zona. Mi stava simpatico.
Non era una di quelle persone che appena vedono un bimbo iniziano a fargli domande su qualsiasi cosa (ho conosciuto davvero troppe persone del genere) o che lo trattavano come un piccolo decerebrato. Anzi, mi aveva insegnato lui a pescare sul ghiaccio. Sembrava che io fossi l’unica persona con cui non era scorbutico. Si chiamava Simon, se non erro.
Mi sentii in colpa al pensiero di rubare qualcosa da lui più che dagli altri. Ma alla fin fine l’ho solo privato di una scatoletta di carne e fagioli (per la cronaca, odio i fagioli) e dei fiammiferi.
Poi andai in un’altra cabina per la pesca sul ghiaccio, dove trovai altra attrezzatura per la pesca, qualcosa per il fuoco e un’aranciata. Lo zaino si stava facendo pesante, la sete aumentava e la stanchezza tornava a farsi sentire, così decisi di ritornare all’ufficio. Esplorare durante la notte era escluso.
Mentre andavo, trovai il punto da dove ero arrivata, quello dove il fiume si immetteva nel lago. Con la nebbia che c’era non ero riuscita a vedere nulla oltre al cottage. Una volta arrivata andai direttamente al piano di sopra. Non sentivo troppo freddo, quindi non accesi il fuoco, e mi limitai a bere l’aranciata, dato che non avevo neanche fame. Credo fosse per l’ansia, mi si era chiuso lo stomaco.
Mi addormentai e mi risvegliai nel cuore della notte, completamente al buio. Non riuscivo a vedere davvero nulla, oscurità totale. Quel posto mi risultava davvero inquietante, specie perché c’era ancora un cadavere al suo interno, che avevo coperto con un tappeto.  Avevo di nuovo sete e la fame mi era tornata e come volevasi dimostrare mi ritrovai davvero senz’acqua, e con della carne in scatola in meno. Ne avevo lasciato giusto un sorso per la mattina.
Anche se a fatica alla fine riuscii ad addormentarmi, senza incubi per fortuna. Prima dell’alba ero già in piedi. Mangiai una zuppa di pomodoro, bevvi la Grape Soda ed uscii armata di lanterna, nonostante il buio ancora un po’ presente e quella che sembrava l’inizio di una tempesta di vento e neve. Avevo davvero bisogno di trovare da bere e non avevo pensato (da brava stupida) ad accendere un fuoco per sciogliere e bollire della neve.
Mi avviai dalla parte opposta del lago rispetto all'ufficio, arrivando in breve ad una ferrovia, appena appena visibile. Le rotaie erano quasi completamente sommerse di neve e mi accorsi di loro solo dopo esserci inciampata sopra. Le seguii verso sinistra e alle prime luci dell’alba intravidi quella che sembrava una parete di roccia. Eppure le rotaie andavano dritte da quella parte. Ma non ebbi tempo di pensare a quello perché un ringhiare a dir poco minaccioso e uno strano abbaiare attirarono tutta la mia attenzione.
 
 




Angolo Autrice:
Ciao a tutti! Eccomi tornata anche qui!
Come se la caverà la nostra Abby col suo primo incontro con un lupo selvatico incacchiato?
Lo scoprirete presto ;)
Voglio ringraziare Zenya_59 per le recensioni lasciate. Grazie mille! ^v^ (Questo capitolo è dedicato a te :D)
Ciaoooo!

