Know the water's sweet but blood is thicker

di Susannah_Dean
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** Familiar faces, worn out places ***
Capitolo 3: *** There's a storm you're starting now ***
Capitolo 4: *** Things that were, things that are, and some things that have not yet come to pass ***
Capitolo 5: *** Night gathers and now my watch begins ***
Capitolo 6: *** Noise and silence ***
Capitolo 7: *** Family, Duty, Honor ***
Capitolo 8: *** And at last I see the light ***
Capitolo 9: *** Gentle mother, font of mercy ***
Capitolo 10: *** I am the sword in the darkness ***
Capitolo 11: *** Don't you see what you're finding? ***



Capitolo 1
*** I ***


Se non fosse stato per i ghiaccioli, la situazione sarebbe cambiata radicalmente.
Logan e Nadir, in teoria, sarebbero dovuti tornare subito a casa, una volta finita la scuola. I loro genitori passavano le giornate a lavorare, oppure a cercare un impiego nuovo. Non c’era nessuno che potesse portarli a scuola o venirli a prendere, perciò la loro unica possibilità era fare la strada da soli e in fretta, magari in compagnia degli altri bambini, in modo che gli adulti avessero meno di cui preoccuparsi.
Solo che Nadir, quella mattina, aveva riportato in negozio i vuoti delle bottiglie di birra di suo padre, e aveva ricevuto in cambio una discreta quantità di monetine di cui non avrebbe dovuto rendere conto a nessuno. Ce n’era abbastanza per due ghiaccioli, così aveva convinto il suo migliore amico a restare indietro rispetto agli altri con lei per comprarne un paio. Una volta persi di vista i loro compagni, si erano dunque infilati nel bar più vicino e ne erano usciti gustando trionfanti i loro tesori, che raramente si potevano permettere.
Ora camminavano lentamente, sperando di finire i ghiaccioli prima di arrivare a casa, in modo che nessuno dei prepotenti della strada cercasse di rubarglieli. Non avevano fretta: dei membri delle loro famiglie, solo la madre di Logan aveva qualche chance di essere già a casa ( e il fratello maggiore di Nadir, ovviamente, ma la bambina sapeva benissimo che lui non si sarebbe accorto di niente, così come lo sapeva il suo amico), ma se anche fosse davvero riuscita a tornare prima da dove faceva la donna delle pulizie, sicuramente sarebbe stata troppo impegnata a fare qualche commissione per cronometrare l’ora di arrivo del figlio.
Mentre camminavano, parlavano. Certo, “parlare” era la definizione sbagliata: Logan era sordo dalla nascita, e tutto quello che potevano fare era utilizzare il linguaggio dei segni. Con una mano impegnata a sorreggere i ghiaccioli, i gesti diventavano confusi e spesso assurdi, ma i due bambini ridevano dei risultati dei loro tentativi, perciò la frustrazione di non capirsi non aveva alcun posto. Comunque, quando ormai erano vicini a Stormtop Lane, a casa e agli altri ragazzi, si fermarono e smisero di discutere. In questo modo avrebbero potuto finire il proprio dolcetto e allo stesso tempo notare chiunque avesse tentato di avvicinarsi, non più impegnati ad osservare l’uno le mani dell’altra.
Questo permise loro di restare fuori dai guai. Sfortunatamente, diede anche loro l’occasione di vedere ogni cosa.
Fu tutto troppo rapido perché potessero reagire. Solo più avanti sarebbero stati in grado di raccontare cosa fosse successo prima, ma in quel momento tutto ciò che il loro cervello poté assimilare fu l’accecante lampo verde che riempì la strada, accompagnato da un boato potente come tutti i fuochi d’artificio che avessero mai visto messi insieme. Dopo, più nulla. Solo un improvviso silenzio, quasi più assordante di qualunque rumore lo avesse preceduto.
I ghiaccioli sfuggirono dalle mani inerti dei due bambini. Logan non poteva urlare, paralizzato dalla propria condizione, ma Nadir sì, e inizio a gridare. Gridò e gridò e non smise per un pezzo, ma nessuno le disse di piantarla.
A Stormtop Lane non c’era più nessuno che potesse sentirla.
 
 
La strada non somigliava a un campo di battaglia.
Shadow aveva visto dei campi di battaglia: terreni spogli, di solito, devastati dai combattimenti e punteggiati soltanto da persone, vive o morte, in piedi o accasciate a terra.
Qui era accaduto esattamente l’opposto. I palazzi sporchi e pericolanti erano ancora in piedi, esattamente nella stessa condizione in cui erano stati il giorno prima. Soltanto che adesso erano completamente vuoti, così come i marciapiedi davanti ad essi.
Gli agenti della GUN avevano messo delle transenne intorno al quartiere, e ora stavano di guardia per impedire che la folla al di fuori di esse riuscisse ad entrare. Erano davvero in tanti: curiosi, giornalisti, ma soprattutto abitanti di quegli appartamenti a cui ora non potevano avvicinarsi. Questi ultimi erano gli unici per cui Shadow potesse provare un briciolo di compassione: qualunque cosa fosse successa alle persone scomparse, queste persone erano state loro parenti ed amici, e adesso non avevano alcuna notizia su di loro, e tutto ciò che potevano fare era guardare i tecnici che la GUN aveva mandato a Sand Blast City insieme a uno stuolo di macchinari per misurare il livello di chissà quali valori. E lui stesso, naturalmente. Il fatto che lui fosse dentro (anche se vicino alle transenne) e loro no doveva star aumentando la loro confusione. Gli sarebbe piaciuto dar loro una spiegazione; in realtà, gli sarebbe piaciuto prima trovarne una.
Sperava che Rouge arrivasse presto. Aveva piena fiducia negli agenti di basso grado quando si trattava di raccogliere dati e controllare la situazione, magari anche sparare dritto, se necessario, ma poteva contare sulle dita di una mano gli individui in grado di usare il cervello all’interno dell’agenzia, e in quel momento riusciva a vedere solo sé stesso e la vice del comandante Tower. Un occhio esperto come quello della pipistrellina lo avrebbe aiutato a dare senso a una scena che di senso non ne aveva neanche un po’.
Come se l’avesse evocato, Shadow sentì un frullio d’ali alle sue spalle e si voltò, sentendo un briciolo di sollievo. Rouge era arrivata, e ora tentava di riprendere fiato, respirando affannosamente. Doveva aver volato ad alta velocità, per arrivare lì in fretta da dovunque fosse partita. – Sono venuta appena ho ricevuto il messaggio dalla base. Cosa è successo? – Chiese non appena fu in grado di parlare.
- Non lo sappiamo, in realtà – rispose l’altro, ignorando i suoi poco dignitosi tentativi di non soffocare. – I testimoni dicono di aver visto un lampo verde e poi più nulla. I nostri satelliti, tuttavia, hanno rilevato un picco altissimo di energia del Caos in quel preciso momento. Per questo ci hanno mandato qui.
- E cosa ha causato, questo…questo picco? Non vedo danni. – La voce della sua partner costrinse Shadow a guardarla meglio, perplesso. Sembrava agitata, come se stesse avendo difficoltà a mantenere la compostezza. Era una conseguenza della fatica?
- E’ questo il problema. Non ha toccato gli edifici, né l’asfalto, ma le persone che erano presenti sono scomparse. Svanite all’improvviso. Rouge?
La pipistrella era sbiancata di colpo. Vacillò, reggendosi alla transenna più vicina, e per un attimo Shadow pensò che avrebbe dovuto sorreggerla prima che svenisse. Per fortuna, Rouge riacquistò l’equilibrio sulle usuali scarpe coi tacchi alti e fece un respiro profondo, pur senza riprendere colore, prima di riprendere a parlare. – Cosa vuol dire svanite? Sono state…polverizzate? Quella gente, là fuori, parla di un’esplosione.
Il riccio nero scosse la testa. – Non hanno trovato resti. Sono solo scomparse. Prima c’erano, e un attimo dopo non c’erano più. – Esitò un momento. – Stai bene?
- Tutti? – Chiese lei invece di rispondere. – Tutti quanti?
- Tutti quelli che erano presenti. Mi vuoi dire che succede?
Di nuovo, Rouge non rispose, ma si staccò dalla transenna e iniziò a camminare in direzione del passaggio più vicino, come intenzionata a uscire fra la folla. Shadow le si parò davanti, tentando di fermarla. Era estremamente confuso: quella reazione così emotiva non era normale per lei, in grado di solito di mantenere la calma anche nelle peggiori condizioni. Il suo passo quasi traballante non poteva tranquillizzarlo, oltretutto. – Mi dici cosa succede?
- Lasciami passare. – La voce di Rouge era ora appannata, come se lei non stesse davvero prestando attenzione a cosa diceva. – Devo controllare. Prima di tutto devo controllare chi c’è ancora.
- Devi…? Sei impazzita? – Il riccio la osservò attentamente. All’improvviso, un’idea gli si accese nel cervello: se non era impazzita davvero, c’era soltanto un’altra opzione possibile. – Conosci qualcuno in questo posto?
- Lasciami. Passare – Sibilò lei, spingendolo via con un improvviso scatto di rabbia. Shadow la lasciò fare. Voleva vedere chi stesse cercando, nonostante il suo desiderio di farsi dare una risposta, e rimase ad osservarla mentre scrutava la massa di gente con ansia malcelata, a destra e a sinistra, prima di afflosciarsi e incurvare le spalle. Era una scena terribile: mai, da quando l’aveva conosciuta, l’aveva vista così abbattuta.
Le si avvicinò di nuovo, cauto. – Rouge – iniziò, tentando ( e probabilmente fallendo) di suonare rassicurante. – Chi diavolo stai cercando?
La giovane alzò lo sguardo su di lui, e Shadow rimase spiazzato nel vedere l’espressione sconvolta nei suoi occhi. Poteva essere successo di tutto in quella strada, esplosioni di Caos, angoli di città diventati quartieri fantasma, ma niente avrebbe potuto sorprenderlo più di un’occhiata del genere ricevuta da una persona normalmente così calma.
Rouge deglutì, tentando evidentemente di rispondere più di una volta. Quando finalmente riuscì a parlare, ciò che disse fu soltanto l’ennesima sorpresa del giorno, e forse la peggiore.
- Mia madre. In questa strada ci vive mia madre.
Salve a tutti!
Benvenuti nell'allegro delirio che sarà questa storia. Vi direi che non vedo l'ora di conoscervi, ma conosco già la maggior parte di voi in quanto sono già un'autrice in questa sezione (vi sfido a capire chi sono LOL ho creato questo profilo proprio per poter ricominciare quasi da zero senza dover cancellare le storie che avevo già pubblicato). Spero comunque di vedere delle recensioni, voglio sapere se questo primo capitolo vi ha fatto schifo, vi ha incuriosito, oppure non avete capito niente e dovrei darmi all'ippica.
Namastè!
(Alè)
- Suze

P.S. Logan e Nadir, con annessi e connessi, sono miei personaggi. Abbiate un po' di amore per loro, ché non li ho mai usati prima d'ora

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Capitolo 2
*** Familiar faces, worn out places ***


- Che è successo? – Chiese l’agente Johnson, facendo un gesto vago con la mano.
Shadow seguì la direzione indicata con lo sguardo e incrociò la sagoma di Rouge, distante alcuni passi da loro. La sua partner non sembrava più a rischio di collassare sull’asfalto, ma era rimasta appoggiata alle transenne. I suoi occhi non scrutavano più la folla, ma erano puntati sulla strada davanti a lei, anche se vitrei e distanti com’erano era improbabile che vedessero qualcosa.
Il riccio nero meditò un istante sulla domanda. Dire la verità sarebbe probabilmente stata la scelta migliore, e avrebbe evitato problemi ad entrambi. D’altra parte, se qualcuno oltre a lui avesse avuto anche solo il sospetto che Rouge fosse coinvolta direttamente, l’avrebbero estromessa dal caso e lei non gliel’avrebbe mai perdonato.
Perché toccava sempre a lui risolvere certe questioni, maledizione?
- Lo spettacolo deve averla sconvolta – disse infine, dandosi mentalmente del cretino. – Troppe persone scomparse. E’ meno probabile che le troviamo tutte.
L’agente inarcò un sopracciglio. – Non credevo fosse così emotiva – commentò. Era una bella donna, un’Overlander alta e robusta dai corti capelli scuri, ma soprattutto aveva un ottimo intuito e un cervello finissimo: non sarebbe stata scelta come vice personale del comandante Tower, e dunque come uno degli elementi più importanti della GUN, senza queste caratteristiche, ma in quel momento Shadow avrebbe voluto avere a che fare con qualcuno di meno attento.
- Abbiamo tutti un punto di rottura – replicò, ignorando il tono dubbioso della frase precedente. Si sarebbe occupato dell’incredulità altrui se e solo se fosse stato necessario. Per ora, era meglio cambiare discorso. – Dobbiamo andare in ospedale a parlare con i testimoni?
La Johnson scrollò le spalle. – Non io. Dubito che troverò qualcosa, ma si aspettano che cerchi degli indizi. – Abbassò lo sguardo su di lui, pensierosa. – Hai già controllato all’interno?
- Tutti gli edifici. Non tutti gli appartamenti, ma è inutile. Qualunque valore stiano cercando di misurare, è tornato a posto dopo l’ondata di prima. – Il riccio fece una pausa, riflettendo. – Prendo Rouge e vado a parlare con i bambini. Informateci, se scoprite qualcosa.
- Ricevuto. – L’agente abbozzò un saluto militare e si allontanò a lunghi passi. Shadow tirò un silenzioso sospiro di sollievo, poi si diresse verso il punto dove la pipistrellina era rimasta senza cambiare posizione.
- Come stai? – Chiese, incrociando le braccia. Era preoccupato, nonostante il problema di averla dovuta coprire. Non era abituato a vedere questo aspetto del carattere di Rouge.
Lei fece un debole sorriso. - Meglio. Cosa ti ha chiesto Fran?
Fran. Come riuscisse a ricordarsi tutti quei nomi era un mistero. – Mi ha chiesto cosa ti fosse successo. Le ho fatto credere che fossi solo turbata.
- L’ha bevuta?
- Non abbastanza. Prima o poi tornerà a fare domande.
- Le parlerò io. Affascinare le persone perché facciano quello che voglio è il mio lavoro.
- Non ho dubbi – replicò Shadow, sollevato. Il fatto che fosse in grado di scherzare era indice di miglioramento. – Vuoi spiegarmi cos’è questa storia? Credevo che non fosse rimasto più nessuno della tua famiglia. Avevo controllato il tuo file alla GUN.
- Il file dice quello che io voglio che dica. C’è un altro pezzo di storia che non sa nessuno.
- E hai intenzione di farmela conoscere, o…
- Devo, per come è messa la situazione. – Rouge si staccò dalla transenna. Aveva ripreso un po’ di colore, anche se era ancora anni luce dalla sua solita verve. – Però non adesso. Credo che abbiamo del lavoro da fare. Giusto?
Pur provando la sensazione di trovarsi di fronte a un puzzle con un pezzo mancante, Shadow non poté fare a meno di annuire. Non c’era modo di sapere se l’evento di poche ore prima si sarebbe ripetuto, e, nel caso, quando questo sarebbe accaduto. Meglio mettersi all’opera in fretta e sperare che il coinvolgimento di Rouge non le avrebbe impedito di lavorare al meglio: altrimenti, si sarebbe riservato il diritto di mandarla a casa personalmente.
Dopo che lei gli avesse fornito una spiegazione razionale, magari.
 
 
L’ondata di ricordi travolse Rouge con la stessa potenza di un treno in corsa.
A causa del loro preoccupante stato di shock, i bambini erano stati portati all’ospedale più vicino a Stormtop Lane, uno dei pochi edifici in cui non avrebbe mai voluto mettere piede di nuovo. Ora che si trovava lì, questa convinzione non poteva che rafforzarsi: nulla sembrava essere cambiato negli anni, persino le infermiere sembravano le stesse. Il flusso costante di suoni, immagini ed odori era così familiare che le pareva di essere tornata indietro nel tempo.
Respirò a fondo, decisa a non perdere la calma. Avrebbe mantenuto la compostezza che era ormai il suo marchio di fabbrica, ciò che le aveva permesso di raggiungere un livello simile, e di sicuro non avrebbe permesso ad un dannato ospedale di strappargliela via.
Presa questa decisione, la pipistrellina seguì Shadow lungo gli infiniti corridori identici l’uno all’altro, imponendosi di non ricordare la strada migliore per raggiungere la stanza che volevano. Se avesse dato a vedere quanto quel posto le fosse noto, il suo partner avrebbe tentato di sbatterla fuori, e quello sì che sarebbe stato indecente. Perciò lasciò che fosse lui a guidarla, fino a che non si fermarono di fronte ad una porta chiusa, di fronte a cui li aspettava una dottoressa.
Quest’ultima, una gatta ormai avanti con gli anni, si accigliò dietro gli occhiali dalle lenti spesse. – Mi avevano avvertito che sareste arrivati. Potete parlare con loro, ma non a lungo. Non hanno ancora realizzato bene che cosa sia successo, non potete turbarli troppo.
Rouge fece uno sforzo per non rispondere a quelle parole già sentite decine di volte, e sperò che Shadow facesse altrettanto. Si era resa conto di aver già visto quella dottoressa, e non voleva che lei le dedicasse più attenzione del necessario e la riconoscesse a sua volta. Si limitò ad annuire e ad entrare nella stanza, una volta che la donna si fu fatta da parte.
I due bambini erano seduti sullo stesso letto, nonostante ce ne fossero due. Probabilmente avevano resistito ai tentativi di tenerli lontani più di un metro l’uno dall’altra. Si voltarono entrambi sentendo la porta aprirsi, e lanciarono identiche occhiate preoccupate ai due sconosciuti appena entrati.
- Pochi minuti – avvertì la dottoressa, e chiuse la porta alle loro spalle, lasciandoli soli con i loro unici testimoni.
Nonostante le apparenze, Shadow era piuttosto bravo a capire i bambini, perciò lui e Rouge non ebbero neanche bisogno di guardarsi per capire quale fosse la strategia migliore in quella situazione. Il riccio nero si tenne in disparte, più lontano dal letto occupato, lasciando che fosse l’altra a sedersi sull’unica sedia disponibile, direttamente di fronte ai piccoli. Era più facile che fosse lui ad intimorirli, dopotutto.
- Faremo molto in fretta – assicurò loro per prima cosa, sperando che sarebbe stato davvero così. Non vedeva l’ora di uscire da quel posto. – Voi siete Logan e Nadir, giusto?
Annuirono in perfetta sincronia. Logan era una lince dalla pelliccia dorata, con grandi occhi azzurri che la fissavano con aperta curiosità, mentre Nadir aveva occhi castani come il pelo da leonessa che la copriva. Rouge giudicò che se avessero continuato con quella sintonia, sarebbero rimasti amici molto a lungo e si sarebbero messi insieme prima del diploma. Sempre che Stormtop Lane non li facesse finire in prigione prima ancora di entrare al liceo, naturalmente.
Si voltò verso la bambina. – Nadir, ci hanno detto che puoi tradurre tu quello che Logan segna con le mani. – Shadow aveva raccolto tutte le informazioni durante la sua crisi esistenziale e gliele aveva riferite lungo la strada.
La piccola annuì di nuovo. – Riesce a capire quello che dicono tutti guardando la bocca, ma quando parla solo io capisco cosa dice.
Parla. Prima che questa scelta di parole potesse distrarla, Rouge riprese a rivolgersi a loro. – Allora potete raccontarci cos’è successo. Con calma, avete tutto il tempo che volete.
Erano frasi tanto riciclate dai telefilm di polizia che era possibile che non funzionassero. Invece Nadir trasse un grande respiro e iniziò a parlare, lanciando ogni tanto un’occhiata ai gesti compiuti da Logan. – Dovevamo già essere a casa. Eravamo in ritardo per i ghiaccioli. Ci siamo fermati a comprarli perché io avevo i soldi, se no eravamo noi anche lì. – Parlava in tono monocorde, gli occhi apparentemente fissi su Rouge ma del tutto fuori fuoco. La dottoressa era stata nel giusto: qualunque cosa avesse visto quella ragazzina, non ne aveva ancora realizzato le conseguenze.  – Abbiamo visto una grossa luce verde. Sembrava di quelle che fanno gli alieni nei film, ma non c’erano le astronavi.
Fin lì non era niente di nuovo. – Va bene. Vi ricordate cos’è successo dopo?
Logan riprese a gesticolare con più foga. Nadir lo osservò con attenzione, poi tentò di ripetere ciò che aveva visto. – C’è stato un sacco di rumore. Sono usciti tutti dai negozi, e guardavano dalle finestre. Non dalla strada nostra, però, dalle strade vicine. Nella nostra strada non si vedeva nessuno. Avevamo visto Zozzo Toby in mezzo alla strada, e dopo la luce verde non lo si vedeva più. – La bambina rivolse a Rouge uno sguardo quasi colpevole. – I ragazzi grandi lo chiamano Zozzo Toby perché dorme sulla strada e non si lava mai. Ce lo hanno insegnato loro.
L’altra le fece segno di non preoccuparsi. – Avete visto ancora qualcosa prima? Pensateci bene.
I due si guardarono, incerti. La piccola lince mosse le mani alcune volte, poi se ne passò una sulla testa come a lisciarsi dei capelli immaginari. Nadir esitò visibilmente, lanciando occhiate agli adulti davanti a loro. – Non so se lo so dire bene.
- Prova. – Disse Shadow, in tono pacato. – Tutto quello che dite è molto importante, per noi. Non dovete avere paura.
- Non ho paura – rispose Nadir immediatamente, e Logan al suo fianco fece un secco gesto di diniego. – È che c’era un uomo, lì.
Rouge si sporse verso di loro, più interessata che mai. Una novità, finalmente. - Un uomo?
- Sì. Ha fatto lui la luce.
In teoria, poche cose avrebbero potuto cogliere davvero di sorpresa due agenti navigati come loro. A quanto pareva si erano appena imbattuti in una di queste. Mentre tentava di reagire allo stupore, Rouge cercò di ricordare quante creature in grado di provocare un’ondata di energia del Caos da sole potessero esistere. A parte quella in piedi al suo fianco, s’intende. – Potete descriverlo? – Riuscì a balbettare.
- Non lo so. Era strano. – La ragazzina puntò un dito verso Shadow. – Aveva gli aculei come te, ma erano…strani. Non li avevo mai mai visti così prima.
Logan agitò una mano davanti al suo naso per attirare la sua attenzione e fece alcuni gesti rapidi e brevi. – Chiede se può disegnare. È bravo, non posso spiegare bene come disegna lui.
Shadow partì di corsa. Prima ancora che i bambini potessero reagire, era tornato con in mano un foglio e una penna, presumibilmente rubati alle infermiere.
L’esibizione parve risvegliare qualcosa nei due mocciosi, neanche avessero assistito a uno spettacolo di magia. Logan rimase a fissarlo a bocca aperta, mentre Nadir squittiva eccitata. – Mondiale!
Il riccio si concesse un breve sorriso soddisfatto mentre allungava il materiale a Logan, ignorando la gomitata che Rouge gli tirava per essersi messo così in mostra. Mentre il bambino disegnava furiosamente, Shadow si rivolse direttamente alla sua amichetta. – C’è qualcuno che può stare con voi, che non fosse a casa oggi?
- Non lo so. – Nadir si mise l’indice in bocca, riflettendo. – La mamma e il papà di Logan lavorano, e anche il mio papà. I papà lavorano insieme, ma non so se erano tornati. Mio fratello era a casa, sicuro sicuro. – Spalancò gli occhi, pieni di improvviso orrore. – Dove lo ha portato la luce? Non c’era più nessuno, dopo la luce. Dove è andato?
Lo shock dell’evento doveva aver iniziato a svanire. Qualcuno avrebbe dovuto rassicurarli entrambi, restare con loro in modo permanente. Lavoro di routine per un assistente sociale, ma se davvero le cose non erano cambiate negli ultimi anni, sarebbero passati secoli prima che uno di quei disgraziati si facesse vedere in quella zona. Questo, tuttavia, lasciava lei e Shadow in una pessima situazione. – Non lo so, tesoro. Dobbiamo scoprirlo per poter portare tutti a casa. Stiamo facendo delle indagini, capisci? Come gli investigatori della tv.
La bambina annuì. A quanto avevano scoperto in precedenza, aveva poco meno di sette anni, e una definizione del genere era accettabile e comprensibile, nonostante il labbro tremante indicasse una crisi di pianto imminente che nessuna rassicurazione avrebbe fermato. – Li trovate, vero? Zenit…Mio fratello ha paura delle cose nuove, anche se è già grande. Lo dovete trovare in fretta.
Prima che potessero trovare una risposta decente-non potevano promettere, le promesse erano deleterie nel loro mestiere-Logan lasciò andare la penna e piantò il disegno praticamente in faccia alla sua amica. Nadir lo osservò con attenzione, poi annuì. – Uguale. Proprio questo. Aveva gli aculei rossi. Il resto non l’ho visto. Ha agitato la mano ed è venuta la luce.
La prima reazione di Rouge, dopo aver recuperato il foglio e aver abbassato gli occhi su di esso, fu di sentirsi soddisfatta. Era un’immagine rozza, ma ben decifrabile: il disegno di una mano abile, anche se chiaramente infantile.
Tuttavia, prima di potersi in qualche modo congratulare ( che sarebbe stata un’idiozia in ogni caso: puoi complimentarti per il disegno di un bambino quando quest’ultimo ha disegnato un cavallo o una casetta, non quando ha abbozzato l’identikit di chi potrebbe aver fatto sparire sua madre, talento o non talento), la donna si sentì ghiacciare il sangue nelle vene. Solo il suo rigido, istintivo autocontrollo le impedì di allontanare il pezzo di carta da Shadow, che si era chinato sopra la sua spalla per vedere meglio, per impedirgli di riconoscere a sua volta l’essere ritratto.
Questo aveva guanti da cui sporgevano punte acuminate, due per ogni mano. Aveva davvero degli aculei, lunghi e sottili, che scendevano fino oltre alle spalle. Due spesse righe sopra gli occhi indicavano un’espressione arrabbiata o severa. Un identikit efficace, davvero.
 Solo che se qualcuno lo avesse colorato di rosso, sarebbe diventato identico a Knuckles.
Per qualche miracolosa fortuna, sono di nuovo qui! Non so per la gioia di quanti, ma ssssh.
Non so quanta differenza ci sia fra i fumetti della Archie Comics e i videogiochi, ma nei fumetti gli Overlander sono...esseri umani. Esseri umani che non vivono insieme agli animali come Sonic ma in disparte (spoiler: non fanno niente di utile se non creare la GUN. Spero di renderli un po' più utili in questa storia).
Confido nelle vostre reazioni. Addios!
Suze

