Glherblera

di Hephily
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Azione ***
Capitolo 3: *** Misteri ***
Capitolo 4: *** Di compleanni e hotel di lusso - capitolo 2.5 ***
Capitolo 5: *** Museo ***
Capitolo 6: *** Ricordi del passato ***
Capitolo 7: *** Indagini ***
Capitolo 8: *** Lacrime ***
Capitolo 9: *** Mezze verità ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 
 
Ore 23.30 nel distretto di Jouiking il Caffenut Maid aveva appena chiuso le saracinesche, sistemato i tavoli, pulito il bancone e finito il conteggio dei guadagni della giornata. Di mattina si presentava come un semplicissimo caffè maid, con delle cameriere simpatiche, dolci e soprattutto carine, per questo il locale è sempre pieno fino all’ultimo minuto dell’orario di chiusura; è il locale numero uno della regione di Shoanen.
Le loro ottime ciambelle sono conosciute in tutta la regione e molti cercano di imitarle o addirittura mettere fine alla vita di Caffenut.
Le proprietarie del Maid Caffè non hanno paura della concorrenza anche se ricevono ogni giorno minacce di morte, intimidazioni, lettere anonime e via dicendo continuavo il loro lavoro con tutta la tranquillità.
Il Caffenut non è una semplice caffetteria, dietro a quel nome si nasconde un segreto che solo le proprietarie sono a conoscenza del segreto perché proprio loro hanno qualcosa di clandestino, che neanche le autorità superiori riescono a scoprirlo.

Di sera la caffetteria diventa in qualcosa di veramente pericoloso per le comuni persone, solo chi osa fare la spia le povere vittime non hanno vita abbastanza lunga per sopravvivere.
-Ah! Questa è bella, ho ricevuto un’altra minaccia.- Disse una ragazza con gli occhi eterocromi.
-Cos’è questa volta ti vogliono uccidere il pappagallino che non hai?-  Chiese un’altra ragazza dall’aspetto di un nerd hacker.
-Ehi Yami cos’hai contro i pappagalli?! Comunque c’è scritto che mi bruciano la casa!con tutti i miei manga dentro, con la mia 3DS, questa è una tragedia! Non per la casa ma per i manga! Capiscimi!-

-No aspetta tu ti preoccupi dei manga anziché della casa, ma che mente malata hai!- Ribatte la nerd guardando il lavoro che stava ultimando al computer.
-Ovvio se la casa va a fuoco, l’assicurazione che ho me la ripaga e potrei prendermi una casa più grande, easy no?-
-Confermo hai una mente malata.-  Yami è la strega dei computer riesce a scovare ogni minimo dettaglio dei computer della vittima, nessuno riesce a fuggire dai suoi virus, potrebbe mandare in tilt il sistemare operativo di una banca pur di rapinarla senza lasciare tracce.
Ma soprattutto lei è quella che riesce a tenere in vita la mente sana del gruppo, riusciva a far tornare alla “normalità” le altre ragazze del gruppo. Anche se molte volte non riusciva  a badare le personalità come voleva. Ha paura che la loro indole di pazze isteriche può far scoprire il loro segreto.

hibike kaze no uta  me o tojireba  kokoro no koe  senaka osu yo  mezasu kumo wa  zutto motto takaku
todoke kaze no uta  mimi sumaseba  kokoro no koe  afuredasu yo  mabayui hodo no kagayaki o hanatsu
kimi yo  aoi senritsu ni nare
ki ni shite nai furi shite  kakushi motte ita  yuuutsu ga fukureagatteku
daijoubu to warau kedo  miageru sora  kobore ochiru  sou  tameiki de nijinde ita

 
-Ecco vedete non dovete seguire quell’esempio, lei non è un esempio, Yukida è un brutto esempio, lei va portata in un penitenziario a vita.- Disse Yami vedendo il comportamento della sua collega.
-Oh Yami dai come sei troppo perfettina, sai benissimo che quando Yukida canta è perché ha ucciso qualcuno.-
-Esatto Black! Ho un ucciso qualcuno giusto pochi minuti fa, dovevi vedere come mi implorava a non ucciderlo, mi voleva dare tutti i soldi che aveva.- Rispose Yukida con un coltello da cucina pieno di sangue puntandolo verso le sue amiche.
-Uhh sentiamo come l’hai ucciso anzi chi hai ucciso! Sono convinta che anche se l’hai ucciso hai preso i soldi e tutto quello che aveva.- Chiese Black lei ha gli occhi eterocromi è molto strana per la sua giovane età.

-Esatto Black, lui mi ha offerto il denaro e poi l’ho ucciso a quel povero flautista! Non l’ho sopportavo sempre che suonava e puff l’ho legato nella sedia insieme alla moglie..- A Yukida piaceva quando raccontava dei suoi omicidi.
-NO! NON DIRE NULLA…- Intervenne Yami,
lei non ama sentire di quei omicidi che compivano le sue colleghe, non ama i particolari.
-È non provare a leccare il sangue dal coltello!- Disse a Yukida mentre la ragazza aveva proprio la lingua vicino all’utensile con quale ha ucciso la sua vittima.
-Uff sei una guasta feste..- Mise il broncio Yukida.
Veniva sempre rimproverata da Yami per il suo modo di essere una bambina in certi casi.

-Dai Yami siamo l’organizzazione criminale “Glherblera” , ci facciamo giustizia da sole, senza chiedere aiuto a nessuno, la CIA e l’FBI provano a prenderci ma falliscono ogni volta, devi andare fiera di quello che siamo.-
Black era molto convinta di quello che diceva, si fidava dell’organizzazione che ha costruito con le altre.
Sa che poteva fidarsi ma in casi d’emergenza non deve fidarsi di loro se in caso fossero scoperte da qualcuno.

-Yami fa la prima donna, come se lei non ha mai ucciso qualcuno, le facce d’angelo come le tue mentono alle persone normali, tranne a noi, sappiamo quante persone hai ucciso prima di unirti a noi, ti facevi giustizia da sola.- Disse Yukida lavando il coltello con tutta tranquillità come se non avesse ucciso nulla.
-Si ma sto cercando di migliorare, non voglio più uccidere.-
-Noi miglioriamo solo per far fuori le persone non per essere persone brave, fosse per te dovevamo spaventare le persone con un coltellino di plastica.-
-HAHAHAHAH i coltellini di plastica non spaventi neanche un topo con quei coltellini.- Black prendeva in giro Yami per il suo modo di essere.

-Finitela voi due, i coltellini di plastica servono, preferisco stare dietro ai miei pc e darvi aiuto così, piuttosto dove sono le altre?- Chiese l’hacker del gruppo guardando le sue amiche criminali.
Ecco cosa nascondeva il Caffenut, un’Organizzazione Criminale conosciuta nella regione di Shoanen con il nome “Glherblera”, nei loro crimini non lasciavano tracce con il loro DNA, sono molto scaltre nel loro lavoro, piuttosto abbandonavano piccoli biglietti con scritto “le Glherblera sono belle ma non stupide come le galline, kiss kiss”.
Sono alcuni dei messaggi che Black lasciava per infastidire l’agente di polizia e autorità superiori.


 NOTE DELL'AUTORE:

Salve a tutti! oggi ho pubblicato questa nuova Fiction originale,  un'idea uscita fuori dal nulla.

È solo un prologo! niente di più, ovviamente la storia continuerà con altre OC che mi arriveranno in futuro.
Per coloro che vogliono lasciare recensioni negative per puro scopo di offendere, bene non fatelo, non mi aiuterete di certo a migliorare, ma mi farete pensare che siete delle persone nulle, senza valori, mettiamola su questo punto. Quindi se non avete capito ACCETTO SOLO RECENSIONI CHE MI AIUTINO A MIGLIORARE!
Con questo vi saluto!
Baci Heph-

 

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Capitolo 2
*** Azione ***


Azione!



Finalmente è giunta l’alba , nel distretto di Jouiking, i negozi cominciano ad aprire, e anche Caffenut ha aperto le porte ai clienti.
Yami insieme a Snow blue preparano i tavoli per i clienti, Kureijī e Black moon invece si prepararono per affrontare un altro giorno impegnativo a scuola.
Si, loro due sono le più giovani del gruppo che frequentano la scuola, ovviamente sotto falso nome, nessuno conosce affondo le ragazze, e anche tra di loro stanno attente a non usare i loro veri nomi, sono sempre sotto copertura.
Sono le più piccole del gruppo, ma hanno una grande agilità che molte volte fanno stupire chi li guarda, riescono a organizzarsi nel migliore dei modi senza destare sospetti e se qualcuno ha dei sospetti, loro lo uccidevano senza pensarci due volte, infondo è un organizzazione criminale.
I loro voti a scuola sono molti alti, non hanno mai avuto problemi di debiti da recuperare o di fermarsi per delle punizioni, Kureijī e Black moon sono le studentesse modello della Haiteri Senior High School, con i loro voti la loro scuola risulta tra le migliori scuole della loro regione. 
Sono le 06:30 le ragazze si stanno preparando con la loro uniforme scolastica, Black Moon si pettina i capelli lussuosi argento, facendo una treccia laterale sinistra, invece Kureijī è intenta a distinguere la scarpa destra dalla sinistra, ha molte difficoltà a far funzionare la testa quando si sveglia di mattina presto.
-La invidio!- Imprecò ad alta voce mentre si allaccia le scarpe.
-A chi  invidi?- Chiese Black facendo il nodo alla cravatta dell’uniforme.
-Yukida, dorme come se non ci fosse un domani, invece noi a scuola, odio la scuola.-
-Lei ha finito la scuola, non ricordo cosa studiava ai tempi, anzi non mi pare che lo avesse mai detto.- Rispose la ragazza dagli occhi eterocromi.
-Questo non vuol dire che deve dormire tutto il tempo.-

Nel mentre le due ragazze escono dalla stanza Kureijī è la solita a fare qualche dispetto a Yukida per cercarla di svegliare dal suo sonno, prese il cuscino e lo tirò dritto in faccia alla sua amica e poi si dileguò prima di essere severamente rimproverata o uccisa.
-C-Cosa?! Un cuscino….KUREIJĪ!- Le urla di Yukida si sono ripercorse in tutta la struttura.
Le due studentesse continuarono il loro tragitto per andare a scuola.
Ma intanto oltre alla scuola hanno anche un impegno che si svolgeva subito dopo.
La loro vittima è una persona molto ricca che sfrutta le persone per il suo perverso scopo.
Anche se è un organizzazione criminale, fanno giustizia anche ai più deboli, a quelli che non riescono a farsi rispettare, non amano le persone che fanno abuso di potere.

Fanno giustizia a modo loro, non passavano dai tribunali, dalla polizia o da qualunque autorità competente, alle “Glherblera” bastano delle prove per agire e uccidere le persone, oppure semplicemente uccidevano le persone per puro divertimento.
-Cosa ti metti per la serata di beneficienza di questa sera?- Chiese Black, deve apparire più normale possibile, è per lei questo non è un problema.
-Non so, pensavo un vestito di chiffon nero luccicante.- Rispose l’amica salendo le scale della scuola.
-Non mi preoccuperei tanto del vestito però, ma della benda che porti nell’occhio, è una serata di gala, è quella benda cara mia desta sospetti, lo sai.- Black è una persona molto schietta diretta, non ha timore di dire qualcosa in faccia a qualcuno.
-Non posso toglierla per me sarebbe perdere il controllo, dovrei trovare una soluzione al riguardo.-
-Yukida ha quelle lenti colorate, prendili un paio.- Ribatte la ragazza con la voglia a forma di cuore nel collo.

-Yukida mi ammazza, sai che era successo l’ultima volta che ho preso una sua cosa.-Disse l’amica ricordando l’accaduto che era successo molto tempo prima.
-Beh si lo ricordo, ma era abbastanza arrabbiata, è entrata in casa piena di sangue!-
-Shh.. non lo urlare o ci fai sentire da tutti.- Rispose KureijĪ ha i capelli lunghi, lisci e soprattutto neri con la frangia, è alta un metro e settanta, anche lei ha gli occhi eterocromi, a differenza di Black, lei ha uno ambrato e uno azzurro ghiaccio che quest’ultimo è coperto da una benda, ma solo quando compie qualche omicidio si toglie la benda.
-Si aveva avuto uno scontro bello tosto, ma penso che la vittima l’ha fatta a fette per avere tutto quel sangue di sopra.-
-Già chissà quel corpo che fine ha fatto.- Si domandò Black dirigendosi verso la classe, le lezioni stavano quasi iniziando.

E non devono arrivare in ritardo per nessuna ragione al mondo.
-L’avrà dato in pasto ai maiali come minimo.-
-No l’avrà tritato con quei strumenti trita carne.- Moon è fatta così dove c’era sangue c’era anche lei, trovava un modo per esserci.
-Black che schifo, ho anche immaginato la scena!- Esclamò l’altra eterocroma facendo una faccia disgustata, immaginare di tritare le persone di prima mattina non è una cosa bellissima per lei, ma per la sua amica è una cosa normalissima.
Per loro le cose normali sono quelle anormali agli occhi delle persone, invece le cose anormali sono le cose normali che vedono le persone.
È appena iniziata la lezione di inglese e le ragazze sono pronte a superare i loro piccoli problemi.
-Good Morning my dear students! How are you today?- La professoressa è solita a iniziare le lezioni parlando in inglese direttamente con gli alunni.
-Good,I got up and got breakfast with the blood was really good.- Disse Black guardando negli occhi la sua professoressa.

Black riusciva a essere burlona anche durante le lezioni, le piaceva rendere le lezioni più frizzanti.
-Moon..- La sua amica è stupita da quello che dice certe volte la sua compagna, non capisce come mai lei è così strana, ma certe volte riesce a essere veramente cattiva.
-Su scusate sto scherzando! Per me la marmellata di fragole è sangue, sono sempre rosse!-
Terminate la giornata di scuola le ragazze tornano con molta tranquillità nella loro base per prepararsi alla serata di beneficienza che si svolge nella tarda sera.
Nel mentre aspettano l’orario di punta per entrare in azione aiutano con tranquillità le ragazze al caffenut, indossando la loro uniforme da cameriera.
Intanto al piano di sotto Yami sta lavorando per aiutare le sue compagne ad entrare senza problemi nella lussuosa villa dove si svolge la serata di gala.
Yami non ama mettersi al centro dell’attenzione, soprattutto per il suo passato che ancora adesso la stabilizza, non le piace uccidere, lei ama i computer è riesce ad aiutare le amiche così stando su una sedia con i suoi occhiali da Nerd Hacker.

Viene molte volte spesso chiamata Nerd Hacker da Black Moon e da Yukida.
-Questo lavoro è più difficile del previsto.- Disse Yami sentendo il rumore che fa Yukida nell’altra stanza.
Non riesce a capire proprio cosa le frulla nella testa a quella ragazza.
Nerd Hacker cerca di capire perché Yukida perde sempre il controllo, come se un’altra persona prende il sopravvento nel corpo dell’amica e non si sa chi è quella buona o quella cattiva.
-Mi sto innervosendo questo sangue non si toglie!- Imprecò Yukida dando un pugno al vetro per poi tagliarsi. -Merda!-
-Sai se dai un pugno ad un vetro ti tagli solo, non penso ti guarisce dalle ferite.- Disse Yami, prende in giro Yukida nelle situazioni in cui perde la testa.
Yukida ha tante personalità ed è anche bipolare.
-Stai zitta.-
-Oh su a me puoi dire tutto, ti alzi uccidi la gente, e poi ritorni come se nulla fosse, ti sembra da persona normale?- Chiese la Nerd dai capelli a boccolo, ha i capelli lunghi blu zaffiro e alla fine sono pieni di boccoli, alcune volte li lascia sciolti oppure si fa delle trecce.
-Infatti io non sono normale! Tu pensi che una persona normale farebbe tutto questo? Non scherziamo Yami.- Disse Yukida sedendosi nella sua sedia e mettendo i piedi nel tavolo.

-I piedi nel tavolo non li accetto!-Esclamò Yami con tutta l’ira che ha in quel momento nel corpo.
Yukida non ascoltava la frase detta dalla sua amica, è impegnata a mettersi le lenti per non far vedere il vero colore dei suoi occhi.
-Yamiii, mi vuoi bene?-
-No ci risiamo, non va bene questa cosa.-
Yami non sa più controllare le personalità della sua amica è diventata una cosa molto difficile controllare quelle personalità se non con una giusta cura.
-Allora mi vuoi bene?
-Hai preso le medicine vero? O devo metterle dentro un hot dog.-
-Magari l’hot dog te lo prendi tu e sai dove.-

Già Yukida prende per il sedere Yami, quello è un altro suo passa tempo preferito, oltre ad avere tante personalità, prende per i fondelli la nerd.
-Il Wurstel  lo prendi dove non batte il sole!- Intervenne Black saltando dallo scalino della base, dove c’è qualche battuta perversa appare sempre Black, lei e le battute a doppio senso vanno sempre d’accordo.
L’unico motivo per cui Black è scesa nella base è per prepararsi alla serata.
Black e Kure indossano un abito lungo con uno spacco nella gamba destra e l’altra nella gamba sinistra, Black ha l’abito bianco di pizzo, con un velo che ricopre le spalle, invece quello di Kure è di colore nero di chiffon.
Nelle gambe coperte tengono una pistola con il silenziatore e un coltello svizzero ben affilato.

Il loro piano è semplice uccidi il cattivo e fuggi senza lasciare traccia.
Arrivate nella villa serve un lascia passare con il codice a barre, in quel coso Yami ha fatto un lavoro eccellente.
I Boy guard non hanno fatto nessun segno di sospetto per quel lascia passare.
-Come sospettavo Black, non è una vera beneficienza, guarda le ragazze come sono vestitite.-Disse Kure guardando le cameriere che portano i vassoi con i bicchieri pieni di Champagne.
-Questo vende le ragazze che rapisce ad altri per far i loro porci comodi.-
-Vorresti dire per andarci a letto e poi rinchiuderle in qualche pozzo e lasciarle come minimo di fame.- Ribatte la ragazza dai capelli neri.
-Dobbiamo fermare questo abominio, guarda quella è Yvenne Klouit sparita due mesi fa, i genitori non sapevano dove fosse finita, e guardala.-
Black ha la capacità di ricordarsi ogni volto delle persone, queste farse non le piacciono soprattutto quando ci sono di mezzo delle ragazzine.
Vuole a tutti i costi far sparire quel circolo vizioso che usa delle persone indifese per scopi brutti.
-Le bombe sono tutte posizionate?-Chiese Kure cercando l’artefice di questa beneficienza falsa.
Non le fu così difficile capire chi fosse.
Un uomo giacca e cravatta, vestito tutto perfettamente, con orologio d’oro e anelli d’oro, ma notò  un particolare un tatuaggio che le ricorda un organizzazione, che però non si ricorda il nome, ha come un amnesia che non le permette di ricordare quel tatuaggio.
Black notò  chi fosse il criminale e si avvicinò all’uomo giacca in cravatta, li strattonò il braccio e lo tirò a se.

Nessuno vide Black nel suo intento, la stanza è piena di persone.
-Adesso se non vuoi che faccio saltare tutto con un solo pulsante, ti conviene liberare tutte quelle ragazze che avete rapito, e ti consiglio di farlo prima che qualcosa entra nel tuo cuore.- Intimò Black premendo il coltello alla schiena del criminale.
-L’organizzazione Glherblera nella mia festa non ricordo di avervi inviato l’invito.- Disse con tono befardo.
-Sai cosa odio di più le persone come te, che non accettano i consigli e no caro mio, il giorno della tua fine è proprio adesso!- Black scaraventò l’uomo a terra facendolo sbattere contro una pila di bicchieri di cristallo, per poi attirare l’attenzione.
-AAA si avvisa la gentile clientela di stare fermi e di non provare a scappare, provateci e morirete solamente!- Intervenne Kureijī tirando fuori le due pistole che tiene nascoste nelle gambe.
-Le Glherblera! Come hanno fatto ad entrare e sapere della villa!- Cominciarono a urlare alcune persone.
-A noi sfugge nulla miei cari.- Disse Kure facendo l’occhiolino per poi togliersi la benda. -Adesso diamo via alle danze.-
Prese la falce pieghevole che tiene sempre a portata di mano, così cominciò a far saltare parti del corpo delle persone, a tagliarle in due e farli saltare il cervello con la pistola.
-Ah non potete mai uccidermi così.- Il criminale tirò fuori una pistola per colpire alle spalle Black, Kure è molto lontana dalla sua amica e non poteva difenderla.
Ma per Moon non è un problema se l’attaccano alle spalle.
Si sentì uno sparo provenire dalla pistola del criminale, ma un momento prima dello sparo Black lo sgozzò sporcandosi del suo sangue.
Il colpo la sfiorò semplicemente, senza provocare altri danni, prima che venisse l’FBI , le due ragazze ebbero il tempo di rubare tutto il denaro, l’oro, oggetti di cristallo, per poi lasciare solamente le ragazze scomparse in compagnia degli agenti.
Come sempre riescono a scappare un minuto prima dell’arrivo delle autorità.
Lungo il tragitto per tornare al caffenut le due complici parlarono dei loro capelli, ragazzi e le vacanze che vorrebbero fare, per loro tutto quello che è successo prima non è mai accaduto, infondo fanno parte delle Ghlerblera!


NOTE DELL'AUTORE:

Eccomi qui con un nuovo capitolo. Questa volta ho centrato il capitolo sulle due ragazze, dandoli più spazio, praticamente il capitolo solo per loro, risultava abbastanza difficile dare spazio a tutti i personaggi. Quindi ho pensato "perchè non incentrarsi su due personaggi alla volta così da non confedere i  lettori?" beh ecco qui il risultato spero veramente che vi piaccia!
P.S. si mi dispiace ma questo messaggio lo vedrete quasi sempre. Per coloro che vogliono criticare e offendere solamente senza darmi consigli, non fatelo. Non è una cosa saggia da fare, non è neanche una cosa da persone ADULTE, usate la testa con modestia. In tutto questo accetto consigli utili, per aiutarmi a crescere!
Baci Heph-

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Capitolo 3
*** Misteri ***


MISTERI


Sono le 14.30 nel distretto Jouiking, il Caffenut ha poca e niente clientela, è così si concedevano un momento per riposarsi dopo una giornata molto lavorativa.
Intanto Akumi è un’altra ragazza appartenente alla “Glherblera”, una ragazza molto delicata e femminile, ha anche una carnagione pallida che quando arrossisce si nota subito, guarda con molta tranquillità il telegiornale delle ultime notizie, cercando di riflettere se le autorità avessero qualche pista sulla loro organizzazione.
Le autorità competenti dicono sempre di riuscire ad essere quasi arrivati a scoprire chi c’era dietro all’organizzazione, ma Akumi  è una ragazza molto sveglia, capisce quello che dicono sono solo dicerie per farle uscire allo scoperto, ma non servono a nulla, perché le giovani sei ragazze, non temono nulla, a loro importava altro, soprattutto ad Akumi che ha la mania di toccare le banconote, per la ragazza dai capelli lunghi e mossi, toccare anzi sventolare le banconote è come andare in estasi.
-Che guardi Haku?-Chiese Yukida entrando dalla porta principale.
Per Yukida non esistono né Ciao né Buongiorno, non ama essere formale, per le persone che conosce da molto tempo.
-Yukida cara buon pomeriggio!- Rispose Akumi.
“Haku” è il soprannome che le diede Yukida, alla sua amica non piace chiamare le persone con i nomi interi, preferisce di gran lunga dare nomignoli.

