Non tutto ciò che vacilla cade

di Elykei
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sexy non è mai stato il mio secondo nome! ***
Capitolo 2: *** Uno strozzino in famiglia ***
Capitolo 3: *** Amori impossibili e soluzioni fantasiose ***
Capitolo 4: *** Tutto lavoro e niente gioco! ***
Capitolo 5: *** Primo Incontro ***
Capitolo 6: *** Sushi e Noccioline ***
Capitolo 7: *** Fiji Club ***
Capitolo 8: *** Debora che fine hai fatto? ***
Capitolo 9: *** 007 Operazione ritorno a casa. ***
Capitolo 10: *** Meglio un'interrogazione di un interrogatorio. ***
Capitolo 11: *** Canta che ti passa. ***
Capitolo 12: *** Opinioni divergenti ***
Capitolo 13: *** Anche i mostriciattoli possono essere utili ***
Capitolo 14: *** Le cose che non vuoi sapere. ***
Capitolo 15: *** Obi-Wan aiutami tu. ***
Capitolo 16: *** La città bianca. ***
Capitolo 17: *** Ti va una rimpatriata? ***
Capitolo 18: *** Gin tonic e Casquè ***
Capitolo 19: *** 19 Amicizia > Chimica ***
Capitolo 20: *** Ama il tuo prossimo. ***
Capitolo 21: *** Zucchero filato. ***



Capitolo 1
*** Sexy non è mai stato il mio secondo nome! ***



Sexy non è mai stato il mio secondo nome.

 

Buongiorno a tutti io sono Elykei e qui ha inizio la mia prima storia!

Piccole precisazioni pre-capitolo;

- Il titolo dell'intero raccolto è una citazione di Michel de Montaigne;

- Nella storia viene mezionata la successione delle classi nei licei classici che non è come quella di tutte le altre scuole superiori che vanno dal primo al quinto. Nel classico i primi due anni sono denominati quarto e quinto ginnasio e gli ultimi tre anni sono il primo liceo, il secondo liceo ed il terzo liceo;

- Questo primo capitlo è per lo più un prologo per introdurre la protagonista e e il suo modo di pensare (e per capire se questa storia può risultare interessante ma sssh non ditelo a nessuno) per questo è così corto, i prossimi saranno più consistenti promesso

- Purtroppo come Margherita anch'io quest'anno devo combattere contro gli esami quindi mi conviene scusarmi in anticipo poichè gli aggionamenti non potranno essere regolari, cercherò di far uscire un capitolo ogni due settimane, in quelle più fortunate potrei arrivare ad uno a settimana, ma se non ci riuscissi vi prego di comprendermi >.<

- I fatti e i personaggi della mia storia sono frutto della mia immaginazione perciò ogni riferimento a persone o situazioni reali è puramente casuale.

Direi che per essere il pirmo capitolo ho blaterato già abbastanza, vi lascio alla vostra lettura.
Fatemi sapere cosa ne pensate.

xx Elykei




 

 

Terzo giorno d’assenza, naso gocciolante, busta dei fazzolettini usati da un lato de letto, rotolone super delicato dall’altro e una pila di Dvd tra i quali poter annegare.

Ero sicura di rappresentare l’immagine della pura sensualità.

Se l’uomo della mia vita fosse per sbaglio entrato in quel momento nella mia camera ne sarebbe subito uscito per andare a chiedere alle moire, all’angelo del destino o a chicchessia di trovare un modo per cambiare le cose, e io non l’avrei potuto di certo biasimare.

Anche perché il pigiama rosa a cuoricini, le occhiaie e la bandana contro il mal di testa completavano il quadro anti-sesso.

Persino la mia famiglia mi diceva che ricordavo uno zombie.

Piper di “Streghe” stava facendo esplodere un demone in tv quando sentii aprire la porta di casa.

- Amore sei sveglia?  -.

- Ehi mamma -.

- Hai una faccia! -.

Puntuale come un orologio svizzero Luca se ne uscì con uno dei suoi commenti pieni d'affetto.

- Grazie mille fratello, i tuoi complimenti mi fanno sempre arrossire -.

- Ti servirebbe sei praticamente un cadavere -.

Dopo ciò Luca si ritrovò casualmente nella traiettoria di un cuscino volante.

Certo che avere una famiglia che ti supporta in salute e in malattia è davvero stupendo.

-Su su, lascia in pace tua sorella e vai a sistemare la gabbia di Pietro, sono tre giorni che nessuno cambia l’acqua a quel povero pappagallo -.

Mio fratello non era certo rinomato per la sua voglia di aiutare in casa, infatti alla richiesta di mia mamma seguì uno sbuffo e un: perché devo farlo io?

-Perché tu sei quello che vuol andare a giocare a calcio oggi e che soprattutto non ci vuole andare a piedi, e io sono quella con la patente che non può certo accompagnarti se è troppo occupata a badare ad un volatile -.

Minacce non troppo velate, brava mamma fatti rispettare!

-Il mostriciattolo deve giocare anche oggi? -.

- La squadra si deve allenare ogni giorno fino a venerdì perché domenica inizia il campionato -.

Il campionato era in realtà una competizione di due giorni tra le classi liceali della nostra scuola.

Nostra perché io e il piccoletto frequentavamo entrambi il liceo classico “Socrate” di Bari, io che ero la maggiore andavo in terza D, lui di tre anni più piccolo nella quinta della stessa sezione.

Un ragazzino di a mala pena sedici anni normalmente non avrebbe potuto partecipare ma Luca era un talento e avevano trovato una escamotage per farlo giocare.

La mano di mia mamma si posò sulla mia fronte – beh almeno non hai la febbre -.

-No che non c’è l’ho te l’avevo detto al telefono -.

- Non riprendiamo l’argomento, le ragazze della tua età pregano i genitori per poter far festa a scuola e tu invece ti lamenti perché voglio farti stare a casa -.

Ruotare gli occhi mi sembrava la scelta migliore, io non avevo di certo voglia di tornare a farmi interrogare ma dovevo per forza seguire le spiegazioni di chimica, la settimana successiva avremmo avuto una verifica e io non sapevo neanche cosa fossero le ossidoriduzioni.

-Te la senti di magiare o lo stomaco ti dà ancora problemi? -.

- Mi è passata ho solo un po’ di mal di testa ma per resto sto meglio -.

- Bene perché oggi c’è uno dei tuoi piatti preferiti: pizza rustica di ricotta e spinaci con patate al forno! -.

Pizza rustica e patate? Con il mio livello di golosità e l’inversamente proporzionale livello di autocontrollo quelle cose le avrei mangiate anche se avessi ancora avuto la nausea.

-La pizza l’ha fatta la nonna? -.

- certo che l’ha fatta lei, voleva anche darti il dolce ma oggi è meglio non tentare troppo la fortuna, ora alzati e andiamo a tavola è tutto già pronto e possiamo mangiare subito, sempre che tuo fratello abbia avuto il buonsenso di apparecchiare mentre noi chiacchieravamo -.

Luca e buonsenso nella stessa frase?

In sala da pranzo il mio caro fratellino era spaparanzato sul divano a fare zapping e come c’era da aspettarsi la tavola non era pronta.

-Potevi sistemare almeno la tovaglia Lu -.

- Ehi sorella io ho sistemato la casa del tuo pennuto, la buona azione quotidiano l’ho fatta, non mi assillare ora -.

Gli diedi uno scappellotto sulla nuca, magari qualche neurone tornava a funzionare.

-Marghe mettiti comoda sul divano, Luca fai un po’ di spazio a tua sorella mentre apparecchio -.

Un colpo d’anca e riuscii a conquistare un pezzo di divano.

-Non starmi troppo vicina latticino non voglio beccarmi l’influenza -.

- Oh ma sta zitto -.

Una mossa da contorsionista e anche il telecomando divenne mio, per circa trenta secondi, poi il mostriciattolo ne rivendicò il possesso con un pizzicotto sul mio braccio.

Mi arresi alla visione forzata dei “Griffin” chi mai sceglie di vedere Peter che insulta Meg quando ci sono Fry e Bender ad un clic di distanza?

Il fragrante profumo del pranzo arrivò alle narici, dovevo avere quella pizza subito.

Un nuovo messaggio da Delia 14:02:
Margheee  sei ancora viva? Oggi ti va se io e Genna passiamo a fare un saluto?
Messaggio inviato a Delia 14:04:
a vostro rischio e pericolo, sono ancora una macchina sparagermi!
Messaggio inviato a Delia 14:05:
bugia. Ignora quello che ho detto sono quasi quattro giorni che non ho interazioni con esseri umani che non hanno il mio stesso codice genetico, venite a trovarmiii.

Cibo in tavola e visite in programma, la giornata sembrava proprio prendere una bella piega.

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Capitolo 2
*** Uno strozzino in famiglia ***



 

Uno strozzino in famiglia.

Sorpresaa :D avevo detto che avrei pubblicato un capitolo a settimana, e infatti cercherò di attenermi il più possibile a quel programma, ma dato che il capitolo precedente è stato più che altro un paragrafo introduttivo o deciso di ignorare quella e considerare questa di oggi la pubblicazione settimanale!

In realtà oggi ho anche avuto la pagella trimestrale che grazie a chissà quale santo si è rivelata essere più che positiva e allora volevo condividere la mia felicità con voi che leggete questa storia (perché qualcuno che la legge c'è vero?), infine volevo anche ringraziare coloro che hanno iniziato a seguire la mia storia, lo apprezzo molto <3

Ditemi cosa ne pensate in un commento :)

Alla prossima settimana

xx Elykei

 



 

Cibo in tavola e visite in programma, la giornata sembrava proprio prendere una bella piega.

 

 

Erano le sette quando suonò il citofono, Gennaro e Delia erano arrivati.

Avevo cercato di rendermi presentabile uscendo dal pigiamone per infilarmi in un pantalone della tuta grigio e una maglioncino verde.

Dicevano che quel colore stava benissimo con i miei capelli rossi, al momento mi sembrava stare bene anche con il naso arrossato.

Mi legai i capelli e poi aprii la porta di casa.

-Marghe! Finalmente riusciamo a rivederti -.

Il sorriso di Genna era un tocca sana.

Gennaro era una di quelle persone che quando rideva lo faceva con tutta la faccia non solo con la bocca.

-Androni il piacere è tutto mio -.

- Mamma mia che razza di voce hai? -.

La ragazza tanto gentile che torreggiava con il suo metro e settanta sul mio povero amico alto poco più di un metro e una gomma da masticare era Delia una delle persone a me più care.

Ci conoscevamo dalle scuole medie poi al liceo avevamo dovuto separarci perché la sua famiglia si era trasferita in Sicilia per motivi di lavoro.

Purtroppo in quel periodo la nostra amicizia aveva un po’ risentito della lontananza, ma due anni fa era tornata e avevamo riallacciato i rapporti in men che non si dica.

-So che la adori -.

- Mmm mi fa un effetto  -.

Quando rideva Delia buttava indietro la testa e i capelli biondi mossi le svolazzavano manco fosse una pubblicità della Pantene, gli occhi azzurri brillanti completavano il quadro.

In ogni classe c’è una ragazza che piace a tutta la fauna maschile, nella nostra era proprio lei quella ragazza.

Uno degli unici ad essere più o meno immune al suo fascino era Gennaro, più che altro perché da quando lei era tornata dalla Sicilia era diventata la sua compagna di banco ed i due si erano subito resi conto di essere sulla stessa lunghezza d’onda.

Come risultato erano diventati tanto amici che lui riusciva a non farsi ingannare dal carattere provocatorio di Delia.

Gennaro infatti era uno dei pochi a sapere che in realtà alla mia amica piacevano le ragazze.

Con loro due seduti sul divano della mia camera mi andai ad appallottolare nel piumone.

-Scusate ragazzi ma mi fa troppo freddo -.

-Fai pure, più che altro hai qualcosa da stuzzicare? Genna mi ha obbligato a studiare greco non dandomi nemmeno un attimo di tregua e ora sto morendo di fame -.

- Abbiamo taralli oppure dovrebbe esserci un pacco di Kinder paradiso in frigo -.

- Uuh Kinder paradiso, decisamente Kinder paradiso! Genni sii gentile e vai a prendermi tu la merendina, Margherita è ancora malaticcia non mi sembra il caso di farla sforzare -.

La richiesta fu accompagnata dal dolce sbattere delle sue ciglia perfettamente allungate dal mascara e da quella piccola smorfia che faceva con le labbra alla quale nessuno sarebbe riuscito a dire di no.

-Va bene -.

- Grazie tesoro sei un angelo -.

- Povero Ge, lo sfrutti! -.

- Ehi ehi le lezioni sono reciproche, lui mi aiuta in greco io in matematica -.

- Dovresti dare una mano anche a me prima o poi in mate -.

- Quando vuoi tesoro  -.

Delia era un portento nelle materie scientifiche, ci chiedevamo tutti perché avesse scelto il classico.

-Anzi Dede mi serve aiuto in chimica, sono disperata, sul serio -.

- Disperata, che esagerazione! Cosa non sai fare? -.

La mia non era certo un’esagerazione chimica e Margherita Suonabassi non erano mai andati d’accordo.

-Ossidoriduzioni, di quelle so solo pronunciare il nome -.

- Oh finché sono solo quelle non ci vuole nulla, in un paio d’ore ti spiego la procedura e ti faccio esercitare -.

- Il problema e che non sono solo quelle, sto messa male anche con nomenclatura e dissociazioni -.

- Perché parlate di chimica ora? Tieni ne ho preso uno anche per te -.

Gennaro mi porse la merendina, l’avevo già detto che quel ragazzo era un tesoro?

Delia era invece troppo occupata a fissarmi incredula per rispondere alla domanda.

-Ecco mi serve una mano -.

- Una mano? Ti serve un miracolo! Come sei arrivata fino ad oggi senza nomenclatura? -.

- Prima la sapevo, poi dopo il compito ho lasciato perdere e addio mi è sparito tutto dalla mente, ma non fare così aiutami -.

Trascinai la i per una ventina di secondi mentre con le mani pregavo che mi desse retta.

-No Marghe credimi se potessi ti farei tutto ma il compito è tra sei giorni e io sono libera solo sabato, per il resto ho il corso di logica e quello di biologia, non ho davvero tempo scusa -.

Mi abbandonai sul cuscino.

Non avevo alcuna speranza.

- Io forse ho la soluzione -.

- Tutto l’affetto del mondo Ge ma non mi sembra di ricordare che tu fossi poi così ferrato nelle materie della Colangiuli -.

Sbuffò  – Infatti non mi riferivo a me, ma ad un amico -.

Dede accavallò le gambe fasciate dai jeans chiari – Chi sarebbe questo tipo? -.

Genna fece spallucce – è di terza G si chiama Raffaele -.

-Scusa ma se ha la nostra età non le ha appena fatte anche lui ‘ste cose? -.

- Veramente lo scorso anno seguì il corso avanzato di chimica della Foce quindi metà del programma di quest’anno lui l’ha già studiato -.

Una nuova piccola fiammella di speranza si accese in me – E dici che sarebbe disposto a darmi ripetizioni? -.

-Se lo paghi si -.

- Aspetta pagare? Quanto di preciso? -.

- Boh, se vuoi chiamo e chiedo -.

Mi morsi un labbro, la venti euro settimanale non l’avevo potuta spendere a causa della quarantena dovuta alla febbre e tre giorni dopo avrei ricevuto i soldi della settimana successiva quindi qualche spicciolo in più ce lo avevo.

Tu tu. Primo squillo.

-Metto in vivavoce? -.

Entrambe annuiamo.

Tu tu, tu tu. Terzo squillo e ancora niente risposta.

Tu tu, tu tu. – Direi che il tuo amico non risponderà -.

Gennaro scosse la testa  – Lo farà, è solo pigro -.

Tutu. Inarcai le sopracciglia – Iniziamo bene -.

Tu tu. Settimo squillo. Ma a questo tizio non scatta mai la segreteria?

-Pronto -.

Voce roca o è un fumatore incallito oppure..

-Oi Raffa ma dormivi? -.

- Tu che dici -.

Dalia mormorò un “ ahia mi sa che svegliarlo non è un ottimo inizio per chiedere un favore”

-Scusa se t’ho disturbato comunque mi serve un’informazione -.

Un grugnito. – Dimmi -.

-Senti ho un’amica che ha qualche problema in chimica ed un compito imminente e mi è venuto in mente che tu mi avevi detto che cercavi un lavoretto, questo non sarebbe proprio un lavoro ma lei comunque ti pagherebbe quindi non so, nel frattempo che cerchi qualcosa potresti darle ripetizioni -.

-Quando ha il compito? -.

- Mercoledì prossimo -.

- Quanto pagherebbe? -.

Genna alzò gli occhi su di me.

Con le mani gli feci capire la cifra.

-Dieci a lezione -.

- See, dieci all’ora al massimo -.

- Che? Ma se non è nemmeno diplomato! -.

- Ma cosa? È lei? Ma sono in vivavoce? -.

Mi tappai la bocca. Forse avevo appena fatto una gaffe.

-Ehm sì, sono a casa sua -.

- Vabbè, ascolta amica di Gennaro da quello che ho capito il compito è così vicino che avrai bisogno di un corso intensivo questo vuol dire che da oggi a mercoledì dovremo vederci ogni giorno e io non perdo cinque giorni di fila della mia vita per dieci euro a lezione -.

- Ma dieci per cinque giorni fanno cinquanta euro! -.

- Oh non preoccuparti se sei brava in chimica tanto quanto in matematica cinque lezioni saranno anche troppe  -.

Aveva appena usato del sarcasmo per insultarmi per caso? Se solo non fosse stato l’anno degli esami mi sarei fatta mettere un debito pur di avere la soddisfazione di mandarlo male.

-Sentiamo allora quanto vorresti farti pagare -.

- Quindici a lezione -.

- Ma secondo te settantacinque euro io da dove li prendo? -.

- E che ne so questi non sono fatti miei -.

- Non ti pagherò mai così tanto, al massimo facciamo sessanta euro in tutto, ci stai? -.

- Sessanta si può face ci vediamo domani, Gennaro dalle il mio numero così ci mettiamo d’accordo sui dettagli ora torno a dormire buonanotte -.

Chiusa la chiamata Delia fece un verso tra lo sconvolto e l’ammirato, il mio amico mi guardò con un sorriso divertito ed io non sapevo proprio cosa fare.

- Quindi come te li procuri sessanta euro? -.

- Quaranta già li ho gli altri venti penso di chiederli a Luca -.

- Buona fortuna, quel ragazzino te li richiederà con il cento percento di interessi -.

Mio fratello era un vero strozzino quando si parlava di denaro, ma ero a corto di opzioni.

-S'è fatto tardi, ci vediamo domani a scuola? -.

- Si si, domani torno -.

Accompagnai i miei amici alla porta e dopo averli salutati con un bacio tornai nella mia camera.

Non sapevo cosa aspettarmi da questo Raffaele, sembrava un ragazzo burbero e decisamente poco simpatico ma per arrivare agli esami con dei voti decenti dovevo passare cinque giorni in sua compagnia.

Sospirai, l'indomani sarebbe stato il giorno della verità.

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Capitolo 3
*** Amori impossibili e soluzioni fantasiose ***


Amori impossibili e soluzioni fantasiose.

Seraaaa :D

Ecco qui il nuovo capitolo, lasciatemi un commento con il vostro parere!

Un grazie a tutti coloro che hanno deciso di leggere questa storia :*

xx Elykei



 

 

Non sapevo cosa aspettarmi da questo Raffaele, sembrava un ragazzo burbero e decisamente poco simpatico ma per arrivare agli esami con dei voti decenti dovevo passare cinque giorni in sua compagnia.

Sospirai, l'indomani sarebbe stato il giorno della verità.





Il naso era ancora un po’ troppo colorato per i miei gusti ma almeno non ricordava più un rubinetto rotto e, per la prima volta dopo quasi una settimana, riuscivo a sopravvivere per almeno mezz’ora senza fazzoletti.

La sveglia alle sette però l’avrei volentieri evitata almeno per un altro giorno!

Quella mattina i miei capelli erano indefinibili, quelli che dovevano essere dei ricci erano un agglomerato di ciocche rosse senza forma.

Cercai di buttarmi sul trucco per sistemare la mia apparenza.

Chili di correttore nascosero almeno parzialmente i cerchi neri che avevo sotto gli occhi, un filo di blush per dare colore e l’immancabile mascara. Potevo uscire di casa completamente struccata ma il mascara era per me un diritto irrevocabile di ogni essere umano.

Il giorno del mio ritorno a scuola era soleggiato ma pur sempre freddo dato che era un venerdì di pieno Dicembre.

Mia mamma diede un passaggio a me e a Luca fino a scuola.

Il nostro liceo era un edificio bianco a tre piani con un giardinetto che lo circondava interamente.

Alcuni ragazzi erano fermi vicino al cancello principale aspettando qualche amico ritardatario, altri erano appollaiati sulla grande scalinata che portava all’ingresso vero e proprio della struttura.

Prima di entrare e prendere le nostre strade separate fermai mio fratello afferrandolo per un braccio.

- Ehi fratellino -.

- Che c’è? -.

- Se ti chiedo un piccolissimo favore è vero che me lo fai? -.

Inarcò le sopracciglia ed incrociò le braccia.

-Dipende -.

Non era un no secco questo voleva dire che potevo lavorarci su.

-Ecco mi servirebbero venti euro -.

- Per cosa? -.

- Niente di che mi servono e basta -.

- Ma scusa non hai ancora tutta la paghetta settimanale? -.

- Si ma la devo usare per un regalo.. -.

- Un regalo? -.

Non sembrava troppo convinto – Già -.

-Dimmi a cosa ti servono veramente e te li presto -.

Non avevo voglia di mentire a mio fratello, ma ero un po’ in imbarazzo.

Luca non studiava quasi mai eppure riusciva ad arrivare alla fine dell’anno sempre con la media del sette e mezzo/otto, ero sicura che se si fosse messo veramente d’impegno nulla gli avrebbe impedito di raggiungere il nove.

In più era bravo anche negli sport, praticamente era il figlio perfetto.

Per me invece c’erano materie in cui brillavo ed altre, tante altre in cui ero un disastro. Puntualmente il giorno dei miei quadri la mia linea era un’altalena tra otto e nove in inglese, filosofia e italiano e i sei tirati di storia dell’arte, matematica, fisica e scienze. Sempre ammesso che il sei arrivasse e che non capitasse come in quinto ginnasio o in primo liceo, anni in cui la mia linea era stata direttamente bianca perché avevo avuto dei debiti.

Lui non faceva pesare la disparità delle nostre pagelle, mai intenzionalmente per lo meno.

Ogni tanto ci scherzava su ed io facevo finta di niente e restavo al gioco sfottendolo per quei jeans con la piega troppo alta o per la smisurata passione per la musica di Taylor Swift. Non avevo mai ammesso che spesso mi sentivo stupida se messa a confronto con il suo acume, né che quelle volte in cui mi prendeva in giro il peso dei miei scarsi successi si faceva ancora più pesante.

Il mio labbro iniziava a risentire del dubbio interiore.

Dirglielo o non dirglielo?

-Sei hai combinato qualche casino prometto di non dirlo a mamma -.

Non avrebbe dovuto fare quel commento, ora con quale coraggio avrei potuto mentirgli?

-Mi servono ripetizioni urgenti di chimica e c’è un ragazzo che può farmi lezione solo che i soldi che ho non mi bastano -.

Mi fissò per qualche secondo poi preso il portafogli dalla tasca del pantalone nero mi porse la banconota.

-Tieni però la settimana prossima me li devi restituire -.

Socchiusi un po’ gli occhi – Tra due settimane? -.

-Se devo aspettare così tanto me ne dovrai dare venticinque -.

Considerai la sua richiesta.

Ormai i soldi erano nella mia tasca, avrei potuto dirgli di no e lui non se li sarebbe potuti riprendere senza una lotta che potevo tranquillamente evitare correndo in classe.

Fortunatamente la mia aula era al piano terra mentre il mostriciattolo si trovava all’ultimo piano.

Quando mi ero quasi convinta dell’infallibilità del piano ecco che uno stupido sentimento di rimorso si fece largo tra il fegato e lo stomaco. Perché cavolo era stato così non intenzionalmente dolce prima?

-E venticinque siano, sei proprio avaro pero eh! -.

Mi sorrise alzando le spalle ed iniziò la faticosa scalata fino al terzo piano.

Entrare nella IIID era come entrare in uno zoo.

Orazio De Sandi e Saverio Maffei si lanciavano un frisbee verde mela da un angolo all’altro della classe, Alessandra, Chiara e Debora litigavano per ottenere il calore dell’unico termosifone funzionante.

Sara Chimienti e Iolanda Abbadessa fulminavano Ludovico che sfottendo Delia non permetteva loro di concentrarsi su storia.

 Annamaria, Enrica e Lucia chiacchieravano di chissà quale scandalo scolastico mentre si passavano uno smalto grigio metallizzato e il resto della classe, diviso in gruppetti, faceva chiasso.

-Buongiorno -.

- Ehi Marghe ben tornata! - salutò la mia compagna di banco Teresa.

Teresa, per tutti Terri, era rossa come me, la piccola differenza era che il suo era un colore naturale, tendente all’arancione, il mio invece era un rosso finto più orientato al bordeaux.

Mi diede un bacio e poi tornò a smanettare sul suo cellulare, probabilmente parlava con il suo ragazzo, i due vivevano in simbiosi.

Posai la cartella e decisi che una gita alle macchinette era d’obbligo, un caffè poteva solo farmi bene in quel momento.

-Chi viene con me alle macchinette?- urlai alla classe.

Un paio di occhi si voltarono verso di me, era Tommaso Brescia, non il più brillante del pollaio, ma i ricci neri perennemente spettinati, gli occhioni azzurri e la barbetta un po’ incolta facevano ammenda per qualsiasi altra carenza.

In più era un ragazzo molto simpatico e alla mano.

-Vengo io - mi rispose con un sorriso.

Avrei potuto sciogliermi se mi avesse sorriso così ancora una volta.

Presi qualche spicciolo dal portafogli e uscimmo.

I distributori di brodaglia marrone che il direttore scolastico si ostinava a chiamare caffè erano lontani dall’aula perché da circa un mese quelli del nostro piano erano fuori servizio e perciò dovevano usufruire di quelli del primo.

-Allora stai meglio? -.

- Si si, l’influenza m’è passata per fortuna -.

- Peccato, mi sarei volentieri fatto mischiare il raffreddore per potermi fare  qualche giorno di vacanza! -.

Risi – Mi spiace non posso essere la tua fonte di germi -.

 La fila era infinita anche di prima mattina.

-Qualcosa mi dice che ci vorrà un po’ -.

- Tu dici? -.

Mi cinse le spalle con un braccio – Già che ci sono approfitto del tempo che abbiamo a disposizione -.

Lo guardai un po’ stranita – Per fare cosa? -.

-Per chiederti un consiglio -.

Oh.. un consiglio. Che diavolo mi era passato per la mente? Pensare che Tommaso Brescia potesse provarci con me, che idiozia!

-Certo chiedi pure - risposi io voltandomi di più verso di lui.

- Ecco, so che ti sembrerà stupido e che comunque non sono l’unico ma..-.

Lo incoraggiai a continuare con un’espressione del volto.

-Mi sono innamorato di Delia -.

Spalancai gli occhi.

-Delia? Sei.. sei proprio sicuro? -.

- Si! Cioè so che mezza scuola ci prova con lei e all’inizio pure io ci ho provato quasi per inerzia, ma non so che m’è preso, ora non riesco a smettere di pensare a lei -.

Ops. Questo si che era un guaio.

-Ma magari è solo una cotta, dai -.

Mi prese per le spalle e mi fece voltare del tutto in modo che fossimo faccia a faccia.

-Margherita, so che è una tua amica e vuoi proteggerla ma non è un tentativo per farmi una scopata né è una cosa passeggera ti giuro che mi sono innamorato di lei -.

Sembrava sincero, dannazione.

Mi passai una mano tra i capelli – Okay ti credo, ma non capisco cosa tu voglia da me -.

-Beh ecco, ho pensato che proprio perché vi conoscete tanto bene lei ti sta a sentire.. e che non so, magari potevi mettere una buona parola per me -.

Ri-dannazione! Che cavolo avrei dovuto fare ora?

-Senti Tommaso, io non so se sia il caso cioè si siamo amiche da sempre ma di solito non ci immischiamo nella vita sentimentale l’una dell’altra quindi -.

Mi prese le mani tra le sue – Oh ti prego Marghe, se fai questa cosa per me prometto che non ti chiederò più nulla -.

Mi arresi.

-Va bene, ci provo ma non ti prometto nulla -.

Quello non era un abbraccio, era un tentativo di omicidio per stritolamento - Grazie grazie grazie! Vieni te lo offro io il caffè -.

-Macché non è proprio necessario -.

- Non essere sciocca è solo un espresso, e poi è il minimo che possa fare per sdebitarmi -.

Mi stavo facendo pagare per un favore impossibile, certo erano solamente quaranta centesimi ma mi sentivo comunque uno schifo.

Il tempo di finire il caffè e il prof Giordano di storia era già arrivato in classe.

Io corsi veloce al mio primo banco accanto alla finestra mentre Tommaso si accomodò con tutta calma nel suo posto nella fila centrale.

Il professore fece l’appello e poi chiese se c’era qualche volontario.

Delia, Sara e Iole si immolarono per la patria con grande riconoscenza da parte di tutti.

-Andiamo in ordine alfabetico, Iolanda parlami delle condizioni politico-economiche della Germania prima della guerra -.

-Iole prof, Abbadessa preferisce farsi chiamare Iole- gli ricordò Dede.

- Ah già Iole -.

Giordano era diventato solo quest’anno un docente del corso D, prima di lui avevamo la Addante, una stronza di prima categoria che aveva deciso in preda a chissà quale allucinogeno di abbandonare la carriera da insegnante per trasferirsi in India, inutile dire che nessuno ne sentiva la mancanza.

Tommaso stava guardando con occhi sognanti la mia amica bionda o ero io a farmi dei film dopo la sua spassionata confessione amorosa?

Sola alla terza ora ottenemmo cinque minuti di pausa dalle lezioni, la prof di storia dell’arte ci concedeva sempre un po’ di tempo mentre lei beveva uno dei suoi proverbiali beveroni anti età, più utili a scatenare un senso di disgusto collettivo che non ad evitarle le rughe.

Approfittai dell’occasione per trascinare fuori dalla casse Delia, dovevo risolvere la questione Brescia.

-Dede abbiamo un problema -.

- Abbiamo? -.

- Si, Tommaso si è preso una sbandata per te e ora si aspetta che io ti faccia perdere la testa per lui dicendoti chissà cosa -.

- Okay questa non me la aspettavo ma  comunque ripeto: abbiamo? non mi sembra di centrarci molto -.

La guardai esasperata – Ma fai sul serio? Io ti dico che mi ha confessato ciò che prova per te e tu mi dici che non hai niente a che fare con questa situazione? -.

-No io ti dico che lui ha parlato con te e non con me -.

- Ti odio -.

Mi sfiorò il gomito con una mano – Mi spiace che tu sia in questa situazione, ma lo sai che non potrò mai provare nulla per Tommaso -.

-E se tu gli dicessi la verità? -.

- No -.

- Ma forse se -.

- No Marghe, non mi va che lo sappia -.

Non potevo certo obbligarla a fare coming out.

La sessualità era una parte importante e decisamente personale della vita, io non avevo il diritto di pressarla per togliermi da una situazione spiacevole.

Sospirai.  – Hai ragione scusa -.

Lo sguardo crucciato sparì dal suo volto per essere sostituito da un sorriso rassicurante – Non preoccuparti -.

Eravamo sedute in una delle scrivanie per le bidelle, Marta era a fare delle fotocopie per un ragazzino di quarto quindi eravamo sole.

Dalla porta della classe vedemmo emergere Genna, ci si avvicinò con le mani in tasca.

-Tutto a posto? Siete qui fuori da una vita -.

- Tommaso vuole che Marghe ci faccia da cupido -.

- Ci ne senso di vi? Cioè nel senso di: tra te e lui? -.

Non pensavo fosse possibile inarcare così tanto le sopraccigli, alla voce ‘’incredulo’’ sul vocabolario qualcuno avrebbe dovuto mettere la faccia che Ge aveva in quell’istante.

-Delia!- la rimproverai io.

- Che c’è? -.

Quella faccina ingenua non gliela avrebbe fatta passare liscia ‘sta volta.

-Non dirmi che c’è! Io ti dico una cosa che Tommaso mi ha rivelato in confidenza e la prima cosa che fai è spifferarla in giro? -.

- Prima di tutto lo sto dicendo a Genni non ad un tipo qualunque che ho incontrato per le scale e poi che ha fatto, t’ha chiesto di tenere tutto segreto? -.

- Non me l’ha detto in maniera esplicita ma di certo era sottointeso, nessuno vuole far sapere i cazzi propri in giro -.

- Come ti pare tanto non ho intenzione di riferire questa cosa a nessun altro -.

- Mettendo da parte i vostri battibecchi, che avete intenzione di fare? - si intromise il nostro amico.

- Io nulla anche perché ufficialmente Margherita non mi ha detto niente -.

Mi poggiai al davanzale dietro alle mie spalle.

-Ho trovato! Potresti dirgli che ci hai provato ma hai scoperto che ho già un ragazzo! -.

Genna scoppiò a ridere.

-Dici sul serio? -.

- Si così si mette l’anima in pace -.

- E se mi chiede chi è? -.

- Digli che non lo sai -.

- Io che sono la tua migliore amica non solo non sapevo che avevi un ragazzo ma dopo che l’ho scoperto tu non mi hai nemmeno detto il suo nome.. ti sembra credibile come storia? -.

- Già Delia, nemmeno Tommaso è tanto credulone -.

Almeno Gennaro mi dava retta.

Dede roteò gli occhi – Come siete fissati sui dettagli, allora boh digli che è Gennaro -.

-Io?-  -Lui?-.

-Si! È geniale. Puoi dire che non te lo abbiamo detto prima perché non volevamo rischiare di rovinare il nostro terzetto, e infondo la gente ci vede sempre insieme quindi non possono manco dire che non c’è abbastanza complicità no? -.

-Ma se viene a chiedere spiegazioni a me che faccio? -.

- Niente, saresti il mio ragazzo non il mio assassino non devi mica rispondere ad un interrogatorio! -.

- Può funzionare - feci notare io.

Gennaro si grattò la testa non molto sicuro di voler intraprendere la farsa.

-Voi due finite sempre per immischiarmi in qualche guaio -.

- Questo è un si? -.

Annuì rassegnato.

Questa sì che era una soluzione fantasiosa.

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Capitolo 4
*** Tutto lavoro e niente gioco! ***


Tutto lavoro e niente gioco.

Mi fece cenno di spostarmi in modo da poter aprire l'uscio.
-Margherita giusto? -.



- Si - risposi sorridente io.

Entrammo e arrivammo all'ascensore dove lui premette il sette, non sembrava avere alcuna intenzione di scusarsi. Beh se voleva essere un incivile gli avrei restituito pan per focaccia.

Addio Margherita gentile, benvenuta Margherita incazzata!

Stava aprendo la porta quando mi decisi a parlare - Comunque scusa se te lo dico, ma non mi è sembrato molto carino non farti trovare a casa e farmi aspettare per tutto questo tempo -.

Scusa se te lo dico? Era il massimo che sapevo fare? Davvero spaventosa, brava Marghe!

- A me non è sembrato carino il tuo ritardo - replicò lui senza voltarsi.

Lo seguii fino ad una cucina attraversando un corridoio separato da un salone grazie ad un muretto decorato che mi arrivava a metà schiena. Molto carino.

Quando ci fermammo riuscii a guardarlo in faccia e continuai - Fammi capire l'attesa era una ripicca? -.

- Non so se te ne sei accorta ma non ho dieci anni, non organizzo vendette puerili. Semplicemente dopo più di venti minuti di ritardo pensavo non ti saresti più presentata e così sono andato a prendere un caffè -.

- Beh questo posto è un labirinto ho perso tempo a trovare il palazzo giusto e comunque non era nemmeno un quarto d'ora! - sbottai esasperata.

Con una scrollata di spalle disse - La puntualità è importante -.

Incrociai le braccia, la borsa con libro e quaderno ancora in spalla.

- Ad ogni modo sono arrivata poco dopo il momento in cui dici di essere andato via. In cinque minuti non puoi essere arrivato tanto lontano quindi perché ci hai messo mezzora prima di tornare? - l'avevo beccato, doveva per forza aver mentito.

- Ho dovuto dare un passaggio ad una persona prima di tornare, ma poi per quale ragione mi devo giustificare con te? -.

Alzai le mani in segno di resa - Okay, okay, iniziamo con la chimica che forse è meglio-.

Si sedette su una sedia di spalle ad un secondo ingresso della cucina. Io lo imitai posizionandomi di fronte a lui.

Il tavolo rotondo ci teneva a distanza.

Mi domandò su cosa fosse il compito e quali fossero gli argomenti in cui ero più debole.

Quando accennai alla nomenclatura rise.

- Vuoi iniziare dalla nomenclatura? Sessanta euro sono troppo pochi -.

Lo guardai leggermente offesa - Peccato che ormai tu abbia accettato -.

- Già. Vabbè iniziamo o si fa notte -.

Per le successive due ore non fece altro che darmi spiegazioni e farmi fare esercizi, mi sarei sentita offesa per il modo in cui mi parlava, come se fossi stata una bambina incapace di comprendere perché due più due facesse quattro, se non fosse stato per il fatto che era proprio ciò di cui avevo bisogno dato il mio livello.

Alle sette e qualcosa ero cotta. Non riuscivo più nemmeno a ricordare il mio nome.

- Questo non lo so -.

- Te l'ho ripetuto meno di mezzora fa -.

Il tono accondiscendete iniziò ad infastidirmi.

- Si e io comunque non lo ricordo! Sono troppo stanca non ho mai studiato tanta chimica in tutta la mia vita -.

- Non sono passate nemmeno tre ore -.

- Si ma parliamo di chimica e poi non ho fatto neanche una pausa - mi lamentai.

Scosse il capo, poi si avvicinò in silenzio ad un armadietto e ne estrasse una caffettiera.

Avevo ottenuto un momento di riposo allora!

Presi il cellulare e controllai i messaggi mentre lui faceva il caffè.

Un nuovo messaggio da Delia 18:45:
Come va?

Messaggio inviato a Delia 19:08:
Sto per morire dalla stanchezza e lui è un po' insopportabile però almeno è bravo.

Un nuovo messaggio da Delia 19:10:
Chi intelligente vuole apparire un po' deve soffrire :P

Messaggio inviato a Delia 19:10:
Un po'? Questo qui mi ha fatto aspettare una vita al freddo prima di degnarsi a presentarsi e poi mi ha torturato senza sosta per tre ore.

Un nuovo messaggio da Delia 19:11:
Chimica: il più grande supplizio dai tempi della fustigazione.

- Come lo prendi? -.

La voce di Raffaele mi spinse a staccare gli occhi dallo schermo e guardarlo.

- Cosa? -.

Indicò con un dito una tazzina che aveva già riempito.

- Oh, un quarto di cucchiaino di zucchero grazie -.

- Un quarto? -.

- Uh uh -.

Aveva un sopracciglio alzato e l'aria di qualcuno che desiderava fare un commento sprezzante, ma assecondò la mia richiesta.

Mi porse la tazzina e si sedette al tavolo accanto a me.

Dal bancone si era portato il contenitore dello zucchero. Versò un cucchiaino e mescolò, successivamente ne aggiunse un secondo e ancora mescolò, infine un'altra metà.

La sua tazzina che in realtà era un bicchiere pieno per metà doveva essere satura.

- Come fai a berlo così dolce? -.

- Non è dolce -.

- Ehm si che lo è - ribadii con una mezza risata.

- Perché mi guardi così? Non è dolce. Tu piuttosto un quarto di cucchiaino? a 'sto punto prendilo amaro -.

Feci una faccia schifata - Amaro è imbevibile -.

- Così invece è sicuramente molto meglio - il suo tono trasudava sarcasmo.

- Le cose troppo dolci non mi piacciono - dissi.

- È una fortuna allora che questo debba berlo io e non tu -.

Ne prese un sorso quasi a sottolineare ciò che aveva appena detto, intanto io avevo finito.

- Pronta a riprendere? - mi chiese Raffaele.

Mi stropicciai gli occhi con una mano, per fortuna ero struccata.

- Ancora due minuti -

- Sai che per le otto devi essere fuori di qui vero? -.

- Si si dammi tregua -.

Toccò a lui fare una mezza risata.

Incrociai le braccia sul tavolo e vi ci posai la testa, Raffaele avvicinò il mio quaderno, una delle quattro punte mi pungolava il braccio con insistenza quasi a volerlo spostare per ottenere un po' più di spazio per se.

Mi spostai di poco.

- La tua scrittura è un disastro -.

- Si può sapere come mai cerchi di decifrarla se fa tanto schifo? - sussurrai io senza alzare lo sguardo.

- Volevo capire se qualcosa di ciò che abbiamo fatto oggi ti è entrata in testa o se domani mi tocca ripartire da zero - rispose lui.

Aggrottai le sopracciglia - Non so se il tuo darmi della stupida sia intenzionale o meno -.

- Suscettibile -.

- Allora hai capito se ho capito? -.

Mi fissò - Meno peggio di quanto mi aspettassi -.

- A beh - commentai ironica.

Mi spinse via le braccia dal tavolo col quaderno verde acqua - I due minuti sono passati -.

Tutto lavoro e niente gioco!








Nuovo capitolo anche per '' Non tutto ciò che vacilla cade ''. Margerita ha incontrato lo scontroso Raffaele e ha provato (a mio parere con scarso successo ahaha) a dirgliene quattro per il ritardo! Comunque nonostante le difficoltà tecniche la prima lezione è andata, chissà se Marghe riuscirà a sopportare i ritmi serrati del suo insegnante anche durante le altre. Nel prossimo capitolo vedremo di nuovo interagire Marghe con Gennaro e Dalia. Non so voi ma io dopo due capitoli iniziavo a sentire la loro mancanza. NIENTE BETA. Ogni errore è imputabile a me e a me soltanto, se ne trovate ditemelo. Lasciatemi un commentino con ciò che pensate del capitolo o anche della storia in generale. Un grazie a tutti quelli che seguono '' Non tutto ciò che vacilla cada '', a chi ha ripreso a leggerla e ad i nuovi arrivati SONO GRATA A TUTTI VOI davvero.

Al prossimo aggiornamento!
xx Elykei

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Capitolo 5
*** Primo Incontro ***


Primo incontro.

Ciau a tutti!

Lo so è passato tanto TANTO tempo e pensavate che avessi abbandonato questa storia… beh onestamente lo credevo anch’io.

Qualche giorno fa però mi è capitato di ritrovarla proprio su questo sito e di rileggerla e mi è piacuta! Mi è piaciuta come la prima volta in cui mi sono messa a scriverla, così mi sono rimessa alla tastiera e questo è ciò che ne è venuto fuori, ho già anche un altro capitolo e mezzo pronto.. quindi si direi che questa storia è tornata.

Fatemi sapere cosa ne pensate, se ci sono degli errori (cosa che devo ammettere temo sia possibile a causa dell'ansia che mi mette pubblicare a così tanta distanza dall'ultima volta) chiedo scusa e naturalmente sarò contenta di sistemarli se me li farete notare

Elykei :*

 

 

 

 

Gennaro si grattò la testa non molto sicuro di voler intraprendere la farsa.

-Voi due finite sempre per immischiarmi in qualche guaio -.

- Questo è un si? -.

Annuì rassegnato.

Questa sì che era una soluzione fantasiosa.

 

 

Le due ore successive volarono. Per metà del tempo immaginai i dettagli della storia che avrei dovuto raccontare a Tommaso e l’altra metà pensai all’incontro con Raffaele nel pomeriggio.

Quando non si prestava attenzione al tono monotono dei professori la mattinata riusciva a non essere un lento tormento.

Diversamente dalla maggior parte degli studenti della nostra età noi della terza D non ci affrettavamo subito dopo il suono dell’ultima campanella verso il cortile. Eravamo invece soliti trattenerci in classe ben oltre la fine delle lezioni. C’era qualcosa di particolare in quei  momenti, quando gli altri ragazzi erano ormai lontani, i prof più smaniosi dei loro alunni di fare ritorno dalle famiglie erano spariti ed i bidelli erano occupati a riordinare e ripulire le aule.

I corridoi erano tranquilli, senza che vi dominasse quell’aria di film horror di serie B tipica delle scuole vuote la sera.

Tra la nostra classe e Marta la bidella del piano c’era una sorta di tacito accordo, noi ci impegnavamo a lasciare l’aula immacolata e lei ci permetteva di restare senza disturbarci finché l’ora di tornare a casa non diventava inevitabile.

Questa tradizione era iniziata un anno e mezzo prima quando la nostra classe aveva dovuto affrontare una delle sue prove più grandi.

A metà del nostro secondo liceo avevamo scoperto dalla Addante che quasi sicuramente l’anno successivo la nostra classe sarebbe stata smistata.

All’inizio la notizia ci era sembrata assurda, soprattutto l’idea che una docente spifferasse una notizia del genere prima che la cosa fosse effettiva.