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Capitolo 3
*** There's a storm you're starting now ***


- Non provarci – sibilò Rouge non appena ebbero messo piede fuori dalla stanza.
Shadow inarcò un sopracciglio. – Non ho ancora fatto nulla.
- So cosa stavi per dire, dolcezza, ma no, non è stato lui.
- Sai che avrebbe potuto farlo – ribatté il riccio, incrociando le braccia. – Non esistono così tante persone in grado di manipolare l’energia del Caos fino a tal punto. Lui è il Guardiano di una delle fonti di energia più grandi del pianeta, o lo hai dimenticato?
- Perché avrebbe dovuto farlo? – Rouge riuscì a malapena a controllare il proprio tono di voce. Sarebbe stato inutile, anzi, controproducente mettersi ad urlare, soprattutto davanti alla porta di due bambini pesantemente sotto shock, ma si sentiva sul punto di scoppiare. Se non avesse tentato di dichiarare ad alta voce ciò che pensava il suo cervello, già provato da quella giornata assurda, sarebbe riuscito a convincerla che Knuckles era in grado di fare una cosa del genere.
- Questo non lo so. Ma potrebbe non averlo fatto di sua volontà. Non sarebbe la prima volta che ci troviamo di fronte a qualche genere di controllo mentale.
- Non sarebbe nemmeno la prima volta che qualcuno viene scambiato per qualcun altro. C’è ancora gente convinta che a commettere certe azioni sia stato Sonic e non tu.
Shadow scosse la testa. – Improbabile. A quanto ci risulta, di echidna in giro ne resta uno solo.
- C’è qualcosa che non quadra. C’è davvero qualcosa che non quadra in questa storia.
- Saranno ore che dico la stessa cosa. Per adesso non possiamo fare altro che andare a parlare con il tuo amico, sperando di non doverlo arrestare.
Rouge non era nelle condizioni di poter obiettare a quello che sapeva essere un piano ragionevole, perciò si limitò ad annuire, scrollando le spalle. – Almeno cerchiamo di vederci più chiaro, prima di arrestarlo. La GUN ha già commesso abbastanza errori in passato senza che arrivassimo noi a creare confusione.
- E come darti torto. – Shadow si voltò e riaprì la porta della camera, indicando che la conversazione era finita. Avevano lasciato i due bambini con un’infermiera prima di uscire a parlare, per far sì che fossero tenuti d’occhio (e che ci fosse qualcuno a consolarli se si fossero messi a piangere, una prospettiva a cui nessuno dei due agenti era in grado di far fronte), ma avrebbero dovuto riferire loro alcune informazioni prima di andare a parlare davvero con Knuckles, e dovendo essere sincera Rouge avrebbe preferito restare in quell’odioso ospedale per sei secoli piuttosto che affrontare quella conversazione.
Tuttavia, in quel momento non aveva alternative, perciò seguì il suo partner all’interno della stanza e rimase vicino alla porta mentre lui riferiva ai bambini che presto sarebbe arrivato un altro agente a controllarli.
- L’agente Fazio è un Overlander, ma potete fidarvi di lui – disse Shadow ai due ragazzini che pendevano dalle sue labbra (letteralmente, nel caso di Logan). – Il suo compito sarà di fare la guardia alla vostra stanza, anche se non pensiamo che voi siate in pericolo. Qualunque cosa vi ricordiate di quello che è successo oggi, potrete dirla a lui e l’agente ce la riferirà. Lo stesso vale per qualunque parente che pensate possa venirvi a prendere: se direte all’agente chi sono e dove abitano, verranno chiamati il prima possibile. Avete capito?
I due annuirono, anche se era probabile che il riccio nero, con il suo tono calmo e pacato, fosse per loro una figura molto più affidabile di quanto sarebbe mai potuto essere Joseph Fazio. Nadir alzò una mano, quasi pensasse di essere a scuola. – Però non abbiamo nessuno fuori dalla strada. Logan ha un fratello grande, però è in prigione.
Un violento dejà vu investì Rouge come un treno in corsa. I suoi occhi caddero sulla piccola lince, mentre Shadow continuava a invitare lui e la sua amichetta a cercare di ricordare qualunque minima sciocchezza. La somiglianza c’era: di sicuro però non poteva essere, le coincidenze dovevano avere un limite…
- Si chiama Lucan? – Chiese prima di riuscire a fermarsi, avvicinandosi al bambino. – Tuo fratello, si chiama per caso Lucan?
Logan annuì energicamente, le sue mani rapide sotto i loro occhi. Nadir seguì i gesti con attenzione, poi alzò gli occhi sulla pipistrellina, senza nascondere la propria curiosità. – Chiede se lo conosci. Lo avete arrestato voi?
- No, no, io… Dobbiamo andare. – Rouge afferrò il polso di Shadow e lo trascinò via, ignorando il suo sguardo sconcertato. Più tardi avrebbe ricordato di non aver salutato i bambini, né l’infermiera, e si sarebbe preoccupata per quella minima scortesia come per la cosa più importante al mondo, tanto era distrutto il suo cervello, ma in quel momento tutto ciò a cui riusciva a pensare era che doveva allontanarsi da lì. Doveva uscire da quell’ospedale, da quel quartiere, da quell’intera zona.
Diamine, si sentiva mancare l’aria a tal punto che forse sarebbe riuscita a respirare solo cambiando città.
 
 
Shadow iniziava ad essere davvero stufo.
Sapeva che Rouge era emotivamente coinvolta in tutta la faccenda. Le aveva concesso di seguirlo e di non abbandonare il caso perché aveva sperato che sarebbe stato più utile per entrambi, ma avrebbe fatto volentieri a meno di essere sballottato in giro senza neanche sapere quale fosse il vero problema. Se solo lei si fosse degnata di dargli una spiegazione avrebbero potuto continuare a lavorare, ma non sembrava intenzionata a fare niente di tutto ciò.
Beh, peggio per lei, avrebbe tirato fuori da sé le risposte di cui aveva bisogno.
- Adesso basta – sibilò, piantando i tacchi nell’asfalto fuori dall’ospedale e costringendola a fermarsi. Avrebbe potuto farlo prima, ma era abbastanza sicuro che obbligarla a rimanere lì dentro non avrebbe aiutato. Sapeva essere diplomatico, dopotutto.
Rouge si girò verso di lui, lasciando andare il suo braccio. Questo avrebbe dovuto tranquillizzarlo, ma l’espressione sul suo volto contribuì soltanto ad inquietarlo. Sembrava che stesse cercando di nascondere un intenso terrore dietro una maschera neutra, senza riuscirci. – Cosa intendi dire? – Chiese, tentando (e fallendo nel mentre) di fermare il tremito nella propria voce.
- Non fare finta di niente. – Shadow fece un respiro profondo, sperando di riuscire a mantenere la calma. – Vuoi spiegarmi cosa diavolo sta succedendo? Non puoi pensare che io chiuda gli occhi di fronte a come ti stai comportando, perché non sembri neanche te stessa in questo momento. La Rouge che conosco io non sarebbe scappata solo al sentire il nome di un emerito sconosciuto. Diamine, ti ho detto che quel maledetto echidna era tuo amico e non hai reagito minimamente, neanche per scherzare su di lui. Mi dai qualche informazione o ti aspetti che intuisca tutto da solo?
- E’ una storia lunga – replicò Rouge, sostenendo a fatica il suo sguardo. – Lunga, e complicata, e se potessi fare a meno di ripeterla sarei molto più felice.
- Allora riduci all’osso e parla in fretta, perché fra un po’ tramonterà il sole e non vorrei dover parlare a Knuckles di notte. Conoscendolo, tenterebbe di ucciderci solo sentendoci arrivare.
Rimasero a fissarsi per un lungo momento, senza parlare. Alla fine, proprio quando il riccio stava iniziando a pensare che sarebbero rimasti lì tutta la sera, Rouge sospirò, abbassando lo sguardo e massaggiandosi la fronte.
- Sono successe…delle cose, in questa zona. Cose che riguardavano me, mia madre e molta altra gente, incluso il fratello di Logan. Ogni volta che mi giro, qualsiasi persona incrociamo, tutto mi ricorda quello che è accaduto. E’ un tale miscuglio di bei ricordi e ricordi dolorosi che…non lo so. – Si interruppe, guardando il cielo che iniziava a cambiare colore. – Non avrei mai pensato di tornare in questo posto. Non ero preparata a doverci girare per le indagini.
Shadow non si era aspettato che lei si aprisse così tanto, forse perché non era qualcosa che accadeva spesso. Decise di continuare a fare pressione, finché poteva. – Mi stai dicendo che è una questione di shock?
- Più o meno. Credo che quando andremo su Angel Island sarà un’altra storia, non c’è niente che possa turbarmi lassù. – Ci fu un’altra pausa, più lunga questa volta. – Mi dispiace per come mi sono comportata, ma ogni passo avanti che facciamo è una nuova sorpresa.
- Pensi forse che Knuckles non ci riserverà sorprese?
- Qualunque cosa faccia Knuckles è un disastro per chi gli sta intorno, mediamente, anche se non credo che sia in grado di far sparire un’intera comunità – replicò Rouge, sorridendo. Era ancora una volta solo una pallida imitazione della sua solita espressione scherzosa, ma stava a significare che o si era rimessa in sesto o era tornata ad essere in grado di nascondere le proprie emozioni. In ogni caso, ora non si sarebbe potuto cavare niente da lei, perciò Shadow scrollò le spalle e le fece cenno di andare.
Non riuscì tuttavia a resistere alla tentazione di farle ancora una domanda, mentre lei spalancava le ali e si preparava ad alzarsi in volo. – Rouge?
La sua partner tornò a guardarlo, aspettando che continuasse. Shadow esitò, poi chiese: - Hai intenzione di dirmi quali siano queste…cose che sono accadute? Prima o poi?
Rouge rifletté per qualche secondo prima di rispondere, e quando lo fece i suoi occhi erano distanti, pensosi. – Sì, davvero. Ma non ancora. Per favore, non ancora.
Poi si sollevò in aria e a lui non rimase altro da fare che seguirla di corsa lungo la strada per Angel Island.
 
 
La serata si prospettava estremamente tranquilla.
Ed era giusto così, almeno nell’umile opinione di Knuckles. Davanti agli occhi suoi e dei suoi amici erano passati mostri, robot, geni del male obesi, tutta una serie di creature di cui avrebbe fatto volentieri a meno per il resto della vita. Dubitava che i Guardiani precedenti si fossero mai trovati a dover difendere il Master Emerald da una tale massa di pericoli…o a farselo rubare o distruggere così di frequente, ma questo era un altro discorso.
In ogni caso, non si sarebbe mai lamentato del fatto di trovarsi un periodo di pace, specialmente in un pomeriggio sereno come quello. Durante la notte avrebbe dovuto restare all’erta, nel caso che qualche sciocco malcapitato avesse tentato di coglierlo di sorpresa col favore del buio, ma adesso poteva rilassarsi, chiudere gli occhi e chissà, magari riposare per un po’.
Tuttavia, proprio quando stava iniziando ad appisolarsi, un rumore nelle vicinanze gli comunicò che qualcosa era cambiato.  C’era qualcuno lì intorno.
L’echidna scattò in piedi, completamente sveglio, scrutando l’ambiente intorno a sé. I suoi sensi erano più acuti di quelli di molta gente, perciò era probabile che gli intrusi non fossero molto vicini, ma presto o tardi sarebbero dovuti sbucare fuori.
Infatti, eccoli lì. Due sagome apparvero fra le prime ombre del tramonto, e Knuckles emise un verso di disapprovazione riconoscendo Rouge e Shadow mentre questi si fermavano ai piedi di Mystic Ruins.
Rouge era una cosa: quella donna era una ladra e aveva l’irritante tendenza a venire a disturbarlo in ogni momento libero, ma almeno le sue distrazioni erano talvolta piacevoli e i loro rapporti andavano migliorando, se l’assenza di tentativi di furto del Master Emerald poteva fare da indicatore. Ma Shadow no, non riusciva davvero a tollerarlo. Anche perdonando i disastri da lui combinati in passato, restava comunque un pallone gonfiato che cercava di apparire come un bel tenebroso. Sonic lo aveva perdonato subito, naturalmente, e adesso aveva una visione completamente diversa di quel maledetto riccio nero, ma Sonic non era mai stato il cervello del gruppo.
- Che cosa volete? – Chiese l’echidna, senza nemmeno tentare di nascondere il proprio fastidio.
Shadow alzò gli occhi al cielo. – Vedi di stare calmo, Knuckles. Non abbiamo chiesto a dei rinforzi di raggiungerci, ma possiamo farlo se opponi resistenza.
- Non c’è nessun motivo per cui voi siate qui, figuriamoci dei rinforzi – replicò lui, poi si voltò verso Rouge alla ricerca di una spiegazione. – Che diavolo sta succedendo?
Rouge scosse la testa. Aveva un’espressione tesa sotto lo strato di trucco, e questo lo preoccupò ancora di più. Non l’aveva mai vista con una faccia del genere, neanche…neanche in battaglia, santo cielo. – Rispondi alle domande, Knuckles, per favore.
- Se mi faceste delle domande sensate sarebbe anche più facile – borbottò il Guardiano, ma tornò suo malgrado a rivolgersi a Shadow. Si sentiva sempre più perplesso. – Cosa volete da me?
Il riccio nero ricambiò il suo sguardo irritato con uno del tutto impassibile. - Dov’eri questo pomeriggio, Knuckles?
- Dove vuoi che fossi? Ero qui.
- E non c’è nessuno che possa dimostrarlo?
- Pensavo stessero arrivando delle domande sensate. Non c’è mai nessuno qui a parte me.
Se si fosse voltato, Knuckles si sarebbe accorto del repentino cambio di espressione di Rouge e di come la pipistrellina avesse reagito alla sua risposta. Ma l’echidna aveva gli occhi fissi su Shadow, e Shadow non sembrava sorpreso da nessuna delle sue parole. – Un’ultima cosa: conosci un posto chiamato Stormtop Lane?
Knuckles allargò le braccia, confuso. – Ti sembro un esperto di geografia?
- Capisco. Beh, penso che tu debba venire con noi. – Shadow cominciò a salire le scale di Mystic Ruins.
- Io non capisco. Che stai dicendo? – Il Guardiano si voltò di nuovo verso Rouge, senza perdere di vista il riccio che si avvicinava. Perché stava salendo così lentamente, poi? Avevano tutti questa mania della velocità, se avesse voluto davvero costringerlo a fare qualcosa sarebbe salito di corsa e l’avrebbe placcato in un secondo. – Cosa cazzo sta succedendo?
La sua ladra preferita sembrava allarmata quanto lui. – Shadow. Shadow, aspetta.
- Aspettare cosa? E’ l’unica pista che abbiamo. E sono sicuro che lui potrebbe avere più risposte per noi.
- Dacci un taglio e spiegami – ringhiò Knuckles, facendo un passo indietro e alzando i pugni. Avrebbe evitato il combattimento finché possibile, ma quel riccio gli stava davvero calpestando i nervi.
Shadow si fermò ad un paio di metro da lui, le braccia incrociate e l’aria di qualcuno che avrebbe voluto farla finita in fretta. – Qualcuno ha fatto sparire decine di persone con una vampata di energia del Caos non molte ore fa. Deduco che tu non sappia niente al riguardo.
La sorpresa non sarebbe potuta essere più palese sul volto dell’echidna. – Perché dovrei saperne qualcosa?
- Perché le uniche cose che potrebbero creare così tanta energia sono gli Smeraldi del Caos, e si dà il caso che tu ne abbia uno bello grande proprio qui. Inoltre, dei testimoni hanno visto qualcuno che ti somigliava molto aggirarsi lì intorno nel momento del disastro. Perciò credo che tu debba venire con noi alla base della GUN per farti interrogare come si deve e darci qualche spiegazione.
- Non vengo da nessuna parte. Non c’entro niente, perché avrei dovuto fare una cosa del genere?
- E’ proprio quello che ci spiegherai – replicò Shadow, prima di fare un passo avanti.
Knuckles ne aveva avuto abbastanza. Non sapeva assolutamente di cosa stesse parlando quel tipo, ma il suo atteggiamento era estremamente fastidioso e lui aveva iniziato ad accusarlo di cose a caso. Per questo si slanciò in avanti, il pugno destro diretto precisamente contro il brutto muso di Shadow.
Che lo schivò, naturalmente. Un attimo prima era lì e ora puff, sparito. Doveva essersi spostato alle sue spalle, evidentemente, visto che l’echidna si sentì assestare un potente colpo alla schiena che per poco non lo buttò a terra. Si voltò e vide Shadow che lo fissava inarcando un sopracciglio. – Non ti stai rendendo le cose facili, lo sai? E non puoi nemmeno scappare, visto che non abbandoneresti mai il tuo prezioso Master Emerald.
Al sentir menzionare il Master Emerald, Knuckles non ci vide più. – Non scapperò proprio da niente – grugnì, accennando a gettarsi verso il fianco destro del riccio.
Shadow abboccò e si spostò dal lato opposto, dove finalmente Knuckles riuscì a colpirlo con un pugno ben assestato. L’altro volò a terra, e il Guardiano non poté trattenere un ghigno soddisfatto. Se davvero Shadow e Sonic erano così intimi, il riccio blu avrebbe dovuto spiegargli di come lui e Knuckles avevano speso anni a lottare l’uno contro l’altro, cosa che aveva reso il rosso ben preparato ad affrontare nemici superveloci.
Shadow si alzò in piedi e si preparò ad affrontarlo di nuovo. Rimasero a guardarsi a lungo, aspettando che l’altro facesse la prima mossa, poi proprio mentre Knuckles stava per perdere la pazienza e attaccare per primo…
- Adesso basta!
Nessuno dei due aveva visto Rouge avvicinarsi in volo, ma quando si piantò in mezzo a loro a braccia alzate videro chiaramente la sua espressione furiosa. Li guardò entrambi in cagnesco prima di riprendere a parlare.
- Non so cosa vi sia preso, ma non risolverete niente in questo modo. Non è facendo a gara a chi le dà più forti che troveremo delle risposte. Shadow, sei un idiota se pensi davvero che Knuckles possa aver fatto una cosa del genere. Knuckles, non puoi prendere a cazzotti un agente della GUN che ti sta interrogando senza rischiare delle conseguenze, anche se non abbiamo ancora chiamato dei rinforzi. Ora, riusciamo a parlare con calma, o devo prendervi a sberle io per riportarvi alla ragione?
Shadow e Knuckles la fissarono esterrefatti. Non avevano mai visto una rabbia del genere dentro di lei. Cosa diavolo è accaduto? Pensò Knuckles per l’ennesima volta. C’era qualcosa che non funzionava, e nessuno voleva spiegargli di COSA si trattasse.
All’improvviso, un trillo acuto venne dal polso di Shadow.
Gli altri due si voltarono a guardarlo mentre lui osservava un aggeggio che doveva essere un comunicatore fissato poco sotto il suo guanto. Il riccio lanciò un’ultima occhiataccia a Knuckles, poi premette un tasto e rispose: - Parla, Johnson.
- Shadow, Rouge, non so a che punto sia quella pista che stavate seguendo, ma chiudetela in fretta e raggiungete Harbor Heights. Golden Hive Road. – disse una voce sconosciuta di donna, levandosi nel silenzio che si era creato dopo le urla di Rouge. Sentendo le sue parole, Knuckles si sentì come colpire da una doccia fredda. – E’ successo di nuovo, quel bastardo ha portato via altre persone. Due edifici, completamente vuoti. Cercate di arrivare il prima possibile.
- Non dire che non te l’avevo detto – sibilò Rouge non appena Shadow ebbe chiuso la comunicazione. Lui alzò gli occhi al cielo.
- Sicuramente avrei preferito scoprirlo in un altro modo – replicò stringendo i denti, poi si rivolse a Knuckles. – Si direbbe che tu non c’entri niente, ma dovresti venire con noi lo stesso. Dubito che tu possa essere in due posti nello stesso momento, ma non mi fido.
- Grazie della fiducia – rispose l’echidna – ma sarei venuto lo stesso.
- E perché, visto che almeno con questo non hai niente a che fare?
- Perché direi che ho un sacco a che fare col posto che ha detto quella donna. – Knuckles girò di nuovo gli occhi verso Rouge. La furia della pipistrellina sembrava essersi placata, e sul suo volto era tornata quell’espressione abbattuta che lo aveva preoccupato prima, ma per quanto confuso ci avrebbe badato più tardi. Se davvero quello che era accaduto si era ripetuto, e si era verificato nella zona menzionata, allora aveva qualcos’altro di cui preoccuparsi. – Provate a indovinare dove si trova l’Agenzia Investigativa Chaotix?
Qualcosa nei loro volti gli fece intuire che no, non avevano bisogno di indovinare. Knuckles si massaggiò la fronte con una mano, sempre più perplesso.
Cosa. Diavolo. Stava. Succedendo?
 
Quanto si amano Knuckles e Shadow :^)
Scusate per l'immenso ritardo, ma ho tentato di compensare con un capitolo più lungo (con cui mi sono divertita un sacco, fra l'altro, visto che adoro far parlare Knuckles). Un chiarimento, ora che sono qui: la geografia di Mobius, tanto nei giochi quanto nei fumetti, è molto complicata e tutti i luoghi sono spalmati su una zona troppo grande per essere pratica, perciò le città hanno poco in comune con quelle canoniche e tutti i posti sono molto più vicini rispetto alla realtà. E' solo una questione di praticità, nient'altro, quindi perdonatemi.
Questo capitolo ha aperto diverse questioni. Per trovare le risposte, ci rivediamo al prossimo capitolo!
Suze

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Capitolo 4
*** Things that were, things that are, and some things that have not yet come to pass ***


Rouge avrebbe voluto davvero capirci qualcosa.
Si fidava di Lucan: era uno dei suoi migliori amici, in fondo, nonostante avesse qualche anno più di lei. Inoltre aveva sentito moltissimo la sua mancanza nelle ultime settimane, da quando la lince aveva trovato un misterioso lavoro ed era diventato troppo impegnato per vederla, salvo che per quegli incontri fortuiti lungo le scale che Rouge avrebbe preferito dimenticare. Se davvero Lucan aveva trovato per lei un posto nel proprio giro Rouge non si sarebbe affatto lamentata, soprattutto se questo avesse voluto dire non incrociarlo soltanto mentre lui usciva dal palazzo e lei vi entrava per sfuggire a sua madre, coprendosi il volto pesto e a volte sanguinante mentre cercava l’appartamento di Hecale.
Solo che non riusciva a capire che cosa lui avesse in mente, visto che non voleva darle alcuna spiegazione, né perché l’avesse fatta conciare in quel modo. Di solito Rouge indossava abiti che molti avrebbero giudicato inadatti per una ragazzina di dodici anni, ma che la facevano sentire molto più grande: in fondo, sua madre non badava minimamente a cosa si metteva addosso, e anche se Hecale giudicava male questo genere di cose, Hecale non era onnipresente e non poteva giudicare le sue scelte di stile in ogni momento.
Ma quel giorno no. Lucan l’aveva costretta a infilarsi degli abiti da maschio, probabilmente suoi, che le stavano enormi e nascondevano qualunque forma il suo corpo stesse iniziando ad avere. Le aveva anche infilato in testa un terribile cappello di lana. Dubitava che chiunque potesse trovarla carina conciata così, contando anche il livido che andava sbiadendo sotto l’occhio sinistro. Ma a Lucan non sembrava importare, e dopo averla osservata dalla testa ai piedi aveva annuito in segno di approvazione e, presala per mano, aveva iniziato a trascinarla verso qualunque posto volesse raggiungere.
- Mi spieghi dove stiamo andando? – Chiese Rouge alla fine, vedendo che erano usciti da Stormtop Lane e si erano infilati in una strada a lei poco familiare.
- In un posto in cui possiamo fare un po’ di grana, dolcezza – rispose lui senza smettere di camminare.
La ragazzina sbuffò. Poteva voler dire tutto e niente. – Se mi stai di nuovo portando a rubare al supermercato non è niente di nuovo e stai facendo una scenata inutile.
- E’ molto meglio del supermercato. Stai per fare un passo avanti.
 - Ma cosa vuol dire? Non voglio finire nei guai senza neanche sapere cosa succede.
A quel punto Lucan si fermò e si voltò a guardarla. Si abbassò per poterla fissare negli occhi (era già alto, il bastardo) e quando le prese il volto fra le mani Rouge si rese conto che mentre le sorrideva in modo rassicurante in fondo ai suoi occhi brillava una luce diversa, come se non credesse totalmente a ciò che stava per dire.
- Fidati di me, bambolina – disse, continuando a sorridere. – Stiamo per fare un colpo grosso, ma andrà tutto bene, okay? Andrà tutto bene. Non devi preoccuparti.
Rouge annuì in risposta, ma quando Lucan si alzò e riprese a camminare si ritrovò a pensare che anche se si fidava di lui, e tanto, forse non sarebbe riuscita a non preoccuparsi.
Era probabile che NON andasse tutto bene.
 