Invece Akumi è molto dolce e solare saluta sempre le amiche con la vivacità che ha nel corpo come fece con Yukida.
-Ehm..Ragazza sei troppo allegra, dolce, mi fai vomitare arcobaleni tra poco, le autorità hanno trovato qualcosa su di noi?- Chiese nuovamente Yukida ad Haku.
-Beh dicono che forse hanno quasi trovato chi c’è dietro alle Glherblera, ma quelli blaterano solo non dicono nulla di vero.-
-Eh si, hai perfettamente ragione Haku.- Rispose Yukida guardando un referto che aveva in mano. 
Del passato di Yukida non si sa molto, anche perché lei non ne parla, anzi dice di non ricordare nulla di quello che fece in passato.
-Che cos’hai in mano? È qualche notizia brutta? Dobbiamo chiudere il negozio?! Così non posso più sventolare i miei quattrini! Che rovina, ora sono triste.- Haku è la solita a riempire di domande Yukida quando ha qualche foglio che le apparteneva.
-……-
-Yukida tutto bene?-

Oltre ad essere molto allegra, Haku si preoccupa delle sue amiche, cerca sempre i modi per aiutare una delle sue amiche in difficoltà, non si tira mai indietro.
È una ragazza molto responsabile  ed efficiente.
-Yukida sei andata a fare la visita come ti ho detto?!- Chiese Yami uscendo dalla cucina con dei vassoi, pieni di pizzette e calzoni.
-Che visita? Mi state facendo preoccupare, qualcuno mi risponda!-
-AHH! NON VI SOPPORTO PIÚ, BASTA DOMANDE LA VITA È MIA!-  
Le personalità di Yukida tendono sempre a uscire quando si sente un grande peso sopra le spalle.
Tutte quelle domande riescono a far andare in bestia la ragazza così da tirar fuori un'altra Yukida più aggressiva.
-Ecco non ha preso la medicina lo sapevo, la solita.- Affermò Yami guardando il comportamento pazzo della sua compagnia.
-L’ho presa, senti vai a fare il tuo lavoro e non rompere, grazie.-
-Su ragazze non litigate per queste cose, siamo grande ormai, dobbiamo andare tutte d’accordo.-
Haku riesce alcune volte a placcare gli animi delle persone quando sono sul punto di un litigio.

Yami non è una persona che si fa mettere i piedi in testa molto facilmente, ma sa che quando Yukida perde il controllo è molto meglio lasciarla sola, a calmarsi oppure ad andare a uccidere qualche sua vittima a caso.
-Beh qua dice che devi prendere ancora la cura prescritta per un’altra settimana e poi puoi smettere.-
Haku riesce a  cogliere l’occasione per soffiare le informazioni alle persone.
-Lei ha ancora bisogno di quella cura.- Disse Yami guardando Yukida che ormai si è diretta nella stanza a riposare un po’
-Ma da quando è sotto cura?-
Haku e Yukida non parlano mai del loro passato, piuttosto preferiscono parlare di altro, di videogiochi, manga, moda, ma del loro passato non dicono nulla, c’è un alone di mistero intorno a tutte le ragazze dell’organizzazione.

-Praticamente…non lo so nemmeno io. Quando l’ho conosciuta già aveva iniziato la cura, ma non le chiedo nulla, perché dice che non si ricorda nulla, ha tipo un blackout della memoria.- Disse Yami sistemando le bibite dentro il frigo e rompendo gli scatoloni per poi metterli nella raccolta differenziata.
-Capisco.-
Haku riflette molto sulle persone che vuole aiutare, cerca di capire qual è il problema al riguardo per trovare altre soluzione che possono soddisfarla.
-Invece tu, cosa mi dici del tuo passato?- Chiese Yami ad Haku.
-Lavoravo come pittrice  in una casa di un reale, ero molto affezionata hai padroni, soprattutto al figlio dei padroni, però una sera non ricordo bene l’accaduto ricevetti un messaggio con scritto di fuggire il più presto possibile, perché alcuni avrebbero ucciso i reali, non credetti molto, ma alla fine tutto era vero, mi sono salvata per miracolo posso dire, l’unica che ricordo è un ragazzo dai capelli biondo, un biondo strano, ma poi più nulla.-
È la prima volta che Akumi si aprì nel parlare con Yami, anche se il suo racconto  fa acqua da tutte le parti, ma le cose fondamentali le ha dette.
Il suo passato ancora  le da problemi, perché non sa chi sono i criminali che hanno tolto la vita a quei reali, ma soprattutto non sa chi l’ha salvata, e perché voleva che si salvasse.

** Telegiornale speciale dell’ultima ora**

Il volume della tv è ad alto volume, e le ragazze non poterono non sentire la voce.
-Trovato morto nel suo studio il Dottore Hoein Klascor, specializzato nelle cure per le persone che soffrono di tante personalità.-
Le due amiche sentendo quel nome presero subito il referto di Yukida per leggere il nome del dottore che seguiva l’amica.
-È IL DOTTORE DI YUKIDA!- Esclamarono tutte e due le amiche in contemporanea.
-Non può essere morto se due ore fa stava controllando Yukida.- Disse Haku guardando le immagini che il telegiornale passava.
-Non vorrei che Yukida l’abbia ucciso lei.- Replicò Yami riflettendo su quello che può essere successo.
-Allora perché è andata in cura da lui, se poi voleva ucciderlo? Non ha senso.- Rispose Haku.
-Anche questo è vero, non si è messa nemmeno a cantare, di solito lo fa quando uccide la gente.- Yami conosce bene Yukida, sa quello che fa quando uccide le persone e non avrebbe mai ucciso un innocente senza motivo.

-Ehi ragazze! Avete sentito il telegiornale?- Chiese Moon precipitandosi al bancone vicino alle altre ragazze.
-Stiamo cercando di capire com’è potuto succedere, era l’unico dottore che sapeva come curare Yukida, e non c’è sono altri.- Rispose Yami, non è facile capire quello che è appena successo.
Yami è molto preoccupata, la sua amica poteva guarire sotto le mani di quel dottore ormai morto, ma ora che non c’è nessun dottore di quel calibro le cose possono solo andare male.
Senza le cure necessarie Yukida  non guarirebbe mai, ma soprattutto non riuscirebbe mai a scoprire il suo passato che la portata in quelle condizioni, c’è qualcosa che unisce il passato di Haku e di Yukida, ma entrambe non si ricordano nulla della loro vita passata.
-Ero nei paraggi e sono riuscita a fare le foto al cadavere.- Disse Moon mostrando le foto appena scattate alla vittima.
È la prima volta che Yami riesce a riguardare un cadavere dopo il suo passato dove c’è ancora un alone di mistero intorno a lei.
-Guarda sembra lo stile di Yukida nell’ammazzare la gente.- Fece notare Haku indicando i punti dei colpi.

-È un altro tipo di pistola, lei non ammazza così tranquillamente, spara sempre alle ginocchia e la mira di Yukida è fin troppo perfetta, questo ha sbagliato di un bel po’.- Si, Yami conosce il modo di uccidere che ha la sua amica, e con questo sa per certo che non è stata lei ad ammazzare il dottore, non ha nessun motivo per farle del male, se la stava aiutando.
-So che era minacciato.- Disse una voce appoggiata al muro guardando come le ragazze fanno gioco di squadra nel cercare il colpevole.
-Mi hai fatto prendere un colpo, heh!- Sospirò Haku guardando Yukida dall’aria molto tranquilla.
-Da quanto tempo sei lì a guardare?- Chiese Yami fissandola.
-Da un bel po’, volevo sentire quello che avevate da dire sull’accaduto.-
-Ci dispiace infondo era il tuo dottore, ti stava aiutando.- Intervenne Moon
-Ok  devo dirvi tutto, non era solo un semplice dottore per me, era il mio passatempo.- Disse Yukida sedendosi nello sgabello dietro il bancone.

-Uuuh il passatempo e io so che passatempo era quel bel gnocco di dottore.- A Moon le piacciono molto le situazioni perverse, trovare sempre qualche battuta con doppio senso per riderci su.
-Ha cominciato a essere freddo nei miei confronti due settimane fa se non di più non ricordo precisamente, non voleva dirmi qual’era il motivo, ho cominciato a pedinarlo per poi scoprire che qualcuno lo minacciava.- Spiegò Yukida bevendo un po’ di coca-cola dal suo bicchiere blu preferito.
-Aspetta qualcuno lo voleva morto, per quale motivo? Ci dev’essere una ragione.- Disse Haku riguardando le foto del defunto dottore per trovare qualche traccia dell’assassino.
-Lo minacciava di morte, se Hoein si fosse ancora avvicinato a me in modo molto intimo, sarebbe stato fatto fuori, durante la visita sentivo che qualcuno ci stesse spiando, ma non riuscivo a capire bene, ci siamo salutati e basta, questo è tutto.-
Il dottore che seguiva Yukida era minacciato da qualcuno, ma le ragazze non conosco questa persona, l’unico punto di riferimento che hanno è delle minacce di morte e il suo modo di uccidere le persone.
Quella persona non è un novellino per compiere degli omicidi di quel calibro, è qualcuno che ha molte conoscenze per essere un criminale perfetto, è questa persona incognita vuole qualcosa dalle ragazze o forse solo da Yukida?
Perché non vuole che qualcuno si avvicinasse così tanto alla ragazza?

Con questo enigma le ragazze hanno un altro problema da aggiungere nella lista dei “Grattacapi da decifrare”.
In più Yukida in quel modo non sa se continuare la cura prescritta oppure smetterla come quanto c’è scritto nel referto, nessuno oramai può seguire la situazione della ragazza.
-Ottimo Yukida non solo sei una criminale senza memoria hai pure uno stalker che figo!- Disse Moon eccitata per quello che sta succedendo.
-Però guardate qui, Moon ha ingrandito questa foto, c’è scritto qualcosa.- Ribatte Haku guardando attentamente l’immagine cercando di capire il messaggio scritto.
-Fa vedere, non ci ho fatto caso mentre scattavo le foto, è vero hai ragione c’è scritto qualcosa nella scrivania del dottore sexy che ti sei fatta.- Mormorò Black.
è la solita a fare sempre qualche battutina per rendere la conversazione più interessante del previsto.
-“Glherblera trovatemi se ci riuscite, anche tu Yukida, vi aspetto” -Dopo un po’ di tempo Haku è riuscita a capire cosa conteneva quel messaggio scritto.
Le ragazze si guardano negli occhi cercando di capire chi è il criminale o se qualcuno avesse scoperto chi sono veramente.
-Me ne occuperò personalmente ragazze, troverò chi ha ucciso il mio passatempo per poi strapparli il cuore e tritarlo.- Ribatte Yuki facendo un sorriso perverso alle amiche, anche se a Yami non le alletta l’idea di tritare i cuori.
Nel mentre le ragazze sono intente a risolvere il grattacapo, la porta del caffenut si aprì facendo entrare il primo cliente del pomeriggio.

Un ragazzo alto un metro e ottanta, dai capelli biondo tendenti allo scuro, con gli occhi un po’ verdi con delle sfumature celesti, snello e al quanto atletico, vestito con una lunga giacca nera, camicia bianca, pantaloni neri, cravatta e delle scarpe nere,  ha un aspetto al quanto sospetto, ma appena Haku e Yukida videro quel ragazzo il loro cuore si fermò per un istante.
Yukida cominciò a tremare, Haku invece si è immobilizzata non riesce a comporre nessuna frase, non si sono innamorata di quel ragazzo, nella loro mente è scattato qualcosa che le fece dubitare.
Yami è andata ormai già in cucina prima che entrasse l’uomo con giacca e cravatta invece Moon è riuscita a nascondere le foto del cadavere per poi mettersi la divisa da lavoro.
Ma intanto la loro preoccupazione è cresciuta soprattutto dopo aver letto il messaggio.
-Salve, vorrei un aperitivo e un omelette con un bel sorriso di sopra.- Ordinò il ragazzo mentre si sedeva nello sgabello davanti al bancone, i suoi occhi si fermano su Yukida, ma la ragazza non esitò a farli un’occhiataccia delle sue.

-Ecco qui il tuo aperitivo, affogati.- Disse Yukida con un sorriso maligno stampato in faccia.
Non ama quando la gente la guarda con insistenza, potrebbe solo scaraventarsi contro per ucciderla.
-Amo le cameriere così sfacciate senza peli sulla lingua.- Rispose il ragazzo dai capelli biondi sorseggiando un aperol e guardando ancora Yukida, sembra che quella ragazza la conosceva da molto per permettersi di guardala in quel modo.
 Haku li servì una delle sue omelette preferite con tanto di sorriso, anche se cerca di capire se quel ragazzo l’avesse già visto da qualche parte oppure no.
-Mi ricordi tanto una pittrice che disegnava quadri per una famiglia reale.- Confessò l’uomo assaggiando l’omelette. -Veramente  buona, tenete anche il resto.- Disse il giovane posando la banconota per poi andarsene via dal caffenut. Haku rimase colpita dall’affermazione che fece quel ragazzo.
Infatti un anno prima che Akumi si unisse a Yukida nell’organizzazione lavorava per una famiglia reale, in quel momento Haku si insospettì e sa che quel cliente non è un cliente qualunque ma nasconde qualcosa dietro di lui.
 

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Capitolo 4
*** Di compleanni e hotel di lusso - capitolo 2.5 ***



 
Nella scorsa pubblicazione Hephily vi aveva informato che questa storia sarebbe stata scritta a quattro mani ed io, Nhikaoru, sono le altre due mani, ta-daan! ~
Vi auguro una buona lettura! ♥




Di compleanni e hotel di lusso
*.:。*゚ ゚̈
 

 
 
 
Il vento soffiava fresco e vivo tra le strade del quartiere, che tra poche ore avrebbe abbandonato la profonda quiete della quale si era imbevuto durante la notte per dare spazio all’energica e intraprendente personalità che lo contraddistingueva nell’orario lavorativo.
Il respiro pungente aveva invaso anche l’appartamento condiviso dalle sei ragazze che lavoravano al Caffenut, che si trovava proprio al piano sopra il locale stesso.
Kureijī si era alzata dal letto grazie all’insolita – trovandosi in piena stagione estiva – sensazione di fresco sulla pelle e poiché ormai aveva abbandonato i suoi sogni che molti avrebbero detto perversi, decise di andare a prendere un bicchiere d’acqua. Cercò di alzarsi dal letto senza fare rumore, per evitare di svegliare le altre.
Le altre, appunto: inizialmente le ragazze si dividevano due camere, ma in seguito avevano deciso di buttare giù quasi completamente la parete che le divideva, formando una grande arcata, al fine di comunicare meglio ed essere pronte in caso di emergenza; lo spazio appariva come una grande camerata. La scelta non dispiacque molto, tutt’altro, Black appena poteva approfittava per creare scompiglio e dare il via ad una baraonda; baraonda che comprendeva le più svariate attività olimpiche: lancio del cuscino, corsa ad ostacoli, salto in lungo e i dieci metri piani.
Una molla scricchiolò sotto il peso della ragazza dai capelli corvini, che imprecò mentalmente quando sentì un mugolio provenire dall’altro lato della camera. Non teneva particolarmente al fatto di disturbare le sue amiche, piuttosto il pensiero che poi avrebbe dovuto iniziare a socializzare e, quindi, anche la giornata di lavoro, la infastidiva parecchio. Stare sotto le coperte e oziare era una vera benedizione.
Dopo varie manovre si alzò, infilò i piedi nelle pantofole e sfilò tra le ragazze dormienti. Il corridoio era alla sua sinistra, lo imboccò non prima di lanciare un’occhiata interrogativa a Yukida, che sembrava stesse facendo esercizi di contorsionismo nella posizione in cui si trovava – tra l’altro, dalla sua espressione sembrava parecchio rilassata.
Un incantevole freddo profumo di mattino arrivò alle narici della ragazza, preludio alla dorata illuminazione che riempiva le pareti bianche. Istintivamente Kureijī chiuse quasi completamente la palpebra sull’occhio ambrato; l’altro era protetto dalla benda che portava sempre, anche quando andava a dormire. Spostò la visuale verso la probabile colpevole di quella luce, quindi alla finestra alla sua destra, che infatti era aperta. Non fu questo fatto a catturare la sua attenzione, piuttosto l’aver trovata, poggiata al davanzale, Akumi – anche se Kureijī non ricordava di non averla vista nel suo letto.
La ragazza era vestita con la sua solita camicia da notte, con talmente tanti fronzoli e fiocchi che avrebbe potuto andarci anche a un matrimonio (come le disse per scherzare Yukida, una volta), ed era accoccolata al davanzale con sguardo assorto, fisso su chissà quale punto materiale o pensiero. Gli occhi parevano di cristallo e se le ciglia non si fossero mosse, l’altra avrebbe giurato che fosse una statua. In quel momento Kureijī quasi non si accorse della lacrima invisibile che scendeva lungo la guancia perlacea dell’altra.
Akumi si voltò verso la corvina. Appena si spostò lievemente dalla piccola finestra, i raggi del sole le inondarono il viso e i capelli dorati, accentuando il dolce sorriso malinconico che era dipinto sul suo viso. «Non è… meravigliosa?» un’altra piccola lacrima scivolò giù.
Poiché Akumi si era spostata, Kureijī lo prese come un invito ad affacciarsi. Quel che vide la lasciò a bocca aperta: quasi non si accorse dei palazzi vicino a lei, troppo presa dall’orizzonte, delimitato da delle morbide colline che parevano sfumare tutti i toni del verde, sulle quali una splendida luce iniziava a nascere, stagliandosi con gentile risolutezza nel cielo terso, pallido e ancora non colorato del vivo azzurro. Era l’alba.
Poiché era sempre molto presa dal lavoro (e soprattutto dall’associazione) a Kureijī non capitava spesso di soffermarsi su queste piccolezze. Akumi essendo stata una pittrice, invece, le riservava una particolare attenzione. “Si sarà commossa vedendo il paesaggio”, pensò la corvina, in fondo era una persona emotiva. Probabilmente era per quello.
Akumi passò delicatamente la manica merlettata sulla guancia, togliendo la mano destra dal cuore, che Kureijī non le aveva visto muovere da quando l’aveva scoperta nella sua strana contemplazione. Akumi sorrise nuovamente, poi sembrò ricordarsi qualcosa, tutto d’un tratto. «Oh ma ti sto crucciando con le mie frivolezze! Su su, vai a riposarti un altro po’, oggi sarà una giornata impegnativa.»
“Giusto”, pensò Kureijī “Oggi è il compleanno di Yami”.

Dopo l’incontro con Akumi, Kureijī andò a rubare un sorso d’acqua frizzante dalla cucina e poi si sdraiò nuovamente sul letto. Quando tornò in camera vide che Akumi stava scarabocchiando su un block notes, probabilmente rivedendo i punti di una qualche lista di cose da fare, come al solito.
Invece lei, non avendo grane a cui pensare, optò per un altro sonnellino prima dell’ora X.
Il tempo sembrò passare in un attimo poiché suonò subito la sveglia e la stanza diventò affollatissima, un viavai di divise da lavoro, spazzolini, pettini e quant’altro.
L’apertura del locale era davvero molto caotica, i clienti erano sempre moltissimi e tutte potevano giurare che anche quel giorno ci fosse già la fila per entrare. Eppure svegliarsi prima era fuori discussione, quasi impossibile dal momento che era durante la notte che si svolgevano la maggior parte delle missioni e una maid con le occhiaie non era affatto carina.
Con incredibile velocità erano tutte pronte per aprire le porte del Caffenut.
Le ragazze scesero al piano di sotto e accesero le luci del negozio. Black si occupò di alzare le saracinesche e un grido si levò dalla fila di clienti visibile oltre la grande vetrata che abbracciava il locale.
Le ragazze erano molto famose, sia per i loro squisiti dolci, ma soprattutto per il carattere e le divise delle cameriere. Quest'ultime erano in delizioso stile lolita – come il locale, del resto –: avevano la gonna a campana e la maglia con le maniche a palloncino bianche, il grembiule con una profonda scollatura a V nero, ornato con quattro bottoni sul davanti, legato con un fiocco sul retro. Per completare si aggiungeva un fiocco sul colletto, parigine e scarpe marroni con il laccio. In più ognuna aveva modificato o aggiunto qualche particolare, prendendo esempio da Akumi che aveva quasi trasformato la sua divisa in tutt’altro capo. C’era anche chi come Rose non si curava di quei fronzoli: preferiva di gran lunga la versione originale, la trovava molto più pratica.
Black spostò la treccia di capelli argentati sulla spalla e lanciò un occhiolino a un paio di ragazzi che avevano una spilla con il suo nome sulla maglia. Erano alcuni dei suoi clienti abituali e anche tra i suoi più grandi fans. Naturalmente risposero a quel gesto con delle acclamazioni.
A lei non è che piacesse stare al centro dell’attenzione, voleva essere desiderata, ecco. Sembrava provasse gusto nel far trepidare quei ragazzi mentre temporeggiava per aprire la porta del locale.
Akumi invece arrossì e si portò una mano sulla guancia. Quegli eccessi la imbarazzavano. «Che vergogna, mi sento come una sgualdrina ad un pub.»
Black ridacchiò. Akumi lo diceva quasi tutti i giorni, solo formulando in modo sempre diverso.
D’altro canto Kureijī e Rose riuscivano ad ignorare completamente quello che accadeva, salutando solo a causa del copione. Rose nel frattempo stava contando le sue amiche. «Manca Yukida.»
Kureijī ruotò gli occhi al cielo. «Sta dormendo durante l’apertura. Di nuovo, voglio dire.»
Rose era visibilmente irritata per quell’ennesimo ritardo. L’attività al maid cafè era certo una copertura, ma dal momento che si trattava di un posto di lavoro doveva mantenere i suoi impegni ed essere puntuale. «Apriamo», disse «E dopo vado a darle il buongiorno.»
Kureijī allora richiamò l’attenzione di Balck, che stava ancora di fronte alla vetrata a salutare i clienti che rispondevano con applausi e grida di apprezzamento. Le ragazze del Caffenut erano trattate quasi come delle idol. «Black, basta pavoneggiarti, dobbiamo aprire.»
La ragazza sembrò esser stata presa alla sprovvista. «Ma!, ho ancora un paio di pose per i fotografi.»
Rose intervenne «Sì e quando entreranno magari le fotograferanno e non solo l’insegna sulla porta.»
Black lanciò un’occhiata all’uomo più vicino con la macchina fotografica in mano e solo in quel momento realizzò di aver sfilato per un fotografo immaginario. «Pff.»
Akumi emise un risolino e anche se in una situazione simile la ragazza dai capelli argentati avrebbe sicuramente ucciso o ferito gravemente l’interessato, non si poteva resistere alla sua risata. Anche alle altre spuntò un sorriso sul viso.
Le cameriere si accostarono a due a due ai lati della porta, eseguirono un mezzo inchino e dissero la frase di rito «Okaerinasaimase goshujin sama!*»

Le maid iniziarono a far sedere i clienti ai tavoli, illustrargli i menù e intrattenerli.
Mentre Kureijī stava prendendo le comande dai suoi tavoli, Black chiacchierava con i ragazzi che aveva visto prima e Akumi aveva già iniziato a disegnare con le salse su ogni tipo di cibo che si serviva al locale, Rose si mise in azione. Poggiò il taccuino per le ordinazioni sul bancone, lanciando una veloce occhiata a Yami, che stava seduta a terra dietro quest’ultimo a mangiare indisturbata un pacchetto di caramelle. Rose passò oltre e salì le scale. Avanzava verso la camerata continuando a interrogarsi sul come facesse Yami a non ricordarsi del giorno del suo compleanno. Sì, certo, lei e le altre avevano pattuito di fare finta di niente fino a sera, quando ci sarebbe stata la festa a sorpresa, ma era impossibile che qualcuno che iniziava il conto alla rovescia cinque mesi prima, si dimenticasse di punto in bianco del giorno tanto atteso.
Arrivata al letto di Yukida passò qualche secondo a capire come avesse fatto a girarsi in quella posizione – ancora più strana di quella che aveva potuto ammirare Kureijī di prima mattina – e poi la scosse con non molta delicatezza. «Yukida svegliati, è ora di lavorare.»
Ricevendo solo uno sbuffo come risposta Rose continuò «Svegliati Yukida. Devi iniziare il servizio.»
Era risaputo che Yukida avesse una soglia di tolleranza molto bassa, allo stesso modo che era stata lei a fondare il Caffenut, quindi poteva permettersi di dormire anche un po’ più del dovuto. Yukida aveva avuto da  ridire più di una volta con Rose, a causa del suo modo di fare un po’ troppo autoritario anche nei suoi confronti, quindi a quel punto non riuscì proprio a trattenersi ed ebbe una brutta discussione con l’altra, che alla fine lasciò perdere e tornò al piano di sotto.
Yukida sedeva sul letto cercando di prendere dei profondi respiri. Delle goccioline di sudore le scendevano dalle tempie e sul collo. Con una mano si stringeva la fronte, che non smetteva di battere. Senza le pillole che le aveva prescritto il medico per calmare il suo disturbo della personalità si sentiva davvero malissimo, ancor più quando provava forti emozioni o perdeva la pazienza.
In mente continuavano a frullarle immagini e parole confuse allo stesso momento, quasi non riusciva a mettere insieme una frase. In più c’era quella fastidiosa sensazione di nausea.
Eppure tutte quante sapevano quanto fosse delicata la situazione. Non capiva – e non cercava neanche di capire – perché Rose volesse sempre fare di testa sua. Yukida si era dovuta impegnare parecchio per respingere l’idea di usare il coltello che teneva sotto il cuscino.
Il respiro sembrò calmarsi, così da concederle la tregua necessaria per andare in bagno e sciacquarsi il viso, bagnando anche il collo, non curandosi del fatto che molte gocce erano andate sul pavimento.
Si passò una mano tra i capelli e sfiorò il taglio di una vecchia cicatrice, che ancora le provocava molto dolore. Aprì l’armadietto dei medicinali e ingoiò una pasticca per il mal di testa. Dopo tornò in camera e si sdraiò sul letto, lo sguardo fisso sul soffitto color crema.
«Si- meon?»
 
