L'Estate dell'Imperatore

di Recchan8
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Giorno 1: Hic Sunt Leones ***
Capitolo 2: *** Giorno 2: Poeta et Patritia ***
Capitolo 3: *** Giorno 3: Foedus cum Diabolus ***
Capitolo 4: *** Giorno 4: Auxilium ***
Capitolo 5: *** Giorno 5: Preda in Venator fit ***
Capitolo 6: *** Giorno 6: Nolo ***
Capitolo 7: *** Giorno 7: Reflexiones ***
Capitolo 8: *** Giorno 8: Tempus fugit, accipis eum ***



Capitolo 1
*** Giorno 1: Hic Sunt Leones ***


Curva a destra, sinistra, sinistra, di nuovo destra.
E' così la strada per Serò di Zignago. Una curva dietro l'altra sui colli liguri; non si ha nemmeno il tempo di respirare che ecco che ne spunta subito un'altra. La strada, che pensai più volte avesse più curve di un curvilinee, è molto stretta ed è costeggiata dal bosco. Guai ad andare fuori strada: rotolereste di sotto per circa cinquecento metri e verreste poi trasportati a valle da uno dei tanti torrenti che scorrono alle pendici del colle.
Ogni volta che mio padre proclamava a gran voce "Andiamo a Serò" era un trauma: mio fratello si buttava a terra in preda alla disperazione, mia madre si copriva la faccia con le mani sussurrando "No, no, no..." e io aggiungevo depressione alla disperazione di mio fratello. A nessuno piaceva l'idea di dover trascorrere dei giorni in quel paese isolato sui colli liguri.
Purtroppo, quella volta fui da sola a dover affrontare Serò di Zignago.
Andò così: conclusi l'anno scolastico abbastanza bene, convinta di passare senza problemi come l'anno precedente; eppure, quando andai a vedere i cartelloni appesi fuori dalla scuola, mi ritrovai un bellissimo “Giudizio sospeso".
Fantastico”, avevo pensato lì per lì, maledicendo il consiglio di classe.
Venni poi a sapere che mi avevano rimandata a latino con 5.7.
Lascio immaginare la situazione a casa: io ero arrabbiatissima per il torto subito (perché 5.7 si arrotonda per eccesso, si deve arrotondare per eccesso), mentre i miei genitori erano altrettanto arrabbiati con me. Fatto sta che l'idea di spedirmi per due settimane a Serò saltò in mente a mio padre.
-”Sai che si fa?”- aveva detto una sera a cena. -”Te ne vai per due settimane a Serò dai nonni”-.
Io lo avevo guardato con gli occhi spalancati, sperando che stesse scherzando.
-”Niente televisione e niente computer; vedrai come studi latino! Non avrai nient'altro da fare!"- aveva continuato convinto delle sue parole.
E così fu.

 

 

 

Dopo una quarantina di minuti la macchina si fermò nel parcheggio all'ingresso del paese. Mio padre spense il motore, mi lanciò una rapida occhiata, aprì la portiera e uscì.
-"Siamo ancora in tempo per tornare indietro! Salta su, prima che sia troppo tardi!"- esclamai ancora seduta dentro la macchina. Non mi ero nemmeno levata la cintura di sicurezza.
-"Non se ne parla”- mi freddò. -”E' la tua punizione. Così impari a non studiare durante l'anno"- rispose, e aprì il bagagliaio per prendere la mia valigia.
Sbuffai e alzai gli occhi al cielo.
-”Andiamo, papà! Non mi dire che sei d'accordo col consiglio di classe! Non si può rimandare a settembre una persona con una sola, una sola materia! Con più di cinque e mezzo, per di più!”- mi lamentai.
-”Non ti sento!”- esclamò mio padre scuotendo la testa.
Mi tolsi la cintura di sicurezza, aprii la portiera dell'auto e la chiusi con un tonfo sonoro, sperando di aver arrecato un qualunque tipo di danno alla vettura. Odiavo quando mio padre faceva così.
-"Ma ora, sii sincero”- insistei raggiungendolo. -”Quanto conviene mandarmi in un paesino sperduto di cento abitanti..."-
-"D'estate ce ne sono anche centocinquanta"- ribatté subito.
-"Differenzia sostanziale!”- esclamai ironica. -”Che senso ha mandarmi qui per studiare latino? Mi sono dovuta portare dietro quel dannatissimo vocabolario, la nonna e il nonno non sanno nemmeno le declinazioni e non penso proprio che qui si parli il latino quotidianamente! Ave, puella! Ave Marcus!"- quasi gridai.
-"Prendi la valigia e vai”- tagliò corto. -”Ci vediamo tra due settimane"- mi disse poi porgendomi il manico del trolley. Lo afferrai, lanciando a mio padre un'occhiata fulminante.
-"Certo, sempre che nel frattempo io non muoia dalla noia. Completamente isolata dal resto del mondo!"-.
Senza nemmeno salutare il mio simpatico genitore, mi incamminai verso la strada principale del paese, trascinandomi dietro il trolley rosso e continuando a vaneggiare e a lanciare accidenti a destra e a manca.
-"Non si muore di noia, Fabiola!"- replicò dopo un po' mio padre a voce più alta per farsi sentire.
-"Ah no? Hic sunt leones importuni!"- gridai.
-"Hai sbagliato aggettivo!"- rispose, e se ne andò, abbandonandomi ai leoni noiosi.
Mi fermai in mezzo allo spiazzo all'ingresso del paese e rimasi lì piantata finché non vidi sparire dietro una curva l'ultima mia speranza di salvezza. Sospirai e guardai il cielo, come in cerca di un supporto morale da parte di qualcuno o qualcosa. Era una bella giornata, il sole delle quattro illuminava il tutto e ogni tanto qualche nuvola assonnata gli passava davanti, proiettando delle ombre sul terreno sottostante. Non sapendo che altro fare, sospirai di nuovo di rassegnazione, e finalmente mi diressi verso il paese strascicando i piedi; il solo pensiero di passare due settimane della mia estate a Serò chiusa in casa a studiare latino non mi entusiasmava per niente.
Serò di Zignago è un borgo medievale. Consiste in una strada principale che passa attraverso la piazza della chiesa di San Martino; da questa via si diramano tutte le altre stradine, strette e contorte, in salita e in discesa (sfido chiunque ad attraversare il paese in moto). In poche parole, il cuore di Serò è rappresentato dalla piazza della chiesa. Più o meno a sud-est del paese si possono vedere l'interno della Val di Vara e il mar Ligure, mentre a sud-ovest è situato un boschetto con una serie di sentieri che portano a vari campi coltivati. Dal parcheggio fuori da Serò si può costeggiare il paese e raggiungere il cimitero, oppure, semplicemente, proseguire con il cammino verso nuove mete.
Camminavo con un tasso di felicità pari allo zero percento. Ce n'era di gente fuori per le strade, ma la maggior parte erano anziani seduti sulle panchine e bambini che giocavano a rincorrersi o a prendere per la coda dei poveri gatti.
Quindi, ricapitolando, popolazione estiva di Serò: anziani, bambini e genitori dei bambini.
Mentre procedevo per la via principale mi guardavo intorno nella vana speranza di scorgere qualche ragazzo della mia età.
Tempo perso”, pensai sconsolata.
Dopo qualche minuto raggiunsi la viuzza in salita lungo la quale è situata la casa dei miei nonni. Aprii il cancello, salii una decina di scalini e andai a bussare alla casa di sinistra (tramite lo stesso cancello si accede a due case: una a destra, con un ampio spazio esterno che dà sull'angolo della via, e una a sinistra, con un tavolo fuori in veranda e un orto, ovvero quella dei miei nonni). Appena mi sentì salire gli scalini, mia nonna si precipitò in veranda, tutta contenta nel vedermi arrivata "fin lì sana e salva".
-"Nonna, ero in macchina con papà”- protestai, tentando di liberarmi dal suo abbraccio. -”E poi i gatti non mi mangiano mica!”-.
-"I gatti no, ma quei brutti biscioni sì"- rispose facendomi entrare.
Già: ogni tanto capita di trovare qualche serpente per il paese, ma non è niente di che, sono semplicemente allegri serpentelli campagnoli.
-"Vieni, ti metto la valigia in camera. Oh Signore, ma cosa c'è qui dentro?!"- esclamò provando ad alzare il trolley.
-"Il vocabolario di latino”- bofonchiai. -”Aspetta, te lo levo"-.
-"Lascia stare, ci pensiamo dopo”- mi fermò con un gesto sbrigativo della mano. -”Ah, Fabiola, ma guarda come sei cresciuta! Sempre più alta, sempre più bella...!"-. E diamo il via al solito discorso che ogni nonna fa vedendo la propria nipote adolescente! Il seguito è facilmente indovinabile. Annuendo e sorridendo più volte, con vari giri di parole riuscii ad assecondarla e a farle cambiare argomento; impresa non facile, data la parlantina di mia nonna, ma non impossibile.
-"Senti, nonna”- dissi dopo essere riuscita a interromperla. -”Posso lasciare la valigia qui e andare a fare un giro? Devo ancora riprendermi dalle curve del viaggio e dal... Be', lo sai, no? Il latino, la televisione, il computer, i genitori che ti abbandonano, il mare, gli amici che qui non ci sono... Insomma, vorrei fare un giro; tra un'oretta sarò di ritorno”-. Mi zittii, pensosa. -”Anche meno di un'ora, tanto qui non c'è nessuno"- mi corressi stringendomi nelle spalle.
-"Certo, vai pure!"- acconsentì nascondendo un sorrisetto.
Le lanciai un'occhiata interrogativa, ma lei si girò immediatamente e tornò in cucina a finire di asciugare i piatti.
Qui gatta ci cova”, pensai scendendo gli scalini. “Poco importa, facciamo questo giro, deprimiamoci ancora di più e torniamo a casa per il tè delle cinque”.
Nella parte alta del paese ci sono una pista da ballo e un piccolo palco coperto, entrambi usati per le feste serali estive; alle loro spalle si trova il boschetto già precedentemente citato. Spesso, da bambina, quando non avevo niente da fare, andavo a leggere un libro seduta in mezzo alla pista all'ombra dei castagni. Anche quella volta, non sapendo come trascorrere il tempo, ritenendo inutile e autodistruttivo passeggiare per le vie del paese, decisi di andare a trovare i miei cari castagni della mia adorata pista da ballo. Percorsi la stradina in salita con molta calma, godendomi il venticello che ogni tanto si degnava di rinfrescare un po' l'aria in quella afosa giornata di luglio. Quando scorsi i castagni, sorrisi e affrettai il passo. In meno di un minuto ero già seduta in mezzo alla pista da ballo con un sorrisetto compiaciuto stampato sulle labbra. Le cicale stridevano come non mai e, chiudendo gli occhi e concentrandomi, potevo persino udire i campanacci del bestiame in lontananza.
Quel dannato ragazzo mi si avvicinò di soppiatto; me lo ritrovai improvvisamente alle spalle. Con le mani infilate nelle tasche dei jeans lunghi stretti, i capelli corvini mossi appena dal vento e una leggera curva sulla bocca, disse che era la prima volta che sorprendeva qualcuno seduto lì in mezzo senza far niente. Non sapendo come rispondergli, mi alzai, presentandomi. Lui mi squadrò; mi ritrovai addosso due occhi gialli da far paura. Quel dannato ragazzo mi ignorò e se ne andò giù per la stradina che passa sotto un arco, tirando calci a un sassolino bianco che contrastava col nero delle sue scarpe.

 

 

-"Non sai quanto mi faccia piacere rivederti! Quanto tempo è passato dall'ultima volta? Cinque anni? Possibile?"-.
-"Certo che il tempo passa velocemente, eh?"-.
-"E' passato così tanto tempo che mi ero dimenticata di te!"-.
-"Ehi, che simpatica!"-.
Rigirai il tè cercando di non scoppiare a ridere in faccia alla ragazza con cui stavo parlando. Di fronte a me, al tavolo posto nella veranda della casa dei miei nonni, sedeva Silvia. Lei rappresenta il mio unico contatto a Serò. Tutte le poche estati che ho trascorso lì le ho passate in sua compagnia. Non abbiamo mai litigato o discusso, il suo carattere non glielo consente; è troppo buona. Non pensavo di trovarla a Serò quell'estate, perciò rimasi molto e piacevolmente sorpresa della sua presenza.
Si passò una mano tra i capelli lisci castani e si appoggiò allo schienale della sedia di paglia. Erano più o meno le cinque e mezza del pomeriggio, e il venticello era improvvisamente calato, lasciando che il caldo riempisse l'aria.
-"Ecco... Come lo spieghi il tè caldo d'estate?"- mi chiese divertita.
-"E' un'abitudine che ho preso l'inverno scorso"- le spiegai. -”Non sono riuscita a levarmela”-.
Appoggiò i gomiti sul tavolo e si resse la testa con la mano sinistra. Scosse il capo, sorridendo. La osservai, bevendo alcuni sorsi di tè alla pesca e bruciandomi la lingua.
-"Dimmi un po' ”- esordii a un tratto. -”Tu cosa fai d'estate? Cioè, cosa hai fatto durante le estati in cui non sono venuta a Serò?"- domandai ricominciando a girare il tè.
-"Oh be' "- tornò ad appoggiarsi allo schienale. -"Spesso ho passato i pomeriggi a studiare o a uscire coi miei amici..."-.
Smisi di colpo di torturare il tè e la guardai sconvolta. Lei mi lanciò un'occhiata interrogativa, alzando un sopracciglio.
-"Hai detto amici? Mi stai dicendo che qui, oltre a noi, c'è qualcun altro? Non ci posso credere!"- esclamai.
-"Ti sembra tanto assurdo?"- chiese ridendo.
-"Sì!"- risposi come se fosse una cosa scontata.
Stavo per impazzire dalla gioia quando, per qualche assurdo motivo, mi tornò in mente il ragazzo moro che mi aveva sorpresa alla pista da ballo. Il ricordo del suo atteggiamento singolare mi fece zittire subito.
-"Fabiola, che succede? Hai perso di colpo il tuo entusiasmo?"- mi chiese Silvia.
-"No, per niente, è solo che... Ora che ci penso, prima..."- iniziai, mangiandomi le parole.
-"Fabi, qualunque sia il problema puoi parlarmene liberamente"- mi venne in aiuto Silvia. -"Anche perché né tua nonna né mia nonna sono qui al momento" aggiunse guardandosi furtivamente intorno.
Già, dimenticavo: la casa accanto a quella dei miei nonni è quella dei nonni di Silvia. Per questo io e lei ci conoscevamo da un po' di anni.
Mi mossi a disagio sulla sedia e mi morsi il labbro inferiore. Mi sembrava assurdo preoccuparmi così tanto per una scemenza del genere.
-"Tranquilla, non è niente di che. E' solo che prima ho incontrato un tipo..."- iniziai lentamente.
-"Racconta"- mi sorrise Silvia facendosi attenta.
Finii rapidamente il tè e iniziai a raccontarle di come un'ora prima avevo deciso di trascorrere del tempo alla pista dei castagni. Quando arrivai a descrivere l'apparizione del ragazzo, alzò una mano.
-"Ferma"- disse.
-"Che c'è?"- domandai perplessa.
-"Capelli neri e occhi dorati?"- mi disse puntandomi un dito contro.
-"Esatto!"- esclamai sorpresa.
Per l'ennesima volta si abbandonò sullo schienale della sedia, incrociando le braccia al petto e scuotendo lievemente la testa.
-"Non cambierà mai"- disse quasi tra sé e sé. -"Si chiama Tiberio, è un mio amico. Anche i suoi nonni abitano qui a Serò e ogni estate viene a trascorrere qualche mese in loro compagnia. E' un bel ragazzo, non lo si può negare, ma ha un carattere molto... singolare"-.
Appoggiai i gomiti sul tavolo, interessata.
-"Sì, l'ho notato"- confermai. -"Quando mi sono presentata mi ha ignorata e se n'è andato"-.
-"Tipico di lui"- sospirò Silvia. -"Per quanti sforzi tu faccia, sappi che non sarai mai in grado di capire a che cosa stia pensando. E' un ragazzo imprevedibile, vive nel suo mondo ed è a tratti infantili; ma sai, chi non è rimasto un po' bambino?"- disse sorridendo debolmente.
-"Insomma, è un bel tipetto"- conclusi.
-"E non è finita!"- esclamò Silvia puntandomi nuovamente l'indice contro. -"Detesta che le ragazze si interessano a lui"-.
Rimasi per qualche secondo in silenzio a riflettere su quell'affermazione. Com'è possibile? Non potevo credere che potesse esistere una persona che provava certi sentimenti in risposta ad altri.
Senza proferire parola mi alzai e andai a portare la tazza in cucina.
-"Sconvolgente, eh?"- mi chiese Silvia da fuori.
-"Più che sconvolgente è assurdo"- ribattei. -"Vieni dentro, non mi piace dover alzare la voce per farmi sentire"- aggiunsi.
Silvia mi seguì dentro casa e si appoggiò al bancone di marmo della cucina.
-"Per il resto è simpatico. Ti ho solo elencato i suoi aspetti negativi..."-.
-"Da come me l'hai descritto sembra un mostro!"- esclamai iniziando a lavare la tazza.
-"Effettivamente..."- scoppiò a ridere. -"E' solo che io non mi sono mai abituata a lui. Ogni cosa che fa... Be', per me è strana e illogica"-.
Prese dal lavabo il mio cucchiaino, lo sciacquò distrattamente e rimase ferma a osservarlo. Lo asciugò e, con le labbra inarcate in uno strano sorriso, mi disse di non preoccuparmi, di dimenticarmi tutto quello che aveva detto su Tiberio e che l'indomani mi avrebbe fatto conoscere i suoi amici.
Nella mezz'ora che seguì giocammo a carte, raccontandoci cosa ci era successo in quei cinque anni in cui non ci eravamo viste; mi insegnò anche a giocare a Machiavelli, gioco che purtroppo ho completamente rimosso dalla mente. Successivamente la ringraziai per il tempo trascorso insieme, e lei se ne andò sfoggiando uno dei suoi sorrisi migliori.
-"Già che ci siamo domani ti presento anche Tiberio!"- mi disse scendendo le scale.
-"Non vedo l'ora di conoscere un autentico misantropo!"- risposi ridendo.
In realtà era vero: l'idea di conoscere un po' meglio Tiberio mi intrigava, principalmente perché non riuscivo a credere ad alcune cose che mi aveva detto Silvia senza avere almeno una prova, ad esempio il fatto che avesse odiato tutte le ragazze che si erano innamorate di lui.
"Ma per piacere, adesso non esageriamo!" pensai scettica.
Non che stessi dando della bugiarda a Silvia, ma facevo fatica a digerire un'informazione così. Altro che ragazzo strano!
Pensa e ripensa, si erano fatte le sei e mezza. Mia nonna era ritornata dalla sua lunga chiacchierata in paese e mio nonno si era piazzato davanti alla televisione cercando di vedere decentemente un programma a me sconosciuto. Sì, prima avevo detto che la televisione non c'era... Be', praticamente è come se non ci fosse; lascio indovinare il motivo.
Una forza misteriosa mi spinse a tradurre una versione di latino, e verso le otto cenammo: salsicce e purè.
-"A luglio? Ma non saranno un po' pesanti?"-.
-"Macché, d'estate si digerisce tutto! E poi devi ancora crescere. Avanti, mangia!"- disse mia nonna aggiungendo una mestolata di purè alla quantità già abnorme nel mio piatto.
Rimasi sbalordita da quella morbida montagna gialla. Pensai che se fossi stata una formica avrei potuto organizzare uno slalom gigante su di essa. Guardai mio nonno nella speranza di ricevere aiuto, ma lui si limitò ad abbassare lo sguardo e a ridere sotto i baffi.
-"E allora mangerò"- dissi alzando gli occhi al cielo.
-"Ovvio che mangerai! Vedrai, tra due settimane avrai preso minimo quindici chili!"- disse il nonno.
-"Cosa che non le farebbe male"- aggiunse mia nonna squadrandomi da capo a piedi.
Non ero abituata a mangiare così tanto, però mi sforzai e riuscii a finire tutto quello che avevo nel piatto. Dopo la frutta (sì, anche la frutta) mi alzai e iniziai a sparecchiare.
-"Ricordatevi di questo giorno come il giorno in cui avete visto Fabiola mangiare una quantità industriale di salsicce e purè..."- dissi.
-"...Perché non si ripeterà più!"- concluse mio nonno.
-"Attilio, piantala! Questa ragazza dovrà pur mangiare qualcosa!"- lo riprese la nonna.
-"Certo, non lo metto in dubbio, ma non stare a preparare troppo cibo che quella sagometta laggiù non lo mangerà mai tutto!"- rispose ridendo.
Misi le stoviglie nel lavandino, le sciacquai rapidamente e le lasciai lì. Mi asciugai le mani a uno strofinaccio.
-"La sagometta può uscire stasera?"- domandai sorridendo.
-"Ma certo, cara"- disse mia nonna. -"Latino quando lo fai?"-.
-"Nonna, secondo te mi metto a tradurre dopo cena?"- dissi alzando un sopracciglio.
Ottenuto il permesso, andai a cambiarmi e uscii di casa. Avevo intenzione di andare a trovare Silvia, ma se lei non mi aveva detto niente... Meglio lasciar stare, magari aveva qualche impegno. Così l'unica cosa che mi era rimasta da fare era gironzolare per il paese. C'era un po' di gente per le strade. Io, coi miei pantaloni a pinocchietto blu e i sandali a schiava romana, passeggiavo con le mani in tasca, sbirciando dentro alle finestre illuminate e dando ogni tanto un'occhiata al cielo; mi è sempre piaciuto il cielo da quelle parti, fin da quando ero bambina.
Senza rendermene conto arrivai alla pista da ballo dove avevo incontrato Tiberio. Quella sera era vuota. Le luci intorno ad essa facevano risaltare il pavimento bianco rispetto al terreno intorno, e il palco appariva in penombra. Attraversai la pista, arrivando fino alla fine, e poi salii sul palco coperto. Mi sedetti facendo penzolare le gambe giù dal bordo. Ogni tanto si sentiva il rumore provocato dalla gente nella piazza principale, anche se distante.
"Bene, e ora che sono qui che faccio?" mi chiesi.
Non feci niente. Dopo neanche cinque minuti mi stufai e tornai a casa.
-"Sei già qui? E Silvia?"- mi chiese mia nonna sorpresa.
-"Era occupata, aveva gente a cena"- mentii dirigendomi in camera mia.
-"Capisco... Ti ho messo la valigia in camera, però non ho avuto tempo per sfarla"-.
-"Non ti preoccupare, ci penso io"-.
Camera. Certo, come no. Era una stanza quadrata piccolissima, con uno di quei letti vecchissimi a due piazze col materasso spesso, un armadio che avrà avuto come minimo sessant'anni più di me, un comodino piccino con una lampada, e una piccola finestra che dava su un vicolo pieno di gatti; e, come se non bastasse, lo spazio era talmente piccolo che fui costretta a infilare la valigia sotto al letto.
Sistemai i vestiti nell'armadio, lasciai il quaderno, il libro e il vocabolario di latino nella valigia, e in men che non si dica ero già a letto.
-"Fabiola"- comparve improvvisamente mia nonna.
-"Sì?"- la guardai da sotto le coperte.
-"Che fai già a letto?"-.
-"Sono stanca"- mentii spudoratamente.
-"Dov'è finito il brio della gioventù?"-.
-"Il brio...?"-.
-"Quando io avevo la tua età, facevo i salti mortali per poter uscire anche solo un'oretta dopo cena! Ah, se li facevo!"- saltò su.
-"Nonna, calma, ti prometto che domani sera non sarò a casa prima delle undici"-.
Apparentemente rincuorata dalla mia promessa, annuì compiaciuta.
-"Allora buonanotte"- disse chiudendo la porta.
-"Buonanotte"-.
"Non sarò a casa prima delle undici. Sì, certo, come no".