Dopo aver fatto qualche domanda però capimmo che era la verità, quando poi alla fine dell’anno ci comunicò la sua decisione sul trasferimento ci rendemmo conto che quello era stato il primo segno del fatto che non le fotteva più nulla della scuola.

Scoprimmo che la riforma dell’istruzione che c’era stata da poco prevedeva che le classi dovessero essere formate da un minimo di venticinque alunni.

Noi eravamo diciotto.

Scossi dall’idea di doverci separare avevamo iniziato a restare in classe fino a tardi in cerca si soluzioni.

Dopo una pressante opera di volantinaggio, una petizione firmata dall’intero corpo studentesco e numerosi colloqui con la preside nei quali sia noi sia i nostri genitori sostenevamo che dividere una classe in un anno cruciale come quello degli esami di stato sarebbe stato una pessima idea avevamo ottenuto di poter finire il liceo così come l’avevamo iniziato.

Tutti assieme.

Nonostante il superamento della crisi continuare a riunirci era sembrata una cosa naturale e così avevamo fatto.

Quel giorno toccava a me ripulire la lavagna e lo feci con gli attrezzi che avevamo in classe.

Riposto tutto di nuovo nell’armadietto mi avvicinai a Lucia.

Stava mettendo della musica sfruttando un paio di casse portatili. Il fondo dell’aula era sempre riservato a musica e chiacchiere mentre la cattedra e le lavagne venivano sfruttate da chi voleva studiare in compagnia.

Avrei potuto chiedere loro di usare quei momenti per aiutarmi in chimica, ma monopolizzare l’attenzione ed il tempo di tutti per una cosa che sarebbe stata utile solo a me sembrava un comportamento troppo egoista. In più ormai avevo già preso i soldi da Luca.

Dato che l’argomento di oggi erano gli esercizi di inglese per il giorno dopo preferii sedermi su un banco vicino alla finestre, tra Enrica ed Orazio.

Erano tutti intenti a parlare di una serata al Fiji Club in centro.

-Credetemi ragazzi sarà una figata - disse Lucia.

- Dici? Non so io non penso di andarci - rispose Fabrizio.

- Perché mai? – Annamaria, la ragazza che aveva posto la domanda, era scandalizzata all’idea che qualcuno potesse volontariamente saltare una serata in discoteca.

Come riuscisse a bilanciare lo studio e le feste era per tutti un mistero.

-Boh, l’hanno pubblicizzata troppo e il Fiji alla fine è un buco, finirà per essere sovraffollato e come al solito passeremo la serata fuori a fumare al freddo -.

-Fabrizio ha le sue ragioni - annuì  Orazio.

- Oh andiamo! Fateci un salto se poi fa schifo andiamo via -.

- Andare via da una serata? Voi? -.

Erica si sporse e colpì lievemente il braccio di Fabrizio.

-Già, rinunceremmo ad un sabato sera per non farvi essere soli e miserabili! Dovreste ringraziarci non prenderci in giro -.

- Okay, okay ho capito. Proveremo a venire - si scusò ridendo il castano.

Fabrizio con i suoi capelli marroni cortissimi ricordava un  po’ un porcospino. Uno dei porcospini più simpatici che avessi mai incontrato però!

-Voi che fate Marghe? -.

Tutta la classe aveva imparato ad associare i miei sabato sera a quelli di Gennaro e Delia.

-Non lo so ancora, magari passiamo anche noi -.

- Si dai! Sarà divertente ve lo prometto -. 

Non farsi trascinare dall’entusiasmo di Lucia era difficile.

-A proposito dove sono gli altri? - Tommaso aveva deciso che quello era il momento giusto per unirsi alla conversazione.

- Delia doveva andare a casa presto e Genna non ne ho idea sinceramente -.

Accettò la mia spiegazione con un sorriso.

-Margherita ti dispiacerebbe venire con me alle macchinette? -.

Brescia e macchinette non si erano rivelati essere un buon connubio quel giorno, ma non avevo scuse per rifiutare.

-Spuntino alle - guardai l’ora sul cellulare – Tredici e trenta Brescia? Finirai per non mangiare nulla a pranzo -.

- Ascolta mamma chioccia, Tommi - toccò a me tirare un pizzico a Fabrizio.

Lui sorrise e noi ci avviammo.

-Prima ti ho vista uscire con Delia, le hai già parlato? -.

Non si poteva certo dire che non era un ragazzo che andava subito al sodo.

Io però dovevo prendere tempo, il piano poteva già essere messo in moto? O era meglio organizzarsi ancora un po’?

-Parlato? -.

Mi sollecitò con uno sguardo – Si parlato -.

Finsi di aver intuito solo in quel momento a cosa si riferisse.

-Oh certo! Dici di quel fatto del quale mi hai accennato prima -.

- Si, beh allora? -.

Nel frattempo avevamo raggiunto le macchinette così mi ci avvicinai per prendere il terzo caffè della mattinata.

-Si le ho parlato -.

Il caffè scorreva veloce nel bicchiere mentre Tommaso aspettava che io continuassi.

All’improvviso mi fece voltare verso di lui. Nei suoi occhi brillava una scintilla di speranza ed io ero quella che doveva schiacciarla.

-Ecco vedi, io le ho chiesto come andassero le cose nel settore amoroso.. Tanto per introdurre il discorso sai  –.

Annuì vigorosamente.

-E beh lei.. lei mi ha detto che c’era una cosa che mi aveva tenuta nascosta e che le pareva fosse arrivato il momento di confessarmela -.

La sua espressione vacillò, aveva intuito qualcosa.

-Per farla breve - un ultimo respiro per il coraggio – Si è tipo fidanzata -.

Abbassai lo sguardo per poi riportarlo su di lui scioccata al suono della sua domanda- è Gennaro? -.

Annuii ancora senza parole.

-Lo sapevo! -.

- Come? - chiesi incuriosita.

Incrociò le braccia e si appoggiò al muro.

-Hanno un modo particolare di parlare e scherzare, mi ripetevo che era dovuto alla loro amicizia ma infondo me lo aspettavo, Delia è così perfetta e Gennaro non avrebbe potuto fare altro se non innamorarsi di lei. Poi Genna è il bravo ragazzo per eccellenza, sempre pronto a starle accanto e ad aiutarla, ed  è simpatico e dolce e gentile con tutti e Dio quanto vorrei poter avere con lei il rapporto che ha lui -.

Scossi la testa, il piano stava funzionando meglio del previsto, anzi pareva quasi che io fossi del tutto inutile, aveva fatto tutto Tommaso.

Lo guardai di sottecchi – Stai bene? -.

-Si non preoccuparti -.

Non era per niente convincente, mi avvicinai e lo abbracciai, lui mi poggiò il mento sulla spalla e mi cinse a sua volta i fianchi.

-E che un po’ ci speravo capisci? -.

Restammo così per qualche minuto senza dire nulla. -Ehi voi che ci fate ancora qui? -.

Era Luigi, collaboratore scolastico del primo piano e sosia segreto di Saddam Hussein.

Ci staccammo – prendiamo un caffè - osservai scuotendo il bicchiere ancora pieno.

-Tutti gli altri sono già andati via, forza è ora anche per voi di tornare a casa -.

Era passato più tempo del previsto, tornammo in fretta in classe e raccogliemmo le nostre cose.

Dopo un ultimo abbraccio andai a casa.

Mamma era fuori quindi toccò a me arrangiare un pranzo, per fortuna il rospo si accontentò di una semplice pasta col tonno.

L’ora dell’appuntamento con Raffaele arrivò fin troppo in fretta, il momento in cui riuscii a trovare il suo portone nel labirinto di palazzi e cortili che lo circondavano invece fu tutta un’altra storia.

Chi diavolo aveva architettato la numerazione degli edifici in quel posto?

La targhetta col nome Giannelli non risaltava affatto nella sfilza di nomi del citofono, infatti spesi almeno altri cinque minuti prima di trovarlo.

Suonai. Nessuna risposta.

Ci riprovai ancora trattenendo l’indice sul tasto più a lungo, ma nulla.

Quando anche il mio quarto tentativo fallì presi il telefono dalla tasca del giubbino e lo chiamai.

Rispose al sesto squillo.

Solo sul mio cellulare dopo il quarto partiva la segreteria?

-Che c’è? -.

Davvero educato, mi morsi una guancia per non aggredirlo.

-Scusa se ti disturbo sul cellulare, sono Margherita, la ragazza delle ripetizioni di chimica ricordi? -.

 - So chi sei ho il tuo numero salvato che vuoi? -.

Feci un respiro profondo.

-No e che ci eravamo messi d’accordo per iniziare oggi e io sono qui, ma ho suonato e non risponde nessuno -.

- Questo perché non c’è nessuno Sherlock, aspettami li sto arrivando -.

Questo sto arrivando si rivelò essere piuttosto relativo dato che aspettai li al freddo per più di venti minuti seduta su un gradino.

Quando finalmente un ragazzo si avvicinò al portone mi alzai.

Aveva la mia età, capelli rasati, occhi verde scuro. Rispondeva alla descrizione di Genna.

Il fatto che mi fissava poteva essere considerato un altro indizio a favore.

Mi fece cenno di spostarmi in modo da poter aprire l'uscio.

-Margherita giusto? -.

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Capitolo 6
*** Sushi e Noccioline ***


Sushi e Noccioline

Ecco a voi il sesto capito di ‘’ Non tutto ciò che vacilla cade ‘’, è un po' più lungo dei due precedenti il che spero vi facca piacere ahah. Devo ammettere comunque di aver impiegato un po' di tempo a scriverlo dato che a metà mi ero bloccata, più che altro perché non sapevo bene come impostare la seconda parte. Ora però è completo e pubblicato quindi ditemi che ne pensate!

Grazie a tutti quelli che stanno seguendo la mia storia :*

P.s. ho modificato i capitoli precedenti unificando la dimensione il carattere e il metodo di scrittura in generale, inoltre ho rimosso qualche errore notato dopo un’ulteriore rilettura.

NO BETA, ogni errore è mio e solo mio.

xxElykei

 

 

 

Mi spinse via le braccia dal tavolo col quaderno verde acqua - I due minuti sono passati -.
Tutto lavoro e niente gioco!




Puntualissimo alle otto mi accompagnò alla porta.

- Domani alla stessa ora? - . Annuì.

Uscire da quel labirinto fu tanto difficile quanto lo era stato entrarci, ma per fortuna arrivai alla fermata dell'autobus in tempo per prendere il pullman.

Il bar del parco era sul lato est accanto alle giostrine per i bambini che a quell'ora erano deserte, i tavolini del locale erano invece tutti occupati. Mi ci volle qualche minuto prima di riuscire a trovare Gennaro e Dalia.

Con loro era seduto Saverio che mi salutò con un - Ce l'hai fatta ad arrivare! -.

- Si scusate il diciassette fa un giro assurdo -.

Presi posto  sulla sedia che avevano tenuto libera per me.

- Allora mi hanno detto che prendi ripetizioni da Raffa -.

Lanciai una bustina di dolcificante che colpì Delia su un braccio - Ehi perché te la prendi subito con me? Potrebbe essere stato Ge -.

Io e Gennaro rispondemmo in coro di no.

La mia bellissima amica fece una boccaccia seppur dandoci ragione.

Saverio rise osservando la nostra scenetta.

- Come ti sei trovata? -.

Alzai le mani al cielo - Mi ha distrutta! Per carità è competente e tutto ma perché non riesce a comprendere il concetto che si nasconde dietro la frase '' dammi tregua, mi sta uscendo del fumo dal cervello? '' -.

Una fragorosa risata collettiva mi colpì le orecchie.

- Oh si dai prendetemi in giro! -. Incrociai le braccia sul tavolino leggermente traballante e mi voltai verso un gruppetto di ragazzi accanto a noi. - Siete peggio di lui voi che ridete delle mie vicissitudini -.

Delia si sporse per pungolarmi una guancia - Menomale che doveva essere lui quello pigro tra i due -.

Un'altra risata.

- Mi ha dato persino dei compiti a casa, glieli devo portare domattina così si organizza per cosa fare nel pomeriggio -.

- Professionale il ragazzo - commentò Delia alzando un perfetto sopracciglio dorato.

- Le cose ti stanno anche andando bene, quel tipo è un perfezionista - disse Saverio.

Continuava a giocherellare con la cannuccia di quello che sembrava un cocktail Sanpellegrino.

- Me ne dai un sorso? - magari non ne voleva più, il Sanpellegrino era una delle mie bevande analcoliche preferite.

- E comunque come fa uno ad essere pigro e perfezionista? è insensato - osservai, Save mi passò il bicchiere, ne dovevo ordinare uno anch'io.

- Facile non fa quasi mai nulla ma quello che decide di fare lo porta a termine in maniera impeccabile -.

Genna aveva la bocca mezza piena di noccioline mentre mi rispondeva, anche quelle non sembravano male.

Con la mia voce più tenera chiesi - Gennaro me ne passeresti qualcuna? -.

Noccioline, la parte migliore di ogni aperitivo, erano state causa di effervescenti liti nel nostro terzetto finché non avevamo deciso che chiunque avesse messo le mani per primo sul loro contenitore ne avrebbe reclamato il possesso.

In quella occasione Ge era il re delle noccioline salate ed io solo un umile suddito.

Mi guardava con occhi socchiusi evidentemente incerto sul cedermi volontariamente il potere degli arachidi.

- Sii gentile Genna ho avuto una giornata faticosa -.

Mi dette l'intera ciotolina.

- Grazie! - il mio sorriso arrivava da orecchio a orecchio, per fortuna il re era lui, Delia al suo posto non avrebbe avuto pietà, infatti quando la guardai notai che spostava gli occhi da me al nostro amico con aria di disapprovazione.

Io dal canto mio addentai soddisfatta una manciata di quelle delizie salate.

Il parco non era troppo distante da casa mia, ma Saverio insistette affinché non tornassi a piedi.

Il breve percorso in auto fu piacevole, ci mettemmo a parlare di musica o meglio ridemmo di tutte le canzoni smielate trasmesse da LOVE F.M.

Il romanticismo era per entrambi qualcosa di pressoché sconosciuto.

Rientrata trovai il mostriciattolo che giocava alla Play, certo quando mai lo si vedeva studiare!

Mamma parlava al telefono ed una ispezione veloce della cucina mi fece notare la teglia di carne e broccoli che riscaldava nel fornetto, la tavola era stranamente già apparecchiata.

Sembrava proprio che non avessi nulla di cui occuparmi così mi buttai sul divano annuendo a Luca in segno di saluto.

- Come è andata la lezione? -.

Lo guardai sorpresa prima di ricordare che lui sapeva tutto.

- Bene, sono solo un po' stanca -.

Reagii con sospetto al suo - vuoi giocare? - Luca solitamente non era tanto gentile con me.

La lotta per il telecomando era una guerra che durava anni e si ripeteva quotidianamente e comunque non era nulla se confrontata con quella per l'unico controller della PS.

Perché allora cedermelo con tanta non curanza?

- Che vuoi? - chiesi.

- Nulla - rispose lui con fare angelico.

Luca Suanabassi angelico? a chi voleva darla a bere! - Che cosa vuoi? -.

- Niente davvero -.

Presi il controller lui era già uscito - D'accordo che hai combinato allora? -.

Alla nuova domanda si inumidì le labbra, brutto segno, era nervoso.

- Luca - la mia voce era ormai minacciosa.

Sentimmo dei rumori provenire dalla camera da letto - Margherita? sei tu, sei tornata? -.

- Si mamma - urlai senza distogliere lo sguardo dal piccolo mostro.

- Vieni un secondo qui dobbiamo parlare -.

Guardai la porta socchiusa poi tornai a fissare mio fratello, mi aveva venduta!

- Tu ignobile! - non mi fece nemmeno finire che già si era alzato e si era allontanato da me.

Aveva spifferato tutto dopo avermi promesso il contrario.

Con le braccia alzate in segno di difesa disse - Non l'ho fatto di proposito giuro, mi ha beccato mentre ero distratto dalla partita, mi ha chiesto dove fossi e prima di rendermene conto avevo già detto la parola ripetizioni quindi..-

- Allora Margherita - arrivò di nuovo lo strillo di mamma.

Lancia un ultimo furioso sguardo poi la raggiunsi.

Non feci in tempo ad entrare che mi fulminò - Che storia è questa? -.

Nemmeno provai a negare - Non è niente di che, mi serviva una mano e ho risolto -.

- Avresti potuto dirmelo, chi è questo tipo che ti sta aiutando? Quanto è grave la situazione? Verrai bocciata? Perché la scuola non mi ha chiamata? In questi casi dovrebbero avvisare.. Forse è meglio andare da un professionista, la signora del palazzo accanto è una professoressa no? Credo si chiami Giorgione, chiediamo a lei -.

- Credimi mamma sarebbe inutile, devo ripassare solo un paio di lezioni immagina che ci siamo messi d'accordo per incontrarci solo altre quattro volte -.

Mi fissò per qualche tempo poi annuì e andammo a mangiare.

Era andata decisamente meglio del previsto.

Il giorno dopo entrata in classe fui aggredita da Annamaria - Marghe sappi che non hai più scuse per stasera Gennaro e Delia hanno già detto che ci saranno -.

- Immagino che sarò al Fiji allora! -

- Sii anche Suonabassi è dei nostri - disse lei alla classe.

- Forse al posto di un tavolo dovremmo prenotare l'intero posto - Era Sara.

- Ci sarà tutta la classe? -.

- No Gigi è partito per il week end, Chiara ha la febbre e Terri deve uscire con Nico -.

- Solo una quindicina allora -

- Sconto sui braccialetti - Scherzò Orazio.

Durante il cambio tra i docenti della terza e quarta ora consegnai diligentemente i miei compiti a Raffaele.

- Oggi vieni mezz'ora prima che stasera ho un impegno -

- come ti è più comodo - risposi alla non domanda io con un sorriso poi a voce più bassa aggiunsi - Hitler -.

Se mi sentì non ne diede segno.

Quel sabato a pranzo dovevo vedermi con un paio di vecchi compagni delle medie anche Delia sarebbe stata presente, era una mini rimpatriata a suon di sushi.

Il ristorante era rigorosamente un All You Can Eat, in caso di sashimi e tempura non ci saremmo accontentati di meno.

Quando arrivammo Umberto e Gabriella avevano già preso posto nel locale.

Li salutammo con due baci.

Gabriella aveva dei capelli lunghissimi, le ciocche nere, liscissime, le sforavano i fianchi.

Era sempre molto truccata: eyeliner nero marcato, fondotinta e fard. Di solito non mancava di usare anche un bel rossetto brillante, rosso, viola oppure marrone a seconda degli abbinamenti con gli abiti.

Non l’avevo mai vista struccata, nessuno in realtà lo aveva fatto.

Tempo prima mi aveva confessato di essere un po’ insicura riguardo al suo volto per questo nemmeno il suo ex ragazzo ai tempi in cui stavano assieme era riuscito a vederla acqua e sapone.

Io l’avevo sempre ritenuta una bellissima ragazza e glielo avevo anche detto in quella occasione, ma un complimento non basta ad annullare certe convinzioni.

Riguardo al suo corpo invece Gabri era piuttosto tranquilla e a ragione.

Era magra al punto giusto ma comunque formosa, le piaceva vestirsi sexy non per distrarre l’attenzione dal viso riguardo al quale aveva qualche incertezza ma perché era consapevole di avere un fisico pressoché perfetto e le piaceva metterlo in mostra.

Quel giorno indossava un maglioncino grigio scuro con una scollatura importante ed un jeans del quale avrei dovuto chiederle la marca, era favoloso.

La settimana precedente Dede mi aveva confessato di essere intrigata da Gabriella, si erano rincontrate in una libreria un mesetto prima e una volta ripresi i contatti si erano sentite quasi ogni sera.

Erano anche uscite un paio di volte da sole, non era successo nulla però a lei non sarebbe dispiaciuto.

La cosa non mi aveva sorpreso molto era risaputo sin dalla terza media che Gabriella era bisex e nonostante lei e Delia fossero fisicamente rispettivamente la notte e il giorno, caratterialmente erano simili. Entrambe frizzanti, provocatorie e schiette. Amavano divertirsi quindi perché non farlo assieme?

Umberto al contrario della mora era cambiato molto dall’ultima volta in cui l’avevo visto.

Erano passati più o meno otto mesi, lui stava partendo per un semestre all’estero e ci eravamo incontrati per un saluto.

I sei mesi a Londra avevano avuto un effetto positivo sul mio vecchio amico, aveva perso qualche chilo e a giudicare dalla sua stretta guadagnato qualche muscolo.

-Obi ma quanto sei diventato sexy? – esordì Delia.

Lui sorrise – Obi.. A parte Gabi nessuno mi chiava così da mesi, un po’ mi mancava -.

-Per fortuna non hai preso anche l’accento o ti sarei dovuta saltare addosso senza pudore -.

- Ma guarda se vuoi l’accento lo imito piuttosto bene -.

- Troppo tardi, ormai l’effetto è attenuato -. 

- Dannazione mi sono fatto scappare un’occasione d’oro -.

Gabriella aprì un menù ed indicando una delle foto disse - Ragazzi se volete prendere una stanza vengo con voi ad affittarla ma prima mi concentrerei su questi maki al salmone e philadelphia anche perché poi avremo più energie -.

-Okay inizio a sentirmi un quarto incomodo quindi si! Concentriamoci sul sushi va! – risi io.

Delia mi cinse le spalle – Tranquilla Marghe non saresti mai di troppo ti faremmo partecipare! -.

Il cameriere mi salvò avvicinandosi per prendere la nostra ordinazione.

Il pranzo non fu molto lungo, ci abbuffammo in fretta di ogni pietanza sul menù e poi optammo per una passeggiata, quella durò di più.

Dal giapponese andammo in centro, i negozio erano aperti dato che facevano tutti orario continuato.

Mi fermai un secondo davanti ad una vetrina Umberto mi aspettò mentre Dede e Gabri continuarono a camminare troppo prese dalla loro chiacchierata per accorgersi del mondo circostante.

Obi mi si avvicinò e con fare cospiratorio mi disse – Sono proprio carine eh? -.

Rimasi sorpresa era a conoscenza della loro frequentazione?

Delia non avrebbe mai ammesso di essere omosessuale con lui, poi però l’ovvia verità mi colpì.

Umberto e Gabriella erano migliori amici, lei era stata la prima a chiamarlo Obi durante una ricreazione in prima media e da quel giorno il nomignolo era rimasto.

Doveva essere stata lei a riferirgli tutto, ma allora anche Gabri era presa da Delia.

La cosa mi faceva piacere.

Lo assecondai – Molto -.

-Tu che ne pensi? – mi chiese poi.

- Vuoi sapere se Delia è seria? -.

Umberto alzò le spalle con un mezzo sorriso come a volermi chiedere: puoi biasimarmi?

-Se Gabriella non le piacesse non rischierebbe di svelare tutto ciò alla gente -.

- Non sta ancora rischiando nulla in realtà la vedo piuttosto distante -.

- Che cerchi di dire Obi? -.

Sospirò – Lasciami essere completamente sincero con te, tu e Delia siete mie amiche, ma a Gabi voglio un bene dell’anima e non mi va di vederla soffrire. Le è già capitato di invischiarsi in storie in cui l’altra nascondeva le proprie preferenze e non sono mai finite bene. È una ragazza che si affeziona in fretta e finisce per rimanere fregata, non voglio che anche questa volta inizi a crearsi aspettative per poi rimanerci di merda se Delia decide che il gioco non vale la candela -.

Pareva davvero preoccupato per Gabriella, avevamo ripreso a camminare ma le due protagoniste della nostra conversazione erano comunque abbastanza distanti da non udirci.

-Non posso assicurati che sono anime gemelle e che si sposeranno e avranno tanti bambini anche perché dubito abbiano questo grande istinto materno, ma nonostante si frequentino da poco sembrano già entrambe parecchio prese, per lo meno ti posso assicurare che a Dede lei piace quindi.. -.

- Quindi mi devo fare i fatti miei perché tanto la cosa non dipende da me suppongo -.

- Questo è sicuro, se ti metti in mezzo e rovini tutto ti picchio Obi -.

Rise e mi prese a braccetto – Non temere, non vorrei mai farti arrabbiare -.

-Bravo ragazzo -.

 

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Capitolo 7
*** Fiji Club ***


7. Fiji Club
 

 

Oggi vedremo una nuova lezione di chimica con Raffele (conosceremo anche un suo caro amico), daremo poi una prima occhiata al Fiji e conosceremo qualche dettaglio in più sulle vite di alcuni dei compagni di Margherita.

Anche il piano di Delia e Gennaro farà qualche piccolo passetto avanti, o per lo meno i due ci proveranno.. come verranno interpretate le loro azioni poi è un’altra storia!

 

Se vi va fatemi sapere cosa pensate del nuovo capitolo!

NO BETA gli errori sono miei.

 

P.s. in caso ve lo foste chiesto ho tolto anche l’altro dente del giudizio e sono ancora dolorante! Ma almeno ora è finita ahahah

 

xxElykei

 

- Questo è sicuro, se ti metti in mezzo e rovini tutto ti picchio Obi -.

Rise e mi prese a braccetto – Non temere, non vorrei mai farti arrabbiare -.

-Bravo ragazzo -.

 

 

 

Alle quattro mi resi conto che venti minuti dopo mi sarei dovuta trovare dall’altro lato della città.

-Oh cavolo no! - forse lo dissi a voce un po’ troppo alta perché non solo i miei amici ma anche la coppietta che beveva frullati due panchine dopo si voltò verso di me.

- Che è successo? -.

- L’appuntamento vero? – chiese Delia.

Io confermai con un cenno e dopo un ciao generico corsi verso la stazione, da quel punto partivano la maggior parte dei pullman.

Quale bus arrivava ai complessi da li? Magari se prendevo il dodici e poi il cinquantasei .. No meglio il quattro, avrei dovuto attraversare il ponte e farmi quattro isolati a piedi però!

Mi resi conto che forse chiedere un consiglio al centro informazioni sarebbe stato utile, se non altro mi avrebbero comunicato quale autobus partiva prima.

-Margherita – sentii chiamare dalle mie spalle. Era Umberto che correva con in braccio.. una bambina avvolta in una coperta di camoscio?

No la cosa sembrava decisamente improbabile infatti quando mi raggiunse mi accorsi che era una borsa, la mia borsa.

Me la porse dicendo – L’avevi lasciata sul marciapiede -.

-Mi sentivo la spalla stranamente leggera -.

- Non direi stranamente l’ho portata per meno di cinque minuti e già penso tu l’abbia riempita di sassi e o cadaveri, dovrei preoccuparmi? -.

- Nah non ci sono morti puzzano troppo, ora devo correre ma grazie mille per avermela ridata -.

- Aspetta un secondo non so dove tu debba andare ma posso accompagnatrici io, ho l’auto qua di fronte -.

- Lo faresti davvero? -.

- Certo -.

- E Gabriella? -.

- Non penso abbia intenzione di tornare a casa tanto presto, ho tutto il tempo di accompagnarti e tornare e poi penso che appezzeranno un pochino di privacy -.

- Oh mi faresti un favore enorme se arrivo di nuovo tardi chi lo sente a quello! -.

In un minuto eravamo già in macchina che ci allacciavamo le cinture di sicurezza.

-Deve essere un tipo piuttosto esigente – ipotizzò Obi uscendo dal parcheggio.

- Non ne hai idea è un rompiballe riguardo alla puntualità ieri mi ha fatto aspettare un quarto d’ora al freddo solo per ripicca -.

Aggrottò la fronte – Non mi sembra un comportamento corretto -.

-Perché non lo è! -.

- Scusa se mi intrometto ma perché stai insieme ad uno così?-.

- Che? – chiesi sconvolta – Non è il mio ragazzo mi aiuta in chimica! –.

- Oh questo spiega molte cose -.

- Che intendi? -.

- Doveva esserci una ragione per non averlo ancora mandato male e poi mi sembrava strano che fra te e Davide fosse finita -.

Mi voltai verso il finestrino e a denti stretti mugolai un – Ehm..  –.

Umberto mi lanciò un breve sguardo -No! Non dirmelo! Non state più assieme? perché? -.

-Suo fratello -.

- Che centra lui ora? -.

- Se dipendesse da me nulla però ha riempito la testa di Davide di baggianate su quanto io non fossi adatta a lui e sul fatto che ero interessata solo ai loro soldi, immagina che una volta ero in cucina mentre Davide si stava cambiando e Tommaso è venuto da me e mi ha detto che, testuali parole, ‘’ la mia famiglia e la sua appartenevano a due ceti sociali diversi e che non avrei mai potuto avere un qualche tipo di legame reale con suo fratello ‘’ ha detto che non l’avrebbe permesso e alla fine ci è anche riuscito -.

- Mi stai prendendo in giro? -.

- Magari -.

- Questo idiota sa che non è il 1716? Ceti sociali differenti ma che cazzo?! Dimmi che lo hai preso a pugni perché se no lo ritraccio e ci penso io -.

- L’ho fatto ed in realtà penso abbia contribuito a farmi apparire una pazza e quindi alla rottura ma che ci vuoi fare -.

Ci eravamo fermati ad un semaforo rosso Umberto si voltò verso di me e mi attirò a se con un braccio – Ehi vieni qui.. mi spiace per come è andata -.

Mi lasciai andare a quello strano abbraccio laterale, erano passati quattro mesi dalla rottura con Davide, non piangevo più se mi capitava davanti agli occhi una nostra foto ed ero tornata ad avere un rapporto normale con la cioccolata però ripensarci mi provocava ancora del dispiacere.

-Ormai è andata -.

Al verde mi rimisi dritta sul sedile però ci tenemmo per mano, era confortante.

Obi era sempre stato così: confortante.

Suonai il campanello alle 16:18.

Aprì senza chiedere chi fosse, evidentemente ero l’unica visita che si aspettava.

-Sei.. -.

Lo interruppi prima che iniziasse la frase – In ritardo lo so ma sono solo tre minuti non puoi essere tanto fiscale! E poi ti ho anche avvisato con un messaggio dell’eventualità  –.

-Stavo per chiederti se eri affamata, mia madre ha fatto un dolce-.

- Oh – fu tutto quello che riuscii a dire.

Beh evidentemente nemmeno lui era tanto pignolo.

In cucina in effetti su uno dei ripiani c’era una crostata, mi ero rimpinzata di sushi ma nel menù All You Can Eat il dolce non era compreso quindi ne approfittai.

-Gradirei averne un pezzetto grazie -.

Tagliò una fetta e mi porse il piattino - Ma non pensare di avere diritto a pause stasera è sabato e voglio finire presto -.

Sembrava troppo gentile..

-Non temere ho anch’io una vita sociale -.

Crostata ricotta e pere, una delle migliori che avessi mai mangiato. Chi era sua madre uno degli angioletti del ‘’ Paneangeli ‘’?

Fedele alle sue parole si mise subito al lavoro.

Mi mostrò i compiti corretti, esercizi sbagliati: otto su venti.  Poteva andarmi peggio!

Glielo dissi ma lui non sembrò condividere il mio entusiasmo.

-Ne hai fatti male quasi la metà -.

- Meno della metà è un sei! Non potrei chiedere di meglio -.

-Questo è certo -. Roteai gli occhi a quel commento ma non risposi, glielo avevo servito su un piatto d’argento.

- Riprendiamo un po’ delle cose che hai sbagliato e poi andiamo avanti -.

Facemmo come aveva detto senza fermarci nemmeno per spostare i piatti sporchi dal tavolo.

Ad un certo punto suonò il citofono, Raffaele andò ad aprire e al suo ritorno non era solo.

Con lui c’era un ragazzo alto poco più di me, capelli ricci biondi leggermente più lunghi di quanto fosse necessario e occhioni marrone chiaro.

-Ti avevo detto alle otto meno un quarto non alle sette e un quarto – disse Raffaele.

- La parola quarto c’è, e poi che cos’è volevi nascondermi il fatto di essere in dolce compagnia, a proposito piacere io sono Diego esci con noi stasera?-.

- Margherita e no purtroppo ho altri impegni -. Mi presentai con un sorriso.

Aveva una stretta di mano delicata o più probabilmente l’aveva addolcita perché ero una donna, molti uomini tendevano a non stingere quando facevano la conoscenza di una ragazza per non farle male.

Io al suo contrario non mi trattenni mia mamma diceva sempre che la stretta di mano è il biglietto da visita di una persona che sia uomo o donna se ha una stretta scialba è una persona scialba.

Penso che lui se ne accorse perché mi rivolse un piccolo sguardo ammirato.

-Stiamo studiando e per altri quindici minuti non posso darti retta va di la a giocare alla play o resta qua come ti pare -.

- Da quando in qua hai bisogno di ripassare chimica Raffaelino? -.

- Chiamami di nuovo così e ti caccio -.

- Sai che non hai risposto alla mia domanda.. Raffaelino? -.

- Da quando è diventata una candidata alla terza prova ora sparisci -.

- Ma poco fa hai detto che potevo restare -.

- E ora ti ho detto che se mi avessi chiamato a quel modo un’altra volta ti avrei cacciato quindi va nell’altra camera prima che decida di farti aspettare sulle scale -.

- Va bene, va bene fammi solo prendere una fetta di torta -.

- Non la puoi avere, ora ti muovi? -.

- Tranquillo vi lascio soli, questa cosa però me la segno negarmi un dolce che crudeltà -.

Il suo borbottio poteva essere udito anche dopo che le sue spalle furono scomparse dietro l’angolo.

-Sei stato lievemente brusco non credi? Almeno la crostata potevi lasciargliela mangiare -.

- Non gli piacciono i latticini -.

- Ah,  e perché al posto di essere acido non gli hai semplicemente detto che era alla ricotta? -.

- Perché volevo evitare di perdere tempo con discussioni stupide come quella che stiamo facendo ora -.

Mi morsi il labbro inferiore – beh non temere tanto è arrivata l’ora per me di andare, domani quando devo venire? -.

-Cinque meno un quarto come ieri va bene -.

- Okay allora ci vediamo -.

Buttai tutto velocemente nella borsa e salutai con la mano Diego che era spaparanzato sul divano in salotto.

Il tempo di tornare a casa, lavarmi e cambiarmi ed erano le nove e mezza.

Un’ora dopo ero davanti al Fiji con indosso un vestitino nero con scollo in pizzo e converse bordeaux.

Carina e abbastanza comoda per riuscire a ballare.

Avevo lasciato i capelli sciolti ma in caso nel locale facesse troppo caldo al polso avevo un elastico per capelli.

Per il trucco avevo optato per un pochino di mascara, matita nera e rossetto scuro come le scarpe.

All’ingresso c’erano i braccialetti già pagati ma io aspettavo Gennaro e Delia per entrare.

Quando vidi i miei due amici arrivare rimasi a bocca aperta, si fermarono a pochi passi da me e da quelli che fumavano fuori dal locale e si baciarono.

Niente di vietato ai minori un semplice bacio a stampo ma era comunque scioccante. Ed io sapevo che era una farsa non immaginavo l’effetto straniante che avrebbe avuto suoi miei compagni ignari.

-Non so se mi sconvolge più il bacio o il fatto che abbiate abbinato i vestiti -.

- Non ci siamo messi d’accordo -.

- Vuoi dire che non è stato intenzionale? Questo è anche peggio! -.

Delia indossava una gonna verde che le arrivava sotto al ginocchio, a me avrebbe fatto da vestito, ed una maglia nera semplice. Tronchetti sempre neri ed era una dea. Certo lei sarebbe sembrata una regina anche con indosso un sacco di patate ed il fatto che un outfit tanto semplice le permettesse comunque di monopolizzare l’attenzione ne era la prova.

Genna jeans e maglioncino verde.

- È stato involontario ma magari ci aiuta -. Disse la bionda con una scrollata di spalle.

- Entriamo prima che qualcuno faccia il mio stesso imbarazzante collegamento va -. Risposi io.

- Per il resto eravamo convincenti? -.

- Abbastanza da mettermi a disagio -.

Delia sorrise soddisfatta – Perfetto -.

Nel locale suonava ‘’ Shut up and dance ‘’ dei Walk the Moon quel pezzo mi metteva sempre carica.

Come aveva previsto Fabrizio il posto era già pieno e la serata vera e propria non era ancora iniziata, il Dj set infatti cominciava alle undici.

Seduti su dei divanetti a chiacchierare c’erano Debora, Annamaria, Iole, Orazio e Fabrizio.

-Anche voi siete arrivati presto?- dissi io avvicinandomi.

- Anna ci ha trascinati qui alle nove e mezza – si lamentò Fabri.

- Inizio a pensare tu sia troppo eccitata per questa serata c’è qualcosa che ci nascondi? –.

- Ma che dici Delia? Mi piace l’ambiente tutto qui –.

- Se lo dici tu -.

- Sedetevi c’è spazio -.

Gennaro si sedette su un divanetto e Delia gli si posizionò accanto con le gambe a cavallo delle sue. Io scelsi una poltroncina.

Gli altri sembrarono non prestare attenzione al gesto dei miei due amici, d'altronde non era insolito per Dede essere affettuosa.

-Avevo bisogno di uscire, in casa stavo soffocando -.

- Ancora problemi coi tuoi Deb? –.

- Si, e io che credevo che vivendo in case separate avrebbero finalmente smesso di litigare invece è quasi peggio di prima -.

- Isa e Sabri come stanno prendendo il divorzio? -.

- Isa è confusa non capisce perché papà non dorme più da noi e Sabrina è incazzata nera con entrambi, ma più di tutti con la nuova compagna di papà, continua a chiamarla ‘’ quella stronza ‘’ il che non aiuta quando passiamo i week end da loro anche perché papà pensa che sia stata mamma ad insegnarglielo e quindi la chiama e litigano e la cosa è un circolo vizioso -.

- Un po’ sboccata per essere una bambina di prima media -. Commentò Orazio.

- Fa la terza media e poi in parte ha ragione, Carola o come si chiama lei è una rompiballe con quella vocina stridula per non parlare poi di quel topo che chiama cane, qualcuno mi spieghi perché i chihuahua non si sono ancora estinti! -.

- Non per essere cattiva ma incolparla di tutto mi sembra esagerato tuo padre un cervello ce l’aveva poteva rifiutare le sue avance in qualsiasi momento avendo moglie e figli che lo aspettavano a casa -.

- Delia! -. La rimproverò Gennaro.

- Oh Genni cercavo solo di essere onesta -.

- Non dico che mio padre non si sia comportato da idiota ma lei doveva per forza essere così insopportabile? Avesse avuto un carlino mi sarebbe stata più simpatica -.

Arrivarono ad interrompere la conversazione Saverio Sara e Lucia - Che sono ‘sti musi lunghi ragazzi?-.

-Niente mi sfogavo un po’ in attesa del Dj, è in ritardo? -.

- Ho sentito dire che tra dieci minuti inizia – assicurò Sara.

- Qualcuno sa che fine hanno fatto gli altri?-.

- Stanno prendendo da bere -.

- Uh voglio qualcosa anch’io -.

- No Debora non disturbarti! – ma lei non diede ascolto a Lucia che comunque quando Debora fu sparita tra la folla continuò  – Tanto stanno prendendo roba per tutti -.

- se è così magari ha fatto bene ad andare darà una mano con le bottiglie -.

- Mi sa che vado anch’io ad aiutare sono sicura che si dimenticheranno di fregare bicchieri a sufficienza -.

Alzarsi fu facile farsi strada nella massa si rivelò un pochino più complicato.

Nei minuti in cui ero rimasta a chiacchierare il Fiji si era riempito ancora più di quando ci avevo messo piede all’inizio di quella sera.

Ero a pochi passi dal bancone del bar quando una tizia mi spintonò e mi fece finire di gomito sulla schiena di un ragazzo davanti a me.

-Dannazione – disse quello voltandosi.

Notai la sua camicia macchiata ed un drink mezzo vuoto nella mano. Se lo era rovesciato addosso per colpa mia.

-Oh mio Dio scusa – mi affrettai a dichiarare io.

- Mi prendi in giro? -.

Oh no, non poteva essere.

Alzai lo sguardo sul volto del ragazzo, cosa che non avevo fatto prima troppo presa ad imbarazzarmi per averlo colpito ed a dispiacermi per quello che ne era conseguito.

-Suppongo fosse questo l’impegno eh? -.

 

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Capitolo 8
*** Debora che fine hai fatto? ***


8.   Debora che fine hai fatto?

 

Nuovo capitolo! So che l’aggiornamento di questa storia è un pochino irregolare soprattutto se confrontato con quello del mio altro racconto ‘’Witches of the Circle‘’ ma questa storia è in un certo senso più complessa, forse perché è anche più sentita.

 

Quello che voglio dire è che è più facile ritrovarsi e a volte anche un po’ perdersi nella quotidianità di Margherita (una ragazza normale che vive una vita realistica) che non in quella di tre streghe adolescenti ahaha

 

Non sono sicura di essermi spiegata per bene ma spero abbiate capito quello che voglio dire!

 

Comunque qui c’è Marghe che si diverte in discoteca con tutti i suoi amici.

 

In questo capitolo infatti daremo una occhiata più attenta alle dinamiche di classe, magari dando più spazio ad alcuni amici della nostra protagonista che fino ad ora non abbiamo conosciuto molto bene.

 

Direi che vi ho anticipato anche troppo! Vi lascio al capitolo, fatemi sapere cosa ne pensate.

Xx Elykei

 

 

 

Alzai lo sguardo sul volto del ragazzo, cosa che non avevo fatto prima troppo presa ad imbarazzarmi per averlo colpito ed a dispiacermi per quello che ne era conseguito.

-Suppongo fosse questo l’impegno eh? -.

 

 

 

-Si proprio così – risposi io ricambiando il sorriso che Diego mi rivolse.

Feci una piccola smorfia indicando la macchia con un dito – mi dispiace davvero per quella è che una ragazza mi ha spintonato e ho perso l’equilibrio, scusa -.

-Ah tranquilla uno dei vantaggi dell’invisibile è che è trasparente al massimo penseranno che è sudore -.

Commentai con un ‘mm’.

-Fa un po’ schifo eh? -.

- Abbastanza – scoppiammo a ridere entrambi.

- Questo vuol dire che se stasera non faccio conquiste la colpa sarà tua -.

- Cerchi di farmi sentire ancora più in colpa? -.

- Forse -.

- Oh beh ci stai riuscendo -.

- Stavi andando verso il bar, vuoi qualcosa? Vieni -. Mi portò vicino al bancone.

- In realtà cercavo bicchieri, una decina almeno -.

Diego annuì poi distolse da me lo sguardo per attirare l’attenzione di un moro che parlava col barista.

-Oi Raffa chiedi se ti passa dei bicchieri -.

- Perché a che ti servono? –.

Il biondo fece notare all’amico la mia presenza - Non a me è la tua amica che ne ha bisogno -.

-Che ci fai qui? -.

Lo chiese con un tono quasi accusatorio, tranquillo amico non sono una stalker.

-Tu che dici? Prendo da bere -.

- A proposito sicura che vuoi solo i bicchieri? Niente birra o drink? Approfittane dato che possiamo saltare la fila e poi anche se sono riuscito solo ad assaggiarlo l’invisibile non è niente male -. Scherzò Diego.

Si mise in mezzo il barista – Allora volete altro o no? -.

Tutti e tre guardavano me in attesa di una risposta.

- Ma si dai prendo un Vodka Lemon -.

- Perfetto  -.

Ci allontanammo verso i palchetti con i cocktail in mano ed io con in più i bicchieri sottobraccio.

Il Fiji Club era un locale diviso in tre stanze. La prima subito dopo l’ingresso aveva il guardaroba sulla destra ed il bancone del bar sulla sinistra. Pochi passi più avanti dopo un arco c’era la stanza nella quel si ballava, la più grande delle tre con al centro un palco dove si posizionavano i vari Dj o in alcuni casi le band.

Su tre delle pareti dello stanzone da ballo vi erano poi dei corti soppalchi che tutti chiamavano palchetti l’ultima stanza era piccolina una specie di privè su prenotazione, era li che c’erano i divanetti e in quel momento anche tutti i miei amici.

Diego e Raffaele mi avevano portata nella direzione opposta – Vieni gli altri ci stanno aspettando -.

-Chi altri? -.

- Salvatore, Emanuela, Annamaria lei è Margherita giusto? Un’amica di Raffa -.

Stavo salutando con una mano quando – Anna! -.

Diego le si avvicinò cingendole la spalla – Vi conoscete? -.

-Andiamo nella stessa classe, non sapevo che voi vi conosceste però -.

- Lei e Raffaele studiano chimica insieme per prepararsi alla terza prova-.

- Ah si? Eppure avevo sentito che tu eri bravo -.

- Che intendi? -.

- Quello che vuole dire la mia per niente dolce amica è che non sa come io possa essere utile a Raffaele dato che faccio schifo in scienze e per quanto sia poco gentile ha ragione non ci stiamo preparando insieme per gli esami è lui che mi da ripetizioni -.

- Oh non lo sapevo – commentò Annamaria.

- Nemmeno io, non mi ha detto niente oggi pomeriggio -.

Raffaele scrollò le spalle.

-Vabbe questo spiega perché oggi si è degnato di offrire, che fai paghi da bere agli amici con i soldi delle ragazze? Buuu – disse il castano che Diego aveva indicato come Salvatore.

- Concordiamo tutti sul fatto che Raffa è una merdina ma io voglio ringraziare Margherita perché se i soldi erano suoi allora per me è lei che ha offerto! Grazie Margherita ti ho appena conosciuta ma mi sei già simpatica! – Emanuela alzò il suo bicchiere e gli altri la seguirono, anch’io lo feci accompagnando il movimento ad una risata.

