Giungla d'asfalto

di Sakii
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** TRANSIZIONE ***
Capitolo 2: *** Prologo ***
Capitolo 3: *** Chapter 1 ***
Capitolo 4: *** Chapter 2 ***
Capitolo 5: *** Chapter 3 ***
Capitolo 6: *** Chapter 4 ***
Capitolo 7: *** Chapter 5 ***
Capitolo 8: *** Chapter 6 ***
Capitolo 9: *** Chapter 7 ***
Capitolo 10: *** Chapter 8 ***
Capitolo 11: *** Chapter 9 ***
Capitolo 12: *** Chapter 10 ***
Capitolo 13: *** Chapter 11 ***
Capitolo 14: *** Chapter 12 ***
Capitolo 15: *** Chapter 13 ***
Capitolo 16: *** Chapter 14 ***



Capitolo 1
*** TRANSIZIONE ***


TRANSIZIONE

Ciao!
Ebbene sì, ho riletto questa storia e mi è tornata la voglia di continuarla.
Ho notato ovviamente a distanza di due anni (wow!) che ci sono delle incongruenze e alcuni passi da rivedere ma ormai la terrò così.
Non ricordo la piega che volessi farle prendere ma, mentre andavo avanti nella rilettura, mi sono tornate in mente un po' di "ideuzze".
Non posso promettervi che aggiornerò con costanza poiché al momento lavoro a tempo pieno ma ci proverò (sempre se qualcuno la riprenderà con me ahahaha)
Chissà cosa ne verrà fuori, spero vi coinvolga come ha fatto con me.
A presto,
vostra Sakii <3

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Capitolo 2
*** Prologo ***


Le sue mani scorrono lente sul mio corpo, partono dalle cosce e arrivano fino al mio piccolo seno… il suo fiato è caldo sul mio collo… la sua voce roca risuona nella mia testa… non mi rendo conto di quello che sta succedendo, i miei pensieri sono annebbiati, mi sento confusa… non voglio guardare, non voglio sentire… mi costringe ad aprire gli occhi…
 
Apro gli occhi di scatto, mi guardo intorno e riconosco la misera topaia in cui mi trovo. Sono sudata e assetata. Mi alzo lentamente a sedere, sblocco lo schermo del telefono: sono le 5:00 del mattino. Sbuffo contrariata e decido di alzarmi a bere un bicchiere d’acqua. Rimango in piedi, davanti la finestra e ammiro lo spettacolo davanti a me… palazzi. Solo infiniti e immensi muri ammuffiti di palazzi in uno schifo di quartiere della Grande Mela. Cammino avanti e indietro nel cubo di stanza in cui vivo, ripensando alla giornata che dovrò affrontare. Afferro un pantalone e una camicia dalla sottospecie di armadio di mia proprietà, posizionandomi davanti a quel che è rimasto di un vecchio specchio andato in frantumi. Dalla finestra inizia a filtrare qualche raggio di luce, permettendomi di intravedere le piccole cicatrici sulla mia pancia. Le sfioro attentamente, quasi a voler ricordare…
 
…solo un dolore intenso, come se mi venisse strappata via la vita.
 
Scuoto la testa, spogliandomi e indossando velocemente i miei pochi averi. Disegno una sottile linea di eyeliner, poi mi sposto nel ripostiglio che per me è diventato un bagno. Lavo i denti, spazzolo la mia lunga chioma castana e, recuperando velocemente chiavi e telefono, esco di casa. Mi muovo sicura tra le vie della mia “città”, ignorando gli sguardi perversi e i fischi da parte dei senzatetto.
“Dopo qualche anno ci si fa l’abitudine, non sono così tanto diversa da loro”, mi ritrovo a pensare.
Giro l’angolo e, persa nei miei pensieri, inciampo su una bottiglia di birra ma ritrovo subito l’equilibrio.
 
“Hey dolcezza, stai più attenta” sento biascicare qualche coglione dietro di me.
 
Senza prestargli attenzione procedo velocemente nella mia direzione, mi infilo in un vicolo buio e colmo di graffiti, raggiungendo il mio obiettivo. Il mercatino dell’usato del venerdì non era la mia massima aspirazione ma a volte poteva offrire pezzi rari considerati inutili dalle persone qualunque. Ci si poteva facilmente buttare nella mischia e recuperare oggetti interessanti senza dare nell’occhio, bastava saper osservare e cogliere l’attimo. Mi fingo interessata ad una bancarella di una vecchia signora, con la coda dell’occhio noto un orologio che conosco fin troppo bene. Sono giorni che lo fisso senza mai riuscire a trovare il coraggio di prenderlo in “prestito” e, per questo, sono giorni che vado avanti ad insalata. Ignoro il senso di disgusto che sento partire dal centro esatto del mio stomaco e, approfittando di un momento di distrazione della vecchiarella, faccio scivolare l’oggetto dei miei desideri nella tasca del mio sciatto pantalone. Un altro punto di fondamentale importanza è non correre via all’improvviso, significherebbe farsi notare, per questo faccio un altro giro e scelgo di comprare un paio di mele… giusto per migliorare un po’ la mia dieta a base di verdure insipide. Dopo ciò, mi ritengo soddisfatta e sgattaiolo via poco prima che la signora si accorga dell’orologio mancante. Un sorrisino soddisfatto compare sul mio volto mentre mi dirigo verso quella che definisco la mia casa, il giorno successivo avrei potuto recuperare un bel bottino.
 
“Potresti avere una vita migliore di così”, mi giro di scatto al suono di quella voce.
 
“Non so chi tu sia”, riesco a pronunciare mantenendo salda la voce e ricomincio a camminare, più velocemente.
 
“Puoi scappare quanto vuoi, io so chi sei realmente e ti troverò sempre, Emma”.
 
Entro in casa tremante, con le lacrime agli occhi e lascio che il mio corpo scivoli verso il pavimento freddo e sudicio. Tiro fuori l’orologio dalla tasca, lo osservo rigirandolo tra le mani.
 
“Lui sapeva, ha sempre saputo… ma come? Che ci fa qui?”
 
Dopo quella che mi sembra un’eternità riesco a trovare il coraggio di alzarmi, evito di guardarmi allo specchio e vado a sedermi sul letto. Sospiro, tiro fuori il telefono e controllo l’appuntamento di stanotte.
 
“Fantastico, mr. John, vediamo se questa giornata può migliorare…”
 
Non avendo voglia di riempire nuovamente il mio stomaco con verdure sgradevoli, mi sdraio sul letto fissando il soffitto un tempo bianco, ora ricoperto di muffa e umidità. Per mia fortuna, riesco a cadere in un sonno senza sogni.
 
Il suono della sveglia mi ricorda che è l’ora di preparare la mia controparte. Ripeto le azioni ormai meccaniche della mattina, indossando però un top ed una minigonna. Ricopro il mio viso con un trucco pesante e ben definito, recupero i tacchi a spillo ed esco nuovamente di casa. Questa volta ad aspettarmi è un’auto lussuosa, come d’abitudine. Prendo posto nel sedile posteriore, affianco al mio carissimo cliente che mi saluta con un sorriso e un leggero bacio sulle labbra.
 
“Buonasera, mia cara. Passata bene questa settimana senza di me?”
 
Fingo una risatina e prendo la mano del signor John, 50 anni, sposato da 20, con due figli e in cerca di divertimento e distrazioni dal pesante lavoro da manager… un classico.
 
“Oh, lei è sempre così spiritoso”, mi avvicino al suo orecchio e con voce sensuale aggiungo “caso mai… lei si è annoiato senza me”.
 
Sposto la mia mano sul suo petto, scendendo verso la zip dei pantaloni e lo sento trattenere a stento un sospiro.
 
“Anche questa volta devo darti ragione, tesoro”.
 
Arrivati a destinazione, John mi aiuta a scendere dall’auto prendendomi la mano e accompagnandomi all’interno di un hotel a 5 stelle.
 
“Per questa sera ci aspetta una stressante cena tra colleghi, successivamente saremo liberi e avrò bisogno di sfogare lo stress accumulato”.
 
Annuisco e lo seguo al tavolo.
L’unico elemento positivo di questo lavoro sono le cene, il mio stomaco può rifocillarsi alla grande.
E i soldi, ovviamente. La paga è ciò che mi spinge a soddisfare questi uomini ricchi e soli di mezza età.
 
La cena, fortunatamente, passa abbastanza in fretta. Saliamo al piano di sopra, in camera. Chiusa la porta mr. John si fionda sulle mie labbra, mentre le sue mani salgono sotto la minigonna. Svuoto la mente e lo lascio usufruire del mio corpo mentre inizio a spogliarlo. Alla fin fine, John non era neanche uno dei peggiori e ci sapeva fare. Dopo pochi minuti ci ritroviamo entrambi nudi sul morbido letto matrimoniale, le mie dita tra i suoi capelli e le sue a darmi piacere e a farmi bagnare per bene. Decide che basta così per poter affondare in me, gemo e seguo i suoi movimenti…
 
La mattina dopo mi sveglio indolenzita a causa della notte di passione e sesso selvaggio, mi alzo a fatica e lascio un post-it per John.
 
“Fantastico come sempre, ti adoro”, stampo un bacio sulla carta lasciando il segno del mio rossetto rosso fuoco come piace a lui e, uscendo dall’albergo, prendo nuovamente posto nell’auto del mio cliente che mi riporta verso casa.
Riesco a fare una doccia quasi calda, avvolgo un asciugamano attorno al mio corpo, prendo un libro dallo scaffale malandato vicino la porta e mi rilasso sul letto.
La vibrazione del telefono mi distoglie poco dopo dalla mia lettura, lo afferro e apro un sms di un numero sconosciuto.
 
“Incontriamoci domani in piazza alle 12:00
N.”
 
Sgrano gli occhi, il cuore batte rapidamente nel mio petto e il telefono mi cade dalle mani.


Angolo Autrice
Salve a tutti,
torno nuovamente su efp da un bel po' di tempo con una mezza idea venuta ieri all'improvviso in un momento di fantasia e liberi pensieri. Spero che fino ad ora possa avervi incuriosito e che almeno 1 di voi desidererà il continuo. Non sono tipa da "a tot commenti pubblico il secondo", assolutamente no. Scrivo per puro piacere quando mi capita e smetto di farlo quando la fantasia mi abbandona. In ogni caso, mi piace conoscere l'opinione dei lettori, quindi, per qualsiasi cosa una recensione è sempre gradita, per migliorare la mia scrittura, avere spunti per la trama o semplicemente per chiacchierare. Grazie e al prossimo capitolo :)

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Capitolo 3
*** Chapter 1 ***


Capitolo 1
 
Past – 7 years ago
 
“Dai Emma, soffia!”, mi incita la mia amica Elizabeth.
 
E così faccio, chiudo gli occhi, trattengo il fiato e poi soffio sulle mie 14 candeline esprimendo un desiderio.
 
“Vorrei che qualcuno mi amasse…”
 
Riapro gli occhi, sorridendo alla mia amica e al mio fratellone che applaudono contenti. Non ho mai avuto molti amici, Elizabeth e Nathan mi sono sempre bastati. Mio padre non c’era, come ad ogni mio compleanno… ho pensato per tutta la mia vita che fosse impegnato per lavoro però, quando sono cresciuta, ho imparato a riconoscere la puzza dell’alcool e i suoi occhi rossi non per la stanchezza, ma per la dipendenza. Mio fratello, Nathan, provava ogni anno a tranquillizzarmi e a dirmi che prima o poi sarebbe riuscito ad uscirne grazie a noi due. Non la pensavo così da quando avevo trovato un album di famiglia due anni fa: c’erano foto del mio papà, della mia mamma e di Nate. Non c’erano tracce di foto mie. Da quel momento avevo capito che mio padre mi odiava. Mi odiava perché ero la causa della perdita del suo amore, di mia madre. Scuoto la testa cacciando via questi pensieri, è il mio giorno e devo godermelo. Nathan si avvicina per darmi un bacio sulla guancia e il suo regalo, io arrossisco e lo ringrazio sottovoce. Scarto entusiasta una scatolina contenente un grazioso bracciale azzurro, con solamente un piccolo ciondolo a forma di cuore. Apprezzo le cose semplici e Nate lo sa bene, gli sorrido come segno di ringraziamento.
 
“Ora vado a studiare, fate le brave” ci raccomanda mio fratello.
 
Nathan è più grande di me di 4 anni, va a scuola la mattina, studia il pomeriggio e lavora la notte per provvedere alle mancanze d’interesse nei miei confronti da parte di mio padre. Ammiro mio fratello, è il mio eroe e senza di lui sarei persa. E’ un ragazzo alto, con dei profondi occhi verdi che spiccano rispetto ai capelli castani e scuri, come tutta la famiglia. Adoro perdermi nei suoi abbracci, per questo prima che vada via corro tra le sue braccia e lo ringrazio nuovamente. Lui, da parte sua, mi dà una piccola pacca sulla testa e va nella mia camera, che diventa nostra quando lui ha bisogno di studiare.
Io e Beth passiamo tutto il pomeriggio a giocare in giardino, è poco curato e i fiori sono secchi però Nathan ha costruito per me, quando ero bambina, un’altalena ed è l’unico elemento che ravviva un po’ l’aria austera che si respira guardando il resto del giardino dimenticato. La nostra casa non è grande ma a me piace, è semplice ed accogliente. Entrando ti ritrovi subito nella sala da pranzo, con un angolo cottura per niente male, a volte mi piace cimentarmi in qualche ricetta di dolci o pasticcini per mio fratello quando in casa non c’è nessuno, per non far scoprire i guai che posso combinare. I toni sono tutti tendenti al giallo e all’arancio, ricordo che Nathan una volta mi disse che era il colore preferito dalla mamma, le trasmetteva allegria. Inoltre, grazie alle numerose finestre, tutto appare il doppio più luminoso, completamente in contrasto con la vita che va avanti in questo piccolo angolo di paradiso. I mobili seguono uno stile antico ma affascinante, lungo il breve corridoio che porta alla mia camera c’è un’ampia libreria a muro, ricca dei classici più amati dai miei genitori, entrambi appassionati di letteratura. Non ho mai apprezzato molto leggere, sono troppo complessi per la mia età, preferisco i fumetti. Purtroppo abbiamo solo un piccolo bagno, io e Nathan dobbiamo rispettare i turni e gli orari l’uno dell’altra. Per quanto riguarda la camera del mio papà non saprei cosa dire, non l’ho mai vista e non ho mai avuto il coraggio di entrarci.
Beth inizia a parlare della scuola mentre la spingo sull’altalena e salta fuori il suo argomento preferito: Thomas, un nostro compagno di classe per cui lei si è presa una cotta dall’inizio dell’anno.
 
“Invece di continuare a prendere in giro me, perché non mi parli un po’ di qualche ragazzo che ti interessa, eh Emma?”, mi punzecchia la mia amica.
 
Prima di risponderle per l’ennesima volta che non mi è mai piaciuto nessuno, questa volta ci penso un po’, tanto da sorgermi spontanea una riflessione, tipica dei ragazzini della mia età.
 
“Non so cosa sia l’amore, non ho mai provato né quello di un padre, né quello di una madre… né tantomeno quello di un ragazzo.”
 
Elizabeth mi guarda dispiaciuta, mi abbraccia e passa dolcemente le mani tra i miei capelli.
 
“Emma, io ti amo, tuo fratello ti ama… guarda quanto si impegna per te”, scioglie l’abbraccio e mi sorride.
 
A questa sua affermazione il mio cuore fa una piccola capriola, facendomi provare una strana emozione mai sentita prima. Sospiro e riprendo il controllo di me stessa e dei miei pensieri.
 
“Beh, sì, hai ragione”, accenno un sorriso “e tu, quando ti dichiarerai?” aggiungo.
 
Scoppiamo entrambe a ridere. Beth è una bellissima ragazza, ha un fisico da invidiare grazie alle ore che passa a danzare, i capelli sono corti, biondi e super luminosi. Al contrario, gli occhi sono di un nero pece, a volte riesco a perdermi nella profondità di quel colore. Non rispecchiano per niente il carattere spontaneo ed energico della mia amica.
 
Poco dopo la mamma di Elizabeth suona alla porta e la mia amica va via, lasciandomi sola sul divano, continuando a ripensare alle sue parole e alla sensazione che mi avevano trasmesso. Senza neanche accorgermene, mi addormento.
 
Un tonfo mi sveglia di soprassalto, facendomi girare verso la porta d’ingresso. Mio padre è tornato prima del solito, barcollante e puzzolente. Mi alzo, aspettando che mi rivolga anche solo un piccolo sguardo, ma non lo fa. Va verso il lavandino della cucina e svuota il suo stomaco da tutto lo schifo ingerito. Trattengo le lacrime e, prima che possa rendermene conto, una sola e semplice domanda fuoriesce dalle mie labbra.
 
“Perché mi odi?”
 
Si gira, mi si avvicina guardando dietro di me, come se io fossi un fantasma, come se non esistessi. Stringo forte i pugni per non tremare, in attesa di una risposta.
 
“Spostati, voglio sdraiarmi”, rabbrividisco al suono della sua voce impastata e stanca. Non riesco a replicare, mi sposto e corro in camera mia, nascondendo le mie lacrime tra le coperte.

Dopo quella che mi sembra un’eternità Nate entra in camera per salutarmi e dirmi che va a lavoro, pensando che io stia dormendo, socchiude la porta della mia camera. Mi giro, spostando lo sguardo verso il soffitto, dipinto di un cielo stellato. Il mio piccolo rifugio attuale apparteneva a Nathan, me l’aveva ceduto dopo che avevo rischiato di rimanere chiusa nello sgabuzzino, la mia vecchia stanza. Ovviamente mio padre non si è mai preoccupato di organizzare uno spazio tutto per me, il minimo che aveva potuto fare era stato comprare un piccolo letto che aveva sistemato nel ripostiglio, poco prima che cadesse nel pozzo senza fondo dell’alcool. Da neonata Nate mi teneva a dormire nel suo stesso letto, una sola volta ho provato a stare sola nella mia “camera”, il tentativo ha fallito ed il mio fratellone ha voluto fare a cambio. Sorrido al pensiero delle sue premure nei miei confronti, da sempre, nonostante fosse di poco più grande di me. Sento la porta aprirsi e mi metto a sedere, pensando che sia Nate, rimango sconvolta quando riconosco la figura di mio padre.
Cammina verso il letto, si inginocchia davanti a me, i suoi occhi fissi nel vuoto. Da questa posizione per una volta riesco ad osservarlo meglio. Ha i capelli quasi tutti bianchi, malgrado abbia solo 40 anni. Ha gli stessi occhi di Nate, verde smeraldo, l’unica differenza è che sono sbiaditi, privi di ogni gioia di vivere. La barba è lunga, la pelle poco curata, non ricordo di averlo mai visto sorridere… immagino fosse stato un bell’uomo, Nathan ha preso molto da lui ed è un bel ragazzo. Smetto di guardarlo quando lo vedo aprire e chiudere la bocca più volte, quasi a voler dire una parola dopo molti anni di solitudine. Rimango in silenzio, dandogli il tempo necessario, comprendendo che per lui può essere difficile tutto ciò.
 
“Non ti odio”, lo sento sussurrare. Finalmente mi guarda, con gli occhi lucidi che sembrano quasi tornare allo splendore della sua gioventù, continua.
 
“Il tuo nome lo scelse lei. Quando scoprì che la gravidanza avrebbe potuto porre fine alla sua vita mi disse che il mondo avrebbe sempre preferito una giovane combattente piuttosto che una povera signora ormai giunta al limite delle sue forze, aveva già rinunciato a questa battaglia sin dall’inizio”.
 
Mio padre si siede sul letto, io gli faccio spazio un po’ timorosa, è la prima volta che lo sento parlare così tanto. Mi stupisce che sia riuscito ad eseguire un discorso diretto senza interruzioni e con una logica. Forse oggi aveva bevuto di meno.
 
“Sai una cosa però, Emma? Nonostante tu l’abbia uccisa io non posso odiarti, hai i suoi occhi”
 
Prende una ciocca dei miei capelli tra le mani, la annusa.
 
“Il suo profumo, la sua morbida e candida pelle…”
 
Le sue mani ora sono sulle mie gambe. Inizio ad avere paura ma sono come immobilizzata. Mi ha detto che ho ucciso mia madre ed è questo a turbarmi, tanto quanto le sue parole seguenti e i suoi tocchi delicati, nonostante la pelle ruvida.
 
“Oh piccola mia… non devi avere paura di me… io posso darti l’amore che hai sempre desiderato e che non ho mai saputo darti…” si allontana, lo sento andare in cucina a prendere un bicchiere d’acqua.
Mi raggomitolo nell’angolo tra il letto e il muro, torna da me e mi porge l’acqua. La bevo lentamente, le sue mani poco dopo tornano su di me ed io inizio a sentire i miei pensieri rallentare, la stanza girare attorno a me, sono confusa…
A malapena riesco a percepire le sue labbra umide sul mio collo, non capisco cosa voglia fare…
 
“Non dovrai parlare a nessuno di questo Emma… sarà il nostro piccolo segreto, ora sei grande…”
 
Mi strappa di dosso i vestiti, riesco solo a piangere, non so cos’altro fare… vorrei gridare ma non ho più la voce… vorrei vedere ma è tutto offuscato…
Un dolore lancinante tra le gambe è tutto ciò che riesco a provare. Il suo respiro forte, il peso del suo corpo sudato sul mio, piccolo ed indifeso.
 
“Oh Emma… apri… apri gli occhi, goditi questa profonda… mh… dimostrazione d’amore…”
 
Tutto attorno a me svanisce, non so quanto tempo passi prima che lo senta alzarsi e sospirare soddisfatto… se ne va, lasciandomi sola e disperata in un letto colmo di lacrime e confusione.
 
Mi sveglio la mattina dopo con un forte mal di testa, brevi ricordi di quanto successo… mi guardo attorno, la camera è in ordine, niente è fuori posto.
 
“Sarà il nostro piccolo segreto”, mi ha detto… “dimostrazione d’amore…”
 
Finalmente mio padre mi amava e me l’aveva dimostrato, accenno un sorriso. Quando provo ad alzarmi una sensazione di nausea mi blocca, cado in ginocchio sul pavimento freddo quanto il mio cuore, le lacrime sgorgano dai miei occhi senza volerlo.
 
Così tutto ebbe inizio.

Angolo Autrice
Non so bene cosa dire su questo capitolo, vorrei che tutto si scoprisse lentamente, in modo che Emma resti nel suo un personaggio un po' misterioso e un po' intrigante. Penso che la storia stia proseguendo bene, seguendo la piega che volevo prendesse. Ringrazio Benedict00 per la sua critica costruttiva che mi ha aiutata a migliorare (o almeno spero) le descrizioni in questo capitolo. L'ho corretto molto prima di pubblicarlo e spero si noti. Se c'è qualche altro lettore che pensi ci siano altri aspetti da migliorare, è ben accetto. Grazie per l'attenzione, vado a lavorare al prossimo capitolo, a presto :)

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Capitolo 4
*** Chapter 2 ***


 
Capitolo 2
 

Sono ancora tremante nel mio letto quando il telefono vibra di nuovo, quasi non ho il coraggio di guardare. Lo raccolgo, notando una piccola spaccatura nell’angolo. Impiego un po’ di tempo prima di riuscire a sbloccare lo schermo. Quando ci riesco, leggo un altro messaggio, questa volta da parte di Mr. John, che mi chiede di fissare un appuntamento per domani sera. Suppongo che dopo l’incontro nella mattinata avrò bisogno di una distrazione, quindi accetto senza pensarci due volte. Mi alzo dirigendomi verso lo scaffale malandato della piccola cucina, in realtà si tratta semplicemente di un frigo e un misero microonde nell’angolo di fronte il letto, accanto la porta del bagno/sgabuzzino. Tiro fuori una vecchia bottiglia di liquore risalente al mio arrivo in questa catapecchia. Raramente bevo, odio l’alcool a causa del mio passato, in questo momento però ne ho davvero bisogno. Butto giù due sorsi, il sapore è forte in gola e scioglie il nodo formatosi alla lettura dell’SMS. Sospiro, riponendo la bottiglia e lasciandomi scivolare sul pavimento.
 
“Ormai è un’abitudine eh…”
 
Mi raggomitolo portando le ginocchia al petto e, abbracciandole, fisso il vuoto nel buio della mia camera che si fa via via più profondo con il passare delle ore.
 