 Il locale era pieno, tuttavia c’erano ancora dei clienti ostinati che stavano facendo la fila fuori, attendendo che si liberasse un tavolo. Nonostante le prenotazioni c’era sempre qualche ottimista che credeva di poter trovare una sedia libera. 
Oltretutto quel giorno le ragazze avrebbero chiuso subito dopo l’ora di pranzo, a causa della sorpresa per Yami. Alla notizia i clienti non furono molto felici.
Sarebbe stato complesso per chiunque riuscire a reperire una location – soprattutto quella che avevano in mente le ragazze – il giorno stesso della festa, ma per le Glherblera sarebbe stato un gioco da ragazzi. L’idea della missione notturna per il compleanno della loro amica emozionava tutte quante, anche se al momento risultava difficile pensarci, visto che erano davvero impegnate. 
Kureijī si stava occupando di parecchi tavoli contemporaneamente, Black si era improvvisata equilibrista mentre portava due vassoi ricolmi di dolciumi, Akumi saltellava da una parte all’altra del locale apparendo quasi buffa a causa dei tacchi. Rose dopo essere scesa si era concessa una tazza di tè – l’unica cosa che le piacesse tra tutti gli zuccherini del locale, a parte il caffè – che aveva sorseggiato velocemente prima di riprendere il servizio, dando un attimo di tregua a Kureijī, che si sedette dietro al bancone. 
Questa dopo un paio di minuti realizzò che accanto a lei c’era Yami, che stava seduta a terra sorseggiando un succo di frutta, facendo il rumore con la cannuccia; rumore che Akumi non le avrebbe affatto tollerato, in quanto di cattivo gusto. 
L’inconsapevole festeggiata faceva ruotare gli occhi verdi da destra a sinistra, mentre sembrava scrivere delle cose con l’indice per aria. Prese un altro po’ di succo e accese il televisore che si trovava in un angolo della sala, che le ragazze usavano per sottofondo insieme a delle canzoni.
Kureijī cercò di intavolare una conversazione con la ragazza, giusto per capire se non sospettasse niente per quella sera. «Allora Yami.»
La ragazza dai capelli azzurri sobbalzò «Mi hai fatto prendere un colpo!»
L’altra corrugò la fronte. Era davvero possibile che non si fosse accorta della sua presenza? «Ehm… volevo chiederti se oggi avevi da fare: qualche impegno, qualche… ricorrenza», azzardò con l’ultima opzione.
Yami alzò gli occhi al soffitto, concentrata. «No. No, non so. No... No no. Perché volevi andare al cinema? Oggi è mercoledì, si paga di meno.»
«Ah! No, era per chiedere, per sapere se eri ancora disponibile per la missione di questa sera; se avevi già iniziato a lavorarci, o cose del genere.»
«Quale missione?» Yami era visibilmente confusa «Non me l’avete detto.»
«Massì! Almeno un centinaio di volte. Lo sai, no? Ieri Akumi ha anche disegnato il piano sulla lavagna e tu le hai portato i pennarelli perché l’avevamo lasciati di sopra.»
Yami sorrise lievemente, con tono compassionevole. «Kureijī, forse ti stai sbagliando, io non c’ero.»
La sua interlocutrice aveva voglia di ridere e piangere al tempo stesso, non capiva sinceramente se la stesse prendendo in giro o no. «Senti, facciamo così, te lo illustro di nuovo, va bene?»
«Okay» Yami si alzò e andò verso la cucina.
Kureijī allungò il collo. «Dove stai andando?»
«A prendere qualcosa da mangiare. Mentre ascolto, no?»
A questo punto la corvina perse ogni motivazione nel continuare. Forse si era stancata più nel lasso di tempo in cui è stata al bancone invece di quando girava come una trottola tra i tavoli.
Per fortuna Yami non impiegò molto a tornare e con lei aveva portato un enorme budino al cioccolato che ballonzolava a destra e a sinistra, insieme ad una sacca a poche piena di panna. «Oi, mi disegni qualcosa sul budino?» fece un cenno col capo alla divisa che indossava l’altra, come per dire “è il tuo lavoro”.
Una risatina isterica volò dalle labbra di Kureijī che malediva il giorno in cui aveva deciso di essere una maid per copertura. Veramente anche Yami lavorava al locale, cioè, teoricamente, poiché nessuno ricordava avesse fatto realmente qualcosa di utile – a parte ripulire tutta la cucina da quegli inutili dolci, decisamente di troppo per la loro attività.
Ad ogni modo Kureijī cedette e disegnò una specie di coniglio che sembrava tutto tranne qualcosa di possibilmente esistente – tranne nei sogni di Black.
Anche se Yami non lo sapeva, era comunque il suo compleanno: bisogna sempre accontentare la festeggiata.
Yami sorrise comunque a quel tentativo di panna, prese una cucchiaiata e se la portò alla bocca, mentre guardava negli occhi l’altra con un effetto esorcista. Forse era il segno che poteva iniziare a parlare.
Kureijī prese un bel respiro e iniziò «Allora, hai presente il nuovo hotel di lusso che hanno costruito nel centro? Si chiama proprio Luxury Hotel – nome poco originale, tra l’altro – quello con il giardino esotico, la piscina e… beh, tutto il resto?»
Yami annuì.
«Questa sera dobbiamo fare irruzione lì dentro e provocare più dammi possibili, in modo da sabotare l’apertura di domani. Il lato sporco del governo intende finanziare l’attività levando dei fondi alle strutture pubbliche. Purtroppo il sistema è davvero serrato e sarà molto difficile entrare, perciò ci serve il tuo aiuto. Con le altre abbiamo dato un’occhiata ai progetti della sicurezza ed è pieno zeppo di telecamere, sensori di movimento e allarmi. I proprietari hanno deciso di prendere strette precauzioni anche a causa nostra: ci siamo esposte un po’ troppo e hanno paura che vorremo fargli visita. Ad essere onesta credevo fossi già all’opera. Comunque dobbiamo entrare per forza questa sera, non possiamo rimandare.»
Yami prese l’ultimo boccone del suo dolce e poi poggiò il piatto sul bancone. «Okay» disse semplicemente. Raccolse il suo portatile da terra e si rimise seduta nel suo angolino, ignorando completamente l'altra. Le sembrava comunque che Kureijī stesse aspettando qualche altro commento, quindi aggiunse «Qui posso avviare la procedura di disinstallazione delle cose piccole, dopo dovrò scendere.»
L’altra annuì. Nei sotterranei c’era la vera base delle Glherblera, con tutti i giocattoli di Yami e le armi delle altre, quelle che ovviamente non portavano con loro o tenevano in camera. Akumi ad esempio aveva un coltello assicurato alla coscia sotto alla gonna anche mentre lavorava. Lei era molto paranoica – in generale, ma soprattutto su questo aspetto –, era convinta che avrebbero potuto attaccarle in ogni momento e lei di certo non voleva essere colta impreparata. “La prudenza non è mai troppa”, era una delle sue frasi più gettonate.
Yami aveva iniziato a digitare dei codici sul portatile che Kureijī non riusciva a capire, perciò questa spostò lo sguardo per la sala. Poteva prendersi ancora un paio di minuti.
Qualche tavolo più avanti c’era Black, che stava parlando con un gruppo di ragazzi liceali. Da quella distanza si riusciva a sentire quello che diceva ed era certamente meglio che così non fosse.
«Un po’ di sangue sull’omelette?» chiese la ragazza dai capelli argentati ad un cliente, alludendo alla salsa al pomodoro. Quello la guardo con un’espressione disgustata sul volto. 
Black prima di servirgli il piatto fece l’incantesimo per renderlo più buono «Moe Moe, Kyun!**», recitò, mentre disegnava dei cuori in aria con le mani. «Buon appetito!»
«Ssì, grazie» bisbigliò il cliente. Probabilmente sarà stato faticoso mangiare quella portata.
Una delle caratteristiche di Black era proprio questa: ironizzare e rendere più macabro anche il cibo, trasformando la cosa più innocua in un bagno di sangue. Certo, non era neanche tutta sua la colpa: buona parte delle pietanze che servivano avevano un ingrediente di colore rosso, come principale (ketchup, marmellata di fragole, i drink con coloranti – i suoi preferiti), sembravano quasi pregarla di fare battute.
Ad ogni modo, non era certo un caso che i suoi ammiratori fossero tutti fans del genere splatter o horror. Lei era quasi una fonte di ispirazione per loro.
Mentre Kureijī si stava sistemando velocemente l’uniforme per riprendere il lavoro, arrivò Akumi. Sospirò. «Necessito di una breve pausa.»
«Sì, tranquilla, stavo per ricominciare» disse Kureijī, per poi tornare tra i tavoli.
Akumi si accorse di un piatto sporco sul bancone – quale negligenza –, lo prese e fece per portarlo in cucina. Prima di entrare però intravide Yami dietro il bancone che stava mangiando delle patatine. Deviò un attimo per strapparglielo dalle mani. «Mi spiace cara, ma sono dell’idea che tu ne abbia prese a sufficienza per oggi.» 
L’altra dilatò le pupille, sembrò quasi ucciderla con lo sguardo, ma Akumi continuò a sorridere come era suo solito. Emise uno strano verso e saltellò verso la cucina. Infondo sapeva di essere in buona fede.
Appena entrata salutò il cuoco, un ragazzo più o meno della loro età, ma che appariva molto più piccolo. Era estremamente intelligente e aveva un buon senso del giudizio, eppure non aveva mai sospettato nulla riguardo l’organizzazione. 
«Oh Hikaru, sono così affamata! Potresti pormi qualcosa di piccolo ma molto calorico, per cortesia?»
Il ragazzo dai capelli corvini, che sembravano quasi arruffati, sbuffò – un gesto che faceva anche quando non era irritato, quasi un tic –, mentre sfornava dei macarons. «Subito.»
Lui e Akumi andavano molto d’accordo, più che altro perché avevano gli stessi punti di vista, quindi si perdevano sempre in lunghe discussioni.
Il ragazzo le porse una fetta di torta che solo a guardarla sarebbe salito il colesterolo a mille.
Akumi prese il piatto. «Ti ringrazio.»
«Di nulla.»
«Sai, questa mattina mi sono resa conto per l’ennesima volta che forse non sono tagliata per questo lavoro. Un uomo si è comportato davvero in maniera disdicevole, offrendo avances a me e alle altre. Loro ci sono passate sopra, non so come abbiano potuto. Oh ma forse sono ancora troppo attaccata all'etichetta, io.» 
Hikaru non aveva staccato lo sguardo dal suo lavoro, se non per dare un paio d’occhiate alla sua interlocutrice. «Akumi, l’etichetta ha fatto il suo corso naturale. Un tempo trovare una persona che la seguiva non era oro colato, ma adesso... Comunque, so che non lo farai, ma non farti abbindolare dalle lusinghe. Sono tutti dei leccaculo in fondo.»
Akumi annuì con il capo, sorridendo, impilò il piatto su quelli da lavare e salutò il suo amico. «Grazie mille per la chiacchierata!»
«Figurati. Buon lavoro.» 
Nell’esatto istante in cui Akumi stava per riprendere il servizio, scese le scale Yukida, con l’aria parecchio alterata.
«Buongiorno Yukida cara!» salutò la ragazza dagli occhi verdi. 
L’altra rispose con un gesto della mano. «Ciao Haku.»
Akumi la squadrò inclinando il capo prima a destra e poi a sinistra. Cercava di seguire più che poteva la salute dell’amica, anche se non in modo dichiarato. Da qualche giorno era seriamente preoccupata: non le piaceva la reazione che aveva ottenuto Yukida dopo aver smesso di prendere le sue pasticche. Qualcosa si stava smuovendo dentro di lei e non avendo abbastanza esperienza in campo medico non sapeva se fosse una cosa buona o cattiva. L’avrebbe sicuramente tenuta d’occhio.
Yukida appena scesa iniziò a servire i piatti senza troppe cerimonie, quasi lanciandoli sui tavoli, con il suo fare un po’ schietto e alle volte indelicato che comunque ad alcuni clienti non dispiaceva.
A proposito di clienti a cui piaceva il suo atteggiamento, ecco che entrava un ragazzo alto e dai capelli biondi, uno degli ormai clienti abituali di quel posto. Veniva tutti i giorni, si metteva allo stesso tavolo, ordinava una tazza si tè, scrutava con fare apparentemente disinteressato in giro e poi se ne andava. La cameriera che lo serviva più spesso si ritrovava ad essere Yukida. Avrebbe dovuto farlo Akumi, poiché si sedeva nella sezione di tavoli di cui lei si occupava maggiormente, ma da quando aveva confidato alle altre che quel tizio non le piaceva – ed era una cosa seria, calcolando la persona – Yukida aveva deciso di occuparsi lei di quel tipo. Quella volta forse in modo risolutivo… 
Portò la quotidiana tazza di tè al ragazzo, accompagnandolo al suo personale incantesimo: “Spero che ti strozzi”. Mentre si allontanava dal tavolo iniziò a canticchiare la canzone Kaze no Uta, brutto segnale, che Rose interpretò prontamente, sostituendo la tazza con un’altra. Quando l’andò a svuotare nel lavandino fece lo stesso rumore di sfrigolio del metallo rovente intinto nell'acido. «Bisogna avere mille occhi», commentò Rose, tornando a dei tavoli ai quali si stava intraprendendo una conversazione molto interessante, che trattava uno dei dilemmi esistenziali – sebbene ormai affrontato miliardi di volte – che aveva lanciato la Marvel: Iron Man o Capitan America. Tutti i ragazzi che ne stavano parlando erano consapevoli di non potersi convincere l’altro a cambiare fazione, eppure era sempre divertente rivedere le avventure degli eroi di Stan Lee. Anche Rose sembrava insolitamente divertita, una delle poche occasioni in cui le altre l’avevano vista parlare così tanto. 
In quel momento l’attenzione delle ragazze venne catturata dal telegiornale, che trattava per l’ennesima volta un caso di furto con omicidio ad opera delle Glherblera. Il servizio riportava la missione che avevano concluso la notte precedente, quindi recuperare un diamante preziosissimo nascosto nei sotterranei di una villa abusiva, di proprietà di alcuni contrabbandieri.
L’uomo che illustrava agli spettatori l’accaduto recitava queste parole «Nelle precedenti indagini il corpo di polizia aveva fatto dei progressi nell’individuare la vera identità delle persone che si celano dietro il nome della famosa organizzazione Glherblera»
“Come no”, pensò Black. 
«Ma sulla scena del furto di questa notte abbiamo trovato dei dettagli interessanti. In primo luogo una benda bianca.»
Kureijī sbuffò. Quando doveva uccidere qualcuno le veniva come d’impulso togliersela. Quella volta aveva dimenticato di andarla a riprendere – in realtà non avevano neanche molto tempo –, comunque non sarebbe stato d’aiuto agli “investigatori”, non gli avrebbe dato alcun indizio utile, era un tutto dire che usava la televisione per fare spettacolo.
«In più le Glherblera hanno lasciato un altro messaggio per beffarsi della polizia e recita: “Mangiatevi pure il fegato, non riuscirete mai a trovarci”, ma la cosa più oscena è che è stata scritta con il sangue del proprietario della villa, che è stato squarciato e lasciato morire dissanguato accanto al messaggio.» 
Immediatamente le ragazze si guardarono l’un l’altra, per capire chi avesse scritto quella frase. Kureijī guardò Akumi, la quale con le dita le fece segno di un fucile, come per mimare che lei si prestava quasi sempre da cecchino, come anche in quella missione. Poi Akumi diede un’occhiata a Yukida, che scrollò le spalle dicendo di no. Lo sguardo di questa finì su Rose, che alzò un sopracciglio: lei uccideva in modo pulito, non avrebbe mai potuto concepire quello scempio.
Inevitabilmente ruotarono tutte gli occhi in direzione di Black che si limitò a sfoggiare un sorriso a trentadue denti.
Chi poteva essere se non lei?
Il telegiornale stava per finire. «Contro il messaggio che hanno voluto mandarci, riuscirà mai la polizia a scoprire la vera identità delle Glherblera?»
Yukida si lasciò scappare un sorrisetto compiaciuto. “Poveri idioti. Prima o poi li manderemo nella merda”.
Akumi di fronte a lei la osservava e come se avesse letto la sua mente. Corrugò il viso in un’espressione di rimprovero. “Linguaggio”, pensò. 
In tutta risposta l’altra ruotò gli occhi al cielo.
Akumi non era comunque l’unica che stava osservando Yukida, poiché il ragazzo di prima, al tavolo proprio di fronte a lei, aveva assistito alla muta conversazione delle maid e continuava a scrutarla, senza provare a celarlo neanche per cortesia.
«Beh? Cos’hai da guardare tu?» sbottò a quel punto Yukida.
Il ragazzo attese volontariamente una manciata buona di secondi per rispondere, come se provasse gusto a fare adirare la cameriera. «Nulla», sfoggiò un sorrisetto che dire avesse dello strafottente era proprio sminuirlo.
Yukida inarcò prepotentemente un sopracciglio. «Allora piantala che mi stai facendo girare le palle.»
«Me ne stavo andando», disse lui, mentre si sistemava i guanti corti neri che gli avvolgevano le mani e prese il portafoglio dalla tasca del pantalone. Piluccò un paio di banconote, molti più soldi del necessario, e li poggiò sul tavolo. «Grazie per il tè, Yukida», mentre camminava verso la porta fece un gesto con la mano a mò di saluto, senza voltarsi.
«Vaffanculo» rispose lei. Prese i soldi e li passò ad Akumi, che sicuramente sarebbe stata contenta di sistemarli nella cassa, poteva anche scommettere che ci avrebbe giocato un pochino. Non era colpa sua, le piaceva semplicemente toccare ogni cosa e i soldi erano così… maneggiabili. Ognuno aveva i suoi piccoli vizi. Almeno questo non riguardava l’uccidere persone.
Rose aveva seguito la scena e si era accorta che il ragazzo biondo dopo essere uscito si era soffermato un po’ a guardare dentro, oltre la vetrata. Lei aveva molto spirito d’osservazione e sembrò intuire qualcosa.
Quando Akumi le passò vicino le toccò un braccio, per richiamare la sua attenzione.
«Dimmi cara!» fece la ragazza dai capelli dorati.
Rose la guardò dritta negli occhi, con fare indagatore. «Per caso tu e Yukida vi conoscevate, prima dell’associazione?»
L’altra si portò un indice sul mento. «Affatto!»
Rose non sembrava molto convinta, anche se era palese che l’altra non stesse mentendo. «D’accordo.»
«Perché me lo chiedi?» fece Akumi.
«Nulla. Una paranoia», cercò di chiudere così, riprendendo il suo lavoro. Akumi corrugò le sopracciglia.
Yukida, anche se stava servendo ad altri tavoli, ripensava a quel tipo di prima. La faceva innervosire con quel maledetto sorriso strafottente.
Sembrava esserle passato ma le ricominciò il mal di testa. Forse più tardi le sarebbe toccata un’altra aspirina. L’aveva anche chiamata per nome, quel giorno. Che sensazione strana.
 
Il servizio finì velocemente, così le ragazze girarono il cartello sulla porta da “open” a “close” e abbassarono per metà le saracinesche, per avere ancora un po’ di illuminazione.
Iniziarono subito a riordinare il locale senza perdere tempo, visto che più tardi avrebbero avuto molto da fare, dovendosi preparare per la missione/festa.
«Guardate un po’ qua!», fece Akumi tutta sorridente con un lembo della tovaglia in mano. Con un gesto la sfilò da sotto le posate senza farle muovere. «Olé!»
Anche se lei andava fiera di quel trucchetto che aveva imparato, qualcuno a quell’ennesima esibizione roteò gli occhi. Insomma, lo faceva sempre. Quando vide che nessuna le stava dando retta imbronciò il viso in una delle sue migliori espressioni bambinesche, incrociò le braccia e si voltò in modo fin troppo teatrale.
Yukida aveva passato una pezza sul bancone, lucidato le sedie e in quel momento stava contando gli incassi del giorno. Li ripose in una bella busta capiente e andò a metterla in una cassaforte che tenevano incastrata nel muro che dava verso il retro del locale, dove ai clienti non era consentito l’accesso. Anche se, infondo, un furto era l’ultima delle cose che turbava le ragazze del Caffenut. Difendersi non era di certo un problema e per la questione dei soldi… beh, di quelli ne volavano  parecchi all’interno dell’associazione.
Yukida prese a passare la scopa per terra.
Kureijī e Rose si stavano occupando di raccogliere tutti i piatti e i bicchieri sparsi sui tavoli del locale. La prima andava per la sala in quella ricerca un po’ noiosa, dopo passava il suo bottino a Rose, la quale impilava il tutto, dandogli un ordine e portando in cucina le fila a turni. Poi passava il lavaggio a Black. Quel giorno si erano organizzate così.
A parte Hikaru non avevano nessun altro che lavorasse al locale. Assumere dei dipendenti sarebbe stato troppo rischioso – sia per loro che la povera persona malcapitata –, perciò si occupavano di tutto da sole: contabilità, servizio e pulizie. Era faticoso e anche stressante, alle volte, con la popolarità e l’afflusso di clienti, ma una copertura era più che necessaria, soprattutto con polizia e investigatori sempre alle calcagna.
Black vide Rose che faceva avanti e indietro dalla cucina, perciò pensò di darle una mano, afferrando, non senza cedere un po’ al peso, una grossa pila di piatti.
Yukida sgranò gli occhi. «Aspetta, ferma!», non voleva che succedesse di nuovo. Con quell’esclamazione attirò l’attenzione delle altre, che poterono assistere alla rovinosa caduta di ben venticinque piatti e tre bicchieri da cocktail.
Il rumore dei cocci che si frantumavano per terra fece coprire a Yami le orecchie, che con uno sguardo infastidito e uno sbuffo continuò a digitare i tasti sul suo computer. L’unica differenza da quando il locale aveva chiuso era che prima stava seduta a terra e in quel momento su un’alta sedia da bar, così da potersi poggiare sul bancone. Affianco alla mano sinistra aveva un pacchetto di arachidi. Quando Rose provò a sfilargliele le sembrò di sentire un ringhio, perciò le lasciò dove stavano.
Black iniziò a ridacchiare imbarazzata, seppur non apparendo tale poiché continuava a mostrare un sorriso a trentadue denti.
Yukida si diede uno schiaffo sulla fronte. «Ma per quale motivo continui a farlo? È già la terza?, quarta volta che succede?»
L’altra si limitò a borbottare. «Mi sembrava che Rose avesse bisogno di un aiuto.»
L’interessata poggiò nelle mani di Balck scopa e paletta. «No, grazie.»
Akumi si portò una mano sul petto. «Basta che nessuno si sia fatto male!»
Kureijī sorrise osservando i cocci a terra. «Solo i piatti», sussurrò con un pizzico di sarcasmo.
Black si mise a raccogliere le vittime a terra e le altre continuarono ad occuparsi delle rispettive faccende.
Rose stava lavando i piatti rimasti, Kureijī le stava dando una mano asciugando.
Yukida stava di fuori, dando una lucidata alle vetrate e una pulita all’ingresso.
«Io qui ho finito», fece Yami. «Vado ad avviare le procedure con il server al piano di sotto.»
La ragazza si diresse verso una porta marrone dipinta sulla parete, vicino ai colori pastello della vernice. Girò una gemma incastonata nella pancia della maniglia verso destra e poi abbassò la maniglia stessa, spostando la sottilissima porta dal muro. Di fronte a lei si aprì uno scuro corridoio non illuminato con delle scale che scendevano verso il basso. Yami lanciò un’occhiata verso le altre.
Akumi in tutta fretta si asciugò le mani con uno strofinaccio e si apprestò ad andarle dietro, prima che chiudesse la porta. «Io qui ho finito! Ti vengo a fare compagnia», trillò. Sapeva che all’altra non piacevano gli spazi bui, decise di accompagnarla.
Yami non ribatté alla proposta, quindi le stava bene.
Poiché lungo il tragitto per raggiungere la base non c’era illuminazione, le ragazze si tenevano con la mano alla parete per non inciampare, affidandosi a questa tra le svolte.
Una delle precauzioni che le ragazze avevano preso era quella di aver creato una sorta di piccolo labirinto sotterraneo. Era stato un suggerimento di Akumi, che ne era sempre stata una grande appassionata. In più alla villa dove aveva soggiornato pochi anni prima aveva imparato, mediante i passaggi segreti, l’algoritmo della mano destra (o della sinistra): praticamente bisognava procedere lungo una parete del labirinto senza staccare la mano dal muro, trovando infine l’uscita – o meglio, l’entrata della loro base.
Ad ogni svolta sbagliata Black aveva personalmente posizionato trappole e ordigni che le altre non potevano – o volevano – immaginare. Ogni tanto si sentiva il ciondolare di qualcosa di metallo.
Akumi stava canticchiando uno dei suoi motivetti preferiti: la Primavera di Vivaldi, giusto per distrarsi dal respiro pesante di Yami e i suoi passi frettolosi dietro di lei, che la costrinsero quasi a correre lungo i corridoi.
Akumi mancò un gradino e stava per cadere a terra, ma si tenne alla parete. Si voltò versò l’altra bloccandola con il palmo della mano.
«Che c’è..?!» sussurrò Yami, con il tono di voce di chi teme stia per arrivare un assassino o stia per succedere qualcosa di terribile.
Yami metteva ansia anche ad Akumi, che era una tra le ragazze ad avere più self control. «Yami cara, potresti non correre, per favore?»
«E tu potresti non cantare quella canzoncina inquietante?»
«Inquietante? Scusami? Chiedo delucidazioni. Innanzitutto non puoi declinare un grande componimento a “canoncina”, perlopiù-»
La ragazza venne interrotta da un suono sinistro provenire da un corridoio vicino a loro.
Yami sobbalzò, iniziando ad annaspare. «Siamo quasi arrivati», disse in tutta fretta, per poi sfrecciare via, facendo scivolare la mano così velocemente sulla parete che l’altra pensò le avesse preso fuoco.
Akumi, rimasta sola, prese a recitare alcuni dei versi degli antichi poeti. Uno dei suoi preferiti era Dante, che si adeguava ad ogni situazione. Era un’abitudine che, seppure lei stessa trovava fastidiosa, non riusciva a togliere.
«Ahi quanto a dir qual era è cosa dura, esta selva selvaggia e aspra e forte, che nel pensier rinova la paura.»
Il rumore dei tacchi andava ad attutirsi nell’aria all’interno degli stretti corridoi.