- Ehi quando ho pagato i soldi non erano più suoi! –.

- Sssh incassa il colpo per una volta -.

- Già brinda a me – rincarai la dose io.

Lui mi guardò a sopracciglia alzate per qualche secondo poi si arrese e si unì al cincin.

Anna mi si avvicinò. – Allora aveva ragione Delia quando notava la tua eccitazione prima eh – le sussurrai. Il volto le si illuminò ed arrossì.

Ci eravamo fatte un passo indietro mentre loro chiacchieravano e prendevano in giro Raffaele.

-Allora? Che ne dici? È carino vero? -.

- Molto! Apprezzo soprattutto il lato B -.

- Attenta a dove metti gli occhi Marghe è del mio ragazzo che parliamo – giocò Anna.

- La cosa è più seria di quanto pensassi -.

- No non lo è sono io che sto andando troppo veloce per ora ci stiamo solo frequentando ma è così carino e dolce, mi fa ridere e te ne sei accorta anche tu: ha un culo che parla! -.

Mi coprii la bocca per non sputarle il cocktail in faccia, farmi ridere mentre bevevo non era una idea geniale.

-Tutto okay? Ti è andato di traverso? -. Tossii – Sto bene, sto bene. Comunque ti ha presa parecchio Diego -.

- Tanto, sembro una pazza? -.

- Solo un pochino -.

- Uffa, va bene mi devo dare una calmata anzi tu mi devi dare una calmata -.

- Che cosa devo fare? -.

- Resta con me se vedi che mi sto comportando da matta fermami -.

- In realtà volevo tornare dagli altri.. -.

- Devo andarci anch’io, ho assillato mezza classe per venire qui, mollarli sarebbe ingiusto, facciamo un po’ avanti e dietro – mi poggiò la testa sulla spalla ed abbracciò il mio braccio – Ti prego -. Mai E fu più trascinata di quella.

- D’accordo facciamo una capatina da loro però, mi sono allontanata per questi – sollevai i bicchieri – E non sono ancora tornata -.

- Io ho detto che mi facevo un giro, ci avranno date per disperse -.

- Andiamo da loro – poi a voce più alta dissi – Noi torniamo subito -. Il quartetto annuì.

Quasi tutti i nostri compagni di classe erano sulla pista da ballo i pochi ancora seduti sui divanetti si passavano una bottiglia di spumante.

-L’hai fabbricata tu la plastica per quelli? -.

- Si ed è stata fatica sprecata dato che avete preferito bere alla canna -.

- Non ti vedevamo! -.

- Noi andiamo a ballare, che fate? -. Ci chiese Debora.

- Arriviamo subito -.

Avevamo il privè tutto per noi feci cenno ad Anna di sedersi accanto a me.

- Come mai non hai detto a nessuno di questa specie di appuntamento? -.

- Perché non voglio che pensino a male, o che gli mettano in testa strane idee lo sai che Ludovico a volte fa battute infelici -.

Annamaria aveva avuto più di qualche flirt negli anni, per questa ragione a scuola alcuni la consideravano una ragazza facile, in passato anche in classe si era scherzato su questa cosa, finché un giorno Anna ci aveva chiesto di smettere.

Dopo che le aveva confessato che quelle voci la infastidivano Delia aveva tirato fuori l’argomento durante una assemblea di classe, all’inizio Anna aveva sminuito la cosa, voleva apparire una ragazza forte e lo era ma essere attaccati non è mai piacevole così alla fine ammise che i vari commenti finivano per ferirla. Dede aveva obbligato tutti a promettere di non prenderla più in giro e per il mese successivo aveva sistematicamente tirato le orecchie a chiunque continuasse a farlo.

Ogni tanto qualche allusione capitava ancora, Annamaria ci rideva su a patto che la situazione non degenerasse.

Concordavo con la mia migliore amica riguardo a questa storia, una ragazza dovrebbe poter fare ciò che vuole, vedersi con cento ragazzi o con nessuno senza dover preoccuparsi di essere bollata come troia o verginella.

Per questo capivo quello che mi aveva appena detto. Evidentemente per Diego provava qualcosa di più profondo di una attrazione fisica ma per evitare che uno dei nostri compagni in un momento di idiozia commettesse una gaffe che la potesse mettere in difficoltà prima ancora che la storia tra loro due diventasse ufficiale aveva preferito tenere la quasi relazione segreta.

Pensandoci era da quasi tre mesi che Anna non ci raccontava di nessun nuovo ragazzo interessante e più di cinque che non ci presentava qualcuno.

Chissà da quando andava avanti questa ‘’conoscenza‘’ con Diego.

-Da quanto vi sentite? -.

- La prima volta abbiamo iniziato a parlare alle macchinette circa quattro mesi fa, poi ci è capitato di incontrarci un altro paio di volte e da lì è diventato un appuntamento fisso, ogni lunedì e giovedì ci vedevamo per uno di quegli orrendi caffè -.

- Fammi indovinare tu sfruttavi le ore di educazione fisica -.

- E lui il lunedì aveva l’esonero da religione e il giovedì faceva finta di frequentare lo psicologo scolastico infatti poteva restare solo venti minuti perché ne doveva passare almeno altri dieci sparando cavolate alla dottoressa – annuì lei.

- Ecco per chi hanno portato avanti il programma allora! Mi sono sempre chiesta perché non lo avessero chiuso, non pensavo che qualcuno andasse davvero dalla strizzacervelli, tutt’oggi non sono neanche sicura abbia una vera qualifica quella la -.

- Non lo dire a me, non so come abbia fatto a non accorgersi dopo tre mesi che Diego le rifila una marea di cavolate sconclusionate -.

- Ma scusa dopo tutto ‘sto tempo vi considerate ancora semplicemente due che si frequentano? -.

- Fino a tre settimane fa ci sentivamo come amici e basta immagina che ci siamo incontrati per la prima volta al di fuori delle mura scolastiche solamente una quindicina di giorni fa -.

- Se volevi che gli altri restassero all’oscuro di questa cosa però perché hai insistito affinché venissimo? -.

- Per avere una scusa per allontanarmi in caso i suoi amici mi fossero stati antipatici, è la prima volta che ci esco assieme sai -.

- Capisco.. l’unica cosa che devo ancora scoprire è se vuoi che io stasera ti impedisca di far accadere qualcosa tra te e Diego o se ti dovrò incoraggiare -.

- Non lo so, girano troppe voci a scuola e se mi volesse solo per quelle? Magari pensa che con me è facile arrangiare, eppure non penso sia così perché è stato lui a rallentare le cose tra noi dicendo di non voler affrettare il tutto eccetera . E io ci sto andando piano ma hai visto le sue labbra? Implorano di essere baciate! -.

Cercai di fermare pure fisicamente le sue parole alzando le mani – Mi sembri abbastanza confusa -.

Annamaria sospirò -Lo sono -.

-Per me se hai voglia di baciarlo fallo chissene! Ciò che intendo è che se tu te la senti non devi bloccarti per paura dei pettegolezzi. E in ogni caso Diego ha diciotto anni mica dodici dubito che per lui arrangiare sia una pomiciata se il suo scopo è approfittare di te comunque cercherebbe qualcosa di più e a quel punto te ne accorgeresti. Se uno passa da ‘’ chi va piano va sano e va lontano ‘’ a togliti la camicetta in quattro e quattr’otto lo si nota -. 

- Anche questo è vero -. Ancora un sospiro – Quindi mi consigli di seguire il mio cuore senza però spegnere il cervello -.

- Esattamente -.

- Ci proverò.. tu però continua a tenermi d’occhio okay? -.

- Contaci -.

L’abbracciai, se il biondino avesse finito per ferirla l’avrei fatto a pezzi.

Finito il tempo delle confessioni e dei gossip ci buttammo in mezzo alla folla.

Ballammo per ore alternandoci tra i ragazzi di classe e il gruppetto di amici di Diego.

Fu divertente e liberatorio. Al principio controllai Anna con parecchia attenzione. Notavo come si conteneva per evitare di dire cose troppo provocatorie e come le si illuminavano gli occhi quando lo guardava. Anche quelli di lui parevano luccicare un pochino.

 Quando il loro primo bacio arrivò, non mi intromisi, ne avevano evidentemente voglia entrambi.

Emanuela si era rivelata una compagnia più che piacevole così come Salvo quindi mi concentrai su di loro. Raffaele fu sempre abbastanza burbero ma gli altri sembravano ignorare i suoi momenti peggiori e canzonarlo in quelli più leggeri.

In qualche occasione lo scorsi anche ridere di gusto.

In quei momenti non sembrava il pomposo ragazzino rompiballe che mi faceva da tutor di chimica.

Era ormai tardi quando decisi di fare un’ulteriore gita dalla restante terza D.

Quasi tutti si trovavano attorno ai tavolini del privè.

-Che mi sono persa? -.

- Deb è con te? -. Disse subito Orazio quando mi feci loro incontro.

- No non la vedo da un bel po’ perche? -.

- Sarà una mezzoretta che è sparita, ha accompagnato Sara in bagno ma dopo che lei è uscita per lavarsi le mani non l’ha trovata -.

-Pensavo fosse tornata da voi invece nessuno l’ha più vista – continuò la riccia.

- Quanto aveva bevuto? -.

Lucia rise cupa - A sufficienza -.

-Ogni tanto mentre andavamo alla toilet dovevamo fermarci perché le girava la testa -.

- Cazzo! Okay dobbiamo trovarla -.

- Cerchiamo fuori in trenta minuti non può essere andata lontano -.

- E se è andata via con qualcuno? – ipotizzò Ludovico.

Gennaro scosse il capo - Avrebbe avvisato -.

-O almeno ora risponderebbe alle nostre chiamate -.

- Restare a fare congetture è inutile Marghe tu avvisa gli altri e fatti un altro giro per il locale magari era in mezzo alla calca e siamo stati noi a non vederla, noi invece facciamo un giro nei dintorni se qualcuno la trova oppure riesce a sentirla un messaggio sul gruppo di whatsapp e saremo tutti contenti -.

Controllai i bagni e i pressi del bancone, girai tutto attorno al palco del Dj trovando Fabrizio e Alessandra ma di Deb nessuna traccia.

-Anna! – Interruppi la mia amica in quello che doveva essere il bel mezzo di un discorso.

Dovette capire qualcosa dal mio viso perché mi chiese subito quale fosse il problema.

-Non troviamo Debora tu l’hai vista? -.

- No, ma sta bene? -.

- Sono sicura di si è solo che non risponde al telefono quindi siamo leggermente preoccupati -.

- È ubriaca? -.

Mossi il capi in segno affermativo.

Diego si accostò a noi insieme a Raffaele – Che è successo? -.

-Dobbiamo cercare una nostra amica ci vediamo dopo va bene? -. Anna diede un veloce bacio a stampo al biondo e fece per allontanarsi ma lui la fermò sfiorandole un gomito.

- No aspetta veniamo con voi -.

- Non è necessario non dovete disturbarvi -.

- Ci fa piacere dare una mano, vero Raffa? -.

- Muoviamoci  – rispose lui iniziando già ad osservare l’interno del Fiji.

- Se ci dividiamo facciamo prima, noi non la conosciamo quindi Annamaria tu vieni con me e Raffaele con Margherita -.

- Okay andiamo -.

Altro giro per il locale altra delusione Raffaele propose di chiedere alla sicurezza. Uno dei bodygard che controllavano l’ingresso una volta mostratagli una foto di Debora ci disse di averla  vista incamminarsi verso una roulotte che vedeva panini.

Facemmo qualche domanda ai proprietari di quella, voleva delle patatine ma ha proseguito lungo la strada quando non gliele abbiamo vendute, era senza soldi. Fu ciò che dissero loro.

Seguimmo le indicazioni – come si chiama? -.

-Debora  -.

Raffaele incominciò ad urlare il nome a squarciagola, mi aspettavo una secchiata di acqua e varichina in testa da un momento all’altro.

Dopo cinque minuti udii in risposta alle chiamate un lieve ‘’ sta zitto ‘’.

-Silenzio  -.

- L’hai sentito anche tu? -.

- Si veniva da quel portone -.

Ci avvicinammo all’ingresso grigio scuro del palazzo, la porta era socchiusa.

Dentro sugli scalini trovammo Debora, la testa poggiata al corrimano.

-Deb ma che cavolo? Ti abbiamo cercata ovunque eravamo preoccupati -.

Mugugnò una frase incomprensibile.

- Avviso gli altri la guardi tu per un secondo? -.

- Si tranquilla -.

- Grazie -.

Messaggio inviato a IIID lasciate ogni speran.. 02:45:

l’ho trovata.

Messaggio inviato da Tommaso 02:45:

dove? Sta bene?

Messaggio inviato da Sara 02:46:

Ti serve aiuto? Dove sei ti raggiungo.

Mi voltai verso gli scalini – Come va? -.

-Dice di avere sonno -.

- Perfetto -.

Messaggio inviato a IIID lasciate ogni speran.. 02:49:

Sono con un amico, mi da una mano lui. Vedo se riesco ad accompagnarla a casa, non appena l’ho lasciata vi avviso.

Messaggio inviato da Sara 02:50:

Va bene.

Messaggio inviato da Alessandra 02:50:

Stasera sta da suo padre.

Messaggio inviato da Alessandra 02:50:

Cerca di accompagnarla fin sopra dovrebbe avere le chiavi nella tasca interna del giubbotto.

Messaggio inviato da Alessandra 02:51:

Fai in modo che suo padre e la fidanzata non se ne accorgano, sarebbe la terza volta in un mese che uno dei suoi la sgama ubriaca fradicia.

Messaggio inviato a IIID lasciate ogni speran.. 02:52:

Ci provo ma non sono 007 non so se riesco ad intrufolarmi in casa sua senza farmi notare da nessuno soprattutto se non collabora.

Messaggio inviato da Gennaro 02:53:

Tre volte in trenta giorni?

Messaggio inviato da Lucia 02:53:

Quelle sono solamente  le volte in cui si è fatta beccare..

Messaggio inviato da Gennaro 02:53:

Vuoi dire che la situazione è anche peggiore?

Messaggio inviato da Fabrizio 02:53:

Esattamente quanto spesso si sbronza ultimamente?

-Mi aiuti a farla alzare? -.

La voce di Raffaele mi distrasse dalla conversazione – Eccomi -.

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Capitolo 9
*** 007 Operazione ritorno a casa. ***


Buonasera gente, ho finalmente avuto un attimo di pausa e quindi ho pensato di pubblicare un nuovo capitolo. Spero di farvi cosa gradita J

Volevo approfittare di questo spazio per ringraziare tutti quelli che hanno aggiunto la mia storia tra le loro preferite e/o seguite grazie di cuore!

Naturalmente un ulteriore ringraziamento va anche ai lettori silenziosi della mia storia, apprezzo che decidiate di dedicare parte del vostro tempo alla mia storia, mi dà immenso piacere.

Riusciranno i nostri eroi a riportare a casa la donzella in difficoltà? Lo scoprirete oggi ahaha

In ogni caso buona lettura, e se vi va lasciatemi un commentino.

xxElykei

 

 

-Mi aiuti a farla alzare? -.

La voce di Raffaele mi distrasse dalla conversazione – Eccomi -.

 

 

 

 

La prendemmo sottobraccio io da destra lui da sinistra.

Quando fummo fuori gli chiesi – Hai un’auto? -.

-Si per quale motivo me lo chiedi? -.

- Posso chiederti un favore?-

- Fammi indovinare vi serve un passaggio? -.

- Basta che ci lasci a casa sua poi da li io mi arrangio -.

- Dimmi dove andare avanti -.

- In centro vicino alla stazione -.

Ci mettemmo in macchina, io dietro con Debora stesa con la testa sulle mie ginocchia, le carezzavo i capelli per placarle la nausea.

-Mi vomiterà in macchina? -.

- Se vedo che sta per farlo ti avviso così ti fermi -.

- Mi accontenterò di questo -.

Ci vollero circa venti minuti per arrivare in stazione, dal Fiji normalmente avremmo dovuto impiegare il doppio del tempo ma raramente alle tre di notte si trovava traffico.

Le chiavi erano dove mi aveva indicato Alessandra.

Insieme con Raffaele la portai al secondo piano, certo le scale non erano tante ma farle con in braccio una ragazza di cinquantotto chili non era semplicissimo.

Alla porta io la aprii cercando di essere il più silenziosa possibile Raffaele reggeva Debora.

Un abbaio acuto ci assalì. Era quello stupido chihuahua.

Adoravo tutti gli animali ma in quel momento il mio amore era un po’ attenuato dall’irritazione.

Presi in braccio cannella che fortunatamente mi riconobbe  e smise di fare chiasso.

In casa dormivano ancora.

Ci facemmo strada al buio per evitare di svegliare i quattro Loi dormienti.

Deb che bofonchiava in continuazione ‘fatemi stendere sto scomoda’ non aiutava la furtività.

Per fortuna nonostante la coppietta felice si fosse trasferita in quel palazzo solo pochi mesi prima ero stata a casa della mia amica quanto bastava da ricordare come raggiungere la sua camera da letto.

Grazie al cielo quell’appartamento era più grande di quello della madre o alla lista delle difficoltà da superare avremmo dovuto aggiungere ‘introdurre una teenager ubriaca in una stanza dove un’altra ragazzina e una bambina di sei anni dormivano’.

Almeno li Debora aveva una camera singola.

Per qualche miracolo riuscimmo a fare tutto e ad uscire senza farci notare.

Una volta fuori dal palazzo ci sedemmo sul bordo della fontana al centro della strada, faceva da rotonda ed aiutava a smaltire il traffico tipico delle stazioni di pullman e treni.

-Siamo un’ottima coppia di ladri -. Esordì Raffaele una volta che fummo seduti.

- Potremmo svaligiare appartamenti! -.

- È una buona carriera in caso ti bocciassero per la chimica -.

Feci una faccia oltraggiata poi per vendetta lo schizzai.

Raffaele cercò di ripararsi ma il mio gesto lo aveva colto di sorpresa quindi quando si fu alzato l’acqua l’aveva già colpito.

-Hai idea di quanto faccia ribrezzo l’acqua di questa fontana? -.

- Mi spiace, non vado abbastanza bene in chimica da poterlo capire -.

Scosse il capo sorridendo – Vediamo se riesco a spiegartelo -.

Mi si avvicinò con fare vagamente minaccioso io lo guardai, le sopracciglia inarcate a mo’ di sfida.

Sfida che colse perché mi prese in braccio e in un baleno mi buttò nella fontana.

Beh a dire la verità mi ci appoggiò, se mi ci avesse buttato dentro mi sarei rotta l’osso sacro.

Lo osservai  incredula, non poteva averlo fatto davvero. Eppure lo aveva fatto.

Con una mano lo tirai per camicia e in men che non di dica si ritrovò ad annaspare nel basso guado con me.

Ridemmo e ci schizzammo a vicenda finché non sentimmo le urla di un poliziotto che ci diceva di uscire da li, a quanto pareva farsi un bagno in una fontana pubblica era illegale.

Il poliziotto si avvicinò e quando fu a pochi passi da noi scivolò su una pozzanghera. Si rialzò e credendoci la causa della sua caduta continuò l’avanzata sempre più adirano, noi però non riuscivamo a smettere di ridere.

Raffaele mi trascinò fuori dalla fontana e una volta recuperata la sua felpa mano nella mano scappammo.

L’agente ci rimase alle calcagna per alcuni metri poi si arrese, noi invece continuammo a svignarcela e a sghignazzare.

Nemmeno quando fummo arrivati dall’altra parte del centro la nostra gioia si arrestò. Non avevamo più fiato così ridevamo senza emettere suoni ed iniziavo a pensare che qualcuna tra le gocce d’acqua che mi scorrevano sulle guance fossero lacrime non schizzi della fontana. Stavo letteralmente piangendo dalle risate.

-Ma.. ma l’hai visto? – inspirai – È caduto come un sacco di patate! -.

Riprendemmo fiato. - Quando si è rialzato era tanto instabile che pensavo cadesse di nuovo! Giuro se l’avesse fatto niente mi avrebbe dato la forza di correre via -.

- Per fortuna mi hai trascinata tu lontano da là perché io già l’avevo persa -.

Lui si poggiò ad un muro alle sue spalle e si passò una mano sulla testa.

-Posso farti una domanda? -.

- Dimmi -.

- Ecco è da oggi pomeriggio che me lo chiedo, come mai non hai detto a Diego che mi davi ripetizioni quando te l’ha chiesto? -.

- Non sapevo se volevi farlo sapere in giro, non ne avevamo parlato quindi ho optato per la cosa più sicura -.

Mi morsi leggermente il labbro inferiore – è stato molto gentile da parte tua, grazie -.

Fece spallucce.

-E sei stato cortese anche ad aiutarmi con Debora, non eri obbligato -.

- Non lascio due ragazze sole per strada di notte soprattutto se una di queste ha bevuto troppo per reggersi in piedi da sola -.

- Un gentleman provetto -.

Chinò il capo in segno di ringraziamento.

Un brivido mi percorse il corpo – freddo? -. Chiese Raffaele.

-Un pochino -.

- Torniamo alla macchina prima che ti congeli -.

Nel tragitto mi porse la sua felpa, unica cosa che si era salvata dall’acqua dato che non l’aveva indosso quando era caduto, ma era poggiata sul bordo del muretto della fontana.

-Oh no tienila pure, starai morendo di freddo anche tu -.

- Sto bene, prendila prima che io cambi idea -. Era un occhiolino quello? Chissà come mai fino a quel momento non avevo immaginato Raffaele come il tipo da occhiolino.

Accettai l’offerta, la felpa era così calda, sapeva di detersivo e deodorante al talco.

Il viaggio verso casa durò una mezzora.

Stare in auto senza musica era una cosa che proprio non mi riusciva perciò cercai di accendere la radio ma qualsiasi stazione mettessi si sentiva solo rumore statico.

- Rinunciaci è rotta, funziona solo se colleghi un cellulare col cavo aux -.

- Il mio è praticamente morto è al cinque percento mi presti il tuo? -.

Se lo sfilò dalla tasca – Non ho troppa musica per quella di solito uso l’Ipod -.

- C’è ancora gente che li usa? Pensavo che i cellulari li avessero resi obsoleti -.

- Non stiamo mica parlando del treno a vapore eh! Non è un congegno del 1918 è ancora considerato abbastanza tecnologico -.

- Se lo dici tu, ecco questa è una canzone adatta al momento -.

Le note di Tunderstruck invasero l’abitacolo.

- Tu credi? -. Disse incerto.

- Chi meglio degli AC/DC può tenerti sveglio alle quattro di notte? -.

- Non mi addormenterò al volante -. Rise lui.

- Meglio prevenire no? -.

Dopo un altro paio di canzoni decisi di cambiare genere e reiniziai a curiosare nella sua libreria musicale.

-De Andrè? Che hai di suo? -.

- Non molto, lo ascolti? -.

- Mia madre è una patita della sua musica ha un cofanetto con tutti i suoi CD, a furia di ascoltarlo ho finito per innamorarmene anch’io -.

Feci partire Se Ti Tagliassero A Pezzetti.

-Sai che questa è dedicata alla libertà? Mai sentite parole più straordinarie -. Dissi ad occhi chiusi.

La melodia era rilassante, il testo lo conoscevo a memoria.

Mi raggomitolai nel sedile, cercando di combattere il freddo, probabilmente stavo bagnando tutto dato che il vestito era zuppo, anche la felpa era ormai umida.

Se non fossi stata sull’orlo del regno di Morfeo mi sarei preoccupata dell’aspetto dei miei capelli oppure del disastro che doveva essere il mio trucco, ma ero stanca così non pensai a nulla.

Forse mi addormentai perché quando aprii gli occhi al suono di Raffaele che canticchiava la canzone era cambiata e mancavano solo un paio di isolati alla mia stradella.

Mi voltai verso Raffaele, era immerso nella guida.

Il mio respiro era ancora regolare, non penso si fosse accorto che ero sveglia.

La luce dei lampioni cadenzata gettava un ombra sul lato del volto che riuscivo ad intravedere dando risalto al naso dritto e alla mascella definita.

Dalla mia posizione riuscivo a scrutare indisturbata il suo profilo. Era.. elegante.

Forse era colpa dell’atmosfera ma non avrei saputo come descriverlo altrimenti.

All’improvviso Raffaele si voltò verso di me, spalancai gli occhi imbarazzata poiché ero stata sorpresa a fissarlo, per cercare di rimediare me li stropicciai fingendo di essermi appena svegliata.

Persa nell’osservare quei tratti armoniosi non mi ero accorta che l’auto si era fermata.

-L’indirizzo che mi hai dato è questo -.

- Già siamo arrivati -. Concordai guardando fuori dal finestrino.

Perché non avevo voglia di scendere dalla macchina?

Scossi il capo come per scacciare quel pensiero invadente, non era il momento adatto a risolvere quel tipo di quesiti.

 -Beh ci vediamo domani, anzi oggi! -. Risi ma in mente mi chiesi perché mai avevo fatto una battuta tanto squallida. Brava Margherita non potresti sembrare più sciocca.

Lui fece una piccola ghigno più per quanto ero risultata patetica che non per la battuta in sé, ne ero certa.

Feci per aprire la portiera quando mi ricordai che avevo ancora indosso qualcosa che non mi apparteneva –Oh aspetta devo ridarti questa -.

Prima che mi sfilassi la felpa però mi disse di tenerla, infondo era zuppa perciò per quella mattina a lui non sarebbe servita.

Lo ringraziai brevemente.

Arrivata al portone però mi accorsi di non avere con me la borsetta.

Non l’avevo mica lasciata al Fiji vero? Se così fosse stato non l’avrei mai ritrovata!

Poi l’illuminazione, l’avevo lasciata a Delia.

Mi aveva chiesto di tenerla per poter avere a disposizione l’assorbente di scorta che avevo sempre con me.  Per quanto fosse possibile calcolarne i ritmi a volte il ciclo faceva brutte sorprese e Dede aveva temuto di riceverne una proprio quella sera. Nel trambusto che aveva seguito la momentanea scomparsa di Debora non avevo potuto farmela restituire.

Quella pochette conteneva anche le chiavi di casa per mia sfortuna.

Avrei dovuto attendere almeno l’alba per chiamare il mostriciattolo e pregarlo di aprirmi portone e porta affinché io potessi rientrare senza svegliare mia madre.

Almeno il cellulare infatti l’avevo con me.

Desiderai ardentemente che Raffaele andasse via, non volevo che venisse a conoscenza del fatto che ero chiusa fuori casa. Era imbarazzante. Lui però non sembrava avere intenzione di muoversi. Per quale ragione restava li?

Stava forse aspettando per maggiore sicurezza di vedermi entrare sana e salva nel portone?

Per forza in quel momento doveva comportarsi da gentiluomo?

Sbuffai  e mi sedetti sul gradino a braccia incrociate.

Alla faccia del non poter apparire più sciocca!

Attraverso il finestrino notai che Raffaele mi osservava curioso.

Dopo qualche istante di muto esaminarci a vicenda lo vidi farsi avanti lungo la stradella e scomparire.

Passarono cinque minuti e ancora non era tornato indietro.

Dove era andato? La strada era chiusa!

Poi lo vidi arrivare, solo che era a piedi. Camminava sul marciapiede, lo scorgevo a fatica nel buio, l’unica luce era infatti quella di servizio del mio portone e lui era abbastanza lontano da non esserne colpito. Era arrivato quasi a metà del cortiletto che separava il mio palazzo dal successivo, ma comunque non lo distinguevo con chiarezza.

I vestiti scuri di certo non aiutavano l’impresa.

Solo quando mi sedette accanto riuscii ad identificarne distintamente le fattezze.

Era poggiato con la schiena al vetro le gambe lunghe incrociate alle caviglie, le mani rilassate sul ventre: il ritratto della tranquillità.

-Perché sei ancora qui? -. Chiesi.

- Dovrei fartela io questa domanda -.

- Effettivamente -.

- Allora? -.

Mi coprii gli occhi con un braccio – Ho lasciato la borsetta con le chiavi ad una amica e ora aspetto che si faccia un’ora decente per svegliare mio fratello e chiedergli di farmi entrare -.

-Se devi suonare il citofono tanto vale farlo ora, altrettanto per l’urlare -.

- Non sono una buzzurra né ho intenzione di svegliare il resto della famiglia lo chiamerò al cellulare -.

Pareva confuso – Come? -.

-Con il mio telefonino.. servono  a questo sai -.

Il trucco di quando si ha un vestito e non si può portare con se una borsa è tenere il cellulare nella fascia laterale del reggiseno, impossibile perderlo, impossibile scordarlo.

Lo estrassi e glielo mostrai, grazie alla molta pratica riuscivo quasi a risultare aggraziata invece che volgare.

Lui sorrise – Posto interessante per conservarlo -.

-Si fa ciò che si deve -. Risposi io.

- E dimmi un po’ non puoi chiamare tuo fratello ora perché..? -.

- Io e Luca abbiamo delle regole, una di queste è che se uno fa una cazzata che lo porta a restare fuori casa oltre orario e per qualche ragione non ha accesso alle chiavi prima di svegliare l’altro deve aspettare almeno l’alba. È una specie di piccola autopunizione, in questo modo ci sentiamo un po’ meno in colpa quando inganniamo mamma e poi se lui mi svegliasse alle quattro e mezza del mattino senza una ragione importante lo picchierei. Quindi non posso certo aspettare che lui faccia diversamente -.

- E se per caso quello fuori casa si trova in difficoltà o peggio in pericolo che fate lasciate che muoia in mezzo ad una strada? -.

- Certo che no! Se è un’emergenza è un’emergenza non si discute, ma per cose stupide come aver lasciato la borsa ad una amica? Oppure quella volta che lui scordò le chiavi sul tavolo della cucina.. In questi casi ci tocca attendere -.

- Mi sembra giusto -.

Incrociai le gambe il gradino era stretto ma la posizione era sufficientemente comoda.

-Non sei obbligato a restare, insomma non è necessario lo sai no? -.

- Ti rendi conto che è tipo la quarta volta che dici una cosa del genere stasera? Inizi a diventare ripetitiva -.

- Hai ragione ma è la verità! Non dovresti restare qui è tardissimo e sicuramente i tuoi saranno preoccupati, io ormai sono a casa e in caso non lo avessi notato sono sana e salva non mi aggredirà un tizio armato di accetta puoi tranquillamente andare -.

- Per quanto concordi con te sulla scarsa possibilità che un tizio con una accetta cerchi di ammazzarti preferisco restare. C’è pace in questo posto soprattutto a quest’ora. Per quanto riguarda i miei genitori dormono beatamente e sono piuttosto sicuro di riuscire a rientrare prima che si sveglino e anche se così non fosse non entrano in camera mia senza permesso quindi non si accorgerebbero della mia assenza -.

- Fai come preferisci allora -.

- Esattamente -. Disse lui soddisfatto perché avevo capitolato.

Crucciai gli occhi, il vento non era troppo ma a causa dei vestiti bagnati un gelo mi permeava.

Anche Raffaele doveva avere freddo – Alza il braccio -. Ordinai.

-Come scusa? -.

- Fallo e basta -.

Mi ubbidì ed io mi avvicinai a lui posando la faccia sul suo petto, sentivo i miei capelli sfiorarli il volto, poi presi il suo braccio e lo misi in modo che mi cingesse. Infine circondai il suo ventre in uno stretto abbraccio e poggiai le cosce alle sue.

-Ma che stai facendo? -.

- Posizione da panda aiuta a mantenere alta la temperatura. In pratica ci trasferiamo calore corporeo a vicenda e così addio tremolio dovuto al freddo -.

Non riuscivo a vedere la sua faccia, ma in qualche modo sentii dalla sua voce che aveva una espressione strana  – Sei una persona bizzarra te ne rendi conto? -.

- Qualcuno deve avermelo detto si, anche se non capisco il perché di tale commento in questo momento -.

- Forse è dovuto al fatto che non ci conosciamo, certa gente potrebbe interpretare questa come una avance sai? -.

- Non lo è! Voglio solo evitare di morire assiderata -.

- Tutte scuse volevi abbracciare il mio corpo scultoreo ammettilo -.

Lo colpii con un buffetto sullo stomaco - Ma sta zitto! -.

Rise e il suo petto vibrò, lo feci anche io siccome vi ci ero appoggiata.

- Non ti credevo un ragazzo malizioso -.

- Io malizioso? Ma che dici -.

- Oh si che lo sei! Io voglio evitare di morire e tu fai subito pensieri sconci -.

- Sono sempre un uomo, se una ragazza mi si avvinghia addosso me ne accorgo -.

- Ho capito meglio se smetto va -. Mi allontani lievemente Raffaele tuttavia mi trattenne stringendo le braccia.

- Sta ferma non voglio essere responsabile del tuo congelamento -.

Il suo respiro ritmico mi spinse di nuovo al sonno.

Sognai una lunga distesa verde circondata da una cresta di montagne.

Io ero seduta al centro di quella radura attorno a me una bassa recinzione in legno, Raffaele ne era al di fuori. Purtroppo infatti la staccionata non aveva porte e per quanto a prima vista quella apparisse debole Il ragazzo dagli occhi smeraldo sembrava non riuscire ad abbatterla.

Continuavo a guardarlo senza sapere se volevo vederlo uscire dallo scontro vincitore o perdente.

In seguito una luce mi accecò, era il sole.

Aprii gli occhi.

L’alba era ormai arrivata e forse anche passata.

Raffaele ancora mi stringeva a se – Sei sveglio? -.

Mugugnò un verso affermativo, forse era in uno stato di dormiveglia.

Mi staccai da lui e controllai il cellulare.

Le sei e venticinque. Dannazione era passato più tempo del previsto!

Raffaele rimase poggiato al portone mentre io mi alzai per chiamare il mostriciattolo.

-Chi cavolo è a quest’ora di domenica? -.

- Luca sono io Margherita, sono rimasta chiusa fuori casa mi apri? -.

- Ti pare il giorno giusto per ‘ste cose? -.

- Dai Lu sono qua giù dalle quattro ti muovi?! -.

- Arrivo arrivo! Smettila di essere scorbutica sono io quello che è stato svegliato ad un’ora assurda -.

Chiuse la chiamata e sentii il ronzio del portone che si apriva.

Raffaele si spaventò e si alzò di scatto.

Cercai di nascondere il mio sogghigno. Dalla sua faccia capii che l’impresa era fallita.

-Mi tocca salire ora, buonanotte -.

- Notte -.

Mi fece un cenno con la mano e contemporaneamente con l’altra si coprì gli occhi per ripararsi dalla luce del sole.

- Raffaele -. Urlai prima che fosse troppo lontano per sentirmi.

- mmm – rispose girandosi di tre quarti.

- Metti una canzone degli AC/DC e mandami un messaggio quando arrivi così sarò certa che non ti sei addormentato alla guida -.

Un altro cenno, mi accontentai di quello. Qualcosa mi diceva che chiedergli di parlare sarebbe stato pretendere troppo in quel momento.

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Capitolo 10
*** Meglio un'interrogazione di un interrogatorio. ***


Perdonate la mia lentezza ma in questi giorni ci sono state la comunione di mio cugino e il compleanno di mia madre quindi non ho potuto dedicarmi molto alla scrittura.

Non volevo però lasciarvi in attesa troppo a lungo quindi oggi ho ritagliato un'oretta per rileggere il capitolo e pubblicarlo, spero vi faccia piacere :)

Un enorme grazie a chi leggege e segue la mia storia!

Ora senza ulteriori indugi ecco a voi il decimo capitolo della mia storia,

xxElykei.



10.Meglio un'interrogazione di un interrogatorio.

- Metti una canzone degli AC/DC e mandami un messaggio quando arrivi così sarò certa che non ti sei addormentato alla guida -.

Un altro cenno, mi accontentai di quello. Qualcosa mi diceva che chiedergli di parlare sarebbe stato pretendere troppo in quel momento.

 

 

 

-Sveglia dormigliona -.

- Ancora cinque minuti mamma -.

- Ti sembro tua mamma? Suvvia alzati! -.

L’essere crudele che mi strappò le coperte di dosso era Delia.

Mi nascosi sotto il cuscino – Che ci fai qui a prima mattina? -.

-Sono le undici e mezza e vi ho portato i cornetti, Luca e tua madre li stanno già mangiando -.

- È domenica, la prima mattina dura fino all’una -.

- Hai per caso fatto le ore piccole ieri? Solitamente se più mattiniera -.

- Ho lasciato Debora a casa sua che saranno state le quattro passate -.

- Anch’io sono andata a dormire a quell’ora ma tu sei decisamente più distrutta di me -.

- Questo è perché tu sei una specie di mostro, non c’è altra spiegazione per il tuo essere sempre così pimpante qualsiasi sia l’ora e poi io sono rientrata che erano le sei e mezza -.

- Che hai combinato in giro da sola per due ore? -.

- Non ero sola scema! C’era Raffaele con me -.

Delia mi prese per un braccio e mi tirò su a sede – Che cavolo vuol dire che eri con Raffaele? L’amico di Gennaro? -.

Annuii – Ho bisogno di caffeina -.

Come uno zombie in cerca di cervelli di cui nutrirmi uscii dalla camera, Delia mi inseguì – Ehi devi spiegarmi questa faccenda  -.

-Prima caffè poi parole -.

In cucina c’erano Luca e mamma che mangiavano.

In fatto di cibo la mia famiglia era piuttosto abitudinaria e dopo tutti gli anni di conoscenza anche Delia aveva imparato cosa ci piaceva. Per Luca infatti aveva portato un krapfen alla marmellata, per mamma polacca alla crema e per me, ne ero certa anche senza averlo visto, cornetto al cioccolato.

Probabilmente nella bustina di carta bianca c’era anche un maritozzo che Delia aveva preso per se.

A conferma di ciò la mia amica bionda prese da uno dei ripiani in alto della cucina un barattolo di nutella, metà del suo dolce lo riempiva di nutella l’altra parte la mangiava vuota.

- Delia è riuscita a svegliarti! Possiamo metter su della musica allora -.

- Buongiorno mamma, Luca -.

- Svegliarla è stata un’impresa Maria! Com’è il cornetto? -.

- Ottimo sei stata gentile a portarceli anche oggi, di questo passo dovremo pagarti una quota fissa -.

- Macché lo sai che passare il tempo con voi è meglio che andare in chiesa con i miei -.

- Siamo un ripiego quindi -. Commentò Luca con la guancia sporca di zucchero.

Delia gliela pulì con un pollice poi portandoselo alle labbra per mangiarlo disse – Il fatto che io voglia passare più tempo con voi che con la mia famiglia dovrebbe bastare a farti capire che non siete un ripiego Luca -.

Il gesto non aveva alcun intento malizioso di questo ne eravamo tutti consapevoli, ma comunque lui arrossì.

Io e mia mamma ci scambiammo un breve sguardo, lei sorrise sotto i baffi, non voleva mettere in imbarazzo il mio fratellino ma entrambe eravamo consapevoli del fatto che Luca avesse una clamorosa cotta per la mia amica sin da quando era piccolo.

Diedi uno scappellotto al mostriciattolo che smise di fissare Delia, normalmente avrebbe ricambiato con un insulto oppure un pizzicotto ma in quel momento era troppo occupato ad osservare il proprio caffè.

Ci ritrovammo tutti e quattro seduti a chiacchierare dell’ultima puntata di Amici.

Mia mamma era rigorosamente squadra bianca, io avevo una leggera propensione per i blu e dato che non passavo quasi mai il sabato sera a casa gli aggiornamenti sulle ultime puntate e le discussioni su quale gruppo fosse migliore erano sempre rimandate alla domenica mattina.

- La terza prova doveva finire così come è finita! – stava dicendo Luca quando Dede lo interruppe - Ma cosa dici! Io non ho alcuna preferenza per nessuna delle due squadre ma oggettivamente la sconfitta non è stata affatto meritata in quel caso – .

Dal soggiorno arrivarono le proteste del pappagallino.

– Pietro! Non l’ho ancora fatto uscire dalla gabbietta stamani, temevo volasse sul cibo -. Si giustificò mia mamma.

- Uh non vedo il piccolino da un po’ posso prenderlo io se volete, se resta sulla mia spalla di sicuro non si avventa sui cornetti –.

- Sicura Delia? Non vorrei che in quel caso optasse per i tuoi capelli. A proposito come fai a tenerli così? Sembra quasi tu sia appena uscita dal parrucchiere, i miei non restano mai al proprio posto per più di un paio d’ore -.

- Il trucco è il balsamo, è nuovo della Nuance, prima dovevo fare almeno due passate di piastra prima di poter uscire di casa, con questo ora invece mi basta una passata di spazzola e phon e diventano liscissimi, poi restano comunque morbidi tocca -.

Le due si persero nuovamente in chiacchiere ed io sapevo che non avrebbero smesso tanto presto.

-Ho capito vado io dal povero Pietro! Voi insensibili ignorate le sue richieste di libertà -.

Lasciai loro a scambiarsi consigli mentre mio fratello con fare annoiato dava un ultimo morso alla sua colazione.

Pietro era un Cenerino Minore, un po’ più piccolo del suo cugino Cenerino Maggiore aveva le piume del classico colore grigio e la coda marrone.

Il nostro animaletto di famiglia aveva dieci mesi ed era in quella fase intermedia tra il saper pronunciare le parole con chiarezza e il borbottarle, la prima volta che Gennaro l’aveva sentito dire ciao era saltato sul divano. Lui come molta alta gente conosceva tra le specie di pappagalli parlanti solo gli scenografici Ara o i simpatici Cacatua.

Da allora Pietro aveva imparato anche tutti i nomi di famiglia compreso il proprio, i saluti più comuni, una svariata sequela di insulti e parolacce e altre parole random.

Dovevo ammettere che aveva impiegato meno tempo per imparare ad imprecare che non a dire buongiorno.

Forse questo avrebbe dovuto far sorgere qualche domanda.

In ogni caso dovevo badare al pennuto non potevo perdermi in strane elucubrazioni.

I cenerini odiano stare in gabbia, come tutti i volatili che sin da piccoli vengono abituati a vivere all’aperto, infatti Pietro schiamazzava con vigore per farsi notare.

- È tutto okay piccolino, vieni qui -.

- Buongiorno -.

Gli diedi un paio di semi da mangiare, anche la parola cibo l’aveva imparata velocemente.

Si posizionò sul mio braccio, era così carino.

- Ciao Pietro! –.

- Hai finito di rivelare a mia mamma i tuoi segreti di bellezza? -.

- Sono ottimi consigli i miei e poi ha dei capelli molto belli tua mamma, se solo li valorizzasse maggiormente! -.

Accarezzò il pappagallo – Allora, hai intenzione di raccontarmi cosa è successo ieri? -.

Ci sedemmo sul divano ed io ispirai prima di rispondere, in realtà non sapevo bene cosa dirle.

Non perché fosse accaduto chissà che, anzi.. – Dopo aver lasciato Deb ci siamo fermati un attimo in stazione, poi siamo stati rincorsi da un poliziotto e alla fine sono rimasta chiusa fuori casa -.

Nel corso del mio breve racconto la sua faccia aveva assunto un’espressione sempre più confusa.

- Un attimo non capisco che avete combinato? Rubato un’auto? -.

- Cosa? No! Perché mai avremmo dovuto farlo?  -.

- Non so sembrava una spiegazione plausibile -.

- Lasciamo perdere comunque stavamo chiacchierando io l’ho schizzato con l’acqua della fontana lui mi ci ha buttato dentro, per vendetta l’ho trascinato con me e uno stupido tizio in divisa ha urlato che ci avrebbe arrestato perché è illegale usare una fontana pubblica come una piscina, ma andiamo perché mai hanno scritto una legge simile? -.

- Evidentemente per quelli come voi -.

La guardai storto – Grazie eh! -.

Scosse le spalle indifferente alla mia ironia – Continua spiegandomi meglio la faccenda dell’essere rimasta chiusa fuori -. 

- Ieri ti ho prestato la borsetta ricordi? -.

- Mmm – mi assecondò lei.

- Ci avevo lasciato le chiavi -.

- Ma dai Marghe ti avevo detto di prenderle prima di darmela! -.

- Si ma mi sono dimenticata capita, comunque non potevo chiamare Luca perché era troppo presto e non volevo svegliare mamma così ho deciso di aspettare l’alba e Raffaele è stato tanto gentile da restare con me -.

- E che avete fatto mentre albeggiava? -.

- Niente di che davvero, giusto parlato e in realtà anche dormito -.

- Avete dormito in macchina? -.

- No sul gradino fuori dal portone -.

- Perché mai se avevate a disposizione un’auto? -.

Stavo per rispondere ma mi fermai con la bocca semi aperta – Non ne ho idea sinceramente -.

Sogghignò – Beh di sicuro avrai fatto colpo con tutto il russate e la bava -.

- Non sbavo mentre dormo! -.

- Vero però un pochino russi -.

- Davvero? -.

- Poco, poco ad ogni modo penso sia dovuto al fatto che sei raffreddata dieci mesi l’anno -.

- Oh che figuraccia, gli ho russato in uno orecchio?! -.

- Ehi mi pare di capire che non se ne sia lamentato quindi magari non se n’è accorto -.

- Oppure è troppo gentile per farmelo notare -.