 

 

 






NOTE DELL'AUTRICE
Forse qualcuno ricorderà questo racconto, perché è già stato caricato una volta; lo eliminai perché non credevo di essere in grado di continuarlo. I motivi erano fondamentalmente due: 1) il gran numero di storie in corso; 2) il fatto che questo racconto sia stato scritto nel 2011, la bellezza di sei anni fa, quando avevo quindici anni. Ora, non posso negare che il mio stile di scrittura sia un po' cambiato, che si sia evoluto, però, vedendo come stanno andando le cose con "2nd Chance: Hope" (fanfiction iniziata a quattordici anni e ripresa a ventuno), forse non sarà impossibile concludere "L'Estate dell'Imperatore". Sarò sincera: io VOGLIO finire questo racconto, lo devo alla me di sei anni fa, per cui mi impegnerò con tutta me stessa.
Per chi avesse letto la mia opera magna ("I Don't Wanna Die Anymore"), ho un appunto da fare: IDWDA rappresenta una sorta di evoluzione e di level up di EI (d'ora in poi sarà questa l'abbreviazione per "L'Estate dell'Imperatore"), infatti alcune situazioni e, soprattutto, luoghi, sono molto, moltissimo simili; sono però due storie completamente differenti.
Raramente scrivo note chilometriche, ma questa volta avevo molto da dire ><
Ciao a tutti e alla prossima! ^^ Fatemi sapere cosa ne pensate di questa mia nuova ("nuova", si fa per dire) storia <3

 

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Capitolo 2
*** Giorno 2: Poeta et Patritia ***


Il mattino seguente mi svegliai intorno alle nove e mezza, feci colazione con molta calma e mi vestii con altrettanta calma. Purtroppo per me, un'ora dopo si presentò a casa Silvia tutta pimpante.
-"Buongiorno!"- esclamò entrando dalla veranda.
-"Silvietta, buongiorno!"- la salutò mia nonna.
-"Fabiola?"- domandò.
-"E' in camera, te la chiamo subito"-.
-"No, no, fermi tutti, ci sono"- dissi aprendo la porta.
Silvia, saltellando, si avvicinò a me e mi prese a braccetto.
-"Oggi"- esordì indicando un punto a caso di fronte a lei. -"Ti farò conoscere l'unico gruppo di ragazzi di Serò!"-.
-"Eccellente!"- risposi.
-"Allora noi andiamo"- disse a mia nonna. -"Saremo di ritorno per..."-.
Piantai i piedi per terra e la guardai, sconvolta.
-"Secondo te esco in questo stato?!"- dissi scandalizzata.
Silvia mi squadrò e ignorò i miei pantaloncini azzurri e la maglietta bianca oversize.
-"Che stai dicendo, stai benissimo! Su, andiamo"- ribatté trascinandomi fino alla veranda.
-"No, no, no! Io non esco di casa così! Fammi mettere qualcosa di decente addosso e vengo. Adesso ti siedi qui e mi aspetti"- le dissi facendola sedere su una sedia di paglia. -"Le cose vanno fatte come si deve, altrimenti non si fanno!"-.
Quella pazza scatenata non dovette aspettare molto; tempo cinque minuti e mi ero messa gli shorts bianchi del giorno prima, una canottiera viola e un paio di scarpe bianche. E mi ero anche truccata. Sì, perché io senza trucco non vado da nessuna parte.
-"Potevi anche evitare di truccarti, non ha senso"- mi rimproverò Silvia, seduta in veranda con le gambe accavallate.
-"Sì che ha senso, e poi che vuoi che siano un filo di matita e il mascara? Sono cose basilari"- ribattei.
-"Basilari, ma non in estate. Ti si scioglierà tutto con questo caldo"-.
-"Mai sciolto. Su, vogliamo andare?"-.
Mentre ci avviavamo a braccetto verso la piazza della chiesa, Silvia iniziò a parlare senza sosta dei suoi amici. Da quello che mi raccontò dedussi che si conoscevano fin da bambini, che erano un gruppetto abbastanza compatto e che io non li avevo mai conosciuti perché, ironia della sorte, tutte le volte che io ero in visita dai miei nonni, loro non c'erano. Strana roba il fato.
-"Come passate il tempo qui?"- le domandai.
-"Chiedilo a loro, no? Sarà un buon pretesto per attaccare bottone!"- disse. -"Oh, siamo arrivate. Ehi! Vi ho portato il tassello mancante!"- alzò la voce.
Sbracciandosi per farsi notare, mi portò al tavolo di legno posto in una zona d'ombra della piccola piazza. Senza tanti complimenti mi fece sedere davanti a una ragazza e a un ragazzo. La ragazza aveva i capelli lunghi biondi e lisci, occhi azzurri e una faccia priva d'espressione; il ragazzo, dai capelli biondo cenere, aveva gli occhi marroni e un helix all'orecchio sinistro.
-"Signora e signore, lei è Fabiola"- mi presentò Silvia.
Il viso della ragazza si illuminò di colpo e mi sorrise.
-"Finalmente qualcun altro con cui passare l'estate!”- esclamò. -”Piacere, mi chiamo Flavia"-.
Il ragazzo invece si alzò in piedi e mi venne a stringere la mano.
-"Virgilio"- disse sorridendo.
Rimasi letteralmente incantata da Virgilio: alto e ben messo, pensai che come sport praticasse l'atletica leggera. Forse Silvia si accorse del mio sguardo imbambolato perché tossicchiò e mi fece risedere. Prese poi posto accanto a me, lanciandomi un'occhiata di sottecchi e ridacchiando sotto i baffi.
-"Tiberio dov'è?"- chiese Flavia guardandosi intorno.
-"Chissà... Sarà a scrivere le sue memorie"- rispose sarcastico il bel ragazzo.
-"Impossibile, il suo biografo è qui"- ribatté subito Silvia.
Ma che diamine stavano dicendo? Il mio sguardo passava da un ragazzo all'altro, nella vana speranza di capire qualcosa. Flavia notò la mia faccia sdubbiata e mi diede le spiegazioni tanto desiderate.
-"Sai, è una faccenda che va avanti da quando eravamo bambini. Se ci fai caso abbiamo tutti nomi di origine latina, ovvero Flavia, Silvia, Virgilio e Tiberio, così ci abbiamo montato su una specie di gioco: Tiberio è l'imperatore, Virgilio il poeta, io e Silvia le due nobili amiche dell'imperatore"-.
-"Avevamo pure dato un nome a questa specie di famiglia"- si intromise Virgilio. -"Qualcosa tipo... Aah, non me lo ricordo"- borbottò incrociando le braccia al petto.
-"Insomma, non è niente di che, solo un gioco infantile"- concluse Silvia.
-"Il fatto che Virgilio sia stato designato come poeta si deve solo al suo nome?"- chiesi incuriosita.
-"No, assolutamente! All'epoca non sapevamo chi fosse il poeta Virgilio; conoscevamo a malapena la storia di Roma. Questo simpaticone è diventato il biografo dell'imperatore perché nella vita "reale" è il migliore amico di Tiberio"- mi spiegò Flavia indicando il biondo.
-"E sono orgoglioso di esserlo! Un tipo problematico come lui non fa altro che divertirmi!"- esclamò il diretto interessato, Virgilio.
Scoppiarono tutti a ridere, me compresa.
-"Sentite, sono le dieci. Avevate qualche programma voi due?"- chiese Silvia dopo un po'.
Virgilio si alzò e si stiracchiò.
-"Pensavamo di andare a fare un giro nel boschetto. Magari è la volta buona che Flavia si perde!"-.
-"Ah, simpatico poeta"- rispose Flavia scuotendo la testa.
Silvia mi guardò e con un cenno della testa mi fece intendere che bisognava andare con loro. La implorai con lo sguardo di non farlo, ma lei mi ignorò: mi prese per un braccio e mi trascinò dietro ai due ragazzi biondi.
"Va bene" mi dissi. "Andiamo a fare questo giro per il bosco, andiamo a ridurci in uno stato pietoso, a riempirci di fango e a sporcarci le scarpe!".
-"Scarpe bianche? Mi dispiace!"-. Sembrava che Flavia mi avesse letto nel pensiero.
-"Fanno parte dei piccoli imprevisti della vita"-. Le sorrisi e lei fece lo stesso.
La combriccola, capitanata dal poeta belloccio, si avventurò a passo spedito nel famigerato boschetto.
Entrarono alle dieci e non riuscirono più a ritrovare la strada di casa.
Scherzi a parte, la gita durò un sacco di tempo perché Virgilio ci fece perdere due o tre volte; spesso io e Flavia ci fermavamo per controllare le condizioni delle nostre scarpe e per lamentarci del caldo. Nonostante tutto mi divertii; ero contenta di aver trovato qualcuno con cui passare quelle due settimane a Serò.
"Alla facciaccia tua, papà!", pensai.
-"Torniamo alla civiltà?"-.
Era più o meno mezzogiorno e mezzo. Flavia non ne poteva più, né del caldo né della passeggiata infinita, e si era legata i capelli in una coda alta. Non potei fare a meno di constatare quanto fosse candida e immacolata la sua pelle. Non aveva neppure un piccolissimo neo.
-"Prima però..."- iniziò Virgilio.
-"Virgo, seriamente, ti lascio qui!"- lo interruppe Flavia esausta.
-"Mi associo!"- esclamò Silvia.
Il volto di Virgilio si rabbuiò.
-"Questa è una congiura. Tu quoque..."-.
Oddio, latino!”, pensai in un misto di sorpresa e ribrezzo.
-"Spiacente, ma io e il latino non andiamo d'accordo"- lo interruppi alzando una mano.
-"Davvero? Chiedo venia, puella"- disse sorridendomi amabilmente.
Per poco non mi sciolsi. Mi voltai immediatamente dall'altra parte per evitare che notasse il rossore appena comparso sulle mie guance.
-"Bene, direi che possiamo tornare a casa"- concluse Silvia lanciandomi un'occhiata divertita.
Durante il viaggio di ritorno venni seppellita da una montagna di domande sparate a raffica da Flavia. Voleva sapere come mai fosse la prima volta che mi vedeva lì in paese, per quale motivo fossi stata spedita a Serò, quale fosse il nome dei miei nonni, da dove venissi, se avessi il ragazzo, che scuola frequentassi... Un'infinita serie di domande a cui io, per motivi logistici, non fui in grado di dare risposte esaustive e soddisfacenti.
Finalmente raggiungemmo l'ormai nota pista da ballo; era da lì che iniziava il boschetto. Improvvisamente vidi con la coda dell'occhio Flavia fare uno scatto e raggiungere una delle panchine a bordo pista dove un ragazzo stava seduto leggendo un libro. Lui alzò lo sguardo dalle pagine e lo posò sul viso di Flavia, la quale gli stava mostrando uno dei suoi sorrisi migliori.
-"Guarda chi si vede!"- esclamò Virgilio raggiungendo i due. -"Tiberio, finalmente ti sei fatto vivo!"-.
Silvia, vedendomi un po' titubante, mi prese a braccetto, e insieme raggiungemmo il gruppetto. Mi sentivo alquanto a disagio in mezzo a loro, ma pensai che fosse normale: quei quattro ragazzi si conoscevano da anni, e io ero solamente “la nuova ragazza”; in più lo sguardo fisso e penetrante del moro dagli occhi dorati, Tiberio, non mi facilitava di certo le cose. Decisi così che per quel giorno poteva bastare: dissi loro che dovevo assolutamente tornare a casa ma che speravo di rivederli presto.
-"Ovvio che ci rivediamo! Oggi pomeriggio, che ne dici?"- mi domandò Flavia.
-"Ecco, oggi pomeriggio no, magari stasera..."- bofonchiai.
-"Perché no?"-.
-"Il latino mi chiama"- risposi sbuffando.
-"Ah, capisco"-.
Salutai tutti in fretta e furia, evitando le occhiate dei due ragazzi (che mi imbarazzavano non poco), e tornai a casa quasi di corsa.

