I segreti del Terzo Reich

di DramioneMalfoy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


I segreti del Terzo Reich

 

Berlino, 1 settembre 1931

«Il popolo tedesco a suo tempo è sopravvissuto alle guerre con i romani. Il popolo tedesco è sopravvissuto all'emigrazione dei popoli. Poi, il popolo tedesco è sopravvissuto alle grandi lotte del primo e del tardo medioevo. Il popolo tedesco è sopravvissuto anche alle lotte religiose del periodo successivo. Il popolo tedesco è sopravvissuto quindi alla guerra dei trent'anni. E dopo, il popolo tedesco è sopravvissuto alle invasioni napoleoniche, alle guerre di liberazione, persino ad una guerra mondiale, persino ad una rivoluzione. Ma è tempo di cessare questo stato di sopravvivenza, è arrivato il momento di agire e di rendere il popolo tedesco fautore del proprio glorioso destino.»

Ci fu un attimo di pausa e quelle parole così soppesate risuonarono concitate nella sala, sovrastando e azzittendo qualsiasi forma di chiacchiericcio e brusio. Kathrein si guardò intorno per la stanza gremita e notò che l'espressione dipinta sul volto di ogni invitato trasudava un senso di ammirazione misto al desiderio di riscatto.

Le parole del loro leader aleggiavano gravemente nell'aria e Hitler troneggiava sulle loro teste dall'alto dell'ampia scalinata.

«Possa Dio onnipotente concedere la sua grazia al nostro lavoro, orientare la nostra volontà, benedire la nostra intelligenza e colmarci della fiducia del popolo! Perché vogliamo combattere non per noi stessi, ma per la Germania!»

Agitava in maniera esasperata i pugni per aria e il suo sguardo non era puntato su nessuno in particolare ma l'empatia che emanava la sua figura era evidente e palpabile.

"Nessun altro, meglio di lui, potrebbe rappresentare il partito o la nostra Germania, Kathrein!"  le diceva sempre suo padre.

Heinfried Bergmann era un uomo di poche parole, non amava colloquiare più del dovuto e preferiva nettamente discorrere su argomenti politici e sui grandi progetti del NSDAP*; ma quando si trattava di sua figlia, della sua dolce e meravigliosa Kathrein, avrebbe volentieri speso più di qualche ora ad ascoltarne i pensieri e, persino, le futilità.

Aveva solo sedici anni ma in lei vedeva già il gene della grandezza e l'incarnazione della perfezione ariana, la rappresentazione più vicina a tutte le virtù che una buona moglie tedesca avrebbe dovuto possedere nella Germania che lui e i suoi colleghi stavano progettando. Ne ammirava l'intelligenza e l'arditezza, l'audacia e la sete della conoscenza ed era del tutto favorevole al farla partire alla volta della Francia per studiare, consapevole che, una volta ritornata, avrebbe adempito nel migliore dei modi ai suoi doveri nei confronti della nazione.

"D'altronde un uomo non vuole una donna troppo invadente, ma nemmeno esageratamente stupida." le ribadiva sempre con un cipiglio corrucciato.

Kathrein avrebbe voluto ridere ogni volta che glielo diceva e fargli presente che, ad ogni modo, l'intelligenza di una donna non si basava sulla quantità dei suoi studi, ma sulla qualità della sua bramosia di affermarsi. Ma poi restava in silenzio, perché sapeva che suo padre, seppur rispettoso nei suoi riguardi, e nessuno degli uomini con cui aveva avuto a che fare nel corso della sua breve vita avrebbero condiviso il suo modo di vedere le cose.

Semplicemente non era nemmeno lontanamente concepibile che una donna, per di più tedesca, studiasse per la sua indipendenza. Il coronamento più alto e l'aspirazione più grande nella vita di una donna poteva culminare solamente nel matrimonio con un tedesco, un buon partito a cui avrebbe dato un erede per assicurare la continuazione della razza pura.

 Il coronamento più alto e l'aspirazione più grande nella vita di una donna poteva culminare solamente nel matrimonio con un tedesco, un buon partito a cui avrebbe dato un erede per assicurare la continuazione della razza pura

«Quando saliremo al potere non ci sarà più spazio sul nostro suolo per gli stranieri! Non esisterà più alcun popolo diverso da quello tedesco che potrà godere dei frutti e della rigogliosità della nostra amata madrepatria. Ciascuna donna tedesca avrà consorte tedesco e in questo modo sarà garantita l'unicità della nostra stirpe.»

Kathrein, pur cercando di non darlo a vedere, storse il naso e s'incupì. Non le andava proprio giù che quell'uomo plagiasse in quel modo le menti di tutti i suoi sostenitori, manipolandone e influenzandone il modo di pensare, oltraggiando la figura della donna e riducendola ad un mero strumento di procreazione subordinato all'uomo e al suo totale volere. Tuttavia, seppur con riluttanza, Kathrein riconosceva che, indipendentemente dall'atteggiamento pienamente carismatico di Hitler, questo pensiero era comunque largamente diffuso e ampiamente condiviso anche dalle donne stesse.

Questa amara constatazione l'aveva tratta guardando l'atteggiamento pacato e accondiscendente di sua madre e di tutte le sue amiche nei confronti dei propri mariti, trattati quasi alla stregua di alcune divinità e visti come il pilastro fondamentale della loro intera esistenza. Ne era stata totalmente sicura, poi, quando aveva capito che in una donna era preferibile che sapesse suonare il pianoforte per allietare le serate del proprio uomo dopo una giornata di lavoro, piuttosto che conoscere una lingua straniera. Le donne erano semplicemente compagne di vita e, pur dovendo possedere alcune qualità, dovevano essere soprattutto mansuete e saper stare al proprio posto molti gradini più in basso rispetto al proprio marito e la loro capacità di pensiero non era poi così indispensabile.

Lei si promise che non avrebbe mai abbassato la testa davanti ad un uomo e che non avrebbe permesso a nessuno di imporle il proprio punto di vista. Kathrein amava la vita e amava studiare e conoscere tutto quello che nel tempo era stato portato alla luce e non voleva perdersi nemmeno la più piccola dell'esperienze e dei viaggi che il mondo poteva offrirle.

Solo qualche anno più tardi, però, avrebbe scoperto a sue spese che la morsa della guerra condanna molti dei tuoi progetti e li rilega nei meandri più oscuri e sconosciuti del cassetto, strappando e spezzando i tuoi sogni più intimi per sempre.

«Chiunque in passato abbia cercato di abbatterci, di trascinare la Germania nella polvere della disperazione e di confinarci nella sponda degli sconfitti pagherà questo imperdonabile affronto. Cesseranno le restrizioni che il trattato di Versailles ci ha imposto con la contrattazione con i repubblicani che non hanno esitato a vendere il nostro onore per avere le tasche piene di denaro. I nostri democratici, che invece di rappresentarci hanno preferito inseguire il beneficio economico più vantaggioso, saranno pesantemente sconfitti alle prossime elezioni grazie a voi, al vostro grande senso morale e al vostro desiderio di tornare a far parte attivamente del più importante e nobile reich del mondo.» 

Nel salone scoppiò un applauso vigoroso e si alzarono echi di approvazione e Kathrein, intimata dallo sguardo ammonitore di suo padre, fu obbligata a battere le mani per un discorso di cui non aveva approvato nulla.

Lei aveva studiato tanto e, ora che si accingeva a frequentare un prestigioso istituto francese, sapeva quanto per l'economia e il progresso della società di un paese fosse importante garantirne la multi-etnia. Senza contare che la popolazione tedesca fosse costituita per la maggior parte da ebrei che, sebbene suo padre li additasse come degli usurpatori del lavoro ai danni dei cittadini tedeschi che si ripiegavano in agricoltura lavorando come contadini, erano i proprietari della maggior parte dei negozi di lusso di Berlino e altri ancora erano i principali funzionari delle sedi burocratiche del paese. Molti di loro avevano sposato donne e uomini tedeschi e, anche se da matrimoni misti, erano nati bambini che avevano tutto il diritto di poter vivere sul territorio germanico. Se mai il loro partito fosse asceso al potere in maniera irreversibile, avrebbero strappato a centinaia di uomini il proprio lavoro e costretto tante famiglie lontane dalla propria terra natia.

L'indignazione di Kathrein fu tale da costringerla a reprimere un conato di vomito e un'espressione di disgusto di fronte all'espressione adorante di alcune donne poco più in la che guardavano l'uomo quasi in visibilio. Tra alcune di loro scorse il volto di un amica di sua madre: Magda Ritschel, futura signora Goebbels, che proprio quel giorno era diventata un membro effettivo del partito nazionalsocialista e che sosteneva la politica del nuovo leader con fervente ed ardimentosa esaltazione.

Poco più in là Kathrein notò l'elegante e posata figura commossa di Eva Braun di soli tre anni più di lei e, sebbene non ci avesse mai scambiato nemmeno una parola, sua madre le diceva sempre che era un esempio di fedeltà e lealtà al futuro cancelliere di Germania. Per Kathrein, invece, rappresentava solo l'ennesima ragazzina dalle ingenue aspettative riposte in un uomo folle e sconsiderato.

Kathrein si guardò sempre bene dal dire ciò che pensava e si limitava a ricambiare saluti e dispendere sorrisi nella perfezione della sfera di cristallo in cui era nata e cresciuta. Le sarebbe mancata la Germania, ma non l'alta società da cui era circondata. A loro non importava davvero la sorte di quei poveri contadini di cui continuavano a fingere di preoccuparsi, perché la Grande Depressione che era seguita alla grande guerra non aveva intaccato minimamente gli agi e i lussi della grande borghesia e, questo, bastava a sedare qualsiasi tipo di riforma o ribellione.

Chi comandava avrebbe continuato a farlo e, pur di riuscirci, si proclamava difensore dei diritti dei più deboli. Hitler e il suo partito facevano leva sulla disoccupazione e identificavano il problema della povertà tedesca nella razza ebrea.

La realtà era che di tutta la parte più bassa della società nessuno se ne occupava davvero e questa avrebbe continuato a pagare gli oneri e i pesanti tributi per i danni che il conflitto del 1914-18 aveva causato. Una società, già ridotta alla miseria, che avrebbe continuato a pagare per gli errori di altri che, invece, erano considerati superstiti ed eroi di guerra. Una guerra che era stata voluta proprio da tutta quella gente ben pensante che al momento si trovava in quella sala a godere dello sfarzo e degli ozi futili.

Più tardi...

Il resto della serata trascorse in maniera piuttosto irrilevante e nessun altro comizio attirò l'attenzione dei commensali. Gli invitati si destreggiavano nell'ampia stanza adibita alla sala ricevimenti della residenza Bergmann tra bicchieri di champagne e balli dai movimenti più disparati; alcuni uomini, rigorosamente con la svastica cucita sulla divisa, colloquiavano di politica intorno al crepitare del camino mentre, altri ancora, si spostavano nella stanza adiacente per dedicarsi ad una partita a biliardo.

Non accadde alcun altro avvenimento degno di nota e Kathtrein credette di essere finalmente vicina al tanto agognato momento in cui tutti avrebbero lasciato la sua abitazione e finalmente avrebbe potuto ritirarsi nella sua stanza

Non accadde alcun altro avvenimento degno di nota e Kathtrein credette di essere finalmente vicina al tanto agognato momento in cui tutti avrebbero lasciato la sua abitazione e finalmente avrebbe potuto ritirarsi nella sua stanza.

«Kathrein!»

La giovane di casa Bergmann si voltò a questo richiamo e riconobbe la figura gracile della dolce Geli Raubal, la nipote del folle che poco prima aveva arringato la folla.

Sebbene Geli avesse qualche anno in più di lei, avevano subito stretto amicizia e, durante il suo soggiorno estivo a Monaco, avevano condiviso notti intere a parlare del più e del meno e, soprattutto, condividevano l'antipatia per l'atteggiamento morboso della Braun verso lo zio della ragazza che ora le stava di fronte.

Per le strade di Monaco si mormorava che l'astio della Raubal nei confronti della Braun derivasse dall'inizio della relazione incestuosa che la ragazza condivideva con suo zio. 
Kathrein, invece, conosceva bene la sua amica e sapeva che la sua personalità dal carattere fragile la portava a vedere un semplice luogo di protezione in suo zio e che provasse solo un grande senso di ammirazione per lui.

Tuttavia le voci di strada non potevano considerarsi del tutto infondate data la mentalità imprevedibile e, secondo Kathrein, instabile di quell'uomo. Era più che certa che, Hitler, esercitasse quel certo tipo di possessione su Geli per impedire che lei cercasse conforto in altre figure maschili.

Angelina, però, sembrava completamente padrona del tipo di rapporto che aveva con suo zio ed era pienamente consapevole dell'ascendente che esercitava su quell'uomo e non si preoccupava minimamente di mettere a tacere i pettegolezzi della popolazione.

«Geli, come stai?»

Senza accorgersene Kathrein aveva mosso dei passi verso di lei e posò due baci sulle sue guance. Era felice di rivederla, nonostante si fossero salutate solo qualche giorno prima dopo aver passato quasi tutta l'estate insieme, ma era davvero stanca e sperava di poter defilarsi dalla festa senza che nessuno se ne accorgesse.

Ad ogni modo non si sarebbe mai perdonata di aver evitato una piacevole conversazione con l'unica ragazza a cui seriamente portava del rispetto. Di Geli, infatti, apprezzava il fatto che, nonostante avesse un carattere più docile del suo, non si facesse mettere i piedi in testa da nessuno e, a volte, ricavava del vantaggio dal rapporto che la legava a suo zio.

«Bene ma Monaco è davvero noiosa senza di te» rispose con un sorrisetto sghembo la ventitreenne.

Geli non aveva mai davvero dato peso al fatto che Kathrein fosse sette anni più piccola di lei, ed anche se si divertiva a trattarla e proteggerla come se fosse la sua sorellina più piccola, sapeva quanto in realtà la Bergmann fosse matura, indipendente e coraggiosa, a volte anche più di lei.

Nei suoi sedici anni di vita, Kathrein era stata preparata per il ruolo che avrebbe ricoperto nell'alta società ed aveva un gusto raffinato ed elegante, una grazia armoniosa ed una bellezza tipicamente tedesca che faceva girare la testa a qualsiasi ragazzo per strada. Ma Kathrein, come l'aveva conosciuta Geli durante le loro notti nei locali di Monaco, non era poi così ingenua e docile come tutti credevano e, insieme, ne avevano combinate di tutti i colori.

«Sono certa che avrai comunque trovato il tuo personalissimo modo di divertirti, piccola Geli» ribattè ridendo Kathrein, lanciandole uno sguardo eloquente e invitandola ad accompagnarla a fare due passi nel giardino, dove avrebbero potuto chiacchierare tranquillamente lontane dal frastuono e dal chiasso della musica e delle urla.

«Oh, sì!» asserì con un risolino la Raubal correndo e abbassandosi a schizzare dell'acqua alle paperelle che si trovavano nel lago.

Kathrein con infinita eleganza si sedette sulla sporgenza del tronco della quercia che suo padre aveva fatto piantare il giorno della sua nascita e si perse a scrutare l'espressione divertita della sua amica mentre stuzzicava i poveri animaletti.

Kathrein amava quel posto, era sempre stato il suo naturale rifugio quando il suo precettore o sua madre troppo perfettina la cercavano per sgridarla o invitarla ad adempiere ai suoi doveri a volte troppo noiosi. Si rifugiava lì, credendo di non essere vista e scoperta da nessuno. Poi, dopo un tempo non quantificabile, arrivava suo padre e si sedeva accanto a lei, ridendo delle urla isteriche della moglie che non riusciva mai a trovare la figlia. Kathrein si beava di quei momenti innaturalmente magici e scollegati dal resto del mondo; adorava perdersi nei lunghi discorsi con suo padre e li trovava molto più produttivi della didattica del signor Schwarz o delle regole e delle buona maniere su cui sua madre si fossilizzava eccessivamente. Poi, però, il tempo che suo padre aveva a disposizione per lei si era irrimediabilmente ridotto da quando era diventato un SS delle truppe di Hitler.

Lei non aveva mai capito fino in fondo cosa facesse suo padre e, in fin dei conti, non le interessava nemmeno troppo saperlo. Le faccende politiche di cui si occupava non le sarebbero comunque mai state esposte pienamente, in quanto rimaneva comunque una donna. Parlava sempre più spesso dei progetti del nazionalsocialismo e sempre e costantemente di quell'uomo. Era proprio così, ancor prima di conoscerlo, che Hitler aveva cominciato a starle antipatico. Quell'uomo così avido di potere che sarebbe stato disposto a barattare la propria anima al diavolo pur di ottenere il controllo, aveva sottratto molto del tempo che Kathrein trascorreva con suo padre e, sempre più spesso, si limitava a vederlo sporadicamente a cena.

«Ricordi quel ragazzo che ti faceva gli occhi dolci ogni sera nel locale in cui andavamo sempre negli ultimi tempi?»

Kathrein si ridestò dai suoi pensieri e si ricordò di star intavolando un discorso con la sua amica. Assunse quindi una posizione più comoda e corrucciò un attimo lo sguardo cercando di ricordare qualche particolare del ragazzo di cui le stava parlando Geli. Ci mise un po', erano state in tanti locali di nascosto a suo padre e allo zio della ragazza; in più Kathrein aveva visto entrare e uscire tanti ragazzi poco più grandi di lei nella sua casa e nello studio del generale Bergmann ultimamente e faticava a ricordare in quell'ammasso di volti qualcuno in particolare. Poi annuì distrattamente.

«Il pianista?»

Geli sorrise imbarazzata e fece un cenno di assenso con la testa, ridendo sommessamente quasi come una bambina che è stata scoperta a fare qualche marachella.

«Beh da quando sei andata via da Monaco sembrava molto triste e l'ho rivisto un paio di volte»

Kathrein si irrigidì impercettibilmente, intendo il senso che la sua amica aveva voluto dare al verbo "rivedersi".

"Rivedersi meglio sotto le coperte" pensò e per un attimo fu in imbarazzo per l'amica, ma poi lasciò perdere e si focalizzò su qualcosa di più importante.

«Geli è un ebreo. Tuo zio lo sa?» il tono della sua voce era volutamente basso per paura che qualcun altro potesse sentirle. Nonostante fossero tutti dentro a divertirsi in una serata che sembrava non finire mai, aveva imparato a muoversi cautamente e a cercare di passare inosservata, per quanto la sua sfrontatezza e la sua bellezza glielo permettessero, in quel mondo di militari e politici senza scrupoli.

Il viso di Geli improvvisamente diventò pallido e si affrettò a negare con la testa, avvicinandosi a Kathrein e prendendole le mani.

«Cielo certo che no Kath. Non lo dirai a nessuno vero?» l'espressione della ragazza era un misto di tensione e paura.

«Ovviamente no Geli, ma è molto pericoloso. Sai com'è fatto tuo zio e cosa pensa degli ebrei. Non credo prenderebbe bene la notizia che la sua amata nipote ne frequenti uno. Non devi più rivederl0.» affermò con risolutezza la Bergmann.

Angelina sembrò rilassarsi a quelle parole e fece un passo indietro rispetto a dove si trovava la sua amica e le diede le spalle. Mosse qualche passo verso il laghetto e poi si voltò a guardarla nuovamente con un sorriso indecifrabile.

Si portò una mano sul ventre e semplicemente le rispose: «Non posso.»

Kathrein Bergmann non si scomponeva mai per nulla e la rigida educazione che le era stata imposta non la faceva sorprendere di niente. Ma in quel momento, anche la sua severa compostezza era andata a farsi benedire, lasciando spazio ad uno sgomento totale.

Si alzò repentinamente dal tronco e cominciò a camminare forsennatamente avanti e indietro sotto lo sguardo divertito dell'amica, come se per Geli fosse tutto un gioco e non capisse davvero l'entità del problema. Kathrein non si preoccupò delle guardie oltre il cancello che al buio potevano benissimo scambiarla per una pazza che continuava a fare su e giù apparentemente senza motivo e, quindi, neutralizzarla.

«Com'è potuto succedere?» mormorò solamente, fermandosi e capendo che ormai bisognava solo trovare un modo di uscirne.

«Beh come succede sempre Kath»

«Non è divertente Geli» la sua espressione era mortalmente seria e il suo sguardo tradiva un senso di inquietudine.

«Oh Kathrein lui è così bello ed è l'unico che mi si avvicina senza aver paura di mio zio. È disposto a prendersi cura del nostro bambino. Noi ci amiamo Kath e vogliamo scappare insieme»

A quell'affermazione Kathrein si girò di scatto e strinse gli occhi ad una fessura, sperando che da un momento all'altro la ragazza di fronte le sarebbe scoppiata a ridere in faccia confessandole che si trattasse solamente di uno scherzo. Quando capì che non sarebbe stato così, si decise suo malgrado a parlare.

«Hai idea di come darà di matto tuo zio? Santo cielo è un ebreo» mormorò più a se stessa che a Geli.

«Kath io sono stanca di vivere in quella casa con lui. Sappiamo bene che darebbe di matto anche se fossi incinta di un tedesco. È totalmente cambiato, mi tratta come un suo oggetto. Sono stanca delle sue occhiate viscide e languide, provo ribrezzo e inizio a vergognarmi delle dicerie della gente. Mi sento sporca anche se so che non sono vere. Hermann è la mia unica possibilità di riniziare lontana da mio zio. Ti prego aiutami» i suoi occhi erano lucidi e Kathrein non se la sentiva di spegnere quel piccolo barlume di speranza che si annidava in essi.

Sospirò e cercò di riprendere aria in quell'afosa sera di fine estate. Poi fece un cenno d'assenso e la ragazza con molta poca grazia le balzò al collo, stringendola in un abbraccio caloroso.

«Grazie piccola Kath, sei la migliore»

Kathrein inspirò profondamente il tenue profumo di camomille che la sua amica era solita portare e ricambiò l'abbraccio. Poi qualcosa le venne in mente e si affrettò ad esporlo alla sua amica.

«Geli io domani partirò per la Francia e andrò da una lontana zia di mia madre. Non potrò aiutarti a fuggire»

Ma Angelina si limitò a sorriderle con le lacrime agli occhi e a scuotere il capo, prendendole nuovamente le mani e portandosele al cuore.

«Non devi preoccuparti di questo Kathrein. Hermann si è già occupato di tutto. Tu dovrai solo fingere di non sapere che fine abbia fatto se ti faranno qualche domanda. So che ti chiedo tanto, ma sei l'unica persona con cui sono così amica e credo potrebbero volere una tua testimonianza»

«Dove andrete?»

«Penso sia meglio che tu non lo sappia. Ma andrà tutto bene e ti scriverò appena ci saremo sistemati.»

Il loro scambio di parole fu interrotto da alcuni passi pesanti di anfibi militari sul graffiante selciato. La brecciolina faceva un gran rumore man mano che i passi si avvicinavano nella loro direzione. Per un attimo ebbero paura che qualcuno avesse ascoltato tutta la loro conversazione. Poi si tranquillizzarono quando capirono che i passi provenivano dall'interno del palazzo.

Fecero capolino, in mezzo alle siepi, prima le teste e poi le divise di Adolf Hitler e del suo più fedele consigliere, il padre di Kathrein, accompagnati da un soldato di cui, sotto l'elmetto e la pallida luce lunare, era possibile scorgere solamente gli occhi magnetici color ghiaccio che, Kathrein ancora non sapeva, avrebbero continuato a tormentarla negli anni.

«Come vi dicevo mein führer, ero sicuro che mia figlia fosse qui. Ecco qui le nostre ragazze» esordì suo padre, rivolgendole un ampio sorriso. Le piaceva vederlo così sereno e, anche se quella serenità era dovuta alla presenza di quell'uomo, ne fu comunque felice.

Kathrein trattenne una risata a quell'appellativo così inusuale e rivolse un sorriso cordiale ad Hitler che, nonostante il suo carattere combattivo, le incuteva comunque un certo timore.

Aveva passato molti pomeriggi in sua compagnia quando alloggiava presso la sua casa a Monaco durante l'estate e quel briciolo di follia che gli vedeva scritto negli occhi non sembrava abbandonarlo mai.

«Hai davvero una figlia deliziosa Heinfried. Ho avuto il piacere di avere a che fare con la sua argutezza e di sentirla suonare il pianoforte ogni tanto. Di sicuro è una delle migliori offerte a cui un tedesco sano di mente non potrebbe mai rinunciare. Risponde pienamente ai canoni del nostro reich e, spero, che il suo soggiorno in Francia possa servire a farla maturare ulteriormente prima di dedicarsi alla sua nazione quando sarà finalmente un'adulta» si compiacque Hitler con il suo gruppenführer. Poi si avvicinò a Geli e le posò una mano alla base della schiena.

Kathrein vide il corpo dell'amica tendersi inevitabilmente come le corde di un violino, ma in quel momento era troppo occupata a pensare al fastidio che il modo in cui quell'uomo aveva parlato di lei le aveva procurato. Rimase comunque in silenzio, sapendo quanto per suo padre fosse importante quella sottospecie di complimento che il suo leader gli aveva fatto.

«Adesso dobbiamo andare piccola Geli. Saluta la signorina Bergmann e non dispiacerti, quando vorrà potrà venire a trovarti» sorrise sinistramente nella direzione della diretta interessata, come se sapesse qualcosa sul suo conto che non sapeva neppure lei. Kathrein scacciò quella sensazione e si fece travolgere per la seconda volta in un abbraccio forte dalla sua amica.

«Grazie di tutto Kath. Ti voglio tanto bene. Ci vediamo presto» aveva sussurrato al suo orecchio Geli, quasi a voler imprimere quell'attimo per sempre.

«Divertiti in Francia e fa buon viaggio.»

"Anche tu" pensò Kathrein.

Kathrein non era mai stata abituata a quel tipo di affetto e, nonostante i suoi genitori le volessero bene e non le avessero mai fatto mancare nulla, non era solita sentirsi dire così apertamente quel genere di cose. Perciò si limitò ad abbracciarla più forte che poté senza dire nulla in aggiunta.

Solo nel tempo si sarebbe pentita di non aver risposto a quel 'ti voglio bene', di essere stata così fredda e di non aver saputo godere fino all'ultimo di quel momento che, più che un arrivederci, sembrò un addio a tutti gli effetti.

Sapeva che Geli non sarebbe mai ritornata in Germania e, forse, non l'avrebbe rivista mai più. Kathrein non poteva immaginare che qualcosa di più forte della distanza le avrebbe irrimediabilmente separate per sempre.

«Ricordati la promessa» le rammendò la Bergmann riferendosi alla lettera che avrebbe dovuto scriverle appena arrivata nel suo nuovo paese e poi si staccò da quell'abbraccio così carico di aspettative e speranze.

Geli annuì e trattenne alcune lacrime che minacciavano prepotentemente di uscire dai suoi meravigliosi occhi cerbiatti.

«Schneider, accompagna mia figlia nella sua stanza»

«Ja mein herr.»

Il soldato che sino ad allora era rimasto rigidamente in disparte si mosse e andò nella direzione di Kathrein. Lei salutò rispettosamente il führer e diede la buonanotte a suo padre e a Geli.

Poi si allontanò con quel militare e, poco prima di sparire oltre la siepe, si voltò di nuovo verso quel trio e vide suo padre parlare animatamente con Hitler. Poi vide la figura gracile e graziosa di Geli, spezzata dai tormenti e le angosce. Si guardarono un ultima volta e un sorriso sancì il loro ultimo incontro.

In quel momento furono entrambe consapevoli che quella sarebbe stata davvero l'ultima volta che si sarebbero viste.

Kathrein dovette fare uno sforzo immenso per reprimere il senso di sconforto che ciò le stava causando dopo tutti i momenti e le avventure vissute insieme a Monaco. In contrasto con quella che era la sua rigida educazione sarebbe voluta correre indietro e abbracciarla di nuovo, ma non avrebbe potuto farlo perché sarebbe stato troppo sospetto e lei non poteva mettere in pericolo nessuno, soprattutto la sua migliore amica.

Kathrein sarebbe stata la custode eterna del più grande segreto di Angelina Raubal e, in cuor suo, sperò che potesse finalmente trovare la felicità lontana dall'ossessione di suo zio che la tormentava da tre anni.

Quel pensiero le faceva così male che fu costretta più volte a focalizzare l'attenzione sui suoi passi per evitare di incespicare a causa degli occhi appannati dalle lacrime e prendeva ampie boccate d'aria nel tentativo di regolarizzare il battito cardiaco.

«Si sente bene, signorina Bergmann?»

La voce del militare accanto a lei la risvegliò da quello stato di trance e Kathrein capì che il turbamento del suo stato d'animo non doveva essere passato inosservato agli occhi del ragazzo.

Si perse qualche secondo ad ammirarlo

Si perse qualche secondo ad ammirarlo. Era davvero bello, si ritrovò ad ammettere a se stessa Kathrein. Il taglio della sua mascella era tipicamente nordico e i suoi lineamenti erano decisi come quelli di qualsiasi tedesco. Ora che si era tolto l'elmetto Kathrein poté notare una corta chioma bionda che accompagnava alla perfezione il colore vitreo dei suoi occhi. Poteva avere al massimo due anni più di lei. In quel momento lo sguardo della ragazza si fermò ad osservare il fucile stretto dalle forti braccia che erano nascoste dalla divisa.

Kathrein si chiese come facesse a non sentire caldo, poi una sferzata di aria gelida le colpì le candide braccia lasciate scoperte dal vestito e si ricordò che, anche se era inizio settembre, era comunque sera e a Berlino l'inverno arrivava prima del previsto.

Una calda giacca fu posata sulle sue spalle e la visione della svastica cucita su di essa le provocò un singulto di timore che si premurò di nascondere con un sorriso.

«State tremando» disse solamente il soldato quasi come a voler giustificarsi di quel gesto.

Kathrein pensò ironicamente che quegli uomini, per come gli aveva conosciuti, paradossalmente si giustificavano quando facevano qualcosa di buono e giusto e invece non avevano alcuna remora a progettare un paese da cui avrebbero cacciato qualsiasi straniero.

«Siete un ufficiale?» chiese con semplicità la ragazza indicando il fucile e riprendendo a camminare al suo fianco. Il vialetto verso la villa era un bel po' lungo e ci avrebbero impiegato ancora un paio di minuti per arrivare alla porta di ingresso, tanto valeva soddisfare la sua curiosità piuttosto che ripiombare in un silenzio imbarazzante.

Il ragazzo, invece, sembrava essere perfettamente a suo agio nel silenzio più totale e, Kathrein, si ritrovò a pensare tristemente che forse quei ragazzi erano abituati al silenzio e che l'addestramento gli rendesse macchine che non avevano il bisogno di parlare o esprimersi.

Inaspettatamente, però, il ragazzo scoppiò a ridere e, anche se si trattava di una risata senza alcun tono, Kathrein pensò che fosse bellissima e che, poi, forse non era così asettica la loro dura disciplina militare.

Tuttavia, nel tempo, Kathrein capì che coloro che indossavano quella divisa e riuscivano ancora a ridere di quei tempi erano i più folli e che i visi d'angelo alla fine si tramutavano sempre nei peggiori demoni.

«No signorina Kathrein, ma è quello che punto a diventare. Ora sono un soldato semplice. A diciotto anni cominciamo tutti così.»

A dispetto del suo viso giovane, la voce tagliente e la fermezza dei suoi gesti mostravano più degli anni che in realtà aveva.

Per qualche secondo Kathrein rimase in silenzio, ma,quando si accorse che questo inevitabilmente la riportava a pensare a Geli, decise di rispondere alla domanda che le aveva posto il soldato quando stava per scoppiare a piangere.

«Avete mai avuto la sensazione che un pezzo di voi sia stato perso per sempre?»

Non sapeva perché stesse parlando di qualcosa di così personale con uno sconosciuto, per di più un uomo di suo padre, un militare che, dal modo ritmico e cadenzato che aveva di camminare, sembrava non aver tempo per i sentimenti o per gli impicci di quel genere.

Forse il fatto che quel ragazzo avesse solo due anni più di lei o il tentativo disperato di non focalizzarsi sull'addio della sua amica, l'avevano indotta a cercare un colloquio con lui.

«Indossare questa divisa comporta necessariamente delle rinunce signorina.» rispose semplicemente e in maniera coincisa mentre le indicava la porta della sua stanza.

Kathrein indirizzò lo sguardo dove puntava la mano grande del militare e si rimproverò per quanto poco avesse prestato attenzione al tragitto al punto da non accorgersi di essere arrivata e, soprattutto, si chiese come il ragazzo accanto a lei facesse a sapere dove si trovasse la sua stanza.

Poi si diede mentalmente della stupida pensando che, essendo forse una guardia del corpo di suo padre, conosceva ogni angolo di quella casa. Eppure si sarebbe ricordata un volto così bello tra quel mucchio di soldati che vedeva sempre in giro per la sua abitazione. Scosse la testa come a voler scacciare quei pensieri e gli restituì la giacca, ringraziandolo.

«Buonanotte, herr Schneider» mormorò timidamente la ragazza. Una timidezza che mai le era appartenuta ma che, di fronte a quell'uomo che la faceva sentire disarmata, le usciva del tutto spontanea.

«Buonanotte, signorina Bergmann»

Poi sparì dietro l'angolo del corridoio e Kathrein ci mise qualche secondo ad entrare nella stanza dopo quel piacevole incontro.

Gettò uno sguardo all'orologio davanti sulla parete di fronte ed appurò che fosse molto tardi e che l'indomani si sarebbe dovuta alzare molto presto per il viaggio, così spinse la sua porta e si spogliò.

Quando si distese nel letto l'ansia per Geli l'attanagliò di nuovo e si ritrovò a pregare, dopo lungo tempo che non lo faceva, affinché la sua amica e il suo bambino stessero bene.

L'ultima cosa a cui penso, però, prima di cadere in un sonno senza sogni furono due occhi freddi come il ghiaccio e cerulei come il cielo che non avrebbe mai potuto dimenticare. 

24 settembre 1931, Parigi

Kathrein si era ormai stabilita da quasi tre settimane in Francia e l'aria parigina l'affascinava come mai nient'altro aveva saputo fare nella sua vita.

Quel giorno, però, arrivò la notizia che avrebbe piegato una parte della sua anima per sempre.

Nella lettera che adesso stringeva con mani tremanti sua madre le raccontava la sorte impietosa che aveva colpito la sua dolce piccola Geli.

Hermann era stato brutalmente assassinato prima che la sua fuga con Geli fosse messa in atto e non si conoscevano i colpevoli. Nessuno avrebbe mai indagato per la morte di un ebreo, il caso sarebbe stato archiviato e basta.

La lettera continuava a bagnarsi di lacrime, mente Kathrein rileggeva quelle righe e l'intensità del suo pianto aumentava man mano che continuava a leggere quella sequenza di notizie tremende.

Geli, il giorno prima, la sua meravigliosa amica piena di allegria e voglia di vivere, la ragazza che le aveva fatto da sorella maggiore per tutta l'estate pur essendo gracile e nascondendosi quasi sempre dietro la figura di Kathrein più piccola di lei, si era suicidata.

Un colpo di pistola era stato sufficiente a spazzare via lei, il suo bambino, il suo amore e tutti i suoi sogni.

Un semplice colpo di pistola aveva irrimediabilmente cambiato le sorti di una nazione intera.

Hitler era rimasto del tutto sconvolto dal suo gesto e gli effetti del suicidio della nipote alimentarono la sua instabilità mentale.

In un attimo si erano spezzate tre vite e l'unica donna che avrebbe potuto frenare le follie di quell'uomo a capo del partito nazionalsocialista adesso non c'era più.

In quell'attimo eterno del 23 settembre 1931, era svanita la sua più grande amica e l'unica vita che avrebbe potuto salvarne altre migliaia, l'unica anima che avrebbe potuto cambiare la storia della Germania e di tutto il mondo solo qualche anno più tardi.

_______________________________

*NSDAP Il Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori guidato da Hitler dal 1921 al 1945.

Salve! ❤️
Questa è la mia prima storia in assoluto in ambito storico, per cui chiedo venia se dovessi fare qualche errore imperdonabile ma cercherò di essere il più possibile fedele agli avvenimenti storici. 
La storia comincia con questa introduzione nel 1931 dove incontriamo una Kathrein ancora sedicenne e ripercorriamo uno degli avvenimenti che più l'hanno segnata, ma poi sarà proiettata esclusivamente durante gli anni della guerra. 
Spero vi abbia incuriosito e ringrazio in anticipo coloro che saranno arrivati fin qui a leggere. 
Un bacio.
HeyC.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


I segreti del Terzo Reich

 

Parigi, 1 settembre 1939

Era una calda giornata di fine estate quando accadde l'irreparabile.

Kathrein Bergmann stringeva tra le mani la posta che era stata recapitata erroneamente, e per l'ennesima volta, in campagna piuttosto che in città.

Affrettava il passo, calcandosi spasmodicamente il cappello sulla testa nel tentativo di riparare, quanto più le riuscisse, la sua pelle diafana dal sole.

L'aria afosa le sferzava sulle gambe lasciate scoperte dal vestitino a fiori che aveva comprato con sua madre l'ultima volta che aveva fatto ritorno a Berlino circa due mesi prima.

Parigi era molto diversa dalla sua città natale e, nonostante ancora qualcuno si ostinasse a guardarla con ostilità e a chiamarla "bambolina tedesca", aveva subito trovato amicizie vere e dopo otto anni che viveva lì conosceva ogni angolo più recondito del paese.

Nel tragitto per tornare a casa di sua zia Ruth decise di passare per il mercato della città e salutare i suoi anziani commercianti che avevano sempre qualche storia interessante da raccontarle.

Kathrein ammirava quei volti segnati e quelle mani rese rugose dalle armi nel caso degli uomini e dalle fabbriche nel caso delle donne durante la guerra.

La ragazza ascoltava con vero interesse i loro racconti e si chiedeva quanto davvero potesse essere duro vivere sotto un cielo costantemente sorvolato dagli aerei di caccia nemici.

Quando Kathrein nacque, nel 1915, e negli anni successivi, la guerra imperversava sanguinolenta con le battaglie della Marna, quella di Tannenberg, di Somme, di Verdun e di molte altre che laceravano l'Europa dal sud al nord, dal fronte occidentale a quello orientale e che coinvolsero anche stati extraeuropei, facendo del pianeta uno dei più atroci teatri di carneficine, uccisioni e barbarie.

I racconti di quelle persone, marchiate a vita dall'indimenticabile ricordo dell'assedio tedesco ai danni della Francia, le rendevano più chiari i motivi degli sguardi carichi di risentimento che alcune persone le lanciavano per strada. La Germania non aveva risparmiato nessuna delle manovre militari che avevano piegato la Francia. L'accanimento dei tedeschi aveva strappato giovani ragazzi dalle braccia delle proprie madri e fidanzate. Alcuni di loro non avevano poi fatto ritorno e, questo, aveva alimentato l'odio verso i tedeschi che, alla fine della guerra, erano stati indicati come unici responsabili del conflitto e dei crimini avvenuti.

Kathrein non ricordava nemmeno della partenza di suo padre al fronte e, molte volte, si era ritenuta fortunata a non aver vissuto la guerra sulla propria pelle, ma anche sua madre e tutte le donne tedesche, esattamente come quelle francesi, piangevano e supplicavano ogni sera un Dio che sembrava non ascoltarle per il ritorno dei propri uomini.

La guerra divideva le fazioni e schierava i popoli su posizioni nettamente diverse, contrastanti e deleterie. Ma la guerra accomunava le anime in pena, i loro timori, le loro paure e il desiderio di prevalere sull'altro per avere salva la vita.

Suo padre non le raccontava mai della guerra e sua madre aveva preferito dimenticare i momenti di terrore in cui la sua compostezza era stata intaccata. Su molti punti il carattere di Kathrein divergeva da quello dei suoi genitori, ma se c'era una cosa che avevano in comune era proprio l'orgoglio di non farsi vedere mai deboli da nessuno.

Eppure c'era stato un lungo e travagliato momento di ripresa per il popolo tedesco che, reo degli sbagli dei suoi diplomatici, aveva subito e incassato i danni che una guerra da loro indesiderata aveva creato. La classe contadina era stata costretta a lavorare il doppio per pagare i pesanti tributi di guerra che erano stati imposti con i trattati di pace.

La Germania era stata designata come la nazione maggiormente colpevole ed era stata duramente sanzionata. Era il paese che aveva perso di più. I suoi civili erano stati incolpati di crimini non commessi e avevano faticato per riabilitare il proprio nome.

I trattati di pace come quello di Versailles e i quattordici punti stilati dal presidente americano Wilson avevano arginato qualsiasi speranza tedesca di ristabilire la propria economia e il reparto militare in poco tempo.

Alla Germania, colpevole di aver indotto la corsa agli armamenti, era stata impedita la riorganizzazione militare ed era pesantemente ridotta la produzione del materiale bellico. Per lungo tempo il popolo tedesco era stato additato e condannato per gli errori commessi dagli uomini avidi di potere che si trovavano al comando in quel periodo.

Suo padre faceva parte di quella porzione di eroi di guerra che erano stati trattati con i guanti di seta al momento del ritorno in patria. La famiglia Bergmann godeva del lusso e del prestigio che la fedeltà di Heinfried aveva dimostrato alla sua nazione anche nei momenti più aspri del conflitto, quando le diserzioni e le esecuzioni sommarie erano all'ordine del giorno.

Per anni la sua famiglia era stata su un podio di oro, ammirata ed invidiata da tutti. A volte Kathrein sentiva il peso degli sguardi di astio che le venivano rivolti. Lei non si sentiva responsabile di una guerra di cui non ricordava nemmeno l'inizio o la fine, ma il cognome che si portava dietro le imponeva di mantenere un certo distacco con la classe operaia e, quindi, non aveva mai avuto l'occasione di parlare con loro e spiegargli che nemmeno lei appoggiava le azioni di quegli uomini come suo padre che avevano portato sul lastrico gran parte della società tedesca.

Kathrein non sapeva cosa suo padre avesse fatto in guerra e cosa le medaglie sulla sua divisa valessero, perché adesso quella divisa logora dalle battaglie e dal tempo era chiusa in fondo ad un baule. Ma era comunque sicura che tutto quello che aveva potuto fare gli era valso un posto di spicco nel governo tedesco.

"Non serve ricordare i momenti tristi per la nostra nazione, Kathrein. Bisogna imparare dai propri errori e puntare sempre più in alto con fierezza. Adesso la Germania si sta riprendendo e si prepara a rientrare nel mercato europeo e a dominarlo."

Era questo ciò che una volta le aveva detto. Kathrein non era sicura che suo padre avesse mai davvero patito gli effetti collaterali e la fame del dopo guerra, e gli sguardi di rancore che la classe più povera gli rivolgeva non sembravano minimamente scalfirlo. Heinfriend Bergmann calpestava qualsiasi cosa si frapponesse tra lui e i piani di Hitler e non si era mai dimostrato pentito di quello che aveva fatto in guerra.

Con l'ascesa al potere del nazionalsocialismo nel '33, la posizione eminente di Heinfried non aveva potuto che rafforzarsi ulteriormente e, nonostante il partito si proclamasse estremo difensore di tutti gli strati della società, l'avvento di Hitler alla cancelleria di Germania aveva schiacciato ancora di più i contadini, ricoprendo di lustri e onori gli alti ufficiali e burocratici del paese.

Per lei la Francia era stata una boccata d'aria dalla gelida prigione di cristallo fatta di finti sorrisi e falsità in cui era costretta a vivere a Berlino. Nonostante la sua austera educazione e il suo aspetto tipicamente tedesco invidiato da ogni donna, anche Kathrein molto spesso si sentiva a disagio tra le occhiate languide di viscidi ufficiali e nei discorsi frivoli delle sue coetanee.

Il suo primo obiettivo non era sposarsi e fortunatamente il suo fidanzato era dello stesso avviso. Kathrein voleva trovare prima se stessa e Diedrich, sotto la guida del generale Bergmann e di Hitler, si dedicava all'avanzamento della sua carriera militare e dei suoi successi.

A parte le conversazioni con la sua dolce e ormai defunta Geli, di cui conservava gelosamente il ricordo, la Bergmann non aveva mai trovato un vero punto di confronto con le persone che la attorniavano e allora aveva preferito mostrarsi indifferente alle loro salotterie da pochi spiccioli.

Con il tempo il suo distacco era stato scambiato per cinismo e freddezza. Il suo atteggiamento pacato e impenetrabile la rendeva ancora più appetibile alla gola maschile e odiosa agli occhi delle altre ragazze che ne agognavano la bellezza e lo stuolo di giovani soldati e ufficiali che le facevano la corte.

