Il campo di Eliotropi

di Nirvana_04
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima Parte ***
Capitolo 2: *** Seconda Parte ***
Capitolo 3: *** Terza Parte ***
Capitolo 4: *** Quarta Parte ***
Capitolo 5: *** Quinta Parte ***
Capitolo 6: *** Sesta Parte ***
Capitolo 7: *** Settima Parte ***
Capitolo 8: *** Ottava Parte ***
Capitolo 9: *** Nona Parte ***



Capitolo 1
*** Prima Parte ***


Il campo di Eliotropi

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Se ne stava lì, a raccogliere quei piccoli fiori dalle tonalità delicate, come lei. I lunghi capelli erano del colore della cenere, eppure rosseggiavano al tramonto come braci pronte a scoppiettare di nuovo, se aizzate.
Bastian se ne stava quatto tra l'erba alta, a vederla cincischiarsi con ghirlande di fiori. Si era trasferito da Velenia una decade prima, per volere della madre. La guerra era diventata troppo dura per lei, le fatiche e il dolore erano un cappio che si stringeva sempre più intorno al suo collo. Aveva odiato Aproeb non appena l'aveva intravvista: case dagli intonachi screpolati che si coloravano di delicate sfumature all'alba e al tramonto; non c'erano archi rampanti o volte su cui arrampicarsi e giocare. Aveva detestato tutto della città: la delicatezza delle mura, la dolcezza delle sue verdi colline, la gentilezza dei suoi abitanti. Aveva odiato anche sua madre e l'aver ereditato da lei quello stupido rossore che lo ghermiva quando qualcuno gli rivolgeva la parola. E poi aveva visto lei: una creatura di sei anni che camminava a monte di una collinetta, cercando di vincere i lunghi steli come se stesse cercando di andare contro la corrente del mare, il vento di bonaccia che soffiava i suoi capelli dietro di lei, raggi scuri che si intrecciavano al verde dell'erba. Era fermezza e delicatezza insieme; ma non era riuscito a odiarla. Così, l'aveva spiata, silenzioso, ogni volta che sua madre piangeva di nascosto o faceva quello stupido sorriso, come a voler dire ‘va tutto bene’, ma non c'era niente che andava bene.
Un refolo di vento rubò uno stelo dall'intreccio. Scacciando la sua ritrosia, Bastian sbucò fuori dal suo nascondiglio e scattò in avanti, lesto. Vide gli occhi dalle scure profondità della bambina seguire lo stelo sfuggito con avidità, per poi trafiggere con indifferenza le sue pupille.
Bastian strappò il fiore dalle grinfie del vento e glielo porse. «A che ti servono tante ghirlande?»
Le esili spalle si sollevarono in un ansito silenzioso. Ella accettò il fiore. Mentre lo prendeva tra le mani, egli poté sentire il calore irradiarsi carezzevole sulle sue dita. La vide puntare un dito verso il mare.
Sullo sfondo, tra i dolci pendii delle colline, oltre i campi Eliòpei, centoventinove corpi erano stati allineati – i corpi di coloro che erano stati riconosciuti e strappati dalla Piana, dove i visi anonimi venivano seppelliti in fosse comuni – sopra a una striscia marrone, formata da tavole di legno posizionate con cura, a fare da ponte tra Serinut e l'Antica Venasta: erano pronti per il rito di passaggio verso i manti scuri della morte e le fiamme rabbiose del Dio Meg.
Bastian sapeva che era così che Aproeb salutava i suoi defunti: ogni morto sacrificato per la guerra era un passo in più verso la loro antica casa; loro avrebbero preparato il cammino per i vivi.
«A loro non serviranno» le disse, «lasciali ai vivi.»
La bambina scosse la testa con rabbia, per allontanare le sue parole; il suo viso s'infiammò, sconvolto, e calde lacrime bagnarono i sottili petali azzurrognoli. Strinse al petto le ghirlande e cominciò ad annaspare, in cerca delle parole.
Bastian capì. «Tuo padre?»
Scosse la testa.
«Tua madre?»
Ancora un segno di diniego.
«Tua sorella? Tuo fratello?»
Gli occhi di fumo si spalancarono sull'accecante nulla che le stava davanti. Il vuoto si allargò intorno a lei, l'insensatezza e l'impotenza punsero le sue iridi ed ella strappò le ghirlande in un turbine di frammenti celesti. Le lacrime si persero sulla terra soffice.
Bastian s'inginocchiò e raccolse una manciata di fiori sparsi. «Vieni, andiamo a metterli sui suoi occhi. Il cielo, al tempo di Agur, era azzurro, come loro. Lui, così, lo vedrà prima di noi.»
La bambina sollevò finalmente il capo e osò reggere il suo sguardo. Il mare profondo si specchiò nei suoi pensieri e Bastian lo squarciò con un sorriso gentile.
«Sei il bambino che viene dalla città bianca?»
Le porse una mano. «Sono Bastian.»
La bambina strinse alcuni petali tra le mani e si mise in piedi, rifiutando il suo aiuto.
Egli fece strada tra i campi, giù per il declivio. Raggiunsero la vallata e la bambina si riunì a sua madre; probabilmente il padre era morto da tempo. Gli abitanti di Aproeb erano tutti riuniti lì, tra i prati verdeggianti e i floridi seni della terra. Nessuno osava avvicinarsi ai morti o starvi accanto più del dovuto; nessuno incrociava i loro sguardi spenti. Sembrava che ognuno di essi, per quanto addolorato, non sopportasse l'idea di convivere con la nera signora un minuto di più. Avevano talmente tanta fretta di lasciarsi alle spalle quella Falda da ammassare alla bell'e meglio i morti sulla scia di legname, senza preoccuparsi di rispettare il dolore di chi doveva ancora dire addio a quelle creature.
Il vento scompigliava i capelli dei vivi e dei morti, alzando la terra e giustificando il rossore sui visi degli adulti. Le ciocche color cenere della bambina si annodarono ai mulinelli d'aria e nascosero la pelle chiara del suo volto.
«Bastian» sentì la voce di suo padre richiamarlo.
Il bambino si voltò e respirò l'ultimo profumo di casa. Era un cavaliere importante, il suo babbo, molti dicevano che lui ne era la copia fedele: Arantar onorevole, aveva corti capelli bruni e occhi dalle venature blu, talmente scuri che parevano neri; il portamento gentile e compassato mitigava i tratti severi e il terrore che incutevano le tante cicatrici che ricoprivano il suo corpo. Bastian sarebbe diventato come lui anche nello spirito, un giorno.
«Che fai con quei fiori, figliuolo?»
«Volevo aiutare…» Arrossì fino alle punta delle orecchie. Una donna si era voltata verso di lui, azzittendolo con uno sguardo.
I suoi occhi scattarono verso la bambina, stretta alla pancia della madre, e ne seguì lo sguardo fino a individuare il fratello maggiore.
Suo padre capì e lo spinse un po' più avanti. «Coraggio, allora» lo incitò con un sorriso.
Gli uomini stavano già tendendo gli archi, incoccando frecce dalle punte infiammate.
Bastian allontanò la sua timidezza, superò la bambina e la madre, si arrampicò sulla strada per i morti e raggiunse il corpo che stava cercando. Il viso del giovane era irriconoscibile, le tumefazioni nascondevano qualsiasi segno che prima lo accomunava con la sorella. Bastian sistemò i fiori sopra ogni taglio e abrasione, avendo premura di nascondere per bene lo squarcio sul cranio. Poi indietreggiò.
Vide il piccolo pugno della bambina tremare e aprirsi sul petto del fratello. I petali degli eliotropi si sparsero sugli abiti insanguinati e li adornarono di quel colore puro.
Scesero di corsa dal legno, proprio mentre l'ultimo raggio di Mal sfiorava l'orizzonte e il nero effimero della notte ricopriva ogni cosa. Lanterne di fuoco illuminavano pallidamente la volta sopra di loro, mentre lucciole saettanti venivano scagliate sui corpi. La striscia marrone prese fuoco, ghermendo le vesti così come le carni. Le fiamme attecchirono e svamparono in una folle corsa, creando una strada di fuoco che puntava verso est: il Dio Meg avrebbe ingurgitato le anime degli eroi.
Le dita sfiorarono di nuovo la mano di Bastian ed egli si girò a guardare il viso contrito della bambina. Non c'era bisogno di parole, il piccolo sorriso sollevato sui tratti delicati gli bastò.
Il tocco si sciolse, restò di nuovo solo. Un nuovo soffio di vento gli scompigliò i corti capelli e portò seco un piccolo dono, un sussurro che disse: «Sono Miva.»
 


N.d.A.

Un buongiorno a tutti i lettori, nuovi e già conosciuti, che hanno letto questo primo capitolo.
La storia non avrà molte pretese né sarà molto lunga, ma spero che possa piacervi questa sorpresa e che possa fare luce su alcuni punti oscuri della trama originale - o forse aumenterà solo le domandeXD

In attesa del prossimo capitolo, fatemi sapere cosa ne pensate!

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Capitolo 2
*** Seconda Parte ***











