L'inganno dell'apparenza

di _Nausica
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Wabi-Sabi ***
Capitolo 2: *** Trouvaille ***
Capitolo 3: *** Discombobulate ***
Capitolo 4: *** Xibipiio ***
Capitolo 5: *** Yuán fèn ***
Capitolo 6: *** Henko ***
Capitolo 7: *** Impasse ***
Capitolo 8: *** Depanneur ***
Capitolo 9: *** Orenda ***
Capitolo 10: *** Wonder ***
Capitolo 11: *** Desbundar ***
Capitolo 12: *** Samar ***
Capitolo 13: *** Fil rouge ***
Capitolo 14: *** Serendipity ***
Capitolo 15: *** Ohana ***
Capitolo 16: *** Aware ***
Capitolo 17: *** Rimihim ***
Capitolo 18: *** Kairos ***
Capitolo 19: *** Kilig ***
Capitolo 20: *** Hanyauku ***
Capitolo 21: *** Ubuntu ***



Capitolo 1
*** Wabi-Sabi ***



 
Sembrava l'inizio di una qualche felicità.
Poi si sa come vanno le cose, scivolano sempre, impercettibili, non c'è verso di fermarle, se ne vanno, semplicemente se ne vanno,
hai un bel cercare di fermarle: se ne vanno.


 

CAPITOLO I

 

Wabi - Sabi 




 

La villa in pietra bianca che la famiglia Weasley aveva affittato per le vacanze estive era avvolta dal verde londinese e si diramava, tra le fresche fronde, attraverso un ampio sentiero che sfociava nel lago aperto. La signora Weasley non aveva potuto trattenere un’esclamazione di giubilo a tale vista e si era immersa nel panorama bucolico con uno spirito da esploratrice, che non poco aveva fatto preoccupare l’interdetto marito.
Certo non le era mancato il sostegno da parte della famiglia, o più precisamente era stato il giovane Hugo, curioso e agile come un felino, ad accompagnare la madre in una solerte analisi del mondo campestre, esausti entrambi del grigiore della capitale, dalla quale tutta la famiglia Weasley tentava di evadere con la contemplazione di una realtà più esotica e spontanea.
Più di tutti, Ron Weasley aveva osservato la figlia maggiore, Rose, per tempra a lui tanto più simile di quanto Herimione avesse piacere di ammettere, passeggiare con piedi leggeri lungo la riva del lago, la mente assorta in chissà quali pensieri e lo sguardo vacante, lieve come i suoi passi, o mentre si abbandonava nel lago aperto all’ondeggiare della barca, inabissata in lontane letture.
Che alla sua esuberante bambina, briosa e intelligente fosse subentrata una difficile ragazza, facilmente irritabile, dallo spirito sagace ma troppo spesso scettico e stizzito, Ron lo attribuiva all’età delicata e passeggera, mentre la madre sosteneva, arricciando il naso e alzando gli occhi al cielo, che quei geni erano fin troppo radicati in famiglia, per essere un’ increspatura momentanea della sua dolce rosa.
Tuttavia in lei Ron coglieva anche delle sfumature che appartenevano alla moglie, delle piccole crepe lungo la sua dura corazza che la ragazza nascondeva abilmente, ritenendole, ancora ingenuamente, debolezze, ma che allo sguardo accorto del padre di certo non sfuggivano: erano i momenti in cui si imbarazzava per qualche complimento ampolloso o quando le ferite dell’animo si confondevano con un’ indole impetuosa e lo sguardo, che si affrettava ad abbassare, era umido e offeso.
 

Ron Weasley consumava la sua colazione delle dieci sul terrazzino che la moglie con cura aveva ornato di piante e piccole composizioni floreali. La colazione che Hermione gli aveva preparato quella mattina era impeccabile e, con le pagine del giornale sospese a mezz’aria,  Ron si godette le ultime frittelle al miele, l’ultima brezza estiva, l’ultima vista dei suoi figli che nuotano spensierati.
Fu in quel momento che un’idea gli balenò in testa, la moglie meditativa fece capolino dalla finestrella della cucina e bastò uno sguardo perché i due coniugi si comprendessero e giungessero ad una definitiva e inaspettata decisione: la famiglia Weasley si sarebbe trasferita nel casale sul lago.
 

Nella camera da letto al terzo piano un tenue fascio lucente penetrò attraverso le tende color mandorla, solleticando il viso addormentato di Rose. Immersa nel calore avvolgente del sonno, la ragazza si convinse ad aprire timidamente gli occhi, dopo l’incalzante graffiare di Ofelia lungo le lastre della porta.
Hermione a lunghe falcate percorreva frettolosamente il corridoio, affaccendata nelle ultime mansioni della mattina e distrattamente aprì la porta, concedendo l’ingresso della soddisfatta cagnolina.
Rose soffocò un lamento di dolore quando Ofelia con un balzo coraggioso atterrò sulle gambe della padroncina, abbaiando eccitata nella sua direzione. Per tutta risposta la ragazza si voltò dal lato opposto rispetto a quel fragore, coprendo ostinatamente le orecchie con il cuscino: avrebbe rimproverato duramente la madre per questo.
Di nuovo passi affrettati e un colpo secco di nocche premute sulla porta.
Rose spalancò gli occhi, questa volta al culmine dell’irritazione e si issò sul letto furibonda.
  «Mamma» urlò, prima di inciampare in un libro ai suoi piedi: era Vanity Fair, un romanzo di Thackeray che la madre le aveva consigliato, uno dei più belli della letteratura inglese a suo dire. Uno sguardo colpevole a quelle magnifiche pagine spiegazzate bastò per acquietare la sua ira, perché la passione per i libri era una delle poche cose che legava madre e figlia indissolubilmente, creando tra le due donne un affiatamento esclusivo.  La letteratura babbana, poi, era la loro passione.
Raccolse quel ruvido gioiello e lo depose con cura tra gli scaffali, dove disordinatamente i suoi libri si disponevano, mentre molti altri erano stranamente assenti. Con sguardo interrogativo perlustrò l’intera stanza, fino a che la sua attenzione non venne completamente catturata da un angolo buio e dimenticato, coperto alla sua vista dalla scrivania, per chissà quanto tempo.
Lì, semiaperto e abbandonato, si trovava il suo baule. Alcuni indumenti invernali erano ben piegati e disposti con ordine accanto a borselli che per tutta l’estate non aveva toccato. I libri scolastici, impilati l’uno sopra l’altro in una colonna eccessivamente slanciata, avevano perso l’equilibrio ed erano rovinosamente precipitati da quell’altura, atterrando sul pavimento.
Per il resto il baule era ancora vuoto.
La consapevolezza la colse con un brivido gelido che la impietrì. D’istinto osservò il grande orologio color crema appeso alla parete, sopra il letto, dove diverse lancette, indicanti i membri della famiglia, si muovevano freneticamente; solo una rossa e fumante procedeva lentamente sui binari di legno, diretto con angosciante tensione al numero 11.
L’Espresso per Hogwarts sarebbe partito da lì ad un’ora.
E Rose se ne era completamente dimenticata.
Grazie tante, cara mamma, per aver smesso di essere petulante proprio in questa occasione.
Poi si ricordò di quella volta, molto tempo addietro, in cui l’aveva rasserenata, dicendole che sua figlia era diventata responsabile e il baule l’aveva già ben preparato.
 
 

- § - 


 

  «Certo mammina, ti scrivo appena arrivo». Hugo stampò un tenero bacio sulla guancia di Hermione, che strinse a sé il bambino con le lacrime agli occhi.
Rose riservò un lungo e penetrante sguardo accigliato al fratello.
Dopo aver liberato a malincuore Hugo dalla sua stretta, Hermione si rivolse alla figlia maggiore. I capelli della donna, arruffati dal vento, le ricadevano piatti sulle tempie, impregnati di smog e odori della grande città; il respiro era ancora affannoso per la corsa contro il tempo, e le rughe inespressive sulla fronte, solchi segnati da pensieri invadenti, erano chiaro segno della recente discussione con la ragazza.
Lo sguardo grifagno di Rose fu spezzato dalle dita della madre che le carezzavano i capelli sempre disordinati, cercando di domarli.
  «Stanno bene oggi» mentì con occhi sereni. «Sarà stata quella nuova crema che hai comprato».
Le labbra erano corrucciate in una smorfia di concentrazione, ma lo sguardo sorridente e malinconico perlustrava il volto di sua figlia, cercando di scovarne segreti che a lei erano preclusi.
Era la medesima espressione addolorata e preoccupata, cui Rose da molto tempo sentiva, con opprimente senso di colpa, di esserne la causa.
   «Non ti è mai piaciuta quella diavoleria babbana» fu la risposta sincera di Rose.
Gli occhi di Hermione furono attraversati da un velo umido di tristezza e, forse, in quell’istante, si pentì di non aver apprezzato subito quell’idea della figlia. In tale momento, tanto odiato, che precedeva il saluto finale, avrebbe volentieri riavvolto i tre mesi appena trascorsi, e, chissà, compiere delle scelte diverse.
Rose analizzava la madre come ormai aveva preso a fare negli ultimi anni, per scorgere le incertezze e debolezze che avrebbero mandato in frantumi l’immagine di sordida perfezione che l’intero mondo magico e sua madre stessa, si erano creati della magnifica Hermione Weasley, eroina e  guida dello Stato: il miglior Ministro della Magia di tutti i tempi.
Il fischio stridulo del treno penetrò come un aculeo angosciante nel cuore di Rose e la riportò alla tremenda realtà. Era lì, in piedi dinanzi alla madre, affranta dalla sua freddezza, per l’ultimo momento in compagnia prima di separarsi per quattro lunghi mesi.
Guardò nuovamente la donna di fronte a sé e vide solo sua madre. Non un brillante esempio di coraggio, intelligenza e astuzia; non una donna prodiga per il bene dei più deboli; non una saggia guida morale e civile per quella famiglia e per tutto il mondo magico; non una madre severa che esigeva dalla figlia un impeccabile riflesso dei suoi successi.
Vide solo la sua dolce mamma e di slancio la abbracciò.
   «Starò bene mamma». Fu una stretta rapida ma forte.
 Affondò nel petto vigoroso del padre, che la strinse forte a sé e le baciò la fronte. «Mi mancherai piccolina».
  «Anche tu papà» gli sorrise con dolcezza, prolungando il suo sguardo oltre le spalle possenti di Ron per condividere quel momento anche con la madre. Lei ricambiò, portandosi le dita agli occhi.
   «Rosie andiamo» le giunse la voce impaziente del fratello, tra il trambusto del via vai dei passanti.
   «Qualche raccomandazione dell’ultimo secondo?».
Il padre la guardò pensieroso. «Sii forte e battagliera anche solo la metà di quanto lo sei a casa e non avrai problemi.» Poi aggiunse «Le pressioni quest'anno saranno diverse, avvertirai maggiormente il bisogno di divertirti e svagarti» fece una pausa eloquente ad ammonitrice che imbarazzò Rose «ma ricorda sempre i tuoi impegni. Mi riferisco al Quidditch ovviamente». Aggiunse l’ultima battuta sottovoce, ricavando una risatina complice dalla figlia.
L’ennesimo richiamo del treno, convinse Rose a dedicare un ultimo sguardo ai suoi genitori prima di inoltrarsi nella folla. Gente che si affrettava, trascinando bauli e gufi schiamazzanti, le ultime raccomandazioni di mamme in lacrime, studenti che ritrovavano gli amici di sempre con abbracci poderosi: lo scenario di King’s Cross il giorno della partenza dell’Espresso era sempre più turbolento.
Rose non riuscì a distinguere la chioma frizzante del fratello e si incamminò in tutta fretta, facendosi largo tra la moltitudine di parenti.
Doveva affrettarsi, l’incontro con le sue amiche doveva avvenire ai piedi del vagone centrale, ma con il suo ritardo era improbabile che le avrebbe trovate ancora lì.
C’era una persona, invece, che l’avrebbe aspettata in quel punto, ferma al loro appuntamento, a costo di non salire sul treno per Hogwarts e attendere il suo arrivo per l’eternità: era la promessa che si scambiarono quello stesso giorno, cinque anni addietro, sul retro polveroso di una vecchia e anonima macchina, affittata per quell’occasione dai loro genitori.
Come un confortevole richiamo, una mano sventolava rapida, emergendo tra la calca e una massa indomita di ricci neri si distinse sempre di più, man mano che Rose le si avvicinava. Albus Potter tese le mani, pronto a ricevere quelle della cugina, che lo abbracciò raggiante.
  «Ross, mi si stanno incrinando le costole. Proprio in questo momento avverto l’inizio di una frattura multipla scomposta» bofonchiò lui, ridendo.
  «Sbaglio io che ti vedo sempre come il mio cuginone grande e grosso» sorrise lei, lasciando il ragazzo libero di respirare.
Una terza voce, simile a quella di Albus, ma più roca e seria, si intromise con tono querulo. «Il ruolo di cuginone grande e grosso toccherebbe a me, se non ti dispiace». James Potter le parlava distrattamente, restituiendo alla propria immagine riflessa nel vetro del treno, un'espressione corrucciata dinanzi a quel ciuffo sedizioso che non gli ricadeva sul volto nel modo appropriato.
Rose ebbe il dubbio che dovette aver perso molto tempo quella mattina per ottenere un effetto così innaturale.
  «E così saresti tu l’uomo di casa?» gli fece eco Rose scettica, incrociando le braccia sul petto, in una ridicola imitazione dell’atteggiamento pomposo del cugino.
James Potter la guardò di sbieco. «Se hai qualche obiezione a riguardo, ricordati che la settimana prossima ci sono le selezioni».
  «Ma io sono già in squadra» protestò.
 «Ma quest'anno sono io il Capitano» rispose semplicemente lui, abbandonando definitivamente il proprio riflesso per gonfiare il petto in direzione della ragazza. «E l'indisponenza non sarà accettata» concluse, colpendole la testa in un gesto che di goffa tenerezza. 
  «Allora speriamo che nessuno segua il tuo esempio, tesoro». Ginny Weasley gli carezzò la guancia con rassegnazione, sotto lo sguardo contrariato del figlio.
Ginny era una donna ancora molto affascinante, nonostante l’età, e la cura per il suo aspetto fisico era impeccabile. Possedeva la stessa energica freschezza che era stata ereditata dal secondogenito, mentre la più piccola, Lily, timida e docile, vantava i tratti delicati del padre, anche se incorniciati da una tenue e fluente chioma rossiccia.
  «Ragazza, sei sempre più bella» zia Ginny guardò Rose ammaliata e le stampò un profumato bacio sulla guancia. «Sempre più bella e sempre più sfuggente. Non sei venuta nemmeno una volta ad Oxford Street con me per qualche acquisto, questa estate».
  «L’atmosfera del casale sul lago ha catturato un po’ tutti noi. Prometto che a Natale mi accompagnerai in giro per scegliere i regali» rispose Rose, avvolgendo il braccio della zia con il proprio, mentre questa porgeva i panini per il pranzo ai suoi figli, distratti dall’arrivo dei loro amici.
  «Guarda che colorito ti ha regalato il sole, si sposa proprio bene con le tue lentiggini».
Rose rispose con un roco silenzio, denso di tutte le proprie incertezze, mentre la zia procedeva nel consueto encomio che le riservava al termine delle vacanze. Era evidente, a suo dire, quanto bagliori estivi nutrissero alla perfezione i geni importanti del padre. 
Fu il cugino ad accorrere in suo aiuto, afferrando la cugina per il polso e trascinandola via.
La coda per salire sul treno era interminabile e la presenza dei bagagli non facilitava le operazioni dei ragazzi. Per issare il proprio baule, Rose dovette impiegare tutte le sue energia, spazientendo sonoramente chi la seguiva.
La voce impertinente del cugino giunse nel momento meno adatto.
 «Ho visto Nonna Molly muoversi con più energia, Ross» proruppe James Potter, mentre attendeva il suo turno «Percepisco il tuo posto in squadra disperdersi all'orizzonte dei sogni infranti».
 «Chiudi il becco James».
Aveva superato il gradino più alto e l’irritazione si impadronì di sé, impedendole di concentrarsi sulle lastre di metallo che legavano il vagone al successivo. Il baule le sfuggì di mano, stramazzando al suolo, mentre la borsa si infiltrò tra i suoi piedi, facendole perdere l’equilibrio.
Lo schianto fu evitato dal corpo di un passante, che a fatica cercava di raggiungere uno scompartimento libero, mentre la sua precipitosa discesa verso il basso, aveva permesso agli altri ragazzi di salire sul treno. James le passò accanto con l'ennesimo scappellotto di tenero compiacimento.
  «Weasley!» con un sibilo d'irritazione il suo malcapitato salvatore si premurava di corroborare quell'intervento cavalleresco. «Levati subito di dosso».
Rose riconobbe quella voce con la stessa familiarità che riservava all'accoglienza delle zanzare all'inizio di ogni stagione estiva. Il ronzare continuo della sua impudenza le pizzicava intorno con la maestria che solo una persona fra tante avrebbe saputo cadenzare.
Sdegnata si alzò, più in fretta che poté.
  «Dio, Malfoy. Perché proprio tu?» dichiarò rassegnata, mentre recuperava la borsa e il baule.
  «È quello che mi chiedo ogni volta».
In quello spazio angusto, bloccata dalla folla occlusa, Rose osservò Scorpius Malfoy, rimettersi in piedi e ricomporre quell’aspetto strategicamente trasandato che lo aveva sempre contraddistinto.
La prima, irrazionale reazione che ebbe Rose fu quella di strabuzzare meravigliata gli occhi.
Fu solo per una frazione di secondo che si concesse di riconoscere come l’estate avesse avuto degli effetti benefici su Malfoy. Il ragazzo la guardava, sovrastandola dall’alto. Con una mano accompagnò i capelli, mossi in morbide onde, lontano dal volto, per rivelare due occhi sottili dalla dolce linea a mandorla che si sposava armonicamente con uno sguardo sprezzante; la mascella marcata e il naso affusolato, appuntito, acuivano l’espressione  arrogante, mentre le labbra disegnavano con grande perizia un sorriso beffardo.
Nel complesso, la prima impressione che ne derivava era di stupefacente fascino.
  «Mi spieghi come sia possibile averti già tra i piedi?» ringhiò tra i denti.
La meraviglia iniziale lasciò il posto ad una sensazione di sgradevolezza.
  «Evidentemente quando accadono disgrazie tu sei sempre nei paraggi, soprattutto se sono coinvolta io» rispose Rose con uno sbuffo.
Malfoy si appoggiò allo stipite della porta e la guardò con un sorriso beffardo, divertito dalle ultime sue parole. «Noto con dispiacere che sei sempre meno aggraziata e con problemi di equilibri pericolosi per chi ha la sfortuna di incontrarti».
Sempre meno aggraziata, problemi di equilibrio pericolosi.
La sgradevolezza si era mutata in odio.
  «Forse non ti sei accorto, visto il tuo tentativo di scavalcare gli altri, che ci troviamo in uno stretto corridoio con altre trecento persone» sbraitò, il volto paonazzo. «E in più non è a te che deve piacere il mio portamento». 
  «Compiango colui che avrà questo arduo compito» aggiunse lui con un sorriso sghembo «Nell’attesa, che immagino sarà lunga, evita gli spazi affollati».
Questo era troppo. Il pugno chiuso scattò nella direzione di Malfoy, ma il treno in movimento deviò la traiettoria del braccio, che fu afferrato con prontezza dal ragazzo. La sua mano corse intorno al pugno di Rose, bloccandone ogni movimento.
  «Quanta grinta».
  «Lasciami andare».
Lui prese a studiarla curioso «Lo sai che i tuoi capelli si agitano, quando ti innervosisci?» fece ormai al limite dell’ilarità. «È affascinante notare che tutto in te sia fuori dalla normalità».
  «Sì, Malfoy, sono dotati di vita propria e si animano quando rivelano un alto tasso di idiozia». Nello stretto spazio che li divideva, Rose riuscì a sferrargli un calcio sugli stinchi. «È un effetto che riservano solo a te» e finalmente si liberò dalla sua presa.
    «Ne sono onorato» gemette.
Rose gli puntò contro dito accusatorio «E se proprio vuoi saperlo è sempre il tuo arrogante atteggiamento la causa dei problemi Se tu provassi a camminare senza ignorare la possibilità che ci siano altri esseri umani intorno a te ...».
Una risata sprezzante la interruppe «Credimi, se potessi ignorare la tua presenza, lo avrei già fatto. E da molto tempo» sibilò, massaggiandosi la zona colpita.
Un movimento brusco della folla fece scuotere i presenti, che si spintonarono tra loro, mentre alcuni si rifugiavano in scompartimenti vuoti e altri ancora si aggiungevano all’opprimente ingorgo. I due ragazzi si urtarono tra loro e per poco non persero l’equilibrio.
  «Se desideri tanto evitarmi, non vedo perché farla tanto difficile». Sbraitò Rose, mentre con una mano afferrava il baule e con l’altra vagava alla ricerca di un sostegno. «Io non aspetto altro».
La condizione di precarietà li costrinse ad avvicinare i propri corpi, che per poco non si sfiorarono.
  «Credimi, non è semplice» rispose il ragazzo guardandola dall’alto.
Rose constatò in quella circostanza quanto quei mesi di lontananza l’avessero reso più slanciato. Con il proprio viso all’altezza del suo mento avvertiva il suo alito fresco sfiorarle la guancia in una sensazione di piacevole tensione.
L’ennesimo sussulto del treno e la mano di Rose cedette arrendevole. Nello stesso rapido istante le dita incerte della ragazza si aggrapparono al lembo della maglietta scura di Malfoy, mentre una mano vigorosa la  afferrò per la spalla, riportandola vicino a sé.
Sicura di aver ritrovato stabilità, osservò la mano tremante ancorata a quel tessuto setoso, mentre i polpastrelli timorosi, tastavano il petto marmoreo di Malfoy ansimante. Sollevò di scatto lo sguardo, sorprendendo il ragazzo mentre seguiva confuso il movimento del braccio di Rose, dalle dita delicate fino alla spalla. Allentò la presa lentamente, studiando, in quella frazione di secondo, l’espressione impietrita di Malfoy.
Certo in quegli anni non erano mancate le situazioni in cui Rose si fosse trovata a stretto contatto con Scorpius Malfoy, impegnati nei battibecchi più vari: non erano mancate le risse i primi anni, gli incantesimi e le malefatte, i Tiri Vispi Weasley che balzavano da un banco all’altro durante le lezioni, gli scossoni e le canzonature nel bel mezzo di una partita di Quidditch, i dispetti imbarazzanti davanti a tutti i compagni.
Quel ragazzino impertinente e borioso, a volte prepotente, aveva dato inizio ad una guerra quando quel lontano primo giorno di scuola spinse Rose nel Lago Nero, davanti a tutti i bambini del primo anno. Lei, fradicia e mortificata, non riuscì a trattenere le lacrime, che si consumarono per giorni in quelle infernali prime settimane ad Hogwarts. La mano di Al, lì accanto a lei si protese per aiutarla a raggiungere la riva. Poi il ragazzino si voltò e sferrò un pugno sulla faccia di Scorpius. 
Ma quel Scorpius Malfoy con un occhio nero che osserva furibondo le proprie mutande appese al soffitto della Sala Grande, inveendo contro la Weasley, non era di certo lo stesso ragazzo che ora la fronteggiava: alto, dal volto duro e ben delineato e con gli occhi gentili, a volte assorti, che si ostinavano a guardarla con la stessa sfrontatezza di una volta.
Il carattere dispettoso del ragazzino si era tramutato in pura arroganza, ma nelle fattezze di un uomo.
Era stato il sostegno di Al e le parole del padre a fomentare il suo bisogno di vendetta in quei primissimi giorni e poi il temperamento di quel ragazzino biondo aveva fatto il resto per i successivi cinque anni.
La porta scorrevole al loro fianco venne aperte da qualcuno all’interno di uno scompartimento e la testa di Albus Potter fece capolino.
  «Oh, eccovi qua» esclamò raggiante.
«Per fortuna vi siete incontrati».
I ragazzi si allontanarono seccati, con l’espressione di chi non considera di certo fortunato quell’incontro.
  «Scorp, che aspetti ad entrare?»
  «Arrivo» disse, scrollandosi di dosso ogni possibile residuo di quell'incontro. «Sono stato trattenuto da quel disastro di tua cugina».
Malfoy si liberò dall’angusto spazio che ancora lo costringeva vicino a Rose e si avvicino ad Albus, appoggiandosi all’infisso della porta. Lo sguardo che riservò a Rose era carico di sdegno e si correlò con un sorriso di supponenza, dipingendo un volto magnificamente superbo. In quel volto così attraente, Rose capì la nuova sensazione che il contatto precedente le aveva causato.
Albus ignorò il commento dell’amico e si rivolse alla cugina.
  «Ti unisci a noi, Ross?».
  «Grazie Al, ma credo di averne abbastanza per oggi».
La smorfia che le si dipinse sul volto era carica di disprezzo e non mancò di farlo notare a Malfoy. Lui la salutò con un cenno del capo e un occhiolino beffardo, che irritò maggiormente Rose, mentre si voltava, pronta ad affrontare la folla.
  «Smettila Scorpius» sentì il cugino sussurrare. «Ehi Ross, ci vediamo più tardi?» le arrivò ormai distante la richiesta di Albus, mentre lei procedeva infuriata nella direzione opposta.
 

Una voce femminile la chiamava a gran voce. La riconobbe all’stante con un tuffo al cuore: era la sua dolce Candice.
Si voltò rapida e vide l’amica farsi largo tra la calca. Quando raggiunse Rose, le due ragazze si strinsero, urlando eccitate, barcollando, ubriache di allegria. Candice prese per mano la sua più cara amica e la portò con sé, verso un posto tranquillo. In uno scompartimento in fondo al vagone, lontano dalla confusione delle aree centrali, dove si accalcava la maggior parte degli studenti, si trovavano le altre due compagne di dormitorio di Rose. Melissa ed Eloise, le due gemelle più diverse che avesse mai conosciuto, chiacchieravano animatamente.
  «Si fa festa senza di me qua dentro?»
Le due ragazze si bloccarono sorprese e si aprirono in un sorriso raggiante, prima di gettare le braccia attorno al collo dell’amica.
  «Rose, ma sei uno schianto». Melissa si allontanò appena per scrutarla affondo e dopo aver scrollato con fare professionale i lunghi e setosi capelli, dichiarò il proprio giudizio. «L’estate ti ha fatto proprio bene».
E non solo a me. Pensò, mentre la mente tornava a quel volto indurito che la sovrastava con espressione arrogante.
  «Mi devi dire cosa fai per i capelli. Guarda i miei, così sfibrati». L’attenzione di Melissa era tornata lì dove aveva sede, verso se stessa.
 «Sai, Rose Weasley, sei davvero ammirevole» una voce intensa ed energica, colorata da una nota di sarcasmo che la rendeva ancora più coinvolgente, arrivò alle loro spalle.

Rose aveva sempre pensato che Johanna Jordan fosse una fonte dispensatrice di buon umore. «Vuoi anche tu il nome del mio parrucchiere?» chiese in un ghigno.
Lei arricciò appena il naso, poi la ignorò. «Hai un'ostentata fermezza nonostante il primo incontro dell’anno con Malfoy» Johanna guardava Rose, appoggiata alla porta con le braccia incrociate.
  «Ti fai sorprendere per così poco?»Rose le sorrise di rimando, inarcando le sopracciglia «Mi deludi Jordan».
   «Ho visto tuo cugino e Malfoy e sono venuta a cercarti nella direzione opposta. Ma tranquilla, non metto in dubbio il tuo potenziale, Weasley».
  «Per favore, Rose» si aggiunse Melissa. «Quest’anno non hai proprio da lamentarti. Vorrei azzuffarmi io ogni due secondi con quel pezzo di figo».
   «Mel» partirono in coroRose, Candice ed Eloise.
   «Beh? Non li avete gli occhi?».
   «Non per Malfoy» dichiarò Rose,sollevando le mani come per scacciare un pensiero di cattivo gusto. Un’ immagine insistente fece capolino nella sua mente, ma lei si affrettò a scacciarla.
Prese posto sul sedile, accanto al finestrino e osservò il panorama scorrere velocemente sotto i suoi occhi.
   «E’ inutile che ci provi,Mel» si aggiunse Eloise, i boccoli ordinatamente raccolti in una coda. «Rose è testarda come un mulo e non cambierà idea su Scorpius Malfoy solo perché è diventato di gradevole contemplazione
».
    «Vecchio vizio di famiglia» confermò Rose.
    «Essere testardi come un mulo o odiare Malfoy?» domandò Joa.
    «Entrambi» fu la risposta corale.
 

Qualche ora più tardi nell’oscurità del cielo, Rose vide stagliarsi lontano e imponente il grande castello con le sue torri illuminate, che si riversava sul silenzioso Lago Nero ai suoi piedi. Dalla carrozza che sobbalzava sul terreno ciottoloso osservava il profilo dell’immenso parco, per l’occasione adornato da torce fiammeggianti, con le sue statue secolari e i muretti bianchi in pietra, mentre percorreva il tragitto segnato dagli alberi ombrosi.
Dinanzi al possente cancello in ferro nero dove erano raccolti tutti i bagagli, Rose alzò lo sguardo e fissò il cielo appena visibile, nascosto dagli articolati disegni delle torri e una familiare sensazione di sicurezza ed eccitazione la travolse d’impeto.
Era finalmente a casa.






Giapponese. Amaro piacere per la caducità e l'imperfezione della bellezza.







 

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Capitolo 2
*** Trouvaille ***


 
Era una ragazza semplice,
di quelle che sognano dietro ai libri e alle poesie,
e se la vita poi è carogna non importa, una ragione per sorridere la trovi comunque.
 

 

CAPITOLO II

 

Trouvaille




 

Era trascorsa una settimana dal suo rientro a scuola e la madre l’aveva già tempestata di lettere. Suo fratello Hugo ne era entusiasta, la mamma pensava in continuazione a lui. Rose non la vedeva esattamente così, ma evitava di condividere le proprie meditazioni con qualcuno. Con qualcuno che non fosse sue padre. A lui poteva raccontare tutto.
Era talmente sveglia e diligente, così simile a sua madre, le ripetevano in continuazione. Ma più Rose si guardava nello specchio e meno coglieva tracce che le ricordassero lei.
  «Rose mi stai ascoltando?» Melissa la riportò alla realtà.
Aveva ancora gli occhi chiusi per raccogliere le ultime tracce di sonno, mentre pensava che agli orari della scuola non si sarebbe mai abituata. Tornò ad ascoltare il chiacchiericcio eccitato che pervadeva l’intera Sala Grande, mentre altri studenti si riversavano affamati sui tavoli, segno che la colazione stava per giungere al termine e lei non aveva ripassato nulla per la lezione di Pozioni.
Il suo sguardo cadde sulla lettera abbandonata accanto ad una tazza di caffelatte, firmata Hermione Granger. Usava sempre il proprio cognome da nubile per firmare, come per ricordare al resto del mondo che era stata una Granger, ancor prima di divenire una Weasley.
  «Maledizione.» L'imprecazione di Johanna la fece sussultare. «Lo sapevo che era tutta una farsa. Sei davvero una serpe Potter» sbuffò, digrignando i denti e lanciando le carte addosso al suo avversario.
  «Mai complimento più bello mi fu rivolto» rispose Al ghignando e accompagnando il tutto con un inchino. Afferrò un bicchiere di succo di zucca e concluse la vittoria con una poderosa pacca sulla spalla del terzo giocatore, Carter Zabini.
Provò a dare una parvenza di compostezza, mettendosi seduta più dritta e osservando come la situazione intorno a sé si fosse movimentata.
  «Che vi siete giocati 'sta volta?».
  «Il tavolo vicino alla finestra nell’aula di Pozioni» rispose afflitta.
Rose si riscosse definitivamente. «Diamine, Joa»
  «Alla nostra, amico». I bicchieri dei due trionfanti Serpeverde si toccarono con uno scampanellio.
Carter, amico di Albus sin dai primi giorni, aveva un volto sorridente e lunghi capelli castani, racchiusi in un codino. Diversi occhi li guardavano curiosi, molti altri indignati nel vedere i due ragazzi dalle cravatte verde-argento così lontani da casa. Dall’estremità del lungo tavolo Grifondoro molte teste si voltarono per scrutare attentamente qualcuno che faceva il proprio ingresso e Rose notò con una certa ironia che si trattava di teste femminili.
James Potter avanzava deciso verso di loro, lo sguardo severo non prometteva nulla di buono.
  «Invasione Serpeverde al nostro tavolo» la voce alterata di James tentava di riprodurre un tono placido ma li raggiunse perentoria come un decreto ancor prima che lui fosse ben visibile a tutti. «Troppo tardi per pentirsi della scelta. Non tutti sono degni di sedere qui». Sbatté una mano sul tavolo e con uno sguardo accusatore incenerì i due intrusi, pronto a ricordare loro quale posto meritassero. I suoi occhi indugiarono sul fratello minore, evidenziando con più enfasi il concetto.
La risposta di Albus fu immediata come sempre. A lui le parole non mancavano di certo. Eppure Rose avvertì quella breve esitazione mentre ricambiava lo sguardo del fratello, lì dove il silenzio le sembro colmo di tanto più parole rispetto a quelle che pronunciò. «Mi basta sapere che l'astuzia e l'intelligenza mi permettono di soffiare il posto migliore dell’aula ad una coraggiosissima Grifondoro» rispose Al con noncuranza, strizzando l’occhio nella direzione di Joa.
Rose sbuffò e guardò James esasperata. «James, ancora con questa storia».
  «Sì Potter, datti una calmata» le diede manforte Joa.
Prima che si scatenasse una furiosa discussione sulla casata più meritevole e considerando il netto vantaggio dei Grifondoro contro due Serpeverde, Carter decise saggiamente di alzarsi e abbandonare il tavolo, non prima di aver sfidato James con un lungo e penetrante sguardo torvo.
  «Ci vediamo a lezione, ragazze» disse Albus, imitando l’amico, ma mantenendo un tono spensierato. «Ciao Candice» rivolse l’ultimo saluto alla nuova arrivata.
  «Perché queste arie imbronciate?» chiese sorridente Candice, afferrando un grosso muffin e sedendo di fronte a Rose.
  «Nulla, è solo che mio cugino è rimasto all’età di Lord Voldemort e la sua cricca» sospirò Rose, guardandolo truce.
  «Quale dei due?»
  «Quello borioso».
  «Quello stupido».
Risposero in contemporanea Joa e Rose.
James protestò con un'cchiata torva, prendendo posto accanto a loro. Alcune ragazze del terzo anno lo guardavano sognanti, ridacchiando con poca discrezione. Eloise, invece, si limitò a trattenere il respiro fino a diventare del colore del suo golfino. Melissa la guardò preoccupata, aspettandosi di vederla svenire sul tavolo da un momento all’altro.
  «Il figlio di Harry Potter che disconosce il proprio fratello per una vecchia rivalità tra Case» commentò Joa scotendo la testa in un ghigno. «Tutto ciò ha dell'anacronistico». 
Lui corrucciò la fronte indignato. «Mio padre era il primo a difendere l’onore della propria Casa».
Rose incenerì il cugino con uno sguardo. «Zio Harry non ti appoggerebbe mai» escalmò. 
  «Beh, il fatto che abbia dato al figlio il nome di Severus Piton la dice lunga sulla sua idea di disprezzo nei confronti dei Serpeverde» osservò Candice, annuendo.
  «Sapete bene che ogni Casa rappresenta le virtù e i vizi di chi vi appartiene e, sebbene io non riesca a comprendere quali virtù possano essere attribuite ai Serpeverde, sicuramente i vizi sono qualcosa che li accomuna» ribatté deciso James, gli occhi accesi da un intenso fervore.
  «Non dire assurditò, James». Rose lo guardò sconvolta «È un’indole comune che ci identifica all’interno di una stessa Casa, nulla di più» concluse, incrociando le braccia in un gesto che ricordava pericolosamente Hermione Granger.
Quando se ne rese conto, si affrettò a sciogliere quella stretta e ad assumere un atteggiamento decisamente più rilassato.
  «L’indole dei Serpeverde quale sarebbe, Rosie?». chiese sfacciato, ricorrendo a quel nomignolo che sapeva esserle insofferente. «A parte quello di essere meschini da fare schifo, mi sembra ovvio».

 «Non sono così, James». Rose rimase spiazzata, chiedendosi se fosse il caso di ricordargli che suo fratello vestiva quei colori già da molto tempo.
  «Ah no, Rose?» la sfidò lui. «Perché tu di Malfoy hai una splendida opinione, giusto?»
Joa non trattenne una debole risata. «Non fa una piega».
  «Beh» fece lei, presa alla sprovvista. Il cugino le sorrise soddisfatto. «Questo non c’entra niente! Malfoy lo odio perché è Malfoy, non perché è un Serpeverde».
  «Molto maturo come concetto» sogghignò lui. «Lo zio Ron mi darebbe ragione».
Rose alzò la testa fiera «Ti sbagli» disse con solennità. «Mio padre non odierebbe mai qualcuno solo per antichi e vergognosi pregiudizi» affermò con sguardo austero.
Candice mugugnò tra sè soddisfatta.
James scosse la testa poco convinto, ma deciso a non proseguire la conversazione «Lo pensi solo perché non sei tu la compagna del cuore di Malfoy» concluse e lasciò vagare altrove uno sguardo cupo.  
  «Non vorrei interrompere questo diverbio avvincente» farfuglio Candice con la bocca piena di torta di mela. Ingoiò e proseguì «nè il clima di tensione che si è creato, beh no, in realtà è proprio quello che voglio fare, non perché non rispetti i vostri pareri divergenti ...».
  «Morgan!» sbottò Johanna spazientita.
Candice lasciò cadare davanti a tutti l'infinita lista di disposizioni per tutti gli studenti, che si srotolò lungo le due estremità del tavolo, precipitando ai loro piedi.
I ragazzi si scambiarono occhiate perplesse, sotto il cipiglio incoraggiante della ragazza. 
  «Vuole dirci qualcosa» concluse Rose dopo un po'.
  «Spero non si aspetti che lo leggiamo».

Lei li guardò ancora una volta. «In realtà avreste dovuto farlo già da tempo» disse, ma dinanzi agli sguardi vuoti degli altri, aggiunse rassegnata. «Gita ad Hogsmade, prossima settimana».
  «A inizio settembre?» disse Eloise, strabuzzando gli occhi per la sorpresa e tutti si voltarono a guardarla interessati. Quando si accorse degli occhi di James fissi su di lei, abbassò lo sguardo, rossa di vergogna.
  «Oh, sì, l’ho saputo anch’io. Dylan Cormac, Caposcuola dei Tassorosso me l'ha confidato l’altra sera» aggiunse Melissa indifferente, scrutando le proprie unghie con preoccupazione.
Candice annuì. «Non era un segreto, Mel» spiegò paziente 
«Perché nessuno legge le disposizioni di inizio anno?».
Rose si abbandonò sulla panca rasserenata: era proprio ciò che desiderava in quel momento, una scusa che la tenesse lontana dalla biblioteca anche solo per un giorno intero. Ora che ci rifletteva bene, era da tantissimo tempo che non trascorreva una giornata con Al e dopo quell’ambiguo episodio con il fratello, avvertiva ancora di più la necessità di stargli accanto.
Detestava questa situazione che li teneva separati. Detestava il fatto che Albus fosse finito a Serpeverde.
Si alzò di scatto e afferrò la borsa, facendo un cenno alle amiche, con l’avviso che si sarebbero incontrate nell’aula di Pozioni. Fece solo in tempo a percepire il brusio di James che affermava imbronciato di aver fissato un doppio allenamento per quella settimana.
Rose si incamminò verso il tavolo dei professori, superò quello dei Corvonero e si diresse a grandi passi verso i Serpeverde. Non riuscì a trattenere una smorfia di disappunto alla vista del cugino chino verso Scorpius Malfoy, seduto al suo fianco. Quest’ultimo aveva il piatto ancora vuoto di fronte a sé e il braccio sospeso a mezz’aria, mentre ascoltava assorto le parole di Albus.
Rose osservò, inarcando le sopracciglia, come Al e il suo migliore amico fossero irrimediabilmente complici. 
Il suo migliore amico.
Sì, perché dopo che suo cugino ebbe sferrato un poderoso pugno sul nobile volto di quel ragazzino che tanto la importunava, difendendo coraggiosamente l’onore violato di Rose, Albus Potter e Scorpius Malfoy divennero inseparabili. Un gesto questo di profondo tradimento nei confronti della sua compagna di una vita.
I Serpeverde sono tutti uguali. 
Rose perlustrò il tavolo colmo di studenti e indugiò sul gruppetto che attorniava i due ragazzi: Carter Zabini, Vincent Nott e Kate Hastings consumavano in tutta tranquillità la loro colazione, ignorando il chiacchiericcio concitato dei due compagni.
Con un’alzata di spalle Rose decise che i due amici avessero cospirato abbastanza e si intromise tra Albus e Malfoy, spintonando quest’ultimo per prendere posto accanto al cugino.
  «Ciao Al» salutò lei a gran voce, facendolo sussultare.
  «Weasley, ma che diavolo fai?» Malfoy guardò l’intrusa con una profonda occhiata astiosa.
La ragazza lo ignorò e lui dopo una lunga attesa si spostò di fianco senza scomporsi, permettendo appena a Rose di sedersi tra loro due. «Mi sei addosso, imbranata».
  «No, affatto» tagliò corto lei.
  «E il peggio» proseguì lui. «è che sei al nostro tavolo. Di nuovo».
Scorpius Malfoy si sporse oltre la ragazza per individuare lo sguardo dall’amico, ritenendolo l’inevitabile colpevole di quella sventurata faccenda.
Rose roteò gli occhi «Ignorami e basta» disse semplicemente. «Chiudi gli occhi, volta la testa. È più facile di quello che sembra, credimi, dovresti riuscirci persino tu».
Si concesse un profondo respiro di ammirazione per quel coraggioso impeto di autocontrollo. Non avrebbe permesso a Malfoy di rovinarle la buona notizia della giornata.
   «Lo dici spesso». Il ragazzo si abbandonò ad una bassa risata sarcastica. «E poi mi piombi addosso di prima mattina».
  «Ti prego, Malfoy, datti un contegno». Lei lo guardò inarcando le sopracciglia in una espressione scettica «Sono qui per mio cugino».
   «E sono profondamente amareggiato per Albus» disse in un cipiglio annoiato. «D' altronde non siamo noi a sceglierci i parenti».
Rose si versò un po' di succo di zucca per allontanare da sé quel moto febbrile che sembrò averla fatta vibrare. Per stemperare ogni dubbio ritenne più opportuno non incontrare il suo sguardo.
   «Tuttavia ci scegliamo gli amici» rispose in tono secco. «Dici che questa simpatia per gli idioti dovrebbe preoccuparmi o tu sei un caso isolato?».
Albus sollevò le mani in un pigro intervento, senza però distogliere lo sguardo dall’inserto sportivo della Gazzetta del Profeta. «Guardate che io sto benissimo» tentò, ma nessuno badò a lui.
   «Se è per questo prova simpatia anche per te» constatò Malfoy, alzando un sopracciglio. «Ti stai dando dell'idiota?».
Rose non riuscì più a trattenersi dal fulminarlo con gli occhi. «Dio, Albus, come fai a sopportarlo?».
Il cugino si strinse nelle spalle, concedendo loro un placido sorriso oltre il caffè che sorseggiava «La vostra teoria sugli idioti sembrava convincente». Annuì incoraggiante, per poi tornare al giornale.
  «Sai che puoi avere di meglio» disse la ragazza con rimprovero.
Un lampo di ilarità guizzò negli occhi del ragazzo. «Sei invidiosa, Weasley?».
   «Scorpius, non di prima mattina».
Albus Potter si sentì aggredire dall’odore pungente di provocazione che l’amico aveva disperso nell’aria onusta intorno a loro. A quel punto alla cugina spettava solamente il semplice compito di lasciar cadere quelle parole infarcite di vittoria nel vuoto della sua superiorità.
  «Perché dovrei esserlo?» rispose invece lei.
Ma Rose non era di certo famosa per la propria accondiscendenza. A dirla tutta, accoglieva le provocazioni con un'impulsività caustica e vendicativa, infarcendo di sorda impazienza tutta la propria collera.
Come immaginava, Scorpius Malfoy era soddisfatto.
  «Deve essere arduo scaricare su Al tutta la frustrazione per qualcosa che non puoi avere».
Albus già scuoteva la testa, mentre Rose sollevò un sopracciglio esitante.
  «Sarebbe?» chiese scettica.
  «Me».
Non c’era incertezza nelle sue parole, né arroganza, solo semplice ovvietà. Lo guardò interdetta, chiedendosi cosa le avesse permesso di arrivare fino al sesto anno senza rischiare l'espulsione nemmeno una volta.
Tuttavia la risata che la scosse fu genuina. «Te?» ripeté incredula. «Per avere nella mia vita un inconsistente avanzo di luoghi comuni» proseguì con tono sprezzante «Tu ti limiti ad apparire, Malfoy».
Il ragazzo per nulla scosso da quella constatazione, sollevò sull’amico uno sguardo divertito. 
   «Ci risiamo» disse semplicemente con un sorriso ironico ad increspare quel volto affilato. «Ma non ti annoi mai di te stessa?».
Rose sollevò il mento con fare altezzoso, immune a quelle canzonature, che aveva ormai imparato a considerare parte di una routine. Erano il 'buongiorno' senza il quale non avrebbe potuto dare inizio alla sua giornata, o almeno tali le aveva rese lei stessa, per un proprio quieto vivere, per conquistare squarci di tempo con il cugino in quelle frenetiche giornate, perchè in verita così era iniziato il suo percorso ad Hogwarts.
I conflitti con Scorpius Malfoy avevano assunto il profumo familiare delle mura di Hogwarts. 
Decisa a proseguire quella giornata nel modo più sereno possibile, ritenne chiusa la questione, si voltò verso il cugino e lo trovò a fissarli in attesa di qualcosa.

Non questa volta, Al.
Per assicurarsi di aver chiarito ogni malinteso con Scorpius Malfoy, non mancò di urtare la spalla del ragazzo, a suo dire eccessivamente vicina alla propria.
  «Maledizione, Weasley» esclamò. «Ti rendi almeno conto che il tuo culo crea disagio ad un’intera fila?».
Rose non ebbe bisogno di incontra il suo sguardo per percepire il ghigno di perfida ilarità in quegli occhi dal verde intenso.
Si ghiacciò e avvertì una lingua di fuoco scuoterle il petto, inondarle il collo fino a macchiarle inevitabilemente il volto.

Per quanto volesse negarlo, erano quelle le affermazioni del ragazzo che la turbavano, risvegliando un’ira furente, ardente che dalle profondità del proprio corpo avvertiva pervaderle le membra e annebbiarle ogni capacità razionale.
Perforò con uno sguardo truce quel volto che la fissava curioso e impaziente di fronte all’esplosione cui tanto auspicava. Gli occhi di Rose colsero in un lampo di istintivo impeto una torta decorata finemente con panna, che ancora illibata si esibiva davanti a lei sul tavolo. La sua mano partì ancora prima che il cervello le desse l’ordine: afferrò la torta e la spiaccicò sul volto sorpreso di Malfoy. 
Il primo suono che Rose udì fu un urlo di meraviglia e di giubilo proveniente dal  cugino al proprio fianco, che si esibì in un poco decoroso boato di risate, accasciandosi sul tavolo e risvegliando l’attenzione dei presenti. Molti ragazzi nei dintorni scoppiarono a ridere, compreso il gruppetto di compagni che li attorniava, altri allungarono le teste con più discrezione,  altri ancora, completamente vinti dalla curiosità, si alzarono dalla propria postazione per assistere più da vicino alla scenetta.
Rose assaporò il gusto dolce ed estremamente piacevole del silenzio attonito di Malfoy, mentre con le mani cercava di liberarsi gli occhi cosparsi di panna. Ancora rossa in volto, si alzò di scatto e con furia scaraventò un dito contro il cugino, come se fosse lui il vero responsabile di tutto quanto.
   «E comunque la prossima settimana andiamo ad Hogsmade» quasi gli urlò contro, per poi dirigersi sotto lo sguardo di tutti verso la lezione di Pozioni.
 

 
 
- § -
 


Mezz'ora più tardi le dita di Rose tamburellavano frenetiche sul ruvido legno del banco color mogano scuro in una logora e buia cantina. L'aria era impregnata di umidità e arricchita dalla miscela di misteriose sostanze ben esposte sulle mensole che limitavano l’aula. Per di più il professor Arrows era di un particolare umore sgradevole e aveva deciso di trascorrere la maggior parte della lezione elencando le innumerevoli qualità di pozionista,che ovviamente possedeva e che a loro, a quanto pare, erano totalmente ignote.
Odiava l'ora di Pozioni e non perché, come sosteneva Al, fosse l’unica materia nella quale non riuscisse a raggiungere il massimo dei voti. Ammetteva che il fatto che lui fosse il primo della classe senza il minimo sforzo, mentre lei si impegnava duramente per arrivare a fine lezione evitando gli insulti del professore, forse la rendeva ancora più indisponente nei confronti della suddetta materia. Ma i motivi del suo risentimento erano innumerevoli: a partire dall'ambiente nauseabondo, continuando con un insegnante decisamente poco professionale, per terminare con il fatto che doveva trascorrere un'ora intera in compagnia dei Serpeverde, e con Serpeverde intendeva lui. Scorpius Malfoy.
Lo osservò abbandonarsi sulla sedia, le mani dietro la testa, lo sguardo perso nel vuoto fuori dalla finestra. Appena entrato in aula l’intera classe si era voltata a guardarlo sogghignando, con estrema soddisfazione di Rose. Lui, trionfo come sempre, non si era lasciato scomporre dall’attenzione di tutti e, suscitando ancora più sorpresa nei suoi compagni, si era diretto speditamente dove sedeva la ragazza, posizionandosi esattamente davanti a lei.
Rose si era affrettata a dissimulare l’espressione perplessa che le si era dipinta sul volto con un atteggiamento indifferente, indirizzando il proprio sguardo sicuro e orgoglioso fisso verso il professore. Ma questo, inevitabilmente e insopportabilmente, sfuggiva al proprio controllo, appagandosi nella contemplazione di Malfoy.
E, dunque eccolo qua, rifflettè Rose: un perfetto esemplare di maschio arrogante, meschino e menefreghista, perennemente impegnato a sfoggiare la propria aria trasandata, grazie alla quale si garantiva un codazzo di ragazzine adoranti, accrescendo una già smisurata autostima.
Il frenetico vortice di pensieri si acquietò, osservando il gioco di colori che la luce del sole elaborava tra i suoi morbidi capelli. Almeno immaginava che fossero morbidi, non vi aveva mai affondato le mani per verificarlo.
Certo che non ci ho mai affondato le mani, perché avrei dovuto farlo? E poi chi se ne frega se sono o non sono morbidi!
Certo era che riflettevano una luce straordinaria.
Il volto era oscurato per metà dall'ombra e sull'altra metà un occhio ben attento avrebbe potuto accorgersi di come la barba si fosse fatta più folta sul mento e sul profilo della mascella, conferendogli un aria più virile e dura. Nella bocca stringeva qualcosa, forse un filo d'erba, che in alcuni momenti gli sfuggiva, permettendo ai denti di affondare nelle labbra carnose e umide.
  «Se continui così mi consumi» disse improvvisamente Malfoy con voce bassa, voltando impercettibilmente il volto nella sua direzione. «Credo che ormai conosca meglio tu il mio volto di me».
Si riscosse dalle proprie meditazioni, avvertendo un lieve calore sulle guance per la vergogna di essere stata colta a fissarlo come fosse in adorazione. 
 «Ne dubito, Malfoy. Il tuo specchio non urla esasperato ogni volta che sei nelle vicinanze? Non è certo un mistero che la tua vanità sfocia nell'imbarazzante». Si affrettò ad assumere un atteggiamento più dignitoso, ricordando a se stessa e soprattutto al suo interlocutore l’affronto subito poco prima a colazione. Era decisa ad uscire a testa alta da quella situazione spiacevole. O in ogni caso ad uscirne il prima possibile.
  «Eppure i tuoi occhi non si sono staccati dal mio volto un attimo» rispose prontamente lui, piegando leggermente la testa verso il basso come se stesse riflettendo sulle sue stesse parole. Aggiunse un sorriso finale arrogante e vittorioso, come se la conclusione della propria elucubrazione gli facesse particolarmente piacere.
Rose lo studiò per un attimo sbalordita: solo qualche minuto prima si era trovato una torta sulla faccia davanti all’intera scuola a causa sua e adesso le sedeva davanti, limitandosi a canzonarla pigramente. In un altro momento sapeva cosa le sarebbe toccato: una pozione che le esplode sul viso, una fattura sui suoi capelli, un insulto ben programmato e sparato come una mina nell’occasione più opportuna.
  «Mi sembrava che qualcosa si stesse muovendo intorno a te. Poi mi sono accorta che si trattava solo del tuo ego spropositato» rispose più aspramente di quanto avrebbe voluto, catturando l'ennesimo sorrisino sereno e ispido che solo Malfoy sapeva disegnare.
Si aspettò una replica rapida e inevitabile, invece lui si sporse appena lungo il suo banco, per sussurrarle quasi tra i denti «Attenta, sei nei guai».
  «Signorina Weasley, se ha qualcosa da condividere con l'intera classe, non sia timida».
Forse il suo tono di voce si era alzato un po’ troppo, attirando l’unica attenzione che avrebbe voluto evitare come la morte. Si raddrizzò di scatto, rendendosi conto solo in quel momento che il proprio busto era quasi del tutto proteso verso il banco di Malfoy e ritrovò Arrows a pochi passi dalle proprie gambe. Alzò lo sguardo incontrando gli occhi del professore, che la scrutavano infastiditi da sopra gli occhialetti tondi. La fronte corrucciata in un modo che le sopracciglia formassero un'unica linea severa.
  «O forse pensa che il signor Malfoy sia più interessante della mia lezione»
Questa volta le sue guance si colorarono completamente di rosso, coinvolgendo persino le orecchie.
Dalla classe partì una bassa risatina, che Rose trovò estremamente inopportuna.  Riuscì quasi ad avvertire il sorrisetto compiaciuto di Malfoy, mentre le dava le spalle. Accanto a sé Candice si agitò irrequieta, stringendo impercettibilmente la coscia dell’amica in un gesto di sostegno. Davanti a loro sulla sinistra Joa rideva di gusto, nascosta alla vista del professore.
Arrows soddisfatto di essersi guadagnato l'attenzione della classe e aver determinato un momento di ilarità generale, guardò Malfoy con aria interrogativa, deciso a portare avanti quella manifestazione del proprio potere. «Forse lei, signor Malfoy è di maggiori parole rispetto alla sua amica».
  «Come?». Malfoy aveva un'espressione tra il divertito e l'esterrefatto. «Professore, parliamoci chiaro, non è colpa mia se la Weasley ha un'indecente ossessione nei miei confronti. Voglio dire ...» fece una breve pause per raddrizzarsi e protendersi verso Arrows come per fargli una confidenza imbarazzante «... è assillante. Non posso nemmeno seguire in pace una lezione. Non so come farle capire di mettersi l'anima in pace». Tacque in seguito alla gomitata implorante di Al.
Le risate di sottofondo accrebbero soprattutto da parte dei Serpeverde, mentre il disagio di Rose venne sostituito prima dallo sgomento e poi da un'irrefrenabile esigenza di strangolare quell'idiota davanti a sè. Strinse i pugni con forza e li bloccò sotto al banco per non dare prova del loro tremolio. Non poteva tollerare di essere derisa in quel modo davanti a tutta la classe.
Per la prima volta dopo molto tempo si riscoprì debole e umiliata sotto lo sguardo vittorioso di Malfoy. Quella volta il suo rivale non era ricorso ad insulti infantili, ai quali era ben disposta a ribattere, come le assicurava una certa tempra saccente e sagace, ma l’aveva colpita nella propria intimità, nella parte sua più fragile e segreta.
La prosecuzione dello spettacolo appena inscenato, rimase celato a tutti grazie al suono della campanella. Per la prima volta in quel tetro bugigattolo gli studenti si incamminarono verso l’uscita con un brontolio di protesta.
Prima che si potesse scagliare contro Malfoy, Arrows bloccò Rose con un gesto della mano «Forse ritiene di avere delle competenze tali nella mia materia, da non doversi disturbare nel seguire la lezione» lasciò sospesa la frase guardandola negli occhi, con una certa soddisfazione.
  «Niente affatto, professore. C'è stato un malinteso».
  «Il malinteso forse è stato permetterle di frequentare il corso di Pozioni anche quest'anno» concluse con un tono che non ammetteva repliche.
Quell'affermazione la colpì più profondamente di quanto potesse pensare. Di certo Arrows non aveva mai dimostrato molta simpatia nei suoi confronti, ma arrivare ad affermare di non gradirla nella sua classe, le sembrava un atteggiamento decisamente inopportuno.
  «Spero di potermi ricredere, Signorina Weasley» e così dicendo terminò la conversazione.
Rose raccolse le proprie cose, decisamente su di giri e raggiunse le amica sull'uscio della porta. Eloise stringeva convulsamente i libri al petto accanto a Melissa che sbuffava irrequieta; Joe sembrava divertita, mentre, appoggiata alla parete conversava amabilmente con Candice, la quale invece guardava nella direzione di Rose cercando di studiarle il volto.
  «Ti sembra giusto che dobbiamo essere sempre le ultime ad essere informate?» disse Joa.

Per tutta risposta Rose la incenerì con lo sguardo e prosegui spedita fuori dall'aula, cercando di mantenere quel briciolo di contegno che ancora le rimaneva.
  «Andiamo Rose, non prendertela così. È perfettamente comprensibile» disse Melissa, evidentemente per tirarla su di morale.
Rose le rispose in un sospiro amareggiato  «Di che stai parlando, Mel?».
  «Del fatto che quest’anno tu ti sia accorta di un certo suo fascino» completò in un sussurro circospetto.
Rose si voltò con occhi sgranati «Mel, io non mi sono accorta proprio di nessun fascino!» protestò. «E poi perché ne stai parlando come se ti avessi appena confidato di aver compiuto un omicidio?».
L’amica roteò gli occhi e riprese il consueto tono di voce «Quel che voglio dire è che nessuno te lo farebbe pesare».
Appena svoltato l'angolo si ritrovò davanti il solito gruppetto di Serpeverde che accerchiava divertito Malfoy. Molte ragazze, sostando nel corridoio per l’ultima chiacchiera prima di fuggire alla prossima lezione, la guardarono con crudele malizia, mista a pietà.
   «Nessuno me lo farebbe pesare, eh?»  sussurrò Rose.
Si bloccò quando si trovò in corrispondenza di Malfoy. Lui la guardò a lungo con uno sguardo penetrante, infine aggiunse un guizzo di ilarità nelle venature del suo verde disarmante e le sorrise beffardo.
   «Ehi Weasley, nessun rancore» urlò, al di sopra delle teste intorno a sé.
Rose si preparò a scattare nella sua direzione con la bacchetta sollevata, ma fu bloccata da Joa e Eloise che le afferrarono entrambe le braccia mentre Candice e Melissa si posizionarono alle sue spalle impedendole di voltarsi e guardare chi si era lasciata alle spalle.
Si aggrappò alla loro presenza come ad una certezza costante e per un momento il suo odio verso Malfoy si affievolì.
 


 
- § -

 
 
Durante l'allenamento di Quidditch del pomeriggio, James inaugurò il suo primo anno da Capitano,comportandosi come un dispotico psicopatico.
Il livello in cui trovò i sui giocatori fu, a detta sua, talmente deludente da essere stato indotto più volte a mollare la scopa e lasciarli affrontare da soli le proprie imbarazzanti incompetenze. Di conseguenza aveva passato l'intera ora ad urlare contro Alice Baston perchè troppo lenta, contro Rose per le sue pessime parate, contro Louis perchè non riusciva a vedere il boccino dopo cinque minuti che questo era stato liberato.
La stanchezza per l'allenamento e l'isteria di suo cugino non fecero altro che fomentare il nervosismo che da quella mattina aveva reso Rose intrattabile.
  «Potter ti è per caso venuto il ciclo?» gli urlò contro Joa, avvicinandosi con la mazza da battitore ben salda tra le mani.
  «James dacci un taglio, sembri mia madre» disse Rose esasperata.
Quando si posarono sul terreno, Rose gli si piazzò davanti, reggendosi a mala pena in piedi, dopo un ora di intenso allenamento. «Se continui così la squadra scapperà spaventata. Guarda Alice, è sul punto di piangere! Sarai il primo Capitano della storia del Quidditch picchiato e abbandonato dai propri compagni. E ti assicuro che Joa ci va giù pesante con quella mazza» aggiunse l'ultimo commento abbassando il volume della voce.
James sospirò affranto «Lo so, secondo te perché gli avversari hanno il timore di volarle vicino?»
  «Secondo voi perchè avete in squadra il migliore battitore di tutti i tempi?» si pavoneggiò Joa con un inchino, passando accanto ai due cugini. «Grazie al mio talento indiscusso e alle discrete competenze di voi altri, riusciremo a portarci a casa la Coppa anche quest’anno» concluse con una strizzata d'occhio e alzando le braccia in aria in segno di vittoria.
 «Bello spirito Joa. Se però quest'anno mandi in infermeria un po' meno persone, riusciamo anche ad evitare l'espulsione» commentò Fred con lo stesso tono entusiasta di Joa.
James si abbandonò ad un un sorriso rilassato, aggiungendo nella direzione di Alice «Baston, complimenti per l'ultimo tiro».  
Alice alzò la testa rivolgendogli uno sguardo sorpreso.
Di fronte alle prime tracce di umanità in suo cugino, Rose avvertì il cuore farsi più leggero e si catapultò su James aggrappandosi alle sue spalle come faceva quando erano piccoli.
  «Rosie, quanti chili hai preso questa estate?» disse in un gemito.
Rose gli diede un calcio sulla gamba, ponendo fine al breve momento di affetto familiare che l'aveva colta un attimo prima. Oltre ad essere stato estremamente sgradevole, James aveva riacceso in lei l’irritazione verso Malfoy.
Con qualche borbottio di troppo il capitano congedò la propria squadra con maggior fiducia nelle loro possibilità di vincere qualche partita e Rose si incamminò con Johanna fino al dormitorio.

 
Il movimento sinuoso dell’acqua bollente sotto la doccia riuscì ad allentare il proprio corpo teso e intorpidito.
Rifletté angosciata sulla reazione del professore e il pensiero volò a Londra, da sua madre. Non avrebbe potuto permettere che qualche avviso di biasimo giungesse a lei da quel vecchio rancido. Lui che non aspettava altro per metterla in ridicolo, soprattutto se questo avesse voluto dire colpire i suoi genitori e quella notorietà che tanto ripugnava.
Non aveva intenzione di essere inferiore a lei, ma ancora di più non avrebbe tollerato di essere uguale a lei. Di condividere la stessa difficoltà in quell’unica materia, di essere debole tanto quanto lo era stata lei.
 “Non potrai mai superare tua madre, aveva Eccezionale in tutto. Ma la stai eguagliando brillantemente.” Le disse un giorno lo zio Harry, mentre pranzavano tutti insieme.
Hermione era arrossita per l’imbarazzo e Ron aveva riso per quella reazione.
Rose era solo furiosa.
  «Rose mi piacerebbe essere di ritorno per cena» le urlò Joa dalla camera.
Trovarono Candice, Melissa ed Eloise sedute all’ombra di un imponente salice, che con le sue lunghe liane mosse dal vento forniva loro una confortante protezione dal resto della scuola. Era il loro rifugio preferito.
Le ragazze alzarono la testa dai libri al loro arrivo; Rose si sedette accanto a Candice che, appoggiata ad un tronco, sfogliava svogliatamente un grosso volume.
 «Rose, hai fatto il tema di Aritmanzia?» le chiese Melissa, rinunciando definitivamente allo studio.
 «Prima dell’allenamento l’ho terminato, ma vorrei ricontrollarlo».
 «Magari lo facciamo insieme, ti va?» chiese affranta. Rose le sorrise annuendo.
Eloise smise per un momento di raschiare la pergmena e si riscosse dal suo assorto silenzio. «Come è andato il primo allenamento dell’anno?» chiese con noncuranza.
Joa la guardò esausta «Il tuo ragazzo ci ha strigliato per bene».
Eloise arrossì e si preparò a replicare, ma fu interrotta da Candice che la guardò pensierosa.  «Eli, è arrivato il momento di farti avanti con James».
  «Non dire assurdità».
  «Così come Potter ha proprio bisogno di farsi una ragazza» confermò Joa.
Eloise sembrò essere sul punto di prendere fuoco. «Ne ha così tante che gli ronzano intorno» mormorò ad occhi bassi.
  «Inspiegabilmente» commentò Rose, senza sollevare lo sguardo dalla propria pergamena. «Se può farti star meglio credo sia solo un modo per darsi un tono agli occhi di Al» disse Rose con tono grave.
  «James è davvero troppo rancoroso» notò Candice amareggiata. «Non lo ha mai perdonato per essere diventato un Serpeverde».
  «Non capisco come possa essere legato ancora a queste considerazioni. Io non ci trovo nulla di male nel frequentare un Serpeverde».
  «Mel, tu frequenteresti anche un Mangiamorte se fosse vagamente attraente» commentò Joa, evitando con agilità da Battitore un libro di Melissa che le sferzò accanto più potente di un bolide.
Rose questa volta mise un punto decisivo al suo compito. «Ha semplicemente il timore di deludere il padre, non essendo in grado di distinguersi» concluse Rose con un tono che non ammetteva repliche, intimando tutte a porre fine a quella conversazione.
Era una questione quella che si intricava in pensieri nascosti dai caratteri così diversi dei suoi due cugini. Era un'ansia che avrebbe trovato sollievo solo nella rassegnazione.
In quel momento un fruscio tra le lunghe braccia del salice le avvertì dell’arrivo di Albus.
  «Buon pomeriggio ragazze» si annunciò il ragazzo con un sorriso disarmante e i suoi modi giovali, che incantavano chiunque.
  «Ciao Al» le sorrise teneramente la cugina, seguita dalle altre.
  «Noto con sollievo che hai ritirato gli artigli» affermò il ragazzo e allo sguardo confuso della cugina aggiunse un esitante «Scorpius».
Rose socchiuse gli occhi. «Ho smesso di rimproverarti per le tue frequentazioni. Non sono tua madre»
Lui rimase in piedi, giocherellando con la punta di un ramo «Andiamo Ross, sei troppo severa».
  «Troppo severa!» fu Candice a rispondere al posto suo. «Albus, c’eri anche tu a lezione?»
  «Però è stato esilarante quel ragazzo, capisco perché Potter junior ci stia sempre insieme» sghignazzò Joa, scambiandosi uno sguardo complice con Albus.
Rose scosse la testa, trattenendo un sorriso. La presenza del cugino riusciva sempre a rasserenarla, anche quando si discuteva di Malfoy. Si era ormai rassegnata a questa irrealizzabile volontà di Albus di fare unire in un pacifico rapporto i suoi due migliori amici.
  «Mi faccio perdonare» affermò il ragazzo guardando la cugina. «La settimana prossima ad Hogsmade».
  «Ci conto, Al».
Lui le sorrise raggiante e roteando la bacchetta fece comparire dei petali bianchi di orchidea che si poggiarono delicatamente sulla testa di Rose. Lei sorrise emozionata: era una magia che le mostrava sempre quando erano piccoli, perché a lui piaceva tanto il contrasto del candore contro i suoi capelli di fuoco. Era Ross lei, non certo una rosa.
 

 
- § -

 
 
Per tutta la mattinata del giorno seguente Rose non ebbe modo di confrontarsi con il responsabile delle sue sventure e durante la colazione fu troppo impegnata a gestire un folto pubblico di gente interessata all'ultimo gossip.
Mentre ingeriva tutto ciò che individuava di commestibile, dovette sorbirsi l'interrogatorio di sua cugina Lily, piuttosto offesa di non aver ricevuto personalmente la notizia di questo nascente amore. A suo dire la tensione sessuale tra lei e Malfoy era abbastanza evidente ed era sicurissima che prima o poi anche lui avrebbe ricambiato i suoi sentimenti.
Come se ciò non bastasse, James era stato tardivamente informato da qualcuno della situazione corrente e, per non farle mancare la propria opinione a riguardo, aveva ben deciso di perseguitarla, spuntando alla fine di ogni lezione, da corridoi dei quali lei ignorava l'esistenza, individuando nel suo pessimo gusto riguardo la scelta dei ragazzi, la causa che gli impediva di mostrare in giro la faccia, in seguito alla vergogna che Rose aveva arrecato alla famiglia.
All'irrecuperabile deficit mentale di buona parte della sua famiglia si aggiunse una totale mancanza di sostegno da parte delle sue migliori amiche. Persino la dolce Eloise era partecipe del divertimento delle altre, ridacchiando nella sua tazza di latte alle battute canzonatorie di Joa.
Rose cercò un po' di pace nella silenziosa e deserta biblioteca. Trascorse l'intero pomeriggio tra libri polverosi e pergamene macchiate d'inchiostro fino a che il sole basso dietro gli alberi imponenti e le dita doloranti  la convinsero ad incamminarsi per la cena imminente.
Il corridoio del primo piano era stranamente desolato. Guardò l'orologio preoccupata e si accorse con una fitta di dolore allo stomaco, di aver superato l'orario di cena, ormai da un bel po'. Se non si fosse sbrigata non avrebbe trovato più nulla da mangiare, conoscendo la voracità di Candice.
Percorse a grandi passi gli ultimi metri che la separavano dall'incrocio principale, voltò l'angolo in fretta e quasi non cadde per l'impatto dell'urto contro il petto di Vincent Nott. Lui la afferrò prontamente per il braccio e con il proprio le cinse la vita, sorreggendola.
 «Fa' più attenzione quando sfrecci per i corridoi» le sorrise il ragazzo con voce melliflua, un attimo prima di lasciarla andare. I suoi occhi azzurri si fissarono in quelli di Rose e la scrutarono attentamente, procurandole un brivido lungo tutta la schiena. Il viso eccessivamente pallido e le ciocche di capelli carbone che gli ricadevano, disordinatamente sugli occhi contribuivano a conferirgli un’aria intimidatoria. Indubbia era la sua incantevole bellezza che molte ragazze aveva fatto sospirare, per non parlare della sua voce seducente e degli occhi ammaliatori. Tuttavia ben poche avevano avuto il coraggio di farsi avanti con questo ragazzo misterioso e vagamente ombroso e di certo Rose non ignorava le loro motivazioni: Vincent risultava spesso troppo tenebroso e nonostante fosse molto amico di Albus, lei stessa evitava di trovarsi da sola con lui o di rivolgergli la parola.
  «Ciao, Rose. Come va?» solo in quel momento si accorse della presenza di Carter Zabini, tutto sorridente che la salutò con sincera allegria.
 «Rose Weasley, dove vai così di fretta? Sappiamo bene che non sei capace di correre e restare in piedi, contemporaneamente» si aggiunse una terza voce, più beffarda delle precedenti. Scorpius Malfoy avanzava lentamente dietro Nott, le mani in tasca e un passo svogliato. Guardava nella direzione di Rose con gli occhi vispi come se avesse trovato un giocattolo di suo particolare gradimento.
La sua voce la raggiunse in un lampo e un attimo dopo averla registrata Rose si ritrovò su Malfoy: lo sbatté contro il muro con quanta forza aveva in corpo e bloccò il suo petto con il proprio braccio, mentre con l'altro gli puntava la bacchetta contro la guancia. La borsa di Rose cadde per terra e l'intero contenuto si rovesciò sul pavimento, ma lei non ci fece molto caso.
  «Tu sei un essere disgustoso, senza un minimo di onore e dignità. Credevo che il fatto di essere borioso, viziato e prepotente facesse di te uno degli individui più irritanti che avessi mai conosciuto. Poi mi sono ricreduta, vista la tua dedizione nel rovinarmi ogni singolo giorno della mia vita e ho compreso che non sei solo irritante, sei davvero insopportabile, intollerabile. In ogni caso, mi sbagliavo di grosso anche questa volta perchè tu, Malfoy, sei una persona spregevole. Sei una disgrazia» terminò il suo sfogo con il fiato corto e il viso paonazzo.
Accanto a loro Zabini sembrava terrorizzato mentre Nott, come al solito, guardava indifferente, senza tradire alcuna emozione.
Malfoy, ancora ostacolato dal corpo della ragazza, guardò i ragazzi e fece un gesto con la testa, invitando loro a proseguire senza di lui e a lasciarli soli. Zabini non se lo fece ripetere due volte e si precipitò lungo un corridoio, seguito dal passo silenzioso di Nott.
  «Le tue capacità espressive mi sorprendono ogni volta. Quanti sinonimi sei riuscita a trovare?»
  «Sei un grandissimo idiota» esclamò Rose, premendo con più forza il braccio contro la sua gola.
 «E tu hai la delicatezza di un Troll» bofonciò Malfoy, con voce strozzata. «Posso capire il tuo desiderio di saltarmi addosso ad ogni occasione, ma contieni la tua foga almeno davanti ai miei amici. Se vuoi possiamo trovare un luogo più appart
ato» aggiunse, guardandosi intorno alla ricerca di tale luogo appartato.
Rose lo guardò sbigottita e rimase per un attimo senza parole, allontanando di poco il braccio dal suo corpo.
  «Ti diverti, Malfoy?»
  «Non sai quanto, Weasley»
Approfittando dell'esitazione di Rose, Malfoy le cinse i fianchi con entrambe le mani, fermandosi appena sopra il suo sedere e attirandola a sè. Rose scattò di colpo, sferrandogli un lieve schiaffo sul petto e allontanandosi il più possibile.
  «Provaci un'altra volta e giuro che ti ficco questa bacchetta in un posto che non ti piacerà». Inspiegabilmente avvertì una sensazione di calore nelle zone in cui l'aveva sfiorata e ciò la fece irritare ancora di più. «Per caso stai sperimentando una nuova tattica per importunarmi? Continue allusioni, sguardi ammiccanti e fantomatiche storie su una mia colossale cotta per te» si rivolse a lui, incrociando le braccia e assumendo un tono di sfida: non aveva alcuna intenzione di dare segni di cedimento o, in ogni caso, di fargli notare che la sua improvvisa vicinanza l'aveva messa a disagio.
  «Nessuna tattica. È solo che riconosco i segni» spiegò lui guardandola sornione.
  «Di che stai parlando?»
  «Sei strana quest’anno»
Rose inarcò le sopraciglia sorpresa «Ti senti bene, Malfoy?»
  «Sei stata strana dal nostro primo incontro sul treno»
Lei lo guardò confusa, credendo che fosse diventato matto da un momento all’altro. «Ok, io me ne vado» si voltò per andarsene, dopo avergli lanciato un ultimo sguardo stranito, ma la sua voce la fermò.
  «Non così di fretta, Weasley»
E adesso perché diavolo mi sono fermata?
 
«Non lo capisci? Ti offendi se disprezzo il tuo corpo, ti imbarazzi quando ti tocco, mi fissi per ore durante le lezioni».
Rose roteò gli occhi esasperata: non lo aveva di certo fissato per ore.
  «La verità, mia cara, è che ti stai lentamente innamorando di me. Può succedere, non te ne fare un cruccio» Scorpius parlava piegando leggermente il busto per raggiungere l'altezza di Rose e guardarla negli occhi.
Questa di certo non se l’aspettava. E cos’era poi quel nuovo tono di voce mellifluo?
Rose scoppiò in una risata fragorosa e incontrollata, tanto che il volto di Malfoy si contorse in una smorfia. 
  «Sei davvero un pallone gonfiato, Malfoy» constatò con le lacrime agli occhi e un tono rassegnato. «Il giorno in cui io mi innamorerò di te ci sarà il ritorno di Lord Voldemort e i miei genitori saranno i suoi più fedeli seguaci»,
  «Se ne sei così convinta,  Weasley».
  «Lo sono, Malfoy».
Dei passi alle loro spalle li costrinsero a voltarsi.
  «Rose, finalmente» esclamò sollevata Candice «Stavo venendo in Biblioteca a vedere se Madama Pince ti stesse informando della sua volontà di citarti nel suo testamento, visto quanto tempo passi in quel postaccio» concluse la frase con tono accusatorio. «Malfoy» lo salutò un po' incerta, confusa nel vedere la sua migliore amica e il suo acerrimo nemico da soli in un corridoio buio, ad una distanza l'una dall'altro non proprio consueta.
  «Morgan» fece un cenno pigro con la testa, nella sua direzione. «Allora, ci vediamo in giro, Weasley» con un’ultima occhiata, le diede le spalle e si incamminò nella direzione opposta alla loro.
Candice si voltò di scatto verso l'amica, i lunghi capelli raccolti in un'alta coda che ondeggiò velocemente. Poggiò le mani sui fianchi in una spaventosa imitazione di sua nonna Molly.
  «Ci vediamo in giro?» le chiese Candice con gli occhi fuori dalle orbite.
Rose alzò le mani sconcertata «Non mi guardare così».
  «Non mi guardare cosi?».
  «Ne hai ancora per molto con questi interrogativi?»
 «Rose!» la ammonì l’amica e lei ammutolì. « Ora mi spieghi da quando salti la cena per imboscarti con Malfoy» esclamò Candice. «Prima la lezione di Pozioni, ora questo. Mi devo forse preoccupare?».

  «Non mi sono imboscata. Mi sono imbattuta in Malfoy, Nott e Zabini e poi ci siamo fermati a parlare» rispose semplicemente Rose, piegandosi a raccogliere le sue cose, sparpagliate ovunque. Forse "parlare" non era il termine esatto, ma non voleva scendere troppo nei dettagli della strana conversazione che aveva avuto con Malfoy e che ancora le ronzava nella testa.
  «Mmm, a parlare, certo. Ed è da molto che tu e Malfoy vi incontrate in luoghi ombrosi per scambiare, amabilmente, quattro chiacchiere? Inoltre, i due ragazzi appena citati, si sono volatilizzati al mio arrivo?» Candice si sfregò il mento con le dite, mimando un atto di riflessione e guardando scettica l'amica.
  «Mi sembra di cogliere del sarcasmo nella tua voce» le fece notare Rose, incrociando le braccia sotto al seno.
  «Per carità tesoro, la tua storia non fa una piega. Magari mi racconti meglio come se la passa Malfoy mentre raggiungiamo le altre nel dormitorio» e così dicendo la prese sottobraccio, trascinandola verso le scale.
  «Sai, questo tuo tono ironico inizia a stancarmi. E non ci voglio venire nel dormitorio con te, dopo che ti sei abbuffata senzapensarmi».
 «Ti ho portato la cena in camera» la interruppe con un sorrisino soddisfatto, di chi si è appena guadagnato una statua di riconoscimento.
  «Oh, ma io ti adoro» Rose l'abbracciò con vigore, quasi saltandole in braccio. «Ti ho mai detto che sei la migliore amica che si possa desiderare? Io ti adoro!» blaterò stritolandola e riempiendola di baci.
  «Sì, l’hai già detto» la respinse sorridente e proseguì, ridendo per tutto il tragitto.







Francese. Scoperta casuale, un incontro del tutto fortuito con qualcosa di inaspettato e meraviglioso.





