Dani

di esmoi_pride
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sex on the beach ***
Capitolo 2: *** La stessa direzione ***
Capitolo 3: *** Il mio sport preferito ***
Capitolo 4: *** Buona fortuna ***



Capitolo 1
*** Sex on the beach ***






1 - Sex on the beach
 




 
È così che vivrei tutti i miei giorni se potessi: disteso su un lettino a farmi abbrustolire la pelle da quaranta gradi centigradi sparati direttamente sulla pelle – con una protezione solare che mi permette di non diventare cenere dopo un’ora, però – a sinistra il mio ragazzo e a destra, protetto opportunamente dall’ombrellone, il mio cocktail preferito: un bel Sex on the beach.
Avevamo aspettato per mesi quel momento. Io tra un turno e l’altro del mio lavoro da cameriere e Dani, ancora peggio, mentre preparava la tesina del diploma.
 
Sento la mano penzolante dal lettino venire furtivamente assaltata dalle dita del mio ragazzo, che si intrecciano alle mie in un silenzio fatto di bambini urlanti, garriti di gabbiani e del tonfo del gonfio pallone da pallavolo sulle mani intrecciate di quei bastardi che giocano poco lontano da noi e che, diavolo, se mi colpiscono glielo buco quel pallone.
Stringo la mano nella sua e inspiro dalle narici una buona dose di aria salmastra che mi gonfia il petto, già dorato di un discreto color biscotto. Uhm, cosa potrei volere di più dalla vita? Ah, so cosa: allungo la mano destra al tavolino adombrato – la sento alleviata dai raggi del sole e allora so di aver raggiunto l’ombra – e prendo il cocktail. Lo avvicino alle labbra e lo sorseggio. Gli occhiali da sole inforcati non rivelano al resto del mondo l’espressione compiaciuta e probabilmente stupida che assumo mentre mi godo questi momenti.
Il suono della voce di Dani mi solletica le orecchie insieme al venticello piacevole.
“Quattro lettere, ‘quella di Verdi’.”
Finisco di ciucciare cocktail dalla cannuccia per liberare le labbra e leccarmele. Gli rispondo:
“‘Sorella un po’ troia.’”
“Dai!” Dani esclama, agita la sua mano nella mia facendole ciondolare tra i due lettini.
“Ma che cazzo ne so.” Replico io, scrollando le spalle. “Sei tu che hai fatto il liceo classico, mica io.”
“Eh, vabbè.” Sospira Dani.
Tonfo di pallone. Una signora urla a un certo Roberto di non allontanarsi troppo. Roberto risponde – sempre urlando ovviamente – che vuole avvicinarsi ai ragazzi che giocano a pallone. Io spero che mi faccia da scudo umano.
“Alla fine quanto hai preso?” chiedo curioso. Dani sospira, ma più teso.
“Ottantadue.”
“Ah dai, non è male.” Cavolo, pensavo peggio.
“Non è abbastanza per alcune università.”
Io sbuffo e gli agito la mano nella mia, in uno sfanculamento implicito.
“Qualsiasi cosa farai andrà benissimo, Dani.”
So che sta sorridendo. Mentre la brezza allevia il mio viso dal sole, aggiungo:
“Non ci pensare ora. Goditi le vacanze.”
Ghigno in una smorfia compiaciuta e lui ride piano.
Tonfo di pallone pericolosamente vicino, uggiolio di Roberto, la mamma di Roberto gli urla che se l’è meritato e il mio sorriso si allarga di più nel sapere che il ragazzo scudo ha fatto il suo dovere.
“Ah!” Esclama Dani.
“‘Aida’!!!”
 
 
E ti pare che il ragazzo non vuole tornare in spiaggia la notte a vedere le stelle?
Ce l’ho portato, con due stuoie sistemate sulla sabbia e una coperta se fa freddo. Che poi, dato il sole che mi sono preso oggi, adesso mi sento una lanterna a pannelli solari, ma non è lo stesso per Dani. ‘No, non voglio abbronzarmi troppo! Fa male alla pelle!’ piccolo bastardo.
 