Proprio il suo carattere apparentemente snob e superiore le era valso il vezzeggiativo di

Proprio il suo carattere apparentemente snob e superiore le era valso il vezzeggiativo di "bambolina tedesca" in Francia.

Tuttavia molti francesi, che sembravano provare astio nei suoi confronti, non la colpevolizzavano per il cognome intimidatorio che portava come facevano i contadini tedeschi, ma la guardavano sempre con circospezione perché faceva comunque parte della nazione che solo qualche anno prima aveva terrorizzato Parigi e dilaniato la Francia intera.

Nonostante il suo sprezzante menefreghismo, all'ultimo ricevimento a Berlino, con grande costrizione da parte di sua madre, aveva provato ad essere gentile con la Braun e a scambiare due parole con lei. L'attenzione della ragazza, però, sembrava focalizzarsi e incentrarsi solamente su Adolf Hitler e sui suoi grandi piani per la Germania.

Kathrein, in quell'occasione, si ritrovò a pensare che, nonostante Eva non spiccasse per le buone maniere, la compostezza o il buon senso, sarebbe comunque stata una figlia più che gradita per suo padre. 
Heinfried Bergmann, infatti, rimproverava sempre l'atteggiamento atipico che sua figlia assumeva e, più di una volta, l'aveva ragguagliata sullo smussare e addolcire quel lato di lei che non sarebbe stato accettato da nessun buon partito tedesco, tantomeno da uno come Diedrich.

Eva, invece, era docile e sapeva soprassedere e sottomettersi senza la minima opposizione. Tutto ciò che le veniva imposto alle sue orecchie era captato come semplice senso morale e del dovere nei confronti di un uomo incurante della sua reale esistenza.

Kathrein, contrariamente, non si era mai dimostrata simpatizzante per le idee nazionalsocialiste e, questo, era costato non poche grane al suo vecchio. Certo non si mostrava nemmeno contrariata o scontenta all'avvento del partito di suo padre al potere. Semplicemente restava sulle sue e non esternava alcun pensiero.

Tuttavia quando una donna tedesca di buona famiglia non si proclamava ardentemente sostenitrice della politica hitleriana, l'astensione a volte veniva scambiata per tradimento e severamente punita.

Suo padre non se ne preoccupava più di tanto, però, convinto del fatto che un uomo potente e allo stesso tempo affascinante come Diedrich Schneider, avrebbe saputo raschiare via la patina di ghiaccio che accompagnava ogni movenza e pensiero di Kathrein.

Agli occhi del führer, in fondo, e di tutta la Germania che contava, i Bergmann erano una delle famiglie più fedeli al Reich e più influenti in ogni ambiente burocratico. I due coniugi avevano lavorato molto per arrivare al vertice e soprattutto Heinfriend non si era fatto problemi a schiacciare qualsiasi inetto provasse ad ostacolarlo.

Così avevano conquistato la fiducia e i favori di Hitler e godevano di una particolare immunità economico-sociale. Tutto ciò che usciva dalla bocca di Heinfried Bergmann diventava legge e, proprio per questo, insieme a Joseph Goebbels, divenne uno dei più abili propagandisti del Reich e assunse l'appellativo di rispetto di herr doktor.

Ad ogni modo, la fonte più grande di fierezza per Heinfried ed Elsbeth Bergmann era proprio la loro unica figlia Kathrein.

Infatti, pur non essendo di inclinazione particolarmente docile e mansueta, Kathrein era leale, fedele e ligia al dovere. Le sue movenze erano eleganti e posate e la sua educazione impeccabile. Sapeva suonare il pianoforte, dipingere, parlare molte lingue e intrattenere qualsivoglia conversazione di qualsiasi natura e con qualsiasi personalità illustre ed eccelsa della società. La sua bellezza dagli occhi color ghiaccio e i fulgidi capelli biondi che seguivano i movimenti del suo viso, incorniciandolo perfettamente e oscillando dolcemente sulla sua schiena, accompagnavano perfettamente tutte le qualità che possedeva.

Elsbeth aveva cresciuto sua figlia con dedizione e, lo riconosceva, a volte con un po' troppa severità. Ma ciò non toglieva nulla all'amore sconfinato che lei e suo marito provavano per il loro piccolo miracolo. Kathrein era cresciuta in un modo fatto di bellezza e perfezione formale e, ancor prima di poter godere della sua infanzia, aveva dovuto imparare la buona educazione e assumere atteggiamenti decisamente da adulta.

Tuttavia, in una posizione così di slancio come quella in cui si trovava la loro famiglia, Elsbeth doveva assicurarsi che sua figlia non venisse plagiata dall'invidia e dalla cattiveria di nessuna di quelle donne civettuole che frequentavano.

Dopo qualche minuto Kathrein si ritrovò davanti al portone di casa di sua zia. In realtà Ruth, la dolce e anziana donna che la ospitava da otto anni a questa parte, era la sua prozia materna ma le era così tanto affezionata come una nipote diretta.

Lei stessa aveva convinto sua nipote Elsbeth a far studiare sua figlia in Francia e a permetterle di uscire dal grigiore di Berlino che non poteva che soffocare una mente brillante come quella di Kathrein.

Proprio così era iniziata la sua meravigliosa avventura alla ricerca di nuovi posti del mondo e alla scoperta di nuovi studi e culture.

Kathrein parlava molto bene il francese e, a dispetto delle sue fattezze tipicamente tedesche, avrebbe potuto tranquillamente essere scambiata per una parigina.

Spinse la porta di casa e la richiuse velocemente dietro di sé, beandosi del cambio di temperatura decisamente più fresco che l'aveva investita sulla soglia dell'abitazione.

«Zia sono tornata» la sua voce risuonò chiara e nitida tra le pareti color crema del salotto.

Un silenzio irreale avvolgeva la casa e insospettì la ragazza al punto di controllare ogni stanza. Sua zia e la governante Meredith erano due instancabili chiacchierone e raramente l'abitazione piombava nel mutismo.

Una voce sconosciuta, molto simile a quelle vocalizzate dei giornalisti proveniva dalla stanza in fondo al corridoio. Così Kathrein affrettò il passo per raggiungerla.

Entrò in cucina e finalmente le vide. Meredith accovacciata malamente accanto alla radio, imprecava e tentava di capire come si abbassasse quell'affare.

Nel frattempo agitava un ventaglio nella direzione di zia Ruth che, seduta in maniera stranamente disordinata rispetto alla sua consueta compostezza, pareva decisamente pallida e debole.

Kathrein abbandonò la posta e il cappello sul tavolo di mogano e si precipitò a spegnere il frastuono infernale che proveniva dall'apparecchio.

Anche in paese aveva notato del fermento per le strade della città e, stranamente, nessuno aveva fatto caso a lei, alla 'bambolina tedesca snob', che attraversava le vie. Qualcosa di importante aveva animato la quotidianità degli abitanti di Parigi.

In quel momento, però, se ne curò poco e prese posto accanto a sua zia.

«Cos'è successo?» chiese alla governante, mentre versava dell'acqua da una brocca in un bicchiere e lo porgeva a sua zia.

Questa fece per risponderle, ma prontamente Ruth parlò al posto suo lanciandole uno sguardo di ammonimento. Rivolse un sorriso stanco a Kathrein, nel tentativo di tranquillizzarla.

«Nulla tesoro. Un semplice calo di pressione. Con questo caldo alla mia età può capitare»

La ragazza non ne fu convinta e l'espressione eloquente di Meredith le fece capire che c'era dell'altro sotto, ma in quel momento preferì non approfondire e prendersi cura di sua zia. Effettivamente, man mano che avanzava con l'età, gli sforzi che Ruth poteva sostenere erano sempre più minimi e, a volte, il semplice dibattito con l'argutezza di Kathrein la debilitava.

Da parte sua, invece, Kathrein non era mai stata abituata a dover provvedere a qualcuno e tantomeno a doversene prendere cura.

Per tutti i suoi e altrui bisogno avevano sempre fatto fronte le domestiche e la servitù dei suoi genitori. Inoltre non era abituata ad esternare alcun tipo di sentimento e, il suo atteggiamento distaccato, nel tempo aveva forgiato maggiormente questa sua caratteristica.

Tuttavia, un profondo senso di gratitudine la legava alla zia di sua madre e, nel corso degli anni, aveva imparato il valore dell'affetto per qualcuno che non fossero solo i suoi genitori o Diedrich.

Zia Ruth le aveva offerto un luogo di fuga dalla monotonia e dal piedistallo su cui viveva in Germania. 
Prendersi cura di lei, per Kathrein, risultava naturale e doveroso.

L'accompagnò a letto e si assicurò di lasciare metà finestra aperta per permettere all'aria di circolare.

Accostò una sedia accanto al letto di sua zia e le tenne compagnia per tutto il tempo sino a quando non sprofondò in sogni più tranquilli. Le lasciò un bacio tra i morbidi capelli al profumo di lavanda che cominciavano a tingersi di striature bianche in alcune ciocche e uscì dalla camera, lasciando la porta leggermente schiusa.

«Sei una cara ragazza. Non permettere a quei mostri di cambiare i tuoi ideali» le aveva detto con voce flebile poco prima di addormentarsi.

Kathrein non le chiese mai a chi si riferisse sua zia. Forse, però, lo capì con il senno di poi.

Quello scongiuro dettato dalla poca lucidità dell'anziana le bastò a capire che qualche avvenimento di grande entità aveva sconvolto il suo pomeriggio al punto da condurla sull'orlo di uno svenimento.

Per questo Kathrein tornò in cucina da Meredith in cerca di spiegazioni e la trovò già seduta ad aspettarla come se le avesse letto nel pensiero.

«Allora, cosa sta succedendo?» domandò spazientita dopo pochi minuti di silenzio che a lei parvero ore.

La governante la scrutò ancora per un attimo e i suoi occhi parvero addolcirsi in un sentimento quasi di commiserazione. A Kathrein non piacque quello sguardo. Non prometteva nulla di buono e cominciava ad essere davvero stanca di quel mistero.

Dopo altri infiniti secondo di silenzio, Meredith si decise a parlare e a spiegare la situazione.

«La Germania ha invaso la Polonia, Kathrein. Tua zia non ha retto la notizia. Siete di nuovo in guerra, presto lo saremo tutti» mormorò tristemente chinando il capo in avanti e socchiudendo appena gli occhi. Alcune lacrime rigarono il suo viso cereo e segnato già dagli orrori della guerra precedente.

Kathrein non seppe come alleviare il suo dolore. Fu impreparata davanti alla reazione del tutto inaspettata di Meredith. In otto anni non l'aveva mai vista piangere e, nonostante la guerra le avesse portato via un figlio, si era sempre dimostrata una donna forte e combattiva.

Ma fu maggiormente pietrificata non dallo sfogo della donna, del tutto comprensibile, ma dalla notizia stessa.

La Germania, il suo paese natale, aveva di nuovo commesso il medesimo errore. Incurante delle atrocità, del sangue di troppi innocenti e sprezzante delle barbarie già commesse, i tedeschi avevano invaso il territorio polacco e, ben presto, anche il resto delle nazioni si sarebbero schierate a seconda delle alleanze e degli accordi diplomatici precedenti.

Hitler aveva surclassato ogni limite e, complice la sua mente instabile, aveva condannato un popolo, già da tempo oppresso, sino al punto di non ritorno.

Kathrein sapeva che la Francia, se si fosse schierata, non l'avrebbe fatto di certo a favore della Germania.

Chiuse un attimo gli occhi e l'immagine della sua casa a Berlino in fiamme a causa delle bombe si materializzò vivida e straziante come le tasse che sarebbero incrementate ancora per i contadini, la fame e i bambini nelle fabbriche.

In men che non si dica l'Europa si sarebbe trasformata in una scacchiera, i cui giocatori decidevano chi avrebbe potuto vivere e chi sarebbe dovuto morire. La vita di migliaia di giovani avrebbe avuto la medesima importanza di uno scacco che veniva mandato in prima linea per proteggere i poteri alti.

Egoisticamente il fatto che suo padre fosse molto vicino a Hitler in quel momento la rassicurò. Pur facendo parte delle SS, il führer non avrebbe mai rinunciato all'aiuto propagandistico e diplomatico del suo generale più fidato mandandolo al fronte.
Heinfried aveva già combattuto una guerra e non era neppure troppo in là con l'età e, secondo molti, era ancora un uomo in forma e prestante. Ma Kathrein non era del tutto sicura che a metà dei 40 anni avesse la stessa capacità di azione di quando ne aveva 20.

Il suo pensiero corse a Diedrich e, per un attimo, il suo cuore perse un battito.

Il loro strano rapporto era iniziato da quella sera di quel lontano settembre 1931 ed era proseguita, con incertezze e tentennamenti, nei sporadici momenti in cui entrambi tornavano a Berlino

Il loro strano rapporto era iniziato da quella sera di quel lontano settembre 1931 ed era proseguita, con incertezze e tentennamenti, nei sporadici momenti in cui entrambi tornavano a Berlino.

Era stata ufficializzato poi poco più di un anno prima.

Heinfried Bergmann non poteva che esserne orgoglioso. Schneider era stato per lungo tempo un suo attendente e, ora che avanzava sempre di più di carriera, ammetteva senza esitazione che il ragazzo era destinato a grandi cose.

Ciò che a Kathrein piaceva di lui era il fatto che non la apprezzasse solo per la sua bellezza come tanti altri. Nonostante qualche volta l'avesse scoperto a guardarla con quell'ammirazione tutta maschile a cui era abituata, Diedrich preferiva le sue forme di pensiero più che quelle del suo corpo e ne ascoltava i progetti e le aspettative.

Lei, invece, lo confessava senza remore, prima di tutto era stata attratta dalla fierezza nordica dei suoi lineamenti. Infatti, se si fosse dovuta basare sul suo carattere, probabilmente non si sarebbero mai avvicinati così tanto. I loro ideali e le loro ambizioni divergevano su posizioni nettamente contrastanti.

Diedrich era votato con fedeltà alla causa per cui si era arruolato e, sebbene avesse iniziato come semplice soldato alle direttive di suo padre, non ci aveva messo molto a diventare uno stretto collaboratore dei ranghi più alti delle SS.

La sua mentalità tipicamente militare e la sua dedizione e lealtà al Reich, alla Germania e alla difesa della razza ariana alcune volte avevano minato la possibilità di un rapporto con Kathrein.

Nonostante ciò, si poteva dire che il loro legame si basava sulla reciproca stima e ammirazione.

Kathrein non condivideva del tutto i principi del suo fidanzato, ma apprezzava l'audacia e ne rispettava la purezza della costanza. Non sapeva esattamente quale grado ricoprisse adesso, ma vedeva l'obbedienza che molti gli dimostravano e questo le fece capire che al momento si trovava ai vertici della gerarchia nazista.

Diedrich, da parte sua, vedeva nella figlia del generale Bergmann una ragazza molto più che bella alla ricerca di un buon partito tedesco. Per lui Kathrein, nonostante fosse già in età da marito, rappresentava l'ebrezza di libertà e Paradiso insieme. Di freschezza e innocenza, al riparo dalla durezza e dagli orrori del mondo esterno.

Kathrein chiuse nuovamente gli occhi e un ricordo di qualche mese prima le balzò fulmineo nella mente.

«Kath oggi tuo padre mi ha richiamato nel suo ufficio» la informò Diedrich interrompendo l'inusuale silenzio che alleggiava nella stanza, scandito solamente dal ticchettio del pendolo dell'orologio sulla parete di fronte.

Distesi sul letto della sua camera, lei e il suo fidanzato stavano fissando il soffitto senza scambiarsi una parola. Erano superflue. Ciò che più contava era godersi la pace e bearsi della tranquillità che solo i momenti passati insieme lontani dalla Francia, da Hitler e da tutta la società in cui vivevano sapevano regalare l'uno all'altra.

Kathrein assorbì quella notizia distrattamente e voltò il viso nella sua direzione, inarcando un sopracciglio e facendo cenno di continuare.

«Ci sono stati dei problemi nella mia precedente base militare, a Est. Sembrerebbe che alcune spie abbiano passato informazioni importanti su alcuni affari di stato alla Polonia. Verrätern-traditori» sputò con veemenza e disgusto.

Kathrein sussultò al tono aspro e così ferocemente indignato del militare accanto a lei. Si obbligò a ingoiare il groppone che le si era formato in gola e allungò una mano a sfiorare quella grande e venosa di Diedrich che, prontamente, la catturò in un bacio delicato.

Si chiedeva spesso come facesse ad alternare in maniera così singolare momenti di rabbia e momenti di gentilezza. 
Poi fece presente a se stessa che questi repentini cambi di umore gli riuscivano solo con lei.

Nonostante Kathrein si vantasse di conoscere Diedrich meglio di chiunque altro, sapeva che la sua considerazione sul valore delle donne era esattamente la stessa del resto della società. Forse ancora più radicata in lui.

"Kinder, Kirche, Küche: figli, chiesa, cucina. È questo che ogni ragazza tedesca desidera e tutto ciò a cui una brava ariana deve essere educata" le aveva detto una volta.

Con lei, però, agiva in maniera del tutto diversa e la rispettava in tutti i modi in cui in passato non aveva mai avuto il piacere di esserlo da altri uomini.

"Tu sei diversa" le ripeteva seccamente ogni qualvolta affrontassero quell'argomento. Non le aveva mai saputo dire in cosa lo fosse e, per adesso, Kathrein non aveva fretta di scoprirlo. Le bastava avere quella certezza per annullare qualsiasi altro dubbio.

Non la guardava solo con desiderio erotico e i suoi sguardi non indugiavano più del dovuto sul suo corpo. La sua compostezza militare, quella vera e non quella che fingevano di avere tutti quegli ufficiali che di notte potevi trovare in qualche bordello tra le braccia di qualche donna sinuosa, non l'avrebbe comunque permesso.

Diedrich aveva grandi progetti per la sua carriera e non avrebbe mai lasciato al caso la possibilità che la scoperta di qualche suo comportamento indecoroso ne compromettesse la realizzazione. 
Per lui tutti quegli idioti dei suoi compagni che si crogiolavano nel tepore di donne dalla nazionalità sconosciuta per la passione di una notte erano vergognosi.

A dispetto dei suoi giovani 26 anni, Diedrich era arrivato molto più in alto di tanti altri militari più anziani di lui. Molti di loro erano suoi sottoposti. A Diedrich piaceva il potere e, nel tempo, Kathrein non seppe definire se fosse un bene. Lo esercitava con una naturalezza che qualche volta la lasciava interdetta. Nessuno osava contraddire un suo ordine e molti sembravano intimoriti dalla sua persona. Il suo fidanzato le sembrava così diverso dal semplice soldato che aveva conosciuto otto anni prima.

Di quel ragazzo di appena 18 anni era rimasta solo la bellezza eterea. Negli anni la loro relazione si era rafforzata, nonostante la distanza e, ogni volta che Kathrein faceva ritorno a Berlino, qualcosa in Diedrich era cambiato.

Non solo l'avanzamento di carriera. La disciplina aveva scolpito i muscoli del suo corpo e aveva forgiato ulteriormente la freddezza calcolatrice del suo carattere. Non aveva mai visto il suo fidanzato in azione, ma sapeva che la posizione in cui si trovava lo costringeva spesso al faccia a faccia con ribelli e traditori ed era del tutto sicura che il senso di timore che incuteva ai suoi sottoposti derivasse da qualcosa in particolare che succedeva durante i suoi interrogatori.

Tuttavia, anche Kathrein pensava fosse giusto che i traditori della Germania fossero imprigionati. A volte, però, aveva quasi la sensazione che il lavoro di Diedrich si spingesse oltre. Ad ogni modo, non le era concesso sapere gli affari privati dell'esercito.

Si concentrò sul suo viso e sulle labbra ancora ad un centimetro dalle sue nocche. Poi deglutì la saliva inesistente e si sforzò di chiedere più spiegazioni.

«Si, papà mi ha accennato qualcosa sui problemi che avete con i confini. Che cosa è successo a quelle spie?»

«Fucilati. Il führer è stato più clemente di quanto non lo sarei stato io» il distacco che Diedrich aveva utilizzato la disorientò completamente. A volte aveva la sensazione che non provasse emozioni e che gli unici sentimenti che esternasse fossero quelli per lei.

Più in la si rese conto che aveva ragione.

I suoi occhi azzurri, così penetranti, la scrutavano attentamente quasi a voler cogliere qualsiasi cenno di turbamento sul suo viso. Questa era la prima differenza che vedeva in Kathrein. Lei aveva un cervello e lo usava per pensare, a differenza delle altre oche tedesche che pensavano soltanto a compiacere i propri uomini anche nel più sanguinoso dei progetti senza riflettere.

L'intelligenza era un aspetto che gli piaceva della sua fidanzata, ma al tempo stesso poteva rappresentare la loro rovina e condanna. Nonostante facesse di tutto per nasconderlo, Kathrein era fragile e Diedrich aveva paura che la minima cosa potesse distruggerla. In quel caso, non avrebbe mai potuto essere sua moglie e stargli accanto accettandone ogni decisione e incarico militare.

Kathrein era nata e cresciuta in un mondo perfetto, dove tutto ciò che voleva si prostrava ai suoi piedi senza alcuna esitazione. Non sapeva quanto suo padre avesse sottomesso e terrorizzato per fare in modo che fosse così. Non aveva la più pallida idea delle insidie che il mondo lì fuori potesse nascondere o riservarle.

Heinfried sapeva che, con un uomo come Diedrich, sua figlia avrebbe continuato a condurre questo tenore di vita e ciò lo rassicurava. Sia lui che il suo pupillo, però, ignoravano che Kathrein non fosse più una bambina e non sarebbe rimasta in disparte per sempre.

A volte Diedrich stesso si convinceva che per un uomo come lui sarebbe potuta andare bene solo una di quelle ariane che accettavano di buon grado qualsiasi situazione che le venisse imposta. Molte di loro avrebbero fatto le follie più assurde per passare almeno una notte con l'ufficiale Schneider.

Nonostante ciò, Diedrich era fedele a Kathrein quanto alla sua divisa. Rifiutava categoricamente l'idea di rinunciarvi e, sebbene il dubbio che lei non potesse reggere determinati comportamenti e compromessi tornasse prepote nei suoi pensieri, più volte promise a se stesso che non le avrebbe mai raccontato i particolari più crudi del suo lavoro. L'avrebbe tenuta lontana dal sangue e dalle violenze che i popoli inferiori lo costringevano a commettere.

Si convinse che questo sarebbe bastato.

Era anche per questo che accettava senza problemi che Kathrein studiasse in Francia. Voleva proteggerla da qualsiasi strazio potesse spezzarla irrimediabilmente. 
Non voleva che si trovasse nel mezzo di una guerra che, quasi sicuramente, sarebbe scoppiata di lì a poco.

La Germania stava crescendo ma ad Hitler non bastava più. Voleva conquistare sempre più territori e la Polonia si stava dimostrando l'ostacolo maggiore. Non ci sarebbe voluto molto per raccogliere tutte le forze militari e invadere il territorio nemico.

Ma più di tutto, Diedrich non voleva che Kathrein vedesse o fosse a conoscenza di ciò che compiva per servire la nazione.

Ad ogni modo la ragazza incassò la notizia impassibile e non mostrò nessuno dei pensieri e dei timori che le turbinavano dentro.

«Cosa c'è peggio della morte, Diedrich?» domandò con fare ovvio e falsamente incurante. Avrebbe voluto ritirare la mano dalla sua così calda e tentatrice, quasi come se si fosse scottata, ma la stretta ferrea del ragazzo glielo impediva e lei non voleva dimostrarsi debole.

"I miei interrogatori" pensò in quel momento il ragazzo, ma si guardò bene dal dirlo ad alta voce.

«Non posso dirti molto Kath, ma stanno preparando dei campi. Dei centri di lavoro per i traditori della razza. Chi non è stato in grado di onorarla e ringraziare per aver avuto l'occasione di farne parte, dovrà lavorare per il benessere e l'economia degli ariani. Da qui ad un anno dovrebbero essere attivi, nel frattempo le carceri non sono abbastanza capienti per contenerli tutti»

Detto così a Kathrein sembrò giusto e rasserenò il suo animo. Anche lei, seppur in maniera molto meno conservatrice, riconosceva qualche dogma tradizionale. Sebbene non vedesse in Hitler nulla che facesse intendere che fosse la persona migliore per ricondurre la Germania alla sua antica grandezza, Kathrein sosteneva che nemmeno i traditori avrebbero aiutato nel processo di acquisizione della gloria tanto agognata per il suo amato paese.

Ucciderli sarebbe stato uno spreco di braccia per una Germania basata soprattutto sull'agricoltura e sulle fabbriche, ma soprattutto un'atroce ingiustizia. Per Kathrein nessuno, oltre Dio, aveva potere di decisione sulla vita o morte di un altro. Chiunque si fosse avvalso di tale diritto durante l'ultima guerra non meritava il perdono di Dio.

Nonostante le atrocità, Diedrich le diceva sempre che uccidere in guerra era una realtà necessaria per non morire. Per lui la carneficina causata dai tedeschi dal 1914 al 1918 era giustificata dal fatto che non si dovesse finire vittime o schiacciati dai popoli nemici. Molto spesso Kathrein pensava che a Diedrich fosse dispiaciuto non aver potuto partecipare alla guerra in prima persona. Lui amava l'azione e tutti gli onori e i lustri che ne derivavano. Era più che sicura che, se mai ce ne fosse stato bisogno, lui sarebbe partito volentieri per una guerra nel nome del suo prezioso Reich.

Ciò non rendeva comunque tollerabile alcuni comportamenti agli occhi di Kathrein che, dopo molti anni dalla fine della guerra, continuavamo a perpetrarsi. Nonostante i traditori non le fossero mai piaciuti, Kathrein non condannava la loro vita solo per la codardia di non essersi schierati sin da subito dalla parte opposta.

«Perché proprio tu?»

«Cosa vuol dire questo, süße-dolcezza? Se mi viene assegnato un compito è così e basta, non importa perché o come. È giusto portarlo a termine e contribuire alla crescita tedesca. Quello che facciamo viene fatto anche per voi donne. Voi ariane pure meritate ricchezze e rispetto molto più di quelle che si macchiano di rassenschande* e noi uomini abbiamo il diritto di garantirvelo e di garantire a noi stessi una società libera da ogni contaminazione sociale»

Nel frattempo Diedrich si era accesso un sigaro e si era affacciato alla finestra della camera, scrutando oltre le siepi e captando il minimo movimento. Questo atteggiamento costantemente sull'attenti era la normalità per lui dopo essere stato la prima volta a Est. Al confine con i popoli nemici impari ad osservare e anticipare qualsiasi mossa fatale del tuo avversario.

«E poi dovresti essere contenta. Hitler in persona è intervenuto perché io riprenda il comando in quelle zone. A quanto pare sotto la mia supervisione non è mai accaduto nulla del genere» parlò compiaciuto non riuscendo a trattenere un sorriso mentre sbuffava via del fumo che andava dissolvendosi nell'aria.

"Ne sono sicura" pensò Kathrein che all'udire quel nome che ora le sembrava più ostile che mai avrebbe voluto storcere il naso.

Prima le aveva sottratto molto del tempo che suo padre le dedicava e adesso rispediva il suo fidanzato chissà dove, perché non le era dato conoscere la sua corretta ubicazione per motivi di sicurezza. Proprio ora che avrebbero potuto passare un po' più di tempo insieme.

Si sollevò leggermente dal materasso, appoggiando la guancia sulla mano e puntellandosi con il gomito.

«E quando partirai?»

«Entro la fine della settimana, può darsi anche domani. Dipende quando la Reichsbank stanzierà il denaro necessario per lo spostamento dei miei uomini. Sono sicuro che data l'urgenza del caso non ci impiegherà molto, ma spostare un intero reparto richiede comunque una somma ingente» le spiegò causticamente.

Quella risposta la deluse sopra ogni immaginazione e il motivo per Diedrich non fu così difficile da scovare.

«So che la prossima settimana c'era la nostra festa di fidanzamento ma ho già parlato con tuo padre anche di questo. È solo rimandata meine liebe, risolverò i problemi nel minor tempo possibile e tornerò prima di quanto pensi. Potrai passare ancora del tempo con tua zia in Francia e ti scriverò quando potrò» la rincuorò avvicinandosi e sedendo sul bordo del letto.

Non interruppe mai la connessione dei loro sguardi e posò due dita sotto il mento della ragazza per poter ammirare il colore dei suoi occhi da più vicino.

Diedrich non aveva mai dovuto consolare qualcuno se non sua madre quando era ancora molto piccolo e suo padre era morto da poco. Con la morte anche di sua madre, però, aveva totalmente accantonato la voglia di rassicurare qualcuno e si era dedicato unicamente ai suoi obiettivi. Diedrich non voleva che nessuno si affidasse a lui o dipendesse dalla sua persona, perché lui non voleva dipendere da nessuno. 
Sino a quando non conobbe Kathrein, però, per la quale sentiva la necessità impellente di sostenerla e farle capire che molte delle cose che faceva erano soprattutto per il loro futuro.

«Ti aspetterò» quella promessa risuonò dalle labbra della ragazza e apparve forte e possente, come il suo sguardo che trasudava amore e determinazione. Riecheggiò con veracità tra di loro, aleggiando nella stanza come un incantesimo che non poteva essere spezzato.

Diedrich alzò un angolo della bocca in un sorriso accennato e le accarezzò una guancia. Indugiò un attimo con lo sguardo sulle sue labbra e senza attendere oltre, poi, le fece unire con le sue in una fusione di promesse e aspettative.

Kathrein ritornò con la mente al presente e si chiese se fossero le sue le truppe che avevano invaso la Polonia, se stesse bene e se fosse a conoscenza della guerra e dei piani di Hitler da molto tempo.

Forse era proprio per questo che era così felice di essere rinviato a Est. Avrebbe potuto partecipare operativamente al riscatto tedesco.

Si chiese se fosse così sicuro che questa volta la Germania avrebbe vinto, se agisse lucidamente o solo guidato dai piani di un folle o dal desiderio di potere che, in cuor suo, sapeva essere implacabile in Diedrich.

Si chiese ancora se lo scoppio del conflitto fosse il motivo per cui ultimamente la loro corrispondenza era diventata sempre più difficile e le notizie che lui le mandava sempre più sporadiche.

Forse lui sapeva ancor prima di partire, quel pomeriggio trascorso insieme, che non sarebbe tornato poi così presto e che la guerra sarebbe tornata drammatica nelle vite di tutti.

Kathrein si sentiva quasi tradita da quell'omissione e la consapevolezza che le loro esistenze sarebbero state limitate da una nuova sanguinolenta battaglia le contorceva lo stomaco in spasmi incontrollabili.

Il cuore le palpitava rabbioso nella gabbia toracica, ma poi ricordò la promessa di quel giorno e la certezza con cui aveva pronunciato quelle parole. Sarebbe tornato da lei e avrebbero dimenticato la furia omicida che l'invasione tedesca stava scatenando. O almeno sperava.

Abbassò lo sguardo sul tavolo e, mentre Meredith si ricomponeva asciugandosi le lacrime, notò una scatola dalla forma rettangolare e dal colore blu elettrico poggiata sul tavolo. Prima nel trambusto non l'aveva neanche vista.

«È per te, è arrivata questa mattina»

La aprì immediatamente senza pensarci troppo e al suo interno vi scoprì un meraviglioso collier di diamanti tempestato da zaffiri. 
Un biglietto scritto con una grafia elegante ed ordinata le fece intuire immediatamente il mittente.

È perfetto con i tuoi occhi.

A presto,
Diedrich.

Recitava solamente il pezzo di carta macchiato dall'inchiostro. Il messaggio era asettico come lo era anche Diedrich. Può sembrare strano da una ragazza di appena 24 anni, ma Kathrein non sognava la favola del principe azzurro come tutte le sue coetanee. Diedrich era un militare e lei stessa non era abituata alle smancerie. Il loro rapporto non si basava sulle paroline dolci, ma sulle promesse concrete e questo bastava a entrambi per non perdersi mai nemmeno nei momenti di mancanza piu difficili.

"A presto"

Rileggeva quelle due parole quasi perforando il foglio con lo sguardo, interrogandosi sulla concezione temporale che Diedrich aveva di quell'affermazione.

Non lo vedeva da ormai sei mesi e l'ultima volta che era tornata a Berlino era stata costretta a passare noiosissimi pomeriggi con sua madre e le sue amiche, pensando che la città fosse ancora più grigia senza la sua compagnia e le loro chiacchierate. Diedrich era molto più colto di quanto servisse per essere un militare e, infatti, molti suoi colleghi erano rozzi e poco interessanti.

Lei, invece, nonostante avesse passato metà della sua vita a studiare, aveva sempre qualcosa di nuovo da imparare da Diedrich e dai racconti dei suoi viaggi.

«Il tuo uomo deve essere avanzato di molti gradi se ti fa regali del genere» la voce della governante arrivò ovattata alle sue orecchie e Kathrein si accorse solo allora che fosse ancora lì.

Meredith era una signora molto dolce e gentile, ma era davvero una pettegola irrecuperabile e questo non poteva che divertire Kathrein.

«Sì ne sono sicura» mormorò con non troppa felicità, ma ugualmente fiera del suo fidanzato «Sa quel che vuole e ammiro la sua dedizione nel perseguirlo e ottenerlo» finì semplicemente chiudendo il discorso.

Quella scatoletta inaspettata le aveva fatto piacere e le aveva aperto una porta sulla felicità. Non per la bellezza del gioiello in sé, ma per la certezza che Diedrich stesse bene e la pensasse nonostante il tempo, la distanza e tutte le belle ragazze che, era più che certa, gli gravitavano attorno.

Passò in rassegna anche la posta e, oltre le innumerevoli lettere dei nipoti di sua zia, vide che c'era una busta per lei.

Proveniva da Berlino. Il timbro postale, seppur sbiadito, era riconoscibilissimo dalla scritta "Deutsches Reich" del francobollo.

Aprì la busta e lesse tutto d'un fiato ciò che suo padre aveva da comunicarle, senza interrompere o fermarsi un attimo.

Ciò che lesse, però, la lasciò confusa e interdetta. Il contenuto di quella busta era destinato a cambiare, inevitabilmente, un pezzo della sua vita. Per poco la lettera non le cadde dalle mani e fu costretta a rileggere più volte alcuni righi per catturarne il concetto.

Improvvisamente ciò che per anni era stata la sua vita adesso le veniva strappata così ferocemente. Il corso della guerra la stava già cambiando e stava condannando ogni suo sforzo, sacrificio e speranza nei cassetti più oscuri di un futuro irrealizzabile.

_______________________________

*rassenschande era il termine con cui i nazisti indicavano il reato commesso dai traditori della propria razza, cioè gli ariani che mischiavano il proprio sangue attraverso rapporti sessuali con gli ebrei.

Eccomi quii, come state?
Innanzitutto vorrei ringraziare chi segue la storia in silenzio e soprattutto chi mi ha lasciato un parere personale. Per me vale davvero tanto visto che è la mia prima storia di questo genere e devo ancora imparare molte cose sia storicamente che stilisticamente. 
Questo primo capitolo mostra un po' di più sulla vita di Kathrein in generale. Racconta qualcosa del suo passato, spiega cosa è successo negli otto anni che lo separano dal prologo e c'è anche uno spaccato di vita quotidiana con Schneider che, dopo quella sera, è diventato più che un semplice conoscente. 
I personaggi nelle gif mostrano un po' come io me li immagino, ma ovviamente ognuno può immaginarli nel modo che più preferisce. 
Grazie ancora per leggere le mie follie e fatemi sapere cosa ne pensate. 
Vi mando un bacio grandissimo, a presto. 
HeyC😘

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


I segreti del Terzo Reich



BE 28-08-1939

Mia cara Kathrein,

sono sentitamente dispiaciuto che questa missiva ti arrivi come un fulmine a ciel sereno.  Sapevi bene che il momento di tornare e adempiere ai tuoi doveri verso la Germania sarebbe arrivato e, fortunatamente, hai potuto godere a pieno della tua incantevole esperienza in Francia. 
Tuttavia il tuo ritorno in patria non è motivato da un matrimonio imminente, lo        standartenführer Schneider è ancora bloccato in Italia da alcune faccende burocratiche e credo dovrete attendere ancora un bel po' di tempo.
Ci sono altri compiti, però, a cui non puoi disattendere in alcun modo. 
Con molta probabilità, quando ti perverrà questa lettera, le azioni di invasione militare in Polonia avranno già avuto inizio e ne avrai già appreso la notizia. 
Ci sono misure che bisogna adottare per la sicurezza della Germania e dichiarare guerra ai popoli che ne minano la stabilità è una scelta necessaria. Così sarà. 
È arrivato il momento di lasciare i tuoi studi e dedicarti alla cura di faccende che, adesso più che mai con la partenza al fronte di molti giovani tedeschi, non possono più essere rimandate.  
Senza dubbio capirai che non c'è più alcuna ragione per cui una ragazza ariana della tua età continui a soggiornare in Francia e abbiamo buone motivazioni per credere che in territorio francese, popolo storicamente nemico del nostro paese, saresti in pericolo. 
Io e tua madre abbiamo il dovere di assicurare la tua protezione e abbiamo organizzato il tuo ritorno a Berlino. 
Domani stesso due miei attendenti partiranno e ti scorteranno per tutta la durata del viaggio. 
La Germania ha bisogno di tedesche purosangue come te che giurino fedeltà alla sua causa in questo momento di difficoltà. 
Siamo certi che questo bisogno di contribuire alla crescita sia radicato anche nel tuo spirito. 
Elsbeth è impaziente di rivederti e mi prega di mandarti i suoi saluti.

Con sincero affetto,
Heinfried.  

Kathrein richiuse la busta con mani tremanti e la lasciò cadere sul tavolo. 
Aveva riletto quella missiva almeno sei volte e alcune frasi le suonavano ancora così assurdamente difficili da comprendere.

Suo padre aveva parlato di compiti e faccende che non potevano più essere rimandate e Kathrein ammetteva di aver pensato al matrimonio dato che era abbondantemente in età da marito.

Heinfried, però, aveva messo a tacere quel dubbio e ne aveva insinuati molti altri.

Sebbene le donne avessero acquisito una dose abbastanza rilevante di potere e indipendenza al punto che Hitler istituisse il frauenministerium*, la società maschilista del terzo reich limitava l'espansionismo del genere femminile in politica.

Infatti, tutte le organizzazioni politiche guidate dalle donne erano comunque subordinate a quelle che, parallelamente, erano costituite dal potere decisionale maschile e ne dipendevano strettamente.

Kathrein aveva avuto modo di conoscere molte delle sue aderenti e, nonostante si vantassero del progresso sociale della posizione femminile nella società, lei vedeva soltanto un regresso a causa della cecità di tutte quelle donne che non si accorgevano di essere manipolate.

In particolare aveva avuto modo di conoscere la sua responsabile, Gertrud Scholtz-Klink, poiché Elsbeth stessa faceva parte di questo ministero. Molte volte Kathrein si era ritrovata a sorseggiare amabilmente del thé con le figlie di queste donne senza scrupoli, tra le futilità e i convenevoli di chi ambisce a raggiungere una posizione sociale di spicco.

Secondo quanto Kathrein aveva potuto appurare da quelle ore trascorse noiosamente nel salotto di casa sua circondata dalle scaltre e perfide donne dell'alta società, il loro compito era quello di tradurre in termini politici le volontà, anche le più estreme, del fuhrer.

Per questo, per la Bergmann erano delle semplici trascrittrici di pensieri di una dottrina dispotica e infondata. Pensieri che tentavano a tutti i costi di far propri, a volte senza non troppe difficoltà.

Adolf Hitler stesso riconosceva che senza l'impegno, la lealtà e la dedizione delle donne non sarebbe mai riuscito a riorganizzare il partito.

La sua ascesa al potere era stata favorita soprattutto dal voto femminile che vedeva in lui la possibilità di affermare e imporre la figura della donna in maniera definitiva.

Kathrein, però, informandosi e studiando aveva constatato che una fedeltà così spinta e degli ideali così instabili e discriminanti potevano essere deleteri e a volte fatali.

L'affare Dreyfus* scoppiato qualche decennio prima durante la Terza Repubblica francese aveva diviso in due la Francia a causa degli stessi sentimenti antisemiti che anche la Germania stava coltivando adesso.

E poi ancora il caso Sacco e Vanzetti* del 1927, quando lo stato del Massachusetts aveva condannato ingiustamente due uomini italiani alla pena di morte. Kathrein non sapeva se qualcuno avrebbe mai riabilitato i loro nomi alla memoria poiché aveva inteso che la condanna era stata eseguita non sulla base del crimine di cui erano stati accusati, perché il vero colpevole si era costituito alla giustizia, ma per il fatto che fossero due anarchici. Lo stesso Mussolini, capo del fascismo di cui aveva tanto sentito parlare dalla bocca di suo padre, era intercesso presso il tribunale di Charlestown affinché la pena fosse rivalutata, invano.

Questi avvenimenti erano il segno più evidente e palpabile di due delle più atroci soppressioni di giustizia e libertà. Il fatto che un semplice credo, orientamento, origini o ideologie potessero condurre ad una fine così drammatica aveva spinto Kathrein lontano dalle convinzioni dei suoi genitori.

Quando poi l'avevano iscritta alla lega delle ragazze tedesche, l'ala femminile della Hitlerjugend*, si era convinta ancora di più che le giovani menti venissero plagiate da un sistema che osava definire malato e folle. Sebbene l'iscrizione all'epoca non fosse obbligatoria, Heinfried ed Elsbeth non avevano esitato nemmeno un attimo a introdurla in questa specie di circolo elitario per sole ragazze ariane.

Ragazzine che si scrutavano perfidamente pronte a denunciare il più piccolo dei tradimenti di una propria compagnia con lo scopo di compiacere i più alti vertici della gerarchia nazista e sposarseli. Era questo ciò che Kathrein, in quell'unico anno passato in compagnia di quelle ragazze prima di partire per la Francia, aveva avuto modo di conoscere.

Ai suoi occhi tutto ciò si configurava come qualcosa di vergognoso e assolutamente ripugnante e degradante per una donna.

Il führer una volta aveva affermato che per convincere i padri di famiglia era prima di tutto necessario acquisire la fiducia delle loro mogli, con la creazione di apparati burocratici come il frauenministerium, e poi quella dei loro figli, con l'istituzione degli indottrinamenti radicati della Hitlerjugend.

Questa affermazione, per Kathrein, era già un rimarco evidente della sottomissione e della manipolazione della società alla forma di tirannia e dittatura tedesca.

Proprio perché in realtà alle donne non spettava nessun reale compito se non quello di favorire la propaganda nazionalsocialista, Kathrein si chiese quali potessero essere queste incombenze di estrema urgenza e necessità di cui le aveva scritto suo padre.

L'incedere di pesanti anfibi sul pavimento del giardino lastricato dai ciottoli la risvegliò dai suoi pensieri e la indusse a guardare fuori dalla finestra.

Due uomini in divisa avanzavano in maniera elegante e cadenzata verso il portico della casa. Acuminando la vista per Kathrein non fu difficile constatare che l'uniforme fosse tedesca.

«Loro sono già qui» sussurrò Meredith più a se stessa che a Kathrein.

Tale mormorio però fu captato dalla giovane ragazza, che voltò di scatto il viso nella sua direzione e assottigliò lo sguardo quasi a voler scandagliare i pensieri più intimi della donna che le stava a pochi passi di distanza.

«Voi sapevate? Voi sapevate della mia partenza e non mi avete detto nulla?» sibilò freddamente Kathrein. Represse l'istinto di alzare il tono della voce e la sua apparente tranquillità metteva ancora più in soggezione l'anziana governante.

Kathrein era pur sempre la figlia di un generale e odiava che le si nascondessero le cose, soprattutto se esse erano destinate a incidere in maniera netta sul suo futuro. Il suo incalzare inquisitorio e lo sguardo accusatorio avevano intimorito la donna che, in soggezione, aveva chinato il capo in segno di scuse.

Se c'era qualcosa che aveva ereditato da suo padre era la fierezza e la capacità di incutere timore con il solo cipiglio corrucciato.

Kathrein era una ragazza determinata e sapeva farsi rispettare quando lo desiderava. 
Il fatto che avesse usate il "voi" per rivolgerlesi dopo otto anni di confidenza e affetto aveva suscitato un senso di mortificazione in Meredith.

«Vostra zia mi ha pregata di non dirvi nulla per evitare che i vostri ultimi giorni qui fossero vissuti con nostalgia o rimpianto» si limitò a giustificarsi la governante con aria sentitamente dispiaciuta e colpevole.