Fili di cenere al vento. Collane di smeraldo e pallide schegge di mare. Sussurri rumorosi che viaggiavano fino a lui.
La risacca delle onde cullava la pace dei campi Eliòpei, forse era per questo che Miva vi passava tutto il suo tempo libero. Quando non la trovava a lavorare l'argilla con la madre o ad aiutare per la raccolta dei frutteti, Bastian era certo che salendo sulla collina, a sud-ovest della città, l'avrebbe scorta tra gli steli d'erba, a combattere contro il vento o semplicemente stesa sopra la soffice terra.
«Perché ti nascondi sempre qui?» le chiese un giorno.
Miva sollevò la nuca e socchiuse un occhio. Era una bambina allegra, gentile, sempre con un'aria di pace che le distendeva i lineamenti.
Gli diede il benvenuto con un sussurro. «Non lo dire in giro, ma qui c'è… pace. Qui sto bene.»
Quando parlava del suo piccolo nascondiglio, le spuntavano due fossette piccolissime ai lati della bocca. Miva non sorrideva mai apertamente, ma aveva la strana abitudine di stringere le labbra – quasi a volere trattenere una risata – e lasciare che fossero gli occhi a illuminarsi per lei.
Bastian si sorprese a sedersi al suo fianco, a immergersi in quel verde mare. Sentì la terra sotto di lui calda e accogliente e si stese per sentirne l'abbraccio in tutto il corpo. I fili d'erba li accarezzavano facendoli il solletico e li nascondevano alla vista di chiunque, forse solo qualche uccello di passaggio sorvolava le loro teste, incurante dei loro pensieri. Egli percepiva la presenza rilassata di Miva al suo fianco: profumava di quel benessere strano che lo metteva a disagio, ma che su di lei diventava una fragranza irresistibile. Aveva capito che per la gente di Aproeb era molto più importante la tranquillità delle sue colline, il lavoro nei suoi frutteti, piuttosto che la vita nei mari blu o l'impietosa fatica dei Mattatoi. E per un ragazzo cresciuto tra i giochi di Velenia – quelli che sbucciavano le ginocchia e che procuravano tagli e abrasioni sulla pelle – quella finta calma era una brace che fumava sotto i suoi piedi: lo aizzava e indispettiva. A ogni Falda, quando viveva a Velenia, Bastian correva al Primo Arco di Nubeir e guardava i Guerrieri della città passarvici sotto, portando seco la benedizione del Guardiano sui campi di battaglia; e dopo le Decadi lui si faceva trovare ai piedi del Secondo Arco di Nubeir, dove suo padre lo trovava. "Resta vicino all'arco" diceva sempre, "l'occhio del Volor ti proteggerà mentre sarò via". Lo aveva fatto anche l'ultima volta…
«Se è la pace che vuoi, perché non combatti per averla sempre?» si adirò. «Pensi che questi stupidi fiori siano immuni dalla distruzione dei Racahar? Se vuoi difenderli, è con una spada in mano che devi camminare.» La sua rabbia, il suo dolore, si era scagliata contro quella piccola creatura.
Se ne pentì subito.
Gli occhi della bambina si spalancarono e lui poté vedere tutti i sogni che stava sognando volare via, lontano da lei.
«Con gentilezza, non spingere la spada. Guidala!» lo incoraggiava sempre suo padre quando il suo braccio sfiniva nel tentativo di destreggiarsi da una posizione all'altra con la giusta abilità.
Le disse con tono pacato, un po' mortificato: «Quando vinceremo, il cielo tornerà azzurro e la notte brillerà di lanterne di fuoco, a festa.»
Miva socchiuse gli occhi, per catturare le immagini di quelle parole. Spostò lo sguardo su di lui. «Pensi che vinceremo?»
Bastian si tirò su, a sedere. «Ne sono certo. Sennò per cosa hanno combattuto mio padre e tuo fratello e tutti gli altri Guerrieri?» s'infervorò. Strinse la mano a pugno, sorridendo. «Non è facile combattere, perché bisogna uccidere» disse, riportando alla mente quello che una volta suo padre aveva mormorato davanti al fulgore di un camino. «L'importante è farlo per salvare qualcuno. Mio padre ha combattuto per salvare me. Tu puoi combattere per loro» la spronò indicando i fiori. «Puoi combattere per salvare la pace.»
I due bambini si guardarono, soppesandosi a vicenda: Miva pareva cercare qualcosa negli occhi del suo giovane amico; Bastian reggeva il suo sguardo, resistendo al bruciore delle fiamme che vi vedeva riflesse.
«Una donna in guerra…»
«Tutte le donne di Velenia combattono. Loro non hanno paura e non si vergogno delle cicatrici» gli confermò lui. Le mostrò il palmo della sua mano. «Vedi?»
«Anche la mia mano diventerà così, se combatto?»
Bastian annuì. «È un segno di dignità. Vuol dire che sei coraggiosa e degna di camminare al fianco di un Guerriero.»
Miva sfiorò i calli sui polpastrelli. Borbottò: «Quando mio fratello mi accarezzava, io sentivo il tocco ruvido della sua mano. Era fastidioso.» Schegge di cristallo scivolarono silenziose sul suo viso. La sua pelle scottò e arrossì, l'espressione triste. Bastian capì che rimpiangeva quelle scabre carezze. «Insegnami!» L'imperativo nella voce acuta lo fece sobbalzare. «Voglio diventare forte per chi non lo è. Voglio combattere per difendere la mia casa… sono belli, vero?» Cambiò discorso all'improvviso, indicando i fiorellini azzurrognoli. «Quando la guerra sarà finita, cresceranno dappertutto, così anche gli altri bambini potranno vederli. E sarà come avere il cielo azzurro anche qui sulla terra. Cresceranno anche sulla nera scogliera di Velenia.»
Bastian arricciò il naso, disgustato. «Velenia è una combattente. Non ha bisogno di quei…» S'interruppe bruscamente e arrossì. «Non possono crescere sulla scogliera. È del Guardiano, e lui non ama i fiorellini.»
Il tono superficiale e derisorio imporporò le gote della bambina. «Non li farebbe male un po' di bellezza.»
«La bellezza del Volor sta nella sua potenza» sillabò riverente Bastian. «Nessun Dio è più giusto e degno di rispetto. Solo i migliori possono sfidarlo e onorarlo.»
Miva sgranò gli occhi, provocatoria. «Ah, si? Fammi vedere, allora.» E senza dargli il tempo di replicare gli fu addosso.
Lo slancio fu talmente improvviso e irruento che li sbilanciò, ed entrambi rotolarono giù per la collina, mangiando erba e ingurgitando petali amari di eliotropi.
Uno stormo di anatre si alzò in volo, offeso, e una cornacchia li sorvolò con disappunto, rimbrottandoli con versi isterici.
A un certo punto Bastian diede un colpo di reni e puntò i piedi, fermando la discesa e ribaltando le parti. Gli fu sopra, bloccandole i polsi. Di solito non giocava mai in quel modo incosciente con gli altri bambini – il gioco era una cosa seria – ma il viso determinato della piccola ragazzina che cercava di divincolarsi gli strappò uno sbuffo divertito.
«Dovrai riprovarci.» Rise ed evitò per un soffio una ginocchiata. Le bloccò le gambe. «Ma prima devi imparare come si fa, nel modo giusto.»
La lasciò andare e si mise ritto; le porse una mano, e questa volta Miva l'afferrò.
Bastian tentennò un momento, scrutando il terreno. Infine, trionfante, recuperò due robusti bastoni. Ne porse uno alla bambina e le mostrò la posizione di guardia.
«Tienilo con due mani e ricorda di accompagnare il colpo con tutto il corpo, così sarà più forte» si raccomandò.
Per la prima volta dopo tanto tempo, Bastian ritrovò la gioia di tenere alta la testa. Con quel bastone di legno e con il viso di Miva concentrato al massimo, sentì la voglia di vivere colorare le sue guance e tornare a rinvigorire i suoi polmoni. Combattere era il suo ossigeno. Non si risparmiò: incassò la foga della bambina e assestò qualche colpo, con precisione, dandole il dolce e l'amaro, così come suo padre aveva fatto con lui molto prima.
Nell'aria, tra i fragili fiori azzurrognoli, il rumore schioccante dei due pezzi di legno s'intrecciava al suono soave di grida eccitate e urla di dolore. Il vento spirò da est e cambiò violentemente direzione, infine si arrese alle correnti del sud-ovest, lasciando il posto alla pace e alla fratellanza.

 
 
N.d.A.

Ed ecco il secondo capitolo. Per me non c'è modo migliore per festeggiare il primo anno in questa comunità. Spero che la storia continui ad appassionarvi.
Purtroppo la principale è sotto pesante editing, e resterà ferma un altro po'. Nel frattempo spero possiate godervi questo squarcio nella storia e, se vi va, non dimenticate di commentare. Qualora questo mondo vi manchi troppo, vi ricordo che c'è anche l'altro spin-off:  Agur, primo del suo nome

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Capitolo 3
*** Terza Parte ***











«Miva.»
Bastian urlò per superare la furia del temporale. Era corso fuori di casa senza un mantello, la casacca di cotone che s'incollava ai suoi muscoli come una seconda pelle. I capelli, corti e ritti, gocciolavano davanti ai suoi occhi, segnando le sue guance. Sentiva il freddo dell'autunno in tutta la sua potenza, ma continuò a risalire la collinetta. Vedeva l'ombra della ragazzina stagliarsi contro i lampi lattei, sullo sfondo nebuloso. Tutt'intorno a lei, l'oscurità sanguinolenta sfocava contro al grigiore degli eliotropi. Il verde dell'erba alta si piegava remissiva alla forza della tempesta che giungeva dall'est.
Il vento tornava a soffiare dal Veto.
«Miva!»
La ragazzina gli dava la schiena, le spalle incurvate e la postura rigida, a sfidare gli elementi. Era il punto più alto al monte della collina, e i fulmini parevano rincorrerlo dal mare lontano, avvicinandosi sempre più a lei.
«Per favore, Miva.» Bastian l'aveva quasi raggiunta, il fiato corto. «Torniamo indietro.»
«Non possiamo tornare indietro, e lo sai anche tu. Non c'è nessun posto dove tornare.»
«Non fare così. Sapevi che sarebbe successo!»
Miva si voltò, gli occhi strizzati e il naso arricciato. Nonostante le gocce di pioggia, Bastian poté distinguere le scie delle lacrime sul viso.
«Tornerò, te lo prometto» le ripeté urlando. Un tuono squassò la terra e un lampo ruppe l'armonia del cielo.
«Lo aveva prormesso anche mio padre a mia madre. Me l'aveva promesso anche mio fratello.» Si voltò di nuovo, nascondendo la sua debolezza.
Tremava. Bastian si fermò pochi passi indietro, ferito dallo scuotersi singhiozzante delle spalle di lei. Come poteva abbandonarla? E come poteva dirle che la guerra era la ragione della sua vita? Starle accanto gli aveva dato il tempo di riprendersi, di pensare; e aveva anche risvegliato in lui il desiderio di essere quello – colui che avrebbe fatto la differenza. Ogni uomo è importante in guerra. Questa era la legge di Velenia; e lui non poteva sottrarsi a essa. Ma Miva apparteneva ad Aproeb e i suoi campi; non poteva capire.
«Torniamo indietro» sussurrò dolcemente.
«No!» urlò.
Un secondo tuono si propagò sui campi e una saetta si scagliò, bianca e letale.
Bastian si tuffò, come lei aveva fatto due anni prima su quella stessa montagnola. Rotolarono giù, mentre il fuoco del cielo si abbatteva laddove erano fino a poco prima.
Le soffiò sul viso. «Ho detto che tornerò.» I suoi occhi erano una tempesta di oscure profondità marine che allontanarono le nuvole della tristezza. Egli sentiva il cuore palpitare nel petto, proprio alla stessa velocità di quello della ragazzina singhiozzante. Ancora una volta si ritrovò ad ammirare la fragilità e la determinazione rinchiuse in quel corpo di donna acerba; e se ne innamorò, proprio come il bambino che era stato si era invaghito della bambina che non c'era più.
Bastian la baciò con la prepotente virilità di giovane uomo, un po' impacciato e irruento. Catturò le sue labbra e si ritrovò ad assaporarne il salato: sapeva di casa.
Si staccò da lei quanto bastava per giurare: «Tornerò. Uno Spettro trova sempre la strada di casa.»
Miva gli gettò le braccia al collo e lo attirò a sé con l'ingenuità dei suoi dodici anni. Piccola ragazzina, pensò lui, la furia del tempo che inghiottiva suoni e ricordi silenziosi. Si lasciarono scorrere addosso il temporale, incuranti del freddo e dei pericoli per la loro salute. Bastian la strinse tra le braccia e per un attimo si annullò nella sua presenza. Pian piano però, altre sensazioni, altri doveri si concatenarono a quel piacevole contatto. Mentre la consolava, il suo cuore scalpitava trepidante: presto avrebbe potuto rendere fiero suo padre, avrebbe combattuto per difendere la sua patria e la sua gente; e avrebbe lottato per tenere al sicuro quello scricciolo di ragazza che lo stava soffocando in un abbraccio. Sfregò la mano sul suo braccio, avanti e indietro, per infonderle un po' di tepore, mentre i suoi occhi sfidavano le nubi fosche, immaginandosi sul campo di battaglia a dar prova del suo valore.
«Bastian?»
«Mh?» mormorò colpevole.
Incrociò il suo sguardo e le sue labbra vennero nuovamente calamitate verso la bocca socchiusa. Le avrebbe assaporate di nuovo tornando vittorioso dalla Falda. Intanto li disse addio, allontanando la tempesta dal cielo e l'ardore dalla sua mente.
Con i campi Eliòpei alle loro spalle, raggiunsero Aproeb. Il profumo di terra bagnata si mischiava ai colori tenui delle case, stimolando vista e olfatto in una mitrata di sensazioni. I tetti a spiovente gocciolavano e, giù a valle, l'acqua faticava a infiltrarsi nel terreno, tanta quant'era. Il cielo plumbeo nascondeva il solito riflesso sanguinolento. Spesso le piogge autunnali che investivano la città tendevano a giocare in circolo, concedendo di tanto in tanto una tregua agli uomini per poi tornare all'attacco. In quei momenti le donne del villaggio tiravano fuori i secchi e li andavano a riempire ai pozzi: si preparavano per l'esodo verso Venasta.
Bastian si separò leggermente da Miva e s'intrufolò nella fila. Alcune vecchiette gracchiarono contro la sua insolenza, ma il giovane si scusò e passò oltre. Trovò sua madre ai margini di un frutteto, che aiutava a liberare i canali di scolo. C'era qualcosa, nel suo aspetto, che lo intristiva molto: rughe marcate si rincorrevano sulla sua bianca fronte, i tratti giovanili inaciditi dal dolore e dalla fatica. Quell'immagine era straziante, persino quando la donna sorrideva tranquillamente durante un giorno di sole.
Adesso era la Falda, l'esercito lo attendeva ad Ashar Ashet.
«Madre» chiamò rigido.
La donna sollevò il capo e subito un'ombra appesantì i suoi occhi. «Bastian! Dove sei stato?» Non aveva notato la ragazza alle sue spalle.
Questo è l'effetto che ormai la guerra ha su mia madre, pensò imbarazzato il ragazzo. Era stata una guerriera al suo tempo, come tutti a Velenia; ma lo scontro con le belve del Veto l'aveva cambiata e il crollo di ogni certezza aveva sferrato l'attacco finale. Sapeva quanto dolore ella provava nel vederlo con il mantello e la spada del padre appesa al fianco, pronto a dare il sangue in battaglia. Lei non voleva che lui morisse o anche solo si ferisse, e quel pensiero era tremendo. Se avesse potuto, Bastian si sarebbe nascosto da esso e da quanti lo leggevano sul viso della donna. Ma più di ogni altra cosa, avrebbe tanto voluto non doversi vergognare dell'inettitudine di lei. Si ripeteva spesso che quella donna aveva dato quanto era in suo possesso per la sua città e il suo popolo, e che adesso toccava a lui donare anche la sua parte. Bastian partiva con quella missione nel cuore.
Ciò che invece cercava di non dire troppo frequentemente a se stesso era quell'altra verità, quella che lui seppelliva grazie anche all'insoddisfazione di quella vista – Aproeb era un infante piangente che stava facendo i capricci, rifiutando le dure leggi di quel mondo allo stremo: lui era identico a suo padre. Ma mentre per Bastian quella somiglianza era fonte di orgoglio e sprono per il suo avvenire, per la madre era un bruciore continuo agli occhi. A volte egli pensava che la sua immagine si confondesse con quella di un fantasma: procurava più spavento che gioie alla sua povera madre.
«Sono pronto!» disse semplicemente.
La donna lo squadrò con un'espressione mesta. «No, non lo sei» mormorò più a se stessa che a qualcuno in particolare.
Miva fece un passo avanti. «Parti di già?»
Bastian ringraziò il fatto di avere una scusa per distogliere lo sguardo dalla figura pietosa di sua madre. «Sono stato scelto per far parte del plotone di rappresentanza che deve raggiungere la capitale. Re Angusa ha convocato i Mataj.»
Miva abbassò gli occhi.
Bastian sospirò e, in un gesto impulsivo, l'attirò a sé e l'abbracciò. «Non dimenticare. Tornerò» le sussurrò all'orecchio. Poi si separò da lei. Si voltò verso la madre e strinse anche lei, portando il suo profumo con sé.
«Quando sarai lì» disse lei con tono accorato. Esitò, poi sbrogliò velocemente: «Ricorda che la tua casa ti aspetta. Ricorda chi ti sei lasciato dietro.»
Bastian si separò anche da lei. Annuì. Sorrise alle due donne, la mano di suo padre sulla spalla. Poi, con la mente concentrata sui suoi doveri, si voltò e si fece sospingere fuori da quella infida città dal vento dell'est.