Delia cercò di consolarmi dicendo - Non credo, è un tipo burbero, non si può essere gentili e burberi nello stesso momento sarebbe contraddittorio -.

- Lui è un perfezionista pigro è una contraddizione vivente! -.

- Ti agiti troppo, è un tipo che conosci a mala pena che t’importa di quello che pensa -.

Sbuffai Delia aveva ragione era stupido preoccuparsi per una cosa del genere.

-E anche se fosse la brutta figura l’hai già fatta e ora non puoi porvi rimedio -.

- Sei sempre così rassicurante Dede – commentai nel mio tono più sarcastico.

Lei mi rispose alla stessa maniera – Quando vuoi amica – poi mi abbracciò.

Avevamo un pappagallo fra noi quindi l’abbraccio fu abbastanza scomodo Pietro però era troppo carino perché noi potessimo cacciarlo.

- Per quale ragione cercate di schiacciare un Cenerino con le vostre teste? -.

Luca era comparso sulla porta del soggiorno.

- Devi sapere fratellino che è uno dei nostri divertimenti preferiti -.

 - La vostra si che è una bella vita allora -.

Ci raggiunse anche mia mamma – Delia resti con noi per pranzo? -.

-Mi piacerebbe molto ma lo sai che i miei sono fissati con i pranzi in famiglia la domenica, anzi a pensarci tra poco dovrei mettermi in cammino oggi si mangia da nonna Chiara, sarà divertente sentire i suoi rimproveri su quanto i miei jeans strappati mi facciano sembrare una stracciona! -.

Mamma la guardò con un sorriso dispiaciuto – Beh se ti viene voglia di evitare tutto questo casa nostra per te è sempre aperta -.

- Grazie mille Maria -.

Si alzò dopo un ultima stretta a me ed una carezza a Pietro – Ora vado, ci si vede dopo Marghe? -.

- Ho ripetizioni -.

- Anche oggi? -.

- Già -.

- Okay poi al massimo ti chiamo -.

Salutò anche mia madre e il mostriciattolo che la accompagnò alla porta.

Al posto della mia amica si sedette mamma – Come sta andando con questo Raffaele? -.

- Che intendi? -. Chiesi sorpresa.

- Parlo delle ripetizioni, come ti trovi? Il ragazzo è bravo? Stai imparando qualcosa? -.

Risi - Una domanda alla volta mamma mi stai stordendo -.

- Dovrei prenderlo come un brutto segno? -.

Mi bloccai, era tanto ansiogena quanto me – No, tranquilla va tutto bene.. sto migliorando davvero -.

- D’accordo ricorda solo che c’è sempre l’opzione di qualcuno più esperto -.

- È solo un compito mamma, non devi preoccuparti così tanto anche perché mancano ancora vari mesi agli esami -.

- Si certo e che so quanto tu tenga a finire la scuola con dei bei voti -.

Questo era vero.

Andare male a scuola era una delle cose che mi infastidiva maggiormente.

Il mio rapporto con il liceo classico era alquanto complicato. Adoravo le materie che mi insegnavano ma spesso mi trovavo in difficoltà nella gestione di interrogazioni e compiti, mi procuravano una leggera ansia. Probabilmente leggera poteva essere considerato un eufemismo nel mio caso, ma se qualcuno me lo avesse chiesto non lo avrei mai ammesso, nemmeno se quel qualcuno fosse stato Delia.

Piero una volta posto sul suo trespolo si acquietò e il pranzo passò tranquillo tra lasagne e hamburger, per me rigorosamente di pollo.

Alle cinque meno un quarto mi ritrovai nuovamente a casa di Raffaele.

- Ciao -. Lo salutai una volta uscita dall’ascensore, lui ancora mezzo appollaiato sulla porta ricambiò il saluto e con un cenno mi invitò ad entrare.

Sembrava essersi appena svegliato, quella era una tuta o un pigiama?

Era persino a piedi scalzi.

I capelli però erano in ordine, uno dei pregi di averli rasati!

Smisi di squadrarlo ed entrai.

 Mi stavo dirigendo come ormai consueto in cucina quando una voce proveniente dal salone mi bloccò nel bel mezzo del corridoio – Tu devi essere Margherita -.

Mi voltai verso il suono, sul divano c’era una coppia sui quarant’anni, dalla somiglianza con Raffaele e dal fatto che non mi veniva in mente altra spiegazione presunsi si trattasse dei suoi genitori.

- Salve, si sono io -. Dissi con un sorriso impacciato, non mi aspettavo di trovarli in casa.

La donna si avvicinò a me  e si presentò tendendomi la mano, gliela strinsi, la sua presa era delicata ma non insulsa.

- Io sono la mamma di Raffi, molto piacere Sofia -.

Raffi? Avevano tutti un nomignolo imbarazzante per lui eh?

- Piacere mio -.

- Lui è mio marito Carlo -.

Mi fece un gesto di saluto, loquace come il figlio.

- Vuoi sederti qui con noi? Così nel frattempo Raffaele più darsi una rinfrescata -.

- Mamma dobbiamo studiare -.

- Hai intenzione di farlo in pigiama? -. Mistero numero uno risolto.

Sbuffò – Hai ragione, comunque Margherita se preferisci puoi aspettare in cucina magari ripassi le cose che abbiamo fato ieri -.

- Ma che sciocchezze perché aspettare da sola quando può avere compagnia -.

Che mamma premurosa..

Raffaele mi guardò con pietà per un secondo poi scomparve.

Dovevo forse preoccuparmi? Quell’occhiata mi aveva messo ansia, cos’erano i suoi psicopatici isterici?

Sofia non sembrava tanto male.

E poi di cosa avrei dovuto aver paura? Suo figlio mi dava ripetizioni, avrei frequentato casa sua solo per altri tre giorni, poi non avrei avuto più motivo né occasione di rincontrarla.

Mi fece accomodare su una poltrona di fronte a loro, sembrava un esame.

- Allora raccontaci qualcosa -. Esordì la donna.

- Ehm qualcosa di che genere? -.

- Non so dicci di te. Devo ammettere che mio figlio non ci ha detto molto oltre il tuo nome e il fatto che ti sta dando una mano con la scuola -.

- Oh si mi da ripetizioni di chimica, ehm frequento lo stesso liceo di Raffaele sono all’ultimo anno -.

- Quindi è li che vi siete conosciuti -.

- In realtà mi ha fatto il suo nome un amico in comune, ha pensato potesse aiutarmi e ci ha in pratica presentati lui -.

- Chi è questo amico? -.

- Gennaro L a Selva, non so se lo conosce -.

- No purtroppo non mi sembra di averlo mai incontrato -.

Mugolai un ‘’ peccato è un ragazzo simpatico ‘’. Ero davvero in imbarazzo.

- E dimmi tu quanti anni hai? -.

- Diciotto -.

- Allora non sei mai stata bocciata, per caso hai fatto la primina? -.

- Ehm no -. Okay l’imbarazzo stava lasciando spazio al fastidio anche perché pareva un interrogatorio.

- Hai già programmi per quando avrai finito le superiori? -.

- Non proprio, cioè ho un paio di idee ma prima di decidere definitivamente voglio vagliare bene tutte le mie opzioni -.

- Sei una ragazza riflessiva quindi -.

- Suppongo di si -. Quanto ci metteva Mr. Puntualità a darsi una sciacquata?

- Eccomi -. Con uno scatto mi volsi verso Raffaele, forse aveva percepito i miei SOS mentali.

Mi alzai di tutta fretta tanto che inciampai in uno dei quattro piedi della poltrona, per fortuna non caddi però il mio ginocchio doleva.

-Ora devo andare, dobbiamo studiare sa.. è stato un piacere poter scambiare quattro chiacchiere, anche con lei Carlo naturalmente -. Il verso che mi uscì non aveva un nome preciso pareva lo squittio di uno scoiattolo, perfetto!

Non sapevo se l’espressione sul volto del loro grazioso figlio fosse una risata repressa ma sapevo che avevo voglia di tirargli un pugno.

Mi aveva lasciato alla mercé della gemella malvagia di Jessica Fletcher e ora aveva il coraggio di prendermi in giro perché ero un tantinello in difficoltà?

Una volta in salvo nella cucina mi rilassai, Raffaele sembrò notarlo – Quanto è stata invadente da uno a dieci? -.

La parola - Dodici – fuoriuscì dalla mia bocca prima che potessi fermarla.

- Ehi è di mia madre che parli -.

Ops, ero stata troppo brusca – Scusa -.

Si illuminò – Tranquilla scherzavo, fa sempre l’impicciona quando incontra qualche mio amico, se sono ragazze poi addio -.

- Non per essere scortese ma povera la tua ragazza, in soli cinque minuti penso mi abbia fatto una decina di domande, non oso immaginare cosa riuscirebbe a fare durante un pranzo -.

- Non voglio immaginarlo manco io -.

- Vuoi dire che non hai mai portato nessuna a casa? -.

Alzò un sopracciglio – Ma che ti sembro un quarantenne mammone? Poi non mi è mai capitato di voler presentare ai miei una ragazza -.

Durante il discorso avevo tirato fuori dalla borsa libro e quaderno, lui prese quest’ultimo e si mise alla ricerca dei compiti che avevo svolto, qualcosa mi diceva che la conversazione era finita.

Sarà stato che la notte precedente non avevo dormito o l’aria domenicale che mi induceva al riposo più che all’impegno intellettivo ma qual giorno fui un disastro, tre quarti degli esercizi erano sbagliati, cosa comprensibile dato che gli avevo svolti subito dopo pranzo tra l’abbiocco del primo pomeriggio e il pennuto che cercava di volarmi in testa gracchiando ‘ciao’ in continuazione, ciò che il mio insegnante temporaneo non riuscì proprio a perdonarmi però fu la poca attenzione.

Alle otto le uniche cose che mi impedivano di chiudere gli occhi e abbandonarmi sul freddo legno lucido erano le occhiatacce di Raffaele ed i suoi rimproveri.

In quella che decisi essere una forma di punizione mi assegnò una vagonata di esercizi da completare per il giorno seguente.

Quando ripassai per il corridoio dirigendomi alla porta Sofia guardava il telegiornale mentre suo marito Carlo leggeva un libro, non riuscivo a leggerne il titolo.

Li salutai ed una volta fuori casa premetti il tasto per richiamare l’ascensore, nel frangente che quello impiegò a raggiungere il piano Raffaele mi chiese di Debora, gli dissi che stava bene, anche se l’unica cosa che era riuscita ad ingerire quel giorno era stato pane asciutto.

Raggiunta casa mandai un messaggio a Delia per dirle che non potevo chiamarla invece passai la serata concentrandomi sulla chimica.

 

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Capitolo 11
*** Canta che ti passa. ***


11.         Canta che ti passa.

AVVERTIMENTO:  In questo capitolo si descriverà un attacco di panico. Per evitare di crearvi fastidi ho segnato l’inizio e la fine della parte interessata con le scritte ATTENZIONE e FINE.

Nel caso la cosa vi creasse problemi potete saltare quel pezzo, farlo non darà origine a grandi buchi narrativi poiché l’accaduto viene ripreso in maniera più leggera in seguito.

 

 

 

Raggiunta casa mandai un messaggio a Delia per dirle che non potevo chiamarla invece passai la serata concentrandomi sulla chimica.

 

 

Passai i giorni fino al compito immersa nello studio della chimica, trascurai ogni materia tranne quella beccandomi anche un rimprovero dalla prof di educazione fisica per aver passato la sua ora interamente nello spogliatoio tra appunti ed esercizi.

Era la quarta ora, il momento della verità era arrivato, di li a pochi minuti avrei scoperto se il mio impegno  era stato di una qualche utilità o meno.

Ero circondata dai miei compagni tutti impegnati a scambiarsi consigli dell’ultimo momento e rassicurazioni, io invece preferivo concentrarmi da sola sui dettagli, percepire l’ansia altrui infatti finiva per far aumentare la mia che già di per sé godeva di dimensioni notevoli.

Non mi accorsi nemmeno dell’ingresso della prof finché non notai che tutti correvano ai propri posti.

La professoressa Martinelli distribuì una piccola pila di fogli ai ragazzi ai primi banchi, loro a loro volta dopo averne trattenuto uno per se la passarono a quelli dietro e così via fino a quando non ci ritrovammo tutti con un compito a testa.

Scorsi velocemente lo sguardo su uno dei lati della fotocopia.

I primi quattro o cinque esercizi sembravano particolarmente facili, non ne ero certa ma uno in particolare mi pareva identico ad uno di quelli svolti con Raffaele, più scorrevo verso il basso però più diventavano complessi. Forse un po’ troppo per i miei standard.

Scossi il capi, dovevo affrontare una cosa alla volta.

Impiegai cinque minuti per quelli semplici. In tutto tra quesiti a risposta multipla e problemi da risolvere le domande erano sessanta.

Se avessi tenuto il ritmo di cinque minuti ogni cinque esercizi in un’ora avrei terminato e calcolando che in realtà per le domande che non richiedevano calcoli avrei adoperato una trentina di secondi invece di sessanta e che queste erano un quarto dei quesiti totali, avrei avuto tempo a sufficienza per ricontrollare eventuali domane problematiche.

Persi qualche secondo stupendomi del mio ottimismo e della mia abilità matematica.

Per quanto fossero risibili erano entrambi una piacevole sorpresa per me.

Uno dopo l’altro completai gli esercizi del fronte della pagina, avevo ancora a disposizione poco meno di quaranta minuti e mi mancava solo il retro.

Tutto sommato la situazione stava procedendo bene.

Feci un piccolo sorriso poi girai il foglio.

Già dal trentunesimo quesito la mia espressione compiaciuta iniziò a vacillare.

Li guardai tutti, conoscevo con certezza la risposta ad uno solo dei quesiti, una domanda aperta, per quanto riguardava gli altri su sette ero incerta, su tre ero indecisa, su due mi sarei affidata al proverbiale ‘ambarabàciccìcoccò’ e agli altri diciassette avevo rinunciato a prescindere.

 Era un disastro, non potevo lasciare in bianco quasi metà compito. Soprattutto dato che la mia sicurezza riguardo la restante parte iniziava a vacillare.

Girai di nuovo la fotocopia, la risposta del quesito ventuno era giusta? Avevo avuto un dubbio su quella, e ora che ci pensavo anche sulla diciannove.

No.

No, non dovevo pensare alle domande alle quali avevo già dato una risposta dovevo concentrarmi su quelle incomplete.

L’unico problema era che non avevo idea di come svolgerle.

Basta Margherita almeno provaci! Mi dissi.

Ne feci un paio, di sicuro sbagliate, ma non mi arresi.

Continuai o per lo meno ci provai eppure ad ogni esercizio svolto l’incertezza mi attanagliava sempre più finché non giunsi a quelli dei quali non capivo nemmeno la domanda.

ATTENZIONE

Era davvero un disastro, d'altronde sul serio pretendevo di ottenere una sufficienza in un compito per il quale avevo studiato per soli cinque giorni?

In chimica poi! Una materia nella quale non ero mai stata ferrata.

Me l’ero cercata.

La colpa di quel fallimento era solo mia.

Il respirò divenne sempre più affannoso, quell’aria che riuscivo ad ispirare sembrava bloccarsi da qualche parte nel percorso tra le narici ed i polmoni.

Quanto mancava alla fine? Ventisei minuti. Per quanto mi riguardava erano troppi, io non potevo sfruttarli, tanto valeva che volassero via.

Infatti se il tempo avesse accelerato il suo corso ne sarei stata più che contenta.

Che pensiero egoista.. come avevo potuto farlo?

I miei compagni, i miei amici avevano bisogno di ogni secondo per poter completare al meglio il tutto, come avevo potuto desiderare, anche se solo col pensiero, di mettere gli altri in difficoltà?

Ero una persona orrenda e soprattutto un’amica pessima.

Oh ma insomma mi stavo sul serio preoccupando di una stupida breve riflessione quando avevo degli esercizi da completare?

Ci mancava solo quello, preoccuparmi per i pensieri causati dalla preoccupazione!

Gli esercizi erano però comunque troppo difficili, anche se fossi concentrata su essi non avrei risolto nulla.

Forse era meglio evitare direttamente di angustiarmi con quesiti per me irrisolvibili.

Dannazione da quando in qua venti minuti erano un periodo tanto lungo?

Respira, Margherita, inspira un fiotto d’aria, aspetta tre secondi e poi espira. Non è poi così difficile.

Eppure in quel momento mi pareva più complesso dell’esercizio cinquantanove e dire che in quello c’erano perfino due termini dei quali non conoscevo il significato.

La mancanza d’aria mi stava procurando dei capogiri, dovevo uscire di li.

Alzai la mano – Professoressa posso andare in bagno? -.

-Siamo nel bel mezzo di un compito in classe Suonabassi –

Recitai ‘ tranquilla puoi farcela ’ ripetutamente quasi come fosse un mantra.

E probabilmente in quei minuti per me lo era, seppur non il più efficace.

I miei pensieri divenivano sempre più incoerenti. Non riuscivo a concentrarmi su nulla per più di tre secondi senza perdere il filo.

Sapevo cosa stava succedendo. Ero in preda ad un attacco d’ansia.

La sensazione era sempre la stessa: essere sul punto di svenire senza mai farlo veramente.

Spesso avevo preso in considerazione l’idea che la gente che semplicemente sveniva fosse fortunata.

Per loro almeno c’era una fine a tutto ciò che io invece stavo affrontando in quel momento. La sensazione di soffocare finiva. Il mondo che girava finiva. La sensazione di prurito che pervadeva tutto il corpo finiva. L’appannamento dei margini del campo visivo finiva. Tutto finiva nel buio.

Anelavo anch’io quel vuoto.

Doveva essere così pacifico.

Il mio respiro iniziò a diventare rumoroso, infatti notai gli sguardi rivolti a me di alcuni compagni.

Era strano come la realtà in generale mi appariva lontana e sfuocata eppure le loro occhiate, che altro non erano se non un piccolo particolare di ciò che mi circondava, erano così limpide. Forse il mio cervello era masochista perché di certo rendermi conto che tutti mi fissavano non era d’aiuto, anzi.

Dovevo davvero uscire dall’aula la mia mano però era bloccata.

-Prof mi sa che Margherita non si sente bene magari sarebbe meglio lasciarla andare in bagno-.

Dopo quelle parole riuscii solo a pensare: che tu sia lodata Teresa Cassano.

 -D’accordo a questo punto è meglio se la accompagni -.

Scossi la testa – Vado sola – sussurrai.

Camminai velocemente fino al corridoio e poi corsi per raggiungere il gabinetto. Non mi fermai all’ampia stanza dove c’erano tutti i lavandini ma mi rinchiusi in uno degli stretti stanzini che proteggevano i singoli water da sguardi indiscreti.

 In quei casi meno pubblico c’era e meglio era.

Anche il fatto che lo spazio era ridotto mi aiutava.

Questa era una cosa che non avevo mai compreso: mi mancava l’aria eppure il fatto che la stanza fosse così piccola  e senza finestre in qualche modo mi agevolava.

Poggiai schiena e testa a terra, le gambe non entravano quindi dovetti piegarle e poggiare i piedi sulla parete.

-Margherita -.

Cosa? Chi era? Qualcuno fuori dalla porta mi chiamava. Sembrava la voce di Raffaele.

Il pavimento era così fresco contro la mia guancia, mi aiutava quasi a vedere il tutto in una prospettiva più rosea, mi portò persino a pensare che avrei potuto far sparire Raffaele se lo avessi ignorato abbastanza a lungo.

Non avevo voglia di sentire nessuno né tanto meno di essere vista, specialmente da lui! No c’era abbastanza confidenza tra noi perché lui mi vedesse in una situazione tanto imbarazzante.

-Margherita se entra qualcuno e mi trova qui succede un casino dato che è il bagno delle donne, tuttavia se tu mi facessi entrare non mi vedrebbero -.

Ero decisamente troppo impegnata con i miei problemi per considerare i suoi.

Respirare era un atto tanto complesso, come avevo fatto ad impararlo appena nata?

-Ora mi fai entrare o altrimenti sfondo la porta, decidi -.

Perché cavolo doveva mettermi tanto in difficoltà? Mi domandai.

A fatica mi arrampicai lungo il muro fino ad arrivare ad essere seduta e allungando un braccio sbloccai la sicura che chiudeva la porta. Subito Raffaele l’aprì per poi sedersi accanto a me e richiuderla.

In due seduti per terra occupavamo davvero tutto lo spazio disponibile.

Usai entrambe le braccia come scudo per coprirmi il viso.

L’aria ancora non mi giungeva ai polmoni.

Non iniziò con le cazzate come dirmi di respirare o di stare tranquilla, quelle cose solitamente peggioravano solo la situazione.

FINE

-Chi sei, Goku non lo sai, però presto lo scoprirai, e poi tu scomparirai -.

Scansai un poco i gomiti per poterlo guardare, cantava sul serio la sigla di Dragonball?

-Una nuova realtà, con le sue verità, scaverà nel tuo passato, e guardando più in là, il tuo cuore saprà ritrovare Dragonball -.

Il mio scrutarlo non sembrava inibirlo in alcun modo, continuava a recitare il testo a ritmo.

- Che combini? -. Riuscii a bisbigliare.

- Canto, fallo anche tu, lo vedevi Dragonball no? -.

Annuii e lui riprese la canzone – What’s my destiny, Dragonball, io so che tu lo sai, Dragonball -. Finii per unirmi a lui veramente anche se il fiato non mi permetteva di dare uno spettacolo dignitoso.

-Perché non c’è, un drago che, sia grande come te! Dragonball, Dragon, Dragon, Dragon, Dragonball! -.

Più andavo avanti e più mi veniva facile respirare normalmente.

Mi accorsi con sorpresa che arrivati all’ultimo ritornello io ero tornata ad avere una respirazione del tutto regolare.

- Come è possibile? -.

- È un vecchio trucco di mia nonna, quando il respiro diviene affannoso si deve cantare, la cosa aiuta perché a chiunque viene naturale regolare l’inspirazione e l’espirazione in base alle necessità della melodia, è una azione quasi involontaria -.

- Oh -. Dissi solo.

 - Stai bene? -.

- Si, direi che il tuo rimedio casereccio ha funzionato -.

- Bene, è meglio che io vada, sciacquati la faccia prima di uscire così il rossore si attenua -.

Quel trucco lo conoscevo anch’io Mr. Chimica.

Dopo che fu uscito rimasi qualche secondo sul pavimento, era piuttosto comodo, poi mi avvicinai ai lavandini.

Cercavo un modo per asciugarmi il viso quando Delia entrò.

- Non tornavi così la prof mi ha mandato a controllare -. Si giustificò subito lei.

- Sto bene tranquilla, è stato solo un giramento di testa -.

- Sei sicura? Pareva tu avessi difficoltà a respirare -.

- No no, non temere è stato veramente un momento, torno immediatamente, tu vai avanti Dede devi avere il tempo per completare il compito -.

- L’ho già fatto, e poi anche se fosse preferisco accertarmi della tua salute prima, scema -.

- L’hai terminato? Ma che ore sono? -.

- Dodici meno cinque -.

Cinque minuti alla campanella quindi.

- Sai ti sei persa le ultime novità -. Mi informò Delia dopo un po’.

- Di che parli? -.

- Io e Genna siamo pubblicamente una coppia -.

- Che vuoi dire? -.

- Che mentre tu eri rinchiusa nella caverna a studiare con il piccolo chimico ti sei persa tutto il divertimento della nostra prima uscita pubblica -.

- No! Quando è successo? -.

- Avantieri, siamo andati tutti a prendere un aperitivo -.

- Avrei voluto esserci per vedere le loro facce! -.

- Sì, è stata una scena impagabile -.

Si poggiò al lavandino con le mani dietro la schiena.

- Fabrizio stava per affogare nella sua birra, Iole era tutta felice per noi e Alessandra continuava a ripetere che era ora -. Scosse il capo – Il resto della ciurma era troppo scioccata per commentare -.

- Tommaso come l’ha presa? -.

- Beh lui era l’unico che già lo sapeva quindi tutto sommato era quello meno sorpreso -.

- Ma.. -.

- Vuoi sapere se stava bene – sospirò – ammetto che sembrava triste, il che non mi ha certo fatto piacere però penso sia meglio così -.

 - Che altro mi sono persa mentre ero, come hai detto?.. Nella caverna -.

- Mmm vediamo, Orazio ha finalmente una macchina, Toyota cinque porte, molto carina, e pare che Annamaria abbia un nuovo interesse amoroso, non si sa bene chi sia, però Fabrizio l’ha vista con un ragazzo alla serata al Fiji -.

Cercai di fingere sorpresa Delia però intuì il mio inganno – Che mi nascondi? -.

- Nulla -.

- Mi stai mentendo -.

Non potevo tradire la fiducia di Anna, tuttavia non importava quale storia avessi inventato Delia non l’avrebbe bevuta.

E poi infondo era solo una persona, per giunta la mia migliore amica.

- Promettimi di tenere la bocca chiusa, anche con Gennaro! -.

- Anche con lui? Deve essere un vero scoop! okay promesso, ora dimmi tutto -.

- Ma che scoop e scoop, è solo che io l’ho conosciuto, il tipo che Anna sta frequentando -.

- Davvero? Chi è? Com’è? -.

- Si chiama Diego, è un amico di Raffaele e in realtà è proprio a casa sua che l’ho conosciuto poi l’ho rincontrato al Club dove lui mi ha portato dai suoi amici e lì ho trovato la nostra cara Annamaria che mi ha rivelato tutto -.

- È carino quanto l’amico? -.

- Si, cioè aspetta pensi che Raffaele sia attraente? -.

- Certo -.

- Ma sei lesbica -.

- Eppure non sono cieca! -.

- Certo, certo è solo che.. sai pensavo -. Mi interruppi non sapevo bene come continuare.

- Mi tocca darti una notizia: il fatto che io non provi attrazione sessuale né tanto meno romantica per lui non vuol dire che non possa apprezzare la sua bellezza estetica -. 

- Vabbè dai andiamo, o la Martinelli darà per dispersa anche te -.

In classe quasi tutti avevano finito, giusto un paio di ragazzi erano ancora indaffarati con gli esercizi.

-Margherita come stai? -.

-Bene prof, grazie -.

-Te la senti di tornare al tuo banco per finire la verifica? Ho visto che sei un pochino indietro, potresti venire con ma nell’altra classe basterà avvisare De Tuglio non penso faccia problemi, oppure se proprio non te la senti la possiamo rimandare, puoi tranquillamente recuperarla dopodomani -.

Per quanto la possibilità fosse allettante sapevo che due giorni in più non avrebbero fatto alcuna differenza e se avessi potuto evitare di rifare quella sceneggiata l’avrei fatto quindi rifiutai.

Quel giorno tornai a casa presto, avevo bisogno di riposo.

Saltai anche il pranzo.

Al mio risveglio la casa era vuota, mamma aveva il turno pomeridiano al supermercato e Luca era fuori a festeggiare con la squadra. La sezione D aveva vinto il campionato di calcio, ed io mi ero persa anche quello durante la reclusione.

Guardai l’orologio: le sei e quaranta.

Avevo dormito per cinque ore, prendere sonno quella notte sarebbe stata un’impresa.

Dovevo alzarmi dal letto e trovare qualcosa da sgranocchiare, i morsi della fame iniziavano a farsi sentire.

Andai in cucina con l’intento di mangiare un paio di biscotti invece vi ci trovai un piatto con tramezzini al tonno accanto ad esso un biglietto ‘In caso ti venisse fame, un bacio mamma’.

Sorrisi, era proprio vero che la mamma è sempre la mamma.

Mi accomodai sul divano a gambe incoriate sfruttandole anche come appoggio per il piatto.

In Tv davano Downtown Abby, non ero sicura di cosa mi avesse reso schiava di quella serie televisiva fatto stava che mi ritrovavo ogni volta incantata a fissare gli attori in costume.

A metà della seconda puntata provai a controllare l’ora sul cellulare, solo per accorgermi che non lo avevo con me, probabilmente era ancora in camera. Misi in pausa, le gioie di Netflix.

Due notifiche Whatsapp, i messaggi erano arrivati mentre io ancora dormivo, questo spiegava perché non li avessi sentiti.

Un nuovo messaggio da Gennaro 17:30:

Ti va di andare al bar tra una mezzora?

Messaggio inviato a Gennaro 20:26:

Scusa Genni mi ero addormentata.

Era decisamente troppo tardi ormai per quel caffè. Controllai l’altro, era di Raffaele.

Un nuovo messaggio da Raffaele 18:00:

Sei in ritardo.

Mi domandai di cosa parlasse, le lezioni ormai erano terminate.

Messaggio inviato a Raffaele 20:26:

È difficile arrivare in orario ad un appuntamento che non si sapeva di avere.

Un nuovo messaggio da Gennaro 20:28:

Tranquilla, rimandiamo a domani.

Un nuovo messaggio da Raffaele 20:31:

Mi sembra naturale continuare con le lezioni se vuoi arrivare agli esami in maniera per lo meno decente.

Messaggio inviato a Raffaele 20:31:

Ti ringrazio per l’offerta ma le tue tariffe sono troppo elevate e poi dubito che per me ne valga la pena.

Un nuovo messaggio da Raffaele 20:32:

Mi accontenterò di venti euro a settimana.

Messaggio inviato a Raffaele 20:32:

Che sono tutta la mia paghetta, no grazie preferisco vivere.

Messaggio invitato a Raffaele 20:33:

Non volevo essere brusca..

Un nuovo messaggio da Raffaele 20:35:

Dieci euro e mi paghi tu il caffè alle macchinette la mattina, ma dobbiamo ridurre le lezioni a due volte alla settimana.

Mi morsi un’unghia, la mia estetista ne sarebbe rimasta scontenta.

Messaggio inviato a Raffaele 20:36:

Perché ci tieni tanto? In caso tu non l’abbia capito oggi ho pianto perché il compito è andato una merda, per metà l’ho lasciato in bianco e il resto è tutto sbagliato ne sono certa, quindi se lo fai perché pensi di ottenere una qualche forma di soddisfazione trasformandomi in Marie Curie 2.0 è meglio se ti arrendi subito. Io sono una causa persa.

Buttai il cellulare sul letto e tornai dal mio telefilm.

Ero seriamente contrariata da Raffaele, non capiva che prendere ripetizioni serviva solamente a sottopormi a dello stress inutile? Non sarei mai diventata brava in chimica, quindi perché penarsi?

Mamma non sarebbe tornata prima delle undici, Luca invece sarebbe rincasato a breve.

Dovevo cucinare qualcosa per cena.

Optai per delle spinacine con contorno di patate e zucchine saltate in padella.

Tagliuzzare le verdure mi rilassava così come in generale lo faceva tutto il processo di preparazione del cibo.

Se proprio avessi fallito in tutto nella vita sarei potuta almeno diventare una sbucciapatate sulle navi da cargo. Sempre che quella mansione esistesse ancora. Poteva tutta la mia illustre carriera essere terminata prima ancora di iniziare a causa del progresso e delle leggi contro lo sfruttamento del personale?

Riflettendoci però forse gli sbucciatori di patate non facevano solo quello, dovevano presumibilmente avere altri compiti a bordo, compiti che gli avrebbero portati a spostarsi all’interno della nave, il che non era consigliato a chi come me soffriva di mal di mare e doveva stendersi ogni venti minuti per evitare di rovesciare.

No, nemmeno quella era la carriera adatta a me.

Sentii le chiavi di Luca tentennare fuori dalla porta pochi secondi prima di vederlo apparire sulla soglia – Che hai preparato sorella? -.

- Un paio di cosette -.

Rubò una cucchiaiata di zucchine - Bene perché muoio di fame -.

- Piuttosto che razziare le scorte della nostra cena vai ad apparecchiare, e comunque mi chiedo come tu faccia a mangiarle crude -.

- Sono verdure Marghe si possono benissimo mangiare anche prima di essere cotte -.

- Sarà, ma io proprio non riesco a concepirlo -.

Mangiammo accompagnati da The Flash che sfrecciava su Italia Uno, non si poteva voler di più dalla vita!

Quando tornò, mamma era distrutta. Cenò velocemente poi si accoccolò con noi sul divano, chiacchierammo riguardo le nostre giornate e le ultime novità.

Lo facevamo ogni sera, sederci tutti assieme per parlare, era uno dei momenti che più apprezzavo della giornata.

Mi tenni occupata fino a tardi pur di evitare la mia camera da letto e di conseguenza il cellulare.

Non avevo troppa voglia di affrontare qualunque risposta Raffaele avesse deciso di scrivermi.

A mezzanotte però non avevo più scuse.

Una volta in camera mi cambiai nel pigiama e poi mi misi a leggere, resistetti per una mezzora prima di iniziare a sentire le palpebre calare. A quel punto tolsi di mezzo il libro e mi raggomitolai sotto le coperte.

Prima di addormentarmi però cedetti al lato curioso del mio carattere e controllai le notifiche di Whatsapp.

Un nuovo messaggio da Raffaele 20:36:

Magari lo faccio solo perché non ti ritengo una causa persa.

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Capitolo 12
*** Opinioni divergenti ***


11.Opinioni divergenti


Un nuovo messaggio da Raffaele 20:36:

Magari lo faccio solo perché non ti ritengo una causa persa.

 


 

Quanto era cliché il mio comportamento? Passare i momenti prima di addormentarmi ripensando ad un unico, stupido messaggio.

Peggio di una dodicenne con una cotta!

Mi obbligai a lasciare il cellulare sul comodino, forse chiudere gli occhi era l’unica soluzione.

Non capivo il perché dell’accanimento del mio cervello, non è che Raffaele avesse scritto chissà quale toccante poema. Erano poche semplici parole, nulla di che, davvero.

Di certo non erano niente più che un tentativo di conforto amichevole o magari voleva solo continuare a guadagnare sulle mie spalle, dieci euro non erano molti, ma erano pur sempre meglio di niente.

No, okay, forse quell’ultima opzione era improbabile.

La fatica di aiutare una come me in una materia come la chimica sembrava davvero troppa per un compenso così misero.

Chiusi nuovamente gli occhi, decisa a spegnere il cervello e dormire. Quando gli riaprii era già giorno.

Quella mattina, prima di entrare, mi fermai al bar vicino scuola.

Ero arrivata con un forte anticipo quindi avevo tutto il tempo per fare colazione, presi una spremuta ed un cornetto ai cereali e mi sedetti ad uno dei tavolini interni al locale.

Assieme all’ordinazione vidi arrivare mio fratello – Che ci fai qui a quest’ora? –. Mi chiese non appena mi vide.

- Che ti sembra? Mangio, tu piuttosto come mai non sei ancora nel letto a dormire? -.

Scrollò le spalle con quella che riconobbi essere finta noncuranza – A dire la verità dovrei vedermi con una ragazza -.

Quella rivelazione fu.. inaspettata.

Certo il mio Luca era un bel ragazzo e sapevo che aveva avuto un paio di fidanzate in passato, ma non ne avevo mai conosciuta nessuna, in quel momento invece avevo la possibilità di incontrarne una.

- Uh è già qui? Fammela vedere -.

- Macché non è ancora arrivata -.

- Uffa voglio vederla -.

Si sedette accanto a me – Quando arriva te la indico -.

- Che vuol dire che me la indichi? Me la devi presentare! -.

- Non lo farò mai -.

- E perché scusa? -.

- Perché no -.

- Che fai mostriciattolo ti vergogni di me? -.

- Certo che no scema! È solo che per ora ci stiamo solo sentendo, non c’è ancora nulla di definito, perciò non posso già presentarle mezza famiglia -.

- Esagerato, sono solo io, non ti ho mica chiesto di portarla ad un cenone di Natale -.

- La mia famiglia siete tu e mamma, togline una ed è già la metà -.

- Gli zii ci resteranno male per questa diseredazione -.

Rise – Oh ma stai zitta -.

Sorrisi anch’io, all’improvviso però vidi Luca arrossire.

- Che è successo? -.

Mi indicò una ragazzina castana che aveva i capelli ricci legati in una treccia, un talento che io non avevo ancora appreso.

Era carina, si vedeva che era piccolina, probabilmente di un annetto più giovane del mio fratellino, aveva il naso all’insù e le labbra sottili. Gli occhi erano azzurro cielo.

La ragazza non era ancora entrata, era ferma davanti alla porta in vetro a salutare quella che doveva essere una sua amica, guardai mio fratello – Come si chiama? -.

- Eugenia -.

Riuscii a trattenere a stento il sorriso – Sul serio? -.

- Lo so, lo so, ma purtroppo era il nome di sua nonna e suo papà ci teneva, ah comunque vedi di non chiamarla mai Eugenia, odia il suo nome, si fa chiamare Genni, si presenta persino così! Io ho scoperto il nome vero solo perché l’ho letto sulla sua carta d’identità -.

- D’accordo, nell’eventualità in cui tu ti convinca a presentarmela mi ricorderò di chiamarla come ti pare -.

- Grazie -.

- Lu, lo sai che sei diventato rosso non appena l’hai vista? -.

- Già perché è bellissima, no cioè, voglio dire.. lasciami in pace mozzarella -. Detto ciò si alzò e le andò incontro.

Che tenero, il mio fratellino stava crescendo.

Il piccolo siparietto con Luca mi aveva distratto dalla paura che avevo di entrare in classe quel giorno, temevo che i miei compagni mi facessero domande su quello che era successo durante la verifica e non avevo alcuna voglia di dar loro risposte.

Per fortuna quel giorno nessuno accennò all’accaduto, forse avevo sottovalutato la loro sensibilità, oppure Delia li aveva minacciati prima che entrassi.

Entrambe le ipotesi mi facevano comodo.

Sabato arrivò in fretta e la classe si riunì per una pizza.

Tre o quattro dei nostri compagni mancavano, ma il gruppo era comunque numeroso, soprattutto perché Terri, Alessandra, Chiara e Gigi avevano portato i rispettivi fidanzati.

Delia e Gennaro, fedeli alla loro farsa, si erano seduti l’uno accanto all’altra e dovevo ammettere che ad un occhio meno esperto del mio sarebbero sembrati una vera coppia. Non esageravano con l’essere appiccicosi e avevano tutta la complicità necessaria a creare una relazione credibile, se non avessi saputo la verità ci sarei cascata anch’io.

Alla mia sinistra c’erano la mia compagna di banco e Nico il suo ragazzo.

Nico era un tipo che sotto il primo strato di timidezza nascondeva un carattere spigliato e giocoso che faceva sì andasse d’accordo con chiunque.

Lui e Terri erano simili, c’era chi per strada li scambiava per fratello e sorella, anche Nico infatti era rossiccio, con una corporatura possente, non grasso ma grosso.  Con il suo metro e novanta poi si adattava perfettamente al metro e settantasette della mia amica.

Avevo scoperto l’altezza di Terri un anno prima durante un esercizio di educazione fisica, e quel numero mi era rimasto impresso dato che lo invidiavo parecchio, chissà che sensazioni dava l’essere alti!

Dopo loro c’erano Gigi e Lidia, poi Alessandra e Carmine e dall’altro lato a Chiara e Pierpaolo.

Guardandomi intorno notai una sconvolgente verità: per non separarmi da Genna e Dede gli altri ragazzi mi avevano fatta sedere in mezzo alle coppiette, ero circondata!

Almeno potevo contare sul fatto che a parte Nico e Terri gli altri erano abbastanza discreti o per lo meno non sentivano la necessità di mantenere il contatto fisico ventiquattro ore su ventiquattro.

Inoltre tutti mi erano simpatici, a parte Lidia.

Nessuno in classe riusciva a capire come una ragazza tanto snob e dalla voce così stridula avesse conquistato Gigi.

Il nostro compagno di classe non era il più raffinato, o il più dolce, o il più carino, ma si meritava di meglio di una ragazzetta con la faccia da topo che non conosceva neppure il significato della parola umiltà.

Il mio disprezzo nei confronti di Lidia non era del tutto gratuito, avevo iniziato a non sopportarla dopo averle sentito fare un discorso assurdo contro i gay, pensava che l’omosessualità fosse una malattia, ma a mio parere l’unica ad avere un problema serio era lei.

Negli anni avevo sentito Gigi fare qualche battutina sconveniente, ma mai aveva fatto affermazioni omofobe convinte e in più quando Lidia era partita con quel monologo insensato pure lui era parso infastidito.

Ricordavo ancora quella sera, era la fine di Agosto e quelli di noi che erano già tornati dalle vacanze estive avevano deciso di vedersi al parco.

Le zanzare banchettavano con le nostre braccia e gambe mentre mangiavamo kebab e patatine sul prato.

Lidia era una delle poche a non essere stata vittima di quegli esserini fastidiosi, a quanto pareva nemmeno il suo sangue era dolce!

Io ero stesa con la testa sulle ginocchia di Iole quando uscì l’argomento omosessualità.

Non ricordavo con precisione da cosa partì la discussione, perché fino a quel momento non avevo prestato attenzione, troppo presa a rilassarmi sotto la luce della luna. Ricordavo perfettamente però l’intonazione del ‘che schifo’ che fece da prologo al lungo discorso razzista di Lidia, il suo sguardo sdegnato alla menzione di matrimonio o pari diritti e soprattutto ricordavo ancora oggi la voglia violenta di colpirla in faccia con un pugno.

A fermarmi con uno sguardo era stata proprio Dede.

Temeva che una mia reazione troppo coinvolta facesse sorgere dubbi scomodi, io in realtà non ero condizionata solo dal fatto che la mia migliore amica fosse lesbica, avrei avuto voglia di dare un cazzotto a Lidia anche se non avessi conosciuto nessun omosessuale, la mia reazione infatti era dovuta soprattutto a dei principi morali che seguivo con fermezza.

Certo, il fatto che Lidia insultasse implicitamente una delle persone alle quali volevo più bene nel mondo, aggiungeva benzina al fuoco.

Mi allontanai da quei ricordi spiacevoli per concentrarmi sul discorso che aveva il monopolio dell’attenzione della mia parte del tavolo: la teoria della felicità.

Per quanto potesse non sembrare veritiero spesso mi ritrovavo in situazioni del genere con i miei compagni.

I miei amici che non frequentavano il classico tendevano a guardarmi male quando mi addentravo troppo nel lato filosofico di alcune domande, come se fossi  stata un’aliena che voleva parlare di cose incomprensibili all’uomo.

Per questa ragione a volte apprezzavo particolarmente la compagnia dei ragazzi della D, con loro potevo avere un dibattito sul tempo come struttura costruita dall’uomo o meno, oppure cercare l’origine greca di alcune parole strane, senza che mi guardassero male o che pensassero che stavo facendo una scenata per apparire intelligente o schernirli.

Personalmente quel tipo di ragionamento mi sembrava insensato.

Perché mai avrei dovuto voler mettere in difficoltà delle persone che ritenevo amiche? E perché poi dovevano ritenermi una persona strana, una secchiona, solo e perché parlavo di cose che mi interessavano?

Io non mi lamentavo mica se studenti dell’alberghiero intraprendevano discussioni su delle tecniche culinarie o se studenti dello scientifico mi prendevano in giro quando dicevo qualcosa di scientificamente non corretto.

Anzi mi pareva normale che ognuno parlasse di argomenti affini ai propri interessi, infondo se io avessi odiato la filosofia non mi sarei iscritta ad un classico così come chi odiava volare non frequentava l’aereonautico!

Gigi stava spiegando che a suo parere la felicità era concettualmente simile al ‘Sabato del Villaggio’ di Leopardi: un qualcosa che tutti aspettavano con ansia di raggiungere ma che quando arrivava era deludente poiché l’uomo, afflitto dal timore di perderla, non riusciva a godersela, quando un rumore fastidioso risuonò nel’aria.

Era la voce di Lidia.

- Ma che scemenze vai dicendo amore? La felicità è una scelta che implica impegno, per questo mi stanno antipatici quelli che dicono in giro di essere depressi, altro che malati quelli sono solo troppo pigri per alzarsi dal letto e cercarsi un lavoro -.

L’idea base non era malvagia, vari pensatori nel corso dei secoli avevano assecondato l’idea che la felicità fosse una decisione della coscienza, ma perché ad ogni pensiero intelligente doveva accostare qualche insulto verso una determinata categoria di persone?

Non lo sopportavo, così decisi di risponderle io – Mi stai dicendo che pensi che coloro che sono depressi scelgono di esserlo? E non parlo di depressione tipo ‘ mi si è rotto l’IPhone sono triste ’, ma di depressione vera, quella clinicamente certificata -.

- Assolutamente si, uno stato d’animo non può essere una malattia, è solo una scusa che la gente svogliata adduce per giustificare il fatto che sta dalla mattina alla sera senza fare nulla -.

- Ti rendi conto che ci sono delle prove scientifiche riguardanti questo argomento? Che sono stati sviluppati dei farmaci per combattere i processi chimici, perché si, sono processi chimici, che avvengono nel cervello e causano la depressione? -.

- Oh ma per favore! Quelle sono tutte baggianate inventate dalle aziende farmaceutiche per fare più soldi. Pagano dei medici per inventarsi patologie inesistenti e poi creano pillole inutili e le vendono agli sciocchi -.

- Scusami come spieghi allora il fatto che questi cosiddetti ‘farmaci inutili’ funzionano? -.

- Sveglia! Si chiama effetto placebo! -.

- Seguendo lo stesso ragionamento qualsiasi patologia che ha a che fare con l’umore è da considerarsi fasulla perché è tutto un complotto delle multinazionali no? -.