Mi sveglio nel cuore della notte, non sapendo quanto tempo abbia passato in questa posizione. Probabilmente parecchio, fatico ad alzarmi, le gambe cedono e sono addormentate. Decido di gattonare fino al letto, mi tiro su e mi riaddormento.
 
“Andiamo Emma, corri!” mi grida qualcuno. Mi guardo attorno, sono nel parco giochi vicino casa. Nathan mi prende per un braccio, costringendomi a correre insieme a lui. Ride. È felice.
“Devi nasconderti, non farti trovare” mi sussurra.
 
Ah… stiamo giocando a nascondino con i suoi compagni di scuola, ora ricordo…
 
Ci nascondiamo dietro un albero poco prima che un bambino inizi a cercarci. Subito si avvicina a noi e, per non farci scoprire, Nathan esce allo scoperto e inizia a correre ridendo. Io rimango nascosta, aspettando che si allontani per poi andare di corsa a salvarlo.
 
Siamo sempre stati così uniti, pronti a sacrificarci l’uno per l’altra…
 
La luce del sole colpisce il mio piccolo giaciglio, costringendomi ad aprire gli occhi. Porto un braccio sugli occhi, utilizzandolo come schermo contro il sole. Il terribile incubo ricorrente era stato sostituito da un ricordo luminoso…
Ripensando alla risata di Nate riesco a trovare la forza di alzarmi, prepararmi e ad uscire di casa. Sono le 11:45 quando arrivo in piazza. Mi siedo su una panchina distante dal resto degli abitanti mentre attendo il suo arrivo. So perché ha scelto questo posto, è affollato il sabato mattina, pieno di bambini che si rincorrono e giocano tra di loro.
 
“Proprio come facevamo noi un tempo…”
 
La piazza non è molto ampia, tutto è trascurato in questo piccolo quartiere. Solo una fontana spicca, al centro di tutto, circondata da qualche aiuola. Sospiro, gioco con una ciocca di capelli quando una voce mi distoglie dai pensieri.
“Sei venuta.”
 
Non alzo lo sguardo, non voglio guardarlo, so che effetto mi fa.
Lo sento sedersi, con la coda dell’occhio mi accorgo che è agitato quanto me, sfrega le mani sui pantaloni come faceva sempre quando era nervoso. Sospira.
 
“Guardami, per favore”
 
Non so resistere al suono dolce della sua voce, come se qualcuno avesse il controllo del mio corpo, mi sento costretta a fare ciò che mi chiede. È bello come un tempo sebbene i capelli siano scombinati e gli occhi circondati da profonde occhiaie.
Le spalle sono più larghe, segno evidente della sua crescita e di tutti i pesi portati negli anni. È più muscoloso, riesco a notarlo dai lineamenti risaltati dalla t-shirt bianca. Non ho la reazione che pensavo avrei avuto. Il mio cuore è calmo, le mie mani non tremano, riesco a sostenere il suo sguardo. A differenza mia, dopo qualche minuto Nathan sposta gli occhi verso la fontana. Aspetto che mi dica qualcosa, che mi spieghi il motivo della sua presenza. Come se mi avesse letto nel pensiero torna a guardarmi.
 
“Andiamo a prenderci un caffè? O forse non hai cambiato gusti in questi anni…”
 
Ha ragione, odio il caffè. È amaro, non sa di nulla per me, non mi è mai piaciuto… ma questo scelgo di non dirglielo, non ho voglia di girare attorno al problema.
 
“Ti prego di andare dritto al punto e spiegarmi perché sei qui, come mi hai trovata e cosa vorresti”
 
La mia voce risuona più fredda di quanto avessi voluto, non abbiamo mai parlato in questi toni. Il sole della mattina ora si nasconde dietro nuvole cupe, tutto attorno a me rispecchia il mio umore.
La risata di un bambino mi distrae dal mio interlocutore, facendomi rischiare di cadere nuovamente nei ricordi.
 
“Nostro padre sta male”.
 
“Farebbe meglio a morire una volta per tutte”.
 
La risposta è spontanea, immediata e secca. Non mi stupisce affatto questa notizia, è successo fin troppe volte, non capisco cosa c’entri io questa volta.
 
“So come la pensi, Emma, ma ha bisogno di vederti”
 
Scuoto la testa ancora prima che mio fratello finisca di parlare. Non vedo come io possa aiutarlo, non ha mai avuto bisogno di me per tutta la sua vita, perché vuole vedere me ora?
 
“Se solo tu provassi a fare il primo passo, smetterebbe di tornare a casa la sera distrutto, con il corpo pieno di merda. Emma, l’ho trovato in un angolo del bar dietro casa con una siringa conficcata nel braccio, cosa vuoi che faccia? Sai che il suo problema sei tu, la sua questione in sospeso”.
 
Sussulto all’alzarsi della sua voce.
Nathan non sa.
Nathan non capisce.
Nessuno potrà mai.
 
“Mi dispiace, non posso fare nulla per te”.
 
Sto per alzarmi ma Nate mi tiene ferma, afferrandomi il polso. Stringe così forte da fare quasi male. È disperato, lo so, non riesco però a soffrire per lui, né a provare compassione per mio padre. Poggio la mia mano sulla sua, pregandolo con gli occhi di lasciarmi andare.
 
“Tu puoi, Emma. Devi. Non era così quando non c’eri!”
 
Mi urla contro. Questa affermazione, soprattutto da parte sua, dovrebbe ferirmi. Dovrebbe dilaniarmi il cuore. Dovrei piangere, arrabbiarmi, gridare al mondo che non posso essere incolpata delle sofferenze di ogni singolo essere vivente esistente. Eppure non lo faccio. Non mi muovo, non reagisco, non provo nulla.
 
“Pensavo fossi l’unico a non pensarla in questo modo”, riesco a replicare.
 
“Non lo penso davvero, lo sai”.
 
Prendo un bel respiro, mi libero dalla sua presa.
 
“Sai Nate, tutto questo dovrebbe farmi male, dovrebbe suscitare qualcosa in me. Ma non lo fa. Sono abituata, ho imparato a sopravvivere ed anche tu. Siamo cresciuti e sappiamo cavarcela da soli. Non hai bisogno di me come io non ho bisogno di te.”
 
“So che la mia Emma è lì dentro da qualche parte, ti ho promesso che non ti avrei mai lasciata sola e mai lo farò. Te lo giuro.”
 
Sto per andarmene quando mi ricordo dell’orologio nella tasca. Torno verso di lui che, nel frattempo, si è accucciato come se fosse un bambino solo e abbandonato, con le mani tra i capelli. Mi accovaccio di fronte a lui, porgendoglielo. Apparteneva a mio padre, era stato un mio regalo dopo aver trovato gli album di fotografie, nella speranza che potesse iniziare a volermi bene se glielo avessi dimostrato. Mi sbagliavo.
Nathan l’aveva usato per attirarmi, sapeva che avrebbe funzionato.
Senza dire un’altra parola mi allontano dando nuovamente un addio a mio fratello.
 
Il pomeriggio passa in fretta lasciando spazio alla mia serata di distrazione. Come mio solito, salgo nell’auto di mr. John. Mentre mi volto per baciarlo, trovo davanti ai miei occhi una versione ringiovanita del mio cliente. Stessi occhi blu mare, stessi capelli biondo cenere, stesso fisico ben scolpito… tipico di giovani ricchi e presuntuosi.
 
“Giornata di merda… me la merito.”
 
“Suo figlio, immagino”, affermo convinta tornando al mio posto. Mi aspetto la solita ramanzina da parte di figli sconvolti che chiedono di lasciare in pace la vita perfetta dei genitori, beh, se fosse perfetta non andrebbero in cerca di divertimento altrove.
 
“Senti, prima che tu possa dire qualcosa… non è colpa mia, ok? Conosco il discorso, è sempre lo stesso. Avete scoperto la verità, siete indignati e tua madre vuole lasciare tuo padre. Fate quello che volete, non mettete in mezzo me, né la mia privacy. Vengo pagata per fare quello che faccio ed è l’unico motivo per cui continuo, quello che succede dopo il mio lavoro non mi riguarda.”
 
Mi guarda, rimanendo in silenzio. Sospiro, faccio per scendere dalla macchina ma mi blocca.
 
“Cos’hanno tutti con questa storia oggi?!”
 
“Dimmi solo da quanto.”
 
Alzo gli occhi al cielo. Ci risiamo…
Mi tira nuovamente a sedere, mi sento quasi soffocare ma se voglio liberarmi il prima possibile devo rispondere alle domande di questo povero ragazzo frustrato.
 
“Un anno circa”, rispondo, neanche sicura che sia questa la verità. Mica conto da quanti anni faccio la puttana, non ne vado fiera purtroppo, a differenza di molte altre.
 
“Mia madre è morta un anno fa”
 
“Perché mi dice questo ora? Vuole incolparmi di aver sostituito sua madre?”
 
Lo guardo dritto negli occhi, affinché le mie parole si imprimano meglio nella sua mente contorta.
 
“Senti, rilassati. Mi dispiace per quello che è successo, parlerò con tuo padre. Ti giuro che sparirò e non diventerò la tua matrigna. Non ci tengo per niente e, tra l’altro, credo tu sia persino più grande di me. Posso andare ora?”
 
Mi scruta attentamente, abbasso lo sguardo sentendomi a disagio. Sembrava che mi stesse leggendo dentro ed io odio profondamente gli occhi così intensi: puoi riuscire a capire troppe cose da un’espressione.
 
“Andiamo a bere qualcosa.”
 
“Io non bevo, voglio tornare a casa.”
 
“E quella la chiami casa?”
 
“Scusa se non mi escono soldi dal culo come voi.”
 
“Devi per forza essere così stronza?”
 
“E tu devi per forza essere così rompicoglioni? Mi hai fatto perdere una serata di guadagno, ti ho dato la risposta che volevi.”
 
“Ti darò io i soldi se verrai a bere con me.”
 
“Non accetto denaro senza lavoro.”
 
“Scopami pure se preferisci.”
 
Sbuffo contrariata. Non sarei mai andata a letto con suo figlio, un po’ di dignità ancora mi restava. La velocità delle nostre botte e risposte mi meraviglia discretamente, facendomi accettare il suo invito. Lascio credere al mio cervello che sia per il suo caratterino e non per il piccolo desiderio provato dopo la sua proposta.
 
“Bene, così sei quasi simpatica”, scherza sorridendomi. Poggio la testa al finestrino guardando la città scorrere davanti i miei occhi.
 
“Quando finirà questa giornata infinita?”

Angolo Autrice

E rieccoci qui, un capitolo un po' distaccato dal resto della storia, diciamo un'intersezione per farvi
respirare ;) insomma... ci stiamo avvicinando al lato romantico della storia oppure no?
Chi lo sa, sto lavorando proprio ora al prossimo capitolo e lascio lavorare la fantasia, ancora non so bene
cosa farvi sperare ahahah bene, ci si vede al prossimo capitolo <3


 

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Capitolo 5
*** Chapter 3 ***


Capitolo 3
 

L’auto si ferma e, mentre sto per scendere, il mio nuovo accompagnatore si precipita ad aprirmi la portiera. Alzo gli occhi al cielo ma non protesto, non so ancora che tipo è né perché mi abbia invitata ad una serata fuori nonostante sappia che sono il passatempo di suo padre. Solo ora riesco a vedere quanto sia alto, anche con i tacchi arrivo solo al suo petto. Non che io sia bassa, sia chiaro. Sono di una giusta altezza e di un giusto peso, non si può descrivere il mio fisico. È semplice, proprio come me. Torno a concentrarmi sul bel fusto al mio fianco di cui ancora non so il nome. Non conosco questa zona della città, non ci tengo troppo a frequentarla ed io e John andiamo sempre in posti più distanti. Ci avviciniamo all’entrata di quello che dev’essere uno di quei locali ultra famosi per ricchi.
 
“Come tutti i luoghi che mi ritrovo a frequentare in compagnia di questa famiglia…”
 
Me ne rendo ancora più conto quando riceviamo facilmente il permesso per entrare senza metterci in fila. Osservo un po’ le persone in coda, ce ne sono di ogni tipo: ragazze in gruppo, in cerca di qualche pesce da acchiappare, ragazzi già fatti ancora prima di finire la serata, uomini di mezz’età accompagnati da quelle che potrebbero essere le loro figlie, con vestitini osceni che risalgono ogni secondo sulle gambe. Non capisco il senso di indossarli se si lamentano di doverli tirare giù. O mostri le tette, o il culo con quei pezzi di tela: chiamarli vestiti è una bestemmia.
Vengo distratta da…
 
“Come cavolo devo chiamarlo?!”
 
Senza farmi troppi scrupoli, gli chiedo semplicemente il suo nome. Lui per tutta risposta mi guarda, prende la mia mano e ci porta in una zona riservata del locale.
 
“Cosa prendi?”, mi chiede, nel frattempo prendiamo posto.
 
Cerco di guardarlo con aria minacciosa ma non deve riuscirmi molto bene perché mr. Mistero scoppia a ridere. Inclino leggermente la testa, incuriosita. Mi scappa un risolino, faccio finta di pensare un po’ per poi chiedere della semplice acqua.
 
“Non dirai sul serio, vero? Andrà bene una bottiglia di vino, la migliore che avete” dice, rivolgendosi ad una ragazza avvicinatasi a prendere la nostra ordinazione.
Mi metto comoda sul divanetto sul quale siamo seduti, fin troppo stretto data la vicinanza delle nostre gambe. Intanto, decido di guardarmi un po’ intorno.
È molto più ampio da quello che sembra dall’esterno, è ovviamente raffinato grazie all’arredamento moderno con colori sempre tendenti al viola e al nero. La musica nella nostra zona non risuona troppo, per mia fortuna, evidentemente nella sala accanto c’è una discoteca. Al contrario, le luci sono forti ed emanano un calore bestiale. Nella hall se non sbaglio puoi trovare un lunghissimo piano bar, non ho avuto tempo di ispezionare data la velocità del tipo accanto a me nel trascinarmi via. Sposto la mia lunga chioma su una spalla, cercando di sventolarmi con le mani.
 
“Possiamo andare in una stanza con il climatizzatore.”
 
No. No. E ancora no. Non sarei mai andata in una camera da sola con lui. Anche se gli altri clienti non si facevano di certo alcun problema a strusciarsi e baciarsi appassionatamente davanti a tutti… in ogni caso non l’avrei fatto, né qui, né su un letto.
 
“No, grazie per il pensiero”
 
Alza le spalle, si guarda intorno, si rivolge nuovamente a me.
 
“E così, cara Emma, cosa fai nella vita?”
 
“Sopravvivo.”
 
Assume un’aria pensierosa, inizia a muovere rapidamente la gamba su e giù come se avesse un tic. Potrei addirittura pensare che sia nervoso. Non dico nulla finché non arriva la bottiglia con i due calici. Me la porge dicendo
 
“Stappala, brindiamo ad un nuovo inizio.”
 
Mentalmente mi sono chiesta cosa stesse riiniziando lui ma non mi sono permessa di esporre a voce il mio quesito, so quanto può essere fastidioso. In ogni caso lui sapeva fin troppe cose di me, mentre io non sapevo ancora niente di lui. Faccio quello che dice, apro la bottiglia senza sperare in un futuro migliore. Cosa avrei dovuto ricominciare? Io stavo benissimo così, nella vita bisogna accontentarsi. Lascio che sia lui a versare quest’oro imbottigliato nei bicchieri, aspetto che finisca e brindiamo non so bene a cosa. Sorseggio lentamente per assaporarlo al meglio, è delizioso ma non lo voglio ammettere. Passiamo il tempo così, senza far nulla. Riesco a godermi la serata in compagnia di questo ragazzo poco invadente e silenzioso quasi quanto me. Dopo due bicchieri decido di farla finita, sono a stomaco vuoto e inizio a sentirmi più allegra e leggera.
 
“Ti tiri già indietro? Pensavo fossi una tipa più competitiva”, mi prende in giro lui.
 
Sa come prendermi eppure non mi lascio convincere, gli ho già detto una volta che non bevo, ho ceduto abbastanza… mi farei schifo ad immaginarmi come mio padre.
Piccoli frammenti di ricordi cercano di farsi spazio nella mia testa, costringendomi a buttare giù altri sorsi direttamente dalla bottiglia.
 
“Fanculo… per una volta mi farà bene”
 
Mr. Mistero ride compiaciuto.
 
“Tipica ragazza da bevo per dimenticare. Ti sei meritata un’informazione. Mi chiamo Derek, ho 25 anni.”
 
Smetto di bere, girandomi verso di lui.
 
“Così sono due…” biascico, sempre più confusa. Mi alzo senza neanche ben sapere quello che desidero fare. Faccio solo due passi per poi quasi finire rovinosamente con il culo per terra. Derek mi si avvicina e mi aiuta a tenermi in piedi.
 
“Vacci piano dolcezza, dove volevi andare?”
 
Dal tono della sua voce capisco che siamo entrambi abbastanza andati. Prima che possa rendermene conto mi carica sulle spalle come un sacco di patate. Decido di non replicare per tenere la bocca chiusa ed evitare di vomitargli addosso, mi sarei sentita una merda se gli avessi sporcato quella favolosa camicia così liscia e morbida… come i suoi capelli…
Rido ai miei pensieri mentre gioco con un ricciolo ribelle della sua chioma. Chiudo gli occhi, sentendomi pervasa da un senso di benessere dato dal tocco caldo delle sue mani sulle mie cosce nude. Mi raggomitolo quando sento il mio corpo essere poggiato su un materasso vellutato, Derek mi sfila addirittura i tacchi. Lo sento sdraiarsi accanto a me, sospira.
 
“Non volevo farti sentire male, scusa.”
 
Rotolo verso di lui… come i panda… rido di nuovo. Forse non reggevo così tanto bene l’alcool come pensavo. Mi guarda con aria interrogativa. Faccio cenno con la mano come per dirgli di lasciar perdere.
 
“Non ti toccherò, quando sarai pronta ti riporto in auto.”
 
Muovo la testa su è giù per acconsentire. Aspetto qualche minuto prima di mettermi seduta, poggio la schiena contro la testiera del letto. Non ho le forze per osservare la stanza e poi è buia.
Si sposta, sedendosi accanto a me.
 
“Mio padre mi stuprava.”
 
Dico, di getto. Lui aveva fatto la stessa cosa parlandomi di sua madre e si era sentito meglio. Forse poteva aiutare anche me parlare, a volte.
 
“Come fai a fare questo lavoro allora?”
 
Era una bella domanda, non sapevo spiegarmelo.
 
“Non ho paura dell’uomo… è solo sesso, il corpo è solo… carne. Lo stupro ti macchia l’anima e non riesci più ad uscirne.”
 
Rimane in silenzio. Faccio lo stesso.
 
“Tu cosa fai quando dei ricordi ti tormentano?”, trovo poi il coraggio di chiedere.
 
Sembra passare molto tempo a pensarci, o forse si è addormentato. Mi avvicino per sentire il suo respiro. È caldo e sa di vino… le sue labbra potrebbero essere morbide…
 
“Li accetto…” sussurra, vicinissimo al mio viso, interrompendo i miei pensieri poco casti. È una risposta sensata, accettare un qualcosa è l’unica via di fuga dall’orrore del passato. Accettare è perdonarsi. Non mi sento ancora in grado di farlo ma potrei iniziare a provarci… potrebbe essere questo il mio nuovo inizio… una ciocca di capelli cade sui miei occhi. La sua mano è più veloce della mia a sistemarla dietro l’orecchio, indugia sulla pelle del mio collo, scendendo per il braccio… fino alla mia mano.
 
“Al diavolo…” dice, poco prima di annullare le distanze tra noi.
 
All’inizio il bacio è dolce, poi diventa via via più passionale, la sua lingua si fa strada nella mia bocca. Lo lascio fare, adattandomi a ciò che desidera.
 
“Questo è quello che dovrei fare se fosse un cliente… ma voglio che sia un ragazzo qualunque… ed io voglio essere una ragazza qualunque che soddisfa le proprie voglie, per una sola volta nella mia vita.”
 
Mi sposto su di lui, i nostri corpi combaciano alla perfezione… le sue mani ora sono sulla mia schiena, accarezzano la pelle mentre abbassano la zip del vestito.
 
“Non ricordo di essere mai stata toccata con così tanta cura…”
 
Mi sistemo a cavalcioni restando su di lui, interrompendo il nostro bacio. Nel buio cupo che ci circonda riesco ad intravedere il desiderio nei suoi occhi, eppure il suo respiro è calmo, il suo tocco è dolce… le mie dita sbottonano la sua camicia… seguono le linee dei suoi muscoli… mi abbasso su di lui, continuando ad esplorare il suo petto con la lingua, intanto inizio a spingermi su di lui per dargli più piacere…
I ricordi tetri del mio passato sembrano essere spazzati via ad ogni nostra carezza…
Riprendo a baciarlo, le sue mani stringono i miei fianchi ora nudi.
Mi perdo nella tenerezza di ogni singolo attimo, cercando di memorizzare il più possibile quest’intimità. Riesco a sentire il calore del suo corpo che brucia nonostante gli strati di vestiti che ancora ci separano. Decido di abbattere questo divario, spogliandolo dei pantaloni. Lui fa lo stesso con me, risalendo con le mani fino al gancio del reggiseno.
Poco dopo sono sotto di lui, il nostro battito che accelera, i nostri corpi sempre più desiderosi l’uno dell’altra. Smette di baciarmi prima di spingersi in me.
 
“Emma…” lo guardo, pregandolo con gli occhi di non parlare. Ho bisogno che non mi faccia pensare più a nulla e fino ad ora c’era riuscito così bene… non volevo che rovinasse tutto con le parole.
 
“Emma… dobbiamo…” poggio l’indice sulle sue labbra, interrompendo il flusso dei suoi pensieri in quella testa calda. Finalmente riesco a rassicurarlo con dei piccoli baci umidi sul suo collo, stringo la coperta tra le mani, chiudo gli occhi e mi perdo nel piacere.
 
Mi sveglio con un’emicrania tremenda, apro svogliatamente gli occhi. Sorrido quando riesco a mettere a fuoco un bicchiere d’acqua con un’aspirina accanto sul comò vicino il letto. Mi alzo a sedere, mandando giù il tutto. La porta si apre rivelandomi un angelo caduto dal cielo. Alla luce era davvero molto, molto, molto meglio… Derek ha i capelli bagnati e scompigliati, a coprirlo c’è una semplice asciugamano legata alla vita.
 
“Buongiorno, principessa” ammicca. Sorrido, senza però dargli corda. Si avvicina per darmi un bacio ma mi scanso.
 
“Ieri notte non ti ho fatto parlare però… sai… era solo…”
 
Per un attimo i suoi occhi perfetti si incupiscono, poi annuisce, ridendo.
 
“Ovvio, era solo sesso” ammette con una nota di sarcasmo nella voce, riferendosi alla mia affermazione della notte passata.
 
“Non voglio i tuoi soldi, lo desideravo… tutto qui.”
 
Si riveste, lo osservo in silenzio un’ultima volta. Non doveva succedere e lo sappiamo entrambi ma non ho voglia di pentirmene. Non ne ho intenzione, è stato quasi magico.
 
“È chiaro Emma, non devi giustificarti. Non ne parlerò.”
 
Sussurro un semplice grazie. Derek da parte sua finisce di recuperare tutte le sue cose.
 
“Puoi farti una doccia calda se vuoi, ti aspetto in auto.”
 
Annuisco, aspetto che esca dalla porta per alzarmi e recarmi nel piccolo ma grazioso bagno della stanza. Sotto la doccia lascio che l’acqua scivoli sul mio corpo. Cosa mi aspettavo? Essere bravo nel fare sesso non significa nulla. No. In realtà la colpa è solo mia, mi stava fermando. Non lo conosco e non ho il diritto di giudicarlo. Sono una perfetta idiota. In un impeto di rabbia tiro un pugno più forte di quanto pensassi contro il muro. Mi mordo il labbro ed impreco per il dolore. Finisco di lavarmi più in fretta che posso, non voglio farlo attendere ancora per molto. Noto sul letto un maglioncino e un paio di jeans e sorrido di nuovo all’ennesimo gesto di premura nei miei confronti… mi sembra quasi Nathan. Scuoto la testa prima di tirare un altro pugno. Indosso i miei nuovi abiti, afferro i miei pochi averi ed esco con malinconia dalla stanza. Ad aspettarmi non c’è la solita auto ma un taxi. Salgo su e… Derek non c’è.
 