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Il primo incontro ***


Capitolo 5 – Il primo incontro


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Mettermi a correre per riscaldarmi non era stata una grande idea, così come non guardare meglio la cartina della zona prima di uscire.
Senza voltarmi più di tanto cercai di capire da dove provenisse quel ringhiare, aumentando un po' il passo nel contempo. Fortunatamente mi ricordai che correre con un lupo così vicino e senza sapere dove andare era da evitare. Come si fa con i cani alla fin fine. Appoggiai per terra la lanterna e, con movimenti calcolatamente lenti per non risultare troppo minacciosi, estrassi dallo zaino un bengala. Lo accessi e la sua zampillante luce rossa illuminò la zona circostante, sovrastando quella gialla della fiammella della lanterna.
Mi guardai intorno, alla ricerca del mio peloso problema. Lo vidi a pochi metri da me: un grosso lupo grigio che mi ringhiava minacciosamente contro. In questi casi il sangue freddo e il controllo di sé sono fondamentali, ma non potei non indietreggiare quando fece qualche altro metro correndo. Si fermò di nuovo, ancora più vicino e ancora più minaccioso. Nella penombra i suoi occhi brillavano come se fossero fosforescenti e stava ben attento a tenersi appena fuori dal cerchio luminoso che tingeva di rosso la candida neve sotto e intorno a noi. Come tutti gli animali, anche i lupi sono spaventati dal fuoco, ma anche i bengala non sono da meno. Infatti glielo lanciai contro, con un verso semi animalesco, riuscendo a farlo allontanare. "Chi è che comanda ora, eh?" ricordo di avergli detto, orgogliosa della mia "coraggiosa" azione.
Con cautela andai a raccogliere il flare e, assicurandomi che non si fosse avvicinato di nuovo, tornai sui miei passi. Spensi la lanterna, decidendo di usare solo il flare per illuminarsi la via, e mi accorsi solo in quel momento di essere arrivata a dei vagoni carichi di tronchi (Il legname è una delle risorse della zona, o meglio uno dei motivi per i quali la zona viene sfruttata). C'erano almeno quattro o cinque vagoni, tutti tranne forse uno, fuori dalle rotaie o del tutto rovesciati. Uno aveva anche abbattuto un albero. Che si siano schiantati? Uno zaino giaceva abbandonato contro le ruote di uno di questi, quasi completamente coperto di neve. Per fortuna l'ho trovato, perché conteneva alcune cose utili.
Nella parete rocciosa oltre i vagoni si apriva una galleria, ma non me la sono sentita in quel momento di esplorarla. Era ancora buio, perché anche se il sole stava sorgendo era ancora coperto dalle montagne, ed era inquietante quel lungo tunnel scuro. Andai a destra dei vagoni, cercando di vedere se tra gli alberi della foresta ci fosse qualcosa, addentrandomi. Mi resi conto di essere in discesa, quindi mi sarei aspettata di arrivare di nuovo al lago o ad una piccola vallata magari.
Uscire col buio (perché se non si fanno almeno le 8 qui ancora è buio) e con la neve che cadeva fitta non era stata affatto una buona idea. Perché sì, stava ancora nevicando, e come se non bastasse il lupo aveva deciso di farsi coraggio e di tornare alla carica. Di nuovo lo sentii ringhiare dietro di me e fortunatamente i bengala durano tanto, quindi non si era ancora spento. Quindi mi girai per fronteggiarlo nuovamente. Essendo in discesa però lui era più in alto di me, e quindi avvantaggiato, oltre che più vicino dell'ultima volta.
Senza perdere tempo gli urlai "Vai via!" e gli lanciati di nuovo addosso il bengala. Questa volta lo avevo colpito, tingendogli per pochi istanti il pelo di rosso. Fuggì guaendo. Mi affrettai a proseguire, dopo aver recuperato il flare, guardandomi sempre alle spalle. Non mi rimangio ciò che ho scritto prima riguardo ai lupi. Attaccare gli intrusi che invadono il loro territorio è nella loro natura.
Quando il sole fece finalmente la sua comparsa io ero ancora nella foresta e scoprii un altro dei poveri sventurati caduti nel grande buio.
 
 
 
 
Angolo Autrice:
Ciao a tutti!
Finalmente sono riuscita ad aggiornare. So che il capitolo è abbastanza corto, ma o pubblicavo questo o nulla.
Se ci aspettavate qualcosa in più da questo primo incontro di Abby con un lupo selvatico non temete, non è ancora finita!          
A presto!

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - La baita del cacciatore ***