 
 

N.d.A

Ed ecco il terzo capitolo. Con questo caldo torrido - non so da voi - mi fa bene pensare a temporali e venti dell'est. Per un attimo, dimentico che sto per arrostirmi. Spero possano rinfrescare anche un po' la vostra giornata. Fatemi sapere!

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Capitolo 4
*** Quarta Parte ***










 
Il cielo era verde e puntellato d'azzurro, così come anche la terra. Se esisteva qualcos'altro, Bastian non voleva saperlo. Non più.
Il suolo morbido era un tappeto di umidità e calore che allontanava il gelo del suo cuore. I campi Eliòpei erano tranquilli, così vasti che difficilmente qualcuno lo avrebbe trovato. Si stava crogiolando nell'apatia autocommiserandosi. Non gliene importava.
Sentiva alcuni suoni – voci di bambini che giocherellavano sui pendii più a valle. Il profumo della terra bagnata sprigionava una frivolezza e un senso di pulizia capace di annebbiare gli stimoli degli altri sensi. Esisteva solo quel candido profumo. Bastian avrebbe tanto voluto perdersi in esso; oppure cancellarlo per sempre.
Il fruscio di vesti che si intrufolavano tra gli steli d'erba lo riscosse dal suo isolamento. Tirò su la schiena e si scontrò con l'oscurità degli occhi di Miva.
È cambiata!, fu il suo primo pensiero. No, si corresse accigliandosi, sono io che non sono più lo stesso.
Miva gli sorrise raggiante. Gli gettò le braccia al collo ed entrambi piombarono di nuovo tra il verde e l'azzurro, isolati dal resto del mondo.
«Mi dispiace» riuscì a mormorare. «Non ho saputo mantenere la promessa.»
Miva si scostò leggermente. «Che dici? Sei qui, di nuovo con me.» Lo strinse più forte per nascondere le lacrime di gioia. Sapeva quanto lui odiasse quei segni di debolezza. Invece Bastian avrebbe tanto voluto riuscire a fare come lei: esternare il suo dolore, l'orrore.
«Mia madre… è stata lei a dirti dove trovarmi?»
Ella scosse il capo. «Se volevi giocare a nascondino» ammiccò sfrontata, «dovevi scegliere un posto un po' più fantasioso. Non certo la nostra collina.»
La nostra collina.
Distrattamente Bastian fece vagare lo sguardo tra gli steli, come se ognuno di essi potesse raccontargli un pezzo del suo passato. Già, in effetti era lì, dove l'aveva scorta la prima volta. Era tornato lì, dove lei – e solo lei – avrebbe potuto trovarlo. Perché?
«Perché non mi hai cercato al tuo ritorno? Ho visto i guerrieri trasportare i morti e…» si rabbuiò. «È stato orrendo. Ti sei perso la cerimonia di passaggio» aggiunse poi, sistemandosi al suo fianco.
Bastian scrollò le spalle. Perché non era andato da lei? E perché era salito su quel prato? Lui odiava quegli stupidi fiori! Gli eliotropi sembravano brillare sotto l'effetto della rugiada, mentre lo smeraldino del cielo lasciava il posto a quella tinta dannata. Tutto era sangue, persino l'ossigeno che lo alimentava.
«Mi dispiace» ripeté stupidamente.
Restarono in silenzio per un lungo momento. Miva si trastullava con alcuni fili d'erba, torturandoli e infine strappandoli dal terreno. Non la stava mettendo a suo agio. Quindici Decadi bastano per cambiare ogni cosa. Il mondo era in continuo cambiamento, e non era possibile tornare indietro. Ogni Falda trasformava Serinut, trasformava gli uomini; quell'ultima aveva drasticamente trasformato lui. Chiuse gli occhi e spinse la sua coscienza dentro di lui, a indagare. C'erano danni, cicatrici che stavano sanguinando e che nessuno poteva vedere; c'erano gli orrori e le perdite, quelle che lui aveva inflitto e quelle che i mostri avevano segnato contro di lui. E c'era quella stupida sensazione che, da veleniano, temeva più di qualunque altra cosa. La scacciò il più lontano possibile.
«Allora» lo interrogò Miva titubante. Il tono era secco, ma esprimeva l'urgenza di sapere.
Bastian si voltò dall'altra parte e non rispose, ignorando il suo bisogno di informazioni. Lei non doveva sapere, pensò pressantemente, lei non avrebbe dovuto conoscere la verità.
La sentì sprofondare un po' di più accanto a sé, delusa dalla sua reticenza. Si strinse nelle spalle e abbassò il capo, anche lui mortificato dall'ombra di se stesso che aveva trascinato al suo fianco. Lei meritava di più. Meritava il meglio. Percepì il suo calore indebolirsi mentre ella si alzava e discendeva di qualche passo la collinetta. Si stava allontanando da lui.
Forse era meglio così…
Uno schiocco ai suoi piedi lo fece sussultare. Aprì gli occhi e vide il pezzo di legno che giaceva vicino; poi intercettò lo scatto della ragazza e reagì d'istinto, contro ogni sua volontà. Rotolò afferrando il bastone e si diede la spinta per tirarsi in piedi, mentre con un basso tondo lanciava l'arma di legno contro le gambe della giovane, atterrandola. Il grido di dolore dell'amica lo riportò alla realtà. I suoni – lo starnazzare delle anatre e le risate degli altri bambini che il vento portava seco – pressarono contro le sue orecchie, intontendolo.
Invece di dispiacersi, si arrabbiò. «Non farlo mai più!» Le si gettò addosso, a cavalcioni, e le strinse con rabbia i polsi, segnandoli. «Non toccare più un bastone, non muovere più un passo di guerra. Non attaccarmi e non combattere. Mai più! Hai capito?» Quanto orrore! Ed era lui ad averlo scaraventato addosso a quella piccola creatura.
Gli occhi erano strabuzzati, la saliva copiosa lo costringeva a deglutire spesso e con forza, annaspando in cerca d'aria. Vide la paura riflessa negli occhi di Miva e capì che era lui il suo incubo peggiore. Era lui che le stava facendo male. Si separò da lei rotolando per terra, imbestialito con se stesso. L'aveva sporcata. Non si era ancora cambiato: i suoi abiti erano sporchi di fango e sangue, e quello stesso fango e quello stesso sangue si erano impressi indelebilmente anche sugli abiti di lei.
«Mi dispiace. Non volevo.» Allungò una mano per cercare di togliere via quelle macchie, ma le sue dita erano dello stesso colore. «Mi dispiace. Mi dispiace.»
Provò repulsione verso se stesso e ancora di più verso quelle piccole braccia tremanti che lo strinsero. Sentì il calore del suo petto, sentì il suo fiato sulla nuca. Era orribile.
Le mani che stringono una spada non dovrebbero essere le stesse che stringono una donna.
Si aggrappò a lei come un disperato in alto mare, incapace di restare a galla un secondo di più. Alla fine scoppiò, semplicemente. La strinse con forza e affondò la testa nel suo piccolo seno. Si scoprì a pensare che era ancora una bambina, un'immagine opaca della donna che sarebbe diventata. Forse era lo stesso sprazzo di futuro che aveva visto quel giorno, quello di cui si era perdutamente innamorato: la delicatezza e la forza con cui lei sfidava il vento, qualcosa di inafferrabile a cui, però, ella non soccombeva.
«Bastian…»
«Shh, non parlare. Non ancora.»
Miva lo strinse forte e si lasciò stritolare; fece suo il suo dolore. Bastian poteva quasi vedere il sangue imprimersi a fuoco sui vestiti e la carne di lei; poteva quasi sentire il suo profumo confondersi con quell'odore ferroso e nauseante. Quanto orrore! E lui lo aveva condotto fino a lei. Aveva giurato di proteggerla, eppure bastava il suo ritorno a renderla una vittima di quella guerra.
I sopravvissuti, ma soprattutto coloro che li accoglievano a casa a braccia aperte, erano le vittime della guerra. Non i morti: loro godevano del conforto del Dio. I vivi.
«Sei a casa, Bastian» mormorò.
Le anatre si alzarono in volo. Le voci dei bambini urlarono e si rincorsero; qualcuno doveva essersi arrampicato su un albero, strappando il primo frutto della stagione. Il calore della terra assorbiva il lezzo che si portava addosso e il vento spazzava via gli ultimi echi trascinandoli di nuovo verso l'Agabar. Serinut stava rialzando la testa, si preparava a ricostruire.
Una voce li chiamò. Bastian respirò a pieni polmoni il fiato della ragazzina che rispondeva con un urlo al richiamo. I suoi soliti modi imperativi azzittirono la madre.
Bastian sospirò sorridendo: era tornato a casa.