“Lo capisco, è normale…”
 
Comunico al tassista la mia destinazione e lasciamo quel luogo di tentazione e desiderio.
 
“Memo: cancellare mr. John dalla lista dei clienti…”

Angolo Autrice

Scusate per la piccola pausa presa, non ho avuto molto tempo in questi giorni nonostante il capitolo fosse già pronto, avevo bisogno di ricontrollarlo un po'. Noto con piacere che le letture aumentano, spero davvero che vi stia interessando la storia. Sto alleggerendo la trama con questi capitoli (sempre sperando che siano comunque piacevoli), fatemi sapere la vostra opinione, a presto <3

 

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Capitolo 6
*** Chapter 4 ***


Capitolo 4

  Past – 6 years ago

Come sua abitudine, mio fratello entra in camera per salutarmi prima di andare a lavoro. Lo abbraccio, stringendolo forte. Mi accarezza dolcemente i capelli, lasciandomi un bacio sulla testa. Aspetto che vada via e mi lancio sul letto sentendo le guance andare a fuoco. E’ passato un anno dallo stupro di mio padre: non ho mai avuto il coraggio di parlarne con nessuno. Ho iniziato ad odiarlo e a voler male al mio corpo. Avevo tagliato i capelli e li avevo tinti di un rosso mogano, usavo frequentemente profumi diversi e lenti colorate per gli occhi, nascondevo le mie neo forme in abiti larghi, evitavo i contatti ravvicinati con le persone (tranne che con Nate e Beth ovviamente). Lasciai credere ad entrambi che il cambiamento improvviso fosse dovuto ad una profonda delusione d’amore. In realtà presi questa drastica decisione dopo che mio padre tentò per la terza volta in un mese di abusare del mio corpo. Quando mi vide mi squadrò a lungo, non commentò e ricominciò la sua misera vita ignorandomi.
Sospiro, afferro il mio cellulare nuovo fiammante ragalatomi da mio fratello per i miei 15 anni. Non ero contenta quel giorno come invece avrei dovuto essere, il desiderio era stato: “vorrei scomparire”.
Fortunatamente mio padre non c’era, come sempre, e riuscii comunque a passare una giornata tranquilla in compagnia di quella che sentivo la mia vera famiglia.
Telefono la mia migliore amica, avevo bisogno di distrarmi. Dopo diversi squilli smetto di provarci. Non potevo arrabbiarmi con lei, non sapeva la verità e continuava a vivere la sua vita in tutta tranquillità; finalmente era riuscita ad uscire con Thomas, erano carini insieme ed ero contenta per lei. A scuola nessuno aveva badato a me una volta entrata in classe in quelle condizioni: si erano ammutoliti tutti, per poi riprendere a ridere e scherzare tra di loro. Non ero mai stata una che attirava troppa attenzione, eppure qualcuno aveva provato a rivolgermi la parola, fallendo miseramente. Erano solo dei pettegoli.
Mi alzo, uscendo dalla stanza, poco convinta che mio padre non ci sia. Non me ne preoccupavo più di tanto anche se forse avrei dovuto. Usciva di meno, solo quando finiva la scorta di alcool, per poi richiudersi nuovamente in camera sua a fare non voglio neanche immaginare cosa. Un brivido mi percorre la schiena, facendomi rabbrividire. Scaccio questi brutti pensieri e mi avvicino alla libreria. Da quel giorno mi ero appassionata alla lettura, sentendomi in simbiosi con quei mondi irreali e distanti, quasi a volerli raggiungere. Avevo praticamente concluso la lettura di ogni singolo libro conservato in quelle mensole colme di polvere e di tanta conoscenza al tempo stesso, così decido di uscire a fare una passeggiata nonostante le raccomandazioni di mio fratello riguardo l’ora tarda… come se qualche maniaco potesse interessarsi a me. Mi preoccupo solo di portarmi dietro le chiavi di mio padre, dopo averlo chiuso dentro, e il mio telefono. Tiro su il cappuccio della mia felpa XL e passeggio fino ad arrivare al parco dietro casa. Mi sdraio sull’erba, ad osservare la vastità del cielo notturno, illuminato da piccole stelle poco visibili a causa delle luci artificiali e dello smog che cercavano di combattere e sopravvivere a tutti i costi.
 
“Un po’ come me…”
 
Mi irrigidisco sentendo dei passi, costringendomi a scattare in piedi. Scruto attentamente nel buio, riconoscendo una figura spaventata e perplessa proprio come me. Tiro un sospiro di sollievo, rilassandomi.
 
“Beth… che ci fai qui a quest’ora?”
 
La mia amica si fa avanti, con la testa bassa e in preda ai singhiozzi. Subito mi avvicino preoccupata. La prendo per mano e la porto a sedere su una panchina, accarezzandole la schiena per farla calmare. Le concedo tutto il tempo che le serve, aspettando che sia lei a parlarmi.
 
“Io… è una cosa così stupida Emma…”
 
Capisco al volo, dev’essere uno dei soliti litigi tra fidanzatini. Le sorrido dolcemente, coccolandola. Resto in silenzio mentre mi racconta di essersi tirata indietro quando Thomas aveva provato a baciarla. Mi incupisco, cercando di non cadere preda dei miei incubi e torno a concentrarmi sulla piccola Beth.
 
“Non dovresti essere qui però”, la rimprovero poco dopo. Elizabeth è fragile, sta diventando una bellissima ragazza ed attirerebbe facilmente persone mal intenzionate. Annuisce, come per dirmi che ha capito.
 
“Dai, ti riporto a casa”, le dico.
 
Lei mi ferma, poggiandomi una mano sulla gamba. La guardo con aria interrogativa, lei per tutta risposta alza lo sguardo. I suoi occhi sono rossi e gonfi, mi dispiace così tanto.
 
“Oh Emma… perché non ti apri più con me come io faccio con te?”, la sua voce è dolce e preoccupata allo stesso tempo. Rimango per un attimo stupita, mi ricompongo in fretta, cercando una bugia semplice e sensata. Lei sapeva benissimo che tutto ciò non sarebbe mai potuto derivare da un ragazzino. Non ero mai stata così fragile, avevo imparato a combattere avendo come punto di riferimento mio fratello. Lui era forte per me, quindi io dovevo essere forte per lui.
 
Una volta, avevo 5 anni, ad una festicciola di paese mi comprò un palloncino ad elio a forma di cane, per sbaglio lo lasciai andare e lo vidi scomparire in cielo. Mi morsi il labbro tanto forte da non piangere, Nate mi rassicurò e mi disse di non preoccuparmi. Non riuscii a trattenermi e piansi così tanto che me ne comprò un altro nonostante i pochi risparmi. Da quel giorno mi ripromisi di non fare più i capricci.
 
Elizabeth prende le mie mani tra le sue, dandomi la forza necessaria a fare ciò che dovevo dall’inizio. Tremo alla paura di veder cadere la barriera che avevo costruito in quell’anno. Guardo nei suoi occhi, cercando il coraggio e le rassicurazioni che mi servivano.
 
“Devi… devi giurarmi che non ne parlerai mai con nessuno… Beth, guardarmi negli occhi e giuramelo.”
 
Annuisce convinta, penetrandomi con i suoi occhi profondi. Era così speciale, aveva messo da parte i suoi problemi riuscendo a capirmi, a capire quanto realmente stessi male.
E così, in un sussurro, le svelai la tanto amara verità. Mi abbracciò, pianse con me, mi restò accanto… ma io la abbandonai poco tempo dopo nonostante lei mantenne la sua promessa.
La vera me stessa non apparteneva più a quel posto, avevo bisogno di volare via come quel palloncino e di trovare il cielo perfetto per me in cui poter brillare.
 
  
Past – 5 years ago

Sbircio dalla finestra, controllando che Nate sia andato via. Raccolgo lo zaino in cui avevo racimolato i miei pochi averi: qualche libro, i miei risparmi e poche cose da bere e da mangiare. Quel giorno io e Beth avevamo avuto un fantastico tour al parco giochi pagato da me per il suo compleanno, per ringraziarla della sua amicizia e dirle addio. Ovviamente lei non sapeva nulla, mi avrebbe fermata e avrebbe cercato di convincermi nuovamente a raccontare tutto a Nathan, come aveva fatto quella notte dell’anno precedente, in quel momento io le avevo promesso che ci avrei provato. Non ne avevo nessuna intenzione, era passato un anno e l’unica cosa a cui avevo pensato era stata la mia fuga.
Mi guardo per un’ultima volta attorno prima di lasciare sul tavolo una lettera per mio fratello e poi vado via. Nella lettera ringraziavo il mio fratellone di tutto il bene che aveva saputo regalarmi. Gli confessavo di averlo visto molte volte piangere in silenzio per i suoi sacrifici. Stavo rubando la sua vita e non riuscivo a perdonarmelo, avevo bisogno di ricominciare da sola. Gli pregavo di non cercarmi, gli promettevo che ce l’avrei fatta perché sono una combattente… come mi aveva detto mia madre quando dovevo ancora nascere.
Scaccio via qualche lacrima impertinente e mi dirigo verso la fermata del bus, destinazione sconosciuta. Per tutta la durata del viaggio osservo fuori dal finestrino il paesaggio cambiare mano a mano che mi avvicinavo a nuove città. Campagne, mare e nuovamente alte montagne verdi come non mai nella primavera. Il caso volle che l’autobus subisse un guasto, interrompendo la mia fuga. L’autista mi spiega che poco distante posso trovare un piccolo quartiere in provincia di New York, guardandomi stranito. Se non altro qualche bel chilometro ero riuscita a farmelo, confidavo in mio fratello, sperando che non perdesse ulteriore tempo della sua unica e preziosa vita seguendomi. Spiego al signore davanti a me che sto andando lì a trovare la mia vecchia nonna e lui mi risponde che poca gente ormai abita in quel luogo desolato.
Capisco subito che è il posto perfetto per me. Cammino per un’oretta prima di raggiungere il mio paradiso. Aveva davvero ragione l’autista; arrivo in una piazza abbandonata in cui spicca solo una fontana. Spero che sia per il buio e che non sia davvero così tanto abbandonato. Non ho tempo comunque di esplorare, devo cercare qualche posto in cui poter sistemarmi. Mi giro di scatto al suono di una voce debole ma distinta. Un lampione poco funzionante riesce a far luce su una vecchietta sorridente, piegata sul suo bastone.
 
“Vai da qualche parte, cara?”
 
Cerco di sorriderle, le rispondo riferendole la stessa scusa usata per l’autista. Lei ridacchia.
 
“Capisco, capisco… mi spiace, non penso di poterti aiutare. Se forse mi dici il tuo nome…”
 
“Elizabeth”, le rispondo di getto.
 
“Merda, è il primo nome che mi è venuto in mente.”
 
La signora ci pensa un po’ su, poi scuote la testa. Mi si avvicina più velocemente di quanto credessi.
 
“Mi spiace piccola, domani potremo investigare meglio, le signore anziane qui sono poche. Per questa notte puoi stare da me.”
 
Sono indecisa ma è l’unica soluzione. La seguo ancora poco convinta, mentre lei inizia a raccontarmi la sua giornata passata al mercato del venerdì.


Angolo Autrice

Torniamo nel passato di Emma a scoprire ancora un po' il personaggio principale. Ci avviciniamo lentamente al suo presente
essendo arrivati alla sua fuga. Spero vi piaccia questo mix tra passato e presente, è essenziale per capire
come Emma sia diventata così oggi ;) ho qualche altra idea in mente a riguardo, poi potremo concentrarci sui giorni presenti... anche
per quelli ho qualche sorpresa. Fatemi sapere cosa ne pensate se vi va, a presto <3


 

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Capitolo 7
*** Chapter 5 ***


Capitolo 5

  ...due settimane dopo

Erano passate due settimane dalla serata con Derek, avevo dovuto mentire spudoratamente a suo padre chiedendogli di non cercarmi più perché avevo conosciuto un uomo per me importante, perdendo così uno dei miei pochi clienti più preziosi.
Tralasciando questo piccolo intoppo la mia vita ha ripreso a scorrere allo stesso rilassante e abituale ritmo. Cerco di evitare da un po’ di andare a fare “compere” al mercato, ho paura di incontrare nuovamente Nathan anche se so benissimo che potrebbe venire a cercarmi direttamente dentro casa se solo volesse. Non mi ha più cercata, non ci ha provato neanche a rimediare al dolore che mi ha inferto… ma cercavo di occupare più tempo possibile per non pensarci, quel periodo della mia adolescenza era passato.
 
Per quanto riguarda invece il lavoro serale procede abbastanza bene, sto riuscendo a mettere da parte un bel gruzzoletto per andare via da questa topaia. Inoltre ho anche adocchiato l’apertura di un nuovo pub nelle vicinanze in cui cercano personale. Non ho esperienza ma sono veloce ad apprendere e dubito fortemente che ci siano giovani nel quartiere disposti a lavorare incessantemente. Suppongo sia davvero stressante come impiego, non capisco però per quale motivo il proprietario voglia dare inizio ad un’attività proprio in questa zona desolata. Ho notato qualche lavoro di ristrutturazione anche in piazza, forse vogliono riportare questa città allo splendore di un tempo… so quanto è stata bella una volta.
 
Ora sono sul mio letto, a cercare qualche stupido giochino sul cellulare. All’improvviso sento una gran confusione provenire dalle scale del palazzo, il che è molto strano dato che ci abitiamo solo io ed un vecchietto mezzo sordo all’ultimo piano. Cerco di sbirciare dall’occhiolino della porta, sono rimasta comunque la solita ragazzina curiosa. Intravedo un ragazzo mai visto, indaffarato a farsi strada tra i piccoli corridoi con delle enormi valigie entrare nell’appartamento proprio accanto al mio per pochi secondi, prima che sparisca dietro la porta.
 
“Penso proprio che la tranquillità sia già andata a farsi benedire.”
 
Il mio pensiero viene appunto confermato quando, sentendo bussare alla porta e aprendola sbuffando, mi ritrovo davanti il mio nuovo vicino con un sorriso smagliante, che quasi illuminava tutto questo schifo di muffa così tanto da poterla trasformare in oro. Non mi soffermo molto ad osservarlo, dato che mi rivolge subito la parola… e potrei sembrargli una psicopatica se mi mettessi a fissarlo.
Mi porge la mano, gliela stringo nell’esatto momento in cui si presenta.
 
“Non sono l’unico pazzo a vivere qui allora!”, poi arrossisce tutto d’un tratto.
 
“Oh mio Dio, no, non intendevo dire che tu sia pazza. Mi dispiace.”
 
Rido alla sua goffaggine, non me n’ero neanche accorta. Continua a stringermi la mano muovendola ripetutamente su e giù, quando capisce di star esagerando nasconde le mani dietro la schiena arrossendo di nuovo e sorridendo imbarazzato.
 
“Mi chiamo Christopher, sono il nipote di uno zio mezzo matto che decide di investire in un pub in questo posto.”
 
Mi spiega dopo averlo fatto accomodare sul mio letto… beh, non avevo né divani né sedie. In ogni caso quell’informazione era per me più utile del previsto. Avrei potuto finalmente smettere di fare la puttana e dedicarmi a qualcosa di più dignitoso.
 
“Io sono Emma, è un piacere conoscerti. Mi chiedevo appunto chi potesse mai voler aprire un locale qui ma l’annuncio mi interesserebbe…”
 
Al mio nuovo vicino si illuminano gli occhi di cui ora riesco a scoprire il colore… un semplice castano chiaro, come i capelli riccioluti, che però ha un qualcosa di attraente…
 
“Sarebbe magnifico, potrei insegnarti io quando vuoi… poi faremo una prova e se tutto andrà bene potrai unirti a noi. Io sono il barman, abbiamo bisogno di due cameriere ed una è proprio qui davanti a me!”, esclama entusiasta.
 
La sua gioia è contagiosa, tanto da spingermi a chiedergli quando posso cominciare. Lui ci pensa un po’ su, si guarda intorno, controlla il telefono e mi dice
 
“Beh, dovrei sistemare un po’ casa… o forse chiamarla casa è esagerato.”, concordo e ridiamo insieme. Scrollo le spalle.
 
“Non ho nulla da fare, posso venire a darti una mano”, sorrido.
 
“Perfetto, casa mia non è lontana”, rido ancora all’ennesima battuta. Dopo di che, ci alziamo e ci spostiamo nel suo appartamento.
Rimango basita guardandomi attorno, non si vede neanche un centimetro di muro per tutti gli scatoloni sparsi ovunque. Sospiro, lego i capelli in una coda di cavallo alta.
 
“Bene, diamoci da fare”.
 
Non mi rendo conto di quanto tempo sia trascorso finché non inizio a sentire lo stomaco brontolare. Sono fiera del nostro lavoro, rimangono solo poche scatole e la casa inizia ad assumere un’aria di gran lunga superiore rispetto alla mia. I mobili sono chiaramente immacolati, inoltre Christopher ha con sé migliaia di bijoux che mi ha spiegato provenire dai suoi numerosi viaggi in giro per il mondo, che arricchiscono l’arredamento dandogli un tocco esotico. L’appartamento è ovviamente piccolo ma accogliente, almeno ha una sala pranzo con un reale angolo cottura, un bagno grazioso con una fantastica doccia nuova di zecca: si poteva addirittura scegliere il colore delle luci. La adoravo, il che mi motivò ancora di più per procurarmi quel lavoro e permettermi di acquistare una nuova abitazione.
Ci lasciamo andare sfiniti sul divano a due posti di pelle, sospiriamo contemporaneamente e ridiamo. Dopo qualche secondo di silenzio passato a fissare il bianco perfetto delle pareti, mi viene un’idea.
 
“Che ne dici di farci una doccia veloce e andare a sgranocchiare qualcosa? Ce lo meritiamo”, gli sorrido.
 
Passare il tempo con Chris mi rallegrava, aveva un non so cosa di rilassante. Trasmetteva benessere, era una sensazione che non provavo da tanto… prima di Derek. Sento una piccola fitta al cuore ma la ignoro. Non ho voglia di deprimermi un’altra volta.
 
“Va più che bene! Offro io, devo ripagarti per tutto l’aiuto… possiamo infiltrarci nel nostro locale, non penso ci siano dei buoni ristoranti qui…”, esclama.
 
Acconsento subito, ritenendomi più che d’accordo. Lo saluto e torno nella mia casetta, infilandomi subito in doccia apprezzando per una volta l’acqua fredda che oscura i miei pensieri.
Esco dopo una decina di minuti, il suono del telefono che richiama la mia attenzione. Corro ad afferrarlo, quasi scivolando, e rispondo senza vedere chi mi stesse cercando.
 
“Ho sbagliato numero”, l’unica cosa che sento da parte di una voce femminile prima che riattacchi poco dopo. Non avendo voglia di investigare, lascio correre. Intreccio i capelli e indosso una canotta bianca con sotto dei pantaloni neri. Esco di casa nello stesso istante in cui esce Christopher, ci sorridiamo e lo seguo mentre ci porta al suo pub. Che poi ce l’aveva un nome questo posto? La mia domanda riceve una risposta quando, arrivati, Chris dice
 
“Benvenuta all’Heaven, dove l’alcool ti spedirà dritto dritto in paradiso! O all’inferno per un coma etilico, chi lo sa… magari le vecchiette di questo posto non sono più abituate”.
 
Mi mordo il labbro per non ridere per l’ennesima volta, avevo paura di apparire una svampita e
un po’ fuori di testa. Quando entriamo e il mio nuovo stravagante amico accende le luci, posso osservare il mio, si spera, prossimo luogo di lavoro. Non è molto ampio, il locale è costituito per lo più da un’ampia sala fino al fondo della stanza in cui c’è un piccolo palco ricco di impianti stereo. Lungo la parete destra si trova il piano bar, alle sue spalle gli scaffali ricchi dei più famosi alcool. Nella parete di sinistra invece ci sono piccoli tavoli e divanetti, il tutto tendente al rosso fuoco. È semplice ma è bello, mi attira… mi piacerebbe riuscire a cogliere quest’opportunità. Chris mi fa accomodare ad un tavolino, scompare per un attimo in quello che dev’essere lo sgabuzzino riservato al personale e torna da me con un pacco di patatine e delle pizzette surgelate, faccio spallucce, era già molto meglio rispetto a della verdura marcia.
Riscaldiamo le pizzette nel microonde e accompagniamo il tutto con un’ottima bottiglia di prosecco.
 
“Parlami un po’ di te, come sei finita qui?”, quasi mi va di traverso una patatina. Questo tipo di domanda mi ha sempre messo in difficoltà, ma penso di poter essere almeno un po’ sincera con lui.
 
“Sono scappata di casa a 16 anni per vari problemi familiari abbastanza noiosi da raccontare rispetto a questa giornata piacevole. Se te lo stai chiedendo ho 21 anni ora. E tu? Come mai hai seguito tuo zio in questo progetto?”, gli chiedo incuriosita sin dall’inizio da questo piccolo grande particolare. Lui risponde subito alla mia domanda senza soffermarsi troppo sulla mia risposta, lo ringrazio mentalmente… non ero in grado di dare spiegazioni così tanto in fretta.
 
“Oh beh, mio nonno viveva qui da giovane. Prima di morire ha espresso il desiderio di veder
tornare questo quartiere allo splendore di un tempo, mio zio è un imprenditore, quindi eccoci qui. Volevo molto bene a mio nonno”, sorride, i suoi occhi forse persi nei ricordi. Scuote la testa e i suoi capelli riccioluti seguono il movimento.
 
“Ah, ho 24 anni. Sono più vecchio”, fa finta di lisciarsi la barba come un anziano saggio.
 
La stessa età di Nathan, in effetti mi sembrava divertente e premuroso proprio come lui… forse era per questo che mi faceva sentire meglio.
Trascorriamo una serata rilassante tra chiacchiere e risate, senza mai essere troppo invadenti. Ho omesso ogni piccolo particolare riguardante il mio attuale lavoro e il passato e, credo, stessa cosa abbia fatto lui. Abbiamo parlato dei nostri interessi, di qualche suo disastro nel lavoro (mi ha spiegato di aver avuto già esperienza come barman) e di divertenti episodi d’infanzia. Guardo l’orologio accorgendomi che si è già fatta mezzanotte. Sistemiamo e ripuliamo il tutto, Chris scherza dicendomi di essere già una perfetta cameriera. Torniamo a casa e, sull’uscio della porta, mi saluta con un tenero bacio sui capelli. Arrossisco leggermente, chiudo la porta e vado a stendermi sul letto. Il contatto ravvicinato non era il mio forte ma era stato tenero, avevo apprezzato quel piccolo gesto di affetto nonostante non ci conoscessimo quasi per niente.
Mi addormento quasi subito, in pace con me stessa dopo tanto tempo.

Angolo Autrice

Una piccola svolta che spero risulti piacevole rispetto all'andazzo di tristezza dei
capitoli precedenti. Emma inizia a mostrarsi di più per quello che è realmente.
Chris sarà il primo a scoprire la verità? Chi lo sa ;) Continuiamo a viaggiare ancora un po'
nel presente e scopriamolo. Al prossimo capitolo <3


 

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Capitolo 8
*** Chapter 6 ***


Capitolo 6
 

“Sai, ho sentito dire che un’agenzia immobiliare sta facendo faville. C’è stato un boom di vendite qui nel quartiere. Pare proprio che vogliano ricostruire questa città”, mi dice Chris dall’altra camera mentre io sono in bagno a spazzolare la mia lunga chioma.
Dopo aver scoperto che l’acqua calda in casa mia praticamente non esiste, mi ha gentilmente offerto una doccia da lui nonostante avessi insistito troppe volte nel dirgli che non serviva.
In realtà non riuscivo ancora a metabolizzare il tutto, non sapevo se essere contenta oppure no di questa ripresa. Mi ero fermata in città appunto perché era silenziosa, quasi del tutto abbandonata e adatta a me; eppure già dall’incontro con Nathan avevo notato molti più ragazzini in piazza che tra l’altro ora era anche ricca di fiori meravigliosi. Oltretutto era quasi estate, il che mi insospettiva ancora di più dato che non avevamo né mare né campagne ad attirare turisti. Finito di asciugare i capelli e aver indossato un semplice vestitino nero come richiedeva la divisa dell’Heaven, esco dal bagno. Chris mi sta aspettando sul divano e sorseggia un bicchiere di succo di mirtillo, giusto per fare il figo e far credere che sia vino.
 