Capitolo 6 – La baita del cacciatore

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Sotto ad un grande albero spoglio trovai chi non mi sarei mai aspettata. Il corpo completamente congelato di Max, il cacciatore, che viveva da anni in quella zona durante tutto il corso dell’anno. Stava riverso a pancia in giù, ormai da chissà quanto. Faceva (e fa) così freddo che era completamente intatto, come se stesse dormendo, se non fosse stato per il colore della sua pelle, bianca quasi quanto la neve che lo ricopriva. Lo avevo riconosciuto dal suo zaino, pieno di toppe che lui stesso aveva attaccato, una per ogni posto che aveva visitato. Conoscevo Max dalla prima volta che venni qui con i miei genitori, quando mia madre era ancora viva. Non che lo conoscessi benissimo, ma abbastanza da darmi pena per la sua scomparsa. Stringeva ancora in pugno la sua ascia, quella con il manico intagliato che portava sempre con sé. Forse era stato colto di sorpresa da una tormenta e non era più riuscito a ritrovare la strada di casa. In quei casi anche il miglior esperto sarebbe stato in grosse difficoltà e si sarebbe perso. Escludo che sia stato un animale, non si sarebbe mai fatto cogliere di sorpresa, e di certo non lo avrebbe lasciato senza segni evidenti di un attacco, che non c’erano infatti.
Nonostante il profondo dispiacere riuscii a trattenere le lacrime, per quel momento, o mi si sarebbe congelata la faccia più di quanto non stesse già facendo. Non ho mai provato simpatia per i cacciatori “comuni”, di quelli che cacciano solo perché trovano divertente e motivo d’orgoglio tornare a casa con qualche bestia innocente privata della vita. Max però era diverso, anche se non mi piaceva quello che faceva, devo ammettere che è stato l’unico a riuscire a convincermi che se praticata in un certo modo la caccia poteva anche essere una cosa buona. Rispettava la natura e gli animali, non faceva soffrire quelle povere creature più del necessario e non ricorreva a trappole o pratiche che non posso che definire sleali. Ogni tanto usava le trappole in effetti, ma solo quando doveva procurarsi del cibo e il clima era troppo rigido per permettersi di uscire. Per lui la caccia non era premere il grilletto del suo fucile e tornare a casa con la preda da appendere al muro. Per lui era un mezzo di sostentamento, poiché non aveva elettricità in casa, e quindi uccideva solo per mangiare o per difendersi se necessario, come avrebbe fatto un qualsiasi predatore. “Per essere un vero cacciatore” mi disse una volta “devi conoscere le tue prede e riuscire a superarle in astuzia.” E poi concludeva “Un vero cacciatore non bara mai, né con la selvaggina, né con sé stesso”. Giocava ad armi pari insomma. Lui con il fucile e l’intelligenza, gli animali con istinto, riflessi e tutte quelle difese che la natura ha dato loro.
Se avessi avuto la possibilità lo avrei seppellito, ma non ero nelle condizioni di poterlo fare, con mio rammarico. Odio il pensiero di saperlo ancora lì, sempre se qualche animale non abbia infierito.
Freddo e sete stavano diventando sempre più difficili da sopportare, così continuai per la mia strada. Dopo non molto raggiunsi la bella radura dove il cacciatore aveva costruito la sua casa, una piccola baita in cima ad un grosso masso. Scesi dall’altura dove mi trovavo solo per dirigermi verso quella rocciosa sulla quale si trovava la casa. Sorpassai il vecchio capanno malandato senza dargli troppa importanza, avevo assolutamente bisogno di trovare qualcosa da bere. Arrivata alla base dell’altura ebbi motivo di nuova tristezza: alle due croci di legno che sin da quando ricordo erano state sempre lì, se n’era aggiunta una terza. Max aveva un cane da caccia che lo seguiva quasi sempre, preso dopo la morte dei due che aveva prima. Era un Billy, una razza che forze in pochi conoscono, una di quelle adatte alla caccia, e aveva un bel pelo bianco a chiazze rossicce. Era molto simpatico, avevo giocato con lui qualche volta. Si chiamava Flash e ricordo ancora quella volta che improvvisamente corse nella foresta, mentre era accanto al suo padrone e a me e mio padre che chiacchieravamo. Poco dopo ritornò con un grosso coniglio stecchito in bocca e lo posò ai piedi di Max. Il cacciatore non usava spesso Flash per la caccia, lo teneva con sé più che altro come cane da compagnia e come allarme in caso di avvicinamento di lupi o orsi.
Arrivai finalmente davanti la porta della casa di Max e l’aprii. Non appena si richiuse dietro di me mi abbandonai ad un pianto liberatorio, sfogando tutta l’ansia, la paura e la tristezza dell’ultimo periodo. Se sto fuori riesco a stare emotivamente più tranquilla. Devo preoccuparmi di non perdermi, di essere pronta in caso di un pericolo, di non farmi male e di trovare qualunque cosa possa aiutarmi. Ma appena mi siedo in un posto un po’ più caldo e sicuro le lacrime iniziano ad uscire incontrollate. Anche se quella di cui sto scrivendo adesso è stata la prima volta.
Una volta riacquisita un po’ di calma il mio primo pensiero è stato quello di trovare da bere. Frugai dappertutto finchè non trovai una soda e me la scolai in men che non si dica. Il problema della sete però restava, perché ero di nuovo senza nulla da bere. Ma FINALMENTE mi ricordai che potevo sciogliere la neve e bollire o purificare l’acqua ottenuta. Ma perché ho dovuto aspettare così tanto per pensarci?! È una cosa basilare!