 

 

Arrivai alla conclusione che il tè caldo d'estate fosse completamente fuori luogo. Non per il gusto, ma per la temperatura. Avrei potuto benissimo berlo freddo, magari uno di quelli in bottiglia o nel brick, ma non mi piacevano: li trovavo troppo zuccherati.
Quindi, abbandonare il tè o non abbandonarlo?
A questo pensavo mentre Silvia, seduta di fronte a me al tavolo in veranda, stava radunando le idee per parlarmi di un argomento a suo avviso scottante. Era arrivata intorno alle cinque, ora in cui da mesi mi godevo una tazza di tè, e da dieci minuti non spiccicava parola. Possibile che l'argomento fosse tanto... ingarbugliato?
"Dai, ma il tè caldo fa sempre bene!".
-"Allora, le cose stanno così"- proruppe improvvisamente interrompendo il mio flusso di pensieri. -"No, non so se sia giusto parlarne o meno, non sono fatti che mi riguardano"- ci ripensò subito. -"Insomma, un po' sì..."-.
-"Allora dai, spiegami tutto"- la incalzai.
Abbassò lo sguardo e cominciò a toccarsi con nervosismo le punte dei capelli. Sospirai. Era evidente che in fondo non se la sentiva di parlare. Mi strinsi nelle spalle un po' delusa.
-"Facciamo così: io ora finisco il tè e mi metto a fare latino, del resto sono qui per questo; tu invece vai a divertirti con gli altri. Alle sette e mezza, se te la senti, torni e provi a dirmi quello che volevi dire. Ti va?"-.
-"Ma io te lo potrei anche raccontare, è solo che non mi sembra giustissimo sputtanare qualcuno!"-.
Immediatamente mi si drizzarono le orecchie. Era quindi un pettegolezzo ciò di cui voleva parlarmi? Seguendo gli insegnamenti della psicologia inversa feci finta di essere del tutto disinteressata alla questione.
-"Allora non me lo dire"- dissi con un'alzata di spalle.
-"Ma te lo devo dire! Devi conoscere la situazione per evitare... altre situazioni imbarazzanti!"- ribatté.
-"E allora dimmelo!"- sbottai esasperata. Al diavolo la psicologia inversa!
-"Ma...!"-.
-"Silvia, vai a fare una passeggiata"- le consigliai, alzando gli occhi al cielo.
Tenendo lo sguardo fisso sul tavolo iniziò a mordicchiarsi il labbro.
Era fatta così: troppo buona per impicciarsi negli affari degli altri e per spettegolare. Strano a dirsi, visto che i pettegolezzi fanno parte dell'essere donna. Smise improvvisamente di torturarsi il labbro e batté con decisione una mano sul tavolo di legno; io alzai un sopracciglio a mo' di incoraggiamento.
Forse ci siamo”.
-"Vedi..."- iniziò. -"Devi sapere... Per comprendere meglio le situazioni... Sai, non si sa mai..."-.
Alzai entrambe le sopracciglia e feci una smorfia con la bocca per sottolineare la mia impazienza.
-"Ma insomma, Fabiola!"- sbottò.
-"No, continua, ti prego"- le dissi agitando una mano, sconsolata e ormai senza speranza.
-"Vuoi che te lo dica? Te lo dico! Tanto prima o poi l'avresti intuito da sola! La faccenda è: a Virgilio piace Flavia, a Flavia piace Tiberio, e Tiberio sappiamo com'è"-.
Disse ciò tutto d'un fiato, il che le fece diventare le guance rosse.
-"Ma dai!"- esclamai sorpresa. -"Seriamente?"-.
-"Sì"- rispose visibilmente sollevata.
-"E tu in questo circolo dove sei?"- le domandai con un'espressione divertita sulla faccia.
-"Aah, io non ne faccio parte. Sono già impegnata"- disse arrossendo ancora.
Spalancai gli occhi e mi portai la mano davanti alla bocca in una posa teatrale.
-"Non ci credo! Da quanto? E di dov'è lui?"-.
-"Be', ormai saranno sei mesi... E' di La Spezia. Sai, ci vediamo sempre a scuola"- rispose abbassando lo sguardo, imbarazzata.
-"Complimenti, mia cara! E' carino?"- la punzecchiai.
-"Certo che è carino!"- scoppiò a ridere.
Le lanciai un'occhiata divertita e affondai il viso nella tazza di tè, cercando di nascondere quella punta di invidia che era affiorata nei miei occhi.
-"Tornando al discorso di prima"- dissi poi poggiando la tazza sul tavolo. -" Quello che mi hai confessato non mi sembra niente di che. Certo, peccato per Virgilio, è un ragazzo niente male!"-.
Silvia sorrise e si alzò in piedi, spolverandosi i jeans chiari.
-"Vero, peccato per Virgilio, ma c'è sempre Tiberio"- disse facendomi l'occhiolino.
Mi alzai in piedi a mia volta e scoppiai a ridere.
-"Certo! Non vedo l'ora di subire l'ira di Flavia e la furia di Tiberio! Non ti innamorare di me!"- dissi facendo l'imitazione del ragazzo moro.
Silvia e io sghignazzammo insieme finché non mi venne in mente una cosa.
-"Un attimo: Tiberio non sa di piacere a Flavia, giusto?"-.
-"Giusto"- confermò Silvia. -"E Flavia non sa di piacere a Virgilio"-.
Corrugai la fronte.
-"Oh. Brutta faccenda. Anzi, forse è meglio così. La consapevolezza di questi sentimenti potrebbe compromettere la loro amicizia"- constatai.
Silvia mi prese a braccetto e insieme scendemmo le scale per andare a fare un giro in paese.
-"Certo, ma non si può vivere per sempre nell'ignoranza, non credi?"-.

 

 

 

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Capitolo 3
*** Giorno 3: Foedus cum Diabolus ***


Il giorno seguente saremmo dovuti andare tutti insieme al torrente a fare il bagno. Purtroppo quella mattina, mentre mi stavo preparando frettolosamente, Silvia mi chiamò al cellulare e mi disse che il progetto era andato a monte dal momento che Virgilio si era sentito male e aveva passato la notte in bianco. Sospirando, avevo sfatto la borsa, mi ero preparata una tazza di latte e cereali, ed ero uscita in veranda a fare colazione. Come sempre i miei nonni si erano alzati presto ed erano occupati nelle loro faccende, così potei tranquillamente abbandonarmi alla fiumana dei miei pensieri senza essere disturbata.
Flavia, nonostante le sembianze da Barbie, mi sembrava una ragazza a posto. Si era mostrata simpatica, amichevole e disponibile. Sicuramente lei, Silvia e io avremmo formato un bel trio femminile.
Virgilio... Che pensare di Virgilio?
Sorreggendomi la testa con il palmo di una mano, cominciai a rigirare i cereali nella tazza. Piano piano i frutti rossi vennero a galla.
Virgilio era un biondo alto e sorridente, forse fin troppo ottimista per i miei gusti; sotto questo aspetto mi ricordava molto mio fratello, anche lui un ottimista convinto. Per essere alto era alto, credo che Silvia mi avesse detto che praticava il salto in alto (confermando così la mia ipotesi). Simpatico, assolutamente, anche carino direi, ma decisamente...
Mi infilai una cucchiaiata di cereali ai frutti rossi in bocca e il loro rumore che mi impedì di finire il mio ragionamento. Deglutii il boccone.
...Ma decisamente non il mio tipo.
Tiberio e Virgilio si complementavano a vicenda: uno moro, l'altro biondo, uno con gli occhi di un colore assurdo, l'altro di un colore banale, uno dalla personalità complessa, l'altro semplice. Il fisico era più o meno lo stesso, mentre come altezza il poeta superava l'imperatore di almeno una decina di centimetri.
Vidi un gatto sugli scalini e lo guardai con un'espressione interrogativa mentre continuavo a macinare i miei cereali. Quello mi puntò addosso i suoi occhi verde mela, mosse leggermente la coda e quando realizzò che quello che stavo mangiando non era carne se ne andò.
Tiberio? Anche lui a pensarci bene era un classico: il ragazzo tenebroso dalla personalità complessa. Cliché su cliché. Era anche un bel ragazzo, senza ombra di dubbio. Non mi sorprese il fatto che a Flavia piacesse; sotto un certo punto di vista la capivo. A pensarci bene...
-"Fabiola!"-.
-"Eh?"- dissi con la bocca piena di cereali.
-"Sei ancora qui? Pensavo avessi già finito di fare colazione"- disse mia nonna.
-"Ho bisogno dei miei tempi"-.
-"A cosa stavi pensando? Mi sembravi persa nel tuo mondo"-.
In effetti ero concentrata a stilare un'analisi sulle prime impressioni dei miei nuovi amici, ma ovviamente non glielo dissi; odiavo che la gente si impicciasse nelle mie opere giudiziarie. Le dissi invece che stavo pensando a cosa avrei potuto fare quel pomeriggio visto che avevo deciso di dedicare la mattina al latino.
-"Dev'essere bello studiare una lingua antica come il latino!"- esclamò mia nonna.
-"Fidati, non lo è..."- borbottai.
Finii la mia colazione, portai tazza e cucchiaio in casa, li abbandonai al loro destino nel lavabo, andai in camera a cambiarmi, presi libro, quaderno, astuccio, vocabolario, cellulare, forza di volontà e tornai a sedermi sul tavolo in veranda. Controvoglia aprii il libro e sfogliai le pagine cercando una versione abbastanza facile. Constatai con immensa tristezza che non ce n'era una che faceva a caso mio. Sbuffando ne presi una a caso e strabuzzai gli occhi leggendo il titolo: "Folgorante carriera di Catone il Censore".
"Buon per lui", pensai sarcastica. "Non che me ne importi qualcosa della sua carriera".
Lessi in fondo alla pagina l'autore.
"Senza offesa, eh" aggiunsi rivolta a Cornelio Nepote.
Dopo qualche minuto il nonno e la nonna se ne andarono, dicendo che sarebbero tornati per pranzo. Senza nessuno in casa avrei potuto mettermi a tradurre in santa pace.
Esatto, avrei potuto.
Avevo appena appoggiato la punta della penna sul quaderno quando sentii cigolare il cancello in fondo alle scale. Perplessa, mi alzai in piedi e per poco non andai a sbattere contro una figura incappucciata che aveva appena salito di corsa le scale. Indietreggiai di qualche passo per poterla squadrare: di sicuro era un ragazzo, le spalle erano larghe e la vita stretta. Indossava una felpa grigia col cappuccio calato sulla testa, un paio di pantaloncini blu e delle infradito bianche.
-"Virgilio?"- domandai esitante, trovando una certa somiglianza col fisico di Virgilio.
Il ragazzo si calò dalla faccia il cappuccio rivelando il viso sorridente del bel poeta.
-"Buongiorno"- disse. -"Posso accomodarmi?"-.
-"Ah”- dissi colta alla sprovvista. -”Certo..."- risposi titubante.
Virgilio si sedette e appoggiò i gomiti sul tavolo. Lo seguii e mi sedetti di fronte a lui, osservandolo mentre guardava incuriosito il mio libro delle versioni.
-"Scusa, Virgilio..."- iniziai.
Il biondo alzò lo sguardo e mi sorrise.
-"Chiamami Virgo"-.
-"Oh, okay"- arrossii un poco. -"Virgo... Che ci fai qui? Non ti sei sentito male stanotte?"-.
Virgilio smise di sfogliare le pagine e si abbandonò sullo schienale della sedia di paglia. Mise le mani dietro la nuca e alzò lo sguardo alle piante di vite che si attorcigliavano sulle travi sopra di noi. Verso settembre sarebbero spuntati dei bellissimi grappoli d'uva rossiccia, ma ora bisognava accontentarsi dell'ombra fornita dalle grandi foglie verdi.
-"Ho mentito"- confessò tranquillamente.
Mi lanciò un'occhiata di sottecchi per verificare la mia reazione, che forse fu proprio come se l'aspettava: ero sorpresa.
-"E perché?"-.
-"Diciamo che avevo di meglio da fare. Volevo..."-. Si grattò la testa cercando di trovare le parole adatte. Un raggio di sole colpì il piercing all'orecchio: era un piccolo bilanciere nero. -"Insomma, volevo chiederti un favore"- disse alla fine.
Spalancai gli occhi e mi appoggiai a mia volta allo schienale della sedia. Possibile che si fidasse così tanto di me? Ci conoscevamo da poco più di un giorno!
-"Un favore? Dimmi tutto, vedrò cosa posso fare"- gli dissi sorridendo debolmente.
Virgilio mi guardò un attimo negli occhi, poi si sporse in avanti e cominciò a parlare.
-"Sarò diretto: a me piace Flavia da un bel po' di tempo, però non riesco a farle capire quello che provo per lei. Cioè, in realtà non so nemmeno se sia il caso di dirglielo, male che vada potrei anche rovinare il nostro rapporto. Perciò stavo pensando di verificare in qualche modo quello che lei..."-.
"Non ci posso credere", pensai scuotendo impercettibilmente la testa. Avevo già capito dove volesse andare a parare.
-"Hai idea di quello che mi stai chiedendo di fare?"- lo interruppi seria.
Virgilio si bloccò e sussultò. Si morse il labbro e abbassò lo sguardo verso le sue mani, appoggiate sulla superficie del tavolo.
-"E' una cosa un po'... Subdola"- proseguii. -"Non tanto per Flavia, ma per me"-.
In attesa di una sua risposta entrai in casa, presi l'elastico per capelli che la sera prima avevo lasciato sul comodino e mi legai i capelli: non ne potevo più dei riccioli che mi ricadevano sulle spalle, mi facevano troppo caldo. Quando tornai in veranda trovai Virgilio stravaccato sulla sedia, la testa all'indietro e le braccia penzolanti.
-"Virgo?"- lo chiamai.
-"Io... Lo so, hai ragione, ti sto chiedendo troppo. Ci conosciamo da troppo poco tempo"- disse.
Sorrisi e tornai a sedermi di fronte a lui. Quello che mi chiedeva di fare era effettivamente un po' malvagio, ma se avevo capito bene non si trattava di un qualcosa di troppo compromettente: né io né lui rischiavamo troppo, perciò... Si poteva fare. Certo, se Silvia non mi avesse avvertita prima dei sentimenti di Virgilio per Flavia, forse non avrei mai acconsentito ad aiutarlo. Avrebbe sempre potuto trattarsi di uno scherzo di cattivo gusto, ma di Silvia mi fidavo.
-"Ehi, non ti abbattere"- gli dissi.
Sospirando, si ricompose.
-"Ascoltami, intanto verifichiamo che io abbia capito la tua richiesta. Quello che tu vorresti che io faccia è fingere di avere un interesse nei tuoi confronti, interesse che tu contraccambieresti"-.
-"Esatto..."- mormorò.
Mi attorcigliai un ricciolo ribelle intorno all'indice e rivolsi al ragazzo biondo un sorriso poco convinto.
-"Ci conosciamo da poco ma devo ammettere che mi ispiri fiducia, perciò sarà meglio per te che funzioni"- gli dissi.
Il suo viso si illuminò di colpo. Si alzò in piedi, mi prese una mano e mi costrinse ad alzarmi.
-"Quindi mi aiuterai?"- domandò.
-"Be', sì. E ringrazio il fatto che tu mi abbia voluto avvertire delle tue prossime mosse. Se non mi avessi detto niente avrei inteso male il tuo comportamento"-.
-"Mi aiuterai davvero?!"-.
Arrossii un poco per la vicinanza tra i nostri volti, ma gli sorrisi ugualmente.
-"Oh, Fabiola, grazie!"-.
Mi attirò a sé e mi abbracciò forte, mozzandomi il respiro. Gli battei debolmente una mano sulla schiena, sia come gesto di incoraggiamento che come segnale del mio imminente soffocamento. Evidentemente recepì entrambi i messaggi, perché mi liberò subito dalla sua stretta e mi appoggiò le mani sulle spalle.
-"Sei davvero una ragazza fantastica!"-.
-"Adesso non esageriamo!”- ridacchiai. Mi tolsi le sue mani dalle spalle e lo guardai negli occhi, facendomi improvvisamente seria. -”Ascoltami bene, però. Ho una condizione"-.
Virgilio alzò un sopracciglio.
-"Dimmi"-.
Mi scostai da lui e indietreggiai di qualche passo.
-"Niente cose imbarazzanti. Ti aiuterò, ma non sarò la tua toy girl, mettiamo le cose in chiaro"- dissi decisa. -”Dovrai sempre tenere presente che stiamo recitando”-.
Ecco, diciamo le cose come stavano: non che mi dispiacesse, per esempio, essere baciata da Virgilio, ma non volevo che lo facesse solo per una messinscena. Se voleva baciarmi avrebbe dovuto farlo solo ed esclusivamente perché gli piacevo davvero.
Il poeta scoppiò a ridere, cosa che mi mise un po' in imbarazzo.
-"Tranquilla, me ne ricorderò. Ti rispetterò e rispetterò i tuoi spazi e le tue decisioni"- disse facendomi l'occhiolino.
Rincuorata dalla sua affermazione, tornai a sedermi e presi involontariamente in mano la penna che avevo appoggiato sulla piega del quaderno. Virgilio interpretò male il mio gesto e si rimise il cappuccio.
-"Ah, scusami per averti disturbata, mi ero completamente dimenticato del tuo latino"- disse scusandosi.
-"Tranquillo, non ti..."-.
-"Però sai"- mi interruppe. -"Tiberio non se la cava male. Se vuoi potrebbe darti una mano. Mh, se me lo ricordo glielo chiederò. Consideralo come un ringraziamento per la tua collaborazione"-.
Senza darmi il tempo di ribattere se ne andò percorrendo di corsa gli scalini. Lo sentii fermarsi di fronte al cancello e borbottare qualcosa; riuscii solo a captare il nome Tiberio.