“Non ho mai conosciuto in vita mia un barman astemio”, continuo a prenderlo in giro da quando mi ha rivelato ciò, non ci potevo credere all’inizio perché la prima sera mi aveva offerto del prosecco, dopo mi ha chiarito che la sua era semplice acqua e sono scoppiata a ridere di gusto fino a lacrimare.
 
Christopher cerca di guardarmi con aria minacciosa ma i suoi occhi da cerbiatto sono troppo dolci per permetterglielo. Si alza, afferra dei pattini da una delle poche scatole rimanenti e me li porge. Faccio una smorfia di disgusto, un’altra cosa che ancora non riuscivo a comprendere era il bisogno di dover utilizzare quei cosi infernali all’interno di un pub. Chris mi aveva spiegato diligentemente che erano più che utili per spostarsi velocemente e servire più in fretta, io avevo ribattuto dicendogli che al massimo avremmo avuto due clienti a serata. Lui per tutta risposta fece spallucce senza darmi ragione, tramava qualcosa anche lui e ancora non me ne aveva parlato. Li afferro sbuffando, mi siedo sul divano e cerco di indossarli. Dopo il terzo tentativo fallito nel fissarli, Chris si inginocchia davanti a me e mi spiega come fare. Alzandosi, mi porge la mano per aiutarmi a tenermi in equilibrio.
 
“E io non ho mai conosciuto in vita mia una ragazza che non sa pattinare, se mio zio lo scoprisse non ti permetterebbe mai di lavorare da noi”, gli tiro una pacca sulla spalla e lui fa finta di massaggiarsela come se gli avessi fatto male.
Scendere le scale non si rivela poi troppo complicato, riusciamo a raggiungere la piazza senza troppi problemi, Chris dice che è tutto merito suo e che se fossi stata da sola sarei caduta culo a terra minimo cinque volte, mento dicendogli che non è vero e che sono bravissima.
 
Non rimango stupita davanti la dozzina di bambini che si rincorrono e giocano a palla, ormai erano diventati un’abitudine e il chiasso che facevano era abbastanza piacevole. Le vecchiette sulle panchine confabulano tra di loro ma li osservano divertite, forse ripensando ai loro giorni da giovani. Christopher va a sedersi sul bordo della fontana, lasciandomi in piedi al centro della piazza come un pesce lesso. Cerco lentamente di raggiungerlo camminando, maledicendolo mentalmente per avermi fatta diventare il nuovo punto d’interesse delle anziane.
 
“Devi pattinare, non camminare”, mi rimprovera lui ghignando soddisfatto.
 
“Non era meglio provare direttamente nella sala dell’Heaven?”, mi fermo, ripensando poi alla presenza di suo zio. Ok, non era fattibile.
Volevo quel lavoro a tutti i costi, dovevo meritarmelo e se il prezzo era imparare a pattinare l’avrei fatto anche se avrebbe significato fare la figura della zimbella del paese. Tiro un gran respiro e mi concentro, piego un po’ le ginocchia come mi aveva detto Chris mentre camminavamo verso la piazza e faccio scivolare le ruote dei pattini. Come previsto, ecco che cado rovinosamente per la prima volta. Christopher mi raggiunge senza ridere, mi aiuta a tirarmi in piedi per poi prendermi le mani.
 
“Puoi farcela Emma, è un gioco. Vieni lentamente verso di me, ti tengo io”, il suo sorriso caldo e le sue parole rassicuranti sono decisamente migliori delle sue prese in giro.
 
Passata un’ora, riesco quasi ad essere fluida e autonoma nel movimento. Chris mi prende in braccio e gira su se stesso facendomi volare. Ridiamo insieme, noto con la coda dell’occhio una ragazza dietro l’albero che ci osserva ma sparisce subito dopo. Torno con i piedi per terra, le braccia di Christopher avvolte attorno ai miei fianchi, le mie mani sul suo petto e i nostri visi fin troppo vicini. Gli sorrido imbarazzata e lui mi lascia andare altrettanto rosso come un peperone. Si gratta la testa, tossisce per schiarirsi la voce.
 
“Te l’avevo detto che l’avresti fatta”, mi dice poco dopo.
 
“Eh… ah, sì”.
 
Pranziamo a casa sua e passiamo il pomeriggio a guardare “Io e Marley” in tv. Arrivo a fine film con un groppo in gola, mentre Chris affianco a me dorme. Spengo la tv, passo una mano tra i suoi riccioli ribelli e mi accuccio nell’angolo opposto aspettando che si svegli. Sono contenta di essere riuscita a farmi un amico, è un bravo e bellissimo ragazzo, disponibile e sempre dolce…
 
“Emma”, qualcuno mi scuote da un braccio e sono costretta ad aprire gli occhi.
 
“Emma”, ripete Chris, “dobbiamo prepararci”.
 
Mi giro a guardare l’orologio, sono le 19:05, tra 10 minuti dobbiamo essere al pub per preparare i tavoli: questa è la mia prima sera di prova.
Ci sistemiamo velocemente, aggiungo un filo di eyeliner al mio semplice trucco ed usciamo di casa.
Alle 19:14 in punto siamo all’Heaven.
Mi esercito ancora un po’ sui pattini per essere sicura di non ricevere brutte sorprese, anche se sono convinta che non verrà nessuno. Chris mi spiega dove posso trovare i menù, mi consegna il blocchetto degli ordini e una penna. Poco dopo tutti i tavoli hanno le proprie tovagliette e menù, vari palloncini ad elio sono sparsi nella sala e una melodia soffusa riecheggia nel locale, dopotutto è la serata di inaugurazione. Lo zio di Christopher si avvicina sorridente. E’ un uomo basso, calvo e anche paffuto, ma ha un’aria simpatica. Mi stringe la mano e si presenta.
 
“Sono contento tu sia qui cara Emma, il mio nome è Mark. Diamo inizio a questa serata”, sorride soddisfatto.
Alle 20:00 Mark apre le porte dell’Heaven ma ad aspettarci c’è solo la brezza fresca della sera.
 
“Proprio come pensavo…”
 
Lo zio di Chris non sembra darci molto peso come il nipote, vado a prendere posto su uno sgabello davanti al mio amico e chiacchieriamo del più e del meno.
Un gruppo di almeno 30 ragazzi ci interrompe, facendomi rimanere senza parole.
E questi da dove erano sbucati?
 
“Forse abbiamo dimenticato di dirti che siamo la catena di pub più famosa in tutta New York”, sorride e fa spallucce Christopher come se niente fosse.
 
Scatto subito in piedi, una ragazza si avvicina a noi e da una pacca sulla spalla a Chris.
 
“Bene bene, si riparte alla grande eh?”, dopo di che va a prendere posto sul palco.
 
Immagino così che sia l’animatrice delle serate. Qualcosa non mi torna… perché venire qui se si è già così famosi…? Avrei dovuto parlare con il mio vicino dopo il lavoro. Mi rimbocco le maniche e inizio a servire i sempre più numerosi clienti, scattando veloce tra un tavolo e un altro. Dopo due ore mi appoggio esausta al bancone del bar, Chris mi fa l’occhiolino e mi sussurra un “sei fantastica”, ricambio con un sorriso, afferro i cocktail pronti, una ciotola con delle patatine e scatto tornando a lavorare.
E’ quasi mezzanotte quando le luci del locale sembrano impazzire e la musica aumenta gradualmente. Siamo ormai arrivati al centinaio di persone traballanti che si avvicinano al palco e iniziano a saltare e ballare a ritmo di musica.
Rido divertita quando una povera gatta morta che cercava di provarci con Chris cade a causa dei tacchi e l’alcool mancando in pieno lo sgabello, anche se sono costretta ad aiutarla a rialzarsi. Riesco ad avere un po’ di pausa e raggiungo il mio unico collega.
 
“Si può sapere come diavolo è possibile?” urlo per farmi sentire al di sopra della musica assordante. Christopher ride, passandosi la manica della divisa sulla fronte per asciugare le goccioline di sudore.
Poco dopo io e Chris siamo vicini all’entrata a salutare e ringraziare, la maggior parte erano suoi amici e io mi sentivo un po’ a disagio.
Ci lanciamo esausti su uno dei pochi divanetti non imbrattato di alcool, o peggio… vomito.
Mark entra ridendo, dandomi delle leggere e continue pacche sulla testa come se fosse mio nonno, Chris trattiene le risate.
 
“E’ stato grandioso! Come prima sera va più che bene, potrete tornare domattina a pulire. Buonanotte ragazzi”, ci saluta ancora con grasse risate… era un uomo piuttosto allegro.
 
Mi massaggio la testa e scalcio via quei fastidiosi pattini, allungando le gambe doloranti sul tavolino. Christopher le prende e le porta sulle sue, massaggiandole dolcemente.
 
“Se te l’avessi detto dall’inizio probabilmente ti saresti spaventata”, dice.
 
In effetti non mi era piaciuto molto ritrovarmi in mezzo a tutte quelle persone ma non era così male come lavoro, potevo godermi scene divertenti, i ragazzi ubriachi sono esilaranti.
Annuisco, Chris mi guarda e con un fazzoletto mi tampona il trucco sciolto attorno agli occhi.
E’ la seconda volta in un giorno che i nostri visi sono fin troppo vicini, eppure non provo desiderio come mi era successo con Derek. Per l’ennesima volta ignoro la sensazione che sento smuoversi all’interno del mio stomaco solo a pensare al suo nome.
 
Christopher poggia la sua mano sulla mia guancia, sussurra
 
“Sei misteriosa Emma… voglio scoprirti…” le sue parole mi lasciano di stucco, schiudo le labbra per provare a ribattere ma non ci riesco, i suoi occhi stanno per leggermi dentro… Chris avvicina le sue labbra alle mie ma un rumore lo interrompe. Si allontana dal mio corpo e io sospiro sollevata, non avrei proprio saputo come fare per fermarlo, non volevo questo da lui…
Mi alzo e lo raggiungo all’entrata.
 
“Chris? Va tutto ben-“ mi interrompo e rimango a bocca asciutta di fronte ad una ragazza dai capelli lunghi e biondissimi, con un pancione e una valigia tra le mani, i suoi occhi neri fissi nei miei.
 
“Elizabeth…?” è tutto ciò che riesco a dire prima di sentire la testa girare e svenire tra le braccia di Christopher.

Angolo Autrice

Mi sono emozionata da sola a scrivere questo capitolo ahahah
Con il ritorno di Elizabeth se ne vedranno delle belle **
E Christopher che intenzioni ha? Spero abbiate iniziato
a farvi qualche domandina e a diventare curiosi, fatemi sapere
cosa ne pensate, se vi va.
A presto <3

 

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Capitolo 9
*** Chapter 7 ***


Capitolo 7
 

​Apro lentamente gli occhi, riconoscendo a mala pena la piccola sala di Christopher. Sono stesa sul suo divano, lo sento avvicinarsi al mio viso, il suo sorriso che illumina la stanza. 
“Dormigliona, come stai?” inizia subito con il prendermi in giro. Mi tiro su a sedere, mi stupisco di nuovo nel ritrovare Elizabeth sulla soglia che mi osserva preoccupata.
 
Merda, allora non era un sogno… ero svenuta.
Mi stropiccio gli occhi, sospiro, Chris mi passa un bicchiere d’acqua. Sorseggio mentre faccio segno alla mia vecchia amica di sedersi accanto a me.
Chris mi lascia un bacio sulla fronte prima di ritirarsi in camera sua e lasciarci sole: forse Beth le aveva detto qualcosa. La sua tenerezza davanti a lei mi fa imbarazzare, soprattutto dopo quello che aveva cercato di fare all’Heaven… avrei dovuto sicuramente parlare con lui e chiarire che non poteva esserci niente, che non volevo ci fosse qualcosa tra noi.
 
“E’ il tuo… ragazzo…?” mi riscuote dai pensieri la nuova arrivata, con un sussurro quasi impercettibile. Scuoto energicamente la testa mentre l’acqua mi va quasi di traverso, lei si scusa, doppiamente imbarazzata. Restiamo in silenzio per qualche minuto, la osservo accarezzarsi il pancione sorridente, i capelli ora lunghissimi che le ricadono attorno al viso. E’ cresciuta, ovviamente, ma sembra avere gli stessi lineamenti dolci di quando era bambina…
Un sacco di domande mi frullano per la testa, senza avere il coraggio di porne neanche una: come è arrivata qui, come ha saputo di me, perché è incinta.
Tossisce, schiarendosi la voce. Lega i capelli in una morbida coda laterale e mi guarda negli occhi.
Riconosco all’istante i suoi pozzi neri così profondi da poter leggere l’anima di una persona; la ragazza dietro l’albero che mi osservava in piazza era lei, mi viene immediatamente da pensare.
 
“Da dove potrei iniziare, ecco…”, si tormenta le mani, io deglutisco rumorosamente. Ero nervosa e ansiosa, il che mi risultava molto strano… con Nate non mi era successo. Dentro di me sapevo che con Elizabeth non riuscivo a mentire, potevo essere me stessa solo con lei.
E così, senza neanche rendermene conto, mi ritrovai in lacrime tra le braccia della mia migliore amica. Lei mi consolava come fosse stata mia madre, accarezzandomi la schiena e sussurrandomi parole dolci di conforto, sentivo finalmente che, grazie a Chris e a Beth, non sarei più stata sola.
Potevo cambiare, potevo uscire dal guscio di protezione che avevo creato in tutti quegli anni, non potevo dimenticare ma potevo rendere il presente più luminoso del passato affinché brillasse e riuscissi a vivere… non più a sopravvivere.
Dopo aver sfogato il dolore provato negli anni di solitudine, riesco a calmarmi. Mi alzo a prendere un fazzoletto e a bere un altro bicchiere d’acqua, dopo di che torno accanto a Beth e lei, tenendomi la mano, mi racconta tutto ciò che le è accaduto. Inizia con il dirmi di aver scoperto da Nathan di me, che fosse stato proprio lui a raccontarle del nostro incontro. Mi spiega di aver vissuto in una casa nelle vicinanze prima di aver trovato il coraggio di cercarmi. Mi sento male per lei, per tutto quello che le ho fatto passare. Le chiedo di andare avanti, Elizabeth decide di rivelarmi cosa è successo subito dopo la mia scomparsa, o meglio, fuga.
Ammette di avermi odiato un po’ dopo quello che avevo fatto, per averla abbandonata e per non averle detto la verità, che una soluzione insieme l’avremmo trovata. Ai nostri vicini, come ai nostri compagni di scuola, non era importato così tanto. Fino a quando Nathan non ha iniziato a girare casa per casa disperato, chiedendo aiuto, qualcuno ha iniziato a collaborare. Poi, è successo qualcosa di inaspettato. Mi dice che mio padre gli ha chiesto di fermarsi, di lasciarmi vivere la mia vita e che era giusto così. Nate decise di arrendersi dopo queste sue parole, riconoscendo il vecchio padre della sua infanzia. Le chiedo come fa a sapere ciò, lei mi spiega che è stato proprio Nathan a confidarglielo, chiedendole consiglio dato che era la persona più vicina a me. Beth non aveva risposto alla richiesta di aiuto di mio fratello, come nessun’altro aveva fatto, chiudendosi in un silenzio ostinato. Mi racconta di come solo Thomas, il suo ragazzo dei tempi, era riuscito a farla riprendere. Le sorrido, finalmente contenta anche solo per una singola cosa che le sia successa. Mi spiega di avermi capita dopo un paio di mesi e di aver accettato la mia decisione. La ringrazio e poi, finalmente, le pongo l’ultima domanda: il bambino che portava in grembo. Il suo sorriso diventa malinconico, si asciuga una lacrima formatasi all’angolo dell’occhio.
 
“Ti prego di non disprezzarmi per quello che ti dirò Emma, sei tutto ciò che mi rimane…” la rassicuro, non avrei mai potuto farlo dopo tutto quello che lei aveva fatto per me. Avevo anch’io tante cose da dirle per cui avrebbe potuto tornare ad odiarmi… vendere il proprio corpo dopo aver subito degli abusi non è la scelta più intelligente ma era anche la mia unica soluzione, o almeno così mi dicevo per farmi meno schifo.
Elizabeth prende un gran respiro e ricomincia a parlare.
 
“Ti ho già detto che dopo essertene andata Thomas mi è stato accanto…” io annuisco, facendole segno di continuare, ero lì per lei, ora e sempre.
 
“Due anni dopo, avevo 18 anni, scoprii che mi tradiva. Litigammo tanto Emma, persi il controllo e gli tirai uno schiaffo. Lui mi strinse così forte il polso da farmi male, solo quando iniziai a piangere si fermò, cercando di chiedermi scusa. Non potevo perdonarlo e ci lasciammo. La notizia si diffuse in fretta nella nostra scuola e beh, sai come sono fatti. Non sopportavo di essere al centro dell’attenzione nonostante la colpa non fosse affatto mia. Mi ritirai e iniziai a cercare lavoro, trovandolo poco dopo come cameriera in un bar. Il figlio del proprietario, Eric, era gentile e dolce con me, pensa che mi faceva trovare prima del lavoro un caffè macchiato perfetto proprio come piace a me, e sai quanto sono complicata nel trovare il gusto giusto per il mio palato raffinato”, ridacchia, poi riprende
“Un giorno, offrendomi una rosa, mi chiese un appuntamento. Non mi ero ancora ripresa dalla rottura con Thomas ma avevo bisogno di distrarmi o sarei impazzita. Uscimmo tante altre volte nonostante gli avessi raccontato la verità, lui non smise di provarci e due mesi più tardi riuscii a convincermi, passammo un anno e mezzo insieme meraviglioso.”
 
Si interrompe un attimo, per prendere fiato, io rifletto sull’utilizzo al passato dei verbi. Ora, come da bambina, non sapevo come esserle d’aiuto… in amore ero una completa frana, da sempre, non avevo mai vissuto esperienze del genere.
 
“Capitò una sola volta ma fu l’errore peggiore di tutta la mia vita. Avevamo deciso di passare una serata in discoteca con dei suoi amici e mentre loro si allontanarono a ballare, incontrai nuovamente Thomas. Emma, non so spiegarti la sensazione che sentii partire da dentro il mio corpo, scappai con lui e facemmo l’amore. Ero diventata esattamente come lui, avevo tradito il mio ragazzo. Chiesi a Thomas di non parlarne con nessuno, volevo dire io la verità ad Eric ma fu troppo tardi. Ovviamente si accorse subito della mia assenza, chiedendo informazioni scoprì che ero uscita con Thomas. Lo trovai fuori casa, non era arrabbiato ma profondamente deluso. Semplicemente mi disse che era finita e andò via. Chiesi a Thomas di ospitarmi una notte, dato che io e Eric stavamo anche per andare a convivere. Lui era ubriaco… sembrava essere impazzito come l’ultima volta e mi cacciò brutalmente. Tornai a vivere dai miei genitori e poi… scoprii di essere incinta. I miei non riuscirono ad accettare anche questo, prima il ritiro da scuola, poi i tradimenti… non sapevo di chi fosse questo bambino, ero sola e senza un posto dove stare… fino a quando non ho parlato con Nathan ed eccomi qui. So che Eric vorrebbe saperlo ma ho paura Emma… se fosse di Thomas? Ho fatto una cazzata lo so, ma questa piccola creatura non c’entra nulla…”
 
Lascio che Elizabeth si sfoghi proprio come ho fatto io poco fa, le dico che andrà tutto bene e che lei sarà una mamma fantastica, che poteva restare con me e ce la saremmo cavata.
 
“Io non voglio scappare Emma… sono 7 mesi ormai che mi nascondo…”, in quel momento prendo l’unica decisione che possa salvare entrambe.
 
“Prendiamoci questi due ultimi mesi di pausa, poi torneremo, insieme e più forti di prima”, lei mi guarda incredula. Neanch’io riesco a credere a ciò che ho detto ma ora capisco che è la cosa più giusta da fare: per tutto il male che aveva affrontato Beth, per la solitudine di mio fratello e per la mia corazza.
 
La vera Emma è una guerriera.
 
Chris accetta di ospitare Beth e farla dormire sul suo divano, non mi va che torni in quella casa da sola e io non saprei dove sistemarla. La verità è che mi vergogno del mio rifugio, anche per i vestiti osceni che potrebbe scoprire a causa del mio vecchio lavoro. Prometto ai miei due amici che l’indomani avremmo cercato una nuova casa dove io ed Elizabeth avremmo potuto convivere. Avrei dovuto lasciare da tempo quell’appartamento ma, forse, non avevo mai avuto il reale coraggio di fare questo passo così importante. Mi dispiaceva anche lasciare Chris lì da solo, se avessimo trovato un nuovo posto con abbastanza spazio anche per lui sarebbe stato perfetto, contando anche il fatto che il costo sarebbe stato per tutti inferiore se fossimo stati in tre.
Do un bacio sulla guancia alla mia amica prima che si addormenti, doveva essere esausta, erano ormai le 5 del mattino.
Christopher mi accompagna fuori, lo saluto in fretta con un cenno della mano, sentendomi a disagio nel rimanere sola con lui. So benissimo di dovergli dare delle spiegazioni ma non me la sento, ho passato troppo questa sera.
 
“Emma”, mi chiama lui prima che faccia in tempo a chiudere la porta.
 
“Non volevo rovinare nulla però… vorrei parlare con te, non appena te la sentirai”, annuisco continuando a dargli le spalle e rientrando in casa. Mi butto sul letto esausta dopo l’intensa giornata passata.
 
Mi sveglio di buon umore, è iniziata una nuova settimana e presto inizierò una nuova vita. Non mi preoccupo di vestirmi, rimango in pigiama e busso alla porta di Christopher. Spero che siano svegli, sono quasi le 12:00, e che non siano stati in imbarazzo.
Chris mi fa entrare, non ha la solita aria allegra, gli occhi sono un po’ spenti ma cerco di non pensare che sia a causa mia. Per tirarlo un po’ su di morale lo saluto con un bacio sulla guancia, deve funzionare perché ora sorride e prepara la colazione nonostante sia ora di pranzo.
Elizabeth esce dal bagno, già sistemata alla perfezione, con un vestito adorabile a fiori che risalta ancora di più il pancione. Rido guardandola per il contrasto tra i nostri aspetti. Mentre beviamo tutti e tre insieme un thè caldo, con il mio telefono malandato cerco qualche appartamento nelle vicinanze, poi mi tornano in mente le parole di Chris.
 
“Hey”, gli do una gomitata per attirare la sua attenzione “non mi avevi parlato di quell’agenzia?”
 
Lui mi prende il telefono dalle mani, digitando qualcosa, poi me lo ripassa.
Rimango sbalordita di fronte alla centinaia di annunci pubblicati dalla cosiddetta TecnoHouse, pensavo che i proprietari di tutte queste abitazioni fossero ormai morti da decenni e che di conseguenza nessuno fosse interessato a rivendere per guadagnarci qualcosa… decido di non esprimere ad alta voce i miei pensieri malefici.
Scorriamo molti annunci prima di riuscire a trovare quello perfetto, al centro tra l’Heaven, la piazza e la mia attuale casa. E’ un palazzo molto simile al nostro ma, come si nota dalle foto, è molto più recente. Inoltre, si tratterebbe dell’appartamento all’ultimo piano, costituito da un’ampia terrazza. Dell’interno non sono disponibili ulteriori foto quindi decidiamo di telefonare per prendere un appuntamento. Elizabeth riesce a fissarlo per il giorno stesso alle 16:00, così da riuscire ad osservare la luminosità della casa.
Torno in casa mia per darmi una ripulita e preparare le valigie, senza accorgermi di essere seguita da Christopher. Sobbalzo quando, uscendo dal bagno, lo trovo seduto sul letto.
 
“Cazzo Chris, mi hai spaventata”, vado a sedermi accanto a lui che prontamente si scusa.
 
“Sarai pronta a parlarmi di te?”, chiede. Annuisco, non totalmente convinta.
 