 

Quell’indagine si stava rivelando la più irregolare di tutta la loro carriera.
Era impossibile negarlo, e Rouge non ci avrebbe nemmeno provato. Anche se lei e Shadow non erano noti per la loro capacità di rispettare il protocollo, questa volta lo avevano infranto talmente tante volte che era difficile contarle.
Shadow aveva mentito ad un loro superiore (anche se di poco) per farla restare nel caso anche se emotivamente coinvolta. Insieme avevano nascosto informazioni fondamentali ed erano andati a parlare con Knuckles senza dire nulla all’agente Johnson, comunicandole soltanto di dover seguire “una pista”. E adesso che l’echidna sembrava scagionato, lo avevano portato sulla scena come se non fosse ancora un possibile sospettato. Se il comandante Tower avesse anche solo intuito questa lunga serie di disastri, li avrebbe buttati fuori dalla GUN a calci.
Quantomeno ci avrebbe provato.
- Davvero non sapete niente di più di quello che mi avete detto? – Le chiese Knuckles, sbirciando l’ambiente circostante da dove si era piazzato al suo fianco. Suonava scettico, e Rouge non poteva biasimarlo. Farsi ribaltare la giornata da due agenti governativi che, nell’ordine, gli avevano dato informazioni sommarie, lo avevano attaccato fisicamente e poi gli avevano annunciato la sparizione di tre dei suoi amici non poteva averlo messo di buonumore. Anche se, a voler essere del tutto sinceri, era stato Shadow a combinare il casino più grosso, e non lei.
- Davvero – rispose alla fine. – Un essere che ti somigliava ha fatto scomparire gli abitanti di un’intera strada nelle prime ore del pomeriggio. Nessuno sa come, né perché. Sicuramente aveva a disposizione una fonte di energia considerevole.
- Messa così sembra quasi logico che abbiate pensato a me – grugnì l’echidna – tranne per il fatto che non ne sapevo niente finché non siete arrivati voi.
- Sì, beh, non è stata mia l’idea di saltarti addosso, se permetti.
- Lo spero bene, visto che era un’idea stupida. – Knuckles tacque per un momento, poi riprese a parlare con voce molto bassa, a malapena udibile nel viavai di gente che li circondava. – Non sono stati…che ne so, carbonizzati o qualcosa del genere? Siete sicuri che li abbiano solo portati via?
- Avrebbero lasciato delle tracce, anche minime. Invece non c’era niente. Sono semplicemente spariti.
L’altro annuì senza replicare. La stava prendendo bene, considerato lo spettacolo che aveva davanti. Quando lei aveva scoperto che sua madre era scomparsa nel nulla, aveva perso completamente la testa. Invece Knuckles, che aveva perso tre persone che conosceva dall’alba dei tempi, sembrava essere in grado di mantenere il controllo.
E dire che aveva avuto anche il tempo di sperare che la situazione fosse migliore del previsto. Quando l’agente Johnson aveva comunicato loro i nuovi sviluppi e Knuckles aveva rivelato che in Golden Hive Road era situata l’Agenzia Investigativa Chaotix, era rimasta aperta la possibilità che la base dei tre peggiori investigatori di Mobius non fosse uno degli edifici colpiti. Si erano resi conto appena arrivati sulla scena che si era trattato di una speranza stupida. La “luce verde” che tanto aveva spaventato Logan e Nadir aveva inglobato, questa volta, soltanto il fondo di una strada: nello specifico, un palazzo sotto occupazione e la baracca dei Chaotix.
Decisamente non era la giornata fortunata di nessuno.
Gli agenti e gli scienziati continuavano a girare lì intorno come avevano fatto a Stormtop Lane, ma Rouge dubitava che ne avrebbero ricavato niente. Se la situazione era in qualche modo simile a quella di qualche ora prima (e lo era, vista l’assenza di tracce e la folla appostata dietro le transenne di protezione), avrebbero fatto le loro misurazioni e poi, non trovando niente, avrebbero scrollato le spalle e se ne sarebbero andati. Nonostante le due scene del crimine, erano senza indizi.
Shadow riapparve al loro fianco con una faccia che non rivelava un grande ottimismo. Si era infilato nella mischia per recuperare qualche informazione, ma aveva lasciato sia lei che Knuckles ai margini della folla, probabilmente più per liberarsi di loro che per prevenire domande sull’ospite non autorizzato. Fra tutti e due dovevano avergli causato un discreto mal di testa. – Niente. Assolutamente niente – annunciò ad entrambi, prima di rivolgersi direttamente a Knuckles. – Penso tu abbia già capito che dei tuoi amici non c’è traccia, anche se non ti vedo troppo preoccupato.
Era un colpo basso e l’echidna gli rispose a denti stretti. – Vector, Espio e Charmy sono sopravvissuti più o meno a qualunque cosa. Sono più preoccupato per i poveracci che sono finiti con loro chissà dove.
- Chissà dove è esattamente l’idea più precisa che abbiamo. Non c’è nessun indizio su dove siano stati portati via, né su come. Non sembra nemmeno che ci siano testimoni attendibili. – Il riccio fece una smorfia, lanciando un’occhiata all’agente Johnson che, non molto distante da loro, stava tentando di parlare agli abitanti della zona oltre le transenne. – Siamo a un punto morto. Di nuovo.
- Non proprio – lo interruppe Rouge, prima che potesse ignorare le ovvietà ancora più a lungo (o rimettersi a litigare con Knuckles, che sarebbe stato peggio). – Sappiamo qualcosa in più rispetto alla prima volta.
Gli sguardi perplessi che entrambi le lanciarono la spinsero a domandarsi come fosse possibile che fossero così ciechi. Il pensiero che sua madre sarebbe stata fiera del suo essere l’unica a capire le cose più ovvie le attraversò il cervello alla velocità della luce e poi sparì, lasciandole addosso una nostalgia insostenibile. Fatti trovare in fretta, mamma, non posso farcela così.
- Le vittime non sono casuali – continuò, sperando di riuscire a tenere a bada le emozioni. – Stormtop Lane e queste case non hanno niente in comune, tranne una cosa: sono legate a noi.
- E per noi intendi…
- Noi. Io, voi due, probabilmente Sonic e i suoi amichetti, questo genere di persone.
Shadow scosse la testa, mentre Knuckles li osservava con un’espressione confusa, come se gli mancasse un pezzo. - Mi sembra forzata come idea.
- E’ forzata, ma per ora sembra essere l’unico legame fra dei detective che non hanno mai fatto nulla se non aiutarci a salvare il mondo e…e Stormtop Lane.
- Anche se fosse, non sarebbe un’ipotesi granché utile. Ci direbbe soltanto che un individuo malvagio sta tentando di attaccarci, di nuovo, con un potere a cui non riusciamo a dare una forma, DI NUOVO.
- E’ per questo che ho pensato anche ad un’altra strada. Visto che abbiamo stabilito che non è stato Knuckles perché al momento del secondo attacco era con noi, va escluso anche il Master Emerald come fonte di energia, perciò resta solo una possibilità a portata di mano.
- Gli Smeraldi del Caos – mormorò Shadow.
Rouge annuì con vigore. – Quello, oppure esiste qualcosa di altrettanto potente che ancora non conosciamo.
- Spero vivamente di no – grugnì il riccio, poi si voltò verso Knuckles, che ancora non aveva perso l’espressione perplessa. – Sonic e Tails hanno ancora tutti e sette gli Smeraldi?
L’echidna allargò le braccia. – E come faccio a saperlo? Non fanno in tempo a recuperarli che sono già dispersi. L’ultima volta che ho pensato che li avessero tutti Sonic li aveva lanciati nello spazio.
Shadow alzò gli occhi al cielo. – L’unica possibilità che abbiamo in questo momento, allora, è trovare Sonic e chiedergli degli Smeraldi. Spero che abbia almeno una vaga idea di dove trovarli.
- Meglio che tu vada da solo, allora – replicò Rouge. – Nessuno ha con Sonic la confidenza che hai tu.
Non aveva fatto nulla per nascondere la sfumatura maliziosa della sua ultima frase, e Shadow doveva averla sentita, perché fece un sospiro seccato e partì senza dire un’altra parola. La pipistrellina si sentì salire un sorrisetto sulle labbra: poteva anche la giornata peggiore dell’ultimo periodo, ma se le fosse venuta a mancare anche la voglia di prendere in giro il suo partner sarebbe stato ben più grave.
Si ricompose, mentre si voltava verso Knuckles. Le sue reazioni erano un buon segno, poiché stavano a significare che era (quasi) in grado di lavorare come ogni altro giorno e come durante ogni altro caso, ma l’echidna avrebbe potuto interpretare male il suo sorriso. Chaos solo sapeva come avrebbe potuto reagire.
- Li troveremo, vedrai – disse, sapendo che qualche parola trita come ”mi dispiace” sarebbe stata inutile e controproducente. – Anche Shadow, nonostante i vostri…problemi, si sta impegnando al massimo per trovare i tuoi amici, insieme a tutti gli altri.
- Non sono preoccupato per questo – rispose lui. – Voglio dire, sì, sono preoccupato, nonostante quell’altro pensi il contrario, ma Vector, Espio e Charmy si sono ficcati nei guai e se la sono cavata in situazioni ben peggiori…anche se non sappiamo bene cosa stiano affrontando adesso. Ma non mi piace questa storia. C’è un mio sosia in giro, e non è una cosa buona. Non esistono altri echidna oltre a me.
- Lo so. Qualcosa non quadra, ma qualcosa non quadrava già ore fa. Per quel che ne sappiamo, potremmo trovarci di fronte a un mago in grado di creare illusioni.
- Dovrebbe confortarmi, questo pensiero?
- Direi di no. – Rouge sospirò, osservando i primi lampioni che si accendevano lungo la strada, poi si rivolse di nuovo a lui. – Che cosa farai adesso?
- In realtà non lo so. Sarei andato anche io a parlare con Sonic, ma Shadow sembrava molto più felice di farlo, perciò…- Knuckles si strinse nelle spalle. – Tornerò su Angel Island e farò la guardia al Master Emerald, prima che mi tocchi partire per un'altra caccia agli smeraldi. Se c’è qualcuno che si spaccia per me, potrebbe tentare di rubare anche quello.
- Mi sembra una buona idea. Io andrò…al quartier generale, per scoprire se hanno qualcosa da farmi fare. – Era una bugia, e nemmeno così ben costruita, ma non le importava. Un’idea le aveva sfiorato la mente mentre guardava i lampioni (anche laggiù c’è ancora l’elettricità) e se gli avesse rivelato la sua vera meta, magari lui avrebbe voluto seguirla, e lei non avrebbe potuto permetterglielo. Era una cosa che doveva fare da sola.
L’echidna annuì e Rouge, dopo avergli fatto un rapido cenno di saluto, allargò le ali, preparandosi a spiccare il volo. Prima che potesse farlo, però, una mano le si chiuse intorno al polso. Sorpresa, lei si voltò e si trovò davanti l’espressione interrogativa di Knuckles.
- L’altra strada, che cosa c’entra? Che cosa ha in comune con…qualunque persona noi conosciamo?
Rouge valutò se mentirgli di nuovo, poi decise che non l’avrebbe fatto. La mano con cui l’aveva bloccata era enorme, ma per una volta non c’era nessuno scatto di rabbia nel suo tocco, e il suo volto...Lui era davvero preoccupato, checché ne dicesse Shadow. Non sarebbe mai riuscita a mentire in un momento del genere. – Ci abitava mia madre. E’ la strada dove sono cresciuta.
Per un momento temette che lui avrebbe fatto altre domande, oppure che avrebbe sparato qualche insulso “mi dispiace”, ma non lo fece. Probabilmente sapeva bene quanto lei quanto fossero inutili quelle parole. Si limitò ad annuire e a lasciarla andare, e Rouge si sollevò in aria, allontanandosi più in fretta che poteva e tentando di non pensare a quante volte si fosse già ripetuta quella scena nelle ultime ore. Non le avrebbe fatto bene pensare a tutti i suoi tentativi di scappare volando di fronte alle domande.
Se lo avesse fatto, sarebbe finita a pensare a quando avrebbe dovuto rispondere a quelle domande.
 
 
 
Quando Vector riprese i sensi, era già buio.
Aveva abbastanza senso, in realtà. L’ultima cosa che ricordava era l’urlaccio che aveva lanciato a Charmy perché smettesse di dargli fastidio, quando fuori dalle finestre il sole aveva appena iniziato a tramontare. Se davvero era svenuto, come la confusione nella sua testa sembrava volergli dire, era normale che fosse arrivata la sera mentre lui era altrove.
Quello che non aveva senso era il posto in cui si trovava.
Se il coccodrillo fosse rimasto nella sede dell’agenzia, né Espio né Charmy sarebbero stati in grado di spostarlo dalla sua poltrona, ma ora sentiva di essere sdraiato su qualcosa di molto più duro. Inoltre la pochissima luce che aveva intorno proveniva da una finestra senza vetri in una posizione a lui poco familiare, e Vector era abbastanza sicuro di aver pagato l’ultima bolletta della luce, perciò almeno le luci dell’ufficio sarebbero dovute essere accese.
Concludendo quindi che quel posto non poteva essere la sua amata agenzia, dove diamine si trovava? E soprattutto, come c’era finito?
- Pensavo fossi morto. – Una voce, curiosamente piatta e priva d’intonazione, interruppe le sue riflessioni. Proveniva da una zona vicina alla finestra ma fuori dal suo fascio di luce, perciò gli occhi di Vector, non ancora abituati all’oscurità, non riuscivano a distinguerne il proprietario.
Vector poteva, però, farsi dare qualche spiegazione. – Cosa è successo? – Chiese in tono minaccioso, alzandosi da quello che sembrava essere una zona di terra battuta, ovvero il pavimento più assurdo che avesse mai visto all’interno di una casa. – Dove sono? E tu chi accidenti sei?
Lo sfrigolio di un accendino, e una debole fiammella illuminò lo sconosciuto. Era un giovane leone, non ancora adulto, a giudicare dalla criniera spelacchiata che si trovava sulla sua testa. Era difficile intuire molto altro, visto che il ragazzo teneva la testa bassa e gli occhi fissi sul pavimento. – Hai visto anche tu la luce verde? – Chiese, sempre privo di alcuna inflessione.
La luce…un lampo verde attraversò la mente di Vector, un ricordo che andava ad incastrarsi fra gli insulti contro Charmy e il buio del suo svenimento. Dunque almeno qualcosa era successo, e il ragazzino sembrava saperne più di lui. – Cosa è successo? – Ripeté, avanzando di un passo. L’altro sembrò schiacciarsi sempre di più contro la parete, senza alzare lo sguardo. – Dove sono i miei amici? Parla, oppure…
- Aspetta! – Una terza voce lo interruppe. Una tenda si sollevò, accanto alla finestra, e si rivelò un’apertura più grande che doveva essere una porta. La figura sulla soglia era illuminata da dietro da un altro fascio di luce scarsa, perciò era difficile distinguerne i tratti, ma a sentirla sembrava una donna, e anche tutt’altro che calma.
La nuova intrusa si avvicinò al ragazzo, che intanto, spento l’accendino, era tornato ad essere una sagoma nel buio. – Mi dispiace – continuò lei. Non aveva ancora lasciato andare la tenda, e oltre la porta era possibile intravedere alcune forme indistinte, alcune delle quali sembravano altre persone. Vector si sentì correre un brivido lungo la schiena. Che posto era quello? – Zenit non è bravo a parlare con gli estranei, ma minacciarlo non ti servirà a niente. Non ha risposte per le tue domande.
- Io voglio sapere soltanto dove siano i miei amici, e come sono finito qui – insistette il coccodrillo. Gli sarebbe anche piaciuto sapere dove fosse qui, e perché diamine non accendessero delle luci, ma cominciava a temere che chiedere di più non sarebbe servito a molto.
- Non so niente dei tuoi amici. Quanto a come tu sia arrivato qui, suppongo che sia successo come a noi. La luce verde deve averti portato qui…in che modo, piacerebbe anche a noi scoprirlo. – La donna fece un cenno verso la porta con la mano libera. – Guarda tu stesso, e ti prego, se sai dove siamo diccelo. Sicuramente ne sapresti più di noi.
Vector non sapeva come reagire. Iniziava a sentirsi girare la testa. Si mosse verso la porta come in trance, e mentre usciva sentì dietro di sé i passi del ragazzo-Zenit,la sconosciuta aveva detto che il suo nome era Zenit-scivolare più in profondità nella casa buia. Fece appena in tempo a chiedersi quali problemi potesse avere il leoncino con lui prima che l’ambiente esterno lo lasciasse senza parole.
C’erano davvero delle persone in giro, sagome nere su due gambe che si voltarono a guardarlo mentre usciva e sollevarono nuovi deboli getti di luce verso di lui, forse torce o (più probabilmente) telefoni cellulari. A parte quelli, l’unica luce proveniva dalle stelle e dalla luna sopra di loro. Era difficile distinguere molto altro, ma sul cielo scuro si stagliavano silhouette di edifici dalle forme improbabili: alte torri e forme ondeggianti, più simili a castelli di sabbia che a vere case.
Doveva trovare Espio e Charmy, gli disse il cervello in un lampo di lucidità. Ma Vector si rese conto che forse, prima, avrebbe dovuto fare qualcos’altro.
Forse avrebbe dovuto capire in quale buco fosse finito lui.
Avevo promesso che avrei impiegato meno tempo ad aggiornare rispetto all'altra volta, e ce l'ho fatta! Avevo anche promesso novità succose, ma per capire se siano davvero tali devo aspettare le vostre reazioni. Accorrete numerosi , giuro che non mordo <3
Grazie, e alla prossima puntata!
Suze
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Night gathers and now my watch begins ***


Gestire Sonic era, per Shadow, una fatica immensa anche nei momenti migliori.
Considerando come era trascorsa la giornata, era un miracolo che non avesse già piantato il riccio blu in asso e non se ne fosse partito per una (meritatissima) vacanza.
- Siete sicuri che siano quelli originali? – Chiese, accennando alla fila di Smeraldi del Caos che rilucevano poco distante da lui. – Se non ricordo male, è già successo che qualcuno vi mettesse davanti uno Smeraldo falso.
- Per chi ci hai preso? – Sonic suonava quasi offeso da quell’insinuazione. – Non ripetiamo mai due volte gli stessi errori.
Shadow si trattenne a stento dal rimarcare che anche se fosse stato vero, almeno Sonic era capacissimo di inventarsene di nuovi. Se lo avesse detto ad alta voce, probabilmente l’altro avrebbe sogghignato, trovandola la battuta più divertente del mondo, e Shadow avrebbe provato l’istinto di strozzarlo.
Per fortuna, Tails intervenne prima che la situazione potesse peggiorare. – Abbiamo controllato che non ci fossero falsi prima di inserirli negli alloggiamenti – disse, brandendo la chiave inglese che aveva in mano mentre spiegava. – Adesso, se qualcuno cerca di toglierli da lì, veniamo notificati all’istante.
Tutto questo avrebbe dovuto rassicurarlo, ma in realtà poneva soltanto dei nuovi problemi ai quali Shadow avrebbe dovuto trovare una soluzione. Uno Smeraldo mancante avrebbe comportato una falla nella sicurezza mondiale, ma almeno avrebbero saputo con cosa avevano a che fare. Invece ora si trovavano sotto l’attacco di un nemico di cui non conoscevano nemmeno le armi. Dalla padella alla brace, e con un salto solo. – E nessuno di voi si è accorto di qualcosa di strano? Pensavo foste dotati di attrezzature per trovare gli Smeraldi. Qualcosa che reagisca alle variazioni di energia.
- Lo eravamo. – Tails sollevò il groviglio di metallo e fili a cui stava lavorando. – Durante l’ultimo combattimento uno dei robot di Eggman lo ha sfasciato con un colpo. Sto cercando di ripararlo, ma siccome abbiamo tutti gli Smeraldi non c’era motivo per farlo di corsa.
- Se non fossi venuto a dircelo tu, non avremmo saputo niente neanche di queste sparizioni – aggiunse Sonic.
- Abbiamo fatto il possibile per nascondere quello che è successo, per non scatenare il panico. Credo che la GUN lo stia facendo passare per un rapimento di massa.
Il riccio blu fece una mezza risata. – Questo potrebbe dare fastidio a chi lo ha fatto, ci avete pensato? Magari si aspettava che facesse notizia.
Era probabilmente uno dei motivi per cui la GUN aveva agito in quel modo, ma non era una sorpresa che Sonic ci fosse arrivato: non era né stupido né ingenuo come a volte sembrava.
Se non fosse stato per questo, e per la convinzione profonda che sotto l’irritante perenne ottimismo e l’aria scanzonata Sonic fosse in grado di comportarsi seriamente, Shadow probabilmente non lo avrebbe tollerato tanto a lungo. Per come stavano le cose, invece, non poteva negare che l’altro fosse esattamente il super difensore dei deboli che tutti vedevano in televisione, solo molto più fastidioso e con una tendenza a tentare di farsi amici anche i cactus.
- Possibile. In ogni caso, se iniziate a fare ricerche per conto vostro, cercate di non sollevare un polverone. Non c’è tempo per assecondare l’isteria della popolazione. – Shadow fece una pausa, poi aggiunse: - E tenete d’occhio anche il vostro amico Knuckles, se riuscite.
- Non penserai ancora che c’entri qualcosa? – Chiese Tails.
A Shadow sarebbe piaciuto, in realtà, poterlo ancora pensare. Sarebbe stato molto più semplice. – No, ma se c’è qualcuno che gli somiglia o che ha scelto di prendere le sue sembianze un motivo ci sarà. E’ più facile che accetti la vostra presenza che non quella dei nostri agenti.
- Già, sappiamo quanto la GUN possa essere amichevole. – Sonic sospirò. – Ascolta, terremo gli occhi aperti e cercheremo di scoprire qualcosa.  Finiremo di riparare quell’aggeggio e poi daremo la caccia a questo simpaticone e alle persone che ha preso. Nessuno ci è mai sfuggito a lungo, neanche Eggman, per quanto ci provi.
Era l’unica cosa in cui Shadow riusciva a sperare. L’agenzia per cui lavorava aveva mezzi ipertecnologici e centinaia di uomini a disposizione, ma rischiava di mettere in allarme chiunque muovendosi in massa, nonostante i tentativi di nascondere le proprie azioni. Sonic e Tails, invece, insieme al loro immenso corollario di amici, avrebbero potuto agire liberamente. Inoltre erano dotati, oltre che di una certa esperienza grazie alla ricerca di Smeraldi, di una fortuna sfacciata nel trovare una soluzione al problema di turno. Magari sarebbe stata sufficiente.
Se solo anche Rouge si fosse rimessa in carreggiata abbastanza da poter dare un aiuto concreto.
 