In ogni caso…la capanna del cacciatore è piccola e contiene solo lo stretto indispensabile. Niente elettricità, niente impianto idraulico. L’arredamento consisteva in una stufa a legna, una panca accanto ad essa ed una poltrona davanti, un letto ad una piazza, un tavolo con un paio di sedie, un banco da lavoro con sgabello, un armadietto di metallo, una piccola cassetta del primo soccorso attaccata al muro accanto alla porta e mensole e scaffali vari e una cassaforte. Ad una parete era appeso il supporto per il fucile, ma quello non c’era.
Accesi un fuoco con la legna trovata in casa e mi riscaldai per bene, seduta sulla poltrona, mentre la neve si scioglieva e l’acqua bolliva. Rifeci l’inventario, compreso di oggetti trovati lì. Alla fine lasciai la legna, che mi appesantiva troppo, l’ascia di Max e il coltello da caccia che avevo trovato in un cassetto del banco da lavoro (non mi sembrava giusto sottrargli due oggetti a lui così cari, stesso motivo per cui non provai ad aprire la cassaforte) e una lanterna, svuotata però del carburante. Ora avevo decisamente più cose utili, ma il cibo scarseggiava ancora. Magari sarei andata a pesca, o avrei potuto usare la trappola che avevo trovato. Era una trappola molto semplice da costruire, ma non mi andava molto l'idea di usarla, dato che chi ci finiva dentro moriva soffocato. Ho trovato anche un libro sulla caccia che farei bene a leggere, dato che non l’ho ancora fatto, e delle munizioni.
Il giorno era ormai spuntato, ma io non avevo voglia di uscire di nuovo. Per passare il tempo e distrarmi da miei brutti e deprimenti pensieri, lessi qualcosa dal libro sugli alieni che avevo trovato. Sembra che un certo Howard Menger abbia sposato una donna aliena proveniente da Venere. Chissà perché, ma sono piuttosto scettica sulla faccenda.
Sarà stato il bel tepore del fuoco, ma il sonno che la notte mi aveva abbandonata era tornato e non riuscii a resistergli, quindi mi misi a letto e dormii per un bel po’, forse anche fino a dopo mezzogiorno. Alla fine decisi di uscire anche se stava nevicando, stare lì non mi sarebbe servito troppo, per ritornare alle rotaie e magari vedere dove mi avrebbero portata seguendole dal lato opposto rispetto a quello della galleria. L’idea di attraversarla non mi piaceva per nulla, mi faceva venire i brividi. Riempii una bottiglia con i due litri d’acqua che avevo recuperato e mi diressi al capanno, perché non lo avevo considerato prima e non si sa mai cosa avrei potuto trovarci. E meno male che ci andai! Perché lì trovai una carcassa di un cervo quasi completamente congelata e un po’ smangiucchiata. Nonostante eticamente non mi piaccia molto, ammetto che la carne di cervo la trovo buonissima. Ne presi poca (relativamente), quella che mi sembrava avesse un buon colorito e che era facile da raggiungere, circa mezzo chilo.
La radura è piuttosto spoglia, punteggiata da rocce e circondata dalla foresta. Molti animali spesso la attraversano e infatti non tardai a notare le tracce del passaggio di un piccolo animale, probabilmente una volpe. Ripercorsi la strada della mattina, fermandomi nuovamente al punto dove giaceva Max a compiangerlo qualche minuto. Con una nevicata come si deve, presto non sarebbe stato più visibile. Si vedevano ancora le impronte che avevo lasciato io, seguendole non avrei avuto problemi. Ma dal punto di Max provai ad andare a sinistra, la direzione che comunque avrei dovuto prendere una volta raggiunte le rotaie. Ma per raggiungerle avrei dovuto scalare una montagnola di neve fresca e al momento non mi andava. Ma feci solo qualche passo in quella direzione, perché il lupo che avevo avvistato in lontananza mi fece cambiare idea. Mi prese un colpo quando improvvisamente iniziò a correre, ma fortunatamente per me stava solo inseguendo un coniglio. Meglio stargli alla larga comunque. Dopo la scalata mi aspettava una discesa, ma mi arrestai di nuovo alla vista di un altro lupo proprio lì sotto. Sembrava che nessuno mi avesse notato, quindi proseguii verso sinistra restando sull’altura. Essendo una zona abbastanza inclinata non era né facile, né sicuro camminarvi, quindi iniziai a scendere una volta distanziato il secondo lupo. Avvistai una zona di taglio, una di quelle zone dove i boscaioli tagliano gli alberi e lasciano solo la base del tronco attaccata al terreno. Mi diressi lì, speranzosa di trovare una struttura dalla quale riuscire magari a chiamare qualcuno. Trovai una casetta, ma era vuota e distrutta e comunque lì vicino c’era un intero branco di lupi a caccia. Affrettai il passo e continuai per la mia strada. Delle rotaie non c’era traccia e non avevo idea di dove mi trovassi. Tornare indietro era da escludere con tutti quei lupi, quindi potevo solo andare avanti. Se avessi avuto dei sentieri da seguire non mi sarei addentrata nella foresta, ma purtroppo non era il mio caso. Arrivai poi ad un’altra zona di taglio attorno ad un laghetto, ma non ebbi il tempo di guardare bene, perché un lupo mi fu addosso prima che potessi accorgermene.
 