Prendendomi alla sprovvista Christopher si sporge verso di me, poggia le sue labbra sulle mie, dolcemente… rimango con gli occhi sbarrati, senza reagire nè provare nulla dentro di me... successivamente si alza, avvicinandosi alla porta.
 
“So che non può funzionare quindi sarò felice di essere solo, spero, il tuo migliore amico. Sappi però, che se quel piccolo contatto ti ha fatto provare qualcosa, io sarò proprio qui. Nella casa accanto”, si gira per sorridermi, poi se ne va, lasciandomi sconvolta e senza parole.
 
“Non pensavo provasse qualcosa per me, ogni cosa che ho fatto con lui… cioè, l’ho fatta da amici, capisci?”, mi sfogo poco dopo con la mia amica mentre finisco di piegare gli ultimi vestiti.
 
Lei riesce solo ad annuire e ridacchiare divertita.
 
“Emma, è un’ora che lo ripeti, non serve autoconvincersi… sei troppo abituata a farlo, rilassati. Piuttosto dimmi, davvero non hai mai provato nulla?”
 
Mi siedo accanto a lei, pensandoci seriamente. Dopo qualche minuto il viso di Derek occupa i miei pensieri, scuoto la testa per rispondere a Beth. Com’era possibile che per una sola notte pensassi più a lui che a Christopher?
 
“Beh, non decidiamo noi di chi innamorarci.”
 
Sospiro, mentalmente le do ragione, continuando a sentirmi una bambina che non sa cosa sia un sentimento del genere.
 
Cinque minuti prima dell’appuntamento il mio nuovo trio è fuori l’appartamento, ad aspettare l’agente immobiliare incaricato di mostrarci la casa.
Poco prima che un’auto lussuosa si avvicini rumorosamente, il mio telefono inizia a squillare. Chiedo a Beth e Chris di iniziare senza di me mentre mi allontano per rispondere.
Dopo ben dieci minuti riesco a liberarmi di un fastidioso promoter e salgo le scale per raggiungere i miei amici. Appena arrivo Beth si gira verso di me, entusiasta.
 
“Emma! Eccoti finalmente, è perfetta e potremmo pagare a rat-“, si interrompe notando il mio sguardo perso negli occhi blu mare dell’agente.
L’angelo che tanto sogno e che speravo di non rivedere mai più.
 
“Tu…?”, diciamo contemporaneamente io e Derek.
 
Christopher ed Elizabeth ci guardano confusi.
 
“Vi conoscete?”, chiede il mio amico riccioluto.
 
Rispondo di no, nello stesso istante in cui l’oggetto del mio interesse mi contraddice rispondendo di sì.

Angolo Autrice

Abbiamo conosciuto meglio il personaggio di Elizabeth,
facendo scattare in Emma il desiderio di voler cambiare.
Vi piace l'andamento della storia? E il colpo di scena
com'è stato? Vedremo tornare Derek come uno dei
personaggi principali, spero vi piaccia.
Fatemelo sapere, a presto <3

Personaggi

Semplicemente a scopo illustrativo, i volti che ho scelto NON rappresentano
i personaggi da me inventati, è solo per dare un'idea in più ai lettori.
Cliccando sul nome vi si aprirà nella stessa finestra la foto del personaggio, successivamente basterà tornare indietro.


Emma Jones
Nathan Jones
Elizabeth Starling
Christopher Smith
Derek Williams
 

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Capitolo 10
*** Chapter 8 ***


Capitolo 8

 Past – 5 years ago
 
A svegliarmi questa mattina è un forte odore di caffè, costringendomi a tapparmi il naso. Mi stiracchio facendo cigolare il vecchio e scomodo divano sul quale ho passato la notte in casa di quella vecchiarella. Continuo a rimproverarmi mentalmente per aver avuto già fin troppi rapporti con lei, sarei dovuta andarmene al più presto. I miei pensieri trovano nuovamente conferma quando la signora in questione cerca di passare silenziosamente avanti a me ma inciampa in una mia scarpa quasi cadendo a terra. Mi spavento e mi appresto ad aiutarla, riesce però a riacquistare l’equilibrio da sola; nonostante l’età avanzata mi sembra abbastanza agile e sveglia… motivo in più per mantenere le distanze.
 
“Oh, sei sveglia cara” mi dice poco prima di aprire le tende e le finestre, facendo filtrare la luce del mattino. Annuisco, anche se non può vedermi. Ora riesco ad osservare meglio il posto in cui ci troviamo. E’ un piccolo appartamento, formato dalla camera in cui ho dormito con solo il divano e un angolo cottura, deduco che la stanza affianco appartenga a lei. Le chiedo dov’è il bagno e lei mi indica una porta affianco la camera da letto. Mi prendo un po’ di tempo per sciacquarmi il viso e spazzolarmi i capelli con un pettine della mia temporanea compagna di viaggio. La tinta stava perdendo e stavano tornando al colore naturale, in più erano cresciuti arrivandomi fino alle spalle. Mi guardo allo specchio, riconoscendo dopo tanto il verde dei miei occhi, non era il caso di sprecare altri soldi per comprare nuove lenti e la vecchietta si sarebbe insospettita fin troppo… ero già troppo strana. Un’adolescente con poco più di uno zaino, capelli scambiati e vestiti extra large che gira da sola in una città pressappoco abbandonata.
Esco dopo una decina di minuti, raggiungendo la signora che ora è seduta su uno sgabello accanto a un tavolino incastrato alla bell’è meglio tra l’angolo cottura e il divano.
E’ tutto molto silenzioso in questa casa, non ci sono televisori né telefoni, come se avesse voluto allontanarsi dal resto del mondo. Mi porge delle fette biscottate e le mangio volentieri, giusto per riempire lo stomaco con qualcosa che non siano hamburger o pizza.
 
“Allora”, esordisce dopo essersi ripulita le labbra dai residui di briciole e succo di frutta, “ho riflettuto un po’, purtroppo nessuna signora in zona di mia conoscenza ha mai avuto figli lontani, né tantomeno nipoti”.
 
Abbasso lo sguardo, annuisco. Mi stava fissando e se l’avessi guardata negli occhi avrebbe capito all’istante che stavo mentendo sin dall’inizio. Poco dopo batte le mani, si alza per riporre il succo e le fette biscottate.
 
“Beh, ospitarti finché non avrai trovato tua nonna non sarà un problema per me. Sei una tipa silenziosa, mi piaci.”
 
La ringrazio in un sussurro, mi dice che posso fare quel che voglio e poi esce per andare a fare la sua solita passeggiata mattutina. Mi alzo, guardandomi attorno. Mi infilo nel piccolo corridoio che porta alla sua stanza, la porta è socchiusa. Sto quasi per entrare quando sento scattare la serratura della porta principale, corro sul divano e afferro al volo “Cime tempestose” dallo zaino facendo finta di leggere.
 
“Ho dimenticato la borsa, che sbadata”, mi giro per sorriderle. Lei ricambia, indugiando con lo sguardo sul mio libro, poi finalmente se ne va.
Solo dopo mi rendo conto di star mantenendo il libro al contrario, decido di non provare mai più ad esplorare. Lei rispettava me, io rispettavo lei. Quest’equilibrio poteva andarmi bene finché non avrei trovato un posto tutto per me.
 
La signora rientra in casa per l’ora di pranzo, mentre io ero ancora stesa sul divano a dondolare noiosamente le gambe su e giù per aria. Mi metto a sedere quando lei arriva, chiedendole se le serve una mano in cucina. Lei ride e mi risponde di no, ribadendo che sono un’ospite.
In realtà penso che non voglia che io combini qualche disastro ma meglio così, mi sarei sentita fin troppo a disagio e in imbarazzo.
Prendo posto sullo stesso sgabello della mattina mentre mi viene versata una strana zuppa in un piatto, scelgo di non prestare attenzione all’aspetto perché l’odore è davvero delizioso.
Mi faccio coraggio e le chiedo come si chiama, se avessi bisogno di chiederle qualcosa non saprei come rivolgermi. Lei mi guarda per un attimo seria, poi sorride come è solita fare. Il suo sorriso è rassicurante e ha un qualcosa di familiare. Gli occhi, tra l’altro, sono molto simili ai miei. I capelli sono corti, completamente bianchi, e le circondano graziosamente il viso non così tanto pieno di rughe. Immagino fosse stata davvero una bella donna da giovane.
 
“Sei curiosa. Ebbene, lo sono anch’io. Ti dirò il mio nome quando mi svelerai la tua vera identità, non hai niente da temere e se tu non ti fidi di me io non posso fare altrettanto.”
 
Le sue parole mi sbalordiscono, non rispondo e annuisco per l’ennesima volta imbarazzata.
Volevo mettermi a mentire ad una che aveva almeno il triplo della mia età?
Avevo ancora molto da imparare, fin troppo.
 
Appena finiamo di mangiare insisto per lavare almeno i piatti, dopo svariati rifiuti cede e va a riposare in camera sua.
Dopo aver pulito, faccio un bel respiro e busso alla sua porta, la sento spostare qualcosa e poi darmi il permesso di entrare. Mi fa cenno di sedersi sul letto accanto a lei, persino la sua stanza è molto povera: il letto e un armadio, niente di più.
 
“Mi chiamo Emma”, le dico in un sussurro. Lei sta zitta per un po’, persa in chissà quali pensieri.
 
“E’ un piacere conoscerti, Emma. Io mi chiamo Abigail, ma puoi semplicemente chiamarmi Abby.”
 
Abby, ripeto nella mia mente. Le si addiceva, aveva proprio il viso da Abby. Sto quasi per ricordare di aver già letto da qualche parte quel nome, quando lei mi chiede cosa faccio realmente lì.
 
“Viaggio…” accenno solamente mentre mi tormento le mani.
 
“Viaggi… o scappi?”, le sue parole sono ancora in grado di colpirmi in pieno. Ripenso all’ultimo abbraccio di Nathan, gli occhi mi si riempiono di lacrime. Non sono in grado di essere così forte da poter vivere senza di lui. Cosa credevo di poter fare?
Non ero altro che una singola goccia in un oceano, non avevo nessun potere.
Non potevo guarire fuggendo.
 
Abigail mi accarezza i capelli mentre io stringo i pugni e mi mordo il labbro per fermare il mio pianto di sfogo.
 
“Ricorda piccola, solo il tempo può guarirci… non nasconderti dietro una corazza.”
 
Queste sue parole sono il colpo di grazia, scoppio a piangere come una bambina, come non facevo da tempo e come avevo bisogno di fare.
Riesco a calmarmi grazie alle sue carezze e il suo silenzio confortevole e capisco di avere una nuova preziosa amica al mio fianco.
 
Un mese dopo io ed Abby siamo cariche di spesa e saliamo con difficoltà le strette scale del palazzo. Abbiamo passato una mattinata divertente al mercato, abbiamo anche chiacchierato con qualche sua vecchia amica.
 
Ho imparato a conoscere meglio questo quartiere, ora mi muovo con sicurezze tra le vie strette e buie. A volte esco da sola a prendere un po’ d’aria, sedendomi in piazza. Riesco quasi ad immaginarla ricca di fiori e di bambini che si divertono tra loro: Abigail mi aveva mostrato un sacco di foto, avevo notato molti spazi vuoti nel suo album ma non mi ero permessa di porre domande; c’era ancora questo reciproco rispetto tra di noi.
L’unica cosa che avevo avuto il coraggio di dirle era stata ammettere di essere scappata per problemi in famiglia come la morte di mia madre alla mia nascita, non mi ero permessa di parlare degli abusi di mio padre.
 
Sposto i capelli dietro la schiena, ormai tornati al loro colore naturale, e riprendo a salire verso casa sempre più affaticata. Mi giro non sentendo più i passi di Abigail, rimasta indietro.
Sentendola tossire corro a prestarle aiuto che lei ovviamente rifiuta, era una donna orgogliosa e un po’ la ammiravo per questo.
Mi sarebbe piaciuto diventare come lei, avevo imparato a conoscere il suo carattere riservato, dolce ed altruista nonostante facesse finta di non esserlo. Era forte, simpatica e sempre pronta a fare due chiacchiere genuine. Io, da parte mia, ero riuscita ad aprirmi di più.
Passavamo i pomeriggi a discutere di letteratura e di attualità, si teneva aggiornata con i classici giornali e iniziavo ad apprezzare anch’io il distacco dalla tecnologia.
 
Abby poggia una mano sul muro, continuando a tossire. Inizio a preoccuparmi e le chiedo se va tutto bene, lei a fatica mi risponde di correre a prendere delle pillole dal ripiano del bagno.
Faccio quanto mi dice ma quando torno la trovo seduta su uno scalino, la schiena poggiata al muro e gli occhi chiusi. Cerco di scuoterla, non risponde.
Corro più veloce che posso in piazza, urlando per chiedere aiuto.
Riconosco una signora del mercato che subito mi indica la cabina telefonica all’angolo della piazza.
Chiamo un’ambulanza, comunico in fretta la via e torno da Abby.
Non ho mai visto tutte queste persone in città che ora aspettano all'entrata del palazzo, qualcuno piange, altri sussurrano tra di loro.
Non ho tempo né voglia di ascoltarli, devo stare accanto ad Abby.
Il suo respiro è debole ma sorride, come sempre.
 
Sono seduta accanto al letto d’ospedale di Abby quando riesce finalmente ad aprire gli occhi. La aiuto a mettersi seduta, chiamo un’infermiera e sono costretta a rimanere fuori non essendo sua parente. Riesco a sedermi accanto a lei dopo pochi minuti, le prendo la mano.
 
“Porca miseria se mi hai fatta spaventare! Dovremmo trasferirci al piano terra o fare meno spesa la prossima volta!” lei ride a fatica, io ricambio con un sorriso.
“Emma… c’è una cosa che devo dirti.”
 
Al suono di quella semplice frase il mio cuore inizia ad accelerare, non mi piace il tono della sua voce…
 
“Sono malata, molto malata. Da tanto, forse troppo tempo. Ho un tumore ai polmoni, si sta espandendo in tutto il mio vecchio corpo. Avevo rifiutato le cure perché pensavo di essere sola ormai a questo mondo…” si interrompe per prendere fiato. Io rimango in silenzio un po’ per darle il tempo che le serve, un po’ perché le sue parole mi sconvolgono.
 
“Però poi sei arrivata tu, con quegli occhi… ti ho riconosciuta all’istante. Poco prima di interrompere i rapporti con tuo padre ho ricevuto qualche fotografia… della mia amata nipotina… dell’unica luce che è rimasta in vita di mia figlia…” sono sempre più confusa e non so cosa dire, sembra che la stanza attorno a me si stringa sempre più, mi manca l’aria e mi sento impallidire.
 
“Sarah era mia figlia, tua madre… tu sei mia nipote Emma… non ci potevo credere, il destino a volte gioca brutti scherzi… vedermi strappare via la mia nipotina proprio quando la vita mi sta abbandonando… avrei voluto conoscere meglio te e Nathan, non solo attraverso delle stupide fotografie… ma c’è qualcosa che mi ha sempre tenuta legata qui, per questo ti chiedo di perdonarmi…”
 
Le lacrime rigano il mio viso senza che me ne accorga. Avevo una nonna, pensavo che fossero morti… era la mamma di mia madre… avevo così tante cose da chiederle. Com’era stata da bambina, quali erano i suoi libri e i suoi cibi preferiti, se mi assomigliava… ma il tempo mi stava ancora portando via di nuovo tutto ciò che avevo. Abigail era l’unico legame che mi ero permessa di rafforzare e il destino decideva per me di dover essere sola, di nuovo.
 
“Emma, piccola mia… c’è solo una cosa che dovrai ricordare per sempre. Lei ti ha dato la vita per amore, non pensare mai… mai e poi mai che sia stata colpa tua…” allunga la mano per accarezzarmi il viso, mi nascondo tra le sue braccia e passo gli ultimi istanti con lei.
 
Pochi giorni dopo il cuore di Abigail, di mia nonna, smette di battere per sempre.


Angolo Autrice

Ci avviciniamo sempre più al presente di Emma,
che ne pensate di questa svolta nel passato?
Spero possa piacervi e di avervi stupito ancora una volta.
So che probabilmente molte cose non sono state chiare,
non potevo dilungarmi troppo. Ci sarà un altro capitolo sul passato
che spiegherà tutto. ;) P.s: dal capitolo 7 ho cambiato copertina, vi piace?
Inoltre ho aggiunto a solo scopo illustrativo i personaggi <3

Personaggi

Semplicemente a scopo illustrativo, i volti che ho scelto NON rappresentano
i personaggi da me inventati, è solo per dare un'idea in più ai lettori.
Cliccando sul nome vi si aprirà nella stessa finestra la foto del personaggio, successivamente basterà tornare indietro.


Emma Jones
Nathan Jones
Elizabeth Starling
Christopher Smith
Derek Williams
 

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Capitolo 11
*** Chapter 9 ***


Capitolo 9
 

 
Io e Derek siamo seduti l’uno di fronte l’altra al tavolo della sala nella nostra nuova casa che ancora non ho avuto il piacere di ammirare. Elizabeth, dopo aver intuito il tipo di situazione e avermi fulminata con lo sguardo per non avergliene parlato, ha trascinato via Chris dicendo che “andavano a fare la spesa” e che io “avrei potuto visitare la casa”.
Il ticchettio dell’orologio mi ricorda che siamo in questa situazione da almeno cinque interminabili minuti, passati in silenzio.
Il giorno del nostro primo e unico incontro avevo apprezzato il suo carattere taciturno ma ora iniziava a darmi sui nervi. Insomma, lui se n’era andato e lui avrebbe dovuto parlare per primo, nonostante non ci fosse nulla da dire.
Ok, no. Stavo di nuovo addossando tutte le colpe su di lui quando neanche sapeva cosa sarebbe successo.
 
“Che ne dici di concludere l’affare e farla finita senza girarci troppo intorno?”, propongo.
 
E’ la soluzione più logica e indolore. Tra l’altro, chi me lo dice che lui stia male? O che mi abbia pensata come io ho fatto con lui? Non posso saperlo e non voglio saperlo.
La vocina di Elizabeth quasi mi tormenta stuzzicandomi, dicendomi che in realtà voglio saperlo eccome. O almeno questo è ciò che mi ripeterebbe lei, è solo la mia immaginazione.
Sto impazzendo.
Odio il destino.
Ho sempre pensato che il futuro di ogni singola persona derivasse dalle decisioni prese nel corso della vita, iniziavo a credere che non fosse più questa la verità.
Non avevo scelto io di essere stuprata, né di finire a fare la puttana.
Potevo incolparmi solo ed esclusivamente per essere scappata di casa, il che mi aveva portato a conoscere mia nonna e vederla morire, di conseguenza prostituirmi e conoscere John…
la decisione di Derek di presentarsi quella sera è stata solo sua, per questo siamo in imbarazzo e a disagio ora. Eppure la possibilità di rifiutarmi lui me l’ha data…
Chiudo gli occhi, sbatto il palmo della mano sul tavolo per cercare di smetterla di pensare. Impreco sotto voce, Derek mi guarda stupito.
 
“Cazzo, che male…” devo togliermi questo vizio di colpire ogni cosa che mi ritrovo a tiro quando mi innervosisco, anche se funziona come metodo. Derek allunga la sua mano verso la mia, osservandola. Si alza, tirandomi e portandomi verso il lavello. Fa scorrere dell’acqua fresca sulla mano arrossata per la botta, in realtà non era niente di che e mi stupiva ancora una volta il suo altruismo nei miei confronti sebbene tutto quello che gli avessi fatto. Sussurro un grazie, lui scrolla le spalle. La calma dei momenti precedenti termina in fretta.
 
“Perché non mi hai fermato?” ecco qua. Iniziamo con le domande e con le accuse velate.
 
“Perché mi hai invitata a bere?”, ribatto. Voleva uno scontro e uno scontro avrebbe avuto. Non potevamo avere una conversazione civile come avevo provato a proporgli?
 
“Mi crederai uno stupido”, risponde sorprendendomi. Pensavo che mi avrebbe risposto a tono.
Aspetto che continui a parlare, ora siamo in piedi, i miei occhi fissi nei suoi.
 
“Lo stai facendo anche ora… mi guardi…” si gratta la testa, impacciato. Non riesco a trattenermi e rido, non lo sto davvero capendo. Mi rilassa non essere la sola in difficoltà.
 
“E’ come se i tuoi occhi mi stessero comunicando un qualcosa… come se tu volessi essere salvata”, smetto di ridere all’istante al suono di quelle parole. Mi incupisco, ho sempre conosciuto la mia debolezza. Le persone riescono a leggermi dentro ed è così frustrante e odioso, non sono brava a nascondere le emozioni o a mentire.
 
“Non ho bisogno di essere salvata. La casa la prendiamo, comunque.”
 
Gli do le spalle e mi dirigo verso la porta, sono abbastanza stanca di questi giochetti. Lo sento sospirare.
 
“Mi ero imposto di salire su quella macchina e mandarti a fanculo per esserti scopata mio padre. Scusa per la finezza ma è così, ero incazzato nero perché pensavo che avesse sostituito mia madre. Sai, la vita dei ricchi non è tutta rose e fiori, quindi smettila di fare la preziosa e pensare di essere l’unica incompresa nel mondo.”
 
Torno verso di lui a grandi passi, vicinissima al suo viso, una fitta di dolore al cuore inferta dalle sue parole piene di disprezzo e dolore.
 
“Non mi sono permessa di giudicare la tua vita, tu non sai nulla di me ed io non so nulla di te. Rispetta le mie scelte, firmiamo il contratto e salutiamoci per l’ultima volta.”
 
“Tu non hai rispettato le mie quando ho cercato di fermart-“, la mia mano è più veloce del mio istinto. Sto per tirargli uno schiaffo quando lui mi ferma afferrandomi il polso, una lacrima di delusione riga la mia guancia.
 
“Non… non osare Derek, non ci provare neanche”, tiro via la mano, mi asciugo con rabbia gli occhi. Sento a mala pena le sue scuse sussurrate mentre sbatto la porta di casa andando via.
Ignoro Elizabeth e Chris seduti su una panchina, li supero e continuo a camminare senza neanche sapere dove andare.
Attraverso la strada di corsa, le luci di un’auto mi abbagliano, qualcuno mi tira via poco prima di essere quasi travolta. Riconosco le braccia di Derek che mi tengono stretta, il suo mento poggiato sulla mia testa, il suo battito accelerato e il respiro affannoso.
 
“Non scappare di nuovo da me…”, il mio cuore fa una capriola ma decido di non parlare, per paura di dire qualcosa di profondamente sbagliato. Lui mi libera dalla stretta, continuo a dargli le spalle, i capelli che svolazzano ad ogni folata di vento.
 
“Ci vediamo stasera?”, mi chiede tentennando. Annuisco, senza sapere cos’altro fare.
 
“Bene… ti passo a prendere alle 8.”
 
Solo quando lo sento andare via trovo il coraggio di girarmi e sorridere come un’idiota. Era svanito tutto il resto, non mi importava la piccola discussione che avevamo avuto. Derek riusciva a farmi quest’effetto, mi faceva impazzire, piangere e poi sorridere.
Ed io non sapevo cosa significasse tutto ciò.
Sono seduta sul mio letto, Christopher ed Elizabeth davanti ai miei occhi che mi scrutano e mi osservano.
 
“Dove stavi scappando? Ci hai ignorati!”, mi rimprovera il mio amico.
 
Qualche minuto dopo ero ritornata da loro e, senza dirci una parola, eravamo tornati tutti e tre insieme a casa mia. Solo ora avevano deciso di interrogarmi manco fossi la peggior criminale esistente sulla faccia della Terra.
Senza neanche darmi il tempo di rispondere, Beth mi chiede dove ci siamo conosciuti e cosa c’è tra di noi. Deglutisco rumorosamente, so di non poter fingere con lei, avrei solo omesso qualche particolare che avrei cercato di spiegarle successivamente.
Mi schiarisco la voce tossendo, prendendomi un po’ di tempo ora che si sono calmati.
 
“In un pub…”, dico incerta, un fondo di verità c’era.
 
“E che ci facevi in un pub? Non sono luoghi adatti a te, neanche ci sono nelle vicinanze”, mi scopre subito la mia amica.
 
“Mi aveva invitata a bere, sono un’amica di suo padre… mi aiutava a cercare lavoro”, continuo a distorcere un po’ la realtà. Questa volta sembra quasi crederci di più.
 
