Sparks

di hymnftwe
(/viewuser.php?uid=1027571)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno ***
Capitolo 3: *** Due ***
Capitolo 4: *** Tre ***
Capitolo 5: *** Quattro ***
Capitolo 6: *** Cinque ***
Capitolo 7: *** Sei ***
Capitolo 8: *** Sette ***
Capitolo 9: *** Otto ***
Capitolo 10: *** Nove ***
Capitolo 10: *** Dieci ***



Capitolo 1
*** Uno ***


Mi guardai intorno alla ricerca del corridoio A3. Il campus era immenso, ancor più di quanto immaginassi. Wade mi aveva avvertita: "chiamami se hai bisogno di qualcosa" aveva detto, ma in quel momento doveva sicuramente essere a lezione e l'ultima cosa che volevo era disturbarlo il primo giorno.
L'estate era passata in fretta, così in fretta da non accorgermi neanche di quello che stava per succedere. Ero arrivata al college e sembravano già lontani i momenti in cui ne parlavo con lui. "Ti troverai benissimo" mi rassicurò "è un college pieno di vita, adatto a te". Aveva ragione e me ne rendevo conto ad ogni passo, sempre di più. I corridoi erano larghi da contenere tanti studenti, più di quanti ne avessi visti durante gli anni di liceo. Alcuni ridevano, si spingevano da una parte all'altra, altri probabilmente si innamoravano. Ero sicura di aver visto anche una ragazza piangere insieme ad alcune amiche, e non erano nemmeno iniziate le lezioni. Eppure, avevo sempre cercato di respingere la mia immaginazione sull'argomento. Pensare al college mi faceva sentire grande ma allo stesso tempo impotente, giunta ad un punto della mia vita in cui l'inaspettato prevaleva su di me. E la cosa non mi era mai andata a genio; per il mio carattere tutto questo non poteva andare bene. Ero solita gettarmi nelle avventure più strane che potessero presentarsi ai miei occhi, ma non sapere nulla sul mio futuro un pò mi spaventava. Per questo mi ritrovai più volte ad affrontare l'argomento con Wade, il mio più vecchio amico. Nonostante la differenza d'età, è l'unico realmente in grado di comprendere quello che passa per la mia mente, nonostante poi sia in grado di dire  qualsiasi cosa ad alta voce, in qualsiasi momento. Mi ha sempre sostenuta come nessuno mai ha fatto, ed io lo stesso per lui.
"Credevo di dover chiamare la sicurezza" disse, abbracciandomi. Il suo modo di scherzare combaciava perfettamente con il mio.
"Quanto cazzo è grande?" gli dissi, guardandomi intorno per giustificarmi. Lui conosce il mio modo di fare forse meglio del suo.
"Alexandra  Hart, dammi quelle borse e chiudi quella bocca" rise. Capii le sue intenzioni, mi chiamava con il mio nome per intero solo quando voleva avere ragione.

Dopo aver lasciato Wade alla sua lezione di Biotecnologia, mi avviai verso la caffetteria del campus. Quello che non poteva e doveva mancarmi, che fosse giorno, notte, inverno o estate, era una buona tazza di caffè bollente. Scelsi un tavolo non molto centrale, per osservare meglio la zona. Forse era proprio per quello che decisi di arrivare al Filmore College due giorni prima dell'inizio delle mie lezioni: avevo voglia di osservare in lontananza, senza essere notata, o almeno non ancora. Avevo voglia di conoscere, di cercare, di imparare ad accettare tutto quello che si trovava davanti ai miei occhi. Ordinai il mio caffè e mi buttai a capofitto nell'orario scolastico. C'era tutto quello che volevo, tutto quello che desideravo. Ore di lingua inglese ad uscirne morti, laboratori di storia dell'arte, lingua tedesca, lingua spagnola, stage. "Ecco il suo caffè", fui distratta dalla voce gentile di una ragazza. "Se mi dai del lei mi sento vecchia" rise. Era minuta, con una lunga coda di capelli biondi fino alle spalle. Mi guardò con aria interrogativa. "Sei nuova qui?"
Le risposi con la stessa moneta. Come poteva ricordare tutti i ragazzi del campus? "Si, sono appena arrivata in realtà" mi sorrise. Trasmetteva tranquillità. "Goditi il tuo caffè" disse, allontanandosi. "Io sono Alice, comunque". "Alex" risposi, sparendo dietro quel liquido scuro per qualche minuto.