 

 

Alla fine mi arresi. Accavallai le gambe, lasciai le carte e appoggiai il mento ai palmi delle mani. Non ero ancora riuscita a vedere così da vicino Tiberio, perciò rimasi sorpresa dallo strano colore dei suoi occhi: un giallo intenso da far paura, di colore simile a quelli dei gatti. I capelli corvini, ribelli e scompigliati in tutte le direzioni, gli ricadevano in parte sugli occhi. Sembrava un personaggio di un anime.
-"Vedi"- disse. -"Se non sai mescolare un mazzo di carte, come pretendi di poterci giocare?"-.
Prese il mazzo di carte e cominciò a mescolarlo con gesti esperti. Le sue sopracciglia erano alzate e aveva sulle labbra un sorriso sghembo.
-"Ecco qua"-.
Appoggiò il mazzo sul tavolo della piazza della chiesa e con una mano mi fece segno di andarmene. Ma andarmene dove? Ero lì da nemmeno mezz'ora in attesa degli altri, esattamente come lui
-"Che stai facendo?"- domandai esitante.
Alzò gli occhi sorpreso e mi guardò.
-"Cosa sto facendo?"-.
-"Te l'ho appena chiesto"- ribattei.
-"Non sto facendo nulla. Ho appena finito di mescolarti le carte. Non sai mescolare un mazzo di carte e io l'ho fatto al posto tuo"-.
-"Sì ma... Non dovevamo fare una partita a qualcosa in attesa di Silvia e degli altri?"-.
Si chinò e appoggiò la guancia alla superficie legnosa del tavolo.
-"E chi l'ha detto?"-.
-"Tu!"- dissi esasperata.
Lo guardai malissimo e lui in risposta mise il broncio. Sospirò, rialzò la testa e batté lievemente le mani sul tavolo.
-"Tiberio?"-.
-"Sì?"-.
-"Ti hanno mai detto che sei strano?"- gli domandai.
Tiberio riprese in mano le carte e ricominciò a mescolarle. Solo quando si portò una mano al polso destro notai che portava un polsino rosso di spugna. Non gli dava fastidio?
Alzò gli occhi al cielo e si fece ombra con una mano.
-"Aah, certamente"- rispose.
E, effettivamente, era strano davvero quel ragazzo. La prima volta che lo vidi mi era sembrato abbastanza normale, forse un po' montato, ma normale; la seconda volta non mi aveva rivolto la parola e si era limitato a fissarmi e a squadrarmi da capo a piedi; e quella volta, invece, sembrava essere tornato ad essere il ragazzo montato e sui generis della prima volta, forse un poco più estroverso. Voglio dire, come può una persona mettersi a chiacchierare normalmente con un'altra che ha incontrato da poco?
"E come fa un ragazzo a chiedere un favore enorme a una ragazza che conosce da un giorno?" mi domandò una vocina nella mia testa.
-"Quindi ne sei consapevole"- gli dissi in tono di sfida.
-"Pensi che me ne freghi qualcosa di cosa pensano gli altri di me?"-.
Rimasi per un attimo senza parole e mi morsi il labbro; non mi aspettavo una risposta così rapida e... cattiva?
-"Be'..."- dissi cauta. -"Di solito alle persone interessa"-.
Prese una carta dal mazzo e me la mostrò.
-"Ricordatela"-.
La rimise nel mazzo e continuò a mescolarlo, gli occhi abbassati sul suo lavoro. Poco dopo posò il mazzo al centro del tavolo, fra lui e me. Con un gesto mi incitò a prendere la prima carta. La presi e feci per girarla, ma Tiberio mi fermò.
-"Che carta ti avevo mostrato?"-.
-"Il tre di picche"-.
-"Gira la carta"-.
Obbedii e vidi che la prima carta del mazzo era proprio il tre di picche. Ormai i trucchetti con le carte non mi sorprendevano più, tanti miei amici li sapevano fare. Sorrisi per cortesia e gliela porsi.
-"Certo, ma a me no"- disse a un tratto.
Sentimmo delle voci nella viuzza appena dietro la chiesa e ci voltammo entrambi nella loro direzione.
-"Eccoli!"- esclamai.
Dalla curva spuntarono Silvia, Flavia e Virgilio. Memore del patto tra me e il poeta, mi alzai in piedi e gli corsi incontro. Tiberio rimase seduto dov'era.
-"Finalmente siete arrivati!"-.
-"Scusateci, abbiamo avuto dei problemi organizzativi"- si giustificò Flavia.
Io e Virgilio ci scambiammo un'occhiatina complice. Andai verso di lui e lo salutai calorosamente.
Ore 17:29
Che lo spettacolo abbia inizio.

 

 

-"Tu stai male!"- mi sussurrò Silvia.
-"Non è vero, ho semplicemente deciso di aiutarlo!"- risposi imbronciata.
Tenendoci a braccetto imboccammo insieme una stradina in salita.
Ebbene, nonostante fossimo dei liceali, ci divertivamo ancora a giocare a nascondino di sera. Come già detto in precedenza, chi non è rimasto un po' bambino?
-"E' un modo decisamente bizzarro di aiutare una persona, non ti pare?"- continuò.
Piantai i piedi a terra e lasciai il braccio di Silvia, che si girò verso di me con un sorriso bellicoso stampato in faccia.
-"Oh, andiamo!"- dissi alzando gli occhi al cielo stellato.
Tre bambini ci superarono di corsa; uno di loro si girò a guardarci e Silvia lo salutò con la mano. Il bimbo sorrise di rimando e si lanciò all'inseguimento dei suoi amici.
-"Non va bene... E' solo che non mi sembra una bella cosa. Insomma, mi dà l'impressione che Virgo ti stia sfruttando e basta"- disse decisa.
-"Ma Silvia"- ribattei. -"Non mi ha costretta, e diciamo che sotto un certo punto di vista possiamo considerare questa faccenda come uno sfruttamento acconsentito"-.
Silvia sbuffò, si avvicinò a me e mi riprese a braccetto. Camminammo per un po' in silenzio, guardandoci attorno alla ricerca dei tre che si erano nascosti.
Passammo davanti al cancello di casa mia e trovammo mia nonna che chiacchierava animatamente con la nonna di Silvia.
-"Sì sì, però... Eh, vedi a non uscire di casa per un giorno cosa succede?"- stava dicendo mia nonna.
-"Menomale ci sei tu, Mirta!"- rispose la nonna di Silvia, Serena.
Ci videro e ci salutarono con un cenno per poi rituffarsi nei loro pettegolezzi serali.
-"Stavo pensando"- disse Silvia a un certo punto. -"Forse... Forse hai fatto bene"-.
Mi accorsi di un movimento sospetto di fronte a noi e accelerai il passo. Silvia mi venne dietro, inciampando di tanto in tanto nella difficoltà di stare al mio passo; la strada in salita non l'aiutava di certo.
-"Certo che ho fatto bene!"- risposi convinta.
Raggiungemmo la pista da ballo illuminata dai quattro lampioni agli angoli. Notai che era stata ripulita dalle foglie e dalla terra e pensai che probabilmente, di lì a qualche giorno, sarebbe stata aperta.
-"Voglio dire... Magari stando con te Virgilio si dimenticherà di Flavia e penserà a tutt'altro"-.
Mi girai a guardarla sbigottita.
-"Stai forse dicendo che dovrebbe innamorarsi di me?"- quasi urlai.
-"Ehi ehi, abbassa la voce!"- mi rimproverò immediatamente Silvia.
-"Be', è un bel ragazzo, anche simpatico direi, però vedi..."-.
Mi sedetti a bordo pista e Silvia mi imitò.
-"C'è qualcuno qui intorno?"- domandai.
-"Solo bambini, abbiamo perso per un soffio Flavia"- rispose sorridendo.
-"Se un ragazzo ha il coraggio di andare da una ragazza che conosce appena e di chiederle di fingere di piacerle per far ingelosire un'altra ragazza... O è folle, cosa che non credo sia, o è davvero innamorato"-.
-"Così innamorato da fregarsene dei sentimenti degli altri"-.
-"Silvia, insomma! A me non piace Virgilio, lo trovo solo carino!"- sbottai.
-"Dannatamente carino"- mi corresse.
Scossi la testa e sospirai. Mi alzai in piedi e le porsi una mano. Silvia la scansò con il dorso della sua mano e si alzò da sola. Poi mi prese a braccetto per l'ennesima volta.
-"Su, andiamo o non li troveremo più. Inizia a farsi buio"-.

 

 

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Capitolo 4
*** Giorno 4: Auxilium ***


Quando Virgilio mi disse che avrebbe chiesto a Tiberio di darmi una mano col latino, non ci credevo davvero; sia per il fatto che il bel biondo appariva troppo preso da Flavia e dalla nostra messinscena per ricordarsene, sia perché Tiberio non mi sembrava un tipo disposto a fare quel genere di cose. Eppure dovetti ricredermi quando la mattina seguente lo trovai a gironzolare nell'orto di casa mia. Indossava una maglietta bianca, un paio di jeans neri piuttosto stretti, e le stesse scarpe che portava il giorno che lo vidi la prima volta. Dal momento che portare dei jeans lunghi in piena estate non gli sembrava abbastanza insolito, in testa si era messo un fazzoletto azzurro a mo' di contadina.
Tornai in casa e lanciai un'occhiata interrogativa a mia nonna.
-"Che succede?"- mi domandò mentre asciugava le tazze della colazione.
-"Che succede?"- ripetei. -"C'è Tiberio nell'orto! Quando è entrato?"-.
-"Tiberio? E chi sarebbe?"-. Si asciugò le mani al grembiule e uscì in veranda. Tornò poco dopo con la fronte corrugata. -"Ah, quel Tiberio. Sinceramente non lo so, probabilmente l'ha fatto entrare tuo nonno. E' un problema?"-.
-"Oh... No, credo di no"- risposi esitando. -"Lo... conosci?"- le domandai lanciando un'occhiata alle mie spalle.
Mia nonna alzò le spalle, tornò al lavandino e riprese il suo lavoro.
-"Che aspetti? Vai, non credo sia qui per controllare le nostre piante. Certo però che è davvero bizzarro quel ragazzo... Oh be', lo è sempre stato. Mi sorprende il fatto che sia venuto fin qua con me e tuo nonno in casa. Non è un individuo molto... sociale"-.
Sospirai e uscii in veranda. Tiberio aveva appena finito di passare in rassegna i pomodori e si stava apprestando a controllare le zucchine quando io tossii leggermente per richiamare la sua attenzione. Alzò lo sguardo verso di me restando impassibile. I suoi occhi gialli erano in contrasto con l'azzurro del fazzoletto che aveva in testa. Riabbassò lo sguardo e salì i pochi scalini che portavano alla veranda.
-"Buongiorno"- gli dissi.
-"Ricevi solo ciò che dai"-.
Lo guardai male.
-"Come, scusa?"-.
-"Ricevi solo ciò che dai"- ripeté.
Alzai un sopracciglio e storsi la bocca in una smorfia.
-"Ricordatelo"- aggiunse picchiettandosi un indice alla tempia.
Si diresse al tavolo di legno e si sedette. Lo seguii e mi fermai con le mani sui fianchi di fronte a lui.
-"Di grazia, messere, come mai è qui?"- domandai prendendolo platealmente in giro.
Tiberio mi puntò addosso i suoi occhi da gatto e mi sorrise.
-"Per il latino"- rispose semplicemente.
Trattenni il respiro per un attimo e poi espirai chiudendo gli occhi. Allora Virgilio glielo aveva chiesto davvero, ed evidentemente Tiberio aveva acconsentito. Probabilmente non aveva niente di meglio da fare; non vedevo altra risposta alla sua presenza.
-"Oh, ecco..."- iniziai un po' a disagio.
-"Che aspetti? Vai a prendere il quaderno, il libro, le versioni se non sono sul libro, l'astuccio, il vocabolario..."- disse contando sulle dita ogni oggetto che elencava. -"Quante sono le versioni? Non so se mi staranno tutte sulla punta delle dita..."-.
Alzai gli occhi al cielo e scossi la testa. Entrai in casa per andare a prendere la lezione quando scorsi le occhiate che mia nonna lanciava a Tiberio. Tornai sui miei passi e mi chinai su Tiberio avvicinando le mie labbra al suo orecchio.
-"Se fossi in te mi leverei il fazzoletto dalla testa"-.
-"Perché?"-.
-"Sai, c'è mia nonna in casa e diciamo che hai un aspetto alquanto... insolito"- spiegai.
-"Ah sì? Per me fa lo stesso, non mi importa"-.
Sospirai e rientrai in casa. Quando tornai in veranda vidi il fazzoletto azzurro legato al suo polso sinistro. Sul polso destro, invece, spiccava ancora il polsino rosso del giorno prima.

 

 

-"E' della seconda declinazione, non della prima"-.
Guardai schifata il nome sulla versione.
-"Ma ha la terminazione in -a, come può essere di seconda?!"- esclamai esasperata.
Tiberio sospirò e mi chiese di dirgli la seconda declinazione.
-"Bene, ora declinami donum"-.
Alzai gli occhi al cielo e cominciai. Arrivata al plurale mi bloccai; Tiberio aveva gli occhi abbassati sulla versione ma stava sorridendo.
-"E'... plurale. Neutro plurale"-.
-"Ci siamo arrivati!"-.
Borbottando parole incomprensibili persino per me stessa, continuai con la traduzione. La maledetta (la professoressa, ovviamente) mi aveva riempita di versioni d'autore e ne avevo fin sopra i capelli delle opinioni politiche di Cicerone, degli auto-elogi di Cesare e dei discorsi senza senso di Aristotele e compagnia bella. Presa da un improvviso attacco di rabbia mista a esasperazione, bucai il foglio del quaderno con la penna e la lanciai sul tavolo; si andò a incastrare in uno dei solchi tra le assi di legno. Tiberio mi guardò malissimo.
-"Basta"- proclamai lapidaria.
-"Siamo solo a metà"- ribatté Tiberio recuperando la penna.
Me la porse e dopo un attimo di esitazione la presi.
-"Non ne posso più, continuiamo più tardi"- proposi.
-"Non se ne parla nemmeno. Devi finirla"- ribatté.
-"E' estate, ho tutto il tempo che voglio"-.
-"A settembre hai gli esami, e il tempo vola"-.
-"E' la prima volta che ti vedo così determinato. Che ti succede?"- lo punzecchiai.
-"Mi piace il latino e odio le persone che lasciano le cose a metà"-.
Mi rivolse un'occhiata talmente dura e fredda che mi fece raggelare il sangue nelle vene nonostante i trenta gradi esterni. Abbassai lo sguardo un po' a disagio, presi la penna in mano e, rassegnata, continuai con la traduzione.
Mezz'ora dopo avevamo concluso il nostro lavoro.
-"Sei più dura di quanto pensassi"- disse Tiberio massaggiandosi una guancia con aria distratta.
Chiusi il vocabolario e lo guardai di traverso.
-"Non è vero"-.
-"Sì invece"-.
Si alzò in piedi e si avviò verso le scale. Mi rivolse un'ultima occhiata e poi, senza salutare, se ne andò prima che io potessi aggiungere o chiedere altro.
"Tipico di lui" pensai, e cominciai a riportare in camera il materiale di latino. Quando tornai in veranda trovai Virgilio seduto al tavolo. Cos'era, uno scambio di persone in stile mago Casanova?
-"Seriamente, vi divertite?"- domandai un po' scocciata.
Il biondo mi sorrise e mi fece segno di sedersi accanto a lui. Obbedii e lui mi appoggiò la testa sulla spalla.
-"Virgo...?"-.
-"E' un lavoro che dovresti fare tu, io sono più alto di te. Così mi verrà il torcicollo"-.
-"Sì, ma..."- boccheggiai.
Mi prese una mano e cominciò ad accarezzarmela.
-"Latino? Tutto bene?"-.
Stavo diventando rossa. Oh, se lo stavo diventando. Sentivo il rossore salirmi sulle guance e raggiungere l'attaccatura dei capelli. Cercai di ribellarmi ma non ci riuscii; tutte le membra del mio corpo adoravano la situazione in cui mi trovavo.
-"Sei così carina quando arrossisci..."-.
-"M-M-Ma..."- balbettai.
In quel momento pensai di morire. Eravamo troppo vicini, riuscivo a sentire il suo profumo; le sue labbra erano a pochi centimetri dalle mie...
Poi sentii una voce provenire dalla strada e capii tutto.
L'incantesimo si infranse e la morsa al petto si sciolse.
-"Virgilio... Non farlo mai più"- sussurrai, con il viso ancora fra le sue mani.
Virgilio lasciò la presa, si scostò un poco e cercò di trattenere le risate. Io nel frattempo iniziai a diventare rossa. Di indignazione.
-"Scusami, ma faceva parte del patto, no?"-.
-"Ho capito, ma almeno avvisami prima! Solo perché hai visto Flavia che stava camminando davanti a casa mia non hai il diritto di piombarmi in casa..."-.
-"Veranda"- mi interruppe asciugandosi le lacrime.
-"Quel che è, fa sempre parte di casa mia! Non hai il diritto di piombarmi in casa e di fare certe cose!"-.
Liquidò la faccenda con un gesto della mano e mi puntò addosso un paio di occhi castani.
-"Non sta servendo a niente. Mi guarda come fa sempre, si comporta come sempre, mi parla come sempre... Ma perché?"- disse portandosi le mani alla testa.
Andai a sedermi di fronte a lui e, mio malgrado, sorrisi per la sua stupidità. O ingenuità.
-"Virgo, è ovvio che non sia cambiato niente. Non è nemmeno un giorno che stiamo inscenando questa farsa. Che cosa pensavi, che ti si gettasse subito tra le braccia?"-.
-"Non è così che funziona, giovanotto, cosa credi?"-.
Mi girai di scatto per vedere mia nonna sulla soglia mentre si asciugava le mani al grembiule. Le scoccai un'occhiataccia che lei mi rimandò indietro.
-"Un altro? Bambina mia, in questa casa stanno circolando troppi ragazzi!"- mi disse con una finta aria severa.
-"Ma nonna...!"-.
-"Non pensavo proprio che avresti chiesto aiuto a Fabiola; attento a non abusare troppo della sua bontà d'animo!"- lo ammonì. -"Virgilio caro, Flavia è un osso duro, non sarà facile come credevi"-.
Il ragazzo incurvò le labbra all'ingiù e sospirò rumorosamente.
-"Ma io la amo!"-.
-"Ma, ma, ma!"- lo scimmiottò. -"Se davvero la ami, va' da lei e diglielo. E' la cosa migliore da fare"-. Detto ciò tornò alle sue faccende domestiche blaterando qualcosa tra se stessa.
-"Ma tu guarda, sa pure di questa storia"- commentai scuotendo la testa. -"Però non ha tutti i torti, eh..."-.
Virgilio mi guardò male e in tutta furia si alzò. Fece per andarsene, ci ripensò e mi puntò addosso un indice.
-"Il nostro patto è ancora valido. Se tra quattro giorni non ci saranno segni di cambiamenti... Mi dichiarerò. Apertamente. Faccia a faccia"-.
Lo guardai sbalordita mentre scendeva le scale e si chiudeva il cancelletto alle spalle. Come mai questa improvvisa smania d'azione?
Senza troppi complimenti attraversai di corsa la terrazza dei nonni di Silvia e mi affacciai sulla strada.
-"Ne sei sicuro?! Mi sembra un po' affrettata come soluzione!"- gli urlai dietro.
-"Sicurissimo!"- mi rispose senza fermarsi.
-"E se poi te ne penti? Se il vostro rapporto..."-.
-"Fabiola!"-.
Venni interrotta da Flavia, che notai si stava sbracciando sotto di me per farsi vedere. Nonostante la lontananza sentii Virgilio imprecare e allontanarsi a grandi passi.
Permaloso il ragazzo!