- Esattamente -.

Ero sconvolta, mai avevo sentito da qualcuno della nostra età un’opinione tanto bigotta e arretrata, di questo passo non mi sarei sorpresa se avesse iniziato a blaterare sul fatto che la scienza era in realtà magia.

- Lidia, ti rendi conto che stai sparando una marea di cazzate? Stai buttando all’aria decine e decine di anni di studi giusto per dare fiato alla bocca. Solo perché se uno si rompe un braccio tu vedi il gesso, mentre se è depresso no lo vedi, non vuol dire che quella malattia non abbia ripercussioni fisiche. Una persona seriamente depressa non riesce ad alzarsi dal letto perché non ha la forza necessaria a farlo, i muscoli diventano impotenti, la stanchezza diviene perenne e questo è qualcosa che puoi vedere e che influenza in modo tangibile la vita quotidiana di un individuo, e soprattutto non è una cosa che si cura con un po’ di cioccolata e delle parole stimolanti -.

Lidia divenne rossa in volto e mi disse concitata - Ma come ti permetti? Il mio è un ragionamento serio e sensato tu invece hai solo insultato ciò che ho detto perché in realtà non hai prove a sostegno delle tue parole -.

Sbuffai - Ho rinunciato subito ad usare la logica perché dopo ciò che hai detto all’inizio ho dato per scontato che tu non fossi in grado di comprenderla -.

- Brutta stronza mi stai dando della stupida? -.

- Direi proprio di si -.

-Margherita! -. Esclamò Gigi guardandomi.

- Mi ha appena chiamato stronza Gigi, che pretendi che faccia? Che le dia un bacio sulla guancia e diventi la sua migliore amica? -.

Lidia si alzò dal tavolo strillando – Non lascerò che nessuno mi tratti in questo modo – e si allontanò portandosi assieme la borsa.

Gigi fece per seguirla ma prima di uscire definitivamente dalla pizzeria mi disse – Sappi che ti ha chiamato in quel modo perché oggi ti sei veramente comportata da stronza! -.

Tutti i clienti si erano voltati verso il nostro tavolo e tutti quelli al nostro tavolo stavano guardando me.

I più lontani non capivano bene cosa fosse successo dato che avevano assistito solamente alla parte della discussione che si era svolta ad alta voce, un paio si avvicinarono per chiedere spiegazioni.

Chiara e Terri corsero dietro ai due fuggitivi per cercare di convincerli a tornare indietro, Delia mi guardò scuotendo la testa – Hai esagerato -.

- Io non ho fatto niente De, le ho solo risposto a tono -.

- Non è vero Margherita, hai iniziato tu a trattarla male e lo sai -.

- Ma non è colpa mia se lei è veramente un’idiota e poi ho detto quello che tutti stavamo pensando, non negatelo! -.

- Avresti potuto dirglielo senza darle della stupida -. Si intromise Gennaro.

- Oppure avresti potuto stare zitta e basta, lo sai come è fatta Lidia, capita che dica cose con le quali nemmeno io sono d’accordo, ma questo non mi dà il diritto di insultarla, né tanto meno lo dà a te -.

Venne in mio soccorso Alessandra - Non ingigantiamo la situazione Delia, Marghe non ha insultato sua mamma, ha semplicemente espresso un parere, e inoltre lei come tutti noi ha sopportato per mesi le idee insensate di quella gallina, dopo un po’ è normale che sia sbottata -.

Carmine si avvicinò con fare cospiratorio e ci disse con voce pacata- Non mi sembra il momento adatto per chiamarla così -.

- Infatti se tornano e lo sentono inizia un’altra discussione -. Lo assecondò Nico.

Intanto Saverio faceva domande sulla lite – Oh ma si può sapere che è successo? -.

- Lidia e Margherita aveva opinioni divergenti, la cosa e degenerata e il resto lo hai visto -.

- In che senso? Che vi siete dette? -. Questa volta Save si era rivolto a me, Delia nel frattempo mi guardava ancora con disapprovazione.

Roteai gli occhi – Possiamo gentilmente smettere di parlarne? -.

La mia frase doveva essere apparsa vagamente minacciosa perché tutti mi assecondarono tornando ai propri posti e cambiando argomento. Aspettammo che tornassero Terri e Chiara prima di continuare con la cena, ci erano arrivati gli antipasti ma dovevamo ancora ordinare le pizze.

Il resto della serata fu teso nonostante Gigi e Lidia non fossero tornati indietro, anzi forse lo fu proprio per quella ragione.

Non capivo come Gennaro e Delia potessero aver dato ragione a Gigi, io forse avevo risposto in maniera un tantino brusca ma era stata lei a partire con gli insulti veri e propri chiamandomi stronza, e Gigi! Lui al posto di fermare Lidia le aveva dato manforte.

Capivo che lei era la sua fidanzata ma io ero sua amica, e lo ero da anni ormai! Avrebbe potuto benissimo seguirla senza insultarmi a sua volta.

Tornai a casa a mezzanotte perché la voglia di stare in compagnia mi era passata.

Luca era in camera sua che smanettava sul computer mentre mamma dormiva nonostante la tv accesa, la spensi e poi tornai nel mia stanza e mi misi nel letto, non mi ero neanche struccata.

Impostai la mia playlist per la notte e mi addormentai sulle note di Carillon di Mr.Rain.


 

 



 

Parto ringraziando quelli che hanno aggiunto ‘Non tutto ciò che vacilla cade’ alle preferite o alle seguite, non potete immaginare quanto la cosa mi faccia piacere!

Un grazie anche a claudiagrc per il sostegno e i comlimenti :*

Allora qualche parolina sul capitolo: come avete visto questi non sono stati giorni semplici per Margherita, tra compiti in classe disastrosi e liti varie, persino Gennaro e Delia le hanno dato torto!

Voi che ne pensate? Chi tra Lidia e Margherita aveva ragione? E se pensate che la nostra protagonista fosse nel giusto siete comunque d’accordo con Dede e ritenete che abbia reagito in maniera spropositata?

Chissà poi quali ripercussioni avrà questa discussione sulla vita di classe della III D.

xxElykiei

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Capitolo 13
*** Anche i mostriciattoli possono essere utili ***


13.Anche i mostriciattoli possono essere utili

Tornai a casa a mezzanotte perché la voglia di stare in compagnia mi era passata.

Impostai la mia playlist per la notte e mi addormentai sulle note di Carillon di Mr.Rain.

 

 

 

Quando alle sette del lunedì  mi specchiai fui certa che quella di non struccarmi per due notti consecutive era stata una cattiva idea.

I miei occhi circondati da macchie nere facevano sembrare il viso simile a quello di un panda dal muso asimmetrico, la tinta per le labbra era diventata grumosa, pur mantenendo il suo colorito vivace, e con tutta probabilità anche la federa del cuscino aveva subito le conseguenze della mia pigrizia.

Ci vollero varie passate di acqua e sapone per rimediare a quel disastro, avevo anche finito lo struccante!

A scuola arrivai col viso arrossato, tutto quello strofinare non aveva giovato alla mia pelle delicata.

Notai la tensione non appena misi piede nell’aula.

Gigi che normalmente sedeva alla mia sinistra nella fila centrale si era spostato all’ultimo banco della fila sulla parete della porta, il più lontano possibile da me.

Roteai gli occhi annoiata dal suo comportamento infantile, non gli avevo mica investito il gatto!

Terri era in piedi accanto alla mia autoproclamata nemesi del momento, conoscendola stava provando a far ragionare il nostro amico per farlo tornare al suo banco.

 Accanto a lui sedeva Chiara che, dallo sguardo che mi rivolse, intuii non essere dalla mia parte.

Lasciai tutte le mie cose per terra con un tonfo e mi avvicinai a Delia, Genna e Saverio – Ma vi rendete conto? Ha perfino cambiato banco! -. Esordii io.

Delia mi guardò e con una scrollata di spalle disse – Perché non avrebbe dovuto farlo? È suo diritto stare accanto a persone con le quali si sente a proprio agio -.

- Si certo, quindi ora Gigi non si sente più a proprio agio con me per una stupidissima discussione -.

- Io la chiamerei più lite – intervenne Saverio.

- Ma dai non era così seria come situazione -.

- Evidentemente lo era per lui -.

- Delia la smetteresti di esse dalla sua parte ? -.

- Marghe non mi sto schierando con nessuno ma sai che credo nel ‘’date a Cesare ciò che è di Cesare ‘’  e stavolta ritengo che Gigi abbia il diritto di essere irritato -.

- E questo lo chiami non essere di parte? -.

Delia sbuffò infastidita dalla mia insistenza e Gennaro si intromise – Suvvia ragazze, se iniziate a litigare anche tra voi non risolvete niente -.

La mia amica alzò un sopracciglio, quasi volesse sfidarmi a continuare la discussione, ma io decisi solo di scuotere il capo e allontanarmi, non ero proprio in vena di altre diatribe, specialmente con lei.

Delia poteva essere talmente testarda!

Giordano fece il suo ingresso nell’aula, io però avevo bisogno di un tè caldo, che da sempre era stato un piccolo rimedio per ogni mio nervosismo, così dissi al professore di storia e filosofia che avevo lasciato il cellulare sulla scalinata dell’ingresso e chiesi se potevo fare una corsa per andare a riprenderlo.

Per quanto fossero contrari al portare cellulari dentro l’edificio scolastico i professori comunque non volevano che perdessimo oggetti di valore e perciò Giordano accetto la mia richiesta.

Anche se la campana era già suonata da qualche minuto, per i corridoi c’era ancora gente, probabilmente erano ragazzi i quali professori non avevano ancora raggiunto le aule.

Mi avvicinai alla macchinetta delle bevande, almeno lei mi era sempre fedele.

Quando vidi la scritta caffè ricordai l’accordo che avevo fatto con Raffaele. Non ero certa che fosse valido dato che non ci eravamo più sentiti dopo il giorno del mio attacco d’ansia, ma provai comunque a contattarlo.

Messaggio inviato a Raffaele  08:11:

Giorno di paga, sono alle macchinette al piano terra.

Passarono cinque minuti, ma non c’era alcuna traccia di Raffaele, il mio tè intanto iniziava a raffreddarsi.

Altri due minuti e poi sarei dovuta correre via, non potevo spendere l’intera ora fuori dall’aula solo grazie alla fantomatica caccia al cellulare.

Proprio mentre stavo bevendo l’ultimo sorso vidi il mio personale professore di chimica girare l’angolo.

- Hai i miei soldi? -.

- No, ma posso avere il tuo caffè -.

- Avrei preferito i soldi -.

Gli diedi un buffetto sul braccio – Avido -.

Sorrise – Hai iniziato senza di me vedo -.

- Ed ho anche finito, sarà forse perché ci hai messo tre ore per scendere due rampe di scale? -.

- Ho visto tardi il messaggio, anche voi ora di buco? -.

- No, sono uscita con una scusa, è ancora troppo presto per iniziare una giornata scolastica -.

Si stiracchiò – Anche questo è vero – io intanto smanettavo con la macchinetta – Quattro tacche di zucchero bastano? –

- Cinque, lo zucchero di ‘sta cosa è sempre amaro -.

- Mi sorge un dubbio: se avevate un’ora di buco perché non vi hanno fatto entrare direttamente alla seconda? -.

- Perché Diego è un rappresentate di classe inutile che dimentica di far firmare i permessi sul registro dal vicepreside -.

- Scherzi? Da me lo avrebbero linciato -.

- Oh lo stanno facendo, nessuno rinuncia a poter dormire di più con tanta facilità -.

– Non vorrei essere nei suoi panni -.

- Nessuno vorrebbe, ma se lo merita -.

- Andiamo sei crudele! -.

 - Sono assonnato, il che mi rende meno incline al perdono, hai idea a quel ora io mi sia ritirato stanotte? Non so nemmeno perché sono venuto oggi -.

- Sentiamo, che hai combinato ieri sera? -.

- Quanto tempo hai a disposizione? -.

- Se inizi il racconto così mi sa che non ne ho abbastanza -.

Sorrise – Facciamo che ti dico tutto alla prossima lezione -.

- A proposito, quando sei libero tu? -.

- Oggi, giovedì  e venerdì -.

-Okay, oggi per me va bene ma giovedì ho un impegno con degli amici quindi l’altra la fissiamo a venerdì? -.

- Si, stessa ora, non fare tardi o non ti apro -.

Lo salutai come un militare - Si capo -.

Erano passati quasi quindici minuti da quando ero uscita dalla classe, cosa della quale si rese conto anche il professore – Sei tornata a casa per recuperare il cellulare? -.

- Mi scusi prof, ma la bidella lo aveva trovato e portato in vicepresidenza, e quando sono andata li De Feo non c’era quindi sono dovuta andare a cercarlo -.

- Va bene, ho capito, non perdiamo altro tempo, siediti -.

Terri aveva già quasi raggiunto una pagina di appunti, la mia compagna non era molto brava nell’essere sintetica, la cosa però mi era utile poiché le avrei chiesto di vederli per recuperare quello che avevo perso nel tempo in cui ero stata fuori.

Al suono della seconda campanella Giordano si era già allontanato da un pezzo, preso da chissà quale suo problema familiare, io stavo copiando l’inizio della spiegazione quando notai Terri ferma davanti a me con le braccia incrociate.

Le lanciai uno sguardo di sottecchi, si stava comportando in modo strano.

- Hai finito? -. Mi chiese.

- Mi manca l’ultimo paragrafo.. tutto bene? -.

- No -.

Posai la penna – Okay, che c’è che non va? -.

- Non gli hai ancora chiesto scusa -.

- Lo stesso vale per lui -.

- Lui non ha ragione per doverlo fare -.

Socchiusi gli occhi – Non è vero -.

- Hai insultato la sua ragazza -.

- Pure lei ha insultato me, eppure pare che questo nessuno se lo ricordi -. Sbottai allargando le mani.

- Chiedigli scusa -.

- No -.

- Restituiscimi il quaderno allora -.

- Mi ricatti con gli appunti? -.

Teresa non mi rispose, prese semplicemente il quaderno verde e lo ripose in cartella.

Mentre lei si allontanava borbottai un - Non posso crederci, siete tutti contro di me quindi -.

- Non tutti tranquilla -. Rispose una voce alle mie spalle.

Mi voltai andando incontro ad una liscissima chioma colorata.

Alessandra Santoro cambiava colore di capelli come io cambiavo borsa, quel mese aveva una base biondo platino con ciocche viola e blu, il mese prima erano stati tutti lilla. Invidiavo la sua capacità di infischiarsene dei commenti della gente, era capitato più volte che per strada i bambini chiedessero alle mamme perché quella ragazza avesse i capelli di ‘’ quello strano colore, era forse un’aliena? ‘’, lei di tutta risposta faceva una linguaccia ai bimbi e continuava nel suo cammino, io non ce l’avrei mai fatta.

I suoi occhi sembravano aver seguito l’esempio dei capelli poiché avevano un colore cangiante.

La mattina presto erano di solito verdi, ma più la giornata avanzava più si scurivano fino a diventare castano scuro.

L’essere andata di pomeriggio tardi a richiedere la carta d’identità era una delle cose che ancora oggi rimpiangeva perché per quella ragione sul suo documento accanto alla voce ‘colore occhi’ appariva la parola marrone.

- Oh grazie al cielo Ale, qualcuno che non mi odia -.

- Odiarti? Io tifavo per te, era ora che qualcuno mettesse al proprio posto Miss Universo, e fidati non sono l’unica a pensarla a questo modo -.

- Davvero? -.

- Si certo! La maggior parte di noi ti da ragione: Sara, Orazio, Tommaso, Debora, Lucia, persino Ludovico -.

Mi mordicchiai il labbro inferiore – Ludovico è d’accordo con me? Devo aver fatto proprio una cazzata -.

- Scherzi a parte Marghe, non capisco come i tuoi amici possano dare ragione al topo -.

- Neanche io! Cioè loro non danno ragione a Lidia, ma a Gigi, a dire di Delia sono stata troppo aggressiva nei confronti di quella che è la ragazza di un mio amico e forse è vero, ma mi ha fatto davvero innervosire -.

Alessandra annuì – Ti capisco, credimi, senti ti va di uscire oggi? -.

- Purtroppo sono impegnata fino alle otto -.

- No, si, intendevo vederci dopo cena, io, te e Deb, magari andiamo a berci qualcosa -.

- Si dai, dove? -.

- Andiamo in centro e poi da li decidiamo, ci vediamo per le dieci, dieci e mezza al Mc della stazione -.

- Perfetto -.

Tornati a casa da scuola io e Luca ci accorgemmo che mamma non era in casa, avevo dimenticato che quel giorno aveva il turno di mattina.

Senza troppe cerimonie dissi al mostriciattolo che non avevo voglia di cucinare, quindi se avesse voluto mangiare qualcosa di più elaborato di una fetta di pane, olio e sale avrebbe dovuto ingegnarsi.

Non capii bene il mugugno che fece in risposta, ma poco me ne importava, l’irritazione dovuta al comportamento di Terri e Delia era risalita a galla.

Inserii nella playstation il disco di Dragon Age: Inquisition, niente di meglio dell’ammazzare qualche demone ed esplorare territori sconosciuti per scaricare la tensione.

- Tu che ne pensi Pietro? -.

- Buongiorno -. Gracchiò lui in risposta.

Esalai un lungo respiro poggiando la testa al divano. Avevo sperato che con la settimana nuova lo stress potesse diminuire e invece se il detto ‘’il buongiorno di vede dal mattino‘’era vero, il resto della settimana si prospettava divertente quanto un cavatappi in un occhio.

Non mi capitava di litigare con Dede da quando andavamo alle medie.

Sin dal momento in cui era tornata eravamo state troppo prese dall’idea di recuperare il tempo perso per perdere tempo con musi lunghi e giorni di mutismo. Complice era anche stata la nostra naturale tendenza ad andare d’accordo, raramente ci capitava di avere opinioni differenti e di solito in quei casi concordavamo sul fatto di non essere d’accordo.

L’ultima volta nella quale una discussione era diventata seria eravamo poco più che dodicenni.

A quei tempi Delia era convinta che le avessi rotto un cofanetto dei trucchi che aveva ricevuto per il compleanno, io d’altro canto mi dichiaravo innocente.

A supporto della sua teoria però c’era il fatto che le avevo sempre invidiato quella trousse.

Non ci parlammo per un mese prima di scoprì che il misfatto era stato di una ragazzina che abitava nel suo complesso, ormai non ricordavo più nemmeno il suo nome.

Nonostante si fosse scoperto che io non c’entravo nulla con i vari ombretti sparsi per la sua camera, Delia non era venuta da me per scusarsi, già a quell’età era troppo orgogliosa per farlo.

Io, testarda almeno quanto lei, avevo continuato il nostro gioco del silenzio, dopo un altro paio di settimane però me l’ero ritrovata a casa mentre giocava con le mie figurine dei Pokemon, l’aveva lasciata entrare mia madre.

All’inizio, pur unendomi alla sua partita, l’avevo trattata con freddezza, dopo un paio d’ore però l’arrabbiatura era sfumata.

Quando quella sera tornò a casa sua, lontana un solo isolato dalla mia, trovai nascosto sotto il cuscino un cofanetto a forma di orso, identico al cofanetto della discordia.

All’interno vi era un bigliettino con su scritto ‘’ avevi ragione tu, scusa ‘’.

Di tutta risposta il giorno dopo obbligai mia mamma a comprare una trousse della pupa che a mia volta lascia nella sua cameretta.

Magari anche questa volta avremmo potuto tornare alla normalità grazie ad un rossetto di Kiko.

Sospirai.

Ero stanca di ripensare alle varie divergenze di opinioni con i miei compagni, ultimamente, considerai, mi stancavo facilmente.

Avevo gli occhi chiusi per cui riuscii solo a percepire il cuscino del divano che sprofondava, Luca si era seduto accanto a me.

- Fame? -.

Aprii un occhio, il mio fratellino mi stava porgendo un piatto con una bruschezza abbrustolita, pomodorini a cubetti e una spezia che con la vista soltanto non riconoscevo.

Aveva surclassato il mio semplicissimo pane, olio e sale.

Accettai il cibo di buon grado, il fatto che fossi troppo pigra per prepararlo non voleva dire che lo fossi anche per mangiarlo!

- Tutto bene? -.

- No, il tuo pappagallo mi da consigli inutili -.

- Innanzitutto il pennuto è tuo e poi sorella.. da quando in qua ti affidi a Pietro per ottenere saggezza? -.

- Lo sottovaluti, a volte più essere d’aiuto -.

- Ne sono certo, ora dimmi che c’è che non va e vediamo se mi fai abbastanza penda da farti perdonare il fatto che hai preferito rivolgerti ad un volatile piuttosto che a me -.

Rissi e appoggiai la testa alla sua spalla.

- Non è niente, sono solo stanca -.

- Sono le due di pomeriggio, è un pochino presto per esserlo! -.

- Proprio questo è il problema.. -.

Mi cinse le spalle con la mano che non reggeva il piatto.

- Sei ancora in difficoltà con la scuola? -.

- No.. – mentii.

Mi pungolò con la spalla – Davvero? -.

Grugnii – Va bene, si -.

- Posso fare qualcosa? -.

- Uccidere la mia prof così magari mettono a tutti cento a prescindere perché abbiamo vissuto un evento traumatico? -.

- Mi sembra leggermente drastica come soluzione -.

Gli sorrisi raddrizzando la schiena - Allora no, non puoi fare nulla -.

- Potremmo rapirle il cane, come in quel film che ti piaceva tanto da piccola.. come si chiamava? -.

- Tre metri sopra il cielo? -.

- Si quello! Rubiamo il cane e la ricattiamo, di sicuro così ti farà passare senza darti rogne -.

Lo fissai con un sopracciglio alzato – Era una specie di battuta? Quella delle rogne? -.

- Forse -. Mi rispose con finta indifferenza .

Scoppiai a ridere  - È orrenda, te ne rendi conto? -.

- Intanto hai riso! -.

Ahimè quella era una cosa che non potevo negare.

Abbracciai Luca poi mi alzai – È meglio se vado in camera a finire i compiti per domani, alle quattro devo andare a ripetizioni -.

Il tempo di arrivare alla porta e il mostriciattolo aveva già in mano il controller della Play – Qui vado avanti io allora -.

La giornata era ancora lunga, ma Luca me l’aveva appena resa un po’ più leggera.







Sono passati tanti giorni lo so, ma ho un test d'ingresso per il quale ho iniziato a prepararmi e per un po' ho anche lavorato quindi spero che possiate perdonarmi >.<
Ho capito che purtroppo non mi sarà più possibile aggiornare ogni tot giorni, ad ogni modo cercherò sempre di pubblicare un nuovo capitolo appena possibile!
Mi auguro che continuerete a seguire ''Non tutto ciò che vacilla cade'', grazie a tutti per l'attenzione!

xxElykei

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Capitolo 14
*** Le cose che non vuoi sapere. ***


14.Le cose che non vuoi sapere.

Quel pomeriggio i genitori di Raffaele non erano in casa e noi ci accomodammo in soggiorno.

Il padrone di casa era seduto a gambe incrociate sul divano mentre mi interrogava, non ci vedevamo da parecchio e voleva accertarsi di cosa mi ricordassi e cosa avessi dimenticato. Indossava gli stessi vestiti della mattina: jeans blu chiaro e una camicia a scacchi verde e nera, niente scarpe però.

Io ero seduta composta, sguardo fisso in avanti per evitare la tentazione di sbirciare l’eventuale risposta sul quaderno.

Le domande si susseguivano e tutto sommato, pensai, non stavo andando male.

Avevo rimosso una definizione o due, ma i meccanismi erano ancora chiari, Raffaele mi teneva sempre sulle spine con quello sguardo indifferente, solo alla fine di ogni sessione di cinque domande mi diceva quali avevo sbagliato e quali invece erano corrette.

- È piuttosto fastidioso -. Mi interruppe Raffaele.

- Come scusa? -.

- Il modo in cui ti tormenti le unghie, è abbastanza irritante -.

- Non è colpa mia se tu ci metti una vita prima di dirmi se ho detto la cosa giusta, mi innervosisce -.

Incrociai le braccia sul petto – E poi mordicchio le pellicine non le unghie -.

- Questo spiega perché mi hai sporcato il divano – indicò il mio pollice – Stai sanguinando -.

Mi affannai alla ricerca della macchia portando il dito alla bocca per fermare la piccola stilla che minacciava di cadere.

Dopo aver cercato in vano guardai Raffaele di sbieco – Non ho sporcato nulla -.

- Stavi per farlo -.

- Sei proprio uno scemo, mi hai fatto preoccupare! -.

- Così magari la smetti -.

Esalai un respiro, esasperata – Ho capito – dissi prima di sedermi sulle mie stesse mani, in quel modo non avrei potuto dargli fastidio – Tu però devi dirmi sul momento se sbaglio -.

- Assolutamente no -.

- Per quale ragione?! -.

- Per caso quando fai un compito i risultati ti arrivano subito dopo aver finito ogni esercizio? -.

- Ovviamente no -.

- Stessa cosa con me allora, devi imparare a dominare l’ansia -.

- Si certo, sono sicura che i tuoi consigli mi risolveranno la vita Marco Aurelio -.

Si stiracchiò - Riprendiamo su -.

- No, se prima non mi prometti che eviterai questi giochetti idioti, non mi serve qualcuno che mi faccia innervosire, mi basta la scuola per quello -.

- Io sto cercando di aiutarti, se sei incazzata per fatti tuoi non prendertela con me -.

- Io invece ti sto dicendo che questo modo di aiutarmi fa un po’ schifo quindi evita, grazie -.

Mi parlò con tono calmo, come un adulto che cerca di spiegare ad un bimbo perché non può divorare l’intera torta - Ci siamo messi d’accordo perché io ti dessi ripetizioni, il che è quello che sto facendo nonché quello che continuerei a fare se tu la smettessi di fare la bambina capricciosa, ma devi capire che dobbiamo seguire i miei metodi o tutto ciò sarà inutile -.

- Hai per caso dimenticato di menzionare un qualche titolo che ti dà tanta sicurezza nella tua metodologia? A no aspetta sei solo un normale ragazzo di diciotto anni, il che vuol dire che le tue non sono verità assolute, ma semplici supposizioni e ti do una notizia: per me, queste tue convinzioni, non sono valide -.

- Magari prima di sputare sentenze potresti provare a fare come ti dico, che ci perdi? -.

- Nulla, ma comunque non ho intenzione di farlo -.

- Perché? – l’ultima parola fu pronunciata in tono decisamente più alto rispetto a quanto fosse necessario.

Ricambiai il favore e quasi urlai anche io – Perché no, perché non voglio, perché sarebbe inutile e perché non sono fatti tuoi! -.

Alle mie parole si alzò, era forse rabbia quella che intravedevo tra le sue lunghe ciglia scure?

- Sarebbe questa la tua scusa? Perché non vuoi? -.

- Si -.

Rise con scherno – Come ti pare, facciamo a modo tuo.. dato che fino ad ora si è rivelato talmente utile -.

Si era riseduto, io d’altro canto non avevo più intenzione di continuare.

Forse avevo ottenuto una vittoria, ma pareva tanto una vittoria di Pirro ed io non ero certo una che si accontentava.

- Lascia stare, è meglio se me ne vado -. Raccolsi la mia borsa da terra e gli strappai il quaderno dalle mani.

- Non abbiamo finito -.

- Non importa, oggi non è storia -.

Mi avviai verso l’uscio, il percorso non era lungo più di quindici passi e solo perché dovevo fare il giro del muretto. Raffaele non fece nulla per trattenermi, lo vidi semplicemente scuotere la testa quando mi girai per richiudere la porta.

Dannazione, oggi non me ne capita una buona! Dissi tra me e me in ascensore.

Arrivai a casa che erano le sette meno qualcosa, Luca era fuori, mamma sedeva in soggiorno tra carte e bollette, Pietro era tranquillamente poggiato sul suo trespolo.

Il pappagallo fu il primo a notarmi e a salutarmi – Ciao -.

- Ciao piccolo -. Sporsi il braccio sinistro dove lui si arrampicò diligentemente.

- Sei già tornata? Pensavo ne avessi ancora per un’ora almeno -.

- Abbiamo finito prima -.

- Lo devo prendere come un buon segno? -.

- Certo, vero Pietro? -.

- Certo -. Rispose lui.

- Ti voglio tanto bene amico mio -.

- Ti ricordi che.. – La interruppi – Si mamma ricordo, e no non è necessario -.

- D’accordo, non ci provo più -.

Mi stesi sul divano – Ti da fastidio se accendo la TV? -.

- Fai pure -.

Un urlo riempì la stanza, il dottor House aveva appena risvegliato un ragazzo ustionato e mamma sobbalzò, colta alla sprovvista.

La guardai mordendomi il labbro – Non ridere! – disse subito lei.

Purtroppo fu proprio quella la goccia che fece traboccare il vaso ed io scoppiai in una fragorosa risata.

Cinque minuti prima dell’ora decisa ero al punto d’incontro prestabilito che mi specchiavo in una vetrina, i capelli come al solito non volevano avere una forma definita.

Indossavo dei collant neri, un pantaloncino di jeans e un maglioncino bordeaux, coverse dello stesso colore completavano il tutto.

Non dovetti aspettare a lungo l’arrivo di Debora, per quello di Alessandra invece fu un altro conto.

Prima che arrivasse io e Deb riuscimmo a prenderci un Mc Flurry e fare un giro di ricognizione nei dintorni. Scoprimmo che c’era una serata promozionale dell’Heineken al Settimo Girone, una birra gratis ogni due acquistate, qualcosa mi diceva che quel bar sarebbe stato la nostra meta.

Alle undici eravamo sedute ad uno dei tavolini esterni del locale, era un posto carino, ci ero già stata un paio di volte, ma quella era la prima che vedevo la saletta esterna posteriore, di solito mi sedevo ad uno dei tavoli sul davanti o direttamente al bancone.

La saletta era occupata da alcuni divanetti raggruppati a formare cinque cerchi, infondo, davanti ad una semiparete ricoperta di finte rampicanti, vi era un bancone bar dove un ragazzo ed una ragazza, entrambi stupendi, distribuivano birrai ai clienti. Se non fosse bastata la promessa di una certa quantità di birra gratis ad attirare i ragazzi di certo ci sarebbero riusciti i due baristi.

Lei era bionda, con i capelli raggruppati in una treccia laterale morbida, gli occhi color del mare in tempesta, due zigomi che facevano invidia ad Angelina Jolie e delle curve che ogni persona sognava.

Lui alto e castano, barbetta incolta, occhi cioccolato ed una mascella squadrata che avrei volentieri mordicchiato.

Mi stava forse per venire il ciclo?

Doveva essere così perché i miei ormoni stavano facendo brutti scherzi facendomi fantasticare su altre cose oltre quella mascella.

Forse in parte la colpa era anche di quei jeans, troppo attillati per il bene di chiunque.

- Secondo voi stanno insieme? -.

La domanda mi distrasse dall’intesa fase di sguardi – Chi? -.

- Mr. Addominali di Marmo e Katniss bionda -.

- Non lo so, ma di sicuro scopano -.

- Dai Ale! -.

La ragazza dai capelli colorati si accoccolò meglio sul divano, fino a poggiare la testa sullo schienale, ormai era quasi stesa.

Indicò i due col collo della bottiglia che aveva in mano – Guardate come si sfiorano, lui sfrutta ogni occasione per toccarla e lei al posto di allontanarsi indugia, il modo in cui si morde il labbro ogni volta che lui le sorride o anche solo quando gli guarda il culo.. è lapalissiano! -.

 In effetti osservandoli si notava una complicità nei movimenti che poteva derivare solo da una conoscenza fisica intima.

- Ha totalmente ragione -. Concordai io.

Anche Debora acconsentì con un cenno. - Ragazza fortunata -.

- Direi di annegare l’invidia in un altro giro, pago io! -.

- Ma se questo è quello gratuito! -.

Deb ci guardò con il faccino innocente – Oh davvero? – poi scoppiò a ridere. Come al solito la sua risata era contagiosa.

Anche Debbi faceva la sua figura in una gonna nera alta e attillata abbinata d un crop top bianco a maniche lunghe.

Tutte le miei amiche erano stupende, ma come facevano?

- Direi che io mi fermo prima della terza -. Dissi rivolta ad Ale.

- Ssh se ti sentono ce ne danno solo due gratuite -.

 - Vuoi fregarti la mia birra a costo zero? -.

- Sarebbe uno spreco altrimenti -.

Nonostante tutte le attrattive non c’era troppa gente in giro essendo un lunedì, perciò Debora ci mise un attimo solo prima di tornare al tavolo.

- Che farete dopo il liceo? -. Chiesi io ad un certo punto.

Mi ero resa conto che non mi era capitato di parlare di questa questione con loro in precedenza.

- Lettere o filosofia, non ho ancora scelto –

- Già, Deb non sa se scegliere tra un futuro da forse disoccupata ed un futuro da sicuramente disoccupata -.

- Ma sta zitta – rispose lei spingendola con un gomito.

- Ale non ha tutti i torti -.

- Certo che no, ma questo non cambia il fatto che io voglia dedicarmi all’insegnamento, devo solo decidere a quale ramo -.

- Avresti più chance come filosofa opinionista in TV – commentò Alessandra.

- Come se scegliessero gli opinionista televisivi tra i laureati -.

- Tu Ale? -.

- Scienze farmaceutiche -.

- La nostra amica finirà per lavorare con mamma e papà -. La canzonò Debora.

Alessandra ripeté le sue parole beffarda poi aggiunse – Almeno io un lavoro ce l’avrò -.

Debora e Ale si prendevano spesso in giro, ma non capitava mai che una delle due si offendesse, il loro rapporto mi ricordava tanto quello che avevo io col mostriciattolo.

- Tu hai già delle idee Marghe? -.

- Non proprio, pensavo ad un qualche tipo di facoltà in lingue, ma non so ancora quale -.

- Non sai quale università o quali lingue? -.

Ci riflettei - La seconda e quindi di conseguenza anche la prima -.

Vidi le mie due amiche scambiarsi uno sguardo, successivamente Deb si schiarì la gola e mi chiese – Ehi Marghe.. ma che è successo l’altro giorno? -.

 Avrei dovuto aspettarmi l’arrivo di una domanda simile prima o poi.

Avevo due birre in corpo, le Heineken non avevano una gradazione troppo elevata tuttavia due birre erano pur sempre due birre. Forse furono quelle oppure la colpa fu di tutte le discussioni di quella giornata, il nervoso diminuiva la mie inibizioni, o forse ancora avevo solo voglia di parlarne con qualcuno, non lo seppi con precisione però dissi loro la verità.

- È stato un attacco d’ansia -.

Debora annuì come se lo avesse saputo fin dall’inizio.

- Ti era mai capitato prima? -.

- Non proprio, non così forte per lo meno -.

- Per un po’ è capitato anche a mia sorella dopo il divorzio -.

- Non lo sapevo -.

- Sabrina preferisce essere quella incazzata piuttosto che quella con problemi, senza offesa -.

Risi – Tranquilla, sono certa che tutti in classe, almeno una volta, abbiano pensato che ho dei problemi -.

- Probabilmente l’hanno pensato anche di me -. Mi rispose Debora.

- Senza probabilmente, è sicuro! L’hanno pensato di me quando mi son fatta i capelli verdi, figuratevi se non l’hanno fatto con voi -.

Tutto quel parlare di scuola mi stava facendo aumentare esponenzialmente il livello d’ansia, la terza birra non sembrava più un’idea così cattiva.

Presi un sorso, era fresca.

- Ehi, quella è mia! Me l’hai ceduta -. Si lamentò subito Alessandra.

- Ritiro il mio regalo -.

- Non puoi farlo -.

- Troppo tardi, ma per farmi perdonare il prossimo lo offro io, niente birre però, mi hanno stancata -.

- Shottini da Paolo? -.

- Devo assolutamente farvi provare quello blu e rosa, non ho idea di cosa ci sia dentro ma è buonissimo! -.

- È deciso allora -.

La mattina successiva mi risvegliai con  un mal di testa lancinante e rimpiansi quell’ultimo shot alla mela verde.

Quando mi ritrovai davanti allo specchio, dopo essermi trascinata in bagno, iniziai a rimpiangere tutti i bicchierini bevuti la notte precedente. Avevo un aspetto terribile.

Dovevo sul serio andare a scuola?

Mi sciacquai la faccia, occhiaie e pallore così pronunciati non erano cose alle quali potevo rimediare, ma il fresco aiutava con la nausea.

 Raccolsi i capelli in un tuppo e mi lavai in fretta, se proprio non potevo saltare le lezioni volevo almeno arrivare a scuola presto per bere otto caffè senza zucchero oppure collassare sul banco, o magari entrambe le cose.

Il mio piano stava funzionando piuttosto bene dato che erano dieci minuti che ero praticamente stesa sul banco senza essere disturbata.

Ero sull’orlo del mondo di Morfeo quando sentii qualcuno scuotermi.

Una massa di capelli platino e ciocche viola mi oscurarono la visuale sulla classe, che dal mio arrivo si era riempita – Che c’è? -. Domandai stropicciandomi gli occhi.

- Vieni con me -.

- Cosa, perché? -.

- Vieni -.

- Ma che è successo? -. Sbuffai  alzandomi.

Ale mi trascinò in biblioteca, non c’era nessuno dato che era presto, riflettendoci ricordai che solitamente la stanza era chiusa fino alle dieci.

- Come abbiamo fatto ad entrare? Questo posto dovrebbe essere chiuso -.

- Ho le chiavi -.

- Sul serio? Come? -.

- Non ora -. Mi trascinò davanti ad una porta, doveva essere quella dell’archivio. Sentii dei rumori, stavo per fare un’altra domanda quando Alessandra aprì la porta e mi spinse nella stanza.

In un angolo seduta tra la scrivania e il muro c’era Debora.

Aveva le braccia strette attorno alle ginocchia, il viso rigato del pianto, tracce di mascara le rigavano le guance, guardai Alessandra con aria interrogativa, lei scosse la testa e mi disse – È arrivata a scuola che già singhiozzava, non vuole dirmi cosa c’è che non va -.

Mi accovaccia accanto a Deb, Alessandra mi seguì a ruota pur restando un po’ in disparte. Probabilmente lei aveva già provato a parlarle, ora era il mio turno.

Posai con calma una mano sul suo gomito – Deb? Vuoi dell’acqua? -.

Scosse il capo fissando il muro – Guardami -. Le dissi, lei lo fece solo per un secondo poi riprese a piangere.

- Debbi ora mi sto stancando, smettila di frignare e dimmi cosa c’è che non va -.

L’approccio aggressivo di Ale non era quello che avrei scelto io, ma a quanto pare funzionò perché il respiro di Debora rallentò fino a divenire normale.

- Okay – mi appoggia alla scrivania per lasciare ad Ale lo spazio per avvicinarsi – Ora che ti sei calmata, dicci cosa è successo -.

- Ho fatto una cazzata -.

Non era molto, ma almeno era un inizio. – Va avanti -. La incoraggiai.

- Oddio non posso credere di averlo fatto – gemette Debora.

- Non ripartire con queste lagne, su -.

- Ieri dopo essere andate al bar dove lavora Paolo siamo andati in piazza e abbiamo incontrato Benny e gli altri e ci siamo spostati tutti insieme da Silvia no? -.

Annuii, lei riprese a raccontare – Poi sono sparita per una quindicina di minuti ricordate? Beh il fatto è che lì è successa una cosa che non doveva succedere -.

Io e Ale ci bloccammo, fui io la prima a parlare anche se inorridita dalla possibili risposta – Qualcuno ti ha obbligata a fare qualcosa che non volevi? -.

- No, no, è proprio questo il problema -.

Alessandra pronunciò ad alta voce le parole che girovagavano anche per la mia testa - Non ti sto più seguendo -.

- Sono andata in camera con un ragazzo e abbiamo fatto delle cose.. – si interruppe per fare un respiro profondo poi riprese – Non posso credere di star dicendo una cosa simile. Il ragazzo era Nico -.

- Nico.. Parli del Nico di Terry? -. Chiesi confusa. Lei confermò la mia supposizione con un cenno.

Alessandra si passò una mano tra i capelli - Hai scopato con il ragazzo di Teresa? -

- No! Cioè non siamo arrivati tanto in là, io ero ubriaca persa e anche lui, in realtà non penso che nessuno dei due fosse troppo consapevole di quello che stava succedendo, ci siamo solo lasciati trasportare dall’alcool e dal momento, tant’è vero che è finito tutto in dieci minuti -.

Non sapevo cosa dire, la situazione era terribile, Alessandra camminava in tondo per la stanza a braccia conserte -Sei sicura fosse lui? – chiese.

- Si, quando ci siamo resi conto di cosa stava accadendo ci siamo fermati, io sono scappata via e sono venuta da voi, lui è rimasto indietro -.

- Per questo hai voluto andare via con tanta fretta -. Stavo collegando i puntini e l’immagine che ne stava uscendo era nella migliore delle ipotesi incasinata.

Restammo in silenzio per alcuni minuti, la prima ora era sicuramente già iniziata noi però eravamo troppo impegnate per preoccuparci di una sciocchezza simile.

Debora riprese a piangere e tra un singhiozzo e l’altro ci chiese – E ora che cosa faccio? -.

 

 

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Capitolo 15
*** Obi-Wan aiutami tu. ***


15 Obi-Wan aiutami tu.


Ciao a tutti! Come sono andate le vostre vacanze? Le mie benissimo, però sono rietrata solo un paio di giorni fa e userò questa come scusa, perciò sarete costratti ad abbonarmi tutti gli eventuali errori di questo capitolo! ahah
Buona lettura, ditemi che ne pensate ( comunque sul serio se ci sono errori ditemelo please ).
xxElykei




 

- Sono andata in camera con un ragazzo e abbiamo fatto delle cose.. – si interruppe per fare un respiro profondo poi riprese – Non posso credere di star dicendo una cosa simile. Il ragazzo era Nico -.

Debora riprese a piangere e tra un singhiozzo e l’altro ci chiese – E ora che cosa faccio? -.

 

 

 

Tre ore dopo la rivelazione di Debora, io ero in classe a fissare un muro, in cerca di una epifania che potesse risolvere la spinosa situazione.

Terri mi era seduta accanto, non riuscivo a guardarla negli occhi.

Ero arrabbiata. Lo ero con Debora per avermi messo in una situazione tanto scomoda attraverso la sua confessione, ero arrabbiata con Alessandra perché la sua reazione era stata quella di dirci di star zitte, di non parlarne mai più.

Non è mai successo e ciò che non è successo non può ferire nessuno, aveva detto con sguardo deciso.

Ero arrabbiata anche con me, perché la voglia di proteggere una amica era forte, ma lo era altrettanto il senso di lealtà che avevo nei confronti di Terri.

Teresa era molto diversa da me, non era la mia migliore amica e non sarebbe mai stata la prima persona da chiamare in caso di bisogno o anche solo la prima alla quale raccontare una buona notizia, da quando però in secondo liceo eravamo diventate compagne di banco avevamo scoperto una certa affinità.

Inizialmente il nostro rapporto era stato caratterizzato da un velo di imbarazzo. Negli anni precedenti al cambio di banco infatti, non ci eravamo mai frequentate troppo. Certo chiacchieravamo e scherzavamo fra noi, ma solo quando le circostanze ci imponevano di farlo, ad esempio ad una cena di classe o quando ci incontravamo per strada. Mai ci saremmo viste da sole per un caffè semplicemente perché mai a nessuna delle due sarebbe venuto in mente di chiedere all’altra di uscire.

Il dodici ottobre del nostro secondo anno di liceo però la prof di matematica decise di fare un cambiamento, spostarmi accanto ad una delle ragazze più brave e attente così da stimolare una eventuale crescita nel mio rendimento.

In quel momento la cosa era apparsa leggermente fastidiosa tanto a me quanto a Teresa.

Entrambe eravamo state separate da amicizie lunghe una vita per stare accanto ad una persona con la quale avevamo un rapporto che poteva al massimo definirsi cordiale, io in più avevo dovuto avanzare dall’ultimo banco fino alla mia attuale posizione, un cambiamento che al tempo non mi ispirava affatto.

Tuttavia non avevamo potuto rifiutare una decisione di un professore e così ci eravamo ritrovate ad essere compagne.

L’imbarazzo dei primi tre giorni di forzata convivenza sfumò in fretta, presto ci rendemmo conto di essere in qualche modo complementari.

Io dimenticavo sempre qualche libro, non avevo mai gomme o temperamatite e riuscivo a non sbagliare nel portare i quaderni solo perché usavo un quaderno unico per ogni tre materie.

Lei era ordinata, aveva sempre tutto ciò che a me mancava, ma era schematica, e ogni tanto meno intuitiva di me. Durante le ore di filosofia se qualcosa non le era chiara chiedeva a me, persino durante matematica e chimica quando c’erano degli esercizi ai quali non riusciva a trovare la soluzione si rivolgeva a me.

Non perché io sapessi come completarli correttamente, ma perché riuscivo a darle spunti ed idee e grazie a quelli lei trovava la soluzione corretta.

Una volta durante una esercitazione a coppie la prof di matematica aveva deciso di movimentare le cose cambiando i posti per quell’unica ora.

Io ero finita accanto a Tommaso, Teresa con Ludovico.

