Why?

di Mary_Julia_Solo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Love is a Devil pt.1 ***
Capitolo 3: *** Love is a Devil pt.2 ***
Capitolo 4: *** Love is a Devil pt.3 ***
Capitolo 5: *** Fallen angels pt.1 ***
Capitolo 6: *** Fallen angels pt.2 ***
Capitolo 7: *** Fallen angels pt.3 ***
Capitolo 8: *** Have mercy on me pt.1 ***
Capitolo 9: *** Have mercy on me pt.2 ***
Capitolo 10: *** Have mercy on me pt.3 ***
Capitolo 11: *** Don't put the blame on me pt.1 ***
Capitolo 12: *** Don't put the blame on me pt.2 ***
Capitolo 13: *** Don't put the blame on me pt.3 ***
Capitolo 14: *** Don't put the blame on me pt.4.1 ***
Capitolo 15: *** Don't put the blame on me pt.4.2 ***
Capitolo 16: *** Don't put the blame on me pt.4.3 ***
Capitolo 17: *** Don't put the blame on me pt.5 ***
Capitolo 18: *** Don't put the blame on me pt.6 ***
Capitolo 19: *** Too dark to care pt.1 ***
Capitolo 20: *** Too dark to care pt.2 ***
Capitolo 21: *** Too dark to care pt.3 ***
Capitolo 22: *** Too dark to care pt.4 ***
Capitolo 23: *** Too dark to care pt.5 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


<< It’s not the goodbye that hurts,
but the flashbacks that follow >>
 
Prologo
« Voglio raccontarvi una storia. Da molto tempo, ormai. Ma ho sempre avuto paura che non avreste capito. Che mi guardaste e non mi vedeste più come prima. Cos'è cambiato, vi chiedete? Niente. Non è cambiato niente. Ma ho trovato un po' di coraggio in fondo al cuore. Nemmeno sapevo fosse lì. Ora so di non essere più in grado di trattenere tutto. O esploderò. A un certo punto, si crolla. Non si può più mentire. Non si possono più guardare negli occhi le persone sapendo di vivere una bugia. Questa non è una storia come le altre. No, assolutamente. Tutti conosco la storia della guerra contro Valentine e Sebastian Morgenstern. Ma sanno solo quello che tutti possono sapere. Questa non è una storia normale. Parla d'amore. Tradimenti. Bugie. Vendetta. Ferite. Dolore. Amicizia. Inganni. Parla di cose impossibili, diventate possibili. Una storia in cui il destino di Shadowhunters e Nascosti è irrimediabilmente legato. Comincia dopo la sconfitta di Valentine, quando tutto il Mondo delle Ombre era dilaniato, sconvolto. Quando capitavano cose che non avrebbero dovuto essere possibili. Questa storia parla di Clarissa Morgenster -in grado di creare muove rune -, Jace Herondale -angelo sceso in terra -, Alexander Lightwood -il ragazzo che non rideva mai -, Lydia Branwell -la regina di ghiaccio dal cuore d'oro -, Simon Lewis -il vampiro novellino, il Diurno, il migliore amico -, Magnus Bane -il Sommo Stregone di Brooklyn -. Ma più di tutti parla di Isabelle Lightwood -una ragazza apparentemente forte, spezzata dall'amore, distrutta dalla droga -e di Raphael Santiago -il vampiro Capo del Clan di New York, che aveva chiuso il suo cuore, promesso di non amare più -, legati da qualcosa di incredibile e fin troppo vero. La Nephilim e il vampiro. La figlia dell'Angelo e il figlio della notte. Oh, no. Non è la loro storia d'amore. Ma non deve esserlo necessariamente, no? Non parlate, non interrompetemi. Ascoltate e basta, senza giudicare. È più complicato di quel che appare, ma allo stesso tempo è semplice. Ascoltate. Ascoltate, o non saprete mai tutta la verità. »
 
Angolo autrice: 
Saaaaalve a tutte le povere e sfortunate anime che hanno deciso di leggere questa fanfiction! Lo so, questo capitolo è un po' corto (sempre che a qualcuno freghi qualcosa) ma gli altri saranno fin troppo lunghi quindi recupero. Ogni capitolo sarà diviso in tre o più parti per la lunghezza, quindi non stupitevi se nello stesso capitolo non cambio mai scena. Questa ff si basa principalmente sulla serie tv di Shadowhunters (che dai, non fa così schifo se non viene paragonata ai libri, anche se oh, aspettate, dovrebbe essere basata su quelli) ma ci saranno anche dei riferimenti al libro, sopratutto verso la fine della storia. Anche se, guardando il 2x11 vediamo che Isabelle è ancora drogata, qui si è miracolosamente disintossicata, non ho idea del perché. Sfortunatamente la strapazzo un po', la nostra povera Izzy, quindi non stupitevi se non la vedrete nei panni della solita "calpesta cuori". Poi, le coppie principali sono la Saphael e la Lizzy (cioè Izzy e Lydia, personaggio molto utile devo dire). Ci saranno anche la Clace incestuosa visto che Clary è ancora convinta che siano fratello e sorella (Jace è un povero piccolo cucciolo che pensa che Clary sia più felice con Simon ma no :() e la Malec. Perché senza Malec non si vive. Se qualcuno shippa la Jalec o la Clalec is not my problem. Strapazzerò un po' tutti, mi dispiace. Tranne Magnus e Alec, loro sono solo carini e coccolosi come sempre, niente drammi. È la prima ff che scrivo in questo fandom, quindi perdonatemi se fa schifo. 
Cieu, spero che qualcuno abbai deciso di leggere e che continui a leggere anche i prossimi capitoli seguendomi nella mia pazzia e scleri sclerosi 
Alla prossima unicorni glitterati! ;)
 
P.S: Ho scritto “triangolo” ma è più un OTTAGONO
P.P.S: Giuro che gli altri capitoli non sono così corti, e non sono tutti scritti così

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Capitolo 2
*** Love is a Devil pt.1 ***


<< All we do is think about
the feelings that we hide >>
 
Capitolo 1. – Love is a Devil (pt.1)
Era il compleanno di Max Lightwood che, ormai, a detta sua, compiva nove anni. Per quanto l’ultima festa organizzata in un certo appartamento all’ultimo piano di un certo palazzo di Brooklyn fosse stata un fiasco, per non dire disastro, decisero di organizzare lì il suo party di compleanno. Max sosteneva di essersi divertito un sacco la volta precedente. E così, tre quarti di Istituto e qualche Nascosto si ritrovarono nell’appartamento di Magnus una sera di novembre. Tutto stava andando in modo quasi normale, senza considerare il momento in cui Clary, cercando di prendersi il punch, si era ritrovata con un bicchiere di glitter e forse succo di pesca o quando il nuovo gatto di Magnus, il Presidente Miao, era quasi affogato nella piscina misteriosamente comparsa sul terrazzo. Ma, per il resto, era tutto quasi normale. Il momento in cui la festa prese una svolta interessante fu quando Isabelle Lightwood, stranamente comparsa in ritardo, anche se era il compleanno del suo fratellino, superò la porta accompagnata da Raphael Santiago. A quel punto, tutti i presenti ebbero diverse reazioni. Tutti erano incantati da lei, dato che il vestito che indossava era da togliere il fiato anche a chi non l’aveva: era color argento e nero, le lasciava scoperte da metà coscia le lunghe gambe davanti e cadeva lungo dietro, le maniche erano strette sulle braccia e larghe sulle mani, come fossero quelle di un abito da monaco. Tutti rimasero incantati, ma qualcuno in particolare, al quale andò di traverso il drink (senza glitter) che stava bevendo. Le persone stupite dalla presenza di Raphael, furono molte di più, invece. Primo tra tutti Magnus, che sapeva bene quanto il vampiro detestasse le feste, e soprattutto le sue; Maryse cercò di contenere il disappunto vedendo che adesso erano di nuovo due su tre i figli che uscivano con un Nascosto. Aveva sperato che Isabelle avrebbe smesso dopo quello che era capitato con il Seelie, Meliorn. Invano, a quanto pareva. Alec praticamente si strozzò, sputando il drink che stava bevendo in un malcapitato vaso contenente un povero cactus comparso da chissà dove. Simon, dal canto suo, era stupito, e al tempo stesso spaventato. Non si sarebbe mai e poi mai aspettato di vedere il leader del Clan dei vampiri di New York proprio lì. Quando Clary gli chiese se stesse bene, non la sentì subito, nemmeno con i suoi sensi da vampiro. Quando la rossa ripeté, lui scosse leggermente la testa e sospirò, sebbene fosse completamente inutile.
-Stai bene? – Simon la guardò, recuperando il sorriso che aveva perso, e rispose lentamente:
-Sì, solo che non mi aspettavo di vedere Raphael qui. –deglutì a vuoto. –Con Isabelle, per giunta. –Clary annuì e concentrò il suo sguardo sulla mora.
-Già, nemmeno io. –Simon non avrebbe mai ammesso che in realtà non stava affatto bene. Intanto, Alec si stava avvicinando alla sorella, senza degnare di uno sguardo le persone attorno a lui. Non sembrava molto contento e ricordando cos’era successo l’ultima volta che aveva visto Isabelle con il vampiro, la situazione avrebbe anche potuto degenerare. Magnus lo fermò prendendolo per un braccio, guadagnandosi un’occhiataccia che lo ferì un poco, ma doveva risolvere le cose, come al solito. Lo stregone sapeva che lo Shadowhunter non si fidava del vampiro, e non poteva certo biasimarlo, ma non voleva che iniziasse una rissa nel bel mezzo di una festa.
-Alexander. –disse dolcemente. –Tranquillo. –il moro lo guardò negli occhi e sembrò calmarsi, grazie alla sua sola presenza e voce. –Non è il caso di litigare con un vampiro alla festa di compleanno di tuo fratello. –Alec sembrò tornare alla realtà solo in quel momento, passandosi una mano tra i capelli e poi sul viso, dicendo poi:
-Scusa, ero solo… -sospirò. –Sentiamo cos’ha Isabelle da dire. –insieme si avvicinarono con più calma a Isabelle, che stava sorridendo, e il suo sorriso era talmente luminoso che avrebbe potuto accecare tutti gli invitati. Sembrava davvero felice. Quando vide Alec, il suo sorriso ebbe un cedimento, ma fu solo questione di un attimo, dopodiché torno ad essere raggiante come prima. Il fratello non avrebbe saputo spiegarne il motivo. Almeno, non con certezza. Non sembrava che ce l’avesse ancora con lui per aver… Pestato a sangue il suo ragazzo. Era sembrata insicura per quel decimo di secondo, e questo non era normale per lei. La ragazza detestava mostrare le sue debolezze in presenza di praticamente tutti, ormai anche la sua stessa famiglia. Alec la sentiva sempre più distante da lui, e, da bravo fratello maggiore, questo lo preoccupava. Fece per dirle qualcosa, ma prima che potesse farlo, la voce di Maryse Lightwood sovrastò praticamente anche la musica.
-Isabelle! –chiaramente aveva cercato di non sembrare arrabbiata con lei, considerando che non l’aveva minacciosamente chiamata con il suo nome completo, ma non ci era riuscita, considerando che aveva usato un tono di voce tanto alto che tutti i presenti nel raggio di tre metri si erano voltati a guardarli, compresi Simon e Clary. Isabelle non si lasciò scoraggiare e continuò a sorridere, sollevando di poco entrambe le sopracciglia, dicendo:
-Sì, madre? –Maryse li raggiunse con velocità e, dopo aver lanciato un’occhiata torva a Raphael, che fece finta di non vederla, si rivolse alla figlia:
-Posso chiederti cosa stai facendo? –ce la stava mettendo tutto per non urlare contro a Isabelle, lo si vedeva bene. La ragazza aveva un’espressione innocente che avrebbe potuto ingannare chiunque, ma Maryse conosceva sua figlia. –Possiamo parlare? –lanciò uno sguardo a Alec e ai due Nascosti, infastidita dalla loro presenza. –Da sole. –Isabelle guardò Raphael e poi di nuovo sua madre, dicendo, sicura:
-Quello che devi dire a me lo puoi dire anche a Raphael. –Maryse alzò gli occhi al cielo e sospirò, chiedendosi perché dovesse capitare tutto a lei. Rivolse lo sguardo ad Alec, come domandandogli di aiutarla, ma lui alzò le spalle in rimando.
-Non mi piace che tu esca con un Nascosto. –Isabelle fece per ribattere, indicando il fratello e Magnus con una mano, ma sua madre la fermò subito. –Un vampiro. –si corresse. Izzy scosse la testa, incredula.
-Perché? –sapeva perfettamente quello che Maryse le avrebbe risposto, ma voleva vedere se davvero avrebbe avuto il coraggio di farlo.
-Perché i vampiri sono pericolosi. –la ragazza guardò ovunque tranne che sua madre, cercando di trattenere lo sguardo che diceva: “come volevasi dimostrare”.
-Sono capacissima di difendermi da solo, madre. Non sono più una bambina, non sono una Mondana, sono una Shadowhunter. –dopo queste parole, Maryse si allontanò infastidita, comprendendo che la figlia non avrebbe voluto sentir ragioni. Si domandò perché proprio i suoi figli dovesse essere così, perché non potevano trovarsi entrambi uno Shadowhunter di buona famiglia e smetterla di comportarsi in modo così ribelle.
Simon e Clary la guardarono passare, diretta verso il terrazzo. Probabilmente aveva bisogno di aria, dopo quello che era appena successo. I due aveva assistito a tutta la scena, e pur non sentendo bene le parole, causa la musica e il vociare delle persone, avevano potuto intuire quello che era stato detto. Clary credeva che Maryse avesse ragione. Cioè, un conto erano Magnus e Simon, un conto era Raphael. Dopo tutto quello che il vampiro aveva fatto, non ci si poteva aspettare di meglio da lui. Decise che avrebbe parlato con lui, se fosse riuscita a trovarlo da solo. Non poteva permettere che facesse del male a Isabelle. Erano amiche e lei le voleva bene, le spezzava il cuore il pensiero di vederla soffrire per amore. Sempre che di amore si parlasse, non ne era del tutto certa. Isabelle a volte era un mistero anche per lei. Adesso i due stavano parlando con Alec, che non sembrava molto più contento di sua madre. Magnus guardava la discussione da vicino, pronto a intervenire quando necessario. “Quando” sembrava più realistico di “se”. Guardò Simon, e notò che stava fissando il vuoto, il bicchiere di sangue pericolosamente instabile nella sua mano. Quella era la prova che decisamente il suo migliore amico e ragazzo non stava bene. Non aveva idea di cosa avesse, ma lo doveva sostenere. Gli prese la mano libera e gliela strinse, sperando di dargli un po’ di conforto. Il vampiro sembrò riscuotersi e le sorrise, anche se ormai in quello sorriso la Shadowhunter non riusciva più a vederci felicità. Lei tornò a guardare come procedeva la discussione e vide che Alec e Magnus si erano allontanati, e che Isabelle stava baciando dolcemente Raphael sulle labbra. Quell’immagine le mise una rabbia incredibile. Che Isabelle fosse davvero innamorata di lui non le sembrava una possibilità. Strinse più forte la mano di Simon, che stava fissando da qualche secondo il sangue muoversi nel bicchiere che aveva in mano, ma, a quel punto, guardò la rossa e rimase così per qualche secondo, come se volesse memorizzare ogni singolo dettaglio del suo viso. Poi disse, appoggiando il bicchiere su un mobile di legno che gli stava accanto:
-Sai che ti amo, vero Clary? –lei gli rivolse un’occhiata perplessa, non capendo perché gliel’avesse detto così all’improvviso, senza un motivo preciso, nel bel mezzo della festa di compleanno di Max Lightwood. Ma forse era così che doveva essere. Non ci doveva essere un motivo preciso. Sorrise leggermente e così fece Simon, anche se ancora il suo sguardo sembrava spento. Le mise una ciocca di rossi capelli dietro l’orecchio e la baciò lentamente, come volendo assaporare ogni secondo, come fosse l’ultima volta… Ma non lo era. Decisamente no. Era soltanto una paranoia che Clary si sentiva dentro, ma dopo aver perso sua madre, aveva una paura immensa, che quasi faceva male, di perdere anche Luke e Simon. Ma erano paure inutili. Sapeva che quest’ultima era una bugia, ma sperava che sperando con tutto il suo cuore, tutte le sue forze, sarebbe diventata una verità. I due non si accorsero di essere osservati da Isabelle e Raphael, i quali li fissavano con tanta intensità che avrebbero potuto bruciarli. Smisero di guardarli soltanto perché i due si allontanarono mano nella mano, altrimenti non avrebbero mai smesso. La Shadowhunter guardò il vampiro e sorrise, non raggiante come prima, però. Il suo era più un ghigno che le donava stranamente. Raphael le sorrise di rimando, allo stesso modo. Izzy lo baciò un’ultima volta sulle labbra, cercando di metterci tutta sé stessa, e poi si allontanò, facendogli l’occhiolino e scomparendo tra la folla.

Angolo autrice: 
Eeeeh sono già tornata. Mi sembrava leggermente troppo poco pubblicare solo il mini-prologo, così ho deciso di cominciare già con il primo capitolo. La storia non è finita, ho scritto solo i primi tre, quindi non aspettatevi troppi aggiornamenti (sempre che qualcuno li voglia aspettare). Comunque scusate, la fantastica amicizia tra Raph e Izzy sembrerà una storia d'amore peggio di Romeo e Giulietta nei primi capitoli ma pooooi metterò le ship che aveva promesso. E l'ottagono. Preparatevi a vedere piangere Tutti (sì, con la "t" in grande) i vostri personaggi preferiti e odiati. Tranne la Malec. Quasi. Sì, il nome del capitolo è preso dal titolo di un episodio dela serie, sorry. Non so di chi sia la frase all'inizio, ancora più sorry. Spero che qualcuno mi recensisca (magari non perchè è una bella storia, solo per pietà, daaaai) e soprattutto che questa storia vi piaccia, anche se da questo capitolo dubito. Adios, lama-panda di Idris. 

P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi)

 

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Capitolo 3
*** Love is a Devil pt.2 ***


Capitolo 1. – Love is a Devil (pt.2)
Era almeno mezz’ora che la ragazza faceva su e giù per lo stesso tratto di strada. I passanti la guardavano, chiedendosi cosa ci facesse lì, a quell’ora tarda. Era di certo attraente, questa era una certezza assoluta, e aveva un nonsoché di misterioso. Un paio di ragazzi avevano cercato di attaccare bottone, ma la ragazza non ne voleva sapere. Li allontanava sempre con un gesto della mano, e loro subito giravano al largo. Cosa avesse di attraente era ovvio, aveva i capelli scuri e lunghi, gli occhi scuri a loro volta e un fisico da paura. Cosa avesse di misterioso era un’altra storia. Guardandola si aveva l’impressione che ci fosse molto di più di quanto la vista lasciasse vedere. Effettivamente tutti quei Mondani non avevano torno. Isabelle Lightwood stava facendo su e giù per lo stesso tratto di strada da almeno mezz’ora. Sapeva che tutti quei Mondani erano attratti da lei, non poteva farci niente, ma avrebbe preferito non avere quell’effetto su tutti. Avrebbe preferito essere come Clary. Clary era bella, certo, anche fin troppo secondo lei, ma non era certo quello il motivo per cui tutti si innamoravano di lei. Lei aveva un carattere dolce, lei era forte, lei avrebbe fatto di tutto per quelli che amava. Era quello il motivo, lei lo sapeva bene. Lei era tutt’altra storia. Tutti cadevano ai suoi piedi senza conoscerla, senza sapere com’era davvero. A quel punto probabilmente sarebbero tutti scappati a gambe levate. Lei sapeva essere davvero stronza quando voleva, lo sapeva bene. Era da qualche tempo che non riusciva più ad andare d’accordo con nessuno. Primo tra tutti Alec, che cercava solo di proteggerla, ma lei sosteneva che le stesse troppo con il fiato sul collo. Di Maryse era meglio non parlare, ogni volta che la guardava sembrava incredibilmente delusa da lei. Voleva che Isabelle fosse come lei, ma non riusciva a capire che non lo sarebbe mai stata. Non voleva, non voleva essere così fredda e severa. Clary ormai aveva smesso di parlare con chiunque. Da quando stava con Simon sembrava vedere solo lui, e la cosa era reciproca. Anche se, doveva ammetterlo, per Simon era sempre stato così. Lui non vedeva nient’altro che Clary. Per lui esisteva soltanto Clary, avrebbe fatto di tutto per lei. Persino tradire la sua famiglia. E lo aveva fatto. Isabelle si sentiva un’egoista a volte, quando pensava che Clary aveva chiesto una cosa completamente da pazzi a Simon, domandandogli di liberare Camille. Ma a lui non era importato. L’aveva fatto e basta, sperando che Clary lo avrebbe finalmente visto nel modo in cui voleva, senza pensare a cosa avrebbe fatto al suo Clan. A volte Isabelle pensava anche se sarebbe stato meglio se Valentine si fosse tenuto Jocelyn, così Clary non avrebbe avuto bisogno del Libro Bianco e Simon non avrebbe fatto la cazzata più assurda della sua vita. E inoltre, se Jocelyn fosse rimasta addormentata, non sarebbe morta poco dopo. Quindi, per la verità, non c’era assolutamente niente di egoista in quel pensiero. Lei non era forte, incapace di affrontare la delusione di non poter incontrare le Sorelle di Ferro, aveva iniziato a prendere lo Yin Fen, diventandone dipendente. Era soltanto una debole, ma non voleva ammetterlo. Lei era una persona orribile, egoista e insicura, mentre Clary… Clary brillava di una luce tanto forte che accecava anche gli Angeli.
Sospirò e decise di andarsene, ormai aveva aspettato anche troppo. Si voltò e sussultò quando vide Raphael appoggiato al muro del palazzo. Il vampiro sorrise. Non era un sorriso vero, era più un ghigno mascherato da sorriso. Isabelle avrebbe voluto urlargli contro, sentendosi una stupida per non averlo sentito arrivare ed essersi fatta cogliere di sorpresa.
-Ti ho spaventata? –domandò, sempre con quel sorriso sulle labbra. La ragazza gli lanciò un’occhiataccia.
-No. –rispose, sorridendo a sua volta. Ormai si erano chiariti già da tempo dopo quello che era successo all’Istituto tempo prima. All’inizio a Isabelle sembrava impossibile per loro tornare ad essere come prima. Effettivamente lo era, dato che lei sapeva di averlo solo usato per il suo veleno, e ne stava davvero male. Ma erano diventati buoni amici, anche se a dirla così non sembrava poter essere vero. –Perché ci hai messo tanto? –lui abbassò leggermente lo sguardo, ma fu questione di pochi secondi. Isabelle sentì le sue iridi scure puntate su di lei.
-Scusa, avevo delle cose da fare. Sono arrivato il prima possibile. –la ragazza scosse la testa. Non importava più di quel tanto. Era contenta che fosse venuto, cominciava a pensare che l’avrebbe ignorata e che non si sarebbe fatto vedere. L’aveva contatto in pieno giorno, e incredibilmente lui aveva risposto subito, senza traccia di irritazione. Le era venuta una stupidissima idea e aveva avuto bisogno di vederlo di persona. Quell’idea non era degna di lei, era una cosa terribilmente patetica. Lei non era patetica. Ma le metteva una rabbia tremenda vedere Clary con Simon, vederla così felice. Aveva cominciato a volere che guardasse lei in quel modo, con quegli occhi luminosi da angelo, con tutto quell’amore… Era patetica. Erano ormai passate almeno due settimane da quando aveva capito di essere innamorata di lei. Non aveva mai capito perché continuasse a pensare a lei così tanto, perché avesse sempre bisogno di vederla, perché pensasse che fosse bellissima… Tutti questi pensieri le facevano venire da vomitare. Quella non era una commedia romantica, non era una tragica storia d’amore. Era soltanto una ragazza con una cotta. Per un'altra ragazza. Che era naturalmente e visibilmente eterosessuale. E che l’avrebbe sempre vista solo come un’amica. Ma poi aveva pensato, che lei aveva capito di essere innamorata di lei quando lei aveva cominciato a non parlare di altro che del suo migliore amico/ragazzo (cosa non completamente vero, ma la gelosia di Izzy faceva il resto), quindi magari poteva farla ingelosire… Chi sapeva se poi non avrebbe… Erano pensieri stupidi per una come lei, una combattente, una Shadowhunter. Lei era così forte in battaglia, non credeva che si sarebbe fatta abbattere dall’amore, ma così era successo. E adesso stava malissimo e si sentiva più patetica e debole di quando ancora prendeva lo Yin Fen. Sospirò.
-Domani… -deglutì, cercando di restare calma, perché si sentiva incredibilmente agitata. Raphael le si avvicinò e le prese una mano, e lei gliene fu grata. Sapeva che il vampiro non avrebbe mai accettato di essere coinvolto in quel “piano”, ma in fondo ci sperava. Forse lo avrebbe fatto per lei. –Domani sera ci sarà la festa di compleanno di Max… Mi chiedevo… -lo guardò negli occhi, cercando di cercare le parole adatte. Si sentiva una persona orribile a chiedergli una cosa del genere. Certo, era vero, lui le aveva detto di aver capito che quello che sentiva per lei non era quel tipo di amore, e che gli sarebbe piaciuto restare amici, ma Isabelle non era certa di potergli credere del tutto. Quel vampiro era impossibile da capire. Non ce l’avrebbe mai fatta. A volte diceva delle cose che non erano vere, faceva delle cose per un motivo che non era quello apparente, cercava di essere come non era. Incomprensibile. Come una pagina sulla quale c’era scritto qualcosa che era stata cancellato. Le parole c’erano lo stesso, ma erano impossibili da leggere. –Mi chiedevo se potessi accompagnarmi. Venire con me. –Raphael rimase immobile a guardarla negli occhi per qualche secondo, poi disse:
-Clary sarà lì, vero? –la mora annuì, mentre il vampiro aggrottò le sopracciglia. L’amore era un Diavolo. Non avrebbe mai creduto che Isabelle si sarebbe spinta fino al punto di disperazione da cercare di far ingelosire la Shadowhunter che tanto amava facendosi accompagnare da lui alla festa di compleanno di suo fratello. Se anche solo un’ora prima gli avessero detto che Isabelle Lightwood lo avrebbe guardato negli occhi e lo avrebbe pregato di aiutarla a conquistare Clary Fairchild facendola ingelosire, avrebbe riso. Ma in quel momento avrebbe soltanto voluto non essere lì. Come poteva accompagnarla ad una festa di Shadowhunters? I Nephilim disprezzavano i Nascosti più di qualunque altra cosa, anche se non volevano ammetterlo. Rimase zitto per almeno un minuto, fino a quando Isabelle non si sentì tanto scoraggiata che una lacrima le scivolò lungo la guancia. Raphael avrebbe volentieri ucciso la Fairchild per quello che stava facendo a Isabelle senza nemmeno saperlo. Ma sapeva che in quel caso la ragazza non lo avrebbe mai perdonato, e non poteva permetterlo. Le voleva bene. Fino a poco tempo prima non avrebbe mai creduto di poter amare ancora qualcuno, in nessun modo. E poi era arrivata lei. L’aveva vista in un vicolo mentre stava cedendo la sua vita ai vampiri e non aveva potuto fare altro che aiutarla. Poi aveva compreso il motivo di un gesto tanto stupido. E non era riuscito a crederci. Non era riuscito a credere che una combattente come lei avesse ceduto a una droga. Non ci aveva potuto credere. Ma era così. E improvvisamente si era ritrovato ad essere ancora utile per qualcuno, qualcuno che non fosse il Clan. Non le avrebbe mai voltato le spalle. Per quanto avesse continuato a ripetersi che quella volta era stato tutto solo per uccidere la Fairchild, sapeva di averle nascosto il cellulare anche perché le voleva bene, anche perché aveva paura che potesse farsi del male, anche se non lo avrebbe mai ammesso a nessuno, se non a lei. Non poteva credere che adesso si stesse facendo uccidere dall’amore. Che si stesse rendendo ridicola solo per guadagnare l’amore di qualcuno che non la meritava. La Fairchild non si meritava Isabelle. Non sapeva nemmeno se ci fosse un motivo, era così e basta. Clary poteva essere tanto brava con le parole, tanto brava con le armi, ma… Quando aveva dovuto pensare a sé stessa, non aveva riflettuto due volte prima di spezzare gli accordi fatti con i Nascosti. Sua madre era stata più importante di tutti. Persino della sicurezza del Mondo delle Ombre. E a cos’era servito? Sua madre era morta, ormai. E a quel punto non si era più potuto tornare indietro. Tutto era stato distrutto. Crollato a terra come un castello di carte.
-Isabelle, senti, io… -la Shadowhunter sospirò e scosse la testa. Gli dispiaceva non poterla aiutare, ma non c’era niente che potesse fare. Se la Fairchild avesse continuato a non vederla, anche dopo aver cercato di farla ingelosire, non sapeva quale sarebbe stata la sua reazione. Si vedeva chiaramente che non era una cosa passeggera. Isabelle sembrava fin troppo irrimediabilmente innamorata della Fairchild. Non era solo una cotta da scuole medie. Era una cosa serie, quasi preoccupante. Da quanto tempo aveva smesso di curarsi del suo aspetto, da quanto tempo non mangiava? Indossava una maglietta troppo larga per lei, sembrava che l’avesse presa in prestito dall’armadio del fratello, e dei jeans strappati; sul viso aveva poco trucco e i capelli erano legati in una coda di cavallo mal fatta. Era sempre bella, ma la sua personalità era incredibilmente dilaniata. Sembrava che non dormisse nemmeno, aveva delle profonde occhiaie che aveva cercato inutilmente di coprire con il fondotinta. Era malata d’amore. Faceva quasi male fisicamente vederla così. L’amore era un Diavolo. Colpiva a tradimento, lasciando senza fiato (incredibilmente anche chi, di fiato, non ne aveva). Poteva illuminarti la vita, come un angelo sceso sulla Terra, ma poteva anche strapparti il cuore e tenerlo in mano davanti a te, ridendo beffardo, felice di averti ferito. Amore è sofferenza. Lui lo sapeva bene. Non c’era una versione dell’amore peggiore dell’altra, a differenza delle apparenze. Erano capaci di ucciderti allo stesso modo. Si era ripromesso che non avrebbe mai più provato amore per nessuno, da quando sua madre era morta. I suoi fratelli lo avevano dimenticato, non gli era rimasto più niente. Nessuno. Certo, voleva bene al Clan. Erano loro la sua famiglia, voleva loro più bene di quanto non mostrasse, ma… Aveva cercato di espellere ogni sentimento di amore, ma poi… Aveva ceduto. Avrebbe voluto uccidersi per essere stato così stupido. Aveva sentito ogni secondo che quell’amore gli avrebbe spezzato il cuore già fermo. Ma aveva cercato di ignorarlo. Aveva cercato di fingere che non fosse lì, quel sentimento. Aveva cercato di non cedere. Ma poi… Poi era stato proprio quell’amore a cedere. Era crollato. Gli aveva preso il cuore e lo aveva mangiato di fronte a lui, senza pietà. Quando cominciava a credere che non avrebbe mai più sentito niente, aveva incontrato Isabelle in quel vicolo. L’aveva vista come la salvezza da quella voragine e si era aggrappato a lei con tutte le forze. Accecato dal suo dolore e dal sangue angelico, aveva creduto di amarla in quel senso. Ma non era mai stato vero. Era stata solo la speranza di scappare da qualcosa da cui non era mai fuggito. Non riusciva nemmeno a guardare Isabelle negli occhi, si allontanò da lei e fece per andarsene quando lei gli gridò dietro l’unica cosa in grado di fermarlo:
-Simon! Sai che Simon sarà con lei! –si immobilizzò, incapace di guardare la Shadowhunter. Certo che sapeva che lui sarebbe stato alla festa. Con la Fairchild. La ragazza per la quale quello stupido aveva tradito il suo Clan, la sua famiglia. Magari Simon poteva continuare a mentirsi e a dirsi che aveva liberato Camille solo per aiutare Jocelyn. Ma la verità era un’altra. Era così pazzamente innamorato della Fairchild che non ci aveva pensato due volte prima di voltar loro le spalle. Era vero però, lo aveva fatto anche per risvegliare la madre della Fairchild. C’era una parte di Raphael che avrebbe voluto perdonarlo, ma un’altra che avrebbe voluto piantargli un paletto nel cuore. Quel ragazzo era stata la sua rovina. Lo odiava per quello che aveva fatto al Clan. Per quello che gli aveva fatto. Tornò lentamente da Isabelle. Sollevò un sopracciglio.
-Questo dovrebbe convincermi a venire con te? –domandò scettico, pur sapendo che era una bugia. Quello lo avrebbe sempre convinto. Anche se avrebbe preferito non lo facesse. Si odiava per essere così stupido. Odiava Simon per essere stato così stupido. Odiava la Fairchild per aver fatto innamorare Isabelle. Odiava Isabelle per essersi innamorata della Fairchild. Odiava l’amore per essere così dannatamente controverso. Bellissimo e doloroso allo stesso tempo.
Isabelle non gli rispose nemmeno. Raphael sospirò inutilmente e chiuse gli occhi. Non lo stava facendo per Simon, lo stava facendo per Isabelle. Non gli importava assolutamente nulla di Simon, ma gli importava di Isabelle. Non lo stava facendo per lui. Lo odiava. Con ogni fibra del suo corpo morto. –E va bene, Isabelle. –lei sorrise e lo abbracciò. Il vampiro sorrise a sua volta e si sentì incredibilmente felice. Aiutare le persone che amava gli metteva gioia. Anche quando si trattava di cucinare per la sua sorellina, per quanto lei non si ricordasse di lui.
-Grazie, grazie, grazie! Non so cosa avrei fatto senza di te. –Raphael sperava che quel “piano” non avrebbe solo peggiorato la situazione. Isabelle si meritava felicità. Al contrario di molti. Al contrario di lui.
-E, dimmi, dov’è questa festa? All’Istituto? –Isabelle assunse un’espressione tra il preoccupato e il divertito, cosa che fece un po’ preoccupare Raphael.
-Uh… A casa di Magnus. –Raphael si passò una mano sul viso, mentre Isabelle cominciava a ridere. 

Angolo autrice: 
Ed ecco, Nascosti e Nephilim, come distruggere la terribile Rizzy in tre pagine. Uff, tutto quello che volevano per la seconda serie di shadowhunter erano la Saphael e la Clizzy, e cosa ci hanno dato? La Climon e la Rizzy. Ok. Scusi? SCUSI? Questo non è il pranzo che aveva ordinato. Comunque, all'inizio avevo deciso che in questa fanfiction ci sarebbe stata la Clzzy, ma poi ho deciso che ci sarebbe stato di più se tutto fosse cominciato perchè Izzy voleva fare ingelosire Clary, e alla fine si sono ingelositi tutti tranne Clary ._. Ma comunque. Ho cercato di inserire la Saphael senza renderla troppo ovvio. Cioè, far capire che i sentimenti di Raphael nei confronti di Simon sono un DIAVOLO di sentimenti. Comunque sorry, ma in quasi tutta la prima parte Simon frignerà perchè Clary non lo ama. Ma voleva essere un po' realistica, quindi... 
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi) e anche per aver torturato Izzy :( :)

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Capitolo 4
*** Love is a Devil pt.3 ***


Capitolo 1. – Love is a Devil (pt.3)
Era da parecchi minuti che Isabelle si era separata da Raphael, e ora stava vagando tra gli invitati, domandandosi dove si trovasse suo fratello. Non era sicura che il suo “piano” stesse funzionando, ma per ora era stato di certo divertente. Aveva cercato di non scoppiare a ridere in faccia a sua madre e ad Alec vedendo le loro reazioni. Sapeva che nessuno dei due sarebbe stato molto felice, ma vedere Maryse cercare inutilmente di contenere la rabbia e il disappunto era stato senza prezzo. Era da fin troppo tempo che non si divertiva più così. Sapeva di aver attirato l’attenzione di tutti anche grazie al vestito che indossava, ma la sola presenza di Raphael non passava inosservata. Sapeva che anche Clary e Simon li avevano notati e si sentiva incredibilmente fiera di sé stessa, che era riuscita a non degnare di un solo sguardo la ragazza. Almeno, non mentre l’altra lo poteva sapere. Sperava di riuscire a farla ingelosire, e c’erano possibilità di riuscita. La verità era che c’era anche la possibilità che tutta quella farsa non servisse a niente, ma Isabelle non ci pensava nemmeno a quella possibilità. Non avrebbe potuto accettarla, quindi era meglio fare finta di niente e restare sul positivo. Positivo che nella vita non c’era mai stato davvero, ma non importava. Era così immersa nei suoi pensieri che per poco non andò a sbattere contro qualcuno, uno Shadowhunter, che fece maldestramente cadere il bicchiere che aveva in mano. Isabelle lo prese al volo prima che si sfracellasse a terra e lo porse al proprietario, vedendo solo in quel momento che era Lydia.
-Grazie. –disse la giovane, sorridendo debolmente e accettando il bicchiere che Isabelle ancora teneva in mano. La mora fu parecchio stupita di vederla, considerando che, l’ultima volta che aveva sentito notizie su di lei era ancora in via di guarigione a Idris dopo l’attacco del demone. Non si erano mai state né veramente simpatiche né veramente antipatiche, ma non erano mai state amiche. Isabelle le sorrise, felice di vedere che stesse bene.
-Lydia! Sono felice di vedere che stai bene! Ma non mi aspettavo di vederti qui. –si fermò per qualche secondo, lanciando un’occhiata torva a Simon e Clary che, tenendosi per mano, stavano passando alle spalle di Lydia. Cerco di restare calma e riprese:
-Quando sei tornata? –Lydia la fissò per qualche secondo, per poi voltarsi, avendo capito che qualcosa aveva infastidito l’altra Shadowhunter, ma non vedendo nessuno in particolare, scosse la testa. Era piuttosto preoccupata, credendo che Isabelle non approvasse la sua compagnia, non avendo visto niente che potesse averla infastidita.
-Proprio oggi. Ho sentito che stavate organizzando una festa per Max e allora ho deciso di venire. –il suo sorriso aumentò un poco, mentre guardava il vuoto, pensando a chissà cosa.
-Voglio provare ad essere migliore della scorsa volta. Questa volta niente Clave, ho deciso di tornare di mia spontanea volontà. –Isabelle aveva ormai smesso di ascoltarla, troppo persa, di nuovo, nei suoi pensieri. Si domandava cosa cavolo ci trovasse Clary in Simon. Va bene, erano migliori amici, ma per altro? Credeva davvero, per fare un esempio, che avrebbe potuto sposarlo, o che avrebbe potuto mettere su famiglia con lui? Non ce li vedeva per niente. Le dispiaceva pensare così male di Simon, ma non poteva farci niente. E ormai, lo si vedeva. Quei due non erano fatti per stare insieme. Non c’era un motivo, non lo erano e basta. Perché tutti cadevano ai piedi di Isabelle, tranne chi lei voleva davvero? Era per quello che si era innamorata di lei? Perché lei non l’avrebbe mai ricambiata? Solo perché si meritava sofferenza per tutti i pensieri egoistici che si faceva? Quando si riscosse, disse subito:
-Scusa, stavi dicendo, Lydia… -si accorse però che la giovane non era più lì, davanti a lei. Si sentì una persona orribile. Lydia era appena tornata dopo essere stata ferita e la trattava in quel modo? Si sentì improvvisamente male, sentendo la musica troppo forte, le persone troppo vicine tra loro, l’aria troppo calda. Voleva uscire di lì, ne aveva un bisogno incredibile. Girò su sé stessa a vuoto, senza riuscire più a capire cosa stesse facendo, quando qualcuno la prese per un braccio. Cercò di mettere a fuoco il viso della persona in questione, e, anche senza riuscirci, capì subito chi fosse. Era Alec. Lui la guardò con la solita preoccupazione da fratello maggiore negli occhi.
-Isabelle, stai bene? –la ragazza si appoggiò al fratello, che la guidò fino dentro la stanza di Magnus, l’unico posto senza nemmeno una persona, chiuse la porta alle sue spalle e la fece sedere sul letto. Isabelle sospirò e si lasciò cadere all’indietro, chiudendo gli occhi e sperando che quello stupido materasso la inghiottisse per essere così stupida ed egoista. 

Angolo autrice: 
Salve Nephilim e Nascosti! Lo so, questa parte è davvero corta... izzy non può ancora avere gioie, nessuno sta cagando la povera Lydia, e Alec è preoccupato per la sua sorellina :( La cosa positiva è che finalmente abbiamo finito il primo capitolo! Cosa aspettarci dal prossimo? Allora... (risata diabolica) Ci aspetta una bella chiaccherata tra la "giovane Morgenstern" e Raphael, ansia per Alec (sì, avete letto bene) e finalmente comparirà anche il bel JACE! (*throws glitter around*) Grazie per aver letto, cercherò di aggiornare il prima possibile! :)
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi) e per aver torturato Izzy. Di nuovo. 

 

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Capitolo 5
*** Fallen angels pt.1 ***


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still the worst sadness >>
 
Capitolo 2. – Fallen angels (pt.1)
Quando Clary vide Raphael da solo sulla terrazza di Magnus, dalla quale la piscina era scomparsa misteriosamente come era apparsa, non ci pensò due volte prima di dire a Simon che doveva parlare con una persona e lasciarlo da solo nel mezzo della festa, dandogli un bacio sulla guancia. Era felice di avere finalmente la possibilità di discutere con il vampiro. Era da quando lui aveva messo piede alla festa insieme a Isabelle che ne sentiva il bisogno, tanto forte quanto quello di respirare. Si avvicinò il più piano possibile, ma lui la sentì lo stesso. Non la guardò nemmeno quando arrivò accanto a lui, continuò a guardare le luci notturne di New York.
-Fairchild. –disse il vampiro, a mo’ di saluto. Sapeva bene perché la figlia di Valentine gli volesse parlare, si era già preparato al discorso. Sarebbe stato uno di quelli che sembrano scritti e non possono cambiare. Erano tanti. Parole tutte ripetute meccanicamente, quasi senza pensarci. Ci sarebbe stato da divertirsi. La rossa sbuffò piano e a quel punto lui si voltò a guardarla, sollevando di poco le sopracciglia. –C’è un motivo particolare per cui sei qui? –la Shadowhunter lo guardò dritto negli occhi, senza un’ombra di paura o di odio nei suoi, stranamente. I due non si erano mai sopportati più di quel tanto. Clary incolpava lui per quello che era successo a Simon, sebbene le cose fossero andate diversamente, lo sapevano bene entrambi.
-Sai perché sono qui. –l’aria di settembre, non ancora fredda ma non più afosa come nei mesi estivi, la colpì sul viso, facendole volare i capelli all’indietro. Un piccolo ghigno si aprì sul viso di lui.
-Naturalmente. –Clary sapeva di dover mettere le cose in chiaro, ma non voleva essere troppo sgarbata, considerando cos’era successo con Camille. Sapeva che il vampiro non avrebbe mai potuto capire quello che lei provava in quel momento, che non avrebbe mai potuto capire come si sentiva a quel tempo, che non avrebbe mai capito che aveva fatto tutto solo per sua madre, per la persona che amava di più al mondo. Non aveva idea di quanti anni Raphael avesse, ma era piuttosto certa che avesse dimenticato il significato della parola amore. Per questo era preoccupata per Isabelle. Aveva paura che la stesse usando per qualche motivo, forse il suo sangue. Oh, non sapeva quanto si sbagliasse. Ma lei considerava i vampiri senza cuore. Tranne Simon. Simon era diverso, ma lo era sempre stato, in qualunque cosa, dopotutto. E lui era un vampiro da poco tempo, e ora era anche un Diurno. Poteva ancora mostrarsi alle persone, poteva ancora vivere una vita quasi normale. Per tutti gli altri era diverso. L’amore era qualcosa di perduto da tempo. Ritornò alla realtà quando Raphael disse:
-Hai intenzione di dire qualcosa, o vuoi restare a fissare il vuoto ancora per molto? –lei gli rivolse un’occhiata torva, anche se aveva cercato di trattenersi il più possibile. Avrebbe voluto urlargli in faccia quello che aveva da dire, ma sapeva di non poterlo fare. Doveva usare parole concise e non lasciarsi prendere dalle emozioni, come faceva fin troppo spesso.
-Isabelle… -Raphael aspettò pazientemente che la Fairchild continuasse, anche vedendo che si era ancora persa fissando un punto indefinito. Quella ragazza era tremendamente irritante. Soltanto perché era la figlia di Valentine credeva di poter comandare la vita di tutti, credeva di fare sempre le cose giuste, di avere sempre ragione. Credeva di fare tutto quello che faceva per il bene di tutti, ma era soltanto una novellina, non era nemmeno tanto sicuro che fosse una Shadowhunter per intero. A quanto sapeva, solo pochi mesi prima credeva di essere soltanto una Mondana. Non avrebbe mai smesso di comportarsi da tale. Era incapace di nascondere le sue emozioni, una cosa che dovevi imparare a fare nel Mondo delle Ombre se volevi sopravvivere. Era sempre stato così per tutti, soltanto così riuscivano a far stare in piedi gli Accordi, già deboli per conto loro. Poi, era arrivata lei. Aveva fatto anche delle cose giuste, ma quando si era trattato di scegliere per un bene più grande, aveva scelto per sé stessa. –La ami? –Clary sperava quasi che rispondesse di no, così avrebbe potuto dire la verità a Isabelle, l’avrebbe potuta aiutare a uscire da una situazione che non andava bene per nessuno. Era qualcosa di estremamente pericoloso per lei. Non ci si poteva fidare dei vampiri, non facevano nulla di buono, erano solo dei dannati. Sperò tanto che Simon non avrebbe mai sentito quello che stava pensando in quel momento, perché sarebbe stato orribile. Ma era la verità. Non erano come gli stregoni, o i lupi mannari, o gli Seelie. Erano diversi. A loro importava solo di loro stessi. Per loro i Mondani erano soltanto nutrimento. Loro erano i dannati. Tutti i Nascosti erano in parte demoni, ma i vampiri erano gli unici a fare davvero paura. Quasi tutti gli stregoni che conosceva l’avevano aiutata, tranne Iris, ma lei tentava di salvare Madzie, alleandosi con Valentine, quindi non valeva come pericolo. I lupi l’avevano rapita in un attimo di terrore, ma poi Luke aveva risolto la situazione. I Seelie non li conosceva nemmeno, ma, andiamo, potevano davvero fare tutto quel male? I vampiri invece? Avevano rapito Simon, l’avevano ucciso, l’avevano trasformato in un mostro come loro. E avevano cercato di ucciderla. I vampiri erano una massa sconnessa di sangue e odio. Erano qualcosa di fieramente spaventoso. C’era un motivo per cui bruciavano al sole. E non faceva parte del “vampiro starter pack”. Era qualcosa legato alla loro natura. Bruciavano al sole perché erano creature delle tenebre, erano destinati a una vita da reietti, nascosti alla vista di tutti per sempre. Erano dannati. Provenivano dall’Inferno stesso.
Raphael rispose velocemente, senza pensarci, e questo stupì Clary.
-Secondo te, Fairchild? –gli avrebbe risposto che lo sapeva benissimo che no, non la amava, ma poi lo osservò. La stava guardando con una luce quasi cattiva negli occhi. Come a dirle che poteva mettere in dubbio tutto, ma non il suo amore per Isabelle. Ed era vero. Per quanto non l’amasse in quel senso, la amava e non avrebbe permesso a nessuno di metterlo in dubbio. L’avrebbe protetta sempre, sarebbe anche morto davvero per lei. Non sapeva nemmeno bene perché. Ma lei era la prima che aveva deciso di rimanergli vicino anche se era un vampiro, lei era la prima che l’aveva visto per com’era davvero, lei era la prima che l’aveva visto ancora come umano, dopo tanto, tanto, tempo. E l’amava. L’amava davvero.
La Fairchild era rimasta a fissarlo, senza rispondere. Tanto meglio, dato che era una domanda retorica.
-Dios. –disse, e Clary sembrò tornare in sé stessa, tornando sveltamente a osservare il cielo di New York. Si sentì quasi stupida per averglielo chiesto, improvvisamente. Era così ovvio che amasse Isabelle che lei non era riuscita a vederlo. Pensava che lui la stesse usando… All’improvvisamente si sentì veramente stupida. Aveva dato per scontato che i vampiri non potessero amare, e, ora capiva che non era vero. E tutto questo guardandolo negli occhi. Occhi così scuri da fare paura, ma anche così sinceri da fare paura. –Certo che la amo. –continuò lui, chiudendo gli occhi. –Più della mia stessa vita morta. –a Clary fecero quasi male tutta la verità e l’amore che c’erano dentro quelle parole. Una cosa era certa. Faceva paura. Faceva incredibilmente paura. A volte la verità faceva più paura di mille bugie di miele. Persino quando non era una brutta verità. Anche se, di questo non era del tutto certa. Come poteva sapere che Raphael non avrebbe ferito Isabelle? Magari più fisicamente che emotivamente. Non rimaneva più molto che potesse dire. La Shadowhunter non osò più guardarlo. Rimase a fissare un punto del cielo in cui le era parso di vedere la luce di una stella, anche se con quell’inquinamento luminoso era impossibile vederne. Il vampiro non aveva ancora riaperto gli occhi. Rimasero così, immobili, per qualche attimo. Poi, si guardarono contemporaneamente. Clary deglutì, sentendosi la gola terribilmente secca.
-Falle del male e ti ucciderò. E questa volta resterai morto. –poi se ne andò, decisa, ma ancora scossa dalle parole di Raphael. Il vampiro disse, mentre lei si allontanava:
-Tranquilla, Fairchild. Se la ferisco, Isabelle è perfettamente in grado di uccidermi lei stessa. –rise e la sua risata suonò terribilmente inquietante e roca alle orecchie di Clary, che voleva allontanarsi il più possibile da lui. Ben presto si ritrovò di nuovo nel pieno della festa. Quasi inciampò nel Presidente Miao, che correva, la coda coperta di glitter, inseguito da Max. Rise piano e so diresse verso Simon, che stava parlando con Maia, la quale faceva la barista anche a questa festa. Ricordò la volta prima, quando aveva creduto che Simon l’avesse baciata e si era arrabbiata con lui. Il momento peggiore era stato quando Alec si era quasi lasciato cadere dal terrazzo. Fu colta da un brivido. Era meglio non pensare a quelle cose. Era tutto nel passato. Quando Simon la vide gli si illuminò lo sguardo. È dolce, pensò, sorridendo. Ma le lasciava un senso di vuoto dopo quello che aveva visto negli occhi di Raphael. Faceva paura. Questo pensiero non le si sarebbe mai staccato di mente. Sarebbe sempre rimasto lì, a ricordarle del suo stupido pregiudizio sui vampiri. Non erano dannati. Erano angeli caduti dal cielo.
 