 
 
N.d.A

Scusatemi tanto! Ho avuto seri problemi con il pc di lavoro e ho perso tutti i dati, compresi quelli che contenevano le mie storie. Un angelo dal cielo ha fatto il miracolo, quindi oggi recupererò. Pubblicherò fra qualche ora anche l'altro capitolo, cosicché torno in pari con i tempi di consegna. Spero che non vi siate dimenticate di me^^

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Capitolo 5
*** Quinta Parte ***










 
«Venasta è soffocante. È troppo piena, troppo agitata. La gente cammina per i fatti propri senza darsi la pena di augurarsi un buongiorno. Nessuno conosce nessuno, ma tutti sanno i fatti di tutti.»
Seduti a gambe incrociate a monte dei campi, con l'erba alta rigogliosa e i piccoli fiori a spruzzare d'azzurro la terra, Bastian stava racimolando le forze per raccontare. Qualcosa, non tutto. Non ancora.
«Angusa è… grosso. Non grasso» spiegò con un sorriso, «è una figura imponente, che si fa notare. Sia nella sua città che sul campo di battaglia. Tu diresti che è impossibile trovare il tuo compagno in mezzo alla mischia, ma il Re è capace di calamitare gli sguardi. I Mataj non sono da meno» tenne la schiena un po' più dritta, orgoglioso. «I loro mantelli sono sangue e ferro allo stesso tempo. Sembrano pietre antiche, indistruttibili. Ho visto Vharnet che…»
Miva lo interruppe. «Com'è Ashar Ashet? Hai visto Baleor? E le altre città della piana? Dove sei stato?»
«Non sono andato a farmi una passeggiata» la osteggiò con ribrezzo.
«Scusa. È che… Aproeb sembra tagliata fuori dal mondo.»
«Lo è» le confermò. «Nessun posto è come Aproeb, ma posso anche dire che nessun luogo è come Velenia.» I suoi occhi si riempirono di tristezza. «Ashar Ashet è impressionante. Sembra un serpente di pietra che demoralizza appena osi lanciargli uno sguardo. Si dev'essere davvero uomini straordinari per prestare servizio dentro al vallo.» Si grattò il naso allontanando una mosca. Odiava quelli insetti: erano carogne che spolpavano i corpi ancora prima che cadessero nel fango. «Baleor è una gabbia per leoni addomesticati. I suoi uomini si battono come felini, ma marciano a testa bassa ormai, alla cieca. Gabusa… non è più una città di uomini» concluse con l'affanno. «Sono stato anche tra gli uomini che hanno combattuto a Tahari.» Alzò gli occhi per incrociare l'immagine sbiadita della città: Aproeb era semi distrutta, molti degli edifici erano stati dati alle fiamme; la gente di quel luogo stava commiserando il lavoro da fare prima di rimboccarsi le mani, mentre i più piccoli ridevano felici di essere tornati a casa. «Dovranno ricostruirla daccapo. Aproeb ha resistito meglio, forse perché i mostri non hanno perso tempo a cincischiarsi da queste parti.»
«Non si fermano mai a lungo qui. È solo un posto di passaggio» annuì lei. «Com'è combattere? Quanti ne hai uccisi?»
Bastian contrasse il viso in una smorfia di patimento profondo. Rispose con un flebile sussurro: «L'Arantar del mio plotone è morto, e così anche sette dei Guerrieri che ne facevano parte.»
Miva aggrottò la fronte.
«È passato a me il comando.»
La ragazza sussultò. «Wow, hai fatto carriera.»
«Non è difficile quando si è disperati.»
Rimasero in silenzio a guardare un bambino rincorrere una farfalla, una bambina mosse i suoi primi passi. Bastian si rilassò un po'. Quegli sprazzi di vita quotidiana gli servivano per guarire, se non altro in parte. Adesso capiva un po' di più sua madre. Lei aveva retto per metà di mezza dozzina la Falda; lui avrebbe tanto voluto scappare nel momento in cui vi aveva messo piede. In parte odiava quella sensazione e sua madre: aveva preso da lei molto più di quanto aveva ereditato dal padre. Eppure il Mataj lo aveva congedato con onore, confermando la sua carica di Arantar. Da cinque anni a quella parte avrebbe marciato in testa al suo plotone e altri sarebbero morti sotto il suo comando.
Padre… qui si sta bene.
«Pensi che potrò chiedere di essere assegnata al tuo plotone?»
Bastian riaffiorò dai suoi pensieri bruscamente. Sgranò gli occhi mentre si voltava a fissare il viso della ragazza. È solo una bambina, dannazione. Avrebbe tanto voluto metterle le mani addosso, e poi avrebbe sterminato qualunque cosa la potesse ferire, contaminare.
«Tu non combatterai!» si ritrovò a inveire. Chissà come, era in piedi, a troneggiare su di lei. «Non hai capito? Sono bugie, favole per bambini. Non c'è nulla di bello o valoroso nella guerra. Tre quarti dei soldati, Arantar persino, se la fanno sotto combattendo. È… orribile.»
Ma che diavolo stava facendo?!
Uomini combattevano, di Velenia persino le donne.
Si guardò le mani, mortificato della sua vigliaccheria. Madri e padri, fidanzati e spose, figli e nipoti davano il sangue, e lui era tanto egoista da volere che il suo piccolo raggio di pace rimanesse al sicuro. Si sentì sfiorare un avambraccio. La mano di Miva era così esile, dalle dita sottili e senza scottature o ferite; la sua pelle era immacolata, un po' inscurita dai raggi di Mal ma comunque perfetta. Per un attimo la odiò, forse perché avrebbe tanto voluto che rimanesse così per sempre. La sua vita e le sue certezze erano andate in pezzi, ogni desiderio si era infranto. Lei era l'unica cosa che non era cambiata. Maledizione!
«La guerra è orribile, Miva» la mise in guardia, sconfitto. Scivolò di nuovo al suo fianco, la testa posata sulla sua spalla. Sospirò e aspirò il suo profumo. Non sarebbe più stato lo stesso. «Ma è necessaria.»
 
 
«Raccontami qualcosa di bello. Ci dev'essere qualcosa che ti ha fatto restare in piedi» insistette.
Bastian stava fasciando le mani di lei: erano piene di piaghe e sanguinavano. Si erano allenati tutto il giorno, fino a che il cielo non era illividito. Se Miva voleva seguirlo nella mischia, lui non avrebbe lasciato nulla al caso. «Non c'è nulla di bello là fuori. Però ti puoi aggrappare, se riesci.» La verità era che aveva pensato spesso a sua madre e alle sue parole d'addio durante i momenti di requie; ma quando combatteva erano i visi dei suoi compagni quelli che lo spingevano a massacrare e a non guardare in faccia il commilitone morto di turno, era la presenza di chi rimaneva in piedi accanto a lui. «Non importa da dove vieni, cosa hai fatto, chi sei, cosa vuoi. Quando impugni un'arma, diventi un Guerriero, e così tutti gli altri. Se sono vivo, lo devo a chi mi ha protetto le spalle. Gente strana ma in gamba, che sa per cosa combatte. E non è una cosa scontata.» Sorrise sovrappensiero. «Tristall e Galbion sono come me: vivono per servire la speranza e l'onore. Tristall è di Baleor, la guerra ce l'ha nel sangue. Galbion è più uno stratega e a volte rogna un po' troppo con regole e gradi, ma sa il fatto suo quando si tratta di trascinare fuori dall'inferno un compagno. Ah, e poi c'è Aci» rise in modo ambiguo. «Lui è un caso a parte. Sembra non aver capito cos'è esattamente una guerra, lui l'associa a una battuta di caccia. È di Dihastìr» spiegò, come se questo bastasse per giustificare la sua visione della vita.
«Sembrano uno strano gruppo» si sconcertò. Miva lo conosceva bene e sapeva quanto schizzinoso fosse in fatto di amicizie. In più di cinque anni che viveva a Aproeb, il suo tempo non faceva che passarlo con lei.
Sono cambiato, e lei ora lo può vedere. Quel pensiero lo terrorizzava.
«Sì» rispose con un sorriso accondiscendente, «e strano è stato il modo in cui ci siamo avvicinati.»
«Mh?» s'interessò.
Anche lei è un po' come quell'arciere: sempre entusiasta per la più piccola cosa insignificante. Sorrise: probabilmente Miva si sarebbe offesa per un simile paragone. «Ci siamo ritrovati tutte e quattro a tentare di abbattere un Bizar. E alla fine, stanchi morti, ci siamo dovuti subire Aci che si vantava di come aveva salvato la vita a tutti noi.»
Finì il medicamento e si asciugò una goccia di sudore che gli stava colando dal mento. C'era caldo e neanche il vento di bonaccia leniva le loro sofferenze. Bastian alzò la testa e strizzò gli occhi. «Ci sarà tempesta, stanotte.»
Miva si rabbuiò. «Più che prevederlo, sembra che tu la chiami, la pioggia.»
Bastian si tirò su e scrollò le spalle. «Stanotte ci servirà. Stanotte si combatte.»
«Cosa?» strabuzzò gli occhi. «Mi farai venire un malanno…»
«Se pensi che le creature del Veto si fermeranno per qualche goccia, puoi anche restare a casa, tra le sottane di tua madre.» Si mortificò del tono rude, ma non lo diede a vedere. Quasi sperò che ella cogliesse l'occasione. Cosa ti serve per desistere?
Miva scattò all'in piedi allontanando subito quell'idea.
Bastian sospirò e annuì. «Continuiamo.» Se non riusciva a convincerla, non si sarebbe demoralizzato, non più. Non era più un uomo di Velenia, il gruppo e il senso d'appartenenza a esso si erano dissolti nel momento in cui si era ritrovato con le gambe tremanti davanti alla prima testa mozzata. Adesso ciò che contava – non importava l'onta o il tradimento – era proteggerla. Lei avrebbe combattuto, sarebbe scesa nell'arena di quel trastullo di dei, e nessuno poteva impediglielo. Lui però avrebbe mosso battaglia non solo alle pedine, ma direttamente contro i fautori di quel gioco. Era poco, lo sapeva, ma se non altro lui non avrebbe lasciato nulla al caso.


 
 
N.d.A

Ed ecco il quinto capitolo, come promesso. D'ora in poi gli appuntamenti saranno ogni nove giorni, salvo altri brutti scherzi del pc^^
Grazie a tutti coloro che hanno pazientato.