Angolo Autrice:
Ciao a tutti!
Eccomi di nuovo qui, abbastanza presto questa volta. Il capitolo è leggermente più lungo dei precedenti questa volta. Dite che dovrei lasciarli così o che dovrei farli ancora più lunghi?
Ho provato ha fare un pochino più di introspezione sul personaggio di Abby, anche se non moltissima. Non credo di essere brava con queste cose…
Quello che Abby scrive sulla caccia e in particolare quello che le disse il cacciatore l’ho preso da un vecchio libro sulla caccia che ho trovato a casa mia. Io non ho cacciatori in famiglia, quindi che diavolo ci fa lì?!
Ci tengo a precisare che non farò spoiler sulla modalità storia, ma solo sulla modalità sopravvivenza precedente al rilascio di quella storia (scusate le ripetizioni). La sandbox mode non ci fornisce nessuna informazione sui personaggi o sugli avvenimenti, sappiamo solo come il nostro personaggio sia finito lì (ma Abby non lo sa ancora). L’unico spoiler della story mode sarà la descrizione della diga (che è stata migliorata per renderla più realistica) e qualcosa che avrà a che fare con i lupi e l’aurora boreale. Forse anche una cosetta sulla geografia della zona. Ma non essendone ancora certa neanche io non l’ho ancora aggiunta. Mannaggia agli sviluppatori XD
Max il cacciatore prende ispirazione dal cadavere trovato nel luogo segnato come “La sconfitta di Max” nel gioco, ma non ha nulla a che vedere con la story mode. È solo una supposizione che avevo fatto io all’uscita del gioco.
In ogni caso, ringrazio per tutte le recensioni che mi sono state lasciate insieme ai loro preziosi consigli. E se avete altro da consigliarmi sono pronta a leggervi!
Ciaooo!

