Falso Contatto

di FatSalad
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Falso contatto ***
Capitolo 2: *** Luci e ombre ***
Capitolo 3: *** Circuito chiuso ***
Capitolo 4: *** Carica negativa ***
Capitolo 5: *** Batteria scarica ***
Capitolo 6: *** Intermittenze ***
Capitolo 7: *** Illuminazione ***
Capitolo 8: *** Carica positiva ***
Capitolo 9: *** Kilowatt ***
Capitolo 10: *** Corrente ***
Capitolo 11: *** Contatto ***
Capitolo 12: *** Resistenze ***
Capitolo 13: *** Immagine residua I ***
Capitolo 14: *** Immagine residua II ***
Capitolo 15: *** Interruttore ***
Capitolo 16: *** Risparmio energetico ***
Capitolo 17: *** Alta tensione ***
Capitolo 18: *** Sviluppo e innovazione ***
Capitolo 19: *** Black out ***
Capitolo 20: *** Fiammiferi e candele ***
Capitolo 21: *** Shock ***
Capitolo 22: *** Energia ***
Capitolo 23: *** Epilogo - Elettricità ***



Capitolo 1
*** Falso contatto ***


 
“Che giornata di merda!” pensò Spartaco lasciando cadere il borsone degli allenamenti e togliendosi il giubbotto prima di buttarsi sul divano. Fece un paio di sospiri profondi massaggiandosi gli occhi con due dita, poi cercò di trovare qualche aspetto positivo della sua situazione. Solo a quel pensiero gli venne da sorridere, ricordando che quel “metodo dell'ottimismo” gliel'aveva insegnato il suo amico Kilowatt e subito si affrettò ad accendere il pc per correre a lamentarsi da lui, sperando che fosse online.
Dopo aver premuto il tasto dell'accensione andò verso il frigo, raggiungendolo in due falcate. Lo aprì e ne esplorò il contenuto con lo sguardo.
«Merda, la spesa!» sbottò il ragazzo ricordandosi in quel momento che avrebbe dovuto fermarsi in un supermarket prima di rientrare a casa.
Avrebbe dovuto, appunto, ma se ne era scordato. Con uno sbuffo richiuse il frigo e portò una mano a massaggiarsi la nuca, scompigliando i riccioli mori ancora un po' umidi di doccia. Aggiunse mentalmente alla lista delle proprie disavventure giornaliere anche quella piccola dimenticanza, e mise un pentolino d'acqua sul fuoco.
«Stasera pasta in bianco! - Esclamò tra sé imitando una voce entusiasta. - Yu-hoo!» continuò con meno convinzione, tornando con due passi in salotto.
Due passi erano la distanza massima che separava le stanze del suo appartamentino. Non che Spartaco avesse da lamentarsi, a ventisei anni era già piuttosto orgoglioso di potersi permettere di vivere da solo senza alcun aiuto da parte dei suoi e poi in quelle tre stanze c'era tutto ciò di cui aveva bisogno. Camera, bagno, salotto e cucina minuscola, ma provvista di frigorifero, forno e addirittura di una lavastoviglie. Per la lavatrice invece il ragazzo si serviva delle lavanderie a gettone di cui il centro pullulava, quando non rifilava direttamente il cestone dei panni sporchi a sua madre, ogni volta che tornava a panzo a casa la domenica.
Sedendosi sul divano con il portatile sulle gambe si affrettò ad entrare nel social in cui chattava ormai abitualmente con Kilowatt.
- Kilo... ho avuto una giornata di merda!
Lo informò digitando la frase in fretta, impaziente di liberarsi di quel peso e fiducioso di trovare conforto nel saggio amico virtuale.
Andava ancora all'università quando aveva cominciato a giocare ad un gioco di ruolo online, dove aveva stretto amicizia con Kilowatt. Spartaco aveva subito salutato il giocatore con uno scherzoso “Salve, amico! Potresti aiutarmi con la tua carica”, non solo perché avesse bisogno di aiuto nell'affrontare una missione, ma anche perché come proprio nickname aveva scelto “CortoCircuito” e quell'incontro gli era sembrato un disegno del destino.
“Certo, amico! Già mi sembra di avere un legame fisico con te” aveva risposto l'altro, continuando il gioco di parole patetico.
Insieme avevano pensato tante strategie, sconfitto diversi boss e passato tante notti in bianco, incapaci di staccarsi dallo schermo del computer. Poi avevano iniziato a scriversi e parlare anche di altri argomenti che non riguardavano affatto i giochi di ruolo, finché Kilowatt non aveva invitato Spartaco su un social per poter chattare tranquillamente quando ormai entrambi si erano stancati di combattere mostri. Dopo tutto quel tempo, ancora Spartaco non conosceva il nome dell'amico e viceversa, non sapevano né l'età del loro interlocutore né cosa facesse l'altro nella vita, continuavano a chiamarsi con i loro nickname e non avevano mai chiesto di vedersi in faccia. Forse avevano paura che informazioni così personali avrebbero rotto l'incanto creato dall'anonimato e ogni tanto Spartaco si ritrovava a pensare “Meglio non sapere se il mio amichetto dall'altra parte dello schermo è un bimbo delle elementari”.
- Che ti è capitato, Corto?
Spartaco ci pensò su, prima di decidere quanto rivelare della propria giornataccia. Eliminò i particolari, non importava che Kilo sapesse che aveva fatto tardi a lavoro perché non trovava parcheggio, che la nuova arrivata gli aveva sbattuto contro rovesciandogli addosso mezza tazza di caffè bollente, che al lavoro si era annoiato come non mai e che si era scordato di fare la spesa. Pensò piuttosto alla telefonata della sua ragazza, Barbara, che gli aveva sensualmente proposto di raggiungerlo a casa e al modo in cui lui aveva cercato di dissuaderla. Aveva gli allenamenti di calcio quella sera, non sapeva quando sarebbe tornato a casa, avrebbe mangiato tardissimo e via dicendo.
«Vabbè, ho capito»
Aveva detto Barbara con tono aspro, prima di chiudere la chiamata e lui si era sentito da una parte sollevato, dall'altra colpevole, perché prima di andare agli allenamenti aveva comunque trovato il tempo di passare, come ogni venerdì, dal negozio di elettronica e guardare le ultime novità della corsia di videogiochi, mentre Camilla, la commessa, scambiava due chiacchiere con lui. Si era sentito di nuovo vagamente in colpa quando la ragazza gli aveva chiesto:
«Me lo offri un caffè?».
«Hai ragione, offri sempre tu!» aveva risposto prontamente lui, ricordandosi di come, sfruttando il proprio impiego, Camilla ogni tanto gli facesse provare il caffè in cialde dei nuovi arrivi del reparto “Elettrodomestici da cucina”.
«Speravo in un caffè ad un bar» aveva ribattuto lei e a Spartaco era parsa risentita.
- Ho litigato con la mia ragazza
Decise di sintetizzare.
- E poi un'amica se l'è presa a male perché non le ho offerto un caffè! - Continuò. - Dico io, ti sembra un motivo valido? E poi la mia ragazza lo sa che il mio appartamento è piccolo, è un buco e che stasera sarei tornato a casa tardi...
Andò avanti per qualche minuto finchè, non si rese conto che Kilowatt non aveva ancora risposto nulla.
- Io odio le donne!
Concluse con enfasi, aspettando comprensione.
- Corto... hai appena detto di odiarmi.
Spartaco rilesse qualche secondo quelle poche parole, cercando di capire dove fosse il gioco di parole, la battuta o la citazione, ma continuando a trovare un unico significato a quella frase.
L'unica cosa che gli fece distogliere l'attenzione dallo schermo fu un rumore sgradevole che lo raggiunse dal piano cottura.
«Merda, l'acqua!»
Saltò in piedi ricordandosi in quel momento della sua cena che stava straboccando dalla pentola con sbuffi pericolosi e cercò di riparare al danno.
«Che giornata di merda!» esclamò di nuovo, contemplando il disastro davanti a sé.
Il ragazzo era così in crisi per quell'eccesso di donne, che appena si ricordò di avere un migliore amico maschio, del quale conosceva la consistenza fisica stavolta, digitò in fretta e furia il suo numero di cellulare, ricordandosi a chiamata già inoltrata che forse Giovanni non era ancora uscito dal lavoro. Diede un'occhiata all'orologio che aveva al polso, senza chiudere la chiamata: forse poteva avere fortuna.
«Yo, capitano!»
“Capitano” l'aveva chiamato, come sempre. Spartaco sbuffò nel sentire quel soprannome, cercando di nascondere una risatina. Era un soprannome che gli era rimasto dagli anni del liceo, dove avevano giocato tante partite di calcetto uno a fianco all'altro.
«Sei a lavoro?» chiese Spartaco con un minimo di educazione, come per scusarsi della sua chiamata ad un'ora tanto tarda del venerdì sera.
«Sono appena uscito, tranquillo. Che succede?»
Giovanni era sempre stato un tipo pratico e Spartaco conosceva il valore della sua amicizia. Si erano conosciuti il primo giorno di scuola di liceo e si erano piaciuti fin da subito, riconoscendo l'uno le qualità dell'altro e decidendo tacitamente che era meglio mostrare un atteggiamento di complicità piuttosto che di competizione. I due erano rimasti in classe insieme finché Spartaco non era bocciato all'ultimo anno e aveva visto Giovanni iniziare da solo l'avventura dell'università. Purtroppo lì il suo amico era rimasto e mentre Spartaco recuperava il tempo perso e si laureava, Giovanni doveva ancora finire gli esami di Economia e Commercio. Nel frattempo alcuni giorni a settimana portava menù e prendeva ordinazioni ad una pizzeria, mentre Spartaco, dopo aver venduto contratti di energia elettrica per qualche mese, ancora fresco di studi di Ingegneria aveva vinto un concorso alla stessa compagnia, assicurandosi un contratto a tempo indeterminato in un comodo ufficio.
«Giova, ti ricordi il mio amico cibernetico Kilowatt?»
«Quello del gioco online?» chiese l'amico.
«Sì, lui. Ecco, lui... è una donna.»
«Uh! Cazzo...»
Sapeva che Giova l'avrebbe capito.
«...scoccia essere più scarso di una femmina, eh?!»
«Ma che hai capito?! Non so che fare ora...»
«E che vuoi fare? Chiedile di farti vedere le bocce!» disse concludendo con una risatina.
«Deficente. Voglio dire... io l'ho trattata come un ragazzo! Penso... sì, penso di averle raccontato anche qualche mia scopata o roba del genere!» affermò, sgomento.
«Allora chiedile di raccontarti qualcuna delle sue, di scopate! Senti, evidentemente a lei non è importanto molto, no?» continuò dopo aver udito il grugnito di disappunto di Spartaco.
«Ha continuato comunque a parlarti e poi, che ne sai? Magari è lesbica, o magari le piace sentire come scopi una donna... anzi, più probabilmente è una nerd obesa che piange ogni volta che ti sente nominare il sesso perché nessuno se la fila...»
«Cazzo, Giova, così non mi aiuti!»
«Che vuoi che ti dica? Avete continuato a chattare anche quando avete smesso di giocare a quel gioco, non vedo perché non possiate continuare ad essere amici anche dopo che il suo sesso è cambiato... ehi! Ci hai pensato? Magari era davvero un uomo, prima.»
«Questo risolverebbe la questione, sì. Glielo chiederò.» concluse Spartaco, fingendosi serio.
«Grazie amico, ci vediamo!»
«Di nulla. In bocca al lupo per la partita e buon fine settimana a te che non lavori!»
Spartaco chiuse la conversazione, sentendosi rincuorato dalla voce dell'amico. Tornò a controllare la pasta sul fuoco e si arrese all'evidenza: avrebbe cenato a pasta in bianco e cotta troppo.
Tornò al computer con il lauto pasto in mano e trovò una serie di messaggi di Kilowatt che si accertava sulla sua salute con “ehi, tutto bene?” e “sei scappato da qualche parte, Corto?”.
Spartco sorrise. Bene, se stava parlando con una ragazza, innanzitutto doveva smettere di farsi chiamare “Corto”, decisamente non voleva darle l'idea sbagliata.
- Kilo... sei davvero una ragazza?
- Oh, allora ci sei. Sì, così mi hanno spiegato fin da piccola.
Spartaco ridacchiò, pensando che quella risposta eliminava anche l'ipotesi di Giovanni. Com'era possibile che in tutto quel tempo non si fosse mai accorto di parlare con una ragazza?
- Perché non me l'hai detto prima?
- Perché non me l'hai mai chiesto.
Rispose lei, con una logica così semplice da sembrare quasi scontata. A pensarci bene, forse si ricordava di qualche volta in cui Kilowatt aveva scritto qualche verbo con terminazione femminile, ma il più delle volte Spartaco non ci aveva fatto caso, considerando quelle “a” finali solo degli errori di battitura.
- Allora forse dovrei ritrattare le miei opinioni sul genere femminile?
Chiese, incerto.
- Figurati, non l'ho presa sul personale, però, a dirla tutta, penso di capire la tua ragazza.
Spartaco non scrisse nulla, in attesa di delucidazioni, che non si fecere attendere troppo, dopo che ebbe scritto un:
- Allora illuminami, per favore!
- La tua donna sta solo cercando sicurezze, conferme dei tuoi sentimenti per lei, le donne sono fatte così. La tua casa magari è piccola e scomoda come dici, ma se le lasci la porta chiusa lei penserà che vuoi lasciarla fuori da una parte della tua vita, che non ti fidi veramente di lei, che non vuoi impegnarti fino in fondo, ecco.
Spartaco ancora non rispose, continuando a fissare quelle linee nere sullo schemo bianco. Odiava le donne, soprattutto quando avevano ragione.
- Stai a vedere che mi sei più utile da amica che da amico!
Le disse scherzoso, ma consapevole del fatto che ogni singola parola che aveva scritto riassumeva perfettamente la sua situazione e pensando tra sé che aveva già abbastanza problemi con le donne che conosceva senza doverne aggiungere di nuove.
«Non so come mai, ma ho paura che le cose si metteranno male...»
Fu il suo ultimo pensiero prima di abbandonare il piatto sporco nel lavandino e fare i due passi che lo separavano dalla camera da letto per coricarsi dopo quella giornata di m... alintesi.


Il mio angolino:
NB Questa storia nasce come spin off della mia precedente long Whatsapp Love, non è necessario aver letto la prima, ma se volete sapere qualcosa sul passato dei personaggi... sapete dove andare! ;)
Adesso conoscete Spartaco... ma ci sono ancora un sacco di personaggi da introdurre!
Per chi invece già conosceva Spartaco... benritrovati! Forse questo non sarà il sequel che qualcuno si aspettava, ma spero che seguirete ugualmente la storia e che vi appassioniate alle nuove vicende del vostro (cioè mio... XD) moretto preferito!
Fatemi sapere cosa ne pensate!
FatSalad

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Capitolo 2
*** Luci e ombre ***


Il cielo era limpido, solo una nuvola sfilacciata ne sporcava l'azzurro, il sole scaldava i corpi sudati e accaldati, il terreno, poco curato in un paio di zone, giocava dei brutti tiri ai calciatori meno attenti.
Spartaco aveva il fiatone, ma cercava di ripetersi “Un ultimo sforzo, un ultimo sforzo!”. Alzò lo sguardo sui compagni e li trovò demoralizzati e abbattuti, allora, con più foga e rabbia del solito, gridò qualche incoraggiamento dal centrocampo. Non fu abbastanza e negli ultimi minuti la sua squadra non riuscì a totalizzare alcun punto.
La partita finì in pareggio, tra gli scarsi applausi del magro pubblico, ma Spartaco, seppur insoddisfatto, si sentiva almeno più tranquillo di prima: era riuscito a scaricare un po' la tensione.
Fece una doccia, si cambiò in abiti comodi e guardandosi un attimo allo specchio gli venne quasi da ridere. Di solito la gente conservava il vestito migliore per la domenica, lui invece, costretto a vestirsi in abiti semi-formali quotidianamente, amava rimanere in tuta da ginnastica almeno nei giorni festivi.
«Ehi, Spartano, ci sei?» chiese una voce petulante che riconobbe come quella di Michele.
D'altronde era l'unico individuo a chiamarlo con quell'odioso soprannome.
«Mh» si limitò a rispondere.
«Che rabbia! Potevamo vincere!»
“Certo,” pensò Spartaco, aspettandosi quel commento più che usuale “come tutte le volte”.
«Hai visto com'è entrato a gamba tesa il numero 9? E l'arbitro ha fatto finta di niente! Hai visto? E quello stronzo del mister...»
«Carli!» proruppe un vocione autoritario alle loro spalle.
«Sì, mister? Non ho detto nulla, mister! Buona domenica, mister!»
«Sarà meglio...» grugnì l'uomo di mezza età che aveva incrociato le braccia abbronzate e fissava il giocatore con sguardo severo.
«Quello è un mostro...» disse Michele a bassa voce, in modo che potesse sentire solo Spartaco, mentre uscivano dagli spogliatoi uno di fianco all'altro.
«Comunque, che è successo? Mi sembri un po' sotto tono, oggi.»
«Ma no, niente...» si decise a rispondere Spartaco in modo vago.
«Uh... nuova ragazza?» chiese l'attaccante curioso con lo sguardo affamato di un predatore, vedendo una brunetta minuta che stava sorridendo nella loro direzione.
«Non ci pensare nemmeno, mio sorella è occupata.»
«Sorella?» chiese con gli occhi sgranati guardando alternativamente lui e la ragazza.
«Ed è occupata, hai detto? …occupata occupta?»
«Occupatissima! E anche se non lo fosse non la lascerei certo a un coglione come te!» disse dando una gomitata al compagno di squadra per sottolineare il concetto.
Non si aspettava di trovare la sorellina alla partita e, d'altra parte, si sarebbero visti comunque quel giorno, non potevano mancare al tradizionale pranzo della domenica da mamma e papà.
«Sei arrivata ora?» le chiese con un sorriso, appena fu abbastanza vicino.
«No, ho visto tutta la partita! Peccato che non abbiate vinto.»
«Non far finta che te ne importi!» scherzò lui, pizzicandole un fianco e facendole fare un balzello.
Si gustò la risata che seguì, pensando che davvero c'era qualcosa di bello al mondo, dopo tutto, ed erano le persone che lo amavano di più, come sua sorella che compariva e gli regalava i suoi sorrisi più belli proprio quando ne aveva un inconsapevole bisogno.
«Piacere, Michele.» si intromise il ragazzo tendendo la mano verso di lei con un sorriso.
«Giulia.» disse semplicemente la ragazza.
«Non dargli troppa confidenza, a questo cetriolo!» scherzò Spartaco stringendo il collo del compagno di squadra con un braccio, recuperando improvvisamente tutte le sue energie.
«Ahi, ehi! Ma che dici?!» si lamentò il ragazzo, si rivolse poi a Giulia, contorcendosi sotto le braccia di Spartaco per riuscire a guardarla negli occhi il meglio possibile.
«Come mai tuo fratello è così cretino? Ah, Giulia, vieni anche tu stasera? Andiamo a un pub con tuo fratello e...»
«Carli!»
La voce dell'allenatore tuonò dal ciglio della porta degli spogliatoi.
«Sì, mister!» disse subito Michele scattando sull'attenti e perdendo ogni brio.
«Hai lasciato anche le meningi insieme ai tuoi calzettoni puzzolenti?» urlò l'uomo, mostrando un paio di appariscenti scarpe coi tacchetti, in cui erano appallottolati dei calzettoni sporchi.
«No, mister, mi scusi, mister!» rispose meccanico il ragazzo, correndo poi dall'uomo e beccandosi uno scappellotto e una ramanzina.
Spartaco scosse la testa, divertito, poi spostò lo sguado su sua sorella, specchiandosi in quegli occhi verdi quasi quanto i propri.
«Allora, sorellina? Qual buon vento ti porta ad uno stadio di calcio?» chiese, intuendo qualcosa.
«Dovevo dirti una cosa.» rispose lei vaga, distogliendo lo sguardo.
«Dimmi tutto.»
«No, non c'è fretta, possiamo fare, per esempio, che tu lasci la macchina qui e guidi la mia fino a casa, così parliamo durante il tragitto. Che ne dici?» propose Giulia con un sorriso esageratamente largo e finto.
«L'hai fatto apposta, vero? Hai pianificato tutto perché ancora non ti piace guidare.»
«Ma che dici?!» fece lei, mentre i suoi occhi rivelavano che suo fratello aveva totalmente ragione. Spartaco sospirò.
«E va bene, vieni.» disse incamminandosi verso il parcheggio e frugandosi in tasca alla ricerca della chiavi.
«Oh-oh... mi sa che invece mi tocca guidare..»
A quell'affermazione Spartaco alzò gli occhi e per un frammento di secondo i suoi piedi si bloccarono, poi riprese a camminare verso la figura che lo aspettava all'ingresso dello stadio. La prima cosa che saltava agli occhi di quella ragazza, ancor prima del taglio di capelli cortissimo; degli orecchini appariscenti; dei vestiti completamente neri nonostante fosse un maggio piuttosto caldo; della linea spessa di eyeliner; erano le sue labbra dipinte di un rosso acceso, labbra piene, ben disegnate, sensuali. Non passava inosservata neppure per la sua figura slanciata, sottolineata da un paio di stivaletti con tacco a spillo e dei pantaloni attillati ai cui passati erano aggrappati i pollici della ragazza, in una posa di spavalda sicurezza.
«Ma no, Giuli, posso dirle...» fece Spartaco col tono più disinvolto che riuscì a trovare, prima di essere interrotto dalla sorella.
«Non le dici proprio niente, invece! Non mi userai come scusa per non parlare con la tua ragazza!»
Come faceva a sapere sempre esattamente cosa passava per la sua testa?
«Io fiuto la tua paura!» disse lei ridacchiando, leggendogli ancora una volta nella mente.
Bah... le donne e il loro sesto senso!
«Ci vediamo a casa, allora.» lo salutò Giulia prima di entrare a malincuore in auto e fare manovra con qualche difficoltà.
Spartaco scosse la testa divertito nel vedere le scarse doti della sorella al volante, poi, non potendo rimandare oltre, si avvicinò alla sua ragazza: doveva affrontarla.
«Ciao.» disse sistemandosi meglio il borsone a tracolla, grato di avere le mani occupate.
«Riguardo all'altra sera...»
Cosa gli aveva detto Kilowatt? Che probabilmente Barbara volendo entrare in casa sua cercava delle sicurezze, delle dimostrazioni dei suoi sentimenti. L'avrebbe rassicurata a tal proposito, se lei non l'avesse interrotto andondogli incontro.
«Ti voglio.» gli bisbigliò a pochi centimetri dalla bocca. Non lo stava nemmeno sfiorando, se non con il respiro, ma bastarono quelle due parole sussurrate per farlo eccitare, soprattutto perché le sentiva dopo lunghe ore di silenzio e di conflitto, come se stessero chiudendo la questione.
Barbara era rimasta a quella distanza, con il volto inclinato e le bocca rossa socchiusa per alitargli il proprio desiderio direttamente sulla labbra. Era dannatamente sensuale ed era persa per lui. Bastò questo per fargli dimenticare i propri propositi di parlare e fargli venire invece voglia di provocarla.
«Devo andare a pranzo dai miei.» disse senza muoversi di un centimetro, guardandola dall'alto del suo metro e ottanta, abbassando le palpebre senza nemmeno inclinare il viso.
«Allora facciamo in fretta!» disse lei, raccogliendo la provocazione.
Fece guizzare la lingua verso le labbra del ragazzo e, senza concedergli altro che un tocco veloce, si allontanò prendendolo per una mano e conducendolo a grandi passi verso la propria jeep.
Cosa diceva Kilowatt? Sicurezze, prove dei propri sentimenti... oh, sì, gli avrebbe dato tutto quello che voleva, anziché dirglielo.
«Ricordati di stasera!» urlò Michele nel vedere il compagno di squadra andare via trascinato in quel modo.
«Se la pantera ti lascia in vita...» aggiunse poi più piano, ridacchiando e invidiando un po' il bell'amico.


Spartaco si osservò qualche istante allo specchietto retrovisore, prima di scendere dall'auto. Guardò i propri occhi verdi, il naso dal profilo dritto e tentò un sorriso rivelando dei denti regolari, poi si ravvivò i capelli passandoci una mano in mezzo. I capelli erano sempre stati il suo orgoglio, più degli addominali scolpiti e del proprio amichetto chiuso tra i pantaloni. Non li portava più lunghi come ai tempi del liceo, quando gli ricadevano sugli occhi in un modo vezzoso e, ora lo ammetteva, fastidioso, però erano ancora foltissimi e completamente mori, motivo per cui gli sembrava un delitto impedire loro di continuare ad arricciarsi con un taglio più corto.
Dopo essersi riconciliato con Barbara si sentiva rinato e anche il proprio viso gli parve migliorato, più disteso, così, soddisfatto del proprio aspetto, si decise a scendere dalla Mini Cooper, retaggio delle scuole superiori, e dirigersi verso il palazzo che ospitava la casa dei suoi, la sua vecchia casa.
«Ma'!» urlò mentre apriva il portone.
«Eccolo, Enrico, è arrivato!»
Sentì sua madre che urlava di rimando dalla cucina, richiamando suo padre a tavola.
«Ciao pa'.» salutò scorgendolo.
Era tutto così rassicurante là dentro. I suoi genitori che invecchiavano lentamente, la stessa tovaglia di sempre che continuava a resistere a nuovi lavaggi, lo stesso sapore delle lasagne di sua madre, gli stessi sguardi felici e orgogliosi dei suoi famigliari.
«Allora, Spartaco? Ancora non ci vuoi presentare la tua fidanzata?» chiese mamma Sara con un'improvvisa scintilla di curiosità negli occhi, mentre mangiavano.
A lui già la parola “fidanzata” suonava strana.
«Non vi basta conoscere il fidanzato di Giulietta? - chiese lui, eludendo la risposta. - Un così bravo ragazzo, poi! Serio, intelligente, affidabile...» continuò prendendo in giro la sorella, che gli diede un calcio da sotto la tavola.
«Non volevo parlare di Giulia, in questo momento.» lo richiamò sua madre.
«Anche perché con lei possiamo parlarci tutti i giorni, dato che abita con noi, con te no.»
«Ah, mamma, ti ho portato il piumone da lavare.»
«Ah, bravo, hai fatto bene. Per il resto ti serve altro? Ti ho lasciato un po' di ragù in un vasetto, così ci condisci la pasta quando torni a casa...»
Una delle cose belle di sua madre era che, anche quando la sua naturale curiosità femminile si risvegliava, durava pochissimo, dopodichè tornava a lusingarlo e fargli arrivare tutti i suoi apprezzamenti per ogni cosa che lo riguardasse, dall'abbigliamento, al lavoro, fino ai suoi risultati in quella squadruccia di provincia. Suo padre, da bravo marito, concordava con la moglie e rincarava la dose.
“Serve un po' di autostima? Venite da mamma Sara, che ci pensa lei!” rimuginò Spartaco, divertito.
Dopo primo secondo contorno e dolce, Spartaco preparò il caffè per tutti. Era il suo vecchio ruolo quando viveva ancora con i suoi e così era rimasto anche adesso, per cui Spartaco prendeva la moka in mano come se si trattasse di un antico rituale. Suo padre beveva la sua tazzina soddisfatto e, seguendo il solito copione schioccava la lingua sul palato.
«Quando lo fa tua madre non viene così buono!» commentava ogni volta con piccole variazioni al tema.
Prima di tornare a casa, nel pomeriggio inoltrato, Spartaco si metteva sul divano a guardare la televisione con suo padre, commentavano le varie partite sportive (tennis, rugby, ciclismo... non era importante di quale disciplina di trattasse), oppure dava fastidio a Giulia o si rendeva utile nel pulire l'auto di suo padre o buttare la spazzatura. Poche volte saliva fino alla mansarda dove, da adolescente, aveva costruito la propria tana, ovvero una camera da letto in cui batteva i denti d'inverno e si scioglieva d'estate. Però era l'unico spazio della casa che fosse solamente suo, solo qualche amico intimo ci era entrato, non ci portava nemmeno le sue ragazze, tranne quelle che reputava davvero importanti e non erano state molte. Quella domenica, invece, volle salire le scale per entrare nella sua vecchia tana, come a controllare che fosse tutto in ordine. Accese la luce e sfiorò con una mano lo scaffale basso su cui aveva disteso libri e dvd, fumetti e cd, con un ordine maniacale. Si gettò sul letto e guardò il soffitto bianco inclinato. Per fortuna non soffriva di claustrofobia, altrimenti si sarebbe sentito soffocare in quella stanza angusta, senza contare che lo spazio delle pareti era quasi interamente occupato da scaffali, una sottospecie di poltrona informe e una scrivania minuscola su cui poggiava il portatile, che adesso aveva portato nel nuovo appartamento.
Avrebbe mai fatto entrare Barbara lì dentro? Si chiese. Una vocina nella sua testa gli rispose di no, rattristandolo e infastidendolo, perché Barbara gli piaceva e anche parecchio, era intraprendente, decisa, con un fisico da urlo, però, si rese conto con un certo disagio, non era il tipo che avrebbe presentato volentieri alla famiglia, o con cui avrebbe voluto costruirne un'altra. Non era “da famiglia”, insomma.
A ventisei anni si poteva già avere progetti così importanti? Per il momento Spartaco non aveva voglia di qualcosa di tanto serio, decise, e con Barbara stava più che bene.
Tornò in salotto scendendo le scale al trotto, come da adolescente e sorrise come quando aveva diciott'anni e la testa piena solo di calcio.
Recuperò tutte le sue cose e si lasciò convincere dalla madre a prendere anche una quantità industriale di cibo che gli aveva preparato. Ogni settimana gli pareva che le dosi aumentassero, ma in fondo non gli dispiaceva.
«Ehi, allora che fai stasera? Vieni con me?» chiese a Giulia quando era già sulla soglia, riferendosi all'invito di Michele a sua sorella.
«Può venire anche la tua dolce metà con te, ovviamente.»
Giulia spiegò che aveva altro da fare, ma ringranziò ugualmente il fratello e il suo compagno di squadra per l'invito. Spartaco, distratto dai propri pensieri, non si accorse nemmeno di come la sorella distoglieva lo sguardo.




Ore 23:54
- Kilo, hai altre rivelazioni shock da farmi, oltre al fatto che hai cambiato sesso?
- Io non ho cambiato un bel niente!
- Va bene, va bene, come vuoi. Non ti arrabbiare, però. Ora dimmi la verità: vai ancora a scuola?
- Ah, stai cercando di estorcermi informazioni personali, quindi?
- Esatto.
- Ho sentito dire che è bene non rivelare troppi dati su internet
- Quindi niente profili reali sui social?
- Niente social, in effetti.
- Bene, possiamo anche andare avanti così: tu dici una frase e mi lasci indovinare qualcosa su di te...
- Non avrai altro da me!
- Acc... speravo di farti spifferare il pin del bancomat...
- Ahahah!
- Oppure... posso iniziare io... non vado più a scuola, ho smesso da tempo... ma da meno di 10 anni!
- Ehi, anche io!
- Menomale! A volte ho davvero temuto di parlare con un'undicenne!



Il mio angolino:
Vedere quanta fiducia mi state dando all'esordio di Falaso Contatto mi sta mettendo una discreta ansia da prestazione (a me e al povero Spartaco...), ma vi prego di non smettere! Grazie per le recensioni e per l'amore che state dimostrando per questa storia, è bello ritrovare tanti vecchi lettori e conoscerne di nuovi! :)
FatSalad

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Capitolo 3
*** Circuito chiuso ***


«Ecco lo Spartano!»
“Perché sono amico di un cretino del genere?” Si chiese Spartaco non appena fu entrato nel pub designato da Michele.
Alzò una mano in segno di saluto e contò i presenti. C'erano Michele con la sua nuova fiamma, tale Giada, il suo fedele compare Gabriele, l'amica originaria dell'Argentina Elena, e un paio di altri ragazzi che ogni tanto uscivano con il gruppetto, ma di cui non ricordava il nome.
«Ciao!» disse sedendosi accanto ad Elena.
«La tua ragazza?» chiese Elena, sibilando le “z” come solo un'argentina poteva fare.
«Arriva a momenti.»
«Non era con te?»
«No, le piace prendere la moto.» spiegò.
Non aveva finito di parlare che subito notò la porta del locale che si apriva e Barbara che si girava a destra e sinistra cercandolo con lo sguardo. Istintivamente si alzò in piedi e le andò incontro, salutandola con un bacio.
I litigi con lei non erano poi così male se dopo riuscivano a riaccendere in quel modo la loro passione. Si allontanò di poco da lei, con un sorriso trasognato, che gli si congelò sul volto appena udì una voce dietro di sé.
«Che porco!» disse distintamente e a voce alta una ragazza di statura medio-bassa, decisamente sovrappeso, con i capelli finissimi e chiari tagliati a caschetto.
«Camilla!» escalmò Spartaco salutando la sua amica, la commessa del suo negozio preferito di videogiochi. Non era sicuro del perché, ma lei non sembrava affatto contenta di vederlo.
«E così esci con questa?» chiese senza troppi convenevoli indicando con il capo Barbara.
«Io sono la sua ragazza, tu invece chi saresti?» chiese spazientita la ragazza, con la stessa rudezza.
«Lei è...» cominciò Spartaco con tono sempre allegro, cercando di dissimulare la tensione che sentiva spandersi a fiotti da quelle due donne.
«Il tuo ragazzo mi ha fatto il filo per mesi.» disse Camilla rivolta a Barbara, con sicurezza ed espressione sprezzante, come se non fosse più bassa di lei di una ventina di centimetri.
«Cosa?!» fece Spartaco.
«Non credo proprio.» disse Barbara divertita, nello stesso momento.
Incrociò le braccia al petto e passò in rassegna il corpo pieno della commessa, poi ripetè sicura:
«Non penso che Spartaco mentre sta con me abbia il tempo di guardare altre ragazze.» in un modo crudele che sembrava sottointendere “non quelle come te”.
Stizzita da quelle reazioni, Camilla se ne andò mandando a quel paese Spartaco.
«Cami!»
«Che fai la richiami? Vuoi che mi insulti di nuovo questa... Cami
Il tono di Barbara gli fece venire il dubbio che forse non l'aveva presa troppo sul ridere e lasciando perdere l'amica, Spartaco decise di tagliare corto e di dirigersi al tavolo dove gli altri li aspettavano.
Fu una serata tranquilla, Michele fece il buffone come al solito, con Elena intrattenne delle chiacchierate interessanti e Barbara fu come sempre la regina della situazione, o forse la dittatrice.
«Andiamo via!» gli disse ad un certo punto all'orecchio e lui non poteva dire che era ancora presto o che non aveva finito la birra, perché quel tono voleva dire “adesso andiamo via” punto e basta.
Salutarono ed uscirono e già Spartaco pregustava il dopo serata, ma Barbara lo sorprese.
«Volevi spogliarla sul posto?» chiese, seccata.
«Cos..?»
«Sì, sì, è inutile che fai quello sguardo da cucciolo smarrito, lo sai benissimo di chi parlo. Quell'argentina con due metri di gambe e una quarta di tette al vento!»
«Barbie... - Le disse con un sorriso bastardo, prendendola per la vita. - Lo sai che ho occhi solo per le tue di gambe...»
«E io lo so che hai un debole per le tettone, - continuò Barbara senza sciogliersi minimamente - anche la cicciona di prima era ben fornita!»
Quella donna doveva proprio essere complessata per la sua scarsa dotazione in fatto di seno.
«Ma se non ci ho fatto nemmeno caso!» si difese Spartaco.
«Vuoi farmi credere di non esserti accorto che la latin lover ti si è strusciata addosso per tutta la sera, arrotando tutte le “r” possibili e immaginabili?»
Ora stava diventando esasperante. Spartaco sospirò.
«Barbie, sono stanco, ho avuto la partita oggi, non ho voglia di litigare.» disse, arrendendosi.
Barbara incrociò le braccia e girò la testa mettendo quasi il broncio come una bambina.
«E le tue tette mi piacciono così come sono.» le sussurrò all'orecchio prima di cercare le sue labbra e sperare in un bacio pacificatore. Lo fu, ma pieno di denti e morsi, come voleva Barbara.
Forse quei continui litigi con la sua ragazza cominciavano a stancarlo, voleva solo andare a casa e sfogarsi con Kilowatt.


Era giusto: i suoi colleghi lavoravano da tempo, erano padri di famiglia, mariti con una moglie ad aspettarli a casa, lui invece era stato appena assunto, era un cosiddetto scapolo che vedeva mamma e papà ogni fine settimana. Chi doveva rimanere in ufficio per la festa della Repubblica? Lui ovviamente. Ormai rassegnato si mise alla scrivania, sedendosi con un tonfo. Stette un attimo in silenzio, senza nemmeno accendere il computer, ad ascoltare l'insolita calma che aleggiava nell'aria. Solo pochi indistinti rumori raggiunsero le sue orecchie da lontano, qualche fruscio e rumore di parole battute sulla tastiera da qualche collega che condivideva quel giorno la sua sorte.
«Buona festa anche a voi, colleghi giovani e sfigati!»
Mormorò tra sé e sé Spartaco, stupendosi l'attimo dopo di essersi dato dello sfigato. Nessuno aveva mai osato definirlo con un tale epiteto, eppure ultimamente si sentiva sempre stanco, sempre annoiato e sempre meno in sintonia con la sua ragazza, con la quale litigava di continuo per i motivi più assurdi.
Accese il computer e mentre aspettava che lo schermo si illuminasse fissò la piccola action figure che aveva sistemato sulla scrivania. Anche se non era ancora venerdì, l'indomani doveva passare assolutamente al negozio di videogiochi per chiarire con Camilla, se lo impose ricordando la scenata che aveva fatto la ragazza al pub. Il giorno dopo, infatti, gli era concesso di prendersi una feria e Spartaco non voleva perdere tempo per chiedere spiegazioni alla commessa, perché nonostante tutto ci teneva a lei.
La mattina passò lentamente e come se non bastasse durante la pausa pranzo litigò al telefono con Barbara. Rientrò in ufficio che ancora non era finita la pausa, con un umore ancora più nero, dopo aver mangiato un panino striminzito che l'avrebbe lasciato con un sapore strano in bocca e con la fame per niente placata.
Appena ebbe chiuso il cellulare e la porta alzò lo sguardo e per istinto fece un salto indietro, prima di mettersi a ridere e precipitarsi sulle due figure che aveva trovato ad attenderlo.
C'era Michele, lo spensierato compagno di squadra, e c'era un ragazzo poco più basso di Spartaco. Aveva un bel viso con la linea della mascella che terminava in un mentino appuntito, un neo a sottolineare la fossetta che si creava quando sorrideva candido, i capelli di un castano che si confondeva facilmente col biondo e un fisico asciutto. Un paio di occhiali, che non portava ancora quando andava a scuola con Spartaco, coprivano due occhi chiari e luminosi.
«Giova! Michele!»
Che amici cretini che aveva! E quanto era contento di averli!
Si precipitò sul compagno di squadra, gli bloccò la testa con un braccio e gli scompigliò i capelli con un gesto vigoroso, intenzionato a fargli male. Michele si lamentò sonoramente finchè Spartaco non lo lasciò andare e rivolse la sua attenzione a Giovanni, lo guardò negli occhi e lo abbracciò dandogli una pacca sulla schiena.
«Come stai, bomber?»
«Non c'è male.» rispose Giovanni scrollando le spalle e passandosi una mano tra i capelli.
«Non ti è ancora passato quel vizio? Tra poco ti ritroverai calvo!» lo punzecchiò Spartaco facendo riferimento alla sua chioma non più folta come alle superiori.
«Non diventerò mai calvo, sarò solo un quarantenne con una stempiatura sexy... brutto stronzo peloso!» rispose dandogli un cazzotto nello stomaco, che Spartaco incassò ridendo, prima di mettersi a massaggiare la zona colpita.
«Non sono peloso!» si lamentò poi con la vocetta da bambino permaloso.
Sentendosi escluso per troppo tempo, Michele si inserì nella conversazione e come al solito Spartaco lo prese bonariamente in giro. Poi si appoggiò alla scrivania e chiese spiegazioni, ma era scontanto che i suoi amici fossero lì per tirargli un po' su il morale, mentre gran parte della popolazione italiana era a casa o a godersi una gita di piacere.
Giovanni doveva lavorare in pizzeria quella sera, quindi non aveva potuto andarsene in spiaggia con un gruppo di amici, Michele semplicemente era un compagno troppo leale per potersi divertire senza Spartaco.
Si scambiarono battute e aneddoti per qualche minuto, poi furono interrotti da un leggero bussare alla porta.
«Avanti!» disse Spartaco con tono deciso, sollevandosi dalla scrivania.
Aprendo lentamente la porta si fece avanti la novellina. Doveva immaginarlo che anche lei sarebbe stata tra i fortunati lavoratori del 2 Giugno e a giudicare dalla sua espressione doveva esserne entusiasta quanto lui. Ah, già, quella era solo la sua solita faccia.
«Oh. - Fece la ragazza con piattezza, appena ebbe visualizzato lui e il crocchio di amici venuti a disturbare o allietare la sua giornata di lavoro - Pensavo ci fosse Sergio.» continuò, nominando il collega di ufficio di Spartaco, un uomo di mezz'età affidabile e simpatico, come a spiegare la sua presenza e forse la sua delusione.
«Invece ci sono io.» rispose cercando di usare un tono sarcastico, ancora sorridendo per i discorsi con gli amici.
«Fa niente.» disse lei senza che la sua espressione mutasse di una virgola, poi si scusò e tornò al suo lavoro chiudendosi la porta alle spalle.
«Chi è la ragazzina?» chiese Michele dopo un fischio di apprezzamento, che rese Spartaco consapevole del fatto che l'ingresso della ragazza aveva ammutolito i suoi amici.
«Carli, possibile che tu riesca ad andare in calore per qualsiasi persona di sesso vagamente femminile che vedi?» disse Spartaco massaggiandosi la fronte, come a dire “Non c'è speranza”.
«Lascia fare, la tipa non è male...» si intromise Giovanni.
«Ma chi? Irene? - chiese Spartaco sempre più sconvolto - Quella sottospecie di zombie con gli occhiali e il culone?»
«Ehi, che hai contro gli occhiali?» fece Giovanni, piccato.
«Non sai che ci farei con un culo del genere...» commentò nel mentre Michele.
«Ok, va bene, de gustibus... com'era? - chiese Spartaco cercando negli anfratti della memoria - In ogni caso c'ha la verve di una sogliola, questo è innegabile.»
«Anni?»
«Non lo so di preciso, però non ha finito di laurearsi che già l'avevano assunta. Pare sia una di quelle ragazze prodigio che pensa solo al lavoro, insomma, inadatta alla vita sociale.» disse per scoraggiare gli amici ripensando a tutte le volte che la collega aveva inciampato sull'ultimo scalino, fatto cadere risme di documenti e rovesciato un caffè bollente addosso a lui.
«La cosa positiva è che da quando c'è lei non sono più io il novellino!» concluse.
«Non è che mi combineresti un appuntamento?» chiese Michele ridacchiando.
«E quella Giada con cui stavi uscendo?» fece Spartaco dopo aver roteato gli occhi.
Michele cominciò a borbottare, perdendo la sua solita parlantina e Spartaco immaginò che, come al solito, la storia avesse avuto poco seguito.
«A me, invece? La presenteresti?» chiese Giovanni speranzoso.
«Oh, ma che vi è preso, oggi? È la calura estiva? - escalmò Spartaco – E va bene, ma non ci contare troppo: non siamo così in buoni termini.»
«Che amico inutile!» sentenziò Michele scuotendo il capo con aria greve e beccandosi così una pacca dolorosa da parte di Spartaco.
Senza dubbio fu la festa della Repubblica più memorabile che Spartaco potesse ricordare: pizza portata in ufficio dai suoi ospiti era la migliore sorpresa che degli amici potessero fargli.


Il giorno dopo, come aveva stabilito, passò dal negozio di elettronica per parlare con Camilla, ma perdeva sicurezza ad ogni passo che lo avvicinava alla meta e prima di entrare sperò che la ragazza avesse il giorno libero.
Controllò furtivamente dall'esterno e poi decise di comportarsi nel modo più naturale possibile. Entrò, seguì la moquette dai colori squillanti e percorse il tratto abituale che lo portò a superare i telefoni cellulari e gli impianti stereo. Prima di svoltare nella corsia dei videogiochi fece un'impercettibile pausa e gli parve di girare quella curva a rallentatore.
Notò subito una ragazza, ma non si trattava della commessa che stava cercando o cercando di evitare.
La prima cosa che gli saltò all'occhio furono le scarpe, di pelle nera, logore, con le stringhe sciolte, sembravano di almeno un paio di numeri più grandi, come quelle dei clown. Sopra indossava dei jeans e una maglietta extralarge dai colori accesi. L'insieme creava un'accozzaglia strana, ma non sgradevole. Quando era a lavoro si vestiva in modo anonimo, con colori che oscillavano dal grigio al marrone o di un colore indistinguibile tra i due. A vederla fuori dal lavoro sembrava una persona completamente diversa, con una personalità, stramba, ma pur sempre una personalità.
“Irene?! Che ci fa qui vestita in quel modo?” pensò sulle prime, poi gli venne in mente che aveva promesso a Giovanni di rimediargli un appuntamento con la collega e considerò la situazione come un'occasione perfetta, che gli fece gonfiare il petto di sicurezza.
Per il suo amico Giovanni, che era un bel ragazzo, ma era sempre stato un po' sfortunato con le donne, poteva ben fare uno sforzo. Era successo altre volte in passato, che Spartaco invitasse una ragazza ad uscire con il suo amico, ma di solito a sua insaputa. Si avvicinava ad una ragazza che gli sembrava papabile e le chiedeva “Sei libera?” sfoderando tutte le sue migliori doti seduttive. Di solito la ragazza in questione diceva sì, se si mostrava molto contenta e disponibile o al contrario stava sulle sue non importava, Spartaco aveva imparato a riconoscere in entrambi gli atteggiamenti una risposta positiva. “Perfetto! Perché al mio amico manca una compagna per ballare!” diceva da copione, beandosi della delusione che di solito passava nello sguardo della malcapitata. Quando però indicava chi fosse il suo amico, nella maggior parte dei casi vedeva lo sguardo dell'interlocutrice riaccendersi di nuova curiosità, qualcuna rispondeva per ripicca “È proprio il mio tipo!” o anche “Ho sempre preferito i biondi!” e a lui andava benissimo, gli bastava la certezza che avrebbero detto di sì anche a lui e che Giovanni avrebbe passato una bella serata.
A pensarci era strano come non si facesse problemi ad avvicinare una ragazza per il bene del suo migliore amico, mentre fosse incapace di farlo per sé. Di solito gli bastava ammiccare o sorridere in direzione della persona che suscitava il suo interesse e poi aspettare che fossero le ragazze a cercarlo, forse per pigrizia, forse perché lo faceva sentire desiderato, importante, o forse perché poteva accusare un rifiuto rivolto ad un altro ragazzo, ma non a se stesso.
«Ciao!» disse sorridendo all'indirizzo della collega.
Irene alzò lo sguardo e parve registrare la faccia del collega come parte di un edificio o di un paesaggio.
«'Giorno.» rispose senza dargli ulteriore confidenza e tornando a studiare il retro di un paio di videogiochi.
Non che si fosse aspettato un abbraccio fraterno, ma insomma poteva almeno fingere un “Che sorpresa trovarci qui!” o cose del genere. Non era nella natura di Spartaco mollare, per cui tentò di nuovo di attaccare bottone.
«Quello è una ciofega, te lo sconsiglio.» disse indicando in direzione del videogioco che Irene aveva in mano.
«Dici?» fece lei, poco convinta, lo sgardo ancora occupato a scandagliare le informazioni sulla custodia.
«Sì, è così facile che sembra per bambini, nonostante il limite di età. Fidati, io ho provato praticamente tutto il reparto e ne ho comprata una buona metà. Se non lo conosci ti consiglierei...»
«Per caso lavori qui?» chiese a quel punto la ragazza, evidentemente scocciata.
«No, ma...»
«Penso sia la sua strategia per rimorchiare.» disse una voce annoiata alle sue spalle.




2 giugno, ore 22:16
- Kilo, so che non vuoi rivelare info personali, ma se hai detto che non sei un'undicenne e non vai più a scuola cosa fai nella vita? Lavori? Stai mandando il curriculum a giro? Stai...
- Perché all'improvviso sei diventato così curioso?
- Perché d'un tratto sei diventata più reale

 




Il mio angolino:
Per le vecchie lettrici di Whatsapp Love: se non l'aveste ancora capito, questa storia è nata esclusivamente per smontare il mito di Spartaco. Perché? Perché sono crudele! Muahahahah!!
Ehi, ma nessuno si è accorto che Giovanni era già apparso in Whatsapp Love?! La dura vita del cameo...
FatSalad

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Capitolo 4
*** Carica negativa ***


«Penso sia la sua strategia per rimorchiare.» disse una voce annoiata alle sue spalle.
«Cami!» esclamò Spartaco voltandosi in direzione della ragazza che aveva riconosciuto.
«Non è vero! E poi Irene è una collega...» protestò.
«In ogni caso è una ragazza, ma non la tua ragazza.»
«Cami...»
Non sopportava quel tono accusatorio dell'amica.
«Bene, - si intromise Irene nel loro battibecco, allungando notevolmente la prima vocale - direi che ho deciso, posso andare a pagare?» chiese accennando al fatto che i due stessero intralciando il passo.
«Certo, seguimi.» fece Camilla, conservando il tono annoiato.
«Forse dovrei cambiare negozio...» mormorò Spartaco tra sé e sé, massaggiandosi la nuca con aria sconfitta.
«O forse dovresti risolvere il diverbio.»
Era esattamente ciò di cui aveva paura e sentirselo dire dalla voce della collega svampita non lo fece sentire meglio.
«Non hai apprezzato il mio consiglio per il videogioco, dunque temo che non seguirò il tuo.» ribattè il ragazzo con un sorriso sardonico.
«Oh, - disse lei col suo tipico tono da abitante delle nuvole - ma il gioco non era per me.»
Dio, come non sopportava le persone sapentine quando dicevano le cose a quel modo e sembrava che avessero ragione!
Si appoggiò con entrambe le mani allo scaffale dei videogiochi, inspirò ed espirò ad occhi chiusi e quando li riaprì si ritrovò con il naso a due centimetri dalla copertina di “Assassin's Creed”. Altro che assassino spietato! In quel momento si sentiva pronto per una missione suicida!
“Ma io sono una persona adulta” pensò, cercando di ragionare in modo razionale per darsi forza “E le persone adulte risolvono i problemi parlandone, giusto?”
Non perse tempo a darsi una risposta e si avviò verso la cassa. Vide di sfuggita Irene che usciva dal negozio con un sacchetto in mano e Camilla che fingeva di non prestargli attenzione, mentre era chiaro che lo stesse aspettando.
«Cami, vuoi dirmi cosa c'è che non va?» chiese con decisione, affrontandola di petto una volta raggiunta la cassa.
«Niente.» rispose la ragazza alzando le spalle.
«Niente?! Allora perché ce l'hai con me?»
«Perché sei un porco.»
Il suo tono colpì Spartaco, sembrava che stesse spiegando ad un idiota una verità lapalissiana e in tutta onestà si sentì ferito e arrabbiato.
«Io non sono...»
Spartaco si bloccò per sospirare, portando una mano a massaggiarsi la faccia contratta. Non sembrava che Camilla avesse voglia di collaborare alla sua missione “facciamo i bravi adulti”. Lui però era ben convinto di voler arrivare fino in fondo.
«Cosa ti fa credere che io sia un porco? Non ho mai tradito la mia ragazza se è questo che pensi, ripeto: mai, nessuna.» sillabò, per essere il più chiaro possibile.
«Allora perché per tutto questo tempo mi hai fatto credere che io ti piacessi?»
Spartaco deglutì. Aveva notato subito il cambio di tono della ragazza, che adesso si era voltata per guardarlo dritto in volto. Non sembrava più ostile, sembrava... triste.
«Io... mi dispiace.»
Fu l'unica cosa che riuscì a dire prima di abbassare gli occhi alle proprie scarpe, non riuscendo più a sostenere il suo sguardo.
«Mi dispiace che tu mi abbia frainteso, non era mia intenzione, ti giuro che non ho mai...»
«Certo! Perché mai avresti dovuto stare dietro ad una ragazza che porta una taglia superiore alla 40?!»
Di nuovo Camilla si era inacidita e a Spartaco non sfuggì che probabilmente quel commento era dovuto al modo in cui Barbara l'aveva guardata al pub pochi giorni prima, con la sicurezza della sua taglia extrasmall. Gli parve piuttosto ironico il fatto che a sua volta la sua ragazza invidiasse il seno abbondante della commessa.
«Ti assicuro che non c'entra niente - cercò di spiegarsi, cauto, ignorando lo sbuffo sarcastico della ragazza - È solo che ti ho sempre vista...»
«Ti prego, non rifilarmi la storia del vedermi come un'amica, perché mi metto a ridere!»
«Ma è la verità! Pensi che sarei passato di qui tutti i venerdì per fare due chiacchiere con te se non ti avessi considerato un'amica? Abbiamo sempre parlato di tutti i videogiochi in commercio, delle strategie... abbiamo fatto a gara a chi li finiva più in fretta!» concluse esasperato.
«Spartaco... - ora il volto di Camilla esprimeva solo una sorda delusione - Non so come tu sia abituato, ma per me tutto ciò che hai appena elencato: il fatto che tu passassi tutti i venerdì, che discutessimo dei nostri videogiochi preferiti, che tu fossi sempre così dannatamente gentile con me... beh, per me significava un interesse da parte tua. Mi sbagliavo? Va bene, chiudiamo il discorso. Fammi solo un piacere: per un po' fai i tuoi acquisti online, ok? Ora ho altri clienti da servire.»
Spartaco deglutì, senza sapere cosa dire. Diede un'occhiata dietro di sé, notando una vecchietta con un frullatore in mano e gli occhi spalancati su di loro con curiosità, che borbottava qualcosa in favore della ragazza.
Abbassò la testa e si avviò verso l'uscita, poi disse un debole “ciao” e si allontanò.
Si sentiva mortalmente in colpa, benchè si ripetesse che quella faccenda non era stata intenzionale non riusciva a non pensare all'espressione di Camilla quando gli aveva detto di starsene alla larga dal negozio per un po'. Gli era sembrata così triste ed era per colpa sua! Involontariamente, ma l'aveva ferita.
Camilla era la prima persona con cui avesse fatto amicizia quando si era trasferito nell'appartamentino in cui viveva da solo, la sentiva legata in qualche modo ad una nuova fase della propria vita, quella vita indipendete, “da adulto”.
Aveva la terribile sensazione di aver perso un'amica e aveva un disperato bisogno di sfogarsi con qualcuno. Tirò fuori il cellulare e scorse la rubrica, Giovanni quella sera lavorava, forse poteva invitare Michele a casa sua per sfidarlo alla Wii. Una vocina nella sua mente si fece avanti in punta di piedi ricordandogli che aveva una ragazza che sarebbe stata più che felice di fargli visita a casa, ma con una scrollata di spalle la mise a tacere. Non aveva affatto voglia di intrattenere un'altra conversazione con una donna.
Sospirò e quando inviò il messaggio gli parve di non aver avuto altre opzioni: in quel momento avrebbe potuto parlare solo con Kilo.