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Capitolo 6
*** Sesta Parte ***










 
«Avanti, muoviti!» lo sollecitò la voce di Miva.
Bastian si affrettò a raggiungerla prima che sparisse tra la calca radunata nel sobborgo. Aproeb era una delle poche città del nord-est a conservare una tradizione festaiola. Tra le sue vie e per le sue colline e prati si organizzavo ancora giochi ed eventi in onore del Dio Meg. In un recinto improvvisato all'interno di una piazza, i bambini facevano a turno per fare un giro sopra a dei bei cavalli. Egli sapeva quanto a Miva piacesse cavalcare: per lei era come volare. Ma i due non erano diretti là.
«Quest'anno potrò partecipare anche io. E voglio vincere» si esaltò la ragazza. Non stava più nella pelle e saltellava mentre attendeva che lui l'avvicinasse. Poche erano state le volte in cui l'aveva vista così su di giri, ancor meno quelle in cui lo aveva reso palese.
Bastian s'intrufolo tra due energumeni e scivolò tra due corpi, evitando di pestare le vesti delle donne. C'erano tutti: i bambini gattonavano tra le gambe e, a volte, anche sotto di esse pur di raggiungere una buona visuale; le donne si tenevano strette alle braccia dei loro mariti o fidanzati, le zitelle civettavano in piccoli gruppi con risolini; gli uomini più burberi se ne stavano ai margini oppure accompagnavano i figli più grandi all'iscrizione.
Miva si lanciò sopra uno dei tavoli e sbatté i denari sul legno, lasciando che tintinnassero nel mezzo del boato. Il poverino di turno, un anziano reduce da troppe battaglie, trasalì e strizzò gli occhi miopi per inquadrare meglio il nuovo aspirante campione.
«Signorina!» esclamò, indignato.
«Voglio iscrivermi alla gara» annunciò.
Quello, per tutta risposta, la soppeso. La sua voce, un gracidare isterico, allontanò la questione con la mano: «Suvvia, è una cosa seria. I dolciumi sono a quel tavolo in fondo, figliola.»
«Voglio iscrivermi!» ripeté Miva.
L'uomo – con molti capelli ma poca carne addosso a coprire le ossa sporgenti – sollevò faticosamente le sopracciglia folte e sgranò gli occhi. Miva allontanò la mano e mostrò la cifra d'iscrizione. Quello, come se la giornata gli fosse stata appena rovinata, contò i denari e borbottò: «Sono troppi, figliola.»
«Per me e il mio amico» spiegò lei.
Bastian sussultò. «Io non gioco, ma grazie.»
«Si gioca in coppia» fece lei, come a chiudere la faccenda.
L'uomo prese i loro nominativi e consegnò la fascia. Poi scosse la mano davanti a loro visi per cacciarli via.
«Io non gioco, Miva» gli disse di nuovo, una volta che furono fuori dalla portata di orecchie indiscrete.
Miva si stava già legando la stoffa blu alla caviglia; si avvicinò un po' zoppicante verso di lui, in modo da legare insieme a essa anche quella di lui. «Senti, non è solo un gioco» roteò gli occhi. «Si tratta di vincere una scorta per l'inverno per le nostre famiglie e quel bel vestito là in fondo. Beh» scrollò le spalle, «di solito la coppia è formata da due uomini, e loro lo regalano alla ragazza che più li piace. Ma ho pensato che, in questo caso…» Arrossì.
E Bastian fece lo stesso. Rise per scacciare l'imbarazzo. «Credo di non avere scelta, allora.»
Miva s'illuminò, lo sguardo acceso e due fossette trattenute sulle guance.
Nel frattempo i giudici stavano vociando a gran voce per richiamare l'attenzione del pubblico. «I partecipanti vengano qui davanti, prego.»
Miva finì di legare le loro caviglie e si mosse verso lo spiazzo. Si bloccò, il piede obbligato a fermarsi per via dell'inamovibilità del ragazzo. «Vieni?»
Bastian si riscosse. «Inciamperemo. Quelli si allenano mesi, in vista di questo gioco.»
«Non ti lamentare» lo rimbrottò, «tu non volevi neanche partecipare.»
«Non hai detto che vuoi quel vestito? E non è per questo che mi hai costretto a giocare? A che serve, se non vinciamo?»
Miva gli sorrise con fare furbo. «Non inciamperemo» lo rassicurò.
Si misero in linea con gli altri giocatori e si concentrarono sulle parole del giudice. «Figli di Meg. Il dio della forza ci infonde il suo potere e la sua energia. Sappiate usarle al meglio.
«Nascosti tra i campi Eliòpei ci sono le lanterne; tra i frutteti a valle, le fiaccole. Il gioco è semplice: dovrete recuperare le lanterne, accenderle e condurle qui. Potete usare i bastoni per impedire ad altri di portare a termine la prova. Ma, cosa più importante, dovete fare tutto questo senza separarvi dal vostro compagno. È tutto chiaro?»
Quattordici coppie di teste annuirono, concentrate.
«Molto bene. Allora…» ammiccò l'uomo con le gambe divariate, «che la sfida abbia inizio!»
Un arciere scagliò una freccia infuocata in cielo, e questa si spense all'interno di un barilotto pieno d'acqua.
«Vieni, le prossime stelle dobbiamo accenderle noi» lo riscosse Miva.
Con fatica e movimenti zoppicanti, se lo trascinò verso i prati e le colline. All'inizio i loro passi incespicarono tra loro o tra le zolle d'erba. Bastian era piuttosto impacciato e l'esperienza si stava dimostrando davvero insolita. All'improvviso Miva piantò i piedi e lo cinse con un bracci alla vita. Rimasero indietro, ma lei non se ne curò.
«Così ci superano» borbottò, ormai nel vivo della competizione.
«Guerrieri. Sempre così irruenti» alzò gli occhi. «Ci supereranno comunque se non smettiamo di pestarci i piedi a vicenda. Guarda!» Lo obbligò a guardarla. Miva diede il tempo. Iniziarono a muovere piccoli passi. Appena i loro corpi furono in sincronia, ella accelerò il ritmo e, istintivamente, i loro movimenti seguirono il tempo.
«Andiamo!» annuì lei.
Prima una corsa leggera, poi ripresero ad arrancare a perdifiato su per la collina. Il braccio sinistro di Bastian e quello destro di lei ciondolarono cadenzatamente mentre i loro corpi si muovevano insieme, come se fossero uno solo. Con la coda dell'occhio, Bastian la vide sorridere, soddisfatta.
Le altre coppie erano già in cima al colle, piegati in posizioni contorte, alla ricerca della lanterna. Bastian strinse i denti e cambiò espressione: era deciso a vincere quel gioco, per lei.
Si diresse verso la cima e si scontrò con il corpo della ragazza, che aveva cercato di spingersi nella direzione opposta. Rise in un singulto di dolore. «Ma che fai?»
«Guerriero!» lo apostrofò di nuovo con quel tono sufficiente e gli occhi lucenti. «Tutto per voi dev'essere al vertice. Mente ristretta!» Se lo tirò verso i fianchi del declivio e ruotò intorno al basso perimetro. «Non serve salire sempre in cima.»
L'erba alta tagliava le loro gambe e, con Mal che calava verso la linea dell'orizzonte, Bastian aveva difficoltà a distinguere persino uno stelo da un ramo rinsecchito. «Non li raggiungeremo mai di questo pa…» Il suo piede urtò qualcosa.
«Spera di non averla rotta» lo rimproverò lei, tranquillamente.
Si abbassò per raccogliere la struttura di ferro lavorato e sorrise. In realtà non c'era proprio nulla da rompere. Le lanterne di quel genere erano rare e venivano adoperate nei giorni d'estate, quando la brezza era un sottile venticello e non rischiava di spegnere le fiamme, visto che nessuna di quelle lanterne era provvista di vetro. Esso era un lusso che i venastiti non potevano permettersi.
«Una volta, papà mi fece vedere un vetro colorato. Era una forma astratta, senza senso, creata dai soffiatori di vetro di Vitahj, una delle città dell'Antica Venasta. Era bellissimo.»
«Il Mataj conserva ancora una di queste lanterne intatte. Verrà accesa questa sera. Lo sapresti se ti fossi dato la pena di partecipare alla festività gli anni precedenti.»
Bastian scrollò le spalle.
«Andiamo.»
Di nuovo, Miva lo condusse nella direzione sbagliata. Stavolta fu lui a puntare i piedi. «Dobbiamo raggiungere i frutteti» le indicò un punto a destra.
«Guerriero!»
«Guerriero! Sì, lo so. Ma stavolta stai sbagliando» s'impuntò.
Miva strinse le braccia al petto e le labbra sul volto, con calma, fino a farle diventare una linea sottile. Lo lasciò parlare, poi riprese da dove era stata interrotta, come se l'altro non avesse aperto bocca: «Siete tutti uguali. Cadete sempre nello stesso giro. Per questo finisce sempre allo stesso modo con voi.» Bastian la vide trattenere un sorriso ed evitò di rimbeccarla. Non lo avrebbe ammesso, ma si stava divertendo. Ella continuò: «La via più breve è tagliare il fiumiciattolo. Ma il tempo che si perde per non scivolare sui ciottoli…» non riuscì a non roteare gli occhi, esasperata. «Si fa prima a discendere la collina e girare per gli steccati.»
«Con questa?» e puntò la fascia alle loro caviglie.
Miva ammiccò. «Andiamo!» Gli si lanciò contro con tale irruenza da farlo sbilanciare.
Ridiscesero il pendio rotolando in un mondo di verde, che s'infilò tra le maniche e le narici; alcuni steli solleticarono le orecchie. Bastian la sentì ridere, un suono gorgogliante che si nascondeva in quel girotondo da togliere il respiro, e anche lui rise. Si era dimenticato del gioco e dei ricordi bellici, affondando in quell'unica sensazione di benessere.
Miva lo tirò su appena la corsa s'interruppe bruscamente e loro sbucarono dalla foresta di soldatini per inoltrarsi nei campi. Bastian le tenne la mano e la segui come un cane scodinzolante. Aveva scoperto una realtà alternativa, dove poter imparare a camminare di nuovo, ma in un modo diverso. Adesso c'era luce nonostante il tramonto sfumasse verso tinte più cupe, il mare era verde e il cielo di un timido nontiscordardime: erano colori stupendi che soppiantavano la potenza del blu e l'accecante bagliore del rosso. Ed era lei che glieli stava mostrando, senza rendersene conto.
Raggiunsero gli steccati. Senza guardarsi negli occhi, misero all'unisono un piede sopra il legno più basso della staccionata e si arrampicarono verso l'alto. Bastian passò con l'altro piede e accompagnò i movimenti di Miva fino a quando entrambi non furono dall'altra parte. Poi corsero allegramente. Non era più una gara contro gli altri ma uno contro l'altro, per vedere chi rimaneva indietro. Bastian lasciò che il suo passo la ostacolasse. Stavolta caddero e fu lui a troneggiare su di lei. Ammirò la sua bellezza selvaggia, la baciò.
Si ricordò solo in quel momento di non averlo più fatto. Sembrava essere passata una vita intera da quando l'aveva salutata sulla cima di quella collina, assaporando le sue labbra e promettendosi di assaggiarle ancora. Le tenne tra le sue, mentre pian piano riscopriva che ne conosceva la soavità. Pareva che Miva non aspettasse altro. Quanto l'ho fatta attendere? Si strinsero in un abbraccio, Bastian lasciò scorrere le lacrime trattenute fino a quel momento, e lasciarono che il silenzio, con le cicale tutt'intorno, raccontasse per loro.
Più tardi, mentre il Mataj di Aproeb accendeva la lanterna con il vetro colorato, Bastian si ricordò della lanterna lasciata chissà dove, rammaricandosi di non aver vinto per lei quel bel vestito.
«Si sarebbe rovinato addosso a me» lo abbracciò lei, «e poi non l'ho mai voluto.»
Bastian ridacchiò. «Mi dispiace. Avevi ragione, sai? Saremmo arrivati prima degli altri, se…» lasciò la frase in sospeso, ghignando.
«Guerriero! Certo che saremmo arrivati prima, ma non è mai stato quello il mio obiettivo.»
Bastian la guardò, colpito dalla sua strategia. Infilò una mano nella tasca e la tirò fuori chiusa a pugno. Prese con delicatezza il polso di lei e trafficò qualche secondo. Quando si ritrasse, aveva legato intorno al braccio di lei la stoffa blu. «Così non dimenticherò mai quanto tu possa essere pericolosa.»
Poi tornarono a baciarsi, mentre tutt'intorno a loro, sui Campi Eliòpei, la terra si puntellava di stelle di fuoco.


