Like kryptonite to me

di jeffer3
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Presente - Won't give up on us ***
Capitolo 2: *** Presente - Phone call ***
Capitolo 3: *** Passato - The origin ***
Capitolo 4: *** Presente - Rage ***
Capitolo 5: *** Passato - Do you like me? ***
Capitolo 6: *** Presente - Come back ***
Capitolo 7: *** Passato - I like you. Not you, her! ***
Capitolo 8: *** Presente - Let's bet ***
Capitolo 9: *** Passato - Fire ***
Capitolo 10: *** Presente - Scar ***



Capitolo 1
*** Presente - Won't give up on us ***


Dicono che l’amore sia una delle più potenti forze al mondo.
Probabilmente la maggiore.

Ogni tanto mi diverto a immaginarmela come una grossa mano, che può interagire col mondo.
Con te.
Essendo una grande forza, questa è capace di sollevarti in alto, fino anche a toccare il cielo.
E’ capace di farti toccare le nuvole e respirare a pieni polmoni l’aria fresca di prima mattina.
Di infrangere qualsiasi ostacolo che ti si pari dinanzi.
Di sostenerti, quando non riesci a reggerti in piedi.

Allo stesso modo, però, è capace di schiacciarti completamente.
Radere al suolo le fondamenta su cui avevi eretto la tua casa, la tua vita.
Distruggerti, manco fossi un moscerino della frutta.
Questo l’avevo sperimentato sulla mia stessa pelle.

Ripensavo spesso a quella notte.

“Santana” alzai lo sguardo verso Vivian, focalizzando su di lei la mia attenzione “C’è un’ultima visita, poi abbiamo finito per oggi.”
“Grazie V” sorrisi “Vai a casa ok? Ci penso io a chiudere qui”

Mi guardò per un secondo indecisa, come se insicura di lasciarmi sola.

Persi un momento ad osservare i suoi occhi, come ero solita fare alla fine di ogni giornata.
Azzurri.
Come i suoi.
Sebbene a modo loro diversi.
Certe volte sono le sfumature che contano, quanto siano folte le ciglia, il taglio degli occhi, o i sentimenti che puoi scorgervi all’interno.
In quelli di Vivian leggevo profondo affetto.

Nei suoi leggevo amore bruciante.

“Stai tranquilla” sventolai una mano, a rassicurarla “Non mi rapirà nessuno vedrai! Non ci sembra, vista la mia altezza, ma ho la forza bruta di Hulk e Superman messi assieme.”
“Certo” sorrise “E io sono la figlia illegittima di Spongebob.”
“A domani, V” risi, inviandole un bacio volante, che ricambiò scuotendo la testa contenta.

Era passato un anno e mezzo da quando avevo aperto lo studio.
E Vivian era stata la mia fedelissima segretaria fin dall’inizio, sebbene definirla ‘segretaria’ fosse riduttivo.
Era pur vero che si occupava della mia agenda e dei miei appuntamenti.
Ma la consideravo mia amica.
Probabilmente l’amica più stretta che avessi avuto in quegli ultimi anni.
O almeno, da quando decisi di abbandonare quello che definivo il mio ‘mondo’.

La incontrai in una tavola calda dove allora lavorava.
Dovetti attirare la sua attenzione, quando chiesi un piatto di pasta al sugo con polpette e un altro, al tonno.
Senza toccare nessuno dei due, una volta serviti.
Limitandomi solo ad osservarli, inespressiva.
‘Ho provato anch’io a decodificare messaggi terroristici dalla pasta, ma ti assicuro non ne è uscito niente, sai.’ Ricordo mi disse con un sorriso.
E per un momento, mi venne da sorridere leggermente dopo giorni di buio.

Spostai lo sguardo sulla libreria alla mia destra.
Passai in rassegna tutti i volumi su cui avevo studiato.
Osservai il lettino più in là.
La vetrina ripiena di farmaci vicina.
E infine la scrivania.
Due foto incorniciate ai lati.
Due periodi della mia vita.
Due me, a dirla tutta.

Sentii finalmente la porta aprirsi.
Ultima visita della giornata.

Mi alzai di riflesso come ero solita fare, protraendo la mano.

“Buonaser-“ mi bloccai, alzando lo sguardo.

Boccheggiai per un secondo.
Ritrassi la mano, per poi sedermi, lentamente.

“Brittany.”

Era lì, in piedi.
Mi guardò un momento, prima di chiudere la porta alle sue spalle.
Fece, infine, due passi nella mia direzione.
Abbastanza vicina da potermi osservare per bene.
Abbastanza lontana da non farci star troppo male.
Non la vedevo da mesi.

“Fai il medico.” Disse, solo, dando uno sguardo attorno.
“Sì.” Alzai le spalle, facendo un cenno verso i libri e il lettino.

Presi un respiro.
Iniziavo già a sentire su di me gli effetti della sua presenza.

“Mi sarei aspettata, non so, un lavoro tipo CIA, servizi speciali, esercito..” rifletté “E’ una scelta strana visto chi sei.”
“E’ un lavoro come un altro.” Feci “Ho smesso con quel tipo di vita. Aiuto anche così, solo in modo diverso.”
“Capisco.” Annuì distrattamente, passandosi una mano sul braccio.

Probabilmente iniziava ad aver freddo.

“Vuoi sederti?” chiesi, indicando la sedia al di là della scrivania.
“Sarò breve.” Mi rispose, invece, confondendomi.
“Dimmi pure.”
“Ti rivoglio indietro.” Puntò gli occhi azzurrissimi nei miei “Sono ancora innamorata di te e ti rivoglio indietro.”

Mi colpì forte come un treno.

“Brittany.” Presi un respiro, cercando di ignorare le sue parole “Lo sai che non è possibile”
“Tu ti sei arresa.” Serrò la mascella “Io non l’ho mai fatto. Ti rivoglio indietro.”

Non mi ero arresa.
Ma non potei fare altrimenti.
Era la cosa giusta da fare.

“Ci abbiamo provato. Non funziona e lo sai” provai a farla ragionare “Ho una nuova vita ora, un nuovo lavoro, un nuovo compagno.” Scossi la testa per poi puntare gli occhi nei suoi “Son passati anni, Britt.”

Chiusi gli occhi, al diminutivo che avevo appena usato.
Ricordai per un secondo come era pronunciarlo.
Ricordai i tempi passati.
Quando era la parola che usavo più spesso nella giornata.

“Lui non conta” fece una smorfia “Non sa neanche chi sei.”
“Questo non è ver-“
“Cosa sa di me?” mi sfidò con lo sguardo.

Nulla.
Se non che era una mia grande amica del liceo.
‘Perché avete troncato i rapporti, scusa? E’ strano!’ mi chiese.
‘Nuove amicizie.. nuove vite. Non siamo più riuscite a stare vicine, mettiamola così.’

“Cosa sa di te?” chiese ancora.
“Quello che basta.” Sospirai “Brittany, è tutto cambiato, ok? Non sono più la persona di prima. Sono anni che non ci parliamo davvero, è cambiato tutto.” Scossi la testa “Ho una vita che mi piace, un lavoro soddisfacente, un ragazzo che mi ama. Non tornerò indietro. Non per farci solo star male.”
“E tu lo ami?”
“Mi fa sta bene” risposi, forse sviando leggermente la domanda “Con lui ho capito che non per forza una relazione deve far star male le due persone. Non per forza deve essere distruttiva.”
“L’amore è distruttivo.” Obiettò “Se non è capace di sanare tutte le tue ferite e allo stesso tempo di farti del male, non credo lo si possa definire tale.”

Sospirai adagiandomi sulla sedia.
Quella conversazione mi stava provando molto.
Cocciuta era, cocciuta era rimasta.
Già altre volte aveva provato a parlarmi.
Ma fuggivo, sempre.
Non volevo restare in una stanza con lei.
Non volevo parlare di quello che eravamo.
Di quello che ero.
Di quello che non potevamo più essere insieme.

Mi stropicciai gli occhi.
Avvertii forte la stanchezza su di me.
Troppo, molto più di prima.

Alzai lo sguardo.
Si era avvicinata.
Ora solo la scrivania a dividerci.

Si chinò leggermente, stringendo il pugno destro verso di me.

Mi tornò in mente la prima volta che i nostri guardi si incrociarono.
Quando fece la stessa identica azione.
Per me.
Avevamo 17 anni.
E io mi innamorai dei suoi occhi.
E delle sue abilità.

“Possiamo farcela.” Aprì la mano, con il palmo rivolto verso l’alto.

Cenere.

“Cenere” osservai, avvicinando la mano. “E’ solo cenere.” Ne presi un po’ con le dita.

Sfiorai inavvertitamente la sua pelle.
Corse un brivido lungo la mia schiena, seguito da una sensazione di profonda pesantezza su di me.
Doveva aver fatto effetto anche su di lei.
Si ritrasse, infatti, leggermente, prima di posare nuovamente gli occhi su di me.

“E’ qualcosa!” obiettò, innervosita, scuotendosi di dosso un brivido.
“Hai freddo.” Osservai, triste, sebbene provassi a dissimulare.
“Colpa della stanza.”
“Ho i termosifoni accesi Britt.” Controbattei “E tu soffri il caldo da morire in genere.”

Abbassò lo sguardo a terra.

“Non intendo rinunciare a te.”
“Non possiamo stare insieme, Brittany.”
“Non mi hai dimenticato e lo so.” Disse, ancora.
“Ho un ragazzo.”
“Eppure neanche un anno fa mi hai baciata.”
“Ero ubriaca.”

Sbuffò spazientita.

“Odio questa cosa che fai!” alzò la voce, innervosita.
“Quale cosa?”
“Finta calma, finto ‘ehi tutto ok’” disse “La odio.”
“Una delle due deve rimanere con i piedi per terra.”
“E una di noi due deve lottare per entrambe a quanto pare.” Fissò gli occhi nei miei “Tu mi ami ancora.”

Serrai la mandibola.
Era vero.

“Intendi rimanere con Sancio Panza lì?” sbottò, indicando la foto sulla scrivania.

Raffigurava me e Jessie, abbracciati.
O meglio, lui teneva abbracciata me.
Sorridevo goffamente, fingendo che la sua presa su di me fosse forte.
Era la nostra prima vacanza assieme alla sua casa al mare.

Ricordo che quel giorno desiderai ardentemente essere con Brittany.
A lei non era mai piaciuto molto il mare.
Soprattutto per via della sabbia.
Nonostante ciò, mi accompagnava ogni anno, sapendo quanto lo amassi io invece.

Quel giorno mi mancò più degli altri.
Piansi.
E lui credette fossero lacrime di gioia.

“Sì.” Conclusi “Ora basta, ok?” la supplicai. “Questa cosa sta facendo male ad entrambe e lo sai.”

Mi guardò per un lungo momento.

“Non sono ancora disposta ad arrendermi.”
“Dovresti, invece.” ribattei “Io l’ho fatto anni fa, fai parte del mio passato ormai Brittany.”

Sapevo di ferirla.
Ma era necessario.

Lei annuì distrattamente, mentre osservavo i suoi occhi inumidirsi.
Mi pentii istantaneamente di averlo fatto.

“Brit-“

Prima ancora che potessi anche solo pronunciare il nome per intero, era fuori dalla porta.
Rimasi ferma qualche secondo, ferma con lo sguardo sul punto in cui si trovava prima.
Per un po’ sperai tornasse.
Sperai anche che non lo facesse.

Abbassai alla fine la testa sul legno scuro della scrivania, sentendomi vuota.
Osservai la foto visibile solo dalla mia posizione, alla mia destra.
Piccola.
Con una cornice d’argento.

La sfiorai, sapendo che solo così avrei potuto toccarla senza star male.

Chiusi gli occhi, lasciando uscire in un sospiro le parole che mi ero tenuta dentro tutto il tempo.
Il vuoto della stanza, unico testimone.

“Ti amerò per sempre.”


 


Tetraedro dell'Autrice

Ciao bella gente! Eccomi qui, dopo... ahm tipo due anni di pausa dopo Eyes like fire!
Avevo detto che non avrei più fatto ritorno probabilmente, e invece, sono ancora qui a fracassarvi le scatoline con quest'altra storia, complice la buon vecchia Crudelia che mi fece promettere di scrivere un'altra fanfic. (<3 )

Che dire.. spero vi piaccia e vi abbia un minimo incuriosito questo capitolo :)
sarà una storia relativamente lunghetta (che scriverò mano mano, quindi gli aggiornamenti non saranno diciamo velocissimi diciamo) con collegamenti fra presente e passato.. quindi occhio ai titoli ogni tanto!
Grazie in anticipo per eventuali feedback da parte vostra :)

A presto bella gente! ;D

 

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Capitolo 2
*** Presente - Phone call ***


“Si può sapere che hai oggi, San?” mi chiese per l’ennesima volta V.
“Niente…” dissimulai, facendo girare il cucchiaino nel cappuccino, distratta.
“Mh… e che pensi?
“Niente…”
“Ahà.”

Perseverai nelle mie azioni senza senso.
Per un po’.
Prima di rendermi conto che era strano Vivian si fosse ammutolita.
E non era un buon segno.
Alzai lo sguardo per osservarla, pregando che non se ne uscisse con una strana idee delle sue.

Era immobile.
I capelli corti biondi come sempre disordinati.
Gli occhi in una fessura, come a studiarmi.
Indici e medi di entrambe le mani, sulle rispettive tempie.

“Che fai?” chiesi, interdetta.
“Ti studio.”
“Perché?”
“Perché sei strana..” disse, sferrando un morso al cornetto senza neanche staccare gli occhi da me.
“Sono come sempre..”
“Davvero?”
“Davvero.”
“Sarà…” sollevò le sopracciglia “Ma hai la faccia di una persona che scriverebbe in una qualsivoglia chat senza la minima ombra di faccina sorridente.”
“Sul serio?” sorrisi, divertita.
“Sul serio!” confermò, convinta “E’ come se…”
“Come se..?”

Come se quello che consideravo l’amore della mia vita si fosse ripalesato nel mio studio la sera prima?
Come se avesse aperto vecchie ferite che non ero certa neanche si fossero mai chiuse?
Come se Jessie avesse scelto un momento ottimale per parlare di cose ansiogenanti?

“Come se avessi mangiato una grossa ciambella glassata con cioccolata fusa sopra” ragionò “E avessi letto il numero di calorie solo dopo aver intinto l’ultima briciola nel caramello.”

Ma Vivian era Vivian.

“Potrebbe essere!” risi “Ma no V, non è questo”
“Cosa allora?” mi fece un piccolo sorriso, sinceramente preoccupata.
“E’ che..”

Temporeggiai.

Cosa avrei potuto raccontarle?
Vivian non aveva mai saputo tutta la verità.
Non sapeva della mia vita, prima di quel giorno in quella tavola calda.
Non aveva idea.

“Hai mai provato..” provai, cercando di articolare un discorso sensato “Hai mai provato dolore nello stare vicino a qualcuno?”

Mi osservò confusa.

“Intendi…” corrugò le sopracciglia “Tipo una estetista?” provò “Perché onestamente quando anche solo la vedo, inizio a sentire i miei bulbi piliferi iniziare a piangere, implorando pietà in giappon-“
“No, no!” la fermai, divertita. “Cioè anche!” risi “Ma dico..”
“Dimmi.”
“Tu ami quella persona ma la sua vicinanza ti fa star male.”
“Oh!” esclamò, come colta da illuminazione “Tipo quando a cena fuori il tuo partner, seduto esattamente di fronte a te – che non voglia mai il cielo tu non osservi per bene il suo piatto! -  ordina un mega bacon cheeseburger, con contorno di patatine fumanti, e tu sei lì, inespressiva con la tua insalatina da dieta davanti agli occhi piangenti?”

Una delle cose belle di V era proprio quella che se ne usciva con idee strane dal nulla.
Cioè strane poi! Il loro senso lo avevano pure.
Particolare, ma c’era.

Tendeva anche a sdrammatizzare.
Molto.
Come Brittany.

Al contrario forse io prendevo le cose un po’ troppo sul serio.
Ogni tanto.
Ma avevo sempre pensato che questo ci completasse.
Ci rendesse un perfetto miscuglio di eccessi.
Avevamo bisogno l’una dell’altra per equilibrarci.

Mi ero chiesta anche se fosse stato per questo che Vivian era riuscita subito a farsi spazio nella mia vita.
Ad ottenere la mia attenzione.

E’ vero che cerchiamo tracce della persona che abbiamo amato negli altri che incontriamo?
E’ vero che cerchiamo un dettaglio?
Un riflesso di capelli? Un’abitudine? Un atteggiamento?
Vivian aveva attirato la mia attenzione per il suo umorismo?
Per i suoi occhi?
Non lo so.

Però so che, certe volte, per quanto un atteggiamento possa sembrare simile, non lo è.
Per quanto due persone possano sembrare la copia sputata l’una dell’altra, nella realtà non lo sono.
Sono i piccoli dettagli a fartelo capire.
E se questo può farti apprezzare una.
Può allo stesso tempo farti sentire la mancanza dell’altra, in maniera bruciante.
Così fortemente che ti farà male il cuore a pensare di non poter più essere spettatrice di quella sfumatura d’essere.

Ti pentirai di aver trovato quella somiglianza.
E tutto ciò a cui penserai sarà che lei era unica.
A suo modo, lei era unica.
E non è più tua.

“Tipo” sorrisi.

Senza che me lo aspettassi, però, allungò la mano per accarezzare la mia.

“Che succede con Jessie, San?”

Già.
Jessie.

“Stiamo insieme da tre anni..” sospirai.
“Ok…” mi incoraggiò, non capendo.

Mi massaggiai le tempie, stanca.
Ero stata tutta la nottata a pensarci, mentre lui dormiva al mio fianco tranquillo.
Mi ritrovai a fissare il tavolo bianco del bar, come il soffitto di casa giusto qualche ora prima.

“Oè!” mi richiamò Vivian con uno schiocco di mani “Ho capito che state insieme da tre anni, ma non capisco questo cosa c’entri con la tua espressione persa nel vuoto del tipo ‘ciao, la mia vita non ha più senso’.”

Ok.
Presi un respiro.
La fissai.

“Jessie mi ha chiesto di sposarlo.”

Lei mi fissò.

“Ora capisco il perché della tua faccia.”
“Eh…” feci, comprensiva.
“Che ti ha detto?” chiese, poi, curiosa.
“Beh.. ha iniziato prima con un discorso, che onestamente non ho ben capito” alzai un sopracciglio “Pensavo si trattasse di ordinare cinese, non di una proposta di matrimonio!” esclamai facendola ridere di gusto. “Insomma, ha iniziato dicendo che stavamo insieme da tre anni, e per lui era ora di fare un passo in avanti, di ‘cambiare’ in meglio… una cosa del genere.”
“E tu hai pensato al cinese..”
“Beh sì!” feci, ovvia “A lui non piace, a me sì! Pensavo fosse un modo carino per dire ‘dopo 3 anni in cui non te l’ho fatto mangiare, faccio un passo verso di te e ordiniamo cinese’.” Sbuffai “Tremenda delusione.” Conclusi, facendola ridere ancora.
“E poi?”
“Poi mi ha fatto tutto un discorso sulla nostra attuale sicurezza economica, sulle basi forti della nostra relazione…” cercai di ricordare “Sul fatto che nessun momento fosse migliore di questo..”
“E che avevi pensato?”
“Che volesse comprare un cane” sospirai.
“Fantastico” ridacchiò. “E poi?”
“Poi mi si è inginocchiato” continuai, fissando il vuoto “E stavo per svenire”
“Stavi per svenire????”
“Già…” feci “Calo di zuccheri” continuai “Calo di terra sotto i piedi” feci ancora “Calo di stabilità mentale.”
“Direi”
“A saperlo avrei finto di svenire sul serio” mi passai una mano sugli occhi stanchi “Ma mi ha chiesto di sposarlo e io mi sono limitata a farlo alzare in piedi e baciarlo.”

Mi osservò preoccupata.

“E lui l’ha preso per un sì.” Convenne, incerta.
“E lui l’ha preso per un sì.” Confermai “Un sì da chiamo la mamma per dirglielo” sospirai affranta.

Appoggiai la testa sulla mano sinistra, massaggiandomi distrattamente la tempia.
Non poteva scegliere momento peggiore quella sera.

L’incontro con Brittany mi aveva provato molto.
Avevo bisogno di tempo per dimenticare di averla rivista.
Di averla sfiorata.
Di averla guardata in quegli occhi azzurri di cui mi ero innamorata dal primo momento.
E la proposta di Jessie non aveva aiutato.

Aveva riportato alla luce vecchi desideri.
Vecchie speranze.
Era Bittany che sognavo di sposare.
Mi tornarono alla mente le fantasie che avevamo assieme.
Del desiderio di una casa neanche troppo grande, ma in cui potessimo vivere felici.
Di serate, in cui saremmo state contente per solo il solo fatto di essere insieme a vedere un film.
Assieme ai nostri minimo due gatti.
Presi dal gattile, categoricamente.
I nostri desideri combaciavano alla perfezione.

Beh, non del tutto in realtà.
Lei voleva anche un cagnolino.
Io non tanto.
Ma per lei.. potevo anche pensarci.

“San..” mi risvegliò dai pensieri V, stringendomi la mano “Non devi sposarlo, se non è quello che vuoi.”
“Io lo amo V..”

O almeno credevo.
Speravo di amarlo.

“Ma..?”
“E’ solo..” iniziai “Che ogni tanto penso che lui non mi conosca davvero..”
“Tipo?”
“Beh”

Da dove iniziare?

“Ieri, ad esempio, dopo aver chiamato la madre, mi ha abbracciato e mi ha fatto tutto un discorso..” cominciai, sorridendo al pensiero dell’assurdità della cosa “Mi ha detto che mi avrebbe protetto da tutto, mi ha abbracciato, e mi ha detto che sarebbe stato il mio cavaliere dalla scintillante armatura.”
“Spero tu stia parafrasando le sue parole” fece, allibita, facendomi ridere.
“Sì dai” ridacchiai, facendole tirare un sospiro di sollievo “Insomma il succo era che lui mi avrebbe protetto e che io ero un piccola donna delicata e fragile.”
“E?”
“E questo mi fa pensare che non mi conosca davvero.”

Nessuno che sapesse chi fossi io davvero avrebbe mai detto una cosa del genere.
Mi tornò in mente Brittany.
Ancora.

Lei mi chiamava Cerbero.
Il cane a tre teste dell’Ade che avrebbe fatto il culo a chiunque si fosse messo in mezzo.
E mi dava anche del fiorellino ciccino, ogni tanto.
Solo quando si parlava di sentimenti, però eh.

“Beh in effetti..” convenne V, attirando la mia attenzione “Hai fatto medicina, potresti uccidere chiunque in questo locale date le tue conoscenze anatomiche.”

Interessante.

“E’ vero” sorrisi “Non ci avevo pensato.”
“Comunque, San” riprese a parlare “Non capisco perché dovresti sposarlo se non è quello che vuoi.”
“Lo so..” ragionai “Ma il fatto è che non so cos’è quello che voglio. Insomma, lui è un bravo ragazzo, è gentile, onesto, disponibile, mi ama” elencai.
“Ma?”

Ma non è lei.

“Non lo so.”

 

 
“Ordiniamo qualcosa per pranzo?” chiese, lasciandomi un bacio a stampo, Jessie.
“Potremmo.” Convenni, dando uno sguardo a delle analisi che mi aveva inviato via fax uno dei miei pazienti.
“Magari se diciamo che ad ordinare sono neofidanzati ci fanno qualche sconto” scherzò, massaggiandomi le spalle.

Risi.
Cioè, pseudo-risi.
Probabilmente sembrava più un verso da scimmia isterica.

“Dai..” continuò, massaggiandomi le spalle “E’ il tuo giorno libero, lascia queste carte..”
“Un attimo” presi tempo “Si tratta di analisi importanti.”

Non era vero.

“Di chi?”
“Un paziente, gli ho fatto una visita l’altro giorno, sono preoccupata per il pancreas.”

Neanche questo era vero.

“Oh..” fece, comprensivo “Temi qualcosa di grave?”
“Forse..”

Balla colossale.

“Devo analizzarle attentamente.”

Sarebbe stato più vero dire che avevo un passato da addestratrice di castori ballanti il tip tap.
In realtà c’era poco da analizzare.
Il tipo aveva avuto solo un’infezione urinaria.
Era stato curato.
Nelle analisi dovevo solo controllare che le analisi delle urine fossero pulite.
E lo erano.

Ma avevo bisogno di tempo per me.
Di non pensare a niente.

“Ci scommetto..” fece preoccupato “Vuoi che ti faccia un caffè? Magari ti aiuta.”
“No grazie, J.”
“Allora ti faccio un po’ di the, che ne dici?”
“Ti ringrazio” gli sorrisi, guadagnandomi un bacio sulla guancia.
“Torno subito”

Meno di un minuto dopo, già lo sentivo macchinare con il pentolino.
Era fatto così lui.
Sempre super disponibile.
Super comprensivo.
Super tutto.

Mi dispiaceva mentirgli.
Odiavo dire bugie già di base.
Ma dirle a lui era peggio.
Era una brava persona, non lo meritava.

Lo incontrai per la prima volta in ospedale.
Tre anni prima.
Era a far visita a suo padre, il quale aveva subito un intervento per un aneurisma.
Io ero ancora una tirocinante.
Quando feci il giro dei pazienti del reparto assieme al medico al quale ero stata affidata, lui dovette notarmi.
Mi cercò per tutto l’ospedale.
Per i due giorni successivi.
Me lo trovai infine all’entrata del bagno del terzo piano, con il fiatone.
‘Ti ho trovata! Certo che ti muovi veloce’ mi disse con un sorriso.

Mi era sempre piaciuto il suo sorriso.
Sembrava sempre così genuino e sincero.
Aveva i capelli neri corti e gli occhi di un castano chiaro particolare.
Un po’ di barba incolta.

Apprezzai la differenza netta rispetto ai colori di Brittany.
Ricordo di aver pensato che ne avevo bisogno.
Avevo bisogno di voltare pagina.
Così, quando lui mi chiese di prendere un caffè assieme accettai senza pensarci su neanche più di tanto.

E da lì, come per il primo caffè, fu lui a fare tutti i passi in avanti della nostra relazione.
L’uscita successiva.
Conoscere i rispettivi genitori.
Primo viaggio.
Vivere assieme.
E.. fare la proposta di matrimonio.
Era un trascinatore.
Mi ero chiesta spesso come sarebbe andata se fosse, invece, dipeso tutto da me.

Sentii i suoi passi in vicinanza e mi rimisi a leggere i fogli di riflesso.

“Ecco qui” sorrise entrando con una tazza di the fumante “Così potr-“ si fermò sentendo squillare il telefono di casa.

Sospirai.
Sarà stato uno dei soliti ipocondriaci.
‘Dottore dottore, ho un senso di pesantezza allo stomaco..’
‘Cosa ha mangiato?’
‘Ma niente.. solo un pezzo di lasagna, un capretto, un montone, un piatto di gnocchi, 10 polpette, un trattore e una casa.. ma tutto con solo un filino d’olio eh! E niente sale!’

“E’ per te.. Non ha detto chi è” mi allungò il telefono Jessie, mentre io annuivo già rassegnata.
“Pronto?”
Santana

Mi bloccai di istinto, sgranando gli occhi.
Da anni non sentivo la sua voce.
Jessie mi osservò preoccupato, mimando un ‘che succede?’ con la bocca.
Sventolai la mano, come a dire che non fosse niente.
“Soliti pazienti pazzi” bisbigliai “Vado di là a rispondere”

Camminai a passo svelto verso la camera da letto, chiudendomi la porta alle spalle.
Uscii sul balcone.

Ci sei?”
“Sì.” Risposi, cercando di mantenere ferma la voce “Ciao Quinn.”

Sperai con tutta me stessa che non fosse successo niente.
L’ultima volta che la vidi, mi stava urlando contro.
Mi giurò che non mi avrebbe più rivolto parola se me ne fossi andata.
Se le avessi voltato le spalle.
Lei era una che manteneva la parola.
Non a caso non la sentivo da allora.
Da una sera di 7 anni prima.

“Dimmi.” Feci.
E’ andata da lui.

Il mio respiro iniziò ad accelerare.
Mi dovetti appoggiare alla ringhiera del balcone.

Non abbiamo sue notizie da ieri sera.”
“Non ha senso” mi agitai “Come è possibile?”
“Ha lasciato un messaggio in camera, lasciando scritto che aveva bisogno di risposte” spiegò “E che arrendersi non fa parte della sua indole.”

Sbiancai.

Ho immaginato si trattasse di voi” continuò “E dal tuo silenzio devo averci preso.”
“Avete già organizzato una squadra?” chiesi, invece. “Voglio essere coinvolta.”
Nessuno di noi entra in quella fortezza, lo sai” la sentii sospirare “Kali non ce lo permette. Ho provato ad andare ma mi hanno bloccato. Hanno fermato sia me che Rachel.”
Avete intenzione di lasciarla lì?” chiesi, in panico.
“Non ci lasciano uscire. Non ci lasciano far nulla, dicono che è troppo tardi.”
“Lei è stata uno dei pilastri di quella fottutissima associazione e intendete non muovere un muscolo?!” urlai, fuori di me.
Nessuno esce vivo da lì Santana.” Disse, con voce un po’ incrinata “Ho chiamato perché era giusto che tu sapessi.”

Nessuno esce vivo da lì.
Strinsi forte la ringhiera del balcone.
La deformai.

“Questo lo vedremo.”



 


Tetraedro dell'Autrice

Ed ecco qui il secondo capitolo! 
Mi rendo conto che è tutto ancora un po' confuso, ma non temete! Continuerà a confondervi anche di più! eheh no, scherzo, già dal prossimo capitolo qualcosina si capirà, infatti  inizierà la fase passato, che credo intervallerò ogni volta con un capitolo presente. a scanso di equivoci però, sempre occhio ai titoli! :)
infine piccola comunicazione: avevo intenzione di pubblicare una volta a settimana, ma purtroppo credo che per la prossima settimana salterò causa esame ma prometto che dopo riprenderò stabilmente una volta a settimana e magari a fine luglio anche più spesso!
spero che la storia continui a piacervi e interessarvi.

Prima di andare, grazie, grazie grazie a tutti davvero *^* per chi legge, segue, preferisce, ricorda e chi lascia anche solo due parole per farmi sapere le impressioni su questa storia :D dispenso amore e fiorellini gioiosi a tutti voi! C:
A presto bella gente ;D



 

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Capitolo 3
*** Passato - The origin ***


PASSATO
 

 
“Potrai mai perdonarmi?”
“No.” Risposi, noncurante.
“Oh andiamo, San!” sbuffò per l’ennesima volta Quinn, mentre i suoi capelli si drizzavano elettrici.

Quattro anni di onorata carriera quale compagna di stanza.
Quattro anni di pazienza nel sopportare le sue follie pre-compiti.
Quattro anni di ‘oh, San, hai visto come mi guardava?’
Quattro anni di lampadine implose per finali di grey’s anatomy che sfiderebbero la calma di Gandhi, Chien-Po  e Doraemon messi assieme.
Quattro anni.
E lei mi abbandonava per cercare di far colpo su una nana guaritrice.
 
“Potresti almeno cercare di farmi sentire meno in colpa!”
“Perché dovrei?” sollevai un sopracciglio, mentre continuavo nel mio proposito di risolvere il cubo di Rubik, sbracata sulla poltroncina della camera.
“Perché sarò semplicemente nella stanza di fianco!”
“Mh-mh..” finsi di ascoltarla “Sai che esiste una strategia per risolvere questo cubo?” feci, mostrandoglielo “Eppure non so perché anche dopo aver visto le spiegazioni su internet rimango una pippa”
 
E’ sempre un sacco bello a vedersi il cubo di Rubik.
Lo osservi in una vetrina di un negozio di giochi e te ne innamori.
Tutto colorato, intrigante, avvincente.
Un po’ come un puzzle.
Sei già lì a pensare a come ti divertirai i pomeriggi a risolverlo con un sorriso stampato sulla faccia.
Fiera del tuo acquisto.
Convinta che diventerà il tuo passatempo preferito.
Roba che potresti poi col tempo diventare la nuova campionessa mondiale, in grado di risolverlo in tempo record.
Certo, questo per i primi 2 giorni circa.
Dopodiché lo odierai.
Comincerai a pensare che il cubo sia stato ideato come meccanismo di tortura contemporaneo.
Finalizzato all’esaurimento nervoso dei soggetti in questione.
Inizierai, insomma, a considerare il metodo di immobilizzazione di Hannibal Lecter una cazzo di spa a confronto.
Perché quando vedrai di aver risolto un’intera facciata blu, ma rimarrà ancora un fottuto quadratino rosso a stonare il tuo capolavoro.
Il risultato di ore e ore di impegno.
Sarà allora che scatterà un interruttore nella tua testa.
Respirerai a fondo.
E ti dirai di calmarti.
Ma il desiderio di sfracellarlo contro il muro sarà più o meno paragonabile alla gioia provata nel vedere Simba diventare il capo branco dei leoni, degno erede di Mufasa.

L’unica cosa che ti tratterrà dal farlo potrà essere solo e unicamente la tua tirchiaggine.

“San!” urlò, Quinn, mentre la luce della lampadina della camera prendeva a intensificarsi, probabilmente surriscaldandosi “Ma mi ascolti?!”