Qualche giorno dopo, Alice mi indicò l'aula della mia prima lezione d'inglese. Dovevo ancora abituare il mio orientamento a quelle numerose strade e giardinetti. Arrivai in orario, ma la cattedra era ancora vuota così mi guardai intorno più volte alla ricerca di un posto libero che trovai poco dopo.
"Arabica?" sentì una voce provenire dalla mia schiena, mentre posizionavo la borsa accanto alla sedia di legno. Mi voltai, posando lo sguardo in direzione del ragazzo che indicò il mio caffè. Era bello, tremendamente bello. "Etiope" dissi, felice di poterne parlare in termini specifici. Adoravo il caffè e qualsiasi cosa lo riguardasse, ancor di più chi condivideva questa passione. "Non l'ho ancora provato" rispose, guardandomi. Per qualche secondo non dissi nulla, sperando che la sensazione nel mio stomaco se ne andasse. Non avevo mai condiviso il mio caffè con nessuno, non volevo che qualcuno potesse sentirsi in dovere di rovinare il mio momento preferito della giornata. In quel momento, però, il mio istinto la pensò diversamente. "E' il migliore" dissi, porgendogli il bicchiere. Vidi i suoi occhi illuminarsi di poco, prima di prenderlo tra le mani. Lo annusò appena e poi mi guardò ancora, sperando di trovare il mio consenso. Feci un cenno col capo e lui lo assaggiò. In quel momento, prima di poter parlare, il professore entrò in aula squadrandoci singolarmente. Mi voltai per guardarlo e in un secondo ritrovai la mia tazza sul banco. C'era una scritta nera sull'estremità.
"Ottima scelta -Nick".

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Due ***


Trascorsi i giorni seguenti  tra gruppo di studio, caffetteria, gruppo di studio.
Dovevo recuperare in fretta i primi giorni d'assenza. Due volte a settimana incontravo Alice, la ragazza "cafè"; anche lei studiava, e nelle ore di libertà dalle lezioni, copriva i turni più brevi a lavoro. Ci aiutammo a vicenda con lo studio. Lei mi aiutò con il recupero, io l'aiutai con gli esami di inglese.
Non avevo rivisto Nick da quella lezione, probabilmente aveva anticipato la pausa per preparare qualche esame.

Più tardi, quel giorno, raggiunsi Alice in biblioteca. Ci attendeva un intenso studio della vita di Peter Lely, pittore olandese del 1600.
"Questo autoritratto mi dà i brividi" Alice indicò la foto sul libro. A me piaceva, ispirava tranquillità in un certo senso.
Le sorrisi. Mi sembrava di conoscerla da sempre, eppure erano soltanto poche settimane. Con lei potevo parlare di tutto, ridere di qualsiasi cosa, prenderla in giro, sfogarmi. Era una sorta di Wade al femminile, tutta per me. "Devo chiamare Wade" dissi, cercando il telefono nella borsa per poi avviarmi verso l'uscita. Odio le biblioteche, la tranquillità nello studio non fa per me.
"Ma dov'è" sentì una voce provenire da uno scaffale a pochi passi da me. Era altrettanto forte, probabilmente qualcuno dai rapporti problematici con le biblioteche proprio come me. Guardai in quella direzione.
"Nick" dissi, mentre un sorriso spuntava incontrollato sulle mie labbra.
Mi guardò ricambiando. "Etiopia", sorrise. Vero, non conosceva il mio nome.
"E' Alex" mi avvicinai. Sul suo viso spuntò un sorriso compiaciuto, come il primo giorno. "Queste notti sono stato sveglio" si avvicinò anche lui, ironizzando sul fatto che non conoscesse il mio nome. "Lo vedo dai tuoi occhi", aggiunsi. Mi guardò con aria sorpresa e con una punta di soddisfazione. Proprio come me, probabilmente, amava trovarsi di fronte qualcuno in grado di rispondere a tono.
"Credevo avessi preso una pausa" lo guardai. Nonostante ci conoscessimo poco, o meglio non ci conoscessimo proprio, avvertì il bisogno di essere sincera con lui. L'imbarazzo della situazione si chiudeva automaticamente in una piccola scatola per mai uscire fuori.
"Ho avuto l'influenza" sbuffò. La sua semplicità nel parlare era gratuita. Poi mi sorrise ancora; non so perchè, non so neanche cosa stesse pensando, ma era piacevole.
Fui distratta dallo squillo del telefono. Era Wade. Nick posò lo sguardo sul telefono per qualche secondo, poi mi guardò con un'espressione indecifrabile che mi fece rabbrividire. "Rispondi" disse impassibile, spostando lo sguardo sui libri ancora una volta. Lo guardai confuso e annuii avviandomi verso l'uscita.

Ripensai allo sguardo di Nick di quel pomeriggio. Non potevo rimuoverlo dalla mia mente. Era freddo, quasi spento. Non so se fosse colpa del telefono, di Wade, della mia spontaneità; il suo atteggiamento era cambiato per qualche secondo, e la mia mente lo aveva stampato.
Vidi Wade camminare verso di me. Avevamo deciso di andare in un locale, quella sera. Alice ci avrebbe raggiunti più tardi e così due amici di Wade.
"Che fai? Non rispondi neanche al tuo cucciolino?" scherzò abbracciandomi alludendo a quel pomeriggio.
Lo guardai. "Non lo avevo sentito". Wade mi osservò attentamente. "Alex?" posai lo sguardo su di lui. "Che ti è successo?". Impossibile. Non poteva conoscere i miei pensieri meglio di così.
Camminai in silenzio per tutto il tragitto, poi lo guardai. "Conosci un certo Nick?". Sorrise. "Alexandra, ti conosco meglio delle mie tasche" disse, controllando il telefono. "Nick chi?"
Nick chi? Non lo so Wade, vorrei tanto saperlo.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Tre ***