Kilo rispose subito, ma Spartaco non se ne stupì più di tanto, ormai era abituato ad immaginarselo come una sorta di cyborg contornato da schermi di televisori, computer e smartphone, sempre pronto a rispondere agli input. Anzi, no, ora doveva mutare l'immagine che si era creato per crearne una di sesso femminile, una cyborg.
Sorrise tra sé, chiedendosi “Chissà che aspetto avrà in realtà” e fu per quel subitaneo pensiero che di punto in bianco chiese a Kilo se potevano incontrarsi.
D'altra parte poco a poco stavano scoprendo di avere tante cose in comune, un giorno Spartaco aveva capito che dovevano essere quasi coetanei, un altro aveva intuito che come lui Kilo lavorava, e presto avevano scoperto di abitare nella stessa regione, forse persino nella stessa città! La coincidenza era incredibile e piuttosto buffa, Spartaco era rimasto per una mezz'ora buona a ripetere “No!” portandosi le mani ai capelli, immaginando un ipotetico giorno in cui aveva incontrato Kilo inconsapevolmente, magari al cinema o a bordo di un treno.
Quella volta però la risposta di Kilo si fece un po' attendere e quando Spartaco lesse “Stasera non posso” si chiese che cosa si fosse aspettato, dopo un invito tanto improvviso, ma nonostante la risatina che gli scosse il petto non riuscì ad ignorare una punta di delusione.
«Mi toccherà vedere Barbara.» borbottò tra sé mentre rientrava in casa.
Si bloccò così sulla soglia, con il cellulare in mano aperto sulla rubrica. Lo mise in tasca e sospirò. Forse c'era qualcosa di sbagliato nel non avere voglia di vedere la propria ragazza.
«Non ho voglia adesso, non in generale.» si disse a bassa voce, come a volersi giustificare, mentre si buttava nel divano.
A quel punto si ricordò che sua sorella gli aveva detto di avere qualcosa da dirgli, qualche giorno prima, ma che poi era sempre mancata l'occasione. Digitò il numero e mentre aspettava che rispondesse gli venne di nuovo da ridere.
«Menomale che non avevo voglia di parlare con un'altra donna...!»


«Allora, dovevi dirmi qualcosa?» chiese Spartaco dopo aver bevuto un sorso di spritz.
Si trovava al tavolino di un bar che faceva le apericene migliori della città e per migliori intendeva abbondanti, perché il cibo sembrava inesauribile e si poteva dire di aver veramente cenato ad un modico prezzo quando si usciva di lì.
«Credevo che te ne fossi dimenticato.» disse la sorellina davanti a lui addentando distrattamente una patatina.
«Donna di poca fede! Allora, notizie buone o cattive?»
«Mmm... solo... notizie, immagino.»
«Bene, è una buona partenza.»
Il ragazzo attese qualche istante, ma Giulia sembrava a disagio, così provò ad aiutarla mentre cominciava a mangiare con noncuranza.
«Riguarda il lavoro?»
«No.»
«Qualcosa che è successo a casa?»
«No, no, figurati...»
Ora non era più così rassicurato, dopo il modo in cui la sorella stava cercando di evitare il suo sguardo. Si sistemò meglio sulla sedia.
«Per caso... - qualcosa gli diceva di sperare il contrario - riguarda Nathan?»
Giulia annuì e Spartaco trattenne il fiato. Non aveva mai avuto da lamentarsi sul fatto che la sua adorata sorellina si fosse messa con un suo amico delle superiori. Nonostante non mancasse di minacciarlo bonariamente ogni volta che li vedeva assieme, Nathan era un tipo a posto e voleva molto bene alla sua Giulietta.
«La notizia è che nonostante si sia laureato perfettamente in tempo e con il massimo dei voti non c'è molto lavoro per un architetto in Italia.»
Già, sapeva che il mercato era saturo, il ragazzo di sua sorella se ne lamentava spesso anche con lui.
«Quindi Nathan sta pensando di trasferirsi all'estero, almeno per qualche tempo.»
Spartaco mandò giù il boccone che gli parve di piombo.
«Qualche tempo tipo un paio di mesi?»
«Qualche tempo tipo un paio di anni o un tempo indeterminato...»
Spartaco deglutì ancora, quella notizia era come un fulmine a ciel sereno e sapeva bene che da una decisione del genere sarebbe derivato il futuro di sua sorella, oltre che di Nathan.
«Estero tipo Francia? Svizzera?»
«Più tipo America o Australia, veramente.»
No, non poteva crederci, non di nuovo.
Sua sorella e Nathan erano già stati costretti ad una relazione a distanza per motivi di studio e lui aveva visto quanto fosse stata male Giulia in quei mesi interminabili. Non riusciva a credere che quella coppia perfetta non avesse ancora trovato pace.
Giulia stava giocherellando con il cibo nel piatto, mentre suo fratello si accorse che stava masticando qualcosa, senza sapere di cosa si trattasse. Eppure la sua voce era più calma e atona possibile.
«E tu?»
«Io... niente.»
Spartaco sospirò.
«Che farete? Per caso... vi siete lasciati?» chiese cautamente, cercando di carpire informazioni dal mutare delle sue espressioni.
«No, non ci siamo lasciati... e non è ancora deciso niente, per la verità. Insomma, Nathan lavora ancora nello studio dello zio, anche se in pratica non sta facendo granchè...»
«Volevi dirmi questo? Che forse Nathan dovrà trasferirti e tu non puoi seguirlo?»
«O forse posso, non lo so...»
Giulia fece una pausa, posò la forchetta e finalmente guardò il fratello negli occhi.
«Dovevo dirlo a qualcuno. Che ho paura. Che non so se riuscirei a stare ancora lontana da lui, e Nathan non mi ha nemmeno chiesto di andare con lui, perché sa quanto ci tengo alla famiglia, al mio lavoro e io...»
Ora toccò a lei sospirare.
«Giuggiù... da quanto tempo state insieme? Cinque, sei anni? Siete rimasti insieme anche quando lui è andato a studiare in Inghilterra, no?» provò a rassicurarla.
Giulia fece una smorfia, che doveva essere un mezzo sorriso.
«Lui era là, io ero qua: ti sembra che stessimo “insieme”?»
Spartaco sbattè le palpebre, perplesso.
«Vi eravate lasciati?»
«In teoria no, ma in pratica...» biascicò incerta.
Spartaco stentava a capire. Quei due si amavano, si erano trovati, erano come due pezzi di un puzzle che si incastrano alla perfezione, era sicuro che nel periodo in cui Nathan era stato all'estero Giulia non fosse uscita con nessun altro ragazzo e avrebbe scommesso lo stesso di Nathan. Insomma, era chiaro che anche in quel periodo erano stati “insieme”, anche se fisicamente erano lontani chilometri. Però se si metteva nei loro panni forse a quel tempo anche lui avrebbe lasciato formalmente “libera” l'amore della sua vita. A diciannove anni gli sarebbe sembrato insensato e utopistico rimanere legato ad una persona sapendo che non l'avrebbe vista per mesi e mesi. Eppure non capiva. Perché dovevano incontrare tante difficoltà?
«Posso fare qualcosa?» chiese, in modo stupido e disperato.
«Potresti... parlare con Nathan?»
Il ragazzo sollevò un sopracciglio.
«E cosa dovrei dirgli?»
«Non lo so... di pensarci bene, di aspettare, di... non lo so.»
Spartaco rimase in silenzio per qualche istante.
«Ho capito.»


«Devo andare, domattina ho lezione alla prima ora.»
Aveva detto Giulia salutandolo con un sorriso poco deciso.
«Finisco di mangiare e pago io.»
Aveva risposto Spartaco salutandola con un occhiolino d'intesa.
Ora, rimasto solo, il ragazzo fissava il piatto ancora mezzo pieno di stuzzichini, sorpreso di non avere affatto fame.
Spartaco pensava alla storia di sua sorella, alla forza con cui lei e Nathan avevano affrontato i mesi di separazione, la serietà con cui adesso progettavano insieme un futuro, per quanto i suoi confini fossero incerti, la tristezza con cui Giulia ne parlava, divisa tra il desiderio di stare con Nathan e quello di vederlo realizzato sul piano della carriera.
Tutto lo faceva sentire un bambino, gli faceva pensare che forse non aveva mai amato nessuna delle ragazze con cui era stato in vita sua.
Si sentiva un po' giù e anche se non era tardissimo aveva solo voglia di tornare a casa. Finì l'aperitivo in un sorso e si accinse ad uscire dal locale, lasciando sul tavolo il piattino.
Dopo aver pagato, per caso, scorse in un angolo un tipo vestito in maniera impeccabile che parlava senza sosta ad una ragazza. La vedeva solo di schiena e già la compativa. Insomma, nonostante sembrasse uscito da una rivista di moda, quel ragazzo doveva essere proprio ottuso se non capiva che tutte le sue chiacchiere stavano annoiando a morte la sua interlocutrice, che aveva la testa mollemente appoggiata sulla mano e non si curava nemmeno di annuire di tanto in tanto, ma gettava lo sguardo al telefono per controllare l'ora.
Spartaco si guardò intorno. Sembrava che la ragazza annoiata non avesse nessuno che potesse trarla in salvo.
“Mi dispiace, dovrai cavartela da sola” pensò tra sé. Poi però vide il volto della ragazza, mentre si scostava i capelli dal collo con un gesto casuale ed ebbe un sussulto: la conosceva.
Per un attimo contemplò l'ipotesi di andarsene come se nulla fosse, poi sospirò.
“Questa città dovrebbe farmi un monumento per il mio buon cuore!” si disse mentre si avviava verso la ragazza, ruotando gli occhi al cielo.



3 giugno, ore 16:32
- Kilo, tu ci credi all'amicizia tra uomo e donna?
- Insomma...
- Che vuoi dire?
- Che presto o tardi è facile che uno dei due scambi l'affetto per qualcos'altro
- ...possiamo incontrarci?



Il mio angolino:
La cosa più difficile dello scrivere questa storia? Tenere insieme tutti i personaggi (vecchi e nuovi)! Sto rileggendo mille volte ogni capitolo per non rischiare incongruenze...
E finalmente si sa qualcosa di Giulia! Contente? XD
Chi sarà la misteriosa donzella che Spartaco sta andando a salvare? Si accettano scommesse.
Alla prossima,
FatSalad

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Capitolo 5
*** Batteria scarica ***


Quel locale le piaceva, faceva apertitivi con buffet abbondanti e la musica non era assordante, così si potevano scambiare due chiacchiere senza problemi. Cosa che al momento Irene avrebbe voluto evitare.
Aveva accettato volentieri l'invito per quella sera perché le faceva piacere rivedere Giorgia, l'amica delle superiori, una della poche che le erano rimaste dopo che aveva trascorso più tempo all'estero che in Italia. Però Giorgia l'aveva abbandonata per flirtare senza ritegno con un ragazzo, lasciandola con un tipo logorroioco, abrasivo e dalla scarsa estensione di vocabolario. Irene giurò che al prossimo “cioè, capisci?” del ragazzo che le si era incollato addosso avrebbe alzato le chiappe per andare altrove.
Com'era possibile che gli uomini non capissero affatto certi segnali che mandavano le donne? Lo stava lasciando parlare da diversi minuti e non aveva mai accennato interesse per ciò che stava dicendo, non si era nemmeno sforzata di reprimere uno sbadiglio, eppure quello continuava imperterrito come se lei avesse scritto “prendimi” sulla fronte, ma al prossimo “cioè, capisci?” se ne sarebbe andata, a tutti i costi.
«Cioè...»
“Ci siamo” pensò Irene.
«...mi spiego?»
A quel punto la ragazza non riuscì a trattenere una risatina fredda, che lasciò perplesso Antonio, o Alessio, non ricordava il suo nome. Cioècapisci, da inguaribile ottimista, la prese come una buona reazione e si unì alla risata.
«Scusa, devo andare.» disse Irene senza neanche salutarlo o cercare una scusa plausibile, prima di alzarsi dal posto.
«Se ti va potremmo...?» iniziò quello.
Era tenace, il ragazzo, peccato non fosse altrettanto perspicace.
«No.» lo troncò lei, secca.
Si voltò di scatto per fuggire dal damerino ed andò inavvertitamente a sbattere contro una figura.
«Sempre di buon umore, eh?»
Non era possibile, non poteva essere lui... quella voce e quel sorriso sornione erano una persecuzione!
«'Sera.» borbottò la ragazza riacquistando una distanza di sicurezza.
Se lo conosceva abbastanza adesso il collega non si sarebbe limitato a salutare e andare per la sua strada, quello era il tipo di persona che vuole avere sempre l'ultima parola e in quel momento più che mai ebbe paura di ciò che avrebbe potuto dire. La stava squadrando dalla testa ai piedi, le pareva che la stesse scannerizzando e per un attimo sul volto gli si dipinse un'espressione che iniziava con la “d”, ma non era sicura se si trattasse di disgusto, disturbo o desiderio. Magari in quei due occhi verdi c'era spazio per tutte quelle sensazioni insieme, ma nella mente di Irene ci fu solo il tempo per una “d”: la dannazione eterna per Giorgia che l'aveva convinta ad uscire quella sera.
«Grazie per averle tenuto compagnia.» disse Spartaco rivolto a Cioècapisci con un cenno disinvolto e le posò una mano sulla schiena, come se fossero abituati a quella familiarità del tutto fittizia.
“Come da copione... sempre a fare l'eroe, Spartaco non delude mai!” pensò Irene sbuffando.
Dopo tutto l'aveva inquadrato bene. Il suo collega era il tipico ragazzo-superuomo che si crede padrone del mondo solo perché gli basta un sorriso e qualche moina per ottenere ciò che vuole. A volte aveva sospettato che anche il posto nella loro compagnia non fosse stato ottenuto grazie alle sue capacità. Doveva avere qualche conoscenza giusta, perché aveva notato che a lavoro tutti si sforzavano di rendere noto quanto ritenessero Spartaco “un tipo simpatico e in gamba”.
Adesso però il ragazzo non stava cercando di fare colpo come suo solito, non stava aggiungendo nessun commento, continuava a camminare, pensieroso, mentre uscivano insieme dal locale.
«Dove stiamo andando?»
La domanda più che lecita parve sorprenderlo sinceramente.
«Oh, io... scusa, hai ragione, ero sovrappensiero. Io sto andando a casa, ho la macchina parcheggiata qua fuori. Tu... in effetti puoi andare dove vuoi.»
“Ah! Bella roba!” stava per dire Irene.
«Allora per quale motivio mi hai trascinato via?» chiese invece.
«Non ti ho trascinato, mi sembrava che te ne stessi andando anche tu.»
Niente da obiettare, in proposito.
«Hai bisogno di un passaggio?» le domandò allora il ragazzo dopo qualche attimo di silenzio.
«Pensi che non abbia la patente?»


Dio, quella ragazza doveva essere proprio una di quelle femministe intrattabili che prendevano ogni parola come un insulto personale o rivolto al gentil sesso in generale e lui era troppo stanco per prendersela. Si limitò a sospirare.
«Volevo solo essere gentile e ho notato che a lavoro vieni sempre in autobus.»
«Scusa, sono solo nervosa – ammise lei, abbassando il tono - e ti sarei molto grata se tu mi dessi un passaggio.»
“E ci voleva tanto?!” pensò Spartaco, senza azzardarsi a dirlo ad alta voce.
La guardò, arcuando un angolo della bocca. Quella doveva essere proprio una serata speciale a giudicare dal suo vestito corto ma non volgare e le scarpe col tacco che aggiungevano parecchio slancio alla sua figura, che in quel modo difettava solo di una manciata di centimetri per raggiungerlo.
Poco prima aveva stentanto a riconoscere la collega in quella mise, si era truccata in modo vistoso, molto diverso dal solito e non portava gli occhiali, avrebbe davvero potuto sembrare un'altra persona, se solo avesse sorriso per togliersi quella sua consueta aria sostenuta. Eppure aveva l'impressione che stesse abbassando un po' le difese, e... ehi! Gli aveva chiesto scusa? Miracolo!
Forse era così che l'avevano vista i suoi amici quando l'avevano incontrata? Magari avevano un'immaginazione più vivace della sua, che li aveva fatti andare oltre quel muro freddo che era l'espressione della collega, o magari avevano delle fantasie sconce sulle maestrine severe con gli occhiali.
«Sali!» le disse con un sorriso, cercando di scacciare in fretta l'ultimo pensiero inopportuno e sgradevole mentre apriva la macchina.
«Grazie.» mormorò Irene guardandosi le scarpe prima di salire a bordo della Mini Cooper azzurra.
«Niente.» fece lui con un'alzata di spalle.


Irene controllò smaniosamente l'orario sul cellulare per l'ennesima volta, sgranchì il collo, si strinse le braccia più vicine al corpo e controllò il tachimetro. Non sapeva più cosa fare per tenersi occupata.
«Come mai prima mi hai portato fuori dal locale?»
Dopo aver dato al collega le indicazioni per casa sua e aver avvertito Giorgia della propria partenza con un messaggio, nell'abitacolo in cui aleggiava una piacevole fragranza maschile era regnato il silenzio assoluto. Irene, che solitamente non amava le chiacchiere, si era ritrovata a sperare che il ragazzo accendesse almeno la radio per alleggerire la tensione, ma quello sembrava perfettamente a suo agio, o meglio, con la testa da un'altra parte. Dunque era toccato a lei fare uno sforzo e rivolgergli la parola per prima, se non altro perché le stava facendo un piacere.
«Volevi rimanere con il tipo che parlava a mitraglietta?» chiese Spartaco.
«Non proprio.»
Seguì un altro lungo silenzio e Irene si morse l'interno della guancia. Quella sera il collega era troppo serio rispetto al solito, la stava mettendo a disagio.
«Istinto, immagino.» mormorò infine il ragazzo.
«Cosa?»
«Come mai ti ho portato fuori: per istinto - ripetè - Ho una sorella minore, non so se lo sapevi, fatto sta che quando andavamo a scuola ho sviluppato questa specie di mania di protezione nei suoi confronti. Avevo sempre paura che qualcuno le potesse fare male, che qualche ragazzo le desse fastidio, che non ce la potesse fare senza di me... - sbuffò, sorridendo a certi ricordi lontani - In qualche modo mi hai ricordato mia sorella, prima, anche se ho notato che te la saresti cavata benissimo da sola.»
Irene rimase un po' in silenzio, come a voler riflettere parola per parola su ciò che gli aveva raccontato il collega, poi, tanto per mantenere l'atmosfera distesa che si era creata dopo il silenzio troppo prolungato, chiese:
«Tua sorella ti somiglia?»
Gli occhi del ragazzo brillarono al solo pensiero e sul volto tornò la sua solita espressione scherzosa.
«Lei ha un carattere decisamente migliore! Fisicamente, invece, dicono di sì, ma io non so. Per me io sono un maschio e lei una femmina, non so se mi spiego.»
Non si dissero molto altro per il resto del viaggio, ma per qualche motivo Irene non si sentiva più così a disagio e si sentì libera di rimanere in silenzio con i propri pensieri finché l'auto non si fermò davanti al palazzo in cui abitava.
«Grazie per il passaggio.» disse Irene mentre slacciava la cintura di sicurezza.
«Mh.» si limitò a mugolare Spartaco mentre alzava le sopracciglia con un mezzo sorriso.
«Non c'è bisogno che aspetti che io sia entrata.»
Spartaco la scrutò per un attimo, prima che scendesse dall'auto.
«Ma certo, potrei essere uno stalker o un maniaco pericoloso, anche se non ho provato a farti nulla durante tutto il viaggio, hai ragione!» disse piccato, alzando le mani in segno di resa. Irene lo squadrò, interdetta, poi fece schioccare la lingua e inasprì il tono.
«Dicevo per te: mi hai già fatto un favore ad accompagnarmi... - disse contenendo a stento uno sbuffo - A domani!»
Spartaco udì il suono secco della portiera che veniva sbattuta con decisione e portò una mano a massaggiarsi gli angoli interni degli occhi. Decisamente la stanchezza gli metteva il malumore. Si voltò verso la collega che si stava dirigendo con passi piccoli e rapidi verso un portone e mentre si soffermava a studiare quella camminata che non le aveva mai visto si ricordò della promessa fatta a Giovanni di rimediargli un appuntamento con lei.
«Ehi, Irene!»
La ragazza girò il viso verso la sua auto, il finestrino era abbassato per parlarle.
«Mh?»
«Scusa per prima, sono intrattabile stasera.»
«Mh.» fece lei con l'espressione acida che sembrava dire “L'ho notato”.
Spartaco finse di ignorare quel piccolo particolare e si fece forza, pensando che ciò che stava facendo era per il bene, (a seconda dei punti di vista), di Giovanni.
«Senti... sei libera?»
«A volte.» rispose la ragazza con un'alzata di spalle e a Spartaco sembrò di scorgere una specie di sorrisetto malizioso solcarle il viso prima che tornasse a dirigersi verso il portone di casa, ma forse era solo un gioco di ombre e luci della città notturna.
«Forse dovrei considerare l'ipotesi di cambiare metodo di approccio...» borbottò il ragazzo tra sé e sé mentre ingranava la marcia e ripartiva verso casa.


Spartaco giocherellava distrattamente con le chiavi di casa nell'attesa che l'ascensore concludesse la sua salita verso il piano in cui abitava.
Da quando aveva parlato con sua sorella si sentiva triste, di malumore, provava un sottile e sordo disagio. Un suo vecchio compagno di scuola avrebbe definito quello stato emotivo con uno strascicato “C'ho il male di vivere!”, ma Spartaco non aveva mai capito quel suo modo di dire. Il vivere, l'atto di esistere, secondo lui non avrebbe dovuto fare male, eppure in quel momento non avrebbe trovato espressione più calzante di quella.
Non c'era più solo la situazione della sorellina, ormai a tormentarlo erano sopraggiunti una schiera di pensieri negativi, come richiamati dal primo che aveva funto da avanguardia. Così pensava al rapporto rovinato con Camilla, al poco tempo che aveva a disposizione per vedere il suo migliore amico, a quanto quel lavoro per cui tanti avrebbero pregato in ginocchio lo facesse tornare a casa ogni sera più insoddisfatto e annoiato.
Tutto, in quel momento, gli sembrava sbagliato.
Aveva tanti pensieri ad appesantirgli la testa e fu per questo che mentre usciva dalla cabina dell'ascensore non si accorse subito della figura che si trovava appoggiata al portone di casa sua. Quando alzò lo sguardo quasi non la vide, ma il suo subconscio aveva registrato che c'era qualcosa fuori dalla norma, qualcosa di inconsueto, allora sollevò il capo una seconda volta e sgranò gli occhi.
Che ci faceva Barbara davanti alla sua porta?
«Dov'eri?» chiese secca, senza neanche salutarlo, precedendo qualsiasi domanda che avrebbe potuto rivolgerle lui.
«Ero con mia sorella, doveva parlarmi di una faccenda.» disse atono e circospetto, senza sbottonarsi troppo. Lo sguardo che Barbara gli rivolse era tutto fuorchè persuaso dalle sue parole.
«Mi fai entrare?»
Ecco, questo era esattamente ciò che Spartaco intendeva evitare, soprattutto in quella maledettissima sera. Era di malumore e la ragazza non avrebbe potuto scegliere momento peggiore per tentare quell'approccio.
«Dai, Barbie, è tardissimo... mi dispiace che tu abbia dovuto aspettare tanto, ti accompagno a casa.» disse, cercando di sviare la richiesta senza far arrabbiare troppo la ragazza.
«Oppure puoi farmi entrare.» ripetè lei testarda.
Passarono un mezzo minuto in un silenzio di tomba, teso e scomodo, mentre si fissavano negli occhi da un metro di distanza. A Spartaco mancava l'aria come se si fosse trovato ad un centimetro dal corpo di lei, ne sentiva la presenza opprimente, forse a causa del profumo dolciastro e persistente che impregnava l'aria attorno a lei.
«Se non hai niente da nascondermi ed è vero che eri con tua sorella, allora fammi entrare.»
Il modo in cui Barbara finalmente tornò a parlare era una sfida vera e propria e sarebbe sembrata tale anche se non avesse incrociato le braccia al petto e alzato il mento dopo quelle parole. Spartaco si innervosì.
«E questo cosa sarebbe? Un ricatto?»
«Allora mi hai davvero mentito...»
«Cazzo, Barbara! - sbottò a quel punto il ragazzo, fregandosene del fatto che avrebbe potuto disturbare qualche inquilino a quell'ora della notte - Non ti ho mentito, ma perché non ti puoi fidare un po' più di me? Perché non mi lasci libero di respirare almeno quando torno a casa?!»
Barbara strinse le labbra rosse e anche le sue pupille si restrinsero, riducendosi a due fessure.
«Se non mi fai entrare tra noi è finita.»
Aveva sempre avuto un paio di occhi capaci di perforare, di incenerire, di comunicare. Spartaco si ricordò che la prima volta che aveva incrociato il suo sguardo era sicuro che gli avesse detto “Mio” senza bisogno di schiudere le labbra. Così era stato, non avrebbe potuto sfuggire a quei due occhi e alla loro decisione neanche se avesse voluto, aveva ingaggiato un fiero corteggiamento a suon di occhiate al termine del quale era diventato suo. Stavolta però non aveva intenzione di sostenere il suo sguardo.
Spartaco distolse gli occhi da lei, stringendo la mascella. Era troppo provato e stanco, non voleva discutere e non voleva far esplodere ingiustamente tutta la rabbia repressa che aveva dentro. Fece un sospiro e percorse con pochi passi la distanza che lo separava dal portone, superando il corpo snello e immobile di Barbara. Quando aprì la bocca capì che aveva deciso da tempo.
«Allora ciao.» disse piano, meccanico e non la guardò in faccia mentre inseriva le chiavi nella toppa per aprire il portone di casa.
Barbara mantenne tutta la sua algida dignità e non fece il minimo rumore, o almeno, l'unico suono che Spartaco udì fu quello dei suoi tacchi a spillo mentre la ragazza si allontanava da lui e dal suo appartamento una volta per tutte.




5 marzo, ore 01:05
- Kilo, sei figlio unico?
- No, e tu?
- Nemmeno io




Il mio angolino:
Vi sembrava che Whatsapp Love si sviluppasse troppo lentamente? Falso Contatto sarà ancora più lento! (Ma solo perché i capitoli sono più corti... sorry!)
FatSalad

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Capitolo 6
*** Intermittenze ***


Spartaco indossò un paio di scarpe vistosissime come da accordo e si avviò con trepidazione verso il luogo dell'appuntamento. Sentiva una strana eccitazione mescolata alla malinconia della rottura con Barbara, fremeva di un'insolita agitazione e si sentiva ridicolo per questo.
Il mattino dopo aver lasciato Barbara si era svegliato di umore pessimo. Una parte di lui voleva rimanere a letto per altre dodici ore, l'altra parte voleva gridare e spaccare qualcosa, ma dopo qualche minuto di conflitto interiore si era convinto che nessuna delle due opzioni sarebbe servita a qualcosa. Stava male, si sentiva una merda e non si sarebbe sentito meglio dopo una dormita più lunga, né tantomeno con il servizio dei piatti frantumati a terra.
Aveva allora deciso che l'unica cosa che potesse farlo sentire davvero meglio sarebbe stata raccontare l'accaduto ai suoi amici e fissò un'uscita per quella sera stessa, evitando i luoghi in cui riteneva più probabile incontrare Barbara.
Quella sera Michele aveva cercato di tirarlo su di morale offrendogli da bere e dandogli delle pacche sulle spalle, ma presto Spartaco aveva realizzato che l'amico non avrebbe potuto capirlo fino in fondo. L'attaccante non aveva mai avuto storie tanto importanti da superare la durata di un mese e tutto ciò che aveva potuto dirgli per consolarlo era: “Ci sono tanti pesci nel mare” e “Morto un papa se ne fa un altro”.
In quel momento, nonostante Spartaco avesse tutto il rispetto per la saggezza popolare, aveva risposto a quei proverbi lasciando una sonora manata a Michele tra capo e collo, un attimo prima di mandarlo a quel paese e uscire dal locale per fare ritorno a casa, di umore più nero di prima.
Michele era rimasto a guardare l'ingresso da cui era uscito Spartaco per qualche secondo, massaggiandosi il collo che frizzava dolorosamente.
«Che ho fatto?» aveva chiesto poi rivolgendosi alla cameriera, intenta ad asciugare qualche bicchiere al di là del bancone.
Lei gli aveva risposto con un'alzatina di spalle e un sorrisetto divertito. Solo allora Michele si era ricordato che aveva scelto quello sgabello alto e scomodo solo per poterla guardare da più vicino.
“Sì, è proprio carina come sembrava da lontano” si era detto.
«Bah! Chi li capisce gli uomini!» aveva scherzato allora a voce alta.
Con la coda dell'occhio l'aveva vista ridacchiare, rivelando un certo interesse verso di lui, quindi aveva sfoggiato il suo sorriso più smagliante e si era preparato per quella nuova battuta di pesca.
Dato l'esito negativo di quella serata e constatato che, apparentemente, Michele aveva la profondità di una vigorsol distesa, Spartaco si era trattenuto dall'organizzarne altre. Una parte di lui avrebbe voluto vedere Giovanni, come ai tempi del liceo, quando dopo ogni storia finita male dell'uno o dell'altro si ritrovavano per sfiancarsi ad una partitella di basket o simili, per poi tracannarsi un litro d'acqua a testa in santa pace per sentirsi purificati. A quei tempi la sola presenza dell'amico bastava, non avevano neanche bisogno di spiegarsi. Si telefonavano, fissavano un orario e poi giocavano finchè non cadevano a terra sfiniti e sudati.
Giovanni a quel punto era solito dire una frase, un'unica frase, ma pregna di significato. Non a caso prendeva voti altissimi nelle interrogazioni sui poeti ermetici.
“Non era quella giusta” gli aveva ripetuto spesso in quei momenti e non usava mai un tono derisorio o scherzoso.
“Io te l'avevo detto” gli aveva rinfacciato un'altra volta e Spartaco non era mai stato più convinto di meritarsi quelle odiose parole.
Purtroppo, da quando Spartaco aveva cominciato a lavorare, non avevano più avuto modo di organizzare “partite di purificazione” come quelle e, dopo aver rotto con Barbara, Spartaco era riuscito solo a chiamare il migliore amico e informarlo per telefono dell'accaduto.
«Ho lasciato Barbara.» aveva detto semplicemente.
«Mmm.» aveva commentato Giovanni e per quasi un minuto erano rimasti così, entrambi ammutoliti con il cellulare all'orecchio, fermi ad ascoltare ciascuno il respiro dell'altro.
«Hai fatto bene, lo sai.» gli aveva detto alla fine di quell'interminabile silenzio.
Per quanto l'ermetismo di Giovanni avesse funzionato, come al solito, arrivando dritto al cuore del problema, Spartaco si era ritrovato a desiderare qualcosa di più. Voleva poter parlare faccia a faccia con qualcuno che potesse capirlo e il suo pensiero era andato, sorprendentemente, a quell'amica virtuale che era sempre stata brava ad ascoltarlo e dargli consigli.
Ci aveva ragionato su un paio di giorni buoni, poi si era deciso e le aveva mandato un messaggio che diceva:
- Senti, Kilo, non voglio che mi mandi una tua foto hot o che mi dici il tuo nome o le tue password o altro. Ho solo bisogno di un'amica in questo momento. Possiamo incontrarci?
Con sua somma sorpesa la ragazza non gli aveva risposto di no, come una parte di lui si aspettava e si erano messi d'accordo su luogo, data, ora e, cosa non meno importante, modo per riconoscersi.
Così Spartaco le aveva assicurato che si sarebbe fatto trovare perché avrebbe indossato un paio di scarpe gialle, che, sosteneva, nessun'altro ragazzo al mondo aveva mai avuto il coraggio di comprare. Kilo, di rimando, gli aveva promesso che avrebbe indossato un cerchietto con un fiocco rosso ridicolmente vistoso.
Mai come in quel sabato pomeriggio Spartaco si era sentito tanto allegro e soddisfatto nell'indossare il suo audace paio di scarpe gialle.


Arrivò al “Coffee Time” ed entrò salutando la barista, una ragazza giovane con lo sguardo vispo che lo salutò ammiccante, come se lo conoscesse.
Aveva scelto quel bar perché era vicinissimo alla stazione ferroviaria e non sapendo esattamente dove abitasse Kilo gli era sembrato il luogo più comodo da raggiungere. Kilowatt, d'altro canto, non si era lamentata della scelta, confermando che era stata un'ottima trovata.
Con un sorridente “'Sera” Spartaco si accomodò ad un tavolino in angolo e attese. E attese. E attese.
Passarono un'ora e un sacco di clienti, il ragazzo aveva già ordinato un caffè e un succo di frutta, che la barista gli aveva portato con occhiate di chi la sa lunga e con uno scherzoso “Non ti rassegni, eh?”, ma Spartaco non voleva desistere. Per quanto assurdo potesse suonare, si fidava di Kilowatt, non poteva credere che l'avesse abbandonato in un momento difficile come quello, perché le aveva già spiegato la sua situazione a grandi linee. Sempre più nervoso si decise infine a tirare fuori il cellulare per controllare se l'amica gli avesse lasciato un qualche messaggio. Ne trovò uno, diceva “Mi dispiace. Non ce l'ho fatta”, ma non spiegava se non ce l'avesse fatta a liberarsi dai suoi impegni, o se non ce l'avesse fatta a prendere il treno o che altro. Spartaco sospirò, scoprendosi deluso, si decise a bere finalmente il succo di pompelmo prima di andarsene, ma appena alzò il capo dallo schermo i suoi occhi incrociarono quelli della ragazza che era appena entrata nel bar annunciata dal tintinnio del campanello appeso alla porta.
«Ehi...!»


“Cosa mi è saltato in mente? Perché l'ho fatto?!”
Dentro di sé Spartaco si stava sottoponendo ad una sorta di tormentato esame psicologico, ma al di fuori non lasciava trasparire alcuna emozione particolare.
«Ecco qua: cioccolata calda con panna, gusto cannella. L'hai fatto penare, sai?» disse la barista rivolta alla ragazza che sedeva di fronte a Spartaco, facendo riscuotere il ragazzo dal suo stato di semi-incoscienza.
«Io, veramente...»
«Lascia fare, Irene.» le disse Spartaco scuotendo la testa per rassicurare la collega che si era appena irrigidita sul posto.
«Mi... mi dispiace?» disse la ragazza titubante, cominciando a mescolare la cioccolata per tenere lo sguardo occupato su qualcosa.
«Ma no, figuarati. Anzi, grazie per esserti seduta con me, mi hai tolto almeno un po' dall'imbarazzo.» aggiunse lui con una risatina.
Appena l'aveva vista entrare gli era venuto spontaneo alzare una mano e invitarla a sedersi al suo tavolo e lei aveva accettato, ringraziando con l'espressione imbambolata nebulosamente interrogativa.
«È successo qualcosa?» si azzardò a chiedere Irene a voce bassa, poco dopo.
«Niente di che - disse Spartaco fingendosi indifferente - sono solo stato scaricato due volte nell'arco di ventiquattr'ore: dalla mia ragazza e da un'amica.»
«Oh, mi dispiace.» mormorò Irene.
«È colpa mia, immagino. Mia sorella mi ripete fin dalle superiori che non so mostrare i miei sentimenti, ormai penso che abbia ragione. Poi sicuramente la storia con Barbara sarebbe finita in ogni caso, non stavamo andando da nessuna parte, però... ci si affeziona alle persone e le rotture fanno sempre male, credo.»
Spartaco parlava con lo sguardo rivolto verso il basso, rigirandosi tra le mani il bicchiere di succo, come se stesse mescolando una pozione magica, mentre la ragazza lo ascoltava in religioso silenzio.
«La cosa più dolorosa però è che proprio quando avevo bisogno di lei la mia amica mi ha voltato le spalle. È proprio vero che gli amici si riconoscono nel momento del bisogno.»
Spartaco si zittì e si mise a stuzzicare e arricciare un angolo del tovagliolino che gli era stato portato insieme al bicchiere di succo, ancora intonso. Irene aveva smesso di mescolare la cioccolata bollente, titubante allungò una mano verso quella di lui e gliela strinse delicatamente, senza aggiungere una parola, ma solo uno sguardo partecipe. Spartaco spostò l'attenzione dalle loro mani agli occhi della collega e le rivolse un mezzo sorriso.
«Ma davvero, non è successo niente.» ribadì distogliendo subito sguardo e mano e nascondendo di nuovo i suoi sentimenti dietro un sorriso con scarso successo.
«E tu?» chiese improvvisamente, spezzando quel momento di confessione che l'aveva lasciato stordito e impaurito.
«Io... cosa?» fece Irene notando quel cambio di tono.
«Tu cosa ci facevi in giro da sola di sabato pomeriggio?»
«Facevo shopping.»
Spartaco la squadrò, poco convinto e lei se ne accorse, perché chiese, sulla difensiva:
«Che c'è?»
«Non prendermi per il culo! - disse lui - Vuoi farmi credere che ti sei truccata e hai messo una minigonna per andare a fare compere?»
Ora la guardava con il suo solito sorriso da casanova.
«Solo perché a lavoro vengo vestita in modo serioso non significa che io mi vesta sempre in modo serioso.» ribattè lei senza scomporsi.
«Hai ragione, hai ragione, scusa.» disse Spartaco alzando le mani in segno di resa.
Cavolo, quella ragazza era impossibile!
«E poi... non ho detto che sarei andata da sola...» riprese Irene con aria distante, riprendendo a mescolare la cioccolata.
Ma chi gliel'aveva fatto fare di prendere una cioccolata calda al gusto cannella con quel caldo?!
«Ah-ah! Visto? Lo sapevo: dovevi uscire con un ragazzo!»
«...questo non vuol dire che dovessi uscire con un ragazzo.»
«Ma dai, è ovvio!»
A quel punto la collega gli rivolse uno sguardo offeso.
«Chi ti dice che io non mi sia messa una stupida gonnellina troppo elegante perché magari devo fingere di apprezzarla davanti all'amica che me l'ha regalata?»
«Mi stai confondendo. Prima hai detto che fuori dal lavoro ti vesti sempre così.»
«Non è esattamente quello che ho detto. Sto solo dicendo che non mi hai mai visto al di fuori dell'ufficio, non puoi arrivare subito alle conclusioni senza conoscermi...»
«E invece qualche volta ti ho visto al di fuori dell'ufficio e penso di aver capito che nell'armadio, accanto a quei completi noiosi che ti metti di solito, hai qualche vestitino carino che tiri fuori per gli appuntamenti galanti, sbaglio?»
Irene lo fissava e Spartaco considerò come una vittoria il lievissimo e solo accennato rossore che si diffuse sulle sue guance dopo la sua bonaria “accusa”. Era molto più di quanto la sua espressività limitata concedesse di solito. Probabilmente si era ricordata della sera di pochi giorni prima in cui si erano incontrati per caso in un locale e Spartaco l'aveva riaccompagnata a casa, ma quel breve attimo di smarrimento durò poco, poi Irene riprese il controllo delle proprie emozioni e tornò alla sua solita freddezza.
«Tutte le donne hanno qualche vestito nell'armadio.»
«Certo, quello che non capisco è perché tu non li tiri fuori dall'armadio anche per andare a lavoro: stai molto meglio vestita così come sei adesso!» le disse, indicando la sua persona con un gesto della mano, ma Irene non si mostrò affatto colpita dal complimento ricevuto, anzi, parve non apprezzare affatto il consiglio e la linea della sua mascella si indurì.
«E tu perché non vieni a lavoro con i jeans strappati e quelle scarpe fosforescenti che hai ai piedi?»
«Beh, perché... oh, andiamo! Hai capito cosa intendo!» esclamò Spartaco esasperato, perdendo il sorriso sornione ed era il chiaro segnale che la vittoria non era più sua.
Irene assaggiò un cucchiaino di cioccolata ormai tiepida con una certa soddisfazione e Spartaco sbuffò.
«Quando vai in ferie?» chiese dopo un po' il ragazzo con tono monocorde, giusto per cambiare discorso e dirigere la conversazione su un argomento neutro.
«Dato che sono l'ultima arrivata e immagino di dover tenere il profilo basso senza avanzare troppe pretese, mi sorbirò tutto il caldo di agosto e andrò in vacanza la prima di settembre.»
«Certo, ti capisco e mi sembra anche giusto, dato che l'anno scorso è toccata a me la stessa sorte! I disagi del primo anno sono un rituale di iniziazione, in pratica: se superi questi dodici mesi poi sei dentro per sempre!»
Irene mugugnò qualcosa, poco convinta.
«Guarda che tu sei già più fortunata di me: non hai mai dovuto subire il caldo infernale dell'ufficio all'ultimo piano, ti sembra poco?! Io anche se dopo un anno ho la scrivania al sesto piano, ho solo uno stupidissimo ventilatore degli anni 80 per raffrescare l'ambiente ed è risaputo che quegli aggeggi peggiorino la situazione, invece che migliorarla. In pratica sono passato dalla modalità “inferno” a quella “fornace”. Hai saputo che spostano gli archivi al terzo piano, nella stanza orientata a nord dove c'è più fresco? Ti rendi conto?! - A questo punto fece una pausa strategica, allargando le braccia - Hanno più riguardo per dei fogli vecchi che non per noi poveri impiegati!» concluse, teatrale.
«Ho saputo, sì. Si dà il caso, infatti, che insieme agli archivi sarò spostata anch'io...» buttò lì Irene senza particolare enfasi.
«Al terzo piano?»
Irene annuì.
«In una stanza orientata a nord?»
La collega annuì di nuovo.
«Dove hanno installato dei nuovi condizionatori?»
Irene scrollò le spalle, come a dire che non si sentiva affatto in colpa per la situazione.
«Hanno più riguardo per dei fogli vecchi e per la novellina che non per noi poveri, vecchi impiegati!» eslamò Spartaco fingendosi indignato.
Anche allora Irene non sorrise, si limitò ad abbassare le palpebre e incurvare un solo angolo della bocca in segno di moderato divertimento.
Spartaco si ritrovò ad emulare la sua espressione, mettendo su l'ombra di un sorriso. Almeno per qualche minuto si era dimenticato le cause più profonde del suo malessere.
“Ma guarda te! Ero venuto per incontrare un'amica e mi sono ritrovato a discutere di lavoro con una collega!” pensò amareggiato, mentre mandava giù l'ultimo sorso di succo annacquato dal ghiaccio ormai completamente sciolto.




Ore 22:47
- Corto
Corto...?
Corto... perdonami





Il mio angolino:
NB (che forse avrei dovuto scrivere prima): i dialoghi tra Kilo e Spartaco che sono in fondo ad ogni capitolo non sono in ordine cronologico, bensì sono come delle citazioni che riassumono i temi del capitolo. Si può intuire se siano stralci di conversazioni precedenti al tempo di Falso Contatto per il modo in cui Spartaco si rivolge a Kilowatt (come ad un ragazzo prima, come ad una ragazza poi). In ogni caso adesso ho messo un riferimento temporale prima di ogni stralcio, così da rendere il tutto più chiaro.
Come mi è stato suggerito di fare, vi lascio inoltre uno schema dei personaggi per chiarire eventuali confusioni.
Alla prossima,
FatSalad


I personaggi fino ad ora (in ordine di apparizione):
Spartaco (26): il protagonista che tutti amiamo.
Kilowatt (?): persona di sesso femminile, età >11. Amica “virtuale” di Spartaco, si conoscono da anni, ma non si sono mai incontrati faccia a faccia.
Barbara (26): la ormai ex ragazza di Spartaco.
Camilla (22): commessa in un negozio di elettrodomestici, innamorata di Spartaco.
Giovanni (26): ex compagno di classe e di squadra di Spartaco, nonché suo migliore amico. Studia Economia e Commercio e lavora come cameriere in una pizzeria.
Michele Carli (24): attaccante compagno di squadra (e di bevute) di Spartaco.
Giulia (24): sorella di Spartaco.
Elena (25): amica di Spartaco, della cerchia di amici di Michele. Originaria dell'Argentina.
Irene (23): “novellina” collega di lavoro di Spartaco.
Nathan (25): amico ed ex compagno di squadra di Spartaco, nonché fidanzato di Giulia.

Altri personaggi:
Mister: nome ignoto, è l'allenatore della squadra di Spartaco e Michele.
Sara: madre di Spartaco e Giulia.
Enrico: padre di Spartaco e Giulia.
Gabriele: migliore amico di Michele.
Sergio: collega di ufficio di Spartaco.