Akumi raggiunse l’entrata della base. Vide Yami che era già seduta alla sua postazione: tra tre mega schermi, un piccolo monitor, i video della sorveglianza del locale e un microfono. Indossava un paio di cuffie e stava digitando dei codici.
L’aria non era affatto cupa pur essendo un sotterraneo, anzi, sembrava essere molto lussuoso con quei gadget e armi di ultima generazione.
La base era strutturata sulla forma di un rettangolo, nel quale era tagliata una rientranza proprio a sinistra dell’entrata, che era la postazione di Yami. Quell’angolo sembrava molto più un pezzo di una sala giochi, piena di luci al neon e piccole schermate touch screen che svolazzavano intorno a lei, mantenendosi grazie ad un campo elettromagnetico. In più c’erano dei grossi cuscini rotondi colorati per sedersi.
A destra c’era uno spazio ampio, con degli armadietti, uno per ognuna delle ragazze, al cui interno tenevano dei vestiti per le missioni. Di fianco c’era il bagno, con una grossa vasca idromassaggio, ma anche delle docce. Tornate dalle missioni non volevano usare il bagno del loro appartamento per togliersi le macchie di sangue.
Più avanti vi erano dei divanetti e una lavagna, intorno ad un tavolino sopra cui erano poggiate delle mappe aperte, i catastali del loro quartiere. In quella zona discutevano dei nuovi progetti.
Avevano anche un armadietto con prodotti medici e un frigo bar molto fornito. Quest’ultimo era la tappa preferita di Yami.
Sul lato lungo del rettangolo, ai lati, erano sistemate numerose armi con le rispettive munizioni.
Dopo questi scaffali c’era l’attrazione che occupava più spazio: un poligono di tiro per armi da fuoco con una serie di bersagli e diverse difficoltà, alcune davvero estreme. Lì si allenavano le ragazze che utilizzavano armi a lunga distanza, ma a volte lanciavano anche dei coltelli.
Akumi si sedette vicino a Yami, prese il taccuino per le ordinazioni e si mise a scarabocchiare con un carboncino che teneva nel grembiule. Ogni tanto lanciava qualche occhiata all’amica.
«Che cosa stai facendo?» chiese Yami, spostando un pannello bluastro vicino al suo volto, così che l’altra non la potesse guardare. Il tutto senza staccare gli occhi dagli schermi.
«Come se non sapessi come è fatta la tua faccia, Yami» fece Akumi, continuando a scarabocchiare. Girò una pagina e buttò giù qualche altra linea. «Fatto.»
Yami distolse svogliatamente lo sguardo dai suoi affari. «Vediamo un po’ il grande ritratto.»
La sua intonazione di voce era carica di sarcasmo ma l’altra non ci fece caso. Presentò il primo disegno. Raffigurava Yami in uno stile fumettistico, solo il viso, con le sopracciglia piatte, gli occhi a palla neri e la bocca dritta. Alcuni capelli scivolavano lungo la pagina. «Questo è come ti vedono gli altri.»
Yami stessa non poté far a meno di trattenere un sorrisetto. Quella era veramente la sua faccia.
Akumi girò pagina «Questo è come ti vedi tu.»
L’altro disegno raffigurava Yami con un’espressione malvagia sul viso e un coltello in mano. A stemperare quell’immagine vi erano due corna sulla testa della ragazza e la coda a punta.
Yami corrugò la fronte. Per aver preso sul serio quel disegno, Akumi doveva aver fatto centro. Sapeva ben riconoscere quando qualcuno era turbato e lei quel giorno era particolarmente schiva. Non avrebbe saputo dirlo a parole, ma sulla carta riusciva ad esprimersi molto meglio.
«Cosa succede? Oggi sei più irritabile del solito.»
Yami continuava a scrutare quel disegno tra le sue mani, mentre sulle schermate lampeggiavano delle scritte, in attesa che lei continuasse a digitare i codici. 
«Io ho fatto delle cose orribili», sussurrò Yami con tono grave. I suoi occhi erano impassibili ma l’altra ebbe l’impressione che stesse vedendo delle immagini che aveva provato a cancellare dalla sua memoria.
Akumi era l’unica che a mozziconi sapeva del passato di Yami e Yami l’unica che sapeva tutta la verità su di lei.
La ragazza dai capelli turchesi le aveva detto di essere stata un’assassina, per anni. Uccideva senza discrezione, non riusciva a controllarsi. Non riusciva a non farsi piacere il vedere il sangue che sgorgava dalla carne e i corpi lacerati. Nascondersi nei vicoli bui della notte, seguire la vittima e prenderla di sorpresa era un impulso che a quel tempo trovava davvero eccitante, eppure che lei stessa non riusciva a capire. Le sue vittime erano persone che non aveva mai visto in vita sua. Se c’era qualcuno che camminava per le strade di notte, diventava la sua preda.
Quando Yami tornava a casa con le mani insanguinate stentava a credere a cosa avesse fatto, ma la notte successiva cadeva nello stesso tranello. Le lame dei coltelli, così luminose, affilate, suggerivano idee troppo attraenti per potergli resistere.
«Tutti ne hanno commesse, di cose orribili» Akumi le prese dalle mani il disegno e lo accartocciò, buttandolo nel cestino con un lancio.
«Ho ucciso la persona alla quale tenevo più al mondo» si rigirò una ciocca di capelli tra le dita impercettibilmente tremanti e parlava con sguardo assorto. «Stava venendo a casa per farmi una sorpresa per il mio compleanno. Non c’è niente di bello da ricordare o festeggiare in questo giorno.»
«Ah ma allora lo sai che è oggi il tuo compleanno! Non ci credevamo più!» trillò Akumi, con enfasi. L’altra le lanciò uno sguardo un po’ scocciato. «Hmm.»
«Augurii..!» bisbigliò Akumi, sorridendo. Le porse un sacchetto di marshmallow che teneva in alcune delle tasche del suo vestito.
Yami non poteva rifiutare quei dolcetti, erano così colorati e invitanti. Ne prese uno e gli diede un morso.
«Il conto alla rovescia sul calendario non è di certo per la festa, è per ricordarmi di quello che ho fatto, per chiedere delle scuse.»
Yami non era mai riuscita a darsi pace per ciò che era successo nel suo passato. Conviveva con questo peso ogni giorno, quando la vita che faceva adesso, con l’organizzazione e a contatto con il lato sporco della società, le ricordava quando uccidere è stato il cardine sul quale ha ruotato la sua vita e che l’ha portata in quel luogo.
Akumi inclinò il capo. C’era bisogno di alleggerire un po’ la tensione, doveva punzecchiarla. «E le scuse per il calendario? Sai che è terribile il modo in cui segni i giorni?»
Yami buttò giù un sonoro sospiro, ruotando gli occhi al cielo e tornando ai suoi compiti. Sul suo volto sembrò essersi dipinto un sottilissimo sorriso.
La ragazza dai capelli dorati era contenta del suo operato. Almeno Yami aveva parlato un po’, era un grande traguardo.
Akumi si diresse saltellando verso gli armadietti. Si accorse che quello di Black e Yukida erano aperti. Erano davvero incorreggibili, quelle due, disordinate fino al midollo.
Dallo sportello di Black sbucava una lunga catena dorata. Akumi raccolse l’estremità che stava fuori e aprì maggiormente l’anta per riporla. Sopra una tuta nera che la ragazza usava per le missioni c’erano vari gioielli. Probabilmente rubati durante il colpo alla gioielleria non più di una settimana fa, ipotizzò Akumi. Rubati. «Etica», commentò la ragazza con disappunto per quella mancanza. Cercò di sistemare come poteva e passò a quello di Yukida. Una goccia di sangue secco scivolava lungo l’anta e dentro c’erano una stoffa ritagliata e sopra uno dei tanti coltelli che Yukida possedeva. Akumi prese con la punta delle dita la stoffa e quando si spiegò, si accorse che era tagliata con la forma di tanti omini felici che si davano la mano. Sarebbe stato anche carino se non fossero stati coperti di sangue. La cosa che dispiaceva di più alla ragazza era però che Yukida avesse sacrificato uno dei capi più comodi che aveva, fatto con un tessuto particolare. «Spreco.»
Akumi prese la sua divisa per la missione dall’armadietto e si diresse nel bagno per farsi una doccia e cambiarsi. Si lavò, infilò i pantaloni neri, una camicia con le maniche larghe dello stesso colore, ascot bianco, stivali fino al ginocchio neri con tacco, un paio di guanti e un fiocco per raccogliere i capelli.
Afferrò un fucile da quelli che aveva sistemato nel suo spazio lungo la parete e iniziò a mirare ai bersagli al poligono. Ad Akumi piaceva sparare e centrare il bersaglio, sapeva anche di essere molto brava, eppure la consapevolezza che avrebbe potuto usare quella capacità durante uno scontro per togliere la vita a qualcuno, le faceva sentire uno strano peso sul petto.
Stava provando di centrare i bersagli ad occhi chiusi, sentendo il rumore da dove scattavano i meccanismi di ferro. Colpito, colpito, colpito, mancato..? Un altro colpo. Mancato di nuovo. Akumi aprì gli occhi con disappunto, si sfilò una granata di poca potenza dalla cintura e la lanciò sulla sagoma, che scoppiò in mille pezzi, facendo un gran rumore.
Yami si coprì le orecchie con le mani e lanciò ad Akumi uno sguardo di rimprovero.
La stanza era completamente insonorizzata ma Yami aveva sempre delle paranoie: potevano sentirle.
«Cosa c’è?» fece Akumi «Penseranno che è la metropolitana.»
 
Intanto le ragazze avevano finito da un bel pezzo di occuparsi del locale, si erano cambiate mettendo qualcosa di comodo ed erano andate tutte e quattro nella camerata. Yukida stava ascoltando la musica con il cellulare, sdraiata sul letto, mentre faceva roteare un coltello con una mano.
«Potrebbe finirti in un occhio se non stai attenta» fece Rose poco distante da lei, parlando attraverso una mascherina bianca che le copriva bocca e naso.
«Potrebbe finirti in un occhio se non stai attenta» rispose Yukida senza neanche pensarci più di tanto, troppo ipnotizzata dalla lama luccicante che continuava a ruotare sopra il suo viso.
Kureijī  e Rose stavano sedute sul pavimento ad armeggiare con delle piccole ampolle piene di liquidi e polverine, che mescolavano e dosavano con accortezza.
Entrambe le ragazze utilizzavano molto i veleni nelle loro armi e quindi, avendo scoperto di avere in comune questa macabra passione, avevano deciso di prepararli insieme.
Rose li abbinava anche a delle microarmi. Kureijī invece trovava comodi degli aghi velenosi che, insieme alla falce, erano un punto centrale del suo armamentario.
Le ragazze non potevano preparare i loro veleni nel sotterraneo perché sebbene fossero munite di un impianto di ventilazione – non avendo le finestre, ovviamente – avrebbero rischiato di intossicarsi per i gas velenosi che si levavano dai liquidi. Prepararli nella camerata era altrettanto pericoloso, ma avendo tre grandi portefinestre che arieggiavano il locale potevano essere più sicure. D’altronde lo facevano quasi ogni giorno ed erano ancora vive.
«Fai attenzione…» sussurrò Kureijī mentre Rose stava versando delle gocce color petrolio nella fialetta che lei teneva tra le dita. Appena le due sostanze si toccarono, in una frazione di secondo, il nuovo veleno aveva preso il colore dei due precedenti liquidi.
«Pronto» sentenziò Rose con uno strano sorrisetto sul viso, come se stesse già pregustando il momento in cui avrebbe ucciso qualcuno con esso.
«Woow!», esclamò Black che stava accanto a loro ad osservarle.
Kureijī inarcò un sopracciglio e sospirò. Avere qualcuno che controllava ogni sua singola mossa in qualche modo la infastidiva.
Balck si protese maggiormente in avanti per guardare e sentì che qualcosa le stava premendo sulla coscia. Diede un’occhiata e quindi raccolse un libro. Riconobbe la foderina di carta un po’ usurata ai bordi: era di Rose, lo stava leggendo prima. «Di che parla?»
La proprietaria del libro sgranò le pupille, ma nessuno se ne accorse poiché non la stavano guardando in viso. «È un saggio di fisica» lo prese quasi un po’ troppo bruscamente dalle mani dell’altra. Il vero contenuto di quel volume era nascosto dietro la foderina. «Sai, è dell’università» aggiunse, dal momento che l’altra appariva un po’ turbata da quella reazione. 
Subito dopo Black si strofinò i palmi sulla maglia.
«Neanche avesse la peste» fece Kureijī, mentre si sistemava un guanto di lattice.
L’altra ridacchiò. «Mi è venuto spontaneo, ahah.»
Kureijī sembrò ricordarsi di qualcosa. «Ah, ragazze, voi cosa avete fatto per regalo a Yami?»
«Gioielli!» rispose immediatamente Black. «Cioè, in realtà una serie di gioielli, oggetti preziosi, ma alcuni li devo ancora completare.»
Nessuno volle chiedersi cosa intendeva con quell’ultima affermazione.
«Io le ho preso i volumi che le mancavano dalle collezioni dei suoi manga. Sono secoli che le deve finire» disse Rose.
Kureijī sorrise. «Io ho investito un po’ sul guardaroba, visto che ci fa poca attenzione.»
Anche se non era molto convinta che a Yami sarebbero piaciute le cose che aveva scelto, dal momento che le aveva prese in base al suo gusto personale, che si orientava verso il vittoriano/gotico. Akumi d’altro canto ne sarebbe stata entusiasta. Le due condividevano un gusto simile per il vestiario, anche se Kureijī si sentiva un po’ a disagio ad uscire con degli abiti così stravaganti. Akumi c’era abituata.
«E tu Yukida?» chiese Black.
«Io?» fece l’interessata. «Ho commissionato una scultura di ghiaccio. La spediscono direttamente all’hotel.»
«Perfetto!» disse Black. «Oh, Akumi invece?»
Kureijī rispose prontamente. «Ha detto che ha dipinto un quadro.»
Yukida e Black fecero un verso di disgusto. Non riuscivano proprio a farsela piacere, l’arte.
Rose scosse il capo con disapprovazione.
Black allungò la mano verso gli oggetti che stavano maneggiando Kureijī e Rose, però si punse con un ago. «Ahia!» esclamò, poi sussultò. «Dite che ci ha sentito?» Si riferiva ad Akumi.
Yukida s’intromise con un sorrisetto diabolico sul viso. «Più che altro… quell’ago era già avvelenato?»
Black iniziò ad andare in iperventilazione e sfrecciò verso il bagno, dove tenevano anche i disinfettanti.
Yukida lanciò un’occhiata a Kureijī, come per chiederle: “Era avvelenato sul serio?”
La ragazza dai capelli corvini scosse il capo trattenendo una risata.
In quel momento il telefono di Rose squillò. «Sì? …d’accordo.»
Yami aveva appena chiamato per far scendere le ragazze.
«Andiamo.»
 
Appena scese alla base, le ragazze si apprestarono a indossare delle tute (per la maggior parte nere) comode per la missione.
Yukida si era cambiata in un attimo. Non le piaceva perdere tempo. Raggiunse Akumi che stava ancora giocando al poligono di tiro.
«Ciao Yukida cara!»
«Haku» salutò così di rimando l’altra, mentre prendeva una delle due pistole dalla cintura alla quale l’aveva assicurate e sparò ad un paio di sagome. Poi rinfoderò l’arma. «Mi sono stancata» disse, andando a fare altro. Ormai Akumi non si faceva più domande.
Rose stava seduta su uno divanetti davanti al tavolo con le mappe. Aveva spiegato quella dell’hotel – che Yami aveva reperito dalla rete – e le stava dando l’ennesima occhiata di precauzione, per ripassarla in caso di emergenza e per essere più preparata durante l’azione. Rose ripassò con dei pennarelli di diversi colori i vari elementi. Kureijī la raggiunse presto e si sedette vicino a lei. Insieme rividero le posizioni in cui si sarebbero trovate le guardie, sempre secondo le informazioni di Yami, e i sistemi di sicurezza più complessi. Anche se la struttura non aveva ancora aperto avevano già iniziato a sorvegliarla, sia per il mobilio stesso che vantava pezzi molto costosi (come lampadari, quadri) ma anche a causa delle Glherblera che si erano esposte troppo negli ultimi tempi.
«Ultimi preparativi», fece Yami finendo le procedure per prendere il completo controllo del sistema di sicurezza dell’hotel.
Le ragazze presero le ultime armi, i loro zainetti con medicazioni e altro materiale, e assicurarono ognuna un microfono all’orecchio.
Yami cliccò “Invio”. «In azione.» 
Le ragazze salirono lungo il labirinto di corridoi e giunsero sul retro del locale. Di fianco c’era un garage e Yukida ne aprì la porta di ferro con le chiavi. All’interno c’erano un paio di macchine, che usavano solo le maggiorenni.
Le ragazze però non se ne curarono, andarono più infondo, dove c’era un’altra porta che sicuramente nessuno tranne il proprietario dell’abitacolo avrebbe notato. Yukida aprì e ad aspettare le ragazze c’erano cinque moto nere. Non potevano certo fare la strada a piedi.
Montarono in sella, diedero gas e sfrecciarono verso il Luxury Hotel. Questo si trovava su una delle strade principali e più ricche del quartiere, quindi che dava verso il centro, perciò anche a quell’ora c’erano un bel po’ di persone e le insegne dei negozi erano accese. Era quasi l’una.
Le ragazze si fermarono un paio di incroci prima dell’hotel, che era completamente illuminato, anche all’interno, quasi come se fosse aperto. Questo era circondato da una vetrata che lasciava vedere dentro, in cui spiccava un lampadario di dimensioni enormi pieno di brillanti. Per entrare bisognava salire un paio di gradini marmorei che davano direttamente sulla porta a vetro, di fronte alla quale vi erano due uomini robusti che attendevano in posizione statuaria.
Intorno all’edificio c’era un grande giardino con molte piante, la maggior parte di tipo esotico.
Anche se lì non c’era molto movimento, le ragazze erano sicure che dentro le stavano aspettando.
Comunque loro non erano di certo arrivate impreparate.
Per il momento Yami era entrata nel sistema e agiva silenziosamente, senza che gli addetti alle telecamere e agli allarmi se ne accorgessero. Così facendo era sicura di poter manovrare il tutto più facilmente appena ce ne fosse stato il bisogno. Aveva appena finito di disattivare l’allarme situato nella parte retrostante dell’edificio, in modo da dare alle ragazze una via d’accesso.
«Entrate dal retro», disse «Fate in modo di riunire gli agenti all’entrata. Sarà più facile contrastarli. Akumi, tu devi raggiungere il lato nord del tetto, da li avrai la migliore visuale.»
«D’accordo» rispose Akumi al microfono.
Le ragazze si avvicinarono furtive al luogo indicato da Yami, mentre questa inviò ai filmati della sicurezza delle registrazioni fatte poco prima, in cui la situazione si presentava tranquilla.
Rose entrò per prima. Essendo la più discreta non avrebbe catturato troppo l’attenzione. Sfilò un tessen da una tasca nella sua tuta e ne usò il bordo affilato per tagliare la gola alle tre guardie a sicurezza della porta sul retro, che caddero a terra nel completo silenzio.
Il corridoio che si apriva alla vista delle ragazze era veramente splendido, con fiori, dorature, quadri… era un peccato che avrebbero dovuto distruggere tutto. Rose comunque lo riconobbe e avendo la cartina fotografata nella mente sapeva già come orientarsi.
Anche se nel avessero avuto bisogno poteva sempre guidarle Yami. L’orientamento era più che altro una maggiore sicurezza che lei si voleva dare. 
Nel frattempo Akumi aveva preso a salire una scala antincendio per raggiungere il tetto. Non era particolarmente alto, perciò riuscì con poca difficoltà. Individuò il punto che le aveva suggerito Yami e concordò con la sua scelta: da quella postazione riusciva ad avere l’esterno sottocontrollo, sia il parco che le strade laterali.
Si sfilò il fucile dalla spalla e lo impugnò, scrutando e rimanendo in attesa. «Ci sono.»
«Bene», rispose Yami dall’auricolare.
A quel punto Rose fece segno alle altre di entrare. Con Akumi come cecchino potevano essere certe di avere un controllo maggiore sulla situazione.
Le quattro ragazze iniziarono ad avanzare lungo il corridoio. Sembrava strano che non ci fossero altre guardie in giro. Era tutto troppo tranquillo, perciò Yami decise che era il momento di dare un po’ di colorito alla situazione. «Facciamoli spaventare…»
Cliccò un paio di tasti «sorpresa» sussurrò con fare davvero diabolico. L’hotel andò in black out.
I sistemi di sicurezza avrebbero dovuto funzionare con il centralino d’emergenza, ma l’hacker li aveva bloccati e resi inutilizzabili. Era tutto fuori uso.
Mentre gli agenti si organizzavano per riprendere il controllo almeno dei sistemi di allarme, le Glherblera raggiunsero, dopo un paio di svolte, quello principale, disseminato da altre guardie.
«Le Glherblera!» disse uno degli uomini, impugnando la sua pistola, che probabilmente aveva sentito il rumore dei passi delle ragazze. Girava su se stesso, rimanendo in ascolto di altri segnali.
Gli altri fecero lo stesso, seguendo il protocollo dell’addestramento.
Kureijī lasciò andare avanti le altre, che grazie alla loro agilità riuscirono a oltrepassare gli uomini armati, procedendo.
«Dove sono? Non le vedo.»
«Forse si sono divise.»
«Non lo so, saranno andate avanti.»
Gli uomini non si erano accorti di Kureijī o, almeno, non stavano puntando nel verso giusto.
La ragazza si tolse la benda bianca, liberando l’occhio color ghiaccio. Dopo aver visto nel telegiornale di quella mattina che quell’oggetto aveva generato tanto scalpore, decise di prendersi gioco degli investigatori, quasi sfidandoli, con il gesto che stava per compiere: lasciò cadere la benda a terra in un soffice tonfo.
Se fino a quel momento Kureijī era stata una ragazza posata, una risata sguaiata volò dalle sue labbra, che si aprirono in un grande e spaventoso sorriso. Impugnò la sua falce e ne abbatté la lama sui corpi delle guardie di fronte a lei.
Le altre ragazze, distanti, sentirono delle grida di dolore e capirono che Kureijī stava compiendo il suo lavoro.
La sicurezza riprese il controllo dell’elettricità e con essa tornò l’illuminazione, rivelando, proprio in quel momento, una decina di uomini che correvano verso le ragazze e queste che a loro volta puntavano nella loro direzione.
Le Glherblera si guardarono per qualche istante e poi si fecero un cenno col capo.
Yukida impugnò il coltello e puntò la gola della guardia più vicina a lei, che stramazzò al suolo. Alla seconda infilzò lo stomaco e tirò su la lama fino al collo. 
Un uomo accorse in aiuto dei suoi colleghi: impugnò la pistola e sparò tutti i colpi che aveva a disposizione verso le tre.
In un momento di distrazione, una pallottola prese il polpaccio di Yukida. Sul momento l’unico pensiero era quello di ricambiare il favore: prese una pistola dalla cintura e rispose al fuoco, uccidendo l’uomo con un colpo, poi cadde a terra, stringendosi la parte del corpo ferita. Sanguinava. «Merda», ringhiò.
Black giunse in suo soccorso. Si interpose tra lei e le altre guardie che stavano arrivando, sfilò un wakizashi dalla sua fodera e lo usò per lanciare un colpo diagonale alla guardia più vicina.
Kureijī le raggiunse e il suo aiuto fu necessario in quel frangente. Rose era molto occupata e Black non avrebbe potuto combattere e aiutare Yukida allo stesso momento.
In un attimo di tregua Black prese un nastro che aveva legato alla vita e lo usò per fasciare la gamba a Yukida, che stava imprecando poggiata alla parete. «Merda, fa male. Li voglio sgozzare tutti.»
Stavano arrivando troppe guardie, le ragazze erano in difficoltà. Allora Yami mandò un messaggio all’auricolare. «Vi do una mano, allontanatevi di mezzo metro.»
Proprio quando le ragazze si spostarono, una grata metallica sbarrò la strada agli uomini. I più esposti continuarono a fare fuoco.
Yukida, in preda alla collera, sparò a sua volta, per vendicarsi del colpo subito.
Rose si occupò di quelli che erano rimasti dal loro lato di corridoio.
Le ragazze colsero l’occasione e sfruttarono il tempo che gli aveva dato Yami. Corsero più veloce che potevano. Yukida non le rallentava di molto, stringeva i denti e procedeva. Non era estranea a ferite di quel tipo. Faceva quel lavoro in fondo da parecchi anni.
Finalmente raggiunsero l’atrio dell’hotel. Sembrava totalmente diverso da come appariva dall’esterno. Era immenso. Aveva una forma circolare, intorno alla quale sorgevano dei grandi pilastri che mantenevano il soffitto. Le scale si snodavano tra essi, portando ai piani superiori.
Yami indirizzò la sorveglianza verso il luogo in cui si trovavano le ragazze, facendo scattare gli allarmi acustici lungo il percorso che eseguivano.
In breve furono circondate dagli uomini armati. Il piano aveva funzionato fin troppo bene.
Le ragazze impugnarono saldamente le loro armi.
Non rimaneva altro che combattere.