Sollevai finalmente gli occhi dal cubo, per puntarli nei suoi verdi.
Mi focalizzai per un momento sui suoi capelli corti biondi, sparati in tutte le direzioni, emananti di tanto in tanto elettricità.
Ottimo.
Si era innervosita.

“Se mi rompi l’ennesima lampadina, guarda che non solo me la cambi, ma ti becchi anche un pugno” la misi in guardia.
“Tu non mi ascolti!” si innervosì, ancora, provocando l’ennesimo sbalzo di corrente “Sono qui, col cuore in mano, a chiederti scusa per-“
“Per lasciarmi qui sola in balia di una sconosciuta?”
“Andiamo, San” si acquietò leggermente “Sarò nella stanza a fianco, non cambierà niente”
“Oh sì che cambierà, dovrò dividere la stanza con, chessò, una possibile serial killer” feci, con tono cospiratorio, facendole alzare immediatamente il sopracciglio sinistro di riflesso “Magari è una maniaca dell’ordine, o, peggio, dello studio”
“Veram-“
“Magari è una metallara” continuai, facendole sollevare gli occhi al cielo “O una fanatica satanista”
“San-“
“Magari è una persona che nel tempo libero fa l’uncinetto”
“E che ci sarebbe di male?” chiese, confusa.
“Hai mai visto quegli aggeggi?” feci, indispettita “Sembrano la versione socialmente accettabile dei cazzo di paletti alla Buffy l’ammazzavampiri”
“Ma a te-“
“Potrebbe essere una che odia i Pokémon” continuai, senza farla finire di parlare “O peggio, potrebbe essere una che preferisce i Digimon ai Pokèmon”
“La smetti di fare la razzista?”
“Dico solo” continuai “Che se qualcosa dovesse andare storto, mi avrai sulla coscienza”

Si fermò, guardandomi inespressiva.

“’Se qualcosa dovesse andare storto’” ripeté le mie parole, sollevando gli occhi al cielo “Intendi tipo che possa eventualmente preferire bulbasaur a charmander?”

Strinsi i pugni di riflesso.

“Non osare neanche ipotizzare una follia del genere!” ringhiai “Dio solo sa cosa potrebbe succedere se addirittura preferisse Jigglypuff”
“Cadrebbe il mondo” mi sfotté, con un ghigno.
“Ehi!” la richiamai arrabbiata “Se preferisci un nanetto rosa sovrappeso canterino a un draghetto cazzuto con una fiamma sulla coda, hai palesemente qualche problema”
“Certo”
“Palesemente!” ribadii “Ed ecco anche perché” ripresi, con un sorrisetto “Ogni tanto mi interrogo sulla tua sanità mentale”
“Che intendi?” sollevò un sopracciglio, visibilmente innervosita.
“Rachel Berry.” Dissi solo, iniziando già ad avvertire l’aria farsi carica di elettricità “Sul serio Quinn?”
“Smettila, San.”
“Una nana canterina, logorroica e guaritrice” sogghignai “Gusti strani.”
“Eddai.”
“E mi abbandoni per cercare di far colpo su di lei.” Continuai “Uno gnomo”
“Basta.”
“Mi son sempre chiesta come faccia nei luna park” mi accarezzai il mento pensierosa “Come fa quando per accedere ai giochi c’è il cartello ‘devi essere alto fin qui’? Insomma… si mette delle zeppe ai piedi?”
“Sul serio, San”
“Hai ragione.. Neanche così arriverebbe all’altezza minima” annuii “Beh, almeno può unirsi ai bambini!”
“Basta.”

Sogghignai.
La luce della camera già iniziava ad intensificarsi e affievolirsi di continuo.

“Ho capito poi perché non ha più preso la patente Rachel, sai”
“Cioè?” chiese, infastidita.
“Non sarebbe riuscita ad arrivare ai pedali in ogni caso.”
“SAN!” sbraitò “Smettila.”
“Ok, ok” alzai le mani “Solo che.. pensavo, dovrei iniziarti a chiamare Biancaneve, vista la convivenza con un nano?”
“San” socchiuse gli occhi “un’altra battuta e la paghi”

Ehehe.

“Le hai detto che Pollicina rivuole i suoi vestiti?”
“Ora basta!” urlò, arrabbiata.

Sorrisi.
Come avevo abbondantemente previsto, Quinn iniziò ad essere avvolta da scariche di corrente.
Si andavano via via intensificando, illuminando tutto.
Il suo sguardo piantato nel mio.
Finché, eccola.
Una scarica partì da lei e si infranse sulla lampadina che illuminava ormai a intermittenza la camera.
L’esplosione fu immediata.

“Cosa ti avevo detto?”

Fulminea, mi avvicinai a lei.
In meno di un secondo, mi trovai all’altezza perfetta per un destro ben piazzato.
Proprio sulla sua spalla sinistra.

“Lo sapevo!” sbraitò.

Ma lei era Quinn.
Miss elettricità.
L’unica in quella scuola capace di reggere il confronto con me.

Veloce, sovraccaricò la sua mano destra di energia.
E prima che potessi arrivare alla sua spalla, bloccò la mia mano.
Con forza.
Il suo palmo avvolto da elettricità a contatto con le mie nocche.

I nostri occhi si incrociarono un microsecondo.
Prima che un boato nascesse da quello scontro di energie.
Come fosse appena scoppiata una bomba, ogni cosa fu sospinta via, provocando una specie di tornado di fogli per la stanza.
Il lampadario ormai oscillante.
La poltrona e le sedie a terra.
E, porca merda, anche le mie mutande per aria.
Sapevo che dovevo rimettere tutti i panni nei cassetti dopo averli presi dallo stendino.
La porta spalancata.
E noi di un centimetro più distanti.

“EHI!” tuonò una voce fuori dalla stanza.

Ci girammo entrambe di colpo verso la porta.
Kali era lì.
Braccia incrociate.
Sopracciglia corrugate, nere.
Come i suoi occhi.
La lunga barba a incorniciare la sua mandibola.
Sguardo colmo di disappunto.

“Si può sapere che diavolo sta succedendo qui?!”
“Ha rotto la lampadina!” esclamai, ovvia, indicando l’oggetto incriminato ormai imploso.

Kali si limitò a sollevare il sopracciglio.
Spostò lo sguardo su Quinn.

“Che succede Quinn?”
“Santana voleva prendermi a pugni” spiegò con un’alzata di spalle “Ha palesemente ideato un piano per picchiarmi” continuò “Invano, ovviamente.”
“Perché volevi prenderla a pugni, Santana?”

Incrociai le braccia.

“Perché rompe le lampadine”

E mi abbandona per una nana.

“Chi è la nana?” chiese, allora, lui.
“Potresti evitare di leggermi nel pensiero almeno per queste cose?!” sbuffai contrariata. “E va bene quando si tratta di capire chi ha rubato la cheesecake dalla mensa, ma anche ora no, eh.”
“Quinn, chi è la nana?” chiese allora ignorandomi.
“Rachel” sollevò gli occhi al cielo.
“Ah.” Rifletté, accarezzandosi la barba nera “Tutto quadra”
“Cosa quadra?” chiesi indispettita.
“Ti mancherà la tua migliore amica e stai dando di matto” spiegò “Tanto tenera quando incapace di esternare sentimenti”
“Questo non è per niente ver-“
“Ha anche detto che la terrò sulla coscienza in caso la nuova ragazza non ami i pokemon” mi interruppe Quinn “Oppure in caso sia una serial killer”
“E a te cosa dovrebbe interessare in caso?” chiese, stralunato, rivolgendosi a me.
“Potrebbe uccidermi!” esclamai ovvia. “Cosa?” chiesi, poi, vedendolo guardarmi inespressivo, massaggiandosi le tempie.

Non disse altro.
Si limitò semplicemente ad avvicinarsi al centro della stanza.
Raccolse una scheggia di lampadina.
Si girò guardandomi fisso negli occhi, prima di lanciarla con forza verso di me.

Come al solito, come qualsiasi oggetto dalla pericolosità più o meno alta.
Dai dolcetti di Doraemon fino ai colpi di un fucile a canne mozze.
Questa si limitò a rimbalzare sul mio petto.
Senza che io avvertissi neanche il solletico.

Kali sollevò il sopracciglio, esaustivo.

“Beh” provai, grattandomi la nuca “Potrebbe avere delle armi a prova di…”
“Di te?” chiese, con un sorriso.
“Già!”
“Già..” ridacchiò “Confessa a Quinn che le vuoi bene e ti mancherà averla come compagna di stanza e muovetevi, a breve inizia il discorso di inizio anno in aula magna.” Fece, facendomi indispettire immediatamente.

Ma io volevo prima vedere la nuova tipa di stanz-

“Lei è già lì” precedette persino i miei pensieri lui “E sembra davvero una brava ragazza” mi sorrise “La madre forse un po’… pazza, ma lei sembra a posto”
“Oh.”
“Avrai modo di conoscerla meglio sicuramente.”

Fin troppo.
Avrei dovuto condividere il sonno con quella tipa.
Momento.

E se russava come un camionista ultracinquantenne?
 


 
“Benvenuti” sorrise da sopra il palco Kali, rivolgendosi all’intera platea.

Mi posizionai meglio sulla poltroncina rossa dell’aula magna.
Diedi un veloce sguardo alle mie spalle.
Un’infinita varietà di ragazzi e ragazze, attenti alle parole pronunciate dall’uomo al microfono.
L’intera scuola era lì.
Come ogni anno.

“Come avrete potuto capire, intuire o sapere già da prima” iniziò “Mi chiamo Kali e sono il preside di questa incredibile scuola.” Sorrise “Una scuola gremita di ragazzi con qualità fuori dal normale, con doti incredibili, con poteri meravigliosi.” Si spostò al centro del palco “Voi.”
“Il bello di questa nostra scuola è la varietà.” Continuò “Si va dal potere dell’invisibilità, a quello del camuffamento. Da quello della guarigione del corpo a quello della modulazione della mente. Dalla super velocità, dalla super forza all’elettricità.” Elencò, a caso “Siete incredibili.”

Notai con tenerezza lo sguardo fiero che ogni anno compariva sul suo volto.
Kali ci amava come fossimo suoi figli.
I nostri successi, le sue gioie.
E nelle nostre sconfitte, il suo sostegno.

“Come saprete” iniziò, prima di interrompersi, guardando un punto preciso nella sala “Per rispondere alla sua domanda, leggo il pensiero io, signor Buttler”
“Oh cazzo” sentii bisbigliare più indietro, facendomi ridere di gusto.
“Sì, esatto, signorina Kelner” continuò, ancora “Sono cazzi” disse, facendo il segno delle virgolette con le mani “Se fate qualche danno, perché sareste beccati istantaneamente”

Ricordai la prima volta che incontrai Kali, prima ancora del discorso inaugurale del primo anno di scuola.
Avevo sempre avuto il problema di non controllare molto i miei pensieri.
Ogni cosa attirava la mia attenzione.
E sempre.
SEMPRE.
Sentivo il bisogno spasmodico di commentarla mentalmente.
Diciamo pure che Kali scoprii in modo poco carino che trovavo le tende del suo ufficio vomitevoli.
Dovetti pensare che erano tipo uscite dal di dietro di una scimmia che aveva mangiato piccante o una cosa del genere.

“Dicevo” riprese, poco dopo con un sorriso “Come saprete, questa scuola ha il fine di crescervi, farvi maturare e sviluppare queste capacità. Di migliorarvi e di rendervi perfetti, così che possiate usare il vostri poteri al servizio del bene.” Spiegò “Perché di questo si tratta: noi vogliamo la pace. Vogliamo il vostro, anzi il nostro bene e quello dei semplici umani. Possiamo fare molto per loro e loro per noi, miriamo al rispetto e sostegno reciproco. Miriamo all’onestà. All’uso ponderato delle nostre capacità, per niente finalizzato al guadagno personale, alla prevaricazione del prossimo, al male.” Si fermò, notando una mano alzata dai posti più indietro, probabilmente un nuovo alunno. “Dimmi pure.”
“Questo significa che non possiamo usare i nostri poteri al di fuori della scuola?”
“Non proprio” chiarì “Diciamo che finché non li avrete sotto controllo, non è molto il caso. Vedete, il nostro obiettivo è che voi vi integriate nella società e facciate del bene, per associazioni pubbliche, militari, della sanità, poco importa. Potete anche decidere poi di voler lavorare in una pasticceria e cucinare ciambelle. Ciò che conta è che sappiate usare i vostri poteri bene, senza danneggiare nessuno. Per capirci” fece “Se scateni tornadi e ti mando nel centro di New York senza riuscire a controllare questo potere, finirai per far volare mucche al centro di Times Square”
“Chiaro..”
“Dimmi” fece, indicando un altro punto dell’aula.
“Quando avete dett-“
“Dammi pure del tu.”
“Beh.. quando hai parlato di guadagno personale, cosa intendevi?”

Kali annuì, accarezzandosi la barba.

“Molti di voi hanno poteri non indifferenti.” Spiegò “Alcuni sarebbero in grado di radere al suolo edifici interi, piazze, città. Figurarsi la cassaforte di una banca” sollevò le sopracciglia esaustivo “La tentazione di usare i propri poteri per sé stessi è forte. E..” sospirò “Per alcuni fin troppo forte.”

Afferrò il piccolo telecomando che aveva in tasca.
Lo premette, indirizzandolo verso il proiettore della sala.
Comparve immediatamente un’immagine, che avevo visto svariate volte, sia in foto che di persona.

“Questo al centro” fece indicando l’individuo posto al centro di una sfilza di uomini e donne in foto “E’ Shaw.” Sospirò “Lui era uno studente di questa scuola. Promettente. Ero convinto avrebbe fatto molto per il mondo. Mi sbagliai.”
“Che successe?” chiese una voce dalla terza fila.
“Divenne avido” sollevò le spalle “La tentazione per lui fu troppo forte. Cominciò ad usare i suoi poteri per guadagno personale, per arricchirsi.” Spiegò “Aveva sete di potere e le sue capacità gli permisero di raggiungere i suoi obiettivi. Non ci volle molto che altri lo seguissero, divenendo suoi fidi alleati”
“E poi?”
“Poi se ne andò dalla scuola, perché tentammo di riportarlo sulla strada del bene, di ragionare con lui su quanto fosse sbagliato approfittare del prossimo quando non si è sullo stesso piano grazie ai propri poteri.” Continuò “Ci diede dei folli e promise che non ci avrebbe dato pace. Che se noi lo vedevamo come un ‘cattivo’ allora lo sarebbe diventato. Sarebbe diventato il peggiore dei cattivi.”
“Vi racconto tutto questo perché è vero che non ci diede pace, sono anni che è così.” Si fece serio “Sono anni che spesso lui, con l’aiuto della sua squadra, ci tende agguati. Cerca di colpirci, di farci cadere. E diciamocelo” continuò “Il fatto che noi mettiamo i bastoni fra le ruote nei suoi colpi non aiuta questa ‘relazione difficile’”
“Quali colpi?”
“Vedete, l’obiettivo di Shaw è il potere. Per avere potere, purtroppo, servono anche soldi. Così, spesso, organizza rapine o furti” spiegò “Ha una squadra composta da validi individui, chi con la forza, chi con il potere dell’invisibilità, chi con quello dell’induzione della cecità e così via. Tutti questi sono ottimi mezzi per ottenere illecitamente denaro.”
“Ma io lo riconosco” si sentì un’altra voce “Non è un candidato per le elezioni?”
“Esatto” sorrise, triste, Kali “E’ noto nel mondo umano come Charles Walker, impegnato nella campagna di senatore del nostro stato.”
“Che senso ha?”
“Non lo sappiamo ancora” si grattò la nuca “Riteniamo sia per sete di potere o di denaro, ma non mi stupirebbe se l’unico motivo che lo animi fosse il desiderio di potere sia nel nostro mondo che in quello umano.”
“Ad ogni modo” sorrise “Avevo l’obbligo di introdurvi questa figura per informarvi e far sì che sapeste fin da subito quali sono i rischi dello stare qui, ma di fatto, vi assicuro, siete assolutamente al riparo da ogni male” spiegò “la nostra forza è l’unità e insieme nessuno può sconfiggerci.”
“Per quanto riguarda la vostra educazione qui, sappiate che il vostro tutor annuale vi illuminerà sui corsi a disposizione e su quali si confacciano maggiormente a voi.” Sorrise “Ma chiariamo: alcuni corsi sono di base, inglese, storia, geografia, scienze. Vogliamo plasmare dei supereroi, ma possibilmente supereroi non ignoranti.”
“Detto questo, vi auguro un meraviglioso anno scolastico e per qualsiasi cosa potrete trovarmi nel mio ufficio al quarto piano.” Concluse, mentre iniziava già ad alzarsi un vociare di persone dalla sala. “E mi raccomando, mi rivolgo in particolar modo ai novellini e, beh, anche a Lopez e Fabray, visti i trascorsi” aggiunse, attirando la mia attenzione “Piano con lo sfogare i propri poteri in giro per la scuola, è pur sempre fatta di mattoni e non so cos’altro che non sono un carpentiere, ma il concetto è” concluse alzando entrambe le mani “non radete al suolo la scuola, altrimenti rado al suolo voi!”

 

 
 
“Dannati campi di forza che si formano con quella pazza sclerata di Quinn” sbuffai, raccogliendo l’ennesima mutanda nera, una, in particolar modo, atterrata sulla scrivania.

Dopo il discorso di Kali rientrai come mio solito in camera.
Beh, in realtà, la tradizione degli anni passati prevedeva un pit-stop al bar con Quinn.
Ma.. non era il caso.
La nuova ragazza sarebbe arrivata da un momento all’altro e la camera era peggio di un bagno in una casa di studenti sotto esame.
Senza contare che la tentazione di riempire di botte quella traditrice della mia migliore amica era ancora piuttosto alta.

Possibili vendette affollavano la mia mente.
Dentifricio nelle pantofole.
Furto del suo gioco per pc preferito.
Regalarle un paio di scarpe modificando il numero indicante la taglia, così da confonderla sui suoi piedi.
Procurarmi una motosega e uscire dal suo armadio in piena notte attivandola.
Inviarle via posta uno scatolo da regalo, con all’interno una mela e un bigliettino con su scritto ‘Per te, Biancaneve’.
Modificare la suoneria del suo cellulare con la canzoncina di ‘Andiam andiam a lavorar’.
O con il suono di una ragazza ansimante, e chiamarla in piena lezione di scienze.
Un serpente finto – o vero, dipendeva dalla mia ira - nel letto.

“Avrei decisamente dovuto mettere tutto a posto prima di prenderla a pugn-“
“Ciao.”

Mi bloccai di colpo a quella voce.
Proveniente direttamente dalle mie spalle.
Presi un profondo respiro, cercando di scacciare tutte le possibili assurde ipotesi sulla nuova ragazza che affollavano i miei pensieri.
Razionalità, Santana.
Non è possibile che la tipa puzzi di formaggio.
 
“Ciao” feci, iniziando a girarmi moooolto lentamente.

Non avrebbe avuto un corno al posto del naso.
Non avrebbe avuto una seconda testa sul collo.
Non avrebbe avuto un tentacolo al posto delle tette.

“Santana, giusto?” mi chiese, quando finalmente potei guardarla negli occhi.

Dio.
E che occhi.

“Sì, s-sono io.”

Niente corno.
Niente doppia testa.
Niente tentacolo.
Mi presi un momento per osservarla bene.
Completamente spiazzata.

Lunghi capelli biondi.
Figura snella.
Naso perfetto.
Un sorriso incerto sulle labbra.
Occhi azzurri come il cielo.

Li osservai.
Per qualche secondo.
E, non so come..
Mi ci persi.

“Io sono Brittany” mi disse, incerta. “La tua nuova compagna di stanza.”
“Piacere” allungai la mano, per stringere la sua.

Ma, inspiegabilmente, la fissò senza muoversi di un muscolo.
Lì per lì non capii.
Insomma, vuoi vedere che puzzavo io?

“Non..” iniziò, come combattuta “Non so se sia una buona idea..”
“Perché?” chiesi, confusa.

Non rispose.
Si limitò a muoversi a disagio sul posto.
Mi passarono per la mente tutti i possibili microrganismi trasmissibili per cute che la prof di microbiologia ci aveva spiegato giusto alla fine del terzo anno.
Pensava di mischiarmi qualche malattia mortale?

“Guarda che con me puoi andare tranquilla” provai, tastando il terreno “In genere non mi ammalo.”
Corrugò le sopracciglia.
Un’espressione di pura confusione sul suo volto.

Ok.
Forse non era quello il motivo.

“Ahm..” mi grattai la nuca “Facciamo che ignori la mia ultima affermazione” sorrisi goffamente, ricambiata.
“E’ che..”

Non puzzava.
Non c’entravano malattie trasmissibili.
Rimaneva un’ultima possibilità.

“E’ per i tuoi poteri?” chiesi.

Lei annuì leggermente, abbassando lo sguardo.
Desiderai lo rialzasse, permettendomi di vedere i suoi occhi.
Mi attiravano come una specie di calamita.

“Mi fai vedere?” provai.
“Non so..” fece, combattuta, osservandosi attorno.

Chi cercava?

“Facciamo che se mi mostri le tue capacità, io ti mostrerò le mie” sorrisi, incoraggiante “A meno che tu non sia capace di creare.. mmmm” riflettei “Non so, l’uragano katrina in questa stanza, direi che non ci sono problemi” scherzai, trovandomi però uno sguardo preoccupato e quasi colpevole ad attendermi.

Sollevai il sopracciglio di riflesso.

“Ok. Crei uragani??” chiesi, spalancando gli occhi.
“Beh.. Non proprio.”
“Non proprio” ripetei, non capendo.
“Potrei, suppongo.” Provò a spiegare, lasciandomi di stucco.

Ci osservammo per qualche secondo.
Io allibita.
Lei pensierosa.

“Credo di poterti mostrare una cosa” disse, facendomi incuriosire immediatamente.

In fondo una sorta di uragano lo avevamo quasi creato in camera poco prima io e Quinn.
Kali non mi avrebbe di certo appoggiato.
Ma, ehi, occhio non vede, pagella di Santana non duole.

“Ok..” prese un respiro Brittany.

Avvicinò lentamente il pugno destro verso di me.
Le nocche verso l’alto.
Chiuse gli occhi, mentre la osservavo rapita.
Girò il palmo verso l’alto.
La mia curiosità ai massimi livelli.

Aprì la mano.

“Wow..” sorrisi, entusiasta.

Una piccola fiamma al centro della sua mano.
Vero e proprio fuoco.
Proprio lì.
Creato dal nulla.
Ne rimasi incantata.

Allungai di riflesso la mano per toccarla.
 
“No!” esclamò lei, chiudendo di botto il pugno.
“Perché?” la guardai confusa.
“Puoi farti male” spiegò, dispiaciuta.

Sorrisi, tranquilla.

“Perché sorridi?” chiese.
“Fidati”
“Posso farti male sul serio” corrugò le sopracciglia.
“Fidati” feci, ancora. “Vai.”

Mi osservò per qualche momento.
Profondamente combattuta.

“Dai..” riprovai “Fidati di me.”
“Ti conosco appena.”
“Vero” convenni “Ma fidati, andrà tutto bene”

Senza rispondermi avvicinò nuovamente la mano.
Piano.
Fece gli stessi movimenti di qualche istante prima.

Ancora mi stupii della bellezza di quei gesti.
E della fiamma che, viva, si ergeva al centro del suo palmo.
Avvicinai la mano, notando la sua tremare leggermente.

“Stai attenta.”
“E tu stai tranquilla” sorrisi.

Portai le dita a contatto con quella fiamma.
Sentivo calore.
Certo, niente che potesse farmi male.
Ma..
Era reale.
Nessuna illusione.

“Come fai?” chiese, sbalordita, vedendo ora la mia mano al centro di quella fiamma.
“Ho qualche dote anch’io, sai.” Le sorrisi, subito contraccambiata.
 
Notai immediatamente il suo entusiasmo.
La cosa mi intenerii.
Non doveva aver incontrato molte persone 'speciali' come lei.

Portò la sua mano sinistra al di sopra delle nostre quasi a contatto.
Osservai incuriosita.
Nel giro di qualche secondo, quella che prima era una fiamma, iniziò ad allungarsi, sempre di più, perdendo calore.
E colore.
Chiuse gli occhi, concentrata.
Sollevai immediatamente lo sguardo su di lei.
Non sapevo ancora perché, ma quella ragazza mi affascinava oltre ogni limite.
Mi ritrovai a desiderare, ancora, che riaprisse gli occhi e li puntasse nei miei.
E lo fece.
Dopo qualche istante.
Quegli occhi di ghiaccio..

Ghiaccio.
Corrugai le sopracciglia, avvertendo freddo alla mano che era rimasta al centro fra le sue.
Abbassai lo sguardo, per osservarla.

“Ti piace?” chiese, probabilmente notando la mia bocca spalancata.

Quello che prima era fuoco si era trasformato in neve.
Cazzo.
Era come se la sua mano sinistra fosse una nuvola.
E stesse facendo nevicare sulla mia.

Vidi la neve trasformarsi in ghiaccio, come in piccoli spilli.
Poi in acqua, come fosse pioggia.
E, infine, in vento, che spazzò via quel piccolo fenomeno meteorologico confinato fra due mani.

Riportò, infine, le braccia lungo i suoi fianchi.
Sollevai lo sguardo verso di lei.
Entrambe con un gran sorriso stampato sulla faccia.    

Sì.
Mi piaceva.         
 
“Sei incredibile.”



 



Tetraedro dell'Autrice

Scusaaaaatemi infinitamente per il ritardo! Lo so.. sono imperdonabile! Ma sono stata sovrastata dalla sessione d'esame e ho preferito finire prima sti flagelli dell'umanità noti col nome di esami e poi dedicarmi alla storia..

Spero il capitolo vi piaccia, ha visto revisioni su revisioni ché non voglia mai il cielo mi possa uscire decente alla prima botta! xD

colgo l'occasione per ringraziarvi tutti *^* chi legge, segue, preferisce, ricorda e chi, anima pia, mi lascia un paio di paroline per farmi sapere cosa pensa del capitolo! 
Ringrazio anche la mia fida Provolandia, luce dei miei oculi, sempre pronta a darmi consigli e idee e leggere prima della pubblicazione il capitolo per controllare che non faccia troppo schifo.. quindi, se qualcosa, potete insultare anche lei ehehe

Grazie mille ancora a tutti!
ps. attenzione ai titoli! Il prossimo capitolo sarà ambientato nel 'presente'..

A presto, bella gente :DD


 

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Capitolo 4
*** Presente - Rage ***


 PRESENTE
 


E’ andata da lui.
Perché, Brittany?
Perché diavolo non riesci a darti pace?
Perché non accetti la realtà dei fatti?
 
“Non ci lasciano uscire. Non ci lasciano far nulla, dicono che è troppo tardi.”
Rabbia.
Kali non avrebbe dovuto abbandonarla.
 
Nessuno esce vivo da lì Santana.”
Questo era tutto da vedere.
Col cazzo che nessuno usciva vivo da lì.
 
Nessuno poteva toccarla.
Nessuno doveva toccarla.
 
Negli ultimi anni avevo imparato a tenere a bada il mio caratteraccio.
Non ero mai stata una persona particolarmente pacifica e quieta.
Tutt’altro.
Scattavo per le piccole cose.
Ero abbastanza rissosa.
Piena di voglia di fare.
Sempre pronta a tutto.
 
Con gli anni ero cambiata.
Molto.
Forse perché avevo perso di vista il motivo.
Il motivo per cui lottare.
Per cui combattere.
Per non arrendermi.
Non avrei saputo dire.
Ma non ero più la stessa di prima.

Eppure.
In quel momento, mi sembrò di essere tornata indietro di sette anni.
 
Sembravano secoli che non usavo i miei poteri in quel modo.
Ma la rabbia mi aveva accecato.
Non ero lucida.
Lasciai che il mio istinto mi guidasse e prendesse possesso di me.
Lasciai che le nocche delle mie mani si infrangessero e distruggessero qualsiasi cosa incontrassero.
Finalmente.
 
Ci misi meno di 3 minuti per raggiungere la sua fortezza.
Collocata in cima ad una collina, era una sottospecie di castello, pullulante di guardie dai più svariati poteri.
Ma nessuno che potesse fermarmi.
O, almeno, nessuno che potesse in quelle condizioni.
 
Non pensai neanche ad un piano.
Ad un modo per entrare di soppiatto.
Di portarla via di lì di nascosto.
No.
Non mi importava.
Sfondai semplicemente il cancello di entrata.

Diedi libero sfogo ai miei poteri.
Non ricordo neanche quanti uomini atterrai.
O lanciai a metri di distanza.
So solo che iniziai a radere al suolo qualunque persona e qualunque muro mi trovassi davanti.
Mi sarei fermata solo quando l’avessi trovata.
E nessuno.
Nessuno avrebbe potuto fermarmi.

“Noto che ha ritrovato la sua indole battagliera, signorina Lopez.”
 
Non avrei saputo dire dopo quanto.
Dopo quante stanze e muri avessi ispezionato e distrutto, giunsi in una stanza più grande delle altre.
Era fredda e impersonale.
Le pareti impeccabilmente bianche.

Focalizzai immediatamente la figura da cui proveniva la voce, seduta su una fattispecie di trono rosso.
Shaw.
La mano sinistra ad accarezzarsi il mento.
Un sorriso tranquillo sul volto.
 
“Chissà come mai avevo sospettato saresti venuta di persona qui” fece “Non c’era bisogno di radere al suolo mezza fortezza, sai, ti avrei lasciato entrare dalla porta.”
 
Ignorai le sue parole.
Troppo presa com’ero a focalizzare l’attenzione su di lei.
Seduta su una semplice sedia di legno, di fianco Shaw, mi guardava.
Lo sguardo stanco e provato.
Lo abbassò, per evitare il contatto col mio.
Entrambe le mani incatenate e avvolte con quello che probabilmente era acciaio o piombo, non avrei saputo dire.
Irrefrenabile, sentii dentro di me l’istinto di piombarmi su Shaw.
Afferrare la sua gola.
E ucciderlo.
 
“Ehi-ehi” mi richiamò, sorridente “Piano, che più ti avvicini a me e di conseguenza a lei” fece, afferrandole il mento con la mano “Più ti trasformi in un inutile essere, privo di forze”
 
Contrassi arrabbiata la mascella.
Non mi ero neanche resa conto di aver fatto due passi avanti.
La stanza era ampia.
Ero a circa metà strada dal punto in cui avevo raso al suolo la porta e loro due.
 
“Lasciala andare.” Ringhiai, in preda alla rabbia.
“E’ venuta lei da me, signorina Lopez” spiegò, tranquillo “Non l’ho mica rapita.”
“Eppure è in catene.” Feci un passo in avanti “Lasciala andare.”
“Vedi, ero solo curioso di sapere cosa sarebbe successo tenendola qui.” Spiegò “Come previsto, il buon vecchio Kali non ha alzato un muscolo per lei.” constatò, alzandosi in piedi, posizionandosi esattamente di fianco a Brittany. “Il suo atteggiamento bonario e anti-guerra non vede eccezioni, neanche per voi due.”
 
Le poggiò una mano sulla spalla.
Feci un altro passo in avanti.
 
“Non toccarla” sibilai, stringendo i pugni.
“Incredibile” rise “Son passati anni, eppure ancora hai questo atteggiamento quando si tratta di lei. Eppure” continuò “Ho saputo hai smesso con la vecchia vita.”
“E’ diventata un medico.” Borbottò Brittany, alzando lo sguardo e posizionandolo nel mio.
 
Per un momento, persi stabilità.
Non so esattamente quale fosse stato il tono con cui pronunciò quelle parole.
Risentimento?
Tristezza?
Rassegnazione?
Non avrei saputo dire.
 
“Un medico” sollevò le sopracciglia “Scelta interessante. E state ancora insieme?” chiese, ridendo, come se già sapesse la risposta.
 
Feci un altro passo in avanti.
E questa volta, lo avvertii.
Iniziavo a sentire le gambe più deboli.
Il mio corpo più pesante.
Il respiro un po’ più faticoso.
Cessai la mia avanzata.
 
Dovette notare il cambiamento perché la sua risata si fece più sguaiata.
 
“Qualcosa mi dice di no!” si rispose da solo, esclamando compiaciuto “Ho fatto proprio un ottimo lavoro.”
“Non voglio tornare indietro” parlai, cercando di ignorare le sue parole “Voglio solo che lei torni a casa.”
“Sai perché lei è venuta qui?” mi chiese, invece.
 
Non risposi.
Ma lo sapevo.
Era lì per noi.
Non avrebbe dovuto.

Ci guardammo negli occhi per un secondo.
E, ancora, lei abbassò lo sguardo dopo poco.
 
“E’ venuta qui perché sperava che vi facessi tornare come prima” spiegò, contento “E’ qui perché sperava che, come il veleno che vi somministrai vi ha reso intolleranti l’una all’altra, così io possa avere un vaccino per rendervi di nuovo…” ragionò su cosa dire, grattandosi il mento “Voi. Quella macchina da guerra che eravate diventate assieme.”
 
Era vero.
Insieme eravamo diventate invincibili.
Qualsiasi colpo provava a compiere Shaw, c’eravamo sempre io e lei pronte a fermarlo.
La complementarietà dei nostri poteri ci permetteva di fare gradi cose.
La mia forza, la mia velocità, la mia indistruttibilità.
Il suo potere sui quattro elementi.
E un’intesa senza pari.
 