Ci stendiamo e non appena alziamo lo sguardo al cielo vediamo un manto di stelle, così vasto che i nostri occhi non riescono ad abbracciarlo appieno in un solo sguardo, che ci circonda e mi fa sentire piccolo piccolo. Zitti zitti ci avviciniamo l’uno all’altro. Intrecciamo le mani e restiamo a guardare.
“Secondo te ci sono già le stelle cadenti?” Chiede Dani. Io sollevo le spalle.
“Ma sì, cerchiamole.”
C’è il rumore del mare. Un rumore ritmico e tranquillo, lo sciabordio del bagnasciuga. Poi nient’altro a parte il profumo della sabbia bagnata e i raggi della luna e delle stelle.
Restiamo un po’ di tempo in silenzio a cercare le stelle cadenti e osservare lo spettacolo che abbiamo davanti, finché una scia bianca non mi trapassa il campo visivo, quasi per sbaglio. Prima cosa da processare: accorgermi che si tratta di una stella cadente. Seconda cosa: UN DESIDERIO UN DESIDERIO UN DESIDERIO! Cosa, cosa, cosa?!? Maledizione…
“L’ho vista.” Dico a Dani.
“Aaaahh…” fa lui, sorpreso ma un po’ dispiaciuto. Mi guarda. “E l’hai espresso il desiderio?”
Io lo guardo negli occhi. Eh…
“No.” Gli dico.
E lui mi stringe forte la mano, irrigidendosi.
“Presto, fallo!”
Io rido e lo guardo.
“Ma non voglio niente…”
Dani mi guarda interrogativo, lo vedo scrutare i miei occhi.
Continuo a voce più bassa.
“… adesso ho già tutto quello che voglio.”
Gli sorrido stringendogli la mano. Che cioè, forse il motivo per cui si fa questa cacata della stella cadente è per scoprire di essere felici perché non si hanno desideri da esprimere, no?
Dani mi guarda con una faccia da scemo ancora per qualche secondo, la bocca ancora dischiusa che se l’è dimenticata aperta. Hm, dev’essersi commosso. Cioè sembra quasi in tilt a guardarlo. Dani, riprenditi, Daniii…
 
“Oh.” Lo chiamo, spingendolo un poco con la spalla.
 
Lui mi cade in faccia. Sì, mi cade proprio in faccia. Con la sua. Sulla bocca, e poi inspirando una grossa quantità d’aria dalle narici inizia ad assalirmi le labbra. Io piego il capo e lo accolgo, lo cerco con le mani, lo stringo forte a me per sentire il suo corpo. Sia lodata la protezione solare che a quest’ora stavo urlando di dolore se mi ero scottato. Invece posso stringerlo e sentire il suo corpo addosso al mio, lo sento muoversi su di me, strofinarsi un poco. Ricambio, gioco con le sue labbra. Lo prendo per i fianchi e lo capovolgo per stenderlo sulla stuoia e limonarmelo di brutto. Gli metto una gamba tra le cosce e strofino sul cavallo dei pantaloni.
“Mh-” geme lui. Si sta eccitando. Continuo, lo faccio ansimare, e aspetto che arrivi a questo punto per prendergli la mano e ficcargliela nei miei pantaloni. Lui si ritira, come previsto. Ah, ma che palle Dani.
“Ma ci guardano!” Esclama. Io mi stacco un momento per guardarmi attorno.
“Ma non è vero, non c’è un cazzo di nessuno.” Gli riprendo la mano e gliela metto sui jeans, sopra la stoffa, per fargli sentire quanto mi ha eccitato il ragazzino. E cambia idea in tre, due, uno… dopo aver fatto una faccia indecisa mi stringe l’erezione da sopra la stoffa e inizia ad accarezzarmi. Io ghigno soddisfatto e faccio lo stesso con lui. Ci vuole poco perché lui inizi a desiderare di più. Ormai lo conosco come le mie tasche bucate. Mi slaccia i pantaloni e infila la mano nelle mutande per toccare la mia pelle nuda. Io sospiro entusiasta sulla sua bocca e la mordo, tirando piano il labbro inferiore. Premo l’erezione contro la sua mano e il suo corpo e-
“Levati ‘sti pantaloni…”
“A-Asp…”
Mi fa levare per togliersi i pantaloni e le mutande di una gamba. Gli piego le gambe all’indietro così mi porge il didietro e ci premo la punta dell’erezione. Con un po’ di saliva lo bagno lì e poi lo faccio anche con me, e dopo, scivolando sulla sua pelle, entro piano.
Adoro vedere la faccia che fa. Ha le sopracciglia contorte in un’espressione afflitta e compiaciuta di chi se la gode di brutto. Mi sa che me l'ha fatto diventare ancora più grosso. Quando è tutto dentro rimango lì e mi stendo su di lui per riempirlo di baci. Lui mi risponde con il respiro affannato. La mia prima spinta gli strappa dalle labbra un gemito lascivo. Inizio a muovermi dentro di lui e lui continua a gemere, piano, contro il mio orecchio.
“Nh… ah! Mh!” Le sue mani si aggrappano alle mie spalle e mi tengono contro il suo corpo. Io non mi fermo, mi sale una voglia assurda e man mano rendo il ritmo frenetico. So che gli piace così, infatti eccolo, si viene addosso in un rantolo, mi trema tutto tra le braccia, è adorabile. Contrae i muscoli così lo sento ancora più stretto. Non ho motivo di trattenermi, mi lascio andare, vengo affondando in lui e gemendo soddisfatto. Quando ho finito esco e ricado sulla stuoia, e mi prendo dei secondi per calmare il respiro.
Aaahhh.
 