 

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Capitolo 3
*** Discombobulate ***


 
 
Una strada dentro, ce l'hanno tutti, cosa che facilita, per lo più, l'incombenza di questo viaggio nostro,
e solo raramente, la complica.
Adesso è uno di quei momenti che la complica.
Volendo riassumere volendo, è quella strada, quella dentro,che si disfa, si è disfatta, benedetta, non c'è più.
Succede. Credetemi. E non è una cosa piacevole.



 
 

CAPITOLO III

 

Discombobulate





Rose trascorse gran parte della settimana a rimuginare sul comportamento ambiguo di Malfoy, per giungere alla più ovvia conclusione che il ragazzo intendesse seriamente rovinarle la vita. Sì, perché lei, Rose Weasley, si stava crogiolando da giorni, inabissando nei meandri più tortuosi che la propria mente riuscisse a produrre, a seguito delle sconvolgenti affermazioni di Malfoy. Che il ragazzo avesse completamente perso il senno, credendo davvero che lei si sarebbe potuta infatuare di uno come lui, anzi proprio di colui che per un’infinità di ragioni svettava in cima alla propria lista nera, era ipotesi da escludere.
   Le restava da considerare la supposizione a lei più sgradita, che quindi Malfoy avesse davvero imparato a conoscerla in quegli intensi e tormentati sei anni, giungendo alla conclusione che Rose si fosse ormai assuefatta alle sue provocazioni puerili. Da ciò ne sarebbe derivato il suo nuovo metodo di importunarla, riuscendo a confonderla, ad imbarazzarla, a farle quindi abbassare ogni strumento di difesa.
   Suo padre glielo ripeteva in continuazione: lei era emotiva come sua madre, ma fingeva una corazza di ferro e di orgoglio come suo padre. E questo, a suo dire, l’avrebbe portata ad esplodere.
“Non puoi controllare sempre tutto, Rose, ma puoi trovare dei compromessi con te stessa” Le risuonarono in mente le calde parole del padre.
Guardò le amiche nella loro frenetica corsa contro il tempo, mentre si preparavano per la prima gita ad Hogsmade dell’anno. Melissa litigava animatamente con la propria gonna che, a quanto pare era decisamente più lunga dell’anno precedente. Rose sospirò pensierosa mentre lasciava cadere sulle gambe nude il suo vestitino etnico, che lo zio Charlie le aveva portato da un viaggio lontano.
   «Joa sto per far saltare in aria la porta e se ti trovo a fumare giuro che ti strozzo con le mie mani»  gridava, battendo con foga i pugni sulla porta del bagno, Eloise con ancora addosso una deliziosa camicia da notte azzurra e le morbide ciabatte ai piedi.
Dall'altra parte della stanza Melissa lanciò un urlo di dolore. Candice, che saltellava da circa mezz'ora da una parte all'altra alla ricerca delle sue scarpe, si bloccò di colpo, stesa sul pavimento, intenta a sbirciare sotto ai letti. Rose ed Eloise sobbalzarono e si voltarono velocemente nella direzione dell'amica, la prima, guardandola sottosopra, la seconda ancora con la mano sollevata chiusa a pugno.
Joa di scatto aprì la porta, mezza nuda e con lo spazzolino ancora in bocca, guardandosi intorno spaventata e con la bacchetta sfoderata. «Che succede?» biascicò liberando bollicine di dentifricio.
Melissa, accasciata sul cornicione della finestra, si voltò lentamente verso le altre, mostrando loro un'espressione sofferente. Tra le braccia stringeva i resti della sua borsa di pelle preferita. «Stavo cercando di accorciare di poco la mia gonna dell'anno scorso, sapete quella nera con i volant, errore di una tragica stagione in saldo» spiegò tra un singhiozzo e l'altro, con lo sguardo perso nel vuoto e gli occhi gonfi di lacrime. «ho lanciato un Diffindo, ma ho sbagliato mira ed era troppo potente ...» un singhiozzo le soffocò il resto della frase in gola e la ragazza si trascinò al petto quel che rimaneva della borsa.
Le ragazze si precipitarono vicino all'amica, tranne Joa che, in un borbottio di sdegno, tornò in bagno per riversare nel lavandino il contenuto della sua bocca e Rose che assisteva alla scena esterrefatta.
Eloise abbracciava forte la sorella, consapevole di quanto questa perdita fosse dolorosa per lei, mentre Candice le accarezzava i capelli.
Johanna ricomparve frettolosa nella stanza e si arrestò di colpo quando incontrò quella scena di drammatica pateticità.
  «Ditemi che non state davvero piangendo una borsa» disse Johanna, che scuoteva la testa, cercando di capire da quale reparto del San Mungo fossero scappate.
Le altre le lanciarono un'occhiataccia, intimandole di tacere, mentre Rose, deciso che la situazione fosse più divertente che sconvolgente, si appoggiò alla spalla di Joa.
  «Mel, sono certa che ne troverai un’altra altrettanto degna» affermò Rose, imitando il tono consolatorio delle altre.
  «Non sarà mai lo stesso» rispose la ragazza, prendendo le parole di Rose come un incoraggiamento. «Lei era l'unica capace di farmi sentire completa e adeguata in ogni momento. Si adattava ad ogni capo di abbigliamento e riusciva a contenere tutto ciò di cui avevo bisogno, senza dare mai segni di cedimento. Stavamo insieme ormai da tanto tempo» si lamentò, torturando con le dita alcune ciocche di capelli. Eloise le dava delle leggere pacche sulla spalla, scuotendo la testa comprensiva.
  «Sono io o ne sta parlando come fosse un fidanzato?» fece notare Joa, guardando Rose allibita.
 «Lo capisco, ma sai come si dice "Si chiude una pentola e si apre un pentolone". Sai quante ne incontrerai nella tua vita di borse che ti faranno soffrire e che credevi sarebbero state quelle giuste per te. Devi solo trovare la forza di guardare avanti e vedrai che borse ancora più belle non aspettano altro che tu vada loro incontro» concluse Candice raggiante, afferrando le mani dell'amica e stringendole con forza per infonderle coraggio.
Joa decise di non replicare ulteriormente e rassegnata si diresse nuovamente verso il bagno. 
Melissa, leggermente rincuorata dalle parole delle ragazze, assentì con un sorriso titubante, meritandosi un abbraccio consolatorio dalle amiche.
  «Joa, non riusciamo a percepire il tuo sostegno» la chiamò Rose. 
  «Ah» per tutta risposta la ragazza si affacciò dalla porta brandendo una spazzola con fare minatorio «Non fare la spiritosa Rose, perché qui c’è davvero ben poco da ridere»
Eloise, cogliendo l'opportunità, si scaraventò come una furia verso la porta, un attimo prima che Joa riuscisse a comprendere le sue intenzioni e le due si trovarono coinvolte in una rissa feroce per la conquista del bagno.
 
  

 
- § -

 

Le ragazze camminavano per la stradina che immetteva nella città di Hogsmeade, gli alberi imponenti lasciavano cadere le foglie, creando ai loro piedi un delizioso spettacolo di colori caldi: i primi segni che l'estate stava terminando, lasciando spazio all'autunno e alle sue tinte confortanti. Rose adorava l'autunno e i suoi colori e nonostante la leggera brezza di quella giornata, amava avvertire il fresco venticello sulle sue gambe ancora nude.
Le vie di Hogsmade erano colme di studenti che si affrettavano per gli acquisti, di coppiette novelle che inauguravano l’anno con il primo appuntamento, di ragazzini ancora sedotti dalle attrazioni del paesino. Le ragazze si diressero verso il centro della cittadina, superarono la piazza con la grande fontana principale, le panchine circostanti e il basso ponteggio, dove una coppia di musicisti emergenti si esibiva e intratteneva i passanti. Come da tradizione fecero rifornimenti di dolciumi da Mielandia, anche quell’anno colma di studenti e si godettero le prime prelibatezze della stagione sugli spalti in pietra bianca che fronteggiavano il palco.
Poco più tardi passarono accanto alla Testa di Porco, dove Rose, sbirciando all'interno, notò Fred, James, Frank Paciock, Korbin Finnigan ed Emily Baston, intenti a confabulare tra loro, trafficando con oggetti che la ragazza non riuscì ad identificare. I suoi cugini stavano sicuramente organizzando qualcosa che avrebbe fatto finire loro in guai seri. Con un sospiro di pazienza, Rose decise che si sarebbe occupata di loro in un altro momento. Fu allora che le venne in mente l’appuntamento con Albus, per il quale si trovava già in un indecoroso ritardo.
Afferrò il braccio di Candice prima che questa imboccasse la via che conduceva ai Tre Manici di Scopa «Vado a cercare Al, ci vediamo in giro».
  «Va bene tesoro, potremmo anche prenderci qualcosa da bere tutti insieme».
  Rose storse il naso «Tutti chi?».
  «Noi con Albus ovviamente» rispose Candice e quando vide Rose sospirare, proseguì. «Perché, a chi pensavi mi stessi riferendo?».
  «A nessuno in particolare» rispose Rose, scuotendo la testa e allontanandosi.
Rose si incamminò alla ricerca del cugino, sperando con tutta se stessa di non doversi imbattere in Malfoy. Le chiacchiere per la scuola si erano diffuse con una velocità impressionante e con altrettanta rapidità si erano affievolite. Le ragazze -come era facile supporre, le più interessate al pettegolezzo in corso- non rinunciavano ancora a rivolgerle occhiate di biasimo, ma le più ostinate si dimostrarono le Serpeverde del sesto anno, compagne di corso di Albus e Malfoy, fermamente convinte che il suo atteggiamento irriverente fosse un patetico tentativo di attirare l’attenzione del ragazzo.
Tuttavia Rose cercava di evitarlo, sia per far cessare le occhiatacce che riceveva o i risolini emozionati delle ragazzine, sia perché Malfoy aveva preso la pessima abitudine di alternare alla sua solita seccante strafottenza, momenti in cui le rivolgeva battutine allusive, che Rose trovava ancora più irritanti, poiché erano in grado di metterla seriamente a disagio. 
Procedette a passo svelto, passando accanto a Mielandia ed evitando due bambini che seguivano disperati la fuga frenetica di un pasticcino. Voltò l'angolo e si immerse nella strada principale, affollata di studenti. Come si aspettava, di suo cugino non c’era traccia, ma individuò Carter Zabini, assorto dalla spiegazione di un mercante di accessori per il Quidditch che illustrava il modo ottimale per la manutenzione della scopa. Nel tentativo di raggiungerlo si fece strada tra la folla, spintonando i passanti. Urtò con la spalla una persona incappucciata che procedeva nella direzione opposta alla propria. La figura si bloccò al suo fianco e si voltò velocemente, afferrandola per un braccio.
Rose, arrestò la corsa e cercò di liberarsi dalla presa ferrea che le stava indolenzendo l'arto. Infastidita e un po' spaventata dall'insistenza dello sconosciuto, avvicinò la mano libera alla borsa, dove conservava la bacchetta. L'individuo si avvicinò a lei, lasciando cadere il braccio e alzò di scatto la testa, in un gesto sdegnoso e di sfida. Nel muoversi rapidamente il cappuccio scivolò, adagiandosi sulla spalla e rivelando il volto di una ragazza.
Rose rimase pietrificata.
   La prima cosa che vide furono due occhi che luccicavano come perle di vetro. Questi erano privi di palpebre. Il naso era una forma indefinita, spoglio di tutte le sue componenti, mentre le labbra erano costituite da un linea sottilissima, quasi invisibile. Sul resto del volto incavato comparivano dei solchi nodosi: sembrava una maschera di cuoio scuro e spesso, una faccia divorata dal fuoco. Rose soffocò un urlo, lasciandosi sfuggire un sibilo di terrore. Si costrinse a distogliere lo sguardo dal viso e lo concentrò sul resto del corpo. Le forme fisiche erano indubbiamente quelle di una donna, nonostante i vestiti larghi e sciatti con cui la ragazza cercava di coprirsi: Rose osservò un seno prorompente sotto una felpa scura e slabbrata e delle gambe esili fasciate da pantaloni logori. Nonostante il corpo delicato, non poteva essere definita graziosa a causa dell'altezza che le garantiva un aspetto imponente.
  «Mi sei venuta addosso» parlò con voce roca e una pronuncia strascicata, senza preoccuparsi di nascondere il suo tono aggressivo. Gli occhi grandi e tondi che la fissavano come non vedessero nulla.
  «Scusami. Non l'ho fatto intenzionalmente» farfugliò Rose esitante.
  «Pensi che me ne importi qualcosa delle tue intenzioni?»
Decisa a non lasciarsi intimorire, Rose si erse in tutta la sua statura e incrociò le braccia. «Ti ho chiesto scusa, finiamola qua». Fece per superarla ma la ragazza le si parò davanti e con una forte spallata le fece cadere la borsa per terra.
Rose si scostò all'istante, sfoderò la bacchetta e la direzionò contro il petto dell'avversaria. Avrebbe voluto minacciarle il volto, ma incontrava qualche difficoltà nel mantenere lo sguardo fisso su di esso.
  «Rose, ci sono dei problemi?» Carter Zabini la raggiunse e le poggiò una mano sulla spalla, intimandole di abbassare la bacchetta. Alternava lo sguardo inquieto tra l'amica e la sconosciuta.
  «Weasley, non credo sia il luogo adatto per un duello» disse con voce apatica Vincent Nott, affiancando Zabini. Rose si guardò intorno, notando che molte teste erano voltate nella loro direzione e li guardavano con preoccupazione. «Ciao Penelope, tutto bene?» si rivolse alla ragazza dal viso deturpato, mantenendo lo stesso tono asciutto come se di fronte a lui non stesse accadendo nulla di diverso dal solito.
Penelope, che fino ad allora non si era minimamente scomposta nemmeno dinanzi alla bacchetta di Rose, guardò Nott per un attimo, ma Rose riuscì a cogliere un minimo di sollievo nei suoi occhi. Increspò le labbra in quello che doveva essere un sorriso ma che a Rose sembrò una smorfia spaventosa e se ne andò, inoltrandosi nella folla.
  «Chi è quella ragazza?» Rose si rivolse a Nott senza accorgersi di non aver abbandonato la rabbia che la travolgeva.
Fu Zabini a risponderle «Sta sempre da queste parti. I negozianti la conoscono ormai da tempo e dicono che ha un carattere un po' difficile. Tende ad essere scontrosa ed irascibile con le persone».
  «Sono solo storie. È una ragazza particolare» aggiunse semplicemente Nott.
  «Particolare? Quella ragazza mette i brividi» constatò Rose, osservando la pelle d'oca lungo le proprie braccia. Il suo sguardo cadde sulla borsa ai propri piedi e vide che alcuni oggetti si erano sparpagliati sull'asfalto.
  «Se ti riferisci al suo volto, quello fa paura anche a me. Nessuno sa cosa le sia capitato e lei non ne parla mai» disse Zabini storcendo il naso in una smorfia di disgusto.
Rose lo ascoltava appena. Aveva trovato sul pavimento, vicino alla sua borsa, un libro poco più spesso di un quaderno, rilegato in pelle antica, marrone e chiuso con un gancio di ottone. Sulla prima pagina lesse il nome di Penelope, scritto con una grafia elegante e sottile, ma appena visibile, come se qualcuno avesse tentato di cancellarlo. Lo sfogliò velocemente incontrando pagine consumate dalla fitta scrittura. Queste si erano ingiallite con il tempo e lungo i margini erano evidenti segni di bruciatura. L'interno era sciupato rispetto alla copertina lucida e impreziosita da ricami dorati. Rose si sentì affascinata dall'austerità e antichità che le ispirava quel libro, eppure le pagine al suo interno sembravano aver subito violenze inimmaginabili e questo la inquietava.
   Chiuse di scatto il libro e lo porse a Vincent «Questo è di quella ragazza. Mi faresti un favore se glielo restituissi tu il prima possibile, non vorrei essere accusata di averla derubata» pronunciò tali parole, tacendo ciò che realmente la inquietava: la sensazione di agitazione che le procurava quel libro e il timore che lei potesse venirlo a reclamare anche all'interno delle mura del castello. Si  rese conto dell’irrazionalità del proprio timore, avendo un’esaustiva conoscenza degli innumerevoli incantevoli atti a proteggere le mura di Hogwarts. Oltretutto, era abbastanza improbabile che la ragazza la perseguitasse solo perché quella mattina si erano scontrate. Eppure il pensiero di liberarsi di quell'oggetto e di quella ragazza la rincuorava.
 Nott osservò Rose intensamente per una frazione di secondo ma ciò bastò per accrescere la sua inquietudine. Afferrò saldamente il libro senza che il suo volto si tradisse in un’espressione.
Quando Vincent fece ritorno dalla sua missione, non si dimostrò più loquace del solito e non proferì parola sull'accaduto. A Rose, d'altro canto, stava più che bene. Insieme i tre ragazzi si incamminarono verso i Tre Manici di Scopa, dove Zabini assicurò di aver visto dirigersi Albus.
Entrarono nel locale, assillati dall'incessante chiacchiericcio di Zabini e Rose rifletté sulla possibilità di rinchiuderlo in una stanza insieme a Candice. Vide Albus ad un tavolo, seduto tra Malfoy e Johanna, mentre quest'ultima lo importunava, cercando di incantare i suoi occhiali affinché cambiassero colore in base all'umore di chi li indossava. Al tentava di bloccarle le mani dietro la schiena, mentre Malfoy e Candice, seduta di fronte a lui, ridevano di gusto. Era la prima volta che vedeva Malfoy ridere con tanta spensieratezza, per di più con le sue amiche. Avvertì una stretta allo stomaco che le fece contorcere il naso infastidita.
Appena vide Rose, Candice si illuminò e andò incontro all'amica, scaraventando all'aria la sedia.
  «Rose, abbaiamo lasciato le gemelle a fare acquisti e ci siamo imbattute in Albus, che oltretutto ti cercava disperatamente, a quel punto Joa non si è voluta più allontanare e si è rallegrata visibilmente, ma se glielo fai notare ti urla contro come una pazza isterica, dicendo che sei una visionaria» aggiunse alzando le sopracciglia in uno sguardo malizioso. Osservò per la prima volta i ragazzi al suo fianco e guardò l’amica interrogativa «Cos’è questa passione per i Serpeverde?» aggiunse senza curarsi di abbassare il tono della voce.
  «Da che pulpito».
  «Oh, ti riferisci a Malfoy?» affermò energicamente Candice indicando il soggetto della loro conversazione.
Il ragazzo alzò la testa nella loro direzione e le guardò impassibile.
  «Sì, Can, ti dispiace abbassare il tono della voce?». Rose si affrettò a riportare il braccio di Candice ad una posizione consueta.
L’amica parve non averla sentita e farfugliò a raffica, evidentemente a disagio «Ti dispiace se ci siamo sedute con loro? Non ho saputo come comportarmi in quel momento, ma se ti crea imbarazzo stare vicino a Malfoy, ce ne possiamo anche andare subito».
  «No, no, no. Non mi crea nessun imbarazzo» affermò Rose a voce bassa, ormai paonazza. Per peggiorare la situazione i suoi occhi si precipitarono a scrutare la reazione di Malfoy e lo vide sorridere beffardo, mentre ricambiava il suo sguardo, incurvando divertito i sopraccigli.
Una risata bassa e piacevole proveniente dalla sua destra le ricordò solo in quel momento dei due ragazzi ancora al loro fianco, intenti ad ascoltare quel disdicevole scambio di battute. Quando si voltò, osservò piuttosto allarmata Vincent Nott che sorrideva divertito per la prima volta da quando lo aveva conosciuto. Candice, che evidentemente non si rendeva conto dell'incredibilità della faccenda, gli rivolse un sorriso raggiante, dimostrando la sua disarmante solarità. La reazione di Nott fu più inverosimile della sua risata precedente: distolse immediatamente lo sguardo dalla ragazza e arrossì impercettibilmente, perdendo il suo solito monotono contegno.
Rose si avvicinò al tavolo occupato da quell'inconsueto cenobio, si accomodò tra Candice e Zabini.  Nott si diresse al bancone per ordinare qualcosa da bere e Rose ebbe l'assurda impressione che volesse solo allontanarsi da loro.
  «Non ci posso credere, Ross, anche tu da queste parti! E' bello incontrarti ogni tanto» la salutò Albus sporgendosi nella sua direzione con la mano sul cuore in un gesto di commozione.
  «Non mi sembra tu abbia sofferto più di tanto la mia mancanza» Rose gli rivolse un sorrisino beffardo, guardando prima lui e poi Joa al suo fianco che gli sfiorava distrattamente la coscia, mentre assaporava la propria Burrobirra. Albus perse il proprio sorriso e si ricompose sulla sedia.
  «Nessuno ha sofferto qui la tua mancanza, puoi stare tranquilla» aggiunse Malfoy che con la bacchetta faceva danzare il bicchiere sul tavolo.
Rose si sporse oltre le spalle di Carter Zabini 
 «Si può sapere chi ti ha invitato?»  
  «Ero in giro con Albus» fece semplicemente lui senza nemmeno guardarla.
 «Ovviamente» mormorò lei «Non hai di meglio da fare che vivere in simbiosi con mio cugino?».
  «Più di quanto tu possa solo immaginare».
E infatti Rose non desiderava affatto immaginare cosa fosse abituato a fare solitamente durante le consuete gite ad Hogsmade.
  «Offro 10 galeoni a chi accetta di prendere il mio posto» esclamò Carter in tono querulo, seduto in mezzo ai due ragazzi.
  «Tu non li frequenti molto insieme, vero?» notò subito Joa.
  «Cerco di evitarlo».
Joa lo guardò rammaricata, annuendo comprensiva.
  «Ross, almeno mi concederai una visita al negozio dello zio?» si intromise Albus.
  «Dovrebbe aver avuto il rifornimento dei nuovi prodotti che stava testando questa estate» rispose lei tornando raggiante. «A proposito, sai per quale motivo Fred e tuo fratello bazzicavano con altri Grifondoro alla Testa di Porco?» si informò Rose.
Lui scosse le spalle con noncuranza e si affrettò a cambiare discorso.                                                         
Intanto Nott era tornato al tavolo con due Burrobirre e un'Acquaviola e si sedette all'unico posto rimasto libero, tra Candice e Johanna. Rose si sporse oltre Carter per afferrare il bicchiere di Whisky Incendiario di suo cugino Al ma la mano di Malfoy fu più rapida della sua. Prese il bicchiere e con un sorso svuotò l'intero contenuto.
  «Non ci provare nemmeno, Weasley. Non ho mai visto una persona meno adatta di te a reggere l'alcol» disse il ragazzo affacciandosi oltre la spalla di Zabini per poter guardare Rose in volto.
 «Io non ho alcun problema con l'alcol, Malfoy» e così dicendo tentò di afferrare il bicchiere che lui stringeva tra le mani. Zabini, ormai preoccupato, si divincolava per evitare una doccia di Whisky Incendiario.
  «Ho notidi ricordi di un Capodanno in casa Potter e del tuo inequivocabile desiderio di approfondire la mia conoscenza. Dovetti portarti di peso in camera da letto per evitarti una strigliata da parte di tua madre. A pensarci, probabilmente ho rischiato ben più di una strigliata da parte di tuo padre» ricordò il ragazzo, giocando con l'ultimo goccio di liquido rimasto nel bicchiere. «Non era colpa mia se la tua gonna si era alzata in quel modo».
Rose lo fissò pietrificata, non sapendo se inorridire o sprofondare per la vergogna. Malfoy scoppiò a ridere.
  «Dio, Weasley sei così prevedibile e credulona» disse, un lampo di ilarità negli occhi. 
«Eppure in giro si dice che sei intelligente»
Rose, più inferocita che sollevata, si aggrappò alla spalla di Zabini per poter guardare meglio il ragazzo «La tua storia avrebbe potuto avere del credibile, peccato che ti sia tradito menzionando un atto di galanteria da parte tua» sbottò «Questo dettaglio rasenta la fantascienza»
  Malfoy mise un braccio attorno alla spalliera di Carter e si sporse ancora di più verso la ragazza.  «Ah, quindi la prima parta sarebbe stata credibile?»
   «Con un enorme atto di fiducia...»
   «Siamo già arrivati a questo?»
   «... che non ti concederò mai in questa vita né in un'altra»

Scorpius Malfoy avvicinò maggiormente il volto a quello della ragazza «Non credere che non mi sarebbe piaciuto portarti in quella camera da letto» soffiò tali parole, sistemandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Rose si allontanò di scatto e con una mano lo spinse via, facendolo ritornare alla posizione originaria. 
  Carter Zabini raccolse il coraggio necessario dal contenuto del proprio bicchiere, che vuotò in un sorso disperato, e sbottò «Se avevate intenzione di filtrare in un modo nemmeno tanto discreto vi sareste potuti sedere vicini sin dall'inizio, senza fare tutte queste storie». Adocchiò una cameriera e le andò incontro ordinando una bottiglia intera di Whisky Incendiario Ogden Stravecchio.
Albus Potter adagiò su di loro i suoi serafici occhi, affettando uno sguardo languidamente impertinente «Qualcosa mi dice che questa volta l’abbiate stancato davvero» . Rose osservo il cugino piegarsi nella direzione di Malfoy e sussurrargli parole che alla ragazza non sfuggirono «Lo sai che ha ragione, vero?».
Il ragazzo guardò l’amico con sufficienza e alzò gli occhi al cielo. Rose, approfittando della distrazione di Malfoy, afferrò il suo bicchiere e se lo avvicinò alle labbra, guardandolo trionfante e facendogli un occhiolino.
Scorpius Malfoy a quel punto si limitò a guardarla con un'espressione che Rose non seppe decifrare. Per un attimo le sembrò disarmato.
La ragazza tornò a concentrarsi sul bicchiere che tanto trionfalmente aveva guadagnato e rifletté solo in quel momento sulle labbra di Malfoy che poco prima vi si erano poggiate. Ripensò alle parole dei ragazzi e solo in quel momento si rese conto di come il loro comportamento potesse essere facilmente scambiato per un malsano corteggiamento.
Ci era ricascata.


 
- § -

 

 
Per quanto Rose avesse desiderato trascorre la giornata in compagnia di Albus, la bizzarra comitiva che era nata quella mattina creava un certo disagio nell’aria, accentuato dalle molte teste di passanti che si voltavano stranite nella loro direzione. Per sua fortuna evitarono di imbattersi in James: il cugino sicuramente avrebbe avuto molto da ridire sulla vergognosa fusione delle Case che avrebbe oltraggiato secoli di tradizioni.
La sorte tuttavia non le fu del tutto favorevole, poiché non le impedì di incontrare la piccola Lily, a quanto pare non più così bambina come tutti continuavano a figurasela, dato che passeggiava amabilmente mano nella mano con un ragazzo del quinto anno di Grifondoro. Carter e Malfoy non persero occasione per provocare Albus con allusioni continue alla fiorente bellezza della sorella minore.
  Ciò che ammirava in Albus e che lo rendeva così dissimile dal fratello, era la sua perpetua serenità di fronte anche alle situazioni più gravose. Con il suo sorriso limpido e un’espressione gioiosa sul volto era capace di affrontare ogni difficoltà e per questo era la spalla di supporto di cui Rose non avrebbe mai potuto fare a meno. Solo in un caso ebbe l’occasione di assistere alla perdita di controllo del cugino e fu il momento in cui diede una sonora lezione a Scorpius Malfoy, il primo giorno di scuola. Forse fu proprio quello scontro diretto a determinare un legame tanto coeso tra i due ragazzi, come se condividessero lo stesso sangue. E non ebbero motivo le infinite e petulanti proteste di Rose a riguardo, la quale sfogò la propria frustrazione fomentando l’odio nei confronti del ragazzo che l’aveva battuta nella competizione a lei più cara: l’attenzione di Albus Potter.
   Lily passò loro accanto, fiera degli sguardi meravigliati che le vennero rivolti. Si voltò solo un attimo per strizzare l’occhio alla cugina. Lei le sorrise di rimando e alzò un pollice in segno di approvazione. Albus, come suo solito, sembrava indifferente alla situazione.
Tra le proteste generali Rose riuscì a fare visita alla propria libreria di fiducia, ma ne uscì del tutto insoddisfatta, constatando che la letteratura magica non poteva in alcun modo reggere il confronto con quella babbana. Il punto di vista di coloro che non conoscevano la magia era decisamente più interessante e fecondo ed era capace di creare mondi alternativi con il solo sostegno della fantasia.
   Finalmente giunsero davanti al negozio dello zio George, che dopo l’incredibile successo della prima sede a Diagon Alley, pensò bene di aprire una filiale, così da non creare disguidi per l’eredità futura dei propri figli. Nonna Molly rimase piacevolmente sorpresa per una riflessione tanto responsabile e lungimirante del figlio.
   Il negozio spiccava tra tutti gli altri per l'arcobaleno di colori della facciata principale. Sull'insegna, un omino incredibilmente simile a George Weasley liberava dal proprio cappello alcuni tra i prodotti in vendita che poi, dopo essersi assicurati l’attenzione dei passanti, si dissolvevano nel nulla.
Per i ragazzi era una vera gioia mettere piede in quel mondo stravagante. Joa si lasciò subito attrarre da un astuccio incantato capace di illudere sguardi indiscreti, trasformando il contenuto in piume d’oca; Candice si diresse frettolosamente verso le Puffole Pigmee, seguita dalla sguardo di Nott. George Weasley, intento a ragguagliare un ragazzino sulle capacità straordinarie dei Cappelli Decapitanti, notò i ragazzi all'ingresso e si diresse nella loro direzione.
   «Ora sì che si ragiona. La gioventù più fiorente si degna di mettere piede nella mia baracca» sorrise ai ragazzi, scompigliando i capelli di Albus e accarezzando la guancia della nipote.
Rose aveva un debole per lo zio George, che era l’unico della famiglia Weasley a non prendere sul serio la storia dei “Salvatori del mondo magico”. Continuava a prendersi gioco del padre e dello zio Harry come se fossero sempre e solo dei marmocchi di cui burlarsi e la zia Ginny le raccontava sempre con le lacrime agli occhi di come questa fosse la particolarità di Fred e George. Sarebbe stato formidabile avere avuto la possibilità di conoscere lo zio Fred, si ripetevano di continuo Albus e Rose senza però farne parola con gli adulti. Ricordava spesso come lo zio riuscì a tormentare il padre quella volta al quarto anno, quando Rose invitò un ragazzo a cena durante le vacanze di Natale e il padre mantenne il broncio per tutto il giorno successivo, fino a che, esasperato dalle continue derisioni del fratello, non toccò mai più l’argomento.
Adorava lo zio George!
   «Zio, non ci saremmo mai privati di una visita al tuo nuovo negozio» disse Albus «Gli affari vanno bene come a Diagon Alley?»
   «Sicuramente è meno tranquillo rispetto a Diagon Alley, per questo ho lasciato Zia Angelina a dirigere l'altro punto vendita. Tuttavia da qui è più facile gestire le ordinazione, visto che la maggior parte proviene dagli studenti di Hogwarts».
   «Ho sentito che Gazza ha creato diversi problemi per alcuni tuoi articoli. Addirittura mi hanno detto che voleva appellarsi in tribunale al Decreto per la Ragionevole Restrizione dell’Arte Magica tra i Minorenni» disse Rose, palesando la sua indignazione.
   «Quel ridicolo maganò credeva di aver trovato l'occasione per farci chiudere, ma la Mcgranitt lo ha messo al suo posto» spiegò allegramente George. «Avanti, smettetela con queste formalità, lo so che in realtà non vedete l'ora di vedere che cosa vi ho riservato» disse loro esultante, strizzando l'occhio.
Poggiò sul bancone un grosso scatolone e iniziò a rovistarvi dentro.
   «Weasley, ho trovato un rimedio al tuo problema» Malfoy, sbucò da uno degli scaffali e si avvicinò a Rose con in mano una boccettina arancione.
  «Di quale problema stai parlando, Malfoy?» Rose si voltò pigramente nella sua direzione, una mano sul fianco e lo sguardo tra l'interrogativo e l'annoiato. 
   «Polvere di Fata» pronunciò il nome del prodotto e l'avvicinò a Rose invitandola a leggere le indicazioni
   «Due sole gocce di questo prodotto e apparirete, agli occhi degli altri, come la più graziosa creatura del mondo magico. Leggiadria e bellezza saranno le nuove parole d’ordine» Rose lesse ad alta voce la descrizione riportata sulla boccetti
   «Sai, per la tua totale mancanza di eleganza, raffinatezza e femminilità in genere» le spiegò Malfoy, cingendole le spalle con il braccio e parlandole come se fosse una sua affezionata paziente.
Rose gli diede una gomitata sul fianco, il ragazzo le lasciò la spalla portando le mani allo stomaco e abbandonandosi ad una risatina divertita. «La solita delicatezza».
   «Tu invece ne fai uso spesso, vero?» disse Rose lanciandogli contro il maglioncino che stringeva tra le mani. Malfoy lo afferrò al volo e se lo portò al naso inspirando il profumo della ragazza.
   «Su questo non si può dire nulla, Weasley. Hai un profumo incantevole» le rispose, lasciando la ragazza del tutto basita. Come capitava ultimamente, riusciva a farla rimanere senza parole per la rapidità con cui alternava le solite provocazioni fastidiose ad allusioni disarmanti. «Questo me lo tengo» aggiunse infine e senza dare tempo alla ragazza di rispondere, si diresse verso l'uscita con un «Arrivederci, Signor Weasley».
George si avvicinò ai ragazzi e poggiò nelle mani di Albus un Mantello Scudo, aggiungendo «Questo articolo costa un accidenti, ragazzo mio, quindi guai a te se lo danneggi.» Albus lo ringraziò di cuore, gli occhi illuminati di felicità.
  Quindi si rivolse a Rose e le mise tra le mani un braccialetto con un piccolo medaglione argentato, coperto su una facciata da una pietra verde cristallizzata. «Questo, Ross, è un nuovo articolo e devo ancora metterlo in commercio. Vedi la pietra incastonata? Se lo indossi mentre parli con qualcuno, questa si illumina di rosso nel caso in cui il tuo interlocutore stia mentendo. Non immagini quante punizioni si sono meritati i tuoi cugini per via di questo aggeggio» scherzò lui.
  «E’ indubbiamente utilissima» gli sorrise Rose, contemplando il ciondolo.
  «Sapevo che ti sarebbe piaciuta. Sei un po’ come tua madre, con la vostra fissa per la giustizia».
  «Ti sbagli zio, non sono come lei».
  «Lo so» le sorrise lui «Almeno non completamente. Ti piace andare contro le regole, per questo non sei stata nominata Prefetto».
Rose strinse forte i pugni. Era vero, non era Prefetto dei Grifondoro, come Albus e come Dominique e questo non era sfuggito all’attenzione della madre, che per giorni si era domandata come fosse stato possibile commettere un errore del genere. Quando chiese spiegazioni alla professoressa McGranitt, Rose le urlò contro indignata e furiosa e nella loro casa per diversi mesi l’aria tesa divenne irrespirabile. Ma lo zio George era fiero della nipote e non perdeva occasione per evidenziare quanto fosse più una Weasley - dal ramo positivo, si intende- che una Grenger.
Rose stampò un lungo bacio sulla guancia dello zio
  «Ah Rose» la chiamò lui.
  «Si?» Rose si voltò nella sua direzione.
  «Né io, né Albus Silente in persona potremmo fare niente contro la furia di tuo padre, quando gli porterai a casa Scorpius Malfoy per Natale» le parlò mentre trafficava con dei documenti. Alzò lo sguardo rilassato e le fece un gesto con la testa, per dirle che poteva andare.
Rose guardò lo zio qualche secondo in più del necessario, riflettendo sulle sue parole. Quando, finalmente si rese conto che lo zio intendeva davvero quello che pensava lei, era troppo sconvolta per proferire parole e uscì dal negozio scuotendo la testa, andando a reclamare il suo maglioncino.
 

 
- § -

 
 
Il cielo si imbruniva mentre Rose, Candice e Johanna si diressero verso il castello, dopo aver lasciato i ragazzi a testare nel prato vicino al Lago Nero i Fuochi Forsennati Weasley. Nella Sala d' Ingresso per poco non vennero travolte da un gruppo di ragazzi che cercavano di evitare le Caccabombe lanciate da Pix.
   «Wesley numero 350 monete d’oro, testa rossa color pomodoro» sghignazzò il fantasma.
Per sfuggirgli  percorsero le scale correndo fino a che non raggiunsero la Torre di Grifondoro con il fiato corto.
   «Maltafinocchia» pronunciò Joa con sicurezza.
La Signora Grassa non la degnò di uno sguardo, troppo intenta ad informare il Dipinto di Violet dell'ultima disputa tra Nick-Quasi-Senza-Testa e Ser Cadogan. A quanto pare quest'ultimo lo aveva accusato di aver truccato il suo ingresso nell'Associazione dei Cavaliere senza Testa, sostenendo appunto, che Sir Nicholas non avesse le competenze adatte.
   Mentre Joa palesava, con parole molto colorite, quanto poco gliene importasse della lite di due squilibrati, dalla rientranza del muro laterale al dipinto qualcuno si mosse: Vincent Nott uscì dalla penombra di quell'angolo, facendo sobbalzare le ragazze.
   «Da quanto tempo sei là dietro?» gli domandò Rose ancora con il cuore in gola.
  «Da un po'» rispose semplicemente lui, mantenendo lo sguardo rivolto verso Candice. 
«Non volevo spaventarti. Stavo aspettando il tuo ritorno. Volevo lasciarti questo». Parlava con frasi brevi e atoniche.
Nott le porse una scatola azzurra che portava il marchio di Tiri Vispi Weasley. Candice incuriosita, accettò il regalo e lo aprì rapidamente. Nella scatola saltellava allegramente una Puffola Pigmea verde chiaro che guardava la nuova padrona con gli occhi sgranati. Candice emise un urlo di gioia e incredulità e si gettò tra le braccia di Nott, in un gesto spontaneo.
   «Oh, Vincent non potevi farmi regalo più bello» disse Candice, stritolando il suo nuovo ammiratore.
Rose concordò con l'amica. Se l' intenzione di Nott fosse quella di far colpo su Candice, aveva raggiunto brillantemente il suo obiettivo. La ragazza lo guardava affascinata, non dal suo incantevole aspetto, ma dalla sua sorprendente dolcezza. Osservò il ragazzo e notò che non sorrideva né ricambiava l'abbraccio di Candice in un atteggiamento di evidente disagio.
Perché darle un regalo del genere davanti a noi, se ciò lo imbarazza?
Quando finalmente le due signore si furono accertate che nessuno dei due combattenti aveva perso la vita nel duello all'ultimo sangue che avevano sostenuto, la Signora Grassa fu disposta a lasciare entrare le ragazze. Rose e Joa lasciarono i due ragazzi alle prese con quella nascente sintonia. Prima di varcare la soglia del passaggio, Rose di voltò a guardarli un ultima volta.
   La Sala Comune di Grifondoro, ampia e circolare ospitava i ragazzi stanchi, di ritorno dalla gita ad Hogsmeade. Lily sedeva su una morbida poltrona vicino al fuoco, le labbra semichiuse in un appassionante bacio.
   «Ehi tu, staccati immediatamente da mia sorella» sbraitò Joa in una perfetta imitazione di James.
I due ragazzi presero fiato e sobbalzarono sul divano, allontanandosi di colpo.
Rose scoppiò a ridere, ma si ricompose subito vedendo l’espressione offesa della cugina «Scusami, come ti salta in mente di baciare Lily in questo modo in piena Sala Comune? Hai idea di quanti Weasley-Potter ci siano a Grifondoro?».
Il ragazzo evidentemente imbarazzato si affrettò ad abbandonare il luogo del delitto.
   «Siete terribili. E tu Rose sei sempre più simile a James, anzi ad Albus. Sei proprio una serpe!» ringhiò Lily, sbattendo furiosamente un piede sul pavimento.
   «Ti abbiamo evitato un brutto momento, piccola Potter» le disse Joa.
  «Beh, la compagnia di mio fratello e di Malfoy non vi fa per niente bene». Rose e Joa si scambiarono uno sguardo stranito. «E trovatevi un ragazzo invece di importunare il mio!»
Dal dormitorio maschile una chioma bionda e lucente richiamò l’attenzione dei presenti, mentre ondeggiava al ritmo di un passo seducente. Dominique Weasley percorreva le scale con una leggiadria da fata, il suo sguardo altezzoso non si abbassava ad osservare nessuno intorno a sé. Arrestò la propria avanzata poco prima di passare accanto alle cugine. Infine le guardò e sorrise loro in modo talmente tanto ammaliante  che Rose pensò volesse sedurre anche loro. O forse non poteva fare a meno di guardare le persone così.
   «Lily, tutta la Torre ha sentito le tue urla» la rimproverò lei con voce melliflua.
La ragazza si accigliò e divenne ancora più rossa di quanto non fosse, come sempre a disagio di fronte a quella cugina.
   «A proposito di torri, tu che ci fai qui Domi?» domandò Rose con un’occhiata alla sua cravatta blu-argento.
Lei la guardò, inarcando appena le sopracciglia e accennando un sorriso, poi sussurrò «Un giretto». Ridacchiò una serata che sembrava melodia, e si allontanò dalle ragazze, riprendendo il fluido ondulare dei capelli e dei fianchi.
   «Sempre simpatica la Veela» disse Joa, guardando scettica le ragazze, dopo che il passaggio si fu chiuso.
   «Per un quarto Veela» risposero all’unisono le due cugine.
   «Chissà con chi è andata stavolta» rifletté Lily, fissando ancora il punto in cui prima si trovava Dominique.
   «Ma chi se ne importa» fu la secca risposta di Rose. Si abbandonò sul divano dove prima stavano amoreggiando Lily e il ragazzo, sistemò con cura i piedi sotto al cuscino e accolse la cugina che si sedette accanto a lei, mentre Joa spalancava la finestra per fumarsi una sigaretta babbana. «Hai finito di odiarmi?» chiese Rose a Lily, mentre questa poggiava la testa sulla sua spalla.
La ragazza annuì «Sempre meglio una serpe come cugina che Dominique».
    «Ehi! Sei un’ingrata»
   «Ingrata? Che cosa avresti fatto per me?» chiese Lily inarcando le sopracciglia.
   «Non importa quello che ho fatto, ma quello che farò. Con chi credi che si sfogherà tuo fratello dopo quello che hai osato fare?».
   «Quale fratello?»
   «Quello stupido» risposero con un’unica voce Rose e Joa.
Lily sospirò divertita «James non può rovinarmi l’adolescenza».
   «Oh rassegnati a questo, ci riesce benissimo con me» rispose Rose con amarezza.
   «Ma nel tuo caso è diverso: tu esci con Malfoy».
Rose si scostò di scatto «Io non esco con Malfoy!» dichiarò a denti stretti e con voce austera.
  «Oggi siete usciti insieme ad Hogsmade».
  «Noi due e altre cinque persone per l’esattezza» puntualizzò Rose con sguardo allibito «Non mi sembra proprio un appuntamento».
  «Ma chi credi che abbia notato tutta Hogwarts?» disse Lily, guardando con ovvietà la cugina.
Joa sghignazzò in una nuvola di fumo e Rose guardò ancora più sconvolta Lily. «Ma perché?»
  «Perché è lo scoop del secolo! Siete stati lo spettacolo di tutti per anni e adesso Malfoy dice davanti a tutta la classe che tu hai una cotta per lui e improvvisamente vi trovate insieme a passeggio per Hogsmade».
Rose boccheggiò, ascoltando la cugina; poi aggiunse esitante «Ma con altre persone».
Lily alzò gli occhi al cielo e guardò Rose come se fosse ritardata «Rose, non lo avete mai fatto».
Rose rifletté per un attimo di fronte all’improvvisa saggezza della cugina, che in una sola giornata si stava dimostrando per la seconda volta molto più adulta di quanto immaginasse. Se ciò che Lily le stava dicendo rappresentava il pensiero di tutta la scuola, allora solo Rose e Malfoy non si erano resi conto della straordinarietà di quella faccenda. O forse lui l’aveva capito perfettamente e l’aveva programmato sin dall’inizio. Doveva ammettere che Malfoy riusciva sempre a trovare il modo per sorprenderla.
   «Che assurdità» sentenziò Rose infine. «Smettila di andare dietro a questi pettegolezzi».
   «Non ci sarebbe nulla di male, Rose».
   «Lily!» la ammonì la ragazza con un tono che non ammetteva repliche e tornando a distendersi sul divano.
Lily sospirò amareggiata «Sei solo ostinata».
   «E’ una Weasley» affermò Joa, espirando l’ultima boccata di fumo e spegnendo la sigaretta contro il marmo lucido della finestra «Tu sei una Potter ben riuscita, non puoi capire fino in fondo queste stranezze».
Lily si alzò dalla sua seduta e si incamminò verso le scale, non prima di essersi voltata verso Joa e averle detto «Anche mio fratello Albus è un Potter ben riuscito, no?».
Così dicendo sparì lungo le scale, lasciando Johanna a bocca aperta, ancora appoggiata alla parete.
   «Da quando è così?»
 
Qualche ora più tardi, Rose si ritrovò da sola sul divano con Traduzione Avanzata delle Rune sulle gambe e Quidditch Attraverso i Secoli aperto tra le mani. Quando si rese conto che non sarebbe andata oltre con lo studio, chiuse i libri e raccolse le sue cose per tornare nel Dormitorio. Sistemò i suoi quaderni nella borsa e scorse sul fondo di essa un libro che non apparteneva ai testi scolastici. Lo afferrò e lo posizionò sotto la luce della sua bacchetta per osservarlo con più attenzione. Riconobbe gli inconfondibili ricami antichi del diario di Penelope.
   Fu scossa da un brivido glaciale e il diario le scivolò dalle mani per atterrare sul tappeto con un tenue rimbalzo in un raccapricciante silenzio. Si guardò intorno atterrita. D'improvviso l'accogliente Sala Comune aveva perso tutta la sua magia, apparendo un luogo sinistro: le fiamme del fuoco proiettavano velate ombre longilinee ai suoi piedi e i drappi appesi ai muri sibilavano agitati dal vento. Rose aveva consegnato a Nott quel diario, ne era certa. Che questo si trovasse nella sua borsa, rimasta ai piedi del divano nella Sala Comune dei Grifondoro per tutta la giornata, era logicamente e magicamente impossibile.
   Nemmeno se quella ragazza fosse stata un fantasma, mascherato con qualche incantesimo a Rose sconosciuto, avrebbe anche solo potuto avvicinarsi alle mura di Hogwarts. Tuttavia Rose non riuscì a dare alcuna spiegazione logica alla presenza di quel libro tra le sue mani. Terrorizzata lo lasciò cadere sul fondo della borsa e corse a rifugiarsi nel Dormitorio. Sistemò le tende del baldacchino e chiuse gli occhi cercando di addormentarsi. Ma in testa aveva una sola immagine: il volto sfigurato di quella ragazza dagli occhi di vetro.






Inglese. Scombussolare







 

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Capitolo 4
*** Xibipiio ***


 
Aveva quella bellezza di cui solo i vinti sono capaci.
E la limpidezza delle cose deboli.
E la solitudine, perfetta, di ciò che si è perduto.
 
 

 

CAPITOLO IV

 

Xibipiio




 
Quella mattina Rose si svegliò di soprassalto. Non aveva affatto chiuso occhio quella notte infestata da incubi. Uno in particolare la tormentava ancora, lei stessa che si guardava allo specchio e osservava una figura diversa dalla propria: lunghi capelli neri come il petrolio, viso pallido, occhi vitrei e volto sfigurato, deturpato, senza naso, bocca, palpebre. Lanciò un urlo di terrore e si svegliò con la fronte imperlata di sudore e le mani fredde e bagnate.
Nella Sala Grande, lungo il tavolo di Grifondoro Rose sedeva accanto alle sue amiche, lo sguardo perso nel vuoto e un mal di testa lancinante. Non aveva toccato cibo, la sensazione di nausea non la abbandonava dalla sera precedente e l'ansia le creava delle fitte dolorose allo stomaco. Non avrebbe mai creduto che quel volto e quel diario l'avrebbero turbata in quel modo, ormai non riusciva a pensare ad altro.
 «In cosa consiste il principio di Trasfigurazione Assemblata?» Eloise si rivolse alle altre, verificando la loro preparazione per l'esame di Trasfigurazione di quella mattina.
  «Modificare le fattezze di un corpo umano o animale, trasportandolo da una determinata temperatura ad una completamente diversa. Per far ciò bisogna considerare i legami molecolari che regolano la composizione di un organismo» rispose titubante Melissa, sbirciando il libro di Trasfigurazione Avanzata.
Eloise annuì soddisfatta «Esempi di trasfigurazione umana» proseguì con l'interrogatorio.
Candice si raddrizzò sulla sedia e disse sicura « Animagi e Lupi Mannari. Però ho un dubbio: i Metamorfomagus possono considerarsi degli esempi di trasfigurazione umana? » chiese Candice, poi si voltò verso Rose « Eh Rose? Teddy Lupin non è un Metamorfomagus? E' stato registrato al Ministero?».
Rose non stava ascoltando, con gli occhi fissi sul portone della Sala Grande si aspettava da un momento all'altro di vedere entrare la ragazza dei suoi incubi.
   «Rose, sei qui con noi?» Melissa le sventolò una mano davanti al viso e la ragazza si riscosse subito.
   «Si, cosa?» si voltò lentamente verso Melissa, le mani impegnate nel legare i capelli che quella mattina non aveva avuto modo di pettinare.
  «Candice, non credo che si possa considerare un tipo di Trasfigurazione umana perché i Metamorfomagus hanno delle capacità innate di modificare il proprio aspetto, mentre gli Animagi e i Lupi Mannari le acquisiscono con il tempo, in seguito allo studio o, nel caso dei Lupi, perché vengono morsi» spiegò Eloise in sostituzione di Rose, che non dava segno di interessarsi alla loro discussione.
   «Si, ha ragione Eloise» rispose semplicemente. Poi si voltò verso le altre «Si supera questo esame?» disse con voce un po' atona, ma riprendendosi lentamente.
   «Tu di certo e con la solita E» sbuffò Melissa, sbattendo la testa sul libro aperto.
  «Eccolo qua!» urlò Johanna alla sinistra di Candice, sbattendo sul tavolo, in bella vista, un foglio di pergamena con su scarabocchiato quello che sembrava uno schema di Quidditch. «La soluzione per l'esame di Roberts.» Gli occhi di Joa brillavano di una luce intensa e le labbra disegnavano un sorriso soddisfatto. Le ragazze la guardavano preoccupate. «Ho posizionato tutte noi in modo da avere Eli e Rose ai due estremi dello schieramento, sulla stessa linea laterale, vicino alla finestra, così da impedire il passaggio di Roberts» disse , indicando prima Eloise e poi Rose che si scambiarono uno sguardo dubbioso. «Da voi due dipende la mia promozione, quindi bisogna ben tutelarvi».
   «Ehi! E noi due?» chiese offesa Melissa indicando sé e poi Candice.
   «Calma Mel, non penserai che possa darvi la stessa posizione di vantaggio delle nostre cervellone»
   «Beh, questo no, ma ...»
   «Ma ho pensato anche a voi. Se ti posizioni dietro Eli, alla sua destra, Can al centro e io dietro Rose, evitiamo che la nostra vicinanza risulti sospetta» concluse Joa, guardando le amiche soddisfatte.
   «Niente male» Candice la guardò ammirata.
   «Grazie» rispose Joa mimando un inchino.
   «Non sarebbe stato più semplice aprire il libro?» le fece notare Eloise.
   «Più semplice? E perché mai? Ci ho messo dieci minuti ad ideare lo schema. Voglio solo finire il prima possibile e godermi il pomeriggio in pace».
   «Hai qualche impegno Joa?» le chiese Rose
   «Mi vedo con un ragazzo del settimo anno, stiamo lavorando a un progetto».
   «Ah, adesso si chiama “progetto”?» le disse Melissa, chiudendo il libro per dedicarsi a questioni decisamente più impellenti.
Joa la squadrò «Organizzazione a delinquere è più di tuo gradimento?».
    «Ti aspetti davvero che ci creda?».
   «Non mi aspetto che tu concepisca l'idea di non andare con chiunque capiti a tiro» 
Rose trattenne il respiro, ma Melissa non parve essere rimasta ferita dalle parole dell’amica e si limitò scrollare le spalle, non del tutto convinta.
   «Va bene» intervenne Candice, immolandosi per il bene comune «Se proprio volete qualcosa di cui parlare, mi sacrifico io».
Rose in quel momento parve ricomporsi e interessarsi realmente alla discussione «Come è andata con Nott?».
   «Per l’appunto», sorrise Candice, soddisfatta.
   «Vi siete baciati?» le chiese sognante Eloise, il mento poggiato sui palmi delle mani aperte e i boccoli che le cadevano morbidi sulla spalla.
   «Sicuramente ti ha chiesto di vedervi» puntualizzò con consapevolezza Melissa.
   «Assolutamente no. Abbiamo solo parlato di Pizzi».
   «Pizzi?» chiesero all’unisono.
   « La Puffola Pigmea che mi ha regalato Vincent ».
Le altre si guardarono confuse. «Non ti ha detto altro?».
   «Certo, mi ha spiegato che mangia solo foglie di lattuga essiccata». Candice raccontò con un sorriso raggiante.
   «Tesoro ...» iniziò titubante Melissa.
   «Non è stato diverso dal solito» spiegò Candice. «Sempre un po' silenzioso e sulle sue. L'unico momento in cui mi è parso di cogliere un minimo di emozione sul suo volto è stato quando mi ha accarezzato la guancia con le dita e si è messo a giocare delicatamente con i miei capelli. E' stato il gesto più sensuale che un ragazzo mi abbia rivolto. Poi lui è così affascinante e raffinato» disse con un sospiro di felicità.
   «Bene, finalmente un ragazzo che sa come comportarsi» affermò soddisfatta Rose, pur non riuscendo del tutto a condividere la gioia dell’amica.
Candice la abbracciò affettuosamente, al culmine della gioia.
Rose considerò che la cotta di Vincent Nott per la sua migliore amica fosse la cosa più strana a cui avesse mai pensato, seconda solo all'idea di lei e Malfoy insieme. Nott era troppo per pensare in quel modo alle ragazze: troppo bello, troppo superiore, troppo intellettuale, troppo indifferente.
In quel momento il ragazzo si alzò dal tavolo dei Serpeverde e si diresse verso il portone della Sala Grande, sotto lo sguardo ammirato di Rose. Era dotato di un’eleganza unica. Rose annuì pensierosa. L’uomo dei sogni di ogni ragazza aveva messo gli occhi sulla sua migliore amica.
   «Certo che Nott è ricco di sorprese» commentò Joa. «Ma una cosa è certa: ieri non riusciva a toglierti gli occhi di dosso ed è stato imbarazzato per tutta la giornata».
   «Oh, sì» asserì Candice «Ieri sera era così a disagio. Sembrava distratto, continuava a guardare la Signora Grassa e ho avuto l’impressione che avesse fretta di andarsene» concluse con un risolino compiaciuto.
Candice, la sua Candice, era davvero molto bella, ma la sua particolarità risiedeva in un cuore pieno d'affetto e in una solarità disarmante. Tuttavia Rose non si spiegava come mai il ragazzo avesse dimostrato questo interesse improvviso, addirittura aspettando l'amica fuori alla Sala Comune.
Ad un tratto Rose si immobilizzò. Una marea di immagini e parole si agitavano confuse nella sua testa. Cercò di dare loro un ordine. Vincent Nott, al quale aveva dato il diario della ragazza affinché glielo restituisse. Nott che compariva improvvisamente durante il loro litigio e che si scambiava strani sguardi con la ragazza. Nott nascosto in un angolo buio vicino al ritratto della Signora Grassa con un regalo per Candice e un improvviso interesse nei suoi confronti. Il diario che ricompare nella sua borsa vicino al tavolo della Sala Comune.
Era così a disagio... sembrava distratto, continuava a guardare la Signora Grassa..
..ho avuto l'impressione che avesse fretta di andarsene.
Senza pensarci due volte, Rose scattò in piedi e si lanciò all'inseguimento del ragazzo. Percorse rapidamente, il lungo corridoio della Sala Grande. Svoltò a sinistra e si ritrovò nella Sala d'Ingresso. Vide Nott dirigersi da solo nel parco, fuori dal portone principale.
Quando gli separavano solo pochi metri, lo chiamò a gran voce.
   «Nott» non si voltò, né si fermò. «Nott» ripeté a voce più alta, ormai l'aveva quasi raggiunto.
  «Buongiorno Weasley. Anche tu godi questa fresca mattinata all'aria aperta?» Nott si fermò all'ombra di un albero. Le rivolse un cordiale sorriso e alzò gli occhi al cielo per osservare le foglie dei rami agitati dalla forza del vento.
   «Perché sei venuto alla Torre di Grifondoro, ieri sera?» gli chiese diretta.
Avrebbe dovuto tastare il terreno e indagare con più cautela, ma il bisogno di risposte la fece agire d'impulso. Non era sicura delle sue supposizioni ma voleva credere con tutta se stessa che quel libro non si fosse materializzato da solo nella sua borsa.
  «Anche se non sono molto pratico delle arti della seduzione, mi sembrava abbastanza evidente il mio tentativo di attirare l'attenzione della tua incantevole amica» spiegò Nott, le labbra tese in un sorriso quasi imbarazzato, ma gli occhi freddi come il ghiaccio.
   «Tu sei entrato nella nostra Sala Comune e hai messo il libro che ti avevo dato nella mia borsa » Rose pronunciò parole cariche di disprezzo.
Nott non sembrò affatto turbato dall'accusa che gli aveva rivolto e rimase immobile a fissarla. Rose avrebbe creduto si trattasse di una statua se il vento non avesse fatto danzare i suoi capelli neri e lunghi.
  «Mi sembra abbastanza difficile che io possa essere entrato senza conoscere la parola d'ordine e senza farmi vedere da nessuno» Nott parlava con tranquillità, come se si stesse rivolgendo ad un bambino che afferma di saper volare senza scopa.
Rose rimase un attimo senza nulla da ribattere. In effetti era altamente improbabile che Vincent Nott fosse a conoscenza della parole d'ordine dei Grifondoro. Inoltre se fosse entrato qualcuno l'avrebbe visto e denunciato : Nott non aveva molti amici ad Hogwarts e di certo non ne aveva affatto a Grifondoro.
  «Posso sapere perché pensi che io abbia fatto una cosa del genere?» chiese il ragazzo incuriosito, piegando leggermente la testa di lato.
  «Il diario di Penelope» Rose fece uno sforzo immane per riuscire a pronunciare quel nome senza rabbrividire. «Ad Hogsmeade l'avevo dato a te e ieri sera l'ho ritrovato nella mia borsa. » Forse stava parlando troppo; ora che non era più così certa della colpevolezza di Nott non poteva rivelare troppi dettagli di quella faccenda.
  «Non è possibile. L'avrai scambiato con un altro libro» disse con sicurezza come se la questione non avesse alcun senso.
Rose lo fulminò con uno sguardo. Il suo tono di voce non ammetteva repliche e lo sguardo di sufficienza che le rivolgeva, faceva intendere quanto trovasse ridicola la faccenda. Più che un atteggiamento di superiorità, a Rose sembrò un tentativo di sminuire l'importanza dell'accaduto e far credere a Rose di essere diventata una pazza visionaria.
  «Ho visto come hai guardato la ragazza e lo sguardo che lei ha rivolto a te e non ho alcuna prova del fatto che tu abbia consegnato quel libro. Quindi Nott, magari potrà sembrare assurdo pensare che tu sia entrato nella mia Sala Comune, ma ho imparato che nel Mondo della Magia nulla deve sorprenderti. Tu non mi piaci e non mi piacciono le attenzioni che stai rivolgendo a Candice, perché, ne sono certa, non sono affatto sincere. Ti sto avvisando e non ho intenzione di ripetermi : prova a fare del male a Candice e rimpiangerai di aver messo piede in questa scuola» disse Rose liberando tutto il veleno che aveva in corpo. Non sapeva se Nott avesse messo il diario nella sua borsa ma non poteva rischiare la felicità della sua migliore amica.
  «Weasley te lo ripeto un'ultima volta : non sono entrato nella Sala Comune dei Grifondoro e non ho messo il libro nella tua borsa» Nott pronunciò le parole con chiarezza e si allontanò dalla ragazza.
Rose osservò la schiena di Vincent Nott allontanarsi. Abbassò lo sguardo sulle proprie mani tremanti per il nervoso e i suoi occhi caddero sul braccialetto che zio George le aveva regalato il giorno precedente. Quando guardò la pietra incastonata, questa brillava di un rosso acceso.


 
- § -
 
 

Rose camminava incerta lungo i corridoi della scuola per raggiungere l'aula di Trasfigurazione. La sua mente era concentrata su Nott e su quella pietra scarlatta.
Se lo indossi mentre parli con qualcuno, questa si illumina di rosso nel caso in cui il tuo interlocutore stia mentendo 
Le parole di suo zio George erano state chiare e non lasciavano dubbi sul fatto che Nott stesse mentendo. Rose si aggrappò a quel barlume di speranza, quella labile possibilità che la ragazze dei suoi incubi non la stesse perseguitando, che quel diario oscuro non si stesse impadronendo di sé. Quali che fossero le ragioni di Nott, non si sarebbe data pace fino a che non le avesse scoperte. La questione più incerta risiedeva sempre nell’espediente che avrebbe potuto trovare per intrufolarsi nella Sala Comune senza dare nell’occhio.
Un gruppo di ragazzi diretti in tutta fretta alla lezione successiva la spintonarono e per poco non perse l'equilibrio. Si aggrappò alle ali di un terrificante Gargoyle, che probabilmente si era sempre trovato lì indisturbato, ma che in quel momento inquietò Rose con i suoi occhi vitrei, sgranati e persi nel vuoto. Rose abbandonò la presa come se la pietra fosse rovente; la testa le vorticò in un turbinio di pensieri e il passo cedevole le fece perdere nuovamente stabilità.
   «Forse ho capito sai? Lo fai di proposito, ti lasci cadere quando ci sono io nei paraggi, così che io possa soccorrerti».
Appoggiato con le spalle al muro, una sigaretta in mano e la camicia sistemata disordinatamente fuori dai pantaloni, Scorpius Malfoy la osservava con interesse. Rose si voltò appena per rivolgergli un'occhiataccia e proseguì dritto.
Malfoy inspirò l’ultima folata di fumo, prima di spegnere la sigaretta e seguire la ragazza. Con un balzo superò il basso muretto in pietra che limitava il giardino e si ritrovò lungo il corridoio, dietro Rose.
   «Oh, non smettere per me, ti prego» commentò bruscamente Rose, dandogli le spalle.
La sua risata fu bassa e leggera. «Debole, Weasley. Hai come al solito la testa tra le nuvole».
Rose accelerò il passo e voltò speditamente l’angolo, sperando di imbattersi in un gruppo di studenti o in qualunque pretesto per allontanare il ragazzo da sé. Contrariamente ai propri propositi, lui con un passo felino la affiancò.
   «Sto andando a lezione, non mi serve la scorta, Malfoy».
   «A giudicare dal tuo precario equilibrio, direi di sì».
Rose alzò gli occhi al cielo, prima di incenerire il ragazzo al suo fianco con lo sguardo. Non aveva risposte per lui quella mattina e sperava che i suoi occhi fossero abbastanza eloquenti.
Il ragazzo le afferrò il braccio delicatamente, chiedendole di arrestare la sua marcia. Dopo diversi secondi di osservazione, annunciò la sua valutazione. «Stai bene?» 
Il cuore le si bloccò in petto, probabilmente per la sorpresa nel ritrovarselo così vicino.
  «Meravigliosamente, almeno prima di fare il tuo incontro. Ora se vuoi scusarmi» fece per andarsene ma lui la trattenne ancora.
Rose si ritrovò alla stessa altezza del ragazzo e fu costretta a guardarlo negli occhi. Ne osservò il volto fugacemente, un volto bello, fresco e duro. Le era molto vicino e questo la turbava inspiegabilmente, come non era mai accaduto. Che fosse dipeso dagli strani pensieri di quei giorni o dal fatto che Malfoy, da ragazzino impertinente si era fatto uomo a tutti gli effetti, questo non seppe dirlo. Lui aveva abbandonata la solita arroganza e nel modo in cui corrucciava la fronte poté capire che era preoccupato. Con lo sguardo le studiava il volto alla ricerca di qualche risposta che spiegasse il suo aspetto trascurato.
Rose si morse il labbro a disagio. Si sentiva piccola e indifesa sotto il controllo di quel verde immenso, che la guardava come non l'aveva mai guardata, con tanta intimità come se la sua incolumità fosse una questione che gli stava particolarmente a cuore.
   «Hai dormito?» si informò, il tono di voce tradiva del disappunto.
Lei si sentì una stupida, completamente immersa in quello sguardo caldo e avvolgente. E si sentì anche libera.
  «Non molto» rispose semplicemente.
La folla defluiva verso le aule, addensandosi nel corridoio. Malfoy osservò la gente dirigersi verso di loro frettolosamente, lo sguardo tra il curioso e l’affaticato. Lasciò andare il braccio di Rose e aumentò la distanza tra loro con disinvoltura.
  «Dovresti, hai un aspetto orribile» aveva ripreso il tono di voce distaccato.
Rose non era disposta ad assecondare il suo gioco, il suo cambiamento repentino. Aveva lasciato che le sue mura protettive fossero violate e per un breve e sconvolgente istante l’aveva fatto entrare nella sua fortezza. Non era disposta a lasciarlo andar via così velocemente, o almeno questo era ciò che pretendeva un forza irruente avvinghiata al suo cuore. «Ma si può sapere perché te ne importa tanto ?».
   «Non mi importa. Era solo per essere gentile».
E così dicendo lasciò che le mani, quelle stesse che pochi minuti prima si erano strette attorno al suo braccio, ritornassero a riposare nelle tasche, segno che il cambiamento delle sue intenzioni era ormai definitivo.
   «Tu non sai essere gentile».
   «Altruista, sicuramente» rispose lui con un sorriso di sghembo. «Mi preoccupo che tu non spedisca all’ospedale qualcuno».
Rose avvertì la stretta al cuore farsi più opprimente. Cercando di nascondere la propria inspiegabile delusione, disse «Allora se hai finito di farmi perdere altro tempo, io ho un compito che mi aspetta».
   «Nessuno ti sta trattenendo».
Le arrivò la sua voce fredda e derisoria mentre si allontanava a grandi falcate da lui, quasi correndo. Avvertì un bruciore all’altezza degli occhi e una patina ovattata offuscarle la vista. Mentre si asciugava quelle lacrime indiscrete, pensò che alla fine di tutto, la conversazione con Nott era stata meno spiacevole.
Ma che mi sta succedendo? 
Quando entrò nell'aula molti fogli di pergamena svolazzavano soavemente, andando a poggiarsi sui banchi di ciascun studente.
   «Signorina Weasley, è in ritardo» le fece notare inutilmente Roberts.
Rose si sedette al posto che le era stato assegnato da Joa e cercò la propria piuma nella borsa.
  «Dove eri finita? Che ti è preso a colazione?» Candice accanto a lei si era piegata nella sua direzione per parlarle a voce bassa, mentre le altre la guardavano di soppiatto.
   «Avevo dimenticato la mia piuma in camera» spiegò con un'alzata di spalle.
   «E la piuma sei andata a strapparla ad un Ippogriffo? Perché ci hai messo tutto questo tempo?» le sussurrò Joa.
   «Malfoy» rispose semplicemente come se non fosse necessario aggiungere altro.
Candice le rivolse un ultimo sguardo preoccupato.
Rose guardò il foglio sicura delle proprie conoscenze. La prima domanda chiedeva di spiegare in che cosa consistesse la Trasfigurazione Assemblata. Conosceva questo tipo di Trasfigurazione, ne aveva anche sentito parlare recentemente, forse quella mattina a colazione. Melissa ed Eloise, che si scambiarono uno sguardo d'intesa, le diedero conferma.
Trasfigurazione Assemblata. Al momento non le veniva in mente nulla. Se solo le avesse ascoltate. Era troppo impegnata a pensare a quell'idiota di Nott. Non le piaceva per niente quel ragazzo, non apprezzava quel suo modo di studiare le persone ad una distanza di sicurezza, evitando a chiunque di infrangere la sua infallibile corazza, e forse era ciò che più gli invidiava. Ma non era limpido, innocente: dietro quella maschera di abbagliante perfezione nascondeva una personalità contorta e subdola. Probabilmente era la persona che meno le piaceva all'interno della scuola, anche meno di Malfoy. 
Scorpius Malfoy.
Con lui era tutto diverso: loro avevano questo modo particolare di riempirsi le giornate a vicenda. Rose non sopportava il suo atteggiamento arrogante e irriverente e molte volte era stata sul punto di affatturarlo. La sconvolgeva e irritava quel suo essere imprevedibile, in un modo disarmante, come se dovesse essere pronta ad accoglierlo o a respingerlo a seconda delle sue intenzioni, della sua sincerità. Ma quanto fosse realmente spontaneo, chi glielo avrebbe detto? Ripensò a quegli istanti appena trascorsi, al suo volto deciso, a quelle espressioni assorte o pungenti, capaci di armonizzarsi in un disegno abile, che la disorientava. Rivisitò il suo sguardo indagatore e rifletté sulla possibilità che Malfoy fosse preoccupato per lei, come se dopo tutti quegli anni non gli fosse più così indifferente, come se avvertisse dell’affetto per lei.
Rise fra sè, rendendosi conto di quanto fossero assurde le sue riflessioni. Si chiese quando fosse arrivata a pensare una cosa del genere di quell’essere viscido e presuntuoso. Che si fosse affezionato o meno, che fosse diventato più bello, che avesse degli atteggiamenti equivoci e vagamente lusinghieri, Malfoy restava il solito: un ragazzo troppo diverso da lei, che mai avrebbe suscitato il suo interesse.
Scosse la testa e ritornò con la mente sul foglio. Sbirciò l'orologio e con orrore si rese conto che mezz'ora era già passata.


 
 - § -
 

James Potter sfrecciava riempiendo tutta l'aria del campo di Quidditch. Era veloce e silenzioso, tanto da non riuscire a fissare la sua immagine in un punto ben preciso. Sembrava essere da nessuna parte e ovunque allo stesso tempo, e la sua voce, soprattutto quella, sferzava potente e inesorabile.
  «Thomas, passa quella maledetta pluffa a Baston, non stai giocando da solo».
  
«Jordan, non è questo il momento di spedire giocatori in infermeria».
  «Sai, Rose, penso proprio che chiederò alla McGranitt di sostituirti alla prossima partita
».
Rose si lanciò esasperata verso uno dei cerchi che doveva difendere ma arrivò troppo tardi e la pluffa lo attraversò. Quel pomeriggio James aveva fissato il penultimo allenamento prima della partita contro i Corvonero e Rose non era riuscita a parare nemmeno un tiro. Guardava i ragazzi muoversi mentre si scambiavano la palla a velocità impressionante ma non riusciva a mantenersi concentrata sulla partita.
Quando si fermarono al suolo, James le andò incontro e Rose si preparò a ricevere la solita strigliata. Lui le poggiò una mano sulla spalla e la guidò lontano da orecchie indiscrete.
  «Rose, qualcuno ti sta infastidendo?» James non la guardava negli occhi ma manteneva il mento alto e l'attenzione vigile sulla squadra.  
  
«Non direi»
  «Meglio così» I capelli del cugino erano bagnati di sudore e schiacciati sulla fronte. Gli occhiali protettivi contro il vento gli conferivano un aspetto ridicolo, eppure Rose non si sarebbe mai sognata di contraddirlo. «Quindi cosa ti preoccupa?» 
Rose strabuzzò gli occhi «Sto parlando con mio cugino, James Sirius Potter, figlio di Harry Potter e Ginevra Weasley?»
  «Ovviamente» Il ragazzo si sfilò gli occhiali e agitò i capelli al vento «Ti sembra un volto come un altro questo?».
  «Eccoti, ora ti riconosco», Rose sospirò di sollievo.
James le rivolse uno sguardo torvo «Vedo che l’umorismo non ti ha abbandonata». Prese la propria scopa e il borsone e fece cenno ai ragazzi di abbandonare il campo, perché per quella giornata aveva visto abbastanza.
Rose lo seguì, mentre si incamminava verso il castello. «Non quando sei così tremendamente divertente».
  «Non posso preoccuparmi per te?» disse in tono querulo. Rose ammutolì e spense il sorriso divertito «Non è una novità che tu sia totalmente incapace di gestirti».
La ragazza lo colpì sul braccio con la scopa, ma questa rimbalzò contro l'imbottitura della divisa. 
«Grazie, James. Adesso sì che ho proprio voglia di aprirmi con te»
James si fermò all’ingresso del castello. «Sai bene che è mio compito prendermi cura di voi»
  
«No, non lo è».
Il ragazzo la ignorò «Sono il maggiore e l'unico della nostra famiglia con capacità di sopravvivenza sopra la media. Pensa a quello stralunato di tuo fratello, o al mio, caso irremidiabilmente perduto».
  «Credo che a questo argomento vada dedicato un momento più appropriato, come una seduta da un terapeuta
» commentò Rose, guardandolo con rimprovero.
Jamese non la ascoltò, come spesso faceva, e le passò una mano tra i capelli, peggiorando il lavoro già compiuto dal vento. «Puoi parlarmi di qualsiasi cosa, lo sai?».
Rose annuì più per rasserenare il cugino che per autentica convinzione. Il ragazzo necessitava di quell'incarico, pretendeva di portare un peso di cui nessuno l'aveva gravato, richiedeva rispetto e stima per delle responsabilità utili solo a consolidare la propria autostima.
  «Nei limiti del ragionevole, ovviamente
» aggiunse «Che non ti venga in mente di confidarmi pensieri perversi su Scorpius Malfoy».
Rose lo spintonò e si decise a varcare il portone d'Ingresso «Questo non succederà mai» gli urlò dietro.
 
Quella sera fece ritorno alla Sala Comune dei Grifondoro, avvinghiata al braccio di James e con il cuore più leggero. Si rilassò completamente sotto il getto caldo della doccia e dopo aver trovato dei vestiti puliti, si diresse con Johanna in Sala Grande, dove le altre le aspettavano per cenare insieme.
Il cielo incantato del soffitto limpido e cosparso di stelle, rifletteva il clima mite di quei giorni d' autunno. La Sala Grande era già piena di ragazzi, nonostante i piatti sui tavoli fossero ancora vuoti. La Mcgranitt si alzò dall'imponente poltrona del preside e con un battito di mani fece comparire vassoi zeppi di pietanze squisite.
   «Dov'è Candice?» si informò Rose appena sedette al tavolo.
  «Ha detto che doveva lasciare un libro in biblioteca e che ci avrebbe raggiunte più tardi» le spiegò Eloise, mentre riempiva il proprio piatto con diversi involtini verdi a forma di cipolla.
   «Candice in biblioteca?» disse Rose incredula. La ragazza provava una certa riluttanza per quel posto, sentimento ricambiato dalla bibliotecaria che la rimproverava ogni volta che lei apriva bocca, la povera Candice che non era geneticamente capace di tenere la bocca chiusa.
  «Ho intenzione di chiedere a Roger McLaggen di studiare insieme qualche pomeriggio di questi» Melissa informò le amiche, contemplando il suddetto ragazzo.
   «Melly, sei sicura di non esserci già passata? Secondo me dovresti prendere nota o rischi di fare brutta figura» le rispose Joa, che ricevette in risposta un dito medio perfettamente smaltato alzato nella sua direzione.
   «Guardate Candice. Altro che biblioteca, è in compagnia di quella meraviglia» disse Eloise indicando il punto, vicino alla porta, in cui si trovavano Candice e Nott, intenti a chiacchierare amabilmente.
Rose si irrigidì e seguì lo sguardo di Eloise, osservando Candice che si sporgeva verso il ragazzo per lasciargli un timido bacio sulla guancia. Raggiante si precipitò al loro tavolo. Rose tormentò con le dita il lembo della tovaglia, mentre osservava gli occhi luminosi dell’amica. Avrebbe dovuto trovare al più presto il modo per spiegarle che il ragazzo di cui si stava innamorando era semplicemente un bugiardo e ingannatore.
  «Ragazze!» le salutò Candice, sedendosi accanto a Rose.
  «Abbiamo appena visto te e il bel tenebroso fare cose sconce all'entrata della Sala Grande» disse Joa sputacchiando un po' di cibo. «Le cose si fanno interessanti con il tuo nuovo ragazzo?».
  «Beh, adesso non esageriamo, non è il suo ragazzo» disse Rose guardando l'amica speranzosa.
  «Rose ha ragione. Passiamo solo del tempo insieme»
  «Troppo tempo insieme» aggiunse Eloise.
  «Lui ti fa dei regali, tu gli dai un bacetto sulla guancia e per di più ti luccicano gli occhi. Il prossimo passo siete voi due che vi dimenate sotto le lenzuola» concluse Melissa con un sorrisino divertito.
Joa scoppiò a ridere «Fidati, te lo dice una che conosce bene queste dinamiche».
Candice guardava le altre scandalizzata e divertita allo stesso tempo. Rose si morse le labbra infastidita e decise di concentrare la propria attenzione sulla coscia di pollo di fronte a sé.
  «Amica mia, ti sei andata a scegliere il ragazzo più figo e più difficile della scuola» Joa si congratulò con lei. «Se Rose si prende Malfoy il prossimo scapolo in graduatoria è James Potter ma non si può toccare vista la cotta storica di Eloise».
La forchetta di Rose scivolò dalla propria mano, abbattendosi sul piatto e infine sul pavimento con un gran frastuono «Joa, non dire mai più una cosa del genere».
  «Come ti viene in mente?» chiese Candice, scuotendo la testa sbalordita.
  «Forse perché lui ha detto che Rose ha un profumo incantevole e la notte dorme abbracciato al suo maglioncino?» sorrise Joa compiaciuta dopo che le guance di Rose si furono tinte di rosso.
Melissa abbandonò definitivamente il suo pasto. 
«Cosa?» 
  «Tu come fai a saperlo?» chiese Candice.
  «Beh, forse il fatto di dormire abbracciato al suo maglioncino è solo una supposizione mia e di Al, ma il resto me l'ha raccontato Albus».
Rose arricciò il naso irritata. «Tu e mio cugino siete due pettegole» mormorò.
Lily Potter imbronciata, si esibiva in una furibonda camminata verso di loro, prima di accasciarsi accanto ad Eloise sulla panca.
  «Che c'è tesoro, perché quella faccia? » le chiese Eloise, stringendo la mano della ragazza.
  «James e Fred hanno tenuto legato a testa in giù Lucas ad un anello del campo da Quidditch, fino a che lui non ha dichiarato che non mi avrebbe mai portato nel suo dormitorio. Il tutto sigillato dalla firma di un documento stregato» sbuffò Lily irritata.
Eloise sogghignò, probabilmente divertita e intenerita dal gesto folle di James. Lily le rivolse un’occhiataccia.
  «Stai tranquilla, cara. Non esistono solo i dormitori» la informò Melissa.
Mentre le due ragazza iniziarono una minuziosa discussione sui luoghi più adatti per fornicare indisturbati, Rose non potè fare a meno di vagare con le proprie riflessioni. Le parole di sua cugina riportarono l'attenzione alla faccenda di Vincent Nott. La sera precedente, quando Rose fece ritorno alla Sala Comune, Lily era lì, in compagnia del suo ragazzo, e se fosse entrato qualcuno, lei l'avrebbe sicuramente visto. Rose era abbastanza sicura che Nott si trovasse lì per lasciare il libro nella sua borsa e che avesse portato con sé quella Puffola Pigmea solo come copertura nel caso fosse stato scoperto da qualcuno ad aggirarsi dalle parti della Sala Comune di Grofondoro.
  «Lily, ieri sera prima che io e Joa tornassimo nella Sala Comune, hai per caso notato qualcosa di strano? Qualcuno di un'altra Casa che si era intrufolato?» domandò Rose.
Lily si concentrò per ricordare cose avesse fatto prima che arrivasse la cugina, ma i suoi occhi si persero nel vuoto e lei iniziò a sbattere le palpebre confusa. «No Rose, non è entrato nessuno di diverso dal solito» rispose la cugina con voce atona.
   «Sei sicura?» insistette Rose.
   «Si Rose, te l'ho detto» disse Lily, il volto inespressivo.
Rose lasciò cadere l'argomento e proseguì il resto della cena in silenzio.
 