Angolo autrice:
Aaaand I'm already back. Salve a tutti per la seconda volta nello stesso giorno :) Clary mi rompe i coglioni, Simon mi rompe i coglioni. Boh, nella prima parte Clary sembrerà molto antipatica, lo dico già. Ma migliorerà, migliorerà. Simon è Simon, cosa pretendiamo. Per altro questo discorso è stato terrificante da scrivere, non chiedetemi perchè. Nella prossima parte tornerà anche Izzy con i suoi problemi, non preoccupatevi :) Gracias per aver letto, alla prossima. Cercherò di aggiornare al più presto (be' magari non più così presto XD)
P.S:
 Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi) 

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Capitolo 6
*** Fallen angels pt.2 ***


Capitolo 2. – Fallen angels (pt.2)
Pareva che i suoi sogni più profondi per quel momento, non si fossero avverati. Il materasso non l’aveva inghiottita e lei ci era ancora sdraiata sopra. Sentì il letto abbassarsi quando Alec ci si sedette sopra a sua volta, mettendole una mano su una spalla, cercando di confortarla. In quel momento lei avrebbe soltanto voluto piangere, avrebbe solo voluto che suo fratello la stringesse come quando erano bambini e lei faceva un incubo. Perché quello doveva essere un incubo. Non poteva crederci. Non era a lei che doveva succedere, non era a lei. Non avrebbe dovuto innamorarsi. E innamorarsi non avrebbe dovuto essere così. Lei era una combattente, lei doveva essere forte. Ma non lo era. Non lo sarebbe mai stata. E questo la spezzava dentro. Poteva fingere, poteva fingere fino a quando voleva. Prima o poi sarebbe crollata. E tutti avrebbero visto com’era debole. E non voleva. Non poteva permetterlo.
-Izzy, ti prego, parlami... –le disse Alec, scuotendola leggermente per la spalla. Lei si levò il braccio dagli occhi e li aprì, guardando il fratello, che non aveva ancora smesso di osservarla con quello sguardo terribilmente preoccupato. La Shadowhunter sospirò, dicendo poi, distogliendo lo sguardo dal fratello e fissandolo sul soffitto.
-Tutto bene. Comincia a diventare un gran casino, là fuori, eh? –Alec aveva probabilmente annuito, lo poteva intuire anche senza vederlo. Il ragazzo era preoccupato per la sorella. Non era da lei comportarsi in quel modo. Non che fosse un animale da festa, come Magnus, ma era strano che andasse in panico per una cosa così banale, come troppe persone. Lei combatteva Demoni da quando era piccola, era forte… Ma pur sempre la sua sorellina, e lui la doveva proteggere. Sentiva che c’era qualcosa che non andava, era così da due settimane. Izzy aveva smesso di mangiare, non curava più il suo aspetto, dubitava persino che dormisse. Se avesse scoperto che era colpa del vampiro, lo avrebbe volentieri ucciso con la sua spada angelica, senza nemmeno lasciargli il tempo di capire quello che stava succedendo. Eppure il problema non sembrava essere lui. Isabelle sembrava… Malata d’amore. Ma questo non era possibile. Quando era con Raphael sembrava felice, irradiava da tutta sé stessa, come un angelo sceso in Terra. Quella sera sembrava così pacifica che forse… Forse era solo una sua impressione, forse Izzy stava davvero bene. Forse era davvero stato un attacco di panico, per quanto sembrasse strano. Forse si era immaginato tutto, forse lei era solo stanca ultimamente, dopo tutto quello che era successo con la Spada dell’Anima. Forse stava male soltanto perché lui non le parlava più, Clary stava sempre con Simon e Jace praticamente non si vedeva. Jace lo poteva capire. Aveva scoperto di non essere il fratello di Clary, ma poi non aveva trovato il coraggio di dirglielo, vedendo quanto fosse felice con Simon, che per giunta era anche diventato un Diurno, bevendo il suo sangue. Lui, dal canto suo, aveva evitato Isabelle perché pensava che lei fosse ancora arrabbiata con lui, per quanto fosse una cosa stupida. Ma era abbastanza sicuro che non lo avrebbe perdonato tanto presto. Clary aveva ricominciato ad essere irritante, dato che stava facendo del male al suo parabatai, e questo lo faceva arrabbiare non poco, anche se la colpa non era della ragazza, a pensarci bene, ma di Jace. Jace si faceva male da solo fin troppo spesso, cominciava a farlo preoccupare. Non era nemmeno alla festa. Ed era il compleanno di Max. Questo era davvero strano.
Isabelle sapeva che avrebbe dovuto essere sincera con Alec, lui poteva capire il dolore che lei provava, la pena che non la lasciava dormire di notte. Era stato innamorato di Jace, prima di incontrare Magnus. Sapeva come ci si sentisse a non essere ricambiati, anche se lui aveva cercato di ignorarlo il più a lungo possibile. Lei aveva ceduto subito e ora si comportava in un modo tremendamente patetico e immaturo. Cosa aveva creduto di poter fare? Di poter arrivare alla festa, far ingelosire Clary e poi…? Non aveva nemmeno lontanamente pensato, non aveva voluto pensare, alla possibilità che Clary non si sarebbe ingelosita, che avrebbe soltanto cercato di proteggerla, perché erano amiche. Solo amiche e mai niente di più. Mai. E lei aveva cercato di scacciare quel pensiero ogni momento, ma era la verità. Non aveva e mai avrebbe avuto speranze con lei. Doveva metterci una pietra sopra. Doveva capire che non poteva andare avanti così per sempre… E, per di più, in quel momento le sembrava di aver usato Raphael, di nuovo… Era una persona incredibilmente egoista, che quasi si faceva paura da sola. Tornò al presente e vide che Alec ancora la osservava, ancora preoccupato. Quello sguardo le mise soltanto rabbia, non aveva bisogno di essere compatita. Scattò a sedere sul letto, cercando di mettersi a posto i capelli con le mani. Il fratello lo osservò per qualche secondo, chiedendosi cosa avesse potuto provocare una reazione così improvvisa. Fece il giro del letto e le si sedette accanto, mentre lei ancora combatteva per sciogliersi la sua treccia, che si era completamente rovinata.
-Sei sicura? –domandò, mettendole una mano sul braccio. Non riusciva a sopportare di vederla così. La ragazza smise di sistemarsi i capelli e lo guardò dritto negli occhi verdi. Annuì vigorosamente, cercando di convincere più sé stessa che lui. –Se Raphael… -a quel punto Isabelle perse la pazienza. Perché doveva essere colpa di Raphael? Soltanto perché era un vampiro, che aveva visto cose forse più orribili di quelle che aveva visto lei? Perché era così difficile per loro fidarsi di lui? Che cosa aveva mai fatto davvero, a parte cercare di proteggere il suo Clan? Niente. Ma loro continuavano ad accanirsi su di lui, manco avesse aiutato Valentine. Va bene, aveva tentato di uccidere Clary, ma chi non l’avrebbe fatto al posto suo, seriamente? Era la cosa migliore da fare per il Mondo delle Ombre, o almeno così sembrava. Qualcuno avrebbe potuto dire che era semplicemente la più semplice, non quella giusta. Ma forse era entrambe. A volte le cose non erano soltanto giuste o sbagliate, facili o difficili. A volte le cose erano molto più complicate. La Shadowhunter lasciò andare i suoi capelli e si lasciò cadere le mani in grembo, voltandosi bruscamente verso Alec.
-No. Raphael non ha fatto proprio niente. Non deve essere necessariamente colpa sua solo perché è un vampiro. –Alec non disse niente per qualche attimo, incredibilmente stupito dalla risposta di sua sorella. Non era da lei perdere la pazienza in quel modo. Non in quel modo, all’improvviso, e così seriamente. Aveva creduto che Raphael fosse come qualunque altro Nascosto con cui lei usciva occasionalmente, ma non sembrava più così. Forse…
-Lo… Ami? –domandò titubante, sperando che la reazione di Izzy non sarebbe stata troppo violenta. Sperò invano. La ragazza non poteva sopportare il tono scettico con il quale le era stata posta la domanda. Perché era così difficile pensare che lei potesse provare qualcosa di vero per lui? Perché era così difficile pensare che un vampiro potesse amare? Perché per i vampiri era tutto così diverso? Cosa avevano di diverso dagli altri Nascosti? Bevevano sangue per sopravvivere, in quella morte viva. Non l’avevano mai chiesto, dovevano farlo e basta. Nessuno di loro aveva chiesto di diventare quello che era diventato, nessuno aveva chiesto di diventare un mostro. Era semplicemente successo. Forse per molti il trauma della Trasformazione o quello dell’immortalità aveva strappato loro ogni tipo di sentimento, di sensazione, oltre alla luce del sole.
-Sì, Alec, lo amo! –esclamò, quasi ringhiando, incapace di credere che fossero davvero tutti così stupidi, persino suo fratello. –È così impossibile pensare che io mi possa essere… -solo in quel momento si accorse che il viso di Alec era distorto dal dolore. Gli si precipitò accanto, mentre lui cadeva sul pavimento, quasi incapace di respirare. Tutta quello che avevano detto in precedenza passò in secondo piano, ora erano un fratello e una sorella e avevano bisogno l’uno dell’altra. –Cosa sta… Alec! –lui le afferrò un braccio e cercò di parlare, senza risultato, perché dalle sue labbra uscì solo un gemito di dolore. Isabelle fece per alzarsi, per andare a cercare Magnus, l’unico che potesse davvero aiutare in quel momento, ma il fratello non ne volle sapere di lasciarla andare. Cercò di nuovo di parlare e questa volta riuscì a pronunciare una parola, prima di arrendersi e urlare dal dolore:
-J-Jace… -Izzy si alzò di scatto e corse fuori dalla stanza, scontrandosi con Maia, che teneva in mano un bicchiere che si ruppe cadendo a terra. La lupa mannara le chiese cosa stesse succedendo, aiutandola ad alzarsi e lei spiegò velocemente l’accaduto, cercando di restare calma. Doveva assolutamente trovare Magnus. Lei e Maia si divisero, per cercare lo stregone. Sfortunatamente nessuna delle due trovò subito chi che stava cercando. Magnus sembrava misteriosamente scomparso. Mentre si faceva strada tra gli invitati, Isabelle sentiva il panico salire. Sapeva che nessuno avrebbe mai sentito le grida di Alec, con tutta quella musica e quel vociare, ma lei le sentiva ancora, come se fossero state marchiate a fuoco nelle sue orecchie. Stava iniziando a perdere le speranze, quando qualcuno la afferrò per un braccio. Voltandosi si trovò davanti un’attraente donna sulla trentina, con la pelle, gli occhi e i capelli molto scuri. Appariva di circa trent’anni, ma guardandola meglio ci si accorgeva che il suo volto non aveva età. Le disse di lasciarla andare, che la situazione era più grave di quanto potesse sembrare, ma la donna non lo fece. Anzi, la guardò negli occhi e le disse:
-Forse posso aiutare. Sono una strega. –Isabelle tirò un sospiro di sollievo e senza pensarci due volte condusse la donna versa la stanza di Magnus. Alec aveva smesso di gridare e di contorcersi, era sdraiato a terra, praticamente immobile, coperto di sudore dalla testa ai piedi. La sorella si sedette accanto a lui e gli prese una mano, chiedendogli se stesse bene. Lui annuì piano, ma disse anche che non aveva mai sentito così tanto dolore. La guardò negli occhi, e Isabelle vide che i suoi erano pieni di paura e dolore. Le disse anche che aveva paura che Jace fosse morto, non riusciva a trovare il coraggio di guardare la runa parabatai. E che non sentiva più niente. Forse solo perché gli mancavano le forze, ma era preoccupato. La Shadowhunter gli disse di stare tranquillo e gli alzò di poco la maglietta, sentendosi le mani tremare. Con un sospiro di sollievo vide che la runa parabatai non si era dissolta. Lo disse ad Alec che sorrise molto debolmente. Poi domandò alla stregona se poteva ridargli forze. In quell’esatto momento, entrò Magnus correndo, seguito a breve distanza da Maia. Lo stregone si inginocchiò accanto ad Alec e gli prese una mano.
-Alexander. –disse solo, ma la sua voce era colma di apprensione e di amore. Lo Shadowhunter gli strinse la mano di rimando, mormorando il suo nome. La strega sorrise. Era evidente che conoscesse Magnus piuttosto bene, considerando il modo dolce, quasi da madre, che gli rivolse.
Isabelle si sentì improvvisamente di troppo. Uscì lentamente dalla stanza, cercando di fare il più piano possibile. Non voleva che qualcuno la vedesse andarsene. Quando ebbe oltrepassato la porta, aumentò il passo, sperando di confondersi tra la folla. Fatto qualche metro, vide sua madre e Max precipitarsi nella stanza di Magnus, seguiti a breve distanza da Simon e Clary, mano nella mano. Non riusciva a capire perché si sentisse così. Loro erano la sua famiglia e lei…Continuava a ignorarli, non voleva parlare con loro. Non voleva che capissero quale fosse il suo problema. Le avrebbe fatto troppo male vedere la delusione nei loro occhi, mentre scoprivano che era una ragazza terribilmente debole, anche se tentava di nasconderlo. Non voleva mostrare loro le sue debolezze. Li vedeva sempre più distanti, si vedeva sempre più distante da loro. Non sapeva cosa fosse successo. Avrebbe dato di tutto pur di tornare bambina, poter essere ancora felice, poter avere ancora una vera famiglia. Perché non l’aveva più. Non aveva la minima idea di quello che fosse successo, ma sentiva una strana freddezza quando era con loro, come se fossero cambiati. Certo, erano successe tante, troppe, cose da quando era arrivata Clary, ma non riusciva a credere che quella ragazza così dolce fosse la causa di un tale distaccamento, di un tale cambiamento. Lei non aveva fatto assolutamente niente. Non era la verità. Ma, negli ultimi tempi, Isabelle tendeva a confondere realtà e fantasia, verità e bugie. Clary aveva davvero distrutto la sua famiglia. Aveva portato Jace a innamorarsi di lei, per poi ucciderlo quando avevano scoperto di essere fratelli. D’altra parte, era grazie a lei che Magnus e Alec si erano incontrati. Questa era una cosa positiva. Ma per altro, aveva anche ferito Alec, e questo la faceva ancora imbestialire, a volte. Si sentì male di nuovo, ma questa volta la stanza cominciò a vorticare, diventando una massa scomposta di luci, persone, musica e vociare. Ma quel vociare, aveva un senso. Nessuno stava davvero dicendo quello che sentiva. Eppure sembrava tutto così vero. Sentiva la voce di Alec, di sua madre, di suo padre, di Max, che le dicevano che era una ragazza debole e una Shadowhunter debole, che l’avevano delusa. Che avevano creduto che lei potesse essere qualcuno, ma poi avevano visto la vera lei e avevano capito che era debole. Debole e stupida. Che nessuno l’avrebbe mai amata davvero, che loro non lo facevano. Le venne da piangere. Avrebbe voluto urlare, avrebbe voluto liberare il dolore che sentiva dentro, ma non avrebbe mai potuto. Quel dolore era stupido, non avrebbe dovuto sentirlo. Doveva essere forte, non poteva cedere a delle stupide paure. Sentì la voce di Jace, che l’accusava di aver peggiorato ancora la situazione, innamorandosi come una stupida di Clary. Le diceva che lei era sempre stata stupida, che lui l’aveva capito subito, anche se non aveva osato dire nulla, perché era la sorella di Alec. Avrebbe voluto uccidere qualcuno. Ma non sarebbe servito a nulla. Soltanto a causarle sensi di colpa inutili. No, un demone non sarebbe bastato. Aveva bisogno di qualcuno di vivo, di umano. Avrebbe voluto prendere il primo Mondano che le fosse passato davanti e spezzargli il collo con la sua frusta. Sentire le sue ossa spezzarsi. Ne sarebbe stata felice, oh, tanto felice. La voce di Clary giunse all’improvviso, e la sentì tanto forte e colma di tante emozione che credeva che i vetri si sarebbero spezzati, sotto la pressione di tutta quella sofferenza, tutta quella delusione, tutta quella paura. La rossa le stava dicendo che era una stupida. Che non poteva credere che l’avesse fatto. Soltanto perché si era pateticamente innamorata di lei. Senza essere ricambiata. Perché una come Clary avrebbe dovuto amare una come Isabelle? Lei era ancora un angelo, ma la sua luce si stava spegnendo. Improvvisamente riuscì a vedere Clary, lì, davanti a lei. Per un attimo pensò che fosse la vera lei, ma poi comprese che era soltanto nella sua mente, vedendo che la ragazza non stava in piedi sul pavimento, fluttuava. Ed era in lacrime. Le disse che non poteva credere che l’avesse fatto davvero, solo perché era gelosa. Che lei lo amava, che non poteva credere che proprio lei, che era sua amica, l’avesse ucciso. Che non poteva credere che avesse ucciso Simon. In quel momento Isabelle avrebbe voluto morire. Avrebbe voluto mettere fine alla sua inutile vita. Prima che potesse fare davvero del male a qualcuno. Non sapeva da quanto tempo fosse ferma in quel punto. Avrebbe voluto scappare, ma sembrava che le sue gambe si fossero fatte di pietra. Avrebbe voluto correre via, ma non riusciva a muovere un passo. Avrebbe voluto scoppiare a piangere, ma era al centro della sala. Dove si stava svolgendo una festa. Di compleanno. Per il suo fratellino. La stanza non voleva smettere di vorticare. Ogni secondo che passava si sentiva sempre peggio. Quando si sentì scivolare inevitabilmente verso il pavimento, che aveva ottenuto gravità propria, non oppose resistenza. Voleva soltanto… Non sapeva che cosa volesse. Forse morire. Forse solo dormire. Quando ormai era certa che sarebbe svenuta, cadendo a terra e che avrebbe attirato l’attenzione di tutti, sentì delle braccia che l’afferravano. Vide tutto farsi nero. Quando riprese conoscenza, sentì la musica attutita e il vociare era scomparso. Si accorse di essere seduta sul pavimento, appoggiata alla fredda parete del corridoio, all’esterno dell’appartamento di Magnus. Alzando lo sguardo incontrò gli occhi di Raphael, accovacciato davanti a lei, che la osservava preoccupato. La Shadowhunter sorrise debolmente. Non aveva parole per ringraziarlo. Se lui non l’avesse aiutata, sarebbe svenuta e la sua famiglia avrebbe capito che c’era qualcosa che non andava. Le labbra del vampiro di curvarono leggermente verso l’alto, ma niente di più. Isabelle sapeva che era colpa sua. Era lei che aveva insistito, era lei che aveva voluto che lui venisse con lei. Quello che lui aveva guadagnato erano probabilmente soltanto il disappunto di Maryse e la rabbia di Clary. Non poteva credere di essere così egoista. Non poteva… Voleva piangere, voleva soltanto piangere… Non ce la faceva più a resistere, non ce la faceva più. Aveva più bisogno di piangere che di respirare, in quel momento. Si accorse che le lacrime le stavano scivolando copiosamente lungo le guance solo quando Raphael le mise dolcemente una mano sul viso, asciugandolo con il palmo.
-Isabelle… -le disse, se possibile ancora più dolcemente. La ragazza si sentì ancora peggio di prima. Nessuno sembrava rendersi conto di quanto quel vampiro fosse in grado di essere dolce. Lui era fatto così. Quando non lo conosceva ancora bene, vedeva soltanto un ragazzo morto da così tanto tempo che nemmeno riusciva a ricordarsi quanti anni avesse quando la sua vita, la sua vera vita, era finita. Aveva visto qualcuno di freddo, capace solo di odiare. Incapace di amare, incapace di sorridere. Forse incapace di sentire qualcosa. Ma poi, aveva visto che quello era solo il modo in cui appariva. In realtà era tanto gentile e dolce da fare male, ma tentava di nascondere quel lato di sé. E lo aveva mostrato a lei, la persona che meno lo avrebbe meritato. Dopotutto, forse era destino. Lui era un angelo caduto e lei era un angelo che stava precipitando. Avevano bisogno l’uno dell’altra. Raphael non le chiese se stesse bene, come chiunque altro avrebbe fatto, perché sarebbe stato ipocrita. Era ovvio che non stesse bene. Non stava bene per niente. E sì, poteva essere evidente, ma qualcuno avrebbe potuto avere il coraggio di domandarglielo lo stesso. La Shadowhunter non riusciva a mettere insieme le parole, si sentiva incapace di pronunciare una frase. Tentò di dire qualcosa, ma dalle sue labbra uscì solo un singhiozzo. Allora, il vampiro si alzò in piedi e le offrì una mano, dicendole:
-Vieni, ti porto dalla tua famiglia. –Isabelle scosse freneticamente la testa, come una bambina capricciosa. Non poteva andare da loro, non poteva. Sapeva che probabilmente Raphael aveva ragione, che avrebbe dovuto stare con loro, che avrebbe dovuto provare a riallacciare i rapporti, ma non voleva. L’espressione di lui rimase impassibile, non batté ciglio. –Allora, all’Istituto. –la Shadowhunter scosse di nuovo la testa, sentendosi una stupida. Non era da lei non riuscire a parlare, ma sembrava non poterci fare assolutamente niente. Raphael le propose l’unico altro luogo possibile, sperando che avrebbe accettato, dato che non avrebbe saputo dove andare altrimenti. Gli faceva male vedere Isabelle, la sua Isabelle, in quello stato. Credeva che accompagnarla lì sarebbe servito. Quando l’aveva vista, aveva pensato che fosse bellissima con quell’abito, che sembrava tornata l’Isabelle Lightwood di sempre. Ma ora vedeva di nuovo quella ragazza spaventata dai suoi sentimenti, spaventata da quello che avrebbero potuto pensare gli altri, la sua famiglia, vedendo che stava male. Faceva male, faceva male quasi fisicamente. Lui sapeva, era certo, che lei era una ragazza forte, anche se continuava a negarlo. –Possiamo andare al DuMort. –la ragazza annuì, accettando la sua mano e facendosi aiutare ad alzarsi. Non voleva stare con nessun’altro, in quel momento. Solo con lui. L’unica persona che aveva visto com’era davvero, come stava in quel momento, male, e aveva deciso di aiutarla. Il cuore di lui poteva anche essere fermo, ma era l’unica cosa che faceva ancora battere il suo. 

Angolo autrice:
Salve Nephilim e Nascosti! Eccomi qui con un altro capitolo! Alec che fa il suo lavoro da fratello maggiore mi fa impazzire. E poi Magnus che arriva aksdjefkj :)
Comunque, nella prossima parte comparirà Jace e foooorse scopriremo cosa gli è successo. Non vedo l'ora di vedere il nuovo episodio squeeee :D Sembrava piuttosto inquietante dagli spoiler che ho visto su Instagram. Ma quale episodio non lo è? 
Visto che ho quasi finito di scrivere la prima parte di questa storia, ho deciso che pubblicherò una parte di capitolo al giorno, e i capitoli nuovi ogni due. Perciò, se qualcuno vorrà ancora continuare a seguirmi in questo casino, ci risentiamo domani :) Baci e glitter
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi) e naturalmente per aver torturato di nuovo Izzy (no, non ho intenzione di smettere :/)

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Capitolo 7
*** Fallen angels pt.3 ***


Capitolo 2. – Fallen angels (pt.3)
La prima ad accorgersi dell’assenza di Isabelle, fu Maia. Si sentiva fuori posto, vedendo quanto tutti i presenti in quella stanza fossero legati. La madre di Alec e il suo fratellino si erano precipitati nella stanza, delle espressioni preoccupate, e gli avevano subito chiesto se stesse bene. Il ragazzo aveva risposto di sì, ma aveva paura che Jace si potesse essere fatto male, conoscendolo. Per quanto Maia e il giovane Wayland non andassero per niente d’accordo, negli ultimi tempi la loro relazione era molto migliorata, anche se consisteva soltanto nel lanciare contemporaneamente delle occhiate torve a Simon e Clary. Certo, era grazie a lei se il vampiro si era dichiarato, ma Maia non ne era tanto contenta. Quindi si poteva dire che fosse preoccupata per lui anche lei, soprattutto sapendo quanta sofferenza aveva percepito Alec grazie al loro legame. Doveva essergli successo qualcosa di serio, altrimenti il dolore non sarebbe stato così forte. Poi, c’era Magnus Bane. Appena era entrato nella stanza, accompagnato da lei, era corso dallo Shadowhunter e gli aveva semplicemente stretto la mano, dicendo il suo nome, ma alla lupa era sembrato un gesto tanto pieno d’amore da farle quasi venire da vomitare. Tendeva a disprezzare l’amore, dopo quanto le era successo con… Preferiva non pensarci. Si era portata automaticamente una mano al collo, dove ancora stava e sempre sarebbe restato il segno della sua Trasformazione. Aveva odiato sé stessa per mesi, odiava ancora lui per quello che le aveva fatto… Poi, erano arrivati Clary e Simon. Maia non aveva potuto fare a meno di alzare lo sguardo al cielo, vedendo che i due si stavano tenendo per mano, anche in quel momento. Sembrava che le loro mani fossero state incollate con la colla a presa rapida. Era irritante, terribilmente irritante. Anche loro sembravano terribilmente preoccupati per Alec, ma solo a fare il nome di Jace, la preoccupazione della rossa si era moltiplicata. Probabilmente perché era suo fratello. Probabilmente. La figlia di Valentine era strana. La strega, pensava di aver sentito che il suo nome fosse Esmeralda, ma non aveva capito il cognome, sembrava di origine italiana, era rimasta seduta sul letto di Magnus, ad osservare la scena, con sguardo dolce. Maia supponeva che conoscesse lo stregone da parecchio tempo, considerando che lo guardava come una madre può guardare un figlio. Ora erano tutti riuniti attorno a Alec, che annuiva a tutte le domande che gli stavano facendo. La lupa supponeva che gli stessero di nuovo domandando se stesse bene. Era quasi una cosa fastidiosa, che lo ripetessero così tante volte, come se le cose potessero cambiare da un minuto a un altro. Lei stava appoggiata alla parete della stanza, vicino alla porta, che era socchiusa e lasciava passare tutti i rumori della festa. Tutta quella musica le stava dando alla testa. In quel momento si accorse che qualcuno mancava. Aveva creduto tutto quel tempo che Isabelle fosse seduta sul letto, dalla parte opposta a dove stava Esmeralda, ma, voltando lo sguardo verso la finestra, Maia si accorse che la Shadowhunter non era lì. Non riusciva a ricordare il momento in cui era uscita, non l’aveva vista. O forse sì, ma non ci aveva pensato subito. Doveva essere stato circa quando lei era entrata con Magnus, solo in quel momento aveva voltato le spalle alla porta. Si domandò perché l’avesse fatto. Isabelle faceva parte della famiglia, era lei ad essere fuori posto, eppure era ancora lì. Invece l’altra se n’era andata. Non capiva il motivo. Quando si era scontrata con lei aveva potuto sentire la preoccupazione e la paura nel suo odore, era abbastanza ovvio che volesse un bene dell’anima al fratello maggiore. Eppure non era lì, non era con la sua famiglia, aveva deciso di andarsene. Maia faticava a comprendere gli Shadowhunters, ma forse questo non era qualcosa legato ai Nephilim, faceva parte della natura umana. Lei avrebbe dato di tutto pur di riaverla indietro. Certo, certo, era ancora umana. In parte. Ma faticava a sentirsi tale. Dopotutto era così che ci sentiva a essere un Nascosto. Si era destinati a nascondersi, come diceva il nome. Si era solo dei mostri, mezzi demoni, niente di più. Nessuno di loro sarebbe mai stato di più per i Nephilim. Nessuno di loro si sarebbe mai sentito di più, guardandosi allo specchio ogni mattina. Veniva strappata loro, quella natura umana, senza che potessero farci nulla. Diventavano qualcosa di dannato, qualcosa di escluso dal resto del mondo. Nessuno di loro aveva mai chiesto di nascere, o diventare, così. Era successo. Ma nessuno sembrava capirlo. Li guardavano e vedevano qualcosa di mostruoso, terribile, qualcosa da nascondere. Forse era per quello che venivano chiamati Nascosti. Non tanto perché dovessero vivere tra i Mondani, fingendo di essere perfettamente normali. Si riprese dai suoi pensieri solo quando, oltre al fastidioso suono della musica, si mischiarono altri rumori e un vociare concitato. Cercando di fare il più piano possibile, Maia uscì dalla porta, richiudendosela alle spalle. Notò che la folla si stava concentrando verso il portone d’ingresso. Alcuni domandavano dove fosse il padrone di casa. I rumori, che ora suonavano come delle terribili grida, provenivano da oltre il legno della porta. La lupa si fece strada tra i presenti, decisa ad arrivare fino in fondo a quella storia. Avanzò più oltre tutti gli altri invitati, con l’intenzione di vedere cosa stava oltre quella soglia, quando la porta si spalancò bruscamente. Maia sussultò. Si era preparata a molte situazioni possibili, ma di sicuro non a quella. Jace Wayland stava ancora appoggiato alla porta, che aveva aperto da entrambi i battenti, una spada angelica in pugno, la quale lasciava colare icore demoniaco sul pavimento piastrellato, i suoi occhi bicolore sembravano produrre scintille, da quanto erano colmi di adrenalina, i suoi capelli biondi erano scuriti -Maia non avrebbe saputo definire se da semplice sporcizia, icore demoniaco, o il suo sangue -e la sua frangia gli cadeva, dandogli un’aria ribelle, sul viso. La sua faccia sembrava essere stata brutalmente bruciata, in alcuni punti la pelle era rosa più scuro o addirittura viola-marrone e si staccava. Tutti cominciarono a parlare tra di loro, sembravano terribilmente scossi e sconvolti dal ragazzo che avevano di fronte. Dal canto suo, la lupa avrebbe voluto volentieri ucciderlo. Credeva bene che Alec avesse sentito tutto quel dolore, guardando il suo parabatai. Non aveva idea di cosa fosse successo, ma voleva davvero scoprirlo. Nessuno disse niente ad alta voce, e Jace non si mosse, come nessun altro nella stanza. Solo una Shadowhuter bionda ebbe il coraggio di farsi avanti, avvicinarsi al giovane Wayland e chiedergli cosa fosse successo. Il ragazzo la fissò per qualche secondo senza dire niente, tanto che Maia per un attimo credette che fosse ubriaco. Solo poi, riuscì a trovare la forza di dire qualcosa.
-Q-quel… Quel dannato Demone… -disse, e la sua voce suonò terribilmente distorta dal dolore. Dette quelle poche parole biascicate, lo Shadowhunter perse la presa sulla porta, le sue mani scivolarono, gli occhi gli si voltarono indietro e lui cadde pesantemente a terra, lasciando una traccia di icore demoniaco dove le sue mani erano passate. La spada angelica cadde a terra, perdendo la sua luce, tintinnando. 

Angolo autrice:
Salve bella people! :D Ecco un'altra parte di capitolo. Lo so anche questa è un po' corta, I'm sorry (o magari sono io che vedo i capitoli troppo corti boh). Dan dam daaaaa! Cosa sarà successo al nostro Jace? Come la prenderà la nostra eroina (sconvolgente parola) dai capelli color carota? Nel prossimo capitolo (fa molto serie tv. "nel prossimo episodio" ZAN-ZAN!): comincia il mistery (:0), CLAAACE e tante lacrimuzze vampire. Spoilerando il 2x13 di SH (scheeerzo, non dico molto di fondamentale): sono fiera del mio Simon (:') anche se non l'ho ancora perdonato del tutto), quel finale era da evitarsi, MAX mi ha spaventato cribbio, maaaaaw Izzy e Raph. Ma comunque. Ho visto delle foto promozionali e varie del 2x15 (povero il nostro Simon. Quasi) e a quanto pare i vampiri non piangono sangue :/ Maaaaa nel libro sì, quindi anche qui sì, anche perchè non vedo come potrebbero piangere acqua (71% sangue suppongo; ok, che cosa creepy). Okay, spero che continuerete a leggere (la Saphael arriverà, prometto! ;)) Alla prossima :D Tanti glitter e baci! 
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi) e per aver torturato Jace (almeno questa volta non è Izzy :))

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Capitolo 8
*** Have mercy on me pt.1 ***


<< But everything is shattering
it’s my mistake >>
 
Capitolo 3. – Have mercy on me (pt.1)
Quel luogo era freddo. Tanto freddo che sembrava una cella frigorifera. Ma a nessuno di loro dava quel tremendo fastidio. Era anche buio, ma nemmeno quello importava. Erano abituati al freddo e all’oscurità. Stavano già dentro di loro, nei loro cuori. Morti, vivi, dannati, non faceva differenza. Al centro della stanza, accanto a un uomo, sdraiato sul pavimento, sotto al quale si stava formando una pozza di sangue scuro e denso, stava una donna, i capelli neri e lunghi, gli occhi più scuri del buio stesso, le labbra molto rosse, le mani insanguinate, seduta a gambe incrociate. Vicina al corpo della sua vittima. I Mondani non ci avrebbero messo molto a scoprire che una di loro era scomparso, e a quel punto sarebbero intervenuti gli Shadowhunters. Ed era proprio quello il loro obiettivo. A quel punto, tutto sarebbe stato molto più semplice. La donna, soltanto guardandola si poteva vedere una certa cattiveria nei suoi occhi, per non parlare de suo sorriso, stava leggendo attentamente una lettera che teneva tra le mani e che stava sporcando di sangue. Lì era scritto tutto chiaramente. Non sarebbe stato difficile, dopotutto. Sorrise, vedendo la firma. Tutta quella situazione la faceva ridere. Poco tempo prima credeva che nessuno si sarebbe mai accorto della sua esistenza, che sarebbe stata soltanto e sempre un’ombra, e ora lui, proprio lui, le scriveva. In fondo alla pagina, stavano scritte due eleganti iniziali: S. M. Lui diceva che ormai erano diventati parte di qualcosa di grande, qualcosa di molto più grande di loro. La sua causa avrebbe portato grandezza agli Shadowhunters. Certo, avrebbe anche eliminato tutti i Nascosti, ma loro sarebbero stati risparmiati. Non che ci credesse davvero, ma le cose che lui diceva erano così piene di convinzione che l’avrebbe seguito in capo al mondo. L’unica cosa a cui lei mirava, era la vendetta. Era da tempo che stava tramando, senza riuscire a venire a capo a nulla. Poi, lui, aveva detto di poterla aiutare, se poi lei avrebbe aiutato lui. E lei lo avrebbe fatto, oh sì. Poteva sembrare qualcosa di stupido, ma lei odiava con tutto il suo cuore quegli Shadowhunters corrotti. Lui avrebbe portato quella razza alla purezza, avrebbe reso il mondo un posto migliore. Le sue erano buone intenzioni. Per questo sarebbe stato disposto a tutto. Anche a uccidere tutti quelli che gli si opponevano. Ripiegò la lettera con un sorriso, e, alzandosi, la posò sul tavolo che le stava accanto, senza curarsi del sangue del Mondano che le macchiava le scarpe. In quel momento si accorse che nell’aria c’era un odore di bruciato. Aspettò qualche attimo prima di voltarsi verso la parete dietro di lei. La magia violetta del portale stava sparendo proprio in quel momento, mentre una figura alta e slanciata superava il varco. La vampira sorrise, chiudendo gli occhi, aspettando di sentire quella voce bassa, roca e stranamente piacevole nella sua mente. Lo stregone non ci mise molto a parlare, scuotendo la testa con aria grave. Aveva paura che lei si sarebbe arrabbiata. Non che potesse fargli veramente qualcosa. Non lei. Ma lui, S. N., lo avrebbe potuto uccidere senza esitazione. La vampira sentì soltanto un sospiro nella sua mente, quindi spalancò gli occhi, che si illuminarono di rabbia.
-Hai fallito. –gli disse. Non era una domanda, era un’affermazione. Non ci poteva credere. Avrebbe dovuto trovare uno stregone meno incapace, ma era stato lui a consegnarglielo, dicendole che insieme sarebbero stati in grado di grandi cose.
“Non ho fallito.” disse allora lo stregone, con voce parecchio irritata. Non era quello il termine giusto. Secondo quello che la sua padrona diceva, quello Shadowhunter avrebbe dovuto morire, ma sapeva che lui non l’avrebbe pensata allo stesso modo. La vampira ogni tanto era troppo vecchia per pensare chiaramente, si ritrovava a pensare ogni tanto. Doveva soltanto testare la forza di quello Shadowhunter, di quell’Herondale. Erano andati fin troppo vicini all’ucciderlo. Lui non avrebbe approvato. Diceva che quel ragazzo biondo era troppo prezioso per essere ucciso. Dovevano vedere quanto potesse resistere. “Sai che non dovevo ucciderlo. È la tua voglia di vendetta a parlare.” la vampira ci mise tutta la forza che aveva, pur di non voltarsi e spaccare il tavolo in due. Quello stregone era un idiota. Non poteva permettersi di dire quelle cose davanti a lei. Anche se aveva ragione, questo lei lo sapeva bene. Ma non per questo aveva il diritto di dirlo. Doveva tacere, sarebbe stato meglio. Fece per dire qualcosa, ma dalle sue labbra uscì soltanto un suono disgustato. Voltò le spalle allo stregone e fece qualche passo, fino a trovarsi davanti a una porta, che spinse con rabbia, entrando nella stanza. Si lasciò cadere su una delle poltrone in pelle, sbuffando. Lo stregone alzò gli occhi al cielo, ma la seguì. Una volta entrato, raccontò alla vampira tutto quello che era successo. Lui e la ragazza avevano seguito l’Herondale tutta la notte, da quando era uscito dall’Istituto. A un certo punto avevano pensato bene di mandargli contro un Demone, uno dei più pericolosi, uno di quelli in grado di sputare acido e con la pelle tanto calda da ustionare, tanto per vedere come si sarebbe difeso. Lo Shadowhunter si era battuto con coraggio, uccidendo il demone senza tanti pensieri. Allora, avevano deciso di vedere cosa avrebbe fatto invece con un’orda di Demoni dello stesso tipo. A quel punto le cose avevano cominciato a precipitare. Il ragazzo era stato ferito al viso da uno dei Demoni, ma aveva continuato a combattere. Poi, con grande stupore dei due, aveva cominciato a correre, e sembrava proprio che avesse una meta precisa. Così lo avevano seguito. Si era infilato in uno dei palazzi di Brooklyn, seguito a breve distanza da un ultimo Demone. A quel punto, lo stregone e la ragazza si erano fermati, stupiti dalla forza dell’Herondale. Aveva fatto tutta la strada praticamente barcollando, il viso bruciato, i vestiti rovinati dall’acido. E non si era fermato, nemmeno un secondo, nemmeno per riprendere fiato. Era stato incredibile. Cominciava a capire cosa intendesse lui quando diceva che quello era forse il miglior Shadowhunter di tutti i tempi. Diceva che era puro, l’unico davvero puro, scelto dagli angeli stessi per proteggere i Mondani. La vampira si mise una mano sul viso, quando lo stregone finì il racconto. Avrebbe potuto evitare di parlare con tanta ammirazione di quello stupido giovane che non aveva idea di cosa stesse facendo. Non le erano mai piaciuti gli Herondale. Erano terribilmente irritanti, lei lo sapeva bene. E dire che quel ragazzo credeva di essere un Wayland, o qualcosa del genere. Ogni parte di lui, ogni cosa che aveva sentito su di lui, gridava Herondale. Ma, no, no, lui non ci avrebbe mai creduto. Alla fine di quella storia, avrebbe riso. Non sapeva nemmeno perché, ma era certa che avrebbe trionfato.
-Ishmae, evita di… -prima che potesse finire di parlare, la porta si aprì di nuovo ed entrò la ragazza, mangiando una mela, senza un minimo di grazia. Fece qualche passo nella stanza e si lasciò cadere nella poltrona gemella a quella dove stava seduta la vampira.
-Evita di fare cosa? –domandò, biascicando, un pezzo di mela in bocca. La vampira storse la bocca, quella ragazza era insopportabile. Ma sfortunatamente doveva sopportare anche lei, dato che era stata inviata e consigliata da lui. Avrebbe voluto urlarle contro di essere un po’ più regale, ma sapeva che non sarebbe assolutamente servito. Decise allora di ignorarla e di rivolgersi di nuovo allo stregone.
-Evita di parlare di quello Shadowhunter lodandolo in quel modo. Lo sai che i Nephilim ci odiano. –Ishmae rispose che lo sapeva perfettamente, ma questo non cambiava le cose. Quell’Herondale aveva davvero qualcosa di incredibile. Guardandolo veniva una controversa voglia di baciarlo e allo stesso tempo ucciderlo. Cosa che non aveva assolutamente senso, ma non ci si poteva fare niente. La vampira si voltò verso la ragazza, che aveva finito di mangiare la mela e ora si stava leccando le dita. Sperò seriamente che se le fosse lavate. Le domandò perché ci avesse messo più tempo dello stregone ad arrivare. La ragazza alzò le spalle e disse che aveva seguito il vampiro, avendolo visto uscire dallo stesso palazzo nel quale era entrato l’Herondale. Non che avesse scoperto qualcosa di tremendamente eclatante, sapevano già tutto su di lui, però aveva finalmente trovato il suo punto debole. Una certa bellissima Shadowhunter dai capelli neri. La vampira sorrise, e i suoi canini brillarono per un attimo alla fievole luce della lampada precariamente appesa al soffitto. Avrebbe voluto mettersi a saltare euforica, come un bambino Mondano a Natale. Quel vampiro era praticamente tutto quello che le serviva per la sua vendetta. E presto, molto presto, lo avrebbe visto soffrire. Le sarebbe piaciuto in un modo terribilmente assurdo. Avrebbe giocato con la sua mente, lo avrebbe costretto a soffrire le pene dell’Inferno per quello che aveva fatto. Be’, certo, anche l’altro vampiro avrebbe avuto la sua parte. E anche lo stregone. Poteva quasi sentire la loro sofferenza. Era l’unica cosa in grado di renderla più euforica del sangue. Sarebbe stato bellissimo. Si accorse che Ishmae e la ragazza la stavano fissando, come se fosse pazza. Non che non lo fosse, certo. Ma era comunque irritante. Soffiò nella loro direzione, scoprendo i denti. I due si guardarono, per niente impressionati. Sorrise, decidendo di ignorare il lor scetticismo.
-È il momento di procedere con il piano -annunciò, e i suoi occhi si illuminarono in modo cattivo, quasi diabolico. Gli altri due sorrisero a loro volta. Tutti loro stavano cercando vendetta e l’avrebbero ottenuta, oh sì, l’avrebbero ottenuta. La vampira era quella più euforica. Avrebbe finalmente smesso di vivere nell’ombra, avrebbe finalmente smesso di non essere nessuno. Presto tutti avrebbero sentito parlare di lei. Presto tutti avrebbero avuto paura di lei. Senza sapere che dietro di lei stava una mente molto più grande. E cattiva. Così convinta di fare del bene che avrebbe portato tante sofferenza quanto una persona con quelle intenzioni. Oh, ci sarebbe stato da ridere. Ci sarebbe stato davvero da ridere. 