È così che vivrei tutti i miei giorni se potessi: disteso su una stuoia, con il mio ragazzo, dopo essermi gustato un bel sex on the beach.
 

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Capitolo 2
*** La stessa direzione ***



 
2 - La stessa direzione
 



 
Mentre risalgo la collina di Montmartre il mio cervello viene travolto dalla melodia di un violino. Risuona come un’eco tra gli edifici delle stradine impedendomi di capire da dove proviene. Devo fermarmi un attimo e voltarmi per e cercare la fonte di quella musica: un clown grottesco muove l’archetto sulle corde nel mezzo della piazza in cui ci troviamo. Mi fermo un istante a guardare la scena che mi si staglia davanti prima di sentire la mano di Dani stringere la mia e tirarla piano. Mi giro per guardarlo.
“Dai vieni, dobbiamo farci una bella camminata.”
Lui riprende il cammino e io lo seguo, tirandomi la sua mano per alleviare un poco la ripidità della salita. Parigi mi confonde, è come un caleidoscopio, solo che i caleidoscopi sono limitati: chiudi un occhio, apri l’altro e ti ritrovi davanti tante immagini aliene e curiose che attirano l’attenzione senza che tu sappia bene perché. Parigi è così, ma vastissima, ed è un caleidoscopio di suoni, di odori, di sensazioni. Sarà l’autunno. Il vento trascina con sé tante cose.
 
La salita è faticosa. Mi ritrovo ad avere il fiatone, non ho neanche il tempo per parlare. Dani è determinatissimo a raggiungere la cima e io, nel seguirlo, sembro chiedere pietà ma non mi lamento neanche un momento. So cosa ci aspetta una volta arrivati a destinazione. Ogni tanto lui mi tira per la mano per dirmi di muovermi, ogni tanto lo faccio io per aiutarmi a salire. Per nostra fortuna il vento ci soffia addosso e asciuga il sudore dalle nostre fronti.
Ci fermiamo solo quando raggiungiamo le scale di marmo. Allora io, ansimando, mi porto accanto a lui e poggio le mani sulle ginocchia in attesa dell’acqua. Daniele la tira fuori dalla borsa e me la porge, ma quando alzo lo sguardo su di lui i suoi occhi non stanno guardando me. Stanno guardando la bianca cupola del Sacre Coeur. Io faccio lo stesso per un momento, mentre prendo la bottiglietta e la stappo. Prendo una sorsata ansimando ancora, l’acqua mi si sbrodola sul mento e mi bagna la maglietta ma non mi importa. Finalmente siamo arrivati.
 