Qualche ora più tardi Rose e Candice erano stese sul letto della prima a chiacchierare tranquillamente, mentre Joa da qualche parte fumava le sue sigarette babbane e le gemelle terminavano gli ultimi compiti della giornata in Sala Comune.
   «Non so come spiegarlo, non ho mai provato nulla del genere prima d'ora. Vincent, il modo in cui mi guarda quando siamo soli, come se non avesse visto nulla di più bello in tutta la sua vita, mi fa sentire come creta fra le sue mani. Non capisco come abbia fatto ad interessarsi a me, con tutte le ragazze bellissime che gli vanno dietro ... » Rose riuscì ad avvertire l'esitazione nella voce della sua amica, come se non si ritenesse all'altezza del ragazzo.
Rose storse la bocca contrariata. Se c'era qualcuno dei due a non meritare l'altro, questo era sicuramente Vincent ingannatore Nott.
   «Non dire assurdità Can. Sfido un solo ragazzo a non rimanere abbagliato dalla tua bellezza» disse sinceramente Rose ma notò che l'amica non sembrava troppo convinta e aggiunse. «Ascolta, a prescindere da questo Nott, tu brilli tra le altre per il solo fatto che porti allegria ovunque metti piede e, secondo me, non c'è niente di più bello al mondo».
Candice sorrise commossa e abbracciò di slancio l'amica «Sei la solita tenerona, ma il tuo giudizio non conta. Tu mi vuoi troppo bene».
   «Vero, ti voglio troppo bene».
   «Non ti piace proprio Vincent, vero?» le disse Candice, sistemandosi meglio sul letto per poterla guardare.
A Rose si chiuse lo stomaco. Avrebbe dovuto parlarle in quel momento dei suoi sospetti su Nott ma non voleva perdere quel sorriso meraviglioso che illuminava il volto dell'amica. Ingoiò rumorosamente e rispose senza guardarla negli occhi «Non è così, è solo che mi devo ancora abituare a questa nuova presenza costante nella tua vita. Credo di essere un po' gelosa».
Codarda e bugiarda, il Cappello Parlante avrebbe dovuto spedirmi a Serpeverde con un calcio nel sedere.
   «Ma lo sai che sei solo tu il grande amore della mia vita» Candice le scompigliò i capelli, ridendo di una risata allegra e spensierata. D’improvviso s’incupì «Rose, mi spieghi cos’è questa assurdità di Malfoy?».
   «Ti riferisci a qualcosa in particolare?».
   «A più di qualcosa, a giudicare da quel che si dice».
Rose sospirò affranta «Da quando crediamo alle voci del Castello?» affermò con serietà. «Ricordi al primo anno quando si diceva che Malfoy avrebbe radunato i suoi familiari per farmela pagare una volta uscita da Hogwarts? E al terzo anno tutta la scuola raccontava di un nostro duello durante la festa della Coppa delle Case».
   «Quello è accaduto realmente».
   «Ah sì
» si interruppe lei, riflettendo. «Beh il punto è che la gente ha sempre parlato».
  «E la novità di quest’anno è che voi due vi girate attorno aspettando che uno dei due finalmente ceda» 
Rose si mosse nervosa sul letto e afferrò una ciocca di capelli che andò ad intrecciarsi intorno al dito. «Nessuno ci crede realmente».
Candice sollevò le spalle. «Posso capire Joa e Melissa che ci scherzano su, ma tuo cugino James, le ragazze di Serpeverde, quelle dei primi anni. Se la gente ti conoscesse davvero, come ti conosco io, saprebbe che tu e Malfoy non potreste mai provare simpatia l’uno per l’altra».
Rose distolse lo sguardo dall’amica e lo fissò in un punto della stanza che non vedeva realmente. Le parole di Candice non erano quasi l’esatto contrario della sua riflessione di quella mattina?
   «Cosa ha a che fare Malfoy con me?» chiese incerta, più a se stessa che all’amica.
   «Nulla, Rose. E’ una persona che si diverte a rendere la tua vita un inferno».
Candice aveva ragione, lei e Malfoy insieme era un connubio che non sarebbe mai potute esistere.
   «Sì che lo è» confermò Rose.
   «Tu sei una ragazza intelligente, determinata, coraggiosa».
   «E lui è arrogante, irrispettoso e superbo» proseguì Rose, sempre più convinta dalle parole dell’amica.
   «Tu meriti qualcuno di migliore. Qualcuno come Vincent».
Rose preferì non replicare e comprese che la conversazione fosse giunta al suo termine.

 

 
- § -
 
 

Rose, si alzò dal letto per chiudere le tende del baldacchino, posizionò il cuscino dietro la schiena e aprì il cassetto del comodino, prendendo il diario di Penelope che aveva lasciato lì dentro per tutta la giornata. Aveva deciso che quella sera avrebbe dato un'occhiata al libro misterioso sperando di riuscire a capire perché fosse tanto importante che lei lo leggesse. Accarezzò il velluto morbido della spessa copertina e sciolse il nodo che frenava le pagine. Lesse nuovamente il nome di Penelope e questa volta avvertì un brivido lungo la schiena.
Non sapeva cosa aspettarsi dalle pagine di quel libro e aveva il timore che leggerle, svelarne i misteri avrebbe significato violare qualcosa che non le apparteneva. Ma se Penelope aveva voluto a tutti i costi, che quel libro tornasse da lei, e su questo Rose non aveva dubbi, significava che Rose era legittimata a scoprirne il contenuto.
Sulla seconda pagina lesse una data in alto a sinistra. 2013. Quel libro risaliva a ventuno anni fa.
Rose avvertì una sensazione di nausea improvvisa. Tutto intorno a lei iniziò a vorticare, la testa le doleva a tal punto che perse i sensi e si accasciò sul cuscino.
Quando riaprì gli occhi si trovava in piedi in un dormitorio che non era il suo ma sicuramente apparteneva ai Grifondoro, per gli inconfondibili colori caldi e accesi. Si guardò intorno confusa e vide che le pareti erano tappezzate di strani poster babbani che ritraevano alcune rock band del momento. Rose guardò fuori dalla finestra e si accorse che scendeva fitta la neve. Si avvicinò per accertarsene e vide che il prato, che qualche ora prima le era sembrato ancora caldo per il sole della mattina, era completamente ricoperto di neve. Non riuscì a trovare alcun senso a quello che vedeva, perché la stagione in cui si trovava in quell'istante non era la stessa che aveva lasciato prima di perdere i sensi. Andò verso il primo letto che vide e si preparò a tirare le tende ma la mano inconsistente non afferrò il tessuto, attraversandolo e svanendo al di là della tenda. Rose ritrasse la mano spaventata e iniziò a guardarsi intorno cercando di capire cosa le stesse accadendo. Attraversò la tenda velocemente e quasi non cadde addosso ad una ragazza che dormiva tranquillamente. Questa iniziò a muoversi fino a che non aprì gli occhi lentamente e si stiracchio gli arti insonnoliti. Aprì le tende e scese dal letto.
   Rose la osservò attentamente, non riuscendo a capire dove le era sembrata di averla già vista. Aveva lunghi capelli lisci neri e la carnagione molto chiara, quasi pallida. Era alta e prosperosa anche sotto il largo pigiama. I suoi occhi erano dello stesso colore del ghiaccio e altrettanto gelidi e inespressivi. Era di una bellezza incantevole.
   Rose fu scossa dai brividi quando capì dove aveva visto un volto simile. La strana figura che le era apparsa in sogno la notte precedente, portando il volto sfigurato di Penelope, aveva gli stessi lunghi capelli neri e lo stesso pallore sul viso. Gli occhi, nel suo sogno, erano simili a sfere di vetro per l'assenza delle palpebre ma la sensazione di freddezza era la stessa che le trasmetteva la ragazza che le stava di fronte.
Ella non dava segno di poter vedere Rose ma questo non la sorprese più di tanto: aveva il sospetto che quel libro l'avesse trasportata in un'altra realtà e adesso lei appariva sotto le sembianze di un fantasma, del tutto incorporeo. Il dormitorio era completamente vuoto, le altre compagne, evidentemente si erano svegliate molto presto. Rose aspettò che la ragazza si preparasse e quando questa uscì dalla porta, lei la seguì.  Si fermò nella Sala Comune e consultò la bacheca con le informazioni generali. Rose si mise ad osservare i vari annunci e notò quello per la selezione della squadra di Quidditch, evidentemente dimenticato tra le varie comunicazioni. Rose rimase pietrificata quando lesse la data della selezione: 7 settembre 2013. Il diario l'aveva portata in un'altro anno, lo stesso che era scritto in cima alla pagina del diario. Ventuno' anni prima.
La ragazza riprese a camminava spedita lungo i corridoi. Superò la Sala d'Ingresso ed uscì nel cortile innevato. Continuò a camminare per qualche altro minuto finché non raggiunse un grande albero isolato. Da dietro quest'albero apparve un ragazzo avvolto in un cappotto pesante, la sciarpa color verde e argento gli copriva la gola dal freddo.
   «Ciao Penelope» si rivolse alla ragazza con tenera premura.
Rose strabuzzò gli occhi incredula e riprese a studiare il volto della ragazza. Nessuna imperfezione scalfiva quel viso di una eleganza incantevole, nulla a che vedere con il volto deturpato della ragazza che aveva incontrato ad Hogsmeade. Eppure gli occhi color ghiaccio erano gli stessi che aveva incontrato quel giorno, gli stessi che aveva sognato quella notte e gli stessi che quella ragazza di nome Penelope concentrava sul ragazzo di fronte a lei.
   «Ciao Isidore» lei gli si avvicinò e gli accarezzò il volto con la mano. Lui chiuse gli occhi, estasiato dal contatto con la ragazza. Rose lo osservò attentamente e notò quanto anche il ragazzo fosse incredibilmente bello. I capelli mossi e castano scuro, i lineamenti delicati e raffinati come se appartenesse a qualche famiglia nobile. Gli occhi ambra penetranti e travolgenti.
   «Mi sei mancata» le sussurrò lui, come se temesse che qualcuno potesse ascoltarlo.
   
«E' stato terribile doverti stare lontana, dover fingere davanti a tutti» disse lei, la voce rotta dal pianto.
Lui posò un dito sulle labbra e le sfiorò dolcemente, sensualmente. « Non dire niente, lasciamo che il resto ci aspetti al Castello, quando faremo ritorno tra mezz'ora. Voglio godermi questi pochi minuti con te. » disse Isidore, attirando la ragazza verso di sé e baciandola appassionatamente.
Un'ora più tardi Rose camminava accanto a Penelope lungo i corridoi del primo piano. Entrò nella biblioteca silenziosa, rivolse un sorriso cordiale alla bibliotecaria e andò verso l'ultimo corridoio sulla destra, raggiungendo il tavolo in fondo, affiancato ad una libreria ad una sola colonna, separata dagli altri scaffali. Rose osservò una  ragazza dai confusi capelli chiari, saltellare su una scala per prendere un libro in cima alla libreria.
   «Rebeka, così ti cadranno tutti addosso» Penelope osservò sorridendo la ragazza.
   «Non riesco ad essere più alta di così. Questo vuol dire che sono destinata a non svolgere il tema di Pozioni» concluse Rebeka con un'alzata delle spalle.
Una folata di vento brusca fece sbattere la finestra alle spalle della ragazza e una mensola mal ridotta, posizionata sopra la libreria, iniziò a traballare. Le due ragazze sobbalzarono spaventate.
   «Ci mancava solo il tornado. Questo tempo mi deprime, Penny» sbottò Rebeka mantenendo un sorriso raggiante sulle labbra.
   «Nulla riuscirebbe a deprimerti» disse Penelope insistendo sul nomignolo dato alla ragazza.
Le due scoppiarono a ridere insieme fino a raggiungere le lacrime, in una complicità che le ricordò il suo legame con Candice.
All' improvviso il vento si fece più forte e l'anta della finestra iniziò a sbattere con tanta violenza che Penelope e Rebeka placarono le loro risate. La mensola danneggiata cedette del tutto e precipitò sulla libreria alla quale era appoggiata Rebeka. Questa si allontanò spaventata, reggendosi alla scala ma non fece in tempo a scendere che la libreria si piegò nella sua direzione trascinandola verso il pavimento e sotterrandola del tutto.
Penelope lanciò un grido di orrore e iniziò a chiamare l'amica spaventata, ma questa, che aveva perso i sensi, non le rispondeva. La bibliotecaria si precipitò e ordinò a Penelope di andare a chiamare aiuto.
Rose osservò la scena portandosi le mani alla bocca. Poi inseguì Penelope nella sua corsa fulminea. La ragazza si diresse verso la scala che portava allo studio del preside ma una brusio dal fondo del corridoio buio, la convinse a deviare. Rose non capì perché perdesse tempo, invece che rivolgersi a qualcuno, ma non potè fare altro che seguirla.
Camminava spedita verso la porta dell'aula dei docenti ma prima di bussare si bloccò di colpo, le lacrime agli occhi e un'espressione confusa.
La porta era semiaperta e questo permetteva a Penelope e a Rose di ascoltare due voci che discutevano animatamente. La prima era indubbiamente quella della Mcgranitt, preside anche allora. La seconda era più profonda, una voce maschile ma giovanile. Rose l'aveva già sentita ma Penelope fu più rapida a riconoscerla : il suo volto disegnò un'espressione spaventata, incredula.
Aprì la porta ed esitante entrò.
   «Desidera qualcosa signorina?» si rivolse a lei la Mcgrannit.
Penelope stava per parlare ma il suo sguardo si rivolse al ragazzo bruno accanto alla preside, mentre il suo volto divenne di pietra, gli occhi color ghiaccio inespressivi, fissi in quelli del ragazzo.
Rose guardò confusa Isidore impallidire mentre si voltava terrorizzato verso un uomo alle sue spalle, seduto su una poltrona. Non riuscì mai a capire chi fosse l'uomo e perché i ragazzi fossero così spaventati poichè tutto intorno a Rose iniziò a girare e tornò ad infastidirla quella recente sensazione di nausea.
 
La ragazza aprì gli occhi nel proprio letto, il libro tra le mani chiuso e bloccato dai nastrini. Si raggomitolò tra le coperte, i brividi di eccitazione la facevano tremare freneticamente, per le troppe immagini e informazioni che si confondevano nella mente.
Pensò ad Isidore, a Rebeka e a Penelope e rifletté sul fatto che forse si era sbagliata su tutto fin dall'inizio.







Pirahã dell’Amazzonia. Esperienza di un fenomeno ai limiti della percezione o della coscienza.






 

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Capitolo 5
*** Yuán fèn ***


 
 
Oh signore, lei sa bene che la vita è piena d'infinite assurdità,
le quali sfacciatamente non hanno neppure bisogno di parer verosimili;
perché sono vere.


 


CAPITOLO V

 
Yuán fèn 




 
«Albus dacci un taglio con quell'affare» Rose sbottò seccata incenerendo con lo sguardo la Bacchetta trabocchetto con cui il cugino stava giocando sotto il grande tavolo circolare dell'aula di Pozioni. 
Gli odori provenienti dai calderoni dei ragazzi erano nauseabondi, mentre questi si affaccendavano per seguire le istruzioni del professore.
  «Non dimenticate che le capacità confusionarie del Distillato Sviante non modificano in maniere repentina il ricordo della persona.. ». 
Rose lo ascoltava appena. Conosceva quasi a memoria la procedura per ottenere quella pozione in modo impeccabile, considerando che quell'estate aveva letto e riletto il libro di Pozioni nel tentativo di raggiungere il massimo dei voti anche in quella materia.
E poi la sua mente le sfuggiva in continuazione. Per quanto si sforzasse si addomesticarla, questa irrompeva in pensieri relegati in angoli oscuri e tormentosi.
Il volto diafano di Penelope dagli occhi specchiati, freddi ma frementi di passione e timore; il gelo che lei stessa aveva avvertito tra le mura del castello, ancor più che nel giardino innevato; lo spavento quando la vivace amica era precipitata dalla scala in biblioteca.
E poi c'era Isidore, la paura sul suo volto pallido, gli occhi ambra che osservavano la sua amata con malinconia e rassegnazione.
Qualcosa di appuntito le pizzicò la coscia.
   «Ahi».
Il professor Arrows si volto lentamente, dando le spalle alla lavagna sulla quale la sua bacchetta stava riportando la lista degli ingredienti. Il suo sguardo arcigno indugiò sull’intera classe prima di posarsi su Rose e incenerirla con occhi colmi di disprezzo. Infine si concentrò nuovamente sulla lavagna.
Rose si voltò di scatto verso il cugino e si avventò sulla sua bacchetta, mentre lui la tratteneva con forza. Dopo qualche minuto di lotta, Rose riuscì a strappargli il gallo di gomma, ultima trasformazione di quel demonio.
Albus, al suo fianco la guardò come se lei lo avesse interrotto mentre progettava per il bene dell'umanità.
   «Sei perfida» disse, incrociando le braccia al petto.
Rose alzò gli occhi al cielo «Per carità, ti restituisco il giocattolo a fine lezione».
  «Stavo cercando di dare un senso a questa lezione».
  «E questo ti darebbe soddisfazione?» disse, indicando la Bacchetta che da un gallo di gomma si trasformava in un paio di mutande luminose.
Allbus sogghignò, evidentemente divertito da qualcosa che a Rose sfuggiva. Al suo fianco anche Joa iniziò a ridacchiare. Dopo qualche istante l’indumento intimo che reggeva tra le mani, prese a simulare suoni e versi volgari. Rose sgranò gli occhi e si affretto a zittire le mutande, su un sottofondo di risate dell’intera classe. Arrows alzò di qualche ottava il tono della voce, picchiettando con forza la lavagna.
  «Al, giuro che ti uccido». E di fronte alle risate incontrollate del cugino, decise di vendicarsi. Aprì la finestra accanto a sé e lanciò la Bacchetta con quanta forza aveva in corpo. L’intervento di Albus, che si catapultò per fermare Rose, non giunse in tempo e le mutande precipitarono nei meandri dei sotterranei.
  «Ora basta! Potter, Weasley volete passare il resto della lezione dalla preside?». Arrows avanzò verso di loro goffamente, torturando nervosamente la lunga barba nera.
Rose, colpevole come non mai, sostenne il suo sguardo con fierezza. Osservò di sbieco Albus, che esibiva una delle sue espressioni più addolorate.
Il solito..
Rose sbuffò impercettibilmente.
Arrows allentò la presa sulla propria barba e prese a carezzarla soddisfatto. Non era affatto un buon segno. «Dovrete consegnare la pozione mezz’ora prima degli altri».
Per quanto non volesse dargli alcuna soddisfazione, Rose non riuscì ad impedire che un’espressione sbigottita si disegnasse sul suo volto. Piantò un calcio al cugino, tranquillo come sempre, che si limitò a imbronciarsi in una smorfia di dolore e a farle segno di mettersi a lavoro.
  «E tu perché non ti dai una mossa?»
  «Non ne ho bisogno, sono il primo della classe in ogni caso».
Rose alzò gli occhi al cielo. 
  «Quanta presunzione, Potter» intervenne Joa.
Lo sguardo di Rose volò al compagno seduto al suo fianco. «Stai prendendo lezioni dal migliore?».
Malfoy guardava attentamente la lavagna «Possibile che tu non possa fare a meno di pensare a me, Weasley?».
Rose arrossì impercettibilmente. «Mi viene spontaneo, quando vedo affiorare in mio cugino tutti i sintomi».
  «Si, lo so. Sono la peggiore disgrazia che sia mai accaduta alla vostra famiglia».
Rose si accigliò e lo guardo scettica «Non ritenerti così importante, Malfoy».
Sul suo volto si dipinse un sorriso sghembo «Sei tu che mi ci fai sentire».
Lei roteò gli occhi e dispose il proprio materiale sul tavolo. Afferrò il coltello e i Fagioli Soporosi, poi arrotolò le maniche del maglioncino fino al gomito. Bofonchiò tra sé «Se tu sei ovunque, non è colpa mia».
 «Perché non provi a non sederti al nostro tavolo la prossima volta?» disse, concentrato a raccogliere le code guizzanti.
 «Il vostro tavolo? Non sapevo tuo padre avesse sganciato soldi anche per i mobili della scuola, credevo solo per garantirti la promozione» disse Rose guardandolo con sufficienza e iniziando a tagliare i Fagioli Sopoforosi. Johanna al suo fianco le lanciò uno sguardo ammonitore.
Malfoy finalmente la degnò della sua attenzione e le rivolse un'occhiata velenosa «Come al solito, Weasley, la tua bocca si muove prima del tuo cervello. Non che siano affari tuoi, ma mio padre fa parte dell'Assemblea Generale per gestire gli affari di Hogwarts. Dunque, il denaro che investe riguarda esclusivamente il mantenimento dell'ordine pubblico. Devi ringraziare persone come lui se tu puoi mostrare la tua faccia in giro senza essere vista dai babbani, pavoneggiandoti come una diva e sbandierando il tuo cognome in modo patetico» esplose mentre si alzava per recuperare alcuni ingredienti dall'armadio accanto al loro tavolo.
Lo sdegno del ragazzo fu sufficiente per colpirla in pieno petto, lì dove i tormenti le davano più dolore: a lei che detestava la fama dei suoi genitori più di ogni altra cosa a questo mondo, che non riusciva a conoscere e ad amare la madre per quella che era realmente, che si tormentava quando la vedeva soffrire tutte le volte che abbracciava il padre e schivava lei.
Rose si sporse nella sua direzione, chiudendo con forza l'anta dell'armadio che il ragazzo aveva aperto e che ritornò alla sua posizione con uno schianto fragoroso. Dai tavoli adiacenti, diversi compagni sollevarono gli occhi su quel frastuono.
  «E la tua di faccia, Malfoy? La generosità di tuo padre deve essere davvero ammirevole se è riuscito a risollevarti dalla vergogna che infanga la tua famiglia da anni. Quell'espressione presuntuosa sul tuo volto la ostenti con tranquillità o dalle tue parti si usa ancora andare in giro con il volto coperto?» Rose si sentì strattonare il braccio da Joa, ma la allontanò.
Ad un tratto si ritrovò Malfoy di fronte,  la bacchetta stretta in pugno puntata nella sua direzione. Rose sfoderò la propria e si alzò di scatto, pronta a respingere qualunque incantesimo.
  «Cosa sta succedendo? Siete per caso impazziti?» il professor Arrows si precipitò trafelante verso di loro, il volto rosso di rabbia e la vena sul collo che pulsava pericolosamente. «Adesso vi faccio fare un bel volo dalla preside».
  «Weasley, ti farò rimpiangere di aver aperto gli occhi questa mattina» Malfoy le lanciò un'occhiata di fuoco e mosse la bacchetta pronunciando un incantesimo non verbale.
Rose si lanciò di lato andando a sbattere contro uno scaffale che conteneva diverse boccette colorate. Una in particolare, più grande e pesante delle altre, si scaraventò sul pavimento, rilasciando un vapore rosso intenso. Dopo pochi istanti il fumo divenne fuoco e iniziò a divorare tutto ciò che lo circondava. Rose si allontanò in fretta, tutti i ragazzi urlarono e si catapultarono fuori dall'aula.
Albus la prese per la mano e la portò dall'altra parte della stanza, mentre Arrows cercava di domare le fiamme divampanti.
  «Voi due. Qua. Immediatamente»
Il lungo mantello di Arrows era stato devastato dal fuoco, mentre i pochi capelli che gli rimanevano erano ritti e affumicati. «Voi altri prendete le vostre cose e andate nell'aula secondaria vicino alla Serra. Quando torno, voglio vedere il liquido nel vostro calderone emanare bolle di vapore. Guai a voi se vi trovo a perdere tempo» disse rivolto al resto della classe.
Mentre gli altri si affrettavano a raccogliere il proprio materiale, Rose osservò come l'armadio degli ingredienti, lo scaffale e i due tavoli vicini fossero stati completamente danneggiati dalle fiamme.
  «Vi rendete conto di quello che avete combinato? Dei danni che avete causato nella mia aula?» Arrows urlava senza controllo e Rose lo guardava preoccupata, temendo che potesse avere un attacco di cuore da un momento all'altro. «Voi siete due irresponsabili, imbecilli, ragazzini esibizionisti. Se foste rimasti carbonizzati avrei solo dovuto ringraziare di non dovervi più vedere alle mie lezioni» il suo tono di voce divenne, se possibile, ancora più alto.
Addio al massimo dei voti in Pozioni.
Rose guardò il professore in attesa della sua condanna a morte, o per lo meno, di essere messa in punizione fino alla fine dell'anno. Il suo pensiero volò subito a sua madre, a quello che avrebbe detto, alla vergogna che avrebbe provato. Che disonore, Rose.
  «Ora» iniziò, respirando lentamente per calmarsi. «non vi metterò in punizione». Pronunciare queste parole gli costò molta fatica, come se stesse agendo contro la sua stessa volontà.
Rose lo guardò esterrefatto e si voltò verso Malfoy, ma questo guardava dritto davanti a sé. Rose per lui non esisteva.
  «Ma non pensate che vi lasci andare senza impegnarmi per rendere il resto del vostro semestre un inferno. Voglio che prendiate dalla serra una pianta di Centinodia e vi occupiate della sua crescita, appuntando tutto quello che riuscite ad osservare. Voglio una relazione perfetta, nessuna imprecisione, non tralasciate niente. Vi avverto, la pianta in questione non è agevole da maneggiare, all’interno delle mura della nostra scuola non è permessa la sua crescita. Ma questo è un lavoro che vi sta salvando dall’espulsione» disse, sbattendo il libro sulla cattedra per poi incamminarsi fuori dall'aula, verso la serra. 
Quando notò che i due ragazzi lo stavano seguendo, si voltò verso di loro «Dove state andando? Con voi ho finito, non vi voglio vedere nella mia classe. Sparite, andate via, trovate due posti il più distante possibile tra loro e rimaneteci per il resto della mia ora. Se vengo a sapere che avete creato dei problemi io vi faccio sbattere fuori da questa scuola » urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni e si allontanò borbottando.
Rose, ancora sconvolta, ma sollevata, guardò Malfoy incerta su cosa dire o fare. Il ragazzo non ci pensò due volte, girò i tacchi e se ne andò.
Lei si mise a correre lontana da Malfoy, prima che potesse dire o fare qualcos'altro di cui pentirsi.
Uscì dai sotterranei, arrivò al primo piano e si diresse verso la Sala d'Ingresso per raggiungere il cortile. Non si accorse di aver imboccato il corridoio che portava all'Infermeria e dovette prendere una strada più lunga, per uscire dal castello.
Quando passò davanti alla porta dell'Infermeria, notò al suo interno Vincent Nott che, dandole le spalle, parlava a voce bassa con Madama Chips. L'infermiera si allontanò e Rose entrò nella sala spaziosa e luminosa, Nott al centro si guardava la mano fasciata. 
  «Nott, che ci fai qua?»
  «Weasley, che piacere, ormai sbuchi sempre alle mie spalle. Potrei pensare che mi stai pedinando» disse lui, poi le mostrò la mano. «Mi sono ustionato durante lo spettacolino che avete inscenato tu e Scorpius. A proposito, non credo che quella pozione fosse legale » rifletté con il volto imperturbabile. 
Rose si mosse sul posto a disagio e vagamente colpevole.
  «C'è altro che vuoi sapere?» chiese lui. La nota derisoria impercettibile non sfuggì all’orecchio vigile di Rose.
  «In effetti sì». Le domande che la ragazza avrebbe voluto porgergli erano molte, confusionarie e pericolose, ma il buon senso le imponeva di essere cauta.
  «Ultimamente mi sembra di essere sotto processo quando mi trovo con te»
Rose notò con enorme fastidio che Nott aveva preso l'abitudine di darsi alle battutine canzonatorie. 
  «Sarò veloce e diretta Nott: quali sono i tuoi rapporti con Penelope?» chiese lei.
Lui sbuffò una risata e si guardò intorno, la mano sana che vagava fra i propri capelli. «Hai preso una brutta sbandata Weasley. Non credi che questa storia stia diventando un tantino ridicola?»
  «Se è tanto ridicola perché non fai altro che mentire e agire di nascosto? Rispondimi e lasciami crogiolare nelle mie insensate fantasticherie» lo sfidò lei.
  «Perchè non c'è niente da dire. Penelope la conosco appena, si aggira sempre per quella strada, intorno al negozio di mio zio dove io lavoro d'estate. A differenza degli altri non la giudico per quello che è o per quello che fa, ma cerco di comprenderla. I nostri rapporti si limitano a questo» spiegò lui esasperato.
  «Conosci qualcosa di lei? Sai se ha una madre con il suo stesso nome?».
  «So che la madre era una babbana che il padre ha abbandonato quando Penelope era molto piccola. Lei ha sempre vissuto con il padre fino a pochi anni fa, quando lui è morto» spiegò Nott. Il volto si rabbuiò appena nel raccontare la storia.
Rose escluse la possibilità che la ragazza del diario che vagava tra le mura di Hogwarts fosse la madre babbana. Tuttavia dall'episodio a cui Rose aveva assistito erano passati più di vent'anni ed era quindi impossibile che la Penelope del diario fosse la stessa ragazza che aveva incontrato ad Hogsmeade.
  «Sai dirmi l’età?» chiese Rose titubante.
  «Non lo so con certezza, Weasley» rispose lui seccato. 
Lei socchiuse gli occhi e lo guardò scettica «Puoi provare a soddisfare questa mia ultima curiosità?».
Nott continuava a guardarla impassibile, ma le sopracciglia si corrugarono appena in una smorfia infastidita «Sicuramente più di trenta. Forse raggiunge i quaranta». 
Rose rimase sbigottita. Quella che le era sembrata una ragazza, per il fisico giovanile e la pelle fresca, era in realtà una donna adulta. In effetti il volto sfigurato le aveva impedito di ricavare delle informazioni più attendibili, ma Rose era certa che quella ragazza avesse le fattezze di un'adolescente. 
  «Cosa? Nott, non è possibile ... ».
  «Questa storia è ridicola. Mi interessa poco che sia possibile o meno, spero solo che le tue manie di persecuzione abbiano fine» disse lui, ansioso di lasciare quella stanza. «Buona giornata».
Lei non disse nulla e lo guardò andar via silenzioso come un gatto, mentre con la mente ripercorreva quelle informazioni che avevano solo accresciuto i suoi dubbi.
 
All'ora di pranzo sedeva con le altre, mentre discutevano della lezione di pozioni.
  «Non posso credere che Arrows non vi abbia rinchiusi nei sotterranei per il resto dei vostri giorni» disse Candice sorpresa.
  «Io l'avrei fatto, considerando che vi siete comportati come due idioti totali» osservò Joa.
  «Vi ricordo che è stato lui a lanciarmi contro un incantesimo» Rose osservò le amiche profondamente tradita dalla loro mancanza di sostegno. 
  «Ti ricordo che sei stata tu a insultare la sua famiglia» la ammonì Melissa.
  «In effetti ha senso» rifletté Eloise «Quella pozione che hai fatto cadere, Rose, è illegale. Il fuoco che ha sprigionato è una maledizione. Ci scommetto che la McGranitt non sa niente di quello che Arrows conserva nei suoi sotterranei e se lui vi avesse messo in punizione avrebbe dovuto spiegare tutto alla preside».
  «Anche Nott ha detto la stessa cosa» asserì Rose, dando voce ai suoi pensieri.
  «Quando hai incontrato Vincent?» le chiese Candice un po' perplessa. 
Vincent, Rose storse la bocca disgustata.
  «Durante l'ora di pozioni, in Infermeria, credo si fosse ustionato la mano con il fuoco». 
Le amiche si scambiarono un'occhiata confusa.
  «Nott stava lontano da voi quando la pozione è caduta. Non si è fatto niente alla mano» le spiegò Eloise.
  «Sì Rose, è stato sempre con noi, tranne quando il professore l'ha mandato a prendere un coltello dall'aula di Pozioni. Forse passava di lì per caso» Melissa concluse con un'alzata di spalle, accettando questa spiegazione come la più plausibile. 
Rose tamburellò con le dita sul tavolo, spazientita. Afferrò una pagnotta e la avventò con voracità, furibonda. Quel viscido di Nott era stato capace di mentirle ancora, con una disinvoltura vergognosa. Cacciò via l’ultimo residuo di senso di colpa che ancora ostacolava una sua presa di posizione definitiva e decise di prendere in mano la situazione. Perlustrò i volti delle amiche che ridevano spensierate e comprese che in loro non avrebbe potuto trovare quell’appoggio di cui necessitava.
Una pacca poderosa sulla spalla le fece andare di traverso l’ultimo boccone. Tossicchiando, maledisse il cugino che la guardava soddisfatto.
   «Ben fatto, Rose» esclamò James con un sorriso raggiante. 
Rose alzò gli occhi al cielo. «Ti prego, dimmi che non sei qui per il motivo che penso».
  «Ti devo chiedere scusa».
  «Prego?». 
  «Ti ho giudicata frettolosamente. Ti ho dato colpe che non sono tue, perché tu non hai nulla a che vedere con quel traditore di Albus». 
Rose sbuffò spazientita e fece per interrompere il cugino, ma lui non le prestava attenzione.
  «Quest’oggi hai reso giustizia all’onore della casata Grifondoro e della famiglia Weasley-Potter».
  «Potter, ti ha mai detto nessuno che hai bisogno di farti curare?» dichiarò Joa. 
Lui la guardò con profondità, prima di aggiungere «Attenta Jordan, non sai che non bisogna mai provocare un capitano?».
  «Oh sì, se sei il battitore della squadra e brandisci la mazza meglio della bacchetta». 
  «James caro, ti siedi qui?» sibilò Melissa, mentre Eloise al suo fianco non osava alzare la testa. 
James concesse l’ultimo sguardo vacuo a Joa, prima di stringere la spalla della cugina. «Non posso unirmi a voi, ragazze mie. Ho un incontro con la Mcgranitt per stabilire il giorno della partita contro i Corvonero». Sistemò la propria borsa sulla spalla e aggiunse «Così ti voglio Rose, mi rendi fiero di te». 
  «Anche io ti voglio bene, Jamie» gli urlò dietro Rose.

 
 
- § -
 

 
La piuma dalla punta di metallo scorreva rapida e leggera sulla pergamena, tracciando solchi neri e fluenti, che componevano il testo sulle Caratteristiche Fondamentali e Uniche della Pianta di Centinodia.
Il tavolo che affiancava l’alta finestra in vetro era deserto e da lì Rose poteva vedere il cielo scurirsi, squarciato dalle aguzze cime dei pini. Quel paesaggio vicino, che si estendeva fino a diventare irraggiungibile, assorbiva la sua mente e ne prelevava ogni pensiero recondito.
Pensò a se stessa come non faceva da tempo e si riscoprì delusa da ciò che era capace di diventare. Velenosa e ossessiva, fino a dimenticare i valori in cui credeva lei, la sua casa, la sua famiglia. Le atroci parole che aveva scagliato contro Malfoy non erano frutto dell’odio o del nervosismo, erano un segno di cedimento.
Erano una richiesta di aiuto.
Tornò a guardare il cugino che le sedeva di fronte, al tavolo grande vicino la vetrata, nella biblioteca deserta.
  «Rose, non mi sembra sufficiente per incolpare Vincent di essere coinvolto nella storia di questo diario».
Da più di un’ora i due ragazzi ripercorrevano la storia che Rose si era decisa a raccontargli, tralasciando accuratamente alcuni dettagli che il cugino le avrebbe rimproverato: un diario incantato capace di trasportare in un’altra realtà non si presentava come il più innocuo degli oggetti magici. Rose temeva il giudizio severo e scrupoloso di Albus, che le avrebbe raccomandato di rivolgersi alla preside o in ogni caso di non invischiarsi in una situazione non controllabile.
Se Rose era perfezionista e diligente, Albus era previdente tanto da diventare timoroso. 
  «Il braccialetto di zio George si è illuminato di rosso. Ti ricordi cosa ha detto lo zio, no? Nott non ha fatto altro che mentire».
Rose si ritrovò per l’ennesima volta a combattere contro chi continuava a santificare quel ragazzo. Afferrò un libro particolarmente grosso dalla pila di testi che aveva posizionato accanto a sé e iniziò a sfogliare le pagine freneticamente.
  «Adesso che stai cercando?» chiese Albus, avvicinandosi al tomo per leggere il titolo in copertina. «Questo è un libro di Medimagia. Dove l'hai preso?».
  «L'ho rubato a Madama Chips. Era nel suo studio. Voglio vedere se riesco a trovare da qualche parte i sintomi che ha manifestato tua sorella». 
  «Rose, tutta questa faccenda ti facendo perdere un po’ il controllo. A volte metti i brividi» Albus osservò la cugina, il naso a due millimetri dalle pagine del libro. «So come sei. So che hai bisogno di far coincidere ogni cosa».
  «Non ho la mania della giustizia» Rose si accigliò, rievocando le parole dello zio «come mia madre». 
  «Non intendo questo. Ma vuoi avere sempre il controllo su tutto, invece di lasciare che le cose accadano e basta». 
Rose alzò gli occhi dal libro e li fissò sul volto del cugino «Cosa vuoi che accada, Al? Che Nott si prenda gioco di me e faccia soffrire Candice? Dovrei stare qui impotente a osservare che le cose accadano e basta?». 
  «Dico semplicemente che non devi sentirti responsabile» disse lui con un sospiro. 
La ragazza si morse il labbro inferiore. «Mi ascolterai, Al?».
Albus alzò gli occhi al cielo «Che cosa hai notato di strano in Lily?» 
Rose accennò un sorriso e proseguì «Sembrava disorientata, lo sguardo perso nel vuoto, come se fosse totalmente assente».
Il cugino la ascoltava con attenzione e prese a ragionare tra sé. «E' quello che ci ha detto oggi Arrows quando ha spiegato gli effetti del Distillato Sviante. La pozione ha come obbiettivo quello di disorientare chi la beve, di far perdere il contatto con la realtà»
Era chiaro. Gli effetti di una pozione del genere potevano avere un solo significato.
Il volto di Rose si illuminò «Ma certo! Che stupida che sono. Nott è entrato nella Sala Comune dei Grifondoro, ha messo il diario nella mia borsa e ha lanciato un incantesimo per confondere i presenti. Non deve essere stato difficile per lui, considerando le sue abilità di mago».
Rose si sentì una stupida per non averci pensato prima, ma l’euforia di aver dato una prima risposta soppiantò ogni altra preoccupazione. Osservò la reazione del cugino, che fissava il movimento fluido della piuma, non del tutto persuaso dalle elucubrazioni di Rose.
Il cigolio del portone della sala avvertì i ragazzi che non erano più soli. Udirono dei passi leggeri dirigersi verso il tavolo principale, quello da loro occupato. 
  «Albus piantala di rifugiarti in Biblioteca per sfuggire a quella piaga di Ernest: gli hanno nuovamente nascosto gli scarponi». Malfoy raggiunse il loro tavolo mentre studiava attentamente delle pergamene che aveva tra le mani. Quando si accorse di Rose abbandonò l'espressione rilassata e si irrigidì, guardando torvo la ragazza. «Credo proprio che ritornerò da Ernest ».
Albus ridacchiò nervosamente «Ammetterai che persino mia cugina è meglio di Ernest Eyre».
Passarono diversi minuti di silenzio durante i quali Malfoy guardava con astio la ragazza, Rose, lo sguardo basso, studiava con molta attenzione le rifiniture del legno e Albus alternava lo sguardo tra i due, mentre con le dita tamburellava sul tavolo in un gesto impaziente. Un’occasione per canzonare Rose ignorata da Scorpius senza alcuna provocazione o occhiata furtiva era indubbiamente un segnale d’allarme.
  «Rose ha iniziato qualche ricerca sulla pianta. Ti siedi con noi?». 
Malfoy lo guardò sprezzante «Ne faccio volentieri a meno. Oltretutto, non essendo di proprietà della mia famiglia, credo di dover prima ricevere un lasciapassare del Ministro in persona».
Albus non si lasciò intimidire dall’ostinazione dell’amico. «Scorpius, non la fare tanto lunga. Adesso ti siedi accanto a noi e voi due chiarite questa situazione». 
  «Smettila di difenderla come se non fosse consapevole di se stessa». 
  «Credo sia giunto il momento per me di togliere il disturbo» Rose ruppe la tensione alzandosi e raccogliendo le proprie cose. 
  «E’ la cosa più intelligente che tu possa dire in questo momento» affermò Malfoy, seguendola con lo sguardo. «D’altronde, ereditiamo le colpe dei nostri genitori. Tu sei sicuramente rammollita come tuo padre». 
Rose lasciò cadere la sedia con un boato fragoroso che si estese nell’eco dell’immensa Biblioteca. Si avvicinò al ragazzo e lo spinse lontano con quanta forza aveva in corpo.  «Non dire una parola su mio padre». 
Malfoy la guardava impassibile, ma gli occhi si spensero appena della furia che li dominava. «Dici che non è così?». 
  «Che diavolo vuoi, Malfoy? Vuoi farmela pagare? Vuoi proseguire il duello?». 
  «Tu dici che non è così. Mio padre invece sostiene sempre il contrario» affermò lui con un tono calmo. 
  «Non me ne frega un cazzo di quello che dice tuo padre» sbottò Rose, mentre avvertiva il calore divorarle il viso.
Il ragazzo la guardò serio «Nemmeno a me. Pensi che dovrei tener conto dell’opinione che ha mio padre dei suoi più odiati rivali al tempo della scuola? E’ come se conservassi di te la stessa opinione anche tra vent’anni. Che ne sappiamo cosa accadrà tra vent’anni? Magari sarai meno irritante e instabile. Magari mi piacerai». 
Rose lo guardò attentamente e si morse le labbra con forza. Non riuscì a osservare per lungo tempo quel volto così adulto e giusto in un modo che le fece perdere il controllo di sé. Avvertì le guance tradire i propri pensieri.
Rose si mosse incerta, diede le spalle a Malfoy, sollevò la sedia e afferrò la propria borsa.
  «Ah no. Tu non vai proprio da nessuna parte!» Albus puntò un dito intimidatorio contro la cugina e la costrinse a riaccomodarsi. 
  «Albus, andiamo. Non credo che la mia presenza sia gradita qui». 
Malfoy sospirò scoraggiato e sul viso gli si dipinse un’espressione furibonda «No, Weasley, la tua presenza non mi è affatto gradita, anzi non riesco a guardarti in faccia senza provare repulsione nei tuoi confronti. E’ evidente che le cose non cambieranno, Albus. Non sprecare il tuo tempo».
La voce irruente di Albus fermò l’amico prima che potesse allontanarsi «Non ho intenzione di raccogliervi come se fossi vostra madre. Ed è anche per un mio quieto vivere se vi invito a smetterla di essere testardi e orgogliosi, perché quando siete lontani tirate fuori il meglio di voi e quando siete insieme...beh...non so cosa vi succeda,» affermò Albus, scuotendo le spalle «ma diventate detestabili. Sembra che vada in corto circuito la vostra capacità di relazionarvi con gli altri». Il ragazzo sospirò prima di riprendere «Scorpius, siediti su quella maledetta sedia, tanto prima o poi dovrete iniziare il lavoro per Arrows». 
Scorpius aprì e chiuse la bocca ma non disse nulla. Anche Rose rimase piuttosto basita e osservò preoccupata la reazione di Malfoy.
Questo la guardò un istante e Rose rimase immobile in attesa di una sua decisione. Non sapeva per quale ragione ma sperava che Malfoy si sedesse su quella maledetta sedia di fronte a lei. Quando lui sbattè la borsa sul tavolo e si accomodò con le gambe accavallate, le braccia incrociate e un’espressione torva, lei riprese a respirare normalmente.
  «Non mettere il broncio e ascolta quello che ha da dire Rose». Albus si rivolse alla cugina e con un gesto la invitò a parlare. 
Rose fu presa alla sprovvista. Non aveva idea di cosa dire per risolvere la situazione. In verità si era sentita in colpa per tutta la mattinata per quello che aveva detto a Malfoy e non c'era scusa al mondo che potesse giustificare il suo comportamento spregevole. Ma questo Rose non lo avrebbe mai ammesso davanti a Malfoy.
Tuttavia lui si era dimostrato disposto ad ascoltarla e lei non poteva rimanere lì in silenzio senza nemmeno provare a esprimergli il proprio rammarico. 
  «Sì, Al, è stato stupido». Albus la invitò con un gesto eloquente a rivolgersi al diretto interessato «dire quelle cose. Non le pensavo davvero» disse esitante, guardando finalmente il ragazzo.
Malfoy continuava a squadrarla e il cugino le lanciò un'occhiata che assicurava morte sicura se non avesse aggiunto altro. «Non è un periodo facile, ok? So che questa non è una giustificazione, ma sono molto confusa e nervosa e diciamo che il tuo atteggiamento non è proprio dei più amichevoli, sai?» le sfuggì senza riuscire a trattenersi.
  «Ti sembrano delle scuse queste?».

Proseguì ignorando il commento del ragazzo. «Non penso realmente quello che ho detto. Fa più che altro parte di un repertorio piuttosto ripetitivo e banale che sfodero nei casi estremi, quando voglio essere particolarmente stronza. So di esserci riuscita alla perfezione e di essermi comportata come un' isterica» disse tutto d’un fiato. Forse non avrebbe dovuto insultarsi gratuitamente perchè ora lui la osservava senza più trattenere il sorriso.
Rose guardò il suo volto rilassarsi con estrema lentezza e gli occhi accendersi della solita luce maliziosa. 
  «E poi?» 
  «Mi dispiace» concluse Rose con un sospiro.
Lui la studiò incuriosito per qualche secondo. «Ho deciso che per il momento posso resistere all' istinto di cruciarti».
  «Che gentile». 
Albus li guardava soddisfatto «Bel lavoro, Al». 
La porta della Biblioteca si aprì nuovamente e la figura alta e sfrecciante di Candice passò loro davanti senza vederla. 
  «Quella non è la tua amica bandita dalla Biblioteca?» disse Malfoy.
  «Candice in Biblioteca? E’ proprio vero che l’amore cambia le persone» affermò Albus scotendo la testa. 
Vedere Candice in Biblioteca era un evento più unico che raro e Rose decise che non si trattava affatto di un caso: quello sarebbe stato il momento giusto per parlarle di Nott.
Trovò Candice intrufolata nell'ultimo corridoio sulla destra, in fondo verso il tavolo appoggiato ad una colonna isolata rispetto al resto della libreria. In bilico su una scala si dimenava per afferrare un libro che si trovava in cima alla colonna. La finestra sopra una mensola cedevole era aperta e Rose notò che fuori era ormai sera.
Per un momento la situazione le parve familiare, ma non si soffermò molto a rifletterci.
Doveva togliersi quel peso il prima possibile.
  «Candice, che ci fai qui?». 
La ragazza si voltò verso di lei e la guardò dall’altro con un sorriso imbarazzato «Si lo so, ti sembrerà un miraggio ma sono realmente aggrappata a una libreria polverosa. Sto cercando un libro per Vincent. Sta sempre su quei maledetti libri e ho pensato di aiutarlo a portarsi avanti con lo studio così abbiamo più tempo per noi» disse Candice con aria sognante, mentre lanciava un libro dopo l'altro ai suoi piedi. 
Raggiungere l’argomento delicato era stato più semplice di quanto potesse sperare. 
  «A proposito di Nott, Candice, ti devo parlare ...». 
  «Ti dispiacerebbe passarmi quel coso?» indicò un libro che le era scivolato lungo la scala ed era precipitato lontano da lei. 
Rose seccata si avvicinò al tomo e si piegò per afferrarlo, mentre Candice continuava a scaraventare libri per terra, alla ricerca del testo per Vincent.
All’improvviso un forte urto costrinse Rose a voltarsi verso Candice. Uno dei libri aveva coinvolto, nella sua discesa verso il pavimento, anche la mensola mal ridotta, la quale cadde con un tonfo tremendo sulla colonna, che iniziò ad oscillare. Con un urlo Candice si affrettò a scendere dalla scala ma non fu abbastanza rapida. La libreria la travolse e lei si accasciò al suolo, priva di sensi.
Rose rimase paralizzata. Non riusciva a muovere un solo arto. Non riusciva a parlare, a pensare. Tutto ciò su cui riusciva a concentrarsi era il corpo della sua migliore amica steso sul pavimento.
Poi il corpo di Rebeka. L'espressione spaventata di Penelope.
Dei passi alle sue spalle l'avvertirono che qualcuno era sopraggiunto, probabilmente allarmato dal frastuono.
Le mani di suo cugino che la scrollavano, la voce di Malfoy che le chiedeva cosa fosse successo. Madama Pince che diceva ai ragazzi di chiamare qualcuno.


 
- § -

 
 
Mezz'ora dopo Rose sedeva sul letto dell’ Infermeria con una tazza piena di un liquido denso e verdognolo tra le mani. Madama Chips aveva assicurato che sarebbe stato un ottimo rimedio per i nervi tesi.
Accanto a lei Albus le stringeva la gamba mentre Malfoy camminava lentamente avanti e indietro.
Candice era stata ricoverata, ma Madama Chips aveva detto che aveva riportato solo delle fratture e un trauma cranico.
Solo, aveva pensato Rose, era un concetto davvero molto relativo.
Dopo averci riflettuto attentamente, era giunta alla conclusione che l'episodio che aveva coinvolto Candice era accaduto secondo le stesse procedure che Rose aveva osservato nel libro, quando Rebeka era stata travolta dalla libreria davanti agli occhi di Penelope.
Che cosa significava? Una premonizione? Che lei era una discendente di Penelope e le capitavano le stesse cose che aveva già vissuto la ragazza? E se Candice, nella versione di Rose, personificava Rebeka, ciò significava che c'era un personaggio per ogni sua amica, per ogni persona che la circondava?
Forse la sua vita rappresentava solo la duplicazione di una vita passata, già vissuta.
Rose non sapeva cosa pensare e a chi rivolgersi per delle spiegazioni. Se Nott fosse stato a conoscenza di qualche informazione utile, le aveva fatto capire che non era disposto a condividerle con lei.
L'unico modo per avere delle risposte era consultare di nuovo il diario. Far visita un'altra volta al mondo di Penelope, quella sera, quando nessuno l'avrebbe disturbata.  
  «Va meglio?» le chiese Albus guardandola preoccupata. Il cugino osservava il volto pallido e sconvolto della ragazza, attribuendo la sua spossatezza all’incidente di Candice, senza poter immaginare quali pensieri e timori si affannava nella mente di Rose.  
  «Sì. Sto bene». 
E in parte era vero. La consapevolezza di cercare e forse trovare risposte nel diario le infondeva una certa eccitazione. Tremava all’idea di doverlo riaprire e immergersi in nuovi capitoli agghiaccianti. La crescente paura di essere stata divorata dal controllo di quell’oggetto si faceva sempre più aggressiva, ma ciò non le impediva di cedere alla sua attrattiva.
  «Non potete rimanere qui ragazzi. La signorina Weasley dovrebbe riposarsi, ma non ho l’autorizzazione per trattenerla in Infermeria» dichiarò Madama Chips.
  «Rose, ti accompagno in dormitorio» disse Albus, scendendo dal lettino e portando con sé la cugina.
   «L’ultima cosa di cui ho bisogno adesso è di rimanere da sola e ripensare a quel che è accaduto». 
Il cugino la guardò incerto «Rose vorrei tenerti compagnia, ma ho il compito di Trasfigurazione da svolgere per domani».
  «Non preoccuparti. Andrò in Biblioteca a leggere qualcosa» disse Rose. L’unica lettura che avrebbe fatto volentieri era quella del diario di Penelope. Ma questo non poteva accadere in pieno giorno, con la possibilità che qualcuno entrando in camera la scoprisse. 
  «Nemmeno quando la tua migliore amica viene sotterrata da una libreria, tu smetti per un attimo di pensare ai compiti? » Malfoy la guardò sconvolto.
 «Scorpius, perché non vai con lei in Biblioteca?» 
Malfoy sgranò gli occhi «Stai scherzando?» disse lui con tono lamentoso.
L’amico lo fulminò con lo sguardo «Potreste iniziare il lavoro».
  «Non è una cattiva idea» affermò Rose. Si ritrovò nella disperata situazione di preferire la compagnia di Malfoy alla solitudine. 
  «Potter, perché mi fai questo?».
Rose si sporse verso il cugino per ricevere un caldo bacio. «Muoviti, Malfoy» disse, incamminandosi fuori dall’Infermeria. 
  «Credo seriamente che tu soffra di bipolarismo. Un attimo fa pensavamo di ricoverarti al San Mungo parchè non davi segni di vita e adesso ti comporti come la solita...» le disse Malfoy mentre tentava di tenere il passo di Rose, che sfilava spedita tra i corridoi.
Rose gli lanciò un'occhiataccia. «Non mi va di perdere tempo, prima iniziamo questo lavoro e prima lo finiamo. E meno dovrò stare in tua compagnia» aggiunse l'ultimo commento a voce bassa, borbottando tra sé. 
 
Arrivarono in biblioteca e si sedettero al solito tavolo isolato, vicino alla grande vetrata. Nel cielo erano ormai visibili piccoli puntini luminosi. Al centro del tavolo era posizionato un vaso di terra, dalla quale spuntava un tenue rametto verde. 
  «Allora, dov'è la nostra pianta? Cos'è questo mucchio di terra bagnata?» chiese Malfoy mentre si lasciava cadere su una sedia. Dalla borsa prese una pergamena, una piuma e una sigaretta babbana.  
  «Quel mucchio di terra bagnata è la nostra punizione» spiegò Rose paziente. 
Malfoy strabuzzò gli occhi «E non mi sorprende il perché. Weasley, renditi conto che non finiremo mai di questo passo». 
  «E non è questa la parte peggiore. La pianta tende a deperire con estrema facilità, se non curata in modo impeccabile. Meglio iniziare subito, no?» spiegò Rose. 
  «Direi di no» dichiarò lui «Lo so che per te in fondo è un’occasione imperdibile per passare molto tempo con me, ma io ho altro da fare che trascorrere tutto il semestre a fare un lavoro che probabilmente nemmeno il professor Paciock saprebbe portare a termine». 
Rose sbuffò spazientita. «Te lo prometto, Malfoy, arriverà un giorno in cui smetterai di essere così borioso. Sarà il giorno in cui non dovrò più vedere quell’espressione arrogante e sentire il tuo chiacchiericcio vanesio. Mi assicurerò personalmente che non sia un momento piacevole per te». 
Il ragazzo scoppiò in una risata fresca e rumorosa, tanto che Rose temette l’intervento della bibliotecaria da un momento all’altro. «Sei esilarante, Weasley».
Portò la sigaretta alla bocca e bloccò il filtro, bagnando la cartina con la saliva. La poggiò sulla pergamena e si adagiò sulla sedia, stendendo le gambe sul tavolo. La riprese e iniziò a stuzzicarla con le dita. 
Rose scrutò la suola delle scarpe toccare il tavolo di legno raffinato della biblioteca «Fai pure con comodo, maltrattando gli oggetti di uso pubblico». 
  «Posso consigliarti di evadere per un attimo dalla tua realtà fatta solo di regole?» 
La ragazza lo incenerì con lo sguardo «Qualcuno deve pur rimanere in questa realtà che ti è del tutto estranea o Arrows avrebbe un buon motivo per bocciarci nella sua materia».
  «Con i tuoi metodi noiosi ci metteremmo in ogni caso troppo». 
  «Finiremmo molto prima se tu dimostrassi un minimo di interesse e impegno» sbottò Rose infastidita e facendo scomparire la sigaretta con un colpo di bacchetta. «Puoi evitare di stare seduto in questo modo?» Rose osservò con ripugnanza la totale mancanza di rispetto che quel babbuino maleducato dimostrava nei confronti della sua amata biblioteca. 
Per tutta risposta Malfoy piegò le braccia dietro la testa e chiuse gli occhi in un'espressione rilassata.
Rose seduta di fronte a lui notò per un attimo, che quando copriva quegli occhi sempre velati di una luce maliziosa e arrogante, appariva quasi un ragazzo dai tratti delicati e dolci. Lui sollevò appena le palpebre e la scoprì a fissarlo. Rose si affrettò a distogliere lo sguardo ma riuscì a percepire la solita espressione beffarda sul volto di Malfoy. Il momento di gradevolezza nei suoi confronti era durato la bellezza di pochi secondi. 
  «Pensavo che potremmo iniziare da uno studio delle caratteristiche della pianta, per capire come trattarla. Ho trovato questo libro nel settore di Erbologia». 
  «Non potremmo cercare su uno di questi libri il procedimento di crescita della pianta e trascriverlo semplicemente?» chiese lui. 
  «Non possiamo, Malfoy. Ogni pianta segue una propria crescita, ognuna ha delle particolari caratteristiche e lo sapresti se seguissi le lezioni di Neville» spiegò lei esasperata, poi aggiunse «Ho letto sul libro che la pianta di Centinodia costituisce un importante ingrediente per la preparazione della Pozione Polisucco. Magari tutto questo servirà perchè Arrows ci farà preparare la pozione durante una delle sue prossime lezioni». Rose aveva un sorriso entusiasta sul volto. 
  «Oh, è davvero eccitante» commentò Malfoy annoiato e girandosi la piuma tra le mani, in sostituzione della sigaretta che gli era stata sottratta. 
  «Beh, sì che lo è» rispose Rose accigliata e osservò il ragazzo inarcare le sopracciglia in un gesto scettico «Sentiamo, tu che cosa trovi veramente eccitante?». 
  «Davvero mi stai facendo questa domanda?». 
Rose si scompose appena, leggermente a disagio ed evitò di guardarlo. «Lascia perdere, con te è impossibile affrontare un discorso serio». Alzò lo sguardo e lo scoprì a fissarla. «Cosa vuoi?»
  «Pensi che non sia in grado di fare un discorso serio?» 
La ragazza lo guardò stupita e rimase per un attimo senza parole. «Già, lo penso».
  «E cosa te lo fa pensare?» disse, continuando a guardarla con intensità. 
Rose inarcò le sopracciglia sempre più perplessa. «Vediamo, perché non ti ho mai sentito dire parole che non fossero derisioni, cattiverie o adulazioni rivolte a te stesso?».
Malfoy sbuffò impercettibilmente e mosse di scatto la testa, lasciando che le onde dorate danzassero sul viso. «Perché parlavo con te». 
Rose sbatté le palpebre due volte «Non so se prenderla come una conferma a ciò che ho detto o come un’offesa. Se vuoi fare un discorso serio, dammi una risposta seria senza girarci intorno, per una volta».
  Malfoy fissò il proprio sguardo sulla piuma color mandorla che rifletteva la luce incredibilmente intensa delle torce pendenti dal soffitto. «Trovo eccitante volare, sulla scopa, ovviamente» aggiunse subito dopo. «Mi piace avvertire il vento fresco sulla pelle che mi scompiglia i capelli e mi fa sentire più leggero. Mi piace, durante le partite, il momento in cui mi devo lanciare all'inseguimento del boccino e diventa una sfida con me stesso per raggiungere sempre la velocità più elevata. In quegli istanti avverto dei brividi che partono dalla nuca e proseguono lungo tutto il mio corpo. Quando sono solo lancio dei gridolini eccitati».
A Rose sfuggì un sorrisino all'immagine di Malfoy giocoso come un bambino «Credo che dovresti conoscere una sensazione del genere anche tu, nonostante le tue scarse capacità di giocatrice»
Rose si infiammò subito. Il Quidditch era un passatempo più che una passione, ma era ciò che più di tutto condivideva con suo padre, colui che l’aveva spinta a diventare un bravo portiere. Non permetteva che venisse messo in dubbio il suo talento. «Sarà per la mia incapacità che l'anno scorso Grifondoro ha battuto Serpeverde con un vantaggio di 50 punti, ancora prima che Louis prendesse il boccino» sbottò Rose, lanciando un rotolo di pergamena in faccia a Malfoy, il quale si scansò prontamente. 
Il ragazzo si ricompose e incrociò le braccia. «Sai, Weasley, un'altra cosa che trovo eccitante è il tuo viso che prende fuoco quando ti arrabbi: i tuoi occhi si accendono e i capelli vibrano come se prendessero vita» disse Malfoy, abbandonando definitivamente la piuma e rivolgendo la propria attenzione a Rose. 
Rose fu consapevole che in quel momento il suo viso fosse diventato ancora più paonazzo di prima e la consolò sapere che il calore ardente all’altezza del cuore fosse un segreto solo suo. Quello stesso cuore si agitò quando il ragazzo si sporse nella direzione di Rose.
  «Sei poco originale, Malfoy, davvero. Sarebbe questo il repertorio che l'affascinante Scorpius Malfoy riserva al suo harem di ammiratrici?» lo provocò Rose, mantenendo un tono di voce controllato e neutro. 
Lui continuava a mantenere quella insolita vicinanza, provocandola con quello sguardo penetrante «Ti sbagli, Weasley. Con le altre mi basta qualche parolina dolce e un po' di complimenti buttati lì ogni tanto. Il mio bell'aspetto fa la maggior parte del lavoro» disse lui indicandosi il corpo e il viso. Rose non si preoccupò di trattenere una smorfia disgustata. «Nel tuo caso la situazione è più complicata perchè mi respingi di continuo. Sono costretto a farti esplodere per attirare la tua attenzione» aggiunse serio, studiandole il volto. 
Rose lo guardò impassibile, decisa a non lasciarsi abbindolare dall'espressione pensierosa e adorabile con cui la osservava, ma non riuscì a mantenere il contatto visivo a lungo. Detestava l'effetto che le faceva Malfoy da un po' di tempo. Da quando il suo metodo per infastidirla aveva preso una piega decisamente più intima, Rose non riusciva più a controllare le emozioni che lui le suscitava. Alternava momenti in cui avrebbe voluto strozzarlo con le proprie mani, ad altri in cui avrebbe voluto avvicinarsi a lui e accarezzare quel viso angelico con le dita, immergere le proprie mani nei suoi capelli biondi e morbidi.
Rose si allontanò immediatamente dai propri pensieri e si rese conto di essere arrossita, dal sorrisetto vittorioso che attraversava il suddetto volto angelico del ragazzo. 
  «Pensi che questa invece sia la tua arma vincente?» sibilò lei. 
  «Non ho bisogno di pensarlo. So che è così». 
Rose sostenne lo sguardo del ragazzo, restituendogli degli occhi altrettanto impenetrabili. «Prendi il libro accanto a te Malfoy e finiamola con queste stronzate».
 

 
- § -

 
 
Un'ora più tardi Rose e Scorpius camminavano lungo il corridoio del primo piano diretti alle proprie Sale Comuni. 
  «Vorrà dire che dovremo vederci più spesso. E non mi guardare così, Malfoy, è stata colpa tua se non abbiamo concluso niente» disse Rose. Avevano abbandonato la biblioteca con le pergamene completamente bianche.
  «Come faccio a conciliare la tua ossessione con i miei altri impegni?». 
  «Impegni, davvero?» 
  Lui sbuffò sonoramente. «Io sono il Capitano della mia squadra. Ho delle responsabilità morali e civili nei confronti dei miei compagni. Loro vedono in me una guida, un modello da seguire». 
Rose alzò gli occhi al cielo «Sembri mio cugino James. Ma vi fanno tutti uguali?». 
Malfoy la spinse con leggerezza, offeso dal paragone cui la ragazza aveva fatto riferimento. 
In fondo al corridoio le porte dell’aula dei docenti erano aperte e un timido raggio di luce illuminava la zona buia. Rose riconobbe il profilo austero della Preside e il suo imponente cappello appuntito che indossava solo nelle cerimonie importanti. Invece di svoltare a destra e imboccare la strettoia che conduceva alle scale, Rose si intrattenne dietro l’angolo per sbirciare gli affari urgenti di cui sembrava occuparsi la Mcgranitt.
Malfoy che si era già incamminato, si accorse dopo un po’ che la ragazza non lo seguiva.
  «Sarai anche capace di farti gli affari tuoi.» bisbigliò lui per non farsi udire dalla preside che ora parlava concitata con qualcuno.
  «Sta succedendo qualcosa di importante. La Mcgranitt ha il suo cappello» disse Rose, affacciandosi sempre di più e trovando riparo dietro ad un immenso Gargoyle. 
Malfoy le fu subito dietro e la richiamò «Ti rendi conto che è una cosa molto stupida?». 
  «Vattene allora» disse lei, voltando solo la testa verso di lui.
  «Vuoi rimanere qui ed essere scoperta a spiare la preside?».
  «Non ti preoccupare per me, me la caverò» esclamò Rose, ritornando a studiare le due figure. 
  «Weasley, non mi sto preoccupando per te. Non mi interessano le tue strane ossessioni» disse Malfoy ma fu interrotto dalla ragazza che lo afferrò per il braccio e lo spinse dietro al Gargoyle vicino a sé, per nascondere i due corpi nella penombra delle grandi ali della statua.
   «Certo che te le inventi proprio tutte per starmi vicino. Chi vuoi che spunti dal corridoio, Lord Voldemord?» disse Malfoy, sussurrando. 
Rose avvertì il respiro fresco di Malfoy toccarle il collo, mentre il suo braccio sfiorava la schiena di lei. Nel frattempo i passi che Rose aveva udito si erano avvicinati, tanto che il volto della Preside era ormai ben visibile.
La ragazza non riuscì a concentrarsi sulle parole della Mcgranitt poiché le dita di Malfoy presero a carezzarle il profilo della schiena sopra la camicia di cotone leggero. D’istinto si immobilizzò mentre la schiena si inarcava seguendo le scie di rovente piacere. 
Rose riconobbe l’austera voce della Mcgranitt che, questa volta ben distinta, fece desistere Malfoy dal proseguire quel contatto. La professoressa informava il suo interlocutore di alcune procedure di cui Rose non capì i dettagli. La seconda persona parlò con voce più profonda, maschile, affascinante: la voce di un ragazzo. Rose si allontanò quanto le era possibile da Malfoy, senza osare voltarsi a guardarlo.
Ringraziò l’inevitabile vicinanze dei due, che la costrinse a concentrarsi su altro che non fosse lui, le sue dita, il suo respiro. Evitando di farsi scoprire, Rose si sporse appena per riuscire a vedere chi fosse il giovane, ma questo le dava le spalle.
 
Era alto, dal fisico asciutto e con i capelli mossi e castano scuro.
Quando si voltò, Rose sentì il sangue gelarsi nelle vene: osservò gli inconfondibili lineamenti delicati e raffinati, caratteristica che lei aveva attribuito, in un altro momento, ad un sangue nobile.
Isidore, il ragazzo di una bellezza straordinaria, innamorato della Penelope del diario, si trovava nella scuola di Rose e parlava tranquillamente con quella che un tempo era stata la sua preside. E come se quel ventennio trascorso non avesse dimostrato i suoi effetti, Isidore aveva lo stesso aspetto fresco, giovanile di quando era apparso nel libro. Quel volto dolce e perfetto aveva, però, qualcosa di diverso rispetto al volto che già aveva incontrato: lo sguardo amorevole e ambrato di Isidore era sostituito da due occhi color ghiaccio, impenetrabili e gelidi. Gli stessi occhi di Penelope.







Cinese
Relazione determinata dal destino.







 

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Capitolo 6
*** Henko ***


 
Gli venne in mente, senza spiegazioni, una della tante leggende che circolavano su quella città:
che le donne, laggiù, tenevano un solo occhio scoperto, meravigliosamente dipinto con terre colorate.
Si era sempre chiesto perché mai avrebbero dovuto nascondere l'altro. [...]
- Perché nessun uomo potrebbe reggere il loro sguardo senza impazzire.




 
 
CAPITOLO VI
 

Henko

 



Raggiunsero le scale in movimento, dove alcuni ragazzi cercavano di cogliere la direzione giusta. Rose si precipitò lungo le scale, mentre Malfoy le rivolgeva un cenno distratto prima di imboccare la strada diretta ai sotterranei.
   Il cuore in petto era in tumulto. Il volto di Isidore le era rimasto impresso nella mente e la tormentava con quei suoi occhi gelidi. Al solo pensiero poteva avvertire il freddo soffiarle lungo le braccia e la nuca. Il fatto che lui fosse piombato a Hogwarts proprio ora che lei aveva iniziato a leggere la sua storia non le sembrava affatto una coincidenza e che il suo volto fosse identico a quando aveva diciassette anni, poi, era ancora più agghiacciante.
Così come era accaduto con Penelope, sembrava che il passato si stesse combinando con il presente, prendendo prepotentemente il controllo della sua realtà.
   Quasi urlò la parola d'ordine alla Signora Grassa, che la guardò risentita. Si precipitò nel proprio dormitorio e lo trovò deserto, le altre erano scese per la cena. Aprì con forza l’ultimo cassetto accanto al suo letto e individuò il diario sepolto da foto e calzini. Lo afferrò con mani tremanti, fece per aprirlo ma un nodo alla gola le impedì di proseguire. La testa iniziò a vorticarle e il respiro si fece più pesante. Scaraventò quell'oggetto sul proprio letto e si accasciò lungo la parete di fronte, le mani tra i capelli e la fronte poggiata sulle ginocchia.
   Si sentiva sfinita e confusa. Non capiva più cosa stesse accadendo intorno a sé e questa sensazione d’impotenza la rendeva irrequieta e ancora più agitata: aveva paura. Paura che il proprio mondo fosse controllato dalla potenza di quel diario che, ora se ne rendeva conto, non era più un caso fortunoso capitato tra le sue mani. Avvertì la familiare sensazione di non essere sola tra quelle scure pareti rosso vermiglio e la stanza buia non fece altro che accrescere la propria angoscia.
   Si alzò di scatto e iniziò a correre fuori dal Dormitorio, dalla Sala Comune. Corse per lunghi corridoi senza riflettere su dove stesse andando. Si fermò solo quando arrivò alle porte dell’Infermeria. Le aprì lentamente per non avvertire Madama Chips del proprio arrivo e individuò un solitario letto vicino a un'ampia finestra, dove Candice era intenta a leggere un giornale e un altro ragazzo due file più distanti scartava una pila di Gelatine Tuttigusti+1.
Un benda bianca avvolgeva la testa di Candice poggiata sul cuscino, mentre lei si affaticava per sfogliare le pagine con la sola mano sana, quella libera dalla fasciatura.
Quando si avvicinò a lei, l'amica le sorrise raggiante ma a Rose non sfuggì che quel sorriso aveva perso un po' della sua normale lucentezza.
   «Ciao malaticcia, come te la passi da queste parti?» chiese Rose con voce cupa.
   «Sicuramente meglio di come te la passi tu». Candice le rivolse un'occhiata indagatrice e iniziò a perlustrarle il volto per capire cosa non andasse. Rose notò con un tuffo al cuore che, anche se ricoverata in un letto d'ospedale, la sua amica non smetteva mai di preoccuparsi per lei.
   «Esattamente quante lezioni potrai saltare?» disse Rose, sogghignando.
Candice si stiracchiò con lentezza estrema, attenta ad ogni movimento «Potrò farmi qualche giorno, forse una settimana di riposo completo» disse lei esultante.
   «Ti porterò ogni giorno gli appunti»
   «Lo sospettavo» rispose Candice con tono rassegnato. Rose si abbandonò ad una risatina bassa.
   «Ehi, tu non puoi stare qua» biascicò il ragazzo grassottello, che Rose riconobbe come uno del sesto anno di Corvonero.
Rose osservò la porta della camera di Madama Chips, sperando di non vederla aprirsi, prima di rivolgersi al ragazzo con sguardo accigliato «Credo che tu possa far finta di non avermi vista, no?»
   «Potrei, ma perché dovrei farlo, Rose Weasely?» dichiarò lui puntandole contro un indice tozzo.
Rose e Candice si guardarono per un attimo perplesse e quest’ultima si accasciò contro il cuscino, esausta. «Cosa vuoi da me ...?»
   «Jude» disse lui «Jude O’Malley, seguiamo insieme tutte le lezione di Storia della Magia e di Rune Antiche», parlò con gli occhi bassi verso le sue gelatine.
Rose si grattò a disagio il mento «Sì, certo, me lo ricordo».
Il ragazzo diventò paonazzo e sgranò gli occhi tondi e umidi «Non è vero, non ti ricordi di me Rose Weasley, non ti ricordi di nessuno».
   «Jude, mi dispiace di averti offeso».
   «Non sono offeso, ci sono abituato» disse lui, affogando il proprio dolore in una manciata di gelatine che divorò con trasporto.
A quel punto Rose si sentiva inspiegabilmente in colpa. Non ricordava molto di quel ragazzo, né di averlo visto durante le lezioni. Anche se ciò non rappresentava un motivo per incriminarla, sentì di averlo ferito per questo.
Rose si accomodò alla punta del letto di Candice. «Come mai sei qui Jude?».
Lui raccolse tutte le scatole di dolciumi riversate sulla coperta e scoprì la gamba ingessata «Mi hanno fatto cadere dalla scopa mentre aiutavo mio fratello a prepararsi per le selezioni del Quidditch» spiegò lui con voce bassa.
   «E’ terribile» farfugliò Candice dal suo letto.
   «Chi è stato?» chiese Rose.
Lui scosse le spalle «I soliti. I ragazzi del settimo anno di Corvonero e quelli di Serpeverde con cui seguo le lezioni».
   «Non devi farti trattare così, Jude».
   «Sono tutti più bravi di me con gli incantesimi e più agili sulla scopa».
Candice cercò di raddrizzarsi e Rose la aiutò ad appoggiarsi al cuscino «E tuo fratello ha passato le selezioni?» chiese Candice.
Lui scosse la testa e si rabbuiò. Si accovacciò tra le lenzuola e spense con la bacchetta la luce della lampada.
Rose osservò per un attimo il corpo dal respiro pesante di Jude, poi si rivolse a Candice e sospirò affranta. «Posso stare qua con te?» la implorò, la voce incrinata per le emozioni che la stavano soffocando.
Candice non le pose domande e si spostò di lato, facendole segno con la mano di accomodarsi accanto a sè. Rose non se lo fece ripetere due volte e si raggomitolò accanto all'amica, attenta a non toccare le ferite del corpo.
   «Strano eh?» bisbigliò Candice e Rose capì subito a chi si stava riferendo.
Rivolse un ultimo sguardo a Jude e annuì «E anche triste, poverino» aggiunse con un filo di voce.
   «Ti starai perdendo la cena. Madama Chips sarà anche un'ottima infermiera ma il cibo qua fa schifo, non so che cosa darti».
   «Non ti preoccupare, non ho fame».
Candice alzò debolmente gli occhi verso di lei «Ahia, mi devo preoccupare allora».
Rose ripensò per un istante a Isidore e a Penelope, ma la propria mente indugiò sul volto di Vincent Nott che la guardava con indifferente superiorità e si prendeva gioco di lei, mentre circuiva abilmente la sua migliore amica. Osservò Candice raggomitolata tra le coperte dall’odore intenso di pulito, Candice in ospedale per colpa di Nott.
   «Forse.» disse Rose «Che strana la caduta, eh?».
Lei abbassò le palpebre e il volto si contorse in una smorfia di dolore «Rose, sei ancora agitata per quel che è successo». L’amica le strinse la mano. «Ho parlato con le altre, mi hanno detto che sei stata in biblioteca a studiare».
   «Non abbiamo studiato molto in realtà».
   «Abbiamo?»
  «Io e Malfoy».
Candice strabuzzò gli occhi sorpresa «Hai studiato in biblioteca con Scorpius Malfoy? Perché?».
   «Per il lavoro di Arrows, forse? L’hai dimenticato?» disse Rose.
  «Ma perché avete studiato insieme?» domandò Candice, recuperando improvvisamente vitalità. Rose inarcò le sopracciglia e la guardò perplessa. Quindi Candice aggiunse «Pensavo che avreste comunque lavorato separatamente».
   «Ma la punizione di Arrows prevede che lavoriamo insieme» rispose Rose semplicemente.
Candice la fissò per qualche secondo con sguardo interrogativo, poi scosse la testa «Qua stanno cambiando troppe cose».
Rose si lasciò andare contro lo schienale del letto, esausta. Il suo sguardo cadde su un biglietto di carta di rosa poggiato sul comodino e firmato con elegante scrittura, Vincent.
 Sì, stanno cambiando le cose. E in peggio.
 