 

 

Presa dall'esasperazione, quella sera tradussi due versioni di Cornelio Nepote.
Misi nell'astuccio la penna e seppellii la faccia nel quaderno.
Pensandoci bene, non sapevo per quanto tempo avrei potuto reggere la farsa inscenata con Virgilio; a lungo andare avrebbe potuto far male a me e non a lui, visti i precedenti del pomeriggio. Ormai era chiaro: Virgo aveva occhi soltanto per Flavia. E se io mi fossi innamorata di lui? Sarei stata destinata a soffrire, anche se non in eterno, ovviamente. Il fatto poi che Flavia non desse segni di gelosia non aiutava le cose, forse le peggiorava: Virgilio si innervosiva sempre di più e il suo comportamento nei miei confronti avrebbe sfiorato l'idiozia delle telenovelas argentine.
Sospirai, spostai il quaderno e appoggiai la fronte sul libro di latino.
"Flavia, di' a Virgo che lo ami e fa' in modo che io possa riposare in pace".
Impossibile, Flavia era cotta di Tiberio.
"Flavia, di' a Virgo che ami Tiberio e fa' in modo che io possa riposare in pace".
Pace? Quale pace? Ricevuta una simile batosta, Virgilio sarebbe corso da me in lacrime e si sarebbe ucciso sotto i miei occhi.
Mi alzai di scatto e andai in veranda a dare un'occhiata all'orto. Bene, nessuna traccia di alberi. Sospirai di sollievo eliminando il pensiero del suicidio tramite l'impiccagione e mio nonno, seduto in veranda a leggere, mi guardò di sottecchi. Tornai in casa e sostituii il libro col vocabolario.
Silvia. Silvia si era tirata subito fuori dalla faccenda, e mi aveva anche consigliato di fare lo stesso. Maledetta me che non le avevo dato retta! E Tiberio? Tiberio se ne stava nel suo, sempre e comunque.
Forse mi stavo facendo troppe paranoie.
-"Come mai stasera fai i compiti?"- mi domandò mio nonno dalla veranda.
-"Perché sì"- risposi senza alzarmi dal vocabolario.
-"C'è qualcosa che ti affligge?"- chiese girando la pagina del libro che stava leggendo.
-"Mi sono invischiata in un problema più grosso di me"-.
-"Virgilio e Flavia?"-.
Alzai la testa e lo guardai stupita. Mio nonno, essendo uomo, non è mai stato uno in grado di capire certe cose solo guardando le persone. Spostai perciò lo sguardo su mia nonna che mi rivolse un'alzata di spalle per poi tornare al suo lavoro all'uncinetto.
-"Quanto chiacchieri, nonna!"- dissi alzando gli occhi al cielo.
Soffocò una risata e fece finta di non avermi sentita.
-"Lasciali perdere. Lascia che le cose seguano il loro corso"- disse mio nonno. -"Non perdere tempo inutilmente"-.
-"Perdere tempo?"-.
-"Tu devi studiare, mica fare da tramite a due ragazzetti o organizzare complotti"-.
Sospirai per l'ennesima volta, raccolsi la mia roba e la rimisi nella valigia sotto il letto.
-"Anche perché poi, a settembre...!"-.
Chiusi la porta e mi ci appoggiai. Digrignai i denti pensando agli esami a settembre, al caldo dell'aula e alla paura di sbagliare la prova. Mi riscossi, guardai l'orologio e decisi che era abbastanza tardi per continuare a tradurre. Al diavolo Virgilio e i suoi problemi, al diavolo Flavia, e al diavolo il latino. Mi misi in pigiama e andai a chiudere la finestra, quando vidi nel vicolo di sotto Tiberio. Lui si accorse di me e alzò lo sguardo. Restammo in silenzio a guardarci per due minuti buoni.
-"Al diavolo anche te!"- sbottai, e chiusi la finestra con un tonfo sonoro.

 

 

 

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Capitolo 5
*** Giorno 5: Preda in Venator fit ***


La mattina seguente mi ritrovai a girare nell'orto in pigiama. Non avevo voglia di cambiarmi e il caldo delle giornate di luglio non aiutava per niente.
Stavo tornando in veranda quando sentii Silvia salire rapidamente le scale. Chiusi il cancelletto di legno e mi girai per vederla in piedi con una mano appoggiata sulla superficie del tavolo e il fiato corto: aveva chiaramente corso.
-"Pensavo che andare nell'orto in pigiama significasse avere dei seri problemi, ma tu mi hai di gran lunga battuta"- le dissi sghignazzando.
Si ispezionò un attimo e si coprì il viso con una mano.
-"Merda, sono uscita in pigiama!"- sbottò.
Mi misi a ridere convinta che lei avrebbe fatto lo stesso, ma non lo fece.
-"Ti devo dire una cosa"- disse invece. -"E' successo l'impensabile"-.
-"L'impensabile?"- ripetei accigliata.
Le lanciai un'occhiata interrogativa, pensando che Virgilio avesse deciso di suicidarsi per davvero o che Tiberio si fosse trovato una ragazza.
-"Flavia vuole provarci con Tiberio"-.
Strinsi le labbra e feci spallucce.
-"Buon per lei"- dissi.
Poi riflettei un momento su quello che mi aveva appena detto Silvia.
Flavia.
Provarci con Tiberio.
Non Virgilio.
Tiberio.
Mi girai di scatto e aggrottai la fronte.
-"Oh"- fu tutto quello che riuscii a dire.
-"Oh. Appunto"-.
-"Ma perché così, di punto in bianco?"- le domandai.
-"Non lo so davvero..."-.
-"Ma lo sa a cosa sta andando incontro? Lo sa che Tiberio non ci metterà nemmeno due minuti a sbranarla e che quindi la loro amicizia andrà a farsi friggere?"-.
-"In realtà penso lo sappia, ma..."-.
-"Ah! Non sa niente di Virgilio! Oddio, Virgilio si suiciderà davvero!"-.
Silvia, incuriosita dal mio "Si suiciderà davvero", mi lanciò un'occhiata interrogativa; io sospirai e mi passai una mano sul viso. Feci due rapidi calcoli mentali e poi scossi la testa con rassegnazione.
-"Niente, abbandoniamoli al loro destino. Che vuoi che sia"- conclusi.
Silvia mi guardò malissimo.
-"Sono miei amici da tantissimo tempo, non voglio che i nostri rapporti vadano a... Vadano a... Vadano a puttane. E tu ormai fai parte del nostro gruppo, quindi questo casino riguarda anche te"-.
Silvia aveva ragione. Purtroppo ero stata messa in mezzo ed era troppo tardi per tirarmi indietro. Erano amici di Silvia, vero, ma ormai erano anche amici miei.
Mi accasciai su una sedia e sospirai, alzando lo sguardo ai tralci di vite sopra di noi.
-”Accidenti a te e alla tua sindrome della crocerossina”- borbottai.
-”Guarda che ne sei affetta anche tu”- ribatté, riferendosi chiaramente al patto che avevo fatto con Virgilio.
La guardai di sottecchi e sprofondai sempre di più nella sedia.
-"Sarà una tragedia, vero?"- dissi dopo un po'.
-"Be', forse no..."- disse Silvia poco convinta.
-"Che la telenovela abbia inizio..."- mormorai.

 

 

"Shakespeare ci fa un baffo", pensai mentre lanciavo occhiate furtive a Flavia e Virgilio, entrambi seduti di fronte a me al tavolo da picnic nella piazza della chiesa.
-"Pensavo di scartare l'idea del bagno al fiume; potremmo invece uscire domani sera e andare al campo di more"- disse Flavia giocherellando coi capelli.
-"E' una splendida idea! Fabiola, che ne dici?"- mi domandò Virgilio entusiasta.
-"Tib, verresti?"- chiese la bionda speranzosa.
"Tib? Che razza di soprannome è Tib?".
Tiberio, seduto accanto a me, sussultò. Lo vidi stringere un pugno sotto il tavolo e poi rilassare la mano.
-"Mh"- rispose poco convinto.
Che avesse già intuito qualcosa?
-"Ehm, Silvia?"- dissi io, cercando da parte sua un qualsiasi tipo di supporto.
Silvia annuì convinta. Disse che sarebbe stato molto più semplice organizzare quest'uscita rispetto a quella del fiume. Ci mettemmo brevemente d'accordo e ci alzammo dal tavolo. Virgilio si avvicinò a me, mi prese la mano e mi fece fare una giravolta per poi afferrarmi per la vita.
-"Domani balleremo tutta la sera, mea domina!"- disse sorridendomi.
Con la coda dell'occhio intravidi Silvia e la sua espressione di disappunto, e, non sapendo come reagire, lo assecondai come da programma.
-"Spero di essere all'altezza di un poeta del vostro rango!"- risposi con un breve inchino.
-"Oh, lo sarete di certo!"- esclamò a voce abbastanza alta da farsi sentire da Flavia, la quale stava cercando di avere una animata conversazione con Tiberio.
Mi girai verso Silvia e alzai le sopracciglia. Lei fece spallucce e in un lampo di genio prese Flavia a braccetto e la trascinò via con una scusa che non riuscii a capire. Guardai le due che, discutendo, si allontanavano e poi mi ritrovai una mano sulla spalla.
-"Vado anch'io. Grazie, eh"- disse Virgilio sussurrando.
Gli feci l'occhiolino e lui rispose con un mezzo sorriso.
-"Bel moro, leviamoci anche noi di torno"- disse poi rivolto a Tiberio.
Quello sospirò e si risedette al tavolo. Si sorresse la testa con una mano e con un gesto liquidò Virgilio, il quale scosse la testa e si allontanò. Io rimasi per qualche minuto in piedi a fissare Tiberio. Non sapevo cosa fare. Ero tentata di chiedergli qualcosa riguardo Flavia e Virgilio, ma una vocina sentenziosa nella mia testa mi vietò categoricamente di farlo.
-"Sarà meglio che anche io torni a casa. Mia nonna avrà già preparato il pranzo"- dissi alla fine.
-"Oggi pomeriggio?"- domandò improvvisamente.
Mi fermai con un dito alzato a mezz'aria e lo guardai di traverso. Lui mi restituì un'occhiata gialla penetrante.
-"Oggi pomeriggio cosa?"- chiese di rimando.
-"Sei libera?"-.
Il cuore mi fece una capriola e non riuscii a capirne il motivo. Strinsi le labbra e deglutii, sperando che lui non l'avesse notato.
-"Ah, ecco... Sì, non ho niente da fare in particolare"- risposi cauta.
Tiberio si stiracchiò e sorrise.
-"Allora oggi pomeriggio facciamo qualche versione. Vengo verso le tre; spero non sia un problema"-.
-"No, per niente. Anzi, ti ringrazio!"- dissi tutto d'un fiato.
-"A più tardi"-.
Si alzò, si mise le mani nelle tasche dei jeans e, fischiettando una canzone, si avviò verso casa. Restai nella piazza a guardarlo mentre se ne andava, e mi resi poi conto che la canzone in questione era "Drive my car" dei Beatles. Mi scappò un sorriso e anche io mi diressi a casa. Stranamente mi sentivo felice.
Salendo gli scalini di casa, mi bloccai a un tratto con un pensiero che mi sfarfallava in testa.
"Un momento" pensai. "Tiberio che torna ad aiutarmi a latino di sua spontanea volontà? Tiberio che 'spera non sia un problema'?".
Mi guardai i piedi e corrugai la fronte. Un comportamento strano per uno come lui, lunatico, infantile e a tratti introverso. Sospirando alzai gli occhi al cielo e finii di salire le scale.
-"Sono tornata"- dissi entrando in casa.
Nessuno mi rispose. Possibile che i miei nonni fossero ancora in giro? Rientrarono appunto una mezz'oretta dopo e mia nonna corse subito ai fornelli mentre mio nonno andava nell'orto a estirpare un po' di erbacce.
-"Che faccio? Apparecchio in veranda?"- domandai a entrambi.
Mio nonno mi fece un cenno d'assenso e io in tutta calma mi misi ad apparecchiare. Non riuscivo a togliermi dalla mente i problemi del mio nuovo gruppo di amici; facevo fatica a pensare ad altro, sia per la preoccupazione di uno sfasciamento dei loro legami, sia perché ero curiosa di sapere come sarebbe andata a finire la storia.
Mi sfuggì una forchetta di mano e la riafferrai prima che toccasse il suolo polveroso della veranda. La guardai male e la posai sul tavolo.
-"Nonna, oggi pomeriggio viene Tiberio ad aiutarmi con latino"-.
-"Ancora?!"- esclamò la nonna sbucando dalla porta. -"Se lo sapesse tuo padre che invece di studiare porti i ragazzi in casa!"-.
-"Dio, te l'ho già detto, mi aiuta con la lezione!"- risposi esasperata.
-"Di nuovo Tiberio?"- si intromise il nonno. -"Mirta, non è il nipote di Mario?"-.
-"Bravo, quel ragazzo moro con gli occhi color grano"-.
-"Ma quale, quello isterico, infantile e lunatico?"-.
-"Quello, sì"-.
-"Aah, la prima donna!"- esclamò mio nonno soddisfatto.
Sorrisi all'idea di Tiberio in abiti femminili e mi spostai per permettere a mia nonna di posare il pranzo sul tavolo. Sbirciai da dietro la sua spalla e inorridii.
-"Salsicce e polenta?!"-.
-"In qualche modo bisogna pur ingrassare. Passami il piatto, va'!"-.

 

 

Alzai un attimo lo sguardo dal quaderno e guardai Tiberio di sottecchi. Stava appoggiato con la schiena sullo schienale della sedia, le braccia incrociate sul petto e la testa volta di lato; forse stava guardando le piante dell'orto. Quel pomeriggio indossava una camicia a quadri rossi e blu a maniche corte. Da quella volta in piazza non mi era più capitato di poter osservare Tiberio da vicino. Silvia aveva proprio ragione, era un bel ragazzo. Lo strano colore dei suoi occhi mi incuriosiva parecchio, così come Tiberio stesso. A un tratto si mosse leggermente e io tornai subito a occuparmi della versione, facendo finta di non aver mai alzato gli occhi dal libro. Qualche minuto dopo rialzai lo sguardo e notai che si era sbottonato i primi tre bottoni della camicia. Mi morsi il labbro, abbassai gli occhi ed espirai.
"Da quand'è che andiamo in tilt per una camicia col colletto sbottonato, eh?", pensai scuotendo la testa. "E poi su, è Tiberio!".
-"Hai finito?"-.
Mi riscossi dai miei pensieri e annuii vigorosamente.
-"Fa' vedere"-.
Ruotò il quaderno verso di sé e cominciò a leggere le prime cinque righe tradotte confrontandole con il testo in latino della versione. Si strusciò distrattamente la guancia con il polsino rosso, e per l'ennesima volta mi domandai come mai portasse un polsino di spugna in piena estate.
Strinse le labbra e mi restituì il quaderno.
-"Pensavo tu fossi stupida, ma per ora va abbastanza bene"- disse in tono piatto.
-"Ma che...?!"-.
-"E' la verità. Solo gli stupidi non conoscono la loro lingua madre"- mi interruppe stringendosi nelle spalle.
-"Si dia il caso che la mia lingua madre sia l'italiano, non il latino"- ribattei alzando gli occhi al cielo.
-"Si dia il caso che l'italiano derivi quasi direttamente dal latino"-.
-"Si dia il caso che non me ne freghi un accidente"-.
-"Si dia il caso che con questo tuo atteggiamento non passerai mai a settembre"-.
Punta sul vivo mi morsi la lingua e, imprecando sottovoce, frugai nell'astuccio per poi estrarne la penna. Feci per scrivere quando Tiberio mi sfilò il quaderno da sotto il naso.
-"L'hai fatta l'analisi del periodo delle righe successive?"- mi chiese.
-"Sì"-.
-"Quella logica?"-.
-"Non ne ho bisogno"- risposi seccata.
Chiuse il quaderno e se lo mise sulle ginocchia; mi rivolse poi un'occhiata di sfida.
-"Non la faccio nemmeno sotto ricatto"- dissi rispondendo alla sua occhiata.
-"Come ti pare. Gli esami a settembre li fai tu, non io"-.
-"Davvero simpatico"- constatai sarcastica.
-"Ti sto facendo un favore, non so se te ne rendi conto"- disse freddamente.
Non mi aspettavo una risposta talmente tagliente da parte sua, del resto io stavo solo scherzando. Mi sporsi in avanti e appoggiai i gomiti sul tavolo.
-"E io ti ringrazio per questo favore, ma insisto e ti dico che non mi serve..."-.
Fece per ribattere, ma io fui più rapida.
-"Se vuoi andartene fai pure, posso anche cavarmela da sola; non so se tu sarai in grado di fare lo stesso"-.
Tiberio si immobilizzò, storse la bocca e gettò sul tavolo il mio povero quaderno di latino. Mi lanciò un'occhiataccia carica d'odio e incrociò le braccia.
-"Fai un po' come ti pare"- sbottò puntandomi addosso gli occhi.
Sorrisi vittoriosa e ripresi la mia traduzione di quel dannatissimo testo. Ci impiegai circa una mezz'oretta, e in quel lasso di tempo Tiberio non si mosse. Stava immobile, la schiena contro la sedia, la testa rovesciata all'indietro e lo sguardo fisso sui tralci di vite che si attorcigliavano sopra la veranda. Quando ebbi finito gli passai il quaderno e lui cominciò la sua lunga analisi.
Durante la traduzione della prima parte della versione ero riuscita a prendermi cinque minuti per fare due rapide osservazioni sulla mattinata: Flavia si era mostrata molto più attaccata a Tiberio del solito e Tiberio più chiuso in se stesso. Flavia doveva aver detto qualcosa a Tiberio, qualcosa che l'aveva turbato e che l'aveva spinto a trovarsi in qualche modo una protezione, qualcosa che lo rendesse immune alle attenzioni di Flavia almeno per quel giorno, e quel qualcosa erano le ripetizioni di latino.
-"Se non sono troppo indiscreta"- dissi cercando di evitare il suo sguardo. -"Che cosa ti ha detto Flavia stamattina?"-.
-"Niente"- disse senza alzare gli occhi dal libro.
Prese il vocabolario e ci si seppellì dentro. Mi tornarono in mente le parole di Silvia: "E' difficile parlare con lui". Mi passai una mano tra i capelli e appoggiai il mento sul tavolo. Era abbastanza ovvio: Flavia gli aveva proposto di andare da qualche parte con lei e lui aveva subito cercato un modo per rifiutare. In fondo ci teneva alla sua amicizia.
-"Non sarebbe tutto più facile se..."-.
-"Sarebbe una versione da sei, ma un sei scarso"- mi interruppe chiudendo il vocabolario.
Lasciai correre la sua simpatica critica e iniziai a radunare libro, quaderno e compagnia bella. Tiberio nel frattempo si alzò e senza nemmeno salutare se ne andò. Lo guardai scandalizzata mentre scendeva gli scalini e si chiudeva il cancelletto dietro di sé.
-"La prima donna era nervosa oggi?"- chiese mio nonno, magicamente comparso accanto a me.
-"La prima donna è sempre nervosa"- risposi scuotendo la testa. -"Abbiamo il numero di casa di Silvia?"-.