 
Shadow non sarebbe rimasto stupito, in realtà, da cosa Rouge stava facendo. Lo avrebbe sconvolto di più sapere che Knuckles stesse facendo la stessa cosa.
Infatti, mentre Rouge entrava a Stormtop Lane inseguendo i propri ricordi, Knuckles stava scavando nei propri, alla ricerca di una spiegazione su come un echidna (parte di una specie estinta, fatta eccezione per l’attuale Guardiano) potesse sbucare fuori così all’improvviso. Persino gli ambienti dove si trovavano si somigliavano: la ridottissima quantità di abitanti di Angel Island la rendeva costantemente silenziosa, ma quella notte anche Stormtop Lane era del tutto priva di rumori, fatta eccezione per quello provocato dai tacchi di Rouge che urtavano l’asfalto e che producevano un rimbombo quasi spettrale.
La pipistrellina non aveva avuto problemi ad accedere all’area. Gli agenti che facevano la guardia al perimetro del quartiere erano lì solo per allontanare gli eventuali sciacalli con l’intenzione di rubare oggetti dagli appartamenti, visto che gli abitanti ancora presenti erano stati trasportati in massa in qualche luogo dove potessero trascorrere la notte: non avrebbero certamente fermato un’agente del suo livello e con un sorriso tanto affascinante. Rouge aveva fatto della capacità di intortare le persone intorno a lei la sua specialità, ma quella sera non si era aspettata che funzionasse davvero: il suo solito mezzo flirt doveva essere particolarmente potente per fare effetto anche in una giornata come quella.
Non era importante, comunque. Ora che si trovava sola sotto la luce cruda dei lampioni non si sentiva più la donna fatale che tutti conoscevano: Stormtop Lane riusciva a farla tornare una bambina che cercava di tornare a casa.
E di case ce n’erano in abbondanza. Pensava di essere entrata nella maggior parte degli appartamenti che la circondavano, da alcuni dei quali provenivano ancora luci o ronzii di elettrodomestici lasciati accesi durante il giorno (un pensiero al fondo della sua mente la incitava ad andare a spegnerli, prima di andarsene: tuttavia sapeva benissimo che non lo avrebbe fatto); ma ce n’erano soltanto due che avrebbe ricordato per sempre.
La verità era che non sapeva quale dei due avrebbe potuto darle l’illuminazione necessaria: quello dov’era nata (letteralmente, sull’unico letto allora presente, perché l’ospedale era troppo lontano e comunque le ambulanze non sarebbero mai arrivate in un posto del genere) o quello da cui era uscita e che continuava, in fondo in fondo, a chiamare casa. Alla fine scelse quest’ultimo, se non altro per la possibilità di trovarci oggetti concreti che potessero risvegliare i suoi ricordi.
Volò per arrivarci: era all’ultimo piano del palazzo nero, e la serranda della finestra sul retro era ancora rotta e le consentiva l’accesso come aveva fatto con la ragazzina distrutta di tanti anni prima. Lì non c’erano luci accese o oggetti dimenticati accesi: sua madre ( l’unica che potesse chiamare tale, a questo punto) non accettava soldi in regalo da nessuno e tentava di risparmiare più che poteva. Nemmeno Rouge accese nulla, e si mosse ad istinto, sfiorando i mobili che non erano mai stati spostati quasi con reverenza.
Solo nell’ultima stanza schiacciò l’interruttore della luce: era l’unico modo in cui avrebbe potuto vedere la sua camera, in fondo.
Se attraversare la strada l’aveva fatta sentire una bambina piccola, che correva ancora dietro ai più grandi per farsi notare un po’ di più, la stanza era rimasta il tempio della sua adolescenza. Le sembrava che non fosse passato un giorno da quando ci aveva dormito l’ultima volta. C’erano ancora, attaccati alle pareti, i poster di personaggi famosi che le ragazzine avevano ormai dimenticati, e il letto, benché rifatto di fresco, aveva le stesse lenzuola di allora. Quando finalmente riuscì a sconfiggere l’immobilità che la bloccava sulla soglia e a inginocchiarsi di fianco al letto, trovò al suo posto anche la scatola di fotografie sotto di esse.
Così, mentre molto lontano da lì Knuckles ricordava l’ultimo echidna che sarebbe potuto apparire, forse, anche se era morto davanti ai suoi occhi e lui non avrebbe voluto ricordarlo per nulla, Rouge aprì la scatola e trovò ricordi in abbondanza.
Di lei bambina ce n’erano molto poche, salvate dalla sua precedente sistemazione, ma dopo i dodici, tredici anni ce n’erano a bizzeffe. Il primo giorno di liceo, come gli adolescenti normali; gli autoscatti con le amiche, con macchine finite chissà dove; e poi Lucan, naturalmente. Lucan era ovunque.
Rouge le guardò tutte, dai sorrisi di mocciosi stupidi alle feste di carnevale (la mamma le aveva permesso di indossare un costume così scollato?), e quando arrivò all’ultima non si rese nemmeno conto di avere le lacrime agli occhi.
Quelle sì che erano state fatte con una macchina fotografica rubata, sottratta ad un turista finito nella strada sbagliata. Ne avevano approfittato per rispettare una tradizione di Stormtop Lane: le finte foto segnaletiche.
Anche i bambini, laggiù, conoscevano il proprio rischio concreto di finire in prigione: per esorcizzarlo, per ignorare un futuro a cui stavano andando incontro tutti, tracciavano righe per segnare l’altezza su un muro scrostato e provavano l’espressione che avrebbero assunto, nell’occasione giusta. Di fronte e di lato, come gli adulti: le ragazzine si fingevano seducenti oltre i propri anni, i maschi più  sbruffoni.
Lucan e Rouge non erano stati da meno. Lei aveva un sorriso ridicolo, che all’epoca doveva aver creduto ammaliante, ma Lucan aveva un mezzo sorriso che la giovane donna ricordava bene, e due occhi seri. Era più grande, lui: doveva aver già capito che ci sarebbe finito davvero, in prigione, e anche in fretta. Ogni giorno lo rischiava di più, e quell’estate…quell’estate, anche lei…
Un’idea formata a mezzo attraverso la sua mente e la fece scattare in piedi. Aveva dimenticato certi dettagli di ciò che era successo, e anche adesso che stavano tornando era difficile rimetterli insieme, ma ora che ci pensava, doveva ricordare con precisione. Poteva essere fondamentale. Con un aiuto esterno, forse…
Prima che l’idea le sfuggisse, prima che il peso dei ricordi potesse travolgerla e impedirle di fare il proprio lavoro, Rouge era già volata fuori, non senza aver spento la luce e aver nascosto di nuovo le fotografie sotto al letto, nella scatola spinta in un angolo. Ne aveva conservata solo una.
Con un po’ di fortuna, pensava mentre si dirigeva verso la prigione, le sarebbe servita per trovare il bandolo della matassa.
 
 
Non avrebbe attaccato di notte. Non se poteva evitarlo. La notte era fatta per osservare: tutti, volenti o nolenti, abbassavano la guardia, anche se addestrati a non farlo.
Tuttavia, anche se avrebbe potuto spiare chi desiderava, i suoi occhi non erano volti agli eroi al lavoro, o alla figlia che frugava nella casa della madre. Non degnava di un’occhiata nemmeno le persone che aveva strappato alle loro abitazioni, pur essendo la causa scatenante del loro stato attuale.
No. L’unico a cui dedicava le sue notti era il Guardiano. Lo osservava non visto, mentre manteneva la sua posizione pur pensando ad altro. Ammirava la sua devozione, non per la prima volta e non per l’ultima.
E anche se occhi estranei avrebbero considerato il suo uno sguardo folle, dietro di esso non c’era altro che affetto.

Guardate un po' chi è risorta dalla tomba! Chiedo immensa venia, ma io e il pc praticamente non ci siamo visti e il mio telefono presenta un odio intenso nei confronti di EFP. Il capitolo è anche più breve di quanto avrei voluto, perché sono scema l'ultima sezione che avevo intenzione di aggiungere sarebbe risultata troppo lunga e avrei dovuto farvi aspettare ancora di più, cosa che non vi meritate. Nè vi meritate l'assenza di risposte alle recensioni, a cui tenterò di porre rimedio mentre rispondo a quelle nuove (se ne arriveranno (((((: ).
Con buona pace di tutti e sperando di non metterci di nuovo un mese, addios!
Suze

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Capitolo 6
*** Noise and silence ***


Se Vector aveva pensato che con la luce del giorno la situazione sarebbe sembrata più rosea, si era sbagliato di grosso.
Infatti, se era vero che adesso poteva vedere in che razza di posto si trovassero, era anche vero che nessuno di loro aveva assolutamente idea di dove esso fosse. Inoltre, il coccodrillo avrebbe volentieri speso altre dodici ore al buio pur di non vedere gli occhi disperati di tutta quella gente esausta.
E ce n’era ovunque, di gente. Hecale sosteneva che fossero tutti suoi vicini, abitanti della stessa strada…tranne Vector stesso, a quanto sembrava, e magari Charmy ed Espio, se fosse riuscito a trovarli.
Hecale era la donna che aveva visto al risveglio, la notte prima. Era un lupo di una certa età, col pelo dorato scolorito dagli anni e penetranti occhi verdi, ancora bella nonostante la stanchezza data dalla notte insonne. Vector era stato pronto a travolgerla per cercare di scappare da quel posto, ma lei gli aveva spiegato che erano tutti sulla stessa barca, e che in ogni caso nessuno aveva ancora trovato una via di fuga. Apparentemente erano bloccati in una piccola valle, circondata da montagne, e non si vedeva nessuna strada ad un’altezza abbordabile.
- Quindi vi siete trovati qui senza sapere come né perché? Sembra impossibile – mugugnò il coccodrillo, osservando le persone a cui passavano accanto. Molti vagavano apparentemente senza meta, guardandosi intorno con occhi appannati. Anche quelli che sembravano avere qualcosa da fare (una giovane donna che allattava un neonato, bambini che giocavano con la sabbia delle strade) fissavano il vuoto come se potessero trovarci una risposta. Era davvero inquietante.
- Eppure è così. – Hecale sembrava una dei pochi che non sembravano del tutto scioccati da ciò che era avvenuto. Camminava con seria determinazione, come se stessero andando in un posto preciso e non girando a vuoto alla ricerca degli amici di Vector. – Nessuno sa cosa sia accaduto. Un momento eravamo in casa, o sulla strada, e il momento dopo eravamo qui. Presumo sia accaduto lo stesso anche a te.
- Già. Ma c’erano anche altri due con me. Vorrei sapere dove diavolo sono finiti.
- Saranno qui anche loro. Nessuno si è trovato vicino alle persone con cui era a casa. Io non ho ancora visto i miei vicini di pianerottolo, ma Zenit era a pochi metri da me, e lui abita dall’altra parte della strada. – La donna si voltò verso il ragazzo, che camminava dietro di loro, e allungò una mano. – A te credo sia andata bene, vero, tesoro?
Zenit non rispose, ma lasciò che Hecale gli carezzasse la testa senza protestare.
Il giovane leone era un altro mistero. Nella manciata di ore da quando Vector aveva ripreso conoscenza, Zenit era passato da momenti di silenzio assoluto ad altri di intensa loquacità. Sembrava affascinato dal coccodrillo, comunque, e continuava a seguirlo dovunque andasse…Ma senza mai guardarlo negli occhi. Il suo animo da detective lo avrebbe trovato sospetto, se dal comportamento protettivo di Hecale non fosse risultato palese che c’era un problema.
Avrebbe indagato più tardi, in ogni caso. Prima di tutto gli sarebbe piaciuto capire in che razza di città fossero stati trasportati.
Vector non era mai stato un esperto di geografia, ma era abbastanza sicuro di non aver mai visto un posto simile. Le strade erano di terra battuta, e sembrava che lo stesso valesse anche per le case. La sua prima impressione, di immensi castelli di sabbia, non era stata del tutto errata. Alla luce del sole somigliavano davvero al lavoro di un bambino gigante, con le loro forme irregolari, il loro colore giallo-rossastro e le finestre senza vetri. Più che a una città della loro epoca, ricordava l’illustrazione di un libro di storia, più o meno del periodo dell’invenzione della ruota…se uomini di quei secoli si fossero messi a costruire torri alte come condomini.
Tuttavia, non sembrava che fosse rimasta abbandonata così a lungo. La tenda della stanza in cui si era svegliato era vecchia e consumata, ma se non si era sbriciolata voleva dire che non poteva avere più un tot di decenni. Gli edifici stessi sarebbero dovuti cadere a pezzi, se si fosse trattato di un tempo più lungo, ma erano ancora ben in forma. Hecale gli aveva detto che qualcuno aveva trovato piatti ed utensili nascosti all’interno, ma non cibo.
- Ancora non ho capito come nessuno sia entrato nel panico, senza cibo – borbottò Vector, lasciandosi trascinare in giro dalla donna. Non avevano una meta precisa: a quanto pareva c’era una piazza centrale in quella città misteriosa, ma le persone erano troppe e troppo confuse per usarla come punto di ritrovo. Preferivano continuare a vagare, esplorando le strade e cercando amici e familiari, e il coccodrillo era costretto a fare lo stesso, nella speranza di intravedere un’ape o un camaleonte viola. Intanto, almeno, poteva continuare ad esporre i propri dubbi ad Hecale…e farsi inseguire da Zenit, che non si perdeva un loro passo. – Questo posto è già abbastanza spettrale così com’è, ma l’idea di morirci di fame…dovrebbero essere tutti molto più spaventati. – Stava iniziando lui stesso a sentire un po’ di paura ma non l’avrebbe certo dato a vedere. Era un vero duro, lui.
- Ma ci sono cose da mangiare. – Hecale lo guardò con un sorriso di scusa, affascinante nonostante la tensione. – Mi dispiace, non sono stata abbastanza chiara. Abbiamo trovato delle cibarie, non nelle case ma nella piazza. Non so quanto ne sia rimasto: ne hanno arraffato tutti in massa, pensando che sarebbe scomparso subito, e quando hanno pensato di nasconderlo e razionarlo era già tardi. Però ce n’è, è solo…è una cosa strana.
- Non vedo cosa potrebbe esserci di più strano di quello che sto vedendo.
La donna fece una breve risata senza traccia di divertimento. – Resteresti sorpreso. Hai detto di essere un detective: risolvi questo caso, allora. Siamo in un posto quasi preistorico, e anche se non sembra essere rimasto disabitato così a lungo, gli unici resti di cibo che uno dovrebbe trovare dovrebbero essere altrettanto primitivi, carne salata o grano. E allora perché nella piazza abbiamo trovato solo provviste moderne?
- Cosa? – Chiese Vector, colto alla sprovvista.
- Lo giuro. La piazza non sembra avere meno secoli di tutti gli altri posti, ma nel mezzo c’erano scatolette e pacchetti, tutti ancora lontani dalla scadenza. Quindi ti chiedo, ragazzo: riesci a spiegarmi come ci sono finiti, qui? E se sono arrivati allo stesso modo in cui siamo arrivati noi, com’è successo? E chi avrebbe mai potuto farlo?
 
 

Rouge dovette ringraziare ancora una volta la GUN per tutte le possibilità che le dava.
Nessun visitatore sarebbe potuto entrare nella prigione al di fuori degli orari prestabiliti, ma per lei furono sufficienti il proprio tesserino e un paio di telefonate tattiche per vedersi aprire davanti tutte le porte necessarie, anche se era palese quanto gli agenti che le mostravano la strada fossero perplessi. Le agenzie di alto livello come la sua entravano raramente in contatto con semplici detenuti.
In ogni caso, ora aveva a disposizione tutto il tempo che le serviva. Fu accompagnata in una saletta con un tavolo e un paio di sedie e le fu detto di aspettare, cosa che Rouge era ben felice di fare. Aveva bisogno di tempo per riprendere la calma. Non poteva lasciarsi trascinare dai ricordi, non ora che aveva bisogno di informazioni.
Quando però la porta si riaprì e Lucan entrò accompagnato da una guardia, si rese conto in fretta che non sarebbe mai riuscita a mantenere del tutto il controllo.
Dire che Lucan non era cambiato sarebbe stata una bugia; gli anni erano passati per lui come sicuramente erano passati per Rouge. Il ragazzo atletico di Stormtop Lane era svanito, e al suo posto c’era una lince adulta e drasticamente dimagrita. La sua pelliccia dorata era arruffata e non più lustra come in passato, e quando si sedette di fronte a lui la pipistrellina notò una cicatrice sul collo che non aveva mai visto prima.
- Guarda chi si è fatta vedere – disse, con chiaro divertimento nella voce. – L’ultima volta che ti ho visto eri alta così.
Rouge fece cenno alla guardia di andarsene. Mentre quest’ultima usciva, rivolse a Lucan uno sguardo che sperava contenesse abbastanza serietà. – L’ultima volta che mi hai visto avevo sedici anni e tu mi stavi regalando una pistola. Dubito che potessi essere così piccola.
Questa volta l’altro scoppiò a ridere apertamente. Mentre aspettava che si calmasse, Rouge (che stava combattendo l’istinto di sorridere a sua volta) notò che così dimostrava davvero la sua età. Aveva solo quattro anni in più di lei, in fondo, ma solo con l’espressione così rilassata gli avrebbe dato meno di trent’anni. Che cosa gli hanno fatto?
Quando finalmente si ricompose, Lucan le rivolse un sorriso smagliante. – Mi eri mancata, dolcezza. Questo posto è così triste, non c’è abbastanza bellezza in giro.
- Come sei finito qui? Quale reato hai commesso?
La lince agitò la mano con nonchalance. – Sinceramente non ricordo. L’unico che sono riusciti a provare, in ogni caso. Comunque, a parte la noia, non si sta così male. Posso rilassarmi e non fare niente, almeno finché non esco.
Rouge scosse la testa. Caratterialmente non era cambiato affatto. – Immagino che laggiù non vedano l’ora di riaverti nei loro ranghi.
Il sorriso si spense sul volto di Lucan. – Già. Che vuoi farci, la vita è una piaga. – Cambiò posizione, tornando sulla difensiva. – Non credo che tu sia venuta qui per chiacchierare, però.
- No, infatti. – Le era mancato, però, potergli parlare così. Dannato dovere che chiamava. – Hai sentito di cosa è successo a Stormtop Lane?
Lui annuì. -  Non hanno detto molto alla tv. Sono scomparsi quasi tutti, hanno detto, tranne una lista di persone che hanno elencato. Mi pare di aver sentito il nome di mio fratello, ma nessuno taceva in sala comune e non ne sono sicuro. Ne sai qualcosa?
- L’ho visto con i miei occhi. Sta bene, ma è un po’ scosso.
- E ci credo. Non puoi portarlo a trovarmi?
- Vedrò cosa posso fare. – Avrebbe preferito non essere così burocratica, ma difficilmente le avrebbero lasciato mano libera con il bambino.
L’espressione di Lucan cambiò così in fretta che Rouge riuscì a malapena a decifrarla prima che iniziasse a parlare di nuovo. Rabbia, tristezza, disgusto: c’era tutto. - Lo sai che mi mancano solo un paio di lavoretti e poi potrò permettermi di mandarlo da un medico vero? Quello che sto facendo, lo sto facendo per lui. Perché possa sentire. E intanto tu sei uscita dal giro e stai lì a decidere se posso vederlo o no, come una cazzo di dea scesa in terra.
- Avresti potuto uscirne anche tu. L’opportunità c’era, Lucan. Dovevi solo coglierla.
Non ci fu risposta. Lucan non distolse lo sguardo, tuttavia, e rimase a fissarla con aria da accusatore. Rouge sospirò; era andato tutto storto, quel briciolo di atmosfera familiare che avevano creato era svanito. Non le restava altro da fare che tirare fuori la fotografia e sperare di cavarne qualcosa di utile.
Quando la appoggiò sul tavolo, il suo antico amico interruppe il contatto visivo giusto il tempo di lanciare un’occhiata all’immagine riprodotta prima di tornare a fissarla. – Cosa significa questo?
- Quell’estate. Te la ricordi?
- E come faccio a dimenticarla? – Lucan raccolse l’istantanea e la osservò, come tentando di assorbire ogni dettaglio. – E’ per quella che te ne sei dovuta andare. Hecale ti ha fatto resistere per quanto, quattro anni? Ma alla fine te ne sei andata lo stesso.
Avrebbe potuto dirgli che era tornata, qualche volta. Avrebbe potuto raccontargli di quelle sere in cui era uscita dalla finestra di sua madre e aveva sorvolato l’intera strada, prima di andarsene. Ma non poteva, perché avrebbe dovuto spiegargli che non era mai venuta a cercarlo, per paura di trovarlo morto o già in prigione.
Continuò invece a fare pressione, perché quello era il suo lavoro. – Ricordi quale compito mi avevano dato? La mia…iniziazione, diciamo?
- Smettila di farmi domande stupide. Ero con te la maggior parte del tempo. Dovevi portare quella maledetta pietra da una base all’altra.
Eccolo lì. Il ricordo che aveva scavato fuori guardando le fotografie. Rouge fece un respiro profondo, sperando che la sua agitazione non trasparisse troppo. – Chi era stato a volere quella pietra? A chi l’avevano venduta?
- Non lo so. Vedevo passare un sacco di persone, anche perché volevano che fossi troppo coinvolto per tradirli. – Lucan lasciò cadere la fotografia e incrociò le braccia. – Se non hai un nome o qualche dettaglio, non posso aiutarti.
Era quello in cui non aveva osato sperare. Senza aggiungere altro, la donna tirò fuori il disegno che Logan aveva fatto all’ospedale e glielo passò. Mentre lui lo esaminava, Rouge riprese in mano la fotografia e la osservò di nuovo. Non era caratteristica come le finte foto segnaletiche; il ragazzo e la bambina con abiti troppo grandi per lei avrebbero potuto appartenere a qualunque quartiere, e lo stesso valeva per il muro coperto di graffiti davanti a cui stavano abbracciati. Loro, però, sapevano cosa c’era dietro. Sapevano in quale punto di Stormtop Lane era stata scattata, e in quale momento delle loro vite.
L’immagine di Knuckles le apparve inaspettata nella mente. Rouge era abbastanza convinta che l’echidna avesse iniziato a ricoprire il ruolo di Guardiano molto giovane: chissà se era stato lui ad infilarsi nella loro strada, tanti anni prima, o se era rimasto da solo sulla sua isola, mentre la ragazzina della foto, poco più grande di lui, correva da una parte all’altra per conto di una gang, trasportando uno Smeraldo del Caos senza conoscerne il vero valore.
- Questo lo ha fatto mio fratello, vero? – Lucan la costrinse a riscuotersi dalle proprie fantasie. Aveva un piccolissimo sorriso disegnato sul volto, e teneva il foglio di carta spiegazzato come se fosse oro puro.
- Sì.
- Tipico. Scommetto che lo ha fatto in fretta, certe cose le fa solo di corsa. – La lince appoggiò il ritratto con estrema delicatezza sul tavolo. – Comunque sì, mi ricordo di questo tizio.
Rouge si sporse in avanti, sentendo una scarica di adrenalina nelle vene. - Davvero?
- Già. Però non era in bianco e nero, ovviamente. Aveva la pelliccia rossa. – Aggrottò le sopracciglia. – Non era giovane. Era più vecchio di me adesso, e aveva la barba.
Non Knuckles. Non Knuckles. – Ricordi anche un nome? Anche solo un pezzo?
- Nient’altro. E’ già un miracolo, no? – Il sorriso sardonico era tornato, anche se il suo sguardo era più duro che all’inizio. – Se non hai nient’altro da dire, non posso più aiutarti.
- Grazie. Sei stato più utile di quanto immagini – disse la pipistrellina, alzandosi in piedi.
- Non so neanche cosa c’entri quella roba della gente sparita con questa storia, ma non penso che me lo dirai. Immagino sia top secret. – Lucan indicò il disegno. – Posso tenerlo?
Rouge scosse la testa. – Mi dispiace. E’ una prova.
Non ci fu replica. Lucan le lasciò prendere il foglio senza dire niente, e continuò a tacere mentre lei si avvicinava alla porta. Quel silenzio era opprimente. Avrebbe preferito che lui dicesse qualcosa, qualunque cosa, che la insultasse, le desse la colpa di tutto. Diamine, avrebbe voluto abbracciarlo, toccargli quelle mani dimagrite e dirle che le dispiaceva.
Ma erano passati troppi anni. Tutto quello che le uscì dalla bocca fu: - Prometto che cercherò di portare qui tuo fratello.
Di nuovo, Lucan non rispose. Ma mentre usciva e faceva cenno alla guardia di entrare, le parve di vedergli scuotere la testa.
 

Ma chi è che compare con tutta questa rapidità? Sono io! Magia!
Lo so che non vi mancavo, ma ho aggiornato lo stesso perché spero che almeno Vector e co.vi mancassero. Prendetela come una consolazione per chi fra voi ha ricominciato la scuola.
Come al solito, se vedete degli errori ditemelo perché anche se rileggo i capitoli mi scappano sempre, e spero di vedervi fra le recensioni. Au revoir!
Suze

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Capitolo 7
*** Family, Duty, Honor ***


- C’è un problema – esordì l’agente Johnson entrando nell’ufficio.
Shadow fece appello a tutte le proprie riserve di pazienza prima di rispondere. – Quanto grave?
Non sarebbe riuscito a sostenere un problema troppo complicato. Nelle ultime ventiquattro ore aveva raggiunto il limite della sopportazione.
La nottata, infatti, era trascorsa insonne anche per lui. Dopo aver avvisato Sonic degli eventi in corso, era tornato alla base e si era messo a scavare nel database della GUN alla ricerca di simili situazioni passate o, almeno, qualche indizio su come muovere il primo passo. Avrebbe preferito di gran lunga buttarsi nella ricerca sul campo come probabilmente aveva fatto il riccio blu, ma non potevano essere tutti dei supereroi senza niente da fare, e anche ignorando il fatto che la sola idea di mettersi a girare a vuoto gli dava alla testa, con Rouge irreperibile lui era l’unico che poteva dare una parvenza di serietà alla loro missione. Tuttavia, quelle lunghe ore trascorse a spulciare archivi ( la GUN ovviamente conservava i file più vecchi ancora su carta, giusto per rendergli più difficile il compito) di sicuro non lo avevano messo di buonumore, perciò il riccio non era sicuro di come avrebbe reagito in caso di brutte notizie.
La Johnson, per fortuna, ebbe il buonsenso di non tenerlo sulle spine. – Quei bambini. I nostri testimoni chiave. Non sanno dove metterli.
- …cosa intendi con “non sanno dove metterli”?
La donna allargò le braccia. – A quanto pare Fazio ha raccolto le generalità dei loro familiari e poi li ha confrontati con quelle di chi era fuori casa al momento di…come devo chiamarla? Dell’esplosione? Dell’esplosione, e nessuno corrisponde. Qualunque parente avessero lì vicino è svanito insieme agli altri.
Shadow chiuse gli occhi per un momento, cercando di processare le informazioni. – Mi avevano detto che era improbabile che fossero tutti a casa in quelle ore.
- Evidentemente non così improbabile.
- Va bene, va bene, ma perché vengono a dirlo a noi? Pensavo avessero organizzato una sistemazione per quelli che abbiamo sfrattato.
- Li hanno messi tutti in una palestra del liceo più vicino e gli hanno fornito dei pasti, ma in generale erano tutti adulti, o almeno abbastanza grandi da arrangiarsi. C’erano pochissimi bambini, e tutti con almeno un genitore o un nonno a portata di mano…ma i nostri due non hanno questa fortuna. Adesso che li hanno dimessi dall’ospedale, nessuno vuole la responsabilità di affidarli a qualcuno, né chi ha organizzato i soccorsi né la polizia locale, perciò hanno tirato la patata bollente a noi.
- E cosa si aspettano che facciamo, noi?
- Non lo so. Presumo tenerli fuori dai piedi finché questa storia non sarà finita. Come se non avessimo niente da fare. – L’agente stirò la schiena, sospirando. Pareva non aver dormito granché, come lui e presumibilmente metà degli altri sfortunati in servizio. – Detto fra noi, sarebbe meglio che li prendesse qualcuno di cui possiamo fidarci, anche se non sarebbe molto professionale.  Non sembra che ci sia pericolo che li facciano sparire, ma sono pur sempre testimoni. Se finissero con la persona sbagliata…e da quel che ho visto i servizi sociali non sembrano impegnarsi molto per gestire la situazione…beh, sarebbe solo un problema in più.
Cominciava a diventare chiaro il perché di questo discorso. – Volete che li prenda io.
L’altra assunse un’espressione di scusa. – Li avrei presi io, potendo. Sanno gli dei se mia moglie si sarebbe rifiutata di dare un letto e un piatto di minestra a due bambini. Ma siamo Overlander, come tutti alla GUN, e dubito che questi riescano a fidarsi troppo di noi. Da quanto ho capito, sono stati calmissimi con le infermiere, ma almeno uno ha dato un morso a Fazio.
Sarebbe stata un’immagine esilarante, ma Shadow era troppo impegnato ad assorbire l’ondata di informazioni per ridere. Si aspettavano che portasse Logan e Nadir…dove? A casa propria? Sarebbero stati meglio con la moglie della Johnson, moglie di cui aveva appena scoperto l’esistenza. Rouge ne sarebbe stata a conoscenza. Rouge avrebbe anche saputo cosa fare, probabilmente. Dannazione, perché non si era ancora fatta vedere?
Non ricevendo risposta, l’agente aggiunse: - Non è necessario che te ne occupi tu. Anzi, sarebbe meglio di no. Il capo vuole tutti concentrati al massimo. Però, se ci fosse qualcuno di cui ti fidi davvero...
Il riccio alzò una mano per fermarla. Aveva già capito che sarebbe toccato a lui pensarci. – Andrò a recuperarli, per cominciare, e valuterò la situazione. Sai dove sono?
- Sicuro. Nella palestra dove hanno portato tutti gli altri – rispose lei, ed estrasse dalla tasca dell’uniforme un bigliettino che gli porse.
Almeno della prontezza di Frances Johnson si poteva essere sicuri. Shadow prese il biglietto e la ringraziò con un cenno del capo, poi uscì, senza degnare di un secondo sguardo la pila di documenti che stava abbandonando. Non gli erano stati per niente utili, in ogni caso, e l’opportunità di fare qualcosa era più che benvenuta.
Se solo si fosse trattato di qualunque altra cosa.
 