 
- § -

 

 
La mattina seguente Rose si svegliò tutta intorpidita accanto a Candice. Attenta a non svegliare l'amica, abbandonò il letto e si diresse verso il proprio Dormitorio con la testa più leggera.
Quando scese a fare colazione in ritardo, la Sala Grande era semivuota; raccolse qualche ciambella e una tazza di caffè e si precipitò a lezione di Storia della Magia. Trovò il posto che Johanna le aveva riservato, accanto a sé, dietro Melissa ed Eloise.
   «Mi piacerebbe sapere dov'è che sparisci tu ogni tanto. Non è che c'è qualche passaggio segreto di cui noi non siamo a conoscenza?» Joa le puntò contro una Piuma-prendi-appunti con fare minaccioso.
   «Ieri notte non sei tornata a dormire e noi sappiamo solo che il pomeriggio hai studiato con Malfoy» constatò Melissa, come se la domanda "dove hai passato la notte" fosse sottointesa.
   «Lasciatela respirare un attimo» Rose rivolse un'occhiata riconoscente ad Eloise, promettendosi di comprarle una scatola di Pallotti Cioccocremosi al più presto.
Prese dalla borsa il manuale, qualche foglio di pergamena e la sua piuma. «Sono andata a trovare Candice» disse. Poi aggiunse, osservando le espressioni delle ragazze «Chiedete a lei se non mi credete, razza di infide amiche».
Ruf fece il proprio tetro ingresso in aula senza guardare gli studenti. Si affannò con estrema flemma alla ricerca di rotoli di pergamena che si dispiegavano davanti ai suoi occhi.
   «E in ogni caso» continuò Joa «Non mi lasciare più sola con tuo cugino. Non mi ritengo responsabile di un tuo prossimo lutto in famiglia».
   «Quale cugino?» chiese Melissa sorpresa.
   «Potter, no? Di chi vuoi che parli?».
Eloise si portò una mano alla bocca e Rose a stento trattenne un’espressione sconvolta. A quel punto Joa sbuffò sonoramente, tanto che l’intera classe si voltò a guardarla. «Sto parlando di James, cretine» sbraitò lei, sbattendo il pugno sul banco e ignorando le occhiate curiose.
Le ragazze si ricomposero subito, cercando di nascondere la propria reazione.
   «Solo in un universo parallelo potremmo sentire Joa lamentarsi di rimanere sola con Albus» disse Melissa.
Joa le guardò con occhi furenti e alzò maggiormente il tono della voce. «Faccio finta di non aver sentito una parola, per non rovinare sei lunghi anni di amicizia» sbottò lei «Non so ancora come io faccia a sopportarvi».
Gli ultimi arrivati a lezione entrarono in aula conversando tra loro nella completa indifferenza di Ruf. I ritardatari erano un ragazzo di Corvonero, capitano della squadra e Dominique Weasley, aggrappata al braccio di quest’ultimo. I ragazzi indugiarono intorno ai loro banchi prima di prendere posto.
   «Risparmia le energie, Jordan. Ne avrai bisogno» disse Ernest Way.
Dominique al suo fianco ridacchiò soavemente, producendo la melodia più stridente che Rose avesse mai udito. Non dovevano pensarla così i ragazzi presenti in aula, che si voltarono a guardarla con occhi sognanti.
Lei adagiò le sue lunghe ciglia in uno sguardo languido e sorrise ammaliatrice, rivelando una dentatura perfetta. «Ciao Rosie» disse soavemente.
Rose incrinò la testa irritata dal suono carezzevole che quell’odioso nomignolo riusciva ad avere se pronunciato da lei. Sorrise alla ragazza e la osservò sfilare tra i banchi.
   «Noto che per tua cugina siamo sempre peggio della feccia» disse stizzita Melissa, osservando il fluido ondeggiare dei capelli di Dominique.
   «Mel, mi saluta solo perché in qualche modo inspiegabile siamo imparentate».
Melissa continuava a studiare il portamento di Dominique. «Odio il modo in cui la guardano» disse afflitta.
   «Come stavo dicendo» si intromise Joa «A breve avremo la partita contro i Corvonero».
La partita contro i Corvonero, la prima partita dell’anno. James la stava tormentando da settimane e lei si era completamente dimenticata della partita.
   «Potter è più tirannico del solito. Quando lo incontro nei corridoi sono costretta a nascondermi dietro qualche armatura o persona, altrimenti mi blocca e inizia ad interrogarmi sullo schema di gioco, lanciandomi un incantesimo ogni volta che sbaglio» Joa rabbrividì al ricordo della tortura subita. «Ha fissato un allenamento per la prossima settimana».
Dopotutto un allenamento estenuante in vista della partita poteva essere proprio ciò di cui aveva bisogno.
 
Dopo un’altra ora in compagnia di Vitious, le ragazze si diressero con largo anticipo verso l'aula di Difesa Contro le Arti Oscure che avrebbero condiviso con i Serpeverde. Rose individuò Albus seduto accanto a Malfoy mentre Zabini, vicino a Nott, mostrava loro il suo nuovo set di manutenzione per le scope. La ragazza fece per dirigersi verso i banchi in ultima fila, vicino alla finestra, ma Albus si agitò sul posto per richiamare la loro attenzione.
   «Avete sentito la novità?» disse lui quando le ragazze si furono avvicinate «Abbiamo un nuovo professore di Difesa Contro le Arti OScure».
Le quattro ragazze si guardarono raggianti «Era ora!» affermò Joa, prendendo posto dietro Albus e Malfoy.
   «Verguson mostrava segni di cedimento da un po’» convenne Rose.
La ragazza si sedette accanto a Joa. Albus rivolse loro un sorriso radioso, ricevendo da Joa la stessa attenzione che avrebbe riservato a uno Gnomo da giardino. Suo cugino imperterrito si sporse nella direzione della ragazza e le afferrò il cappello che aveva in testa.
   «Carino, è nuovo? Non te l'ho mai visto» disse lui in un misero tentativo di attirare la sua attenzione.
   «Perchè non osservi bene. E’ un cappello vecchissimo» replicò Joa.
   «Hai intenzione di tenermi il broncio a lungo? Posso almeno conoscerne il motivo?» chiese Albus, guardandola dolcemente.
   «Ridammi il cappello Potter».
Rose a stento trattenne un sorriso compiaciuto davanti al disdegno di Joa. Pensò che se non fosse stato suo cugino probabilmente si sarebbe già sposata Albus e la sua dolcezza, che era in grado di far sciogliere anche il caratteraccio di Johanna.
   «Weasley, ricaccia ogni tuo pensiero perverso» La voce irritante e sussurrata di Malfoy destò Rose dalla scena amorosa alla quale stava assistendo.
   «Cosa vuoi?».
   «La tua espressione non promette nulla di buono» dichiarò lui, sporgendosi verso di lei e dando le spalle ad Albus e Joa, cosicché non sentissero «Hai intenzione di fare accoppiare tutti i tuoi casi disperati con i miei amici? Ancora ricordo con orrore quel giorno imbarazzante ad Hogsmeade» bisbigliò.
Rose lo guardò con sufficienza. «E tu saresti il migliore amico di mio cugino? Non riesci a mettere lui davanti a te per una volta, nemmeno di fronte ad una così evidente manifestazione d’amore?» disse. Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e lei aggiunse «Se proprio ci tieni a distruggere una coppia, occupati di quel viscido di Nott e tienilo lontano da Candice».
Malfoy inarcò le sopracciglia e si grattò la rada barba che si affacciava sul mento marcato «Cos’hai contro Vincent?» domandò «E’ in gamba, un po' taciturno ma tranquillo. Mi meraviglio di questa tua avversione, credevo che lui fosse il genere di ragazzo che fa impazzire le tipe come te».
   «Le tipe come me?» ripeté lei con tono sferzante.
   «Quelle incontentabili» disse lui «Quelle che credono ancora che un ragazzo per essere alla loro altezza debba essere perfetto. Non è questo ciò che ti racconti la notte per giustificare l’assenza di un fidanzato?» aggiunse con un pigro sorriso.
Rose ridusse i suoi occhi a due fessure. «Non che siano affari tuoi, Malfoy» sibilò Rose di fronte al suo sorriso compiaciuto. «ma Nott non è il mio genere di ragazzo».
   «Ah no, Weasley?».
   «No, te lo ripeto».
   «Possibile che non ti stia bene nemmeno Vincent Nott? E’ educato, rispettoso, intellettuale».
   «Esattamente ciò che non sei tu» commentò Rose, restituendogli il sorriso soddisfatto.
   «Eppure non è il tuo genere» disse Malfoy guardandola con intensità. «Mi chiedo, a questo punto, cosa tu cerchi».
Il cigolio della vecchia porta dell’aula circolare e ampia di Difesa fece voltare i ragazzi. Dall’ingresso un giovane uomo dagli abiti neri e babbani, sorvolati da un lungo mantello rosso si diresse verso la cattedra, sfilando tra le file di banchi silenziosi.
Rose per poco non cadde dalla sedia.
   «Buongiorno ragazzi» pronunciò con voce altisonante Isidore. Il suo volto elegante e pulito era imperturbabile, incrinato solo da un sorriso placido. Gli occhi gelidi che Rose aveva osservato il giorno prima mentre parlava con la McGranitt erano ancora lì, al posto di quelli del colore dell’ambra. «Non so se siete stati informati, ma il professor Verguson non insegnerà più. Si è ritirato dall’insegnamento, lasciando libera la cattedra». Dalla classe di levò un brusio di confusione e di eccitazione, proveniente soprattutto dalla alunne.
Rose era stupefatta. Per quanti anni fossero passati, Isidore conservava le fattezza di un ragazzo. E quel ragazzo era appena diventato il suo professore di Difesa Contro le Arti Oscure.
   «Il mio nome è Korbin Perkins» disse e Rose rimase, se possibile, ancora più esterrefatta. «Non so che idea vi siate fatti di questa materia e quali siano stati i metodi di insegnamento del precedente professore, ma io ho intenzione di fare uscire da questa classe dei ragazzi che abbiano la consapevolezza di quello che devono affrontare al di là delle quattro mura di questo castello. Voglio che sappiate padroneggiare la vostra bacchetta per difendervi. Voglio farvi conoscere la Magia Oscura e il modo migliore per fronteggiarla» concluse Korbin e questa volta il borbottio eccitato coinvolse anche i ragazzi.
Il nuovo professore aveva senza dubbio fatto colpo sulla classe del sesto anno. Rose, sorvolando sul proprio sgomento, non poté non concordare con le esclamazioni di giubilo dei suoi compagni. Korbin Perkins era un ragazzo affascinante e carismatico e oltre ad essere molto apprezzato dal sesso femminile, appariva anche sicuro di sé, tanto da garantirsi l'ammirazione e il rispetto da parte dei ragazzi. Il suo sguardo vagava per la classe, studiandone i volti. Quando i suoi occhi glaciali si posarono su Rose, questa avvertì un brivido lungo tutta la schiena. Non seppe se la paranoia la stesse divorando, ma le parve di cogliere l’ombra di un sorriso.
   «Credo che inizierò a studiare Difesa Contro le Arti Oscure» Rose si voltò e vide Melissa che sbatteva languidamente le proprie lunghe ciglia e sorrideva in direzione del professore. Al suo fianco Eloise lo guardava sognante.
   «Credo che sia appena diventata la mia materia preferita» Joa le diede man forte, il busto leggermente rivolto verso le amiche ma lo sguardo che non perdeva di vista il professore.
Con un colpo di bacchetta Isidore fece sollevare i banchi che si posizionarono discretamente lungo la circonferenza dell’aula. Si avvicinò ad una decina di figura coperte da drappi color crema, che sollevò d’un colpo rivelando tanti manichini incappucciati. Divise i ragazzi in gruppi e li fece esercitare con gli incantesimi elementari di disarmo e attacco, mentre i manichini rispondevano loro con pronta velocità, ma gli incantesimi si dissolvevano nel vuoto prima di raggiungere gli interessati. Isidore studiava attentamente le mosse dei suoi studenti e ogni tanto dava loro dei suggerimenti.
Rose non riusciva a staccagli gli occhi di dosso.
   «Rose, giusto?» il professore le si ravvicinò, mentre lei era intenta a proteggersi con un incantesimo scudo dalla fattura Orcovolante del manichino. Questo non resistette a lungo e Rose fu scaraventata per terra. Isidore le porse una mano che lei accettò titubante. Lui la aiutò ad alzarsi e le afferrò delicatamente entrambe le braccia per sorreggerla. «Posso darti un consiglio? Quando ti proteggi da un incantesimo non irrigidire la bacchetta, ma piegala appena nella direzione del tuo avversario. Fai lo stesso durante l'attacco: devi muovere la bacchetta con delicatezza, come se stessi dipingendo» spiegò lui. Si posizionò dietro Rose così vicino che la ragazza potè sentire il suo respiro fresco sulla propria guancia e le prese il braccio con la bacchetta, agitandolo dolcemente.
   Rose avvertì la pelle d'oca lungo le braccia e il cuore iniziò a batterle velocemente. «Rilassati» le sussurrò lui all'orecchio con una dolcezza che Rose trovò inopportuna ma tremendamente sensuale. Quando si allontanò da lei, le sue mani indugiarono qualche istante più del necessario sulla spalla della ragazza. Rose ancora fremente, eseguì il movimento che le aveva appena mostrato Isidore e il manichino di fronte a sé attraversò in volo la stanza, precipitando dal lato opposto rispetto a dove si trovava Rose.
   Isidore incrociò le braccia e la guardò soddisfatto. «I miei complimenti davvero» disse, strizzandole l’occhio. «Ragazzi, avete visto quanto è stata brava Rose?» gli altri abbandonarono il proprio manichino per osservare la ragazza. «Non stava eseguendo correttamente l’incantesimo ma è bastato applicarsi per produrre una delle fatture Orcovolanti più distruttive che abbia mai visto. Di certo un incantesimo del genere lascerà senza parole il tuo avversario, sempre che non l'abbia già fatto la tua incantevole bellezza» aggiunse con un sorriso.
Rose accennò un debole sorriso, senza riuscire a contrarre la mascella. Era certa che un complimento del genere non fosse abituale in una conversazione tra professore e alunna. Si guardò intorno e la maggior parte delle ragazze la stava incenerendo con lo sguardo, compresa Melissa. Vide Albus indeciso se rivolgere un'occhiataccia a Korbin per il commento inadeguato indirizzato alla cugina e Malfoy che sul volto aveva disegnata un'espressione indubbiamente disgustata.
 

 
- § -
 
 
 
Era un sabato mattina e Rose si dirigeva nel parco per studiare dopo l'estenuante allenamento di Quidditch in vista della partita. Nel complesso l’allenamento si era dimostrato decisamente produttivo e i componenti della squadra avevano compiuto notevoli miglioramenti. Rose aveva parato tutte le pluffe, i ragazzi erano in gran forma e Louis aveva afferrata il boccino in un tempo da record, ma James Potter non sembrava affatto soddisfatto e non si sprecò in complimenti e incoraggiamenti. Rose era fiduciosa per la partita dell’indomani, nonostante la sua mente non avesse fatto altro che tornare alla lezione di Difesa.
Durante le giornate successive alla prima lezione Rose non aveva perso di vista un attimo Isidore, mentre le sue amiche la tormentavano insinuando che lui potesse interessarle.
   «Era evidente a tutti il modo in cui l’hai guardato per tutta la lezione» affermò Melissa «Lui si è sentito in dovere di lusingarti con quel complimento. Per non farti rimanere male, si capisce».
   «Ma hai visto quanti anni ha?» intervenne Joa «Secondo me rimane ancora le ore sotto la doccia a sfogare gli ormoni in subbuglio. Quello ci stava provando spudoratamente».
Rose riteneva improbabili entrambe le spiegazioni, pur ammettendo che la seconda le avrebbe fatto non poco piacere. Nonostante la situazione equivoca o forse proprio a causa di questa, Isidore non le era indifferente. Lo osservava camminare tra i corridoi sotto lo sguardo ammirato di tutti. Il suo volto era sempre rilassato e gli occhi imperturbabili, ma sorrideva ad ogni studente ed era cordiale con le studentesse.
Ciò che Rose non riusciva a capire era come fosse possibile per un corpo umano conservare lo stesso aspetto giovane e attraente per molti anni. Le tornò alla mente un romanzo babbano che aveva scovato nella libreria della madre, nel quale il protagonista bello e innocente stringeva un accordo infernale con il diavolo, conservando immutata la propria fresca bellezza, ma condannando l’anima alla dannazione.
Doveva credere che anche Isidore avesse corrotto le regole della natura per agevolare la propria realtà e ora stravolgere quella di Rose? Anche Penelope aveva partecipato allo stesso gioco, riuscendo a mantenere il corpo giovanile, ma nel suo caso il volto deturpato ne aveva pagato le conseguenze. Proprio come accadeva al quadro del protagonista del libro.
   Rose rifletteva in solitudine ai piedi dell’immenso salice, infreddolito dalla brina mattutina.
Mentre sedeva, appoggiata al freddo tronco, un gattino bianco dagli occhi verdi le andò incontro e le solleticò con i baffi il ginocchio, lasciato scoperto dalla gonna. Una figura seguiva i suoi passi felpati con rapidità, evidentemente nel tentativo di acciuffarlo. Era il professor Perkins.
   «Finalmente si è fermato. Lo sto rincorrendo per tutto il castello». Isidore lo prese tra le mani e iniziò ad accarezzarlo.
   «E' il suo gatto professore? E' davvero molto bello» commentò Rose.
Notò che Korbin indossava una scura maglietta di cotone aderente, mettendo in risalto i muscoli ben delineati. Rose fu costretta a compiere uno sforzo immane per rimuovere lo sguardo da quella perfezione e fissarlo sul suo volto, nonostante anch'esso fosse di una meritevole bellezza.
   «Sì, è davvero bellissima e tremenda, si è fermata solo adesso. E’ un gatto molto intelligente».
   «Davvero professore?»
   «Oh sì. E’ attratto solo dalle cose belle» rispose lui semplicemente, guardandola a lungo con i suoi occhi di ghiaccio che Rose non riuscì a decifrare.
La ragazza si mosse a disagio e cercò di abbassare il più possibile la gonna.
   «Sei venuta qui per studiare, Rose?».
   «Sì, lo trovo molto piacevole».
   «Anche io, molto. Ti dispiace se ti faccio compagnia?» disse lui con un sorriso. 
Rose sorrise incerta. «Può accomodarsi qui se vuole» disse «Quest' albero non mi appartiene».
   «Potrei asserire il contrario considerando quanto tempo trascorri qui» disse Isidore «E non ho visto nessun altro azzardarsi ad occupartelo».
Rose ridacchiò. In fin dei conti, solo perchè lui era il suo insegnante non voleva dire che doveva privarsi della sua compagnia, di quel volto meraviglioso e di quel corpo scultoreo. Nulla impediva loro di conversare all’ombra di un romantico albero.
Isidore adagiò la sua gattina su un ramo dell'albero. Nel protendersi verso l'alto la maglietta si alzò leggermente lasciando intravedere ciò che Rose avrebbe solo potuto immaginare.
   «Allora Rose, ho saputo che sei una brillante studentessa e un’ottima giocatrice di Quidditch. Mi chiedo se tu abbia qualche imperfezione» disse Isidore sfiorando con la propria spalla quella di Rose.
   «Io direi innumerevoli imperfezioni: sono una pessima pozionista, un disastro con le faccende di casa, non riesco a lanciare un incantesimo scudo che possa reggere per più di due secondi ...»
   «Sull'ultimo non sono d'accordo. Hai delle strabilianti capacità, potresti diventare un Auror eccellente. Per le faccende di casa c'è sempre la magia e pozioni, ahimè, l'ho sempre odiata anche io» aggiunse con una risata naturale e bellissima, alla quale partecipò anche Rose.
Si fece di colpo più serio, senza abbandonare il suo sorriso. «Scommetto che, invece, i ragazzi fanno la fila per invitarti ad uscire» disse all'improvviso, facendo arrossire Rose per l'ennesima volta.
   «Non è proprio così» confessò Rose.
   «Vuoi dirmi che al momento non c’è un ragazzo che ti interessa?».
Rose lo guardò incerta, poi aggiunse «Non ho ancora incontrato qualcuno che mi colpisca». Con la mente tornò alle parole di Malfoy: “Le tipe come te, quelle incontentabili”.
Isidore rise con un tono basso e soave «E’ più che comprensibile, per una ragazza come te. Perdona la mia insana curiosità Rose, ma cos’è che ti colpisce?».
Rose rimase di stucco. Non si aspettava una domanda così personale. Ci pensò per un po’, prima di rispondere «Credo che vorrei essere spronata in ogni momento da tutti i punti di vista» disse con le guance in fiamme. «Vorrei qualcuno che mi faccia superare i limiti, che mi sconvolga e che mi faccia mettere in discussione ogni certezza» disse. «Vorrei sentire i brividi ogni volta che mi sfiora» aggiunse con un filo di voce, improvvisamente imbarazzata.
Isidore la ascoltava attentamente «Non hai ancora incontrato nessuno che ti abbia fatto questo effetto?».
   «No» rispose prontamente Rose. Nella sua mente fece capolino prepotentemente il volto di Malfoy con le sue domande impertinenti. «Non proprio».
Con lui è diverso.
   «Devi aver conosciuto ragazzi poco svegli. Lasciarsi sfuggire una bellezza tanto rara come la tua è davvero da sciocchi» Isidore le sfiorò appena una ciocca di capelli e Rose iniziò a sentirsi a disagio. Si guardò intorno e vide che erano completamente soli.
All'improvviso si ricordò che di quell’Isidore non sapeva assolutamente nulla. Tranne che fingeva di essere chi non era, che un tempo era stato innamorato di Penelope e che la sua presenza in quella scuola era inspiegabile e a tratti inquietante.
Rose si alzò e raccolse la propria borsa «Mi scusi professore ma mi sono ricordata di aver promesso alla mia amica di portarle gli appunti della lezione».
Lui la guardò sorpreso e annuì con un sorriso, questa volta più spento. Rose si incamminò con la sensazione che i suoi occhi non l'avessero abbandonata un solo istante.
 
Aprì le porte del Dormitorio e si tuffò sul letto con il diario tra le mani.
Liberò le pagine e queste iniziarono a sfogliarsi velocemente fino a che non si arrestarono e Rose perse i sensi.
Nelle vie di Hogsmeade Penelope e Rebeka passeggiavano allegre, entrambe coperte solo da un leggero maglioncino. Nella città arieggiava un’atmosfera festosa. Notò i capelli ricci di Rebeka più corti rispetto all’ultimo ricordo e ipotizzò di stare rivivendo un episodio precedente.
   «Hai visto la sua faccia quando gli hai detto che non saresti uscita con lui? Sembrava non avesse capito una sola parola» Rebeka parlava, ridacchiando di gusto.
   «Dai Rebi, non essere cattiva» disse Penelope cercando di trattenere un sorrisino.
   «Cattiva io? Sei tu che lo hai rifiutato. Non ti permettere di ripensarci, sai!».
Un gattino nero si avvicinò alle due ragazze. Penelope si piegò per accarezzarlo.
   «Penelope, è un gatto nero» disse Rebeka allarmata.
   «Per favore Rebeka, sono solo dicerie da babbani» commento Penelope, guardandola truce, mentre prendeva tra le braccia il gattino.
   «Grazie, sei riuscita a fermarlo» la voce di Isidore fece voltare le ragazze. Penelope arrossì appena lo vide ma continuò a guardarlo con i suoi freddi occhi.
   «E' arrivato il cavaliere dall'armatura splendente. Mi raccomando come abbiamo ripetuto: scopri le gambe ma tienile chiuse» sussurrò Rebeka all'orecchio dell'amica che le intimò con un'occhiata di chiudere la sua boccaccia. Rebeka si allontanò e lasciò da soli i due ragazzi. Penelope sembrava totalmente a suo agio, nonostante, Rose lo avvertiva, quel ragazzo non le era affatto indifferente.
   «Non sapevo avessi un gatto».
   «Solitamente non lo porto con me in giro per Hogsmeade».
   «E’ molto bello»
Isidore sorrise con i suoi occhi ambrati «Sembra che ricambi la simpatia. E' un gatto viziato, ha l'abitudine di affezionarsi solo alle cose molto belle» rispose lui.
Con una stretta allo stomaco Rose notò che quella conversazione era disgustosamente identica a quella che aveva appena avuto con l'Isidore dei suoi tempi. Lanciò un'occhiataccia a quel ragazzo e ai suoi fasulli complimenti.
   «E tu? Hai le sue stesse alte ambizioni?» chiese Penelope, guardandolo con uno sguardo provocante.
Almeno, si consolò Rose, le risposte della ragazza non erano identiche alle sue. Evidentemente non era ancora del tutto sotto il giogo di quell’incantatore.
   «Fin troppo alte. Rimango affascinato dalle rare bellezze. Ad esempio i tuoi occhi incredibili e i tuoi capelli che sembrano seta ti procureranno una fila di ragazzi pronti a chiederti di uscire».
Rose sbuffò esasperata, incrociò le braccia al petto mentre assisteva alla scenetta sdolcinata che un attimo prima l’aveva fatta sentire tanto speciale. Si guardò attorno alla ricerca di qualcosa da potergli lanciare in testa.
   «Fin troppi. Ma io non me ne curo, sono troppo impegnata a migliorare le mie capacità di strega. Se voglio diventare un Auror devo essere preparata al meglio».
   «Non ne dubito. Hai delle strabilianti potenzialità, potresti diventare un Auror eccellente. Sono convinto che con la tua bravura lascerai senza parole ogni tuo avversario, sempre che non ti preceda la tua incantevole bellezza» disse lui, piegando appena di lato la testa e vagando con gli occhi sul corpo della ragazza.
Rose deglutì a fatica, implorando il diario di portarla via da lì. «Oh, ti prego, come puoi credere alle cazzate che ti sta dicendo? Sai a quante altre avrà ripetuto le stesse parole!» sbottò Rose senza che nessuno la udisse.
   «Non mi abbindoli con i tuoi complimenti sdolcinati, Davis. Dovrai fare di meglio per farmi cadere ai tuoi piedi» rispose diretta Penelope e Rose si concesse un attimo di ammirazione nei confronti di quella ragazza, con la quale si trovava a condividere più di semplici ricordi.
   «Forse potrei iniziare dal chiederti di concedermi l'onore della tua compagnia per questa splendida giornata» disse Isidore, sfiorandole una ciocca dei lunghi capelli neri.
Penelope esitò per un momento e lo guardò con i suoi occhi imperscrutabili. «Come inizio credo che possa andare bene» lei gli sorrise dolcemente e si lasciò avvolgere la mano da quella del ragazzo.
Rose li osservò dirigersi verso il preludio di un’importante e tormentata storia d’amore. Guardò Penelope e ripensò ai suoi occhi freddi e agghiaccianti che tanto la inquietavano. Ripensò allo scontro ad Hogsmeade e a quanto ciò l’avesse sconvolta. Ma si accorse di provare una irrazionale simpatia per quella ragazza  innamorata, che stringeva la mano a quell’ingannatore.
E mentre il diario la riportava alla realtà pensò di condividere con lei la stessa identica sorte.
Quando tornò nella sua camera, chiuse di colpo il libro, indignata e lo guardò torva.
   «Certo che tu sei davvero stupida» disse più a se stessa che a Penelope. Guardò l'orologio sul comodino e vide che era in ritardo per l'appuntamento di studio con Malfoy.
Si concesse due minuti per riflettere su quello che aveva appena visto. Alla fine trasse le seguenti conclusioni:
1. Penelope era innamorata di Isidore e, in effetti, Rose si sarebbe meravigliata del contrario.
2. Isidore era un viscido approfittatore.
3. Korbin, o Isidore del presente, era tornato ad Hogwarts con un obiettivo ben preciso.
4. La prossima volta che Korbin avesse osato dirle che era bellissima, gli avrebbe risposto con uno dei suoi incantesimi mozzafiato.
 


 
- § -
 
 

«Weasley, fai aspettare i tuoi fidanzati. Non me.» Malfoy era poggiato alla colonna di pietra erosa dal tempo e guardava fuori attraverso l’immensa vetrata che affiancava il tavolo isolato sul quale erano soliti studiare. Si allontanò dai propri pensieri solo per rivolgere un’occhiata di biasimo alla nuova arrivata.
   «Non ti sarai doluto troppo per la mia assenza, Malfoy?» rispose Rose trafelata mentre prendeva posto su una delle sedie.
   «Solo perché mi fai sprecare del tempo prezioso».
Rose alzò gli occhi al cielo e si avvicinò al vaso di terra che il ragazzo aveva già posizionato sul tavolo. Lui era ancora vicino alla finestra con le mani adagiate svogliatamente nelle tasche dei pantaloni. Il naso dritto e appuntito di profilo gli conferiva un aspetto importante. Le labbra erano appena dischiuse in un’espressione pensierosa. Rose non se la sentì di guastare quell’immagine e lo osservò di sbieco, mentre fingeva di concentrarsi sulla pianta.
Quando furono passati diversi minuti, si decise a parlare.
   «Avevi altro da fare?»
Il ragazzo sembrò spaesato «Come?»
   «Hai detto che ti faccio sprecare tempo. Avevi altro da fare?» chiese lei con cordialità.
Lui scosse le spalle «Non in particolare. Ma qualsiasi cosa è meglio che trovarmi qui con te».
Rose si accigliò e sbatté più violentemente di quanto avrebbe voluto il libro sul tavolo «Allora smettila di stare lì impalato e vieni qui, Malfoy» ringhiò. Lo sentì avvicinarsi e trascinare la sedia con inerzia, per poi lasciarsi cadere, palesando la propria indolenza. «Passami quella fiala verdognola» disse senza guardarlo «Hai notato qualcosa di diverso in Petunia?»
   «Petunia?»
Rose arrossì appena «Ho pensato di darle un nome per creare un ambiente più confortevole».
Malfoy la guardava atarassico, inarcando solo un sopracciglio. L’espressione sembrava scettica «Tu sei fuori di testa» disse scuotendo la testa. Prese a borbottare tra sé parole incomprensibili delle quali Rose riuscì a cogliere solamente “San Mungo”.
   «Malfoy, la fiala!» disse lei seccata.
Rose lo guardava compiere i movimenti con estrema lentezza. Ancora accasciato sulla sedia sembrava interessato a tutto fuorché alla fiala in questione. Quando lui incrociò il suo sguardo, lei non si lasciò sfuggire un’espressione di disappunto.
   «Fai pure con comodo»
   «Non era mia intenzione affannarmi»
Rose incrociò le braccia «Lo so benissimo: sei pigro e arrogante».
Malfoy contorse la mascella in un’espressione furente «Scusami?» sbraitò «Non sono io quello che si è presentato con ben 25 minuti di ritardo» disse, facendo scorrere la fiala sul tavolo ad una velocità sorprendente. Lei lo afferrò prima che precipitasse al suolo. «E' mia abitudine muovermi con elegante calma».
   «Con estenuante calma, direi» sbuffò lei.
   «Cosa diavolo hai fatto per ritardare così tanto?» 
Rose si annodò i capelli di lato e prese a torturare una ciocca di capelli. Era stranamente a disagio. «Non è affar tuo» rispose lei «Piuttosto, cambiamenti in Petunia?»
   «No» il ragazzo sbuffò. 
«Petunia è proprio come l'abbiamo lasciata».
Rose la avvicinò a sé  «Perché ci vuole pazienza, Malfoy. La pazienza è alla base dai rapporti civili» sbuffò lei, poi aggiunse «Non che questo ti abbia mai preoccupato».
   «Io non ho pazienza?» sbottò lui «E secondo te come ti sopporto da tutti questi anni?»
   «Infatti non mi sopporti».
   «No, è così» disse lui «Ci provo, ma non ci riesco».
   «Bene» disse lei sorridendo trionfante. Assaporare il gusto di poterlo zittire era sempre un’esperienza appagante.
   «Bene». Il ragazzo fece un lungo sospiro e per un attimo sembrò calmarsi «Toglimi una curiosità».
Lei lo guardò interrogativa «Che vuoi sapere?»
   «Ti sei scolata una bottiglia di Whisky Incendiario? Perché sei più strana del solito»
Rose lo fulminò con lo sguardo. «Dalla tua bocca escono solo complimenti, vero?».
   «Perdonami ma non è mia abitudine distribuire smancerie gratuitamente. Preferiresti che ti dicessi idiozie come "la tua bellezza è incantevole e mi lascia senza fiato"?» disse Malfoy, esibendosi in una poco virile imitazione di Isidore.
Rose si imbronciò. Trovava anche lei sgradevoli quei complimenti ingannevoli ma la irritava sentirli definire idiozie. «Non sono state queste le sue parole» disse.
   «Vedo che hai capito subito di chi sto parlando».
  «Che male c'è se pensa queste cose di me e ci tiene a riferirmelo?» Rose era consapevole della poca genuinità delle parole di Isidore ma non era necessario che anche Malfoy ne fosse a conoscenza.
   «Ti prego, non dirmi che ti sei lasciata abbindolare da quel buffone. Ti facevo più intelligente» disse lui, inarcando le sopracciglia.
Rose si sorprese di scoprire che Malfoy non fosse un ammiratore del nuovo professore, mentre lei li aveva trovati molto simili sotto alcuni aspetti: entrambi palloni gonfiati, per fare un esempio.
   «E perché avrei deluso le tue aspettative?»
Malfoy si accomodò meglio sulla sedia e incrociò le braccia al petto immergendo i propri occhi intensi in quegli di Rose «Weasley» disse «vuoi farmi credere che basta così poco?».
Rose lo guardò sbigottita. Esattamente quando erano arrivati a parlare di questo? Non stavano litigando poco fa? «Basta poco per cosa?» chiese più timidamente.

   «Chiunque potrebbe dirti che hai dei bei capelli e degli occhi profondi, ma non è quello che non fanno altro che ripeterti tutti?» disse lui alzando gli occhi al cielo «Tutto il Mondo Magico non ha fatto altro che parlare della bellissima primogenita dei Salvatori del Mondo e del Ministro della Magia per anni. Ma questi complimenti sono banali per non dire offensivi per una come te» concluse il ragazzo.
Rose era sempre più meravigliata. Non avrebbe mai potuto immaginare che Malfoy avesse una considerazione così elevata di lei: ebbe il vago presentimento che quei nugoli di pensieri sparati a raffica fossero un modo un po’ contorto per farle un complimento. Con maggiore sorpresa constatò che quelle semplici e sincere parole la lusingavano molto più delle pubbliche dichiarazioni di Isidore.
   «Allora, questa pianta?» concluse lui con un sorriso soddisfatto.
Trascorsero le successive due ore a fare ricerche su diversi libri di Erbologia e Pozioni fino a che non ottennero due pergamene completamente scritte.
   «Credo di non poterne più di scrivere» disse Malfoy mentre appuntava le ultime nozioni in fondo alla pergamena.
   «E io non credevo che l'avrei mai detto, ma vorrei tanto bruciare questo libro» rispose Rose mentre leggeva l'utilizzo della pianta di Centinodia nei secoli. Avvertì il ragazzo scoppiare in una risata leggera e rilassata.
Inavvertitamente sfiorò, con la mano destra quella sinistra di Malfoy al suo fianco. Sobbalzò appena ma non ritrasse la mano. Avrebbe voluto condurla lontana da lì e nasconderla dove non avrebbe più corso un rischio del genere, ma il timore di rivelare al ragazzo il proprio disagio la inibì.
Nemmeno Malfoy allontanò la propria, ma guardò le loro mani vicine e iniziò ad accarezzare lentamente le dita di Rose, per poi voltare la mano sul dorso e passare a sfiorarle il palmo. Rose si immobilizzò a fissare il movimento di quelle dita, piegò la testa di lato per nascondere un'espressione sorpresa, mentre brividi estranei le attraversavano tutto il corpo. Si sentì vinta da quel tocco che lambiva lascivamente la propria pelle fremente, mentre quel piacevole stupore lasciava sempre più spazio ad una sensazione nuova e inaspettata. In quel momento seppe di desiderarlo.
Travolta dal gesto del ragazzo, chiuse le dita intorno alle sue e le due mani andarono ad unirsi completamente. Rose, leggera e debole come creta, si lasciò condurre dalle sue mani esperte e si ritrovò con il busto completamente voltato nella direzione di Malfoy, il braccio sospeso, vicino alla sua spalla, le mani intrecciate, mentre lui le siavvicinava sempre di più.
   «Siete ancora in biblioteca?» la voce di Albus alle loro spalle li fece sobbalzare. Si separarono in fretta e Rose balzò in piedi, affrettandosi a recuperare le proprie cose.
   «Stavo giusto per andarmene».
 
   «E poi?».
   «Poi niente Candice. E' arrivato Albus, non potevamo continuare a fare quello che stavamo per fare» disse Rose mentre a gambe incrociate divorava, insieme alla sua amica, confezioni intere di Gelatine Tuttigusti+1
   «Rose» disse l’amica, guardandola con solennità «Ma tu avresti voluto continuare a fare quello che stavate per fare?»
Rose intimò all’amica di abbassare la voce, mentre sbirciava alle sue spalle Jude O’Malley mentre sfogliava una rivista di gossip. Ciò non la tranquillizzò affatto e prese a sussurrare «No, ovviamente» Rose si stese sulle bianche lenzuola del letto dell’Infermeria e ingoiò l'ultima gelatina con sguardo sofferente.
   «Rose» ripeté Candice «Ma se non volevi, perché gli hai stretto la mano?»
Rose evitò di guardarla e si prese qualche istante per pensare alla risposta più opportuna. «Per educazione?» concluse.
Candice si portò la mano sana alla fronte con espressione afflitta «Dio Rose, sei attratta da lui» esclamò con un tono di voce decisamente elevato. Rose non si sarebbe sorpresa se anche Malfoy nei sotterranei l’avesse udita.
   «Verso chi sei attratta, Weasley?» giunse una voce a darle conferma. Intuì subito di chi si potesse trattare dal sorriso raggiante di Candice.
   «Vincent, sei venuto. Non avresti dovuto» disse Candice con un espressione tutt’altro che dispiaciuta per la visita del ragazzo.
Rose fu del tutto d’accordo. Lo accolse con un sorriso che non si curava di celare il proprio disprezzo.
   «Ti ho portato gli appunti delle lezioni» spiegò lui sventolando dei fogli di pergamena, accuratamente ricuciti tra loro in più fascicoli. «Oggi abbiamo assistito a una lezione di Difesa contro le Arti Oscure molto interessante» aggiunse e questa volta guardò Rose.
   «Ci ho già pensato io. Glieli porto tutti i giorni» rispose Rose accigliandosi. Candice si voltò a guardarla perplessa. 
   «Non dolerti Weasley, ma penso proprio che lei preferisca i miei appunti. D’altronde c’è un regalo in omaggio» Nott si sporse nella direzione di Candice e le diede un bacio delicato sulla guancia. Candice ricambiò sfiorandogli le dita con la mano.
Rose temette di dover vomitare da un momento all’altro.
    «Credo sia il caso che io vada» disse Rose senza guardare in viso l’amica. Avvertiva il senso di colpa divorarla ora che la abbandonava lì in balia di quel seduttore, senza fare nulla per impedirle di innamorarsene sempre di più.
Il proprio egoismo, il disprezzo per lui, per Isidore, per Penelope, per tutte quelle persone che sembravano volersi prendere gioco di lei, fu più forte di qualsiasi altro sentimento. Era così difficile riuscire a parlare con Candice. La storia di Isidore e il comportamento di Malfoy l’avevano momentaneamente distratta e l’incidente di Candice non aveva di certo facilitato il compito.Questo continuo rimandare era degno di una codarda, quale credeva fortemente di essere diventata.  
   «E’ tardi, non dovresti andare da sola in giro per il castello. Ti accompagno io, devo tornare in Sala Comune per finire i compiti» spiegò Nott davanti allo sguardo deluso di Candice.
   «So badare a me stessa, grazie» disse Rose dura «Cosa mai potrei trovare di pericoloso nel castello, eh Nott?»
Con la coda dell’occhio si preoccupò di controllare la reazione di Candice. La ragazza la guardava con occhi sgranati.
   «Torno domani» disse Nott frettolosamente e si incamminò dietro Rose.
Superato l’uscio dell’Infermeria e lontani dall’orecchio di Candice, Nott affiancò Rose nella sua camminata furibonda e iniziò a parlarle.
   «Devi stare attenta a quello che dici e alle persone che frequenti» disse con il solito tono atono, mantenendo lo sguardo dritto di fronte a sé .
   «Su questo non ho dubbi, infatti sto cercando di tenermi il più possibile lontana da te. E comunque se questa è una minaccia, non sai contro chi ti sei messo» rispose gelida Rose senza degnarlo di uno sguardo.
Nott la guardò confuso «Minaccia? Io non ti sto minacciando e non mi sto riferendo a me» Rose percepì una lieve nota di ansia nella sua voce sempre impassibile.
   «Oh, quindi adesso ti preoccupi della mia incolumità e mi dai dei consigli? Accidenti ed io che credevo fossi uno stronzo» disse Rose con voce velenosa.
   «Weasley sono serio» Nott si fermò di colpo e afferrò per il braccio Rose, la quale lo respinse con forza, rimanendo, però, ferma davanti a lui «Fai più attenzione nel sceglierti le persone a cui avvicinarti» disse con tono serio quasi in un sussurro.
   «Certo che hai una bella faccia tosta» ringhiò Rose «Sai, non ti ho mai sentito parlare o visto la tua faccia così spesso in cinque anni, come in questi mesi. Che cosa stai architettando Nott? Che cosa vuoi da me, da Candice?». Rose aveva il respiro affannoso e il cuore che le batteva a mille.
Concesse un ultimo sguardo a quel volto imperturbabile che le restituiva solo indifferenza.
Si incamminò verso la Sala Comune mentre la propria mente maturava una decisione importante: avrebbe parlato con Candice il prima possibile.








Giapponese. Cambiamento trasformativo senza possibilità di ritornare a uno stato iniziale. 






 

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Capitolo 7
*** Impasse ***




La speranza ha due bellissime figlie:
lo sdegno e il coraggio. 
Lo sdegno per la realtà delle cose,
il coraggio per cambiarle.




 
 

CAPITOLO VII

 

Impasse





La mattina della prima partita della stagione l’intera Sala Grande era percorsa da brividi di eccitazione. I ragazzi degli ultimi anni al tavolo di Corvonero applaudivano ogni volta che un giocatore faceva il proprio ingresso, mentre i tifosi di Grifondoro accoglievano la squadra attingendo al repertorio più celebre di cori di incoraggiamento. Pochi erano coloro che consumavano la propria colazione in silenzio. La maggior parte si intratteneva lungo i corridoi a discutere della preparazione delle due squadre rivali, mentre qualcuno ancora raccoglieva le ultime scommesse.
  Al tavolo dei Grifondoro il capitano James Potter continuava a riempire i piatti dei suoi ragazzi con più pietanze possibili. Cercava di infondere loro, con impressionante solerzia, quel giusto grado di sicurezza che un buon Capitano dovrebbe trasmettere, ma un sussulto nervoso e incontrollato del sopracciglio sinistro tradiva la propria agitazione, inficiando quel prospetto di studiata padronanza.
  Fred Weasley, nel proprio molesto lassismo, non sembrava condividere il tormento del cugino, mentre canzonava Louis Weasley e Daniel Thomas ancora intenti a ripetere lo schema di gioco: a suo parare non era tollerabile un atteggiamento da secchioni anche nel Quidditch. Alice Baston, troppo spaventata dai movimenti scattanti del sopracciglio del Capitano, accettava quanto lui le offriva senza discutere e a metà colazione il suo volto era seminascosto dalla pila di frittelle ai mirtilli, che poco si confacevano con l’aspetto emaciato e pallido del proprio volto. Johanna, sul punto di vomitare, guardava intorno a sé come se stesse organizzando una fuga immediata. Solo Rose accettò di buon grado il piatto stracolmo di James: nonostante la tensione per la partita, nulla avrebbe potuto placare i borbottii del suo stomaco.
  «Come fai a strafogarti in ogni momento? Non sei agitata?» borbottò Joa in un flebile movimento delle labbra «Guarda il nuovo Cercatore di Corvonero. Lo odio».
Rose mandò giù un pezzo di ciambella con del succo di zucca e guardò verso il tavolo di Corvonero «Nulla da dire: gran bel ragazzo» disse Rose osservandolo mentre sorrideva ai compagni.
  «Gran bel ragazzo?» esclamò Joa, sgranando gli occhi «Hai visto il fisico? Quello sfreccerà velocissimo, te lo dico io».
  «Sì, l’ho visto bene il fisico».
Joa si accigliò «Sei senza ritegno».
  «Certo che il destino del Portiere è davvero gramo» aggiunse Rose, versandosi altro succo di zucca. «Pensaci bene, relegato nella parte più isolata del campo. I Cercatori invece, loro si che se la spassano. Sempre a spintonarsi l’un l’altro; dalla mia postazione non immagini gli spettacoli a cui assisto».
  «Sì, sei una pervertita» commento Joa «E con ciò?»
  «Ecco, non mi dispiacerebbe essere un Cercatore oggi» concluse, portandosi il bicchiere alla bocca e strizzando l’occhio all’amica.
  «Rose, ma come puoi pensare a questo in un momento del genere?» esclamo Joa, «Spero che non sia il tuo modo di rassicurarmi, perché sei solo riuscita a farmi pensare ai Cercatori che si accoppiano mentre cercano il boccino».
Rose scoppiò a ridere. «Pensa a mio cugino, Joa» disse.
  La prima risposta che Rose ricevette fu un eccessivo e incontrollato attacco di tosse. Quando Joa si riprese, dipinse sul volto paonazzo un’espressione allarmata «Perché dovrei pensare a tuo cugino ora?».
  Rose la guardò per un attimo perplessa «Sto parlando di Louis».
Joa distolse lo sguardo e arrossì «Ah».
La ragazza ignorò l’accaduto con un sorriso «Louis è il più veloce cercatore del momento. E’ magro, agile e veloce e non ha mai perso un boccino» disse Rose «Oltretutto ha sangue Veela nelle vene».
Joa si riscosse dai propri pensieri «E allora?» chiese.
  «Anche in bellezza il belloccio di Corvonero non ha partita da giocare».
Joa aprì la bocca senza trovare nulla con cui ribattere. Poi socchiuse gli occhi, riducendoli a due fessure e appoggiò il mento sulla mano «Rose Weasley sei un caso da studiare».
  «E’ diventata una notizia ufficiale quindi».  La voce irriverente e calda di Scorpius Malfoy la sorprese alle spalle. «Weasley, persino le tue amiche se ne sono accorte» aggiunse, afferrando la ciambella dal suo piatto.
  Rose avvertì una stretta allo stomaco e fu certa che le proprie guance si fossero tinte di rosso, quando quel braccio aveva sfiorato la propria spalle. Si premurò di non intercettare il suo sguardo prima di aver placato il proprio disagio, ma quel profumo la colpì come una ventata di aria cocente.
Ritornò in un attimo a quella sera in biblioteca, mentre le loro mani si erano lambite desiderose.
  «Buongiorno fanciulle»  disse Albus, adagiandosi sulla panca. Malfoy di fronte a lui attendava paziente.
  «Come sta la mia seconda squadra preferita?» chiese. Il silenzio che ricevette come risposta fu più che eloquente «Non bene, a quanto pare».
James concedette un attimo di tregua ad Alice per scrutare il fratello «Voi due!» esclamò in un basso latrato minaccioso. «Via da qui».
  Albus Potter rivolse un sincero sorriso al fratello maggiore, come se quest’ultimo gli avesse appena comunicato che il sole brillava sereno in cielo. Fu Malfoy a non tollerare l’insolenza del Potter senior, per cui si esibì in un altezzoso borbottio di irritazione. «A cuccia Capitano, siamo solo di rapido passaggio» sibilò con un’occhiata intimidatoria all’amico.
  «Più che rapido, Malfoy» rispose James con fare stizzito. «La vostra presenza distrae le mie ragazze».
  «Come prego?» protestò Albus. «Le stiamo tranquillizzando».
  «E questo vi sembra il modo di tranquillizzare?» esclamò James indicando con il capo Johanna con lo sguardo perso nel vuoto e Rose mentre tamburellava nervosamente con le dita sul tavolo.
  «Rilassati Potter, ci pensi benissimo da solo» disse Malfoy «Non possiamo sconvolgerle più di quanto non abbia già fatto il tuo atteggiamento squilibrato». Il ragazzo intercettò lo sguardo di Rose, che si era levato quando aveva udito la sua voce, e ricambiò con un occhiolino.
  «Ho i miei dubbi» disse James guardando Rose voltare con ostinata rapidità la testa. «Ragazze non rivelate una sola parola del nostro schema di gioco. Jordan, siamo intesi?»
  «Puoi contare su di me, Capitano».
Albus si abbandonò ad una risata bassa e leggera. Gli altri lo guardarono curiosi «Non abbiamo bisogno del vostro schema di gioco» affermò, scambiandosi uno sguardo divertito con Malfoy.
  «Oltretutto lo vedremo quest’oggi in campo, Potter» lo spalleggiò l’amico.
  «Per non parlare del fatto che potremmo battervi facilmente anche senza scope» disse Albus. Malfoy sogghignò al suo fianco.
James scosse la testa, lo sguardo che vagava tra i due amici «Che complicità disgustosa» affermò. «Bene ragazzi».  James scattò in piedi e Alice sobbalzò dallo spavento, facendo saltare in aria la forchetta. «Oggi vi voglio più carichi che mai. Diamo un assaggino a questi due damerini imbalsamati di ciò di cui è capace Grifondoro».
  Albus sbuffò divertito e si sedette accanto alla cugina, stringendola tra le sue braccia.
  «Al, non mettiamoci tutto il giorno» disse Malfoy «Muoio di fame».
Il ragazzo lasciò un bacio sulla testa della cugina, mentre con gli occhi studiava l’espressione angosciata di Joa. «Che faccia!» esclamò lui «Hai mangiato qualcosa?».
  Johanna alzò appena il capo nella sua direzione, quel tanto che bastò per rivelare due occhi furenti. «A che serve? Tanto facciamo così schifo che non vale nemmeno la pena di giocare no?» Joa quasi urlò e si alzò di scatto, incamminandosi verso l’uscita.
  Albus la guardò sconvolto e si voltò verso Rose, che intanto si era liberata dalla stretta del cugino. Cercò con lo sguardo spiegazioni da parte della ragazza ma questa sembrava assente.
Malfoy si lasciò cadere con uno sbuffo sul posto occupato poco prima da Joa «Non te la prendere amico, è lo stress pre-partita».
  «E’ più lunatica del solito» mormorò Albus afflitto.
Rose sobbalzò quando si ritrovò Malfoy vicino. Con le sue dita rapide divorò i resti di ciambella dal piatto della ragazza, mentre questa, assorta, studiava quelle stesse dita, che in un altro momento avevano lambito la propria pelle, stuzzicare le labbra carnose.
  «La vuoi piantare?» sbottò Rose alzandosi in piedi.
Malfoy si arrestò di colpo e la guardò sorpreso. «Ce l’hai con me?» disse. Intercettò lo sguardo di Albus. Questo piegò appena la testa lateralmente restituendo all’amico un’ espressione incerta e perplessa.
  «Mi dai ai nervi, Malfoy».
Rose recuperò la propria borsa e si incamminò frettolosamente lontano da lì.
  «Non le capisco queste ragazze» disse Albus.
Malfoy seguiva con lo sguardo la fuga de Rose «Non sei il solo»


 
  
- § -
 
 

  «Tuo cugino è un grandissimo idiota».
Rose sbuffò un po’ d’aria che sapeva di esasperazione «Chissà come mai non ho bisogno di chiederti a quale cugino fai riferimento. E la lista è bella lunga».
  «Non si può essere più idioti».
  «Dici?» disse Rose tra i denti, immaginando il volto diafano di Malfoy mentre le strizza l’occhio con fare malizioso.
Che poi poteva definirsi davvero malizioso quel gesto insolito? O era semplicemente cretino e desideroso di portare la pazienza di Rose al culmine?
E poi esattamente perché stava pensando a lui? Si stava parlando di Albus.
Alla fine è sempre colpa di Albus. 
  «Non che mi aspettassi una parola di conforto, sia chiaro»
Rose guardò scettica l’amica «E allora perché te la prendi tanto?»
Johanna le restituì un’occhiata di sfida «E chi se la sta prendendo? Se questo è prendersela».
  Rose guardò i capelli arruffati di Bethany Hockins di Tassorosso davanti a sé e sorrise soddisfatta. Conversazioni, discussioni o battibecchi che fossero, parlare con Johanna era stimolante come fosse partecipe di una perenne sfida: la sua testardaggine e spigliatezza, amalgamate ad una giusta dose di acredine la rendevano una forza della natura.
  Spesso tutto questo le ricordava i suoi incontri con Malfoy.
Sarai anche in grado di pensare ad altro? 
Johanna aprì con foga il libro che si scontrò violentemente con la superficie del banco. Qualche testa si voltò a guardarla e lei rispose alzando il dito medio della mano. Rose soffocò una risata.
  «E oltretutto» sbottò, voltandosi verso Rose «sa benissimo quanto io sia tesa per la partita contro i Corvonero».
  «Jordan» abbaiò Roberts alzando gli occhi dal voluminoso tomo che reggeva tra le mani.
  «Sì, professore?»
Lui la guardò da sopra i suoi occhialetti tondi. Con un mano scosse un riccio ribelle che, ricadendogli sugli occhi, minava alla minacciosità del suo sguardo. Il tutto senza perdere per un attimo di vista il volto di Joa. «Mi farebbe il favore di abbassare i toni mentre conversa con la sua compagna durante le mie lezioni?».
  «Tutto ciò che desidera, professore» rispose Joa inflessibile, sfoggiando un abile sorriso.
Dalla classe si levò una bassa risata. Roberts corrucciò appena le sopracciglia ma decise che l’indolenza della sua alunna non fosse degna di ulteriore indugio. Tornò alla propria lettura, decisamente più appagante.
  Johanna guardò Rose con aria seccata.«Questa lezione è noiosissima».
L’amica annuì e biascicò un debole «Concordo».
  «Rose Weasley che trova noiosa una lezione di Trasfigurazione. Ora le ho viste tutte».
Il folletto che giaceva addormentato in cima alla porta si destò di colpo e prese a battere furiosamente la campana, segno che la lezione era terminata.
  «Sei finalmente agitata per la partita contro i Corvonero o c’è altro?» chiese Joa, mentre si inoltravano nel corridoio affollato.
  «A proposito di Corvonero» s’intromise Melissa, sorprendendo le ragazze alle spalle.
  «Non Corvonero Mel» commentò Joa, portandosi una mano alla tempia «Partita contro i Corvonero. Ti è sfuggito il soggetto».
  «Ma non mi è sfuggito il nuovo Cercatore di Corvonero». Melissa guardò saccente l’amica, scuotendo con naturalezza i lunghi capelli lucidi.
Il sorriso divertito sul volto di Joa si spense. «Manderò un bolide dritto sul naso a questo nuovo Cercatore di Corvonero» disse fra i denti sotto lo sguardo oltraggiato di Melissa.
  «Aspetta almeno che l’abbia provato prima».
Rose si concesse qualche secondo per dilettarsi alla vista dell’espressione furibonda di Joa, mentre gli occhi le si infuocavano pericolosamente e il volto sembrava dovesse esploderle da un momento all’altro. Il volto innocente e spaesato di Melissa era ancora più esilarante.
  A malincuore trattenne una battuta solidale con l’affermazione di Melissa. Qualcosa la convinse a non oltraggiare maggiormente l’orgoglio di una Grifondoro. Specialmente prima di una partita.
  «Non dirmi che McLaggen ha già smesso di soddisfarti?» si aggiunse una nuova voce. Una voce fresca e solare, riconoscibile ovunque.
Le ragazze si voltarono all’unisono. Sul loro volto era dipinta la medesima espressione di stupore e meraviglia nel vedere la bionda chioma di Candice. I suoi occhi color cioccolato perennemente luminosi sprizzavano entusiasmo e le labbra sottili erano corrucciate in quella che doveva un’espressione di biasimo ma che restituiva solo un’immagine di adorabile candore.
  «Non credo ai miei occhi». Rose si avventò sull’amica, stringendola in un poderoso seppur cauto abbraccio.
Johanna palesò con scarso effetto un’aria stizzita «Eccola che arriva a rovinarci la festa. Non ci hai detto che ti avrebbero rilasciata, avremmo trovato qualcosa da fare».
  Candice non si lasciò muovere dalla sua facciata di acredine che ben conosceva «So di esserti mancata, musona».
La dolce voce di Eloise si intromise, timida seppur felice «Quindi volevi farci  una sorpresa?». Era flebile e incerta nel pronunciare queste semplici parole, forse timorosa o emozionata a tale idea.
  Candice le sorrise con la sua delicatezza e le prese una mano tra le sue. «Ho costretto Madama Chips a dimettermi momentaneamente per la partita e sottolineo momentaneamente perché forse l’età avanzata le impedisce di comprendere alcuni semplici concetti» sbuffò con occhi vispi.
   «Ma quale età avanzata, quella è più svelta di te» commentò Joa con un ghigno.
Candice incrociò le braccia al petto e proseguì «Mi ha risposto che la mia richiesta non aveva senso. Che se avessi avuto le forze per andare ad una partita, le avrei trovate anche per riprendere le lezioni». Candice cercò il sostegno delle altre, piegando le sue lunghe ciglia in una espressione da cerbiatto. «Come può paragonare le due situazioni?».
  «E’ assolutamente illogico» disse Rose avvolgendo il braccio dell’amica con il proprio.
 
Arrivate nell’atrio ampio, accerchiarono la scalinata per poter sbucare sul giardino principale, così da trovarsi direttamente nel parco. Tutti i ragazzi del sesto anno di Grifondoro e Tassorosso proseguirono insieme verso la lezione di Cura delle Creature Magiche.
  «Spero che Hagrid non ci sorprenda con qualche sua invenzione disgustosa» disse Melissa.
Hagrid sedeva su una roccia, chino sui propri polpacci lasciati scoperti dai calzoncini strappati. Con un unguento melmoso e appiccicoso ricopriva quelle che sembravano gonfie bolle d’aria. Il brusio concitato e disgustato della classe lo convinse ad alzare la testa sugli alunni.
  «Oh beh, buongiorno a tutti ragazzi» farfuglio con voce piena e roca. Con poca discrezione strizzò l’occhio verso Rose. La ragazza gli rivolse un’espressione interrogativa e preoccupata. «Oh beh, avevo preparato una lezioncina per voi,ma, ecco, la lezione mi è sfuggita di mano». Il professore ridacchiò preso da un proprio ricordo, ma davanti allo sguardo atterrito degli studenti, tossicchiò a disagio.
  Rose guardò Johanna alla sua destra che sorrideva divertita. Quando lei insistette con la sua espressione torva, l’amica scrollò le spalle e aggiunse «Il solito».

Rose sedeva su un grande tronco d’albero bianco di quelli che sua madre le aveva mostrato lungo le calde spiagge esotiche. Con le gambe incrociate celava ciò che le pieghe della gonna solleticate dal vento rischiavano di tradire, mentre le mani lambivano la superficie fresca e liscia del legno, con una lentezza estrema.
  Candice con le ginocchia nude immerse nel terreno fangoso era intenta in una meticolosa procedura di convincimento del Vermicolo, di cui si sarebbero dovute occupare. Quando sembrò sul punto di scoraggiarsi, sollevò la testa verso l’amica «Secondo te perché non gradisce la lattuga?»
Rose allontanò il proprio sguardo dall’incresparsi delle onde nere. «A te piacerebbe se qualcuno ti costringesse a mangiare della lattuga?»
  La ragazza sembrò pensarci su qualche secondo e apprendere la dura verità. Si abbandonò contro il tronco, ormai rassegnata alla prospettiva che il loro Vermicolo sarebbe morto di fame.
  Rose la guardava mentre sospirava e tendeva le piccole mani versi il lago, cercando di cogliere chissà cosa. Il suo sguardo concentrato ma sempre un po’ spaesato era più caldo che mai. La brezza leggera acquistò vigore e fece scrollare le frange dell’albero, che disperse alcune foglie. Rose pensò di lasciarsi condurre dal vento verso il lago oscuro e aspettare che questo la inghiottisse.
  «Candice, ti devo parlare».
Le parole che credeva fossero trattenute in gola, vennero fuori da sole. La sua voce risultò più serafica di quanto potesse immaginare e si complimentò con se stessa. Candice alzò la testa verso di lei e con i suoi immensi occhi nocciola la invitò a proseguire. La sua tranquillità incoraggiò Rose.
  Ora le si presentava il problema di introdurre l’argomento, di nominarlo o lasciarglielo intuire. Avrebbe potuto ricorrere ad un abile giro di parole o elargire con una prefazione apologetica degna di un poema epico.
Decise, infine, di essere rapida e diretta.
  «Riguardo Nott».
Dopo che ebbe dichiarato il misfatto, la sua mente iniziò a galoppare da sola, arrivando fino alla fine del percorso, quando avrebbe dovuto stringersi nel proprio letto per ospitare una Candice delusa e sconfortata. Era pronta ad accoglierla come da tradizione.
Ma il tono che seguì fu di infastidita sorpresa «Perché mi devi parlare di Vincent
  «Candice» proseguì Rose, schiarendosi la voce «Si tratta di qualcosa che è accaduto in questi giorni».
  «Ti riferisci al tuo comportamento in Infermeria?» disse Candice, arricciando il naso affusolato come un gatto che irritato si strofina i baffi. «Se ti vuoi scusare, devi parlare direttamente con lui».
Rose andò a sbattere violentemente contro un muro di mattoni e ricadde al suolo esanime. O almeno ciò era quello che avvenne nella sua mente.
  «Non mi devo scusare, Can». Rose pronunciò le parole con estrema calma, ma certo era che Candice non aveva capito nulla «Forse Nott..».
  «Vincent».
  «Come?»
  «Vincent è il suo nome».
Rose sbatté le palpebre più volte, mentre le mani presero a tamburellare frenetiche sul legno vellutato. «Lo so. Non fa differenza il modo in cui lo chiamo».
  «La fa per me» rispose Candice con ostinazione. Incrociò le braccia al petto e la penetrò con uno sguardo severo. «Le persone generalmente si chiamano per nome»
Rose frugò sotto quello spesso strato di collera, alla ricerca del suo caldo color cioccolato. «Il nome è per coloro che mi piacciono». Se vi era rimasta ancora qualche scaglia di dolcezza, con questa affermazione era certa di averla persa.
  Candice sospirò con un sorriso amaro, portandosi le mani ai capelli, che prese a sollevare e a intrecciare, per poi lasciarli liberi sulle spalle. «Siamo arrivati al punto, allora».
  «E’ proprio di questo che ti voglio parlare».
  «Forse mi vuoi parlare del modo in cui tu fai di tutto per detestarlo?»
Rose alzò gli occhi al cielo. «Posso capire che tu ce l’abbia con me. Ci sono cose che non ti ho detto, ma mi sembra arrivato il momento di metterti al corrente dei fatti».
Le guance di Candice si tinsero pericolosamente di rosso «Rose, ma di che stai parlando?».
   «Nott ti sta ingannando» sbottò infine.
Candice spalancò gli occhi e si alzò in piedi. Alcuni ciuffi di erba rimasero sulla gonna spiegazzata, mentre le ginocchia erano ancora nere per il terreno. Lei non ci fece caso e guardò l’amica con le braccia abbandonate lungo i fianchi e le mani spalancate «Cosa?».
   «E’ un bugiardo. Mente su tutto e ha mentito anche a me».
  «Non ci posso credere, siamo arrivate a te adesso. Come sempre» ringhiò Candice, mentre le mani iniziarono a tremare «Lui..lui è sempre stato sincero con me, a differenza tua. Ci sono cose che non mi dici, non mi parli più come una volta»
Rose piegò le braccia sulle ginocchia e si sporse maggiormente verso l’amica «Allora lasciami parlare ora» disse lentamente «Ho un diario, un libro magico» cominciò mentre Candice la guardava con occhi tremanti e confusi «Non è mio, ma appartiene ad una strana ragazza che, in qualche modo, mi perseguita. Credo, anzi sono abbastanza convinta, che Nott sia coinvolto».
  Candice aprì e chiuse la bocca diverse volte, poi voltò la testa di lato, nascondendo una parte del proprio volto alla vista di Rose. La ragazza potè solo osservarla mentre si torturava un labbro con i denti «Che storia è questa?».
Rose la guardava, aspettando che si decidesse ad incrociare i suoi occhi «E’ la verità».
  «No». Candice finalmente si voltò, ma nei suoi occhi navigava ormai solo la collera «E’ la tua verità».
  «E non vuoi nemmeno prendere in considerazione l’ipotesi che Nott sia una persona ambigua?»
  «Ma di che parli, Rose?» esclamò, sempre più rossa in volto «La nostra storia è nata nel modo più innocente possibile».
Innocente. La parole che meno poteva dirsi adatta a Vincent Nott.
Rose balzò in piedi. «Innocente?» esclamò con voce tremante «Il giorno in cui si è presentato con Pizzi, aveva già sbrigato le sue losche faccende nella nostra Sala Comune?»
  Gli occhi furiosi di Candice si inumidirono e Rose sentì il proprio cuore spezzarsi. Pensò, per un momento, di essersi spinta oltre con le sue considerazioni. «Che cosa stai dicendo Rose? Le tue accuse non hanno alcun senso». Candice la guardava con gli occhi sbarrati e lucidi, poi aggiunse con voce più bassa «Cosa stai insinuando?».
Cosa stava insinuando? Cosa avrebbe risposto? Esitò, privata del coraggio di guardarla negli occhi. Temeva la verità più di ogni altra cosa
  «Rose!». Il richiamo impaziente di Candice era quasi un urlo.
Alzò gli occhi su di lei e lasciò che la sincerità ebbe la meglio «Ti sta usando» disse «Trama qualcosa contro di me con quella ragazza».
  Candice chiuse gli occhi lentamente, come se avesse saputo di dove ricevere quella risposta ma non si fosse sentita sufficientemente pronta. Quando tornò a guardarla aveva gli occhi ridotti a fessure e dal suo tono di voce sembrava delusa «Non puoi davvero immaginare che il mondo non ruoti intorno a te, vero?» disse con un tono duro che Rose non le avrebbe mai attribuito. «Sei così decisa a incasinarti la vita, da non preoccuparti di chi trascini con te. Da non preoccuparti nemmeno per me».
Rose rimase in silenzio, cosa che accadeva raramente durante una discussione.
  «Non ti basterebbe essere felice per me, una sola volta?» esclamò Candice, portando la mano al petto in un gesto istintivo. Sembrò proteggere qualcosa che rischiava di andare in frantumi.
Rose dal canto suo, si sentiva già a pezzi «Come puoi pensare questo di me?». La delusione in un lampo avvolse ogni sua debolezza e si ritrovò a sfoggiare quella corazza impenetrabile che Candice non aveva mai visto. «Riprenditi, stai parlando a vanvera».
  «E’ così» rispose flebile. «Io parlo a vanvera, io mi lascio abbindolare da ragazzi che fingono di essere interessati a me. Che delusione deve essere per te trascorrere il tuo tempo con una così comune mortale».
Rose stirò le pieghe della gonna con le mani e alzò il capo fiero «Queste sono tue parole, non mie».
  «Io ... io non voglio farti perdere altro tempo» disse lei con un ultimo sguardo sprezzante.
Un piede si mosse nella direzione opposta alla loro un po’ incerto, poi l’altro prese coraggio e rese il passo più spedito, finchè Rose non vide altro che le sue esili spalle sempre più lontane.
  La conversazione era avvenuta così in fretta ed era stata talmente diversa da quella che si era immaginata nella sua testa, che ci mise un po’ per capire che Candice non avrebbe dormito nel suo letto quella notte.

 
 
 
- § -


 
Negli spogliatoi della squadra di Grifondoro l’aria era umida, talmente densa da poterla avvertire sulla pelle, nonostante le pareti in legno isolassero il clima poco mite dell’esterno dal tepore che solitamente accoglieva i giocatori.
  Il Capitano James Potter era a dir poco furioso. Percorreva con passo svelto pochi metri nello stretto corridoio tra le panche, per poi voltarsi e ripetere il percorso con la stessa meccanica fretta. A fissarlo si rischiava di perdere qualche funzione neurale. Agitava le mani convulsamente, arrestandole a mezz’aria ogni qual volta la propria bocca si aprisse per esprimere le contorte proteste delle sua mente, ma ogni volta sia le parole che le mani restavano sospese, avvolte in un oscillante movimento che la squadra seguiva con esitazione.
Daniel Thomas aprì la porta dello spogliatoio trovandosi di fronte all’espressione turbata del Capitano.
  «Dove pensi di andare con questa roba?». James Potter aveva dato finalmente sfogo alla propria isterica tensione.
Rose sobbalzò, lasciando cadere la scarpa che stava cercando di infilarsi. Sperando che il tonfo dell’oggetto sul pavimento non avesse richiamato l’attenzione dell’animale predatore che al momento si accingeva a circuire la sua ultima preda, la ragazza si piegò sotto la panca, approfittando della scarpa tragicamente precipitata, per nascondersi alla vista del cugino.
  Da lì potè godere di una visuale protetta sull’accaduto: il povero Thomas aveva pensato bene di rischiare la vita, distruggendo la sua scopa ultimo modello qualche ora prima della partita. Sperando di risolvere bonariamente l’accaduto si era presentato al cospetto del Capitano con una vecchia scopa della scuola. Rose chiuse gli occhi, annuendo desolata. Daniel Thomas era stato davvero un bravo ragazzo e un buon giocatore. Di certo sarebbe mancato a tutti.
  James cessò di infuriare contro Thomas, il quale, nonostante superasse il Capitano in altezza, sembrava essersi abbassato di molti centimetri, mentre si stringeva nelle spalle. A guardarlo in volto sembrava davvero che James Potter stesse mostrando le sue fauci letali.
Il Capitano, infine, sospirò. Si passò una mano svelta tra i capelli mossi e scuri e con la lingua lambì le labbra in una espressione pensierosa. Rose si sentì una stupida nel pensare che il cugino fosse davvero molto bello.
  «Fred». Con una mano indicò il suo fedele compagno. Quando questo, l’unico a non temere l’ira del Capitano, si fu avvicinato con un sorriso brioso dipinto sul volto scuro, James gli poggiò una mano sulla spalla e parlò «Vai da mia sorella, a quest’ora dovrebbe stare facendo ripetizioni di pozioni con Albus. Spiegale che potrà raggiungere gli spalti più tardi, perché probabilmente la partita verrà ritardata. Quando ti chiederà il motivo, raccontale l’accaduto senza far trapelare alcuna sensazione di disagio».
Rose ridacchiò tra sé sorpresa dall’acume del cugino e, allo stesso tempo, stizzita per la sua testardaggine.
   «Se conosco appena mio fratello, a questo punto dovrebbe offrirsi di prestarci la scopa» concluse James con un cenno del capo.
   «Sarà anche uno stronzo, ma è un buon Capitano» dichiarò Joa a voce bassa, piegandosi verso Rose.
  «Se fosse anche un buon fratello e si rivolgesse personalmente ad Albus per chiedergli un favore, sarebbe perfetto» asserì Rose con un sospiro scoraggiato. Sbirciò nella direzione del cugino e quando lo vide ancora intento in una ramanzina contro Thomas e contro il sistema che tutelava gli incidenti nel Quidditch, fece cenno a Joa di seguirla sulla panca più lontana.
  Le due ragazze finsero ancora di sistemarsi la divisa, mentre ripresero la conversazione.
Joa riassunse l’espressione aggressiva, che esprimeva la sua indignazione. «Trovo che la sua reazione sia stata esagerata» dichiarò.
Rose annuì pensierosa, ma non rispose subito. Si concesse qualche istante prima di dire  «Non ha avuto dubbi su chi riporre la propria fiducia».
  Ripensò a quel volto angelico vituperato da un’espressione furiosa, a quella mente candida sporcata da riflessioni ostili e crudeli, che non erano sue.    «Magari l’ha stregata».
Joa piegò la testa di lato in una risata scettica «Sì, con un bel paio di occhi da mozzare il fiato e quel faccino da dannato».
   «Non può badare solo a quello» disse Rose, facendo scoccare la lingua con irritazione.
Joa scosse i capelli per liberarsi il volto e cessò di torturare i lacci delle scarpe. «Perché no? E’ bello da impazzire. Chi potrebbe resistere al suo fascino?».
  Rose riflettè per qualche istante e guardò l’amica, che ora sedeva sulla panca con le braccia incrociate. «A te interesserebbe uno come lui? Anzi, proprio lui» disse con esitazione, cercando le parole giuste per esprimere ciò che le passava per la mente. «Ti piace?».
Joa inarcò le sopracciglia in quella sua espressione di scettica superiorità. Rose pensò che le venisse spontaneo corrucciare il volto fino a fargli assumere quella smorfia, perché in quel momento all’espressione non seguì nessuna parola. Doveva trattarsi certamente di una giornata ricca di sorprese, se Joa si concedeva qualche istante di riflessione prima di rispondere. «No, non mi interessa» disse infine. «E a te?».
  Anche Rose non fu immediata nella risposta. Pensò a quel volto di una bellezza incantevole e a quel portamento elegante. Erano caratteristiche che generalmente apprezzava in un ragazzo, ma Vincent Nott non la incuriosiva, non la affascinava da quel punto di vista. Erano più le sue macchinazioni ad attrarla verso di lui, con un sentimento che di amorevole non aveva proprio nulla.
  «No, direi proprio di no» affermò.
 «E’ normale che non ci piaccia un ragazzo che fa sospirare tutta Hogwarts?» chiese Joa, guardando l’amica come se temesse per la loro salute mentale.
  «Forse perché siete già innamorate». Il frastuono del legno dello sportello contro il ferro della serratura, fece voltare entrambe le ragazze verso Alice Baston alle loro spalle. La ragazza fissò con sicurezza la serratura del proprio armadietto, sorrise loro con un sorriso che sapeva di consapevolezza e si allontanò.
  Rose e Joa si guardarono rapidamente con incertezza, non sapendo bene quale espressione assumere per fronteggiare una affermazione del genere.
Joa cercò di riprodurre quell’espressione solita, ma in un misero tentativo e il volto finì per esprimere solo tensione. «Ma che va dicendo?».
  «Non ha capito nulla».
  «Già».
Rose rise nervosamente «Ci sono mille motivi per cui non debba piacermi Nott».
Joa annuì con estrema convinzione. «A me non è mai piaciuto. Non sono mai stata favorevole a questa storia. L’ho sempre detto, no?» disse con un tono di voce alto, cercando nell’amica un sostegno che non arrivò. «Beh, l’ho sempre pensato» concluse infine.
  Il cigolio del pavimento le avvertì del passo lento e soppesato di qualcuno. Un passo meticoloso, quasi felino, da predatore astuto e accorto che avanza circospetto verso le sue prede. Rose si irrigidì di colpo, sentendosi improvvisamente un’indifesa gazzella. Quando si voltò, incontrò gli occhi di James Potter che la studiavano con estenuante placidità.
  «Mie care ragazze» pronunciò con solennità, congiungendo le mani. «Gradite del succo di ciliegia o qualche zuccotto di zucca nell’attesa?».
L’istinto di sopravvivenza di una gazzella arginata dalle capacità predatorie di un felino l’avrebbe portata ad una fuga immediata e rapida, se solo Joa non avesse avuto la stessa rapidità di riflessione di un bradipo.
  «Non ci sarebbe del succo di zucca?».
Lo scintillio che attraversò gli occhi di James Potter fu il più nefasto dei segnali. «Muovete quei vostri culi pessanti e portateli immediatamente in campo» sbraitò il Capitano con tutta l’aria che aveva nei polmoni. Le due ragazze sobbalzarono e si precipitarono fuori dagli spogliatoi, seguiti dal loro aguzzino.
  Nell’ampio patio Albus Potter attendeva paziente con una scopa di legno nero lucido tra le mani. I due fratelli si guardarono per un attimo interminabile, poi Albus parlò. «Ho saputo che ti serve una scopa».
James si erse in tutta la sua statura. Con la divisa da Capitano la sua figura risultava ancora più imponente e regale, ma lo sguardo del fratello, quello sguardo così verde e ammaliante, serafico e carismatico penetrava tutte le sue difese.
  «Non a me, a Thomas» disse con estrema tranquillità, non cedendo al potere di quegli occhi.
Albus sorrise come solo lui sapeva fare. Rose era fermamente convinta che quando quella magia accadeva, tutti gli astri dell’universo si ricongiungessero e ogni cosa dovesse tornare al suo posto. «Ho pensato di prestarti la mia. Papà ci ha comprato l’ultimo modello questa estate. Non sbaglia un colpo».
  «Vero, siete fenomenali sul campo». Fu Rose a intervenire per incoraggiare Albus e in qualche modo soccorrere l’orgoglio fragile del cugino maggiore. Per lui chiedere un favore al fratello rappresentava una grave sconfitta, così come sentirsi rispondere con tanta genuina sincerità.
Erano certamente due ragazzi complicati i suoi due cugini.
  «Effettivamente ci farebbe comodo in questo momento. Le mie negligenze nello scegliere i componenti della squadra ricadono su tutti noi» dichiarò James con sguardo duro, fingendo una sicurezza ancora più spietata. La sua incrollabile severità era una maschera che indossava nelle occasioni opportune, anche se il fratello minore ben conosceva quello stratagemma. «Dirò a Thomas di ringraziarti» concluse accettando la scopa che quello gli offriva.
  Albus annuì sereno, consapevole di non poter ottenere nulla di più. Poi si rivolse alle sue ragazze con espressione mutata, assumendo un sorriso premuroso. «Vi vedo in gran forma» disse, chiudendo il pugno della mano in un gesto di vittoria.
Joa lo degnava a stento di uno sguardo sprezzante, mentre Rose annuiva incerta con la mente che vagava altrove. Il suo sguardo volteggiava intorno a sé, osservando gli alti stendardi rosso-oro che si contrapponevano a quelli nero-blu e la tensione le intorpidì i muscoli. Quando con gli occhi incontrò la figura di Scorpius Malfoy che a poca distanza da loro fumava una sigaretta, placidamente abbandonato contro un muro, questi le strizzò l’occhio.
  Rose avvertì un pugno chiudersi intorno al petto. Come aveva fatto a non accorgersi della sua presenza?
Lui si era ormai avvicinato, aveva lasciato cadere la sigaretta ai propri piedi e la calpestava con la suola delle scarpe. Si erse di fronte a lei, palesando con superiore sfacciataggine quei diversi centimetri che li dividevano e la guardò con attenzione.
  Rose sbuffò profondamente irritata «Perché segui mio cugino ovunque?» sbottò con asprezza. Non aveva intenzione di badare anche a lui, ai propri ormoni o a qualunque forza demoniaca si fosse impossessata della propria mente da quando lui l’aveva accarezzata.
Lui sorrise appena, evidentemente divertito da quella domanda. La guardava con la solita strafottenza, quel sorriso irrisorio che gli marchiava il volto gentile come un segno indelebile della propria ostilità; un illibato quadro di imperturbabilità, sgombro da macchie di turbamento. «Volevo accertarmi che foste sufficientemente sotto pressione. E che lo fossi soprattutto tu».
  Rose piegò le labbra in un sorriso velenoso e si preparò a ribattere, ma per un istante avvertì una piacevole sensazione di gratificazione: per la prima volta si sentì miseramente lusingata da quell' attenzione. «Adesso ricorri a questi trucchetti per guadagnare qualche punto in classifica?».
  «Ti sbagli Weasley, non c’è nessuna finalità pratica» disse lui con il solito ghigno. Si piegò appena verso di lei e abbassò il tono di voce «Il mio è puro piacere» disse con un tono che fece rabbrividire Rose. Si allontanò nuovamente e aggiunse «Oltretutto siamo fenomenali in campo, no?».
Se solo avesse saputo della sua presenza non avrebbe mai pronunciato una frase dei genere. Desiderò strappare quell’espressione vittoriosa dal suo viso angelico con un bel pugno, ma il richiamò furioso di James la convinse a desistere. «Non contro di noi» rispose cautamente.