Il locale che scelse Wade era affollato, classico ma non troppo, perfetto. Ordinammo da bere prima di occupare un tavolino e prendere alcune sedie in attesa di Alice e gli altri. "E' un nome molto comune" disse Wade, occupando una delle sedie. "Frequenta il mio corso di inglese", sospirai. Non sapevo nulla di lui, se non le sensazioni che mi provocava, strane, indomabili, fuori dal normale. Non sapevo nulla di lui nè delle mie reazioni; sembrava essere un qualcosa più grande di me. Misi da parte l'argomento, parlarne non cambiava le cose. "Quando darai l'esame?" chiesi, incontrando gli occhi sorridenti di Alice dall'altro lato del locale. "Lunedì", disse Wade "Non venire" rise. Se non avessi avuto così tanto da studiare, probabilmente gliel'avrei fatta. "Finalmente" dissi, scrutando Alice. Dieci minuti dopo comparvero anche gli amici di Wade. Riconobbi subito Jason, del mio corso di Tedesco; la sua altezza lo rendeva inconfondibile, così come il biondo dei suoi capelli e l'azzurro dei suoi occhi. Appariva ai miei occhi proprio come un tedesco, forse non casualmente. Venne scortato da un ragazzo più basso, dai capelli neri carbone. Alice mi sorrise, forse facendo le mie stesse considerazioni. "Alex, Alice, lui è Lucas". Strinse la mano di Alice e infine la mia, sorridendo. "Ti ho già vista in giro", mi disse, per poi sedersi tra me e Wade. Finsi di pensarci su, in realtà non ricordavo nulla del genere. "Non credo" dissi, dopo poco. Alice richiamò la mia attenzione, spostando leggermente lo sguardo verso il bancone. La guardai, per poi percorrere con gli occhi la stessa direzione. Deglutii. Riconobbi Nick ordinare qualcosa, nonostante fosse voltato di spalle. Parlava, muovendo le mani in gesti esagerati. Non riuscì a capire se fosse ubriaco, o almeno un pò brillo; probabilmente lo era. Wade mi guardò. "E' lui?" chiese, curioso. Annuii dopo poco, non riuscendo a distogliere lo sguardo dalle sue spalle. "Non so chi sia" affermò dispiaciuto. D'improvviso, sentì l'aria mancarmi per qualche secondo. Mi alzai, accompagnata dallo sguardo di Wade, di Alice e di Lucas che mi osservava confuso. "Prendo un pò d'aria" dissi, avviandomi verso il retro del locale. Ne' Alice nè Wade decisero di seguirmi e li ringraziai per questo. Respirai a fondo l'aria fresca della serata prima di buttare il cocktail giù in un solo sorso. Mi sentì meglio dopo poco, non so per quale delle due cose; chiusi gli occhi per un secondo avvertendo l'alcool scendere nel mio corpo. Lo reggevo abbastanza bene, per questo non ero preoccupata più di tanto. "Alex", qualcosa mi toccò la spalla. Riconobbi la sua voce, aprendo gli occhi di scatto. Respirai a fondo un'altra volta prima di voltarmi. "Ehi" dissi, tranquilla. Le sensazioni che avvertivo erano confuse quando perfettamente opposte. L'idea di vederlo lì mi aveva tolto il respiro, ma l'idea di parlargli me lo aveva restituito in pochissimo tempo. Mi guardava intensamente, quasi come volesse buttar fuori talmente tanto da non averne il coraggio. Non parlava, mi osservava. "Sei ubriaco?" gli chiesi, reggendo perfettamente il suo sguardo sul mio. Si avvicinò, e con lui l'odore di alcool. Fu quasi una risposta alla mia domanda. "E' il tuo ragazzo?" disse, con gli occhi lucidi. Vederlo così mi tolse ancora una volta il respiro. Che cosa stava facendo? Non ebbi la prontezza di rispondere subito. "Chi? No", affermai escludendo mentalmente tutti i ragazzi presenti al mio tavolo. "Non tradirmi" disse, prendendomi la mano. Che cosa stava dicendo? Il mio corpo si bloccò, immobile.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Quattro ***