Quei due erano disastrosi quanto me in matematica, quindi non mi aspettavo nessun cambiamento nei risultati del semi compito, ero convinta che Ludovico e Teresa avrebbero preso un otto e mezzo ed io e Tommaso un tre.

Il risultato finale però mi sorprese, io e il mio compagno avevamo ottenuto un cinque e mezzo, che era sì una insufficienza, ma era così vicina ad un sei e così lontana dai nostri soliti voti individuali che io e Tommaso non potemmo fare a meno di festeggiare. Terri e Ludovico invece finirono per avere un sette più.

Non era un brutto voto, c’era gente in classe, prima fra tutti io, che avrebbe pagato per vedere un sette su un compito di quella materia, ma era sicuramente al disotto degli standard di Teresa.

Una volta visti i risultati intuii che la mia compagna di banco ci sarebbe rimasta male così le dissi che sarebbe andata meglio la volta successiva e lei mi rispose che quelle parole sarebbero potute essere vere solo se io fossi rimasta accanto a lei.

Perplessa io le domandai il perché di tale affermazione e lei rispose: ‘’ Avere Ludovico accanto è stato un disastro! Magari tu non sarai la migliore in matematica, ma almeno cerchi sempre di aiutarmi! Quando vedi che sono bloccata mi proponi soluzioni e mi chiedi se ho fatto quel calcolo, insomma cerchi di darmi idee. Inoltre mi aiuti svolgendo i passaggi più semplici il che mi permette di concentrami sulle parti complesse. Ludovico invece era un muro! Anzi un muro sarebbe stato più utile. Ha passato il tempo a mettermi ansia dicendo di sbrigarmi a risolvere tutti i quesiti e quando gli chiedevo di applicare semplici formulette per aiutarmi mi rispondeva che non ne era in grado, quando la verità era che non ne aveva voglia. Nemmeno tu conosci tutte le formule però se te le scrivo riesci ad usale, si tratta di sostituzione dei termini esemplari con quelli reali mica di astrofisica! Uff, non osare mai più abbandonarmi ‘’

Quella parole mi fecero sentire soddisfatta, rivolte a me associata alla matematica erano più che un complimento. Per di più, mi resi conto quel giorno che a furia di stare con Terri e farmi spiegare le cose da lei ero veramente migliorata.

Quei passaggi che avevano fatto guadagnare a me e Tommaso la quasi sufficienza erano tutti farina del mio sacco, perché per quanto mi riguardava Brescia era stato tanto utile quanto Ludovico.

In più io e Teresa ci facevamo ridere a vicenda, i nostri sensi dell’umorismo erano differenti tuttavia riuscivano sempre a fare effetto sull’altra.

Amavamo entrambe il sushi alla follia, e le canzoni dei Florence + The Machine.

Dopo tre mesi di quella che era iniziata come una convivenza forzata tutti ci dicevano che la nostra amicizia era strana ed inaspettata e un po’ insensata date le mille differenze, ma che in qualche modo sembrava  adatta e giusta e noi eravamo più che d’accordo!

Era quasi come fosse stato il destino a farci sedere l’una accanto all’altra, il che forse era vero, poiché di sicuro all’inizio non eravamo state noi.

 Lei era il mio opposto, sempre solare, razionale, forte, decisa, sapeva quello che voleva e riusciva ad ottenerlo senza mai entrare in contrasto con la propria dolcezza caratteriale.

Io ero uno sbadato groviglio di emozioni contrastanti capace di cercare una penna per minuti interi prima di scoprire che per tutto il tempo l’avevo tenuta in mano. Sempre grazie all’aiuto di Teresa.

Nel corso del tempo inoltre lei mi era rimasta accanto nonostante tutti i problemi di ansia e di scuola, dandomi forza, cosa che avevo fatto anch’io rassicurandola prima di ogni compito riguardo alle sue capacità.

Il giorno prima di un test era infatti l’unico momento nel quale Terri perdeva la sua caratteristica sicurezza, per fortuna a lei questi momenti di sconforto capitavano prima dei miei, infatti dato che per me il giorno prima di un compito era ancora troppo presto per iniziare a preoccuparmi riuscivo ad aiutarla.

In passato, escludendo l’attacco di panico del compito di chimica Teresa era sempre riuscita a placare i miei timori poiché nei minuti prima di un esame lei era sempre rigorosamente composta e tranquilla.

- Stai per bucarlo.. intendo il muro, a furia di fissarlo -.

La voce della rossa mi riscosse, mettendo da parte i ricordi che erano riaffiorati, la guardai per un istante soltanto – Non eri arrabbiata con me per Gigi tu? -.

- Lo sono ancora, ma hai una faccia strana stamattina e la cosa non mi piace -.

Chiusi gli occhi, era gentile persino da incazzata, come potevo mentirle?

- Oggi non è un buon giorno -.

- Che è successo? -.

- Non mi va di parlarne -.

Rimase in silenzio per un lungo momento poi mi fece voltare verso di lei e disse con uno sguardo non troppo ostile – Ti va del sushi domani a pranzo? -.

Voleva tirarmi su di morale, ma non voleva farmi credere di aver vinto la lite, così tipico di Teresa.

Rinunciare al giapponese era improponibile, se lo avessi fatto lei avrebbe capito subito che c’era qualcosa che non andava, non avevo voglia di accettare però quindi optai per un – Ti faccio sapere stasera, devo vedere se mamma mi da i soldi -.

Lei accettò le mie parole e dopo una breve stretta al braccio fatta per incoraggiarmi tornò al suo broncio.

Alla fine della giornata scolastica mi ritrovai al parco.

Avevo sempre considerato quella grande macchia di verde un piccolo paradiso, ed il punto che preferivo di tutto il parco era una roccia, grande quanto un pouf ma purtroppo non altrettanto comoda. La scomodità non mi imp0ediva però di godere del panorama, la roccia infatti si affacciava su un delizioso laghetto casa di anatre e di tutti i pesci rossi e le tartarughe che le famiglie della città non potevano più tenere in casa.

Non ero certa che l’ultima cosa fosse legale, ma di certo serviva ad abbellire il laghetto, quindi non me ne lamentavo.

Sul laghetto torreggiava un ponticello panoramico di pietra, tutt’attorno alberi di magnolia, pini e sequoie, alle mie spalle invece a fare ombra su un piccolissima collinetta vi erano palme piantate senza un ordine apparente che però riuscivano a donare un senso di sinuosità all’ambiente.

Sulla riva del laghetto spuntavano a spazi piante delle quali non sapevo il nome ma che trovavo estremamente graziose.

L’una nota stonata nel quadretto idilliaco era l’acqua del laghetto che con gli anni aveva preso un colorito verdestro, non troppo piacevole, ma anche quello dava un tocco romantico se visto con gli occhi giusti.

Quello era uno dei miei luoghi preferiti in assoluto, potevo passarvici ore facendo nulla eppure non la noia non prendeva mai il sopravvento.

Tirai fuori un libro dalla cartella, uno creato per intrattenere non per studiare ed iniziai a leggere.

Ero alla fine del terzo capitolo quando udii un beep che segnalava l’arrivo di un messaggio.

Un nuovo messaggio da Obi 14:57:

Che mi racconti?

Messaggio inviato a Obi 14:58:

Niente di che, tu?

Un nuovo messaggio da Obi 14:58:

Mmh, non me la conti giusta, non hai mai ‘’ NIENTE ‘’ da dire tu, c’è sempre qualche cavolata, che succede?

Messaggio inviato a Obi 14:59:

Mi andrebbe una pausa.

Un nuovo messaggio da Obi 14:59:

Giappo domani?

Feci una smorfia, secondo invito a mangiare sushi eppure non avevo voglia di accettarne nessuno.

Messaggio inviato a Obi 15:01:

No tiengo dinero.

Un nuovo messaggio da Obi 15:01:

Sei a casa?

Messaggio inviato a Obi 15:01:

Parco.

Un nuovo messaggio da Obi 15:04:

Aspettami.

Ci vollero almeno venticinque minuti perché Umberto arrivasse, io nel frattempo avevo terminato altri due capitoli.

- Ti ho cercata ovunque prima di ricordare che alle medie ti rifugiavi sempre qui per leggere -. Esordì Obi a mo’ di saluto.

- Hai una memoria migliore della mia, io avrei rinunciato subito -.

- Mi avresti abbandonato solo su una roccia? -.

- No, avrei usato un cellulare, sono quei piccoli oggetti con schermo touch che la gente di solito usa per comunicare -.

- Davvero spiritosa Marghe -. Il tono era sarcastico, ma la risata che lo seguì fu vera.

Sorrisi e scivolai più in giù sulla masso per fargli spazio.

- Allora questa pausa da cosa la stiamo prendendo? -.

- La vuoi prendere con me? -.

- Non lo vogliamo tutti? -.

- Cavolo non sapevo di essere tanto ambita -.

Mi fece un occhiolino – La più desiderata tra tutte -.

- Per fortuna ci sei tu a nutrire il mio ego -.

- Non c’è Delia per quello solitamente? -.

Feci una smorfia, nel momento in cui Umberto la nominò mi venne in mente che non la sentivo da quasi un giorno intero. Raramente era capitata una cosa simile in passato.

Forse era anche lei ancora irritata da ma, quasi tutti lo era in quel periodo, e quelli che invece non c’è l’avevano con me erano quelli con i quali io ero arrabbiata.

- Di solito si -.

- È successo qualcosa tra voi? -.

- Non direttamente -.

- Dimmi cosa è indirettamente successo allora - Mi pungolò con un gomito - Andiamo non obbligarmi a tirarti fuori le parole con le pinze -.

- Ho avuto una lite con una tipa e Delia crede che questa abbia ragione, io non sono d’accordo e quindi le cose sono un po’ tese, inoltre ho discusso con il tizio da cui faccio ripetizioni e con altra gente in classe e voglio andare alla Hawaii -.

- Al massimo ti posso portare ad Ostuni -.

- Ma guarda me ne accontenterei -.

- Potremmo farlo, toccate e fuga: andiamo ora e torniamo per mezzanotte, l’una al massimo -.

Risi – Si certo -.

- Non sto scherzando andiamo! -.

- Non possiamo Obi -.

- E perché? Hai per caso qualcosa da fare stasera? -.

- No però.. Non posso sparire per dodici ore e tornare stanotte a casa dicendo a mia mamma ‘’ ciao ero fuori città, scusa se non ti ho dato alcun preavviso, ma è stata una decisione dell’ultimo momento ‘’ -.

- Se chiami ora e partiamo tra mezzora allora il preavviso c’è -.

- Scemo! -.

Si alzò e si allontanò da me di due passi – Se non glielo dici? -.

- Peggio ancora, come giustifico l’assenza? -.

- Cinema? Lo spettacolo è finito tardi e quindi sei tornata solo ora, cioè dopo, vabbè hai capito -.

Feci una piccola smorfia, non era una scusa poi così improbabile.

Rimasi qualche secondo ferma a riflettere poi annuii – Okay, però devo passare da casa, devo cambiarmi, mollare la cartella e propinare a mamma la scusa in maniera credibile -.

- Perfetto perché io devo fare benzina, e già che ci sono magari potrei avvisare anch’io i miei, se non altro per ottenere la chiavi di casa -.

- Perfetto, tra quanto ci vediamo? -.

- Ti passo a prendere tra un’ora -.

Ci salutammo ed io mi diressi a casa.

Quando vi misi piede dentro l’appartamento fu al completo dato che mamma e Luca erano già lì.

Stavano guardando un telefilm in soggiorno mentre Luca raccontava dell’ultima stranezza della sua prof di matematica. Inserendomi a conversazione già inoltrata non ci capii molto, anche perché l’unica cosa che sentii riguardava un cinese che sballottava contro dei muri.

- Perché la tua professoressa tortura dei poveri cinesi? -.

- Margherita ben tornata -. Sorrise mia mamma, le baciai una guancia e mi sedetti.

Luca mi fece un cenno poi riprese il suo racconto - È pazza non sadica.. credo.. vabbè comunque non tortura la gente, oggi però, non so come è uscito l’argomento, comunque ha iniziato a parlare del fatto che l’anno prossimo studieremo anche fisica e che un argomento molto importante saranno i campi magnetici e di prestarvici molta attenzione perché una volta un tizio in Cina ha perso il proprio campo e ha iniziato a sbattere contro i muri e gli oggetti e -.

- Fermati qui fratellino, ho una domanda più importante: come è possibile che permettano a questa donna di insegnare? -.

- Ho smesso di cercare una risposta a questo quesito almeno sette mesi fa -.

Feci spallucce, lui era più abituato di me a queste cose assurde.

-Ad ogni modo mami, stasera vado al cinema -.

Mamma posò i suoi occhi castani su di me - Dopo cena? -.

- Si, però ci vediamo già da prima, penso che mangeremo fuori -.

- Non al McDonald o in qualche altro fast food vero? Sai che odio quelle cose, non è cibo è spazzatura -.

- Lo so mamma, per questo di chiama ‘’ cibo-spazzatura ‘’ e no, non mangeremo in qualche postaccio, andremo in quel ristorantino in centro, quello che fa tutte quelle pietanze salutari -.

- Mi sembra un po’ una presa in giro signorina -.

Strinsi gli occhi – ..Non lo è -.

Scosse il capo – Farò finta di crederti, tu però cerca di non esagerare con le patatine e soprattutto con le salse! -.

Mi si illuminò il volto – Grazie e se tu potessi anche darmi dieci euro in più sarebbe il massimo -.

- Non tirare troppo la corda -.

- Come non detto, vado a cambiarmi -.

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Capitolo 16
*** La città bianca. ***


16 La città Bianca.

 

- Al massimo ti posso portare ad Ostuni -.

- Perfetto, tra quanto ci vediamo? -.

- Ti passo a prendere tra un’ora -.

 

 

Il viaggio in auto durò poco meno di un’ora, lo passammo ascoltando musica e giocando ad uno stupido gioco che avevamo scoperto in olanda durante una vacanza con Delia e Gabriella.

Il giochino consisteva nello scegliere una cosa che si vedeva nei dintorni e descriverla nel modo più vago possibile così che l’altro dovesse impegnarsi per indovinala. Era una di quelle cose stupide che si vedevano sempre nei telefilm americani, quando la famiglia fintamente perfetta era in auto diretta chissà dove e il fratellino minore rompeva le scatole alla ragazzina adolescente di turno perché si stava annoiando.

Nel momento in cui vidi il cartello che annunciava l’ingresso nel territorio ostunese vinsi il quarto round, cosa che mi fece passare in vantaggio su Umberto.

- Il cartello non diceva di salire? -. Chiesi io confusa dalla direzione presa.

- In città andiamo stasera, prima voglio farti vedere un paio di cose -.

- Che stai progettando Obi? -.

Sorrise a trentadue denti – Ho detto che ti avrei fatto prendere una pausa no? Fidati di me -.

Alzai le mani in segno di resa – Okay, okay -.

Percorremmo una lunga strada dritta che aveva a sinistra il mare e a destra una campagna che ci separava dalla città bianca.

Il bar nel quale ci recammo era semplice, non aveva un vero e proprio spazio interno poiché l’unica cosa che aveva un tetto sopra era il bancone, i tavolini infatti, meno di una decina e rigorosamente in plastica, erano disposti all’esterno sotto un tunnel di piante e alberi che gli facevano da copertura.

Probabilmente senza quella cornice verde il posto sarebbe sembrato squallido, così com’era però risultava accogliente.

- Non fa un po’ freddo per stare all’aperto? -.

- Non avevamo deciso di non discutere le mie decisioni oggi? -.

- Era solo una piccola osservazione -.

- Il mio piano per farti rilassare diventerà più difficile da attuare se continuerai ad insistere con osservazioni e domande -.

- Non ho mai detto che t’avrei reso la cosa semplice -.

- Non so ancora chi tra noi due è il masochista -.

- Probabilmente tu che vuoi costringerti a sopportarmi -.

- Hai ragione tu sei solo la pessimista -.

- Realista -.

- Pessimo-realista? -.

- Dovrebbe essere una parola? -.

- I neologismi sono il mio pane quotidiano -.

Durante la conversazione ci eravamo seduti e ci aveva raggiunto un uomo, verosimilmente il proprietario del posto. Avrà avuto quarantacinque anni, stempiato ma coi capelli restanti ancora neri.

- Umberto! Ora ti devo vedere anche d’inverno? -.

- Eh già, hai sentito la mia mancanza, vero Emilio? -.

- Certo!- rispose scherzoso l’uomo - Che vi porto? -.

- Due espressini freddi, per favore -.

Io tentai di protestare - Umbè ma.. -.

- Lo so che è inverno, però devi assolutamente assaggiarlo -.

Emilio si voltò verso di me in cerca di conferma, io alzai le spalle e sorrisi.

Quando l’uomo fu sparito dietro al bancone mi rivolsi ad Umberto – Vi conoscete da molto eh? -.

- Mi ha visto crescere -.

- Tu venivi qui si da bambino giusto? -.

- A Villanova da tutta la vita, in questo bar più o meno da quando avevo dieci anni -.

- Deve essere bello -.

- Cosa? -.

- Avere sempre a disposizione un posto nel quale rifugiarsi quando si vuole straccare la spina -.

- In effetti si, questo è il mio luogo della felicità -.

Lo guardai divertita - Luogo della felicità? -.   

- Si sai quel posto che quando ci vai i problemi spariscono e ti senti al sicuro, dove che sia giorno o notte, che tu sia solo o in compagnia ti senti a tuo agio -.

- Vorrei tanto avere anch’io un posto così -.

- Da oggi ce l’hai -.

- Mi stai regalando il tuo luogo della felicità Obi? -.

- Non ci provare, al massimo posso prestartelo ogni tanto -.

Risi – Mi sembra giusto, grazie -.

- Di niente -.

- Ecco a voi ragazzi -.

L’arrivo delle ordinazioni ci distrasse dal discorso.

Già dall’aspetto capii che Umberto aveva ragione, assaggiare quell’espressino freddo era necessario.

Non era per niente come quello barese, prima di tutto era formato da più parti, la prima sul fondo era il caffè presente in quantità pari a quello di un ristretto, sopra di esso vi era una crema bianca che una volta assaggiata riconobbi essere gelato al fiordilatte lavorato, tutt’attorno sulle pareti interne del bicchiere c’era poi della nutella e in cima cacao, noccioline e pralline al cioccolato.

Probabilmente una bomba calorica, ma per fortuna la linea non era uno dei miei pensieri principali, soprattutto quando ero davanti ad una squisitezza simile.

- Non oso immaginare come sia questo posto d’estate -.

- Decisamente più caldo -.

Alzai gli occhi al cielo - Va beh, forse fin lì ci arrivavo pure io Ob -.

- Che ti devo dire, c’è più gente! Quando saliamo ti faccio conoscere un paio di persone, che poi.. perché non sei mai venuta qui tu? -.

- Non mi ci hai mai invitato -.

- Al massimo sei tu che non hai mai accettato -.

- Perché avrei dovuto rifiutare? -.

- Chi lo sa, tuttavia mi sembra strano che io non ti abbia invitato, Dede e Gabi ci sono state almeno un paio di volte, aspetta ma tu non sei venuta quell’anno per ferragosto? -.

- Quando? -.

- Credo fosse due anni fa, quando Gabi ha inciampato nel sasso ed è finita in acqua, ti ricordi? Abbiamo passato tutta la sera a ridere -.

- Oddio no, purtroppo non ricordo, probabilmente non c’ero, perché di sicuro una scena così non l’avrei mai dimenticata -.

- E dov’eri? vi avevo invitate tutte quella volta -.

- Fammici pensare -. Dissi, poi dopo qualche secondo mi tornò tutto alla mente - Ah aspetta ma io due anni fa ero in Spagna -.

- Ah si, tu sei una VIP -.

- Ma smettila, scemo -.

- Sei sempre in giro d’estate Marghe, non hai tempo per noi poveri -.

- Cosa dici? È stata l’unica volta nella quale non sono andata, come ogni anno, in Sardegna -.

- Anche la Sardegna è per VIP -.

- Si, infatti spendo sempre milioni per affittare la camera a casa dei miei zii -.

- Fai la bella vita in Costa Smeralda -.

- Ho anche uno Yacht sai? -.

- Uno solo? Pensavo ne avessi almeno un paio -.

- No uno è personale, l’altro invece è di mamma -.

- Giustamente, e Luca niente? -.

- Lui ha solo una barchettina, un quindici metri -.

- Perfetto dato che abbiamo scoperto che sei tanto ricca, oggi offri te Marghe -.

Continuai a stare al gioco – Si, si, lo compro proprio il bar già che ci sono -.

- No poi Emilio che fine fa? -.

- Inizia a lavorare per me logicamente -.

- Okay allora va bene -.

Una ventata particolarmente fredda mi fece ricordare che mancavano solo tre giorni alla vigilia di natale.

Con tutto quello che era successo nei giorni precedenti avevo perso la cognizione del tempo, mi resi conto anche che c’erano solo due giorni prima delle vacanze, in passato ogni volta nella quale era stata possibile, la prima sera di festa da scuola, che di solito coincideva con il ventitré Dicembre, io e Dede, e da qualche anno anche Genna, facevamo un giro per la città vecchia, con tanto di cena alla solita pizzeria in centro.

Di certo il disaccordo non era stato tanto grava da avere il sopravvento su una tradizione.

Il dubbio però mi aveva ormai attraversato la mente, sospirai e controllai l’ora.

Erano già le sette, avevamo davvero passato quasi due ore in quel posto? Il tempo era volato.

- Non so cosa tu voglia fare, ma dallo sguardo che hai ti dico di non perdere altro tempo e farlo -.

Alzai gli occhi sul mio amico, cosa aveva visto nel mio sguardo che lo aveva indotto a dire quelle parole?

Forse nostalgia? Si perché l’appuntamento non era ancora saltato che già ne sentivo la mancanza, solo l’idea di non trascorrere la giornata con i miei due migliori amici mi rattristava.

Delia tuttavia non era l’unica orgogliosa del gruppo, perciò non scrissi a lei.

Messaggio inviato a Gennaro 19:04:

Sempre d’accordo per il 23?

- Sto seguendo il tuo consiglio Obi, è meglio che sia buono -.

- Quando mai i miei non lo sono? -.

- Hai detto che volevi farmi vedere un paio di cose, questo bar era una di quelle? -.

- Si -.

- Mmh, quindi la prossima sorpresa in serbo qual è? -.

- Per quella ci tocca aspettare ancora qualche minuto -.

- È una cosa a tempo? -. Domandai incuriosita.

- A grandi linee si -.

- Non è il tramonto dato che è già buio -.

- Si, purtroppo siamo arrivati tardi per quello, il che è un peccato perché qui il tramonto è uno spettacolo, credimi -.

- Allora cos’è? -.

Non mi rispose, decise anche di cambiare argomento spostando la mia attenzione sul cellulare, mi fece notare che era arrivato un SMS.

Un nuovo messaggio da Gennaro 19:07:

Parlato con Delia?

Messaggio inviato a Gennaro 19:11:

Sai che non l’ho fatto.

Un nuovo messaggio da Gennaro 19:11:

Dovreste chiarire.

Messaggio inviato a Gennaro 19:12:

Non c’è nulla da dire, non abbiamo mica litigato.

Un nuovo messaggio da Gennaro 19:12:

Perché stai chiedendo a me per dopodomani allora?

Messaggio inviato a Gennaro 19:12:

Da quando in qua mi è vietato scriverti Genna?

Un nuovo messaggio da Gennaro 19:13:

Sai che intendo.

Sospirai.

Messaggio inviato a Genna 19:14:

Lei non vuole parlarmi, non è colpa mia.

Un nuovo messaggio da Gennaro 19:15:

Hai provato a scriverle?

Messaggio inviato a Gennaro 19:15:

Ci ha provato lei?

Un nuovo messaggio da Gennaro 19:16:

Sai che è fatta così, non farà mai il primo passo finché pensa di avere ragione.

Messaggio inviato a Gennaro 19:16:

Anch’IO penso di avere ragione.

Un nuovo messaggio da Gennaro 19:17:

Cercate di non scannarvi il 23.

Messaggio inviato a Gennaro 19:18:

Quindi la serata è confermata?

Un nuovo messaggio da Gennaro 19:18:

Si, ma vi prego non fatemi fare da babysitter.

Messaggio inviato a Gennaro 19:18:

Non devi dirlo a me, io con lei non ho nessun problema.

Un nuovo messaggio da Gennaro 19:18:

Non l’abbiamo avuta dieci secondi fa una conversazione uguale a questa? Scrivile, dovete smetterla di litigare tra voi per una cosa che non è nemmeno collegata a voi due.

Messaggio inviato a Gennaro 19:20:

È lì con te?

Un nuovo messaggio da Gennaro 19:20:

Si.

Messaggio inviato a Gennaro 19:20:

Sta leggendo?

Un nuovo messaggio da Gennaro 19:20:

No.

Messaggio inviato a Gennaro 19:21:

Pensi che abbia ragione lei?

Un nuovo messaggio da Gennaro 19:22:

Penso che torto e ragione non siano importanti se paragonati a dieci anni di amicizia.

 Misi il telefono da parte e mi resi conto che nel mentre della mia conversazione con Ge, Umberto aveva intrapreso una partita a briscola con Emilio il barista, il mio amico aveva persino cambiato posto, sedendosi al tavolino di fronte a quello che ormai occupavo sola.

Mi avvicinai ai due, dal numero delle carte in possesso sembrava star vincendo Umberto, ma quella era briscola e per quanto ne sapevo Obi poteva aver preso tutti lisci, mentre Emilio in quelle sei carte poteva avere carichi e punti, avrei dovuto aspettare la fine della partita per ottenere un esito veritiero.

A mala pena due minuti dopo dovetti costatare che si Umberto si era riempito di carte, ma aveva preso solo due assi e qualche punto, il resto delle carte di valore era tutto nelle mani dell’uomo più grande.

- Ti ha distrutto Obi -.

- Solo perché non gioco da mesi! A Bari non c’è mai nessuno con il quale io possa esercitarmi -.

- Convinciti di ciò che vuoi ragazzino -. Disse scherzoso Emilio.

- Suvvia Emilio non infierire -.

- Cosa c’è? Preferivi una bugia per fare colpo sulla bella ragazza qui presente? -.

- L’ho visto inciampare e cadere di faccia su un gelato che stava mangiando quando aveva dodici anni, nulla più potrebbe aiutarlo a conquistarmi oramai -.

- Marghe! Non dovevamo più menzionarla quella storia -.

- Ops -. Risi io perdendo tutta la mia finta innocenza.

- Umberto mi spiace per te, non hai proprio speranze -.

Obi raccolse le carte e dopo averle mischiate le porse a me ad Emilio e a sé stesso – Il primo che trova un due non di briscola deve toglierlo e pescare un’altra carta -.

Giocammo cinque partite, tre le vinse Emilio, due Umberto.

D’inverno non vi erano troppo clienti nel bar, in quel momento gli unici eravamo io ed Umberto, d’altronde non c’era molta gente in generale. Probabilmente la città era più popolata, ma Villanova era parte delle marine di Ostuni e gli unici che vi ci risiedevano anche a natale parevano essere una decina di vecchietti e tre, massimo quattro famiglie a giudicare dal passeggio inesistente e dalle parole del gioviale proprietario del locale.

Per qualcuno estraneo come me, il paesaggio poteva risultare un tantino spettrale, la presenza così rilassata di Umberto comunque attenuava qualsiasi mia ansia, pareva veramente pienamente a suo agio.

Mi chiesi se prendendo in prestito questo luogo della felicità abbastanza volte avrei finito anch’io per sentirmi sempre a quel modo e decisi che si, sarebbe successo anche a me.

Alle otto e un quarto Umberto disse che era arrivato il momento della seconda sorpresa, mi fece chiudere gli occhi e mi portò fino a quello che credevo fosse il parcheggio dell’auto, quando aprii gli occhi però vidi uno spettacolo mozzafiato.

Davanti ai miei occhi si estendeva la campagna che avevo già notato in auto e più lontana spiccava la città, luminosa e magnifica sulla tela nera della notte, persino la luna pareva cupa al suo confronto.

 Guardai Umberto – È bellissima -.

 Non ricambiò il mio sguardo, anch’egli troppo preso dallo spettacolo, ma annuì.

- Ti lascio qualche altro secondo per ammirarla, poi però dobbiamo salire o riuscirai a vederla solo da lontano -.

Trovare parcheggio nella città bianca si rivelò un’impresa più che faticosa, ma finalmente dopo un’ora buona riuscimmo a sistemare la macchina e raggiungere il punto d’incontro a piedi.

Li ci aspettavano gli amici ostunesi di Umberto.

Tre ragazzi e due ragazze ci aspettavano seduti sui gradini della piazza, la ragazza bionda e il ragazzo castano chiaro erano fratelli gemelli: Alessio e Andrea Urdino.

Non erano molto simili, se Obi non mi avesse svelato la loro parentela non l’avrei indovinata.

Lui aveva gli occhi castani, chiari quasi quanto i capelli, lei verdi.

Lui era, se non abbronzato, per lo meno colorito, lei aveva la pelle candida.

Lui aveva uno stile classico: pantalone nero a sigaretta, camicia, cappotto e scarpe nere lucide. Lei leggins blu, Vans e felpone grigio.

Seduta con la testa sulle ginocchia di Andrea c’era Lisa, capelli corti castano scuro, occhi marroni, minuta.

Dietro di loro, in piedi, un ragazzo alto almeno un metro e ottanta, che Umberto mi disse si chiamava Fedele, ed infine accanto ad Alessio vi era un ragazzo con i capelli blu di nome Riccardo.

Umberto mi presentò ai suoi amici che risposero con un coro di ciao e piacere.

- Sai Umbè, oggi non siete gli unici baresi in città -.

- Chi altro c’è? -. Domandò Obi.

A rispondere fu Alessio - Un amico di Andrea -.

- Magari vi conoscete, ha la vostra età -. Ipotizzò Lisa abbracciandosi le gambe.

- Come si chiama? -.

- Raffaele -.

Umberto mi guardò scherzoso – Ti immagini è il tizio che ti fa ripetizioni? -.

- Nemmeno il destino è tanto crudele -. Dissi ridendo io.

- Non ne sarei tanto certo -.  

Mi voltai verso la voce, ma quali crimini avevo commesso nella vita passata per ritrovarmi sempre davanti la gente che non avevo voglia di incontrare?

 

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Capitolo 17
*** Ti va una rimpatriata? ***


 

17. Ti va una rimpatriata?

- Sai Umbè, oggi non siete gli unici baresi in città -.

- Chi altro c’è? -. Domandò Obi. – Ti immagini è il tizio che ti fa ripetizioni? -.

- Nemmeno il destino è tanto crudele -. Dissi ridendo io.

- Non ne sarei tanto certo -. 

Mi voltai verso la voce, ma quali crimini avevo commesso nella vita passata per ritrovarmi sempre davanti la gente che non avevo voglia di incontrare?

 

 

 

Se lo scambio di messaggi con Genna era stato un indizio su come sarebbero andare le riconciliazioni quel giorno, allora mi aspettava un’altra litigata.

Litigare però avrebbe implicato rovinare le possibilità di rendere quello il mio luogo della felicità, e poi ad Ostuni non potevo andarmene e tornare a casa con poi così tanta facilità, cercai perciò di dare alla mia frase un tono scherzoso più che irritato - Mi segui per caso? -.

Raffaele non mi riservò la stessa delicatezza - Dovrei dirlo io, prima al Fiji e ora qui? Inizia a darmi fastidio la cosa -.

Lo guardai indecisa tra il colpirlo e il mandarlo a fanculo, magari avrei potuto fare entrambe le cose?

- Il mondo è proprio piccolo eh? -. Mi interruppe Umberto prima che potessi agire.

- Tristemente -. Rimarcò Raffaele.

Feci un passo verso lui, già pronta all’urlo, Obi però non dovette essere l’unico a percepire la tensione perché anche Lisa interloquì riuscendo a bloccare il mio secondo attacco.

- Non mi dite! Vi conoscete sul serio? -.

- Andiamo nella stessa scuola -.

- Grandi amici scommetto -.

- Sempre opportuno tu Riccardo -.

- Che c’è? Forse non dovevo farlo notare? -.

Alessio alzò gli occhi al celo al candore dell’amico poi propose un caffè.

- In realtà noi veniamo ora dal Bar del Mar e io volevo far fare un giro a Marghe, non è mai stata qui prima d’ora -.

- Oh okay, andiamo verso la cattedrale allora, che ne dite? -.

- Ottima idea -.

Fortunatamente l’atmosfera della Città Bianca nel mese di Natale era più che sufficiente a distrarmi.

La strada per la cattedrale era in salita, piena di luci e negozietti tutti addobbati a festa.

I ristorantini e i bar erano quasi nascosti, così da essere presenti, ma al contempo da non disturbare il quadretto da cartolina.

Umberto e gli amici ridacchiavano e scherzavano di chissà cosa io però non li ascoltavo, ero troppo assorta.

Ispirai profondamente l’odore di zucchero filato e caldarroste, era uno strano miscuglio che in qualche modo risultava piacevole, anzi inebriante.

Un ambulate con indosso delle corna da renna vendeva calze piene di dolciumi e canticchiava Jingle Bell’s.

Dei bambini giocavano ad acchiapparello sfruttando vicoli e persone come ostacoli, quella che doveva essere la mamma di uno di loro li rimproverò, purtroppo però la reprimenda ebbe effetto breve, dopo un minuto di quiete la corsa riprese.

Un uomo e una donna si guardavano negli occhi sotto un arco di lucine bianche, lui sorrideva, lei gli passava una mano tra i capelli biondi. La temperatura era bassa, vedevo il loro fiato trasformarsi in fumo e mescolarsi.

La cattedrale di Ostuni aveva la facciata divisa in tre sezioni, se le ore di storia dell’arte mi avevano insegnato qualcosa questo indicava una navata a croce latina, o forse le due cose non erano collegate, non lo sapevo, ero troppo distratta per saperlo.

Distratta dai rumori, e dai colori e dai luccichii.

Distratta perché se non lo fossi stata avrei pensato ai litigi, alle incomprensioni, al fatto che quasi tutti i miei amici erano arrabbiati con me.

E poi mi sarei detta che in realtà non erano arrabbiati con me, ma erano irritati da me.

E allora avrei anche pensato che non erano loro in torto, tutta quella gente non poteva aver sbagliato.

Doveva essere colpa mia.

Doveva essere colpa mia.

Ma io ero distratta e quindi non ci pensavo.

C’era un carretto dei gelati, con quel freddo? Chi mai ne avrebbe preso uno? Ah forse quella donna, era di profilo e non le vedevo le mani, però aveva un angolo della bocca sporco di cioccolata.

 Perché reagivo tanto male, come con Delia. Era stata una litigata inutile quella.

Avevamo pareri differenti certo, ma in principio la mia rabbia verso Lidia, la ragazza di Gigi, era nata perché mi avevano dato fastidio i suoi giudizi nei confronti di chi, come la mia migliore amica, voleva solo avere la libertà di amare.

Avevo fatto tutto per difendere Delia e invece avevo finito per bisticciarci.

Ero stata proprio stupida.

Ero stata, al trapassato prossimo, perché in quel momento ero troppo distratta per pensarci.

La strada era diventata in discesa, dove stavamo andando? Lo domandai.

- Scendiamo allo stradone -. Mi rispose il ragazzo dai capelli blu, Riccardo.

- Che posto è? -.

Umberto mi prese a braccetto - Mi ricorda un pochino la nostra Muraglia, la vista è altrettanto mozzafiato se pur parecchio differente -.

- Niente mare? -.

- C’è di mezzo un bel po’ di campagna -.

- Sembra carino -.

- Lo è, andiamo -.

La salita era stata più lunga di quanto io non avessi notato, a giudicare dal numero di scalini che ci separavano dalla meta.

Obi aveva ragione, anche quel punto aveva in sé della magia.

Che aveva quella città? Era tutto tanto incantevole davvero, oppure ero io propensa a vedere solo il bello per tirarmi su di morale?

Decisi di allontanarmi dagli altri per scattare una foto, magari avrei potuto sfruttare quel posto della felicità senza andarci ogni volta, forse sarebbe bastata un’immagine sul cellulare.

Niente filtri per quell’occasione.

All’improvviso mi si avvicinò un gatto, doveva essere un adulto dato che era piuttosto grande.

Era nero con gli occhi giallissimi ed una piccola macchia sul dorso, quasi come la luna in un cielo senza stelle.

Provai a tendergli una mano, mi si avvicinò. Lentamente, ma lo fece, era cauto.

Gli animali che vivevano per strada dovevano esserlo, infondo non tutti erano benintenzionati verso di loro.

Lo accarezzai.

Aveva il pelo ispido, sfregiato da qualche crosta e molte cicatrici, segni di passate battaglie.

La fiducia del gatto mi aveva ravvivato la giornata, un po’ come Umberto, a quel punto mi toccò chiamare il gatto Obi.

Alzai lo sguardo dal felino solo per incrociare quello di Raffaele, anche se in realtà il suo puntava al gatto.

- Non graffia, puoi accarezzarlo -. Gi dissi.

Inizialmente mi ignorò, di tutto rimando io sbuffai.

Mi voltai di nuovo ad accarezzare la versione a quattro zampe del mio amico, che miagolò, attirando l’attenzione di Raffaele.

A quanto pareva il ragazzo poteva ignorare me, ma non un micio.

In tutta quella situazione la cosa che più mi infastidì fu che la sua reazione al piccolo Obi mi face ridere e addirittura mi fece quasi tenerezza. Guardava l’animale con così tanto dolcezza.

Che io avessi sbagliato anche con lui?

Forse Raffaele voleva seriamente aiutarmi, e io al contrario non avevo fatto altro che ostacolarlo.

L’Obi grande mi aveva fatto dubitare delle scelte compiute nel diverbio con Delia, e quello piccolo stava facendo lo stesso rispetto allo screzio con Raffaele, da quando ero diventata tanto insicura delle mie azioni?

Stupidi Umberto, erano la rovina dell’umanità.

Forse stavo esagerando anche in quello, però un minuscolo sfogo mi era concesso, no? Almeno quando quello era un pensiero al quale non davo voce!

Certo era che la lezione successiva sarebbe stata abbastanza imbarazzante se non avessimo chiarito prima.

Cercai di ricordare a quando l’avessimo programmata.

L’ultima lezione era stata il giorno prima e cioè di lunedì, ci eravamo messi d’accordo affinché quella dopo avvenisse di venerdì.

Al venerdì mancavano tre giorni, feci i conti, avremmo dovuto incontrarci il 23.

All’antivigilia? Mr. Puntualità non aveva nessun impegno per quel giorno? Che stranezza.

Certo anch’io a parte il pranzo ero piuttosto libera, ma un attimo. Dovevo avere a che fare con Raffaele subito dopo aver affrontato Delia?

Quando Dio aveva deciso di distribuire la fortuna io evidentemente non ero presente.

Ripensandoci probabilmente quel dì ero in fila per la testardaggine, poiché nonostante mi rendessi conto che far pace con lui poteva solo essere produttivo per me, comunque non avevo alcuna intenzione di fare la prima mossa.

- Oh mio Dio, che carino è quel gatto? -. Andrea, la ragazza bionda si fiondò sul piccolo Obi.

- Raffa, non è identico a quel piccolino che gironzolava per il giardino di casa mia? -.

- Quello aveva una zampa bianca, lui ha solo una macchiolina sul dorso -.

- Già è vero, sembrava quasi indossasse un guanto, era dolcissimo -.

- Non lo avevi chiamato Mr. Scarpetta? -.

- Ti prego rimuoviamo quel passaggio imbarazzantissimo -.

 - Non eri neanche tanto piccola da quello che ricordo, avevi quindici anni all’epoca -.

- Tu ne avevi sedici e non mi hai fermato -.

 - Non volevo causarti un trauma mettendoti davanti alla realtà dei fatti -.

- Oh ma che gentleman -.

Li lasciai chiacchierare e mi avvicinai al gruppetto seduto sui gradini.

Restammo lì per una mezzoretta ancora poi dovemmo spostarci al chiuso per il troppo freddo, era pur sempre dicembre.

Umberto mi riaccompagnò a casa poco prima di mezzanotte, in tempo per non destare sospetti.

I giorni successivi feci il possibile per tenermi lontana da Teresa, Debora e Alessandra. Forse era un comportamento codardo, ma non avevo ancora deciso cosa fare, e quindi decisi di non fare nulla.

Il ventidue fu l’ultimo giorno di lezioni, il che mi semplificò l’evitare determinati compagni di classe.

Il pranzo con Delia e Gennaro fu disastroso, la mia amica non fece altro che restare sulle sue, rivolgendomi a mala pena la parola per un saluto. Gennaro fece il possibile per farci interagire, ma se Delia non aveva voglia di farlo chi ero io per obbligarla?

L’unica nota positiva: il cibo.

Niente di meglio di un quintale di involtini primavera per affogare i propri dispiaceri.

L’ora X.

La nuova lezione.

L’ulteriore sessione di silenzi rabbiosi e parole mugugnate.

Magari mi conveniva tornare a casa, avrei potuto mandargli un messaggio e dirgli che non mi sentivo bene. Avrebbe di certo intuito che era una cazzata, ma chi se ne fregava!

Non gli dovevo alcuna giustificazione.

- Hai intenzione bloccare il portone per un altro quarto d’ora o ti sposti? -.

Mi morsi l’interno del labbro, da quanto mi stava osservando? Che razza di figura!

- Avevo percepito una presenza inquietante alle mie spalle, volevo vedere per quanto avevi intenzione di restare a fissarmi -.

- Si certo, levati va -.

- Oh ma prego, spingimi pure, tranquillo -.

- Ti ho a mala pena sfiorata -.

Era vero, ma non gli avrei dato la soddisfazione di ammetterlo, mi sarei lagnata di qualsiasi cosa fino alla fine.

Sei seria Margherita? Farai la bambina rompiballe? Poi ti chiedi il perché di questo status perenne di lite.

Lo seguii in ascensore e poi in casa.

La prima mezz’ora, come ormai da abitudine, facemmo ripasso.

Se la descrizione per l’atmosfera che aveva caratterizzato l’incontro con Delia era gelo artico, quella per descrivere questo era scintille infernali.

Ci scambiammo battutine una dopo l’altra, dovevo ammettere però che ero sempre io ad iniziare.

Io biasimavo la sua arroganza e la sua prepotenza e lui rispondeva accusandomi di essere irragionevole ed infantile.

Mi stava spiegando un passaggio che in realtà non era poi così complesso, eppure mi parlava come se io non capissi la sua lingua, era estremamente fastidioso.

Io ero la prima ad ammettere che in chimica facevo schifo, però questo mi sembrava troppo.

- Non serve spiegarmi anche il significato delle virgole, fino a prova contraria l’italiano lo conosco ancora -.

Si fermò e mi fissò, socchiuse le palpebre – Si può sapere cosa vuoi da me? -.

- Io? Niente! Mi piacerebbe solo che la smettessi di trattarmi così -.

- Così come? -.

- Come un’idiota! -.

Si alzò dalla sedia allontanando di scatto il quaderno da sé – Adesso basta, mi sono rotto le palle di ‘sta storia. Io ho cercato di darti nuove idee e ti sei incazzata con me, allora ho deciso di assecondarti e comunque la cosa ti ha dato fastidio. Dici che oggi ti sto trattando da idiota, ma non ho fatto nulla di differente dalle altre volte, l’unica che al posto di starmi ad ascoltare ha iniziato a sfarfallare sei tu. Mi hai insultato per tutta la passata ora, all’inizio ho provato anche ad ignorarti ora però mi sono davvero rotto. Sembri una mocciosa che fa i capricci! -.

Ero pietrificata.

Non avevo mai visto Raffaele tanto adirato.

Avevo una gran voglia di rispondergli a tono, ma non potevo farlo. Lui aveva ragione.

Quella mattina mi ero svegliata con l’idea di fare la persona matura ed evitare di attaccar briga con Delia e Raffaele, il pranzo disastroso però mi aveva fatto dimenticare ogni buon proposito.

E così avevo iniziato le ripetizioni con animo tutt’altro che pacifico. Non avevo perso occasione per contrariarlo ed effettivamente era vero che inizialmente aveva provato a non rispondermi.

Dovevo averlo portato all’esasperazione.

- Io.. -.

- Tu cosa? Te lo ripeto un’ultima volta. Che cosa vuoi da me? -.

 Distolsi lo sguardo dal suo accusatorio. Esigeva risposte, giustamente. Però che dovevo dirgli? Che avevo un animo profondamente autodistruttivo? Che dato che tutto stava andando a schifio volevo qualcuno con cui prenderla? Che non avevo potuto litigare con la mia migliore amica quella mattina e quindi avevo fatto di tutto per litigare con lui?

Volevo sfogare la mia rabbia. Quella stessa rabbia che mi attanagliava da qualche giorno.

Non ce l’avevo con lui. Né quel pomeriggio, né il lunedì precedente. Lui era un comodo bersaglio, lui che non aveva smesso di supportarmi nemmeno dopo che io stessa gli avevo detto di farlo.

- Mi dispiace -.

- Ti dispiace -.

- Si -.

- E di cosa di preciso? -.

- Di essere sembrata una stronza -.

- Sembrata -. Fece un verso di scherno.

- Okay, okay… mi spiace di esserlo stata -.

Fece un respiro profondo – Le scuse non sono sufficienti -.