“Ancora qualche scalino…” mormoro avvicinandomi alle scale. Dani mi prende la bottiglia dalle mani e si fa un sorso prima di rimetterla a posto, poi inizia la salita. Lo seguo subito dopo, cercando di stare al passo. Dopo poco rimanere al suo fianco è un pensiero che scende in secondo piano, perché vengo di nuovo frastornato dalla bellezza di Parigi. Siamo solo alla prima scalinata ma già, da qui, la vista è meravigliosa. Resto a osservare il cielo chiaro e quasi terso, con delle nuvole ovattate qua e là a spezzare l’azzurro, e più sotto la skyline della città con le sue casette francesi, le piazze, i monumenti. Ma ora basta, devo guardarla dall’alto. Torno verso le scale e rischio di inciampare contro Daniele, che si era fermato a guardare con me senza che me ne accorgessi. Stava guardando nella mia stessa direzione… vedo i suoi occhi riempirsi di meraviglia, proprio come dovevano esserlo i miei poco prima. Lui si disincanta e mi fissa. Gli sorrido e lui ricambiando si volta per ricominciare la salita insieme a me.
                                                                            
Quando raggiungiamo la chiesa diamo un’altra occhiata al panorama, poi entriamo. La chiesa è silenziosa ma il profumo di incenso mi assale le narici e i timidi passi dei turisti mi riecheggiano nella testa. Camminiamo per osservarla, poi ci avviciniamo alle candele. Lo facciamo insieme: ne prendiamo due e ne cerchiamo una già accesa da cui cercare la fiamma. Io illumino la mia ma appena la allontano vedo Daniele avvicinare il suo cerino al mio per farselo accendere. Lo lascio fare, la sua candela si illumina con la mia fiamma. Mettiamo le candele vicine, poi restiamo fermi, a pregare. Prego di trovare la mia strada, di riuscire a diventare un bravo artista… di riuscirci con Dani al mio fianco. Lo sento accanto a me. So che anche lui sta pregando, che anche lui sta fissando la luce della sua candela come se fosse la sua unica luce nell’oscurità dell’ignoto. Non so quanto tempo sia passato quando ci scostiamo, ma so che è abbastanza. Cerco la mano di Daniele e mi accorgo che anche lui sta cercando la mia quando, trovandola, la stringe piano. Sembra consolato, come me. Insieme usciamo dalla chiesa. Il paesaggio è stupendo. Mi fermo per sollevare la macchina fotografica e fare qualche scatto; non ho neanche bisogno di muovermi, la composizione del quadro è già perfetta. Solo Parigi è così magica. Quando ho finito scendiamo le scale.
 
 
La giornata passa tra scatti, musei, chiese mozzafiato e crepes salate. All’ora del tramonto ci prendiamo del tempo per ammirare Notre Dame e il gioco di luce che la colora mentre il sole scende sotto la linea dell’orizzonte. Non ci sono parole per descrivere la maestosità di questa chiesa. Solo le mie foto possono raccontare, e in minima parte, la bellezza che i miei occhi stanno vedendo in questo momento. Cerco le angolazioni migliori, ci spostiamo per trovare il punto migliore e il sole, calando piano, la colora sempre più intensamente, le dà nuove sfumature.
“Incredibile,” confesso a Dani, “il sole riesce a rendere Notre Dame ancora più sacra.”
“È un po’ pagana questa cosa che hai detto.” Osserva Daniele in una risata bassa, appoggiandosi alla balaustra del ponte.
Io sorrido.
“È come Parigi. È fatta così.”
Mi avvicino a lui e gli circondo il fianco con un braccio, stringendolo piano a me.
“Ma questo la rende ancora più bella, no?” gli dico.
Daniele sta guardando Notre Dame. Io sposto lo sguardo per fare lo stesso. La ammiro, ora a occhio nudo, senza la lente a intermediare tra me e quella realtà; una realtà che non so se riesco ad abbracciare appieno e che mi lascia senza parole.
 