Angolo autrice: 
Aaaand I'm back! :) Well, bella people, ecco un altro capitolo (o almeno, l'inizio). Niente gente che piange, oggi! Contenti? E così comincia anche il mistero che vi avevo promesso! Lo so, la Saphael latita ancora, ma come ho già detto ci sarà, basta che abbiate pazienza (volete avere pazienza vero? :'() Mistery misterioso :::) Chi saranno questi tre individui (individui XD)? Una vampira, uno stregone eeeee? E perchè hanno cercato di uccidere Jace? :0 Perchè gli hanno mandato un'orda di demoni addosso? Volevano testare la sua forza? Chi sarà questo S.M.? Dan dan daaaaa! Non lo scoprirete molto prestoooo-o (*risata diabolica*). Ok, sorry. Comunque, chi sono i vostri personaggi preferiti di Sahdowhunters? I miei di sicuro Raphael, Simon e Alec (ma anche Magnus e Izzy sono fantastici :)). Domanda a caso, tanto per sapere. Domani CLACE (*musica angelica*). Sì, povero Simon, ma... La Climon no. Proprio no. :(
P.S:
 Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi) 
 

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Capitolo 9
*** Have mercy on me pt.2 ***


Capitolo 3. – Have mercy on me (pt.2)
Era ormai mattino inoltrato, quando Alec, Maryse e Max Lightwood, Clary Fairchild, Lydia Branwell, un miracolosamente in piedi Jace Wayland e Magnus Bane varcarono il portone dell’Istituto. Vennero subito raggiunti da Victor Aldertree, che aveva un’espressione tra la preoccupazione e il disappunto, il quale domandò loro cosa fosse successo. Lydia si fermò per raccontargli l’accaduto, di come Jace fosse entrato a casa di Magnus, dopo aver sconfitto un’orda di demoni, sanguinante e sconvolto. Nel frattempo, i Lightwood accompagnarono il giovane Wayland in Infermeria. Magnus andò con loro, certo di poter essere ancora d’aiuto con la sua magia. Clary prese il telefonino e cercò di trovarsi un posto appartato dal quale telefonare a Simon, scomparso quella mattina presto. Si domandò perché non le avesse detto niente, dopotutto era la sua ragazza. Si era comportato in modo strano tutta la sera. La rossa si diresse verso il campo di addestramento, e fu parecchio stupita trovandoci Isabelle che si allenava. I suoi movimenti erano veloci e perfetti, e sembrava incredibilmente concentrata. La sua frusta si era trasformata in un bastone, ma quando lo buttò in avanti tornò a essere flessibile come un serpente. La ragazza aveva i capelli neri sciolti, e indossava abiti attillati, che le mettevano in risalto tutte le curve. Clary guardò prima il suo telefono poi, Isabelle. Anche la giovane Lightwood era scomparsa la notte prima. Una parte di lei avrebbe voluto telefonare a Simon, l’altra parlare con Isabelle. Convinta che nessuna delle due idee fosse meglio dell’altra, decise di raggiungere Jace. Riteneva che forse sia Simon che Isabelle avrebbero preferito essere lasciati soli, e non si sbagliava. Izzy l’aveva notata, ma aveva fatto finta di niente. Non aveva voglia di dover dare spiegazioni anche a lei. Tutti volevano sempre spiegazioni, ed era una cosa terribilmente irritante. Mentre Clary si dirigeva verso l’Infermeria, pensò a quanto era successo la sera prima...
Erano tutti riuniti attorno a Alec, Clary non riusciva a trovare il coraggio di lasciar andare la mano di Simon. Era terribilmente preoccupata per Jace. Sapeva bene quanto il ragazzo fosse impulsivo, e aveva paura che potesse essersi fatto veramente male. Riusciva quasi a immaginarselo, ferito, al freddo e solo in un vicolo, perché era stato troppo testardo e non aveva voluto cedere anche quando aveva visto che le sue possibilità di battere il suo avversario, probabilmente Demoni, erano poche. Non passò molto tempo, nel quale venne chiesto ripetute volte ad Alec se stesse bene, adesso. Lui continuava a rispondere di sì, guardando lei, come a dirle che lei era davvero l’unica a poter capire cosa stesse provando in quel momento. Non gli importava di sé stesso, gli importava di Jace, così come importava a lei. Anche se… No. Mentre quel pensiero le saltava in mente, strinse più forte la mano di Simon, quasi da farsi male. Non poteva pensare quello. Lei e Jace erano fratelli, doveva cercare di chiudere fuori dal suo cuore quello che aveva provato, quello che provava, per lui. Anche se era difficile, terribilmente difficile. Le dispiaceva davvero tanto per Simon. Una parte di lei lo amava con tutto il cuore, ma l’altra sapeva che lo stava solo usando. Lo stava solo usando per dimenticare tutto il dolore che aveva provato scoprendo che Jace era suo fratello. Cercare di dimenticare tutto l’amore che sentiva per lui. Ma era come cercare di non respirare. Ciò che la distolse dai suoi pensieri fu accorgersi che tutto era silenzioso. Praticamente si sarebbe potuta sentire una moneta cadere, quanto tutto si era incredibilmente zittito. Forse anche il suo cuore. Non si sentiva più nessuna voce, non si sentiva più la musica. In quel momento Simon pensò bene di fare una di quelle battute veramente banali, che in un altro momento l’avrebbero fatta ridere, ma non in quello.
-Che silenzio di tomba. –la ragazza gli tirò piano un pugno su una spalla, come a dirgli di stare zitto, e l’espressione del vampiro fu quella di una persona che cerca di non ridere. In quel momento, mentre Magnus si dirigeva verso il salotto per vedere cosa diamine stesse succedendo, la porta della stanza si aprì ed entrò Maia. Nessuno di loro si era accorto che fosse uscita, quindi la osservarono stupiti. Magnus le chiese cosa fosse successo e lei disse che avrebbero fatto meglio a venire a vedere. Il padrone di casa fu il primo a varcare la soglia, notando che tutti i presenti si erano riuniti davanti all’entrata. Si fece strada tra le persone con sicurezza, deciso a scoprire chi avesse potuto rovinato una festa così favolosa. Tutti gli altri lo seguirono a breve distanza, anche Alec, anche se tutti avevano insistito affinché rimanesse sdraiato. Clary ancora non poteva lasciare la mano di Simon. Era la sua ancora alla realtà. Cominciava a sentirsi incredibilmente confusa. Quel party cominciava a diventare surreale, con tutto quello che era successo. Quando arrivarono davanti al portone, la rossa vide una figura stesa sul pavimento macchiato di sangue… Quando capì che era Jace avrebbe voluto urlare. Non riusciva a formulare un pensiero di senso compiuto, si sentiva svenire. Cosa gli era successo? Cosa gli era successo?! I suoi capelli biondi erano quasi neri a causa del sangue e della sporcizia. Non riusciva bene a vedere il suo viso, ma capì che doveva essere ferito. Voleva urlare. Voleva urlare, tirare fuori tutto quello che sentiva dentro, spaccare qualcosa. Perché doveva proprio essere Jace ad essere ferito e svenuto sul pavimento? Perché non poteva essere qualcun altro? Perché vedendolo così riusciva a capire che non lo avrebbe mai visto come un fratello? Lui non era suo fratello, non poteva esserlo. Lo amava troppo, e non come una sorella ama un fratello. Avrebbe voluto baciarlo, avrebbe voluto che la baciasse. Avrebbe voluto che le dicesse che tutto andava bene, anche se sarebbe stata una bugia. Aveva così tanto bisogno di lui che faceva male. In quel momento non le importava nulla di Simon, per quanto fosse qualcosa di terribilmente egoista. Ripensò a tutto quello che avevano passato, a quando lui l’aveva urtata davanti al Pandemonium, a quando lui l’aveva salvata da quel demone che si era spacciato per Dot nel suo appartamento, a quando si era svegliata all’Istituto e lui era lì. Ripensò a come l’avesse sostenuta in ogni singolo momento, rendendola più forte con la sua mera presenza, a come avesse sempre creduto in lei, ogni momento. A quando le aveva insegnato a combattere, a quando avevano scoperto di essere fratelli. A quando l’aveva baciato la prima volta, dopo essere riuscita a recuperare la Coppa Mortale, dopo aver ucciso quel Demone che aveva preso il suo aspetto. A ogni singolo momento che avevano passato insieme. A quando lui l’aveva abbandonata per andare via insieme a Valentine, a quanta agonia aveva provato non sapendo dove fosse. A quando erano fuggiti dalla nave insieme, a quando lui era scomparso, a quando lui aveva salvato Alec. Tutto l’agonia che aveva sentito ogni secondo in cui erano lontani, ogni secondo le sembrava infinito. Ripensò anche a quando avevano finalmente sconfitto Valentine, a quanta fosse la determinazione negli occhi di Jace. Lo amava, lo amava, non poteva più negarlo. Non le importava che fossero fratelli, non le importava. Non ci riusciva, non poteva… Si accorse di essere seduta sul divano di Magnus, senza nemmeno sapere come ci fosse arrivata. L’appartamento era vuoto, lo stregone doveva aver mandato via tutti. Simon era seduto accanto a lei e le porgeva un bicchiere d’acqua. Clary gli sorrise, anche se era un sorriso terribilmente falso, e prese il bicchiere, bevendo piccoli sorsi per volta. Era ancora sconvolta, se ci ripensava non riusciva a respirare. L’amore era qualcosa di terribile. Era qualcosa di ingiusto. Avrebbe potuto innamorarsi di chiunque altro, chiunque. E invece no. Si era innamorata di un bellissimo ragazzo, un ragazzo incredibilmente forte e debole allo stesso tempo, un ragazzo terribilmente emotivo, anche se cercava di nasconderlo. Un ragazzo che avrebbe fatto di tutto pur di salvare quelli che amava. Si era innamorata di suo fratello. Se sua madre non le avesse mentito tutto quel tempo, forse lo avrebbe saputo prima, forse questo le avrebbe impedito di… Ma. Non era successo. E si era follemente innamorata di lui. Non aveva potuto impedirlo, era semplicemente successo. E non credeva di essersi mai sentita tanto stupida come nel moment in cui Valentine aveva ammesso di essere anche il padre di Jace. Avrebbe voluto uccidere suo padre, in quel momento. A dire la verità, aveva sempre voglia di ucciderlo.
-Stai bene? –le domandò Simon, chiaramente preoccupato per lei. Clary lo guardò, ma sembrava distante, come se fisicamente fosse lì, ma mentalmente completamente in un altro posto. Al vampiro quello sguardo fece male. Sapeva perfettamente che i pensieri della sua ragazza erano con Jace. Sentì la morsa della gelosia. Ogni tanto dubitava che la Shadowhunter lo amasse davvero. Forse era soltanto la seconda scelta, l’ultima spiaggia. A volte si diceva che era una cosa terribilmente stupida, altre che aveva tutte le ragioni di pensarlo. In quel momento era il secondo caso. E gli fece incredibilmente male, quasi come se il suo cuore si potesse fermare di nuovo. Clary non disse nulla, continuò a fissare il vuoto, che sembrava essere il povero Simon, in quel momento, per qualche minuto, fino a quando la strega scura di pelle non si fece avanti, dicendo loro se volessero vedere il giovane Wayland. La Shadowhunter scattò in piedi e si fiondò nella stanza di Magnus, quasi facendo cadere la stregona. Simon si alzò in piedi lentamente, raccogliendo il bicchiere che la sua migliore amica –la sua ragazza –aveva lasciato cadere, senza nemmeno accorgersene. Poi, seguì Clary, se possibile ancora più lentamente. Sentiva lo sguardo di Esmeralda sulla schiena, riusciva quasi a vedere la sua espressione interrogativa. Sentì un improvviso bisogno di piangere, di lasciare che quelle lacrime scarlatte scorressero sul suo viso, rendendolo così tanto macabro che nessuno avrebbe osato guardarlo. Avrebbe voluto che nessuno lo guardasse. Si sentiva triste e arrabbiato allo stesso tempo. Erano successe fin troppe cose quella sera. E credeva di aver finalmente capito che l’amore di Clary era stato tutto un’illusione, una bellissima illusione. Lui era davvero l’ultima spiaggia. E rendersene conto gli fece male. Quando entrò nella stanza, vide che la ragazza era seduta sul bordo del letto e stringeva la mano di Jace, come se ne andasse della sua vita. La vide lasciare un bacio sulle nocche sbucciate e ustionate dello Shadowhunter. Se lo era aspettato e aveva creduto che la gelosia lo avrebbe divorato. Invece non sentì niente. Assolutamente niente. Non rabbia, non dolore, nemmeno la voglia di piangere che si era impossessata di lui poco prima. Niente. Niente. Gli fece quasi paura. Forse stava diventando un vampiro a tutti gli effetti, forse non avrebbe mai più avuto sentimenti, forse… Sussultò quando Esmeralda gli mise una mano su una spalla. Ok, forse non stava perdendo la capacità di provare emozioni. L’ansia era sempre lì. Gli occhi dorati della strega lo osservarono per qualche attimo, senza dire niente. Poi, lei fece un passo avanti, verso il letto di Magnus, dove Jace stava steso, superandolo. Simon sbatté le palpebre un paio di volte, confuso. Gli era sembrato che stesse guardando nel suo profondo, che gli stesse leggendo l’anima. Probabilmente era solo la sua immaginazione. Osservò la scena. Come prima tutti stavano riuniti attorno ad Alec, ora erano tutti riuniti attorno a Jace. Si sentì fuori posto. Loro erano una famiglia, lui era solo… L’amico scemo negli horror che viene lasciato indietro e poi muore, sempre. Era ironico come, dopo averlo detto, era cominciata quella serie di eventi che aveva portato alla sua morte. Be’, non la morte vera vera, però… Quello. Non che potesse lamentarsi del tutto, ora che era un Diurno. Lui era l’amico stupido della protagonista, niente di più. Niente di più. Solo in quel momento si accorse che Magnus stava facendo uscire tutti dalla stanza, dicendo che l’orario delle visite era finito, manco fossero all’ospedale. Simon non riuscì a muovere un passo, rimase impalato dov’era, vicino alla porta. Così facendo, si guadagnò un: ”Anche tu, Salmon” da parte dello stregone. Alzando lo sguardo e accorgendosi che Clary era potuta restare, cercò di contenere il vuoto disappunto che sentiva. Uscì dalla porta e se la richiuse alle spalle, appoggiandovisi. Sospirò, cercando non di non provare rabbia, ma di provarne almeno un po’. Continuava a non riuscire a sentire davvero qualcosa. La sua ragazza era al capezzale di un altro ragazzo, molto più bello ed eroico di lui, per giunta, e lui non sentiva niente. Sentì vagamente Max domandare dove fosse Isabelle, ma non ci prestò molta attenzione. Voleva soltanto uscire da lì il prima possibile. Altrimenti credeva che sarebbe soffocato. Prese appunto mentale di non andare mai più a nessuna festa di Magnus. Nessuna aveva buon esito, e non aveva certo voglia di morire di nuovo a causa sua. Sperando che nessuno lo notasse, preoccupati com’erano, si diresse silenziosamente verso l’entrata, uscendo il più in fretta possibile. Sospirò di nuovo, sperando di trovare il motivo di tanto distacco. Sperando di capire perché non riusciva a sentire niente. Forse stava così male che non voleva sentire niente, voleva soltanto sotterrare i suoi sentimenti. Forse…  

Angolo autrice: 
DUN SBADADUN SBANDAN CLAAAACE! Ok, vorrei fermarmi a fare i miei solito fantastici (uh.ehm.) commenti su questo capitolo, ma, visto che è così tardi, lascerò perdere.
In ogni caso nella prossima parte torneranno anche Raph e Izzy. Aspettatevi mooooolte lacrime da entrambi (sorry not sorry). Povero Simon qui tra parentesi. sì, lo so che teoricamente il flashback dovrebbe essere il ricordo di Clary, but Simon happened, so... Alla prossima, Nephilim glitterati!
P.S: 
Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi)

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Capitolo 10
*** Have mercy on me pt.3 ***


Capitolo 3. – Have mercy on me (pt.3)
Voleva piangere, voleva soltanto piangere. Non credeva che in quel momento sarebbe stata in grado di fare altro. Si sentiva incredibilmente confusa. Non sapeva quello che stava facendo, come aveva potuto credere che sarebbe stata in grado di far ingelosire Clary? Quella ragazza non l’avrebbe mai vista nel modo che Isabelle voleva. Mai. Lo sapeva. Lo sapeva e si sentiva stupida. Stava perdendo ogni contatto con la realtà, così come con la sua famiglia. Perché li guardava e li vedeva felici, tutti. Tutti erano felici. Sua madre con il suo continuo criticare, Max con la sua innocenza, Alec, anche lui finalmente riuscito a trovare un po’ di felicità. Jace era l’unico che non sembrava stare bene. O forse, era sempre stato così. Gli piaceva fare il drammatico, ma niente di più. Certo, aveva scoperto di essere il fratello di Clary, mentre si stava innamorando di lei.
Loro erano felici, loro sembravano avere tutti i diritti. Mentre lei. Per lei le cose sarebbero sempre state diverse. Lei non poteva essere felice, sembravano disprezzare la sua felicità. Anche lei era umana, dopotutto. Faceva di tutto per non sembrarlo, ma lo era. Lo sarebbe sempre stata. E nessuno sembrava capire, nessuno sembrava vedere la verità. Per loro era naturale che lei fosse forte, lei doveva essere forte, perché viveva nell’ombra di Alec. E lui era forte davvero. Più di chiunque altro lei conoscesse, tranne forse Jace. Era per quello che i due erano Parabatai. Era un destino già marchiato nella loro pelle. Era come se quelle rune fossero sempre state lì, era come se gli stili le avessero solo fatte risaltare. Lei invece non si era mai sentita così vicino a nessuno, lei non aveva mai voluto un Parabatai. Non avrebbe mai avuto un simile legame. Di sicuro non con uno Shadowhunter. Le strade di New York non erano né affollate né deserte, erano una via di mezzo. L’aria le sembrò improvvisamente incredibilmente fredda, avrebbe voluto indossare qualcosa di più, avrebbe dovuto prendere i suoi sentimenti e chiuderli in un cassetto, buttando poi la chiave, non rendersi ridicola in quel modo. Sapeva che sarebbe crollata se Raphael non fosse stato al suo fianco, se non avesse potuto stringere la sua mano come se fosse l’unica cosa in grado di tenerla in piedi. Forse lo era. Ogni tanto, qualche giovane la squadrava dall’alto al basso, sorridendo, a volte in modo molto poco piacevole. Ogni volta, Raphael ce la metteva tutta per non soffiare contro di loro. Nessuno avrebbe dovuto guardare così Isabelle. Aveva ogni volta una gran voglia di togliere il sorriso dal volto di quegli stupidi Mondani. E lei non si accorgeva di niente, troppo concentrata su ogni passo che faceva, temendo di cadere, dato che si sentiva instabile come un’ubriaca. Voleva piangere, ma non poteva farlo in mezzo alla strada. Non doveva cedere, non doveva… Quando ormai credeva che non ce l’avrebbe mai fatta, sentì la mano di Raphael stringere più forte la sua, e acquistò improvvisamente nuova forza. Guardò il vampiro, che le sorrise debolmente, scrutandola con i suoi preoccupati occhi scuri. Le scaldava il cuore vedere quanto gli importasse di lei. Non avrebbe mai creduto che un vampiro potesse curarsi così tanto di qualcuno, fino a quando quel qualcuno non era diventato lei. Quella era tutta la felicità che la Shadowhunter sapeva di poter trovare, per questo non voleva stare con nessun’altro. Solo lui era in grado di farla sorridere, in quegli ultimi tempi. Credeva bene che tutti avessero davvero creduto che si amassero in quel senso. Certo, erano stati scettici, ma alla fine ci avevano creduto, davvero. Perché era vero che si amavano, non nel senso che ogni essere umano agognava, ma era comunque qualcosa di estremamente forte. Isabelle sentiva che niente sarebbe stato in grado di separarli. Niente. Sarebbe morta per impedirlo. Ma, a quel punto, sarebbe stata la morte, quella vera, a separarli. Ma nient’altro avrebbe potuto farlo, niente. Entrarono silenziosamente nell’Hotel DuMort, tutti i vampiri erano fuori, quindi nessuno li avrebbe visti, nessuno avrebbe fatto domande. Non ne facevano mai, ma c’era sempre quella vaga possibilità che lo facessero. L’unica anima viva che trovarono fu Lily, sdraiata sul divano d’oro nella hall, un bicchiere di Bloody Mary in mano, lo sguardo perso nel vuoto. Quando i due arrivarono, la vampira rivolse loro uno sguardo interrogativo, ma rimase zitta, grazie a un’occhiata eloquente che le lanciò Raphael. Superata quella stanza arrivarono nel salotto. Isabelle lasciò andare la mano di Raphael e si diresse verso il divano rosso, lasciandosi cadere sopra di esso. Rimase immobile per qualche attimo, osservando un punto imprecisato nell’aria, mentre la sua mente continuava macchinalmente a pensare. Era davvero una stupida, sentiva di aver usato Raphael ancora una volta, e questo le faceva male. La cosa peggiore era stata vedere come tutta la sua famiglia, forse tutti i presenti alla festa, erano convinti che fosse il vampiro ad usare lei. Non sapendo quanto fossero in errore. Tutti vedevano solo le cose che volevano vedere, credevano solo le cose che volevano credere. Ma la maggior parte delle volte non sapevano, e non accettavano di non sapere. E lei si era comportata da ipocrita come loro, solo ora lo vedeva. Era stata egoista, si era lasciata affogare da quell’amore che sentiva, e che la stava soffocando. Si era resa ridicola, aveva smesso di vivere. Ed era ora di ricominciare. Avrebbe smesso di passare le sue giornate senza fare nulla, a crogiolarsi nel suo dolore, avrebbe ricominciato a mangiare, avrebbe ricominciato a dormire la notte, invece di pensare a ogni cosa che amava e odiava di Clary. Avrebbe smesso di soffrire per lei, perché la sua sofferenza faceva soffrire gli altri. Forse avrebbe cambiato idea rivedendola, ma sperava davvero di no. Era stanca di comportarsi così. Aveva saputo fin dall’inizio quanto fosse ridicola, ma non aveva voluto cambiare. Ora era decisamente il momento di farlo. Forse avrebbe dovuto metterci tutta la forza che aveva in corpo per farlo, ma doveva. La mano di Raphael che si poggiava dolcemente sulla sua spalla la distolse dai suoi pensieri. Il vampiro le porse un bicchiere d’acqua, anche se la ragazza avrebbe volentieri accettato qualcosa di più forte, bevendo ogni suo dubbio e sofferenza. Lei gli sorrise debolmente, ma sinceramente, e prese il bicchiere, bevendolo tutto d’un fiato. Raphael le si sedette accanto, aggrottando le sopracciglia, e aspettando che dicesse qualcosa. Isabelle rimase ferma a guardarlo, senza riuscire a distogliere gli occhi da lui. Si sentiva una persona orribile per averlo usato di nuovo. Lo sapeva, continuava a ripeterlo, ma non riusciva a scusarsi con lui. Si sentiva troppo male. Sapeva che la vita del vampiro non era mai stata facile, lei l’aveva forse solo peggiorata. Gli aveva portato altra sofferenza. Forse era lei ad essere una sofferenza. Forse avrebbe dovuto scomparire da quel mondo, avrebbe dovuto andarsene, come aveva fatto la madre di Clary, avrebbe dovuto nascondersi, vivere come una Mondana, perché gli Shadowhunters dovevano essere forti e lei non lo era. Si accorse di star piangendo solo quando Raphael prese una scatola di fazzoletti che stava sul tavolo e gliene diede uno. Qualche tempo dopo si sarebbe chiesta a cosa servisse una scatola di fazzoletti ai vampiri. Poi si sarebbe pentita di esserselo domandato. Ma in quel momento non riusciva a fare altro che singhiozzare, era da troppo tempo che stava trattenendo le lacrime. Non avrebbe resistito un secondo di più. Tutti potevano pensare quello che volevano di Raphael, ma lei sapeva che in realtà era un ragazzo -perché era solo un ragazzo che non aveva mai avuto la possibilità di crescere, che aveva dovuto dire addio alla sua famiglia, a tutti quelli che amava -molto dolce. Non esitò nemmeno un secondo prima di lanciarsi tra le sue braccia, ancora singhiozzando. Lui la strinse subito a sé, accarezzandole i capelli in modo dolce. La ragazza si aggrappò alla stoffa della sua camicia nera, come se cercasse un appiglio. Probabilmente gliel’avrebbe rovinata, con le unghie e le lacrime, ma sapeva che a lui non importava. Infatti, a lui importava solo di lei. Gli faceva male vederla soffrire così, più di ogni altra cosa. Quella ragazza era l’unica persona esterna al Clan che aveva. Senza considerare Magnus, si intende, ma aveva l’impressione che ormai lo stregone avesse trovato il suo posto, che non avesse più bisogno di un vampiro quasi troppo giovane per essere preso sul serio. Isabelle era l’unica luce nella sua oscurità. L’avrebbe protetta sempre, l’avrebbe protetta anche a costo di morire. Di nuovo. Quando l’aveva incontrata, non avrebbe mai creduto che una Shadowhunter forte come lei potesse mai aver bisogno di una creatura delle tenebre come lui. A volte era tentato di chiederle come fosse sentire il sole sulla pelle, come fosse sentire il suo calore sul viso, ma non lo faceva mai. Decideva sempre che avrebbe fatto meglio a fingere di essere felice anche così, anche se, lo sapeva bene, non avrebbe mai potuto ingannare nessuno. Non ci poteva essere vite felice per un vampiro. Per tutti i Nascosti era difficile trovare la felicità, ma per i vampiri era praticamente impossibile. Lei era tutta la felicità a cui potesse aspirare. Non avrebbe chiesto niente di più, solo lei. Non avrebbe mai immaginato che sarebbe diventato così importante per lei, né che lei sarebbe diventata così importante per lui.
Isabelle pianse tutte le lacrime che aveva in corpo, era abbastanza certa che si fosse prosciugata, che non avrebbe più potuto piangere per molto tempo. Se così fosse stato, non le sarebbe dispiaciuto più di quel tanto. Avrebbe potuto dormire la notte, senza nessun pensiero per la mente, senza più lacrime. Forse sarebbe riuscita a lasciar perdere Clary, dopotutto. Almeno, ci sperava, ma aveva paura che non ci sarebbe riuscita. Ma doveva, doveva assolutamente riuscirci. Voleva tornare l’Isabelle di sempre, capace di uccidere sia con la sua frusta che con la sua cucina. Voleva riallacciare i rapporti con la sua famiglia. Voleva provarci. Se avesse sentito uno di loro anche solo accennare a quanto Raphael fosse pericoloso o al fatto che avrebbe fatto meglio a lasciarlo, se ne sarebbe andata e non sarebbe tornata mai più. Potevano togliere i Marchi, potevano farle quello che volevano, anche torturarla, ma non costringerla a lasciare Raphael. Quello non lo avrebbe mai fatto. Mai. Davvero, mai. Quando non riuscì più a versare nemmeno una lacrima, rimase in silenzio, la testa appoggiata sul petto del vampiro, sentendo la mancanza del battito del suo cuore. Eppure, per qualche strano motivo, quel vuoto la rassicurava. Solo quel cuore, quel cuore immobile, poteva far battere il suo tanto in fretta da farlo quasi esplodere. Già, persino più di Clary. Lui non le domandò se stesse bene, non disse nulla, la osservò soltanto, per quanto potesse. Isabelle gliene fu grata. Dopo qualche minuto in quella posizione, la Shadowhunter si mise a sedere, appoggiandosi allo schienale del divano, sospirando. Adesso si sentiva terribilmente stanca e spossata. Si rese conto che era da molto tempo che non dormiva un sonno decente, senza incubi insensati e spasmodici. Forse quella era la notte buona. Raphael si tirò su a sua volta, per poterla osservare meglio. Le lacrime le si erano seccate sul viso, aveva delle profonde occhiaie sotto gli occhi, i quali erano gonfi. Eppure gli sembrò sempre bellissima. Gli sarebbe sempre sembrata bellissima. Le si avvicinò, le prese una mano e ne baciò il palmo, con tanto leggerezza che quasi faceva paura. Era per tutta quella dolcezza e quei gesti spontanei che avrebbero potuto benissimo essere scambiati per amanti, che lo erano stati. Nessuno avrebbe mai potuto credere che tra due amici ci fosse tutto quel sentimento. Tra Shadowhunter sarebbe stato normale, era così che doveva essere tra Parabatai. Ma tra uno Shadowhunter e un Nascosto? Impossibile. Eppure per loro era così. Non sarebbero mai stati romanticamente coinvolti, ma si sarebbero sempre amati in quel modo, tanto forte da fare male. Raphael le si avvicinò ancora di più, ma Isabelle lo lasciò fare, sapeva che non avrebbe mai tentato niente. Il vampiro posò la sua fronte su quella di lei, poteva sentire il suo respiro caldo. Lei non sentiva niente, invece, cosa che avrebbe potuto essere strana ma non le importava. Non le importava che lui non respirasse o che il suo cuore non battesse, le importava soltanto che fosse lì con lei. E che non se ne sarebbe mai andato. Raphael avrebbe potuto baciarla, avrebbe potuto dirle il suo più oscuro segreto. Invece le disse una cosa che lei sapeva, certo che lo sapeva, ma che le provocava brividi ogni volta.
-¿Sabes que te amo? –la prima volta che gliel’aveva detto, Isabelle lo aveva guardato confusa, e lui aveva riso, dicendole poi che cosa volesse dire. La Shadowhunter si era sentita sciogliere il cuore. Nessuno avrebbe mai potuto dirle qualcosa di più bello. Era solo una domanda, una stupidissima domanda alla quale c’era già risposta, senza bisogno che Isabelle la pronunciasse. Era l’unica certezza che aveva nella vita, quella. La ragazza sorrise, mentre sentiva gli occhi chiudersele. Non si era davvero accorta di quanto fosse stanca, prima. Era stata troppo concentrata sul suo dolore. Raphael le diede un bacio sulla fronte, dolcemente, e le disse di dormire, perché doveva essere terribilmente stanca. Quel vampiro sembrava in grado di leggerle nella mente a volte. O forse era solo bravo a leggere i suoi occhi. Isabelle si stese sul divano, usando le sue mani come cuscino, e chiuse gli occhi. Raphael si alzò, prese una coperta e la mise sopra la figura sdraiata della ragazza, sfiorandole una spalla mentre lasciava la stanza.
Prima o poi quella ragazza gli avrebbe fatto ricominciare a battere il cuore. Gli avrebbe fatto prendere un infarto al contrario. Si morse il labbro, pensando che quella era una cosa che avrebbe potuto dire solo lui. Non ci doveva pensare. Rivederlo lo aveva fatto arrabbiare. Lo aveva fatto arrabbiare vedere quanto amasse Clary. Lo aveva fatto arrabbiare perché sapeva che avrebbe potuto evitare di mostrarlo così tanto. Lo aveva fatto arrabbiare perché sapeva che in quel modo aveva fatto soffrire Isabelle. Lui poteva sopportare ogni tipo di dolore, fisico ed emotivo, ma non poteva lasciare che ferissero quella ragazza. Non poteva. In quel momento avrebbe volentieri parlato con Lily, aveva bisogno del sostegno di un’amica, ma quando arrivò nella hall, vide che la vampira era scomparsa, sul divano d’oro stava abbandonato il suo bicchiere di Bloody Mary. Mezzo vuoto. O mezzo pieno, ma dipendeva dai punti di vista. Si sedette sul divano, sospirando. Altra cosa che non avrebbe mai fatto, prima di conoscere lui, quello stupido vampiro novellino, incapace di fare qualsiasi cosa. Si chiese perché gli stesse tornando in mente così tanto, quella notte. Avrebbe dato di tutto pur di pensare a qualcos’altro, ma quell’imbarazzante traditore era l’unica cosa a cui riusciva a pensare. Si mise una mano tra i capelli, con il solo obiettivo di metterli in disordine, cosa che gli riuscì perfettamente. Lui ci aveva messo qualche tempo a capire che, se dovevi vivere una vita eterna, non potevi farlo con i capelli fuori posto. E così pensava sempre a lui. Era orribile come ogni cosa in quel momento gli ricordasse lui. Era irritante. Prese il bicchiere che Lily aveva lasciato lì. Lo fece oscillare, spostando il sangue che stava dentro da una parte all’altra. Si controllò la camicia, sulla quale le lacrime di Isabelle si stavano lentamente asciugando. Ormai era rovinata, ma per fortuna questa sarebbe bastato lavarla. Non come tutte le giacche che lui gli aveva rovinato irrimediabilmente. Lui, lui, lui. Perché riusciva soltanto a pensare a lui? Ricordò quando lo aveva incontrato, quando era ancora solo un Mondano, ma pur sempre amico della Fairchild. “Tu non significhi niente.” Camille aveva detto che in quel modo avrebbero potuto arrivare alla Coppa Mortale, e lui, da fedele cagnolino quale era, aveva subito eseguito i suoi ordini. A volte, ripensandoci, pensava che forse Camille aveva soltanto avuto voglia di giocare con lui, solo uno stupido Mondano. Quando lo aveva trovato morto sul pavimento dell’Hotel, in quella stanza, a pochi passi da quel divano, e aveva deciso di portarlo dai suoi amici Shadowhunter. “Non ho mai voluto che questo accadesse.” La Fairchild aveva pianto, aveva incolpato lui per quello che probabilmente era successo per colpa sua, perché non si curava dei suoi amici, quelli troppo stupidi per cavarsela da soli. Aveva aspettato pazientemente per un giorno intero che la ragazza prendesse una decisione, solo per essere chiamato mostro, solo per doversi soffrire le lacrime di lui. Solo per essere accusato di aver fatto cose crudeli nei confronti di quello stupido nuovo vampiro. “Mi prenderò cura di Simon.” Quando aveva dovuto prendere parte al piano della Fairchild, solo per poter avere quel nuovo vampiro nel suo Clan, anche a rischio di ammazzarsi. “Benvenuto a casa.” Aveva dovuto sopportare tutte le noie che quello stupido gli aveva causato, aveva dovuto sopportarlo parlare di Clary e di tutta la sua vita. Aveva dovuto sopportare tutte le sue battute stupide sui vampiri. Aveva dovuto sopportare di dover dire addio a almeno sette delle sue giacche. Aveva dovuto sopportare tutta l’incapacità di quel nerd, tutto il suo parlare per metafore e tutto quel suo blaterare sui film. Aveva dovuto sopportare di aiutare la Fairchild tutte quelle volte che gli faceva quasi schifo ripensarci. E poi. E poi quel novellino aveva deciso di tradirlo. “Mi hai molto deluso.” Non gli era importato nulla di quello che Raphael aveva fatto per lui, aveva pensato solo alla sua migliore amica. Non ci aveva pensato nemmeno un secondo, aveva deciso senza esitazione di tradire la sua famiglia. Aveva deciso senza esitazione di tradire lui. E, poi, Raphael aveva cominciato a sentire un tremendo vuoto dentro di sé. E aveva capito che quello stupido nerd novellino gli mancava. Che detestava non sentirlo più parlare di cose insensate che capiva solo lui, che facevano ridere solo lui. Che detestava non poter più sentire la sua voce. Che detestava non poter più vedere il suo sorriso. Che detestava non poter più sentire il suo odore, ancora così Mondano. Che detestava non averlo lì con lui. Che lo detestava. Che lo odiava per quello che gli aveva fatto. L’unica cosa in grado di riportare il vampiro alla realtà fu il bicchiere che si spezzò sotto la stretta della sua mano, lasciando scivolare Bloody Mary ovunque. Non si era accorto di stringere così tanto il vetro da romperlo. Gli fece quasi paura. Si fece quasi paura. Doveva smettere di pensare a lui, doveva smettere di pensare a… A Simon. Gli riusciva incredibilmente difficile anche solo pensare il suo nome. Gli faceva male. L’amore era un Diavolo. Poteva illuminarti la vita. Ma poteva anche strapparti il cuore e farci quello che voleva. Poteva stringerlo tanto forte da spezzarlo in mille pezzi, così come lui aveva fatto con il bicchiere. Si accorse di non riuscire a vedere bene, aveva la vista offuscata. Si portò due dita alla guancia e quando le tolse, vide che erano macchiate di rosso. Non ci poteva credere. Non poteva essere… No… Non per un motivo così stupido… Non poteva… Non poteva… Era patetico… Aveva promesso che non si sarebbe lasciato distruggere… Aveva promesso che non avrebbe mai più lasciato che accadesse… Aveva… Non poteva star piangendo. Non era nemmeno più tanto sicuro di essere in grado di farlo. Non stava… Lui non stava piangendo… Prima che potesse farci qualcosa, dalle sue labbra uscì l’unica parola che non credeva che sarebbe mai più stato in grado di pronunciare.
-S-simon… -fu abbastanza per farlo cedere. Si coprì il viso con una mano, mentre le lacrime scarlatte scendevano senza pietà, senza alcuna intenzione di fermarsi...

Angolo autrice:

¿Sabes que te amo? = Sai che ti amo? (ok, questa era facile XD, comunque, tericamente Izzy nella serie sa lo spagnolo, ma già Simon a quanto pare lo capisce (ma tumblr mi confonde), quindi volevo che qualcuno non ci capisse nulla) eehm, spero sia giusto, almeno questo. Ho chiesto a mia mamma e mia nonna che teoricamente dovrebbero parlarlo un po' di spagnolo, ma non so. 
METTETE VIA QUEI POMODORI! Ok, l'ultima parte non so come ma è successa. Volevo finire il capitolo quando Raph lascia Izzy a dormire sul suo divano, ma poi ho continuato a scrivere ed è successa quella parte. Mi sento in colpa per il mio povero Raph. Comunque, volevo avvertire che il prossimo capitolo sarà più lungo del solito, infatti ha sei parti (e una parte è divisa in tre perchè era lunga dodici pagine, ma comunque la pubblicherò tutta lo stesso giorno). Le lacrime non sono finite qui, tranquilli *schiva un pomodoro*! Nel prossimo capitolo (DAN DAN!): Simon realizza qualcosa su Clary (unica parte in cui avrà un cervello, signori), Izzy tenta di farsi perdonare da Lydia, una tragica telefonata tra Clary e Simon, una torta e il ritorno della stupidità di Simon (è colpa mia lo devo ammettere, ma la scena è molto migliore di come l'avevo immaginata. Sì, perchè le cose succedono di loro spontanea volontà), a little bit of MALEC (finally) con Jace lo stalker (ok, non pensate troppo male), e infine ancora tante lacrime con Raph e Lily 
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi) e per aver torturato Izzy. Di nuovo. E Raphael. E Simon (ops no, aspettate, lui se lo merita) 

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Capitolo 11
*** Don't put the blame on me pt.1 ***


<< Crashing, hit a wall
Right now I need a miracle >>
 
Capitolo 4. – Don’t put the blame on me (pt.1)
Non riusciva a prendere sonno. Era sdraiato nella sua canoa da almeno due ore. Non smetteva di fissare il soffitto, come se volesse farci un buco. E ancora non riusciva a sentire niente. Niente di niente. Nemmeno un po’ di dolore, nemmeno un po’ di rabbia, nemmeno un po’ di gelosia. Nemmeno un po’ di felicità, l’unica altra cosa che gli venisse in mente. No, semplicemente niente. Si sentiva incredibilmente freddo, sia dentro che fuori. E ancora non riusciva a capire perché. Non aveva senso, non aveva assolutamente senso. Si passò le mani sul viso, sospirando. Forse avrebbe dovuto provare a fare un giro, forse in quel modo il sonno si sarebbe impossessato di lui. Per qualche motivo ne dubitava. Durante tutto il tragitto dalla casa di Magnus alla rimessa di Luke, aveva ripensato alle cose successe quella sera. Aveva creduto che il suo cervello potesse esplodere. Prima arrivava Isabelle con Raphael, cosa che lo aveva profondamente scosso. Era da parecchio tempo che non vedeva il vampiro. Non era nemmeno tanto sicuro quanto tempo prima fosse stato. Rivederlo gli aveva messo paura e rabbia allo stesso tempo. E lo aveva confuso. Poi, Alec si sentiva male, causa il suo legame Parabatai con Jace e allora loro si precipitavano subito ad aiutarlo. In quel momento era stato abbastanza certo che Clary gli stesse stringendo la mano non tanto perché stavano insieme, ma perché era preoccupata per lo Shadowhunter e quel legame l’aiutava. E infine, il giovane Wayland era piombato alla festa, coperto di sangue, icore demoniaco e bruciature. Simon era certo che era stato quello il momento esatto in cui aveva perso Clary. L’aveva vista andare in panico, un panico assurdo, che per lui non aveva mai provato, ne era certo. In quel momento aveva capito che, per quanto Jace fosse suo fratello, lei lo amava lo stesso. Con tutta sé stessa. E non come una sorella ama il fratello. In un modo più pazzo e sconsiderato, glielo aveva letto negli occhi. Prima, aveva sentito il bisogno di piangere, poi più nulla. Nulla. NULLA. Quasi come se gli fosse stato strappato il cuore. Non se ne sarebbe accorto lo stesso, era già morto, poteva perfettamente andare avanti a vivere senza cuore. All’improvviso non gli era più importato di essere solo l’amico scemo, l’ultima spiaggia. Non gli era più importato. Non gli importava. E non sapeva spiegarsi perché. Forse se lo sarebbe chiesto per sempre, forse non ci sarebbe mai stata una risposta. Per tutto il tragitto, aveva guardato ogni automobile che lo superava, pensando che, se Clary gli avesse fatto una cosa del genere anche solo quella mattina, avrebbe voluto mettersi sul loro tragitto, farsi prendere sotto, senza pensare a niente e nessuno, egoista. E invece, quella notte, le aveva osservate e basta. E aveva lasciato tutti a casa di Magnus, e nessuno aveva notato la sua assenza, e a nessuno era importato. E a lui non era importato che a loro non importasse. Aveva solo avuto bisogno di andarsene, di prendere una boccata d’aria completamente inutile. Forse, una piccola parte di lui aveva sperato che Clary lo chiamasse, o almeno gli domandasse dove fosse. Ma lei non lo aveva fatto. E lui continuava a dirsi che non importava. Ma certo che sì, certo che importava. Perché non avrebbe dovuto? Dopotutto Clary era la sua migliore amica… Ragazza, Clary era la sua ragazza. Pensava che le cose sarebbero cambiate presto, se lo sentiva dentro. E continuava a non importargli. Capendo che non sarebbe riuscito a dormire, scese a terra e prese il suo telefono dal tavolino che Luke gli aveva portato lì qualche tempo prima, sedendosi sul divano. Mentre tornava lì, sua madre gli aveva scritto. Aveva sperato che fosse Clary, perciò ci era rimasto un po’ male. Rimasto un po’ male. Niente di più. Decise di risponderle, anche se, quando accese il telefono vide sullo schermo che era molto tardi. Le quattro e quarantuno. Sospirò. Sua madre gli aveva scritto intorno alla una, e a Simon era dispiaciuto vedere che era ancora sveglia. Quando era diventato un Diurno era tornato da lei, in pieno giorno, e le aveva detto che gli dispiaceva, ma doveva provare sempre più frequentemente con la band, quindi stava da un amico, e, almeno questa, non era una bugia, perché a volte erano costretti a suonare ad ore completamente fuori di testa. Sua madre aveva annuito, sorriso e gli aveva ordinato di andare più spesso a cena da lei, e, se era fortunato, anche Rebecca. O di andarci e basta. Visto che non ci era mai riuscito, con tutto quello che era successo nel Mondo delle Ombre. Nel messaggio lei gli chiedeva come stesse, poi gli domandava –in modo fin troppo imperioso per i gusti di Simon –di andare a cena da lei, una santa buona volta che c’era anche sua sorella, la sera dopo. Il vampiro non sapeva bene cosa rispondere. Avrebbe potuto rispondere che, certo, sarebbe andato, ma poi sarebbe potuto accadere qualcosa a Clary, o agli Shadowhunter in generale, e allora non avrebbe potuto mantenere la promessa. Avrebbe anche potuto dirle che, gli dispiaceva ma, non poteva. Ma in quel modo avrebbe scatenato la sua ira, e l’idea non gli piaceva affatto. Ogni tanto sua madre era ancora in grado di spaventarlo davvero. Almeno, qualche tempo prima. Ora, l’unica cosa che gli faceva paura, era quello che vedeva guardandosi in uno specchio. Era spaventato da sé stesso, a volte, anche se non lo avrebbe mai ammesso a nessuno. Avrebbe anche potuto rispondere che non sapeva se sarebbe riuscito ad andare. Quella gli sembrava l’opzione migliore. Fece per rispondere, ma poi si fermò. Sospirò. Sospirò di nuovo. Improvvisamente, quella sensazione di vuoto si era fatta più pesante. Se fosse stato ancora umano si sarebbe potuto dire che gli tolse il respiro. Perché quel nulla si era fatto così pesante? Era nulla. Non erano emozioni, non era nulla. Era una morsa attorno al suo cuore. Che gli impediva di sentire qualsiasi cosa. Ma così rimaneva. Non sentiva niente. Fu solo questione di un attimo, poi, quella sensazione violenta scomparve. Sospirò un’altra volta, ancora inutilmente. Ogni tanto si domandava cosa facessero i vampiri per calmarsi. Non potevano fare respiri profondi, non potevano sentirsi il cuore e contare fino a dieci. Forse era per quello che erano tutti così… Oscuri. Arrabbiati. Non potevano calmarsi. E non ci stava riuscendo nemmeno lui. Sospirò un’ultima volta, riabbassando lo sguardo sullo schermo del cellulare. Lì sopra, immobile e terrificante, stava una goccia vermiglia. Simon alzò lo sguardo al soffitto, come aspettandosi di trovarci un cadavere appeso, come spesso accadeva negli horror, con il sangue che gocciolava a terra. Non vedendo niente, si diede dello stupido. Non era qualcosa di terrificante come nei film. Era solo una lacrima. Una sua lacrima. Ma… Questo significava che stava piangendo. Eppure non era triste, continuava a non sentire niente. Assolutamente niente. Forse non sentiva niente perché non valeva niente. Forse non sentiva nulla perché a nessuno importava nulla di lui. Forse non sentiva niente perché a Clary non importava nulla di lui. Potevano essere pensieri stupidi. Ma si sentiva dentro che non lo erano, non lo erano. Altre lacrime si aggiunsero a quella che stava sul telefono. Simon rimase ad osservarle per qualche secondo, senza sapere che cosa fare. Il suo cervello sembrava aver smesso di funzionare, sembrava aver perso ogni capacità di ragionare. Passo ancora qualche tempo, forse secondi, forse minuti, forse anche ore, e il vampiro rimase immobile. Fino a quando non si alzò in piedi di scatto, lanciando il cellulare dall’altra parte della stanza, con un grido. Non aveva senso, non aveva assolutamente senso. Avrebbe dovuto sentire qualcosa. Credeva di star impazzendo. Non poteva aver smesso di provare sentimenti. Stava piangendo, ma non si sentiva triste, le lacrime stavano semplicemente scorrendo sul suo viso. Solo in quel momento capì che forse Clary gli aveva strappato il cuore, certo, era stata lei. E lui se ne accorgeva solo in quel momento. Perché lui era l’amico stupido, era l’ultima spiaggia, e gli importava. Oh, sì, gli importava. Aveva cercato di fingere il contrario, ma non era vero. Avrebbe voluto crollare a terra e piangere. Ma non voleva cedere. Clary non avrebbe mai, mai, saputo quanto male gli avesse fatto. Lo sapeva, lei non lo faceva apposta, solamente non riusciva a smettere di amare Jace sempre più di lui. Non doveva cedere. Senza nemmeno pensarci, aprì violentemente la porta della rimessa e iniziò a correre, senza nemmeno avere una meta. Voleva solo correre, togliersi tutti i pensieri, scacciare tutto quel profondo dolore che sentiva dentro, scacciare le lacrime. Non poteva permettersi di versare lacrime per qualcuno che aveva finto per mesi di amarlo. Che gli aveva fatto credere di non essere l’ultima spiaggia, gli aveva fatto credere che ci fosse qualcosa di davvero profondo tra di loro. Ma adesso Simon capiva. Era stata colpa sua. Era lui a essere stato così accecato dal suo amore per la Shadowhunter, da dimenticare qualsiasi altra cosa. Aveva messo lei davanti a tutto. Tutto era stato meno importante di lei, persino la sua famiglia. Sapeva che i vampiri del DuMort non lo avrebbero mai perdonato. Mai. E sapeva che avevano ragione. Lui li aveva traditi, pensando solo a Clary, non alle conseguenze. Per anni aveva cercato la sua attenzione, per anni aveva sperato che la ragazza potesse vederlo come più di un amico. Si rese conto di quanto dovesse essere patetico, continuando a sbavarle dietro come un cane, mentre lei continuava a non considerarlo. Credeva che le cose tra di loro fossero davvero cambiate, ma ora si rendeva conto che lei aveva accettato lui soltanto perché aveva il cuore spezzato da quello che aveva scoperto su Jace. Sentiva tanto dolore dentro, perché sapeva di non poter amare Jace, suo fratello, che aveva deciso di accettare il suo amore. Ma non l’aveva mai amato in quel senso, e non l’avrebbe mai fatto. Era duro da accettare, ma era così. Sembrava che quelle lacrime avessero tirato via il velo di cecità che Simon aveva sugli occhi. Ora riusciva a vedere le cose chiaramente. Tanto chiaramente che faceva male. Faceva davvero male…