Quando Kathrein notò che Meredith aveva usato la sua stessa formalità per risponderle si addolcì. Voleva bene a quella donna che, al pari di sua zia, l'aveva cresciuta per otto anni con amore materno.

«Non è colpa tua Meredith. Più tardi, quando sarà possibile, parlerò con mia zia» la rassicurò risolutamente Kathrein mentre riponeva la lettera di suo padre in un cassetto.

«Ti prego Kathrein non arrabbiarti con lei, ha solo tentato di proteggerti»

Meredith, nonostante il dolore della perdita del suo unico figlio, era sempre stata pacata e mansueta. 
Kathrein, però, non possedeva queste qualità. Lei era forte e tenace come un leone e impaziente e impulsiva come un serpente.

Questa sua intraprendenza, diceva sempre sua madre, le sarebbe potuta costare molto cara in un epoca così sessista e dittatoriale come la loro. 
Kathrein non le aveva mai dato ascolto e, fino ad allora, non se n'era mai pentita.

Lanciò uno sguardo verso la porta socchiusa della camera di sua zia e fece per rispondere alla governante. Il fatto che sua zia le avesse nascosto una cosa così importante per lei non era tollerabile e non aveva scusanti.

Non fece in tempo a proferire parola, però. 
Il suono del campanello arrivò come un allarme al cervello di Kathrein. Dietro quella porta c'erano due uomini che l'avrebbero riportata al grigiore della sua quotidianità berlinese, senza che nessuno l'avesse interpellata per chiederne l'opinione.

Si ricompose definitivamente e più nessuna traccia del turbamento per la lettera di Heinfriend fu visibile sul suo viso.

Si avvicinò con passi misurati al portone d'ingresso dell'abitazione, quasi a voler calcolare il tempo che ci avrebbe messo per dire addio alla Francia, quasi a voler mettere distanza tra lei e Berlino.

Si fermò davanti all'infisso di noce tanganica e trasse un ultimo profondo respiro. Poi, con un movimento secco, aprì con decisione la porta e si dipinse un finto sorriso di cordialità.

«Meine herre» il tono forzato che era stato usato per rivolgersi ai due militari non sembrò interessarli molto e, forse, non ci fecero neppure caso. Ma Kathrein notò come il suo corpo e la sua mente, in maniera del tutto spontanea, rifiutassero la loro presenza perché, seppur ingiustamente, ai suoi occhi si configuravano come la causa per cui avrebbe abbandonato Parigi e, quindi, i fautori della sua infelicità.

Poi si diede della stupida, pensando che quegli uomini non la conoscevano nemmeno e che, se fosse dipeso da loro, sarebbe rimasta dove si trovava in eterno. Stavano solo eseguendo gli ordini di suo padre, era lui il vero responsabile. Eppure non poteva avercela con Heinfried nemmeno per quello, le aveva concesso già molto tempo in Francia. Più tempo di quanto non le fosse stato accordato all'inizio e, in primis, pochi padri permettevano alle proprie figlia di studiare all'estero. Doveva comunque essergli grata.

«Fräulein Bergmann, è un piacere potervi conoscere. Siamo stati incaricati di scortarvi durante il vostro viaggio di ritorno. Io sono lo sturmbannführer-maggiore- Alexander Schulze e questo accanto a me è l'hauptsturmführer-capitano- Josel Lang»

L'uomo che, pur non capendo molto dei gradi della gerarchia nazista, sembrava aver più potere tra i due si esibì in un elegante baciamano.

Kathrein rimase ipnotizzata per qualche secondo dai suoi occhi che, mentre le sue labbra sfioravano ancora la sua mano, non facevano nulla per nascondere l'interesse che provavano verso la ragazza.

La Bergmann dovette ammettere a se stessa che quell'uomo fosse davvero affascinante e che le sue sembianze nordiche accompagnassero perfettamente l'atteggiamento di formalità che aveva adottato per parlarle.

Era raro che un uomo la lasciasse senza parole dall'eleganza e accortezza che dimostravano nei loro gesti. Pensandoci meglio, a parte con Diedrich, nessun uomo suscitava alcun tipo di attrazione in lei.

Dall'altra parte il maggiore dovette aver percepito le medesime sensazioni e, seppur non smettesse di guardarla in modo così ammaliato, ritornò in posizione militare sovrastandola in altezza e interrompendo per primo il silenzio che si era creato.

«Sono dispiaciuto del poco preavviso, pensandoci la lettera di vostro padre potrebbe non esservi ancora stata recapitata. Le corrispondenze stanno diventano difficili, soprattutto nei paesi ostili alla Germania» il riferimento alla Francia che la sua affermazione aveva velatamente fatto intimorì Meredith, ma non scalfì minimamente Kathrein.

Non vedeva segni di reale dispiacimento sul bel viso del soldato, stava solo eseguendo gli ordini che gli erano stati impartiti e non gli importava dei pensieri di una donna che nemmeno conosceva. Gli interessava sbrigarsi e tornare a Berlino per servire la sua nazione in situazioni che non comprendessero l'incolumità di una sconosciuta, seppur Kathrein aveva percepito l'ascendente che sembrava avere su quell'uomo dalla freddezza, apparentemente, intangibile.

«Non avete motivi per dispiacervi herr» proferì risolutamente Kathrein, forse azzardatamente, puntando nuovamente il suo sguardo nei suoi occhi ad ammirarne le sfumature verdastre.

Il tono volutamente ironico sembrò divertire lo sturmbannführer che alzò un angolo della bocca a formare un ghigno.

«Preparate lo stretto indispensabile per il viaggio, fräulein. Il resto degli effetti vi sarà inviato da vostra zia nei giorni seguenti. Il treno partirà domattina alle ore nove. Nel frattempo io e il mio collega saremo a disposizione per sopperire alle vostre necessità»

Solo in quel momento Kathrein si ricordò della presenza dell'altro militare di cui non rammentava già più il nome, ammesso che l'avesse davvero ascoltato occupata com'era dagli occhi penetrati di Schulze.

Si voltò in sua direzione e chinò leggermente il capo in segno di rispetto e il soldato si limitò a ricambiare il gesto. Non sembrava aver percepito il rumore assordante di quegli sguardi silenziosi che erano stati scambiati tra il suo superiore e la ragazza, o forse non aveva la facoltà di dire nulla.

Lo sguardo di Kathrein tornò a posarsi sul maggiore quasi come se sperasse che le parlasse ancora, che potesse sentire di nuovo la sua voce o che potesse catturare di nuovo il suo sguardo. Non seppe i motivi di tale sciocca e ingenua speranza, ma prontamente li mise a tacere e ristabilì un equilibrio mentale che vacillava per un uomo che non era Diedrich e si sentì quasi sporca.

Lo sguardo di Schulze, però, sembrava essere puntato sul muro di fronte su qualcosa che Kathrein non poté definire finché non si voltò.

Al centro della parete troneggiava una copia della Libertà che guida il popolo, il quadro dipinto nel 1830 da Eugène Delacroix, che lei stessa aveva convinto sua zia a comprare un paio d'anni prima mentre erano ad un mercato di oggetti d'inestimabile valore.

Esso si configurava come un inno degli ideali di libertà negli anni della Rivoluzione francese

Esso si configurava come un inno degli ideali di libertà negli anni della Rivoluzione francese.

Ciò che l'aveva colpita di quel quadro era il soggetto ritratto al centro dell'opera. Straordinariamente era proprio una donna a guidare l'insurrezione di uomini che, incuranti del suo sesso, si lasciavano rivelare la strada della salvezza in un impeto di fiducia e speranza.

Nonostante l'orrore dei corpi dei martiri caduti per i propri ideali in basso, lo stendardo francese impugnato dalla donna si stagliava alto e fiero nella parte superiore della tela e incombeva sulle teste di tutti i personaggi infondendo sicurezza e coraggio.

Riuniti per una causa giusta, bambini, ragazzi, donne, uomini di ogni classe e strato sociale. Unione e perseveranza. Ideali valorosi che si concentravano nella figura della donna da sempre dedita alla crescita della propria famiglia e, in quel quadro, della sua madrepatria. Il seno era leggermente scoperto e, se per molti quel particolare era stato di pessimo gusto e aveva suscitato scandalo, Kathrein lo riteneva un accorgimento propizio e le conferiva un senso di maternità e protezione.

Tornò a guardare il maggiore che adesso sorrideva sardonico in sua direzione.

«Curioso come un popolo si affidi così spregiudicatamente ad una donna. Concedere così tanto potere ad una popolana può essere molto letale per quegli uomini. I francesi sono dei sognatori, ecco perché non saranno mai un grande popolo o una grande nazione»

Il tono di scherno utilizzato aveva suscitato tante possibili reazioni velenose in Kathrein. Non per la considerazione assai esigua della figura femminile, a cui era abituata, ma per la presunzione e beffardaggine che quell'uomo trasudava a pieno titolo e senza alcun limite.

"Un popolo che però vi ha sconfitti in passato" fu la prima cosa a cui pensò Kathrein, ma si guardò bene dall'esporlo. Non c'erano suo padre o Diedrich e quell'uomo, nonostante la bellezza sconfinata, la metteva a nudo e, a differenza di quando lo faceva il suo fidanzato, non era una sensazione che le faceva piacere.

Per quale motivo la figlia del generale Bergmann avrebbe dovuto sostenere la causa francese e non quella tedesca? Perché avrebbe dovuto difendere la Francia e non la sua patria, la Germania?

Evidentemente con quelle poche frasi, di cattivo gusto, aveva creduto di poter scorgere in Kathrein un'altra ingenua ariana che si sarebbe prostrata ai suoi piedi.

Tuttavia rimase in silenzio perché, anche se non le piaceva dover sottostare a nessuno, soprattutto un ufficiale del terzo reich, si sarebbe esposta inutilmente e pericolosamente agli occhi di un uomo potente che non avrebbe comunque in alcun modo cambiato idea o concezione.

Sebbene la posizione di suo padre li rendesse intoccabili, non voleva creargli alcun tipo di problema e sapeva che entrare in contrasto con uno come Schulze gliene avrebbe portati molti.

Fortunatamente Meredith arrivò in suo soccorso prima che potesse rispondere qualcosa di sgradevole e sgarbato e si pronunciò in un tedesco molto tirato. Purtroppo da giovane non aveva avuto una condizione sociale che le avesse permesso di studiare, a volte non sapeva leggere alcune parole dello stesso francese e qualcosa che aveva imparato della lingua tedesca gliel'aveva insegnata Kathrein.

Ad ogni modo l'ufficiale le rispose in francese, facendole intendere che lo capisse e lo parlasse piuttosto bene.

La Bergmann non ne fu poi così stupita. Diedrich stesso, per via dei suoi viaggi, aveva dovuto imparare molte lingue e alcune le padroneggiava perfettamente.

«Se volete seguirmi, vi mostro le vostre stanze. Così sarete liberi di potervi rinfrescare dopo il lungo viaggio prima di scendere a cenare» suggerì la governante, ma rimase comunque immobile aspettando una risposta o un cenno di assenso da uno dei due uomini.

«Se possibile e se per voi non è un problema, preferiremmo cenare in camera. Abbiamo molto lavoro da sbrigare» rispose educatamente Lang, parlando per la prima volta da quando erano arrivati.

La sua voce, si ritrovò a constatare Kathrein, era piacevolmente rassicurante e non fredda e tagliente come soleva essere quella di tutti i militari che conosceva.

Tuttavia fu un pensiero superficiale, poiché il pensiero martellante che quei due ufficiali soggiornassero nella sua casa non le stava poi così bene.

La sua espressione allibita si posò sulla figura della governante che però non se ne curò, intenta com'era a parlare con Lang. 
Qualcun altro però se ne accorse. Schulze notò il suo sbigottimento e capì che la ragazza non ne era a conoscenza.

«Una gentile offerta di vostra zia» le spiegò l'uomo, rispondendo alla sua tacita domanda.

Kathrein annuì, ma non ne fu poi così tanto convinta. Sua zia era andata via dalla Germania per tutto ciò che essa le aveva portato via durante la guerra in modo così straziante e doloroso. Non aveva mai superato il lutto per la morte di suo marito e ciò l'aveva spinta a cercare tranquillità altrove, lontana dalle stradine di Berlino che custodivano e celavano il ricordo della sua giovinezza e del loro amore.

Viaggiò per molti anni. Arrivata in Francia, poi, aveva conosciuto Meredith che all'epoca era distrutta dalla morte del figlio e che era al servizio dei maltrattamenti di una ricca famiglia borghese di Parigi per poter sopravvivere. Accomunate dal dolore di una perdita così grande, diventarono amiche e in breve tempo Ruth decise di stabilirsi definitivamente in Francia. Assunse Meredith come sua governante e le diede un tenore di vita dignitoso.

Aveva chiuso in un cassetto il male che la Germania, la sua terra natale, le aveva riservato e aveva ritrovato un equilibrio e una stabilità in una casa in cui non avrebbe mai più fatto rientrare qualcosa che la investisse e le ricordasse con prepotenza quella terra che per lei era stata maledetta.

Kathrein era stata la sua eccezione più grande. L'espressione più amorosa che Ruth provava per sua nipote Elsbeth e, con il tempo, che aveva imparato a provare per Kathrein stessa. In lei rivedeva se stessa da più giovane, alla ricerca di qualcosa che la strappasse dal peso soffocante di una città condannata a continue guerre, non solo militari.

Il fatto che adesso due tedeschi, per di più soldati, stessero in quel salotto e si preparassero a passare la notte in quella casa le fece capire che dovesse essere più un'imposizione di suo padre che una decisione di sua zia.

Tale convinzione fu poi confermata quando la sera sua zia non uscì dalla sua stanza per aiutare Meredith a preparare la cena come di consueto.

Nonostante fosse ancora arrabbiata con lei, la sua furia era scemata e aveva capito che quella situazione non era stata facile da accettare nemmeno per lei. Anzi, paradossalmente, forse quell'intrusione tedesca nella sua casa la stava schiacciando come un macigno più di quanto non soffocasse Kathrein stessa. Sicuramente suo padre non le aveva lasciato un margine di scelta e aveva dovuto conservare il peso di quella separazione imminente da sola per chissà quanti giorni o settimane.

Era riconoscente a sua zia per tutto quello che le aveva offerto in otto anni. Una casa, la possibilità di studiare, la possibilità di allontanarsi dalla Germania e soprattutto amore. Non poteva permettere che il suo orgoglio si frapponesse tra loro adesso che sarebbe dovuta partire e non l'avrebbe rivista più per molto tempo, o forse non l'avrebbe mai più rivista.

Con l'inizio della guerra i suoi genitori non avrebbero di certo permesso che tornasse in Francia, nemmeno per brevi soggiorni. Ed era ancora più sicura che sua zia non sarebbe mai tornata in Germania.

Quella consapevolezza le arrivò dritta al cuore come una stilettata e fece vacillare le sue certezze. Perché, per tutti quegli anni, zia Ruth aveva rappresentato anche, e soprattutto, rifugio e sicurezza.

Adesso che però si apprestava a partire per Berlino con la consapevolezza che non sarebbe ritornata, come le altre volte, in Francia dopo pochi giorni e non avrebbe trovato sua zia ad attenderla, la investì e spezzò ogni speranza di scappare da una vita così falsa come quella che viveva nella società ariana in Germania.

Non condannava sua zia per non averglielo detto, avrebbe solo voluto avere più tempo. Più tempo per dirle addio. Ma ricordava per la seconda volta in quella giornata che suo padre gliene aveva concesso già fin troppo e, con l'invasione tedesca della Polonia, non avrebbe potuto forzare la mano e chiederne ancora.

Per questo quella sera si convinse a bussare alla porta della camera di Ruth e a mettere da parte, per la prima volta nella sua vita,  l'orgoglio.

Quando sentì la voce di sua zia che la invitava ad entrare, la trovò seduta davanti alla toeletta mentre si pettinava i capelli prima di andare a dormire. Osservava con aria nostalgica una foto dentro un medaglione. Poi alzò lo sguardo stanco verso il suo riflesso e incrociò quello di Kathrein nello specchio. Sebbene fosse ancora una bella donna, Kathrein scorse adesso più che mai il peso degli anni e dei dolori sul viso di Ruth e questa constatazione fu un ulteriore pugnalata al cuore. Il tempo non risparmiava neppure chi aveva già sofferto molto e sfioriva con lentezza quasi calcolatrice ogni segno di giovinezza dal volto di ognuno, lasciando intendere che solo lui potesse essere immortale e che tutti sarebbero stati dimenticati prima o poi.

Ruth si alzò. Sembrava stare meglio rispetto a quel pomeriggio. Prese posto al suo tavolo da lettura posto al centro della stanza e attese che Kathrein parlasse.

 Prese posto al suo tavolo da lettura posto al centro della stanza e attese che Kathrein parlasse

«Non cenerai?» smorzò il silenzio la ragazza mentre si accomodava di fronte a lei.

«Immagino tu sia arrabbiata con me. Ho chiesto tante altre volte a tuo padre di rimandare la tua partenza e mi è stato accordato il suo permesso. Ma capirai da sola che in un momento del genere non ho potuto più avanzare pretese» sua zia ignorò deliberatamente la domanda che la ragazza le aveva posto e distolse per un attimo lo sguardo da Kathrein.

Questa, però, allungò una mano sul tavolo ad afferrare le mani incrociate di sua zia che si torturavano l'un l'altra, costringendo la donna a riportare lo sguardo su di lei.

Kathrein non era solita cercare contatti fisici e, per molto tempo dopo la perdita di suo marito, anche Ruth era stata così. Quel contatto, però, sembrava l'ultimo barlume di speranza nel mezzo di un mare burrascoso in tempesta.

La donna strinse a sua volta la sua mano e, nonostante avesse già intuito il perdono di sua nipote, la risposta di Kathrein non tardò ad arrivare.

«Ti sbagli, non sono arrabbiata con te. O meglio non più. Non lo so. Sono così confusa. Ho sperato che questo momento non arrivasse mai e adesso ha irrotto così prepotentemente in questa casa indossando una divisa tedesca. Mi ero illusa che avrebbero continuato a dimenticare di avere una figlia in questo paese, ma non potevo davvero credere che fosse possibile e mi lasciassero qui» per la prima volta dopo quella lunga giornata, così ricca di sorprese e avvenimenti, Kathrein riuscì a dire quello che pensava.

Lo scoppio della guerra, il regalo di Diedrich e il loro rapporto così altalenante, la lettera di suo padre che la ragguagliava sul suo ritorno in Germania definitivo e adesso la presenza di quei due soldati, in particolare di Schulze, sotto il suo stesso tetto l'avevano spiazzata. Erano troppo persino per la rigida educazione e compostezza che le era stata impartita.

Ruth capì come la ragazza dovesse sentirsi tradita dai suoi genitori e lasciò che si sfogasse per i suoi sogni di studiare e viaggiare che venivano infranti per sempre. Rimase in ascolto, perché sapeva che Kathrein aveva ancora molto da dire e non erano frequenti le volte in cui permetteva a qualcuno di scorgere ciò che custodiva così gelosamente nel suo cuore.

«Non sono pronta a lasciare tutto questo zia. Io mi sento ancora la ragazzina che aveva 16 anni quando è entrata in questa casa e adesso ne uscirò avendone 24 e oltre le mie sembianze fisiche, non è cambiato molto. La mia voglia di non amalgamarmi a quella società avvelenata e benpensante mi sta schiacciando»

«Io ti voglio bene Kathrein e te ne voglio nonostante tu sia tedesca e la Germania sia il simbolo di una condanna per le donne della mia famiglia e della loro infelicità. Ma tu sei diversa da tutte le tue antenate. Non devi amalgamarti e il tuo carattere non permetterà comunque di scendere a patti con quel sistema. 
Anche se i tuoi genitori sostengono Hitler e ritengono che apparteniate ad una razza superiore, tu devi imparare a conviverci e a non rinunciare ai tuoi ideali. Le due cose possono coesistere, ma una delle due potrà essere esposta in pubblico e l'altra dovrai tenerla per te stessa. Vedi le tue ambizioni come qualcosa di così personale da dover nascondere da qualsiasi forma di contaminazione. Sarà questa la tua libertà Kathrein»

La ragazza la guardò e sembrò non capire.

«Fingere dovrebbe rendermi libera?»

«No tesoro, la speranza e la forza lo saranno. Il desiderio di tenere per te qualcosa di così intimo che nessuno potrà arrivare a macchiare lo sarà. La guerra non durerà per sempre piccola Kath e i tuoi sogni non saranno accantonati definitivamente. Un giorno potrai riprendere a viaggiare e toccare con mano ciò che hai studiato e appreso. Se avrai un marito che ti amerà così tanto, te lo lascerà fare» il calore rassicurante delle mani di sua zia le sciolse il nodo in gola che le si era formato.

Per la prima volta delle lacrime minacciavano di scendere copiosamente senza che lei potesse controllarle. Le represse, non sapeva per quanto ci sarebbe riuscita.

«Non è così facile zia, non si tratta solo di quello. Ho paura di ciò che quella stupida società si aspetti da me. Ho paura che quello che farò per compiacerla mi cambi e distrugga ogni traccia della Kathrein spensierata che ha vissuto in Francia per otto anni. E poi c'è Diedrich e il fatto che non potremo essere fidanzati per sempre»

Ruth assottigliò lo sguardo e la interruppe.

«Mi sembra di ricordare che tua madre mi ha detto che si trova ancora in Italia al momento, non è di certo il tuo matrimonio con lui che ti deve preoccupare così»

Kathrein si alzò quasi la sedia scottasse e prese a camminare per la stanza poiché di starsene ferma proprio non riusciva a imporlo al suo corpo.

«Questo è un altro tasto così doloroso zia. Non sapevo nemmeno si trovasse in Italia. Non lo vedo da sei mesi e l'ultima volta che mi ha mandato notizie concrete era ancora al confine con la Polonia. Non ha avuto neanche la premura di avvisarmi del suo spostamento e sono la sua fidanzata, nemmeno ora che la Germania è in guerra con la Polonia e io ho avuto paura che lui potesse trovarsi lì»

«Forse non ha potuto»

Ma Kathtrein rifiutò di getto quell'ipotesi, infuriata. Mosse una mano in aria come a scacciare una mosca e si fermò di fronte al camino spento e ruotò mezzo busto per osservare l'altra donna.

«O magari non si è sentito in dovere di dirmelo e ha lasciato che lo venissi a sapere da mio padre. In fondo il nostro fidanzamento non è stato neanche ufficializzato davanti al resto della società. Non che abbia bisogno di un ricevimento sfarzoso e della benedizione di quella gente, ovviamente» assentì in maniera pungente Kathrein mentre riprendeva a camminare concitatamente.

«Ma cosa succederà quando tornerà zia? Esattamente come la guerra avrà un fine, anche lui ritornerà prima o poi. E il fatto che io sia irrimediabilmente arrabbiata e furiosa con lui non mi impedisce di pregare con ogni pezzo di cuore che sia così e sperare che non gli accada nulla. Non mi piace questo sentimento di debolezza e instabilità che mi avvolge quando penso a lui. Dovrei odiarlo per il modo in cui mi ha lasciata sei mesi fa quando avremmo dovuto ufficializzare il nostro rapporto e invece ho così tanta paura per lui e desidero solo che torni da me prima che il suo accanimento sconsiderato verso questi dannati ideali hitlerani lo uccidano» senza rendersene conto aveva alzato la voce e sua zia si alzò di scatto all'udire delle sue ultime parole, intimandole di abbassare il tono prima che gli ufficiali di sopra la sentissero. Quello era alto tradimento e si pagava con la vita.

«Se fosse dipeso da mio padre a quest'ora sarei già sposata e sappiamo bene anche noi due che a quest'ora dovrei esserlo e lui non perde mai occasione per ricordarmi che se ancora non lo sono è per sua gentile concessione. Probabilmente quando Diedrich tornerà il fidanzamento sarà subito seguito dal matrimonio e io non avrò nemmeno il tempo di rifiutarmi nel caso in cui mi rendessi conto di non volerlo. E nessuno dei due ha avuto il tempo di rendersi conto se davvero ci amiamo e se per lui non sarà difficoltoso, perché ha comunque la sua stupida divisa e il suo importante e prestigioso ruolo all'interno del piano suicida di Hitler, io mi troverò intrappolata in qualcosa che magari non vorrò. Perché dovrei voler sposare un uomo che non mi informa neppure dei suoi viaggi? Se non mi racconta le più banali delle cose, un giorno potrebbe non rivolgermi nemmeno più la parola. Non ho intenzione di fare la fine di mia madre. Forse un tempo mio padre l'avrà amata, ma adesso la tratta come un soprammobile e io ho un temperamento e un livello di sopportazione differenti dai suoi» concluse tutto d'un fiato Kathrein mentre guardava disperatamente sua zia come se potesse tirarla fuori da quella situazione come aveva fatto tante altre volte.

Ma non si illuse, non poteva continuare a vivere sotto la sua campana di vetro come aveva fatto in quegli ultimi anni e aveva imparato a sue spese a non riporre più speranze nei pallidi spiragli di libertà irraggiungibili e inafferrabili. 

Il soprannome fredda bambolina tedesca le sembrava così spropositato in quel momento esatto mentre al riflesso dello specchio posto sul letto a baldacchino vedeva il suo viso sconvolto dalla giornata e i capelli, solitamente in ordine, che erano sfuggiti dalla crocchia perennemente acconciata e perfetta.

Sua zia si avvicinò e le posò una mano sulla spalla per farla voltare, poi l'abbracciò e quell'istante e la sensazione di amore e certezza per Kathrein fu difficile ritrovarla negli anni seguenti.

«Il tuo cuore saprà scegliere quello che vorrà prima che questo possa succedere. Ti ho già detto che sei diversa da ognuna di noi. Tua madre non era come te, era più arrendevole e cedeva facilmente davanti alle richieste di tuo padre sin da quando si conobbero la prima volta. Dopo il fidanzamento non potrai più rifiutare di sposarlo certo, ma sono sicura che saprai accorgertene ancora prima se è lui quello che desideri al tuo fianco»

Kathrein strinse a sua volta sua zia in quell'abbraccio che avrebbe ricordato per sempre e si sentì carica di una nuova speranza. Sua zia la riteneva diversa, come una volta le aveva detto anche Diedrich stesso, e si sentiva portatrice di una missione. Avrebbe riscattato il valore e l'onore di ogni donna della sua famiglia che si era sottomessa all'uomo e alla società, avrebbe imparato a dire no per tutte le volte che sua madre era stata costretta a dire sì.  

«Non ceni? Vuoi che ti porti qualcosa in camera?» si informò ripetendo di nuovo quella domanda.

«Dirò a Meredith di lasciarmi pronto qualcosa nel caso mi venisse fame»

«Preferirei tu non uscissi dalla tua camera con quei militari che girano per casa»

«Cosa vuoi che facciano ad una signora anziana come me Kathrein? Devi stare molto attenta tu invece alla corte spietata che molti di quei soldati ti faranno se non porterai a compimento il tuo fidanzamento con Diedrich»

Salutò sua zia, sapendo che l'indomani non sarebbe uscita dalla sua stanza a salutarla prima di partire. Non le piacevano gli addii. E neanche a Kathrein. Avrebbero sofferto in silenzio. Quella, infatti, era una caratteristica che l'accomunava con le donne delle sua famiglia.

Stava per uscire quando esitò un attimo con la mano stretta sul pomello in ottone della porta. Fu a lungo combattuta, ma non avrebbe fatto lo stesso sbaglio commesso con Geli qualche anno prima quando non le aveva risposto e che ancora tornava ad attanagliarla nel tempo.

Si voltò verso sua zia e semplicemente disse:
«Ti voglio bene anch'io zia»

La donna sembrò sinceramente stupita da quella frase, ma presto il suo sguardo sbigottito lasciò spazio ad una dolcezza e ad un sorriso che Kathrein avrebbe ricordato per sempre.

«Resta come sei Kathrein. Buona fortuna»

Dopo quelle parole la ragazza chiuse la porta alle sue spalle e si addentrò nel breve corridoio che collegava la camera di sua zia alla cucina, percorrendolo per la milionesima, ed anche una delle ultime, volta.

Entrò in cucina e vide Meredith ancora indaffarata nella preparazione della cena, ma due vassoi ricolmi di cibo già pronti sul tavolo.

Entrambi erano riempiti con dell'acqua, sauerbraten* e kartoffeln-patate- posti in due piatti separati, pane, macedonia ricoperta da un vaporoso strato di panna montata e un budino di gelatina, specialità di Meredith, e un altro piatto con della frutta di stagione lavata e sbucciata.

Uno zelo molto più che eccessivo per due tedeschi, ma per Meredith gli ospiti erano ospiti e andavano trattati bene. Cucinare piatti tipici della Germania, però, risultava esagerato per Kathrein ma sorrise comunque davanti all'impegno della donna.

«Cucinare piatti del loro paese per uomini che sono abituati ad avere alla loro mercé le migliori cuoche in circolazione. Un'ardua sfida Meredith, ti ammiro per il coraggio» disse solennemente Kathrein con un'espressione tutt'altro che seria.

La governante si girò in sua direzione e si finse offesa, ma poi scoppiò a ridere.

«Mancheranno in questa casa le tue prese in giro piccola Kath» le disse scherzosamente mentre la suddetta le si avvicinava.

Prese un pezzo di pane dal cesto lì accanto e assaggiò il sugo del sauerbraten rimasto nella pentola posata sul cucinino. Il gesto, non poi così educato o garbato per una ragazza del suo status sociale, divertì Meredith che per scherzo la rimproverò.

Kathrein la guardò con aria innocente e fece spallucce, mandando giù il boccone e giustificandosi con un:

«Dovevo accertarmi che fosse buono. Da tedesca ti posso dire che è ottimo. Ma non potevo di certo permetterti di portargli questo cibo prima di assaggiarlo io stessa, magari pianificavi di avvelenare due miei compatrioti» assentì Kathrein assumendo una posa militare di chi obbedisce diligentemente alle leggi della propria patria.

Meredith continuava a ridere per le sciocchezze di Kathrein che faceva di tutto per non far pesare la sua partenza. Voleva bene anche a Meredith e sarebbe dovuta essere lei il punto di appoggio per sua zia Ruth nei primi tempi.

Lei sarebbe tornata a Berlino circondata da tantissime persone e in qualche modo sarebbe stata sempre abbastanza distratta da altri compiti per fermarsi troppo tempo a pensare e abbandonarsi alla nostalgia. Si sarebbe dovuta abituare a nuovi ritmi che per un po' l'avrebbero tenuta occupata. 
Meredith e Ruth, invece, sarebbero ripiombate nella normalità e nella quotidianità di una casa che per anni era stata condivisa da una terza persona che entrambe avevano trattato come una figlia. Questo Kathrein lo capiva e le dispiaceva più di tutto il resto.

«Oh ma non devi assolutamente preoccuparti di questo, visto che porterai tu la cena» la informò Meredith mentre le passava accanto per afferrare un vassoio e glielo mise tra le mani prima che Kathrein potesse riprendersi dallo sbigottimento.

«Assolutamente no» la ragazza assunse un'espressione quasi disgustata, sebbene ciò che aveva provato quando aveva incontrato il maggiore Schulze qualche ora prima fosse ben lontano da tale sentimento.

Ad ogni modo avrebbe già dovuto affrontare un lungo viaggio con gli attendenti di suo padre e, per il momento, voleva evitare di passare ulteriore tempo in loro compagnia. 
Non che le avessero fatto qualcosa, Lang le sembrava un tipo taciturno ed educato e Schulze, pur essendo sfrontato e terribilmente e dannatamente irritante, le aveva parlato con gentilezza e rispetto.

«Lang non parla benissimo il francese. Se dovesse servirgli qualcosa non lo capirei. Ergo devi andare tu» spiegò retoricamente Meredith con aria saccente.

Kathrein sbuffò ma annuì, poi propose:
«Allora io andrò da Lang e tu porterai la cena a Schulze»

«Sembra tu voglia evitare quell'uomo a tutti i costi bambolina tedesca» affermò divertita la donna mentre si appoggiava con un braccio alla superficie del tavolo e la osservava con il capo leggermente reclinato di lato.

«Mi mette in soggezione Meredith» rispose in tutta onestà la ragazza.

«Magari è una cosa positiva. Inoltre credo sarebbe più felice di vedere te che me» tagliò corto la governante con tono che non ammetteva repliche.

«Ho già un probabile partito» sospirò in ultima battuta sperando di smuovere la donna dalla favoletta che stava immaginando nella sua testa tra lei e l'ufficiale.

Questa volta fu Meredith a fare spallucce e affermò semplicemente:
«Meglio avrai un margine di scelta, sbrigati che si fredda» disse coprendo entrambi i vassoi in modo tale che potessero essere trasportati contemporaneamente al piano di sopra da una sola persona.

Non ci fu più scelta e Kathrein sibilò semplicemente un "sei una strega" in direzione di Meredith che la guardò ennesimamente divertita e non curante dell'esasperazione della ragazza.

Si avviò su per le scale e le fu estremamente difficile mantenere l'equilibrio prima di riuscire ad arrivare in cima. Tra diversi borbottii e "ma questi soldati pensano che sono una cameriera" riuscì comunque a farcela.

Decise di rimandare l'incontro con Schulze ed andare prima da Lang.

Bussò un paio di volte, quando il permesso per entrare le fu accordato spinse la porta rivelando una stanza che veniva utilizzata raramente da qualche nipote di sua zia quando venivano a trovarla.

L'odore delle lenzuola e degli asciugamani lavati con la lavanda arrivò alle sue narici insieme al profumo di una colonia maschile e si mischiarono a quello che le pietanze preparate da Meredith emanavano.

Lang era seduto sul letto e indossava ancora la divisa mentre scriveva su alcune carte che sembravano estremamente importanti. Non disse nulla, quindi, e aspetto che fosse lui a dire qualcosa.

«Poggiatelo pure sulla scrivania, grazie» disse l'ufficiale quando si decise a parlare ancora con la testa china, esibendosi in un francese pulito e impeccabile.

"Strega" pensò di nuovo Kathrein riferendosi a Meredith. L'ufficiale parlava bene il francese e come.

«Jawhol mein herr» rispose Kahtrein in tedesco. La sua lingua.

Una lingua che, a parte nei periodi che aveva passato qualche volta a Berlino, non utilizzava più così assiduamente da otto anni e che, a volte, le risultava sconosciuta nonostante fosse insita nella sua mente come qualsiasi altra traccia tedesca naturalmente connaturata nella sua persona e nel suo aspetto.

L'ufficiale a quelle parole alzò la testa dalle scartoffie che stava compilando con minuziosa attenzione e le rivolse un sorriso sincero, uno dei primi che Kathrein vedeva da un uomo nella sua posizione.

O forse il primo sorriso vero che vedeva nella sua vita da un cittadino tedesco da sempre.
La società ariana, come si è già detto, era fatta di convenevoli e menzogne.

«Fräulein Bergmann perdonatemi credevo fosse la domestica»

«È la governante, non la domestica» sbottò seccamente Kathrein, forse piu sgarbata di quanto avrebbe voluto essere con quell'uomo che, nonostante la divisa importante che indossava, le si era rivolto in maniera cordiale e rispettosa. Non voleva di certo offenderla e non poteva sapere che ruolo in realtà avesse la governante in casa, ma aveva comunque infastidito la ragazza che si era inavvertitamente trovata a rispondere scortesemente.

Ad ogni modo molti avrebbero detto che non c'è differenza tra domestica e governante, ma per lei sì. Meredith non era la loro cameriera, faceva parte della loro famiglia e, anche se si occupava della maggior parte delle faccende domestiche, lo faceva di sua spontanea volontà e Ruth e Kathrein, quando non studiava, l'aiutavano sempre. Lei e Ruth erano grandi amiche e discorrevano ogni pomeriggio sulle sedie a dondolo della veranda senza alcun rapporto di subordinazione. Si sentiva in dovere di specificare che Meredith non era una cameriera per il modo in cui l'aveva sempre affiancata, consigliata e sostenuta.

«Ma certo fräulein, non lo sapevo» l'uomo, che aveva forse la sua stessa età, continuò a sorriderle e non sembrò minimamente turbato dal tono usato poco prima dalla ragazza.

Ciò la indusse ad abbandonare qualsiasi forma di tensione davanti a quel soldato e poggiò il vassoio sulla scrivania.

«Scusatemi sono stata sgarbata» disse sentitamente dispiaciuta.

«Certo che no, avete difeso le vostre opinioni. È giusto che sia così, io ne sono un esempio concreto non credete?» la rassicurò indicando con la mano la svastica cucita sul gomito della sua divisa.

Kathrein annuì ma non proferì parola poiché non le andava di parlare di quell'argomento e di quella divisa che sarebbe tornata dirompente nella sua vita e in ogni angolo della casa di Heinfried a Berlino.

A volte faticava a chiamare quel posto casa sua perché per lei la sua casa era quella in Francia con sua zia Ruth e Meredith.

Quella di Berlino era la casa di Heinfried ed Elsbeth Bergmann. O, più propriamente, la casa di Heinfried e dei suoi uomini che entravano e uscivano senza bisogno di essere ricevuti o di avvisare.

Elsbeth, sebbene fosse la padrona indiscussa dell'abitazione a cui Heinfried lasciava carta bianca e assegni altrettanto in bianco per i suoi acquisti e le decisioni sulla disposizione dei mobili in casa, a parte queste scelte non aveva nessun altro potere decisionale.

«Volete che anche la colazione vi sia servita in camera herr Lang?» chiese educatamente al ragazzo che, finora, si era dimostrato una piacevole scoperta di gentilezza, nonostante non avesse motivi per essere così disponibile e coscienzioso con lei.

«Chiamatemi pure Josel, fräulein»

«E voi Kathrein» disse in un impeto di gentilezza la ragazza, credendo che forse non sarebbe stata così male la situazione a Berlino con un ufficiale così gentile dalla sua parte.

«Siete la figlia del mio generale, fräulein. Non potrei» dissentì l'uomo mentre tornava a firmare qualcosa.

«Certo che potete, ve lo sto chiedendo io e non mi state mancando di rispetto. Vi prego»

Kathrein non aveva mai pregato nessuno e non seppe con esattezza cosa la spinse a muovere quella richiesta così supplichevole, ma voleva tentare in qualche modo di pensare che il mondo di suo padre in cui sarebbe dovuta vivere fosse fatto anche di quegli ufficiali gentili pronti a trattarla alla loro stregua.

A quel punto l'ufficiale cedette e le accordò questa piccola concessione.

«A questo punto credo che il 'voi' sia superfluo» constatò divertito mentre tornava con lo sguardo su di lei.

«E penso che il 'tu' sia obbligatorio» spiegò con naturalezza Kathrein mentre a sua volta sorrideva un po' rincuorata su ciò che l'attendeva nei giorni seguenti al suo ritorno in patria.

«Siet..sei una persona molto testarda Kathrein» affermò passandosi una mano sulla barba leggermente accennata, mentre si alzava per avvicinarsi sulla scrivania dove giaceva la sua cena ormai freddata.

In quel momento si ricordò di doverla portare anche a Schulze. Non voleva comunque interrompere la piacevole conversazione che stava avendo con un uomo con il quale non avrebbe mai pensato di avere a che fare.

«Lo prendo come un complimento»

«Lo è. Lo è assolutamente Kathrein. Poche donne ormai hanno ancora una dignità nel nostro paese. Anche le ariane più educate supplicano per essere portate a letto da uno di noi, tu invece chiedi solamente di non essere trattata con freddezza. Eppure l'educazione e la formalità dovrebbe essere d'obbligo verso donne della vostra purezza, anche per uomini del nostro calibro. Sei ammirevole» confessò con estrema sincerità e Kathrein fu compiaciuta da tali parole. Non era il primo a dirle che era diversa, anche sua zia glielo aveva detto poco prima e Diedrich molte volte senza mai spiegarle il perché.

Questo ragazzo, invece, pur avendo scambiato solo poche parole con lei, le aveva già saputo dire il motivo che lo spingeva a reputarla e definirla differente dalle altre e a distinguerla in positivo.

In quel momento si rese conto quanto potesse essere difficile il suo rapporto con un uomo così ostinato come Diedrich invece.

Tuttavia, nonostante Josel fosse un bell'uomo, non sembrava aver alcuna malizia con lei e per Kathrein era lo stesso. Forse, nel tempo, avrebbe scoperto di più di lui e sarebbe addirittura diventato un suo amico.

«Ad ogni modo non faremo colazione domattina. Io e il maggiore Schulze usciremo prima e andremo alla stazione ad assicurarci di alcune cose. Ti accompagnerà la signora Meredith»

A Kathrein piacque il modo rispettoso con cui citò Meredith dopo che gli aveva messo in chiaro cosa rappresentasse nella sua vita, ma non capì a cosa si riferisse e preferì non indagare oltre. Non erano affari suoi e non poteva pretendere che un ufficiale che appena conosceva le dicesse qualcosa sul loro lavoro solo perché era stato così gentile da condividere con lei qualche chiacchiera.

Diedrich non lo faceva nemmeno dopo mesi di fidanzamento e anni di frequentazione. Nonostante fossero cresciuti insieme, sebbene quasi sempre con la distanza di mezzo, forse non l'avrebbe mai fatto e la loro relazione non sarebbe mai arrivata sino a quel punto. Il suo lavoro, per Diedrich, era sacro e non poteva essere discusso con nessun altro, nemmeno se per Kathrein provava sincero sentimento. Questo era sempre stato messo fin troppo in chiaro. 

La ragazza si rimproverò perché notò che i suoi pensieri, qualsiasi strada seguissero, trovassero sempre una via per arrivare a Diedrich e la dipendenza che sentiva di provare per lui la faceva sentire vulnerabile. Mise a tacere ogni voce nella sua testa e mormorò un semplice "buonanotte" che fu ricambiato dall'uomo che si stava sedendo alla scrivania per cenare, sempre con dei fogli stretti tra le mani.

Prima di aprire la porta di Schulze, Kathrein bussò anche alla sua attendendo che la sua voce le dicesse di entrare.

Non ottenne una risposta e allora bussò di nuovo. Niente.

In un momento di impulsività, di cui si sarebbe pentita in seguito, aprì la porta e infilò la testa a ispezionare l'interno della stanza.

Il maggiore non era lì, per cui entrò posando il vassoio sulla scrivania e chiedendosi dove potesse essere.

Il rumore dell'acqua che scorreva da un rubinetto, però, rispose subito alla sua domanda. Probabilmente il maggiore stava facendo la doccia.

Decise allora di uscire immediatamente dalla stanza, grata che non avesse dovuto essere di nuovo sotto il suo sguardo penetrante e la sua espressione perennemente beffarda o perentoria. Ennesimamente si ritrovò a pensare a Diedrich e al fatto che quell'ufficiale gli assomigliava molto sia caratterialmente nella disciplina che fisicamente.

"Forse è per questo che ti piace così tanto"  sussurrò nella sua mente una vocina fastidiosa e irritante che, però, diceva il vero.

Mentre stava per uscire, il suo sguardo ricadde su dei fogli posati ordinatamente sul letto.

Kathrein fu combattuta tra la voglia di leggerli e la constatazione che non era giusto e sarebbe dovuta uscire immediatamente, lasciando come unica traccia del suo passaggio il vassoio ricolmo di cibo.

La sua curiosità ebbe la meglio e si disse che avrebbe letto solo di cosa trattassero e non tutto il contenuto. In fondo era la figlia di un generale che comandava tutte le azioni e tutti gli accordi che le firme di quegli ufficiali ai suoi servizi siglavano.

Era un po' un suo diritto sapere qualcosa in fondo, no?

"No, non lo è" di nuovo quella vocina così pungente che diceva per la seconda volta qualcosa di giusto. Kathrein, però, stavolta la scacciò malamente.

Lesse "Campo di concentrmento" sull'intestazione della prima pagina e ricordò dei campi di lavoro per prigionieri traditori di guerra di cui Diedrich le aveva parlato qualche mese prima. Pensò si trattò di quello.

Non lesse nient'altro perché il suo sguardo divagò su una foto lì accanto al resto dei fogli.

Due giovani sorridevano di fronte all'obiettivo della macchina fotografica e sembravano sinceramente felici.

Nell'abbraccio dell'uomo, che identificò come Schulze, vi era una donna bellissima e, da quanto potesse capire dalla foto in bianco e nero, bionda dai tratti tipicamente ariani.

La mano dell'uomo si stringeva possessivamente sul suo fianco destro in segno di protezione e, forse, molto altro.