“Antoine De Saint-Exupéry diceva una cosa.”
La voce di Daniele coglie impreparate le mie orecchie.
Antoine De Saint-Exupéry. Certo che lo conosco. Forse… so anche cosa diceva.
“Amare non è guardarsi l’un l’altro, ma guardare insieme nella stessa direzione.”
Il mio cuore si stringe in una morsa dolorosa, e insieme batte impazzito.
Daniele si volta per guardarmi. Mi sorride, mi scruta come se fossi la cosa più bella che lui abbia visto oggi. Come se fossi il Sacre Coeur, la Saint Chapelle, Notre Dame, il clown con il violino, la crepe salata al prosciutto di oggi pomeriggio. Non ho le parole di dirgli quanto lo amo, ma riesco ad avvicinarmi per chiudere gli occhi e regalargli un lungo bacio.
 
 

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Capitolo 3
*** Il mio sport preferito ***


 
 
3 - Il mio sport preferito
 



 
So cosa si potrebbe pensare: ‘ma perché non andate alle Hawaii? Che senso ha partire in inverno per andare in un posto dove fa ancora più freddo?’ o perlomeno è questo che mi ha detto mia madre quattro giorni fa, mentre impacchettavo nella valigia la felpa che sto indossando ora.
 
Non tutti comprendono appieno la mia impazienza di indossare gli sci e solcare la neve, ma per fortuna il mio fidanzato è tra i pochi. È ormai il terzo giorno che torniamo dalle montagne innevate, soddisfatti e distrutti come due macchine in via di rottamazione.
Abbiamo sviluppato un ritmo: la mattina lui mi fa il caffè con la moka dell’albergo e io gli metto la marmellata sul pane prontamente tostato dal tostapane. Non prima delle dieci, ma non dopo le undici, prendiamo la macchina noleggiata e partiamo all’avventura per la prossima ski-area da scoprire. Io indosso gli sci, lui si aggancia i piedi allo snowboard e risaliamo le seggiovie osservando dall’alto le impronte lasciate sulla neve da lupi/volpi/gatti/cani/topi-molto-grandi e cercando di indovinare a chi appartengano. Verso ora di pranzo ci prendiamo una pausa dal deturpare la coltre innevata con le nostre piattaforme e cerchiamo di capire dove dobbiamo andare per riempire i nostri stomaci, vuoti come quelli di due dinosauri sulla via dell’estinzione. Un paio di volte abbiamo trovato due rifugi sulla cima delle montagne vicino alla seggiovia: le salsicce grigliate dopo tre ore di sport intensivo sono la cosa più buona che io abbia mai assaggiato. E la zuppa di fagioli! Ammiriamo il panorama dall’alto quando succede e poi ripartiamo, finché il sole ci permette di stare in piedi senza venire assiderati dal freddo invernale.
 
Credo che tra qualche giorno sarò così distrutto che non potrò più alzarmi dal letto. Ma va bene così, perché quello che facciamo di giorno è solo la preparazione al mio vero, e segreto, sport preferito post cena…
… che non è quello che si potrebbe pensare. Di nuovo.
Ma è: bere una gustosa cioccolata calda davanti al camino!
 
Ed è quello che sto facendo adesso: con la pancia già riempita della deliziosa cenetta in albergo mi sono rannicchiato a gambe sollevate sul comodo divano a tre posti in attesa del mio ragazzo, mentre ho tra le mani la mia porzione di cioccolata fumante. Daniele finisce di sventolare il fuoco e mi raggiunge per sedersi accanto a me. C’è tanto spazio sul divano, ma niente: vogliamo stare vicini vicini.
 
In un singhiozzo divertito mi sorride e avvicina il naso al mio per strofinarlo. Io faccio lo stesso e rido piano. La sua mano mi scalda la spalla: il suo braccio mi ha circondato le spalle e ora mi stringe. Dà ancora più calore a questa serata. Fuori cadono i fiocchi di neve, vuol dire che fa proprio freddo, però dentro c’è un accogliente tepore. L’odore vago del legno che brucia, in gran parte catturato dalla cappa del camino, raggiunge le mie narici. Daniele piega il capo per darmi un bacio sulle labbra e io lo trattengo per il colletto della camicia e lo tiro a me per prolungare quel bacio quando lui accenna a staccarsi. Ah, non credere di poterti liberare di me così facilmente.
 