Akumi nel frattempo stava accedendo al sistema delle telecamere dell’hotel, per disattivarle al tempo opportuno. Aveva imparato questo trucchetto da Yami e spiegato da lei che era estremamente brava risultava essere semplicissimo.
Anche se l’hacker della squadra si era già impossessata dei comandi, era importante che Akumi avviasse la procedura, sarebbe servita più tardi per la festa a sorpresa.
La ragazza aveva un palmare su cui stava digitando velocemente. Distolse lo sguardo da questo quando sentì le sirene della polizia. “Ce ne hanno messo di tempo, per arrivare”, commentò.
A causa della momentanea assenza di corrente era stato complicato chiedere i rinforzi. Yami aveva annullato anche la rete dei telefoni cellulari, mandando la sicurezza in crisi. Adesso che avevano ripreso il controllo si erano presto organizzati.
Akumi vide i poliziotti correre verso l’entrata. Sfilò una granata dalla cintura e la fece cadere proprio sotto di lei. Questa esplose riducendo in pezzi la grande vetrata sottostante. Era incredibilmente spessa, Akumi pensò che fosse a prova di proiettile.
Le ragazze all’interno si coprirono le orecchie e anche le guardie fecero lo stesso, tutti presi alla sprovvista. In più Rose si chiese quanto dovesse essere potente quella granata per aver distrutto un apparato così massiccio.
«Avete visite» disse Akumi al microfono.
«Okay ma potevi anche dircelo, invece di farci prendere un colpo!» rispose Balck tra un respiro e l’altro.
L’altra si limitò a rispondere con un verso che somigliava a una risata.
«E dov’è Yami? Non doveva dirci lei della polizia?» chiese Rose.
«Eccomi eccomi» fece l’hacker, tornando al suo morbido cuscino rosa. Dall’auricolare si sentì il rumore di una cannuccia. Yami si alzava sempre nei momenti meno opportuni.
Le Glherblera avevano finito di combattere contro la maggior parte delle guardie di sicurezza, i corpi dei caduti giacevano bagnati di sangue a terra, e entrò la polizia.
«Ma non finiscono mai?!» gridò Kureijī con il volto deformato da un’espressione omicida. Nonostante la domanda non ne sembrava scontenta. Prese degli aghi velenosi tra le dita e li lanciò sui nuovi arrivati. Molti dei tiri andarono a segno.
Yukida stava facendo fatica a tenere il ritmo a causa della gamba. Voleva avere un attimo di tregua per fare una fasciatura più stretta. Le altre cercavano comunque di coprila, per farle fare meno sforzo possibile. Quella che si prodigò maggiormente fu Rose che, con un pizzico di ironia, pensava che Yukida riusciva a intaccare le attività non solo del negozio, ma anche delle missioni.
Black si era accanita con un poliziotto in particolare, che non voleva mollare il duello con la ragazza. I due finirono fuori dalla struttura, in una delle vie vicino all’hotel, piuttosto buia. Akumi  li notò, sentendo il poliziotto gridare “Smetti di nasconderti, vigliacca!”.
Uno dei giochi preferiti di Black era quello di spaventare la vittima trascinandola in luoghi bui, per poi ucciderla. Ridacchiava, prendendosi in giro dell’uomo. Lanciò anche degli shuriken, eppure il poliziotto sembrava avere nervi d’acciaio, era irremovibile.
Ad Akumi davano estremamente fastidio quei modi di fare, era contraria a quello scherzare sull’uccidere le persone. Ma d'altronde, se lei si era unita all’associazione per trovare delle informazioni, le altre erano vere e proprie fanatiche dell’omicidio, si divertivano.
Black, non vedendo la reazione che sperava nel poliziotto decise che il gioco poteva anche dirsi concluso. Sfilò una piccola lama dal fianco e la lanciò verso il petto del suo avversario.
In quel momento, come d’impulso, senza averci realmente pensato, Akumi sparò sulla lama, che cadde a terra in un tintinnio, non riuscendo a sfiorare neanche la divisa dell’uomo.
Ma il rumore del fucile e il fruscio della pallottola così vicino a lui, lo portarono istintivamente a sparare verso l’origine del colpo. Ad Akumi cadde di mano il fucile, che schiantò sull’asfalto. La pallottola le aveva sfiorato la guancia. Un vero miracolo.
Il poliziotto abbassò la canna dell’arma fumante, guardò per qualche secondo la figura sul tetto e poi il fucile davanti ai suoi piedi.
La radio trasmittente che teneva assicurata sulla divisa gracchiò delle direttive, così andò via.
Black era visibilmente infastidita per quell’interruzione. «Ma cosa cavolo ti salta in mente?!» gridò alla ragazza sul tetto.
Akumi stava scendendo una scala situata proprio a mezo metro da dove si trovava. Si rivolse all’altra con il più candido dei sorrisi in risposta, ma d’un tono spaventoso, che venne accentuato dal sangue che le aveva sporcato il viso. «Basta con queste frivolezze» sentenziò, poi raccolse il suo fucile e si diresse verso l’atrio, dove si trovavano le altre.
L’altra avrebbe voluto ribattere, ma non se la sentì dopo quell’occhiata.

Le Glherblera si riunirono nell’atrio dell’hotel. Erano un paio di missioni che si erano accorte che dopo un combattimento con le guardie della sicurezza o altri agenti, nessuno inviava più uomini per contrastarle. Risultava essere un po’ strano. L’hotel era completamente a loro disposizione, isolato.
La prima parte della missione, l’occupazione della struttura, era finita. Adesso dovevano dare il via alla seconda – e quella più importante –, vale a dire la festa, che comprendeva anche il sabotaggio dell’apertura del giorno seguente.
Le ragazze si spostarono comunque nella sala attaccata all’atrio, poiché questo era troppo esposto. Certo, erano tutte quante vestite di nero e ben coperte, ma essere prudenti non era mai male.
La sala nella quale entrarono sveva tre lampadari in fila al centro del soffitto ricolmi di brillanti, c’erano dei tavoli di legno e i lati rano coronati da varie scalinate che portavano ai piani più alti. Era davvero grandioso e sì, lussuoso, davvero lussuoso. Una splendida location per una festa.
«Su, sbrighiamoci» fece Rose.
Le ragazze si erano già occupate di mandare fuori uso i loro auricolari durante i combattimenti e Akumi aveva avviato la copertura per le telecamere, così Yami non riuscì a vedere nulla, poi tagliarono i fili.
L’unico microfono ancora utilizzabile era quello di Kureijī, dal quale si sentiva la voce metallizzata di Yami che chiedeva se andava tutto bene e perché non riusciva a vedere nulla dalle telecamere.
Dovevano far arrivare Yami all’hotel, in qualche modo.
Le ragazze si guardavano pensierose, in cerca di qualche idea. A quel punto Yukida strappò dalle mani della corvina l’apparecchio e vi strillò dentro una cosa del tipo “Aiutaci Yami! Sono troppi, non riusciamo a batterli!”, poi gettò a terra l’oggetto e lo schiacciò con un piede, assicurandosi di averlo rotto.
Le altre si guardarono un attimo con gli occhi sgranati. Una richiesta di aiuto di quel tipo avrebbe fatto cadere nel panico chiunque. D’altronde, tutte sapevano che Yami aveva un brutto rapporto con le armi. Chiamarla in quel modo…
«Sei impazzita?!» gridò Rose.

Yami lasciò cadere il pacco di biscotti che aveva in mano, fissando il nero che invadeva la schermata del suo computer. C’era un blocco. Ci avrebbe impiegato troppo per sbloccare il sistema della sicurezza.
Le altre erano in pericolo. Doveva salvarle. Infondo, c’erano così tante armi vicino a lei. Doveva prenderne una e raggiungerle.
Si alzò dal cuscino in uno stato quasi di trans, di completa confusione e panico. Le tremarono le mani mentre sfiorava per la prima volta da tanto tempo la lama di un coltello.
Quella lama era così ben affilata, così pericolosa. Sembrava chiamarlo, il sangue. Quell’acciaio così pulito chiedeva un colore che lo facesse sentire completo, che gli desse quell’odore ferroso del quale tempo fa le piaceva imbevere i polmoni.
Era lo stesso giorno in cui un anno fa aveva ucciso una persona importante per lei. Ricordava il sangue sull’asfalto, il respiro flebile, il sorriso triste di lui, deluso, mentre le mani prive di forza lasciavano cadere un tulipano bianco, il fiore che le aveva colto la prima volta che la vide, per attirare la sua attenzione.
Il sorriso deluso, quando l’aveva vista negli occhi.
Yami poteva salvare le altre, ma le poteva anche uccidere. Poteva ripetere quello che aveva fatto.
Mai più un’arma, si era promessa. Tutte quelle vite. Mai più un’arma.
Non sapeva cosa sarebbe potuto succedere se avesse preso in mano quell’oggetto.
Avrebbe vinto lei o l’assassina che si celava sotto la sua pelle, di nuovo?
Eppure sapeva già la risposta.
Impugnò il coltello.

Dopo aver rimproverato a dovere Yukida per la sua pessima scelta di invito alla festa, le ragazze iniziarono a sistemare regali e quant’altro.
Akumi sperava vivamente che Yami stesse bene e che alla fine, messa di fronte ad una scelta che lei sapeva ardua, riuscisse a sconfiggere il fantasma che la tormentava ormai da troppo tempo. Mentre si perdeva in questi pensieri, Rose le stava medicando la ferita sulla guancia. «Grazie mille cara.»
Yukida rifiutò di essere portata ad un pronto soccorso. Rimanere a quella festa le stava troppo a cuore. Sapeva di poter resistere ancora un po’.
«Fuori i regali!» gridò Black, svuotando il contenuto del suo zainetto – che avrebbe dovuto contenere materiale utile per la missione – su uno dei tavoli disseminati per la sala. Dalla sacca uscì tanto di quell’oro che Yami avrebbe potuto comprare una nave. Le ragazze nel malloppo videro anche un diadema e faceva bella vista la catena che Akumi aveva visto nel pomeriggio all’interno dell’armadietto della ragazza dai capelli argentati.
Kureijī e Rose avrebbero consegnato il loro regalo a Yami una volta tornate a casa. Li avevano impacchettati e lasciati li pronti. Era impossibile portarli dietro per tutta la missione, troppo scomodo.
D’altro canto si erano organizzate per prendere una torta e dei pasticcini ad una pasticceria notturna.
Akumi si era ingegnata facendo appendere il suo quadro durante l’allestimento dell’hotel, perciò in quel momento ne stava andando alla ricerca.
Yukida d’altro canto aveva ricevuto la sua scultura di ghiaccio da una delle entrate secondarie e non sapeva come sarebbe riuscita a farla arrivare nella sala che avevano scelto. In un momento di nervosismo decise si dare un po’ di colorito alla fata che era incastrata nel ghiaccio.
Kureijī e Rose raggiunsero Yukida per darle una mano. Quando videro ciò che aveva combinato sulla statua rimasero un attimo interdette, poi Rose osservò brillantemente «Non passa dalla porta. È alta più di due metri, non hai contato il piedistallo. Poi queste sculture non dovrebbero essere montate sul posto?»
«Ognuno si arrangia come si può» rispose Yukda, non molto preoccupata.
Allora le tre ragazze cercarono di spingere la scultura all’interno. Con grande sforzo questa si mosse e la testa della fata cadde, rompendo quasi un piede a Kureijī, che sospirò, guardando con aria non poco alterata Yukida.
Rose scioccò la lingua vedendo come quell’opera era stata mal ridotta: senza testa, in preda al caldo della notte (e quindi sciogliendosi) e soprattutto con il personale tocco di Yukida, vale a dire varie strisce rosse, nate quando questa vi stava pulendo sopra il suo coltello insanguinato e cercando di correggere alcune imprecisioni con la punta della lama.
In qualche modo le ragazze riuscirono a portare la statua a destinazione.
Akumi scese una delle scalinate, tenendo tra le mani una tela. «Ho trovato il qua- eew! Cosa diamine è successo a questa povera scultura?»
Rose girò gli occhi al cielo e indicò Yukida con un cenno del capo.

Yami arrivò di fronte all’hotel. Guardò l’atrio ed era vuoto. Oltre una massiccia porta di legno sentivano delle voci. Erano lì. Prese un bel respiro e spalancò le ante.
Le ragazze all’interno vennero colte di sorpresa. Di fronte a loro c’era la figura di Yami. Stringeva un coltello nella mano destra e si guardava intorno sbattendo gli occhi.
Nel suo sguardo c’era la stessa espressione di tutti i giorni. Akumi tirò un sospiro di sollievo. Aveva vinto, alla fine.
«Ma- io- che cos’è tutto questo? Cosa è successo? Dov’è la polizia?» chiese Yami, visibilmente confusa.  
Le altre gridarono all’unisono “Sorpresa!” e poi vari auguri di buon compleanno invasero l’aria.
Le ragazze andarono ad abbracciare la festeggiata. Gli occhi le diventarono lucidi di fronte alla premura delle sue amiche, che si erano inventate una cosa tale per festeggiare il suo compleanno.
Senza perdere tempo mostrarono i regali a Yami e Kureijī cedette alla tentazione di rivelarle qualcosa del suo. Rose invece mantenne il silenzio. Voleva vedere la sua reazione quando avrebbe scartato il pacco. O meglio, i pacchi.
Akumi le aveva lasciato il suo quadro sul tavolo, non glielo consegnò di persona, preferì osservarla mentre lo prendeva. Sul volto di Yami si dipinse quasi un’espressione di commozione.
Il quadro raffigurava lei in begli abiti, con il viso radioso e un grande sorriso. Sopra c’era un biglietto che recitava “Questo è come ti vediamo noi”.
Forse era davvero quello, ciò che le importava, com’era in quel momento, com’era per le persone che amava. Ognuno nasconde degli scheletri nel suo passato, ma l’importante è come si affrontano e come si riesce a diventare dopo.
Yami avrebbe continuato a pensare ai suoi errori sicuramente, ma in qualche modo credeva che anche lui l’avesse perdonata e che poteva essere chi voleva davvero, senza lasciarsi influenzare.
Ripose il quadro sul tavolo e incrociò lo sguardo di Akumi, seduta più avanti, che le sfoggiava un grande sorriso. Era molto contenta per Yami, Finalmente aveva un bel ricordo per il giorno del suo compleanno. L’aveva aiutata a perdonare se stessa, ma era il momento che anche lei facesse pace con il suo passato.
Chiamò Kureijī, che stava accanto a lei, e le disse che stava uscendo e di non aspettarla.
Yami medicò la gamba di Yukida. Era molto brava anche come medico. Rimosse la pallottola, disinfettò la gamba e fece una fasciatura.
A quel punto le ragazze avevano tre ore per divertirsi e fare quello che volevano nell’hotel.
Prima di tutto si tuffarono in piscina, per rinfrescarsi dopo tutto quel caldo. Usarono gli accappatoi delle camere, oli profumati che sparsero un po’ ovunque, le creme nell’area massaggi. Si sdraiarono sui letti delle camere, scherzarono e parlarono del più e del meno.
Si erano fatte le quattro, così decisero di passare alla parte più movimentata della festa: le ragazze si munirono delle loro armi. A dare inizio alle danze fu Kureijī, che schiantò la sua falce su un grande vaso di vetro vicino a una scala. Le altre seguirono subito il suo esempio, sparando con le pistole alle pareti e agli oggetti all’interno. Yami aveva portato anche una mitragliatrice e delle granate. Queste ultime le avrebbero lanciate all’interno dopo essere uscite.
Rose buttò giù i lampadari e Black lanciò degli shuriken sulle tende, riducendole in pezzi. Yukida camminava con la punta del coltello poggiata sul muro, così da graffiarlo lungo il suo passaggio.
Dopo essersi divertite un po’ le ragazze uscirono dall’edificio, lanciarono le granate all’interno e si coprirono le orecchie. Avrebbero portato bombe più potenti, ma avrebbero potuto danneggiare i palazzi vicini e non era la loro intenzione, quel giorno.
Quando si sentirono gli scoppi dall’interno, le finestre della struttura crollarono in pezzi e le ragazze si guardarono ghignando. Era stato parecchio divertente e liberatorio poter distruggere tutto.
«Dov’è Black?» chiese ad un tratto Rose.
La domanda sembrò darsi risposta da sola, al che dei fuochi d’artificio colorati scoppiarono nel cielo scuro. Li aveva accesi dal giardino dell’hotel.
Le Glherblera ammirarono quello spettacolo, mentre pensavano a cosa si sarebbe inventata la stampa riguardo il caso e come i proprietari avrebbero potuto giustificato la prematura chiusura dell’hotel, che sarebbe dovuto diventare la nuova perla della città.

Le ragazze tornarono al loro appartamento. Quando salirono le scale videro Akumi che stava uscendo dalla camerata. Stava canticchiando la Primavera di Vivaldi. Era una cosa che faceva spesso, ma di solito quando tornava da qualche attività di spionaggio – perché di questo si trattava – non era mai di buon umore.
Rose aggrottò le sopracciglia.
«L’ha… l’ha trovato?» chiese Kureijī senza celare la sorpresa nella sua voce.

La finestra del corridoio si aprì e la luce invase l’appartamento.
Era l’alba.
Akumi venne avvolta dai raggi del sole e da una profonda solitudine.  



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note

Salve a tutti cari lettori!
Ringrazio chiunque ce l’abbia fatta a leggere fino a questo punto, è stato un capitolo abbastanza sostanzioso. Per fortuna ho uno scusante: TANTISSIMI AUGURI DI BUON COMPLEANNO CELYOA! ♥
Questo capitolo è nato come uno speciale per festeggiare il compleanno della mia illustre collega. Poiché essendo un capitolo di passaggio (sarebbe il 2.5 perciò collocato prima de il "Museo") sono andati ben poco avanti i fatti riguardanti la trama principale - o forse no?
In compenso si svela il misterioso passato di Yami, che aveva incuriosito parecchi. Spero che non vi abbia delusi.
Certo, ammetto che è stato un po’ complicato incentrare il capitolo su Yami essendo un personaggio piuttosto schivo. Sono dell’idea di aver dato molto spazio a altri oc, magari più carismatici. Penso la stessa cosa della festa. Mi spiace. Ç^Ç
Ad ogni modo spero che quest'ultima faccia l’effetto del Sabato del Villaggio, insomma, che l’attesa ripaghi la festa in sé, che non sono riuscita ad approfondire a dovere.
Ma!, qualche riga fa avevo introdotto alla trama della storia, ecco. Prima che mi unissi al progetto e che inviassi il mio personaggio per la fiction, Hephily stava portando avanti le sue idee e quindi mi è sembrato quasi di prendere il monopolio della storia, tagliando e modificando praticamente ovunque. Per questo le chiedo scusa.
Comunque pensiamo di scrivere un capitolo a testa e io prometto di essere molto più sintetica, tranquilli.
E beh, spero vivamente che vi sia piaciuto leggere questo capitolo e particolarmente spero che sia piaciuto a Celyoa. Ancora tantissimi auguri di buon compleanno! (Spero che alla fine tu abbia colto “quella cosa che avremmo capito solo noi due” --> uvu)
Alla prossima!
Baci,

Nhikaoru
 
 
 
 
 
* Benvenuti signori!
** Tipico incantesimo che fanno le maid per rendere il cibo più buono.

 

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Capitolo 5
*** Museo ***


MUSEO


Era passata una settimana dal tragico incidente del dottor Hoein Klascor e le ragazze non avevano scoperto nulla per continuare l’indagine e scoprire chi lo avesse ucciso.
L’enigma si stava rivelando più difficile di quanto pensavano.
Yukida aveva smesso di prendere le medicine prescritte per poi vedere come procedeva senza di esse.
Sapeva che era impossibile  controllarsi senza l’aiuto della cura, però credeva di poter provare a tenere a bada tutte quelle personalità.
I problemi cominciarono a farsi vivi soprattutto durante la notte: la ragazza si svegliava sudata, con i battiti del cuore molti forti e con un affanno da non poter riuscire a calmarsi.
Anche Yami notò l’agitazione dell’altra, guardando i movimenti dell’amica con un occhio chiuso e uno aperto in una specie di dormiveglia.
Solo dopo un bel po’ di tempo Yukida riuscì ad addormentarsi, ma ormai era giunta l’alba.
Nel mentre lei trovava un modo per riposare, le altre ragazze si stavano organizzando per affrontare un’altra giornata lavorativa, che comprendeva i giornalisti, che scrivevano su ogni quotidiano il successo del Caffenut e i fotografi, che adoravano le ragazze del maid. I loro modi raffinati e carini avevano fatto breccia nel cuore di tutte quelle persone che sedevano ai loro tavoli; in edicola erano uscite anche le loro figurine per completare gli album.
Mentre le altre ragazze si preparavano indossando le loro divise, Rose era già pronta e non accettava ritardi o persone che non avevano la voglia di lavorare.
Più che altro non gradiva il comportamento di Yukida, forse non capiva la situazione della collega.
Certe volte Rose si comportava come capo e dava ordini senza consultarsi con la più grande.
Rose non amava molto la compagnia, preferiva stare sola, lei era il lupo solitario della squadra, è molto magra ed è altra un metro e sessantotto, porta i capelli corti di colore nero come l’ebano, le punte dei suoi capelli erano tinte di blu. 
I suoi occhi erano azzurro tempesta, con una forma lievemente allungata, addolcita dalle ciglia scure e folte, le sue labbra erano rosse e sottili.
Rose era amata dal pubblico adulto (quelli da venticinque anni in su), ma le loro avance non riuscivano a sedurla.
Non le interessava avere  una relazione con uomini, poco l’importava ad avere qualcuno nella sua vita.