  «Sono lieto di vederti meno squilibrata rispetto a stamattina».
  «Non ci posso far nullla se la tua presenza di prima mattina mi turba profondamente»
Un altro richiamo da parte del Capitano convinse le ragazze a non sfidare ulteriormente la sua scarsa pazienza. Joa si separò da Albus, che evidentemente aveva ottenuto l’assoluzione dalle sue colpe, poiché la ragazza si era accomiatata, assicurandogli di rompere qualche naso.
Rose si incamminò dietro al Capitano mentre le giungeva la voce ridente di Malfoy «La mia presenza ti turba in ogni momento, Weasley».
  Quando la scopa si sollevò dal suolo in un unico e concorde movimento anche il vociare del pubblico si fece più denso e le urla, gli applausi e i cori si elevarono insieme alla squadra. Il vento fresco le scompigliava i capelli, mentre brividi di eccitazione le fornivano la carica di cui aveva bisogno.
Rose si posizionò davanti ai suoi più cari colleghi: i tre anelli da difendere con tutta se stessa.
  Osservò i capitani stringersi la mano con vigore e lo sguardo fiero e deciso di James, che avrebbe scatenato tutta la propria grinta in quell’incontro.
I giocatori di Grifondoro ottennero la pluffa e se la passarono agilmente, cercando di avvicinarsi agli anelli avversari. Il movimento procedeva con una certa lentezza da parte dei Grifondoro ed esitazione da parte degli avversari: la pluffa volteggiava tra le stesse mani senza che la partita prendesse la giusta via. La voce squillante ed energica della telecronista era l’unica scarica di adrenalina che sembrava percorrere l’aria tesa.
   «Una giornata promettente per questa prima partita del Campionato, ma le due squadre sembrano ancora timorose di farsi la guerra».
Era fresco e penetrante il vento che le scompigliava i capelli da quell’altura. Rose osservava con invidia i suoi compagnia volteggiare ad alte e basse quote, seppur con una certa inerzia, mentre lei rigida costeggiava i suoi anelli come un guardiano severo dinanzi alle porte dell’Inferno, e non poteva fare altro che aspettare.
  «Il movimento rapido di Ruth Davis fa perdere l’equilibrio ad Alice Baston che lascia andare la pluffa. Il possesso palla ora è dei Corvonero. Il Capitano dei Grifondoro non sembra esserne molto felice. Eccolo che sbraita come un matto contro la sua Cacciatrice… è davvero l’anima della partita quel Potter» dichiara l’alta voce dal microfono, trattenendo una risata.
Rose si voltò verso Molly Weasley che con la sua chioma corta, rosso fuoco, difficilmente sarebbe passata inosservata. Dagli spalti più alti studiava ogni movimento dei giocatori senza lasciarsi sfuggire il più piccolo particolare, che sarebbe poi diventato oggetto della sua telecronaca.
  L’attenzione di Rose fu catturata da un enorme cartellone agitato da Lily e Hugo, che di Quidditch non capiva granché, ma non perdeva mai occasione per incoraggiare la sorella maggiore. Si voltò appena in tempo per vedere Stewart lanciare la pluffa nell’anello più basso. Scese in picchiata e con un calcio riuscì a spedirla lontano.
  «Dieci punti per Grifondoro grazie al formidabile tiro di quel campione di mio cugino!...No, signora Preside, non sono assolutamente di parte».
Ruth Davis si rimpossessò della pluffa, avanzando deciso verso di lei, ma nel tentativo di schivare un bolide lanciato da Fred, la pluffa fu afferrata da Alice, che ottenne la sua rivincita segnando altri dieci punti per Grifondoro.
  Rose esultò con la folla e si voltò verso il coro dei Grifondoro alla ricerca delle sue amiche, ma di Candice, Melissa ed Eloise non c’era traccia. Per quanto la sua attenzione fosse rivolta alla partita, non potè impedire al panico di invaderla. I suoi occhi timorosi saettarono verso l’ala verde-argento, dove lo sguardo fu catturato da Albus che si scatenava nei festeggiamenti. Rose si impietrì quando vide al suo fianco Vincent Nott stringere la mano di Candice. Alla sua destra Melissa applaudiva raggiante.
  Lo stridore cromatico che derivò dall’accostamento del caldo rosso in mezzo ad un mare di verde fece tremare le mani della ragazza, che vide una patina umida ovattarle gli occhi.
Il grido di entusiasmo dai tifosi Corvonero le annunciò che aveva appena mancato una parata.
  «Rose». Il richiamo del Capitano non tardò a sopraggiungere per ammonirla «Maledizione, concentrati sulla partita!». James Potter le volò accanto in un lampo, facendo smuovere l’aria intorno a sé, che la colpì come una gelida frustrata.
  «Altri dieci punti per Corvonero, che superano Grifondoro e vanno a trenta» esclamò Molly con meno entusiasmo.  «Sembra che il Portiere dei Grifondoro abbia la testa altrove, certamente non da biasimare. Sembra proprio che da Nord arrivi un vento niente male, nulla a che vedere con l’esposizione del Portiere dei Corvonero… certo signora Preside, torniamo alla partita».
Rose fu colta da un’improvvisa ondata di panico. I suoi riflessi erano lenti e la vista annebbiata dalle lacrime che la minacciavano, ma che non riusciva a far sgorgare. Sapeva di avere gli occhi degli altri puntati su di sè e questo la paralizzava ancora di più.
  «Rose». Un altro fruscio dell’aria la fece smuovere e Joa le passò davanti. «Rose guardami». L’amica le parlava dall’alto, senza smettere di seguire il passaggio della pluffa. «Allontana tutto per un attimo».
Rose lanciò un’ultima occhiata agli spalti dei Serpeverde ma il suo sguardo cadde su Albus e Zabini che le urlavano incoraggiamenti, mentre Malfoy guardava con attenzione.
  Avvertì il suono del vento giungerle all’orecchio, quel vento che le parlava e le era alleato. Si voltò di scatto e dall’anello più alto precipitò verso il minore, colpendo la pluffa con il pugno teso.
   «Strepitosa parata di Rose Weasley! Attenzione a tutti, sembra che i due Cercatori abbiano avvistato qualcosa».
Luis sfrecciò davanti ai suoi occhi inseguendo il boccino. Il nuovo cercatore di Corvonero lo affiancò in un istante e cercò di spintonarlo, ma un bolide gli fece perdere l’equilibrio. L’urlo di giubilo che sovrastò qualunque altro suono fu quello di Joa, mentre esultava con la mazza ben salda tra le mani.
  «Louis Weasley prende il Boccino d’Oro. Grifondoro vince! » annunciò Molly. La telecronista fece seguire un lungo elogio delle strabilianti prestazioni della squadra di Grifondoro.
La squadra toccò il suolo con i piedi, mentre la mente ancora vagava tra le nuvole. I ragazzi raggiunsero Louis e lo sollevarono in aria raggianti.
James con le lacrime agli occhi, stringeva in poderosi abbracci chiunque gli capitasse a tiro e baciava tutte le ragazze. Eloise per poco non svenne al suolo.
  «Complimenti James, sei stato bravissimo» disse la ragazza in un bisbiglio mentre le guance le si tingevano di rosso.
Per tutta risposta lui la prese per i fianchi e la sollevò in aria felice, per poi lanciarsi nella folla e ricevere pacche di congratulazioni.
Rose, dopo essere stata baciata dal cugino, si trovò travolta dalla folla di abbracci, finchè un’altra divisa rosso-oro non le sbarrò la vista e la avvolse con le sue braccia forti e calde. Johanna la stringeva a sé, come mai prima aveva fatto.
  Festeggiava la vittoria, le spiegava di aver capito e le assicurava che lei, invece, sarebbe stata lì.
Fu Albus che le interruppe e circondò il collo di entrambe con le braccia.
  «Siete così monotoni voi Grifondoro» dichiarò, inarcando le sopracciglia con fare annoiato. «Sempre queste vittorie».
Joa gli pizzicò il fianco destro e gli stampò un bacio poderoso sulla guancia. Il volto di Albus cambiò colore in un rapido frangente, impallidendo prima e tingendosi di rosso fuoco subito dopo. Rose assistette alla scena con gli occhi sbarrati. «Monotoni? Avete visto il bolide che ho scagliato contro quell’idiota di ...».
  «Dylan Kunis» affermò la voce squillante di Lily, che si piazzò davanti al trio. «Quanto è carino!»
Prima che Joa mandasse in infermeria anche sua cugina, Rose l’afferrò per le spalle e la trascinò con sé.
  Camminavano nel parco, trascinandosi le scope, un dolce peso che premeva sulle loro spalle, un peso fatto di fatica e gratificazione che riscaldava i loro arti indolenziti con un moto d’orgoglio. Mentre i loro passi le conducevano sempre più vicine al Castello, il sole del pomeriggio si faceva più basso. In lontananza videro quattro ragazzi seduti sul prato e Rose riconobbe quella chioma libera e luminosa di Candice, mentre la sua risata si diffondeva nel vento e giungeva sino a loro, trasportata dall’ondeggiare dei rami. Rose cercò di nascondere il proprio turbamento, ma notò Joa spiarla con la coda dell’occhio.
  Quando raggiunsero il gruppetto, questo si alzò e si avvicinò alle ragazze. Melissa corse ad abbracciarle.
Avvolse le ragazze in un pigro e frettoloso abbraccio «E la prima partita è andata» disse, palesando la propria disinvoltura con un sorriso rassicurante, senza incrociare lo sguardo di Rose.
  La ragazza la guardò con indifferenza, in fondo ferita, ma non sorpresa dall’atteggiamento di Melissa, che, non con troppa discrezione, si stava lentamente schierando dalla parte di Candice.
  Si chiese, in quel momento di tragica finzione, quanto avrebbe dovuto aspettare per vedere il silenzio calare su di loro. La sua gemella, così diversa apparentemente, si sarebbe tormentata a lungo nell’incertezza e forse nel dolore, ma avrebbe fatto prevalere la propria codardia.
Guardò per un attimo Joa e si chiese se poteva definirsi ormai sola.
  «Complimenti davvero». Anche Candice si era avvicinata ma non abbracciò nessuna delle due. O meglio non abbracciò Joa per non far sentire a disagio Rose.
Carter Zabini oscillava da una gamba all’altra, impaziente di intervenire. «Non montatevi troppo la testa. Non avete ancora affrontato i più duri della scuola» disse, passando una mano tra i capelli e assumendo una posizione comicamente fiera.
  Johanna ed Eloise ridacchiarono ma Rose non riusciva a muovere un solo muscolo, fino a che non udì quella voce vellutata e morbida, ma inesorabilmente fredda e affilata.
  «Bel bolide finale, Jordan» intervenne Vincent Nott, avanzando placidamente verso di loro. Le braccia distese lungo i fianchi e l’andatura rilassata evocavano una sorta di sospesa pastosità.  Mutò il proprio interesse verso Rose, senza scomodare i muscoli del collo, che si piegarono ai dettami della voce con estrema flebilità. «Weasley che ti è successo a metà partita? Sono stati i punti più facili della storia del Quidditch» disse, guardandola finalmente in volto ma senza vederla realmente.
  Rose invece lo guardava fiera e decisa, senza cedere davanti alla sua sicurezza. Per quanto le proprie dita chiuse a pugno la pregassero, si impose di non cedere all’istinto di persuaderlo con metodi poco diplomatici a liberare la mano della sua amica. Quella mano che la avvolgeva con ostinata sfacciataggine.
Poi la verità la colse con un colpo estremamente piacevole.
  «Noto che la tua mano è guarita» osservò lei, piegando le labbra in un sorriso leggero, ma soddisfatto e quasi crudele. Nott la guardò confuso e lei non esitò ad aggiungere «Si era ustionata il giorno dell’incidente nell’aula di Pozioni. Ci siamo incontrati in infermeria, non ti ricordi?».
Il suo volto si accese di consapevolezza ma Candice non lo notò, mentre si premurava di squadrare Rose con sguardo truce.
La fissava con biasimo, mentre la certezza dell’innocenza del suo ragazzo la avvolgeva nella convinzione che, durante il celebre duello tra lei e Malfoy, Vincent Nott si trovava in infermeria per puro caso.
  «Sì certo» dichiarò Nott, dopo qualche secondo di esitazione. «E’ guarita con rapidità». La sua voce sempre serafica si era macchiata di una leggera nota di incertezza, che tra le sue corde sempre perfette strideva come artigli su pietra.
E quella nota fu la silenziosa vittoria di Rose. Si pregustò con estremo giubilo la fronte corrucciata di Candice  e i suoi occhi vacui, persi, mentre elaborava le informazioni e le ricostruiva con cautela.
  «Non sapevo ti fossi fatto male».
Nott corrugò la mascella, contraendo quel volto marmoreo, naturalmente sottratto ad ogni increspatura. «Si trattava di una lieve ustione» disse, piegando appena le labbra con grande sacrificio. «Non vedevo il motivo di informare la stampa».
Rose si morse il labbro inferiore e si catapultò sull’occasione che il fato le stava concedendo, come su un letto di rose. «Sei sicuro che fosse solo un graffietto?» domandò con studiata lentezza, insaporita da un cenno di preoccupazione. «Ricordo di aver visto la mano completamente fasciata».
Rose pensò che se lo sguardo fosse stato capace di uccidere o di torturare, in quel momento lei si sarebbe trovata distesa al suolo in preda alle più atroci agonie.
  Vincent Nott questa volta non esitò e rispose con una prontezza che gli fu deleteria. «Conosciamo Madama Chips: per lei un’ustione è una mano da amputare» disse e questa volta la tensione traspariva ad ogni parola.
  «Ricordo che al terzo anno dovetti rimanere tutta la notte, solo per essermi fatta crescere troppo le unghie con un incantesimo» intervenne Melissa con una risatina civettuola, agitando i capelli. «Possiamo piantarla con questa storia» aggiunse con un’occhiata torva riservata a Rose.
 «Andiamocene, io ho bisogno di una bella doccia». Johanna afferrò il braccio di Rose con un gesto frettoloso, mentre la voce tradiva il suo nervosismo. «Eli?».
Eloise sgranò gli occhi grandi e umidi e li portò verso i propri piedi. «Vi raggiungo più tardi».
  Rose seguì la marcia poderosa di Joa, mentre insieme si dirigevano nel silenzio opprimente, nel quale le parole di Nott rimbombavano con un frastuono assordante.
Varcò la soglia del ritratto della Signora Grassa con una profonda consapevolezza: Vincent Nott non si trovava in Infermeria per ricevere delle cure mediche.


 
- § -
 

 
La Sala Comune dei Grifondoro era irriconoscibile.
Nonostante le dimensioni modeste, ospitava due terzi degli studenti di Hogwarts, con l’esclusione della maggior parte dei Crovonero. Stendardi con i colori della casa erano riportati ovunque, mentre i Fuochi Forsennati Weasley sfrecciavano da una parete all’altra della stanza, illuminando con cangianti giochi di colori i corpi accaldati e smaniosi che si stringevano tra loro lungo la pista da ballo, nascosti negli angoli più remoti, accomodati sulle confortevoli poltrone. Tutti rigorosamente percossi da una febbrile eccitazione che i bicchieri sempre pieni contribuivano a fomentare.
Rose, dopo aver sceso gli scalini affianco a Johanna, osservava lo scenario con una certa perplessità.
  «Esattamente quando hanno avuto il tempo di organizzare tutto questo?» domandò, piegando il sopracciglio in una espressione che esprimeva tutto il proprio scetticismo.
Joa, un piede ancora poggiato sull’ultimo gradino, era affiancata alla parete rosso vermiglio e chiudeva le braccia intorno al petto, mentre guardava verso James. «Evidentemente il Capitano non era così convinto dell’incompetenza della propria squadra».
  James Potter imperava in piedi sul tavolo circolare, ingerendo quanto più fosse capace di Whisky Incendiario, su esortazione di un gruppo di ragazzi intorno a lui. Rose piegò appena la testa di lato, promettendosi di chiedergli dove si fosse procurato tutto quell’alcol. Poi rifletté meglio e si rispose che, non essendo un Prefetto, ciò non la riguardava.
“Questo è proprio il motivo per cui non lo sei” Avrebbe detto sua madre.
Al diavolo.
Eloise sbucò trafelata dalla folla, proprio mentre Joa ritornava verso di loro con tre bicchieri colmi di Vodka, che dovette sistemare con prepotenza tra le mani di una titubante Eloise.
   «Oggi si festeggia tesoro».
Alice Baston avanzava barcollando, agitando le mani per richiamare l’attenzione «Rose, Johanna, non ci posso credere, abbiamo vinto» Il suo bicchiere pieno fino all’orlo disperdeva gocce lungo il cammino. I suoi occhi languidi sembravano aver perso un po’ di lucidità e la ragazza si concesse di esprimere tutta la propria gioia per la vittoria, o più probabilmente, per il fatto che il Capitano non li avesse sbranati.
  Rose tolse il bicchiere dalle sue mani tra non poche proteste e la aiutò ad accomodarsi sulla poltrona più vicina. Non sarà stata un Prefetto, ma Alice Baston non era pronta per abbandonare tutte le inibizioni in una notte sola.
  «Andiamo, ho visto Albus» disse Joa, allontanando il bicchiere dalle labbra. Si immerse nella folla, spintonand  chiunque le capitasse a tiro. Eloise mortificata, alle sue spalle, si scusava con i passanti.
  Si fermò quando vide Melissa e Candice poco più avanti intente in una fitta conversazione con alcuni ragazzi del settimo anno di Tassorosso. Loro guardarono in quella direzione ma non sorrisero verso le ragazze, piuttosto si limitarono ad un debole cenno con il capo. Fu Melissa ad indugiare più del dovuto sul volto della sorella. Non fu particolarmente significativo il gesto della ragazza, di grattarsi la punta del naso con il dito mignolo, ma questo avvenne mentre con lo sguardo divorava la coscienza di Eloise.
  Questa sobbalzò, sgranando gli occhi spaventata e si dileguò verso la sorella.
Rose le concesse un ultimo sguardo a metà tra il dolente e l’indignato per la scarsa tempra da Grifondoro che quella ragazza mostrava in ogni situazione. Dopo quest’ultima considerazione si irritò talmente tanto da afferrare un altro bicchiere di Whisky Incendiario e brindare tra sè al purosangue Grifondoro, a coloro che avevano il coraggio di affrontare la realtà e tutte le sue nefaste conseguenze.
A quel punto inorridì, sentendosi disgustosamente una serpe.
  Raggiunse il divano di tessuto grande, addossato ad una parete e riscaldato dalle fiamme lucenti del caminetto. Lì sedeva Albus con le guance arrossate e i capelli più indomabili del solito, totalmente in balia di una Johanna più grintosa che mai. Solo in quel momento Rose si accorse dell’abbigliamento che la ragazza aveva accuratamente scelto per la serata, dalle lunghe gambe, distese in una curva sensuale e accavallate quel tanto da permettere al vestito di ritirarsi e affrancare le cosce toniche da quel vincolo di pudicizia di cui, Joa, quella sera, sembrava essere smaniosa di privarsi.
  Rose si sedette accanto al cugino, ricevendo la stessa attenzione che avrebbe riservato ad una lezione di Ruf. Si agitò sul divano con maggiore energia e sbuffò sonoramente, ma l’incantesimo delle gambe di Joa sembrava avere la meglio sui suoi miseri tentativi.
Sperimentò la sgradevole e disarmante sensazione di essere sola, turbamento che non l’aveva mai riguardata da quando ricordava di essere al mondo.    Sin dalla più piccola età chiunque si arrovellava nel tentativo di conquistare il suo interesse: gli adulti le si rivolgevano con un rispetto e una deferenza che non comprendeva, le ragazze sembravano smaniose di apparire perfette e complici, i ragazzi si affannavano nell’essere brillanti.
Guardò Melissa monopolizzare l’attenzione di un gruppo che la attorniava, mentre Eloise e Candice affogavano ognuna nel proprio inquieto silenzio.
  «Finalmente Nott non è tra i piedi» esclamò a se stessa, con voce troppo alta.
Albus sembrò riemergere dagli abissi più profondi di quel soggiogo e si voltò verso la cugina con occhi vacui, ma ridenti «Come?» domandò, recuperando parzialmente le proprie facoltà mentali. «Oh, ciao Rose. Ce ne hai messo per scendere».
Rose ricordò le parole del padre a proposito del controllo dell’ ira. Se non errava, si raccomandava di contare fino a dieci prima di sbraitare contro qualcuno. Date le circostanze, pensò fosse più opportuno prolungarsi fino a venti.
  Affondò i denti nelle labbra e le incurvò in un sorriso indulgente. «Stavo notando» disse, parlando con lentezza per acquietare i nervi tesi, cercando allo stesso tempo di sovrastare la musica. «che Nott non ci lusinga con la sua compagnia, questa sera».
Il cugino la fissò per qualche secondo più del necessario, elaborando con una lentezza estrema i suoni che erano giunti al suo orecchio. Rose inarcò le labbra in uno sbuffo leggero che portava con sé la propria esasperazione. «Oh, sì» esclamò infine.
  La ragazza attese che Albus recuperasse il senno, quel tanto che gli permettesse di aggiungere qualcosa di più significativo. Non si aspettava di poter discutere con lui riguardo ai massimi sistemi quella sera. «Non è tipo da confusione e feste e..questo» aggiunse con difficoltà, orientando l’attenzione sua e della ragazza verso l’atrio principale della Sala Comune, adibito a sala da ballo. «Scorpius, ti sarei grato se non te la scolassi» disse una volta che i loro occhi si ebbero focalizzati sul soggetto prescelto. Rose avrebbe preferito che il cugino avesse trascorso il resto dei suoi giorni inabissato in quello stato di demenza totale.
   Le mani grandi di Scorpius Malfoy erano strette saldamente attorno ad una bottiglia di Whisky Incendiario, come fosse l’unica ancora di salvezza da una vita colma di insidie. Il suo corpo non necessitava di lasciarsi trasportare dalla musica o di distendersi in sinuose movenze. Si ergeva con disinvoltura al centro della pista, dominando su tutti gli altri in altezza e il busto ondeggiava flebilmente, assecondando il bacino nel suo movimento inebriante e proibito.
  Rose non riuscì a distogliere lo sguardo da quella visione estatica e del tutto nuova, mentre una forza violenta le contorceva le viscere, inondandole di caldo piacere il basso ventre. Si agitò sulla poltrona per isolare ogni sensazione avvolgente, quando le mani affamate di una ragazza vagarono sul suo petto marmoreo protetto da quel tocco fatale solo da una leggera camicia. Con un’insistenza simile a tanti spilli aguzzi sciolse i primi bottoni, esplorando infine il suo petto madido di sudore, mentre quello di Rose si lasciava trafiggere in profondità. Quando quella raggiunse i suoi capelli, quelli stessi capelli che Rose si era figurata tante volte di percorrere con un tocco avido, il fuoco d’ira infuriò come un demonio dentro al suo petto, inondandole il volto.
  «Trattieni ogni istinto omicida» intervenne Albus per scuoterla dal proprio fantasticare.
Rose latrò il proprio disappunto, intimandogli di proseguire, senza concedergli secondo preziosi della propria attenzione, intenta a registrare ogni movimento molesto.
  Albus si schiarì la gola con ostentazione e marcò il proprio tono con una carezzevole nota di ironia «Mi sembra opportuno informarti che lui ha occhi solo per quella dannata bottiglia».
Il colpo centrò il bersaglio con successo. Rose, questa volta, rivolse al cugino tutto il proprio disprezzo, riservandogli un’occhiata torva che sperava in cuor suo potesse trucidarlo al pari di  mille Maledizioni senza Perdono. A quel punto valeva la pena fare una visita ad Azkaban.
Improvvisamente ha recuperato tutte le sue facoltà intellettive?
  «Albus Severus Potter» pronunciò Rose con una solennità che non prometteva nulla di rassicurante «ritorna nel tuo stato catalettico prima che ti ci rispedisca io con la mia bacchetta ficcata nel tuo di dietro».
Albus trattenne le estremità della bocca che si stavano arricciando in un sorriso beffardo, ben sapendo quanto questo potesse essergli fatale. «Mi sarò solo immaginato il tuo tentativo di mutilare Kate Hastings con gli occhi».
  Rose accavallò le gambe con una disinvoltura fiacca, tradita dal tremolio frenetico del piede «Albus, cosa vuoi che me ne importi?». La propria sufficienza poteva essere scambiata facilmente per un attacco di nevrosi.
Scorpius Malfoy e Carter Zabini si avvicinarono a braccetto.
  «Mie signore». Carter si inchinò con studiata lentezza davanti alle gambe nude di Joa e a quelle fasciate da calze nere di Rose. «Siete di una bellezza da togliere il fiato» disse, baciando le mani di entrambe, ma continuando a corteggiare con lo sguardo quelle lunghe e sinuose linee.
Malfoy guardò Rose e piegò gli angoli della bocca in un sorriso beffardo, mentre prendeva posto accanto a lei sul bracciolo del divano. «Carter hai bevuto troppo o stai prendendo lezioni da quell’idiota di Korbin Perkins in quanto a complimenti?» commentò con un’asprezza carica di derisione. «Eppure c’è qualcuno che li gradisce » aggiunse Malfoy con tono basso e carezzevole, piegando appena la testa di lato per osservare meglio l’espressione di Rose, mentre le dita lambivano leggere la sua guancia delicata. Lui se l’era immaginata fresca, come la sua pelle candida a contrasto con il fuoco dei capelli e invece le fiamme avevano raggiunto anche le gote rosse, perché queste erano calde e confortevoli.
  Gli occhi della ragazza non delusero le sue aspettative, al contrario non se li era immaginati tanto carichi di collera. «Almeno loro sanno essere gentili» disse, muovendo con estrema rapidità quelle labbra sottili. Gli parve di cogliere un tremito incontrollato. «E toglimi di dosso le tue manacce». Rose allontanò sprezzante la mano di Malfoy, cercando di non immaginarsela mentre assaggiava il corpo di quella ragazza.
  «Come sei aggressiva questa sera» disse, assumendo un’espressione profondamente addolorata. «Ho un ricordo completamente diverso di ieri. Soprattutto, mi sembrava che le mie mani non ti infastidissero chissà quanto» aggiunse, fingendo un atto meditativo.
Si concesse un pigro sorriso quando lesse il panico nei suoi occhi.
   «Di che diavolo state parlando?». Joa si sporse completamente oltre Albus per ascoltare meglio la conversazione.
Albus li guardava incredulo, mentre Johanna sembrava avida di particolari.
Carter piroettò, scapicollandosi quasi addosso a Rose. «Milady, mi concede questo ballo?» Zabini, troppo sbronzo per seguire la conversazione, tese una mano che fu afferrata da Rose senza troppa esitazione.
Lui si agitò in movimenti strambi, ma Rose era troppo imbarazzata e infuriata per seguire la musica.
  Non riusciva a muovere nessun muscolo intorpidito, mentre il sangue le si rapprendeva gelido nelle vene. Se fino a quel momento aveva trovato Malfoy insopportabilmente vanesio e arrogante, inopportuno e crudelmente molesto, adesso l’odio che tanto aveva decantato era stato filtrato dalla traccia di ogni altro possibile sentimento. Ricacciò con violenza quell’immagine delle loro mani intrecciate che nel segreto dell’oscurità l’aveva fatta sospirare. Rifiutò l’effetto ammaliante che su di lei aveva manifestato il suo ondeggiare senza inibizioni dietro i dettami della musica e attribuì queste debolezze al fascino del suo bell’aspetto, verso il quale lecitamente non si mostrava indifferente.
Con Nott però non accade. Non è altrettanto bello?
Forse di più.
  Si domandò e rispose, cedendo sempre di più al panico, mentre i propri alibi crollavano come sabbia.
Una certezza, tuttavia, rimaneva ancora solida. Lui si era voluto prendere gioco di lei, deridendola e umiliandola davanti a tutti.
Sarebbe potuto arrivare anche a baciarla.
Rabbrividì alla sola idea.
  Carter, accortosi della sua rigidità, afferrò le sue mani e prese a farla volteggiare, improvvisando un ballo poco inerente con la musica assordante. Lui le cinse il fianco con una mano e con l’altra la guidava in diverse giravolte, allontanandola da sé e poi riprendendola tra le sue braccia.
Rose non poté fare a meno di ridere davanti allo sguardo divertito di Carter e si lasciò guidare dalle sue improvvisazioni.
  Avvertì il suo sguardo marcarle scie roventi sulla pelle, senza darle un attimo di tregua. Se lo sentì addosso e lo immaginò mentre la faceva sua e studiava i suoi movimenti. Non resistette al bisogno di incrociarlo e si stupì quando le parve contrariato, corrucciato in una smorfia infastidita.
Si sentì spintonare e cadde tra le braccia di Carter. Si voltò per riconoscere in Eloise l’artefice di tanta impetuosità,  appena prima che questa afferrasse il volto di James e gli stampasse un lungo bacio sulle labbra.
 
Qualche ora più tardi, furono interrotti dalla Mcgranitt che sbraitò brandendo una mazza da scopa e ordinò a tutti di tornare nei propri dormitori.
Rose, lasciò Joa e le altre alle prese con i conati di vomito di Eloise e si precipitò con Albus in infermeria per sottrarre dalle scorte di Madama Chips qualche flacone di pozione anti-sbronza.
  In un’altra occasione avrebbe mandato Johanna, per concedere ai due una passeggiata solitaria, ma alla possibilità di trovarsi sola con Candice e Melissa, avrebbe preferito un incontro romantico con Arrows.
  Rose aprì lentamente la porta e sgattaiolò nella grande stanza dell’infermeria dove qualcuno dormiva profondamente. Trovò la porta dell’ufficio di Madama Chips aperta e si concentrò subito sul grande armadio di legno dietro la scrivania, riconobbe facilmente la pozione e la sottrasse rapidamente.
Si precipitò fuori dall’ufficio, esibendo un’agilità che non le apparteneva e infatti urtò violentemente un piccolo carrello di ferro dietro di sé, troppo piccolo per produrre un frastuono tanto strepitante.
  Guardò verso il letto del ragazzo per vedere se si fosse svegliato, ma lo trovò vuoto. Si guardò intorno allarmata, non identificandolo da nessuna parte.
Quando si voltò, Isidore era dietro di lei e le studiava il volto serio. Dalla bocca di Rose uscì un urlo strozzato ma troppo basso perché Albus, custode dietro la porta, potesse udirla.
  Nel buio pesto la ragazza non riuscì a scorgere molto sul suo volto, ma avvertì lo sguardo che la studiava irrequieto. «Tutto bene, Rose?» disse, aggiungendo un sorriso stentato.
  «Professor Perkins. Volevo vedere Madama Chips» disse Rose ma la voce le tremava visibilmente. Si affrettò a nascondere la fiala sotto la manica. «Ma, ripensandoci, mi sento molto meglio. Buonanotte». Rose compì uno sforzo considerevole per convincere i propri piedi a muoversi e corse fuori dall’infermeria prima che lui avesse il tempo di rispondere. Afferrò Albus per il braccio senza arrestare la corsa.
  «Che diavolo hai combinato?» le disse mentre percorrevano i lunghi corridoi.
Rose si voltò per accertarsi che Isidore non li seguisse, mentre il cuore le batteva impazzito nel petto.






Francese. Vicolo cieco.







 

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Capitolo 8
*** Depanneur ***


 
Sarà nella solitudine che capirai cosa è giusto fare,
cosa vale la pena tenere e cosa lasciare andare.



 

CAPITOLO VIII
 

Depanneur




 
I giorni successivi alla festa dei Grifondoro furono i più impegnativi che Rose si trovò a vivere da quando era ad Hogwarts.
Le difficoltà iniziavano nel suo Dormitorio, dove ogni mattina veniva svegliata dai pianti isterici di Eloise, seguiti da possibili e impossibili stratagemmi per evitare di mettere piede fuori dalla Torre. Rose era terribilmente curiosa di conoscere la reazione di James in seguito all’accaduto, ma preferì evitare l’argomento. Eloise, quindi, aveva ben deciso di frequentare il Castello il meno possibile, rendendo il filo conduttore tra Rose e Candice sempre più flebile: i pasti si consumavano in un opprimente silenzio, che aleggiava intorno al quartetto come un macigno sulle loro spalle.
  Per Candice ignorare Rose fu ciò che di più naturale potesse fare. Assorbita totalmente da Nott e spalleggiata da Melissa, la quale vedeva nel ragazzo la più grande benedizione sociale che potesse colpire l’amica, sembrava proiettata in un universo parallelo, in cui la Candice che tutti conoscevano, quella dolce e genuina non esisteva più.
  Il cielo terso si colorava di brevi virgole luminose che si infrangevano contro di esso. La quiete di quel manto stellato che rivestiva la Sala Grande era uno degli ultimi spettacoli della bella stagione, mentre il freddo tetro di ottobre sopraggiungeva.
Una ragazzina di Grifondoro le passò accanto, sussultò quando si accorse di lei e si affrettò a porre rimedio a questa sua mancanza, sbracciandosi goffamente per salutarla. Rose le rivolse un falso sorriso entusiasta. Si premurava di essere cordiale ma credeva, dopo tutto quel tempo, di aver smesso di sembrare realmente felice di salutare ogni persona che le passava accanto.
  Gli unici che aveva piacere di vedere quella sera erano gli studenti Serpeverde, con i quali poteva evitare di indossare maschere di entusiasmo, abbandonandosi ad una rincuorante indifferenza davanti alle loro espressioni disgustate.
Erano dei bravi ragazzi, quei Serpeverde.
  Sulla soglia della Sala Grande l’intera scuola aveva ormai preso posto e consumava l’ultimo pasto della giornata nella placida quiete che accompagna il terminare delle lezione Mentre lei lì aspettava il cugino in un’ attesa che le sembrava eterna.
   «Buonasera Rose» pronunciò la voce vellutata di Vincent Nott.
Lei alzò appena la testa nella sua direzione. Un cenno rapido per comunicargli che sì, si era accorta della sua presenza e no, non gli avrebbe concesso di più. Candice al suo fianco esibiva la migliore delle sue espressioni altezzose, o forse l’unica che Rose le avesse mai visto indossare. Strinse la mano del suo uomo e insieme si incamminarono, probabilmente verso le porte dell’Inferno.
  «Problemi in Paradiso, Weasley?».
A proposito di Inferno.
Rose sbuffò un po’ di aria nervosa  e  richiamò alla mente tutti gli incantesimi di schianto dal suo vasto repertorio.
  «Oggi volatilizzati più in fretta del solito» disse, guardando oltre la spalla del ragazzo che lo fronteggiava.
Scorpius Malfoy sfoggiava un’aria trasandata, lasciando che la camicia sfuggisse dal vincolo dei pantaloni e che i capelli volteggiassero disordinati sugli occhi. L’espressione sempre beffarda e vispa consolidava quel minuzioso disegno di scomposta indifferenza, ma i lineamenti raffinati, il taglio elegante dello sguardo, quel naso appuntito, troppo serio e nobile, inficiavano tutto il suo impegno.
Lui non diede peso al consiglio della ragazza «Sbaglio o la tua amichetta del cuore non ti ha nemmeno salutato?».
  «Il giorno in cui ti parlerò della mia vita privata saprò di essere caduta davvero in basso» tagliò corto lei.
  «Pensavo che stessi grattando il fondo già da un po’».
  «Ciò che gratto sono solo i tuoi capelli platinati, Malfoy» disse, evidenziando il concetto con una ben collaudata smorfia di disgusto.
Le labbra di lui si arricciarono in un pigro sorriso. «Sei sempre un fuoco» mormorò con una placidità che rese le parole quasi un sussurro.
Rose sollevò gli occhi al cielo, avvertendo il lento graffiare delle unghie contro i palmi contratti. «Se ti piace il fuoco, ti faccio provare uno dei miei migliori incantesimi» ruggì, mentre il desiderio di prenderlo a pugni divorava le mani frementi.
Albus Potter intanto si esibiva in un rilassato ingresso, varcando le soglie dell’immensa Sala e raggiungendo i due amici con una flemma da Serpeverde, che lo rendeva così simile a Malfoy.
  «Ehi Ross».
La ragazza interruppe ogni più innocente proposito di devastare il volto dell’ultimo discendente della casata Malfoy, per indirizzare la propria ira verso il cugino, mentre lì impalato la fissava, sistemandosi gli occhiali sul naso, con quei suoi capelli indomabili. «Grazie per esserti degnato di venire» sbottò al culmine dell’irritazione.
Si voltò e si diresse verso il luogo più isolato del tavolo dei Serpeverde.
 Albus tirò la manica dell’amico. «Che hai combinato?».
 «Niente» disse Malfoy e poi lo guardò storto  «Perché te la prendi con me?».
Albus lo guardò circospetto. «Perché quando Rose è incazzata ci sei sempre di mezzo tu» disse. Si avvicinarono insieme al tavolo, poi Albus aggiunse «Sparisci adesso. Ceno da solo con Rose».
 «Voi cugini Weasley-Potter dai modi così gentili» rispose con un cipiglio annoiato, prima di avergli dato le spalle.
Rose osservò di sbieco il cugino sedersi di fronte a sé. Alzò impercettibilmente la testa per seguire con lo sguardo Malfoy mentre prendeva posto dall’altro lato della tavolata, accanto a Carter Zabini e a Kate Hastings.
Sentì le viscere contorcersi, il sangue ribollire nelle vene. Non fece in tempo a distogliere lo sguardo irato, che Scorpius Malfoy sollevò l'attenzione su di lei e le strizzò l'occhio.
 «Polpettone?» chiese Albus, porgendole un piatto e una caraffa di succo di mirtilli.
Rose accettò in silenzio e riportò l’attenzione dove il biondo dei suoi capelli splendeva come un faro, ma non incontrò più il suo sguardo.
Albus gustava con trasporto il contenuto del suo piatto mentre la osservava sorridendo, con uno sguardo così presente e insistente da richiamare l’attenzione di Rose.
 «Desideri qualcosa in particolare?» chiese lei.
 «No» disse, continuando a osservarla e a sogghignare compiaciuto.
 «Che cosa c’è?».
Lui scrollò le spalle, ingoiando un grosso boccone. «Nulla».
Il ruminare di Albus si fece sempre più intenso. Rose si stava preparando ad addentare una patatina, quando alzò lo sguardo sul cugino e lo scoprì ancora a fissarla, sorridendo ovviamente.
 «Per le mutande di Merlino, Albus sei snervante» sbottò. Poggiò rassegnata la forchetta, che ancora trafiggeva la patatina. «Se non mi dici che cos’hai giuro che ti uccido» disse con solennità.
Albus non si scompose davanti a quella minaccia.
 «Credevo volessi cenare da sola con me questa sera» disse lui, addentando ancora il polpettone e studiandone il contenuto con fare esperto.
 «Infatti».
Il ragazzo sollevò gli occhi al di sopra degli occhiali e li fisso in quelli della cugina. Tra i pensieri di Rose fece capolino il ritratto di Albus Silente.
Maledetto Albus.
Dopo quella che parve un’eternità, abbassò gli occhi sulle proprie mani congiunte, con fare meditativo e annuì lentamente, poco convinto.
Rose lasciò scorrere qualche secondo che scandì nella propria mente, come gli ingranaggi di un orologio regolano il corso delle lancette. Poi sbottò.
 «Albus!».
Il ragazzo decise di parlare. «Se preferisci posso chiedere a Scorpius di unirsi a noi».
Il cugino la guardava, spalancando i grandi, ammalianti occhi languidi, contornati dalle lunghe ciglia da cerbiatto: l’espressione innocente più irritante che Rose avesse mai visto.
Lei si schiarì la voce e parlò molto lentamente. «Se preferisci posso appenderti alla Torre di Astronomia».
 «Sei sempre più simile a Johanna».
 «E tu a Malfoy».
I due ragazzi si guardarono nel breve silenzio. Poi Albus lo spezzò con un impeto che sapeva più di insolenza Serpeverde che di coraggio Grifondoro.      «Quindi devo piacerti parecchio».
La pagnotta di pane, che riposava nel cestino accanto a loro, fu scagliata come una lancia dalle mani di Rose, attraversò con un tratto letale le due estremità del tavolo, sfiorò la testa del destinatario, prontamente piegato verso il basso, e precipitò alle sue spalle, scomparendo nella folla.
Albus riemerse dai meandri del pavimento, accasciandosi sul tavolo  in una fragorosa risata.
Rose affondò le mani sul duro legno del tavolo e si sporse verso il cugino, guardandolo minacciosa «Ti sei bevuto il cervello?». Le risa del cugino divennero sussulti incontrollati, mentre diverse teste si voltarono nella loro direzione «Finiscila Al».
Il ragazzo raccolse le ultime tracce di ilarità apparse in due piccole lacrime dall’estremità degli occhi e si ricompose. «Scusa, non ho resistito» disse con la voce ancora scossa.
Rose lo guardò profondamente offesa. «Anche tu con questa storia, davvero?».
Albus prese a grattarsi il mento e alzò gli occhi saccenti su di lei «Sono sorpreso, lo ammetto» disse, poi scosse le spalle. «Per lo meno per quello che è successo in Biblioteca e tutta quella storia».
La bocca di Rose si spalancò di diversi centimetri e rimase così per un tratto di tempo talmente lungo che Albus fu costretto ad alzare gli occhi al cielo, sbuffando spazientito e a riprendere la cena in solitudine.
  «Che cosa ti ha detto?» chiese con voce stentata.
Albus continuava ad infilzare con piacere il suo polpettone. «Nulla» biascicò.
 «Albus non ricominciare» implorò lei.
Il ragazzo deglutì e accompagnò il boccone con un lungo, quasi eterno sorso di succo di zucca. Quando tornò alla cugina lei lo fissava con uno sguardo sospeso tra la disperazione e la follia omicida.
 
«Niente» ammise a quel punto. «Scorpius non mi parla di te. A meno che ricoprirti di insulti possa essere considerato raccontarsi a cuore aperto.» spiegò lui.
Rose seguiva appena il vagheggiamento del cugino, mentre la mente avida era pronta a segnalare il primo pretesto per alzarsi e spaccare la faccia a Malfoy davanti a tutto il corpo docenti, con tanto di McGranitt a giudicare l’incontro. Sapeva che le parole del cugino glielo avrebbero rivelato di lì a poco.
 «Smettila con le tue paranoie, Ross» esclamò Albus, in difesa dell'amico. «Ho solo sentito che ne parlavate alla festa dei Grifondoro».
Lei si riscosse dai propri progetti e lo guardò attenta. «Che cosa?» esclamò.
Il ragazzo si schiarì la voce e la abbassò notevolmente, rendendola quasi un sussurro «Se mi vuoi parlare di quello che è successo in biblioteca, io sono qui».
Rose gli riservò un penetrante sguardo truce, che il cugino accolse alzando i palmi delle mani in segno di resa. Afferrò la forchetta che ancora trafiggeva la patatina e divorò questa con rabbia. «Non è successo nulla in biblioteca» ringhiò, premurandosi di riproporre quello sguardo di zia Ginny davanti al quale tutti i maschi Potter fuggivano atterriti.
Albus deglutì e mormorò «E’ evidente».
Passarono diversi secondi di silenzio opprimente. Rose avrebbe voluto sbirciare il comportamento di Malfoy, ma qualcosa nello sguardo del cugino la convinse che quella non sarebbe stata la mossa più saggia per liberarsi dalla sua molesta insinuazione.
Iniziò a maledire quel fatidico giorno in biblioteca in cui qualcosa tra loro era successo e qualcosa in lei era cambiato. Non poteva credere che solo lei fosse stata scossa da quel contatto, che il suo lambire la mano accaldata di Rose, nel modo più sensuale che il suo corpo avesse mai sperimentato, non avesse turbato anche la sua fredda indifferenza.
Lui sapeva sempre come comportarsi, come agire per far crollare le certezze degli altri.
Sapeva demolire anche quelle di Rose, nel gioco spietato e prepotente cui loro avevano dato inizio dal primo anno?
Un gioco che aveva assunto pieghe inaspettate, che era penetrato sotto la pelle, squarciando la carne e trafiggendo il petto. Un gioco che aveva sovvertito ogni regola.
Possibile che lui non ne fosse minimamente scalfito?
La sua risata fresca le annebbiò la mente ed oscurò ogni altro pensiero. Lo osservò piegare la testa all’indietro in un gesto così attraente che Rose desiderò essere lì per accarezzare quei capelli.
  «Se non è successo niente, perché continui a fissarlo?» intervenne Albus con le sue parole rapide e sferzanti, potenti come un secchio di acqua gelata.
Rose odiò il suo sopracciglio alzato e gli occhi semichiusi in un’espressione consapevole. Detestò la sua attenzione, il suo acume, la sua infinita capacità di comprendere gli altri prima che ci riuscissero loro stessi.
  «Dio Albus, dobbiamo parlare di questo per tutta la serata?» sbottò lei, alzando gli occhi al cielo.
Albus le concesse un sorriso indulgente e annuì. «Va bene» disse «Parliamo del perché Joa è la tua nuova compagna di banco?». 
Maledizione.
 

 
- § -
 
 

  «E’ tutta una questione di concentrazione. Mi seguite?».
Diverse risposte affermati fecero da coro alla domanda del professore con un profondo sospiro femminile.
  «L’intenzione della difesa parte dalla mente. Se volete difendervi, potete difendervi» esclamò il professor Perkins, dinanzi al pubblico degli studenti, esibendo le mani in un volteggiare deciso.
Si alzò dalla postazione d’onore che la scrivania soprelevata gli conferiva, la arginò e si posizionò al centro dell’aula, permettendo agli occhi attenti che lo studiavano di non perdere un solo gesto delle sue mani affaccendate. Gli sguardi assorti e sognanti delle studentesse seguirono il movimento del professore, ma, a discapito dell’intenzione di quest’ultimo, il loro interesse era rivolto avidamente a tutt’altro che le sue nobili mani.
  Qualche collo si allungava più di quanto fosse stato concesso al copro umano con squittì gioiosi e malgraditi dai ragazzi, che informavano della loro opinione a riguardo con rantoli cavernosi.
  «Non mi interessa una classe di spettatori» dichiarò il professore. Agitò le suddette mani sceniche, proponendo un elegante ma energico sollevamento dell’aria, seguito, come da consuetudine, da diversi sospiri eccitati. «In piedi».
  Solo alcune tra le ragazze balzarono dalla loro sedia per procurarsi i posti in prima fila. La maggior parte, ancora intontita, abbandonava il viso privo di qualunque forza o contatto con la realtà sul palmo della mano aperto, pronto a sorreggere il dolce peso dell’infatuazione. Quando si riscossero, la corsa frenetica che ne seguì fu pari alla fuga delle anime dalle fauci dell’Inferno.
  «E’ una cosa patetica» dichiarò Malfoy in piedi con le braccia incrociata e le gambe leggermente divaricate in un atteggiamento sfacciato. Arrogante era lo sguardo che occasionalmente rivolgeva ai dettami del professore. Voltò la testa verso l’amico alle sue spalle alla ricerca di sostegno.
  «E’ il mondo femminile» spiegò semplicemente Albus, scuotendo le spalle.
Rose al suo fianco lo incenerì con lo sguardo.
  «E tu che ci fai qua?» le chiese Malfoy, scrutandola dal basso verso l’alto. «Sono sorpreso di non vederti in prima fila, strappandoti la maglietta, tutta eccitata».
Il calcio poderoso di Albus lo colpì sullo stinco e lui si piegò a tastare l’arto ferito, gemendo.
  «Questo è quello che intendevo quando ti pregavo di “non esagerare”» soffiò Albus al suo orecchio, abbassandosi per raggiungere l’amico agonizzante.
Rose si sporse appena per osservare il ragazzo contorcersi dolorante e sorrise clemente, pensando che per quella giornata poteva esonerarsi dal mandarlo al diavolo.
Albus, approfittando della distrazione dell’amico, si rivolse in un sussurro alla cugina. «Sono davvero così identici?» chiese.
Rose lo guardò confusa, poi seguì il suo sguardo e incrociò il volto del professor Perkins e capì. Annuì con espressione seria. «Ti dico che sono la stessa persona».
  L’espressione che si dipinse sul volto di Albus fu di sgomento misto a terrore. Albus era sempre preoccupato per le conseguenze. Di azioni, parole, gesti ed espressioni. Albus esaminava e ponderava, rifletteva e dubitava e forse a quel punto agiva.
  Per questo Rose non si sorprese della sfuriata che lui le scaraventò contro come una tempesta  di vento e fulmini, quando lei ebbe finito di raccontarle la storia del diario e delle sue conseguenze.
  «Se non ci credi te lo posso mostrare» sussurrò Rose, «O meglio, te lo può mostrare».
Il cugino guardava fisso davanti a sé, mordendosi il labbro, nervoso. Le lanciò un’occhiata fugace, sufficientemente eloquente. Non le ci volle molto per capire che non aveva gradito la proposta.
  «Sei totalmente irresponsabile, te l’hanno mai detto?».
Sì, mia madre e … mia madre e lo zio George. Ma non credeva che lo zio intendesse il giudizio in un’accezione negativa.
  Rose gli strinse la mano vicina alla propria «Per questo ho bisogno della tua guida, Sev» mormorò in un sussurro suadente e appena udibile.
Albus si passò stancamente una mano sulla fronte esausta «Non ci provare nemmeno» disse e poi abbassò lo sguardo sulla mano delicata e candida di lei, che lo stringeva in una muta, intima richiesta di protezione. «Mi limiterò a tenere d’occhio Vincent, se questo può tranquillizzarti».
  «Sarebbe fantastico» disse Rose in un sospiro.
  «Vincent è mio amico, Rose».
  «Lo so».
Gli occhi di lui si inabissarono in quelli azzurri di lei, ma erano fermi e severi. «Vacci piano». Rose annuì in silenzio e sciolse l’intreccio delle mani.
  Una risatina sommessa e acuta la informò che Kate Hastings era stata scelta dal professore per dare prova alla classe di come si praticasse un perfetto incantesimo di disarmo. Rose fece un paio di passi in avanti e si fermò accanto a Malfoy.
  «Adesso avrai un buon motivo per odiare Perkins» disse lei, senza staccare gli occhi dalla Hastings che portava una mano a coprire la bocca e uno squittio, in un gesto civettuolo e sensuale.
  Lui la guardò di sbieco, un po’ confuso, quando la vide avvicinarsi e piegò le labbra in un mezzo sorriso al suono delle sue parole. «Che c’è, sei gelosa Weasley?».
  «Di chi dovrei esserlo?» domandò con tono di sfida.
Riportò gli occhi sulla figura di Perkins e indugiò su di essa con ostentazione, non prima di aver visto la sorpresa invadere gli occhi freddi di Malfoy, poi il dubbio e una sfumatura di rabbia che li aveva fatti vibrare, mentre ancora la fissavano.
Lui tornò a guardare Perkins con maggiore odio.
 
Il dormitorio di Grifondoro era deserto alle 4 del pomeriggio, dopo la lezione di Difesa.
Rose si barricò nel proprio letto, chiudendo le tende del baldacchino, come i cancelli di una fortezza. Avvolta nelle cortine rosso fuoco, liberò il diario di Penelope da quel vincolo di segretezza e vi si inabissò.
Penelope setacciava i corridoi bui del Castello, la spilla da Prefetto ben in vista. Procedeva con passo spedito, sembrava smaniosa di terminare la ronda il prima possibile. Con la bacchetta stretta in pugno illuminava le aule vuote senza guardarle veramente.
  Rose avvertì un rumore proveniente dal fono del corridoio. Penelope allarmata alzò la bacchetta ma proseguì in quella direzione senza il minimo indugio. Qualcuno la afferrò per le spalle e lei lanciò un urlo, voltandosi di scatto. Rose si avvicinò per vedere meglio il viso di Isidore illuminato dalla bacchetta.
  «Davis, potrei procurarti una bella punizione. Non dovresti andare in giro a quest’ora di notte».
  «Ne è valsa la pena, di correre il rischio» lui le accarezzò le braccia e la attirò a sé «Sapevi che sarei venuto».
Una smorfia seducente seguitò quell’invito e lei non esitò nella sua provocazione «Ci speravo» disse in un sussurro.
  Isidore si avvicinò maggiormente alla ragazza ma questa si ritrasse con un sorriso. Lui la guardò confuso e lei gli prese la mano senza parlare. Si guardò intorno ed entrò nella prima aula vuota che riuscì a raggiungere. Lì dentro al buio, poggiò le labbra su quelle del ragazzo, mentre lui la conduceva verso il muro più vicino e a questo la bloccava con il proprio corpo.
I due ragazzi iniziarono a muovere le labbra più freneticamente, bramando altri baci, mentre le loro mani esploravano il corpo dell’altro.
  «Non immagini quanto ti desideri» sussurrò Isidore all’orecchio di Penelope mentre con le labbra percorreva i tratti del collo fino a raggiungere il petto. La ragazza piegò la testa di lato per agevolare il percorso della sua bocca e inarcò la schiena quando lui fece combaciare perfettamente i loro corpi. Isidore la sollevò per le natiche e la fece sedere su un banco continuando a baciare ogni singola parte del suo viso.
  L’eco di passi li fece separare di colpo.  Penelope aprì di poco la porta mentre Isidore si riallacciava la camicia. 
  «Dobbiamo andare. Sta arrivando qualcuno» bisbigliò lei e insieme percorsero il corridoio in silenzio.
Un miagolio li fece sobbalzare: la gatta di Gazza li guardava con i suoi grandi occhi e miagolava per chiamare il padrone.
  «Mrs Purr, dove sono?». Risuonò la voce gracchiante del custode.
I ragazzi corsero freneticamente, ridendo all’immagine del vecchio custode che si affaticava alle loro spalle. Raggiunti i sotterranei, Penelope lasciò un bacio frettoloso sulle labbra di Isidore.
  «Dove pensi di andare?».
Isidore le afferrò la mano e la fece tornare tra le sue braccia. Lei accetto volentieri le sue labbra morbide e la lingua che lambiva dolcemente le proprie.
  «Devo andare».
  «Non stanotte».
Senza abbandonare le labbra di Penelope, aprì l’ingresso della Sala Comune di Serpeverde e la trascinò con sé.
 
Improvvisamente le immagini si confusero tra loro e Rose perse di vista i due ragazzi.
Ritornarono nitidi nel prato del campo da Quidditch, cosparso di foglie autunnali. Rose capì che questa serie di ricordi erano precedenti a quello che aveva visto la prima notte.
  «Lo devo ammettere, sei davvero negata».
Isidore era disteso sull’erba, le braccia dietro la testa e con un ghigno divertito guardava la ragazza che si divincolava su una scopa.
  «Come osi?» esclamò «La scopa si è alzata in aria, non vedi? Sto volando» disse lei entusiasta.
Isidore scosse la testa divertito «Sì, se stessi andando su un’altalena» dichiarò e poi si piegò sui gomiti per meglio osservare la scena e conferirsi un certo tono. «Chiudi le gambe, incurva la schiena. Le mani  più avanti e raddrizza i piedi».
Penelope cercò di seguire tutte le correzioni e per poco non perse l’equilibrio. La risata di Isidore contribuì ad accrescere il suo imbarazzo.
  «Per carità scendi, sei un’offesa per ogni manico di scopa. Persino quelle della scuola sarebbero imbarazzate se ti potessero vedere» sghignazzò lui.
  «Perché non mi aiuti invece di stare lì a fissarmi?». Penelope toccò terra rassegnata e si avvicinò al ragazzo brandendo la scopa come un’arma. «Mi inibisci e mi irriti con i tuoi commenti» si lamentò. Quando tentò di colpirlo, lui bloccò il colpo, afferrò il manico e lo tirò verso di sé, lasciando che la ragazza atterrasse sul suo corpo.
  «Perché sei troppo carina quando ti impegni in qualcosa che non sai fare» sussurrò.
 Invertì la posizione e si sistemò sopra la ragazza, baciandole il collo.
  Penelope scoppiò a ridere e tentò di allontanarlo.«Vai via, sono ancora arrabbiata con te» esclamò, in un vano tentativo di ristabilire il suo contegno.
Lui abbandonò il collo e passò a sfiorare delicatamente le guance con le labbra.
  «Ti prego non smettere di ridere, credo di non poter vivere senza il suono della tua risata e il profumo della tua pelle ... » iniziò ad annusarle il collo «... e il sapore delle tue labbra» e su di esse si fermò.
  «Sei sempre il solito» disse Penelope con un sorriso che coinvolgeva anche i suoi occhi solitamente freddi. Con la mano vagava fra i capelli del ragazzo, lasciandoseli scorrere fra le dita.
  «Quale incantesimo mi hai fatto? Mi hai rubato il cuore e l’anima ».
Rose fu certa di aver colto gli occhi della ragazza illuminati da una luce di beatitudine prima che le immagini si confondessero nuovamente.
 


 
- § -
 

 
Quella coltre buia tempestata di stelle rischiarava l’oscurità della biblioteca, trafiggendo le ampie vetrate con i suoi mosaici di colori incastonati.
  Rose strinse con forza le dita intorno ai cerchi dorati del portone di quercia antica. Poi rilassò le mani e sciolse la stretta. Fece qualche passo indietro, ma si riscosse subito e avanzò nuovamente. Le mani tornarono ad avvolgere il ferro gelido degli anelli, ma indugiarono ancora un po’. Forse un po’ troppo perché qualcuno dall’interno spinse le due ante, che le finirono addosso e lei fu costretta a ridestarsi e a farsi forza.
  A quel punto non poteva più tirarsi indietro, perché Malfoy, poggiato contro il tavolo in fondo al corridoio, la stava guardando. Agitava la bacchetta con una noia sfacciata e lasciava che gli utensili disposti disordinatamente sul tavolo si affaccendassero nell’accurato compito di esaminare la pianta di Centinodia.
  Madama Pince scrutò perplessa la marcia dignitosa di Rose verso il tavolo, a suo dire troppo vigorosa per essere ammessa nella culla della sapienza e della riflessione. Il suo volto si contorse in un’espressione oltraggiata quando Rose scaraventò la propria borsa e tutto il suo pesante contenuto sul tavolo, dove lo spettacolo inscenato dal ragazzo proponeva la stessa quiete che si sarebbe avuta ad una festa di paese.
  Malfoy, che intanto aveva seguito con lo sguardo i suoi sfrenati movimenti, sobbalzò e lasciò andare l’incantesimo che sorreggeva gli oggetti animati, i quali caddero al suolo con un tonfo improponibile.
Il gemito di dolore della bibliotecaria li convinse a prendere posto, per riproporre una parvenza di ordine.
Rose prese a frugare nella sua borsa, tirò fuori una dozzina di fogli di pergamena che affiancò ad un grosso libro e iniziò a confrontarli. Poggiò davanti a sé una grossa clessidra, che scandiva il tempo attraverso l’inevitabile corsa dei suoi granelli di sabbia.
  «Buonasera anche a te» mormorò Malfoy in un sussurro morbido e fermo.
Rose alzò la testa dalla pergamena solo per afferrare un altro libro. Condusse per un istante i propri occhi ad incontrare quelli di lui, ma ritornò l’attimo dopo alle proprie faccende.
  Eccone un altro che la salutava come se nulla fosse accaduto, proprio come Nott il giorno prima.
Questi ragazzi Serpeverde mi faranno diventare matta.
  Malfoy sbuffò ed emise un verso altezzoso, evidentemente indignato da quel trattamento. Rose provava particolare piacere nel constatare la debolezza del suo tentativo di palesare indifferenza, quando i geni di altera superiorità prendevano il sopravvento.
  «Fa’ come vuoi, Weasley» sibilò gelido.
Rose arrestò la corsa frenetica della piuma sulla pergamena, davanti a quella che aveva tutta l’aria di essere una minaccia. Lentamente arrivò a fissare il volto rilassato di Malfoy, ma ovviamente lui non la guardava.
  «Non mi è mai servito il tuo permesso per farlo».
Lui alzò gli occhi al cielo «Questo lo so benissimo».
  Rose grattò con la punta della piuma l’estremità più scura della pergamena, lasciando piccole tracce del proprio nervosismo «Almeno hai fatto qualcosa di utile in mia assenza?»
  Malfoy indicò la pianta e tutta l’attrezzatura che la circondava «Questo ti sembra niente? Ho monitorato Petunia e le ho versato il Composto per la Rigenerazione come avevamo stabilito l’ultima volta» chiarì lui, guardando fiero il proprio lavoro. «Tra una mezz’ora potremo iniziare ad osservarne gli effetti».
  «Non ci sarà bisogno di aspettare».
  «Come?».
Rose continuava a sfogliare le pagine del tomo di Erbe Fantastiche & Dove Trovarle. Rilesse un paio di volte un concetto particolarmente difficile e poi pensò di rispondere alla domanda del suo compagno di studio. «L’ho già fatto io questa mattina».
  «Come?» disse con un tono di voce sempre meno simile ad un sussurro.
  «Sei ripetitivo Malfoy e abbassa la voce, disturbi la gente».
Rose vide con la coda dell’occhio le dita chiudersi a pugno, mentre i muscoli del braccio si contraevano sotto la leggera camicia.
  «Perchè diavolo non mi hai avvisato?». Le iridi verdi si accesero di una luce irata, sciogliendo il ghiaccio che le intrappolava.
Rose sbuffò e si girò verso di lui con aria seccata. «Perché a te non importa di niente e di nessuno. Affidarti una responsabilità è stata la cosa più stupida che abbia fatto» disse lei, mentre avvertiva il calore raggiungerle le gote e colorarle. Respirò profondamente e concentrò la tensione sui piedi, che presero a tamburellare sotto il tavolo.
Malfoy si abbandonò sulla sedia e si fermò a guardarla sorpreso.  «Si può sapere che cosa ho fatto questa volta?».
La prima risposta di Rose fu un grugnito. Poi arricciò le labbra e biascicò un severo «Niente».
  «Forse saresti un po’ più convincente se riuscissi almeno a guardarmi».
Lo sbuffo con cui Rose mise un punto alla prima pagina di pergamena fu carico di irritazione. Si voltò verso Malfoy e lo trovò completamente disteso contro la sedia, mentre un braccio era inaspettatamente finito ad avvolgere lo schienale di Rose. Si premurò di rivolgere un’occhiataccia all’arto che le sfiorava le spalle e gli rispose «Niente di nuovo, Malfoy».
  Lui soffiò una risata scettica, poi si passò una mano incerta tra i capelli. «Non posso credere di stare facendo una conversazione del genere con te» disse. Rose intanto era tornata a dedicare la propria attenzione al libro di Erbologia. Il ragazzo si piegò verso di lei e con un unico, deciso colpo lo chiuse davanti al suo sguardo allibito. «E’evidente che il tuo niente voglia dire che ce l’hai a morte con me».
  Rose lasciò che le sue labbra si dischiudessero in un’espressione sbigottita, mentre lo guardava come se fosse impazzito. «Già, allora è tutto nella norma» disse lei. «Perché d’un tratto ti interessa?».
  «Perché tu fai di tutto per farmelo pesare» disse lui, guardandola con serietà. Si sporse ancora di più verso di lei e quando furono abbastanza vicini, sussurrò «Stai chiedendo attenzioni».
  «No, non è vero» protestò lei. Una mano si poggiò sul suo petto duro, accarezzando le pieghe del maglione e con forza lo spinse via da sé.
Questa volta la sua risata fu più potente e il suo suono fresco scompigliò i pensieri di Rose.
  «Sei irritante e impossibile, lo sai?» sospirò lui con un sorriso divertito a dipingergli il volto. «Sei più irritante di tutte quelle che mi fanno scenate da fidanzate o mi perseguitano alle festa ...».
  «Sì ti prego, ricordamelo ancora» sbottò lei con un tono di voce che non riuscì a controllare. La testa di Madame Pince comparve tra due scaffali, portando con sé uno sguardo ammonitore e facendo sobbalzare Rose. Solo in quel momento realizzò di aver dato voce ai propri pensieri.
  «Cosa hai detto?» esclamò Malfoy.
  Il panico iniziò a divorarla come una lenta e cocente lingua di fuoco, che dal pavimento si sprigionava infuocandola tutta.  Prima che raggiungesse le sue gote traditrici, allontanò da sé quei due occhi beffardi e assunse un’aria indifferente.
  Aprì nuovamente il libro e con un estremo sacrificio cercò di decifrare le parole incomprensibili che le saettavano davanti agli occhi, mentre lo sguardo insistente di Malfoy la conduceva sempre più lontano dalle Capacità Straordinarie della Pianta di Centinodia.
  Le dita delicate del ragazzo le accarezzarono il braccio per richiamare la sua attenzione. Il proprio balzo inaspettato e lo schianto della sedia contro lo scaffale alle proprie spalle furono la prova che l’autocontrollo di Rose stesse cedendo sempre di più.
  «Devi smetterla di fare così» urlò.
  «Così come?» chiese lui. «Che cosa ho fatto?».
Madama Pince sembrava aver superato il livello di tolleranza e si manifestò da dietro uno scaffale con tutta la propria alterigia. Sembrò particolarmente turbata nel constatare quel comportamento molesto da parte della sua alunna preferita. «Signorina Weasley, per tutti i Calderoni!» brontolò, aggiustandosi con mano tremolante gli occhialetti sopra il naso adunco. «Non vorrà costringermi a cacciarla».
  Rose, in piedi davanti alla sedia rovesciata, le rivolse uno sguardo vitreo.
La bibliotecaria la guardò preoccupata, poi si affacciò dietro le sue spalle per scorgere la figura di Malfoy tutto rilassato, stravaccato sulla sedia ad osservare lo spettacolo. Soffiò un gemito indignato, scuotendo la testa, prima di allontanarsi.
  «Siediti, squilibrata» fece lui, indicandole la sedia che cingeva con un braccio.
La ragazza studiò a malincuore le pieghe della camicia in tensione, mentre avvolgevano il suo braccio forte. Quella mano, protesa verso di lei, era più grande di qualche anno fa e lungo il dorso si distendeva una chiara peluria: era una mano da uomo.
  Le dita di Rose si chiusero sul suo avambraccio in una stretta istantanea e cocente; lo ricacciò verso il resto del suo corpo e si impossessò nuovamente della propria sedia, che si premurò di allontanare di qualche centimetro.
  Malfoy si schiarì la voce con una bassa risata. «A costo di rischiare qualche maledizione, io ho bisogno di dirtelo» sussurrò lui. «Tu sei tutta matta»
La rabbia tradì ogni suo proposito e si voltò a guardarlo. «Sei coraggioso per essere un Serpeverde».
  «Ho i miei momenti».
I granelli di sabbia iniziarono a farsi sentire, precipitando verso il fondo di vetro con un lieve tintinnio. Il tempo stava trascorrendo ad un ritmo troppo celere, mentre loro, avvolti dalla polvere degli alti scaffali e soffocati dal silenzio doveroso, pensavano a tutto fuorché al loro compito.
  Malfoy riprese a fissarla intensamente; le candide mani di Rose voltavano le pagine ingiallite; lo sguardo di lui premeva con insistenza, mentre le dita di lei tradivano irrequietezza.
Rose lasciò abilmente che i capelli le danzassero sul viso, solleticandone la guancia arrossata e in un attimo tutto il suo imbarazzo fu celato. Non avrebbe mai potuto prevedere le sue dita scattanti che si avvolgevano intorno a quelle ciocche del colore dell’autunno, per riporle con una cura meticolosa dietro all’orecchio.
  «Malfoy, ma che fai?» sbottò lei più sorpresa che infastidita. «Smettila di toccarmi, smettila di fissarmi, smettila di fare il cretino» Il suo tono di voce quasi stridulo tradiva il disagio che provava.
  «Sei arrossita».
Rose strabuzzò gli occhi. «Non mi farò domande sul tuo strano interesse epidermico...».
  «Perché sei arrossita?» domandò senza veramente attendere una risposta.
Rose chiuse il libro che inutilmente aveva tentato di decifrare e si voltò con sguardo arcigno. «Ho la pelle molto sensibile e la polvere la fa irritare» sbuffò. «Puoi aggiungerci che la tua presenza è una considerevole fonte di stress».
Il ragazzo rise di gusto e annuì soddisfatto. Poi si grattò il mento con l’indice e il medio, in un gesto che non aveva nulla di artificioso, ma che chiariva una sottile tensione. «Oppure io ti piaccio» buttò fuori in una risata stentata.
  I suoi occhi si piantarono su di lei con avidità e Rose li sentì infiammarle la pelle e penetrare nelle sue iridi stravolte. Lo sgomento la confuse, tanto che rimase imbambolata per troppo tempo, non sapendo quale strategia adoperare. Infine assunse un’espressione inorridita dinanzi a quell’aria superba e convincente, e decise di proseguire su quella strada. «Ti hanno mai diagnosticato un grave e degenerativo danno cerebrale?».
  Lui non sembrava sorpreso da quella risposta, piuttosto rimase in silenzio, come riflettendo su tale possibilità, poi aggiunse in un sussurro «E’ assurdo».
  Rose si lasciò sfuggire un impercettibile sospiro di sollievo. «Vedo che la ragione non ti ha abbandonato del tutto» disse. «Questa è una fortuna, perché il fatto di avere un decerebrato per compagno di studi, non credo possa bastare ad Arrows come giustificazione per la nostra inconcludenza».
Il silenzio fu la sola risposta che ricevette, mentre lo sguardo del ragazzo era ancora perso nel vuoto.
  «Io non sono mai stato serio» disse infine.
  «Ho avuto modo di appurarlo in questi anni».
  «Non sono mai stato serio» continuò, non prima di averla messa a tacere con uno sguardo. «quando ho insinuato un tuo interesse nei miei confronti. Lo facevo solo per irritarti» disse, tornando a fissarla con la stessa intensità con cui si interrogava.
  Rose sostenne il suo sguardo senza battere ciglio. «Vuoi un premio per questo?» disse. «Rimani un idiota e uno stronzo e non mi congratulerò con te solo perché mi stai rivelando di aver conservato un barlume di lucidità» sibilò, portando le braccia ad incrociarsi al petto.
  Malfoy sembrò non averla sentita. Poggiò il braccio sul tavolo, avvicinandolo tanto che Rose lo ritrovò all’altezza del proprio seno. Insieme ad esso protese il busto, arrivando al margine dalla propria sedia, così che non ci fossero ostacoli ad impedirgli di guardarla attentamente. Quando lei sciolse le braccia, la mano che andò a poggiarsi sul tavolo fu intercettata dalle dita del ragazzo, in un tocco appena accennato. Solo nel momento in cui quelle dita esitanti provarono ad approfondire il contatto, Rose si allontanò e balzò in piedi.
  «Ti piace fuggire da me?».
Rose si accostò allo scaffale dietro di sé e si voltò per non vedere Malfoy mentre si alzava. Lo avvertiva dietro di sé, anche se non sentiva né i passi, né il tocco, né il respiro.
  Con le dita sfiorò il dorso delle copertine di tanti libri che sfilavano tra i suoi polpastrelli; cercò di calmarsi in questo modo, respirando lentamente, ma non udiva altro che il palpitare del proprio cuore impaurito. Lui sapeva e la avvertiva che il proprio nemico, il loro nemico, era lì e lei gli offriva le spalle inermi.
  Decise di voltarsi ad affrontarlo, e di riprendere il controllo di se stessa, riportando quell’opprimente senso di impotenza ad essere solamente un ricordo del suo primo anno ad Hogwarts.
  Quando incontrò il suo volto, questo era terribilmente vicino al proprio. Gli bastò compiere un passò perché Rose indietreggiasse e andasse a sbattere contro la libreria, bloccata tra essa e il ragazzo che avanzava.
  «Fai un altro passo e ti ammazzo».
Lui piegò le labbra in un flebile sorriso sghembo, come se i muscoli facciali avessero agito istintivamente al suono della sua voce, ma gli occhi rimasero seri ed assorti completamente nella contemplazione del suo volto, dei suoi capelli, che sfiorò, lasciandoseli scorrere tra le dita, accarezzandoli e compiacendosi dell’espressione beata di lei.
  «Posso farti una domanda?» chiese, mentre poggiava la mano contro lo scaffale, all’altezza della testa di lei.
La sua fronte bianca arrivava proprio sotto le labbra di lui, ma la ragazza inclinò il capo all’indietro così da non perdere di vista i movimenti di Malfoy.
  Lui guardò il legame cromatico che la luce tenue instaurava tra quelle onde rosse, calde e affondò il naso tra di esse, inspirandone l’odore buono, fresco, un odore di shampoo e di bambina: era un odore innocente e delicato, un vero contrasto con l’aggressività di quella chioma.
Rose non si ritrasse da quell’intimità, per la prima volta chiuse gli occhi e lasciò che lui fosse padrone del proprio corpo. Annuì lievemente, attenta a non perdere il suo volto tra i propri capelli.
  La voce di Malfoy era un sussurro che le solleticava l’orecchio. «Pensi ancora di volermi ammazzare?» Quel soffio caldo e sensuale le fece girare la testa e per poco non le sfuggì un gemito.
Una gola gracchiante le giunse all’orecchio libero e si interpose tra la mente di Rose e il sospiro di Malfoy.
  «Scusate l’interruzione» pronunciò una voce dura e profonda.
Rose tornò alla realtà con una velocità che Malfoy non accettò di buon grado, considerando che si scostò svogliatamente e si pose di fronte al disturbatore, palesando, senza troppe remore, la propria irritazione.
La ragazza spalancò gli occhi e arrossì violentemente quando distinse la figura alta e severa di Isidore, che vestiva i panni del professore intransigente come mai prima di allora. Stringeva tra le dita un piccolo libro, di lettura probabilmente, le cui pagine erano interrotte dall’interferenza di un suo dito, messo lì per non perdere il filo della narrazione.
  «Forse non vi siete resi conto che questa è una biblioteca.» disse duramente. «Qui si viene per studiare. Se dovete fare altro, accomodatevi fuori».
Rose, ancora appoggiata alla libreria, non riuscì ad incontrare quel volto irrigidito. Si allontanò il più possibile dal ragazzo accanto a sé, come a voler negare ogni tipo di coinvolgimento: non sapeva se la mortificasse di più il fatto di essere stata trovata in quel modo con Malfoy o che a scovarli fosse stato Perkins.
  «Per questo ci troviamo qui» rispose prontamente Malfoy con una sicurezza più simile all’arroganza che alla sfacciataggine. «Per studiare» disse, incrociando le braccia al petto.
Nonostante l’innata compostezza del ragazzo, Rose non si sarebbe meravigliata nel vederlo strapparsi la camicia e scuotere il petto con i pugni tesi, in una dichiarata prova di superiorità fisica rispetto al rivale.
  Le iridi ambrate del professore furono coperte da un’ombra, mentre i lineamenti disegnarono una smorfia scettica. «E’ uno studio molto appassionato».
Malfoy scrollò appena le spalle e piegò il bracciò verso la direzione di Rose «Ti fa appassionare proprio a tutto».
  Quelle parole sapevano di succulenta provocazione e caricano l’aria di una energia fervente e soffocante, tanto che Rose avvertì i brividi lungo il dorso delle braccia, fino ai capelli che poco prima avevano accolto il suo volto; e nuovamente quella morsa stringente al basso ventre sembrò divorarla tanto da farle male.
  «Allora spero che non le manchi mai lo stimolo, signorina Weasley» disse, guardando Rose per la prima volta.
  «Questo non è affar suo». Fu la voce fredda di Malfoy a replicare.
Isidore si voltò lentamente verso di lui e lo guardò sorridendo. «Sta parlando con me, signor Malfoy?».
  Questa volta lui non rispose. Ignorò quell’irritante modo di trattenere il respiro che aveva la ragazza quando fremeva dal bisogno di dire la propria; piegò le labbra in un linea dura, tenendo per sé ogni replica.
  «Professore» intervenne Rose con voce serafica. «Stiamo svolgendo un compito per il professor Arrows, è una punizione in realtà» si affrettò a spiegare. Era una giustificazione la sua?
  «Forse una sola punizione non è sufficiente per farvi capire qual è il giusto comportamento» disse lui guardando ancora Malfoy.
  «Professore la prego, ci dispiace molto».
Questa volta Rose aveva compiuto qualche passo nella sua direzione, volgendo le spalle verso Malfoy ed estraniandolo da quella complicità che esisteva solo tra lei e il professore.
  Isidore, come Rose si aspettava, si addolcì. «Perché non terminate qua il vostro studio e uscite dalla biblioteca? Io farò finta di non aver visto niente» disse.
Qualcosa richiamò l’attenzione della ragazza, non appena le ultime parole del professore si ebbero dissolte nell’aria: Vincent Nott li guardava da lontano, sostava in attesa sulla soglia del portone, avvolto dall’ombra del corridoio e solo fiocamente illuminato dalla lanterna della biblioteca, creando un’immagine spettrale.
  Rose annuì brevemente e ritornò al proprio tavolo. Si scontrò con lo sguardo di ghiaccio carico di collera di Scorpius Malfoy.
Lui poggiò una mano sul libro di Erbologia e lo trattenne dalla presa rapida della ragazza. «Non ho intenzione di andarmene» disse con risolutezza, esigendo lo sguardo di Rose, non sbattendo quelle lunghe ciglia ambrate.
  «Se almeno questo è affar mio, signor Malfoy, le consiglio di seguire le decisioni della sua amica» continuò Isidore in un sussurro beffardo. «A proposito, 15 punti in meno a Serpeverde: non avrò visto niente, ma ci sento benissimo.» disse, prima di riporre il libro che ancora stringeva tra le mani e scomparire tra gli scaffali.
  Rose si affrettò a riporre il proprio materiale nella borsa, ma la mano grande e irrigidita di Malfoy afferrò la tracolla con un gesto brusco, facendo rivoltare alcuni tra gli oggetti. «Un giorno di questi dovrai dire addio al bel faccino del tuo ragazzo» ringhiò.
La ragazza gli rivolse un’occhiata truce e tirò nuovamente verso di sé la borsa, senza riuscire però a liberarla dalla sua presa. «Non è il mio ragazzo, idiota»
  Lui con estrema indulgenza allentò la forza della stretta, per concedere a Rose quella piccola vittoria, ma si assicurò di non perdere il controllo dell’oggetto o della questione. «Secondo te perché mi ha tolto tutti quei punti?».
Rose avvertì il calore tingerle le gote. Afferrò la borsa di Malfoy e gliela lanciò, quindi sistemò Petunia sul davanzale. «Perché non puoi fare a meno di sfidarlo a chi ha la bacchetta più lunga».
  Malfoy seguiva facilmente la sua rapida corsa verso l’uscita. «Vuoi dire che ce l’ha più lunga lui solo perché ha dalla sua il potere?» chiese lui, proprio mentre sfilavano sotto lo sguardo di Madama Pince diviso tra la preoccupazione e l’indignazione. Si risistemò gli occhialetti sul naso, decidendo, in ultima analisi, che il sollievo di essersi liberata di loro inficiasse persino la loro sconcezza.
  Arrivati davanti al grande portone, Rose si bloccò e si sposto per permettere a Nott di entrare.
  «Buonasera»
  «Ciao Vins».
Nott storse il naso nell’udire quel diminutivo che, a quanto sembrava, non doveva essergli molto gradito. Questione alla quale Malfoy, come da previsione, non dava alcun peso.
  «Cosa fate qua?» chiese Nott.
  «Studiamo, è una biblioteca. Cos’altro vuoi fare?» intervenne Rose, aggressiva.
Il silenzio interminabile che nessuno dei due interlocutori si premurò di colmare la disse lunga su quanto fosse cospicua la lista delle attività da svolgere in una biblioteca.
  A conferma dei sospetti di Rose si aggiunse l’affermazione di Nott, che la guardò come se dubitasse del suo quoziente intellettivo. «Mi riferivo al fatto che vi trovate qui insieme».
Rose, sentendosi come se fosse stata appena scoperta a girare un film porno, decise all’istante che non avrebbe più messo piede in biblioteca.
  «L’intento era quello di studiare» si aggiunse l’annoiata voce di Malfoy.
  «E l’esito?».
  «Beh …» cominciò il ragazzo.
  «Quello di perdere tempo» sbraitò Rose, sempre più indignata dalla tranquillità con cui si stava affrontando tale questione.
Nott annuì con un breve movimento del capo, e storse il naso in un’espressione regale che gli conferì l’assoluta certezza di aver ben compreso la faccenda. Una volta appurato ciò, si allontanò senza degnarsi di salutare nessuno o di avvertire del proprio congedo. Rose sbuffò spazientita, chiedendosi ancora una volta cosa spingesse Albus ad essergli amico.
  Credendo che fosse un atteggiamento abituale tra i Serpeverde, si mise alle calcagna di Nott, senza premurarsi di avvertire Malfoy del proprio cambio di programma, ma a quanto sembrava, le regole della maleducazione non avevano alcuna valenza per lei.
  «Weasley, dove diavolo vai?». La voce spazientita del ragazzo la bloccò e lei si voltò a guardarlo, mentre attendeva fuori dalla biblioteca.
  «Senti Malfoy, ho delle faccende da sbrigare. Prenditi il resto della serata libera».
Rose ripercorse il lungo corridoio sotto lo sguardo ora decisamente allarmato di Madama Pince, che si tolse definitivamente gli occhialetti e passò un fazzoletto umido sul volto accaldato.
  Rose setacciò con discrezione ogni meandro della biblioteca, sbirciò verso tutti i tavoli, ricevendo occhiate astiose dagli studenti. Infine individuò Nott in fondo ad un corridoio, intento a discutere animatamente con Isidore. Si intrufolò nel corridoio adiacente, nascondendosi tra numerosi libri e da lì cercò di ascoltare la conversazione.
  Una voce alle proprie spalle la fece sobbalzare e per poco non liberò un urlo di terrore. «Che cos’hai tu che non va?» chiese Scorpius Malfoy, appoggiato contro lo scaffale opposto, le braccia incrociate al petto, mentre con lo sguardo la studiava incuriosito.
  «Malfoy, che cosa ci fai qui?» sbraitò Rose, una mano ancora sulla bocca per soffocare lo spavento. «Vattene via».
Lui sorrideva divertito nel vederla paonazza e spaventata. «La curiosità mi sta divorando: ho bisogno di sapere perché sei accovacciata in quel modo ridicolo».
  La ragazza sbuffò sonoramente, poi, nell’arco di qualche secondo, prese una decisione istintiva, folle e, molto probabilmente, del tutto sbagliata. Non sapeva se fosse stata guidata dall’esigenza del momento o dal bisogno di abbandonarsi ai propri impulsi, ma in quei pochi istanti che la situazione le aveva concesso ebbe solo il tempo di porsi una breve domanda e si rispose che non desiderava altro.
  Afferrò Malfoy per il braccio e lo trascinò accanto a sé, in un angolo del corridoio, contro la parete della libreria, si rannicchiò accanto a lui, per nascondere i loro corpi.
  «Ti odio» sussurrò al suo orecchio.
Estrasse con delicatezza un paio di libro, creando un’apertura che offriva una chiara visuale sulla conversazione che si stava tenendo nell’altro corridoio.
  «Non ci posso credere» mormorò lui indignato. «Stiamo spiando quell’idiota».
  «Sei tu che mi hai seguito».
  «Sei davvero una disperata, Weasley» disse lui inferocito.
Rose poggiò una mano sulla sua bocca. Voleva metterlo a tacere e allo stesso tempo necessitava di percuoterlo o semplicemente di toccarlo, per dare sfogo alla propria irritazione. Lui sgranò gli occhi sorpreso, poi afferrò la mano resistente e con essa l’altro braccio, provocandola affinché perdesse l’equilibrio.
  In quello stretto angolo si ritrovano ad inscenare una tenue e buffa lotta avvolti dal silenzio denso di tensione, che si ricompose solo quando Rose atterrò con il sedere sul pavimento.
  «Allora, quanto ci vorrà ancora?». La voce dura di Isidore si era fatta più acuta, incrinata dal nervosismo.
  «Forse un mese, non so dirtelo» fu la risposta di Nott. Il ragazzo non guardava il suo professore ma era poggiato su un tavolo e sfogliava un libro svogliatamente.
  «Un mese è troppo».
Nott continuava a voltare le pagine. Inarcò le sopracciglia e sorrise scettico. «Tu non hai idea di quanto sia difficile» disse con voce asciutta. «Ti sei dimenticato che devo rubare dalle scorte di Madama Chips e di Arrows?».
  «Parla piano» Isidore si guardò intorno, la fronte imperlata di sudore. Gli si poteva leggere negli occhi l’agitazione crescente ogni volta che Nott parlava. «Io non ce la faccio più, sono costretto a rimanere in infermeria di notte, fingendo qualche malanno».
  «Farò quanto prima» replicò semplicemente il ragazzo. «Per quanto riguarda l’altra faccenda, ci sono novità?»
  «Ci sto lavorando» disse Isidore e questa volta il suo tono di voce era più freddo.
  «Cosa vuol dire che ci stai lavorando?». Il solito volto inespressivo di Nott si contorse, la mascella si irrigidì.
  «Che ci vuole del tempo per verificare quello che mi hai detto.» rispose Isidore «Adesso ho una lezione da preparare, se mai riuscirò a tenerla».
Isidore afferrò la propria borsa dalla sedia e si allontanò dal tavolo al quale era appoggiato Vincent Nott.
  Rose strinse il braccio di Malfoy allarmata e il ragazzo capì al volo il pericolo.
Nott chiuse di scatto il proprio libro, facendo sobbalzare l’uomo, che lo aveva fronteggiato fino ad un attimo prima, e i due ragazzi rannicchiati. Alzò lo sguardo verso Isidore, prestandogli per la prima volta attenzione. Sul volto gli si dipinse un’espressione assente, mentre gli occhi sgranati guardavano il vuoto.
  «Di cosa parlerà la tua lezione?» chiese con voce incerta, così discostante dalla sua melodiosità.
Rose non comprese quella improvvisa inclinazione della voce, né il turbamento che trapelava, ma si limitò a sospirare di sollievo, perché Nott, la sua preoccupazione e la sua inutile domanda le stavano offrendo una via di fuga per non essere scoperta dal professore.
  Se anche non avesse creduto che lei li stesse spiando, essere scoperta nuovamente vicino a Malfoy le sembrava davvero troppo.
Si sollevò , seguita dal ragazzo, e si precipitò fuori dalla biblioteca. Percorsero correndo tutto il corridoio del primo piano, raggiunsero le scale e si fermarono solo quando arrivarono al secondo piano con il fiato corto.
  Malfoy afferrò Rose per il braccio e la spinse verso una panca vuota, in un angolo deserto.
  «Di che diavolo stavano parlando Perkins e Vincent?» chiese ancora esterrefatto. Né lui né Rose si sedettero, ma restarono a guardarsi l’uno di fronte all’altra.
  «Non ne ho idea» rispose sinceramente Rose.
Il cuore le batteva all’impazzata, le orecchie emettevano fischi assordanti e la mente ripercorreva le parole che aveva udite, cercando di smembrarle e di riordinarle, per ricomporre quel mosaico di misteri.
  «Un’idea devi avercela se li hai seguiti per spiarli» disse lui, la voce velata da un leggero sarcasmo.
Poco prima l’aveva derisa e accusata di spiare Isidore e invece ora sembrava aver capito che qualcos’altro si nascondeva sotto quella patina di menzogne.
  «Volevo seguire Nott, non avevo idea che si stesse intrattenendo con Korbin».
  «Perché seguivi Vincent? Perché ce l’hai tanto con lui?».
Rose lo guardò, esitando per un momento. Era giunto il momento in cui avrebbe dovuto affrontare le conseguenze delle proprie scelte impulsive.
A cosa stavo pensando quando ho deciso di coinvolgerlo? 
  «Per colpa sua ho litigato con Candice. Voglio fargliela pagare».
Malfoy scosse la testa spazientito e i capelli sfilarono sui suoi occhi verdi. Sbuffò con amarezza e parlò «Non mi raccontare stronzate. Tu e Morgan avete litigato a causa del tuo atteggiamento verso Vincent».  
  «E tu come fai a saperlo?» chiese Rose esterrefatta, immaginando il volto di Albus Potter.
Malfoy si avvicinò ancora un po’ a Rose e la guardò intensamente. Piegò appena la testa di lato con il volto contratto per la concentrazione.
Poi parlò e sembrò che tutto intorno a loro fosse stato pietrificato in una dimensione eterea e sospesa che il tempo inesorabile aveva scandito. 
  «Spiegami che sta succedendo. Rose, puoi fidarti di me».
 


