La valle maledetta

di _ter87_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo_2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo_3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo_4 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 Lucille è una semplice ragazza di 18 anni, in procinto di diplomarsi. Ama la vita, ama viaggiare, ma soprattutto ama incontrare la gente dei luoghi da lei visitati. Conoscere le loro gesta, le abitudini ed i pensieri. Non a casa si sta laureando in lingue nella speranza che quel foglio di carta le permetterà un giorno di poter viaggiare per il mondo e perché no, magari venendo anche pagata per farlo!

Ma non è di questo che parlerà questa storia. No, questa è la storia di come la vita di una semplice ragazzina come tante sia cambiata, radicalmente, un tranquillo pomeriggio di luglio...

 

Una settimana prima;

Quella mattina faticò ad alzarsi dal proprio letto. Fuori c'erano 40 gradi all'ombra e davvero, non aveva certo voglia di mettere fine alla propria vita in quel modo! Sbuffò, sospirò, ma tutto questo non cambiò la realtà. Era ora di alzarsi, la biblioteca dell'università, ed il suo gruppo di studio, la stavano aspettando. Prima di buttarsi sotto la doccia si fermò per osservare il proprio riflesso. Aveva 18 anni, era nel pieno della vita e stava per laurearsi. Poi avrebbe trovato un lavoro che l'avrebbe resa felice, un fidanzato magari o a limite perché no, un cane o un gatto, ed infine avrebbe finalmente potuto affittare un vero appartamento. Era stanca di stare con i genitori e a proposito;

<< Lucille, sei pronta? Non farai tardi in biblioteca? >> la madre urlò da dietro la porta facendo sospirare la ragazza che senza ulteriori indugi entrò in cabina aprendo l'acqua fredda, ne aveva un disperato bisogno.

Finito uscì per la colazione, caffè e due fette biscottate con burro e marmellata rigorosamente di fragola, poi in meno di cinque minuti si lavò i denti, afferrò la borsa e dopo aver snocciolato i soliti saluti ai genitori -<< Torni a mangiare? >> << Si >> << Stai attenta >> << Va bene >>- corse alla fermata dell'autobus arrivando giusto in tempo, come del resto accadeva ogni mattina.

Lungo la strada, prima di raggiungere il luogo dell'appuntamento, la giovane si fermò al bar per il solito caffè in compagnia di Filippo, il suo migliore amico nonché barista.

<< Ehi, sei in ritardo anche oggi vedo >> in risposta la ragazza gli scoccò uno sguardo assassino e l'altro rise alzando le mani in segno di difesa, "non dico più nulla" disse poi, "perdono".

<< Non è una buona giornata >> rispose la ragazza sulla difensiva, a quel punto il ragazzo aggrottò le sopracciglia,

<< Cosa succede? >> ma la ragazza non rispose. Alzò solo le spalle distrattamente ed afferrò la tazzina di caffè che l'amico le aveva messo davanti.

 

Passò qualche secondo,

<< Sono gli esami >> disse infine sentendosi quasi costretta a parlare sotto lo sguardo accusatore dell'amico, << mi stanno distruggendo la mente! >>

E l'altro, che tutto si aspettava di sentire tranne quello, rise divertito.

<< Dai, su >> mentre parlava prese dal vassoio di lato al bancone una delle ultime brioche rimaste, al cioccolato, e la mise davanti la ragazza,

<< Questa te la offro io, mangia che la cioccolata in questo momento non può farti che bene! >> e lei di certo non se lo fece ripetere due volte. Ringraziato il ragazzo afferrò quel cornetto con entrambe le mani aggredendolo quasi a pieni morsi. In men che non si dica lo finì, il povero Filippo la guardò ad occhi sbarrati,

<< Fame? >> chiese divertito, e 'no' rispose lei, 'è il nervosismo'.

 

L'argomento di quella sessione di studi sarebbe stato il suo preferito; l'Antico Egitto. L'epoca dei grandi Faraoni, dei primi cambiamenti ma soprattutto, l'epoca del suo personaggio storico preferito; il giovane Faraone Tutankhamon.

Il ragazzo, diventato Faraone a soli 9 anni dopo la dipartita del padre, probabilmente assassinato dai sacerdoti del dio Amon per la sua voracità nel voler fare di Aton, il disco solare, l'unico dio e giudicato quindi eretico, morì solo dieci anni dopo senza lasciare un solo erede. Gli unici due figli che aveva avuto con la moglie-sorellastra Ankhesenamon erano morti prima ancora di nascere. Mummificati entrambi i feti, erano stati ritrovati nella tomba del loro genitore in due piccole bare, della madre nemmeno l'ombra. La morte del giovane era stata un mistero per un lungo periodo ma alla fine si era arrivati ad un'unica soluzione: il ragazzo era malato. Di salute cagionevole come a sua volta lo era stato il padre, era probabilmente morto per una lieve infezione che ai giorni nostri sarebbe stata curata in pochissimo tempo, peccato che all'epoca, ovviamente, non avessero i mezzi necessari.

<< Allora, Tutankhamon >> iniziò Lucy, compagna di studi << cosa potremmo dire di lui? >> a quel punto, consapevoli delle preferenze della loro compagna, tutti gli occhi si puntarono verso Lucille che sorrise piacevolmente orgogliosa di quel piccolo particolare.