 

 

Chiamai Silvia a casa e le dissi di venire da me il prima possibile. Una decina di minuti più tardi era già arrivata.
-"Volete qualcosa per merenda?"- domandò gentilmente mia nonna.
-"No grazie"- rispose Silvia anche per me.
Mia nonna sorrise e tornò in casa.
-"Tiberio è parecchio... Tiberio"- cominciai. -"Oggi per poco non ci siamo presi a pugni"-.
-"L'avevo già notato stamattina. Te l'avevo detto, lui finisce sempre per odiare chiunque si interessi a lui, e solo perché questa volta si tratta di Flavia..."-.
-"Secondo te non costituisce un'eccezione, giusto?"- la interruppi.
-"Esattamente"-.
Picchiettai l'indice sul tavolo e strinsi le labbra. Silvia appoggiò i gomiti sul tavolo e si afferrò la testa tra i capelli lisci e castani.
-"E se... E se ce ne tirassimo completamente fuori?"- proposi per l'ennesima volta.
-"Non lo so. Te l'ho già detto, sono miei amici. Però...Io ne sono già fuori in parte, sei tu quella che è entrata in questo circolo; e credo che non sarà così semplice uscirne"- disse guardandomi attraverso la massa di capelli.
-"Perché?"-.
-"Abbandoneresti Virgilio"-.
-"E quindi? Avrò pure il diritto di..."-.
Si alzò in piedi e cominciò a camminare per la veranda, facendomi venire voglia di prenderla per una spalla e farla tornare a sedere a forza. Mi faceva venire l'agitazione.
-"Virgilio si dispera e decide di passare alle maniere dirette. Si dichiara a Flavia, ma Flavia lo respinge e gli dice di essersi innamorata di Tiberio. Virgilio non ragiona più come si deve, cerca Tiberio e decide di prenderlo a cazzotti; non guardarmi così, Virgo ne sarebbe capace. Tiberio, giustamente, per legittima difesa reagisce, e finisce con una bella rissa"- mi fece notare Silvia.
-"Una bella rissa che potrebbe rovinare la loro amicizia"- constatai.
-"Non solo. Potrebbe anche tagliare definitivamente i rapporti tra Flavia e i due ragazzi"-.
Ci fu un attimo di pausa in cui un gatto da qualche parte miagolò e un altro gli rispose.
-"Sì ma... Avanti, abbiamo visto troppi film! Tutto questo meccanismo parte se e solo se Virgilio passa alle mani. Metti caso che Virgo invece si rassegni e basta: niente rissa e niente troncatura di rapporti"- conclusi con semplicità.
-"Niente troncatura tra Tiberio e Virgilio, ma tra Virgo e Flavia qualcosa succederà di sicuro"- disse Silvia continuando a camminare.
-"Andiamo, stiamo fantasticando troppo!"- le feci notare.
Silvia mi lanciò una strana occhiata.
-"Senti, io lascerei le cose come stanno. Tra tre giorni Virgo si dichiarerà apertamente a Flavia e..."- le dissi.
Mi alzai in piedi di scatto e mi picchiai la fronte con la mano.
-"Merda!"- esclamai.
Silvia annuì in silenzio.
-"Va bene, bisogna fare qualcosa. Proviamo a salvarli. No, aspetta. Abbiamo bisogno di un altro giorno per valutare bene la situazione. Domani sera andiamo al campo di more, giusto? Bene, laggiù dobbiamo prestare particolare attenzione ai loro comportamenti"- dissi più a me stessa che a Silvia.
Silvia si fermò e finalmente tornò a sedersi. Si massaggiò il mento e poi annuì lentamente.
Perfetto. Formulazione di teorie, osservazione del fenomeno e conclusioni. In qualche modo dovevamo evitare il peggio. Mi intristiva il fatto che un gruppo così affiatato potesse sciogliersi facilmente a causa di uno stupido triangolo amoroso che aveva deciso di mostrarsi col mio arrivo a Serò. Non dovevamo far altro che aspettare la sera del giorno dopo per elaborare le nostre conclusioni e poi passare all'azione.
Ma quale azione?

 

 

 

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Capitolo 6
*** Giorno 6: Nolo ***


Ero pronta al peggio.
Subito dopo cena mi fiondai in camera e tirai fuori alla rinfusa i vestiti dalla valigia. Erano passati sei giorni dal mio arrivo a Serò e non avevo ancora messo i vestiti nell'armadio, più per mancanza di voglia che per altro. Di tempo a disposizione, in verità, ne avevo un sacco.
Considerando che si trattava di una sera estiva, indossai un paio di shorts di jeans e una canottiera viola. Mi guardai allo specchio e decisi che il viola non mi andava bene; sostituii la canottiera in questione con un'altra di colore azzurro, mi infilai le scarpe da ginnastica grigie e mi chiusi in bagno per passare alla fase trucco. Riuscii a battere il mio record: da otto a sei minuti scarsi. Afferrai il cellulare sul tavolo in veranda e mi apprestai a uscire. Mi immobilizzai sugli scalini e tornai in casa: non avevo detto ai nonni dove stavo andando, e mia nonna era talmente indaffarata in cucina che non si era accorta della mia attività.
-"Nonna, vado al campo di more con Silvia e gli altri"- dissi correndo sul posto.
Mia nonna alzò lo sguardo dalla padella che stava pulendo.
-"Hai preso un giacchetto? Stasera farà freddo e probabilmente pioverà, l'ha detto tuo nonno"-.
-"Non mi serve, c'è parecchio caldo e non vedo nessuna nuvola"- ribattei.
-"Così scoperta ti pungeranno le zanzare"-.
-"Buon per loro!"-.
-"Che ora pensi di fare?"-.
-"Credo che verso le undici e mezza sarò a casa"-.
Mi strizzò l'occhio e tornò alle sue faccende. Feci le scale di corsa e mi chiusi il cancelletto alle spalle; percorrendo la salita che portava alla pista da ballo salutai mio nonno che, come sempre, era nell'orto, e mi incamminai a passi rapidi verso la pista.
Mi dimenticavo sempre che da casa dei miei nonni per arrivare alla pista ci volevano sì e no quaranta secondi, così quella sera fui la prima ad arrivare. Con un po' di fastidio mi resi conto che il cielo cominciava a riempirsi di nuvole, ma non avevo voglia di tornare a casa e darla vinta a mia nonna prendendo l'ombrello o il giacchetto. Mi sedetti su una delle panchine e attesi pazientemente l'arrivo di qualcuno.
"Se solo si azzarda a piovere...".
-"Cavolo, pensavo che sarei stata la prima ad arrivare!"- esclamò Flavia facendomi cascare dalle nuvole.
Le sorrisi e la salutai. Notai che si era messa in ghingheri: sopra un paio di shorts pericolosamente corti portava un top verde erba senza spalline e con la scollatura a cuore; si era messa dei collant ricamati a motivi floreali e degli anfibi neri opachi. Si era piastrata i capelli, erano biondi e liscissimi, come quelli di una Barbie. Al polso destro aveva una serie di braccialetti in metallo e si era truccata più del solito.
-"Ma allora è una cosa seria!"- esclamai non sapendo bene nemmeno io a cosa mi stessi riferendo.
Flavia si sedette accanto a me e mi lanciò un'occhiata interrogativa.
-"Niente, lascia stare"- dissi liquidando la faccenda con un gesto della mano. -"Stai molto bene stasera, sai? I tuoi collant mi piacciono!"-.
-"Davvero? Me li ha comprati mia sorella a Parigi. Devo starci molto attenta quando li metto, sono talmente leggeri che si sfilano che è una meraviglia!"-.
-"Lo immagino!"-.
Considerai il suo outfit come una prova schiacciante delle sue intenzioni. In paese non si vestiva così bene e non si truccava nemmeno più di tanto; era chiaro come il sole che per quella sera avesse una strategia in mente.
-"Che ore sono?"- mi domandò.
Estrassi dalla tasca il cellulare e guardai sul display l'ora. Era ancora abbastanza presto.
-"Le otto e cinquantadue"- risposi storcendo la bocca. -"Mi sa che avremo da aspettare ancora un po' "-.
Si guardò le unghie e sospirò impaziente. Notai che si era persino messa lo smalto. Ero tentata di inviare un messaggio a Silvia per dirle di darsi una mossa, ma dopo qualche minuto di silenzio Flavia mi spiazzò con una domanda a bruciapelo.
-"Cosa ne pensi di Tiberio?"-.
Rimasi sbigottita per qualche secondo, ma fui abbastanza rapida a riprendermi.
-"Perché me lo chiedi?"-.
-"Perché mi piace e volevo sapere se ti dovrei considerare un'avversaria sotto quel punto di vista"-.
Se la domanda mi aveva spiazzata, la sua risposta mi annientò. Alzai un dito e aprii la bocca per dire qualcosa, ma le parole mi morirono sulle labbra. Con discreto stupore mi accorsi che le sue parole mi avevano lasciato addosso una strana sensazione di fastidio.
-"Abbassa quel dito!"- disse ridendo. -"Così attirerai i fulmini!"-.
Seguii il suo consiglio e mi ricomposi. Mi schiarii la gola e mi mossi a disagio sulla panchina.
-"Non pensavo tu fossi una ragazza così diretta"- commentai.
-"Oh, lo sono sempre stata"- disse. -"Allora, rispondi alla mia domanda"- mi incalzò.
-"E' un ragazzo infantile, cocciuto, a volte anche maleducato..."- dissi subito senza riflettere.
-"Però è un bel ragazzo!"- mi interruppe Flavia andando su di giri.
-"Sì ma..."-.
-"L'importante è che sia bello; il resto non conta più di tanto"-.
Il mito di Flavia come brava ragazza intelligente si frantumò sotto i miei occhi. Non era altro che una delle solite ragazze carine a cui interessa solo l'aspetto fisico, il proprio e quello degli altri.
-"Perché dici così?"- le domandai cauta.
Lei accavallò le gambe, mise le mani sotto il ginocchio e alzò lo sguardo verso il cielo tendente al blu scuro.
-"Se un ragazzo è bello ci faccio bella figura con lui al mio fianco. Poi non serve mica il carattere per fare certe cose"-.
Mi fece l'occhiolino e scoppiò a ridere.
"Silvia, dove sei?!", pensai sconsolata.
-"Sto scherzando!"- disse poi Flavia notando lo stupore nei miei occhi. -"A mio avviso l'aspetto fisico è al primo posto. Poi per quanto riguarda il carattere... Ho tempo per conoscerlo bene e anche per cambiarlo"-.
Le sorrisi, più per educazione che per altro, e mi passai una mano tra i capelli.
Non sapevo cosa dire. Non aveva tutti i torti; del resto la prima cosa che una persona vede è proprio l'aspetto, non il carattere. Eppure... Se a Flavia interessava davvero così tanto l'aspetto fisico, perché non si era innamorata di Virgilio? Probabilmente non era il suo tipo. O forse, dato il suo ragionamento da Barbie, puntava semplicemente alla conquista del classico ragazzo tenebroso, un'opera da inserire nel suo curriculum vitae. La sensazione di fastidio tornò a farmi visita e iniziai a farmi delle domande su di essa.
-"Guarda, stanno arrivando!"- esclamò Flavia a un certo punto.
Mi girai verso la direzione che stava indicando, abbandonai le mie questioni irrisolte e puntai Silvia; dovevo subito metterla al corrente della confessione di Flavia. Mi alzai in piedi simulando una discreta calma, mentre Flavia si lanciava come un razzo verso i due ragazzi. Virgilio la salutò con un sorriso smagliante, ma la bionda era già concentrata su Tiberio.
-"Silvia, rischiamo davvero la tragedia"- le sussurrai in un orecchio.
Silvia, vestita con una maglia a righe blu e bianche e un paio di pantaloncini blu scuro, alzò gli occhi al cielo e scosse lievemente la testa. Le raccontai in breve il dialogo avuto con Flavia poco prima. Vidi Virgilio lanciarci delle strane occhiate, ma non gli detti peso.
-"E' proprio questo che fa incazzare Tiberio..."-.
-"Questo cosa?"-.
Flavia superò il gruppetto di corsa e si fermò dopo qualche rapida falcata.
-"Forza, andiamo!"- esclamò pimpante.
Virgilio la raggiunse subito sorridendo e i due cominciarono a chiacchierare. Tiberio, silenzioso come sempre, mi superò senza proferir parola. Lo guardai male e lui mi restituì l'occhiataccia.
"La prima donna è nervosa anche oggi", constatai.
Solo dopo qualche minuto mi accorsi che Tiberio, al labbro inferiore, aveva un piercing.
Il polsino rosso era sempre al suo posto.

 

 

Al campo di more Flavia si rivelò quasi idiota. Non faceva altro che scodinzolare intorno a Tiberio, con ovviamente la conseguenza di un Virgilio scodinzolante intorno a me. Cercai di scambiare due parole in privato con Silvia, ma mi fu quasi impossibile; così io e Silvia ci rassegnammo e ci dedicammo anima e corpo alla nostra fase dell'osservazione. Flavia e Virgo erano dannatamente simili, sembravano due labrador che facevano le feste al padrone, solo che in un caso il padrone rispondeva per un accordo fatto col cagnolino in questione, nell'altro reagiva poche volte e spesso malvolentieri.
Quando finalmente decidemmo di levare le tende, come se non stesse aspettando altro, si mise a piovere. Mentre attraversavamo il bosco per tornare alla pista da ballo, la pioggia fine si trasformò in un acquazzone. Corremmo incespicando nel fango. Sentii Silvia dietro di me imprecare e scoppiai a ridere.
-"Mi ero messa le scarpe bianche!"- piagnucolò più volte.
Raggiungemmo la pista e ci mettemmo al riparo sotto il palchetto coperto. I capelli di Flavia, ora mezzi bagnati, stavano prendendo una piega un po' mossa verso le punte.
-"Maledizione..."- sussurrò tra i denti.
Mi guardò e ci sorridemmo. Virgilio si avvicinò e mi attirò a sé cingendomi la vita con un braccio. Protestai scherzosamente e continuammo il discorso interrotto durante la corsa nel bosco. Mi guardai sconsolata le caviglie sporche di fango e i capelli completamente bagnati.
-"I ricci rimangono ricci anche da bagnati?"- mi domandò il poeta.
-"Ovvio, cosa pensavi?"- risposi prendendolo in giro.
Passammo una decina di minuto così, al riparo dalla pioggia e chiacchierando tutti insieme. Ogni tanto vedevo Tiberio storcere la bocca e Silvia scuotere impercettibilmente la testa mentre Flavia e Virgilio erano intenti nei loro show.
-"Sono già passate le undici e mezza..."- disse Silvia a un certo punto. -"Conviene muoverci e tornare a casa"-.
-"Ma piove..."- mugugnò Flavia.
-"Tranquille, ragazze mie, vi porto io a casa"- disse Virgilio prendendo a braccetto Flavia e Silvia.
Flavia fece per ribattere ma ecco che Virgilio e Silvia l'avevano già trascinata in mezzo alla pioggia e si stavano allontanando in tutta corsa salutando me e Tiberio tra gli strilli indignati della Barbie.
Io e l'Oscuro Signore restammo da soli sotto al palchetto. Con una certa sorpresa notai che non mi sentivo a mio agio. La presenza di Tiberio mi rendeva irrequieta e mi faceva sentire in imbarazzo.
-"Quel piercing... L'hai sempre avuto?"- domandai rompendo il silenzio.
Non ricevetti risposta.
-"Okay, lo prendo come un sì. Come mai te lo sei messo solo oggi?"-.
Silenzio.
-"Dovremmo andare anche noi, non credi?"- riprovai lanciando un'occhiata al cielo nero.
Tiberio, seduto per terra con un ginocchio alzato, non si degnò nemmeno di guardarmi. Si passò una mano tra i capelli zuppi, la guardò indignato e si strizzò un lembo della camicia. Trasalii nel vedere come la camicia bianca gli aderiva al torso. Abbassai lo sguardo e mi accorsi di essere arrossita violentemente.
"Che ti prende?!", mi domandò una vocina dentro la testa. "E' quello stronzo di Tiberio!".
Mi passai una mano sul viso bagnato, per poi ricordarmi di essere truccata. Mi ritrovai nel palmo della mano una macchia celeste e nera, e sospirai.
-"Io vado, tu fai come vuoi"- gli dissi dopo aver riacquistato l'autocontrollo.
Volse la testa verso di me e la luce di uno dei lampioni colpì l'anello al labbro. Si alzò improvvisamente in piedi e, con un balzo, scese dal palchetto coperto. Si fermò dopo qualche passo in mezzo alla pista da ballo. La pioggia lo stava inzuppando sempre di più, ma sembrava che a lui non importasse. Si voltò verso di me di tre quarti.
-"Buonanotte"- fu tutto quello che disse.
-"A-Aspetta!”- saltai su. -”Non mi accompagni a casa come ha fatto Virgo con le altre?"-.
Sia io che lui ci stupimmo di ciò che avevo appena detto. Si mise le mani nelle tasche dei jeans e mi volse le spalle.
-"Non vedo che differenza possa fare la mia presenza"- mi spiazzò.
Detto ciò se ne andò, lasciandomi sul bordo del palchetto senza parole. Dopo che sparì nella pioggia, saltai giù e corsi verso casa, tentando di non scivolare sulla stradicciola in discesa.