Quella constatazione dette fastidio a Kathrein, sebbene non avesse motivi per esserlo.

La divisa, con qualche grado in meno rispetto a quella che aveva visto quel pomeriggio, le fece intuire che la foto fosse un bel po' vecchia ma se la foto si trovava in quel momento sul letto quella persona dove ancora essere presente nella sua vita.

Lo sguardo di Schulze sembrava andare ben oltre la foto e voler penetrare la sua anima anche adesso.

Osservò, poi, come il sorriso dell'uomo fosse così naturale. Non credeva fosse capace di farlo. O meglio, che fosse in grado di sorridere senza farlo sembrare così dannatamente un ghigno derisorio di superiorità.

Sembrava essere così preso dalla situazione e probabilmente, pensò acidamente Kathrein, molto di più dalla donna al suo fianco che stringeva con tale forza.

Sicuramente era la sua fidanzata.

Kathrein non seppe riconoscere se quello che stesse percependo fosse un senso di sollevazione dettato dalla consapevolezza che quel pomeriggio non l'aveva guardata in maniera poi così interessata e che Meredith si sbagliasse o se il suo stomaco si stesse contorcendo in maniera disperata all'interno del suo corpo.

Qualcosa di estraneo le stringeva il petto in una morsa e non le diede un nome.

Sentì il rumore di una manopola e lo scroscio dell'acqua che cessava di battere sul freddo marmo bianco della doccia.

Rimise la foto al suo posto e si apprestò a lasciare la stanza prima che l'ufficiale aprisse la porta del bagno e fosse uscito, probabilmente, con solo un asciugamano a coprirlo. Il pensiero così impudico imporporò le guance di Kathrein che, nonostante la freddezza e la disciplina, riteneva la situazione del tutto sconveniente.

Chiuse la porta alle sue spalle e si appoggiò alla superficie, con il respiro irregolare. Si portò una mano sul cuore, il cui battito era inusualmente accelerato. Si staccò dall'uscio e una mano passò meccanicamente tra i suoi capelli per ravvivarli.

Pensò per un attimo alla situazione che aveva evitato per un pelo e a quello che Diedrich avrebbe potuto pensare di lei in quel momento. Aveva ficcato il naso negli affari di un militare e nella sua vita privata. In più, alla vista di quella foto, aveva reagito in un modo di cui assolutamente non aveva il diritto e che al suo fidanzato non sarebbe piaciuto per una serie di motivi di non difficile identificazione.

Prima di scendere a cenare, ammesso che sarebbe riuscita a farlo, diede un nome alla sensazione che s'era impossessata di lei pochi attimi prima: gelosia.

_______________________________

*frauenministerium fu un ministero formato da sole donne che venne istituito da Hitler e che impiegò molte donne ariane prima e dopo la sua elezione nel 1933.

*l'affare Dreyfus fu un conflitto politico e sociale che scoppiò durante la Terza Repubblica francese. Il capitano alsaziano di origini ebraiche Alfred Dreyfus fu accusato, ingiustamente, di aver passato informazioni di stato alla Germania.

*il caso Sacco e Vanzetti fu un avvenimento che scosse l'opinione mediatica di tutto il mondo. Due anarchici italiani furono accusati dell'omicidio di due uomini e processati sulla sedia elettrica dal tribunale di Massachusetts, dove avvennero gli assassini. Sapendo della vacuità delle prove a sostegno della loro colpevolezza e del fatto che, il vero colpevole che si costituì non fu nemmeno ascoltato, Mussolini stesso inviò una lettera affinché la pena fosse rivalutata. Tuttavia non ci furono speranze. Questa è stata un'ingiustizia così profondamente toccante che ho ritenuto giusto non dimenticare e ricordare un'altra volta e ho trovato perfetto il momento di questo capitolo in cui Kathrein riflette sul pericolo che può costare la fede in una dottrina per inserirlo.

*hitlerjugend era la gioventù hitleriana a cui aderivano solamente ariani dai 10 anni in poi, accomunati dal desiderio di seguire il führer e di entrare presto a far parte delle armate tedesche. Fu fondata nel 1926 e minava ogni forma di individualismo, manipolando i giovani e abituandoli alla fedeltà verso il futuro Reich e all'obbedienza all'ideologia nazista. La lega delle ragazze tedesche era un ramo della Hitlerjugend dedicato alle ragazze ariane dai 10 ai 18 anni.

*sauerbraten è uno stufato tedesco di carne.

Hereee I aaam!
Come stateee? 
Grazie grazie grazie per tutto il sostegno che mi avete dimostrato nei due capitoli precedenti con le vostre recensioni o, semplicemente, inserendo la storia tra le vostre letture😘
Non ho moltissimo da dire su questo capitolo e fremo dalla voglia di pubblicarlo prima che si cancelli nuovamente. Ebbene sì...il capitolo si era cancellato e doverlo riscrivere è stata una tragedia, per questo non so dire con esattezza se sia uscito esattamente come lo volevo. 
In più è venuto molto più lungo di quanto mi aspettassi e ho dovuto interromperlo su questa scena. 
Quello originale prevedeva anche il racconto del viaggio di Kathrein verso Berlino e altre cose successive, ma poi vi avrei annoiato eccessivamente e ho deciso di risparmiarvi e dividerlo AHAHAHAH
Per cui metà del prossimo capitolo è già stato scritto, essendo originariamente una parte di questo. 
Che ne pensate voi?
Un bacio enorme, 
HeyC. ❤️

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


I segreti del Terzo Reich


 

Parigi, 2 settembre 1939 ore 02:35

La notte scese velocemente su Parigi, avvolgendo nelle spire del silenzio e dell'oscurità le sue case e i suoi abitanti.

Se la Francia fosse entrata in guerra ben presto ci sarebbe stato un coprifuoco a incombere gravemente nelle vite dei cittadini e le avrebbe limitate a semplici esistenze.

Nonostante Parigi fosse una città dal fascino inesauribile e i vicoli fossero perfetti per passeggiare al chiaro di luna, metà popolazione sembrava dormiente e si riposava dopo una faticosa giornata di lavoro.

Non proprio tutti, però, dormivano. Nonostante alcuni di loro il giorno dopo sarebbero dovuti tornare alla realtà dei loro lavori e altri si preparavano ad affrontare una giornata che avrebbe cambiato in qualche modo la loro vita, per alcune persone era davvero impossibile abbandonarsi alle braccia di Morfeo.

La cittadina ripiombava negli echi assordanti di mormorii sommessi e risatine flebili che si libravano nell'aria.

Quello era l'orario degli innamorati. 
Chi non aveva potuto incontrarsi durante la giornata, utilizzava le ore notturne per farlo.

Le ragazze sgattaiolavano, sprezzanti del guaio in cui si stessero cacciando, dalla finestra della propria camera e accorrevano, come avevano fatto già tante volte, al luogo dove s'erano date appuntamento con il proprio amato.

L'incoscienza di quegli amori così giovani e ingenui fece sorridere Kathrein che si trovava appollaiata sul dondolo della veranda.

A volte si domandava come sarebbe stato il suo rapporto con Diedrich se lei non fosse stata la figlia di Heinfried e se lui non fosse stato così votato al regime del Reich. Si chiese se sarebbe stato ugualmente difficile e se lui avrebbe comunque adottato un atteggiamento schivo nei suoi confronti. Ma queste erano risposte che non le era dato sapere, perché di quei amori spensierati e giovanili il loro non aveva nulla.

Per qualche assurdo motivo, non sarebbe mai riuscita ad accostare la parola "innocenza" al loro fidanzamento, perché Diedrich era tanto bello quanto tremendamente complicato e al tempo stesso enigmaticamente tentatore.

L'aria pungente le pizzicava le clavicole, ma la sensazione di pace e tranquillità che quel momento le stava donando la fecero beare e sprofondare nella coperta in cui si era avvolta prima di uscire sul portico.

Da quella posizione poteva vedere la torre Eiffel risplendere di una luce nuova quella notte e non poté fare a meno di crogiolarsi nel tepore di una vita che le stava scivolando via, inevitabilmente e senza che potesse fare nulla per riafferrarla.

Sebbene fossero molti i pensieri che le martellavano nella testa, aveva messo a tacere ogni disturbo e si godeva quegli ultimi momenti di pace prima di dire addio alla Francia.

Non aveva fatto in tempo a salutare Antoine e il resto degli anziani che vendevano i beni di prima necessità al mercato delle spezie. Ma forse era stato meglio così, perché avrebbe reso tutto più reale e difficile da accettare.

Eppure c'era qualcosa, un ronzio, che più degli altri premeva affinché lei gli dedicasse la sua attenzione. Il pensiero di alcune parole utilizzate da suo padre nella lettera.

Aveva parlato di "momento di difficoltà per la Germania" e la cosa l'aveva inorridita terribilmente dato che era stata proprio questa a dichiarare guerra.

"Così tipico della Germania, attaccare e farsi vittima" pensò mentre con un piede spingeva a terra per dondolare la sedia su cui si trovava.

Anche quella minima briciola di riflessione, però, fu rilegata nei meandri più profondi della sua mente e ogni pensiero rimandato all'indomani quando avrebbe dovuto fare i conti con la sua vecchia vita.

Venne distratta dal rumore di alcuni spari e fu costretta ad alzare il viso verso il cielo per capirne la fonte e i suoi occhi si persero ad osservare la miriade di colori che risplendevano infrangendosi, poi, nel fiume sottostante.

Lo spettacolo sembrava non aver fine

Lo spettacolo sembrava non aver fine. La Francia festeggiava e, anche se Kathrein non fosse a conoscenza del motivo, osservava rapita i giochi di luce che adesso stavano percorrendo per intero il monumento simbolo di Parigi.

I fuochi rischiaravano il cielo in quella notte buia e senza stelle, insieme all'illuminazione di un faro posto in cima alla torre che sembrava gettare speranza e rincuorare gli animi che quella notte non riuscivano a sedarsi.

Ma non quello di Kathrein. Tutta quella felicità cozzava terribilmente con il suo umore e le notizie funeste di quella giornata scorrevano impetuose in lei come il Senna davanti ai suoi occhi.

Stupidamente si ritrovò a pensare a quei giovani visi innamorati che, nei sobborghi più sconosciuti di Parigi, si avvicinavano sotto i caldi colori dei fuochi d'artificio e si scambiavano promesse d'amore che, nella maggior parte dei casi, sarebbero state eluse nel tempo.

Lei non avrebbe mai vissuto momenti così di tranquillità con Diedrich, ma ciò non la scalfiva minimamente poiché ne era stata consapevole sin dall'inizio e le era sempre stato bene così.

Adesso, però, si interrogava sui suoi reali sentimenti e si disse che aveva ancora la possibilità di scegliere. Nonostante Diedrich le promettesse sicurezza e stabilità, le continue separazioni e le sue omissioni avevano costruito muri come cinte difensive tra di loro.

Terribilmente orgogliosi e testardi, nessuno dei due avrebbe mai ceduto e la vita di Kathrein sarebbe proseguita con i continui silenzi di Diedrich. Forse, si disse, non era fatta per quello. Forse non era fatta per lui.

Nonostante sua madre le avesse insegnato come comportarsi un giorno con il suo futuro marito e sebbene il suo matrimonio con un partito tedesco ricco e influente sarebbe comunque stato deciso a tavolino, non avrebbe prestato obbedienza come un cagnolino da compagnia e non si sarebbe limitata ad essere una presenza di margine nella vita del suo uomo.

«Prosperità e codardia» affermò beffardamente una voce alle sue spalle.

Kathrein sobbalzò dallo spavento perché, immersa com'era nei suoi pensieri, non aveva sentito il rumore dei passi o la porta della veranda che si apriva e chiudeva sotto il tocco di Schulze.

«Non volevo spaventarvi»

L'uomo accese una sigaretta e si appoggiò mollemente alla ringhiera del portico, abbandonando la sua algida posa militare. Solo in quel momento Kathrein si accorse che non indossava la divisa e che la camicia, sbottonata sulle prime tre asole, lasciava intravedere il guizzo dei suoi muscoli ogni volta che portava la sigaretta alla bocca per aspirarne un po' di fumo.

Sotto i pallidi raggi lunari metà del viso dell'ufficiale le era visibile grazie ai fuochi d'artificio che, infiniti, continuavano a esplodere nel cielo alle spalle dell'uomo.

«Non capisco a cosa vi riferiate, herr. Non vi piacciono forse gli spettacoli di luce?» mormorò la ragazza nella sua direzione. Inaspettatamente stava gradendo la sua presenza, la distraeva dal machiavellico tormentarsi dei suoi dissidi interiori.

«Non ho detto questo, fräulein» inspirò un'altra boccata di fumo per poi rilasciarla lentamente con un soffio.

Kathrein si perse ad osservarlo per qualche attimo e rimase in silenzio, in attesa che parlasse ancora e la sua tacita richiesta non fu tardata ad essere esaudita.

«I fuochi servono per rassicurare i francesi, restituire la speranza a chi in queste ore ha avuto paura di tornare al fronte. Non si può dire certo che siano un popolo di conquistatori. La Francia si sta dichiarando non belligerante e lo fa con uno spettacolo visibile da ogni angolo più remoto di Parigi, proprio oggi che siamo arrivati io e Lang in città. Un gesto molto nobile verso i suoi cittadini ma al contempo pusillanime nei confronti della Germania, non credete?» il timbro caldo della sua voce era in contrasto con la freddezza e il distacco con cui parlava di quel popolo che, era evidente, riteneva nettamente inferiore.

«Un po' egocentrico da parte vostra credere che i fuochi siano stati sparati per voi, non pensate maggiore?» ribatté divertita Kathrein. Forse stava azzardando troppo, o forse no. Presto sarebbe tornata sotto l'ala protettiva di suo padre e questa conversazione sarebbe stata un lontano ricordo che non poteva permettere di lasciare incompleto.

«Alla stazione oggi non si parlava d'altro che del nostro arrivo. In un certo qual modo gli abitanti sono intimoriti dalla nostra presenza, eppure siamo solo due» proferì l'uomo mentre spegneva la sigaretta nel posacenere sul tavolo lì accanto 

«Naturalmente sapevamo di non essere i benvenuti, ma sembra che l'ostilità in questo paese sia peggiorata dopo l'invasione in Polonia. Prima andremo via, meglio sarà» l'ufficiale prese posto sulla sedia accanto a lei e, da quella prospettiva, poté scorgere il ghigno che prepotentemente era tornato a dominare la sua espressione.

La luce del lampione illuminava fiocamente la sua figura e a Kathrein bastò ammirarlo per pochi secondi di sottecchi per restarne ammaliata. La camicia bianca lasciava intravedere i suoi muscoli dalle maniche lasciate arrotolate e il pantalone, di un colore beige chiaro, fasciava alla perfezione le gambe toniche e tornite dall'addestramento.

Schulze reclinò la testa e chiude gli occhi, senza emettere più alcun suono. In quel momento alla ragazza fu permesso ammirare in totale libertà i tratti decisi della sua mascella e della mandibola che si contraeva ritmicamente.

«Sembra quasi che abbiate paura di possibili rappresaglie da parte dei francesi, herr Sculze» mormorò in maniera molto meno decisa rispetto al tono di accusa che avrebbe voluto utilizzare. 

Ancora con gli occhi chiusi l'ufficiale scoppiò in una fragorosa risata e, sebbene per lei non fosse bella quanto quella di Diedrich, quel momento così naturale e spontaneo la destabilizzò piacevolmente.

«Ho paura per voi» confessò, aprendo gli occhi e piantandoli nei suoi come aveva fatto quel pomeriggio.

Adesso, però, la situazione era molto più scomoda e il fatto che fossero soli invogliava Kathrein a porgli tutti i quesiti che le passavano per la testa e ad avvicinarglisi in maniera troppo pericolosa ma del tutto naturale.

Rimase per brevi attimi con il respiro spezzato e, nella brezza settembrina di Parigi, si strinse ulteriormente nella coperta. Eppure i brividi che le avevano percorso la spina dorsale non sembravano essere causati dall'aria fresca della notte, quanto piuttosto da quelle parole e dallo sguardo incantato che l'ufficiale le stava riservando.

Sostenne il suo sguardo senza mai vacillare un attimo, in attesa che questi scoppiasse nuovamente a ridere e le rivelasse che la stava prendendo in giro. Quel momento, però, non arrivò e nei suoi occhi lesse assoluta, pura e sincera verità.

«Io non capisco, herr...perchè dovreste preoccuparvi per me?» il suo fu un flebile sussurro ma fu ben recepito dall'udito del soldato che si alzò elegantemente dalla sedia e si piegò sulle sue stesse ginocchia per arrivare all'altezza della ragazza e poterla scorgere da più vicino.

Quella vicinanza, pur appagando e mettendo a tacere un segreto senso di tormento che neanche Kathrein sapeva di covare in sé, rendeva tutti i pensieri più confusi e la scombussolava al punto da temere di commettere sciocchezze.

«Perché per voi stare qui diventa sempre più pericoloso man mano che passano le ore» le mani dell'ufficiale si posarono sui braccioli del dondolo su cui si trovava Kathrein, intrappolandola tra questo e il suo corpo.

La ragazza si costrinse a deglutire saliva inesistente. Sbatté un paio di volta le ciglia, quasi come se riaprendo gli occhi la vicinanza dell'uomo si sarebbe annullata.

Schulze sembrò notare lo scombussolamento della ragazza e curvò le labbra in un mezzo sorriso.

Stavolta Kathrein non scorse nulla del suo ghigno derisorio o della sua freddezza inscalfibile. Uno degli uomini più belli che avesse mai visto stazionava semipiegato davanti a lei e i loro visi erano così vicini che, nonostante una spanna di altezza, poteva sentire il respiro caldo dell'ufficiale sul suo viso e i suoni dei fuochi d'artificio alle sue spalle la raggiungevano ovattati.

Se avesse impercettibilmente alzato il capo le loro labbra si sarebbero incontrate. Allora rimase ferma e combatté con la voglia di farlo.

Si vergognava per il modo imprudente con cui aveva perso il controllo della situazione e, di lì a breve se l'uomo non fosse arretrato, anche di se stessa.

Si stava comportando come tutte quelle coetanee che criticava, lasciandosi ammagliare dall'aspetto avvenente di Schulze.

Eppure, si disse, Alexander esercitava su di lei un fascino non indifferente che la stava costringendo a fare a pugni con il proprio desiderio di scoprire il sapore delle sue labbra e il calore e la sicurezza delle sue forti braccia.

«In paese mi conoscono tutti, nessuno mi farebbe mai del male» rispose con decisione, per quanto riuscisse a preservare lucidità e determinazione in una situazione del genere.

«Siete molto bella Kathrein, ma la vostra ingenuità potrebbe farvi molto male. Voi per loro, adesso, siete il nemico. Sarete presto promessa ad un tedesco, quasi sicuramente dell'esercito, e questo vi renderà vulnerabile agli occhi degli estremisti francesi che avanzano ancora pretese verso la Germania dopo il primo conflitto. Anche se non abbiamo più nulla da spartire con loro e non oserebbero mai mettersi contro un membro del reich, sono piuttosto sicuro che se trovassero un modo indiretto per colpire il generale Bergmann lo farebbero. Tuo padre ha molti nemici in Francia, anche tra le persone che ritenete fidate fräulein» dissentì l'uomo e nei suoi occhi Kathtrein poté scorgere la fermezza con cui gli ideali tedeschi erano stati instillati in lui. Parlava del Reich come un credo religioso.

Sembrava sapere o conoscere molte più cose di lei sulla sua stessa vita che si era costruita lì in Francia e ciò le provocava un senso di rabbia. Avrebbe voluto strappargli tutte le sue convinzioni tirandogli un pugno in faccia e urlandogli che conosceva quella gente e che nessuno di loro sarebbe mai riuscito a farle più male di lui che la stava portando via.

Poi Schulze si alzò e si allontanò da lei. Nel frattempo i fuochi avevano cessato di esplodere e una leggera coltre di fumo si propagava nell'aria quasi come nebbia invernale, mente la città ricadeva nel mutismo totale.

Kathrein tornò a respirare, anche se non s'era nemmeno accorta di sta trattenendo l'aria, e si accorse di aver sorretto, per tutto quel tempo, un macigno sul petto. Non seppe dire se fu senso di colpa o eccitazione, ma qualcosa in lei adesso la spingeva a cercare un altro contatto visivo con Schulze e implorava perché si trovasse di nuovo ad una distanza così minima con lui.

Tuttavia, e Kathrein non seppe dire se fosse una fortuna o meno, il maggiore era un uomo dalla calma placida e sembrava riacquistare la piena padronanza di sé in pochi attimi o, forse, non l'aveva mai persa. In fondo, era pur sempre un militare e non lasciava che le emozioni prendessero il sopravvento sulla sua disciplina ferrea.

Pensò per un attimo alle sue parole "siete molto bella Kathrein" e immaginò che, se non avesse ricevuto anche lei una rigida educazione, sarebbe inevitabilmente arrossita.

Sebbene fosse abituata a ricevere questi complimenti da molti tedeschi per via del suo aspetto così naturalmente ariano, riceverlo da Alexandere fu quasi come riceverli da Diedrich.

Si disse, però, che quelli di Diedrich erano speciali proprio perché rari e detti solo se pensati, sentiti e provati sinceramente e con una purezza disarmante.

Diedrich non era noto per prodigarsi in convenevoli e lusinghe per via del suo atteggiamento tipicamente distaccato, ma quando lo faceva per Kathrein era il senso di appagamento e apprezzamento più grande che potesse mai provare.

«Vi consiglio di andare a riposare, fräulein. Il viaggio sarà molto lungo» senza proferire altra parola sparì oltre la porta della veranda e nel corridoio scuro della casa che portava al piano di sopra.

Così Kathrein decise di spegnere la candela sul tavolo e seguire il consiglio dell'ufficiale, ritirandosi in stanza poiché doveva ancora finire la valigia.

Mentre rientrava nell'abitazione la Bergmann ringraziò mentalmente l'architetto di quella casa che aveva progettato che le stanze padronali si trovassero al piano terra e, quindi, la sua camera e quelle di Ruth e Meredith si trovavano distanti da quelle dei due ufficiali al piano superiore.

Non che avesse paura. Lang, soprattutto, si era dimostrato gentile ed educato. 
Tuttavia voleva mettere quanta più distanza possibile tra sua zia e quei soldati.

Inaspettatamente si ritrovò a sperare che quelle ore passassero in fretta e che arrivasse subito l'ora di partire, per la sanità mentale di Ruth costretta ad ospitare due tedeschi nella sua casa.

Si convinse, mentre spingeva la porta della sua stanza e rimaneva per un po' ferma sull'uscio ad osservarla pensando che presto l'avrebbe lasciata per sempre, che era per sua zia che improvvisamente sentiva il bisogno di andare via con quei due uomini.

Non ammise mai a se stessa che, molto probabilmente, voleva solo rivedere Diedrich.

Si allungò verso il comodino e ne tirò fuori la sua collana. La osservò per un po' di tempo e immaginò il suo fidanzato nel momento della sua scelta. Era un tipo sbrigativo, quindi sicuramente non aveva impiegato molto tempo a farlo. Diedrich era così assurdamente spontaneo, nonostante i suoi atteggiamenti fossero calcolati e ben misurati, non faceva nulla che non lo convincesse a pieno.

La consapevolezza che più le fece piacere, ora che si ritrovava ad accarezzare i topazi incastonati tra i diamanti lucenti, fu il fatto che mentre lui la sceglieva la stesse pensando. Aveva immaginato i suoi occhi nella sua mente e, questo gesto di affetto, seppur assolutamente usuale nelle coppie normali, in uno come Diedrich significava molto. Occupare i suoi pensieri, anche solo per breve tempo, indicava totale lealtà e fiducia per un uomo come lui.

Sorrise inavvertitamente e si sentì in colpa per quello che stava quasi per succedere nel portico poco prima. Il pensiero che anche Diedrich potesse trovare distrazioni in altre per la noia o per la distanza le fece male come una pugnalata dritta al petto.

Poi si convinse che una volta che si sarebbero rincontrati, nonostante i suoi dubbi e le tentazioni, sarebbe tutto svanito nel nulla.

La sensazione di intorpidimento al cuore sarebbe svanita e avrebbe ripreso il naturale corso delle sue cose, confermando i suoi sentimenti per Diedrich e la voglia di costruire qualcosa insieme.

Sorrise un'ultima volta guardando la collana e la ripose con cura nella valigia in fondo al sicuro da tutto, quasi a volerla proteggere da chi minacciava di minare il loro rapporto già instabile.

Con quei pensieri finalmente si coricò, cadendo in un sonno senza sogni. 
 

Stazione ferroviaria di Parigi, 2 settembre 1939 ore 08:45

Quando si svegliò il giorno seguente Kathrein si rese conto che i suoi bagagli erano già stati portati alla stazione dai due ufficiali che, come le aveva detto Josel, erano usciti a sbrigare chissà quale controllo

Quando si svegliò il giorno seguente Kathrein si rese conto che i suoi bagagli erano già stati portati alla stazione dai due ufficiali che, come le aveva detto Josel, erano usciti a sbrigare chissà quale controllo.

Pur essendo molto distante dalla casa di sua zia, non fu difficile per Kathrein e Meredith raggiungerla con una macchina predisposta da Ruth.

O meglio, la ragazza si trovò a constatare che era stato molto più facile raggiungere la stazione che farsi lasciare andare dalla governante.

L'abbraccio della donna, infatti, minacciava pericolosamente di stringerla in una morsa soffocante e la tristezza nei suoi occhi tradiva il sorriso che si sforzava di ostentare.

Sapeva che avrebbe voluto piangere e, se l'avesse fatto, per Kathrein sarebbe stato molto più doloroso salire su quel treno.

Tuttavia, l'orario della partenza arrivò e, salutando per l'ultima volta Meredith, raggiunse Schulze e Lang che l'attendevano pochi passi più in là.

Rimase comunque in disparte quando notò che stavano parlando con un ragazzo. Più che parlare, però, le sembrava stessero inveendo e l'espressione timorosa del ragazzo con il capo chino la spinse a intervenire.

«Maggiore Schulze che succede? Dobbiamo sbrigarci, tra poco il treno partirà» disse con molto più coraggio di quanto si aspettasse. Mettersi in mezzo ad un militare e al suo lavoro era una mossa azzardata e con Diedrich non l'avrebbe fatto nemmeno in punto di morte.

Tuttavia aveva avuto modo di capire da quelle poche conversazioni che Schulze fosse un uomo più elastico e che accettasse la vena sottilmente ironica delle cose.

Il fatto che un uomo così pacato, e al tempo stesso rigidamente portatore degli ideali di violenza e distruzione dei nazionalsocialisti, perdesse le staffe in quel modo avrebbe dovuto intimorirla più di tutto e indurla a restarsene al suo posto.

Quando si accorse, però, che il ragazzino verso cui facevano pressioni era il figlio di Antoine, di appena diciassette anni, si rese conto che si sarebbe intromessa anche se ad interrogarlo fosse stato Diedrich in persona.

Era affezionata ad Antoine e aveva avuto modo di avere a che fare con suo figlio quando le portava la frutta a domicilio e non accettava mai, se non di costrizione, una ricompensa molto più di quella dovuta da parte della ragazza.

«Non partirà nessun treno fin quando questo bastardo non avrà parlato» il sibilo dell'uomo tagliò corto ogni frase e fu pronunciato con una tale durezza e freddezza da non ammettere repliche.

Josel accanto a lui non proferiva parola ma sembrava ugualmente spazientito e al tempo stesso preoccupato.

Tuttavia Kathrein non indietreggiò al tono tagliente di Alexander e imperterrita continuò a indagare per capire cosa avesse combinato il figlio di Antoine per trovarsi in quella situazione.

«Joachim di cosa stanno parlando gli ufficiali? Che hai fatto?» chiese con una dolcezza di cui non sapeva di essere capace. Non era mai stata abituata ad esternare i suoi sentimenti e le sue emozioni non si erano mai tramutate in gesti e parole, nemmeno con Diedrich.

Qualche volta, aveva lasciato che il cuore prendesse il sopravvento sulla parte razionale di sé. Ciò, però, era accaduto solo con sua zia di cui sapeva di potersi fidare ciecamente e con la quale sentiva di poter spogliarsi completamente dalla sua fredda impostazione emotiva.

Quel ragazzo, però, era appena un bambino quando l'aveva conosciuto e, in qualche modo, il fatto che l'avesse visto crescere la induceva a prenderne le difese da quegli uomini in divisa che così irati sembravano nati per asservire il diavolo in persona.

«Mademoiselle Kathrein perdonatemi, io...io n-non volevo»

Il tremolio vistoso del suo corpo impediva alle sue labbra di parlare senza balbettare e ciò intenerì Kathrein al punto da fare un passo in avanti verso di lui.

«Rimanete dove siete» più che un consiglio quello di Schulze era un vero e proprio ordine. Un avvertimento che, nonostante fosse pronunciato con risolutezza, trasudava minaccia e ammonimento.

«E tu parla» la veemenza che aveva utilizzato l'ufficiale costrinse il ragazzo a serrare gli occhi in un moto di paura e ad indietreggiare, ma Lang lo bloccò malamente per le spalle e lo respinse in avanti facendolo incespicare sui suoi stessi passi.

«Dimmi dove l'hai messa o ti taglierò la lingua e sbatterò in gattabuia la tua famiglia per il resto dei loro miserabili giorni» non c'era alcuna traccia di pentimento sul viso dell'uomo dopo aver pronunciato quelle parole e Kathrein cominciò a temere davvero per l'incolumità di Joachim.

Josel nel frattempo salì sul treno che l'avrebbe riportata a Berlino e Kathrein avrebbe voluto seguirlo per capire cosa stesse succedendo, ma Schulze la intimoriva troppo per lasciare solo quel povero ragazzo.

Se non avesse fatto qualcosa per aiutarlo e se lui avesse continuato a non fornire le informazioni di cui i due militari sembravano avere così tanto bisogno, si sarebbe cacciato in guai ben più grandi di quello in cui già si trovava.

«Signore io non so cos-»

«DIMMELO» l'urlo dell'uomo fece sussultare tutti i presenti e qualsiasi brusio si zittì improvvisamente su quella piattaforma.

Nessuno osava mettersi in mezzo e Kathrein notò che molti non avevano neanche il coraggio di guardare l'uomo che aveva perso la calma in quel modo.

Si chiese se fosse così, se sarebbe sempre stata così la sua vita. Si domandò se sarebbe sempre stata costretta ad assistere ad umiliazioni di quel genere e se dovesse restarsene in silenzio in eterno mentre vedeva qualcuno che conosceva sopportare simili soprusi.

«Alexander...» non ebbe neanche il tempo di rendersi conto di averlo chiamato per nome perché l'uomo alzò un dito nella sua direzione e quel semplice gesto la fece sentire totalmente disarmata.

Lo sguardo di freddezza che le aveva rivolto le bastò a comprendere qual'era il suo posto e fu una tacita intimazione a farsi da parte.

Non si diede per vinta e fece per rispondergli, quando Josel però scese dal convoglio non c'era più nulla che potesse fare per difendere l'innocenza di Joachim.

A passo di marcia l'ufficiale si avvicinò al suo superiore e gli consegnò tra le mani un pacchetto di polvere bianca. Era polvere da sparo, non c'erano dubbi.

«Si trovava nelle caldaie herr, non appena il treno avrebbe raggiunto una determinata velocità e il termostato sarebbe salito al di sopra di una certa temperatura sarebbe esploso»

Kathrein sbattè più volte le palpebre disorientata e guardò Joachim in cerca di spiegazioni, ma il ragazzo aveva abbassato il capo in segno di colpevolezza.

«Dimmi chi ti ha dato quella polvere o giuro sul führer in persona che dovrai cercare i resti della tua famiglia bastarda in fondo ad un precipizio» la minaccia dell'ufficiale fu ancora più spaventosa quando prese il ragazzo per il bavero della giacca e lo sollevò, senza alcuno sforzo, di qualche centimetro da terra.

La vena pulsante del suo collo ne alterava i tratti nordici solitamente raccolti in espressioni di stasi e algida compostezza.

«Credo non ci sarà bisogno, maggiore» osservò Josel con una calma invidiabile, segno di lunghi periodi di esposizione al dolore e alla sottomissione dell'addestramento militare.

Kathrein, dopo aver notato che la presa del soldato sulla giacca del ragazzo si allentava, guardò nella stessa direzione dei loro sguardi e scorse un viso famigliare.

Per un attimo sentì la terra venire meno sotto i suoi piedi, aprendo un vortice e risucchiandola nei precipizi più oscuri e insidiosi.

«Antoine» fu l'unica cosa che riuscì a dire all'anziano signore con cui aveva intrattenuto in otto anni molte conversazioni, condividendo storie e chiacchiere.

Ma questi, con una cattiveria che solo pochi altri avrebbero potuto superare, cominciò a scaricarle addosso insulti e frustrazioni con un impeto travolgente che Kathrein non seppe giustificare.

Non aveva mai fatto del male alla sua famiglia ed erano sempre stati buoni amici per lei e sua zia Ruth quando si recavano al mercato. Davvero non riusciva a capire cosa potesse aver smosso una rabbia così grande.

«VOI NON SIETE BEN ACCETTI QUI. VOI STUPIDI TEDESCHI SIETE LA ROVINA DEL MONDO, CI CONDURRETE DI NUOVO SUL BARATRO. DOVETE MORIRE, A COMINCIARE DA VOI PUTTANE NAZISTE» le urla dell'uomo, però, le sembravano sempre più lontane man mano che veniva portato via da due poliziotti francesi che tentavano di sedarlo con calci e pugni.

«Lang, assicurati che quell'uomo e suo figlio passino in prigione il resto delle loro stupide ed insulse vite. E che le loro donne siano ricoperte di vergogna e costrette a supplicare per trovare qualcuno che le offra un lavoro degno di essere chiamato tale»

«Jawhol, herr Schulze»

Josel si allontanò da loro e seguì la direzione che avevano preso i poliziotti con i due uomini.

La condanna di Joachim, che era evidente fosse stato costretto da suo padre, sembrò esagerata a Kathrein e avrebbe voluto ribattere qualcosa perché essere condannati al carcere a vita a diciassette anni era una disumanità.

Tuttavia era ancora troppo sconvolta e la reazione di Schulze le imposero di rimanere in silenzio, almeno per il momento.

Aveva ancora nella mente l'odio di Antoine. Era scritto nei suoi occhi iniettati di sangue e sembrava non placarsi o trovare appagamento.

Il pensiero che un uomo che aveva ritenuto la cosa più vicina ad un padre avesse tentato di ucciderla con un attentato organizzato e che avesse coinvolto suo figlio di soli diciassette anni, la colse come uno spaventoso incubo che torna a cercarti ogni notte.

Avrebbe preferito non sapere. Avrebbe preferito morire su quel treno e non conoscere mai il suo assassino. Avrebbe voluto non portarsi dietro per sempre il peso di quel risentimento nei suoi confronti, ingiustificato, e il ricordo di quello sguardo folle.

«Nessuno in paese vi farebbe del male vero, Kathrein?» il tono di freddezza utilizzato da Schulze la schiaffeggiò con potenza, costringendo a piantare i suoi occhi lucidi in quelli adesso calmi dell'uomo.

Non capiva come potesse essersi già tranquillizzato dopo una sfuriata simile. Qualcuno aveva tentato di ucciderla, o meglio, di ucciderli. Nonostante quella consapevolezza, lui riusciva ad avere la lucidità di rinfacciarle le parole della notte precedente.

«E voi siete venuti prima perché lo sapevate già, non è vero maggiore Schulze?» l'accusa mossa da Kathtrein fu azzardata ma del tutto giustificata e la rabbia che covava in sé la spinse ad avvicinarsi a lui con passo deciso, nonostante il tremore delle mani dovuto allo spavento la rendevano più fragile di quanto volesse sembrare.

«Lo sospettavamo. Perché è questo il mondo, fräulein Kathrein. Ci sono molti bastardi in giro che verrebbero personalmente all'inferno con noi tedeschi pur di assicurarsi che non arriviamo in paradiso. Ogni giorno quelli come noi rischiano la pelle, ma non la perdiamo perché non siamo così stupidi e ingenui da riporre la nostra vita nelle mani di qualcuno, nemmeno di chi crediamo possiamo fidarci. Vi consiglio caldamente di fare lo stesso dopo oggi» la durezza che aveva usato per risponderle era gravata su di lei come il peso di cento cavalli che ti travolgono.

Quell'uomo sembrava non provare nessuna emozione e il fatto che sarebbe potuto morire se non avessero scoperto la polvere nelle caldaie non lo scalfiva minimamente. Al contrario quell'evento pareva averlo ricaricato di una nuova freddezza ed empietà.

«State minando le mie opinioni, herr Schulze» proferì Kathrein assumendo una smorfia di ghiaccio.

Rapidamente cancellò dal suo viso ogni segno di destabilizzazione e guardò l'uomo con il mento alto e lo sguardo fiero. Aveva permesso fin troppo, per quella giornata, alle sue emozioni di emergere e non avrebbe più commesso ad un ufficiale tedesco di prendersi gioco di quell'unica debolezza che aveva avuto.

«Vostro padre mi ha dato degli ordini, io li sto solo eseguendo» affermò l'uomo mentre assottigliava lo sguardo, scrutandola quasi sino all'anima.

Kathrein si sentì, per la seconda volta nel giro di ventiquattro ore, saccheggiata dai suoi occhi così penetranti e un turbinio di sentimenti si scatenò in lei.

«Gli ordini di mio padre implicano darmi della stupida e ingenua?» sostenne con caparbietà il suo tono di sfida e si rese conto, dal pugno dell'ufficiale che si stringeva rivelandone le spesse venature, di star mettendo a dura prova la pazienza del militare.

«Il mio compito è proteggervi e sto svolgendo il mio lavoro, nonostante ciò preveda il dover sopportare le lamentele di una ragazzina ribelle e petulante. Quando saremo a Berlino, non sarete più un mio problema» detto ciò, la superò senza altre cerimonie e si accostò all'entrata del treno indicandole poi con un braccio di salire.

Kathrein, che non era mai stata ripresa per il suo comportamento, si sentì ferita nell'orgoglio e aspettò qualche secondo prima di seguire la direzione del braccio disteso dell'uomo.

Nessuno aveva mai avuto da dire sulla sua educazione solitamente impeccabile. Contrariamente, tutti solevano complimentarsi con Heinfried ed Elsbeth per la condotta e il contegno ammirevoli che avrebbero facilitato la sua unione con qualsiasi tedesco facoltoso.

Il fatto che Schulze l'avesse ammonita in quel modo creò un senso di dispetto in lei, al punto da pensare che fosse tanto bello quanto sconsideratamente irritante.

Si costrinse a salire sul treno e, guardandosi un'ultima volta indietro, diede addio a quei binari che tante volte l'avevano portata a Berlino e molte altre di ritorno a Parigi.

Quando anche il capitano Lang fu salito sul treno, questo iniziò ad avviarsi sulle rotaie.
Ad ogni fischio il convoglio emetteva sbuffi di vaporose volute grigiastre, che andavano dissolvendosi nella coltre nebbiosa del cielo plumbeo di fine estate che prometteva pioggia.

Kathrein rimase immobile ad osservare le case parigine di campagna che scorrevano via dalla sua visuale, confondendosi a macchia d'olio con il paesaggio rurale circostante.

Sospirò e appoggiò la testa al vetro appannato dalle goccioline di nebbia. Chiuse gli occhi come a voler assorbire il dolore, un senso di abbandono che la investì da capo a piedi e la fece sprofondare in un senso di sconforto.

Non avrebbe più rivisto quei luoghi e i suoi abitanti, anche se, soprattutto ora, era più che certa che loro non condividevano il suo stesso dispiacere. In fondo tutti, forse anche chi le si dimostrava amico per qualche assurdo motivo, l'avevano sempre e solo considerata "la bambolina tedesca".

Si ripromise di rilegare quella pillola amara nel dimenticatoio, perché nulla sarebbe potuto cambiare e nessuna di quelle persone avrebbe più fatto parte della sua vita.

Il profumo dei pini e degli alberi della città, però, sarebbe sempre rimasto tra i suoi ricordi più vividi e niente e nessuno avrebbe potuto cancellare o scolorirne i contorni.

Si concentrò sui suoi pensieri e si ridestò soltanto quando la porta del suo vagone si aprì, rivelando una donna dai boccoli color caramello e i profondi occhi nocciolati.

Fortunatamente suo padre aveva ritenuto sconveniente che viaggiasse nella stessa carrozza di altri due uomini, nonostante ufficiali dell'esercito. Ciò avrebbe potuto aizzare le additate delle invidiose ariane che, al suo ritorno, l'avrebbero indicata come una poco di buono.

Perciò fu predisposto che i due uomini viaggiassero nella sua stessa carrozza, ma in uno scompartimento diverso. In tal modo, solo uno stretto corridoio e due porte scorrevoli la dividevano dai due soldati e, seppur la distanza fosse davvero minima, colmabile in pochi passi, le bastò a farla sentire assolutamente in intimità con se stessa.

Non aveva visto molta gente sul treno quando era salita. D'altronde, aveva pensato, chi vorrebbe andare da Parigi a Berlino in un momento del genere? La criticità della guerra stava rapidamente prendendo piede in Europa e il conflitto ormai era dichiaratamente aperto.

D'altra parte, però, non si sarebbe neanche stupita se suo padre, gran maniaco del controllo, avesse impedito il viaggio a chi riteneva indegno di salire su quel treno insieme a lei. Sapeva quanto le sue convinzioni fossero assurdamente e follemente radicate in lui ed era a conoscenza anche dell'influente rete di agganci che intratteneva con le ferrovie francesi e tedesche per conto del Reich.

La donna prese posto di fronte a lei e, sebbene non scambiarono nemmeno una parola, le rivolse un sorriso cordiale che Kathrein si stupì di ricambiare così facilmente.

Viaggiarono per un po' in silenzio, fin quando la ragazza non le pose una domanda e la Bergmann scoprì piacevolmente di aver voglia di parlare con qualcuno, anche con una sconosciuta. Forse le sembrava la cosa più simile alla normalità che stesse accadendo in quel momento nella sua vita.

Scoprì molte cose di lei, in particolare che stesse tornando dall'Italia perché Mussolini aveva approvato le leggi razziali di Hitler e ne aveva a suo modo elaborate altre.

Qualsiasi ebreo straniero residente in Italia da una data posteriore al 1919 avrebbe dovuto abbandonare il suolo italiano e ritornarsene nella propria patria. E così stava facendo Hellen, una tedesca che si era allontanata dalla Germania prima che fosse troppo tardi ma che ora ci veniva rispedita con la forza.

Nonostante tutto Kathtrein poté notare una luce combattiva nei suoi occhi ed un buon umore che le invidiava con ogni parte del corpo.

Ben presto, però, la sua vita tornò a incombere sui pensieri di spensieratezza e svago quando la porta si spalancò rivelando l'ufficiale Schulze.

«Favorisca i documenti per favore» il tono utilizzato dall'uomo non ammetteva repliche e, seppur con riluttanza, la donna frugò nella sua borsa e gli consegnò quanto richiesto.

Schulze, che da quando avevano avuto quello screzio non le aveva più rivolto la parola, rimase qualche secondo con la testa china sui documenti. Dopo infiniti secondi rivolse lo sguardo verso la donna che aveva trattenuto il respiro per tutto quel breve lasso di tempo, che a Kathrein sembrò eterno, e il suo ghigno si impossessò del suo viso.

«La invito a seguirmi fuori da questa carrozza, signorina. Non può viaggiare con fräulein Bergmann»

«Herr ma io ho comprato il bigl-»

L'uomo appoggiò di prepotenza le mani sul tavolino che separava le due ragazze e il tonfo sordo delle tazzine di caffè che vi erano sopra risuonò inopportuno nello stretto spazio.

«Non è davvero un invito, prenda le sue cose e mi segua. Non dovrebbe nemmeno trovarsi su questo treno, ebrea»

Tale affermazione servì a confermare la sua precedente ipotesi: chi era degno di salire su quel treno era stato deciso da suo padre ed è per questo che le persone presenti erano davvero molto poche.

Questa imposizione di suo padre le sembrò una tale idiozia, come se un ebreo o qualcun altro avesse potuto trasferirle qualche sorta di malattia con la sola vicinanza.

Erano il Reich e il führer le vere malattie che l'avevano rovinata per sempre, ma questo non lo disse mai.

Vide la donna sparire dalla sua vista con un'espressione mortificata e Kathrein pensò fosse meglio così. Voleva evitare una sceneggiata come quella precedente alla stazione.

