Reich Chronicles: Cronache del Regno

di davide il fan
(/viewuser.php?uid=672393)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Aveva appena smesso di nevicare e le strade di Lubij brulicavano di vitalità; nelle terre centrali era un evento raro, spesso intere generazioni vivevano ignorando la magia di quel velo bianco che ricopriva ogni cosa e dolcemente ovattava il mondo. Era sceso almeno un terzo di Stütze - il bastone regio usato come misura unica - in meno di quaranta minuti e la città si era bloccata: mentre i bambini giocavano con quella nuova scoperta gli adulti si davano da fare per sgomberare le strade e i tetti, secondo le raccomandazioni dei più anziani.

             «Temo che faremo tardi, Wil.» Un ragazzo che non dimostrava più di vent’anni rientrò nella carrozza, cercando di pulirsi le scarpe ed il mantello «Che maledetto tempismo questa neve!». I diversi strati di vestiti e pellicce amplificavano la sua possente corporatura, occupando così la quasi totalità dello spazio disponibile. «Neve nelle terre centrali... l’ultima volta è stata cinquanta anni fa» mentre prendeva dalla scodella coi tizzoni una pietra riscaldata per passarla all’amico, Wil cercò di ricordare le vecchie storie che suo nonno raccontava da piccolo a lui e sua sorella. «Il raccolto di quell’anno fu praticamente inesistente, e il grande freddo provocò parecchi danni anche al bestiame...» Cinquant’anni prima l’inverno era arrivato un mese prima del previsto ed era stato particolarmente duro: le colture e gli animali, abituati ad un clima temperato, non avevano resistito e la produzione alimentare era così di colpo drasticamente diminuita; dati i normalmente abbondanti raccolti le riserve erano scarse, non fruttava conservare il grano in attesa di una magra che sembrava solamente un lontano ricordo del passato. Al palesarsi della crisi alimentare tutte le scorte vennero requisite dai proprietari terrieri e dalla alta nobiltà; venendo a mancare il loro principale alimento di sussistenza i contadini si avventarono sul poco bestiame rimasto, finito il quale iniziò l’inevitabile decrescita demografica. Cinque anni di fame, ribellioni e soprattutto morte.

              «Gli anni del Vilipendio.» Confermò con aria irritata l’altro «Da allora quei plebei si sono montati la testa!» Storicamente il popolo e la nobiltà del regno erano sempre stati molto uniti: nella parte bassa della piramide sociale vi era l’antica convinzione che vedeva i nobili come giusti e prescelti in quanto “emissari del Re”; l’influenza religiosa era stata saggiamente sfruttata dai precedenti monarchi per creare un alone di divino intorno ai detentori del potere e giustificare la divisone sociale. «Hanno perso la cieca fiducia nei nostri confronti, Berne» Annuì indifferente Wil. «Sono un costante problema… Le loro idee influenzano pure gli schiavi! Gli schiavi! Adesso devo tenerli sempre d’occhio.» Si lamentò Berne, scuotendo il capo «Questa neve causerà altri problemi…» continuò sbuffando, per poi cambiare completamente atteggiamento «Hehe, decisamente un maledetto tempismo!» la soddisfazione riempiva il volto del nobile.

            «Già, decisamente.» Confermò l’amico. Se la neve fosse scesa uno qualsiasi degli inverni precedente sarebbe stato loro dovere aiutare nella gestione degli affari familiari, ma quell’anno era diverso. «E comunque non saremo solo noi ad essere in ritardo, tranquillo» vedendo il grosso Berne cambiare posizione costantemente nel limitato spazio della carrozza, Wil non poté fare a meno di parlare per rassicurarlo. Quell’armadio era il suo amico di infanzia, Berne Niedenthal, secondogenito dell’omonima casata; passionale quanto grosso, possedeva una preparazione superiore a quella degli altri secondogeniti — una delle poche qualità che li accumunava — ma il suo temperamento spesso gli impediva di sfruttarla al pieno delle sue possibilità. D’altra parte ogni sua azione era intrisa di quella sua stessa inclinazione, generando un particolare carisma che sembrava dirti “ci penso io”. E forse era proprio per questo, unito ad una chioma nocciola scuro ed occhi del medesimo colore, che le figlie delle altre casate gli ronzavano sempre in torno; poco importava se i suoi lineamenti fossero abbastanza comuni o se le mani erano callose, anzi quest’ultime sembravano sposarsi perfettamente con la sua persona. «Noi siamo più vicini all’Accademia rispetto alla sezione meridionale delle terre centrali. In parecchi arriveranno dopo di noi, questo ritardo non poteva essere evitato.»