Quando mi stacco lui si ritira con il sorriso sulle labbra e si avvicina la cioccolata, rigirandosela con il cucchiaio. Io lo scruto in quel gesto. È così carino, anche mentre fa una cosa così semplice.
“Sono distrutto.” Ammetto concentrandomi anche io, adesso, sulla mia cioccolata.
Daniele tira un sospiro.
“Anche io!” Esclama. “Però le piste da sci della montagna di oggi erano fantastiche, hai visto che panorami?”
“Tu hai visto che neve?! Era come se stessimo camminando sull’acqua. Liscia e bianca!”
“Secondo me è finta.” Obietta Daniele, guardando il camino.
“E che fa?” Chiedo io. “Basta che si scia.”
Daniele scrolla le spalle. “Comunque tutto quello che vuoi, ma le montagne di oggi sono all’ombra del sole. Ha iniziato a fare freddo già alle quattro!”
“Eh!” Esclamo. Gli do ragione. “Mi sono fatto tutto un ghiacciolo io. Però dai, vuoi mettere? I fiocchi di neve mentre scii.”
“Quelli erano belli.” Ammette Daniele. Poi mi fissa e ride. “Guarda che ti ho visto, stavi per sbattere contro un albero!”
“Gli occhialini erano appannati!” Mi affretto subito a correggerlo, avvicinandomi di più al suo viso. “Non osare fare insinuazioni sulle mie capacità sciistiche!”
Daniele ride, di nuovo. “Stai zitto e fatti baciare.” Mi dice, e si sporge per un altro bacio. Io chiudo gli occhi d’istinto e mi godo il suo bacio. Lascio che le mie mani occupate dalla cioccolata si poggino sul grembo. Non sono più sicuro di volere la cioccolata.
 
Uhm, okay, forse il mio sport preferito post cena non è bere cioccolata.
 