<< Da dove cominciare >> disse, << il giovane Tut, come piace chiamarlo a me >> a questo punto Federico, unico ragazzo del gruppo, la guardò male poi scoppiò a ridere,

<< Ma sentitela! Ne parla quasi come lo conoscesse per davvero! >>

<< Andiamo smettila Fede, lasciala parlare! >> le corse in aiuto Giulia. Il loro gruppo era molto fornito; sei ragazzi, tre italiani, un'australiana, una francese ed una tedesca, Heidi. Fu proprio lei a 'io penso che nessuno meglio di Lucille possa aiutarci sull'argomento' dire, in sostegno dell'amica che la ringrazio con un sorriso. Le fece poi segno di continuare a parlare e lei si schiarì la voce prima di riprendere da dove era stata interrotta,

<< Dicevo, beh...ce ne sono di cose da dire su di lui! Innanzitutto, era un bambino quando è salito al trono e lo era ancora quando è morto. Era sposato con la sorellastra, si amavano molto come dimostrano alcune rappresentazione dei due giovani, e gli unici figli che hanno avuto sono entrambi, anzi entrambe, morte ancor prima di nascere >> si fermò per prendere fiato mentre i compagni prendevano freneticamente appunti. Sembrava fossero a lezione e lei, l'afferrata professoressa. Quando videro che la storia non continuava alzarono lo sguardo,

<< Poi cosa succede? >> chiese Nicoletta, la seconda italiana del gruppo che fino a quel momento non aveva ancora detto una parola.

<< Oh beh >> Lucille si sentì a disagio, sembrava pendessero dalle sue labbra, << in realtà da questo momento la storia è molto confusa. Si sa solamente che il ragazzo, a causa delle molte malattie di cui era affetto, morì improvvisamente. La giovane moglie, rimasta sola, cercò aiuto da popoli stranieri perché spaventata forse dal fatto di poter essere sottomessa dai sacerdoti che, -ricordatelo bene questo ragazzi- avevano molto potere all'epoca >>

« Un po' come oggi » fece la battuta Marco, il più piccolo di quel piccolo ma folto gruppo.

<< Precisamente >> rispose la 'protagonista' della giornata senza perdere nemmeno per un secondo la concentrazione, << ma a quei tempi era molto peggio Marco, credimi >>

<< Altro che potrebbe esserci d'aiuto? >> chiese a quel punto Lucy ma la francese scosse il capo. Quelle nozioni erano più che sufficienti se si badava alla questione del 'nessuno ci pensa più a lui', quindi cosa avevano da preoccuparsi? Sarebbe andata alla grande per tutti!

Quella sera, di ritorno a casa, Lucille si scoprì a pensare a quel giovane ragazzo morto per chi sa quale motivo. Che pena le faceva, in così tenere età, -perché lo era- perdere la vita e prima ancora due figli, essere malato e in più figlio di un faraone eretico, non doveva essere stato facile per il giovane sovrano.

<< Ehi Lucille, tutto bene? >> la madre, vedendola più pensierosa del solito pensò ci fosse qualche problema in corso. Ma sapeva che la ragazza non ne avrebbe parlato nemmeno sotto tortura, erano cresciute insieme ignorandosi la maggior parte del tempo. La madre faceva la parte della madre al meglio mentre la figlia contribuiva comportandosi come tale al massimo della forza. Scosse il capo difatti e 'no' disse, 'va tutto bene' ma non avrebbe ingannato nessuno. Continuò a mangiare senza voglia alcuna la fetta di carne che aveva di fronte, lei che amava la carne, ma nel frattempo un solo pensiero fisso in testa: Tutankhamon. Durante il ritorno un nuovo pensiero le si era affacciato nella mente; e se fosse stato assassinato? A quell'epoca era quasi il pane quotidiano di ogni persona ma era certa che un assassinio, soprattutto di un faraone, non sarebbe potuto passare inosservato. Ma aveva fatto i conti senza l'oste, in quel caso Ay, il gran sacerdote di Amon, del quale era assolutamente sicura della colpevolezza.

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Capitolo 2
*** Capitolo_2 ***


 Quella notte, come c'era da aspettarsi dopo tutti i discorsi fatti durante la giornata, fece uno strano sogno. Si trovava in un lungo corridoio illuminato solo da piccole fiammelle di luce disposte lungo i lati. Stava scappando, inseguita da un'ombra oscura che incombeva sempre più su di lei. In sottofondo poteva sentire urla strazianti di bambini e adulti che, seppur lontane da lei, le fecero accapponare la pelle costringendola a correre sempre più. Quando poi stava per raggiungere finalmente l'uscita un buco davanti a lei la inghiottì improvvisamente. Grazie alla sensazione del cadere si svegliò di soprassalto, madida di sudore e spaventata a morte.

<< Mio Dio che sogno orrendo >> disse in un sussurro mentre si alzava per andarsi a prendere un bicchiere di latte fresco. Berlo durante il giorno, o la notte, la rimetteva in sento. Adorava il sapore fresco della bevanda, non troppo deciso ma nemmeno nullo. Ne approfittò anche per andare al bagno e guardandosi allo specchio capì di aver bisogno di due cose in quel momento; dormire e qualche giorno di ferie, non necessariamente in quest'ordine. Sospirò mentre si passava una mano sul viso spostandosi i capelli all'indietro, gli esami la stavano portando davvero sull'orlo dell'esaurimento ma fino alla loro fine non c'era nulla che lei potesse fare per far fronte alla situazione. D'altra parte, come lei, c'erano dentro altri duemila ragazzi almeno e non poteva certo pretendere di essere quella speciale, quella che "mi riposo perché sono stanca".