             Le terre dei Niedenthal e dei Luechenheim, confinanti, iniziavano a circa quattro giorni a cavallo ad Est di Lubij; la Regia Accademia distava poco meno di tre ore a Nord Ovest della città stessa. I possedimenti della Corona, i Regi Domini o al netto dell’etichetta terre centrali, consistevano nella stessa Lubij insieme a diverse altre città, oltre ovviamente alla Regia Capitale. Dieci giorni più a Sud di Lubij si trovava il confine meridionale, mentre procedendo per otto giorni verso Ovest si raggiungevano i confini occidentali. Infine, a soli due giorni di cavallo a nord della Regia Accademia, si trovava il confine Nordico, un limbo di fredde terre e foreste che separava il Regno dalle Lande Barbariche.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo I ***


 
Lubij era nata in seguito alla fondazione della Regia Accademia per soddisfare le sue necessità alimentari: i figli delle casate nobiliari necessitavano — imponevano — alimenti più freschi possibili per dare il meglio di loro e completare la loro formazione. Ai tempi il confine Nordico era appena stato conquistato ed il sanguinoso conflitto aveva dimostrato la necessità di una preparazione specifica in quella che, non più passatempo, era divenuta un’arte: la guerra; allo stesso tempo era sorta la necessità di un avamposto che fungesse da collegamento tra le terre centrali ed il confine: così era nata la Regia Accademia di Lubij.

             Situata abbastanza vicino al fronte da avere un significato ideologico e abbastanza lontano da non esserne minacciata, l’Accademia era stata ideata e perfezionata nel corso dei decenni per svolgere sempre meglio il compito di formare una salda classe militare con le competenze necessarie per difendere il Regno. A questo scopo non era stato risparmiato nessuno sforzo: l’organizzazione originale era stata progettata personalmente dal Re, Gustav Adolph, congiuntamente con i più esperti comandanti e precettori del tempo. Ogni cinque anni i secondogeniti maschi di tutte le casate nobiliari, in età compresa fra i diciassette ed i ventitré anni, si radunavano all’Accademia per imparare l’arte e la disciplina della guerra secondo la dottrina del Regno. Il periodo di studi era diviso generalmente in due parti, un anno di theorie e da uno a due anni di praxis; l’anno di studi teorici era a sua volta suddiviso in un trimestre comune a tutti gli studenti, dopo il quale venivano separati per grado di nobiltà ed iniziava il semestre di formazione specifica. Concluso il semestre vi era un ulteriore bimestre di specializzazione ed infine un mese di riposo che sanciva la fine degli studi über papiere.

             Wilber era il secondogenito della casata Luechenheim, una delle dodici che vantavano la più alta importanza dopo la famiglia reale, e come tale era stato la riserva nel caso il fratello maggiore morisse prematuramente nell’infanzia. La continuità della linea ereditaria era ciò che spingeva i capifamiglia a non accontentarsi di un singolo figlio maschio: troppi erano i rischi di morte in tenera età, dove il corpo e lo spirito sono ancora deboli, pertanto avere due o tre possibili rimpiazzi garantiva la sicurezza pressoché assoluta; una volta passato il periodo critico, le riserve perdevano ogni diritto ereditario. Il primogenito veniva dunque istruito alla gestione del territorio, degli affari della casata, e alla politica; ai figli maschi dal secondo in poi veniva fornita una preparazione bellica. Questo sistema separava l’aspetto politico ed economico da quello militare, consentendo alle casate lo stesso controllo sul territorio sia in tempo di pace sia in tempo di guerra, ed allo stesso tempo abbatteva il rischio di estinzione della linea ereditaria a seguito della morte del capofamiglia in battaglia. Ciò era possibile grazie al particolare sistema politico e militare adottato: esclusi i Regi Domini, governati in tutto e per tutto dalla famiglia reale, ogni casata controllava una larga porzione di terre, dividendo quindi il Regno in dodici regioni più una. Tali regioni erano sottoposte a diverse Richtlinie, linee guida che raramente stabilivano alcune regole specifiche e che normalmente davano indicazioni più generali, lasciando una certa libertà agli Abgesandte, i dodici capofamiglia responsabili delle regioni; ognuna delle casate principali, quindi, rappresentava il potere Regio nella propria regione di appartenenza, e si autoregolava seguendo le disposizioni della Capitale. Ovviamente la supremazia e la legittimità della dinastia reale era espressa in maniera decisa e senza possibilità di interpretazione, garantita in particolare da una precisa serie di norme, fra le quali la regolamentazione e l’organizzazione dell’esercito: i singoli Bezirke, le dodici regioni, normalmente potevano disporre fino a cinquemila Milizsoldaten per controllare l’ordine pubblico, cifra che poteva raddoppiare in caso di particolari condizioni, mentre le milizie private dei nobili non potevano superare i cinquecento effettivi. L’esercito era indipendente dagli Abgesandte, e in tempi di guerra veniva chiamata alle armi un certo numero di popolazione per ogni regione, generalmente dai cinquemila ai diecimila uomini, che tornavano alla loro vita quotidiana finita la necessità; un corpo di ventimila élite costituiva la Guardia Reale, permanentemente a difesa della Capitale e della famiglia reale.