Il giorno seguente mi svegliai frastornata, ma fortunatamente le lezioni erano state sospese per dei controlli. Avvertivo ancora la musica nelle orecchie, mista alle parole di Nick. Perchè aveva detto quelle cose? Era ubriaco, vero, ma non erano parole casuali. Rimasi sotto le coperte qualche minuto prima di alzarmi controvoglia e fiondarmi nella doccia. Una buona dose di acqua fresca mi avrebbe di sicuro liberato le orecchie e la mente. Presi una gomma da masticare e la borsa prima di dirigermi verso la caffetteria. Alice era rimasta a dormire, Wade probabilmente era ancora in viaggio verso casa per il compleanno della nonna; mi chiese di accompagnarlo, ma preferii lasciarlo andare da solo. Wade non passava molto tempo con la sua famiglia, i suoi genitori si erano separati quando era ancora un bambino ed era figlio unico. Il concetto di famiglia si costruì pian piano nella sua vita grazie alla presenza dei suoi nonni che lo accudirono come un figlio, per questo aveva bisogno di quei momenti  con o senza il mio aiuto.
Presi qualcosa da mangiare prima di avviarmi verso i giardinetti dove risposi ad un messaggio di mia madre.
Mi stesi sull'erba e feci partire la musica.
"Did I drive you away? I know what you'll say, you say Oh, sing one we know" Sparks dei Coldplay si faceva spazio tra i miei pensieri. Quella era decisamente la mia canzone. Li avevo visti in concerto prima di arrivare al campus, qualche mese prima; in una sola parola, emozione.
"Ciao" una voce disturbò il mio momento troppo presto. Aprii gli occhi e alzai un braccio per evitare che i raggi del sole penetrassero nel mio sguardo, poi riconobbi la figura di Lucas che, in pochi secondi, si avvicinò per sedersi. "Lucas" dissi, facendo spazio alla sua voce e al suo corpo. Mi sorrise. Era davvero un bel ragazzo, molto particolare, fuori dal comune. "Sola?" mi guardò con i suoi occhi sorridenti osservando la ciambella che avevo sulle gambe. Annuii ricambiando il sorriso. "Perdi tempo?" lo guardai. Tirò fuori un libro che definirei Bibbia per le sue dimensioni. Rise di fronte alla mia espressione contrariata. "Un giorno potrò curarti grazie a questo" sfogliò il libro con fare sognante; voleva diventare un medico, uno bravo, e probabilmente lo voleva fin da piccolo.
Un'altra voce, poco dopo, si unì alle nostre lasciandomi spiazzata. "Alex, dovrei parlarti" era Nick, con la sua semplicità e schiettezza. Lo guardai confusa e sopresa; si comportava come se fossimo amici di vecchia data, come se nessuna distanza ci fosse tra di noi. Posò lo sguardo su Lucas alzando un sopracciglio; notai un chiaro invito a lasciarci soli. Quello che provavo era confuso quanto me. Odiavo la sua capacità di scombussolarmi, ammiravo il suo comportamento così deciso, la sua prontezza, la sua abilità nel non sfociare nell'arroganza. Guardai Lucas con fare dispiaciuto prima di salutarlo e guardarlo allontanarsi.
Nick prese il posto di Lucas accanto a me trasformando quella giornata in pochi secondi, poi guardò dritto e in silenzio per pochi istanti. "Riguardo a ieri.." lo anticipai. Girò lo sguardo verso di me in pochi secondi dopo le mie parole. Vidi quasi un sorriso spuntare sul suo volto, per sparire poco dopo. "Mi farai diventare pazzo" furono le cose che riuscì a dire. Condividevo a pieno la sua affermazione, ma sperai che non fosse proprio il mio sguardo a tradirmi. Poi continuò. "Stamattina mi è tornato in mente tutto quello che ho detto" rise. Come poteva ridere di fronte alle sue stesse parole? Mi contagiò come sempre e la tensione si affievolì in fretta. "Mi dispiace" concluse.
Non era uno di molte parole, o meglio, trattandosi di argomenti del genere non lo era; i suoi occhi però parlavano per lui, in ogni istante e di fronte a qualsiasi cosa.
"Non ti tradisco se è quello che vuoi sapere" lo guardai prima di sorridere. Speravo non se la prendesse per come stavo affrontando l'episodio del giorno precedente, ma una parte di me era sicura che non l'avrebbe fatto.  Mostrò un sorriso di fronte alle mie parole e ne fui sorpresa, era nervoso.
Poco dopo mise le mani dentro le tasche dei pantaloni e tirò fuori un foglio. Sembrava una lista, un elenco che rigirò più volte tra le mani prima di guardarmi ancora una volta. "E' per te" disse, prima di alzarsi e abbandonare il suo pezzo di prato. "Che cos'è?" lo guardai, spostando lo sguardo sul foglio senza aprirlo.
"Una risposta" mi sorrise, lasciandomi sola in quella calda mattina di Marzo.

-il mio nome è Nicholas Jane, per tutti Nick
-ho 21 anni, il 16 Settembre 22
-sono nato a Dallas, Texas
-ho vissuto a Seattle per 3 anni e a Boston per qualche mese
-da grande voglio diventare uno psicologo
-ho due cani, Ken e Bob
-il mio colore preferito è il bianco
-ho fatto le superiori a Filmore
-ho un fratello, Phil
-mio padre è un avvocato
-mia madre ha un negozio di fiori a Boston
-suono la chitarra classica
-ho 53 magliette
-amo il caffè e le caramelle gommose
-la mia pizza preferita è quella con il salame
-la mia bevanda preferita è la birra
-odio l'acqua con le bollicine e le zanzare
-ho paura dei topi
-il mio sogno è andare in Africa
-ho visitato 8 Paesi
-ho 3 tatuaggi
-scrivo con la destra
-mia nonna conosceva George Michael
-mi piacciono le torte
-amo i locali ma odio bere troppo
-il mio idolo è Patrick Jane (non siamo parenti)
-la mia serie TV preferita è The Mentalist
-parlo bene l'inglese
-fingo di parlare spagnolo
-mi piaci