Si risciacquò il viso sperando così di scacciare un po' della stanchezza che si andava accumulando sempre più con il passare del tempo e dei giorni ma non ottenne esattamente l'effetto sperato se non quello di sembrare adesso un panda malmenato. Sbuffò, tutta quell'ansia e quell'agitazione dovuta agli esami la stava facendo impazzire. Sia chiaro, lei amava imparare, amava buttarsi a capofitto in strane avventure che le avrebbero fatto accrescere il suo bagaglio culturale già notevolmente avanzato -come quella volta, l'anno precedente, in cui era partita da sola alla volta della Germania per una visita lampo al Museo Egizio di Berlino-, ma quelle notti insonni, gli strani sogni e tutto ciò che ne conseguiva, non facevano per lei e non vedeva l'ora che tutto quello finisse.

Come ormai di routine iniziò a prepararsi per la nuova giornata, che l'avrebbe portata in uno dei musei principali della sua città. Amava quelle giornate libere perché poteva andarsene in giro dove voleva e soprattutto per quanto tempo voleva senza incarichi, libri e quaderni che la richiamassero all'attenzione. E poi l'idea di passare due ore in un museo la elettrizzava, osservare l'arte, capirne la storia e cosa ha portato a quello l'artista. Era un mondo a parte per lei, dove di tanto in tanto si intrufolava per poi tornare alla sua monotona e noiosa vita fatta di studio e libri per un pezzo di carta.

 

Quello stesso pomeriggio avrebbe avuto un nuovo incontro con i ragazzi, stavolta la lezione verteva sull'economia, d'altra parte l'esame non sarebbe stato solo sull'antico Egitto anche se tra i molti era quello che incuteva più timore nei giovani, per quale motivo non ci è dato saperlo.

<< Ehi Lucille, vai di nuovo in biblioteca oggi? >>

<< Si mamma, manca meno di una settimana agli esami ormai >> la madre della ragazza si girò a guardarla lasciando da parte spugna e piatti per un attimo. Sfilò i guanti e si diresse verso di lei velocemente prima che fosse troppo tardi, e cogliendola di sorpresa, la abbracciò senza dire una parola. Quando si staccò, dopo molto tempo secondo il modesto pensiero della ragazza, la guardò con un sorriso sornione sulle labbra. E quello cosa avrebbe dovuto essere?

<< Ehm... >> Lucille apprezzava il gesto, apprezzava che per lo meno ci avesse provato, ma non faceva per loro tutto quello così staccò con delicatezza la madre e si allontanò di qualche millimetro.

<< Grazie, si... >> disse con imbarazzo. Le effusioni familiari non erano per lei.

Passò qualche secondo di assoluto ed imbarazzante silenzio prima che una delle due si decidesse a parlare. Per prima lo fece la più giovane che, non ancora del tutto a suo agio in presenza del genitore, mormorò qualche parola senza senso prima di sgattaiolare via dalla stanza e dalla casa, lasciando la madre sola e senza parole. Rimasta lì la donna sospirò affranta, avrebbe dovuto saperlo che non avrebbe ricevuto un riscontro diverso di quello dalla figlia, non con 'l'educazione' che le aveva impartito se di educazione si poteva parlare.

Da parte sua la ragazza si sentiva scossa, con che faccia sarebbe tornata a casa ed avrebbe affrontato la madre? Non era abituata a tutto quello, non era stata cresciuta esattamente a suon di coccole e baci. Nemmeno sotto martiri e torture, intendiamoci, solo...in modo diverso dal 'normale'. Ma in fin dei conti cosa poteva essere definito normale in quell'epoca? Si guardò intorno, la città si estendeva intorno a lei sotto i caldi raggi del sole pomeridiano tra clacson e urla di bambini. Come al solito camminò in lungo e in largo fino a raggiungere il bar dove era solita andare,

<< Lucille, iniziavo quasi a preoccuparmi >> interruppe la sua sfilza di pensieri il barista, Daniel, divenuto suo amico grazie ad una mal' interpretazione di uno dei suoi primi ordini.

A volte, quando sono in vena di ricordare il passato ancora ne parlano.

 

Quella mattina era partita come tutte le altre per la nostra giovane protagonista, non poteva sapere però che di lì a poco avrebbe conosciuto lui; l'unico con la quale sarebbe stata in grado di confidarsi nei giorni a venire, l'unico che l'avrebbe protetta da tutto e tutti qualunque cosa fosse successa. Si era diretta, per la prima volta, verso la sua nuova scuola. Per gli ultimi due anni le avevano cambiato sede quindi si sentiva anche un po' nervosa; e se si fosse persa? E se i ragazzi che già frequentavano quell'istituto non l'avessero accettata? Insomma, classici dubbi da adolescenti, nulla di nuovo. E poi, continuava a ripetersi lungo la strada, la classe ed i ragazzi non sarebbero cambiati, gli stessi con i quali aveva trascorso gli ultimi tre anni della sua vita e per fortuna, si ripeté ancora, Lucy e Nicoletta sarebbero state ancora con lei.