“Perché eravate così stupiti quando vi siete riconosciuti?”, parte nuovamente alla riscossa Chris. Avevo notato del fastidio nei suoi occhi e nel suo tono di voce, dovevo aspettarmelo.
 
“Porca miseria, sembrate i miei genitori!”, esclamo, trovandomi in realtà per la prima volta in una situazione del genere. Penso che una madre e un padre si comportino in questo modo quando c’è da rimproverare il figlio, che ne so. Loro non ridono alla mia battuta.
E qui non ho scuse, devo essere sincera al 100%.
 
“Abbiamo… fatto sesso quella notte…” finisco in un sussurro quasi impercettibile. Abbasso la testa per non guardarli negli occhi. Dopo un paio di secondi Christopher va via, lasciando sole me e Beth.
 
“Hai fatto un bel casino, eh?”
 
Si siede accanto a me, io sospiro e annuisco. La mia amica mi scompiglia i capelli.
 
“Quindi non puoi provare niente per Chris perché c’è questo giovane angelo misterioso… capisco”
 
La saliva mi va di traverso facendomi tossire, permettendo a Beth di capire di aver colpito in pieno.
 
“Non lo so… è talmente bello e perfetto che sembra quasi un sogno…” ammetto imbarazzata, torturandomi la mano ancora indolenzita dalla botta di prima. Mi chiede di provare a spiegarle cosa provo, vado nel panico più totale. Facevo schifo con le parole.
 
“Mi fa rincoglionire, mi stuzzica, è dolce e gentile ma anche un po’ stronzo… mi piace perché sa come prendermi, stimola il mio carattere…” Elizabeth ride e annuisce comprensiva.
 
“Sognavo da tempo di sentirti parlare dei tuoi dilemmi amorosi”
 
“Non è un dilemma amoroso, non lo conosco neanche”, borbotto leggermente infastidita. Mentre si accarezza il pancione le confesso l’invito a cena da parte di Derek. Lei scatta in piedi, emozionata.
 
“Ma è fantastico! Oddio, dovrai essere splendida! Lui mi sembra una persona chic, quindi ti porterà in un ristorante lussuoso. Dobbiamo trovare qualcosa da farti indossare. Ah, e dovrai arricciare le punte, ho sempre desiderato di vederti con i boccoli. Per non parlare del trucco!”
 
Mi sembra quasi impazzita, non riesco a fermare la sua parlantina. Scatto verso la scatola dei vestiti quando sta per aprirla, poggiandoci le mani per tenerla chiusa.
 
“Emh… mi chiedevo se tu avessi qualche vestito più adatto, sei più… femminile…”, cerco di abbozzare qualche scusa credibile. A lei deve piacere perché le si illuminano gli occhi. Si lega i capelli e mi chiede di aspettarla. Torna qualche minuto dopo con un vestitino nascosto dietro la schiena, riesco a intravedere un po’ di stoffa rossa.
 
“Prima devi farti una doccia”, esclama sorridente. Sono felice di essere diventata il suo centro d’interesse, così da non permetterle più di pensare ai suoi problemi. E’ anche la mia salvezza, senza lei non avrei saputo dove mettere mano e probabilmente mi sarei presentata in minigonna… non molto elegante, direi. Mentre l’acqua gelida scorre sul mio corpo, Beth è seduta sul coperchio del water.
 
“Christopher non c’era quando sono andata a cercare il vestito”, mi dice alzando la voce per farsi sentire. Faccio finta di non aver capito. Mi dispiace per lui, ero stata chiara. Non si trattava di Derek, si trattava di me. Non riuscivo a vedermi con Chris, ormai era un amico speciale e niente di più. Non ho tempo purtroppo di pensare anche a lui, per una volta nella mia vita ho voglia di apparire bella agli occhi di un ragazzo e voglio godermi questa strana emozione. Uscita dalla doccia lego un asciugamano attorno al mio corpo.
Elizabeth ha già recuperato la sua piastra e tutti i trucchi a sua disposizione. La raccomando per l’ennesima volta di non esagerare, lei mi tranquillizza mentre spazzola la mia chioma castana.
Un’ora dopo sono davanti i residui del mio specchio ad ammirare il lavoro della mia amica.
I capelli ricadono leggeri sulle spalle, le punte dolcemente arricciate. Il trucco è semplice e delicato. Gli occhi sono contornati da un ombretto perlato, le ciglia sono lunghe e risaltano il verde delle mie iridi. Le guance sono leggermente rosate e le labbra dipinte di un rosso non troppo acceso. Il vestito è a dir poco fantastico, all’inizio ero indecisa e mi sentivo a disagio. E’ stretto sul petto e sui fianchi, risaltando il seno e le mie forme. Beth mi aveva spiegato che dovevo mettere in mostra il mio corpo perfetto. Avevo sempre pensato di essere una ragazza normale ma, cazzo, con questo outfit mi sentivo bellissima. Il tutto viene completato da dei tacchi semplici neri di mia proprietà. Elizabeth mi passa una pochette con all’interno già il mio telefono e le chiavi di casa.
 
Sono le 19:58 quando bussano alla porta. La mia vecchia amica mi fa l’occhiolino e mi spinge ad aprire. Faccio quello che dice ritrovandomi un Derek a dir poco fantastico nella sua semplicità. Indossa solo una camicia bianca e dei pantaloni neri, i capelli biondi sono leggermente scompigliati e gli occhi azzurri spiccano sul suo viso. E’ bellissimo anche solo così. Rimane a bocca aperta guardandomi, io mi liscio la gonna per evitare di incrociare il suo sguardo. Beth rompe il silenzio augurandoci di passare una bella serata e mi chiude fuori casa, costringendomi a parlare con Derek.
Lui tossisce, mi sorride.
 
“Sei pronta?”, annuisco mentre mi porge il braccio. Accetto di buon grado per evitare figuracce e non ruzzolare giù per le scale.
 


Angolo Autrice

Ed eccoci finalmente all'incontro tanto aspettato! 
Questo capitolo è stato più difficile del previsto ma mi 
soddisfa abbastanza, spero vi piaccia :)
Ho bisogno di un consiglio! Considerando che i volti
sono solo per puro piacere visivo, non so se conoscete Chris Collins,
(se no eccolo qui e qui) ho bisogno di sapere se vedete più lui
come possibile Derek (tralasciando il piercing ahahah). Se vi interessa
fatemelo sapere con una recensione o un messaggio, baci e al 
prossimo capitolo <3

Personaggi

Semplicemente a scopo illustrativo, i volti che ho scelto NON rappresentano
i personaggi da me inventati, è solo per dare un'idea in più ai lettori.
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Emma Jones
Nathan Jones
Elizabeth Starling
Christopher Smith
Derek Williams
 

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Capitolo 12
*** Chapter 10 ***


Capitolo 10
 

Rimango colpita quando, ad aspettarci fuori il palazzo, non c’è la solita auto lussuosa di famiglia.
Derek non parla, mi fa strada verso una moto. Non ho mai capito nulla di motori, riesco solo a leggere la scritta “Ducati” sul fianco. E’ molto bella ma più che altro mi preoccupo del mio vestito e di come farò a stare in sella tranquillamente.
 
“L’auto è di mio padre”, mi spiega Derek porgendomi un casco. Annuisco, lo indosso senza però riuscire ad allacciarlo. Lui mi si avvicina, sfiorandomi il viso e aiutandomi. Gli sorrido ringraziandolo e lui borbotta un “non c’è di che”.
Questo suo imbarazzo mi stupisce, vorrei che fosse più naturale… vorrei che si sentisse a suo agio con me. Spero che nel corso della serata si sciolga, insomma, non aveva avuto problemi ad invitarmi la prima volta, che differenza c’era ora?
Mi presta la sua giacca per legarla attorno alla vita, lo ringrazio per l’ennesima volta e mi aiuta a montare su. Non so dove mettere le mani e, per questo, sono costretta a tenermi stretta al suo corpo. Lo sento irrigidirsi per un attimo, poggia una mano sulla mia per assicurarsi che stia bene e finalmente parte, rilassandosi.
Chiudo gli occhi per godermi la brezza serale che mi sferza il viso, il calore del corpo di Derek così vicino al mio, il senso di libertà. Scopro che adoro andare in moto e sono contenta di aver vissuto questa prima volta con lui. Mi ritrovo a pensare al nostro primo incontro, mi era sembrato sin dall’inizio un ragazzino spocchioso e viziato, abituato a ricevere tutto ciò che desiderava. Si era dimostrato l’esatto opposto, altruista e gentile. Le sue parole sul suo invito, riguardo i miei occhi, mi avevano colpito anche se avevo cercato di non dimostrarlo. Nessuno si era mai soffermato a pensare cosa ci fosse di nascosto dentro di me, Derek con un solo sguardo aveva scoperto la mia barriera. Il minuto prima litigavamo e il minuto dopo uscivamo insieme come se nulla fosse. Sapeva come comportarsi con me e mi piaceva, questa era l’unica verità. Non volevo correre troppo e speravo che fosse lo stesso per lui, che fosse davvero interessato a me, che fosse disposto a scoprirmi e capirmi. Per una volta nella mia vita avrei voluto che fosse stato presto il mio compleanno per poter desiderare di avere un futuro migliore.
 
“Ehi, siamo arrivati”, Derek mi riscuote dai miei pensieri porgendomi la mano.
 
Per la seconda volta nel giro di un’ora rimango perplessa. Pensavo che mi sarei ritrovata davanti un ristorante ultra lussuoso, che so, tipo italiano. Mentre restituisco al mio compagno la sua giacca, lui mi spiega che siamo a casa sua. Rimango impietrita per qualche secondo, pensando subito al peggio.
Mi ha portata qui per scoparmi?
Derek sembra leggermi nel pensiero perché, agitando le mani e facendo cenno di no con la testa, si giustifica immediatamente.
 
“Non è quello che pensi, davvero”, cerca di tranquillizzarmi. Guardando i suoi occhi riesco a sciogliere un po’ i nervi tesi, rimanendo comunque in allerta.
 
Certo, Derek mi piaceva, ma ancora non lo conoscevo. Non sapevo nulla di lui e nonostante in sole due volte mi avesse dimostrato quanto potevo fidarmi, il mio passato mi ricordava che non si finisce mai di scoprire una persona per quello che è realmente. Evidentemente, non ero nata per le cose facili.
 
Mi prende la mano, intrecciando le dita alle mie. E’ stato un gesto così naturale che non ho voluto oppormi e poi sembravano fatte apposta per essere unite, come avevo pensato per i nostri corpi quella notte. Tutto di lui era sempre più adatto a tutto di me.
Entriamo nel palazzo che, tra l’altro, non mi sembra neanche uno di quelli da super ricchi quale è lui. Sembra quasi il mio, solo una versione più recente, aggiornata e curata. Prendiamo l’ascensore e, proprio mentre siamo quasi arrivati al quinto piano, magicamente si blocca.
 
“Dio ti prego, non odiarmi proprio questa sera…”
 
Derek si scusa, come se dipendesse da lui. E’ visibilmente agitato, gli stringo la mano e gli sorrido per rassicurarlo. Suona l’allarme e, dopo pochi minuti, qualche inquilino si avvicina alle porte per chiedere se qualcuno è rimasto dentro.
Rispondiamo di sì e il nostro salvatore ci spiega che ci vorrà un’oretta affinché riescano a farlo ripartire. Non ci resta che aspettare, anche se non capisco perché ci voglia così tanto… in effetti questa storia inizia a puzzarmi un pochino. Decido di non dire nulla e mi rassegno.
Mi siedo, poggiando la schiena contro le pareti; Derek fa lo stesso, sospirando.
Siamo l’uno di fronte l’altra, ci guardiamo senza sapere cosa dire.
Non riesco a resistere e poco dopo scoppiamo entrambi a ridere. Adoro la sua risata cristallina, gli si illuminano gli occhi e gli si forma una graziosa fossetta all’angolo delle labbra. Nonostante la situazione stressante e a dir poco imbarazzante, dopo averlo visto finalmente sereno, non posso fare a meno di pensare di essere contenta per essere rimasta bloccata qui dentro.
Avevo dimenticato tutto il resto, c’eravamo soltanto noi.
 
“Sembra di essere in un film”, esprimiamo contemporaneamente ad alta voce i nostri pensieri. Gli sorrido, questa volta un po' imbarazzata.
 
Derek passa una mano tra i capelli, lasciandomi per un attimo senza fiato. Mi ricompongo all’istante, agitandomi leggermente sul posto.
 
“E’ un po’ scomodo, eh?”, annuisco.
 
Lui allarga le braccia e mi fa posto tra le sue gambe, senza dire una parola. Scivolo tra le sue braccia, poggio la schiena contro il suo petto. Riesco a sentire il suo cuore battere calmo, il suo respiro caldo sul mio collo. Le sue mani, invece, non trovano pace, evidentemente non sa dove metterle. Le prendo tra le mie, sistemandole infine sulle sue gambe.
 
“Parlami un po’ di te, Derek Williams”, rompo il ghiaccio per interrompere il silenzio.
 
Non che non lo apprezzassi, piuttosto ero davvero interessata a conoscerlo. Volevo capire se fossi una tipa adatta a lui, il motivo per cui ancora non mi avesse messo le mani addosso per essermi scopata suo padre e perché abitasse in un palazzo così… normale.
 
“Mi chiamo Derek John Williams, sì, il secondo nome è quello di mio padre. Sono nato il 30 maggio del 1992 in un piccolo quartiere, molto simile al tuo, in provincia di New York”, lo interrompo ridendo.
 
Non era questo che intendevo, ma mi fa comunque piacere sapere il giorno della sua nascita. Ci rifletto un po’, è una data facile da ricordare, il giorno in cui l’ho incontrato la prima volta è lo stesso giorno in cui ho rivisto Nathan. Era il 30 di maggio, il suo compleanno.
Lui sembra accorgersi della mia intuizione, mi giro leggermente giusto per notare il rossore sulle sue guance.
 
“Era il giorno del tuo compleanno.”
 
Touchè, sento il battito del suo cuore accelerare, tossisce.
 
“Sì, beh sai… non amo particolarmente festeggiare.” continuo a guardarlo con aria interrogativa, aspetto che finisca di chiarirsi.
 
“Mia madre era molto malata, è morta il giorno del mio ventiquattresimo compleanno. Io non ero lì con lei, ero… a divertirmi. Mio fratello mi odia per questo”, accenna un sorriso malinconico.
 
Era una persona fragile, proprio come me…
Mi inginocchio girandomi verso di lui, per guardarlo dritto negli occhi. Prendo il suo viso tra le mani, poggio la fronte sulla sua. Non so quello che sto facendo ma so che ne ha bisogno.
Avvicino le labbra alle sue, il respiro ora è affannato, gli occhi irrequieti.
So che vuole controllarsi per mantenere la sua parola, voglio semplicemente dimostrargli che è una brava persona e che non poteva sapere ciò che sarebbe successo. Volevo rassicurarlo come la nonna aveva fatto con me, non era colpa sua. Da parte mia, non ero ancora pronta a rivelargli interamente il mio passato, mi ero anche lasciata sfuggire fin troppo. Da parte sua, lui era così bravo a lasciarsi andare, riuscivo a credere ad ogni sua parola… glielo leggevo in quel mare di occhi che era la verità. Volevo lasciarmi andare anch’io, come la prima volta, solo più dolcemente e non per me stessa…
 
L’ascensore riparte, mi stacco all’istante da Derek quando le porte si riaprono e un inquilino ci spiega che hanno impiegato meno tempo del previsto grazie ad un tecnico.
Io non parlo, ancora troppo presa dal momento precedente, Derek mi conduce verso il suo appartamento dopo aver ringraziato con poche parole.
Almeno speravo di avergli trasmesso un qualcosa così da rimanergli impresso il mio ricordo…
 
Finalmente riusciamo ad entrare in casa sua, non rimango senza fiato come mi aspettavo. Come l’esterno, anche l’interno è semplice e delicato. All’ingresso ti ritrovi subito nella sala da pranzo, dipinta di bianco. Due poltrone di pelle beige occupano il centro della stanza, sistemate davanti ad un grande mobile che ricopre tutta la parete di sinistra. Sull’altro lato, un tavolino di vetro è apparecchiato alla perfezione per la nostra cena. Luci soffuse provenienti da delle candele profumate illuminano il tutto. Derek mi fa accomodare su una delle due poltrone e lo sbircio mentre passando attraverso un arco sparisce in quella che dev’essere la cucina. Torna porgendomi un bicchiere, stappa una bottiglia di champagne e me ne versa un po’.
 
“Questa volta non esageriamo”, ride, mentre brindiamo.
Sorseggio lentamente per assaporare al meglio questo dono di Dio. Derek prende posto accanto a me, mi guardo ancora un po’ intorno. Le pareti sono spoglie, non possiede neanche un quadro, il che mi fa pensare molto.
 
“Come ti dicevo, la vita da ricchi non è semplice. E’ un posto… sobrio, vero? A me piace, non ho bisogno di ville a schiera ricche di beni preziosi”, mi spiega poco dopo.
 
Questa risposta vale un punto a suo favore. Come pensavo, Derek ha un mondo da scoprire dentro di sé. Prima di poter continuare questa relazione, questo rapporto o qualunque cosa sia ho bisogno di togliermi un peso.
 
“Come fai a guadarmi in faccia nonostante tutto quello che ho fatto con tuo padre?”, gli chiedo velocemente e senza ripensamenti. Non voglio avere dubbi, voglio essere tranquilla.
 
Lui sembra essere spiazzato per un momento, riflette prima di rispondermi.
 
“A certe domande non c’è risposta, Emma. C’è un motivo per cui ti sei ritrovata in quella situazione e finché non lo conoscerò non potrò disprezzarti né giudicarti. Mi interessi come persona, come essere umano. Tutto il resto per me non conta. Non ti metterò fretta, dovrai essere tu a sentirti pronta”, mi sorride.
 
Capisco in quell’istante di essere fregata, dentro di me sapevo già di appartenergli almeno un po’.

 


Angolo Autrice

Questo capitolo è stato un vero e proprio parto!
C'è ancora qualcosa che non mi convince, ma 
voglio conoscere il vostro parere prima di modificare qualcosa.
Voglio procedere lentamente con questi due e godermeli ahahah
Prossimo capitolo, passato o presente? A voi la scelta <3

Personaggi

Semplicemente a scopo illustrativo, i volti che ho scelto NON rappresentano
i personaggi da me inventati, è solo per dare un'idea in più ai lettori.
Cliccando sul nome vi si aprirà nella stessa finestra la foto del personaggio, successivamente basterà tornare indietro.


Emma Jones
Nathan Jones
Elizabeth Starling
Christopher Smith
Derek Williams
 

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Capitolo 13
*** Chapter 11 ***


Capitolo 11
 

Rido all’ennesima battuta idiota di Derek sul suo lavoro mentre mi gusto un fantastico piatto di spaghetti preparato interamente da lui. L’ho preso in giro sulle sue doti culinarie dicendo che non fosse buono: la verità era che, essendo talmente delizioso, avevo dubitato sull’identità del vero cuoco della serata.
 
“Eppure hai spazzolato tutto!”, esclama dopo che ho rifiutato un bicchiere di vino.
 
Volevo rimanere il più lucida possibile per godermi al meglio quest’appuntamento. Nonostante avessi bevuto una quantità minima di alcool, alcuni pensieri o emozioni erano come sfocate. Derek mi faceva sentire ubriaca solo con la sua presenza.
 
Finita la cena, decido di aiutarlo a ripulire. L’aria di calma e di tranquillità che si respira in questo posto mi piace. C’è silenzio mentre io lavo e lui asciuga le stoviglie, ma non è imbarazzante. E’ il silenzio che ci aveva fatto compagnia durante la nostra prima sera, il tipo di silenzio che vale più di mille parole.
 
E’ ormai mezzanotte quando scendo controvoglia dalla moto per salire a casa, è finita troppo in fretta e non oso nemmeno immaginare quante domande mi farà Elizabeth.
Derek è in piedi davanti a me, i capelli scompigliati dopo aver sfilato il casco. So quante volte ho ripetuto nella mia testa di non baciarlo, di limitare il contatto fisico, di non guardarlo negli occhi…
non faccio in tempo a smettere di pensare che le sue mani stringono i miei fianchi e le sue labbra sfiorano delicatamente le mie… è tutto così dannatamente sbagliato ma perfetto…
si allontana giusto il tempo di sussurrarmi
 
“Sei così bella Emma… preferirei mille volte sbagliare con te piuttosto che fare la cosa giusta con qualcun altro…”, causando un vortice infinito di farfalle nel mio stomaco.
 
Non so cosa dire e spero proprio che non lo prenda come un rifiuto. Monta in sella, lo guardo sfrecciare via mentre rimango lì, imbambolata, a toccarmi le labbra con l’indice dove brucia il suo bacio sulla mia pelle.
Sono ancora nel mondo dei sogni quando, entrando in camera, sfilo i tacchi calciandoli via e ringrazio il cielo per l’assenza di Beth.
Mi lancio sul letto, a fissare il soffitto, immaginando un cielo stellato. Le sue parole rimbombano nei miei pensieri fino a che non mi addormento.
 
Sento bussare alla porta, mi rigiro nel letto ignorando chiunque sia, pensando di essermelo immaginato. Bussano di nuovo. E ancora.
Sono costretta ad alzarmi, avvolgo la coperta attorno al mio corpo dato che la sera prima non ho avuto le forze per spogliarmi. Rimango sconvolta davanti al sorriso di Derek.
Gli chiudo la porta in faccia, lo sento ridere.
 
Che diavolo gli passa per la testa!?
 
Il cuore mi martella nel petto, le guance vanno a fuoco. Porca miseria, non me l’aspettavo…
 
“Che ci fai qui?”, gli chiedo attraverso la porta, non avendo intenzione di farmi guardare ancora in queste condizioni da lui.
 
“Avevo voglia di vederti, ti va un cornetto?”, mi trascino fin verso il mobile, tiro fuori il cellulare dalla borsa. Sono le 10:03.
 
Senza l’aiuto di Beth non ho la minima idea di come apparire più carina, mi faccio forza ripensando alle parole di mia nonna “sii sempre te stessa, gli altri ti accetteranno per quello che sei… altrimenti, che vadano pure al diavolo!”. Sorrido a questo ricordo, mi avvicino nuovamente alla porta chiedendo a Derek di lasciarmi del tempo per prepararmi. Dopo di che, corro sotto la doccia.
Dev’essere passata una mezz’ora quando apro la porta, con i capelli ancora umidi, semplici pantaloncini di jeans e una camicia bianca indosso.
Sorrido imbarazzata, ricambiando il saluto con un tenero bacio sulla guancia, fin troppo vicino alle labbra. Non so come comportarmi dopo la dichiarazione della sera prima, spero di non dire né fare qualcosa di sbagliato.
 
Camminiamo l’uno affianco l’altra per la piazza, raggiungendo l’unico bar sopravvissuto. Lo guardo con la coda nell’occhio, avanza tranquillo con le mani in tasca e degli occhiali da sole tirati sulla testa, che mantengono all’indietro i ciuffi biondi ribelli. Distolgo immediatamente lo sguardo quando si gira verso di me. Afferra la mia mano senza che io abbia detto nulla, non sono abituata a questi tipi di contatti, eppure con lui tutto è bellissimo e non mi causa ansia o preoccupazione. Se avesse voluto farmi del male, molto probabilmente l'avrebbe già fatto. Ormai mi fidavo di lui, volevo solo imparare a conoscerlo. Avevo già capito quanto dolce, sensibile ed altruista fosse. Gli piacciono le sorprese, è romantico e spontaneo. Non è invadente e trasmette una calma interiore mai provata prima.
 
Siamo seduti ad un tavolo del bar, sorseggio il mio succo di frutta e tiro un morso al cornetto. Non è male, pensavo che anche questo posto prima o poi sarebbe andato in malora.
 
“Cosa puoi dirmi di te?”, il mio cuore perde un battito. Non sapendo cos’altro dire e non sentendomi ancora pronta a rivelare troppi dettagli, decido di prenderlo in giro.
 
“Mi chiamo Emma Jones, sono nata il diciassette giugno del 1996 in un piccolo quartiere d-“, mi interrompe ridendo ed io sorrido soddisfatta.
 