Schiudo le labbra per accogliere meglio il bacio di Daniele e lui lo rincara e insieme mi stringe a sé con quel braccio che mi circonda le spalle. Mi sento piccolo piccolo contro di lui e lascio la cioccolata con una mano per poggiarla sul suo petto e riempirmene il palmo. Lo assaporo, con le mani e con la lingua, perdendomi per alcuni secondi nel piacevole quasi-silenzio del bacio, tra il fuoco scoppiettante e i piccoli suoni umidi delle nostre labbra che si incontrano e stuzzicano. Alla fine sento di volere di più, risalgo di nuovo al colletto della sua camicia e lo tiro a me per dirgli che ne voglio ancora. Lo sento sbuffare divertito sulle mie labbra e a un certo punto mi rendo conto che mi sta spingendo all’indietro, verso il bracciolo del divano.
“Uh…” cerco di non versarmi la cioccolata addosso, la scosto dai nostri corpi. Sento un rumore di terracotta su legno e capisco che lui ha poggiato la sua sul tavolo e ora mi ha imprigionato tra se stesso e il divano con le braccia. Sono alle strette.
“Ehm, non vorrei versarmi la cioccolata addosso…” cerco di obiettare. Lui ride e mi ruba la tazza di mano. Allora smetto di pensarci e mi rilasso sul divano, poggiando la testa sul bracciolo. La bocca di Daniele mi raggiunge presto, dandomi altra soddisfazione. Lo sento far aderire il suo corpo al mio. È piacevole. È caldo… Mi strofino a lui, cerco di afferrargli le chiappe con le mani libere e di stringerle.
“Mh!” Esclama lui compiaciuto. Io rispondo con un altro mugugno altrettanto intrattenuto, e continuiamo a baciarci. Lo sento gonfiarsi contro la mia coscia. Mi stacco per guardarlo.
“Cazzo, non ti fermi un attimo…” ghigno mentre glielo dico. Daniele si lecca le labbra, mi guarda come un lupo mannaro che vuole mangiarmi. Cioè, sono l’unico a fare questi paragoni? Non lo so, a me sembra un-
Oddio, mi ha assalito la gola! Ecco, visto? Che dicev…
“Ahhnnnn…” mi faccio sfuggire un gemito di piacere. Daniele lecca la mia pelle, risale dalla clavicola fin dietro l’orecchio. Nei pantaloni sono diventato una dolomite. Okay. Okay, la smetto con questi paragoni, però diavolo quanto sono duro.
“Spogliami. Spogliami adesso.”
Daniele obbedisce impaziente. La felpa imbarazzante blu notte fatta a mano da mia nonna viene sollevata fin sopra ai capezzoli e Dani si siede sulle mie gambe per slacciarmi i pantaloni e strattonarmeli via. In poco tempo sono a culo nudo sul divano e lui inizia a succhiarmelo.
“Mmmh…!”
Piego il capo all’indietro e mi mordo il labbro inferiore in una smorfia di piacere. Poso la mano sulla sua nuca mora e stringo mentre lui va su e giù con la testa. Lo sento succhiare intensamente e poi risalire alla punta per tormentarmi con la sua lingua scivolosa. Gemo di piacere, più forte quando la sua mano va a giocare con i miei testicoli. Lo lascio fare finché lui non si annoia e si stacca da solo. Si sistema sopra di me e mi guarda con i suoi occhi chiari, che bucano le pareti. Devo smetterla? Devo smetterla.
Il suo culetto perfetto si cala su di me. Io lo prendo per i fianchi e mi sistemo con l’erezione sulla sua apertura. Lui scende, io presso e dopo l’iniziale tensione inizio a entrargli dentro. Gemo di nuovo, lui chiude gli occhi e a labbra dischiuse trattiene il fiato per poi gemere dopo di me, appagato, quando è tutto dentro. Poi inizia a muoversi. Il ritmo diventa affiatato dopo i primi affondi, io lo spingo giù con le mani e scatto in lui ogni volta che lui scende, impattando con l’inguine tra le sue natiche in un eccitante schiocco tra carni.
“Ah, ah…” Daniele continua a gemere e non si ferma un attimo, alzandosi e abbassandosi su di me che faccio lo stesso con il bacino. Le gambe fanno male, i muscoli fanno male ma dio, quanto è bello. Scosto una mano dal suo fianco per masturbarlo e farlo gemere più forte. Ci manca poco, mi sento venire. Mi trattengo giusto finché non lo sento sussultare tra le mie mani e lo vedo venire sulla mia pancia, poi mi lascio andare e affondo dentro di lui con le ultime spinte per venirgli dentro.
“Ah…” un sospiro soddisfatto occupa la mia bocca, chiudo gli occhi e mi rilasso. Daniele cade su di me poco dopo, ansante e stanco.
“Okay…” dico io tra i respiri affannati “… forse è questo il mio sport preferito.”
So che sta sorridendo.
 
 

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Capitolo 4
*** Buona fortuna ***


 
 
4 - Buona fortuna
 



 
Il fischio delle ruote che frenano mi riempie le orecchie. È un fischio lungo, dura un bel po’. Poi la lieve spinta in avanti di quando il treno si ferma. Alla fine mi rinchioda sullo schienale del sedile ed emette un potente sbuffo dalla canna di scarico. Allora i rumori del treno si interrompono: resterà silente altri dieci minuti, il tempo di far salire e scendere i passeggeri.
 
Guardo il ragazzo che si trova davanti a me. Zazzera biondo scuro, vispi occhi castani, guarda la mappa della Interrail rapito. Sta studiando il prossimo allacciamento di treni per la sua rotta. Nell’ultimo mese la mia e la sua sono state le stesse. Abbiamo iniziato questo viaggio insieme: lui è il mio fidanzato. Per un altro paio d’ore.
 