“E’ venuta in cerca di risposte” continuò, risvegliandomi dai ricordi che avevano cominciato ad affollare la mia mente “Qualcosa mi dice che lei è pronta a combattere per voi due.”
 
Lo fissai dritto negli occhi.
 
“E, vedi, all’inizio ho pensato fosse l’unica, perché insomma” sollevò le sopracciglia “Tu fai il medico e l’hai abbandonata.”
 
Serrai la mandibola.
Non l’avevo abbandonata.
 
“E lei, beh, lei è qui” la indicò con un cenno “Dritta nella tana del lupo, per voi.”
“Si può sapere cosa vuoi?”
“Vedi, la parte più bella dell’avervi reso intolleranti l’una all’altra” spiegò, con calma “Dell’aver fatto sì che man mano che vi avviciniate, i vostri poteri vi si ritorcano contro, era proprio vedervi lottare per opporvi a questa condizione. Era incredibile continuare a vedervi combattere vicine, consce di rischiare di morire, solo per il fatto di ostinarvi nel desiderio di proteggervi a vicenda.”
“Dove vuoi arrivare?”
“Dove voglio arrivare?” fece retorico “Mi eravate mancate.” Sorrise. “Stavo aspettando la tua venuta con ansia, ero curioso di vedere di cosa fossi capace anche a distanza di anni e sapevo bene che solo lei ti avrebbe motivato a tornare. Di fatto, altrimenti, non mi sarebbe costato nulla lasciarla andare” continuò, dandole un colpetto sulla spalla “In fondo è inerme senza di te.”
“Che intendi?” feci confusa.
 
Ma se spaccava culi anche senza di me Brittany!
Vidi Shaw dapprima sollevare le sopracciglia sorpreso.
Poi ridere incredulo.
 
“Ma allora tu non lo sai!”
“Di che parla, Brittany?” mi rivolsi questa volta direttamente a lei.
“Non sei l’unica ad aver smesso di combattere, mia cara” rispose per lei Shaw.
 
Come era possibile?
Brittany era ancora alla scuola.
Lo sapevo.
E questo perché spesso l’andavo a trovare.
O, meglio, mi limitavo ad osservarla da lontano.
Nascosta fra qualche ramo.
Dietro qualche macchina.
Qualche statua.
Mi ero rassegnata all’idea di non poterla più amare, ma dentro di me il desiderio di sapere come viveva e cosa faceva era sempre troppo forte.
Non potevo rassegnarmi all’idea di non vederla più.
Volevo che andasse avanti con la sua vita.
Volevo solo il suo bene.
E la sua felicità.
Sempre.
 
“A quanto pare” mi spiegò ancora lui “La tua dolce metà non sopportava l’idea di dover continuare a combattere senza di te. Devo ammettere” continuò “Che sono diventati piuttosto noiosi gli scontri, senza di voi non è la stessa cosa.”
 
Provai a guardare Brittany.
Ma, come prima, si ostinava a tenere la testa china.
Spostai nuovamente l’attenzione su Shaw.
 
“Se proprio ti annoi” sollevai un sopracciglio, innervosita “Puoi sempre farci tornare come prima.”
“E tu torneresti indietro, Santana?” chiese, sorpreso “Lasceresti la tua nuova vita per tornare indietro?”
 
Sì.
No, maledizione.
Erano passati 7 anni.
Dovevo tornare con i piedi per terra.
 
Il fatto era che non mi sentivo così da troppo.
L’aver usato nuovamente i miei poteri.
Aver visto lei.
Lui.
Avevano riaperto vecchi cassetti chiusi nella mia mente.
Mi avevano fatto tornare indietro di anni.
Tutto in una volta.

Ma la verità era che avevo una nuova vita.
E quella non era più la mia.
O, almeno, così sarebbe dovuto essere.
 
“Non lo so. Forse.”
“Mmm” si grattò il mento, pensieroso “Sai quando ho capito che stravedevi per il cubettino di ghiaccio qui?” chiese, riferendosi a Brittany.
 
Lo osservai incuriosita.
A quei tempi, cercavamo di far notare il meno possibile il nostro legame.
Sarebbe stato pericoloso.
Certo era che, purtroppo, un occhio attento avrebbe potuto notare certe piccole sfumature.
 
“Quando dopo il veleno che usai su di voi, tu tentasti, durante un attacco, di frapporti fra un proiettile e lei”
 
Mi ricordavo.
Successe due mattine dopo quel giorno.
Il giorno in cui Shaw ci rapì e rese cavie da laboratorio.
Durante uno dei soliti attacchi del gruppo di quel pazzo, partì un proiettile diretto contro Brittany.
Non potevo lasciare che venisse colpita.
 
“Se non fosse stato per quel Pichachu umano, come si chiama” si portò un dito alla tempia pensieroso “Ecco, quella Quinn Fabray, ci avresti lasciato le penne. Ma da lì” continuò, poi “Capii anche che il divertimento sarebbe finito a breve.”
“Cioè?”
“Avevo sottovalutato il vostro legame” spiegò “E vederti fare quello, mi fece capire che prima o poi avresti ceduto, avresti abbandonato per il suo bene.”
 
Lo ascoltai attenta.
Mi chiesi dove volesse arrivare.
 
“Perché ci hai fatto questo?” chiesi, per la prima volta, estenuata.
“C’è bisogno di chiederlo?” fece, retorico “Avevate reso la mia vita molto più complicata, eravate una spina nel fianco assieme.” Spiegò “E poi, diciamocelo, colpirvi significava colpire Kali.”
“Che c’entra lui?”
“Lui stravede per voi, ovviamente.” Rispose “Ma soprattutto per te, Santana.”
“Kali stravede per qualsiasi alunno della sua scuola” ribattei io.
“Sarà..” sorrise. “Ad ogni modo, per quanto vi abbia di fatto eliminato, un po’ mi rattrista non vedervi in giro.”
 
Mi innervosii.
Che diavolo voleva ancora da noi?
 
“Hai questo antidoto o no?!” chiesi, arrabbiata.
“No.” Rispose, secco “Ma potrei lavorarci su.” Concesse “E’ chiaro che non lavoro pro bono.”
 
Ovviamente.
 
“Cosa vuoi in cambio?” chiese, questa volta, Brittany, con voce flebile.
“Semplice: una di voi due. Voglio che una di voi lavori per me” chiarì, serio.
“Puoi scordartelo.” Provò ad alzarsi in piedi lei.
“Oh andiamo” sorrise “in fondo vi vedreste ancora, sareste solo costrette a combattere l’una contro l’altra, ma almeno non stareste male.”
“Facciamo che rado al suolo la tua fortezza e me lo prendo con la forza questo antidoto poi?” chiesi io, arrabbiata.
“Sarebbe impossibile per te capire quale sia” rise, tranquillo.
“Allora facciamo che ti porto con me nella scelta della fiala, mentre ti tengo una mano attorno alla gola.”
“Non dimenticare mai dove sei, Santana” si fece ora serio “Sarai anche indistruttibile, ma sono sicuro tu non sia immune a tutto e non credere che in questi anni non abbia lavorato per creare un’arma appositamente ideata contro di te.”
“Tu menti.”
“Se vuoi possiamo sempre testare.”
 
Strinsi la mascella.
In tutti quegli anni il mio corpo si era rivelato a prova di qualunque cosa.
Fuoco.
Ghiaccio.
Proiettili.
Acciaio.
Tutto.
Non poteva avere qualcosa con cui colpirmi davvero.
Giusto?
L’unica in grado di farmi del male ormai era solo Brittany.
 
“In fondo” riprese, afferrando proprio lei per la parte di dietro della maglia e spingendola in avanti con forza.
“Ouch”
“EHI!” urlai, assumendo una posizione di attacco. “Lasciala andar-“
“Ne ho già creata una.” Continuò, spintonandola verso di me.
 
Ogni passo che faceva in avanti, più forze avvertivo di perdere.
 
“O sbaglio?!” tuonò spingendola infine con forza contro di me, facendola quasi cadere.
 
La presi al volo, afferrandola fra le braccia.
Ma ormai a stento sentivo di reggermi in piedi.
Tanto che persi l’equilibrio, cadendo a terra.
Tirando giù Brittany con me.
 
La testa cominciava a girarmi.
Iniziavo a faticare a respirare.
E potei avvertirlo, lei iniziava già ad essere fredda.
 
Maledizione.
Shaw si avvicinò ancora.
Piano.
Ne approfittai per sedermi a terra, cercando di raccogliere le forze rimaste.
Ci raggiunse infine, posizionandosi giusto di fronte a me.
Si inginocchiò, così da guardarmi negli occhi.
 
“Non credere che questo sia già il massimo che posso fare per distruggerti, Santana” sibilò, afferrandomi per la gola.
 
Non riuscivo a respirare.
Avvertivo sempre meno aria raggiungere i miei polmoni.
Iniziai ad agitarmi.
 
“L-lasciala!” tuonò Brittany, cercando di spingerlo via.
Ma con le mani bloccate, poco poteva fare.
 
“Vi sto dando una via d’uscita” ribadii, afferrando anche lei per il collo, con l’altra mano.
 
Tenendoci ben ferme, ci fece avvicinare ancora di più.
Notai con la coda dell’occhio le labbra di Brittany diventare sempre più blu.
Le nostre teste a contatto.
La vidi tremare.
 
“Non pensate neanche lontanamente di potermi raggirare” continuò ancora, arrabbiato “Se accetterete, la prescelta diventerà mia seguace e lo sarà per davvero” scandì convinto le parole “pena la morte dell’altra.”
“N-non l-lavoreremo mai per te!” provò Britt, cercando di combattere gli scossoni di freddo.
 
Io, ormai, sentivo di non avere neanche la forza per parlare.
 
“Allora continuerete a vivere così” si indispettì lui “Divise per il resto della vostra vita” precisò, stringendo la presa sulle nostre gole “Anche se devo ammettere, la cosa mi dispiacerebbe. Preferirei di gran lunga vedervi combattere l’una contro l’altra.”
“L-lasciaci andare.” Provai, stanca.
 
Shaw mi guardò fisso negli occhi per qualche secondo.
Lessi disprezzo nelle sue iridi blu.
 
“E sia.” Concesse “Non ha senso avere due larve inutili qui dentro” fece, con sguardo schifato, lasciando la presa sui nostri colli.

Dio.
Aria.

“Volevi delle risposte, signorina Pierce” si rivolse poi alla ragazza al mio fianco. “La risposta è che siete delle deboli, schiave dei vostri sentimenti e non avrete mai ciò che avevate prima senza dei sacrifici”

Provai ad allontanarmi da Brittany, strisciando sul pavimento.
Quel tanto che bastava per rimettermi in piedi.

“Vi ho dato una possibile via d’uscita” concluse “Ora sta a voi.”
“Pezzo di merd-“
“Piano con le parole, signorina Lopez. Non è davvero nella situazione ideale per insultare chi potrebbe ucciderla seduta stante” ghignò “Anche se non darebbe la minima soddisfazione colpire una debole strisciante per terra.”
“Smettila!”
“Tanta forza, eppure così facilmente distruttibile” mi schernì “Scommetto che Kali aveva visto in te il suo successore. Povero stolto. Ha confidato in un mollusco privo di spina dorsale.”

Sentii la rabbia montare dentro di me.
Ma ero ancora troppo vicina a Brittany.
A stento riuscii a rimettermi in piedi.
Barcollante.

“E ora fuori di qui!” tuonò, irritato “Non voglio la feccia nel mio palazzo.”

Provai ad avvicinarmi a lui.
Volevo colpirlo.
Fargli saltare tutti e 32 denti dalla bocca con un pugno ben assestato.
Ma riuscii a fare solo due passi, prima che uno dei suoi scagnozzi, sbucato dal fottuto nulla, mi desse un forte spintone, facendomi impattare contro Brittany.

“Libera la bionda e portale assieme ad un paio di chilometri da qui, lasciale andare poi” ordinò “Tanto sono assolutamente inutili”
“Vieni qui che ti prendo a-“
“A pugni, signorina Lopez?” mi chiese, osservandomi respirare a fondo, mentre Brittany cercava alla bene e meglio di tenermi in piedi “In quelle condizioni non sei capace di nulla. Anzi” continuò “Mi sembra una totale perdita di tempo parlare con una ragazzetta che ha preferito la strada facile rispetto alla lotta e al proprio destino.”
“Io non ho-“
“Sì, invece” mi zittì “Ti sto offrendo una possibilità di riscatto” continuò “Entra nella nostra confraternita e lascia entrambe le tue vecchie vite.”
“Mai.”
“Allora non abbiamo niente di cui discutere” concluse “Continua la tua misera vita, signorina Lopez, e, signorina Pierce” fece, poi, rivolgendosi alla bionda al mio fianco “Ti consiglio di mettere una pietra sopra al tuo passato con l’ispanica che stai a stento reggendo in piedi” ghignò “Qualcosa mi dice che non ne vale la pena.”
“Tu-“
“Portale fuori di qui, Lucius!” ordinò, infine, dandoci le spalle, prima che, forte, la presa di quell’omaccione-bestia si facesse sentire su entrambi i nostri colli, mentre ci portava di peso fuori.

La rabbia ribolliva nelle mie vene.
L’avrebbero pagata.

 

 
“Tutto ok?” chiese Brittany, nel bel mezzo del nulla, dopo che si fu allontanata di qualche passo.

Il bestione ci aveva portato, come era stato comandato, a qualche chilometro dalla fortezza.
Della strada ricordo poco, vista la vicinanza con la bionda e la presa salda di lui sulla mia gola.
Iniziai a sentire nuovamente la forza pervadere il mio corpo.
Lentamente.

“Una merdaviglia.”
“Hai ritrovato la tua vena ironica noto” constatò lei, sollevando le sopracciglia “Mi piace. La preferisco alla tua versione cyborg medico.”

La linciai con lo sguardo.

“Cosa credevi di fare, eh?” chiesi, arrabbiata.
“Avevo bisogno di sapere se c’era una soluzione.”
“A cosa? Alla nostra situazione?” feci retorica “Britt, abbiamo provato per mesi prima che me ne andassi, niente ha funzionat-“
“Ti sei arresa troppo presto.”
“E tu troppo tardi, evidentemente.” Controbattei, arrabbiata “Non ha niente anche lui! Niente! E’ disposto a provare se una di noi passa dalla sua parte, provare, Brittany. Non ci sono garanzie, l’unica garanzia è che saresti potuta morire lì!”
“Ma non è successo giusto?”
“No, ma se-“
“Niente se, San. Non è successo, perché sei venuta tu.” Disse, guardandomi intensamente negli occhi. “Perché sei venuta?”
“Perché nessuno in quello schifo di scuola stava muovendo un muscolo per te!” tuonai, ripensando alle parole di Quinn.

Oh.
Kali avrebbe avuto una cazziata con i controfiocchi.

“Non spettava a te salvarmi comunque” ribadii “Perché sei venuta?” chiese, ancora, fissando lo sguardo nel mio.

Provai a distoglierlo.
Non riuscivo a reggerlo.

“San.” Mi richiamò “Rispondimi.”
“Eri lì per noi” dissi, piano “Il minimo che potessi fare era venirti a cercare.”
“Tu non mi sei venuta a cercare”

La guardai confusa.

“Tu hai quasi raso al suolo la sua fortezza per portarmi via di lì.”
“E con questo?” chiesi, indispettita.
“Niente” un piccolo sorriso, appena accennato sulle labbra.
Quasi invisibile.
Ma non per me.

“Mi chiedo cosa penserebbe Sancio Panza se sapesse quello che hai fatto.”

Jessie.
E meno male che non sapeva della proposta di matrimonio.

Dopo la chiamata ero schizzata via di casa.
‘Un caso urgente, devo andare’.
Non gli avevo dato neanche il tempo di fare domande.

Beh, di certo non potevo dirgli la verità.
‘Ciao amore, sto giusto andando a recuperare la mia ex, tenuta da un tipo assetato di potere, che è già stato capace di farci a pezzi una volta, nonostante fossimo entrambe dotate di poteri.
Ma, tranquillo, credo di farcela per cena.’

“Non ho fatto niente, se non riportare indietro una vecchia amica” misi in chiaro, cercando di sembrare verosimile.
“Una amica che fa ormai parte del tuo passato” fece, amara, ripetendo le stesse parole che usai quella sera nel mio studio.
“Già.”

Mi presi un momento per osservarla.
Era sempre bellissima.
I lunghi capelli biondi ad incorniciare il viso.
Non era cambiata di una virgola in quegli anni.
Forse solo lo sguardo.
Quei meravigliosi occhi azzurri che avevo sempre amato.
Sembravano quasi stanchi.
Da anni.

“Perché non combatti più?” chiesi, poi, ricordandomi le parole di Shaw.

Lei si limitò a sollevare le spalle.

“Tu perché non combatti più?” chiese, in risposta.

Per i ricordi.

Combattere avrebbe portato alla mente vecchi ricordi.
E io non volevo che affollassero la mia mente.
Mi avrebbero distrutto.

Era proprio per questo che decisi di cambiare vita.
Solo così avrei potuto tenere il suo ricordo a distanza.
E permettermi di respirare senza che un macigno si stabilisse sul mio torace ogni mattina.
Ogni giorno.
Ogni sera.
Che non passavo con lei.

“Torni alla scuola ora?” chiesi, ignorando la sua domanda.
“Dovrei.”
“Vengo con te.” Feci, facendole spalancare gli occhi, stupita.
“Davvero?”
“Devo parlare con Kali” chiarii, vedendo il suo entusiasmo scemare “Poi andrò via.”

Lei si limitò ad annuire.
Lessi delusione nel suo sguardo.
Come ogni volta che accadeva, sentii il mio cuore stringersi.
Finsi di non averlo notato.

“Allora vado avanti io” fece poi, allontanandosi ancora di qualche passo da me, così da essere libera di usare i propri poteri. “Creerò una strada verso la scuola, ti basterà seguirla”
“Va bene.”

Vidi dalle sue mani iniziare a fuoriuscire ghiaccio.
Ne rimasi affascinata, come la prima volta.
Quando fece nevicare sulla mia mano destra.
E scaldare il mio cuore.

Nel giro di qualche secondo Brittany era già a qualche metro d’altezza, con i piedi saldi su questa specie di pedana creata con i suoi soli poteri.

“Tutto ok?” chiesi, vedendola quasi titubante.

Come se fosse quasi indecisa su qualcosa.
Si voltò verso di me, guardando in basso alla mia posizione.
Il nero dei miei occhi a contatto con l’azzurro dei suoi.

Sapevo che non aveva senso.
Ma per un secondo.
Uno solo.
Sperai in un ‘ti amo’.
Ed era così dannatamente sbagliato.

Mi presi a pugni mentalmente per l’assurdità della cosa.

“Grazie, San.” Disse, solo.
“E di cosa?”

Un piccolo sorriso a solcare le sue labbra.
Lo sguardo, per la prima volta da non avrei saputo dire quanti anni, meno duro.
Meno severo.
Meno glaciale.

Pronunciò una sola frase, prima di allontanarsi metri.
Continuando l’avanzata di quella autostrada di ghiaccio.
Non mi diede neanche il tempo di rispondere.

“Grazie per non esserti arresa.”




 



Tetraedro dell'Autrice

Ecco a voi anche questo capitolo :) spero vi piaccia.
il prossimo, ambientato nel passato come al solito, dovrebbe arrivare entro massimo una settimana ;)

grazie mille come sempre a tutti, davvero *-*
A presto, bella gente :D

 

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Capitolo 5
*** Passato - Do you like me? ***


Passato.
 



“Ieri mi hai dato buca.”
“E con ciò?” risposi, noncurante, con gli occhi chiusi dietro i miei amati occhiali da sole.
“Non mi hai mai dato buca.” Commentò, piccata, Quinn sdraiata al mio fianco.

Come era nostra consuetudine, da anni, nelle pause pranzo io e la mia fidata ex compagna di stanza, neo traditrice, ci allontanavamo dalla mensa.
Probabilmente tutti dovevano pensare ci mettessimo un po’ all’aperto su qualche panchina del grande giardino della scuola.
Questo era tendenzialmente vero.
Eravamo sì all’aperto.
Ma sdraiate sul tetto della scuola.

Come ci arrivavamo?
Con un mio semplice salto.

“Volevo andare nel bosco a giocare a tiro al bersaglio.”
“Che bersaglio stavolta?” chiesi, divertita.
“Le mutande di Puck.”
“Interessante” sorrisi “Ci ha provato con Rachel?”
“Sì.”
“Tutto chiaro.” Annuii, alzandomi sui gomiti per guardarla “Qualche modalità particolare?”
“Pensavo onestamente a chi riesce a disegnare sulle mutande, ad altezza chiappa destra, un fiorellino.”
“Tu con l’elettricità e io con i soliti mini spilli?”
“Già.” Confermò “Solito lancio in aria dell’oggetto in questione, più cronometro. Chi riesce in meno secondi vince”
“Sarà fatto.” Feci, risdraiandomi, con le dita incrociate dietro la testa.
“Ma mi hai dato buca ieri.” Controbbattè “Oggi non ne ho più voglia.”

Sollevai gli occhi al cielo.
E meno male che ero io quella che si legava al dito le cose.

“Sul serio?” chiesi, indispettita “Proprio tu parli?”

Un semplice grugnito in risposta.

“Mi hai abbandonato per stare in stanza con Berry, Quinn.”
“Almeno sono anni che mi piace” rispose, piatta “E’ da una settimana e mezzo che conosci Brittany e già mi paccotti per lei.”
“Disse colei che mi invitava ad uscire per vendette riguardanti indovina chi?”
“Bene.” Disse, innervosita, emanando elettricità.
“Bene.”

Rimanemmo in silenzio per buoni 10 minuti.
Sapevo come funzionavano le nostre ‘liti leggere’.

Quelle ‘pesanti’ erano un po’ diverse, invece.
Avete mai incontrato quelle persone che litigano pesante?
Roba che dici ‘mò si ammazzano di botte’ e rimani lì, nascosto dietro un cespuglio, indeciso su se chiamare un’ambulanza o la polizia?
O l’esercito?
Io e Quinn eravamo così.
E ci picchiavamo sul serio.
All’inizio ricordo che Kali ci teneva sempre sott’occhio, con sguardo sospettoso.
Come se potessimo distruggere qualcosa da un momento all’altro.
Ed in effetti… come dargli torto.
La prima volta che litigammo sul serio rademmo al suolo la statua di Venere al centro del laghetto nel parco della scuola.
Ci mise in punizione per una settimana: niente poteri fuori dalle ore di lezione.
La seconda, Quinn appiccò fuoco al pino secolare preferito di Kali.
Era quello che decoravamo nel periodo natalizio.
Conseguenza: niente cioccolata calda della vigilia di natale per noi e niente regali.
La terza, colpii per sbaglio una tubatura dell’acqua.
Allagammo la scuola.
Kali uscii furibondo dalla sua stanza, con un asciugamano indosso, ancora cosparso di sapone.
Ricordo ancora che ci sgridò con un occhio chiuso, per lo shampoo che colava dalla testa.
Ho il sospetto, ad ogni modo, che, su per giù, dalla trentesima volta in poi si sia rassegnato all’idea di avere due fuori di testa nella sua scuola.
In effetti non credo che le nuove tubature rinforzate e i tavoli in acciaio della mensa siano un caso.
Già.
Quinn diede fuoco a quelli di legno.
Mai che le si possa rubare il budino a fine pranzo, oh.
Sembrava le avessi picchiato il gatto, santo il signore.

Ad ogni modo, dopo una qualsiasi litigata fra noi, leggera o pesante che fosse, tornavamo esattamente come prima.
Come se nulla fosse successo.
Quindi, insomma, da che volevi chiamare l’esercito, l’ambulanza o i poliziotti, ti ritrovi a pensare di dover chiamare la casa di cura più vicina.
Eravamo così.
Fuori di testa.

Ed ecco, che quando Quinn mi parlò di nuovo, non mi stupii più di tanto.

“Ieri sera ho visto il film ‘espiazione’ comunque”
“Oh.”

Era il mio film preferito.
Beh, prima di tutto il mio libro preferito.
Gliel’avevo consigliato un centinaio di volte.
Non lo vedeva mai per farmi dispetto di proposito.

“Non era male, un po’ triste.”
“Molto triste” precisai, ripensando alla storia tormentata dei due protagonisti.
“La bambina era una bastarda.”
“Era piccola..”
“Rimane bastarda.”

In effetti..

“Ieri sera io ho finito la tesina per il corso di Kali” dissi, poi.

Quinn si alzò di riflesso sui gomiti, girandosi di lato per osservarmi meglio.

“Mi avevi detto che preferivi stare in camera con Brittany ieri” corrugò le sopracciglia, confusa.
“Dovevamo farla assieme.” Chiarii.
“Quindi mi hai mentito.”
“Non ho mentito!”
“Sì! Mi hai fatto credere che non volessi uscire con me perché non volevi!”

Mi girai verso di lei, con nochalance.

“Questa è solo omissione, mia cara.” Precisai “Ho semplicemente omesso che stessi studiando con lei”

Non che mi dispiacesse in fondo.
Quella ragazza iniziava a piacermi.
E anche tanto.
Aveva un non so che…
Mi attirava.

“Ti odio.” Disse, in tutta risposta “Su cos’era?”
“Eroi del passato” sorrisi “Divertente.”
“Perché?”
“Sapevi che in realtà Superman è davvero esistito?”
“Sì!” si alzò a sedere entusiasta “Però era una sola vivente, perché in realtà aveva solo super forza e capacità di volo.”
“Già” risi “Era la tutina a renderlo super resistente, una delusione! E io che credevo di aver trovato il mio predecessore!”
“Sì, beh, vedi di non diventare alcolista anche tu, però” rifletté Quinn “Chissà che fine avrà fatto.”

Superman fu una sorpresa.
La sua storia è stata un po’ caricata nei fumetti.
Senza contare che mollò per il troppo stress.
A quanto pare, essere costantemente il punto di riferimento di un’intera città, alla fine ti fa uscire fuori di testa.
Il tipo iniziò a bere.
Che poi, voglio dire, quella tutina e una vita di copertura da idiota porterebbero chiunque a farsi un bicchierino ogni giorno.
Alla fine non si fece più vedere.

“Qualcos’altro di figo?” chiese, poi.
“Beh, Achille esistette davvero”
“Ah sì?”
“Sì! Il tipo però soffriva di una malattia del sangue particolare e rarissima, per cui in pratica aveva seri problemi nel rimarginare le ferite, roba che se si tagliava con un pezzettino di carta oggi sarebbe finito all’ospedale”
“E il fatto del tallone era vero?”
“Parzialmente. Hai presente la madre, la ‘dea’” spiegai, facendo il segno delle virgolette “In realtà era solo una tipa particolarmente brillante e geniale, e trovò, grazie ad una combinazione di non so che schifezze, una formula per una sorta di pomata, che spalmata sulla pelle, la rendeva indistruttibile”
“Oh.. Una manna dal cielo per Achillino”
“Decisamente” concordai “Peccato che il tardo si dimenticò del tallone un giorno.”
“Wow..”
“Già..”
“Altro?”
“Beh.. questa non so se la vuoi sapere..”
“Ormai ci siamo.. dimmi”

In fondo aveva il diritto di sapere la verità.

“Zeus.” Iniziai, notando la sua attenzione raggiungere il picco.
“Sì?”
“Non è che era proprio il ‘dio dei fulmini’” provai.
“Cioè?” chiese terrorizzata.
“Aveva la super forza, anche lui, che potere gettonato” commentai “Ad ogni modo.. probabilmente anche i suoi muscoli del colon e del retto dovevano avere la super forza.. perché, insomma, non è che fossero propriamente fulmini quelli di cui si parlava e-“
“Basta.” Mi fermò, chiudendo gli occhi con forza “Hai distrutto l’immagine di quello che credevo fosse il mio predecessore.”
“Mi dispiace Quinn..”
“Ti odio.” Disse, in tutta risposta. “Ho bisogno di tempo per metabolizzare la cosa”
“Certo” annuii, comprensiva.

Attesi in religioso silenzio 30 interi secondi.
Poi mi annoiai.

“Con Berry, Quinn?”
“Eh” sospirò.
“Male?”
“Non male” precisò, indecisa “Ma, stazionario, ecco.”
“Non è servito a molto stare in stanza con lei?”
“Parliamo di più, per carità” chiarì “Solo che…”
“Ti considera sempre un’amica.”
“Già.” Sbuffò “Non so davvero se non capisce o non vuole capire che mi piace.”
“Dalle un po’ di tempo” provai “In fondo, è un po’ tarda”
“Saaan” mi richiamò.
“Cosa?” feci, seccata “Quinn, porca miseria, per non capire che le sbavi dietro, cioè, non è che  deve avere dei prosciutti sugli occhi, ma la cazzo di allegra fattoria.”
“E pure hai ragione.”
“Certo che ho ragione!”

Avete presente quei tipi di persone riservati?
Che non capisci davvero se piaci oppure sono solo cortesi?
Che hai il fottuto terrore di dichiararti per paura di trovarti davanti una persona che cade dalle nuvole?
Roba che se potesse visualizzerebbe e scomparirebbe nell’oscurità.
Bene.
Quinn era l’esatto opposto.
Lei sorrideva, e scherzava e rideva alle battute e prestava qualsiasi cosa, anche le mutande se fossero servite, e parlava, contemplava e guardava come si guarda un’opera d’arte, e supportava e cambiava la fottuta camera.
Ma santo iddio.
Due più due no?

“Ma Brittany?”

Mi risvegliai dal mio piccolo trip mentale.

“Brittany?” chiesi, confusa.
“Ti piace?”
Boccheggiai un paio di secondi.
“C-cosa?” risi, in maniera palesemente isterica “No, per niente!” mi affrettai a dire “Come ti viene in mente, Quinn?!”
“Ma..-“
“Ma dico sei fuori di testa?!” continuai, alzandomi in piedi sul tetto “Cioè, io boh, che assurdità.”
“San..”
“Sei assurda!”
“Sì, ma-“
“ASSURDA!” sbraitai “Come se potesse piacermi davvero una persona conosciuta, mh, cos’è da manco una settimana?!”
“Sono quasi due in realtà.”
“Appunto! Assurdo!” confermai “Io non capisco davvero come tu possa anche sol-“
“Da quanto ti piace?” mi fermò Quinn, alzando solo una mano e il sopracciglio sinistro.

Sbuffai.

“Forse dal primo giorno.”
“TU COSA?!”
“Abbassa quelle sopracciglia e ridimensiona i tuoi occhi, mi inquieti” commentai il suo sguardo esterrefatto.
“Non mi hai detto niente!”

Mi limitai a sollevare le spalle.

“Sul serio?” chiese, con una smorfia “Una sollevata di spalle? Io ti spacco la faccia!”
“WO!” la richiamai “Che ho fatto?!”
“Mi hai rinfacciato di averti abbandonato ogni giorno!”
“Beh-“
“Mi hai registrato sul tuo cellulare come ‘La traditrice’ più una stupida faccina a forma di merda”
“A mia discolpa poss-“
“Ti sei fatta offrire il gelato ogni giorno!”
“Sì ma-“

Mi interruppi vedendola alzarsi in piedi.
Dio.
Emanava elettricità manco fosse una centralina elettrica rotta.

“Ti ho lasciato mettere tutti i mi piace che volevi dal mio account Facebook!” sbraitò “Per colpa tua mi ritrovo post di Violetta ogni ora nella sezione notizie!”
“Quinn” la fermai, alzando le mani “Respira a fondo.”
“Io ti prendo a calci.”
“Mannò…”
“Massì” si avvicinò di un passo, annuendo “Ti prendo proprio a calci”

La osservai per un secondo.
Dovevo placarla.
Ricorsi alla mia migliore espressione pentita.

“Mi serve il tuo aiuto, Q” provai, triste.
“Per cosa?” chiese, socchiudendo gli occhi, acquietandosi leggermente.
“Credo mi piaccia davvero.”
“Violetta, San” ribadì, invece, in risposta lei “Sai cosa significa trovare sotto una foto di gruppo, un post in cui ti si chiede se preferisci Gonzalo o Matias, a suon di mi piace e commenti?”
“Mi dispiace..” provai, colpevole “Ma” feci, poi, confusa “Sul serio si chiamano così?”
“No.” Sbuffò “Non ne ho idea, cerco solo di resettare la mia memoria ogni volta che accade.”
“Sembra giusto.”

Vidi Quinn passarsi la mano sul viso stanca.

“Qual è il problema?” chiese, poi, rassegnata, guadagnandosi un mio gran sorriso.
“Mi hai perdonato!”
“Perdonare è una parola grossa” precisò, guardandomi in cagnesco “Allora? Mi dici?”
“Credo mi piaccia, Q.”
“Questo l’ho capito.”
“Ma non so se a lei piaccio..”
“Mh..” si passò una mano sul mento pensierosa “Nessun feedback?”
“Non so..” ragionai “Non sono neanche sicura di aver mandato io degli imput, in realtà.”
“Capito.. Beh” si grattò la nuca “In fondo è ancora presto, vi conoscete da poco e-“
“Ogni sera mi regala un pupazzino di neve creato con i suoi poteri” le dissi, entusiasta.

Ogni giorno sempre più preciso e dettagliato.
Sempre migliore.
Il giorno prima era stato un gattino.