Nel mentre serviva i tavoli dal quale aveva preso gli ordini dava occhiate in giro per vedere se Yukida era scesa a lavorare.
Non le andava bene che le altre coprivano i suoi turni e facevano il doppio del lavoro.
- Non è possibile... -  Sospirò da dietro il bancone, riempiendo il vassoio con l’ordinazione del tavolo dieci.
- Cosa? - Chiese Kureijī, mettendo dentro la lavastoviglie i bicchieri e le tazzine sporche.
- Yukida. Non c’è mai una volta che scende a lavorare e se lo fa prende due ordinazioni e se ne va in cucina.- Rose le cose le diceva senza avere timore di nessuno.
Sapeva in un certo senso di avere ragione, ma non capiva la situazione che aveva  la sua collega.
- Non si sente bene, sono pochi giorni che non prende le medicine, dovresti un po’ compatirla. - Rispose Hyun Min, questo era il nome fittizio di Kureijī.
- Compatirla? Una come lei? Ma non farmi ridere. Facciamo i suoi turni la maggior parte del tempo, non voglio sprecare fiato parlando con una che non prende seriamente il lavoro. - Disse Rose, prendendo il vassoio per poi portarlo ai suoi clienti.
Mentre Rose si occupava a  prendere altri ordini dai tavoli, nella porta dietro il bancone che conduceva agli appartamenti di sopra, tra le scale che scricchiolavano, si poteva percepire che qualcuno stava scendendo.
Yukida aprì la porta e la prima cosa che vide fu la faccia di Kureijī, che lanciava occhiate a destra e sinistra.

Prese il grembiule il suo taccuino scarabocchiato; non amava buttarlo, ci scriveva più che poteva per poi dire “adesso sei scritto da tutte le parti” e cominciò a prendere le ordinazioni agli altri tavoli che stavano aspettando da molto tempo.
- Oh, guarda, la bella addormentata con tante personalità si è fatta viva, alla fine. Non so, vuoi un cappuccino per svegliarti? - Disse spudoratamente Rose.
Le piaceva umiliare Yukida davanti alle altre, ma quest’ultima non prendeva in considerazione le provocazioni, si limitava a fare una faccia di sdegno per poi voltare le spalle.
La condotta che aveva Yukida le dava molto sui nervi. Rose era una ragazza ordinata, precisa.
Molti dei fotografi cominciarono a scattare foto a Yukida.
Dato che lei non si faceva mai vedere, le sue immagini erano rare.
- Quei flash mi danno sui i nervi, mi accecano. - Disse Yukida, dando il foglio con l’ordinazione ad Akumi.
Haku la guardava sorridendo. Poteva capire quanto quei fotografi davano sui nervi certe volte.
- Yukida, che dici se andiamo al museo oggi? - Chiese Akumi.
Voleva andare a vedere una mostra di quadri che facevano in un museo non lontano dal loro distretto.
Ad Haku piaceva molto l’arte, essendo un’artista voleva conoscere altre nuove tecniche per poi sperimentarle.
- Che cosa? andare al museo? È il locale volete chiuderlo? - Intervenne subito Rose, sentendo il programma che stava progettando Akumi con grande entusiasmo.
- Sì, se un giorno chiudiamo il locale non penso ti cambia qualcosa. - Disse Yukida.

Haku già si immaginava quello che stava per succedere tra le due collaboratrici.
- Sì, mi cambia. Non lavori mai, noi facciamo i tuoi turni, puliamo per te e dormi fino a tardi. La tua voglia di lavorare è pari a quella di un bradipo! -
- Lo prendo per un complimento. Non penso che qualcuno sta mugolando se copre i miei turni. Vedi qualche lamentala? Facce tristi? L’unica che sta recriminando perché non le va bene la mia situazione sei tu e non mi piace il modo di fare autoritario che hai verso di me o alle altre. Devi stare al tuo posto perché nessuno comanda te e tu non devi comandare agli altri. Se non ti va bene questa situazione, te ne puoi andare, lì c’è la porta. - Yukida era diretta, diceva tutto quello che le passava per la testa.
- Ah bene, adesso con quale Yukida sto parlando? Quella calma o quella pazza, o quella emotiva o… non so, dimmi tu. -
- Rose, non continuare, ci sono clienti adesso. - Intervenne Akumi, cercando di calmare le acque, che stavano diventando mosse.
- Rose ti consiglio di andare a fare il tuo lavoro senza disturbare quello mio o delle altre. Non darmi ordini, ci sono delle regole e le devi rispettare! A lavoro! - Disse Yukida indicando con l’indice di andare a servire altri tavoli.
Rose non continuò più la discussione.
Aveva visto che la mando sinistra della sua collega era sopra il coltello per tagliare i limoni.
Preferì salvare la sua vita.
Proprio in quel momento la porta si aprì  per ospitare altri clienti, tra quelli c’era il biondino che ormai era diventato un cliente abituale, li piaceva molto stare nel Caffenut.
Ma secondo le sensazioni di Akumi quel bell’imbusto che lasciava sempre banconote molto grandi nascondeva qualcosa di molto pericoloso, i suoi occhi erano sempre puntati su Yukida e Akumi non smetteva mai di guardarle, osservava molto Yukida, ma a quest’ultima non le piaceva affatto il suo modo.
-Allora devi ordinare, perché sai c’è altra gente che vorrebbe un tavolo libero.- Disse Yukida aspettando la sua richiesta.
-Ci sono altri tavoli.- Rispose lui guardandola negli occhi con un sorriso malizioso.
-Tu occupi troppo spazio per un tavolo. Se vuoi ti faccio un tavolo tutto per te, nella porta dietro del locale, vicino l’immondizia, quello è il tuo posto.- Ribatte con un tono pungente e arrogante.
-Come siamo altezzose mia cara, ti manca qualcosa?-
-Non mi manca nulla mi stai facendo innervosire.- Yukida aveva poca pazienza con certe persone, lo prese dalla cravatta e lo tirava a se, faccia a faccia. -Sono due le cose o ordini o ti spedisco a calci nel culo fuori dal locale.- Disse con molta sfacciataggine, gli occhi di lei caddero sul collo, dove vide una cicatrice; nella sua mente qualcosa era scattato.
-Va bene ordino un tè con dei biscotti.- Rispose con molta tranquillità, ma i suoi bulbi oculari non cedevano nel guardare la cameriera, non si sa qual era il motivo guardava quelle maid.
Dopo poco minuti Yukida ritornò con l’ordine del biondino, non era molto cordiale.

Poggiò il suo tè sbattendo il piattino e poi la tazza facendo cadere qualche goccia nella sua giacca nera, sicuramente “sarà costata una fortuna” pensò in quel momento la ragazza, ma poco le importava.
-Che modi raffinati.- Disse il ragazzo guardando la collana che portava al collo la cameriera.
-Già sono come un troglodita, non posso farci niente mi dispiace, poi quella giacca fa schifo anche alle mummie.- Rispose Yukida  per poi tornare al bancone a prendere gli altri ordini.
Dopo un po’ di tempo il biondo lasciò il locale, ma di certo non mancavano le sue grandi banconote, Akumi era molto felice di vedere enormi contanti per poi sventolare ai quattro venti, anche se non le piaceva quel ragazzo, lei amava i suoi soldi. 
La giornata lavorativa era passata, Yukida alla fine aveva cambiato idea all’ultimo minuto, si era ricordata che in quel museo che volevano visitare c’era qualcosa che dovevano rubare.
Rose rimase stupita dalla decisione che prese, aveva pensato che chiudere il locale non serviva a nulla, ma a  Yukida le opinioni di Rose non le importavano neanche un po’.
Una volta chiuso il locale ed averlo pulito, cominciarono a prepararsi nella base segreta che era situata proprio sotto il locale, tutte si stavano cambiando per poi indossare vestiti più appropriati e comodi, Kureijī e Black portavano degli shorts neri con una maglietta bianca, non poteva non mancare la cintura con le bombe da far esplodere in caso d’emergenza, invece Black sulla schiena portava un bastone che schiacciando un pulsante appariva una lama affilata, teneva sempre qualche shuriken.
Akumi invece indossava un pantalone nero e la maglietta nera,  era un ottimo cecchino della squadra e la sua mira era perfetta, non sbagliava neanche un colpo, calcolava tutto nei minimi dettagli cercando di non spargere il sangue ovunque, teneva sempre qualche granata per sicurezza.
Yami invece stava dietro a i suoi computer , lavorava per il gruppo in questo modo, disattivava ogni tipo di allarme, telecamere, mandava in tilt tutto quello che poteva incastrarle, non amava mettersi al centro dell’attenzione come facevano le sue colleghe, lei era l’ombra delle sue amiche.
L’unica che  mancava ancora all’appello era Yukida che cercava le sue pistole, senza di esse lei non usciva in missione, erano molto importanti per lei, anche se non si ricordava dove le avesse prese, ma sapeva che le aveva ricevute da qualcuno.
Indossava dei leggings grigi, maglia nera e giacca nera di pelle, ma non mancavano le sue sneakers che amava molto.
Finiti tutti i preparativi le ragazze si erano dirette nel loro camper di lavoro, Yukida si mise alla guida, Akumi era affianco a lei per indicarle la strada, quest’ultima si era molto avvicinata a Yukida, cercava in qualche modo di aiutarla senza però farsi notare.
Rose era appoggiata al tavolino a osservare la persona che era alla guida, Black e Kureijī per ammazzare il tempo giocavano a morra cinese, invece l’unica rimasta al locale era Yami,  operava specialmente dal bar, non si trovava bene a lavorare in altri posti.

Arrivati a destinazione Yukida parcheggiava il camper non molto lontano dal posto per operare, una volta preso tutto l’occorrente per entrare nel museo, Rose usava il laser per fare un cerchio e poi entrare a prendere un gioiello antico che valeva tanti soldi, Akumi sentendo la parola soldi che equivaleva a banconote si era eccitata.
Una volta entrate nel museo, camminavano lungo il corridoio che portava al tesoro antico, appesi alle pareti c’erano molti quadri, Haku li trovava molto affascinanti, bellissimi, erano arte pura, fatti con il cuore e passio nel dipingere.
-Che schifo di quadri mi fanno venire il vomito!-Esclamò Black tenendo la torcia puntata nel quadro.
-Ehi non offendere l’arte è bellissima!- Rispose Akumi difendendo in qualche modo le opere tanto amate.
-Si bellissima come il culo di un bebè quando ha fatto la pupù.- Ribatte Black girando la pila in faccia ad Haku, poteva notare così l’espressione di rabbia che stava emanando in quel momento, Black scappò subito in avanti per la paura di essere uccisa dall’amica.
-Yami, quanto manca ancora?-Chiese Yukida dall’auricolare che tenevano tutte nelle orecchie.
-Cinquanta metri, dovrebbe esserci una cassaforte che ho sbloccato.- Rispose Yami dall’altra parte del telefono.
Superati i cinquanta metri che aveva detto Yami, le ragazze si ritrovarono difronte all’enorme cassaforte, una volta entrate dentro per prendere quella corona tanto bramata a Yukida.
Rose la mise dentro una borsa e se andarono lasciando ovviamente il lavoro a chiudere le porte a Yami, che attendeva questo momento.
Per uscire più velocemente le ragazze presero un’altra strada indicata dall’hacker della squadra, in quel frangente di  minuti Yukida si fermò a guardare un quadro che l’aveva attirata, ai lati in basso c’era scritto il nome fittizio di Akumi.
-Questo è il tuo dipinto, che ci fa qui?-Chiese Yukida prendendo dal braccio Haku.
-Non è il mio, la villa in cui vivevo non aveva tutte queste stanze, è strano.- Rispose Akumi guardando bene il quadro, Yukida era rimasta colpita da quel quadro, come se già lo conosceva.

Nel mentre le due ragazze contemplavamo l’opera d’arte, Black e Kureijī involontariamente fecero scattare l’allarme della sicurezza.
-Non doveva essere disattivato?!- Esclamò Akumi.
-Yami dove sei? Cosa stai combinando?!- Urlò Yukida dall’auricolare.
Akumi era indecisa se prendere o meno quell’opera che le apparteneva, voleva esaminarlo ancora di più, ma non c’era tempo per portarlo via. In poco tempo delle guardie avevano raggiunto le ragazze, e non poteva più fuggire per loro era la fine.
Haku correva per non farsi prendere, Rose era molto avanti e se tornava indietro rischiava di essere catturata anche lei, le uniche che erano rimaste indietro erano Kureijī e Black, quest’ultima aveva notato come Haku guardava la sua tela colorata, osservava la guardia che cercava di capire i suoi movimenti, ma Black pensò all’amica e prese il capolavoro falso e sgozzò la guardia con la lama del suo bastone e corse via verso l’uscita. Kureijī invece si era allontanata dal gruppo, la guardia era riuscita a metterla all’angolo.
-Adesso vediamo chi si nasconde dietro questo passamontagna.- Disse la guardia tenendo la pistola puntata verso Kureijī.
-N-Non scoprirai mai chi sono, neanche se uccido la tua famiglia!- Minacciò con molta arroganza il custode.
Era messa alle strette non riusciva a fuggire da  nessuna parte, chiuse gli occhi pensava che per lei era finita, quando poi sentì qualcosa che sporcava le sue vesti, apriva gli occhi piano piano, vedeva un pugnale infilzato nel corpo della guardia, era un colpo diretto inferto con tanta rabbia, per poi essere estratto con tanta ferocia, il pavimento era pieno di sangue, e la guardia era morta.
-Andiamo.- Disse Yukida tirando Kureijī per uscire via da quel posto.
Black era molto eccitata, stava quasi rischiando di essere scoperta,  per lei era una grande sfida, non aveva mai avuto molta adrelina in corpo e non riusciva a calmarsi.
Akumi invece non era spaventata anzi si chiedeva come quel suo quadro che aveva dipinto molti anni fa, si ritrovò in quel museo, voleva indagare ancora di più e scoprire chi l’aveva portato lì.
Kureijī invece si era ripresa mangiando una barretta energetica.
Yukida era tranquilla, uccidere la gente la faceva sentire bene, l’unica arrabbiata era Rose, non accettava un simile errore da parte di Yami, soprattutto che lei era la maga dei computer, una volta tornata al locale l’avrebbe rimproverata per la sua inefficienza nel lavoro.

Yami doveva dare delle spiegazioni valide sul fatto che non aveva disattivato quell’allarme e Rose non accettava delle banali scuse buttate in aria. 
Finalmente arrivate nel locale, le ragazze fecero finta di nulla, Black andò subito a farsi una doccia fredda per calmare quella adrelina che le scorreva in corpo, Kureijī invece si era precipitata in cucina a mangiare qualcosa e a dissetarsi.
Rose era scesa al piano di sotto per chiedere delle spiegazioni a Yami sul suo lavoro svolto male.
Fissò la collega seduta nella sedia dietro a vari computer e sentiva i rumore dei tasti che schiacciava molto velocemente.
Era molto concentrata e non amava essere disturbata.
-Per colpa tua stavamo per essere prese tutte quante.- Disse Rose con molta franchezza.
-Come scusa?- Fece finta di non capire la frase di Rose, continuava nel mentre il suo lavoro.
-Non hai disattivato  i sistemi di sicurezza e ci mancava poco che ci scoprivano, sei inefficiente, abbiamo ucciso due persone che non c’entravano nulla a causa tua!-La voce di Rose si stava facendo sempre più alta.
-Cosa vuoi le scuse? Mi era venuto una crampo allo stomaco e mi serviva qualcosa da mangiare, scusami se non ti ho salvato quelle chiappe perfettine che ti ritrovi!- Rispose a tono Yami, non le piaceva quando qualcuno le diceva come fare il suo lavoro, anche quando non lascerebbe mai le sue amiche nei guai, trovava sempre un modo per aiutarle.
-E  tu saresti  la maga dei computer? Ma fammi il piacere, il tuo compito è di rendere inattivo tutte le sicurezze e allarmi che troviamo  in ogni missione, sapevo che venire con voi in questa missione era un suicidio!-
-Bene potevi startene al locale e fare qualcosa di più costruttivo per le tue unghie lunghe.- Disse una voce dietro di lei con in testa un asciugamano.

Rose sobbalzò quando sentì Yukida parlare, non si aspettava un’entrata del genere della collega.
-Non verrò mai più in missione con voi.- Ribatte Rose sfidando gli sguardi di Yukida.
-Faremo a meno della tua presenza, abbiamo sempre lavorato bene anche prima che tu ti unissi  a noi, se a te piace fare le missioni come lupo solitario vai ben venga, non ti costringiamo mica a seguirci.-
-Certo non permetto a delle novelline come voi di farmi uccidere.- Affermò Rose.
-Non penso sei morta, sei la prima che è corsa via appena scattato l’allarme, non ti sei preoccupata che le tue compagne erano rimaste indietro e ti lamenti se io ho dimenticato di togliere un allarme!- Yami era arrivata al punto dell’esasperazione non tollerava certe prediche inutili, poteva capire a tutti di fare un errore.
-Si mi lamento, posso dire cosa voglio e per me non  sei un granché come hacker dei computer!- Esclamò Rose stringendo i pugni, non amava che nessuno le teneva testa soprattutto se quel qualcuno era solo una novellina.
-Rose adesso basta, non puoi rimproverare Yami, hai sbagliato anche tu, non fare la prima donna quando non lo sei! Non devi dire agli altri come devono fare il loro lavoro, stai al tuo POSTO!- Intervenne Yukida sbattendo un pugno sul tavolo che aveva davanti.
Rose sussultò sentendo quel rumore che aveva provocato Yukida, per la prima volta aveva visto la personalità cattiva della collega,  Rose sapeva che di avere ragione, era molto orgogliosa, non ammetteva mai i suoi sbagli, tornò in stanza sua per farsi una doccia, riposare e dimenticare l’accaduto di quello che era successo.
Yukida guardò Yami con severità, quest’ultima aveva capito di aver sbagliato, ma Yukida non le disse nulla, si diresse verso la sua stanza per riposare e meditare sul quel quadro che avevano preso.
Yami sapeva interpretare bene le occhiate che mandava la sua amica, spense tutti i suoi computer e si preparò anche lei per andare a dormire.

 
Note dell’autore:

Salve cari lettori! Eccomi qui con un nuovo capitolo di questa serie. In questa parte vediamo un nuovo personaggio dell’organizzazione che sarà l’ultimo che appartiene alle “Ghlerblera”. Vi comunico che la serie sarà scritta a quattro mani, scoprirete presto l’altra autrice. Abbiamo deciso insieme all’altra autrice di fare un piccolo sondaggio, perché vogliamo sentire le vostre opinioni. Vorremmo sapere tra queste Maid quella che vi attira di più, così per farci un’idea chiara per come rendere la storia ancora più interessate, aspetto con ansia le vostre opinioni. Buona lettura!

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Capitolo 6
*** Ricordi del passato ***



Ricordi del passato



La missione del museo era andata più che bene e le ragazze si potevano concedere il privilegio di andare a riposare, per essere pronte alla giornata successiva che le attendeva.
Black era caduta in un sonno profondo, era molto difficile destarla, poteva scoppiare una bomba, ma non serviva per svegliarla.
Rose si era diretta verso il suo bagno privato per farsi una doccia fredda e dimenticarsi delle sfuriata che aveva avuto con Yukida e Yami, non riusciva a tollerare dei simili comportamenti, doveva passarci di sopra, e cercare di migliorare insieme alle sue amiche.
Yami dopo quella litigata con Rose si diresse a dormire e calmare quella rabbia irrefrenabile, neanche lei amava quando qualcuno cercava di dirle come fare il lavoro che lei già sapeva fare da molto tempo.
Aveva frequentato molte scuole e università prestigiose per imparare il mestiere che le fruttifera molto denaro.
Yukida invece era nella stanza del poligono, con la sua inseparabile pistola, ogni colpo che sparava era ricoperto da odio, collera, non riusciva a darsi risposte alle domande che si poneva ogni giorno, la sua testa era un continuo blackout.
L’altra ragazza che ancora non riusciva a prendere sonno era proprio Kureijī, nella missione aveva sbagliato tante cose, questo la portava a pensare che nella squadra era l’anello debole, che non serviva a nulla.
I suoi pensieri erano legati al suo passato che la tenevano ancora prigioniera, non riusciva a varcare quella soglia per poter uscire dall’incubo che la perseguitava giorno dopo giorno.
Non amava che le altre rischiassero la vita per salvare la sua, non lo accettava, era più forte di lei.
Guardò il soffitto, era incredula che per un suo errore, rischiava di essere scoperta e catturata insieme alle altre, non riusciva a perdonare se stessa.
Decise di scendere dal letto per dirigersi alla base, per restare un po’ tranquilla e ritrovare la pace dei sensi che aveva perso.
Aprì la porta con molta delicatezza, per non fare ulteriore rumore, una volta dentro udì un susseguirvi di rumore di pistola, pensava di essere l’unica in quel momento nella base, ma si sbagliava.
Proseguì verso la sala poligono, quando vide Yukida, sembrava molto calma, ma le sagome ricoperte di proiettili indicavano tutt’altro.
Era rimasta stupefatta della mira che aveva la sua collega, “Akumi di certo la invidierebbe” pensava Kureijī nella sua mente.
Non riusciva a staccare gli occhi da Yukida, aveva una profonda ammirazione per la sua amica, dalla sua bocca non usciva nessuna parola,  era silenziosa, molto silenziosa.
-Cosa ti affligge Kureijī?-Chiese Yukida, aveva sentito la sua presenza appena varcata la porta della base.

L’amica sussultò a sentirsi quella domanda, pensava che Yukida non se ne fosse accorta che era lì con lei.
-Nulla..- Disse quest’ultima nascondendo la verità.
-Non mi chiamo di certo Black che crede a tutto quello che dicono.-
-Non voglio disturbarti per le mie stupidate, sei molto concentrata nel tuo allenamento.-
Kureijī non sapeva se Yukida fosse la persona giusta con cui confidarsi essendo in una situazione peggiore della sua, guardava la ragazza con un punto interrogativo che si era formato sopra la testa.
-Anche tu hai un demone del passato che ti assilla e non ti lascia respirare.- Yukida aveva azzeccato il problema della corvina senza chiederglielo.
-Come fai a saperlo? Non l’ho detto a nessuno.-
-Non ti ci vuole tanto a capirlo, ti si legge praticamente in faccia, e lo notato durante la missione che avevi la testa in un altro posto.-
-Mi dispiace Yukida, non succederà più, stavamo per essere scoperte per colpa mia.-
-Naah, non ti preoccupare, può succedere.- Rispose Yukida accennando un lieve sorriso.
-Dunque..-
-Ti ascolto.-
Le due ragazze tornarono nella postazione dei computer, dove avevano il loro scrittoio personale, Yukida accese il suo computer personale, Kureijī non riusciva a capire come potesse fare più contemporaneamente.
-In passato i miei genitori erano proprietari di diversi alberghi di lusso, in sostanza eravamo ricchi da far paura, vivevamo nell’hotel, un giorno si presentò un bel ragazzo poteva essere più grande di me di tre anni.- Kureijī cominciò a tremare, e gli occhi di Yukida si fissarono su di lei.
-Uhm..Kureijī fai finta che stai parlando con te stessa, immagina me come uno specchio, a me aiuta spesso.-
Era l’unico consiglio che era riuscita a darle in quel momento, anche Yukida aveva la testa ad altro, voleva trovare informazioni e se ci fossero delle notizie riguardanti il nome che si era ricordata nei giorni precedenti.
-Mi ero innamorata di quel ragazzo, e credo che anche lui si fosse innamorato di me, ero speciale pe lui, amava i miei occhi eterocromi, poi quella notte tutto cambiò, pensavo di fidarmi di lui, invece no, uccise i miei genitori e i miei fratelli insieme ad altri tre ragazzi, tutto questo accadde davanti ai miei occhi, mi lasciò una cicatrice lungo il petto, voleva uccidermi, ma non riuscì nell’intento, ero inesperta in quel periodo, ma quello che voglio ora e trovarlo e vendicarmi di lui personalmente.- Disse Kureijī con molta rabbia, si era fidata del ragazzo che diceva che l’amava, ha tradito la sua fiducia, solo per avere soldi in cambio di quella commissione.