 

N.d.A.

Eccomi, finalmente puntuale per una volta nella mia vita. Mi sembra stranoXD
Questo capitolo spezza il ritmo tetro; è il mio preferito insieme al finale, chissà se piacerà anche a voi. Siamo ormai quasi alla fine, mancano solo tre capitoli. Spero che la storia risulti breve ma intensa. Aspetto le vostre impressioni:D
Prossimo aggiornamento: 19 Agosto

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Capitolo 7
*** Settima Parte ***










 
Bastian avrebbe tanto voluto strapparla, quella stupida lettera. Erano ordini diretti e precisi: il suo plotone era stato assegnato alle Cuspidi. E Miva ne faceva maledettamente parte. Lo aveva chiesto lui, perché pensava a una posizione in seconda linea, ma adesso… era tutto sbagliato.
Strapazzò la pergamena, la strappò e poi lasciò che i pezzi si spargessero tra le spire di vento. Che le correnti le portassero lontano, verso il luogo dannato a cui appartenevano! Sapeva che aveva osato troppo, lo aveva saputo nel momento in cui si era intestardito a vivere senza le sue credenze, rinnegando il potere del Volor. Aveva sfidato l'Agabar come se fosse stato un suo pari, e adesso ne pagava il fio. E Miva con lui.
Affondò la testa tra le ginocchia e, dopo non ricordava più quanto tempo, pregò. Invocò i Portoni e la loro grigia ombra, s'appellò all'unico Dio che concedeva tanto quanto meritava ciò che si nascondeva nell'animo dell'uomo che lo implorava. Per un attimo esitò: era più debole di quello che aveva decantato nei suoi sogni, adesso lo sapeva. Sarebbe stato abbastanza? Con la presenza del padre al suo fianco, Bastian sfidò lo sguardo della divinità, resse il peso del suo unico Occhio, troppo presto perché affrontasse quello sito sulla sua nuca – quello che consolava i morti. Con la forza della disperazione e dell'ardimento, fece la sua richiesta. Poi tese le orecchie, prima di ricordarsi che, se il Guardiano gli avesse risposto, lui non lo avrebbe sentito: non c'era mare ad Aproeb.
Riaprì gli occhi, e due occhi scuri lo trafissero, impalandolo. A Bastian parve di precipitare in quella disperazione trattenuta.
«Miva!» esclamò allarmato. «Non ti ho sentita arrivare.»
La ragazza rimase rigida, in silenzio, a guardare il suo viso come se lo vedesse per la prima volta. Sicuramente aveva scoperto qual era la loro destinazione; forse incolpava lui per averla condotta davanti all'Agabar. «Una donna non dovrebbe impugnare il ferro» aveva detto la madre di lei quando aveva scoperto l'intenzione della figlia, «poi come fa a cullare i propri figli senza insozzarli?» Bastian era rimasto sconcertato da quel pensiero. Adesso avrebbe tanto voluto non dover reggere quell'onta. Avere bisogno che una donna combatta è una vergogna che il nostro popolo si porterà addosso per molti anni. D'altronde, aveva iniziato a pensare che non avrebbero mai visto la fine di quell'orrore, e che non ci sarebbe stata mai una scelta diversa da quella. Ma non lei, pensò disperato.
«Stai bene?» la sentì sussurrare con un filo di voce.
Se non fosse stato recettivo verso ogni suo gesto o accenno, il vento avrebbe portato via quell'alito senza che lui lo potesse assaporare. Ormai ogni attimo vissuto insieme era prezioso. Maledetto vento!, bestemmiò: tra quelle colline era sempre così.
Annuì per farsi forza. «Certo.» Cosa poteva dirle per aiutarla? I suoi occhi vagarono sulle distese di eliotropi. «Sono belli, non è vero?»
Miva si sedette al suo fianco, con un sorriso che aveva la forza di schernirlo. «Bravo! Lo hai scoperto anche tu?»
«Una volta, una bambina aveva provato a mettermi a parte del segreto, ma non ero pronto per vedere.»
«Pensi che al Volor piacerebbero sulla sua scogliera?»
«No» rispose deciso, poi sorrise nella sua direzione. «Però potresti sfidarlo. Saresti capace di vincere.»
Miva si rattristò un po'. «Non lo so, Bastian. Sono anni che combattiamo contro l'Agabar, e lui continua a tenerci sotto scacco. Forse non possiamo battere gli Dei.»
«Questa non è una lotta contro Dei, ma tra le loro creature. Agabar è un Dio iracondo e orgoglioso. Il Guardiano, invece, premia sempre il più coraggioso.»
«Allora non ho abbastanza coraggio per affrontarlo. Non posso vincere contro un Dio» riformulò la sua constatazione.
Bastian fece scorrere lo sguardo verso la cima della collina e indicò il punto più a monte. «La prima volta che ti vidi eri lassù.»
«Me lo ricordo.»
«No, non puoi» la contraddisse. Sentì il proprio viso andare a fuoco ma continuò, un po' in imbarazzo. «Ero appena giunto da Velenia, mia madre stava sistemando la nostra nuova casa. Ricordo che non smetteva di piangere e parlare. Sono scappato di casa e ho iniziato a correre, sperando di raggiungere la mia città. Invece finì ai piedi di questa collina, e tu stavi risalendo il pendio sfidando la forza del vento. Le raffiche erano talmente forti che ti rispingevano indietro, ma tu non mollasti.» Le strinse una mano. «Non importa se non vedi il nemico, l'importante è che ricordi dov'è il tuo cuore, che ricordi per cosa è giusto combattere.» Aprì la mano e vi posò sopra un germoglio di eliotropio. «Il cielo tornerà azzurro, Miva. Per il momento porta questo con te. E non dimenticare: il primo raggio è verde come la speranza.» Rimasero in silenzio per un po', mentre Miva respirava il profumo della sua terra. Era delicatezza e forza allo stesso tempo. «Sai, ho sempre odiato questo posto. Era debole, pacifico, troppo tranquillo. C'è troppo silenzio. Voi continuate a coltivare i frutteti e a raccogliere fiori da campo» fece una smorfia. «Solo adesso capisco che il vostro è coraggio.» Si voltò a sostenere i suoi occhi, vide di nuovo le fiamme ballare in essi. «Ci vuole coraggio per coltivare la bellezza. Ci vuole coraggio per salvare. E anche questa è guerra. E il Volor la premierà.»
Miva annuì e si sporse per baciarlo, poi tornò a guardarlo come se lo vedesse per la prima volta. Bastian resse confuso il suo sguardo, studiò il modo in cui ella scartabellava i suoi lineamenti e si scoprì a fare lo stesso con lei. Sorrise, un vuoto nel petto che si empiva di nostalgici ricordi e paure e diversi tipi di coraggio. Li avrebbero affrontati insieme, trovando forza l'uno nell'altra. Bastian spalancò gli occhi e s'impresse la sua immagine a fuoco nella mente, così come stava facendo lei per prepararsi all'inferno. L'avrebbe portata nel cuore, insieme alla fiammella di speranza che brillava di nuovo nel suo petto.


 
 
N.d.A

Eccomi con il capitolo più corto: il terzultimo!
Spero che quello precedente vi abbia riempito gli occhi di gioia, perché da qui in poi si cadrà nel tipico vortice che permea la storia de "Il Tredicesimo Re".

Qualunque considerazione sui fatti e sulla trama, dubbi o richieste, preferenze e ogni sorta di pensiero... non vedo l'ora di scoprire ciò che pensate^^
Prossimo aggiornamento: 28 Agosto

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Capitolo 8
*** Ottava Parte ***