 

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Capitolo 7
*** Illuminazione ***


Presto o tardi Spartaco aveva dovuto informare anche sua sorella Giulia che si era lasciato con Barbara. Sul momento la ragazza l'aveva ascoltato con aria sconsolata, ma, passata la prima ora di rispettosi sguardi dispiaciuti, non si era più fatta remore nel fargli sapere quanto Barbara non le fosse mai piaciuta, arrivando perfino a dire che “Di tutte le ragazze che hai avuto - e sapevano entrambi che non erano poche - direi che Barbara era decisamente la peggiore!”.
Detto dalla sua amabile, buona, dolce sorellina quel giudizio suonava terribilmente crudele e spaventosamente affidabile.
Successivamente, Spartaco aveva dovuto fare i conti con le conseguenze più pragmatiche della rottura: le vacanze estive, in primo luogo. Aveva disdetto il prima possibile il viaggio che avevano progettato, o meglio, il viaggio che Barbara aveva progettato, costringendo Spartaco ad approvarlo in ogni dettaglio.
Stava cercando delle informazioni su internet con lo smartphone, quando si sentì chiamare da Michele. Lo stava aspettando al tavolino di un pub, poiché gli aveva detto che a causa di un imprevisto avrebbe ritardato.
«Sei da solo?» chiese Michele, sorpreso.
«Sì, Elena ha scritto un messaggio dicendo che farà tardi, non hai letto?»
«No. - Ammise Michele in un mormorio, tirando subito fuori dalla tasca il cellulare per controllare quanto detto dall'amico. - Allora siamo solo noi, dato che Gabriele si è sentito male.»
Spartaco aspettò che l'amico si fosse seduto e avesse ordinato la sua birra e un hamburger giusto perché erano le ventidue e quindici e aveva un certo languorino.
L'attaccante aveva notato che Spartaco era intento a progettare da capo le vacanze e mentre aspettava l'arrivo del suo spuntino serale chiese allegro:
«Allora cosa farai? Dove andrai in vacanza?»
Per fortuna non era un ragazzo permaloso e il modo in cui Spartaco l'aveva trattato pochi giorni prima gli era scivolato addosso come l'acqua piovana. Spartaco a volte si chiedeva come facesse ad essere amico di un tipo così superficiale, altre volte lo ringraziava proprio per quel suo tratto spensierato e il carattere che non portava mai rancore. Forse poi Michele si era reso conto di essersi meritato quel trattamento, quella sera.
«Ancora non lo so, mi sto mettendo d'accordo con Giovanni, vediamo se troviamo qualche posto all'ultimo minuto per andare una settimana in campeggio.»
«La vacanza dei due scapoli d'oro... quasi quasi vi invidio!»
«Scapoli d'oro?»
«In campeggio, poi... già mi immagino il via vai di ragazze che ci sarà nella vostra tenda!»
«Scapoli d'oro?»
Spartaco scandì le parole e Michele capì dal suo sguardo sbieco che forse non aveva gradito le sue parole.
«Ehi, non ti offendere, Spartano, credevo di farti un complimento con la storia delle ragazze, anche se ho esagerato parlando di “via vai”...»
“Che coglione!” fu l'unica cosa che riuscì a pensare il moro.
«Ho ventisei anni, mica quarantasei!» tentò di difendersi.
«Hai ragione, hai ragione, ma io ne ho meno e il ventisei è più di un quarto di secolo. Insomma, a un certo punto devi anche guardare in faccia la realtà...»
«Vieni qua, brutto stronzo moccioso! Ti faccio smettere io di parlare come se avessi un piede nella fossa!»
Michele si allontanò dall'amico che aveva tentato di afferrarlo per servirgli una delle sue proverbiali manate e alzandosi dal posto ne approfittò per andare a reclamare il proprio panino.
«E dai, non te la prendere, che anche se non ci sarà il via vai qualche tipa la rimorchiate di sicuro!» aggiunse comprensivo, inclinando il capo nella sua direzione.
“Sto davvero invecchiando” pensò Spartaco, ricordando che se avesse avuto qualche anno in meno si sarebbe messo a correre dietro a Michele per fargli rimpiangere quell'offesa al proprio onore.
“Ma per fortuna la vecchiaia porta esperienza e l'esperienza aguzza l'astuzia... e l'astuzia insegna la pazienza” si disse sorridendo compiaciuto quando gli venne un'idea.
Attese tranquillo il ritorno di Michele al tavolo, che arrivò con un hamburger gigante in mano, tutto soddisfatto della propria scelta.
La posizione era strategica e mentre Spartaco aveva la completa visuale sull'ingresso, Michele di fronte a lui non poteva vedere chi entrava o usciva senza voltarsi.
«Allora, Carli, tu quando ti deciderai a far cessare il via vai e provarci con la ragazza che ti interessa veramente?» chiese Spartaco con nonchalance, sorseggiando la sua birra e meditando la propria vendetta.
Michele non interruppe il morso con cui stava aggredendo avidamente il panino, ma all'amico sembrò di vederlo masticare più lentamente.
Michele non era esattamente un bel ragazzo. Aveva un fisico asciutto e allenato, naturalmente, ma il suo viso non era propriamente armonioso ed aveva un che di stupido, con quel naso schiacciato al centro della faccia e un neo in mezzo alla fronte che faceva apparire i suoi occhi più vicini di quanto in realtà non fossero. Eppure aveva un discreto successo col gentil sesso. Le ragazze si lasciavano affascinare dai suoi modi ipersocievoli e dalla galanteria un po' affettata da PR, dalle sue battute pronte e dalla risata contagiosa. Quando Spartaco l'aveva conosciuto meglio e aveva notato il fatto gli era tornata in mente la frase che aveva letto per caso sulla maglietta di uno sconosciuto “Se puoi far ridere una donna puoi farle fare qualsiasi cosa”. Non ricordava chi fosse l'autore dell'aforisma, ma su Michele avrebbe calzato a pennello.
«Non mi interessa nessuna in particolare, basta che sia bona!» scherzò l'attaccante con la bocca ancora piena e fu tanto convincente che Spartaco ebbe paura di aver preso un abbaglio.
«Ah, quindi non ti piace Elena?» chiese sorpreso.
D'altra parte non avevano mai affrontato apertamente l'argomento e non poteva averne la certezza, il suo era poco più di un sospetto.
Michele scrollò le spalle.
«Allora posso provarci io dato che il mare è pieno di pesci?» citò, tenendo d'occhio le reazioni dell'altro.
«Fai come ti pare...»
«Mica ti sto chiedendo il permesso! Si fa parlare: bona è bona, c'ha due tette che...»
«...basta che non fai lo stronzo con lei.»
Spartaco bloccò a mezz'aria le mani con cui stava gesticolando per aiutarsi ad esprimere il concetto del seno di Elena e incrociò le braccia al petto. Il tono dell'amico d'improvviso si era fatto mortalmente serio.
«Io non faccio mai lo stronzo, lo sai.» ribattè calmo.
Michele abbassò lo sguardo sul proprio piatto e riprese ad azzannare il pane innocente, sentendosi in qualche modo sotto accusa.
«L'unica incognita è se adesso stia uscendo con qualcuno, tu ne sai qualcosa?» continuò Spartaco.
Ormai non era più una questione di vendetta.
Michele scosse il capo, negando.
«Oh-oh, è arrivata! - esclamò ad un tratto Spartaco con aria insolitamente greve rivolto verso l'ingresso - No! Non ti girare! È insieme ad un uomo.»
Vide Michele irrigidirsi sul posto e seguire il consiglio.
«Un uomo? Cioè è un vecchio? Io vorrei sapere che tipo di traumi abbia avuto da bambina per trovarsi sempre dei vecchi bavosi!» borbottò, irritato e preoccupato.
«Ma no, non è vecchio, ho detto un uomo nel senso di un ragazzo...»
«Che tipo è?»
«Non saprei, non l'ho ancora visto bene, è girato di lato, ma tranquillo, sarà sicuramente un tipo con la buzzetta da birra, vestito da cretino... Uh-oh... si è voltato: altro che buzzetta da birra! Ha il fisico da personal trainer!»
«Tsk! Che gusti che ha quella! Voglio dire, non che mi importi, è solo che...»
«Zitto! Stanno venendo da questa parte!»
Michele ammutolì.
«Ciao ragazzi!» disse con la solita voce squillante Elena e allora Michele si decise a voltarsi, mantenendo un'espressione di finto disinteresse.
«Ciao... - disse cercando con gli occhi dietro di lei - Sei da sola?»
«E con chi dovrei essere?»
«No, dicevo così...» disse Michele guardando di sottecchi Spartaco che beveva un sorso di birra come se niente fosse.
L'ilarità era ben nascosta negli occhi del moro, insieme ad una buona dose di compiacimento. D'altra parte era quello che faceva sempre Spartaco: vinceva.
Elena era amica di Michele da tempo e anche se il ragazzo non l'aveva mai ammesso esplicitamente era chiaro che si preoccupasse e ci tenesse molto a lei. Elena era anche una delle prime persone con cui Spartaco aveva legato da quando aveva cominciato ad uscire con il gruppo di amici del compagno di squadra. Le origini argentine le avevano dato, oltre alla carnagione olivastra e un bel paio di gambe allenate a ballare, un carattere forte e indipendente, per cui era facile discutere con lei, sia in senso buono che in senso negativo.
«Ti monopolizzava - commentò quando apprese che Spartaco aveva lasciato Barbara – e certo che un po' di gelosia è d'obbligo, ma troppa non ti lascia vivere.»
Spartaco la squadrò, perplesso.
«Si può sapere perché mi dite tutte queste cose solo adesso che ci siamo lasciati?» chiese risentito.
«Chi altri te l'ha detto?»
«Mia sorella e il mio migliore amico mi hanno detto cose del genere, anche se hanno usato parole diverse.»
Elena sorseggiò il cocktail che aveva ordinato, prendendo tempo probabilmente per scegliere le parole più giuste da dire in quel momento.
«Non ti ho mai nascosto che non andavamo particolarmente d'accordo – esordì – ma sono cose difficili da dire, soprattutto ad un ragazzo innamorato. Anche se tu non sembri il tipo che si piange addosso e avrà problemi a trovare una nuova ragazza con cui uscire.»
Spartaco rimuginò un po' su quelle parole, poi decise che non era il momento per le riflessioni profonde e fece un mezzo sorriso che dichiarava “questione chiusa”.
«E tu?» chiese ad alta voce in modo che anche Michele fosse costretto ad udire ogni sillaba ed essere incluso nella conversazione.
«Io, se tu fossi meno mammone, ci uscirei con te, ma mi sembra di aver capito che tutti gli italiani sono attaccati alla gonna della mamma!»
Spartaco rise, per niente offeso dall'ultima affermazione della ragazza. Michele invece grugnì ed Elena lo osservò di sottecchi, ben sapendo che era sensibile all'argomento mamma, poiché era stato cresciuto da una madre single.
«Mi dispiace, Elena, ma credo che tra di noi non funzionerebbe, ma non è quello che ti stavo chiedendo. La mia domanda era: come va a uomini?»
Elena scrollò le spalle.
«Non ho voglia di impegnarmi, adesso. Dopo che ho scoperto che l'ultimo con cui ho avuto una relazione era un padre di famiglia... quello stronzo!»
Michele sbuffò.
«E tu non mi prendere per i fondelli!» lo ammonì lei stizzita, puntandogli un dito contro.
«Io?! Non ho detto nulla!»
Si giustificò Michele sgranando gli occhi e alzando i palmi, ma era così palese che l'ultimo partner dell'amica non gli fosse mai piaciuto, che Spartaco non si stupì di sentirli cominciare un battibecco.
«Non voglio commentare i tuoi gusti in fatto di uomini, guarda.»
«Che ne vuoi sapere dei miei gusti?!»
«Ho visto con che cretini uscivi alle superiori.»
«Non ti permetto di criticarmi! Certo per te una vale l'altra, basta che respiri!»
«Io non ho mai detto “basta che respiri”!»
«A lei non dice “morto un papa se ne fa un altro”...» borbottò tra sé Spartaco mentre distoglieva lo sguardo dai due litiganti e dopo un sorso di birra si guardava intorno.
Si ricordò che in quello stesso pub era avvenuto l'incontro disastroso e il confronto tra Barbara e Camilla non appena vide quest'ultima entrare dalla porta d'ingresso insieme ad un paio di amiche. Forse era un luogo su cui pendeva una maledizione di discordia, chi poteva dirlo?
Seguì con lo sguardo la commessa che si sistemava una canotta troppo scollata e troppo stretta per le sue forme, notò che aveva cambiato taglio di capelli e poi, come se avesse sentito i suoi occhi addosso, la vide alzare il capo e incrociare il suo sguardo.
Per un attimo rimasero immobili a fissarsi, poi lei si riscosse e richiamò le sue amiche facendo loro cenno di uscire dal pub. Era bastato quel breve sguardo, però, a far tornare in mente a Spartaco tanti frammenti di conversazioni, tanti dettagli, come dei flash.
...probabilmente è una nerd obesa che piange ogni volta che ti sente nominare il sesso perché nessuno se la fila...
...Perché mai avresti dovuto stare dietro ad una ragazza che porta una taglia superiore alla 40?!...
...Mi dispiace. Non ce l'ho fatta...
...Corto... perdonami...
Lasciò disordinatamente il tavolino, senza curarsi degli amici che gli chiedevano se fosse tutto a posto e si precipitò fuori dal locale, rincorrendo la ragazza.
«Cami! Camilla! Fermati!» gridò una volta uscito, notando che la ragazza si stava allontanando in fretta insieme alle amiche.
Continuò a chiamare il suo nome e finalmente la ragazza si fermò e fece un gesto alle altre, che subito si allontanarono, andando probabilmente a recuperare l'auto parcheggiata.
«Che vuoi?» chiese Camilla sanza gentilezza non appena Spartaco fu abbastanza vicino a lei.
Lui però non si fermò, la raggiunse e la prese per le spalle scoperte, violando con quel contatto fisico una distanza che non aveva mai oltrepassato e lasciandola sbigottita. La guardò negli occhi sgranati, scrutò le sue guance che si colorivano e pensò “Forse ho ragione”.
«Sei tu?» chiese serio e impaziente, le mani salde sulle sue spalle tonde, il suo fiato che si scontrava quasi sul volto pieno della ragazza.
«I-io? Sono io? Cos... che vuoi dire?»
Probabilmente aveva captato l'urgenza nella sua voce.
«Kilowatt, sei tu?» chiarì, ma la vide annaspare, confusa più che mai.
«Non sei tu?»
Lo sguardo di Spartaco si fece più insicuro, le sue mani lasciarono la presa e scivolarono dalle spalle della ragazza. Il moro indietreggiò di un passo e abbassò lo sguardo sui propri piedi per cercare le parole più adatte da dire.
«Se sei tu dimmelo, non ora se non vuoi, ma quando vorrai devi dirmelo, per favore. Se non sei tu... allora scusami.»
Dato che era rimasta muta per tanto tempo, Spartaco alzò lo sguardo su Camilla e la trovò con la bocca semiaperta e lo sguardo fisso nel vuoto.
«Come stai?» chiese allora, dopo essersi schiarito la gola.
«Uhm.» rispose lei, senza distogliere lo sguardo da dove si era incantato.
«Bene, allora... io vado. Buonanotte.»
Detto questo si voltò e fece per tornare dentro al pub.
«Ehi, che le hai fatto?»
Sentì che gridava una voce dietro di sé dopo che era avanzato di qualche passo. Allora si voltò e vide che le sue amiche avevano raggiunto Camilla, una era scesa dall'auto e la scuoteva per un braccio. Capì che quella domanda era rivolta a lui quando vide che la commessa era rimasta nella stessa identica posizione in cui l'aveva lasciata, con la testa inclinata e lo sguardo vacuo.
“Dopo tutto, forse non è lei” pensò, mentre l'amica di Camilla le diceva qualcosa come: «Respira, Cami, respira...».
«Ma che gli fai, alle donne?!»
Si sentì dire dalla voce troppo alta e divertita di Michele che aveva assistito all'ultima parte della scena dalla porta del locale, insieme ad Elena. Probabilmente lo avevano seguito preoccupati dal modo in cui era corso fuori. Michele si era appoggiato allo stipite a braccia conserte e dal sorrisetto stampato sul suo volto doveva aver gradito molto lo spettacolo.
«Taci, segaiolo!»
«Quasi quasi mi ricredo: forse in quella tenda potresti avere davvero un via vai di tipe...»
«Sì, io e Giova facciamo sempre delle grandi orgie, contento?»
«Ah. E dove hai detto che andate in campeggio?»
«Carli, certe volte mi disgusti...»




Qualche giorno prima, 13 giugno, ore 21:18
- Kilo, dimmi la verità: perché non hai voluto incontrarmi?
- Perché ho avuto paura.




Il mio angolino:
Gestire Giulia in Whatsapp Love era molto più semplice: introversa, poche conoscenze... Spartco è troppo socievole, devo scrivere dialoghi su dialoghi! Argh!
FatSalad

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Capitolo 8
*** Carica positiva ***


Prima di cominciare...
hai bisogno di una rinfrescatina per ricordarti i nomi?


I personaggi fino ad ora (in ordine di apparizione):
Spartaco (26): il protagonista che tutti amiamo.
Kilowatt (?)
: persona di sesso femminile, età > 11. Amica “virtuale” di Spartaco, si conoscono da anni, ma non si sono mai incontrati faccia a faccia.
Barbara (26): la ormai ex ragazza di Spartaco.
Camilla (22): commessa in un negozio di elettrodomestici, innamorata di Spartaco.
Giovanni (26): ex compagno di classe e di squadra di Spartaco, nonché suo migliore amico. Studia Economia e Commercio e lavora come cameriere in una pizzeria.
Michele Carli (24): attaccante compagno di squadra (e di bevute) di Spartaco.
Giulia (24): sorella di Spartaco.
Elena (25): amica di Spartaco, della cerchia di amici di Michele. Originaria dell'Argentina.
Irene (23): “novellina” collega di lavoro di Spartaco.
Nathan (25): amico ed ex compagno di squadra di Spartaco, nonché fidanzato di Giulia. Professione: architetto.





Spartaco stava passeggiando su una spiaggia bianca e rovente, non tirava un alito di vento ed era piuttosto strano, considerando che si trovava in riva al mare. Accanto a lui Michele se la rideva della grossa, in quel modo incontrollato e infantile che lo caratterizzava a volte, con la fronte accartocciata su se stessa tanto da nascondere il neo solitamente ben visibile.
«Io non faccio mai lo stronzo, lo sai.» gli disse Spartaco serio.
Il compagno di squadra ammutolì d'un tratto, e le rughe d'espressione sul suo viso presero direzioni diverse, mutando i suoi tratti.
«Ma lo sai bene che mi piace Elena!» sbottò Michele, con voce dura e irata.
Era come se tutta l'ilarità fosse stata studiata per mascherare la collera che gli cresceva dentro, compressa, pronta ad esplodere, come una pentola a pressione.
Spartaco immaginò che il volto dell'amico fosse rosso come a fine partita. Non potè verificarlo meglio perché era contro sole e ogni tentativo di decifrare la sua espressione si traduceva in un gran bruciore agli occhi.
«Lo so, lo so, non ti arrabbiare: non te la tocco.» disse per tranquillizzare Michele, guardando i propri piedi nudi anziché lui.
Una ragazza in bikini lo urtò per sbaglio e Spartaco si scusò, come richiedeva l'educazione.
«Ciao Spartaco! Non ci posso credere! Anche tu qui?!»
Per un attimo Spartaco parve stordito. Non riconosceva la ragazza, ma quella voce non gli era nuova.
«Ehi, ciao!» disse rispondendo al saluto con un sorriso.
Ma chi era? Dannazione, chi era quella ragazza dai capelli lunghissimi con un costume da bagno color ciliegia? Se solo si fosse spostata di un passo avrebbe potuto guardarla in volto, ma il sole glielo impediva.
«È troppo tempo che non ci vediamo, mi sei mancato, amore.» disse la ragazza con un sussurro timido e dolce.
Ma certo! Adesso ricordava: erano stati insieme!
«Hai ragione...» cominciò Spartaco, poi la sua mente fece un salto di logica.
Era un ragionamento elementare, in verità: lui era single, lei l'aveva appena chiamato “amore” ed era una ragazza veramente bella. Bastò questo, si avvicinò a lei, le mise le mani sui fianchi, fremette per il contatto con la sua pelle nuda e liscissima e la baciò.
«Ehi, che le hai fatto?»
La voce di sua sorella Giulia lo riscosse. Si staccò dalla sua ex, si voltò e vide il volto della sorellina contratto in una smorfia. Era chiaro che stesse trattenendo le lacrime.
«Giuro che non ho fatto niente!» si affrettò a giustificarsi Spartaco.
Eppure si sentiva un pochino in colpa per qualcosa.
«Sei un bugiardo! - gridò Giulia – Sei un egoista!»
«No, dai, Giuggiù, io non...»
«Ma che gli fai, alle donne?!» disse Michele, interrompendolo.
Dov'era finito fino a quel momento? E perché sembrava ancora arrabbiato con lui? Di solito le sue arrabbiature duravano molto meno.
«Eh? Che gli fai alle donne?»
«Egoista!»
Spartaco tentò di giustificarsi ancora, di spiegarsi, ma quei due non gli lasciavano dire niente ed era frustrante ed ingiusto, opprimente quasi quanto l'assenza di vento. Il caldo era assurdo, non lo faceva respirare, ma forse non era nemmeno il caldo, era il pianto incastrato in gola oppure... ecco! Era la sua ex in bikini che gli stringeva il collo. L'avrebbe strangolato, ucciso! Perché Giulia e Michele non facevano niente per aiutarlo? Si erano rivoltati tutti contro di lui! Sarebbe morto, non riusciva più a respirare, sarebbe morto se non fosse riuscito a staccarsi le mani della ragazza dalla gola, ma le sue dita erano tentacoli, non ci sarebbe riuscito... stava morendo!
Spartaco si svegliò di soprassalto con il fiatone. Il lenzuolo gli si era tutto attorcigliato addosso in modo disordinato, fino al collo.
Si toccò la gola e il torace e si scoprì madido di sudore. Non era da lui fare incubi e soprattutto ricordarseli una volta sveglio.
«Oh, porca...» bisbigliò massaggiandosi le palpebre stanche.
Controllò l'orario e scoprì che erano appena le cinque e mezza del mattino, mancava solo un'ora all'avvio della sveglia. Non sarebbe riuscito a riprendere sonno, prese degli abiti puliti un po' alla cieca e si gettò sotto il getto tiepido della doccia.
Mentre si insaponava e cercava di lavare via il sudore e l'apprensione non poteva fare a meno di pensare al sogno da poco concluso e al suo significato. Non era un tipo superstizioso, non avrebbe mai giocato dei numeri apparsi in sogno, ma una ragazza con cui era uscito studiava psicologia e gli aveva spiegato un paio di cose riguardo a sogni e inconscio. Ripensare a ciò che aveva sognato l'avrebbe aiutato a capire meglio, a capirsi meglio.
Fece mente locale. Certo, alcuni elementi non dovevano avere un significato recondito, baciare una bella ragazza in bikini, da qualunque parte la si volesse guardare, poteva voler dire solo una cosa. Il fatto che la ragazza avesse dei tentacoli polipeschi... beh, quello forse era solo parte dell'“arredamento” dell'incubo, un qualcosa di mostruoso che lo disgustava o lo spaventava. Nella sua mente, quella notte, erano riecheggiate alcune frasi che aveva pronunciato o udito sabato sera, dunque in quelle forse era la chiave di lettura, dovevano averlo colpito più di quanto non avesse creduto sul momento.
Aveva detto a Michele che non faceva mai lo stronzo, ma era davvero così? Forse, per quanto si sforzasse di comportarsi bene, a volte non aveva fatto la cosa giusta, forse c'erano state volte in cui involontariamente aveva ferito qualcuna delle ragazze con cui era uscito. O con cui non era uscito. Come Camilla.
«Ehi, che le hai fatto?»
«Che gli fai alle donne?»
“Niente, giuro! Non ho fatto niente!” si rispondeva Spartaco.
D'accordo, quando era un adolescente non gli dispiaceva piacere, sapere che qualche ragazza lo seguiva con gli occhi ogni volta che passava o notare come qualcuna diventava rossa se le rivolgeva la parola. Era stato vanitoso e vanaglorioso ed era possibile che in qualche occasione avesse approfittato della propria bella presenza, ma quelli erano errori di gioventù.
Poi nel sogno era spuntata fuori Giulia. Cosa c'entrava sua sorella con tutto il resto?
Chiuse l'acqua, ma rimase un attimo immobile, con i capelli gocciolanti.
«Merda!» disse a denti stretti.
All'improvviso si era ricordato una conversazione e il suo sogno prendeva senso.
«Posso fare qualcosa?»
«Potresti... parlare con Nathan?»
«E cosa dovrei dirgli?»
«Non lo so... di pensarci bene, di aspettare, di... non lo so.»
«Ho capito.»
Giulia gli aveva chiesto un favore, settimane prima, e lui non era stato di parola. Non aveva mosso un dito per lei e anche se Giulia non si sarebbe mai azzardata a dire niente del genere, era il suo inconscio a riferirgli ciò che probabilmente la ragazza gli avrebbe gridato, se fosse stata meno remissiva. In fondo era quello che inconsciamente pensava di sé: era un egoista e un bugiardo. Aveva offerto tutto il suo supporto e poi, alla prima, timida, piccolissima richiesta d'aiuto si era volatilizzato.
Certo, nel mentre si era lasciato con Barbara e c'era stata quella “situazione” con Kilowatt, ma non poteva usare i suoi problemi come giustificazione. Non voleva farlo.
Uscì dal box doccia e si asciugò frettolosamente, si massaggiò vigorosamente i capelli bagnati con un asciugamano e poi si vestì. Era troppo presto per mandare un messaggio al ragazzo di Giulia, non avrebbe certo risposto subito, ma Spartaco sapeva che rimandare avrebbe significato “non fare”. Recuperò il cellulare dal comodino e scrisse poche righe a Nathan. Non sarebbe certo bastato quello a renderlo non più bugiardo, egoista e stronzo, ma da qualche parte doveva pur cominciare.


Quando gli aveva chiesto se potevano vedersi a breve, Nathan non aveva chiesto il perché, aveva accolto con entusiasmo la proposta e gli aveva riferito quando sarebbe stato libero e ovviamente l'aveva chiamato “capitano”, con quell'antica riverenza che onestamente al momento gli pareva ridicola.
Arrivò al campetto sportivo a cui si erano dati appuntamento in leggero anticipo. Scese dall'auto anche se sapeva che in pochi minuti Nathan avrebbe finito di lavorare e gli sarebbe andato incontro, perché non resistette alla tentazione di vederlo all'opera. Percorse quei pochi passi che lo separavano dalla rete che circondava il campo da calcio e si confuse in mezzo a qualche altro spettatore. Vide un gruppetto di bambini, tutti con indosso un cappellino colorato e, probabilmente, tutti sudati e accaldati, mentre un ragazzo poco distane urlava loro dei comandi. In tutta evidenza era in corso una gara, forse una ginkana, e Nathan incitava le due squadre di ragazzini a saltare o correre a seconda del caso.
L'immagine fece ridacchiare Spartaco. Nathan aveva il fisico asciutto ed era piuttosto basso in confronto a lui, lo superava di una quindicina di centimetri o più e stava attento a non avvicinarglisi troppo quando parlavano, per non costringerlo a spezzarsi il collo e per non metterlo in soggezione. In quel momento, con indosso un paio di bermuda color kaki e una t-shirt dal colore sgargiante con su scritto “Estate In Città!”, sembrava poco più grade dei ragazzini a lui affidati.
Aveva cominciato a lavorare in quei centri estivi organizzati quando ancora studiava e voleva mettere da parte qualche soldo e, a quanto pareva, qualche soldo non gli dispiaceva neanche adesso che un lavoro, in teoria, ce l'aveva.
Spartaco l'aveva soprannominato “Scheggia” quando giocavano nella squadra di calcetto della scuola. Un giorno gli aveva chiesto “Perché Scheggia?”, ma lui non se lo ricordava già più. L'origine del soprannome poteva essere una battuta stupida o qualche altra circostanza irrisoria, ma Spartaco trovava che gli calzasse ancora a pennello.
“Perché sei piccolino, ma quando ci sei si nota” gli aveva risposto quella volta e mentre pronunciava quelle parole si era reso conto di crederci. A differenza di una scheggia di legno che si conficca nei polpastrelli, Nathan non faceva male, anzi, spesso faceva un gran bene, con una frase o una parola detta al momento giusto. Aveva questo potere, di trasformarsi in un vecchio di ottant'anni di tanto in tanto e parlare con la stessa saggezza di un uomo che ha vissuto tutta una vita. Durava un battito di ciglia, poi tornava un piccolo ragazzo con le fossette sulle guance e gli occhi a mandorla dovuti a quelche gene tailandese.
Nathan fischiò mettendosi due dita in bocca e gridò che il tempo era scaduto. Annunciò la squadra vincitrice e qualche genitore improvvisò un applauso mentre i figli esultavano, si arrabbiavano o si rattristavano, a seconda della squadra di appartenenza.
Il ragazzo diede il via libera e una manciata di ragazzini corse verso i propri genitori, allora Spartaco si avviò nella sua direzione.
«Ehi, guarda chi c'è! - esclamò Nathan non appena l'ebbe visto – Ragazzi, vi presento un grande capitano, salutatelo!»
I ragazzini ancora in campo biascicarono qualche “ciao” seguendolo con sguardi curiosi.
«Non sono più un capitano, ormai.» si difese Spartaco, come a voler sfuggire da quell'onere.
Raggiunse Nathan e si scambiarono una pacca bonaria sulla schiena e uno sguardo complice.
«Allora? - chiese Spartaco – Come sono queste nuove reclute? Abbiamo qualche nuovo campione del mondo?»
«Chissà! - disse Nathan a voce alta, poi aggiunse, senza farsi sentire dai bambini – Stiamo parlando di un centro estivo pomeridiano dove genitori troppo impegnati scaricano a caso i figli, lo sai, vero?»
Spartaco trattenne una risata e aspettò insieme all'amico che ogni ragazzo fosse tornato al rispettivo parente.
«Ehi, è Lorenzino quello?» chiese indicando un bambino pingue e biondo che se ne stava andando.
Nathan annuì con un sorriso.
«Porca miseria... non li vedi per un paio di mesi e quei marmocchi crescono fino a quel punto!»
«Beh, forse è più di un paio di mesi che non lo vedi.» gli fece notare Nathan mentre era intento a rimettere a posto dei birilli.
Spartaco lo affiancò e gli diede una mano con i birilli.
«In effetti... è un bel po' che non vedo anche te. Come va?»
Mentre pronunciava quelle parole si rendeva conto che forse, da quando sua sorella gli aveva parlato della situazione di Nathan, aveva decisamente evitato di vederlo. Non poteva negare che la sorte della coppia gli stava molto a cuore, il suo inconscio ancora una volta aveva provato a tenerlo lontano da un possibile triste risvolto.
Come se non sapesse che era inutile fuggire dai problemi. Quelli poi ti si schiantavano contro quando meno te l'aspettavi.
«Non mi lamento – fece Nathan con un'alzata di spalle – tu? Mi ha detto Giulia che ti sei lasciato.»
Spartaco scrollò le spalle, poi prese a palleggiare con il destro e improvvisò un tiro in porta che andò a segno.
«Dai, vai in porta!» propose.
«Sai che devo sistemare e chiudere il campino, vero?» disse Nathan, ma era già tra i due pali arrugginiti della porta.
«Appunto: hai tu le chiavi, no?»
Dovevano essere proprio ridicoli agli occhi dei passanti: un ragazzo alto più di un metro e ottanta vestito con i mocassini e la camicia arrotolata sulle maniche che giocava con uno molto più basso di lui dai tratti orientali e dai vestiti decisamente meno formali.
Spartaco fece un paio di tiri e automaticamente ripensò a quando, insieme a Nathan, giocava nella squadra di calcetto del liceo. Si produsse in improbabili acrobazie proprio come quando aveva sedici anni e la voglia di impressionare, il sogno della serie A ancora non estinto. Risero entrambi, poi Nathan chiese il cambio e si preparò a tirare in porta mentre Spartaco parava.
«Allora è vero: con Barbara non ha funzionato.» constatò prima di fare un goal.
«Forse non ha mai funzionato. - riflettè Spartaco a voce alta – Tu e Giulietta, invece? Mi ha detto mia sorella...»
«Del lavoro.» concluse per lui Nathan.
Fece un paio di palleggi e a Spartaco parve assorto, concentrato. Aspettò che fosse lui a riprendere la parola, perché non se la sentiva di interrompere il filo dei suoi pensieri.
«C'ho pensato – disse Nathan infine – e credo di aver deciso le mie priorità.»
Con l'espressione ancora indecifrabile effettuò un nuovo tiro. Spartaco si lanciò sulla destra, ma mancò il pallone che finì in rete. Lo recuperò, alzò lo sguardo verso l'amico e vide che stava sorridendo.
Avrebbe voluto chiedergli spiegazioni, avrebbe voluto sapere cosa aveva deciso, quali erano le sue cosiddette priorità, ma sentiva che Nathan non avrebbe risposto a quel genere di domande, allora lasciò perdere. L'altro impulso era quello di ricordargli che se avesse fatto star male sua sorella si sarebbe adoperato per far male a lui, ma questo era un punto che aveva chiarito già molto tempo prima.
«Se non ti dispiace ne parliamo un'altra volta, ti va?» chiese Nathan, come se gli avesse letto nel pensiero.
«Birra?» propose poi.
Spartaco pensò che anche se non avesse accettato i problemi sarebbero andati a ricercarlo e che se del dolore doveva arrivare non avrebbe comunque potuto evitarlo. Quella sera voleva solo fare l'amico di Nathan e non l'inquisitore per conto della sorella e forse, in fondo, era proprio quello che Giulia gli aveva chiesto.
«Aggiungi anche una pizza, va'!»




2 anni prima, 29 novembre, ore 21:06:
- Non ti abbattere, Corto! Su, proviamo a pensare a tutte le cose positive della giornata. Comincio io: stamattina ho fatto colazione al bar e il cornetto era... da dieci!
- Non ho niente da dire! Oggi è iniziato di merda e si è concluso di merda!
- Avevo gli scarponcini e ho potuto calpestare tutte le pozzanghere senza pietà!
- Ti ripeto che non è successo niente di positivo oggi.
- Una vecchietta si è scostata per farmi passare perché ha notato che andavo di fretta.
- …e va bene. Mi sono svegliato e il caffè era finito, così ho dovuto fare colazione con il nesquik. Mi sono messo il mio maglioncino preferito, quello di lana morbida che non buca. Una ragazza carina mi ha offerto il caffè che non ero riuscito a prendere stamattina. Ho incontrato un amico che non rivedevo da tempo. A cena ho mangiato una bistecca che erano secoli che non assaggiavo così buona. Fine. Il resto è andato tutto di merda.
- A me sembra neinte male.
- Beh, detto così forse può sembrare... ma...
-Ma?
- Uffa... ti odio!




Il mio angolino:
Per chi non ha letto Whatsapp Love: cosa pensate di Nathan? *sguardo inquisitore*
Per chi invece lo conosce già: vi sembra cambiato? Ma soprattutto... vi mancava??? XD
Alla prossima,
FatSalad

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Capitolo 9
*** Kilowatt ***


FERMATI!
Prima di proseguire, ti ricordi cosa è successo negli ultimi capitoli?
Ecco qua un piccolo promemoria...
 
Kilowatt non si è presentata all'appuntamento con Spartaco. Lo stesso giorno il ragazzo ha avuto una chiacchierata di lavoro con Irene:

«Hai saputo che spostano gli archivi al terzo piano, nella stanza orientata a nord dove c'è più fresco? Ti rendi conto?! - A questo punto fece una pausa strategica, allargando le braccia - Hanno più riguardo per dei fogli vecchi che non per noi poveri impiegati!» concluse, teatrale.
«Ho saputo, sì. Si dà il caso, infatti, che insieme agli archivi sarò spostata anch'io...» buttò lì Irene senza particolare enfasi.
«Al terzo piano?»
Irene annuì.
«In una stanza orientata a nord?»
La collega annuì di nuovo.
«Dove hanno installato dei nuovi condizionatori?»
Irene scrollò le spalle, come a dire che non si sentiva affatto in colpa per la situazione.
«Hanno più riguardo per dei fogli vecchi e per la novellina che non per noi poveri, vecchi impiegati!» eslamò Spartaco fingendosi indignato.

Spartaco ha dei sospetti su chi si nasconda dietro lo psudonimo Kilowatt...

«Cami! Camilla! Fermati!» (...)
«Che vuoi?» chiese Camilla sanza gentilezza non appena Spartaco fu abbastanza vicino a lei.
Lui però non si fermò, la raggiunse e la prese per le spalle scoperte, violando con quel contatto fisico una distanza che non aveva mai oltrepassato e lasciandola sbigottita. La guardò negli occhi sgranati, scrutò le sue guance che si colorivano e pensò “Forse ho ragione”.
«Sei tu?» chiese serio e impaziente, le mani salde sulle sue spalle tonde, il suo fiato che si scontrava quasi sul volto pieno della ragazza.
«I-io? Sono io? Cos... che vuoi dire?»
Probabilmente aveva captato l'urgenza nella sua voce.
«Kilowatt, sei tu?» chiarì, ma la vide annaspare, confusa più che mai.
«Non sei tu?»
Lo sguardo di Spartaco si fece più insicuro, le sue mani lasciarono la presa e scivolarono dalle spalle della ragazza. Il moro indietreggiò di un passo e abbassò lo sguardo sui propri piedi per cercare le parole più adatte da dire.
«Se sei tu dimmelo, non ora se non vuoi, ma quando vorrai devi dirmelo, per favore. Se non sei tu... allora scusami.»

Adesso puoi continuare... buona lettura! :)



Spartaco generalmente si considerava un tipo fortunato. Aveva avuto fortuna nelle amicizie, negli studi, si era trovato nel posto giusto al momento giusto sia quando era stato assunto, sia quando aveva ottenuto una promozione poco dopo. In quell'inizio luglio incredibilmente caldo, nonostante tutte le delusioni degli ultimi tempi, sentì di aver avuto un nuovo colpo di fortuna.
Il suo collega Sergio, a pochi metri di distanza da lui, non la pensava alla stessa maniera. Tossicchiò con un suono secco e sfiatato.
«Questa maledetta aria condizionata...!» imprecò tra sé l'uomo.
Spartaco non replicò, ma sorrise con un angolo della bocca senza farsi vedere. Era da poco meno di una settimana che si trovavano in quella situazione di disagio. Per la rottura di una tubatura il loro ufficio al sesto piano era inagibile e, mentre alcuni tecnici si adoperavano per sistemare il problema più in fretta possibile, lui e Sergio erano stati momentaneamente trasferiti al terzo piano, in uno spazio che era né più né meno che un corridoio ma, per la gioia di Spartaco e la rabbia di Sergio, subivano le fresche correnti di tutti i condizionatori del piano.
Spartaco controllò l'orario sullo schermo del computer: le 16:48.
“Se fossimo nel nostro ufficio a quest'ora ci saremmo già liquefatti tre volte!” pensò, senza avere il coraggio di farlo notare al collega.
Una vibrazione annunciò l'arrivo di un messaggio sul suo cellulare, lesse distrattamente l'invito di un amico delle superiori ad una festa in piscina per il giorno seguente.
“Proprio quello che ci vuole!” pensò tra sé, rispondendo frettolosamente all'amico.
Mandò in stampa un documento e si sgranchì la schiena soddisfatto sentendo il tipico frush-sta-tak della macchina in funzione: avrebbe potuto andare a casa dopo aver sbrigato quell'incombenza.
L'unica seccatura di quella sistemazione temporanea era che la stampante non era a portata di mano e dovevano alzarsi dalla scrivania per recuperare i fogli stampati, come si accinse a fare Spartaco.
Si alzò in piedi e si avvicinò alla stampante condivisa, controllò le prime pagine che uscivano dal macchinario e fece un cenno ad un collega che aveva la scrivania lì vicino.
Mentre leggeva le prime righe della tabella che stava stampando sentì una porta sbattere. Sollevò il capo e vide Irene che attraversava il corridoio con passetti svelti e nervosi, le labbra contratte in una smorfia. Una figura la seguiva a ruota, un ragazzo piacente, di media statura, frequentatore abituale di palestre, a giudicare dalle spalle larghe. I capelli lunghi fino alle spalle lo facevano sembrare più giovane di quanto probabilmente non fosse, dandogli un'aria disinvolta e spensierata da adolescente.
Le camminava dietro con un certo ghigno sul volto, continuava ad afferrarla per un gomito e lei continuava a divincolarsi, allungando il passo.
Incredibile! Chi avrebbe mai detto che la frigida Irene stesse vivendo una storia passionale e tormentata? Perché il modo in cui il ragazzo la pregava, insistente, denunciava che i due fossero amanti, o che lo fossero stati. Il modo in cui lui la guardava, come se il suo sguardo riuscisse a penetrare attraverso i suoi abiti monacali, indicava che lo avesse visto vermanete quel corpo nudo. O forse no?
A poco a poco quel litigio amoroso in mezzo al corridoio sembrò mutare, abbrutirsi, l'aitante giovane cominciò ad urlare più che sussurrare parole leziose, anzi, cominciò a sbraitare e quelli che uscivano dalla sua bocca somigliavano più ad insulti che a passionali profferte o adulazioni.
«Smetti di fare la preziosa!» urlava il tipo guardandola a braccia conserte.
Si era fermato, come un cacciatore spavaldo che voglia concedere un vantaggio alla preda per giocare un po' prima di banchettare con lei, di lei.
Spartaco abbassò gli occhi pensando che non fossero affari suoi e si concentrò sul suono della stampante. Dopo tutto ormai sapeva che la collega poteva caversela da sola.
Frush-sta-tak.
Udì che Irene bisbigliava qualcosa, poi ci fu un fruscio.
«Vattene. - disse poi la ragazza a voce più alta - Lasciami in pace.»
Spartaco notò di sottecchi che lo sconosciuto aveva provato per l'ennesima volta ad afferrarla per un braccio e lei si era liberata dalla stretta rispondendo a denti stretti, con un autocontrollo che in altri sarebbe stato impossibile.
“Non sono cose che mi riguardano” si disse di nuovo Spartaco, tornando ad osservare i fogli che uscivano lenti, freschi di stampa.
«Woah! - fece il ragazzo con i capelli lunghi – Non ti scaldare, era solo un invito!»
«Vattene.»
«Non capisco perché fai questa scenata...»
«Vai via» sillabò la ragazza con rabbia.
Il volto forse era impassibile, ma a ben guardare le sue mani erano strette a pugno per nasconderne il tremore o per contenere tutta la rabbia al loro interno.
Frush-sta-tak.
«Almeno lasciami parlare!» disse il ragazzo alzando la voce.
«Vattene!»
Frush-sta-tak.
«Perché non mi lasci spiegare?!»
“E va bene, ora basta!” si decise Spartaco.
Quel ragazzone lo stava irritando in maniera non indifferente. Va bene che non aveva un rapporto molto intimo con la collega, ma le urla del tipo lo stavano facendo seriamente incazzare.
«Ehi, direi che è ora di finirla.» disse con lo sguardo duro e la voce ferma, rivolto allo scocciatore.
«Tu chi cazzo sei? - chiese quello dopo averlo squadrato un attimo da capo a piedi - Chi sei per dirmi di farla finita, eh? Sei il suo ragazzo forse?» continuò con un tono beffardo che fece venir voglia a Spartaco di rigirargli la faccia con un destro.
Incredibilmente, invece, Spartaco riuscì a trattenersi e, mantenendo la stessa espressione risoluta, rispose:
«Non ho bisogno di essere il suo ragazzo per dirti che stai disturbando un posto di lavoro.»
Tutti i colleghi che fino a quel momento erano rimasti immobili e avevano quasi smesso di fiatare per assistere al siparietto, come d'incanto sembrarono riprendere la facoltà di parola e diedero man forte a Spartaco con cori di “Ecco!” e “Ben detto!”. Qualcuno addirittura si alzò in piedi e andò a posizionarsi a braccia conserte accanto al collega, con aria di sfida.
«E anche se non sono nessuno mi sembra che la ragazza non gradisca le tue attenzioni.»
Aggiunse Spartaco. Il ragazzo cercò di provocarlo ancora, evidentemente cercava rogne, ma i colleghi ormai erano coalizzati contro di lui.
Esternamente Spartaco rimase serio, ma dentro di sé si fece sfuggire un piccolo ghigno divertito. Era sempre stato così: quando gli uomini si associavano in gruppo non avevano più paura di niente e lui era sempre stato quello che prendeva l'iniziativa, che dava il coraggio mancante agli altri, la spinta per aggregarsi, per farli sentire capaci. Era il motivo per cui era sempre stato un leader, un capitano.
Il ragazzo che adesso si trovava in minoranza, sembrò anche improvvisamente più piccolo di statura, parve accorgersi del cambiamento attorno a lui e perse un po' della sua baldanza, pur tentando di mantenere un contegno. Scosse la testa e si voltò per andarsene senza dire una parola, al che Spartaco fece per tornare alla propria scrivania, con il documento stampato in mano. Fece un salto quando sentì un urlo.
«Tu sei migliore di tuo padre!»
Spartaco si voltò e dovette aspettare che quella frase fosse ripetuta con lo stesso tono per convincersi del fatto che a pronunciarla fosse stata proprio Irene, la tonta, inerme, apatica Irene.
«Sei migliore di tuo padre, Filippo.» disse un'altra volta, con la voce ora ridotta a un sussurro.
Era rimasta ferma sul posto, come fermo era il suo sguardo sulla nuca del ragazzo che si era bloccato dandole le spalle, mentre se ne andava. Il silenzio che regnava dopo quelle poche parole era surreale.
Spartaco registrò i movimenti seguenti come se li vedesse da dietro uno schermo, prima di rendersi conto che stavano avvenendo a pochi metri da lui.
Lo sconosciuto si era voltato rapidamente e con poche, larghe falcate aveva raggiunto Irene. Solo a quel punto Spartaco si riscosse: doveva fare qualcosa per salvare la ragazza da quella sagoma minacciosa!
Mosse qualche passo nervoso verso i due, ma inchiodò subito alla vista di quanto stava accadendo.
“Cosa mi è sfuggito?” si chiese perplesso.
Il ragazzo che fino a quel momento era sembrato pericoloso aveva abbracciato Irene. Come se si fosse aspettata quel gesto lei non si era mossa di un millimetro dalla sua posizione.
Lui la avvolgeva completamente con le braccia, la fronte nascosta tra il suo collo e la spalla e ad un primo sguardo si sarebbe detto che fosse lui a confortare lei, a custodirla, a rassicurarla, ma ad un più attento esame era chiaro che invece fosse Filippo ad appoggiarsi totalmente a Irene, a cercare protezione tra le braccia di quella ragazzina.
Con gesti lenti Irene alzò una mano per arrivare ad accarezzare il collo del ragazzo che nel mentre tremava su di lei. Per non essere indiscreto Spartaco si voltò, quando capì che quel tipo stava singhiozzando e la ragazza lo stava consolando con delle carezze bonarie e con dolci sussurri. Il quadretto d'un tratto si era fatto troppo intimo per ammettere spettatori, così tutti i colleghi ripresero posto alle rispettive scrivanie, qualcuno accennando un colpetto di tosse imbarazzato.
In pochi minuti Spartaco udì dei passi e capì che Filippo se ne stava andando, ormai calmo e sfogatosi completamente tra le braccia di Irene. Si voltò per vedere come stesse la collega dopo quella vicenda così bizzarra, ma non la trovò. Evidentemente aveva approfittato della discrezione dei colleghi per sgattaiolare a rifugiarsi in qualche stanzino e Spartaco immaginò subito di quale stanzino si trattasse.
Non perse tempo a chiedersi perché lo stesse facendo, si sarebbe gistificato con il suo “voler essere migliore” in ogni caso, lasciò il fascicolo di fogli sulla scrivania e d'istinto corse verso la nuova stanza degli archivi. Spalancò la porta e trovò la collega, come aveva immaginato. Era in piedi e dava le spalle all'ingresso, sussultò quando lo sentì entrare e il ragazzo vide la sua espressione mutare dallo spavento al sollievo, prima che tornasse a dargli la schiena, un secondo dopo.
«Ehi... - sussurrò Spartaco rendendosi conto in quel momento che non sapeva cosa dirle. - Tutto bene?» chiese dopo essersi schiarito la gola.
Come mai la schiena della ragazza stava tremando? La stanza degli archivi era più fresca delle altre, ma non era proprio gelida.
Irene fece un sibilo che poteva essere un “sì” quanto un “no”, allora Spartaco le si avvicinò lentamente, come ad un animale selvatico che non si voglia spaventare.
«Grazie» si sentì dire appena le fu più vicino e stavolta distinse chiaramente un rantolo nella sua voce, come di chi voglia nascondere il singhiozzo del pianto.
«Ehi...» ripetè il ragazzo, ammorbidendo la voce.
Gli sembrava di averlo detto già troppo spesso quel giorno e il problema era che non riusciva a trovare parole migliori. L'unica cosa sensata da fare gli sembrò posare una mano sulla spalla della ragazza e nell'istante in cui compì quel gesto, come se avesse schiacciato un interruttore, Irene smise di trattenere i singhiozzi, si voltò e poggiò la fronte sul petto di Spartaco, senza preavviso. Con le mani stringeva la maglietta del ragazzo e poggiandovi la fronte sopra si copriva gli occhi, mentre continuava a ripetere parole sconnesse tra un singhiozzo e l'altro.
Il suo corpo non era rigido e freddo come la sua tipica espressione e Spartaco se ne meravigliò. Vedendola così indifesa, così diversa dall'apatica Irene che conosceva, il ragazzo non potè fare altro che alzare le braccia e stringersela al petto.
«Su, su...» le ripeteva sottovoce, come una nenia, senza sapere che altro dire.
Con la mano destra le carezzava la nuca, nascosta da una cascata di onde castane, con il braccio sinistro le stringeva la vita, una vita tanto sottile che un suo singolo braccio bastava per circondarla tutta.
«Io... io...» biascicava lei.
Com'era piccola e fragile in quel momento. Spartaco ebbe l'impressione che stringendo un po' più forte avrebbe potuto spezzarle la spina dorsale in due.
«Io... io non sopporto...» mugolava e Spartaco aspettava che si calmasse, in silenzio.
Aveva la vita sottile rispetto ai fianchi larghi, ma nell'insieme la sua figura aveva una propria armonia, anche se fino a poco tempo prima Spartaco l'aveva definita “culona”. Forse era perché l'aveva vista indossare un vestito da sera che aveva inavvertitamente cambiato idea su di lei? Il ragazzo serrò la mascella, maledicendosi. D'accordo, era in astinenza da qualche tempo, ma questo non autorizzava certi pensieri!
«Perché adesso...?» continuava a borbottare Irene.
Emanava un leggero profumo dolciastro, come di pesca.
«Ho forse sbagliato?»
Ora i suoi occhi erano puntati su quelli verdi di Spartaco, in una disperata richiesta di aiuto. Le lacrime scendevano ancora da sotto gli occhiali, il corpo tremava leggermente, ma si stava calmando.
«Ho fatto male?» ripetè la ragazza, un po' più forte, come per paura che il collega non l'avesse sentita.
«No, non hai fatto male.» rispose Spartaco come se lo avesse sempre saputo, stupendosi egli stesso della propria disinvoltura.
Irene lo guardò negli occhi per qualche istante, poi tornò a chinare il capo, stavolta ripiegandolo sulla spalla del ragazzo, e circondandogli i fianchi in un abbraccio come lui stava facendo con lei. Spartaco aspettò che si calmasse del tutto, ancora senza fiatare. Poi, quando la sentì docile e tranquilla, si azzardò a parlare.
«Va meglio?» chiese.
Irene alzò la testa dalla sua spalla, lasciandovi un po' delle sue lacrime e annuì, tirando su con il naso.
«Grazie» disse asciugandosi con i palmi delle mani gli ultimi residui salati dal volto.
«Meno male, un altro po' e temevo la tua disidratazione!» scherzò lui concludendo con un sorriso sghembo, maledicendosi mentalmente per la frase idiota, appena ebbe finito di pronunciarla.
Irene invece parve apprezzare il suo tentativo di ironia e abbozzò un sorriso, abbassando la testa.
«Tua sorella è fortunata.» gli disse.
«Come?»
«Per avere un fratello con il tuo istinto...» spiegò.
Spartaco ripensò alla sera in cui l'aveva incontrata in quel locale e riaccompagnata a casa.
«Oh...»
«Scusa.» sussurrò poi la ragazza con voce tremula, dopo aver risollevato il viso, gli occhi fissi sulla spalla del ragazzo, su cui aveva appena pianto.
«Oh, non fa niente!» disse lui, dando una veloce occhiata alla polo umida di lacrime.
«No, non intendevo... cioè, sì, scusa anche per questo - disse impacciata - volevo chiederti scusa per averti giudicato male.»
Spartaco alzò un sopracciglio, perplesso.
«Io... credevo che tu fossi come lui.- spiegò, riferendosi evidentemente al ragazzo che era appena andato via - Credevo che tu fossi un cretino troppo innamorato di se stesso per fare attenzione alle altre persone, che tu fossi un egocentrico che non si cura dei sentimenti degli altri perché si crede un gradino sopra a tutti. Ho anche pensato che tu non fossi all'altezza di questo lavoro e che ti fossi comprato il posto con il tuo bel faccino...»
Sparaco sbattè le palpebre, decisamente poco lusingato da quella confessione.
«E per quanto io odi ammetterlo devo ricredermi sul tuo conto: non sei affatto come credevo. Sei... sei un bravo ragazzo. - disse dopo aver ricercato le parole giuste - E poi... scusa perché sono scappata. Quel pomeriggio, quando ti ho visto dal vetro del bar...»
Di cosa stava parlando? “No, zitta!” avrebbe voluto dirle, urlarle, ma rimase muto, mentre un sospetto terribile si insinuava nella sua mente.
«Insomma, quando ho visto chi eri... mi sono spaventata. Non ho avuto il coraggio di dirti che io sono Kilowatt.» concluse alzando gli occhi arrossati verso quelli di lui.
Spartaco, incredulo, incapace di pensare, di intendere e di volere, con uno scatto le afferrò il volto tra le mani e contro ogni logica la baciò.




13 giungo, 21:23
- Ti prego, Corto, non cercare più di incontrarmi, va bene?
- Perché? Questa tua testardaggine non ha senso, credi che non saremmo più amici se ci trovassimo faccia a faccia? Forse non hai capito quanto la nostra amicizia sia importante per me. Tu sei importante per me.
- ...ti prego.






Il mio angolino
ovvero le *mie reazioni*:
Entrata in scena di Filippo *che vuole questo?*
“Discussione” tra Filippo e Irene *che diavolo sta succedendo?!*
Finale *Spartaco WTF??????????????*
Dopo tanto tempo un aggiornamento... diciamo che ero in “vacanza”...
Lasciate un commento con le vostre reazioni e... alla prossima! :D
FatSalad

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Capitolo 10
*** Corrente ***


I personaggi fino ad ora (in ordine di apparizione):
Spartaco (26): il protagonista che tutti amiamo.
Kilowatt alias Irene (23): L'amica “virtuale” di Spartaco che si rivela essere la “novellina” collega di lavoro di Spartaco.
Barbara (26): la ormai ex ragazza di Spartaco.
Camilla (22): commessa in un negozio di elettrodomestici, innamorata di Spartaco.
Giovanni (26): ex compagno di classe e di squadra di Spartaco, nonché suo migliore amico. Studia Economia e Commercio e lavora come cameriere in una pizzeria.
Michele Carli (24): attaccante compagno di squadra (e di bevute) di Spartaco.
Giulia (24): sorella di Spartaco.
Elena (25): amica di Spartaco, della cerchia di amici di Michele. Originaria dell'Argentina.
Nathan (25): amico ed ex compagno di squadra di Spartaco, nonché fidanzato di Giulia. Professione: architetto.