Voleva spiegazioni per il gesto che aveva compiuto, l’unico modo per incontrarlo era diventare anche lei un’assassina per poi trovarlo e decidere se ucciderlo o meno.
-Non puoi sempre soffermarti sul passato, devi andare avanti, il passato non si può cambiare, ma posso dirti che dal passato puoi imparare.- Kureijī guardò Yukida negli occhi, sapeva di avere ragione, non poteva rimanere ancora in quell’incubo, doveva prendere la sua vita nelle mani e cambiarla ancora una volta.
Il suo passato era molto doloroso da combattere da sola, ma sapeva che insieme alle altre amiche ci sarebbe riuscita.
-Hai ragione..avervi accanto per me è una gioia immensa, e grazie a voi se cresco ogni giorno, grazie Yukida.-
Kureijī si aspettava un abbraccio,  ma lo stava chiedendo alla persona sbagliata, si era accontentata di un semplice sorriso, stampato sulla bocca di Yukida, le uniche poche volte che sorrideva.
Gli occhi della corvina si soffermarono sullo scatolone posto nello scrittoio dell’amica, era molto incuriosita, voleva sapere cosa conteneva, e magari scoprire qualcosa su di lei.
-Come si chiama il tuo ex assassino?-
-Adarin, perché lo chiedi?-
-Così per sapere.-
-Yukida, faccio una domanda azzardata, hai avuto un ragazzo?-
-Non ricordo nulla, non so se sono sposata, fidanzata o altre cose, perché queste domande assurde?-
-Così per sapere.- Disse Kureijī guardando la ragazza che si strofinava gli occhi, non aveva mai visto il colore dei suoi occhi portava sempre le lenti colorate.
-Ricordo solo che quando sono uscita dall’ospedale mi hanno dato questa scatola, contenente i miei effetti personali, neanche mi hanno detto come ci sono finita dentro un ospedale, non so nulla di me.- Rispose Yukida cercando qualcosa nel pacco.

Il suo computer faceva una serie di bip continui e la sua amica si era incuriosita che cominciò a guardare anche lei, per capire a cosa stesse lavorando.
-Che c’è scritto? S-Simeon? Chi è?-
-Mi sono ricordata di questo nome, ma i database delle banche, degli ospedali, non mi dice nulla.-
-Hai provato a stringere le ricerche, prova nelle zone private, in altri quartieri, magari esce qualcosa.- La corvina si era abbastanza ripresa dalla sua chiacchierata, rispetto a Yami, lei doveva semplicemente raccontare quello che le era successo, per andare avanti, le serviva qualcuno con cui confidarsi.
Yukida accettò il consiglio dell’amica, continuò la ricerca, senza alcun risultato, eppure c’era qualcosa che le sfuggiva.
Non aveva altri indizi su quel nome.
-Merda! Stupido computer, non sai fare mai il tuo lavoro!- Imprecò Yukida contro il pc personale.
-Forse nella scatola c’è qualcosa, prova a controllare.- Disse l’amica curiosa di scoprire cosa conteneva la scatola.
-Controlla tu per favore, sono molto concentrata qui.-
Kureijī aspettava solo quella frase, cominciò ad aprire la scatola, e controllare ogni minimo dettaglio che conteneva.
L’amica cominciò a uscire alcune carte, foto,  un mazzo di chiavi, carte di credito, passaporti falsi.
-Bell’orologio.- Disse  Kureijī guardando i gioielli presenti dentro la scatola.

Yukida alzò lo sguardo verso l’amica, guardò con attenzione l’oggetto in questione.
-Ma è da maschio, Aspetta! Dammi qui!- Rispose Yukida prendendo dalla mano dell’amica l’orologio, lo fissò nuovamente con attenzione, cercando qualche impronta forse.
-C’è anche una scheda con il codice a barre, c’è il tuo nome sopra, è un numero.-
-Kureijī che numero c’è scritto?-Chiese la smemorata del gruppo, facendo ricerche sull’orologio tramite il computer.
-Ventiquattro, trentotto, novantacinque, quarantadue e quattordici, settantacinque, ora che ci penso questo è un numero che ripeti sempre tu di notte.- Ribatte Kureijī guardando bene quel scheda.
-Come ripeto di notte? Faccio qualche ricerca.-
-Si non fai altro che parlare durante la notte e ripeti questo numero, sarà qualche coordinata di qualche posto.-
-Kureijī tu sei un genio, è una villa enorme, un’ora da qui, possiamo farcela andiamo!- Disse con molto entusiasmo Yukida.
Prese la sua giacca di pelle nera e si diresse verso il garage dove costudivano la loro macchina nera, con qualche striscia di ritocco d’argento.
-Santo cioccolato! Avevamo una macchina del genere nel garage?!- Kureijī era molto entusiasta della visuale che aveva appena visto, non si era mai immaginata che Yukida avesse una macchina del genere.
Kureijī amava tutto quello che riguardava le macchine, moto, gip, motori.

Quel mondo l’affascinava parecchio, per questo riusciva sempre a risolvere i problemi da meccanico.
-Mentre guido, cerca più informazioni sulla villa.- Disse Yukida entrando nella sua macchina cilindrata, la mise in moto, e il suo del motore era ruggente e forte.
Kureijī sbavava dalla voglia di manometterla e renderla ancora più veloce di quanto non lo fosse già, desiderava guidarla almeno una volta, per lei sedersi in quei sedili era come nuotare nell’oro, ma essere alla guida era come navigare nei diamanti. Si asciugò la bava che le colava dalla bocca, si mi composta e cerco di diventare seria nel suo lavoro.
-Allora la villa è nata negli anni 30, è stata parecchie volte usata come base per battaglie, era usata anche come ospedale per i feriti, ha molti tunnel che venivano usati per far scappare le persone, che erano condannate alla pena di morte, una specie di castello. Vent’anni dopo venne distrutta rasa al suolo, l’unica cosa che era rimasta intatta, furono proprio i tunnel, erano costruiti con un materiale resistente a qualunque cosa.-
-Kureijī perché ti sei fermata? Continua a leggere!-Imprecò Yukida premendo ancora di più il pedale dell’acceleratore.
-Se corri così non posso mica leggere!- Rispose l’amica tenendosi più forte che poteva ai sedili.
-Scusa, non lo faccio più.-
-Bene, credo di aver scombusolato il mio stomaco, con tutto il resto degli organi. Comunque, sentì un po’ qui, la casa venne ricostruita da cima a fondo, aggiungendo un piano alla villa con una grandissima piscina e un gazebo nel giardino. Venne poi messa all’asta cinque anni fa, è comprata.- Kureijī si fermò leggendo il nome nella sua mente.
-Comprata da chi? Vuoi parlare, porco cioccolato!-
-Da te, comprata da te.- Yukida frenò di colpò sentendo quello che aveva detto la sua amica. Era impossibile che non si ricordava di aver comprato un enorme villa, che valeva un mucchio di quattrini.
Prese il computer dalle mani dell’amica, voleva leggerlo con i propri occhi.
Leggeva in continuazione quella frase,  era incredula.
-Guarda se ci sono altre informazioni al riguardo.- Disse Yukida con tono serio.
Kureijī controllava ogni tipo di documento che riguardava Yukida e la villa.
Ma non trovava nulla, era come se parte della sua vita fosse stata eliminata, o magari qualcuno aveva eliminato i documenti più importanti da ogni database.
Era passata un’ora e durante il tragitto si sentiva solo lo stomaco di Kureijī brontolare dalla fame.
Erano arrivate a destinazione, quando videro una macchina parcheggiata lì davanti, passarono dalla parte posteriore della casa, una lunga vetrata era davanti a loro.
La casa era ben ordinata, non sembrava esserci nessuno nel grande salone.
Yukida aprì con molta delicatezza la porta scorrevole, intrufolandosi dentro con l’amica. Sopra i mobili c’erano molte foto, che riguardavano proprio la diretta interessata.
-Non sembra, ma sei molto narcisista da quanto vedo.- Disse Kureijī prendendo tra le mani il quadretto con una foto della sua amica.
-Metà delle foto sono strappate.-
-Come fai a saperlo?- Chiese stupita l’amica, come faceva a sapere che quelle foto erano rotte.
-Si nota, i quadri sono messi a caso, si nota da come qualcuno li ha manomessi, come se stessero cercando qualcosa oppure costruendo qualcosa dietro alle cornici.- Disse Yukida guardando una foto in particolare, il quadro sembrava che la stesse guardando e osservando attentamente.
-Perché ho una brutta sensazione tipo che siamo spiate, è così tetro qui.-
-Non è una brutta sensazione che senti, sembra che qualcuno ci stesse aspettando.- Yukida non staccava gli occhi da quel quadro, quel trucchetto lo conosceva molto bene. Da una parte della case si attivò la musica, Kureijī sussultò, pensava che erano le uniche a essere lì a guardare la casa, tirò fuori la pistola dalla paura.

La ragazza dai capelli corvino notò qualcosa tramite uno specchio, puntò la pistola girandosi verso la grande vetrata e cominciò a sparare, così il vetro della grande porta si fece in mille pezzi.
-Cazzo Kureijī mi ha scassato la porta!-Imprecò Yukida vedendo la sua amica correre verso la figura che stava fuggendo. 
Era rimasta sola in quel momento, finché una presenza non si fece sentire alle sue spalle. Non ebbe tempo di girarsi che la figura nemica cominciò ad attaccarla, senza lasciarle un attimo di tregua, erano ad armi pari.
Fin quando Yukida non usò il suo pugnale per lasciare un segno molto profondo nel braccio del nemico, approfittò  di quei pochi minuti per fuggire via il più presto possibile.
Il nemico prese la pistola che teneva nella vita del pantalone, aprì il fuoco prendendo Yukida nella gamba dov’era stata colpita poco tempo prima in una missione.
-Hay! Ma che avete contro questa gamba!- Imprecò Yukida ormai a terra.
Una macchina sfrecciò all’improvviso davanti a lei, lo sportello si aprì di colpo.
 -Andiamo! Salta su!- Gridò Kureijī aiutandola a salire nella macchina.
Le due amiche fuggirono prima che una delle due ci lasciasse le penne in quella villa. Yukida si curava per quel che poteva la gamba, Kureijī invece aveva poche ferite, era molto strano che il suo nemico non l’avesse uccisa nuovamente, poteva già scommettere chi era il suo avversario.
Arrivarono alla base, la prima cosa che fecero fu quella di curare la gamba di Yukida e ideare un piano per rientrare nuovamente  in quella villa.

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Capitolo 7
*** Indagini ***


Indagini


L’adrenalina era molta nel corpo di Kureijī, non riusciva a controllarsi, non poteva tenere neanche un bicchiere d’acqua in mano di quanto era agitata.
Fu la prima volta per lei uscire in missione con Yukida, non erano mai andate insieme da qualche parte, quest’ultima andava in servizio con Akumi oppure con Black, invece Kureijī era a essere isolata dalla sua amica. 
Non aveva mai guidato una macchina prima d’ora, aveva una patente, una falsa, però per lei era una patente vera a tutti gli effetti, era un’ottima guidatrice, questo però non le dava il permesso di prendere la macchina della sua amica pazza.
L’adrenalina era troppa nel corpo, Kureijī non riusciva neanche ad aiutare Yukida a medicarsi, la mano le tremava troppo, le serviva un tranquillante, quella sensazione la faceva stare bene, le piaceva.
-È STATO BELLISSIMO!- urlò a squarcia gola Kureijī.
-Quando vai con le altre non fai tutto questo?- Chiese stupita Yukida, non si era mai immaginata una cosa del genere.
-Si facciamo più o meno queste cose, ma non guido mai nulla, però con te è stato diverso.-
-Diverso? Hai guidato una macchina, che c’è di diverso?- Yukida era intenta a medicarsi la ferita riportata nella gamba.
-Sai che io e te non abbiamo mai fatto una missione insieme, se non quelle in gruppo, Black non faceva altro che parlare delle tue missioni, mi era venuta un po’ l’invidia, volevo provare anche io.-
-Ecco spiegato l’arcano.-
-Come fai a chiudere quella ferita da sola, non ti sei neanche iniettata il tranquillante.-

Kureijī cambiava un discorso molto velocemente, era colpita di come Yukida si curasse le ferite d’arma da fuoco, non sentiva nulla in certi punti.
-Non lo so nemmeno io, neanche sapevo di essere brava a guarire.-
-Non è che lavoravi per qualche servizio segreto nella tua vita precedente?- Chiese Kureijī fece una domanda molto azzardata.
-Non lo so, ma so per certo di aver messo una cimice a quel cretino che mi ha sparato.- Disse Yukida soddisfatta del suo operato.
Non era molto scossa di quello che l’era appena successo, era molto infastidita di scoprire che qualcuno avesse la sua casa e di stare nella sua dimora, inoltre sapeva che quel qualcuno era a conoscenza di molti particolari che la riguardavano.
Non riusciva proprio a ricordare nulla di lei, nemmeno nella casa in cui ha vissuto per alcuni anni, la sua memoria era in un totale blackout.
Era ormai giunta l’alba, avevano trascorso una notte molto movimentata, in quel momento dormire non serviva a niente, preferivano farsi una doccia fredda, per cercare di essere presentabili a lavoro e dare il meglio di loro.
Le altre ragazze si erano appena svegliata, fu una cosa scioccante vedere le due dormiglione già sveglie prima di chiunque altro, non riuscivano a spiegarsi come mai si erano svegliate così presto, dato che loro dormivano molto di più rispetto alle altre.

Rose squadrava ogni minimo particolare, trovava sempre qualcosa che le incriminava, non amava stare nel disordine e in quel momento la stanza era sottosopra, ma poco le importava, doveva riferire delle cose a Yukida che le riguardavano.
In pochi giorni Rose aveva scoperto qualcosa sulle medicine che prendeva la sua amica/rivale, e non sapeva come porsi con lei dopo i recenti litigi.
Entrò nel bagno con molta sicurezza, mettendosi una mano davanti agli occhi per non guardare, si vergognava molto di vedere le persone nude, era anche una forma di rispetto verso le altre.
-Yukida dovrei parlarti.- Disse Rose con tono molto serio rimanendo difronte la cabina della doccia.
-Riguardo a cosa?- Si sentiva l’acqua scorrere molto velocemente.
-Uhm..arrivo al sodo, quelle medicine che prendevi, non ti aiutavano per niente.- Rispose Rose era molto convinta delle ricerche svolte di nascosto senza dire nulla a nessuno.
Ma aveva più paura della reazione dell’amica.
-Cioè che vuoi dire? Il dottore mi aveva assicurato che mi avrebbero guarito.-
-Guarito? No ti aiutavano a perdere ulteriormente la memoria.- Ribatte con molta franchezza Rose, era molto difficile esporre il problema.
-Aspetta vorresti dire che quel dottore ha mentito?!- Yukida uscì dalla doccia con una furia, si mise l’asciugamano di sopra, era davanti alla toletta del bagno quando cominciò a picchiettare con le unghia sul lavabo.
-Si, inoltre lavorava per dei servizi segreti, aveva rubato l’identità al tuo specialista, ho trovato il corpo carbonizzato due giorni fa.-
-Comincio a pensare che la situazione si sta facendo davvero complicata, hai altro da farmi vedere?- Chiese Yukida mentre si vestiva, le due ragazze poi si erano dirette verso la base per parlare meglio, con loro c’era anche Kureijī,

Akumi stava finendo di studiare il suo quadro falso, vicino allo scrittoio di Rose, dava qualche occhiatina alle ragazze per capire di cosa stessero parlando.
Le foto sviluppate erano molto forti, nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di guardarle e di esaminarla con molta attenzione, Rose in gran segreto aveva svolto delle indagine senza dire niente alle altre, non voleva mettere ulteriormente al repentaglio la vita delle altre, in fondo lei ci teneva alle sue amiche.
Soprattutto non poteva far cadere le prove nelle mani sbagliate, poteva risultare molto pericoloso.
Nel suo scrittoio c’erano molti fogli, documenti, foto di varie persone, test di DNA delle vittime, aveva svolto delle indagine molto approfondite.
C’erano una foto in particolare che era risaltata all’occhio di Kureijī, ma non riusciva a ricordare dove  l’avesse vista prima d’ora.
-Questo è il finto specialista che ti curava.- Disse Rose mostrando la foto con il nome.
-Almeno il finto dottore era davvero bello.- Intervenne Kure sdrammatizzando un po’ la situazione cupa che si era appena creata.
-Questo invece è il vero medico, un uomo sulla quarantina d’anni, ucciso con tre colpi alla tempia e poi il corpo l’ho trovato  bruciato, l’aveva portato in dei campi di grano non molto lontani da qui.- Ribatte Rose indicando sulla cartina la posizione del corpo.
-Dain Laswlor.. – Disse Yukida leggendo il vero nome del criminale, le sembrava di aver già sentito quel nome da qualche parte, ma non ricordava precisamente il nome.

Kureijī invece stava pensando dove aveva visto quel tatuaggio particolare, solo dopo aver spremuto bene il cervello riuscì a ricordarsi.
Quel segno l’aveva colpita molto le era rimasto impresso nella mente per bene.
-Si ora ricordo, questo tatuaggio, l’ho visto alla serata di benificienza con Black!- Alzò un tantino la voce.
La sua frase aveva attirato anche l’attenzione di Akumi, anche lei aveva visto già quel simbolo nell’uomo che tentò di ucciderla anni fa, tutto riconduceva alla villa reale di Akumi.
Il punto di riferimento era l’accaduto che successe molto tempo fa, l’unico modo di scoprirlo era di andare a far visita nella sua vecchia casa, questo voleva dire aprire la ferita che procurava molto dolore in se stessa.
Il suo sguardo si era fermato sopra Yukida, nessuna delle due si ricordava il passato che le aveva unite, c’era qualcosa che convinceva Akumi a pensare che la sua amica c’entrava qualcosa nell’accaduto, come se si fossero già incontrate prima.
Yukida si accorse quasi subito che l’amica la stava osservando, si limitò ad avere un cenno di sorriso, questo fece arrossire Akumi, tornò a lavorare nel suo quadro e dimenticare quello che stava pensando.
Rose ritirò tutte le sue indagine e le mise dentro una grande scatola, per poi andare insieme a Kureijī a servire ai tavoli.
Akumi e Yukida erano rimaste sole nella base, nessuna delle due aveva tirato fuori un argomento, erano molto prese dai loro lavori, Yukida non riusciva a staccare gli occhi dal pc, stava aspettando che la sua preda usciva dalla casa, quel pallino rosso nel programma del pc era fermo, stava perdendo le staffe, pensava che quella cimice non funzionava per nulla.
Giusto il tempo di aprire il programma nell’orologio touch, il pallino rosso cominciò a muoversi, uscì molto velocemente dalla base per andare sopra negli appartamenti per togliersi la divisa da lavoro per mettersi dei vestiti più comodi, teneva sotto controllo l’orologio, era vicino alla finestra per prendere il suo pugnale, quando vide degli strani movimenti nel tetto di fronte al locale, non sapeva cosa stava succedendo.
Si avvicinò con molta cautela nella parete che era collegata con la base, diede dei colpi, che solo le ragazze riuscivano a interpretare, Akumi  sentì il segnale e prese uno dei suoi fucili con il silenziatore, uscì dalle scale d’emergenza che conducevano al tetto  del locale, si posizionò a terra e controllava quei criminali con il mirino, l’auricolare era a posizionato nell’orecchio per dare informazioni alle ragazze, la giornata stava diventando molto movimentata.

Il locale era stracolmo di gente e se quei malviventi avessero aperto il fuoco, molti civili potevano perdere la vita e questo Yukida non lo tollerava, era scesa nel locale per avvisare le ragazze, era dietro al bancone a coprire il turno di Akumi, controllava più cose in una volta sola, aveva gli occhi puntati sull’orologio, quando dalla porta entrò il cliente abituale che lei destava, si sedette nella sedia vicino al bancone proprio dove c’era Yukida, quel ragazzo non riusciva a starli lontano, era sempre nel locale, non si sapeva per quale motivo controllava la cameriera.
-Dovresti servire i clienti non giocare con il telefono.- Disse l’ignoto attirando l’attenzione di Yukida, il suo sguardo non era uno dei più carini. Era infastidita dalla sua presenza.
-Spero che la prossima volta ti tagliano la lingua.- Rispose Yukida  guardandolo dritto negli occhi.
-Vorrei un cappuccino e un muffin alle fragole.-  Yukida cominciò a preparare l’ordine del cliente.
Ma non staccava gli occhi di sopra al ragazzo che era intento a guardare il telefono e digitare qualche messaggio, che lei intuì molto velocemente, portò l’ordinazione al biondo sexy che la importunava.
-Spero che una macchina ti investa appena esci.- Disse Yukida osservando il braccio fasciato, questo attirò la sua attenzione, tutto stava cominciando a farsi chiaro nella sua mente.
-Molto gentile da parte tua, che ti sei fatta alla gamba?- Chiese l’uomo curioso della fasciatura che aveva Yukida.
-Che ti importa?! Non sono mica dovuta a dirti che cosa mi sono fatta!-

Il cursore cominciò a lampeggiare molto più velocemente.
Yukida era riuscita a trovare l’uomo della sera precedente e questo non riusciva a perdonarselo, stava per tirare fuori la pistola, quando notò che un pallino rosso cominciava a muoversi sul suo corpo.
-TUTTI GIÚ!- Gridò Black accortasi del pericolo.
L’uomo misterioso saltò sopra Yukida per proteggerla, il bancone faceva da scudo in quel momento.
I clienti del locale cominciarono ad andare nel panico, non era mai successo che il locale venisse preso di mira in questo modo, ma non sapevano che non era la concorrenza a fare danno, ma bensì qualcun altro che le voleva morte, volevano sterminare la loro organizzazione.
Akumi dal tetto aprì il fuoco, in poco tempo il locale era circondato da dei criminali, salì anche Kureijī ad aiutarla, non potevano permettersi che il loro duro lavoro andasse in frantumi per colpa di qualcuno.
Black prese una delle tante pistole che portava sotto l’uniforme aprì il fuoco anche lei, erano troppi uomini, Yami aiutava i clienti a ripararsi conducendoli nella stanza blindata, lì erano al sicuro nessuno poteva farsi male, dopo averli messi al sicuro prese un arco che aveva e cominciò a tirare frecce, era molto veloce a usare quell’arco.
I bicchieri di cristallo che erano nel bancone si erano tutti frantumati cadendo così sopra i due ragazzi, che si riparavano dalla sparatoria in corso.
-Maledetti, li faccio fuori tutti!- Esclamò con molta rabbia Yukida.
Il ragazzo che l’aveva salvata prese la pistola che teneva nel fodero cominciò ad aprire il fuoco anche lui, non si sa per quale motivo aiutò la ragazza.
Solo dopo l’intervento della polizia le acque si calmarono,  il locale era tutto distrutto, non si poteva recuperare più nulla, i muri erano pieni di proiettili, sangue nelle pareti, sedie e tavoli distrutti, ma la cosa peggiore era quella di dare spiegazioni alla polizia.
Rose già si immaginava ogni cosa, uno dei detective si rivolse a lei, con molta calma Rose spiegò la situazione del locale, era minacciato da molto tempo, e loro per precauzione avevano comprato delle pistole per difendersi, si erano allenate al poligono e avevano le carte in regola per usare le armi, la polizia credette al racconto e stipulò una denuncia contro ignoti.
Il ragazzo che le aveva aiutate a salvarsi erano fuggito, si era volatilizzato.
Ma non sapeva che ancora aveva la cimice attaccata.
 

 

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Capitolo 8
*** Lacrime ***


 
LACRIME



Il locale era andato distrutto, non si poteva salvare più nulla, a parte la cucina e il cuoco erano rimasti intatti, così come l’appartamento di sopra e la basa, l’unica cosa distrutta era il caffenut.
Era un problema, il bar rimaneva chiuso per alcuni giorni, questo andava bene per Yukida dato che aveva già in mente di ristrutturare  per rinnovarlo un po’, l’assicurazione copriva tutto dopo quella sparatoria, tanto vale rimodernare.
Yami guardava l’amica, ancora non erano riusciti a farsi una chiacchierata a quattro occhi dopo la sua festa di compleanno, non voleva più prendere un coltello in mano, per nessuna ragione al mondo, però Yukida era riuscita a portarla in quella via, dovevano chiarire quella situazione.
Yami seguì l’amica fino alla base, sapeva che li rimanevano sole per un po’ mentre le altre cercavano di darsi una ripulita, era la volta buona di mettere le carte in tavola.
-Che ti prende Yami?- Chiese Yukida sentendo che l’amica la stava seguendo.
-Dobbiamo parlare.- Yami diede una risposta secca, molto fredda.
-Riguardo al fatto che ti ho mentito al tuo compleanno per farti uscire dalla tana?-
-La solita, ho temuto il peggio per voi, mi hai ingannato, sapevi tutto, l’ultima cosa era toccare nuovamente un coltello.- Confessò Yami aprendo la porta della base.
-Sai pensavo che venissi con un coltellino di plastica per aiutarci, chi volevi uccidere con quello? Una mosca?-
-I coltellini di plastica servono, smettila di offenderli!-
-Ahh..scusami, ma era l’unico modo per aiutarti, e poi ti ho vista abbastanza felice con quel coltello, non puoi negarlo.- Ribatte Yukida sedendosi nella sua postazione.