Abbassò lo sguardo sul tavolino di fronte a lei e notò che la donna aveva dimenticato una collana con uno strano ciondolo. Tuttavia non poteva fare nulla per riportarglielo, non sapeva nemmeno su quella carrozza l'avesse condotta Schulze. Perciò la custodì cautamente nella borsa e decise che gliel'avrebbe resa una volta rivista alla stazione a Berlino.

Ripiombò nei suoi pensieri e, poco dopo, si addormentò stremata dall'ansia e dalle poche ore di sonno della notte precedente.

Ore 18:30

Quando si risvegliò, molte ore più tardi, il paesaggio fuori dal finestrino era diventato scuro e la sera si abbatteva sul treno librando nel cielo le sue luminose stelle dorate.

Avevano attraversato, ormai, tutte le campagne francesi e poi quelle belghe. Adesso Kathrein poteva scorgere i paesaggi germanici stagliarsi con imponenza sullo sfondo di una sordida tristezza interiore che cominciava pian piano a crescere sulla via di casa.

Si voltò e per poco non lanciò un urlo che avrebbe messo in allarme tutti i presenti sul convoglio.

«Sei sveglia finalmente, pensavo avremmo dovuto portarti in braccio fino a casa. Per quanto magra, non credo tu sia così leggerà» la risata sommessa di Josel la mise di buonumore, nonostante l'imminente vicinanza alla villa Bergmann.

«Potrei offendermi, dico davvero capitano Lang» proferì Kathrein con un broncio che, appena sveglia, sembrò molto più una smorfia senza senso.

«Mi scuso, signorina Kathrein. Vi chiedo umilmente perdono, so che ciò non basterà a risanare il vostro animo ferito. Ma vi prego di essere clemente e non condannarmi ad un plotone d'esecuzione» l'espressione di divertimento e la mano sul cuore del soldato la coinvolsero nella sua risata.

Ad ogni modo, dopo pochi secondi la risata di Kathrein si spense e i suoi occhi si concentrarono sulla figura dell'uomo di fronte a lei. Avrà avuto la stessa età di Diedrich e del maggiore Schulze.

Le piaceva parlare con Josel, la faceva ridere spontaneamente e aveva saputo distinguerla dalle altre ragazze con sole poche parole. Anche lei vedeva in lui qualcosa di diverso rispetto al comportamento meschino degli altri ufficiali che aveva avuto modo di conoscere.

Josel era risoluto come Heinfried, leale come Diedrich e strategico come Alexander. Eppure in sé, si ritrovò ad ammettere Kathrein, conservava ancora molti dei valori che anche lei sosteneva. La sua fede al Reich non era ciecamente folle, era giustamente dosata.

«Tu non sei come loro» ammise senza neanche accorgersi di aver pronunciato quelle parole davvero.

In quei giorni, sfuggendo alle regole della sua educazione, non rifletteva su ciò che diceva e le parole sembravano sempre arrivare alle sue labbra prima che potessero passare dal cervello.

Sebbene fosse stato poco più che un sussurro, il militare l'aveva sentita e si voltò verso di lei stranito. Sembrava non aver capito a chi si riferisse e la guardò ulteriormente divertito in cerca di spiegazioni.

«Sei diverso dagli altri ufficiali, intendo. Altri, come il maggiore Schulze, si farebbero condurre fino alla morte per il führer o per il reich. Tu hai il senso della misura, sembri sapere fino a dove poterti spingere prima di diventare mentalmente instabile come loro»

Ennesimamente, si accorse di aver parlato senza cognizione di causa. Nonostante vedesse in Josel una persona fidata, era comunque un militare votato al nazionalsocialismo e, quindi, sosteneva, se non tutte, almeno in parte le loro teorie. Ciò che aveva detto era una chiara esposizione dell'ostilità che provava verso Hitler e i gerarchi del suo sistema.

Trattenne il fiato, consapevole che si fosse spinta troppo in là e che quell'uomo avrebbe potuto denunciarla per alto tradimento e, a quel punto, nemmeno Heinfried avrebbe potuto fare qualcosa. Nemmeno Diedrich ed era più che sicura che, dopo aver parlato in quel modo della sua lealtà, non avrebbe fatto nulla per salvarla nemmeno se avesse potuto.

Josel indossò una maschera di ghiaccio e fece segno di avvicinarglisi con un dito. Tuttavia non sembrò ammattito dalle parole della ragazza. Poi parlò con tono di voce molto basso, che sarebbe potuto essere udito solo da lei e lui in quel vagone.

«Ognuno è fedele a qualcosa, Kathrein. Io tollero che ci siano credi e fedeltà diversi, non tutti potranno accettare di buon grado il terzo Reich. Io stesso all'inizio mi arruolai solamente per poter pagare le medicine di mio padre che era gravemente ammalato. Avevo sedici anni, oggi ne ho ventisei e posso dirti che in dieci anni non sempre ho condiviso le scelte del führer. Ma nella maggior parte dei casi sostengo la causa a cui ho giurato fedeltà» mormorò a poche spanne dal suo viso e poi si ritrasse sul sedile, consapevole di averle confessato qualcosa di davvero grande e importante.

Quello sarebbe bastato a mandarlo su un patibolo, ma nessuno ad ogni modo avrebbe dato peso alle parole di Kathrein se avesse deciso di raccontare in giro la vera ragione per cui il capitano Lang si fosse arruolato.

Comunque Kathrein non l'avrebbe fatto ed anche Josel sembrava esserne consapevole. Quella fu comunque una grande prova di fiducia per lei.

«Kathrein, dovresti essere molto più accorta quando parli in questo modo del Reich. Sopratutto con uomini come noi. Non tutti sono tolleranti o comprensivi, quasi nessuno» il sorriso che le regalò fu sincero e genuino. Kathrein pensò che fosse proprio il cenno di rassicurazione e protezione che stava attendendo da parte di qualcuno dopo che quella donna era uscita dal suo scompartimento.

Si sentì così in confidenza con Josel che, per un attimo, credette di poter vederlo aldilà di quella divisa militare e potersi gettare tra le sue braccia e allontanarsi per sempre dalla società ariana così terribilmente cieca e manipolata.

Quella svastica, però, restava cucita sull'uniforme e, in qualche modo, anche sulla pelle dell'uomo. Sebbene non fosse favorevole a tutte le scelte del nazionalsocialismo, le aveva confessato che per altre si sarebbe dibattuto fino alla morte anche lui.

«Tu hai mai eseguito un plotone di esecuzione?» la sua domanda uscì così, spontanea e impossibile da trattenere.

L'uomo scosse il capo e fissò fuori dal vetro, mentre i suoi occhi si assottigliavano per capire dove si trovassero. 
Doveva conoscere bene quelle campagne, pensò la ragazza ricordandosi poi che era proprio lì che avvenivano i primi addestramenti militari molti anni prima.

«Non ne ho mai comandato uno personalmente»

«E il maggiore Schulze?» chiese senza mettere freno alla sua lingua troppo lunga.

«Lui sì, ma come surrogato» rispose con noncuranza il ragazzo, mentre riportava lo sguardo sul suo viso.

«In che senso?» domandò ancora Kathrein con un'espressione evidentemente confusa.

«Di solito le esecuzioni vengono comandate dallo standartenführer Schneider. In sua assenza, il compito è assegnato al suo sotto grado il maggiore Schulze e, nel caso in cui non dovesse esserci neanche lui, toccherebbe a me» le spiegò con pacatezza l'uomo.

Sebbene la risposta fu molto esauriente ed esaustiva, lei si era fermata soltanto alla prima parte e, prima ancora che Josel potesse finire di parlare, si era ritrovata a sussurrare semplicemente un:

«Diedrich»

L'uomo la guardò interdetto, chiedendosi se lei lo conoscesse.

«Si, lo conosci?»

Oh sì. Fu quello che affermò la vocina nella sua testa.

Nonostante le dispiacesse dire una bugia ad un uomo che era stato così totalmente onesto con lei, decise di mentire. Se davvero non sapeva di lei e Diedrich, com'era ovvio che fosse per un militare che si limitava a svolgere le sue mansioni senza interessarsi ai gossip e alle relazioni dei suoi colleghi, avrebbe potuto sfruttare la situazione a suo vantaggio per farsi dire qualcosa.

Solitamente sua madre e suo padre non le davano mai notizie effettivamente concrete del suo fidanzato e, sebbene pensasse che lo facessero per non ferirla o per proteggerla, il loro silenzio le faceva doppiamente male.

Tutti avevano troppa paura di ferirla, come se fosse stata fragile come una bambola di porcellana che si sarebbe potuta infrangere. Tuttavia il soprannome "bambolina tedesca" che le era stato attribuito in Francia, rispecchiava di più la sua freddezza ed era consapevole che nulla avrebbe potuto spezzarla, come le aveva insegnato suo padre. O almeno così credeva.

Se non avesse parlato del suo coinvolgimento emotivo con Diedrich, Josel certamente non si sarebbe preoccupato di ferirla con qualche dettaglio in più sul suo viaggio in Italia o su cosa stesse facendo in quel periodo.

Si stava cacciando in un grosso guaio, lo sapeva, ma la situazione gli imponeva quell'unica soluzione. Si sentiva male a mentire a Josel, ma aveva il diritto di sapere e adesso le veniva offerta un'occasione per scoprire di più.

«Kathrein tutto bene?»

«Cosa? Oh sì, sì certo. Comunque no, non conosco personalmente l'ufficiale Schneider. So però che era un uomo molto vicino a mio padre» assentì con un tono fintamente incurante.

«Lo è ancora» affermò il capitano.

Bingo, pensò Kathrein.

Josel, senza saperlo, le stava fornendo informazioni che bramava di sapere da molto tempo e con una facilità incredibile.

«E come mai allora non è a Berlino?» benché si sforzasse di apparire estranea ai fatti, la curiosità trasudava dal suo tono e, senza accorgersene, anche il suo corpo si era leggermente proteso in avanti.

«Il generale Bergmann ha ritenuto indispensabile mandarlo in Italia per concludere affari estremamente importanti con Mussolini. Ad ogni modo, l'ufficiale Schneider ha la facoltà di prolungare la sua missione fino a quando lo desidera se lo ritiene necessario» la sua espressione apparve fin troppo divertita su quelle ultime parole e mise in guardia il cuore di Kathrein da una bella batosta.

I campanelli d'allarme che si erano attivati come sentori di sicurezza nella sua testa, però, furono ignorati dalla ragazza che, sebbene sentisse una voragine aprirsi nel suo stomaco, chiese di più.

«Quindi è l'ufficiale a non voler tornare?»

Josel scoppiò a ridere e, nonostante non lo facesse di proposito, Kathrein lo trovò fastidioso.

«Chi non vorrebbe soggiornare quanto più a lungo possibile in Italia, Kathrein? Quel paese è il paradiso. Buon cibo, buona musica e soprattutto belle donne. Alcuni in giro dicono che l'ufficiale Schneider se la spassi tutte le notti con Edda, la figlia del Duce. Ma che molte altre donne fanno follie per presentarglisi e catturare la sua attenzione. Le donne italiane sono molto furbe, ma anche ingenuamente attratte dalla divisa e non le biasimo per l'attrazione che provano verso un uomo potente come lui. Ad ogni modo sono solo voci e non me ne interesso più di tanto, ma ho conosciuto molto bene Diedrich e non mi riuscirebbe così difficile credere che siano vere»

Quelle parole furono la pugnalata più dolorosa che le fosse mai stata inferta e la destabilizzarono così tremendamente da farla sentire svuotata. Il rumore dei cocci del suo cuore che si infrangevano le fece capire perché i suoi genitori avessero paura di ferirla.

Ad ogni modo, si chiese se suo padre sapesse di questa voce. Ma era ovvio che fosse così e, sebbene spesso Diedrich stesso le aveva detto di ritenere indegno il comportamento indecoroso di molto ufficiali che andavano a letto con chiunque, aveva terribilmente paura che quella voce non fosse solo una diceria.

Ogni storia ha un fondo di verità e non nasce dal nulla più assoluto. A suo padre non importava che il suo onore venisse così umiliato o semplicemente il loro fidanzamento non era stato ancora ufficializzato perché sia lui che Diedrich sapevano quanto l'astinenza di un uomo in viaggio potesse prendere il sopravvento? Anche Heinfried aveva tradito sua madre nei suoi lunghi viaggi lontani da casa?

Il pensiero le rivoltò le budella e la costrinse a stringere un pugno lungo il fianco. Il rumore delle unghia che graffiavano il sedile risuonarono nell'esiguo spazio.

Così Diedrich aveva avuto già la possibilità di tornare e non lo faceva per una donna?

Alcune lacrime minacciavano di uscire dai suoi occhi, ma fu ben attenta a nasconderlo o avrebbe dovuto dare spiegazioni a Josel ed era l'ultima cosa di cui aveva bisogno.

Forse l'aveva dimenticata? Forse amava quella donna più di come amava lei? Ammesso che l'avesse mai amata. Forse era per quella Edda che non tornava da lei? L'aveva così tanto stregato dal convincerlo a stare lontano dalla sua amata patria per così tanto tempo? Ed i suoi stupidi regali costosi cosa erano valsi per lui? L'unico valore che aveva attribuito a quella collana erano i soldi spesi e nessun sentimento?

Quel vortice di domande martellava insistentemente e tutte insieme nella sua testa, senza trovare risposte o darle il tempo di formulare un pensiero concreto. Si impose comunque di rimanere calma e mantenere un certo contegno, non si sarebbe dimostrata debole a nessuno.

Lei aveva mantenuto la promessa, l'aveva aspettato. Sebbene il ricordo della conversazione avvenuta quella notte con Schulze l'avesse fatta sentire in colpa per molte ore, adesso le sembrava una così sciocca banalità.

Le sembrò sempre più strano che Diedrich adottasse atteggiamenti indecorosi solo per una donna e, questo, la ferì di più. Il fatto che per amore di una donna mettesse da parte la sua regale durezza militare la colpì come una frustata in pieno viso. Per lei non avrebbe mai messo da parte il suo lavoro, non l'aveva mai fatto.

Ipotizzò, comunque, che Diedrich avrebbe potuto avere un duplice motivo per andare a letto con una, ammettendo che fosse l'unica, donna.

La prima era quella a cui aveva già pensato, cioè che l'astinenza l'aveva spinto così profondamente tra le braccia di una donna di cui poi si sarebbe sinceramente invaghito.

La seconda, poi, fu quella a cui avrebbe voluto dare maggior credito. Diedrich non si sarebbe fatto scrupoli ad andare a letto con una donna per ottenere informazioni di vitale importanza per la sua Germania. Ad un uomo come lui non importava quanto oltre dovesse spingersi, purché ciò potesse ritornare utile al Reich tutto era lecito e concesso. Il fatto che si trattasse proprio di una donna così vicina al Duce diede speranza a questa congettura.

Sebbene ciò dovesse in qualche modo sollevarla dal fatto che lui non le fosse sinceramente interessato, il pensiero di un'altra che scopriva il corpo del suo fidanzato la devastò troppo per non ammettere già adesso di esserne innamorata.

Adesso, infatti, lo ammetteva a se stessa, prima ancora di rivederlo. Lei lo amava, ma ora a cosa sarebbe servita quella rivelazione per riparare alla crepa che inevitabilmente si era creata tra loro?

Quell'ammissione la fece sentire così ingenua e stupida per essersi fidata di un uomo come Diedrich. Forse il maggiore Schulze aveva ragione sulla sua mania di fidarsi di chiunque.

Adesso si sentiva come smascherata, debole e vulnerabile. Si impose, però, di aspettare la conferma di quella voce e, se si fosse rivelata fondata, avrebbe immediatamente chiuso il suo rapporto con Diedrich. Non importava quanto dolore le avrebbe causato o se i suoi genitori avrebbero tentato di ostacolarla, l'ultima parola spettava comunque a lei.

Poco dopo il treno si fermò e un sonoro fischio annunciò la fine di quell'interminabile viaggio.

Una volta scesa dal treno, si ricordò di Hellen e la cercò con lo sguardo. Non la trovò, ma decise comunque che avrebbe custodito la sua collana nel portagioie della sua stanza. Le vie del Signore erano infinite e, forse, un giorno l'avrebbe rincontrata nella grande e gelida Berlino. Nonostante il simbolo di quella collana non le dicesse niente, le sembrava di grande valore e, sicuramente, la sua proprietaria sarebbe stata dispiaciuta della sua perdita. Kathrein non si sarebbe mai permessa di gettarla via.



 

Si strinse nella sua pelliccia, combattendo il freddo che a Berlino aveva già investito la popolazione. Ammirò la freddezza regale delle case tedesche che poteva scorgere in lontananza e si disse che erano così diverse dal colore della campagna parigina.

Scacciò quei pensieri e si ripromise di non fare mai più simili paragoni. Per quanto nella, la sua avventura in Francia era terminata per sempre e adesso si sarebbe dovuta dedicare ai suoi doveri. Perciò si avvicinò ai due militari che l'attendevano.

L'ufficiale Schulze non le rivolse più una parola e, nonostante avesse dimostrato un certo interesse per lei all'inizio, adesso sembrava sollevato di aver quasi portato a termine il suo compito ed essersi quasi liberato di lei.

Quella consapevolezza le fece male e non seppe dire perché, ma la sua mentre la riportò alla foto con quella donna che aveva visto la sera prima quando gli aveva portato la cena. Forse non vedeva l'ora di rivedere la sua donna.

Un moto di gelosia la colse di nuovo, ma lo soppresse perché i tentennamenti erano l'ultima cosa di cui aveva bisogno in un periodo già così instabile ed incerto della sua vita.

Qualcos'altro, però, le fece ancora più dolore nel petto: Diedrich non era fuori dalla stazione ad attenderla con un sorriso, uno dei pochi sinceri che gli aveva visto riservare solo a lei, appoggiato alla macchina nera sempre lucida, come tutte le altre volte.

Forse, si disse, non l'avrebbe mai più scorto fermo ad attenderla sorridente in nessun'altra situazione.

Con quel peso sul cuore si avviò verso la macchina che li attendeva per riportarli nella tenuta della sua famiglia.

Respirò profondamente prima di salire sull'auto di ufficio, pronta a ritornare alla sua vecchia vita o, forse, a metterle un punto ed affrontarne una nuova.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


I segreti del Terzo Reich



Berlino, 3 settembre 1939

Il ritorno a casa non era stato poi così disastroso come Kathrein aveva immaginato.

Come previsto, sua madre aveva predisposto che fosse tutto impeccabile per il ritorno della sua unica figlia e suo padre si era visto poco e niente in giro. Troppo impegnato in affari importanti che lo rilegavano nel suo ufficio, a malapena aveva presenziato alla cena della sera precedente.

Ma a Kathrein andava bene così, ormai avevano troppo poco da dirsi e la lontananza aveva solo fortificato il ghiaccio tra di loro in quegli anni.

Ovviamente nessuna parola su Diedrich o sul loro fidanzamento era stata proferita e lei aveva preferito lasciar fluttuare nell'aria quella bolla di sapone che, prima o poi, sarebbe comunque scoppiata.

Il giardino sembrava risplendere di una luce nuova. Kathrein era immobile davanti alla finestra della sua camera e non poteva fare a meno di ammirare i giochi d'acqua sprizzati dalle fontane.

Un tempo, quando era solo una bambina, adorava correre in quello spazio così verdeggiante. Ricordava ancora la sensazione di libertà e leggerezza che la avvolgevano mentre correva in contro a suo padre quando tornava da lavoro o a sua madre che la osservava piena di premure seduta sul cornicione del lago.

Un giorno suo padre le aveva portato dei pavoni da un lungo viaggio in India e le aveva concesso di giocarci per qualche ora al giorno, a patto che dopo non facesse capricci per seguire le lezioni del precettore.

A Kathrein venne da sorridere a quel pensiero, rammentando quanto avesse infastidito quelle povere bestiole che, adesso, apparivano stanche e affaticate.

Il tempo non aveva risparmiato nessuno in quella casa e i cambiamenti erano ben visibili dai comportamenti di ciascun membro della famiglia Bergmann.

Heinfried non aveva più molto tempo da dedicare ai suoi doveri di padre e marito e negli anni, se Kathrein ne aveva attutito il colpo, Elsbeth ne era stata profondamente scossa e ciò aveva avuto ripercussioni sul suo modo di essere.

Aveva smesso di occuparsi dell'arredamento di una casa che sembrava condividere con nessuno se non con se stessa e la servitù. Aveva smesso di andare dal parrucchiere tre volte a settimana per compiacere un marito che neanche le prestava più attenzione.

Eppure non molto tempo prima, Heinfried aveva amato sua madre con un'intensità di cui Kathrein non lo riteneva nemmeno capace. Sebbene il loro matrimonio fosse già assicurato da un contratto siglato tra suo nonno ed Heinfried stesso, suo padre aveva fatto di tutto per conquistare anche il cuore di Elsbeth. Sua madre, da sempre considerata una delle donne più belle di Germania che spesso aveva posato per le propagande del Reich stesso, era capitolata ai suoi piedi e, da quel giorno, sparirono tutti i possibili pretendenti intorno a lei.

Non seppe dire con esattezza Kathrein per quale motivo tale sentimento così disarmante fosse svanito nel nulla, né perché una riserva naturale così pura come il loro amore si fosse esaurita e sfiorita nel vento.

Ad ogni modo, verso i suoi quindici anni, i loro rapporti avevano iniziato a raffreddarsi e Kathrein aveva visto sua madre rimanere bloccata in momenti nostalgici che non sarebbero mai ritornati.

Da quel poco che suo padre le aveva detto a cena, ricordò che quel giorno sarebbe arrivato un treno di soldati che rimpatriavano dopo lunghi mesi in Italia. Non aveva chiesto se fosse il reparto di Diedrich e lui non gliel'aveva accennato, ma in cuor suo sperò che fosse così.

Perciò, quel giorno, decise di vestirsi e recarsi in città, dove avrebbero alloggiato i militari in attesa di ricevere altri ordini e ripartire.

Guardò per un'ultima volta la servitù che si affaccendava a preparare il necessario per la festa che si sarebbe tenuta quella sera in onore del suo ritorno in società che, dall'estrema elaborazione dei preparativi, immaginava non sarebbe stata dimenticata molto facilmente.

A suo padre piaceva ostentare ricchezze e potere, senza limite alcuno. A sua madre invece i ricevimenti erano sempre piaciuti perché, nonostante trovasse estremamente false la maggior parte delle mogli dei colleghi di Heinfried, era una donna civettuola e sapeva di restare sempre la bella tra tutte loro per cui quegli stessi ufficiali molti anni prima avevano fatto follie.

Anche suo padre era stato, e tuttora lo era ancora, uno degli uomini più avvenenti di Berlino e dalla loro unione era nata Kathrein.

Benché lei si sentiva straordinariamente normale, era consapevole di essere bella e non avrebbe mai finto il contrario per ricevere complimenti. Lei non aveva bisogno di tali convenevoli.

Heinfriend, in particolare con l'ascesa del Reich e dei suoi stereotipi, aveva sempre mostrato sua moglie e sua figlia con una certa fierezza che se all'inizio le aveva fatto piacere, con il tempo le aveva fatto ricevere proposte indesiderate.

Sino a quando Diedrich non aveva deciso di mettere in chiaro a suo padre che voleva prenderla in moglie. O meglio, che avrebbe voluto officiare il loro fidanzamento. Ma in un'epoca come quella di Kathrein fidanzarsi davanti alla società equivaleva a sposarsi e giurare fedeltà ad un unico uomo.

Da quel momento la maggior parte dei pretendenti intorno a lei erano scomparsi e, nonostante alcuni persistessero perché all'oscuro del suo impegno con un uomo che avrebbe potuto annientarli con poco, lei era stata grata che non si sarebbe dovuta sposare con uno sconosciuto.

Kathrein, da sua madre, non aveva ereditato solo la bellezza e l'ascendente su uomini potenti, ma anche l'invidia delle altre donne. Eppure non si capacitava di come qualcuno potesse invidiare la sua vita.

Nonostante vivesse negli agi e nei lussi, sentiva gravare sulla sua coscienza i sacrifici dei contadini e operai tedeschi e ciò le bastava per immaginare di togliersi quelle sembianze troppo ariane di dosso e scappare alla ricerca di una vita diversa, più umile.

Ma per sua madre sarebbe stato un dolore troppo grande e suo padre avrebbe dato di matto e sicuramente avrebbe incolpato Elsbeth di non averle impartito una buona educazione e non essere stata una brava madre.

Nonostante Kathrein non avesse più la stessa intesa di un tempo con sua madre, non avrebbe mai permesso che fosse ulteriormente declassata nella vita di Heinfried così ingiustamente.

In realtà, era stato lui ad essere un padre pessimo ed un marito manchevole.

Il suo sguardo venne attirato da due persone che passeggiavano sottobraccio nel portico sottostante alla sua finestra.

Non fu difficile mettere a fuoco le due figure e, quando lo fece, il suo cuore perse qualche battito e cominciò a scalpitare secondo un ritmo irregolare.

Schulze sorrideva alla ragazza con una sincerità innegabile. In lei Kathrein riconobbe la stessa donna della foto, solo un po' più cresciuta.

Aveva visto Alexander sorridere in quel modo solo due notti prima, quando le era stato a così pochi centimetri di distanza. Evidentemente neanche lui, come Josel, era a conoscenza del suo fidanzamento con Diedrich o, semplicemente, non gliene importava molto dato che aveva già una fidanzata a Berlino da cui sapeva che presto sarebbe ritornato.

La consapevolezza che aveva soltanto messo in atto un giochino con lei la punse fastidiosamente e le fece salire un moto di rabbia.

O forse doveva prendersela soltanto con se stessa e con la sua ingenuità per avergli permesso di avvicinarlesi così tanto.

Chiuse di scatto le tende e decise di prepararsi per recarsi in città, dopo avrebbe scelto con sua madre cosa indossare quella sera. Festeggiavano il suo ritorno in società e Diedrich non era lì. Non che per lei quella festa avesse un senso, era solo una scusa per dare l'ennesimo ricevimento sfarzoso per la cui organizzazione Elsbeth sembrava dare corpo e anima. Ma, in fondo, era l'unica detenzione di potere che le era davvero rimasta in quella casa.

Quando si voltò notò che le domestiche avevano già riordinato la stanza e Marge, la donna che molti anni prima era stata la sua balia, stava spolverando il quadro sul camino.

«Vostra madre è molto bella» disse poi in direzione di Kathrein.

Marge non era mai stata pettegola ed era sempre stata al posto suo, ma non aveva mai fatto segreto della profonda ammirazione che provava per la signora Bergmann che con lei era stata una benevola e gentile benefattrice a toglierla dalla strada e darle un lavoro, proprio come zia Ruth aveva fatto con Meredith. Forse, si disse, nonostante l'austerità e la severa educazione, a dispetto di ogni crudele diceria sul loro conto, le donne della sua famiglia avevano questo istinto di protezione verso il prossimo.

Solo con il passare dei mesi e la morsa sempre più stringente della guerra, Kathrein si sarebbe accorta che questa caratteristica era connaturata anche nel suo DNA e, con un uomo intransigentecome Diedrich accanto, non sempre sarebbe stato considerato un pregio.

«Si lo è, mio padre è stato senz'altro un uomo astuto» assentì Kathrein mentre si avviava verso il suo armadio per scegliere cosa indossare.

Il fatto che si trovasse in vestaglia l'avrebbe messa a disagio davanti a qualsiasi persona della servitù, ma non davanti a Marge che l'aveva cresciuta e aveva assistito praticamente ad ogni cambiamento ed evoluzione del suo corpo.

«Anche vostro padre è un bell'uomo, signorina Kathrein»

«Non quanto lei» asserì Kathrein, indicando la foto del quadro che stava spolverando.

Heinfried, orgoglioso della bellezza di una donna che fra tanti aveva scelto di amare proprio lui e del fatto che fosse stata scelta da Hitler in persona molti anni prima per una campagna propagandistica sulla razza ariana, aveva preso gli scatti migliori del fotografo e aveva ordinato che le foto di sua moglie fossero disposte in ogni stanza padronale e nei salotti.

A Kathrein la foto che si trovava nella sua camera piaceva più di tutte le altre e adorava quando i crepitii del camino accendevano fioche scintille di luce sul viso di sua madre

A Kathrein la foto che si trovava nella sua camera piaceva più di tutte le altre e adorava quando i crepitii del camino accendevano fioche scintille di luce sul viso di sua madre.

Ciò la faceva sentire un po' più di quel calore materno che negli anni si era perso, a causa della disciplina che Elsbeth stessa aveva dovuto imporle.

Perse qualche secondo a rimirare il viso perfettamente scolpito di sua madre e la pelle candida che risaltava sotto la folta chioma bionda e gli occhi color ghiaccio.

Tuttavia il groppo in gola che le si era formato dopo aver visto Alexander con quella donna passeggiare amabilmente nel giardino della sua casa come se non avesse mai tentato di provarci con lei, premeva per uscire e rovesciare addosso all'ufficiale una marea di insulti.

Poi si chiese con quale diritto o con quale faccia avrebbe mai fatto una cosa del genere. Lei non era la sua fidanzata, anzi era la fidanzata di un altro e non poteva accampare nessuna pretesa nei confronti di Schulze per quella che, probabilmente, era stata solo una sua fervida immaginazione e nulla più.

Con quei pensieri, si tolse la vestaglia e si infilò nel tepore della vasca da bagno. Lasciòil suo corpo in ammollo per molti minuti e si strofinò la pelle per attimi che sembrarono eterni, quasi a voler grattare via la sensazione di impudicizia che la coglieva ogni volta che pensava a quell'uomo così enigmatico e misteriosamente complicato.

Poi si asciugò con cura e si fece aiutare da Marge a sistemare i capelli. A Kathrein piaceva essere sempre in ordine, ma tornata sotto lo stesso tetto di Elsbeth esserlo non era più solo una sua scelta ma un'imposizione.

Scelse cosa indossare e lo infilò senza troppi preamboli, mentre con il cuore si ritrovò a sperare che Diedrich fosse su quel treno di ritorno dall'Italia.

Si guardò un'ultima volta allo specchio e, dopo aver ispirato profondamente, aprì la porta e si avviò tra quei fitti e tortuosi corridoi che a Kathrein non erano mancati poi così tanto. Nemmeno i suoi genitori conoscevano ogni angolo di quell'enorme tenuta che, di generazione in generazione, era stata voluta dal trisavolo di Heinfried inizialmente come palazzina di caccia.

Vi erano molti nascondigli e sottopassaggi che nel tempo erano stati dimenticati e non più utilizzati. In molti di questi Kathrein si nascondeva per ore da bambina per sfuggire alle noiosissime lezioni di herr Koch.

Ricordava ancora quando quell'uomo corpulento e grassoccio, dalla statura troppo bassa per incutere timore o rispetto, si sistemava gli occhiali sul naso a patata e squittiva in direzione di sua madre che quello della bambina era "un comportamento inaccettabile". Lei si scusava mortificata ed esasperata andava alla ricerca della figlia.

Kathrein affrettò il passo e scese le scale quanto più velocemente fosse concesso a una donna del suo rango, desiderosa di raggiungere presto il centro della città e scoprire se Diedrich fosse tornato da lei e avesse saputo della festa per il suo ritorno.

Tuttavia qualcosa arrestò il suo incedere e la spinse verso la sala da pranzo, dove i suoi genitori stavano consumando la colazione insieme.

Un'allegria che Kathrein non seppe giustificare aveva preso il sopravvento sul religioso silenzio che di solito regnava tra Heinfried ed Elsbeth durante la consumazione dei loro pasti.

Sebbene suo padre stesse leggendo qualche notizia sulla testata del giorno, sua madre rideva in sua direzione e, questo, fece piacere alla ragazza che si fermò qualche secondo sull'uscio ad osservarli.

«Serviva il ritorno della vostra figlia preferita per riportare il buonumore in questa casa?»

Sua madre voltò il viso nella sua direzione e il suo sorriso si allargò ulteriormente. Kathrein non vedeva quella felicità sul volto di sua madre da ormai molto tempo.

Suo padre, invece, abbassò il giornale che stava leggendo e le dedicò la sua attenzione. Per Kathrein era già un enorme passo avanti, o meglio, un passo indietro agli anni in cui Heinfried trascorreva molte ore con sua lei.

«Sei la nostra unica figlia, Kathrein. Altrimenti ti assicuro che la mia preferenza non sarebbe ricaduta su te» ribatté scherzando suo padre, decisamente troppo propenso al positivismo quella mattina per non essere successo nulla.

«Allora sai essere simpatico qualche volta» constatò Kathrein, mentre suo padre la invitava con una mano a prendere posto accanto a lui e a fare colazione con loro.

Esitò un attimo, non avrebbe voluto perdere ulteriore tempo e recarsi in fretta nel centro speranzosa del ritorno del suo fidanzato. Poi, però, si convinse che era da molto tempo che desiderava un momento così spensierato e tranquillo con i suoi genitori e allora si sedette di fronte a sua madre.

Chi li vedeva avrebbe potuto tranquillamente scambiarli per una famiglia normalissima che faceva colazione. Ma i gradi sulla divisa dell'uomo seduto a capotavola minavano quella tranquillità e li spingeva su un piedistallo ammirato o detestato dal resto della società.

Tuttavia quei momenti le regalarono una spensieratezza che non credeva di poter più condividere con i suoi genitori, soprattutto adesso e suo padre fu molto loquace con lei.

«Kathrein, tesoro, dove stai andando?» domandò incuriosita Elsbeth quando notò che era vestita già di tutto punto a quell'ora del mattino.

Infatti, sebbene suo padre indossasse già l'uniforme, era molto presto e sua madre portava addosso ancora la vestaglia di seta.

«Volevo fare un giro per il centro, mamma. È molto tempo che non ci vado» rispose mentre si versava del succo d'arancia nel bicchiere.

Suo padre ripiegò il giornale e finì il suo caffè.

«Portati un mio uomo, non andare sola» disse solamente, prima di alzarsi e risistemare la sedia sotto al tavolo.

«Adesso ho molto lavoro da sbrigare, se vi serve qualcosa sono nel mio ufficio»

Posò un bacio rapido, nulla di convenevole o esageratamente prolisso, sulla fronte di entrambe le donne e poi sparì oltre la porta della sala da pranzo.

I domestici subito si affrettarono a sparecchiare il posto dell'uomo con efficienza. Sicuramente dovevano sbrigarsi per i preparativi di quella sera.

Kathrein, invece, afferrò una fetta biscottata ancora sbigottita e guardò sua madre che intanto sorseggiava una tazza di tè. 
Suo padre aveva davvero dato a entrambe il permesso di entrare nel suo ufficio?

«Come mai tutto questo buonumore?» chiese a sua madre.

Lei fece spallucce e semplicemente le spiegò:

«Ci sono buone notizie per la Germania dal fronte»

Il peso della realtà gravò di nuovo sulle sue spalle e ricordò che, oltre quel momento così fugace, Heinfried fosse un uomo devoto al Reich e che il suo umore dipendesse da quel dannato regime. 

«Ma certo» mormorò soltanto e sua madre non colse la nota sarcastica nella sua voce.

«Kathrein stasera ci sarà anche il führer» sentenziò sua madre quasi come se stesse parlando della reincarnazione di Dio in persona, mentre allungava una mano per afferrare quella di sua figlia.

«Stai tranquilla mamma, sarò impeccabile. Non mi sembra di avervi mai dato problemi» glacialmente finì quella conversazione che già iniziava a starle stretta e consumò il resto della sua colazione in silenzio.

Sua madre aveva già finito, ma era evidente che la stesse aspettando.

«Vuoi che venga con te in centro?» le domandò ad un tratto.

«Oh no mamma non ce ne sarà bisogno, devi assicurarti che sia tutto svolto con regolarità per stasera. E poi ho intenzione di passare dalla vecchia libreria e vedere se c'è qualche lettura che mi interessa» spiegò Kathrein con molta più enfasi del dovuto, sperando che sua madre non insistesse ulteriormente.

Non voleva passare l'ennesima giornata a fare compere in boutique costose.

«Se non ti va di andare fin lì, posso farti recapitare un catalogo della libreria qui a casa e potrai scegliern-»

Kathrein allungò di nuovo una mano ad afferrare quella di sua madre e, quando questa alzò lo sguardo, lesse sconforto nei suoi occhi.

«Mamma, ti prego. Ho bisogno di uscire. So che hai paura per me ora che siamo in guerra, ma non sono più una bambina e so badare a me stessa»

Seppur a malincuore, Elsbeth assentì e si lisciò le pieghe della vestaglia color rosa avorio. Poi si alzò e le rammentò di essere a casa non più tardi delle diciassette.

Ma Kathrein ci avrebbe messo di sicuro molto meno tempo a scoprire se Diedrich avesse fatto ritorno a Berlino.

Si diresse in giardino e constatò, con molto più compiacimento del dovuto, che il maggiore Schulze e la sua fidanzata non fossero più lì.

Da lontano scorse un viso famigliare e si avvicinò all'uomo che impartiva ordini ad un suo sottoposto.

Kathrein attese pazientemente che Josel finisse di parlare e, una volta che ebbe congedato il soldato, si girò nella sua direzione e le rivolse un sorriso radioso.

«Cosa posso fare per te, mia dolce e triste principessa rinchiusa in un castello fiabesco e solitario?» chiese con finta aria solenne, mentre inclinava leggermente il busto in avanti con aria melodrammatica e si esibiva in un gesto di riverenza con la mano sul cuore.

Kathrein scoppiò a ridere e gli diede una leggera spintarella sul braccio, ma l'uomo non perse l'equilibrio nemmeno un attimo e rimase immobile nella sua posizione.

«Sei davvero un buffone, Josel Lang. Ma devo ammettere che cercavo proprio la tua compagnia» proferì sorridente la ragazza mentre si avviava al suo seguito lungo il perimetro dell'intero giardino.

L'uomo camminava compostamente con le mani incrociate dietro la schiena qualche passo più avanti rispetto a lei e attendeva silenziosamente che Kathrein gli rivelasse il motivo per cui lo stesse cercando.

«Ebbene cosa posso fare per te, Kathrein?» chiese finalmente, voltandosi di nuovo verso di lei e togliendola dall'evidente imbarazzo di porgergli la domanda che l'aveva colta. Si fermò e rimase a scrutarla, attendendo che la ragazza prendesse coraggio e parlasse.

«Volevo chiederti se potessi accompagnarmi in centro. Volevo fare una passeggiata e qualche compera, ma mio padre mi ha imposto di farmi scortare da un suo uomo. Saresti così gentile da allietarmi questa crudele imposizione ed essere tu il fortunato prescelto?» propose Kathrein assumendo la stessa posa e lo stesso tono fintamente solenni e autoritari che aveva usato un attimo prima Josel.

«Kathrein mi dispiace, ma io e il maggiore Schulze dobbiamo andare in città a reindirizzare verso i momentanei alloggi i soldati che arriveranno tra poche ore»

L'espressione di Lang le sembrò sentitamente dispiaciuta, ma il momentaneo rammarico fece spazio alla sua curiosità e decise di approfittare di quella conversazione per scoprire di più.

«Non è un compito che spetta al loro comandante?»

«L'ufficiale Schneider pare abbia scelto di rimanere in Italia, non ha preso il treno con i suoi uomini. Alcuni dicono che non sono soltanto dicerie quelle sulla sua relazione con Edda Mussolini, ma puoi ben capire che non mi interesso della vita privata dei miei superiori»

Questa volta Kathrein non ne rimase scossa, era preparata all'eventualità che Diedrich non fosse su quel treno e prima di uscire dalla sua camera si era ripromessa di non farsi destabilizzare da tale notizia. Tuttavia il pensiero che fosse stato lui a scegliere di rimanere in Italia le lasciò un sapore di amarezza in bocca e nel cuore, perché nonostante non si vedessero da ormai più di sei mesi lui aveva deciso di non ritornare a Berlino da lei.

Stupidamente tentò di convincersi che non fosse al corrente del suo ritorno in Germania, ma poi scartò quell'idea e nella sua mente si riaffermarono con prepotenza le immagini di Diedrich tra le braccia di un'altra donna bella e avvenente.

«Kathrein, va tutto bene?»

Nella voce solitamente pacata di Josel la ragazza individuò una sfumatura di preoccupazione e, quando riportò lo sguardo davanti a sé, notò che la stava scuotendo come per farla riprendere da una sorta di trance.

«Cosa? Oh si, si certo Josel. Allora ci vediamo più tardi» dopo quel lieve mormorio, cominciò a muovere dei passi in direzione del portone. Non avrebbe più avuto motivi per recarsi in centro dopo aver ottenuto la risposta alla sua domanda e, in realtà, in quel momento non avrebbe trovato neanche valide ragioni.

Voleva semplicemente tornare nella sua camera e non uscirvici più sino al mattino seguente. Il pensiero di quella festa in cui sarebbe stata costantemente al centro dell'attenzione le pesò sullo stomaco e le fece venire voglia di sparire per un po' da quella casa.

«Non dovevi andare in centro?» la voce di Josel la richiamò e la costrinse a mantenersi ferma sulle sue gambe, ma roteò il busto di mezza posizione.

«Non mi sento molto bene, preferisco riposarmi un po' prima di stasera. Ci sarai vero?»

«E' la festa per il tuo ritorno, ovviamente ci sarò. Adesso vai a riposare, ci vediamo più tardi»

Scorse con la coda dell'occhio Josel che si infilava i guanti neri e raggiungeva Schulze che era comparso in quel momento alla fine del viale. Kathrein, involontariamente, si girò completamente per scambiare uno sguardo con quell'uomo nel quale poteva scorgere ancora desiderio e tentazione, nonostante la sua sfuriata mai chiarita, il ritorno a Berlino e la sua fidanzata.

Una volta che i due uomini furono fuori dalla sua visuale, oltre l'alta siepe del giardino Bergmann, percorse il tratto finale che la separava dall'ingresso.

Scivolò dentro e fece attenzione a non essere notata da nessuno. L'ultima cosa che desiderava era dover dare spiegazioni a sua madre sul perché non fosse più uscita.

Così camminò in punta di piedi fino alla sua stanza e quando ne fu all'interno, si buttò pesantemente e con molta meno eleganza del solito sul letto. Poi si addormentò.

Ore 08:00

Quando si svegliò un'ora più tardi decise di andare alla ricerca di suo padre e farsi dire quale sarebbe stato il suo primo compito in società e, nel caso in cui non le fosse stato bene, avrebbe potuto approfittare del suo buonumore per tentare di distoglierlo e convincerlo ad affidarle qualcos'altro.

Percorse di nuovo quei corridoi tortuosi e si diresse verso l'ala est del palazzo, scendendo poi le lunghe ed ampie scale per raggiungere l'ufficio di Heinfried.

Un uomo, però, le comunicò educatamente di aspettare che fosse suo padre ad uscire dalla stanza e darle il permesso di entrare.

Così si sistemò sul divano del salotto. Da quella posizione aveva una visuale perfetta della porta dell'ufficio dell'uomo.

Perse qualche secondo ad osservare un quadro raffigurante sua madre il giorno del suo matrimonio. Era molto più giovane e, benché fosse ancora una bellissima donna, i segni del tempo sembravano non sfiorarla minimamente.

Il lungo vestito a sirena fasciava perfettamente il suo corpo snello e le forme sensuali. Il suo sguardo sembrava puntato altrove e, in quella posizione, emanava fascino ed eleganza.

I capelli, che al tempo sua madre portava più lunghi di adesso, ricadevano compostamente sulle sue spalle in ciocche leggermente boccolose

I capelli, che al tempo sua madre portava più lunghi di adesso, ricadevano compostamente sulle sue spalle in ciocche leggermente boccolose. La scollatura vedo non vedo creava un drappeggio composto che scendeva sino in fondo al vestito, percorrendolo per intero. Kathrein si ritrovò a constatare che, nonostante fosse un abito realizzato dalla migliore sartoria di Berlino, non era il suo genere e non avrebbe mai scelto quella tipologia.

Spostò il suo sguardo sulla libreria lì accanto e si alzò per vedere se ci fosse qualche nuova lettura che non avesse ancora divorato. Quando si avvicinò agli scaffali, però, fu costretta a voltarsi al ticchettio di alcuni passi sul parquet. Non erano i tacchi di sua madre, li avrebbe riconosciuti perché avevano una cadenza ritmica e aggraziata che si intervallava con regolarità.