 
- § -
 

 
Le scale si mossero un’ultima volta e andarono a combaciare con il breve sentiero in pietra che conduceva al ritratto della Signora Grassa.
Rose percosse a grandi falcate gli ultimi gradini,  li superò con un passo troppo rapido e quando le sembrò di stare correndo, cedette con esitazione e si affrettò a ripristinare un’andatura consueta. Non voleva dare l’idea di stare fuggendo da qualcosa o da qualcuno.
  Altri passi più rilassati e controllati la seguivano. Si voltò, quando il respiro rantoloso della Signora Grassa dormiente si fece più distinto.
Scorpius Malfoy la guardava con attenzione; aveva poggiato le mani nelle tasche dei pantaloni con la solita compostezza, come se quella fosse la situazione più normale del mondo.
  «Non c’era bisogno di accompagnarmi fin qui» disse Rose con un tono incerto, non sapendo se accennare gratitudine  o intimargli di non far ripetere mai più l’accaduto.
  Lui alzò gli occhi al cielo. «Frena la fantasia, Weasley. Non iniziare ad interpretare anche questo» disse. «Non l’ho fatto per galanteria».
  Rose nascose la mano destra dietro alla schiena e affondò le dita nel palmo contratto. Avvertì il calore divorarle il volto, facendola sentire ancora più stupida di quanto già non ci provasse Malfoy.
   «Non c’è pericolo» disse lei. «La galanteria non fa parte del tuo dizionario».
  «Non di quello che conosci tu» disse Malfoy. La guardò con il suo verde intenso, velato da un’ombra pericolosa ogni volta che voleva estrarre del turbamento dal volto di lei.
Pensi che mi interessi se con le altre sei un galantuomo?
  «Quindi abbiamo finito per questa sera?» chiese Rose «Sono molto stanca, se non ti dispiace».
Malfoy ignorò le sue parole, richiamando un’abitudine irritante che aveva adottato recentemente.
  «Ti ho accompagnata perché altrimenti saresti fuggita e non mi avresti raccontato nulla di questa storia» disse con serietà.
Rose cercò nella propria mente colma di repliche taglienti, di frasi opportune e di spiegazioni delucidanti, una semplice risposta a quella semplice verità. Vagò per un attimo nel vuoto della propria consapevolezza e quando scopri la propria bocca arida di parole, lasciò che il silenzio scorresse tra loro due e li avvolgesse per un’ultima volta in quella corrente di trasparenza e sincerità.
  «Ti darò una mano». Fu lui a spezzare il silenzio e lo fece fendendolo in due con una lama affilata come i propri occhi. Il sangue che ne sgorgò era intenso come quel verde e scarlatto come quel fuoco che divorò il cuore di Rose.
  Le pareti si incrinarono in un basso ruggito, mentre i fregi lungo di esse si distendevano , liberando il ritratto della Signora Grassa da quel vincolo di pietra. Il quadro era pronto a disgiungersi dalla roccia e da quell’apertura nascosta qualcuno sarebbe uscito, trovando lei, Rose Weasley, in tarda serata, fuori dal proprio dormitorio, in compagnia di Scorpius Mafoy.
  Nessuno avrebbe mai potuto comprendere la bizzarra situazione. Chiunque a questo mondo sarebbe giunto alla più probabile conclusione, vedendoli lì insieme.
Una frizzante chioma rossa fece capolino. «Ciao Rose» disse con allegria. «Ciao Scorpius» aggiunse con lo stesso tono.
Chiunque tranne suo fratello Hugo.
  Le motivazione potevano essere diverse e tutte ugualmente plausibili. Hugo Weasley non apparteneva ai Grifondoro, come si premurava di chiarire la sua cravatta blu-argento e, cosa ancora più importante, Hugo Weasley non era in nessun modo paragonabile a nessun altro abitante del pianeta.
  Questo era appurato, ma il fatto che salutasse così calorosamente Malfoy, lasciò Rose nello stesso stato di turbamento che avrebbe provato in seguito ad una dichiarazione di eterno amore nei confronti di Albus Potter da parte di suo fratello maggiore.
  «Ciao Hugo» rispose il ragazzo.
Rose questa volta rischiò di cadere stramazzante al suolo. Una possibile amicizia tra suo fratello e Malfoy era decisamente troppo per quella sera.
Decise che avrebbe dovuto interessarsi maggiormente alla vita del fratello minore. Se Albus era irrimediabilmente perduto, ciò non significava che non si potesse intervenire per il fratellino.
  «E’ questa l’ora di uscire da un dormitorio che non è il tuo?» chiese Malfoy con fare complice.
Rose trattenne un conato di vomito e sostituì l’espressione disgustata con un’occhiataccia al ragazzo, che con snervante superficialità non aveva considerato come anche la sua presenza a quell’ora della notte, davanti ad un dormitorio che non era il suo, potesse essere facilmente oggetto di battute allusive.
  «Lily è stata lasciata da uno dei suoi ragazzi e ho dovuto consolarla» rispose semplicemente lui con un largo sorriso raggiante, che poco si confaceva alla drammaticità della situazione.
Malfoy annuì comprensivo, poi aggiunse «E’ meglio che vada. La lascio nelle tue mani, mi raccomando». Lanciò un’ultima occhiata complice a Hugo e strizzò l’occhio verso Rose, accompagnando il gesto con un lento e seducente sorriso, sotto lo sguardo inferocito della ragazza.
  «Malfoy, un'ultima cosa» lo chiamò lei, costringendolo a voltarsi. «Ricordati che io vorrò sempre ucciderti» disse.
Lui la guardò per un attimo confuso, poi gli occhi si accesero di comprensione, le labbra si piegarono in un sorriso divertito e soddisfatto.
Forse era quella la risposta in cui aveva sperato sin dall’inizio.
  Rose si voltò a guardare il fratello, che ancora lì immobile davanti al ritratto assisteva alla scena. Lo osservò, cercando di cogliere un’espressione ambigua o una domanda impertinente in riferimento alla smorfia allusiva di Malfoy e al suo comportamento, ma tutto ciò che Hugo disse fu «Rose, non mi sembra una cosa molto carina da dire».
  Sospirò sollevata e divertita, baciò il fratello sulla guancia e varcò il ritratto.
Adorava quello strano e fantastico ometto.






Francese. Tecnico che ripara un guasto.






 

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Capitolo 9
*** Orenda ***




La verità certamente non fu mai ladra:
 la frode a noi venne sempre dal troppo immaginare. 



 

CAPITOLO IX

 

Orenda




 
Una raffica di vento penetrò dalla grande finestra ad arco e colpì come una sciabolata il gufo che Rose cercava di ammansire. Uno squittio di protesta la avvertì del crescente disagio del pennuto. Quell’inverno gelido di cui si era sentito parlare, non tardò a presentarsi.
  Rose avvertiva il vento tagliente perforarle ogni lembo di pelle non coperto, mentre lottava contro il gufo testardo di Johanna affinché si convincesse ad accettare la sua lettera. Quella mattina aveva aperto le tende prima di chiunque altro ed era sgattaiolata fuori dal dormitorio per spedire una lettera alla famiglia.
  Come sempre, con l’arrivo della prima ondata di freddo, anche la malinconia manifestava i propri effetti e l’assenza di casa premeva come una grande roccia in bilico sulla cima di un dirupo: aspettava con  timore di vederla precipitare lungo la dorsale rocciosa.
  La sua amata Hogwarts dai lineamenti austeri e dai segreti magici assumeva sempre più le sembianze di un dipinto di qualche artista surreale, che aveva copiato le incisioni compiute da un’opera precedente, perfetta e meticolosa e ne aveva ricalcato i contorni senza nemmeno conoscerli, senza curarsi di capire di cosa si trattasse, senza pensare di sconvolgerne l’ordine.
  E in questo caos che era il suo nuovo mondo, Rose si sentiva incredibilmente sola. L’assenza di Candice così duratura e costante creava un vuoto nel quale lei arrancava, raccogliendo frammenti di sensazioni che potessero colmarlo.
  Se l’estenuante malinconia non fosse sufficiente, la tempra da Grifondoro non ammorbidiva la propria presa e all’orgoglio ferito si aggiungeva un inequivocabile senso di inadeguatezza per aver abbandonato la sua migliore amica nelle grinfie fameliche di Vincent Nott. Il diario la confondeva, mostrandole immagini che finivano per aderire perfettamente alla propria realtà, fortificando in lei certezze, che venivano vanificate subito dopo da altrettanti ricordi ambigui; e alla fine della giornata Rose non sapeva più se disprezzare Penelope e Isidore o ammirarli per il loro amore coraggioso, se allontanare Perkins o lasciarsi lusingare dal suo fascino, se odiare Vincent Nott o … dopotutto una certezza le era rimasta.
  Il gufo le morse il dito con rabbia e Rose si riscosse dai propri pensieri. Non si era accorta di aver fissato la lettera alla zampa e di stringere con la mano l’ala del povero pennuto. Lo liberò della sua stretta e lo fissò mentre si allontanava in volo, portando con sé le parole indirizzate alla madre.
  Riflettendoci bene, l’unica persona della quale non sentiva la mancanza era proprio lei. La distanza e le incertezze del periodo avrebbero dovuto suscitare in lei un senso di affetto filiale, capace di superare tutte le inconciliabilità che separavano le due donne Weasley; l’avrebbero fatto certo, se solo quella lettera non avesse contenuto l’annuncio della sua prima insufficienza.
  Il professor Roberts le aveva consegnato la verifica di Trasfigurazione con una bella S marchiata in rosso e un’espressione desolata sul volto.
Stupido idiota.
  Rose lo aveva guardato fingendo un sorriso mortificato, poi era passata a maledirlo in tutte le lingue che conosceva, compreso Antiche Rune. Come se un esame di Trafigurazione potesse occupare i suoi pensieri in un momento del genere.
Ma questo chi lo spiegherà a mia madre?
  Quando varcò le porte della Sala Grande i primi studenti erano già accomodati, ma la grande stanza non era affollata come durante gli altri pasti. Nonostante dalle alte finestre filtravano solo dei timidi accenni di luce, le sue compagne di dormitorio erano già in piedi e si servivano i piatti abbondanti. Joa intercettò in un tempo da record il suo sguardo e prima che potesse filarsela, si sbracciò per annunciare la propria presenza, cosa che certamente non rischiava di sfuggire a nessun presente. Con un cenno della testa, Rose indirizzò il proprio saluto all’amica, forse l’unica che si sarebbe divincolata in quel modo per consumare la colazione insieme. Soffocando il nodo alla gola, distolse lo sguardo e abbandonò le premure di Joa, dirigendosi a passo spedito verso il tavolo dei Serpeverde.
  Una strategia ben collaudata in quegli anni da Albus per sopravvivere alle occhiate velenose dei Serpeverde era far credere loro che il proprio sguardo potesse essere ancora più micidiale. Se per un Weasley era difficile sfilare occasionalmente – o con una certa frequenza, come accadeva nell’ultimo periodo- lungo un tavolo Serpverde, per un Potter costretto a farlo ogni giorno, doveva essere stata un’ardua impresa.
‘Sguardo da Basilisco’ le aveva sempre ripetuto Albus, quando Rose le aveva chiesto quale fosse il suo segreto. ‘E poi dopo un po’ si abituano’.   Questo la confortava un po’ di più, perché al momento l’unico sguardo velenoso che riusciva a riprodurre somigliava più a quello di un lori lento.
Rivolse un sorriso ad un ragazzino troppo ingenuo per aver già maturato l’odio ingiustificato verso una ragazza più grande, solo perché incorniciata dai colori nemici. Questo si affrettò a farle posto sulla panca, permettendole di sedersi accanto ad Albus Potter. Un altro sorriso di gratitudine e una lieve carezza sulla sua spalla lo convinsero a concedere loro anche dell’intimità.
  «La mantide religiosa utilizza la stessa tattica» disse Scropius Malfoy, versandosi del latte caldo nella tazza di tè. Con l’altra mano reggeva una lettera aperta che portava il sigillo familiare.
Rose lasciò la borsa ai propri piedi e stampò un umido bacio sulla guancia del cugino. «Quante ti hanno già ucciso dopo averti sedotto?» disse.
  «Tu sei la prima». Malfoy sorrise e per un attimo Rose sperò davvero di averlo fatto.
Sedotto o ucciso?
  Albus, che sorseggiava il proprio caffè nel più totale silenzio, sogghignò con malizia e circondò la vita della cugina con fare protettivo, avvicinandola a sé. La sua evidente scissione tra la complice ilarità dell’amico e l’inevitabile senso di intenerimento che la cugina in difficoltà gli suscitava si stemperava in un morbido sorriso, che sfoggiava per uscire dall’imbarazzo della situazione.
  «Hai fame Ross?»
Lei si lasciò avvolgere da quel misero affetto, che aveva imparato a dividere a metà; poggiò la testa sulla spalla di Albus e permise alle sue attenzioni di coccolarla. «Molta. Datemi da mangiare, per favore».
  Malfoy contorse il volto in una smorfia spazientita e poggiò rassegnato la lettera sul tavolo. «Se ti alzi, ti volti, prosegui dritto per cinque metri e ti fermi quando senti puzza di arroganza e idiozia, saprai di essere arrivata a casa» sbottò.
  «Non oggi, Malfoy» sospirò Rose. «Voglio una tregua dai Grifondoro».
Per tutta risposta Albus le porse un abbondante piatto ricco di frittelle in sciroppo d’acero, seguito da una tazza di caffè caldo.
  Malfoy storse la bocca disgustato. «Come fate a mangiare quella roba di prima mattina?»
I due cugini si guardarono interrogativi, poi Rose scosse la testa indignata e decise che tale affermazione non meritasse nemmeno un grugnito rabbioso. Perciò si concentrò amabilmente sul contenuto del piatto.
  «Scorp, sei tu che hai un’educazione alimentare da signorina» rispose Al. «Hai il cibo diviso per giorni» aggiunse con una risata.
  «E bevi il tè a colazione» biascicò Rose, immersa nella propria tazza di caffè lungo, per rendere ancora più esplicita l’assurdità della situazione.
  «E vivrò più a lungo di tutti voi» sbottò lui con un basso rantolo di protesta. Con un disappunto che odorava di regalità, afferrò il bicchiere di spremuta d’arancia, su cui era incisa la propria iniziale e che ogni mattina gli Elfi domestici posizionavano al posto che sapevano sarebbe stato occupato da lui. Ostentò la fetta di pane integrale che ricoprì di una patina leggera di formaggio magro, per poi divorarlo con la stessa voracità che avrebbe dimostrato la regina Elisabetta II.
  Un acuto ed allegro fischiettare richiamò l’attenzione di Rose, che si voltò alla ricerca della sua fonte. Albus e Malfoy, invece, continuavano a consumare la colazione nella più assoluta indifferenza. Il fischiettio si fece più insistente e distinto nella sua macabra riproduzione di quella che voleva sembrare Twisted Nerve di Bernard Herrmann; prese vita nell’alta figura di Carter Zabin quando questo comparve alle spalle di Malfoy, esibendosi nell’acuto centrale, dove la difficoltà del pezzo raggiungeva il suo acme.
  Per nulla scoraggiato dalle espressioni allarmate dei presenti, accompagnate dalle non poco colorite manifestazioni di scontento di Malfoy, Carter terminò la sua performance e si accomodò sulla panca.
  «Buongiorno raggio di sole» disse con un bacio che raccolse con le dita e indirizzò a Rose. Malfoy al suo fianco anticipò la risposta della ragazza con un brontolio disgustato. «Ancora in lite con le altre?».
  Nuovamente la replica di Rose venne anticipata dall’intervento di Malfoy, che questa volta manifestò il proprio disappunto con un poderoso calcio rivolto alla gamba di Zabini.
  Rose non ebbe il tempo di lasciarsi turbare dalle parole di Carter, poiché le iteranti e contrastanti reazioni di Malfoy avevano catturato la propria attenzione e lei lasciò che la tazza di caffè, ormai vuota, coprisse il sorriso compiaciuto sulle sue labbra.
  «Mi chiedo tu come faccia a saperlo» disse Rose, guardando il cugino, che scosse la testa con oltraggio.
  «Oh no, non è stato Albus» intervenne Carter, nel mentre si affaccendava con la masticazione di un grosso pezzo di salsiccia. «Sono sicuro di aver sentito qualcuno affermare che tu abbia sfidato a duello Candice Morgan, subito dopo averle confessato di amare da sempre Vincent» disse, annuendo.
  Albus non riuscì a trattenersi dallo sghignazzare, mentre Malfoy scoppiò in una risata che di regale aveva davvero poco. Rose pensò di risolvere il problema ricorrendo ad uno dei suoi incantesimi di schianto meglio riusciti e di far sparire quei tre dalla propria vista. Poi ci ripenso e considerò che fosse meglio trucidare prima chiunque avesse messo in giro quella voce.
  «E’ davvero fantastico» sbraitò «Sono passata da questo» disse, indicando Malfoy che si copriva gli occhi con una mano, per trattenere le lacrime «a quell’invertebrato di Nott». Scorpius Malfoy le mandò un bacio con la mano, senza degnarsi minimamente di ricomporsi. «E’ davvero l’anno in cui mi innamoro degli idioti» aggiunse Rose, riservando un’occhiata arcigna al ragazzo che la fronteggiava, chiedendosi dove fossero finite tutte le sue moine pompose.
  «Ah, ho sentito anche che hai ricevuto un’insufficienza al compito di Trasfigurazione» disse Carter.
 «E magari che Gazza ha trovato una fidanzata?» disse Albus, tra un ghigno e uno sbuffo divertito, risalendo sempre di più verso le cime della compostezza. Subito dopo aver dato voce ai propri pensieri, il suo sguardo venne intercettato dall’amico, ancor prima che i cervelli di entrambi potessero realizzare la gravità di quanto affermato. Quando la consapevolezza li colse, un guizzo di irrisione illumino i loro occhi ed entrambi furono presi da un rinnovato attacco di risa, precipitando nella voragine dell’indecenza.
  A quel punto Rose pensò bene di ricomporre l’ordine nel modo più elegante che la magia – e sua madre- le avesse insegnato. Con un leggero movimento della bacchetta scosse la brocca d’acqua al centro del tavolo, nella più totale indifferenza dei presenti; due lunghe lingue cristalline emersero da essa e si diressero speditamente versi i volti dei due ragazzi. Le due facce infradiciati persero la voglia di continuare a ridere.
  «Vi interesserà sapere che ho ricevuto davvero la mia prima insufficienza» esclamò Rose fuori di sé, la voce incrinata dall’isteria.
Malfoy si passò il tovagliolo di stoffa sul volto con molta calma; poi passò alle punte dei capelli che gli ricadevano sul viso e ad esso aderivano; accarezzò anche il collo e quando constatò che l’acqua aveva raggiunto anche le pieghe della camicia, in un rapido movimento, ridusse il tovagliolo ad un groviglio informe e lo gettò con rabbia sul tavolo. «Dammi una sola ragione per non ucciderla».
  «Per favore Scorpius, ha ricevuto la sua prima insufficienza» esclamò Albus, asciugandosi il volto e guardandolo con biasimo per la sua misera sensibilità.
  «Mi congratulerei per questo importante traguardo con un brindisi. Benvenuta tra i comuni mortali». Carter Zabini sollevò in aria il calice di succo di zucca e ingerì il contenuto in un sorso.
  «Hai fretta Carter?» chiese Malfoy, guardando l’amico infilzare la salsiccia e le uova strapazzata, per poi ingerire il tutto in un solo boccone.
Il ragazzo annuì, cercando di spiegarsi a gesti con esiti negativi; infine deglutì e parlò «Devo prendere il posto anche per Vincent a Trasfigurazione; ieri notte non è tornato in dormitorio e mi ha gentilmente imposto di svegliarmi all’alba per assolvere al suo compito».
  Malfoy guardò rapidamente Rose, prima di aggiungere «Avrà passato la notte in dolce compagnia?».
Nel dormitorio femminile di Grifondoro? Impossibile, stava pensando in quel momento Rose. Ma Malfoy sapeva bene che Candice non lo avrebbe mai fatto entrare nella tana del lupo.
  Carter abbassò lo sguardo, esitando. «Non credo sia così facile» disse incerto. Guardò gli altri e insistette sul volto di Rose, poi si decise a parlare «Se ti riferisci a Candice, dubito che passino le notti insieme, considerando che non si sono mai neanche baciati».
  Rose per poco non si strozzava con la sua stessa saliva. La bocca ora completamente arida era ispida e asciutta e le impediva di proferire parola. Non riusciva a credere che dopo tutto quel tempo e alla luce degli innumerevoli sacrifici che Candice ebbe dovuto affrontare, Vincent Nott non aveva ancora colto ciò che lei era ben disposta ad offrirgli.
Che razza di problemi ha quel tipo?
  «Se la notte non è con Candice allora cosa fa?» suggerì Albus.
Carter questa volta sgranò gli occhi allarmato, mentre il volto impallidiva sempre di più. «Sentite, io non ne so niente» bofonchiò a disagio, abbandonando la forchetta nel piatto e raccogliendo le proprie cose in tutta fretta. «Sapete che è un tipo solitario. Ci vediamo a lezione» aggiunse, senza guardare in volto nessuno e si dileguò prima di poter aggiungere altro.
  Rose seguì la corsa fulminea di Carter Zabini, mentre un pensiero prendeva radici nella propria mente e si nutriva di sospetti e di menzogne, prosperando sotto il suo controllo vigile, per poi diventare troppo ingombrante da contenere.
  Affondò un pugno sul tavolo con un colpo poderoso e latrò tutta la propria collera «Maledetto stronzo». Fece per alzarsi ma la mano del cugino premette con forza sulla sua spalla, trattenendola. «Se quel verme tradisce Candice io non aspetterò altre dimostrazioni per fargliela pagare».
  «Non fare idiozie Weasley» disse Malfoy, incenerendola con lo sguardo. «Smettila di fare l’isterica e di saltare a conclusioni affrettate».
  «Non ho intenzione di sentirti spalleggiarlo nelle vostre scorribande notturne».
  «Non stiamo parlando di me» disse, alzando gli occhi al cielo. «Riesci per una volta a comportarti razionalmente?».
Albus poggiò una mano a coprire quella tremante di Rose. «Se può valere qualcosa la mia parola, Vincent è un ragazzo d’onore» disse e la ragazza affondò i propri occhi frementi in quelli serafici di lui, cercando un riparo. «Ma so che non ti basta, perché Candice è tua amica e tu non ti fidi facilmente» sospirò il cugino, aggiungendo un tenue sorriso.
  Malfoy sbuffò esasperato «Diamole delle prove allora, così eviterà di fare qualcosa di cui potersi pentire».
Rose lo guardò con interesse «Come?».
  «Scoprendo cosa fa di notte Vincent Nott».
 
 

 
- § -

 
 

Il campo da Quidditch era in grado di creare sicuramente i più vari paesaggi suggestivi. Durante le partite del campionato, allestito per lo spettacolo con gli stendardi delle case e la grinta dei tifosi, infondeva una carica esplosiva e se visitato di notte, per i più coraggiosi, assumeva le sembianze di uno scenario cupo, quasi agghiacciante. Ma deserto e illuminato dai raggi mattutini diventava uno dei luoghi di rifugio preferiti da Rose.
  La schiena distesa su un gradino degli spalti più bassi avvertiva il contatto con la pietra dura e iniziava a dolersi per questo, tuttavia il volto si rallegrava dell’effetto benefico che quei tenui fasci di luce autunnali ancora conservavano, vanificando le sciabolate del vento.
  Rose amava lasciarsi ricoprire dalle foglie che gli alberi cedevano a malincuore, quelle stesse foglie che, cadendo come lacrime, volteggiavano in aria, danzando con il vento e ritardando il momento della loro dipartita. E poi il mosaico di colori che creavano tutt’intorno le ricordava il calore della Sala Comune e i paesaggi della Casa sul Lago Weasley.
Amava l’autunno.
  La luce cessò d’improvviso di premere sugli occhi chiusi; una nuvola di passaggio o un’ombra la privarono del suo ristoro. Dischiuse le palpebre e fu accecata da una lunga chioma di capelli rossi. Sua cugina Lily la guardava circospetta dall’alto.
  «Indovina con chi si è rimesso Lucas Jorkins?» chiese la ragazza con voce piatta.
Rose si sollevò e sedette sul gradino, continuando ad osservare la cugina dal basso. «Oh mio Dio Lily, è fantastico».
  Lily inarcò le sopracciglia. «Avrei questa faccia se stessi parlando di me?».
Rose portò una mano all’altezza della fronte per ripararsi dal sole, che da quella posizione ancora la colpiva. Osservò meglio il volto tetro della cugina, i suoi occhi spenti e le labbra imbronciate. Decisamente non stava parlando di sé.
  «Sto parlando di Olivia Pinkerson, quinto anno, Tassorosso» sbuffò Lily. «E quando lui la porterà alla festa di Halloween tutti lo sapranno» disse con un lamento, incrociando le braccia al petto. Rose si aspettò di vederle sbattere i piedi per terra con disappunto.
  «Da quando c’è bisogno di un accompagnatore per la festa di Halloween?».
La ragazza piegò le palpebre sbigottita e replicò trattenendo vanamente l’esasperazione. «Da sempre, Rose, ma in che mondo vivi?» disse, portandosi una mano alla tempia. Ci pensò su qualche istante e decise di dimostrarsi indulgente con la cugina meno esperta, propugnando uno dei suoi saggi consigli. Si sedette accanto a lei e parlò. «Se non si ha un accompagnatore è bene andare con un gruppo di amiche, ma nella maniera più assoluta non con una sola. A meno che non si desideri fare la figura della disperata».
  Una certa sensazione familiare portò Rose a riflettere sulle parole della cugina. «Perfetto, farò la figura della disperata» sospirò con rassegnazione.
Lo sguardo di Lily si addolcì. «Ho notato che stai evitando il nostro tavolo da un po’».
  «Non lo evito, è il tavolo a non gradire più la mia presenza» disse con un mesto sorriso.
La cugina sgranò i grandi occhi scuri e si morse le piccole labbra a cuore, assumendo un’espressione che tante volte Rose aveva visto dipinta sul volto dello zio Harry. «Puoi sempre sederti con me o con James, non c’è bisogno che tu vada sempre da Albus» mormorò.
  Rose non lasciò trascorrere neanche un battito d’ali per stringere la sua piccola Lily in un caldo abbraccio; erano lontani i tempi in cui accorreva da lei per farsi consolare tra le sue braccia, apparendole tanto fragile e indifesa. «Non essere gelosa, mostriciattolo».
  Lily emerse da quel groviglio di braccia e mutò i lineamenti del viso in un’espressione molto più da zia Ginny «A meno che Scorpius Malfoy non sia più attraente dei tuoi cari cugini» sibilò tutto d’un fiato.
  «A cosa mi serve la compagnia dei Serpeverde, se ho una piccola serpe proprio qui accanto a me?».
Lily inarcò le sopracciglia e sorrise divertita «Se ti senti più a tuo agio posso chiamarti “Weasley” e fingere di odiarti a morte» disse, spostando con un cenno del capo una ciocca di capelli dagli occhi in una inconfondibile imitazione di Malfoy.
  Rose non si finse contrariata e si abbandonò ad una leggera risata. «Sarebbe tanto da disperata andare alla festa con la mia cuginetta preferita?».
Lily si morse le labbra in un gesto meditativo e sollevò gli occhi al cielo con fare teatrale, poi parlò. «No, se è una cugina fantastica come me».
 


 
- § -
 
 

I corridoi entravano ed uscivano dal proprio campo visivo prima che Rose avesse il tempo di sbattere le palpebre. I passanti la scansavano se potevano, alcuni meno fortunati la urtavano e altri ancora le suggerivano luoghi non molto piacevoli da visitare.
Rose era indubbiamente in ritardo. E Arrows glielo avrebbe tragicamente fatto notare.
  «20 punti in meno per Grifondoro» esordì prima ancora che Rose raccogliesse il fiato necessario per abbozzare un saluto.
Seduto sulla poltrona  di lucida pelle viola, lasciava che i suoi studenti fossero sospesi in una densa attesa, non accennando una smorfia o un sussurro, attento a non perdere un solo rantolo di sconforto o espressione di stanchezza da parte dei suoi galeotti. Dopo che Rose ebbe raccolto la propria espiazione, non le rimaneva che trascinarsi nel più composto silenzio verso una qualunque seduta, sottraendo la propria immagine alla vista del professore il prima possibile.
  Il braccio di Johanna emerse nuovamente tra la folla e prese ad agitarsi convulsamente nell’aria, sostenuto dal silenzioso sguardo di Eloise; accanto a loro le spalle di Candice rigide e ostinatamente voltate le ricordarono perché avesse deciso di evitare anche chi ancora le era amica. Osservare il suo volto contrariato e lasciarsi opprimere dall’assenza della sua voce squillante non sarebbe stato molto diverso dal ricevere una pugnalata in pieno petto.
  Intravide lo sguardo affettato di Melissa affiorare tra le sue lunghe ciglia scure. Lo sostenne con fierezza in quella fulminea intimazione che la ragazza le stava rivolgendo, poi Melissa piegò le labbra in un sorriso, un dolce sorriso letale come il veleno del più bello tra i fiori.
  Rose non proseguì verso il tavolo di Grifondoro come tutti si aspettavano, ma si fermò prima, a quello occupato da suo cugino Albus. La smorfia di disappunto non tardò a comparire sul volto di Scorpius Malfoy, ma fu più debole del solito, un pigro riflesso, che la presenza sempre più frequente della ragazza aveva iniziato ad inficiare. Rose evitò accuratamente di incrociare lo sguardo di Kate Hastings, sperando che ignorandone la presenza, potesse persino riuscire a dimenticarsi di lei, ma lo schioccare irritato della lingua contro il palato, seguito da un basso e dolente “Ma scherziamo?!” le giunse all’orecchio più distinto di quanto avrebbe voluto.
  L’aria che era scesa sull’intera classe si era fatta sempre più pesante, quando Arrows decise di schiarirsi la gola ripetutamente, prima di parlare con tono laconico «Come sapete il programma ministeriale è stato modificato con la decisione di permettere ai ragazzi che hanno superato i G.U.F.O. nelle materie principali di sperimentare attività più utili per un futuro lavorativo». Una volta compiuta la dovuta premessa fece una breve pausa per riacquistare il solito cipiglio maligno. «Avete un’ora e mezza da ora per preparare la Pozione Ossofast».
  Dalla classe si levò un brusio di protesta.
Rose si scambiò uno sguardo di sgomento con Albus, che per la prima volta in un’aula di Pozioni avvertiva la pelle imperlarsi per il freddo sudore, mentre l’odore dolciastro, che impregnava le scure pareti, avvolgeva i suoi sensi in una nauseabonda nebbia.
Il buonsenso di Rose fiutò l’ingiustizia prima di molti altri e la sua bocca si mosse alla stessa rapidità.
  «Professore mi scusi, noi non abbiamo le competenze per preparare una pozione del genere».
  «Quando imparerà ad alzare la mano prima di parlare si troverà già fuori dalla mia aula» disse Arrows con tono annoiato.
Il braccio di Rose scattò in alto quando ancora il professore non aveva terminato la frase e questo lo infastidì maggiormente. Storse il naso e scoprì i denti rivelando un’espressione che  ricordava un ratto. «Non serve che alzi la mano, non ho intenzione di sentire alcuna lamentela uscire dalla sua bocca» brontolò in un rantolo spento.
  Per tutta risposta Rose pensò bene di ignorarlo e si schiarì la voce. «Non possediamo le conoscenze mediche sufficienti per la preparazione di questa pozione. La stessa Madama Chips esige che sia preparata esclusivamente dalle sue mani».
Lo guardava con esitazione, attendendo la decisione sulla propria sorte.
  «Signorina Weasley» sbottò, mentre persisteva nell’arricciare il naso da topo. «Non credo che a nessuno di noi dispiacerebbe iniziare per una volta  la lezione senza i suoi commenti superflui e inopportuni» disse lui irritato.
  Rose arricciò le labbra in una espressione offesa, ma si premurò di celarla e di far trapelare solo il proprio disprezzo. Una bassa risata si diffuse per tutta l’aula e l’eco femminile le giunse più squillante da parte della ragazza dai capelli castani e lucidi con cui condivideva il tavolo.
  «La pozione è alla base delle competenze di chiunque spera di poter intraprendere la carriera di Medimago» spiegò Arrows mentre i ragazzi si affaccendavano nel regolare la temperatura del fuoco sotto i calderoni. «Per coloro che, a differenza della Weasley, abbiano intenzione di costruirsi una vita lavorativa di successo, io consiglio di iniziare a lavorare senza ulteriori lamentele». Con un ultimo colpo di bacchetta serrò le tende intorno alle finestre ed illuminò le candele di ciascun tavolo.
  Rose aprì le ante della bacheca, mentre Albus la raggiungeva. Si piegò per bisbigliare all’orecchio della cugina «Smettila di sfidare la poca pazienza di Arrows».
  Rose afferrò con il guanto una decina di lucertole essiccate, poi passò a tagliuzzare qualche rametto di Belladonna. «Per favore Albus» disse lei, guardandolo con rimprovero.  «Lo sai benissimo che se falliremo con questa pozione le conseguenze per me saranno ben diverse rispetto a tutta la classe».
  «Oh ti prego, ma davvero credi di essere così importante?» sbuffò una ragazza alle sue spalle.
Rose si voltò verso Kate Hastings e la guardò indifferente; le si avvicinò, fissandola negli occhi, per poi superarla e afferrare dell’aneto dallo scaffale alle sue spalle. Si sedette accanto ad Albus, liberò le lucertole dall’incantesimo di essicazione e le tagliò quando queste divennero guizzanti. Lasciò scivolare lentamente gli ingredienti nel calderone, assicurandosi di rispettare il livello di ebollizione del liquido e prese a mescolare con delicatezza, fingendo un movimento esperto.
  Rose lasciò passare la prima fase della preparazione e aspettò che la maggior parte degli studenti si fosse inoltrato nel passaggio centrale, quello arduo, insormontabile e inevitabilmente distruttivo. Poi, quando la concentrazione si era fatta tanto intensa da isolare ogni pozionista e i rantoli di protesta ebbero creato un sottofondo congeniale, Rose parlò al cugino. «Quando pensi che potremo metterci alle calcagna di Nott?».
  I capelli di Albus Potter erano talmente gonfi da indurre a pensare che le lucertole vi avessero cercato rifugio. Guardò la cugina con occhi sgranati, a tratti offuscati dal vapore che inumidiva le lenti. «Di certo non in questo momento» gemette lui.
   «Non pensi che spiarlo di notte possa essere troppo rischioso?».
   «Rose, non adesso».
Rose scrocchiò le dita entusiasta. «Potremmo attivare un incantesimo di localizzazione se riuscissi a sottrargli un oggetto intimo».
  Un grugnito rabbioso sostituì le parole del cugino. Diversi compagni riprodussero lo stesso verso di sofferenza mista a rassegnazione, ma ciò che convinse Rose a desistere fu il brontolio proveniente dal suo calderone. Abbassò gli occhi su di esso per assistere alla contorsione di quell’amalgama denso e scuro, che simile a catrame rigettava l’eccesso in bolle esplosive. Con disperazione allungò il collo verso il calderone di Albus.
  «Non mi sembra corretto sedersi al tavolo dei Serpeverde solo per poter sbirciare il lavoro di tuo cugino» squittì Kate Hastings a voce alta nel momento esatto in cui il professor Arrows stava operando la propria ronda intorno a loro tavolo.
  «Weasley prendi il posto di Hastings, subito» tuonò lui.
Il sorriso trionfante accompagnò la Hastings per il resto della lezione.
Rose si abbandonò sulla sedia accanto a Malfoy e risistemò la fiammella leggera sotto il calderone. Lui inarcò le sopracciglia divertito quando la vide rischiare più di una volta di bruciarsi. Serrò le proprie dita intorno al suo polso frenetico e con un colpo di bacchetta permise alla fiamma di abbassarsi, tanto da sembrare un lieve soffio.
  «Se sei nervosa non ci riuscirai mai» disse lui strizzandole l’occhio. «Per questo sei una frana in pozioni».
Tornò al proprio lavoro, poggiando il mento sul dorso della mano e accompagnando il mestolo in un pigro movimento circolare. Rose si affacciò e vide che la sua pozione non somigliava affatto ad un mucchio di resti animali in putrefazione.
  «Come ci riesci?» domandò lei più sorpresa che infastidita.
Malfoy sollevò gli occhi verso di lei e scrollò le spalle «A me riesce tutto» dichiarò con semplicità, come se questa fosse una legge naturale indiscussa ed eterna. «Non pensare di poter usufruire della mia vicinanza, non sono mica quel fesso di Al» disse con un ghigno, allontanando di poco il proprio calderone.
  Rose lo fulminò con lo sguardo, questa volta chiaramente offesa. «Nemmeno se fossi l’ultima persona in questo lurido bugigattolo».
Tornò a studiare la propria miscela, mentre le bolle di bitume si facevano più frequenti e piccole: lo spettacolo che si presentava era disgustoso.      Aggiunse dell’acqua distillata per ridurre la densità del prodotto ed effettivamente così accadde, ma dopo qualche minuto questa era quasi del tutto evaporata. Uno sbuffo divertito la avvertì che Malfoy stava seguendo con interesse i suoi vani tentativi.
  A quel punto si concentrò sui propri ingredienti ed osservò l’aneto che ancora non aveva utilizzato; sfogliò avidamente il manuale fino a trovare il capitolo dedicato ad esso. Si ghiacciò quando lesse che la quantità del prodotto era da calcolare in relazione alla quantità degli altri ingredienti e lei non ricordava affatto quante code di lucertola avesse già inserito. Intanto l’ebollizione della pozione continuava e se non avesse trovato in fretta una soluzione, il composto sarebbe esploso.
  Guardò il professor Arrows, che in quel momento era impegnato in una intensa analisi degli innumerevoli errori compiuti da Dorothy Joyce. Tornò a fissare inerme il proprio calderone, quando avvertì un profumo dolce sovrastare per un attimo l’olezzo stucchevole di quella cantina e concedere ristoro ai propri sensi annebbiati. Scorpius Malfoy le si era avvicinato tanto da far combaciare le loro spalle e ora studiava attentamente il contenuto del suo calderone, cercando di coglierne i misteri; quando si accorse che lei lo fissava, assunse un’espressione disgustata. Afferrò un pezzo di pergamena e una piuma e iniziò a scrivere.
  «Ne hai usate sette perché hai preso un contenitore intero che ne contiene dieci e lì vedo solo tre code di lucertola» spiegò lui, continuando a scrivere. Dopo una serie di calcoli, cerchiò una cifra alla fine del foglio «Misura 35 grammi di aneto».
  Rose si affrettò con l’operazione che le era stata ordinata. Afferrò il vetrino e si preparò a rovesciare tutto il contenuto, ma lui poggiò la propria mano sulla sua e la bloccò. Rose provò a ritrarsi, le guance prendevano fuoco, mentre lui ancora le stringeva le dita. Distolse lo sguardo da quella immagine e notò Kate Hastings che li osservava furiosa.
  «Weasley, sei impazzita?» mormorò il ragazzo. «Ne devi mettere poco alla volta». Lui la guardò con rimprovero , sfilandole il vetrino dalle mani. Lasciò cadere qualche rametto, poi sbirciò verso Arrows, assicurandosi che non li guardasse e si sporse ancora di più verso di lei per afferrare il mestolo. Rose si strinse contro lo schienale, totalmente inerme e lasciò che il ragazzo prendesse il controllo della situazione, mentre la sua schiena le solleticava il petto, le spalle, protette dalla camicia e dal maglione, le sfioravano il seno.
  Quell’eccessiva vicinanza la destabilizzò, il calore del fumo aderì alla sua pelle, lasciando che bruciasse e la vista le sembrò sempre meno distinta.
Malfoy si allontanò proprio mentre Arrows si era voltato. «Adesso dovresti riuscire a proseguire» mormorò senza guardarla.
  La pozione di Rose aveva cessato di eruttare, il colore era sceso di diverse tonalità, così come la consistenza si era fatta più spumosa, dando il risultato di un’unica nuvola grigiastra. Il professor Arrows le passò accanto, si affacciò nel suo calderone e sorrise sorpreso, forse divertito da quell’inatteso risultato.
  Quando si fu allontanato Rose picchiettò con la bacchetta sul calderone di Malfoy, per richiamarlo a sé. Lo guardò per qualche secondo, sperando che lui sorridesse amorevolmente e scuotesse le spalle mimando un “Ma figurati, è stato un piacere” ; invece il ragazzo continuava a fissarla fingendo uno sguardo perso, nonostante Rose non lo avesse mai visto così compiaciuto.
  «Ti ringrazio» disse lei infine. «Malfoy». Vi aggiunse una punta di asprezza, tanto per stare tranquilla.
Lui sorrise soddisfatto e scosse la testa con quel fare insolente. «Non ti ho fatto un favore, Weasley» disse. «Ora sei in debito con me» dichiarò concludendo con una smorfia vittoriosa.
  Rose sospirò di sollievo e lo guardò vigorosa, rincuorata di non doverlo vedere gongolare ancora a lungo, né di doversi sentire in qualche modo riconoscente, anche se –faceva male ammetterlo- l’aveva salvata.
  «E immagino che verrai a prenderti la tua ricompensa un giorno inatteso, in un modo meschino, come farebbe un degno seguace di Satana» disse lei con un sospiro.
Un ghigno comparve sul suo volto affilato. «Ti sbagli, riscuoto subito» mormorò con voce bassa, ma sottile. Afferrò una fiala di Belladonna e versò tutto il contenuto nel calderone sotto ai suoi occhi; attese che il colore della sua pozione si schiarisse sempre di più fino a diventare azzurro e prese a mescolare con più energia. «Voglio stringere un patto» disse.
  Rose guardò lo scintillio pericoloso nei suoi occhi e pensò che Mefistole in persona sarebbe salito dagli Inferi per porgergli i suoi omaggi. «Ti ascolto» sibilò.
  «Fammi dare una sbirciatina ai fascicoli su Perkins e se non troviamo niente di strano ti aiuterò a scoprire come trascorre le sue notti Vincent» disse d’un fiato, il volto inespressivo.
Era un accordo rischioso  quello che prevedeva l’accesso illimitato a tutti i segreti di Perkins, ma era anche altamente improbabile che avrebbero trovato qualcosa di insidioso nei fascicoli tanto accuratamente custoditi dalla Mcgranitt.
  Rose esitò qualche istante. «Altrimenti?».
Dopo l’ultima mescolata la pozione divenne limpida; lui lasciò andare il mestolo soddisfatto. «Lasceremo in pace Vincent, mi sembra ovvio».
Un altro elemento rischioso, perché lei non avrebbe mai rinunciato ad indagare su Nott. Tuttavia lui aveva parlato al plurale, dando per scontato che      Rose si sarebbe servita dell’aiuto suo e di Albus. Certamente le avrebbe fatto comodo, ma in caso contrario avrebbe proseguito da sola.
  Un modo per arginarlo lo posso trovare.
Rose tese la mano rigida, proprio come le aveva insegnato suo padre.‘Poi stringi con sicurezza, per far capire chi comanda.’ Ma quando lui la avvolse con le sue dita forti, il tocco era delicato, quasi stesse chiedendo il permesso e lei perse la forza e non riuscì a staccare gli occhi dal suo verde scuro.
  La prossima volta, papà.
Rose tornò al suo calderone e aggiunse un po’ di Belladonna come aveva visto fare al suo inaspettato maestro.
  «Ora arriva la parte interessante dell’accordo» sussurrò Malfoy in un sibilo letale.
Rose rimase spiazzata dalla propria stupidità. Aveva davvero sottovalutato Malfoy, credendo che sarebbe stato così facile?
  «Ti ascolto con attenzione» mormorò riducendo i suoi occhi a due fessure.
Lui accennò con le labbra un sorriso tetro, poi le lambì lievemente con la lingua in un gesto fugace e istintivo. «Sei mai stata messa in punizione» disse.
  «No, ovviamente»
  «Come mi aspettavo». La rapidità della sua risposta non nascose una venatura di derisione.
Rose accigliata soffiò un lieve sbuffo scettico. «Neanche tu devi aver fatto troppo il cattivo ragazzo se sei diventato un Prefetto».
  «Lascia stare, Weasley» disse lui in un sorriso, assumendo quell’aria di esperta superiorità. «Le menti audaci sanno ottenere tutto».
  «Prosegui, Malfoy. Sto aspettando la parte meschina del tuo accordo».
Malfoy rise e si abbandonò contro lo schienale della sedia. Sbirciò un ultima volta nel calderone di Rose e poi si guardò intorno. Infine parlò. «Se non sei mai stata messa in punizione, non avrai avuto modo di fare conoscenza con la Stanza dei Trofei e non saprai che c’è un passaggio che conduce all’ufficio di Gazza».
Rose seguiva con attenzione le sue parole. «Perché dovrebbe interessarmi l’ufficio del custode?».
  «I fascicoli, Weasely, i fascicoli di Perkins».
 «Li custodisce Gazza?» disse Rose esterrefatta. «I documenti più importanti su chiunque abbai messo piede in questo castello sono controllati dall’unica persona senza magia?».
  Malfoy scosse le spalle. «E’ l’unico posto in cui non cercheresti mai».
Rose si morse le labbra poco convinta e iniziò a temere che, escludendo un fulmineo attacco di demenza senile della Preside, l’accesso a quei documenti non sarebbe stato così semplice come immaginavano.
  «Come ci arriviamo?» chiese.
Malfoy non rispose, continuava a guardarla prima di sfuggita e poi sempre più intensamente con gli occhi che vagavano sulla sua figura, assorti in un pensiero particolarmente impegnativo. E quella insistenza era talmente tanto irruente che Rose in un primo mento si guardò intorno pensando di trovarvi qualcosa di sensazionale, ma quando vide solo Arrows alle sue spalle, temette di avere la camicetta troppo sbottonata e arrossì violentemente.  Infine Malfoy si avvicinò cautamente a lei con grande interesse, accrescendo il dubbio sulla sua scollatura.
  «E’ proprio questo il problema, Weasley» disse con voce vellutata e gli occhi limpidi, ammalianti. «Io sono un Prefetto e non posso permettermi una punizione, soprattutto ora che sono anche Capitano» sussurrò per non farsi sentire dal professore alle loro spalle. Alzò gli occhi verso di lui e avvicinò il braccio a quello di Rose, accanto al calderone. Le guance della ragazza presero fuoco, mentre lui le sfiorava il palmo con la punta delle dita chiuse a pugno.
  «Sei una brava Grifondoro  e si sa che in ogni battaglia che si rispetti bisogna compiere dei sacrifici» disse ancora fissando i propri occhi nei suoi. Prima che Rose riuscisse a dare un senso alle sue parole lo sguardo di Malfoy volò alle spalle della ragazza, le sue dita abbandonarono quelle di Rose, si aprirono, dischiudendo il pugno teso all’altezza del calderone e rilasciarono una qualche sostanza all’interno della pozione.
  Il gorgoglio sofferente del composto fu un ruggito che durò solo pochi istanti, poi il boato fu immediato e l’esplosione seguì in modo trionfale, manifestandosi in una coltre di fumo nera e densa che si sparpagliò minacciosa nei dintorni.
  Rose ebbe solo il tempo di sentirsi afferrare da qualcuno che la scaraventò sul pavimento, coprendola con il proprio corpo. Il fumo non si era ancora dissolto, mentre molti nella stanza tuonarono in un coro di proteste e lamentele e i componenti del tavolo, ancora seduti, presero a tossire violentemente.
  L’unica cosa di cui Rose fu certa in quel momento era il corpo di Scorpius Malfoy adagiato con poca delicatezza sul proprio. A dire il vero la pressione che aveva esercitato nel tentativo di difenderla dall’esplosione era ancora insistente e premeva con una dolce tensione nei punti di contatto in cui Rose non avrebbe mai immaginato di avvertire parti del corpo di Malfoy.
  «Chi diavolo è stato così idiota?» sbraitò Arrows, arrancando verso il loro tavolo e agitando la bacchetta per richiamare a sé tutto il fumo. Quando l’aria divenne salubre e la vista si fece più distinta, il professore individuò i due corpi delle vittime sul pavimento. «Ci possiamo anche alzare adesso signor Malfoy» ringhiò esasperato.
  Malfoy poggiò le mani all’altezza della testa di Rose, mentre i suoi capelli le sfioravano il viso e il suo respiro solleticava il collo della ragazza imperlato di sudore. Con un lieve sforzo, senza guardarla si separò da lei e si rimise in piedi.
  Rose ancora intontita e accaldata un po’ per il calore e un po’ per la situazione, lo guardava dal basso senza attendere che lui le porgesse una mano per aiutarla. Si alzò, reggendo la gonna della divisa e si mise accanto al ragazzo che le era appena finito addosso, senza poter impedire alle dita di tremare e al cuore di palpitare furioso. Un sottofondo di risolini accompagnava la tensione.
  «Signorina Weasley» latrò livido il professore «E’ riuscita a fallire persino oggi che avevo nutrito delle speranze in lei ». Arrows nemmeno le prestava attenzione, troppo occupato a ripristinare l’ordine nella stanza.
Rose guardò Malfoy, ben sapendo in chi cercare il colpevole del disastro. Il ragazzo avvertì la pressione del suo sguardo poiché incrociò le braccia forti al petto, in un gesto che normalmente avrebbe palesato indifferenza ma che a Rose trasmise anche una lieve tensione nel suo ostentato rifiuto di guardarla negli occhi.
  «Bene» biascicò Arrows  una volta che l’ultima ombra di catrame solidificato fu eliminata dalle pareti della stanza. «Ma che dico, male, molto male» ringhiò quando ebbe riportato l’attenzione su Rose immobile e inerme di fronte a lui. «Punizione, questo pomeriggio».
  Malfoy al suo fianco finalmente si rilassò e distese le braccia lungo i fianchi che andarono a riposare nelle tasche dei pantaloni. Sbirciò verso Rose al suo fianco che non si lasciò sfuggire l’occasione per incrociare il suo sguardo. Non contorse il volto in nessuna espressione, solo lo guardò per brevi istanti con quella stessa intensità che poco prima aveva usato lui per ingannarla; poi strinse forte i pugni.
  «Weasley» sbraitò Arrows dalla sua scrivania. «Ce lo vogliamo venire a prendere questo mandato?».
Rose si diresse verso il professore e afferrò il foglio di pergamena che lui le porgeva, su cui erano indicate le motivazioni della punizione, il luogo e l’ora. Rimase lì impalata a leggere quanto scritto e quando notò “Sala dei Trofei” avvertì un prurito alle mani che le suggeriva di ritornare al suo posto e di strangolare Malfoy.
  «Signor Nott, lei illumina le mie tetre mattinate in questo carcere buio».
Rose alzò lo sguardo sulla fialetta cristallina, di un azzurro ceruleo che Arrows stringeva tra le mani mentre Vincent Nott, rilassato, sorrideva al professore in una perfetta dimostrazione di candida umiltà.
  «Signorina Weasley, la prossima volta si faccia dare ripetizioni dal Signor Nott, prima di giudicare impossibile un mio compito».
A pensarci meglio, sarebbe stato più soddisfacente strangolare Vincent -mago delle pozioni- Nott.

 
 
- § -

 
 

 «Da quando cammini così velocemente?»
 «Da quando cerco di evitarvi»
 «Rose, rallenta un attimo, forza» esclamò Albus con il fiato corto e un tono lamentoso.
Rose intercettò un gruppo numeroso di studenti che occludeva il passaggio lungo il corridoio; si precipitò nella loro direzione e si immerse nella folla, sgattaiolando dall’altro lato mentre ancora il cugino protestava. La ragazza ignorò quella voce fredda, perentoria che ordinava ai passanti di defluire, minacciandoli con chissà quale incantesimo; scoprì qualche istante dopo che l’intervento ottenne il suo successo perché dei passi frettolosi ancora la seguivano.
  «Ti ha chiesto scusa» disse Albus alle sue spalle.
  «No, non l’ha fatto» tuonò lei, mantenendo il suo passo fiero e spedito.
L’esitazione colpì il cugino prima che osasse accennare un incerto «Lo farà».
  Una risata scettica e annoiata precedette una replica freddamente studiata «Non ci penso nemmeno» disse Malfoy.
Quella voce così glaciale e impassibile riuscì ancora una volta a far crollare ogni suo proposito. Rose arrestò la sua marcia frenetica e rimase immobile come pietrificata nel bel mezzo del corridoio, voltandosi all’istante. Il cugino che la seguiva di poco ebbe appena il tempo e l’agilità di scostarsi lateralmente senza fermarsi e rischiare così di finirle addosso: anni di Quidditch l’avevano reso esperto nell’affrontare quel genere di situazione.
  Malfoy, che allo stesso modo di Albus procedeva a passo spedito per seguire Rose, invece, non accennò a rallentare e continuò imperterrito nella direzione della ragazza, eretta e rigida come una statua. Rose lo fissava con uno sguardo di sfida, non lasciandosi intimidire dalla sua sfrontatezza e quando lui le fu ormai troppo vicino, solo per un breve istante fu tentata di alzare i palmi delle mani e fermare il suo busto; ma alla fine lasciò che lui le finisse addosso, come desiderava, e che i loro copri si scontrassero, che il seno di lei, ondeggiante nel suo ansimare, fosse percosso dal colpo del suo petto duro. Lui abbassò i suoi occhi vispi e divertiti su di lei e piegò le labbra prima in un mezzo sorriso ironico e poi in una smorfia sorpresa.
  «E così non mi chiederai scusa?» disse Rose.
  «Sai bene che non lo farò».
Lei lo guardava negli occhi senza perdere una sola sfaccettatura del loro verde e cercando di capire chi avesse davanti. Ripensò all’istante precedente in cui aveva lasciato che si toccassero e a quando lui non aveva esitato a ripararla con il proprio corpo durante l’esplosione.
  Davvero sapeva cosa avrebbe fatto Scorpius Malfoy in quel momento?
Ritornò con la mente a quando lui le aveva accarezzato i capelli e ne aveva inspirato il profumo con piacere e constatò che quel ragazzo non era mai stato così lontano dalla prevedibilità.
  «Mi hai ingannato, razza di schifoso» ringhiò Rose colpendolo al petto per allontanarlo da sé.
Malfoy la guardò scettico. «Di che stai parlando Weasley?» disse e poi sorrise in modo amabile e innocente e a Rose parve di vedere il diavolo in persona, mentre si immaginava il suo modo suadente di parlarle e di sfiorarle la mano.
  Lei non replicò e sbirciò nella direzione del cugino per capire quanto di quella conversazione stesse comprendendo. Albus intercettò il suo sguardo e improvvisamente arrossì; si allontanò da loro di qualche passo e iniziò ad ondeggiare sui piedi a disagio.
  «Per colpa tua sono in punizione» protestò Rose, alzando nuovamente il pugno per colpirlo, ma il polso questa volta venne prontamente bloccato da Malfoy. Con l’altra mano trattene anche l’altro polso di Rose, bloccando le sue braccia all’altezza della testa.
 «Hai finito di colpirmi?» disse Malfoy annoiato, evitando con destrezza un calcio della ragazza. «Se ti applicassi almeno un po’, capiresti che l’ho fatto per te».
  Albus intervenne con uno sbuffo imbarazzato. «Allora vi lascio fare la pace» disse incerto mentre le dita presero ad agitare frenetiche la sua chioma.
Dei passi risuonavano poderosi nel corridoio, avvertendoli che non sarebbero stati soli a lungo. Il professor Perkins voltò l’angolo, bloccandosi appena vide il trio.
  «Buon pomeriggio ragazzi» disse con un sorriso. Indossava abiti modesti, da babbano, con i suoi pantaloni neri e un gilet sulla camicia chiara. «Rose, sei pronta?» aggiunse.
La ragazza si liberò dalla stretta di Malfoy e guardò confusa l’insegnante. «Per cosa, professore?».
  «Per la punizione» disse. «Forza, andiamo».
Malfoy al suo fianco si irrigidì. Rose seguì i passi del professore sempre più spaesata e si voltò solo per incrociare lo sguardo sorpreso di Albus, mentre la pressione di quello tetro di Malfoy non la abbandonava.
  Rose concentrò ogni pensiero sull’eco profonda dei loro passi, mentre Isidore procedeva al suo fianco indossando un aria sicura e rilassata e, in qualche modo, rassicurante. Si guardava intorno con quello sguardo ancora spaesato e curioso, facilmente meravigliabile, sorridendo agli studenti, fermandosi per stringere la mano ai colleghi e salutando cordialmente i fantasmi, che mai avevano amato tanto un professore.
  Rose lo guardava di sottecchi, osservandone l’aspetto solare e chiedendosi se sentisse mai la mancanza di Penelope.
Isidore si immise nel corridoio più tranquillo, quello che conduceva ai bagni e alle aule studio.
  «Mi avevano parlato di te come di una studentessa modello» disse all’improvviso.
Rose rimase un attimo in silenzio, sorpresa nel sentire la sua voce, poi parlò, leggermente indispettita «Ci provo».
Isidore la guardò pensieroso «Collezionando punizioni?».
  «Le ho detto che non sono brava in pozioni» disse, scrollando le spalle.
  «Arrows, capisco».
Nuovamente il silenzio scese su di loro, ma questa volta sembrava meno soffocante e rumoroso. Piuttosto era una piacevole sospensione che sapeva di intimo. Isidore si arrestò davanti ad un arco profondo che ospitava nel suo alveo una piccola e dissestata porta in legno.
  «Eccoci qua» disse il professore. «Porgimi la tua bacchetta per favore» disse, mentre Rose a malincuore si separava dalla sua fedele amica. Provò la spiacevole sensazione di essere privata della sua mano destra. «Questa porta si sigillerà al tuo ingresso e si aprirà solo quando avrai terminato. In caso di emergenza puoi rivolgerti alla Civetta che troverai sullo stipite e che mi raggiungerà. Tutto chiaro?».
  Rose annuì rassegnata e fece per aprire la porta, ma Isidore la bloccò. «Questa sera potrai venire a ritirare la bacchetta nel mio studio» aggiunse guardandola per quella che parve un’eternità. «Avrai compagnia lì dentro, buon lavoro».
  Le linee accuratamente marcate sulla pietra si mossero solennemente e andarono ad incastonare la porta minuta, imprigionandola in quel vincolo inesorabile. Rose si guardò intorno nell’alta Sala dei Trofei, dove il soffitto vetrato era talmente profondo da far credere che quel fascio di luce paradisiaca provenisse direttamente dal cielo. Sotto quella distesa solare, Rose girò su stessa e si sentì avvolgere dall’immensa austerità, avvertendo la propria piccolezza all’interno della culla dell’orgoglio di Hogwarts. Il prestigio degli studenti che prima di lei avevano varcato la soglia della celebre scuola era rispettato e celebrato dalla magnificenza di quella stanza circolare e imponente, decorato da numerosi scaffali, traboccanti di trofei e onorificenze.
  «Rose».
La voce di suo cugino James Potter la riscosse dai propri pensieri e fu probabilmente la visione più celestiale cui ebbe l’onore di assistere da quando aveva messo piede nella Sala. Corse nella sua direzione e lo abbracciò con forza.
  «Perché sei qua?» domando James, senza ricambiare con la giusta enfasi l’affetto della cugina, piuttosto guardandola con rimprovero.
Rose lo liberò dalla propria stretta e incrociò le braccia sul petto in una risposta a quel tono di voce ingiustamente sospettoso, che tanto le ricordava la madre.
  «Perché desiderava passeggiare tra i polverosi Trofei di milioni di sconosciuti, per scoprire amaramente che i nostri antenati Serpeverde vi hanno fottuto la Coppa di Quidditch molte più volte di quanto non vi venga raccontato dalla McGranitt» dichiarò la voce frizzante,  perennemente inclinata da uno spirito squisitamente sarcastico, che ancora in famiglia si faceva fatica ad attribuire ad uno dei suoi genitori.
  Molly Weasley era poggiata allo stipite di un ampio arco e attraeva l’attenzione su di sé per quella corta chioma di ribelli ricci infuocati: un rosso Weasley che di autentico aveva ben poco, ma che, nella sua eccentricità, non aveva mai disonorato il rispettabile marchio di fabbrica. Si era guadagnata l’approvazione di tutti i suoi cugini - esclusi quelli con sangue Veela, ovviamente-  ma questo non le aveva risparmiato anni di persecuzione da parte dei perfetti e irreprensibili zii Percy e Audrey.
  «Molly» la salutò Rose, agitando la mano con lo stesso entusiasmo che avrebbe dimostrato un bambina in un Luna Park. «E’ bello vedere che su tre studenti puniti, tre appartengono alla nostra famiglia».
Molly ridacchiò, fiera di questa constatazione. Poi si voltò e si incamminò verso la stanza adiacente, superando l’arco a cui era appoggiata. «E’ di queste coppe che ti dovrai occupare» disse, indicando la più misera collezione di Trofei in argento che occupavano uno spazio ben più limitato rispetto alla stanza precedente.  «E’ il solito inganno della prima punizione. Non danno mai questa spiegazione ai novellini e li lasciano disperarsi tra  topi e      Trofei sbagliati; dopodiché loro sono davvero troppo spaventati per pensare di infrangere nuovamente le regole».
Nonostante i buoni propositi della cugina, la sua esperienza non aveva particolari effetti rassicuranti. Guardò la porta della Sala, ben sapendo che non si sarebbe mai aperta, chiedendosi a quel punto come avrebbe fatto a far entrare Albus e Malfoy.
  «La vostra punizione quando scade?» domandò Rose, studiando con vivo interesse le varie coppe esposte.
James si accasciò sul pavimento, rigettando indietro la testa e un ciuffo particolarmente insidioso, che in quel caso particolare, alla presenza delle due cugine, perdeva la propria efficacia seduttiva. Sbuffò una specie di protesta. «Tra un paio d’ore» rispose. «Importavo bevande non ammesse all’interno della Cattedrale».
  Rose corrugò le sopracciglia e sogghignò. «Alcool ad Hogwarts?»
James abbandonò la testa all’indietro con aria imbronciata e afferrò svogliatamente una coppa accanto alle sue gambe.
  «Da chi ti rifornisci?» chiese Rose.
Anche questa volta fu la prontezza di Molly ad intervenire. «Alec, il barista della Testa di Porco» rispose. «Non fa mai storie» aggiunse con un’alzata di spalle.
  «Un genio quel ragazzo, senza dubbio» disse James. «Ma non il miglior fornitore …».
  «Folletti e Salamandre» completarono all’unisono i due cugini. James le sorrise e Molly ricambiò con un occhiolino.
Rose decise di non indugiare troppo sui traffici illeciti di cui i due ragazzi sembravano essere esperti e concluse la propria affannosa ricerca afferrando una tondeggiante e bassa coppa non troppo annerita, che come esordio poteva anche essere incoraggiante.
  Si sedette accanto a James,  in un punto imprecisato di quel pavimento polveroso, che il cugino aveva considerato  consono all’impegnativa attività  cui era dedito; agitava abilmente la coppa longilinea, alla ricerca dell’angolazione perfetta in cui specchiarsi e quando ebbe finalmente individuato il proprio riflesso, sorrise soddisfatto dell’immagine che la coppa gli rimandava: sembrava felice di constatare che nemmeno la gravità della fatica potesse nuocere alla sua bellezza.
  Rose pensò che fosse il momento di distogliere James da quell’idilliaco scenario di vanità e ricercò il modo più brusco per farlo.  «Credo che sia il caso di rivolgerti ad un fornitore più scadente invece, considerando gli effetti devastanti dei tuoi alcolici»
James si riscosse dall’immagine del proprio volto disteso lungo la siluette argentata. «Di che parli, Rose?»
  «Di Eloise Stewart» rispose Molly.
James per poco non lasciò cadere l’oggetto che stringeva tra le mani e Rose considerò i propri deboli tentativi di sconvolgere il cugino, dinanzi alla più efficiente irruenza di Molly.
  «Ah».
Molly, poggiata contro il muro, si separò dalla parete e avanzo fino a sedersi di fronte al ragazzo.  «Questo è tutto ciò che hai da dire cuginetto?». James rispose con un sospiro e una smorfia infastidita, di chi intimava di non disturbare il drago che dorme. «Nessun risvolto interessante? Nessun epilogo di cui non siamo a conoscenza?» proseguì Molly, sollevando le sopracciglia.
  James rinnovò la propria irritazione sbuffando sonoramente. «Non è un evento così grandioso».
Rose lo osservò scuotere le spalle con naturalezza e piegare la bocca in un espressione indifferente. «Sei un idiota James» ringhiò indignata.
Molly annuì con solidarietà. «Una bella ragazza ti bacia davanti a tutta la scuola e per te non è un evento così grandioso?» disse in una risata amara. 
  «Si, sei un idiota». Puntò sul ragazzo di fronte a sé uno sguardo sicuro, ironico e combattivo, dimostrandosi per l’ennesima volta la sola capace di sfidare James Potter in una battaglia di testardaggine e di uscirne anche vincitrice.
James tentò di rinnovare la via della sfacciata indifferenza, ma desistette dinanzi allo sguardo furibondo della cugina minore e a quello insistente della coetanea. «Non posso dare ad Eloise quello che vuole,ok?» sbottò alla fine.
  «Perché no?» lo aggredì nuovamente Rose, resasi conto troppo tardi di quel tono lamentoso che rendeva la propria indignazione non troppo dissimile da una preghiera.
James la guardò, come spesso faceva, dalla sua superiore esperienza e scosse la testa. «Non funziona così».
  Molly ridacchiò sorpresa. «Non funziona così, nel senso che non ti piacciono le belle ragazze?» domandò «O le ragazze?».
James Potter questa volta non si considerò disposto a sopportare l’ironia della cugina. Si alzò di scatto, chiudendo le dita a pugni e abbandonandole lungo i fianchi, come faceva sin da bambino per imporsi sulla madre. Rose aveva sempre trovato curioso il bisogno di James di riprodurre con Molly lo stesso atteggiamento infantile con cui fronteggiava zia Ginny.
  «Se è tanto bella, perché non ci esci tu?» disse fra i denti. Il petto irrigidito ondeggiava senza il suo controllo.
Molly si ostinava nel suo sguardo beffardo, ma non rispose al cugino con la solita prontezza. Sembrò indugiare pensierosa e solo alla fine depose le armi e agito la pezza con cui lucidava i trofei, ma quella da bianca e illibata  era divenuta ormai logora e più che un segno di resa, assunse i toni comici dell’ennesima canzonatura. «Cercavo solo di offrire a Rose una prospettiva diversa».
  Rose abbozzò un leggero sorriso, ma provò nuovamente la sensazione di estraneità e di piccolezza, come se non riuscisse a comprendere i due cugini fino in fondo.
  «Non c’è nessuna prospettiva che possa mettere in dubbio la mia eterosessualità» sbottò James, più collerico che mai. «Ho solo un’altra storia».
Molly sospirò un sorriso incerto tra la sorpresa e il sollievo, mentre Rose strabuzzò gli occhi con meraviglia. Abbandonò definitivamente la coppa e si sollevò in piedi per meglio guardare James. «Cosa?» sbottò con voce troppo acuta. «Non mi hai detto niente».
  «Non devo raccontarti tutto Rosie».
  «E perché io invece devo?».
Lui la guardò in silenzio con occhi inteneriti, poi le agitò i capelli e le stampò un bacio sulla fronte come se fosse un’eloquente risposta. «Non ho intenzione di parlarne» disse per poi incamminarsi lontano da loro.
  «Dove pensi di andare?» domandò Rose.
Lui non pensò di fermarsi e le rispose porgendo solo le sue spalle, per poi scomparire dietro l’arco imponente. «Via da qui».
  «Non ci pensare nemmeno Ros» disse Molly, frenandola con il solo suo sguardo ammonitore.  Il portone di legno si aprì per far passare James e si richiuse alle sue spalle. «È una irregolarità bella e buona. Riceverà un’altra punizione e peggiorata».
Rose si guardò intorno, in quell’angusto spazio, accerchiata da un’armata di Trofei ammucchiati tra gli scaffali ed ebbe difficoltà ad immaginare una punizione peggiore. «Tu quanto tempo hai ancora?» chiese, tutt’ad un tratto preoccupata.
  La cugina maggiore non distolse lo sguardo da una macchia particolarmente insidiosa, ma sorrise e parlò. «Non ti lascio sola».
 