Angolo autrice:
Salve a tutti, ecco un altro capitolo. Potrebbero esserci un paio di cose che non hanno senso, per esempio il motivo per cui Simon dorme ancora in una canoa, probabilmente dopo due mesi l'avrà trovato un letto normale. Nella prossima parte torneranno Izzy e Lydia. 
Scusate se ho aggioranto così tardi ma sono un po' in crisi. Ho paura di non saper scrivere come penso e non so se valga la pena continuare a scrivere questa ff, vedendo quanto sono calate le letture dal primo capitolo. Non capisco cosa io faccia di sbagliato o perchè io sia così terribile. Non so. 
Per altro, ho anche visto il nuovo episodio e questo non mi ha molto aiutato a sollevarmi l'umore. Sono contenta per la Clace, ma mi dispiace tantissimo per Simon, e la Rizzy mi ha davvero spezzato il cuore. Sebastian non dovrebbe permettersi di dire quelle cose, non lui. 
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi) 

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Capitolo 12
*** Don't put the blame on me pt.2 ***


Capitolo 4. – Don’t put the blame on me (pt.2)
Fin da quando era piccola, fin da quando aveva ricevuto la sua prima runa, non aveva mai voluto essere la migliore. Aveva sempre e solo voluto essere qualcosa. Aveva sempre voluto essere la Shadowhunter più forte di tutte. E anche una Sorella di Ferro, ma quello era il passato. Ormai da tempo voleva soltanto essere sé stessa, ma tutto questo suo voler essere forte l’aveva cambiata irrimediabilmente. Tutti la guardavano e vedevano qualcuno di forte, non qualcuno di vero. Ma non lo sapevano. Si era svegliata presto, quella mattina, potevano essere le cinque come le sei. Si era stupita molto quando non aveva trovato Raphael da nessuna parte. A dire la verità, non aveva trovato nessuno. Be’, ormai si era fatto giorno, probabilmente tutti stavano dormendo. Ne aveva approfittato per andarsene, e nessuno l’aveva notata. Appena arrivata all’Istituto, si era cambiata e aveva iniziato ad allenarsi. Non sapeva da quanto tempo lo stesse facendo, non riusciva a smettere, voleva riguadagnare la forza che a causa di una serie di circostanze –lo Yin Fen, l’essere malata d’amore –aveva perso. Si sentì molto fiera di non aver degnato Clary di uno sguardo, vedendola entrare nella sala d’addestramento con la coda dell’occhio. La rossa si era fermata qualche attimo ad osservarla, e poi se n’era andata. Isabelle era stata contenta che non avesse tentato di parlare con lei, avrebbe di sicuro solo detto qualcosa contro Raphael, facendola arrabbiare. Era così concentrata nell’allenamento, che quando una spada fermò il colpo della sua staffa, sussultò. Alzò lo sguardo per vedere chi fosse. Era Lydia. La mora si stupì vedendo che l’altra voleva ancora avere a che fare con lei, dopo come l’aveva trattata il giorno prima. La bionda sorrise, mentre la staffa di Isabelle tornava ad essere una frusta e si arrotolava attorno al suo braccio. Entrambe rimasero immobili, non sapendo bene che cosa dire. Isabelle sapeva che avrebbe dovuto scusarsi, sapeva perfettamente di aver trattato l’altra in modo scorretto, facendole credere cose non vere, come forse che fosse arrabbiata con lei o che la odiasse, dopo tutto quello era successo con Meliorn e Alec. Non era così, assolutamente. Non erano le persone come lei che Isabelle odiava, lei odiava le persone che si approfittavano degli altri, che mentivano, che erano crudeli. Per questo, in quel momento, odiava sé stessa. Sapeva di poter essere migliore, ma non riusciva ad esserlo. Lydia non osava aprire bocca, temendo di dire qualcosa di sbagliato, temendo che la mora fosse arrabbiata con lei, che la odiasse. Forse erano pensieri stupidi, ma non poteva fare altro che pensarci. Dopotutto era stata colpa sua se le avevano quasi tolto i Marchi, soltanto perché aveva una relazione con quel Seelie, Meliorn. D’altra parte era suo dovere informare l’altra Shadowhunter di quanto era successo con il giovane Wayland. Accorgendosi di non aver ancora abbassato la spada, lo fece subito, cercando di trovare le parole adatte per non provocarle uno shock troppo forte.
-Sai… -cominciò, sentendosi una stupida. Nemmeno l’aveva salutata. Isabelle si sentì saltare il cuore in gola. Non aveva idea di cosa Lydia avrebbe detto, ma ne aveva paura. –Sono successe molte cose alla festa, dopo che te ne sei andata. –Isabelle si incamminò verso il centro operativo dell’Istituto, seguita a breve distanza dalla giovane Branwell. Non era tanto sicura di voler sapere cosa di tanto eclatante fosse successo dopo la sua “misteriosa scomparsa”. Era comparsa e sparita più in fretta di quella piscina sul terrazzo di Magnus. Annuì, come a dimostrare che stava seguendo il discorso. Lydia la fissò per qualche secondo. Le sembrava che avesse una luce strana negli occhi, non avrebbe saputo definire perché. Era confusa da lei. Un momento sembrava felice, l’altro triste. Un momento sembrava decisa, l’altro insicura. Non aveva idea di cosa le stesse succedendo. Quando era stata trasferita a Idris per essere guarita, non era così. Doveva essere successo qualcosa mentre era assente. Non avrebbe mai trovato il coraggio di chiederle cosa.
-Del tipo? –domandò Isabelle, mentre lanciava uno sguardo agli schermi. Lydia fece un respiro profondo. Era certa che l’avrebbe sconvolta. Lei aveva presto imparato che Jace Wayland era forse il miglior Shadowhunter che fosse mai esistito, e si era fatto ferire in quel modo.
-Del tipo Jace Wayland è entrato dalla porta principale sanguinante, insultando un demone e poi è svenuto sul pavimento. –va bene, forse non avrebbe dovuto dirlo in quel modo. Si morse il labbro, reprimendo il bisogno di prendersi a schiaffi da sola per la sua stupidità. Isabelle si fermò bruscamente, voltandosi verso di lei, spalancando gli occhi.
-Jace è ferito? –Lydia annuì lentamente, insultandosi ancora mentalmente. Per l’Angelo, non aveva nemmeno un minimo di tatto. Non era mai stata così, prima di… Prima di perdere John. Prima era stata una ragazza molto dolce, invaghita e sentimentale. E anche ingenua. Poi aveva capito di essere stata stupida. Era così che aveva perso tutto, comportandosi da ingenua, comportandosi da bambina. Perdere John le aveva aperto gli occhi alla realtà. La vita degli Shadowhunters non era semplice, non bisognava ricoprirsi di miele, per poi scoprire che quel miele era sempre stato sangue. Le bugie non facevano bene a nessuno. Per questo era stata incredibilmente felice quando quello stregone aveva fatto la sua comparsa al matrimonio. Non avrebbe mai sopportato di vedere Alec infelice a causa sua. Anche lui meritava di essere felice, non poteva prendere tutto il peso del mondo sulle sue spalle, cosa che chiaramente faceva. Era contenta che avesse seguito il cuore e non quello che i suoi genitori volevano. Anche lei lo avrebbe fatto, al suo posto. Anche lei lo aveva fatto. Vide che Isabelle si stava dirigendo verso l’Infermeria, quindi la fermò, prendendola per un braccio. La ragazza la guardò, un’espressione interrogativa dipinta sul volto. Lydia la lasciò andare, imbarazzata, dicendo:
-Bane ha detto che deve riposare. –Isabelle si convinse a non spostarsi solo perché l’altra aveva nominato Magnus, si fidava dello stregone. Sospirò, sentendosi una stupida per essersene andata quando aveva visto che Alec stava male. Avrebbe dovuto intuire che Jace non sarebbe stato messo meglio, anzi, che forse sarebbe stato peggio.
-Cosa è successo? –domandò, cercando di non mostrare il panico nella sua voce. Lydia le raccontò in poche parole quello che lo Shadowhunter aveva raccontato quando si era ripreso. Era stato attaccato da un demone Manx, uno di quelli con la pelle ustionante e in grado di sputare acido, e fin lì, niente di troppo incredibile. Ma poi, se n’era trovato d’avanti un’orda. Allo stremo delle forze, quando rimaneva soltanto un demone, il più duro da uccidere, capendo che non avrebbe avuto la forza di sconfiggerne un altro, aveva iniziato a correre, raggiungendo il palazzo dove Magnus abitava. Era arrivato fin di fronte alla porta del suo appartamento, poi, con le ultime forze che gli rimanevano, aveva sconfitto l’ultimo demone, che era riuscito a ustionargli il viso. Era entrato dalla porta, sconvolgendo tutti i presenti, svenendo poi sul pavimento dell’entrata. Magnus era stato attirato dall’improvviso silenzio, Clary era caduta in panico, vedendo il biondo ferito in quel modo, gli altri Lightwood avevano subito portato Jace nella stanza di Magnus, incredibilmente preoccupati. Il vampiro amico della Fairchild se n’era andato poco dopo, e non era più ricomparso. Qualche ora prima Jace si era risvegliato, e aveva raccontato loro tutto, la voce roca, il volto distolto dal dolore, nonostante gli avessero applicato molti iratze. Poi, quando era riuscito ad alzarsi in piedi, Bane aveva aperto un portale e avevano portato il giovane Wayland lì. Isabelle si sentì stupida per non essere stata con loro, la sua famiglia. Si sentì stupida per aver pianto fino a quando non aveva più avuto lacrime, per essersi sentita così stanca, per essersi addormentata così in fretta. Ma, almeno, adesso si sentiva riposata e in forze. Fece per fare altre domande a Lydia, per avere più dettagli sull’accaduto, quando Victor Aldertree fece la sua comparsa nella stanza. Si diresse deciso verso di lei, lisciandosi i vestiti immacolati.
-Lightwood. –disse, con incredibile freddezza nella voce. Isabelle avrebbe voluto tirargli un pugno in faccia. Lui, si permetteva di essere freddo con lei, quando era stato proprio lui a renderla dipendente dallo Yin Fen? La ragazza strinse i denti, mentre l’uomo si voltava verso Lydia e salutava anche lei. Sollevò un poco le sopracciglia quando tornò a rivolgersi a lei.
-È almeno dall’altro ieri che non ti vedo, dove sei stata? –la Shadowhunter ce la mise tutta per non scoppiargli a ridere in faccia. Lontano da te, avrebbe voluto rispondere, ma decise che era meglio farlo con classe.
-I miei affari non la riguardano, Aldertree. –l’uomo storse le labbra, cosa che fece sentire Isabelle terribilmente soddisfatta. Quell’arrogante Shadowhunter che seguiva alla lettera le regole del Clave, senza nemmeno pensare se fossero giuste o meno, era davvero irritante. Lui era una persona con il potenziale per essere odiata. Insopportabile so-tutto-io, faccia da schiaffi, cervello di un criceto obeso. Il giorno in cui gli avrebbe dato una frustata in faccia sarebbe presto venuto, ne era certa.
-No. –disse, con un tono che non le piacque per niente. Suonava di più come un “ed eri ancora con quel vampiro”. Isabelle non aveva idea di come facesse a saperlo, ma probabilmente aveva intuito che per colpa della sua stupida droga, che era finita così improvvisamente, aveva dovuto trovare un modo per farsi aiutare. Bastardo. Quell’uomo era stato la rovina dell’Istituto di New York. La ragazza non vedeva l’ora che qualcuno capisse che razza di uomo era e lo ritrascinasse dal Clave. Quel qualcuno avrebbe fatto meglio ad essere tutti, considerando che un paio di loro non potevano fare assolutamente niente. Be’, certo, se non fosse stato per lui, Isabelle e Raphael non avrebbero istaurato un legame così forte, avrebbero continuato a essere solo una Shadowhunter e un vampiro, in due mondi completamente diversi ma allo stesso tempo identici. Aldertree riprese a parlare, cosa che irritò parecchio Izzy. –Visto che non hai di certo potuto saperlo, volevo avvertirti che manderanno un giovane Shadowhunter direttamente da Idris. Dovrà vivere con noi, quindi tenta di non spaventarlo subito con i tuoi “gentili modi”. –dicendo quelle due ultime parole, mimò delle virgolette con due dita. Isabelle gli avrebbe volentieri lanciato un’occhiata assassina, ma si trattene. Fece per rispondere, quando la porta si aprì, ed entrò correndo una ragazzina, sui circa tredici, quattordici anni, con una borsa sulle spalle. Quel posto diventava sempre più affollato ogni giorno che passava. La mora guardò con calma la ragazzina dirigersi verso di loro. Aveva i capelli biondi legati in una coda alta, e gli occhi erano azzurri, non proprio dello stesso colore di quelli di Jace, ma comunque bello. Le ricordava stranamente qualcuno…
-Margot! Cosa ci fai qui? –esclamò una voce accanto a lei. La ragazzina raggiunse Lydia con due balzi, sorridendo come se fosse Natale.
-Lyd! –disse con un urletto, abbracciando la Shadowhunter, che sorrise. Isabelle non l’aveva mai vista sorridere in quel modo, non aveva mai visto i suoi occhi illuminarsi in quel modo. Capì perché la ragazza sembrava familiare. Doveva essere la sorellina di Lydia. Le osservò, mentre un sorriso le si formava sulle labbra. Riuscì persino a dimenticarsi della pedante presenza di Aldertree, vedendo tutta quella felicità. Sentì l’improvvisa mancanza di Max e Alec, come un buco nello stomaco. Aveva un assoluto bisogno di riallacciare i rapporti con la sua famiglia. Doveva smetterla di scappare.
-Per l’Angelo, sei tu lo Shadowhunter che doveva arrivare! –esclamò Lydia, realizzando.
-Perché non me lo hai detto, stupidina? –domandò, dandole un buffetto su una guancia. Margot sembrò imbronciarsi, mentre diceva alla sorella che ormai non era più una bambina, che poteva benissimo evitare di trattarla in quel modo.
-Perché volevo che fosse una sorpresa. –disse, con aria superiore. –E poi, sono proprio in tempo per il tuo compleanno. –Isabelle domandò a Lydia quando fosse il suo compleanno e lei rispose che avrebbe compiuto ventidue anni tre giorni dopo. La mora non avrebbe mai pensato che il compleanno dell’altra fosse così vicino a quello di Max. Lydia rise di nuovo, dicendo alla sorella che avrebbe dovuto parlare con il Capo dell’Istituto, e che poi lei l’avrebbe accompagnata nella sua stanza. Margot annuì vigorosamente, sorridendo, e seguendola dietro ad Aldertree. La bionda lanciò un ultimo sguardo ad Isabelle, sorridendo dolcemente, e lei si sentì terribilmente in colpa per come l’aveva trattata la sera prima. In un attimo, prese una decisione. Andò a farsi una doccia, si cambiò, mettendo i vestiti più normali che riuscì a trovare nel suo armadio. Con più normali intendeva non i suoi vestiti normali. Dopodiché, uscì, sperando che nessuno l’avesse notata. Sapeva che Raphael avrebbe voluto ucciderla, dato che a quell’ora del giorno stava sicuramente dormendo, ma Isabelle aveva bisogno di lui, quindi alla fine avrebbe ceduto. Sperava che non avrebbe appiccato un fuoco nell’hotel, perché uccidere tutto il Clan dei vampiri di New York con la sua cucina, non le sembrava una cosa molto eroica da fare.

Angolo autrice:
Hola, Shadowhunters e Nascosti! Spero che ve la passiate bene :D Ho deciso che non abbandonerò questa storia, alla fine, ieri era solo una giornata un po' no. Lo so, niente Saphael nemmeno questa parte, sorry. Ma ci sarà molto presto ;) (mooolto angst ma vabbè o qualcosa del genere). Qui potrebbero esserci un paio di cose che non quadrano. Come ad esempio Aldertree che dovrebbe già essere stato sbattuto fuori nel 2x10, ma fate finta di nulla, per favore. Almeno questa volta Izzy e Lydia sono state carine tra di loro, anche se una credeva che l'altra fosse arrabbiata e viceversa. Non sono passata al nemico, cioè la Rizzy, ma vorrei creare un'associazione per la protezione di Raphael Santiago, che ne dite? Non possiamo permettere che gli venga fatto ancora del male, perchè non se lo merita :( Con tutto quello che ha fatto per Simon e Izzy... 
Vi saluto! Domani tornerò con un'imbarazzante telefonata tra Clary e il povero Simon :0
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi) 

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Capitolo 13
*** Don't put the blame on me pt.3 ***


Capitolo 4. – Don’t put the blame on me (pt.3)
Dopo aver visitato Jace -che apparentemente si era addormentato appena si era steso su uno dei letti, ma Clary temeva che stesse fingendo per evitare di parlare con lei –, ed essere stata mandata via da Magnus, Clary decise di andare a parlare con Isabelle. C’erano tante cose che doveva chiederle. E quasi tutte riguardavano Raphael. Quasi. Voleva anche chiederle perché cercasse di evitarla il più possibile in quelle ultime settimane. La rossa sentiva di aver perso un’amica, un’amica vera, e ci stava male. A volte si domandava che cosa potesse aver fatto di sbagliato, ma non le veniva in mente niente. Isabelle aveva semplicemente smesso di parlarle, senza un motivo preciso. L’aveva fatto e basta. Clary non sapeva se avrebbe mai trovato il coraggio di chiederle il perché. Probabilmente no. Avrebbe aspettato pazientemente che la verità si scoprisse da sola, mentre cercava di rimettere insieme i pezzi della sua vita. Aveva perso Isabelle, aveva perso Jace, aveva perso sua madre e sentiva che stava perdendo anche Simon. Certo, poteva capire che fosse arrabbiato, dopo quello che gli aveva fatto, dopo essersi comportata in modo così stupido la sera prima. Aveva lasciato che tutti vedessero quali erano i suoi veri sentimenti per Jace, aveva lasciato che tutti glielo leggessero in faccia. Aveva fatto del male al suo migliore amico, e questo la feriva. La feriva la sua stupidità. Avrebbe dovuto stare più attenta, avrebbe dovuto continuare a fingere, anche con sé stessa. Ma non ce l’aveva fatto, vedendo il biondo steso sul pavimento. Non aveva potuto farci niente, assolutamente niente. Era crollata. Aveva visto tutto il suo nuovo mondo crollare, poco dopo aver visto sbriciolarsi anche quello vecchio. Si diresse in fretta verso il campo d’addestramento, e non poté trattenere il disappunto quando vide che Isabelle non era più lì. C’era solo una ragazzina bionda che Clary non aveva di sicuro mai visto prima. Si stava allenando con un sacco da box. Decise di non avvicinarsi a lei, probabilmente non aveva idea di dove Isabelle fosse. Sospirando, prese il telefono e compose il numero di Simon. I primi due tentativi partì la segreteria telefonica. La rossa improvvisamente capì come doveva essere stato per lui, quando credeva di star diventando un vampiro, e lei continuava a non rispondere. Volendo avrebbe potuto dare la colpa a Jace, che non le aveva lasciato la possibilità di usare il cellulare, ma in fondo sapeva che era solo colpa sua. Era stata la peggior migliore amica di sempre, eppure Simon aveva continuato ad amarla, incondizionatamente. Clary sapeva di non meritarsi quel ragazzo. Aveva continuato ad ignorarlo, per anni, eppure lui aveva continuato a vederla come la più bella ragazza di New York, o qualcosa del genere. Glielo aveva detto, una volta. E lei aveva riso, dicendo che di sicura la ragazza più bella di NY era Jace. Si esatto, Jace. Lui si sarebbe sicuramente definito come il più bello. In generale, non di una città. E a quel punto il suo sguardo si era fatto distante, perché pur non volendo aveva pensato al ragazzo, che continuava a evitarla da quando erano riusciti a sconfiggere Valentine. Ormai era passato molto più di un mese, e ancora non erano riusciti a fargli dire qualcosa. Diceva di non sapere dove fosse al Spada dell’Anima. Nessuno del Clave gli credeva, e nemmeno lei. La Spada non poteva essere semplicemente scomparsa. Da quel momento esatto Jace aveva smesso di rivolgerle la parola. Ogni tanto riusciva a vederlo mentre la guardava. Ogni volta le sembrava che avesse lo sguardo incredibilmente triste, ma poi lui si voltava da un’altra parte, come disgustato. Ogni volta la ragazza sentiva una morsa allo stomaco. Decise di andare a prendere una boccata d’aria. Una volta uscita nel parco che circondava l’Istituto, si sedette su una delle panchine laccate di verde e provò a chiamare Simon per la terza volta. Questa volta il ragazzo rispose, ma la sua voce era fredda e distaccata, mentre parlava…
-Pronto? –sapeva di averlo ferito, ma il fatto che lui non sembrasse affatto arrabbiato, nemmeno un po’ irritato, ma solo vuoto, le metteva terrore. Aveva paura che il suo migliore amico stesse cambiando. Aveva paura che stesse diventando come tutti gli altri vampiri. Aveva paura che presto avrebbe espulso ogni sentimento dal suo cuore. Non poteva perderlo. Non così. Non per essere stata stupida. Cercò di usare il tono più allegro che poteva, non voleva mostrare i suoi veri sentimenti.
-Simon! Sono così felice che tu abbia risposto. –le parole che vennero in risposta la colpirono come un pugnale al petto. A dire la verità, non furono tanto le parole a stupirla, a farle male, ma il tono con cui vennero pronunciate. Il tono con cui venne pronunciata quell’unica parola.
-Davvero? –Simon si sentiva uno stupido per averle risposto. Non avrebbe mai, mai, dovuto farlo. Ma, per quanto ci provasse, per quanto tentasse di stare lontano da lei, non ci riusciva. Perché la amava e lei… A lei non importava. A lei importava soltanto del suo Jace. Anche se erano fratello e sorella. Quello non significava nulla. Aveva visto come lo guardava, come non avrebbe mai smesso di guardarlo. E aveva capito. Non poteva più accettare di vivere così. Non poteva. Eppure, continuava a restare il cane fedele che le sbava dietro. Non sarebbe mai riuscito a smettere. L’avrebbe sempre aiutata. L’avrebbe sempre amata. Era più forte di lui. Eppure, era certo che nella sua voce ci fosse dello scetticismo. Perché era scettico. A Clary non poteva importare davvero. Aveva smesso di crederci. Ma non smetteva di sperare, lo sapeva.
-Ma certo, perché non dovrei? –il suo tono era confuso, ma nella sua mente avrebbe voluto gridare. Avrebbe voluto che lui la perdonasse, anche se sapeva che era impossibile. Sentiva di averlo usato. L’aveva usato, perché aveva visto tutto quell’amore che brillava solo per lei, in quegli occhi color caffè, e aveva ceduto. Non era riuscita a controllarsi. Si sentiva spezzata dopo quello che era successo con Jace. Dopo tutto quello che era successo nel suo mondo. E aveva visto in Simon la sua unica salvezza. Simon strinse la presa sul suo cellulare, temendo che l’avrebbe rotto. Ma non gli importava davvero. Nulla gli importava più di Clary. Sospirò, cercando di recuperare un tono normale. Ma quella freddezza non voleva andarsene.
-Scusa. –esitò un attimo. Avrebbe voluto dirle tutta la verità, avrebbe voluto dirle che stava soffrendo per colpa sua. Ma allo stesso tempo non voleva mostrarle quanto potere lei avesse su di lui. Così tanto che faceva paura. Davvero. –È una giornata un po’ no. –Clary si sentì incredibilmente ipocrita, chiedendogli:
-Perché, cosa succede? –sapeva perfettamente quello che stava succedendo, ma non riusciva a fare altro che mentire. Mentire era più facile. Non mostrare quello che provava era più facile. Scappare dalla verità era più facile. Si sentiva davvero male. Eppure non riusciva a fare altro. L’aveva chiamato per scusarsi, ma ora aveva perso tutto il coraggio. Si sentiva egoista. Ma non riusciva a comportarsi diversamente. Nemmeno sapeva perché. E continuava, senza riuscire a fermarsi. Simon strinse ancora più forte il telefono. Era certo di aver sentito un crac, ma lo ignorò. Non importava. Avrebbe voluto gridare alla rossa che lei sapeva benissimo cosa c’era, che la colpa era solo sua. Ma non lo fece. Lei avrebbe anche potuto chiedergli di uccidersi, e lui lo avrebbe fatto. L’amore era un Diavolo. Capace di ucciderti in pochi secondi. Improvvisamente desiderò essere come tutti gli altri vampiri. Capaci di smettere di provare sentimenti, freddi come il ghiaccio, terribili come la notte. Tutto sarebbe stato più facile. Ma lui era solo uno stupido novellino, e, abbandonando il Clan, non avrebbe mai avuto la possibilità di imparare davvero qualcosa. Adesso, almeno, era un Diurno. Le cose erano più semplici. Avrebbe fatto di tutto per Clary, le cose non sarebbero mai cambiate. Si accorse che probabilmente la ragazza stava aspettando una risposta, perciò riprese a parlare, lentamente.
-Niente. Solo troppi pensieri per la testa. –Clary non era per niente convinta. Come avrebbe potuto esserlo? Certo, di sicuro Simon aveva troppo pensieri per la testa, ma non era solo quello. E la ragazza si sentiva terribilmente responsabile. Ed era giusto, perché era responsabile. Non avrebbe voluto esserlo, ma non poteva mentirsi per sempre. Sapeva di aver spezzato il cuore già fermo del suo migliore amico, ed era una cosa che non riusciva ad accettare.
-Ok… -ribatté. Avrebbe potuto essere migliore, avrebbe potuto chiedergli cosa davvero stesse capitando, pur sapendolo perfettamente, ma non lo fece. E si sentì terribilmente egoista. Esitò un attimo prima di continuare. Anche quello che gli stava per domandare era terribilmente ipocrita. Stava fingendo di essere ingenua, e forse lo era un po’ davvero, in certe situazioni, ma non in quella. Sarebbe stato impossibile per chiunque non capire il motivo di tanta freddezza, di tanto distacco. –Volevo chiederti come mai ieri sera te ne sei andato. –Simon cercò di nuovo di controllarsi e di non scaraventare il telefono lontano, dove non sarebbe più riuscito a recuperarlo, rompendolo in così tanti pezzi che non si sarebbe più capito cosa fosse prima della distruzione. Lei sapeva perfettamente anche quello. Stava facendo delle domande incredibilmente stupide. E lei lo sapeva. Simon era certo che lo sapesse. Clary non era stupida. Ma stava fingendo di esserlo, e questo lo mandava in bestia. Avrebbe voluto dirle quello che pensava, ma sapeva di non potere, quindi rispose con la massima tranquillità.
-Mi sentivo fuori posto… -la ragazza rispose subito, questa volta in modo sincero, senza pensarci. Ma avrebbe fatto meglio a mentire di nuovo. Quando Clary pronunciò quelle parole, Simon si tolse il telefono dall’orecchio, osservando lo schermo, dove compariva l’immagine sorridente della ragazza. Il sole le illuminava il viso, aveva una guancia sporca di vernice e un sorriso raggiante. Quella foto risaliva a prima. Prima che scoprisse di essere una Shadowhunter, prima di essere la figlia di Valentine, prima di essere Clarissa Fairchild. In quella foto era ancora lei, pura, dolce, Clary Fray. Le cose non sarebbero mai tornate come prima. Mai. E Simon se ne rendeva conto solo in quel momento. La ragazza che gli stava parlando attraverso uno stupido cellulare, non era più la dolce ragazzina dai capelli color carota di quella foto. Non era più la ragazza della quale si era innamorato. Era cambiata, era cambiata e non in modo positivo. Guardando quell’immagine Simon era indeciso tra lo sputare sullo schermo del suo telefono e chiudere la chiamata. Ma non fece nessuna delle due. Anche se avrebbe dovuto. Perché, quello che Clary aveva detto era stato davvero orribile, ai suoi occhi. Ma lo sarebbe stato agli occhi di chiunque.
-Ma no, Simon, cosa dici? Tu sei il mio migliore amico! –e poi, realizzò cosa aveva appena detto. Si coprì la bocca con una mano, ma ormai era troppo tardi, e lei lo sapeva benissimo. Si stava comportando come una stupida. Simon non rispose, rimase in silenzio. Non era normale per Simon restare in silenzio. L’aveva davvero ferito. Avrebbe voluto uccidersi per aver fatto del male a una persona alla quale teneva tantissimo. Eppure. Teneva tantissimo a lui, ma ormai le cose sembravano essere cambiate, così come il suo mondo. E non sarebbero mai tornato come prima. Il vampiro era tra il ferito e il disgustato. In parte quelle parole gli avevano fatto male, ma avevano anche confermato quello che temeva. Clary non l’amava. Non l’aveva mai amato in quel senso. Mai l’avrebbe fatto. E lui era stato tanto stupido da crederci. Era stato tanto stupido e innamorato da crederci. Da non vedere. Che tutto era cambiato. Lui, lei, il loro mondo. Non potevano più essere gli stessi Simon Lewis e Clary Fray. La ragazza si corresse, pur sapendo che il danno era fatto, e che non avrebbe più potuto riparare.
–Ragazzo… -si diede della stupida, non potendo credere di averlo detto davvero. -Sei il mio ragazzo, Simon. Non ti devi preoccupare. –andò avanti, senza dare troppo peso all’errore. Forse da lì in avanti sarebbe sempre stato così. Avrebbero continuato a fingere, avrebbero continuato a fingere di amarsi, avrebbero continuato a fingere che tutto andasse bene, mentre in realtà stavano crollando entrambi. Simon sentì ancora un intenso bisogno di distruggere il suo cellulare, ma ne aveva bisogno, e lo schermo era già stato distrutto dal suo scatto d’ira della notte prima.
-Lo so… -non ribatté nulla, decise di ignorare lo sbaglio, anche se avrebbe fatto meglio ad arrabbiarsi con lei, per una volta. Perché altrimenti le cose non sarebbero mai cambiate. Ma forse non era ancora il momento, forse era ancora troppo innamorato di lei. Forse i suoi occhi erano ancora coperti da quel Diavolo di amore per lei. –È solo che… -non aveva idea di come spiegarlo. Oltre a tutto quello che era successo con Clary, si era sentito incredibilmente fuori posto. Lui non faceva parte della famiglia. Lui era solo il migliore amico stupido. Sospirò di nuovo, sentendosi uno stupido davvero. Non avrebbe mai imparato che non serviva assolutamente a niente.
-Sono preoccupata per te. –disse Clary, con tono davvero preoccupato. Esitò. Non voleva che quelle parole sembrassero una bugia. Perché non lo erano. Era davvero preoccupata per lui. Sapeva che il suo unico problema era lei, ma avrebbe voluto aiutarlo. Pur sapendo perfettamente di non poterlo fare. Avrebbe dovuto cancellare il suo amore per Jace, e sapeva che sarebbe stato impossibile. Ci aveva già provato, senza risultato. Era semplicemente impossibile. Sapeva che avrebbe dovuto, che quell’amore era sbagliato, che non poteva amare suo fratello. Eppure… -È da ieri che ti comporti in modo strano. –Simon avrebbe voluto gridarle che era ovvio che si stesse comportando in modo strano, lei avrebbe dovuto capirlo più di chiunque altro, non continuare a comportarsi da ingenua. Perché non lo era. Non fino a quel punto. E poi, se doveva essere chiaro, sapeva perfettamente che non era affatto preoccupata per lui. Clary si preoccupava soltanto di Jace. Era la sua unica preoccupazione, era la persona che avrebbe sempre messo davanti a tutte le altre, anche a costo di morire per lui. Era esattamente quello che Simon aveva continuato a fare per lei. Esisteva lei. Solo lei. Lei, lei, lei. Ed era stato così stupido, e così cieco… Sapeva che l’aveva chiamato perché aveva bisogno di lui solo per continuare con la commedia. Doveva stare con lui, non potendo stare con Jace. Così decise di continuare a mentire, perché non poteva cambiare le cose.
-Sto bene, Clary. Davvero –Clary sospirò. Sapeva perfettamente che non era la verità. Ma non poteva farci nulla.
-Perché non vieni all’Istituto? –domandò, aggiungendo una verità, dopo tante bugie. –Mi manchi. –quella era la verità. Le mancava davvero il suo migliore amico, le mancava stringere la sua mano, farsi sostenere da lui. Sapeva perfettamente che era una cosa terribilmente egoista, perché l’avrebbe solo fatto soffrire di più, ma aveva bisogno di lui. Avrebbe sempre avuto bisogno di lui, anche se non nel senso che lui avrebbe voluto.
Simon sapeva che era soltanto bugie. Lei non aveva bisogno di lei. Ormai le cose erano cambiate. Lei aveva conosciuto altre persone, passava la maggior parte del tempo con loro. Lui non si sentiva parte di loro. Erano quelli i momenti in cui si accorgeva di essere stato davvero un idiota a tradire la sua famiglia. Le uniche persone che potessero capire come si sentiva. Credeva che Clary l’avrebbe finalmente visto per quello che era aiutandola sempre, ma si era sbagliato. Lei si era approfittata di lui. E gli faceva male rendersi conto di essere così stupido.
-Sì, posso venire. –disse, cercando di non usare un tono troppo freddo. Cercando pure di mostrarsi interessato a cose che non lo interessavano per niente. Anzi, lo disgustavano. –Jace sta bene? –Clary si morse il labbro, cercando di far suonare la sua voce come quella di una persona calma, anche se in quel momento era tutto tranne che calma.
-Si riprenderà. –disse solo, cercando di recuperare il suo finto tono allegro. –Se vuoi possiamo fare un salto al Java Jones, che ne dici? –Simon sapeva che stava soltanto cercando di cambiare discorso. Avrebbe voluto dirle di andarci con Jace a prendersi quel dannato caffè. Ma naturalmente non lo disse.
-Mi sembra una buona idea. –la voce del vampiro era se possibile ancora più fredda dell’ultima volta che aveva parlato, forse trenta secondo prima. Clary cominciava ad essere davvero preoccupata. Non era da lui essere così. Forse a causa sua si stava trasformando in un vampiro a tutti gli effetti. Voce fredda e monotono, niente sentimenti. Probabilmente invece era solo giustamente arrabbiato, ma cercava di non mostrarlo.
-Ok, allora fammi sapere quando arrivi. –fu ancora tentata di chiedergli quale fosse il problema, ma sarebbe suonato ipocrita più di quanto non fosse non chiederglielo. Sapeva perfettamente qual era il problema, anche se non voleva ammetterlo.
-Ci vediamo lì. Ciao. –diceva soltanto farsi corte e prive di emozioni. Era davvero preoccupante. A Clary mancò terribilmente il suo tono allegro, il suo parlare continuo e le sue citazioni di film in momenti inopportuni. Anche questo era davvero egoista. La ragazza sapeva perfettamente di essere diventata egoista e addirittura manipolativa, ma sapeva anche perché. Non lo faceva volontariamente. Nel giro di due settimane la sua vita era crollata, il suo mondo era andato distrutto e aveva dovuto affrontare cose terribili. Poteva essere forte quanto voleva, ma aveva sempre diciotto anni. Non poteva sopportare tutto senza conseguenze. Adesso erano passati due mesi da quando tutto era cambiato, ma non sarebbe mai tornato niente come prima.
-Ciao… -attaccò per prima. Simon non si era mai comportato così prima di quel momento. Ma non poteva farci nulla. Così com’era cambiata lei, era cambiato anche lui, irrimediabilmente. Ma non le aveva detto “ti amo”, nemmeno “ti voglio bene”. E lei ci stava male. Eppure era solo colpa sua. Era ovvio che fosse arrabbiato con lei, ferito da quanto era successo. Forse, questa volta, Clary non sarebbe riuscita a mettere le cose a posto. Forse, non avrebbe potuto farci nulla.
Simon era arrabbiato. Avrebbe voluto spaccare qualcosa. Ma quel qualcosa non poteva essere il suo telefono. Ne aveva bisogno, anche perché sua madre lo avrebbe ucciso (di nuovo) se non le avrebbe mai risposto. Diede un calcio al tavolino, l’unica cosa alla sua portata, oltre al telefono, ribaltandolo. Sarebbe andato all’Istituto. Certo che ci sarebbe andato. Non riusciva a smettere di amarla, anche se avrebbe voluto. A lei non importava di lui. Non le importava per niente. Eppure avrebbe continuato ad andare da lei, avrebbe continuato a seguirla, avrebbe continuato ad essere la sua ombra. Avrebbe continuato a seguirla fino a quando sarebbe morta e lui non si sarebbe ritrovato con nulla per cui vivere, se non le ceneri del suo cuore già morto. Si faceva schifo da solo.

Angolo autrice
Ahi, che colpo per il nostro Simon :0 Per una buona volta ho messo anche i pensieri di Clary, altrimenti la insulto solo tutto il tempo perchè la odiano praticamente tutti, povera ragazza. Isabelle non le parla, Jace non le parla, Simon è arrabbiato con lei (circa) e quindi le resta praticamente solo Alec (notate bene che i due si odiavano nella prima serie XD). Sooo, ok, qui la disperazione è veramente a livelli discutibili, scusate. Allora, nella prossima parte (che era così lunga che ho dovuto dividerla in tre parti perchè mi sembrava troppo metterla tutta insieme, anche se la publicherò nello stesso giorno): torte, vampiri, ANGST, Clary e Simon andranno a "salvare" Izzy e finalmente SIMON E RAPHAEL SI RIVOLGERANNO LA PAROLA! (*suonano le trombe*) Detto questo, vi saluto :D A domani, Mary *throws glitter around* 
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi) e per aver torturato Simon (almeno non è Izzy questa volta)

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Capitolo 14
*** Don't put the blame on me pt.4.1 ***


Capitolo 4. – Don’t put the blame on me (pt.4.1)
-Aspetta, aspetta, aspetta… Fammi capire. Tu piombi qui, in pieno giorno, perché vuoi che ti aiuti a preparare una torta? –l’espressione di Raphael era tra il confuso e l’annoiato. O forse solo assonato, considerando che era giorno inoltrato. Isabelle gli aveva sorriso dolcemente, sbattendo le ciglia un paio di volte, con un viso innocente. Il vampiro si era passato una mano sul viso e aveva rivolto il suo sguardo a Lily, che aveva accompagnato dentro Isabelle, e che in quel momento stava ridendo cercando di non mostrarlo troppo, pur fallendo miseramente. Raphael aveva sospirato, cosa insolita per lui, e aveva accettato. La Shadowhunter aveva fatto un piccolo salto e lo aveva abbracciato, felice come una bambina a Natale. Gli aveva poi spiegato che aveva deciso di preparare una torta per il compleanno di Lydia, che sarebbe caduto pochi giorni dopo, per farsi perdonare, dopo essersi comportata da vera stronza alla festa di Max. E gli aveva anche detto che senza di lui non avrebbe avuto idea di come fare. A quel punto Raphael aveva sorriso, mentre Lily se ne andava ancora ridendo, dicendole di lasciarlo almeno mettersi qualcosa in più. Infatti, quando era entrata praticamente correndo nella sua suite, lo aveva trovato sdraiato sul letto, intento a fissare il soffitto, con indosso soltanto un paio di pantaloni. Isabelle aveva dovuto ammettere che non era stata per niente una brutta visione. Dopodiché era scomparso nella sua stanza, ritornando poco dopo con anche una maglia grigio scuro. Incredibilmente, per fortuna o chissà per quale motivo, la cucina del vampiro sembrava il posto più rifornito di tutta New York, perciò avevano trovato tutto quello che sarebbe servito. Avevano passato ore a preparare quella dannata torta al cioccolato, tante che Izzy si ripromise di non farsi mai più venire certe idee in testa. Incredibile a dirsi, con l’aiuto di Raphael non aveva fatto troppi dei suoi soliti danni. Era certa di non essere mai stata, almeno negli ultimi due mesi, felice come in quel momento. Per un attimo, un miracoloso attimo di gioia, si dimenticò di Clary. La Shadowhunter tirò fuori la torta dal forno e la mise con attenzione sulle piastre della cucina, dato che non aveva molta voglia di appiccare il fuoco all’hotel. Fino a quel momento non era successo nulla di particolarmente drammatico. Il profumo non prevedeva troppe brutte cose.
-Speriamo di non avvelenare nessuno. –commentò Raphael, con un tono stranamente scherzoso. Isabelle si voltò verso di lui, lo sguardo assassino. Era paaarticolarmente minacciosa con i guanti da forno ancora sulle mani. La ragazza non riuscì a non sorridere, comunque. Era bellissimo sentirsi così. Così felici da essere incapaci di smettere di sorridere.
-Dubiti forse delle tue capacità culinarie? –gli disse, avvicinandosi di un passo. Lui non smise di sorridere, mentre ribatteva:
-Delle mie, no, ma delle tue, sì. –Isabelle gli rivolse uno sguardo che stava a significare “Ah, davvero?”, facendosi comparire sul viso un’espressione minacciosa. Gli disse che allora probabilmente avrebbe fatto meglio a mangiarla prima lui, tanto non sarebbe stato una grande perdita. Lui rispose che toccava a chi aveva fatto il danno subire le conseguenze. In men che non si dica, entrambi stavano di nuovo ridendo. Raphael era contento di vedere che per una volta Isabelle stava facendo qualcosa per qualcuno che non fosse Clary. Doveva smettere di pensare unicamente a lei, così avrebbe anche smesso di soffrire. Concentrare la propria mente su una persona e solo lei non portava mai a buone cose. Perché ci si cominciava a staccare dalla realtà, a credere cose non vere. Lui lo aveva imparato a sue spese. E una volta commesso l’errore, non si poteva più tornare indietro. Riprendendosi dai suoi pensieri si accorse che Isabelle aveva preso il suo telefono e stava scrivendo freneticamente con qualcuno, l’espressione accigliata. Ogni tanto sbuffava, alzando gli occhi al cielo, come incapace di credere a quello che stava leggendo. Dopo diversi minuti mise giù il cellulare con rabbia, mettendo il silenzioso. Raphael le chiese cosa stesse capitando e lei rispose scuotendo leggermente la testa, dicendo qualcosa su suo fratello che non voleva lasciarla in pace. Era davvero così. Isabelle avrebbe voluto uccidere Alec ogni tanto, in quegli ultimi tempi. In fondo sapeva che lui era solo preoccupato per la sua salute, fisica e mentale, ma quella volta aveva davvero esagerato. Questi erano i messaggi che i due si erano scambiati:
 
Isabelle.
Sai che Jace è stato ferito, vero?
Sì, lo so.
Si sta riprendendo?
Sembra di sì.
Si può sapere dove sei?
Sei scomparsa ieri.
La cosa non ti riguarda.
E comunque stamattina ero all’Istituto, non mi avrai vista.
Sei al DuMort.
E allora?
Sai che quel vampiro non mi piace, Izzy.
Questo non è un problema mio, Alec.
Sì, invece. Potrebbe farti del male.
Devo proteggerti.
Non sono più una bambina!
So difendermi da sola.
No, il tuo amore per lui potrebbe ostacolarti.
Il mio amore per lui non cambia le cose.