“Wow..”
“Sì!” confermai “E l’altro ieri mi ha riscaldato l’acqua della vasca perché era troppo fredda”
“Mentre eri nuda all’interno?!”
“No..” precisai “no… Quinn, andiamo!”
“Chiedevo..” alzò le mani. “E’ tenera però.”
“Sì.. molto.” Sorrisi “Solo che non capisco se lo fa per, sai, amicizia o.. magari le piaccio”

Quinn si limitò ad osservarmi sorridente.

“Lo vedrai solo col tempo, San” mi diede una pacca sulla spalla “E forse non sono neanche la migliore persona a cui chiedere consigli in proposito.”
“Vero..” concordai, guadagnandomi uno scappellotto. “Ehi!”
“Dovevi smentire la mia tesi, idiota!” mi richiamò “Bell’amica!”
“Antipatica” commentai, massaggiandomi la testa.

Improvvisamente vidi il suo sguardo farsi più serio.
Mi chiesi cosa stesse pensando.

“Che hai, Q?”
“Ieri, per la prima volta in tanti anni, ho pensato che mi avresti abbandonato.”
“Ma vaaaa” risi, dandole uno spintone “Che cretina che sei”
“Sul serio, San.”
“Andiamo, Q..” provai, vedendola un po’ sulle sue “Sarei uscita con te se non fosse stato per quella tesina.”
“Ora lo so..” riflettè “Ma, non so, ieri ho ripensato anche al fatto di aver cambiato stanza, per la prima volta ho avuto paura di aver incrinato la nostra amicizia.”
“Non hai incrinato niente, Q” sorrisi “Faccio un po’ la melodrammatica e mi prendo le mie vendette, ma è super ok”
“Niente si metterà fra di noi, vero?” chiese, lasciandomi di stucco “Fra la nostra amicizia”
“Mai, Q” sorrisi “Siamo amiche che si prendono a pugni troppo bene per dividersi”
“Vero..”
“Non ti impippare, dai” le diedi uno spintone “Sono io la tipa ansiogena fra le due! Dove mai posso andare senza la mia fida centralina portatile!”
“In effetti… ma!” sollevò un dito in alto, in maniera solenne “Se mai mi volterai le spalle, sappi che ti farò del male.” Mi minacciò con gli occhi chiusi in una fessura.
“Se mai accadrà, e riuscirai nell’intento, ti autorizzo a farlo.”
“Bene.” Sorrise, finalmente.
“Bene.” Sospirai “E ora cambiamo argomento che mi inquieti così, eh?”
“Santana!”

Io e Quinn ci guardammo un momento confuse, cercando di capire da dove venisse la voce.
Ci affacciammo leggermente dal limite del tetto, guardando verso il giardino.
Era Brittany.
Sventolava una mano infuocata per farsi vedere.

“Brittany!” risposi, entusiasta “E’ un’idea geniale quella della mano segnaletica!”
“Cosa?” urlò da giù “Non ti sento!”
“Dicevo che la mano era figa!” riprovai a voce più alta, ridendo.

Spense il fuoco e ci guardò come interdetta.

“Che hai detto, scusa? Armano porta sfiga??” urlò “Chi è Armano?!”
“Un udito fine come quello di una nonna sorda, priva di amplifon” scherzò Quinn, guadagnandosi un mio spintone divertito.
“Abbiamo la lezione di Kali, San!!” riprovò a urlare, dal cortile. “Spero non ci sia Armano a questo punto!”
“Arrivo, Britt!” sorrisi, prima di voltarmi verso Quinn “Senti, Q, io vado”
“Oh, lo so che vai.”

La osservai confusa.

“Ricordi che dovevo prenderti a calci?” chiese, con un ghigno.
“Quinn io non credo sia una buona idea per t-“

Boom.
Calcio in piena schiena.
E via che volavo giù dal tetto.
Feci un paio di capriole, decisamente involontarie in aria, prima di piombare di piedi a terra a pochi metri da Brittany, che mi guardava terrorizzata.

Cazzo.
Avevo preso le petunie preferite di Kali.

“Sei viva?!” si avvicinò, preoccupata, Brittany.

Mi tirai in piedi, dando un paio di colpetti sui jeans per levare un po’ di terriccio.

“Devi ancora capire bene come funzionano i miei poteri, eh?” scherzai, in risposta “E’ tutto ok, Britt”

Mi voltai poi in alto verso Quinn ancora in cima al tetto.

“La pagherai traditrice!” urlai, guadagnandomi un bacio volante.
 


 
“Sono un po’ preoccupata, San” mi disse Brittany, mentre ci incamminavamo verso l’aula.
“Perché?”
“Non so, e se Kali ci scoprisse?”

Mi voltai ad osservarla.
E in meno di un secondo i suoi occhi azzurri già erano fissi nei miei.
Sorrisi di riflesso.
Immediatamente ricambiata.

“Naaa” sventolai la mano, tranquilla “In fondo abbiamo solo copiato l’introduzione da internet, non se ne renderà conto, vedrai”
“L’hai già fatto?”

Mi bloccai.

“C-cosa fatto?”
“Copiare” rispose ovvia.
“Ahhh” ridacchiai “Certo e non se ne è mai accorto, quindi possiamo stare tranquille”
“Ok..”
“Britt..” iniziai, indecisa.

Insomma, non potevo di certo chiederle diretta se le piacessi.
Né tantomeno potevo consegnarle un bigliettino del tipo ‘ti vuoi mettere con me? Crocia sì o no’.
Chissà che avessi potuto ingaggiare qualcuno per indagare….
No.
Però.. avrei potuto almeno tastare il terreno.

“Sì?”
Fermò la sua avanzata, focalizzando tutta la sua attenzione su di me.
Aveva un piccolo sorriso tranquillo stampato sulle labbra.
Una t-shirt semplice blu e un paio di jeans.
Perfetta nella sua semplicità.

“Aspetta..” fece, avvicinando la sua mano al mio volto.

Simpatico il mio cervello.
Fu capace di pensare a mille e duecento possibili film mentali romantici che partivano con un gesto del genere.
Nel più fantasioso di questi ci sposavamo dopo una settimana alle hawaii, contornate da fiorellini e canzoni rilassanti.

“Esprimi un desiderio” mi disse prendendo dalla mia guancia una ciglia che doveva essermi caduta.

E come ogni volta che anche solo mi sfiorava, il lembo di pelle in questione sembrava andarmi a fuoco.
All’inizio mi chiesi se lo facesse di proposito con i suoi poteri.
Poi, quando una volta capitò con la sua mano semi congelata, capii che non era possibile.
Eppure era incredibile.
Era come se la mia stessa pelle volesse ricordare dove si era poggiata la sua mano.
Come se volesse ricordare il suo passaggio.

Desiderai che lei capisse.

“Ora soffia” sorrise, mentre io ubbidivo alla sua richiesta. “Che dicevi comunque?” mi riscosse poi da quella piccola parentesi.

Eh.
Che dicevo?

“Ahm..”

Cosa dire?
Come dirlo?
Chiedere se era un’appassionata di ‘the L word’ era troppo diretto?

“Sì?”

Forse era troppo diretto.
Al diavolo.

“A Quinn piace Rachel” sputai d’un fiato.

Lei si limitò a piegare leggermente la testa di lato confusa.

“Pensavo lo sapessero tutti..” commentò, stralunata.

Lo dicevo io che aveva l’allegra fattoria sugli occhi la Berry.

“No.. in realtà, la diretta interessata non l’ha capito.”
“Quinn lo fa senza rendersene conto??” spalancò gli occhi, sorpresa.
“No, no, la Berry, Britt.” Chiarii, trovandomi davanti un’espressione a dir poco basita. “Non l’ha ancora capito”
“Ma..”
“Lo so”
“Wow..”
“Lo so”
“Ce ne vuole di miopia per non rendersene conto!”
“Già.. Non so che problema abbia quella nana” storsi la bocca “ad ogni modo..” temporeggiai “Mi chiedevo se per te fosse un problema”
“Che cosa?”
“Che… sai, a lei piacesse un’altra lei”

Vidi la sua espressione da confusa farsi divertita.
Mi appoggiò entrambe la mani sulle spalle con un sorrisino.

“Non sono per niente nella condizione per giudicare una cosa così” ridacchiò “Decisamente no.”

Ora ero io ad essere confusa.

“A te dà fastidio?” chiese, poi, forse quasi preoccupata.
“Certo che no!” mi affrettai a rispondere “Ma..”
“Meno male”

Levò poi le mani dalle mie spalle, continuando la sua avanzata verso l’aula.
La osservai impalata sul posto.
Che diavolo intendeva prima?

“Britt?”
“Sì, San?” chiese, girandosi leggermente con un sorriso.
“Cosa intendevi prima con-“
“Santana, Brittany” ci richiamò una voce dall’aula più avanti.

Kali.
Aveva uno sguardo parecchio contrariato.
Controllai l’orario.
Dovevamo aver perso la cognizione del tempo.
Ups.

“Volete per caso darvi una mossa e deliziarci della vostra presenza in aula?”
 



“Entra, Santana”

La lezione era andata bene.
Avevamo consegnato la tesina e tutto sembrava a posto.
Questo fino alla fine dell’ora.
Quando Kali mi si avvicinò, chiedendomi espressamente di raggiungerlo nel suo ufficio entro il quarto d’ora successivo.

Che avevo combinato?
Oh merda.
Aveva già saputo delle petunie?

“Che succede?” chiesi, leggermente preoccupata.
“Siedi.”

Lo osservai per bene posizionandomi sulla poltroncina davanti la sua grande scrivania in legno.
Sulla parete dietro di lui, vari riconoscimenti e foto con le più svariate persone.
E nelle più incredibili delle situazioni.
Compresa una sulle spalle di un tipo che sembrava tanto Hulk.
E Kali aveva qualcosa fra le labbra.
Sembrava…
Momento.
Era una cann-

“Non credo siano affari tuoi anche se fosse” mi sorrise lui, divertito.
“Mai che non frugassi nella mia testa, eh?” ricambiai, ora un po’ più tranquilla.
“Rilassati, San, ti volevo fare solo un paio di domande.”

Non mi drogavo.
Era un caso che sapessi come è fatta una canna.

“Lo so” convenne, leggendomi nella mente.
“La smetti?!”
“Sei tu che non controlli i tuoi pensieri!”
“Fammi queste domande e lasciami andare, prima che faccia qualche danno” incrociai le braccia, infastidita.

Lui si limitò ad accarezzare la sua lunga barba nera.
Mi era sempre piaciuta un sacco.

“Che succede con Quinn?” chiese, lasciandomi confusa.
“Che intendi?”
“Vedi” spiegò, un po’ corrucciato “Ieri ho letto i suoi pensieri nel corridoio, voleva disegnare fiorellini sulle mutande di Noah”
“Oh sì, geniale” ridacchiai, trovandomi davanti un’espressione di apparente disappunto “Molto scorretto, intendevo, molto scorretto.”
“Ad ogni modo” alzò un sopracciglio “Non l’hai aiutata mi è parso di capire, perché non avete lasciato l’edificio ieri.”

Ero confusa.

“Qual è la domanda, Kali?”
“Avete litigato?”

Notai un filo di preoccupazione nella voce.
Che cicciiiiiiiiiiiiino.

“Non sono ciccino”
“Oh, sì, lo sei!” ridacchiai “Ti preoccupi della nostra amicizia!”
“Dio, siete peggio di due sorelle siamesi voi due” spiegò, allargando le braccia a mo’ di giustificazione “Perdonami se la cosa mi mette in allarme!”
“Ero a studiare” risi, chiarendo il motivo “Per la tua tesina”

Con Brittany.

“Oh.” Disse solo.
“Cosa?”
“Allora non avevo sentito male oggi in aula”

Mi bloccai di colpo.
Cosa aveva sentito?

“Durante l’ora di lezione, non hai mancato di focalizzare la tua attenzione sui luuuunghi capelli biondi della tua nuova compagna di stanza seduta al tuo fianco” sorrise “E poi, cos’è quell’ L qualcosa?”
“Cosa?” finsi di non capire.
“Word L”  provò a concentrarsi “L word”
“Non so di cosa stai parlando, Kali”

Non chiedere.

“Ok, ok” alzò le mani in segno di resa “Solo che..”
“Dio, se mi metti ansia” sbuffai, massaggiandomi le tempie.
“E’ che..” provò “Ero quasi convinto ti piacesse Quinn!”

Non l’aveva detto sul serio.

“Scherzi?”

Allibita.
Ero allibita.

“Ma se ci picchiamo ogni cinque secondi?!”
“Beh, sì, ma non è così che iniziano le storie d’amore oggigiorno?” sventolò la mano “Prima si odiano e poi si amano, un classico”
“Oggigiorno?” ridacchiai, retorica “quanti anni hai? 100?”
“Non credo sia affar tuo la mia età.”
“40?” provai, ottenendo un grugnito in risposta “50?”
“Basta, Santana”
“60??” chiesi “Eppure hai ancora i capelli e la barba neri! Neanche un pelo bianc-“
“E quindi ti piace Brittany” mi ignorò, cambiando argomento.

Cazz.

“Questo non l’ho mai detto.”
“Non c’è bisogno che parli certe volte.” Si mise gli occhiali sul naso, brandendo una penna.
“Mi ignori ora?”
“Per niente” si concentrò su delle carte sulla sua scrivania.
“Mi stai proprio ignorando” incrociai le braccia al petto.
“Ahà”
“A Quinn piace Rachel!”

In effetti, non so perché l’avevo detto.
Kali si limitò a sollevare gli occhi dalla scrivania, guardandomi da sopra gli occhiali.

“Mi piacevate assieme però, sai”
“Kali!” lo richiamai “Ma ti pare?!”
“Cosa?”
“E’ la mia migliore amica, andiamo!” sollevai gli occhi al cielo “Senza contare che pensavo fossi un tipo antiquato, una da ‘una lei può e deve stare solo con un lui a questo mondo!’” feci, riflettendo, ottenendo una smorfia in risposta.
“Questo non è essere antiquati”
“Ah, no?”
“E’ essere idioti” sollevò un sopracciglio “Mi sorprende pensi questo di me”
“Sei imprevedibile tu” sollevai le spalle “Ti incazzi per un pino”
“Era IL pino!” alzò leggermente la voce “Ed era il mio albero preferito!”

Era parecchio suscettibile sull’argomento.

“Sono certa mi perdonerai prima o poi”
“Più poi che prima forse” sbuffò “E senti, a lei piaci?”
“A Brittany?”
“Non credo possa riferirmi a Biancaneve al momento, no?”
“Mr ironia” sorrisi “E no, non so”
“Ti serve un piano?”
“Naaa, però grazie” feci, ottenendo un cenno del capo in risposta “E poi non mi piac-“
“Signor preside!”

Entrò nella stanza una Brittany parecchio di corsa.
Sobbalzammo entrambi dalla sopresa.

“Se punisce lei deve punire anche me!”
“Che?” chiesi stralunata.
“Brittany, ma-“
“Abbiamo copiato entrambe, signore.” Annunciò, seria “Mi dispiace, ma non lascerò che Santana si prenda la colpa da sola e-“
“Avete copiato?!” mi guardò fisso negli occhi Kali “Alla faccia della tesina per cui hai boicottato Quinn!”
“Oh andiamo!” mi lamentai “Abbiamo copiato solo l’intro, non fare il melodrammatico”

Mi voltai poi verso Brittany.
Sembrava parecchio confusa.

“Non stavate parlando della tesina, vero?” chiese, preoccupata.
“Proprio no” le sorrisi leggermente, ricambiata un po’ goffamente.

Carina che era.

“Oh ma andiamo” sollevò gli occhi al cielo Kali.

Ci voltammo entrambe verso di lui, con un sopracciglio alzato.

“Dovreste parlare voi due” si alzò in piedi “Fuori di qui.”
“Ma-“
“Tenete i vostri pensieri” continuò, imperterrito facendoci voltare e spingendoci dalla schiena verso la porta “Fuori da questa stanza!”
“Ma Kal-“
“Parlate fra di voi” si fermò puntando gli indici di entrambe le mani verso ognuna di noi “Non qui però!” ribadì, facendoci infine arrivare fuori.
“E basta copiare.” Concluse chiudendoci la porta in faccia.
 
Rimanemmo per qualche secondo imbambolate davanti la massiccia porta di legno.
Socchiusi gli occhi, confusa.
Ma che era successo?
Mi voltai, infine, verso la bionda al mio fianco.

Mi sorrise.

“Ti va un gelato?”




 



Tetraedro dell'Autrice

Scuuuuusate per l'immenso ritardo! :O e mi rendo anche conto che siamo ancora nei capitoli un po' introduttivi diciamo! maaaaa col tempo si farà tutto più chiaro.
Comunque.. credo che i capitoli sul passato li farò semplicemente come diciamo capitoli ricordo, nel senso, non avranno un filo temporale diretto immediato (lo so, mi esprimo con i piedi), mi spiego: avete già visto che in questo c'è stato uno stacco di quasi due settimane dal precedente del passato, quindi credo che continuerò su questa linea, ovvero ad cazzum! ma! c'è un ma! 
i capitoli del passato precedenti a quelli del futuro avranno in genere, salvo eccezioni, qualcosa da ricollegare a quello del presente successivo :) quindi avranno un senso, oltre a mostrare i vari step della storia.

ora basta che mi sto dilungando e vi appallo!
quindi! grazie mille a tutti davvero :) dispenso amore a tutti voi!
A presto, bella gente :D



 

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Capitolo 6
*** Presente - Come back ***


Presente.

Piccole note pre capitolo: ricordiamoci che: a. quinn è incazzata a bestia (vedere capitolo prima); b. non si vedono da 7 anni.

 


 
Arrivai di corsa, seguendo la strada ghiacciata creata da Brittany.
In quei tre secondi contati in cui arrivai, provai a non pensare a cosa stessi facendo.
Stavo tornando nella scuola, da cui mancavo da anni.
Stavo per rincontrare persone a cui voltai le spalle, senza mai tornare indietro.
Era decisamente meglio non pensarci.

Ero spaventata, arrabbiata.
Ma anche un po’ emozionata e sinceramente curiosa.

La pedana di Britt si fermava a circa un metro di altezza rispetto al cortile della scuola.
Giunsi nell’esatto momento in cui una ragazza corse incontro a lei, che doveva essere appena arrivata.
Una ragazzina mora, non troppo alta.
Chi diavolo era?

“Dio, stai bene!” sentii dire da lei in distanza, stringendola a sé.
Un leggero, piccolo, ma non insignificante, senso di fastidio mi prese.
Prima che si accorgessero della mia presenza.

Una ventina di teste sollevate all’unisono per guardarmi.

“Santana..” sentii bisbigliare da Rachel, guardandosi poi attorno.
Quasi spaventata.
Non capii il perché lì per lì.

Brittany si staccò immediatamente dalla ragazza.
Saltai giù, ponendomi all’altezza di tutti.

“Ciao” dissi solo, guardandomi attorno.

Il cortile non era cambiato dall’ultima volta che l’avevo visto qualche tempo prima.
Il giardino come sempre curato.
Non riconobbi alcuni volti.
Probabilmente erano nuovi studenti.
Ma passai in rassegna i presenti a me conosciuti.
C’erano Puck, Kurt, Rachel, che continuava a guardarsi attorno come una forsennata.
Non vidi Kali.
Non vidi Quinn.

“Santana” mi si avvicinò Rachel, con un mezzo sorriso “E’ bello vederti”

Ricambiai sinceramente contenta di quelle parole.
La sua espressione poi cambiò.

“E’ meglio che tu non ti faccia vedere ora, però.”
“Che intendi?” chiesi, confusa.
“Forse sarebbe meglio se Quinn sapesse prima di te e poi ti vedesse così da abituars-“
“Santana.”

Staccai lo sguardo da Rachel, per posarlo sulla persona da cui proveniva la voce.
Bassa, quasi un ringhio.
Ma la riconobbi.

Quinn.
Non era cambiata di una virgola.
Solito caschetto biondo, disordinato.
Soliti occhi verdi.
Peccato che emanasse elettricità.

“Quinn..” dissi, a voce così bassa, da poter essere sentita forse solo da me stessa.

La vidi avvicinarsi.
Con apparente calma.
Più passi faceva nella mia direzione, più avevo modo di osservarla.
Riconobbi nel suo sguardo rabbia.

“Ti ricordi cosa ti dissi svariati anni fa sul tetto di questa scuola?” chiese, avvicinandosi più velocemente.

Stringeva i pugni.
Vedevo l’elettricità aumentare man mano che si avvicinava.
In quel momento capii.
E ricordai.

Se mai mi volterai le spalle, sappi che ti farò del male.’

Devo ammettere che non ricordo molto di cosa accadde dopo.
Ricordo Quinn afferrare per il braccio Brittany.
La portò vicinissimo a me.
Persi le forze.

Il pugno che mi sferrò in pieno viso mi fece vedere le stelle.
Sentii un sapore fastidioso in bocca.
Forse era sangue.
Non caddi a terra.
Ma, quando arrivò il secondo colpo sullo zigomo destro, persi l'equilibrio.
Impattai al suolo.

Dopodiché non ricordo praticamente niente.
Tutto un po’ ovattato.
Come quando non si è certi del fatto che sia stato un sogno o qualcosa che davvero sia accaduto.
Sentii dell’elettricità pervadermi tutto il corpo.
Era come bruciare dall’interno.
Forse urlai di dolore, non ne sono certa.
Poi il vuoto.

Quando riaprii gli occhi ero a terra.
Brittany qualche metro più in là, con gli occhi sgranati.
Rachel tratteneva Quinn, tenendole il viso fra le mani.
Le parlava.
Ne approfittai per rimettermi in piedi.
Mi avvicinai a loro.
Fulminea.

Ribollivo di rabbia.
Scansai in meno di un secondo Rachel.
Caricai il pugno destro.
Vidi Quinn finalmente rendersi conto del fatto che mi fossi già rimessa in piedi e stessi per colpirla.
Puntai alla mandibola.
Sulla destra, a circa tre centimetri di distanza dal labbro inferiore.
Mossi il braccio per colpire.
Poi ricordai.

Le mie stesse parole, in risposta alle sue, anni prima.

‘Se mai accadrà, e riuscirai nell’intento, ti autorizzo a farlo.’

Mi fermai a un millimetro dalla sua pelle.
Ci guardammo entrambe negli occhi.
Immobili.
Senza dire una parola.

“Santana.”

Riconobbi la voce.
Ma non mi mossi.
Non riuscivo a staccare gli occhi da Quinn.
E lo stesso valeva per lei.

“Santana.” Mi richiamò ancora Kali “Ci vediamo fra un quarto d’ora nel mio ufficio.”

Ritornai alla posizione di riposo, riportando il mio braccio lungo il fianco.
Quando mi voltai nella sua direzione mi aveva già dato le spalle.

E lo stesso fece Quinn.
 



Non persi tempo e mi incamminai verso l’ufficio di Kali.
Passai per i dormitori, tappa obbligata per arrivare a lui.
Memorizzai e ricordai al tempo stesso i corridoi.
Le porte.
L’odore di quel posto.
Dio.
Erano anni che non mettevo piede in quel posto.

Qualcosa, poi, attirò la mia attenzione.
Riconobbi una porta e mi bloccai sul posto.
La nostra porta.
La nostra stanza.
Mi chiesi se Brittany ci dormiva ancora e con chi.
Un piccolo senso di fastidio al pensiero che qualcuno potesse dormire nella nostra stanza.
Con lei.

Mi guardai attorno.
Nessuno.
Irrefrenabile, sentii il desiderio di avvicinare la mano al pomello della porta.
La aprii senza pensarci su più di tanto, ed entrai.

Un’ondata di ricordi mi travolse.
Sentii il profumo, che Brittany metteva ogni giorno, nell’aria di quella stanza.
Mi catapultò nel passato.
Quando sorridevo solo varcando la soglia di quella porta.
Al solo pensiero di vederla e anche solo parlare con lei.

Tuttavia, qualcosa mi disturbò.
C’era anche un altro profumo nell’aria.
Capii che doveva condividere la stanza con un’altra ragazza, che aveva, da quello che vedevo, un piumone floreale.
Decisi di ignorare quella parte della camera.

Osservai il letto di Brittany.
La sua scrivania.
Più in alto mi stupii di trovare ancora lì la sua vecchia bacheca delle foto.

Sorrisi inconsciamente.
Aveva mantenuto tutto come prima.
Ancora le nostre foto lì, esattamente come me le ricordavo.
Mi soffermai sui dettagli.
Le mani che si sfioravano.
Le mie labbra sulla sua guancia.
Le sue sulla mia fronte.
Le nostre a contatto.
Il sorriso che si era formato sulle mie labbra tornò ad essere triste.
Come ogni volta che la nuova realtà tornava a bussare alla mia mente.
E la colonizzava con la sua ingiustizia.

Stavo per tornare indietro quando notai una nuova foto.
In basso a destra.
Brittany.
Con quella ragazza che le era corsa incontro, abbracciandola.
Chi diavolo era?

Una strana sensazione di disagio mi pervase.
Le osservai sorridenti e spensierate con un gelato in mano in quella foto.
Strinsi la mandibola di riflesso.

“E’ la mia nuova compagna di stanza.”

Mi voltai di scatto al suono della sua voce.
Cercai di sembrare il più disinteressata possibile.
Non erano più affari miei, in fondo.

“Capisco” annuii, distratta “E’ la stessa ragazza di prima, no?”
“Prima?” chiese, fintamente confusa.

Non era confusa.
Aveva capito benissimo a cosa mi riferissi.
Probabilmente sperava non lo avessi notato.
La conoscevo ancora come le mie tasche.

“La ragazza che ti è corsa incontro appena sei arrivata.” Chiarii “Quella che ti ha abbracciato”
“Oh, sì” confermò, portandosi una mano fra i capelli “Giuly.”
“Giuly.” Ripetei, fissando il nome nella mia testa.

Sentii la necessità di uscire da quella stanza.
Mi sentivo a disagio.
Non capivo perché.
Sapere di questa ragazza, del fatto che fossero compagne di stanza.
Si abbracciavano.
La foto.
Stavano insieme?
La storia si stava ripetendo?
E soprattutto, perché mi dava così fastidio il solo pensiero che potesse essere così?

Presi un respiro rumoroso, prima di sorriderle leggermente.
Prima di fuggire da lì.
Ebbi il tempo di fare un solo passo.

“Allora io vad-“
“Kali all’inizio mi permise di dormire sola in stanza” disse invece lei.

La osservai.
Ferma sul ciglio della porta.
Leggermente appoggiata al muro.
La testa bassa.
Si torturava le mani.

“Come mai?” chiesi, sinceramente curiosa.
“Io non volevo” sollevò le spalle, a mo’ di giustificazione.
“Perché?”

A questa domanda sollevò lo sguardo.
Puntò gli occhi dritti nei miei.
Strinse la mandibola.

“Perché no.”
“Ok..” annuii, comprensiva.
“Ma due anni fa” continuò “Mi chiamò nel suo studio dicendo che non poteva più andare avanti così questa cosa, che servivano posti per nuovi ragazzi e che avrebbe trovato una buona compagna di stanza per me.”
“Suppongo ci sia riuscito” dissi sarcastica, senza pensarci su più di tanto.

Cazzo.
Non andava bene.
Ero certamente suonata infastidita.

Non a caso lei mi studiò per qualche secondo.
Piegò leggermente la testa di lato.
Mi guardava negli occhi cercando di leggervi qualcosa all’interno.
Abbassai lo sguardo.

“Beh, in effetti sì” continuò, ignorando il mio tono “E’ una brava ragazza e finora si è comportata sempre molto bene.”
“Sono..” presi un respiro “Sono contenta” sorrisi.

Lei ricambiò.

“Non sto insieme a Giuly, Santana.” Disse, senza un particolare tono.

Mi spiazzò.

“I-io non-“ cercai le parole, corrucciata “Non sono affari miei, ecco.”
“Infatti” concordò lei, impassibile “Te lo sto solo dicendo.”
“Beh-“
“Anche se lei vorrebbe” aggiunse, interrompendomi.

Mi bloccai.
In che senso voleva?

Sentii qualcosa ribollirmi nel sangue.
Qualcosa che non provavo da anni.
Strinsi forte i pugni.
Gelosia.
Non andava bene.

Anni addietro ero il prototipo della persona gelosa.
E possessiva.
Non le impedivo di fare cose, o uscire.
No, quello no, ovviamente.
Ma..
Lei era mia.
Solo mia.
E nessuno poteva provarci o ronzarle attorno, senza che io facessi i raggi x alla persona in questione.
Senza che questa sapesse di rischiare una colonscopia con un palo della luce se solo avesse provato a metterle le mani addosso.

Ci fu una volta in cui Kali mi punì con due settimane di servizi utili alla scuola.
Lavare i pavimenti, i bagni.
Aiutare alla mensa.
Curare il giardino del parco.
Tutto questo perché una matricola idiota si era avvicinata a Brittany in un bar.
Aveva tentato di baciarla.
Lei si era scansata.
Ma lui afferrò le sue braccia per tenerla ferma.
Pessimo sbaglio.

Prima che anche solo riprovasse a mettere le labbra su qualsiasi parte del viso di lei, era già stato afferrato per il colletto della camicia.
Lo trascinai in pieno inverno in un punto a caso della montagna vicino la scuola.
E lo lasciai lì.
Kali dovette minacciarmi di farmi cambiare stanza per confessare in quale punto della montagna lo avessi messo.

“Ora devo andare” dissi, solo, ancora infastidita.

Anche se non ne avevo il diritto.
Per niente.
Ma proprio per niente.
Fra i miei diritti in quella situazione e quelli di un castoro in una pasticceria... Beh.
Sono sicura che Bob – perché così ho deciso di chiamare il suddetto castoro – sarebbe potuto diventare il nuovo master pasticciere mondiale.

“San..” mi richiamò lei, piano.

Puntai gli occhi nei suoi.
Dolci.
Comprensivi.
Limpidi.

Mi rilassai leggermente.
Avrei voluto dirle qualcosa.
Non so cosa.
Forse che nonostante gli anni i suoi occhi continuavano ad essere il mio rifugio sicuro.
Che mi bastava guardarla per capire cosa provasse.
Che mi bastava studiare le sfumature di quell’azzurro per ritrovare la calma.

Mi mancava.
Mi mancava così tanto.

“Oh!” sentii una voce da dietro Brittany “Sei qui”

Mi spostai leggermente di lato, per riuscire a vedere oltre la mia ex ragazza.
Per capire chi fosse.
O, meglio, per averne conferma.
Ormai avevo memorizzato il suo timbro di voce.
Mi era bastato un ‘Dio, stai bene’.

Siete qui!” si corresse Giuly con un piccolo sorriso vedendomi nella stanza.

Erano stati belli quei 30 secondi di pace.
Mera illusione.

“Beh, io vado” annunciai, seria “Vi lascio alle vostre cose”
“San” provò a richiamarmi Brittany.

La ignorai.

“Kali mi aspetta” sorrisi, forzatamente, posando gli occhi sull’altra ragazza.
“Peccato” ricambiò lei. “Mi sarebbe piaciuto conoscerti.”

Non seppi dire se il suo sorriso e le sue parole fossero sincere.
Non ero molto lucida.
E, con gli anni, avevo imparato a non prendere a pugni una persona se almeno non avessi avuto l’85% di certezza che mi stesse prendendo per il culo.
Con lei ero al 65%.
Di cui un 15-20% labile a causa della mia irritazione dovuta alla sua presenza.
Per cui attesi.

“Mi conoscerai, probabilmente” risposi, cercando di non far trasparire il mio tono infastidito/attacca brighe.

Provai anche a ricordarmi del fatto che Brittany avesse diritto ad avere una sua vita.
Sue amicizie.
Sì, persino una nuova compagna.
Che io ero l’ultima persona che poteva fare scenate viste le mie scelte.
E viste le ultime vicende.
Eppure.
Eppure continuavo a fare l’idiota.

“Ora vado” annunciai, vedendo Brittany farsi da parte per lasciare almeno 2-3 metri fra me e lei, mentre uscivo dalla porta.

Cercò il mio sguardo.
Non glielo concessi.

Uscii veloce, incamminandomi nel corridoio.
Feci un paio di passi verso l’ufficio di Kali.
Poi ci pensai.
Non avrei dovuto comportarmi così.

Mi girai leggermente.
Credevo fossero rientrate in camera.
Non era così.
Brittany continuava a guardarmi.

Lasciai che per un secondo, solo uno, potesse leggere il dispiacere nel mio sguardo.
Un piccolo, minuscolo, sorriso all’angolo della sua bocca.

Tornai infine sui miei passi.

 

 
“Entra, Santana.”

Non ci misi molto ad arrivare all’ufficio di Kali.
Mi ripromisi mentalmente di controllare i miei pensieri in quella stanza.
Poi bussai.
Alle sue parole, aprii la porta.

Era tutto come me lo ricordavo.
Mi sentii al sicuro, come accadeva ogni volta che vi mettevo piede anni addietro.
Fu una sensazione strana.

“Siedi.” Mi esortò, tranquillo, indicando la sedia davanti la sua scrivania.

Obbedii, notando immediatamente due differenze rispetto al passato.