Rilessi quel foglio 10 volte prima di tornare in camera e addormentarmi con le lacrime sul cuscino.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Cinque ***


Quella notte, lessi a fatica il numero scritto sul retro del foglio e  chiamai Nick alle 3.  Non riuscì a rifletterci a lungo prima che la sua voce interrompesse i fastidiosi squilli.
"Alex" la sua voce sembrava tranquilla, non stava dormendo.
"Nicholas" dissi, travolta dal sonno e dalla voglia di dirgli che avevo letto tutto.
"Credevo telefonassi prima" riuscivo ad avvertire il sorriso sul suo viso.
"Perchè l'hai fatto?" le parole erano prive di controllo
"Non l'hai letto tutto" disse, quasi sorpreso. Si riferiva all'ultimo punto della sua lista.
"L'ho fatto, invece" Silenzio. Doveva sempre riflettere in silenzio?
"Allora hai la tua risposta" sussurrò, pianissimo.
"Ti stai vergognando?" sorrisi apertamente di fronte alle sue parole "Nick Jane si vergogna?"
"Piantala", condividemmo un sorriso. Odiava essere preso in giro, e forse in particolar modo da me.
Mi addormentai lentamente appena la nostra telefonata si concluse. Non sapevo cosa aspettarmi dai giorni successivi e pensare mi stancava. Il suo era un carattere tanto aperto quanto indecifrabile, ma potevo avvertire un qualcosa di più di cui non ero a conoscenza. Forse aveva tralasciato qualche punto, forse qualcosa era ancora in sospeso.

"Ma io voglio leggerla!" Alice mi pregò più volte quel pomeriggio.
"No" dissi. Il bene che le volevo era incontrollato, ma quel pezzo di carta era troppo anche per me. Sbuffò. "Io almeno sono gentile con te" disse, porgendomi il terzo caffè del giorno facendo attenzione a non scottarsi. Risi insieme a lei fino a quando la porta della caffetteria si aprì. Era presto, molto presto dato l'orario di apertura. Non riuscivo a dormire così decisi di accompagnare Alice e farle compagnia durante il turno. Non eravamo più sole, però. Nick entrò nella caffetteria con un'espressione tranquilla; sapeva dove cercarmi, era sicuro di trovarmi lì. Alice lo guardò per poi guardare me e di nuovo lui. "Buongiorno" disse, gentile come sempre. "Giorno" rispose Nick, spostando lo sguardo da Alice a me. Lo addolcì all'improvviso, rendendolo simile a quello di un bambino che scarta un regalo di Natale.
Dopo aver ordinato, occupammo un tavolo accanto alla grande vetrata che dava sul centro del campus, punto esatto in cui mi aveva dato la sua lista.
Girò il suo caffè più volte prima di farmi notare che aveva preso un Etiope perciò gli sorrisi alludendo alla tazza e lui, come al solito, mi capì al volo ricambiando il sorriso.
"Ti ho svegliato ieri?" chiesi, sorseggiando il mio caffè perfettamente uguale al suo. Doveva smetterla di guardarmi così.
"No, tranquilla" il suo tono di voce si fece ancora più dolce. Aveva forse qualcosa da confessare?
Dopo aver sorseggiato il suo caffè, parlò. "Devo dirti una cosa" e mi guardò ancora una volta con gli stessi occhi. Doveva smetterla.
"Va bene, ma non guardarmi così", quasi vomitai quelle parole. Rise "Così come?" sembrava divertito, anzi, lo era.
Scossi la testa per cambiare argomento, perciò lui riprese a parlare. "L'altra sera al locale, ero un pò brillo." Pausa. Lo so Nicholas.
Sospirò. "Quando ero a Seattle decisi di lasciare la mia ex e lei.." abbassò lo sguardo, questo argomento lo feriva. "Lei mise in mezzo suo padre, un avvocato. Iniziò una causa basata sulla menzogna per rovinarmi, mi tradì." Lo guardai negli occhi dispiaciuta per poi incitarlo a continuare. "Grazie a mio padre vinsi la causa e decisi di trasfermirmi qui. Ecco, appena ti ho vista lì, tu mi hai ricordato lei. Non so perchè, ma è la verità". Era visibilmente dispiaciuto e amareggiato.
Continuai a guardarlo come si guarda un essere privo di forze, mentre aspettava impaziente una mia reazione. "E' per questo che ti piaccio?" chiesi, in un misto di amarezza e compassione. Avevo paura della sua risposta; non ci conoscevamo da molto, lui non sapeva nulla di me e poco più io di lui. Come potevo piacergli in quel modo? Avrei voluto riflettere a voce alta. "Cosa? No" disse, deciso. "Non pensarla così, ti prego". Vidi ancora una volta i suoi occhi lucidi contro i miei.
Che cosa stavamo facendo? Era una situazione più grande di qualsiasi cosa. "Mi piaci per quello che vedo, non per quello che penso di vedere" sembrava sincero.
Non avrei voluto lasciarlo lì, non lo avrei mai pensato. Ma lo feci. Avevo bisogno di riflettere. "Io non so cosa vedo" dissi, baciandogli una guancia e uscendo dal locale.