 

 

Non riuscivo ad addormentarmi. Sarà forse stato per il rumore incessante della pioggia, o forse per l'improvviso frescolino inaspettato; fatto sta che quella notte non riuscii ad addormentarmi in maniera costante. Mi svegliavo all'improvviso, mi rigiravo sulla schiena e fissavo il soffitto basso.
A un certo punto mi alzai, andai in bagno, mi sciacquai il viso con dell'acqua calda e tornai in camera, ma non mi sdraiai; restai seduta sul bordo del letto al buio.
C'era qualcosa che mi faceva male, un male insopportabile. Era arrivato all'improvviso e, prima ancora che mi fosse stata data la possibilità di rendermene conto, eccolo che mi rosicava dall'interno. Mi morsi l'interno della guancia e provai a riaddormentarmi, ma niente da fare. Mi rimboccai le coperte fino al naso e chiusi gli occhi; seguii la mia scia di pensieri sperando di riuscire a raggiungere la natura di quel mio dolore.
Mi concentrai.
Capelli corvini e occhi ambrati; piercing e polsino; riservatezza e sarcasmo; menefreghismo e curiosità; misteriosità e fascino; Tiberio.
Spalancai gli occhi nel buio e sentii il mio battito cardiaco accelerare.
"No, riprenditi. Non è assolutamente possibile, c'è troppa confusione in questa testa".
Ma Tiberio continuava a tornarmi in mente; lui e tutte le volte che ci eravamo parlati, quei pochi pomeriggi passati insieme a tradurre versioni, le occhiate cariche d'odio o di pura curiosità, i suoi comportamenti da bambino viziato o da prima donna, i suoi rari ma brillanti sorrisi...
Sentii improvvisamente caldo e mi scoprii, maledicendomi per ogni cosa.
Finalmente ero riuscita a capire il motivo di quelle strane sensazioni provate negli ultimi due giorni e di quel fastidio al cuore avvertito mentre parlavo con Flavia.
Ero attratta da Tiberio.

 

 

 





NOTE DELL'AUTRICE
Credevate avessi abbandonato il profilo?
Pensavate fossi sparita?
E invece no! Sono tornata e arranco più che mai!
Evvivaaaaaa!
Sono lenta, lo so, e purtroppo non posso farci niente; l'università e gli esami hanno la priorità.
Spero che, nonostante ciò, continuerete a seguire le mie storie :) <3
Ciao a tutti e alla prossima! ^^

 

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Capitolo 7
*** Giorno 7: Reflexiones ***


Fortunatamente il mattino seguente smise di piovere e le stradicciole di Serò vennero immediatamente asciugate dal caldo torrido di luglio.
Eppure io continuavo ad avere i brividi.
Alle undici ero ancora a rigirarmi nel letto in preda ai miei pensieri e ai miei tormenti che non mi avevano fatto chiudere occhio per tutta la notte; finalmente riuscivo a comprendere quel pover'uomo dell'Innominato manzoniano.
Mi ero appena rintanata sotto le coperte quando qualcuno entrò in camera mia senza troppi complimenti e mi levò di dosso la coperta. Mi rannicchiai tappandomi il viso e mugugnando cose senza senso.
-"Alzati, ti devo parlare"- disse una voce lapidaria.
Da una fessura tra le dita lanciai un'occhiataccia al mio aggressore. Virgilio se ne stava in piedi accanto al letto con in mano un lembo della coperta e mi stava guardando con un'espressione che non gli avevo mai visto sul viso. Mi tirai su a sedere, mi passai una mano tra i capelli e sospirai. Gli strappai di mano la coperta e me la rimisi addosso.
-"E' urgente?"- gli domandai parecchio seccata.
-"Abbastanza"-.
Alzai un sopracciglio e sospirai di nuovo. Al momento avevo cose più importanti a cui pensare, ad esempio Tiberio e la mia improvvisa cotta per lui. Annuii e, controvoglia, gli indicai la porta.
-"Vai di là, prenditi una sedia e chiudi la porta. Dove sono i miei nonni?"-.
Virgilio andò a prendersi la sedia, la posizionò accanto al letto e si sedette poggiando i gomiti sulle ginocchia.
-"Sono andati in piazza coi nonni di Silvia"- rispose piatto.
Mi infilai nuovamente sotto le coperte e mi girai in modo da poterlo guardare in faccia. Dalla sua espressione e dal suo tono di voce mi venne spontaneo pensare che ci fosse qualcosa che non andava in lui.
-"Perdona lo stato pietoso"- dissi dopo un po'. -"Avresti dovuto avvisare prima di piombare in casa"- aggiunsi borbottando.
-"Ti ho inviato un messaggio alle otto, ma non mi hai risposto"-.
Sorpresa, allungai la mano sul comodino, presi il cellulare e notai che effettivamente mi era arrivato un messaggio. Non mi domandai nemmeno da chi Virgilio avesse preso il mio numero; la risposta era troppo ovvia.
-"Scusa, dormivo. Ho avuto una nottataccia..."-.
-"Ti sei sentita male?"- mi chiese senza traccia di preoccupazione nella voce.
-"Non... proprio"- risposi dopo un attimo di esitazione.
-"Sai, anche io. E' stato difficile da accettare, ma alla fine ce l'ho fatta"- disse con una punta di amarezza.
-"Di cosa stai parlando?"-.
Sospirò, si passò una mano tra i capelli e si coprì il viso. Le sue parole mi arrivarono ovattate.
-"Flavia è innamorata di Tiberio e... E io non posso farci niente"-.
"Merda", pensai.
Storsi la bocca e abbassai gli occhi. Alla fine se n'era accorto e, come previsto, ci stava male. Mi dispiaceva vedere un ragazzo solare come Virgilio ridotto in quello stato, con i sogni infranti e lasciato solo ad affrontare l'amara realtà.
-"Virgo..."- iniziai. Gli posai una mano sul ginocchio e lo scossi. Lui mi guardò da una fessura tra le dita. -"Ehi, non disperarti, non è la fine del mondo; se ti piace davvero Flavia..."-.
-"Ovvio che mi piace davvero!"- mi interruppe.
-"Allora cosa aspetti a riprendertela? Conquistala, falla tua, ma non con trucchetti infantili"- dissi sorridendogli. -"E poi a Tiberio non piace Flavia, giusto?"-.
Provai una piccolissima nota di piacere nel pronunciare l'ultima affermazione, ma cercai di non farlo notare a Virgilio.
-"Mh..."-.
-"Finiscila con quel muso lungo"- lo ripresi. -" A Tiberio non piace Flavia e quando lei se ne renderà conto ci starà male, ed è allora che tu ti farai vivo..."-.
-"Sarei la ruota di scorta?"- commentò sprezzante.
Alzai gli occhi al cielo e mi rigirai dall'altro lato, dandogli le spalle.
"Negatività alle stelle, eh?".
-"No Virgo, saresti il ragazzo furbo. Nella maggior parte dei casi questo... stratagemma funziona, fidati"-.
-"Allora devo andare da Flavia e dirle..."- disse, e fece per alzarsi.
-"No! Stai fermo dove sei!"- esclamai tirandomi su a sedere e afferrandolo per un polso. -"Non creiamo confusione, per l'amor del cielo!"-.
Virgo mi guardò storto e strinse gli occhi.
-"Tu lo sapevi di Flavia, ammettilo"-.
"Sì, lo sapevo".
-"No, non ne sapevo niente"- mentii.
-"Stai mentendo, te lo leggo negli occhi"-.
-"Che palle, sì"- ammisi sbuffando.
-"Perché non mi hai detto niente?"-.
-"Ho preferito non farlo per non farti star male; e poi, onestamente, pensavo che la tua idea del finto interessamento per me avrebbe dato i suoi frutti"-.
Guardai Virgilio mentre si alzava, si legava i capelli con un elastico e riportava la sedia di là.
-"Molto carino da parte tua"- constatò sarcasticamente.
-"Eddai..."- alzai gli occhi al cielo.
-"Avrei preferito di gran lunga che tu me lo avessi detto prima; mi sarei risparmiato un sacco di illusioni"-.
Sorrisi e scossi la testa.
-"Dicono tutti così, ma poi quando si trovano di fronte alla realtà fuggono"-.
Mi lanciò una breve occhiata, controllò l'ora sul cellulare e abbassò lo sguardo.
-"Andiamo, riprenditi; dobbiamo passare al piano B"- continuai.
-"Piano B..."- borbottò schifato. -"Che rottura, vada per il piano B"- disse con un'alzata di spalle. -"Tanto non ho niente da perdere"-.
-"Esatto!"-.
Allungai una mano sul comodino, presi il cellulare e cercai in rubrica il numero di Silvia. La chiamai per aggiornarla sugli sviluppi della vicenda, e per tutta la durata della telefonata mi dovetti sorbire le occhiate stupite e di disapprovazione del biondo, che evidentemente non sospettava minimamente che io e Silvia fossimo a conoscenza di tutto. Terminata la chiamata gli sorrisi amabilmente.
-"Le donne ne sanno una in più del diavolo"- dissi. -"Ma mi domando per quale motivo abbiate tutti deciso di manifestare i vostri sentimenti in questo periodo..."-.

 

 

Si dice che si rida per non piangere.
Io ridevo per non pensare alla situazione in cui mi ero ficcata. Un dannato circolo vizioso, ecco cos'era. Avrei preferito di gran lunga restarne fuori, al massimo come collaboratrice di un membro del circolo; invece ero stata risucchiata dalla forza centrifuga e non riuscivo più a uscirne.
In una notte.
Tutto era successo in una notte.
Mi immaginai l'Innominato che, avvolto nel suo mantello e circondato dai bravi, spalancava le braccia e, con un tono teatrale, mi diceva "Benvenuta nel club delle conversioni istantanee!".
Oh be', grazie.
Dopo pranzo mia nonna andò nella piazzetta della chiesa con le sue amiche, mio nonno si avventurò nel boschetto a caccia di more con un certo Antonio, e io rimasi in casa, sola a dover affrontare i miei pensieri e le mie risate isteriche. C'era un solo modo per sconfiggerli entrambi: il latino.
Aah! Lo straordinario effetto purificatore del latino: ti mantiene così concentrato sulla versione, sull'analisi del testo, sulla ricerca dei termini sul vocabolario...
-"Quello è un genitivo, non un nominativo"-.
Alzai la testa dalle pagine del vocabolario e sobbalzai. Tiberio era seduto di fronte a me. Tiberio con una t-shirt viola. Tiberio con il suo dannatissimo paio di jeans scuri.
"Ma tra tutti i giorni, proprio oggi doveva venire? E senza preavviso?!" pensai.
-"Io... Lo so!"- sbottai abbassando lo sguardo.
Non riuscivo più a guardarlo in faccia, non riuscivo più a odiare la sua presunzione e le sue puntualizzazioni da insegnante di latino; vedevo solo il bel ragazzo e il suo carattere da bambino viziato.
Ancora non riuscivo a crederci. Magari si trattava solo di un piccolissimo complesso di gelosia causato dal comportamento di Flavia...
Mi alzai di scatto dal tavolo, entrai in casa e feci tre giri su me stessa.
"Che sto pensando? E' possibile rincoglionirsi così tanto in una sola notte?".
-"E questo qua è il costrutto di un dativo di possesso. Certo che te la sei scelta difficile oggi..."- mi disse dalla veranda.
Volevo dirgli di andarsene. Volevo dirgli di lasciarmi in pace, di levarsi di torno e di lasciarmi tradurre la versione come volevo, ma non ci riuscii. Vederlo lì, seduto in veranda, mi rendeva contenta e irrequieta allo stesso tempo. Mi sembrava di essere in cima a un promontorio, dove la bellezza del paesaggio ti affascina e la pericolosità dell'altezza ti spaventa.
-"Non ho pranzato, ti è avanzato qualcosa per caso?"- mi domandò a un tratto.
-"Scusa?"-.
Scacciai i pensieri funesti, mi affacciai sulla veranda e lo guardai con tanto d'occhi. Lui strinse le labbra, alzò le sopracciglia e si alzò. Entrò in casa senza troppi complimenti, passandomi accanto, e andò ad aprire il frigorifero.
-"Tiberio!"- esclamai.
Anche l'anta del frigo protestò cigolando.
-"Ho fame"- si giustificò.
Prese una busta di prosciutto crudo, si tagliò due fette di pane e portò il tutto al tavolo fuori. Si risedette sulla sedia di paglia con un sorriso di soddisfazione stampato sulla faccia.
-"... Fai pure come se fossi a casa tua, ci mancherebbe altro!"- lo seguii borbottando.
-"Ah sì? Allora non è che..."-.
-"E' un modo di dire!"- esclamai esasperata.
Lui si fermò con un pezzo di pane in mano, poi mi sorrise con uno dei suoi rarissimi e sinceri sorrisi, e io mi sciolsi. Mi aggrappai allo stipite della porta per non cadere, lui lo notò e mi guardò male, poi tornò a occuparsi del suo pranzo.
"Non importa, fai quello che ti pare; basta che tu stia qui".
Chiusi gli occhi e scossi forte la testa. Feci qualche respiro profondo, abbandonai la mia ancora e mi sedetti di fronte a lui. Come sempre, a dividerci c'era il libro delle versioni di latino.
-"Sei peggiorata, fattelo dire"- disse dopo aver finito di mangiare.
-"A cosa?"- chiesi esitante.
-"Latino. Vammi a prendere un po' d'acqua"-.
"Col cavolo, alzati e vacci tu! Dove pensi di essere, al ristorante?!".
Invece le mie simpatiche gambe si alzarono e si diressero in cucina. Ritornai qualche secondo dopo con in mano un bicchiere, lo porsi a Tiberio e lui nel prenderlo sfiorò le mie dita. Istintivamente lasciai la presa e il bicchiere cadde sulle mattonelle della veranda. Schegge di vetro ovunque.
-"Dio...!"- esclamai.
Dio. Perché era toccata a me quella dannatissima conversione notturna? Perché mi doveva piacere un tipo problematico come Tiberio? Perché non riuscivo più a comportarmi normalmente con lui? Perché il giorno prima stavo così bene e adesso mi sentivo uno schifo? Perché mi ero fatta rimandare a latino? Se non fosse stato per il latino, a quell'ora sarei stata al mare, nella mia città a divertirmi coi miei amici. Invece mi era toccato Serò di Zignago, Serò e Tiberio. Tiberio e il suo carattere di merda. Quel carattere che per qualche oscuro motivo mi intrigava. Tiberio stesso mi intrigava. Forse stava davvero iniziando a piacermi.
-"Tiberio..."- riuscii a dire dopo un minuto buono.
-"Vado a prendere la scopa"- disse.
-"No"-.
Si fermò, ormai sulla soglia di casa.
-"Vai... Vai via. Non è giornata oggi. Credo di non sentirmi bene"-.
Tiberio mi guardò negli occhi per qualche secondo, spostò poi lo sguardo sui frammenti del bicchiere per terra, fece spallucce e se ne andò, come al solito senza salutare.
Sbuffai, sospirai, imprecai e tirai calci all'aria. Mi misi a raccogliere con le mani le schegge di vetro.
Una settimana. Ancora sette giorni e i miei sarebbero venuti a riprendermi, a riportarmi alla civiltà, a portarmi lontana da Tiberio. Non dovevo far altro che cercare di controllarmi per una settimana. Dovevo assolutamente riuscirci.
Mi tagliai un dito con una scheggia e il sangue cominciò a uscire dalla ferita.
-"Soffri dentro, soffri fuori"- sbottai.

 

 

Mi chiusi in camera subito dopo cena e mi affacciai alla finestra; nel vicolo di sotto tre gatti mi lanciavano occhiate supplichevoli.
-"Che volete?"- domandai scocciata.
Uno di loro, un gatto bello rotondo, miagolò e si strusciò il muso con una zampa. Di sicuro stava cercando di ammorbidirmi, di corrompermi per ottenere qualche avanzo di carne; ma quella sera non ero in vena di atti di carità.
Forse stavo dando troppo peso alla faccenda, la stavo prendendo troppo sul serio. In una settimana tutto si sarebbe risolto; non dovevo far altro che farmi gli affari miei e, se proprio non riuscivo a interagire normalmente con Tiberio, ignorarlo.
Che problema c'era?
C'erano Flavia e Virgilio, ecco cosa c'era.
D'accordo, a Tiberio non interessava Flavia, ma mi dava comunque noia vederla ronzare attorno a lui e provarci al limite della decenza; e Virgilio... Non potevo lasciarlo proprio adesso, non dovevo chiudermi in me stessa per una cavolata e non aiutarlo.
Storsi la bocca e annuii. Mi ritenni soddisfatta della mia analisi interiore anche se non pienamente, così presi il cellulare e inviai un messaggio a una delle mie due migliori amiche (nonché compagne di classe), Alessandra.
- Come va? :D
Mi sdraiai sul letto e attesi la risposta, che arrivò meno di un minuto dopo.
- Ehi! Sempre viva? Tutto bene, dai :) Certo, avrei preferito non dover studiare fisica d'estate...
Mi scappò un sorriso.
- C'è chi ha fisica e chi latino ;)
- Siamo messe bene! :') Di' un po', c'è qualcosa che non va o mi hai scritto davvero solo per fare due chiacchiere?
Come previsto Alessandra si era mostrata capace di leggere tra le righe: io non sono mai stata il tipo che scrive messaggi o telefona tanto per fare, se lo faccio è per un motivo ben preciso; e Ale lo sapeva bene.
Impiegai qualche minuto a rispondere. Non sapevo come spiegarle la faccenda.
- Per farla breve, credo che mi piaccia un ragazzo ma non mi sta bene che mi piaccia. Ha un carattere molto particolare.
- E lui? Cosa dice?
- Ale, ho capito che mi piace 'sto qui solo ieri notte, dopo una settimana che ci siamo conosciuti! Secondo te mi vado a dichiarare così, su due piedi? E poi una mia amica mi ha detto che finisce per odiare chiunque si interessi a lui.
- Mi prendi in giro?
Ebbe la stessa reazione che avevo avuto io quando Silvia mi aveva parlato di quella brillante caratteristica di Tiberio. Sospirai e mi affrettai a rispondere.
- No, e visto il suo caratterino sono pronta a scommettere che sia vero. Che devo fare? Tra una settimana i miei mi vengono a riprendere e ci sta che non lo veda mai più.
- Insomma, ti piace o no? >.>
- ...Non lo so.
La risposta secca e decisa di Alessandra mi lasciò sbigottita per qualche istante.
- Dichiarati. O la va o la spacca.
"Dichiararmi?!".
Guardai disgustata lo schermo del cellulare e mi passai una mano sul viso.
Dichiararmi. Che cazzata colossale. Non era passato nemmeno un giorno da quando mi ero resa conto che Tiberio mi piaceva; magari si trattava solo di uno dei vari effetti del caldo torrido, oppure di una semplicissima infatuazione che mi sarebbe passata da lì a pochi giorni.
- L'estate ti sta facendo male, ammettilo! Troppo studio, troppo caldo... :3
- Fabi, io ero seria. Voglio dire, è estate! E' tempo di divertirci! Se quel tipo ti interessa, provaci. Magari le cose poi vanno a buon fine, scopri che ti piace davvero e sei felice :D
Rimasi ferma immobile a leggere e rileggere il messaggio per due minuti buoni. Non aveva tutti i torti: era estate e in quanto tale dovevo godermela.
- Ci penserò, promesso.
- Sì ma fai in fretta. Il tempo non aspetta nessuno :/