La prima cosa che notò arrivando in zona, fu un piccolo bar. Dall'esterno aveva l'aria del classico bar di borgo: piccolo, semplice, ma decisamente carino. Nello stile più ricercato nei tempi moderni, lo shabby chic, e fu proprio quel piccolo particolare a far si che prendesse coraggio per entrare. Fu la miglior decisione della sua vita!

<< Buongiorno >> la salutò con un sorriso il ragazzo al bancone,

<< Salve >> rispose lei poi prese a guardarsi intorno. Quel posto le piaceva già. Di un tenue color 'verde tiffany' come lo chiamava lei, le pareti non erano troppo alte come in altri locali. Diviso su due piccole sale unite tra loro, il locale portava una capienza di almeno trenta persone, l'ideale anche per organizzare rinfreschi o cenette veloci. Lasciò vagare lo sguardo tutt'intorno,i tavolini -piccoli e tondi- erano in ferro anticato così come anche le sedie, ridipinte per eguagliare il resto dell'ambiente. Mensole di legno, probabilmente ricavate da vecchie casse di frutta ridipinte per il luogo, facevano da contorno al ben di Dio che, senza preavviso, le si stagliò davanti agli occhi quando finalmente le vide; le vetrine con i dolci.

Al loro interno si stendeva una lunga fila di squisitezze partendo dalle classiche brioche, ai croissant francesi al burro. C'era il 'pan au chocolat', i donuts di ogni gusto e dimensione. Sul bancone tre grossi recipienti tondi e coperti la facevano da padrone, in uno una distesa di spiedini di palline di cioccolato al latte, bianco e fondente a forma di cuore. Erano messi a forma di piramide ed erano una delizia per gli occhi. Nel secondo, muffin. Di ogni gusto disponibile. Avevano un'aria così soffice e fragrante che la ragazza sentì l'acquolina salirle alla bocca! Si guardò ancora intorno, c'era il pan brioche, i panini al latte con o senza gocce di cioccolato. I classici macarons riempivano una sezione tutta loro mentre subito di fianco, una sfilza di girelle cioccolato e vaniglia e torte, tante torte tra cui la sua preferita; quella ai frutti di bosco. Notò anche quella al tè matcha, prerogativa giapponese, e prese nota di assaggiarla prima o dopo. Camminò ancora e, non l'avesse mai fatto, nell'angolo più remoto, nascosta, c'era lei. La cascata di cioccolato. Si girò verso il ragazzo,

<< Scusami, è al latte? >> osò chiese, lui annuì e quella, oh si, quella fu la sua rovina. Non guardò altro, scelse un posto sul lungo divanetto e attese l'arrivo del ragazzo che le avrebbe preso l'ordinazione. Chiese un caffè macchiato, una cosa molto semplice da fare, no? Eppure il ragazzo fu in grado di sbagliare, portandole al tavolo un caffè shackerato che finì con il bere lui stesso dopo cinque minuti di scuse e mortificazioni in compagnia della nuova arrivata che, dal lato opposto del tavolo, si gustava infine la sua ordinazione, quella giusta stavolta!

 

<< Ehi >> tornata al presente, Lucille rispose al saluto avvicinandosi al bancone per il bacio di rito sotto lo sguardo geloso di alcune ragazzine che, poteva metterci la mano sul fuoco, aveva visto almeno altre cinque volte a quello stesso tavolo. Sapeva l'effetto che Daniel faceva alle ragazze e all'inizio lo aveva fatto a lei stessa, fino a quando aveva conosciuto lui, Marco, il nuovo arrivato dall'Italia, moro ed occhi verdi, una bellezza quasi eterea diventato popolare tra le ragazze -ed alcuni ragazzi- dopo soli quattro giorni. Ora studiavano insieme, ma i loro rapporti non erano sempre stati buoni. Anzi, all'inizio si odiavano si potrebbe dire, la scintilla venne loro data...beh, dalla professoressa quando assegnò loro il gruppo B di studio per gli esami non più tardi di sette giorni prima. Si poteva dire stessero facendo una tregua anche se non era esattamente il termine adatto. Ad ogni modo aveva in quel modo la possibilità di osservarlo ogni giorno, le sue abitudini e le sue piccole imperfezioni che, come tutti, aveva, erano diventate il suo pane quotidiano e non passava giorno senza mandare un messaggio al povero ragazzo ora di fronte a lei per informarlo del più minimo movimento del 'dio'.

<< Cosa succede? >> le chiese lui notando la sua espressione, << il 'dio' ha respirato male? >> era il loro modo tutto personale di chiamarlo, la ragazza lo guardò in tralice e si mise le mani sui fianchi sbuffando mentre l'altro, ridendo di gusto, iniziò a prepararle il caffè.  

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Capitolo 3
*** Capitolo_3 ***