             L’importanza della casata influenzava direttamente la gerarchia militare; solo le dodici principali ed i loro rami cadetti vedevano effettivamente il campo di battaglia. I restanti, secondo il proprio lignaggio, venivano assegnati con incarichi di comando e supervisione all’interno dei Bezirke, prevalentemente inquadrati nei Milizsoldaten, con l’altisonante titolo di Königliche Kommissar. Oltre a garantire il corretto funzionamento delle forze di sicurezza, osservavano e riportavano tutte le azioni dei poteri locali, fornendo un’efficace protezione contro intrighi politici, giochi di potere e più in generale qualsiasi azione intrapresa dalla casta dirigente contro gli interessi della famiglia reale; gli occhi e le orecchie della Corona, e quando necessario anche la mano sinistra. Per via della loro elevata importanza erano tenuti in alto riguardo da ogni sovrano, il quale concedeva una serie di privilegi che spaziavano dalla elevata posizione sociale — la quale superava, tranne in casi di contributi eccezionali, perfino quella di un comandante vittorioso — all’ancora più alto compenso semestrale; tutto ciò faceva enormemente lievitare la fedeltà — e il rosso del bilancio — di questa branca dell’esercito, abbattendo nel contempo la corruzione. Inoltre dopo trenta anni di servizio veniva assegnato un appezzamento di terra nei Regi Domini, seguendo come criterio il contributo svolto e ignorando completamente il lignaggio della casata di origine: più si aveva lavorato duro, più si era stati fedeli, più grande era la nuova proprietà. Fra una vita da vivere all’ombra del primogenito di turno ed una posizione di potere riccamente remunerata la scelta risultava ovvia; una volta assicuratosi un erede le casate fornivano solamente una preparazione base agli altri figli maschi, evitando di sprecare tempo e denaro nell’istruire i cani da guardia della famiglia reale. Tale filosofia era abbracciata dalla quasi totalità della piccola e media nobiltà, influenzando persino diverse casate delle dodici principali.

             I Luechenheim ed i Niedenthal non condividevano questa linea di pensiero: piene d’orgoglio e in buoni rapporti con la famiglia reale, queste due casate crescevano con dedizione i loro secondogeniti così che potessero servire al meglio la stirpe regnante e portare onore al sangue che scorreva loro nelle vene — e di conseguenza alla casata stessa; soddisfatti della situazione attuale e tradizionalmente leali agli antichi ideali non avevano motivo di temere i Commissari Regali, consapevoli della loro utilità nel mantenere lo status quo. Di conseguenza la preparazione ricevuta dai due giovani uomini era da considerarsi di prima classe, e copriva la quasi totalità degli argomenti la cui conoscenza si imponeva d’obbligo per assumere una posizione di alto comando nel Regno, in particolar modo il comando, la politica e l’economia.