La civetta riposava serena sullo stipite della porta arcuata, individuata una accogliente insenatura tra l’infisso e l’angolo del soffitto. Improvvisamente, come ridestata prepotentemente da un sonno ristoratore, si alzò in volo e percorse la sala lungo tutta la sua circonferenza in una corsa irrequieta.
Nello stesso momento le pareti si distesero, le mattonelle in pietra si ritirarono e la porta si aprì sotto gli occhi meravigliati di Rose.
  «Tempo scaduto Rose» disse Molly in un forte sbadiglio. «Siamo libere».
Due sagome maschili passarono con rapidità davanti alla porta e scomparirono all’istante dalla loro vista. Con lo stesso scatto fulmineo Molly Weasley balzò in piedi, si stiracchiò accuratamente e anticipò Rose verso l’uscita. La ragazza pietrificata e incapace di pensare lucidamente non osava muoversi, controllando con timore i movimenti della pietra incantata.
  «Rose, ma che fai ancora lì?».
Ancora lì immobile, aprí la bocca alla ricerca di una risposta brillante. Vagò a tentoni cercando di ricordare cosa avesse stabilito con i ragazzi, ma poi ricordò di essere scappata furente senza dare a Malfoy il tempo di lasciarle delle direttive. «Ehm».
  «Aspetta me». Scorpius Malfoy comparve alle spalle di Molly nel suo silenzio spettrale. Adagiava le mani rilassate nelle tasche dei pantaloni e si guardava intorno con aria di sufficienza.
Molly studiò per un tempo eccessivamente lungo il ragazzo, sfiorando quasi l’indecenza. Poi si rivolse incerta verso la cugina. «E’ sicuro che posso lasciarvi soli?» disse, cercando di carpire dal volto di Rose un solo segnale che smentisse quanto aveva appena sentito.
  «È per una scommessa» aggiunse Rose, ora con più sicurezza.
Molly, che non sembrava affatto rasserenata, non escluse ancora la possibilità che il ragazzo stesse sequestrando la cugina.  Prima di abbandonare totalmente la scena si sentì in dovere di infonderle un po’ di saggezza. «Non mostrargli le coppe di Quidditch» disse in un sussurro, allontanandosi subito dopo.
  L’accenno di un sorriso divertito illuminava il volto affilato di Malfoy.  «Abbiamo vinto molte più coppe di voi, lo so benissimo».
  «Grazie per il chiarimento».
  «E’ sempre un piacere».
Malfoy la guardava con ostinazione puntandole contro uno sguardo indecifrabile, ma Rose era irremovibile nella sua fortezza di rabbia.
  «Sfoderate le bacchette?» disse Albus, emerso dal suo rifugio dietro la porta.
La sua comparsa tardiva, dopo che da soli ebbero evitato la curiosità sospettosa di Molly, non scalfì l’animo turbato di Rose, la sua ira nei confronti dell’amico del cugino, né addolcì il suo volto contratto in una smorfia imbronciata.
Albus inarcò le sopracciglia e cercò conforto in Malfoy «Ha scoperto dei trofei?»
  «Non sembra averla presa molto bene» annuì il ragazzo con sguardo rammaricato.
Rose inspirò a fondo alla ricerca di una pazienza che non le apparteneva. «Vi sembra il momento di fare gli idioti?».
Malfoy le si avvicinò e si piegò al suo orecchio, mentre gli occhi di Rose lo studiavano timorosi «Seguimi, ti faccio vedere come si vive in questa scuola».
  Quando i ragazzi ebbero superato la soglia, tutto si sigillò alle loro spalle. Che Malfoy si proponesse come Cicerone di quel grand tour di infrazioni era forse ciò che Rose meno gradiva di tutta la scomoda situazione, ma nel momento in cui lui con un agile balzo afferrò la mensola più alta e vi si aggrappò, il maglione della divisa, in perfetta aderenza con le leggi della fisica, rimase piegato e arrotolato, scoprendo tutto il suo torace. E in quel momento, mentre i muscoli dell’addome si contraevano per reggere lo sforzo sotto la sua pelle diafana, Rose rivalutò la negatività di quell’idea, quella fulminea e impetuosa idea di coinvolgere Malfoy nei suoi problemi.
  E come se il cugino avesse seguito un corso accelerato di legilimens, affermò «Un giorno mi sarà lecito di sapere perché hai raccontato tutto a Scorpius?».
Con un ultimo sforzo che richiese anche una dimostrazione di validità da parte delle sue braccia, Malfoy atterrò sul davanzale di una delle tante finestre e con un colpo di bacchetta sollevò il vetro. «Non essere geloso Potter» disse da quell’altezza, mentre tendeva una mano all’esile Albus, più leggero e meno resistente dell’amico.
  Con non poca fatica raggiunse anche lui l’appoggio in altura e rimase seduto, immobile e al sicuro aspettando Rose. A quel punto Malfoy ci pensò solo pochi istanti, troppo brevi perché Rose si accorgesse della titubanza, poi protese una mano verso il basso, verso la ragazza che si guardava intorno alla ricerca di una alternativa. Rose non si curò nemmeno di rifiutare quel misero aiuto, che faticosamente il ragazzo sembrava concederle, dall’espressione contrita con cui rispondeva alla di lei indifferenza. Non guardò nemmeno il suo braccio mentre le intimava di non fare storie e rimase ferma,  le braccia incrociate con ostinazione.
  «È bello vedere che alcune cose non sono cambiate» disse Albus, mentre distendeva le sue braccia per afferrare quelle della cugina.
Malfoy non dimostrò reazioni e con molta meno galanteria di prima scanso i due ragazzi e attraversò il varco creato nella finestra. Atterrò nella piccola stanza buia del custode che illuminò con un vigoroso “lumus”.
  Lo studio del custode era un luogo angustio, soffocante in quell’aria polverosa e cocente e solo una piccola finestra permetteva l’affaccio sul giardino del cortile interno, ma era un ristoro misero a quell’atmosfera narcotica. Albus aprì le ante dell’unico armadio che occupava la stanza, ma che si estendeva lungo tre pareti: con un gesto più poderoso da parte di Albus l’anta scorrevole si aprì completamente, lasciando scoperte pile immense di cartelline di cuoio antico.
  «Quest’ala appartiene ai professori, le altre due agli studenti» spiegò Malfoy, poi si rivolse a Rose con più enfasi «Pronta?». Era una domanda scettica, condita con un velo di provocazione.
Rose poggiò le dita timorose sul cuoio invecchiato, aspettando che qualche segnale le ricordasse di non stare facendo la cosa giusta. Poi, quando si accertò che non ci sarebbero stati ostacoli tra lei e la verità, si lasciò inebriare da quell’odore intenso di nonno Arthur e sfilò con gli occhi alla ricerca di Perkins. Era una ricerca difficile ed estremamente noiosa. I ragazzi cominciarono a sfilare cartelle e fogli di pergamena, accasciandosi sul pavimento, stanchi e con le braccia traboccanti di documenti.
  Rose si concesse una tregua e si allontanò dall’ala degli insegnanti, vinta dalla curiosità di cercare notizie sulla propria famiglia, ma la scritta Nott catturò il suo sguardo, come se gli occhi non avessero aspettato altro che poggiarsi su di essa; dopo aver superato diverse generazioni adocchiò l’unico Nott del quale le importasse davvero. Con avidità afferrò quella cartella, sciolse il nodo che la imprigionava e ne assaporò i contenuti.
  Vincent Nott proveniva da una delle più altolocate famiglie Purosangue, una casata presente nel Mondo Magico da quando questo conobbe le sue prime forme di civilizzazione. La discendenza illustre che al tempo presente ancora faceva parlare di sé portava i segni di una prestigiosa eredità. Vincent Nott era un ragazzo brillante e da quanto mostrava la sua foto, anche incredibilmente bello.
Troppo bello perché sia vero.
  Accanto al suo nome erano riportati quelli dei suoi genitori, Adam e Alyssia Nott. Rose ripose la cartella del ragazzo ed estrasse quelle adiacenti per imbattersi in una Alyssia elegante ma ordinaria, nulla a che vedere con la bellezza del figlio. Era dal padre che Rose scorse tracce di quel fascino: Adam Nott,con i suoi capelli chiari e con gli stessi occhi freddi del figlio. Un volto difficile da dimenticare.
  Un colpo di tosse prodotto con una molesta insistenza la riportò alla realtà. «Quella non mi sembra la sezione insegnanti» pronunciò la voce atona di Malfoy.
  «Rose stai frugando nella cartella di Nott». L’espressione di Albus era chiara su quanto lui fosse esasperato. «Ti dispiacerebbe darci una mano?»
Rose chiuse di scatto la scheda e la rimise al proprio posto, non prima di aver scrutato per un ultima volta il viso di Adam Nott «Trovato qualcosa?» chiese.
  «A quanto pare no» sbuffò Malfoy, sollevandosi sulle braccia con una incredibile flemma.
  «Si è diplomato con ottimi voti, ha avuto altre esperienze lavorative come assistente e questo è il suo primo anno da insegnante effettivo» spiegò Albus con una alzata di spalle. «Nulla di più».
  Rose soffiò una risata soddisfatta. «Ci stiamo concentrando sulla persona sbagliata» disse e guardò Malfoy con l’aria di chi già assapora il piacere della vittoria.
  «Invece tu su Nott che cosa hai trovato di interessante?»
Rose lo guardò titubante e ammise seccata «Che ha un padre davvero sexy».
  «Oh, davvero utile» commentò il ragazzo. Si concesse di appoggiarsi contro il tavolo che signoreggiava al centro dell’armadio a ferro di cavallo e si passò una mano sul volto, per poi accarezzare il mento e stuzzicare la rada barba. «Non posso nemmeno immaginare quanto sia deterrente per te questa competizione con Vincent».
  Rose ridusse i suoi occhi a due fessure e si premurò di incenerirlo con la sola forza dei suoi pensieri. «Non potrà mai essere più frustrante di quella che vivi quotidianamente con Perkins».
  La sola risposta che il ragazzo ebbe il tempo di produrre fu un latrato basso appena soffiato tra i denti che si irrigidivano, scontrandosi tra di loro in una serrata forma di protesta. Albus Potter al culmine dell’entusiasmo aveva battuto il pugno destro sul palmo dell’altra mano e si era voltato versi i ragazzi sbandierando in aria una delle tante cartelle malandate , con una tale enfasi che Rose pensò a quanto dovesse sembrare più misera a confronto la stessa immagine del cugino con in mano la Coppa di Quidditch.
  «Isidore Davis».
Fu ciò che disse Albus ed era il nome riportato in oro sottile sulla cartella. Rose non si accorse di essersi precipitata verso il cugino, come una foglia leggera trascinata da una folata di vento o una scarica elettrica che si irradia ad una velocità impercettibile. Tutto ciò che la mente in quel momento registrò fu che Isidore Davis era il cadetto di una celebre famiglia Purosangue, la cui fama evidentemente doveva essersi dissolta con il tempo; ad Hogwarts non brillava per astuzia, almeno non in quelle attività che non prevedevano una certa attinenza per i guai.
  «Nulla a che vedere con l’uomo brillante che è adesso» commentò Rose delusa.
Come da previsione la risata scettica di Malfoy non tardò ad arrivare. «Patetica» farfugliò a voce alta e ben udibile.
  Un rumore dal corridoio li fece trasalire. Malfoy istintivamente portò la mano alla tasca dei pantaloni dove custodiva la bacchetta. «Non abbiamo più tempo».
Albus ripose in fretta gli ultimi schedari, mentre Malfoy si accostò alla porta dell’ufficio. Fissò con più forza la serratura attorno alla maniglia e creò con la bacchetta una voragine lungo la superficie legnosa che gli permettesse di osservare e ascoltare ciò che proveniva dall’esterno: nessun suono accompagnò il precedente. Con un cenno della testa intimò Rose di rischiarare la loro vista; la ragazza tastò più volte le tasche della gonna alla ricerca della bacchetta.
  «Dove diavolo l’hai messa?» esclamò Malfoy con una punta di panico nella voce.
Lo stesso panico che stava divorando la ragazza in quel momento, fino a che non ricordò. «Perkins» mormorò.
  «Come hai detto?».
  «Ma certo, Perkins» intervenne Albus al culmine della gioia, abbandonandosi ad un’ esclamazione di giubilo con un tono di voce che fece non poco trasalire i due ragazzi.
Rose si passò una mano sulla fronte, avvertendo tutta la frustrazione che deriva dalla consapevolezza di essere totalmente inerme. «Ho dato la bacchetta a Perkins».
  Malfoy la guardò profondamente infastidito da tale rivelazione «Perché lo avresti fatto?».
  «Non sei tu l’esperto delle punizioni?».
  «Weasley!». Malfoy si irrigidì e la guardò serio «Avrebbe dovuto farlo Gazza» disse.
  «Trovato!».
Quell’ ultima esclamazione da parte di Albus non passò inosservata e i rumori dal corridoio tornarono a manifestarsi, mentre l’inconfondibile eco dei passi risuonava sempre più nitida.
  Albus con un colpo secco trascinò l’anta, che proseguì il cammino autonomamente, ripercorrendo le tre ali del ferro di cavallo. I ragazzi aprirono la porta con esitazione, poi la spalancarono e si precipitarono fuori dall’ufficio, quando i passi sembravano essersi arrestati. Tuttavia il buio pesto infestava il corridoio deserto e le ombre degli arazzi e delle statue si allungavano ai loro piedi come se li rincorressero. Lasciarono alle loro spalle la porta ormai chiusa, i disegni sul pavimento simili a spettri e una strana sensazione di non essere più soli.
  Avevano bisogno di luce e di aria fresca, salubre che scacciasse via ogni ricordo di quella asfissiante dell’angusta stanza. Raggiunsero il piccolo cortile interno, ma la notte scarna di stelle era solo un lugubre manto grigiastro che premeva sulle loro teste, nutrendo il respiro affannoso che li scuoteva.
  «Cosa stavi cercando Albus?» chiese Rose, poggiandosi con le spalle alla colonna di pietra, per riprendere forza.
  «Qualcuno che al tempo di Hogworts avesse portato il cognome “Perkins”».
  «E cosa hai trovato?».
Albus, piegato sulle ginocchia dal fiato mozzato, si drizzò e guardò la cugina scossa dalla corsa estenuante, le punte dei capelli mogano mossi al vento, mentre alcune ciocche le ricadevano sulle tempie bagnate. Con gli occhi blu come la notte più tormentata lo scrutava avida e spaventata. Lui ricambiò il suo sguardo, cercando di assorbirlo nel proprio e pronunciò due semplici parole: «Penelope Perkins».






Urone
Il potere di cambiare il mondo a dispetto di un destino avverso. 







 

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Capitolo 10
*** Wonder ***



-E il copione? Il copione dov’è?
-Dentro di noi, signore.
Il dramma è dentro di noi.
 

 

 

CAPITOLO X


Wonder





Le dieci e mezza di sera poteva essere ancora considerato un orario consono per bussare alla porta dello studio di un professore. E il fatto che il docente in questione fosse giovane e attraente non avrebbe compromesso in nessun modo tale constatazione. Almeno questo era ciò che Rose continuava a ripetersi mentre attendeva in fila nella Sala d’Ingresso il proprio turno alle Scale Mobili.
Bethany Hockins le stava davanti con i suoi capelli crespi, lunghi fino a metà schiena, ricci e arruffati, talmente tanto vaporosi da ostacolarle la visuale e costringerla a concentrarsi solo su di essi e sul desiderio di riportarli all’ordine con qualche incantesimo che aveva da tempo sottratto a Dominique.
Una folata di vento gelido arrivò dal portone e Bethany tirò su con il naso. Un coro di voci femminili, di risatine eccitate, acute come tanti spilli fece storcere il naso a Rose con disappunto. Poi il gregge si manifestò e Kate Hastings chiuse la coda, tra le dita ancora l’ultima sigaretta, fatta sparire subito dopo a suon di bacchetta. Rose le avvertì seguirla nella fila, mentre questa avanzava lentamente. Il silenzio scese tra le ragazze quando Kate le superò e si posizionò al centro del branco, subito dietro Rose. Lei poteva percepire i risolini e gli sguardi complici, canzonatori che le perforavano la nuca, attraversavano la sua schiena e indugiavano sui suoi capelli, sulle sue gambe, sul suo sedere, su tutto ciò che potesse farla sentire una preda accerchiata da lupi. Esasperata, Rose si voltò, porgendo loro uno sguardo che sperava fosse più fermo di come in realtà si sentisse. Kate si zittì e piegò la testa di lato con un sorriso.
  «Hai perso qualcosa, Weasley?» sibilò la Hastings molto lentamente con voce melliflua e la lingua da serpente che lambiva le labbra. «Oltre la dignità ovviamente» aggiunse. Le ragazze che la circondavano fecero finta di trattenere una risata ma si abbandonarono a risolini discreti, quasi soffocati; una di loro si coprì gli occhi con la mano e abbassò il capo, dando sfogo ad una ilarità che stava fomentando da quando si erano avvicinate a Rose. Quel gesto scatenò anche il resto del branco e il gruppetto al cui centro troneggiavano Kate e Rose aveva ormai attirato l’attenzione di tutti.
  Rose sospirò «Che problema hai?» disse.
 «Con te davvero tanti» esclamò Kate. «Eppure mi basterebbe non vederti ogni giorno alla mia tavola, nel mio gruppo di pozioni. Ormai, mi aspetto solo di trovarti nella mia Sala Comune» disse con un tono sempre più plateale. E Rose glielo riconobbe, era brava ad attira l’attenzione su di sé. Era bella, vivace e prepotente: tutto il necessario per avere ogni situazione sotto controllo. «Davvero non c’è nessuno delle tue amiche che riesca più a sopportarti? O della tua Casa in generale?» disse con un’espressione rammaricata. «Qualcuno del primo anno?» propose con un sorriso beffardo.
Rose strinse i pugni e avanzò di qualche passo lungo le scale, che finalmente avevano preso a muoversi. Si concesse qualche secondo per non guardare nessuno di loro e cercare di ignorare l’attenzione degli studenti che li guardavano curiosi. Puntò lo sguardo su Bethany dai capelli crespi e quando lesse anche sul suo volto tracce di compassione, si rese conto di stare precipitando nel baratro della disperazione.
  «Non mi sembrava che Albus e gli altri morissero dalla voglia di stare in tua compagnia» disse Rose con gli occhi fissi sulla ragazza.
Kate arricciò le labbra indignata e ridusse gli occhi a due fessure. «Sono i miei compagni di Casa, non i tuoi e sarà sempre così. Tra di noi tu non c’entri niente».
  «Eppure non ci hanno pensato due volte prima di mollarti per me» disse Rose, mimando quel sibilo fluente e altezzoso dei Serpeverde.
La scala si fermò all’altezza del terzo piano e Rose salì gli ultimi gradini con tutta la dignità che sentiva di aver guadagnato, ma continuava ad avvertire gli sguardi degli altri che non la perdevano di vista, dopo che si ebbero scostati per aprire un varco e lasciarla passare. Quegli sguardi la seguivano e la studiavano mentre lei si allontanava con il proprio cognome marchiato tra i capelli e l’aria di chi volesse sempre essere al centro del mondo. Quando finalmente voltò l’angolo, tirò un sospiro di sollievo, rilassò le spalle e abbandonò quell’andatura trionfale che aveva imparato ad indossare, ma che detestava più di ogni altra cosa.
 
Bussò due volte, perché con una avrebbe corso il rischio di non essere udita e con tre sarebbe sembrata insistente. Quindi bussò due volte. La porta si aprì da sola con suo immenso sollievo: sarebbe stato imbarazzante trovarselo sull’uscio, magari in tenuta da notte, sorpreso e appena imbarazzato con il suo sguardo gentile che la invitava ad entrare e si scusava per il disordine, ma non aspettava visite.
Ed effettivamente di quello si sarebbe dovuto scusare, perché lo studio del professor Perkins era, aldilà di ogni previsione, l’Inferno sulla terra. La stanza sembrava piccola, poiché fiocamente illuminata da qualche alta candela che dal pavimento giungeva al soffitto; Rose scavalcò diversi fili di gomma che collegavano la porta alla scrivania, addossata alla parete. Era ottagonale e delimitata su ogni lato da pile ordinate di libri; questi erano sparsi sul pavimento, ricoprivano le mensole e le librerie, erano aperti sul tavolo, insieme a fogli di pergamena. Tante lunghe travi di legno scendevano dal soffitto e terminavano con delle ruote dai raggi sottili che giravano senza sosta, come mossi dal vento.
Rose si affacciò oltre la scrivania, ma vi trovò soltanto molte penne di piuma spezzate e gettate sul pavimento. Quando pensò di aver scelto il momento sbagliato per disturbare il professore, si accorse di non aver ancora perlustrato un’altra ala dello studio. Proseguì lungo uno stretto corridoio che nel buio della notte non aveva notato e si ritrovò su un ampio terrazzo, dove il vento soffiava potente e un incantesimo lungo la balconata simulava il moto di un mare in tempesta, tanto che Rose fu inondata dall’odore di salsedine e dagli schizzi gelidi e affilati. Da quell’altura non era il Castello incantato che si scorgeva, come da ogni altra finestra della scuola, ma un’ampia distesa verde, seguita da un fitto bosco di alberi floridi e imponenti,
sinistramente compatti e poi ancora in lontananza sembrava di osservare l’immensa superficie del mare.
  «Una vista che nessun altro angolo di Hogwarts ti offre» disse la voce rilassata alle sue spalle. Rose trasalì e si voltò verso Isidore, ma non lo trovò. Emerse dall’oscurità, avvolto in un lungo mantello nero che si distendeva sul pavimento, avvolgendolo in una circonferenza scura. «E’ ciò che mi ha convinto ad accettare il posto. Non la fama della scuola, non l’idea dell’insegnamento, non la magia che trapela ad ogni angolo. Solo questa vista» aggiunse, distendendo il volto in una espressione serena. «Ti sembra assurdo?».
  Rose abbozzò un sorriso. «Un po’».
Lui la guardò un attimo, poi scoppiò a ridere e spalancò le braccia. «Sei sempre così sincera. Mi piace».
  Rose deglutì e iniziò a torcersi le mani. «Professore, mi scuso per l’ora. Sono qui per recuperare la mia bacchetta».
Isidore annuì. «Come è andata la punizione?».
  «Bene?» disse con esitazione. «Lunga e polverosa» aggiunse.
 «Come è giusto che sia» disse con un largo sorriso e gli occhi glaciali piegati dalla tenerezza. «Posso farti vedere qualcosa che allevia ogni pensiero?».
 Rose non lo guardò, ma abbassò gli occhi imbarazzati sulle dita intrecciate. Poi gli sorrise e lo seguì lungo la balconata. Gli schizzi d’acqua l’aggredivano ancora con innumerevoli frustate fredde, ma Isidore la incoraggiò con la mano e la precedette con piccoli passi. Rose chiuse gli occhi, si lasciò inondare dal mare e raggiunse il limite della balconata che si affacciava a strapiombo nel buio pesto. Quando li riaprì avvertì il nulla circondarla da ogni lato e la invase il terrore di precipitare al minimo movimento, finché Isidore non le afferrò la mano e indicò il fondo del burrone; lei sbirciò al di sotto dei suoi piedi e vide le onde del mare scontrarsi contro la parete rocciosa, mentre al centro della tempesta un faro solitario distendeva il proprio fascio di luce riportando la calma lungo la superficie da esso sfiorata. E Rose si lasciò catturare da quel tenue barlume di speranza, che si specchiava su acque increspate, riuscendo ugualmente a trarne conforto.
  «E’ bellissimo» riuscì a sussurrare, nonostante il fiato le mancasse. «Come sa esserlo sola la natura».
Isidore le si avvicinò all’orecchio e mormorò «Ma questa è magia». Lui fece un passo indietro e sparì dalla vista di Rose. La ragazza fu invasa nuovamente dal panico, guardò il faro e la sua luce serafica, ma questa non ebbe lo stesso effetto di prima. Sentì il pavimento cedere sotto i piedi e imitò Isidore, indietreggiando, prima che la roccia cedesse. La tempesta d’acqua la invase ancora una volta e la mano familiare la riavvolse, riportandola ad una realtà asciutta e stabile.
Il cuore di Rose batteva a mille, non sapeva se per l’emozione o per lo spavento. La sua mano rimase avvinghiata a quella del professore.
  «La magia è bellissima, ma è quasi sempre un inganno» disse Isidore. «Non essere mai imprudente, impara a distinguerla».
  Rose deglutì a fatica. «Qual è il senso di tutto questo?»
  «Ti ho mostrato qualcosa che può cancellare i brutti pensieri».
  «In realtà, professore, credo che la mia testa sia incapace di ogni tipo di pensiero in questo momento».
Isidore ridacchio e fece per allontanarsi, ma la mano di Rose ancora lo legava a sé. Rapidamente alzò gli occhi su di lei e la fissò intensamente, cosa che portò la ragazza ad arrossire e a sciogliere, dolente, la stretta. Quando la mano del professore abbandonò la sua, Rose avvertì nuovamente quella sensazione di instabilità, di abbandono, quel terrore di essere assorbita nel nulla, percepì il vuoto intorno a sé. L’immagine vivida cessò con la stessa rapidità con cui si era manifestata, ma la sensazione continuava a turbarla.
Isidore tornò da lei, porgendole la sua bacchetta. Quando Rose la accarezzò con la punta delle dita, si sentì rigenerata, come se le fosse stata restituita la capacità di muovere gli arti.
  «Te l’ho custodita bene» disse lui e Rose, in quel momento, guardandolo negli occhi glaciali, fu certa che in nessun altro posto sarebbe stata più al sicuro.
 

 
- § -

 
 

Il ritratto della Signora Grassa si chiuse alle spalle di Rose. Lily Potter, intenta a scapicollarsi giù dalle scale del dormitorio femminile, si arrestò appena la vide, assunse un cipiglio di rimprovero e affondò le mani nei fianchi arcuati.
  «Felice di vederti» esclamò Lily con talmente tanto sdegno da indurre la cugina a dubitare fortemente di tale felicità.
Rose lasciò scivolare la borsa con i libri sul pavimento «Mi cercavi?» domandò, massaggiandosi la spalla dolorante.
  «Da qualche giorno circa» sbraitò. «Ho anche organizzato una missione suicida per sottrarre a mio fratello la Mappa del Malandrino … Cosa diavolo pensi di fare?» urlò, frenando con la potenza del suo indice accusatorio Rose mentre cercava la posizione più comoda per stravaccarsi sul divano davanti al camino.
  La ragazza sobbalzò e si guardò intorno allarmata. «Riposarmi?» disse. «Ho passato l’intera giornata in aula studio. Nonostante i tuoi efficaci strumenti di ricerca, ti assicuro che ti sarebbe bastato affacciarti un attimo per trovarmi».
Lily assunse un’espressione contrariata e addolcì i toni, per un attimo troppo scossa dalla rivelazione. «Nessuno mette piede in quel posto» disse a metà tra la giustificazione e l’accusa. Ritenendo la cugina ancora più colpevole, riprese il cipiglio aggressivo. «Fila in camera mia».
Rose piegò le sopracciglia, perplessa dall’improvviso tono autoritario della ragazza. «Sai, tuo fratello James non è il migliore degli esempi da seguire».
   «Per le mutande di Merlino, Rose» la richiamò Lily. «Siamo in ritardo per la festa di Halloween. Non intendo sfigurare davanti a Lucas» esclamò, per poi voltarsi e percorrere la scalinata che conduceva al dormitorio femminile del quinto anno.
Rose osservò il lento danzare delle fiamme intorno agli arbusti, a quel legno raffinato e rassicurante; poi con un sospiro abbandonò il suo divano e seguì la cugina. «Alla festa mancano ancora quattro ore» disse con un lamento flebile e appena udibile, in tono autocommiserativo.
  Lily corrugò le sopracciglia in una espressione chiaramente oltraggiata. «Vuoi dire solo quattro ore» disse. «Se cerchi un miracolo, hai trovato la persona sbagliata» continuò, mentre Lily apriva la porta del proprio dormitorio.
  Bathilda Brown ed Eunice Kneen erano impegnate nell’arricciatura della chioma della seconda, le cui ciocche si ostinavano a rimanere lisce e amorfe, nonostante fossero state più di una volta avvolte intorno alla bacchetta di Bathilda. Eunice, troppo impegnata nell’accurata selezione di una delle tante boccette colorate stipate nel cofanetto davanti ai suoi piedi, non si curò del lavoro della sua fedele amica e riempiva la testa di quest’ultima con una serie interminabile di malignità. Quando Lily Potter fece il suo ingresso sobbalzarono e si ammutolirono, per poi concentrare la loro attenzione sulla ragazza alta e rossa, dalla chioma indomabile, che la seguiva. Eunice si scambiò uno sguardo di intesa con l’amica.
  «Oh Rose» squittì. «Non c’è bisogno di ricorrere a tanto» disse dolcemente.
Bathilda alle sue spalle annuì vigorosamente. «Solo perché le tue amiche non ti rivolgono più la parola e Scorpius Malfoy non ricambia il tuo amore, non devi pensare che sia tutto finito» disse con un sospiro malinconico.
  Eunice, che evidentemente aveva giudicato poco delicato l’intervento dell’amica, si voltò per incenerirla con lo sguardo, cosa che gettò Bathilda in uno stato di più totale confusione. «Con Vincent Nott, secondo me, ha ancora qualche possibilità» disse per giustificarsi, poi agitò le mani come a voler scacciare un pensiero rivoltante. «Dopo Candice Morgan».
  Rose rivolse alla cugina uno sguardo perplesso, mentre questa, una mano sulla tempia e un piede pericolosamente frenetico, evitava accuratamente di guardare verso le compagne di dormitorio.
  «Rose non ha bisogno di loro» disse Eunice con un luccichio negli occhi. «E’ una donna forte e indipendente. E poi, potrà contare su di noi per ogni cosa» aggiunse, guardando con speranza l’interessata.
Il piede di Lily assettò l’ultimo colpo al pavimento, poi la ragazza non si considerò più disposta a trattenersi. «Se ci tenete tanto ad essere d’aiuto, potete portare i vostri sederi ossuti fuori da qui».
  Eunice spalancò gli occhi indignata,ma talmente tanto indignata che si alzò dal letto con fierezza e con un colpo improvviso e si avvicinò a grandi falcate alla porta, trascinando con sé la bacchetta di Bathilda, ancora avvolta intorno ad una ciocca, e quindi la povera ragazza. Lily rivolse alla cugina uno sguardo mortificato.
  Rose si avvicinò al letto,  evitando con difficoltà pile di vestiti e di gonne succinte che avrebbero facilmente portato James Potter ad una morte prematura. Sotto lo sguardo circospetto di Lily, si aggirava con molta cautela, procedendo a tentoni, accompagnando ogni movimento con un sospiro allarmato della cugina. Finalmente individuò un minuscolo quadrato di letto libero da vestiti, si rannicchiò e incrociò le gambe. «Secondo te voleva essere un assaggio di quello che mi aspetta alla festa?» disse. Poggiò il mento sulla mano, immaginando la desolante serata che l’aspettava.
  Lily si morse le labbra «Ignorale, Rose» disse, aprendo le ante del suo armadio e finendoci completamente dentro. «Io lo faccio da cinque anni» borbottò la sua voce ovattata e confusa. Ne riemerse, stringendo tra le mani quello che aveva l’aria di essere un fazzoletto nero impreziosito, ma che Rose iniziò a temere fortemente potesse trattarsi di un indumento.
  «Non penserai di mettere quella roba, vero?»
La ragazza strabuzzò gli occhi e poggiò con molta cura il pezzo di stoffa sul letto. Lo osservò titubante e passò una decina di volte le mani su di esso, cercando di stirarlo al meglio. «Certo che no» disse, per poi rigettarsi nei meandri di quello che ormai aveva assunto l’aspetto di un camerino del Moulin Rouge, a giudicare dalle scarpe che Lily brandiva con fierezza. «Quello è per te».
  Rose non riuscì a trattenere le risate. «Stai scherzando» disse «Io non metterò mai una cosa del genere».
Lily guardò con indulgenza l’eccesso di ilarità della cugina e decise di lasciarsi cogliere da un moto di tenerezza nei confronti della sua totale perdita di senno. D’altronde, lei lo sapeva, le delusioni potevano portare a questo. «Non sai quel che dici, poverina» sospirò affranta. Si diresse a tutta velocità nel bagno, dove armeggiò per diversi minuti con delle fiale, finché Rose non sentì scorrere l’acqua.
La ragazza fece ritorno vittoriosa, con la bacchetta sollevata e una fila disciplinata di vasetti di vetro opaco sigillati con ceralacca e flaconi di erbe disseccate, ciascun contenitore accuratamente etichettato nella nitida calligrafia di Lily. Queste sfilarono davanti agli occhi di Rose e rimasero sospese a mezz’aria, lasciando che lei le contemplasse «Puoi scegliere la fragranza» disse Lily con un eccitato luccichio negli occhi. «Erbe Orientali, Fiori della Siberia …» elencò, per poi sbattere le mani entusiasta. «Se vuoi lasciarli tutti a bocca aperta con la tua sensualità, ti consiglio Brezza del Deserto» concluse con un occhiolino.
  «No Lily» farfugliò Rose «Non voglio colpire nessuno con la mia sensualità, né voglio odorare di erbe».
  «Ti assicuro che l’effetto è garantito».
Rose ammutolì per un attimo, poi sollevò le mani in segno di resa. «Non voglio sapere» decise in ultima analisi.
  «Se pensi che non ti serva per far colpo su Scorpius …» disse Lily a tono basso, ritornando a dedicare la propria attenzione ai suoi vestiti. Ne sollevò uno dorato, ricoperto per intero di pailette, ma una smorfia contrariata la indusse a rimetterlo al suo posto.
Rose si allontanò di scatto dalla parete alla quale era poggiata e andò a sbattere la testa contro il soffitto del baldacchino. Latrò un gemito di sofferenza e di diniego. «Ma di che parli?» brontolò.
  «Stai passando molto tempo con lui ultimamente».
  «Ti sbagli» chiarì subito lei. «Sto passando molto tempo con Al».
  «Per le mutande di Godric, no» esclamò oltraggiata, afferrando un top striminzito e gettandolo ai suoi piedi. Alzò lo sguardo sulla cugina e la guardò scettica. «E’ un pacchetto completo, lo sai bene». 
Rose tornò ad appoggiarsi contro la parete, questa volta muovendosi con più cautela. «Non è una cosa che posso controllare» affermò ormai senza nemmeno pensarci. Ma una stretta alla stomaco la avvertì che stava mentendo, e la mente le ripropose con prepotenza il momento in cui aveva deciso di raccontare tutto a Malfoy. «Non è un piacere ritrovarselo sempre tra i piedi» dichiarò più a se stessa che alla cugina.
  Lily annuì ed emise un suono di approvazione. «Non farò altro che dubitarne» disse, guardando distrattamente verso Rose. Le fece cenno con la mano di avvicinarle una t-shirt o un reggiseno, a seconda delle interpretazioni, accuratamente adagiato sul cuscino.
  «Come sarebbe a dire?».
Lily sospirò un po’ per l’esasperazione e un po’ perché Rose non le aveva ancora avvicinato l’indumento. «Non ci credo più, Rose. E’ storia vecchia e non mi convince» disse, alzando gli occhi al cielo. «Ti dispiace?» aggiunse con una punta di rimprovero, indicando il suddetto capo. Per tutta risposta Rose lo afferrò, si preoccupò di stropicciarlo e lo scagliò con forza verso la cugina, che fu colpita in pieno viso.
  «Se questa è la tua replica sei stata molto eloquente» disse Lily con quel sorriso serpentesco che Rose ritrovava tante più volte in James che non in Albus. Si chiese se fosse arrivato il momento di mandare il Cappello Parlante in pensione.
Rose sbuffò e si alzò dal letto in malo modo, causando l’ennesimo gemito di dolore di Lily. «Scegli delle scarpe che stiano bene sotto quel vestito» dichiarò infine, mentre gli occhi della cugina presero a brillare.
 


 
- § -
 

 
Scorpius Malfoy era nel cortile del Castello ormai da un pezzo. Quell’anno il Club del Ballo si era grandiosamente superato con la scelta delle zucche parlanti e la partecipazione dei fantasmi più illustri per la loro spaventosa reputazione. I viali bui e polverosi, offuscati dalla nube densa che aleggiava nell’atmosfera già umida, rendevano il clima più macabro. In sottofondo giungeva la musica dei Lupi della Notte, gruppo malinconico ma molto apprezzato dai ragazzi, che si esibivano lungo la riva del Lago Nero.
Eppure Scorpius Malfoy si stava già annoiando.
Si era allontanato dalla confusione e dalla densa nube di vapore dolciastro  che annebbiava i sensi e irretiva più di quanto potesse fare un bicchiere di Whisky Incendiario Stravecchio, aveva scelto di accostarsi alla recinzione in ferro che proteggeva le pareti antiche della scuola dagli incantesimi che aleggiavano per tutta la superficie del cortile, aveva estratto una sigaretta dalla tasca e ora inspirava il fumo caldo che pizzicava la gola e lo intratteneva meglio di qualunque compagnia.
Delle voci interruppero la sua oasi di pace e le loro ombre avanzavano verso di lui. Alan Doyle era già su di giri, ma perfettamente consapevole di stare stringendo la vita a Kate Hastings, che sghignazzava con Carter Zabini. Dietro di loro Albus Potter avanzava placidamente, la mani adagiate nelle tasche e un sorriso rilassato sul volto.
  «Capitano» lo salutò con un cenno Alan Doyle. «E’ già pronto a fare festa a modo nostro?».
Kate Hastings sciolse l’abbraccio che la teneva avvinghiata a Doyle, non appena vide Scorpius. Si adagiò accanto a lui, in quel misero spazio che intercorreva tra la sua mano e il suo busto e lo salutò con uno squittio. «Me ne passi una, tesoro?» fece lei, accarezzando il suo viso di marmo.
Il ragazzo senza scomporsi, afferrò la propria sigaretta e la porse a Kate. Lei assaporò quel vapore con particolare godimento e dopo un paio di boccate, ricondusse l’oggetto di loro interesse alla bocca di Scorpius, che lambì il bocchino con le labbra e con la lingua.
  «Vincent?» chiese lui tra una nuvola di fumo.
Doyle rispose con un ringhio sommesso, ma fu Carter a parlare. «Passa questa volta».
  «Allora è andata» disse Doyle in una risata. «Ci penserà Potter alla pozione».
Scorpius alzò gli occhi su di lui «Non dire stronzate Alan» disse con voce appena incrinata.
  «Non possiamo uscire dalla scuola senza Vincent» chiarì Albus, fronteggiando Doyle. «E poi io non ho l’accesso illimitato ai depositi di Arrows».
  «E l’idea di correre un rischio?» propose Doyle.
Albus lo guardò intensamente, poi accennò un mezzo sorriso «Non ci penso proprio».
Doyle latrò un basso diniego e guardò Scorpius alla ricerca di sostegno. Il ragazzo inspirò dalla sigaretta che le porgeva Kate e rispose senza guardarlo.    «Albus non correrà nessun rischio» dichiarò, ponendo fine alla questione.
 

 
- § -
 

 
Quando Rose Weasley scese i gradini del dormitorio femminile di Grifondoro, percorse le scale mobili fino ad arrivare alla scalinata principale della Sala d’Ingresso e si fermò finalmente davanti all’immenso portone, pensò che la cugina avesse scelto le scarpe più belle che possedesse, ma sicuramente non le più comode. Tuttavia la persona a cui erano dirette tutte le proteste più colorite che le venissero in mente non era Lily, bensì sua madre. La carissima madre che alla richiesta di insegnarle l’incantesimo per vincere le vesciche da tacco alto, aveva risposto oltraggiata con un netto rifiuto, sostenendo che mai avrebbe privato la figlia di quelle esperienze che ogni adolescente dovrebbe provare per capire il senso della vita.
Lily Potter la precedeva di qualche passo, nel suo abito di pailette dorate cui aveva deciso, infine, di dare una possibilità, bella e sicura, seppur ancora minuta e dalle forme troppo graziose per rendere quel corpo fasciato d’oro vagamente sensuale. Rose varcò il Portone e respirò quell’aria fresca di un fine ottobre inglese, limpida e raffinata dalle frasche sempre verdi.
L’intero parco del Castello era stato trasformato in un borgo antico, tanto che a mala pena Rose riusciva a riconoscerne i tratti: le vie strette e ostiche erano tetre, solo lievemente illuminate da qualche candela sospesa o dal passaggio inaspettato dei fantasmi.
  «Fantastico! Questo vapore era proprio ciò che serviva ai miei capelli» esclamò Lily «Per non parlare dei tuoi» disse, scrutando preoccupata la folta chioma che aveva tentato di domare per ore.
Ma Rose non le dava più retta. Quella sola folata di vento che l’aveva colpita, aveva svolto con eccellenza il proprio lavoro e la ragazza fu presa da una risatina incontrollata. E lo stato in cui si trovavano i suoi capelli era davvero l’ultima cosa di cui le importasse.
Temette di stare perdendo completamente il controllo, quando vide il fratello passarle più volte davanti, saltellando per sfuggire all’inseguimento di una zucca feroce, finché intorno a lui non si creò un folto pubblico divertito, segno che quella immagine a cui stava assistendo non fosse frutto della propria immaginazione.
Impugnò la bacchetta, puntò la zucca e dichiarò a voce ben udibile «Reductor» che creò un’esplosione di minuscoli pezzettini fluorescenti. Tutt’intorno calò il silenzio e poi la gente eruppe in un applauso poderoso: c’era chi fischiava, chi urlava il suo nome, che si congratulava da lontano e ne chiedeva una replica.
  «Bell’inizio» commentò meravigliata Lily.
  «Grazie Rosie» biasciò Hugo con un po’ di affanno. «E’ da due ore che mi insegue».
  «Diamine Hug, devi imparare a difenderti da solo».
  «Cugina, sei un portento» urlò Fred Weasley da lontano. «Uno spettacolo che in confronto il duello tra Nick e il Barone Sanguinario è roba da tutti i giorni» continuò, sempre urlando, nonostante le si fosse ormai avvicinato. Tirò sul col naso, poi socchiuse gli occhi annebbiati e mise a fuoco la figura della ragazza che la fronteggiava. «Hai dimenticato qualcosa? Tipo i vestiti» aggiunse sghignazzando.
  Rose arrossì violentemente, ma in suo soccorso sopraggiunse Lily chiaramente punta sul vivo. «E’ un vero schianto Fred, non trovi?».
  «Di sicuro lo schianto è quello che avrà James appena ti vedrà» disse con un ghigno.
  «Al diavolo James!» pronunciarono in coro le due ragazze.
Hugo la guardò con attenzione con i suoi grandi occhi vitrei. «Io ti trovo molto bella» disse con serietà, al termine della propria analisi.
Fred scoppiò a ridere «Si può sapere tu da chi hai preso?».
  «Sicuramente non ha nulla del sangue Veela» disse Louis, poggiando una mano sulla spalla più bassa di Hugo. «Però ha ragione» commentò, studiando Rose. «Scelta audace, ma sempre di classe. Il tubino nero non tramonta mai» disse annuendo in segno di approvazione. «Complimenti Lily».
   «Che occhio Louis» commentò Rose divertita.
Fred lo guardò come se avesse bevuto qualche bicchiere di troppo. «Lily?».
  «Vittoria della Coppa di Quidditch per i Corvonero, l’anno scorso» rispose il ragazzo prontamente, aggiustando le maniche della camicia, già perfettamente piegate. «Portavi lo stesso vestito, ovviamente sapevi che James non sarebbe mai venuto».
  La piccola Lily sorrise nervosa e afferrò due bicchieri volanti. Ne porse uno alla cugina e l’altro lo svuotò in due sorsi. «Secondo giro?» disse, guardando allegra Rose.
La ragazza annuì e si diresse verso il tavolo più vicino. Il lastricato creava una strada stretta che fiancheggiava il largo prato e, nonostante questa fosse limitata dalle zucche illuminate e sospese lungo il percorso, Rose ebbe difficoltà a far combaciare i tacchi alti e le irregolarità della pietra. Giunse al tavolo ovale, privo di gambe, coperto da un lungo velo e vi si appoggiò con un sospiro di sollievo, quando vide Johanna riempirsi il bicchiere e svuotarlo, per poi riempirsene un secondo o un terzo, per quel che ne poteva sapere lei, il tutto in completa solitudine. I suoi tacchi a spillo sulla pietra non le avevano permesso  di passare inosservata e Johanna si era voltata alla ricerca della fonte di quel rumore.
  «Ciao» disse Rose al suo profilo duro.
Johanna si versò un altro bicchiere. «Ti trovo bene, Rose» disse, poi Rose non rispose, lei girò i tacchi e si allontanò.
  «Joa» la chiamò, mormorando, ma il suono era poco più che un sussurro. «Joa» ripeté con più convinzione, mentre i piedi già procedevano sulle orme dell'amica.
  Johanna le camminava davanti nel suo abito lungo a fantasia che le conferiva un aspetto esotico, come se dovesse svanire in una nuvola di fumo da un momento all’altro. «Non ho quello che cerchi» disse nella sua marcia.
  «E che cosa cerco?»
  «Qualcuno che ti odi, ma che non abbia un buon motivo per farlo»
Rose rimase per un attimo senza nulla da dire. «Tu invece ce l'hai?».
Johanna finalmente si fermò e si voltò. «Sì» rispose con una luce fiera negli occhi «Ma non ti odio».
  «Lo so» disse, abbassando lo sguardo.
Joa sbuffò una risata amara «No, non lo sai, perché hai deciso tu per me. Hai preferito allontanarmi per non sentirti dire questa verità: io avrei sempre scelto te, Rose Weasley».
Rose la fissava con gli occhi sgranati e persi «Sei l’unica che lo dice e che non ha paura di dimostrarlo».
  «Si, certo» Joa rise nuovamente di quella risata senza gioia e alzò gli occhi al cielo. «Facciamo che ne riparliamo quando questo ti basterà».
Johanna le concesse un ultimo sguardo e Rose non seppe se interpretarlo come ultima opportunità; in ogni caso non fu abbastanza lesta, come suo solito. Ci rimuginò sopra diversi secondi che scandivano la sua incertezza come delle lame pendenti sulla sua fronte imperlata di umido vapore annebbiante. Troppo tempo trascorse in quello squarcio di tempo in cui Rose guardava la ragazza senza trovare le parole, chiedendosi se conoscesse davvero Johanna Jordan o se lei fosse solo l’ennesima amara delusione.
Infine Johanna le voltò le spalle e svanì dal suo campo visivo.
Lily Potter l’aveva raggiunta e adesso la guardava con occhi silenziosi, ma opprimenti. Rose non poté sopportare l’ennesimo sguardo comprensivo, anche se disteso sul volto della piccola Lily.
  «Hanno finito l’Acquaviola» disse Rose con tono fermo. «Vado a vedere se il tavolo sul retro è più fornito».
 


 
- § -


 
Scorpius e Albus si scambiarono un cenno d’intesa fugace e impercettibile. Nessuno se ne accorse, ma loro si erano capiti perfettamente. Scorpius lasciò che Kate lo accarezzasse ancora, perché era bella e sensuale, anche se il suo profumo da donna gli faceva prudere il naso.
Alan Doyle non sembrava contento della decisione del gruppo. «Da quando Vincent se la fa con la Grifondoro vi siete rammoliti tutti quanti» farfuglio tra le labbra che reggevano la sigaretta.
  «Non è che la Weasley vi sta trasformando in due sfigati?» disse Kate in una smorfia oltraggiata.
  «Piantala Kate» intervenne Albus con tono pigro e automatico, che aveva perso da tempo quel carattere perentorio dei primi anni di scuola, quando le insopportabili ingiurie contro la cugina erano una novità. Ora replicava debolmente, forse inerme davanti ai due mondi frammentati a cui apparteneva, due realtà inconciliabili come gli ricordavano ogni giorno i suoi due migliori amici.
Kate Hastings avvicinò nuovamente la mano al volto di Scorpius, ma questo si ritrasse con un cenno del capo, mentre le labbra si piegarono appena in una espressione indecifrabile. Kate pensò di poterla interpretare come infastidita. «Che ti succede Scorpius?» disse, allontanandosi quel tanto che le permettesse di posare su di lui i suoi occhi scuri e indagatori.
Scorpius Malfoy in quel momento decise che il profumo di Kate fosse davvero insopportabile e si meravigliò di non essersene mai reso conto fino a quel momento. Quindi irrigidì le spalle, abbandonando ogni parvenza di rilassatezza e chiarì in questo modo tutta la propria irritazione. Rivolse alla ragazza uno sguardo spento, mentre la voce risuonava aspra «Mi annoio terribilmente» disse.
La ragazza lo incenerì con lo sguardo «Ti annoia parlare della cugina di Al?» disse con durezza.
Scorpius alzò gli occhi al cielo. «Quale delle tante?» chiese.
  Kate rilasciò una risatina amara. «Mi prendi in giro?» esclamò. Guardò scettica i ragazzi che assistevano alla discussione, alla ricerca di sostegno. Alan Doyle le rispose con una debole smorfia divertita, mentre inspirava del fumo che andò a confondersi con quello già presente, avvolgendo i presenti in un’atmosfera ancora meno distinta. «Quella che ti gironzola sempre intorno» aggiunse, questa volta allontanandosi con ostentato rifiuto dal ragazzo.
  «Rettifico: parlare con te mi annoia terribilmente» rispose Scorpius in uno sbuffo, mentre la propria irritazione cresceva ad ogni parola.
 «Ragazzi, calma» si intromise Carter Zabini, avanzando verso il centro del gruppo con le mani tese. «Abbiamo ancora quelli del primo anno di cui occuparci, non perdiamo la concentrazione».
  Alan si schiarì la gola con fare teatrale e avanzò di qualche passo in una pomposa camminata. «Per quelli c’è sempre tempo» disse. «Piuttosto, il gruppo delle intelligentone del settimo anno era nei pressi del tavolo degli alcolici. Io ne approfitterei» aggiunse in una risata che si perse nel fumo della sua sigaretta.
Scorpius questa volta sorrise all’amico e convenne con lui che le Corvonero del Settimo ubriache potessero essere una giusta consolazione all’assenza di intrattenimenti più creativi.
Intanto la nebbia satura di fumi incantati e di buoni odori si diradava man mano che il vento freddo di ottobre la spazzava via, consumandosi poi tra le fronde umide di rugiada. In quel barlume di limpidezza Scorpius intravide una chioma accesa e vivida, nonostante l’aria ovattata, aggirarsi incerta tra gli alberi e camminare nella loro direzione.
Scorpius si irrigidì appena, quel tanto che permise a Kate di innervosirsi maggiormente e di allontanarsi una volta per tutte. Poi la conferma ai suoi dubbi venne chiarita da Albus Potter che si discostò dal gruppo per farsi più indistinto e andare incontro alla cugina.
  «Come se non bastasse!» esclamò Kate a voce alta.
Scorpius sapeva di avere gli occhi di Kate fermi su di sé e rimase immobile come solo un sasso sarebbe stato in grado di fare. Per impiegare il tempo pensò di cercare un’altra sigaretta nella tasca dei pantaloni, ma con suo enorme disappunto scoprì di averle terminate. Soffocò un’imprecazione e si voltò verso Alan allungando una mano in una muta ma esplicita richiesta, che il ragazzo in automatico si preparò ad esaudire.
La voce bassa e confusa di Rose Weasley gli giungeva all’orecchio come una calda melodia di sottofondo che penetra con insistenza nell’area della sua attenzione.
  «Accidenti Weasley! Profilo basso questa sera?» esclamò Alan con un tono di voce piacevolmente sorpreso.
Ma che cazzo va dicendo? 
Scorpius conosceva quell’intonazione, quella venatura di meraviglia e di interesse, che tante volte aveva insaporito le intenzioni di Doyle, ma mai fino a quel momento lo aveva sentito rivolgersi in quel modo a Rose Weasley. A quel punto non poté fare a meno di voltarsi verso la ragazza dai capelli rossi giusto in tempo per vederla arrossire violentemente ed incrociare stizzita le braccia al petto.
Gli bastarono due passi, o forse qualcuno in più, e in un attimo era accanto ad Albus e inspirava del fumo dalla sigaretta mentre con gli occhi perlustrava la figura di Rose Weasley avvolta in un morbido abito nero.
  Ogni più ignobile desiderio di importunarla con battute sconvenienti, gettandola in quell’imbarazzo che tanto la tormentava,  quel malsano e inspiegabile bisogno di vederla disarmata sotto il potere delle proprie allusioni, ogni intenzione più provocatoria svanì nel nulla e Scorpius non ricordò nemmeno perché avesse mai pensato di prenderla in giro. Solo strabuzzò gli occhi e tacque.
La ragazza aveva la pelle ancora più candida sotto la luce lunare, ma le gote si tinsero di porpora, addolcendo quell’espressione dura che lei si impegnava ad assumere. Sbuffò, evitando di guardare Scorpius in viso. «D’accordo, ho scelto un abito sbagliato» farfugliò, tamburellando le dita sul braccio incrociato.
Sbagliato? Sì, sbagliato per te. 
Non era un abito che le apparteneva, ne era certo. C’era qualcosa di incredibilmente sbagliato nel modo in cui il suo corpo fosse fasciato con tanta perizia da quel tessuto aderente, che la avvolgeva con forza, premeva nei punti in cui esso si incurvava in una linea sinuosa. Gli sembrò sconvolgente constatare che quella figura, esile come era sempre stata e come ancora le appariva in divisa scolastica, fosse in grado di riempire con tale soddisfazione i movimenti del vestito o quelli di una mano avida di esplorarla. D’istinto avvertì il bisogno di toccarla.
Strabuzzò gli occhi nuovamente, questa volta per riprendere coscienza e fare appello alla propria lucidità, evidentemente messa duramente alla prova dai fumi incantati. Ma gli occhi ricaddero sul suo petto roseo e su quei seni floridi e invitanti, nonostante la loro discrezione.
  «Sei bellissima» disse con incredibile fermezza.
Scorpius pensò subito dopo di aver detto la cosa più sbagliata che gli potesse venire in mente e se ne pentì, ma Albus Potter non si dimostrò perspicace come era sempre stato, né particolarmente magnanimo, poichè si voltò a guardarlo con una tale rapidità che l’amico pensò, per un momento, si fosse rotto l’osso del collo; poi Albus lo scrutò con i suoi grandi occhi accesi in una espressione sorpresa.
  Per sua grande fortuna la ragazza di fronte a sé non arrossì, ma si limitò a dischiudere gli occhi e a fissarlo meditativa. «Smettila di fare l’idiota, Malfoy» disse in un sospiro.
E Scorpius si ritrovò a decidere di seguire il suo consiglio, poiché idiota era esattamente come si sentiva. «Non dovresti girare tutta sola la notte di Halloween» disse.
  «Con questo incontro credo di aver scarnificato la lista delle possibili disgrazie della serata» rispose all’istante lei. Poggiò una mano sul fianco, in quell’arco flessuoso che si creava tra la vita e l’anca e abbandonò appena il peso su quel braccio. Poi arricciò le labbra in una espressione imbronciata e solo in quel momento Scorpius notò il rossetto scuro, dello stesso colore delle labbra ma con una tinta più intensa, che accentuava la loro morbidezza.
Inspirò un lungo sorso di vapore per ripristinare la propria composta indifferenza. «Non mi sembri molto divertita» disse.
  «Tu dici?». Rose Weasley sembrava davvero seccata. «E poi perché ti interessa?».
  «Già Scorpius, perché ti interessa?» chiese Albus, incrociando le braccia al petto e studiando con cura l’amico.
Generalmente apprezzava Albus Potter e il suo sottile umorismo derivante da un acume raffinato e delicato. Lo trovava un compagno incredibilmente affine alla propria personalità, grazie alla loro capacità di sintonizzarsi sempre sulla stessa linea di pensiero, ma in quel momento realizzò che il ragazzo potesse facilmente essere considerato l’individuo più irritante sulla faccia della terra.
Scorpius avvicinò la sigaretta alle labbra per l’ultima volta e la gettò ai propri piedi. «Perché posso trovare io il modo di farti divertire» affermò con un sorriso.
  «Oh ti prego, dimmi che stai scherzando!» esclamò Albus, senza preoccuparsi di celare un’espressione disgustata.
  «Al, mi avvisi tu quando posso affatturarlo?» intervenne Rose che guardava il ragazzo perplessa, mentre incrociava le braccia sul petto, sperando di poter celare quanto quella sera aveva deciso di lasciare scoperto.
Scorpius si avvicinò di qualche passo e lei indietreggiò appena; si piegò nella sua direzione per sussurrargli qualcosa ma esalò il suo profumo, quello delicato e fresco, di brezza estiva nonostante il freddo autunnale e per un attimo dimenticò ogni cosa. Stette diversi secondi incerto, chino su di lei, mentre Albus e gli altri li guardavano straniti. Quando si riprese, avvertì una sensazione calorosa infiammargli il collo e parlò con tono brusco e silenzioso. «Sei ancora interessata a quello che combina Vincent?».
Rose Weasley, come si aspettò, rimase senza parole, abbandonò quell’aria indisponente per dedicargli tutta la propria attenzione.
Una mano pesante si poggiò sulla sua spalla e lo costrinse a voltarsi.
  «Che arie concitate» esclamò Alan Doyle, guardandoli con occhi vispi. «Cosa state combinando qui?» disse e i suoi occhi si posarono con poca discrezione sulla ragazza.
  «A quanto pare Scorpius ha deciso di sorprenderci questa sera» rispose Albus, rivolgendo uno sguardo intenso all’amico.
  «Bene, quali sono i programmi?».
Scorpius sospirò e dopo aver allontanato da sé lo sguardo pressante di Albus, si rivolse all’altro ragazzo. «Ci vediamo in giro Alan, abbiamo delle faccende da sbrigare» disse.
Il ragazzo annuì meditativo, poi spostò con interesse lo sguardo su Rose Weasley, che arrossì lievemente e prese ad abbassare il vestito sulle cosce. «E le Corvonero del Settimo?» chiese.
Uno sbuffo amaro provenne dalle labbra dischiuse di Rose. «Se sei già impegnato, non ti disturbare» commentò. Poi aggiunse posando i suoi grandi occhi blu sul volto di Scrorpius. «Malfoy. Non ho intenzione di rovinare i tuoi piani per la serata».
  «Dolcezza, puoi unirti a noi» intervenne Alan Doyle, rivolgendole un largo sorriso. «Se il Capitano fa il difficile, ti tengo compagnia io».
Scorpius avvertì un formicolio insistente stuzzicargli il dorso della mani, le nocche e la punta delle dita. Le bloccò, incrociandole tra di loro e iniziò a premere il pugno contro il palmo dell’altra mano. Decise di concentrare il proprio sguardo su altro che non fosse il volto del compagno di Casa, che, lì al suo fianco, si esibiva in quella abituale attività di grossolano seduttore. L’aria compiaciuta che indossava, quell’odore forte da animale predatore e la scelta dei tempi di corteggiamento erano sempre gli stessi, ma la ragazza non lo era. Di certo non lo aveva mai visto pavoneggiarsi con la Weasley.
Oltretutto stava interferendo con quella che era già di per sé una debole organizzazione di un piano operativo. Guardò Albus con insistenza, ma lo vide indifferente come suo solito, con un ghigno lieve ad increspargli il volto, mentre gli occhi vagavano curiosi.
   Rose Weasley non poté trattenersi dallo storcere il naso. «Che proposta allettante» disse.
Lungi dal considerare il tono scettico della ragazza, Alan Doyle prese le sue parole per un incoraggiamento. «Potrebbe essere una buona occasione per conoscerci un po’ meglio».
A quel punto Scorpius alzò gli occhi al cielo ed esigette un rapido intervento da parte di Albus. Lo squadrò ancora una volta, ricevendo in cambio un’alzata di spalle e un espressione vacua. Rifletté assurdamente su quanto sarebbe stata preferibile e più utile la presenza del Potter maggiore, quello borioso e irritante, ma con un minimo di senso di protezione familiare in più.
  «Credo di poterne fare a meno, grazie» fu la semplice risposta di Rose.
Doyle emise un basso mugolio di approvazione, come se tutto ciò lo divertisse. «Non ti facevo una tipa timida».
  «Non è timida» latrò Scorpius seccato. I tre ragazzi si voltarono a guardarlo e lui si premurò di controllarsi. «E’ chiaramente un rifiuto, Doyle. Non è interessata. Ora dacci un taglio» disse, in un debole tentativo di risultare indifferente.
Il silenzio fu insopportabile. Lo colmò una domanda inopportuna, che Scorpius sapeva sarebbe arrivata «Qualcosa ti infastidisce Scorpius?» ma non pensava che a porla sarebbe stato Albus.
Guardò l’amico intensamente, ripromettendosi di risolvere, alla prima occasione di totale lucidità e calma, la questione sulla sua snervante invadenza: magari con qualche fattura che gli avrebbe ricordato di chiudere la bocca nelle situazioni future.
Scorpius ripose la mani nelle tasche dei pantaloni. «Sì, mi infastidisce annoiarmi e perdere tempo» disse, poi guardò la ragazza di fronte a sé.   «Weasley, credevo avessi una certa urgenza».
La ragazza sembrò colta alla sprovvista. Si guardò intorno senza comprendere appieno cosa stesse succedendo. «E’ così». 
  «Non ho tutta la serata da perdere con te» disse Scorpius rivolgendole un cenno del capo. «Trova un altro modo per divertirti».
 


 
- § -
 

 
Inizialmente aveva osato camminare speditamente sull’erba e con una notevole agilità; poco dopo aveva
messo piede sul solito lastricato infernale, dimentica totalmente dei tacchi vertiginosi, ed era precipitata sull’asfalto, atterrando sulle ginocchia. I palmi delle mani le bruciavano, mentre l’aria le si appiccicava alla pelle nuda e il freddo le faceva rizzare la peluria sulle braccia. Si tolse le scarpe in un gesto rapido e le conservò tra l’indice e il medio. Poi corse all’inseguimento del ragazzo che era già sparito.
Aveva lasciato ad Albus l’arduo compito di liberarsi di Doyle e di trovare qualche spiegazione per giustificare la loro bizzarra fuga. Meglio per lei, non le piaceva affatto quel tipo né il modo in cui l’aveva scrutata per tutto il tempo                                                        
Non era il solo.
Lily aveva ragione, si ritrovò a pensare con un certo fastidio. Quel vestito non era passato inosservato.
All’improvviso vide una figura alta e indistinta, poi un paio di lanterne corsero in suo soccorso e illuminarono il viso di Scorpius Malfoy. Lei corse nella sua direzione, avvertendo le pietroline graffiarle la pianta del piede.
  «Malfoy sei uno stupido, te l’hanno mai detto?» disse con il poco fiato che le era rimasto.
Lui inarcò le sopracciglia e la perlustrò nuovamente con il suo sguardo. «Hai perso qualcosa?» disse, finchè non incontrò le scarpe tra le sue mani e trattenne a stento una smorfia divertita. Cercava di mantenere quell’atteggiamento sdegnoso.
  «Come ti salta in mente di sparire in quel modo?».
  «Scusami?» disse con una calda risata. «Ti devo dare delle spiegazioni?».
Rose incrociò le braccia al petto «Sarebbe un inizio».
Malfoy afferrò un paio di bicchieri che passavano di lì e, come Rose si aspettava, non pensò minimamente di offrirgliene uno. Bevve un lungo sorso.     «Che cosa ti passa per la testa questa volta?»
Rose pensò di aver la mente sufficientemente annebbiata dai fumi per potersi permettere di essere sfacciata «Qualcosa ti infastidisce, Malfoy?».
Con sua immensa soddisfazione il volto del ragazzo si irrigidì. «Ti riferisci a qualcosa in particolare, Weasley?».
Rose rimase sorpresa nel constatare che il ragazzo sapesse essere ancora più sfacciato di lei. Allora lo guardò a lungo, non curandosi di poter essere indiscreta. Osservò il suo volto affilato, duro per lo sforzo di renderlo sicuro e impenetrabile, ma il taglio dolce degli occhi sciolse ogni dubbio sul fatto che la sua rigidità fosse solo una maschera. In quel momento Rose non riuscì a nascondere di essere totalmente in balia di quello sguardo. «Mi stai guardando» disse lei.
  «Veramente sei tu che guardi me».
  «Perché non sei con Doyle in giro?»
  «Io non sono come Alan, non mi interessa quello che interessa a lui».
Rose non seppe se con quelle parole volesse intendere altro; per un attimo si sentì piccola e stupida. «Avevate un bel programma per la serata, mi sembra».
  «Di nuovo, Weasley: ti devo dare delle spiegazioni?» disse lui, piegando la testa all’indietro e distendendo le labbra in un sorriso teso.
Rose evitava di guardarlo eppure sentiva il suo sguardo nervoso, mentre si allontanava e poi tornava l’attimo dopo sul suo corpo come in un gesto involontario e premeva su quei punti che il vestito rendeva più seducenti. In quel momento desiderò fortemente indossare la divisa scolastica, quella semplice uniforme che la rendeva se stessa e che non aveva il potere di far mutare lo sguardo ostile del ragazzo. Quello sguardo  che da sempre conosceva.
  «Almeno spiegami perché hai voluto attirare la mia attenzione parlandomi di Vincent». Sì, si sentiva decisamente sfacciata quella sera.
  «E’ per questo che sei qui?».
  «Per cos’altro altrimenti?» disse lei decisa, dopo aver concesso che diversi secondi si frapponessero tra le loro voci.
Malfoy la guardava dall’alto, piegando appena le iridi, ombrose nell’oscurità, verso di lei. Sembrava combattuto, seccato, forse nervoso, ma Rose non capiva se con se stesso o con lei. Sul volto passò un’ombra di disprezzo che lo riportò al solito ghigno altezzoso.
Almeno, rifletté la ragazza, aveva smesso di scrutarla con occhi persi e nuovi. Era disarmante.
Qualcosa si mosse nell’oscurità e fece vibrare le foglie secche sul prato. Albus Potter emerse da un groviglio di rami spogli, camminando cautamente.     «E’ permesso?». Indossava quello sguardo mortificato e languido, di chi sa che gli verrà sempre perdonato ogni male.
L’aria satura d’improvviso sembrava essersi alleggerita e Rose riprese a respirare con più leggerezza, mentre l’annebbiamento precedente lasciava il posto alla lucidità e un lieve imbarazzo le tinse le guance fredde. Allontanò di qualche passo i propri piedi nudi sull’erba dalla figura immobile e rigida di Malfoy.
  Albus si tolse la giacca e la poggiò sulle spalle nude della cugina. «Abbiamo una certa fretta» disse, guardando Malfoy, che annuì. «Vincent non è alla festa», questa volta si rivolse a lei.
Rose lasciò scorrere uno sguardo sorpreso tra i due ragazzi, avvertendo per un attimo la spiacevole sensazione di non essere a conoscenza di qualcosa. Considerando che si era trovata a pregare uno e a trascinare l’altro in una situazione di cui lei si sentiva responsabile e artefice, non poté fare a meno di irritarsi profondamente. Quei due erano capaci di tagliarla fuori anche da ciò che lei stessa aveva creato. «Mi sono persa qualcosa?».
  «E’ la festa di Halloween, noi abbiamo delle regole ben precise da seguire» spiegò Albus, scegliendo con cura le parole da usare «Non possiamo mancare».
  «Voi?».
  «Noi Serpeverde» intervenne Malfoy. Un lume di comprensione iniziò a rischiarare la mente di Rose. «E’ una vecchia tradizione: possiamo dire che noi abbiamo il compito di ravvivare la festa».
  «Quindi il fatto che Vincent non sia presente è considerabile oltraggioso?».
Albus e Malfoy si scambiarono un altro di quegli irritanti sguardi complici. Comunicavano in silenzio con maggior maestria di due legilimens. «Rose, cerca di fare appello ad una calma che generalmente non ti appartiene, se vuoi sapere i dettagli di questa storia» aggiunse Albus con voce pacata.
  «Non mi sembra di poter aspettarmi molto da questa premessa».
Malfoy intervenne spazientito. «Vincent ha il compito di farci uscire dalla scuola».
Rose strabuzzò gli occhi sbalordita. «Siete completamente impazziti?».
Malfoy si lasciò scappare uno sbuffo. «Weasley, cerca di farla breve» commentò, alzando gli occhi al cielo.
  La ragazza scrutò il cugino stizzita. «Lì dentro andate tutti d’accordo perché siete un branco di idioti? Malfoy scusami se ho sempre pensato che fossi l’unico esemplare».
  Il ragazzo inarcò le sopracciglia «Questa è nuova».
Albus rise, perché lui era capace di ridere in qualunque situazione. E la storia su quel misterioso legame con il suo migliore amico era la verità. Poi tornò serio «Se Vincent non si presenta alla festa di Halloween vuol dire che sta succedendo qualcosa. Non sto appoggiando la tua idea, Rose, ma credo sia più opportuno rientrare nel castello».
 
Rose si stringeva nella giacca lunga e stretta di Albus, finché il tepore della Sala d’Ingresso non l’avvolse. Molti ragazzi li guardavano straniti mentre percorrevano la strada nel senso opposto rispetto alla maggioranza degli studenti: la festa era iniziata da poco e loro già erano di ritorno.
Albus e Malfoy camminavano davanti a lei con passo disinvolto ma svelto. Quando voltarono l’angolo lungo il corridoio dei Sotterranei, il ragazzo biondo rallentò e aspettò che Rose lo raggiunse.
  «Ecco la risposta che cercavi» disse.
  «A quale delle tante domande che ti ho fatto?».
Malfoy corrucciò le sopracciglia. «Mi hai chiesto perché ti avessi parlato di Vincent» disse come se fosse la risposta più ovvia. «L’ho fatto perché mi ha insospettito la sua assenza».
Rose voltò la testa nella sua direzione mentre camminavano, lo studiò bene in volto per alcuni secondi, poi continuò a guardare di fronte a sé senza dire una parola.
  «Non mi credi, Weasley?» disse il ragazzo. Non c’era ostilità nel suo tono di voce, solo sorpresa.
  «Penso solo, Malfoy, che solitamente non sei così tanto disposto a darmi ragione».
  «Non ti sto dando ragione».
Rose inarcò le sopracciglia e lasciò che i residui dei fumi le permettessero di dipingersi sul volto un’espressione scettica. «Allora perché mi stai guidando nell’unico posto in cui ti sei sempre rifiutato di farmi entrare? Hai litigato con Albus per sei anni, purché io non mettessi piede qui dentro e invece, questa sera, mi hai sottratto alla festa con i tuoi insoliti sospetti e guarda un po’ dove ci troviamo».
Si fermarono dietro Albus, che si era arrestato improvvisamente e ora sussurrava alla parete rocciosa di fronte a sé. Questa si divincolò con estrema lentezza dalla perpetua posizione alla quale era condannata, per poi disporre le tante pietre grigiastre a costituire un arco alto quanto permettesse il soffitto dei Sotterranei.
Albus lanciò uno sguardo frettoloso ad entrambi prima di varcare la soglia e svanire nell’oscurità. Rose era eccitata all’idea di poter vedere con i propri occhi la Sala Comune dei Serpeverde e si preparò a seguirlo, quando un braccio le tagliò la strada, allungandosi fino a coprire entrambe le pareti dell’arco. Malfoy la guardava divertito.
  «Non entrerai qui dentro. Non stasera».
  «Che significa?».
  «Se con quelle parole intendevi insinuare qualcosa, sono pronto a dimostrarti quanto tu ti stia sbagliando, se intendevi provocarmi, mi stai solamente sfidando al mio gioco preferito, lo sai bene» disse lui, continuando a distendere il braccio teso.
  «Fammi chiamare Albus» disse Rose, sfruttando la propria modesta altezza per arginare quel braccio di ferro. Il ragazzo la afferrò all’ultimo momento e la allontanò da lì senza perderla d’occhio. «Diamine, Malfoy ma cosa stai facendo? Devo entrare nel vostro dormitorio e cercare tra la roba di Nott, non possiamo stare qui senza far niente».
  «Ci può pensare benissimo Albus. Io mi occuperò di evitare che tu varchi questo confine» disse con un luccichio negli occhi. «Cinque sono già passati, devo tenerti a bada per soli altri due anni e il mio compito sarà finito».
Non stasera.
Rose contorse le dita che desideravano percuoterlo violentemente e il piede prese a tamburellare nervosamente sul pavimento: tutto il suo corpo era dominato dall’ira. «Non perdi occasione per dimostrare quanto sei stronzo».
  Malfoy sorrise divertito e ora pienamente soddisfatto «Grazie».
Albus ricomparve alle loro spalle dopo diversi minuti «E’ lecito sapere cosa state facendo?».
  «Me lo domandi pure?» fu la risposta lamentosa di Malfoy. «Tua cugina non metterà piede nel nostro dormitorio».
Albus alzò gli occhi al cielo in una silenziosa protesta, ma decise di non indugiare. «Vincent non è nel Dormitorio, come si poteva facilmente immaginare. Sono curioso di sapere quale scusa abbia trovato per saltare la festa. I ragazzi del Settimo saranno contrariati» disse Albus con una smorfia di irritazione.
  «I ragazzi del Settimo, sul serio Al?» disse Rose, sorpresa nel costatare certe regole gerarchiche che ancora presiedevano i sinistri rapporti tra i Serpeverde.
  «Sono molto esigenti con noi del Sesto, vogliono essere certi di averci preparato a dovere prima di lasciarci il comando».
Per un attimo Rose si figurò in mente la schiera dei suoi coetanei Serpeverde, tra Nott e Malfoy che si contendevano il ruolo di leader, Alan Doyle con la sua viscida personalità, Kate Hastings e il suo sciame di ammiratrici starnazzanti e il cugino Albus che sembrava essere indifferente ad ogni situazione. Dubitò che i Settimi sarebbero stati soddisfatti dei propri eredi. «Spero almeno che tu abbia frugato tra le sue cose».
Una risata sommessa accompagnò le parole di Albus «A quale scopo?».
  «Chi agisce di nascosto lascia sempre tracce del proprio operato, considerando poi che l’unica intimità di cui può godere è quella stanza lugubre che voi condividete. Non mi sembra il luogo più adatto per passare inosservato».
  «Calma Weasley, stai vestendo con troppo gusto i panni dell’Auror» intervenne Malfoy. «Non ti dimenticare che Vincent non è uno sprovveduto».
  «Non lo sono nemmeno io».
Dei passi echeggiavano nel lungo corridoio buio, poi un’ombra alta si stagliò sul pavimento, rincorsa dalla luce delle lanterne, anticipando la comparsa di una figura maschile. Clegar Walder, Caposcuola Serpeverde si fermò davanti a loro, sul volto una smorfia di disappunto. «Potter, Malfoy, mi avevano avvertito di avervi visti entrare nel Castello, ma non pensavo di trovarvi qui» disse, poi alzò lo sguardo su Rose «e in dolce compagnia».
I ragazzi non si guardarono questa volta, ma non serviva la loro eccelsa telepatia per comprendere quanto fossero mortificati.
  «Sono sicuro che ci sia una buona ragione che giustifichi la vostra assenza dalla festa e la presenza di una Grifondoro vicino la nostra Sala Comune».
  «Buonasera Walder» intervenne Albus con i suoi modo accorti. «Ci hai anticipati, stavamo giusto per tornare in cortile».
  «La festa è iniziata ormai da molto e senza di noi. Difatti è una noia mortale» disse Walder con severità, penetrando i due ragazzi con uno sguardo silenzioso ma letale.
Rose trovò tutto ciò ridicolo, ma non fu disposta a lasciare che Albus e Malfoy si prendessero la colpa di quanto era accaduto. «Loro erano alla festa fino a poco fa» intervenne con voce flebile, sotto lo sguardo ammonitore di Walder, che si voltò verso di lei, socchiudendo gli occhi e concedendole la propria attenzione. «Sono dovuti rientrare a cercare Nott. Se si vuole accusare qualcuno di non essersi presentato stasera, io inizierei da lui».
Accanto a sé Albus iniziò a muoversi nervosamente, mentre Malfoy aveva voltato appena la testa verso di lei e la scrutava preoccupato con la coda dell’occhio. Walder irrigidì i tratti del volto e il suo sguardo sembrò diventare ancora più severo «Grazie Weasley siamo lieti di aver ascoltato quanto avessi da dire a riguardo, nonostante nessuno ti avesse interpellato. Vi farà piacere sapere che Nott è alla festa e sta svolgendo il proprio compito meglio di quanto non stiate facendo voi due qui sotto, andando a zonzo con una Grifondoro».
Il Caposcuola li guardava in attesa. Malfoy parlò per liberarli da quella situazione. «La serata è ancora lunga, avrai tempo per ricrederti».
 «Lo spero» disse e guardò i ragazzi dileguarsi lontano dalla parete rocciosa e dal tetro corridoio.
 
  «Cosa diavolo sta succedendo?» ringhiò Malfoy mentre percorreva a grandi falcate i Sotterranei. «Nott è alla festa adesso?».
  «Non avevate detto che non sarebbe venuto?». Rose quasi correva per tenere il passo degli altri due. Svoltarono l’angolo e imboccarono un lungo corridoio, al termine del quale tre ragazzi sostavano immobili, intenti in una fitta discussione.
  «Così pensavamo. Carter ne era certo, ha detto che non sarebbe sceso questa sera» riflettè Albus.
  «Forse sarebbe stato il caso di accertarsene prima di disobbedire agli ordini di papà Caposcuola» disse Rose.
  «Tu sta zitta» esclamò Malfoy, bloccandosi di colpo nel bel mezzo del corridoio e voltandosi verso di lei con un’espressione inferocita. «Non sei in grado di tenere chiusa quella boccaccia una volta tanto?»
Rose spalancò gli occhi. «Stavo cercando di aiutarvi, mentre voi ve ne stavate lì muti …»
  «Perché non c’era nulla che potessimo dire per migliorare la nostra situazione; fare la spia a Walder sulla faccenda di Vincent, dimostrandogli che sei così informata sui nostri piani per la serata non mi è sembrato il modo migliore per toglierci dalla merda. Per non parlare del fatto che fossi vicino alla nostra Sala Comune. Il minimo che avresti dovuto fare in quel momento sarebbe stato sparire o far dimenticare a chiunque della tua presenza» sbottò.   «Voi Grifondoro siete tanto impulsivi quanto stupidi».
La ragazza deglutì a fatica. Non aveva mai sentito Malfoy urlare in quel modo. Si sentì terribilmente in colpa e cercò di nascondere il proprio sguardo, ferito dalla sua irruenza. In quel lugubre angolo dei Sotterranei l’aria era umida e satura di odori dolciastri che ricordavano le lezioni di Arrows. Rose avvertì un senso di nausea «Non credevo di danneggiarvi».
  «Questo succede perché non impari mai ad impicciarti degli affari tuoi, Weasley».
  «Perché non la piantate e venite un po’ qua?». Albus dava loro le spalle e con gli occhi scrutava, in fondo al corridoio, vicino ai tre ragazzi, una porta di legno chiaro che spiccava nel contrasto con le pareti grigiastre e gli infissi neri, ma a parte questo sembrava che il ragazzo fissasse il vuoto.
  «Cosa dovremmo vedere Al?».
Malfoy incrociò le braccia al petto e un lampo di rapacità attraversò il suo sguardo. «E’ il Deposito di Pozioni» disse.
  «In quella stanza tutti i professori di Pozioni conservano i loro ingredienti e gli strumenti necessari per preparare ogni tipo di elaborato. L’ingresso è vietato agli studenti, ma ogni anno quattro ragazzi vengono scelti per assicurare l’ordine all’interno della scuola e ricevono le parole d’ordine di tutte le sezioni proibite» spiegò Albus
  «I Caposcuola, sì lo so» completò Rose.
  «Esattamente» proseguì lui. «Ad ogni festa il Caposcuola Serpeverde fornisce a Vincent l’accesso ai Depositi per fare razzie dalle scorte di Arrows e occuparsi della preparazione di alcune pozioni speciali, che hanno la capacità di far provare esperienze diverse».
Rose guardò il cugino per diversi secondi, cercando di comprendere quanto le stava dicendo. «Non starai parlando di droghe, vero Albus?».
  «Per essere così ottusa, sei incredibilmente perspicace» commentò cupamente Malfoy.
Rose si lasciò scappare un pesante sospiro e decise di evitare altre serate future in compagnia dei Serpeverde. «Mi stai dicendo che, se quanto Walder ha detto corrisponde a verità, Vincent è alle spalle di quella porta?».
  «Senza ombra di dubbio» disse Malfoy.
Albus annuì, continuando a guardare quel punto lontano. «Vedi quei tre ragazzi in fondo? Loro sono l’avanguardia: scelti del terzo anno, hanno il compito di proteggere Vincent se dovesse avvicinarsi qualcuno, come Gazza o professori, e quindi di sacrificarsi per lui».
  «Prendendo la punizione al posto suo?» chiese Rose, strabuzzando gli occhi.
 «E’ un grande onore essere scelti» spiegò Albus come giustificazione e Rose comprese che nessuna propria replica avrebbe scalfito quella incomprensibile convinzione.
Non passarono molto istanti da quelle ultime parole, che un rombo violento riecheggiò nel corridoio. Riconobbero il frastuono proveniente dalle scale all’altra estremità del corridoio, poi un lampo di luce, accecante per occhi avvezzi alle tenebre dei Sotterranei, anticipò l’ingresso zoppicante di una figura massiccia e goffa. Il professor Arrows avanzava stringendo tra le mani grassocce la bacchetta illuminata.
  «Chi è stato?» urlò, puntando  la bacchetta in ogni angolo del corridoio, scrutando con i suoi occhietti da rettile, che per l’occasione si erano dilatati e minacciavano di schizzare fuori dalle orbite. Quando la luce colpì in pieno volto i tre ragazzi, il suo viso ebbe un sogghigno malefico. «Siete stati voi?».
Il bagliore proveniente dalla bacchetta sferzò l’oscurità e invase Rose con una tale irruenza da spaventarla; d’istinto indietreggiò. Malfoy si avvicinò a lei e guardò perplesso il professore infuriato. Un cenno di sagacia e maestria lo indussero a fiutare aria di guai, ragione per cui preferì essere prudente: si posizionò davanti a Rose, nascondendo il più possibile la figura della ragazza con la propria schiena, poi, continuando a monitorare l’ira del professore, cercò con le dita il polso di lei e lo strinse con leggerezza.
   «Professore, non sappiamo di cosa stia parlando» tentò Albus.
La vena sulla tempia di Arrows pulsò terribilmente al suono di quelle parole. «Non si prenda gioco di me, signor Potter» ringhiò.
   «Non era mia intenzione, professore. Se le ho dato questa impressione, la prego di scusarmi» si affrettò a rispondere, facendo sfoggio del suo tono più rassicurante, compromesso da un accenno di mortificazione.
Non ci fu una sola parola di troppo che andò ad aggiungersi a quel mosaico di perfetta e genuina placidità. Come da previsione, l’effetto della condotta serafica di Albus non tardò a manifestarsi e gli occhietti vispi di Arrows persero appena quel luccichio malefico. «Mi hanno avvertito sai! Qualunque sia il piano, sono stato avvertito e nessuno, ripeto nessuno, toccherà le mie cose!» sbraitò.
Rose avvertì le dita di Malfoy stringersi con più forza intorno al proprio polso, mentre la schiena si irrigidiva. Per il resto, rimase immobile.
Da abile incantatore quale era, Albus Potter non tradì alcuna emozione: non fu vinto dalla tentazione di voltarsi verso i suoi due compagni per scambiare con loro uno sguardo perplesso o inorridito. Solo proseguì «Chi sta cercando di  prendere le sue cose?».
  «Se lo sapessi, qualcuno sarebbe già fuori da questa scuola» disse in un basso e sinistro latrato. Con la bacchetta stretta nel pugno continuava a perlustrare, saltellando sulla gamba buona e trascinando l’altra con una tale maestria da far sospettare che non avesse mai avuto difficoltà deambulatorie. Quando la luce avvolse nel suo raggio i tre scelti del Terzo, il ghigno intimidatorio si mutò in una feroce smorfia vittoriosa. «Voi! Siete voi!».
Rose osservò il professore galoppare verso la porta dei Depositi, ancora troppo irrigidita dallo sgomento e dalle dita ferree del ragazzo, per poter sospirare di sollievo, ora che la minaccia di Arrows si era dileguata insieme alla sua ingombrante presenza.
Malfoy sciolse la stretta con titubanza, senza guardarla, ma rivolgendo la propria attenzione all’amico il cui sguardo era perso nel vuoto.
Nonostante le urla di Arrows riempissero il corridoio e l’eco si estendesse in un boato assordante, il silenzio che aleggiava tra i tre ragazzi era opprimente e carico di tensione. Rose non seppe dire se i Sotterranei fossero semplicemente un luogo inospitale per antonomasia o se le dinamiche che si erano svolte e intrecciate negli ultimi minuti accrescessero l’angustia che avvertiva sempre più gravosa, ma, in quel momento, percepì la sgradevole sensazione di essere accompagnata da una presenza nemica: un’ombra sfuggente che la seguiva e la osservava in quell’istante, tra le mura del tetro e umido corridoio dei Sotterranei.
Sollevò lo sguardo e si guardò intorno, incontrando solo tenebre e roccia; poi le scale in fondo al corridoio e la porta in legno chiaro all’altra estremità. Allora si voltò e guardò oltre le proprie spalle verso quel passaggio che conduceva alla Sala Comune dei Serpeverde e vide gli occhi glaciali di Vincent Nott fissarla, prima che lui sparisse oltre il varco.