Quello sembrava un passo molto più lento e strascicato, quasi svogliato. Non fu difficile per Kathrein poi confermare che non fosse Elsbeth, poiché una donna perfettamente abbigliata e acconciata si presentò nel corridoio. Si lisciò le pieghe della gonna e portò una mano ad ordinare immaginariamente i capelli perfettamente raccolti.

Sentendosi osservata, si voltò nella sua direzione e lo sguardo che le rivolse fu puro ghiaccio. D'altra parte Kathrein non fu poi molto più amichevole, poiché osservò con aria di sufficienza il tentativo malconcio di abbellire il suo viso sgraziato con il trucco. Non era bella, o almeno non possedeva nessuno dei canoni ariani, ma trasudava un senso accattivante di seduzione.

Anche la donna sembrò guardarla con lo stesso sentore e pareva stupita di trovarla lì. Kathrein non seppe dire il perché, ma qualcosa la faceva sentire vicina a quella donna e al tempo stesso le intimava di starle lontana perché pericolosa. Forse era stato quello scambio di sguardi a instillare in entrambe la consapevolezza di essere simili e calcolatrici di fronte all'ignoto e agli sconosciuti.

Si fermò davanti alla porta dell'ufficio di suo padre e bussò tre volte. Questa volta l'uomo in divisa non la fermò come aveva fatto con lei e Kathrein vide la donna entrare nella stanza dopo che Heinfried le ebbe accordato il permesso.

Si indispettì non poco a quella constatazione e sbuffò sonoramente. Prese a camminare avanti e indietro per il corridoio e ciò non sembrò disturbare minimamente la guardia davanti alla porta che non la degnava nemmeno di uno sguardo.

Erano circa dieci minuti che aspettava di essere ricevuta da suo padre, mentre quella donna ci aveva messo il tempo di uno sguardo e tre tocchi sulla superficie di legno.

Non capì cosa avesse di così importante da comunicare quella donna ad Heinfried e soprattutto perché meritasse addirittura più attenzione della sua stessa figlia.

Prima della sua adorata bambina, Heinfried avrebbe ascoltato solo il führer in persona o qualcuno che era lì per suo conto. Così Kathrein si chiese se quella donna non fosse legata al Reich e se fosse per quel motivo che emanasse un tale senso di spietatezza ed austerità.

Un nuovo rumore di passi si insinuò nelle sue orecchie mentre sbuffava nuovamente. Questa volta parve infastidire il militare di guardia e ciò, infantilmente, la divertì. Non trovava nulla di più esilarante di vedere quegli uomini, solitamente imperturbabili, con un cipiglio contraddittorio. 

Ad ogni modo tornò a concentrarsi sul rumore pesante di anfibi che si abbattevano al suolo e si chiese se dovesse attendere ulteriormente che anche questo nuovo arrivato finisse di parlare con suo padre.

Rassegnata all'evidenza, tornò a sedersi compostamente sul divano e, dopo aver scelto un libro, si infittì nella sua lettura.

Solo quando il rumore fu ormai prossimo e l'uomo che fino ad allora era rimasto fermo sull'uscio sbatté gli stivali a terra per eseguire il saluto, facendola sussultare, decise di alzare lo sguardo e mettere a fuoco la figura dell'ufficiale che gli ordinava di rompere le righe.

Il suo cuore mancò uno, due, tre, indeterminabili battiti e, se non avesse conosciuto così bene la fisionomia del suo corpo, non l'avrebbe riconosciuto.

I capelli, meravigliosi crini biondi, erano più corti dell'ultima volta che l'aveva visto e qualsiasi accenno di barba era stato rasato ed estirpato via dal suo bel viso.

Il suo corpo sembrava aver acquisito ancora più possenza e virilità. Forse il duro allenamento e la rigida disciplina nel tempo non si affievolivano, bensì aumentavano.

Tuttavia non si concentrò molto sulle sue fattezze o sul suo viso perfettamente scolpito. Kathrein sentì solo un capitombolo di felicità riversarsi in lei. Nonostante tutto ciò che aveva potuto udire sul suo conto, lui era tornato e, anche se non fosse stato per lei, ne era ugualmente contenta.

Ad ogni modo, Diedrich non notò la sua presenza e Kathrein non fece nulla per attirare l'attenzione dell'uomo nel salotto.

Forse al momento non aveva tempo per lei e questo spiegava il perché si era recato prima nell'ufficio di suo padre o forse non voleva proprio vederla.

Represse quei pensieri e decise di aspettare ad incontrarlo per il semplice fatto che non avrebbe saputo nemmeno lei come reagire e a Kathrein non piaceva quel senso di incertezza.

Non era mai stata colta impreparata davanti ad una situazione e in poche occasioni si era ritrovata senza parole. Di solito nulla riusciva a far vacillare la sua personalità così ferrea e quando qualcuno ci riusciva preferiva prenderne le distanze, anche se si fosse trattato del suo fidanzato.

Anche lui sparì oltre la porta e quando questa si richiuse, Kathrein provò uno strano senso di soddisfazione al pensiero che non fosse più tra le braccia di Edda e al contempo un altro di sconforto al pensiero che fosse in quella stanza con quella donna che le pareva disposta a tutto.

Si avvicinò alla finestra e vide che un'auto nera di ufficio perfettamente lucidata sostava nel vialetto della villa. Sicuramente Diedrich era arrivato con quella e, seppur le sembrò strano che non fosse venuto con la sua, si chiese come mai l'autista non la parcheggiasse nella rimessa o non fosse andato via.

Avrebbe voluto avvicinarsi alla porta e fare qualcosa di vergognosamente inaccettabile: origliare e tentare di capire perché mai una donna assistesse ad un colloquio tra ufficiali. Ciò le confermò che avesse a che fare con gli affari tedeschi e, forse, Diedrich era tornato proprio per quell'incontro.

Tuttavia la guardia le rendeva il compito più complesso e allora decise di rimanersene buona e giocarsi bene le sue carte per capire cosa avrebbe dovuto fare con il suo fidanzamento.

Mentre rimuginava la porta si aprì e con delusione notò che si trattava della donna.

Anche lei sembrò non aver assorbito ancora il peso degli sguardi precedenti e le si avvicinò. Si sedette accanto a lei e, prendendo carta e penna dalla borsa, si piegò sul tavolino a scrivere qualcosa.

«Non è sbagliato sfruttare la propria bellezza e il proprio ascendente sugli uomini per ottenere quello che si vuole. È giusto che le decisioni politiche degli uomini più importanti di tutti i tempi vengano approvate anche da noi donne. Meritiamo un posto importante nella storia e tu mi sembri degna. Se avrai bisogno di consigli per sfruttare il tuo potenziale, sarò ben lieta di aiutarti. Mi troverai a questo indirizzo»

Poi come se nulla fosse stato detto, si alzò con grazia e andò via.

Kathrein rimase confusa da quelle parole e non capì a cosa si riferisse o perché le avesse offerto aiuto. Consigli per cosa poi? Sfruttare la sua bellezza per ottenere quale posizione sociale?

Abbassò lo sguardo sul biglietto e lesse soltanto "Wallis Simpson" e poi l'indirizzo dove evidentemente alloggiava. Nonostante non riuscisse davvero a capire se fosse soltanto un'arrivista che si era infilata nel letto di molti uomini per ricavarne i vantaggi, ripiegò quel biglietto e lo conservò nel libro che stava leggendo.

Appena rialzò gli occhi verso la porta, questa si aprì. Tuttavia fu nuovamente delusa, poiché fu suo padre ad affacciarvisi e dopo averle rivolto un:

«Tesoro pazienta ancora qualche attimo», l'uomo ordinò qualcosa a bassa voce al soldato di guardia e questo si allontanò per eseguire il comando.

Suo padre richiuse la porta e questa volta la sua tentazione di origliare, benché sbagliata, ebbe la meglio e non fu contrastata da nessuna guardia.

Accostò l'orecchio al legno e riuscì a cogliere solo le ultime battute della loro conversazione

«Ufficiale Schneider, sono informazioni estremamente delicate e importanti quelle che ci ha fornito la duchessa di Windsor. Capirà che non possono trapelare per nessun motivo al mondo. Il führer dovrà essere informato subito, ma non mi fido di nessuno»

Heinfried parlò con serietà e dalla pausa che fece tra una parola e l'altra, Kathrein capì che stesse fumando un sigaro e lo faceva solo quando qualcosa lo preoccupava. Ed era piuttosto raro che qualcosa turbasse un uomo come suo padre.

Si chiese chi fosse la duchessa e poi pensò a quella Wallis. A lei non mostrava l'aspetto regale di una nobile, almeno non di nascita.

Poi la voce del suo fidanzato arrivò alle sue orecchie come una cantilena dolce ed armoniosa, dopo tanti mesi che non la udiva e le restituì un pezzo di sé che non sapeva di non possedere da sei mesi. La sua voce la tranquillizzava e la rilassava nelle notti più tempestose e, nonostante fosse quasi sempre fredda, con lei assumeva tonalità più mansuete e l'aveva cullata per ore.

«Allora andrò io stesso, herr. Partirò immediatamente»

Kathrein sentì soltanto suo padre assentire e la conversazione fu chiusa. Si allontanò immediatamente dalla porta, quasi come se si fosse bruciata. Semplicemente né Heinfried né Diedrich avrebbero perdonato il suo ficcanasare in affari di stato e non voleva pagare la conseguenza della sua curiosità.

Forse era per quello che la macchina non era andata via. Diedrich sarebbe ripartito subito e non sarebbe passato nemmeno a salutarla.

Quella constatazione le arrivò come un pugno in faccia e la fece ribollire di rabbia, ma mantenne il suo contegno.

«Signorina Kathrein, cosa ci fate qui?» la voce di Marge che accorreva preoccupata all'espressione assente della ragazza la fece rinsavire.

«Marge vieni con me» affermò semplicemente la Bergmann mentre la afferrava per un polso e la trascinava delicatamente dietro di sé.

«Ma cosa succede, signorina?»

«Non fare domande Marge, fingi solo di avermi accompagnata a raccogliere delle margherite per il bouquet di questa sera. Per favore» domandò supplichevole e la donna acconsentì senza più replicare.

Aveva capito che Diedrich non avrebbe fatto visita nella sua stanza e, se lei non l'avesse visto, sarebbe rimasta nella convinzione che fosse ancora in Italia. Chissà quante volte in quei sei mesi aveva potuto far ritorno a Berlino senza che lei lo sapesse.

Probabilmente tornare in patria per passare del tempo con lei non era la sua priorità e questo le sembrò più che ovvio.  Non pretendeva di certo che un uomo come lui la anteponesse ai suoi doveri come gerarca nazista.

Ad ogni modo voleva che lui la vedesse e non avrebbe atteso fuori dallo studio, sperando che lui si accorgesse di lei e non avrebbe elemosinato le sue attenzioni.

Si sarebbe accorto di lei in modo più naturale. Così decise di passeggiare con Marge nel giardino, senza allontanarsi troppo dall'entrata della casa in modo tale che, una volta uscito, Diedrich l'avrebbe per forza notata.

Così, dopo qualche minuto passato a regolarizzare il battito del cuore che le saliva in gola, il suo piano poté attuarsi.

Diedrich uscì seguito da due uomini e marciava con decisione verso l'auto. I suoi anfibi schiacciavano pesantemente i ciottoli del viale e il suo sguardo indurito puntava davanti a sé e null'altro.

Quando alzò lo sguardo incontrò quello di Kathrein e fu una fusione totale di oceano contro oceano e di imperscrutabilità contro ghiaccio.

Nonostante tutto, i loro sguardi riuscivano ancora a parlare e Kathrein scorse nei suoi occhi tutto quello che aveva scorto quando tanti mesi prima si erano promessi di aspettarsi.

Il peso di quello sguardo che per tanti mesi aveva cercato e agognato servì ad annullare tutto intorno a lei e per lui parve lo stesso. L'uomo, infatti, si fermò qualche secondo lungo il viale e la osservò per interminabili attimi.

Sembrava volerle dire tante cose, ma non avere il tempo per farlo. Rimasero così, lontani ma vicini. Nessuno dei due mosse un solo passo verso l'altro, ma quello scambio di sguardi sarebbe bastato a colmare la mancanza di altri sei mesi.

Kathrein sperò con tutta se stessa che per un attimo Diedrich ritardasse il suo lavoro e le andasse in contro, chiedendole come stesse e abbracciandola dopo un lungo periodo lontani. Ma tutto ciò non successe e questo, intimamente, le fece molto male e la portò a pensare che probabilmente i pettegolezzi sulla sua possibile relazione con la figlia di Mussolini fosse vera.

Forse non l'amava. Forse se n'era accorto in quei mesi ed era stata proprio Edda a farglielo intuire. Forse adesso la guardava in quel modo perché, in fondo, anche lui riusciva a provare un po' di dispiacimento e senso di colpa per averla presa in giro in quel modo.

Ad ogni modo il momento della verità non era ancora arrivato perché Diedrich dopo aver annuito ed ordinato qualcosa ad uno dei due uomini dietro di lui, le lanciò un ultimo sguardo fugace e poi salì in macchina.

Eppure, quando questa si allontanò lungò il viale sino a sparire, non riuscì ad essere arrabbiata con lui per non averla cercata e per star ripartendo senza neanche averla salutata

Eppure, quando questa si allontanò lungò il viale sino a sparire, non riuscì ad essere arrabbiata con lui per non averla cercata e per star ripartendo senza neanche averla salutata.

Ammise a se stessa che quel semplice collegamento di sguardi per lei era stato più importante di qualsiasi altra cosa perché, in fondo, la sicurezza e la protezione che vi aveva letto dentro le bastavano ad avere molte più conferme di quelle che le sue tacite domande chiedevano e a pensare che niente e nessuno avesse scalfito il loro legame. O almeno così sperava.

Rientrò in casa più rincuorata e, forse, più fiduciosa in Diedrich e nell'amore che i suoi occhi promettevano.

_______________________________

Ciao tesoriii, eccomi qui. 
Volevo ringraziarvi per l'entusiasmo e il sostegno sempre più crescenti che state dimostrando a me e alla mia storia. Sono davvero contentissima che vi stia interessando e che il mio modo di scrivere vi piaccia. 
Ci sono due foto di come immagino Elsbeth e nella mia mente i suoi tratti si delineano nella bellissima Charlize Theron. Una foto risale al suo matrimonio con il padre di Kathrein, mentre l'altra è uno scatto propagandistico della razza ariana. Erano di uso comune certe campagne pubblicitarie durante il terzo Reich. Anche voi la immaginavate così?
Spero che la storia continui a piacervi,  
Bacini, 
HeyC❤️

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


I segreti del Terzo Reich


Berlino, 3 settembre 1939

Il resto della mattinata trascorse tranquillamente senza nessun altro avvenimento degno di nota.

D'altronde l'aver semplicemente scorto da lontano il suo fidanzato era bastato a scombussolarle l'intera giornata. Così immaginò di non essere pronta a sopportare nient'altro e per questo restò nella sua camera sino all'ora di pranzo.

Rimuginò a lungo su quei brevi attimi di sguardi e il pensiero di quelle ultime battute che aveva udito tra suo padre e Diedrich le rimbombarono a lungo nelle orecchie.

Le informazioni per cui l'ufficiale era partito in fretta e furia per Monaco non lasciavano nemmeno il tempo di un saluto ovviamente, pensò ironicamente Kathrein mentre si rimirava un'ultima volta allo specchio e chiudeva l'anta dell'armadio.

Aprì la porta della sua stanza e scese per pranzare con i suoi genitori ma, con disdetta, il buon umore di suo padre era già svanito nel nulla e seduta al tavolo c'era solo sua madre come di consueto.

Si accomodò comunque, decisa a non dare più un eccessivo peso alle cose che continuavano a deluderla. Rivolse un mezzo sorriso a sua madre che non ricambiò e lasciò che i domestici posassero il piatto davanti a lei.

Mangiarono in silenzio per quasi tutto il pranzo e, sebbene Kathrein la guardasse qualche volta di soppiatto, Elsbeth sembrava non essersi nemmeno accorta della presenza di sua figlia.

Così la ragazza, non essendo abituata ad essere ignorata, decise di smorzare l'aria grave che si annidava sulle loro teste.

«Mamma, potresti aiutarmi a scegliere cosa indossare stasera?» chiese tutto d'un fiato e, forse, in maniera azzardata.

Cosa le era passato per la mente? Non si sarebbe più liberata di sua madre e dei suoi consigli, o meglio imposizioni, per il resto della giornata. Eppure le era sembrata la cosa più sensata da dire, nel disperato tentativo di conservare un po' di quel legame che negli anni era andato irrimediabilmente perduto.

Elsbeth, visibilmente scossa da qualcosa, si limitò ad annuire senza neanche alzare la testa. Quello non era di certo un comportamento da sua madre.

Così Kathrein sbatté le mani sul tavolo molto poco decorosamente e più forte di quanto avrebbe voluto, facendo tintinnare l'argenteria e straboccare un po' d'acqua dalla caraffa posta tra lei e sua madre.

Eppure tra lei ed Elsbeth c'erano ostacoli ben più grandi e muri di silenzi indistruttibili, le cui fondamenta erano state cementate inesorabilmente con il tempo.

La sera prima aveva scritto a Ruth e l'aveva informata che il viaggio di ritorno, a parte qualche piccolo diverbio con l'ufficiale Schulze di cui aveva omesso nella lettera, era andato per il meglio.

Eppure avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare, pur per brevi attimi, tra le confortevoli mura accoglienti della casa di sua zia.

«Si può sapere cosa succede in questa casa? Sembra il quartiere generale di Hitler in persona, i soldati entrano ed escono senza che nessuno possa limitarli. Tu non mi rivolgi la parola e vaghi come un'automa per le stanze e non credere che non capisca che stai tentando di evitare mio padre. In più il suddetto mi nasconde anche dei ritorni del mio fidanzato» sbottò in modo molto più maleducato rispetto alla disciplina che le era stata impartita.

Si alzò dalla sedia, puntellando le mani sul tavolo e guardando con aria di sfida sua madre che, invece, sempre vestita della sua calma placida, la ignorava come fosse una mosca.

Esasperata dal suo silenzio decise di abbandonare la sala da pranzo e, a passo di carica, si avviò verso le scale.

Era troppo furiosa per poter udire quel flebile "spero che potrai perdonare tuo padre un giorno" che sua madre aveva sussurrato mentre lei usciva dal salone.

Il suo incedere era turbinoso e quando si scontrò con suo padre appena fuori dal suo ufficio, rischiò di fare un mezzo giro su se stessa e cadere di sedere per terra.

Tuttavia le braccia salde di Heinfried lo impedirono e l'uomo si aprì in una fragorosa risata che all'udito di Kathrein arrivò fastidiosamente derisoria.

Ad ogni modo suo padre si ricompose in pochi secondi e puntò lo sguardo nel suo con aria seria e risoluta, mentre scioglieva la presa sulle sue spalle e si aggiustava la giacca della divisa.

«Sei sempre stata un terremoto nonostante i disperati tentativi di tua madre di sedare la tua esuberanza, Kathrein»

Ma più che un ammonimento a Kathrein le parole di suo padre sembrarono sinceramente divertite. Il rapporto che aveva avuto con Heinfried anni prima era stato così meravigliosamente invidiabile da tutti. Adesso aveva qualche difficoltà a ricordare quei momenti e raramente si concedeva alla nostalgia di tempi scivolati tra le sue dita per sempre.

«Credo si sia arresa visto che non mi rivolge neppure la parola adesso» ribatté con vivacità, quasi a volerlo incolpare degli atteggiamenti di sua madre. In fondo era davvero un po' così.

Heinfried sembrò ignorare la frecciatina pungente e si scostò di lato, indicandole cortesemente il suo ufficio con un braccio.

Esitò un attimo pensando a quando aveva visto quella donna, le cui parole rabbrividivano ancora nella sua mente, entrare in quella stanza qualche ora prima. Non aveva avuto spiegazioni da nessuno su chi fosse e non si era fatta poi troppe domande a cui sapeva non avrebbe ricevuto risposte.

Varcò la soglia della porta e per un attimo si sentì spaesata, rendendosi conto di non essere entrata in quella stanza per molti anni. Quando era più piccola passava tutte le sue giornate lì a disegnare, mentre suo padre compilava scartoffie e le permetteva persino di rimanere anche quando doveva ricevere dei clienti.

Con l'avvento della cancelleria di Hitler, poi, i suoi affari divennero man mano sempre più importanti e, soprattutto, segreti. Per cui le orecchie di Kathrein, non più quelle di un'innocente ed ingenua bambina, non avrebbero più udito le conversazioni di suo padre e dei suoi colleghi.

Notò che nulla era stato spostato e tutto sembrava conservare il suo posto decennale. La scrivania in corrispondenza della porta dava le spalle ad una grande finestra da cui era possibile scorgere l'incantevole giardino dell'enorme maniero. Su quella stessa parete, poco più in là, un'imponente libreria composta da tre scaffali e molte mensole contenevano una quantità di letture che, man mano, Heinfried aggiornava e da cui spesso Kathrein aveva preso qualcosa in prestito.

Il tappeto figurale Qom, annodato a mano da sapienti artigiani indiani e ricco di dettagli raffiguranti antiche battaglie mitiche, si trovava ai piedi della scrivania e la separava dal  pregiato divano in legno di quercia. Davanti ad esso continuava ad essere disposto il tavolino sul quale Kathrein adorava disegnare e colorare.

Nel tempo aveva abbandonato quella passione per il disegno, come aveva fatto con tante altre, ma contava di riprenderle tutte in un giorno non troppo lontano. Magari quando la guerra sarebbe finita e la danza non sarebbe più stata considerata solo la disciplina di quelle donne che vogliono esprimere il proprio corpo attraverso atteggiamenti indecorosi e appariscenti, per lei sarebbe stato più facile riprendere.

Il resto delle pareti erano decorate con quadri appartenenti agli antenati di Heinfried e arazzi orientali. Sopra il camino, come su tutti quelli presenti nella residenza, vi era uno scatto di Elsbeth. Splendida e raggiante, quella era la prima volta che era stata a casa Bergmann e si trovava lì per ufficializzare il suo fidanzamento. 

Nonostante la bellezza e la spontaneità della fotografia, il quadro si stagliava in maniera sobria ed austera al centro della stanza

Nonostante la bellezza e la spontaneità della fotografia, il quadro si stagliava in maniera sobria ed austera al centro della stanza. Sembrava troneggiare gravemente e dominare lo spazio, catturando lo sguardo di qualsiasi spettatore.

Nessuno era mai stato indifferente al fascino esercitato così naturalmente da Elsbeth e, proprio come aveva ipnotizzato lo sguardo ammaliato di quell'uomo sullo sfondo della foto e di tanti altri uomini e quelli invidiosi di tutte le donne che l'avessero conosciuta, anche adesso a distanza di anni quella foto riusciva a suscitare in chiunque ammirazione e meraviglia. Il tempo, sebbene avesse indurito i suoi lineamenti, non aveva scalfito la bellezza eterea di Elsbeth e questa era stata tramandata alla sua unica figlia, con tutti i vantaggi e svantaggi che ciò comportava.

Tutto in quella stanza emanava lusso, raffinatezza e potere.

Si sedette compostamente sul divanetto e, non ricordando quanto fosse comodo, si crogiolò immediatamente e portò le gambe al petto, circondandole con le braccia.

Suo padre la guardò severamente e non tardò ad ammonirla verbalmente:

«Siediti compostamente come una signora del tuo rango, Kathrein»

Tuttavia la ragazza non si mosse di un centimetro. Tutt'altro, si strinse di più le gambe al petto e fece vagare il suo sguardo sul volto indurito di suo padre.

«Sto bene così» rispose semplicemente la ragazza, rimanendo poi in silenzio in attesa che suo padre le dicesse cosa desiderasse.

«Converrai con me che non è una postura raffinata ed elegante» ribatté Heinfried mentre si spalleggiava sulla sedia, aspirando del fumo dal suo sigaro.

«Papà stiamo davvero conversando sul mio modo di stare seduta? So quali atteggiamenti devo assumere davanti al resto della società, non preoccuparti di certo non ti farò fare brutta figura. Adesso vogliamo rendermi partecipe del perché mi trovo qui?»

La schiettezza di Kathrein fece sorridere suo padre che, con un sonoro sbuffo cacciò via il fumo, rendendosi conto che quella peculiarità caratteriale l'avesse ereditata da lui.

Si alzò dalla scrivania e prese qualcosa dalla libreria. Da un tomo grande e rilegato in pelle, estrasse alcuni fogli ingialliti dal tempo e li porse a sua figlia.

Asetticamente la ragazza allungò la mano e li afferrò senza alcuna tribolazione. I bozzetti che vide, però, la lasciarono confusa e la costrinsero a guardare nuovamente suo padre con aria interrogativa.

«Divise militari? Io non capisco...»

Ma prima ancora che potesse finire di parlare, suo padre spense il sigaro nel posacenere sulla scrivania. Poi si sedette accanto a lei e, mentre allungava un braccio sullo schienale del divano alle sue spalle, parlò pacatamente in modo tale che sua figlia intendesse tutto e alla perfezione.

«Con l'avanzare della guerra gli uomini e i giovani tedeschi che si arruolano sono sempre in aumento e ciò richiede un'organizzazione paramilitare decisamente più elaborata. Saranno istituiti nuovi gradi in tutti i corpi: SA, SS, Wehrmacht, Luftwaffe. Serviranno nuove divise con ulteriori differenziazioni di mostrine e spalline. Ciò permetterà una corretta suddivisione e subordinazione gerarchica necessaria e imprenscindibile»

Heinfried fece qualche secondo di pausa e poi riprese a parlare senza chiedersi se Kathrein lo stesse ancora seguendo, certo che la ragazza avesse capito già tutto.

In realtà Kathrein fu molto frastornata da quelle prime parole. Perché suo padre le stava parlando di questo genere di cose? Solitamente, come per Diedrich, il suo lavoro non era discutibile neanche su un piano lontanamente disinteressato. Per questo non fece domande e aspetto che fosse suo padre a rivelarle solo ciò che davvero voleva farle sapere.

«Non c'è molto tempo, Kathrein. Ora che i reparti militari pullulano di tedeschi ariani è necessario che vengano realizzati nuovi disegni per le divise. Sarà molto più facile se consegnassimo i bozzetti già pronti alla casa stilistica di Hugo Boss. Te la sentiresti di prendere in onere questo incarico?»

La domanda arrivò alla diretta interessata come uno schiaffo in pieno viso e questa ebbe qualche difficoltà a formulare qualche frase di senso compiuto. I pensieri si affollavano, inconciliabilmente e turbinosamente, uno dopo l'altro senza una connessione logica tra loro.

Erano questi i compiti di improrogabile necessità a cui doveva adempiere? Era per questo che suo padre l'aveva costretta a far ritorno dalla Francia? Era tornata a Berlino per svolgere questo genere di doveri nei confronti di un regime in cui non credeva?

Non seppe dire se le sue aspettative furono disattese oppure no. Aveva davvero creduto che il suo ruolo nella società, il ruolo di una donna, potesse essere impiegato in attività realmente influenti all'interno del Reich o, in fondo, aveva segretamente sperato di non dover contribuire troppo a quella macchina disseminatrice di follie e atrocità? Non si rispose per la seconda volta e mandò giù un groppone che premeva per ribellarsi e affermarsi in quanto donna e non solo oggetto di procreazione ariana.

«Padre sarei onorata dì poter contribuire alla causa, ma non credo di essere adatta a questo compito. Ho passato molti anni lontana dalla Germania e non conosco bene l'organizzazione militare e i suoi simboli nei vari gradi, e poi non disegno da molto tempo lo sapete bene» tentò una flebile opposizione che non aveva né testa né coda e lo sapeva.

Era intenzionata a riprendere a disegnare prima o poi, ma mai e poi mai si sarebbe immaginata di doverlo fare per quel dannatissimo regime dittatoriale in cui la presenza femminile era ridotta ad una mera presenza di margine.

«Sciocchezze» esclamò Heinfried mentre scacciava con una mano un fastidioso insetto inesistente davanti al suo viso. «Non c'è tedesca più adatta di te per questo compito. Sai disegnare meglio di chiunque altro e le divise non differiranno poi così tanto da questi modelli che hai in mano, cambieranno soprattutto le mostrine e le spalline come ti dicevo»

Suo malgrado quella di suo padre non fu davvero una domanda e si ritrovò costretta ad accettare quell'incarico pensando che, dopotutto, non fosse di certo il peggiore dei mali. Tra tutti i compiti ingrati che avrebbero potuto esserle affidati, quello era un'inezia che non minava la sua libertà e non la costringeva tra le mura di un matrimonio di razza. Almeno per il momento poteva preservare la sua indipendenza, per quanto vivere sotto lo stesso tetto di Heinfried lo permettesse.

Suo padre le spiegò pazientemente tutte le modifiche che sarebbero dovute essere apportate alle vecchie uniformi e Kathrein prestò attenzione ad ogni singola parola. Annotò alcuni appunti al margine di un foglio bianco in modo tale da non dovergli porre domande in seguito.

Quando ebbero terminato la ragazza fece per alzarsi e uscire dalla stanza. Tuttavia, la voce di suo padre la richiamò e, inaspettatamente, avanzo una proposta che arrivò piacevolmente a riscaldarle il cuore.

«Se vuoi puoi rimanere qui, a disegnare intendo. Un tempo ti piaceva»

Erano tempi così remoti che Kathrein non credeva neppure suo padre li ricordasse. Questa constatazione migliorò decisamente la sua giornata e, seppur fosse leggermente risentita con lui per non averle detto dell'arrivo di Diedrich, il suo invito a rimanere lì con lui le alleggerì il peso di quel compito così indigesto che doveva svolgere.

Così, senza dire null'altro, si risedette sul divano questa volta in una posizione più composta. Appoggiò le pagine bianche sul tavolo e accanto posizionò il foglio con le direttive di suo padre e i vecchi bozzetti a cui ispirarsi. Heinfried le porse una matita e una gomma da cancellare.

Iniziò a tracciare qualche tratto e poi vere e proprie linee, riscoprendosi più abile di quanto non lo fosse in passato. Si chiese come potesse esserlo visto che negli anni aveva tralasciato quel passatempo. Forse, come aveva sempre ribadito Elsbeth senza che nessuno potesse realmente contraddirla, quello di Kathrein nel disegno era davvero un dono.

Si impegnò e curò soprattutto i gradi delle mostrine e i simboli che contraddistinguevano ciascun grado militare.

Non seppe dire il perché prestasse così attenzione per un compito di cui in realtà non le interessava granché; ma il fatto che suo padre avesse affidato a lei un incarico per lui così importante, concernente il suo lavoro, la fece sentire considerata e più vicina a lui, sebbene non ne condividesse la causa, avrebbe fatto di tutto per poter essere ritenuta una figlia perfetta da lui.

Nonostante tutto, il parere e l'affetto dei suoi genitori, e in particolare di Heinfried, erano la prima cosa nella vita di Kathrein e l'importanza della famiglia, vista come nucleo fondante della società, era uno dei pochi concetti che sosteneva del Reich.

«Quanto tempo pensi che ci vorrà?»

Kathrein sussultò un attimo. Non si aspettava che suo padre le parlasse ancora, per quella giornata l'aveva fatto già troppo rispetto ai suoi standard. Così fu costretta a cancellare con la gomma bianca l'ultima linea tracciata, tremolante, e soffiò via dal foglio i trucioli grigiastri.

«Le divise sono di facile realizzazione e non differiscono troppo in uno stesso reparto militare. Contrariamente cambiano di molto quando si disegnano quelle di un altro corpo. Ad ogni modo credo sarebbe meglio mandare i disegni in sartoria un po' per volta, man mano che sono pronti. Non sono difficili da disegnare, ma sono molti reparti e decisamente tanti gradi per cui ci impiegherò almeno un paio di settimane» affermò la ragazza senza alzare lo sguardo, troppo concentrata nel disegnare una giacca delle squadre di assalto.

Suo padre annuì e la stanza ripiombò di nuovo nel silenzio, fin quando Heinfried non si decise a parlare ulteriormente.

«Stasera ci sarà anche il führer per il tuo ritorno in società» le comunicò l'uomo mentre continuava a compilare e firmare i rapporti dei suoi uomini.

«Si la mamma mi ha accennato qualcosa» mormorò in risposta Kathrein. Nonostante l'argomento non fosse dei migliori, di certo non uno dei suoi preferiti, decise di non farlo cadere poiché era la prima volta dopo tanti anni che lei e suo padre riuscivano ad intrattenere una conversazione per così tanto tempo. Così continuò: «Certamente non si sarebbe dovuto disturbare in un viaggio di così tante ore da Monaco solo per il mio ritorno in società»

Falsità e cortesia. Erano i due elementi imprescindibili che aveva imparato fosse opportuno adottare nella società tedesca di Berlino in quegli anni. Sia lei che Heinfried sapevano bene che la visita del führer non riguardava certo i semplici convenevoli.

Suo padre non le rispose e, seppur non le interessasse, sapeva che Hitler non si sarebbe di certo scomodato soltanto per quella festa. Sicuramente aveva altre motivazioni politiche che Heinfried aveva fatto in modo di far coincidere con il suo ritorno, così da riportare l'attenzione di tutta la Germania più influente sulla bellezza avvenente e tipicamente ariana di sua figlia.

Kathrein, pensò, che se il führer e i suoi uomini non avessero presenziato al ricevimento sarebbe stata una delusione per suo padre, ma di certo non per lei. Un flash le riportò alla mente lo sguardo folle e lascivo che tanti anni prima aveva letto negli occhi di quell'uomo e la paura di Geli che le chiedeva, mutamente e supplicante, aiuto.

Ricacciò indietro le lacrime e a quel punto la voce di sua madre, che la chiamava a gran voce per la casa, arrivò nitida alle sue orecchie. Sembrava essere furiosa per il ritardo mostruoso di sua figlia nella preparazione ed Heinfried non poté fare a meno di ridere davanti all'espressione esasperata della ragazza.

L'uomo guardò l'orologio al polso e poi posò lo sguardo su di lei, che nel frattempo stava sistemano i fogli in una cartellina che lui stesso le aveva dato.

«In effetti è tardi e dovresti andare a prepararti. Dovrai essere impeccabile, perché è la tua festa e sarai al centro dell'attenzione per tutta la serata» esclamò risolutivo Heinfried mentre si accendeva nuovamente il sigaro.

«Non vedo l'ora» sbottò ironicamente Kathrein, alzando gli occhi al cielo.

«Sei nata per questo» rispose semplicemente l'uomo e la conversazione sembrò essere terminata lì.

«Ah Kathrein, stasera ci sarà anche Himmler. Discuterai con lui i nuovi simboli da applicare sulle uniformi. Puoi andare»

Così Kathrein lo salutò educatamente e lui si limitò a fare un cenno con il capo, mentre assorto sembrava leggere qualcosa di estremamente importante tra le righe di quei fogli.

Sulla parete di fronte all'ufficio di suo padre l'orologio a pendolo segnava le diciannove e si rassegnò che sua madre dovesse essere davvero infuriata

«Dove diavolo eri finita, signorinella?» sbottò Elsbeth quando la incontrò nel corridoio. Le mani sui fianchi e l'aria corrucciata le conferivano una severità che, nel tempo, Kathrein aveva imparato a non temere più.

Fece per rispondere ma sua madre la zittì in anticipo con un gesto stizzito della mano. Poi la prese sotto braccio e si avviò con lei al piano superiore, per prepararla al meglio per il suo gran ritorno a Berlino. Tutti gli uomini sarebbero rimasti a bocca aperta e tutte le donne l'avrebbero invidiata. La figlia di Heinfried ed Elsbeth sarebbe stata considerata l'ariana più pura di tutta la società. Con quei pensieri, Elsbeth la condusse nella sua stanza. 

Ore 20:00

Circa un'ora dopo Kathrein era pronta, non che ci volesse molto dato che il trucco alle ragazze tedesche era vietato poiché considerato volgare.

Così si era limitata a fare un bagno rigenerante e a lasciarsi pettinare i capelli da sua madre, che aveva optato per una piccola pinzetta che li legasse dietro mentre il resto della chioma le scendeva fluida sulla schiena.

Indossò un vestito blu acquamarina comprato qualche mese prima in una boutique francese. Il tessuto scorreva morbido sulle sue sinuosità e si apriva in una gonna con uno strascico non eccessivo. La parte superiore del vestito era velata e lasciava intravedere le spalle da alcuni ghirigori di pizzo, senza risultare volgare. In vita una cinta dorata si abbinava perfettamente con le scarpe beige con un tacco leggermente alto e la borsetta piccola e stretta.

Come unico accessorio indossò un anello appartenuto a sua nonna molti anni prima. Guardò il portagioie e, prima di richiuderlo, si soffermò a guardare la collana di Hellen con la stella a sei punte. Chissà se l'avrebbe mai rivista, si disse. L'accarezzo leggermente con i polpastrelli e l'oro sembrò risplendere sotto le sue dita.

Poi posò lo sguardo sulla collana di Diedrich. Era magnifica e sembrava essere stata creata a posta per i suoi occhi e per essere ammirata. 
Sarebbe stata perfetta abbinata al suo vestito quella sera, ma decise di non metterla. Sebbene i diamanti e i topazi fossero le sue pietre preferite, era ancora risentita con Diedrich e mettere un suo regalo avrebbe significato un po' perdonarlo.

Le sembrò un ragionamento stupido ma non demorse e chiuse seccamente il portagioie.

Si voltò verso sua madre che era già perfettamente vestita e acconciata, fasciata da un vestito color pervinca che risaltava le sue forme aggraziate. Pur essendo un abito molto sobrio sulle sfumature del blu, Elsbeth lo indossava con eleganza innata. I suoi capelli biondissimi erano morbidamente raccolti sulla nuca con alcune forcine, in una pettinatura decisamente elaborata, e alcuni boccoli le ricadevano sul viso compostamente. Gli orecchini di diamanti pendevano dai suoi lobi e proiettavano piccole ombre sul lungo collo da cigno.

«Non vuoi metterla?» domandò sua madre, riferendosi alla collana di Diedrich.

Kathrein scosse la testa e sentì il bisogno di darle una giustificazione, pur non essendo la verità.

«La metterò quando ci sarà lui»

Elsbeth sembrò essere soddisfatta dalla spiegazione, anzi sembrò esserne addirittura contenta. Le si avvicinò e le accarezzò il viso con un movimento leggero della mano, poi prima di uscire le mormorò:

«L'ufficiale Schneider è un uomo molto fortunato»

Rimasta sola nella stanza si guardò allo specchio e pensò al grande cambiamento che era avvenuto dall'ultima festa così sontuosa che si era tenuta in quella casa. Aveva conosciuto Diedrich e aveva detto addio per sempre a Geli. Per ogni fine c'è sempre un nuovo inizio e la vita sembrava averle fatto incontrare Diedrich per colmare il vuoto che stava lasciando Geli. In cuor suo sapeva che nessuno avrebbe mai potuto alleviare il dolore di quella mancanza. Anche il suo corpo era decisamente cambiato, a ventiquattro anni era più maturo rispetto ai suoi sedici.

Di lì a poco la villa avrebbe cominciato a riempirsi e gli invitati si sarebbero riversati nel giardino al chiaro di luna, dove le fontane e I gazebo illuminati creavano un'atmosfera surreale, e nelle stanze per danzare o scambiare chiacchiere e convenevoli. Gli uomini che discutevano di politica, poi, si sarebbero trasferiti nella stanza adiacente allo studio di Heinfried per bere il bicchiere della staffa e giocare qualche partita a biliardo.

Ogni festa in quella società sembrava seguire sempre gli stessi ritmi e le stesse prassi. Le donne, invece, restavano a pettegolare sulle futilità più disparate: vestiti, accessori, giovani ufficiali e i loro possibili matrimoni con figlie ariane di altri ufficiali.

Pensò ancora una volta alla macchina nel vialetto che si allontanava portando nuovamente Diedrich lontano da lei quella mattina. A quest'ora, probabilmente, dopo aver assolto ai suoi doveri a Monaco verso il führer che adesso si recava a villa Bergmann, era sul treno di ritorno in Italia.

Sbuffò e si ravvivò i capelli. Qualcosa, o meglio qualcuno, bussò alla porta e lei alzò gli occhi al cielo. Poi lo invitò ad entrare immaginando che fosse di nuovo sua madre ad intimarle di scendere.

«Signorina Kathtrein, vostro padre...siete molto bella»

Se ne fosse stata capace la ragazza sarebbe arrossita davanti al complimento così diretto dell'ufficiale Schulze. Passò qualche secondo ad osservarlo sull'uscio e lo trovò più affascinante del solito nella sua divisa stirata. Era già pronto per la festa e lo capì dai capelli perfettamente in ordine. Il ricordo di quando invece li aveva visti spettinati e leggermente umidi, amplificando il suo fascino se possibile, le riportò alla mente i loro volti così vicini qualche sera prima. Poi rammentò anche il battibecco, si diede un contegno e rispose, pur non sapendo cosa articolare di fronte a quel viso geometricamente perfetto.

«Anche voi lo siete, molto» rispose spontaneamente la ragazza, con un'audacia che la fece auto-rimproverare e che le fece mordere la lingua.

Intuendo il suo imbarazzo, però, l'uomo la tolse da quell'impiccio come aveva fatto in Francia nel portico quando si era allontanato da lei.

«Vostro padre mi ha chiesto di riportarvi questi, li avete dimenticati nel suo ufficio»

Il suo tono pacatamente militare aveva ripreso possesso di lui che lasciò i disegni dei bozzetti sulla scrivania e, dopo un lieve cenno di galanteria con il capo, uscì rapidamente dalla sua camera.

Forse, si disse Kathrein, anche lui sentiva un'attrazione che non poteva essere soddisfatta e probabilmente si sentiva in colpa per la sua fidanzata. Aveva sentito di molti ufficiali che tradivano le proprie mogli e non avevano mai provato rimorso. Forse Diedrich stesso le aveva riservato il medesimo trattamento, ma Alexander sembrava frenarsi per un motivo in particolare ogni volta che si trovavano soli. Così Kathrein l'aveva associato a quella ragazza che aveva visto in fotografia e con il quale quella mattina l'aveva visto passeggiare nel giardino.

Si chiese se quella donna ci sarebbe stata al ricevimento e questa possibilità, non seppe perché, la disturbò e la fece irritare più di quanto le fosse concesso.

Si maledì come una stupida, chiedendosi perché fosse gelosa di due uomini. 
Forse sua madre aveva ragione quando, arrabbiandosi, le diceva che era una ragazzina viziata abituata a ricevere tutto ciò che chiedeva.

Avanzava pretese su due ufficiali, di cui uno non le era mai appartenuto davvero e l'altro non sapeva più se poterlo considerare il suo fidanzato.

Passò ancora qualche minuto davanti allo specchio, rimuginando a lungo su quei pensieri.

«A cosa pensa quella bella testolina?»

Sussultò e si girò immediatamente al suono di quella voce così calda.

Per la seconda volta nel giro di pochi minuti uno degli uomini più belli e avvenenti di Berlino si trovava appoggiato allo stipite della sua porta.

«Cosa ci fai qui?» chiese Kathrein assumendo un'espressione diffidente, mente si voltava nuovamente verso lo specchio e riapriva il portagioie per prendere gli orecchini.

Prima di richiuderlo lanciò nuovamente uno sguardo alle due collane e fece a botte con la voglia di corrergli incontro e abbracciarlo o prenderlo a pugni.

Sentimenti contrastanti le turbinavano nel cuore mente metteva quanta più distanza potesse tra lei e quell'uomo. Se avesse agito con il cuore, lo sapeva, avrebbe ceduto in men che non si dica. Preferiva ragionare con il cervello e la lucidità.

Diedrich si staccò dallo stipite e si avvicinò a lei che, di spalle, sistemava alle orecchie gli orecchini diamantati.

«Non potevo di certo perdermi la festa per il ritorno in società della mia fidanzata, non credi?»

Quando le fu dietro Kathrein sentì la vicinanza bruciarle sul fondo schiena e incrociò il suo sguardo, come aveva fatto la mattina stessa, nello specchio di fronte.

«Ah ma davvero?» più che una domanda la sua fu un'affermazione beffarda.

Quando poi l'ufficiale le circondò la vita con le sue braccia forti e posò la sua mascella nell'incavo del suo collo inspirando l'odore dei suoi capelli, Kathrein non poté fare a meno di controllare la propria mano che si appoggiò immediatamente e quasi come un'esigenza necessaria dopo mesi di lontananza sul suo avambraccio fasciato dalla divisa.

Lui annuì e, strusciando la barba sulla sua pelle candida, provocò in lei un repentino cambio di umore. Adesso la serata le sembrava molto più sopportabile, ma la rabbia che provava nei suoi confronti non era scemata.