 Anche lui aveva imparato a memoria le abitudini della sua amica; il modo in cui prendeva il caffè diceva molto riguardo alla sua situazione fisica e mentale ed il fatto che non lo avesse ancora ordinato di sua spontanea volontà voleva dire solo una cosa, non c'entrava il ragazzo italiano in quell'espressione triste ma qualcosa di più profondo e lui avrebbe fatto di tutto per scoprire la verità ed aiutare la ragazza. Non era da molto che la conosceva, si era ritrovata nel suo bar per puro caso quel giorno lo sapeva bene, in quel periodo quello incasinato era lui, -tra l'essersi lasciato con la fidanzata di un vita ed aver perso l'unico lavoro veramente bello che avesse mai avuto- e per questo motivo quel particolare giorno era ancora impresso vividamente nei suoi occhi. Era iniziato come il peggiore della sua vita per concludersi con una nuova amica e, non l'avrebbe mai detto, colei che sarebbe diventata la sua confidente più importante. Quando tutto diventava semplicemente troppo per lui gli tornavano alla mente le parole che Lucille, dopo tre ore passate a parlare di Astrid, la famosa ex ragazza, gli aveva detto per tirargli su il morale. Quella piccola consolazione fatta di poche ma semplici parole era stata abbastanza per far si che la sua vita riprendesse a scorrere normalmente come era prima di lei. Aveva perfino smesso di fumare e il sabato sera, quando si ritrovava con gli amici, ora lui era quello che li riportava a casa. Si era reso conto che stava buttando tutto a rotoli per nulla, ma forse serviva proprio lei e per fortuna era arrivata, forse giusto in tempo. Quell'incontro che gli aveva cambiato la vita gli aveva fatto tornare anche l'amore per essa, diplomato in storia dell'arte, Daniel non aveva mai sfruttato il suo titolo di studio per potersi aprire quel piccolo bar. 'E' un settore che non fallirà mai' era la sua scusa ogni volta che qualcuno gli chiedesse delucidazioni e forse aveva ragione, ma Lucille era decisa a fare di lui un artista a maggior ragione dopo aver saputo che i quadri ed i vari disegni su quelle pareti, colore compreso, era opera sua. Anche la voglia di darsi da fare sul lavoro era tornata e adesso si ritrovava a volte ad aprire perfino mezz'ora prima rispetto all'orario, ma solo quando sapeva che Lucille iniziava in anticipo le lezioni. Non lo avrebbe mai ammesso nemmeno sotto tortura, ma in fondo fin dal primo momento aveva provato qualcosa di forte per quella strana ragazza 'innamorata' di un faraone morto più di tremila anni prima. Scosse il capo alla sua domanda ma invece di rispondergli sbuffò ancora lasciandosi poi andare contro il bancone. Ridendo, il ragazzo allungò la mano a ravvivarle i capelli e si abbassò per arrivare con il viso al suo stesso livello,

<< Ti va di parlarne con il vecchio Dan? >> scattò in piedi lei, batté le mani sul bancone e proruppe in un semi grido liberatorio iniziando poi a parlare a ruota libera. In meno di cinque minuti erano uscite dalle sue labbra almeno un miliardo di parole, alla fine delle quali il povero malcapitato si sentiva quasi più confuso di prima. Quello che proprio non capiva era...

<< Un abbraccio? Tu stai così per un abbraccio di tua madre? >> scoppiò a ridere perché era una cosa così assurda che per un attimo pensò che la giovane lo stesse prendendo amabilmente per i fondelli. Quando però vide che la sua espressione non mutò e anzi, si fece ancora più seria, capì che forse non stava scherzando.

<< Oh andiamo >> le disse allora serio anche lui e poggiandole una mano sulla spalla, << non puoi essere seria >> ma un suo sguardo gli fece capire che poteva esserlo, eccome se poteva. Con la mente tornò a molti anni addietro, lei non era figlia unica ma l'ultima di una numerosa famiglia ormai dispersa in lungo ed in largo. Le sorelle, ne aveva tre più grandi, erano tutte laureate e molto gettonate nelle loro professioni. Il fratello, diplomato da pochi anni, viveva a Londra dove era un medico e non solo, era il capo reparto. Poi c'era lei, la bambina che non era nemmeno così tanto intelligente come loro ma che, non si sa come, era arrivata comunque a diplomarsi. Diciotto anni, un diploma alle porte ma ancora senza una casa propria o un fidanzato, e quello per la sua famiglia era una vergogna. Originaria di un piccolo paese conservatore era cresciuta all'ombra degli altri che prima di lei crescevano, mettevano su famiglia e si trasferivano per diventare persone importanti. E lei? Lei viveva ancora con i genitori e loro non mancavano occasione per farle pesare la sua situazione. Con la madre era una lite ogni momento, con il padre nemmeno a parlarne. A volte aveva passato giorni e giorni senza rivolgere loro la parola nella speranza che capissero che quel comportamento le faceva male, ma cosa otteneva? Solo più parole cattive e più lacrime sprecate per persone che non ne valevano nemmeno la pena, ed ecco perché un abbraccio da quella persona era strano. Le faceva rabbia, si, perché con lei non era mai stata capace di comportarsi come madre e solo ora, solo perché stava per raggiungere un minimo traguardo, si ricordava della parola 'affetto' e lei a queste regole non ci stava.

<< A volte vorrei svegliarmi e scoprire di non essere più in quella casa, di aver fatto solo un lunghissimo brutto sogno >> si confidò, Daniel sbuffò,

<< Non essere così crudele con loro, sono sempre i tuoi genitori in fondo. Sono un po'...vecchio stile, forse, dovresti provare a capire per quale motivo... >> ma lei non volle sentire altro. Con un colpo contro il bancone e qualche parola urlata lasciò il locale sotto lo sguardo attonito del ragazzo e di qualche povero cliente -le ragazzine erano andate via da un po'-.

<< Accidenti >> fu l'ultima parola del barista che rimase fermo a guardare il corpo di Lucille allontanarsi, fino a sparire.