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - L'attacco ***


Capitolo 7 – L’attacco

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Questa volta non avevo sentito nulla, solo un fruscio alle mie spalle. Ebbi a stento il tempo di girarmi, poi mi ritrovai a terra, faccia a muso con un lupo che non ci pensò due volte ad affondarmi i denti nella spalla. I vestiti mi protessero un minimo, non facendolo arrivare subito alla carne.
Dopo aver strattonato e tirato per un po’ mollò la presa, solo dopo aver strappato un pezzo di stoffa dal cappotto. Cercai di difendermi colpendolo, ma la cosa lo fece solo arrabbiare di più. Il secondo attacco lo diresse verso la mia faccia. Per un instante mi sembrò che il tempo rallentasse, giusto l’attimo necessario a farmi rendere conto che quella bocca spalancata piena di denti affilati andava fermata, prima che fosse troppo tardi. Il mio braccio si parò tra me e il lupo, che lo morse con una rabbia spaventosa. Le fitte di dolore erano acute, ma non potevo curarmene al momento. Di nuovo il lupo tirava verso di sé, come se avesse voluto staccarmi il braccio. Lo colpii con la mano libera sul muso, più forte che potei e più di una volta. Ad ogni colpo i suoi denti affondavano di più nella mia carne, finché non riuscii ad alzare un po’ il braccio ferito, quel tanto che bastava per far scoprire il collo al lupo. Lo colpii sulla gola con un altro pugno, facendolo finalmente staccare e indietreggiare un po’, guaendo.
Solo in quel momento mi accorsi di un altro lupo che si era avvicinato troppo. Il secondo arrivato mi morse ad una caviglia, scuotendo la testa da tutte le parti. Gli tirai un calcio e mi lasciò, poi un ruggito prevalse sulle grida e sui ringhi che avevano turbato in quegli ultimi minuti, che erano sembrate ore, la quiete della foresta. I due lupi tornarono da dove erano venuti, come se io non fossi mai stata lì. Versi rabbiosi provenivano dal laghetto, per me invisibile data la mia posizione.
A fatica riuscii ad alzarmi, cercando di non mettere troppo peso sulla caviglia ferita e tenendomi il braccio. Dovevo allontanarmi al più presto. I vestiti limitavano lo spargimento di sangue, anche se chiare tracce erano state lasciate sulla neve, ma l’odore avrebbe sicuramente attirato altri predatori. Mi sporsi dalla cima della collinetta, quel tanto che bastava a vedere a cosa era dovuto tutto quel baccano e l’improvvisa ritirata dei due lupi.
Un grosso orso nero era al centro dello stagno, accerchiato da tutto il branco di lupi. Camminava lento e sicuro, ruggendo a tutti quelli che provavano ad avvicinarsi. Un suo improvviso scatto verso un lupo che aveva osato avvicinarsi troppo, e che era subito battuto in ritirata, mi convinse a levarmi dai piedi.
Oltre ai graffi e ai tagli, probabilmente avevo anche la caviglia slogata. Mi girai dalla parte opposta a quella del laghetto e salii in cima alla montagnola. Dovevo assolutamente trovare un riparo al più presto. Il dolore sì che si faceva sentire adesso, e camminare in salita sprofondando nella neve non aiutava affatto. La testa mi girava e la vista mi si annebbiava, rendendo la mia fuga ancora più difficile. Decisi che la cosa migliore da fare era medicarmi velocemente le ferite più gravi. Mi riparai contro alcune rocce, tirando fuori un flare e sedendomi a terra. Disinfettai i morsi e li bendai, poi presi anche dell’antidolorifico e ripresi il cammino, anche se per fare effetto le medicine avrebbero impiegato un po’ di tempo.
Ripresi il cammino e lo zaino sembrava farsi sempre più pesante. Avevo bisogno di stendermi e riposarmi, anche perché avrei dovuto far guarire le ferite al più presto. Prima di sera riuscii a intravedere tra gli alberi una casetta di legno e mi affrettai a raggiungerla. Avevo girovagato nella foresta per non so quanto, senza neanche sapere dove andare di preciso. Quando arrivai alla meta trovai questa piccola costruzione in legno con un’altra più piccola vicino. Avevo finalmente trovato un gabinetto.
La baracca si trovava vicino ad un’altra (o forse una di quelle che avevo già visto) zona di taglio e i due che probabilmente la occupavano avevano fatto una brutta fine. (In sintesi: trovai altri due cadaveri all’esterno) Ma che diavolo è successo in questo posto?!
Lasciai la zavorra sopra uno dei letti e mi accasciai sull’altro a peso morto. Me ne pentii subito dopo, quando delle orribili fitte mi pervasero tutto il corpo. Per prima cosa bevvi, poi mangiai zuppa di pomodoro, della carne secca e una barretta al muesli. Praticamente un banchetto per come mi stavo abituando a mangiare. Poi mi ricordai della carne di cervo che avevo preso e conservato in un sacchetto di plastica a chiusura ermetica, preso a casa di Max. Per evitare che andasse a male, uscii fuori un attimo e la sotterrai sotto ad uno spesso strato di neve. Poi rientrai e diedi un’occhiata ai miei vestiti. Erano piuttosto malandati, ma avrebbero retto ancora per un po’ e avrei comunque potuto rammendarli in seguito. Quindi mi stesi a letto e mi addormentai quasi subito.
Mi risvegliai credo al tramonto, anche se sembrava sera. Una tempesta di neve era iniziata e aveva fatto crollare la temperatura, raggiungendo i -27°C. Uscire era assolutamente fuori luogo e quindi me ne tornai a letto. La notte non passò tranquilla, gli incubi mi tormentarono e l’ululato del vento unito agli scricchiolii della casetta non aiutavano per nulla. La mattina, all’alba, ero anche più stanca del giorno precedente, oltre che più affamata. Mangiai di nuovo zuppa di pomodoro e carne secca, poi anche delle pesche sciroppate e a conclusione una lattina di grape soda. Non male come colazione, vero? Non so se era dovuta alle ferite che dovevano guarire o al nervosismo, ma avevo una fame incredibile. Nella casetta avevo trovato poco, tra cui la soda, ma sempre meglio di niente.
La tempesta c’era ancora ma si era leggermente placata e il termometro accanto alla porta segnava -15°C, quindi decisi di rischiare ed uscire. Le ferite non erano ancora guarite ovviamente, ma facevano meno male del giorno prima. E poi in quella casetta, per quanto dotata di latrina, senza una stufa o un camino, potevo fare ben poco.
Due giorni erano passati e non avevo ancora visto anima viva, eccetto gli animali. In un giorno ero stata attaccata due volte dai lupi e avevo anche avvistato un orso. I cadaveri poi erano una costante. Speravo solo di riuscire ad incontrare qualcuno che potesse aiutarmi al più presto. E in effetti qualcuno poi lo incontrai.
 