“Ti vendichi, eh? Quindi tra poco è il tuo, di compleanno… festeggerai?”, mi incupisco leggermente ma non voglio darlo a vedere, quindi scuoto la testa distrattamente mentre finisco di bere.
 
Derek mi sembra sovrappensiero, o forse è solo la mia immaginazione, mi guarda e si avvicina all’improvviso al mio viso. Prende un fazzoletto e lo passa sulle mie labbra, rimane qualche secondo a fissarmi, per la prima volta riesco a sostenere il suo sguardo. Voglio essere capace di capirlo come lui ha fatto con me in così poco tempo… non riesco a credere che sia sempre così tranquillo e rilassato… istintivamente poggio una mano sulla sua guancia, accarezzandola con il pollice. E’ il gesto più intimo che abbia mai fatto in vita mia con una persona che non sia stata mio fratello o la mia migliore amica.
I suoi occhi color cielo si illuminano, mi sorride ed io ne approfitto per baciargli la fossetta all’angolo delle labbra.
Sentendomi osservata mi allontano, strofinando nervosamente le mani sulle gambe.
 
“Stasera hai da fare?”, mi chiede mentre mi riaccompagna a casa.
 
“Stasera lavoro”, rispondo senza pensarci troppo. Si ferma, mi lascia la mano e abbassa lo sguardo.

“Oh, quindi… non hai smesso…?”, inizialmente non capisco a cosa si riferisca, successivamente il mio cuore si stringe per la tenerezza.
 
“Emma, non c’è bisogno che tu faccia questo per sopravvivere, non voglio che qualcun altro ti tocchi, non posso sopportarlo… io n-“, poggio due dita sotto il suo mento e lo bacio.
 
Mi stavo aprendo sempre di più fisicamente, ero contenta della dolcezza del nostro rapporto. Non volevo che si facesse film mentali così orribili. Mi distacco, mi sorride confuso.
 
“Ho smesso, ora sono una cameriera nel pub di Christopher… quel ragazzo, sai, il vicino di casa”, sembra tranquillizzarsi, mi lascia un altro timido bacio sulle labbra, scusandosi.
 
Ci salutiamo, gli do le spalle cercando di resistere alla voglia irrefrenabile di corrergli tra le braccia e ricoprirlo di baci, per cacciare via tutte le insicurezze, per fargli capire che mi sta conquistando.
Deve averci pensato prima di me, perché mi sento tirare per il polso, ritrovandomi tra le sue braccia, provando nuovamente quel senso assoluto di protezione... mi bacia, con passione, mentre passo le mani tra i suoi capelli.
Ci distacchiamo dopo qualche minuto, con il fiatone. Riesce ad allontanarsi, camminando all'indietro.
 
“Ciao, Emma Jones”, mi dice facendomi l’occhiolino.
 
“Ciao, Derek John Williams”, sussurro, senza farmi sentire.
 
La suoneria del telefono mi riporta nel mondo reale, è Beth.
 
“Finalmente! Ma che fine hai fatto? Ero preoccupata”, la sua voce squillante risuona fin troppo forte nelle mie orecchie.
 
“Ero con Derek, che succede?”, cerco di sviare immediatamente.
 
“Ah ah, ora è tutto chiaro… oggi ho la seconda ecografia, speravo che potessi accompagnarmi tu ma sono qui con Chris”, mi sento troppo in colpa e mi scuso almeno dieci volte.
 
Lei mi dice che va tutto bene, che è contenta per me e che è in buone mani. Mi raccomanda di raccontarle tutto una volta tornata, rido e acconsento mentre, una volta rientrata, mi siedo sul letto. Restiamo al telefono a chiacchierare per qualche minuto finché non è il suo turno.
Non mi sorprende che Christopher abbia accettato di accompagnarla, anche se avrei preferito trasferirmi il prima possibile non mi dispiaceva che quei due passassero del tempo insieme.
Tutto sembrava andare finalmente per il verso giusto, anche se sapevo che, prima o poi, avrei dovuto affrontare Nathan.
 
Il telefono vibra tra le mani, sorrido come un ebete leggendo un messaggio da un numero sconosciuto, sapendo benissimo a chi appartenga.
 
“Salve, la informiamo che è stata invitata al compleanno di Emma Jones, il diciassette giugno alle 11:00. E’ pregata di indossare un costume. Cordiali saluti, D.”
 
Forse, per una volta, avrei avuto qualcosa da festeggiare.


Angolo Autrice

Chiedo infinitamente scusa per il ritardo!
Mi sono presa una piccola pausa e un giorno di mare ahahaha
Che dire, questo capitolo è breve e di transizione, in cui Derek ed Emma
si avvicinano sempre di più. Non ho voluto esagerare, voglio
farvi aspettare un po' e farveli godere così dolci e non passionali ahaha
Tra l'altro alcune cose non saranno neanche scritte perfettamente, ma pazienza.
Vi anticipo che il prossimo capitolo sarà necessariamente passato, in cui
andremo a definire gli ultimi particolari e arriveremo ai giorni presenti. 
Fatemi sapere come desiderate che il rapporto tra i due si evolva, vediamo
se posso accontentarvi ;)
Un bacio e al prossimo capitolo,
Sakii

Personaggi

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Emma Jones
Nathan Jones
Elizabeth Starling
Christopher Smith
Derek Williams
 

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Capitolo 14
*** Chapter 12 ***


Capitolo 12

Past -  4 years ago
 
Accarezzo la copertina impolverata dell’album fotografico di mia nonna, quasi perdendomi nei ricordi, mentre lo ripongo delicatamente in una scatola.
Era passato quasi un anno dalla sua morte, ancora non avevo avuto il coraggio di lasciare il suo appartamento. Mi ero sentita costretta quando, per l’ennesima volta, qualche sua vecchia amica aveva cercato di farmi le condoglianze. Mi sentivo stretta in quella che ormai sembrava una prigione del passato.
Volevo trovare un posto mio, andare lontana… ma qualcosa continuava a tenermi legata a quella vecchia casa. Rivedevo Abby cucinare per me, spolverare silenziosamente mentre io le parlavo dei miei libri preferiti, ritirarsi misteriosamente nella sua stanza dove io ero entrata solo poche volte.
Quei piacevoli pensieri si erano trasformati quasi subito in illusioni dolorose.
 
Mi asciugo con rabbia una lacrima che mi riga la guancia, dentro la mia testa scorrono veloci maledizioni di ogni tipo contro il mondo e contro il male che sono costretta a subire.
Cerco di farmi forza, devo trovare un lavoro per poter andare avanti… fino ad allora gli abitanti del paese che conoscevano Abby, nonostante non sapessero che fossi sua nipote, avevano compreso che legame avessimo instaurato e cercavano di aiutarmi, attraverso doni o piccole mansioni da farmi svolgere per guadagnare qualche spicciolo.
Avevo bisogno di diventare autonoma, avevo quasi 18 anni ormai… sembrava passata un’eternità.
 
Decido di smetterla di pensare e di darmi da fare: l’anziana fruttivendola aveva trovato per me un vecchio palazzo abitato da un solo signore mezzo sordo, a pochi passi dalla piazza e mi ci sarei stabilita oggi stesso.
Sospiro, apro l’ultimo cassetto del comodino di Abigail, contenente una misteriosa busta bianca.
Mi siedo sul letto, la rigiro tra le mani per cercare un indirizzo o un nome di qualche destinatario.
Il cuore mi martella nel petto quando, scritto in piccolo in basso a destra con la sua grafia, leggo “per Emma”.
Trattengo le lacrime a stento, la apro. Oltre ad un foglio sgualcito, dalla busta tiro fuori una vecchia fotografia, con segnata dietro la data della mia nascita.
La giro, tremante, so cosa potrei vedere e so che è ciò che mi serve per ricominciare una nuova vita, la spinta giusta per farmi coraggio.
Ritrae, in bianco e nero, mia madre in un letto d’ospedale. Sembra stanca, distrutta e priva di vita… eppure i suoi occhi, verdi quanto l’erba fresca in primavera, sono luminosi e descrivono tutta la sua gioia. Tra le braccia stringe un fagotto rosa… me.
Sorrido malinconica, ricordando i vecchi album di famiglia del mio papà privi della mia presenza.
Mi aveva mentito, perché ora, in quest’istante, sto abbracciando mia madre attraverso quel piccolo, grande e prezioso cimelio, come se lei fosse qui con me.
 
Avendo ancora quella che pensavo fosse una lettera da leggere, richiudo la fotografia nella busta, avendo paura di rovinarla.
Sempre con molta cautela, la srotolo. Sono emozionata, so che si tratta ancora di un pensiero da parte di Abby… così, inizio a leggere seguendo le linee sinuose della sua grafia.
 
Cara Emma,
 
so che un giorno riuscirai ad andare avanti, troverai questa lettera il giorno in cui avrai sconfitto i tuoi dubbi e le tue paure insensate. Ho avuto così poco tempo per conoscerti, per spiegarti il perché di tutto quello che è successo, sappi che sono stati forse i giorni migliori della mia vita. Ti scrivo sapendo che chiunque esista al di sopra di noi, mi ha concesso poco tempo anche per vivere, ti scrivo perché sono una codarda e non ho avuto la forza di parlarti guardandoti in quegli occhi. Quando ci siamo incontrate, non avevo idea di chi tu fossi realmente. Nei miei pensieri, eri solo una stupida ragazzina scappata di casa. Mi sono ricreduta quando ho incrociato il tuo sguardo, riconoscendo le tue bugie e la tua malinconia. Hai un mondo dentro di te, non dimenticarlo mai, le persone riescono a leggerti l’anima: ciò può essere un vantaggio tanto quanto un pericolo.
Ho deciso di accoglierti in casa mia e crescerti, nel mio piccolo, come la nipote che non ho mai potuto conoscere… se solo avessi capito prima che era proprio davanti ai miei occhi.
So bene che hai cercato di curiosare tra le mie cose, il giorno dopo ho provveduto a rimuovere ogni singola cosa che parlasse di me e dei miei errori, tra cui le foto di Sarah, di Nathan e di tuo padre. Ci ho messo troppo per capirlo e di questo me ne pento amaramente, avrei dovuto riconoscere sin dall’inizio i suoi lineamenti presenti in te.
E’ ora di passare alla parte più difficile, ti sarai chiesta, perché non si è mai fatta viva?
Non ti nego, Emma, di non aver accettato la relazione di tua madre.
Ha conosciuto tuo padre durante una vacanza estiva, pensavo che sarebbe finita con il ritorno a scuola ma così non fu. Lui era più ostinato di quanto credessi, forse anche più di me, e la amava.
Eppure c’era qualcosa in lui che non riusciva a convincermi. Continuarono a portare avanti la loro relazione a distanza, mentre mio marito cercava di indagare sul suo conto.
Quando si diplomarono andarono subito a convivere nonostante il mio rifiuto, era una testa dura proprio come te. I nostri rapporti si inasprirono, cercai di convincerla a lasciarlo più volte, soprattutto quando scoprimmo che era stato accusato di rapina e guida in stato di ebbrezza.
Lei mi disse che era cambiato, ne era già a conoscenza. Queste mie accuse la ferirono molto e si chiuse in sé stessa.
Non ci sentimmo finché non mi annunciò la nascita di tuo fratello, mi confessò di volermi vedere ma io non accettai. Sono una donna orgogliosa, fin troppo, e ciò mi ha portato a perdere mia figlia. Non ho più avuto il coraggio di lasciare questo posto, né di vederla o sentirla per la vergogna. Lei non ha mai perso le speranze, continuando a mandarmi foto di Nate, della famiglia che aveva costruito… e poi, alla fine, quella tua ultima ed unica foto… in cui mi confessava di essere malata e non poter reggere lo sforzo del parto. Morì due giorni dopo averti data alla luce e io non potei mai chiederle scusa.
Ti chiedo di perdonarmi Emma, spero che tuo padre sia stato in grado di crescerti, che tuo fratello ti voglia bene… non saprò mai il motivo della tua fuga, ti prego solo di non vivere una vita piena di rimpianti, sii felice, sempre.
 
Tua, Abby.
 
Le lacrime scendono copiose, bagnando le ultime parole di mia nonna. Stringo al petto quel foglio, mi raggomitolo. Sfogo tutta la mia rabbia e la mia frustrazione, sentendomi così piccola in quel mondo di emozioni infinito che mi stava travolgendo.
 
 
 
 
Past -  2 years ago
 
“Emma, dobbiamo parlare”, mi richiama il mio capo, molto probabilmente per l’ennesima lavata di capo per essere arrivata in ritardo.
 
Ho trovato lavoro come donna delle pulizie in un albergo lussuoso, abbastanza distante dal quartiere, quasi per miracolo. Sono qui da un anno e mezzo, più che lavoro è uno sfruttamento ma la paga è buona, mi permette di sopravvivere e mi sta bene così.
Non ambivo a questo nella vita, ma è pur sempre meglio di nulla.
 
“Mi dica, signor Albert”, rispondo con molta calma.
 
“Non posso più farti lavorare qui”, sgrano gli occhi… mi aspettavo una sgridata ma non un licenziamento.
 
Sto per ribattere quando mi spiega che ha trovato un lavoro migliore per me.
Mi fa strada verso il suo ufficio, chiude la porta a chiave. Tutto ciò mi insospettisce ma non parlo, se ha davvero qualcosa di meglio per me, mi conviene stare zitta. Ho imparato a conoscerlo in questi anni, so bene che razza di pervertito sia, non gli piacciono le parole.
 
“Accomodati pure”, faccio come mi dice prendendo posto su una delle due sedie di pelle di fronte la scrivania. In questo momento, con la divisa in minigonna, non mi sento del tutto al sicuro sola con lui.
 
Non mi è mai successo ma so che molte cameriere sono state importunate dal capo stesso.
 
“Sai, sei diversa dalle altre… c’è qualcosa nei tuoi occhi… una battaglia interiore…”, mi gira intorno, si inginocchia davanti a me, poggiandomi due dita sotto il mento.
Sostengo il suo sguardo, quasi con rabbia.
 
“Oh sì, questo intendo dire… non è un lavoro dignitoso, però ti permetterebbe di guadagnare molto. Un mio caro amico è stanco della sua vita, ha bisogno di distrazioni… devi sentirti onorata perché ha scelto proprio te… e se non ti avrà saranno guai per entrambi”, si alza, posizionandosi dietro le mie spalle.
 
Cerco di non rabbrividire, ancora non riesco a sopportare del tutto il contatto fisico. Per questo rimango ancora più turbata quando poggia le mani sulle mie spalle.
 
“So che hai capito cosa intendo, pensaci e fammi sapere… o sarai costretta a vivere sotto i ponti.”
 
Mi aveva messa con le spalle al muro, non avevo altra scelta.
 
 
Past -  1 years ago
 
Oggi ho il primo “appuntamento” con un certo signor John Williams. Tempo fa, non ho voluto accettare la richiesta del mio vecchio capo. A distanza di tempo, per mancanza di cibo e di soldi… ho dovuto. So che mia nonna mi aveva chiesto di essere felice, di non vivere una vita di rimpianti… so che se solo avessi voluto sarei potuta tornare indietro e affrontare la realtà, invece ora mi ritrovo a fare la puttana. Mi ripeto che non ho avuto alternative, so benissimo che lo penso solo per farmi meno schifo. Mi odio per quello che sto per fare.
Scendo le scale cercando di non inciampare sui tacchi vertiginosi, mentre continuo ad abbassarmi la minigonna più che posso e il top mi strizza le tette togliendomi il respiro.
 
Rimango sconvolta, un uomo di mezza età, che di mezza età non sembra per nulla per quanto è bello, mi apre la portiera di una lussuosa limousine.
Raggiungiamo in silenzio l’albergo dove lavoravo precedentemente, evidentemente avevano un qualche tipo di accordo i due…
Arriviamo in una suite, il mio… cliente, si siede sul letto e mi guarda sorridendo.
 
“E’ la tua prima volta?”, annuisco timidamente. Mi fa cenno di sedersi accanto a lui.
 
“Tranquilla piccola, non ti farò del male”, non mi fidavo delle persone che pronunciavano queste parole, cercavi di fidarti e poi puntualmente si dimostravano false e meschine.
 
Mi siedo accanto a lui, inizia ad accarezzarmi i fianchi. Chiudo gli occhi, cercando di immaginare altro. Mi bacia lentamente sul collo, mi fa stendere sul letto e si sposta su di me.
Ricambio i suoi baci, non sapendo esattamente ciò che sto facendo.
Richiudo in un cassetto del mio cervello le paure e cerco di lasciarmi travolgere dal desiderio, come se fossi una persona normale.
Ci spogliamo, le sue labbra ora sono su tutto il mio corpo… le sue mani tra le mie gambe… è davvero strano… non fa male ed è piacevole…
Quest’uomo non è cattivo, è delicato… sento che forse posso fidarmi di lui.
 
I miei pensieri si annebbiano mentre lo lascio fare... involontariamente, poco dopo che è entrato dentro di me, inizio a piangere. Lui sembra non farci caso e, per la prima volta in vita mia, per mia volontà faccio sesso con un uomo. Appena finito, il senso di disgusto prende il sopravvento e corro in bagno a svuotare il mio stomaco. Lo sento appoggiarsi alla porta, dietro di me.
 
“Ci farai l’abitudine, te lo prometto”, in un certo senso era stato buono con me… nonostante tutto ciò non mi piacesse, poteva essere un minimo più piacevole in sua compagnia. Mi era sembrato premuroso e non era stato violento. Non lo apprezzavo del tutto per ciò che faceva, ma era meglio di un maniaco sessuale.
 
Mr. John sarebbe stato, d’ora in avanti, il mio primo cliente ed unico amico.


Angolo Autrice

E con questo capitolo arriviamo finalmente alla
conclusione del passato drammatico di Emma. 
E' stata dura trovare un modo carino per far quadrare
il tutto con il resto della storia nonostante avessi già delle idee
in mente. Probabilmente qualche passo non è ancora chiaro
e verrà specificato con il passare del presente. Ora possiamo
dedicarci alla nostra carissima Emma e il nostro amato Derek.
Spero comunque che il passato sia stato interessante, un bacio,
Sakii <3

Personaggi

Semplicemente a scopo illustrativo, i volti che ho scelto NON rappresentano
i personaggi da me inventati, è solo per dare un'idea in più ai lettori.
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Emma Jones
Nathan Jones
Elizabeth Starling
Christopher Smith
Derek Williams
 

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Capitolo 15
*** Chapter 13 ***


Capitolo 13

 
 
Sto sfrecciando sui pattini da un tavolo a un altro, servendo le ordinazioni ai numerosi clienti di stasera. Trovo pochi secondi di pace in cui mi fermo al bancone, chiedendo al mio amico Chris un bicchiere d’acqua. Lui si gira, sorridendomi e porgendomi il bicchiere. Lo ringrazio e lo scolo tutto d’un sorso. Chiudo gli occhi, tiro un sospiro e sono pronta a ripartire. Chris mi ferma, continua a guardarmi. C’è qualcosa di strano nel suo sguardo. Poco a poco il sorriso, dapprima dolce, si trasforma in un ghigno malvagio. Alza una mano, indica un punto indistinto alle mie spalle. Mi giro lentamente, spalancando gli occhi alla vista di mio fratello. Si avvicina, con le braccia aperte come volesse farsi abbracciare ma io indietreggio, spaventata. Assume un’espressione delusa, triste. Il suo aspetto muta fino a trasformarsi nell’uomo dei miei incubi peggiori. Anche il luogo cambia, non sono più nella grande sala dell’Heaven, bensì nello sgabuzzino della mia vecchia casa, tetro e asfissiante. Vado a sbattere contro qualcosa, anzi, qualcuno. Elizabeth e Derek mi prendono per i polsi, tenendomi ferma mentre mio padre ormai è a pochi centimetri di distanza dal mio corpo. Si lecca le labbra con fare disgustoso, mi accarezza con le sue mani ruvide e sporche.

“Tu non meriti la felicità, non l’avrai mai…” sussurra nel mio orecchio. Urlo ma nessuno mi sente. Nessuno mi salva mai. Muoio dentro di nuovo e sprofondo nelle tenebre.

Mi tiro a sedere di scatto, con il cuore che batte a mille e la gola secca. Mi guardo attorno spaventata, rilassandomi secondo dopo secondo riconoscendo il luogo in cui mi trovo.
Qualcuno bussa alla porta, mi avvicino e, con un filo di voce, chiedo chi è.

“Sono Elizabeth, stai bene? Ti ho sentita gridare, apri Emma, per favore”, mi scongiura al di là della porta.

“Sto bene, Beth. Non è niente. Fatti gli affari tuoi. Torna a dormire”, rispondo forse in tono un po’ troppo acido. Mi lascio scivolare a terra lungo il muro, mi raggomitolo aspettando il rumore della porta dei miei vicini aprirsi e richiudersi, segno che la mia amica ha rinunciato e se n’è andata.
Non volevo risponderle male ma al momento mi sento arrabbiata con lei, ferita, nonostante fosse solo uno stupido incubo. Odio me stessa e il mio carattere di merda. Confermato ancora di più dal fatto che, mentre ci sto pensando, sto tirando un pugno alla porta, incrinando il legno e ferendomi le nocche.
Fanculo.
Non mi preoccupo di disinfettare la ferita, né di tornare sul letto. Mi costringo a restare sveglia per il resto della notte, a fissare il vuoto, per non ammettere a me stessa che ho paura di ciò che potrebbe accadere se mi riaddormentassi. Tanto il mio umore ormai non potrebbe peggiorare più di così.
Quando iniziano a filtrare i primi raggi di sole all’interno della stanza, inizio a capire di aver fatto una cazzata nel trattare di merda Beth e per non essermi confidata con lei. Sa la verità, mi avrebbe aiutata a tranquillizzarmi e a farmi qualche ora di sonno tranquilla e decente.
Sbuffo, mi alzo e provo a muovere la mano. Il dolore è sopportabile ma decido comunque di pulirla e fasciarla alla bell’è meglio strappando della stoffa da una vecchia canotta bianca. Mi do una sistemata: le occhiaie sono evidenti e sembro uno zombie. Mi irrito ancora di più, se possibile. Bevo un bicchiere d’acqua prima di uscire dalla mia vecchia abitazione, solo per fare due passi e bussare alla porta di fronte la mia. Non risponde nessuno, così penso che i miei unici amici stiano ancora dormendo. Faccio lo stesso un tentativo, apro la porta. Beth non è sul divano, né in bagno. Sento un rumore provenire dalla camera da letto. O meglio, un gemito. Quando realizzo ciò che sta accadendo è troppo tardi per svignarmela. Chris esce dalla stanza, trovandosi me davanti. Diventa rosso come un pomodoro, prova a parlare ma io gli faccio cenno di stare in silenzio. Esco da casa sua e rientro nella mia come se non avessi sentito e visto nulla. Beh effettivamente non ho visto nulla. Magari Chris ha permesso a Beth di dormire nel suo letto date le condizioni di lei, magari sul divano stava scomoda. O forse aveva avuto dei dolori. O si era fatta consolare da Christopher dopo la mia risposta… No, non so cosa pensare e non voglio saltare a conclusioni affrettate. Avevo intenzione di scusarmi per il mio comportamento, per quanto fosse imbarazzante per me. E adesso lo sarebbe stato ancora di più se Chris avesse parlato e Elizabeth si fosse accorta della mia presenza.
Dopo qualche ora, in cui ho pranzato e ripulito la cucina, capisco che Chris non ha confessato, altrimenti lei si sarebbe già precipitata qui a darmi spiegazioni e giustificazioni di qualsiasi genere. Che cazzo, dopodomani è il mio compleanno e questo è il loro regalo? Tanti auguri a me.
Non so perché mi senta così… gelosa. Sono i miei unici amici e immaginarli insieme mi fa sentire di nuovo sola. Se diventassero una coppia io mi sentirei di troppo. Certo, se con Derek le cose andassero per il verso giusto, saremmo in quattro. Sto fantasticando fin troppo sugli occhi e la risata di Derek, con un sorriso ebete in faccia, che quando Elizabeth entra senza bussare, sobbalzo e mi sento colpevole per non so cosa.
Mi guarda con aria interrogativa, io faccio finta di niente e attacco subito a parlare per distrarla dalle mille domande che già so potrebbe fare.