 

<< Ragazzi, io oggi non ne ho voglia ve lo dico. Se facessimo una pausa? >> era ormai pomeriggio inoltrato. Lucille si era diretta alla biblioteca della città dopo aver lasciato il bar in anticipo per l'appuntamento con i compagni. Il primo ad arrivare fu Federico che la salutò con il suo solito 'ciao bella' all'italiana, era così dolce quando parlava la sua lingua. Dopo di lui arrivò Heidi che sorrise loro da lontano agitando la piccola e delicata mano in segno di saluto. Quando poi ci furono tutti si diressero al loro tavolo preferito iniziando con le lezioni di quel giorno ma Marco, il 'dio', aveva appena deciso di porci fine con la sua uscita.

<< Andiamo, Marco, abbiamo appena iniziato >> Nicoletta lo rimproverò seppur a modo suo, ma il ragazzo la ignorò alzando le spalle e lanciando occhiate tutt'intorno nella speranza di trovare un sostegno da parte di almeno uno dei compagni, sostegno che arrivò -ovviamente- solo da Federico che annuì, mano sotto il mento e sguardo perso nel vuoto, mormorando un 'siamo lo stesso stanchi, serve una pausa' che fece sospirare le povere ragazze costrette a quel punto ad alzarsi per seguirli all'esterno della biblioteca dove l'unico bar era quello di Daniel. Un sole accecante accolse la loro ora d'aria facendoli pentire all'istante di aver lasciato quel refrigerio per avventurarsi nell'arido deserto del Sahara cittadino. Grazie a Dio quel ragazzo aveva l'aria condizionata, e come poteva essere altrimenti, così quando entrarono, -da notare che il giovane salutò l'amica come se la lite di poco prima non fosse mai avvenuta- corsero a posizionarsi non al loro solito tavolo nell'angolo, bensì a quello posto di fronte il condizionatore. Nel vedere quella piccola scenetta il ragazzo rise divertito, li conosceva da troppo tempo per poter anche solo pensare di dir loro qualcosa e poi, pensò, cosa avevano mai fatto di sbagliato nell'occupare un tavolo da dieci in sei? Tanto a quell'ora non sarebbero mai entrate dieci persone! Dopo quel siparietto il barista si avvicinò loro;

<< Cosa vi porto ragazzi? >> ognuno scelse ciò di cui più aveva voglia o bisogno, come nel caso di Heidi e Lucille tanta acqua fresca, e quando il ragazzo si fu allontanato, Lucy si avventò proprio su quest'ultima.

<< È il tuo migliore amico, vero? >> chiese, gli occhi che mandavano scintille.

<< Si >> fu la risposta tesa della ragazza, certi comportamenti la mettevano in imbarazzo. Lo sapeva che era un ragazzo molto piacente, ma lei non era mica Cupido! Ma come volevasi dimostrare;

<< Non me lo faresti conoscere? >> continuò lei, e stava per risponderle quando Federico la precedette urlando quasi "piantala di infastidirla, Lucy!" tanto che si spaventarono tutte, non lo avevano mai visto reagire a quel modo a qualcosa. La ragazza lo guardò truce ma non disse nulla. Braccia incrociate al petto ed espressione offesa, sembrava proprio una perfetta dama inglese dell'epoca vittoriana sedotta ed abbandonata dal suo Lord, certo le mancavano balze e merletti, ma non era quella la cosa importante in quel momento.

<< Cerchiamo di stare calmi >> si intromise Nicoletta, << Federico, cosa ti prende? >> guardò l'amico che però non si degnò nemmeno di rivolgerle uno sguardo. Sapeva di essere in errore probabilmente e ciò di cui meno aveva bisogno era una ramanzina da parte di quella ragazza. Non sapeva nemmeno lui perché aveva reagito in quella maniera, o meglio certo che lo sapeva, non era un folle, solo che non era ancora pronto forse ad ammetterlo con se stesso prima che agli altri. Con un sospiro profondo pose fine ad ogni discussione e preso il cellulare cercò di nascondersi dietro quella tastiera luminosa. Grande invenzione, pensò, chi sa come doveva vivere la gente quando non c'erano distrazioni in grado di permetterti la fuga da conversazioni imbarazzanti! E a proposito di conversazioni imbarazzanti, quei discorsi gli avevano portato alla mente il primo incontro con il suo gruppo, pochi giorni prima in realtà ma a lui sembravano già un'eternità, quando la professoressa iniziò a snocciolare quei nomi che sarebbero stati insieme al suo capì che la sua vita stava per finire, con un nome in particolare. Al sentirlo si voltò verso la persona interessata e per poco non fece un balzo in tipico stile italiano urlando 'no, non lo accetto', per fortuna non lo fece. Quello che invece fece fu iniziare a pensare stratagemmi, scuse, viaggi improvvisi e quant'altro per non dover partecipare a nessuno degli incontri, la missione fallì nell'esatto momento in cui la professoressa elencò le conseguenze per i 'disertori'. E così accettò di buon grado il suo destino e quel pomeriggio si avviò in biblioteca al loro primo incontro, con l'aria di un condannato a morte.