 



Angolo Autrice:
Ciao a tutti! Eccomi tornata con questo nuovo capitolo.
Spero che la storia stia continuando a piacervi e che le cose si stiano facendo abbastanza interessanti per voi. Credete che i capitoli debbano essere più lunghi? O vanno bene così?
Ringrazio di cuore tutti coloro che mi hanno recensito, ovvero Uptrand, VelenoDolce, Zenya_59, Victoria Buchanan e myricae_
A presto!

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - Paesaggi e tormente ***


Capitolo 8 – Paesaggi e tormente

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Superai la zona di taglio, spaventando anche un paio di coniglietti, e a fatica salii su una collinetta e la ridiscesi dall’altro lato. La caviglia ferita mi mandava delle brutte fitte, ma mi feci forza e continuai. Arrivai ad una zona piuttosto pianeggiante che si rivelò essere un’altra zona di taglio, più grande delle altre. Molti tronchi erano accatastati gli uni sugli altri, in attesa di essere portati via.

Quello che mi incuriosì di più però fu una staccionata di legno che spariva dietro una grande formazione rocciosa. Mi avvicinai e con mio sollievo, misto a un pizzico di dispiacere (tutto in salita e coperto di neve) con me convalescente, trovai un sentiero, ben segnalato dalla recinzione e da un cartello che mostrava un bel paesaggio montano con quella che sembrava una torre al centro. Mi ricordai della torre di avvistamento della forestale dove una volta mi aveva portato mio padre, e mi misi subito a salire per quella tortuosa stradina.
Sulla sinistra si ergevano alte pareti di roccia, mentre sulla destra ero “protetta” dalla malandata staccionata, che a volte mancava. Il tutto si capovolgeva ad ogni curva che superavo. Però alla fine ne valse la pena fare tutta quella scarpinata, anche solo per guardare il panorama.

Arrivai finalmente all’avamposto forestale, un’alta torre rossa che terminava con un casotto raggiungibile solo attraverso sei rampe di ripide scale. Piccola curiosità su di me: non soffro di vertigini, ma odio le scale ripide e dai gradini stretti, specialmente se tra un gradino e l’altro c’è il vuoto. Ho sempre paura di mettere male un piede e cadere. E poi fare le scale dopo una faticosa salita e piena di dolori non è affatto bello.
Comunque le salii tutte e prima di entrare mi fermai a guardare lo splendido paesaggio che mi circondava, e che era visibile da ogni angolo della torre. Uno spettacolo davvero mozzafiato. Le montagne la mattina presto hanno dei colori meravigliosi, che anche con la nevicata in corso riuscii a vedere. Fortunatamente non c’era troppa foschia.

Dopo aver goduto della spettacolare vista, mi decisi ad entrare. L’abitazione in cui mi trovavo non era grande, ma confortevole, anche se qualche scricchiolio e il fatto che si trovasse a decine di metri da terra la rendeva inquietante. Al centro vi si trovava un letto a castello e tutte le pareti avevano finestre che compievano il giro completo della struttura, tranne nel punto dove c’era la porta. C’era anche una scrivania con una sedia, una panca, uno sgabello, un mobile ad angolo con degli scaffali e una stufa. La vista della stufa mi rincuorò molto dalla vista del sostegno per il fucile, ma senza il fucile. Decisi che avrei passato qualche ora lì. Accesi un fuoco (avevo ancora abbastanza legna con me) e mi accorsi di avere una scorta di fiammiferi che mi sarebbe bastata per un bel po’ di tempo. Non mi ero neanche accorta di averne raccolti così tanti. Mentre mi riscaldavo, sciolsi della neve e bollii l’acqua derivante, circa un litro, per non appesantirmi troppo. Cucinai anche la carne di cervo (mi ero ricordata di riprenderla per fortuna) e la mangiai, anche se era l’ora di colazione. Poi, approfittando del fatto di aver trovato una simpatica tazzina con una volpe rossa sopra, e ricordandomi di avere del caffè solubile, mi preparai una buona tazza di caffè caldo. Amaro non mi piace, quindi per addolcirlo ne bevevo un sorso e poi davo un morso ad una barretta di cioccolato al latte.