Primo: Una nuova foto sul muro alle sue spalle.
Raffigurava me e Brittany al suo fianco.
Ci abbracciava con un sorriso immenso, pari ai nostri.
Mi ricordai.
Risaliva al periodo natalizio di svariari anni prima.
La scuola era semi vuota e lui ci invitò per una cioccolata calda nella sala comune.
Finimmo a parlare di tutto, mentre di tanto in tanto ci sgridava per i pensieri che ci frullavano nella testa.
Pensieri che riguardavano l’un l’altra.
E che lui sosteneva dovessero rimanere solo fra di noi.
Ogni tanto ci divertivamo a pensare qualcosa di imbarazzante di proposito.
Sbraitava.
Ma contemporaneamente non riusciva a trattenere un sorriso.

Seconda differenza: notai qualche capello e pelo di barba bianca su Kali.
Gli anni erano decisamente passati.

“Dicono che sono più affascinante brizzolato” commentò lui, in risposta ai miei pensieri.

Sorrisi, divertita.

“Passano gli anni, ma certe abitudini non cambiano, eh?” chiesi, divertita “Sempre a frugarmi nella testa.”
“Per me non è cambiato niente” disse, tranquillo “Può esserlo, solo se tu vuoi che lo sia.”

Quelle parole mi stupirono.
Avevo abbandonato tutto anni fa.
Anche lui.

“E’ vero” annuì “Ma ti ho cresciuto” continuò “Per me rimarrai sempre la San di un tempo.”
“Non lo sono più, Kali.” Feci seria “E’ questo il punto.”
“Il punto” controbbatté lui “E’ che se davvero fosse così, Brittany sarebbe ancora prigioniera di quel pazzo.”

Corrugai le sopracciglia, confusa.

“Tu-“
“Sei rimasta sempre la Santana istintiva, irascibile e protettiva di un tempo”

Strinsi i pugni.

“Avevi lasciato Brittany lì di proposito?” ringhiai “Per testarmi?!”
“Non per testarti.”
“Cosa allora?!”
“Per farti tornare.” Sospirò “Solo lei poteva riportarti qui.”
“Quindi l’hai usata.”
“Santana-“
“No!” sbottai “Santana un corno!” mi alzai di scatto dalla sedia “Me ne vado”

Ebbi il tempo di dargli solo le spalle.
Prima che mi richiamò con un tono così serio e severo come mai l’avevo sentito provenire dalla sua bocca.

“SANTANA!”

Mi voltai lentamente verso di lui.
Lo fissai in attesa.

“Lo vedi che sei rimasta sempre irascibile?” chiese retorico, guadagnandosi una linciata con lo sguardo “Non avrei mai lasciato Brittany lì, se non avessi avuto l’assoluta certezza che fosse al sicuro.”

Non dissi niente.
Aspettai si spiegasse.

“Quella sera era tornata alla scuola, frettolosa. Non parlò con nessuno, nascondendo i suoi occhi e i suoi pensieri a me. Non mi ci volle molto a collegare che avesse pianto e la causa fossi stata tu.” Spiegò, mentre io strinsi gli occhi al pensiero “Quando lessi il bigliettino che aveva lasciato ebbi la conferma che doveva averti incontrato.”
“Era così” dissi, in un bisbiglio.
“Conosco Shaw“ si stropicciò gli occhi “Non le avrebbe mai torto un capello. Brittany non combatte da anni, tu non combatti da anni. Aveva lei” sorrise, amaro “Mancavi tu all’appello.”
“Quindi…”
“Quindi, come io sapevo che tu saresti andata a recuperarla, senza esitare neanche un secondo, così lo sapeva bene anche lui.”
“A che pro tutto questo?”
“San, da quando te ne sei andata le cose sono molto cambiate” spiegò “Ora è Quinn la nostra risorsa più preziosa, senza di lei la scuola sarebbe in serio pericolo, anche Shaw lo sa. Gli scontri li trova banali.”
“Banali?”
“Ogni tanto viene nella scuola con un gruppetto di seguaci quando Quinn è via e riduce uno straccio un paio di ragazzini. Così, per divertirsi”

Strinsi i pugni di riflesso.
Non avevo idea che la scuola fosse ridotta così male.

“Purtroppo molti se ne sono andati, altri hanno preso le parti di quel pazzo” spiegò ancora “Riusciamo alla bene e meglio a tenerci in piedi.”
“Ma Brittany..”
“Ho provato solo una volta a farla combattere” si passò le mani fra i capelli “Era.. così distratta e priva di forze..” scosse la testa “Rischiai di farla ammazzare, meglio che insegni piuttosto.”

Spalancai gli occhi, stupita.

“Sì, San” sorrise, lui “Insegna, ed è anche parecchio brava.”
“Cosa?” chiesi, intenerita.
“Matematica e controllo dei poteri.”

Capii la scelta, in effetti.
Era un asso in matematica e calcoli vari.
E aveva un’ottima esperienza in fatto di controllo di poteri.
Era partita dal poter scatenare l’era glaciale con uno starnuto al creare piccole sculture di ghiaccio in pochi secondi.

“Sarei andato di persona a recuperarla se anche solo avessi avuto il minimo dubbio che potesse accaderle qualcosa” disse, poi, serio.

Scrutai i suoi occhi neri.
Sinceri, come sempre.

“Lo so” annuii, consapevole “Ho perso il controllo, mi dispiace.”
“Non dispiacerti” sorrise, contento “Mi piaci così! Ho letto i pensieri di Brittany prima e…” si grattò il mento “Ha ragione, sai, sei molto meglio così che versione cyborg medico!”

Sbuffai, incrociando le braccia.

“Che poi, San” fece, attirando la mia attenzione “Un medico?” chiese, sconvolto “Sul serio?”
“Ehi, che hai da dire?”
“Andiamo! Eri una piccole scansafatiche ignorante”
“Che hai detto???” feci, allibita.
“Scambiasti la tiroide per la prostata all’esame di anatomia base qui a scuola”
“Quello fu-“
“Ed eri convinta che Lisbona fosse una città della Papuasia o giù di lì”

Fortuna non serviva la geografia per fare il medico.
Sarei già stata radiata dall’albo da tempo altrimenti.

“Ti piace almeno?” chiese, poi, tranquillo.
“Non è male” sollevai le spalle “Alcuni sono ipocondriaci, altri non si fanno controllare a meno che non siano in fin di vita, altri sono… ok”
“Capisco..”
“Volevo continuare ad aiutare” spiegai, infine, abbozzando un mezzo sorriso “In un qualche modo”

Lo vidi annuire.
Si accarezzò la barba, come era sempre sua abitudine fare quando era pensieroso.
Puntò, infine, gli occhi nei miei.

“Aiuta noi.”

Sollevai il sopracciglio destro di riflesso.

“Kali, io non-“
“Aiuta noi, aiuta Quinn a proteggerci” disse ancora, serio “Ho visto nei pensieri di Brittany cosa vi ha detto Shaw, fagliela pagare, San.”

Sospirai combattuta.

“Ti riferisci a quella Quinn che stava per uccidermi poco fa in cortile?”
“Esattamente lei!” confermò con un sorriso “Era.. beh, è molto arrabbiata, sai.”
“Chissà come l’avevo intuito..”
“E’ arrabbiata da anni San.” Spiegò, mentre io lo guardavo attenta “Brittany non l’ha mai superata la tua partenza, è vero, ma neanche Quinn scherza in proposito.”
“Che intendi?”
“E’ molto arrabbiata” ribadì “Solo Rachel riesce a calmarla, talvolta Brittany.”
“Rachel” annuii pensierosa “Ma.. si sono messe insieme?” chiesi, guadagnandomi un sorriso divertito in risposta.
“Eccome!” gongolò “Ma ti farai raccontare da Quinn i dettagli.”
“Non mi parlerà mai” obiettai, inarcando un sopracciglio.
“Magari se rimani…”
“Kaaaali..” sospirai “Andiamo.. lo sai che non posso.”
“Puoi” sorrise, leggermente “Aiutaci a proteggere la scuola”
“Non sono più-“
“Ti chiedo solo di pensarci su, ok?” chiese, alla fine alzando le mani “Potresti davvero fare la differenza e so, so per certo che in fondo anche tu vuoi tornare, risolvere le questioni in sospeso, aiutarci.”

Mi limitai ad osservarlo.
Forse avrei potuto.
Avrei dovuto?
Ripensai alla situazione in cui mi trovavo.
Alle informazioni che mi aveva dato.
All’incontro con Shaw.
A Quinn.
A Brittany.
A Kali.

Kali.
Il mio barbuto preferito.
Mi era mancato.

“Mi sei mancata molto anche tu, San.”

 

 
Uscii dalla stanza sovrappensiero.
Quasi non mi resi conto di essere osservata.
Alzai lo sguardo, per trovarmi dinanzi due occhi azzurri che attendevano l’incontro con i miei.

“Ti va un gelato?”

Sorrisi al ricordo di anni prima.
Quando mi fece la stessa esatta domanda, mentre uscivamo fuori dall’ufficio Kali.
Quando lui, prima ancora che lo sapessimo, aveva scoperto nei nostri pensieri l’attrazione l’una per l’altra.
Quando tutto iniziò per davvero.

“Non posso, Britt.” Risposi, un po’ dispiaciuta “Devo tornare a casa, sono ore che manco.”

La vidi annuire, abbassando la testa.
Probabilmente le tornò in mente Jessie.
E il fatto che ci fosse lui ad aspettarmi a casa.
E che ormai il mio tempo lì sembrava finito di conseguenza.

“Che ne dici di domani?” chiesi, ritrovandomi un paio di occhioni stupiti e felici all’inverosimile ad accogliere la mia domanda.
“Tornerai? Davvero?”

Ripensai alla decisione che stavo prendendo.
Era rischiosa.
Avrebbe riaperto sicuramente vecchie ferite.
Forse ne avrebbe create di nuove.
Ma sentivo che era giusta la mia presenza lì.
Avevo il dovere di aiutare.
Almeno per un po’.
Avrei avuto il piacere di dare una lezione a Shaw.
E, perché no, avrei potuto indagare un po’ su questa Giuly.
Quanto meno dovevo provare per un pomeriggio.

Poi sarei tornata alla mia vita.
Per sempre.

“Tornerò. Ci vediamo domani pomeriggio.”


 


Tetraedro dell'Autrice

scuuuuuuuuuuusatemi per il ritardo.. lo so, questa volta mi sono superata in negativo!! perdonatemi, proverò a non far passare più tutto questo tempo!
Nel frattempo spero davvero il capitolo vi piaccia.. 
Come sempre, grazie mille a tuttissimi, chi legge/ricorda/segue/preferisce e chi soprattutto spende un po' del proprio tempo per farmi sapere cosa pensa con una recensione.. grazie :) dispenso ammmore e felicità a tutti voi!

ps per qualsiasi cosa o domanda ho creato apposta questo ask : 
http://ask.fm/jeffer3_
sono anche sempre su twitter.

A presto, bella gente :D



 

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Capitolo 7
*** Passato - I like you. Not you, her! ***


 PASSATO.
 


“Fammi capire bene” mi massaggiai le tempie, stanca “Tu le hai detto che ti piace qualcuno della scuola.”
“Sì.”
“E lei ti ha elencato i nomi di chiunque in questo posto.”
“Esatto.” Confermò ancora Quinn.
“E tu hai escluso tutti.”
“Sì.”
“Ma a lei non è arrivato di chiederti se fosse lei stessa la diretta interessata.”
“Già.”
“Quinn.” Fermai la mia avanzata, guardandola fissa negli occhi. “Sei proprio sicura che ti piaccia una simile decerebrata?”

Uno scappellotto mi centrò preciso dietro la nuca.

“Ehi!”
“Idiota.”
“Ciao ragazze!!”

Mi girai immediatamente al suono di quella voce.
Brittany ci stava venendo incontro correndo.
I capelli biondi sciolti, leggermente disordinati.
T-shirt un po’ larga a righe blu e bianche.
Jeans scuri, che le calzavano perfettamente.
Un sorriso bello come il sole d’inverno.

“Asciugati un po’ di bavetta, sta colando”.

Tranciai Quinn con lo sguardo.
Mi rifocalizzai subito dopo su Brittany.

“Ehi! Sempre di corsa eh?”
“C’è chi non ha la supervelocità, sai com’è..” sorrise, tenera. “Di che parlavate?”
“Solite cose.”
“Rachel?”
“Come facevi a saperlo?” chiese Quinn, curiosa.
“Beh..” si grattò la nuca “Hai picchiato San. In genere capita per due motivi principali” fece, alzando indice e medio della mano destra “Uno: se ti ruba del cibo” abbassò il medio “Due: se ti prende in giro o critica Rachel”
“Interessante.”
“Molto” confermai io.

In realtà mi ero fermata al diminutivo che aveva usato per me.
Mi faceva sempre un effetto strano.
Rilassante.

“Non ho visto del cibo, quindi…” sventolò la mano “Che ha combinato stavolta?”
“E’ la solita decerebrata!” sbottai io.
“San!” mi richiamò Quinn, emettendo elettricità.
“Calma, ragazze” sorrise Brittany “Q, ti sta chiamando proprio la diretta interessata”

Ci voltammo entrambe, trovando Rachel sul ciglio della porta dell’aula.
Dio, ma come le faceva a piacere quella tipa?

“Vado” annunciò Quinn, mentre alzavo un sopracciglio in risposta. “Cosa?!”
“Quando il padrone chiama, si corr-“

Non feci neanche in tempo a finire la frase che un pugno, carico di elettricità, mi aveva raggiunto lo zigomo destro.
Sollevai gli occhi al cielo.

“Ora me ne vado!” ribadì ancora la mia amica, mentre mi grattavo il lembo di pelle colpito.
Che razza di idiota.

“Che ha combinato Rachel?” chiese a quel punto Brittany, quando fummo sole.
“Non si decide a capirlo” risposi, innervosita. “Perché non lo capisce?”

E dire che Rachel non era l’unica a non capire.
Un leggero senso di disagio e irritazione si fece spazio in me.

“Vuoi che provi ad indagare?” mi sorrise, cercando di calmarmi “Sto legando con lei, sai!”
“Con l’Hobbit?”
“Proprio così.”

La notizia mi diede fastidio.
Provai ad ignorare la cosa.

“Magari vedo di estorcere qualche informazione” continuò, con un sorriso.
“Sarebbe fantastico” mi sforzai di ricambiare, sembrando disinteressata. “Che dici? Andiamo in aula?”
“Che lezione abbiamo oggi?”
“Psicologia” sbuffai.
“Non ti piace?” chiese, stupita “In fondo non si fa niente”
“Vero.” Concordai “Ma tutte queste moine sull’esprimere i propri sentimenti e le proprie paure mi urta un po’ il sistema nervoso. ”

Rise.
E acquietò immediatamente il mio stato di agitazione.

“Ci divertiremo vedrai!” mi strinse la spalla, come a supportarmi “E poi quale migliore occasione per indagare i sentimenti di Rachel?”
“Già.” Annuii distratta “Andiamo su”

Feci per incamminarmi, quando lei mi bloccò prendendomi la mano.
Un senso di calore partì dalla parte in cui era avvenuto il contatto, irradiandosi lentamente per tutto il braccio.
Mi bloccai, voltandomi indietro verso di lei.
Ne scrutai attentamente gli occhi azzurrissimi.
Per qualche secondo rimanemmo in quella esatta posizione senza muoverci di un muscolo.

“Hai usato i tuoi poteri?” chiesi, seria.
“No” socchiuse gli occhi, confusa “Me lo chiedi sempre quando ti tocco o sbaglio?”

Oh cazzo.
Mi raggelai.

“Naaaaa” le strinsi la mano prima di lasciargliela “Ma che dici, soffrirò di sbalzi termici piuttosto.” tossii, in difficoltà.

Lei sollevò il sopracciglio sinistro, un po’ titubante.
Poi annuì, leggermente.

“Credo di aver bisogno di parlarti oggi” annunciò seria.
“O-ok.. Perché?”

Si mosse a disagio sul posto.
Provai a cercare il suo sguardo, ma mi evitò.

“Britt?”
“E’ che sono in difficoltà” si accarezzò il mento. “E non difficoltà farlocca, come quando non sai accendere i termosifoni della tua stessa casa e osservi i tastini della caldaia, terrorizzata dall’idea di premerne uno sbagliato e far saltare in aria l’isolato”

La osservai confusa.

“Non credo si possa far saltare un isolat-“
“Credo mi piaccia qualcuno” annunciò, con le braccia incrociate, pensierosa.

Si aprì una voragine nel mio petto.
Un vuoto immenso.

Mi si chiuse tutto.
Gli occhi – come se non volessi accettare di essere lì, di vedere lei dirmi quelle cose.
Le orecchie – la vidi borbottare qualcosa. Non riuscii a sentirla.
La mente – buio totale.
Lo stomaco – e questa era la più rara delle evenienze, visto il mio appetito da simil baby dinosauro affamato.
Le mani – le chiusi in due pugni serrati.
Il cuore.

La bocca emise solo una parola.

“Ah.”
“Ne possiamo parlare insieme dopo la lezione?”

No.
Neanche se mi paghi.

“Non so se-“
“Subito dopo, un quarto d’ora. Ho davvero bisogno di parlarne con te”

Scrutai i suoi occhi.
Questa volta mi fece male.
E tanto.
Soffrii internamente.
Come se mi si fosse appena aperta una ferita al centro del petto.
Ma non sapevo dirle di no.

“Ok.” Acconsentii sbrigativa, incamminandomi immediatamente “Andiamo, siamo in ritardo.”

 

 
Ora: le lezioni di psicologia erano quanto di più palloso ci fosse sulla faccia della terra.
Avete presente quando i vostri genitori vi trascinano da parenti che neanche ricordate?
O quando si hanno ospiti a casa e questi non vedono l’ora di vedere ‘quuuuuuuuanto siete cresciuuuuti, belli de zia’?
Che se aveste un paletto, ve lo piantereste nel cuore pur di non sentire le solite cazzate?
Di non dover sorridere come idioti, spegnendo il cervello alla storia di zia Dory che, lungo la strada per casa vostra, si era impigliata in un rametto della chiesa di fronte?

Che poi uno si aspetta chissà che storie, immaginando i più fighi scenari.
Si è impigliata e un branco di cani lupi affamati l’hanno assaltata.
Magari, ma no. Perché è ancora lì col suo rossetto rosso fuoco e il vestito a fiorellini ben intatto e allegro.
Un velociraptor l’ha notata e l’ha tratta in salvo.
Ma no. Perché se ci fosse un velociraptor in giro sarei la prima a salutarlo.
Il prete è uscito e vedendo che il rametto aveva una forma da demonio, l’aveva cosparsa di acqua santa, esorcizzandola.
Sarebbe un sogno.

Quindi, ci caschi solo per la prima volta.
Solo alla prima storia.
Quando ti dice che si era impigliata, e! rullo di tamburi!
Si era tagliata la veste, di infinita beltà ed eleganza, ma che era riuscita, per sua somma competenza e abilità, a riparare, grazie al kit di pronto intervento che portava sempre con sé nella borsetta.
Tipo il mastro Geppetto dei vestiti.

Tornando a noi: psicologia.
Una palla colossale.
Il nostro professor Gigetto, perché così mi piace chiamarlo, era un patito dei sentimenti.
Avevamo lezione con lui solo una volta a settimana.
Niente compiti.
Niente spigazioni.
Niente di niente.

Figo no?
Ennò!
Perché il tipo ci faceva sedere in cerchio e singolarmente ci faceva dire la nostra paura e la nostra speranza per la settimana.

Ora, io non sono una persona insensibile.
Insomma, mi fermo a far passare gli anatroccoli quando passano per una stradina di foresta che mi trovo a attraversare a tutta velocità.
Soccorro il cane impigliato in una rete.
Cedo volentieri il mio centesimo di resto al tipo fuori il supermercato.
E penso seriamente di lasciarne due, ben due!, al tipo che mi porta la pizza a casa.
Consiglio anche a chi mi chiede indicazioni stradali di comprarsi una buona volta un tomtom e smetterla di fracassare i maroni ai pedoni per strada.

Ma quella roba?
Proprio non la reggevo.
Figurarsi dopo quello che mi aveva detto Brittany.

“Allora ragazzi” battè le mani il professore, una volta che ci fummo posizionati come sempre in cerchio a terra “Solita storia” sorrise “Una speranza e una paura per questa settimana. Non siate timidi, siamo qui per sostenerci a vicenda”

Con la sua panza di sicuro poteva sostenerci tutti.

“Chi inizia?”

Sbuffai, innervosita.
Dovetti sembrare parecchio indispettita.
Quinn, al mio fianco, mi diede un colpetto, guardandomi con sguardo confuso, come a chiedermi ‘che è successo?’
Ne fissai le iridi verdi.
Avrei voluto parlargliene in quel momento.
Ma non potevo.
Perché Gigetto il loffetto doveva per forza tenerci lì a parlare di idiozie.
Mi limitai a serrare la mascella, scuotendo la testa.
Lei mi accarezzò leggermente la schiena, per uno-due secondi, niente di che.
Apprezzai, ma finsi che non fosse così.

“Posso iniziare io”

Iniziava lo show!

“Prego Kurt, dicci pure.”

Kurt Hummel.
Ragazzo strano, non ci parlavo molto.
Aveva il potere di addormentare le persone con il suo canto.
Riusciva con tutti, tranne che con me.
Non avete idea di quanto questa cosa mi distruggesse nell’animo.
Un po’ di quiete l’avrei voluta.

“La mia paura è un po’ la solita” sorrise poco e a disagio “Shaw sta diventando parecchio forte e il fatto che sia riuscito a creare dei dispositivi capaci di alterare le frequenze del mio canto mi preoccupa. Non ho più potere su gran parte dei suoi scagnozzi.”
“E questo come ti fa sentire?” chiese Gigetto il tardetto.

Lui sospirò.

“Privo di difese.”
“Capisco” si accarezzò il baffetto “Qualcuno vuole dire qualcosa a Kurt in proposito?”
“Non sei privo di difese” gli sorrise Noah “Ci siamo noi a farti da scudo se fosse necessario! E poi sei forte, basterà cercare di eliminare quei marchingegni infernali e potremmo risolvere!”

Noah aveva la pellaccia dura. Letteralmente.
Aveva la mia resistenza.
Ma solo quella.
Quindi era per lo più utilizzato nelle missioni di difesa e non quelle di attacco.

“Grazie” gli sorrise Kurt grato.
“La tua speranza?”
“Spero di riuscire a portare Blaine Anderson dalla nostra parte.”
“Speriamo tutti di riuscire a portare gli uomini di Shaw dalla nostra” gli sorrise il prof “Magari ci riusciremo.”

Ghignai leggermente.
A lui piaceva Blaine, si vedeva da come arrossiva quando ne parlava.
E non aveva torto a sperare che quel nano riccioluto potesse passare dalla nostra parte.
Quell’idiota evitava sempre lo scontro con Kurt.
Una volta lo beccai a liberarlo da delle corde, che gli altri trogloditi gli avevano avvolto al corpo.
Sembrava il più docile degli uomini di Shaw.
Sperai come Kurt che passasse dalla nostra parte.
Ma soprattutto che lo facesse prima che il suo capo se ne rendesse conto.
Prima che lo uccidesse per questo.

“Benissimo” continuò Gigetto  “Proseguiamo in senso orario ora, Tina tocca a te”

Tina Cohen Chang.
Dono dell’invisibilità.
Ironico che stesse insieme a Mike Chang, capace del dono opposto.
Poteva farsi grande quanto un edificio, ma solo per pochi secondi alla volta.

“Vediamo” si accarezzò la sua ciocca di capelli fucsia “La mia paura probabilmente è quella di prendere un’insufficienza in storia questa settimana”
“Okay, bene, perché?”
“Perché….” Sollevò le spalle “Non ho studiato, no?”
“Giusto” scosse la testa il professore “Qualcuno vuole dire qualcosa a Tina riguardo questa sua paura?”
“Neanch’io ho studiato” sollevò le spalle Lauren Zizes – dono dello sputo che trasformava in pietra qualunque cosa - “Non sei sola almeno”
“Grazie” le sorrise l’altra “E, beh, la mia speranza è di entrare in quel fantastico vestito che intendo comprare per il ballo di metà semestre” concluse sognante.

Mi massaggiai le tempie, cercando di placare la mia ira funesta.
Inspira.
Ed espira.
Quinn, di fianco a me si sbracò sul posto, esasperata.
Brittany ci osservò ridacchiando.
La notai con la coda dello sguardo.
Ma non ebbi la forza di voltarmi e guardarla.
Non sapevo come avrei potuto fare dopo.

“Benissimo..” sospirò il prof “Mercedes tocca a te”

Mercedes Jones.
Capacità di mangiare infinite crocchette.
Ah, e dono dell’allungamento del corpo.

“Ok.. Beh” iniziò lei “La mia paura è simile a quella di Kurt, nel senso che un po’ mi preoccupa il potere di Shaw.”
“Qualcuno vuole dire qualcosa a Merc-“
“Mi rispondo da sola professore, grazie” lo bloccò lei, ottennendo la mia gratitudine “Sono ottimista, so che riusciremo a far fronte a quel vile.”
“Come sei fine Cedes” commentò Noah.
“Preferivi dicessi quell’infame bastardo?” chiese lei, con nochalance.
“Oppure maiale infame!” continuò lui, entusiasta.
“Ragazzi!” li richiamò il professore “Piano con le parole.” Fece, contrariato “Continua, Mercedes, la tua speranza?”
“Quella di entrare nel musical della scuola” sorrise, contenta, mentre Rachel di fianco la guardava contrariata.

Vai a capire l’amore per il canto di quelle due.
Bah.

“Benissimo, spero che tu ci riesca” le sorrise Gigetto “Rachel, tocca a te.”

Rachel Berry alias Dende di Dragon ball.
Una differenza: lui era verde e namecciano, lei umana.
L’altezza anche era la stessa.

“Allora.. la mia paura è che i miei poteri possano non bastare certe volte” iniziò “Sono riuscita a curare tutti fino ad ora, ma mi chiedo sempre se i miei poteri basteranno, se sono abbastanza forte da riuscire a tutelare tutti.”

Capii il ragionamento.
Curare le persone le costava un gran dispendio di energie.
Ci metteva un po’ a recuperare.

“Benissimo.” Sorrise, come sempre il prof “Qualcuno vuole dire qualcosa a Rachel riguardo questa sua paura?”
“Ce la farai” intervenne Quinn “Sei forte abbastanza, ne sono certa.”

Sollevai gli occhi al cielo.
Non ce la faceva proprio a contenersi.

“Grazie Q, sei una vera amica.”

Sentii al mio fianco Quinn irrigidirsi.
Si limitò ad annuire, senza emettere un fiato.
Scossi la testa, contrariata.

“La mia speranza, invece..” continuò, poi, la nana “Beh, è imbarazzante”
“Su, Rachel, non essere timida” la incoraggio Gigetto il folletto.
“Beh..” arrossì lei “Spero di riuscire a far colpo su quel ragazzo dell’ultimo anno… è così cariiiiin-“
“E basta ora!”

Si girarono tutti verso di me all’istante.
Ero scattata in piedi, senza neanche controllarmi.
Non ne potevo più.
Ero stanca di vedere la mia migliore amica soffrire.
Di vederla perdere il sonno per quella decerebrata senza il minimo tatto o intuito.

“Scusami?”
“La devi smettere” feci, in tono basso, quasi come un ringhio “Vieni sempre qui da anni, ogni cazzo di settimana, a parlare delle tue infinite cotte per infiniti ragazzi che dimenticherai il giorno dopo”
“Io non-“
“Zitta, non ho finito” feci un passo in avanti verso di lei, serrando i pugni “Tu non hai idea di come le tue parole possono colpire le persone a te vicine, ma non lo noti. Sei così focalizzata su te stessa, così dannatamente presa dalla tua stramaledetta visione egoistica delle cose che non ti soffermi sugli altri.”
“Santan-“

Feci un altro passo verso di lei.
E questa volta Brittany si alzò in piedi.
Probabilmente temeva potessi fare qualcosa.
Quinn invece rimase bloccata a terra, seduta, senza parlare.

Guardai per un secondo Britt.
Mi innervosii ancora di più.
Perché non aveva capito?
Perché voleva parlarne con me?
Perché dovevo accettare di soffrire così tanto?

Ripensai a tutte le volte in cui le nostri pelli si erano sfiorate.
A come fosse capace, senza usare i poteri, di rendermi una fiamma dall’interno.
Ricordai tutte le volte che avevamo riso insieme.
Tutte le statuine di ghiaccio che mi regalò dalla prima volta che iniziò a perfezionare i suoi poteri.
Tutte le volte che avevamo visto per nottati intere video demenziali.
Le tre volte che ci eravamo abbracciate da quando ci eravamo conosciute.
La volta in cui si addormentò sulla mia spalla, mentre vedevamo la Bella e la Bestia sul suo letto.
Ricordai tutte le volte che mi aveva fatto ridere.
Tutte le volte in cui si era sbrodolata col gelato.
La sua voce dolce che mi diceva di calmarmi quando mi innervosivo.
E la sua voce che mi lacerava dall’interno quando neanche mezzora prima mi diceva che le piaceva una persona.
Non importava chi fosse.
Era una persona.
Non io.

Speravo da mesi ingenuamente in un noi che non ci sarebbe mai stato.

“Perché non ti rendi conto di chi ti è davvero vicino?” continuai, ringhiando “Perché queste persone devono soffrire in silenzio, acconsentendo ad ogni tua richiesta, ascoltando ogni tuo lamento, sapendo di ogni tua stramaledetta infatuazione, mentre ti sorridono, distrutte all’interno?”

Feci un altro passo in avanti.

“Quelle persone meritano molto più di quanto tu possa dare loro, non vali neanche l’unghia del loro mignolo del piede” serrai la mascella “Ma queste si accontenteranno solo della tua presenza, della tua amicizia, fingendo che non faccia così male, fingendo che basti starti vicino e anche solo osservarti da lontano. Queste persone meritano molto di più. Molto più che il tuo egoismo.”
“Santana ora basta”

Mi voltai verso Quinn, che ora era in piedi.

“Tranquilla, ok?” continuò frapponendosi fra me e Rachel. “Dai, andiamoci a sedere”

Mi prese il braccio e lo strinse.
Notai i suoi occhi leggermente lucidi.
Chiusi i miei con forza.
Avrei voluto che non soffrisse così.

“Ok” acconsentii, più calma, avviandomi al posto.

Evitai accuratamente lo sguardo di Brittany, scansandola mentre tornavo a posto.
Mi ero quasi seduta di nuovo quando una frase mi fece raggelare il sangue.

“Quinn” sentii bisbigliare da Rachel “Ma io non pensavo di piacere a Santana..”

Scattai subito in piedi.
Gli occhi strabuzzati.
E giuro, se ne fossi stata capace, avrei sputato fuoco.

“Che hai detto?!” urlai, non volendo credere a cosa avesse appena detto.
“Santana” alzò subito le mani lei “Io non lo sapevo, mi dispiace di averti ferito o cose del gener-“
“Ma sei pazza?!”

Mi avvicinai pericolosamente a lei, tanto che persino Gigetto l'inetto scattò in piedi preoccupato.

“Bloccatela!”

E Brittany non se lo fece ripetere due volte.

“San, calmati” disse, ponendosi dietro di me, all’istante.
“Stanne fuori tu!”
“San!”

Mi avvicinai ancora.

“Come puoi anche solo pensare che tu, essere inutile, possa piacermi?!”
“Ok, ora basta”
“Tu che-“ mi bloccai di colpo, sentendo le braccia di Brittany avvolgermi, afferrandomi da dietro.

Freddo.
Dio, faceva freddo.
In meno di un secondo ero immobile.
Completamente congelata.
Potevo muovere solo il collo.
Anche le sue mani erano rimaste bloccate, appoggiate sul mio ventre, tenute ferme dal ghiaccio che lei stessa aveva creato. 
E non mi mollava.

“Levami questa roba di dosso!” sbraitai.
“Non finché non ti calmi!”
“Sono calma!” urlai.
“Non finché il tuo tono è così sopra il limite umano” controbbatté allora lei.
“Santana” interruppe il nostro battibecco Rachel “Sul serio, scusami”
“Ma sei seria?” feci.
“Infatti, Rachel, sei seria?” chiese allibita anche Brittany, ancora incollata a me dal ghiaccio “Come puoi pensare una cosa così? Lei avrà anche dei modi un po’ eccessivi, ma dovresti darti una svegliata, amica mia.”
“Non è l’unica che dovrebbe farlo”
“Che hai detto, San?” disse la bionda confusa.
“Mi hai sentito.”
“No, davvero, non ho capit-“
“Vedi che le piaccio??”

L’avrei malmenata.
Con forza e violenza.
L’avrei picchiata.
Percossa.
E lasciata dolorante a terra.

“Ma lo vuoi capire o no che non sei tu a piacermi?!” sbraitai fuori di me.

Avevo così tanta rabbia in corpo che esplosi.
Feci forza con le mie braccia e ruppi il ghiaccio che Brittany aveva creato e che ci teneva immobilizzate.
E che probabilmente ci aveva tenuto così vicine per l’ultima volta.

“E’ lei a piacermi!” urlai, indicando la bionda al mio fianco, che si eliminava il ghiaccio dalle mani “non tu, razza di inutile nano da giardino!”

Bella mossa.
Proprio un'ooooottima mossa.

Tutto si bloccò in quel momento.
E un silenzio quasi tombale piombò nell’aula.
Abbassai lo sguardo realizzando cosa avevo appena detto nella rabbia del momento.
Realizzai.
E ne fui terrorizzata.
Non ebbi neanche il coraggio di alzare lo sguardo sugli altri.
Su Brittany.