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Capitolo 4
*** Capitolo_4 ***


 << Eccolo, il solito ritardatario! >> lui che voleva passare inosservato almeno ancora per qualche secondo, vene messo alla gogna pubblicamente dopo meno di mezzo secondo da Marco, il suo più caro amico, ma solo perché italiano come lui. Era brutto da dire, ma in una città straniera dove non conosci praticamente nessuno, i pochi con i quali riesci a capirti sono le stesse persone che, a casa, odieresti. E Marco era una di quelle; antipatico come pochi, un ego pari solo a quello dei faraoni dell'antico Egitto, era riuscito a fare amicizia con lui solo perché unico in grado di capirlo nel raggio di chilometri. Almeno inizialmente, adesso che era riuscito a farsi qualche amico -molti di più rispetto all'altro che era sempre solo- gli rimaneva vicino per abitudine e perché consapevole di non essere attraente, 'usufruiva' della sua notorietà per farsi notare dalle ragazze. L'unica però che lui avrebbe voluto lo notasse, non lo calcolava minimamente. La cosa lo faceva stare ogni giorno più male, non capiva cosa avesse di meno rispetto ad altri, per quale motivo non meritava di essere felice. Quella poi fu l'ultima goccia. Senza dire una parola, senza dar adito agli amici di fermarlo, con un balzo felino lasciò il proprio posto ed il locale mormorando qualche falsa scusa. Nessuno comunque lo seguì, nessuno tranne Lucille che, come suo solito, si comportava da crocerossina. Quando uscì all'esterno del locale però non lo vide in nessuna direzione. Dove poteva essere andato, ma soprattutto cosa era successo per farlo reagire a quella maniera? Una mezza idea l'aveva, così come aveva tutte le intenzioni di prendere a calci la sua insensibile amica che quando tornò dentro mancava dal suo posto. La trovò quasi subito però, seduta al bancone, gambe accavallate e mani intrecciate sotto il mento, stava tentando di civettare con il ragazzo che sembrava alquanto in imbarazzo. Pensò che comunque non sarebbe servito il suo aiuto a nessuno dei due così torno al tavolo dove una previdente Nicoletta aveva portato un libro che ora era lì, aperto in mezzo al tavolo davanti all'espressione attonita del povero Marco che sperava di passare qualche ora senza dover leggere quelle righe.

<< Andiamo, Nicoletta! >> lo sentì infatti dire una volta arrivata al tavolo, << prendiamoci una pausa, che diamine >> ma la ragazza reagì con espressione stizzita e da maestrina. Batté la parte inferiore di una penna cacciata da chi sa dove più volte sulle pagine piene di sottolineature del suo libro,

<< Mancano pochi giorni agli esami >> disse in tono solenne, << e noi siamo ancora a...a zero! >> concluse guardando Lucille come fosse lei la colpevole per quello. Ma la ragazza non aveva alcuna intenzione di sentirsi colpevole per qualcosa che non aveva previsto, così senza nemmeno dare alla ragazza la soddisfazione di ricevere una sua reazione si alzò, avvicinandosi al bancone e alla ragazza cercando di trovare un modo per allontanarla dal povero Daniel che, proprio in quel momento, la stava guardando con espressione esageratamente esasperata; non era difficile dedurne il motivo.

 

Un'ora dopo erano di nuovo in biblioteca. Federico aveva deciso di non tornare così passarono il resto della mattinata ad organizzarsi stilando una lista con argomenti, giorni ed orari in cui sarebbe stato buono per tutti incontrarsi e studiare giungendo così ad una conclusione abbastanza esaustiva per tutto il gruppo.

Nei giorni seguenti la situazione tra di loro non sembrò migliorare. Lucille provò a contattare Federico senza ottenere risultati, così fu costretta a chiamare Marco. Era certa che a lui avrebbe risposto! Così fu, quando all'appuntamento fu lei a presentarsi piuttosto del ragazzo, Federico ne fu molto deluso ma non le importò, c'erano questioni più importanti a cui pensare.

<< Arriviamo al punto Fede, vuoi dirmi tu cosa sta succedendo o devo tirartelo fuori io? >> aveva tutte le migliori intenzioni e di certo non si aspettava una risposta da quel ragazzo così orgoglioso, invece lui la stupì e cogliendola di sorpresa iniziò a parlare. Iniziò da un lontano giorno di maggio di due anni prima, continuando per l'estate dell'anno successivo finendo con la creazione di quel gruppo di studio. Ogni cosa stava riprendendo il proprio posto grazie al racconto del ragazzo e delle piccole cose che sembravano senza senso ora lo acquistavano, si sentì perfino un po' sciocca per non averci pensato prima, insomma, era così evidente a conti fatti! A fine racconto comunque, la ragazza offrì un tè all'amico che sembrava prossimo al collasso a causa di tutte quelle rivelazioni e tra una battuta ed una risatina, cercò di riportarlo con il morale sulla retta via. Ogni sorso di quella bevanda magica sembrava rilassarlo sempre più, aveva fatto bene a consigliargli quello piuttosto che altro; non avrebbe sorbito lo stesso effetto.

<< Hai qualche consiglio? Tu sei una ragazza >> Lucille lo guardò a bocca aperta ma il fatto che almeno se ne fosse reso conto era un passo avanti. Ci pensò su qualche minuto, che consiglio poteva dare ad un povero ragazzo vittima di un amore non corrisposto? Alla fine sospirò, non era in grado di dare consigli, gli spiegò, quando lei stessa si trovava in una circostanza simile.