 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Sei ***


Quella notte e i giorni seguenti li passai da Wade per restare sola nel mio appartamento con la mia impulsività. Gli raccontai tutto quello che era successo con Nick fino a quel momento. "Avrebbe potuto spiegarsi meglio" disse porgendomi una fetta di torta "Ma dovresti parlarci". Forse Wade aveva ragione, forse dovevo essere io a scusarmi, a dirgli quello che provavo, che ci ero rimasta male, che mi mancava. Il problema era solo uno: io non sapevo quello che stavo provando. Non risposi limitandomi a guardarlo sedersi accanto a me. "C'è una cosa che devo dirti". Sembrava divertito e preoccupato allo stesso tempo. "Se è una brutta notizia puoi anche andartene" scossi la testa quando rise. "Lucas mi ha chiesto di te ieri, vorrebbe portarti fuori" poi mi accarezzò la testa "Sapevo che avresti fatto girare la testa a tutti qui". Lucas aveva chiesto di me?
Ragazzo giusto, forse, al momento sbagliato. "E perchè non me l'ha chiesto lui?" dissi, prendendogli la mano che aveva su di me. "Ha paura della tua risposta" mi guardò con aria sospetta "Che cosa gli hai fatto?". Risi. Wade conosceva la mia estrema bravura nell'uscire le palle quando serve. "Niente, davvero" poi lo abbracciai, notando la sua espressione addolcirsi. Ero sovrappensiero, anche troppo per affrontare un qualsiasi altro argomento. Volevo che la mente si liberasse, volevo che fosse più leggera, ma non ci riuscivo. Nick e la sua espressione mi frullavano in testa ogni minuto di più.

Wade mi portò fuori per fare una camminata. Stare con lui mi rilassava e questo mi faceva sentire bene.
Mi circondò le spalle con il suo braccio prima di parlare. "Non puoi uscire con Lucas e pensare a Nick" scosse la testa. Aveva ragione, ma ci stavo pensando decisamente troppo. "E se mi aiutasse a non pensarci?" alzai le spalle in segno di resa. Camminammo per più di dieci minuti fino a quando il mio passo si fermò.
Vidi Nick distinguersi tra la folla e venire nella nostra direzione, perciò strinsi la presa di Wade impulsivamente.
Sentii lo sguardo di Wade seguire il mio. "Non ti ho mai vista così" affermò sorpreso mentre Nick si avvicinava sempre di più. Incrociò il mio sguardo e per un momento lo vidi quasi superarci, poi cambiò idea affiancando Wade. "Ciao Alex" disse con un filo di voce.
Accennai un sorriso guardandolo e notai la sua espressione interrogativa contro quella tranquilla di Wade. Lo squadrò osservando il suo braccio ancora sulla mia spalla e per un momento mi sentii a disagio. Mi allontanai lentamente da Wade quasi in segno di risposta, poi lo guardai e lui annuii capendo. "Ci vediamo in giro" disse, lasciandomi un bacio sulla guancia prima di andarsene nella direzione opposta.
"E' il tuo ragazzo?" chiese con tono malinconico. Come poteva essere così tranquillo?
"No" lo guardai confusa "Che ti è successo?"
Sospirò prima di sedersi ai piedi di un albero. Lo guardai dall'alto, sembrava stanco.
"Mi hanno chiamato da Seattle, devo firmare gli ultimi documenti per chiudere questa cazzo di storia" disse, amareggiato. Provai un grande senso di sollievo mentre mi abbassai per sedermi di fronte a lui.
"E' una cosa bella, no?" mi guardò accennando un sorriso. "Lo è, ma ho un esame il giorno dopo, la macchina si è rotta e l'ultimo treno mi lascerebbe a piedi" prese un filo d'erba e lo strinse tra le mani guardando in basso. Quella situazione lo innervosiva, lo faceva sentire a disagio e potevo percepirlo.
"Ti presto la macchina, non è un problema" lo guardai alzando le spalle.
Il suo sguardo si fece più intenso quando incrociò il mio, poi sorrise. "Sei la mia salvezza" si avvicinò stringendomi in un abbraccio.
Ricambiai sorpresa dal suo gesto, dalla sua semplicità. Vederlo così mi faceva stare male e bene allo stesso tempo.
"Perchè non vieni con me?" mi guardò. Sorrisi annuendo.
Quello che pensavo fosse un problema, forse, era la mia unica soluzione.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Sette ***


La mattina seguente lasciai il letto alle mie spalle più facilmente del solito; mi fiondai nella doccia ed ogni goccia mi faceva pensare a quello che stavo facendo. Volevo affrontare Nick? Volevo passare una giornata con lui? Volevo evitarlo? Far finta di niente? Ignorarlo? No, non avrei mai potuto ignorarlo. Controllai il telefono e il nome di mia madre apparse sullo schermo quasi in segno di avvertimento.
"Mamma" dissi, prendendo velocemente le chiavi per chiudere la porta alle mie spalle.
"Tesoro, non ti manchiamo nemmeno un pò?" solita madre, solita domanda.
Accennai un sorriso dirigendomi verso l'ala principale del campus. "Come state?"
Il suo tono si addolcì all'improvviso. "Bene..Clark non arrampicarti!" Risi, mentre mia madre urlava  dall'altra parte dello Stato.