 
- Nessun individuo sospetto è venuto a trovarti, vero?
- Non era il vostro lavoro, trovarlo? – Rispose Knuckles, senza voltarsi. Aveva sentito il frullio d’ali alle proprie spalle, ma una sola persona sarebbe potuta venire fin lì a cercarlo, e quella persona (al momento, comunque) non era un rischio per lui o per il Master Emerald.
- In teoria, sì. – Rouge avanzò fino ad entrare nel suo campo visivo e si sedette sui gradini delle rovine. – Direi che stiamo fallendo, però.
L’echidna sbuffò. Non era sorpreso per niente. A lasciar fare a quel bellimbusto di Shadow o a quegli altri palloni gonfiati non c’era possibilità di concludere granché. Non lo disse, però. Era abbastanza sicuro che almeno Rouge si stesse impegnando davvero. Anzi, a guardarla si sarebbe detto che non aveva dormito più di lui. – Avete indagato tutta la notte? – Chiese, sedendosi a sua volta.
Rouge si stirò la schiena, emettendo un sospiro stanco. – Mettiamola così. Cielo, avrei bisogno di una doccia. E di una notte di sonno. Quasi quasi rimpiango i problemi di tutti i giorni. Eggman, i mostri del caso…
- …I tuoi tentativi di rubarmi lo Smeraldo?
La pipistrellina sorrise e si strinse nelle spalle. – E’ una bella pietra, che posso farci?
Knuckles alzò gli occhi al cielo, facendola ridacchiare. Era un bel suono. Era, perlomeno, una distrazione. Aveva passato troppe ore a rimuginare per poter sopportare i propri pensieri ancora a lungo. E comunque, non poteva darle torto. Sarebbe stato molto meglio se si fosse trattato di un giorno normale, così avrebbe potuto tentare di ignorare i suoi flirt e le sue allusioni allo Smeraldo e tutto sarebbe andato liscio come sempre.
Naturalmente, non era possibile ignorare la loro situazione, perciò chiese: - Almeno avete scoperto qualcosa?
- Forse. Sono andata a trovare un mio amico in prigione.
L’altro inarcò un sopracciglio. – In prigione? Un altro ladro come te?
- Spiritoso. E’ un membro di una gang, se proprio vuoi saperlo.
- Un ladro che ha fatto carriera, allora.
Rouge sorrise di nuovo, ma non c’era molta allegria sul suo volto. – Mi crederesti se ti dicessi che anche io ero in quella gang, e che sono stata io a fare carriera?
Questa gli giungeva nuova. – Davvero?
- Quando eravamo ragazzini. Non c’era molto che potessimo fare altrimenti, all’epoca. Io ne sono uscita, ma lui…-Si interruppe, tirando un lungo respiro. – Dicono che i ricordi d’infanzia siano i più belli che ti restano per tutta la vita, ma più questa storia va avanti e meno riesco a tirarne fuori uno decente. Capisci cosa intendo dire?
Knuckles capiva benissimo. Le ultime ore lo avevano costretto a riflettere sull’eventualità di un altro echidna in giro per il pianeta, e dal suo punto di vista non era un’eventualità piacevole. La vergogna e l’imbarazzo che avrebbe provato nel mostrarsi così com’era ad un membro della propria specie avrebbe cancellato ogni gioia provocata da quell’incontro. L’idea che si trattasse dell’unico altro suo simile con cui aveva avuto dei contatti, tornato a cercarlo dopo tanti anni…non era niente di meno che agghiacciante, in realtà
Non disse niente di tutto ciò, ovviamente. Non era molto convinto che Rouge avrebbe capito, e sarebbe stato troppo complicato spiegare come si sentiva. Inoltre, non aveva intenzione di interromperla, proprio ora che sembrava mostrare un barlume di onestà, al di fuori di ciò che quell’agenzia di imbecilli e i suoi stessi piani di furto la costringevano solitamente a fare.
Si limitò quindi ad annuire e ad aspettare in silenzio, finché alla fine lei si riscosse e si voltò a guardarlo. – Mi dispiace. Non c’è tempo per lasciarsi andare a certe cose. E’ solo che avrei fatto a meno di incontrare questa persona.
Il fatto che Rouge stesse chiedendo scusa a lui era sconvolgente e quasi inquietante, ma decisamente il momento delle confidenze era finito. Un po’ gli dispiaceva, ma non troppo. Almeno adesso potevano concentrarsi su quello che aveva detto quel tizio, e poi lei pareva aver ripreso un po’ di lucidità. Non gli era piaciuto il modo in cui il suo sguardo si era appannato mentre ricordava l’incontro con il gangster sconosciuto. Più che la Rouge irritante ma determinata che era abituato a vedere, gli era sembrata sull’orlo di una crisi isterica. – Se ti ha detto qualcosa, almeno è stato utile.
La pipistrellina annuì. – In effetti, è riuscito a descrivere il sospettato un po’ meglio. Dice di averlo già visto, in passato.
- E tu ti fidi di quel che ti ha detto?
- Non aveva motivo di mentirmi. Non in quel momento, ecco.
– E quindi? Mi somiglia davvero?
Rouge alzò le spalle. – Un po’. Ha detto che era più vecchio di te, già una decina di anni fa. E aveva la barba.
A onor del vero, Knuckles non avrebbe mai voluto reagire in modo così palese alle sue parole. Si era preparato anche a quell’ipotesi, in fondo, anche se aveva sperato che non si rivelasse esatta. Eppure, sentendo la descrizione, si ritrovò a stringere i pugni e ad alzarsi di scatto, come a voler sfuggire a quelle parole.
Rouge trattenne il respiro, chiaramente colta alla sprovvista. – Lo conosci?
- Dove lo aveva visto, il tuo amico? – Doveva essere stato lui a chiederlo, ma la voce suonava distante, come appartenente a qualcun altro, e curiosamente piatta. Quasi ridicola, visto quanto si sentiva sconvolto.
L’altra esitò. – Se quello che ricordo è giusto, era coinvolto nel furto di…di uno Smeraldo del Caos.
Non c’era dubbio, quindi. Knuckles strinse i denti, cercando di non lasciarsi sfuggire nessun verso inopportuno. Temeva che se si fosse lasciato andare, gli sarebbe sfuggita una risata isterica, oppure si sarebbe messo a strillare come un moccioso. Ma certo, in fondo non si era aspettato di avere tanta fortuna da evitare queste scene per sempre.
- Lo conosco – ringhiò alla fine, solo perché se non avesse risposto sarebbe stato peggio. – Lo conosco molto bene.
 
 
Chiunque avesse scelto quella palestra come collocazione temporanea, doveva essere un vero idiota.
Se infatti i residenti rimasti di Stormtop Lane erano in numero sufficientemente basso da starci comodamente, era un ambiente abbastanza opprimente, con le fortissime luci al neon e l’acustica oscena che faceva rimbombare all’infinito tutti i suoni, da far uscire di testa anche la persona più calma. E lì, di calmo, sembrava non esserci nessuno.
Nemmeno l’agente Fazio, che spiccava in mezzo alla folla con un’espressione scocciata sul volto. L’Overlander, grazie alla sua altezza, notò subito Shadow che entrava, ma lo stesso doveva aver fatto qualcun altro, perché nel giro di pochi secondi il riccio si trovò praticamente travolto da Nadir e Logan.
Pur aspettandosi un benvenuto caloroso, Shadow non aveva previsto una tale foga. I due bambini sembravano, se possibile, più distrutti di quando li aveva visti in ospedale, il che aveva dell’incredibile. In teoria, avrebbero dovuto trovarsi meglio circondati da persone familiari che non da medici e infermiere, ma ora si erano allacciati alle sue gambe come se non avessero mai visto nessuno di più caro.
Fazio si fece strada verso di loro e si fermò davanti a Shadow, chiaramente aspettando ordini. Sul braccio destro, scoperto dalla manica tirata su, spiccava un bendaggio di fortuna assente durante il loro ultimo incontro. Quindi la Johnson non aveva mentito, dovevano averlo morso davvero.
Il riccio gli fece segno di andarsene, cosa che l’agente parve estremamente felice di fare. Quando si fu allontanato a sufficienza, Shadow si rivolse ai bambini. – Perché lo avete attaccato? Stava solo facendo il suo lavoro.
Nadir abbassò lo sguardo. – Mi dispiace. Ero arrabbiata. Continuavamo a dirgli che non c’era nessuno che poteva venirci a prendere, ma lui continuava a chiedere. Mi ha preso per il braccio e io l’ho morso.
Logan fece una serie di gesti, ma la sua amica scosse la testa e non li tradusse. Shadow decise di lasciar perdere. Dubitava che dei denti da latte, anche se di una leonessa, potessero aver danneggiato un uomo grande e grosso, ed era state ventiquattr’ore molto lunghe per tutti. Inoltre, sembrava che la ragazzina si aspettasse di ricevere una sberla per il suo comportamento, ed era una sensazione che avrebbe preferito scacciare. – Avevate detto che almeno qualcuno dei vostri genitori sarebbe stato fuori casa. Perché non ci sono?
Nadir tirò su la testa di scatto e iniziò a parlare con foga. – Dovevano essere a lavoro! Il papà di Logan e…e il mio…dovevano tornare più tardi. Ma il signor Milo, il capo, li ha mandati a casa prima, ce lo ha detto lui, e quindi erano lì. E poi mio fratello è normale se era a casa, e pure sua mamma, così…
- …così non c’è nessuno – sospirò Shadow. Ovviamente, la fortuna era cieca ma la sfortuna aveva dieci decimi di vista, visto che quel tale aveva deciso di concedere ore libere ai suoi dipendenti proprio in un giorno del genere. Anche se sembrava un po’ troppo forzata per essere una coincidenza.
Logan doveva essere dello stesso parere, perché tracciò in aria alcuni segni e poi gli piantò gli occhi addosso, aspettando una risposta. – Chiede se è possibile che sia stato il signore cattivo a chiamare a casa i nostri genitori, per portare via anche loro.
- Non posso dirlo con certezza. – Però avrebbe indagato, senza dubbio. Poteva trattarsi solo di un caso, e magari il capo di quelle persone si stava autoaccusando per la sua pessima idea, ma come la giornata aveva dimostrato, di casualità vere e proprie ce n’erano davvero poche.
Tuttavia, non poteva parlarne con due bambini, così continuò con le domande. Doveva trovare loro una sistemazione, in fondo. – Non c’è nessuno, fra i genitori dei vostri amici, che possa tenervi con sé? Sarebbe solo per poco tempo. – L’ultima parte era una bugia bella e buona. Non aveva idea di quanto avrebbero impiegato a risolvere il problema.
Quando li vide esitare e scambiarsi un’occhiata, Shadow pensò che avessero riconosciuto la menzogna e imprecò fra sé. Loro si fidavano di lui, più che della maggior parte dei presenti a quanto sembrava, e farsi riconoscere come un bugiardo non sarebbe stato d’aiuto.
Non era ciò che avevano in mente loro, però. Logan fece un gesto decisivo, Nadir annuì e fece cenno all’adulto di abbassarsi alla sua altezza. Shadow obbedì, e la bambina gli sussurrò all’orecchio: - Il fratello di Logan, che è in prigione, ha detto che non possiamo stare da soli con nessuno della strada. Ha detto che potrebbero esserci delle persone cattive che ci porterebbero via e direbbero a lui o ai nostri genitori di fare delle cose brutte per riprenderci.
Naturalmente, non poteva mancare la minaccia di rapimento di qualche piccolo criminale. Shadow non sapeva se ringraziare lo sconosciuto fratello per il consiglio o insultarlo per la paranoia che aveva procurato loro. Per quel che ne sapeva, potevano esserci venti famiglie sicure e una pericolosa intorno a loro. O magari era l’esatto opposto. Dopotutto, questo fratello in carcere non era lo stesso che Rouge aveva detto di conoscere? Poteva darsi che conoscessero il quartiere meglio di quanto avrebbe mai fatto lui.
Prima di poter replicare alla rivelazione che gli avevano fatto, sentì vibrare il comunicatore che aveva al polso e si affrettò a rispondere, grato della distrazione. Si trattava di Rouge: finalmente, dunque, si era decisa a contattarlo. – Rouge, dove diavolo…
Non fece in tempo a finire la frase che la voce concitata della sua partner stava già coprendo la sua. – Shadow? Shadow, per favore, devi ascoltarmi, abbiamo scoperto qualcosa di nuovo.
- Abbiamo? Tu e chi? – Non aveva idea di che cosa lo infastidisse di più, se l’idea che Rouge fosse andata a cercare indizi chissà dove o il fatto che avesse coinvolto qualcuno di esterno. Anzi, già lo sapeva: la cosa più fastidiosa era il suo spuntare fuori dal nulla dopo ore di silenzio.
- Knuckles. E anche una persona che conoscevo, ma lui ci ha solo messo sulla strada giusta. Il punto è che adesso sappiamo chi è il colpevole!
- Davvero? – Shadow si mosse di scatto, allontanandosi dal caos e dai due bambini che lo fissavano ad occhi sbarrati. Sapeva che era troppo tardi e che dovevano aver già sentito fin troppo della conversazione, ma Rouge lo aveva colto di sorpresa.
- So che non mi crederai, pensavo anche io fosse assurdo, ma è vero. Me ne sono accertata, per questo non ti ho cercato subito. Dovrò anche spiegarti come ci siamo arrivati, ma…
- Rouge, chi è? Hai un nome? – Non poteva permetterle di perdersi nel proprio discorso, non adesso che sembrava esserci una vera traccia. In un momento meno disperato avrebbe prima messo in dubbio la credibilità di un’idea proposta da una Rouge così sconvolta, soprattutto se assistita da un tipo come Knuckles, ma per come stavano le cose, era difficile che saltasse fuori un’ipotesi più surreale di tutti gli eventi che avevano già vissuto.
Si sbagliava.
- E’ suo padre, Shadow – disse infatti Rouge dopo un momento. – E’ il padre di Knuckles.
Salve! Bentornati al consueto delirio che sono i miei capitoli, questa volta con la collaborazione di alcuni amatissimi personaggi come l'agente Fazio Logan e Nadir. Lo so che non vi eravamo mancati, ma va così e quindi spero che ci tollererete. Spero anche che lascerete un commento, soprattutto per dirmi, come al solito, se ci sono errori. Se non avete voglia, però, va bene comunque, vi voglio bene lo stesso.
Pace a tutti!
Suze

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Capitolo 8
*** And at last I see the light ***


Era tutto troppo grosso.
Per questo, col tempo, si sarebbe convinto di aver sognato tutta la scena. Non era possibile che fosse stato tutto reale, che ci fosse stato un tempo in cui era stato così piccolo da far apparire gigante ogni cosa intorno a lui.
Eppure, così era. Gli alberi sembravano torri che svettavano sopra di lui, e perfino l’erba, bassa com’era, gli creava problemi. I suoi piedi, piccoli e nudi, continuavano ad inciampare in ostacoli invisibili. Angel Island, che pure era la sua casa, l’unico luogo che avesse mai visto, gli appariva così minacciosa e poco familiare da mettergli paura.
Anche la mano che stringeva la sua era molto grande. Le due membra si somigliavano molto, coperte da pelliccia rossa e decorate da due spuntoni, ma quella di Knuckles spariva dentro l’altra, tanto erano diverse le dimensioni. Era un bene, però. Solo una mano così grande e forte poteva impedirgli di cadere ogni pochi metri, o di scappare terrorizzato dai rumori della foresta.
Non sapeva dove stessero andando.  Suo padre aveva detto che era arrivato il momento, ma il momento per cosa? Knuckles certamente non lo sapeva. Sperava solo di non dover camminare ancora a lungo. Cominciava a sentirsi stanco, e suo padre non avrebbe tollerato la richiesta di farsi prendere in braccio. Diceva che lui ormai era troppo forte per comportarsi come un bamboccio.
Per fortuna, dopo pochi minuti l’adulto si fermò e si girò a guardarlo. Il volto era simile al suo, a parte per la barbetta che gli copriva il mento e gli occhi azzurri, ma aveva un’espressione seria che a Knuckles non sarebbe mai riuscito di imitare. Quel viso lo intimoriva, ma era convinto che non avrebbe mai potuto amarne un altro di più.
Anche se sarebbero trascorsi anni prima che lui potesse incontrare un’altra persona.
- Eccoci – disse suo padre, mettendogli le mani sulle spalle. – E’ ora che tu capisca per cosa sei nato.
Era una motivazione come un’altra, ma il bambino continuava a non capire. Cosa significava quella frase? Lui era nato e basta. L’echidna più anziano, però, non aggiunse altro, ma si limitò a spingerlo davanti a sé perché potesse vedere dove si trovavano.
Knuckles guardò e trattenne il respiro, meravigliato.
Davanti a lui c’era un immenso edificio, sufficiente ai suoi occhi per fare da casa ad un gigante. Era vecchio, però, e mancante di molti frammenti. Non aveva nemmeno un tetto. Era un pezzo di edificio, in realtà. Al centro, in cima a una scala altissima, si trovava un oggetto che non riusciva a definire. Sembrava un’enorme pietra, rifinita come quelle che usavano per tagliare la carne, ma era verde, e più somigliante all’acqua opaca di una pozzanghera che alla consistenza di un sasso. Brillava alla luce del sole, ed era la cosa più bella che avesse mai visto.
- Proteggere questo luogo sarà il tuo dovere, ragazzo. – La voce di suo padre lo raggiunse da dietro, e l’adulto gli posò una mano sulla testa. Anche per questo un Knuckles cresciuto avrebbe in seguito classificato la scena come un sogno. Quelle mani non avrebbero mai più avuto un tocco così affettuoso. – Sarà la tua vita, e tutto ciò di cui ti dovrà importare davvero.
Non fece nemmeno una pausa prima di concludere la frase, senza pensare a che peso le sue parole potessero avere sul figlio.
- Certo, se ne sarai in grado.
 
 
Shadow aveva la vaga sensazione di essere stato catapultato all’interno di una soap opera.
Non c’era altra spiegazione. Solo all’interno di qualche melensa serie tv si sarebbero verificate tutte queste apparizioni di parenti dispersi, e ciò avrebbe spiegato anche come lui si fosse trovato bambini semisconosciuti a carico. Tuttavia, sembrava che quella fosse davvero la vita reale, per surreale che potesse sembrare. 
Dall’altra parte del comunicatore, la voce di Rouge tornò, ancora più carica di tensione: - Shadow?
Il riccio si rese conto di aver lasciato passare diversi secondi senza rispondere e si riscosse, cercando di tornare coi piedi per terra. – Ci sono. Questo cambia tutto, vero?
- Già. Ci serve un nuovo piano d’azione, e… - Brusio. – Va bene, va bene. Knuckles dice che non vuole più coinvolgere “quelle teste vuote della nostra agenzia”.
Commovente come adesso fosse l’echidna a confabulare con la sua partner mentre lei parlava con qualcun altro. Non prometteva niente di buono, secondo la sua umile opinione. – E scommetto che tu sei d’accordo con lui.
Rouge sospirò. – È diventato un problema troppo personale, non è vero?
Su questo, Shadow non aveva nulla da eccepire. Lavorare soltanto per vie ufficiali (cosa che comunque avevano smesso di fare da un pezzo) avrebbe richiesto troppe bugie e sotterfugi che li avrebbero solo intralciati. Avevano già problemi a sufficienza, come scoprire da dove fosse spuntato un membro di una specie quasi estinta, per volerne aggiungere ancora.
- Va bene – disse alla fine, dopo aver riflettuto. – Da questo momento siamo per conto nostro. – Strinse i denti prima di continuare, ben sapendo cosa stava per tirarsi addosso. – Chiamate anche Sonic e i suoi amici. Senza l’appoggio dell’agenzia, temo avremo bisogno anche di loro.
Rouge ebbe la buona grazia di non ridere della palese insofferenza nella sua voce, o forse era troppo distratta per accorgersene. – Va bene. Dove ci incontriamo?
Shadow si voltò verso Nadir e Logan. I due bambini lo fissavano ad occhi spalancati, immobili dove lui li aveva lasciati. Era impossibile capire cosa avessero afferrato del loro discorso, ma era innegabile che adesso fossero coinvolti. Se davvero la loro zona era così piena di delinquenti, inoltre, non avrebbe potuto lasciarli lì a cuor leggero, non adesso che erano sotto la sua responsabilità. Restava davvero una sola opzione.
- A casa di qualcuno. Qualcuno che abbia dei letti per gli ospiti, se possibile.
 