Non sai nulla dell’amore.
Oh, davvero?
Sono stata la prima a capire che eri innamorato di Jace,
sono stata la prima a capire che Jace si era innamorato di Clary,
sono stata la prima ad accorgersi che Simon era innamorato di Clary,
sono stata la prima a capire che Magnus si era innamorato di te.
Esattamente quello che intendevo.
Cosa?
Credi davvero di sapere come ci si senta ad essere innamorati?
Certo! Perché non dovrei?
Non venirmi a dire che eri innamorata di Meliorn, per favore.
E se anche fosse?
Perché per me deve essere sempre diverso? Non ho forse il diritto di innamorarmi?
Non di un Nascosto.
Da che pulpito, Alexander.
Non di un vampiro!
Qual è la differenza?
I vampiri sono pericolosi.
Non Raphael.
Anche gli stregoni sono pericolosi.
Non Magnus.
Non farmi ridere.
No, tu non farmi ridere.
Tu non ridi mai.
Perché non puoi lasciarmi in pace?
Non sai quello che dici. È come se fossi ancora drogata.
Sei un bastardo.
Vieni all’Istituto, Isabelle.
No.
Vieni subito a casa!
Cosa sei, mia madre?
Me ne basta una, grazie.
È abbastanza brava da sola a giudicare.
Isabelle, vieni a casa!
No. Non puoi controllare la mia vita.
 
Isabelle era davvero arrabbiata con Alec, questa volta. Non poteva permettersi di controllarla, non poteva permettersi di dirle quello che doveva fare. Era suo fratello, non sua madre. Già Maryse era insopportabile, in quei tempi particolarmente più del solito. Era sempre all’Istituto, la ragazza non aveva idea del perché. E poi, aveva di sicuro notato quanto fosse più felice sua sorella. Eppure continuava a insistere, continuava a ripetere che non ci si poteva fidare dei vampiri, non riusciva proprio ad accettare la verità. Raphael non stava usando Isabelle, era la Nephilim ad usare lui. Continuava a farlo, e si sentiva una persona orribile. Tutta la gioia che aveva trovato liberandosi dai suoi pensieri, scomparve in pochi minuti. Non poteva credere che qualcuno fosse davvero riuscito a farle tornare quell’orribile tristezza che non aveva voluto andarsene per due mesi filati. E che quel qualcuno fosse proprio suo fratello, la persona che una volta amava più di sé stessa. Ora non riusciva a vederlo diversamente da qualcuno che le voleva togliere tutto quello che si era costruita. Avrebbe dovuto parlare con lui, una volta tornata all’Istituto. Si accorse solo in quel momento che Raphael la stava osservando, con sguardo preoccupato. Aveva probabilmente potuto vedere la felicità andarsene dal suo viso. Si sentiva incredibilmente male, all’improvviso. Risentiva quell’orribile mal di cuore di cui si era finalmente liberata, tutto per colpa di Alec. Mise il cellulare il più lontano possibile, lontano dalla sua portata, cercando di farsi tornare il sorriso.
Prese la torta, così tanto in fretta che per un attimo temette che si sarebbe sfracellata a terra e che avrebbero dovuto farne un’altra, ma per fortuna riuscì a evitare il disastro. Riprese la sua espressione innocente, mentre diceva:
-Allora… Mettiamo questo cioccolato? –stranamente e miracolosamente, nemmeno lì successero troppi casini, anche se Isabelle aveva la mente altrove. Cercava di restare al presente, ma le riusciva difficile. Per qualche strano motivo rivide momenti della sua vita con Alec, ripensando a quanto tempo aveva speso nella sua ombra, cercando di essere un perfetto Shadowhunter così come lo era lui. Suo fratello era sempre stato un modello per lei. Lui era il maggiore, lui faceva sempre tutto perfetto. Era vero, avevano solo due anni di differenza, ma poteva essere qualcosa di incredibilmente distaccante se eri un Lightwood. Loro dovevano sempre essere perfetti, dovevano sempre pensare all’onore. L’onore veniva sempre prima di tutto. Persino della loro felicità. Forse era quello che Alec stava cercando di fare. Lui aveva voluto mettere i suoi sentimenti prima della famiglia, e, essendo il più grande, aveva deciso per Isabelle. Aveva deciso che ne bastava uno di loro per disonorare i Lightwood. Lei doveva continuare a essere perfetta, lei non poteva amare un Nascosto. Chissà che cosa avrebbe detto se lei gli avesse confessato che in realtà era innamorata di Clary e che stava usando Raphael per farla ingelosire, anche se stava fallendo miseramente… Si riprese a un’esclamazione del vampiro, e, voltandosi verso di lui vide che aveva un’espressione terribilmente annoiata, e della glassa al cioccolato sulla guancia destra. Isabelle non riuscì a trattenersi e ridacchiò, rendendosi conto che era colpa sua. Raphael preso un pezzo di carta da cucina e si pulì il viso, sempre con quell’espressione terribilmente annoiata. In realtà avrebbe dato di tutto pur di vedere la Nephilim sorridere. Non sapeva a cosa stesse pensando, ma gli dispiaceva vederla così. Lei si meritava tutta la felicità possibile, non poteva accettare che continuasse a distruggersi così. Poco dopo, la torta fu completa e Izzy la mise nel frigorifero, spostando una brocca di Bloody Mary. Batté le mani, con fare gioioso. Non sapeva quanto tempo fosse passato da quando era arrivata all’hotel, ma non le importava davvero. Era felice, solo quello contava. Per una buona volta anche lei aveva il diritto di essere felice, non solo gli altri. Gli altri avevano sempre tutti i diritti, mentre lei no. E questa cosa la faceva davvero imbestialire. Tornò da Raphael, appoggiandosi al bancone, dicendo che era stato molto gentile per il suo scarso aiuto, ma che ce l’avrebbe fatta anche da sola. Sorrise in modo strafottente, sbattendo le palpebre. Il vampiro non aveva certo intenzione di cedere a quelle offese. Aveva bisogno di farla ridere. La prese tra le braccia, cominciando a farle il solletico. Izzy cercò di ribellarsi, ma non ci fu verso, cominciò a ridere e a dimenarsi come un demone agonizzante. Similitudine molto affascinante, tra parentesi. Lui disse che non ci poteva credere, che non era possibile che una Shadowhunter come lei, impavida davanti a demoni e Nascosti di ogni tipo, soffrisse il solletico. Lei rispose, tra le risate, che era scorretto, perché lui era più forte di lei, e così lei non poteva difendersi, anche se era una Nephilim. Guardandoli così si sarebbe potuto dire che erano davvero innamorati, cosa piuttosto comoda, considerando che era come volevano apparire. Furono interrotti da Lily, che corse dentro, squadrandoli e dicendoli che una Shadowhunter era entrata nell’hotel come una furia. Una Shadowhunter dai capelli rossi. Raphael annuì e Lily scomparve così com’era arrivata, lanciando un’ultima occhiata a Isabelle. Quando la ragazza capì che quella Nephilim doveva essere per forza Clary, mandata lì da Alec a “recuperarla”, prese il vampiro per mano e lo trascinò verso il divano, cominciando a baciarlo. Lui la allontanò dolcemente, prendendola per le spalle, ma, guardandola negli occhi, vide che lo stava pregando. Lo stava pregando di aiutarla ancora. La ragazza non riusciva a sentirsi in colpa, in quel momento, sentiva soltanto una grande disperazione. Aveva ancora un bisogno assurdo di vedere Clary gelosa che era disposta a tutto. Raphael avrebbe voluto fare qualcosa per aiutarla, perché era davvero terribile vederla così, così incapace di controllare le sue reazioni, le sue emozioni, così disperata d’amore. Lui sapeva che la Fairchild non l’avrebbe mai vista come lei voleva, per lei sarebbero sempre state solo amiche. Quella rossa avrebbe continuato a farle del male, non c’era niente che potesse impedirlo. E lui continuava ad aiutarla. Aiutarla a farsi del male. Forse anche Isabelle lo sapeva. Ma non voleva accettarlo. Era troppo innamorata per accettare la verità. Essere innamorati faceva parecchio schifo, altra cosa che il vampiro aveva imparato a sue spese. L’amore sapeva solo distruggere. Sembrava illuminarti la vita, ma la verità era che quando finiva precipitavi in un’oscurità ancora peggiore. Ma, pur sapendo queste cose, decise lo stesse di continuare a recitare, perché non poteva fare altro, in quel momento. Si disgustava da solo. Eppure si lasciò baciare da Isabelle, ricambiò i suoi baci. Presto la ragazza si ritrovò sul divano, con il vampiro sopra di lei. Quella volta non c’era verso che Clary non si ingelosisse. Era impossibile. Ma la Nephilim continuava a non pensare al fatto che la giovane Fairchild poteva non provare nulla se non amicizia per lei. Continuava a non vedere. L’amore era cieco.

Angolo autrice
Dan dan dammmm! Colpo di scena! Ok, no scherzo. Visto che sono una brutta persona, ho deciso che pubblicherò il prossimo pezzo tra due ore o qualcosa del genere cosÌ lascio quelli che leggeranno (se qualcuno ancora mi legge) in queste due ore con la SUSPENCE! Muahahaha! :) Clary è stata mandata da Alec per "salvare" Izzy! Che cosa farà? Come farà a convincerla a tornare all'istituto? Povera Isabelle, la continuo a torturare. Non so se Raphael sappia cucinare delle torte, ma facciamo finta di sì. XD
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi) e per aver torturato Izzy (per la centesima volta)

 

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Capitolo 15
*** Don't put the blame on me pt.4.2 ***


Capitolo 4. – Don’t put the blame on me (pt.4.2)
Prima che potessero accorgersene, Raphael si ritrovò strappato da Isabelle, schiacciato contro un muro, una spada angelica alla gola. Il viso di Clary, rosso quasi quanto i suoi capelli, che lo osservava arrabbiato oltre la luce della lama.
-Toglile le mani di dosso, inutile succhia-sangue! –aveva detto con voce che non ammetteva repliche. Izzy si alzò dal divano e raggiunse l’altra Nephilim, cercando di tenere un’espressione confusa, anche se in realtà era parecchio soddisfatta dalla reazione che la rossa aveva avuto. Dopotutto forse stava davvero funzionando. Nella suite era comparso anche Simon, che aveva accompagnato Clary. Il neo-vampiro sapeva quanto fosse pericoloso per lui stare al DuMort, ma se si trattava della sua ragazza, l’avrebbe seguita fino in capo al mondo. Non importava quanto fosse pericoloso. Non importava quante persone volessero piantargli un paletto nel cuore. O forse era quello che voleva. Che qualcuno gli desse quello che si meritava per essere stato un perfetto idiota. Forse avrebbe voluto pagare per aver tradito la sua famiglia. Sapeva di meritarselo. Lo sapeva. Forse era quello il vero motivo per cui era andato con lei, anche dopo come lei lo aveva trattato. Non perché l’amava tanto incondizionatamente da fare di tutto per lei. Non per quel motivo. Mentre Isabelle si dirigeva in fretta verso la rossa e furiosa Shadowhunter, disse:
-Clary, cosa stai… -la ragazza si voltò verso di lei, gli occhi quasi iniettati di sangue, tanto in fretta da colpire Raphael in faccia con la sua chioma color carota. Il vampiro non riusciva a sopportare tutto quel dramma Shadowhunter. Avrebbe fatto meglio a starne fuori. E invece teneva troppo a Isabelle, e continuava a farsi usare in quel modo, anche non volendo ammetterlo. Tutte e quattro le persone in quella stanza avevano qualcosa che non volevano ammettere. Isabelle sapeva che Clary la vedeva solo come un’amica, ma non riusciva ad accettarlo, così continuava a cercare di farsi notare. Clary non voleva ammettere di essere innamorata di Jace, continuava a fingere che le cose tra lei e Simon andassero perfettamente. Simon non voleva ammettere a sé stesso di aver capito di non avere mai avuto Clary, continuava ad andarle dietro come un’ombra. Era terribile vivere così. Ma, forse, presto, avrebbero trovato una soluzione. O forse sarebbe andata avanti così per sempre.
-Sto solo tentando di proteggerti, Isabelle. –la giovane Lightwood la raggiunse, afferrandola per il braccio con il quale l’altra teneva la spada angelica. Non sapeva se l’avesse fatto perché aveva un senso o solo perché bramava un contatto con lei, anche se così insignificante. Cercò di guardarla negli occhi, anche se gli occhi verdi della rossa continuavano a tenere sotto controllo Raphael, che era rimasto immobile per tutto quel tempo, così come Simon, fermo vicino al divano.
-Facendo cosa? –esitò, cercando di trovare le parole giuste per farsi capire. -Entrando così all’improvviso e minacciando il leader del più potente Clan di vampiri di New York con una spada angelica? –quello era il punto. Non che potesse fare cose del genere, seriamente. Soprattutto dopo quello che aveva fatto al Clan. Liberare un vampiro ultracentenario e destinato a rimanere in una bara per il resto dell’eternità, soltanto per scopi personali. Certo, poteva capirla, sua madre era stata più importante di tutto, ma ora era morta, quindi a cos’era servito? Clary la osservò per qualche secondo, pur sapendo che aveva ragione. Ma Isabelle era sua amica, doveva proteggerla. E poi, era stato Alec a mandarla lì, dicendole di riportare sua sorella all’Istituto anche a costo di trascinarla. Quando era entrata e aveva visto la Nephilim e il vampiro che si baciavano, non ci aveva più visto. Quella relazione era folle. Non si poteva chiamare amore, era fuori di testa. Avrebbe voluto argomentare un po’ di più la sua causa, ma l’unica cosa che uscì dalle sue labbra fu:
-Non puoi stare con lui! –a quel punto Isabelle si ritrovò in uno stadio tra il felice –perché quella sembrava proprio gelosia –e l’irritato. Non poteva certo permettersi di venire a dirle certe cose. Lei, più di tutti. Izzy non poteva stare con un vampiro, ma Clary sì? Ah, ma certo, era diverso. Simon era sempre stato il suo migliore amico, non le avrebbe mai fatto del male. Non era come tutti gli altri vampiri, lui. La scosse un po’ per il braccio, cercando di non suonare troppo arrabbiata, mentre diceva, ripetendo quel discorso per la centesima volta:
-Perché? Soltanto perché è un Nascosto? –continuava a ripeterlo, ma non era colpa sua se nessuno, proprio nessuno, voleva capire che quello che stavano dicendo non aveva senso. Davvero, nessun senso. Perché doveva essere così? Che cose avevano mai fatto i Nascosti a Clary? Niente, era lei ad aver fatto fin troppe cose a loro. Cosa assolutamente insensate e egoiste. Ai vampiri più di tutti. Questo la rendeva insopportabile a volte. Soltanto perché era la figlia di Valentine, sapeva creare nuove rune e aveva sopportato troppe cose credeva di avere tutti i diritti possibili. Ma avrebbe dovuto capire che non aveva sempre ragione. La rossa non aveva in mente niente se non la sicurezza di Isabelle. Le sembravano ridicole quelle domande. Era fin troppo ovvio il perché. Eppure la mora non capiva.
-Non mi fido di lui dopo quello che ha fatto a Simon. –Raphael era stato in silenzio fino a quel momento, ma quella frase lo fece parecchio arrabbiare. Le sue sopracciglia scattarono in alto.
-Dopo quello che io ho fatto a Simon? –la Fairchild non poteva permettersi di dire quelle cose. Perché non avevano assolutamente senso. Era stata lei a decidere che rivoleva indietro il suo caro e dolce migliore amico. Era stata lei a decidere che sarebbe diventato un vampiro, invece di risparmiargli l’Inferno e lasciarlo morire in pace. Non poteva scaricare la colpa su di lui, dopo tutto quello che lei aveva fatto. Clary tornò a guardarlo, un’espressione davvero adirata. Come se ne avesse il diritto. Strinse la presa sulla spada angelica e la avvicinò di qualche millimetro al collo del vampiro, che lanciò alla lama un’occhiataccia, per quanto fosse possibile. Non aveva alcuna intenzione di morire di nuovo così.
-Zitto, Raphael! Questo è tra me e Isabelle. –la giovane Lightwood le lasciò andare il braccio, con fare schifato, squadrandola. Quello che aveva detto non aveva alcun senso. Stava solo usando delle scuse. Non era certo Simon il motivo di tutta quella situazione. E poi, parlando chiaro, Raphael non aveva fatto assolutamente nulla a Simon. Certo, a parte rapirlo. Ma non era certo colpa sua se era diventato un vampiro. Era stata Clary a non rispondere a nessuna delle sue chiamate. Era stata lei a ignorarlo completamente e a lasciarlo morire.
-Ma almeno senti quello che dici? So che è tutto solo perché è un Nascosto. –non ci poteva essere altro motivo. E poi, era sicura che fosse una coincidenza un po’ strana il fatto che Clary facesse irruzione all’hotel proprio mentre lei era lì. Di sicuro era stata mandata da Alec a “risolvere la situazione”. Anche se non c’era assolutamente niente da risolvere. Suo fratello avrebbe dovuto smettere di comportarsi così e lasciarle vivere la sua vita come voleva. Non era più una bambina, anche se lui faticava a capirlo. Era una cosa insopportabile.
-Be’, forse è davvero per questo, e allora? –ecco. Almeno adesso aveva smesso di mentire. Non che la cosa facesse meno rabbia a Isabelle. Non aveva comunque senso. Non riusciva proprio a capire perché nessuno riusciva a capire. L’amore era amore, perché doveva essere diverso per vampiro? Perché loro non avevano diritto a un po’ di felicità, come ogni altro essere umano e non su quella terra? Non avevano mai chiesto di essere così. Eppure tutti continuavano a comportarsi come se lo avessero scelto. Come se avessero scelto di essere mostri. Come se avessero scelto di essere visti come dei mostri.
-Ti stai rendendo ridicola! Tu stai con Simon, no? E Alec con Magnus! Perché è diverso per me? –Clary doveva ammettere che Isabelle aveva un punto valido. Ma comunque non poteva lasciare che quella follia continuasse. E poi, con loro era diverso. Bastava guardarli per capire che era diverso. Quindi quella della mora era una domanda stupida.
-Non sei tu, è lui! Simon è il mio migliore amico e Magnus mi ha aiutato, mi fido di lui. –a quel punto Isabelle credette che avrebbe cominciato a urlare e a spaccare tutto. Erano così che stavano le cose? Era lei a decidere chi andava bene e chi no? Era lei a decidere chi poteva vivere la propria vita come voleva e chi no? Era solo la figlia di Valentine, un uomo pazzo convinto di essere un Dio. Lei poteva non essere suo padre, ma di certo, credeva di avere gli stessi diritti. Di poter decidere il destino di tutti.
-Il mondo non gira attorno a te, Clary! –sbottò, incapace di sopportare un attimo di più quei ridicoli discorsi. Lanciò uno sguardo a Raphael, ancora immobile contro la parete, che sollevò di poco un sopracciglio. Non riusciva a vederlo così, letteralmente con le spalle al muro. -Clary, lascia andare Raphael. –disse, con tono imperioso, riprendendo il braccio della ragazza, senza alcuna intenzione di cedere, questa volta. La rossa sospirò ma fece un paio di passi indietro, lasciando il vampiro di nuovo libero di muoversi. -Raphael, vieni. –Isabelle lasciò andare Clary e prese la mano del capo Clan, guidandolo verso il divano, facendolo sedere e voltandosi di nuovo verso la giovane Fairchild, ancora arrabbiata. Questa volta sia lei che Alec avevano passato il segno. Raphael lanciò un’occhiataccia a Simon, che stava lì vicino. Gli occhi del neo-vampiro rimasero freddi e privi di emozione, quasi come quelli di un vero vampiro, si sarebbe potuto dire. Intanto, il discorso tra Clary e Isabelle andava avanti.
-Non ci posso credere! Sei davvero così stupida? –esclamò la rossa, il viso sconvolto. Ah, se lei era stupida allora Clary era proprio una cretina, su questo non c’era dubbio. Ripensandoci dopo non avrebbe potuto credere a sé stessa. Per una volta non le importava di quello che l’altra Nephilim pensava di lei, per una volta le importava soltanto mettere le cose in chiaro, far valere la sua causa. Per una volta quella stupida storia d’amore non era più importante della sua dignità. Per una volta decise di farsi valere.
-Stavo per farti la stessa domanda! Non sai nulla. –era vero. Clary non aveva idea di quello che stava dicendo, non ne aveva. Non poteva sapere quello che sapeva lei, dava solo le cose per scontate, mentre in realtà non lo erano affatto.
-Raphael non è una persona buona, Isabelle. –oltre alla sua dignità, la cosa più importante di tutte era quello che aveva con Raphael. La rossa non avrebbe mai capito quanto quei due si amassero. Questo fece davvero arrabbiare Izzy. Lui non era stato una persona buona con Clary forse, perché non se lo meritava. Non dopo essere stata così egoista. Ma il vampiro non era una persona cattiva. Cercava soltanto di fare quello che era giusto per lui e per il suo Clan. Nessuno aveva il diritto di dirgli quelle cose. Nessuno aveva il diritto, nessuno sapeva quello che lei sapeva.
-Stai zitta! Tu non lo conosci! Non sai che cosa ha passato, non lo sai! Non sei l’unica che ha il diritto di soffrire, non puoi controllare la vita di tutti! –a Raphael fece quasi male il cuore già morto, vedendo quanto Isabelle lo stesse difendendo. D’altra parte non voleva che la mora dicesse a tutti la storia della sua vita in un attimo di rabbia. Anche se dubitava l’avrebbe fatto. E poi, nemmeno lei sapeva tutto. Nessuno avrebbe mai saputo tutto di lui. Avrebbe sempre avuto segreti tanto oscuri che sarebbero sempre stati sepolti nella notte senza stelle. Clary rimase stupita da quelle parole. Isabelle non era mai stata tanto dura con lei. Però si rese conto che aveva ragione. Aveva dato per scontato che… Non sapeva nemmeno che cosa, ma dalla rabbia sul viso dell’amica capì che aveva sbagliato tutto. Le venne un’improvvisa voglia di piangere. Balbettò alcune parole insensate, sentendosi un tremendo nodo in gola.
-Ma… Sto solo cercando di… -Isabelle non lasciò finire quella frase senza senso. La fermò prima che potesse continuare, quasi urlando. Altra cosa che stupì Clary. La giovane Lightwood era sempre stata gentile con lei, l’aveva sempre capita. Non sapeva cosa fosse cambiato. Forse era davvero colpa di Raphael.
-Andatevene subito! –a quel punto intervenne Simon, che era rimasto in silenzio ad ascoltare quella conversazione fino a quel momento. Disse solo quattro parole, la voce piatta e calma, senza espressione. Era strano vederlo così. Poco tempo prima era soltanto un vampiro con abitudini da Mondano, e ora…
-Non senza di te. –disse, facendo un passo avanti, verso Isabelle, guardandola negli occhi. La mora guardò prima Clary poi Simon, indecisa sul da farsi. Da una parte avrebbe voluto restare lì, dimenticare tutto ed essere felice. Ma sapeva di dover affrontare Alec, altrimenti tutta quella situazione non sarebbe cambiata. E lei era veramente stanca di doversi battere per poter vivere la sua vita. Per una volta doveva essere chiara e coincisa. Se suo fratello ancora non avesse capito, non sapeva cosa avrebbe fatto. Magari si sarebbe fatta togliere le rune e avrebbe vissuto una vita migliore, senza cercare di continuo di compiacere alla famiglia, cosa che le riusciva particolarmente male.
-Voi… -sospirò, prima di continuare. -Ok, ok, vengo con voi. –disse, con tono annoiato. Non voleva mostrare loro di aver ceduto così facilmente. Ma era una cosa che doveva sistemare, per una buona volta. Si diresse verso il divano, lanciando uno sguardo poco felice a Simon, che la guardò passare senza battere ciglio. A Isabelle dispiaceva un po’ dover lasciare da solo Raphael, ma sapeva che lui avrebbe capito, come al solito. Nessuno stranamente riusciva a capirla più di lui. –Scusami, Raph. –disse il suo nome abbreviato con parecchia enfasi, cercando di non guardare gli altri due, che di certo li stavano osservando. Lui le prese la mano, guardandola con i suoi occhi scuri, sorridendo debolmente.
-Starò bene. Vai pure. –certo. Lui sarebbe sempre stato bene. Non doveva preoccuparsi per lui. Avrebbe tirato avanti, qualunque cosa fosse successa. Isabelle sperò che stesse dicendo la verità. Sapeva che a volte era meglio mentire che dire la verità, e non era sempre così facile leggere gli occhi del vampiro, scuri come pozzi. Sarebbe sempre riuscito a nascondere quello che sentiva in quell’oscurità infinita.
-Grazie. –gli disse piano, stringendo la sua mano. Poi, si mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio e gli diede un bacio su una guancia, mormorando:
-Ti amo… -sentiva lo sguardo di Clary e Simon addosso, ma non importava. Loro potevano pensare quello che volevano, non importava. Questa volta davvero non importava. Dopodiché si allontanò e andò a prendere la torta, che non aveva assolutamente intenzione di lasciare lì soltanto perché la giovane Fairchild le lanciava occhiate arrabbiate, insistendo perché se ne andassero. Raphael rimase seduto sul divano, ad osservare la scena. Era stato qualcosa di incredibile vedere Isabelle dire tutte quelle cose alla Fairchild. Non credeva che l’avrebbe mai fatto, troppo accecata dal suo amore, e invece… Invece aveva deciso di difendere la sua dignità e lui, senza pensare a quello che la rossa avrebbe detto. Era sicuramente qualcosa di nuovo e inaspettato. Un sorriso gli comparve sul volto, ma sparì molto velocemente quando si accorse che Simon lo stava guardando. Quello stupido gli metteva dentro una rabbia cieca e oscura. Era come se lo stesse tenendo d’occhio. Come se potesse saltargli addosso da un momento all’altro e ucciderlo. Cosa che avrebbe fatto di certo volentieri, ma che non poteva fare, dato che probabilmente Isabelle non avrebbe approvato. Tentò fino all’ultimo di ignorarlo, tentò fino all’ultimo di ignorare quella rabbia, quella voglia di dirgli tutto quello che pensava, così come aveva fatto Isabelle con la Fairchild. Cercò di impedirlo, ma quando i tre fecero per andarsene, non riuscì a trattenersi. Scattò in piedi, esclamando, con fin troppa velocità e troppo volume di voce:
-Aspettate! –avrebbe voluto riuscire a usare la sua solita voce, quella voce apparentemente senza sentimenti, ma non sapeva cosa gli stesse capitando. Forse passare tutto quel tempo con Isabelle lo stava cambiando. Gli stava ricordando che anche lui poteva ancora vivere come un normale essere umano. Che anche lui aveva dei sentimenti, anche se li aveva nascosti nell’oscurità in cui era costretto a vivere sempre. 

Angolo autrice: 
Lo so, lo so, il discorso riprende bruscamente e si interrompe bruscamente, ma non potevo farci nulla, sorry, mi sembravano i punti migliori per separare questa parte. 
Woah, che cosa vorrà Raphael? E da chi? :)))) Questa volta non so cosa commentare, a parte il fatto che stavo detestando Clary scrivendo questo pezzo e amando Izzy perchè stava difendendo Raph *-* 
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi) 

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Capitolo 16
*** Don't put the blame on me pt.4.3 ***


Capitolo 4. – Don’t put the blame on me (pt.4.3)
Tutti e tre si voltarono verso di lui, Clary con espressione particolarmente stupita, come domandandosi perché non potesse semplicemente lasciarli andare in pace, senza dover pure dire qualcosa. Cosa che lo fece parecchio arrabbiare. Si rivolse a Simon, che non si era distaccato da quell’espressione fredda, blanda. –Devo parlare con il Diurno. –disse, recuperando il suo normale tono di voce. La Fairchild fece un passo avanti, come volendo difendere il suo ragazzo. Raphael tentò di alzare gli occhi al cielo senza farsi notare, cosa che non gli riuscì molto bene.
-Simon non ha intenzione di… -avrebbe voluto chiederle se era strettamente necessario che parlasse lei al posto del neo-vampiro, ma rimase zitto, troppo stupito dalla sua risposta. Credeva che quello stupido si sarebbe sempre fatto mettere i piedi in testa dalla migliore amica, che sarebbe sempre stato zitto, lasciando parlare lei, senza mai obiettare quello che lei diceva, sbavandole dietro come un lurido lupo mannaro, non si sarebbe mai aspettato una risposta del genere. Non si sarebbe mai aspettato che Simon avrebbe osato parlare.
-Posso parlare da me, Clary, grazie. –quel “grazie” suonò piuttosto ironico alle orecchie della ragazza. Si voltò verso il suo migliore amico, stupita. Era la prima volta che le diceva qualcosa che dimostrava che fosse effettivamente arrabbiato. Le faceva male vederlo così, vedere quanto fosse cambiato. Sapeva che era solo colpa sua se era diventato improvvisamente freddo e non più così allegro come lo ricordava. Gli aveva spezzato il cuore, non poteva aspettarsi di meglio. Decise di non obiettare, perché non sarebbe stato saggio.
-Va bene. –lanciò un’occhiata prima a Raphael poi a lui, aggiungendo:
-Ma stai attento. –Simon non ribatté niente, aspettò soltanto che le due Shadowhunter se ne fossero andate, domandandosi cosa volesse da lui l’altro vampiro. Anche se non voleva ammetterlo, l’idea di restare da solo con lui gli metteva i brividi. Sapeva che dopo quanto era successo, Raphael non l’avrebbe mai perdonato e che avrebbe potuto cercare di ucciderlo ogni secondo. Questo lo sapeva anche Clary, per questo non aveva voluto lasciarlo lì. Eppure lo aveva fatto arrabbiare. La sua ragazza doveva rendersi conto che ormai non era più un Mondano, ormai sapeva come difendersi.
-Okay, cosa vuoi? –sbottò in direzione del vampiro più vecchio, anche se non avrebbe voluto. Non sapeva perché l’avesse fatto. Era naturale per lui stare sulla difensiva quando si trattava di Raphael. Era l’unica persona in grado di spaventarlo, anche se non lo avrebbe mai ammesso. Il leader del Clan non fu per niente contento, sentendo il suo tono di voce. Era lui ad aver fatto irruzione all’hotel in compagnia di uno Shadowhunter, la figlia di Valentine. Non poteva permettersi di rivolgersi a lui in quel modo.
-Soltanto chiederti cosa credi di star facendo! –esclamò, facendo un passo avanti, con sguardo minaccioso. Simon fu tentato di fare un passo indietro, ma riuscì a resistere alla tentazione. Non doveva mostrarsi debole davanti a lui, altrimenti sarebbe potuto morire di nuovo e per sempre, e non era nella lista dei suoi regali di Natale. Prendendosi un attimo per osservare l’altro vampiro, si ritrovò a pensare che non l’aveva mai visto meno minaccioso che in quel momento, vedendo com’era vestito. E quanto in disordine fossero i suoi capelli. Si ritrovò anche a pensare che fosse adorabile, con quell’espressione arrabbiata sul viso. Ce la mise tutta pur di non ridere, e, strano a dirsi, ci riuscì. Poco tempo prima sarebbe scoppiato a ridere e allora sarebbe probabilmente morto. Poco tempo prima non era ancora un vero vampiro. Era solo un Mondano non-morto. Con ancora tutte le abitudini Mondane. Be’, no, non aveva perso l’abitudine di respirare, ma credeva che non l’avrebbe mai persa, senza nemmeno un vero motivo. Parlò quasi senza pensare, usando un tono di voce più duro di quanto non volesse.
-Isabelle è mia amica, e non ci si può fidare di te. –perché diavolo l’aveva detto? Non aveva assolutamente senso. E ci aveva messo così tanto a rispondere che sembrava che ci avesse dovuto pensare, mentre in realtà stava pensando a tutto tranne al discorso che stavano facendo. Raphael sentì un improvviso e intenso bisogno di ucciderlo. Come poteva dire questo? Come credeva di poterlo dire? Quello stupido non voleva proprio saperne di non essere stupido. Continuava a dire cose senza senso. Strinse i denti, cercando di stare calmo.
-Come osi proprio tu dire che non ci si può fidare di me? Tu? Hai tradito il tuo Clan, hai tradito la tua famiglia! Come osi! –in quel momento Simon avrebbe voluto scoppiare a piangere e dire che lo sapeva, che era stato un idiota e che voleva soltanto potersi scusare con la propria famiglia, potersi scusare con lui. Ma non lo fece. Non lo fece perché si era troppo abituato a recitare quella commedia che sembravano star recitando tutti. E perché all’improvviso, l’immagine della sua Clary Fray ancora Mondana e dolce gli si stampò in mente. Continuava ad amarla incondizionatamente, quella Clary. Non voleva accettare che era morta da tempo.
-È diverso. –disse solo, con incredibile freddezza. Una parte di lui a quel punto avrebbe voluto piantarsi un paletto nel cuore da sola. O ridursi a un falò. Era davvero così stupido, seriamente? Raphael cercò di non urlargli addosso, ma fallì miseramente.
-No, Simon, non lo è! –Simon si stupì della forza con cui la frase era stata pronunciata. Sentì il bisogno di fare un passo indietro. Sapeva che il vampiro più vecchio aveva ragione. Lo sapeva. Allora perché non voleva ammetterlo?
-Ma… -esitò, cercando di impedire che quelle parole uscissero dalla sua gola, ma senza risultato. Non sapeva perché non riuscisse a bloccarsi, perché continuasse a non vedere quante bugie ci fossero nelle sue parole. Perché sapeva la verità, ma continuava a mentire. Era così che lo aveva reso Clary? Be’, allora stava davvero diventando un problema. -Potresti farle del male, e non posso lasciare che accada! –esclamò, facendo un passo avanti invece che indietro, come avrebbe voluto. Questa volta toccò a Raphael dire qualcosa che non avrebbe voluto. Ma non poté impedirlo, si rese conto troppo tardi di quello che aveva detto. Quando ormai il danno era fatto. Non sapeva perché l’avesse detto. Avrebbe preferito che Simon continuasse a credere che lui non aveva sentimenti, che non potesse provare niente.
-Tu non ti sei fatto tanti problemi quando hai ferito me! –Simon non realizzò subito quello che l’altro aveva detto, fece per ribattere. Ma poi, il peso di quelle parole gli arrivò al cuore e sentì un bisogno ancora più forte di piangere. Quanto era stato stupido, quando era stato stupido… Aveva ferito Raphael, ma era andato avanti, continuando a dirsi che i vampiri non provavano niente, che non avevano niente dentro quel cuore fermo, pur sapendo che non era vero… Solo in quel momento si rese conto di quello che davvero aveva fatto. Non credeva che l’altro gli avrebbe mai detto qualcosa del genere, che gli avrebbe mai confessato una verità simile. Probabilmente l’aveva detto senza pensarci, ma l’aveva comunque detto. Non riuscì a trovare parole per ribattere, balbettò la solita scusa, quella che usava sempre per giustificare a sé stesso il suo errore. Ma quello non giustificava assolutamente niente.
-Io… Stavo solo cercando di aiutare Clary… -era vero, certo. Ma aveva comunque sbagliato. Lo sapeva, ma non lo avrebbe mai ammesso. Il suo amore per Clary lo aveva reso incapace di pensare, lo aveva reso manipolabile, lo aveva reso cattivo. E comunque era lì, ad accusare Raphael di cose non vere, di essere cattivo, troppo testardo per ammettere i suoi errori. Raphael avrebbe voluto gridargli che lo sapeva benissimo che l’aveva fatto solo per la sua amatissima Fairchild, senza pensare alle conseguenze, senza rendersi conto di star commettendo un errore. Ma questo non era in grado di scusarlo. Non l’aveva fatto negli ultimi due mesi, non l’avrebbe fatto adesso. Era sempre la Fairchild il problema. Sempre. Qualunque cosa succedesse nel Mondo delle Ombre da due mesi a quella parte, era a causa della figlia di Valentine Morgenstern. Quella ragazza aveva portato solo dolore e distruzione. Gli fece una domanda, incrociando le braccia al petto, guardandolo con sguardo tanto intenso che sembrava volesse bruciarlo.
-Dimmi, perché la ami così tanto? –Raphael non sapeva perché l’avesse chiesto, il Diurno avrebbe trovato tutti i motivi possibili e immaginabili e lui avrebbe dovuto ascoltarlo. E Simon. Simon si ritrovò incredibilmente senza una risposta. Avrebbe potuto dire che era perché lei era la sua migliore amica, e l’aveva sempre amata. Ma non sarebbe stata la verità. Perché la sua migliore amica non esisteva più. La dolce Clary che voleva entrare nell’Accademia delle Arti non esisteva più. La Clary che amava non esisteva più. La risposta più giusta sarebbe stata che non l’amava, ma questa era una cosa alla quale Simon non riusciva a pensare. Non riusciva assolutamente a pensarci, non voleva accettarlo. Lei continuava a dimostrare di aver perso ogni interesse per lui, di vedere solo Jace, e lui continuava a volerla amare, troppo testardo per ammettere la verità. Riuscì a far suonare la sua voce convinta quando rispose:
-Perché c’è sempre stata quando avevo bisogno di lei! In ogni momento della mia vita. Non mi ha mai deluso e mai lo farà. –sembrava avesse risposto di slancio, con una sicurezza interiore convinta. Ma la verità era che non sapeva nemmeno cosa avesse detto. Aveva risposto la prima cosa che gli era passata per la mente, senza nemmeno preoccuparsi di chiedersi se avesse un senso. Non rimase molto stupido scoprendo che non ce l’aveva. Raphael si lasciò sfuggire una risata sarcastica. Quella era la cosa più ridicola che avesse mai sentito. Magari una volta, quando lei era solo una stupida Mondana. Ma non poteva venirgli a dire un’idiozia del genere. Ogni parola della risposta di Raphael colpì Simon come un paletto, come una fiammata. Perché era tutto vero, e lui era stato tanto stupido da ignorarlo. Era stato tanto stupido da ignorare la verità, aveva continuato a correre dietro a Clary. Non sapeva cosa diavolo avesse sugli occhi che gli impediva di vedere. Una stupida cotta adolescenziale, ecco cosa. Mentre lui continuava a ripetersi che era vero amore.
-¿De verdad? Dov’era lei quando avevi paura di star diventando un vampiro? Dov’era lei quando sei venuto al DuMort per cercare risposte, visto che lei non c’era? Dov’era lei quando Camille ti ha prosciugato il sangue? Dov’era lei mentre giacevi sul pavimento del DuMort, in fin di vita? Dov’era lei mentre stavi morendo? È lei che ha deciso di riportarti indietro, trasformandoti in un vampiro, condannandoti a una vita d’Inferno, da Nascosto, nascosto nel buio della notte, invece di lasciarti morire. Dov’era lei quando sei corso via, spaventato da te stesso, da quello che eri diventato? Dov’era lei quando… -quel fiume di parole stava affogando Simon, che non riuscì più a sopportare tutto, con le lacrime che premevano per uscire. Era vero. Tutto era vero. Clary non c’era stata quando più aveva bisogno di lei, ma Raphael sì. E lui lo aveva ripagato comportandosi da cretino. Eppure, quello che disse non lo rese migliore. Avrebbe voluto scusarsi, ma non ci riusciva. E non sapeva perché.
-Stai zitto, Raphael, stai zitto! Non sai quello che stai dicendo! –Simon sapeva che il vampiro più vecchio sapeva perfettamente quello che stava dicendo, era lui che continuava a vedere la verità, ad accettarla dentro di sé, ma non riusciva a sistemare le cose. Era un disastro. Quello che stava succedendo, quello che stava dicendo, quello che aveva fatto. Ma anche lui era un disastro. Così come la sua vita. Clary gli aveva tolto la libertà, e lo capiva solo in quel momento. Aveva creduto che la rossa gli volesse davvero bene, anche con i suoi nuovi amici Nephilim. Ma si era sbagliato. Dopo qualche tempo aveva cominciato a ignorarlo. Raphael si sentiva stupido per avergli detto tutte quelle cose. Non avrebbe dovuto, avrebbe dovuto lasciarlo continuare a fingere, a recitare quella commedia d’amore con la Fairchild. Ma non aveva potuto impedirlo.
-No, sei tu a non sapere quello che stai dicendo! Non era lei ad essere lì per te, ero io! E ci hai traditi, mi hai tradito. –continuava a dire cose che non avrebbe voluto, continuava a mostrare al Diurno che era stato ferito da lui, continuava a mostrare di avere sentimenti, stava perdendo definitivamente il controllo. Aveva praticamente gridato ogni parola. Era felice del fatto che probabilmente a quell’ora tutti dovevano essere già usciti, considerando che la notte era già calata. Così nessuno poteva sentirlo urlare, nessuno poteva sentire quanto si sentisse male. Perché non era difficile da capire. Nessuno poteva sentire o vedere per quale motivo stupido il loro capo Clan si stesse distruggendo. Nessuno doveva sapere che in realtà era solo un debole. E che prima o poi sarebbe crollato, senza più riuscire a sopportare il peso di tutto.
-Io… Non posso dire che mi dispiaccia. Sto con Clary, e la amo. –ora si poteva dire che Simon avesse passato il segno. Se lo stava dicendo da solo. Stava mentendo. Gli dispiaceva così tanto che a volte desiderava morire, eppure, eccolo lì, che continuava a mentire. Avrebbe voluto poter abbracciare Raphael, piangere sulla sua spalla e dirgli che gli dispiaceva, che gli dispiaceva tanto che anche se lo avesse ucciso, avrebbe saputo di meritarselo. Ma non poteva farlo. Così continuava a insistere di amare Clary, continuava a usarla come scusa.
-Oh, sei così romantico, niño. –disse Raphael con tono ironico, tanto freddo che le parole avrebbero potuto congelarsi e diventare qualcosa di materiale. -Spero che tu sia felice ora. –sapeva che il Diurno gli avrebbe risposto che sì, era felice. Perché non avrebbe dovuto? Eppure la cosa lo faceva arrabbiare. Nessuno lo faceva arrabbiare quanto quell’estúpido. Simon rispose immediatamente, con sicurezza, anche se era tutto tranne che sicuro in quel momento.
-Sì, lo sono. Davvero. –aggiunse l’ultima parola dopo qualche tempo, più per convincere sé stesso che Raphael, che lo osservava con espressione scettica. Lui aveva capito. Lui aveva capito qual era la verità. E questo gli faceva male. Sperò per un attimo che fosse solo una sua impressione. Ma sì, probabilmente era così. Il capo Clan non sapeva nulla, era solo la sua voce che era suonata insicura, mentre credeva di aver parlato con sicurezza. Effettivamente era così, quando Simon aveva parlato, Raphael era riuscito a sentire una nota di insicurezza nelle sue parole. E se ne era stupito in modo incredibile. Perché era certo che l’altro lo avrebbe guardato, come sfidandolo, e avrebbe risposto che amava Clary alla follia o qualcosa del genere, che era ovvio che fosse felice. E invece aveva detto solo quello. Decise di ignorare questo fatto e alzò gli occhi al cielo, indicando l’uscita con una mano.
-Vattene, adesso. Non sopporto la tua vista. –quello che avrebbe voluto dire in realtà era che non sopportava vedere quanto Simon amasse Clary, ma non poteva certo farlo. Il Diurno strinse i denti, senza spostarsi.
-Nemmeno io. –una vocina nella sua testa gli disse che era un bugiardo, ma decise di ignorarla e continuare a comportarsi come si era comportato fino a quel momento. -Dirò “ciao” a Clary da parte tua. –Raphael avrebbe voluto dirgli che poteva benissimo non fare finta che lui e la Fairchild andassero d’accordo. Non si erano mai piaciuti, ma dopo la storia con Camille non si sopportavano proprio. Da quando il vampiro aveva cominciato a “uscire” con Isabelle, poi.
-Grazie. –disse solamente. Non avrebbe voluto continuare, ma fu più forte di lui. Per un attimo si stupì di averlo detto ad alta voce. -Continua pure a mentire a te stesso. –Simon fece finta di non averlo sentito, continuando a mentire a sé stesso, e si voltò, dirigendosi verso l’uscita. Raphael gli tenne gli occhi addosso, aspettando solo che uscisse per poter essere finalmente lasciato in pace con i suoi pensieri, ma, all’ultimo momento il vampiro più giovane si rivolse un’ultima volta a lui, senza guardarlo. Altrimenti il capo Clan avrebbe visto le lacrime scarlatte nei suoi occhi. Non sapeva perché lo stesse dicendo. Non era quello che voleva dire.
-Spero di non vederti mai più. –non era quello che voleva dire. Avrebbe voluto che Raphael gli impedisse di andarsene, avrebbe voluto che gli desse un’altra possibilità, ma non trovava il coraggio di dirlo. Così avrebbe continuato a stare dietro a Clary, adorante. Riprese a camminare, il più lentamente possibile. Appena ebbe svoltato l’angolo, quando fu sicuro che il vampiro più vecchio non poteva più vederlo, iniziò a correre, lasciando che le lacrime gli scorressero sul viso. Non importava cosa Clary avrebbe pensato vedendolo, sempre che non fosse già tornata all’Istituto. Le avrebbe detto qualcosa di stupido, del tipo che… Oh, non lo sapeva. Che gli era entrato qualcosa nell’occhio o che Raphael aveva minacciato la sua famiglia, pur sapendo che era una bugia. Ma la sua migliore amica non avrebbe mai accettato la verità. Non avrebbe mai accettato il fatto che Simon volesse trovare un modo per farsi perdonare. Non avrebbe mai accettato il fatto che volesse… Non sapeva nemmeno lui che cosa voleva. Non lo sapeva, e questa era la cosa peggiore di tutte.
Raphael non si era spostato nemmeno di un centimetro da dov’era quando Simon se n’era andato. Si sentiva stupido. Non sapeva perché avesse voluto parlare con lui, non sapeva perché gli avesse detto quelle cose. Avrebbe dovuto stare zitto, come sempre. Avrebbe dovuto accettare e andare avanti, come sempre. Ma se non si fosse liberato in parte da quel peso non sarebbe riuscito ad andare avanti, quella volta. Quindi, non si poteva dire che stesse così male. Eppure tutte quelle cose che Simon gli aveva detto, lo avevano confuso. Allora era davvero stupido. Non era solo stato condizionato dalla Fairchild. Non c’era una cosa che aveva detto che avesse un senso. Quel ragazzo lo avrebbe fatto diventare pazzo. Stava fissando un punto imprecisato del pavimento, la mente altrove. Prima che potesse controllarsi, una parola gli sfuggì dalle labbra. Si ritrovò a stupirsi della dolcezza con cui l’aveva pronunciata, e dell’amarezza che sentiva dentro. Era una cosa senza senso. Ma ormai le cose avevano smesso di avere senso molto tempo prima.
-Idiota… -