“Beth, volevo chiederti scusa per stanotte. Sono stata una vera stronza, mi perdoni?” la guardo, sinceramente dispiaciuta per il mio atteggiamento. Lei agita una mano in aria, come a dire “acqua passata, non ci stavo neanche pensando”.

“Sono venuta solo per chiederti se ti serviva una mano a preparare i bagagli per il trasloco, non ci sono rimasta male Emma, davvero. Lo capisco, hai bisogno dei tuoi spazi. Sai già comunque che per qualsiasi cosa io ci sono”, gli occhi neri e profondi della mia migliore amica si illumina quando mi sorride, facendomi sentire molto più sollevata e meno in colpa, dimenticando anche l’episodio di stamattina con Christopher. Decido di tenere la bocca chiusa finché non saranno loro a voler parlare, se sta nascendo qualcosa.
Scuoto la testa, poi, ricordando la proposta.
“No, ti ringrazio. Ho pochissime cose e, comunque, al momento non ho proprio voglia. Manca ancora una settimana al trasloco. Che ne dici, invece, di un bel gelato da quattro soldi al bar?”, ride e annuisce.
Torno a riacquistare un po’ di serenità, passo un bel pomeriggio assieme la mia amica. Oggi è lunedì, quindi l’Heaven è chiuso. Beth mi invita a guardare un film a casa di Chris, sentendomi un po’ a disagio rifiuto, mettendo come scusa la notte passata in bianco. Non è proprio una scusa, ho davvero sonno e sotto sotto per una volta non vedo l’ora che sia il mio compleanno per poter incontrare lui.
 
Sono le 11:00 in punto. Seduta sul mio letto, sola, dopo aver salutato Elizabeth, aspetto con ansia di sentir bussare alla porta.
La mia amica, come al solito ormai, mi ha aiutata nel riuscire ad apparire il più innocente e carina possibile. Oggi indosso dei semplici pantaloncini di jeans, una camicetta a fiori e dei sandali con tacco basso. Tra i capelli, leggermente mossi al naturale, porto delle forcine in modo da impedire ai ciuffi corti e ribelli di coprire il trucco leggero sul viso, sui toni rosati.
Sbuffo. L’ansia mi sta facendo innervosire. Mi rigiro tra le dita i ciondoli del delicato braccialetto regalatomi oggi da Chris e la mia migliore amica. Si sono presentati qui alle otto del mattino, con un cornetto al cioccolato e una scatolina contente il prezioso regalo. Erano raggianti, ho resistito dal mandarli a quel paese per avermi svegliata presto. Non volevo ammetterlo davanti a loro ma lo adoro davvero. E’ composto da tre ciondoli: un libro, che rappresenta me e la mia passione, una macchina fotografica, ovvero Elizabeth e il suo hobby preferito e un bicchierino da cocktail, cioè Chris e il suo amato lavoro.
Mi ha fatto sentire parte di un qualcosa, di una famiglia.
Famiglia.
Mi ricordo che devo contattare Nathan, non posso più rimandare e comunque prima o poi un incontro sarebbe stato inevitabile. Mi manca, però ho paura di ciò che potrebbe accadere. Il nostro rapporto un tempo perfetto si è già incrinato ma non voglio assolutamente perderlo. Per quanto detesti ammetterlo, ho scelto io di isolarmi, lui c’è sempre stato per me e io lo sto abbandonando nel momento del bisogno.
Senza rendermene conto, è già passata un’ora e di Derek non c’è nessuna traccia. Controllo per la decima volta in un minuto il telefono. Niente. L’ansia è svanita, inizio a sentirmi più che nervosa, preoccupata. Cerco di distrarmi in qualche modo con qualche stupido giochino al telefono. Non voglio essere io a cercarlo. Mi sento davvero stupida e patetica, forse avevo interpretato male il suo messaggio? O se ha avuto un incidente? Starà bene?
Continuo ad illudermi per altre tre ore sperando che abbia fatto semplicemente ritardo. La preoccupazione si trasforma in irritazione.
Per una volta in vita mia non vedevo l’ora che fosse il mio compleanno ma lo sto passando allo stesso modo di tutti gli altri anni passati: provando rabbia e delusione verso me stessa.
Ma chi volevo prendere in giro? Aveva ragione lui, come nell’incubo, io non merito la felicità.
Mi alzo, sgranchisco le gambe, tiro fuori dal mobile della cucina una bottiglia di vodka. Avevo solo intenzione di bere uno shot insieme a Derek, per sciogliere la tensione, adesso invece voglio smettere di pensare. La guardo, indugio pensando a mio padre, scuoto la testa poi la stappo e mando giù due sorsi. Il bruciore dell’alcool scioglie il nodo che ho in gola. Torno a sdraiarmi sul letto, continuando a bere, perdendo la cognizione del tempo.
Quando sicuramente è già sera, data l’oscurità nell’appartamento, il bussare alla porta mi riporta alla realtà. Mi alzo barcollante, rischio di inciampare nelle scarpe. Ridacchio e impreco.
Cazzo, sono proprio andata.
Aprendo, scorgo gli occhi che più preferisco ed odio al mondo in questo momento.

“Ma guarda un po’ chi si vede”, singhiozzo e sghignazzo.

E’ stupendo. Indossa dei jeans scuri e una camicia bianca, anche nella sua semplicità riesce a togliermi il fiato. I ricordi della nostra notte di fuoco fanno capolino nella mia testa. Sento caldo, troppo caldo.

“Emma, hai bevuto?”, mi osserva con aria curiosa e… preoccupata? Non lo so, non ci capisco fottutamente nulla.

Il fatto che non abbia avuto la decenza di avvertirmi, di mandarmi un messaggio d’auguri, mi fa sentire infuriata. La sbornia arrabbiata prende il posto della sbornia allegra. Entra, chiudendosi la porta alle spalle e superandomi come se neanche si fosse accorto di non aver mantenuto l’accordo proposto da lui stesso.
Gli vado dietro, mi avvicino e lo spintono.

“Non sono cazzi tuoi. Grazie mille degli auguri, eri troppo impegnato a seguire l’esempio di tuo padre e scoparti qualcun’altra?”

So che non dovrei permettermi di parlare in questo modo, dato che la puttana in questione di suo padre era la sottoscritta. Non dovrebbe neanche importarmi se va a letto con qualcun’altra: non mi riguarda e lui non mi appartiene.
Ma sono fatta così e, quando soffro, voglio che gli altri soffrano come me.
Lui, per tutta risposta, non batte ciglio né mi risponde. Basterebbe che ora mi scusassi, lo lasciassi spiegare e passeremmo la notte insieme.
Nella vita di Emma Jones, però, le cose belle non esistono.
Mi pentirò di quello che sto per dire e lui mi odierà, poco importa. Non ho bisogno di un uomo nella mia vita.

“Eri a divertirti proprio come stavi facendo mentre tua madre moriva?” scandisco bene le parole, mentre finalmente mando giù il poco che manca della vodka.

Sgrana gli occhi, apre la bocca ma io lo interrompo. Non voglio sentirlo. Non voglio credere a qualche cazzata. Sono offesa, delusa e ferita. Lo odio per come mi ha fatto sentire. Io non voglio stare così, non voglio provare alcuna emozione. Stava incrinando il muro che tanto ho faticato per costruire ma ovviamente è solo un bugiardo come tanti altri.
Una voce dentro di me prova a dirmi che l’accaduto non è tanto grave, che non ho neanche provato a fargli chiedere scusa, che magari è successo per davvero qualcosa di grave… ma la scaccio via in un istante.

“Vattene, Derek. Vivevo bene prima di conoscerti, una vita di merda, ma pur sempre una vita”, mento.

Da quando lo conosco tutto era diventato più luminoso.
Ma è chiaro che il mio orgoglio e il mio carattere di merda hanno sempre la meglio su tutto, sono la persona più nota sulla faccia della terra nel rovinare la propria esistenza e quella degli altri. Non potrà mai cambiare nulla. Me lo merito.

“Quella la chiami vita, Emma? Non hai mai vissuto, sei sempre e solo sopravvissuta, perché sei troppo codarda per accettare la realtà, perché non hai il coraggio di accogliere qualcosa di buono, perché pensi di non meritare la felicità per delle situazioni che ti hanno portato a commettere degli errori. Errori a cui non vuoi rimediare. Ci hai provato, hai avuto paura e sei scappata, chiudendoti di nuovo nel tuo guscio di acciaio, esattamente come la prima volta. Come quando tuo padre ti ha stupr-“ mi risponde, sorprendendomi e facendomi provare un vuoto nel petto, mentre la mia mano agisce prima che possa terminare la frase, lasciandogli un segno rosso sulla guancia.

Solo ora mi rendo conto dell’occhio viola e il labbro spaccato…
Ma che cazzo ho combinato…?
Allora era successo qualcosa di grave.
Sento lacrime calde, lacrime di rabbia e dolore, bagnarmi le guance.
Quando se ne va, senza aggiungere altro, sono sola nell’oblio che tanto cercavo.
Non gli ho lasciato il tempo di spiegare. L’ho aggredito. Mi sono ubriacata. Sono stata violenta, cattiva. Proprio come l’uomo da cui sono scappata. La parte peggiore è che Derek mi ha colpita profondamente con ogni singola parola solo perché mi stava mostrando l’amara verità, quella che non ho mai voluto accettare.
Ho rovinato tutto, di nuovo.
Cosa ci faccio con la solitudine, adesso che ho scoperto com’è avere qualcuno che può davvero interessarsi alla mia felicità…?
Capisco quanto sono stata cogliona, nel momento in cui lancio la bottiglia contro il muro.

Angolo Autrice

Rieccoci qua come promesso.
Nella rilettura delle recensioni, non solo della storia,
mi ero resa conto di aver corso un po' troppo.
E' pur sempre anche una drammatica,
quindi ho riaggiunto un po' di tristezza.
Le shippatrici (se leggono ovviamente ahahaha) mi odieranno
un po' in questo momento, ma non era giusto
far avvenire il cambiamento di Emma troppo velocemente.
Nel prossimo capitolo forse ci sarà un pov di Derek,
devo ancora decidere. Spero ci sia qualcuno che legga
e mi lasci dei consigli. Devo riprendere la mano
nello scrivere, se ci sono degli errori siate clementi.
Un bacio,
Sakii <3

Personaggi

Semplicemente a scopo illustrativo, i volti che ho scelto NON rappresentano
i personaggi da me inventati, è solo per dare un'idea in più ai lettori.
Cliccando sul nome vi si aprirà nella stessa finestra la foto del personaggio, successivamente basterà tornare indietro.


Emma Jones
Nathan Jones
Elizabeth Starling
Christopher Smith
Derek Williams
 

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Capitolo 16
*** Chapter 14 ***


Capitolo 14

 
 
Derek
Il sorriso idiota stampato sul mio viso dopo aver inviato quel messaggio ad Emma non vuole abbandonarmi, per una volta in vita mia credo di aver trovato una buona ragione per abbattere il muro che ho costruito nel corso degli anni e lasciarmi andare.
Seduto sulla poltrona, nella sala del mio appartamento rischiarato da una luce soffusa, mi perdo completamente in Emma: nei suoi occhi a cui non so resistere, occhi che parlano e comunicano ogni stato d’animo lei provi; nei suoi capelli morbidi e setosi, circondano delicatamente il suo viso perfettamente sagomato; nelle curve del suo corpo che sembra così delicato e indifeso. Sicuramente lei pensa di avere un fisico semplice ed insignificante, invece è stupenda e nessuno gliel’ha mai fatto notare, è sempre stata usata, nessuno l’ha mai sfiorata come me, soffermandosi con attenzione e delicatezza… me ne sono reso conto dai brividi che le provocavo, dal desiderio con cui cercava le mie labbra, come se per lei fosse la sua vera prima volta.
L’ultimo modo a cui avrei mai pensato di poterla conoscere, era scoprire che fosse il passatempo dell’uomo che sono costretto a chiamare padre. Scuoto la testa per scacciare l’immagine disgustosa di quei due insieme, non potevo sopportarlo, non volevo che le paranoie si insinuassero nella mia testa e rovinassero la nostra conoscenza.
Mi addormento lì seduto sognando un angelo dagli occhi verdi, pieni di vita nascosta da un passato burrascoso.
Il giorno tanto atteso arriva, non vedo l’ora di incontrare Emma. Inizio a fantasticare su come si sia vestita oggi, se abbia legato i capelli, se si sia truccata… è bellissima anche al naturale, ovviamente. Il ricordo della sua morbida pelle mi tormenta da un paio di giorni e mi rende fin troppo eccitato.
Mi gratto la testa, sentendomi in imbarazzo per i miei pensieri: sembro un adolescente in piena crisi ormonale.
Decido di farmi una bella doccia fredda per calmare i bollenti spiriti, vero che avevamo già avuto un rapporto sessuale ma volevo davvero impegnarmi per andarci con calma e farle scoprire sensazioni nuove, non volevo che si sentisse usata… un po’ come lei aveva fatto sentire me per quella notte, facendomi scappare come un cucciolo di cane abbandonato con la coda tra le gambe.
Durante il nostro appuntamento, invece, fui sollevato di iniziare a scovare in lei la timidezza, la dolcezza e la simpatia. Sorridere ad ogni sua risata, ammirare la luce farsi strada nei suoi occhi sempre tormentati, restare senza fiato alla vista dell’impeccabilità in cui il vestito aderiva al suo corpo. Non che io non apprezzi l’Emma burrascosa, a letto si potrebbe rivelare nuovamente eccezionale…

Ok, Derek. Stai divagando, ancora.

Chiudo l’acqua, esco dalla doccia e mi avvolgo un asciugamano attorno la vita. I capelli, ormai un po’ troppo lunghi e ribelli, continuano a gocciolare sul mio petto mentre sento suonare alla porta e vado ad aprire.
Prima che possa ancora rendermi conto di chi possa essere, il pugno dello sconosciuto si scontra contro la mia mascella, facendomi quasi perdere i sensi. Mi porto una mano alla guancia, mi giro di scatto pronto a contrattaccare ma, mentre rivoli di sangue scorrono dal mio labbro ferito, la mia mano resta ferma a mezz’aria quando riconosco gli occhi azzurri, identici ai miei, di mio fratello.

“Porca puttana! Josh, ma sei impazzito? Che cazzo!” sbotto immediatamente, dandogli solo uno spintone. Sono ancora incazzato ma non colpirei mai mio fratello, a differenza sua a quanto pare.

Ha il respiro affannato, mi fissa con aria dura, arrabbiata e disgustata; non ci vediamo da due mesi e questo è il suo modo di salutare, menomale che ero io il coglione festaiolo coinvolto sempre in qualche rissa. Non mi preoccupo di accertarmi che mi segua mentre torno in bagno a constatare i danni del suo colpo: l’occhio si sta già gonfiando, il labbro è spaccato ma fortunatamente ha smesso di sanguinare.
Ci sa fare, il piccoletto. Abbiamo sempre avuto un rapporto… complicato: lui, secondogenito e angelo della famiglia ben voluto da tutti, degno erede dell’azienda di papà, io, primogenito e demone ribelle combina guai. Non si direbbe dal mio aspetto e dal mio carattere di adesso, per questo mantengo sempre le distanze da chiunque e mento a tutti sul mio passato, tutti tranne Emma.
Lo vedo, fermo sullo stipite della porta. Disinfetto disinteressato le ferite, aspettando che parli e pensando al viso preoccupato di Emma alla vista del mio viso. Sbuffo, infastidito, deve muoversi a parlare, ho fin troppo ben altro da fare e sicuramente di più piacevole.

“Tu lo sapevi. Sapevi che nostro padre va a puttane, non mi hai detto niente né hai fatto niente”, dice, in tono aspro.

Devo far appello a tutta la mia pazienza, stringo forte i pugni. Ora so benissimo che Emma è una persona diversa, ben sapendo che ha sicuramente avuto le sue ragioni per finire a fare ciò che faceva, e il fatto che mio fratello la includa tra le puttane e le cazzate di mio padre mi fa uscire fuori di testa. E poi “va”? Presente? Evito nuovamente di pensare male di Emma, so per certo che non fosse l’unica e che ha smesso. Emma capitò come prima ragazza solo perché era il numero più contattato, avrei chiesto anche alle altre di farsi da parte se non mi fossi imbattuto in lei.

“E quindi? Non mi riguarda ciò che fa nella sua vita, non dipendo più da lui. Ho il mio appartamento, il mio lavoro e i miei interessi”, rispondo, privo di tono.

E’ vero ciò che ho detto, all’inizio anch’io mi incazzai come mio fratello e, appunto per questo, cercai le ragazze per pagarle e lasciare in pace la nostra famiglia, per fare qualcosa per mia madre dato che neanche alla sua morte sono riuscito ad essere lucido e renderla felice. Smisi di fare il cazzone e mi impegnai per lei.
Desideravo renderle giustizia, che mio padre continuasse ad avere rispetto per lei. Non ho smesso di essere disgustato dalle azioni del potente Mr John Williams, semplicemente ho smesso di rovinarmi la vita per colpa sua e di onorare la memoria della mamma a modo mio: ossia diventando una versione migliore di me stesso. Una volta imbattuto in Emma, persi completamente interesse nei divertimenti di mio padre e proseguii per la mia strada.
Sospiro, cercando di addolcire il colpo delle mie stesse parole di qualche secondo fa.

“Mi dispiace, Josh. Non avrei voluto che tu lo venissi a sapere e, comunque, pensavo avesse smesso. Gli parlerò.” Lo rassicuro.

Sembra quasi essere abbastanza soddisfatto, poiché si scusa per avermi aggredito e va a sedersi in sala mentre aspetta che io mi vesta. Forse sono troppo elegante, rimane a fissarmi per un po’ ma fa finta di niente. Non voglio rivelargli i miei impegni. Gli offro dell’acqua, restiamo un quarto d’ora circa a parlare del suo lavoro in medicina e delle ottime vendite nel quartiere di Emma, fino a quando non se ne va, come se nulla fosse successo.
Sono le dieci e quarantacinque, afferro le chiavi dell’auto e mi dirigo verso la “casa” della festeggiata. Non vedevo l’ora si trasferisse, mi faceva impazzire l’idea che continuasse a vivere in quella catapecchia infestata da chissà quanti insetti.
Pensare alle condizioni in cui vive, mi fa tornare in mente ciò che era costretta a fare per sopravvivere, la rabbia nei confronti di mio padre, la sofferenza di Josh. Stringo forte le mani attorno al volante, finché diventano bianche e decido di invertire rotta, verso la villa di mio padre.
Una volta arrivato, senza pensarci su due volte, mi dirigo verso il suo ufficio. Spalanco la porta e mi getto su di lui proprio come mio fratello ha fatto qualche ora fa con me.

Déjà-vu.

“Sei un fottuto bastardo!”, urlo mentre il mio pugno si scontra con il suo viso, gli occhi spalancati dalla sorpresa. Finiamo a terra, io sopra di lui, lo colpisco un’altra volta.

E’ un uomo forte e ben piazzato anche lui ma non riesce a divincolarsi, sono fin troppo incazzato.
L’urlo di spavento di Katrina, la donna delle pulizie, mi fa distrarre il solo attimo necessario a mio padre di sferrarmi un pugno in pieno volto: sento l’adrenalina di un tempo scorrermi nelle vene e sono deciso a continuare, quando l’immagine di Emma sorridente mi blocca, mentre mio padre mi scrolla via e riesce a rialzarsi.

“Che cazzo di problemi hai? Sei ubriaco o fatto, questa volta?”, mi urla mio padre, pulendosi il sangue con la manica della camicia bianca da centinaia di dollari.

Poco male, ne avrà altre cinquecento tutte uguali.
Lo guardo senza rispondere, sputo un misto di sangue e saliva sulla moquette, mi volto e mi allontano prima di rischiare di ucciderlo di botte.
Guido senza meta, per calmarmi e riflettere, mentre mi ritrovo davanti il cimitero.

Guarda caso… il destino è proprio una merda.

Parcheggio, attraverso il sentiero immerso nel verde leggermente illuminato da dei lampioni, ormai si è fatto tardi. La mia giornata con Emma è completamente andata a farsi fottere e mi starà odiando.
Raggiungo la zona dedicata alle tombe della nostra famiglia, accarezzo le scritte incise nel marmo per mia madre.

“Anna Grey
23/06/1969 – 01/10/2016”


Rimuovo i fiori ormai secchi e, prima che me ne renda conto, delle lacrime stanno bagnando le mie guance sporche di sangue secco.

Ho sbagliato tutto, mamma. Ti ho promesso che sarei migliorato e invece, guardami, di nuovo pieno di ferite, sangue e rabbia…

Credo proprio che l’immaginazione mi giochi un brutto scherzo quando, un soffio di vento, mi fa sembrare che mia madre mi stia accarezzando e consolando. Resto ancora qualche minuto, mi asciugo le lacrime, poi corro verso la macchina e finalmente arrivo da Emma.
Mi apre la porta dopo secondi che mi sembrano interminabili, lasciandomi senza fiato. E’ bellissima, se non fosse per le sue condizioni, l’avrei sicuramente baciata senza farla parlare. Appena mi saluta, la guardo negli occhi e capisco che è chiaramente ubriaca. Per colpa mia, perché l’ho fatta illudere. Infatti, appena le chiedo se ha bevuto, mi spintona evidentemente furente e rispondendomi che non sono cazzi miei, accusandomi di essere stato a scoparmi qualcun’altra.

Ahia, mi sta irritando e anche… ferendo?

Cerco di non darlo a vedere. Lei, da grandissima e bellissima stronza quale è quando indossa la corazza, mi sorprende rinfacciandomi il passato. Non l’avevo mai confessato a nessuno, per paura che potesse essere usato contro di me, per vergogna… e l’unica persona con cui mi ero aperto, mi stava buttando via come se non fossi nulla.
Effettivamente lo sono, non sono niente per lei. Perché mi sono illuso che potesse nascere qualcosa?
Mi caccia e io faccio la scelta più sbagliata che potessi fare in quella giornata già abbastanza di merda: la ferisco.

“Quella la chiami vita, Emma? Non hai mai vissuto, sei sempre e solo sopravvissuta, perché sei troppo codarda per accettare la realtà, perché non hai il coraggio di accogliere qualcosa di buono, perché pensi di non meritare la felicità per delle situazioni che ti hanno portato a commettere degli errori. Errori a cui non vuoi rimediare. Ci hai provato, hai avuto paura e sei scappata, chiudendoti di nuovo nel tuo guscio di acciaio, esattamente come la prima volta. Come quando tuo padre ti ha stupr-“, mi tira uno schiaffo sulla guancia già ferita prima che possa terminare la frase.

Me lo merito. Se lo merita anche lei. Sembra accorgersi del mio viso ferito, o forse no, non lo so. So solo che sta piangendo, io ho distrutto quella piccola briciola di vitalità che ero stato capace di riaccendere in lei. Me ne vado, senza guardarmi indietro e senza rispondere.
Sono tentato di rientrare e scusarmi, quando sento la bottiglia di vodka che stava bevendo, infrangersi contro il muro.
E’ come se l’avesse scagliata contro il mio cuore, ormai freddo e spento. Mi fa quasi paura il modo in cui mi fa sentire. Resto qualche ora seduto lì, per la tromba delle scale, al buio, a cercare di realizzare tutto ciò che avevo perso in un singolo giorno.

Angolo Autrice

L'atteso pov di Derek che tanto desideravo è arrivato.
Il capitolo è venuto fuori come lo desideravo e sono quasi
certa che scriverò il passato di Derek in alcuni capitoli come 
quello di Emma. Conosciamo così un altro gran bel personaggio,
il "piccolo" Josh.
Una piccola sciocchezza ma, per la data della morte della mamma,
non sapevo se inserire 2016 , un anno dopo quindi, 2017, Derek conosce 
Emma, dato che ho iniziato la ff nel 2017, o considerarla ormai del 2019 ahahah
Non so ancora cosa accadrà nel prossimo capitolo ma sicuramente tra non molto
ci saranno altri colpi di scena!
Un bacio,
Sakii <3

Personaggi

Semplicemente a scopo illustrativo, i volti che ho scelto NON rappresentano
i personaggi da me inventati, è solo per dare un'idea in più ai lettori.
Cliccando sul nome vi si aprirà nella stessa finestra la foto del personaggio, successivamente basterà tornare indietro.


Emma Jones
Nathan Jones
Elizabeth Starling
Christopher Smith
Derek Williams
 

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