Danilo si guardò intorno desolato. C'era parecchia gente che si affollava intorno al bar per comprare qualcosa da bere, alcuni ragazzi erano in costume da bagno e le luci psichedeliche rendevano ancora più invitanti le ragazze in bikini e la superficie increspata della piscina. Sotto alla tettoia di legno in cui stava lui, invece, c'era il deserto.
Tenne il ritmo con il capo, cercando di svolgere bene il proprio lavoro, ma si era già stufato. A dir la verità si era stufato da un pezzo di fare il dj nelle festicciole locali, si era stancato di quel “DaniJ” appiccicato su ogni sua attrezzatura. Qualche volta aveva pensato di cambiare nome d'arte, poi aveva lasciato perdere, pensando che avrebbe abbandonato presto quell'impiego che aveva cominciato alle superiori. A quel tempo DaniJ gli sembrava un nome forte ed aveva cominciato a fare il dj per sentirsi meno sfigato. Però era ancora lì ed era ancora uno sfigato.
Qualcuno che ballava o accennava qualche passo c'era, in verità, ma niente a che vedere con le feste californiane che si vedevano in tv.
“Dopo quest'estate smetto” pensò tra sé Danilo.
A fare quel lavoro non si rimorchiavano tante ragazze come aveva creduto un tempo, oltre tutto.
Alzò lo sguardo dal mixer e vide arrivare un ragazzo alto con i capelli mori riccioli e la camminata di chi sa esattamente dove andare, ma non ha fretta di arrivarci.
Danilo lo riconobbe subito, anche se non lo vedeva più tanto spesso a giro. Aveva sentito dire che si era trasferito per lavoro in una cittadina a mezz'ora di viaggio da lì.
“Quanto vorrei avere il suo carisma!” pensò, seguendolo con lo sguardo adorante.
Non che conoscesse Spartaco personalmente, ma quando andava alle superiori era una specie di celebrità: il tipico ragazzo popolare belloccio, capitano della squadra della scuola.
Il dj lo vide raggiungere un crocchio di amici e salutarli con quella stretta di mano alla braccio di ferro. Tutti sorridevano, tutti erano contenti di rivederlo e Spartaco pareva conoscere tutti. Ad un certo punto il moro si voltò e per un attimo Danilo ebbe l'impressione che stesse sorridendo proprio a lui.
“Che si ricordi di me?” pensò.
Dopo tutto avevano frequentato la stessa scuola. Danilo accennò un sorriso di saluto, poi tornò a concentrarsi sulla musica, improvvisamente determinato a fare bella figura.
«Cos'è questo mortorio?» chiese Spartaco ai suoi amici.
«Lo sai che queste feste sono fatte per fare un tuffo in piscina di notte e non tanto per ballare.» gli rispose Matteo, che l'aveva invitato alla festa.
Spartaco scrollò le spalle.
«Allora, come va? Il lavoro?» chiese poi all'amico cambiando discorso.
«Non mi lamento. - rispose Matteo - Tu, invece, signor ingegnere?»
«Io... vado a prendere qualcosa da bere, va'!»
Il moro si accinse a fare la coda per riuscire a comprare qualcosa al barrettino della piscina. Quanti ricordi aveva in quel posto!
«Ehi, Spartaco, ciao!» lo salutò un ragazzo che si stava allontanando con due boccali di birra in mano.
Spartaco gli rivolse un sorriso e un cenno con la mano.
«Che cazzo ci fai qui?!» udì, sentendosi chiamare da qualcuno alla propria destra.
«Ciao Emma! Come va?»
La ragazza con i capelli tinti di un rosso acceso ed un piercing sotto al labbro alzò le spalle.
«Di merda.» rispose, come fosse la cosa più normale del mondo da dire.
Spartaco ridacchiò. Si sentiva sempre strano quando tornava a casa. Da una parte era felice di camminare per le strade del suo vecchio quartiere ed essere riconosciuto da ogni persona: era un vip da qulle parti. Dall'altra parte si sentiva un po' malinconico, perché era come se ogni volta qualcosa fosse cambiato, un angolo, un dettaglio, era come se la vita fosse andata avanti alla grande anche senza di lui. Era una sensazione che lo faceva sentire un po' nostalgico. Per esempio, quella ragazza, Emma, che cosa faceva adesso nella vita? Probabilmente studiava ancora, ma non ricordava più nemmeno cosa da quante volte aveva cambiato facoltà.
«Hai visto Lilla? Dovrebbe esserci anche lei stasera.» lo informò Emma.
«No, non l'ho ancora vista: sono arrivato ora. Dopo la cerco.» promise prima di salutare la rossa e continuare l'attesa in quella fila disordinata.
Pagato il proprio cuba libre accompagnando i soldi con un sorriso alla graziosa barista, Spartaco fece per tornare dagli amici.
«Capitano!» si sentì chiamare a metà strada.
Un ragazzo dal fisico massiccio gli mollò una pacca sulla schiena che gli fece vacillare il liquido nel bicchiere. Spartaco trattenne un gemito e non si lamentò, in parte per non apparire debole, in parte perché sapeva che l'amico non controllava bene la propria forza, ma non lo faceva apposta, era una pasta in verità.
«Paolino! - lo salutò ironico – Già pronto per tuffarti?» chiese retorico dopo averlo visto a torso nudo.
«Certo! Tu non sei venuto per fare un bagno?»
«Mah, vedremo...»
«Lei è Claudia, la mia ragazza.» gli disse poi, presentandole una ragazza dai capelli scuri e lucenti.
Spartaco si accorse solo in quel momento che era sempre stata accanto a Paolo, ma era così piccola e minuta in confronto a lui che in un primo momento non l'aveva notata.
Dopo le presentazioni di rito si separarono e Spartaco tornò al suo gruppetto di amici.
“Che strana coppia!” ripensava tra sé.
L'unica cosa strana in realtà era che non l'aveva vista nascere. Di nuovo fu preso da quella strana malinconia per un idilliaco quanto distorto passato, quando tutto era più facile e i problemi da affrontare si limitavano a non far scoprire ai genitori che stava bigiando la scuola.
Mentre parlava e scherzava con i suoi amici vide una ragazza passare poco distante da lui, indossava un vestitino rosso che metteva in risalto il decolletè e camminava in un modo tale che i capelli le ondeggiavano sulla schiena diffondendo il suo profumo ad ogni passo. Riconobbe sia il passo che la fragranza e sorrise tra sé, grato del fatto che certe cose non fossero cambiate.
Si scusò con i suoi amici, che capirono e lo lasciarono andare. Lui seguì la ragazza vestita di rosso senza fretta e si accostò a lei.
«Ciao, Lilla.» la salutò quando lei si accorse della sua presenza e si voltò nella sua direzione.
Com'era bella quella sera! Aveva smesso di tingersi i capelli di biondo come ai tempi del liceo e aveva optato per una tonalità con riflessi più caldi che la faceva più donna, oltre a donarle un look più naturale.
«Ciao, Spartaco!» gli disse Lilla posandogli due baci sulle guance.
La ragazza era con degli amici, ma non parve affatto disturbata dall'idea di abbandonarli per la compagnia del moro. Si misero a sedere in un angolo e lì rimasero.
Molti sapevano che Spartaco e Lilla erano amici d'infanzia, qualcuno che quell'amicizia era nata perché la ragazza aveva frequentato quasi tutte le scuole con sua sorella Giulia, ma tutti sapevano che erano stati insieme per qualche tempo.
«Allora, come va la tesi, avvocatessa?»
«Un po' a rilento, ma va. Entro la fine dell'anno dovrei laurearmi.»
Spartaco si complimentò e le augurò ogni fortuna, ricordando che era passato anche lui per la stessa situazione.
«Dovrai invitarmi alla discussione.» le disse con un sorriso sghembo.
«Se proprio devo...» fece lei, fingendosi costretta.
«Ehi! Non scherzare!» la rimproverò pizzicandole un fianco.
Lilla ridacchiò, cercando in parte di sfuggire a quell'assalto, in parte di avvicinarsi di più a lui.
«Mia sorella non c'è stasera?» chiese Spartaco, quando fu terminato quell'attacco di solletico.
«Ma non sei tu suo fratello? Comunque no, non veniva stasera. C'è Emma, Marta invece è in ferie ed è andata a trovare Selene a Seattle.» rispose, elencando il gruppo storico di amiche.
Quando quella sera si era avvicinato a lei, Spartaco aveva intenzione solamente di salutarla e chiederle come stava, ma il suo profumo lo inebriò. Per tutta la sera si sentì attratto da quel corpo che aveva conosciuto tanto bene, si sedette con lei e parlarono per ore.
La gente intorno chiacchierava producendo un brusio continuo, mascherato dalla musica a volume altissimo, e dal rumore scrosciante dell'acqua. In tanti stavano sguazzando nella piscina, ridevano, scherzavano e molte coppie pomiciavano in quell'ambientazione insolita e indiscutibilmente afosa.
Spartaco non riuscì a resistere dal posare una mano sul fianco di Lilla, carezzandola con il pollice di tanto in tanto. Erano talmente vicini che il gesto appariva naturale e necessario.
«Ho saputo che ti sei lasciato.» disse Lilla ad un certo punto con tono noncurante, come se avesse detto “Ho saputo che hanno aperto un nuovo supermercato”.
Spartaco non se ne stupì e dovette anzi reprimere un sorriso, leggendo dell'interesse nascosto in quella domanda. La conosceva abbastanza bene da riconoscere il modo in cui guardava da una parte fingendosi disinteressata, solo per non mostrare debolezze, mentre invece aveva le orecchie tese in attesa di una risposta.
Sul momento il ragazzo fu tentato di dire che “le notizie viaggiano in fretta”, poi però, fatto un rapido calcolo, si ricordò che era già passato un mese da quando la storia con Barbara era finita. Un mese in cui non si erano più parlati, un mese in cui si erano incrociati per caso una sola volta e si erano limitati ad un cortese e freddo cenno di saluto a distanza.
Probabilmente l'aveva capito anche lei.
«Non eravamo fatti l'uno per l'altra.» disse Spartaco.
Notò subito l'impercettibile movimento di un sopracciglio di Lilla, che aveva ascoltato esattamente la risposta che desiderava ricevere.
Spartaco sorrise: le era mancata.
“Uno, due, tre...” contò il ragazzo mentalmente.
«Quindi... è finita bene?»
Spartaco cercò di non scoppiare a ridere quando, nel tempo calcolato, vide Lilla voltarsi verso di lui, mostrando un più aperto interesse, poi fece caso alla domanda e ci pensò su. Non era stata la rottura più indolore della sua vita, entrambi avevano le proprie colpe, ma in fondo poteva dire di sentirsi ormai in pace.
«Niente rancori.» sintetizzò il ragazzo, tacendo ogni altro pensiero.
«Niente rancori.» gli fece eco Lilla, mormorando consapevole.
Scostò i capelli da un lato per offrire alla vista del ragazzo il collo e la curva del seno, gli occhi agganciati al verde dei suoi.
Spartaco allungò il sorriso. Conoscere una persona tanto da anticipare le sue mosse, tanto da leggere i suoi pensieri sul volto, era una sensazione che gli era mancata. Non l'aveva mai provato con Barbara, che le era piaciuta subito perché anzi era una continua scoperta, e forse non l'aveva provata con nessun'altra. Solo con Lilla che conosceva da una vita, con cui era stato insieme nel periodo a cavallo tra il liceo e l'università, era riuscito a raggiungere una conoscenza tale. Era rassicurante, era come tornare a casa e riassaggiare il cibo fatto in casa della mamma. Fu così che si sentì quella sera quando si ritrovò a baciare la sua amica, la sua ex ragazza, entrando con impazienza nel suo appartamento.
Dopo averla accompagnata a casa Lilla gli aveva chiesto se volesse salire per assaggiare un cognac che le avevano regalato di recente. Era una pessima scusa, lo sapeva lei e lo sapeva lui quando acconsentì, quando la baciò prima ancora che avesse acceso le luci di casa.
Lei era un porto sicuro.
Neanche Lilla era riuscita a trattenersi fino all'ingresso della camera, si erano ritrovati avvinghiati l'uno all'altra nello stesso istante, si erano cercati per tutta la sara, prima con lo sguardo, poi con le mani, si erano desiderati, infine si erano spogliati con un'urgenza che non aveva alcuna giustificazione.
«La barba mi fa impazzire...» gli aveva confessato languida, pizzicandogli una mascella.
«Sei bellissima.» le aveva sussurrato lui, affannato, con gli occhi lucidi di desiderio e i polmoni finalmente pieni del suo profumo.
Bellissima, passionale, nota e, gli parve, ancora sua.


«Ehi, hai intenzione di rimanere a dormire qui?»
Si era appisolato per una decina di minuti, poi Lilla lo aveva svegliato con un sussurro e un tocco gentile tra le scapole. Spartaco aveva aperto un occhio e se l'era ritrovata davanti, seduta sul bordo del letto coperta da un accappatoio leggero, con i capelli umidi di doccia. Lo picchiettò di nuovo sulla spalla dal momento che non aveva risposto.
«Mi stai cacciando via?» biascicò il moro.
«No... puoi anche restare, se vuoi.»
Spartaco la osservò in silenzio per un attimo, cercando di tradurre ciò che stavano dicendo i suoi occhi, in quel momento la sua espressione gli parve indecifrabile.
Non era la prima volta che si ritrovavano a letto insieme dopo la fine “ufficiale” della loro storia, era capitato altre volte che si fossero baciati, riavvicinati, anche solo per un effimero momento. Erano semplicemente incapaci di starsi lontano troppo a lungo. Quella sera, però, Spartaco si sentiva diverso. Forse c'entrava qualcosa un sogno che aveva fatto di recente, accompagnato dal desiderio di essere migliore.
Si rigirò sulla schiena e si sollevò un poco, sorreggendosi su di un gomito per poterla guardare meglio negli occhi.
«Lilla, che ne dici se... se provassimo di nuovo ad uscire insieme?»
Ecco, l'aveva detto. Era tutta la sera che quel pensiero lo sfiorava, lo seduceva e finalmente aveva trovato le parole e il momento giusti per aprirsi con lei.
Non era solo un capriccio, non voleva tornare insieme a Lilla perché gli era mancata una ragazza con cui andare a letto quando ne aveva voglia, provava ancora qualcosa per lei e, temeva, avrebbe sempre provato qualcosa per lei.
«Non è mai funzionata bene tra di noi, lo sai.» rispose la ragazza sfuggendo ai suoi occhi, per titubanza o realismo.
Spartaco si era accorto che aveva reagito alla proposta con un certo stupore, ma anche se si sentiva un po' a disagio non voleva che evitasse il discorso.
«E tu lo sai che non è da me andare a letto con la prima che capita. - le disse guardandola dritto negli occhi – Quello che voglio dire è... che mi sei mancata.»
Le prese una ciocca di capelli tra le dita e gliela sistemò dietro l'orecchio lasciandole allo stesso tempo una breve carezza, ma la sua voce era, se possibile, più morbida di quel gesto.
«Forse ho sbagliato con te, ho sbagliato tante volte, ma... vorrei provare a far funzionare davvero le cose con te.»
Lilla parve in imbarazzo, perché abbassò lo sguardo sulla mano del ragazzo e riflettè su cosa rispondere.
«Credo... - disse infine – credo di avere bisogno di un po' di tempo per pensarci.»
«D'accordo.» le disse lui con un sorriso.
Si sollevò a sedere e la baciò sulla fronte prima di andarsene dal suo letto e dal suo appartamento.
Forse era deluso dalla risposta di Lilla, ma non poteva biasimarla. Si era per caso aspettato che la ragazza si sarebbe gettata ai suoi piedi dopo quella proposta? Assolutamente no, ma se Spartaco avesse avuto anche solo una pallidissima nuova occasione con lei, non avrebbe mandato tutto a puttane di nuovo. Questo era poco ma sicuro, quando finalmente si coricò. Non pensò ad altro per tutta la notte, sognò solo Lilla, il suo corpo caldo e il suo profumo estatico e in qualche modo provò ad immaginarsi come una persona migliore, per lei, il suo porto sicuro.


Era sempre bello tornare a casa, dopo quel fine settimana, però, Spartaco si sentiva addirittura rinato. Salì in macchina fischiettando come se stesse andando a fare una scampagnata, invece che ad affrontare un lunedì di lavoro. Si sentiva rilassato e in pace, pieno di speranze e di prospettive nuove e solo quando scese dall'ascensore verso il suo improvvisato ufficio al terzo piano e da lontano scorse Irene capì che aveva sbagliato tutto.
Irene gli stava sorridendo.
Spartaco cadde nel panico e sfiorò quasi lo sconforto: era un cretino.
D'un tratto gli tornò in mente ciò che aveva tentato di dimenticare per tutto il fine settimana, ciò che, con ogni fibra del proprio essere, aveva cercato di schedare nel proprio cervello come “bug” o come “lapsus”.
Che gli era saltato in mente venerdì?! Perché l'aveva baciata?
Si era ricordato che doveva essere arrabbiato con lei, con Kilowatt, per il modo in cui l'aveva abbandonato nel momento in cui più avrebbe avuto bisogno di lei, che doveva odiarla per la sua codardia insensata... ma di tutto questo si era ricordato solo in seguito. Sul momento il suo cervello era stato in grado di registrare solo due cose: la gioia che gli aveva scaldato il petto nel trovare finalmente la sua amica in carne ed ossa e la bellezza di quella persona ranicchiata tra le sue braccia.
Bella, sì, l'aveva trovata bella nella sua vulnerabilità, nel pianto, nella sincerità che aveva finalmente scorto nelle emozioni della ragazza, sgretolato il suo guscio d'impassibilità e vestiti seriosi. L'aveva colpito, colto alla sprovvista, esattamente come quel lunedì mattina lo colpì il suo inaspettato sorriso.
“Merda!” fu l'unica cosa che riuscì a pensare.




Un anno prima, 20 ottobre, 22:09
- Corto, pensi mai di voler andare via? Oppure, che so, di voler andare a dormire e risvegliarti solo quando tutto si sarà risolto?
- Amico, sai che scappando non si risolve niente?
- Lo so... ma a volte la tentazione è forte...




Il mio angolino:
Dopo aver sganciato la bomba dell'ultimo capitolo mi sono dileguata in fretta e dopo questo... farò altrettanto! Spero di riprendere a pubblicare regolarmente dopo la “pausa estiva”, ma purtroppo non posso promettere niente...
Avete scovato tutti i personaggi di Whatsapp Love in questo capitolo? :)
Alla prossima,
FatSalad

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Capitolo 11
*** Contatto ***


«Possiamo pranzare insieme, oggi?»
Forse i cervi avevano cominciato a pascolare in cielo e il mondo a girare al contrario, perché non era possibile che nel giro di pochi minuti Irene avesse cominciato a sorridergli e lo avesse invitato a pranzare con lei. Spartaco provò una sensazione come di soffocamento, palesata all'esterno solo dai suoi occhi che presero a vagare per qualche secondo in cerca di una via di fuga.
«Certo!» rispose infine.
Nessun'altra alternativa gli era magicamente saltata in mente.
Lavorò con quel pensiero fisso in testa, continuava a immaginarsi possibili scenari e conversazioni, preparava risposte ad effetto a domande come “Stiamo insieme, adesso, vero?” o simili, cercando di rimanere affabile e simpatico anche nel rifiuto. Perché l'espressione che le aveva visto sul volto quella mattina somigliava spaventosamente agli sguardi adoranti che gli avevano lanciato le ragazzine quella volta che si era vestito da Leonida solo per poter urlare “Questa è Sparta!” e mostrare gli addominali scolpiti. Eh, quanto era vanesio a quel tempo... ma non doveva perdere la concentrazione in quel momento!
Era stato un cretino a baciarla, ma non voleva diventare anche uno stronzo. Le avrebbe parlato e avrebbe chiarito la situazione tra loro, ovvero che non ci sarebbe stata nessun'altra “situazione”. Intervallava ogni “Andrà tutto bene” di conforto ad altrettanti “Sono un cretino!” di abbattimento. Sapeva per esperienza, infatti, che molte ragazze si innamoravano per un bacio e Irene, con quel suo sorriso a sorpresa, poteva anche rivelarsi una romantica di prima categoria.
Infine giunse l'ora della pausa pranzo. Spartaco, sudando freddo, si alzò dalla sedia e si avviò verso l'ascensore come un condannato incontro al patibolo e, ugualmente disperato, valutò in fretta le possibilità di scampare il prefissato incontro.
Rifugiarsi in bagno, gettarsi contro qualcosa di duro sperando di procurarsi ferite gravi, mentire. Scartò ognuna delle ipotesi con la stessa velocità con cui gli erano sovvenute: inconcludente, doloroso, inutile.
Niente da fare, rimaneva solo da affrontare la situazione da bravo adulto serio e responsabile. Si passò una mano tra i riccioli neri per darsi coraggio e si avviò verso l'uscita. Si sentì di nuovo mancare quando vide Irene ad aspettarlo fuori dalla grande porta di vetro del palazzo. Ancora di più quando la vide girarsi verso di lui e sorridergli lievemente, di nuovo.
«Vieni, ti porto nella mia pizzeria preferita!» lo informò allegra, senza chiedere la sua opinione.


«Sembra che domani il tuo ufficio al sesto piano tornerà agibile. Onestamente non mi fidavo troppo, ma sembra che i muratori rispetteranno la scadenza.»
Spartaco si limitò ad annuire con un verso gutturale.
Erano seduti da cinque minuti ed era ancora decisamente troppo teso per i propri standard. Irene stava provando a far conversazione da sola e aveva già detto più frasi in quei minuti di tutte le altre volte che l'aveva incontrata messe insieme. Il modo in cui si sforzava non faceva che avvalorare la sua ipotesi: Irene credeva di essere diventata una persona speciale per lui, dopo quello stupido bacio. E se gli avesse chiesto un bis? Che poteva fare?
Il pensiero lo fece strozzare con la propria saliva e tossicchiò.
«Tutto bene?» chiese Irene, le sopracciglia tese a creare una rughetta sulla fronte.
«Sì, è... l'aria condizionata.» mentì Spartaco, con un borbottio colpevole.
Un cameriere con la polo verde mela e il passo svelto li raggiunse e lasciò davanti a loro due pizze fumanti. Avevano un odore squisito, ma a Spartaco fecero venire la nausea.
«Dunque» riprese Irene, mentre tagliava la propria pizza, con tono meno leggero di prima.
Spartaco si preoccupò e si sistemò meglio sulla sedia, chi mai cominciava i discorsi con “dunque” se non voleva dire qualcosa di serio o di minaccioso?
«Ti sarai accorto che non sono molto sveglia, cioè, nel mio lavoro lo sono a sufficienza, ma per tutto il resto sono sempre un po'... diciamo addormentata.»
“Sì, me ne sono accorto...” pensò Spartaco, ben attento a non esprimerlo ad alta voce.
Non era esattamente ciò che si era aspettato e non capiva dove la ragazza volesse andare a parare con quella premessa. Non avere la situazione sotto controllo lo mandava in crisi: non sapeva che difesa o contrattaco preparare.
«La verità è che ho dei tempi un po' lunghi, soprattutto quando si tratta delle persone. Avvicinarmi a qualcuno, entrare in confidenza sono cose che per me richiedono molto tempo e puoi anche credere che io sia un'asociale o che abbia problemi relazionali, fai pure. - Spartaco deglutì, si accorse che Irene usava le mani per gesticolare freneticamente, per sciogliere la tensione o solo per spiegarsi meglio, perché ciò che stava dicendo la rendeva evidentemente nervosa - Insomma, questo discorso ingarbugliato era per dirti che, anche se ci ho messo un po' di tempo, sono contenta di essermi fidata di te, l'altro giorno. Cioè... io mi fido di te. Quindi, ecco, volevo ringraziarti e parlare di venerdì...»
Ok, il discorso stava diventando pericoloso e i suoi occhi troppo languidi. Spartaco la interruppe prima che potesse confidarsi in modo più aperto e in senso più romantico. Non voleva un'altra Camilla, meglio mettere subito in chiaro le cose e togliere il cerotto con uno strappo netto, soprattutto adesso che voleva provare a far funzionare le cose con Lilla.
Posò forchetta e coltello per sottolineare la solennità delle parole che stava per pronunciare e si decise ad affrontare la questione di petto.
«Senti, Irene, non voglio prenderti in giro, ma, onestamente, quel bacio per me non aveva alcun valore, mi sono solo lasciato trasportare dal momento, dalla situazione, tutto qua. Anzi, ti chiedo scusa, non so cosa mi è preso e ti giuro che io non sono... così. Diciamo che ci siamo dati un bacetto e amici come prima, d'accordo?»
Irene lo guardò con occhi sbarrati per tutta la durata del discorso, per poi abbassare lo sguardo non appena il ragazzo ebbe finito. Sembrava in imbarazzo. Spartaco se l'era immaginato, ovviamente, sperava solo che le passasse in fretta, non si immaginava però di vedere a poco a poco la vergogna lasciare il suo volto, sostituita dall'indignazione.
«In verità quello l'avevo già dimenticato e anzi non pensavo che ci fosse ragione di tornarci sopra, per me era chiaro che fosse stato un incidente di poco conto. Quello che volevo dirti è che mi sono fidata di te prima. Anche se non ti avevo incontrato come Kilowatt perché non potevo credere che Corto fossi proprio tu, alla fine ho deciso di dirti la verità pur non sapendo come avresti reagito e anche se era il momento peggiore. Sinceramente mi aspettavo che anche tu fossi contento ora di poter parlare con me al di fuori della chat, da “amici come prima”!» concluse stizzita, alzandosi dal posto e voltandogli le spalle.
Oh, dunque lei parlava forse dell'abbraccio, del modo in cui l'aveva “salvata” dallo sgradito adulatore e di come quel gesto l'avesse convinta a rivelargli che era lei a celarsi dietro il nickname Kilowatt.
«Ehi, dove vai?» le urlò dietro il ragazzo, interdetto da quella sua reazione.
«In bagno, posso?» rispose Irene ancor più infastidita.
Spartacò la sentì sussurrare un “Narcisista!” a denti stretti, o forse era solo la sua immaginazione.
Che caratterino impossibile! Una “con problemi relazionali”, oh, sì, poteva scommetterci che se non l'avesse già fatto prima adesso l'avrebbe pensato di sicuro. Prendersela tanto solo perché lui voleva mettere le cose in chiaro! Dio, com'era suscettibile quella ragazza! E poi come poteva definire “incidente di poco conto” ciò che era successo in quello stanzino puzzolente di fogli vecchi?
“Sbaglio o ti sei lasciata baciare?” discuteva tra sé e sé. “E per qualche minuto buono! Hai risposto pure al bacio...” pensò il ragazzo, ritornando con il pensiero a quel pomeriggio di pochi giorni prima, ripensando al modo irruento con cui aveva spinto le labbra su quelle di Irene, a come lei aveva trasalito, sorpresa, a come si era sciolta tra le sue braccia e sotto le sue labbra.
Si era lasciata schiudere le labbra, aveva permesso che le loro lingue si incontrassero e che una mano le si posasse sul fianco per avvicinare maggiormente i loro corpi. Spartaco avrebbe giurato che un brivido le avesse percorso la schiena, quando era avvenuto quel contatto.
Si stava preparando un bel discorsino da farle non appena la collega fosse uscita dalla toilette, mentra tagliava con foga la pizza, ma fu costretto a ingoiare ogni singola parola insieme alla saliva, quando la vide tornare calma e rilassata.
«Scusami - gli disse prima ancora che lui avesse avuto il tempo di registrare la sua mutata espressione. - Facciamo pace col mignolino e non se ne parla più?» propose con dolcezza mista a furbizia in quegli occhioni da bambina, guardandolo da sopra gli occhiali.
Spartaco annuì senza riuscire ancora a spiccicare parola, dandone la colpa ad un pezzo di pizza che gli si era incastrato in gola. Allungò il dito mignolo verso quello teso della ragazza che a quel punto distese il volto in un sorriso più ampio, più innocente e Spartaco sbuffò divertito dall'assurdità di quella situazione, ma allo stesso tempo capì.
Capì di essere un emerito cretino, di aver sbagliato tutto e di adorare quel sorriso.


Nonostante non fosse iniziato nel migliore dei modi, quel pranzo si rivelò piacevole. Entrambi erano più distesi dopo aver, in successione, alzato la voce, raggiunto un chiarimento e fatto pace e Spartaco era tornato quello di sempre, amichelvole e alla mano.
«Ehi, secondo te com'è possibile che io e te, senza conoscerci, ci siamo incontrati tramite un gioco online e siamo finiti a lavorare nella stessa compagnia?» chiese il ragazzo ad un certo punto.
«Coincidenze?» fece Irene alzando le spalle.
«Non esistono coincidenze quando si parla di Internet.» affermò Spartaco come se si trattasse di una massima.
Entrambi però sapevano che era vero, sapevano come funzionavano i cookies e gli algoritmi dei motori di ricerca e si misero a pensare ad interessi comuni e ricerche simili che avrebbero potuto svolgere sul web.
«Sei per caso andato a scula al liceo Fermi?»
Spartaco scosse il capo e Irene guardò il soffitto e arricciò il naso, cercando altre possibilità, ma si arrese in fretta.
«Allora, così su due piedi, non so, a meno che tu non abbia ordinato tre set di padelle antiaderenti dallo stesso sito negli ultimi tre anni non ne ho idea. Dubito che tu fossi iscritto alla newsletter di “Lana e Cucito”.»
Spartaco sgranò gli occhi e scoppiò a ridere. La prese in giro qualche minuto per il suo hobby così “classico”, ma a lei sembravano non dare fastidio le sue battute, per fortuna.
«Magari qualche amicizia in comune?» propose il ragazzo quando ebbe finito di ridacchiare.
Nella sua testa aveva già escluso l'idea che fossero entrambi appassionati di calcio, scuba diving o windsurf, anche se non lo disse ad alta voce per paura che la ragazza potesse in qualche modo offendersi.
«Può essere.» concordò Irene dopo aver scrollato le spalle.
Spartaco controllò l'orario e annunciò che era tempo per loro di tornare a lavorare. Si attardò solo un attimo per inviare un messaggio a Lilla: se voleva fare le cose per bene doveva farle sapere che pensava a lei.
Raggiunse poi Irene alla cassa e notò che la collega stava pagando per entrambi.
«Ehi, che stai facendo?» chiese lui, cercando di impedirglielo.
«Troppo tardi: ho già pagato.»
Irene gli rivolse una specie di sorriso senza mostrare i denti e si avviò verso l'uscita. Spartaco provò a rendergli il buono pasto che non gli aveva fatto spendere, ma lei si rifiutò categoricamente di accettarlo. Allora Spartaco si bloccò e smise di protestare.
«Aspetta, per caso... per caso mi hai offerto il pranzo per fare ammenda? Per farti perdonare quel pomeriggio in cui Kilowatt non si è fatta viva?» chiese, intuendo le sue intenzioni.
«Certo che era per farmi perdonare!» rispose Irene voltandosi verso di lui e continuando a camminare all'indietro.
«Mezz'ora di una pausa pranzo contro le due ore che mi hai fatto aspettare quel sabato non mi sembrano una proporzione equa...»
«Beh, potevi andartene prima di due ore! - disse la ragazza sbuffando – E va bene, allora per farmi perdonare ti dedicherò le due ore che ti devo questa domenica, ok?»
«Domenica ho il pranzo dai miei e una partitella. Che ne dici di sabato sera?»


Appena una settimana prima Spartaco non avrebbe mai creduto di poterlo pensare, ma non vedeva l'ora di vedere Irene.
Per tutta la settimana Lilla non si era fatta sentire, esclusi un paio di messaggi assai brevi e laconici, e se era una specie di test di resistenza che la ragazza aveva ideato per lui aveva tutta l'intenzione di superarlo. Ciò non toglieva che fosse un tantino infastidito da quel comportamento.
A lavoro invece erano tornati i “tempi di fuoco”, non solo perché aveva tanto da fare ora che qualche collega andava in ferie, ma anche perché, come previsto, era tornato nel vecchio ufficio al sesto piano, con il suo “fedele” ventilatorino, le ascelle costantemente pezzate e un Sergio soddisfatto e puzzolente a pochi metri di distanza.
Il trasferimento dal terzo piano significava anche che non vedeva più tanto spesso Irene, ironia della sorte, prorpio quando i due si erano riscoperti amici. In quell'ambiente noioso doveva ammettere che un'alleato non gli sarebbe dispiaciuto, ma purtoppo aveva poche occasioni di vedere la novellina. Almeno avevano ripreso a chattare come sempre, anzi, molto più disinvolti e sereni del solito, consapevoli che il loro rispettivo amico non era più solo un automa senza volto che rispondeva ai messaggi, ma una persona conosciuta in carne ed ossa.
“Allora ha la patente” pensò non appena la vide arrivare al pub alla guida di una vecchia twingo blu.
Era talmente caldo che il locale pullulava di persone fuori, sui marciapiedi, mentre all'interno era semideserto. Quello era il vantaggio di costruire un pub in una zona così fuori mano e poco trafficata: che la gente poteva riversarsi direttamente sulla strada senza rischiare di lasciarci le penne ad ogni respiro.
D'istinto Spartaco alzò un angolo della bocca e aspettò Irene mentre scendeva dall'auto. Fece un passo verso di lei, distaccandosi dal gruppetto di amici e la salutò.
«Niente vestitino, oggi?» chiese retorico prima di lasciarle due bacetti sulle guance.
«I vestiti sono scomodi, li indosso solo in occasioni particolari.» si giustificò lei inclinando la testa senza restituire i baci.
«E incontrare me non era abbastanza?»
Irene lo squadrò da capo a piedi, soffermandosi sulle sue sopracciglia contratte in un'espressione sorniona, fingendo di pensarci su.
«No.» rispose alla fine con un'espressione enigmatica che lo fece ridere.
«Vieni, ti presento ai miei amici.» le disse poi, facendole strada verso il gruppetto di ragazzi fuori dal pub.
Non si accorse che a quelle parole Irene si era irrigidita, o forse preferì non notarlo.
«Sono bravi ragazzi, stai attenta solo a Michele...» continuò Spartaco, con un sorriso malizioso.




Lunedì sera, ore 21:27
- SpartaCorto, sai cosa ho pensato? Che bastava scorrere le vecchie conversazioni per trovare i nostri interessi comuni! Ho fatto una piccola prova e ne ho tratto le seguenti informazioni:
negli ultimi tre anni abbiamo visto 7 film uguali al cinema,
abbiamo letto 2 stessi libri,
ci siamo scambiati 26 link di video vari su youtube,
abbiamo parlato di un sacco di videogiochi e di consolle.
Direi che come “interessi comuni” sono abbastanza da permettere ad un pc di proporci lo stesso gioco di ruolo online, che dici?
- Dico che se mi chiami un'altra volta SpartaCorto trovo il modo di farti pentire e dico che ti sei scordata una cosa.
- Cosa?
- Tieniti forte, perché ti stupirò... Siamo entrambi ingegneri.
- …
- Irene? Non pensavo di stupirti a tal punto...
- Oddio, l'università! Non sei un cretino come pensavo, dopo tutto...
- Anche io ti apprezzavo di più quando eri solo Kilowatt, Irenuzza.
- Era un complimento! Linguaccia!
- Specchio!
- Ecco, se non ti conoscessi adesso sarebbe uno di quei momenti in cui mi chiedo se sei ancora minorenne
- Ehi, hai iniziato tu con le linguacce!
- Lamentarsi e dare la colpa all'avversario: molto maturo.
- Uff... e va bene, avete vinto la contesa, o amabile e matura signoria vostra!
- Kilowatt: 1 – SpartaCorto: 0
- Ingrata!



Il mio angolino:
Qualche problema col pc ha rallentato l'aggiornamento, ma niente panico, ci sono!
Alla prossima,
FatSalad

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Capitolo 12
*** Resistenze ***


Irene si rigirava un bicchiere quasi vuoto tra le mani, mentre guardava Michele, il ragazzo che una volta aveva intravisto nell'ufficio di Spartaco, a pochi passi di distanza da lei. Stava raccontando alla compagnia un aneddoto con tanto di espressioni da pantomima rendendosi ridicolo. Dal suo modo di fare si capiva che non era proprio una cima, ma non era per quello che poco prima Irene aveva ignorato le sue avances, trovava che semplicemente ci fosse un limite sul quanto una persona potesse essere diretta. Per fortuna aveva desistito in fretta e non le era parso ferito.
Osservò Spartaco ridere alla battuta finale dell'amico, complimentarsi poi con lo stesso per mezzo di una pacca troppo violenta e finire con un sorso la bevuta, la seconda, se non aveva fatto male i conti. Il moro guardò il fondo del bicchiere, poi annunciò che sarebbe andato a comprare qualcos'altro da bere e si fece largo tra la folla verso l'ingresso del locale.
«Spartaco è un bueno chico, - disse una voce sibilante alla sua destra - sai... un bravo ragazzo, solo che è un po' un Dylan Dog.»
Irene si voltò per guardare in faccia Elena, che le aveva parlato notando forse che aveva seguito Spartaco con gli occhi. Aggrottò le sopracciglia cercando di capire il senso di ciò che le aveva appena detto.
«Dylan Dog, hai presente? Quello dei fumetti...»
«So chi è Dylan Dog, ma non colgo il nesso.» ammise.
«Dylan Dog ha il cuore tenero, in ogni episodio si innamora di una ragazza e ci va a letto.»
Elena attese un cenno della ragazza, ma Irene sbattè la palpebre. Non sembrava aver capito.
«Quello che voglio dire – si decise a spiegare – è che Spartaco ha un debole per le donne, ma non le tratta mai male. È un gentiluomo, fa sempre sul serio. Si innamora, capisci?»
«Oh. Ha l'innamoramento facile, intendi.»
Elena ci pensò su, poi annuì.
«Sì, diciamo così.»
Irene considerò per un attimo le parole della ragazza, chiedendosi se Elena stessa non fosse caduta in un passato più o meno remoto al fascino di Spartaco. Lo vide uscire dal pub con un nuovo bicchiere colmo in mano, mentre si ricavava un varco tra la folla per tornare dai suoi amici.
Dunque c'era un Dylan Dog, accanto il fedele Groucho, famoso per l'umorismo non a tutti comprensibile, intorno un sacco di ammiratori e di belle donne, alcune persino con accenti sensuali e gambe da modella. Lei che ci stava a fare in quel fumetto?
Niente, comprese. Dylan Dog non aveva mai avuto un'amica con cui non andare a letto. Lei era un robot arrugginito, comparso per caso da un fumetto diverso.
“Eppure i crossover di solito mi piacciono!” pensò, sperando che nessuno si fosse accorto che stava sorridendo da sola.
Tanto nessuno faceva caso a lei. Cercò un cestino e vi gettò il bicchiere senza finire di bere, poi, non senza difficoltà, raggiunse Spartaco.


«Io devo andare, buonanotte.»
Spartaco si era sentito picchiettare sulla spalla sinistra e si era voltato per vedere il viso inespressivo della collega.
«Oh, davvero?» chiese.
Lei annuì piano e Spartaco si accorse che alla presenza di Irene era calato un imbarazzo generale tra i suoi amici, doveva metterli a disagio con la sua espressione truce. Forse avrebbe dovuto spiegare prima che quella era la sua espressione “normale”. Quella sera, poi, gli era parsa ancora più “amebica” del solito. Nonostante avesse provato a farla partecipare alle discussioni dei suoi amici e a servirle occasioni di battute che solitamente coglieva, Irene era rimasta per tutto il tempo seria e pensierosa finché Spartaco non aveva desistito. Fu per quello che, senza averci pensato troppo, le sue labbra si mossero.
«Ti accompagno alla macchina» disse, senza preavviso.
Irene provò a dirgli che non ce n'era bisogno, ma lui aveva già fatto un cenno agli amici e si stava districando tra la massa di giovani alticci. Poco dopo si voltò per controllare che la collega lo stesse seguendo e incontrò i suoi occhi enigmatici. L'istinto lo spingeva a dirle qualcosa, a chiederle quale fosse il suo problema, ma un'altra parte del suo cervello lo tenne a tacere, avanzando l'ipotesi che a voler parlare fosse il terzo cocktail e non l'istinto. Così arrivarono all'auto di Irene senza una parola e Spartaco si sentì improvvisamente un idiota.
Cos'è che stava sbagliando, ultimamente? Come mai aveva aquisito la capacità di farsi detestare dalle persone a cui più teneva? Come aveva potuto perdere l'amicizia di Camilla? Come mai Lilla era tanto fredda dopo l'ultima volta che si erano visti? Perché anche Irene, che era Kilowatt, sembrava non aver voglia di parlargli?
«Allora... ci vediamo lunedì.» disse Spartaco, cercando di non farsi dominare dai pensieri.
Irene annuì ed aprì la portella dell'auto. Fece per entrare, ma si fermò e guardò Spartaco dritto negli occhi.
«Come tornerai a casa? Non hai mica intenzione di guidare, vero?»
“Com'è possibile?” si chese Spartaco. “Com'è possibile che per un'ora abbia tenuto la faccia di una che è circondata da grossi ragni pelosi e l'attimo dopo sia tutta premure e gentilezze?”.
«Sto bene, non ti preoccupare.» disse incerto mentre teneva lo sguardo abbassato sul bicchiere, mescolandone il contenuto con movimenti lenti e circolari.
«Va bene. Mi raccomando.»
Spartaco alzò gli occhi mantenendo il capo chino. Si fissarono per un istante che parve un minuto intero, entrambi a disagio per non essere stati capaci di dirsi tutto ciò che pensavano.
Spartaco non voleva perdere anche Irene, non poteva!
“Al diavolo!” pensò. Si avvicinò a lei con pochi passi e quando le fu davanti inclinò il volto sul suo, lo sguardo fisso sulle sue labbra.


«Che stai facendo?!» gridò Irene, flettendo la schiena all'indietro per allontanare il volto da quello di Spartaco.
«Ti bacio.» rispose tranquillo il moro, come se stessero parlando del tempo.
Irene sollevò le sopracciglia, sorpresa.
«Cos...? No! Cosa ti salta in mente?!»
Spartaco rimase perplesso e sollevandosi scrollò le spalle.
«Non so, è tutta la sera che fai la musona, ho pensato che fosse... perché magari ti aspettavi qualcosa di diverso...» concluse, sentendosi sempre più stupido sotto gli occhi sgranati di Irene.
«Hai ragione, – confermò lei – mi aspettavo qualcosa di diverso. Credevo che saremmo stati solo tu ed io stasera, ma come amici e nient'altro!»
Spartaco la scrutò, cercando nei suoi occhi la verità. Con l'indice si ritrovò a tamburellare sul bordo del bicchiere.
«Va bene, d'accordo, ma se vuoi essere solo mia amica, perché allora quel giorno ti sei lasciata baciare?» chiese.
Anche se non se n'era accorto prima di pronunciarla, era la domanda che gli frullava in testa da quel fatidico venerdì che aveva stravolto il loro rapporto. Sicuramente non aveva programmato di porla in modo tanto diretto e, dalla sua espressione confusa, anche Irene sembrava impreparata per quel dritto che gli aveva lanciato. La vide abbassare gli occhi a terra, sistemare una ciocca di capelli e finalmente rialzare il viso verso il suo.
«Non sei esattamente il tipo di ragazzo a cui si possa dire di no.»
Toccò a Spartaco sgranare gli occhi, incredulo e compiaciuto davanti a quella sincerità.
«Mi sentivo un po' in colpa per come mi ero comportata nei tuoi confronti, – continuò la ragazza - ti ero grata per essere lì con me e sapevo che eri il mio amico Corto per cui provavo stima e affetto ed ero un po' sconvolta. Ti basta come scusante? Insomma, sei tu che mi hai colto in un momento di debolezza, ecco!» concluse, puntandogli un indice accusatore contro il petto.
«D'accordo, d'accordo. - concesse il ragazzo, disarmato dalle sue parole - Ora però vuoi spiegarmi perché hai tenuto il muso lungo per tutta la sera? Non ti piaccioni i miei amici?»
Irene parve più sorpresa da quella domanda che non dalla precedente. Squadrò il collega come a cercare di capire quanto fosse sbronzo in quel momento, poi, evidentemente, decise che poteva parlare.
«Se ti sono sembrata “musona”... beh, mi dispiace, nel caso tu non l'avessi ancora capito non sono molto socievole, non riesco ad aprirmi subito alle persone come fai tu, ecco! Pensavo di avertelo già detto.»
Spartaco notò l'espressione della ragazza, il mento increspato indicava che non fosse orgogliosa di ciò che aveva rivelato, del proprio carattere. Gli venne naturale sollevare la destra e strizzarle il mento tra due dita, mentre le chiedeva, con una certa tenerezza:
«Allora è per questo che non sorridi mai?»
Irene parve titubante, sbuffò per il buffetto e rimase in bilico. Confidarsi con Spartaco o no? Era questo il dubbio che le si agitava nella testa, lo capì anche lui, mentre la osservava dare un calcio ad un sassolino inerme.
«Sì, anche...» sussurrò.
«Che significa “anche”? C'è dell'altro?»
Improvvisamente Spartaco si sentiva come passato in una posizione di vantaggio. Se tentare di baciarla era stato un errore di valutazione, adesso sentiva di aver toccato le corde giuste per indurre la ragazza ad aprirsi sinceramente.
Irene rispose con un'alzatina di spalle. Spartaco non sopportava quella reticenza, sbuffò piano e fece per andarsene. Evidentemente aveva scelto di non confidarsi.
«Ti ricordi... - disse invece lei, bloccandolo sul posto – Filippo?»
Quando si voltò, Spartaco aveva le sopracciglia aggrottate nello sforzo di trovare un collegamento logico.
«Il tipo che è venuto a litigare in ufficio?»
Irene annuì evitando il suo sguardo.
«Beh, ecco, io non sono sempre stata così, ma... - esitò ancora, poi si decise - ti va di fare due passi?»


Spartaco stava seguendo l'amica da qualche minuto, camminando al suo fianco senza fretta e non aveva bisogno di chiederle ulteriori spiegazioni. Si stavano allontanando dal chiasso del pub e Spartaco sapeva che stava aspettando il momento in cui Irene si sarebbe sentita libera di dire tutto ciò che voleva e ad un certo punto gli parve che non avrebbe avuto importanza se quel momento non fosse giunto quella stessa sera.
“Forse è questo che significa essere amici?” si chiese. Forse era così che si sentiva Giovanni, che reputava più sensibile di sè, ogni volta che ascoltava le sue lamentele senza osare interromperlo.
«Diciamo che mi ero presa un bella cotta per Filippo.»
Spartaco ebbe bisogno di un secondo per dare un senso a quelle parole, tanto profondamente era perso nei propri pensieri. D'altra parte il significato di quella frase era alquanto misterioso.
«Tu? Per lui?!» chiese, incredulo.
«Già. Io sono sempre stata costretta ad essere perfetta a casa. La studentessa modello, la brava figlia, quella che non è mai giù di morale... e credimi se ti dico che è stato piuttosto stancante. A casa ero inappuntabile, ma fuori dalla vista dei miei, spesso, tendevo a perdere un po' del mio spirito.» spiegò Irene, che ormai aveva preso il via e sembrava intenzionata a raccontare “una lunga storia”.
Spartaco studiava le sue espressioni, mentre lei faceva di tutto per evitare il suo sguardo, fissando ora l'orizzonte ora il marciapiede.
«A quel tempo non ero propriamente una “musona”, ma diciamo che preferivo rimanermene in disparte, “a riposo”. Poi all'università ho conosciuto Filippo. Lui mi veniva sempre a cercare, mi stava ad ascoltare, si sforzava di farmi ridere, mi riempiva di abbracci e... niente, è così che mi sono innamorata di lui. Credevo di avere un posto speciale tra le sue conoscenze, dato che mi riservava tante attenzioni, prima di scoprire che ero solo la sua azione umanitaria. - disse con malinconica ironia - Evidentemente “salvare la povera ragazza triste” lo faceva sentire un eroe o solo più in pace con se stesso, perché quando ho cominciato a farmi altri amici lui ha cominciato a lasciarmi da parte. Si capisce: la missione era compiuta e il buon samaritano era riuscito nel suo eroico salvataggio. Poi lui si è messo con una ragazza e io sono partita in Erasmus e ho fatto di tutto per perdere i contatti. Fine della storia.»
Spartaco aveva voglia di farle delle domande, ma si sforzò di rimanere in silenzio, come se non avesse avuto il diritto di manipolare i pensieri e le parole dell'amica.
«Non avevo più voglia di essere così vulnerabile, capisci? - riprese Irene dopo una breve pausa, cercando per un attimo gli occhi di Spartaco e la sua comprensione - Non volevo che mi capitasse ancora una cosa del genere, non volevo più essere la missione di nessuno e preferivo essere “quella musona senza amici” piuttosto che “la poveretta che avrebbe bisogno di un amico”. Non mi importa se ho chiuso tutti fuori, non voglio la compassione di nessuno.»
Spartaco guardò dentro lo sguardo fiero di Irene e pensò a come cozzasse con quello dolce e limpido che aveva intravisto qualche volta, negli ultimi giorni.
«Adesso Filippo è tornato a cercarmi e sai perché? Perché ha un problema! Ah! Come se io fossi in debito e dovessi ricambiare un favore!»
Era stizzita, o almeno così sembrava, ma Spartaco ricordava bene che dopo il loro alterco Irene aveva abbracciato quel ragazzo, l'aveva consolato, nonostante le sue parole fossero adesso piene di rabbia.
«Però l'hai già perdonato.» mormorò come se stesse parlando a se stesso e anche Irene finse che quel pensiero non fosse stato espresso ad alta voce.
Spartaco pensò di nuovo a Giovanni e alla sua capacità di dire tutto con una sola frase. Si fermò, facendo arrestare anche Irene, che si voltò finalmente verso di lui. Si sentì stupido, perché non gli veniva in mente niente di sensato e con due dita le strinse il mento come aveva già fatto poco prima, come per sciogliere la sua espressione corrucciata. Parve funzionare, perché Irene si rilassò un poco.
«Scusa. Avrei dovuto dirti che c'erano anche i miei amici stasera.» disse il ragazzo e subito seppe che aveva detto la cosa giusta, perché gli occhi di Irene divennero docili e teneri come poche altre volte.


Irene pensò che con l'umore che si ritrovava qualsiasi canzone allegra le sarebbe suonata malinconica e per questo ancor più straziante. Cambiò stazione radio per un paio di volte, poi si bloccò alle note di una vecchia ballad che le riportò alla mente un ricordo preciso e affilato come un pugnale. Quella sera non lo sfuggì come faceva di solito, cambiò marcia ed alzò il volume, sentendosi stranamente triste e forte.


Al momento la serata stava vincendo il concorso per la festa più triste dell'anno, anzi, della sua vita. Irene avrebbe voluto lasciarsi andare e passare una bella serata per salutare i propri amici e colleghi di università, ma ne erano rimasti davvero pochi con cui poter scambiare due parole, la maggior parte dei presenti erano talmente ubriachi da non riuscire nemmeno a reggersi in piedi. Le dispiaceva per Marco che aveva messo a disposizione la villetta fuori città, mandando in vacanza i suoi per festeggiare la fine della sessione d'esami, perché l'indomani si sarebbe trovato diversi “resti” della serata a giro per casa. Sospirò, facendo ondeggiare le gambe che penzolavano dall'alto del muretto di recinzione del giardino ed accarezzò con un brivido l'erbetta fresca che raggiungeva la piante dei suoi piedi scalzi. Le scarpe col tacco a spillo erano accanto a lei, relitto dell'eccitazione che aveva permeato i preparativi. Erano state una scelta deliberata e quasi una sfida: sapeva bene che con quei décolleté addosso sarebbe stata più alta di una buona metà dei ragazzi presenti, che, frequentando la facoltà di Ingegneria, non erano pochi. Semplicemente Irene voleva ostentare che non le importasse di mettere in soggezione i maschi e uno in particolare. Purtroppo era solo facciata, si era pentita della scelta e aveva provato l'impulso di togliere le scarpe appena Filippo le era andato incontro per salutarla.
«Woah! Che fai lassù, Renetta? Controllo pidocchi?» aveva scherzato il ragazzo, che in realtà la superava ancora di qualche centimetro, con la sua solita interiezione, che solo nella sua bocca poteva assumere fascino e con quel soprannome che solo lui utilizzava.
«Con te c'è poco da controllare!» aveva risposto lei, accennando al suo taglio di capelli.
Quando l'aveva visto per la prima volta con la cresta da moicano gli aveva dato dello stupido e continuava a prenderlo in giro, non avrebbe mai ammesso ad alta voce di trovarlo sexy. Non era solo per il taglio di capelli, in verità, era sexy per il semplice fatto di essere sempre se stesso, perché diceva sempre quello che gli passava per la testa, si vestiva fregandosene delle ultime tendenze, sorrideva in un modo che avrebbe surriscaldato anche una mela. Magari una renetta.
Era Filippo, semplicemente Filippo, tanto aperto ed espansivo, carismatico, che era bastato sedersi accanto a lui per la prima lezione per conoscere in poco tempo tutti gli altri compagni del suo corso e non solo.
Irene alzò gli occhi al cielo, rimpiangendo di non poter distinguere alcuna costellazione a causa dell'inquinamento luminoso della città, ma rimase ugualmente con il naso all'insù, finchè un rumore non la fece voltare.
«Ehi»
A parlare del diavolo spuntano le corna” pensò con un sorrisetto.
«Qual è il resoconto dei danni, là dentro?» chiese in tono scherzoso.
«Dunque, si sono formati laghetti artificiali di varia natura qua e là, il Santoro sta piangendo da mezz'ora e la Innocenti ha fatto uno spogliarello che... woah! Sembra lo faccia di mestiere!»
Irene cercò di mostrarsi divertita da quel racconto, ma non lo era affatto e Filippo stava usando un tono un po' strano.
«Che c'è?» si decise a chiedere dopo qualche secondo di un silenzio stranamente teso.
«No, niente, è solo che...»
Irene deglutì: quello non era mai un buon inizio.
«Ho parlato con Costanza, prima.»
Oh. Porca vacca.
«Quindi?» l'unico piano d'azione era fingere indifferenza e tenere la respirazione sotto controllo.
«Niente. - Filippo si guardava i piedi ed era già un atteggiamento piuttosto strano per un tipo estroverso come lui - È la verità? Ti piaccio?»
Estroverso e diretto.
Irene non perse tempo a riprendere fiato.
«Mi piaci.» disse.
«Woah! Senti Irene...»
Pessima, pessima cosa: l'aveva chiamata per nome, il suo nome completo e non un bizzarro soprannome. Non volle ascoltare altro, scese dal muretto con le scarpe in mano e gli andò incontro.
«Ma questo non vuol dire nulla, non devi dirmi nulla.»
Irene constatò con sollievo che la sua voce era ferma e che riusciva a mantenere il sorriso.
Poteva farcela, come ce l'aveva fatta poco prima, quando aveva sorpreso Filippo a baciare Costanza, l'unica persona al mondo che sapesse quanto il ragazzo le piacesse. Non ce l'aveva con lei per il fatto di aver pomiciato con la sua cotta, Irene stessa aveva notato l'attrazione del ragazzo nei suoi confronti, ce l'aveva con lei perché aveva rivelato il suo segreto più intimo.
Ora non voleva sentirsi dire che per lui era solo un'amica, che lui non si era mai accorto del suo interesse o cose del genere. Lo sapeva già, sapeva già tutto. Stupida era lei per essersi innamorata, per aver interpretato i suoi sorrisi, i suoi abbracci e quello stupido soprannome come segni del suo interesse per lei, prima di capire che quello era il suo comportamento con tutte.
«A marzo vado in Erasmus, pensi davvero che io voglia qualcosa di serio adesso?» gli chiese con la solita calma e l'espressione distesa.
«No... io... no, certo.» disse lui, un po' stupito.
Irene stava bene, altrochè, se la stava cavando alla grande, nonostante quella canzone malinconica che proveniva dall'interno della villa. Stirò maggiormente il sorriso.
«Costanza non ti ha detto che l'ho incoraggiata io?»
Evidentemente no”. Dedusse notando gli occhi sgranati del ragazzo.
«Allora te lo dico adesso e ti dico anche un'altra cosa: vi auguro tutto il bene del mondo e siete una bella coppia, faccio il tifo per voi, ma se non vuoi farla soffrire smettila di sorridere a tutte.»
«Cosa...?» chiese Filippo.
Il suo smarrimento confermava l'ipotesi che si era fatta Irene: lui non se ne rendeva conto. Non capiva che ad essere gentile con tutte, a spacciare abbracci e sorridere a quel modo ad ogni ragazza poteva lanciare messaggi fraintendibili, che poteva far sentire speciale una ragazza solo in quel modo.
«Smettila di essere gentile con tutte - ripetè prima di superarlo, camminando lentamente, a tempo con quella maledettissima ballad che le si sarebbe incisa nella mente per sempre - Ciao, non penso che ci rivedremo prima della mia partenza...»
«Ciao... - mormorò Filippo. - Irene!» la richiamò subito usando il suo nome per intero - Allora siamo a posto?» disse in un tono che poteva sembrare sia una domanda che un'affermazone.
Irene si limitò ad alzare una mano in segno di saluto, senza neanche voltarsi, come a sottolineare che non ci fosse alcun bisogno di ripeterlo. FIlippo rimase in giardino mentre lei se ne andava da quel disastro di festa, con la gola che bruciava e le lacrime che non resistevano più dentro gli occhi e quelle note tristi a rimbalzarle nella testa.


Ecco perché Irene aveva smesso di sorridere, perché sapeva quanto male potesse fare un sorriso.
Quando entrò in casa non accese la luce, sperava solo che il proprio arrivo e la propria presenza passassero inosservate, ma il suo dolore la tradì. Non la spinse ad urlare, a pestare i piedi per terra o sbattere le porte, non ce n'era bisogno. Erano i sensi della sorella che captavano la sua sofferenza, lei riusciva ad avvertirla anche senza vederla, senza che le fosse manifestata. Era sempre stato così e lo fu anche allora. Irene sentì una porta aprirsi, ogni luce era spenta, ma lei la trovò ugualmente, sicura, precisa e la abbracciò. Avvolta in quella morbidezza, in quel calore, anche la sofferenza si sentì considerata quanto pretendeva e si sciolse, soddisfatta, uscendo dai suoi occhi come pianto. Irene non fece alcun rumore mentre le lacrime continuavano a scivolare sul suo viso per gettarsi sulla spalla della sorella e la ragazza doveva chinarsi per raggiungerla e posarvi il capo e avvolgere completamente quel corpo amico, tenendolo stretto al proprio come a volerlo sistemare sul vuoto che sentiva di avere dentro.
Pianse finchè ebbe lacrime e per tutto il tempo sua sorella stette con lei, in silenzio. La cullò tra le sue braccia, finchè non percepì più rabbia né dolore nel suo leggero tremore, allora le alzò il viso dalla propria spalla prendendolo tra le sue manine paffute e con lo sguardo ormai abituato all'oscurità le cercò gli occhi. Le asciugò le lacrime e aprì la bocca in un sorriso, mostrando una serie di dentini con una fessura tra gli incisivi, i suoi occhietti tondi quasi scomparvero sotto la spinta di quel sorriso. Non ci fu bisogno di accendere alcuna luce artificiale, perché ora Irene era guidata da quella naturale sprigionata dal sorriso della sorella.