 
«Lui è Aci…»
«Miva!» Aci la strinse in un abbraccio stritolante e le stampò un bacio sulla guancia, pericolosamente vicino alle labbra. «È bello vederti!»
Bastian ridacchiò, cercando di trattenere l'ilarità davanti all'espressione sconvolta della ragazza. Miva lo guardò come per dire: ma chi diavolo è questo? «È di Dihastìr» le spiegò semplicemente.
Ella parve scandalizzata ancora di più davanti alla sua calma.
La marcia, prima a Baleor e poi verso Zebenya-eg, era stata tranquilla, ma Bastian l'aveva vissuta con una sensazione estraniante. Il suo plotone si era diretto, solitario, a sud, abbandonando il riparo delle colline e dei prati conosciuti per addentrarsi nel mondo delle risaie. Avevano incontrato piccoli gruppi di donne e bambini di Baleor che si dirigevano verso la capitale, controcorrente rispetto alla loro direzione, ed era stato con l'animo in subbuglio che avevano affossato la voglia di seguirli. C'era stanchezza negli uomini, molti del suo plotone erano con un passo dentro la vecchiaia, gli altri erano troppo giovani. Come Miva. Non doveva essere sorpreso per come la ragazza aveva affrontato il viaggio: testa alta e sguardo fiero. Nei suoi occhi brillava ancora la scintilla di chi ha una fede a cui aggrapparsi. Ogni tanto ella gli aveva lanciato sguardi che lui aveva ricambiato con espressione sicura e un sorriso solo per lei. Aveva guidato il plotone, aveva sorretto l'animo dei suoi uomini; parte di lui era stata partecipe della loro angoscia e aveva tentato di lenirla con quelli che erano stati gli insegnamenti di suo padre. Ma dentro di lui aveva fremuto.
«Lui è Tristall. Quello laggiù è Galbion.» Fece un cenno verso una capigliatura riccioluta e rossa, mentre presentava persone un po' a caso per distrarla. Aci era disarmante a volte, difficile da digerire in un primo momento. Ma era un ottimo arciere, il migliore se parlavi con lui e il suo orgoglio. «Sono i ragazzi di cui ti ho parlato» le sussurrò nell'orecchio, stringendola per un attimo a sé.
«Ci mancherebbe!» esclamò Aci, intendendo di averlo sentito. «Ci hai tormentato, e a ragione, con ricordi e commenti su questa ragazza. Il minimo era ricambiare il favore. Spero che non abbia detto troppe fesserie su di me, tesoro.»
Miva sorrise in modo affettato, una vena che pulsava sulla tempia. Bastian prese le distanze di sicurezza. «Chiamami di nuovo ‘tesoro’, e ti do in pasto la tua stessa lingua per cena.»
Aci rimase a bocca aperta mentre le risate di Tristall e Galbion lo schernirono. «Le hai dato giustizia, Bastian» commentò Galbion, e tese una mano verso di lei. Miva la strinse. Poi fu il turno di Bastian.
Sentì la presa di lui delicata e decisa allo stesso tempo. «È bello rivederti, amico.»
«Amico?» recuperò la parola Aci. «Amico, un corno. Ti ho dovuto inseguire per settimane prima di farti spiccicare una parola. E quello che hai saputo dirmi è stato… defeca.»
Persino Miva rise a quel maldestro tentativo di indorare la battuta. Bastian si godette quelle note di tranquillità, poi si concentrò finalmente sull'orrenda visione che si stendeva alle spalle dei suoi compagni.
Erano giunti alla loro meta, si erano uniti all'Estrema Guarnigione.
La Falda era quasi emersa del tutto, all'orizzonte il Veto brulicava di macchie nere e dorate: i mostri stavano martoriando le coste nell'attesa di poter balzare sopra di loro. Le Cuspidi si ergevano come oscure sentinelle davanti ai loro occhi, pilastri altissimi che immettevano verso quella via del supplizio. Bastian si chiese, come aveva fatto la prima volta, a cosa servissero quelle maledettissime pietre. Erano un monito così grande da poter anche scoraggiare una belva. Ma quale reale potere avevano? Erano solo il simbolo permanente di ciò che li attendeva ogni cinque anni. Le nebbie coprivano l'oriente durante gli anni di pace; le Cuspidi, invece, restavano lì, a ricordare loro qual era il loro sfortunato destino.
Già, sfortuna! Il Dio del Fato era contro di loro.
«Sei di Dihastìr, allora?» stava chiedendo Miva.
Aci ammiccò. «Uomini come me nascono solo lì, te… Miva.»
«Non ha niente di meglio d'offrire la tua città?» lo provocò, una mano al pomolo dell'elsa. Bastian notò che aveva legato il fazzoletto blu ancora al polso. Peccato, pensò, si sarebbe sporcato in fretta, avrebbe cambiato per sempre colore.
«Beh» si grattò la guancia, «qualcosa possiamo trovarla. Perché, ti piacerebbe vederla? Magari quando la guerra sarà finita, puoi fare un salto. Tu e Bastian, che dite? Sarete miei ospiti!»
«Sarebbe bello…»
«Cos'è quella faccia? Suvvia, tesoro, vedrai che…» La gomitata spezzò la frase.
Galbion ridacchiò.
«Riesci a non ucciderlo mentre sono via?» chiese all'improvviso Bastian alla ragazza. «Devo andare nella tenda del Mataj per ricevere gli ordini.»
Miva annuì e alzò gli occhi al cielo. Gli comunicò semplicemente guardandolo: non ho bisogno della balia.
Bastian rise e fece un cenno verso l'arciere, come a dire che il problema era un altro. Si separò da lei con un sorriso complice e si diresse verso l'accampamento, posizionato a mezzo miglio da Zebenya-eg. Tristall, in quanto Arantar come lui, lo seguì.
«Signore!» si annunciarono i due.
Il Mataj di Baleor era un guerriero forzuto; per quanto alto, i muscoli lo facevano sembrare tozzo. Il mantello gonfiava la sua figura e, nonostante le temperature poco primaverili, egli portava solo un corsetto a mo' di corazza. Incuteva terrore.
«Benvenuti, uomini!» li apostrofò, facendoli segnale di allontanare le formalità. «Bene, bene. Sempre più giovani. A quanto pare, Baleor non è l'unica disperata, vedo.»
Un'altra ineluttabile verità: gli uomini morivano troppo presto e ormai si chiamavano ‘bambini’ e alcuni della Leva di svezzamento a guidare i plotoni. Il mondo stava per crollare.
Non ancora.
«Signore, gli ordini?»
L'uomo sbuffò. «Vediamo.» Guardò le mappe sul tavolino e imprecò. «Non c'è molta scelta.» Tornò a scrutarli in modo molto schietto. «La Via è una sola e chi sta davanti muore per primo. Morte veloce» li rincuorò. «Non fanno prigionieri i primi giorni.
«Il plotone di Aproeb sosterrà il fianco di sinistra. I due di Baleor reggeranno il centro delle difese. Di arcieri ne voglio uno per ogni mezza dozzina dei miei, gli altri staranno nelle retrovie. Tutto chiaro?»
I due ragazzi annuirono e si congedarono sbattendo la mano sulla coscia. Bastian aveva avuto modo di seguire gli ordini del Mataj di Baleor cinque anni prima: quell'uomo non avrebbe potuto fare il padre. Non c'era modo migliore di abbattere un guerriero che annunciargli la sua morte imminente. Baleor era formata da leoni da circo: ringhiavano come gatti, impaurivano solo i topi. Ma restavano comunque leoni. Il Mataj era un guerriero eccezionale, e non era da meno il suo secondo, Gideara.
Si avviarono verso l'accampamento dei loro plotoni. Tristall era già concentrato sulla guerra, pronto a tenere vivo l'animo dei suoi guerrieri: era un commilitone nato, viveva per stare in simbiosi con i suoi uomini; forse per questo era stato scelto dalle leve di svezzamento per fare l'Arantar. Sapeva come tenerli uniti. Vivi.
«Tristall, posso parlarti?» si fermò. Il giovane si voltò verso di lui con un mugugno distratto. «Ho fatto un errore.»
«Sì, lo so.»
Bastian si accigliò. «Come?»
L'altro fece spallucce. «Mai unire guerra e amore. Te la sei portata dietro, nel tuo stesso plotone. Questo ti renderà una minaccia per lei e per i tuoi uomini. Li farai ammazzare.»
Bastian strinse la mani a pugno. «Lei non doveva essere qui. Non avrebbe dovuto combattere, non mi avrebbe dovuto mai conoscere.»
Tristall alzò gli occhi per guardare il cielo. Sapeva che non erano le lanterne di fuoco che il guerriero stava cercando. «Sì, sarebbe stato meglio» lo sorprese. I loro sguardi si incrociarono di nuovo. «O è qualcos'altro che vuoi sentirti dire?»
Bastian sogghignò amaramente. «No, va bene così.» Si studiarono in silenzio per un po'. Gli pesava molto quello che stava per dirgli, probabilmente l'altro lo avrebbe denunciato, ma non gli importava. «Devo chiederti un favore.»
«No, non devi. Tu vuoi, non ne puoi fare a meno» socchiuse gli occhi. «Puoi darla a bere a lei, ma io vedo il fuoco della disperazione nei tuoi occhi. Lo hanno in molti da queste parti.»
Annuì, riconoscendo la sua disperazione nella cruda verità dell'altro. «Tienila al sicuro. In due forse possiamo…»
Tristall voltò la testa dall'altra parte.
«Tristall! Non verrò meno ai miei doveri, ma ho bisogno che lei stia al sicuro.»
«Ti odierà, lo sai?» I suoi occhi stavano scrutando i fuochi da campo, oltrepassando le tende. Dalla loro posizione potevano sentire i gemiti di Aci: probabilmente era giunta la sua ora.
«Non m'importa» sussurrò. Era una bugia, ma comunque sarebbe stato il male minore. «Questo non è il suo posto. La sua ora non è ancora giunta. Aiutami a salvarla.»
Tristall annuì senza guardarlo.
Tornarono dagli altri. Tristall si eresse davanti ai lembi della tenda; lanciò uno sguardo verso Aci, che saltellava lontano dalla spada della ragazza, e poi sparì dentro, a tenere compagnia ai suoi. Bastian si avvicinò con un sorriso di sollievo stampato in faccia e si diresse verso la sua donna, tenendola stretta in un abbraccio. «Scappa, Aci.»
L'arciere non se lo fece ripetere due volte, ma comunque si attardò abbastanza da augurare una buona notte ai presenti.
Miva lo guardò sparire con un'espressione corrucciata, poi gli disse: «È simpatico. Ma spero lo stesso che qualche bestia lo fagociti. Se lo prendo io…»
Bastian strinse più forte. «Aci è un arciere formidabile. Ha salvato molte vite.»
Miva fece spallucce, e il movimento la portò lontano dalle sue braccia. «Quanto costa?»
Bastian trovò la forza di ridere. «Parecchio. Dopo non ti lascia più in pace.»
«Piuttosto mi faccio catturare.»
«Non dirlo mai, Miva.» I suoi occhi ebbero un guizzo mentre un'immagine infernale tentava di sopraffarlo. «Dobbiamo sopravvivere per Quindici Decadi, non una in meno.»
«Allora smetti di trattarmi in maniera diversa. Gli uomini parlano, e non voglio trattamenti di favore» corrucciò la fronte.
Bastian ammirò una volta di più il suo austero orgoglio. «Molto bene» annuì prendendo le distanze. «In battaglia ti voglio attaccata agli uomini di Tristall, più verso il centro. A sinistra avrò l'acqua, tu proteggimi il fianco destro.»
Miva annuì con dolcezza. «Ti starò accanto fino alla fine.»


 
 
N.d.A.

Ci siamo, ormai siamo quasi giunti all'epilogo di questo piccolo racconto.
Finora gli eventi narrati erano tutti stati collegati da un fattore: i campi di eliotropi. Ogni spezzone era stato ambientato lì! E, fidatevi, lo sarà anche l'ultimo;)
Sapete già cosa aspettarvi dalla fine? E cosa ne pensate di questo primo incontro con quello che sarà il gruppo di Miva ne "Il Tredicesimo Re"? I personaggi vi sembrano fedeli alla storia principale o notate in loro un cambiamento?
Prossimo aggiornamento: 6 Settembre

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Capitolo 9
*** Nona Parte ***