“Oh.” Disse solo Rachel.

E in meno di un secondo ero già fuori dall’aula.

 

 

“Ti va di scendere di lì?”
“Britt, sul serio, lasciami stare”
“Andiamo, San, scendi da quell’albero e parliamo di quello che è successo.”
“Io voglio restare qui e fingere che non sia mai successo niente invece.”

La sentii sbuffare da giù.
Le diedi un’occhiata, mentre ero seduta su uno dei grandi rami della quercia più alta del giadino.
Mi piaceva.
Era così maestosa e resistente.
Era sempre stata la mia preferita.

Brittany mi aspettava con le braccia incrociate a terra, guardandomi da lì.
E questo da almeno mezz’ora.
Mentre cercava di convincermi invano a scendere.

“Senti, o scendi e parliamo come persone mature o parlerò ugualmente da qua giù!”
“Per carità non dire niente” mi passai una mano sulla faccia stanca.
“E io parlo uguale!” sbraitò, lasciandomi stupita.

In genere lei era la calma fatta persona.
Forse anche eccessivamente.
Esempio calzante: un pomeriggio stavamo facendo pausa nel soggiorno comune della scuola con una magnifica cioccolata calda.
Eravamo tutti contenti, quando alla tv apparve la notizia di una rapina in banca.
Riconoscemmo tutti da subito gli scagnozzi di Shaw dalle immagini.
Balzammo in piedi alzando il volume della tv, già iniziando a pensare a cosa fare e se ormai fosse stato troppo tardi per intervenire.
Quando mi voltai, dopo almeno un quarto d’ora di chiacchiere, notai Brittany ancora al tavolo ad intingere con un sorriso rilassato i biscottini nella tazza di cioccolata.
‘Che stai facendo?’
‘Fto manfiando’ si limitò a rispondere, sgranocchiando almeno tre biscotti contemporaneamente.
‘Britt hanno rapinato una banca!’
Ricordo che si bloccò immediatamente, mentre afferrava l’ennesimo biscottino dallo scatolo.
‘Oh. Mi dispiace’
E riprese subito ad intingere nella cioccolata, ignorando tutto e tutti.
‘Britt!’
‘Cofa..?’ ancora col boccone in bocca.
‘Dobbiamo andare!’
Mai visto sguardo più terrorizzato sul suo volto.
‘E la fioccofata chalda?’

Motivo per cui questo suo comportamento attirò la mia attenzione.
La osservai per bene.
Era visibilmente agitata.

“Britt-“
“Ora dirò questa cosa, ma sappi che avrei voluto dirtela per bene” mi guardò seria, cercando di scorgere il mio sguardo fra i rami “E la cosa mi rende molto contrariata, sappilo.”
“Tu non sei mai contrariata”
“Oggi sì!” alzò ancora la voce.
“Wow..” feci, colpita “Sei sul serio contrariata”
“Lo sono!” confermò, sbuffando “Ora parlo, eh” annunciò, poi.

Rimasi in ascolto in silenzio.

“Immaginiamo un varco spazio-temporale.”
“Che?” chiesi, interdetta.
“Allora, immaginiamo questo varco spazio-tempo in cui… beh” si grattò la testa “Possiamo dire cose, senza ripercussioni”
“Cioè diciamo le cose ma rimangono in questa specie di buco nero?”
“Se vogliamo possono rimanerci o possono uscire” fece concentrata “Ma il fatto è che esiste questo varco in cui possiamo dire quello che pensiamo e proviamo, la verità, ma!” alzò l’indice solennemente “Senza che ci possano essere conseguenze.”

La osservai incuriosita.

“Puoi scendere, per favore?” mi supplicò, con sguardo stanco.

Prendere un palo faccia a faccia?
Era davvero quello che volevo?
Era davvero un due di picche?
Eppure una piccola speranza si fece largo in me.
Che senso aveva parlare di un varco spazio-temporale se voleva paccottarmi?
Potevo piacerle?
Le piacevo?
Erano solo miei film mentali?
Ma a lei piaceva una persona..
Una persona.
Potevo essere io?

“Scendi, San?” provò ancora, interrompendo l’altrimenti infinito flusso dei miei pensieri.
“Ok..”

Feci un solo salto e fui davanti a lei.
Alla base di quella quercia che tanto amavo.

“Grazie per essere scesa” sorrise, leggermente.
“Dimmi pure..” annuii, vedendola agitarsi ancora di più.
“Quindi..”
“Immaginiamo questo varco spazio-temporale, sì..” la precedetti, invitandola a parlare.

Fissò lo sguardo nel mio.
Vi lessi incertezza.

“Davvero ti piaccio?” chiese, insicura.

Avrei voluto dirle di no.
Che non era vero.
Che non c’era bisogno di smontare così i miei sentimenti.
Ma c’era il varco spazio-tempo, no?
Tanto valeva usufruirne.

“Sì.” Dissi solo.

Quell’incertezza che avevo letto lasciò spazio ad altro.
Non avrei saputo bene dir cosa.
Ma il suo sguardo si schiarì.
E un piccolo sorriso comparve, piccolo piccolo, agli angoli della sua bocca.

“Non devi per forza, sai” provai “Cercare di essere carina o cose così”
“San-“
“Non è necessario sul serio, puoi anche non dire niente e io-“
“San-“
“Sul serio!” feci, ancora, convinta “Facciamo finta che non abbia mai detto nulla, lasciamo tutto-“
“San-“
“In quel varco di cui parlavi, quel buco nero immenso in cui ci andrà a finire anche Violetta si spera prima o poi e-“

Mi bloccai di colpo.
Sì, mi bloccai.
Perché qualcosa mi impedì di parlare.
Qualcosa chiuse le mie labbra, facendo finire lì ogni parola.
Ogni pensiero.
Ogni contestazione.
Ogni paura.
Ogni insicurezza.
Ogni dolore.

Perché le sue labbra erano sulle mie.
Niente più importava.
E tutto sembrava così dannatamente al posto giusto.

Fu il momento migliore di sempre.

Si staccò un paio di secondi dopo.
Gli occhi chiusi.
Le nostre fronti ancora a contatto.
E le nostre labbra vicinissime.

Aprì, infine, i suoi occhi blu fissandoli nei miei.

“Non so se si è capito..” bisbigliò, socchiudendo gli occhi “Ma anche tu mi piaci.” Concluse, facendomi ridere.
“Beh-“

Ci voltammo entrambe di colpo verso la scuola.
Forte ci aveva raggiunto il suono della sirena.
Quell’allarme che veniva attivato solo in caso di minaccia.
Probabilmente Shaw si stava avvicinando alla scuola.

Ci scambiammo un piccolo sguardo e già stavamo correndo verso l’entrata dell’edificio dove si erano radunati tutti.

“Ne parliamo meglio dopo, ok? Non scappare” le chiesi, una volta arrivate.
“Non vado da nessuna parte, ti assicuro”

Un sorriso.
E già uno identico si era formato sulle mie labbra, prima che lei si allontanasse verso la sala comune.

“Che carine” mi piombò alle spalle Kali con un sorrisetto.
“Ehi!” sbraitai “Tieni il naso fuori dai nostri pensieri!”
“Troppo tardi” mi diede un buffetto sul mento. “Arriva Shaw con un gruppetto di due, tre uomini”
“Qualcosa di rilevante?”
“Na” fece, scuotendo la testa “Secondo me si annoiava”
“Pf, vedremo se si annoierà ora” ghignai.
“Non fare troppi danni e sta’ attenta, San” si raccomandò, mentre Quinn arrivava posizionandosi al mio fianco “Mi raccomando anche a te Q!”

Sorridemmo entrambe alle solite parole di Kali, avviandoci verso il cancello di ingresso della scuola.
Lo raggiungemmo in circa due minuti.
Fianco a fianco.
In prima linea.
Come sempre.

“Arrivano.” Feci, posizionandomi meglio.

Ci fu solo silenzio per un paio di minuti.
Fu lei a romperlo.

“Grazie, San”

Mi voltai verso Quinn, confusa.

“Grazie per le parole che hai detto oggi.”
“Le pensavo sul serio.”
“Lo so” annuii.
“Come io so che non riuscirai a staccarti da lei.”

Mi guardò con affetto.
E mi sorrise.

“Almeno mi guarderai le spalle per tutto il tempo, no?

Posai la mia mano destra sulla sua spalla.

“Sempre.”


 


Tetraedro dell'Autrice

Ma ciao!! scusatemi per l'immenso ritardo.. è che fra esami e problemi vari, oltre al fatto che i capitoli del passato richiedono più sprimitura meningi da parte mia, ho fatto passare un po' tanto tempo. Scusate! Spero che vi piaccia questo capitolo e che non abbiate abbandonato per sconforto la storia.

Dedico questo capitolo, in particolare, alla luce dei miei oculi, al nostro varco spazio-temporale che mi rese - e mi rende ancora -  la persona più felice del mondo.

Grazie a tutti :) siete sempre un sacco gentili! *^*
A presto, bella gente :D

 

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Capitolo 8
*** Presente - Let's bet ***


PRESENTE.
 



“Devi fare cosa??” chiese allibito Jessie.

Dopo la conversazione con Kali e Brittany mi ero fiondata a casa.
Mancavo da troppo.
Senza contare che avevo staccato il cellulare in quelle ore.
Ci misi 15 secondi circa per raggiungere il giardino di casa.
Il problema, più che altro, fu ripulirmi velocemente dei residui di muro che avevo distrutto nel palazzo di Shaw.
Sembrava fossi uscita da una nevicata.

“Aiutare questi bambini bisognosi in questa scuola..” provai, con tono di voce basso e pacato.

Lui strabuzzò gli occhi.

“San, è dall’una che non ho più avuto notizie di te” si passò una mano sul volto stanco e provato “Ora sono le 9 di sera e mi vieni a dire che devi andare a lavorare anche in una scuola?! Hai idea di quanto io sia stato preoccupato?”
“Lo so..” mi avvicinai, mettendogli una mano sul petto “Mi dispiace, J..”
“Direi! Ero qui in ansia da ore!”
“Immagino.. povero orsetto..”

Lo vidi acquietarsi e rilassarsi leggermente.
Perfetto.

“Questo tono così tenero e dolce non riuscirà a far breccia su di me” disse, fintamente convinto.
Sorrisi divertita.
“Ah, no?” gli accarezzai il volto, mentre lui chiudeva gli occhi rilassato.
“No..” bisbigliò, con un sorriso “Non credo..”
“Peccato…”

Continuai a coccolarlo per qualche secondo, dandogli qualche bacetto di tanto in tanto.
Finalmente si acquietò, lasciandosi andare sul divano, tenendo una mano sulla mia coscia.

“Sono stato sul serio preoccupato, San” sospirò poi.
“Lo so..”
“Fortuna che poi Vivian ha risposto al cellulare.”

Eh?

“Vivian?” chiesi, confusa, trasalendo.
“Sì, era con te allo studio, no?” fece, sollevando le sopracciglia, mentre io annuivo “Mi ha detto che eri continuamente occupata e che persone andavano e venivano.”

Ah, sì?

“Beh.. sì” mi grattai la nuca “Un sacco di gente!” confermai.
“E per la scuola poi?”
“Cosa?” chiesi, prendendo tempo.

Eh, la scuola?
Chi me l’aveva detto?

“Nel senso, chi ti ha proposto la collaborazione nella scuola?”
“Il….” Temporeggiai “Preside, no?”
“Giusto..” si passò una mano sul mento. “Ma che scuola è?”
“E’.. una scuola un po’ particolare” feci, passandomi una mano sui capelli “Ci sono molti ragazzi, ahm, come dire” gesticolai, incerta “Speciali.” Socchiusi gli occhi, misteriosa.
“Speciali?”
“Sì, sai, c’è il ragazzino che soffre di gigantismo, la ragazzina che soffre di deficit di guarigione” elencai “Quella colpita da un fulmine e-“
“Colpita da un fulmine?!” strabuzzò gli occhi Jessie, basito.
“Eh… ti dicevo, sono speciali”
“Direi” sollevò un sopracciglio ancora confuso. “Ma.. hai le competenze per, insomma, curarli?”
“Mi stai dando del pessimo medico?” sollevai un sopracciglio, piccata.
“No! No, assolutamente ma-“
“Insomma, io devo solo controllare se uno di loro ha qualche problema momentaneo” sollevai le spalle “Niente di che, se hanno una qualche intossicazione, fare qualche medicazione, se qualcuno viene colpito, se-“
“Colpito? E da cosa?!”

Che faticaccia quella conversazione, Dio Santo.

“Che ne so!” sbraitai “Da un pugno ad esempio!”
“E chi tira un pugno a dei bambini malati in una scuola?!”

Socchiusi gli occhi, con fare cospiratorio.

“Eppure mi diceva il preside ci sono stati dei casi” bisbigliai, convinta “Ci sarà qualche bullo fra di loro”
“Incredibile” commentò, stupito. “E ogni quanto dovrai andare?”
“Non so ancora, onestamente.  Non per molto tempo” spiegai “Ci andrò nei pomeriggi credo, raramente farò dei turni di notte magari.”
“Anche di notte?” chiese, contrariato “Andiamo, San, anche la notte no..”
“Se hanno bisogno dovrò trattenermi, J..” spiegai, piano, dandogli una carezza sulla guancia “Ma tornerò..”
“Ma non ci sono infermiere per questo? Insomma, non funziona così?”
“Beh..” sospirai, paziente “Le infermiere non possono prescrivere medicinali e non hanno certe conoscenze” spiegai, cauta “Vedrai, andrà tutto bene, aiuterò solo un po’ quei poveri ragazzi.”
“Basta che stai attenta, però.”
“Perché?”
“Bambini che danno pugni, persone colpite da fulmini, non mi fido tanto di sto posto onestamente” si alzò dal divano su cui eravamo stati a parlare tutto il tempo.

Incrociò le braccia.
E mi osservò.

“Non ti fidi?” chiesi, preoccupata.
“Non è questo, figurati” spiegò, abbassando il capo. “Non è questo.”
“Cosa allora?”

Sbuffò stringendosi ancora di più le braccia attorno al corpo.

“E’ che mi manchi” spiegò, senza guardarmi “Ci dobbiamo sposare e ancora non ne abbiamo parlato sul serio.”

Un brivido mi percorse la schiena, riportandomi alla realtà.
No.
Non ne volevo parlare.

“Lo so.”
“E poi” continuò “Non sono abituato a non dormire con te.” Sbuffò.
“Sarà solo per qualche volta..” commentai, intenerita.
“Poi dovrai farmi i pancake per colazione, ti avverto” mi puntò l’indice contro con fare scherzoso “Ce ne vorrà per riprendermi, è il minimo!”
“Ti farò tutti i pancake che vuoi..” sorrisi, subito ricambiata.
“Eccellente..” commentò, sognante. “Che poi” continuò, con fare serio, mentre io trasalivo per l’ennesima volta in quella giornata.

Che c’era ora?

“Quanto dista da qui questo posto?” chiese, un po’ più tranquillo “Magari ti accompagno almeno il primo giorno”

Sbiancai.

“Beh..”

Pensa.
Pensa.
Pensa.

Trovato.

“Un’oretta” risposi “Sicuro di volermi accompagnare?” chiesi, innocentemente “Magari ti faccio conoscere qualche bambino, così.”
“Ah….”

Hehe.
Notai il suo cambiamento.
Jessie era parecchio inibito quando si parlava di ospedali e malati.
Era molto suscettibile.
E sensibile.
Non facevano per lui quelle cose.

Lo scoprii accidentalmente un annetto prima.
Mi ero fermata a soccorrere un ragazzo caduto dalla bicicletta.
Si era fatto un grosso taglio sulla gamba.
Iniziai subito a fare pressione per evitare che perdesse troppo sangue.
Quando mi girai a chiedere a Jessie il kit di pronto soccorso, lui era sparito.
Sentii che vomitava qualche metro più in là.
Così, finsi di non averlo sentito.
Era una informazione troppo preziosa.
Non era un caso che, quando non volevo che lui mi seguisse, mi inventassi le più terribili patologie sanguinolente.

“Spero solo che la bambina col deficit di coagulazione smetta di perdere sangue” commentai, fingendo di parlare fra me e me “Mi diceva il preside che proprio non riuscivano a fermare l’emorragia l’altra volta” continuai “Sangue ovunque..”

Notai con la coda dell’occhio Jessie sedersi, pallido in viso.

“Figurati che mi ha detto che c’è addirittura un bambino con parte dei visceri al di fuori della cavità addominale. E’ nato così” scossi la testa “O la bambina del fulmine, ustionata. Poveri ciccini.”

Questa volta lo vidi prendere un fazzolettino e asciugarsi il sudore dalla fronte.
Guardava nel vuoto.

“Allora domani mi accompagni?” chiesi, tranquilla, focalizzandomi su di lui.
“Ahm..”
“Facciamo per le tre di pomeriggio? Così rimani un’oretta e poi torni” sorrisi. “Ti faccio conoscere anche Jim, il bambino con una deformaz-“
“Sai cosa?” chiese lui, alzandosi dalla poltrona, afferrando l’agenda “Mi sa proprio che domani non posso..”
“Oh.. non puoi?”

Hehehehe.

“Ehm.. credo proprio di no” scosse la testa “Non sai quanto avrei voluto, ma.. lavoro! Tu mi capisci”
“Eccome” sorrisi “Mi sarebbe piaciuta la tua compagnia, ma va benissimo lo stesso, mi farò accompagnare da Vivian magari.”

Oh, Vivian, a proposito.
Dovevo chiamarla.
Mi aveva coperto, quella santa!

“Sì, meglio” fece, con un sorriso tremolante “Che dici ceniamo?”
“Certo” ricambiai, sicura “Magari ordiniamo, così nel frattempo chiamo Vivian”
“Ma se siete state assieme fino a mezzora fa..”

Rimasi un attimo interdetta.
Aveva ragione.

“Vero” concordai, annuendo “Ma dobbiamo accordarci su domani, no?”
“Giusto”
“Torno subito” sorrisi, alzandomi dal divano, incamminandomi.
“Che ne dici della pizza?”
“Tutto quello che vuoi!” urlai da ormai l’altra stanza.

Mi chiusi la porta alle spalle.
E lasciai finalmente andare il sospiro che era fermo in gola da tutta la conversazione.
Odiavo mentirgli.
Mi sembrava di prenderlo in giro.
Quasi di tradirlo.
E lui non lo meritava.
Era sempre stato perfetto con me.
Semplicemente perfetto.

Sbuffai.
E mi dissi che era necessario per chiudere infine quel lungo capitolo della mia vita.
Composi il numero di Vivian.

Uno squillo.

“Allora” subito la sua voce mi arrivò forte alle orecchie “In quale isola delle Canarie sei fuggita? Spero almeno ti sia scelta una villetta proprio sulla spiaggia”

Risi di gusto.

“Credevi mi fossi data alla fuga?”
“Dopo la nostra ultima conversazione?” chiese retorica “Noooo, mi sembravi solo in procinto di scappare sul primo aereo disponibile!”
“Magari!” scherzai, divertita. “Non sono fuggita, V”
‘Per il momento’ pensai quasi automaticamente.
“Peccato..” sentii sbuffare dall’altro capo del telefono “E io che pensavo di averti dato più tempo, temporeggiando con Jessie, così sarebbe stato più difficile per lui rintracciarti al più vicino aeroporto. Mi sentivo un’eroina!” esclamò convinta “Poi, certo, se non mi avessi risposto entro la mattina avrei chiamato la polizia, perché magari invece avevo dato tempo a un killer di ucciderti” argomentò, pensierosa “Ma dettagli!”

Si fermò di colpo.

“Aspetta, mica ti hanno rapita?” chiese, preoccupata.
“Niente del genere” ridacchiai “Ero troppo presa a fare delle cose e mi sono completamente dimenticata il cellulare.. tutto qui.”
“Hai un amante?”
“Dio, V!” esclamai “Certo che no!”
“Puoi dirmelo, sai” fece, rilassata “Non mi scandalizzo, a meno che non ti sia scelta un tipo tutto peloso e obeso, in quel caso potrei dissentire.”
“Niente del genere” risi.
“Ti sei data all’alchol? Sarebbe comprensibile!”
“No, V!”
“Droga?”
“No..”
“Hai frequentato un casinò?”
“Neanche..”
“Hai iniziato a fare combattimenti clandestini?”
“Non che io sappia..”
“Scommesse su combattimenti clandestini?”
“No”
“Ok, combattimenti su galli?”
“Andiamo, V, no!”
“Ok, bene” acconsentì “Ma sappi che non approvo che tu faccia la spogliarellista nel tempo libero”
“Ma anche n-“
“E neanche la escort!”

Scossi la testa divertita.
Era pazza.

“Niente del genere, V, tranquilla” sorrisi “Volevo solo un po’ di tempo per me”
“Capisco..”
“E.. a proposito di questo” iniziai, insicura “Ho bisogno che tu mi cancelli tutti gli appuntamenti di domani pomeriggio.”
“Sul serio? Tutti?” chiese, palesemente interdetta.

Non era mai capitato da quando mi ero aperta lo studio che cancellassi qualche appuntamento.
Qualsiasi cosa era secondaria rispetto al mio lavoro.
Capii la sua confusione.

“Sì” confermai “E vorrei anche che li cancellassi tutti per almeno una settimana, solo quelli pomeridiani però” chiarii “Cercherò di recuperare tutto di mattina nei giorni successivi.”
“Ma..”

Mi sarei aspettata un ‘sei fuori di testa???’

“E la vecchietta rockettara quando la facciamo venire??” chiese, contrariata “Io amo quella donna, ho bisogno di lei nella mia vita.”
“Spostala dopodomani mattina” sorrisi, divertita “Può essere la prima della lista se vuole”

Era una vecchietta epica quella lì.
Si presentava sempre con occhiali da sole e giacchetta di pelle.
Un mito.
Ci raccontava della sua vita passata.
A episodi, ad ogni seduta.
L’ultima volta eravamo rimaste a che si era limonata il leader della sua band, un capellone figlio dei fiori.
Aspettavamo da giorni il continuo.

“Perfetto.” La sentii sorridere “E San..”
“Dimmi”
“Se Jessie dovesse chiedermi qualcosa cosa dico?”

Non mi stupì quella domanda.
Vivian era parecchio acuta.
Doveva aver afferrato che stavo facendo qualcosa per conto mio.
E probabilmente la stessa cosa che stavo facendo quel pomeriggio stesso.

“Digli che sai solo che sono andata alla scuola a curare i ragazzi, come ogni pomeriggio sarà da qui in poi” spiegai “E che domani mi accompagni tu, ma andrò da sola in realtà tranquilla.”
“Ok..” la sentii combattuta “Sul serio è una scuola?”
“Sì, V.”
“E sul serio vai a fare quello che lui crede tu faccia?”

Presi un profondo respiro.

“No.”
“Ok, allora” acconsentì “Magari quando vorrai mi racconterai.”
“Certo..”

Un momento di silenzio, prima che lei stessa lo spezzasse.

“Oh.”
“Dimmi.”
“Ma lo sai che oggi ho mangiato la pizza più porcosa del mondo??”

Adoravo il suo modo di fare.

 

 
“Grazie per essere tornata, San”

Il giorno successivo, come ormai avevo deciso, andai alla scuola.
Mi avviai verso le due di pomeriggio.
Arrivai per le due e 30 secondi.
Me la presi con calma.

Trovai ad accogliermi Kali.
Come il giorno precedente, tuttavia, sentii una stranissima sensazione nel tornare in quel luogo che anni addietro definivo casa.

“Ve lo devo” sorrisi “E lo devo soprattutto a te” feci, incamminandomi.
“A me non devi niente” mi seguii verso l’entrata del grande edificio “Magari è alle due bionde presenti in questo palazzo che devi qualcosa, ma mai a me” sorrise “Ti ho cresciuta perché diventassi una grande persona e lo sei diventata. Hai incontrato grosse difficoltà e magari hai perso un po’ di vista la via maestra, ma sei una donna di cui essere fiero. L’avere avuto il privilegio di farti crescere con me è già stato un trionfo nella mia vita.”

Fermai la mia avanzata a quelle parole.
Colpita.

“Stai per caso cercando di ruffianeggiare per farmi restare più tempo possibile?”

Si lasciò scappare un sorriso.

“Potrebbe essere!” spalancò le braccia “Ma tu non lo saprai mai” mi fece l’occhiolino “Ora vado” concluse, incamminandosi verso il lato opposto del giardino, dandomi le spalle.

Eh?
Ma dove andava?

“Ehi!” lo richiamai “Ma che fai?! Devi dirmi cosa devo fare! Dove vado?”

Si voltò leggermente.

“Brittany è al primo piano, aula 223.” Disse, lasciandomi spiazzata “Quinn non credo sappia tu sia qui e non so se lo vuole sapere. Immagino che lo scoprirai” sollevò le spalle.
“Ma.. sbaglio o ero qui per aiutare?”
“Per aiutare e mettere a posto le cose, sì.” Precisò alzando un dito “Se ci sarà qualche attacco sarai la prima ad essere avvisata, quindi stai in guardia, ma nel frattempo..” alzò un sopracciglio “Cerca di non far danni”

Non facevo danni io.

“Li hai sempre fatti” obiettò lui, in risposta ai miei pensieri “E negli ultimi anni ti sei parecchio sbizzarrita in proposito”
“Ehi!”
“Vacci piano con Brittany” aggiunse, poi “E’ da tutta la giornata che è in attesa di un gelato” spiegò “Spero non sia il nome in codice per qualcosa onestamente” rifletté, facendomi ridere “Ad ogni modo, so che c’entri tu visto che si è cambiata la t-shirt una trentina di volte, esattamente come faceva quando usciva con te.”

Sorrisi inconsciamente a quel dettaglio che non avevo mai saputo.

“Si cambiava sul serio sempre la maglietta?” chiesi, divertita.
“Ogni santa volta” sorrise “Tu venivi da me a chiedere come stessi prima di un vostro appuntamento e lei faceva le sfilate davanti lo specchio.”

Era vero.
Andavo sempre da Kali a chiedere un parere.
Ed ecco spiegato anche perché Brittany non indagava sul motivo del mio ritardo prima delle uscite.
Le faceva comodo quel tempo in più!
Ogni volta, tornando, la trovavo sul letto in tutta tranquillità.
Mi scusavo per il ritardo.
E lei mi diceva che mi avrebbe perdonato, solo se le avessi dato un bacio.
Era una ladra di baci, oltre che una ritardataria come me.

Tuttavia.
Come velocemente si era formato quel sorriso sulle mie labbra al ricordo dei tempi passati, così scomparve.
Lei non mi avrebbe più aspettato nella nostra camera prima di uscire.
Non mi avrebbe più rubato baci.
Non mi avrebbe più trattenuto sul letto prima di uscire facendomi il solletico.
Non mi avrebbe più riempito di morsi, se le dicevo che sarei andata dall’amante se avesse continuato con quell’assalto.
E non mi avrebbe più tirato indietro per un ultimo bacio in privato mentre aprivo la porta per uscire.
Era tutto cambiato.

Senza neanche rendermene conto, mi ritrovai le braccia di Kali attorno al corpo.
Non disse nulla.
Mi tenne solo stretta a sé per qualche secondo.
Forte.
Senza dire una parola.
Nessuno dei due.

Infine si staccò e, senza guardarmi, tornò sui suoi passi, dandomi le spalle.
Sospirai.
Sarebbe stato difficile.
Mi sforzavo di pensare che stare nella scuola per un po’ non avrebbe cambiato nulla.
Eppure il mio umore già ne risentiva.
Già i ricordi iniziavano ad affollare la mia mente.
Ancora una volta mi chiesi se stessi facendo la cosa giusta.
E se non stessi solo riaprendo vecchie ferite, che stentavano a chiudersi da anni.

 

 
Mi incamminai verso il primo piano sovrappensiero.
Come il giorno prima, mi soffermai sugli odori di quel posto.
Sui colori.
Sul legno scuro dei mobili.
Sui divani in pelle.
Sulle grandi vetrate, che mostravano l’immenso giardino curato.
Salii le scale.

Mi focalizzai, infine, sui numeri delle aule nel corridoio, che mi si aprì sulla destra.

220.
Una leggera inquietudine si stava facendo spazio in me.

221.
Era più che altro agitazione, suppongo.
Erano anni che non sperimentavo un sentimento del genere.

222.
Mi venne in mente il primo appuntamento con Brittany.
E l’ansia che provai prima di uscire con lei.
Ricordo che la spazzò via con un sorriso, nel momento stesso in cui entrai in stanza prima di uscire.
Sorrise.
Non solo con la bocca, ma anche con gli occhi.
Trovai la pace.
E mi dimenticai persino chi fossi.

223.
La porta era socchiusa.
Sentii parlare all’interno.
La aprii leggermente, quel tanto che bastava per capire cosa stesse accadendo all’interno.

Il mio cuore martellò per parecchi secondi.
Finché non la vidi.

Era seduta su una scrivania con le gambe a penzoloni.
Un’intera classe di ragazzi davanti a lei.
Pendevano dalle sue labbra.
Credo stesse parlando del potere della mente.
Supposi fosse una lezione di controllo dei poteri.
Rimasi incantata dal movimento delle sue labbra.
Dai suoi capelli biondi sciolti.
Dal naso perfetto.
Non sentivo niente.

Mi accorsi che l’intera classe si era voltata a guardarmi, solo quando lo fece anche lei.
E mi regalò uno dei sorrisi più belli che avessi mai visto.

Provai a ricordarmi di Jessie.
Provai a ricordarmi di avere una nuova vita.
Un lavoro.
Una casa.
Una promessa di matrimonio in ballo.
Ma niente.
Mi dimenticai di tutto, nell’esatto momento in cui i suoi occhi incontrarono i miei.

Credo sia questo il problema del primo vero amore.
Non puoi dimenticarlo.
Non sono neanche sicura uno smetta mai di amare l’altro.
Dopo che ci si è dati tutto.
Dopo che ogni parte di sé e ogni piccolo insignificante angolo del proprio cuore e del proprio cervello sia stato occupato dall’altro.
Come ci si può aspettare di non provare niente, trovandoselo di fronte?
E mi chiedevo.
Cosa avranno le persone che verranno dopo?
Quanto di me occupava Jessie, se un sorriso di lei spazzava via tutto?

“Bene, ragazzi, allora ci vediamo domani! Mi raccomando, esercitatevi sul controllo, è tutto nella vostra testa.” Congedò i ragazzi prima di voltarsi verso di me, contenta “Arrivo subito, San.”

 

 
“Mi piace il fatto che fai l’insegnante.”
“Davvero?”

Camminavamo lungo una stradina del giardino.
Ognuna a una estremità, per evitar di stare troppo vicine.
Così come avevamo fatto lungo i corridoi e alla gelateria della scuola.
Questo un po’ mi pesò, perché mi fece ripensare a ciò che non potevamo più avere.
Dall’altra forse fu un sollievo, perché la sua vicinanza mi faceva un effetto strano.
E non mi riferivo allo star male causato dal veleno di Shaw.

“Mi sembra perfetto per te” sorrisi “Materie più adatte a te non ne trovo.”
“Te lo ha detto Kali?”
“Sì” confermai “Matematica e controllo dei poteri” riflettei “Chi meglio di te.”
“Maddai.”
“Sul serio! Ricordo ancora il primo giorno che ci conoscemmo, neanche volevi stringermi la mano” ricordai, divertita “Poi iniziasti a creare piccole opere d’arte.”
“Pff”
“Non pffarmi, è vero!”
“Non erano opere d’arte.”
“Sarà..” sollevai le spalle “Ma io non so nemmeno disegnarlo un gatto, figurati crearci una scultura di ghiaccio. E lo facesti dopo due settimane di allenamento.”
“Me lo ricordo” socchiuse gli occhi lei “Non era male..”
“Era bello, semmai”
“Esagerata.“
“Hai sempre avuto questo problema nell’accettare i complimenti” commentai, alzando un sopracciglio “Una delle prime volte in cui ti dissi che eri bella uscisti pazza.”
“Sarà” dissimulò, camuffando un sorriso.
“Certo, come no”
“Infatti no!”
“Infatti negasti così tanto che alla fine prendesti un rossetto rosso fuoco” sollevai le sopracciglia, esplicativa “E te lo passasti per tutta la faccia. Ricordo ancora perfettamente le linee ondulate che creasti sulla fronte.”
“Mmmm.. non credo di ricordare” finse, ancora.
“Te ne mettesti persino un quintale nell’orecchio, mentre io ti osservavo senza parole. Alla fine mi guardasti intensamente e mi chiedesti, con, oh così poca sanità mentale, ‘Ora sono bella, eh? Lo sono ancora?!’”
“Non so di cosa tu stia parlando.”

Ma lo vedevo.
Stringeva le labbra per non ridere.
Era rimasta pazza, nonostante tutti gli anni.
Questo mi fece sorridere.
E allo stesso tempo, mi fece star male.
Era giusto rievocare quei ricordi?
Avrebbero solo peggiorato la situazione?
Riaperto cassetti, che erano rimasti chiusi fino ad allora, per un motivo?
Non lo sapevo.

Ma una cosa era certa.
Nonostante mi sforzassi di non farlo, mi veniva assolutamente automatico.
Quasi come se non ne avessi il controllo.

A proposito di controllo.
Quella Giuly dov’era?