Un anno prima, 17 agosto, ore 02:14
- Kilo, ti sei mai innamorato?
- Sì
- E com'è stato?
- Non corrisposto
- Argh...
- Uno schifo




Il mio angolino:
Come baciare Spartaco secondo gli ultimi capitoli:
  1. adescarlo in uno stanzino puzzolente
  2. fargli bere qualcosa di alcolico...
Con questo capitolo ho il piacere di presentarvi il passato di Irene, ovvero uno dei primi brani che ho scritto di questa storia. Il capitolo è venuto fuori più lungo del solito e non ho voluto spezzarlo. Spero di aver accontentato così chi si lamentava per la brevità dei capitoli e vi avverto: potrebbe succedere ancora XD
FatSalad

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Capitolo 13
*** Immagine residua I ***


Se c'era una cosa che Spartaco aveva capito attraverso la sua discreta esperienza con il gentil sesso era che le donne sono complicate.
Aveva avuto la fortuna di farne esperienza da vicino fin dall'adolescenza, più precisamente da quando sua sorella aveva raggiunto l'età della pubertà. Avere in casa un esemplare di adolescente femmina che poteva cambiare umore da un momento all'altro, passando da una risata a uno sbattere di porte, era stata una grande lezione di vita. Aveva imparato, per esempio, che a volte una ragazza può scoppiare a piangere senza motivo apparente, che può accogliere un banale complimento come il più atroce degli insulti e soprattutto che anche stando in silenzio nella sua mente si possono agitare così tanti pensieri che potendoli srotolare su una pergamena sarebbero sufficienti a circondare il globo.
L'adolescenza di Giulia era stata la sua palestra e anche se con il tempo alcune delle sue stranezze erano scomparse o si erano quantomeno attenuate, una cosa non era cambiata: sua sorella era complicata. Il punto focale del problema di Giulietta e, per estensione, delle donne era sempre nei pensieri. A volte le donne si aspettavano che Spartaco capisse qualcosa senza che gliel’avessero detta, altre volte il ragazzo aveva imparato ad insistere per farsi dire qualcosa che solo apparentemente una donna non voleva rivelare e cose del genere.
Insomma, avere a che fare con una donna poteva essere piuttosto... stancante. Niente a che vedere con il rapporto che aveva con gli amici, con uno come Michele, per esempio. Lui non aveva problemi a tirare fuori ciò che pensava e quando (in rari casi) stava in silenzio, voleva semplicemente essere lasciato in pace e non c'era da preoccuparsi per il suo benessere. Con un amico poteva alzare la voce e brontolare e bastava stringersi la spalla dopo il litigio per dirsi “scusa”. Chiaro, logico, semplice.
Lunedì, quando Spartaco si svegliò e accese il cellulare, capì che era così che si sentiva: stanco. Stanco nonostante avesse dormito quasi otto ore, come non gli capitava da tempo. Stanco come se stesse correndo una staffetta da solo contro delle squadre e si vedesse sfilare davanti agli occhi tutti i corridori avversari con il testimone in mano. Si sentiva stanco e perdente ed era una sensazione alquanto nuova per lui.
Lilla, infatti, si era fatta finalmente sentire, dopo una serie di messaggi di poco più di una parola l'uno.
«Scusa Spartaco, sono stata un po' impegnata ultimamente, ti va di vederci sabato pomeriggio?» Rilesse Spartaco sul display del cellulare.
Controllò l'orario in cui l'aveva inviato e si chiese se il suo essere molto impegnata significasse che solo di notte trovava il tempo per parlare con lui.
«Ma proprio sabato?!» mormorò, affranto.
Ci pensò un po', scrisse e cancellò qualche frase, poi finalmente si decise e inviò.
«Scusa, sabato pomeriggio non posso, mi libero per la sera. Altrimenti venerdì? Domenica?» rilesse tra sé, come per convincersi di aver fatto una buona scelta. Si coprì gli occhi con un braccio e sospirò. Possibile che di tutti i giorni della settimana lei gli avesse chiesto di vedersi proprio quando era occupato?
Il suono lontano di un clacson gli ricordò che doveva prepararsi per andare a lavoro e si decise ad alzarsi da letto, rimuginando sulla propria scelta. Forse Lilla non sarebbe stata contenta di sapere che aveva declinato il suo invito per vedere un'altra ragazza, ma d'altra parte non si trattava di un appuntamento galante, e, a dirla tutta, anche se lo fosse stato non sarebbe stato grave, dato che loro due non stavano insieme, non più, o non ancora. E poi era una questione di principio: non poteva deludere Irene. Se lo ripeté mentre si lavava il viso, ravvivò i capelli con una noce di gel, squadrò il proprio riflesso allo specchio e decise che era troppo tardi per radersi. Uscito dal bagno afferrò le chiavi dell'auto e guidò per raggiungere l'ufficio e per tutto il tragitto non fece che ripetersi che non poteva deludere Irene.
Ripensò al sabato sera passato. Mentre la ragazza gli parlava di Filippo era concentrato sul racconto, solo una volta tornato a casa aveva rimesso insieme i pezzi. Gli erano tornate alla mente le parole che lei gli aveva detto tra un singhiozzo e l'altro il giorno in cui aveva confessato di essere Kilowatt.
«Credevo che tu fossi come lui. Credevo che tu fossi un cretino troppo innamorato di se stesso per fare attenzione alle altre persone, che tu fossi un egocentrico che non si cura dei sentimenti degli altri perché si crede un gradino sopra a tutti.»
Era quella l'impressione che aveva avuto di lui, dunque? Di un ragazzo che, come aveva raccontato di Filippo, è gentile ed espansivo con tutte le ragazze solo per la propria vanagloria?
Per istinto Spartaco aveva scosso la testa.
“No, io non sono così!” si era detto.
Eppure la sua sicurezza aveva cominciato a tentennare.
«Spartaco... Non so come tu sia abituato, ma per me tutto ciò che hai appena elencato: il fatto che tu passassi tutti i venerdì, che discutessimo dei nostri videogiochi preferiti, che tu fossi sempre così dannatamente gentile con me... beh, per me significava un interesse da parte tua. Mi sbagliavo? Va bene, chiudiamo il discorso.»
Di colpo il ricordo delle parole di un'altra amica gli erano tornate alla mente e aveva sentito uno strano disagio, come quando si ritrovava sotto la pioggia battente e i vestiti gli si appiccicavano fastidiosamente addosso, impacciandolo.
Forse, si era detto quel sabato sera, le due ragazze avevano ragione. Forse il suo modo di fare era troppo socievole quando si trattava dell'altro sesso. Forse ciò che lui considerava gentilezza si spingeva troppo oltre la buona educazione, a volte.
In effetti, quando ci aveva pensato, solo poche ore prima si era trattenuto, di fronte alla collega.
Se fosse stato con un'altra ragazza, se Irene non gli avesse appena raccontato un ricordo doloroso riguardo ad un ragazzo troppo espansivo, probabilmente Spartaco l'avrebbe abbracciata, una volta che avesse finito di parlare. Si era imposto di non farlo ed era stato quello il momento esatto in cui, pur senza dirlo a parole, i due avevano sancito un patto di “sola amicizia”. Nonostante le bugie che si erano detti, nonostante gli errori, nonostante quel bacio che era scappato per sbaglio, volevano essere amici come prima, più di prima.
Avevano ripercorso in silenzio la strada al contrario per tornare alla twingo di Irene, ancora parcheggiata poco distante dal pub in cui si erano dati appuntamento. Quando erano giunti a destinazione erano ancora persi ciascuno nei propri pensieri.
«Credo di doverti una bevuta.» aveva detto Spartaco, che si sentiva tremendamente in colpa per la cattiva riuscita della serata.
«Non so, in teoria ero io ad avere un debito, ricordi? Le due ore che hai passato al bar... che ne dici se facciamo un altro tentativo? - aveva proposto Irene improvvisamente ispirata – Sabato: ti aspetterò al “Coffee Time”.»
Spartaco aveva messo le mani in tasca con aria pensierosa, come se stesse valutando l'ipotesi.
«Accetto solo se mi prometti di indossare quella stessa minigonna a fiorellini.»
«No, quella non me la rimetto... mi metterò un'altra cosa e ti assicuro che ti piacerà un sacco!»
Spartaco l'aveva guardata di sottecchi, interrogativo, non sapendo come interpretare quel tono sbarazzino ed era così che si erano salutati.
Non poteva deluderla, adesso, darle buca per vedere Lilla era fuori discussione, perché sapeva che Irene si fidava di lui, gliel'aveva detto esplicitamente e lui aveva già rischiato di rovinare il loro rapporto.
“Siamo solo amici,” pensò risoluto “veri amici”.
Quando quel sabato pomeriggio raggiunse il Coffee Time e la trovò ad aspettarlo ad uno dei tavolini all’interno, non poté fare a meno di scoppiare a ridere. La ragazza indossava un paio di jeans logori e una t-shirt anonima, ma un dettaglio era piuttosto appariscente.
«Allora, ti piace?» chiese Irene sorridendo e sistemandosi i capelli con una mano non appena Spartaco le fu davanti.
«Ti prego dimmi che hai comprato questa cosa quando avevi otto anni.» disse lui sfiorando il cerchietto che aveva indossato la ragazza, con un enorme fiocco rosso applicato.
Intuì subito che dovesse trattarsi di quello che Kilowatt gli aveva promesso di indossare quando si erano accordati per incontrarsi, per riconoscersi.
«Ne avevo più o meno diciotto.» fu la risposta di Irene.
«Per un cosplay.»
«Perché è carino!»
Spartaco ebbe un nuovo attacco di ridarella.
«Cosa vi porto, ragazzi?» chiese una voce squillante, interrompendo la risata di Spartaco.
Irene, colta impreparata cominciò a pensarci su, ma Spartaco le impedì di parlare, appena si fu calmato definitivamente.
«Ti proibisco di prendere un’altra cioccolata calda. – disse, puntandole contro un indice accusatore – Portaci un caffè freddo e una di quelle coppe di gelato con le fragole sopra.»
«Soliti gusti?»
Spartaco parve pensarci su.
«Facciamo yogurt e nutella.»
«D’accordo, arrivo subito.» disse la barista con un gran sorriso.
Spartaco stava per ricambiare, poi si ricordò di tutte le promesse che si era fatto di non essere come Filippo e si voltò verso Irene, di colpo turbato.
«Allora… - cominciò a caso, per togliersi quella brutta sensazione di dosso – mi spieghi come mai l’altra volta hai preso una cioccolata calda?»
Irene sbuffò. Non era affatto contenta del fatto che Spartaco avesse ordinato senza consultarla.
«Perché mi giravano, ok?» rispose.
«E tu, quando ti girano, trangugi bevande fuori stagione?»
«Di solito no, solo quando mi girano di brutto.»
Spartaco non trattene un sorrisetto: non demordeva, la ragazza!
«Allora dimmi: perché ti giravano?»
«Perché quando sono arrivata a una cinquantina di metri da questo bar ho visto un paio di scarpe giallo fosforescente, orribili tra l’latro, ed ero sicura che il loro proprietario fosse un mio vecchio amico. Avvicinandomi, invece, mi sono accorta che le suddette erano collegate al corpo di un mio collega di lavoro rompipalle.»
Spartaco sentì i muscoli facciali bloccarsi, non sapeva davvero se mettersi a ridere o a protestare.
«La prima cosa che ho fatto, allora, è stata cacciare in borsa il mio bellissimo cerchietto, spostarmi sull’altro lato della strada e passare davanti al bar un paio di volte, nella speranza di vedere altre paia di scarpe di pessimo gusto. Constatato che non ve ne fossero, ho girato le chiappe e sono andata per i fatti miei scrivendo al mio amico Corto che non ce l’avevo fatta. Ad entrare nel bar, intendevo. Ad affrontarti, insomma.»
Si erano guardati negli occhi per tutto il tempo e Spartaco si accorse che era il resoconto più sincero che avesse potuto fargli di quel giorno. Forse era per questo che faceva anche un pochino male.
«Perché alla fine hai deciso di entrare comunque?» chiese il ragazzo.
«Perché tu hai deciso di aspettare.»
Spartaco aprì la bocca per aggiungere qualcosa.
«Ecco qua: caffè freddo e gelato.»
I ragazzi si voltarono verso la barista che stava spostando gli ordini dal vassoio al tavolino.
«Grazie» disse Irene.
Spartaco, invece, decise di non guardare nemmeno negli occhi la ragazza, lasciando un po’ perplessa Irene, che si chiese come mai fosse improvvisamente così scortese.
«Cosa preferisci?» chiese Spartaco, con la voce allegra di sempre.
«Credevo che il caffè fosse per me.»
Spartaco scrollò le spalle.
«Io ho preso quello che mi andava: scegli pure ciò che vuoi.»
Irene arricciò il naso, poi, mordendosi il labbro inferiore per non farsi sfuggire un sorrisetto, tirò verso di sé la coppa di gelato formato gigante. Sembrava una bambina di fronte alla propria torta di compleanno e Spartaco si ritrovò a sghignazzare a quella vista.
«Come immaginavo.» mormorò tra sé.
«Cosa? Che avrei scelto il gelato?»
«Sì, immaginavo che il caffè non ti piacesse tanto.»
«Sì che mi piace!» protestò lei.
«Allora come mai quando lo prendi a lavoro me ne rovesci almeno metà addosso?»
«Oh, andiamo… sarà successo una volta…»
Spartaco sollevò un sopracciglio.
«Forse un paio…» si corresse lei, vaga, poi allontanò lo sguardo dal collega e si portò un altro cucchiaio di gelato alla bocca.
Mentre parlavano del più e del meno Spartaco si ritrovò a confrontare l’atteggiamento di Irene con quello che aveva tenuto solo una settimana prima in presenza dei suoi amici. Era davvero difficile collegare la ragazza buffa e rilassata che aveva davanti, con il suo cerchietto sulla testa e un angolo della bocca sporco di gelato, con quella del sabato prima, che sembrava aver ingoiato una scopa con tutto il manico.
Irene non riuscì a finire tutto il gelato e Spartaco si offrì di farlo al suo posto. Non gli sfuggì il modo in cui la ragazza s’irrigidì nel vederlo usare il suo cucchiaino. Stava per dirle “Ti ricordo che ci siamo già baciati”, ma capì che non era il caso e si trattenne. D’altra parte aveva capito, tra le altre cose, che Irene non gradiva il contatto fisico, allora parlò d’altro, cercando di distrarla dal pensiero del cucchiaino e in qualche modo riuscì a farla rilassare di nuovo.
Quando arrivò il momento di pagare Spartaco pagò per entrambi, sostenendo che aveva consumato quasi tutto lui e dopo qualche protesta Irene desistette perché in effetti il ragazzo aveva ragione.
Rimase un attimo imbronciata mentre lo osservava uscire dal bar.
«Devi essere una ragazza speciale: oggi ha cambiato gusti di gelato.» le disse la barista.
«Mh? Perché, di solito che gusti prende?» chiese lei dopo un attimo di smarrimento.
«Bacio.» rispose la ragazza con un sorrisetto malizioso.
Irene serrò la mascella ed uscì salutando a stento.
«Allora – cominciò Spartaco non appena la collega fu davanti a lui – con queste due ore ritengo di aver saldato il debito.» disse controllando l’orologio.
«Non avevamo decretato che la debitrice fossi io?»
«Quel che è.» concesse Spartaco facendo un gesto con la mano.
«Aspetta, hai detto due ore?» proruppe Irene sgranando gli occhi.
«Più o meno… perché? Dovevi andare da qualche parte?»
«No, devo solo fare attenzione a non perdere l’autobus.» disse Irene controllando l’orario sul cellulare.
«Ok, andiamo: ti accompagno alla fermata.»
«Non ti devi disturbare, non ce n’è bisogno.» protestò Irene.
«Io dico di sì, invece. Se non ci sono più autobus ti riporto a casa, forza!» le disse con tono di rimprovero.
«Ti ripeto che non ce ne sarà bisogno: sono perfettamente in orario!»
«D’accordo, allora ti accompagno alla fermata e basta.»
Irene parve sul punto di protestare, ma Spartaco agì d’anticipo e si incamminò. Alla collega non restò altro che seguirlo.
«Anche tu hai qualche orario?» gli chiese poco dopo.
Spartaco negò scrollando le spalle.
«Allora devi essere nomofobico
«No-che? Sentiamo, cosa vorrebbe dire quest'insulto?»
«Non è un insulto! Nomofobia viene dall'inglese “no mobile” fobia: la paura di perdere il cellulare. Tu avrai controllato lo schermo una ventina di volte in queste ore, devi essere nomofobico!»
Spartaco rise, poi puntò lo sguardo verso il vuoto.
«Sto aspettando un messaggio, veramente.» spiegò, con in mente il volto di una ragazza che non vedeva da troppo tempo.
Irene lesse il suo umore e non indagò.
Procedettero in silenzio per qualche metro, poi Spartaco si accorse della presenza di Irene alla sua destra e si voltò verso di lei, riprendendo a parlare come se niente fosse di film, ricordi d’infanzia, lavoro o progetti per il futuro.
Ad un certo punto il ragazzo rallentò ed allungò una mano verso la testa di Irene.
«Dai, regalo natalizio, togliti quel fiocco adesso!» le disse.
«Ma a me piace davvero...» borbottò lei mettendo su il broncio e sistemandosi meglio l’acconciatura.
La sua espressione unita a quell'accessorio e al lieve profumo di pesca che emanava la faceva somigliare ancora di più ad una bambina, Spartaco non poté trattenersi dall'allungare una mano e stringerle il mento tra indice e medio per lasciarle un buffetto.
«Dai! Che fai?!» lo sgridò lei.
«Onestamente mi hai stupito: sei imprevedibile.» confessò Spartaco abbassando la mano e scuotendo il capo.
«Lo prendo come un complimento.»
«Forse lo è.»
Irene stava per ribattere qualcosa, ma una voce la chiamò facendola arrestare con le labbra socchiuse.
Anche Spartaco si fermò e cercò il proprietario di quella voce alle loro spalle. Non sapeva dove, ma era sicuro di averla già sentita.
«Renetta!» ripeté la voce.
“Oh, sì” pensò Spartaco mettendo a fuoco il suo proprietario “l’ho sentita eccome…”
 
 
Una settimana prima, 9 luglio, ore 22: 10:
- Irene, devi smetterla di chiamarmi SpartaCorto, dico sul serio!
- Perché? A me piace!
- Perché non sono “corto” per niente, ok?
- …non riesco a credere che tu abbia scritto una cosa del genere. Non dirmi che è solo una questione di orgoglio maschile perché non voglio crederci! Possibile che voi uomini siate costantemente preoccupati per la buona fama dei vostri attributi?! Allora non ti chiamerò più SpartaCorto...
- Oh! Era l'ora!
- ...Ti chiamerò Cortissimo!
- Stronza
- Che posso farci? Se sei tanto sensibile all'argomento... Non posso mica cambiare sulla fiducia
- Non starai mica dicendo...?
- Non credo a nessuna notizia senza aver verificato le fonti. Ma non ti preoccupare, non svelerò a nessuno il tuo piccolo segreto.
- Irene! Kilowatt aveva più pudore!
- Corto non si lamentava per come lo chiamavo!
- Ma Spartaco preferisce essere chiamato Spartaco, a Irene non piace?
- Le piace tantissimo.
 
 
Il mio angolino:
Finalmente... Spartaco is back!
Vi ringrazio di cuore per la pazienza e la comprensione.
Se vi interessa questo è il link alla mini long con cui sto partecipando ad un contest:
https://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3715051&i=1
Incrocio le dita e a presto,
FatSalad

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Capitolo 14
*** Immagine residua II ***


«Renetta, come stai? Ho visto un fiocco rosso da lontano ed ero sicuro che fossi tu!» esclamò Filippo tutto sorridente raggiungendo Irene per stringerla in un abbraccio.
Spartaco si stupì nel constatare che la collega si stava lasciando toccare così impunemente, senza irrigidirsi o fare smorfie, anzi, stava toccando lievemente la spalla del ragazzo in segno di partecipazione.
«Come sei carina!» disse poi Filippo allontanatosi, strizzandole le guance.
Ancora una volta, Spartaco aspettò una reazione da parte di Irene, ma lei, al contrario, accettò il complimento con una risata. Con lui l’unica volta che si era lasciata toccare era mentre piangeva nella stanza dell’archivio.
Perplesso, il moro non poté fare a meno di notare quanto Filippo apparisse diverso rispetto al giorno in cui l’aveva visto in ufficio. Sembrava un’altra persona: rilassato, allegro e sicuramente più corrispondente all’immagine che emergeva dal racconto di Irene.
«Tesoro, ti avevo perso!»
Una ragazza, l’amica che si era messa con Filippo, dedusse Spartaco, li raggiunse e non appena notò Irene la salutò dandole due bacetti sulle guance ai quali, ancora una volta, la collega non si sottrasse.
«E lui sarebbe…?» chiese poi indicando Spartaco con il capo, curiosa.
«Allora sei davvero il suo ragazzo?» chiese direttamente Filippo, che fino a quel momento l’aveva bellamente ignorato come se fosse diventato trasparente.
Spartaco prese fiato e aprì la bocca per rispondere.
«Sì.»
Richiuse la bocca e guardò interrogativamente Irene. Non era certo di aver sentito bene.
«Scusate se non ve l’ho presentato prima – continuò Irene – Lui è Spartaco, loro sono Filippo e Costanza, i miei ex-colleghi di università. Ti ricordi? Te ne ho parlato...»
“Cosa?! Mi stai chiedendo di fingermi chi non sono?” le chiese Spartaco con lo sguardo, niente affatto contento della piega che aveva preso la situazione.
«Sì, certo, che mi ricordo. Piacere.»
Si stupì egli stesso di sentirsi rispondere a quel modo, sfoderando un sorriso cordiale. Non gli piacevano i giochetti, non sapeva mentire e non gli andava, ma, per qualche strano motivo, sentì che in quel momento era la cosa giusta da fare e si fidò di Irene, porgendo la mano ai due ragazzi. Strinse solo un po’ più forte quella di Filippo, serrando anche la mascella.
«Ma dai! E come hai fatto ad accalappiarti un fustacchione del genere?» domandò Costanza, sfarfallando le sopracciglia nella sua direzione.
«Io non ho fatto proprio nulla! – chiarì Irene – Siamo colleghi e lui si era preso una bella sbandata per me.»
“Sul serio?!” pensò Spartaco cercando di non sgranare gli occhi in modo troppo evidente.
«Sul serio?!» esclamò Costanza assumendo l’espressione esatta che avrebbe voluto metter su il moro.
«Sì, ma lui a quel tempo aveva una ragazza. Si è torturato per mesi, finché non l’ha lasciata e poi non ha avuto pace finché non gli ho concesso un appuntamento.» disse Irene con aria vagamente annoiata.
“Ma da dove le vengono certe idee?” si domandava Spartaco, sorpreso dal modo naturale con cui la ragazza mentiva.
«Alla fine ho dovuto cedere per l’insistenza, capisci? – stava dicendo Irene scuotendo il capo – E appena ha potuto mi si è praticamente gettato addosso!»
«No!» fece Costanza, allibita, prima di scoppiare in una risatina divertita.
“Oh” pensò Spartaco. Improvvisamente gli parve di capire. “Non sta inventando di sana pianta, sta interpretando quello che è successo realmente!”. Così però non andava, la sua descrizione lo stava facendo passare per un pappamolle!
«Dai, chicca, – chiocciò allora, dandole una lieve gomitata sul fianco – dillo che ti ho conquistato!»
Lo disse cercando di mettere su l’espressione più ebete e innamorata possibile e non gli venne tanto male, a giudicare da come Costanza si produsse in un verso che pareva uno squittio e scosse Filippo per l’avambraccio.
«Guarda come sono carini!» esclamò a mo’ di rimprovero rivolta al proprio ragazzo.
“Che pomeriggio… interessante!” pensò Spartaco tra sé, cercando di non tradirsi con una risata fuori luogo.

«Scusa, non volevo metterti in mezzo, sono mortificata.» disse Irene dopo qualche metro di silenzio.
Lei e Spartaco avevano scambiato due parole con Filippo e Costanza, come due vere coppiette felici, poi Irene, con totale naturalezza, aveva accampato una scusa per troncare la conversazione ed andarsene. Si erano salutati con il proposito (Spartaco non sapeva fino a che punto sincero) di ritrovarsi per una cena o simili.
«Non volevo che la mia amica pensasse che tra me e Filippo possa nascere ancora qualcosa. Ti ho detto del perché era venuto a cercarmi, vero?» continuò la ragazza, facendo capire quanto le premesse dare delle spiegazioni.
«Mi hai detto che il tuo amico aveva un problema, sì.»
«Già, sono stata abbastanza gentile con i termini. Il fatto è che ha messo incinta Costanza ed è andato nel panico. Era pieno di ripensamenti, paure… insomma, tutto comprensibile: da un giorno a un altro sta per diventare padre! Solo che non l’ha presa nel migliore dei modi, ecco. Ha cominciato a pensare di non essere pronto, di non essere con la ragazza giusta e… evidentemente si è ricordato che avevo una cotta per lui.»
Mentre parlava Irene aveva tenuto lo sguardo sulla strada ed un’andatura da marcia, Spartaco aveva dovuto allungare il passo per starle dietro.
«Cioè, fammi capire: quel giorno in ufficio era venuto col proposito di lasciare la sua ragazza e mettersi con te?»
«Più o meno.» disse Irene scrollando le spalle.
«Ah!»
Spartaco si lasciò sfuggire il principio di una risata senza allegria.
«Non giudicare, per favore.»
A quelle parole gli tornò in mente la frase che era risuonata per gli uffici quel caldo venerdì.
«Sei migliore di tuo padre»
«Diciamo che poco fa non volevo dare a quei due un motivo in più per dubitare del loro rapporto.»
Spartaco non voleva nemmeno immaginare cosa nascondesse il passato di quel ragazzo, ma…
«Ma tu hai davvero pensato che io somigliassi a quel… - stava per apostrofare il ragazzo in un modo poco carino, poi si ricordò che era pur sempre un amico di Irene – a quel ragazzo?»
Irene abbassò lo sguardo.
«Beh, per certi versi…»
«Io non scapperei se la mia ragazza fosse incinta e stesse aspettando mio figlio!» protestò, scaldandosi.
«Ma che c’entra? Questo è successo dopo, io pensavo al Filippo che conoscevo prima…»
Spartaco avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma capiva che l’argomento era sgradevole alla ragazza e si ripeté le sue parole “Non giudicare, per favore”. Schioccò la lingua e decise di cambiare discorso.
«Comunque… non ti facevo una così brava attrice.» disse dopo qualche istante cercando un tono più calmo.
«Te l’ho detto: a casa ho imparato a mostrarmi sempre allegra e perfetta, ho fatto un discreto allenamento.»
«L’ho notato, ma non è giusto che la mia performance sia sminuita così.»
«Non sia mai, caro il mio fustacchione innamorato! A tal proposito, mi riaccompagni a casa? Grazie alla nostra scenetta ho perso l’autobus.» disse dopo aver dato uno sguardo al display del cellulare.
«Certo, chicca.» fece Spartaco mieloso.
«Chicca? Ma sul serio?!»
«È il nomignolo più sdolcinato che mi sia venuto in mente.»
I due si guardarono di sottecchi, poi scoppiarono a ridere nello stesso momento.
 
“Venerdì non ci sono, guardo se riesco a liberarmi per domenica...”
Tornato a casa Spartaco si era gettato sul letto e, con gli avvolgibili abbassati e le finestre spalancate nella speranza di far passare un po’ d’aria, aveva riletto per l’ennesima volta l’ultimo messaggio che gli aveva mandato Lilla.
“Guardo se riesco a liberarmi” voleva dire che se veramente voleva vederlo si sarebbe fatta viva, altrimenti…
Era quasi ora di cena e la ragazza non gli aveva fatto sapere nient’altro riguardo al giorno seguente, facendogli perdere le speranze. Sussultò quando il cellulare, fino ad un secondo prima inerme nelle sue mani, cominciò a vibrare e mostrò il nome di una ragazza che lo stava chiamando.
Spartaco rispose con un sospiro: non era la ragazza a cui stava pensando, ma dopo un po’ d’insistenza lo incastrò per una cena fissata al giorno dopo.
“Dunque” pensò Spartaco sollevandosi dal letto per andare a prepararsi la cena “anche volendo domani non potrò vedermi con Lilla”.
Le scrisse controvoglia un messaggio per informarla, nel caso le fosse interessato, che non era più disponibile per la domenica sera. Abbandonò il telefono sul materasso e stiracchiò la schiena. Per qualche motivo non aveva alcuna voglia di presentarsi a quella cena.
La sera successiva si fermò di fronte ad un portone e fece un respiro profondo. Mise su un bel sorriso e suonò il campanello.
Udì perfettamente un ciabattare concitato e poco dopo una donna di mezza età gli aprì la porta.
«Spartaco, sei tu! Perché non hai usato le chiavi?» gli chiese sua madre, facendolo entrare in casa.
«Non avevo voglia di cercarle.» mentì Spartaco, che avrebbe preferito dire “Non avevo voglia di essere qui stasera”. Non lo fece solo per non far preoccupare la mamma.
«Ho portato una bottiglia.» proseguì Spartaco, cambiando discorso.
«Enrico! È arrivato anche Spartaco!» annunciò Sara dirigendosi con zelo verso la cucina, con la bottiglia di vino in mano.
«Alla buon’ora!» lo rimproverò Giulia sbucando fuori da qualche parte e raggiungendolo per dargli un lieve cazzotto sul petto.
«Capitano!» lo salutò Nathan, al seguito di Giulia, tirando fuori una mano dalla tasca.
Era da tempo che non cenava con i suoi, Giulia e Nathan. A volte, doveva ammetterlo, aveva evitato simili ricorrenze per non sentirsi di troppo in quel quadretto di perfetta felicità di coppia. Lui non aveva mai portato nessuna a cena in famiglia, Giulia aveva portato sempre il solito ragazzo e neanche troppo spesso, tanto che Nathan mostrava ancora qualche cortese reticenza in presenza dei loro genitori.
«Tutto a posto, Scheggia?» gli chiese Spartaco.
Nathan rispose in modo vago e gli fece qualche domanda sulla squadra di calcio e lui non ebbe il coraggio di approfondire.
Non gli aveva ridetto niente riguardo al suo rapporto con Giulia dopo la chiacchierata che avevano fatto davanti ad un pallone poche settimane prima. Dall’atmosfera che regnava nel salotto dove si sedettero ad aspettare, però, Spartaco immaginò che la coppia fosse ancora in una situazione di stand-by. Sua sorella e Nathan erano sempre stati piuttosto discreti, senza mostrare grandi gesti d’affetto in presenza di altre persone, ma quella sera a Spartaco sembrò di notare un filo di tensione tra i due. Sospirò quando sua madre annunciò che la cena era pronta e mentre si spostavano tutti verso il tavolo si impose di non indagare oltre sulla questione.
Spartaco stappò la bottiglia di vino che aveva portato e fece qualche battuta per non pensare più alle sorti di sua sorella e Nathan, sperando che la sua risata non risultasse forzata.
Ad un certo punto, mentre mamma Sara si preoccupava di portare in tavola la torta fatta in casa, Giulia e Nathan si lanciarono uno sguardo complice e Spartaco immaginò che si stessero tenendo per mano sotto la tovaglia. In un certo senso cominciò a preoccuparsi.
Giulia si schiarì la voce.
«Mamma, papà… devo dirvi una cosa.»
Giulia era una ragazza minuta con gli occhi innocenti e una voce spesso flebile, ma a quelle parole tutti si zittirono, concentrando un’attenzione tesa su di lei. Sara rimase in piedi con il coltello per tagliare il dolce a mezz’aria e il silenzio fu tanto assoluto da permettere a Spartaco di sentire la sorella deglutire.
«Io e Nathan ci siamo fidanzati.»
Giulia aveva tre paia d’occhi puntati su di lei, sgranati, attoniti. Nessuno accennava a parlare.
«Sì… insomma… ci sposiamo.» aggiunse, messa un po’ a disagio da quella mancanza di reazioni.
Nathan le sorrise e le diede una carezza sulla mano che stringeva e Giulia la sollevò, mostrando un piccolo anellino intorno all’anulare, a cui fino a quel momento nessuno aveva fatto caso.
«Oh!»
Mamma Sara proruppe in un’esclamazione emozionata, rompendo il silenzio e dando inizio ad una serie di complimenti e domande a raffica. La donna abbandonò il coltello che teneva in mano e andò ad abbracciare Giulia con slancio, poi si gettò su Nathan e abbracciò anche lui, riempiendolo di baci fino a farlo arrossire.
«Lascialo in vita almeno fino alle nozze!» scherzò Spartaco, aiutando Nathan a liberarsi dalla stretta della madre.
Gli posò una mano sulla spalla e lo guardò negli occhi sorridendo. I suoi occhi gli chiesero scusa per non avergli detto niente prima, gli dissero che avrebbe sempre trattato bene sua sorella, gli dissero che sarebbe sempre stata lei la sua priorità. O almeno fu quello che vi lesse Spartaco. Poi lo abbracciò forte e lo sollevò da terra con un grugnito per sciogliere quella strana tensione che si era venuta a formare.
«Spartaco!» lo rimproverò sua sorella.
Allora lasciò andare Nathan e gli diede una pacca sulla schiena.
«Papà?»
La voce di Giulia suonava preoccupata mentre chiamava suo padre. Spartaco si voltò e vide il signor Enrico ancora perfettamente immobile al suo posto, gli occhi lucidi persi nel vuoto.
Quando si sentì chiamare l’uomo si riscosse, come svegliato da un dormiveglia e con un gesto rapido si toccò gli occhi, sperando inutilmente che nessuno avesse notato la sua commozione.
Si schiarì la gola, si alzò tra le risate generali e andò ad abbracciare Giulia.
«La mia bambina…» bisbigliò e a quel punto proruppe in un pianto non più trattenuto.
 
“Ce la facciamo a vederci domani mattina per un caffè?”
Preso dalla cena e dalla notizia del fidanzamento, Spartaco si era completamente dimenticato di Lilla per qualche ora. Tornato al suo appartamento scoprì che la ragazza gli aveva mandato un messaggio, che lesse con trepidazione e piacere.
“Ce la facciamo” rispose in fretta e non si accorse di sorridere.
Nessuno dei due aveva molto tempo, ma Lilla si propose di avvicinarsi al luogo di lavoro di Spartaco, cosa di cui il ragazzo fu molto grato.
“Questo” pensò la mattina seguente arrivando al luogo dell’appuntamento “significa trovare del tempo per una persona”. Era il fatto di non avere tempo, ma di ritagliarsi quel poco che potevano a rendere un incontro desiderato, importante, necessario.
Entrò nel bar affollatissimo e la cercò con gli occhi. Sorrise quando la vide alzare e sventolare lievemente una mano per farsi scorgere.
«Ehi, ciao!» la salutò, andandole incontro per lasciarle due baci sulle guance.
Il suo profumo però gli diede fastidio. Sì, il suo profumo dolce, quello che lo ammaliava, quello che gli dava alla testa. Non sopportava l’idea che lo indossasse così in pieno giorno, così tanto, quando doveva stare a contatto con tanti altri uomini. Il solo pensiero gli fece prudere i palmi e strinse le mani.
«Allora, cos’è che dovevi assolutamente dirmi?» chiese per scacciare gli altri pensieri dalla testa.
«Quindi vogliamo andare subito al dunque?»
Spartaco scrollò le spalle.
«Non mi chiedi neanche come sto?»
«Lo vedo che stai benissimo. Sei splendida.»
Lilla abbassò lo sguardo, senza nascondere di essere lusingata dalle sue parole.
«Anche io ti trovo bene.»
«Sì? Beh, in realtà sono un po’ spossato da questo caldo. – Stava seriamente parlando del tempo? Doveva essere più nervoso di quanto non volesse ammettere a se stesso. – L’idea che le vacanze siano ancora lontane non mi tira su.»
«Ecco, proprio di questo volevo parlarti.»
«Del tempo?»
Cavoli, allora anche Lilla doveva essere messa maluccio!
«No, stupido, delle vacanze!»
«Oh.»
«Volevo dirti che… mi dispiace. So che ti avevo detto che ci avrei pensato, riguardo all’uscire di nuovo insieme, intendo. Il fatto è che con la tesi da scrivere e tutte le beghe che ne sono derivate… ho avuto letteralmente la testa altrove. Ora, con il professore abbiamo concordato di risentirci a settembre e se tutto va bene entro la fine dell’anno sarò laureata.»
«Ehi, ma è grandioso!»
«Già. Però per il momento mi voglio prendere una bella pausa. Se me l’ha concessa il prof, non vedo perché non dovrei concedermela io. Quindi parto.»
«Parti? Bene. E dove vai?» chiese Spartaco allegro, cercando di ignorare il fatto che Lilla stesse evitando il suo sguardo, rigirandosi una tazza di cappuccino quasi vuota tra le mani.
«In Norvegia.»
«Seriamente? Ma è fantastico! Ci sono un sacco di posti per fare mountain bike, escursioni e… ma questo forse non ti interessa.»
«Non molto, già.» rise Lilla.
«E quanto starai in Norvegia?»
La ragazza fece un breve pausa prima di rispondere, nonostante la domanda elementare.
«Ecco, è qui che volevo arrivare. Un mese.»
«Quanto?!»
«Sì, hai capito bene: un mese. Ecco perché volevo vederti.»
«Per dirmi che se non risponderai alle mie chiamate sarà per l’assenza di segnale?»
C’era qualcosa nel tono della ragazza che lo spingeva a cercare di sdrammatizzare, alleggerire la tensione. Aveva voglia di non penderla sul serio, ma sapeva che era sbagliato.
«Per dirti che utilizzerò questo tempo per rilassarmi e pensare un po’ a me… a noi.»
«E immagino di non poter disturbare questa tua riflessione.»
«Esatto. Cioè, no! Voglio dire… sì, vorrei un po’ di tempo per stare un po’ con me stessa e capire…»
Spartaco si passò una mano tra i capelli in un gesto nervoso, cercando di non lasciarsi andare all’irritazione. Doveva essere calmo e razionale se voleva arrivare a Lilla, allora fece un bel respiro prima di parlare di nuovo, con estrema serietà.
«Cosa c’è da capire? Io sto bene con te, tu stai bene con me? Onestamente non capisco questa tua reticenza. Non capisco perché stai cercando di capire se vuoi stare con me senza… di me! Io…»
Spartaco si accorse che, malgrado la sua buona volontà, si stava scaldando troppo. Si interruppe e guardò altrove, cercando le parole più giuste. Sospirò e, calmatosi, tornò a guardare Lilla negli occhi.
«Non capisco, ma proverò comunque ad accettarlo. Ora devo andare a lavoro. Buone vacanze. Quando tornerai, beh, saprai dove trovarmi, sempre se ti andrà.» concluse, non senza un po’ di risentimento, dopo aver dato un occhio all’orologio.
Uscì dal bar sotto lo sguardo attento di Lilla, che non disse neanche una parola di saluto. Forse, immaginò il ragazzo, si era aspettata esattamente quella reazione da parte sua.
Si bloccò sul posto e fece dietrofront sul marciapiede, andando a sbattere contro una signora di mezza età.
«Che modi!» fece quella, sistemandosi un’orribile foulard sdrucito sul collo.
«Mi scusi» rispose Spartaco serio.
La signora allora lo seguì con lo sguardo mentre entrava nel bar da cui era appena uscito con passo deciso.
“Beh, almeno mi ha chiesto scusa…” pensò la donna subito più indulgente dopo aver ammirato il suo fondoschiena.
«Lilla! – esclamò Spartaco non appena fu davanti alla ragazza – Non fraintendermi, per favore. Vorrei solo che fosse più semplice tra noi.»
«Ma non lo è mai stato.»
«Già…» ammise lui, tirando fuori un sorriso sghembo.
Alzò una mano e le lasciò una carezza sulla guancia con il dorso delle dita.
«Dicevo sul serio: divertiti in Norvegia. Buone vacanze.»
Non era il tono con cui di solito si augurava un buon viaggio a qualcuno, Spartaco aveva un’espressione troppo seria, quasi triste mentre pronunciava quelle parole. Lilla si limitò ad annuire e per un attimo gli parve che stesse per aggrapparsi al suo collo per baciarlo, ma non lo fece.
Quando uscì definitivamente dal bar Spartaco era tranquillo e si diresse verso l’ufficio senza nemmeno ricordarsi che non aveva fatto colazione.
 
 
Poche ore dopo:
- Ho fame!
- Ma che fai, Spartaco?! Ora usi la chat anche durante le ore di lavoro??
- Ho fame…
- Io ho da fare, invece!
- Io sono a patire il caldo quassù mentre tu ti godi l’aria condizionata del terzo piano e… ho fame. Non riesco a concentrarmi con lo stomaco vuoto.
- …
- Non ignorarmi! …perché non mi consideri? Divento irritabile quando ho fame e ora ho molta fame… e caldo… e lavoro da sbrigare… e gente che bussa alla porta dell’ufficio.
- Sono io, cretino! Aprimi: vengo in pace e ho una merendina con me.
- <3 
 

Il mio angolino:
Nel correggere, sistemare, cambiare il capitolo precedente e questo… ho tagliato via una parte considerevole senza accorgermene… com’è possibile che sia sparita? Dove l’ho messa?!?
Dopo i primi momenti di sconcerto-panico-rabbia è arrivata la rassegnazione ed ho riscritto la parte mancante. Niente di male, solo che ha significato perderci più tempo del dovuto. T__T Vi auguro che non vi capiti mai una cosa del genere.
Alla prossima,
FaTontSalad

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Capitolo 15
*** Interruttore ***


Il finestrino aperto lasciava entrare un po’ di vento, ma l’aria era ugualmente calda e afosa e le previsioni presagivano lo stesso clima per una buona metà del mese di agosto. Spartaco aveva la mente completamente rivolta alle vacanze, che si stavano avvicinando e anche se aveva insistito un po’ sulla possibilità di progettare un itinerario in montagna, in quel momento era felice di andare al mare. Lui e Giovanni avevano trovato un posticino abbastanza economico per andare in campeggio e Spartaco immaginava di essere già immerso nell’acqua fresca quando l’afa gli mandava in tilt il cervello.
L’auto fece una sterzata piuttosto brusca e Spartaco afferrò la maniglia sopra al finestrino in un gesto automatico.
«Mi dici di cosa hai paura? Non ti fidi della mia guida?» chiese Irene, indispettita.
«Non è che non mi fidi, è solo che me la faccio sotto per il modo in cui prendi le curve.»
Irene sbuffò.
«Non hai visto che c’era una macchina che veniva nel senso opposto?» chiese Spartaco, per chiarire la propria posizione.
«Era lontana.» disse la ragazza scrollando le spalle.
Spartaco allora decise che era inutile discutere e che non avrebbe più accettato passaggi da Irene in vita sua.
«Eccoci, questo è il posto.» annunciò la ragazza, accingendosi a parcheggiare davanti ad un bar.
Il locale aveva le pareti di vetro ed era illuminato a giorno, dentro si potevano scorgere diverse persone che ridevano e bevevano cocktail coloratissimi.
«Ah.» fece il ragazzo leggendo il nome scritto in un elegante corsivo sull’insegna luminosa.
«Lo conosci?» chiese Irene.
«Non proprio.»
Non stava mentendo, anche se era entrato in quel bar non avrebbe saputo dare un giudizio di sorta sulla qualità del cibo o del servizio. L’unica volta che ci aveva messo piede era una mattina di qualche settimana prima e se n’era andato prima di poter assaggiare anche solo un caffè: era il bar in cui aveva visto Lilla l’ultima volta.
Mentre scendeva dalla Twingo di Irene, ben felice di poter ritornare coi piedi per terra, fece mentalmente qualche calcolo.
Lilla era partita? Era già tornata? Si stava rilassando in Norvegia?
La vocina più timida della sua testa chiese: “mi manca?”, ma Irene sbatté la portiera con decisione e il rumore scacciò via tutti quei pensieri.
«Guarda che bel parcheggino che ti ho fatto!» esclamò la ragazza, orgogliosa.
«Almeno quello…»
Irene ruotò gli occhi al cielo, come faceva ogni volta che non era d’accordo ma non voleva iniziare una discussione e Spartaco sghignazzò.
Sì, era meglio tornare a non pensare a Lilla. A dir la verità fino a quel momento ci era riuscito anche piuttosto bene. Tra l’euforia per le nozze di Giulia con tutti i preparativi da affrontare, il lavoro da sbrigare in quella calura spossante e la “nuova” amicizia con Irene doveva ammettere che Lilla era stata l’ultimo dei suoi pensieri, se non meno.
Passare del tempo con Irene era la cura perfetta per un presunto cuore infranto, avevano sempre di che parlare, a volte anche tanto su cui discutere e con lei Spartaco aveva la testa sempre occupata su qualcosa che non era Lilla o il suo status di single. Di questioni amorose non parlavano mai e il ragazzo ne era sinceramente grato. Se solo si fosse fermato un po’ di più a rifletterci, infatti, si sarebbe reso conto che stava passando il periodo più lungo della sua vita senza una ragazza da quando aveva quattordici anni e probabilmente al suo super-ego sarebbe preso un infarto.
Spartaco seguì Irene all’interno del locale e si guardò intorno alla ricerca di due posti liberi. Una voce interruppe la sua ricerca, costringendolo a voltarsi.
«Guarda chi si rivede: lo Spartano!»
«Oh, ciao Michele!» salutò Spartaco, alzando una mano con un sorriso.
Era sorpreso di vedere l’attaccante in quel bar, non c’erano mai stati insieme con il gruppo di amici e d’istinto guardò dietro alle spalle del compagno di squadra alla ricerca di altri volti noti.
«Fa’ vedere…»
L’amico lo interruppe prendendogli il capo tra le mani e facendolo piegare un po’ per ispezionargli la nuca.
«Che stai facendo?!» disse Spartaco divincolandosi, irritato e divertito insieme.
Che scemenza avrebbe tirato fuori Michele, stavolta?
«Beh, – fece lui – è così tanto che non ti si vede a giro che credevo ti fossi fatto monaco, eppure hai ancora tutti i capelli…»
A Spartaco si congelò un mezzo sorriso sul volto. Accennò una risatina e chiese:
«Ma che dici?!» sperando ancora che l’amico stesse scherzando.
L’espressione di Michele però si era fatta strana, sorrideva, ma non sembrava affatto divertito. Lo stava davvero rimproverando?
«Non so, dimmelo tu: non sono io lo stronzo che di punto in bianco è troppo impegnato per farsi vivo. Che c’è? Ti sei fatto una nuova ragazza? – chiese poi scrutando un punto alle spalle di Spartaco – oh… pensa un po’…» aggiunse stupito, dopo aver notato Irene.
«Ciao…» mormorò la ragazza accennando un saluto con il capo.
«Se hai un problema con me d’accordo, ma non mettere in mezzo lei.» disse Spartaco a Michele, assumendo di colpo un’espressione dura.
«Io… vado a prendere un posto…» annunciò Irene, dileguandosi in fretta.
Probabilmente aveva notato il cambio di tono di Spartaco e non doveva essergli piaciuto.
«Ho capito perché facevi tanta resistenza per presentarmela, ma se piaceva a te bastava dirlo!» esclamò Michele scuotendo il capo.
«Se non sbaglio te l’ho presentata, se poi sei un coglione non dovresti dare la colpa a me!» si difese il moro.
Michele fece una risata forzata.
«Ma dico io: che ci voleva a dire che hai una nuova tipa e vuoi passare il sabato sera a rotolarti tra le lenzuola con lei, eh? Che ci voleva?»
A quelle parole Spartaco serrò la mascella. Gli aveva appena chiesto di non mettere in mezzo Irene e Michele aveva fatto esattamente il contrario. Ed aveva fatto male. Non era più disposto a giocare pulito, adesso. Fece un passo in avanti, arrivando a pochi centimetri dal suo volto, fissandolo negli occhi per qualche istante. Poi d’un tratto fece una smorfia, alzando un angolo della bocca.
«Non prendo lezioni d'amore da uno patologicamente innamorato di una ragazza, che cambia partner ogni settimana perché non ha il coraggio di farsi avanti con lei.»
Aveva detto la cosa più crudelmente vera che potesse dirgli con la voce più calma che era riuscito a trovare ed aveva fatto centro. Michele, sorpreso da quell’attacco, non trovava parole per rispondere e spostava lo sguardo da un punto all’altro del suo viso, diventando sempre più irrequieto e arrabbiato. Spartaco ebbe il modo di chiudere la questione.
«Sai che ti dico? Vaffanculo! Parli come se sapessi tutto, ma lasciatelo dire: tu non sai niente, non provare nemmeno a fare supposizioni, perché non sai niente.»
Il moro fece per voltarsi e raggiungere Irene.
«Che pezzo di…»
Spartaco guardò oltre la propria spalla per vedere un Michele furente, come non l’aveva mai visto, il volto rosso e l’espressione ben lontana dal suo tipico sorriso da monello. Era in procinto di raggiungerlo, ma un amico lo tratteneva. Spartaco udì che gli diceva “Lascia perdere…” mentre lo teneva per un braccio.
«Tranquillo – disse allora nella loro direzione – ce ne andiamo.»
E, raggiunta Irene, la prese per un braccio e la condusse fuori dal bar senza una parola.
Lei non gli chiese spiegazioni, guidò per qualche tempo in silenzio e Spartaco non domandò dove stessero andando. Quando la ragazza parcheggiò e scese dall’auto, il ragazzo, che non si era nemmeno spaventato per la sua guida, tanto era concentrato su ciò che era appena accaduto, si guardò intorno cercando di capire dove fosse.
Irene l’aveva portato presso un laghetto artificiale, la superfice era ferma e rifletteva la luce dei lampioni che illuminavano qualche persona a spasso. Di giorno doveva essere un parco perfetto per far giocare i bambini e organizzare picnic familiari, a quell’ora di sera diventava un posto piuttosto romantico per una passeggiata al chiaro di luna.
Spartaco seguì la ragazza e raggiunsero un baracchino che vendeva gelati. Senza chiedere la sua opinione Irene scelse i gusti di gelato per lui e gli passò il cono. Poi cominciò a passeggiare intorno al lago e Spartaco l’affiancò.
Passarono ancora qualche minuto senza rompere il silenzio, camminando lentamente assorti entrambi nei propri pensieri, poi decisero che avevano passato abbastanza tempo senza dire una parola.
«Perché mi hai dato questo?» chiese Spartaco accennando al cono gelato.
Irene fece spallucce.
«Il gelato di solito funziona per le ragazze con il ciclo.»
«E questo che c’entra?! – chiese Spartaco aggrottando le sopracciglia – E poi io chiedevo come mai hai abbinato i gusti “cassata” e “bacche di goji”!»
«Oh. E c’è bisogno di chiederlo? – fece lei, come se fosse la cosa più ovvia del mondo – Le bacche di goji perché era il gusto più strano e volevo sapere se faceva schifo come sembra, la cassata… perché credo tu abbia appena fatto una cassata
Spartaco diede un morso alla cialda del cono e masticò lentamente, inghiottì e sospirò.
«Fidati: fa proprio schifo.» le disse guardando la superficie scura del lago e Irene non chiese a quale dei due gusti si stesse riferendo.
 
Quel fine settimana, dopo l’uscita con Irene, Spartaco ebbe di che riflettere.
Quando era stata l’ultima volta che era uscito con Michele e il suo gruppo di amici? Sul momento non gli veniva in mente, ma non era certo passata una vita come voleva fargli credere il compagno di squadra!
Michele… gli aveva detto delle cose davvero brutte, o meglio, gli aveva detto la verità, ma nel modo più brutale e cattivo che era riuscito ad immaginare e se ne era pentito all’istante, nel momento stesso in cui aveva pronunciato quelle parole. Non l’aveva mai visto così ferito e arrabbiato, la sua espressione solitamente ridanciana e buffa si era trasformata in una maschera iraconda.
Spartaco dubitava che avrebbero fatto pace a breve. Dubitava che avrebbero mai fatto pace, a dirla tutta. Con Michele non c’era mai stato bisogno di chiedere scusa, perché solitamente gli insulti o le litigate gli scivolavano addosso senza toccarlo veramente, ma di solito erano litigate ben più stupide, non significative come quella di sabato.
Spartaco si stropicciò la faccia con una mano. Si sentiva uno schifo. Avrebbe preferito fare a botte con Michele, così almeno avrebbe avuto qualche livido di cui lamentarsi, così invece, quando il diverbio era stato impari e a suon di parole taglienti, era difficile ammettere che gli faceva male qualcosa dentro, tra il petto e lo stomaco.
“Dunque questo è il rimorso” si disse.
Non si era mai pentito delle proprie azioni o delle proprie scelte come in quel momento e di cose stupide ne aveva fatte nella vita! Aveva comprato un paio di scarpe di un orribile giallo fosforescente, per esempio, era bocciato all’ultimo anno delle superiori, si era messo con una ragazza che piaceva a Giovanni e molto altro, eppure niente gli sembrava paragonabile al modo ingiusto in cui aveva trattato Michele.
Mentre si apprestava a preparare il pranzo cominciò a chiedersi se l’attaccante non avesse avuto in qualche modo ragione, almeno in parte.
Per una volta fu grato del fatto che i suoi non lo avessero invitato a pranzo a casa loro. Erano impegnati insieme a Giulia nella ricerca di un ristorante per il ricevimento del matrimonio, il che avrebbe determinato anche la data dello stesso, che indicativamente era fissata all’estate seguente. Con l’umore che si ritrovava Spartaco non sarebbe riuscito ad entusiasmarsi nemmeno per finta.
Consumare un pasto modesto nel silenzio del suo monolocale gli sembrò, per una volta, una buona prospettiva. Gli serviva del tempo per riflettere.
“Non c’è niente di male a farsi nuove amicizie” pensava tra una forchettata e l’altra, fissando il bicchiere mezzo pieno davanti a sé.
“Io avrei anche voluto continuare ad uscire con loro insieme a Irene, non è colpa mia se non sono un gruppo accogliente!” un pensiero ed un morso al pane del giorno prima.
“Dovevo forse giustificarmi per la mia assenza nelle ultime settimane? C’è qualcuno che prende le presenze, forse?” pensava e masticava e quando il piatto fu vuoto era quasi convinto di essere in fin dei conti dalla parte della ragione.
Poi però il cellulare squillò e benché avesse avuto tutte le intenzioni di mostrarsi allegro e indistruttibile, non appena sua sorella gli chiese “Come stai?” per qualche strana ragione gli venne da riversare dentro la cornetta tutto ciò che gli era successo la sera prima.
Giulia ascoltò tutto in silenzio e quando Spartaco si chetò era tutto soddisfatto e certo del supporto della sorellina.
Invece Giulia gli disse:
«Michele ha ragione.»
«Cosa? No! Ma non hai ascoltato quello che ti ho raccontato?!»
«Ho ascoltato perfettamente e concordo con Michele: ultimamente non ci sei mai, sei sparito dalla circolazione, non ti fai sentire e non hai mai spiegato il perché.»
«Ma te l’ho appena detto: voglio conoscere meglio Irene, credo che abbia bisogno di un amico più di quanto ne abbia bisogno Michele. E viceversa.» mormorò il ragazzo.
«Il modo in cui l’ha presa lui sembra dire il contrario. Credo che anche lui abbia bisogno di te e forse, se tu volessi, potresti riuscire a far andare d’accordo la tua collega con i tuoi vecchi amici.»
Spartaco sospirò portandosi una mano a massaggiare gli angoli interni degli occhi.
«Tu non capisci! Dopo quello che lei mi ha raccontato... - scosse la tasta e si morse il labbro inferiore, indeciso su quanto svelare alla sorella. - Mi ha detto chiaro e tondo che si sente a disagio in mezzo a persone nuove, lei... ha avuto qualche brutta esperienza, ecco.»
«Va bene, ho capito, ma, magari, se tu provassi a presentarle Giovanni, per esempio, sapresti esattamente come mettere a suo agio sia lei che lui, no?»
«Non so...» fece lui titubante.
«Come “non so”?! Lo conosci da una vita! Siete partners in crimes, non ti ricordi? Voglio dire, se hai provato a gettarla in mezzo al tuo gruppo di compagnoni del sabato sera e lei si è sentita a disagio non posso biasimarla: anche io avrei reagito allo stesso modo. Ma se provi a presentarle con calma qualcuno dei tuoi amici più stretti sono sicura che li troverà simpatici come fai tu.»
Spartaco parve pensarsi su seriamente.
«Tu credi?» chiese infine, insicuro.
«Ne sono sicura.» affermò lei.
«D’accordo. Allora sei libera sabato prossimo?»
«S-sì… perché?»
«Voglio che tu e Nathan siate i primi.»
 