 

 

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Capitolo 8
*** Giorno 8: Tempus fugit, accipis eum ***


Mi rigirai impazientemente il cellulare tra le mani. A un certo punto mi scivolò e cadde sul pavimento della pista da ballo; la cover e la batteria partirono dalle loro posizioni e si sparpagliarono al suolo.
-"Benissimo..."- borbottai.
Dopo aver discusso per messaggio con Alessandra, la mattina seguente avevo stabilito che prima di prendere decisioni drastiche del tipo "lascio le cose come stanno" o "mi butto a capofitto nella situazione", dovevo sentire le opinioni di altre persone, persone più vicine al cosiddetto circolo vizioso. Avevo così chiamato Silvia e Virgilio (svegliando quest'ultimo) e chiesto loro di vederci alla pista da ballo prima di pranzo.
Mi alzai dalla panchina e mi chinai a raccogliere i pezzi del mio cellulare, accorgendomi poi di quale cover stessi utilizzando: quella verde, regalatami da quel ragazzo che l'estate scorsa mi piaceva ma che non ricambiava i miei sentimenti. Mi scappò un sorriso ripensando alle cretinate fatte per trovare un modo per conoscerlo, per parlarci, per uscirci e per poi scoprire cosa pensava di me.
Una nuvola transitò per qualche secondo davanti al sole, oscurando il cielo e proiettando sulla pista la sua ombra. Pensai con drammaticità che si dovesse trattare per forza di un avvertimento: "Qualsiasi cosa farai, andrà male anche questa volta".
C'è da dire che l'ottimismo è sempre stato uno dei miei pregi migliori.
Ricomposi il cellulare e, nel momento in cui stavo per fare uno squillo ai due ritardatari, li sentii arrivare dalla stradicciola. Con sollievo constatai che Virgilio si era un po' ripreso dalla batosta del giorno precedente, anche se non del tutto.
-"Buongiorno!"- li salutai. -"Siete in ritardo. Come sempre"- aggiunsi alzando gli occhi al cielo.
-"Stavo dormendo, sai com'è..."- mi rispose Virgilio.
-"Mi hai appena lanciato una frecciatina?"- gli domandai alzando un sopracciglio.
-"Molto probabile"- ammise incrociando le braccia.
-"...Comunque sì, proprio una bella giornata!"- ci interruppe Silvia sarcastica.
Silvia si sedette accanto a me, stese le gambe e si stiracchiò, crogiolandosi al sole delle dieci del mattino. Virgilio invece rimase in piedi di fronte a noi, sempre con le braccia incrociate.
-"Virgo?"- disse Silvia.
-"Sì?"-.
-"Siediti con noi"-.
Virgilio ci pensò su per qualche secondo, poi abbandonò le braccia lungo i fianchi e si sedette tra me e Silvia.
-"Guarda che siamo nella stessa barca"- gli dissi tirandogli una spallata amichevole.
I due si girarono improvvisamente verso di me mostrando entrambi un'espressione interrogativa; giustamente, visto che non avevo specificato a nessuno dei due il motivo preciso dell'uscita di quel giorno.
-"In che senso?"- mi domandò Silvia.
Mi passai una mano tra i capelli e pensai a un modo non troppo ambiguo per spiegare la bellissima e meravigliosa situazione in cui mi ero ficcata involontariamente.
-"No, volevo dire..."-. Mi fermai. Stavo iniziando ad avere dei ripensamenti, ma poi mi tornò in mente il messaggio di Alessandra: "Sì ma fai in fretta; il tempo non aspetta nessuno". -"Dico..."-.
"Dai Fabiola, ce la puoi fare!".
Silvia e Virgilio mi incitarono a proseguire con un'occhiata.
-"Cioè, insomma... Mi piace un tipo..."-.
-"Ah sì?"- disse Silvia sorpresa. -"Perché non me l'hai detto subito? Di solito..."-.
-"Come si chiama?"- la interruppe Virgilio.
Spostai lo sguardo dalle mie ginocchia al viso del ragazzo accanto a me. Mi stava guardando fisso negli occhi, e il suo sguardo aveva una traccia di preoccupazione. Gli sorrisi, ma lui non fece altrettanto. Forse aveva già capito di chi stavo parlando.
-"Ma dai! Che domande sono?"- esclamai con un tono di voce stridulo. -"Comunque il nome non importa! Cioè, importa, ma non in questo momento"- scoppiai a ridere in preda all'agitazione.
Silvia guardò Virgilio, perplessa, mentre lui non accennava a togliermi lo sguardo di dosso. Mi mossi a disagio sulla panchina, sorridendo forzatamente.
-"Va bene, va bene. Allora andiamo al punto della situazione!"- propose Silvia.
-"Il nome"- ripeté Virgo.
-"Be'..."- mi ricomposi. -"Diciamo che da voi volevo solo un'opinione"- ignorai il ragazzo. -"Mi sono resa conto che questo ragazzo mi piace solo l'altro ieri, e sinceramente non so se dichiararmi o meno. Cioè, forse sto correndo troppo..."- spiegai.
Silvia annuì, incrociò le braccia e iniziò a riflettere. Virgilio si appoggiò coi gomiti sulle ginocchia e sbuffò. Era chiaro come il sole che non aveva voglia di sentire discorsi sull'argomento.
-"Mi dici come si chiama?"- insistette.
-"Non è importante, davvero..."-.
-"Intanto"- mi interruppe Silvia. -"Bisogna vedere quanto tempo hai a disposizione da passare con lui. Da quanto lo conosci?"-.
-"Non..."-.
-"Poco, eh? Probabilmente stavi cominciando a conoscerlo quando i tuoi ti hanno portata a Serò, sì. Quindi l'hai conosciuto quest'estate. E' un tuo compagno di scuola? Amico di amici? Piuttosto, c'è interesse nei tuoi confronti da parte sua?"-.
-"Silvia, mi sono persa nelle tue domande..."-.
-"Ma fammi il piacere"- sbottò Virgilio. Si alzò improvvisamente in piedi. Stringeva i pugni. Mi lanciò un'occhiata sprezzante e si incamminò verso l'arco di pietra.
-"Virgo! Dove vai?"- gli domandò Silvia alzando la voce.
C'era arrivato. Aveva capito di chi stavo parlando.
Mi alzai a mia volta e gli corsi dietro. Lui si girò e con un'occhiataccia mi fermò.
-"Stai lì"- mi ordinò.
-"Virgo, ma che succede?"- chiese Silvia raggiungendomi.
-"Che succede? Mi stai davvero chiedendo che succede?! Silvia, non l'hai capito di chi sta parlando Fabiola?"-.
Mi guardò spaesata e scosse la testa. Virgilio storse la bocca ed espirò rumorosamente.
-"La ragazza che amo e la persona di cui mi fidavo di più..."-.
-"Virgilio, lasciamelo dire, forse stai correndo troppo"- dissi piano.
-"Sto correndo troppo? Mi stai dicendo che mi sto scaldando per niente? Senti un po', allora dimmi cosa devo fare se mi vedo portare via le persone più care da una terza persona a cui tengo. E' sempre andata a finire così. Cosa devo fare?!"-.
Sentii Silvia che mi stringeva il braccio, ma non la guardai: avevo gli occhi puntati su Virgilio.
-"Ascoltami. Seriamente, sei..."-.
-"Hai almeno la minima idea di come mi stia sentendo?"- mi domandò sprezzante.
Mi zittii subito. Un lieve venticello cominciò a soffiare e smosse le foglie degli alberi. I fili d'erba sembravano appesantiti dalla tensione nell'aria.
-"Stai esagerando. Non mi sembra una cosa così grave come la stai descrivendo..."- dissi.
-"Hai ragione. Hai perfettamente ragione"-.
Ci volse le spalle e riprese a camminare.
-"Virgilio!"- gli urlai dietro.
Silvia si staccò dal mio braccio e con la coda dell'occhio la vidi abbassare lo sguardo e scuotere la testa.
-"Virgilio!"-.
-"Ehi..."-.
Mi girai a guardare Silvia.
-”Cosa c'è?”-.
-"Tu non ci stai con la testa"- mi disse. -"Ti avevo avvertita..."-.
-"Silvia, ti prego, non ti ci mettere anche tu! Credi che mi stia divertendo?"- sbottai.
-"Ti piace Tiberio!"- quasi gridò. -"Sei completamente pazza!"- esclamò sconvolta.

 

 

Tornai in veranda, impilai le stoviglie del pranzo e sbattei con forza le tazze sul tavolo; un po' di tè traboccò da entrambe.
-"Fabiola cara, dov'è finita la grazia?"- mi domandò mia nonna da dentro casa.
-"E' andata a farsi fottere, ecco dov'è finita!"- ringhiai sedendomi e cominciando a girare il cucchiaino nella tazza.
-"Fabiola, questi termini!"-.
La ignorai e bevvi un sorso di tè alla pesca. Silvia allungò riluttante la mano e prese la sua tazza. Se la rigirava tra le mani, ma il suo sguardo era fisso su mia nonna. Capii a cosa stava pensando e provvedetti con una scusa a spedire i nonni in paese; tanto in un modo o in un altro sarebbero rimasti in piazza fino a tardi.
-"Da quanto tempo va avanti questa storia?"- mi domandò Silvia.
-"Dall'altro ieri sera"- risposi. -"Non capisco perché tu ti sia arrabbiata tanto"- sbottai.
-"Io non sono arrabbiata! Mi sto solo preoccupando per te! Porca miseria, ma proprio Tiberio doveva piacerti?!"-.
-"Abbassa la voce!"- esclamai.
-"No, non abbasso la voce! Hai idea della situazione in cui ti sei cacciata? Te l'avevo detto di non immischiarti...!"-.
-"Vuoi abbassare la voce?!"- quasi urlai.
Silvia rimase a bocca aperta per una manciata di secondi, poi si riappoggiò allo schienale della sedia di paglia e cominciò a rigirare il tè guardandomi malissimo.
-"Cosa avete tutti quanti? Che problema c'è se mi piace, forse, un tipo come lui? E' inutile che mi guardi così, sono io che dovrei essere incazzata. Incazzata con te perché t'incazzi senza motivo, incazzata con Virgilio perché pure lui s'è incazzato, incazzata con Tiberio perché è Tiberio..."- ripresi.
-"Insomma, un'incazzatura generale"- biascicò Silvia.
Alzammo entrambe gli occhi dalla tazza, ci guardammo e scoppiammo a ridere.
-"Dai, io ero seria!"-.
-"Si vede, non riesci a smettere di ridere!"-.
Con dei respiri profondi riuscimmo a calmarci.
Come sempre mi ero dimenticata di far raffreddare il tè, così il suo calore contribuiva ad aumentare l'afa del dopo mezzogiorno.
-"Comunque... Ascolta, faresti meglio a lasciar perdere. Vedi di dimenticarti di Tiberio"- mi consigliò Silvia.
Il sorriso che poco prima stava sulle mie labbra svanì lentamente; sospirai e posai la tazza sul tavolo.
-"In questo momento stai facendo del male a te stessa. E a Virgilio"- riprese. -"Virgo, come hai potuto vedere, si è sentito estremamente tradito da te. Ti conviene levarti dalla testa Tiberio..."-.
Mi dispiaceva tantissimo per Virgilio. Non avevo pensato alle eventuali conseguenze quando gli avevo chiesto di venire alla pista quella mattina. In qualche modo riuscivo a capire come si sentiva: la ragazza di cui era innamorato andava dietro al suo migliore amico, e io... Lo stesso. Era ovvio che si sentisse tradito da me, colei che per giorni lo aveva sostenuto e aiutato nella sua "impresa di conquista". Sì, ero dispiaciuta per lui. Però... Non riuscivo a sopprimere del tutto quel qualcosa che provavo per Tiberio. Ormai mi risultava difficile non andare nel pallone quando mi rivolgeva la parola.
-"Lo chiamerò e gli chiederò scusa"- dissi.
-"Non so se servirà a qualcosa"-.
-"Non so che altro fare. Di certo non rinuncerò a..."-.
Silvia perse la presa sul cucchiaino, che finì per terra con un tintinnio metallico.
-"Fabiola... Dimmi che non l'hai detto sul serio"- disse con un fil di voce.
-"Ascoltami"- dissi chinandomi a prendere il cucchiaino. -"E' estate e d'estate si può far tutto. Non ho niente da perdere. Se poi andasse a finir male, pace, se l'anno prossimo tornerò è probabile che Tiberio si sia dimenticato di tutto"-.
Le restituii il cucchiaino. Lei lo prese senza distogliere lo sguardo dai miei occhi.
-"Stai dicendo sul serio? Mi stai dicendo che hai intenzione di provarci?"-.
-"Non esattamente"-.
Lanciai un'occhiata alla mia tazza, la presi e finii il tè. Senza chiedere il permesso a Silvia, presi anche la sua e la portai in cucina. Tornai in veranda e mi risedetti.
-"Glielo dirò"-.
Silvia non si mosse di un centimetro e sbatté due o tre volte le ciglia.
-"...Dirai cosa a chi?"- riuscì infine a chiedere.
-"Dirò a Tiberio che mi piace"-.
Silvia spalancò gli occhi e boccheggiò per qualche secondo. Scosse la testa con veemenza.
-"Tu sei... Sei completamente pazza! Ti odierà a morte, non ti parlerà mai più, ti ignorerà...! E' davvero questo quello che vuoi?"-.
-"Ehi"- dissi stizzita. -"Come faccio a sapere se farà davvero così? Magari..."-.
-"Non lo conosci"- tagliò corto lei. -"Io e lui frequentiamo lo stesso liceo, credi che non abbia assistito ad altre scene del genere? So già come andrà a finire!"-.
-"Oh, ma piantala. Tanto tra una settimana mi vengono a prendere, quindi se la cosa andasse a finire male non avrei nulla di cui preoccuparmi"-.
-"Quindi non ti piace veramente. Se ti piacesse davvero ti staresti facendo moltissime più paranoie"-.
Mi alzai in piedi e cominciai a camminare per la veranda.
-"O forse mi piace così tanto che voglio rischiare il tutto per tutto"-.
Mi fermai, con lo sguardo a terra.
Cosa avevo appena detto?
Guardai Silvia.
-"Che ho detto?"- le domandai sgranando gli occhi.
-"Vedi? Non ci stai con la testa"- mormorò.
Si alzò, ma non ricordo precisamente quando, e se ne andò; la mia mente era altrove.

 

 

-"Sto cenando"-.
Rimasi zitta per qualche secondo e mi resi conto che stava mentendo: non sentivo nessun rumore di stoviglie.
-"Non dire cavolate. Possiamo fare due chiacchiere?"-.
Virgo sbuffò dall'altro capo del telefono e fece schioccare la lingua.
-"Non mi rompere i coglioni, non sono in vena di ascoltare cazzate stasera"- mi rispose secco.
Strinsi con forza la cornetta del telefono e lanciai un'occhiata a mia nonna seduta al tavolo in veranda a giocare a carte con la nonna di Silvia. Erano solo le sei del pomeriggio, era ovvio che Virgo non stesse cenando. E aveva tutto il tempo per sentire le mie cazzate.
-"Invece io lo sono. Ho voglia di sentirmi parlare"- ribattei acida.
-"Parla da sola allora, io chiudo qui"-.
-"Virgo!"- mi affrettai a dire. -"Ti prego!"-.
Dopo qualche attimo di silenzio sentii un sospiro.
-"Mi hai davvero deluso, sai?"-.
-"...Lo so"-.
-"Non sei stata corretta nei miei confronti..."-.
-"Corretta nei tuoi confronti?"- persi improvvisamente la calma. -"Che stai dicendo?! Tu non sei stato corretto nei miei confronti! Sei venuto a chiedermi dopo nemmeno due giorni che ci conoscevamo di far finta di provare qualcosa per te...!"-.
-"Fammi finire"- disse.
-"...E poi ti sembra il caso di scaldarsi tanto per una cosa del genere? Continuerò ad aiutarti, cosa credi?"-.
-"Fammi finire!"- ringhiò. -"Così è come se tu mi stessi dicendo che mi hai retto il gioco solo per un tuo tornaconto personale! La storia si ripete, la storia si ripete! Non ne posso davvero più! Mi hai fatto una testa così dicendo che sono cento volte meglio io di Tiberio, e poi cosa fai? Vai dietro a Tiberio! Sei una ragazza incoerente!"-.
-"Non ho mai detto che sei cento volte meglio di Tiberio! Ho solo detto che..."- urlai.
Mi accorsi troppo tardi di quello che avevo appena detto. Seguì infatti un silenzio tombale. Sentii un brivido corrermi lungo la schiena e le mie mani diventarono improvvisamente fredde.
-"Virgo, non volevo..."- mi affrettai a dire.
-"Fabiola"-.
Non mi piacque per niente come pronunciò il mio nome.
-"Ti prego, aspetta, fammi spiegare..."- dissi in fretta.
-"No, non ti faccio spiegare un bel niente. Ho capito come stanno le cose, ci siamo usati a vicenda"-.
-"Ma... Io non ti ho usato!"- esclamai.
-"Fabiola..."-.
-"Virgilio, non ti azzardare...!"-.
-"Con me hai chiuso"-.
Le mie mani erano quasi gelate; la gola mi bruciava; le orecchie sentivano solo il suono della linea caduta; i miei occhi vedevano dietro un muro di lacrime di rabbia il camino spento.

 

 

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