 
Poteva vedere le Araknaa zampettare frenetiche vicino il margine dell'acqua, avanzavano di un centimetro ogni qual volta la marea si ritirava un po' di più, ogni minuto che passava. Poteva immaginare i corpi nodosi dei Racahar erigersi come blocchi di legno arroventato, i lapilli che tenevano a mo' di guinzaglio le creature intorno.
Gli occhi di Bastian saltavano dalla sponda sempre più vicina del Veto alla figura di Miva. Sentiva i suoi uomini raschiare in cerca d'aria, poteva vedere quelli più prossimi stringere le armi come se fossero amuleti. Miva stava guardando in faccia il nemico e i suoi occhi vedevano qualcosa che non era lì: stava pensando ai suoi amati prati, alla sua terra. La sua arma era il coraggio di salvare la sua innocenza, nonostante l'orrore che avanzava.
Bastian prese un respiro profondo e lanciò uno sguardo a Tristall, alcune braccia più a destra. L'Arantar parlava ai suoi uomini, li teneva uniti, fremeva per poter assaggiare il sangue dei mostri. Non avrebbe incrociato il suo sguardo, ma non importava: su Tristall si poteva contare.
Furono attimi, o forse ore, lunghissimi. I mostri acquisivano terreno, loro mantenevano le fila e lottavano contro l'istinto di retrocedere. L'attesa era sfibrante, li stava logorando. Al momento dell'impatto, gli uomini sarebbero giunti già con un piede dentro la forza, sconfitti dentro.
Miva urlò.
Bastian si voltò verso di lei, sconvolto, e restò a bocca aperta nel studiare la sua espressione: non era paura, ma un grido di sfida, una scarica di adrenalina per scacciare l'infida iena che era l'angoscia. Altri, dietro di lei, fecero lo stesso. Presto i guerrieri di Baleor ruggirono come fiere pronte a balzare. Bastian caricò unendosi agli altri, poi sbuffò, libero e con la mente sgombra.
La Falda emerse totalmente, e non ci furono più fronti o barriere. Solo uno stridere di ferro e la voracità del Volor che si preparava ad accogliere le prime vittime.
Bastò un secondo e un vuoto atavico catturò il suo stomaco. Lei era scomparsa nella mischia. Poi vide i suoi capelli danzare e la sua spada spillare sangue. Serrò i ranghi del suo plotone e affrontò la prima linea avversaria. Il primo mostro gli si parò davanti come un muro insormontabile. Gli arpioni e le lance erano pronte. Corde si tesero, bastoni perforarono la carne. Bastian impegnò le corna sporgenti e ne spezzò alcune. Si abbassò e la lama del suo commilitone affondò nella carne scoperta. Il Bizar stramazzò con un grugnito seccato.
Le Araknaa sgusciavano da ogni dove, saltavano sopra ai corpi delle belve, svicolavano tra le loro zampe, zampettavano ovunque per confondere l'avversario. Erano una prolifera colonia di insetti giganti che cangiò il colore della Via.
Bastian tranciò in due un corpo e si costrinse a ruotare su se stesso per evitare le zanne di un altro. Indietreggiò, si protesse il fianco e sferrò un attacco dal basso, uccidendone un'altra. Una terza si aggrappò alle sue spalle e minacciò di fagocitarlo nella calca, ma la sua presa si sciolse, il peso che gravava sulla sua schiena più leggero. Si scrollò le zampe di dosso e vide che il restò del corpo era rotolato lontano. Miva ritirò la spada e allontanò una ciocca di capelli dal viso; il movimento, fatto con le mani sporche, segnò il viso con una striscia violacea. Sangue bestiale.
La foga della battaglia non riuscì a dividerli. All'alba, quando le belve si ritirarono, Bastian aveva perso solo un uomo, il quale era stato avventato e durante la ritirata dei mostri aveva fatto un passo di troppo in avanti. Un Arakna si era contorta all'indietro e lo aveva squartato. Aci l'aveva poi uccisa, piantandole una freccia nel pomo sporgente.
«Stai bene?» furono le prime parole.
Miva annuì, poi si piegò e vomitò.
«È normale. Anche l'anima ha bisogno di tempo per abituarsi.» Si sedette al suo fianco e incrociò le gambe. «Mi hai salvato la vita.»
«Aspiro a qualcosa di più… di più» mugugnò.
Bastian sollevò un angolo delle labbra. «E comunque qualcosa, no? Voglio dire» e l'attirò a sé. Un lampo di disgusto passò sul suo volto ed egli mollò la presa.
Ella si scusò. «Non è un buon odore.»
«Lo so.» Distolse lo sguardo e soppesò l'accampamento improvvisato.
Qualcuno aveva trovato la forza di accendere un fuoco e mettervi sopra un calderone, da cui si alzava un fumo spento che, nella foschia del nuovo giorno, si amalgamava con il paesaggio offuscato e un po' smorto. O forse erano i suoi occhi che lo vedevano così. Dopotutto, il Volor sobillava ancora, la luce s'infrangeva sulle onde; la Via brillava grazie alle filtrazioni d'acqua e Miva era al suo fianco. Cosa c'era che non andava in tutto questo? Un uomo del suo plotone era morto e ora giaceva in mezzo a un sentiero di cadaveri, proprio di fronte a lui. Il viso di Miva s'insinuò di nuovo nella sua visuale e catturò la sua attenzione.
«Tu puzzi.» E lo baciò.
Quando poté riprendere fiato, Bastian sussurrò: «Anche tu.»
Miva sospirò. «Te ne farai una ragione, come me. E non te ne aspettare un altro tropo presto. Ho bisogno d'aria pulita.»
Bastian ridacchiò sottovoce e lasciò che si allontanasse da lui e da quella macabra visione.
I giorni si susseguirono tutti uguali, ma la ripetizione dei loro gesti non divenne mai monotona: le creature attaccavano sempre con molta fantasia, all'improvviso, in orari sempre diversi; un attacco poteva durare ore o pochi secondi. Quelle belve avevano un'intelligenza, sapevano come sfibrarli dentro, togliendo ogni più piccolo granello di certezza dalla loro mente. Miva era uno stratega del popolo, sapeva come combattere quel tipo di guerra. Quando un soldato era per terra, ella lo aggrediva o consolava, a seconda di chi aveva davanti. Comprendeva l'uomo e agiva di conseguenza. Fu sua l'idea di attaccare per primi, un giorno. L'ennesimo attacco si era portato via diversi uomini, Bastian pregava per tre anime del suo plotone quel giorno. Per un attimo si era chiesto se aveva davvero senso pregare per un morto. Miva lo aveva afferrato da una manica e lo aveva scosso. «Attacchiamo» aveva detto con ardore, lasciando che altri sentissero le sue parole. «Hanno infierito sui nostri compagni feriti. Attacchiamoli. Ci hanno appena battuto. Attacchiamoli. Attacchiamo, perché non se lo aspettano.» Bastian non si era reso conto di stare annuendo. La voce era diventata un'onda impetuosa, aveva cavalcato la guarnigione e si era infranta contro il Mataj, che aveva annuito. «Attacchiamo» aveva detto. E così, i disperati erano balzati e le bestie erano state soverchiate, sbandando e rompendo le fila. Quel giorno avevano riconquistato terreno; per la prima volta, forse, avevano avanzato verso la loro vecchia casa.
 
 
«Quando torneremo a casa, voglio sposarti.» Era l'aurora, il verde aveva per alcuni minuti accecato quel tratto di cielo, abbagliando i loro occhi. Meglio: se avesse visto il suo viso, non avrebbe trovato il coraggio di dirlo ad alta voce.
«Perché?»
Bastian sgranò gli occhi. Perché? Perché non poteva mai fare domande normali? Che domanda era "perché"? «Un guerriero può solo sposare un altro guerriero.» E la sua, che risposta era? Pensandoci bene, la sua interpretazione era spaventosa, ma era anche la verità: loro erano diversi da chi rimaneva a casa, a pregare.
«Bastian?» Silenzio. «Come faremo a tornare a casa? Dopotutto questo» aggiunse.
Bastian si puntò su una mano e si sporse verso di lei. «Sono già tornato da questo posto, e tu eri lì ad aspettarmi.»
«Io cosa troverò?»
«Troverai il verde dei prati, e l'azzurro del cielo sulla terra. Sembra bello, non credi anche tu?»
Miva chiuse gli occhi. Sorrise.
«Allora?»
«Cosa?»
«Vuoi sposarmi?»
Miva trattenne le labbra, ma due fossette spuntarono sulle guance.
«Miva!» Entrambi si voltarono verso il guerriero. «È giunto il messaggero. Partirà subito.»
Miva scattò in piedi. «Arrivo!» urlò. «Devo scrivere alla mamma. Ho un paio di cose da dirle.» Finalmente il suo viso si aprì in un sorriso immenso. Corse incontro al guerriero, si bloccò, tornò sui suoi passi e gli stampò un bacio trattenendo il fiato.
In mezzo a quello scenario di luce sfolgorante, Bastian sentì la forza di ridere, e lo fece. La vide correre ai margini dell'accampamento, slittare tra le tende come un indomito felino, raggiungere i reparti arretrati e sparire alla ricerca del messaggero. Era fermezza e delicatezza insieme; e la amò, una volta di più.
Sentì solo allora le urla fagocitarlo nell'inferno.
Mal aveva brillato sulla linea dell'orizzonte, aveva accecato di luce i loro occhi e aveva nascosto le belve. I Caimhal erano lì. Un intero branco. L'oro divenne il colore della morte, lussuriosa, questa, di anime indifese.
Alcuni balzarono tra le tende, distrussero ogni cosa; altri sventolarono i pungiglioni e spazzolarono le prime linee, uccidendoli come formiche. Paioli volarono, zuppe si riversarono per terra. I fuochi crepitarono, alcuni ruggirono e molti si spensero, ancora braci. Il suo plotone era spiazzato, costretto allo sbaraglio. Bastian aveva sempre con sé la sua spada.
«Uomini, alle armi!» vociò, come burrasca contro uno scoglio.
Gli uomini drizzarono le orecchie, risposero al richiamo. Scudi vennero infranti, mentre uomini morivano per dar tempo ai compagni di armarsi. Le spade cozzarono e i primi mostri vennero accerchiati.
«Alla gola. Costringetele a esporre la gola o il basso ventre!» Sapeva che quelle zanne appuntite nascondevano l'unico punto del loro corpo che era non coperto da una corazza, insieme a un punto impreciso nel basso ventre in cui quest'ultima era più sottile e fragile.
Si lanciò contro il primo. Quello lo guardò, come si guarda una formica che tenta di arrampicarsi su un piede, e si voltò con sguardo abulico per sferzare la coda. Bastian si protesse il corpo con la spada messa di dritto, ma la potenza di quell'arto fu tale da spezzare il perion della sua arma. L'impatto lo scagliò per metri sulla pietra runica. Si graffiò e sbatté la tempia.
Il mondo divenne offuscato, tutto sbiadì e per un attimo la figura di suo padre diventò più reale della battaglia. Il viso dell'uomo era teso ed energico, così come lo ricordava l'ultima volta; la sua presenza gli trasmetteva un senso di tranquillità. Attraverso i suoi occhi vide lo scontro per quello che era: una carneficina senza quartiere. Non c'era più un esercito, solo uomini al massacro. E poi vide i reparti delle retrovie, quelli che stavano allestendo le tende dei curatori, quelli che si stavano occupando delle missive e dei piani di attacco; laddove Miva era andata per scrivere alla madre, forse di loro e dei piani per il loro futuro. Essi erano lontani dal cuore di quello scempio, potevano prepararsi a reagire o battere in ritirata. E ricordò che Tristall era lì, con il Mataj di Baleor. Quel pensiero lo fece sentire in pace.
La vista gli si schiarì, il cuore si regolarizzò. Portò una mano alla tempia e la ritrasse insanguinata. Sentì il proprio respiro rombare nella cacofonia lontana, assaporò la fredda aria uscire intiepidita dalle sue labbra. Su di esse, c'era ancora il sapore di lei.
Le sue mani tastarono il terreno, sicure di trovare quello che cercava. Strinse la lancia di un guerriero senza più parte del corpo e si rialzò. «Non temete! C'è il cielo ad attendervi, e non sarà fatto di tenebra!»
Ricompattò le fila, e come un sol uomo attaccarono tutti insieme. Al suo plotone si unirono i resti degli altri, disperati e inferociti da quell'orrore. Un uomo che viene spogliato della vita diventa una furia vendicativa, proprio lì, sulla soglia dei Portoni del Volor. Bastian poté sentirlo di nuovo, il suo Dio, ruggire e innalzarsi. Il suo plotone divenne una manna. E fu gloriosa, proprio come la sognava da giovane. Era l'epica battaglia, quella che si combatteva a fianco di dei e contro di essi. La lancia penetrò la corazza nel basso ventre del Caimhal, nel punto coperto dalla zampa anteriore, proprio mentre il mostro l'alzava per sferrare una raffata. Per un attimo gli uomini ruggirono vittoriosi, si sentirono guerrieri liberi e potenti. Bastian aveva salvato Miva. Poi il corpo del mostro piombò sopra di lui e tutto fu un frenetico annaspare.
Sprofondò. E mentre sprofondava fu catapultato nel suo mondo di pace. Non era Velenia, e ne fu sorpreso solo in parte. Si trovava di nuovo sui Campi Eliòpei. Lei non c'era, ma poco importava. Significava solo che era ancora viva, al sicuro. Tristall era con lei.
La sua testa riaffiorò mentre il mare si ritirava per alcuni momenti. Il corpo del mostro lo imprigionava, sentiva le ossa frantumate, l'acqua gli faceva il solletico. Poi una nuova ondata lo sommerse di nuovo. Il suo Dio lo stava accarezzando, quasi lo vide voltarsi e scrutarlo con l'altro occhio. Suo padre era al suo fianco, gli reggeva la testa come faceva quando era bambino, per consolarlo. Si sentì cullare, mentre il peso diventava d'un tratto lontano, sempre più lontano.
Sentì l'acqua dentro i polmoni, il sapore del Guardiano prendere sotto braccio la sua anima. E mentre passava sotto i Portoni, tenne stretto il sapore di lei sulle labbra. Dall'altra parte c'era il campo di Eliotropi. Sorrise. L'avrebbe aspettata lì, sulla soglia della loro casa.


 

N.d.A.

Ed eccoci alla fine!
Ci sarebbero ancora dei particolari da raccontare, ma ho preferito non farlo sostanzialmente per due motivi: il primo è che questo racconto appartiene a Bastian, il punto di vista è solo il suo; il secondo è che gli altri sono deducibili, sia da questa trama che, sopratutto, alla principale, alla quale fanno riferimento.
Ora sapete quale rancore Miva porta a Tristall e anche perché questa donna odia tanto il rumore delle onde.
Adesso non mi resta che scusarmi con Ayr, la quale aveva già capito che fine aspettava questo personaggio. La resa è stata all'altezza delle aspettative?
Ringrazio te, OldFashioned e alessandro_94 per aver seguito questa storia fino alla fine; e grazie anche a chi ha letto la storia in sordina. Adesso potete linciarmi.
Io, intanto, festeggio la conclusione del primo Racconto del Veto.
Vi aspetto molto presto nella principale.
Grazie^^

N.B. 
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