Angolo autrice
So, ecco l'ultimo pezzo di questa parte! :) Allora, se devo essere sincera, quando mi ero immaginata questo discorso Simon doveva essere molto convinto di quello che stava dicendo, ma poi si è confuso, e devo dire che non sono del tutto delusa da questo fatto. Sinceramente, qui non so chi sia più stupido tra Simon e Raphael, perchè entrambi dicono cose che non vorrebbero dire, ma certo le cose che dice Simon sono peggiori (e degne della sua stupidità ^^") Ma, oh, si sono rivolti la parola per la prima volta in tutta la mia storia! Ops. Detto questo, vi saluto! A domani :D
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi) e potrei non aver azzecato le parole in spagnolo ma non sono proprio la massima esperta ehm

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Capitolo 17
*** Don't put the blame on me pt.5 ***


Capitolo 4. – Don’t put the blame on me (pt.5)
Era preoccupato per Jace. Clary era passata dall’Infermeria, parecchio tempo prima, e lui aveva finto di star dormendo. Ora lo stava osservando, mentre dormiva veramente. Erano successe troppe cose strane alla festa della sera prima, e l’entrata di Jace era stata la peggiore. Clary aveva urlato, aveva pianto. Aveva visto l’espressione di Simon, aveva capito come si sentiva in quel momento. La storia d’amore tra Jace e Clary faceva male a tutti, ma più di tutti a loro. Jace non le aveva ancora detto di non essere suo fratello, e Alec dubitava che lo avrebbe fatto tanto presto. Certo che no, lui era convinto che lei e Simon fossero una bellissima coppia e che si amassero alla follia. Se solo avesse visto come la rossa aveva reagito quando lo aveva visto steso a terra, avrebbe cambiato idea… Avrebbe potuto dirglielo lui, ma sapeva che il suo parabatai lo avrebbe guardato con espressione vuota, senza credergli fino in fondo. Sapeva che non sarebbe mai stato felice senza la ragazza, lui lo poteva sentire. C’erano così tante preoccupazioni per lui, specialmente in quegli ultimi tempi. Jace non si vedeva quasi mai, Clary stava sempre con Simon, non riusciva più a parlare con Isabelle, c’era una nuova Shadowhunter all’Istituto, Aldertree era tornato ed era ancora più noioso di prima, sua madre stava malissimo e continuava a non mostrarlo, suo fratello era ancora troppo piccolo per capire, stavano sparendo Mondani quasi a vista d’occhio, Valentine non voleva parlare, la Spada dell’Anima era scomparsa… E adesso Jace era ferito in infermeria, con la pelle della faccia distrutta. Si passò una mano sul viso, sospirando. Credeva che prima o poi sarebbe esploso. Era sempre stato così per lui, dato che era il fratello maggiore. Si caricava da sempre il peso del mondo sulle spalle. Credeva di poter salvare tutti, ma non ci riusciva sempre, e questo lo faceva sentire terribilmente responsabile. Per risolvere almeno quello che stava succedendo con Izzy, dato che non poteva parlarle, visto che lei non voleva ascoltarlo, aveva mandato Clary e Simon a prenderla all’hotel DuMort e a portarla all’Istituto anche a forza. Doveva davvero parlare con lei. Se non poteva farla ragionare poteva almeno costringerla a trovare una soluzione. Anche usando metodi che non gli piacevano per niente. Chiuse gli occhi, sperando che i due si sbrigassero, altrimenti sarebbe crollato. Poi, una voce. Credette improvvisamente di trovarsi in paradiso. Sembrava che qualcuno lo avesse liberato da ogni sua preoccupazione. In quel momento non esisteva niente se non quella voce, che pronunciava solo il suo nome, con un tono che lo avrebbe sempre fatto uscire di testa.
-Alexander… -sentì una delle mani di Magnus scivolare sulla sua spalla e sorrise, debolmente. Poteva sopportare ogni tipo di giornata orribile, con quello stregone al suo fianco. Non si era mai sentito come si sentiva con lui, in tutta la sua vita. Certo, durante il loro primo vero appuntamento era caduto dalle scale atterrando sul pianerottolo di faccia, ma in fondo era quello il punto. Era sempre terribilmente serio con tutti, con Magnus non poteva essere altro che impacciato. Prima di incontrarlo credeva che non avrebbe mai trovato l’amore, dato che era stato così stupido da innamorarsi del suo parabatai. Che era molto etero. E anche se non lo fosse stato, i parabatai non potevano provare quel tipo di amore. Eros. Pensandoci quella era l’unica cosa positiva che aveva portato Clary. Gli aveva fatto conoscere Magnus. E Alec le sarebbe sempre stato grato per questo. Ma aveva portato anche cose orribili, per la maggior parte. Per esempio, aveva spezzato il cuore di Jace. Lui era l’unico che potesse saperlo, il giovane Wayland si era aperto solo a lui. Dopotutto era così che doveva essere. Loro erano parabatai, erano più che fratelli. Dove andrai tu andrò anch’io. Dove morirai tu, morirò anch’io; e vi sarò sepolto: L’Angelo faccia a me questo e anche di peggio, se altra cosa che la morte mi separerà da te. Non erano legati dal sangue, ma dall’anima. Erano un’anima sola in due corpi. Senza smettere di sorridere, aprì gli occhi, prese la mano di Magnus. Aveva le unghie pitturate di nero con anche troppi glitter. Quella sua mania per il glitter lo divertiva più di quanto volesse ammettere. Aveva visto il povero Presidente Miao subire i suoi esperimenti, e ritrovarsi il pelo coperto di brillantini. –Stai bene? –gli domandò lo stregone, usando un tono di voce dolce e preoccupato allo stesso tempo. Alec non si accorse subito che gli era stata posta una domanda. Gli era venuto improvvisamente un grande sonno. Avrebbe soltanto voluto appoggiarsi a Magnus, sentire il suo profumo, e addormentarsi al suono del suo respiro… Chiuse di nuovo gli occhi, cercando di non addormentarsi davvero. Se Isabelle fosse arrivata, sarebbe anche stata arrabbiata, non c’era dubbio, non sarebbe stato il massimo essersi addormentato. Magnus sorrise dolcemente. Quel Nephilim sarebbe stata la sua rovina. Lo amava in un modo assurdo, era sicuro che in tutti quei secoli, con tutte le diciassettemila relazioni che aveva avuto, non avesse mai amato nessuno come amava lui. Lui gli era subito entrato nel cuore, con quegli occhi azzurri e quei capelli neri. Forse non sarebbe mai riuscito a dirgli tutte quelle cose, ma forse Alexander lo sapeva. Era difficile vivere una vita eterna. Pochi potevano capire come ci si sentisse. Uno di questi pochi era Ragnor. Era stato terribile vederlo morire, vederlo privato di quella vita infinita che avrebbe dovuto vivere… C’erano delle persone che aveva dato per scontato che sarebbero rimaste con lui per sempre, per sostenerlo quando qualcuno moriva. Eppure nessuno di loro era invincibile. Potevano morire, come ogni comune mortale. Ogni tanto Magnus pensava che prima o poi anche Alexander se ne sarebbe andato, portandosi dietro tutta la gioia che aveva dentro, e anche un pezzo del suo cuore. Tutti gli avevano portato via un pezzo di cuore, ma sentiva che quello che il suo bel Nephilim avrebbe portato via sarebbe stato più grande. Lui era entrato nella sua vita e l’aveva sconvolta, solo con la sua presenza. A volte rideva, pensando a quanto lui gli ricordasse un certo ragazzo, un certo Herondale. E rideva ancora di più pensando a quello che avrebbe detto vedendo il suo cognome. Lightwood. Lightworm. Quelle volte avrebbe voluto correre alla città di ossa e raccontarlo a fratello Zaccaria. Ma sapeva di non poterlo fare. E poi, da quando quel certo Herondale era morto, quasi un secolo prima, Jem aveva perso un po’ della sua gentilezza. Un pezzo del suo cuore se n’era andato con quello che era stato il suo parabatai…
Alexander non aveva ancora risposto alla sua domanda, teneva gli occhi chiusi. Magnus avrebbe dato di tutto pur di rivedere quegli zaffiri, in quel momento. Aveva paura del momento in cui si sarebbero chiusi e mai più riaperti. Certo, lo Shadowhunter aveva solo vent’anni, ma combatteva quasi giornalmente contro demoni e vari… Alec si riscosse. Si era quasi addormentato. Che stupido. Lanciò un’occhiata a Jace, che stava ancora dormendo, e poi rivolse il suo sguardo allo stregone, che lo guardava con dolcezza. Per l’Angelo, quanto lo amava. E ce ne aveva messo di tempo ad ammetterlo a sé stesso. Aveva cercato fino all’ultimo di mantenere alto l’onore della famiglia, ma quando Magnus aveva varcato la soglia, durante il matrimonio, non ci aveva più visto. Aveva dovuto andare da lui, aveva dovuto baciarlo. O altrimenti non avrebbe più ripreso a respirare. Si accorse solo in quel momento che probabilmente lo stregone gli aveva fatto una domanda, e aspettava una risposta. Lasciò andare bruscamente la sua mano, senza nemmeno sapere perché.
-Sì, sì… Sono preoccupato per Jace, tutto qui. –ma non era “tutto qui” e Magnus lo sapeva alla perfezione. Quel ragazzo si caricava di continuo il peso del mondo sulle spalle. Ma non poteva reggerlo tutto il tempo, prima o poi sarebbe crollato. Lo stregone avrebbe voluto chiedergli di andare da lui, di smetterla di preoccuparsi almeno per quella sera. Ma sapeva che sarebbe stato inutile, quel ragazzo sapeva essere testardo quando voleva. Così, decise soltanto di salutarlo, dicendo che sarebbe tornato il giorno dopo per vedere come stava Jace.
-Ormai è tardi, Alexander. Credo che tornerò a casa, ma domani tornerò. –Alec si voltò verso di lui, lo sguardo triste, come se si sentisse in colpa. Sapeva che Magnus avrebbe voluto che andasse da lui, lo voleva anche lui, ma doveva ancora parlare con Isabelle, com’era suo dovere, dato che era il fratello maggiore. Lo osservò soltanto per qualche attimo, gli occhi verdi alla luce delle lampade. Gli chiese se voleva che andasse con lui, ma lo stregone indicò il giovane Wayland steso sul letto con una mano, dicendo che sarebbe stato più utile lì, con la sua famiglia. Alec gli sorrise, felice che lui capisse. Magnus si voltò verso la porta e fece per andarsene, ma il Nephilim lo chiamò e lo fermò, afferrandolo per un braccio. Prima che lo stregone potesse accorgersi di quello che stava accadendo, l’altro catturò le sue labbra per un bacio da togliere il fiato, sembrava che la fine del mondo fosse prossima. Quando si separarono, i capelli di Alec sparavano in tutte le direzioni ed erano pieni di glitter. Magnus rise, baciandolo un’ultima volta, lentamente e dolcemente, prima di andarsene. Lo Shadowhunter rimase fermo a fissare il vuoto, sorridendo come un cretino. Nessun’altro al mondo gli avrebbe mai portato tanta gioia quanto il sommo stregone di Brooklyn. Rimase immobile dove si trovava, senza riuscire a smettere di sorridere, fino a quando da dietro le sue spalle non giunse una voce assonnata:
-Trovarvi una stanza, voi due? –Jace lo stava osservando, gli occhi bicolore arrossati dal sonno e i capelli aggrovigliati, un ghigno sul viso.
 
Angolo autrice:
MALEC! :D Scusate, questi due mi fanno davvero sclerare. Ma, andiamo, chi non li ama? E chi non ha amato la scena del matrimonio? Questi due saranno la mia rovina. Non scrivo molto spesso di loro perchè sono già felici nella realtà, lasciamoli in pace. Invece, torturiamo un po' le ship che non sono canon! (riferimenti csuali). E naturalmente doveva esserci "Jace il terzo incomodo", come poteva mancare? XD Domani, l'ultima parte di questo capitolo (alla buon ora). Preparatevi per varie disperazioni :0 Perchè non ne avrò mai abbastanza di torturare il povero Raphael, anche se è il mio personaggio preferito ^^" 
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi) 

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Capitolo 18
*** Don't put the blame on me pt.6 ***


Capitolo 4. – Don’t put the blame on me (pt.6)
Era ormai sera inoltrata. Isabelle se n’era già andata dal DuMort da diverse ore. Era da più di mezz’ora che Raphael faceva avanti e indietro nella sua suite, osservato da Lily, che era seduta sul divano. Da quando la Shadowhunter se ne era andata, non aveva fatto altro che pensare a Simon, a tutte le cose assurde che il vampiro più giovane gli aveva detto. L’aveva fatto davvero arrabbiare, continuando a insistere così su quanto amasse la sua “bellissima e dolcissima” migliore amica. Era stato insopportabile. E poi, gli aveva detto che non ci si poteva fidare di lui. Di lui. Dopo aver tradito il suo Clan, si permetteva di andar a fare la predica sulla fiducia a lui. E poi, la cosa peggiore di tutte, aveva detto di amare la Fairchild perché lei non l’aveva mai deluso. ¡Por favor! Quel nuovo vampiro credeva di sapere tutto, credeva di essere in grado di fare tutto. Esattamente come la sua ragazza. Quei due non sapevano nulla, poco più di due mesi prima erano ancora solo Mondani. Eppure arrivavano lì e credevano di sapere quale fosse la cosa migliore da fare, cosa fosse giusto. Li odiava entrambi. Era da mezz’ora che si stava sfogando con Lily, che non riusciva a capire proprio tutto quello che il suo leader diceva.
-Te das cuenta di quello che mi ha detto? Como se atreve, quello stupido? Ed era anche convinto! Avrei voluto spaccargli la cara. E poi, la Fairchild? Venire qui e amenazarme? Davvero? Da troppe cose per scontate, la roja. –Lily sapeva che Raphael era parecchio arrabbiato. Solo quando era davvero adirato parlava in spagnolo, come dimenticandosi che non tutti potevano capirlo. Le dispiaceva vederlo così. Ogni volta avrebbe voluto andare a prenderlo per il collo, quel Diurno, e fare un falò con i suoi arti. Nessuno poteva permettersi di trattare in quel modo il suo migliore amico, tanto meno il traditore. Considerando che sembrava che il vampiro non avesse alcuna intenzione di smettere di parlare, Lily decise che sarebbe stato meglio fermarlo.
-Raph. –disse solo, ma lui non sembrò sentirla. –Raph! –a quel punto smise di camminare freneticamente e si voltò per guardarla. La vampira si mise una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio, improvvisamente in imbarazzo sotto lo sguardo dell’altro. –Lo sai vero che capisco meno della metà di quel che dici? –disse, dopo essersi schiarita la voce. Raphael lasciò ricadere le braccia, che prima muoveva nell’aria quasi come se volesse scacciare degli insetti fastidiosi –probabilmente i suoi pensieri -, lungo i fianchi. Sospirò, cosa che non avrebbe mai fatto prima di conoscere Simon –pensò la vampira, non senza che una certa rabbia le salisse dentro -, e si andò a sedere accanto a lei, passandosi una mano sul viso.
-Scusami, Lirio… –quello era il nome di Lily in spagnolo. Quando lui la chiamava così la vampira sentiva una profonda gioia nel cuore. –È che non riesco a smettere di pensare a lui… -guardò davanti a sé, non lei, dicendolo. Sapevano entrambi quale fosse il motivo. Non era tanto perché Simon era un traditore e non riusciva a smettere di pensare a quel tradimento. Quasi nessuno a parte lei sapeva quale fosse il vero motivo. Be’, se si voleva essere precisi, nessuno sapeva quanto il loro leader pensasse al Diurno, ed era decisamente meglio così. Altrimenti avrebbero visto che era debole, e questa era l’unica cosa che Raphael voleva impedire. Ma lei non voleva accettare quel motivo. Le faceva male dentro vedere il suo Raph così. Non l’aveva mai visto così prima di due mesi prima. In realtà sì, decenni prima, solo una volta. E non era finita bene. Simon era stato così cieco da non vedere lui, ma lui era sempre stato così cieco da non vedere lei. E questo la feriva, anche se non lo avrebbe mai ammesso. Il suo leader meritava di essere felice. La sua vita era già abbastanza complicata, non serviva lei a complicargliela ancora di più. Si riscosse dai suoi pensieri, accorgendosi solo in quel momento che Raphael la stava chiamando. La stava osservando con i suoi profondi occhi scuri. Non voleva guardarlo dritto negli occhi, o ci si sarebbe persa, come era successo fin troppe volte per i suoi gusti. Lui le andò più vicino, sfiorandole una guancia con la punta delle dita, piano. Com’era dolce… Nessuno poteva conoscere quella parte di lui, lei era una delle poche persone, così come la Lightwood. Lei era anche l’unica a sapere che Raph e la Shadowhunter erano soltanto amici, anche se quando lei era ancora dipendente dallo Yin Fen, aveva creduto di perderlo, tenuto prigioniero dal sangue angelico. Ma lui era forte, aveva superato anche quello. Aveva superato tutto, ma non era riuscito a superare Simon. E lei non era ancora riuscita a capire perché. Perché lui era stato in grado di superare tutto, ma non di mettere una pietra sopra a quel dannato Diurno. Era cominciato tutto quando lo avevano rapito, ma lei non avrebbe mai creduto che sarebbe diventato così importante. Era solo uno stupido Mondano. Nessuno si sarebbe mai aspettato che Camille lo usasse per i suoi scopi e che poco tempo diventasse un vampiro. Raphael gli era stato dietro ogni secondo, non si era mai comportato così con nessun nuovo vampiro, aveva cercato di insegnargli tutte le cose che non sapeva. E anche dopo, dopo il suo tradimento, aveva continuato ad aiutarlo, senza riuscire a impedirlo. Ed era così che quello sporco traditore lo ricambiava. Raph le chiese di nuovo se stesse bene, e lei annuì piano, troppo persa nei suoi pensieri. Stava rischiando di perdere il controllo, e non era una cosa che poteva permettersi, assolutamente no. No. E basta. Lei doveva essere sempre controllata, doveva sempre essere l’amica di cui Raphael aveva bisogno. E niente di più. Doveva stare zitta quando non serviva. Non era “farsi mettere i piedi in testa”. Era lei che aveva deciso che doveva essere così. Ma ci sarebbe sempre stata quando il suo leader avrebbe avuto bisogno di lei. Sempre. Senza nemmeno doverci pensare. All’improvviso, il telefono di Raphael, abbandonato sul tavolo davanti al divano, trillò. Lily distolse lo sguardo da lui, accorgendosi di essere rimasta incantata a fissarlo. Se avesse potuto, il suo viso sarebbe stato del colore del divano. Il vampiro pensava che ultimamente Lily si stesse comportando in modo strano. Non avrebbe saputo definire cosa le stesse succedendo, ma era così ormai da più di due mesi. Le cose erano cominciate a cambiare più di due mesi prima, quando la Fairchild aveva scoperto di non essere solo una semplice Mondana. Quella era stata la sua rovina. Era a causa sua che aveva incontrato Simon. E incontrarlo lo aveva scosso più di quanto avrebbe mai ammesso. Prese il suo cellulare, quasi sperando che fosse Simon che si scusava per quello che aveva detto. E magari anche per averli traditi, chissà. Ma non era il Diurno. Era Isabelle. E quella fu l’ultima goccia. Grazie a quel singolo messaggio sentì il peso di tutte le sue emozioni addosso, e crollò. Non poteva credere che Isabelle gli stesse facendo questo. Lui le aveva aperto il suo cuore, ed era così che lei lo ripagava? Perché qualche volta non poteva essere felice anche lui? Certo, era dannato, ma questo non significava… Ogni parola del messaggio di Isabelle lo colpì come il sole, incenerendogli ogni cosa che gli impediva di crollare.
 
Mi dispiace, Raphael, ma non possiamo più vederci. Siamo solo dei pazzi. Davvero abbiamo creduto di poter andare avanti così? Non ha senso, mi dispiace. Avrei dovuto capirlo prima, e invece lo faccio solo adesso. Non avremmo mai dovuto essere. Sei un vampiro, sei pericoloso, continuavano a ripeterlo tutti, e ora lo capisco anch’io. Mi hanno raccontato cose che non sapevo su di te. Sono stata stupida, ho creduto nella tua bontà ogni tua parola e ho sbagliato. Siamo qualcosa di malsano. Non possiamo più vederci. Addio, Raphael.
 
Quello che il vampiro non sapeva era che Isabelle era stata costretta da Alec a scrivere quel messaggio, dicendole che se non l’avesse fatto avrebbe raccontato quello che era successo con lo Yin Fen ai loro genitori, che non sarebbero stati affatto contenti. La ragazza aveva cercato di ribellarsi, aveva urlato, ma poi suo fratello aveva nominato Max e aveva ceduto. Non poteva lasciare che il suo fratellino la vedesse per quello che era davvero, una debole. Non se lo sarebbe mai perdonata. Lei doveva essere un buon esempio per lui. Ma aveva sentito il suo cuore spezzarsi. Nemmeno un giorno prima aveva promesso a sé stessa che niente e nessuno l’avrebbe mai separata da Raphael. A quanto pare non aveva pensato a tutte le possibilità. E la famiglia, non il suo onore, la famiglia in sé, era il suo punto debole. Alec era stato un bastardo, ma aveva colpito nel punto giusto. E adesso non si poteva tornare indietro. Aveva lasciato Meliorn per la stessa ragione, la sua dannata famiglia. A volte avrebbe voluto essere qualunque cosa, persino un demone, ma non una Lightwood. Essere un Lightwood significava solo sofferenza. Era inciso nel sangue della loro famiglia, come una runa. Tempo dopo, mentre stava sdraiata nella sua stanza, tenuta agli arresti domiciliari, avrebbe trovato il coraggio di scrivergli un altro messaggio, riuscendo poi a recuperare il suo cellulare e a scrivere una sola frase: “Ma non voglio perderti”. Poteva sopportare ogni tipo di dolore, ma davvero non poteva perdere Raphael. Se ne rese conto quando era troppo tardi, quando ormai aveva già scelto di mettere la sua famiglia prima di lui. Ma in quel momento, il danno era fatto. E il vampiro perse il controllo. Lily aveva notato quanto il suo sguardo si fosse perso nel vuoto, ma sussultò lo stesso quando lui scattò in piedi, scagliando il telefono dall’altra parte della stanza, che andò a sbattere contro la parete e probabilmente non fece una bella fine.
-Por eso no quiero aficionarme a las personas! –gridò, con tanta rabbia come nessuno lo aveva mai visto. Tutti i sentimenti che aveva cercato di trattenere fino a quel momento gli arrivarono addosso come un’onda. Tutto il furore cieco che aveva cercato di trattenere, tutto il dolore che avrebbe solo voluto sparisse. Sì sentì incredibilmente male, si sentì morire di nuovo. Perché doveva sentirsi così, perché? Perché continuava a provare emozioni, nonostante cercasse di impedirlo? Perché era così difficile non provare niente? Crollò in un attimo sulle sue ginocchia, tenendosi tanto forte al bordo del tavolo che credeva che gli si sarebbero spezzate le ossa. O che si sarebbe spezzato il tavolo. Lily non sapeva cosa fare. Non l’aveva mai visto avere una reazione così violenta. Fece ciò che le venne spontaneo, gli andò accanto, cercando di parlargli. Ma si stupì quando vide che il suo corpo era scosso dai singhiozzi, le lacrime scarlatte gli scivolavano sul viso. L’aveva visto piangere solo una volta nella sua lunga vita. E non era stato un bel momento per entrambi. Sentì che lui stava mormorando delle cose in spagnolo, cosa che la vampira non riuscì a capire, anche se avrebbe voluto, per aiutarlo. L’amore era un Diavolo. L’amore ti ingannava. Fingeva di portarti gioia, solo per poi farti rendere conto che era stata solo una bellissima illusione. Isabelle. Amava Isabelle come un’amica, ma faceva comunque male. Perché aveva creduto che qualcuno al di fuori di Lily fosse finalmente riuscito a vederlo per quello che era e ad accettarlo. Invece l’aveva ingannato, aveva solo finto. Lei era come tutti gli altri Shadowhunters, credeva che i vampiri non avessero emozioni, credeva che tutti potessero fare di tutto a loro, tanto non sentivano niente. Ma forse, la morte amplificava le emozioni. Faceva parte della loro non-vita da dannati. Essere creduti senza sentimenti, mentre in realtà ne avevano anche troppi. Lily sentì un intenso desiderio di uccidere il Diurno, per quello che stava facendo al suo migliore amico. E anche la Lightwood, perché era colpa sua se Raphael aveva perso il controllo. Aveva cercato di resistere, ma vedendo qualunque cosa la ragazza gli avesse scritto, era crollato. Lui tentava di essere freddo, ma non lo era davvero. Era solo morto. Credeva di non avere un’anima, e nessuno lo avrebbe mai convinto del contrario, lei lo sapeva bene. Ma sapeva anche che non era vero. Lei non ci avrebbe mai creduto neanche un secondo. Tutto quel dolore, tutte quelle lacrime… Non erano per niente. La vampira non sapeva cosa fare. Certo, lo aveva già visto piangere, ma non così… Non l’aveva mai visto così distrutto, così spezzato dentro. Ma forse non osservava con attenzione. Forse lui era sempre stato così, forse riusciva solo a nasconderlo meglio. L’unica cosa sensata che le venne in mente fu abbracciarlo. A quel punto, lui la guardò, il viso rosso per il sangue, gli occhi persi come non li aveva mai visti. Faceva paura vederlo così. Davvero tanta paura. Lui era il loro leader, lui doveva essere sempre controllato. Lily avrebbe voluto sistemare la situazione, ma forse non poteva farlo, doveva lasciare che si sfogasse, doveva lasciare che liberasse le sue emozioni, altrimenti sarebbe esploso. Altrimenti sarebbe morto di nuovo e per sempre per tutto quello che si teneva dentro. Raphael in quel momento pensò che non ce l’avrebbe fatta se non ci fosse stata Lily con lui. Lei era l’unico mostro che potesse capirlo, lei era l’unica che l’aveva visto per com’era davvero e non se n’era andata. Forse perché anche lei era così. Così persa. Ma anche lei fingeva di stare bene. Tutti i dannati vampiri fingevano di stare bene. Forse alcuni avevano perso ogni traccia di umanità, come Camille, così vecchia che probabilmente non ricordava nemmeno di essere stata viva. Tutti gli Shadowhunters credevano che i vampiri non avessero più nemmeno un briciolo di umanità, ma loro davano troppe cose per scontate. Credevano di sapere tutto, solo perché erano figli dell’Angelo, ma la verità era che non sapeva niente. Non potevano sapere come ci si sentisse a essere un Nascosto. Un vampiro. Non c’era felicità per loro, non c’era amore. Non c’era speranza. Non c’era mai stata. C’era solo sofferenza, solo dolore, solo odio. Odio che si insidiava nei loro cuori e non scompariva più, fino a quando non rimaneva niente di quello che erano stati. Diventavano solo delle bestie a caccia di sangue. Dei mostri sempre e per sempre, costretti a vagare come fantasmi in un mondo vivo, così pieno di luce. Luce che non avrebbero mai avuto indietro.
-Porque? –le domandò, anche se non sapeva se l’altra avesse capito. Perché era stato così stupido? Perché era ancora in grado di amare? Perché non poteva odiare e basta? Perché doveva fare così male? Non c’era una vera risposta a quelle domande, non c’era. Loro non avevano mai niente. Solo domande, ma mai risposte. Le risposte non c’erano mai. Eppure lui avrebbe voluto sapere come poteva essere stato così stupido. Aveva promesso che non avrebbe mai più amato nessuno, perché faceva troppo male. Ma perché faceva così male? Avrebbe creduto che quella volta sarebbe stato diverso, perché loro non erano Mondani. Ma non era stato diverso. Gli Shadowhunters era egoisti, credevano di essere superiori, solo perché avevano sangue angelico. Credevano di potersi comportare come volevano, tanto non ci sarebbero state conseguenze. E poi c’era lui, quell’estúpido. Aveva creduto che almeno lui potesse capirlo. E invece non l’aveva mai capito. L’aveva sempre visto come un mostro, lo aveva sempre incolpato per quello che era successo. Il vampiro aveva fatto di tutto per impedirlo, aveva sempre tentato di non vedere, aveva fatto finta di nulla. Ed era riuscito a mentirsi. Fino a quando quello sporco traditore non aveva liberato Camille, dimostrando che gli importava soltanto della sua roja, della sua migliore amica, della Fairchild. Non gli era mai importato della sua famiglia. Era così desesperadamente innamorato di lei che non gli era importato nulla. Perché i vampiri non avevano sentimenti. Quando se n’era andato, senza nemmeno sentirsi in colpa per essere stato un bastardo, Raphael era rimasto per due giorni e una notte a fissare il soffitto della sua stanza, insultandolo in tutti i modi che conosceva. Poi, gli era passata la rabbia. E aveva sentito solo un profondo vuoto dentro di sé, che non aveva voluto andarsene. Era come se gli avessero scavato una voragine dentro, come se gli mancasse qualcosa. Come se il cuore fermo gli fosse stato strappato. Senza poterlo impedire, aveva pianto. E piangendo aveva capito. Aveva capito di essere stato stupido. Di nuovo. Ora era lì, Lily lo stringeva, guardandolo preoccupata. E le parole gli vennero spontanee.
-Como pude caer en el amor? –forse non l’avrebbe mai saputo. Gli faceva male dirlo, ammetterlo. Avrebbe dovuto continuare a fingere. Ma prima o poi sarebbe crollato lo stesso. Meglio adesso che in un’altra situazione. Isabelle era stata la sua salvezza, ora cosa gli restava? Niente. Forse era stata un’illusione. Forse non aveva mai avuto niente. Se ne rendeva conto solo in quel momento. Quel dannato messaggio lo aveva fatto crollare. Aveva promesso, aveva promesso… E allora perché non riusciva a smettere? Si faceva del male da solo. La voglia di Lily di uccidere il Diurno divenne ancora più intensa. Non l’aveva mai sopportato. Aveva capito subito che sarebbe stata la rovina del Clan. E lo era stato. Aveva fatto una moltitudine di cazzate assurde. E non smetteva. Sembrava proprio impresso nel suo sangue. Quella situazione le metteva disperazione. Non sapeva più cosa fare ormai. Non c’erano cose da mettere a posto, non c’erano cose da sistemare. Non poteva più fare niente. Ma doveva provarci. Strinse Raphael più forte, mentre lui continuava a singhiozzare, accarezzandogli i capelli, sussurrandogli che andava tutto bene. Non era la verità e lo sapevano bene entrambi. All’improvviso Raphael si sentì tanto male che se fosse stato umano avrebbe detto che gli mancava il fiato. Doveva andarsene da lì, doveva andarsene. Non sapeva dove. Ma non riusciva più a sopportare le sue stesse lacrime. Non riusciva più a sopportare come si sentisse in quel momento. Avrebbe voluto uccidere qualcuno. Non era giusto. Non era giusto che dovesse soffrire così. Certo, era dannato. Tengas piedad de mí. Ma non poteva andare avanti così. Voleva uscire da lì, andarsene. E magari non tornare mai più. Non voleva farle del male, ma scansò Lily bruscamente, correndo fuori prima che la vampira avesse il tempo di accorgersi che lui non era più lì. Lily rimase seduta a terra, fissando un punto imprecisato. Abbi pietà di me. Faceva male vederlo così, più di quanto non volesse ammettere. Non l’avrebbe seguito, anche se era così fuori controllo che avrebbe potuto farsi male o fare del male a qualcuno. Se era corso via così aveva bisogno di essere lasciato da solo. Ma faceva comunque male. Una sola lacrima scarlatta scivolò sul viso della vampira. Una voce la fece sussultare.
-Dovresti dirglielo. –si asciugò velocemente la guancia, voltandosi verso chi aveva parlato. Sergey, un suo amico, gli occhi azzurri e i capelli castano chiaro, russo, la stava osservando con un piccolo ghigno, un bicchiere di Bloody Mary in mano, appoggiato al bracciolo del divano. Lily scattò in piedi, rivolgendogli un’occhiataccia. Sapeva che lui stava solo cercando di aiutarla, ma non ci stava riuscendo per niente. Lo ignorò, dirigendosi verso l’uscita. Sapeva perfettamente di cosa il vampiro stava parlando, ma era fuori discussione. Non poteva. Raphael stava già male di suo, non poteva aggiungere problemi al suo tormentato cuore. Sergey non aveva alcuna intenzione di lasciarla andare così. La verità era che era preoccupato per lei. Tutta quella situazione la stava distruggendo. Tutta quella stupida situazione stava distruggendo tutti. La prese per un braccio, guadagnandosi una soffiata di rimando. Ma non importava. Fissò i suoi occhi chiari in quelli scuri di Lily. Lei abbassò lo sguardo. Odiava quando le persone erano in grado di leggerle dentro in quel modo.
-Non dire assurdità. Ha già i suoi problemi. –certo, questo lo sapeva bene anche lui. Ma Lily non poteva fuggire per sempre. I vampiri erano fatti così. Tentavano di fuggire dalle cose, e quando capivano che non ci erano mai riusciti era troppo tardi per rimediare. La loro non-vita era in grado di fare uno schifo assurdo. La vampira sapeva che forse non sarebbe riuscita a fuggire per sempre, però doveva provarci. Era meglio tenersi tutto dentro che fare del male agli altri. Era meglio farsi del male da soli. Esploderai. Forse. Forse sarebbe riuscita ad andare avanti, la testa alta, lo sguardo avanti, senza che nessuno capisse nulla. Ma faceva male. Così male… Sarebbe presto scoppiata a piangere, lo sapeva. Vedere Raphael così distrutto per amore la feriva. Ma lui non poteva capire quale fosse il vero motivo, non poteva sapere. Lei avrebbe continuato a stare zitta e sarebbe andato tutto bene. Si divincolò dalla stretta di Sergey, che decise di lasciar perdere, per il momento. Poi corse via. Il più veloce possibile, cercando di scappare dai suoi pensieri. Ma non ci sarebbe mai riuscita. Non era giusto fosse così. Non avrebbe dovuto fare così male. Raphael non avrebbe mai dovuto sapere che non era l’unico distrutto da quell’amore… Non avrebbe mai dovuto sapere che quell’amore la stava facendo a pezzi. Come riusciva sempre a vedere colui che amava, piangere, soffrire per amore? E restare zitta, soltanto aiutandolo? Eppure lo faceva… E non avrebbe mai smesso. 

Angolo autrice:
L'ottagono colpisce ancora :/ Povero Raph e povera Lily. Lo so, non dovrei tormentarli in questo modo, ma non posso farci nulla... Comunque all'inizio ero molto convinta: sì, ok, Lily è innamorata di Raphael, punto. E poi mi sono inventata Sergey e ho pensato che starebbe bene insieme a Lily, quindi l'ottagono potrebbe allargarsi :0 (anche se, nell'ottagono originale ci doveva essere anche Maia ma in questo caso non c'entra niente) 
Comunque, visto che non sono in grado di fare i calcoli, domani parto per le vacanze e tornerò solo il 13, perciò, non potrò pubblicare l'ultimo capitolo di questa parte e sarete costretti ad aspettare. Solo per avvertirvi, così, quando dopodomani non aggiornerò, saprete che non sono morta ma solo la mare XD 
Ma, nel prossimo capitolo: un balzo nel passato di Raph (preparatevi alle solite lacrime), Magnus preoccupato per Raph (:')), Simon va a trovare sua madre e fa una scoperta orribile, Raphael decide di aiutarlo (stranamente), Lizzy + torta (sperando che sia davvero mangiabile) e finale con colpo di scena :0 :0
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi) e potrei non aver azzecato le parole in spagnolo ma non sono proprio la massima esperta ehm (non ho tradotto perchè Lily non capisce nulla, quindi ho pensato che nemmeno noi dovessimo capire. Ma andrà a finire che saprete tutti lo spagnolo quindi nada)

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Capitolo 19
*** Too dark to care pt.1 ***