 

Quella notte Lucille non riuscì a dormire. Fece strani sogni pieni di sotterranei bui e ragazze che ridevano sguaiatamente. Occhi la osservavano nell'ombra e lei, messa all'angolo senza via di fuga, si ritrovava succube di quel trattamento meschino dato sicuramente dall'angoscia che aveva provato in quegli ultimi giorni tra gli amici e gli esami, sempre più prossimi. La cosa però andò avanti per i tre giorni successivi e alla quarta notte in cui si svegliò di soprassalto, madida di sudore ed ansimante di paura, decise che qualcosa andava fatto. Si alzò dal letto, in punta di piedi si diresse al bagno dove si tamponò la faccia con acqua fresca prima di farsi una bella tazza di tè caldo. Per lei era un toccasana contro l'insonnia, molto più che della camomilla, erroneamente creduta dal resto delle persone un ottimo antidoto.

Seduta al tavolo della cucina ripensò agli ultimi avvenimenti; Marco, il gruppo di studio, la sua strana amica che on era capace di capire i sentimenti di Federico pur essendo una ragazza sveglia, lo stesso ragazzo, che non sembrava intenzionato a rivelarli molto facilmente ed infine, ma non per importanza, gli esami in avvicinamento. Sospirò, era l'unico modo per raggiungere il suo sogno, cioè quello di frequentare l'università. L'idea di girare liberamente tra quelle aule e quei corridoi l'aveva sempre affascinata, la vita del campus e le feste notturne, le uscite, i ragazzi...cosa poteva esserci di meglio? Il risultato finale, si disse, avere finalmente la possibilità di fare il lavoro dei suoi sogni e chiunque la conoscesse era in grado di dire quale fosse. Sorrise immaginandosi tra le calde dune desertiche a scavare urlando ad altri di fare lo stesso. Si immaginò litigare con i più alti esponenti del governo egiziano per questo o quel sito nel quale effettuare gli scavi. Istintivamente si portò una mano sulla spalla destra pregustando già i forti dolori che ben presto le sarebbero sopraggiunti ma non le importava, non fin tanto che si trovava in quella magica terra, colei che l'aveva fatta 'avvicinare' al suo migliore amico, come amava definire lei il giovane re bambino: l'Egitto.

 

Quando gli incubi divennero troppo frequenti comparendo alle volte anche durante il 'riposino pomeridiano', al giorno prima degli esami decise di andare a fare una lunga camminata. Magari si sarebbe stancata al punto da crollare e dormire senza distrazioni.

C'era il gruppo però, l'ultimo giorno in cui avrebbero studiato insieme.

L'ultimo giorno in cui avrebbe visto lui, abbastanza vicino da sentirne il respiro. Quella sensazione di tristezza la accompagnò per l'intera mattinata, forse anche per quello aveva deciso di restare sola con se stessa quel pomeriggio, non voleva partecipare ai saluti, agli auguri per una buona riuscita all'esame, anche se lo avrebbero fatto insieme nello stesso giorno, facendo parte dello stesso gruppo con lo stesso orario.

Persa tra i suoi pensieri, non si era accorta di essere già arrivata nel piccolo sprazzo di terra solitaria poco distante da casa sua. Quel giorno il sole cocente inondava la città con i suoi così raggi ed il rumore del fiume, che scorreva poco distante da lei, iniziava a produrre già i suoi benefici facendo sentire la ragazza intorpidita e rilassata. Non aveva nulla con se, non una borsa, non il cellulare; c'era solo lei, lei ed il silenzio. Quanto lo amava il silenzio, sarebbe volentieri scappata su una di quelle isole deserte di cui aveva spesso sentito parlare, quei posti da paradiso per pochi eletti con le possibilità fisiche ed economiche, possibilità che lei non avrebbe mai avuto ovviamente. A volte, pensava, avrebbe voluto nascere abbastanza geniale da essere in grado di costruire una macchina del tempo per poter fare avanti e indietro dalle sue epoche preferite, sapeva bene quale sarebbe stata la prima tappa di quel lungo ed intrigante viaggio.

Stava ancora pensando a ciò che avrebbe fatto se solo avesse avuto una vita ed una condizione diversa, quando andò a sbattere contro qualcosa, o meglio, qualcuno.

<< Oh, mi scusi. Non l'avevo vista >> alzò il viso, si trovò di fronte un giovane che le sorrise. Non lo aveva mai visto, ma forse non era nemmeno della zona.

<< Non preoccuparti, non mi sono fatto nulla >> rispose lui con tono gioviale. Lucille non risposte e tanto meno gli sorrise, restò impassibile di fronte a lui sperando in qualche apparizione divina forse che le dicesse il da farsi e quando ciò non avvenne un leggero accenno di sorriso comparve sul suo viso,

<< Beh, scusa ancora >> disse, poi fece per avviarsi e tornare sulla sua strada ma una voce la bloccò. Si girò ed il ragazzo era ancora lì, fermo di fianco la superficie liscia del fiume, che la osservava serio. Andò verso di lei, ed allungando una mano -spaventata; lei indietreggiò- le cacciò qualcosa tra le sue. Passato lo sgomento diede un'occhiata scoprendo un piccolo scarabeo dorato che la osservava immobile dal basso del suo palmo. Velocemente rialzò gli occhi al ragazzo per chiedere spiegazioni, ma era sparito. Si girò indietro, guardò ai lati e ancora avanti. Nulla, come se non fosse mai nemmeno stato lì. Cosa stava succedendo? Confusa e anche un po' spaventata, Lucille decise di tornare verso casa dove sarebbe stata al sicuro ed infilato il piccolo scarabeo in tasca iniziò a correre.  

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