“E il tuo di lavoro come procede?” chiese, cambiando poi argomento, apparentemente tranquilla.
“Ti piace?”
“Non è male” sollevai le spalle. “Incontri un mucchio di persone strane, quello è certo.”
“Sì?”
“Decisamente. Non ci saranno persone capaci di trasformarsi in giganti o ghiaccioli, ma non mi lamento.”
“Peccato, quelle sono le più divertent-“
 
Si bloccò di colpo, come pietrificata.
Fermai la mia avanzata, voltandomi a guardarla.
Sembrava in difficoltà.

“E’ successo qualcosa?”
“No…” bisbigliò “No, no” si schiarì la gola, alzando il tono di voce “E’ solo che non passo spesso lungo questa parte del giardino, dovevo essere sovrappensiero.”
“Oh.”
“Beh, dicevamo?” chiese, cercando di apparire tranquilla.

Ma io capii subito il problema non appena alzai gli occhi verso gli alberi attorno.

“San?”

Era lì.
La nostra quercia.
Quella che un tempo consideravo la mia quercia e che, a partire da un giorno di parecchi anni prima, iniziai a considerare nostra.
Quella alle cui radici si posarono per la prima volta le sue labbra sulle mie.
Quella dove mi rifugiavo nei momenti bui.
E dove lei sapeva di potermi sempre trovare.

“Si è fatta ancora più grande di quanto ricordassi” commentai, senza abbassare lo sguardo da quel maestoso albero.
“Effettivamente hai ragione.”
“Da quanto non vieni qui?” chiesi, senza guardarla.
“Qualche anno.”

Qualche anno.
Dio.

Abbassai lo sguardo su di lei.
I suoi occhi sembravano spenti.
Abbozzò un mezzo sorriso.
Come a dirmi ‘E’ tutto ok’.
Ma non ci credevo molto.

Rifocalizzai lo sguardo sulla quercia.
E, come amavo fare anni addietro, feci un solo salto.
Arrivai su uno dei primi rami, a svariati metri di altezza dal suolo.
Contemplai l’intero paesaggio tutto attorno.
L’intera scuola.
I giardini.
Il cortile, in lontananza, in cui vedevo dei ragazzi rincorrersi.

“Solo una volta non riuscisti a seguirmi su questi rami in alto” commentai quasi automaticamente, rivolta a Brittany ancora in piedi a terra.
“Ti riferisci a quella volta?” chiese, apparentemente tranquilla.
“Quella del varco spazio-tempo, sì” chiarii.

Definirla quella del nostro primo bacio sarebbe stato inappropriato.
E doloroso.
Non avrebbe avuto senso.

“Non ci riuscii eh?”
“Beh, sì” sollevai le spalle, guardando in giù verso di lei “Dovetti scendere io. Da lì in poi, invece, imparasti a creare le pedane di ghiaccio, mi seguivi ogni volta.”

Mi sforzai di non sorridere al ricordo.

“Sapevo già creare le pedane di ghiaccio.”
“Cosa?” chiesi, confusa, mentre lei iniziava con entrambe le mani a creare una scia ghiacciata.

Prima una lastra.
E da lì, una volta salitaci sopra, continuò, grazie ai suoi poteri, a creare una sorta di pedana, che girava a chiocciola su sé stessa, portandola in alto..
Circa quattro giri e la ritrovai esattamente di fronte a me, a qualche metro di distanza.
Si sedette, infine, sullo stesso ghiaccio, guardandomi.

“Sapevo già fare questo” sorrise.

Ma non era uno dei suoi sorrisi.
Era intriso di tristezza.
E malinconia.
Lo lessi nei suoi occhi.

“Eppure mi chiedesti di scendere” commentai, stupita.
“Non volevo forzarti a parlare” sollevò le spalle “Volevo che mi dicessi la verità di tua spontanea volontà, non volevo estorcerti dichiarazioni” scherzò. “Ci tenevo troppo.”

Mi concessi qualche secondo per osservarla.
Era fantastica.
Seduta sul ghiaccio, creata da lei stessa e che la separava da un vuoto di almeno 3-4 metri.
Il vento a scompigliarle i capelli.

“Eri convinta che ti dicessi no” scosse la testa, divertita per quella che nella sua testa era una assurdità.
“Mi dicesti, neanche un’ora prima, che ti piaceva qualcuno” obiettai, inarcando un sopracciglio “Come credevi l’avessi presa?”
“Speravo male, onestamente!”

La osservai, corrucciata.

“L’avevi detto di proposito?”
“Oh, sì” annuì, con forza “Era l’unico modo per capire se ti interessavo.”
“Sul serio?” la linciai con lo sguardo “L’unico modo?!”
“Beh, non avevo il coraggio di venirti vicino e chiederti se ti piacessi”
“Avresti potuto.”
“Non avrei avuto il coraggio.” Sollevò le spalle “Ero troppo piccola e insicura per prendermi quello che volevo.”

Questa volta mi fissò dritto negli occhi.
L’insicurezza precedente sparita.
Sembrò scavarmi all’interno.
E mi sentii esposta.

“Beh..” tossii, in difficoltà “Alla fine hai preferito farmi esplodere davanti l’intera classe.”
“Già..” sorrise, più tranquilla “Fu divertente.”
“Parla per te!”

Sentii a distanza di anni di nuovo la sua risata.
Una sensazione di pura felicità si fece largo in me.
Vivevo per sentire quel suono, anni prima.
E ne ricordai perfettamente il motivo.

“Sai” riprese poi, mantenendo ancora un sorriso sulle labbra “C’è nella mia classe un ragazzino, innamorato perso di una piccola torcia umana.”
“Sul serio?”
“Sì!” esclamò, entusiasta “Solo che lui possiede la capacità di controllare l’acqua.”
“Oh, degli opposti.”
“Esatto” annuì lei “E nessuno dei due controlla bene i propri poteri.”
“Wow.. una storia travagliata”
“Decisamente, però sono tosti, sai” sorrise “Nessuno dei due si arrende, anche se lui le spense i capelli qualche tempo fa.”

Spalancai la bocca stupita.

“Le spense i capelli?”
“Oh, sì! Ma tanto erano di fuoco, son ‘ricresciuti’ subito” sventolò una mano, come a dire che fossero facezie “Ora si controllano molto meglio e domani escono assieme” sorrise, contenta.
“Carini loro..”
“Molto.” Concordò “Si sono impegnati e stanno ottenendo quello che volevano” annuì “Ci sono voluti mesi, ma ne è valsa la pena.”

Non so perché ma mi sembrava che tutto quello che dicesse fossero dei messaggi subliminali indirizzati a me.
Ero sempre stata un pochino paranoica.
Ma non mi stavo sbagliando, ne ero parecchio certa.

“Da quanto non usavi i tuoi poteri?” mi chiese, poi, stupendomi per la domanda.

Cosa c’entrava?

“Da un po’..”
“Un po’ tipo ore, giorni, mesi, ann-“
“Un po’ tanto” sollevai le spalle “Non ho molte occasioni per utilizzarli in genere, né tantomeno voglio più di tanto. A che servirebbe?”
“E’ un peccato, però” mi guardò, corrucciata “Hai dei poteri incredibili, non usarli sarebbe uno spreco.”

Mi innervosii.
Ero parecchio suscettibile alla cosa.
Averli doveva obbligarmi ad usarli?
Se non mi occorrevano nella vita di tutti i giorni, perché avrei dovuto divertirmi a radere al suolo muri o case giusto per tenermi in allenamento?
Allenamento per cosa poi?
Per un bel niente.

“Potrei aiutarti a perfezionarli”

Inarcai immediatamente un sopracciglio a quella sua affermazione.

“Perché?”
“Che domanda è perché” fece, confusa “Sono sempre stata convinta del fatto che potessi volare, onestamente. Ma non ti sei mai esercitata molto per questo.”
“Volare” sorrisi, dimenticandomi per un attimo l’irritazione di prima “Sul serio? Non sono mica Superman.”
“E per fortuna” ricambiò lei “Sei molto più forte.”
“Forse lo ero.”
“Lo sei ancora!” spalancò le braccia “Sei solo un po’ arrugginita” si accarezzò il mento “Potrei darti delle lezioni.”
“Britt, non so volare, non credo riuscirei mai a farlo.”

Anziché rispondermi, rimase con gli occhi socchiusi per qualche secondo.
Come concentrata su qualcosa.
Si portò infine la mano sul mento, come in posa di riflessione.

“Scommettiamo allora.” Sorrise “Dammi un mese.”
“Un mese.” Commentai, un po’ titubante. “E’ tanto un mese.”

Un mese era un saaaaaacco di tempo.
Che dicevo a Jessie?
No, no.
No.
Era una pessima idea.

“Se ci riesco, tu resti.”
“Britt-“
“Se non riesco a farti volare, puoi andare e non tornare più, se è quello che vuoi.”

Scossi la testa.

“Britt, io-“

Ci voltammo entrambe di colpo verso sinistra.
Verso la scuola da cui partiva, forte, il suono della sirena di allarme.
Shaw.

Mi rifocalizzai un momento su Brittany.
Era già saltata giù dalla pedana.

“Vado nella scuola a tenere al sicuro i ragazzi” mi disse, da terra “Tu stai attenta.”
“Non preoccuparti per me, ci vediamo dopo.”

Fece due passi, poi si fermò voltandosi verso di me.

“Pensaci, ok? Ti chiedo solo di pensarci.”

 

 
Ci misi mezzo secondo a raggiungere il cancello di ingresso.
Mi posi esattamente davanti a questo, nell’esatto centro.
Come a sbarrare la strada a chiunque.
Dovevo ancora vendicarmi del giorno precedente in effetti.
Aspettavo con ansia di fracassare qualche osso.

“Non sono in molti”

Mi voltai attorno, sentendo la voce di Kali.
Ma non lo trovai.

“Sono nella scuola, ti sto parlando usando come tramite i tuoi pensieri”
“Wow. Ma sei diventato un figo, Kali”
“Lo so, non ci lamentiamo.”

Risi a quella dichiarazione, sprizzante modestia.

“Ad ogni modo non sono molti, credo Shaw abbia capito tu sia tornata. Credo voglia controllare con i suoi occhi.”
“Perfetto.” Ghignai, stringendo i pugni “Vedremo ora chi avrà la meglio.”
“Stai attenta, San.”
“Tranquillo, a dopo baffone.”

Mi stiracchiai un paio di muscoli e la schiena.
Sgranchii le gambe e il collo.
Poi sentii dei passi provenire da dietro.
Mi voltai, stupita.

Quinn procedeva verso di me.
I pugni serrati.
Lo sguardo che andava oltre me, senza calcolarmi.
Piegai la testa di lato, osservandola posizionarsi alla mia sinistra.
Neanche una parola.
Questo per almeno cinque minuti.
Finché non iniziammo a vedere un piccolo gruppetto di uomini procedere in lontananza verso la scuola.

Mi posizionai meglio, assumendo una posizione di attacco.
Alla destra di Quinn.
Esattamente come svariati anni addietro.

“Se ti aspetti un grazie, sappi che non lo avrai da me.” Disse solo lei, senza guardarmi.
“Non lo faccio per te.” Risposi, fredda.

Ecco, non era propriamente vero.
Non in tutto e per tutto, almeno.
Ma non era necessario lei sapesse la verità.

“Pensa a combattere piuttosto” sbuffai, preparandomi all’assalto, vedendo quegli stessi uomini ora correre verso di noi.

Solo pochi metri a dividerci.

“Cerca di non farti male.”

Furono le ultime parole che sentii, prima che un boato si scatenò alla mia sinistra.
Lì dove Quinn aveva raccolto su di sé tutte le energie.
Completamente avvolta da elettricità.
Avete presente Goku che diventa super Sayan per la prima volta?
Ecco, più o meno era così la situazione.
Ero distante metri, eppure l’energia arrivava fino a me.
Incredibilmente forte.
Tanto da creare un piccolissimo cratere sotto i suoi piedi.
Se ci fossi stata vicina, probabilmente mi avrebbe spazzato via di almeno un metro.
E per riuscire a smuovere me dalla posizione, ce ne voleva.

Era diventata potentissima.
A dir poco incredibile.
E non ne avevo idea.

 

 
Durante i combattimenti ci si aspetta di tutto.
Si è abituati a qualsiasi tipo di attacco.
Qualsiasi insidia.

Chi prova a colpirti alle spalle.
Chi alla gola.
Chi in modi ancora più subdoli, sfruttando i propri poteri.

Ma un proiettile che riuscisse a penetrarmi la pelle?
Un proiettile che mi colpisse esattamente alla spalla destra?
Quello non l’avevo previsto.

Un solo foro d’entrata.
Urlai di dolore.



 


 
Tetraedro dell’Autrice
 
E anche questo capitolo è andato! spero vi piaccia :)

Vi chiedo scusa fin da ora se farò passare del tempo per il prossimo, purtroppo sono in sessione d’esame e non so quanto riesca a scrivere, senza contare che purtroppo questa storia è un po’ complicata visto che ogni volta devo programmare due capitoli alla volta, che siano almeno un pochino collegati fra di loro..
Non vi abbandonerò però promesso!

Ancora una volta, grazie mille a tutti, siete un sacco gentili e supportive! Cercherò di non deludervi nei prossimi capitoli :)

Un grazie speciale va anche alla mia Lucina, che supervisiona ogni volta i capitoli dandomi la sua benedizione C:

A presto, bella gente! :D


 


 

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Capitolo 9
*** Passato - Fire ***


“Sai” iniziò a piattoleggiare Quinn “Dovresti parlarle”
“E tu dovresti silenziarti” grugnii in risposta.

Sbuffò, in maniera del tutto prevedibile.

“Davvero non capisco perché fai così” si alzò a sedere innervosita dal prato “Non ha senso. Dovresti farle qualche domanda, anziché viaggiare di testa e non farne parola”
“Per ottenere nuovamente bugie in risposta?” chiesi, sarcastica “No, grazie.”

Un altro sbuffo.
Altrettanto prevedibile.

“Mi urta vederti qui semi rilassata a prendere il sole nel parco, onestamente” continuò “Hai gli occhi chiusi e ok, ma dovresti sapere che continua ad affacciarsi in giardino e ti assicuro che la sua espressione è quanto di più vicino a Bambi che abbia mai visto.”

Lo sapevo.
Lo sentivo.
Il mio udito mi permetteva di avvertire ogni volta il fruscio della tenda che si spostava, permettendole di scorgerci dalla finestra.
E i suoi sospiri.

“Dillo che sei sadica e hai scelto questo posto per far sì che ci vedesse anche!” sbraitò.

Ancora.
A breve l’avrei picchiata.

“Ti degni almeno di rispondere a me?!”

Silenzio.

“Santana!”

Presi un profondo respiro.

“Quinn.” Dissi solo, facendola zittire.
“Sì?”
“Ti ricordi quello che ti dissi tempo fa a proposito del fregarmi?”

Attesi un paio di secondi.
Nessuna risposta.
Aprii gli occhi incuriosita.
La osservai concentrata, quasi.. arrabbiata?
No, forse…
Ah.

“Non ti ricordi, eh?”
“Cosa pretendi da me?!” sbraitò, drizzando tutti i capelli dall’elettricità “Lo sai che ho una memoria di un pesciolino rosso, ti aspetti che ricordi ogni cosa che dici?”

Quasi mi scappò una risata.

“E’ inutile che dissimuli” continuò piccata “Stavi per ridere. Hai idea di quante idiozie dici in un giorno?”
Aprii la bocca per contestare ma mi precedette.
“Ieri te ne sei uscita, tanto per fare un esempio, con una delle tue solite massime assurde.”
“Non sono assurde, sono ponderat-“
“’Meglio una cola oggi che una coca domani’” citò, con sguardo allucinato.
“Cosa hai da criticare?! Almeno io sensibilizzo sulla tematica drog-“
“’Meglio un ‘caco’ oggi che un ‘caco’ domani’ affermasti la settimana scorsa ridacchiando” continuò sconvolta “Lo vedi?! Anche ora ridi!”
“Per niente!” provai a ricompormi invano.
“Ammetti di avere un problema con i doppi sensi!”
“Non è per niente ver-“
“Ieri sono uscita sotto la pioggia e mi sono bagnata tutta”

Mi bloccai, spalancando gli occhi.

“Capisco…” annuii serrando le labbra nel disperato tentativo di non ridere o commentare la frase “Va bene, mi dispiace che..” inspirai profondamente “Ti sei..”
“Bagnata” finì lei, facendomi scappare un esordio di risata, che provai disperatamente a coprire con un colpo di tosse.
“Davvero?” mi fissò, con un sopracciglio alzato “La tosse tu?”
“Saranno i fiori” mi schiarii la gola, fintamente convinta.
“Certo. Allora senti, San, ora sono seria.”

La guardai preoccupata, tirandomi a sedere sull’erba, per guardarla meglio negli occhi.

“Dimmi.”
“Ieri sono venuta in camera tua, ma non ti ho trovato.”

La fissai sconvolta.

“Chiudi quella bocca o entrano i moscerini.”
“Avevi promesso che non avresti mai usato quel verbo con me!”
“Lo vedi che hai dei problemi?!”
“Non è colpa mia!”
“Su questo ho qualche dubbio” socchiuse gli occhi, convinta.

Sbuffai, incrociando le braccia.

Fu allora che avvertii l’ennesimo fruscio di tenda.
L’ennesimo sospiro.
Ma non sollevai lo sguardo.

“Si può sapere come siamo arrivate a questo?” provai a distrarmi, subito.
“Non ne ho idea, so solo che hai ignorato per l’ennesima volta quella povera ragazza in passione!”
“Io non-“
“Non provare nemmeno a fingere di non averla sentita, che ho visto le tue orecchie impuntarsi in meno di un millisecondo”
“Io-“
“Hai scelto questa postazione per farla soffrire di più?”
“No.”
“Ammettilo almeno” mi osservò arrabbiata “Ammetti che ti stai comportando proprio da stron-“
“Nessuno può provare a fregarmi e avere una seconda chance!” urlai, scattando in piedi.
“Quindi è questo, razza di idiota che non sei altro.”

Si tirò in piedi anche lei.

“Quinn ti conviene allontanarti.”
“Sei così dannatamente e fastidiosamente orgogliosa” si avvicinò ancora.
“Quinn, fatti indietro oppure potrei reagire male.”
“Sei arrabbiata eh?”
“Tu che dici?!” sbraitai dandole uno spintone.

La spostai di un paio di metri.
Avevo calibrato male la forza.
Merda.

“Mi hai dato una spinta!” fece, sconvolta. “Mi hai dato una stramaledetta spinta!”
“Io-“ alzai le mani in segno di resa “Mi dispiac- ahi!“

Un pugno mi colpì proprio sullo zigomo sinistro.
Questa volta fece malino.

“Quanta elettricità hai usato?! Dio!” mi massaggiai la parte lesa “Sei pazza?!”
“E tu no?” si avvicinò pericolosamente al mio volto “Dare per scontato che Brittany ti abbia mentito per nascondere qualcosa che aveva fatto di male ti sembra da persona sana di mente?”

Provò a darmi un spintone, ma non riuscì a spostarmi.

“Dio odio questa tua pesantezza!” urlò, riprovandoci.

Di nuovo inutilmente.

“Non è pesantezza, è solo che non hai abbastanza forz-“
“Tu dovresti lottare per la tua relazione” ci provò ancora “Tu ne hai una!”

Mi bloccai quasi realizzando.
Lei si allontanò di una passo, respirando piano.

“Quinn-“
“Zitta.” Si passò una mano sul viso, stropicciandosi leggermente gli occhi “Sai cosa penso, lo vuoi sapere, per una volta?”

In tutti quei giorni mi ero sempre rifiutata di ascoltarla.
Provai a fare uno sforzo.

“Dimmi.”
“Penso che tu sia arrabbiata, perché credi che lei ti abbia nascosto qualcosa.”
“Lo sai che non tollero che mi si dicano bugie.”
“Lo so” annuì “Ma credo tu sia così arrabbiata perché la cosa ti ha profondamente ferito.” Continuò “E tieni così tanto a lei che combatti con te stessa da giorni per non parlarle. Vuoi convincerti di riuscire a starle lontana”
“Io-“
“Ma non riesci. Hai scelto questo posto non per farle del male, ma perché non riesci a non tenerla quanto meno d’occhio.”

Sbuffai, scostando lo sguardo.

“Scommetto che la notte la osservi di nascosto dal tuo letto e in tutta probabilità aspetti che si addormenti prima di permetterti di farlo anche tu.”

Sbuffai di nuovo.

“Scommetto anche che le avrai impedito un paio di volte di cadere senza che lei lo sapesse, ignorando magari che quella ‘ondata di aria’ che le ha permesso di riuscire a tenersi in piedi non fosse per niente la tua super velocità.”
“E’ così goffa” scossi la testa, disperata “Non so come fare davvero, a breve inizierò a mettere i copri angoli ai mobili per evitare si uccida in camera.”

Mi sorrise.
E io socchiusi gli occhi in risposta.

“Scommetto anche che le canti la ninna nanna la sera prima di dormire”
“Ma sei scema?!” feci, sconvolta.
“E magari le allacci le scarpe prima di uscire e le scrivi messaggi tipo ‘ti amo trppssimo teso’”

Scossi la testa, senza parole.

“A breve le scriverai sulla bacheca ‘6 – con il numero attenzione – bllxxima. Ti osservo da lontano, firmato tua stalker personale. Ciao amò.”
“Sei completamente idiota”
“Lo so.”
“Il ‘bllxxima’ mi steso” continuai, provando a non ridere pensandoci.
“Peccato” sospirò “Pensavo l’amò finale fosse il tocco di classe!”
“Sei un’idiota” e questa volta risi di gusto.
“Anche tu, cara piccola testarda.” Sorrise “Va’ a parlarle, chiedile il motivo, non chiuderla fuori come fai con tutti.”

Era vero.
Era una cosa che facevo.
Mi limitai ad annuire.
“Ci vediamo dopo, Q.”


 
 
 
Rimasi svariati minuti a fissare quella porta di legno.
Erano più di 24 ore che non le rivolgevo parola.
Quella stessa mattina mi implorò di parlarle, quasi in lacrime.
Ma non era l’unica.
Così le voltai semplicemente le spalle.

Mi stropicciai il volto stanco.
Che macello.

“Lo è”

Mi voltai di scatto a quella voce.

“Ehi, Kali.”
“Non capisco perché ti comporti così certe volte” mi guardò dritto negli occhi.

Non era uno sguardo duro.
Quasi.. comprensivo.
Paterno.
Non che avessi una qualsivoglia idea di cosa fosse ‘paterno’ e cosa no, data la mia infanzia.
Ma probabilmente l’avrei definito così a pelle.

“Non lo so neanche io onestamente.”
“Hai la pelle così dura” sorrise “Eppure una paura così grande di essere ferita.”

Corrugai le sopracciglia in palese disaccordo.

“Va bene se non sei d’accordo ma-“
“Non capisco perché tu piombi sempre dal nulla e spari una frase ad effetto così” feci, scuotendo le mani “A caso proprio, e ti aspetti che uno ti dica anche che hai ragione.”

Si bloccò, colpito evidentemente dalle mie parole.
Si accarezzò la barba lunga.
Sollevò il dito indice prima di parlare.

“Preferiresti insulti diretti a perifrasi con cui evito di darti dell’idiota?”

Spalancai la bocca in risposta.

“Sai, a un tot pensavo vi baciaste tu e Quinn” corrugò le sopracciglia, confuso “Sai quando si è avvicinata a te mentre litigavate” continuò “o una cosa del genere insomma, visto che vi urlate a vicenda anche quando scherzate quindi ho una totale e completa difficoltà nel capire cosa diavolo combiniate”
Spalancai, se possibile, anche di più la bocca sconvolta.

“Non che tu non mi piaccia con Brittany eh! In questi 3-4 mesi in cui siete state assieme davvero ero entusiasta” sollevò le mani “Però, non so, a volte mi confonde questo tuo rapporto con Quinn.” Continuò ad accarezzarsi la barba “Com’è che dite voi? Sciappare? Shippare? Comunque non so più quale diventa poi la mia ogp, si dice così no? Beh.. comunque, niente.”

Ero sempre più sconvolta.

“Sai, dovresti stare attenta o ti entrano i moscerini in bocca” scherzò, dandomi un colpetto sulla mandibola che a momenti avrebbe toccato il pavimento. “Ci vediamo a cena, San.”
“Io-“

Neanche il tempo di parlare che, dopo una brevissima carezza sulla guancia, mi aveva già dato le spalle.
Dopo pochi secondi era già fuori dal mio campo visivo.
Ero sconvolta.

“Si dice otp non ogp” commentai quasi a me stessa, stralunata “Che diavolo sarebbe ogp?!”

 


Entrai piano nella stanza.
Era notte fonda ormai.
Avevo accuratamente evitato tutto il giorno di incrociare lo sguardo di Brittany.
Nessun contatto, né sguardo né parola.
Non volevo.
Non riuscivo.
Era estenuante.

Non ero mai stata una persona particolarmente avvezza ai sentimenti.
Rissosa, vendicativa, permalosa? Sì, forse.
Ma se potevo avere un deficit era questo.
Non riuscivo a parlare se qualcuno mi feriva.
Ed era ok fino a poco tempo prima.
Insomma, le uniche persone ad avere potere su di me erano ben poche.
E, diciamocelo, la mia pellaccia dura rispecchiava anche l’interno.
Non era facile ferirmi.
Ma lei?

Ero così… arrabbiata.
Con lei.
Per avermi mentito.
Con me.
Per averle concesso un simile potere sulla mia mente.

Sarebbe stato tutto più facile se non avessi tenuto a lei.
Sarebbe stato facile passarci sopra e smettere di parlarle.
Ma non lo era.
E mi mancava terribilmente.

Le luci erano spente.
Riuscii ad intravedere la sua sagoma sotto le coperte del suo letto.
Chiusi lentamente la porta alle mie spalle e mi mossi piano per non svegliarla.
Mi sedetti sul mio letto, di fronte al suo.
La osservai, nel buio della stanza.
Era rannicchiata e mi dava le spalle.

Perché mi aveva mentito?

Lasciai scappare un sospiro stanco.

“Ciao.”

Mi drizzai sul posto, colta alla sprovvista.
Era sveglia.
E si era tirata a sedere sul letto.
Proprio di fronte a me.
Nel buio della stanza.

“Ciao.”

Normalmente, funzionava così: ti do fiducia? Mi deludi? Bene, hai chiuso.
Zero parole, zero contatti.
Addio.
Ma con lei era tutta un’altra storia.

“Ho pensato a lungo a cosa può averti fatto scattare in questo modo.”

Mi limitai ad ascoltare in silenzio.

“E credo di aver capito.” La vidi allungarsi verso il comodino, per accendere la lampada. “Per questo voglio proporti un gioco.”

Finalmente potei osservarla per bene.
Sembrava stanca.
Gli occhi leggermente lucidi esaltavano l’azzurro dei suoi occhi.
E li piantò dritti nei miei.
Così decisi e intensi.
Tanto che fui costretta a distogliere lo sguardo.

“Mettiamoci in piedi, tu da un lato della camera e io dall’altro” iniziò a spiegare “Lo so che sei arrabbiata, e lo so che reagisci chiudendoti a riccio senza dire una parola, ma credo di meritare almeno una spiegazione”

Non risposi.

“Dovrai solo ascoltare, ok?” si scostò un paio di capelli dal viso “Se dico cose vere, allora farai un passo verso di me, letteralmente.”

Corrugai le sopracciglia confusa.
Mutismo ai massimi livelli come al solito.

“Se dico che ti chiami Santana ed è vero, farai un passo verso di me” provò a spiegare meglio “Se dico che oggi hai parlato con Quinn almeno una volta ed è vero, allora ne farai un altro”

Aprii la bocca quasi per contestare, ma mi precedette.

“Ovvio che non si tratterà di queste cose, saranno..” provò a spiegarsi, gesticolando “Ecco, cose serie”

Ero titubante.

“Per ogni cosa sbagliata, ne potrai fare uno indietro.” Concluse, prendendo un profondo respiro.

Avrei dovuto?
La mia cocciutaggine non era tanto d’accordo.

“Ti prego.”

Puntò di nuovo gli occhi nei miei.
Dio, se mi mancava.

Quasi automaticamente mi alzai e posizionai proprio vicino la porta della stanza.
La vidi sorridere, quasi sforzandosi di non farlo, e si mise in piedi, vicino la finestra.
Esattamente dal lato opposto.

Misi le mani in tasca, in attesa.
Ero piuttosto curiosa.

“Sei arrabbiata con me” iniziò, convinta.

Mi limitai ad alzare un sopracciglio in risposta, senza muovermi.

“Troppo banale?” sorrise lei.

Combattei contro me stessa per non ricambiare.

“Allora” riprovò “Sei arrabbiata con me, perché credi ti abbia mentito”

Feci un passo in avanti.
Lei lasciò andare un sospiro.
Mi fissò quasi sconvolta, scuotendo la testa.
Mi limitai a sollevare le spalle.

“Sei una delle persone più cocciute e permalose della storia”

Socchiusi gli occhi, in disaccordo.

“Me lo devi! E’ una verità!” allargò le braccia “Passo avanti”

Come poco prima, aprii la bocca per contestare, ma mi precedette di nuovo.

“Passo avanti!”

Mi limitai a farne uno piccolissimo.
Le sorrisi con sguardo di sfida.
Lei scosse la testa.

“Credi ti abbia mentito perché ti ho detto di essere stata in biblioteca ieri, ma, non so come” iniziò, sollevando un sopracciglio “Devi aver scoperto che non ero davvero lì.”

Passo in avanti.

“Come però?” si grattò il mento, confusa.

Non sembrava preoccupata per la cosa.
Mi spiazzò un po’.

“L’hai saputo o sentito da qualcuno”

Passo indietro.

“Ok..” si morse il labbro, mentre combattevo con me stessa per non fissare quel movimento “Allora l’hai scoperto da sola.”

Passo avanti.
Decisamente da sola.
Pessima scoperta.

“Ma.. tu dovevi andare in centro a far scorta delle tue caramelle preferite” ragionò, quasi con sé stessa “Vai fuori di testa se non ne hai almeno una in camera”

In effetti.
Avete presente le caramelle gommose a forma di coccodrillo con la base bianca e di vario colore?
Ecco, ne ero ossessionata.
Ero solita mangiarne una al giorno, durante il pomeriggio.
Una volta ne trovai anche una a forma di pitone alla cocacola gigante.
Che sogno, mamma mia.

“Quindi..” provò concentrata “Non sei andata a comprarti le caramelle.”

Passo in avanti.

“Wo” commentò stralunata “Questa è nuova”

La guardai storto.

“Scusa, è che.. è strano eh!” si giustificò sollevando le spalle “Quindi se non sei andata a comprarti le caramelle” continuò “Sei venuta in biblioteca”

Passo in avanti.

“Per studiare?”

Passo indietro.
Quando mai studiavo io?

“Non vale così! Era una domanda!”

Mi scappò un sorriso, ma non mi mossi di un millimetro.

“Eri venuta per me?”

Passo in avanti.
E questa volta non si trattenne, e mi sorrise.

“Perché?”

Sollevai entrambe le sopracciglia, eloquente.
Non era una affermazione, ma una domanda.

“Hai ragione” capì al volo “Allora, eri lì perché…” provò “Volevi chiedermi qualcosa.”

Ci pensai su, ma non era quello il motivo.
Passo indietro.

“Volevi dirmi qualcosa.”

Sollevai le spalle.
Era tendenzialmente vero.
Quindi , piccolissimo passo in avanti.

“Volevi darmi qualcosa”

Passo in avanti.
La vidi concentrarsi per qualche secondo.
Si osservò attorno.
La vidi realizzare quando il suo sguardo si posò sulla scrivania.

“Tu non mangi cioccolatini” commentò osservando i 4-5 che avevo lasciato sul tavolo “Eri venuta a portarmi quelli.”

Passo in avanti.
Mentre uscivo dalla scuola mi ero fermata al bar.
Vedendoli non avevo potuto fare a meno di pensare a lei.
Erano i suoi preferiti.

“Awwwww”

Grugnii in risposta.

“Carina.”

Scossi la testa, provando a sembrare indifferente.
“Quando studi e hai fame diventi intrattabile” spiegai brevemente “Pensavo che così avresti studiato meglio.”

Lei mi guardò per un po’, con un bel sorrisone sulle labbra.
Mi guardai attorno in difficoltà.

“Mi era mancata la tua voce.” Disse solo.
E io mi lasciai scappare un piccolo sorriso.
Ma piccolo!
Ero ancora sul chi va là.

“Quindi, se venuta e non mi hai trovato” ricapitolò “Hai pensato ti avessi mentito, facendo chissà che cosa in quel frangente di tempo e hai pensato bene di non chiedermi spiegazioni, ma ignorarmi.”

Passo in avanti.
Già.

“Sei una cosa terribile” sospirò affranta “Non potevi chiedermi? O almeno darmi il beneficio del dubbio?” chiese esausta. “Sempre a pensar male!”

Sollevai le spalle.
Era una cosa che facevo.
Non mi fido delle persone.
E quando lo faccio, non riesco a passare sopra ad una delusione.

“Dio, se sei testarda certe volte” continuò, un po’ risentita. “Non fai così però se qualcuno a caso ti dice una bugia”

Sollevai di nuovo le spalle.