Osservò il suo riflesso e constatò dal viso che dovesse essere molto stanco, sebbene fosse sempre bellissimo e tirato a lucido per la serata.

«Edda sarà davvero dispiaciuta della tua partenza» mormorò sarcastica, mentre si rigirava tra le sue braccia che non sembravano intenzionate ad allentare la stretta.

«Sì, sicuramente non l'avrà presa bene» convenne con lei l'uomo mentre si chinava per darle un bacio.

Tuttavia Kathrein si scostò e lasciò che i suoi palmi facessero pressione sul petto ampio dell'ufficiale per tenerlo lontano più di quanto il suo cuore avrebbe davvero voluto.

«E allora potevi benissimo rimanere con lei, ufficiale Schneider» il tono volutamente velenoso non sembrò minimamente scalfire la maschera di ghiaccio di Diedrich, tutt'altro la situazione parve divertirlo.

«Sei gelosa?» domandò ironicamente mentre alzava il sopracciglio e osservava come Kathrein cercasse di stare sulle sue, inutilmente.

«Ho motivi per esserlo?» chiese incautamente la ragazza mentre puntava i suoi limpidi occhi in quelli così enigmaticamente oscuri di Diedrich. Sebbene il calore del suo sguardo e la protezione delle sue braccia le fossero mancati più di ogni altra cosa, non riusciva a superare la sensazione di delusione che i chiacchiericci sul suo conto avevano instillato in lei.

«Direi proprio di no» mormorò l'uomo mentre annullava definitivamente, e questa volta senza che Kathrein avesse il tempo di respingerlo, la distanza tra le loro labbra.

D'altro canto, invece, lei non sarebbe riuscita ad allontanarlo nuovamente e, nonostante la razionalità urlasse per farla staccare, allacciò le braccia dietro al suo collo e si abbandonò completamente alla sensazione di appagamento che, dopo sei mesi, stava provando.

D'altro canto, invece, lei non sarebbe riuscita ad allontanarlo nuovamente e, nonostante la razionalità urlasse per farla staccare, allacciò le braccia dietro al suo collo e si abbandonò completamente alla sensazione di appagamento che, dopo sei m...

Dopo poco, però, si dovette staccare per riprendere fiato e, mentre le mani di Diedrich erano ancora appoggiate sulla sua schiena a stringerla, la necessità di ottenere spiegazioni esaustive tornò prepotentemente ad impossessarsi delle sue viscere.

«Eppure molti dicono che si sia infilata nel tuo letto» sputò acida, seppur essersi concessa al bacio non la facesse sembrare più così ferma nella sua ostilità.

Diedrich la guardò dapprima confuso e poi scoppiò a ridere. Kathrein si rese conto che quel suono le era mancato come l'ossigeno sott'acqua, eppure in quel momento le sembrò così spropositatamente fuori luogo. Si sedette sul letto e, non accennando alcun sorriso divertito, Diedrich tornò serio capendo che la sua fidanzata fosse seria.

«Mi stai chiedendo davvero se ho scopato con la figlia del Duce?» l'espressione indurita di Diedrich era mortalmente seria e avrebbe fatto rabbrividire chiunque, ma non Kathrein.

La durezza e la schiettezza delle sue parole disturbarono la ragazza ma, dall'altra parte, fu contenta che non utilizzasse termini più docili per parlare di un'altra donna. Schioccò seccamente la lingua contro il palato e osservò Diedrich sedersi accanto a lei.

«Sono stato in viaggio undici ore oggi per tornare da te e credi davvero che abbia potuto tradirti?» domandò e la sincerità che lesse nei suoi occhi la fece sentire una stupida, eppure non tutti i campanelli d'allarme si assopirono nella sua testa.

«Non capisco allora da cosa nascano i pettegolezzi, Diedrich» mormorò, voltando il viso nella direzione opposta quasi a non voler lasciarsi corrompere dal suo viso angelico.

Sentì i polpastrelli dell'uomo fare pressione tra le sue nocche affinché ricambiasse la stretta e, quando ci riuscì, prese ad accarezzarle il dorso.

«Kath, la verità è che una sera sono rientrato tardi da una cena con alcuni dei vertici fascisti e l'ho ritrovata nuda nel mio letto. La cosa comunque non deve disturbarti, l'ho cacciata via anche piuttosto malamente per una donna del suo rango. Ma sono un signore, avrei potuto riferirlo a suo padre o a sua marito e mi ha supplicato di non farlo, e ad ogni modo non perderei tempo con una donna che supplica senza dignità neanche se la desiderassi»

«E tu la desideri Diedrich?» punta sul vivo la domanda uscì secca e lapidaria.

«Se così fosse sarei ancora in Italia» rispose l'uomo mentre si alzava dal letto e si risistemava la giacca.

«L'hanno vista uscire dalla mia stanza e da allora le persone hanno cominciato a chiacchierare, ma posso assicurarti che questo e tutto quello che hai potuto sentire su chiunque altra non è niente di più di un semplice chiacchiericcio» affermò, mentre tendeva una mano nella sua direzione attendendo che la accettasse e decidesse di scendere con lui. Vedendo l'esitazione della sua fidanzata, però, si affrettò ad aggiungere:

«Non ho mai avuto intenzione di mancarti di rispetto Kathrein e mai lo farò»

Le sembrò totalmente sincero e, in fondo, Diedrich sapeva essere dedito e leale solo nei confronti di qualcuno o qualcosa a cui teneva davvero. E, oltre sua madre molti anni prima, non era mai stato così fedele a nessun altro come lo era adesso con Kathrein.

«Diedrich hanno detto molte cose sul tuo conto e su molte focose e belle ragazze italiane, come posso fidarmi?»

L'uomo si avvicinò a lei e portò una mano al suo viso. Solo allora notò un anello al dito che non gli aveva mai visto prima, raffigurante un teschio. Storse il naso davanti all'oggetto funesto e l'ufficiale le prese le guance tra i polpastrelli del pollice e dell'indice con un movimento gentile. 
Poi fissò insistentemente gli occhi nei suoi, guardandola intensamente e trasmettendole la pura e sincera verità dei fatti.

«Perché io ti amo, Kathrein, ormai da anni»

Il peso di quelle parole le fece accelerare il battito cardiaco. In molti anni di frequentazione quella era la prima volta che Diedrich le confessava così apertamente e in maniera così spontanea e diretta i suoi sentimenti.

«E non c'è stata una notte che io abbia passato lontano da te senza desiderare il tuo corpo» le sussurrò piegandosi sulle sue stesse ginocchia, a pochi centimetri dal suo orecchio.

«E se solo tu non fossi già pronta per questa festa, non so cosa ti farei. Ma aspetterò» mormorò l'uomo alzandosi, dopo averle lasciato una scia di baci roventi sul collo che, automaticamente, era stato reclinato leggermente per permettergli un maggiore accesso.

Fu lui, come sempre, a riportare il contegno e la pacatezza. Nonostante fosse ancora scossa dai suoi baci e dalla reazione così naturale del suo corpo verso quello di lui, ciò che più di tutto continuava a vorticarle nella testa era il pensiero di quella dichiarazione così disarmante e inaspettata.

Tuttavia anche lui sembrò necessitare ancora un contatto fisico e per questo le sfiorò il collo con due dita. Poi affermò semplicemente:

«Qui manca qualcosa»

Lo vide dirigersi verso la cassettiera su cui era poggiato il portagioie per prendere la collana che lui stesso le aveva regalato.

«Perché stamattina sei andato via così di fretta senza neanche salutarmi?» chiese e l'uomo si fermò a metà strada, sospirò e poi si voltò verso di lei.

«Dovevo portare delle notizie importanti al führer Kathrein. Affrontare un viaggio di cinque ore per arrivare a Monaco e poi di nuovo altre cinque ore per tornare a Berlino in tempo da te, non potevo concedermi il lusso di indugiare qui neanche per un minuto altrimenti non ce l'avrei fatta a lasciarti andare di nuovo»

«Sei mesi sono molto tempo» assentì Kathrein, ma poi un dubbio si insinuò in lei e non tardò ad esporlo.

«Notizie così importanti da non poter attendere qualche ora l'arrivo del führer al ricevimento?»

«La duchessa di Windsor ci ha informati su alcuni piani francesi. La Francia vuole attaccarci probabilmente, Kathrein. Certe notizie non possono attendere nemmeno un'ora»

La ragazza sussultò quando immaginò i due paesi in guerra e preferì cancellare i corpi dilaniati e le atrocità che si figuravano nella sua testa.

«Intendi Wallis Simpson?»

Diedrich sembrò irrigidirsi e farsi decisamente sugli attenti, mentre abbandonava l'idea di recuperare la collana dal portagioie e si avvicinava nuovamente a lei.

«La conosci?»

Per tutta risposta Kathrein fece spallucce, lasciando intendere che la conoscesse solo di nome e, a quel punto, l'uomo sembrò rilassarsi. Fece per dirle qualcosa, ma sua madre bussò alla porta e gli intimò di scendere poiché aspettavano solo loro.

«Metti la collana e scendi, ti aspetto giù»

Le lasciò un ultimo bacio che sapeva di ritrovamento e speranza. Speranza di poter, finalmente, costruire qualcosa insieme senza la distanza e l'inganno machiavellico del tempo.

Rimase qualche attimo spaesata al centro del letto, sfiorandosi le labbra e sorridendo al ricordo delle sue parole così sincere. Poi si alzò e aggiunse la collana ai suoi accessori della serata.

Sorrise al suo riflesso indugiandovi ancora. Adesso, come quel collier al suo collo, si sentiva al posto giusto e aveva riacquistato molta fiducia nel suo rapporto con Diedrich.

Inspirò profondamente e si avviò verso la porta, poi uscì pronta ad affrontare una serata che, ancora non sapeva, si sarebbe rivelata ricca di avvenimenti.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


I segreti del Terzo Reich


Villa Bergmann
3 settembre 1939 ore 21:00

La sala ricevimenti della casa era più grande di quanto ricordasse e sembrava risplendere di luce propria quella sera, benché fosse stata comunque imbandita per renderla ancora più festosa ed accogliente.

Ogni candelabro gettava luci ed ombre sui volti degli invitati e l'argenteria era disposta ordinatamente lungo il tavolo al quale i commensali si sarebbero accomodati più tardi. Il salone ripiombava in maniera molto sobria nell'eleganza e raffinatezza secondo i gusti e le disposizioni di Elsbeth.

Quando Kathrein fece la sua comparsa in cima alle scale, ogni brusio si zittì immediatamente ed un centinaio di sguardi meravigliati si posarono sulla sua persona.

Un gradino alla volta, poi, si rese conto che in realtà gli invitati dovevano essere più di duecento ed ognuno di loro aveva lo sguardo puntato su di lei. Tuttavia cercava un paio d'occhi in particolare, che però non riuscì a scorgere tra la folla. In compenso scorse il sorriso di Josel che bastò a confortarla in quei minuti di tensione.

Nonostante non si sentisse mai a disagio e, tutt'altro, solitamente erano gli altri a sentirsi in soggezione sotto il suo sguardo, quella volta dovette ricredersi. Fu lei a sentirsi sotto esame ed ebbe paura che il minimo errore le sarebbe costato una figuraccia a lei e alla sua famiglia davanti agli occhi di tutta la società lì presente.

"Sei nata per questo" le parole di suo padre le rimbombarono nella testa.

Così, prendendo un lungo respiro interiore, si decise a scendere sotto lo sguardo vispo dei presenti. Ad ogni gradino sentiva l'ansia crescere ed il desiderio di scappare immediatamente via da quella sensazione di perbenismo e oppressione faceva a botte con le sue gambe che continuavano la loro discesa.

Sentiva alcuni occhi trafiggerla, scandagliarle e tentare di strappare da lei quell'aria così regale. Sapeva di essere detestata da molte di quelle donne, pur conoscendone davvero poche. Infatti riconobbe pochi visi e constatò che ci fossero molti ufficiali con le rispettive consorti che non aveva mai visto prima.

Quando ebbe terminato di scendere tutti gli scalini, trovò suo padre ad attenderla che, fasciato dall'alta uniforme, le porgeva la mano in un gesto di galanteria. Kathrein la strinse senza pensarci due volte, felice di trovare un punto d'appoggio stabile che non la facesse vacillare sui suoi tacchi.

Sorrise verso di lui e poi rivolse il medesimo sorriso al resto degli invitati. Quella fu la maschera che indossò per tutta la sera.

Appena ebbe superato quella che Kathrein era convinta fosse solo la prima prova di accettazione nella società ariana, gli invitati tornarono a parlottare tra loro e a diradarsi nel giardino.

La musica intratteneva la maggior parte delle signore presenti e dei loro mariti, mentre molti altri sembravano fare la fila per avvicinarsi ai coniugi Bergmann e conoscere Kathrein.

Proprio mentre i due scambiavano chiacchiere d'occasione con un parigrado di Heinfried e sua moglie, la ragazza decise di congedarsi momentaneamente chiedendo scusa alla coppia.

Si allontanò e, già stanca della frivolezza e della boriosità di quell'ambiente, decise di avviarsi verso il giardino. Tuttavia, come era a accaduto quella stessa mattina, quasi come un richiamo, alzò lo sguardo e incrociò quello di Wallis Simpson in fondo alla sala.

Rabbrividì un attimo e si chiese nuovamente cosa quella donna volesse da lei e perché la fissasse in maniera così insistente. Non l'aveva mai vista prima di quella mattina, a nessun ricevimento, e adesso non era nemmeno sola. Un uomo in cui Kathrein riconobbe il duca di Windsor, conosciuto per aver abdicato al trono d'Inghilterra, le stava accanto reggendo un flûte e parlando animatamente con un uomo che Kathrein sapeva essere un funzionario del Reich.

Le parve strano che un inglese, per di più facente parte della famiglia reale, si trovasse in Germania, in una casa piena di tedeschi. L'ostilità che scorreva tra le due nazioni era ormai diventata una faccenda storica e negli anni si era solo potuta confermare. Tuttavia, da qualche parte, Kathrein aveva letto che tra il duca, la sua famiglia e la sua madrepatria, non scorresse buon sangue dopo che queste l'avevano costretto ad abdicare in favore di una donna. Eppure, si ritrovò a pensare, non avrebbe mai immaginato che un uomo come lui rinunciasse al trono per l'amore di una donna come Wallis.

Non aveva mai sentito parlare di lei prima d'ora ma, come aveva già constatato quella mattina, non era bella o, almeno, non quanto qualsiasi altra donna che un re potrebbe avere al suo fianco. Eppure c'era qualcosa in lei che suscitava un senso di ammaliamento persino in Kathrein.

Non le aveva mentito quando le aveva detto che riteneva giusto sfruttare le proprie doti e i proprio ascendenti per arrivare a stare accanto a uomini potenti e, in qualche modo, conoscerne e manipolare i piani politici. Ripensò a quando si era aggiustata il tailleur prima di entrare nell'ufficio di suo padre e il pensiero che anche Diedrich poco dopo era entrato nella stanza con quella donna e al modo in cui, inspiegabilmente, si era irrigidito poco prima quando l'avevano nominata in camera sua, le fecero venire un conato di vomito. Forse era una spia, probabilmente cercava di compiacere suo padre o chi ancora più in alto di lui spifferando gli affari del marito. Per ricevere cosa poi? Ancora più potere?

L'idea disgustò Kathrein al punto da distogliere lo sguardo e puntarlo altrove. Qualcosa, o meglio qualcuno, le afferrò il mento e lo voltò delicatamente nella sua direzione. Pur sentendo ancora lo sguardo di fuoco della donna puntato su di sé, quello di ghiaccio che incontrò la disarmò e le fece dimenticare qualsiasi pensiero.

«Cosa guardi?»

La mano di Diedrich scese possessivamente a stringere la sua, abbandonata lungo il fianco, e il lieve contatto bastò per Kathrein a chiedersi se la sua vicinanza e i suoi occhi avrebbero sortito sempre quell'effetto su di lei.

«Nulla in particolare» mentì lei, dando definitivamente le spalle a Wallis e lasciandosi guidare dall'uomo.

Molti erano a conoscenza della sua relazione con l'ufficiale Schneider poiché, qualche mese prima, avevano quasi ufficializzato il fidanzamento. Altri sembravano essere stupiti, come quel quartetto di donne che li guardavano e confabulavano tra loro, come se fossero invisibili. Kathrein alzò gli occhi al cielo, constatando la loro stupidità e si chiese se anche loro avessero creduto ai pettegolezzi sul conto di Diedrich in Italia.

Nessun altro parve notare le loro mani strette. Pur essendo una serata in onore della ragazza e la stanza gremita di gente, tutti sembravano indaffarati a imbellettarsi sotto lo sguardo di Heinfried.

Ad ogni modo l'ufficiale ritirò la mano dalla sua quando, avvicinandosi al tavolo del rinfresco, afferrò due bicchieri di champagne e ne porse uno a Kathrein. Accettò, nonostante il liquido giallastro non la facesse impazzire, per mandare giù qualcosa e tentare di riempire quella voragine di tensione e insofferenza che le si era aperta nello stomaco. Prese un solo e raffinato sorso, ma ciò non le impedì di esibirsi in una smorfia quando l'alcool arrivò a bruciarle la gola.

Diedrich scoppiò a ridere davanti alla sua espressione e, diversamente, con tranquillità fece roteare il fondo del liquido nel bicchiere e, poi, lo buttò giù tutto d'un sorso.

«Sta' lontana da Wallis Simpson» affermò poi con aria mortalmente seria, al punto da farla sussultare.

Finse un'espressione stranita e fece per rispondere, ma prima ancora che potesse aprire bocca Diedrich ribadì prenetorio:

«Stalle lontana, Kathrein»

Tuttavia l'ordine le arrivò come un consiglio apprensivo ed evitò di dirgli del biglietto con l'indirizzo che la donna le aveva lasciato quella mattina. Evidentemente Diedrich temeva, per qualche motivo a lei sconosciuto, per la sua incolumità e allora si ritrovò ad annuire, consapevole che in realtà avrebbe fatto di tutto per approfondire in merito a quella donna.

L'espressione tesa dell'ufficiale sembrò distendersi e, sfilandole il bicchiere dalle mani, lo appoggiò accanto al suo sul tavolo e la condusse verso la porta che si apriva sul giardino. Tuttavia una voce li richiamò e li costrinse a voltarsi. Elsbeth, ancora ferma accanto ad Heinfried dove li aveva lasciati poco prima, faceva cenno alla giovane coppia di avvicinarlesi, obbligando Kahtrein a ritornare sui suoi passi.

Sentì la mano di Diedrich stringere la sua più forte e Kathrein non ci prestò molta attenzione, sapendo quanto al suo fidanzato infastidissero le interruzioni. Ad ogni modo assunse una maschera imperscrutabile ed educatamente, pur essendo evidentemente sotto costrizione, si avvicinò con lei ai due coniugi.

Kathrein sospirò, ma anche lei adottò un sorriso di circostanza e fece notare all'uomo accanto a lei la sfumatura rossastra che l'anello con il teschio le stava disegnando sulla pelle candida del palmo. Immediatamente allentò la morsa, ma non abbandonò l'aria di stizza che l'aveva investito a quel richiamo.

Una volta al fianco dei suoi genitori, notò la presenza di una bellissima ragazza dai boccolosi capelli castani e dai profondi occhi scuri che la catturarono immediatamente.

«Kathrein lascia che ti presenti Edda Ciano, la figlia del Duce»

La presentazione di suo padre lasciò la sua bocca completamente asciutta e si pentì di non aver trangugiato tutto lo champagne, almeno l'avrebbe sostenuta. Quella Edda, la donna che aveva disturbato i suoi ultimi sogni trasformandoli in angosciosi incubi, si trovava ora nel salone della sua casa e portava con sé il peso delle dicerie che aveva udito. Quello che uscì dalle labbra di sua madre, però, la turbò ulteriormente.

«Suo marito rimarrà qui per qualche giorno per concludere alcuni affari, allora ho pensato che potreste trascorrere del tempo insieme. Siete più o meno coetanee e condividete gli stessi interessi per la razza, sono sicura che andrete più che d'accordo e diventerete ottime amiche»

Adesso capiva perché Diedrich improvvisamente aveva cambiato umore e stretto repentinamente e con una tale forza la sua mano. Quindi lui lo sapeva già? Quella donna sarebbe rimasta nella sua stessa casa insieme a loro e avrebbe anche dovuto fingere di prendere del tè insieme nel giardino? L'idea di trascorrere del tempo con il fulcro dei pettegolezzi su Diedrich in Italia le contorse le viscere e lo stomaco si chiuse, stringendosi su se stesso.

Si ritrovò a maledire le idee di Elsbeth e sforzò il sorriso più finto che aveva. La trafisse con lo sguardo ed Edda sembrò averlo notato, ma nascose il sussulto sotto il suo scialle di taffetà.

«Certo ne sono sicura anch'io» affermò con falsità, mentre inarcava un sopracciglio in direzione della donna.

«Sarà un piacere per me signora Bergmann, fare la conoscenza di vostra figlia. Ne ho sentito tanto parlare...dall'ufficiale Schneider»

Quando pronunciò il suo nome sembrò quasi cullarcisi sopra come una cantilena mentre nascondeva un risolino che, agli occhi degli altri avrebbe potuto sembrare adorabile, a quelli di Kathrein la fece sembrare una gatta morta da prendere volentieri a schiaffi.

Quando i suoi genitori si congedarono per andare ad accogliere altri invitati che continuavano a riversarsi nella sala senza fine, rimasero solo loro tre e, mentre le due donne si guardavano in cagnesco, Diedrich sembrava velatamente annoiato.

Tuttavia il silenzio durò non più di pochi secondi, poiché la ragazza italiana
provvide subito a interromperlo con una sfacciataggine inaudita.

«Diedrich, mi devi ancora un ballo ti ricordo» mormorò con aria fintamente innocente e i suoi occhi saettavano da lui alla pista da ballo, quasi come se Kathrein fosse invisibile. Il suo tedesco strascicato contribuì a colpire ancora quel fascio di nervi scoperti che urlavano per sbatterla fuori dalla sua casa. Poi si ricordò che fosse la figlia dell'alleato italiano, ma per la seconda volta dovette reprimere di alzare  gli occhi al cielo e sbuffare davanti alla sua voce lagnosa che mormorava il nome di Diedrich con infantilità e supplica.

Il fatto che lei si prendesse il lusso di dare del 'tu' al suo fidanzato, le fece intuire che dovessero avere una gran confidenza ma cercò di rimanere impassibile e attese la risposta di Diedrich.

Lui, per tutta risposta, la guardò interrogativamente quasi a chiederle il permesso, in realtà Kathrein sapeva che avrebbe comunque fatto ciò che voleva lui come sempre ma sembrava voler capire se a lei avrebbe dato fastidio. Ovviamente vederlo ballare mentre stringeva un'altra non rientrava nella lista delle cose che avrebbe voluto fare con entusiasmo, ma non avrebbe mostrato nessun segno di debolezza né a lui né a lei. Per questo annuì silenziosamente e aspettò che i due si spostassero al centro della sala, unendosi al resto delle coppie che danzavano.

«Puoi aspettare ancora, Edda» asserì placidamente Diedrich però, lasciando di stucco entrambe le donne e, non dando nemmeno il tempo di elaborare il rifiuto a nessuna delle due, prese di nuovo per mano Kathrein e la condusse in giardino come stava facendo pochi attimi prima che venissero interrotti.

Scombussolata dalla situazione e dalla tagliente freddezza che aveva utilizzato, la ragazza si chiese se avesse rifiutato perché aveva individuato l'evidente fastidio nei suoi occhi o se anche lui la considerasse una presenza fastidiosa dall'accento tedesco piagnucolosamente tirato.

Quando furono fuori prese aria e dovette fare un grosso respiro per non scoppiare a piangere. La tensione che quei pochi attimi avevamo accumulato in lei a serata appena iniziata le fecero presagire che avrebbe dovuto mantenere i nervi saldi ancora per un bel po'. Eppure, si disse, non ci sarebbe potuto essere nessun altro avvenimento particolarmente destabilizzante come quello di ritrovarsi Edda alla festa in suo onore. Nonostante tutto, poco più tardi si sarebbe accorta che quello era solo il primo di tanti altri.

«Mi avevi detto che Edda era dispiaciuta della tua partenza, non che avessi viaggiato tutta la notte con lei dall'Italia sin qui» accusò Kathrein puntandogli un indice al petto, quando ebbe ritrovato la forza di articolare qualche parola.

Camminando si erano allontanati parecchio e, senza accorgersene, erano arrivati fuori dalla visuale di chiunque, nascosti da alcune querce.

«Ho viaggiato con i miei uomini. Quello che fanno le mogli degli altri, poi, non sono affari miei. Edda stessa era venuta a salutarmi prima della partenza, dicendomi che non avrebbe seguito suo marito a Berlino»

Spiegò Diedrich mentre con eleganza si sedeva sul bordo di quella quercia che suo padre aveva fatto piantare il giorno della sua nascita, su cui lei amava trascorrere le giornate osservando le papere nel laghetto di fronte. Era sempre stata gelosa di quel rifugio così prezioso e, un tempo, non l'avrebbe condiviso con nessun altro che non fosse suo padre.

Tuttavia negli anni il suo punto di riferimento era diventato Diedrich e il fatto che lui condividesse con lei quel luogo così surrealmente magico, lo faceva sembrare ancora più confortevole.

«È venuta a salutarti, facendo un ultimo disperato tentativo di infilarsi nel tuo letto?» chiese retoricamente con più sarcasmo di quanto credeva sarebbe riuscita a racimolare.

Lui alzò le spalle e si accese una sigaretta, che con innata raffinatezza portava alle labbra per poi sbuffare via il fumo.

«T'interessa di quel che fa lei o di ciò che faccio io, Kathrein?» ribatté, questa volta più duro e deciso a chiudere definitivamente quella storia. Ma Kathrein sapeva che, finché quella donna non se ne fosse andata, non sarebbe stata tranquilla anzi sempre costantemente sull'attenti.

Tuttavia non poteva incolpare Diedrich per le azioni di Edda e lo sapeva bene, ma in qualche modo la vedeva come una valida avversaria e, sebbene fosse sposata, aveva molte qualità esteriori che avrebbero potuto corrispondere ai canoni ariani prediletti dal suo fidanzato.

«Semplicemente non sopporto che si esponga così civettuolamente con te e per di più in mia presenza. Quando ti ha visto sembrava aver avuto l'acqua nel deserto ed è davvero snervante il modo in cui parla» mormorò mentre faceva due passi in avanti e rivolgendo lo sguardo verso i movimenti di Diedrich.

L'osservò mentre gettava via la sigaretta consumata dal fumo e dall'insofferenza di Kathrein al suo silenzio. Poi Diedrich si spettinò leggermente i capelli e la ragazza, nonostante la durezza dei suoi lineamenti e la stanchezza di una notte passata in treno e una giornata in macchina per attraversare la Germania, non poté non ammettere a se stessa la bellezza inscalfibile e il luccichio dei suoi occhi quando si posavano su di lei. Uno sguardo così intenso da farle dimenticare quello perforante di Wallis e quello ostile di Edda.

Poi, con compostezza e non abbandonando mai la sua regale calma, Diedrich le rispose:

Poi, con compostezza e non abbandonando mai la sua regale calma, Diedrich le rispose:

«Quindi io dovrei spaccare la faccia a Schulze, dato che meno di un'ora fa l'ho visto uscire dalla stanza della mia fidanzata»

Kathrein sussultò e si sentì colta in flagrante, benché non fosse successo nulla tra di loro. Tuttavia si ritrovò ad ammettere che dal punto di vista di Diedrich sarebbe potuta sembrare davvero una situazione equivoca. Ad ogni modo, Kathrein non si lasciò intimidire dalla sua accusa e rispose a tono:

«Il maggiore è stato così gentile da riportarmi dei fogli che avevo lasciato nello studio, è stato un ordine di mio padre. Alexander non...» ma prima che potesse concludere la frase Diedrich alzò il viso di scatto e la interruppe con un sorriso sardonico.

«Alexander? Mi fa piacere che tu sia così in confidenza quando fino a sei mesi fa non riuscivi a parlare con nessun uomo che portasse questa divisa eccetto me. Non parlavi neppure con tuo padre, se non di rado e adesso arriva Schulze a cambiare tutto?»

Si ritrovò ammutolita, schiacciata dal retrogusto amaro che la verità riservava quando veniva sbattuta in faccia con tale chiarezza.

«Non abbiamo la stessa confidenza che hai tu con Edda, assolutamente» sentenziò Kathrein mentre muoveva una mano nell'aria per motivare ulteriormente la sua giustificazione.

«Quello che volevo dire è che il maggiore non mi ha mancato di rispetto e non l'ha fatto neanche con te, non so cosa tu pensi di lui ma come molti altri neanche lui sa del nostro fidanzamento»

«Certo Kathrein, avresti dovuto essere tu a dirglielo. Io l'ho ribadito sempre ad Edda e a tutte le altre, ma il cattivo sembro io» la schiettezza e la durezza utilizzate da Diedrich le fecero sentire il peso di una colpa inesistente addosso.

«Mi ha soltanto scortata da Parigi e mi ha salvato la vita. Gli sono grata, dovresti esserglielo anche tu se davvero dici di amarmi» mormorò con la voce spezzata, ormai sull'orlo delle lacrime e bisognosa di sfogare tutte le mancanze che in sei mesi aveva provato. Cercava di difendere Alexander dalle reazioni imprevedibili di Diedrich, ma più di tutto cercava di tappare i troppi buchi e solchi che si erano creati tra di loro.

Avrebbe voluto che Geli fosse lì, esattamente in quello stesso punto dove si erano salutate per sempre otto anni prima, che l'abbracciasse e la facesse sentire di nuovo bambina lontana dall'esigenza di concludere un matrimonio con un buon partito e di figurare e prevalere sulle altre donne agli occhi del führer. Avrebbe voluto che qualcuno fosse lì, a concederle il lusso di poter vivere un'altra vita, a dirle di poter cambiare chi essere.

Se avesse potuto scegliere Kathrein sarebbe voluta rinascere in Italia tra i suoi paesaggi mozzafiato che creavano spettacoli alpini e appenninici che nei secoli avevamo ispirato quadri di grandi artisti. Le colline sempre verdi, le immense distese di pianure e le coste frastagliate dall'azione erosiva del mare. Avrebbe voluto vivere un po' di più. Allora le sarebbe piaciuto vivere anche a Ginevra, in Svizzera, tra i ghiacciai fusi nel lago del Rodano, inspirando l'aria di libertà tra le sue rive. Aveva sognato di viaggiare tanto e, seppur la sua posizione sociale in quanto donna appariva minata, era riuscita ad ottenere un minimo di indipendenza che la guerra aveva spazzato via come si fa con le briciole dal tappeto.

«Gliene sono grato Kathrein, come lo sono a Lang per averti salvata. Alexander è mio amico da sempre e voglio credere che non sapesse davvero di noi due, perché nonostante il fidanzamento non sia ancora ufficializzato, è quello che voglio. Ho visto come ti guarda, come ti guardano tutti da sempre. Ma adesso che sono tornato definitivamente non ho più intenzione di passarci sopra, Kathrein. Non permetterò più a nessuno di guardarti in quel modo»

Le parole di Diedrich furono pronunciate con una tranquillità quasi irreale e bastarono a lasciare Kathrein senza fiato per qualche secondo. Non perché la sua gelosia la stupisse, nonostante fosse un uomo dalle staffe perfettamente ferree, altre volte in passato era già stato geloso di lei, ma le aveva appena, seppur indirettamente, ribadito la sua intenzione di ufficializzare la loro storia. Nonostante ciò, qualcosa di ancora più remoto si fece spazio, a tentoni tra la speranza e l'imposizione di non illudersi, nel suo cuore invadendola di felicità.

«Tornato definitivamente? E l'Italia? La base ad Est?» mormorò mentre le lacrime non accennavo a ritornare indietro, ma si tramutavano in gioia.

«Credo dovranno arrangiarsi senza di me» scherzò l'uomo mentre le passava il pollice sulle gote per asciugare una lacrima che era sfuggita al suo controllo. Il suo tocco indugiò ancora, accarezzando la guancia e poi il collo. Dopo continuò a parlare.

«Quando un ufficiale del Reich decide di sposarsi, con una tedesca ariana, il regime approva e favorisce la loro unione. Vengono stanziati dei contributi economici, di cui fortunatamente non avremo bisogno, ma viene garantita anche la possibilità di essere trasferiti il meno possibile e di trascorrere molto tempo in patria»

«Per concepire un figlio e contribuire alla causa della razza» concluse Kathrein sorridendo amaramente.

«In realtà da una coppia di puri ariani, potenti e di spicco nella gerarchia come noi, ci si aspetta più di un erede. Ma non è quello che voglio Kath, o almeno non solo e non subito. Avrai tutto il tempo necessario per te stessa»

La dolcezza di Diedrich le apparve inusuale persino per lei. Benché le avesse sempre riservato un atteggiamento più docile rispetto agli altri, non si era mai aperto così direttamente come adesso.

«Pensaci e basta» tagliò corto lui, mentre la riprendeva per mano e la riconduceva verso l'entrata dell'enorme e imponente villa.

Erano stati via già troppo tempo e tutti si sarebbero domandati dove fosse finita la persona per cui quella stanza era stata addobbata come se fosse il ricevimento di una famiglia reale. In realtà, pensò Kathrein, non avevano vite molto entusiasmanti e fremevano per fare pettegolezzi sulla sua.

Ancora scombussolata si lasciò guidare dal tocco gentile dell'ufficiale accanto a lei. Camminando lungo il viale, scorse poco più in là Alexander e la sua fidanzata e, inaspettatamente, a dispetto delle sensazioni che l'avevano colta le due volte precedenti, fu felice di vederlo ridere spensieratamente con quella ragazza che le sembrava sinceramente bellissima. Poi aveva notato che l'espressione di Schulze si era fatta più seria e che il suo sguardo stesse guardando qualcosa di indefinito, ma con l'oscurità Kathrein non poté, dirlo per certo. Tuttavia lo vide avvicinarsi all'orecchio della sua fidanzata e sussurrarle qualcosa, lei annuì e mano nella mano rientrarono nell'abitazione.

Avvicinandosi di più alla villa, si rese conto che la musica era stata interrotta e che il silenzio regnava sovrano. Eppure la sala, dal giardino ormai vuoto, sembrava essere animata da qualcos'altro.

Diedrich portò una mano a sistemarsi i capelli e si avvicinò ad una macchina blu dai finestrini oscurati, ferma davanti al viale, che prima non aveva notato. Kathrein mancò qualche battito quando capì che fosse arrivato Hitler e tutto ad un tratto il motivo per il quale la villa era piombata in un mutismo rispettoso le apparì chiaro e lampante.

Tuttavia il silenzio surreale fu scandito dal rumore degli anfibi di Diedrich che andava ad accostarsi alla fiancata dell'auto, in attesa che l'autista andasse ad aprire la portiera al führer e potesse accoglierlo da bravo soldato del Reich.

Essere così vicina, in prima fila, la fece sentire esposta ad un pericolo che non percepiva sino in fondo. Tuttavia la mano di Diedrich non lasciò mai la sua e la stretta contribuì a farla sentire al sicuro. Lui sembrava così naturalmente posato in quel tipo di mondo e lei non avrebbe mai saputo controllare così bene le sue emozioni, nemmeno dopo anni di rigida disciplina ed educazione impartita da Elsbeth.

Ogni volta che doveva rivedere quell'uomo, Kathrein pensava alla pallottola che attraversava Geli e rabbrividiva ad immaginare il suo corpo freddo al tatto, disteso in una pozzanghera di sangue sul suo letto.

Quando si riscosse dai suoi pensieri le arrivò una fitta ondata divento gelido che la costrinse ad avvolgersi meglio nella sua pelliccia. Contemporaneamente, una testa bionda fece capolino per prima dall'abitacolo e in lei Kathrein riconobbe Eva Braun con la quale, seppur non condividesse alcun tipo di legame, si scambiò un saluto caloroso. Forse anche lei viveva una vita che non desiderava per l'amore di un folle, eppure nessuna delle due se l'era mai confessato e avevano continuato a scambiarsi convenevoli soltanto in pubblico negli anni.

Quando anche Hitler uscì dall'auto, Diedrich alzò meccanicamente il muscoloso braccio destro fasciato dalla svastica, facendola sussultare per la repentinità, e a testa alta pronunciò chiaro e nitido:

«Heil Hitler»

Tuttavia la mano sinistra continuò a stringere quella di Kathrein che, invece del saluto nazista, preferì abbassare leggermente il capo in segno di rispetto e mormorò un semplice ma empatico:

«Mein führer»

L'uomo sembrò compiaciuto dall'accoglienza e fece intendere a Diedrich di poter assumere una posizione più comoda, così riabbassò il braccio e rimase compostamente al fianco di Kathrein.

Poi il cancelliere sembrò essere catturato dalla loro stretta di mano e Kathrein fece quasi per ritirarla, scottata, come se il semplice sguardo di quel folle potesse sporcare, macchiare, una cosa così bella, pura e candida. D'altra parte, invece, Diedrich strinse più forte intuendo i pensieri che stavano attraversando la mente della ragazza ma non disse nulla.

Ci fu un breve silenzio che risuonò grave tra i quattro e poi Hitler scoppiò a ridere, dal nulla, lasciando intravedere nuovamente la sua sragionevolezza a Kathrein. Batté una pacca sulla spalla dell'ufficiale e gli sorrise compiaciuto, poi quando si fu calmato spiegò il motivo di tale inaspettata contentezza:

«Diedrich, ragazzo mio, queste sono le unioni su cui si fonda la Germania. Il Reich ti sarà estremamente riconoscente per il contributo che stai apportando con una donna degna del tuo rango» fece un attimo di pausa e lanciò uno sguardo a Kathrein che, sebbene l'avesse vista già diverse volte in compagnia di Heinfried, era notevolmente cresciuta negli anni e aveva acquisito i tratti tipici di un'ariana pura.

«Belli, giovani e ai vertici» confermò più a se stesso che agli altri tre presenti, come se stesse parlando con qualcuno collegato da un mondo parallelo. Si portò l'indice alle labbra e sussurrò qualcosa di indecifrabile, mentre rifletteva su qualcosa. Kathrein attese in silenzio, quasi come se stesse aspettando un verdetto finale. Poi il führer sembrò risvegliarsi da un lungo sonno e, quasi con aria spiritata, si ricordò di non essere solo.

Negli anni, notò Kathrein, la sua stabilità era sempre più precaria e si chiedeva davvero come facesse mezza Germania a seguirlo senza rendersene conto. In cuor suo sperò che suo padre e Diedrich sapessero davvero ciò che facevano, o la loro estrema fedeltà al regime avrebbe condotto tutta la loro famiglia alla rovina. Dittature come quelle non potevamo essere destinate a durare, la decisione di dichiarare guerra dopo il fallimento della prima e le ristrette imposizioni del trattato che Hitler aveva violato ne erano la prova schiacciante.

«Sareste la coppia perfetta per la prossima propaganda sul matrimonio ariano per la difesa e la diffusione della razza. Un ufficiale del Reich e la figlia di un altro potente gerarca. Inoltre il fatto che tu sia la figlia di Elsbeth, che ha già posato per la causa, contribuirà a rendere più salda l'idea della continuità. È perfetto. Tenetevi a disposizione, Eva vi farà sapere i dettagli e quando Hoffmann* potrà scattarvi le foto. Adesso che non sei più trasferibile, avrai molto tempo per aiutare il tuo paese in questo modo Schneider»

Eva, dal canto suo, le rivolse un flebile sorriso. Un accenno appena visibile che lasciò a Kathrein la possibilità di scorgere la sua tristezza. In Francia, aveva sentito parlare della Braun come "la donna più infelice del terzo Reich"*. Forse, si disse, non avevano tutti i torti.

Sebbene quella del führer fosse più un'imposizione che una richiesta o un suggerimento, sembrava comunque aspettarsi una risposta dal suo uomo che non tardò ad arrivare prontamente come se fosse già stata preventivata prima ancora che Hitler scendesse da quella macchina.

«Ne sarò onorato, anche se preferisco l'azione»

L'uomo di fronte a lui, riscaldato dal suo cappotto lungo e oscuro, sembrò soddisfatto della risposta e inarcò un sopracciglio mentre si accarezzava i baffi con un dito.

«Manca poco, ragazzo mio» affermò l'uomo dando di nuovo una pacca a Diedrich che, vista con occhi differenti, poteva sembrare l'incitamento affettuoso di un padre al figlio. Kathrein non capì a cosa si riferisse e, comunque, non l'avrebbe potuto sapere.

Poi, sempre con la mano appoggiata sulla spalla di Diedrich, guardò nuovamente Kathrein e sempre più compiaciuto come se avesse vinto una scommessa di vita o di morte, parlò ancora in direzione dello standartenführer:

«Se penso che molti dei tuoi compagni si perdono dietro a gonnelle e piaceri di carni insulse. Ben fatto, Schneider»

La stretta sulla scapola dell'uomo si strinse ancora un po' per un breve secondo prima che Hitler lasciasse la presa e il braccio gli ricadesse lungo il fianco.

«Adesso se volete scusarci, è il momento di salutare i padroni di casa, piccola Kathrein» affermò l'uomo in sua direzione. Lei per tutta risposta sussultò, ricordando che chiamasse così Geli, poi falsamente cortese inclinò il viso di lato e abbozzò un sorriso cordiale.

Diedrich si spostò di lato per far passare Eva che mormorò un lieve ringraziamento. Poi sparirono oltre la porta vetrata del salone e loro rimasero fuori, soli, sotto le luci dei gazebo che illuminavano il giardino, le querce e la fontana.

Andò a sedersi proprio sul bordo di questa e, mentre Diedrich la guardava interrogativo, lei poté scorgere sua madre dalla vetrata che si apprestava ad accogliere il führer con più devozione di quanto quell'uomo meritasse per Kathrein.

«Non vuoi rientrare?»

Lei scosse la testa e dall'interno della sala si sollevò un "Heil Hitler" in coro, concitato. Immaginò la sala gremita di ufficiali nazisti e rispettive famiglie mentre, come burattini mossi da un filo invisibile, sollevavano il braccio destro come aveva fatto poco prima Diedrich stesso. Un asservimento totale ad un padrone inadatto, pensò Kathrein. L'immagine di tale sudditanza nel salone della sua casa fortunatamente non le era visibile, ma si delineava a grandi linee nella sua testa e ciò le provocò un brivido di disgusto e orrore.

«Stai tremando» mormorò Diedrich mentre si avvicinava a lei e le posava la giacca della sua divisa addosso.

La visione della svastica cucita sull'avambraccio la fece rabbrividire ulteriormente e le riportò alla mente la scena di tanti anni prima, quando si conobbero la prima volta e lui aveva avuto la stessa premura di adesso.

«Continui a tremare, dovremmo rientrare» ordinò perentorio allora, obbligandola ad alzarsi.

Tuttavia ignorò le sue parole e quando fu alla sua altezza piantò gli occhi nei suoi e si perse per qualche secondo. Poi, con una timidezza che non le era mai appartenuta prima, domandò:

«Quale propaganda?»

Diedrich corrucciò lo sguardo e mentre la guidava verso l'entrata, questa volta senza essere interrotti da nessuno, le diede le risposte che voleva:

«Goebbels sta organizzando un'altra campagna per coloro che continuano a tradire la propria razza con matrimoni misti, generando prole indegna»

La risposta dell'uomo fu più che esaustiva e, benché non condividesse l'ideale, annuì e chiede ancora:

«E perché parla del nostro matrimonio come se fosse qualcosa di già compiuto?»

A quel punto Diedrich scoppiò a ridere e si fermò un attimo, al centro del giardino, e inspiegabilmente la baciò. Fu un bacio leggero, ma per Kathrein significò più di molti altri perché inaspettato.

Ancora stordita dal gesto, udì a malapena la sua risposta:

«Gliene ho parlato oggi quando sono andato a Monaco a riferirgli le notizie della duchessa, gli ho comunicato anche la mia volontà di restarmene a Berlino per un bel po'»

Se fossero stati soli in quel posto e non avesse ricevuto una disciplina così rigida, gli sarebbe saltata in braccio in maniera indecorosa come faceva molti anni prima quando lui era solo un soldato semplice e lei ancora ragazzina. Ricordò per un attimo con nostalgia quei momenti insieme, quei pomeriggi passati nel giardino a correre e ridere spensieratamente o le chiacchierate sul letto della sua stanza. I pranzi e le cene con i suoi genitori, quando Diedrich si perdeva a parlare di politica con suo padre lei invece si perdeva ad ammirarlo, forte nei suoi ideali ed estremamente bello.