<< And everybody’s watching her
But she’s looking at you >>
 
Capitolo 5. – Too dark to care (pt.1)
Dahlia. Un altro nome in grado di farlo crollare. Avrebbe voluto, ma non era senza cuore. Gli mancava il battito, ma non era diverso da tutti gli altri. Anche i vampiri avevano il diritto di stare male, anche i vampiri avevano dei sentimenti. Non importava quanto tutti dicessero il contrario. La vita dei vampiri era difficile. Era difficile vivere da angeli caduti. Da mostri. Nessuno che non fosse un figlio della notte poteva capire. Era normale che cercassero di non provare sentimenti. Dover vivere senza sole, non potersi nutrire se non di sangue, era orribile. Nessuno li avrebbe guardati in modo diverso da mostri, nessuno di loro si sarebbe mai visto in modo diverso da un mostro. Perché lo erano, lo sapevano bene tutti. Ma chi ha mai detto che i mostri non possono soffrire? I mostri non chiedevano di essere mostri. Lo erano e basta. E tutti li odiavano lo stesso. Essere vampiri voleva dire essere morti. E non solo fisicamente, anche dentro. Erano solo fantocci succhia-sangue. Essere morti per tutti quelli che prima conoscevi. Essere morti. E desiderare di essere ancora più morti. Sarebbe stato meglio se davvero non avessero potuto vedere il loro riflesso. Non avrebbero dovuto vedere un mostro, in quegli specchi. Accorgendosi di essere quel mostro. Avrebbero voluto tutti essere senza cuore. Avrebbero voluto tutti smettere di soffrire. Ma non era così. Soffrivano, e faceva male. Faceva davvero male. Eppure, cercavano sempre di nascondere questo fatto. Cercavano di essere i più freddi possibili. Perché non c’era altro modo di sopravvivere da mostri. Nessuno. Lui ci aveva provato. Aveva provato ad aprire il suo cuore a qualcuno che non fosse… come lui. E quel qualcuno era stato Dahlia. L’aveva incontrata alla fine degli anni 70’, quando ormai stava al DuMort da più di vent’anni. Una notte d’estate, non si era fatto buio da molto. Camille aveva mandato lui e qualche altro vampiro in una discoteca dove Nascosti si confondevano a Mondani, non ricordava nemmeno più per quale motivo. Era certo che quella sera si fosse dimenticato pure il suo nome. Si stava cercando di fare strada in quell’assordante posto, quando l’aveva vista, lei tra tutti quei Mondani rimbalzanti. E non era stata la sua bellezza a colpirlo, ma piuttosto quanto fosse luminoso il suo sorriso, più di quel sole che a lui tanto mancava, a volte. Si era dimenticato di tutto, chi fosse lui, perché fosse lì. Per un attimo si era dimenticato di essere un mostro, aveva creduto di avere di nuovo un’anima. E poi, senza nemmeno sapere come, si era ritrovato a saltare, come uno stupido Mondano, vicino a lei. Dahlia aveva capelli lisci e biondi, i suoi occhi erano quasi più blu che azzurri, del colore del mare. E tutte quelle sue promesse di chiudere il suo cuore, evitare ogni emozione, erano crollate. Sapeva di non averci nemmeno provato, se lo sentiva dentro. In un modo o nell’altro, la ragazza si era avvicinata e gli aveva parlato, dicendo che tutta quella musica la stava assordando. Gli aveva sorriso, dicendo che i suoi amici -aveva indicato dietro di sé con la mano -l’avevano praticamente costretta a parlare con lui. In un modo o nell’altro, si era ritrovato per le strade di New York con lei, accompagnandola a casa. Lei gli aveva detto di essere lì –solo un po’- illegalmente. Be’, in realtà avrebbe compiuto diciotto anni da lì a poco, quindi non era così fuori posto. Ma lui aveva insistito per farla uscire lo stesso. Lei aveva sbuffato, ma per la verità non sembrava così dispiaciuta. Non che lui potesse farle la predica, aveva detto. Considerando che lui aveva già quasi trent’anni in più di lei, poteva. Ma, non che avesse potuto biasimarla, dato il suo aspetto. Ma quella discoteca era comunque colma non solo di Mondani saltellanti e noiosi, ma anche di Nascosti. Non aveva voluto lasciarla lì in mezzo a tutti loro. Avevano parlato durante tutto il tragitto, senza distogliere lo sguardo l’uno dall’altra. Quando la ragazza rideva, scuoteva la testa, facendo scintillare alla luce dei lampioni i suoi orecchini a forma di foglia, che sarebbero di certo piaciuti a qualche fata. Era stato incredibile come si fosse messa a parlare con lui, senza nemmeno preoccuparsi di conoscerlo, senza nemmeno sapere chi fosse davvero. Avrebbe potuto essere una persona con cattive intenzione. Non ne aveva, ma era dannato, non poteva sapere se davvero sarebbe riuscito a controllarsi. Ma non le fece mai del male. Quella notte avevano parlato molto, per la prima volta dopo tanto tempo Raphael si era sentito felice. Sapeva che non avrebbe più potuto rivederla, e questo gli aveva fatto male. Almeno, era quello che credeva. Il destino aveva altre idee per loro. La notte dopo, come seguendo un fantasma, il fantasma di un sentimento che credeva di aver perso da tempo, si era ritrovato nella stessa discoteca. E lei era lì. Aveva una fascia colorata tra i capelli. Era così bella, così viva. Gli faceva quasi male guardarla. Gli fece male accorgersi di essersi innamorato. Non avrebbe dovuto. I vampiri non meritavano amore. Erano angeli caduti, erano senz’anima. Eppure era caduto in quella trappola dorata. Cercare di fuggire dall’amore era come cercare di fuggire dallo scorrere del tempo. Per i vampiri era facile la seconda. Ma la prima era impossibile. Non c’era persona che potesse sfuggirci. Né viva, né morta. Ci era caduto, ci era caduto… E sarebbe arrivato sul fondo di quella voragine oscura talmente in fretta che il pavimento avrebbe ceduto, e avrebbe ricominciato a cadere. Non c’era mai vera pace per i vampiri. Rivide Dahlia quella notte e continuò a vederla per davvero tanto tempo, senza che lei capisse che c’era qualcosa che non andava. Non potendo uscire dal DuMort con la luce del sole le diceva sempre che sua madre lavorava tutto il giorno, e doveva badare ai suoi fratelli più piccoli. E lei gli credeva. Continuava a credergli e lui non riusciva a capire perché. Credeva che non avesse senso quello che stava dicendo. Credeva che niente avesse senso. Forse non ce l’aveva. Ma non doveva avercelo. Aveva continuato a vederla, quasi tutte le notti. E lei non aveva mai capito che c’era qualcosa che non andava. Era incredibile. O forse, sì, lo aveva notato, ma era sempre stata zitta. Perché… Perché lo amava. Almeno così credeva. Non l’aveva ancora capito, e forse non l’avrebbe capito mai. Si faceva dare tutti i consigli possibili da Lily, l’unica vera amica su cui potesse contare. Lei gli diceva sempre di stare alla sinistra di Dahlia, ogni momento, così, anche se si fosse appoggiata a lui non avrebbe notato l’assenza di battito cardiaco. Non era mai successo. La vampira gli consigliava anche come vestirsi, dicendo che non era normale per uno della sua età vestirsi come faceva lui, anche se lui non ci vedeva niente di strano. Era stato costretto a vestire jeans e maglietta tutte le dannate sere. Tranne d’inverno. Lì aveva dovuto comportarsi da Mondano e mettere vestiti pesanti e perfettamente inutili. Avevano continuato ad amarsi per così tanto, che Raphael aveva cominciato a mettere il Clan in secondo piano. Ed era stato l’errore peggiore della sua vita da morto. Per quello si era arrabbiato con Simon, oltre a tutta la storia del tradimento. Perché aveva fatto il suo stesso errore. Mettere l’amore prima della famiglia. E lui sapeva a cosa portava tutto quello. Ogni tanto ci pensava ancora, alla sua Dahlia. Ripensava ai suoi occhi blu mare, ai suoi capelli biondo oro, al suo sorriso raggiante, al suo modo di parlare, al suo odore. E faceva male. Ripensava a tutti i momenti che avevano passato insieme, nelle notti fredde e nelle notti calde. A tutte quelle volte che lei gli aveva detto che adorava sentirlo parlare spagnolo, a tutte quelle volte in cui lui le aveva detto di adorare il suo modo di ridere, così vero, così di cuore. A ogni sguardo, a ogni sorriso. A ogni volta che le loro mani si erano unite mentre camminavano, a tutte quelle volte in cui lei aveva poggiato la sua testa alla spalla di lui. A ogni parola dolce, a ogni suo respiro. A ogni bacio leggero sulla fronte, sul naso, sulle mani, sulle labbra. Tutti avevano potuto vedere quanto fosse strano a quei tempi. Aveva pure ripreso l’abitudine di respirare. Era stato felice. Ma aveva presto capito che per i vampiri essere felici era impossibile. Perché erano dei mostri senz’anima. E lui se n’era quasi dimenticato. Per un attimo, un solo battito di palpebre per un immortale, si era sentito solo un ragazzo. E aveva pagato. Una notte, stava tornando da casa di Dahlia. C’era andato perché non l’aveva vista alla discoteca, dove avrebbero dovuto incontrarsi, ed era andato a cercarla dai suoi genitori. Loro gli avevano detto che era già uscita. Stava camminando, in una calda notte degli inizi degli anni ’80, quando aveva sentito distintamente l’odore del sangue. Aveva svoltato in un vicolo, seguendo la scia di odore ferroso. E aveva voluto essere morto. Morto davvero. Si era aspettato di tutto, ma non quello. Tutto, ma non quello. Aveva voluto urlare, aveva voluto spaccare qualcosa. Perché no. Non era vero, non era possibile che la ragazza appoggiata al muro di uno dei palazzi, dietro dei cassonetti della spazzatura, in una pozza di sangue, che le sporcava tutto il vestito, e anche i capelli, fosse Dahlia… Non era vero. Non poteva essere successo proprio a lei. Non era possibile. Era solo la sua mente che gli aveva giocato un brutto scherzo. Aveva provato a chiudere gli occhi e a inspirare e poi espirare, lentamente. Ma quando gli aveva riaperti, aveva sempre visto Dahlia. Perché era Dahlia. Era corso da lei, l’aveva presa tra le braccia, sentendosi morire più di quanto già non fosse, sentendosi mancare il respiro più di quanto già gli mancasse. Era talmente in panico, che non aveva saputo dire se fosse stato un Nascosto, un demone o un semplice Mondano a ferirla. A ferirla così gravemente. Lei aveva aperto gli occhi, lentamente, e lui si era domandato come fosse possibile che il suo cuore stesse ancora battendo, che ancora fosse cosciente. Era pallida da fare paura, persino a un vampiro. Gli aveva detto, con voce tremante e flebile, che sapeva che lui l’avrebbe trovata, che lo stava aspettando. In quel momento Raphael realizzò che era viva soltanto perché lo voleva vedere un’ultima volta, che questo voleva dire che non le restava molto da vivere. Ma aveva deciso che non l’avrebbe lasciata morire così. Non poteva. Ne sarebbe rimasto ucciso. Oh, stupido romanticismo Mondano. La amava troppo, quella vita morta sarebbe stata inutile senza di lei. Ricordava ancora le parole che le aveva detto, prendendo un coccio di vetro che trovò lì vicino, coperto di sangue, così come ogni altra cosa, e tagliandosi il polso. Non l’avrebbe lasciata morire così, no. Non aveva pensato nemmeno un secondo alle conseguenze. Non aveva pensato al fatto che avrebbe trasformato anche lei in un mostro, pur sapendo come ci si sentiva. Ma l’amore rende pazzi. Aveva cercato di farle bere tutto il sangue che poteva, lei era troppo debole per capire cosa stava succedendo. Non gli era dispiaciuto intossicare quelle labbra, quel corpo, con il suo sangue dannato. Era convinto di salvarla. Non si rendeva davvero contro di quello che stava facendo. E non gli importava nemmeno. Le aveva accarezzato una guancia, dicendole, dolcemente:
No voy a dejar que mueras. Te amo.” –non gli era importato che lei non capisse, non gli era importato di nulla, se non del suo amore. Eppure lei aveva sorriso debolmente, e, prima che potesse impedirglielo, aveva raccolto le sue ultime forze e gli aveva posato una mano sul petto, a sinistra, dove avrebbe dovuto sentire il battito del suo cuore. Ma aveva sentito solo vuoto. L’ultimo ricordo che Raphael aveva di lei da viva era la sua espressione confusa. E spaventata. Per i Mondani era più facile essere spaventati. Era più facile essere spaventati che cercare di capire. Perché sapevano che c’erano delle cose che non avrebbero mai potuto capire, forse inconsapevolmente. L’aveva sollevata e l’aveva portata al DuMort. Lily aveva camminato per almeno mezz’ora su è giù per la sua stanza, cercando di capire quale fosse la cosa migliore da fare. Non poteva ucciderla, sapeva che Raphael non l’avrebbe mai perdonata. E allora aveva deciso che sarebbe diventata un vampiro, che non c’era altra scelta. Avevano taciuto sull’accaduto con Camille, pur sapendo che il loro leader avrebbe presto scoperto che c’era qualcosa che non andava. Dopo essere uscita dalla tomba e aver calmato le sue smanie di sangue nutrendosi, Dahlia era svenuta. L’aveva portata di nuovo al DuMort. E poi, quando si era risvegliata, coperta del suo sangue rappreso e dal nuovo sangue che si era aggiunto mentre beveva, le cose erano irrimediabilmente cambiate. E solo allora Raphael si era accorto di essere stato egoista, di aver pensato solo a sé stesso, aveva pensato soltanto a tutto il dolore che avrebbe provato se lei fosse morta senza tornare. Non aveva pensato nemmeno un secondo alle conseguenze. L’aveva trasformata in un mostro. Avrebbe fatto meglio a lasciarla morire, avrebbe fatto meno male. Adesso aveva imparato. Aveva capito. O almeno, credeva di aver capito, che le persone gli avrebbero sempre e solo fatto del male. Perché era un vampiro. Non doveva attaccarsi alle persone, non doveva provare amore, non doveva provare niente. Poteva aiutare chiunque in tutti i modi possibili, ma sarebbe sempre stato visto per quello che era. Un vampiro. Un mostro. Null’altro contava. Appena l’aveva visto, Dahlia era scattata in piedi, alzandosi come una furia dal letto su cui stava sdraiata, allontanandosi il più possibile. Gli aveva urlato contro, gli aveva urlato che non aveva battito, che non era normale. Quello non fu niente. Scomparsa l’isteria, era corsa da lui, abbracciandolo, quasi buttandolo a terra, tanta forza ci aveva messo. Ma, non aveva ancora visto il suo stato. Gli aveva chiesto cosa fosse capitato, sedendosi sul letto. Gli aveva detto che si ricordava di essere stata aggredita, che si ricordava di… Star morendo. Gli aveva chiesto cosa fosse successo, gli aveva chiesto dove fossero. Si era alzata, aveva dato uno sguardo in giro. Aveva visto quanto tutto fosse chiaro, anche se le finestre erano coperte da pesanti tendaggi. Raphael era rimasto in silenzio, incapace di parlare, aspettando che lei realizzasse cosa fosse capitato da sola. Sapeva che non l’avrebbe mai accettato, sapeva che… Si sarebbe vista come un mostro. Continuando a camminare per la stanza, si era ritrovata davanti a uno specchio. Stava a terra, era rotto in più punti, ma fu abbastanza perché la ragazza vedesse il suo riflesso. Iniziò ad urlare, guardandosi, realizzando di essere coperta di sangue. Ma quello fu niente. Cominciò a non vederci più, ad urlare e dimenarsi, quando vide i suoi canini. Non era ancora in grado di controllarli, all’inizio era più difficile. Quando si era accorto di essere pallida, come un cadavere… Quando si era accorta di non avere più battito. Lui aveva cercato di calmarla, aveva cercato di abbracciarla, ma lei lo aveva allontanato, urlando. Riusciva perfettamente a ricordare anche quelle parole. “Sei un mostro! Sei un mostro e mi hai reso come te!” –quelle parole avevano fatto male. Più male di qualsiasi altra cosa. Lily era entrata nella stanza, attirata dalle grida di Dalhia. Aveva cercato di aiutarlo, ma la forza della nuova vampira era incontenibile. Era come un uragano. Aveva continuato ad urlare, per molto tempo. Gli aveva detto che era stata una stupida a innamorarsi di lui, che avrebbe dovuto capire subito che c’era qualcosa di sbagliato, che avrebbe dovuto stare lontana. Che lui era solo un mostro, un mostro che aveva voluto renderla come lui, senza lasciarle morire una morte dignitosa, con la mente piena di bugie, ma sempre migliore di quella morte fittizia. Che lo odiava per quello che le aveva fatto. E poi, senza che nessuno dei due vampiri più vecchi potesse fare qualcosa, smettendo di urlare per un secondo di troppo, tanto che avrebbero dovuto capirlo, era corsa verso la finestra, spostando bruscamente la tenda e lanciandosi contro di essa, rompendo il vetro. Il suo grido mentre il sole la bruciava, lasciando di lei solo cenere, fu quasi insopportabile da sentire. Raphael avrebbe voluto correre a quella finestra e… E non sapeva cosa fare. Ma, per fortuna, Lily glielo impedì.
Il vampiro non riuscì a controllarsi e scoppiò a piangere, senza che gliene importasse davvero qualcosa. Da quel momento in poi, Lily era diventata la sua unica vera amica, l’unico altro mostro a cui potesse mostrare il suo dolore. Pianse, pianse fino a quando praticamente non ebbe più sangue in corpo, insultandosi. Non avrebbe mai dimenticato tutta la paura, la rabbia e l’odio che aveva sentito nella voce di Dahlia e visto nei suoi occhi. Si era sentito uno stupido, e da quel momento aveva promesso che non si sarebbe mai più innamorato. Che non avrebbe mai più lasciato che i sentimenti prendessero il sopravvento. Avrebbe chiuso il suo cuore a ogni tipo di emozione. Sarebbe diventato un perfetto vampiro, senza cuore, senza sentimenti. Tanto già l’anima gli mancava. Si era sentito uno stupido per non aver previsto quello che Dahlia avrebbe fatto. Eppure lui, su tutti, avrebbe dovuto capire. Aveva cercato di lanciarsi sotto quel cono di luce che era stato lasciato entrare dal buco sul soffitto di quello stesso hotel. Avrebbe dovuto capire che anche Dahlia avrebbe voluto mettere fine eterna alla sua vita. Già, forse lei non sapeva che i vampiri non sopportavano il sole, ma di sicuro l’intento era stato quello. Morire. Morire davvero. Saltarci a piè pari all’Inferno. Altro che “un piede già all’Inferno”. E non l’aveva aiutata. Era stato egoista. Aveva aperto il suo cuore ed era stato ripagato così. Aveva deciso di non provare più niente. Ma aveva fallito. Per questo ora stava correndo per le strade di New York, in una notte particolarmente gelida, senza sapere dove andare. Perché aveva fallito. Si era affezionato di nuovo, aveva cercato di amare, di nuovo, ed era stato ferito di nuovo. Non ci poteva essere gioia per lui, non ci poteva essere altro che dolore per lui. Lui era dannato. Era un angelo caduto. Era senz’anima. 

Angolo autrice:

Weeei, sono tornata! :D Quindi da oggi si comincia con la solita routine! Comunque, ho deciso che separerò questa storia in due parti e le pubblicherò come storie differenti, altrimenti viene una caterva di capitoli. Cambierò il nome di questa parte in "Why?" così la seconda parte sarà la risposta ;) Per altro, ho anche scritto una trama piuttosto affascinante per la seconda parte :D Ho visto il nuovo episodio :0 È stato piuttosto sconvolgente, cavolo. Ero davvero spaventata per Simon, povero piccolo. MA CLARY? Quanto mi ha fatto arrabbiare? Ma, vogliamo parlare di Raph che ha aiutato Simon (più o meno) dopo che lui si era rifiutato di dirgli come diventare un Diurno? Cioè, lo so che erano affari del Clan e cose simili, però... Si è detto qualcosa tipo: "Simon, quello stupido cute nerd, uccidere qualcuno? Nah, devo trovare il colpevole" :D Ok, smetto di sclerare. Poi Simon si metterà con Maia adesso :/ Nooo. Riguardo il capitolo, Dahlia me la sono inventata a caso, tanto per rendere le cose ancora più deprimenti. All'inizio era carina, ma poi... Cioè, povera, la capisco, non devesse il massimo della gioia diventare un vampiro, però... Ma la domanda rimane: chi l'ha uccisa? DAN DAN DAA
Allora, ci si rivede domani, se qualcuno ancora legge questa storia :0 :)

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Capitolo 20
*** Too dark to care pt.2 ***


Capitolo 5. – Too dark to care (pt.2)
Magnus Bane stava camminando per le strade di New York, con calma. Nell’aria c’era odore di pioggia. Probabilmente sarebbe presto scoppiato un temporale, guardando anche quanto il cielo si era coperto nell’ultima mezz’ora. Volendo avrebbe potuto aprire un portale e ritrovarsi nel salotto del suo appartamento, direttamente. Ma, per qualche motivo, aveva preferito camminare per quella città così caotica, guardandosi attorno. Gli piaceva quel luogo. Aveva lasciato l’Istituto già da parecchio tempo, nessuno si era lamentato. Avrebbe voluto che Alexander andasse con lui, ma sapeva che lo Shadowhunter era preoccupato per Jace, ed era quello il motivo per cui aveva deciso di rimanere nell’apparente vecchia, decadente, e abbandonata chiesa. Forse era il caso che l’aveva spinto a prendere la via più lunga, forse invece era il destino. Non che potessero accadere molte cose per coincidenza, nella vita di uno stregone. Aveva vissuto così tanto, aveva incontrato così tante persone… Molti l’avevano abbandonato, molti erano morti, altri invece erano ancora lì. Sapeva che prima o poi sarebbe successo anche al giovane Lightwood. Sarebbe… Morto. E non sarebbe mai potuto essere sostituito. Davvero. Cercava sempre di cancellare quel pensiero dalla sua mente, di dirsi che avevano ancora tempo, ma… Non ci riusciva sempre. Il tempo, per gli immortali, era qualcosa di relativo. Si potevano accorgere del suo scorrere, che quelle lancette non smettevano di andare avanti, solo vedendo le altre persone. Le persone che non erano come loro. I Mondani, gli Shadowhunter. Nessuno stregone aveva chiesto di nascere così, di essere figlio di un demone. Erano cose che succedevano. Le cose erano come erano, e non potevano essere cambiate. In nessuno modo, da nessuno. Fatto sta che, mentre camminava con troppi pensieri per la mente –sulla vita, la morte, l’amore, l’eternità -, tra tutto quel caos notturno, riuscì distintamente a sentire qualcosa che gli fece accapponare la pelle. La notte di quelle città, così enormi e troppo rumorose, era pericolosa. Molto più pericolosa di quanto si potesse immaginare. E insidiosa, insieme a tutti i suoi vicoli bui, ai luoghi nascosti alla vista. Sentì distintamente un grido di terrore, tra tutti rumori delle automobili, che impedivano ai più di sentire anche la loro stessa voce. Quando sentì quell’urlo, Magnus si precipitò verso il vicolo dal quale era sicuro provenisse. Avrebbe potuto trovare soltanto Mondani impegnati a fare le solite cose indecenti da Mondani, ma per qualche motivo ne dubitava. Infatti, rallentando il passo giusto il tempo di capire cosa stesse succedendo, vide un Mondano a terra, che aveva smesso di gridare, e una figura sopra di lui. Lo stregone era abbastanza sicuro che non si stessero baciando. In attimo, con la sua magia, arancione scuro e aggressiva come fuoco, strappò il vampiro dal corpo del Mondano, mandandolo contro il muro dalla parte opposta del vicolo. Si inginocchiò subito accanto al Mondano, per vedere se fosse ancora vivo. Aveva il respiro lento e gli occhi inebetiti, ma per altro sembrava che si sarebbe ripreso. Non passarono che pochi secondi prima che quello perdesse i sensi. Magnus si voltò arrabbiato verso il vampiro, che nel frattempo non se n’era andato, anzi, era rimasto fermo appoggiato al muro del palazzo. Non sapeva da dove provenisse, se dal Clan del DuMort o da qualche altro Clan nato segretamente, ma non importava. Prendendo il sangue di quel Mondano aveva rotto gli Accordi, aveva rischiato di ucciderlo, avrebbe dovuto pagare. Si sarebbe aspettato di tutto. Si era aspettato un Uccellino sperduto e incapace di capire cosa gli stesse succedendo, un vampiro reso cieco dalla fame, un ghignante e arrogante vampiro che credeva di avere il diritto di fare di tutto. Ma non quello che vide. Fu come essere investito da un bus in pieno. Non che ci avesse mai provato, ma non doveva essere una sensazione piacevole. Per un attimo credette anche che il vampiro in questione potesse avere un gemello segreto, ma poi si diede dello stupido. Non era certo possibile. Ma anche quello gli sembrava impossibile. Perché tra tutti i vampiri possibili e immaginabili, non si sarebbe mai, davvero mai, aspettato…
Raphael. E non in quello stato, non in quell’orribile stato in cui si trovava. Chiunque altro avrebbe fatto fatica a riconoscerlo. Non l’aveva mai visto così distrutto. L’aveva visto compatirsi da solo, l’aveva visto combattere, ma non l’aveva mai visto piangere. Le lacrime scarlatte colavano sul suo pallido viso in un disegno inquietante. I suoi capelli erano disastrosamente in disordine, ed era piuttosto sicuro che fossero incrostati di sangue in più punti. Non indossava uno dei suoi soliti perfetti completi, bensì un paio di quei pantaloni che ogni essere dotato di intelligenza indossava solo in casa, a dormire o se proprio doveva a correre, e una semplice t-shirt grigio scuro. E non aveva le scarpe. Era qualcosa di davvero terrificante. Magnus conosceva quel vampiro da ormai sessanta lunghi anni e non l’aveva mai visto così. Nemmeno quando era appena diventato un vampiro. Non in quello stato. Si dimenticò di tutto, degli Accordi, di quello stupido Mondano ancora sullo sporco pavimento dietro di lui, voleva solo capire. Si avvicinò lentamente al vampiro, considerato che sembrava davvero fuori controllo. Raphael stava immobile e lo fissava, con gli occhi colmi di lacrime. Non riusciva a smettere di piangere, non ci riusciva. Si sentiva incredibilmente debole, non aveva potuto controllare la sua fame e aveva attaccato quel Mondano, ma non voleva farlo davvero, aveva dovuto. Sapeva che Magnus l’avrebbe rimproverato per quello che aveva fatto, e sapeva anche che l’avrebbe fatto a ragione. Ma si sentiva distrutto. Tutti le emozioni che aveva cercato di tenere dentro di sé l’avevano fatto esplodere. Aveva dovuto andarsene dal DuMort, aveva dovuto correre senza una meta, cercare di scappare da tutto quello che sentiva. Avrebbe voluto morire. Morire di nuovo e restare morto. All’Inferno, ma più in pace di quanto non fosse in quel momento. Aveva fallito, aveva ceduto. Aveva provato di nuovo amore, si era di nuovo lasciato distruggere. Eppure aveva promesso. Si era promesso. Non avrebbe dovuto, non avrebbe dovuto. Dopo Dahlia aveva capito che poteva fare di tutto per le persone, ma che loro l’avrebbero sempre visto come un mostro. Ma, in fondo, avevano ragione. Lui era davvero un mostro. I vampiri erano dei mostri. Solo dei dannati mostri senz’anima destinati all’Inferno. Voleva solo che Magnus se ne andasse, che lo lasciasse in pace per una buona volta. Ma, d’altra parte, voleva anche che qualcuno lo aiutasse, lo aiutasse a non provare più niente. Perché non poteva andare avanti così. Già prima riusciva a malapena a resistere, ma adesso… I vampiri erano morti! Non era giusto che si sentisse così… vivo. Così spaccato dalle emozioni. Magnus non se ne andò. Non aveva alcuna intenzione di farlo. Si avvicinò piano a lui, fino a quando non gli fu davanti. Raphael raccolse a sé le gambe, in un disperato tentativo di nascondersi, come un bambino spaventato. Magnus si accovacciò, osservandolo. Sentiva che questa volta non sarebbe stato in grado di aiutarlo, ma non sapeva perché. Era una sensazione che aveva dentro. Ma voleva, doveva, aiutarlo. Era il suo dovere. Tanto tempo prima aveva promesso che si sarebbe preso cura di quel vampiro, e non avrebbe mai smesso. Perché, per quanto Raphael volesse apparire freddo e distaccato, lui aveva visto quanta determinazione poteva avere, quando si trattava delle persone che amava. Sapeva che teneva alla sua famiglia più di quanto tenesse alla sua stessa non-vita. Tutti credevano che fosse cattivo, che fosse crudele, ma la verità era che non sapevano niente. Non sapeva quante ne avesse passate. Non sapevano che si comportava così perché credeva di essere senz’anima, e qualcuno senz’anima non poteva che essere crudele. Lo stregone rimase fermo a guardarlo singhiozzare per qualche minuto, fino a quando il vampiro non decise di parlare, tra le lacrime.
-Perché? –era poco più di un sussurro, Magnus quasi non lo sentì. E comunque non riuscì a capire. Non aveva idea di cosa fosse successo, e quella domanda non significava assolutamente nulla. O qualunque cosa. Raphael trovò il coraggio di guardarlo, alzando lo sguardo. –Perché sono sempre io? –lo stregone non sapeva rispondere, e questa cosa lo stava uccidendo. Doveva aiutarlo, ma per farlo doveva prima capire. Mise una mano sulla spalla del vampiro, dicendo solo il suo nome, dolcemente. Aveva bisogno che parlasse. A quel punto il vampiro cominciò a parlare chiaramente, senza riuscire a fermare quel fiume di parole, che si univa al fiume di sangue. –Perché devo sempre stare male io? Perché non qualcun’altro? Non ho mai chiesto che questo –lo disse con disprezzo, stringendo gli occhi. Lo disse di sé stesso. –mi accadesse. Non ho mai voluto perdere la mia anima. Non ho mai voluto morire. Perché devo sempre soffrire? Perché non ho il diritto di provare qualcosa? Perché devono sempre tutti farmi del male? Non ho mai voluto essere un vampiro, non ho mai voluto diventare un mostro. Perché sempre io, Magnus? –si lasciò sfuggire un singhiozzo, cercando di continuare a parlare. –Lo so. Non so nemmeno perché sono così stupido da chiedermelo. –rise sarcasticamente. –Perché dovrei meritarmi amore? Non l’ho mai chiesto, ma sono un mostro. Dovrei accettarlo. Non ci può essere amore per un mostro. –guardò lo stregone dritto negli occhi, stringendo i denti. Non si era mai sentito così stupido. Si stava facendo compatire, quando sapeva perfettamente di meritarsi tutto. Ogni parola, ogni sguardo cattivo, ogni cuore colmo di odio. Sapeva di meritarseli, ma faceva comunque male. Eppure non riusciva a capire perché. Non aveva senso. Magnus si sentì come se un altro bus lo avesse investito. Non riusciva a sopportare la vista di Raphael così confuso. Stava soffrendo. Si domandava il perché, ma allo stesso tempo diceva di meritarsi tutto il dolore che gli veniva inflitto. Non sapeva davvero cosa dire, ma una cosa era certa: il vampiro poteva credere tutto quello che voleva, ma aveva comunque dei sentimenti, anche cercando di nasconderli. Gli prese entrambe le spalle e lo scosse, guardandolo dritto negli occhi, mentre diceva:
-Forse è vero! Forse davvero sei un mostro, forse davvero sei dannato, forse davvero sei senz’anima. Ma non sei senza cuore, Raphael… -il vampiro non seppe più cosa dire. Sapeva che Magnus aveva ragione. Ma se avere un cuore era così, avrebbe preferito non averlo. Era già fermo, qual sarebbe stata la differenza?

Angolo autrice
Uffa è la seconda volta che scrivo i commenti perchè sono stupida :/ Tirate pure i pomodori, ci farò un insalata... Mi sento una persona orribile per questa cosa :( Mag è caro, vuole aiutare :'( Rileggendo questa scena mi sono appena accorta che assomiglia vagamente a quando Mag trova Raph al DuMort ne "Alla ricerca di Raphael Santiago" (probabilmente perchè l'avevo appena riletta :0) Nella prossima parte, Simon fa una scoperta agghiacciante e va a chiedere aiuto (indovinate da chi? ;))
Comunque, molto presto Simon si darà una svegliata e potremo dire addio per sempre alla Climon (yeeee), ma comunque succederanno cose sconvolgenti alla fine di questo capitolo e non servirà a molto... Volevo parlare dell'età dei personaggi (almeno come la penso io): visto che Clary nella prima puntata compie diciotto anni mentre nel libro doveva farne sedici, ho deciso che tutti avrebbero avuto due anni in più (anche se è stato detto nella serie che Simon ne ha diciotto, ma io continuerò a insistere che ne ha diciannove). Quindi Raph, invece di essere trasformato prima dei sedici anni è stato trasformato prima dei diciotto e siamo a posto. Tra parentesi, sono triste perchè i vampiri non piangono sangue nella serie :( Sarebbe stato fantastico. 
Detto questo, ci si rivede domani, con Simon :D
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi) 
 

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Capitolo 21
*** Too dark to care pt.3 ***


Capitolo 5. – Too dark to care (pt.3)
Aveva finalmente trovato il coraggio di andarsene dall’Istituto. Credeva che non ce l’avrebbe mai fatta. Per fortuna si sbagliava. Da quando lui e Clary avevano riportato lì Isabelle, le cose erano precipitate. Alec sembrava incredibilmente stanco ed esasperato, mentre parlava con la sorella. Non gli sarebbe stato permesso ascoltare il discorso, ma l’aveva accidentalmente sentito grazie al suo udito da vampiro. Anche se, da come urlava Izzy era probabile che l’avesse sentito tutto l’Istituto. Ma, alla fine, la Shadowhunter aveva ceduto. Sentire che poco tempo prima la ragazza era dipendente dal veleno di vampiro lo aveva stupito. Non aveva notato nulla di strano, a quei tempi. Ma non avrebbe notato nulla nemmeno se il ponte di Brooklyn fosse crollato. Era stato troppo concentrato su Clary. Clary gli aveva fatto dimenticare ogni cosa, gli aveva fatto mentire a sé stesso. E non l’aveva mai amato. Aveva dormito con lei, quel poco che aveva dormito, ma lei era sembrata distante. Era preoccupata per Jace. Naturale. Pensare a Jace le veniva più naturale di respirare, sembrava. E, senza che potesse darci una spiegazione, non gli era importato. Be’, non più di quel tanto. Era ancora arrabbiato con lei, ma soltanto perché non era stata sincera con lui, non perché era innamorata di suo fratello. Aveva praticamente passato anche tutta la giornata successiva all’Istituto, seguendo Clary praticamente ovunque. Isabelle era rimasta chiusa in camera e non ne aveva voluto sapere di uscire, nemmeno un secondo. Non che potesse biasimarla. Gli era sembrata parecchio triste e arrabbiata, la notte prima. Eppure, quello che diceva Alec aveva un senso. Ma sembrava che lei non lo avrebbe mai accettato. Magnus era comparso in tarda mattinata, per vedere come stava Jace. Sembrava che non avesse dormito per niente. Tutti troppo preoccupati per il giovane Wayland per dormire, eh? Avrebbe voluto dirlo, ma si era trattenuto, abbassando lo sguardo, come faceva troppo spesso, in quegli ultimi tempi. Clary parlava sempre al posto suo, negli ultimi tempi. Dopotutto, forse era un bene. Non era capace di parlare, lui. Gli si aggrovigliavano le parole in gola. E diceva sempre troppe cose sbagliate. Jace aveva tentato in tutti i modi di evitare di parlare con Clary. Probabilmente anche lui se ne fregava dell’incesto e continuava ad essere innamorato della ragazza di Simon, che, oh, casualmente era anche sua sorella. Che bella storia d’amore. Il solito noioso triangolo, sembrava. Anche se le cose erano ben diverse… Era riuscito ad andarsene in un momento in cui tutti erano troppo occupati per curarsi di lui. Aveva salutato Clary, tanto per essere gentile, dicendole che le cose stavano diventando un po’ troppo Nephilim per i suoi gusti. Lei aveva riso, anche se quella risata era suonata falsa alle orecchie del vampiro, e, dopo averlo baciato sulla guancia, lo aveva lasciato andare. Così, in quel tardo pomeriggio di novembre, il Diurno si ritrovava a camminare per le strade di New York. Per qualche tempo non aveva saputo dove andare. Avrebbe potuto tornare al Jade Wolf, da Luke, ma poi si era ricordato che sua madre gli aveva scritto quasi due giorni prima, e lui non le aveva ancora risposto. Sapeva di non doverla far preoccupare, altrimenti l’avrebbe solo fatta stare male, e non era quello che voleva. Così aveva deciso di passare da casa, dato che il suo telefono era talmente distrutto che riusciva a malapena a vedere le lettere sul display. Così, si ritrovò lì, su quel marciapiede, camminando dritto verso la sua destinazione, circondato dalle persone come dai suoi pensieri. Pur cercando di pensare solo agli Shadowhunter e alle loro situazioni difficoltose, non riusciva a togliersi di mente la discussione che aveva avuto con Raphael la sera prima. Gli aveva detto delle cose che non avrebbe voluto dire, aveva usato delle parole per dirne altre… Non sapeva perché, e non riusciva a fare a meno di sentirsi uno stupido. Probabilmente perché lo era, ma questi erano solo dettagli. Perché Clary. Solo a causa di Clary. Non riusciva a smettere di starle dietro, pur vedendo che a lei non importava di lui. Almeno, non come a una ragazza importa del suo ragazzo. Forse gli avrebbe sempre voluto bene, bene come si poteva volere a un fratello. Loro erano come fratello e sorella, non sapeva cosa le fosse saltato in mente. O cosa gli fosse saltato in mente. L’aveva amata da sempre, ma lei era cambiata, e lui se n’era accorto troppo tardi. Ed era una cosa che non riusciva a sopportare. E ora non riusciva più a stare lontano da lei. La sera prima, al DuMort, avrebbe potuto fare qualcosa per riparare tutti i suoi errori, ma non l’aveva fatto. Aveva continuato a dire le cose che continuava a ripetere nella sua testa. Solo che era stato diverso. Le sue labbra formulavano delle parole, ma la sua mente ne pensava altre. Nella sua mente c’erano solo verità. Verità che credeva non sarebbe mai riuscito ad ammettere. Quel luogo gli metteva confusione. Raphael gli metteva confusione. Non sapeva nemmeno perché. Era così e basta. Quando era corso fuori piangendo, Clary gli aveva ovviamente chiesto cosa fosse successo. E lui aveva risposto dicendo solo “niente”. E lei non aveva ribattuto. L’aveva solo guardato perplessa e aveva annuito. Non le era importato che non fosse la verità. Nessuno piangeva per “niente”. E lei questo lo sapeva benissimo. Eppure non gli aveva chiesto cosa ci fosse davvero. Aveva iniziato a camminare, tenendo una mano sul braccio di Isabelle, come temendo che sarebbe scappata, ed era andata avanti, senza voltarsi a controllare come stesse Simon. Lui aveva seguito le due in silenzio, le lacrime non avevano smesso di colargli sul viso. Quando erano arrivati all’Istituto, il suo viso era coperto da sangue secco. Era andato in bagno per lavarlo via. Guardandosi nello specchio avrebbe voluto dare un pugno al suo riflesso. Quella faccia sconvolta era ridicola. Era stato lui a dire cose che non voleva. Era stato lui stesso la causa delle sue lacrime, nessun’altro. Che cretino. Eppure, non aveva fatto nulla. Era tornato da Clary, fingendo di stare bene, anche se non era affatto vero. “Perché piangi, niño?” Cretino. “Non sto piangendo.” Idiota. “Non sono estúpido. Cosa succede?” Imbecille. “Niente” Stupido. “So che non è vero, Simon.” Sbuffò, quell’inutile aria che continuava a respirare. E così, quel dannato discorso che gli era appena passato per la mente, ricordo indesiderato di ormai più di due mesi prima, e gli aveva dimostrato quanto cieco fosse stato. E anche che Raphael aveva avuto ragione, la sera prima. Lo sapeva, lo sapeva bene. Clary Fray c’era sempre stata quando lui aveva bisogno. Ma Clarissa Fairchild no. L’aveva ignorato nel momento in cui aveva avuto più bisogno di lei. L’aveva abbandonato, mentre affogava nella sua stessa paura. Forse, se lei si fosse degnata di rispondergli, a quel punto non sarebbe stato un vampiro. Non sarebbe tornato al DuMort per capire cosa gli stesse succedendo, e Camille non gli avrebbe prosciugato il sangue. Be’, certo, era ovvio, Raphael lo aveva portato all’Istituto solo perché lui era la prova che l’attuale leader del Clan di New York aveva infranto gli accordi, ma… Ma poi. L’aveva accolto al DuMort, l’aveva sempre aiutato quando aveva bisogno, e lui. Lui aveva tradito il Clan. Che stupido. Stupido. Stupido, stupido, stupido. Avrebbe voluto che gli altri vampiri potessero perdonarlo, ma sapeva anche che non avrebbe mai trovato abbastanza coraggio per scusarsi. Clary lo teneva bloccato, gli impediva di fare qualsiasi cosa. Una parte di lui avrebbe forse voluto lasciarla –faceva ancora fatica a credere che fosse vero -, ma l’altra non ne aveva alcuna intenzione. Dopo tutto quello che aveva fatto per lei… Ugh, avrebbe voluto urlare. Non riusciva più a sopportare quella stupida situazione. Ci si era trascinato da solo, lo sapeva. Ma adesso non sapeva come uscirne. Non poteva essere così difficile, andiamo. Avrebbe trovato un modo. Doveva trovare un modo. Però, ogni volta che credeva di averlo trovato, rivedeva Clary, lei gli sorrideva, e, anche se quel sorriso era falso, lui cadeva di nuovo nella sua trappola, senza possibilità di fuga. Avrebbe voluto trovarsi un muro e sbatterci la testa contro, fino a farci un buco, in quel dannato muro, a forza di testate. Invece, lanciò un’occhiataccia al cielo azzurro-arancione, che poco tempo prima credeva che non avrebbe mai più rivisto. Si sentì all’improvviso in colpa. Quanto tempo aveva dovuto vivere senza sole? Una settimana, una e mezza? C’erano vampiri che non vedevano luce naturale da decenni, magari centinaia d’anni. E lui. Continuava a farsi uno schifo assurdo da solo. Cretino. Idiota. Imbecille. Avrebbe dato di tutto per tornare indietro, alla sua normale vita da Mondano, senza tutti quei problemi, quando il suo massimo, di problema, era trovare un nome per la sua band. Quando Clary continuava a non vederlo più di un amico, ma almeno lo vedeva, non fingeva. Tutto quello che era successo l’aveva cambiata, non era colpa sua, eppure… A Simon mancava la sua migliore amica. Ma di certo, non era l’unica ad essere cambiata. Anche lui. E non solo perché era un vampiro, adesso. Aveva visto l’essere non-morto come una possibilità per fare colpo su Clary. Che cosa idiota. Se lei stava con lui solo per quello, perché era un dannatissimo vampiro Diurno, be’… Stupido. Clary non avrebbe mai visto quello che lui era prima. Uno imbarazzante e stupido Mondano che non sapeva neanche parlare. Ma lei aveva detto che non avrebbe potuto vivere senza di lui, che era stata davvero male quando era morto, e allora lui si era montato la testa. Quando aveva scoperto che Jace e Clary erano fratelli, l’aveva vista come un’opportunità. E aveva ricominciato a comportarsi come un idiota. Idiota che era. Clary aveva davvero condizionato la sua vita. Si accorse solo in quel momento di essere arrivato nel suo quartiere. Accelerò il passo. Doveva raggiungere casa sua –quella che era stata casa sua –e trovare una scusa con sua madre. Magari le avrebbe detto la verità. Be’, non tutta. Ma le avrebbe detto che era stato con Clary e aveva perso la cognizione del tempo. Più che perdere la cognizione del tempo aveva perso la pazienza. Tutta quella preoccupazione per Jace. Tutti quei problemi Shadowhunter. Lui non esisteva nemmeno. Era una cosa terribilmente snervante. Sperava che, prima o poi, avrebbe trovato, magari non un modo, ma un motivo per fare quello che andava fatto. Era stanco di non-vivere così. Guardando oltre la finestra di casa sua che dava sulla strada, vide che la luce era accesa. Si chiese per quale motivo. Sua madre non avrebbe mai lasciato la luce accesa quando poteva vedere benissimo, vale a dire di giorno. E in una stanza in cui non era. Quando arrivò alla porta, era così immerso nei suoi pensieri che non si accorse subito che qualcosa non andava. Ma poi, facendo per suonare il campanello, notò che la porta non era chiusa, era solo accostata. Cosa molto strana. Decise di non suonare, entrando direttamente. Voleva arrivare direttamente in fondo a quella storia. Spalancò la porta e sentì un improvviso bisogno di vomitare. Non c’era una cosa che fosse al suo posto. I mobili erano rovesciati, c’erano oggetti ovunque. Fece un giro della casa, correndo più in fretta possibile, con il panico che gli faceva sentire il battito del suo cuore. Battito che non aveva, ma era troppo abituato a sentirlo in quelle situazioni di merda che gli era rimasto impresso nelle orecchie. Tutto il resto della casa era nella stessa situazione. Le luci erano accese, non c’era niente che fosse al suo posto, i libri erano tutti caduti fuori dalle librerie, i quadri appesi alle pareti erano ora a terra, in sala da pranzo c’era ancora quella che doveva essere la cena della sera prima, guardando tutte le mosche che vi ronzavano attorno. E anche il fatto che ci fossero tre piatti. Si fermò un attimo, sostenendosi al tavolo. Non aveva idea di quello che fosse successo, ma era certo che non sarebbe successo se lui fosse stato lì. Era tutta colpa sua. Era un cretino, era davvero un cretino. Continuò a domandarsi cosa fosse successo, fino a quando non andò a controllare l’unica stanza che non aveva ancora visto. Il bagno al piano di sopra, vicino alla sua stanza. Non l’avesse mai fatto. Cadde sulle ginocchia, con un grido agonizzante. Era tutta colpa sua. Tutta colpa sua. Le pareti erano quasi interamente rosse, coperte dal sangue di sua madre e sua sorella. Ma di loro, nessuna traccia. Cosa diavolo era successo? Perché era successo? E lì, sul pavimento, in mezzo al sangue, tra impronte di mani e piedi, stava una scritta. Solo una parola, che lo mandò in bestia. Aiuto. Solo quella parola, scritta nel sangue, tremolante. Chiunque aveva fatto questo avrebbe pagato. Chiunque fosse stato. Le due persone che più amava in quell’orrendo mondo erano scomparse, rapite, chissà, forse adesso anche morte, ed era tutta colpa sua. Era stato lui a non andare da loro, era stato lui a non pensare che fosse strano che sua madre non gli avesse più scritto. Era stata colpa sua. Ma adesso doveva rimediare. Doveva assolutamente trovare una soluzione, doveva salvare la sua famiglia, se era ancora possibile, se non era già stata uccisa brutalmente. Anche con tutta la rabbia che aveva addosso, adesso che stava camminando, notò i graffi insanguinati lungo le pareti. Era così arrabbiato, con sé stesso, con chiunque avesse osato fare del male alla sua famiglia, che credeva che sarebbe esploso. Non poteva credere di essere stato così stupido. Questo era diverso da tutte le altre cose, questo era davvero terribile. È colpa di Clary, si disse. Ma poi si diede ancora dello stupido. No, era solo colpa sua, che era rimasto all’Istituto con lei invece di preoccuparsi di cose più importanti della sua gelosia. Cosa diavolo credeva che sarebbe successo se avesse lasciato la sua ragazza con Jace? Niente sarebbe successo, ecco cosa. Perché il Nephilim era sdraiato in un letto dell’Infermeria, mezzo morto. Avrebbe dovuto andare a casa, avrebbe dovuto capire qual era la cosa più importante. Ma non avrebbe mai immaginato che sarebbe successo quello. Arrivato sulla porta, proprio mentre stava per uscire, si bloccò, incapace di fare un altro passo. Come poteva essere stato così idiota da non notare i dettagli? Quel rapimento non era certo opera dei Mondani, non avrebbero avuto interesse a rapire una famiglia di ebrei nemmeno tanto ricca. Non erano nella Germania nazista. Quel rapimento doveva essere sicuramente opera di… Certo, come aveva potuto non pensarci prima. Le luci erano accese, era successo di notte. Be’, questo avrebbe potuto essere normale, non doveva essere tanto facile rapire qualcuno di giorno. Ma tutto quel sangue. Tutto quel sangue poteva avere solo una spiegazione. E quei graffi sulla parete. Chi era tanto forte da trascinare qualcuno anche se si aggrappava a tutto con tanta determinazione da farsi male? Sentì la rabbia ribollirgli dentro. Che stupido. Che razza di stupido era stato. E lui aveva pure voluto che lo perdonasse. Che stupido. Aveva pianto per lui. Che stupido! E lui era così che lo ripagava? Era l’unica spiegazione possibile. Non gli importò di chiudere la porta dietro di sé, così i vicini non si sarebbero fatti domande. Iniziò a correre, con un solo luogo in mente. Doveva raggiungerlo il più in fretta possibile. Forse sua madre e sua sorella erano ancora salvabili. Non gli importò che fosse giorno e che tutti avrebbero potuto vedere che era un Diurno. Dopotutto lo sapevano già tutti, le voci circolavano. Corse il più in fretta possibile, non gli importava cosa pensassero i Mondani, doveva salvare la sua famiglia. Era sicuro che quella fosse l’unica spiegazione logica. Chi altri, se no? Che stupido, che stupido. Doveva raggiungere la sua destinazione il più in fretta possibile. Aveva già fatto abbastanza cazzate fino a quel momento. Doveva sistemare le cose. E anche se era giorno, avrebbero fatto meglio a degnarlo della loro attenzione. Corse senza pensare a quello che stava facendo, fino a quando non vide l’hotel DuMort in lontananza. I vampiri del Clan avrebbero fatto meglio ad ascoltarlo, perché non si era mai sentito tanto arrabbiato con qualcuno. E sentiva che avrebbe anche potuto privare qualcuno della sua non-vita.
 