Trovai Nick accanto alla mia macchina con due caffè tra le mani ed  ormai vederlo sembrava quasi un'abitudine della mia vita. Lui che sorrideva, lui che mi passava il caffè, lui che si infilava gli occhiali da sole. Lo osservai attentamente, sembrava divertito. "Perchè ridi?" dissi, prendendo il caffè bollente tra le mani ed entrando in macchina. Mi lanciò le chiavi "Oggi voglio essere gentile, perciò guida tu" lo guardai sorpresa rispondendo in maniera perfetta al lancio. "So che vuoi farlo", sorrisi.
E infatti volevo. Guidare mi faceva sentire in cima al mondo, sulla vetta più alta; tutto sotto controllo, le mani, gli occhi, la mia stessa vita. Abbassai il finestrino e l'aria fresca mi fece rabbrividire. Avere Nick al mio fianco mi faceva sentire sotto il masso più grande del mondo, con gli occhi sulla strada e la mente su di lui.
"Meglio questa" disse, spingendo Play sulle note di una canzone che conoscevo fin troppo bene.

Did I drive you away?
I know what you'll say
You say, Oh, sing one we know
But I promise you this
I'll always look out for you
That's what I'll do


Non poteva essere un caso, ed ero più che sicura che le percezioni spazio-temporali della mia vita mi stessero mandando dei chiari segnali. Chi o cosa stava sfidando la mia soglia di sopportazione? Nick che faceva partire quella canzone, quella canzone sulle note di Nick; Nick, io, quella canzone nello stesso posto allo stesso momento.
Mantenni lo sguardo più duro della roccia sulla strada, facendo attenzione alla mia impulsività traditrice. Se piangi ora giuro che ti mando fuori strada. Se piangi ora giuro che ti faccio voltare indietro. Spostai lo sguardo su Nick che mi guardava confuso. "Alex, ti piace?" disse, probabilmente ripetendo per la terza volta quella domanda. "E' la mia canzone preferita" mi limitai a dire. E quella canzone conosce anche i miei pensieri su di te. Canzone, non tradirmi. Accennai un sorriso sperando che Nick non avesse notato i miei cinque minuti di assenza. Probabilmente avrà avuto paura di morire in una macchina senza conducente.
"Stai bene?" disse, e fui io stessa a percepire il suo sguardo su di me, più che presente. "Sto bene" dissi. Non mi andava di mentirgli, e infatti non lo feci.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Otto ***


Pranzammo in un giardinetto poco distante dall'ingresso in città, poi un briciolo di agitazione sfiorò gli occhi di Nick alla vista del cartello di benvenuto. Come poteva essere un Benvenuto? Per lui, in quel momento, doveva soltanto essere un "Benvenuto nel tuo ultimo sforzo prima dell'Addio". Lasciai la guida a Nick in modo da raggiungere facilmente il tribunale; quella città mi appariva eternamente grigia. Forse per quello che rappresentava per lui, forse per quello che rappresentava per una straniera alle prese con un cielo del tutto diverso, un senso di angoscia mi travolse. Le strade si rincorrevano ed intrecciavano a dismisura, le macchine sfrecciavano puntando il primo posto in coda, la folla si faceva spazio tra la folla. Guardai Nick osservare la zona con indifferenza, per lui tutto questo era solo un Bentornato; poi accostò di fronte un'immensa scalinata di marmo, dietro una grande fontana che ostacolava la vista. "Ti aspetto in macchina" lo guardai. Entrare con lui sarebbe stato troppo per entrambi, o soltanto per me. Si appoggiò al finestrino dopo aver lasciato la guida e mi guardò. "Vieni, non ci vorrà molto" e io lo seguii, scrutando i suoi passi e la fiducia che aveva in me.

Un uomo elegante ci accolse dentro una piccola ma formale stanza, grigia e nera, come l'atmosfera che si respirava.
"Nicholas" sorrise, sistemandosi sulla sedia dietro la scrivania. Sembrava cordiale.
"Buongiorno" e le parole di Nick sudavano il desiderio di porre una parole FINE. "Dove devo firmare?"
Lo guardai cercando di tranquillizzare quel poco che restava della sua lucidità.
"Ecco" disse l'uomo, assumendo un'espressione indecifrabile. "Non potevo parlarne per telefono, ma c'è stato un problema con le carte, dobbiamo aspettare domani" disse tutto d'un fiato. Silenzio.
Nick restò immobile, io restai immobile, l'uomo mosse una mano per avvalorare le sue parole; aveva paura di qualsiasi reazione.
"Stai scherzando" disse Nick, senza alcun tono interrogativo.
"No, mi dispiace" lo guardò visibilmente con le mani legate. "E' solo un giorno"
"Solo un giorno?" Nick iniziava a seminare dietro di sè la razionalità. "Devo dare un esame domani pomeriggio, perchè Si, io ho una vita" e buttò fuori la sua rabbia.
L'uomo sospirò. "Torno subito"e si alzò, per poi lasciare la stanza.
Mi sporsi verso Nick avvicinando la sedia alla sua. "C'è un appello dopodomani, puoi posticipare l'esame". Per la prima volta la mia voce fu dominata dalle insicurezze. Vederlo così mi colpiva a calci nello stomaco. Vederlo così mi faceva sentire il peso di quel masso. Vederlo così mi faceva sentire inutile.
Mi guardò, e i suoi occhi si tranquillizzarono per qualche secondo. "Lo so, ma non mi va di trascinarti in questa storia. Ti riporto a casa" era deciso.