 
Ore 22: 05
- Scusa, Spartaco, non capisco…
- Che c’è da capire? Sabato prossimo voglio presentarti mia sorella.
- …e il suo fidanzato.
- Che è un vecchio amico, sì. Se non ti va non importa, eh…
- Sì, mi va, d’accordo. È solo che sembra un’uscita a quattro…
- Beh, se preferisci ti lascio da sola con loro due a reggere il moccolo.
- A che ci troviamo, hai detto?
 
 
Il mio angolino:
Innanzitutto chiedo perdono per la mia lunga assenza e per il capitolo non altrettanto lungo...
Poi mi accorgo solo ora di non aver mai ringraziato tutte le persone che hanno messo la storia tra le seguite/ricordate/preferite, per non parlare di chi mi ha inserito tra gli autori preferiti (io? Sul serio?? *_*). Terribile mancanza da parte mia, ecco, questo Grazie Immenso è per tutti voi e un Grazie Infinite a chi trova il tempo di lasciare una recensione: siete la mia gioia!
Ehi, ehi, ehi… ma non è rimasto nessuno a fare il tifo per Lilla? Team Lilla, dove sei?? Fatti sentire! XD
Alla prossima,
FatSalad

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Capitolo 16
*** Risparmio energetico ***


Spartaco aprì il rubinetto e con le mani a coppa raccolse quanta più acqua possibile per immergervi la faccia. Ripeté l’operazione e massaggiò vigorosamente per togliere ogni residuo di sonno dal volto, poi alzò il capo di scatto, chiuse il rubinetto e si passò una mano tra i capelli. Valutò se asciugarsi o meno, poi una gocciolina d’acqua fredda scese tra le sue scapole facendogli il solletico e si decise ad utilizzare l’asciugamano che aveva portato con sé.
“Rimpiangerò questa frescura, lo so” pensò tra sé, memore dei gradi che la temperatura raggiungeva in quei giorni.
Lasciò il bagno ciabattando e si imbatté in due ragazze biondissime con i capelli arruffati. Una delle due gli sorrise e accennò un “Morning”.
«Ehi!» rispose Spartaco accennando un saluto con il capo.
Cercò di fare mente locale e di ricordare se le avesse già viste la sera prima o se si fossero mai presentati, ma Giovanni interruppe i suoi pensieri uscendo dalla tenda.
«’Giorno.» disse non appena lo vide, prima di stiracchiarsi la schiena e sbadigliare.
«Buongiorno bell’addormentato.» rispose Spartaco.
«Ma sono appena le otto! – si lamentò Giovanni – Sei tu che d’un tratto sei diventato mattiniero perché deve arrivare la tua amica!»
«Più tardi c’è fila al bagno – si giustificò il moro – e poi non eri tu che mi avevi implorato di fartela conoscere?»
«Non mi pare di averti mai “implorato”…» borbottò l’amico.
Rientrò nella tenda mentre Giovanni di dirigeva sbadigliando verso i bagni del campeggio e si accinse a riempire uno zaino con tutto l’occorrente per la giornata. Controllò che ci fosse la crema per il sole, il telo ancora un po’ umido dal giorno prima, la borraccia da riempire, il portafogli. Quando prese in mano il cellulare si bloccò. Forse, in effetti, era un po’ in fibrillazione per quella giornata, giusto un pochino. Controllò che non ci fossero chiamate o messaggi sul telefono, poi aumentò il volume della suoneria al massimo e lo gettò nello zaino. Il fatto era… che era un po’ preoccupato, ecco tutto.
Pochi giorni prima aveva presentato Giulia e Nathan a Irene e la serata era andata sorprendentemente bene. Sebbene, infatti, per una buona mezz’ora sua sorella non avesse fatto altro che parlare di ristoranti e menù per il ricevimento di matrimonio, fiori bomboniere e altre quisquilie concernenti il suo grande giorno, dopo essersi sfogata a sufficienza riguardo ai prezzi assurdi dei parrucchieri per una semplice acconciatura, sembrava che fosse andata molto d’accordo con Irene.
La sua collega, d’altro canto, non era rimasta zitta e seria per tutto il tempo come una parte di lui aveva temuto e Spartaco era rimasto a dir poco sorpreso quando, prima di salutarsi, Giulia aveva invitato Irene ad unirsi a lei e Nathan la settimana seguente.
«Andiamo a trovare mio fratello e Giovanni, ci facciamo un giorno di mare e cerchiamo di dimenticare tutto il resto!» aveva proposto Giulia.
La cosa più sorprendente, però, era che Irene non avesse detto di no. Non aveva neanche detto di sì, in effetti, ma le due ragazze si erano scambiate i numeri di telefono e a quanto pareva la sua amica era stata convinta.
«Ho detto a Emily e Kate che ci vediamo sulla spiaggia!» esclamò un Giovanni raggiante facendo irruzione nella tenda.
«A chi?» chiese Spartaco corrugando la fronte.
«Emily e Kate, le due australiane con due paia di gambe da capogiro! Le ho incontrate che uscivano dal bagno.»
«Giova… tu non parli una parola d’inglese.»
«Spartaco, - cominciò lui imitando il tono pretenzioso dell’amico – tu sottovaluti il linguaggio del corpo.»
Il moro roteò gli occhi, poi afferrò gli occhiali da sole e uscì dalla tenda ridacchiando: gli era mancato il suo migliore amico.
L’arrivo delle ferie era stato quasi provvidenziale per Spartaco, che aveva bisogno, oltre che di staccare dal lavoro e dall’afa del suo ufficio, di ripensare un momento al proprio comportamento con gli amici. Conoscere Irene in maniera più approfondita l’aveva portato a trascurare tutte le altre amicizie, adesso lo capiva e non ne andava fiero. Da quando i due ragazzi erano arrivati al villaggio turistico, però, Spartaco aveva scoperto che niente era cambiato nel suo rapporto con Giovanni, erano i vecchi amici di sempre e questo l’aveva rassicurato non poco.
Mentre sbirciava divertito attraverso le lenti scure l’amico che si fingeva interessato ad una lezione di aquagym solo per flirtare con qualche tipa, Spartaco intuì che aveva fatto una battuta poiché la ragazza accanto a lui si mise a ridere e gli diede un bonario pugnetto sul braccio. Spartaco sorrise di riflesso.
“Un tempo sarei stato anch’io lì con lui a fare lo scemo” pensò.
Già, che cosa era cambiato da “un tempo”, allora?
«Devo aspettare nel caso in cui mia sorella mi chiami.» aveva detto poco prima a Giovanni e fu quello che ripeté anche a sé stesso cercando di non rimanere turbato da quell’improvviso pensiero.
«Non sai che è pericoloso addormentarsi con gli occhiali da sole sulla spiaggia?» disse una voce vicinissima al suo orecchio, facendolo sobbalzare.
Di riflesso Spartaco si portò gli occhiali sopra la testa prima di voltarsi.
«Siete riusciti a trovarci, allora!» esclamò salutando sua sorella.
Lei ammise che era stata sul punto di chiamare, ma che Nathan, alla guida, l’aveva convinta a fidarsi di lui.
«Voleva fermarsi per chiedere indicazioni… ma dico io: tua sorella non ha un po’ di senso dell’orientamento?» disse Nathan facendo irritare Giulia che cercò di difendersi in tutti i modi.
Spartaco sghignazzò, dando perfettamente ragione al ragazzo, poi cercò con gli occhi dietro alla coppia.
«Ehi… tutto bene il viaggio?» chiese una volta incrociato lo sguardo di Irene.
Lei annuì e Spartaco le si avvicinò per darle due bacini, poi si bloccò all’ultimo secondo e le fece un buffetto sul mento.
«Mi auguro che non siano stati così per tutto il tempo…» disse il ragazzo accennando ai due fidanzatini che bisticciavano.
Per tutta risposta Irene fissò Giulia e Nathan con aria trasognata e dopo qualche secondo sussurrò: «Sono una bella coppia.»
«Ehi, promessi sposi, – disse Spartaco per interrompere il buffo litigio – che ne dite di andare a salutare Giova? Credo che abbia tonificato a sufficienza le lonze…» aggiunse indicando con il capo l’amico ancora intento a fingere di fare esercizi, ignaro dell’arrivo dei tre ragazzi.
Lo chiamò a gran voce e dopo aver salutato la vicina di aquagym ammiccando, venne verso di loro tutto sorridente. Salutò Nathan con un abbraccio, diede due baci a Giulia e Spartaco trattenne il fiato quando si fermò davanti ad Irene.
«Piacere, Giovanni.» le disse con un sorriso aperto tendendole la mano.
Spartaco tornò a respirare e poi si diede dello stupido: aveva forse temuto che Giovanni, proprio il suo migliore amico, potesse peccare di invadenza o eccesso di affetto?
«Se volete vi accompagniamo a montare la tenda.» propose Spartaco per pensare ad altro.
«Grazie. – cominciò sua sorella – Voi uomini potete andare a montare la nostra tenda mentre noi signore ci accingiamo a prendere il sole.»
Concluse il tutto con un sorriso così angelico che Nathan, dopo averle dato della despota, le schioccò un bacio sulla tempia e si avviò insieme a Giovanni e Spartaco, lasciandosi alle spalle una Giulia dall’aria assai soddisfatta.
«Ehm… sicura che per te vada bene non dormire con Nathan?» chiese titubante Irene mentre si spogliavano per rimanere in costume.
«Tra poco ci passerò insieme tutta la vita, credo di poter resistere per una notte lontano da lui. – la rassicurò Giulia – E poi i tre bambini avranno tanto di cui parlare…»
Irene si voltò un’ultima volta verso le tre figure che si addentravano nella pineta dietro la spiaggia, vide i tre ragazzi che scherzavano, ridevano e si davano qualche pacca e parve convincersi che Giulia avesse ragione. Poi sospirò e si chiese per l’ennesima volta se la sua presenza non fosse di troppo. Quando parlava con Giulia, quella ragazza così minuta e dall’aria innocente, si sentiva tranquilla, come se la conoscesse da anni, ma se rifletteva razionalmente sulla situazione non poteva fare a meno di ricordare che aveva accettato di fare un viaggio con due persone che conosceva da circa una settimana, un collega che fino a pochi mesi prima detestava ed un perfetto sconosciuto.
“Di male in peggio!” pensò poche ore dopo, quando si ritrovò incastrata in un torneino di beach volley.
I giocatori erano tre ragazzi abbronzati che parevano usciti da un negozio di Abercrombie e due straniere con un sorriso smagliante e il fisico da modelle. L’unica consolazione era che almeno Giulia era vergognosamente bianca come lei, ma, ahimè, anche lei aveva un fisico perfetto.
Irene fece resistenza per giocare con loro, spingendo sul fatto che, oltre a non essere capace di giocare, la sua presenza avrebbe reso il numero di giocatori dispari. Per fortuna Spartaco non insistette troppo e così rimase seduta a bordo campo, a stringersi le ginocchia e guardare la partita.
Poi Nathan e Spartaco presero Giulia a tradimento e la gettarono in acqua e quando il collega si voltò verso di lei Irene ebbe paura che potesse capitargli la stessa sorte. Gli avrebbe fatto molto male se solo si fosse azzardato.
Spartaco le si avvicinò sorridendo e forse perché notò l’atteggiamento circospetto della ragazza o forse perché non aveva mai avuto intenzione di gettarla in acqua, le chiese:
«Che fai? Non vieni?»
Irene farfugliò qualcosa, indecisa, poi seguì gli altri immergendosi cautamente.
«Allora – la sorprese una voce alle sue spalle – com’è lavorare con Spartaco?»
Irene incontrò il volto di Giovanni, osservò i suoi capelli scuriti dall’acqua e la fossetta che si formava su una sola guancia quando sorrideva, poi distolse lo sguardo.
«Non lavoriamo proprio insieme. – rispose – Stesso edificio, uffici diversi.»
Giovanni non si scompose per quella risposta fredda.
«Quando eravamo ragazzi sognavamo di lavorare insieme, poi, si sa, la vita è imprevedibile.» disse il ragazzo guardando la linea dell’orizzonte.
Irene aprì la bocca per dire qualcosa, colpita dal tono di Giovanni, ma qualcuno venne loro incontro e li schizzò copiosamente. La ragazza sentì formarsi la pelle d’oca e rivolse uno sguardo truce a Spartaco, colpevole dell’attacco.
«Tanto eri già bagnata… quasi…» si giustificò il collega con un sorriso malandrino.
Ebbe inizio una feroce lotta a suon di schizzi, spruzzi e tentativi di annegarsi gli uni gli altri e Irene dovette ammettere che, passata l’irritazione iniziale, stava cominciando a divertirsi.
 
«Dai, vieni a ballare!»
«Non dirmi che sai anche ballare il latino americano! – esclamò Irene, sgranando gli occhi – Io non so ballare!»
«Nemmeno io! Basta muovere il bacino, no?» disse Spartaco producendosi nella parodia di un balletto che la fece ridere.
La giornata era trascorsa troppo in fretta secondo Spartaco, tra i giochi in spiaggia, il pranzo, la passeggiata in pineta, il bagno. Aveva tenuto d’occhio Irene per tutto il giorno, come un genitore preoccupato per la figlioletta, ma gli era sembrato che si fosse sentita a proprio agio. La sera, dopo che lui e Giovanni si erano esibiti con qualche brano all’ukulele sulla spiaggia, attirando un crocchio di persone intorno a sé, avevano deciso di andare a vedere cosa proponeva la serata organizzata dal villaggio turistico.
La musica suonava forte e Spartaco si sentiva leggero, forse grazie anche alla birra che aveva bevuto con gli altri. Non ascoltò le proteste della collega, la prese per un braccio e la attirò a sé, conducendola in pista. Le fece fare un paio di giravolte sbilenche, poi le prese le mani e accennò qualche passo.
«Non ci credo: mi hai mentito! Ma certo che sai anche ballare!» disse Irene ruotando gli occhi al cielo.
«Ma no... una ragazza mi ha insegnato i passi base, tutto qui.» spiegò Spartaco scrollando le spalle.
Irene immaginò che si trattasse di una sua ex, nonostante Spartaco non lo avesse specificato e pensò che il collega doveva sembrare piuttosto incapace accanto ad una ballerina professionista. Purtroppo, accanto a lei faceva decisamente una bella figura. Imbarazzata, fece per tornarsene a posto, ma lui glielo impedì.
«Dove scappi? Non è passata nemmeno mezza canzone!»
«Dai, non so ballare...» si lamentò Irene, a disagio.
Spartaco le lanciò un'occhiata che doveva essere di rimprovero e la tenne lì dov'era.
«Lasciami condurre! – disse convinto – Ero serio quando dicevo che basta muovere il bacino, sai?»
Le mostrò come contare i passi, insegnandole il ritmo e rassicurandola: la salsa e la baciata erano davvero una bazzecola! Piano piano Irene si sciolse, anche se continuava a tenere gli occhi sui propri piedi per paura di perdere il ritmo.
«Visto? È semplice. Adesso però non ci pensare troppo, rilassati!» le disse.
Per sottolineare il concetto la avvicinò di più a sé, incrociando le dita con le sue, palmo contro palmo, in modo che non avesse spazio per guardarsi i piedi.
Irene si irrigidì e Spartaco parve ricordarsi in quel momento che la ragazza non amava il contatto fisico, allora le fece fare una giravolta troppo lunga solo per farla ridere.
Irene si sentì più sicura e si lasciò un po' andare. Non si preoccupò neanche più di tanto quando le figure la portavano decisamente vicina al ragazzo.
“È bello farsi condurre” pensò di dirgli, alzò gli occhi sul suo viso sorridente, ma poi lasciò perdere.
La musica cambiò, si fece più lenta, dal microfono un animatore prese la parola e annunciò:
«A grande richiesta: un lento per tutte le coppie!»
«Questo te la senti di ballarlo con me?» chiese Spartaco con un sorriso sornione.
«Non se ne parla.»
«Brava: vai a ballare con Giova, che ne dici?»
«Cosa?! Non se ne parla proprio!» si impuntò Irene, sgranando gli occhi.
«Cos'ha il mio amico che non va, me lo spieghi? È un bravo ragazzo, te l'assicuro, non ti piace?»
«No, no, è un bel ragazzo – si affrettò a dire Irene – e sono sicura che sia bravo e intelligente e tutto il resto... solo che non... – fece una pausa, sospirò e riprese – mi sentirei troppo a disagio a ballare con un ragazzo che non conosco.»
«Va bene, va bene, non fare il labbruzzo come i bambini, ora.» le disse Spartaco, vedendo l'espressione che aveva assunto.
Le diede un buffetto sul mento, per incoraggiarla a tornare a sorridere.
«Però puoi provare a conoscerlo, no?»
Irene fece un gesto vago senza guardarlo negli occhi, poteva sembrare che avesse annuito, poi, senza preavviso, appoggiò la testa sulla spalla di Spartaco. Allora il ragazzo si rese conto che avevano continuato a ballare vicini fino ad allora.
«Scusami. – Mormorò Irene – I tuoi amici non hanno niente che non va, davvero.»
Per qualche ragione si sentiva in dovere di scusarsi e sicuramente non solo per quella giornata, si sentiva in colpa per il litigio tra Spartaco e Michele.
«Proverai a ballare con Giova?»
«Proverò a parlargli... quando miss-Terra-dei-Canguri non gli terrà più la bocca occupata.» assicurò.
Spartaco allora sollevò il capo in cerca dell'amico. Vide sua sorella e Nathan che ballavano e si bisbigliavano qualcosa come una qualsiasi coppia affiatata e, all'angolo della pista, vide Giovanni, intento a baciare una ragazza altissima che lo spingeva contro un muro. Emily o Kate: non ricordava di quale delle due si trattasse.
Spartaco mormorò la propria approvazione, divertito, poi tornò a guardare Irene, o meglio, i suoi capelli, il viso era ancora nascosto contro la sua spalla. E i suoi capelli emanavano la solita fragranza di pesca.
«Che profumo porti?» chiese.
«Mh? Niente.» disse Irene, sollevando il capo.
«Profumi di pesca.»
«Oh, è il mio shampoo preferito.» disse sorridendo.
Poi gli sfiorò il braccio e Spartaco provò l'impulso di tendere i muscoli per sottolineare la linea del bicipite, ma si ricordò che si trattava di Irene, la sua collega, la sua amica Kilowatt e si rilassò.
«Hai un sacco di nei – gli disse la ragazza seguendo con lo sguardo il percorso delle proprie dita sulla sua pelle – ci si potrebbe giocare a “unisci i puntini”!»
«E che immagine verrebbe fuori?» chiese Spartaco divertito.
«Un co-...»
«No, grazie, non lo voglio sapere!»
«Stavo per dire “un corto circuito”, che credevi?! Comunque Giovanni sembra un tipo a posto. – aggiunse dopo aver represso un ghigno – Perché non mi hai presentato prima lui, invece che Michele?»
«Perché Giova di solito lavora, la sera.» rispose prontamente Spartaco.
Eppure mentre lo diceva dentro di sé si accorse con un certo fastidio che parte del motivo poteva essere un altro.
Aveva avuto paura che i due si piacessero anche troppo.
 
A Michele fischiarono le orecchie e se le massaggiò con due dita. Era irritato.
Elena l’aveva contattato con urgenza apportando come motivo una (ennesima) delusione d’amore. Elena aveva chiamato e lui era corso, pur convincendosi che se la stava prendendo con comodo, mentre indossava il primo paio di scarpe che gli erano capitate a tiro. Durante il tragitto gli era tornato in mente Spartaco e per questo era arrivato già irritato, quando poi si erano seduti al bancone di un pub e la sua amica aveva cominciato a raccontare quanto quell’idiota del suo ormai ex l’avesse trattata male gli si erano accartocciate le viscere, ma non aveva detto niente. Sapeva che Elena aveva bisogno solo di parlare e sfogarsi, non certo di sentirsi giudicata.
Poi però era arrivato proprio lui, l’idiota che aveva trattato malissimo Elena e aveva cominciato a chiedere perdono alla ragazza. Michele aveva cercato di stringere i pugni e inghiottire la bile, mentre Elena gli ripeteva che era finita, che avevano chiuso per sempre, poi però l’uomo (un vecchio bavoso vestito da ragazzino, come al solito!), aveva cominciato a cambiare il tono dal supplichevole all’arrabbiato. A Michele avevano fischiato le orecchie e aveva deciso che era ora di finirla.
Sbatté i pugni sul bancone e si alzò in piedi.
Michele era un ragazzone con le cosce tornite e due braccia così, ma la sua statura di solito non incuteva alcun timore perché era unita alla sua espressione da giocherellone. In quel momento, invece, il ragazzo gonfiò il petto e si avvicinò all'uomo oltre i limiti dell'educazione, solo per guardarlo dall'alto con sguardo di ghiaccio, facendogli capire subito chi era in svantaggio tra di loro.
«Se uno stronzo come te ha avuto la fortuna di stare con una donna come lei – disse accennando a Elena – deve solo prostrarsi per terra e ringraziare. Se poi uno stronzo come te non è stato abbastanza uomo da trattarla bene deve girare il culo e sparire. Subito e per sempre!»
L'uomo strinse la mascella, sembrò sul punto di ribattere, ma poi si decise a scegliere la prudenza e si rimangiò qualunque cosa stesse per dire. Lanciò un ultimo sguardo a Elena, si voltò e se ne andò senza aggiungere una parola.
Michele rimase impalato sul posto per qualche istante, seguendo con lo sguardo il percorso dell'uomo e solo quando fu certo che si fosse allontanato rilassò le spalle e tornò a sedere, come se nulla fosse successo.
Elena, però, notò che era ancora scuro in volto. Gli si avvicinò e si sedette accanto a lui, stava pensando a cosa dirgli, ma lui parlò per primo.
«Sai cosa mi fa incazzare? Che anche le donne migliori non sappiano scegliere in fatto di uomini!»
Proruppe senza aspettare alcuna risposta.
«E io sarei una di quelle donne migliori?»
Michele non rispose.
«Perché?»
«Perché sei spiritosa, sicura di te e non sei una gallina come tante altre.»
«No, intendevo: perché allora non mi hai mai chiesto di uscire?»
«Perché una come te merita di meglio.»
«Alzati!»
Michele la squadrò con espressione interrogativa, poi, vedendo che lei si era alzata a sua volta e lo fissava con sguardo severo a braccia incrociate, si alzò, titubante.
Elena si voltò per uscire dal locale e a lui non rimase altra scelta che seguirla.
Si bloccò solo quando fu arrivata al retro del locale, silenzioso e deserto, solo la luce fioca di un lampione illuminava i paraggi. Anche Michele allora si arrestò e non appena Elena si voltò verso di lui, lesse nella sua espressione tanta rabbia nei suoi confronti che ebbe paura che l'avesse portato in quel luogo appartato e buio per potergli dare una lezione di kickboxing, di cui era esperta, o fargli una ramanzina da manuale. Fu in quel momento che perse tutta la sicurezza che aveva ostentato fino a poco prima nel locale.
La vide fare qualche passo deciso verso di lui, raggiungerlo in due falcate e prenderlo per la maglia per urlargli meglio in faccia.
«Tu sei veramente un cretino!»
Poi lo spinse contro il muro e prese d'assalto la sua bocca con un bacio vorace e impetuoso.
Michele rimase così stordito che gli ci volle qualche secondo prima di capire cosa stesse succedendo e rispondere al bacio. Poi le sue mani corsero alla sua schiena per avvicinarla di più al proprio corpo, raggiunsero il suo collo e i suoi capelli che accarezzò con adorazione, mentre cercava di domarla con quel bacio, prendendone il comando.
«Sono anni che aspetto che tu ti decida!»
Mormorò lei ansimando, gli occhi ancora semichiusi per riprendere il controllo di sé dopo quel bacio travolgente.
«Vedi che non sai sceglierti gli uomini?»
Ribadì il ragazzo con voce arrochita, ma stavolta era con un mezzo sorriso che parlava e le sue mani stavano massaggiando i fianchi di Elena e la sua bocca era così vicina alla sua che il suo fiato caldo le sfiorò direttamente le labbra carnose, facendole desiderare un nuovo bacio che non tardò a cominciare.
 
 
Due anni prima, 23 dicembre, ore 18:20
- Brutto!
- D’accordo, Corto, dimmi un motivo, un unico motivo perché “Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera” sia un film brutto, nonostante sia un capolavoro riconosciuto. Dammi un motivo valido e ti darò ragione.
- Ma fai sul serio, Kilo? Ecco un motivo più che valido: è lento!
- Beh…
- Lentissimo
- Si potrebbe dire che…
- L-E-N-T-O
- Beh, se non lo capisci forse sei tu quello lento! u.u
 
 
Il mio angolino:
Giuro che non sono andata in letargo!
Incredibilmente riesco ad aggiornare prima che sia finito l’anno e con un capitolo piuttosto corposo (ambientato in piena estate mentre siamo nel periodo natalizio…), e questo è il mio regalo per voi! Auguri!
All’anno prossimo,
FatSalad

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Capitolo 17
*** Alta tensione ***


“Sono geloso di Irene?” si chiese Spartaco.
Era da quando le sue vacanze al mare erano finite che ci pensava. Ripensava a come aveva cercato di tenere Irene lontana da Michele e i suoi amici il più possibile, giustificandosi con la scusa di volerla proteggere da quei ragazzi un po' chiassosi. Ripensava a tutto il tempo che aveva passato con lei e lei soltanto, trascurando tanti altri rapporti e poi, in pace con se stesso, ammetteva che sì, era geloso di Irene.
Si sentiva come quando era un ragazzo che cercava disperatamente di farsi crescere una barba degna di quel nome ed aveva minacciato tutti i suoi amici di tenersi alla larga da Giulia, perché la sua sorellina era una ragazza sensibile, una cosa preziosa, che non avrebbe voluto veder soffrire per qualche cretino.
Per un attimo ebbe la visione di sé stesso in versione mamma chioccia con Giulia da un lato e Irene dall'altro, sotto la sua protezione, ma per qualche motivo gli tornò alla mente un pomeriggio di inizio luglio dentro uno stanzino puzzolente.
Inghiottì a vuoto e cercò di pensare ad altro, ma riusciva a ricordare solo una spiaggia, il mare e una ragazza in bikini con i fianchi generosi che cercava di non mostrarsi divertita dai tentativi di conversazione in inglese del suo amico Giovanni.
Spartaco guardava pensieroso il cielo plumbeo, dondolandosi con le piante dei piedi sul bordo del marciapiede, una mano in tasca e una appoggiata all'ombrello come fosse un bastone. Una bicicletta sfrecciò ad un palmo dal suo naso e il ragazzo si riscosse con un brivido. Pur essendo agosto l'aria era notevolmente raffrescata dopo il temporale che aveva lasciato le strade bagnate e l'aria elettrica, cosparsa di quell'odore tipico dell'asfalto bagnato.
Il rintocco di un campanile arrivò da qualche chiesetta urbana, facendogli realizzare che stava aspettando da quasi mezz'ora. Spartaco si voltò alla propria destra con aria colpevole, chiedendosi se non avesse fatto meglio ad andare di persona nel negozio di elettrodomestici.
Era passato un sacco di tempo dall'ultima volta in cui vi aveva messo piede, esattamente da quando Camilla, la sua commessa preferita, l'aveva pregato di non farsi più vedere. Inizialmente ci era rimasto male, ma aveva rispettato il volere della ragazza ed erano mesi che non la rivedeva. Gli sarebbe piaciuto sapere se il divieto di accesso fosse ancora valido o se Camilla l'avesse finalmente perdonato per ciò che aveva (o non aveva) fatto, ma nel frattempo aveva deciso di rimanere prudente e mandare Irene a fare compere.
Avevano fissato appositamente per comprare insieme quel nuovo gioco che era stato tanto pubblicizzato ovunque, dicevano entrambi che le aspettative erano così alte che ne sarebbero rimasti senza dubbio delusi, ma intanto non vedevano l'ora di giocarci.
Spartaco sentì una grossa goccia cadergli sulla mano e guardò preoccupato verso l'angolo della strada.
«Quella cocciuta...!» borbottò tra sé.
Irene non aveva voluto prendere l'ombrello che Spartaco le aveva offerto, rispondendo alla gentilezza del ragazzo con un noncurante “Che vuoi che siano due gocce”.
Finalmente una ragazza con gli occhiali e i lunghi capelli increspati dall'umidità svoltò l'angolo.
Spartaco concentrò la sua attenzione su di lei, cercando di capire se fosse riuscita a comprare ciò che doveva. Lei dovette indovinare il suo sguardo, perché alzò la mano sventolando un sacchetto di plastica e sorrise divertita.
Spartaco restituì il sorriso e stava per andarle incontro per ripararla con l'ombrello, quando una macchina sportiva sfrecciò nella sua direzione.
Spartaco riuscì a prevedere la scena prima ancora di vederla. Irene era troppo distratta per reagire e l'autista troppo orgoglioso per rallentare, ma lui notò la gigantesca pozza d'acqua appena sotto al marciapiede. Fu questione di pochi attimi e Irene si ritrovò inzuppata di acqua sporca.
La ragazza rimase come paralizzata per qualche secondo, Spartaco osservò preoccupato la sua espressione cristallizzata, le sue labbra contratte in una “oh” di stupore e una gocciolina che le scendeva dai capelli lungo il collo. Corse verso di lei prima che potesse fare una scenata in mezzo al marciapiede, ma prima che potesse raggiungerla Irene scoppiò in una sonora risata.
Rise così forte che una vecchietta che le passò accanto la guardò in modo strano, tenendosi il più possibile lontano da lei, rise tanto che quando Spartaco fu di fronte a lei sghignazzava a sua volta, sorpreso da quella reazione.
«Beh, - gli disse quando fu abbastanza vicino – almeno la parte sinistra del mio corpo è salva!»
«E anche il videogioco.» constatò il ragazzo prendendole il sacchetto di mano.
La guardò di sottecchi e poi riprese a ridacchiare.


La padella sfrigolava, ma in modo benevolo, non con gli scoppi e gli sbuffi di un cibo che si sta carbonizzando e Spartaco inspirò forte l’odore delle crêpes che stava cucinando. Di solito gli venivano piuttosto bene e sperava che anche a Irene piacessero. Ci aveva messo qualche minuto buono per convincerla, ma alla fine era davvero la cosa più saggia portarla nel suo appartamentino per una doccia. Più che con la prospettiva dell’acqua pulita, in verità, l’aveva fatta capitolare ricordandole che dopo essersi lavata avrebbero potuto provare il videogioco nuovo di pacca.
Si era preoccupato anche di offrirle qualcosa da mangiare e quando lei aveva richiesto un tè caldo Spartaco l’aveva guardata storto.
Perché aveva quella fissa per le bevande invernali? Tanto lui non teneva niente di simile al tè in casa, dunque le aveva mostrato dov’era il bagno (“Apri una porta a caso, tanto ce ne sono solo due, se riesci a perderti ti regalo una delle mie medaglie”), e le aveva promesso una merenda coi fiocchi.
Tolse dai fornelli l’ultima crêpe e spense il gas.
Afferrò il barattolo di nutella, (quello piccolo piccolo, l’unico che si concedeva, per non lasciarsi tentare troppo), ne spalmò una dose abbondante su ogni crêpe e poi le ripiegò a forma di triangolo approssimativo. Cercò nella credenza un po’ di zucchero a velo per presentare meglio i suoi capolavori culinari e sentì Irene sghignazzare sonoramente dal bagno. Non ebbe bisogno di origliare: la casa era così piccola che anche volendo non avrebbe potuto fingere di non averla sentita. Perciò senza imbarazzo alzò la voce per chiedere:
«Qualcosa non va?»
«No, no, è solo...» la sentì rispondere dal bagnetto tra una risatina e l'altra «No, devi proprio vederlo!» disse infine e senza altro preavviso aprì la porta.
Spartaco trattenne il respiro per un attimo, ma subito tutta la tensione si sciolse in una risata quando vide Irene avvolta nell'accappatoio blu che le aveva prestato. “Avvolta” non era il termine corretto, era sepolta nell'accappatoio che le stava enorme, emergevano solo i piedi e una porzione di viso, come se non bastasse a rendere la visione comica la ragazza si stava atteggiando a fantasmino muovendo le mani completamente coperte dalle maniche troppo lunghe e facendo “Uh!”.
Spartaco si stringeva la pancia mentre continuava a ridere: una bambina, ecco cos'era. Le si avvicinò e le arrotolò le maniche di spugna per scoprirle le mani, mentre l'ultimo attacco di ilarità svaniva.
«No, mi piacevano così! - protestò Irene mettendo su il broncio - Non avevo mai pensato che esistessero le taglie anche per gli accappatoi, altrimenti ne avrei comprati sempre da uomo!»
«Vai ad asciugarti invece di fare la scema!»
«Uffa... va bene, papà!» fece lei con tono impertinente.
Allora Spartaco la riacciuffò e le massaggiò vigorosamente la testa per ripicca, facendola lamentare.
«Ahia!»
«Ti sto aiutando!» si difese con simulata innocenza, rimanendo però con un sorriso sornione in volto.
La guardò negli occhi, con il capo ora scoperto, il cappuccio calato a causa del suo presunto aiuto e perse ogni voglia di ridere. Irene lo guardava di rimando dal basso, con le labbra imbronciate e le guance arrossate dalla doccia calda e lui non poteva più pensare che fosse una bambina.
“Merda...”
Era una donna e gli piaceva.
Gli piacevano i suoi occhi grandi e le ciglia lunghissime troppo spesso coperte dagli occhiali, gli piacevano quelle labbra che già una volta aveva assaggiato e (“Merda!”), gli piaceva anche quel culo che un tempo aveva preso in giro. Irene non era una bellezza mozzafiato però era carina anche senza trucco, come in quel momento, ma soprattutto era innocente, sincera e spiritosa.
Cosa lo stava trattenendo dal baciarla seduta stante?
“Una divinità benevola”, pensò, mentre dopo un buffetto sul mento le lasciava il modo di richiudersi in bagno, “perché se la bacio adesso rovino tutto, tradisco la sua fiducia, getto alle ortiche la nostra amicizia e il rapporto che si è creato tra noi”.
Tornò ai suoi fornelli e appoggiò le mani sul piano cottura, cercando di togliersi dalla mente il blu dell'accappatoio e ciò che nascondeva.
Sospirò mentre Irene si asciugava i capelli, poi fissò le crêpes e si mise a frugare nella credenza, facendo sbattere qualche sportello.
«Merda!» sbottò.
«Tutto bene?» chiese Irene facendo capolino nella stanza con i capelli ancora umidi e una felpa troppo grande addosso.
Una sua felpa.
«Non ho zucchero a velo per le crêpes.» tagliò corto Spartaco, di malumore.
«Wow! – esclamò Irene facendo capolino da dietro la sua spalla, osservando il piatto che teneva in mano – Sai anche cucinare?!»
Dall’entusiasmo della ragazza Spartaco fu certo che quel piatto fosse stato un’ottima scelta.
«C’è qualcosa che non sai fare?» chiese la collega con quel tono che poteva sembrare sia di scherno che di ammirazione, guardandolo da sopra gli occhiali.
“Tenerlo nei pantaloni, a quanto pare.”
«Un sacco di cose.» rispose, schiarendosi la gola ed evitando il suo sguardo luminoso.
Ce la poteva fare a stare buono e tranquillo a distanza di sicurezza, ce la poteva fare. Irene non amava nemmeno il contatto fisico e Spartaco aveva imparato a rispettare i suoi spazi, in quei mesi, doveva solo attenersi a quelle regole non scritte e sarebbe andato tutto a meraviglia.
«Spartaco, ho scoperto il tuo segreto!» esclamò la ragazza mentre lui la invitava a sedersi sul divanetto.
Quel giorno sembrava che Irene avesse abbandonato ogni timidezza o rigidità, forse si sentiva particolarmente a proprio agio in quella piccola stanza o in quella felpa enorme, perché si accomodò a gambe incrociate sul divano con una certa familiarità.
«Che segreto? - chiese Spartaco cercando di mostrarsi divertito mentre le portava lo spuntino e si sedeva accanto a lei sul divano – che non so fare un sacco di cose?»
«No, il segreto dei tuoi riccioli perfetti! Dovevo immaginare che usassi il diffusore...»
Spartaco rise forzatamente mentre Irene allungava una mano per giocherellare assorta con uno dei suoi riccioli tanto ammirati. Dov'era la ragazza che ripugnava il contatto fisico? E come mai il divanetto era diventato tanto stretto?
«Ero giovane... - si difese lui – adesso non ricomprerei quell'affare.»
«Perché?»
«Perché i riccioli vengono perfetti anche senza.» rispose con un sorrisetto.
«Sbruffone.»
Spartaco si beccò una leggera sberla tra capo e collo e l'idea di bloccarle la mano e lasciarsi accarezzare la nuca gli fece rizzare i capelli.
«Mangia!» le disse, per spostare l'attenzione su altro.
In effetti anche quando erano al mare il taboo del contatto fisico aveva cominciato un po' a vacillare, a pensarci bene e mentre Spartaco osservava la collega gustare le crêpes pensò che quel pomeriggio sarebbe stato più difficile del previsto per il suo autocontrollo.
«Allora... giochiamo?» chiese Irene speranzosa.
«D'accordo, porto via il piatto.» rispose Spartaco, ben contento di potersi concentrare sul videogioco.
«NO!»
Spartaco trattenne il respiro per un attimo quando lei lo afferrò per un braccio, per non fargli allontanare il piatto di crêpes.
Lo stava facendo apposta a toccarlo in continuazione proprio mentre lui cercava di tenersi a distanza?
Irene scosse il polso verso l'alto per scoprire meglio le mani dalle maniche troppo larghe e assicurò a Spartaco che avrebbe finito di mangiare prima di giocare. Lui si lamentò della sua eccessiva lentezza nel masticare, dicendole che i suoi riccioli perfetti sarebbero diventati bianchi nell'attesa, ma poi la lasciò in pace. Fu lei che riprese un discorso mai concluso.
«Grazie per la doccia e il sacchetto per i vestiti bagnati e grazie anche per avermi prestato una tuta.»
«Figurati, era il minimo.»
«Comunque... non ho avuto modo di dirtelo prima, ma al negozio non c'era quella commessa con i capelli corti.»
«Mmm... avrà cambiato turni, allora.» riflettè Spartaco tra sé.
«Cos' è successo esattamente tra voi, se posso chiedere?»
«Puoi chiedere però non mi va di rispondere.» fece lui per troncare il discorso.
Masticarono in silenzio per qualche secondo, poi Spartaco si sentì dire:
«Diciamo che abbiamo litigato e mi ha pregato di non farmi più vedere. A quanto pare, secondo lei, ci provavo con lei – fece una pausa enfatica – mentre stavo con Barbara! Ti sembra possibile? Non ho mai tenuto segreto il fatto di avere una ragazza, eppure ai suoi occhi dovevo essere abbastanza figlio di puttana da... ma lasciamo perdere.»
Irene lo guardava fisso, ma non commentò.
«Ti manca?» chiese soltanto.
«Chi? Camilla? All'inizio sì, poi ho capito che se mi riteneva una sorta di playboy del cavolo o che so io forse non era un'amicizia tanto importante.»
Lo disse così, su due piedi, ma quando ebbe finito la frase si accorse di sentirsi decisamente più leggero. Confidarsi con qualcuno non era una brutta cosa, dopo tutto.
«Hai risentito Michele?» chiese poi Irene schietta, ma con voce delicata.
Spartaco scosse la testa.
«Quindi non vi siete chiariti?»
Lui fece un'espressione significativa.
«Mi dispiace. Michele... ti ammira molto.»
Spartaco la osservò in silenzio.
«In questo caso temo di essere dalla parte del torto.» ammise poi.
«Per questo dovresti essere tu a fare il primo passo.»
«Non è facile.»
«Le cose giuste non sono quasi mai facili.»
Lo sapeva bene. Come trattenersi dal saltarle addosso su quel divano troppo piccolo: non era affatto facile, perciò era sicuro che fosse la cosa giusta da fare.
Spartaco si schiarì la gola e cercò di ristabilire un tono più leggero, poi diede il proprio consenso per dare inizio al videogioco e Irene capì che non voleva più parlare della sua amicizia con Michele.
Giocarono per un bel po', dimenticando di controllare l'orologio di tanto in tanto e ammettendo che quel videogioco era denaro speso bene.
Erano scesi dal divano e avevano gli occhi incollati allo schermo come due bambini, mentre armeggiavano con i joystick cercando di prevalere l'uno sull'altra. All'improvviso Irene fece una mossa sbagliata e Spartaco vinse una battaglia.
Irene gettò la testa all'indietro, poggiandola sul divano e cominciò ad emettere dei teatrali “no”.
«Questo segna il mio vantaggio, se non erro.» disse Spartaco compiaciuto.
«Non ti ci abituare... devo ricordarti chi ha ottenuto le prime dodici vittorie?»
«Dovevo prenderci la mano!»
Irene fece schioccare la lingua e poi si rimise ad armeggiare con il joystick.
Spartaco osservò i suoi capelli ormai asciutti, la felpa di cui aveva arrotolato le maniche perché non la impacciassero e la sua espressione corrucciata.
La osservò e trovò tutto quanto adorabile. Adorabile e desiderabile.
Al diavolo tutti i buoni propositi del pomeriggio: voleva baciarla!
«Non dovresti essere mia amica.» disse sottovoce, a pochi centimetri dal suo viso.
Irene si girò di scatto, sorprendendosi nel trovarlo tanto vicino. Sbatté le palpebre, allontanò un poco il viso, gli occhi sgranati.
«Perché?» si azzardò a chiedere.
«Perché io sono un pessimo amico.» sussurrò, fissandole le labbra.
Una rapida occhiata gli fece capire quanto Irene si sentisse persa, all'udire quelle parole, ma se fosse riuscito ad annullare le distanze prima che lei prendesse una decisione, cogliendola di sorpresa, forse si sarebbe lasciata andare.
Pochi centimetri ancora lo separavano da quelle labbra socchiuse dallo stupore, pochi centimetri per assaporare di nuovo quella bocca timida, così pochi centimetri che sentì il suo profumo di pesca. Irene gli aveva detto che era il suo shampoo preferito, ma secondo lui era il profumo della sua pelle e gli sembrava ancora più intenso, ancora più invitante e - porca miseria! - la pesca era il suo frutto preferito.
I loro nasi stavano per sfiorarsi, quando un maledettissimo cellulare squillò.




Conversazione di un altro tempo, un altro luogo, un universo parallelo (forse…), da:
consigli-pratici-per-amori-platonici.forumfree

LeonidaDiSparta: Ciao... non so bene da dove cominciare. Di solito non ho problemi con le ragazze, ma da qualche tempo ne ho solo una in testa. Siamo amici e non so proprio come fare a smuovere la situazione e poi lei non è una tipa qualunque, è... particolare. Insomma, cosa posso fare?

Pessimista03: Siete amici? Allora lascia perdere, è dagli anni 90 che Max prova a farcelo capire!!

Sognatrice4ever: “Da qualche tempo ne ho solo una in testa”... che carino @LeonidaDiSparta, si vede che sei proprio innamorato!!! Secondo me ogni situazione si può smuovere, con le parole giuste. Devi dirle quello che provi, magari fare un gesto carino per lei.

DownOnEarth: Fammi capire: non hai problemi con le donne, ma dici di non sapere cosa fare e chiedi consigli su un forum... che mucchio di stronxate!

TheBoss: Ehi, @LeonidaDiSparta, ti capisco sono in una situazione simile. Per adesso, secondo me, si può solo aspettare...

DownOnEarth: ...ma tirate fuori le palle!!!!!



Il mio angolino:
lascio a voi l'interpretazione della conversazione finale del forum (che ovviamente non esiste... spero).
Non odiatemi, "I'll be back" presto.
Alla prossima,
FatSalad

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Capitolo 18
*** Sviluppo e innovazione ***


Spartaco si passò una mano tra i riccioli, poi la portò sulle tempie che massaggiò con vigore.
“Cosa stavo pensando di fare, esattamente?!”
Guardò lo schermo del televisore davanti a sé, che mostrava due personaggi pronti a combattere. Lui aveva scelto una bella signorina dai tratti asiatici e dalle movenze seducenti, Irene invece aveva preferito un omaccione tutto muscoli con una lunga cicatrice sulla guancia, entrambi i lottatori si guardvano attorno impazienti, aspettavano solamente che qualcuno premesse un tasto.
Spartaco afferrò il telecomando e in un attimo spense tutto.
Solo pochi minuti prima aveva cercato di baciare Irene, di baciare una collega ed amica, di baciare Kilowatt.
Era stato ad un palpito dalle sue labbra, poi un trillo assordante aveva rotto l'incanto come i rintocchi della mezzanotte per Cenerentola. Irene aveva sussultato e sbattuto le palpebre, come per tornare alla realtà dopo un sogno, aveva raggiunto il proprio telefonino e risposto a bassa voce. Poche deboli parole, quasi sussurri, poi si era girata verso Spartaco, che si era ricomposto sul posto e si massaggiava il collo, cercando di dominare uno strano impulso omicida.
«Devo andare.»
«Sì.» aveva mormorato il ragazzo prima di chiedersi come mai gli fosse uscito un tono così vittimista.
«Si tratta di mia sorella...» aveva aggiunto dopo un attimo Irene, a mo' di giustificazione.
«Tutto a posto?»
«Sì, vado.» aveva risposto con tono neutro la ragazza, non era chiaro per nessuno de due se la domanda e la risposta si riferissero a sua sorella o a ciò che stava per succedere poco prima.
Spartaco si era limitato ad annuire e d'altra parte non avrebbe saputo che altro aggiungere.
Lui non era il tipo da lanciarsi in corteggiamenti lunghi ed estenuanti, non era il tipo da “fare sempre il primo passo”, o meglio, faceva la prima mossa, ma solo quando già era certo che avrebbe avuto risposta positiva. Con gli anni e l'esperienza aveva imparato a riconoscere tutti i segnali più o meno espliciti, verbali e non verbali dell'interesse di una ragazza. Sapeva interpretare gli sguardi adoranti e la volontà di seduzione nascosta in un gesto casuale delle mani o delle ginocchia, sapeva, insomma, quando fare un benedettissimo primo passo sarebbe stata una mossa sicura e quando invece era meglio evitare per non farsi male.
Con Irene, invece, tutti gli schemi e le teorie andavano in fumo, non valevano niente. Con lei non capiva se era il momento di avvicinarsi o allontanarsi, non sapeva come comportarsi se era lei a venirgli incontro e cosa significavano certi suoi sorrisi. Sapeva, questo sì, che da quando si era rivelata come Kilowatt si erano dichiarati amici e si erano comportati da tali, ma non poteva dimenticare che tale amicizia era nata da un bacio improvviso. Se solo ci ripensava sentiva scaldarsi le orecchie e stringeva i pugni istintivamente.
In ultima analisi si disse che adorava essere amico di Irene e non avrebbe sopportato l'idea di perderla, ma che non aveva mai conosciuto una ragazza con cui poteva condividere tutto come con lei. Era un ottimo supporto quando aveva un problema o un dispiacere, con la sua presenza silenziosa e attenta, era spiritosa quando aveva bisogno di rallegrare una giornata difficile a lavoro, era la compagna perfetta per guardare un film, giocare, discutere, perché spesso avevano gi stessi gusti e quando invece erano in disaccordo non provava a convincerlo a cambiare idea, perché non riteneva di avere la Ragione Suprema, ma accettava il fatto che un gusto diverso non fosse per forza migliore o peggiore, ma semplicemente differente. Inoltre si preoccupava della felicità di Spartaco, delle sue amicizie e lui sentiva che non l'avebbe mai monopolizzato, anzi, era stata tutta colpa sua se negli ultimi mesi aveva incrinato qualche rapporto.
“Dove la trovo un'altra come lei?” si chiedeva.
Certo, era consapevole del fatto che Irene non fosse perfetta. Era lunatica, a volte troppo chiusa e complicata, schiava di un ordine maniacale e piuttosto introversa. Senza contare che non era esattamente la ragazza più bella che avesse mai conosciuto.
“Ma chissenefrega?!” pensò.
Era stato con ragazze attraenti con molti meno interessi in comune, con delle fiche che facevano girare tutti al loro passaggio, eppure... eppure tutte quelle storie erano finite e spesso e volentieri Spartaco non le rimpiangeva.
Con Irene stava bene, punto. Gli sembrava di conoscerla benissimo e di non conoscerla mai abbastanza.
“Ora devo solo farle capire che anche lei sta bene con me!”
Si alzò in piedi e fece un respiro profondo. Prima di tutto doveva sistemare un'altra questione e non poteva trovare più scuse per rimandare.


Era leggermente nervoso, come quando all'università aspettava il proprio turno per sostenere un esame orale. Non appena riconobbe un paio di spalle farsi strada tra la gente si sentì allo stesso tempo felice e preoccupato.
“Almeno ha deciso di venire!” si disse per farsi coraggio mentre guardava Michele avvicinarsi con il capo chino e l'espressione contratta.
«Ehi...» lo salutò quando fu abbastanza vicino da sentirlo.
Michele rispose con un cenno simile e si mise a sedere accanto a lui.
«Che devi dirmi?» chiese senza giri di parole.
Spartaco non si fece intimorire, era lì per rimediare ad un errore e non si sarebbe tirato indietro.
«Innanzitutto devo chiederti scusa e non serve che io dica perché.»
Michele non accennava a mostrarsi interessato alla conversazione e guardava dritto davanti a sé.
«Mi dispiace per quello che ti ho detto, mi sono sentito vermente un coglione dopo.»
Michele sbuffò. Era un modo per dire che concordava in pieno.
«Poi, come dire... ho capito che in fondo avevi ragione: mi piace Irene.»
Per un attimo ci fu silenzio, Michele non sbuffò nemmeno, stavolta, e allora Spartaco cominciò a parlare a ruota libera, di come non si fosse accorto dei propri sentimenti fino a poco prima, di come avesse provato a non accorgersene e di quanto si sentisse strano intorno alla collega.
«Di solito è così facile - spiegava - capire se una ci sta o meno, ma lei è troppo enigmatica. Non so mai cosa pensa veramente, di solito è fredda e seria con i suoi completi noiosi da segretaria zitella. Poi invece ti sorprende con un gesto di tenerezza o un sorriso di troppo. È un fenomeno con i videogiochi e quando sono con lei non mi annoio mai.»
Michele non lo stava degnando di uno sguardo e anche la sua espressione non era mutata da quando era entrato nel locale a aveva ordinato una birra.
«Ed ho il terrore che se provassi ad avvicinarmi un pochino di più lei scapperebbe lontano da me.»
Spartaco scosse la testa, commiserando se stesso e sorseggiò la propria bevuta.
«Credevo che fossi qui per chiedermi scusa, non per raccontarmi le tue paranoie.»
Finalmente Michele lo stava guardando di sottecchi, ma non si capiva se stesse accettando le sue scuse o se al contrario lo stesse rimproverando. Spartaco non trovava parole per ribattere e continuava a bere ad occhi bassi, allora anche Michele tornò a fissare il vuoto davanti a sé.
«Però avevi ragione – disse l'attaccante a voce bassa dopo un po' – riguardo ad Elena.»
Spartaco si voltò di scatto nella sua direzione e lo scrutò con tanto d'occhi.
«Io e lei... insomma... adesso stiamo diciamo insieme, ecco.»
Spartaco sentì le labbra muoversi per formare un gran sorriso e senza aspettare che Michele aggiungesse altro gli diede una pacca sulla schiena.
«Grande, Michele! Finalmente!» si congratulò il moro.
Michele tentava di reprimere un sorriso, ma era impossibile non accorgersi di quanto fosse contento in quel momento.
«Ti sei deciso a dichiararti, allora.» incalzò Spartaco.
Michele tenne lo sguardo sul bicchiere.
«Più o meno – rispose – diciamo che mi ero rotto di vederla sempre con degli imbecilli accanto e ho deciso di dirglielo, che per me è una donna che vale di più di tutti quei cretini che si è fatta messi insieme, intendo.»
Spartaco osservò l'amico inarcando un sopracciglio.
«Spero che tu abbia usato delle parole leggermente diverse da queste, altrimenti non mi spiego come Elena ti abbia detto sì dopo un discorso del genere.»
«Vabè, è il succo che conta.» borbottò Michele.
Forse era imbarazzato. Era incredibile come l'espansivo e giocherellone Michele diventasse timido e riservato quando si trattava di Elena e della loro storia. Spartaco non riuscì ad estorcergli alcun dettaglio, per quanto tentasse di stuzzicarlo. Però vedeva che l'attaccante non sembrava intenzionato ad andarsene o a rispondergli male, quindi immaginò che in un modo o nell'altro, senza troppo sentimentalismo, avessero fatto pace.
«Devi vederti con Elena, stasera?» chiese Spartaco ad un certo punto.
Michele scosse il capo.
«Ti va di venire a casa mia a provare il mio videogioco nuovo nuovo?»
Michele lo guardò in tralice, come se stesse cercando di capire se si trattava di uno scherzo o meno.
«Vuoi pagare pegno per sancire la nostra pace o ti piace perdere?»
«Negativo. Voglio vantarmi della mia abilità e nient'altro!»
«Mi pareva di aver capito che Irene fosse più brava di te...»
«Di me no, ma di te ci metterei la mano sul fuoco!»
La provocazione sortì l'effetto sperato e pochi minuti dopo i due ragazzi erano a sedere davanti alla televisione. Spartaco riuscì a dimenticare per qualche ora i dubbi e le preoccupazioni riguardanti Irene, godendo in pieno di un'amicizia appena ritrovata. E dopo poche partite non ebbe più dubbi: Irene era decisamente più brava di Michele!
Ad un orario improponibile Michele si congedò, si avviò verso il portone seguito da Spartaco, ma si fermò sull'uscio. Si voltò verso il moro e lo guardò con uno sguardo indecifrabile.
«Ehi... ehm... ammetto di essere stato un po' stronzo anch'io – disse – volevo metterlo in chiaro.»
Spartaco annuì con un sorriso.
«Poi ho dato di matto quando hai tirato in ballo Elena ed avrei dovuto capirlo subito da quello.»
«Cosa?»
«Sì, insomma, cosa ti stava succedendo. Lo so che quando t'innamori fai delle cazzate colossali e spesso non sai neanche perché.» spiegò.
«Sì, in effe... cosa?! - Spartaco si interruppe a metà frase e sbarrò gli occhi - …oh merda.»