- Che vuoi allora? Una dichiarazione scritta? Una pergamena nella quale ammetto ogni mio errore? -.

- Ricominci ora? -.

- No. Va bene. Dimmi che posso fare per farti dimenticare questo mio stupido comportamento, così che possiamo tornare alle nostre lezioni evitando di scannarci -.

- Così va meglio -. Si rimise a sedere - Mi serve un favore -.

- Cioè? -.

- Domani vado ad una rimpatriata -.

Lo invitai a continuare.

- Devi venire con me -.

- Perché scusa? -.

- Ci sarà una certa Luisa, Diego ha sempre avuto una cotta per lei -.

- Diego il tuo amico? -.

- Esattamente -.

- La situazione mi è meno chiara di prima, che c’entrano Diego e questa tipa? -.

- Quando c’è Luisa Diego diventa un ragazzino deficiente, ho bisogno di qualcuno che lo accompagni e che eviti di farlo ridicolizzare da solo -.

- In che senso? -.

- Luisa è una vera vipera, è sin dalle medie che non fa altro che prenderlo in giro e sfruttarlo, voglio evitare che lo faccia anche questa volta -.

- Ma lui non si sta sentendo con Annamaria? -.

- Si -.

- E tu hai paura che faccia cosa? La tradisca? -.

- Non stanno insieme non sarebbe tradimento, ma non è questo il punto. A Diego la tua amica piace sul serio, purtroppo però so che manderebbe tutto a puttane per Luisa -.

- E perché lo farebbe? -.

- Perché lui è stupido e lei è una manipolatrice bastarda -.

- Ma scusa non può venire Anna al posto mio? -.

- E rischiare di farle scoprire tutto? La loro relazione, o quello che è, finirebbe immediatamente -. 

- Vuoi che io non dica alla mia amica che il suo possibile ragazzo è uno stupido che rincorre la gonnella di una oca di nome Luisa? E per di più vuoi che io mi finga la sua accompagnatrice per tenerlo a bada? -.

- Lo faresti anche per lei, se scoprisse che Diego è tanto influenzabile ci resterebbe male -.

- E chi mi assicura che tra due settimane non spunti una nuova ‘’Luisa‘’ pronta a conquistarlo e lui non cada ai suoi piedi facendo a pezzi il cuore di Anna? -.

- Io -.

- Come cavolo puoi farlo? -.

- Lui non è ingenuo, lo è solo quando si tratta di Luisa, è stata la sua prima ragazza, la sua prima cotta. Con le altre non è così -.

- Non ti sembra che stia prendendo in giro Annalisa? È infatuato di un’altra eppure frequenta lei -.

- Hai detto bene. È infatuato di Luisa, ma potrebbe innamorarsi di Annalisa. Vuoi essere tu colei che preclude tale possibilità a quei due? Tutto perché vuoi sentirti moralmente superiore? -.

- Chi ha mai detto una cosa simile? -.

- Lo sai che l’unica ragione è questa. Se tu pensassi al bene della tua amica non saresti tanto disposta a deluderla per una cosa che potrebbe accadere come potrebbe non farlo. Infatti non è detto che Luisa ci provi con lui, né che lui accetti le sue avance. Ti voglio lì solo per sicurezza -.

- Sicuro di non chiamarti Luisa? -.

Mi guardò stranito.

- No perché mi pare che pure tu sia bravo a rigirare le situazioni -.

- Allora, ci stai o no? -.

- Domani è la vigilia di Natale, dovrei passarla in famiglia -.

- È dopo la mezzanotte, giocheremo a carte e ci ubriacheremo -.

Scossi il capo – Mi passi a prendere tu? -.

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Capitolo 18
*** Gin tonic e Casquè ***


18. Gin tonic e Casquè.

 

- Domani vado ad una rimpatriata -.

Lo invitai a continuare.

- Devi venire con me -.

Scossi il capo – Mi passi a prendere tu? -.

 

 

 

La mattina della Vigilia di Natale, come ogni anno, mi sveglia con il profumo delle cartellate fatte in casa.

Nonna era arrivata a casa di prima mattina per aiutare con i dolcetti, mentre nonno era di sicuro con zio Alberto per prendere le sedie in più, quelle che avevamo in casa non bastavano per tutti i commensali della serata.

Quel giorno comunque avevo intenzione di essere pigra.

Avrei passato la giornata in pigiama, almeno finché cambiarmi non fosse diventato necessario, cullandomi tra il calore del piumone e il ronzio della televisione, d’altronde non avevo motivo per fare altrimenti!

Dopo quasi un’ora di puro ozio mi arrivò un messaggio.

Un nuovo messaggio da Gennaro 10:13:

Ci vediamo da me stasera? Così andiamo insieme.

Guardai stranita il cellulare, quella sera avevo la cena in famiglia e poi la rimpatriata con Raffaele e Diego, che c’entrava Genna?

Poi l’illuminazione: era la Vigilia di Natale!

Come avevo fatto a dimenticare la tradizionale serata di giochi con la classe? Ogni anno a mezzanotte e mezza ci riunivamo a casa di Ludovico per passare del tempo insieme, e quell’anno non sarebbe stata un’eccezione se non per il fatto che io non sarei stata presente.

Messaggio inviato a Gennaro 10:15:

No Genna scusa, ho dimenticato di dirtelo... ma stasera non ci sono.

Un nuovo messaggio da Gennaro 10:15:

Perché? È per Delia?

Mi stropicciai gli occhi, era logico che Gennaro pensasse allo screzio con la mia amica, quale altra ragione poteva esserci sennò?

Stavo per scrivergli che la cosa non aveva nulla a che fare con Delia e che in realtà avevo altri impegni, ma lui poi mi avrebbe domandato quali fossero e io avrei dovuto dirgli di Raffaele e quindi di Diego, e di conseguenza quella sera, se qualcuno avesse chiesto il perché della mia assenza, lui glielo avrebbe riferito. La voce poteva poi arrivare ad Annamaria ed infine lei mi avrebbe chiesto come mai io ero presente a quella rimpatriata e lei no.

Rischiavo di scatenare un putiferio.

Se invece avessi detto tutta la verità a Gennaro, l’avrei messo in mezzo ad una faccenda che poteva, alla lunga, rivelarsi scomoda e avrei inoltre finito per creare altra tensione tra me e Delia, nel caso in cui lei l’avesse scoperto.

Delia era una delle persone più intransigenti che io conoscessi quando si parlava di fedeltà, non avrebbe mai gradito una storia del genere, anche se non c’era nessun tradimento concreto, e di certo non avrebbe apprezzato la mia parte nel tenere il tutto segreto.

Mi coprii il viso col cuscino per smorzare il troppo rumoroso verso di disappunto che stava mi fuoriuscendo dai polmoni. Perché doveva essere tutto così complicato?

In quel momento ero lo stereotipo incarnato di una adolescente depressa e me ne rendevo conto.

Ogni difficoltà mi pareva una tragedia, ed una parte di me pensava che ero io quella che vedeva tutto in maniera spropositata rispetto alla realtà, ma un’altra parte invece continuava a ripetermi he se non avessi gestito la cosa per bene sarebbe scoppiato un macello, e davvero non potevo permettermi altri contrasti in quel momento. La mia lista delle amicizie si stava già accorciando di troppo.

Un nuovo messaggio da Gennaro 10:34:

Ci sei?

Messaggio inviato a Gennaro 10:34:

Si scusa, aiutavo mio fratello con una cosa.

Comunque non è per Delia, è che non mi va stasera.

Un nuovo messaggio da Gennaro 10:35:

Tutto bene?

Messaggio inviato a Gennaro 10:36

Sì tranquillo.

Avrei dovuto evitare di comparire in foto durante la rimpatriata, o rischiavo di smascherare la mia bugia.

Gennaro non rispose per qualche minuto, poverino sicuramente lo stavo facendo preoccupare, che stress!

 

Messaggio inviato a Gennaro 10:42:

Genna davvero non è nulla, è che sono in famiglia e come sai non succede spesso di vederci tutti assieme, perciò voglio godermi la serata con i miei parenti.

Messaggio inviato a Gennaro 10:42:

E poi il fatto che io non sia sempre tra i piedi può aiutarvi con Ludovico. Lui crede ancora che tu e Delia siate una coppia no? Il fatto che ci andiate insieme solo voi due sarà un’ulteriore prova.

Un nuovo messaggio da Gennaro 10:42:

Non fare la sciocca, se lo fai per dare credito a quella cazzata mi arrabbio. Dai vieni con noi, ci divertiamo, promesso!

Un nuovo messaggio da Gennaro 10:43:

Ti giuro anche che terrò sotto controllo Dede, farò in modo che non vi scontriate.

Sapevo cosa scrivere per convincerlo a mollare la presa, ma sapevo anche che a quel punto veramente si sarebbe preoccupato.

A volte mi capitava di avere dei giorni no, nei quali ogni contatto sociale era troppo per le mie energie ed in quei giorni mi bastava dirlo e Gennaro mi capiva.

Sapeva che in quei momenti insistere era inutile se non deleterio, Delia aveva provato un paio di volte a trascinarmi fuori comunque, io però avevo finito con il passare quelle sere scura in volto, senza riuscire veramente a divertirmi.

Gennaro se ne era sempre reso conto e così aveva iniziato a convincere la mia amica che non era il caso di obbligarmi a fare qualcosa controvoglia.

Lui sapeva quando era il momento di lasciarmi in pace.

C’era però un lato negativo di questa sua consapevolezza. Gennaro infatti non diceva nulla apertamente, ma ogni volta che il periodo no passava e tornavo alla vita sociale lui appariva sollevato, quando ero giù di morale si preoccupava, e la colpa era da imputare a me.

Una volta gli avevo fatto una confessione.

In un caldo pomeriggio di primavera, sette mesi prima, Gennaro era venuto a trovarmi e mi aveva trovata raggomitolata tra le coperte, le tapparelle abbassate e la stanza buia. Avevo sonno, gli dissi.

Lui però non mi credette, non fece nulla per insistere e di certo non mi diede della bugiarda, ma lo percepii dal suo viso, era triste come il mio, la differenza però era che io non avevo ragione per esserlo, lui invece un motivo ce lo aveva, aveva me.

Ricordai che quel giorno avrei potuto fare qualsiasi cosa per cancellare quello stato d’animo dal volto del mio amico, avevo già la mia tristezza con la quale convivere e non avevo le forze per confrontarmi con l’idea che anche la sua dipendeva da me.

Così, quel giovedì di maggio presi una decisione: avrei detto la verità a Gennaro.

Guardai il mio amico e mi feci coraggio.

- Ge ascoltami, non devi stare così per me –.

- Così come? – mi chiese lui.

- Lo sai come -.

Tacque per qualche minuto poi si scusò. – Non devi sentirti responsabile, mi spiace che tu sia triste sì, ma la colpa non è tua. Sono io che decido di stare così, perché sei mia amica, e non vorrei mai doverti vedere scontenta -.

- Ma io non sono scontenta, non ho alcuna ragione razionale per esserlo -.

- E cos’è allora? Cos’è che provi? E soprattutto che posso fare per farlo passare? -.

Mi coprii fino al mento, pur restando seduta.

- Nulla Ge, la verità e che nemmeno io so perché ogni tanto sto così, per questo non posso darti una soluzione. Non devi addossarti l’incarico di curarmi da questa malinconia, perché se non c’è un problema, non c’è una soluzione e l’unica cosa che posso fare io è aspettare che passi, perché passa. Non so mai quando, ma so che ogni volta dopo qualche tempo passa -.

- Allora spetterò con te che passi -.

- Non ti conviene, non so nemmeno quanto durerà sta volta -.

- Sopravvivrò e dirò a Delia di non insistere per la festa al Fiji di stasera -.

- Oh cavolo la serata! L’avevo dimenticata… -.

- Tranquilla, ci parlo io con lei -.

- No Genna, non puoi dirle ste cose, penserà che sono pazza -.

- Perché mai dovrebbe farlo, scusa? -.

- Non so, forse perché una persona sana di mente non ha momenti di sconforto senza ragione! -.

- Tutti hanno delle giornate no -.

- Non come me -.

- Fammi finire il discorso per favore, Margherita -.

Mi zittii.

- Come dicevo, a volta capita a tutti, non sarà come lo è per te, perché le emozioni sono cose personali e il privato di un uomo è raramente uguale a quello di un altro, però infondo siamo tutti esseri umani. E poi Delia è una delle tue migliori amiche, non ti giudicherebbe, al massimo ti chiederebbe cosa fare per essere utile, ti vuole bene, lo sai -.

- Lo so -.

- Questo è quello che conta. Ora che vuoi fare? Preferisci che io vada via o che resti? -.

- Magari puoi restare qui per un po’, se ti va… -.

Gennaro rimase con me per un paio d’ore, poi se ne andò.

Da quel giorno non mi fece più pressioni o domande, però sapevo che si preoccupava.

Non aveva paura di gesti inconsulti, semplicemente si preoccupava perché era mio amico, e il vedermi triste lo rendeva triste.

Volevo davvero sfruttare una cosa simile?

A quale ipocrisia andavo incontro così facendo?

Non mi era mai capitato di utilizzare i periodi no per sviare i miei amici, e mi sentivo in colpa anche solo a pensare di farlo.

No. Non l’avrei fatto. Non potevo. Meglio la verità e una litigata che quello.

Messaggio inviato a Gennaro 10:59:

Okay ti dirò la verità. Devo fare un favore ad un amico, per questo non posso venire, ma non posso dirti molto di più perché rischio di rivelare cose che non mi riguardano in prima persona e non mi va di spiattellare un segreto che non è mio.

Un nuovo messaggio da Gennaro 11:00:

Va bene, devo dire agli altri che sei rimasta a casa?

Messaggio inviato a Gennaro 11:00:

Se lo facessi, mi sarebbe utile, grazie!

Un nuovo messaggio da Gennaro 11:00:

No problem. Ci vediamo nei prossimi giorni.

Gennaro, il mio salvatore!

La cena arrivò e passò e così alle dodici e venti ero già in macchina di Raffaele, vestita con un jeans strappato nero ed un maglione fin troppo natalizio, con mia grande sorpresa anche Raffaele aveva un tocco di rosso nella camicia, non lo immaginavo come uno che seguiva le tradizioni.

- Allora dov’è questo posto? -. Chiesi io, per rompere il silenzio.

- Dobbiamo andare in una villa a Polignano, l’hanno affittata perché è una rimpatriata di tutto l’ultimo anno delle medie, prima però passiamo a prendere Diego, è di strada -.

- Impressionante il modo in cui avete mantenuto i rapporti, io frequento ancora qualcuno che ho conosciuto alle medie, ma non saranno più di quattro o cinque. Voi fare addirittura delle rimpatriate con tutte le classi! -.

- Facevamo spesso progetti inter classe perciò siamo sempre stati tutti piuttosto uniti, diversamente da ora -.

- Beh se questa serata non la consideri un segno di affiatamento non so che dirti -.

- No, intendevo rispetto alle classi del nostro Liceo, a mala pena ti avevo vista in giro prima di iniziare a darti ripetizioni -.

- Ah okay, questo è vero -.

Raffaele era concentrato sulla guida ed io non sapevo quanto tempo ci sarebbe voluto prima di arrivare da Diego così continuai la conversazione.

- Con la classe nella quale sei ora invece come vanno le cose? -.

- Sono persone a modo, ma non penso che tra cinque anni ci ritroveremo tutti assieme davanti ad una birra -.

Sorrisi – Neanche con Diego? -.

- Soprattutto con Diego, è un tizio piuttosto impegnativo sai, la cosa stanca -.

Risi al suo ovvio tono burlesco, evidentemente non tutte le sue attuali amicizie erano passeggere.

Raffaele mi buttò uno sguardo - Tu che mi dici? -.

- Mah, onestamente la nostra classe è estremamente unita, infatti mi sto saltando una bellissima festa per farti sto favore -.

- Potevi non accettare e vederti coi tuoi compagni -.

- Sì così poi mi avresti tenuto il muso per il resto delle lezioni -.

- Che ti frega, mica siamo amici -.

- Anche questo è vero, forse faresti meglio a riportarmi a casa, anzi perché non mi accompagni da Ludovico? -.

- Mi spiace, ormai è troppo tardi, la nave è salpata -.

Lo fissai con un sopracciglio inarcato - Metafore marittime? Sul serio? -.

- È stata una caduta di stile eh? -.

- Decisamente, eri partito bene con tutta la storia del ‘’ non siamo amici, io sono figo, bla bla ‘’ ma ti sei perso alla fine -.

- La prossima volta farò di meglio -.

- Prossima volta? Quante rimpatriate avete in programma? -.

- Perché? Vuoi essere presente a tutte? -.

- Perché? Vuoi invitarmi a tutte? -.

Raffaele fece un sorriso, in un modo quasi arrogante - Nah, non siamo amici -.

Risi, lo stronzo mi aveva fregata!

L’auto accostò e Diego si sedette dietro di noi – Non è che ti vuoi sedere al mio posto? -. Domandai mentre ancora ridevo.

- No tranquilla, comunque a cosa devo tutta questa ilarità? -.

- Niente, è che non siamo amici -. Dissi io.

- E questa è una cosa positiva perché…? -.

- Margherita è una persona troppo impegnativa -.

Sghignazzai di nuovo, Diego però continuò a non capire. - Vabbè lasciamo perdere, piuttosto, Raffa ti ha spiegato la situazione? -.

- Devo fare il terzo incomodo tra te e Lisa, sì -.

- Oh perfetto, grazie! -.

- Una cosa non capisco, se sai che devi starle lontano perché non riesci a frenarti da solo? -.

- Perché lei è una dea scesa in terra e io sono decisamente troppo debole -.

- La cosa non è affatto rassicurante -.

- Ignoralo, la realtà è che lui è deficiente e lei sa che punti toccare per manipolarlo -.

- Qualcosa mi dice che non voglio sapere quali punti sa toccare -.

Risero – Nulla di vietato ai minori ti assicuro, è solo che… sa come prendermi -.

- E Annamaria invece? -.

- Con lei è diverso -.

- Diverso come? -.

- Non saprei, con lei è più razionale come cosa, mi piace il suo carattere, mi piace il suo senso dell’umorismo, Lisa però ha un non so che, che mi fa perdere la testa -.

- Ti attrae maggiormente a livello fisico forse? -.

- Macché, Annamaria è una ragazza stupenda, non avrei mai nulla da ridire su di lei -.

- Quindi ti piace la sua personalità, ti piace il suo corpo, eppure non pensi che tutto ciò ti basti per resistere ad un’altra ragazza? -.

- Non è ancora detto, lo vedremo tra poco -. Si intromise Raffaele.

Parcheggiammo nello spazio riservato della villa, dovevano averla pagata cara quella rimpatriata!

Diego uscì per primo e io stavo per seguirlo pronta a fargli un discorsetto quando Raffaele mi posò una mano sulla spalla – Non farlo -.

- Fare cosa? -.

- Minacce insulse su quanto lo picchierai se farà qual cosa per ferire Annamaria -.

Mi scostai dal suo tocco, ero infastidita.

- Lei è una mi amica, ho il diritto di proteggerla -.

- Questo non lo nego, ma vuoi davvero che resti lontano da Lisa solo per paura di ciò che tu possa vedere? Non sarebbe meglio metterlo alla prova e intervenire solo se necessario? In questo modo in futuro potresti lasciarlo stare con la tua amica senza rimpianti o preoccupazioni -.

- Non voglio essere testimone omertoso di un altro tradimento -.

- Un altro? -. Inquisì lui.

- Lascia stare, facciamo un patto piuttosto -.

- A che pensi? -.

- Io faccio come dici tu, ma se lui fa qualche cagata sarai il primo a fare in modo che lasci in pace la mia amica -.

Espirò soppesando la mia proposta – A una condizione -.

- Quale? -.

- L’accordo vale solo se ci sarà qualcosa di fisicamente incriminante tra i due, non lo condannerò per una intenzione -.

- Va bene -. Accettai io, era meglio di niente.

Diego bussò al finestrino di Raffaele, incitandoci ad uscire, lo facemmo.

La villa era su due livelli anche se noi avevamo acceso solo al primo, l’ingresso era maestoso con una scalinata bianca e delle colonne ad incorniciare il grande portone in legno.

Che razza di scuola media avevano frequentato queste persone? Mi chiesi.

La gente che conoscevo io non poteva permettersi di affittare un luogo del genere per una semplice serata di giochi Natalizi, guardai i vari ragazzi presenti e mi sentii un tantino fuori posto.

Tutti si erano agghindati per la festa mentre io indossavo un maglione con una renna. Forse non era stata una scelta eccezionale.

A consolarmi c’era Raffaele, lui aveva un jeans ed una camicia a scacchi rossa e nera. Non ero totalmente sola in quel mare di persone ben vestite e cibo dall’aspetto costoso.

Perché mai poi avere del cibo ad una festa post cenone di Natale? Non erano già tutti pieni dall’abbuffata in famiglia? Con che razza di persone mi stavo invischiando?

Non ci si poteva fidare di chi non si rimpinzava a casa a Natale.

I due ragazzi mi portarono fino al tavolo degli alcolici, magari una birra mi avrebbe sciolto un po’.

Dopo aver preso da bere Diego ci trascino fino a dei divanetti, sui quali un gruppetto di ragazzi chiacchierava gioioso. Sul tavolino davanti a loro giacevano sparse delle carte da Uno, forse avevano finito da poco una partita.

- Gente! Buonasera! -. Salutò Diego, gli altri lo accolsero a braccia aperte e sorrisoni, così come fecero con Raffaele, a me però riservarono occhiatine guardinghe.

Mi pareva di essere un Hollywoodiano in una cittadina di puritani, nei loro occhi c’era un miscuglio di curiosità e diffidenza.

Ero l’unica nuova della serata? Mi aspettavano delle ore divertenti!

A cercare di fermare il dovizioso scrutino ci pensò Diego, presentandomi al gruppo – Allora, questa bellissima ragazza è Margherita, viene a scuola con noi, Marghe loro sono tutti gli altri -.

Sorrisi leggermente impacciata e tesi la mano ad ognuno di coloro che mi prestavano attenzione, dopo le varie strette ricordavo a mala pena un paio di nomi su una quindicina, ancora nessuna Lisa però, di quello mi ero accertata.

I ragazzi ci fecero posto, io mi sedetti tra le uniche due persone che conoscevo e tutti iniziarono a parlare.

Scoprii che solo cinque di tutti quelli che mi si erano presentati andavano in classe con Diego e Raffaele alle medie, e che gli altri provenivano da svariate altre sezioni.

Diversamente da ciò che avevo pensato a primo acchito quando mi stavano fissando, quelle persone non erano affatto male! Fecero di tutto per mettermi a mio agio e coinvolgermi nelle conversazioni, e dovetti ammettere che ci riuscirono, mi pareva quasi di conoscerli da più di una mezz’ora.

Forse inizialmente erano solo sopresi dal mio essere lì.

Capivo il perché dell’affiatamento e ne vedevo anche l’intensità di prima mano.

In tre anni erano riusciti a costruire un rapporto molto forte tra gente che magari non passava più di qualche minuto assieme durante la pausa per la merenda.

Le loro capacità di interazione sociale erano su un altro livello rispetto alle mie.

Dopo un paio di mani ad Uno mi alzai per prendere da bere.

Non avevo intenzione di tornare a casa strisciando, ma una seconda birra non mi avrebbe certo steso, pensai.

Poggiata al bancone mentre sorseggiavo la Corona mi dissi che le apparenze potevano davvero ingannare.

A prima occhiata la maggior parte dei presenti mi erano parsi personaggi con la puzza sotto al naso, sarà stato tutto lo sfarzo della location e degli abiti, eppure nessuno di coloro che fino a quel momento avevo conosciuto aveva avuto atteggiamenti altezzosi. Magari non erano nemmeno tanto pieni di soldi come sembrava, chissà, potevano aver affittato la villa con uno sconto Groupon.

- Pensierosa e con una birra in mano, potrebbe essere una brutta accoppiata -.

Raffaele mi stava fissando mentre aspettava che il cameriere gli preparasse un drink.

Usai il collo della bottiglia per indicarlo e dissi – Tu non dovresti essere il guidatore sobrio? -.

- Non ci schianteremo, tranquilla -.

- Mi fiderei maggiormente se quel cocktail non lo bevessi -.

- Sono le due e prima delle cinque non andremo via, per quell’ora avrò smaltito tutto -.

Non commentai, evidentemente però la mia espressione valeva più di mille parole, perché una volta preso il bicchiere in mano sbuffò e poi me lo porse – Ti piace il gin tonic? -.

- Non sarebbe la mia prima scelta, ma se proprio devo fare questo sacrificio per permetterci di tornare tutti sani e salvi a casa allora sì, lo adoro -.

Vidi un angolo della sua bocca sollevarsi, era forse un sorriso?

- Che grande fatica che ti tocca -.

- Per un astemio potrebbe essere un compito impossibile -.

- Disse la donna con una birra in mano -.

- Il fatto che io non sia astemia non rende la mia affermazione meno vera -.

- La rende solo inapplicabile a questa nostra situazione -.

- Chi ha mai voluto farlo? -.

- Lo sai, vero, che le conversazioni con te sono sempre una sfida? -.

Posai la bottiglia vuota e feci a cambio con il suo bicchiere pieno – Da che pulpito! -.

- Lo dici come se io fossi tanto stancate quanto te -.

- Hai ragione, tu lo sei di più, non dovrei fare paragoni -.

Vidi la risposta sfiorargli le labbra, poi si interruppe e facendo un passo nella mia direzione chiese – Giusto per chiarire, ci stiamo insultando seriamente o è solo uno scambio di battute? -.

- Tu che dici? -.

- Non saprei dirlo, a causa tua mi ritrovo puntualmente in dubbio -.

- E ancora una volta mi tocca dirlo: da che pulpito viene la predica! -.

Si poggiò con un gomito al bancone, in moda tale da ritrovarsi faccia a faccia con me - Sto ancor aspettando una risposta -.

Feci finta di pensarci su poi dissi – Diciamo che ci stiamo insultando per davvero -.

Sogghignò – Sicura di questa tua scelta? -.

- Perché? Dovrei temere qualcosa? -. Domandai giocosa.

- Beh, non sono io quello che ha una renna sul petto -.

Inspirai a denti stretti, a quello non potevo ribattere.

Mi ritrovai a dover ammettere che in quel senso mi aveva colta in fallo, al che lui rispose – Direi piuttosto: colpita e affondata -.

Scoppia in una fragorosa risata – Ammettilo, sei ricorso ad un’altra metafora marittima solo per darmi la possibilità di ribattere -.

- Effettivamente mi stavo divertendo troppo per concludere la discussione tanto presto -.

- Oh ma è finita comunque, solo che a questo punto ho vinto io -.

- Ma come? Avrò ottenuto almeno cento punti rinfacciandoti la renna -.

- Certo, con la partita a battaglia navale però li hai persi tutti -.

Sospirò – Lo conterò come il mio atto quotidiano di generosità allora -.

- Sarà stata anche una vittoria per pietà, fatto sta che ‘sta volta ho vinto io -.

- Ti rendi conto di sembrare una bambina con questa affermazione? -.

- Tu sei quello che ha paragonato i nostri discorsi ad una battaglia, perciò non mi preoccupo di sembrare infantile, perché tanto lo sarei in buona compagnia -.

Ripresi a bere il drink e lui mi sorrise per poi guardarsi attorno. Mi ricordai allora che io ero lì per uno scopo ben preciso e mi chiesi se anche Raffaele l’aveva rammentato e si era messo alla ricerca di Lisa.

Provai ad immaginare la misteriosa ragazza, come doveva essere per avere tutta quella presa su Diego? Aveva forse un aspetto fisico irresistibile? Eppure no, non poteva dipendere tutto da delle curve al punto giusto, doveva esserci qualcosa di più profondo.

Probabilmente allora possedeva uno charm incantevole, una personalità ammaliante, in quel caso però perché non aveva stregato anche Raffaele?

Lui la riteneva una vipera, una manipolatrice.

Entrambi mi parevano aggettivi inadeguati ad una ragazza della mia età, cosa poteva aver fatto per meritarsi di essere appellata a quel modo?

Di nuovo Raffaele interruppe il binario dei miei pensieri – Balliamo? -.

- Ora? E qui? Non balla nessuno… poi non dovremmo andare a controllare Diego? -.

- Pensavo avessimo deciso che stargli con il fiato sul collo sarebbe stato controproducente -.

- Sì, però comunque non c’è un cane in pista -.

- Mmh, più spazio per noi -.

Mi prese per mano e mi portò al centro della stanza, avevo ancora il drink che oscillava ad ogni movimento.

La sala del bar non era grandissima poiché era dedicata a cibo e bevande più che alla musica, nella camera accanto invece, quella coi divanetti, c’era anche un bello spazio dove ci si poteva scatenare.

Raffaele però prese a ballare lì, trascinandomi con i suoi movimenti.

Iniziai ad assecondarlo, ignorando l’imbarazzo dovuto agli sguardi di chi attendeva il proprio cocktail o la propria birra.

I nostri movimenti era sciocchi e probabilmente non molto a tempo, però mi divertivano. Ad un occhio esterno potevamo addirittura sembrare ridicoli.

Mi prese e mi fece girare due volte su me stessa facendomi quasi perdere l’equilibrio, per vendetta lo tirai a me e gli feci fare un casquè.

Fu una scena abbastanza comica dato che lui era più alto di me e che io non ero preparata ad averlo tra le braccia con tutto il suo peso, rischiai quasi di farlo cadere.

A quel punto ero sicura che tutti stessero ridendo di noi, eppure non me ne importava. In parte la cosa era dovuta al gin tonic, in parte però, stavo vedendo un lato di Raffaele che fino a quel momento mi era stato tenuto nascosto, un volto che non sapevo per quanto sarebbe rimasto a galla e che per quello volevo struttare il più a lungo possibile.

Era un aspetto di lui che mi rallegrava, potevo quasi abituarmici.







Buonasera, so che l'asseza è stat lunga, ma spero he il capitolo più lungo del solito possa ripagarvi.

Fatemi sapere cosa ne pensate,

xxElykei

 

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Capitolo 19
*** 19 Amicizia > Chimica ***


19 Amicizia > Chimica.

La musica cambiava e noi continuavamo a ballare, arrivammo alla terza canzone prima che Raffaele si fermasse.

- Non riesci più a starmi dietro? -. Chiesi ancora ridendo.

- Dobbiamo tornare da Diego, Luisa è qui -.

- Dove? -.

Raffaele mi prese un polso e mi spostò in direzione dei divanetti, seduta accanto a Diego, con una gamba sulle sue ginocchia, c’era una ragazza minuta dagli occhi castani e il sorriso accattivante.

Corsi a prendere un drink dal bancone del bar e poi mi precipitai lì, con Raffaele che mi seguiva a ruota.

Lo sguardo di Diego era quello di cento giorni passati rileggendo messaggi e aspettando chiamate, eppure non riuscivo a preoccuparmi per Annamaria.

Forse perché in quei suoi occhi più che mancanza riconoscevo rimpianti, e più che speranza, delusioni.

Forse perché al Fiji, con Annamaria, non c’era stata tutta quella amarezza nel sorriso, ma solo spensieratezza e contentezza.

Forse perché credevo nei secondi amori, o forse ero solo una ragazzina ingenua, fatto sta che quando mi avvicinai al gruppo feci la mia parte solo perché lo avevo promesso e non perché lo ritenessi realmente necessario.

Arrivai con passo sicuro e mi accostai a Diego accarezzandogli i capelli alla base della nuca, quando lui alzò lo sguardo sorrisi e gli porsi il cocktail – Negroni, vuoi un sorso? -.

- Certo, grazie -. Rispose lui ricambiando il sorriso.

Pareva un tantinello stranito dall’improvvisa vicinanza, io spostai la cannuccia così che il suo volto fosse nascosto dallo scrutinio di Luisa, per quanto ne sapeva lei Diego poteva avere uno sguardo adorante in quel momento.

Feci per sedermi sul divano, lo spazio era un po’ stretto così i due dovettero spostarsi e nel farlo Luisa fu costretta a togliere la gamba da quella di Diego.

Avevo interrotto la conversazione, gli avevo distratti e poi allontanati a livello fisico, non mi restava che presentarmi.

Tesi la mano verso la ragazza castana – Piacere Margherita -.

- Luisa -. Rispose stringendola brevemente.

Per caso per lei non era un piacere?

- Devi essere un’altra dei vecchi compagni di Diego -.

- Sì, eravamo nella stessa classe -.

- Oh carino -.

- Tu invece sei una faccia nuova -. Continuò con fare indagatore.

Poteva benissimo avermi detto ‘’che diavolo ci fai qui?’’, perché lo scopo era quello: capire in che rapporti io fossi con Diego.

- Sì. È la prima volta che vengo, mi ci hanno portata i ragazzi -.

- Quindi conosci anche Raffaele -.

La risposta a quella domanda era importante: se avessi detto semplicemente sì, mi avrebbe classificata come un’amica. Se avessi marcato troppo sul mio rapporto con Diego, lui avrebbe potuto mandare all’aria tutto.

Decisi allora per un: – A dire il vero è proprio lui che ci ha fatti conoscere -.

Era abbastanza vicina alla realtà da non allarmare Diego e inoltre avevo riportato l’attenzione su me e lui anziché spostarla su Raffaele.

- Ma che bello -. Commentò Luisa, per niente entusiasta.

Mi trattenni a stento da scoppiarle a ridere in faccia, i suoi obbiettivi erano così palesi.

Parlai a Diego, escludendola dalla conversazione – Ho scoperto che il barista è bravissimo con questi -.

- Grazie al cielo, è il mio drink preferito -.

- Lo so -. Sorrisi e gli feci bere qualche altro sorso. Avevo azzeccato il cocktail giusto, a quanto pareva anche la fortuna mi stava dando una mano.

- Che avete combinato di là tu e Raffaele? Siete stati via per una vita -.

- Sei forse geloso? – Ammiccai io.

- È geloso di me -.  Si intromise Raffaele. In quel momento capii che come spalla non era male, aveva scelto le parole giuste, infatti l’amico avrebbe sicuramente reagito a quello scherzo canzonandolo, e di conseguenza sarebbe sembrato a tutti gli effetti geloso.

Non avrei dovuto essere tanto sorpresa dall’efficienza di Raffaele. Egli era sì pigro e rude, però nei momenti giusti Raffaele aveva dimostrato di sapere come rendersi utile, come quando aveva aiutato durante la ricerca di Debora.

Diego si attenne alla previsione e disse - Sì, tra te e la bellissima ragazza seduta al mio fianco sei sicuramente tu colui che occupa i miei pensieri -.

Gli diedi un bacio molto leggero sulla guancia, così che dal punto di vista di Luisa la cosa non fosse evidente, lei vedeva solo il mio viso illuminato che toccava quello di Diego.

La maggior parte delle volte un sorriso che sfiora la pelle di un altro, è molto più intimo di un bacio.

Dovette pensarlo anche lei, perché la intravidi spostare lo sguardo di scatto, era stizzita.

Una delle sue amiche notò il fastidio di Luisa e la allontanò, probabilmente per distrarla dalla situazione che le era sfuggita di mano.

Raffaele ci indicò si fargli spazio e io finii per ritrovarmi seduta tra i due.

Mi feci indietro il più possibile in modo che tutti potessero partecipare ad una eventuale conversazione, Raffaele mi fece l’occhiolino, si stava congratulando per la mia recita.

Risposi allo stesso modo, per il momento eravamo al sicuro.

Diego riprese il discorso di poco prima - Sul serio comunque che avete fatto? Pensavo vi foste imboscati -.

- Ti assicuro che eravamo in piena vista -. Dissi io.

- Stavamo ballando -. Replicò contemporaneamente Raffaele.

- Okay – Diego trascinò la o per molti più secondi del necessario – Avete risposto troppo in fretta, che mi nascondete? Siete per caso andati veramente a fare cose zozze in un angolo buio della villa? -.

Alzai gli occhi al cielo - Cose zozze? La verità è che il tuo amico qui non vuole ammettere che è quasi finito col sedere per terra -.

- Questo può avvalorare la mia teoria -.

- Dai! -.

- Riascolta la conversazione in mente e vedrai che ho ragione -.

- Eravamo vicino al bar, abbiamo ballato, e lei ha pensato bene di farmi fare un casquè, ignorando i suoi sette centimetri di meno e ogni legge della fisica -. Dichiarò Raffaele.

- Dovresti darmi ripetizioni anche in fisica, dato che pensi che io faccia tanto schifo -.

- Non esiste abbastanza tempo al mondo per rimediare anche a quello -.

Avevo voglia di tirargli un pizzicotto sul braccio, ma in quel caso mi avrebbe sicuramente criticato per i modi maneschi e avremmo iniziato un’altra discussione che non ero certa di poter vincere, allora mi limitai a commentare – Il tuo umorismo diventa sempre più piacevole – con buona dose di sarcasmo.

- Margherita dovresti tener pronta una telecamera quando cose come quella accadono. Voglio ogni episodio imbarazzante riguardante Raffaele registrato -. Comunicò Diego.

- La prossima volta me ne ricorderò -.

Nel corso della serata dovetti intervenire solo un’altra volta per allontanare Luisa.

La cosa non mi faceva piacere, comportarmi in quel modo e, in un certo senso, marcare il territorio era un comportamento infantile che mi ero lasciata alle spalle già dai tempi delle medie.

Una promessa era però una promessa, almeno fintanto che non feriva nessuno.

Luisa era certo infastidita dalla cosa, dubitavo però fosse anche realmente dispiaciuta dal mio immaginario rapporto con il ragazzo dai riccioli d’oro.

Arrivarono le quattro di notte e la serata finì.

Raffaele lasciò Diego a casa sua e poi accompagnò me.

Ero piuttosto distrutta, la giornata era stata impegnativa, e le ore di sonno di quella notte sarebbero state limiate dal fatto che il venticinque c’era il pranzo di Natale. Mi sarei dovuta svegliare alle dieci anche solo per apparecchiare la tavola.

Indossai il pigiama e aspettai che Raffaele mi assicurasse di essere arrivato a casa.

Non era il mio migliore amico, ma non ero certo un mostro, non avrei riposato finché non fossi stata sicura che tutti fossero nelle loro case.

Ci vollero pochi minuti prima che il cellulare squillasse.

Un nuovo messaggio da Raffaele 04:16:

Arrivato. Grazie per l’aiuto, stasera sei stata perfetta.

Mi stesi sul letto ancora truccata, cosa che mi capitava anche fin troppo spesso, e così mi addormentai.

Il giorno successivo passò in fretta, succedeva sempre così con i giorni di festa.

Ricevetti un gioco per la console da mio fratello, che in pratica aveva fatto un regalo sia a me sia a sé stesso, ed un buono per fare shopping da parte di mia mamma.

I vari parenti mi diedero soldi, e occasionalmente un pigiama o un maglioncino.

Arrivò il giorno di una nuova lezione da Raffaele, lui non conosceva pause Natalizie!

Quella lezione però fu diversa dalle altre.

Come sempre dopo essere entrata andai in cucina, ma lì già mi aspettava la prima differenza.

Sul tavolo c’era una scatola, sommariamente avvolta in una carta regalo con dei piccoli babbi natale.

Guardai il mio ospite – E quello cos’è? -.

Non mi degnò di risposta, effettivamente la cosa era piuttosto chiara.

Scartai curiosa il regalo, dentro ci ritrovai un contenitore in cartone, poco più piccolo di uno per le scarpe. Lo aprii e finalmente riuscii a vedere il regalo vero e proprio: era un pupazzo.

Un piccolo peluche di una tartaruga, il corpo verde, il guscio di una tonalità più scura e gli occhioni azzurri brillantinati.

- Non so che dire, non mi aspettavo un regalo, io non ti ho fatto niente -.

- Non te lo aspettavi da me, vuoi dire -.

Socchiusi gli occhi sorridendo - Già -.

- È solo un modo per ringraziarti dell’aiuto che mi hai dato con Diego -.

- Non dovevi, davvero -.

- Se non ti piace posso riprendermelo -.

Mi portai il pupazzo al petto con fare protettivo – Non ti azzardare, è un regalo, non puoi chiedermi di ridartelo -.

Alzò le mani – Non l’ho fatto -.

- Bene -. Mi sedetti difronte a lui, e ricordai di non averlo ancora ringraziato – Oh, comunque grazie, mi piace un sacco! -.

- Mi fa piacere, ora mettiamoci a lavoro -.

Lo fissai per qualche momento a bocca aperta, era incredibile quanto potesse essere concentrato sul suo lavoro nonché mio studio. Era tornato al suo vecchio essere in quindici secondi.

Chissà se era un record.

A metà lezione ci interruppe una chiamata, era Gennaro.

Sapeva che avevo da fare, perciò ero sicura che la chiamata aveva una motivazione valida.

Chiesi a Raffaele di scusarmi e risposi.

- Pronto, Genna? -.

- Ehi Marghe -.

- Sì? -.

- Puoi parlare? -.

- In realtà sono da Raffaele, ma se non può aspettare dimmi -.

- È per Delia, credo sia successo qualcosa con i suoi -.

- Qualcosa cosa? -.

- Penso lo sappiano -.

Mi ammutolii, quella frase poteva riferirsi solo ad una cosa.

 - Margherita, ci sei? -.

- Ne sei sicuro? -.

- Mi ha mandato un messaggio Gabriella dicendo che Delia non le risponde da due giorni, ho provato a chiamarla anch’io, però nulla. Dieci minuti fa mi ha scritto che non poteva rispondere e che quello non era il momento adatto -.

- Dov’è ora? -.

- Non ne sono certo, ma penso sia a casa sua -.

- Okay, ti chiamo dopo -.

- Sì, tienimi aggiornato, ciao -.

Iniziai a rimettere in borsa tutte le mie cose, Raffaele mi guardava inquisitorio.

- Tutto bene? -.

- Eh? Sì, scusa. Devo andare. Possiamo recuperare un altro giorno? -.

- Certo, tranquilla. Vuoi che ti dia un passaggio da qualche parte? -.

Per raggiungere casa di Delia un’auto sarebbe stata perfetta, perciò accettai.

Raffaele non face nessuna domanda, probabilmente aveva capito che in quel momento non avrebbe ottenuto ulteriori informazioni.

Quando scesi dall’auto nemmeno lo salutai, troppo in pensiero per Delia.

I genitori della mia migliore amica erano molto religiosi, per loro scoprire di avere una figlia omosessuale era certamente uno shock.

Non temevo che le facessero del male, né tantomeno che la rinchiudessero in casa, ma sapevo che Delia provava un profondo affetto nei loro confronti, e che il loro giudizio era fondamentale. Forse tra lei e i suoi genitori la più turbata era Dede.

Provai a chiamarla.

Non rispose, era perché era ancora arrabbiata con me?

Suonai al citofono.

- Chi è? -.

- Sono Margherita, Delia è in casa? -.

Dopo circa un minuto pensai suo padre non mi avrebbe più risposto, poi però mi disse – È in camera sua, sali pure -.

Delia non mi stava aspettando, eppure quando mi vide entrare nella sua camera non parve stupita.

Era seduta sul davanzale, che con un cuscino fungeva da divanetto, ascoltava la musica.

Si tolse una cuffia, mentre io mi sfilavo le scarpe per accomodarmi sul letto a gambe incrociate.

- Gennaro? -.

- Ti aspettavi che non me lo dicesse? -.

Sorrise, non un sorriso vero, ma uno di quei suoi sorrisi a metà che volevano dire che da un lato ci aveva sperato, mentre dall’altro aveva auspicato il risultato opposto.

- Possiamo fare una tregua? -.

La mia amica sospirò, poi annuì.

- Come è successo? -.

- Una tizia che frequenta la stessa chiesa dei miei mi ha vista con Gabriella al centro commerciale tre giorni fa -.

- Due amiche che fanno shopping il giorno di Natale, che c’è di sospetto? -.

- Due ragazze che si baciano in un camerino -.

Feci un verso incredulo – In un camerino? Stavate girando un porno di serie B? -.

- Ogni porno ha qualcuno che lo considera di serie A, è il bello delle perversioni private. E comunque la tenda era chiusa, non è colpa mia se la signora dallo sguardo lungo spia tra le fessure -.

- Che schifo, maniaca -.

- Eppure nella sua mente bacata sono io quella che fa cose indegne del Signore, stronza -.

- Potremmo sempre deturparle la macchina -.

- È una sessantenne che gira in autobus -

- Meglio, hanno le anche estremamente fragili quelle -.

Riuscii a farla ridere, poi però il suo sguardo tornò triste.

- Come hanno reagito? -.

- Mamma non mi parla, papà dice che ha solo bisogno di tempo e nel frattempo mi ha candidamente consigliato di smettere di frequentare la ragazza del camerino, che naturalmente non ha nome al di fuori di quello ormai -.

- Per questo ora ignori Gabriella -.

Abbassò lo sguardo, era ferito – Solo per un po’. Il tempo di far calmare le acque -.

- E poi cosa? Tornerai a nasconderla dentro ad un H&M? -.

Tenne gli occhi fissi, lontano dai miei. - Hai una idea migliore? -.

- Tuo padre ha detto di dar loro del tempo. Potrebbero accettarlo -.

- Passerebbero il resto della vita a guardarmi come se in me ci fosse qualcosa di sbagliato -.

- Quindi credi che fingere di essere ciò che non sei aiuterebbe? Che piani hai, manterrai la finta relazione con Gennaro? Al matrimonio voglio fare da testimone ad entrambi, devo controllare se è legale -.