-B-Beh s-si forse, ma non ti dava il diritto di farmi uno scherzo del genere!-
Yami era l’unica a far ragione Yukida quando esagerava nei comportamenti, ma era anche l’unica a conoscere determinate vicende della vita della sua amica, riuscivano a capirsi alla perfezione, erano ottime amiche, anche se  alcune volte litigavano, si volevano bene lo stesso.
Yukida aveva conosciuto Yami subito dopo essere uscita dall’ospedale, entrambe vagavano nella notte per uccidere, è proprio in un vicolo senza via d’uscita che il destino le fece incontrare.
Yami era una novellina quando cominciò a uccidere per vendicarsi di qualcuno, non aveva una preda precisa, lei trucidava e prendeva oggetti di valore, per poi spenderli in computer, armi, e tecnologie varie.
In quella notte cambiarono molte cose, le due ragazze non si frequentavano spesso, piuttosto si incontravano durante le ore buie, ma nessuna delle due sapeva che abitavano nella stessa via, la loro casa era una di fronte all’altra, ma non era mai successo che si incontrassero, Yukida era sempre solita a uscire dalla porta del retrò era un vizio, Yami invece usciva dalla porta principale, erano due poli diversi.
Le due cominciarono a collaborare il giorno in cui Yami compì uno dei omicidi che la segnò per il resto dei suoi giorni, non sapeva come uscirne da quella situazione, uccidere la persona che tanto amava, Yukida era impassibile, aveva il sangue freddo difronte a quello che era successo, Yami era una cascata di lacrime, non si dava pace, conviveva con questo dolore.
-Sei riuscita a passare il tuo incubo, l’altro passo sai qual è.- Disse Yukida fissando dritta negli occhi l’amica.
-Non ci riuscirei mai a portare i fiori alla persona che ho ucciso.-
-Lo faccio spesso e volentieri anche io, porto i fiori fingendomi dispiaciuta.- Rispose Yukida guardando il vuoto del computer.
-Sei crudele..potresti venire con me?- Chiese con lo sguardo in basso Yami.
-Quanto mi paghi per questo servizio?-
-…..-
-Quando vuoi ci andiamo.-

Yami sapeva di contare su Yukida anche se avesse tutti i problemi del mondo, pur essendo pazza, Yukida si faceva in tanti pezzi per Yami, erano come sorelle.
-Ho trovato questa foto a terra, credo ti appartenga.- Disse Yami mettendo la foto nella scrivania di Yukida.
-Uhm..no la mia foto è attaccata all’armadietto, non l’ho mai tolta da lì.-
-È strano, se non è tua di chi è? Aspetta, non mi hai detto che aiuti questo orfanotrofio, che mi nascondi?-
Yami non poteva credere che sotto a quella maschera si nascondeva una persona con dei sentimenti, si prendeva cura di persone indifese, questo andava contro la sua persona, lei era sempre per uccidere tutti, non le interessavano se fossero persone buone oppure no, faceva fuori chiunque si metteva sul suo cammino.
Yami era vicino all’armadietto dell’amica per guardare attentamente la foto attaccata allo sportello.
-Non nascondo nulla..-
-Perché la tua foto è strappata? Questa che ho in mano no, aspetta questo sembra il ragazzo che ti importuna sempre!- Esclamò Yami, nella sua mente già si erano già sviluppati film, storie, e altre cose innominabili che Yukida non voleva sentire.
-Ma cosa dici da qua.- Rispose Yukida strappando la foto dalle mani dell’amica per dare una rapida occhiatina. –No non è lui figurati, ma chi lo conosce.-

Mise la foto dentro il cassetto della scrivania e lo richiuse mettendo il codice personale che nessuno sapeva oltre lei, peccato che Yami aveva una memoria eccellente e si ricordava ogni minimo particolare.
-210815.-
-Yami! Dillo a qualcuno e ti picchio.- Yukida non amava molto che la gente ficcasse il naso nei suoi affari, anche se qualcuno erano le proprie amiche.
-Ahahahaha, mi fai ridere ogni volta, però guarda, vedo un miglioramento, ti agiti poco.-
-Tu parli troppo per i miei gusti, andiamo a fare quella cosa, così il tuo cervello da hacker prende aria.- Disse Yukida prendendo dal braccio Yami.
Le ragazze si prepararono per andare al cimitero a far visita all’ex di Yami, era molto dura per lei varcare quella soglia, sudava freddo, tremava tutta, non riusciva a muovere un passo, guardava l’entrata del cimitero come se fosse l’entrata dell’inferno, in quel momento si sentiva proprio all’inferno, non ci credeva che molto tempo dopo era lì a fare visita al defunto.
Deglutì molte volte prima di fare il passo necessario, guardava la sua amica, impassibile, senza sentimenti, non capiva come riuscisse a essere così apparentemente tranquilla.
“Forse lei non ha perso qualcuno di importante come me” ha pensato Yami.
-Ho perso qualcuno d’importante se te lo stessi chiedendo.- Disse Yukida di punto in bianco. Yami rimase colpita, come aveva fatto a capire quello che stava pensando, aveva imparato a leggere nella mente?
-M-mancano i fiori..-
-Tieni omaggio della fioraia Akumi.- Rispose Yukida dando il mazzo di fiori all’amica.
-Akumi? Che ci fa qui?- Yami rimase stupita, non si era accorta che per tutto il tragitto Akumi le stava seguendo e si era finta una fioraia.
-Storia lunga, bene andiamo.- Ribatte Yukida facendo un passo in avanti.
-Aspetta..se dovessi..-

Yami inizio a balbettare qualche parola di qua e di là parole senza senso, uscite dalla poca di una ragazza che aveva paura.
-Non ti fermerò, non nessuna per farlo.-
Prese la mano di Yami e le diede una spinta per incoraggiarla ad entrare nel suo incubo e cercare di accettare l’accaduto.
Il cimitero era immenso, immerso nel verde, c’erano molte lapidi di famiglia, era molto difficile trovare la tomba del ragazzo, le due amiche proseguirono, avanti e indietro, Yami non si ricordava dov’era stato seppellito il suo amico, lì venne una confusione nella mente, voleva sparire, esplodere o uccidersi in quel momento lì.
Qualcosa però attirò l’attenzione di Yami, cominciò a ricordarsi l’ultima volta che visitò la tomba, li posizionò una targhetta d’argento, proprio in quel momento un raggio di luce l’abbagliò, era fastidiosa quella luce, ma sapeva che proveniva dal sepolcro di lui.
Si mise a correre, era molto forte quel desiderio, non riusciva a sopirlo.
Arrivò alla tomba, si inginocchiò davanti alla lapide, guardava la foto e provava un enorme nostalgia, chinò la testa, non riusciva proprio a vedere l’immagine sorridente, scoppiò in lacrime, le aveva trattenute per molto tempo, ed era il  momento di sfogarsi, quel dolore enorme la stava uccidendo piano piano, infondo lei voleva questo morire per pagare quello che aveva commesso.
Yukida era dietro di lei, guardava tutta la scena senza dire una singola parola, sapeva che dire qualcosa non serviva a nulla, preferì rispettare il dolore dell’amica, non ci volle molto che Akumi le raggiunse, vide la scena straziante dell’amica, non poteva non stare ferma a vederla soffrire in quel modo.
-Y-a..-
Qualcuno la prese dal braccio e la tirò indietro, Yukida la fermò, non era il momento di fare le amicone, Akumi capì il motivo per cui nemmeno Yukida la stava consolando.
Yami si alzò di colpo dalla tomba, si voltò verso le amiche con gli occhi pieni di lacrime, singhiozzava, non riusciva a dire una parola, le sue pupille dicevano tutto, si gettò tra le braccia di Yukida e Akumi, molto amorevolmente consolarono, Haku scoppiò a piangere, poteva capire il dolore che stava provando l’amica, Yukida era l’unica a trattenere le gocce di pianto, non voleva farsi vedere debole in quel momento, però stava diventando difficile, involontariamente cominciarono a scendere delle lacrime, alzò gli occhi verso il cielo, cercando di non farsi notare.

Passarono secondi, minuti, ore, la situazione era la stessa, molte persone le guardavano, provavano compassione, tutti avevano passato quel brutto momento, vedere qualcuno che si amava, sotterrato a tanti metri di profondità. Akumi smise di piangere, e si tolse da quell’abbraccio, tirò fuori dalla borsetta dei fazzoletti per asciugarsi quelle lacrime.
-Yukida, tu s-stai piangendo.- Disse sbalordita Akumi di quello che aveva appena visto.
-N-no ma che dici, non piango, q-qualcosa mi è entrato negli occhi e le lenti mi danno fastidio.- Si asciugò subito gli occhi con la manica della giacca del giubbotto, sfregò molto velocemente che perse le lenti colorate, e non se ne rese conto.
-I tuoi occhi sono.- Haku vide per la prima volta il colore degli occhi della sua amica.
Yukida si prestò subito a mettersi un paio d'occhiali da sole, per non far notare qualcos'altro di particolare.
Le lacrime di Yami cominciarono a calmarsi, si asciugò gli occhi, era giunto il momento di voltare pagina definitivamente, il passato ormai appartiene al passato, non poteva cambiarlo, ma poteva solamente imparare da quello che era successo, poggiò i fiori nella tomba.
Era giunta l’ora di uscire dall’inferno, erano arrivate all’uscita, quando entrò un ragazzo che era vestito tutto in nero, tranne una maglia bianca, e la sciarpa rossa che aveva nel collo, capelli dal biondo strano, passò di fianco a Yukida, sfiorò la spalla della ragazza, guardandola con la coda dell’occhio, proseguì avanti nel suo cammino verso una lapide che le appartiene.
-Simeon!-Esclamò Yukida di punto in bianco, il ragazzo sussultò, stando di spalle, non si mosse per un po’, Yukida non sapeva cos’altro dire, il ragazzo poi proseguì per la sua strada non fermandosi più e non guardando chi c’era dietro di lei ad aspettare una risposta.

Akumi e Yami capirono che qualcosa stava tornando nella mente dell’amica, ma dovevano scoprire cos’era.
Yukida camminava dietro le ragazze a ricordare qualcos’altro su quel nome, intanto però la nerd doveva capire come mai Akumi le aveva seguite e perché si era spacciata per fioraia.
-Perché ci seguivi?- Chiese Yami aspettando la risposta.
-Ehm mi allenavano nei travestimenti che servono per le missioni, eravate le uniche in quel momento a uscire, quindi vi ho seguito, ma Yukida se ne accorta, tranne te.- Rispose Akumi guardando la faccia meravigliata dell’amica. Haku era solita ad allenarsi in questo modo, molto spesso seguiva Yukida quando usciva, si vestiva in ogni maniera, commessa in qualche negozio di vestiti o gioielli, banchiera alla banca, oppure cameriera con un finto francese, taxista quando Yukida prendeva il taxi perché non aveva voglia di guidare, tutti i travestimenti possibili e immaginabili che Akumi poteva fare, si era vestita da giocoliera delle strade.
Ma Yukida la beccava sempre o reggeva il gioco per vedere a che punto si spingeva Haku, si divertiva a modo suo.
Arrivarono all’appartamento dopo un’intera giornata passata al cimitero,  buttarono contemporaneamente i giubbotti sopra il divano, erano troppo stanche per sistemare il loro guardaroba, preferivano buttarlo come le veniva.
Yami si precipitò in cucina a mangiare qualche cibo spazzatura, non faceva altro che aprire e chiudere il frigo in cerca di ulteriore cibo da buttare giù nella pancia, Akumi si sedette vicino a Yukida che era impegnata al pc a ultimare delle cose, appoggiò la testa nella spalla dell’amica per poi dormire profondamente.
 

 

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Capitolo 9
*** Mezze verità ***


Mezze Verità




Haku stava dormendo profondamente nella spalla dell’amica, Yukida non faceva altro che lavorare al pc per scoprire qualcos’altro sulla sua vita passata, però non trovava nulla di particolare solo le solite cose che dicevano tutti i siti di internet, questa cosa la infastidiva sempre di più.
Si mise di punto in bianco a smanettare sempre di più il pc, chiudeva e riapriva le cartelle, ogni file era aperto, il povero pc stava chiedendo pietà.
Era risaputo che Yukida aveva una bassa tollerazione su determinate cose, doveva a tutti i costi trovare delle informazioni, altrimenti era capace di uscire e uccidere qualcuno senza motivo, Yami si godeva le scene della sua amica sclerata.
Dopo varie volte chiudendo e riaprendo le cartelle sul desktop, si aprì una schermata con scritto “404 page not found” inserire password, la proprietaria del pc rimase colpita da quella scritta non riusciva a capire cosa avesse toccato per far apparire quel affare.
-Yami! Porta le tue chiappe qui, adesso!-Esclamò Yuki analizzando da cima a fondo quella scritta.
-Si è capito che con te non è possibile mangiare in pace per più di dieci minuti, si li ho contati.- Rispose Yami andando nel salotto e vedendo quello che stava facendo l’amica al pc, i suoi occhi stavano per piangere, un’altra cosa che odiava Yami era quella di vedere nei pc la frase “404 page not found”.
-Devi scoprire la password di qua adesso.-
Si era proprio un ordine quello che aveva appena dato Yukida, voleva scavare in fondo a quel programma e scoprire quello che stesse nascondendo.
-Uff..mi devi cibo spazzatura in cambio.- Rispose l’amica prendendo il pc cercando di scoprire la password con le sue magnifiche doti da Hacker.
Entrambe le ragazze sapevano che quel programma nascondeva la vera vita di Yukida, potevano scoprire tutto il suo passato, dalla parte chi era veramente a come è finita a fare quel lavoro.
Nella mente di Yukida giravano le domande perché e chi sono veramente?
Non riusciva darsi pace da quando nella sua testa girovagavano sia quelle domande sia quel nome Simeon, voleva capire cosa c’entrava con lei e se magari potesse darle alcune risposte riguardo la sua vita precedente.

Però non sapeva come contattare quella sagoma.
-Tu trovami la password e forse e dico forse ti do cibo spazzatura.- Disse Yukida guardando come lavorava l’amica per trovare il codice. Intanto Haku si era appena svegliata dal suo sonnellino pomeridiano. Era abbastanza confusa dalla scena di vedere le sue amiche serie a lavorare in qualche cosa dove lei non era a conoscenza di nulla.
-Cosa combinate voi due?- Chiese Haku guardando attentamente ogni movimento di Yukida.
-Nulla mi sta trovando la password di un programma che ho trovato sul mio pc.-
-Non ti ricordi la password?-
-No non ricordo nemmeno che nel mio pc fosse presente quello strano programma .-Rispose Yuki facendo avanti e indietro nella stanza tenendo sott’occhio il telefono con il GPS attivato con la spia di quell’uomo.
Il punti rosso era sempre fermo in un punto, quel punto era proprio la villa acquistata molto tempo fa da Yukida, sicuramente aveva pensato di farci un’altra visita quando magari il tizio non era presente nella casa, ma andare nuovamente a fare un escursione era al quanto complicato date le condizione isteriche di Yukida.
 -Non riesco a decifrare la password, non mi fa entrare nessun modo.- Disse Yami guardando il pc.

In quel momento lo stava maledendo, era impossibile che lei non riuscisse a Hackerare  un computer, questa cosa le dava sui nervi, non si poteva arrendere così facilmente, sapeva che la password era facile, ma allo stesso tempo era difficile da scoprire.
-Ho da fare, ci vediamo al ritorno prova a scoprire la password di quel programma stupido.- Rispose Yukida prendendo le chiavi della macchina e uscendo di corsa dalla casa, Haku la seguì poco dopo, voleva capire cosa stesse combinando la sua amica, ma sapeva che le sue coperture da ninja servissero a poco.
Haku era così prevedibile in certi casi, però voleva aiutare a tutti i costi la sua amica, si sarebbe cacciata nei guai e in quel caso nessuno l’avrebbe aiutata se non le sue amiche.
Il tragitto era lungo per arrivare alla villa, è Yukida aveva già visto che la sua amica la stesse seguendo, ma fece finta di nulla e continuò per la sua strada, era troppo impegnata a scoprire qualcosa sul tizio e cosa c’entrasse con la sparatoria del locale. 
Arrivata a destinazione Yukida si fermò davanti all’entrata.
-Haku, non comprendo perché devi sempre seguirmi, c’è qualcosa che ti turba?-Chiese Yukida dando le spalle all’amica.
-Può darsi, non so perché ma credo che il nostro passato sia collegato da qualcosa anzi no, collegato da qualcuno di nostra conoscenza, ma tu non ricordi chi sia e nemmeno io.-Rispose Haku l’amica girata di spalle.

Se fosse tutto vero, Haku e Yukida si erano già incontrate in qualche modo da qualche parte nella città, ma era tutto così strano, tutto impossibile una cosa del genere.
-Entra in azione quando vedi che le cose si mettono davvero male per me, per adesso perlustra tutta la villa all’esterno.-
Yukida non aveva altro da aggiungere, perché nemmeno lei sapeva quello che stesse succedendo in questi giorni, è diventato tutto strano dalla missione del museo e da quel quadro trovato.
Yukida prese la pistola e la mise dentro la tasca dei pantaloni coperta dalla sua giacca nera, proseguì andando verso l’entrata scrutando ogni minimo particolare di quella villa, dal portone alle telecamera presenti nell’entrata.
Era così strano entrare nella propria casa e non ricordarsi di aver vissuto lì per molto tempo,  intanto la ragazza continuava a guardare quel puntino rosso che lampeggiava sempre di più, poteva fare due cose Yukida entrare di soppiatto oppure bussare da persona civile, ma essendo una persona non civile decise di entrare dalla porta di servizio e cominciare a dare un’occhiata in giro cercando di trovare qualcosa di utile che potesse ricordare la sua vita in quella casa.

La casa era piena di foto di lei e di quel ragazzo che le ha salvato la vita nella disastro del locale, non riusciva proprio a ricordarsi nulla della sua vita passata, poteva sforzare il suo cervello ma era inutile,  in quel momento dentro la casa non sembrava esserci nessuno, era tutto così silenzioso, tutto tranquillo, nessun movimento strano, Yukida poteva controllare quella casa da cima a fondo senza che quel ragazzo misterioso la potesse attaccare.
-Hai trovato qualcosa?-Chiese l’amica entrando dalla porta che si affacciava alla piscina.
-Non ti avevo detto di entrare solo se le cose andassero male?-
-Si lo so, ma mi annoiavo, fuori non c’è nulla di strano.- Rispose Haku girando nella casa, anch’essa cercando qualcosa di strano.
Quella casa brillava fin troppo, è quando qualcosa brilla fin troppo significa che da qualche altra parte della casa c’era polvere da togliere.
-Bene puoi andare a casa.- Disse Yukida fissando un quadro.
Era molto diverso il quadro, non era più lo stesso dal combattimento che c’era stato giorni prima.
-Ma in realtà volevo indagare anche io, ti prendi sempre le missioni più belle.- Rispose Akumi facendo il solito broncio da bambina piagnucolona.
-Bugie, sono tutte bugie, adesso va a casa, credo che Yami avesse bisogno di te per scoprire la password, chop chop a lavoro!- Esclamò Yukida dandole un colpetto nella spalla.
Haku non obbiettò e andò via prima di scatenare una grande lite, Yukida si avvicinò al quadro per esaminarlo meglio, trovò un piccolo foro, decise così di spostarlo, ma non si era mai immaginata di trovare dietro al quadro una porta, aprì il passaggio senza sapere la destinazione, proseguì lungo il corridoio, fin quando non si trovò un’altra porta davanti agli occhi, mise la mano sopra la maniglia e aprì senza pensare alle conseguenze, non si era mai immaginata di trovare tutte le sue foto appesa nelle bacheche, con scritto tutti i suoi movimenti, era una cosa insolita, quel ragazzo la stava pedinando da quando era uscita dall’ospedale, però lei non si riusciva a ricordare nulla di quel uomo.

Era un’incognita, ma la vera domanda che girava in testa a Yukida era “cosa sta succedendo? Cosa vuole da me?” .
Poggiò la pistola sul tavolo del lavoro, mettendosi a cercare documenti che potessero servile a capire la situazione, ogni documento trovato in varie scatole, parlavano soltanto dei suoi spostamenti fatti negli ultimi anni, ma non c’era nessuna dichiarazione che parlasse della sua vita precedente. 
-Me la pagherete per quello che state facendo!-Dal piano superiore si senti una voce maschile.
-Sapevamo che avessimo seguito te, lei sarebbe uscita allo scoperto.-
La chiamata era collegata con il piano superiore e ogni conversazione era registrata per cercare di capire da dove proveniva la telefonata.
-Lei non c’entra più nulla con voi, maledetti.- Rispose il ragazzo scendendo nel covo segreto.
-È la nostra legge, quando uno tradisce la propria organizzazione è giusto uccidere, tu quel giorno non hai fatto il tuo dovere, per questo amore e lavoro insieme non possono mai collaborare.-
Quella voce che stava ascoltando Yukida  l’aveva sentita già da qualche parte, era una voce grossa e potente, quello sicuramente era il capo dell’organizzazione nemica.
-Taci!non sai nulla di noi!- Il ragazzo aprì la porta, non notò subito la ragazza, dato che ebbe il tempo di nascondersi dietro un grande armadio, rimase lì fino alla fine della conversazione.

-Siete solo delle mezze cartucce, sapevo fin dall’inizio che lei non fosse morta, il finto funerale, tutto per farmi credere che lei non avesse aperto più bocca, per questo ti ho fatto seguire subito dopo l’incidente alla famosa villa, dove stava quella pittrice che si è salvata grazie all’intervento di Yukida, e adesso lavora con lei.-
Tutti i dubbi si stavano sciogliendo, aveva capito che l’artista fosse proprio Akumi, la sua amica era in quella villa, si era salvata proprio grazie a lei, ma non si ricordava bene gli avvenimenti avvenuti quella notte, era tutto così strano.
La chiamata si chiuse e il ragazzo misterioso rimase lì a capire come risolvere questa situazione, dal nervoso sbatté un pugno che fece sussultare la ragazza, poco dopo il ragazzo si voltò verso l’altro tavolo in cui era posata la pistola di Yukida, capì subito che fosse passata da lì, non ci impiegò molto a guardare i video di sicurezza, li esaminò da cima a fondo.
-Perché è tornata qui?-Si chiese il ragazzo vedendo il video che la ritraeva.
-….-Yukida uscì dal nascondiglio cercando di prendere la sua pistola.
-Bene c’era anche Akumi, questo non ci voleva, però Akumi se ne andata, ma lei no, adesso dov’è? Dove sei di preciso nella casa.-
-Sono precisamente dietro di te.- Intervenne Yukida con un po’ di spavalderia.
Il ragazzo biondo si girò di scattò facendo cadere il telefono, non si poteva mai immaginare di trovarsela nuovamente avanti, questa volta senza farsi la guerra.
I due si guardarono negli occhi per molto tempo, nella stanza era ricoperta dal silenzio, nessuno dei due riusciva a dire una parola, Yukida era pronta a fare la guerra se fosse stato necessario.
-Cosa ci fai qui?- Chiese il ragazzo.
-La stessa domanda dovrei farti io a te, cosa ci fai qui a casa mia, Simeon.-
-Quindi ti sei ricordata il mio nome, non va bene.-
-Chi era quella persona? Che voleva da me, e tu cosa c’entri con me?!- La voce di Yukida si era alzata dal nervoso, voleva vederci chiaro in questa situazione.
-Non posso rispondere a queste domande, ti metterei nuovamente in pericolo.- Rispose Simeon cercando di deviare il discorso e farla scappare da quella casa, ma sapeva che fosse difficile, conosceva Yukida nei minimi dettagli  e non sarebbe andata via senza avere le giuste risposte.
-Ti faccio rispondere con le cattive, già ti ho fatto una ferita, ti distruggo questa volta.-
-Non voglio combattere con te, so che la memoria non ti è tornata, ed è solo colpa mia, ti volevo difendere , ma ho solo peggiorato le cose, perdonami.-
Quelle parole dette da Simeon erano piene di malinconia, sapeva di aver sbagliato, ma allo stesso tempo voleva risolvere la situazione cercando di non mettere più in mezzo Yukida, ma alla fine si era messa in mezzo da sola, fondando le Glherblera.

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