Rialza lo sguardo dalla mappa e mi sorride. I suoi sono sorrisi raggianti, leggeri come la brezza che ci accarezza la faccia dalla finestra della cabina.
“A cosa stai pensando?”
Io scrollo le spalle e guardo oltre la finestra. Il paesaggio che mi si staglia davanti è un allegro misto di flora tipica del territorio tedesco. Man mano è diventato sempre più florido, e tra poco attraversando il confine ci troveremo in Danimarca. Chissà quanto è verde la Danimarca.
“Sei triste?” Lo sento chiedere.
Rifletto. Resto a scrutare. Una farfalla bianca spunta tra i fili d’erba e svolazza tra un fiore e l’altro. Alla fine faccio una smorfia.
“Sì, ma sto bene.”
Sento il suo silenzio. Torno a guardarlo per vedere che mi sta ancora fissando, mi sta scrutando. Si preoccupa ancora per me dopo tutto questo tempo. Sbuffa, sorride guardando il panorama per un momento.
“È normale.” Dice lui. “Anche io sono un po’ triste.” Ammette, guardandomi. I suoi occhi, così sinceri, mi guardano dentro. Mi sento improvvisamente nudo. È capitato spesso in questi anni. Credo che mi mancherà questa sensazione.
“Mi chiedo se mi sentirò mai più così. Mi chiedo se troverò mai qualcuno come te.” Gli confesso.
Lui allarga il sorriso e allunga la mano per cercare la mia, sul tavolo di metallo della cabina. Io gliela porgo, lascio che me la stringa dolcemente.
“Dani, non devi cercare qualcuno come me.”
Rialzo gli occhi dalle mani al suo viso. Lui le sta scrutando, e un po’ scruta anche me. Resto a osservarlo. Non so se rivedrò più il suo viso. Mi mancherà anche quello?
“Quanto tempo passerà prima che io ti dimentichi?”
Lui ride.
“Spero molto!” Inarca le sopracciglia.
Io mi lascio sfuggire un sorriso. È così semplice, riesce sempre a prendere le cose con leggerezza. È importante perché così si concentra su quelle davvero importanti. Una delle cose che mi ha insegnato in questi anni.
“Io non ti dimenticherò mai.” Dice lui. Mi stringe più forte la mano prima di lasciarla e continua a parlare.
“Forse tra dieci anni ci rivedremo e ci racconteremo tutto quello che abbiamo passato!”
Io rido e entusiasta al pensiero gli rispondo.
“Tu mi farai vedere le foto dei tuoi esperimenti in Antartide e io ti parlerò di come ho salvato una donna diagnosticandole il lupus!”
Ride anche lui scuotendo la testa e poggia il mento sulla mano, il gomito poggiato sul tavolo. Mi ammira da lì. Io faccio lo stesso. Le ruote del treno sono ancora silenziose. Ogni tanto si sente il chiacchiericcio lontano di qualche passeggero, ovattato dalla porta chiusa della cabina. Non diciamo niente. Restiamo così, a guardarci per l’ultima volta e pensare a tutti i bei ricordi che abbiamo vissuto insieme.
 
Alla fine arriva la sua fermata. Ci dobbiamo separare: io continuerò fino in Danimarca, mentre lui tornerà in Italia passando per la Francia.
Prendo il mio zaino e resto con lui per gli ultimi dieci minuti, sulla porta del vagone, lui a terra, davanti a me, in attesa che parta il treno.
“Alla fine di tutto… ne è valsa la pena?” Gli chiedo.
Lui ha le mani nelle tasche. Mi rassicura con il suo sguardo.
“Non dubitarne mai.” Mi dice.
Gli sorrido.
La canna del treno sbuffa.
Il campanello suona.
Io prendo un respiro, l’ansia mi prende. Indietreggio di un passo per allontanarmi dalle porte ma non smetto di guardarlo. Ho un nodo in gola, ma cerco comunque le ultime parole da dirgli.
“Buona fortuna.”
 
Lui mi sorride di nuovo.
“Anche a te, Dani.”
 
Le porte si chiudono, ma riesco ancora a guardarlo. Lui guarda me. Il treno inizia a muoversi, e presto i nostri visi non si incrociano più. L’ho lasciato andare, dietro di me, e sono andato avanti. Il treno è andato avanti. Che se l’avessi dovuto fare io da solo non ci sarei riuscito.
Butto un sospiro malinconico fuori dai polmoni e torno in cabina, quella che sarà la mia piccola casa per un’altra ora prima di fare il cambio con un regionale. Guardo il panorama che mi si staglia davanti. Un panorama che ora solo io vedo, e lui no. Una realtà che conosco io e di cui lui non fa parte. Qualcosa di solo mio.
Un nuovo inizio, mai visto. Chissà dove mi porterà il treno, chissà dove mi porterà questa strada.
E un giorno, magari, gli racconterò dove mi ha portato.
 
 
 

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