 
- Non possiamo parlare con nessuno – annunciò Hecale.
Vector alzò lo sguardo su di lei, sorpreso. Quando la donna gli aveva detto che sarebbe andata a tastare il terreno, con l’idea di radunare tutti nella piazza centrale per discutere il dà farsi, si era aspettato che tornasse vittoriosa, visto con quanta decisione era partita. Invece ora il suo tono rassegnato gli toglieva ogni speranza.
- Perché? – Chiese, alzandosi in piedi. Era rimasto ad aspettarla fiducioso, sicuro che lei avrebbe parlato con la gente e gli avrebbe procurato qualcosa da fare, ma adesso sembrava che sarebbe dovuto tornare a morire di noia. Non poteva andare avanti così. Era un coccodrillo d’azione, lui. Non era in grado di restarsene con le mani in mano troppo a lungo.
- Vedi quel tipo laggiù? Il leopardo, quello che parla con il gruppo di ragazzini?
- Lo vedo – rispose Vector, seguendo la direzione da lei indicata. In effetti, in mezzo alla folla vedeva la sagoma di un leopardo che agitava le braccia e sembrava discutere in modo infervorato con le persone circostanti. Non gli dava l’aria di un tipo troppo affidabile, a dire il vero, ma poteva essere solo un’impressione.
- Si chiama Uriel e ci ha battuti sul tempo. Ha già parlato con quasi tutti, e anche quelli che mi ascolterebbero perché mi rispettano preferiscono seguire lui e i suoi compari. E’ più sicuro, dal loro punto di vista.
- Non capisco. Che potere ha quel tizio su tutti gli altri?
- A parte un carisma che gli esce fin dalle orecchie? E’ uno dei pezzi grossi della gang che controlla la nostra zona. Fanno ridere a confronto di tutte le altre bande che vedi in giro, ma da noi sono la legge.
Hecale lo disse con un’espressione talmente abbattuta che Vector si trattenne dal replicare che a lui le gang facevano un baffo, soprattutto quando si trovavano fuori dal mondo a quel modo. Se una donna come lei, che gli sembrava abbastanza piena di grinta e che evidentemente conosceva tutte le altre persone lì in giro meglio di lui, aveva perso la speranza, difficilmente sarebbero riusciti ad avere la meglio su quegli altri imbecilli.
Non aveva intenzione di gettare del tutto la spugna, però. – Non c’è niente che possiamo fare? Proprio niente di niente?
La lupa fece un profondo sospiro, scuotendo la testa. – Ha già messo qualcuno dei suoi a organizzare la distribuzione di cibo, così che lo diano a chi vuole lui, e ha mandato alcuni dei più giovani ad esplorare i confini, per trovare una via d’uscita. L’unica possibilità per farci ascoltare sarebbe di trovare qualcosa che lui non ha ancora in mano, come una mappa della città o qualcosa di simile, ma dubito che sia rimasto un oggetto del genere.
- Invece sì.
Entrambi si voltarono verso l’origine della voce, sbalorditi. Zenit non aveva praticamente aperto bocca dalla notte precedente, fatta eccezione per alcune risposte monosillabiche che Hecale gli aveva estratto a forza. Nel lasso di tempo in cui la donna lo aveva lasciato da solo con Vector per andare a parlare con qualcuno, il ragazzo non aveva neanche mai alzato gli occhi dalle proprie scarpe, tenendosi il più distante possibile da lui: anzi, ogni volta che il coccodrillo aveva fatto qualche movimento troppo brusco, il giovane leone era sembrato rattrappirsi in sé stesso, come volendo farsi ancora più piccolo e invisibile.
Nemmeno questa volta faceva eccezione. Non appena si rese conto di essere al centro della loro attenzione, Zenit si ritrasse, facendo un passo indietro. – Mi dispiace, mi dispiace, lo so che non devo interrompere quando la gente parla…
- No, no, Zenit, aspetta. – Hecale gli si avvicinò a braccia tese, tentando di rassicurarlo. Vector non la seguì: il comportamento del ragazzo restava un mistero quasi più grosso di quello in cui si trovavano invischiati tutti, ma solo uno stupido non si sarebbe reso conto che la sua presenza non era tanto gradita. Anche ora, con la figura familiare della lupa fra di loro, Zenit lo osservava da sotto quei ciuffi spelacchiati che chiamava criniera, con un’espressione piatta ma paura (paura VERA) negli occhi. Niente di incoraggiante, di sicuro.
- Cosa intendevi dire? – Continuò la donna, incitandolo. – C’è una mappa?
Il ragazzo annuì con foga. – Sì? E dove?
Zenit puntò un dito verso l’alto, costringendoli ad alzare lo sguardo. Stava indicando una delle torri più alte, che svettava sopra gli edifici circostanti e terminava in una punta sottile. Non sembrava molto diversa dalle sue simili, ma Hecale rimase ad osservarla con attenzione prima di voltarsi verso Vector. – Che ne dici?
- Possiamo andare a dare un’occhiata – concesse lui. Non che ci fossero molte altre opzioni: avevano girato la città in lungo e in largo e non era rimasto loro in mano niente. Piuttosto che arrampicarsi in cima a tutti i palazzi a caso, era meglio cominciare da dove poteva esserci qualcosa. Anche i migliori investigatori del mondo avevano bisogno di una traccia per cominciare. – Fai strada, ragazzo.
Quest’ultimo non sembrava molto convinto, ma sgusciò comunque fuori dalla stretta di Hecale e si diresse a passo rapido verso l’edificio che aveva indicato. I due adulti si scambiarono un’ultima occhiata, poi si affrettarono a seguirlo.
Come tutti gli altri palazzi, la torre non aveva porta, ma soltanto una tenda. Quando Vector riuscì ad attraversarla, Zenit si stava già inerpicando su per una scala a chiocciola in fondo alla stanza. – Accidenti – sibilò fra i denti, rendendosi conto di non aver pensato ad una cosa. – Quante scale ci sono?
- Cinque piani. Li ho contati – rispose la voce del leone sopra di lui. Il moccioso doveva essere salito ancora mentre lui esitava.
- Già, ci scommetto che lo hai fatto. – Vector si voltò verso Hecale, appena entrata dietro di lui. – Ce la farai?
La donna sbuffò, lanciandogli un’occhiataccia. – Non sono ancora così vecchia, giovanotto – replicò, prima di superarlo e di cominciare a salire a sua volta. Vector non poté fare altro che seguirla, perché rinunciare a quel punto avrebbe significato farsi battere da una signora di una certa età, e il suo orgoglio non avrebbe retto a tanto. Meglio mettersi a correre su per cinque piani di scale, a conti fatti.
Si rese conto ben presto che non c’era da preoccuparsi. Dopo lo scatto iniziale, Zenit iniziò ben presto a rallentare, come sentendosi in dovere di aspettarli. O, più che altro, di aspettare Hecale. Anche quando si fermava, era sempre pronto a ripartire non appena la donna raggiungeva lo scalino sotto il suo. Vector non era molto più indietro, ma la storia cominciava a diventare fastidiosa. Davvero aveva intenzione di scappare da lui salendo per una scala? Era un colpo basso verso una persona così poco in forma. – Ehi, ragazzino, puoi aspettare anche me, sai? Non ho intenzione di mangiarti quando ti raggiungo – esclamò alla fine, fermandosi a riprendere fiato.
La testa di Zenit spuntò oltre l’orlo della rampa, un paio di metri sopra di lui. C’era poca luce, perciò era difficile capire che espressione avesse, ma la sua voce arrivò chiara e forte. – No?
Ora, l’intenzione di Vector era stata di fare una battuta. Non si era aspettato che il ragazzo rispondesse con un tono tanto sorpreso, come se si fosse aspettato tutt’altro. – Beh, no. Dovrei?
- Ieri notte. Pensavo…non eri arrabbiato?
Tutto quello che gli veniva in mente della sera precedente era una confusione infinita nei confronti di ogni cosa, del luogo in cui si era ritrovato, del buio quasi assoluto e delle persone con cui aveva parlato. Certo, Zenit gli aveva detto un paio di frasi inquietanti, però…- Hai fatto qualcos’altro a parte dirmi che pensavi fossi morto? Perché sì, mi hai messo una paura del diavolo, ma a parte dirmi delle frasi assurde su una luce verde che dovrei aver visto non hai fatto niente per cui dovrei farti del male.
- Mio padre…Quando dico delle cose strane, mio padre mi colpisce sempre perché do fastidio. Quindi pensavo…
- Come ti ho già detto tante volte, tesoro, tuo padre meriterebbe più di stare in una prigione che non in una casa normale – si intromise Hecale con tono fermo. – Le persone normali non si comportano come si comporta lui.
- Io no di sicuro – si trovò a rispondere Vector, mentre nella sua mente sfrecciavano pensieri tipo se dessi a Charmy una sberla per ogni cosa stupida che dice lo avrei già fatto a pezzi e perché lo ha detto con quel tono, come se fosse una cosa del tutto normale e se suo padre è là in giro potremmo anche lasciarlo qui quando ce ne andiamo. Naturalmente non avrebbe mai potuto pronunciare certe frasi ad alta voce, perciò si limitò a dire: - Non so quanto ti fidi, però ti assicuro che non ho nessuna intenzione di fare a botte con nessuno finché sono qui, men che meno con le uniche persone che non mi sembrano fuori di sé per il panico.
- Se avesse voluto farti del male te lo avrebbe già fatto, Zenit – aggiunse dolcemente Hecale. – Quando eravate soli, ricordi? Ma non lo ha fatto, e io mi fido di lui.
- Ha senso. – Il giovane esitò un momento, poi riprese a salire senza dire altro.
Vector girò lo sguardo su Hecale, confuso (che razza di conversazione avevano appena avuto? Era stata sufficiente a far sì che Zenit non fosse così terrorizzato da lui? Cosa diavolo stava succedendo?), ma la donna fece un profondo sospiro e scosse la testa. - Storia lunga – mormorò, e si rimise alle calcagna del ragazzo.
Il coccodrillo ricominciò a camminare, ma in realtà sperava di sentirla quella storia prima o poi. Ci mancava solo un altro mistero da risolvere insieme a tutti gli altri, e non sapeva come definire quello che stava provando. Dov’erano i suoi amici, quando ne aveva bisogno? Espio gli avrebbe detto cosa stava sbagliando e gli avrebbe suggerito cosa fare (e probabilmente Vector avrebbe fatto l’esatto opposto, ma comunque), e Charmy…diamine, Charmy era cento volte più fastidioso di questo ragazzino sconosciuto, ma almeno era in grado di parlare con lui. Invece prima di capire quali problemi avessi Zenit avrebbero fatto in tempo ad uscire da quel buco.
Immerso com’era nei propri pensieri, si rese conto a malapena di essere arrivato in cima alla scala. Fu solo quando vide Zenit a pochi passi da lui, con le braccia incrociate e gli occhi fissi su un punto da qualche parte sopra la sua spalla, che fu costretto a fermarsi.
- Quello che hai detto venendo su. E’ vero?
- Verissimo. Devo giurare?
Il leone annuì con forza, e Vector si accorse improvvisamente di quanti anni in meno rispetto alla sua vera età dimostrasse. Doveva avere quattordici, quindici anni circa, ma parlava e si muoveva come un bambino. Mentre aspettava la sua risposta, la sua mano destra si agitava come in preda a un tic nervoso, in su e in giù. Un bambino isterico, ecco cosa gli ricordava. Come Charmy, ma molto più inquietante.
- Giuro che non farò del male a nessuno a meno che non mi saltino addosso per primi. Hai intenzione di saltarmi addosso?
- N…No.
- E allora siamo a posto. E’ qui questa mappa?
- Hecale la sta già guardando. – Zenit non aggiunse altro, ma mentre schizzava via pareva avere una qualche sorta di sorriso stampata sul volto.
Vector scrollò le spalle, sentendosi stranamente soddisfatto. Continuava a non capirci molto, ma se il ragazzo si sentiva più tranquillo, era già un passo avanti, no? In ogni caso, forse era meglio concentrarsi sulla misteriosa mappa, già che erano riusciti ad arrivare fino lì.
Quando la raggiunse, Hecale stava effettivamente analizzando una serie di linee incise sulla parete irregolare della stanza, spoglia a parte quella decorazione. Zenit era al suo fianco, e stava indicando una finestra a poca distanza dal disegno. – Ero salito fin qua per vedere se vedevo Nadir dall’alto, o mio padre, ma invece ho trovato questa. Solo che non tutti i segni sono uguali a quello che si vede fuori, quindi…E’ una mappa vera?
- Penso proprio di sì. – La lupa fece segno a Vector di avvicinarsi. – Guarda qui. Ci sono linee nude e linee rosse, e quelle rosse sembrano davvero la città vista dall’alto, se le confronti con l’esterno. – Lanciò un’occhiata fuori dalla finestra, poi annuì e indicò un dosso sulla mappa. – Questa dev’essere la torre su cui siamo noi, a giudicare da quanto è alta, e le strade sono simili a quelle che si vedono laggiù…ma le altre tracce, che cosa sono? E questo, cos’è?
Vector annuì distrattamente. Con tutta quella foga, lui non era ancora riuscito nemmeno a guardare fuori dalla finestra. Era pronto a fidarsi di lei sul fatto che quella fosse una mappa: era piena di fossi e segni che dovevano rappresentare gli edifici e le vie. Ad attrarre la sua attenzione però non fu la doppia serie di linee scavate sul muro: una volta stabilito che strade raffigurassero, il fatto che fossero rosse o gialle o verdi non lo preoccupava granché. No, gli interessava di più l’unico elemento che, a giudicare dalla confusione, Hecale non aveva ancora definito.
Al centro del disegno, non lontano dal punto che la donna aveva identificato come la loro torre, era raffigurata una sagoma colorata di un verde brillante. Era normale che lei non lo avesse riconosciuto, ma era un’immagine che lui aveva già visto fin troppe volte.
In mezzo alla mappa, verde come quello reale, c’era lo Smeraldo gigante a cui faceva la guardia Knuckles.
 
 
 

Dopo questo capitolo penso aprirò una faida con Vector. La sua sezione mi ha fatto dannare più di tutte le altre con cui ho avuto a che fare dall'inizio di questa fic, visto che non mi soddisfaceva mai. La pubblico, perché so già che se la rileggessi di nuovo mi farebbe schifo come le tredici versioni precedenti, ma visto che voi lettori siete i migliori giudici di quello che faccio (soprattutto visto che ormai ho la nausea di questo maledetto coccodrillo e non riuscirei a dare una valutazione realistica di quello che ho scritto) lascio la palla a voi: se pensate che sia troppo veloce, troppo lento, troppo random, per favore, ditemelo. Accolgo sempre le critiche costruttive, perché altrimenti sarei una brutta persona, e qualunque cosa vogliate dire su questo capitolo o su quelli precedenti sono pronta ad ascoltarla (tranne su baby Knuckles, perché lui è un trottolino amoroso e non ha fatto niente di male).
Bacioni!
Suze

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Capitolo 9
*** Gentle mother, font of mercy ***


La casa era silenziosa quando Rouge si infilò dentro, chiudendosi velocemente la porta alle spalle.
Era probabile che sua madre stesse dormendo, ma preferì non accertarsene. Qualunque rumore avrebbe potuto svegliarla, e Rouge non avrebbe tollerato la sua presenza in quel momento, meno ancora di quanto sarebbe accaduto in un giorno normale. Sgattaiolò dunque verso la propria stanza, cercando di muoversi il più silenziosamente possibile. Era brava in questo: Lucan le aveva offerto il lavoro proprio per il suo passo felpato e la sua abilità nell’infilarsi nei posti più improbabili.
Non lo avesse mai fatto, maledetto lui.
Una volta al sicuro dietro la porta della propria stanza, la ragazzina iniziò in fretta a spogliarsi dei vestiti da maschio sformati che aveva indosso, lanciandoli in un angolo. Non c’era niente che non andasse in loro: non erano il suo genere, certo, ma bruttezza a parte erano degli abiti qualunque. Solo che adesso, ogni volta che infilava uno dei capi che Lucan le aveva prestato, le sembrava di mettersi addosso un’uniforme, la divisa di chi stava per dedicarsi ad un lavoro ripugnante.
Capiva perché il suo amico glieli avesse dati: conciata in quel modo, Rouge non era diversa dalla massa di mocciosi arruffati che passavano ogni giorno sotto il naso dei capi. Lucan aveva cercato di impedire fin dall’inizio di evitare che lei attirasse troppo l’attenzione degli uomini che le assegnavano le missioni da svolgere, e fin da quando li aveva incontrati per la prima volta le era stato chiaro il perché. Le poche volte in cui si era trovata sotto lo sguardo diretto di uno di loro si era sentita rabbrividire, come se quel pezzo grosso in particolare potesse vedere sotto i suoi vestiti, sotto la sua pelle, fin dentro al suo cervello.
Quelle persone erano il motivo per cui si sentiva così sporca, anche ora che si era liberata degli strati in cui Lucan tentava di infagottarla. Non c’era davvero motivo di sentirsi così, il suo era uno dei ruoli più bassi di…di qualunque cosa in cui si fosse infilata. Doveva soltanto fare avanti e indietro per la città, spesso senza nemmeno allontanarsi tanto dal proprio quartiere, portando pacchi e messaggi di cui raramente conosceva il contenuto. Sapeva che quasi tutti gli altri erano impegnati in affari ben più importanti, Lucan primo fra tutti. Dopo la prima volta, in cui il ragazzo le aveva fatto da guida, raramente si erano incrociati nel mezzo delle loro missioni. Rouge non aveva idea di quali doveri specifici avessero il suo amico o i ragazzi con cui girava, ma non era sicura di volerlo sapere. C’erano delle cose che non avrebbe mai voluto associare con qualcuno che conosceva praticamente da quando era nata.
Solo che…solo che fare parte di quella gigantesca macchina, di cui non vedeva nemmeno tutti i pezzi, la metteva a disagio. C’erano dei momenti in cui avrebbe voluto scappare a gambe levate, per lo schifo che provava solo parlando con alcuni di quegli individui. La spavalderia e la faccia tosta con cui si era mossa per Stormtop Lane, giocando con gli altri bambini e prendendo in giro Lucan (merda, sembrava passata una vita), erano svanite, spazzate via. E quando sorprendeva uno di quelli, che a sedici o trenta o quarantacinque anni erano per lei tutti troppo grandi e troppo forti, a fissarla, le pareva di sentire i loro pensieri, pensieri che puntavano tutti verso…
La pipistrellina scosse con violenza la testa, cercando di scacciare qualunque pensiero fastidioso mentre cercava qualcosa con cui rivestirsi. Non poteva permettere che le rovinassero anche i momenti di libertà; sarebbe morta soffocata in un paio di giorni, senza potersi svagare davvero. Meglio pensare ai soldi che aveva infilato nella calza, soldi con cui avrebbe potuto comprare quei bei vestiti dei quartieri alti, nei negozi con troppe telecamere perché potessero farsi fregare la roba. Già, meglio concentrarsi su quello, piuttosto che al carico che glieli aveva fatti guadagnare, uno degli ultimi, dove avevano iniziato a fidarsi abbastanza per affidarle un’arma non impacchettata abbastanza da celare la sua sagoma…
La porta si spalancò prima che potesse mandare via anche quel pensiero, sbattendo rumorosamente contro il muro. Rouge si voltò atterrita, stringendosi i vestiti che le erano rimasti in mano contro il petto, mentre sua madre entrava nella stanza.
C’era un motivo se nei giorni più difficili dell’ultimo periodo si era nascosta a casa di Hecale per cercare conforto, invece che nella propria. Non c’era niente di rassicurante nella donna che aveva davanti, con il trucco sbavato spalmato su tutto il volto e il passo barcollante che poteva essere colpa della stanchezza come del vino: le braccia calde e accoglienti della lupa erano lontane anni luce, in quel momento. C’era anzi da domandarsi come le notti di lavoro non avessero rovinato Hecale come avevano fatto con la sua collega.
- Quindi sei tornata, finalmente – biascicò la donna, avvicinandosi.
Rouge cercò di non ritrarsi troppo. Rendere troppo palese il proprio disgusto le avrebbe provocato solo guai, anche se la puzza di alcol a quella distanza la stava mandando fuori di testa. – Sì, mà – balbettò alla fine.
- Ho sentito dire che i Brawlers ti hanno presa nelle loro fila. Che cosa fai con loro, eh? Tutti quei ragazzini…Devi divertirti un sacco.
Questa volta la pipistrellina non rispose, impegnata com’era a cercare un modo per finire di vestirsi in fretta senza lasciar cadere a terra tutto. Non le piaceva il modo in cui sua madre la stava soppesando con lo sguardo, gli occhi che salivano e scendevano lungo il suo corpo coperto a malapena, e nemmeno il tono carico di sottintesi della sua voce.
Trascorse qualche secondo, poi la pipistrella adulta scosse la testa, come replicando a sé stessa. – No, non sono i ragazzini, giusto? Tu stai già puntando più in alto – disse, poi allungò una mano.
Rouge rimase a guardarla, terrorizzata. Per favore no, no, l’ultimo livido è appena andato via, PER FAVORE, si ritrovò a pensare, fuori di sé. Ma sua madre si limitò a sfiorarle il volto con le dita, ignorando il brivido che percorse il corpo della figlia, senza colpire né pizzicare. – Ti sei fatta donna – sussurrò fissandola con occhi spiritati, quasi non la stesse vedendo davvero.
Da piccola, Rouge si era sentita orgogliosa tutte le volte che qualcuno le aveva detto quanto somigliasse a sua madre, e aveva aspettato con ansia il momento in cui sarebbe stata grande e uguale a lei. Ora non riusciva a capire quale idea la sconvolgesse di più, la possibilità di star crescendo nel modo sottinteso da quelle parole o quella di somigliare alla rovina che aveva davanti, allo sguardo da pazza, ai vestiti provocanti ma stazzonati, al sorriso inquietante che sua madre stava sfoggiando in quel momento.
Sorriso che si allargò quando la donna le accarezzò il viso con insolita dolcezza, senza perdere l’espressione vacua. – Forse si può ancora ricavare qualcosa di buono da te.
Rouge non voleva qualcosa di buono. Voleva Lucan, voleva Hecale, voleva che lei smettesse di toccarla e la lasciasse andare via in qualche posto più sicuro.
Se avesse potuto, in quel momento avrebbe lasciato Stormtop Lane e non sarebbe tornata mai più.
 
 
- Quindi credi che questi siano cosa, tunnel sotterranei?
Hecale annuì con convinzione, nonostante il palese scetticismo nella voce di Vector. – Non vedo altra soluzione. Se non tunnel, questi segni rossi potrebbero indicare solo fognature o strade più antiche, e non mi sembra di aver visto tubi o rubinetti in giro.
- E non penso possa esserci qualcosa di più antico di un posto come questo – borbottò il coccodrillo. Doveva ammettere che era un’ipotesi plausibile, anche se trovare delle gallerie sotto i loro piedi avrebbe creato nuovi problemi. Le loro possibilità nello scavare sotto terra si dividevano equamente fra trovare un’uscita e trovarsi faccia a faccia con qualche strana e pericolosa creatura dimenticata da secoli. Charmy aveva costretto lui ed Espio a guardare troppi film di mummie e simili perché non gli venissero in mente in quel momento. – Dobbiamo metterci a scavare, dunque.
- Ci sarà un’entrata da qualche parte, no? Voglio dire, quanto potevano essere stupidi gli abitanti di questa città per fare dei passaggi nascosti senza aprire anche un’entrata?
- Credo fossero abbastanza stupidi per riuscire a fare delle case così storte. – Una mezza risatina alle sue spalle gli indicò che almeno Zenit aveva apprezzato la sua battuta. Poteva essere soddisfatto per quello, almeno. – Comunque, hai ragione. Quindi adesso dobbiamo solo cercare…un’entrata segreta.
- Che in un’intera città è come un ago in un pagliaio – sospirò Hecale, massaggiandosi la fronte. – Cominciamo, almeno. Non abbiamo molto altro da fare.
Anche quello era vero. Al momento le priorità di Vector erano trovare i suoi amici e capire cosa diavolo ci facesse uno smeraldo come quello di Knuckles nella mappa di un posto perso in mezzo al nulla, e non avrebbe risolto nessuna delle due cose restando a girarsi i pollici. – Bene, allora direi che possiamo cominciare da…
- Che cosa stanno facendo quelli? – Li interruppe la voce di Zenit, costringendoli a voltarsi a guardarlo. Il ragazzo si stava sporgendo dalla finestra, indicando qualcosa sotto di loro.
- Quelli chi? – Vector si avvicinò per guardare a sua volta. Zenit si mosse per lasciargli posto, ma non con i movimenti nervosi con cui lo aveva evitato prima, e anche quello era un bene, no?
Stava effettivamente succedendo qualcosa di strano. Era difficile distinguere le singole persone da quell’altezza, ma sembrava che una grande folla si stesse spostando nello stesso momento nella stessa direzione. – Ehi, credo che stiano andando tutti nella piazza centrale.
- Uriel – sibilò Hecale con disgusto. – Deve aver sentito che volevo radunare tutti e mi ha battuto sul tempo.
- Cosa facciamo? Andiamo anche noi?
- Dobbiamo sentire che cosa dicono. Non vorrei che venisse loro qualche pessima idea mentre non sono lì ad ascoltare. E poi, se riusciamo a convincere qualcuno ad aiutarci, magari avremo delle persone in più per trovare l’entrata di quei tunnel.
Per dirla tutta, Vector avrebbe preferito mettersi a cercare l’entrata e basta, senza trovarsi pizzicato in una massa di gente dalle dubbie intenzioni. Tanto più che la lupa sembrava convinta che se lei non fosse riuscita a riprendere in mano la situazione tutto sarebbe andato a catafascio. Ma sarebbe stato da solo in quella decisione, ed era possibile che Hecale stesse avendo l’idea giusta, perciò fece un cenno di assenso e si voltò verso Zenit. – Vieni anche tu, ragazzino?
- Un attimo – rispose lui. – Devo…devo vedere una cosa.
C’era da chiedersi cosa ci fosse da vedere, a parte una stanza vuota e un’ondata di persone in movimento, ma Hecale si intromise prima che potesse farlo. – D’accordo. Se vedi che la gente inizia ad agitarsi o che comunque ti preoccupa, non ti avvicinare, hai capito? Verrò io a cercarti.
Zenit annuì, ma era evidente che stava già pensando ad altro, seguendo con gli occhi e con le dita le tracce incise sulla mappa. La donna sospirò, poi si voltò e raggiunta la rampa di scale iniziò a scendere, lasciando Vector senza altra scelta che seguirla.
Questa volta i cinque piani di gradini sembravano meno pesanti, non tanto perché in discesa ma perché il coccodrillo aveva la testa da un’altra parte. L’atteggiamento materno di Hecale gli aveva fatto venire in mente una domanda. – Ehi, tu hai dei figli, vero?
La donna gli lanciò un sorriso stanco, senza smettere di camminare. – Si vede, eh? Sì, ho una figlia. Una brava ragazza, adesso è nella polizia o qualcosa del genere, non ho mai capito. Però finisco sempre a dare da mangiare o a coccolare bambini che non sono miei, visto che molti dei miei vicini sono genitori abili come il padre del nostro Zenit. Per molti bambini della strada sono una seconda madre, una zia…o una nonna, a questo punto.
- Andiamo, non sei così vecchia
Hecale lo interruppe con un gesto, anche se il suo sorriso si era allargato. - Non fare l’adulatore, sono più vicina ai sessanta che ai cinquanta e sono più vecchia della maggior parte degli abitanti della mia strada. E’ anche per questo che Uriel e i suoi amici mi temono. Vivo in quel posto da prima che loro nascessero, tutti mi conoscono e sanno che ho avuto a tavola quasi tutti i loro figli nei momenti di magra. E’ un tipo di rispetto che loro non possono avere. – Nel giro di poche frasi, l’allegria era scomparsa quasi del tutto dalla sua voce, lasciando spazio a una sorda malinconia. – E poi sanno che ho la testa abbastanza dura per non lasciarmi spaventare dai loro trucchetti da gang. O almeno, dieci anni fa ce l’avevo.
Metà di ciò che aveva detto lo aveva confuso parecchio, perciò Vector aprì la bocca per chiedere spiegazioni, ma la richiuse subito vedendo l’espressione che la donna aveva assunto, lo sguardo perso da qualche parte lontano. Dire qualunque cosa sarebbe sembrato inopportuno, perciò continuarono la loro discesa in silenzio, fino a che non tornarono fuori sulla strada.
Non c’era nemmeno bisogno di scegliere da che parte andare: il flusso di persone iniziò immediatamente a trascinarli verso la piazza, e i due dovettero lasciarsi portare. Vector però non poté fare a meno di osservare i volti delle persone che li circondavano. Continuavano ad essere pieni di panico, ma c’era anche una certa aria di speranza, come se qualcuno avesse finalmente fornito loro una soluzione per tutti i loro problemi.
Questo era difficile da credere, però. A meno che qualcuno non fosse in grado di teletrasportarli fuori da lì.
La piazza era stracolma di gente. Il coccodrillo era più alto della maggior parte di loro e riusciva a vedere oltre quel mare di teste , ma Hecale al suo fianco continuava ad alzarsi sulla punta dei piedi per riuscire a notare qualcosa. Il famoso Uriel era in posizione rialzata rispetto agli altri, come se fosse in piedi su qualcosa. – Spero solo che non sia il nostro cibo, quello su cui è sopra – borbottò Vector.
Aveva sperato di distrarre Hecale, ma la donna non reagì nemmeno, mantenendo l’espressione preoccupata. Cosa diavolo c’era in quelle persone che la preoccupava così tanto? Quanto doveva preoccuparsi, lui?
Uriel iniziò a parlare prima che potesse farsi prendere dall’agitazione a sua volta. – Amici! – Gridò, con una voce alta e stridula che a Vector risultò subito fastidiosa. – Grazie di essere venuti tutti!
Non si sarebbe dovuto sentire così tanto. Erano in uno spazio aperto e il tipo non aveva microfoni né megafoni. Per quanto quel tipo urlasse, i rumori di una folla così grande avrebbero dovuto soffocare la sua voce.
Solo che la folla non stava facendo alcun rumore. Fissavano il leopardo con sguardo impaziente, perfettamente immobili, quasi stessero assistendo all’apparizione di un dio. Se avessero giunto le mani sarebbero stati perfetti per una sessione di preghiera. Quel silenzio totale e famelico era inquietante.
- Vi ho fatti riunire qui per trovare una soluzione ai nostri problemi – continuò Uriel, facendo grandi gesti con le braccia. – Siamo qui da più di ventiquattr’ore, è il momento di agire!
Stavolta il suo pubblico reagì, mormorando in segno di apprezzamento. Ci fu anche qualche applauso. Una voce si alzò, qualche metro dietro ad Hecale. – Ce ne vogliamo andare!
- Giusto, giusto – rispose il leopardo, annuendo come se avesse sentito l’affermazione più importante del secolo. – Però per andarcene dobbiamo trovare i responsabili di quello che ci è successo. Solo loro sanno come siamo finiti qui e come ce ne possiamo uscire.
Stavolta i bisbigli suonarono più preoccupati. Erano fra loro, questi nemici? Cosa potevano fare? Vector sentì una mano afferrargli il braccio e piantargli le unghie nella carne, ma quando si girò già pronto ad attaccare qualunque idiota stesse tentando di aggredirlo si trovò davanti solo Hecale. La donna continuava a voltarsi la testa a destra e a sinistra, seguendo ora questa ora quella voce
- So che avete paura, ma non dobbiamo perdere la testa, d’accordo? Sono sicuro che avete visto qualcuno qua intorno che nelle nostre strade non s’è mai visto. Tirateli fuori da dove si nascondono e ci diranno cosa è successo!
- Devi andartene – disse la lupa, appena udibile sopra il clamore improvviso delle persone che avevano intorno. Sembrava che tutti fossero entusiasti all’idea di dare vita a una specie di caccia alle streghe, ma come Vector si rese conto all’improvviso, lui era una delle streghe. Non solo nessuno lo avrebbe preso per un proprio vicino di casa, ma era anche abbastanza grosso da farsi notare subito anche in un caos del genere. Anche Hecale lo aveva capito, e stava cercando di spingerlo via con tutta la forza che aveva. – Vai! Scappa!
Il cervello di Vector era diviso equamente fra darsela a gambe e farsi strada nella calca per prendere a testate Uriel e chiunque cercasse di mettergli le mani addosso, ma non fece nessuna delle due cose, perché non fu lui il primo ad essere attaccato. Dall’altro lato della piazza scoppiò un parapiglia assurdo, accompagnato da urla altissime. – Eccoli! Ce n’è due! Prendilo, prendilo! – Soltanto una donna esclamò, sconvolta: - Lasciatelo, quello è un bambino!
Charmy, pensò Vector subito, ma non fece nemmeno in tempo a giudicarla una paura irrazionale. La voce dell’ape risuonò stridula all’istante, confermando i suoi peggiori sospetti. – Lasciami stare, antipatico!
- Ehi, mollatelo! – Si ritrovò a ruggire il coccodrillo, facendosi largo a gomitate fra la folla. Doveva raggiungere il suo amico, anzi, i suoi amici, visto che probabilmente anche Espio doveva trovarsi nei paraggi. Nessun maledetto imbecille lo avrebbe fermato, accidenti!
Solo che ci stavano provando. Non sapeva chi avesse attirato l’attenzione su di lui per primo, forse aveva fatto tutto da solo buttandosi al salvataggio di Charmy, ma non aveva importanza. Sembrava che ci fossero cento mani pronte ad afferrarlo, duecento occhi che lo fissavano con rabbia. Più spingeva per farsi avanti, più le persone intorno a lui si stringevano e lo trattenevano. Non riusciva nemmeno più a vedere Hecale da dove si trovava ora, anche se gli sembrava di sentirla gridare in mezzo alla confusione. Era in trappola.
Stava combattendo con tutte le sue forze per uscirne, ma era in trappola.