«Sviluppo e innovazione sono le nostre parole chiave, il nostro motto e la nostra FEDE!»
Spartaco cercò di reprimere uno sbadiglio, riuscendoci solo in parte. La riunione di lunedì mattina stava decisamente mettendo a dura prova la sua attenzione.
«...ed è per QUESTO!»
Spartaco sobbalzò. Le urla del relatore eccessivamente energico ed entusiasta erano l'unica cosa che gli stava impedendo di addormentarsi con la faccia sulla nuca del collega che aveva davanti.
«...che dobbiamo essere preparati al FUTURO! L'ecosostenibilità è il futuro!»
«Ptsss...»
Spartaco si voltò verso la fonte di quel bisbiglio e notò Irene seduta rigida e dritta, con un completo color topo che le faceva dimostrare minimo dieci anni di più. La collega sussurrò qualcosa nella sua direzione e Spartaco tentò di leggere il labiale, strizzando gli occhi. Non capì un accidente e Irene ripartì da capo. Stavolta Spartaco non si impegnò minimamente a capire il messaggio, si perse semplicemente ad ammirare le sue labbra coperte da un sottile strato di rossetto opaco che assumevano posizioni seducenti, almeno ai suoi occhi. Si schiarì la gola e si mise a sedere più composto. Distolse lo sguardo da lei e represse una risatina.
«Allora?» gli chiese Irene accostandosi a lui una volta finita la riunione.
«Cosa?»
«Non hai capito quello che ti ho chiesto?» mormorò la ragazza, leggermente irritata.
Spartaco fece spallucce e scosse il capo. Irene assunse un'espressione buffa, che voleva essere esasperata.
«Ti ho detto che ho lavato la tuta che mi hai prestato, dimmi quando posso rendertela.»
«Ah, la tuta!» esclamò Spartaco.
Non gli sembrava di aver usato un tono troppo alto, ma Irene gli intimò di abbassare la voce.
«Beh, puoi portarmela tutti i giorni, lavoriamo nel solito palazzo!» disse Spartaco in un sussurro.
«No!»
Irene stava reagendo in maniera un po' allarmante e Spartaco corrugò la fronte, cercando di capirci qualcosa.
«Una ragazza che riporta dei vestiti da uomo ad un collega di lavoro, ma ti pare?! Non voglio dare di che chiacchierare ai ficcanaso, non voglio che la gente si faccia idee sbagliate.» spiegò, evitando il suo sguardo.
Spartaco era un po' sorpreso da tutto quell'improvviso senso del pudore. Non gli sembrava che Irene si preoccupasse che i colleghi la reputassero una zitella frigida quando ogni mattina sceglieva l'abbigliamento di una vecchia repressa. Si sentiva un privilegiato a conoscere altri e più interessanti abiti che la ragazza poteva indossa fuori dall'orario di lavoro. D'altra parte poteva essere un'opportunità in più per vederla, quindi le rispose:
«D'accordo, allora vediamoci domani sera dopo il lavoro.»
Irene annuì, poi senza aggiungere altro si diresse verso il proprio ufficio, ignara del fatto che Spartaco stesse seguendo di sottecchi il suo ancheggiare.
“Glielo dico” pensò “domani glielo devo dire”.
Non riusciva ad immaginarsi in alcun modo la reazione di Irene, ma era così convinto che “la fortuna aiuta gli audaci” da affrontare la situazione senza troppe paturnie. In ogni caso ormai aveva deciso.
Così l'indomani, quando Irene gli propose di aspettarla all'uscita di lavoro, lui accampò una scusa per convincerla a vedersi più tardi, “Magari per cena”. Sul momento Irene lo guardò con uno sguardo strano, ma alla fine i due concordarono per un aperitivo cosicché Spartaco ebbe il modo e il tempo di tornare a casa, farsi una doccia e darsi una sistemata. Prima di uscire si guardò allo specchio, fece un respiro profondo e sorrise alla propria immagine riflessa.
Si ripetè nella mente qualche frase di circostanza, consapevole del fatto che avrebbe dimenticato ogni singola parola di fronte ad Irene, ma convinto che l'esercizio l'avrebbe aiutato a rimanere calmo e concentrato.
Arrivò al bar in cui avevano fissato di vedersi e poco dopo arrivò anche Irene con una busta appresso. Le andò incontro con un gran sorriso per salutarla, ma qualcuno si parò di fronte a lui.
«Ciao Spartaco.» disse una suadente voce femminile.
«Ehi... ciao Barbara. Come... come stai?»
«Molto bene, tu?»
«Bene, grazie.»
Barbara notò che il ragazzo gettava delle occhiate fugaci verso un punto alle sue spalle e voltandosi vide avvicinarsi una ragazza. Con la coda dell'occhio notò che Spartaco le rivolgeva un cenno di saluto.
«Oh, scusa, non volevo disturbarti.» si affrettò a dirgli.
«Ma quale disturbo, figurati.»
«La tua ragazza?» gli chiese quando la quattrocchi fu abbastanza vicina da sentirla.
«Oh, no!» rispose svelta lei.
«Non ancora.» fece lui con quel suo tono disinvolto che sapeva mandare in bambagia il cervello con due sole parole.
Irene corrugò la fronte e lo guardò storto.
«Beh, sono contento di averti rivisto. Buona serata, Barbara.» la congedò in fretta il ragazzo.
«Buona serata a te.» gli disse la pantera e andò a sedersi ad un tavolo, non prima di avergli posato un bacio sulla guancia.
«Barbara? - chiese Irene un secondo più tardi – Quella Barbara?»
«Già.» si limitò a dire Spartaco.
«Wow.»
Spartaco guardò la collega, interrogativo.
«Non è affatto come me l'ero immaginata.» ammise lei.
«E come te l'eri immaginata?»
«Più... bionda?» disse arricciando il naso.
Spartaco rise.
«Andiamo!» la esortò, trascinandola lontano dal bar.
«Dove? Non avevamo detto di vederci qui?»
«Sì, ma non ho voglia di imbattermi ancora in Barbara, stasera.»
Irene tacque e lo seguì.
«Che ne dici della pizzeria all'angolo... quella che si chiama qualcosa tipo “La Bella Vita”?» propose poco dopo.
Spartaco fece un verso che sembrava un gemito.
«Non “La Dolce Vita”, per piacere!»
«Perchè?»
«Ci lavora una mia ex.» borbottò il moro leggermente a disagio.
Irene fece qualche passo, poi non riuscì a trattenersi e ridacchiò.
«Che c'è?»
«Niente... ho appena realizzato che avere tanti ex può interferire con la vita quotidiana delle persone. “Riuscirà il nostro eroe ad evitarle tutte?”» concluse ridacchiando.
Spartaco sbuffò, non molto divertito e Irene se ne accorse.
«Scusa, battuta infelice.»
«Non sono così tante... e non sono tutte da evitare.» si giustificò Spartaco.
«Allora ne hai qualcuna che fa una buona pizza senza essere intenzionata ad avvelenarti?»
Spartaco ci pensò su.
«Sì, so dove portarti se vuoi una buona pizza.»


La pizzeria in cui lavorava Giovanni era tranquilla ed accogliente, con le pareti dipinte di colori caldi e una candela accesa ad ogni tavolino.
«Spartaco! Benvenuto! Siete in due?»
Una cameriera piccola e minuta vestita di nero li accolse con un sorriso smagliante e li accompagnò ad un tavolo.
«Lei è una ex “buona”?» mormorò Irene accennando alla ragazza che si allontanava facendo altalenare la coda di cavallo.
Spartaco scosse il capo, assicurando e spergiurando che non era mai stato con la cameriera.
«Questa è la pizzeria in cui lavora Giovanni.» spiegò, con un pizzico di orgoglio.
Il suo amico non c'era quella sera e Spartaco lo sapeva bene, ma gli parve comunque un'ottima scelta, sia per il buon cibo che per l'atmosfera familiare che gli permise di rilassarsi.
Forse si rilassò troppo, perché la serata passò tra chiacchiere e battute e quando i due si alzarono dal tavolo Spartaco non si era ancora dichiarato.
Quando furono usciti dalla pizzeria, camminando uno di fianco all'altra sotto la luce dei lampioni e delle stelle, Spartaco si decise.
«Ire, - la chiamò, arrestandosi - in realtà quella della tuta era una scusa, volevo dirti una cosa. Volevo dirti grazie per aver ammesso di essere Kilowatt...»
«Sono passati mesi, ormai!» lo incalzò Irene ferma di fronte a lui.
«Aspetta, fammi finire. Grazie per aver ammesso di essere Kilowatt, perché ho potuto conoscerti meglio, perché sei veramente una ragazza meravigliosa, in ogni senso possibile.»
Irene sbattè le palpebre, incerta e Spartaco le prese una mano e le carezzò il polso con il pollice, delicatamente.
«Mi piaci. Mi piaci molto e non solo come amica. Quando ti presento ai miei amici vorrei poter dire “questa è la mia ragazza” e non solo “una mia amica”. Vorrei che la prossima volta che andiamo a mangiare insieme sia un appuntamento... magari sabato? Che ne dici?»
Irene lo guardava negli occhi con le labbra socchiuse, immobile come una statua di sale. Cominciando a preoccuparsi Spartaco inclinò il capo e sollevò un sopracciglio, chiedendo una risposta.
Irene parve riscuotersi. Guardò a terra, prese fiato e disse:
«Io...»




Un anno prima, 7 agosto, ore 23:45
- E qual è il tuo cibo preferito, Kilo?
- Pizza! *sguardo adorante che sbava*
- Ah, sei di gusti semplici, allora! E pizza preferita?
- Guarda, secondo me la pizza è fatta appositamente per poterla mangiare con qualsiasi cosa, ma sinceramente quando ho assaggiato quella con l'ananas non è stata esattamente una bella esperienza...
- Ahahah! Ma chi te l'ha fatto fare? Avevi perso una scommessa?
- Magari... avrei avuto qualche giustificazione, per lo meno!




Il mio angolino:
Ancora scuse per non aver aggiornato prima... mi sto ripetendo! Però siamo in una fase delicatissima della faccenda, non vorrei titare via proprio adesso.
Scusate anche gli eventuali errori, sto di nuovo scrivendo senza controllo ortografico... temo che si noterà!
Alla prossima,
FatSalad

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Capitolo 19
*** Black out ***


«Pronto?»
«Allora? Chi è?»
«Come scusa?»
Dall'altra parte della cornetta Giovanni sbuffò, spazientito.
«Chi è la tua nuova ragazza?» chiese scandendo bene le parole, come a dire che non avrebbe ripetuto la domanda una terza volta.
«Nuova ragazza?»
«Per piacere, smettila di fare il finto tonto! So tutto. Ieri sera sei andato a mangiare una pizza con una ragazza, lei ha preso una salamino piccante e tu una speck e mascarpone e alla fine non ti ha lasciato offrire e avete diviso il conto.»
«Merda Giova, mi sento come nei film d'azione quando il protagonista scopre di aver avuto una cimicie addosso... è inquietante!» esclamò Spartaco scompigliandosi i capelli con una mano.
«Sì, Cristina mi ha detto tutto. Allora: chi è lei?»
Spartaco sospirò, doveva aspettarselo da una ragazza tutta pepe come Cristina, la cameriera collega di Giovanni.
«Irene.» disse semplicemente.
«Ah! Lo sapevo!»
«No, guarda, risparmia il fiato. L'ho invitata a cena per parlare un po'... ma mi ha dato due di picche.»
«Cosa?!»
«Vuoi farmelo ripetere? Mi ha detto “no, grazie, bye bye, sayonara”.»
«Ma... ma com'è possibile?!» balbettò Giovanni sinceramente sorpreso.
Non era affatto abituato a quel tipo di esito e non sapeva come reagire alla notizia.
«Grazie per la fiducia, Giova, ma è andata proprio così. E poi come sarebbe a dire che “lo sapevi”?»
«Non sono tante le ragazze che hai invitato al mare insieme a tua sorella e Nathan, se non sbaglio. E per tutto il tempo in cui è rimasta non hai fatto altro che tenerla d'occhio, come se avessi paura che un australiano potesse portarla via da un momento all'altro.»
«Guarda che ti sbagli: quello che rischiava di venir rapito dall'australiana eri tu.»
«Già, non me lo ricordare. L'unica sera in cui avremmo potuto quagliare avevo due uomini nella mia tenda.»
«Potevi andare nella sua!»
«Ma c'era Emily!»
«Due australiane in un colpo solo e ci sputi sopra?»
«Cazzo, hai ragione! Poteva essere l'occasione della mia vita e l'ho sprecata a parlare di calcio con i miei vecchi compagni di sqadra!»
I due ragazzi risero insieme a quei ricordi, ma nessuno dei due aveva dimenticato lo scopo della telefonata e anche le risa erano velate di una certa amarezza.
«Ehi, devo andare a studiare: sto cercando di dare un esame tra due settimane. Comunque non ti abbattere, che secondo me anche Irene ci tiene parecchio a te, forse... forse semplicemente non era il momento adatto.»
«Grazie. E in bocca al lupo per l'esame.»
«Ma crepasse il lupo...!»
Spartaco chiuse la chiamata ridacchiando poi diede un ultimo sguardo all'orologio che aveva al polso e si affrettò ad andare a lavoro pensando con timorosa ammirazione alla rapidità di Cristina nel diffondere notizie di gossip.
Cercò di riderci su, ma gli uscì un mezzo sospiro dalle labbra e la cosa lo fece indispettire.
E va bene, una ragazza lo aveva rifiutato. Poteva succedere, no? Anzi, succedeva a tutti prima o poi e Spartaco non riusciva ad esserne nemmeno troppo sorpreso, dal momento che sapeva fin dall'inizio che l'esito della confessione era incerto. D'accordo, sul momento era rimasto un po' di sasso, ma più per il modo in cui Irene l'aveva liquidato che altro.
«Io... non credo che funzionerebbe, mi dispiace.»
Un'unica frase bisbigliata, poi aveva allontanato la mano dalla sua presa delicata e se n'era andata salutando in fretta, senza voltarsi a guardarlo negli occhi.
Lui aveva atteso in mezzo al marciapiede che il calore di quella tenue carezza svanisse definitivamente dalle sue dita. Una parte di lui aveva sperato che Irene ci ripensasse e tornasse indietro, un'altra parte aveva cercato di mettere ordine nei pensieri per capire come avrebbe dovuto reagire, perché sul momento gli era sembrato di non provare niente.
Rabbia, disperazione, tristezza, angoscia... non aveva sentito niente. Forse solo una punta di delusione. Con quella era tornato a casa mestamente ed aveva inviato un messaggio a Irene, ma se la notte di solito porta consiglio non fu una brava corriera per Spartaco, che si era svegliato con una sensazione di apatico fallimento addosso ed un leggero mal di testa.
Fu grato di non aver incrociato la collega quella mattina, ma si ripromise che dal giorno seguente si sarebbe definitivamente rimesso in sesto e si sarebbe comportato verso Irene senza alcun rancore. Poteva riuscire a fare come se nulla fosse successo, relegando i sentimenti romantici in un angolo e concentrandosi solo su quelli di simpatia e stima per la ragazza.
Poteva riuscirci.
Avrebbe potuto riuscirci.
Irene non gliene diede modo, perché non si incontrarono mai a lavoro o durante la pausa pranzo, né la ragazza iniziò mai una conversazione tramite chat o messaggio.
I primi giorni Spartaco immaginò si trattasse di una fortuita coincidenza, poi fece un semplice calcolo statistico e gli risultò che la ragazza, probabilmente, lo stava evitando.
A quel punto fu lui a cercarla, ma per ironia della sorte Irene era andata in ferie, una scusa in più per non farsi trovare.
Fu una settimana interminabile per Spartaco, che voleva affrontare Irene faccia a faccia, accertarsi del fatto che sarebbero rimasti amici, assicurare che avrebbe frenato ogni impulso di toccarla, baciarla, che insomma avrebbe fatto di tutto per non saltarle addosso alla prima occasione.
Il primo tentativo di parlarle andò in fumo, perché, quando vide i suoi capelli schiariti dal sole e la sua pelle appena abbronzata e la chiamò, altri colleghi li raggiunsero e anche se Irene non si mostrò scortese mantenne il suo rigido distacco con tutti, Spartaco compreso e alla prima occasione si dileguò.
Gli sembrò di tenderle un'imboscata quando, in un secondo tentativo, uscì prima dall'ufficio e l'aspettò all'ingresso del tetro palazzo.
Con le spalle poggiate al muro attese mugolando qualche tormentone del momento, poi riconobbe la collega dal passo svelto che usciva e svoltava a destra.
«Ehi, Irene!» la chiamò, staccandosi dal muro per raggiungerla e camminarle accanto.
Non capiva se aveva trasalito per la sorpresa di trovarlo lì fuori o per il fastidio.
«Ehi... ciao.» rispose.
«Come sono andate le vacanze?»
«Oh, beh... tutto tranquillo.»
Spartaco attese qualche altra parola dall'amica, ma notando che non arrivava si bloccò di colpo in mezzo al marciapiede.
«Per caso è successo qualcosa?» chiese.
Irene si fermò un passo avanti a lui e si volse nella sua direzione. Il volto mosso da quello che sembrava stupore sincero.
«Qualcosa? No, assolutamente niente.» rispose.
«Capisco. Avevo come la sensazione che tu stessi cercando di evitarmi...»
Guardò Irene di sottecchi e lei rimase impassibile, solo un piccolo, nervoso movimento della mano, che sistemò una ciocca di capelli inesistente dietro l'orecchio la tradì e Spartaco incalzò:
«Se è per quello che ti ho detto... insomma, perché ti ho detto che mi piaci...»
Irene guardò altrove e Spartaco interruppe la frase a metà, colto da un'improvvisa intuizione.
«Per caso... credi che non sia vero che mi piaci?»
Irene sbuffò.
«No, certo che ci credo. Ti piaccio, d'accordo, come a quanto pare ti piace metà della popolazione femminile di questa città!» aggiunse con una punta di acidità.
«Che stai insinuando?»
«Non insinuo nulla, dico solo che ho visto che devi fare lo slalom tra le vie del centro per non dover incontrare le tue ex ragazze quindi... come dire? Permettimi di dubitare della profondità dei tuoi sentimenti.»
Spartaco si coprì gli occhi con una mano, massaggiandoli, mentre ripensava alla sera in cui aveva chiesto a Irene di uscire.
«Cristo, Irene, è stato solo un caso! È per questo che credi che non funzionerebbe? Perché non ha funzionato con altre ragazze?»
Si guardò intorno, come se avesse paura che qualcun'altro oltre a Irene potesse sentirlo e le si avvicinò di un passo, colmando la distanza che li separava. Abbassò la voce di un tono e cercando i suoi occhi, quasi minaccioso, disse con voce roca:
«Cosa vuoi sentirmi dire, cosa? Che con te è diverso? Ecco, l'ho detto: con te è diverso. Con te mi sono fatto avanti senza essere certo di ciò che provavi, perché sapevo... speravo, almeno! Che in ogni caso il nostro rapporto non sarebbe andato a puttane. Perché siamo amici, perché ti stimo e ti voglio bene e credevo che almeno questo fosse reciproco e non sarebbe cambiato in nessun caso.»
Irene non riuscì a sostenere oltre il suo sguardo dannatamente serio e puntò gli occhi sul terreno, ma Spartaco non aveva finito il suo attacco.
«Con te è diverso perché mi sono innamorato piano, senza accorgermene, perché ho imparato ad apprezzarti poco a poco, prima come collega, poi come amica e infine come donna.»
«Spartaco... per piacere...» balbettò Irene, in difficoltà.
«No, ascoltami – le disse risoluto, frenando il desiderio di prenderla per le spalle e scuoterla, farsi guardare negli occhi, toccarla – io non sono mai stato bene con una ragazza come sto bene con te, almeno su questo devi credermi. Quello che c'è tra noi... io potrei farmelo bastare, davvero, se è quello che preferisci. Però avevo il bisogno... io dovevo dirtelo in qualche modo, che adoro la tua ironia e i vestiti che metti quando non sei a lavoro, la tua imprevedibilità e i tuoi sorrisi così rari. Dovevo dirtelo, che mi fai sentire strano ma... in un modo bello, che da quando ti conosco vado a lavoro sperando di incontrarti, che per passare più tempo con te ho fatto anche qualche stronzata e che sempre grazie a te ho trovato il coraggio di chiedere scusa.»
Irene rimase in silenzio e Spartaco si sentì appena più leggero, perché lei non era scappata di nuovo e capì che doveva incalzarla ancora, non lasciarle vie di fuga se non voleva rimanere col rimpianto di non averle detto tutto.
«E adesso che te l'ho confessato – riprese Spartaco – dimmi: non stai bene con me anche tu? Non sei contenta anche tu quando dobbiamo vederci?»
«Ma questo che vuol dire... certo che sono contenta quando ci vediamo, ma... ma questo e uscire insieme sono due cose ben diverse!»
Un tentennamento era tutto ciò che Spartaco stava aspettando.
«Non dirmi che non ti piaccio nemmeno un pochino!»
«Ma s-sì, certo, ma a chi non piaci? Tu sei così abituato a piacere che probabilmente...»
Spartaco notò che Irene non riusciva a guardarlo negli occhi, anzi, non riusciva neanche a tenere lo sguardo fermo su un punto per più di un paio di respiri e allora gli venne un dubbio.
«Aspetta, tu... tu hai paura!»
Ci fu un secondo, un minuto di un silenzio sospeso, fragile e Irene che aveva fermato gli occhi li alzò finalmente sul volto di Spartaco, che vi lesse, inaspettatamente, una sorta di rabbia.
«Sì! È così, va bene? Ho una fottuta paura! Scusa se non sono forte e impavida come te! - disse Irene, aggressiva – Ho paura di fidarmi, di lasciarmi andare, di farti avvicinare troppo e ritrovarmi un giorno più sola di prima! Ho paura di farmi male, di quello che potrai pensare di me se mi conoscerai maglio e ho paura di competere con le tue ex ragazze affascinanti e bellissime! Perché non lo capisci?!»
Quando finì ansimava piano e stringeva i pugni fino a far sbiancare le nocche. Spartaco le lasciò qualche secondo di tempo per riprendersi o riprendere il discorso.
«Tu credi che io non abbia paura? - sussurrò poi - Certo che ho paura! Ma questo non mi impedisce di provarci, perché so che potrei soffrire, ma sono certo che con te sarò felice.»
Irene abbassò di nuovo lo sguardo, ma stavolta sembrava più vulnerabile, più raggiungibile.
Spartaco temette di vedere qualcosa luccicare nei suoi occhi.
Non poteva, non doveva, non aveva alcun diritto di prendersi qualcosa che lei non volesse dargli. Non poteva e non l'aveva mai fatto, perché nessuna ragazza gli aveva mai negato niente. Non doveva, ma non seppe come fermarsi, perché non sopportava più di averla così vicina senza poterla toccare. Si rese conto che aveva mentito, poco prima: non sarebbe più riuscito ad essere felice rimanendo solo amico di Irene. Allora le chiese scusa e lei non capì, finché non le prese il viso tra le mani e la baciò. Non cercò neanche di farle aprire la bocca, aveva solo bisogno di sentirla sulla pelle. Le baciò le labbra leggero come un ricordo, fu poco più che uno sfiorarsi e lei rimase immobile. Stupito, Spartaco si era quasi aspettato che l'avrebbe allontanato, picchiato, schiaffeggiato come nei film e invece Irene era rimasta ferma davanti a lui.
“Forse” pensò il ragazzo “ha capito quanto ho bisogno di questo contatto”. Allora ricominciò da capo a baciarla, stavolta con brevissimi baci su ogni centimetro di labbra che poteva coprire e poi sulle guance, sul mento, su ogni parte del viso, come un pazzo, un disperato che non vuole morire. Smise solo quando non seppe più dove posare le labbra e cominciò a sentirsi uno stupido. Si fermò, gli occhi chiusi, le mani ancora sul suo volto a lasciare carezze leggere della distanza di un dito.
«Scusa.» ripetè ancora, come se non avessero smesso di parlare e finalmente trovò il coraggio di guardarla negli occhi.
Da così vicino, anche dietro agli occhiali gli sembrarono enormi ed innocenti, gli sembrarono un accesso troppo vulnerabile all'anima.
«Mi piaci davvero molto.» disse semplicemente.
Non c'era motivo per cui la sua voce dovesse essere più di un sussurro, erano ancora così vicini che respiravano la stessa aria.
«Mi piaci tanto che a volte mi sento stupido e non mi succede spesso.» spiegò.
Gli mancava il coraggio per dirle che non gli era successo mai. Per dirle qualcosa più di “mi piaci”.
«Dammi una possibilità, ti prego.»
Pregarla era patetico, non era nei programmi, erano quegli occhi scuri ad avergli fatto venire un senso di vertigine.
«Ti prego – ripeté – usciamo insieme una volta, concedimi solo questo.»
Irene era rimasta lì, ad un palmo da lui, eppure Spartaco aveva temuto che potesse negargli quella possibilità e l'aveva pregata di nuovo. Sapeva già quanto si sarebbe sentito idiota dopo, quando sarebbe tornato a casa sul suo letto e avrebbe rivisto la scena dall'esterno: un ragazzo così innamorato da rendersi ridicolo, che pende dalle labbra di una ragazza come se avesse il potere di salvarlo dalla pena di morte, ma era esattamente così che si sentiva.
«Va bene.»
Rinato, risorto a vita nuova, grazie a due parole che avevano operato il miracolo.
Incredulo, Spartaco si vedeva come se stesse guardando un film ed ecco arrivato il colpo di scena: lei ha detto sì!
Quando realizzò, un sorriso gli nacque dagli occhi per poi riempirgli tutta la faccia. Anche Irene sembrò sorpresa da quel cambiamento, perché per un attimo sembrò disturbata da quell'espressione, come da un raggio di sole improvviso sugli occhi e abbassò il capo.
«Però...»
Ahi”.
Quella parola fece sentire Spartaco in pericolo e il sorriso si affievolì.
«Devi uscire anche con mia sorella.»
Si era sbagliato: il colpo di scena doveva ancora arrivare.


Spartaco non era così teso per un appuntamento da secoli, ormai. Forse da quando aveva chiesto di uscire alla sua prima ragazza. Quel giorno aveva passato venti minuti a scegliere come vestirsi, indeciso tra le solite t-shirt o qualcosa di più elegante. Alla fine era uscito con una maglietta a caso, ma si era ricordato di lavarsi i denti e di farsi la barba, rasando con più cura del solito quei tre peli adolescenziali che aveva sul mento.
Sorrise al ricordo di quei giorni che adesso sembravano tanto lontani, di quel giovane Spartaco che gli sembrava tanto impacciato. Indossò dei jeans chiari, quelli che secondo la sua ex gli facevano un bel culo e una camicia di cui lasciò aperto il primo bottone per far respirare il collo, prima di vaporizzarci il solito profumo di sempre, ma in quantità maggiore. Si diede un ultimo sguardo allo specchio: casual, ma non sciatto. Sorrise alla propria immagine riflessa e si avviò sicuro di sé verso il luogo dell'appuntamento.
Era buona norma che il ragazzo arrivasse prima della ragazza, ma per Spartaco oltre ad una regola era un piacere, perché aspettare l'altra persona gli faceva provare sempre una sorta di dolce trepidazione. In quei minuti di attesa fantasticò su come si sarebbe presentata Irene, cosa avrebbe indossato, ma soprattutto cosa avrebbe pensato di lui sua sorella, di cui non sapeva praticamente niente. Spostava il peso da un piede all'altro, lo sguardo dal cielo al marciapiede, da un lato all'altro della strada, cercando di indovinare da che parte sarebbero arrivate le ragazze, poi, finalmente, le vide.
Riuscì a captare la presenza di Irene non appena si trovò nel suo raggio visivo e istintivamente, solo per un attimo, sentì un angolo della bocca arcuarsi in un mezzo sorriso di sollievo. Aveva temuto fino alla fine che lei potesse non presentarsi. Poi notò la figura che stava camminando accanto a Irene e capì il motivo della richiesta di quello strano appuntamento a tre. Era una ragazza dall'età indefinibile, molto più bassa della sorella, le forme morbide, i capelli lisci e corti, la testa piccola e due occhietti tondi e vivaci che si spostavano in ogni direzione e lo squadravano da capo a piedi. Spartaco deglutì, vedendo come la ragazza stesse parlottando con Irene, sicuramente condividendo i suoi primi giudizi. Irene invece sorrideva, scuotendo la testa.
L'esame più difficile della sua vita stava per avere luogo, Spartaco fece un respiro profondo quando ormai pochi passi separavano le due sorelle dalla sua postazione.
«Ciao, io sono Spartaco.» disse con un sorriso, tendendo la mano alla sorella di Irene.
«Ma guarda questo!» borbottò lei in risposta distogliendo lo sguardo e rifiutandosi di stringere la sua mano.
Irene ridacchiò, serena, come a dire “Questo è un buon segno!”, spingendo Spartaco a fare lo stesso. Dentro però il ragazzo aveva perso tutta la propria sicurezza: lui con una persona con la sindrome di Down non aveva mai avuto a che fare.




31 agosto, ore 22: 15
- Scusa, Ire, volevo solo sapere se va tutto bene. Amici come prima?
- Sì, certo, d'accordo.


7 Settembre, ore 18:45
- Ehi, come va? Non ti ho visto al lavoro ultimamente.
- Ciao. Dovevo sistemare alcune cose prima di partire. Sono in ferie.
- Allora buone vacanze!




Il mio angolino:
Ma... ma... ma nessuno aveva un po' di fiducia in Spartaco?! Poveretto, questa cosa mi ha fatto ridere troppo.
E dopo questo capitolo voglio solo dire: non ve l'aspettavate, vero? Volevo mettere a inizio capitolo gli stralci di storia in cui è citata la fantomatica sorella, in modo molto sfuggente, invero, ma alla fine ho voluto lasciare la sorpresa finale. Potete andare a rileggervi l'ultimo paragrafo del capitolo 12, se volete la conferma che non me la sono inventata di sana pianta. :)
A presto,
FatSalad
 

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Capitolo 20
*** Fiammiferi e candele ***


Spartaco prese il resto e si voltò per portare la coppetta di gelato ad Alice, la sorella di Irene, pregando silenziosamente che almeno quello non si spappolasse al suolo come il precedente. Mentre lo pensava, inavvertitamente, gli venne da sorridere.
Se il primo “Ma guarda questo!” di Alice l'aveva terrorizzato, al quinto che le aveva sentito dire nel giro di pochi minuti aveva capito che si trattava di una sorta di suo intercalare ed era riuscito a rilassarsi. Pochissimo, per la verità, perché quel giorno sembrava che non riuscisse a farne una giusta.
Dopo che Irene aveva costretto la sorella a dire il proprio nome a Spartaco lui aveva ben pensato di rompere il ghiaccio con una frase all'apparenza innocua come:
«Allora tu sei la sorellina di Irene?»
Alice però non l'aveva presa bene e sbattendo i piedi per terra aveva ribattuto:
«No! Sono la sorella maggiore... ma guarda questo!»
Irene a quel punto aveva spiegato che spesso Alice veniva scambiata per la più piccola delle due a causa della sua statura e questo la infastidiva, allora Spartaco aveva cercato di rimediare accampando qualche scusa.
Aveva assicurato che lui diceva “sorellina” per intendere “sorella” in modo affettuoso e aveva spiegato che anche lui aveva una sorella minore che spesso lo chiamava “fratellino” per dirgli che gli voleva bene, o che aveva bisogno di un favore. Questo però aveva deciso di ometterlo.
Alice aveva sbuffato, ma la spiegazione doveva averla convinta perché non aveva protestato oltre e Irene le aveva pizzicato il fianco per farla sorridere.
A quel punto Spartaco aveva proposto:
«Pensavo di andare al luna park, se vi va.»
Ma di nuovo sembrava che tra tutte le opzioni possibili avesse scelto la meta peggiore per quel particolare appuntamento. Alice aveva borbottato e aveva incrociato le braccia al petto.
«Alice soffre di vertigini, perciò non ama molto le giostre, ma...» aveva iniziato Irene con tono conciliante, ma Spartaco l'aveva interrotta.
«No, no, allora vi porto in un altro posto. Seguitemi!»
Precedendole si era avviato alla macchina, mentre cercava di darsi un contegno passandosi una mano tra i capelli. Fingeva di avere la situazione sotto controllo, ma temeva di essere ormai nel panico. Una volta saliti tutti sulla sua Mini aveva guardato nello specchietto retrovisore ed aveva pensato: “D'accordo, non devi impressionare nessuno. Pensa alla cosa più semplice e stai sicuro che sarà la più efficace. Semplice semplice semplice...”
Quello era stato il criterio di scelta, così aveva messo in moto e le aveva portate al lago, lo stesso laghetto intorno al quale l'aveva fatto camminare Irene per sbollire la rabbia dopo la litigata con Michele. Sperava che anche quel giorno l'ambiente sarebbe riuscito a farlo calmare. Per prima cosa aveva offerto il gelato alle due sorelle, ma un movimento maldestro di Alice aveva fatto cappottare la cremosa cupola dal suo cono. Irene l'aveva rimproverata per la sua disattenzione, acutizzando il malessere di Alice, che aveva cominciato a piagnucolare, sull'orlo di una crisi dai toni drammatici. Infine Spartaco aveva deciso di riportare la pace comprando un secondo gelato alla ragazza.
«Ecco qua! - le disse porgendole la coppetta – Mangialo prima che si freddi!»
«Ma guarda questo!» fu la risposta di Alice, però stavolta lo disse cercando di non far notare che stava sorridendo ed accettò il dono ringraziando.
Dopo l'infausto incidente del gelato ruzzolato le cose cominciarono ad andare per il meglio.
Spartaco si accorse che, nonostante le proprie paure inizali, era incredibilmente facile stare con Alice. Era una chiacchierona e anche piuttosto curiosa. Faceva domande a volte al limite dell'inopportuno e rispondeva appassionata a quelle che le venivano poste.
Il culmine lo raggiunse quando chiese apertamente a Spartaco:
«Tu fai sesso con mia sorella?»
Domanda che riempì d'imbarazzo Irene. La ragazza avvampò e sgridò la sorella, Spartaco invece rise. Non riuscì a fare altrimenti.
«No.» rispose poi semplicemente.
In realtà la domanda gli fece venire in mente una mezza dozzina di risposte sarcastiche, ma decise che era più saggio tenerle per sé e limitarsi a negare. D'altra parte si trattava solo della verità.
Spartaco decise di cambiare assolutamente argomanto e quando chiese semplicemente «Che fai nella vita, Alice?», lei si lanciò in un elenco di attività che faceva al “TeneraMente”.
«Il centro diurno dove va tre volte a settimana.» spiegò Irene rispondendo allo sguardo interrogativo del ragazzo.
«Oh.»
«Alice sta facendo là un corso per l'inserimento lavorativo, vero, Ali?»
«Sì.» rispose lei, orgogliosa con quel suono buffo che produceva mettendo la lingua tra i denti per pronunciare le “s”.
«E che lavoro ti piacerebbe fare?»
«La cameriera.» rispose la ragazza e si mise a raccontare cosa aveva appreso fino ad allora durante il corso, senza dimenticare una dimostrazione pratica della tipica postura da cameriere.
«So portare tre piatti per volta, adesso. A Nicco non piace molto, invece. – continuò poi – Lui dice che vuole andare alle Paralimpiadi di nuoto, ma al centro non abbiamo una piscina.»
«Avete una palestra?» si informò Spartaco.
«Sì, ma ci facciamo solo musicoterapia e Nicco si annoia anche a quella. Bah, guarda questo!»
«Come se la cava il tuo amico con il calcio? Io sono un calciatore niente male, sai? Sempre disponibile per una partitella!»
Erano rimasti a sedere su una panchina fino a quel momento, per riuscire a finire di mangiare senza altri incidenti di percorso, poi Alice disse che voleva andare a vedere le anatre a si alzò in piedi.
«Giusto per informazione, - bisbigliò allora Irene trattenendo Spartaco per l'avambraccio - Niccolò ha una gamba sola, non credo sarebbe molto equo se tu giocassi contro di lui...»
“Merda! Oggi non ne faccio una giusta!” pensò Spartaco, eppure Irene ridacchiava sotto i baffi, divertita.
Lo strano appuntamento a tre fu interrotto tragicamente poco dopo, quando, accovacciandosi tra l'erba alta per osservare meglio le anatre del laghetto, Alice cominciò a strillare.
Irene e Spartaco accorsero, preoccupati e la trovarono con le lacrime agli occhi, mentre le anatre scappavano in un turbinio di ali, spaventate da quei rumori di agonia.
«Mi ha punto! Mi ha punto!» ripeteva la ragazza, stringendosi un braccio con la manina paffuta.
Spartaco si inginocchiò accanto a lei e cercò di capire la gravità della situazione. Vide una zona arrossata e immaginò la dinamica dei fatti. Tolse un pungiglione rimasto nella sua morbida carne e cercò di sdrammatizzare.
«Tu, ape! Perché vieni a pungere andando incontro alla morte? Vai a fare il miele! Occupati dell'impollinazione e delle altre cose da ape!» gridò, sventolando la mano verso un punto qualsiasi, contro un'insetto immaginario.
«L'a-ape è morta o-ormai!» ribatté Alice tra i singhiozzi.
Spartaco fece una smorfia da senso di colpa a mo' di scusa per le parole insensate.
«Era un avvertimento per le sue parenti. Tua sorella è allergica, per caso?» chiese poi, rivolto ad Irene.
Lei scosse il capo, ma aveva la fronte corrugata in appresione.
«In ogni caso è meglio se troviamo del ghiaccio. Se la puntura gonfia o altro è bene stare pronti per portarla al pronto soccorso.» lo disse a bassa voce, per non spaventare Alice, poi si rivolse nuovamente a lei.
«Non preoccuparti, ha avuto quel che meritava!»
«Pi-pizzica!» si lamentò lei.
«Conosco un rimedio perfetto, ma è un po' puzzolente...»
«Cosa?» chiese Alice con studiata disperazione.
«Metterci un pezzettino di cipolla sopra fa passare il prurito e fa smettere di piangere.»
«Non è vero! - si lamentò Alice con gli occhi già asciutti – Le cipolle fanno piangere.»
«Appunto: tu stai già piangendo, quindi basterebbe togliere la cipolla dal braccio per non piangere più. Vuoi provare?» le disse Spartaco, sentendosi un po' genio e un po' ciarlatano, come quando si spiegano i grandi sistemi ai bambini usando parole troppo semplici.
Alice ci pensò, tirando su col naso e infine annuì.
«Allora andiamo, vi riporto a casa... a meno che tu non tenga una corona di cipolle in borsa.»
Alice sbuffò e borbottò un “Guarda questo!”, poi tirò Irene per il braccio per bisbigliarle qualcosa all'orecchio. Spartaco osservava le due ragazze, curioso di conoscere i loro discorsi e se lo riguardavano.
«Che ti ha detto tua sorella?» chiese mentre si avviavano al parcheggio.
«Ho giurato di non dirlo.»
Spartaco schioccò la lingua in un gesto di disappunto.
«...ma diciamo che hai passato il test.»
Spartaco cercò di trattenere un sorrisetto, ma quando, dopo aver riportato a casa le due dame, fece ritorno a casa, capì che quella frase gli aveva fatto più che piacere. Infatti era entrato nell'appartamento a passo di salsa mentre fischiettava e non era esattamente un suo comportamento tipico.
Si sentiva stranamente pieno di vita, anche se era stato in tensione per una buona metà del pomeriggio e si ritrovò a ringraziare insensatamente l'ape che aveva punto Alice, permettendogli di interpretare la parte dell'eroe pronto a tutto e rassicurante agli occhi della ragazza.
Non sentiva l'urgenza di fare niente, così si distese sul divano e cercò semplicemente di ricordare le ore appena trascorse. Gli vennero in mente anche delle parole di Irene che aveva sepolto da qualche parte nella memoria.
«Io sono sempre stata costretta ad essere perfetta a casa. La studentessa modello, la brava figlia, quella che non è mai giù di morale... e credimi se ti dico che è stato piuttosto stancante. A casa ero inappuntabile, ma fuori dalla vista dei miei, spesso, tendevo a perdere un po' del mio spirito.»
«Non mi importa se ho chiuso tutti fuori, non voglio la compassione di nessuno.»
Forse la collega aveva formulato la richiesta di quell'appuntamento per riuscire a spiegargli perché a casa si sforzasse tanto di essere sorridente e su di morale. Non doveva essere stato affatto facile vivere un'infanzia con una sorella maggiore da accudire come una bambina, stando attenta che non facesse cadere il gelato, ricoprire un ruolo che per nascita non le apparteneva.
D'altra parte poteva anche avergli presentato Alice per dirgli: “Questo è il pacchetto completo: prendi me e devi prendere anche lei”, con tutte le implicazioni possibili e immaginabili.
Spartaco non avrebbe rifiutato altre uscite con entrambe le sorelle se ciò significava vedere Irene sorridere per tanto tempo. Era sempre Irene, se ne rendeva conto, ma era come quando non indossava i rigidi abiti da lavoro e tirava fuori dall'armadio colori e fantasie inaspettati.
Sentì la ragazza la sera stessa e si scoprì curiosissimo di conoscere le opinioni di Alice nei suoi confronti, ma Irene non si sbottonò granchè. Il giorno dopo l'attese all'uscita dopo il lavoro per tentare un nuovo interrogatorio, sperando che l'approvazione, per così dire, della sorella maggiore significasse l'inizio di un rapporto più esclusivo per loro due.
«Ire!» la chiamò non appena la vide.
Irene si voltò verso di lui e le sfuggì un sorriso inaspettatamente largo mentre diceva:
«Ehi, ciao!»
Spartaco l'affiancò, cercando di non svolazzare per quel semplice sorriso.
«Immagino sia inutile chiederti cosa ha detto tua sorella di me.» disse mentre l'accompagnava alla fermata dell'autobus, senza nemmeno chiederle dove stesse andando.
«Potrei dirtelo, in effetti, ma devo prima trovare un modo per farti tornare coi piedi per terra dopo che avrò fatto levitare il tuo ego.»
«Perché, che ha detto?» chiese lui, ancora più curioso.
«E va bene... non ricordo le parole esatte, ma appena ti ha visto ha detto che eri bello quasi quanto Ryan Gosling o qualcosa del genere.»
Spartaco la guardò con tanto d'occhi, poi scoppiò a ridere.
«Beh, grazie. Non per essere incontentabile, ma... tutto qui? È bastato questo per vincere la sua simpatia?»
Irene scrollò le spalle.
«A quanto pare è il suo attore preferito da quando ha visto “Le pagine della nostra vita”.»
«Ma... lui non è biondo?» obiettò Spartaco.
Irene sbuffò, arresa.
«E va bene, se proprio vuoi saperlo credo tu l'abbia conquistata quando hai detto che avresti giocato a calcio con Nicco. Ce l'avrà con te a vita quando scoprirà che le hai dato false speranze!»
La ragazza ridacchiò, ma Spartaco mise su un'espressione corrucciata.
«Non le stavo dando false speranze. Ero serio.» asserì.
Irene alzò un sopracciglio, scettica e lui continuò:
«Ho fatto delle ricerche e ho scoperto che esistono squadre di calcio amputati. Anche in Italia, sai? E anche col nuoto non me la cavo male, volendo. Anzi, lasciando in un angolo la modestia posso dire che ho un talento naturale per la stragrande maggioranza degli sport.» concluse con un sorriso.
Irene lo guardò negli occhi, di colpo seria.
«Non devi fare tutto questo per me. Volevo farti conoscere mia sorella per mostrarti qualcosa di me, qualcosa che non mi è facile spiegare, ma... tutto qui. Non volevo coinvolgerti in cose...»
«D'accordo – la interruppe Spartaco – lo capisco. Non lo farò per te, ma posso farlo per me?»
«Ma... perché?» domandò Irene dopo un secondo, visibilmente spiazzata.
«Perché... questo lavoro mi sta distruggendo lentamente. Sono grato di averlo, non fraintendermi, ma la mia natura mi chiede, mi implora a volte, di uscire dalle quattro mura di quel maledetto ufficio dove posso scambiare al massimo due parole ogni tanto con Sergio e sfogare la mia voglia di... persone. Io sono fatto per stare in mezzo alla gente, lo capisci. Mi piace conoscere nuove persone, viaggiare, muovermi... tutte cose che non faccio al momento, a causa del lavoro. Quindi, per favore, permettimi di conoscere Niccolò.»
Irene abbassò il capo e forse stava annuendo. Guardò la strada avvistando l'autobus annunciato da un sibilo incostante, poi, senza sollevare gli occhi verso di lui, disse a voce bassa:
«Come posso non avere paura, quando è così facile innamorarsi di te?»
«Ire...» gemette lui.
Cercò la sua mano con due dita, solo per sfiorarne il dorso.
«Non sarebbe molto diverso da ora, in fondo, se stessimo insieme. Ci hai pensato?»
Lei non rispose, ma aprì la mano ed incrociò per un attimo le dita a quelle di lui. Poi salì con un balzello sull'autobus che si era appena fermato di fronte a loro sbuffando e cigolando. Afferrò il palo giallo che delimitava l'inizio dei posti a sedere e si voltò di scatto, sporgendosi per guardare Spartaco, rimasto ad osservarla dal marciapiede.
«Ci vediamo venerdì dopo il lavoro?» gettò lì, il tono un po' più acuto del solito per riuscire ad attraversare la porta dell'autobus.
«Anche prima di venerdì, spero.» disse Spartaco sorrdendo.
«Venerdì ti faccio conoscere Niccolò.» provò a spiegare Irene, ma le porte si stavano già chiudendo e quando l'autobus ripartì non era sicura che Spartaco avesse capito le sue parole mentre la salutava sventolando una mano e mostrando la sua dentatura da pubblicità.
«Ma guarda questo...!» borbottò Irene tra sé, nascondendo un sorrisetto alla vista di una curiosa nonnina seduta in prima fila.




11 settembre, ore 20:55
- Grazie per oggi, Spartaco.
- Perché continui a ringraziarmi?
- Perché... non sapevo come avresti reagito nel conoscere Alice, ma sei stato... sei stato fantastico. Il modo in cui l'hai guardata... come le hai parlato, l'hai ascoltata... tutto, insomma.
- Ire...
- In certi momenti ho avuto la sensazione che ti fossi dimenticato di me, ma anche questo mi andava bene, sono stata contenta di avertela presentata.
- Ire... aspetta, ti chiamo.