             «La nostra fortuna nella sfortuna!» affermò Wilber, concludendo una considerazione sul trattamento ricevuto da lui e Berne «Avere il sangue di una delle casate Gründerin è un vantaggio solamente se nasci per primo; alas, siamo arrivati dopo». Il corvino sospirò, non era la prima volta che si riscopriva invidioso del fratello maggiore ed erede, Loritz; si immaginava intento a governare la regione, dove ogni sua azione si rifletteva sulle vite di milioni di plebei. Ma il caso lo aveva voluto secondo, non primo. E Dio? Dio esisteva per tenere sotto controllo la gente comune, i contadini! “Solo chi possiede il potere può influenzare o scrivere di proprio pugno il corso degli eventi.” Questa era una delle sue certezze. «Due passi più avanti per essere subordinati di rilievo, un passo troppo indietro per avere un ruolo dove conta.» Scuotendo la testa Berne esplicitò chiaramente la loro condizione: due gradini più alti della media nobiltà, i vertici dei Kommissar, ma soprattutto così vicini alla vetta eppure impossibilitati a raggiungerla perché nati undici, dodici mesi dopo. Era maledettamente frustrante. Essere nato in una delle dodici casate principali, le orgogliose Gründerin, venire istruito fin dalla più tenera età ad un unico scopo, circondato da persone che continuamente ti ripetevano il tuo obiettivo, imprimendotelo dentro, per poi a tredici anni far crollare tutto; a quell’età non ci pensavi più di tanto, ma man mano che maturavi e ti rendevi conto di che cosa ti fosse passato per le mani scoprivi che il tuo carattere, che la tua intera persona si era sviluppata intorno a quella posizione. E non potevi smettere di anelare a quel potere. “È maledettamente, dannatamente frustrante!” Ma non potevi farci niente, non potevi cambiare le cose; dovevi ingoiare, non mostrare nulla, e afferrare ogni singolo appiglio, sfruttare ogni singola opportunità che ti veniva offerta quasi per sbaglio per accumulare tutte le risorse possibili per perseguire il tuo obiettivo. E quando vedevi qualcun altro come te, per un attimo gli occhi ti si illuminavano di quel qualcosa che provavi a tutti i costi a tenere nascosto, lontano da tutti; ti tradivi perché speravi che anche lui provasse la stessa cosa, speravi di vedere in lui quella frustrazione repressa, quel desiderio di rivalsa, quella sete di potere. Speravi che fosse della tua stessa razza, qualcuno che ti capisse, qualcuno con le tue intenzioni. Così Wilber e Berne avevano stretto il loro tacito accordo; uno sguardo, più profondo di mille parole.