In origine questo capitolo doveva avere una terza sezione dove finalmente Rouge e co avrebbero avuto il loro meeting, però mi sono accorta che era già fin troppo lungo e che questa parte sarebbe stata lunga quanto quella di Vector (se non di più), perciò ho deciso di tenerla per il prossimo capitolo dove potrebbe stare anche meglio (o forse no, perché muovere tutti questi personaggi contemporaneamente in due posti diversi è un incognita).
Sono anche abbastanza preoccupata riguardo al flashback. E' troppo? E' trattato male? Se avete voglia, lasciate un commento, sono sempre ben accetti.
A presto!
Suze

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Capitolo 10
*** I am the sword in the darkness ***


La buona notizia era che Espio non si vedeva da nessuna parte, e perciò probabilmente non era stato preso.
La cattiva notizia era che lui e Charmy erano tenuti saldamente fermi da grossomodo l’intera popolazione di un quartiere.
Vector diede uno scrollone alle persone appese al suo braccio, senza successo. Nonostante la sua forza fosse superiore a quella della maggior parte dei presenti, quegli imbecilli continuavano ad attaccarlo in gruppo, e ogni volta che qualcuno mollava la presa ce n’erano altri due o tre pronti a prendere il suo posto. Neanche i calci e le acute proteste di Charmy avevano avuto effetto.
Quella gente doveva aver davvero bisogno di un capro espiatorio per star loro così addosso, senza alcuna prova che loro avessero davvero fatto qualcosa.
- Bene, bene – disse una voce, sovrastando il mormorio della folla. I loro carcerieri improvvisati dovevano averli trascinati fino al centro della piazza, vicino alla scorta di cibo: Uriel, il leopardo, era ora davanti a loro, ghignando soddisfatto. Che gran bastardo. Hecale aveva ragione, pensò Vector. Aspetta. Dov’era finita, Hecale? Avevano preso anche lei. Non si sentivano più voci che protestavano: la massa le aveva soffocate.
- Ora che non potete più sfuggire, cosa avete da dire a vostra discolpa? – Continuò Uriel, senza smettere di sorridere.
Vector avrebbe voluto volentieri spaccargli i denti, ma forse sarebbe stato necessario usare più diplomazia per togliersi da quella situazione. – Non abbiamo fatto un bel niente. Siamo finiti qui dentro esattamente come voi!
- Già! – Esclamò Charmy, che ancora non aveva smesso di dibattersi e di cercare di volare via. – E se non ci lasciate andare, vi prenderemo a calci nel sedere.
Vector alzò gli occhi al cielo. Addio all’approccio diplomatico. Ma prima che potesse aprire bocca per dire altro (che esso fosse dire a Charmy di chiudere il becco o aggiungere qualche insulto alla persona di Uriel, non aveva ancora deciso), sentì una voce sollevarsi chiara e forte sopra il brusio della folla.
- Sei contento, adesso?
Uriel si voltò a guardare. Beh, più o meno tutti i presenti si voltarono a guardare, ma l’espressione di Uriel nel veder interrotta la sua scenetta patetica era davvero commovente. In un’altra situazione, Vector probabilmente avrebbe riso.
Ma c’era ben poco da ridere. Era stata Hecale a parlare, il che non era una cosa positiva. Vector aveva quasi sperato che fosse fuggita, fuori dal campo visivo dei suoi vicini di casa inferociti.
Invece la lupa era lì, a pochi metri di distanza. Doveva essersi fatta largo fra le altre persone, e ora stava a testa alta davanti a loro, fissando Uriel con espressione indecifrabile.
Uriel, dal canto suo, sembrò riscuotersi dal suo stupore. – Ancora qui, vecchia strega? – Ghignò. – Vuoi forse aiutare questi tipi? Non li avrai aiutati anche a farci finire quaggiù?
Qualcuno gridò il suo assenso da in mezzo alla folla, e per un momento Vector temette che avrebbero afferrato anche lei, ma nessuno si mosse. Hecale continuò a fissare il leopardo con sguardo placido, senza muovere un muscolo.
Quando finalmente calò di nuovo il silenzio, la donna disse: - Quanto ancora vuoi far durare questa storia, Uriel? Non so quanti dei tuoi scagnozzi ci siano qui in mezzo, ma so che non saranno mai abbastanza per tenere tranquilla la gente quando questa si renderà conto che non hai idea di cosa fare. Rispondi a questo: quando capiranno che non sai veramente chi sia stato a portarci qui, che i colpevoli che hai trovato non c’entrano niente…chi ti proteggerà da queste persone?
- Che cosa sta succedendo? – Bisbigliò Charmy, confuso. Vector avrebbe tanto voluto dargli una risposta, ma era perplesso quanto lui.
Tanto più che Uriel sembrava davvero turbato da quelle parole. Esitò un momento, poi lanciò una risata stridula, poco credibile. – La signora sta cercando di confonderci con le sue belle parole!
- Oh, no, caro – replicò Hecale. La sua voce aveva un tono melodioso, raddolcito, ma sotto era possibile percepire una nota dura e inflessibile. – Sei già confuso senza bisogno del mio aiuto. Altrimenti, come potresti pensare di farmi paura? Non hai potere, qui. I tuoi capi non ci sono. Stormtop Lane è lontana.
La folla stava ricominciando a rumoreggiare. Vector diede qualche altro strattone, in modo da riuscire a liberarsi prima che la situazione potesse degenerare, solo per rendersi conto di due cose. Primo, sembrava che qualcuno dei suoi carcerieri avesse già allentato la presa, lasciandolo pressoché libero di muoversi. Secondo, le grida che si stavano alzando non sembravano avercela a male con Hecale.
Anzi, sembrava che le stessero dando manforte.
- Taci, puttana – sibilò Uriel. I suoi occhi si spostavano in fretta da un angolo all’altro della piazza, come temendo un attacco improvviso.
- E’ curioso che tu mi chiami così, Uriel. – Le parole di Hecale ormai grondavano miele. – Capisci, io mi ricordo di te. Ho messo paura al capo dei Brawlers prima ancora che tu riuscissi a pulirti il moccio dal naso abbastanza da convincerlo a farti entrare. Mi ricordo di quando eri un bambinetto non più alto di quello che adesso tieni prigioniero come se avesse commesso dei crimini atroci. – Una pausa. – E come potrei non ricordare, quando tua madre era lì a camminare sul marciapiede al mio fianco?
A quel punto, successero in fretta molte cose.
Con un ruggito, Uriel si lanciò contro Hecale. Vector, che era sempre più perplesso ma si era stufato di quel tizio e delle sue idee balorde, si liberò in fretta dalle ultime mani che cercavano di trattenerlo e, non appena il leopardo fu a tiro, gli assestò un bel pugno sul muso.
Prima che tutti potessero registrare quel che stava succedendo, si alzò una nuova voce. Non si capiva bene da dove provenisse, ma a Vector sembrava familiare. – Di là! Prendeteli, stanno andando di là!
A quel punto, la folla si scatenò. Chi si girava da una parte, chi dall’altra. Qualcuno gridava. Il caos.
Uriel era rimasto a terra dove Vector lo aveva abbattuto, privo di sensi. Il coccodrillo lo scavalcò e raggiunse Hecale, che era rimasta immobile dov’era, le braccia lungo i fianchi e i pugni stretti. Sembrava in trance. – Dobbiamo levarci di torno – borbottò lui, sperando di svegliarla. Non c’era tempo da perdere.
- Oh. Sì. Sì, certo. – La lupa parve riscuotersi; alzò anche la testa per guardarlo negli occhi, un’espressione decisa sul volto. – Dobbiamo nasconderci. Ma dove?
- Cominciamo a uscire da questa piazza – disse la voce sconosciuta di prima, molto più vicina e sempre più familiare. Vector si girò nella sua direzione, e come previsto si trovò faccia a faccia con Espio in carne e ossa, finalmente visibile. Un balsamo per degli occhi stanchi, onestamente.
- Potevi distrarli un po’ prima, questi idioti – replicò il coccodrillo, sporgendosi ad afferrare Charmy prima che potesse volare via ed attaccare qualche persona a caso. Sembrava pronto a questo ed altro, maledetto lui.
- Sembravano già distratti abbastanza dal discorso della tua nuova amica. – Il camaleonte fece un cenno con la testa ad Hecale. – Signora.
Lei annuì bruscamente. - Le presentazioni a dopo. Via di qui.
Nella confusione, fu più che facile correre via, anche se Vector continuava a temere di perdersi qualcuno per strada. Non riusciva a trattenersi dal lanciare occhiate ai suoi colleghi mentre facevano lo slalom in mezzo a quel mare di sconosciuti. Espio e Charmy sembravano abbastanza in salute, né più né meno di quando li aveva visti l’ultima volta. Era sicuro che ben presto avrebbero ricominciato a irritarsi a vicenda come al solito, ma per il momento era piuttosto felice di riavere la squadra al completo. Quanto a Hecale…
Era difficile distogliere lo sguardo da Hecale, ecco. Sembrava che tutte le belle parole che aveva tirato fuori per Uriel l’avessero lasciata svuotata, provata. Teneva il passo con loro tre senza problemi, ma Vector aveva la sensazione che se l’avesse persa di vista anche solo per un secondo, l’avrebbe ritrovata catatonica come prima. Per prudenza, quindi, cercava di tenersi alle sue spalle, proteggendo lei e il resto del gruppo da eventuali altri aggressori idioti.
C'era già abbastanza di cui preoccuparsi senza perdere di vista i suoi amici, vecchi o nuovi che fossero



- Wow – disse Sonic, quando Shadow ebbe finito di spiegargli a grandi linee la situazione.
Il riccio nero inarcò un sopracciglio. Wow era sicuramente una definizione riduttiva per tutto quello che era successo negli ultimi giorni. D’altro canto, più la vicenda andava avanti e più Shadow avrebbe voluto reagire sbattendo la testa contro un muro, quindi forse wow era preferibile come risposta.
- Quindi niente Eggman, nessun supercattivo? Il padre di Knuckles? – Continuò Sonic, assumendo un’espressione pensierosa. – Wow. Una situazione del genere mancava alla nostra lista di esperienze. Anche se probabilmente Knux ne avrebbe fatto a meno.
Senza una risposta di qualche genere, Sonic avrebbe continuato a parlare in eterno. – Credo di sì. – Diamine, perché Knuckles non si muoveva ad arrivare? Almeno con lui quel supereroe da quattro soldi avrebbe potuto blaterare in eterno. Magari l’echidna si sarebbe anche sentito confortato.
Shadow e Sonic erano gli unici presenti, al momento. Non appena aveva saputo che la madre della piccola Cream aveva offerto la propria casa come luogo d’incontro (e la propria stanza degli ospiti per Logan e Nadir), Shadow non aveva esitato a recarsi lì. Ma mentre l’altro riccio aveva fatto lo stesso, affidandosi alla propria supervelocità, Tails e Amy non si erano ancora presentati. E naturalmente mancavano all’appello anche Knuckles e Rouge. C’era solo da sperare che non si fossero nascosti da qualche parte a piagnucolare o a sbaciucchiarsi. Si erano proprio trovati, quei due, così emotivi com’erano.
Okay, forse avevano delle buone ragioni per essere emotivi ora come ora, ma ciò non cambiava il fatto che avessero del lavoro da sbrigare.
Al momento, però, non c’era niente da fare se non aspettare, e Shadow aveva già speso troppo tempo nell’ordinatissimo salotto di Vanilla con una persona che era irritante più spesso di quanto fosse simpatica, perciò girò sui tacchi e si diresse verso la cucina. – Vado a controllare come stanno i bambini.
Naturalmente, Sonic lo seguì. E naturalmente, lo fece continuando a parlare. Naturalmente. – Possiamo dare una mano, comunque. Ormai conosciamo tutti i posti dove potrebbe nascondersi un nemico, grazie a Eggman. E Tails potrebbe scavare fra le varie reti e database. Questo echidna dovrà pure aver provato i suoi poteri prima di adesso, avrà lasciato qualche traccia.
- La GUN ha già cercato in lungo e in largo e non ha trovato nulla – replicò Shadow.
- La GUN, per nostra fortuna, non è onnipotente, e non bisogna sottovalutare il cervello di Tails. – Sonic sogghignò. – Ma deve sbrigarsi ad arrivare. E’ una noia mortale stare qui fermi a non fare nulla.
Su questo, Shadow non aveva nulla da eccepire, perciò si limitò ad annuire e ad entrare in cucina.
Tutto sommato, era molto grato a Vanilla per aver offerto quella sistemazione. Seduti davanti a due piatti di cibo, con Cream che tentava di far conversazione dall’altra parte del tavolo, Logan e Nadir sembravano molto più tranquilli che non in una stanza di ospedale, o circondati da persone inaffidabili in un rifugio di fortuna. Peccato che fosse difficile dimenticare che i due bambini erano entrati aggrappati alle gambe di Shadow e che ci era voluto un discreto sforzo per convincerli a staccarsi, così come era difficile non notare i morsi famelici che davano al loro pasto, come se non mangiassero da anni. Cream e Vanilla (che stava, apparentemente, preparando altro cibo) sembravano sconvolte da una tale mancanza di compostezza, anche se cercavano di non darlo a vedere.
Quando i due ricci fecero il loro ingresso, i bambini alzarono lo sguardo. Logan sorrise e continuò a mangiare, mentre Nadir si pulì la bocca con il dorso della mano prima di parlare. – Tu sei Sonic – proclamò, puntando un dito contro il diretto interessato. – Hai combattuto contro dei robot giganti. Ti abbiamo visto alla televisione.
Sonic gonfiò il petto con un sorriso soddisfatto. – Sono proprio io, signorina.
Senza smettere di masticare, Logan fece alcuni gesti. – Dice che in tv sembravi più alto – tradusse Nadir.
L’espressione del riccio blu cambiò così in fretta che Shadow si trattenne a stento dal mettersi a ridere. Quei ragazzini gli stavano sempre più simpatici. Sonic, però, si ricompose in fretta e fece loro una smorfia scherzosa. – Mi sento quasi offeso. Shadow qui accanto non è molto più alto di me.
Nadir si strinse nelle spalle. – Lui è un agente. Non gli serve essere alto. Prende i cattivi già così, e magari ha anche una pistola.
Era difficile dire chi fosse più sorpreso, se Sonic stesso, Vanilla o Cream. Shadow non sapeva se sentirsi onorato o restare perplesso. Nel dubbio, si schiarì la voce e disse: - Devo parlare con Logan e Nadir un momento.
Vanilla capì al volo la richiesta sottintesa e uscì, portando Cream con sé. La coniglietta fece un gesto di saluto a Nadir, che lo ricambiò con poca convinzione. Sonic le seguì dopo un momento di esitazione, ma prima di andarsene dovette fermarsi a fare una boccaccia a Logan, perché anche se Shadow gli stava dando le spalle vide chiaramente la piccola lince rispondergli tirando fuori la lingua.
Tsk. Bambini.
Solo quando la porta si chiuse dietro di lui Shadow poté finalmente concedersi un mezzo sorriso. – Non sei stata molto gentile con lui.
La bambina fece di nuovo spallucce. – Ha iniziato Logan – disse, poi sembrò esitare, il pezzo di pane che aveva in mano fermo a mezz’aria. – Non…non era così arrabbiato, vero? Non saremo puniti per quello che abbiamo detto?
Ora, quella domanda avrebbe dovuto sconvolgerlo. Avrebbe dovuto arrabbiarsi, stupirsi, reagire in qualche modo. Ma fra quello che Rouge gli aveva fatto capire su Stormtop Lane e ciò che aveva intuito da sola, Shadow si sentì improvvisamente molto stanco. E stufo. Stufo di tutta quella faccenda e di quel quartiere di imbecilli che stavano cercando di ritrovare. – No – sospirò alla fine, perché Nadir lo stava ancora fissando ansiosa in attesa di una risposta. – No, direi proprio di no. Nessuno qui ha intenzione di punirvi, men che meno Sonic.
- Promesso? – Vedendolo annuire, Nadir parve rilassarsi un pochino, ma non del tutto. – Perché qui è tutto…troppo grande. E troppo bello. E sono tutti troppo gentili.
- Nessuno vi ospita mai a mangiare, quando siete a casa vostra?
- Oh, sì! Hecale ci invita a pranzo, qualche volta, e i genitori di Logan mi fanno stare a dormire quando mio pad…quando mio fratello deve andare in ospedale. – C’era un’esitazione di troppo in quella frase, e a Shadow non piaceva per niente. E poi, Hecale? Non era la madre di Rouge, quella? – Ma nessuno ci ha mai dato così tanto cibo.
Logan alzò la forchetta come a dare enfasi all’ultima frase dell’amica. Il riccio nero scosse solo la testa. Avrebbe voluto dire molte cose, e nessuna sarebbe stata appropriata di fronte a dei bambini. – State tranquilli. Finché resterete qui, non dovrete preoccuparvi di niente. – Pensando che non poteva guastare, si chinò in avanti e aggiunse in finta aria cospiratoria: - E detto fra noi, gli agenti di polizia sono davvero meglio dei supereroi.
Finalmente rasserenata, Nadir gli fece un largo sorriso, seguita a ruota da Logan. – Io lo dico sempre a mio fratello, ma a lui piacciono i film con i supereroi. – Il sorriso vacillò per un istante. – Li state cercando, vero? Mio fratello, dico. E i genitori di Logan. Loro sono brave persone, non come…come gli altri della strada.
- Li stiamo cercando, sì. E li troveremo – rispose Shadow, ma evitò di prometterlo. Non poteva fare promesse che rischiava di non riuscire a mantenere. E poi c’era sempre qualcosa che non tornava, nei loro discorsi. Tanto per cominciare, Nadir aveva un padre, ma lei continuava a sperare unicamente nel ritorno del fratello. Dannazione, perché era tutto così complicato? – Sentite…
Non riuscì neanche a finire la frase. All’improvviso Logan, che fino ad allora aveva seguito la loro discussione osservando con attenzione il movimento delle loro labbra, afferrò con forza il braccio di Nadir, attirando la loro attenzione. Aveva gli occhi fissi su qualcosa fuori dalla finestra, il volto teso in una maschera di paura.
- Che c’è? – Chiese Nadir, seguendo la direzione del suo sguardo. Poi si paralizzò anche lei, come ipnotizzata da ciò che stava vedendo. – Oh, no. No, no, no.
Shadow si girò a sua volta, lentamente, per non far sfuggire qualunque cosa lì avesse spaventati così tanto.
E lì, nel bel mezzo del giardino, stava in piedi un echidna.
Non era Knuckles, questo era palese anche al primo sguardo. Era più vecchio, con una barbetta bianca che gli cresceva sul mento e la pelliccia di un rosso sbiadito. Indossava una specie di tunica bianca e stringeva tra le mani quella che sembrava una scatola di metallo. Era questa che stava fissando, non la casa.
Fu solo questo a consentire a Shadow di riprendersi dalla sorpresa e di scattare via, lanciandosi contro il suo nemico.
Registrò a malapena il suono di voci estranee intorno a sé (Nadir? Sonic, attirato dal trambusto di lui che usciva da una finestra) mentre si gettava addosso all’uomo e lo faceva cadere a terra. Doveva trovare il modo di immobilizzarlo, di fargli qualche domanda, magari anche di dargli un pugno sul naso per tutti i problemi che gli aveva causato.
Il vecchio stava parlando fra sé, ma Shadow non riusciva a capire cosa stesse dicendo. Borbottava a bassa voce, spostando lo sguardo di qua e di là come in preda all’agitazione. Non si stava dibattendo, anzi giaceva immobile sotto il peso del riccio, ma teneva ancora in mano la strana scatola metallica, e Shadow allungò una mano per strappargliela. Aveva il sospetto che fosse quella la vera fonte dei loro guai.
D’improvviso, l’echidna strinse le dita intorno al metallo, mentre un sorriso folle si allargava sul suo volto. Una brillante luce verde accecò Shadow per qualche secondo…
…e poi il padre di Knuckles svanì, lasciando l’altro inginocchiato sulla nuda terra.
 