Adesso erano entrambi adulti e avevano dei doveri nei confronti del loro paese, nonostante a Kathrein non importasse più di tanto.

Quando rientrarono furono irrimediabilmente divisi da sua madre che la trascinò da un lato all'altro dell'enorme salone per conoscere famiglie importanti le cui figlie sarebbero dovute rientrare tra la sua cerchia di amicizie, volente o nolente, e dai parigrado di Diedrich che, dopo sei mesi trascorsi prima ad Est e poi in Italia, insistevano per bere con lui come i vecchi tempi e poi giocare a biliardo insieme.

Il resto della serata, quindi, trascorse tranquillo tra un convenevole e un altro, balli, chiacchiere e bicchieri di champagne. Sebbene non si fosse direttamente incontrata con Wallis, e anche sua madre sembrava volerla evitare, qualche volta l'aveva scorta a guardarla di nuovo inspiegabilmente con quell'aria truce.

Quando la serata sembrava stesse per volgere al termine, gli invitati congedarsi per tornare nelle loro abitazioni e Kathrein ringraziare Dio per aver superato la serata senza eccessive complicazioni, Heinfried invitò i presenti ad accomodarsi fuori per un ulteriore rinfresco.

Così, tutti gli invitati si riversarono all'esterno nella fresca sferzata di vento settembrina. Una tavolata di frutta e dolci era stata imbandita dove poco prima non c'era nulla ed era stata decorata da eleganti fiori in raffinati vasi scelti da Elsbeth.

Kathrein seguì la folla ma non capì il motivo per cui allungare ulteriormente la serata con quel banchetto, quando una torta di sette piani era già stata servita precedentemente. Era quasi mezzanotte e voleva solo ritirarsi nella sua camera, smettere di sentire le voci stridule di quelle oche, togliersi le scarpe e lasciare che il sonno l'avvolgesse tra le sue spire.

Notò Wallis che, furtivamente, dopo aver mormorato qualcosa a suo marito, si addentrava verso la rimessa e saliva su un'automobile di ufficio sparendo dalla villa. Non capì il perché fosse andata via così repentinamente, senza nemmeno aspettare suo marito. Forse non stava bene e gli aveva detto che sarebbe tornata prima in albergo, ma comunque la cosa la insospettì. Preferì non indagare oltre, l'avrebbe fatto l'indomani.

Due braccia la cinsero da dietro e, sebbene riconobbe subito la stretta, fu sorpresa da quel contatto così confortevole e si accorse di star agognandolo dal momento esatto in cui due ore prima l'aveva lasciato.

«Buon compleanno, amore mio» il bacio che le lasciò sul collo dietro all'orecchio le fecero venire i brividi e lui la strinse ancora di più a sé, contro il suo petto forte e caldo.

Scoccò la mezzanotte e i fuochi cominciarono ad esplodere colorati e brillanti nel cielo. Sussultò quando li vide espandersi e irradiarsi meravigliosi e stupefacenti tra le stelle. Tra tutti gli avvenimenti di quei giorni che si erano susseguiti da quando aveva ricevuto la lettera di suo padre in Francia, aveva completamente dimenticato che fosse il suo compleanno ma non sembravano essersene scordati Diedrich e i suoi genitori.

Era più che sicura, però, che fosse stato Diedrich a suggerire l'idea dei fuochi d'artificio ai suoi genitori perché le aveva sempre detto di adorare la sua espressione da bambina quando li osservava rapita.

Eppure si sentì tremendamente in colpa quando pensò di aver condiviso quel medesimo momento con un altro uomo solo qualche sera prima, tuttavia cercò di scacciare quella sensazione e godersi lo spettacolo cullata dalla protezione del corpo di Diedrich che per lunghi mesi le era mancata.

Quelli furono gli ultimi pensieri logici che riuscì a formulare, però, perché il rumore di uno sparo fu troppo vicino e la fece vacillare.

Dopo non riuscì a capire più nulla, solo brevi sprazzi di ricordi gettati su momenti di caos, di puro panico e terrore.

L'ultima cosa che ricordò fu l'immagine di Diedrich ed altri ufficiali del Reich che puntavano la pistola contro alcuni uomini che erano riusciti ad infiltrarsi nella villa, superando i controlli di sicurezza delle sentinelle, e avevano aperto fuoco sul banchetto.

Sentì un altro sparo. Poi, non riuscì a rammentare nient'altro.

_______________________________

*Heinrich Hoffmann fu il fotografo personale di Hitler, presso cui lavorava Eva Braun. Fu lì, infatti, che i due si conobbero.

*la donna più infelice del terzo Reich era il soprannome che davvero fu attribuito ad Eva Braun all'epoca poiché, sebbene organizzasse sempre feste e vivesse tra i lussi e le illustri compagnie, tentò ben due volte il suicidio

Ciao tesorii!❤️
Come state? Volevo ringraziarvi di nuovo per tutto il sostegno che mi dimostrare. VI ADORO!
In questo capitolo indaghiamo un po' di più sul legame tra Kath e Diedrich, infatti è completamente dedicato a loro ed anche alle incertezze che derivano adesso dalla presenza di Edda sotto il loro stesso stesso..vedremo come si evolverà questa convivenza forzata AHAHAHAHAH 
Spero vi sia piaciuto, a presto😘
HeyC

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


I segreti del Terzo Reich


Berlino, 4 settembre 1939

Quando aprì gli occhi dovette sbattere le palpebre più volte e guardarsi intorno con aria frastornata prima di mettere a fuoco gli oggetti e capire dove si trovasse.

Una volta che ebbe constatato di essere nel letto della sua camera, fece per alzarsi ma la testa le pulsò dolorosamente come repentina risposta fisica allo sforzo. Perciò dovette riabbassare il capo e una mano spinse delicatamente sul seno accomodando il suo gesto.

Posò lo sguardo su quella graziosa mano dalle dita affusolate e le unghia curate, per poi riconoscere l'anello nuziale di oro bianco di sua madre.

I suoi occhi corsero immediatamente a delinearne le forme e non poté fare a meno di individuare un'espressione quasi sollevata sul viso di Elsbeth.

Non ricordava con esattezza cosa fosse successo e quanto tempo avesse dormito, ammesso che non avesse perso coscienza nel bel mezzo della festa.

Infatti ricordava vagamente e con poca nitidezza solo brevi attimi di caos e immagini confuse che nella sua testa si susseguivano senza alcuna logicità. Un urlo squarciò prepotentemente il ricordo dei fuochi d'artificio nella sua mente e le portò l'immagine di Diedrich ed altri ufficiali che puntavano la pistola contro altri uomini armati che, però, non era stata in grado d'identificare.  Probabilmente oppositori al Reich.

Il fatto che sua madre non fosse più vestita con l'abito del ricevimento le fece intendere che avesse riposato a lungo, tuttavia le tende completamente tirate non le permisero di intuire se fosse effettivamente mattina o meno.

«Cos'è successo?»

La voce le uscì rauca come il gracchiare di una cornacchia e dovette deglutire più volte prima di riuscire a districare correttamente le parole.

«Cos'è successo ieri sera?» ripeté con maggior sicurezza, mentre calciava via le lenzuola dal suo corpo e scostava i capelli dal viso.

Sua madre tirò un sospiro di sollievo e mormorò qualcosa come: «Grazie al cielo stai bene».

Dopo qualche secondo di pausa, Elsbeth si alzò dalla sedia e si avvicinò al comodino per versare del liquido giallastro in un bicchiere.

«Abbiamo temuto che qualcuno avesse avvelenato il tuo champagne, ma il dottore non ha riscontrato nessuno dei sintomi derivanti dall'ingestione di tale sostanza. Fortunatamente, sei solo svenuta» spiegò la donna mentre Kathrein buttava giù la medicina dal sapore metallico.

Non rispose, ma un flash le balzò alla mente e ricordò di quando Wallis si era avvicinata tanto rapidamente al tavolo dello champagne e poi si era allontanata furtivamente e, poco dopo, si era defilata dalla festa in tutta fretta.

L'aveva vista armeggiare concitatamente al tavolo, ma lasciò perdere pensando che stesse semplicemente rimproverando il cameriere per qualcosa che non andava. Era davvero svenuta o Wallis aveva fatto in modo che le fosse recapitato un flûte avvelenato?

Tenne per sé i suoi pensieri, determinata a scoprirlo più tardi dalla diretta interessata. Ricordò del biglietto con il suo indirizzo nel primo cassetto del comodino e, involontariamente, voltò automaticamente il viso in direzione di questo.

Solo in quel momento, allora, notò un mazzo profumato di fiori che, dall'aspetto fresco, dovevano essere stati appena comprati al fioraio.

«Li ha portati Diedrich stamattina, era molto preoccupato per te quando stanotte ti ha portata qui»

La voce di sua madre le giunse distante, quasi come se provenisse da un'altra dimensione e s'infrangesse fiocamente al suo udito come le onde fanno dolcemente sugli scogli.

Osservò per qualche altro breve secondo la composizione di primule blu, gialle e rosa che contornavano tre rose rosse vermiglio dall'aspetto puro e regale. Il bocciolo che si stagliava fiero all'estremità dello stelo robusto le ricordò la bandiera fascista che era sventolata con orgoglio al di fuori di ogni sede governativa.

Storse il naso per quella strana associazione e tornò a concentrarsi sull'espressione di sua madre, adesso più serena. Anche lei, inspiegabilmente, si sentiva più leggera ma non tardò a ronzare in lei un pensiero fisso.

«Stanno tutti bene? Chi erano quegli uomini?»

Sapeva che sua madre avrebbe capito a chi si riferisse senza che menzionasse esplicitamente di quale avvenimento stesse parlando. Da ciò che ricordava il putiferio della sera precedente aveva avvolto villa Bergmann e i suoi invitati tra le spire del terrore, ma non aveva colto impreparati i soldati del terzo Reich che, in men che non si dica, avevano neutralizzato il pericolo. O, almeno, è quello che riusciva a ricordare dai riflessi pronti di Diedrich che, un attimo prima l'abbracciava e, l'attimo dopo, si era interposto tra lei e il resto della folla puntando la canna della pistola nera lucida di fronte a sé.

I suoi ricordi, però, si perdevano nelle sfumature grigiastre della sua mente obliviata dall'oscurità. Non sapeva davvero se quegli uomini fossero stati fermati, ma il viso di sua madre sembrava disteso e per niente turbato, lasciando presagire che il Reich fosse ancora inscalfito. Non si sorprese di provare dispiacere a tale constatazione, perciò si alzò leggermente appoggiandosi alla spalliera del letto e posò le mani, compostamente incrociate, sul grembo. Intanto scrutava sua madre in attesa di una risposta che confermasse o smentisse le sue ipotesi sul reale corso degli eventi.

«Ribelli, membri della Widerstand. In Italia li chiamano partigiani. O forse ex bolscevichi pentiti, non più d'accordo con il partito da quando è salito al potere Stalin che ha stretto legami con la Germania. Immagino che non lo scopriremo mai»

«Cosa intendi dire, mamma? Sono...li hanno uccisi?»

La sua voce tremava al pensiero che delle vite si fossero spezzate per sempre nel giardino della sua casa, a due passi da lei. Ma ancora di più la faceva fremere l'insistente ed angosciosa domanda che l'attanagliava: quale soldato del Reich aveva sparato? Suo padre forse? O Diedrich? O ancora Alexander o Jospeh? Strinse le labbra in un movimento di stizza e gli occhi si riempirono di lacrime che non versò, nascondendosi dietro la facciata di indifferenza a cui era stata abituata. In realtà desiderava ricevere una risposta da Elsbeth il più presto, allo stesso tempo, però, non era sicura di voler conoscere la verità.

«No Kathrein, no. Li hanno portati in prigione per interrogarli, ma quando Schulze è tornato dopo qualche ora per farlo sono stati trovati morti per avvelenamento. Evidentemente avevano un complice che li ha regalato una morte più degna. Si definivano martiri, ma erano solo pedine di avvertimento. Che siano stati membri della resistenza o bolscevichi, tuo padre ha buoni motivi per credere che volessero attentare alla vita del Führer»

«E ci sono riusciti?» domandò beffardamente Kathrein mentre assumeva un'espressione dispiaciuta che non era neanche lontanamente sincera.

Sua madre l'ammonì con uno sguardo impeccabilmente severo e non tardò ad accompagnarlo con parole algide e di rimprovero:

«Non sai di cosa stai parlando Kathrein, il Führer ha fatto più di quanto tu possa immaginare per la nostra famiglia e dovresti essergli grata persino per il letto su cui ti trovi»

«Non mi sembra che prima di lui papà stesse puzzando dalla fame» ribatté sarcastica ma con un punto di acidità a smorzare la sua ironia.

«A volte sembri solo una stupida ragazzina viziata, Kathrein. Tu non sai i sacrifici che io e tuo padre abbiamo fatto quando eri molto piccola e la guerra non smetteva di portarsi via Heinfried, di bussare alla nostra porta tormentandoci. Tu non sai nulla»

Elsbeth aveva alzato di qualche tonalità la voce, ma non si era comunque scomposta, sebbene una vena sul collo pulsasse prepotentemente a disilludere quella sua maschera di freddezza.

Kathrein pensò che da un momento all'altro sarebbe scoppiata a piangere, ma sapeva che in realtà non sarebbe mai accaduto. Sua madre era troppo posata ed austera per concedersi un sano e significativo pianto. Nel tempo Kathrein aveva deciso di imitarla e, se a volte questo comportamento l'aveva protetta da numerose delusioni, questo aveva creato intorno a lei la storia dell'algida e imperturbabile figlia dei coniugi Bergmann.

Curandosene poco, poi, di quel che chiacchieravano su di lei donne invidiose o troppo pettegole, ciò che si pensava di lei fu confermato e divenne nota a Berlino per essere la "ragazza di ghiaccio". Tale appellativo aveva sempre fatto ridere Kathrein, come d'altronde "bambolina tedesca" in Francia, perché ovunque andasse la faceva sentire rispettata, temuta e, in un certo qual senso, bastava ad aizzare l'invidia delle altre ragazze al punto da concederle la loro lontananza e, di conseguenza, la propria riservatezza.

Guardò sua madre ancora per qualche instante e poi distolse lo sguardo, sorridendo beffardamente del suo sfogo, e rimirò con insistenza le tende di seta beige che, serrate, non lasciavano intravedere alcun raggio solare. 
Poi disse:

«I sacrifici non sono limitare l'acconciatore una volta a settimana invece che due, madre. I veri sacrifici sono stati patiti da quelle persone che hanno sofferto la fame, il freddo e il dolore di non poter dare una vita dignitosa ai propri figli. E se ti prodigassi ad arrivare al mercato in periferia, ti accorgeresti che quelle persone purtroppo ci sono ancora. Molte di loro sono giovani madri tedesche come te ed il Führer, che ha promesso una Germania più prosperosa, cos'ha fatto per loro se non aumentare le tasse per finanziare la sua guerra e la sua sete di espansionismo?»

Mentre parlava si era alzata, non senza fatica, e si era avvicinata alla finestra. Aveva spalancato i tendaggi e la luce del sole l'aveva investita in pieno, ridando un po' di calore alla sua carnagione cerea e provata. Non degnò più di uno sguardo sua madre che se ne rimaneva in piedi dietro di lei, a testa alta come se non avesse udito alcuna delle parole pronunciate da Kathrein o come se la reputasse mentalmente instabile.

«Adesso vai via per favore, la tua presenza non mi fa più piacere»

La durezza con cui erano state pronunciate quelle parole colpì Elsbeth che non era mai stata abituata ad essere rifiutata in quel modo.

«Kathrein, mi stai cacciando?» sbottò indignata mentre faceva un passo verso sua figlia.

Kathrein udì il fruscio alle sue spalle e alzò una mano in aria come a dirle di fermarsi, e così fece sua madre. Non disse nient'altro e allora Elsbeth sospirò, conoscendo la caparbietà della figlia. Incrociò le braccia al petto rassegnata ed anche un po' dispiaciuta dalla piega che aveva preso la conversazione, proprio ora che aveva avuto così paura di perderla, proprio quel giorno così importante.

Così le diede le spalle anche lei e si incamminò verso la porta, poi si voltò nuovamente e osservò la sagoma sottile ma estremamente avvenente della ragazza. Si riconobbe di qualche anno più giovane e un sorriso spuntò automaticamente sul suo viso a quella constatazione, Kathrein le assomigliava più di quanto volesse ammettere, ma sperò che giocasse le sue carte con Diedrich meglio di come aveva fatto lei con Heinfried. Lasciarsi sottomettere era stato un errore che più volte negli anni l'aveva condotta a pentirsi di aver scelto lui e non altri mille pretendenti che la desideravano. In fondo, però, anche se aveva imparato ad amarlo davvero, il loro matrimonio era comunque stato deciso a tavolino.

Si fermò sull'uscio della porta e richiamò la figlia. Così la testa bionda si girò nella sua direzione e il viso si corrucciò inarcando il sopracciglio, in attesa che la donna più grande parlasse ancora. Poi Elsbeth parlò:

«Buon ventiquattresimo compleanno, bambina»

La donna richiuse la porta alle sue spalle, non prima però di aver lasciato un cofanetto di velluto rosso sul bordo del comò a cui Kathrein non si interessò.

Una volta sola nella stanza pensò, forse, di essere stata troppo dura con sua madre ma che in fondo aveva detto solo ciò che pensava da tempo. Si impose di non pensarci, almeno per il momento.

Si guardò allo specchio e ciò che vide la spaventò, quasi non riconobbe il volto funereo e l'espressione che alleggiava sul suo viso. Delle occhiaie violacee e marcate contornavano il suo volto e ne sfiorivano i tratti algidi, macchiando la sua pelle diafana.

Non poté coprirle in alcun modo poiché il trucco era severamente vietato e non avrebbe scoperto a cosa si andasse incontro proprio quel giorno, quando la villa era un hotel per ufficiali tedeschi ed italiani. Per quanto ne sapesse, se non l'avessero portato al sicuro in qualche altro posto dopo l'attentato della sera precedente, il Führer stesso poteva essere ancora lì per ammonire la scarsa previdenza e i sistemi di precauzione contro le irruzioni ribelli dei suoi uomini.

Immaginò quell'uomo piccolo e baffuto arrabbiarsi e diventare paonazzo, causando in Kathrein un moto di ilarità.

Andò in bagno e si concesse un bagno caldo, che sembrò ristorare le sue stanche membra ma non mettere a tacere il freddo che le attanagliava ogni angolo più remoto del corpo.

Avvolse un asciugamano attorno ai suoi seni e poi esso ricadde a coprirle il corpo sino a metà coscia. Passò la mano sulla superficie dello specchio appannato e sorrise pensando ai rimproveri di sua madre da bambina per quel gesto. Guardò il suo riflesso per la seconda volta in pochi minuti e notò che le occhiaie si erano attenuate, sebbene il colore trasparente della sua pelle non accennasse a diminuire e metteva in risalto le vene del suo collo.

La sala da bagno era grande e ciò non contribuiva nel suo tentativo di cercare un po' di calore, così si pettinò i capelli e lasciò che si asciugassero all'aria tiepida di fine estate. Tornò nella stanza e ciò che vide la fece sussultare.

Alexander era seduto sulla poltrona della sua camera e osservava il passaggio che si intravedeva dalla finestra, in attesa. Non appena sentì la porta del bagno scattare prese a scrutarla in maniera indecifrabile negli occhi color ghiaccio, sebbene un paio di volte il suo sguardo si fosse posato sulle gambe della ragazza lasciate scoperte dal telo.

Kathrein tentò, quindi, di coprirsi quanto più possibile quel pezzo di tessuto le concedesse

Kathrein tentò, quindi, di coprirsi quanto più possibile quel pezzo di tessuto le concedesse. Il pensiero che quell'unico strato superficiale separasse le sue nudità dallo sguardo impertinente dell'ufficiale la condusse ad arpionarsi ad esso come se fosse la sua ancora di salvezza.

Ci furono brevi attimi di silenzio, in cui nessuno dei due seppe cosa dire, evidentemente Schulze non si aspettava che Kathrein uscisse nuda dal bagno, ma in fondo perché non avrebbe dovuto se quella era la sua camera? Si limitarono a scrutarsi per un po', ghiaccio nel ghiaccio, Alexander contraendo la mascella come preda di un pesante sforzo e Kathrein che si sentiva sprofondare nell'imbarazzo.

Intuendo il suo disagio, l'ufficiale portò nuovamente lo sguardo altrove ed anche la sua mandibola sembrò finalmente rilassarsi. Così, non più sotto osservazione, Kathrein mosse qualche passo verso l'armadio e spalancò l'anta, rifugiandosi dietro di essa come uno scudo protettivo.

«Qualcuno ha minacciato di tagliarvi la mano se aveste bussato, maggiore Schulze?» il tono volutamente acido e tagliente con cui Kathrein sputò quelle parole non sembrò minimamente scalfire l'uomo, che si limitò ad alzare le spalle e adottare un sorrisetto di scherno.

«Ho bussato più volte, nessuno mi rispondeva e ho pensato steste di nuovo male fräulein»

«E quando avete appurato che non fosse così, vi siete seduto ad aspettare anziché uscire e ritornare più tardi»

Il fastidio di Kathrein fu scaturito non tanto dalla mancanza di rispetto, ma dal fatto che non riuscisse ad affrontare la presenza di Schulze con la lucidità che avrebbe voluto. Da quando erano tornati faceva di tutto per evitarlo, benché soggiornasse nella sua villa, e lui sembrava adottare il medesimo atteggiamento, eppure per qualche assurda ragione sembrava essere l'unico militare a disposizione quando suo padre doveva comunicarle qualcosa. Aveva quasi litigato con Diedrich per questo.

«Non credevo di certo di trovarvi nuda» il sorriso di Alexander si tramutò in un'espressione enigmatica che ammutolì Kathrein, fin quando l'uomo non parlò di nuovo.

«Vostro padre mi ha mandato per informarvi che è richiesta la vostra presenza al meeting di questo pomeriggio»

Il maggiore si alzò dalla poltrona, sistemandosi la giacca della divisa e, dopo aver lanciato un ultimo ed eloquente sguardo alla ragazza, si avviò verso l'uscita. Tuttavia Kathrein sentì l'insano e immotivato bisogno di richiamarlo e godere qualche altro minuto del senso di conforto che le dava in quel momento di confusione, in cui non capiva cosa stesse succedendo al suo corpo, un uomo come lui.

Lui la guardò di nuovo, con una mano sul pomello e il sopracciglio inarcato. Aspettò pazientemente che la ragazza parlasse.

«Non dovrà sapere nessuno della situazione imbarazzante di oggi, soprattutto il mio fidanzato» tentò di sembrare decisa e risoluta, ma il tremolio della voce la tradì e anche la reazione del suo corpo che si ritrasse quando l'uomo le si avvicinò.

«Schneider è il mio migliore amico. Ci siamo arruolati insieme, siamo stati addestrati insieme, io ero lì per lui quando era nella merda e lui era lì per me quando lo ero io, siamo quasi morti insieme. L'ultima cosa che farei è portargli via la sua donna» fece un attimo di pausa, squadrandola dalla testa ai piedi e Kathrein si strinse ancora di più nel telo, facendosi piccola. «Anche se è la più bella di tutta il Reich»

Si allontanò da lei e il suo sguardo ricadde sul vaso con i fiori di Diedrich e aggiunse:

«Alle 14 in punto fatevi trovare davanti all'ufficio di vostro padre. Buon compleanno, Kathrein»

Ma la ragazza era ancora troppo frastornata dalle sue precedenti parole per ascoltarlo, il fatto che l'avesse definita la donna più bel del Reich la scombussolava. Infatti, disobbedendo alla sua rigida capacità di controllo, esternò a voce i suoi pensieri e si maledì mentalmente per il suo essere così inopportuna:

«La vostra fidanzata è molto bella»

L'ultima cosa che vide prima che l'uomo uscisse dalla stanza fu il berretto nazista che veniva indossato e nient'altro. 

Più tardi...

Il resto della mattinata trascorse tranquilla e Kathrein ebbe a disposizione per sé tutto il tempo di cui aveva bisogno per riprendersi dalla sera precedente, sebbene non potesse comunque dire di sentirsi in forma smagliante. Sua madre aveva fatto in modo che la servitù la disturbasse unicamente per servirle il pranzo in camera e riordinarle il letto, così la ragazza ne approfittò per finire i primi moduli di disegni delle divise.

Tra un disegno e l'altro dovette fare anche numerose pause, a causa di alcuni capogiri che le impedivano di vedere con nitidezza le forme davanti a lei. La sua pelle diventava sempre più fredda e dovette appoggiarsi una giacca sulle spalle per calmare il tremore del suo corpo. Si sentiva stanca e frustrata, nonostante non riuscisse ad individuarne il motivo.

Una volta terminati i primi disegni che avrebbe portato con sé alla riunione, decise di riporli nella cartellina con cura e di concedersi qualche attimo di riposo prima di scendere.

Si gettò sul letto, incurante di sgualcirlo e cominciò a domandarsi perché suo padre richiedesse la sua presenza. Non era concesso, solitamente, alle donne di partecipare ai meeting degli ufficiali nazisti ed era più che certa che suo padre non l'avrebbe mai convocata di sua spontanea volontà se non fosse stato messo alle strette.

Sicuramente ci sarebbero stati Diedrich, Alexander e non era poi così sicura di riuscire a reggere entrambe le presenze in una stanza troppo stretta. Ci sarebbe stato Joseph e solo Dio sapeva quanto sarebbe stato arrabbiato con lei per avergli mentito sul reale rapporto che la legava a Diedrich, sarebbe stato di sicuro infuriato per avergli estorto informazioni in quel modo così raggirante.

Per essere tornata in Germania da soli due giorni, aveva combinato già tanti bei casini. Aveva perso la fiducia di quello che credeva un vero e leale amico, aveva quasi rovinato un'amicizia di anni tra due dei più fidati uomini di suo padre, si era ritrovata due volte pericolosamente vicina ad uno dei due e non era il suo fidanzato.

"Non male come reinserimento in società, Kathrein" pensò rimproverandosi.

Si sentì così male e premette la faccia nel cuscino talmente forte, nel tentativo disperato che esso diventasse un buco nero e la inghiottisse in un unico colpo. Ciò però non avvenne e quindi si impose un certo rigore, prendendo un respiro profondo e trascinandosi di malavoglia sino allo specchio.

Qui cominciò un processo di vero e proprio restauro, per coprire al meglio i segni evidenti di un male interno legati allo svenimento alla festa. Sistemò i suoi capelli e passò un leggero correttore sulle occhiaie che non avrebbe notato nessuno. Cambiò i suoi vestiti e scelse qualcosa di più consono ad un incontro con funzionari tedeschi ed italiani. Così indossò un dolcevita nero che, coordinato ad una gonna lunga e stretta che le fasciava perfettamente le forme, la faceva sentire al riparo dal freddo.

Infine legò al collo un ciondolo che le aveva regalato qualche anno prima zia Ruth, un gioiello di famiglia di estrema preziosità non tanto per il valore materiale quanto quello affettivo e morale

Infine legò al collo un ciondolo che le aveva regalato qualche anno prima zia Ruth, un gioiello di famiglia di estrema preziosità non tanto per il valore materiale quanto quello affettivo e morale. Il rubìno non era esageratamente vistoso, ma risplendeva di luce propria e dava un tocco di regalità al viso smunto e pallido di Kathrein quella mattina.

Sospirò e si avviò per i corridoi tortuosi della villa, con dieci minuti di anticipo. Se la sarebbe presa con calma e nel frattempo avrebbe fantasticato su tutte le possibilità per cui suo padre la stava facendo partecipare ad un meeting così importante, dopo un'insurrezione ribelle.

Pensò che forse voleva soltanto mostrare i suoi nuovi modelli e si maledì per averli lasciati in camera, dopo tutto lo sforzo di quella mattina. Così, si fece coraggio e salì di nuovo le scale. Dovette tenersi forte allo scorrimano quando un senso di nausea e svenimento la colse e mise a dura prova la sua volontà di tornare a prendere qualcosa che non sapeva neanche realmente se sarebbe servita.

Una volta in cima alla scalinata, fece fatica a distinguere la sua stanza perché la vista le si era improvvisamente annebbiata. Andò a tentativi, conoscendo la struttura della casa a memoria e, dopo pochi attimi, aprì la porta della sua camera. In pochi secondi la vista non fu più appannata e poté distinguere nitidamente i disegni sul comò.

Li prese e gettò un ultimo sguardo al cofanetto di velluto rosso che, dopo lo scambio di battute acceso con sua madre, non l'attirava in nessun modo a scoprire cosa celasse al suo interno. Forse, si disse, avrebbe dovuto chiarire con Elsbeth anche se, come spesso accadeva, entrambe erano troppo orgogliose per confrontarsi e perdonarsi, lasciando che fosse sempre il tempo a risanare le ferite tra di loro. Prima o poi, sapeva Kathrein, quello non sarebbe più bastato.

Guardò anche i fiori sul comodino e un sorriso le spuntò spontaneo. Solo allora, però, si accorse di un bigliettino e, quindi, colta da un'estrema curiosità, si avvicinò con poche falcate e tirò immediatamente fuori il pezzetto di carta dalla sua bustina dorata.

Un giorno mi dicesti che ti sarebbe piaciuto sposarti a ventiquattro anni, buon ventiquattresimo compleanno Kathrein. 
Ti amo.

Il cuore le balzò prepotentemente contro il petto e prese a battere ad un ritmo incontrollato, sebbene Diedrich fosse sempre gentile con lei non era usuale che le dicesse di amarla poiché la disciplina nazista l'aveva indurito sempre di più negli anni. Inoltre le aveva già parlato la sera precedente della sua volontà di concretizzare il loro rapporto e che, questa volta, avrebbero avuto tutto il tempo del mondo perché il Reich favoriva le unioni puramente ariane. Eppure, non credeva che Diedrich ricordasse di quando, ancora molto piccola, gli aveva confessato che per lei i 24 anni erano l'età più giusta per compiere il grande passo. Questo dettaglio la fece sorridere ancora e ripose con cura il biglietto nel comodino. Notò il cartellino con l'indirizzo di Wallis e decise di ripiegarlo e porlo nella tasca piccola e stretta della gonna, più tardi le sarebbe servito.

Cinque minuti dopo era esattamente davanti alla porta dell'ufficio di suo padre e, torturandosi le mani, si continuò a ripetere che non sarebbe stata costretta ad accettare nulla. Almeno così sperava.

Avanzava già da tempo una proposta che avrebbe voluto fare a suo padre e, in realtà, sebbene fosse giusta e propizia per dimostrarsi votata alla causa del regime, non sapeva come avrebbe reagito Heinfried. Magari voleva proporle la stessa cosa o forse no, tuttavia era riconoscente a suo padre per averla fatta vivere in libertà per tanti anni e, nel modo che riteneva meno sottomesso al Führer e più sinceramente giusto in senso morale, avrebbe dimostrato la sua devozione verso di lui e ciò in cui credeva.

Sbuffò diverse volte, in attesa che qualcuno uscisse e le comunicasse di poter entrare. Per essere dei militari, pensò, non erano poi così estremamente precisi. Così si accomodò nel salotto adiacente, sullo stesso divano dove aveva parlato per la prima ed unica volta con Wallis Simpson, la donna che con uno sguardo la faceva sentire in soggezione.

Pensò a come l'aveva invidiata quando l'aveva vista entrare nell'ufficio di suo padre nel mezzo di una conversazione importante con Diedrich e adesso, inaspettatamente, anche lei stava prendendo parte attivamente alla vita di suo padre. Non che servire il Reich la entusiasmasse così tanto, ma la faceva sentire più vicina ad Heinfried dopo tanti anni e, in qualche modo, nonostante il distacco Kathrein cercava ancora la sua approvazione e il suo affetto.

«Kathrein che piacevole incontro» le parole pronunciate da una fastidiosa voce furono accompagnate dal ticchettio di tacchi che si avvicinavano sempre di più al divano. Non si girò nemmeno per squadrare chi stesse arrivando, poiché il tono melenso e sarcastico le bastò a capire di chi si trattasse.

«Vorrei poter dire lo stesso, Edda» asserì Kathrein con un sorriso di scherno, mentre la ragazza in questione si sedeva sul divano accanto al suo ostentando un'aria di superiorità che i suoi tratti così comuni non le conferivano per niente.

«Oh cielo tesoro, ti direi che sei incantevole ma hai un aspetto pessimo e non mentirò»

«Sai Edda potresti sembrare quasi simpatica senza tutta quella puzza sotto il naso, ma ha ragione Diedrich quando dice che il tuo accento tedesco e la tua voce non sono neanche lontanamente tollerabili»

L'espressione che accompagnò queste parole fece indignare Edda al punto che sbatté infantilmente un piede a terra. La guardò in cagnesco e poi sbottò, a braccia incrociate, come una bambina capricciosa:

«Guarda che Diedrich ha una considerazione di me molto più alta di quel che credi tu» e la sua affermazione suscitò l'ilarità della tedesca.

«Oh ne sono sicura» concordò Kathrein mentre reclinò il capo di lato, continuando ad adottare un atteggiamento di indifferenza. «Riesco quasi ad immaginare i suoi pensieri e la sua considerazione di te mentre ti cacciava via dal suo letto, quando ti ci sei infilata di nascosto nuda»

Gli occhi sembrarono diventare liquidi e vacui, mentre il suo viso si imporporò di una rabbia furente e la sua espressione si finse oltraggiata. Poi si calmò e mostrò uno sguardo quasi di compassione, sorridendo perfidamente.

«È così che ti ha detto che è andata?»

Ghignò in segno di vittoria, ma il suo repentino cambio d'umore non era sfuggito a Kathrein che non diede peso alla sua affermazione. Era evidente che Edda cercasse di metterla contro Diedrich, arrampicandosi sugli specchi e tentando il tutto per tutto per fare in modo che rompessero la loro relazione. Perciò la bionda mantenne un comportamento freddo e distaccato, non lasciandosi scalfire dal tentativo vano della donna di distruggerla.

«E cosa penserebbe di te invece? Non negare il modo in cui tu e l'ufficiale Schulze vi guardate ogni volta che vi trovate nella stessa stanza e, da quanto successo questa mattina, questo accade spesso. Fortunatamente solo io ho visto il maggiore uscire dalla tua camera, chissà cosa sarebbe successo se ci fosse stato Diedrich al mio posto»

Il sorriso sulle labbra di Kathrein morì e lasciò Edda vittoriosa, ma non per molto. Quasi come se non avesse udito le ultime insinuazioni, la Bergmann si avvicinò pericolosamente a lei con un'aria mortalmente seria. Poggiò le mani sul tavolino e con le braccia tese si sporse nella sua direzione.

«Attenta Edda, insinuare di essere andata a letto con un ufficiale tedesco, soprattutto visto il tuo stato coniugale, potrebbe anche costare la vita ad entrambi. La differenza è che Diedrich è un soldato del Reich, se la caverebbe perché è un uomo ed anche abilmente strategico ed utile al regime. Tu perché dovresti essere risparmiata? Perché sei la figlia del Duce? Saresti accusata di tradimento, ai danni di tuo marito e della tua stessa patria, e sono sicura che neanche lui muoverebbe un dito per salvare una figlia che ha messo contro uno dei suoi più fidati consiglieri ed uno degli uomini più vicini al Führer, rischiando che ciò compromettesse le loro trattative e, quindi, mandasse all'aria i suoi affari e accordi con la Germania»

Il viso di Kathrein era così minacciosamente vicino a quello di Edda e la sua autorità sembrò intimidire davvero l'italiana che si limitò a deglutire spaventata. Kathrein ghignò, conscia che Edda fosse così ingenua da credere davvero alle sue parole o troppo codarda per scoprire se fossero vere.

«Fortunatamente le tue indiscrezioni le hai confidate solo a me, immagina se avessi insinuato queste bugie davanti a qualcun altro»

Kathrein le sorrise falsamente cordiale, quasi come se la loro fosse un'amicizia profonda e affabile. L'aveva ripagata con la sua stessa moneta e, dal modo in cui l'aveva messa a tacere, pensò che non si sarebbe dovuta più preoccupare di Edda e della sua male lingua per un bel po' di tempo, nella speranza che quando esso fosse trascorso avesse già impacchettato le sue cose in una bella valigia e tornata in Italia.

Mentre pensava quelle cose, fortunatamente, uscì suo padre dall'ufficio e, imponente nella sua divisa, le fece cenno di accomodarsi all'interno della stanza. Non fu mai più felice come quella volta di vedere Heinfried, si sarebbe liberata di Edda e della sua intollerabile compagnia, benché neanche l'idea di sedersi nel covo di lupi la entusiasmasse.

«Ora, se vuoi scusarmi, devo servire la mia patria in modi più costruttivi dei tuoi» mormorò Kathrein, in modo che suo padre non la sentisse mentre l'attendeva, schernendo ulteriormente la donna accanto a lei.

Tuttavia, questa volta non andò come Kathrein credeva sarebbe andata ed Edda sembrò riacquistare vivacemente la parola. Così sorrise e, tendendo una mano in avanti come cenno di invito a proseguire, sussurrò anche lei in maniera tale che il gruppenführer non la udisse:

«Mi dispiace deluderti, ma anche io sono stata convocata per servire la mia. Dopo di te, Kathrein»

Il sorriso enigmatico che le rivolse fece sbuffare Kathrein che, dopo aver alzato gli occhi al cielo, dovette reprimere un nuovo conato di vomito. Qualcosa non andava per niente bene nel suo corpo, ma se ne sarebbe preoccupata più tardi. Ora doveva preoccuparsi di sopravvivere alla consapevolezza che, fino alla fine del suo soggiorno in quella casa, non si sarebbe liberata della presenza di Edda e resistere alla tentazione di tirare un pugno in faccia al Führer. Perché sapeva che quel desiderio l'avrebbe assalita più di una volta durante quel meeting che non sapeva, sciaguratamente, quanto sarebbe durato.

Prese un profondo respiro e attraversò l'uscio di quella porta, seguita da Edda e da suo padre. I primi occhi che cercò, inaspettatamente, furono quelli di Joseph sentendosi tremendamente in colpa ma, ovviamente, Joseph non ricambiava e non la degnò neanche di uno sguardo. Si sentì così ingiusta nell'averlo ingannato e si disse che, anche se non meritava il suo perdono, avrebbe fatto un tentativo in seguito.

Neanche Alexander la guardava, probabilmente anche lui tentava in tutti i modi di porre una distanza tra loro, sebbene quella stessa mattina aveva fatto l'opposto. Sentì le parole di Edda riecheggiarle nella mente e, in fondo, pensò che non aveva così torto su quello che avrebbe pensato Diedrich di lei sapendo che Schulze era stato nuovamente nella sua camera. Cercò di non pensarci e focalizzò il suo sguardo sulla ragazza accanto a lui, bella ed avvenente. Era la donna che aveva visto già in compagnia di Alexander diverse volte e che incarnava tutti gli ideali ariani del Reich.

Edda prese posto accanto al marito, mentre Kathrein rimase a scrutare per solo qualche secondo in più i presenti. Suo padre nel frattempo si era seduto al capotavola, mentre all'altro si trovava il Führer con un'espressione buffa e allo stesso tempo inquietante.

Accanto a lui incrociò lo sguardo di Himmler e pensò di aver fatto bene a portare con sé i suoi bozzetti. Avrebbe dovuto discutere con lui i dettagli delle uniformi.

Ancora accanto ad Himmler vi era un terzo uomo, anch'egli dall'aspetto potente, che però non riuscì a riconoscere, così come non fu in grado di individuare la donna dall'aspetto poco curato e l'espressione indurita accanto a lui.

Si chiese come mai lei e la fidanzata di Schulze fossero già lì, mentre lei ed Edda erano state invitate ad unirsi solo in seguito. Pensò, forse, che prima avevano discusso sull'attento della sera precedente. Tuttavia continuava a non spiegarsi la presenza delle due donne, cosa a cui Edda non sembrò far caso troppo impegnata a lanciare sguardi lucidi a Diedrich convinta che nessuno se ne accorgesse.

Fu così, finalmente, che incontrò lo sguardo glaciale ma rassicurante del suo fidanzato e prese posto accanto a lui. Sentì la sua mano calda e protettiva posarsi sulla sua coscia e accarezzarla con il polpastrello, mentre il suo sguardo era fisso davanti al Führer. Immediatamente corse ad afferrarla e Diedrich ricambiò la sua stretta, intuendo il suo disagio in mezzo a quelli come lui. Aveva tentato di tenerla lontana da quel mondo, ma qualcosa più grande di lui continuava a trascinarla in quel tunnel di violenza che la guerra aveva portato nel regime.

Neanche Heinfried avrebbe voluto coinvolgerla. Fu per questo che, notando il gesto di rassicurazione del suo militare alla figlia sotto al tavolo, sorrise discretamente con la consapevolezza di averla affidata in buone mani.

Dopo che lei ed Edda ebbero salutato educatamente il Führer ed il resto dei presenti, il cancelliere si alzò dalla sua sedia. Per poco Kathrein non scoppiò a ridere, constatando che l'altezza dell'uomo era pressoché uguale.

«Vi ringrazio per esservi unite a noi» iniziò l'uomo rivolgendosi evidentemente alle ultime due arrivate, che si limitarono ad un cenno della testa in segno di rispetto.

«Spero vi siate ripresa, fräulein Kathrein»

La ragazza interpellata sussultò lievemente, ma nessuno se ne accorse se non Diedrich al suo fianco. Non ebbe neanche il tempo di rispondere, che il Führer proseguì:

«E vi faccio i miei migliori auguri per il vostro compleanno» questa volta l'uomo si aspettava di certo una risposta e rimase in attesa, guardandola sinistramente.

Rabbrividì, l'ultima volta che aveva visto quello sguardo era stato tanti anni prima e l'aveva rivolto a sua nipote Geli. Ripensò alle pene provate dall'amica proprio a causa dell'ossessione che suo zio aveva per lei.

«Dank schön-grazie mille, mein Führer»

Sembrò soddisfatto dalla sua risposta e indugiò ancora un po' con lo sguardo su di lei, cosa che fece sentire Kathrein a disagio. Anche suo padre sembrò compiaciuto dal tono educato e affabile utilizzato dalla figlia e, inaspettatamente, Kathrein fu felice di averlo reso fiero con così poco. Forse, pensò, la vita nel Reich non era poi così male e, presto o tardi, avrebbe dovuto abituarsi e imparare ad accettare il suo posto in società. Per amore di Diedrich e per affetto di Heinfried. Non sapeva quanto nel tempo questo le avrebbe fatto del male.

«Permettete che vi presenti Karl Otto Koch, comandante del campo di Buchenwald, e sua moglie Ilse»

Spiegò il Führer sempre alle due ragazze appena arrivate, facendo riferimento alle due figure a cui Kathrein non era riuscita ad attribuire un'identità. Ilse avrà avuto la stessa età di sua madre, ma portava gli anni decisamente male e il suo viso sembrava celare qualcosa di cattivo e maligno. Il sorriso sinistro che rivolse, poi, non fece che confermare le ipotesi di Kathrein.

Sospirò perché sarebbe stata davvero dura starsene buona e seduta lì, tentando di amalgamarsi in quel regime così lontano dai suoi principi.

Il calore che il contatto con la mano di Diedrich infondeva al suo corpo gelido, però, l'aiutò a mantenere i nervi saldi per le due ore successive. 

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IMPORTANTISSIMO: ALCUNE LETTRICI MI HANNO FATTO, GIUSTAMENTE, NOTARE CHE E' PIU' FACILE SEGUIRE LA STORIA SU WATTPAD IN QUANTO ESISTE UN'APPLICAZIONE. PER CUI, LA STORIA E' FRUIBILE ANCHE SU QUELLA PIATTAFORMA NEL CASO IN CUI UTILIZZASSE WATTPAD E VOLESTE SEGUIRLA. MI SCUSO PER NON AVERCI PENSATO PRIMA.

ECCOMI QUIII!❤️
Allora come state? Mi siete mancati davvero tanto e mi è mancato scrivere per voi, sebbene non mi abbiate comunque fatto mancare il vostro affetto in queste tre settimane. 
Sono tornata dalla Spagna da pochissimo tempo e, colgo l'occasione per ringraziarvi della vostra comprensione e pazienza, sono finalmente riuscita ad aggiornare.
Un bacio grandissimo,
HeyC😘

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