“Solo con me!” sbraitò “E boh, probabilmente Quinn e Kali e-“ si fermò come realizzando “Oh Gesù”

Rimasi in attesa.

“Tu non tolleri che le persone a cui tieni ti mentano.”

Sospirai, facendo un piccolo passo avanti, quasi controvoglia.
Sorrise.

“Quindi tieni a me”

La guardai di traverso, contrariata.
Non c’era neanche da dubitarne.

“E’ un passo in avanti” sorrise.

Acconsentii.
Ormai a stento 1-2 mancavano per raggiungerla.
Una parte di me lo desiderò ardentemente.
L’altra ancora stentava a fidarsi completamente.

“Scommetto che ti sono mancata” continuò. “A me sei mancata.”

Passo in avanti.

“Mi hai impedito di cadere un paio di volte, ne sono quasi certa” concluse “Avvertivo eri tu.”

Passo in avanti.
Ormai eravamo vicine.
Potevo quasi sfiorarla.
Posai lo sguardo sui suoi occhi.
Sulle sue labbra.

“Qualche scivolone l’ho preso di proposito” allungò le mani, afferrandomi la t-shirt “Mi concentravo per sentire la tua mano afferrarmi al volo, era l’unico modo che avevo per toccarti.”

Mi tirò vicina.
E non mi opposi.
I nostri corpi erano schiacciati l’uno contro l’altro.
Avvicinò il volto al mio, accarezzando la mia guancia con la sua.

“Non ti si può fare neanche un regalo di nascosto senza che tu lo venga a sapere, eh?” chiese, portando entrambe le mani sul mio collo.

Mi allontanai leggermente, il minimo per poterla guardare negli occhi.

“Cos-“
“Ero sicura andassi a compare le caramelle” spiegò “Quale momento migliore per andare a cercare un regalo per il tuo compleanno? Volevo fosse una sorpresa.”

Spalancai gli occhi sorpresa.
Mancava una settimana.

“Oh..”
“Già” convenne “Ma tu sei troppo permalosa e testarda per chiedermi dove fossi stata.”
“Non posso più fare passi avanti, siamo già appiccicate” provai a scherzare, sentendomi profondamente in colpa “Mi dispiace per aver dubitato, Britt.”
“Non nego che dispiaccia anche a me” sorrise un po’ triste “Fidati di me la prossima volta.”

Avvicinò di nuovo il volto al mio.
Fronte contro fronte.
Il suo respiro sulle mie labbra.

“Quindi cos’è?” sorrisi.
“Cosa?”
“Il regalo..” spiegai, facendola ridere piano.
“Ti aspetti che dopo un giorno di mutismo io ti dica cos’è?” mi guardò eloquente “Neanche un indizio meriti!”
“Eddai..” provai, sfiorando le sue labbra con le mie.

Sentii la sua presa sul mio sollo intensificarsi.
Chiuse gli occhi.

Strinsi le mani sui suoi fianchi avvicinandola.
Ed io ero pronta ad azzerare le distanze.
Più che pronta.
Chiusi gli occhi.

Le sue labbra quasi sulle mie.

“Ti amo.”

Boom.
Un’esplosione nucleare avrebbe fatto meno rumore.
Splancammo entrambe gli occhi, colpite.
Non credo avesse realizzato sul serio cosa aveva detto.
Il suo sguardo era a dir poco allucinato.

Aprii la bocca per dire qualcosa, ma era già partita verso i più lontani prati fioriti del paesello ‘Panico Puro’.

“Beh!” si sganciò dalla presa, subito, sollevando l’indice della mano destra “Io.. ahm, io-“
“Britt”

Aprì la bocca come per dire qualcosa, ma la serrò subito dopo.
Deglutì sonoramente, mentre io la guardavo un po’ preoccupata.
Sembrava completamente persa.

“Hai sentito?” fece, allungando l’orecchio verso la porta.

Corrugai le sopracciglia, confusa.
Era notte fonda e non si sentiva volare una mosca.

“Forse mi stanno chiamando” finse palesemente, indietreggiando verso la porta.
“Britt-“
“Sì ecco. Ecco!” tossì sonoramente provando a simulare un ‘Brittany’ in lontananza “Mi chiamano!”
“Britt” la osservai indietreggiare ancora fino alla porta “Ma dove vai?”

La aprì con un sorriso tremolante.

“Decisamente mi chiamano” continuò “Tu non preoccuparti eh!” provò fintamente convinta, iniziando ad uscire piano piano dalla stanza “Tornerò più tardi, quindi, mi raccomando dormi, riposa, ne hai bisogno”
“Fai sul serio?”
“Assolutamente, tu non aspettarmi in piedi” annuì con veemenza “Sono sicura che sarà Debby della mensa, ci sarà la solita perdita in cucina di acqua”
“All’1 di notte?” chiesi, quasi ridendo.
“Beh…”  si fermò un momento, probabilmente pensando a quale palla potesse trovare “Sì? Ci sono perdite a tutti gli orari!”

Non ne aveva trovata nessuna verosimile.
Palesemente.

“Quindi ciao eh” continuò, ormai fuori dalla porta, mentre iniziava a chiuderla, parlandomi dallo spiffero di spazio che ormai rimaneva “Non aspettarmi in piedi, sarai stanca e tutto”

La porta ormai era socchiusa.

“Buonanotte” chiuse, infine, mentre la sentivo borbottare fintamente contrariata “Mannaggia, povera Debby chissà che macello deve essere per avermi chiamato a quest’ora”

Che disastro di ragazza.
Incontenibile, si formò un sorriso sulle mie labbra.
Mi amava.

Mi mossi prima ancora di pensare.
La raggiunsi in meno di un secondo bloccandole la strada.

Mai nella mia vita avevo sperimentato il ‘fiatone’.
Quella fu la prima volta.
Probabilmente fu l’agitazione, non saprei dirlo.

Mi presi un momento per osservarla.
Volevo imprimere quel momento nella mia memoria.
Mi focalizzai, infine, sui suoi occhi pieni di splendido e tenero panico.

“San, io-“
“Ho bisogno che tu non dia fuoco alla scuola ora.”

In quei mesi Brittany era riuscita a controllare i suoi poteri, ed era vero.
Aveva solo un piccolo ‘deficit’, mettiamola così.
Certe emozioni mandavano in tilt le sue capacità.
Così quando vide il film ‘ps I love you’ scatenò un temporale nella stanza.
Quando prese 2 in geografia fece nevicare.
Era parecchio scossa, devo ammettere.
Anche se non poteva andare granché altrimenti se affermi con convinzione che il presidente in carica degli stati uniti d’america è Osama Bin Laden.

‘Pierce, presidente degli usa?’
‘Osama, prof.’
‘Osama cosa?’
*Momento di panico*
‘Bin laden?’


Quando le toccai le tette per la prima volta, invece, mandò a fuoco le lenzuola.
Così mi fu chiaro: emozioni positive portavano fuoco.
Emozioni negative, polo nord.

“Britt, io ti-“

Momento.
E se era una emozione negativa?
Se le era scappato?
Se non lo intendeva sul serio?
E se-

“Sì?”
Sorrisi, leggermente in palla.

“Sì?” riprovò, avvicinandosi.
“Britt, io-“
“Dimmi solo se dove andare sul serio da Debby.” Fece, seria “Posso reggerlo.” Continuò “Piangerò in silenzio e mi vergognerò e dopo aver sistemato le famose tubature-“
“Cioè le tue ghiandoli lacrimali?”
“Ecco sì esatto” confermò, fintamente tranquilla “Tornerò con calma quando sarai a dormire e potremo fingere che non abbia mai detto quello che ho detto.”

Sorrisi.
Mi avvicinai di nuovo, cingendole i fianchi.

“E’ ok in fondo” continuò, riappoggiando le sue mani sul mio collo “Sai” sollevò le sopracciglia, convinta “Ho sentito che la mente può essere tanto potente da realizzare i propri desideri.”
“Ah sì?”
“Assolutamente” confermò “Quindi, se fingiamo che quel frangente temporale non sia mai avvenuto ed ecco riconducessimo tutto a un…” si concentrò “Buco nero, ecco, che-“
“Un buco nero, eh?” chiesi, fingendo di prestare particolare attenzione.

Mi riportai a un millimetro dalle sue labbra.
Nella stessa identica posizione di prima.

“Un enorme buco nero capace di inghiottire qualsiasi cosa” continuò “Detta o fatta che-“
“E se non volessi il buco nero?” chiesi, infine “Se non volessi che quelle due parole andassero perse?”

La sentii sorridere sulle mie labbra.

“Non vuoi?”
“Mai”

Puntai gli occhi, dritti nei suoi.
Poi lo lasciai scivolare dalle mie labbra.
Piano.
Come l’ultima carezza prima di cadere nel sonno.

“Ti amo, Brittany”

La baciai.
Prima ancora che potesse dire anche una sola parola le mie labbra furono sulle sue.
Non fu un bacio come gli altri.
Era intenso.
Profondo.
Diverso.
Uno che non si dimentica.
Uno che ti porti dietro per sempre.

La afferrai con forza, senza lasciarla.
Fu allora che lei avvolse entrambe in un’unica fiamma.

Sentii il calore bruciarmi i vestiti, ma non me ne curai.
Ci amavamo.
Questa era l’unica cosa che importava.

Non so dire dopo quanti secondi sentii l’allarme antincendio scattare.
L’acqua cadere sulle nostre teste, spegnendo il fuoco che lei aveva creato.
Sentii tutti uscire dalle stanze in pieno panico.

Ci staccammo, quasi ridendo.
T-shirt e jeans a brandelli.
Fiumi di acqua scorrevano nei corridoi.
Kali ci avrebbe ucciso.

Ma, Dio, se ne era valsa la pena.

 



Tetraedro dell'Autrice

Ciao, bella gente :)
Sono imperdonabile, lo so. Ho fatto passare mesi, so anche questo. Mi amate lo stesso? Non lo so spero di sì!

Scherzi a parte, diciamo che aggiorno questa ff a sentimento.. Oggi dopo mesi ho ritrovato l'ispirazione e quindi eccomi qui.
Spero piaccia questo capitolo.. scusatemi se fa un pochino schifo magari in qualche parte, visto che non l'ho ricontrollato molto.
Voi direte 'fai passare mesi e manco lo controlli?' eh lo so, sono un disastro.. potete insultarmi, senza problemi

Spero di riuscire a pubblicare presto i prossimi capitoli e non far passare di nuovo anni, le idee ci sono! Devo solo metterle su word :)

Grazie di tutto davvero come sempre!!
A presto, bella gente :D

 

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Capitolo 10
*** Presente - Scar ***


PRESENTE.
 



Aprii gli occhi.
Lentamente.
Mi sentivo stanca e confusa.

Dov’ero?
Cos’era successo?

Temporeggiai osservando quello che sembrava un soffitto.
Di un bianco incredibilmente puro.
Non era casa mia di certo.

La mia attenzione fu catturata da un rumore costante.
Fastidioso.
Proveniente dalla mia sinistra.

Col calma mi voltai.
Riconobbi un tracciato cardiologico.
Spiegò quel fastidioso bip reiterato.
Una frequenza cardiaca di 70 battiti al minuto.
Pressione arteriosa, lessi, 115 su 70.

La domanda a questo punto era una sola.
Era roba mia?
Provai a muovermi.
Un fastioso dolore, seppur leggero, si fece strada irradiandosi lungo tutta la spalla destra.

Ricordai.
E il suono proveniente da quel monitor si fece più frequente.

“Santana, tranquilla.”

Deglutii a quella voce, con difficoltà.
Avevo la bocca completamente asciutta.
Da quanto tempo stavo così?

Focalizzai la mia attenzione sul grosso cerotto all’apice del mio braccio.
Lo strappai via senza pensarci neanche più di tanto.

“Santana!”
“Cos’è successo Quinn?” chiesi, osservando una cicatrice, di forma stellata, nel punto coperto dal cerotto.

Lei non mi rispose.
Spostai lo sguardo sulla sua figura, a qualche metro dal mio chiamamolo ‘letto’, che tentava di osservare incuriosita la mia cicatrice.

“Non era questo il suo aspetto prima, vero?” domandai, intuendo il motivo di quella sua espressione confusa.
“Già..” confermò “Era un po’ bruttina prima, devo ammettere.”

Fece due passi avanti.
L’espressione ora più seria.

“Ti hanno colpito alla spalla con una sorta di fucile, niente che avessi visto in precedenza.”
“Di questo mi ricordo” sospirai, staccandomi via le ventose dal petto, facendo finalmente cessare quel maledetto bip.
“Hai finito di strapparti via qualsiasi cosa tu abbia addosso?”

Riportai l’attenzione su di lei, che mi guardava contrariata.
Sollevai un sopracciglio esplicativa mentre allungavo il braccio per spegnere del tutto il monitor al lato del mio letto.
Mi tirai leggermente su, in posizione semiseduta.
Provai ad ignorare la sensazione di fastidio alla spalla.

“Dov’è Brittany?” chiesi, senza pensarci più di tanto.
“Curioso che sia la prima persona di cui chiedi dopo essere stata centrata da un proiettile.” Prima che potessi anche solo pensare di rispondere, continuò “E’ uscita qualcosa come due minuti prima che ti svegliassi, mi ha semplicemente detto di entrare e quando l’ho fatto ti stavi svegliando”
“Sta bene?”
“Sì, lei era nella scuola. I tipi dopo averti sparato se ne sono andati” corrugò le sopracciglia “Presumo fosse quello il loro intento a questo punto.”

Questo era strano.
Ma neanche più di tanto.
Forse Shaw voleva darmi una lezione.
O semplicemente voleva aizzarmi ancora di più.
Una cosa era certa: ero piuttosto arrabbiata.

“E’ stata tutto il tempo qui” continuò, mentre ero persa nei miei pensieri “Da ieri pomeriggio, ha semplificato le operazioni, senza di lei sarebbe stato impossibile avere un accesso endovenoso”

Annuii distrattamente.
Dovevo parlarle.
Se la conoscevo almeno un po’, in quel preciso momento si stava dando la colpa di tutto.
Feci per alzarmi, quando il braccio di Quinn si posò subito sul mio.

“Non ci pensare neanche” alzò la voce, spingendomi in basso. “E’ fuori discussione che tu ti alzi”
“Quinn, per favor-“ mi bloccai realizzando solo allora le parole che aveva pronunciato prima “Ieri pomeriggio?! Che ore sono? Da quanto tempo sono qui?”
“Non è che dobbiamo farti anche un tac cranio per sicurezza?” si corrucciò, notando il gap temporale nella mia risposta. “Sei qui da ieri pomeriggio; e ora sono le 14” rispose “Sei stata incosciente per quasi 24 ore.”

Porca merda.
24 ore.
E Jess-

“Kali ha risolto le tue questioni familiari, non so esattamente come” disse, capendo al volo la mia preoccupazione “Poco mi importava onestamente”.
“Bene” ignorai la sua ultima frase, provando ad alzarmi per l’ennesima volta.
“Sant-“
“Quinn, smettila” la fulminai con lo sguardo “So capire quando un paziente può alzarsi e io posso ok?”

Lei si limitò a fare un passo indietro serrando la mascella.
La fissai per qualche secondo.
Poi mi tirai su a sedere.
Sentivo lentamente le forze prendere possesso di me.
Andava meglio.

“Sai” la guardai di nuovo “Potrei quasi pensare che tu sia preoccupata per me in questo momento.” Alzai un sopracciglio “Il che è davvero molto strano da parte tua.”

Quinn si limitò a serrare le labbra.
Spostò lo sguardo lontano da me, incrociando le braccia.
Ma notai un leggero sbalzo di tensione dalla lampada al neon sopra la nostra testa.
A quanto pare si era innervosita.

La ignorai per un po’ e ne approfittai per bere un sorso dall’acqua posta alla mia sinistra, su un piccolo ripiano.
Osservai la stanza in cui ci trovavamo.
Era l’infermeria della scuola.
Ci ero entrata poche volte negli anni precedenti.
Mai per piacere.

“Ti avevo chiesto gentilmente di non farti ammazzare” ruppe quel silenzio Quinn, senza neanche guardarmi.

Mi concentrai per un po’, cercando di ricordare le esatte parole.
Non erano quelle.

“No, tu mi avevi detto” temporeggiai portandomi la mano al mento “’Cerca di non farti male’ se non erro, o una cosa del genere insomma”
“E cosa cambia?” ringhiò in risposta, fissando lo sguardo nel mio.
“Beh, non era gentilmente e non era un esortazione a non farsi ammazzare” sollevai le spalle, evocando per l’ennesima volta quel fastidioso dolore.

Probabilmente feci una smorfia di dolore.
E lo sguardo di Quinn passò da irritato a preoccupato nel giro di un secondo.

Quando posai gli occhi sui suoi, si affrettò ad assumere nuovamente la sua solita espressione seria e apparentemente indecifrabile.
Pensai a cosa dirle, ma prima ancora che potessi aprire la bocca, la porta si spalancò.

“Santana” piombò nella stanza Kali “Come stai? Sei sveglia!” sorrise, felice.
“Ehi, barbone” ricambiai “Tutto bene, non preoccuparti.”

Inizialmente non capii il perché di tutta quella agitazione nell’aria.
Quinn, nonostante la profonda incazzatura, preoccupata.
Kali felice ma visibilmente provato.
Poi collegai.
Non ero mai stata male io.
Mai una ferita, una febbre, un raffreddore.
Niente.
E ora un proiettile.

Ancora dovevo elaborare la faccenda, ma il solo pensiero di quanto successo faceva crescere in me una strana sensazione.
Di certo non bella.
Sembrava un misto di rabbia, frustrazione e, forse, una leggera vergogna.
Ero sempre stata indistruttibile.
E ora, in un semplice attacco, ero stata messa KO da 4-5 idioti.
Poco importava dell’arma.
Tanto ero sicura al 99% di cosa si trattasse.

“Ma hai levato cerotto e-“ sporse la testa per osservare meglio la cicatrice, rapito “E..”
“Sì ho tolto tutto” continuai io per lui, visto il suo blocco momentaneo “E’ tutto ok, è solo una cicatrice ormai, sto bene, mi sento in forze.”

Lui mi guardò preoccupato.

“Oh, andiamo, ormai è solo una cicatrice e-“
“Ci hai fatto prendere uno spavento non indifferente San” mi bloccò Kali “Sei stata incosciente per quasi 24 ore e-“
“Sì lo so, me lo ha detto Quinn.” Sollevai gli occhi al cielo “Ma ora sto bene, no? Lo vedete?”

Provai ad alzarmi quando sentii una sensazione strana in basso.
Alzai le coperte per guardare il resto del mio corpo, nascosto ai miei occhi.
Sgranai gli occhi allibita.

“Cioè fatemi capire” puntai gli occhi in quelli titubanti di Kali “Voi non solo mi avete messo una tutina da ospedale orrenda per cui probabilmente alzandomi mi ritroverò il culo all’aria” presi un profondo respiro irritato “Ma mi avete anche messo un catetere?!”
“San..” provò tranquillo Kali.
“Silenzio” mi massaggiai le tempie nervosa.

Sapevo che era necessario sulla carta.
Ma ugualmente la cosa mi urtò non poco.

“Aggiornami sulle ultime cose” cambiai discorso, veloce.
“Ho dovuto frugarti nella mente San” arrivò subito al sodo il barbuto lasciandomi confusa.
“Che?”

Lui si mosse a disagio sul posto.
Prese un profondo respiro prima di parlare.

“Non rispondevi a nessuno stimolo, non sapevamo cosa fare, chi avvisare.”
“Ti prego dimmi che non hai chiamato Jessie.”
“No, no” portò subito la sua mano sulla mia “Ho dovuto frugare nei tuoi pensieri e cercare di capire chi potesse essere ideale contattare.” Continuò, titubante “I tuoi pensieri erano confusi, ma fra tanti nomi, uno ripetuto spesso era quello di una certa Vivian”

Dio, ti ringrazio.

“Così l’ho chiamata” continuò “Le ho spiegato che non potevi muoverti ma-“
“Ma?”
“Ho dovuto farla venire qui” finì “Ha minacciato di raccontare tutto al tuo..” prese una pausa, prendendo un respiro “Compagno, se non ti avesse visto.”
“Quindi è qui?” chiesi, ignorando il suo tono strano a proposito di Jessie.
“Sì, è di là con Kurt. Ora andrò ad aggiornarla e la farò entrare qui se per te va bene”
“No.”

Sia Kali che Quinn alzarono un sopracciglio, stupiti.

“No?”
“No” confermai “Devo prima fare una cosa.”
“Quale cosa?” chiese Quinn, stralunata.
“Devo andare a parlare con Brittany, ok?!” sbraitai togliendomi le coperte di dosso.
“Santana prima devi sapere una cosa” provò ad avvicinarsi cauto Kali.

Presi un profondo respiro.
Spostai lo sguardo nel suo.

“E’ a proposito del proiettile vero?”
“Sì” mi confermò “Abbiamo fatto analizzare il contenuto e-“
“Ed è sangue di Brittany” conclusi per lui, lasciando entrambi stupiti.
“Come hai fatto a capirlo?”
“Quando andai alla fortezza, Shaw mi minacciò” spiegai “Disse che aveva un’arma contro di me e subito dopo spinse Brittany contro di me” ricordai con calma “Ci ho riflettuto per giorni su quelle parole e il sangue di lei è l’unica cosa sensata e plausibile che mi sia venuta in mente”

Entrambi mi fissavano elaborando quanto detto.

“Probabilmente una volta penetrato nel mio corpo sarà stato rilasciato nel sangue” riflettei “Il che spiegherebbe la mia perdita di coscienza per quasi un giorno intero.”
“Ha senso” si accarezzò la barba, realizzando la cosa.
“Sì ha molto senso” confermai “Ma ora qualcuno per cortesia mi levi questo stramaledetto catetere dalla vescica.”

 


 
Mi rivestii in fretta, mettendo i jeans con cui ero arrivata.
La t-shirt, ormai inservibile, era stata rimpiazzata con una lasciata sulla sedia vicino al letto dell’infermeria.
La riconobbi.
Era una delle vecchie maglie preferite di Brittany.
Grigia, con un logo di batman sul petto.
Incredibile l’avesse ancora dopo tutti quegli anni.

La indossai, come facevo anni addietro.
Quando di nascosto le rubavo qualche maglia da indossare in camera.
Passavo tutto il pomeriggio a crogiolarmi in quella sensazione, in quel profumo di lei che mi arrivava dritto al cervello.
A lei non sembrava dispiacere, anzi.
Passava il tempo a fissarmi con un sorrisino divertito, concludendo il tutto con un puntuale ‘Sta meglio a te che a me’ prima di assaltarmi e riempirmi di baci, mentre io ridevo.

Certe volte lo facevo apposta.
Tutto per il suo tornado di baci.
Tutto per le sue labbra sulle mie.

Non dovetti pensare molto a dove potesse essere.
Se le cose erano rimaste come un tempo, l’avrei trovata sicuramente nel suo posto preferito.
In quello che più di tutte le trasmetteva tranquillità.

Tagliai tutta la scuola, cercando di ignorare gli sguardi curiosi dei ragazzi attorno.
Superai la porta principale e continuai la mia strada per il giardino.
Rallentai la mia marcia quando fui in prossimità del laghetto di papere.
Mi fermai, infine, riconoscendola seduta su una delle tante panchine di legno.
La osservai in religioso silenzio.
Il suo sguardo sembrava.. perso nel vuoto.
Avrei pagato oro per sapere i suoi pensieri in quel momento.

Mi avvicinai piano entrando nel suo campo visivo, proprio di fronte a lei.
Una decina di metri a dividerci.

Fu allora che mi notò.
E puntò i suoi occhi nei miei.
Il blu ancora più accentuato dal rossore circostante.
Aveva pianto.
E sentii il mio cuore stringersi per un momento al pensiero.

Feci un passo in avanti.
Lei rimase immobile, ancora seduta.
Lo sguardo stanco.

“Hai provato a dormire un po’?” provai a tastare il terreno.

Si limitò a scrollare le spalle in risposta.
Forse non era una domanda geniale con cui iniziare.

“Sei sveglia” disse solo, stringendo gli occhi.
“Sì” confermai “Viva e vegeta” sorrisi.

Non ricambiò.
Piuttosto, strinse le labbra, passandosi una mano sugli occhi.

“Tutto ok?” chiesi, ancora, ricevendo nuovamente una scrollata di spalle in risposta.

Così non andava.

“Non ti va di parlare? Vuoi che vada via?” provai.

Questa volta scosse leggermente la testa.
Ma non parlò.
Si limitò a guardarmi.

“Che ne dici di un gioco?”

Mi fissò per un attimo confusa.

“Ogni verità un passo” semplificai con un sorriso, come facevo anni addietro, dopo la prima volta che lei stessa ideò il gioco.

Un piccolo, minuscolo sorriso si formò agli angoli della sua bocca.
Non disse nulla.
Si limitò ad alzarsi in piedi.
Mi fissò, in attesa di una mia parola.
Come in passato.

“Sei preoccupata” iniziai, guadagnando un suo passo verso di me.
“Sei preoccupata perché hai paura che possa farmi male”

Fece un piccolo passo.
Poi parlò.

“Ti sei fatta male, in realtà.” Puntualizzò.
“E’ solo una cicatrice ormai, Britt”

Mi guardò un po’ titubante.

“Prima non era solo una cicatrice però.”
“Dettagli”

Ignorai il suo sguardo rassegnato.

“Credi di essere il motivo di questa cicatrice”

Un passo in avanti.
Gli occhi puntati verso il basso.

“Brittany” provai a richiamarla “Questo non è colpa tua.”
“Sono stata io a farti tornare” puntò gli occhi nei miei, lucidi “E’ colpa mia, in fondo.”

Feci un passo in avanti, incurante delle regole del gioco.
Un metro di erbetta a separarci.

“Sono stata io a decidere di restare però” puntualizzai tranquilla “E’ capitato”

Lei scosse la testa, visibilmente contrariata.

“Ehi” mi avvicinai ancora “Sto bene ok? Guarda” scostai il bordo della maglia per permetterle di vedere la cicatrice sulla spalla.

La sua attenzione completamente catturata da quel gesto.
Spostò poi lo sguardo dalla cicatrice alla maglia che indossavo.
La sua.
E i suoi occhi sembrarono rasserenarsi per un secondo.

“Sta meglio a te che a me” disse, solo, come tanti anni addietro.

Provai a sorridere, tremolante, ignorando la valanga di ricordi che mi investì.

“Ritiro la mia scommessa.”

Alzai il sopracciglio sinistro, senza scompormi più di tanto.

“Tu non ritiri un bel niente”

Mi guardò contrariata.

“Ritiro quello che voglio” puntualizzò “E ritiro la scommessa”
“Non puoi” sollevai le spalle, noncurante.
“Sì che posso”
“No” continuai “Ormai ho accettato”
“Orm-“ si bloccò “Che?”
“Accetto la tua scommessa” chiarii.

La sua espressione indecifrabile.
Sembrava un misto di felicità, preoccupazione, tristezza.
Non saprei dire.
Mi affrettai a continuare.

“Ieri mi sono beccata un proiettile perché ero arrugginita. Non accadrà più se mi aiuti a migliorare” spiegai “Ora mi hanno fatto davvero incazzare, cerca di capirmi”
“Il proiettile ti ha fatto incazzare?” provò a nascondere un sorriso “Sul serio? Solo tu.”

Sollevai le spalle.
Come a dire ‘ehi, lo sai come sono’.
Riflettei sulla cosa.

In realtà la nuova Santana non avrebbe mai fatto una cosa del genere.
La nuova Santana sarebbe tornata indietro, senza voltarsi.
Una strana sensazione iniziò a farsi largo dentro di me.
Ma la ignorai.
Sarebbe stato tutto temporaneo.
E basta.
Avrei risolto le questioni in sospeso.
E allora, solo allora, sarei tornata alla mia vita.
In fondo, parte del motivo della crisi della scuola ero io.
Era la cosa più corretta da fare.

“Non sono molto convinta” disse, ancora, riottenendo la mia attenzione.

Feci un altro passo avanti.

“E stai ignorando le regole del gioco” obiettò guardandomi eloquente.
“Lo so, ma è necessario quando inizi a diventare irrazionale” sorrisi “Ho bisogno di risolvere la situazione qui, sento che è la cosa giusta da fare.”

Presi una pausa, respirando a pieni polmoni l’aria di quel giardino.
Concentrandomi sul rumore dell’acqua mossa dal movimento delle papere.

“E la cosa non dipende più da te” aggiunsi, infine, puntando gli occhi nei suoi “E’ solo mia la decisione.”

La vidi prendere un respiro tremolante.
Si portò velocemente la mano agli occhi, come a scacciare piccoli residui di lacrime.

“Ho solo paura di perderti sul serio.” bisbigliò, quasi impercettibile.

Istintivamente provai ad allungare la mano verso la sua.

Fu allora.
Fu allora che mi resi conto di quanto effettivamente fossimo vicine.
Troppo, molto più del solito.

“Che hai?” chiese, subito, lei, notando probabilmente la mia espressione interdetta.

Mi sentivo stanca e strana.
Quello sì.
Ma a quella distanza solitamente non mi reggevo in piedi.
A quella vicinanza da lei sarei stata cento volte peggio.
La testa avrebbe iniziato a girare e le gambe avrebbero perso la forza per sostenermi.

Che diavolo stava succedendo?
Incontrollabile, sentii la necessità di toccare la sua mano.
Piano, avvicinai la mia, facendo mezzo passo in avanti.
E lei capì.
Perché la sentii distintamente trattenere il fiato.

Posai i miei occhi sui suoi.
E giuro non avrei saputo inquadrare il sentimento che vi scorsi all’interno.

“Hai freddo?” chiesi, piano, continuando ad avvicinare la mano alla sua.
“Poco” bisbigliò.

Come se dirlo ad alta voce potesse far cessare quello che sembrava un miracolo.

Non indugiai oltre.
Né ci pensai o ragionai.
Al diavolo tutto.
E, veloce, avvolsi la mia mano attorno al suo polso.

Entramme lasciammo andare il respiro, trattenuto fino a quel preciso momento.

La sua pelle era fredda.
Ma morbida come la ricordavo.
Ignorai la lieve sensazione di stanchezza che piano si faceva largo dentro di me e scesi con le dita, fino a toccare le sue.
Le strinsi fra le mie.
E lei fece lo stesso.

Sollevai lo sguardo verso di lei.
Era ancora focalizzata sulle nostre mani a contatto.
Incredula, come lo ero io.

“Britt” provai a richiamarla, cercando di attirare la sua attenzione.

E lo fece.
Puntò gli occhi nei miei.

Feci per parlare quando fui interrotta.

“Brittany, Santana!”

Una fastidiosa voce ci richiamò.
Mi voltai trovando Giuly che si avvicinava.
Non era sola.
Riconobbi Vivian al suo fianco.

Avrei dovuto essere spaventata.
Agitata.
Cos’avrei detto a Vivian?
Come le avrei potuto spiegare di quella parte della mia vita, così imponente eppure nascosta per anni ai suoi occhi?
Come avrei potuto guardarla negli occhi e confessare di averle mentito per anni?

Ma in tutta onestà?
Non mi interessava.
E poteva essere sbagliato sotto ogni possibile punto di vista.
Non importava.

Notai con la coda dell’occhio Brittany che continuava a fissarmi.
Incurante delle due persone che si stavano avvicinando a noi.
Strinse di più la presa sulla mia mano.
Come a dire ‘guardami’.

E lo feci.
Ci guardammo per alcuni interminabili secondi.

Avvertivo la sua pelle farsi leggermente più fredda.
Poco alla volta.
Così come la stanchezza aumentava in me.
Piano e lentamente.

Avrei voluto dire qualcosa.
Ma ero completamente bloccata.
Focalizzata su quella sensazione, familiare, ma che da tanto non sentivo.

Con la coda dell’occhio notai le due avvicinarsi a noi sempre di più.
Un paio di metri a separarci.

Fu allora che sentii il cellulare squillare dalla tasca.
Entrambe sobbalzammo, ma non interrompemmo il contatto.
Nessuna delle due lo avrebbe mai fatto.
Lo presi velocemente con la mano libera.

‘Sconosciuto’

“Rispondi, no?” mi esortò, piano.
“E se fosse uno dei miei pazienti idioti?” chiesi, terrorizzata, ottenendo un piccolo sorriso in risposta.

Risposi, mentre Vivian, ormai vicina assieme a Giuly, mi si parava innanzi con uno sguardo tutt’altro che rilassato.

“Pronto?”
Ciao Santana”

Mi congelai sul posto.
Immobile.
Brittany strinse ancora la sua presa sulla mia mano.
Mi voltai verso di lei, cercando pace nelle sue iridi blu.

“Shaw.” Dissi solo, mentre la bionda al mio fianco spalancava gli occhi nei miei.

Allora capii.
Avrei dovuto sospettarlo.

Era opera sua.

Piaciuto il regalo?”


 


Tetraedro dell'Autrice

Vi chiedo perdono. E' passato davvero un mucchio di tempo e non so se ci sia ancora qualcuno che segua la storia.. ma! sentivo la necessità di continuarla, nonostante il mio essere arrugginita e il tempo passato.
Da qui in poi dovrei avere molto più tempo per dedicarmi a questa ff, spero continui a piacervi :)
Non odiatemi vi prego!

Grazie a tutti di tutto, e scusatemi ancora per il tempo infinito trascorso
.
A presto, bella gente :)

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