 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Nove ***


Aprii la porta di legno lentamente, poggiando la borsa sul divano.
Ero con Nick, in una mansarda in legno pregiato nel centro di Seattle. L'avevo convinto a restare per la notte, in modo da tornare in tribunale la mattina seguente e ripartire insieme; così l'uomo elegante e disponibile ci aveva offerto la sua soffitta, completamente arredata ed ordinata. Vidi Nick poggiarsi sul letto e stendersi completamente, posando lo sguardo sul soffitto. Era visibilmente stanco, stanco di dover sopportare una situazione che nemmeno lo riguardava.
Mi tolsi le scarpe e pensai a quanto fosse forte di fronte ad una simile condizione. "A che pensi?" lo sentii voltarsi su un fianco e rivolgere lo sguardo verso le mie spalle. "A quello che hai fatto oggi per me". Chiusi gli occhi per un secondo che sembrò un'eternità mantenendo quella posizione. Non guardarlo mi dava tempo in più per riflettere.
"Dovrei ringraziarti ma non mi sembra abbastanza". Sorrisi, sperando che non potesse vedermi in quello stato di totale confusione. Perchè mi faceva quell'efetto? Mi voltai, guardandolo. "Non devi", fu quello che riuscii a dire. Alex fai la ragazza seria. O giuro che te la faccio pagare. "Lo rifarei" dissi, occupando quella parte di letto che mi spettava, quello che dovevo condividere con Nick. La mia frase alludeva involontariamente a qualcos'altro, questa volta giuro che te la faccio pagare. "Davvero?" Nick si fece più vicino. Un forte applauso a me. Che stava facendo?
Mi toccò i capelli con una mano, le sue dita erano caldi. Ed io mi sciolsi in un attimo. Che cosa stava facendo?
Scaricava la tensione su di me. Per lui non contavo assolutamente  niente.
Fu allora che bloccai la sua mano impegnata nell'opera di farmi cadere di fronte ai suoi occhi.
"No" gli dissi, allontanandomi per coprire le gambe con il lenzuolo. Il suo sguardo premeva contro il mio. Non potevo sopportare una cosa del genere, non insieme alla mia confusione circa quello che provavo per lui.
Non potevo diventare un oggetto, non potevo essere il suo. "Alex" mi guardò negli occhi quasi come fosse la prima volta. "Non volevo..." lo fermai prima che potesse peggiorare le cose. "Sono stanca", mi voltai di spalle e lo sentii sospirare pesantemente qualche parola. "Coglione" disse a se stesso, nel buio della notte.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Dieci ***


La mattina seguente, vidi subito Nick giá pronto ai piedi del letto. Teneva in mano una tazza di caffè fumante e guardava la finestra di fronte a lui. Tolsi il lenzuolo dal mio corpo lentamente prima di guardarlo meglio, tirandomi su a sedere; le sue spalle delineavano un profilo rigido, qualcosa lo preoccupava. Non lo odiavo, non riuscivo a farlo dopo non aver avuto il coraggio di parlargli dei miei sentimenti e dei pensieri; forse, se l'avessi fatto, tutto questo non sarebbe successo. Girò lentamente la testa, come se avesse ascoltato il mio discorso interiore. Mi alzai dal letto per prendere i vestiti, quando avvertii la sua mano afferrarmi il braccio.
"Non so perchè l'ho fatto" disse, tenendo fermamente la presa. Lo guardai senza dire niente, semplicemente perchè non sapevo cosa dire. "Mi dispiace".
Vidi i suoi occhi farsi cupi, assumere una sfumatura in più di nero e il mio stomaco si era trasformato in un vortice ancora più scuro. Dillo, Alex. Perchè non ci riesci? Tu hai sempre qualcosa da dire.
Non feci in tempo a parlare che lo squillo del telefono mi riportò nel mondo reale. Nick assunse un'espressione contrariata. "Arriviamo".

Timbro sul foglio, un gesto e stop. L'incubo di Nick era ufficialmente terminato; vidi il suo volto quasi completamente rilassato. "Spero di non rivederti" disse l'uomo sorridendo compiaciuto per poi stringermi la mano. Nick per la prima volta dopo quella mattina sorrise, aprendo la porta per lasciarsi alle spalle un capitolo della sua vita. Mi guardò prima di entrare in auto e quello che percepii fu di nuovo un vortice scuro nello stomaco. Glielo avrei detto a pranzo.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3683598