             Il silenzio era calato nella stanza, entrambe le figure pensierose, lo sguardo distante. Erano arrivati in città la sera precedente, e dopo una breve sosta avevano programmato di arrivare all’accademia la mattina successiva, ma i fiocchi bianchi avevano mandato a monte la loro tabella di marcia ed erano stati costretti a prolungare la loro permanenza nella locanda più lussuosa della città; il sole stava nuovamente tramontando, ed i due nobili ingannavano il tempo, dovendo trascorrere la loro seconda notte a Lubij. Ampie e pulite, le camere erano adibite come un unico spazio; il letto, largo e imponente, era contornato da una cornice lignea bagnata d’argento e finemente decorata con incisioni raffiguranti una qualche battaglia; dagli angoli si alzavano imponenti quattro pilastri al culmine dei quali erano raffigurati quattro volatili differenti. Un falco, simbolo di fedeltà, un’aquila, simbolo di nobiltà, una civetta, simbolo di purezza, ed un gufo, simbolo di onore; erano le rappresentazioni classiche dei rispettivi valori, e potevano essere interpretati in maniera diversa a seconda della chiave di lettura, ad esempio il falco e l'aquila, presi da soli, significavano la fedeltà della nobiltà verso il sovrano e per analogia ai delegati governativi, ma se vi si aggiungeva il gufo la fedeltà prendeva un accezione militare, trasformandosi nella risolutezza necessaria per difendere i reali ed il Regno anche col supremo sacrificio. Al contempo le elevate dimensioni del letto fornivano una stabile base sulla quale soddisfare i piaceri carnali; i nobili avevano infiniti utilizzi per il loro giaciglio. Al fianco di questa imponente struttura multiuso si trovava una grossa scodella che, chiusa da un coperchio, conteneva una mezza dozzina di pietre grandi quanto un pungo, mischiate a diverse braci prelevate dal largo camino incassato nel muro. La parete opposta al letto ospitava una finestra che si affacciava sulla città; quando la avevano vista per la prima volta erano rimasti entrambi molto sorpresi nello scoprire che uno spesso strato di vetro separava l’esterno dall’interno, mantenendo così separate le due temperature senza rinunciare alla luminosità della stanza. Il vetro era uno dei materiali più difficili da ricavare e lavorare ed era considerato un prodotto estremamente pregiato; il suo elevato costo non impediva all’alta nobiltà di spendere fiumi di denaro per accaparrarselo, andando ad arricchire le regioni meridionali, uniche produttrici nel Regno. Le pietre, regolari e saldate tra di loro, isolavano quasi perfettamente; una porta introduceva ad una più modesta stanza contenente una vasca da bagno ed ai servizi igienici, mentre una seconda si affacciava su una sala comune. Wilber e Berne erano esattamente in quest'ultimo ambiente: diversi tavoli, anch’essi di vetro, dell’altezza di un ginocchio facevano da nucleo a gruppi di fini sedie in legno e stoffa; vari ricami ed incisioni crescevano dalle gambe per salire fino ai braccioli e allo schienale, emanando un’aria raffinata nella loro semplicità. Un camino riscaldava l’aria senza attirare troppo l’attenzione, la quale era catturata da diversi quadri ritraenti alcuni importanti personaggi locali, per poi convergere sul medesimo tipo di finestra incontrato nelle loro camere che apriva la vista sulle abitazioni circostanti. Lubij era una piccola città abitata da diverse decine di migliaia di persone, principalmente contadini, e la sua formazione pianificata a tavolino era evidente dallo sviluppo regolare dei quartieri e delle strade; la via nordica fendeva a metà il centro abitato, divenendo l’arteria principale dalla quale si diramavano con regolarità i viali che capillarmente raggiungevano ogni parte del conglomerato. Nata come piccolo centro agricolo sussidiario dell’Accademia, Lubij si era espansa rapidamente, affermandosi come uno dei principali nodi logistici settentrionali; a causa della der Nördliche Bergkette, la catena montuosa del nord, il confine Nordico era collegato al resto del Regno tramite pochi accessi: la città era il centro con guarnigione più vicino alla Das Nordtor, vera e propria porta del nord. D’altronde la necessità di un raccordo logistico era stata uno dei motivi della sua fondazione. La locanda nella quale si trovavano era a poche centinaia di metri dal presidio locale dei Milizsoldaten: l’enorme struttura era prevalentemente un grosso deposito, dal quale periodicamente partivano ed arrivavano convogli da e per il confine; partiva cibo, arrivava argento.

             «Con tutta questa neve e le strade bloccate il Commissario si starà disperando» attaccò Berne, fissando l’edificio ricoperto da un velo bianco «tutto il traffico alimentare del nord viene raccolto qui e poi spedito oltre le montagne… non vorrei essere nei suoi panni!» concluse il Niedenthal, abbozzando un sorriso «Neve nelle terre centrali… veramente incredibile.» Scuotendo la testa afferrò un panno e, facendo attenzione a non scottarsi, scoperchiò la scodella vicina «Vuoi?» chiese mentre avvolgeva un sasso in un altro pezzo di stoffa. «Nein» rispose l’altro, spostando nuovamente la sua attenzione all’amico «Se non ne scende altra stanotte domani la strada sarà agibile» il Kommissar locale aveva mobilitato tutte le risorse in suo possesso e gli abitanti della città si stavano dando da fare liberare le principali vie di comunicazione, in particolare la strada che collegava il centro abitato all’Accademia. Non dovendosi preoccupare della viabilità interna — la neve nelle vie cittadine era stata immediatamente accumulata ai bordi delle stesse dagli abitanti — e poco prima di sera era stato ripristinato il collegamento; viaggiare di notte, in inverno, non era un’opzione e ai due nobili non era rimasta altra scelta che soggiornare per un'altra notte, nella speranza che il tempo si mantenesse stabile. «Il cielo direi che è sereno, non mi sembra di vedere nuvole…» stringendo gli occhi il più grosso dei due cercò di scrutare la volta celeste, approfittando degli ultimi istanti di luce; la cappa di nuvole che tingeva di grigio e ricopriva l’azzurro sembrava solo un ricordo dei giorni precedenti. «Hm, speriamo che regga» annuì Wilber «Dopotutto dovevamo essere già arrivati» concluse il corvino; i suoi occhi scintillarono per un momento.