Il mio angolino:
Credevo che la scelta di tirare in ballo il tema della disabilità sarebbe stata impopolare, invece i commenti che ho letto a tale proposito mi hanno colpito piacevolmente.
Falso Contatto vuole rimanere una storia “allegra e leggera”, quindi non mi addentrerò più in profondità dentro alla questione, ma intanto vi dico grazie. Siete dei lettori fantastici!
Alla prossima,
FatSalad

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Capitolo 21
*** Shock ***


Spartaco fissava lo schermo del computer senza riuscire a concentrarsi per più di un paio di minuti consecutivi sul lavoro che doveva svolgere. Aveva altro per la testa.
“Dove la porto?” si chiedeva mentre giocherellava con la rotellina del mouse.
Aveva conosciuto Alice, Niccolò e un'altra mezza dozzina di ragazzi disabili che frequentavano abitualmente il centro diurno TeneraMente, era rimasto così colpito dalla determinazione di alcuni che quando il giorno seguente era uscito con Irene aveva passato quasi tutto il tempo a parlare delle sue impressioni sull'uno o sull'altro. A conclusione del monologo aveva detto che avrebbe contattato presto Giovanni per pensare insieme a lui ad un progetto per mettere su una squadra sportiva di ragazzi disabili. Tornato a casa si era accorto di aver passato delle ore con Irene senza dire una parola sul loro rapporto e si era dato dello stupido in tutte le lingue che conosceva, convinto di essersi giocato (di nuovo) un'occasione.
Invece Irene l'aveva ricercato e aveva sostenuto con sempre maggior entusiasmo il suo progetto, da lì Spartaco aveva capito che non aveva perso niente, ma, anzi, aveva solo trovato un argomento in più di cui parlare con la ragazza che gli piaceva.
Erano stati al cinema insieme per la prima volta, a vedere un film che qualche tempo dopo Spartaco avrebbe definito insulso, ma che sul momento gli era parso “niente male”, erano stati a fare shopping insieme e Spartaco l'aveva trovato persino divertente, avevano continuato a cercarsi anche a lavoro ed era tutto perfetto quando si incontravano, tutto come si era immaginato e anche meglio, perché Irene cominciava a fidarsi di più e quando gli riservava certi sguardi delicati o certi gesti attenti Spartaco capiva di essere un privilegiato.
C'era solo un piccolo, minuscolo particolare che minava la sua pace interiore. Mancava qualcosa, qualcosa che stava crescendo e stava assumendo dimensioni spropositate, facendo sentire sempre di più la sua assenza: un bacio.
Si erano già baciati una volta, d'istinto, per sbaglio, eppure non rendeva le cose più semplici, anzi. Spartaco voleva dimostrare di non essere un ragazzino dominato dagli ormoni e aveva giurato a se stesso che non sarebbe saltato di nuovo addosso ad Irene per nulla al mondo, ma la quasi totale assenza di contatto fisico tra di loro cominciava a renderlo nervoso.
Stava pensando di portarla in un posto carino, un luogo significativo che potesse convincerla a fare quel passo in più. Aveva escluso i ristoranti troppo chic o la sala da ballo in cui le debuttanti, con i loro abiti da sogno, danzavano lenti una sera all'anno. Erano posti che potevano impressionare molte, ma che rischiavano di mettere a disagio Irene, facendola chiudere o allontanare, anziché il contrario.
Quella piacevole mattina di settembre, mentre Spartaco stava architettando un piano perfetto, Irene, con volto funereo, bussò alla porta del suo ufficio e gli chiese un attimo del suo tempo. Spartaco si preoccupò.
«Mi ha contattato Costanza, la ragazza di Filippo – spiegò la ragazza una volta usciti nel corridoio – per la cena a cui avevamo accennato quella volta che ci siamo incontrati in centro. Ci invita per sabato prossimo.»
«Ok.» rispose il ragazzo, visibilmente sollevato.
«Ok? Tutto qua? Non ti scoccia?» chiese Irene dopo un lungo istante di silenzio durante il quale si era limitata ad aspettare altri commenti con un sopracciglio sollevato.
«Non faccio salti di gioia al pensiero di rivedere quel tizio, d'accordo, ma decisamente mi ero immaginato di peggio.»
Irene spostò il peso da un piede all'altro, incerta.
«Allora do la nostra conferma?» chiese.
«Certo, ma saremo al ristorante?»
«Sì, perché?»
«Peccato. Morivo dalla voglia di comprare a Filippo una piantina... di quelle carnivore, hai presente?»
«Spartaco!»
«Ok, scusa, hai ragione: è un padre di famiglia ormai. Magari un vinello pessimo?»
«Faresti una pessima figura, considerando che suo padre è un enologo.» ribattè Irene con tono più rilassato.
«Uffa, allora è inattaccabile! Come posso fargli arrivare il mio disprezzo in modo civile?» si lamentò il moro.
«Tranquillo, sii... te stesso.» disse Irene.
Aprì la bocca e la richiuse per un paio di volte, sul punto di aggiungere altro, ma alla fine scosse il capo e lasciò perdere e Spartaco rimase con il dubbio che velesse dirgli qualcosa di importante.
La fatidica serata arrivò prima che il ragazzo potesse rendersene conto e, come da accordo, fu Irene a passare a prenderlo in auto. Spartaco si era battuto fino alla fine per essere il guidatore, ma lei aveva ben pensato di non rivelargli il nome del ristorante per costringerlo a salire al posto del passeggero.
Capì che Irene aveva qualcosa di strano fin da subito, quando prese posto accanto a lei sulla sua vecchia Twingo. Aveva lasciato a casa gli occhiali e c'era qualcosa di diverso nei suoi capelli, ma non se ne preoccupò più di tanto fino a quando non arrivarono (miracolosamente illesi) al ristorante.
Quando infatti Irene scese di macchina Spartaco notò che stava indossando un vestitino azzurro e un paio di tacchi alti. Era decisamente elegante rispetto al suo solito e Spartaco si chiese se il posto in cui stavano andando a mangiare non fosse un ristorante famoso.
Aprì la bocca per manifestare la propria ammirazione, ma una voce squillante lo precedette.
«Tesoro, sei uno splendore!» esclamò Costanza raggiungendoli.
Irene rise, ringraziò e le due amiche si scambiarono due bacetti.
«Woah! Chi è questa topa?» disse un Filippo disinvolto e allegro.
Spartaco rise, decise di non commentare e i due uomini si scambiarono una stretta di mano decisa.
«Ciao Spartaco, caro, tutto bene?»
Fece poi Costanza sbaciucchiando pure lui e lasciandolo un po' interdetto.
«Sì, molto bene, grazie. E voi?» chiese educatamente, senza però rivolgere lo sguardo a Filippo.
Costanza cominciò a parlare della gravidanza e Spartaco si finse interessato, controllando di tanto in tanto il suo rivale con la coda dell'occhio.
«Che ne dite di entrare?» disse amabilmente quando gli sembrò che il ragazzo si fosse preso troppe confidenze con Irene.
Lei lo raggiunse e lo prese per mano con un sorriso mentre oltrepassavano l'uscio. Decisamente non si preannunciava una bella serata per lui.
Andò solo a peggiorare quando si sedettero al tavolo. Filippo fece una battuta e tutti risero, poi Costanza si voltò verso il compagno e i due diedero spettacolo con un bacio appassionato degno di un film vietato ai minori. Fu solo la prima puntata delle interazioni amorose della coppia, intermezzi poco gradevoli a cui Spartaco assistette suo malgrado, restandone non poco turbato.
Il linguaggio di Costanza, poi, non faceva altro che aumentare il suo disagio, tra vezzeggiativi ricorrenti rivolti persino alla cameriera e discorsi dettagliati e noiosissimi sulla gestazione, di cui stava diventando esperta seguendo gli incontri di tre differenti percorsi pre-parto.
Come se non bastasse aveva Filippo davanti e, peggio ancora, doveva ammettere che a tratti iniziava a trovarlo simpatico.
Dopo una serie interminabile di “tesoro”, “caro”, “cucciolotto” e baci poco casti davanti ai loro occhi, Spartaco salutò con sollievo l'arrivo del dolce. Non chiese neanche il caffè, sia perché non vedeva l'ora di andarsene, sia perché bastava già la presenza di quel tipo a fargli venire l'acidità di stomaco.
Si salutarono promettendo di rivedersi ancora e Spartaco tirò un sospiro di sollievo poco educato non appena la coppia uscì dalla sua visuale.
Irene lo guardò storto, chiedendo spiegazioni.
«So che sei contenta che adesso vadano d'amore e d'accordo ma... un po' di pudore, per carità! Sembrava che volessero spogliarsi sul tavolo!»
Irene rise.
«Non sono proprio il ritratto del bon ton, in effetti.»
Poi, vedendo che l'espressione di Spartaco non si faceva più rilassata, aggiunse, più seria.
«Spartaco, c'è qualcosa che non va?»
Lui guardò altrove mentre rispondeva di no e Irene non si lasciò ingannare nemmeno per un istante. Incrociò le braccia al petto e lo guardò significativamente, attendendo la risposta sincera. Spartaco allora decise di deporre le armi e cercò i suoi occhi.
«E va bene, la verità è che sono irritato da prima.»
Irene inclinò il capo, facendogli cenno che era tutta orecchie.
«Stasera... tu... sei molto carina. Troppo.»
Irene sbattè le palpebre un paio di volte, non sapendo come interpretare un complimento detto con quel tono serio misto al rimprovero.
«Non ti sei mai vestita così bene quando sei uscita con me e mi disturba che tu ti sia messa in tiro per...»
«Non penserai che l'abbia fatto per piacere a Filippo, spero!» esclamò Irene, interrompendolo.
Il silenzio del ragazzo fu una conferma più che evidente.
Irene non gli lasciò dire altro, colmò la distanza tra loro e l'abbracciò, cogliendolo di sorpresa.
«Stupido... Quando ti ho detto dell'invito avresti potuto tirare fuori un miglialio di scuse diverse per declinarlo, invece hai accettato. Per me era importante, perché quando hai conosciuto Costanza ti ho costretto a fingerti il mio ragazzo e invece per la prima volta siamo andati ad un ristorante come coppia, senza fingere.» disse a voce bassa tenendo la guancia poggiata sul suo petto.
Spartaco le diede qualche carezza leggera sui lunghi capelli, cercando di calmarsi.
«Perché non me l'hai detto prima, che era così importante per te?»
«Perché ci sarebbero stati anche Filippo e Costanza e sapevo che non ti sarebbe piaciuta la loro compagnia. Non volevo costringerti.»
Spartaco fu colto da un moto di tenerezza per tutti i timori inespressi di Irene.
«In effetti non ho accettato esattamente per la gioia di rivedere loro, ma ho preparato un piano malefico: la prossima volta andremo a mangiare con Michele e Elena!»
«Ah, è un ricatto, quindi?» chiese Irene sollevando il volto, cogliendo lo scherzo nella sua voce.
«Esatto e una malvagia umiliazione nei tuoi confronti per farti vedere che i miei amici conoscono le buone maniere meglio dei tuoi!»
«Oh, intendi il tuo amico Michele che mi ha chiesto se volevo “copulare educatamente in maniera sbrigativa” con lui non appena ci hai presentati?»
«Beh... ecco...»
«Ma certo, ha avuto il “buongusto” di farmi sapere che potevo scegliere il modo e il luogo che preferivo.»
Spartaco cercò qualcosa da ribattere, ma fu costretto a chiudere la bocca, sconfitto.
«Accidenti a Michele, mi rovina sempre l'immagine! E non posso nemmono riempirlo di botte ora che è felicemente sistemato con Elena!»
Irene ridacchiò trionfante e Spartaco si unì a lei. Nei loro occhi adesso c'erano una serenità e un languore nuovi.
«Grazie per stasera.» concluse Irene sollevando il capo.
Si sporse verso il suo viso e lo baciò lievemente sulle labbra.
Spartaco rimase così stordito da quel gesto tanto semplice che non reagì e si limitò a sbattere le palpebre. Diede il tempo a Irene di rendersi conto di ciò che aveva fatto e questo la fece allontanare, lo superò per raggiungere l'auto senza dire una parola.
Allora Spartaco la seguì, in due falcate le si parò davanti e si avvicinò al suo viso, sorrideva mentre la guardava dritto negli occhi e vi scorgeva i primi segnali d'imbarazzo. Con le nocche cominciò ad accarezzarle il mento come faceva di solito per salutarla, solo per sciogliere un po' la tensione e vederla sorridere.
«La prossima volta però devi avvertirmi – sussurrò – così anch'io posso vestirmi bene per impressionarti.»
«Tu non hai bisogno di vestirti bene per impressionarmi.»
A Spartaco si allargò il sorriso. Prese il viso di Irene tra le mani e fece per baciarla. Si arrestò ad un soffio da lei, ricordandosi con un lapsus che si era ripromesso di non saltarle addosso un'altra volta, sentì le dita della ragazza sulla schiena, a trattenerlo, avvicinarlo e gli venne da ridere per come si stava comportando da stupido, intestardendosi su una questione tanto irrisoria. Che importanza aveva chi chiedeva un bacio per primo? In fondo l'importante era che lo volessero entrambi. Allora la baciò, ponendo fine a quel dolce supplizio e trovò le sue labbra schiuse nell'attesa di quel contatto.
La prima volta che si erano baciati era stato un gesto vorace e frettoloso e Spartaco aveva tutte le intenzioni di rendere quel nuovo contatto più dolce. Fu lento e misurato, all'inizio, si attardò ad assaggiare le sue labbra come se volesse studiarle e quando volle approfondire il bacio Irene lo accolse con dolce arrendevolezza. Spostò le mani sul suo collo e sulla schiena, cercando di avvicinarla di più a sé, avido del suo calore, ubriaco del suo profumo di pesca, impaziente di imparare a conoscere il suo corpo. Si sentì d'un tratto rilassato ed eccitato insieme, provò allegria e struggimento, tenerezza e onnipotenza. Aveva atteso a lungo quel momento e capì che nome dargli: era felicità.
Avrebbe volentieri proseguito tutta la sera, ma un clacson li sorprese, separandoli all'istante.
«Che cazz...» mormorò Spartaco strizzando gli occhi in direzione dell'auto colpevole.
«Facevano i timidi quando erano con noi...!» disse Filippo parlando dal finestrino aperto.
«Scusate, mi sono accorta di aver dimenticato la trousse in bagno... - intervenne Costanza - Dai, tesoro, lasciamoli in pace! Buonanotte...»
“Almeno lei ha la decenza di fingersi mortificata” pensò Spartaco.
«Buonanotte.» rispose Irene con un risolino imbarazzato.
«Lo odio sempre più profondamente...» disse Spartaco tra i denti.
Irene rise in modo più genuino e si strinse di nuovo al ragazzo.


Presto Spartaco scoprì che Irene aveva un debole per i suoi capelli, ci giocava sempre quando si baciavano, tuffava le mani tra i suoi riccioli e gli accarezzava un punto della nuca che gli faceva venire i brividi. Scoprì anche che adorava la linea della sua mascella, la disegnava con le dita, vi strofinava il naso e la seguiva con scie di baci e morsetti. E poi amava le sue mani, lo prendeva per mano con qualsiasi pretesto, studiava la forma delle sue unghie, gli lasciava baci leggeri sulle nocche.
Niente di tutto ciò era veramente sconvolgente, per una coppia, solo che Spartaco non poteva fare a meno di stupirsi di quanto Irene fosse affettuosa. Con il resto del mondo, lui compreso fino a poco tempo prima, si mostrava fredda e distaccata e Spartaco capì che si stava fidando in maniera cieca di lui. Ne fu onorato e quasi spaventato. Come era spaventato di fare un passo falso e mandare in frantumi quell'assurda felicità che provava.
«Hai visto le partecipazioni di Giulia e Nathan?» gli chiese Irene riportandolo alla realtà.
La ragazza l'aveva costretto a stare sul divano mentre lavava i piatti, dopo che avevano mangiato insieme.
«Sì, mi hanno fatto vedere due bozze, sono ancora indecisi.» rispose distrattamente Spartaco.
«A che pensi?» chiese Irene, che quando voleva non si faceva sfuggire niente.
«A te.»
Irene sbuffò mentre si asciugava le mani.
«Davvero, pensavo a quanto sei dolce.»
Voleva dirlo in modo serio, ma aveva notato che lei era in vena di scherzare, allora continuò:
«Sei dolce e coccolosa, sotto alla tua crosta di seriosità. Perciò pensavo che dovrei chiamarti “Sofficino” d'ora in poi, oppure “Tronky”. Che te ne pare? Se non ti piacciono posso sempre usare il “Chicca”.»
Irene si allungò per afferrare un cuscino e lanciarglielo, ma se era tanto dolce e affettuosa non era altrettanto agile e Spartaco anticipò la sua mossa bloccandole le mani e facendola franare sul divano. Duellarono scherzosamente finché Irene non si ritrovò in braccio a Spartaco e, bloccatogli il capo, prese a mordicchiargli la mascella.
A Spartaco venne da ridere.
«Ecco, era a questo che pensavo: che ti piace la mia mascella.»
Irene inclinò la testa per guardarlo con aria interrogativa.
«Non è vero?» chiese allora il moro.
«Immagino di sì, ma non è certo la prima cosa che mi viene in mente se penso a cosa mi piace di te.»
«Ah no? E cosa c'è in cima alla lista? - chiese incuriosito – I miei capelli?»
Irene rise.
«Sono abbastanza in alto nella classifica, in effetti, ma non sono al primo posto.»
Cosa c'era al primo posto? Spartaco era diventato curiosissimo e cominciò a domandare insistentemente, chiedendo se fosse questa o quell'altra cosa. Erano le sue mani allora? Le spalle? Il sorriso? Cosa?
«Gli occhi?»
«Gli occhi sono al secondo posto.»
«Gli occhi?! Davvero? Perché?»
«Perché sono lo specchio dell'anima, cerdo. - disse scrollando le spalle - E perché quando c'è il sole diventano di un verde che non avevo mai visto. Mi ricordano il mare e l'erba allo stesso tempo.»
Spartaco, benché avessa confidenza con il proprio corpo, rimase colpito da quelle parole e chiese in modo più delicato cosa le piacesse di lui più degli occhi.
Irene gli sistemò i capelli mentre cercava le parole, poi disse:
«Ti ricordi quando ti ho detto di essere te stesso per far arrivare il tuo disprezzo a Filippo? Ecco, volevo dirti questo. Col senno di poi ho capito che Filippo si sforza tanto per farsi piacere alla gente, per risultare il più simpatico, l'amico di tutti... ma a volte è solo una montatura. Tu sei... sempre autentico e questo per me è in cima alla classifica.»
Spartaco riflettè su quelle parole, la strinse di più a sé e sussurrò un “Grazie” direttamente sulle sue labbra. Irene però non si lasciò baciare per molto e mentre si staccava da lui chiese, con una luce maliziosa negli occhi:
«Dunque, direi che è il tuo turno...»
Spartaco aprì la bocca per rispondere, ma il suono del campanello lo bloccò.
«Aspettavi qualcuno?» chiese Irene, scendendo dalle sue gambe per fargli raggiungere la porta.
Spartaco aprì senza indugi e una ragazza abbronzata dai capelli lunghi fece il suo ingresso spumeggiante.
«Ciao, Spartacuccio!» esclamò la bionda, gettandosi al collo di Spartaco.
«Lilla!» boccheggiò Spartaco, colto alla sprovvista.
«Cos... chi...?»
La vocina di Irene era ridotta ad un sussurro, mentre, in piedi in mezzo alla stanza, guardava con occhi sbarrati e increduli la scena.
«Non ci posso credere… sei falso esattamente come lui!» lo accusò.
«No, aspetta, Irene…» cominciò Spartaco, rendendosi conto di trovarsi in una posizione difficile.
Irene notò il suo disagio e non lo lasciò fiatare, afferrò la borsa e scappò letteralmente dall'appartamento.




3 anni prima, 16 aprile, ore 18:23
- Secondo te, Corto, quanto può andare avanti l'amicizia tra due persone che non si vedono mai?
- Intendi... come noi?
- Beh, no, intendo che si vedono raramente, non proprio mai...
- Se va avanti l'amicizia tra di noi, che non ci siamo mai visti, allora può andare avanti anche l'amicizia di chi si vede poco frequentemente.
- E quanto andrà avanti la nostra amicizia?
- Non so, io punto “verso l'infinito e oltre”, bro!




Il mio angolino:
Per chi sperava che Lilla si perdesse tra i fiordi norvegesi: non odiatemi... sapete anche voi che la “questione Lilla” non può più rimanere in sospeso!
La bella notizia? I prossimi capitoli sono quasi pronti, quindi conto di aggiornare in tempi brevi ragionevoli.
Alla prossima,
FatSalad

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Capitolo 22
*** Energia ***


Chiuse gli occhi e si chiese:
“Voglio farlo davvero?” e non è chiaro se si disse di sì o se semplicemente uscì dall'auto parcheggiata prima di aver aspettato una risposta affermativa, fatto sta che il minuto dopo Spartaco era davanti ad un citofono.
Il palazzo era dipinto di un rosa che aveva visto tempi migliori con le finestre contornate di un grigio deprimente, non si trovava in un quartiere nuovo, ma tutto sommato aveva la sua dignità, con quella concessionaria a piano terra che esponeva vetture dai colori seducenti. Spartaco diede una sbirciatina veloce e si ripromise di soffermarsi in contemplazione più tardi, con calma, perché prima doveva compiere la sua missione.
Scorse le etichette che affiancavano ogni campanello e controllò almeno tre volte che fosse quello giusto, poi suonò e attese.
«Sì?» chiese una voce baritonale e perplessa.
«Buonasera, sono Spartaco, il fidanzato di Irene.»
Si maledì mentalmente distorcendo la faccia in un centinaio di smorfie diverse per la scelta dei vocaboli. Dall'altra parte dell'apparecchio, l'uomo face un paio di respiri poi soffiò un:
«Oh.»
«Irene è in casa?» chiese Spartaco dopo un attimo di esitazione.
«No, mi spiace, al momento non c'è.»
«Ah, capisco...»
Spartaco stava per improvvisare un colpo di tosse, incerto su come concludere quello scambio di battute, quando udì il suo interlocutore baritono aggiungere con un certo impaccio:
«Dovrebbe tornare a momenti, vuoi entrare ad aspettarla?»
Spartaco valutò velocemente il da farsi. La situazione avrebbe potuto metterlo a disagio, ma era altresì un modo sicuro per intercettare Irene.
«Sì, la ringrazio.»
Udì il “bzzz” che annunciava che il portone era stato aperto e si avviò ad entrare, poi ci ripensò e tornò indietro in fretta.
«Signore, signore, mi scusi!» urlò, sperando che l'uomo non avesse abbassato il ricevitore.
Niente da fare, aveva già messo giù e gli toccò suonare di nuovo.
«Sì?»
«Scusi, sono sempre io, volevo chiederle a che piano...?»
«Oh, ma certo. Secondo piano.»
Decise che due rampe di scale l'avrebbero aiutato a scaricare la tensione e non l'avrebbero fatto arrivare col fiatone, così non degnò nemmeno di uno sguardo l'ascensore. Giunto al pianerottolo del secondo piano, elettrizzato, scrutò i tre zerbini che gli si pararono di fronte, come se avesse potuto trovarvi qualche indizio.
“Fiorellini, cagnolini o rombi? Quale sarà?”
Lesse i nomi sui campanelli perché nessuno era uscito ad accoglierlo e suonò poggiando le suole su un paio di simpatici carlini.
Un uomo dalla statura imponente, con un paio di baffi più bianchi che neri e gli occhiali sul naso gli aprì la porta.
«Buonasera.» disse e Spartaco riconobbe il baritono con cui aveva parlato poco prima.
Si presentò con un gran sorriso al padre di Irene che dichiarò di chiamarsi Giancarlo e di essere “molto lieto” di conoscerlo, benché la sua espressione fosse più sorpresa che contenta. Infine si scostò appena per far entrare Spartaco nell'appartamento.
“Adesso prepariamoci al silenzio imbarazzante...” pensò il ragazzo che aveva capito di non poter fare affidamento sulle doti oratorie di Giancarlo.
Non fece in tempo a preoccuparsi che una figura infilò il corridoio di corsa per andare a schiantarsi su di lui. Era Alice che gridò:
«Spartacooo!» e gli gettò le braccia al collo.
Lui rise, sollevato per aver trovato una presenza amica in quella casa ignota e intenerito da tanto entusiasmo.
«Ciao Alice! Tutto bene?» le chiese.
Lei annuì con la testa poggiata sul suo petto e Spartaco frenò l'impulso di strizzare troppo forte il suo corpicino paffuto. Abbassò il capo per poggiarlo sul suo mentre continuavano ad abbracciarsi dondolandosi da un piede all'altro.
«Alice, fai respirare il povero Spartaco!» esclamò allora una voce di donna.
Alice si staccò da lui borbottando e Spartaco potè conoscere la persona che aveva parlato.
«Piacere, Marinella. - si presentò la donna porgendogli la destra – Oh, ma che bel ragazzo che sei! Non ti aspettavamo, non ho niente da offrirti... accomodati sul divano, ti porto qualcosa.»
Spartaco ringraziò, assicurando che non voleva niente, ma Marinella sparì verso la cucina per riemergerne poco dopo con un vassoio pieno di biscotti, tre varietà di patatine, aranciata e thé freddo. Nel frattempo Giancarlo si era seduto sulla poltrona borbottando qualcosa come “Tutti sapevano tranne me...” e Alice aveva trascinato Spartaco sul divano. Lo tempestava di domande riguardo a Niccolò, informandosi su quando sarebbe andato alle Paralimpiadi. Spartaco cercò di spiegarle in modo meno traumatico possibile che quello era un traguardo molto ambizioso, ma che Niccolò si impegnava al massimo e migliorava giorno per giorno.
Rivide Irene nell'espressione seria di Giancarlo, ma, non potè fare a meno di notare, era la gentilezza della madre quella che nascondeva alla vista dei più.
Marinella faceva di tutto per metterlo a proprio agio, non poneva domande dirette da interrogatorio e lo costrinse a mangiucchiare qualcosa, cosa che evitò a Spartaco l'impaccio di non sapere dove poggiare le mani.
Ad un tratto un rumore fece voltare tutti e quattro verso la porta e non appena Irene fece il suo ingresso fu investita da un coro di saluti.
Spartaco si alzò in piedi e cercò di scorgere nel suo sguardo un indizio del suo umore, per capire quanto fosse disposta ad ascoltarlo.
«Guarda chi è venuto a trovarti, tesoro!» esclamò Marinella.
Irene spostò lo sguardo interrogativo sulla stanza e rimase come di pietra quando vide Spartaco che alzava una mano in un semplice saluto. Nessuno lo notò oltre a lui, perché Irene fu abbastanza abile a mascherare subito l'espressione in un innocente stupore.
«Oh... che sorpresa...»
Marinella si lanciò in una serie di frasi di circorstanza quali “perché non ci hai detto niente” e simili, ma Irene riuscì a districarsi in fretta da quella selva di domande dicendo:
«Scusate, noi dobbiamo andare.»
Rivolse un'espressione eloquente a Spartaco che la seguì prontamente ringraziando lungamente per la calorosa accoglienza. Irene sbuffò spazientita, prese il collega sotto braccio e lo scortò alla porta. Spartaco cercò di salutare la famiglia di Irene il più cortesemente possibile mentre l'incedere della ragazza lo costringeva ad una torsione tutt'altro che elegante.
Lo trascinò giù per le scale senza una parola e si voltò verso di lui solo una volta fuori dal palazzo.
«Allora? Che storia è questa?» proruppe, il volto livido.
«Volevo vederti.» spiegò Spartaco cautamente.
«Io no.»
«Con la mia proverbiale arguzia l'avevo capito. Per questo ho fatto in modo che fossi costretta a incontrarmi.»
«Bene. Adesso ci siamo incontrati. Riesci a leggere la mia faccia, con la tua proverbiale arguzia?» chiese sarcastica, fissandolo in volto con espressione truce.
«Immagino tu mi stia mandando a quel paese e...»
«Esatto. Vacci e non farti più vedere.»
Fece dietro front, ma Spartaco fu più svelto nell'afferrarla per un braccio.
«No, aspetta, Ire. Fammi prima parlare.»
«Non voglio ascoltarti! Cosa vorresti dirmi? Che ti dispiace? Che è stato divertente? O magari che “non è come sembra”?»
«Io non so cosa ti è sembrato, l'altro giorno, ma credo che tu abbia frainteso la situazione e sei scappata prima che io potessi dire alcunché.»
Irene sbuffò.
«E anche se tu non avessi frainteso credo di avere il diritto di spiegarti.»
Irene sbuffò di nuovo, ma aveva capito che non poteva sfuggire a quel confronto, perciò incrociò le braccia al petto e attese, senza però guardarlo in volto.
D'altro canto Spartaco, che sperava in un incontro tranquillo davanti ad una bevuta, capì che era meglio accontantarsi di quella piccola concessione.
«Quella che hai visto l'altro giorno – iniziò – è Lilla, una mia ex, nonché migliore amica di mia sorella. Siamo stati insieme per qualche tempo quando ho iniziato l'università e la nostra non è mai stata una storia semplice, avevamo continue discussioni, continui diverbi...»
«Risparmiami i dettagli, grazie.» tagliò corto lei.
«Insomma, quest'estate ci eravamo riavvicinati e io le avevo proposto di ricominciare, in modo più serio, stavolta. Lilla però si era presa del tempo per decidere e fondamentalmente era sparita.»
«E adesso è riapparsa, capisco.»
«No che non capisci! - sbottò Spartaco, infastidito. - Se tu mi lasciassi finire...» si passò una mano tra i capelli e Irene capì che si era resa sufficientemente molesta.
«Scusa, sono nervosa. Non ti interrompo più.» mormorò.
Spartaco prese un respiro profondo e riprese:
«L'altro giorno Lilla non è venuta per dichiararmi il suo amore, al contrario, voleva gentilmente informarmi che ha trovato l'uomo della sua vita e non sono io.»
Irene alzò lo sguardo di scatto.
«Cosa?!» accortasi che l'aveva interrotto di nuovo si portò una mano sulle labbra chiedendo scusa in un sussurro.
«Proprio così, la mia ex è venuta a confessarmi che già da prima che le chiedessi di rimettersi con me aveva un altro spasimante, voleva chiedermi scusa e mettere in chiaro che tra noi non ci sarà mai più niente perché ha capito che la sua anima gemella è altrove. Fine della storia... in tutti i sensi.»
«Non è stata molto carina a non informarti prima dell'esistenza di un secondo ammiratore.»
«Già, credo che sia per questo che ci ha messo tanto ad affrontarmi, perché si sentiva in colpa. Credo che avesse capito da tempo di amare questo tipo, ma cercava di negarlo perché lui è molto più vecchio di lei e non è bello come si aspettano certe sue amichette
Irene, tutt'altro che sollevata, continuava a fissare il suolo, spostando il peso da un piede all'altro.
«Beh? Avevi frainteso o no?» chiese Spartaco con voce sorridente.
Irene non rispose e Spartaco si preoccupò.
«Ire...?»
La ragazza alzò finalmente gli occhi ed erano scuri, carichi di qualcosa di insostenibile come il dolore.
«Spartaco, ti prego di dirmi la verità: se quella ragazza ieri fosse venuta a dirti che tra i due eri tu l'uomo che aveva scelto, cosa avresti fatto?»
Spartaco tacque e per un minuto che parve eterno ripensò a ciò che era successo il giorno prima.


Irene se n'era appena andata senza lasciargli il tempo di dire alcunché.
«Aspetta, lei è...?» aveva chiesto Lilla, spostando lo sguardo sbigottito da lui al corridoio in cui stava sparendo Irene.
«La mia... ragazza, almeno fino a pochi secondi fa.» aveva spiegato Spartaco, passandosi nervosamente una mano tra i capelli.
«Oh. Credo che abbia frainteso cosa c'è tra noi. La lasci andare così?»
«Nutro abbastanza stima nei suoi confronti per sperare che voglia chiarire in maniera civile, una volta che avrà sbollito. Intanto tu sei qui... entra, dobbiamo parlare.»
«Beh, sì, cioè... mi dispiace. Se avessi saputo ti avrei dato un colpo di telefono.»
«In effetti per le prossime volte potrebbe essere un'idea. - le aveva detto mentre le mostrava una sedia perché sedesse e le offriva un bicchier d'acqua - Lilla, mi dispiace, ma come hai visto...»
«No, Spartaco, non dire niente. Sono io a doverti delle scuse. Prima di tutto per essere sparita, poi per non averti contattato prima e ancor di più perché... non sono stata completamente sincera con te.»
Spartaco, seduto di fronte a lei, aveva aggrottato la fronte, ma non aveva detto niente e l'aveva lasciata continuare. Lilla aveva sospirato, aveva bevuto un sorso d'acqua e ripreso a parlare guardandolo dritto negli occhi.
«La verità è che... il motivo per cui sono stata lontana da casa per un mese non è solo che volevo riposarmi dallo studio e capire se ti amavo ancora, ma volevo capire se amavo te o un altro.»
«In che senso?» aveva chiesto stupidamente Spartaco.
«Quest'estate, quando ci siamo incontrati in piscina... beh, ero già confusa. C'era quest'uomo che, come dire? Che mi corteggiava da qualche mese e io non ero sicura di cosa provassi per lui, poi sei tornato tu e per una sera ho pensato che sei sempre stato tu il mio destino, ma... ma qualcosa non andava. Era come se mi sentissi in colpa, capisci? Da lì ho cominciato a pensare che forse, in fondo, avevo cominciato ad affezionarmi a Gregorio più di quanto immaginassi.»
Lilla aveva tenuto lo sguardo basso, aveva bevuto un'altra sorsata prima di azzardarsi a guardare Spartaco negli occhi.
«Il problema era che lui è un po' più grande di me, di noi, non si accontenta più di una storia che non sia seria e io avevo un po' paura.»
«Ma voi... stavate insieme quando noi...?»
«No! - aveva squittito Lilla, indignata – Per chi mi hai preso?!»
«Scusa, scusa, era solo per capire. E adesso?»
«Adesso sì. So che quando lo vedrai penserai che sono impazzita, perché è più vecchio di me, ha già trentadue anni e non è bello e palestrato come te... alcune delle mie amiche dell'università si sono un po' scandalizzate per questo, ma lui mi vuole bene. E anche io gliene voglio. Una volta tornata dalla Norvegia sono andata dritta dritta da lui e gli ho detto cosa provavo ed è per questo che sono venuta qui oggi, per dirti che sono felice con Gregorio. Avevo paura di affrontarti, perciò ho impiegato tanto tempo.»
Spartaco aveva studiato gli occhi della ragazza, poi aveva sorriso.
«Sono felice per te, Lilla. Felice e sollevato, a dirla tutta, perché, come hai visto, non sarei stato più disponibile nel caso tu fossi venuta a reclamarmi.»
Anche Lilla aveva sorriso, rilassata.
«E come si chiama la tua ragazza?»
«Irene.»
«State insieme da molto?»
«No, da pochissimo. Ma ci conosciamo da tanto. - si era affrettato ad aggiungere – Sinceramente non ricordo più come fosse stare senza di lei.» confessò, divertito da quel pensiero.
«Capisco, credi che se la prenderà se ti do un abbraccio prima di andarmene?»
«Non so, ma non potrei mandarti via senza un abbraccio. In fin dei conti siamo sempre amici.»
«E io spero che lo saremo sempre, Spartaco.» aveva ammesso Lilla, stringendo il ragazzo tra le braccia.


“Non pensavo più a lei.Ti giuro che le avrei detto che era troppo tardi ormai. Non avrei mai potuto rimettermi con lei!”
Spartaco provò tutte le risposte possibili nella sua testa e le scartò. Scelse la più scomoda, ma la più sincera, gliela doveva.
«Irene, ti prego di capire una cosa: Lilla avrà sempre un posto speciale nel mio cuore. L'affetto che provo per lei... io non so nemmeno come spiegarlo. Tra tutte le ex che potrei desiderare di cancellare, di ignorare quando le incontro per strada... ecco, lei non ci sarà mai.»
Irene deglutì lentamente e i suoi occhi si fecero impercettibilmente più lucidi.
Spartaco le si avvicinò lentamente di un passo.
«Però non l'ho mai amata come amo te.» snocciolò, a voce bassa.
Irene rimase impassibile.
«Mi credi?» chiese il moro, con la voce supplichevole simile ad una carezza.
Irene strinse le labbra, poi guardandolo da sopra gli occhiali, scosse la testa.
Spartaco sentì come un senso di vertigine mentre la guardava voltarsi di scatto e correre verso casa. “Oh.” pensò e non riuscì ad elaborare altro.
Si avviò come un automa verso l'auto e mentre le gambe si muovevano da sole la sua mente rimaneva vuota come quel marciapiede deserto. Non gli credeva.
Come poteva biasimarla? Di lui aveva visto tutto il peggio, l'aveva visto in difficoltà, aveva assistito ad uno dei suoi litigi più velenosi con un amico, aveva subito i suoi attacchi irrazionali e la sua scortesia, aveva conosciuto il suo malumore e aveva visto una quantità non indifferente di sue ex ragazze e probabilmente si era convinta che fossero innumerevoli. Non erano poche, questo era vero, ma... Ma. C'era stato un tempo in cui usciva con le ragazze solo per una simpatia o una fugace infatuazione, si era divertito, era stato piacevole, ma adesso non gli sarebbe più stato possibile. Adesso sapeva che non si sarebbe accontentato di qualcosa di meno di ciò che era stato con Irene: una conoscenza profonda, un avvicinamento secondo tempi non affrettati, un affetto e una stima che andavano oltre il semplice giudizio estetico. Forse avrebbe dovuto dirlo a Irene, ma non vedeva perché lei dovesse credergli, a quel punto.
Il suo corpo doveva essersi reso conto di aver raggiunto l'auto, perché si era fermato, mentre la sua mente vagava randagia da una suggestione all'altra, senza riuscire a prendere una decisone.
Di colpo, sentì un peso colpirlo alla schiena e si riscosse.
Irene lo aveva raggiunto senza fare rumore e aveva allacciato le braccia intorno al suo torace. Spartaco sussultò, la ragazza lo abbracciava forte, la testa poggiata tra le sue scapole. Per un attimo Spartaco chiuse gli occhi, poi, per paura che si staccasse da lui, le accarezzò le mani strette sotto allo sterno, si voltò e le restituì l'abbraccio, impedendole di andarsene.
«Mi credi?» chiese di nuovo, con voce sommessa, senza il coraggio di ripetere altro.
«Ho paura.» mormorò Irene contro il suo petto.
“Anch'io.” pensò di dirle “Paura di sbagliare, di rovinare tutto, paura che un giorno possa finire tutto, che io possa non essere all'altezza...”
Rimasero così, sospesi, immobili, pieni di parole che non trovavano il modo o il coraggio di uscire, in bilico sull’orlo del burrone e nessuno dei due aveva il coraggio di gettarsi, perché nessuno vorrebbe atterrare da solo, nessuno vorrebbe schiantarsi a terra. Lei aveva paura di fidarsi di nuovo, lui temeva l’ennesimo fallimento.
«Irene, ti ricordi cosa mi hai chiesto ieri? - sussurrò infine Spartaco, con voce incrinata – Non risponderò adesso, non ti dirò cosa mi piace di più di te, ma ciò che odio di più: che ho bisogno di te.»
La cosa che più lo disturbava, comprese in quel momento, era che non aveva mai sentito il bisogno di un'altra persona. Era lui quello che scorgeva i bisogni, le debolezze degli altri e correva in soccorso, forte e coraggioso e forse in quel modo era riuscito a sentirsi davvero invincibile, a volte. Bastava che lo pensassero gli altri per convincersi, per avere l'assicurazione di non essere il perdente senza speranze che a volte, nonostante tutto, si riteneva.
Gli costò molta fatica quella frase, si sentiva un debole ad ammettere che Irene era diventata per lui una necessità, sarebbe stato degradante confessare: “Sono un uomo piccino, inutile, salvami perché senza di te ho paura del mio buio.” Irene però, lo precedette, non gli diede il tempo di esprimersi in quel modo, perché gliel'aveva già letto dentro.
«Non devi essere perfetto, solo sincero.» gli disse cercando il suo volto e questo valse più di qualsiasi altra parola d'amore che avrebbe potuto dirgli.
Spartaco capì che non doveva salvare più nessuno, che non doveva fingersi forte quando non lo era, che a Irene poteva mostrare tutte le ferite di guerra che aveva tenuto nascoste a lungo, da tutti.
«Allora mi credi?» chiese per l'ennesima volta, tenendole il volto tra le mani, speranzoso.
Irene annuì e chiese scusa con una vocina sottilissima e gli occhi colmi di lacrime che stentavano a non cadere.
«Anche io ti amo ed è una cosa così nuova per me... così grande che a volte mi sento... come soffocare. Non so mai come comportarmi e mi sento così inadatta...» gli disse con voce tremante.
«Non devi fare niente di speciale. Promettimi solo una cosa: non scappare più. Se anche avremo dei problemi o delle difficoltà di qualsiasi tipo, ti prego, non fuggire via e parlane con me. Mh?»
Irene abbassò le palpebre e una lacrima sfuggi al suo controllo, inghiottì a vuoto ed annuì.
Spartaco le lasciò il volto per stringerla e le posò un bacio tra i capelli, inspirando il suo profumo.
Abbassò la testa per lasciarle un bacio sulla tempia, poi posò le labbra sulla sua guancia umida di lacrime. Irene lo trasse a sé e lo baciò con una passione sconvolgente, cercando di abbattere tutte le paure e le resistenze di entrambi e Spartaco si lasciò semplicemente amare.
Si staccarono dopo un tempo che pareva infinito, Spartaco vide le labbra arrossate e gonfie di Irene e in quell'istante l'imbarazzo le tinse le guance. Sapeva quanto era riservata e doveva essere piuttosto scioccante per lei rendersi conto che si era lascianta andare in quel modo in mezzo a un marciapede.
«Andiamo a fare due passi.» propose il ragazzo, che non aveva esaurito la voglia di stare con lei, di confidarle tutta la sua anima.
Irene annuì asciugandosi gli ultimi residui di lacrime dal volto e lo prese teneramente per mano.
«Dove mi porti?» chiese.
«Non lo so, ma i tuoi penseranno che avevamo un appuntamento, quindi...»
S'interruppe con un gemito e Irene lo guardò preoccupata.
«Che c'è? Che è successo?»
Spartaco scosse la testa, poi si portò una mano a massaggiarsi il volto.
«Mi sono appena ricordato che mi sono presentato a tuo padre come il tuo fidanzato.»
Irene sbiancò.
«Cosa?! Fidan... o Gesù!»
Ammutolì, poi fu colpita dal lato comico della faccenda e si mise a ridere.
«Abbi pietà di me, ero nervoso!» esclamò, un po' imbarazzato e un po' divertito.
Irene calmò le risate, ma con l'allegria ancora negli occhi lo guardò intensamente.
«Sì, scusa, amore.» gli disse prima di attirarlo a sé per baciarlo di nuovo.




Ore 23:45
- Dai, vai a dormire, adesso!
- Ok... ci vediamo domani?
- Certo... anche perché lavoriamo ancora nello stesso edificio.
- Simpaticone...
- Dai, scherzo, certo che ci vediamo, ti vengo a rapire al terzo piano per il pranzo se non riusciamo a incrociarci prima.
- Questa risposta mi piace di più. Buonanotte!
- Notte. Ti amo.
- Ti amo.




Il mio angolino:
Non posso crederci neanche io, ma preparatevi al finale.
A presto, per l'ultimo capitolo!
FatSalad

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Capitolo 23
*** Epilogo - Elettricità ***


Se gli avessero chiesto quale fosse il suo colore preferito, in quel momento Spartaco avrebbe risposto senza esitazione “petrolio”, benché avesse scoperto solo da pochi minuti che esisteva un colore del genere e che, sorprendentemente, non era un modo per intendere il nero.
Petrolio era il colore del vestito che stava indossando Irene e lui non riusciva a distogliere lo sguardo da quella stoffa che ornava in modo perfetto il suo corpo, stringendosi nei punti giusti e contrastando deliziosamente con la carnagione chiara della ragazza.
«Mi stai ascoltando?» domandò Irene, facendogli abbandonare le sue riflessioni sartoriali e cromatiche.
«Mh?»
Irene fece una smorfia, comprensiva, senza immaginare che la fonte di distrazione era lei stessa.
«Stavo dicendo che mi sono commossa quando ho sentito che a Nathan tremava la voce.»
Spartaco le sorrise e la prese per mano, avvicinandola a sé con la scusa di aiutarla a non cadere sui ciottoli.
Stavano camminando sul selciato che portava al ristorante in cui si sarebbe tenuto il ricevimento del matrimonio di Giulia e Nathan e Spartaco voleva avere Irene tutta per sé.
Durante la cerimonia era stato costretto a vederla solo da lontano, dal momento che lei si era rifiutata di accomodarsi in mezzo ai testimoni, confessando che si sarebbe sentita un'intrusa, ma avevano tutta la serata per rimediare.
Nel giardino antistante la sala del ricevimento era stato allestito un tavolo per l'aperitivo e Spartaco vi si diresse insieme a Irene, raggiante.
Anche lui si era commosso quando sua sorella, (la sua Giulietta!), aveva scambiato le promesse matrimoniali con Nathan, (il suo amico Scheggia!), ma era stato ben attento a non far scendere nessuna lacrima dagli occhi lucidi... beh, diciamo che ne era scivolata una... forse un paio...
Insomma, era troppo felice di vedere che la coppia trovava finalmente un po' di pace. Dopo quella prova di coraggio Nathan aveva avuto in carico un progetto iportante a lavoro, ed era sembrato a tutti un augurio di prospettive più rosee per il futuro.
«Spartaco! Auguri, amico! - gli disse un ragazzo venendogli incontro – Ho saputo che hai cambiato lavoro...»
«Eh, già...» rispose Spartaco con un'alzata di spalle, lanciando uno sguardo sbieco ad Irene.
Molti si erano scandalizzati quando aveva deciso di lasciare un posto sicuro e ben pagato per un progetto molto più incerto, Irene per prima.
«Ed ecco il mio socio in affari!» disse, tanto per tenere allegro il morale, tirando verso di sé Giovanni senza gentilezza.
Il ragazzo salutò l'amico comune.
«E di cosa vi occupate, esattamente?»
«Siamo rappresentanti di sussidi per disabili, tipo protesi o carrozzelle per intenderci, in particolare per le attività sportive.» snocciolò, ripetendo una frase ormai imparata a memoria.
«Oh.» fece il ragazzo, senza sapere che altro commentare.
«E alleniamo una squadra di calcio amputati. Siamo partiti da poco, ma siamo piuttosto ambiziosi, non è vero?» aggiunse Giovanni, guardando l'amico con malcelata soddisfazione.
Spartaco lo imitò e si sentì il petto esplodere di orgoglio e di una felicità non mediata.
Non era stato facile prendere quella decisione, ma adesso poteva dire con sicurezza di non avere rimpianti. Faceva un lavoro che gli permetteva di viaggiare, di stare a contatto con il pubblico, un lavoro che era sempre nuovo, non lo annoiava mai e per di più lo faceva insieme al suo migliore amico. Non l'aveva costretto, avevano maturato insieme quell'idea pian piano che si impegnavano nel centro TeneraMente in cui avevano conosciuto alcuni amici di Alice che amavano lo sport.
Giovanni aveva abbandonato l'università e inizialmente Spartaco l'aveva rimproverato, perché “senza un titolo al giorno d'oggi...” e bla bla bla, ma per come lo vedeva sereno adesso poteva affermare che il suo amico aveva fatto la scelta giusta. Forse il suo giudizio era parziale, ma credeva che fosse bravissimo nel suo attuale lavoro.
«Se vuoi far parte della squadra c'è sempre qualche posto tra le riserve.» stava dicendo in quel momento al malcapitato.
«Eh? Ma non bisogna essere... insomma, amputati?» chiese quello, sbiancando di colpo.
Giovanni fece un sorriso eloquente e Spartaco scoppiò a ridere, allora anche il ragazzo iniziò a ridacchiare, ma era sempre a disagio.
«Ah, voi due... voi due... siete sempre i soliti cazzoni!» disse, cercando di darsi un contegno e con una scusa banale si defilò in fretta.
«Ai nostri giocatori mancherà qualche arto, ma a lui mancano decisamente le palle!» esclamò Giovanni, guardando il tipo che si allontanava.
«Siete tremendi!» li rimpoverò Irene, che fino a quel momento si era tenuta in disparte.
«Irene! Ti ho già detto che sei stupenda oggi?» chiese Giovanni, nel tentativo di addolcirla.
Spartaco però intervenne, parandosi con decisione tra i due.
«L'hai già detto, sì e l'hai già guardata abbastanza. Ora gira al largo e punta qualcuna che non sia occupata!» disse con voce dura, ma scherzosa.
Il suo amico stava per ribattere ancora, ma una ragazza gli si gettò addosso gridando:
«Giovaaaa!»
«Ecco la nostra mascotte!» disse lui rispondendo all'assalto di Alice.
Spartaco li guardò mentre si allontanavano e sorrise. Non aveva mai dubitato che sua sorella avrebbe legato moltissimo con Alice, avevano entrambe una dolcezza sopra la norma, senza contare che Giulia, maestra elementare, sapeva trattare molto bene con il suo lato più infantile. Su Giovanni invece aveva nutrito qualche dubbio all'inizio, ma il primo commento di Alice quando l'aveva conosciuto era stato: “è uguale a Sam Claflin!”, che, a quanto pareva, era il suo nuovo attore preferito. Giovanni era stato conquistato dalle attenzioni e dagli abbracci della ragazza e Spartaco, non senza un po' di delusione, aveva dovuto constatare che non era più il suo preferito.
«Dove saremo a sedere?» chiese Irene, interrompendo il filo dei suoi ricordi.
Spartaco la guidò al tableau mariage per essere certo di non sbagliare a riferire, nel mentre si fermava a salutare tutti gli invitati, facendo il suo dovere di fratello della sposa e testimone e coglieva l'occasione per presentare a tutti Irene. Cercava di guardarla fino a riempirsene gli occhi e di tanto in tanto si lasciava sfuggire una piccola carezza, il più discretamente possibile.
Quella era la parte peggiore del suo licenziamento: non poter più vedere tanto spesso Irene. Passare dal vedersi tutti i giorni allo stare lontani a volte per più di una settimana intera non era stato semplice. Spartaco aveva dovuto fare i conti con la nostalgia e la paura della lontananza ed ogni volta che partiva per viaggi lunghi era come tornare a fare la scelta per la prima volta, ma pian piano i due avevano imparato a fidarsi di più e a gustare ogni istante che potevano passate insieme.
Mentre aspettavano che Giulia e Nathan finissero di scattare qualche foto, si apprestarono a prendere anche loro un aperitivo. Spartaco spiegava a Irene il grado di parentela che aveva con l'uno e con l'altro invitato, finché una voce femminile molto squillante non interruppe quella lezione di genealogia.
«Ciao tesoro, sei sempre più belloccio! Oggi poi con quel completo... quando sei andato a firmare insieme agli altri testimoni mi è presa una vampata! Scusa, vi lascio, vado a vedere nel tableau se tua sorella mi ha messo al tavolo con quel signore con la barba e il papillon di Gucci...»
Poi, così come era arrivata, li lasciò con un fruscio di stoffe.
«Tua... zia?» provò ad indovinare Irene, seguendo con lo sguardo la donna con l'abito di un improbabile rosa confetto pieno di lustrini.
«Oh, no. È Alessia, abita nel nostro palazzo. Non so come ma mia sorella ha legato molto con lei.» disse Spartaco, divertito dalle parole della ex-vicina di casa.
«Sembra una donna molto...»
«Appariscente?» disse Spartaco andandole in aiuto.
Irene annuì e Spartaco ridacchiò.
«Ti assicuro che da quando ha divorziato è molto migliorata.»
Irene strabuzzò gli occhi e scosse piano la testa.
«No, non voglio immaginare.»
Ad un certo punto la vide stringere le dita sul bicchiere e seguendo la direzione del suo sguardo capì che aveva visto Lilla.
Sbuffò, divertito dal fatto che ancora diventasse gelosa ogni volta che la vedeva o la sentiva nominare, benché non volesse mai ammetterlo.
La ragazza li vide e venne loro incontro insieme a Gregorio per scambiare due chiacchiere. Ormai i due facevano coppia fissa e, anzi, avevano iniziato a convivere da un paio di mesi. Spartaco era sollevato nel vederli così bene insieme. Gregorio gli aveva fatto un'ottima impressione quando l'aveva conosciuto, benché fosse un tipo serio, preciso, discreto, molto diverso da lui e mostrava tutta la sua maturità nei capelli già brizzolati.
Finalmente Irene si rilassò, mentre Lilla si allontavava da loro, ma fu un breve istante.
«Ciao Spartaco, auguri!» disse una ragazza dandogli due bacetti, prima di presentarsi a Irene.
«Piacere, Selene.» disse con uno sfarfallio di ciglia e un sorriso ammaliante.
Irene strinse i denti in un sorriso tirato e si presentò a sua volta.
«La mia ragazza.» spiegò Spartaco, gonfiando il petto come un bambino che mostra la sua bicicletta agli amichetti.
Selene non si trattenne oltre e si allontanò per andare a salutare altri conoscenti.
«Un'altra malvagia ex?» chiese Irene, cercando di celare una punta di gelosia mentre seguiva con gli occhi l'incedere elegante della bionda dalla bellezza fuori dal comune.
«No, ti ho già detto che l'unica amica di mia sorella con cui sono stato è Lilla, perché sei così sospettosa? Lei è la ex di Nathan.»
Irene fece tanto d'occhi e cercò di reprimere una risatina, ma il lato comico della faccenda non le permise di rimanere del tutto seria. Poi, tra tutti i commenti che poteva fare, scelse il più stupido.
«Ma... è più alta di Nathan!»
«A lei non importava. - disse Spartaco scrollando le spalle - E ti proibisco di fantasticare sulle doti nascoste di mio cognato!»
«Certo, Corto, non ti arrabbiare...» disse lei con voce maliziosa, cogliendo il sottinteso.
In tutta risposta Spartaco le sussurrò all'orecchio un rimprovero che la fece arrossire, poi, soddisfatto, proseguì con nonchalace il “tour” degli invitati.
«Quello con le bretelle era il portiere della squadra. Quello accanto credo sia un cugino di Nathan. La ragazza che sta venendo verso di noi invece è...»
«Marta! Ciao!» esclamò Irene, sorpresa.
«Ciao Irene! Che sorpresa vederti qui! Quanto tempo... come stai? Ciao Spartaco! Aspetta, ma voi... non ci posso credere! Sei tu la famosa nuova ragazza di Spartaco?!» cinguettò Marta, una cara amica di Giulia.
«Voi due vi conoscete?» chiese Spartaco spostando due occhi sgranati dall'una all'altra.
«Marta era vicina di casa di mia nonna, così da piccole a volte abbiamo giocato insieme nel giardinetto.»
«Già. E come sta Alice?»
«Bene, grazie, è qua da qualche parte. Temo che resterà tutta la sera attaccata a Giulia, continuava a ripetere che sembrava una principessa!» scherzò Irene.
«Come darle torto?! Oh, ma è veramente incredibile! Sei la ragazza più chiacchierata del quartiere negli ultimi mesi ed io ti conosco! Sono emozionata, anzi, elettrizzata!» escalmò, senza riuscire a trattenere un gridolino.
«E come mai sono diventata così popolare, d'un tratto?» chiese Irene, sinceramente stupita.
«Come perché?! È la relazione più lunga che Spartaco abbia avuto dai tempi di... ehm...» s'interruppe di colpo, lanciando uno sguardo imbarazzato a Spartaco.
«Sa di Lilla.» la rassicurò lui, intuendo il motivo del suo disagio.
«Oh. Beh... se proprio vogliamo dirla tutta sei la ragazza con cui Spartaco abbia avuto la relazione più lunga consecutivamente
Irene, per la prima volta, riuscì a ridere di gusto per un'affermazione che riguardava Lilla e Spartaco fu lieto di notare che finalmente si era rilassata, quando Marta si allontanò da loro.
«Che tesoro che è Marta...» commentò la ragazza con dolcezza.
«Sì, è una ragazza buffa, ma adorabile. Sai che è lei che per prima mi parlò di quel gioco...»
«Non dirmelo! - lo interruppe Irene - Ti ha fatto conoscere lei il gioco di ruolo? Anche a me!»
«Wow, quindi in un certo senso è stata Marta a farci incontrare? Non dirglielo, ti prego, a giudicare dalle sue precedenti reazioni potrebbe rimetterci le penne dall'euforia!»
«Accidenti, adesso mi sentirò in debito con lei.» rimuginò Irene dopo una risatina.
«Puoi sempre farle conoscere qualche tuo amico, è single se non sbaglio.» disse Spartaco con una scrollata di spalle.
«Mmm... ma lei è così dolce e carina... le servirebbe un bravo ragazzo, in gamba, divertente... non so, uno tipo Giovanni.»
«Ah! Che coppia sarebbero, te li immagini? Poi lui con la sua fisse per le tette...»
La frase gli morì sulle labbra. Di colpo si fece serio e i due si guardarono per un lungo attimo.
«Credi che qualcuno se ne accorgerà se facciamo un salto a scambiare due segnaposti?»
«Presto, prima che finisca il prosecco!»

 

FINE



Il mio angolino:
A tutte le persone che mi hanno seguito fin qui: grazie!
Grazie specialmente a chi ha trovato il tempo di lasciarmi un commento, il piacere più grande per chi scrive (e spero sia un piacere anche per voi che avete recensito!).
Dopo quasi un anno è una soddisfazione non da poco riuscire a terminare Falso Contatto, con tutta la fatica che ha comportato in certi momenti, ad esempio la scelta dei titoli dei capitoli (ma chi me l'ha fatto fare di cercare titoli che avessero sempre a che fare con la luce, chi??), oppure la crisi che ho avuto a metà percorso, quando mi sono accorta che il finale che avevo pensato inizialmente non era affatto di Spartaco e mi ha costretto a ripensarmi. Insomma, piano piano tutto si è risolto, lasciandomi piuttosto soddisfatta del lavoro.
La serie al momento si chiude qua e come potete immaginare ci ho lasciato un pezzetto di cuore. Anche se ho altre storie in testa (e nel pc...) credo che per un po' mi gusterò il sapore della soddisfazione, contemplando il frutto delle mie fatiche... ma non smettete di seguirmi, potrei spuntare con un nuovo progetto da un momento all'altro!
Grazie e Buona Pasqua,
FatSalad

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