CE L'HO FATTA.
Gente, mi dispiace, lo so che sono sparita nell'etere dopo l'ultimo capitolo, ma la situazione è diventata troppo caotica e ho mollato EFP del tutto. Spero che i miei lettori non si siano persi d'animo; in ogni caso, aspetterò gli eventuali commenti mettendomi in pari con le fic della sezione di cui ho perso il filo (sigh) e completando il prossimo capitolo (che essendo già mezzo scritto dovrebbe arrivare molto più in fretta di questo, anche perché viene difficile impiegare di nuovo sei mesi a scriverlo).
Cheers!
Suze
 

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Capitolo 11
*** Don't you see what you're finding? ***


Solo quando ebbero finalmente girato l’angolo si concesse un attimo di respiro. – Bene, gente. Sono felice di rivedervi, anche se avrei preferito farlo in un’altra situazione.
- Lo stesso vale per me. – Espio si scrollò di dosso la polvere che le decine di piedi in movimento avevano sollevato dal terreno. – Qualche idea su cosa sia successo nelle ultime ventiquattr’ore? Credo di essermi perso qualche dettaglio.
- Zero assoluto. Da quando mi sono svegliato qui mi è sembrato solo di stare in una gabbia di matti. Voi?
- Lo stesso. – Il camaleonte accennò con un gesto della mano a Charmy, che ora svolazzava in cerchio sopra le loro teste, lanciando occhiate preoccupate a loro e alla folla a cui erano appena sfuggiti. – Ho trovato lui per pura fortuna, e solo perché l’ho trovato che prendeva a calci uno sconosciuto.
- Quel tipo ha cercato di afferrarmi! – Protestò l’ape. – Dovevo difendermi, insomma, sono tutti matti qui dentro!
- Non sono matti – intervenne Hecale con un sospiro. – Sono nel panico. Guardateli. Prima seguono la persona che a loro sembra più forte, poi non appena qualcosa li spaventa corrono di qua e di là come una colonia di formiche. Vergognoso. Non mi sorprende, ma è vergognoso.
Vedendo che i suoi amici la stavano fissando con tanto d’occhi, Vector si affrettò a fare le presentazioni. – Hecale, questi sono Espio e Charmy. Ragazzi, lei è Hecale. Quei gentili signori sono tutti suoi vicini di casa.
- Non li ho scelti io, se ve lo state chiedendo – aggiunse la lupa con un sorriso amaro.
- Lo spero. – A suo credito, Espio non fece alcun commento, anche se lanciò a Vector un’occhiata perplessa che prometteva altre domande in futuro. – Dobbiamo risolvere la situazione prima che peggiori. Per ora sembra che siamo seduti su una bomba ad orologeria senza sapere quando esploderà.
- Tic tac, tic tac, e a un certo punto…boom! – Esclamò Charmy.
- Già. Boom. – Hecale scosse la testa. – Non sappiamo nemmeno da dove cominciare, però. Se solo avessimo qualche idea, se solo…
- Di qua! Di qua!
Vector girò la testa di scatto, aspettandosi qualche altro furbacchione intenzionato ad attaccarli, ma si trattava solo di Zenit. Il ragazzo era poco distante da loro, seminascosto dal muro di una casa, e con le mani compiva gesti brevi e carichi di urgenza. Non l’avevano nemmeno sentito avvicinarsi.
- Zenit? Tesoro, cosa succede? – Hecale stava già camminando verso di lui, prima ancora che il leone spiegasse cosa diavolo gli fosse preso.
- Ho trovato una cosa. Ma dovete venire, veloci. Gli altri non devono prenderci!
- Non ci prenderanno. – La donna alzò lo sguardo su Vector. – Che cosa facciamo?
Il coccodrillo alzò le spalle. – Non abbiamo molte altre opzioni, no? – Disse. Poi, rivolgendosi a Zenit: - Ma spero che sia qualcosa di utile, ragazzo.
Lui annuì bruscamente, poi si voltò e sparì dentro un vicolo. Senza esitare, Hecale gli andò dietro. Vector stava per seguirli, ma si accorse che Espio e Charmy avevano fissato l’intera scena senza dire una parola, e ora non accennavano a muoversi. – Beh? Venite anche voi?
- Un altro amico tuo? – Chiese Espio, inarcando un sopracciglio.
C’erano, al momento, troppe cose da spiegare per andare troppo nello specifico. – Già. Si chiama Zenit, ed è un tipo un po’ strano, ma finora ha trovato gli unici indizi utili in questo posto assurdo.
Era chiaro che il camaleonte avrebbe voluto saperne di più, ma era chiaro che non c’era tempo per le domande, perciò si limitò a scuotere la testa e a seguirli. Charmy, vedendoli andare via con tanta sicurezza, andò loro dietro e rimase a ronzare sopra le loro teste.
Zenit li condusse per un percorso tortuoso, infilandosi in vicoli stretti e bui e continuando a svoltare a destra e a sinistra. Vector era lì lì per chiedergli se si fosse perso, ma il leone aveva un’espressione tanto decisa da convincerlo del fatto che conoscesse davvero la strada.
Quando finalmente raggiunse la sua destinazione, però, questa sembrava una casa come tutte le altre. Zenit tuttavia si infilò dentro all’istante, e Hecale lo seguì con solo una brevissima esitazione. A Vector non rimase altro da fare che fare lo stesso, e alle sue spalle sentì Espio e Charmy fare lo stesso.
Una volta dentro Zenit puntò deciso verso un’altra porta e sparì dietro la tenda che la copriva. Vector fermò Hecale con un gesto e si mise in testa al gruppo. Se il ragazzo si fosse sbagliato, sarebbero potuti finire tutti in qualche guaio, e non sarebbe stato molto cavalleresco far rischiare subito la vita a una signora.
Perciò fu il coccodrillo a scostare la tenda, aspettandosi di trovare un’altra stanza, o una scala che li portasse ad un piano superiore. Rimase molto sorpreso, quindi, nel constatare che c’era sì una scala…che puntava verso il basso.
- Zenit? – Chiamò, sperando che l’altro lo sentisse. Oltre un certo numero di scalini, la discesa diventava sempre più buia, ed era difficile capire quanta distanza avesse già percorso. – Dove ci stai portando, ragazzino?
- La mappa che vi ho fatto vedere! – Fu la risposta, proveniente da pochi metri più giù. Non una gran distanza, quindi, ma notevole da fare al buio. Cosa aveva, Zenit, un sesto senso per i gradini? – C’erano le strade normali, e poi delle altre strade in un altro colore, e quelle erano strade sottoterra, e da qui si va sottoterra!
Gallerie. Passaggi segreti sotterranei. Di bene in meglio. – E non hanno pensato di mettere un interruttore della luce, qua sotto?
Vector non si era aspettato una replica, e anzi aveva già iniziato a scendere un paio di gradini, brontolando sul rischio credibile di rompersi l’osso del collo, quando la voce di Zenit tornò a farsi sentire. – In realtà c’è. Solo che non lo trovo più. – Il ragazzo sembrava quasi preoccupato di averli delusi, ma si riprese subito. – Eccolo!
Una luce si accese in fondo alla scala, mostrando Zenit che, in piedi sull’ultimo gradino, sfoggiava un enorme sorriso. Si ricompose subito, non appena si rese conto che ora Vector poteva vederlo, e scappò via, attraverso un’ennesima porta che stavolta si apriva alla fine della discesa.
Il coccodrillo accelerò il passo, col resto del gruppo alle calcagna. Sperava che Espio stesse tenendo fermo Charmy in qualche modo, perché non era ancora del tutto sicuro che non ci fosse qualche strana trappola là sotto, e il loro piccolo amico era capace di tuffarsi dentro le trappole come…come un’ape nel miele.
Dall’altra parte della porta non c’era nessuna trappola, però, né qualche mostro mangiacoccodrilli. Solo un lungo corridoio, apparentemente scavato nella nuda terra. Alle pareti erano appese innumerevoli lampade elettriche, collegate fra loro da file di cavi.
Tutto sommato, era una scena talmente surreale che forse un mostro mangiacoccodrilli sarebbe stato preferibile.
- Non sembrava esattamente un posto abbastanza sviluppato da avere l’elettricità – commentò Espio. Vector annuì sovrappensiero, perché era tutto dannatamente strano, ma Hecale sembrava preoccupata da ben altro. Si voltò verso Zenit, che era rimasto addossato al muro, fissando la scia apparentemente infinita di luci. – Come hai trovato questo posto?
Il leone si strinse nelle spalle. – Aveva senso – disse. Continuava a tormentarsi un ciuffo di pelo della sua ridicola criniera, a volte tirandola tanto forte da minacciare di strapparla. – Dovevano esserci delle altre strade, e aveva senso trovare qui l’entrata. Quando ho visto che c’era anche della luce, ho pensato che dovevate vederlo pure voi.
(Non aveva senso, per nessuno di loro, ma Vector ormai si era abituato al fatto che il cervello di Zenit viaggiasse a una frequenza diversa dalla loro).
- D’accordo, ma come hai fatto a scendere fin quaggiù? – Insistette Hecale. – Tu hai paura del buio.
- Lo so – replicò Zenit, fissando ostinatamente le lampade e non la persona con cui stava parlando. Sembrava che non osasse farlo. – Ma avevo più paura a lasciarvi con Uriel e gli altri.
Un silenzio attonito seguì l’ultima affermazione, come se nessuno degli adulti sapesse esattamente come reagire. Charmy, invece, sbuffò sonoramente. – Cosa facciamo, restiamo qui impalati? Fa venire i brividi, questo posto!
Finalmente, Zenit si riscosse. Lanciò persino un sorriso nella generale direzione di Charmy, evitando però accuratamente di incrociare lo sguardo di chiunque. – Non c’è da avere paura, finché le luci stanno accese. Nessuno ci prenderà mai, qua sotto.
Dopodiché, iniziò a camminare lungo il corridoio, senza aggiungere altro. Charmy, apparentemente soddisfatto, lo seguì in volo. Espio li guardò andare via per un momento, poi scosse la testa. – Parla in un modo inquietante, e io sono sempre più confuso, ma ha ragione. Se continuiamo a muoverci, saremo al sicuro da quella mandria di pazzi là sopra.
Il camaleonte si incamminò a sua volta, ma Vector esitò, vedendo che Hecale non si muoveva. La donna continuava a fissare imbambolata il punto dove fino a poco prima si era trovato Zenit. – Tutto bene? – Chiese, incerto sul da farsi. Era un maestro nell’affascinare le signore e nell’indagare sui loro problemi, ma confortarle dopo esperienze traumatiche non era esattamente il suo forte. Se lei si fosse messa a piangere, sarebbe stato un bel guaio.
Ma Hecale non pianse. Invece iniziò a parlare a bassa voce, in un tono monocorde che ricordava pericolosamente quello di Zenit la prima volta che Vector l’aveva incontrato. – Passi tutta la vita nella stessa strada, con le stesse persone. Succedono dei pasticci, ma tu li risolvi, e tiri avanti, perché che altro puoi fare? Poi all’improvviso ti ritrovi rinchiusa in una città soffocante con tutte queste persone e scopri che la maggior parte di loro ti darebbe volentieri in pasto al primo idiota di passaggio, te e tutti quelli di cui puoi fidarti. Mi piacerebbe avere il tempo per un attacco isterico, perché è l’unica reazione adatta a delle giornate come queste. – La lupa alzò la testa e lo guardò fisso negli occhi. – Francamente, non so come facciano i tuoi amici. A vedermi catapultata in una situazione del genere, credo che sarei paralizzata dall’ansia.
- Ah, ma noi siamo l’Agenzia Investigativa Chaotix. Il pericolo è il nostro mestiere – replicò Vector, gonfiando il petto. – E non temere, risolveremo tutto e ce ne andremo di qui. E se dopo vorrai prendere a calci nel sedere quei geni laggiù in piazza, saremo felice di darti una mano.
Hecale sorrise. Appena appena, ma era già una consolazione. – Ti prenderò in parola – disse, prendendolo sottobraccio. – Ora è meglio che andiamo, non possiamo perdere di vista quegli altri. Zenit è bravo con i bambini, ma diventa un pericolo pubblico quando è con uno di loro. Lui e quella piccola ape potrebbero tirare giù la galleria se non facciamo attenzione.
 
 
Fu il momento di maggior calma che avessero avuto da quando era finiti in quella città. Zenit guidava il gruppo, tenendosi vicino al muro e sfiorandolo con le dita, e gli altri lo seguivano in silenzio. Solo Charmy ogni tanto iniziava a parlare, più che altro per chiedere per l’ennesima volta quando sarebbero arrivati. Espio e Vector erano abituati alle sue lamentele, e l’esperienza dimostrava quanto fosse meglio ignorarlo del tutto, ma Zenit continuava a rispondergli. Si trasformava completamente quando parlava con un bambino, era più calmo, meno teso. Un’altra persona rispetto al ragazzino terrorizzato della prima notte.
Magari c’entrava anche il fatto che Charmy fosse l’essere meno intimidatorio dell’universo, ma era un buon segno in ogni caso.
- Dov’è che stiamo andando, però? – Chiese Vector a un certo punto. Non che non fosse piacevole lasciarsi guidare da qualcun altro, soprattutto dopo essere stati sballottati da una folla intera, ma il ragazzo sembrava un po’ troppo sicuro sulla direzione da prendere. Sul primo corridoio che avevano visto se ne aprivano molti altri, che si incrociavano a formare una specie di labirinto, ma Zenit non esitava mai sulla direzione da prendere.
Il leone continuò ad avanzare, senza staccare la mano dal muro. – Ci sono dei segni che indicano la strada. Ecco, guarda.
Avevano raggiunto un altro incrocio. Vector si avvicinò per controllare, perplesso. In effetti, a circa un metro e mezzo da terra, c’erano degli strani disegni incisi sulla parete. Lo stesso valeva per tutti gli angoli di quel tratto di strada. Era un tratto talmente leggero che se Zenit non glieli avesse fatti notare, lui li avrebbe presi per segni naturali. Chissà se anche gli altri se n’erano accorti in precedenza, o se si trattava dell’ennesima dimostrazione di come il giovane si concentrasse su delle cose differenti da loro. Dopotutto, nonostante la sua grande attenzione per quegli scarabocchi, Zenit era già riuscito a inciampare quattro volte su un terreno pressoché senza ostacoli.
Alcuni degli angoli avevano delle indicazioni indecifrabili. Sulla strada che loro stavano percorrendo, però, accanto ad una freccia stilizzata, era tracciato uno smeraldo, lo stesso che avevano trovato disegnato in cima alla torre.
Vedendo che Vector continuava a guardare i disegni senza reagire, Zenit aggiunse: - Non so cos’è, quella roba. Però se lo hanno messo sulla mappa deve essere qualcosa di importante.
- Questo è uno Smeraldo del Caos – borbottò Vector. La cosa non gli piaceva per niente. – E non vuol dire niente di buono, se lo chiedete a me.
- Che cos’è uno Smeraldo del Caos? – Chiese Hecale, chiaramente perplessa.
- Sono delle pietre in grado di fornire una quantità immensa di energia. Alcuni nostri amici le custodiscono per evitare che finiscano nelle mani sbagliate – spiegò Espio. Poi, fissando Vector con la fronte corrugata: - Ma non c’è nessun motivo per cui dovrebbe esserci uno Smeraldo quaggiù.
- Già. Per questo è meglio che andiamo avanti e capiamo cosa sta succedendo.
Il camaleonte annuì e fece segno a Zenit di proseguire. La loro carovana riprese il suo viaggio, ma adesso c’era ancora più tensione nell’aria.
Vector non riusciva a fare a meno di rimuginare su quello che aveva appena visto. Da quello che sapeva, tutti gli Smeraldi erano in mano a Sonic e ai suoi compari. Quanto al Master Emerald, quello era rimasto fisso su Angel Island per un bel po’, sotto la protezione di Knuckles. Non c’era nessun motivo per cui qualcuno di loro potesse avere a che fare con quel luogo spettrale.
Qualcosa non quadrava. Soprattutto perché, sia sulla mappa che nei segnali delle gallerie, quello raffigurato gli aveva fatto venire in mente subito il Master Emerald, e non i suoi simili di dimensioni ridotte. Non riusciva a capirne il motivo: in fondo, la pietra che Knuckles proteggeva non era diversa dagli altri Smeraldi, a parte il fatto che era…beh, più grossa.
Ma il suo istinto gli stava dicendo qualcosa, e l’istinto di un investigatore non era cosa da ignorare. Vector scosse la testa, preoccupato, e continuò a camminare.
Ci volle un bel pezzo perché accadesse qualcosa di nuovo, ma finalmente, girato un angolo, si trovarono di fronte a una porta. Tutti e cinque si fermarono a guardarla, perplessi.
Di per sé, una porta era già fuori posto, in un luogo dove tutti gli ingressi erano lasciati aperti o coperti a stento da una tenda. In più, questa porta nello specifico era discretamente inquietante. Era fatta di metallo, ma al centro era rigonfia e bitorzoluta, e i suoi bordi erano dentellati e piegati. Come se dentro alla stanza a cui dava accesso avessero fatto scoppiare una bomba.
- Non mi piace – disse Charmy.
- Già, nemmeno a me – replicò Espio. Dopo aver scambiato un’occhiata con Vector, il camaleonte si fece avanti, avvicinandosi alla porta.
Vector gli andò dietro. L’istinto di sopravvivenza gli diceva di scappare a gambe levate, preferibilmente portandosi dietro tutti gli altri, ma se il suo collega correva il rischio allora era meglio che lo facesse anche lui. Più che altro per non perdere la faccia.
La lastra di metallo era talmente rovinata che non riusciva neanche a chiudere bene. Bastò tirarla leggermente perché si aprisse e rivelasse cosa c’era all’interno.
Si trattava di una stanza piuttosto grande, dalla forma circolare. Ogni superficie, il pavimento, le pareti, il soffitto a cupola, erano coperte da lastre di metallo, apparentemente lo stesso da cui era formata la porta. In alcuni punti le lastre erano cadute o erano state tolte, rendendo visibile la terra sabbiosa sottostante. A terra c’erano oggetti di ogni tipo, attrezzi meccanici, fili elettrici, fogli di carta, sparsi ovunque senza alcun ordine.
Non sembrava esserci niente di immediatamente pericoloso lì dentro, ma l’atmosfera era comunque aliena, inquietante.
- Stiamo per morire? – Chiese Hecale alle loro spalle, cercando di scherzare.
Vector scosse la testa. Faceva venire la pelle d’oca, ma probabilmente non sarebbe esplosa uccidendoli tutti. Probabilmente. – Venite a vedere.
Charmy e Zenit fecero capolino da dietro di loro all’istante, curiosi nonostante tutto. Hecale si avvicinò con più calma, e la preoccupazione sul suo volto divenne palese dopo che ebbe osservato la scena. – Che cosa significa tutto questo? – Chiese, confusa.
- Non ne ho idea, ma continua a non piacermi – rispose Vector.
- Sembra una cosa che ho visto in un film – commentò Zenit. Non era un commento molto utile alla loro situazione, ma Vector non glielo disse. Nessuno di loro stava avendo idee utili, comunque.
Hecale si prese la testa fra le mani. – Non ci capisco più niente. Il mondo sta andando a rotoli.
- Non scopriremo niente se restiamo qui impalati. Meglio che diamo un’occhiata – disse Espio, facendo un passo verso il centro della stanza.
In quel momento, una luce abbagliante riempì la stanza. Era verde, quella luce, così innaturale e improvvisa da far rizzare loro i peli sul collo. Vector si accorse appena del rumore di passi alle sue spalle, come di qualcuno che scappava, mentre una figura appariva in mezzo alla luce, diventando più definita a mano a mano che questa si affievoliva.
Era una figura familiare, decisamente, anche così confusa e in un momento di tale caos. Vector fece appena in tempo a domandarsi (irrazionalmente, perché chi pensa a certe cose quando è in pericolo?) quando mai Knuckles si era fatto crescere la barba.
Poi l’echidna, ora ben più visibile e circondato solo da un vago alone di luce, si voltò verso di loro.
 
 
Rouge era terrorizzata.
Aveva avuto paura, prima. C’erano molte cose che potevano far paura, nella sua vita. La guardia del centro commerciale che la fermava mentre sgraffignava un braccialetto e le chiedeva cosa stesse tentando di fare. Sua madre che la sbatteva contro un muro, urlando che non portava a casa abbastanza soldi. Gli sguardi avidi degli uomini con cui Lucan l’aveva spinta a lavorare.
Ma quelle erano tutte paure da cui si poteva scappare, in qualche modo. C’era sempre casa di Hecale dove nascondersi, farsi medicare le ferite e spazzolare il pelo, come c’era sempre Lucan a darle un sorso di birra e a portarla al parco giochi come se fossero ancora dei bambini
(SONO ANCORA UNA BAMBINA LO SONO LO SONO NON POSSONO FARMI NIENTE)
a dondolare sulle altalene e a urlarsi parolacce fino all’una di notte.
Non adesso. Adesso, mentre sua madre la trascinava per un polso lungo la strada, non c’era modo di scappare da nessuna parte.
Era già preoccupante che la mamma avesse preso l’iniziativa e fosse uscita di casa in quel modo. Di solito non arrivava mai più lontano del negozio all’angolo, per scoprire quanto alcol potessero comprare il denaro che Rouge le aveva lasciato (poco, il meno possibile, perché tutto ciò che poteva essere messo da parte spariva nella calza sotto il materasso). Non scendeva praticamente più in strada la sera, quando avrebbe potuto trovare lavoro.
(Una volta Rouge conosceva tutte le donne sul marciapiede, perché tutte l’avevano vista neonata, l’avevano presa in braccio e coccolata, perché loro erano state più fortunate o più furbe di sua madre e non avevano avuto bambini. Montse che le diceva di non raccogliere le cicche da terra, Alysanne che voleva diventare una stella del cinema. Dove erano sparite tutte? Adesso sulla strada c’erano ragazze più vicine alla sua età che a quella di sua madre, e del gruppo erano rimaste solo lei e Hecale.
Ogni tanto Rouge pensava che non avrebbe pianto, se la mamma una notte fosse scomparsa a sua volta).
Ma non era solo la presenza della mamma a preoccuparla. Era la fredda determinazione nei suoi occhi, come se avesse uno scopo a parte la prossima bottiglia. Dimostrava anche una forza inusuale, stringendo il braccio della figlia e tirandola di peso senza darle la possibilità di fuggire, lei che era la più brava del quartiere a svicolare via dai poliziotti.
E poi, come se non bastasse, la stava portando nel cuore di Stormtop Lane.
Quando se ne accorse, Rouge raddoppiò la foga con cui tentava di scappare. Stavano entrando nella zona dove i capi avevano le loro basi, i nascondigli migliori, i depositi della loro roba. Lei stessa ci era andata raramente, solo per prendere ordini specifici, e ne era felice, perché proprio in quei posti si sentiva più a disagio, più osservata.
Di sicuro, non ci era mai andata con i vestiti che sua madre l’aveva costretta a infilare oggi, leggeri e aderenti e più simili al suo stile solito che agli stracci in cui la infagottava Lucan.
Rouge si sentiva addosso gli sguardi di molti, mentre facevano il loro ingresso in uno dei palazzi. Non avevano nessun motivo per essere lì. LA MAMMA non aveva nessun motivo per essere lì. Che l’alcol le avesse finalmente dato alla testa e lei avesse deciso di venire a chiedere più soldi direttamente a chi la pagava, come se fosse una cosa normale? Le avrebbe fatte ammazzare entrambe.
Le guardie armate alla base delle scale però le fecero passare, dopo che la donna ebbe sussurrato il nome di chi doveva vedere. Lo fecero con una risata di scherno, come se conoscessero già la fine che avrebbe avuto quella storia. Uno di loro la perquisì sommariamente, ma nessuno fece lo stesso con Rouge. Non avrebbe potuto nascondere niente, scoperta com’era, e comunque dovevano essere una scena davvero patetica, nulla di pericoloso.
Salirono diverse rampe di scale, scortate da uno degli uomini, ma la presa sul polso di Rouge non mollava. Sarebbe bastato solo un secondo, solo un attimo di distrazione, e lei sarebbe potuta volare via, ma non c’era modo. Era in trappola.
Alla fine, entrarono in una stanza che Rouge non aveva mai visitato. O meglio, così le sembrava, perché era immersa nella penombra, e lei stessa non osava alzare la testa per controllare. La sola idea di vedere dove fosse finita, di cosa potesse aspettarla, le faceva ghiacciare il sangue nelle vene.
- Ah, Albine – disse una voce compiaciuta. Con la coda dell’occhio, Rouge vide una scrivania, e dietro di essa una sagoma indefinita. La voce (vagamente familiare, ma lei non riusciva a identificarla, né a capire chi potesse chiamare sua madre per nome a quel modo) veniva da lì. – A cosa dobbiamo questa tua…gradita visita?
La mamma raddrizzò la schiena. – Mi dicono che avete preso mia figlia qui nelle vostre fila. – Non trascinava le parole come al solito, ma suonava folle e fuori di sé lo stesso.
- Davvero? – Lo sconosciuto sembrava sorpreso, e anche piuttosto divertito. – Ah, è possibile. I ragazzini vanno e vengono, qui da noi.
Fece una pausa, poi riprese in tono mellifluo: - Certo, se avessimo notato che bella bambina si è fatta, avremmo potuto…darle qualcosa di meglio da fare.
Rouge si sentì correre un brivido lungo la schiena. Tentò di scattare verso la porta, ma la madre la stringeva in una morsa d’acciaio. Avrebbe lasciato dei lividi, come al solito.
La donna le mise due dita sotto al mento, costringendola ad alzare la testa e a mostrare il volto.
- Beh, potete farlo – replicò, secca. – E’ in vendita.
 
Sono riuscita ad essere rapida e indolore. Più o meno, ecco. Rapida rispetto all'attesa di sei mesi e indolore per me e per voi (ma non per Rouge e tutta la compagnia).
Come al solito, spero non ci siano errori, ma se ce ne fossero non esitate a dirmelo. Tanti baci e più Zenit per tutti <3
Suze

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