- Che vuoi che faccia? -.

- Io nulla, non sta a me decidere quali sono le tue priorità -.

- La cosa più importante per me saranno sempre le persone a cui tengo, lo sai -.

- Come per dire che Gabriella non conta? -.

- Gabriella è importante. Loro però sono la mia famiglia -.

Le toccai una spalla, mi guardò – E tu sei la loro. Magari ci vorrà un po’ perché non se lo aspettavano, ma tu resti la loro figlia -.

- A volte temo che non basti -.

L’abbracciai.

Non potevo promettere che i suoi genitori avrebbero accettato la cosa con gaudio e che tempo un paio di settimane Gabriella avrebbe partecipato al pranzo della domenica.

Non ne avevo diritto.

Passammo le due ore successive l’una accanto all’altra, ad ascoltare canzoni del suo cellulare.

Era quasi arrivata ora di cena quando andai a prendere un bicchier d’acqua. In cucina c’era Rossana, la madre di Delia.

Mi salutò, mi chiese se in famiglia stavano tutti bene, poi fece un commento sul tempo degli ultimi giorni.

Risposi con calma, mostrarmi nervosa avrebbe potuto peggiorare la situazione.

Con altrettanta calma presi la parola dopo una pausa particolarmente lunga.

- Delia sembra un po’ giù di morale -.

- Ah sì? -. Replicò Rossana ostentando noncuranza.

- Sì, non sa bene come affrontare questa storia -.

- Non dovrebbe esserci nulla da affrontare -.

- Invece c’è, e questo silenzio la fa star male, voi avete sempre avuto un buon rapporto, perderlo per Delia sarebbe devastante -.

- Certo. Un rapporto perfetto basato sulla fiducia e sulla consapevolezza, - fece una smorfia che trasudava scherno – Peccato che a lei mancasse la prima e a me a quanto parte la seconda -.

Era da questo che era rimasta delusa? Dal fatto che la figlia le avesse mentito?

- Se Delia ha evitato di parlare di alcuni lati della sua vita in passato, è stato solo perché aveva paura di essere rifiutata, e a ragione dato come state reagendo tutti -.

Rossana puntò il suo sguardo severo dritto su di me - Margherita sei una ragazza tanto cara, e non ho mai limitato la tua amicizia con Delia anzi, ti ho accolto come fossi figlia mia. Ora però stai superando dei limiti che non ti competono. Credo tu debba tornare a casa, altrimenti rischi farai tardi per cena -.

Tacqui, non volevo rischiare che mi escludesse forzatamente dalla vita della figlia.

- Vado a portarle l’acqua e a salutare -.

La donna annuì.

Feci una lunga passeggiata prima di tornare a casa, mamma non sarebbe comunque rincasata prima delle nove e mezza, quindi la cena non sarebbe stata in tavola prima delle dieci.

La situazione era davvero complessa, e non ero certa di avere gli strumenti necessari ad aiutare la mia amica.

Provando a parlare con sua madre avevo quasi rischiato l’irreparabile.

Da un certo punto di vista potevo anche capirla, ai suoi occhi infondo, io non ero altro che una ragazzina che si intrometteva in questioni private, ma cosa avrei dovuto fare, star zitta mentre Delia soffriva?

Telefonai a Gennaro per riferirgli ogni cosa per filo e per segno.

Alla fine del mio racconto parlò lui – Marghe capisco che tu l’abbia fatto con le migliori intenzioni, ma forse al momento la cosa migliore è solo stare accanto a Delia. Sia che decida di rinunciare definitivamente a Gabriella, che se decida di restare fedele al proprio cuore e affrontare i genitori a spada tratta, avrà bisogno di qualcuno pronto a confortarla e sostenerla. E io penso debba essere quello il nostro ruolo -.

Concordai con Gennaro, seppur a malincuore, poi tornai a casa.

Non c’era più niente che potevo fare per quella sera.

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Capitolo 20
*** Ama il tuo prossimo. ***


20. Ama il tuo prossimo.

Dopo qualche giorno di silenzio radio, Delia tornò a farsi sentire.

Da quello che avevo saputo da Umberto non aveva ancora contattato Gabriella, me lo aveva riferito lui perché Dede ancora non voleva parlare.

Quando avevamo affrontato l’argomento, Obi era parso un po’ arrabbiato con la mia amica. Capiva che era in difficoltà, però anche Gabriella ci stava male e lui era il suo migliore amico.

Il giovedì sera mi ritrovai con Genna, Delia, Raffaele e Diego in piazza in una cittadina di provincia.

Il mattino durante la nostra lezione mi era scappato che cercavo qualcosa di divertente da fare per tirare su di morale la mia amica, anche se il perché non l’avevo detto ad alta voce, e Raffaele aveva proposto di unirci a loro.

Delia non conosceva nessuno dei due, perciò dovetti presentarglieli io.

Finiti i convenevoli Gennaro chiese - Quindi quel è il programma della serata? -.

- Pensavamo di prenderci qualcosa da bere in un localetto qua vicino e poi andare al Balì -.

- Sembra carino, ho sentito parlare molto bene di quella discoteca -. Commentò Delia.

- Sì, non è affatto male. Io e Raffa ci siamo stati un paio di volte già, e poi stasera suona un ragazzo che conosciamo -.

- È bravo? -.

- Una bomba. -.

- Davvero? - Rise lei - Siamo tornati negli anni duemila? -.

- Non si una più dire una bomba eh? -.

- Da un bel po’ ormai -.

Ci sedemmo sul terrazzino di un bar, ci vollero quattro rampe di scale per raggiungerlo, ma quella vista valeva ogni fatica.

Da lassù c’era una chiara visuale di tutta la piazza, piena di gente di tutte le età e delle strade vicine illuminate dai lampioni e dai locali.

Il cameriere che prese le nostre ordinazioni sembrava un po’ a impacciato, infatti quando risalì con il vassoio dei nostri bicchieri notammo che aveva dimenticato un Moscow Mule.

- Scendo a prenderlo -.

- Ma no Delia, tanto il ragazzo deve risalire per prendere le ordinazioni di questi che sono arrivati ora e gli diciamo che manca il tuo ordine -. Assicurò Diego.

- No, non fa niente. Vado io che faccio prima -.

- Ti accompagno -.

- Grazie -.

Scendemmo le scale a due a due, d'altronde quella era la parte facile.

Mentre attendevamo il cocktail ci sedemmo agli sgabelli del bancone, c’era molta gente perciò trovare posto fu un vero colpo di fortuna.

Forse però il merito era stato degli occhini azzurri e del corpetto in pelle che indossava Delia, più che della sorte, dato che a cederci gli sgabelli erano stati due ragazzi che avevano squadrato la mia amica dalla testa ai piedi.

- Allora ragazze possiamo offrirvi qualcosa? – chiese il più basso dei due.

Delia lo soppesò per qualche secondo, poi con un sorriso ammiccante disse – Mi spiace ma abbiamo già ordinato -.

- Oh beh potreste prendere qualcos’altro, uno shottino, un secondo bicchiere -.

- Che ne dici? -. Mi guardò da dietro una ciocca bionda.

Sapevo consa aveva in mente e quella sera ero anche in vena di starle dietro.

- Beh, non so, qui fanno gli shot speciali no? -.

- Sì, - si affrettò a replicare l’altro – Volete provarne qualcuno? Conosco il barman, ci fa passare avanti -.

- Okay -. Rispose Delia.

I due si buttarono nella mischia, - Allora Dede, a quanto ci fermiamo? -.

- In discoteca quanto staranno i drink? Sei o sette euro? -.

- Se non di più -.

- Allora direi che possiamo andare avanti per un po’ -.

Risi, probabilmente lo faceva perché voleva distrarsi, e quella sera non glielo avrei assolutamente impedito.

- Ah no aspetta, non è che i tuoi amici su se la prendono se spariamo? -.

- Dubito che passeremo qui la serata, per una ventina di minuti non faranno problemi -.

- Che ne sai, magari sono simpatici -.

- Uno non riusciva a trovare i tuoi occhi e l’altro era decisamente troppo entusiasta all’idea di farci ubriacare -.

- Ho delle belle tette, che fosse interessato a quelle non è strano -.

- Questo è certo, – le dissi sorridendo, - Però l’ultima volta che ho controllato anche tu eri in cerca di tette -.

- Forse un cambiamento è ciò che mi serve -.

A quel punto mi feci più seria.

Quante volte l’avevo sentita fare, con coloro con i quali poteva parlare, discorsi su come la sessualità non fosse una scelta, né un modo di vivere, ma parte integrante del proprio essere?

- Delia? -.

Spostò lo sguardo sui due che tornavano – Ecco i nostri nuovi amici -.

- Ragazze, prego -. Disse quello dallo sguardo lungo, o corto, dipendeva dai punti di vista.

Avevano portato un paio di bicchierini a testa, metà erano bicolore, verdi e viola, gli altri erano gialli con schizzi di colore rosso e uno strato trasparente in cima.

Per un attimo mi chiesi se era il caso di bere cose offerte da sconosciuti, Delia fece lo stesso pensiero e mi sussurrò – Avvisa Genna, digli di darci un dieci minuti -.

Si allontanò ridacchiando, per evitare di destare sospetti. Io mandai il messaggio.

Brindammo e bevemmo.

Col passare del tempo parve chiaro che di simpatico o gentile non c’era nulla in quei due, e per quanto l’idea di drink gratuiti fosse all’allettante, c’era un limite alla nostra sopportazione.

Alla terza allusione sconcia li salutammo senza troppe cerimonie e raggiungemmo Gennaro, Diego e Raffaele.

- Tutto okay? -. Si assicurò il nostro amico, noi annuimmo e prendemmo posto.

- Delia, tutti questo tempo per prendere il tuo cocktail e lo hai anche dimenticato giù? -.

- Ne ho approfittato è l’ho bevuto direttamente lì -.

Diego era decisamente più socievole di Raffaele, non che la cosa mi stupisse.

Avevo constatato in prima persona quanto quegli occhi verdi potessero essere schivi all’inizio.

Arrivammo all’ingresso del Balì che erano le tre e qualcosa. La soglia non era altro che un grande arco con un solo buttafuori e gente accalcata.

I primi ad entrare furono Delia, Diego e Gennaro, il buttafuori era girato verso un ragazzo in un angolo. Quando io e Raffa ci avvicinammo l’uomo ci guardò e mi fermò con un braccio – Mi spiace ragazzi ma da ora si esce solo -. Quasi a rimarcare la cosa si avvicinò una coppia dall’interno del locale e prima di lasciarli passare il bodyguard disse – Sapete che se uscite non potete più rientrare vero? -.

Guardai Raffaele - E ora? -.

Cercammo gli altri, ma erano entrati spediti e probabilmente non avevano avuto il tempo di notare la nostra assenza.

Rassegnati ci sedemmo su un muretto lì vicino – Provo a chiamarli?  - proposi.

Raffaele scosse la testa - Con il volume così alto non sentiranno mai la suoneria, e comunque quando non ci troveranno torneranno indietro -.

- Hai ragione, oh già che ci siamo.. – Presi una scatolina dalla borsa - Questo dovevo dartelo stamattina, poi mi sono dimenticata -.

- Un regalo? -.

- Non siamo troppo lontani da natale vero? -.

Aprì lo scatolo, non era nulla di speciale: un bracciale in cuoio intrecciato con allacciatura in argento.

- Se non è il tuo stile puoi cambiarlo, non ero certissima su cosa prendere, volevo chiedere a Diego, ma non ho il suo numero -.

Lo rigirò tra le mani.

-  C’era anche nero e lo so che con quello sarei andata sul sicuro, ma questo verdone mi pareva più adatto, più intenso… più simile a quello dei tuoi occhi, non so -.

Accennò un sorriso – Dici? -.

Ricambiai – In effetti è più interessante il colore del bracciale, tuttavia almeno alla lontana gli occhi ci si avvicinano -.

Scosse il capo allungandomi il polso – Aiutami a chiuderlo -.

Il gancio era piuttosto duro, dovetti fare un paio di tentativi e mi guadagnai un mezzo sguardo di scherno.

- Avrei dovuto fartelo fare da solo, così sarei stata io l’ultima a ridere -.

- Saresti rimasta incantata dai miei occhi verdone -.

Mi morsi un labbro, non ero certa se ridere o rispondere a tono, optai per colpirli leggermente una spalla, alzando lo sguardo al cielo.

- Ho toccato un nervo scoperto -.

- Ma sta zitto! -.

- Mm, siamo sulla difensiva o sbaglio? -.

Cercai il modo più veloce per farlo capitolare e, dopo una brevissima ispezione, mi buttai sui suoi fianchi. Lui alzò le sopracciglia, però non fece altro.

Non era la reazione che volevo, - Non soffri il solletico? -.

- Era quello che cercavi di fare? Comunque no, non lo soffro -.

Mi bloccai con una mano sul suo fianco e una sulla pancia, poco sotto l’ombelico.

- In realtà sei un robot, giusto? -.

- Non tutti soffrono il solletico -.

- Baggianate -.

- Quindi mi stai dicendo che tu lo soffri? -.

Risposi con il no meno convincente della mia vita, e subito lui passò all’attacco.

Ero estremamente sensibile al solletico, bastava che qualcuno mi sfiorasse i fianchi o le cosce per mettermi in difficoltà.

Sentii delle lacrime minacciare di cadere, cercavo di bloccarlo dalle spalle, ma le braccia di Raffaele erano più lunghe delle mie, perciò mi ritrovai mezza stessa sul muretto con lui a pochi centimetri da me.

Da quella prospettiva gli occhi di Raffaele parevano brillare.

Forse non si era allontanato troppo dalla realtà con la supposizione precedente, quel verde era abbastanza ipnotico.

Ero pronta a chiedere pietà quando ci si parò da vanti una persona. Alzammo gli occhi, era Gennaro.

- Siete scomparsi, mi hanno mandato a cercarvi -.

Ci raddrizzammo entrambi, i volti ancora illuminati – Aspetta ti hanno fatto uscire senza problemi? -.

- Sì -. Disse confuso il mio amico.

- Ma che cavolo! -. Mi alzai e notai che il buttafuori era distratto da uno con la maglia dello staff.

- È attento solo quando cerchiamo di passare noi giustamente -.

- Chi scusa? -. Domandò Genna.

- Nessuno -. Rispose Raffaele, prese me per mano e lui per un braccio trascinandoci nel locale prima che l’omone decidesse di tornare a prestare attenzione ai ragazzi sull’uscio.

Vicino al bancone Diego e Delia ballavano e chiacchieravano.

Ci mettemmo qualche secondo per far capire a tutti il motivo che ci aveva trattenuto all’esterno del locale, dopodiché decidemmo di entrare nel vivo della serata, facendoci strada fino ad arrivare sotto alle casse.

Il Dj era giovane, ma se la cavava bene.

Ci scatenammo tutti assieme, alternando movimenti imbarazzanti a momenti nei quali seguivamo il ritmo senza fare i buffoni.

Ridemmo e ballammo fino a rimanere senza fiato. Quando ci fermammo stava sorgendo il sole.

- Che ore abbiamo fatto? -.

- Fammi controllare -. Mi disse Diego estraendo il cellulare dalla tasca.

Erano le cinque e ventisei e nessuno aveva sonno.

- Ci siamo fatti la chiusura dai, non è andata male come serata -.

- Affatto, ma io non voglio già tornare a casa -.

Ridacchiai - ‘’Già’’? È l’alba Dede -.

- L’ora perfetta per fare colazione, o potremmo andare in spiaggia per vedere il sole che sorge -.

- E morire assiderati -.

Sembrava che i nostri ruoli si fossero invertiti. Per la prima volta da quando ci eravamo conosciute lei era quella che proponeva di fare pazzie e io colei che faceva tornare tutti coi piedi per terra con fare sarcastico.

- Va bene, ma un cornetto non me lo toglie nessuno ora -.

- Ho una certa fame anch’io – Intervenne Gennaro.

- Colazione sia! -.

Diego era pronto ad assecondare i desideri di tutti senza pensarci due volte.

Non riuscivo a decidere se quello era un pregio o un difetto.

Forse assumeva una connotazione positiva per quelli che passavano del tempo con lui, ma a lungo andare dubitavo fosse utile a Diego stesso.

Era anche per questo che Raffaele mi aveva chiesto di badare a lui l’altra sera con Luisa?

Questo era uno degli aspetti della parte influenzabile del riccio?

Però più che influenzabile, l’avrei definito accomodante.

Lasciai perdere quel filone di pensieri quando raggiungemmo l’auto. I veicoli in movimento erano sempre stati più potenti delle ninne nanne per me, infatti mi addormentai.

Quando aprii gli occhi fu a causa del profumo di crema che mi lambiva il naso.

Delia mi sventolava un sacchetto sotto al mento, Lo presi, avevo i movimenti rallentati.

I ragazzi non erano nei paraggi.

Chiesi: - Dove sono tutti?  -.

- Dovevano andare in bagno -.

- Tu sei a posto? -.

Annuì.

- Ti sei divertita stanotte? -.

- Diego è simpatico -.

- Diego sta frequentando Annamaria -.

- Oh, l’avevo dimenticato -.

- È la prima volta che la tua memoria fa cilecca -.

- Che dici, sarà almeno la seconda -.

- Scema -.

Durante la chiacchierata mi ero stesa, e in quel momento la guardavo dal basso, la testa poggiata sulle sue ginocchia.    

- Dede? -.

- Dimmi -. Rispose mentre mi carezzava i capelli con una mano.

- È da prima che accenni a discorsi strani, è per i tuoi? -.

Fece finta di non sentirmi, o forse mi ignorò palesemente.

- Dede -. Ripetei.

Sbuffò – Magari così torneremo alla normalità, se trovo un ragazzo per bene e glielo presento intendo. Gennaro non dovrebbe più fingere a scuola. Anzi potrei chiedere a Ludovico di uscire, non rifiuterebbe -.

- Ma sì, l’unica a fingere a qual punto saresti tu. Certo il nostro compagno vivrebbe una menzogna, in modo inconsapevole per di più. E tu saresti miserabile, ma a chi importano queste cose? Sono solo piccolezze! -.

Non poteva abbassare lo sguardo perché c’ero io, così lo punto fuori dal finestrino.

- Ti manca? -.

- La vita di prima? Sì -.

- No, parlavo di Gabriella -.

- Non voglio parlare di Gabriella -.

- Perché? -.

- Non posso parlare di lei -.

- Perché Delia? -.

- Perché se penso a lei mi si mozza il respiro, e mi bruciano gli occhi. Perché se cedo mi vengono in mente le giornate passate assieme, e i baci rubati di nascosto al mondo -.

Una goccia calda mi colpì una guancia, Delia stava piangendo.

Mi misi dritta e la circondai con le braccia. Non strinsi troppo forte, a farlo ci pensava lei.

Vidi i ragazzi avvicinarsi all’auto, con un veloce cenno del capo dissi loro di tornare indietro, del pubblico era l’ultima cosa necessaria.

Quando si fu calmata le dissi – L’altro giorno ho scambiato due parole con tua mamma -.

- Cosa? Che le hai detto? -.

- Che non sembravi molto felice -.

- E lei? -.

- Vuoi che sia sincera? Si è incazzata, però la cosa sulla quale ha insistito non era tanto il fatto che ti piacciono le ragazze, ma piuttosto la bugia -.

Tirò su col naso.

- Sei seria? -.

- Sì, sembrava davvero dispiaciuta all’idea che tu le avessi mentito per anni -.

- Dispiaciuta -.

- Già -.

- Non capisco -.

Scacciai i capelli che mi penzolavano davanti al viso – Hai mai provato a considerare che tua madre sia più comprensiva del previsto riguardo a certe cose? Voglio dire, sappiamo tutti quanto ci tenga alla religione, ma le parole di Gesù sono anche ‘’ Ama il prossimo tuo come te stesso ‘’ ed è stato Dio a comandare ‘’ Non dire il falso ‘’-.

Continuai - Pretendere che tu menta sulla tua identità e odiarti non sono cose molto Cristiane. -.

- Aspetta un attimo, lei ha smesso di parlarmi dopo aver saputo di Gabriella -.

- Chissà, magari lo ha fatto perché ci è rimasta male. Ha sempre avuto una certa idea di te, idea che tu hai contribuito a costruire. Quando ha scoperto la verità, ha anche scoperto la menzogna -.

- Non può essere così facile -.

- Non deve essere tutto difficile -.

Delia si asciugò le lacrime, qualche riga di mascara le segnava il volto.

- Oggi sono un disastro -.

Le passai uno specchietto che avevo in borsa ed una salvietta struccante, cose che non mi mancavano mai in borsa.

Si aggiustò alla bell’e meglio, poi mi ringraziò.

Le avevo dato una piccola speranza, pregai con tutta me stessa di non aver fatto un danno.

Ci volle ancora un po’ prima che i ragazzi tornassero di nuovo da noi, a quel punto avevamo abbandonato gli argomenti corposi e ci eravamo concertate su cose che potessero distrarci.

Nessuno fece domande, erano ragazzi intelligenti.

A guidare era Raffaele, accompagnò per primo Diego che abitava in provincia.

Poi toccò a Gennaro e a qual punto credetti dovesse lasciare me, invece si diresse a casa di Delia.

Lasciata la mia amica si avviò verso la mia strada.

- Potevi accompagnarmi prima di Dede, ora ti tocca rifare il giro di mezza città -.

- Sopravvivrò… La tua amica sta bene? -.

- Se la caverà anche lei -.

- Anche tu parevi scossa prima -.

- No, è che non mi piace vederla stare male. Gennaro che vi ha detto? -.

- Problemi di cuore, ma non ha specificato -.

- Ha fatto bene -.

- Tanto brutto da non poterne parlare? -.

- Più che altro è una cosa privata -.

- Okay -.

La musica del nuovo album dei Linkin Park era un sottofondo non intrusivo che stimolava il discorso, invece di impedirlo.

- Suggerirmi di venire con voi è stata un’ottima idea. La serata era ciò che serviva -.

- Meglio così -.

- Davvero, Delia ne aveva bisogno, anche se magari dal tuo punto di vista per lei non è stata un successo. E poi anche io mi sono trovata molto bene -.

- Anch’io -.

Imbucò la stradella di casa mia.

- Beh siamo arrivati, direi che mi tocca scendere -.

- Puoi restare per qualche altro minuto, se preferisci -.

Alzai le spalle e mi poggia di nuovo comodamente al sedile, qualche stella si intravedeva anche da lì, nonostante i lampioni accesi.

Restammo così, circondati dalla quiete, a quel punto anche la radio era spenta.

Il silenzio che ci avvolgeva però, non era di quelli pesanti, che vorresti riempiere a qualsiasi costo, al contrario era piacevole, confortante, quasi familiare.

Dovevo aver passato troppo tempo con Raffaele nei giorni precedenti, perché raramente cose come quella accadevano a me.

Margherita Suonabassi era sempre stata una di quelle persone che iniziano a sparare cazzate pur di evitare le pause imbarazzanti. Il fatto che non avessi ancora fatto qualche battuta terribile era la dimostrazione che ormai per me Raffaele era un amico vero e proprio.

Il tepore dell’aria condizionata e la situazione in generale mi avevamo messa tanto ad agio da farmi ritornare sulla soglia del mondo di morfeo.

- Ti va di uscire domani? -. Mi svegliò la voce di Raffaele.

- Sicuro di riuscire a sopportare me e i miei amici per due giorni di fila? -.

- Tutti e tre forse è troppo, ma se sei sola posso cavarmela -.

Lo guardai con gli occhi socchiusi, mi stava chiedendo un appuntamento?

- Avrei giurato di essere quella meno gestibile -.

- Vorrà dire che mi metterò d’impegno -.

Sorrisi – Vedremo se sarai all’altezza -.

 

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Capitolo 21
*** Zucchero filato. ***


21. Zucchero filato.

Un appuntamento.

Avevo un appuntamento con Raffaele.

Che cosa mai ci trovasse in me non lo capivo proprio. Lui era una persona tanto sicura di sé, ed io ero un involucro tenuto su da ansia e svariate endovena di caffeina.

Persino la scelta degli abiti mi pareva difficile, e non avevo nemmeno Delia e Genna con me per darmi consigli.

Non mi pareva il caso di parlare di appuntamenti alla prima, e sapevo che Gennaro avrebbe passato la giornata con lei, quindi anche lui era fuori dall’equazione.

Alla fine mi ritrovai seduta davanti all’armadio, a contemplare abiti che conoscevo già a memoria.

Non avevo idea del luogo in cui saremmo andati. Perché al posto di un tentativo di battuta sagace non avevo fatto qualche domanda in più?

Guardai l’orologio, mancavano venti minuti, forse avrei potuto iniziare dal truccarmi.

Non sapendo ancora cosa avrei indossato optai per dei colori neutri. Avevo appena finito col mascara quando il telefono squillò, risposi in fretta.

Avevo detto a Raffaele di chiamarmi al posto di suonare perché erano le tre del pomeriggio e mia madre aveva il turno serale, dunque fino alle cinque ne approfittava per riposare.

Indossai un semplice jeans nero con una camicetta a spalle scoperte verde militare, era pomeriggio di certo non saremmo andati a cena in un ristorante Michelin.

Mentre il portone mi si richiudeva alle spalle, riuscii a vedere Raffaele. Era in piedi davanti alla sua auto parcheggiata, non lontano da dove ero io.

Nemmeno lui era troppo elegante, il che mi diede un po’ di sicurezza in più riguardo al mio aspetto in generale.

In un jeans e una camicia azzurrina era davvero bello.

Lo raggiunsi, un mezzo sorriso imbarazzato in faccia, mi salutò con due baci sulle guance e mi aprì lo sportello.

Nulla di diverso dal normale, lo aveva già fatto in passato quando avevamo unito le forze per aiutare Debora, e a quei tempi a mala pena ci sopportavamo, eppure in quella situazione tutto sveva un effetto diverso.

Volevo parlare, sciogliere la mia tensione, così optai per una domanda ovvia ma sicura – Allora hai già qualche idea su dove andare? -.

- Sì. -.

Aspettai per qualche momento che continuasse, ma nulla, così lo incalzai – E questo posto è? -.

- Un po’ insolito credo, ma penso che non ti dispiacerà. -.

- Sì, un pochino di specificità in più sarebbe gradita. -.

- Ti da tanto fastidio essere all’oscuro? -.

- Per quanto ne so potresti portarmi in un campo deserto e ammazzarmi. -.

- Hai ragione. -.

Lo guardai con occhi sgranati - Come scusa? -.

Rise – Quello che intendevo è che hai ragione a non essere pienamente a tuo agio con un ragazzo che conosci da poco, soprattutto se sei nella sua auto e non sai dove è diretto. Facciamo così, manda un messaggio a qualcuno di cui ti fidi, scrivigli con chi sei e magari invia la posizione, fallo anche quando saremo arrivati. Saresti più tranquilla in questo modo? -.

- Se lo faccio adesso però, sembro una sciocca. -.

- Perché? La tua sicurezza deve essere una priorità, non ci vedo nulla di insensato in questo. -.

L’idea che Raffaele posse farmi del male in modo serio non mi aveva mai sforata, ma dire a Gennaro con chi ero non avrebbe ucciso nessuno, perciò lo feci.

- La tua amica come sta? -.

- Meglio di quanto mi aspettassi, anche se potrei aver combinato un casino. -.

- Quando capirai se l’hai fatto per davvero? -.

- Probabilmente stasera. Aspetto aggiornamenti. -.

- Se non è il giorno giusto possiamo rimandare, non farti problemi. -.

- Macché, anzi magari in questo modo eviterò di passare tutto il pomeriggio stressandomi. -.

- Allora sarà una sfida ancora più grande di quella che mi ero prefissato. -.

- Eh già, non ti toccherà solo sopportarmi, ma persino intrattenermi! Anche se mi domando se sia possibile fare entrambe le cose contemporaneamente. -.

- Mi prodigherò per riuscirci. -.

Sorrisi – Sei quasi troppo gentile stasera. -.

- Non te lo aspettavi?  -.

- Ammetto che temevo molti più fuochi d’artificio. -.

- Io pensavo volessi aspettare almeno sera per quelli, ma se preferisci… -.

Cercai con tutta me stessa di non arrossire, ma anche se lui non si voltò a guardarmi, capii dal sorriso che gli aleggiava sul volto, che aveva visto le mie guance tingersi di rosso.

Decisi però di non dargliela vinta - Se non fossi attanagliata dalla curiosità sul posto dove vuoi portarmi accetterei, le zone di sosta in tangenziale sono sempre state il mio debole. -.

Per un secondo puntò lo sguardo su di me – Ah sì? -.

- Nessuna delle sue opzioni si potrà mai avverare se ci schiantiamo. -.

Scosse il capo.

Dal finestrino vedevo i paesini passare, erano più di venti minuti che eravamo in auto, la curiosità aumentava ad ogni chilometro, così per distrarmi decisi di buttarmi sulla musica.

- Ti spiace se cambio canale? -.

- Fai pure. -.

Iniziai a girovagare tra le varie stazioni finché non arrivai ad una che trasmetteva Caparezza.

- Preferisci la musica italiana a quella straniera? -.

- No, in realtà ascolto un po’ di tutto, ma preferisco la musica ai presentatori radio che blaterano a vanvera ed era da almeno un minuto che non mettevano una canzone su quel canale. -.

- Un limite temporale di tolleranza piuttosto breve. -.

Un verso incredulo mi uscì dalla bocca - Da che pulpito! Al nostro primo incontro mi hai quasi lasciata per strada per la brevità della, come hai detto? Ah già del tuo limite di tolleranza temporale. -.

- Non era esattamente la stessa cosa. -.

- Oh hai ragione, il mio gesto non ha avuto conseguenze su nessuno, il tuo d’altro canto. -.

- Hai ritardato di venti minuti senza avvisare. -.

Avevo visto Raffaele infastidito, ed ero certa che quello non era nulla più che un punzecchiarsi in modo giocoso, perciò non mi fermai.

- Ancora con sti venti minuti? Erano una decina, sei tu quello che mi ha lasciato mezz’ora al freddo e al gelo. -.

- Chi è che altera i numeri ora? -.

- La parte del freddo non lo puoi negare però. -.

- Non l’ho fatto. -.

- E non hai intenzione di scusarti? -.

- Sembra anche a te un déjà-vu? -.

- Non sei incazzato con me stavolta, quindi no. -.

- Non lo ero neanche la prima. -.

- Ma se mi guardavi a mala pena! Ed eri scorbutico, come un vecchietto che si lamenta dei giovani: ‘’Non mi è sembrato carino il tuo ritardo; La puntualità è importante‘’ -.

Bloccò la mia bellissima imitazione commentando: - Ricordi le esatte parole che ho usato? -.

- Le ricordi anche tu. -.

- Questo perché ho una buona memoria, la tua fa schifo. E non è una critica, ma un dato di fatto. -.

Aveva parecchie ore passate a cercare di farmi memorizzare roba durante le lezioni dalla sua parte, più tutte le volte nelle quali io stessa l’avevo ammesso.

- Non è questo il punto! -.

Il mio tonò suscitò più ilarità di quanto immaginassi, vidi il naso di Raffaele arricciarsi, e mi sembrò di sentire un leggero grugnito. Non riuscii a trattenermi e scoppiai a ridere anch’io, era stata una cosa talmente inaspettata.

- Per caso ridi di me? -.

- No, no, assolutamente. -.

- Molto convincente. -.

- Okay forse un po’, ma in maniera del tutto innocente giuro. -.

- Siamo ancora in auto e già mi hai ferito. -.

- Ma dai! Hai una risata bellissima. -.

- Troppo tardi, il mio orgoglio ne sta risentendo. -.

- E se quando arriviamo in qualunque posto siamo diretti ti compro un gelato? O dello zucchero filato? Un caffè con otto bustine di zucchero come lo bevi tu? -.

- Ci penso. -.

- Non chiedo altro. -.

Sul lato destro della carreggiata vidi una statua che mi era familiare, un Cristo vestito, con le braccia tese. Ad occhio era poco più alto di quanto lo ero io, spiccava sull’orlo dell’uscita di una stazione di servizio, lo avevo visto per la prima volta quando Obi mi aveva portata ad Ostuni.

Mi stava forse portando lì?

Non feci in tempo a chiederlo a voce alta che Raffele svoltò.

Non eravamo ancora ad Ostuni, ma a Fasano.

- Lo Zoo? -. Domandai sorpresa.

- L’altra sera, alla festa in villa, hai detto che non ci eri mai stata, e che avresti voluto vederlo prima o poi. Ho pensato di approfittarne. -.

Era stata una cosa detta nel mezzo di un discorso più ampio, non pensavo ci avesse fatto caso nessuno.

Sorrisi a trentadue denti, non sapevo cosa dire, era un gesto talmente dolce.

La coda per i biglietti non durò a lungo, poiché Raffaele li aveva preordinati online.

Nel giro di venti minuti eravamo nello Zoo.

Per la prima volta vidi dal vivo e non in uno schermo televisivo, dei leoni, con le loro pose maestose, gli elefanti, enormi e dallo sguardo intelligente, e le giraffe, alte quanto palazzi.

Scattammo foto con ogni animale sul quale posavamo lo sguardo. Ero così affascinata da tutto da rivaleggiare con i bimbi più entusiasti che come me girovagavano per il parco faunistico.

Raffaele sembrava apprezzarmi in quella veste infantile, anzi persino lui si era lasciato trascinare in alcune tra le pose più strambe.

Alla fine del giro avevo dei piedi doloranti, ma ancora tanta adrenalina in corpo.

- Che vuoi fare? -. Mi domandò Raffaele.

- Ti devo ancora le bustine di zucchero no? C’è un bar in questo posto -.

- Ho un’idea migliore. -.

Camminammo a mani intrecciate fino a che non raggiungemmo il parco divertimenti di Fasanolandia, proprio accanto allo Zoo.

C’era un carretto, uno di quelli che si vedono nei film anni cinquanta, proprio sotto la ruota panoramica. Vendeva pop corn e zucchero filato colorato, ne comprai un paio multicolore e ci sedemmo su una panchina a chiacchierare.

Da quei dolci colorati guadagnammo un’altra foto: sullo sfondo la montagna russa più alta del parco, poi noi, la mia tempia poggiata alla sua ed in basso, a coprirci la bocca, gli arcobaleni di zucchero.

- Questa è bella! Te la passo. -.

- Quell’anello è maschile? -. Mi chiese Raffaele indicando il gioiello argenteo che portavo al pollice.

- Sì, teoricamente è di mio fratello, ma gliel’ho ufficialmente rubato. -.

- Fammelo provare. -.

- Solo se tu mi fai provare uno dei tuoi, quello che porti al medio. -.

- Questo? -. Mi chiese sfilandoselo.

Era abbastanza grande, ma riuscii ad infilarlo su un indice. Una fascia di un centimetro color argento, vi era inciso il padre nostro.

- Non sapevo fossi religioso. -.

- Perché non lo sono, o meglio non del tutto, quello però me l’ha regalato mio zio. -.

- Un modo gentile per dirmi che devo ridartelo? -.

Sorrise - Diciamo di sì, perché avevi intenzione di tenerlo? -.

- Beh, è un bell’anello, perché non dovrei volerlo? -.

- Giusto, almeno ora so cosa ti piace. -.

- Col pupazzo non sei andato male, era molto carino. Piuttosto, sono io quella che ha bisogno di più informazioni. Dimmi un po’, cosa ti piace? -.

- Mhmm, domanda difficile. -. Entrambi avevamo quasi finito di mangiare, tutt’attorno a noi famiglie e ragazzi scorrazzavano tra le varie attrazioni. Qualcuno mi passò alle spalle correndo, era tanto vicino da farmi sentire il movimento del vento, non capii se fosse una bimba o un bambino con i capelli un po’ più lunghi perché Raffaele mi stava fissando le labbra e l’effetto della cosa non mi dispiaceva.

Pensai che se in quel momento mi avesse baciato, il tutto sarebbe sembrato uno stereotipo da film americano per ragazze, poi però mi baciò sul serio, e non pensai più a nulla.

Per un piccolo istante mi sentii perfettamente a mio agio, il profumo, le labbra morbide, la mano che mi sfiorava il mento, tutto era perfetto.

Prima di Raffaele avevo baciato altri due ragazzi.

Il primo era stato la mia cotta dei dodici anni. Eravamo nascosti in un parco assieme ad altri amici, nascosti perché facevamo qualcosa che al tempo era una grande trasgressione: giocare ad obbligo o verità.

Un’amica, sapendo della mia cotta per Orazio, lo aveva sfidato a baciarmi. Una cosa casta, a stampo, forse anche un po’ imbarazzante sotto gli occhi di tutti i nostri amici.

Il ricordo che mi aveva lasciato era di inesperienza e sapore di maionese, mi ero ripromessa di non baciare più nessuno dopo un pasto.

Il mio secondo bacio, l’unico che prima di Raffaele aveva contato veramente, era stato quasi romantico.

Io e Jacopo a quel tempo avevamo sedici anni, ci eravamo conosciuti in vacanza al mare, e una sera, dopo quasi un mese di sguardi e battutine, ci eravamo ritrovati in spiaggia a guardare le stelle.

Quella sera era fredda, lui mi offrì di condividere un’asciugamani come coperta, per farlo fummo costretti ad avvicinarci così tanto l’uno all’altra da respirare praticamente la stessa aria.

Lui mi guardò e mi chiese se poteva fare una cosa, io annuii.

L’atto vero e proprio del bacio però era abbastanza confuso nella mia mente.

Quando la sorpresa iniziale delle labbra di Raffaele sulle mie passò, mi ritrovai ad essere ipercosciente di tutto quello che accadeva.

La pressione della sua lingua sulla mia, il calore delle nostre bocche, il rumore del carretto dello zucchero filato a pochi passi, i gridolini della gente che affrontava le curve più temibili delle montagne russe.

Persino il suono del respiro di Raffaele era cristallino e fin troppo forte alle mie orecchie.

Era un momento molto bello ed io stavo per rovinarlo.

Sapevo che quelli erano sintomi della mia ansia che cresceva, la stessa maledetta che mi chiedeva se sapevo quello che facevo, la stessa che mi diceva ‘’sicuramente non baci bene, lui lo pensa, lui lo sa, lui ormai è consapevole della tua inesperienza‘’. Sempre quella che portava quelli sciocchi pensieri all’esasperazione.

Ero consapevole di ciò a cui andavo incontro e sapevo di non poter fare molto per bloccalo, forse non volevo nemmeno bloccarlo, perché per farlo avrei dovuto interrompere il bacio. Preferivo godermi fino all’ultimo secondo possibile quella cosa bella che mi stava capitando, quella che desideravo e che avevo cercato per tutto il giorno, e poi scappare via, piuttosto che lasciar vincere la mia ansia ancora una volta.

Con il passare dei mesi avevo imparato a dissimulare, perciò non feci fatica a nascondere la mia rigidità, né tantomeno a giustificare il respiro affannoso con il trasporto dovuto al momento.

Prima che potesse notare qualcosa gli misi tra le mani le rimanenze del mio zucchero filato e con un sorriso accampai una scusa per allontanarmi.

Mi avviai verso il bar, era plausibile che andassi lì dato che avevo detto di aver sete, ma al posto di entravi feci il giro della struttura così da ritrovarmi tra il muro e la recinzione del parco.

C’erano alcune persone in giro, perché essendo un parco turistico ogni angolo era popolato, ma nessuno era tanto vicino da potermi dare fastidio.

Poggiai una spalla al muro, per simulare scioltezza, poi anche la testa.

La parete fredda contro la guancia mi riportò un passo più vicina alla calma, era una cosa solida, che potevo sentire e alla quale potevo aggrapparmi nel turbine del panico.

Pensai a come Raffaele mi avesse aiutato l’ultima volta nel bagno della scuola, e a quanto desiderassi fosse con me anche in quel momento.

Non potevo chiedere aiuto a lui però, e non perché fosse egli stesso la causa scatenate quella volta, perché infondo avevo imparato che non dipendeva dall’accadimento di turno, quel panico era tutto mio. Semplicemente sapevo anche che non sarei stata in grado di spiegargli che quel piccolo buco nero non mi succhiava via forza e tranquillità solo nei momenti brutti, a volte si presentava anche in quelli belli, e ancora più spesso mi aggrediva quando non provavo proprio nulla. Nessuno lo capiva mai.

‘È colpa del brutto voto’, dicevano, ‘Sarà a causa del litigio, ma vedrai che passerà’, ‘Perché sei triste? Perché sei in ansia? Non ne hai ragione, hai una vita tanto fortunata’, ‘Pensa a chi ha problemi veri invece di inverartene di inesistenti e piangere per il nulla’.

Quante volte avevo sentito fasi del genere, e per quanto Raffaele mi fosse stato accanto la volta precedente, temevo di udire parole simili anche da lui.

Era più facile ammettere un attacco di panico se a giustificarlo c’era un evento negativo.

In quel momento la delusione che provavo verso me stessa era tanto forte da essere quasi una presenza, per un attimo credetti di percepirla realmente mente mi lambiva la pelle, poi però vidi attraverso gli occhi offuscati dal panico delle mani posarsi sulle mie.

Non stavo immaginando quelle sensazioni, c’era realmente una persona dietro di me che mi abbracciava.

Voltami era un’impresa titanica, perciò ci rinunciai senza neanche provarci. Sapevo già che era Raffaele, avevo memorizzato il suo profumo solo pochi minuti prima.

Feci per scusarmi, tuttavia lui mi zittì delicatamente.

- Va tutto bene. -.

- Non è vero, io… io non so cosa dire, mi spiace che tu debba subire questa scena imbarazzante. -.

- Non ho ragione di essere in imbarazzo, come non ne hai tu. È tutto a posto, tranquilla. -.

- La colpa è mia, tu non c’entri niente… credimi non dipende assolutamente da te, o dal bacio, o dalla giornata in generale... -.

- Margherita? -.

Feci un respiro profondo – Dimmi -.

- Non pretendo di capire quello che ti passa per la mente in questo istante, ma suppongo che cercare di spiegarmi la cosa adesso non ti aiuti, quindi facciamo una cosa. Ora vado a comprare una bottiglietta d’acqua così tu bevi qualcosa, poi restiamo qui finché ne avrai bisogno. Non importa se saranno cinque minuti o due ore, io non ho fretta. Se alla fine ti sentirai meglio e ne avrai voglia, faremo un giro sulle montagne russe e dopo andremo sulla torre okay? -.

Feci di sì col capo, Raffaele aspettò comunque qualche istante prima di lasciarmi andare.

Quando fu di ritorno con l’acqua ci sedemmo, passò una mezzora prima che mi sentissi in grado di affrontare le giostre. In quel tempo Raffaele tenne fede alle sue parole e non mi fece alcuna pressione per scoprire cosa era successo.

Le montagne russe furono più spaventose del previsto, tuttavia la mano di quel ragazzo dall’apparenza tanto burbero non mi lasciò nemmeno per un secondo.

Il ritorno verso Bari fu lungo, avevo necessità di rassicurare Raffaele e spiegarmi, ma non trovavo il coraggio per farlo. Arrivati sotto casa mi obbligai a parlare.

- Tu mi piaci. -.

Ma cosa dici Margherita? Cosa centra ‘sta cosa adesso? Pensai.

La frase mi era uscita di botto e di certo non era quella con la quale avrei voluto iniziare il discorso, lui però non lo sapeva, anzi si aspettava che continuassi a parlare.

Mi dissi che ormai il danno era fatto, una figura di merda in più in quella giornata non avrebbe cambiato nulla, poi ripresi – Appurato questo, potrai capire che il mio momento di defiance non ha nulla a che vedere con una reazione negativa a quello che è successo tra di noi. -.

Alla sua non risposta chiesi -Beh? Nessun commento da fare? -.

- Usi sempre un linguaggio tanto formale quando cerchi di spiegarti? -.

Lo fissai, aveva il suo sguardo mezzo beffardo, - Tu sei una persona davvero antipatica. -.

Rise – Marghe, ho capito quello che vuoi dirmi, e ti credo, ma temo che per esserne certi ci toccherà ricostruire una situazione simile. -.

- Cioè vuoi baciarmi ancora per amore della scienza? -.

- In principio sei venuta da me per la chimica no? Dovresti sapere che ci tengo a queste cose. -.

- Sei veramente un’idiota -. Dissi ridendo.

Mi sfiorò la guancia con le labbra, io lo guardai ed uscii dall’auto.

Aspettò che entrassi nel portone prima di mettere in moto per andare via, quando fui certa di non sentire più il rumore del motore scesi e andai in cortile, avevo bisogno di aria fresca.

Seduta lì iniziai a riflettere. Raffaele era riuscito non solo a salvare la giornata, ma anche ad affrontare il discorso alleggerendolo dalla pesantezza che aveva caratterizzato il viaggio, nonché da quella che avevo dato io alla cosa.

E oltretutto non era scappato a gambe levate.

Mi aveva visto, per la seconda volta, in uno dei miei momenti meno appaganti, aveva assistito ad un mini attacco di panico dopo un bacio.

Chiunque avrebbe deciso di mandarmi male e trovarsi una ragazza più tranquilla, lui invece non solo era rimasto, ma mi aveva persino fatto intendere che voleva continuare quella frequentazione.

Voleva rivedermi.

Voleva ribaciarmi.

 

 

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