             «Oh?» Un sorriso malizioso comparì sul viso dell’amico «Sei impaziente, Wil?» la casualità nel suo tono era svanita, ed anche il suo atteggiamento rilassato si era trasformato. Il “nuovo” Berne era tale e quale ad un predatore pronto a saltare addosso alla sua preda; lo sguardo penetrante, pieno d’ambizione. “Ecco il vero Berne.” Vedendo l’amico togliersi la maschera di affabilità che normalmente indossava, Wilber annuì; sogghignando lasciò trapelare la sua smania «Puoi dirlo forte, Berne.» Detestava dover mascherare la sua vera natura: agli occhi degli altri poteva sembrare disinteressato e con la testa sulle nuvole, ma il suo vero io era l’esatto opposto; sempre attento a cogliere ogni opportunità, ogni briciola che gli altri lasciavano cadere per sbaglio o per pietà, dall’alto del loro autocompiacimento. Avaro di potere? No, determinato ad ottenerlo. «Sono anni che aspetto questo momento!» Era il primo passo concreto che faceva, il primo tassello che avrebbe innescato tutti gli altri «Tutto quello fatto fino ad ora è stato in preparazione a questo momento,» ambizione, frustrazione, risentimento, trepidazione; fremeva dall’impazienza. Guardò l’amico dritto degli occhi, e vide riflessi i suoi stessi sentimenti, lo stesso ammasso informe di emozioni. «Diavolo se sono impaziente, Berne!» L’Accademia era la loro unica opportunità per cambiare tutto: senza di essa non avrebbero potuto fare altro che aspettare passivi un qualcosa che probabilmente non sarebbe mai arrivato; l’Accademia avrebbe aperto loro un percorso pieno di occasioni necessarie per ottenere il potere. E loro le avrebbero sfruttate tutte, dalla prima all’ultima. «Ti capisco, amico mio!» Ne avevano assaggiato il sapore, e ne erano rimasti intossicati «Anche io non vedo l’ora!» Solo chi aveva assaggiato poteva capirne la dipendenza che provocava; non era una sensazione per molti. Eccitati dall’approssimarsi dell’inizio di tutto parlarono dei loro piani per scalare la vetta, di come avrebbero utilizzato quel potere e scritto la storia, di come avrebbero vissuto, come si sarebbero comportati, quante donne avrebbero avuto, e molte altre cose. Solamente nell’ora più profonda della notte la stanchezza prese il sopravvento ed andarono a dormire, intenzionati ad alzarsi poche ore più tardi.
 
Grazie per aver letto il primo, effettivo, capitolo di questa mia pazza idea intitolata Reich Chronicles: devotrovareunsottotitolodecente! Qui è l'autore che parla, e d'ora in poi troverete sempre qualcosa in fondo ai capitoli: a volte potrà essere una comunicazione importante, a volte semplicemente un glossario per chi è pigro e non ha voglia di andare su google traduttore, a volte qualche mio sfogo casuale; a voi scegliere in quale di queste tre categorie considerare questo intervento rovina atmosfera.

Comunicazione di servizio: Non so quando arriverà il prossimo, di sicuro non in tempi brevi. Andrò in vacanza e lascierò il mio amatissimo computer a casa e mi ritroverò (forse) con un Macintosh radioattivo fra le mani; non so quanto riuscirò a scrivere. Alla peggio ci risentiamo a settembre.

Glossario per pigri:
  • theorie, praxis: teoria, pratica
  • über papiere: su carta/cartacei
  • Richtlinie: linea guida
  • Abgesandte: delegato/inviato (personalmente preferisco la prima in questo contesto)
  • Bezirke: distretti/regioni
  • Milizsoldaten: miliziani
  • Königliche Kommissar: regio commissario/commissario reale
  • status quo: equilibrio delle parti
  • Gründerin: fondatrici
  • der Nördliche Bergkette: la catena montuosa del nord (letteralmente)
  • Das Nordtor: la porta del nord (letteralmente)
  • Nein: filate a vedere bastardi senza gloria

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3682533