Angolo autrice:
Waaa, sono una persona orribile :0 Ok, adesso che Elaine e Rebecca sono state rapite (forse) sarà tutto davvero fantastico. Ma poi Simon è stupido (cioè, so che sono io che lo faccio comportare da idiota, non sparatemi). Naturalmente, deve essere colpa di Raphael, di chi se no? Oggi non so cosa scrivere, ma sarete tutti contenti di non dovervi sorbire i miei scleri. Comunque, sono triste perchè nel prossimo episodio di SH ci sarà la Saia (nooo). Mi scuso, comunque, per scrivere queste cose zero gioia. Maa, nella prima parte del primo capitolo della seconda parte (uff), ci sarà una Saphael (guardano Star Wars ;) comunque, non sarà tutto gioie). Nella prossima parte, invece, Simon va al DuMort in desperation :(
Ci si rivede domani, se non vorrete abbandonarmi perchè faccio invidia a Leopardi in fatto di cose deprimenti 
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi) 

 

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Capitolo 22
*** Too dark to care pt.4 ***


Capitolo 5. – Too dark to care (pt.4)
Rallentò il passo. Il cielo si era ormai fatto blu scuro. Sentiva l’odio, la rabbia e l’adrenalina ribollirgli dentro. Non c’era altra spiegazione possibile. Come avrebbe potuto esserci? Era colpa di Raphael. Doveva essere colpa sua. Altrimenti sarebbe impazzito. Sarebbe impazzito perché sua madre e sua sorella erano chissà dove, tenute prigioniere da vampiri sconosciuti, probabilmente anche ferite. Forse anche morte. No. Quella non era una possibilità che poteva accettare. Non pensò nemmeno un secondo a quello che avrebbe detto al Clan. Sapeva che per lui era pericoloso andare all’hotel. Eppure era costretto a tornarci di continuo. La vita –o, sarebbe stato meglio dire, la non-vita –faceva proprio schifo. In quel posto gli andava in pallone il cervello. E non riusciva a dire qualcosa di senso compiuto. Non si fermò a riflettere, non gli importava della sua vita morta, doveva salvare sua madre e sua sorella. Solo loro contavano. Niente di più. Nemmeno Clary, non quella volta. Entrò al DuMort, con la mente che correva al posto suo. Era arrabbiato, ma allo stesso tempo spaventato. Avrebbe voluto uccidere qualcuno, ma allo stesso tempo piangere. Fece appena in tempo ad arrivare nella hall, che due vampiri lo attaccarono, atterrandolo. Simon non riconobbe subito quella furia di capelli neri che gli stava sopra, bloccandolo, una mano intorno al suo collo. Poi si accorse che era Lily, che lo guardava con odio profondo. L’altro allora doveva essere Sergey, quei due passavano quasi tutto il loro tempo insieme. Quando abitava ancora lì, diceva sempre –praticamente a tutti –che era troppo strano, che di certo c’era sotto qualcosa. Ma quello era molto tempo fa. Non poteva tornare indietro, a ridere e scherzare con loro. In quel momento non gli poteva importare di meno. C’era in gioco qualcosa di molto più importante di una sua stupidata. Lily strinse la presa attorno al suo collo, stringendo gli occhi scuri, la rabbia che la bruciava dentro.
-Come osi venire qui, Diurno? –Simon fece per ribattere, fece per gridarle in faccia che sapeva quello che il Clan aveva fatto, che sapeva che avevano rotto gli Accordi facendo del male a due Mondane, e che lui l’avrebbe detto al Conclave, e allora non ci sarebbe stata salvezza per loro. Ma fu interrotto dall’arrivo di Raphael. Era vestito in un modo… Normale. Non troppo perfettamente, con uno dei suoi fantastici completi o una delle sue preziose giacche. Solo come una persona che non aveva alcuna voglia di vedere nessuno. Quello che era certo, vedendo il suo sguardo, era che non aveva alcuna intenzione di vedere lui. Vedere il vampiro più vecchio gli fece ribollire il sangue. Era tutta colpa sua. Era stato lui a fare del male a sua madre e Rebecca. Doveva pagare. Cercò di divincolarsi dalla stretta di Lily, ma la vampira lo teneva troppo forte ancorato a terra. Sembrava non avesse alcuna intenzione di lasciarlo andare. Allora fu costretto a urlarlo così, sdraiato a terra, cercando di darsi un contegno. Anche se non gli importava davvero. Era troppo arrabbiato, troppo. Raphael fece un commento su come tutti dovessero arrivare nei suoi momenti peggiori, e Simon esplose. Non credeva di aver gridato tanto forte in tutta la sua vita. Ma non gli importava, non gli importava di nulla.
-Dove sono? –il capo Clan gli rivolse un’occhiata interrogativa, così come Lily e Sergey. Cosa che non lo aiutò per niente a calmarsi. –Dove sono? –senza nemmeno rendersi conto di averlo fatto, scaraventò via Lily, alzandosi in piedi e dirigendosi verso Raphael, lo sguardo iniettato di sangue. –DOVE SONO MIA MADRE E MIA SORELLA? –Sergey riuscì a bloccarlo di nuovo. Simon si sentiva sull’orlo di una crisi isterica. Da quando aveva iniziato a fare domande, Raphael lo stava osservando con un sopracciglio alzato, come se non capisse, senza spostarsi di un solo millimetro. E questo non fece altro che aumentare l’ira del Diurno. Il capo Clan non aveva idea di cosa l’altro stesse parlando. Lui non aveva fatto assolutamente nulla né a Elaine né a Rebecca, anzi, aveva promesso che le avrebbe tenute d’occhio, aiutate. Eppure Simon pensava che avesse fatto loro qualcosa, che le avesse rapite? Quel ragazzo era il massimo della gratitudine, questo era certo. Rimase ancora immobile, osservando il vampiro più giovane mentre tentava di nuovo di liberarsi, come un animale in gabbia. Non l’aveva mai visto così. Così tanto arrabbiato. Ma poteva capirlo. Sua madre e sua sorella sembravano scomparse nel nulla, no? Fece un passo avanti, senza mostrare un briciolo di paura –che non aveva –incrociando le braccia al petto. –So che le hai tu! –dopo averlo detto, Simon sembrò sul punto di piangere. Era come se volesse che fosse così. Perché temeva che, se non erano al DuMort, non le avrebbe mai più ritrovate, non avrebbe potuto salvarle. Senza fretta, con voce calma e monotono, Raphael ordinò a Sergey di lasciare andare il Diurno. Il russo sembrò confuso, ma non che potesse obiettare, quindi fece un passo indietro, lasciando libero Simon. A differenza delle aspettative, lui rimase fermo dov’era. Gli era venuto mal di testa. Non sapeva cosa fare. Sapeva che Raphael stava solo fingendo di non sapere nulla, lo sapeva. Doveva essere così… Altrimenti non sapeva cosa avrebbe fatto. Cosa poteva fare? Cosa? Non si era mai trovato in una situazione simile, prima. Gli sembrava di star vivendo in un gigantesco film horror. Forse prima o poi si sarebbe svegliato e si sarebbe accorto che nulla era successo davvero. Che lui non era davvero un vampiro, che Clary non era davvero una Shadowhunter, che la sua famiglia stava bene. Doveva essere così. Lui e la sua migliore amica avrebbero riso, avrebbero mangiato un gelato. Poi sarebbero andati a prendere Maureen con il suo furgone, sarebbero andati a suonare in un locale. Poi sarebbero andati a cena da sua madre e sarebbero venuti anche Jocelyn e Luke. Ma non era stato solo un sogno. Un incubo. Oh, no. Era tutto terribilmente reale. E lui non aveva idea di cosa fare. Aveva bisogno d’aiuto.
-Mi fai così pena che vorrei poterti dire di sì. –gli disse Raphael, riscuotendolo dai suoi pensieri, facendo mezzo passo in avanti. –Ma non posso. Non ho idea di dove siano, Diurno. –all’improvviso a Simon sembrò di poter sentire sua madre urlare perché lui la salvasse, ma era solo nella sua testa. Non poteva aiutarla, forse non avrebbe mai potuto. Forse era troppo tardi per fare qualsiasi cosa. Magari avrebbe potuto andare da Clary e chiederle aiuto. Ma agli Shadowhunters non sarebbe interessata la scomparsa di due semplici Mondani. Avrebbero detto che avevano cose più importanti da trattare di un’assurdità più simile. Come scoprire dove si trovava la Spada dell’Anima. O almeno la Coppa Mortale. Valentine sarebbe stato sempre più importante di tutto. E per Clary sarebbe sempre stato più importante Jace. Nessuno poteva aiutarlo. Be’, certo, qualcuno avrebbe potuto, ma lui non avrebbe certo osato chiederglielo. Aveva già fatto troppe cose per lui, e Simon non gli aveva certo dimostrato gratitudine. Perché avrebbe dovuto importargli? Trovò a malapena la forza di alzare lo sguardo e guardare Raphael negli occhi scuri. Tutto il dolore che il capo Clan vide nelle iridi castane e nelle pupille dilatate del Diurno, lo colpì in pieno come un raggio di sole. Quella frase per un Mondano doveva suonare piuttosto romantica, ma per lui certo non lo era. Era come se il vampiro più giovane lo stesse pregando di fare qualcosa, di aiutarlo. E lui certo non si sarebbe tirato indietro. Non poteva sopportare quell’espressione così persa e spezzata. Doveva fare qualcosa. Prima che qualcuno potesse impedirglielo, mise una mano sulla spalla di Simon, e sorrise debolmente, sentendosi un idiota, dicendo:
-Ti accompagno dal tuo amico lupo mannaro, così potrai spiegarmi cos’è successo. –che stupido. Dopo tutto quello che l’altro gli aveva fatto, lui continuava ad aiutarlo, sempre, incondizionatamente. E non avrebbe certo smesso. Avrebbe continuato così, per quanto gli facesse male. Magnus gli aveva detto che avrebbe dovuto piantarla di fare il masochista e affezionarsi a persone che gli facevano solo male. E gli aveva anche detto che avrebbe parlato personalmente con “Seamus”. Cosa che Raphael gli aveva proibito di fare, ma temeva che lo stregone non lo avrebbe ascoltato e avrebbe fatto un disastro ancora peggiore di quello che era già. Lasciò ricadere la mano, dicendo che prima avrebbe dovuto mettersi qualcosa di più presentabile, scomparendo così com’era arrivato. Velocemente e senza un suono. Simon doveva ammettere che quel breve contatto lo aveva calmato incredibilmente. Gli aveva fatto capire che il vampiro più vecchio non avrebbe smesso di aiutarlo, che sarebbe sempre stato lì per lui. Era sempre stato così, e le cose non sarebbero cambiate. Ora però, gli veniva di nuovo da piangere. Che debole che era. Avrebbe fatto meglio a diventare più forte, se doveva vivere una vita eterna. Prima che potesse accorgersi di quello che stava capitando, si trovò di nuovo a terra, il viso minaccioso di Lily a pochi centimetri dal suo. Se fosse stata umana avrebbe sentito il suo respiro sulla pelle. Cosa piuttosto terrificante. Non sapeva perché la vampira l’avesse fatto, aspettò solo che dicesse qualcosa, confuso. Lily sapeva che avrebbe dovuto controllarsi, che Raphael non avrebbe voluto che facesse male al suo Diurno, ma era stato più forte di lei. Simon non poteva permettersi di arrivare all’hotel come gli pareva e di ottenere sempre l’aiuto di cui aveva bisogno. Li stava soltanto usando, come aveva sempre fatto. Ma a lei non importava cosa facesse a lei o al resto del Clan, ma se avesse visto Raphael versare un’altra lacrima per quello stronzo… Non sarebbe certo finita bene. Per niente.
-Feriscilo di nuovo e ti ucciderò. –sibilò, vicino all’orecchio dell’altro, per rendere chiaro il concetto. –Ha già sofferto abbastanza, non hai bisogno di causargli altro dolore. Anche se sembra piacerti. Sua madre è morta e sua sorella crede che lui sia morto da almeno cinquant’anni. Quindi, per quanto ti piaccia, non fargli più del male. O ti ucciderò, lo giuro. -un attimo dopo, fu di nuovo in piedi, mentre Simon rimaneva ancora per qualche secondo a terra. Che stupido. Continuava a ripeterselo, eppure non faceva nulla per riparare. Sapeva che avrebbe dovuto, eppure… Si rialzò lentamente in piedi, sentendosi più confuso che mai. Il mal di testa non voleva passare. Era come avere un martello pneumatico nel cervello. Cosa non certo piacevole. Pensò a come riassumere la situazione in poche parole, temendo che Raphael si sarebbe stancato di starlo a sentire, e se ne sarebbe andato. Cosa molto probabile, considerato quello che era successo nemmeno ventiquattro ore prima. Ma sapeva che non ce l’avrebbe fatta. Era normale per lui parlare troppo, blaterare, soprattutto quando era in ansia o in panico, non riusciva a formulare una frase di senso compiuto. Forse avrebbe fatto meglio a dire tutti i dettagli. Tutto quello che aveva visto, senza mancare nemmeno il minimo dettaglio. Era probabile che avrebbe divagato, ma non importava. Doveva ritrovare la sua famiglia. Non pensò più alle parole di Lily, non pensò più a nulla. Cercò di concentrare la sua mente solo su quello che era davvero importante. Raphael tornò dopo incredibilmente poco tempo, indossando uno dei suoi soliti completi, i suoi capelli in un ordine perfetto. Simon avrebbe ammesso che lo preferiva prima, se la sua mente non fosse stata altrove. I due vampiri uscirono dal DuMort –non senza che Lily lanciasse un’occhiata acida al più giovane –e si diressero verso il Jade Wolf. Il capo Clan aspettò pazientemente che Simon finisse il suo racconto. Era sembrato davvero sconvolto quando era entrato all’hotel. Non l’aveva mai visto così. Era sempre fin troppo felice per i suoi gusti. Soprattutto da quanto stava con la roja. Era colpa di quella ragazza se aveva tradito il Clan, l’aveva fatto solo per lei. Ed era davvero irritante pensarci. Faceva sempre tutto per la Fairchild. Sempre. Sembrava che vivesse soltanto per compiacerla. Ma quella volta era diverso. La Shadowhunter non era compresa nella situazione. Per una volta. Per una volta erano coinvolte persone più importanti. Forse era per quello che voleva aiutarlo. Perché era la sua famiglia ad essere coinvolta. E Raphael sapeva com’era perdere la propria famiglia. Non si era più gli stessi dopo. Prima o poi anche Simon avrebbe dovuto lasciarle, sua madre e sua sorella, perché era immortale, e loro non lo erano. Perché non invecchiava, e loro sì. Perché era un vampiro. Ma sarebbe riuscito a farlo più facilmente sapendo che erano vive, non che erano morte a causa sua. Perché qualche vampiro pazzo le aveva rapite. Raphael capiva perché il Diurno avesse subito pensato che fosse stato lui a fare loro del male. Sangue, notte. Vampiri. E lui avrebbe dovuto odiarlo. Già, avrebbe dovuto. Ma non importava quanto quell’estúpido gli facesse del male. Non riusciva a odiarlo. E continuava a sentirsi un cretino. Sentendo la storia, credeva che sarebbe stato difficile salvare la sua famiglia, se ancora era possibile. Non era stato nessuno del Clan a fare loro del male, altrimenti lui lo avrebbe saputo. Avrebbero potuto essere vampiri di piccoli gruppi fuori controllo sparsi per la città, ma… Sembrava una coincidenza fin troppo strana. Era stato un caso se avevano rapito proprio le persone che Simon amava di più? Certo che no. Qualcuno lo aveva fatto di proposito, forse perché lui era legato agli Shadowhunters. O forse per qualcosa che aveva fatto. Così, su due piedi, avrebbe detto che la colpevole fosse Camille, era l’unica da odiarlo abbastanza, ma non era possibile, ormai era in custodia del Conclave, tenuta in chissà quale girone dell’Inferno per aver infranto gli Accordi. Allora non riusciva a vederci una spiegazione logica. Forse era davvero un caso, dopotutto. Anche se continuava a dubitarne. Simon cominciava a essere preoccupato. Era da parecchi minuti che aveva finito di raccontare, e Raphael non aveva ancora detto niente. Aveva paura che il vampiro più vecchio non avesse ascoltato una sola parola di quello che aveva detto. Certo, aveva divagato un paio di volte, per esempio dicendo come sua madre odiasse il disordine, o come non lasciasse mai le luci accese di giorno, quando ancora poteva vedere, o come odiasse sprecare il cibo, ma per il resto aveva cercato di essere conciso. Probabilmente si sarebbe arrabbiato. Il capo Clan si era offerto di aiutarlo, aveva dovuto ascoltarlo. Perché altrimenti… Quando ormai credeva che sarebbe scoppiato a piangere come un bambino, in preda a una crisi isterica, Raphael gli rivolse un’occhiata, chiedendogli se avesse idea di chi potesse essere stato. Simon avrebbe voluto tirare un sospiro di sollievo, ma non voleva rendersi ridicolo. Allora l’aveva ascoltato. Si era preoccupato per niente. Rispose che non ne aveva la più pallida idea, che aveva pensato a lui perché non aveva idea di chi altro potesse essere stato. E che era in panico. In terribile panico. Ma forse avrebbe fatto meglio a non dirlo. Raphael sollevò soltanto un sopracciglio, prima di fargli un’altra domanda. Chi altri avesse motivo di odiarlo. Sottolineò “altri”, tanto per fargli capire che lui ne aveva fin troppi di motivi per odiarlo. Simon decise di ignorarlo e gli rispose che non ne aveva sinceramente la più pallida idea. Quel ragazzo aveva sempre una profonda opinione. Perché c’erano troppe persone che potevano odiarlo, continuò. Tutti i vampiri, perché lui era un Diurno, e volevano scoprire il suo segreto. I lupi mannari, considerando che continuava a invadere il loro territorio. Ma comunque, a rapire la sua famiglia era stato di certo un vampiro, o più, e dubitava che figli della luna e figlia della notte riuscissero davvero a collaborare. Agli altri Nascosti non aveva ancora fatto nulla, per ora, quindi era meglio escluderli. Pensare agli Shadowhunters era da pazzi. Perciò, no, in realtà non era chissà che teoria. Quindi continuava a non saperlo. Raphael scosse la testa, esasperato. Non sarebbero arrivati da nessuna parte in quel modo. Simon rispose, come leggendogli nel pensiero -non che fosse difficile più di quel tanto, conoscendolo –che al Jade Wolf sarebbero arrivati. Il vampiro più vecchio fu tentato di andarsene, dopo quella “battuta”, ma non lo fece. Voleva dire che il Diurno non era così disperato da non sdrammatizzare la situazione. O forse era il contrario. In entrambi i casi, Raphael non se ne sarebbe andato. Il tempo era passato in fretta, la strada era ormai quasi finita. Erano già arrivati nella zona portuale del ristorante dei lupi. L’odore non era certo dei più piacevoli, ma ormai era risaputo che quei cani troppo cresciuti non avevano un briciolo di buon gusto. Forse stavano lì per coprire il loro tremendo odore. Il capo Clan si lasciò sfuggire un commento, e Simon si ritrovò a dover difendere i suoi amici. E allora, tanto per cambiare, ricominciarono a discutere. Il più giovane disse a Raphael che non poteva permettersi di dire quelle cose sui figli della luna, perché Luke era suo amico, così come Maia. Ogni scusa era buona per urlarsi addosso, negli ultimi tempi. Cosa assolutamente insensata, ma non potevano farci nulla. E poi, se dovevano essere sinceri, c’erano cosa peggiori. Era come se li divertisse litigare. Mah. Eppure, da quello stupido commento, le cose cominciarono a degenerare. Nessuno dei due aveva dimenticato il discorso della notte prima, avevano solo cercato di non parlarne e di essere gentili tra loro. All’improvviso Raphael sembrò ricordarsi di tutte le lacrime che aveva pianto per il Diurno. Era stato orribile. Non si era mai sentito così debole e fuori controllo, incapace di smettere di piangere. Certo, era stata colpa di Isabelle se era crollato, ma solo perché lei era l’unica persona in grado di tenere insieme i pezzi di lui. E comunque, quando era stato accompagnato da Magnus al DuMort, quella mattina, aveva visto che lei gli aveva scritto un ultimo messaggio, raccogliendo il suo telefono miracolosamente ancora funzionante. Erano solo quattro parole, ma gli avevano fatto capire che forse la Shadowhunter teneva davvero a lui, nonostante tutto. “Ma non voglio perderti”. E lui ci aveva creduto. Eppure sapeva che avrebbe fatto male. Ma la vita era così. Faceva male, pur rendendoti felice. Più o meno. Fatto stava che non si era mai sentito così stupido, piangendo tutte quelle lacrime, lasciandosi affogare dai ricordi. Magnus gli aveva detto che avrebbe dovuto trovare una soluzione, ma lui sapeva che era impossibile. C’erano delle cose a cui non c’era soluzione. Come l’amore. Non era possibile trovare un’uscita. Eri bloccato. Senza vie di fuga, senza uscite d’emergenza. Simon non aveva dimenticato quanto fosse stato stupido la notte prima, aveva solo messo la vita della sua famiglia in primo piano, com’era giusto. Non credeva che Raphael gliel’avrebbe fatto pesare. Eppure, eccoli lì. Stavano camminando in una strada stretta, da una parte c’erano dei container, dall’altra il canale. Eppure non smise di urlarsi contro. Era probabile che tutto il branco di Luke gli avesse sentiti, e che presto sarebbero arrivati. Simon ci sperava. Perché non riusciva più a sopportare quella situazione. E continuava a dire cose che non avrebbe voluto. Disse al vampiro più vecchio che continuare a prendersela con lui non avrebbe cambiato le cose. Che lui avrebbe continuato a poter stare al sole, mentre l’altro non avrebbe potuto. Mai. Perché non se lo meritava. Perché era dannato, perché si era macchiato le mani di troppo sangue innocente. Eppure non lo pensava davvero. Raphael avrebbe voluto ribattere, ma le parole del Diurno lo colpirono come nulla prima. Davvero, nulla. Simon non se ne accorse, come al solito, e continuò a parlare. Disse che non poteva credere di essersi fidato di lui anche per un secondo. Che era colpa sua, che lui era solo invidioso. Era colpa sua, l’aveva fatto di proposito. Non aveva tenuto d’occhio la sua famiglia, come sperando che potesse succedere loro qualcosa, per vendicarsi, perché lui non sarebbe caduto all’Inferno. Ormai non era più Icaro, come tutti loro, le sue ali potevano sopportare il sole. Perché voleva essere come lui, poter vivere una vita al di fuori del buio della notte. E allora non aveva protetto sua madre e sua sorella, per meschina vendetta. Raphael cercò di restare calmo, ma in quegli ultimi tempi non era bravo a controllare le sue emozioni. Sapeva che il Diurno stava solo blaterando, che stava dicendo cose senza senso. Avrebbe voluto rispondergli che la notte prima era troppo occupato a piangere per lui per preoccuparsi di Elaine e Rebecca, e che quindi era colpa sua. Ma non poté mai farlo, perché Simon, senza riuscire più a controllare le sue parole, gli disse l’unica cosa che non avrebbe mai dovuto dire. Perché poteva dire tutto, ma non quello. Non ne aveva il diritto, lui non sapeva che cosa aveva dovuto superare, eppure parlava, parlava, sicuro di sapere perfettamente quello che stava dicendo.
-Sai, è un bene che tua sorella creda che tu sia morto! Perché se sapesse la verità, ti odierebbe! –che cosa aveva detto. PERCHÉ DIAVOLO L’AVEVA DETTO? Simon si sentì un fottutissimo cretino. Sapeva che era solo colpa sua, era lui che si faceva odiare, dicendo cose assolutamente senza senso. A quel punto, Raphael esplose. Non si chiese come Simon potesse sapere di sua sorella, ma non gli importava. Esplose, senza pensare. Quello stupido vampiro novellino e incapace non poteva permettersi di dirgli quelle cose. Dopo tutto quello che aveva fatto per lui. Era un dannatissimo ingrato, e uno stronzo. Non ci aveva mai creduto di più. E lui se ne era innamorato? A quel punto non sapeva chi fosse più stupido. Sbatté Simon così forte contro il container che il metallo si deformò. Gli strinse una mano attorno al collo, anche se non avrebbe certo potuto soffocarlo. Simon si sentì davvero spaventato, in quel momento. Non aveva mai visto Raphael così arrabbiato, sembrava che scintille potessero sprizzare dai suoi occhi. Lo fissava con tanta intensità che avrebbe potuto fargli un buco nell’anima, i denti scoperti. Faceva paura. Non disse nulla, rimase solo fermò ad osservarlo. Il Diurno si ritrovò a dire, con voce tremante, credendo che sarebbe morto sotto quello sguardo:
-S-scusa… Non so perché l’ho detto… Dico sempre cose che non penso, mi dispiace, mi dispiace… -continuò a ripeterlo, incapace di smettere. Raphael stava cercando di controllarsi, prima di ucciderlo davvero. Avrebbe voluto farlo, avrebbe dovuto farlo. Ma non poteva. Dopo quell’iniziale rabbia, sentì che il suo cuore già in pezzi si stava riducendo in pezzi ancora più piccoli. Quell’idiota aveva ragione. Era vero, sua sorella l’avrebbe odiato, sapendo che cos’era. Sapendo come aveva perso la sua anima. Ed era una verità che gli faceva male più di qualunque altra. Perché non l’aveva mai chiesto. Avrebbe dato di tutto pur di tornare indietro e morire del tutto. Perché era quello che si meritava. Allentò la presa sul collo di Simon, abbassando di poco lo sguardo, mentre l’altro non smetteva di parlare.
-Zitto. –gli disse solo. Il vampiro più giovane tacque all’istante, mentre Raphael rialzava lo sguardo su di lui. Il suo sguardo non aveva più nulla di arrabbiato, sembrava solo perso. Come se non sapesse più cosa fare. Simon trasalì. Era vicino. Avrebbe potuto ucciderlo. Avrebbe potuto baciarlo. Di certo avrebbe preferito la prima opzione. Perché sapeva di non meritarsi la seconda. Avrebbe voluto dire qualcosa, scusarsi, ma non riusciva più a dire nulla. Il capo Clan lo lasciò andare, facendo un passo indietro. Non l’avesse mai fatto. Prima che potessero accorgersi di qualcosa, troppo concentrati a pensare quanto stupidi fossero, qualcosa uscì dal canale. Era orribile, probabilmente un demone, ma era troppo buio per capire bene cosa fosse. Stava sbavando il suo stesso icore, come ringhiando. Aveva punte acuminate sulla schiena, la pelle interamente nera, due buchi al posto degli occhi, ed emanava odio, odio allo stato puro, tanto che si poteva sentirlo. Simon non poté fare nulla.

Angolo autrice: 
Ok, mi sento una persona orribile per questa cosa, davvero :( Soprattutto per quello che Simon dice a Raphael verso la fine (ma non è colpa mia, aveva appena visto il 2x12 e sono stata influenzata). Comunque non c'è confine alla stupidità di questo ragazzo *facepalm* Ma, naturalmente, Raph lo aiuta e lo aiuterà sempre (cosa vera anche nella serie tv, notate bene). Comunque, tranquilli, nessuno è morto, qui (più di quanto non fosse prima). Il dramma non manca mai... Domani, Lizzy! Una cosa carina e magari anche divertente, per una buona volta! :D
A domani! 
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi) 

 

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Capitolo 23
*** Too dark to care pt.5 ***


Capitolo 5. – Too dark to care (pt.5)
Isabelle era rimasta chiusa nella sua stanza tutto il giorno. Nessuno aveva cercato di andare a parlarle, e lei ne era stata ben felice. Erano tutti troppo occupati a preoccuparsi di Jace per preoccuparsi di lei. Non che le dispiacesse. Anzi, aveva quasi benedetto il biondo per essersi fatto ferire da quel demone. Almeno aveva potuto stare nella sua stanza a sbollire la rabbia. Non che ci fosse riuscita, effettivamente. Questa volta Alec aveva passato il segno. Avrebbe dovuto ribellarsi e andarsene, forse per sempre, ma lui aveva fatto il nome di Max, ed era crollata. Poteva accettare di deludere sua madre e suo padre, ma non di certo il suo fratellino. Così aveva scritto a Raphael quel messaggio. Non si era mai sentita tanto in colpa come in quel momento. Appena Alec l’aveva lasciata andare, era corsa nella sua stanza e si era buttata sul letto, singhiozzando. Le mancava la presenza del vampiro, le mancava essere consolata da lui. Ora stava seduta vicino alla finestra, guardando fuori con sguardo assente. Stava pensando a quanto era stata stronza. Così Raphael avrebbe avuto la conferma di una cosa sbagliata: che lei l’aveva solo usato. Perché non era vero. Lo amava davvero tanto. Se avesse potuto, avrebbe preso lui come suo parabatai. Avrebbe tanto voluto fosse possibile, così nessuno avrebbe più potuto nemmeno provare a separarli. Non ci sarebbe riuscito. E poi, quello che diceva Alec era ridicolo. Lui era ridicolo. Perché tutti avevano il diritto di stare insieme a una Nascosto, mentre per lei era diverso? Mentre per lei era “pericoloso”? Non era una bambina. O una Mondana. Sapeva difendersi da sola. Ma suo fratello continuava a cercare di proteggerla, senza capire che lei non ne aveva bisogno. Alec doveva già proteggere l’Istituto, lei poteva cavarsela da sola. Eppure lui insisteva. Diceva che lei non poteva capire, non davvero. Che era ora di crescere. Lei gli aveva urlato che era lui a dover crescere, e a liberarsi di tutti i pregiudizi che aveva verso i Nascosti. I Nascosti tranne Magnus. Perché Magnus era diverso. Certo, come no. E anche Simon. Forse gli Shadowhunters avrebbero dovuto rendersi conto che i Nascosti non erano solo cattivi e pericolosi. Erano come tutti i normali esseri umani, a parte qualche piccolo dettaglio. C’erano Nascosti che facevano cose crudeli, ma c’erano anche quelli che facevano cosa buone. E le persone normali non erano sempre cattive o sempre buone. Non ci poteva essere una distinzione precisa, non si potevano separare le persone cattive da quelle buone. A volte persone buone erano costrette a fare cose cattive, per sopravvivere. E viceversa. Ma questo era un concetto troppo difficile da capire per i Nephilim. Ma se l’aveva capito lei potevano capirlo tutti. Osservava le luci della città oltre la finestra. Si era ormai fatta sera. Non era tardissimo, ma era praticamente inverno, il sole tramontava presto. Si domandò cosa stesse facendo Raphael in quel momento. Si domandò se avesse letto il messaggio che gli aveva scritto dopo, in piena notte, corrosa dai sensi di colpa. Si chiese se avesse capito che non avrebbe voluto dirgli quelle cose, che era stata costretta. Sospirò, appoggiando la fronte sul vetro freddo della finestra. Avrebbe dato di tutto pur di poter parlare con qualcuno, ma non aveva idea di chi quel qualcuno potesse essere. Non aveva intenzione di parlare con Alec, con Clary. Avrebbe tanto voluto potesse essere Raphael. Ma non poteva essere così. Si alzò in piedi e si guardò attorno, osservando tutta la stanza. Lo sguardo le cadde sulla torta al cioccolato, abbandonata sulla scrivania ad un lato della stanza. Sapeva che era ancora presto, ma lei era l’unica persona con cui si sentiva di parlare. E poi, doveva ancora farsi perdonare. Se avesse aspettato ancora un po’, non ci sarebbe stato verso, lo sapeva. Fece un salto nella cucina dell’Istituto, riuscendo a trafugare un coltello e un paio di piatti. Poi, tornò nella sua stanza, prese la torta e si avviò verso la sua meta, sperando che nessuno la vedesse. Ma probabilmente erano tutti rinchiusi in Infermeria, quindi non sarebbe stato un problema. Raggiunse quella che sperava fosse la stanza di Lydia, e bussò piano, sentendosi all’improvviso poco coraggiosa. Sentiva il battito del suo cuore rimbombarle nelle orecchie. Non sapeva perché si sentisse così agitata. Forse perché sapeva di essere stata una stronza, e aveva paura che la giovane Branwell non l’avrebbe perdonata. Certo, non era sembrata molto arrabbiata quando le aveva parlato, la mattina precedente, anzi, era stata gentile a informarla di quello che era successo a Jace, pur avendolo fatto in un modo piuttosto brusco. E poi, Isabelle non riusciva a togliersi dalla testa il suo sorriso quando era arrivata Margot. Era certa di non averla mai vista sorridere così. Vedere il suo viso illuminarsi l’aveva scaldata dentro. Lydia cercava sempre di comportarsi in modo freddo, eppure era tornata all’Istituto, anche dopo essere stata ferita da quel demone che li aveva attaccati, aveva deciso di essere migliore, anche dopo tutto quello che era successo, aveva lasciato che Alec seguisse il suo cuore, che facesse la cosa giusta, anzi, lo aveva incoraggiato. Vedere come era stata felice all’arrivo della sua sorellina, aveva solo confermato le cose. Cercava di non mostrare troppo i suoi sentimenti, dopo quello che le era successo, cercava di fare ciò che andava fatto, e non di seguire il suo impulsivo cuore. La porta si aprì e Isabelle si ritrovò davanti una Lydia ancora vestita di tutto punto, anche se ormai cominciava a farsi tardi. Il viso della bionda sembrò illuminarsi quando la vide. Alla giovane Lightwood si scaldò di nuovo il cuore, vedendo quanto potesse essere dolce quella ragazza. La invitò subito ad entrare, senza nemmeno pensarci. Forse, ottenere il suo perdono non sarebbe stato così difficile, dopotutto.
-Isabelle! –esclamò, pur cercando di non mostrarsi troppo felice che la mora fosse andata a cercare lei, tra tutti. Eppure lo era, oh, se lo era. –Cosa ci fai qui? –Lydia doveva ammettere che era rimasta stupita vedendo lei, sulla porta. Si era aspettata Margot, o magari Alec, ma non lei. Ma non era certo dispiaciuta. Credeva che l’altra fosse arrabbiata con lei per qualche motivo. Per essere tornata forse. Avrebbe voluto che le spiegasse cos’era successo, invece di fare finta di nulla. Avrebbe voluto che le dicesse perché era sembrata così triste di vederla, così disgustata. Isabelle sollevò la torta, che aveva poggiato su un vassoio, sorridendo debolmente, come se fosse insicura di quello che stava facendo. Effettivamente era così. Non sapeva perché si sentisse così stupida, così imbarazzata. Si sentì arrossire, ma cercò di non mostrarlo troppo.
-Lo so che è un po’ presto, ma… -Lydia la fissò per qualche secondo, come se fosse impazzita. Poi, scoppiò a ridere. Era una risata genuina, bella, non era certo fatta per prenderla in giro. L’altra le domandò quale fosse il problema, e la bionda rispose che aveva sentito che la sua cucina non era così affidabile. Izzy prese appunto mentale di uccidere suo fratello, dato che poteva essere stato solo lui a darle quell’informazione. Le domandò se potesse fidarsi. La mora fece finta di essere offesa, non riusciva a non essere felice, lì, in quel momento, con lei. Si diresse verso la scrivania vicino alla finestra, posò lì la torta e cominciò a tagliarla con quasi troppa forza. Disse che quelle cose erano assolutamente infondate. Non che potesse dirle la verità. Cioè che un vampiro ultraottantenne che sapeva cucinare meglio di lei e probabilmente di chiunque altro che conoscesse, l’aveva aiutata. Ci avrebbe rimesso la sua dignità. Già la sua fama di terribile cuoca si stava sfracellando davanti ai suoi occhi. Be’, non che potesse esserne triste, ad essere sinceri, ma comunque… “Speriamo di non avvelenare nessuno”. Quella frase le mise gioia e tristezza allo stesso tempo. Non poteva davvero credere di aver scritto a Raphael che non si potevano più vedere. Come poteva vivere senza di lui? Era impossibile. Nessuno poteva capirla come la capiva lui. Nessuno poteva. E poi, sapeva che la vita del vampiro non era stata facile, e si separava per sempre da lui, soltanto con un messaggio? Come aveva potuto fargli questo? Avrebbe dovuto rinunciare alla famiglia, deludere Max, ma non comportarsi così da stronza. Si accorse di avere le lacrime agli occhi, e cacciò giù il nodo che aveva in gola. Doveva rimediare almeno al casino che aveva fatto con Lydia, non poteva scoppiare a piangere in quel modo. La giovane Branwell si accorse che la mora aveva qualcosa che non andava, perciò si alzò e le andò vicino, osservandola con i suoi occhi azzurri. Non sapeva cosa le stesse succedendo, ma si stava comportando in modo strano, negl’ultimi tempi. Certo, lei era tornata da poco tempo, due giorni, forse meno. Ma aveva visto quanto tutto l’Istituto sembrasse in subbuglio. Alec era sempre incredibilmente preoccupato da quando Jace era stato ferito. Continuava a non riuscire a spiegarsi perché un’orda di demoni avesse attaccato uno Shadowhunter in piena New York. Poteva essere una cosa normalissima, ma lui continuava a insistere che non lo era. Nessuno lo prendeva sul serio, dicevano tutti che era troppo paranoico. Avessero saputo che non si sbagliava, non si sbagliava affatto… Ma loro erano Nephilim, davano tutto per scontato, anche quando le cose cominciavano a degenerare. Eppure, dopo quello che era successo con Valentine, avrebbero dovuto capire che le cose non erano mai semplici come sembravano. Jace era stato ferito, ma continuava a insistere che stava bene, che non era successo niente di grave. Certo, si stava riprendendo, grazie agli iratze e alla magia di Magnus, ma era abbastanza sicura che, dopo essersi ritrovato con metà faccia bruciata, non poteva certo dirsi in buona salute. Clary non faceva altro che stare con Jace, e quando non poteva, con Simon. Era certa che il vampiro non apprezzasse di essere la sua ultima spiaggia, eppure era sempre lì, quando poteva, anche mentre la giovane Fairchild continuava a piangere vicino a Jace, che continuava a fingere di dormire. Sembrava che facesse di tutto pur di non parlare con lei. Non ne capiva il motivo, però. Persino Margot si comportava in modo strano, diceva di continuo che doveva allenarsi, non le parlava quasi mai. Era strano, ma forse voleva soltanto essere ben accetta dagli altri Shadowhunters, visto che era così giovane. Isabelle aveva smesso di tagliare, fissando un punto imprecisato sul tavolo. Lydia le chiese se stesse bene, prendendole gentilmente il coltello dalle mani, dicendo che avrebbe fatto lei. La giovane Lightwood se ne sarebbe volentieri andata, per tornare dal suo adorato letto, e piangerci sopra ancora un po’. Ma non lo voleva davvero. Era stanca di piangere. L’unica persona di cui Lydia non sapeva niente, era Isabelle. Sapeva che anche lei era stata ferita dopo l’attacco del demone, anche se non gravemente come lei. Nient’altro. In quei due giorni l’aveva vista solo una volta all’Istituto. Si chiedeva dove passasse tutto il suo tempo. Avrebbe voluto domandare ad Alec, ma sapeva che lui aveva altri problemi per la testa, e non poteva preoccuparsi di rispondere alle sue stupide domande. Quindi, aveva deciso di lasciare perdere. Forse prima o poi l’avrebbe chiesto a lei. Sembrava che i due fratelli avessero avuto una discussione tremenda, la notte prima, forse era per questo che la mora sembrava così triste. Quando prese il coltello dalle mani dell’altra Shadowhunter, le loro dita si sfiorarono, e Lydia si sentì una cretina sentendo il rossore salirle alle guance. Avrebbe dovuto stare più attenta, era una cosa da stupidi comportarsi in quel modo. Forse era perché aveva deciso di tornare e di essere un po’ più umana e un po’ meno macchina che seguiva alla perfezione le regole del Clave. Era solo stato il suo dolore a farla diventare così, ma lo faceva per risparmiarsi altre delusioni. Essere gentili, essere buoni, essere ingenui, non faceva altro che male. Portava solo sofferenza. Essere dei bastardi era più facile, anche se meno piacevole, sia per gli altri, sia per te, se non lo eri davvero. Se dovevi farlo solo per poter andare avanti. Mise accuratamente una fetta di torta su un piattino e la porse a Isabelle, che sorrise, dicendo che avrebbe dovuto provarla prima lei. Lydia ricambiò il sorriso, domandando se davvero si potesse fidare. L’altra disse di sì, ma tutti gli effetti collaterali non erano a carico suo. La bionda non riuscì a trattenere una risata, provando con cautela una forchettata di torta. Isabelle tenne gli occhi fissi su di lei, sperando che non fosse davvero una torta killer o qualcosa del genere. L’espressione stupita di Lydia la fece quasi offendere. La giovane Branwell disse che era incredibilmente buona, e che avrebbe dovuto dire a tutti che si sbagliavano. Isabelle Lightwood sapeva davvero cucinare. L’altra disse che forse non era una buona idea, altrimenti tutti avrebbero voluto provare il suo cibo e mezzo Istituto sarebbe morto. Parlarono per ore del più e del meno, finendo praticamente tutta la torta in due. Di quando avevano ricevuto la loro prima runa, di quando avevano cominciato ad allenarsi. Isabelle raccontò qualche episodio imbarazzante della sua vita, come ad esempio quando aveva cercato di cucinare la prima volta, a otto anni, e aveva quasi appiccato il fuoco alla loro casa di Idris. Era stato piuttosto imbarazzante, soprattutto ricevere la sgridata da sua madre. Ma poi, accidentalmente, si lasciò sfuggire molti avvenimenti riguardanti Alec, e anche Jace. Soprattutto all’inizio, quando Jace era appena arrivato all’Istituto. Aveva pensato che i suoi occhi fossero bicolore perché era indemoniato, e lui l’aveva inseguita dappertutto, fino fuori, nel parco, dove lei era riuscita a farlo inciampare e cadere nel laghetto. Non aveva mai visto nessuno urlare così tanto per un paio di anatre. Così aveva scoperto la peggiore paura di Jace. Diceva che aveva sempre avuto paura delle anatre, senza davvero un vero motivo. Se lo sentiva dentro che erano perfide. Avevano quegli occhietti diabolici. Lei e Lydia risero per un quarto d’ora a questo. Perché, davvero, chi si sarebbe mai aspettato che uno Shadowhunter come lui avesse paura di qualcosa di così adorabile come le anatre? Il mondo era davvero strano a volte. Le cose successe ad Alec non erano molte, era sempre stato fin troppo serio, fin da bambino. Però, ogni volta che succedeva qualcosa di imbarazzante era colpa di Jace. Davvero. Come quella volta, qualche anno prima, quando era stati mandati in una semplice missione, il giovane Wayland, seppur ancora davvero troppo giovane, era riuscito a flirtare con un gruppetto di fate e farsi quasi portare alla corte Seelie, trascinandosi dietro Alec. Il fratello di Izzy era riuscito ad evitare un disastro, ma comunque la figura era stata fatta. Jace era sempre stato così, fantastico Shadowhunter, ma un po’ troppo incline ad essere poco modesto, e, così facendo, a far cadere ai suoi piedi praticamente tutti. Isabelle cercò di evitare il più possibile di parlare della sua fama di calpesta cuori, perché ora faceva troppo male. Non le era mai dispiaciuto essere etichettata così, ma in quel momento si sarebbe volentieri uccisa. Come aveva potuto calpestare il cuore dell’unica persona che era in grado di tenerla in vita? Cercava di smettere di pensarci, ma non ci riusciva. Lydia notava che ogni tanto lo sguardo dell’altra si perdeva nel vuoto. Le dispiaceva molto non poterla aiutare. Forse era qualcosa di legato al vampiro con cui era comparsa alla festa. Era strano per i Nephilim interagire in quel modo con i Nascosti, ma non avrebbe certo detto alla mora come doveva vivere. Ognuno poteva fare quello che voleva. Sapeva che Izzy era una persona con la testa sulle spalle, sapeva che era perfettamente in grado di difendersi. Sapeva che se le cose fossero diventate rischiose, lei avrebbe fatto le cose giuste. Non sapevano quanto tempo fosse passato da quando avevano cominciato quella festa in anticipo, ma non importava davvero. Lydia era davvero felice di sapere che Isabelle non era arrabbiata con lei, e viceversa. Si erano preoccupate troppo. Quello che era successo non era stato così grave, avevano solo pensato al peggio. Era stata una cosa di un attimo, non era stato difficile da perdonare. Isabelle non si sentiva così con un altro Shadowhunter da due mesi ormai. Anzi, praticamente erano due mesi che non parlava con un altro Nephilim. Ma tutta quella felicità non poteva durare. Era impossibile. La gioia è qualcosa che si sentiva dentro a cuore, era nata destinata a morire, come ogni cosa sulla Terra. Ogni cosa nasceva, ogni cosa moriva. Anche gli immortali potevano morire, forse prima o poi dovevano. Ma, alla fine, la loro era davvero vita? Erano tutti mostri, nascosti, non-morti. Non si poteva chiamare davvero vita, quella. Quando il telefono di Izzy suonò, lei lo prese dalla tasca, si alzò dal letto di Lydia, dov’erano sedute, e si diresse verso la finestra, scusandosi con la bionda, per rispondere. Le sembrava strano che Simon avesse chiamato lei, invece di Clary. Lui stava con la giovane Morgenstern, non aveva alcun motivo per voler chiamare lei. Si erano parlati forse due volte da quando si erano conosciuti. Eppure, avevano comunque i rispettivi numeri di cellulare, tanto per sicurezza. Rispose, lanciando un ultimo sguardo sorridente a Lydia, che ricambiò il sorriso. Ma, sentendo la voce preoccupata di Simon, si sentì rallentare il battito del cuore. Chiamava lei, ed era preoccupato. Poteva decisamente partire con il panico. Non poteva certo immaginare quello che era successo, ma non riusciva a capire nulla, causa la voce balbettante del vampiro. Sembrava che avesse appena subito uno shock. Lei gli disse di fare un respiro profondo, l’avrebbe aiutato a calmarsi, anche se non era necessario. Simon riprese a parlare con più calma. Disse che era al Jade Wolf, con Luke, e che erano successe fin troppe cose, quella notte. Isabelle lo ascoltò mentre tentava di spiegare, la voce ancora tremante, in silenzio, cercando di non criticare il suo pessimo modo di spiegare. Lydia le osservò il viso, per quanto potesse, visto che la vedeva solo di profilo, cercando di capire con chi stesse parlando. Vide la sua espressione farsi sempre più preoccupata, fino a quando non la vide in completo panico. Eppure, rispose a chi stava dall’altra parte della linea con voce determinata, controllata. Disse che sarebbe arrivata il prima possibile, solo il tempo di prendere alcune cose. Poi, finì la chiamata. Non disse nulla, non fece nulla. Rimase solo a osservare un punto imprecisato del pavimento, come se non sapesse cosa fare. Isabelle aveva fatto di tutto per sembrare calma, ma avrebbe voluto spezzare il collo a qualcuno. Era colpa sua, era solo colpa sua, lo sapeva perfettamente. Come poteva essere stata così stupida? Se fosse stata lì, forse… Ma adesso non poteva piangere sul latte versato. Doveva svegliarsi, aprire gli occhi, e trovare una soluzione, anche se poteva non esserci. Doveva almeno provarci. Lydia continuò a osservarla, fino quando non si accorse che l’altra stava piangendo. Allora si alzò e andò davanti a lei, guardandola preoccupata. Le mise le mani sulle braccia, mentre Izzy avrebbe voluto scoppiare a piangere. La mora era felice che lei fosse lì, altrimenti era probabile che sarebbe morta. Sentiva che il suo cuore avrebbe potuto cedere. Lydia le domandò quale fosse il problema, cosa fosse successo. Isabelle la guardò negli occhi chiari, le lacrime che le scorrevano sul viso. Sapeva che alla bionda non sarebbe importato quanto importava a lei, ma non cambiava le cose. Era colpa sua, era colpa sua. Era stata lei ad abbandonarlo, dopo tutto quello che lui aveva fatto per lei. E adesso… Non avrebbe nemmeno potuto scusarsi. La vita sapeva davvero essere ingiusta. Lydia rimase immobile a osservarla, guardandole gli occhi pieni di lacrime, mentre Isabelle cercava il coraggio di dire quello che avrebbe dovuto dire. A qualcuno era importato abbastanza da chiederle cosa ci fosse di sbagliato, e lei aveva un incredibile bisogno di sfogarsi. L’ultima cosa che gli aveva detto era che non potevano più vedersi, ma che lei non voleva perderlo. Che cosa stupida da dire era? Ma adesso non poteva certo tornare indietro, non c’era più nulla da fare, se non trovare una soluzione a qualcosa a cui poteva non esserci soluzione. Ma ci doveva essere. Altrimenti non avrebbe potuto vivere. Non sapendo di avergli fatto del male. Raccolse tutto il coraggio che aveva per dire quella frase che le gravava sul cuore, senza scoppiare a piangere. Lo disse, e miracolosamente, riuscì a non morire dentro.
-Raphael potrebbe essere morto. -

Angolo autrice: 
Eheheheh, lo so sono una persona orribile, ma cosa potete farci ;( Come ho già detto e ripeto, nessuno è morto davvero, doveva solo far spaventare un po' di gente (ma l'avrete gIà capito, visto che, altrimenti, la storia non ha più senso). Non vedevo l'ora di scrivere da qualche parte di Jace e le anatre XD Comunque, ho deciso, visto che non sono una persona così orribile come sembra, che invece di cominciare a pubblicare la seconda parte della storia mercoledì, comincerò oggi (non chiedetemi perchè  è una cosa molto casuale). Ma avrete solo la prima parte del sesto capitolo e poi aspetterete fino a mercoledì. Credo ce pubblicherò tra le sei e le sette, questa sera. Nle prossimo capitolo DAN DAN: Saphael (wow!) quando ancora Simon stava al DuMort (oddio, che cosa striste), un messaggio dalla vampira pazza per i nostri eroi, Raphael :0, ADIOS CLIMON (era al settimo cielo mentre scrivevo questa parte), Magnus parla con Simon, Clace, Lizzy di nuovo (oddio, il prossimo capitolo ha sette parti :0 ops)
Allora, ci si rivede questa sera :) 

P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi) 

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