Intanto la nevicata si era ritrasformata in tempesta e quindi ebbi un motivo in più per restarmene al caldo. Ne approfittai per rammendare gli strappi che i lupi avevano causato ai miei vestiti, con i pezzi di stoffa che avevo trovato. Per un po’ avrebbero tenuto. Frugando in giro trovai anche qualcosa di utile da prendere. Sto diventando un’arraffona.
Il fuoco stava per spegnersi e la tempesta non ne voleva sapere di placarsi, quindi per rifornirmi di legna spaccai lo sgabello a colpi di ascia. Provai ad usare la radio per le comunicazioni che c’era lì, ma anche quella non funzionò.

Quando finalmente, dopo qualche ora, il vento e la neve si diedero una calmata decisi di uscire. Era un bel posto quello, ma avevo un obiettivo e comunque non era il posto migliore in cui trovarsi in caso di mancanza di cibo o acqua.
Ridiscesi la scale e la strada e tornai alla zona di taglio. Anche se non ero più in mezzo ad una bufera, la neve scendeva ancora e il freddo era rimasto molto intenso. Attraversai tutta la zona di taglio, fino ad arrivare a quella che sembrava una strada, dato il cartello che segnalava il passaggio di camion. La seguii e dopo un po’ arrivai ad un'altra zona. (Ce ne sono davvero troppe per i miei gusti. Rovinano il paesaggio e abbattono un sacco di alberi di chissà quanti anni.)

Vidi che dietro altri cumuli di legname c’erano delle costruzioni e mi avvicinai. Capitavano a fagiolo, perchè dalle estremità mie estremità, che avevano assunto un colorito violaceo, capii di essere vicina all’ipotermia, sempre che non lo fossi già. E si stava anche facendo buio.
Tre rimorchi adibiti a dormitori, due bagni chimici ed una capanna distrutta dal fuoco, nulla su cui sputare sopra.
Entrai nel più vicino e mi dispiacqui di non trovare una stufa. In compenso c’erano vari letti e scaffali, alcuni viveri anche e tra questi un MRE (ho sempre voluto provare una razione militare). Il secondo era del tutto identico al precedente, con la differenza che trovai un cadavere su un letto. La temperatura all’interno era ovviamente più alta di quella esterna ed essendo un luogo chiuso vi lascio immaginare l’odore rivoltante che aveva invaso quella specie di container. Nel terzo trovai una scatoletta di cibo per cani e una tanica di kerosene da tre litri. Presi tutto quello che potei, ritrovandomi di nuovo con lo zaino pesantissimo, ed uscii.

Il tramonto era molto vicino, quindi non ero sicurissima di voler uscire, anche se il tempo era migliorato e avrei avuto ancora un paio d’ore di luce. Iniziavo ad avere una certa fame, quindi quale occasione migliore per assaggiare l’MRE?

La fortuna volle che quello che avevo trovato non era un semplice MRE, che conteneva un pasto completo, ma un First Strike Ration! Una quantità di cibo sufficiente per l’apporto nutritivo di 24 ore. Chissà come c’era finita della roba dell’esercito americano qui nel nord del Canada…

In ogni caso, la cosa bella di questo tipo di razioni è che sono compatte, leggere, nutrienti, e non si ha bisogno di un fuoco. Mi sistemai sulla scrivania e, avendo trovato una candela, mi preparai per la mia cenetta a lume di candela. Mangiai due wrap di maiale al barbeque, dei nuggets essiccati di tacchino che avevano l’aspetto e il sapore del cibo per cani e un ottimo budino al cioccolato. Il tutto accompagnato da una bevanda fin troppo estiva, dato il posto in cui mi trovavo, ai frutti tropicali.

A parte il tacchino, tutto era molto buono e mi fece venire un’incredibile nostalgia di casa. Non sono una chef, ma mi piace cucinare e sono anche abbastanza brava.

E anche adesso, a ricordarlo, vorrei solo essere a casa mia, a gustare una buona cenetta preparata da me, insieme a mio padre.
 




 
Angolo Autrice:
Ciao a tutti! Benvenuti e bentornati!
La storia procede e presto arriveremo ad un punto molto importante, credo già nel prossimo capitolo.
Spero che vi stia piacendo!
Per quanto riguarda l’ultimo pezzo, ho pensato di aggiungerlo mentre guardavo un video di una ragazza che prova e mostra razioni militari di tutti i paesi. Quindi, dato che in TLD ci sono, ho pensato, perché non rendere il tutto più realistico? E quindi eccoci qua XD
Anche io a dire il vero vorrei provare una razione militare…
Ci vediamo presto!

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