Inglese. Meraviglia  







 

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Capitolo 11
*** Desbundar ***




Una realtà non ci fu data e non c'è, ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere:
e non sarà mai una per tutti, una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile.



 

CAPITOLO XI

 

Desbundar

 



Era in trappola: un pugno deciso contro l’aria pungente fu l’atroce conferma ai propri timori. Le nocche non la scalfirono, ma ricevettero la severa e dolorosa risposta di una barriera limpida, quasi trasparente, dura come roccia. Come poteva l’aria essere rigida più del marmo? E fredda come il ghiaccio?
Fu così che una lastra di minuti cristalli sostituì quell’aria eburnea che le era parsa così irrealmente mossa da un vento artico, e pareti di ghiaccio la ghermirono da ogni lato. Una bara gelida come la morte, fu il primo pensiero di Rose. Il fiato le si bloccò in gola.
Colpì ancora una volta, un’altra, più volte finché non realizzò che il bruciore delle nocche si era tramutato in sangue caldo, che ora le scorreva tra le dita. Ancora non gridava.
Non era distesa sul dorso, gli arti non erano intorpiditi, la mente non era assuefatta. Non poteva ancora riconoscere l’autorità della morte. Il freddo era ovunque con quel suo fare predace che non lasciava scampo: lo sentiva sulle labbra, mentre lambiva la lingua, le infuocava la gola e opprimeva le vie respiratorie. La soffocava quando ancora cercava di trovare un via di fuga da quella prigione di morte, prima ancora che la logica lasciasse il posto alla paura.
E poi accadde in quel frangente in cui aveva abbassato lo sguardo sui piedi che sbattevano impazziti: due occhi gialli la fissavano da sotto la lastra di vetro che sosteneva il suo peso, insinuandosi tra le sue gambe. Urlò, ma invece di liberare aria e fiato, inghiottiva sempre più acqua. Si sentì nuda, inerme, afferrata da quello sguardo. Passò le mani tra le cosce, unendo i due lembi della gonna in una ferrea giuntura che coprisse la propria intimità, mentre quegli occhi venefici la violavano con prepotenza.
Un colpo secco alla testa la fece sussultare e aprì d’improvviso gli occhi. Sollevò con uno scatto la testa dal banco e una ruvida sfera di pergamena stropicciata le scivolò lungo la chioma.
Alle proprie spalle incontrò subito il volto di Johanna, distesa sulla sedia, con le braccia incrociate, che le rivolgeva quella solita smorfia inespressiva; poi inarcò le sopracciglia e mimò un semplice ‘buongiorno’.
Qualcuno tamburellò su quel braccio che fino a pochi attimi prima aveva sorretto la propria testa in un inquieto sonno. Una preoccupata Tess Rivers sussultò e prese a straparlare. «Rose, non mi sembrava il caso di svegliarti –eri davvero molto stanca questa mattina- poi però hai iniziato ad agitarti in modo strano e Johanna mi ha intimato di darti uno spintone.» disse abbassando il tono di voce e lanciando uno sguardo turbato alle proprie spalle. «Le ho detto che è risaputamente negativo disturbare chi dorme, ma credo che non mi abbia nemmeno ascoltato» concluse, guardando la palla di carta sul pavimento con enorme disappunto.
   Rose si passò una mano stanca sulla fronte. «Quello vale per i sonnambuli, Tess».
Tess Rivers non aveva una spiccata predisposizione per l’empatia. Ignorata l’intenzione di Rose di metterla a tacere, si addentrò in un perpetrante discorso sulle conseguenze venefiche di un sonno agitato. Tess Rivers adorava Divinazione, al contrario di Rose, che ricercava costantemente una valida ragione per portare la Cooman agli esami di fine anno.

Il disappunto di Hermione Granger, ovviamente.
Eppure in quella consunta tazzina di tè proprio non riusciva a vedere presagi della propria morte.
Si voltò, poggiandosi con le braccia sullo schienale della panca. Il sorriso che distese sulle proprie labbra era rasserenante ed era rivolto a Johanna. Questa non rispose e Rose andò bene lo stesso.
Non erano migliorate le cose tra di loro nei giorni successivi alla festa, non avevano ripreso a sedere vicine durante le lezioni, né a consumare in compagnia i momenti di libertà, ma Rose avvertiva costantemente la presenza della ragazza, con una discrezione che non sapeva potesse appartenerle. Sembrava che una frattura fosse stata risanata quella fredda notte, ancora confusa, mentre Rose cercando di assodare l’autenticità di quanto era stato stravolto.
Era davvero accaduto qualcosa quella notte?
Evidentemente sì, se Johanna Jordan, fulgida nella propria consona strafottenza, appariva impalpabile alle sue spalle, armata di un foglio di pergamena accartocciato, per risvegliarla da un sonno inquieto. E così, Rose, risvegliandosi e trovandosela dietro, sapeva di essere un po’ meno inquieta.
Qualcuno tamburellò sul proprio braccio, costringendola a voltarsi. Tess Rivers la guardava con occhi sgranati e curiosi, gli stessi che riservava alle parole della professoressa. Eppure, in quel momento, sembrava che qualcosa meritasse più attenzione delle previsioni di morte profetizzate dalla Cooman.
   «Scorpius Malfoy continua a fissarti» squittì lei con un gemito di approvazione.
Considerando l’alto livello di eccitazione che gli occhi guizzanti di Tess sprigionavano, Rose si sentì in dovere di verificare personalmente l’accaduto e di poter trarre le proprie conclusioni. Perciò non perse tempo e fece vagare gli occhi lungo tutta la stanza circolare di Divinazione, finché non individuò un’alta testa bionda e un viso squisitamente assorto che sembrava divorarla.
La ricerca della ragazza fu talmente immediata e irruenta che Malfoy scosse appena il capo con sgomento, in quello che doveva essere un sussulto di irritazione. Non si scompose più di quanto la sua etera indifferenza permettesse, ma solo storse il naso in una caustica espressione, come se l’impenitente invadenza della ragazza non fosse di proprio gusto.
Rose sbuffò: in fin dei conti era lui che la stava fissando da tempo quasi preoccupante, a giudicare dalla perversa eccitazione di Tess Rivers. Rose si imbronciò, ma non smise di osservarlo, mentre sedeva tra Albus e Kate Hastings, all’estremità sinistra dell’anfiteatro circondante la Cooman. Allo stesso modo Scorpius Malfoy, per quanto infastidito, continuava a gettarle addosso occhiate insistenti. Rilassò la schiena contro la panca alle proprie spalle, incrociò le braccia al petto e le rivolse un mezzo sorriso.
   «Oh, è così eccitante!» sospirò Tess con un tono di voce incredibilmente stridulo.
Rose sorrise per la spontaneità della ragazza, mentre il volto di Malfoy imperava nelle proprie iridi. Lo osservò corrucciare le sopracciglia confuso, non riuscendo ad interpretare quel suo sorriso, e questo la fece ridere ancor di più. «Di che parli Tess?».
   «Del fatto che vi state mangiando con gli occhi».
Rose interruppe quel contatto visivo all’istante. «Ti stai sbagliando» farfugliò in una risata.
Tess Rivers la guardò con autentica comprensione e le poggiò una mano sul braccio «Vi hanno visti tutti rientrare insieme nel Castello la notte della festa di Halloween» disse, abbassando il tono della voce in un sussurro confidenziale. «A proposito, posso farti una domanda?».
Rose si trattenne dal replicare con tono ovvio che non ci fosse alcuna ragione di manifestare entusiasmo: lei e Malfoy non erano stati soli nemmeno per un momento, a meno che il cugino non avesse deciso, a sua insaputa, di indossare il Mantello dell’Invisibilità per tutta la sera.
  «Quando è successo?». Tess evidentemente ritenne di non necessitare di una conferma da parte dell’interlocutrice.
Ma quando è successo cosa?
Lo stesso sguardo sognante della ragazza Rose incontrò nell’altra loro compagna di casa, Rachel Whein, i cui occhi impiccioni facevano capolino dietro la testa di Tess. A quel punto pensò seriamente di chiedere ad Albus quale incantesimo avesse sperimentato per far dimenticare a tutta la scuola della sua presenza. O, semplicemente, come ripeteva spesso Lily, la gente prestava attenzione solo a ciò che desiderava guardare.
Tess Rivers tamburellò nuovamente sul suo braccio, rischiando questa volta di ricevere una fattura Orcovolante in pieno viso. Rose era esasperata. «Tess, cosa?» protestò. «Non è successo assolutamente nulla tra me e Malfoy» ringhiò a voce alta.  
La ragazza si schiarì la voce con titubanza. «In realtà, Rose, c’è Albus che sta cercando di attirare la tua attenzione».
Tess Rivers aveva ragione anche questa volta. Tra le tante teste di studenti primeggiava un braccio teso che si agitava mollemente, in un continuo, lamentoso ondeggiare; gli occhi di Albus Potter erano pigri e puntati su di lei, e si illuminarono quando lei si decise a notarlo. Il cugino infine si limitò a strizzarle l’occhio.
Rose sbuffò interrogativa ed esasperata. Accanto ad Albus la figura immobile di Malfoy, appoggiata allo schienale della panca con le braccia incrociate, si scompose, afferrò un foglio di pergamena accuratamente modellato e con un colpo di bacchetta lasciò che questo volasse fino ad arrivare a lei.
La pergamena sorvolò diverse teste, evitò tante mani che cercarono di ghermirla inutilmente.
Rose afferrò quel piccolo e delicato volatile e si affrettò a celarlo alla vista curiosa degli altri. Quando guardò con attenzione la pergamena, si accorse che la forma che Malfoy aveva scelto era quella di una rosa. D’improvviso sentì il collo infiammarsi e le gote colorarsi; con le dita accarezzò quei petali, sentendoli ancora più suoi. Con un rapido gesto sciolse quell’intreccio e dispiegò il foglio, fino ad incontrare l’elegante e inconfondibile grafia di Scorpius Malfoy che diceva ‘Non fuggire dopo la lezione’.
Sollevò dal foglio un paio di occhi stravolti e incontrò quelli emozionati di Tess Rivers, una mano accorsa a coprire la bocca sorpresa.
 
Rose detestava trattenersi dopo Divinazione.
Finse di attardarsi nel sistemare la borsa, mentre con la coda dell’occhio spiava Candice Morgan avvolgere con le sue esili braccia il collo rigido di Vincent Nott e lasciarsi avvolgere dalle sue fredde mani. Rose stessa avvertì un brivido raggelante lungo la schiena e si chiese come, dopo tutto quel tempo, il ragazzo non avesse ancora ridotto la sua amica ad un’unica lastra di ghiaccio.
Con il cuore ci è riuscito, però.
Il resto del gruppo Serpeverde raggiunse la coppia e Rose decise di avanzare verso l’uscita, quando qualcuno le si affiancò.
  «Perché urli il mio nome nel bel mezzo della lezione?» soffiò in un velo di compostezza.
  «Scusami?».
  «Hai urlato il mio nome nel bel mezzo della lezione».
Rose avvertì le guance prendere fuoco e alzò il mento stizzita, evitando accuratamente di guardarlo. «Non ho affatto urlato il tuo nome».
  Malfoy la interruppe «Direi di sì, se sono riuscito a sentirti dall’altro lato dell’aula».
Rose si bloccò di colpo e il ragazzo per poco non le finì addosso, ma, come sempre, frenò prontamente i suoi passi, nel momento perfetto per poterla solamente sfiorare. Dall’alto la guardava divertito.
  «D’accordo, forse ho alzato un tantino la voce» disse, puntando un dito verso di lui e avanzando di un passo. «E forse qualche parola del mio discorso è stata percepita dai tuoi acutissimi sensi …».
  «E da quelli di tutta la classe,» aggiunse con un sorriso. «celebre per gli eccellenti risultati conseguiti alle lezioni di Legilimens».
  Rose incrociò le braccia al petto «Hai finito?».
  «Tu, piuttosto, hai finito di avere sempre il mio nome sulle tue piccole e imbronciate labbra?».
Rose trattenne a stento un sorriso «Questa ha tutta l'aria di essere una tua fantasticheria ricorrente».
Il ragazzo piegò la testa all’indietro in una risata «Non essere così trasparente, Weasley, o la gente non smetterà mai di pensare che sei attratta da me».Questa volta Rose sentì le fiamme divorarle il collo e salire lungo la nuca fino a diventare un tutt’uno con i capelli. Sperò di avere una voce sufficientemente ferma, quando si dipinse un sorriso di sufficienza sul volto e sibilò «Nemmeno nei tuoi sogni più sfrenati».
  Malfoy abbassò lo sguardo, continuando a ridere. «Ti riferisci a quelli in cui indossi il tuo abitino nero?».
Deglutire si rivelò un’azione più complessa di quanto Rose potesse immaginare, dal momento che la bocca arida increspava il palato e la lingua ruspante non rispondeva ai suoi comandi. Pertanto non riuscì a proferire parola.
  «Dolcezza» arrivò una voce alle sue spalle.
Alan Doyle, stufo di assistere in disparte, le si avvicinò e afferrò una ciocca dei suoi capelli per lasciarsela scorrere tra le dita.
   Rose per poco non sobbalzò quando si ritrovò un braccio di Doyle stretto intorno alla propria vita.
Il tentativo di evitare Alan Doyle era uno dei motivi per cui fuggiva subito dopo una lezione con i Serpeverde o che di rado si mostrava al tavolo del cugino. L’ improvviso e molesto corteggiamento che Doyle sembrava riservarle dopo gli strani episodi di quella notte riusciva a turbarla più di quanto facesse la viscida presenza di Vincent Nott.
  «Sono riuscito ad afferrarti finalmente». Doyle esibiva il sorriso più lascivo che Rose avesse mai visto.
  «Non ti illudere, Doyle, mi riperderai tra qualche istante» disse lei, allentando la stretta delle dita.
  «Il tuo scivolarmi via come petali di rosa mi farà impazzire».
Scorpius Malfoy si poggiò allo stipite della porta. «Non te l’hanno mai detto che le rose hanno le spine?» 
Rose pensò per un attimo a quel foglio di pergamena che custodiva nella propria borsa e si chiese se lui l’avesse mai considerata una rosa. Avvertì nuovamente il collo accaldato e sperò che le guance non le si fossero tinte.
Si chiese da quando aveva cominciato ad avvicinare pensieri così stupidi e sperò solo di non apparire imbarazzata, per l’ennesima volta, dopo un commento di Malfoy.
  «E dove sarebbe il gusto altrimenti?» disse Alan Doyle, sfiorando con i polpastrelli la guancia di Rose, che si ritrasse infastidita. Il ragazzo rise, profondamente appagato. «Un po’ di sangue tra le dita rende il piacere più intenso. Dico bene, Capitano?».
Malfoy rispose con un assordante silenzio e, per la prima volta, smise di guardarla. «Non so Alan, abbiamo una concezione del piacere davvero molto, come dire, diversa».
Una pioggia di aguzze schegge perforò l’addome di Rose. Nel giro di pochi istanti la maschera di rigida indifferenza aveva preso il posto della consueta arroganza di cui Rose non poteva più fare a meno.
  «Meglio così, allora. Più materiale per me» disse Doyle, in una roboante risata. «Non che ci sia il rischio che tu ti invaghisca del Capitano. Dico bene, dolcezza?».
  Rose rivolse uno dei primi sorrisi sinceri ad Alan Doyle. «Nemmeno in un’altra vita».
No, cara Tess, non ci stavamo mangiando con gli occhi.
Malfoy riprese a fissarla, ma questa volta una luce nuova dominò le sue iridi: come la notte di Halloween, appariva totalmente fuori di sé, incapace di riafferrare le redini di quell’impeto selvaggio imperante nel suo sguardo, palesando una lotta interiore che sembrava stravolgerlo. Al termine della bega, ciò che permaneva nei suoi occhi era l’odio.
Il braccio di Albus avvolse le spalle di Rose, sottraendola con rapidità all’attenzione dei due amici. «Spero che abbiate finito di tormentare mia cugina» disse e con lo sguardo indugiò sul volto di Dylan.
Hai sbagliato questa volta Al, non è lui che mi tormenta.
   «Non posso tenere a bada tutti e due».
Rose irrigidì le spalle sotto il tocco del cugino «Tranquillo Al, un Serpeverde in più rispetto al solito non mi cambierà la giornata».
Una risatina stridula fece da sottofondo alle sue parole, mentre Kate Hastings avanzava fiera, picchiettando con i tacchi le vecchie piastrelle in legno della mansarda. La ragazza si fermò accanto a Malfoy e sorrise teneramente verso Rose «E' sempre interessante vedere un cucciolo cercare di sollevare la testa tra i serpenti. Possiamo considerarlo un esperimento sociale: quanto sopravvive un leone senza il suo branco? Sono aperte le scommesse».
«Eppure non sono io quella che va girando con la scorta».
Kate Hastings addolcì lo sguardo in un lampo di mortificazione. «Non metterti sulla difensiva, Weasley. Non ti stavo attaccando» mormorò. «Come sono ingenui, non sanno nemmeno riconoscere una battuta» aggiunse in un sussurro che sembrava escluderla improvvisamente dalla conversazione.
Malfoy, al suo fianco, non trattenne uno sbuffo divertito.
  «Spero abbiate finito di perdere tempo».
Rose si voltò di scatto verso quella voce glaciale. Vincent Nott li fissava oltre la soglia della porta.
Come una melodia incantata, il suono perentorio di quell’ordine immobilizzò i presenti, li ridusse a tante statuette d’avorio, finché le pedine non si mossero sulla scacchiera, al richiamo del loro re.
Doyle fu il primo a incamminarsi dietro Candice, mentre Malfoy e Albus attendevano impietriti.
  «Immagino che tu ci raggiungerai più tardi». Kate Hastings si limitò a sussurrare parole rivolte a Scorpius e andò via senza attendere una vera risposta
Il tempo fu sufficiente per cogliere lo sguardo che Scorpius e Albus rivolsero a Vincent Nott.
  «Il nostro leader è tornato a splendere» commentò Rose.
  «A quanto pare» fu la secca risposta di Albus.
  «Avrà momentaneamente sospeso le sue strategie con l’incasso dell’ultima vittoria».
  «Vittoria?».
Rose si accomodò sulla cattedra della Cooman. «È riuscito ad incastrare quei due ignari e fanatici ragazzini».
  «E perché pensi che Vincent possa essere interessato alla punizione di due Avanguardie del terzo anno» replicò scettico Malfoy.
  «Non lo so. Perché pensi sia sparito per tutta la festa di Halloween, per poi riapparire in tempo per far credere al Caposcuola Serpeverde di stare svolgendo il suo compito alla perfezione, salvo poi spuntare una soffiata direttamente ad Arrows che ha mandato tutto all’aria, permettendogli di non rubare dalle scorte?».
  «Se stai sostenendo che Vincent abbia cercato, o addirittura organizzato, un espediente per sottrarsi al suo compito e non attingere dalle scorte di pozioni, vorrei ricordarti che questa è un'arte che svolge abilmente dal primo anno».
  «Forse gli ha fatto comodo imbattersi in un ostacolo che si è accidentalmente posto fra lui e la sua strabigliante arte».
Albus gracchiò in sottofondo, richiedendo la parola. «Il problema maggiore è che noi tre siamo i principali sospettati della soffiata» annunciò con voce placida.
  «Cosa?».
Malfoy soffiò una risata ironica. «Ti sorprende, supereroina? Questo è il risultato della tua dimostrazione di encomiabile coraggio».
  «Volevo solo aiutarvi» sbuffò Rose.
  «Toglimi una curiosità: a fine anno eleggete il Grifondoro che ha operato più salvataggi non richiesti? Altrimenti non si spiega il vostro disturbante bisogno di farvi gli affari degli altri».
Rose lo incenerì con lo sguardo. «Riesci sempre a scegliere le parole sbagliate» sibilò. «Prendermi la colpa della soffiata non è mai stato un problema, nonostante l'aurea minacciosa del vostro grande capo. Potrà spaventare voi, di certo non me».
  «Non servirebbe, Ross. Walder penserebbe comunque che ti abbiamo coinvolta troppo».
Rose li scrutò con sospetto. «Non vi dà fastidio che Nott si prenda tutto il merito e voi ne usciate sporchi?».
Albus si limitò ad una scrollata di spalle frettolosa e Malfoy grugnì la sua pigra disapprovazione, ma il silenzio che ne seguì fu carico di collera.
Forse l’inconcludenza della festa aveva dato i suoi frutti e i suoi due compagni iniziavano finalmente ad esserle complici. Rose pensò bene di non lasciarsi sfuggire la possibilità di sguazzare avidamente nel mare di irrequietezza che stava solleticando le calme acque dei due ragazzi.
  «Magari avete ragione voi. D’altronde Nott è davvero più abile di noi tutti messi insieme: è sempre stato alla festa e voi semplicemente non ve ne siete accorti» sospirò amareggiata. «È davvero un leader nato».
Con un balzo scese dalla scrivania, afferrò la borsa e se la sistemò con cura sulla spalla, non prima di aver colto con chiarezza il velo d’ombra nello sguardo sfuggente che i due ragazzi si scambiarono.


 
- § -
 

 
Abbandonò la borsa in fondo all’armadietto e recuperò il grembiule di gomma marrone irrimediabilmente segnato da aloni di liquidi fangosi. Con un movimento di bacchetta circolare sollevò la chioma, lasciando il collo scoperto.
Scrutò preoccupata Johanna afferrare con la mano guantata l’Anice Spinoso per il bulbo. «Lascialo andare immediatamente» le ordinò sedendosi al suo fianco, lungo il tavolo Grifondoro della Serra di Neville.
  «Sei tu» sospirò la ragazza, lasciando precipitare il bulbo sul fondo del vaso e avvicinandolo alla compagna. «grazie al cielo».
  «Giusto in tempo per evitarti un’insufficienza al compito di Erbologia».
  «Per un momento ho temuto di dover assecondare davvero questa follia di Neville» disse mentre ripuliva il guanto macchiato sul grembiule del vicino. «Te l’hanno mai detto che le lezioni hanno un orario?».
  «Vengo a sapere le cose sempre troppo tardi».
  «A quest’ora avresti molte meno strigliate di Arrows sulla coscienza».
  «E probabilmente sarei Prefetto».
  «E sicuramente non saresti mia amica».
Rose si zittì, le lanciò un rapido sorriso e afferrò l’ Anice Spinoso, assicurandosi che un po’ del fango che portava con sé finisse sul grembiule di Joa.
Il silenzio di disappunto, con cui le tre ragazze di fronte a sé si premuravano di appesantire l’aria torrida della Serra, la convinse ad alzare lo sguardo.
  «Rose» scandì Melissa con voce squillante e decisa.
  «Mel». Rose osservò il volto basso di Candice e quello sfuggente di Eloise, i cui boccoli castano scuro scivolavano come un velo sul suo sguardo.
Melissa smise di fingere interesse per la pianta che la sorella era intenta a frammentare e si sfilò con disgusto i guantoni umidi. «Mi sorprende vederti qui».
Rose la guardò per qualche istante prima di rispondere con ovvietà «Abbiamo lezione».
  «Sì, lo vedo» ridacchiò lei. «Intendo al nostro tavolo. Quando non ci sono i Serpeverde, ti ricordi qual è la tua Casa» aggiunse, poi suggellò con un sorriso candido.
Il caldo estivo che si respirava in quella piccola sfera verdeggiante iniziava ad aderire oppressivo sulla pelle delle ragazze e il respiro sembrò più lento e cadenzato, mentre Johanna si muoveva nervosamente e Candice sollevava gli occhi per la prima volta. «Per essere una che fa tante storie al mio ragazzo, ti fai davvero pochi problemi a passare dall’altra parte».
  «Un po’ ipocrita» bisbigliò Melissa come stesse commentando il tempo di quel pomeriggio.
  «Mel, puoi anche chiudere la bocca ogni tanto» ringhiò Johanna.
Rose respirò a lungo incredula. «Adesso esistono delle parti?» esclamò. «Tu come concili questa filosofia con la tua relazione? O fai finta che non esista, come con tutto quello che rischia di minacciarla?».
Candice le si rivoltò contro «L’unica che ci tiene tanto a minacciarla sei tu».
L’Anice scivolò dalle mani di Rose a atterrò sul tavolo di legno, disperdendo ovunque il terreno e inondando di fango le compagne. Melissa lanciò un urlò, mentre le altre si allontanarono inorridite. «Io ho provato a farti vedere la verità. Sarei solo sollevata nel vederti veramente felice con qualcuno».
  «Quando non cerchi di sabotarla» bofonchiò Eloise, mentre, impassibile nel bagno di terriccio ricevuto, proseguiva con solerzia il proprio lavoro.
Rose questa volta guardò Johanna in cerca di aiuto, ma questa le rispose con una alzata di spalle. «Di cosa stai parlando?».
  «Ah, ma per favore» sbottò Melissa il cui disprezzo per la vegetazione che la circondava sembrava essersi rinvigorito con le parole di Rose. «Vuoi dirmi che la tua cugina diva dal nulla ha avuto l’intuizione di umiliare Eloise?».
  «Stai parlando di Dominique?».
  «E di chi altro se no?» esclamò stizzita. «L’ha bloccata in Sala Comune davanti a tutti per dirle che non potrà avere nessuna speranza con James e che mandare avanti te è stato davvero patetico». Al suono di quelle parole gli occhi di Eloise si riempirono di lacrime; Candice poggiò la propria mano sulla sua in una silenziosa manifestazione di solidarietà.
Rose riuscì a deglutire a fatica; nei pochi attimi, che la controparte di quello spietato processo le stava concedendo, cercò di rimettere ordine in quella confusa e inspiegabile successione di informazioni, ma l’unico pensiero al quale diede voce fu «Perché Dominique era nella nostra Sala Comune?».
Johanna la spintonò con il gomito «Non mi sembra prioritario in questo momento» bisbigliò.
  «Sarà un’abitudine Weasley frequentare Dormitori altrui».
Questa volta Rose strinse con forza il bulbo dell’Anice, immaginando fosse la testa di Melissa. «Sai Mel, sei davvero una stronza». Diversi spruzzi di pus sfavillavano dalla testa dell’arbusto e la ragazza si portò le mani a coprire i capelli.
  «Allora farò bene a tenermi stretto il mio prossimo ragazzo. Non si sa mai di questi tempi».
Rose sorrise debolmente «Fai attenzione, Mel» sussurrò  «Due notti consecutive con lo stesso potrebbero essere destabilizzanti per te».
La bacchetta sollevata dalla ragazza fu un gesto rapido e immediato, come se la stessa avesse appena lasciato ondeggiare una ciocca di capelli, ma, ancora prima che fu visibile, Candice, Eloise e Johanna si erano già inginocchiate, protette dalla confortante superficie del tavolo.
Quando il bulbo stretto tra le mani di Rose le esplose in piena faccia, il bitume viscido le increspò i capelli, colando lungo la nuca, fino al petto. Il grembiule, ormai al termine del proprio lavoro, manteneva solo un pallido ricordo del colore originario, mentre aderiva al corpo della ragazza confondendosi con il resto degli indumenti.
Con gli occhi impiastricciati Rose ebbe appena il tempo di vedere Neville portarsi le mani ai capelli già radi.
 
Lasciò la Serra che il sole era tramontato da tempo e si avvicinava l’ora del coprifuoco. I capelli bagnati avvertirono la frustata gelida del vento impietoso. Con vana speranza Rose si rifugiò nell’impermeabile che Neville le aveva prestato, ma il suo petto difeso solo dalla canotta intima, già rimpiangeva il maglione e la camicia logori  abbandonati nella sua borsa.
Si lasciò schiaffeggiare ancora un po’ dalla furia di quell’inverno e provò un sollievo che da tempo le era mancato. Improvvisamente fu scossa da una risata di gusto, quando pensò al rientro in Dormitorio di quella sera.
Intorno a sé le ombre avevano ricoperto ogni cosa, e solo il tenue chiarore delle lampade sospese le indicava il cammino verso il Castello. Per questo fu sorpresa quando vide il Capannone nel cortile illuminato.
Dischiuse la porta con discrezione mentre un chiacchiericcio concitato diveniva sempre più distinto, rivelando il volto di tre ragazzi poco più piccoli di lei, che la fissavano terrorizzati.
Uno di loro si protese prontamente verso di lei, cercando di nascondere un calderone alla sua vista, ma la sua esile figura riusciva a coprirlo appena.
  «Non credo siate così stupidi da preparare niente di illecito nell’unica capanna illuminata del cortile» disse Rose, guardandoli divertita. «Quindi non c’è bisogno di tanta fatica per nascondermi quel calderone».
I ragazzi si rilassarono appena nel constatare la sua tranquillità, ma il più coraggioso di loro non sembrava intenzionato ad abbassare la guardia. «Chi sei? Cosa fai qui?» ruggì con voce tremante. Nonostante i propositi di palesare sicurezza, lo sguardo guizzava irrequieto da una parte all’altra della stanza.
  «Forse dovrei farvi io questa domanda» disse, incrociando le braccia al petto. Li osservò attentamente, ritenendo non potessero avere più di tredici anni «Potete rispondermi con sincerità o posso legarvi tutti e tre insieme con un colpo di bacchetta e scoprire da sola cosa siete tanto ansiosi di nascondere».
Alla vista della bacchetta di Rose, anche il capogruppo fece un passo indietro e assunse il pallore dei suoi compagni. «Siamo in punizione» si limitò ad aggiungere.
  «Roba di Foresta Proibita, immagino. Dovete averla fatta grossa». Rose si avvicinò al calderone per studiarne il contenuto denso e gelatinoso come bava di lumaca. Ricordava le innumerevoli volte in cui James e Fred furono costretti a recuperarla dalle radici della Foresta per scontare le loro peggiori punizioni. «Come mai tanto mistero?»
I tre ragazzi non risposero, ma si guardarono titubanti, ognuno chiuso nella propria fortezza di segretezza. Tanta complicità le ricordò quell’assurda fratellanza tra Albus e Malfoy, la stessa che aveva scoperto condividevano con gli altri fanatici Serpeverde.
D’improvviso un dubbio la colse. Si affrettò a studiare gli indumenti dei tre galeotti alla ricerca dei colori che si aspettava di trovare, ma i soprabiti non lasciavano traccia dello stemma sulla loro divisa.
Come se avessero percepito le sue intenzioni, uno di loro le chiese «A che casa appartieni?».
Dalla porta socchiusa una raffica di vento scompigliò i capelli bagnati di Rose e le suggerì il pretesto per avvolgersi maggiormente nell’impermeabile.   «Ragazzino, che razza di domanda mi fai?» sibilò. «Dovresti capire che sono Serpeverde dal fatto che so perfettamente che questa bava di lumaca è il tentativo di arginare la vostra punizione».
 «Ce la siamo fatta spedire da Nott».
 «Non saremmo mai andati nella Foresta Proibita a recuperarla».
 «Nott non l’avrebbe mai permesso».
Tutto ciò di cui aveva bisogno era lì davanti a sé, e le era capitato proprio nel momento in cui aveva smesso di cercarlo. In fin dei conti Melissa si era rivelata più utile del previsto.
  «D’altronde vi siete sacrificati per lui» commentò Rose con noncuranza.
  «Non è un compito da niente, nonostante siamo continuamente sottovalutati» bofonchiò il capogruppo. «Walter non ci avrebbe mai portato la bava di lumaca, ma Nott è di tutt’altra specie. Si merita davvero la fedeltà che ci chiede».
La conferma di cui aveva bisogno era appena arrivata, e i Tre dell’Avanguardia le avevano gentilmente palesato la loro identità.
Il cuore di Rose iniziò a battere più velocemente, mentre ponderava le parole, temendo di poter sprecare un’occasione d’oro. «Anche lui è stato davvero fortunato» affermò, prendendo a camminare per la stanza, guardandosi intorno con interesse. «Non deve essere facile trovare qualcuno di cui fidarsi veramente».
  «Cosa vuoi dire?».
  «Beh». Afferrò un calice particolarmente affascinante e finse di esserne catturata. «Fingere di preparare la pozione che Walter gli ha chiesto e non presentarsi affatto alla festa, chiedendo a voi di mantenere questo segreto …» sospese la frase con un sospiro «beh, non è una richiesta da poco».
Il cuore di Rose ora batteva all’impazzata, mentre il cuore le sollevava il petto. Temendo che questo la tradisse si strinse maggiormente nella giacca e socchiuse gli occhi aspettando che il sasso lanciato nel vuoto precipitasse sul fondo.
  «Noi lo facciamo con piacere». Il coraggioso del trio abbandonò definitivamente ogni difesa e si lasciò catturare dalla complicità di Rose. «Sappiamo che la pozione che sta preparando è di gran lunga più complicata. Walter non capirebbe».
Il respiro di Rose prese a farsi più veloce per l’eccitazione. «Dici che non capirebbe?».
  «Walter, scherzi?» commentò con una risata uno dei tre.
  «L’ultima volta che uno del Sesto gli ha chiesto l’accesso illimitato al deposito di Arrows, è stato radiato dalla lista» aggiunse il capogruppo.
Rose non credeva alle proprie orecchie  «Addirittura illimitato».
  «Per le esigenze, si intende. Di certo Nott non ne farebbe un uso spropositato, ma adesso ne ha bisogno e Walter non capirebbe. Per questo quando ha chiesto il nostro aiuto, non abbiamo esitato. Poi ci ha portato la bava di lumaca per ringraziarci, come se ce ne fosse stato bisogno».
  «Ne ha bisogno? Ma perché? Che pozione sta preparando?».
I ragazzi la guardarono scettici. «Non lo sappiamo, no?» disse uno di loro.
  «Perché dovrebbe dirci quello che fa?» aggiunse l’altro, guardandola con attenzione.
Un silenzio improvviso avvertì Rose di essersi addentrata troppo in fondo.
Il capogruppo si alzò e si avvicinò verso di lei. «Come hai detto di chiamarti? Sono sicuro di averti già vista».
Mentre il trio la scrutava a fondo, Rose ringraziò il rosso inscurito dei suoi capelli bagnati e legati, che, per quella volta, non l’avevano tradita. «Ragazzino, non prendertela, ma sei decisamente troppo piccolo per me». Sperò che il proprio tono di voce fosse abbastanza arrogante da emulare l’atteggiamento di Malfoy. «La prossima volta spegnete le luci o attirerete l’attenzione di chiunque» suggerì, chiudendosi la porta alle spalle.
 
La corsa verso il Castello le aveva sciolto i capelli e adesso danzavano liberi nell’aria gelida che li cristallizzava in tante lingue di ghiaccio. Il loro rosso era ormai inconfondibile.
Percorse a grandi falcate il corridoio del sesto piano, poi comprese che a quell’ora non avrebbe incontrato nemmeno un fantasma e prese a fluire rapida lungo l’ala buia, liberandosi da quell’opprimente indumento che adesso le premeva sulla pelle nuda.
Spalancò la porta della lavanderia e rovesciò il contenuto della sua borsa nell’oblò. Azionò la bacchetta e lasciò che la cava circonferenza orizzontale e piatta come un disco roteasse portando con sé l’unto dei suoi indumenti.
Finalmente respirò per calmarsi ma il petto ancora le tremava; si inginocchiò per ripristinare la calma e contemplare i movimenti roteanti degli incantesimi. Guardò l’ora sul polso: raggiungere il Dormitorio Serpeverde a quell’ora sarebbe stato sconveniente e incredibilmente imbarazzante. Si immaginò mentre bussava contro il mausoleo in pietra e pregava qualche sfacciato Serpeverde di farle incontrare i suoi due improbabili complici.
Un’onta indelebile per l’orgoglio Grifondoro.
Qualcuno azionò l’oblò al suo fianco, frapponendosi tra i suoi pensieri.
  «Ultimamente sei una sorpresa continua». Alan Doyle la studiava dall’alto, particolarmente interessato a seguire il movimento della canotta nera aderente sul suo addome.
Rose si eresse in tutta la propria modesta statura e lasciò che i capelli le coprissero le spalle nude, ma questo attirò maggiormente l’attenzione del ragazzo. «Abbigliamento interessante. Posso chiederti da dove vieni? O dove sei diretta?» aggiunse decisamente più interessato.
  «Dalla Serra di Erbologia. Probabilmente emano ancora odore di catrame».
Doyle non sembrava particolarmente appagato da quella risposta, ma non desistette «Se vuoi posso controllare».
Ancora prima che Rose ebbe il tempo di capire se fosse serio, il ragazzo la prese per i fianchi e affondò il volto tra i suoi capelli. «In effetti l’odore è migliorabile» disse in una smorfia, senza allontanarla.
Rose, ancora incredula, si lasciò scappare una risata.
  «Sai, non mi fido mai della prima impressione» proseguì, per poi scostarle i capelli e avvicinare la punta del naso all’incavo del collo. Rose si sentì solleticare e un brivido la colse impreparata, lasciandola lì inerme.
I capelli le scivolavano lungo la schiena, sollevando all’attenzione del ragazzo le braccia tornite, la spalla incisa dall’adesione della sottile bretella e il petto scosso dal battito accelerato.
  «Tu sei pazzo» disse in un sussurro, allontanandolo da sé. Non riuscì a celare la linea sorpresa e divertita che la increspava le labbra.
Gli occhi di Doyle vagavano indiscreti dal viso al petto fasciato. La sua sfacciataggine mal celata le ricordò la festa di Halloween, l’unica occasione in cui anche gli occhi di Mafoy furono vergati da quella stessa  luce possessiva. Mentre da allora l’odio si era fatto verde smeraldo nel suo sguardo, e lievi schegge di dolcezza ne smussavano l’intensità.
Malfoy, sempre Malfoy.
Scosse la testa indignata dalla propria debolezza.
Sta diventando un’ossessione.
Aveva Alan Doyle di fronte a sé, non Malfoy. Alan Doyle che la aveva appena annusato il collo. Afferrandola dal nulla. Senza troppi convenevoli e sbalzi d’umore. Diretto e deciso.
A differenza di altri.
  «Il tuo oblò va per le lunghe». Ancora un volta fu Doyle a scuoterla dai propri pensieri. «Devi aver fatto veramente un bagno nel fango».
  «È stata più una battaglia tra compagne, in realtà».
  «Vi siete lanciate il fango?» esclamò Doyle come se gli avessero appena comunicato la sospensione degli esami di fine semestre. «Sempre detto che le ragazze Grifondoro sono da frequentare più spesso».
  «E tu perché fai il bucato in tarda serata? Niente di meglio da fare?».
Il ragazzo sollevò la felpa della divisa da Quidditch e per un momento Rose temette avesse interpretato la domanda come un invito di cattivo gusto.
Poi le mostrò l’addome fasciato. «Riposo medico. Mi hanno cacciato dagli allenamenti».
  «Gli allenamenti erano stasera?!» quasi urlò la domanda.
Doyle sembrò perplesso e annuì solamente, mentre la ragazza si affrettava a rivestirsi e a recuperare la borsa.
  «Se ti interessano i nostri allenamenti, posso mostrarti l’ultimo schema di gioco» disse con un sorriso sghembo. «In camera mia, magari».
Rose si limitò lanciargli uno sguardo di sbieco.
  «Pensaci, dolcezza». Con una scrollata di spalle le avvicinò una medaglietta in argento: su di essa si insinuava un serpente perfettamente intagliato in nero.  «Se dovessi cambiare idea e ti andasse di fare un giro nel mio Dormitorio, ti basterà accarezzare il serpente» aggiunse con un ghigno sul quale Rose preferì sorvolare.
Afferrò la medaglietta senza trattenere un sorriso e aprì la porta della lavanderia.
  «Ah, Weasley» la bloccò lui. «Se volessi chiarimenti riguardo il dress code: quello di stasera va benissimo».
 
Dallo spogliatoio maschile uscì un gruppo di cinque ragazzi. Quando chiese loro informazioni su Albus e Malfoy, risposero che il Capitano era sempre l’ultimo a lasciare il campo.
E, di conseguenza, anche la sua anima gemella.
Spalancò la porta senza troppi convenevoli e con una certa fretta, rendendo chiaro ai ragazzi che il momento per la loro intimità fosse ufficialmente terminato. Ma la sua urgenza le scivolò dalla bocca semiaperta quando si scontrò con qualcosa che ingenuamente non aveva considerato: Malfoy completamente nudo a due passi da sé.
Si voltò appena in tempo per vedere l’espressione sconvolta di lui mentre si fiondava su un asciugamano abbandonato sulla panca. «Weasley, sei completamente impazzita!» tuonò.
  «Ti sembra modo di andare girando?» esclamò ancora di spalle mentre chiazze di pelle nuda e bagnata imperavano nelle proprie iridi.
  «Io non sto andando girando proprio da nessuna parte». L’irritazione nel suo tono di voce era talmente ostentata che Rose si immaginò uno dei suoi sguardi di ghiaccio.
  «Potresti pensare di indossare almeno le mutande nei luoghi pubblici».
Il latrato di disappunto anticipò le parole del ragazzo. «Hai mai pensato che forse sei tu ad essere nel luogo pubblico sbagliato, squilibrata?».
Rose decise all’istante di voltarsi di scatto, che lui si fosse rivestito o meno. Alle conseguenze sui propri ormoni avrebbe pensato in un secondo momento. «No, non ne vedo il motivo» grugnì, ringraziando che portasse almeno i pantaloni.
  «Io ne vedo ben tre invece: spogliatoio, maschile, Serpeverde». Incrociò le braccia al petto, costringendo gli occhi di Rose a controllare che le vene dell’avambraccio non subissero uno sforzo eccessivo.
Lei sbuffò spazientita e pensò di proporsi per aiutarlo a cercare una maglietta.
  «Vorrà dire che la prossima volta ti spedirò un Gufo ad annunciarmi».
  «Ottima idea!».
  «Almeno ti farai trovare in uno stato presentabile. Ma non hai una camicia da qualche parte?».
Lui sollevò un sopracciglio per tutta risposta. «Singolare quesito, posto da una che va girando in intimo».
Rose abbassò lo sguardo su di sé, rendendosi conto solo in quel momento di avere il vapore caldo ad inumidirle il petto, le guance arrossate e l’impermeabile di Neville tra le mani.
L’attimo eterno di silenzio che seguì fu colmato solo dal ritmo rapido del suo torace e dal respiro affannoso dei due ragazzi.
A spezzare l’imbarazzo fu la calda voce di Malfoy, una volta ripristinata la consueta arroganza. «Potevi dirlo subito che avevi il desiderio di vedermi nudo».
La prima cosa che Rose si trovò tra le mani fu lo sfortunato impermeabile di Neville che Malfoy si preparò a scansare con prontezza.

«Indossalo già che ci sei» gli suggerì, passandogli accanto a occhi bassi.
Scorpius Malfoy, come da previsione, le bloccò il passaggio, ostentando quella nudità che tanto lei si premurava di ignorare. La guardò vittorioso, si rigirò l'indumento tra le mani, poi indugiò senza imbarazzo sulla sua scollatura. «In tutta sincerità, apprezzo l'iniziativa»
«Quale iniziativa?»
Il ragazzo chinò il capo verso il suo orecchio e per un attimo Rose ebbe chiara l'immagine di Alan Doyle con il naso immerso nei suoi capelli «La proposta indecente di cui volevi parlarmi
» bisbigliò.
Rose, divertita dal suo tono di voce, si lasciò scappare una risata e poggiò istintivamente la mano sul suo torace per allonanarlo da sé, in un gesto così abituale da spegnere per un attimo il fuoco dell'imbarazza che l'aveva dominata fino a poco prima.

Malfoy le trattenne la mano, prima che lei avesse il tempo di mascherare quel gesto. «Non puoi negarmi una curiosità: perché sei svestita in questo modo?».
  «Quando avrete finito, spiegatelo anche a me». Albus Potter strofinava con vigore gli indomabili capelli, e nessuno avrebbe mai potuto prevedere da quanto tempo stesse lì, intento in quell’ impegnativa attività. «Del perché di tutto … questo»
Malfoy liberò Rose, che si premurò di sostituire ogni traccia del sorriso con una ben collaudata espressione di gravità. «Ho bisogno di parlarvi».

 

 
- § -
 

 
Era un sabato mattina quando Johanna aveva lasciato in tutta fretta il Dormitorio, farfugliando qualche scusa improbabile sul perché avrebbe saltato la lezione di recupero di Roberts del pomeriggio. L’unico dubbio che si era posta Rosa era, tuttavia, il perché la ragazza con la più bassa frequenza di tutta la scuola si premurasse di rifilarle qualche scialba giustificazione.
Rimasta sola, si rifugiò al riparo del proprio letto e sfogliò le pagine del diario di Penelope.
 
Fiocchi di neve le sfioravano i capelli senza lasciarsi da questi catturare. Gli spalti imbiancati cullavano l’attesa degli spettatori infreddoliti.
Alla prima folata di vento Penelope Perkins si strinse distrattamente nella sciarpa nero-argento, gli occhi persi nel seguire i giocatori passarsi la pluffa.
  «Da quando seguiamo il Quidditch?» mormorò in tono lamentoso Rebekah.
Penelope alzò gli occhi al cielo.
  «Ancora più corretto sarebbe dire: Da quando seguiamo gli inutili e assolutamente fanatici allenamenti di Quidditch?».
L’amica questa volta sorrise divertita.
  «Non è abbastanza» sentenziò Rebekah. «Adesso arriva il bello: gli inutili e fanatici allenamenti di Quidditch sono, pensa un po’, di Grifondoro» esclamò esasperata.
  «Non sei costretta a restare».
Rebekah guardò l’amica come se avesse perso il senno. «E con chi potrai commentare il fantastico didietro di Isidore Davis? Si vedesse almeno qualcosa con tutti quegli indumenti. Maledetta neve».
  «La neve in pieno maggio non ci voleva davvero» sospirò Penelope. «Sarà una finale di Coppa indimenticabile».
  «Per te sicuramente. Immagino i festeggiamenti del Capitano Davis se dovesse vincere Grifondoro» esclamò Rebekah in un sorriso inequivocabile. «Indimenticabile».
Lo sguardo di Penelope si illuminò quando le scope toccarono terra e il suo Capitano le fece cenno con la mano. «Almeno ci sarebbe qualcuno che lo festeggia. Se non fosse per me, lasciata la scuola, non potrebbe parlare dei suoi successi con nessuno».
  «Possiamo raccontarci quello che vogliamo, ma i tempi non sono così cambiati: non è facile essere  un Grifondoro in una famiglia Serpeverde da generazioni».
Un’ombra avvolse lo sguardo di Penelope. «A casa è un inferno».
  «Non so come tu faccia».
  «Se solo sapessero o immaginassero …».
  «Pensa al lato positivo» affermò Rebekah, d’un tratto illuminata. «Almeno sei Serpeverde. Quando direte a tutti di voi ci sarà una delusione in meno in casa Davis».
  «Vuoi dire in casa Nott» disse Penelope, incupendosi definitivamente.
 
Rose tornò alla realtà annaspando aria che le riempisse i polmoni, mentre quel nome le risuonava in testa come un maledizione: Nott e ancora Nott.
Non aveva mai dubitato di questa consapevolezza, ma la certezza del coinvolgimento di Vincent Nott smise di essere una tenue fantasia, un’improbabile supposizione, un feroce accanimento. Verità ancora più rivelatoria era il ruolo insospettabile che l’intera famiglia Nott ebbe ricoperto all’interno della tormentata storia di Penelope. Una presenza invasiva per la stessa famiglia Davis, o, addirittura, in sostituzione di essa.
Si morse il labbro pensierosa, ormai certa che i Nott fossero l’anello di congiunzione tra Isidore e Penelope; in che misura e in quali vesti la figura di Vincent fosse pregnante, era ciò che più la tormentava.
Come fosse possibile che tutto quello fosse avvenuto e stesse ritornando tra le mura del Castello ancora non riusciva a spiegarselo.
 
 
  «Come è possibile?» latrò Rose.
Fred Weasley scosse la testa con disappunto.
  «Si deve trattare di un incantesimo particolarmente abile».
Il cugino più abbronzato mugugnò.
  «Non mi verrebbe mai in mente di mettere in dubbio la fedeltà di qualcuno a me vicino» riprese Rose, scandendo le parole con soppesata maestria.
Fred questa volta scaraventò il giornale sul tavolo profondamente indignato. James al suo fianco sembrava turbato.
  «James, mi stai ascoltando?».
  «Cosa?».
  «Com’è possibile che la nostra conversazione su Eloise sia arrivata alle orecchie velenose di Dominique?» esclamò, per poi rivolgere uno sguardo mortificato a Louis Weasley, seduto accanto a James. «Scusami, Louis».
Il ragazzo, impegnato a consumare il proprio pranzo con una eleganza che sarebbe stata più adatta ad un matrimonio a Buckingham Palace, si scompose appena in un gesto accennato della mano. «A Dominique piace fare la difficile».
  «E la manipolatrice» s’intromise Lily.
  «È che non ha particolare empatia».
  «O sentimenti» puntualizzò.
Il ruggito di protesta di Fred sovrastò la voce degli altri e richiamò l’attenzione di James sul risultato inatteso dell’ultima partita del Campionato di Quidditch.
  «James» tuonò Rose, facendo sobbalzare entrambi i ragazzi «Allora?».
Il sospiro esasperato del cugino fu la più calorosa dimostrazione di coinvolgimento in cui potesse sperare.   «Cosa vuoi che ne sappia Ross. Saranno le solite cose da ragazze».
Rose e Lily si guardarono indignate. «Solite cose da ragazze?!».
La Potter più piccola incenerì il fratello con lo sguardo «Hai davvero il coraggio di accomunare al mondo femminile la la naturale perfidia di Dominique?».
  «O in generale alla dimensione dell’umano?» precisò Rose.
James finse di allontanarsi dalla foto dei Ballycastle Bats, che imperava l’inserto sportivo della Gazzetta del Profeta, per lanciare un’occhiata annoiata nella loro direzione, e mormorare pigramente «Quanto siete esagerate».
Lily scrutò il ragazzo con la stessa disapprovazione di chi medita di supplicare la famiglia per un disconoscimento immediato.
  «Sentiti libera di ampliare la categoria» mormorò Lily con il mento rivolto verso il tavolo di fronte e lo sguardo di chi ha perso la fiducia nel genere umano.
I ragazzi Serpeverde degli ultimi anni commentarono con risate compiaciute la traversata dell’intera navata di una splendida Dominique. Con profonda irritazione di Rose lo sguardo assorto di Scorpius Malfoy non abbandonò la ragazza dalla bellezza semidivina fino a che questa non ebbe raggiunto il tavolo Corvonero.    Quando Dominique gli passò accanto, il volto assorto del bel Serpeverde si rilassò in un’espressione di giubilo. Come se non fosse abbastanza inequivocabile, si impegnò a corroborare il rituale di apprezzamento  con uno studiato movimento della testa per liberare gli occhi smeraldo dall’impertinenza di qualche capello di troppo, gesto che – in un’altra situazione – Rose avrebbe trovato spudoratamente sensuale.
Sfacciato e patetico.
  «Ho perso l’appetito» comunicò ai presenti, mentre la piccola Lily annuiva mestamente. «Vado a lezione». Lily le passò la borsa, lo sguardo profondamente comprensivo.
Solo dopo che ebbe varcato la soglia del Portone Della Sala Grande da diversi minuti, comprese con rassegnazione che il mormorio eccitato alle proprie spalle l’avrebbe seguita fino all’aula di Trasfigurazione.
Non le fu necessario voltarsi per accertarsi dell’identità dei Serpeverde del sesto anno con cui condivideva la malaugurata lezione dei quel sabato pomeriggio. Eppure lo fece, ricevendo in tutta risposta l’occhiolino compiaciuto di Scorpius Malfoy, che lei si premurò di ignorare, voltandosi stizzita.
Dopo qualche passo felpato di Malfoy e diversi tentativi di superare in lunghezza le gambe di lui, Rose si trovò il ragazzo al suo fianco, il piede pigro e scattante per starle dietro.
  «Sarai ugualmente la prima ad entrare in aula, anche se rallenti di qualche km/h, sai?».
Rose mantenne lo sguardo fiero di fronte a sé. «Quanta esuberante allegria» constatò lei. «Giornata particolarmente stimolante?» aggiunse con un sorriso molto più simile ad una smorfia di disgusto.
Lui la guardò attentamente «Temo che la risposta possa costarmi la vita».
  «Tue supposizioni».
  «Tuo modus operandi, Weasley» rispose con tranquillità. «Percepisco il tono».
  «Il tono?».
  «Di quando pensi qualcosa, ma dici tutt’altro, io da inabile Legilimens faccio la cosa sbagliata e finiamo per litigare».
Non aveva minimamente considerato che Malfoy potesse riuscire a zittirla; non ricordò più il motivo per cui avesse deciso di avercela con lui. Solo lo guardò di sbieco, sorpresa.
  «Quando siamo arrivati a questo?»
  «Alla tua permalosità?» rispose con un sospiro di rammarico. «Stiamo imparando tutti a conviverci».
Si lasciò spintonare dalla ragazza, per poi arrestarsi sull’uscio della porta e  impedirle l’accesso in aula.
  «Ti ho mai detto che sei aggressiva?».
  «Giusto un paio di volte» disse lei, spingendolo verso l’interno e superandolo.
Lasciò cadere la borsa sul banco, destinato a rimanere vuoto, in ultima fila, e si abbandono sulla sedia vicina. Melissa ed Eloise sedevano poco più avanti rispetto a lei. Concesse loro uno sguardo distratto, di circostanza, quando la sensazione di essere osservata la costrinse a voltarsi per incontrare il lampo di ghiaccio con cui Vincent Nott la studiava. Lui afferrò la mano di Candice al suo fianco, mentre ancora le iridi impenetrabili non la abbandonavano.
Qualcuno trascinò la sedia vuota accanto a sé e per un momento Rose pensò che Johanna, in seguito ad una folgorante illuminazione, avesse ritenuto più saggio presentarsi a lezione.
Perciò, quando vide Scorpius Malfoy accomodarsi al suo fianco e disporre il contenuto della sua borsa sul banco, per poco non cadde dalla sedia.
  «Cosa stai facendo?».
  «Sistemo le mie cose».
  «Perché?». Rose lo guardò allarmata.
  «Tu solitamente come prendi gli appunti?».
Rose si guardò intorno preoccupata, cercando di decidere se fosse il caso di rivolgersi a qualcuno in cerca d’aiuto.
  «Perché ti stai sedendo qui?» scandì con lentezza, temendo che il ragazzo non fosse nel pieno delle proprie facoltà mentali. «Aspetta, da quando prendi appunti?» aggiunse, decisamente confusa.
Lui la guardò con educato distacco. «Potter è nella fase della ribellione. Non si è presentato a lezione».
Solo in quel momento Rose si accorse dell’assenza del cugino.

«Perché?»
Ti sembra che sia affar mio? »
Rose decise di lasciar perdere e riportò l’attenzione al banco di Johanna, agli effetti personali di Malfoy e alla nuova sistemazione al quale era dedito.
Vedendolo deciso, si affrettò a disturbarlo. «Quindi?» mormorò con voce pericolosamente squillante. Uno sguardo rapido intorno a sé la informò che l’inconsueta situazione non era passata inosservata.
  «Da quel che mi sembra, sei sola anche tu».
  «Malfoy» scandì, dopo un lungo respiro. «Stai dicendo che sei qui per tenermi compagnia?».
  «Non essere assurda, Weasley» sibilò con semplicità. «Mi sei intorno tutto il giorno -e la notte- in ogni caso, una lezione in più non mi cambierà l’esistenza».
A quel punto Rose dovette reggersi all’estremità del banco. Si concesse qualche secondo prima di guardarlo come se fosse completamente impazzito. «Sei sicuro di sentirti bene?».
Il ragazzo si limitò a sollevare gli occhi al cielo.
  «Hai bisogno di ripetizioni in Storia della Magia?» propose poco convinta.
Malfoy le lanciò un lungo sguardo tediato, di chi fosse costretto a cacciare una mosca insistente «Sei irrimediabilmente pedante».
   «Felice di sentirtelo dire» rispose Rose con l’aria di chi saluta un vecchio compagno di avventure. «Ora che sei tornato alla sanità mentale – nei limiti in cui ciò è possibile - credo sia opportuno farti notare che sei seduto accanto a me».
Il ragazzo sollevò appena un sopracciglio. «E i dubbi sono sulla mia di sanità mentale?».
  «Al mio stesso banco».
  «E fin qua».
  «Noi due da soli».
  «Fai visibili progressi»
  «Con testimoni presenti».
Questa volta si lasciò scappare un debole sorriso. «Sei nel panico, Weasley?».
  «Ti piacerebbe» soffiò lei con disappunto, aprendo violentemente il quaderno sul banco e imbraccando la piuma con la stessa foga con cui avrebbe stretto la bacchetta prima di scagliare una Maledizione Senza Perdono.
Incise le parole di Roberts sulla pergamena senza capirne il significato, sentì il fruscio dei vestiti del ragazzo ad ogni suo movimento. Solo quando Malfoy parlò, si accorse di quanto si fosse avvicinato. «Sei sicura di sentirti bene?» le soffiò nell’orecchio con un sospiro che portava con sé tracce del ghigno sul suo volto.
Rose sbirciò le spalle del professore escludere la classe confusa dal monologo che stava intrattenendo con la lavagna. Si permise di sollevare il mento verso il ragazzo che la sovrastava a pochi centimetri dalla sua fronte. Ne inspirò il profumo fresco, mentre lo sguardo indugiava sui tratti del collo che la sua altezza le permetteva di raggiungere con facilità, fino ad inseguire le linee dure della mascella e il profilo affilato del suo volto.
  «Mai stata meglio».
Quando incrociò i suoi occhi, l’espressione che l’accolse era di vivo interesse. Gli occhi socchiusi e un sorriso accennato la costrinsero a riconoscere quanto il ragazzo fosse incredibilmente bello. Bello lo era sempre stato, ma mai magnetico fino al punto da farla sospirare.
Malfoy, lo sguardo fisso sulla lavagna, lambì le dita della ragazza, prima dolcemente, poi con sempre più fretta, accarezzandone il dorso, per poi imprigionare la mano in quella più forte di lui. La trascinò sotto il banco e prese ad assaporarne il dorso, in quella danza illecita cui Rose rispose con vigore. Trattenne le dita del ragazzo, strinse forte il palmo, come se fosse il suo corpo e lasciò che le due mani strofinassero l’una contro l’altra con trasporto.
 «Non vorrei avessi difficoltà a rimanere sola con me» le sussurrò, la bocca sfiorava il suo orecchio, solleticandone i capelli.
 «È un rischio che sono disposta a correre» mormorò, più a se stessa che al ragazzo, mentre le mani si separavano, richiamandosi e allontanandosi dolcemente, e Malfoy ritornò dritto al proprio schienale.
Il volto marmoreo, dal taglio impietoso, e gli occhi accesi, incapaci di placarsi.
 
Una mano le soffiò via il quaderno da sotto il naso.
  «Dolcezza» fu il saluto di Alan Doyle.
  «Alan» gli rispose lei, riprendendosi l’oggetto e risistemandolo in borsa.
Scorpius Malfoy, al suo fianco, pronto ad andarsene al termine della lezione, si intrattenne più del dovuto a lottare con la boccettina dell’inchiostro, inspiegabilmente troppo difficile da chiudere nel verso giusto.
  «Capitano, trovato interessante la lezione di Roberts?».
Malfoy, ancora concentrato sul proprio lavoro, non si scompose. «Non più del solito».
  «Credevo che da qui avessi un punto di vista più stimolante» disse, ignorando sfacciatamente il ragazzo e continuando a studiare Rose.
Lo sguardo che Malfoy affilò fu talmente tanto gelido che Rose aspettò paziente il momento in cui Alan Doyle si sarebbe tramutato in un’unica statua di ghiaccio. «E perché dovrei andare a cercare stimoli dalla Weasley?».
Le gote indulgenti di Rose si lasciarono imporporare di macchie cocenti. Nascose con vergogna dietro la schiena la mano ancora scossa dalle carezze del ragazzo.
Il formidabile fiuto Serpeverde per i guai sembrò aver dimenticato di prendere residenza in Alan Doyle, che si sentì particolarmente ispirato da aggiungere. «A me invece qualche ripasso farebbe comodo».
La mano di Malfoy si chiuse a pugno attorno alla boccettina finalmente sigillata. Con estrema lentezza si alzò dalla sedia e si arrestò qualche secondo davanti a Doyle, limitandosi a guardarlo dall’austerità della sua altezza, per poi voltargli le spalle e andare via, non prima di aver sussurrato «Accomodati».
Per un solo momento Rose fu tentata di schiantare Alan Doyle e di correre dietro Malfoy per riportarlo indietro da lei, all’idillio che avevano condiviso poco fa, e che sembrava già così irreale.
La dignità le schiaffeggiò il volto con la stessa irruenza con cui Vincent Nott le passò davanti, recitando un venefico «Weasley». Più che un saluto, il richiamo del ragazzo sembrava una riluttante constatazione.
  «Nott» scandì lei causticamente.
Le immagini del disprezzo di Walder, del compiacimento dei Tre dell’Avanguardia e del tormento di Penelope perpetrarono nella sua mente, soprassedendo ogni altra intenzione. Rose guardò Vincent Nott richiamare Doyle con un gesto di asettica superbia, ripromettendosi di rovinargli la vita alla prima occasione possibile.
Alan le sfiorò la spalla per richiamarne l’attenzione per l’ultima volta e con una strizzata dell’occhio disse «Non dimenticarti la mia proposta, dolcezza».
 
Quando mise piedi fuori dall’aula, Johanna Jordana la aspettava con le spalle poggiate al muro e una sigaretta già roteante tra le dita.
  «Pessima lezione?» constatò Joa con una smorfia. 
«Che domande! è una lezione di Roberts, per di più di sabato»
  «Hai da fare stasera?».
  «Dipende dalla proposta».
  «Infiltrarci nel Dormitorio Serpeverde, violando il coprifuoco e una decina di leggi che regolano la privacy».
Johanna rilasciò una nuvola di fumo nel quale si accese un sorriso lascivo. «Mi sei mancata».







PortogheseAtto di perdere l'inibizione mentre ci si sta divertendo






 

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Capitolo 12
*** Samar ***




«Perché guardi così?»
E nessuno pensa che tutti dovremmo guardare sempre così,
ciascuno con gli occhi pieni dell'orrore della propria solitudine senza scampo.




CAPITOLO XII

 

Samar





  «È una missione di spionaggio o un’audizione per uno spettacolo di burlesque?» domandò Joa quando vide Rose scendere in Sala Comune.
Rose pensò all’accoglienza calorosa che le avrebbe riservato Alan Doyle quella sera  «Non ne sono sicura».
  «E nel dubbio hai scelto gonna di pelle e stivali con tacco?».
  «Meglio essere preparate al peggio» rispose con uno sguardo eloquente, che lasciò intendere quanto la presenza di Joa fosse, per l’appunto, la sua unica arma per fronteggiare il peggio.
Le pareti rocciose dei sotterranei erano impregnate dell’umidità e del freddo di quei giorni invernali e l’aria che si respirava, in quell’angusto, tetro corridoio, era carica di odori dolciastri: non c’era luogo nell’intero castello che fosse più triste e raccapricciante dei sotterranei.
Rose, appoggiata alla fredda parete, studiava l’imperiosa porta in roccia; seguì il movimento sinuoso del serpente sulla medaglietta argentata - dono di Alan Doyle dall’inequivocabile e perfettamente sconveniente significato- e tutti i dubbi sull’assurdità di quella intenzione divennero certezza.
  «Ricorda che Albus e Mafloy non devono sapere nulla per nessuna ragione al mondo».
Johanna inspirò per l’ultima volta dalla sigaretta, prima di farla sparire con la bacchetta. «Credi che ce lo farebbero pesare a lungo?».
A lungo?
  «In sei anni Malfoy ha fatto di tutto in suo potere per non farmi mettere piede qui dentro».
  «Forse aspettava il momento giusto per portartici».
Rose si voltò di scatto per fulminarla con gli occhi.
  «Cosa?» esclamò Joa alzando le mani in segno di resa. «Vi siete seduti vicini a lezione» disse inorridita, come se questa violazione delle leggi naturali giustificasse ogni possibile pensiero perverso.
Rose sbatté le palpebre decisamente sconvolta «Tu mi hai lasciata sola!» esclamò con ostentato rancore.
  «Sono sicura che Malfoy avrà saputo attenuare le tue sofferenze» disse in una smorfia.
  «È stato arrogante e molesto come al solito».
  «Quindi come al solito perfettamente nelle tue corde».
  «Joa!».
  «Rose» le rispose tranquillamente.
Si guardarono per diversi secondi, poi Rose spezzò il silenzio con tono secco «Toglitelo dalla testa».
  «Va bene, Rose» tagliò corto lei. «Mi toglierò dalla testa che il vostro giocare agli investigatori sia solo una scusa per passare più tempo insieme senza essere costretti ad ammettere che la cosa non vi dispiace» concluse con un sorriso velenoso, sfilando la targhetta d’argento dalle mani dell’amica.
Dopo aver strofinato il profilo del serpente, aspettarono diversi minuti; poi la superficie rocciosa si incrinò e aprì un varco oltre il quale Alan Doyle le accoglieva a braccia aperte.
  «Dolcezza» esclamò con tono languido. «Che sorpresa!» aggiunse, lasciando che la camicia strategicamente sbottonata e il pantalone in cotone raffinato smentissero quell’affermazione. «E vedo che non sei sola» più che una constatazione fu una sgradevole rivelazione.
  «Doyle». Johanna mimò un pigro saluto militare, mentre il ragazzo la studiava, valutando rapidamente gli aspetti positivi che avrebbe potuto cogliere da quel risvolto inaspettato.
Una volta concluse le proprie elucubrazioni, batté le mani soddisfatto. «Cosa bevete?».
Rose rimase sorpresa quando mise piede nella sinistra tana delle serpi. Si aspettava un luogo più agghiacciante dei sotterranei, invece i divanetti soffici e le tende scure rendevano la sala quasi accogliente, nonostante nel caminetto divampassero imponenti fiamme verdi. La stanza era più umida della loro Sala Comune e le strane occhiate che i Serpeverde lanciavano alle due intruse convinsero Rose ad abbandonarsi sul divano più vicino al caminetto.
  «Hai un frigobar in Sala Comune, Doyle?» domandò Joa curiosa, guardandosi intorno come fosse partecipe di una spedizione in un ecosistema non ancora esplorato.
  «Ho un frigocosa?».
  «Lascia perdere» tagliò corto lei «Sorprendici».
Con un colpo di bacchetta richiamò due calici in vetro che procedevano in fila indiana dalla scalinata del Dormitorio. A giudicare dalla premura con cui questi si posizionarono su un tavolino occasionalmente disposto ad angolo tra le poltrone, il ragazzo doveva aver avuto il tempo di orchestrare quella situazione.
Come conferma, Doyle consegnò i bicchieri alle ragazze e si preoccupò di servirsi manualmente il terzo calice, quello non previsto.
  «Come benvenuto» affermò, mentre apriva la bottiglia per versarvi il contenuto nel proprio calice.
Rose bevve un sorso di quella bevanda ignota, contorse il viso in una smorfia quando il liquore le infiammò il palato e la gola, e osservò nuovamente il bicchiere, riflettendo sul fatto di trovarsi nel covo delle serpi a bere qualcosa di cui non conosceva l’identità.
Pensò alla madre, la cara, adorata, prudente Hermione Granger, e bevve un altro sorso, questa volta più lungo.
A tutte le scelte sbagliate.
Alan Doyle seguì le sue ospiti, e quando fu certo che la quantità di liquore ingerita lo permettesse, le raggiunse sul divano, posizionandosi tra di loro. Nonostante le ragazze si fossero premurate di lasciargli lo spazio necessario per assicurarsi una prudente distanza, le braccia di lui volarono introno alle loro spalle.
  «Che situazione interessante».
Il silenzio che ne seguì lo informò che le presenti non dovevano essere dello stesso avviso.
  «Non pensavo avreste mai accettato un invito da parte mia».
  «Non sei il solo» grugnì Joa, lanciando un’occhiataccia a Rose.
  «Voglio dire» continuò lui, sistemandosi più comodamente sul divano e lasciando scorrere la mano lungo la schiena di Rose. «So che siete profondamente attratte da tutto questo».
  «Tutto questo?». La voce di Rose risuonò più nervosa di quanto volesse.
  «L’illecito, il trasgressivo» aggiunse, guardando la ragazza. «La novità» aggiunse, spostando lo sguardo su Joa.
Rose svuotò con un sorso il contenuto del suo bicchiere, cercando di ignorare le dita di lui che le solleticavano la schiena.
  «E tutto questo l’hai capito guardando Rose studiare in Biblioteca, immagino».
  «So vedere oltre, mia piccola impertinente Jordan». Lo sguardo di Doyle si spostò sul bicchiere ormai vuoto di Rose. «Ho del Whisky Incendiario eccezionale su da me» le sussurrò, sfiorandole il palmo della mano.
La sua mano. La mano che appartiene a lui.
  «Ok» esclamò Rose, ritraendosi come fosse stata scottata. Si protese verso il tavolo basso ai loro piedi e afferrò un libro a caso. Sulla copertina lesse Cura delle Creature Magiche e pensò bene fosse il caso di consultarlo.
Gridolini e sospiri si alzarono in coro da un gruppetto di ragazzine.
L’eccitato fremito di risatine femminili accompagnò l’ingresso di Vincent Nott , che dal Dormitorio maschile discendeva la lunga scalinata con la solita, contraddistinta eleganza. Né il ragazzo, né i presenti,  sembrarono dar peso al clamore gioioso che aveva reso l’aria febbrile, e questo si limitò a procedere nella sua danza leggiadra, accompagnato dallo squittio delle sue ammiratrici.
  «Dopo un po’ ci fate l’abitudine» spiegò Alan.
Vincent Nott non si sedette accanto a loro, solo rimase eretto come una statua perfetta e immobile nella propria imperturbabilità, la mascella scolpita con uno scalpello da Michelangelo in persona.
Per combattere l’inquietudine che la sua sola presenza era in grado di trasmetterle, Rose decise di ignorarlo e prese a sfogliare le pagine rumorosamente.
  «Interessante» sibilò la sua voce fredda, senza intonazione, né tracce di vita.
La ragazza fu costretta a sollevare lo sguardo su di lui – cosa che le costò non poca fatica- per accertarsi che quel suono meccanico fosse una forma di interazione sociale.
  «Come?».
Lui impegnò tutte le proprie energie per ammorbidirsi, concedendo al suo viso e alla voce di tingersi di cordialità. «Hai letto qualcosa di interessante?».
Per un attimo Rose credette di non aver compreso bene. Non poteva aver compreso bene. Poi la sua mente volò al diario di Penelope. Inclinò il capo e lanciò un’occhiata penetrante. «Ti riferisci a qualcosa in particolare?»
  Come si aspettava, non riuscì a cogliere una sola emozione che tradisse quel volto atarassico. «Mi riferisco sempre a qualcosa in particolare» disse semplicemente con voce bassa e gelida.
Il cuore di Rose si bloccò in petto.
  «Hai visto Scorpius in giro?».
Rose si sentì chiamata in causa, ma Alan Doyle la anticipò. «Si intrattiene al Club dei Duellanti con Al fino a tardi».
Nott annuì meditativo. «Ho saputo che sua madre è dalla McGranitt».
  «Da chi lo avresti saputo?» intervenne Rose.
Lo sguardo che le rivolse il ragazzo riuscì ad essere gentile, nonostante non facesse il minimo sforzo per nascondere la poca considerazione con la quale aveva accolto la sua insolenza.
Come da abitudine, Nott non considerò minimamente la possibilità di risponderle, solo girò i tacchi e sparì dietro il muro di roccia, accompagnato da un coro di sospiri affranti.
  «Ripensandoci, Alan, gradirei un bicchiere di Whisky Incendiario» disse Rose, lasciando che una mano le cadesse accidentalmente sulla coscia del ragazzo.
 
Johanna fumava una sigaretta, seduta su quello che Doyle aveva tenuto a precisare più volte fosse il suo letto.
Rose aprì il primo cassetto del comodino di Vincent Nott.
  «Stravecchio, Doyle, mi raccomando» urlò Joa al ragazzo immerso nella cabina armadio ormai da diversi minuti.
Prevedibilmente ordinato. Irritabilmente ordinario.
Chiuse il primo cassetto. Aprì l’anta dell’armadio.
  «Non avresti qualcosa del 1981?» chiese Johanna con vivo interesse. «Anzi, 1789, francese possibilmente?» aggiunse.
Rose la fulminò con lo sguardo. «Non esagerare» bisbigliò.
La ragazza alzò gli occhi al cielo, poi lanciò un urlo quando vide un braccio di Doyle fare capolino dall’armadio. «A pensarci bene, sai cosa mi fa perdere completamente la testa?» si precipitò ad aggiungere.     «L’Acquaviola Peruviana» concluse dopo un attimo di esitazione.
  «Acquaviola Peruviana?» arrivò l’incerta e remota voce di Doyle.
Rose la guardò interrogativa e Johanna si strinse nelle spalle. «Non l’hai mai provata? Doyle, la tua cantina è da rifornire».
  «Aspetta, forse ho qualcosa di simile».
  «Splendido!» esclamò lei con tutto l’entusiasmo di cui era capace. Poi inspirò dalla sua sigaretta. «Sbrigati» pronunciò muovendo solamente le labbra.
Rose aprì e chiuse, scombinò e riordinò. Tutto perfettamente nella norma. L’ intimità di Nott era algida e impenetrabile come la facciata come mostrava al mondo. Rassegnata si lasciò andare sul suo letto, rigido, pulito e immacolato come il giorno del loro primo ingresso nel Castello. Nulla di diverso tradiva segni della personalità del ragazzo.
Niente, ad eccezione di una piccola fotografia sulla parete dietro la spalliera in ferro del letto. Tanto piccola da non richiamare particolare attenzione, ma spudoratamente esposta da non poter passare inosservata.
Rose si piegò a guardarla e due paia di occhi azzurri e tetri come il ghiaccio le restituivano uno sguardo allegro. Vincent Nott e Penelope Perkins ridevano spensierati, come lei non li aveva mai visti, stretti in un candido abbraccio. Le dita tremanti di Rose staccarono quel pezzo di mondo dalla parete.
Voltò la foto con esitazione.
‘Comunque tua: più di un’amica, non abbastanza per una sorella’.
  «Rum di ribes rosso» esclamò Alan Doyle trionfante, emerso dai meandri del suo ripostiglio. «Questo non lo trovate ai Tre Manici di Scopa».
 
 
Rose avvertì i tenui raggi del sole penetrare il vetro cristallino e squarciare l’involucro che la riscaldava, facendosi strada fino a raggiungere il proprio volto.
La notte precedente doveva aver dimenticato di chiudere le tende. Strano, non era da lei.
Irritata si coprì gli occhi e sprofondò il volto nel morbido cuscino, inalando un profumo delizioso che non le apparteneva. Inebriandosi di tale piacere, si convinse ad aprire gli occhi, e iniziò a studiare i disegni eleganti della tenda verde del proprio baldacchino.
Sbarrò gli occhi sbigottita, resasi conto dell’anomalia della situazione, di quel colore verde che prepotentemente aveva soppiantato il rosso accesso a cui era avvezza. Si sollevò sulle braccia e cercò impaziente i confortanti colori caldi del proprio dormitorio, ma intorno a sé incontrò solo pareti scure arricchite ovunque da stendardi verde e argento. Il panico e la consapevolezza la colsero immediatamente e accrebbero quando un movimento accanto a sé l’avvertì che non era sola in quel letto.
Si voltò e vide Scorpius Malfoy dormire profondamente.
Il suo volto rilassato, illuminato dalla fioca luce del mattino appariva quasi angelico.
Le labbra erano semichiuse e Rose non poté resistere alla tentazione di sfiorarle con le dita. Proseguì lungo il profilo del collo fino ad accarezzare il torace nudo che, guidato dal lento movimento del respiro, rispondeva al delicato tocco della ragazza.
Arrestò di colpo il procedere delle dita quando notò che il ragazzo era completamente nudo e coperto nella sua intimità da un leggero lenzuolo, che lasciava intravedere la forma della sua virilità.
Lanciò un urlo incredulo che lo svegliò.
Malfoy la vide e sorrise.
Appoggiò il proprio peso sul braccio destro, sporgendosi verso Rose. La privò della coperta e iniziò ad accarezzarle il petto appena sopra il seno. Rose soppresse un urlo di sgomento quando realizzò di essere nuda nel letto di Malfoy. Ogni suo intento di protesta fu vanificato dal movimento del ragazzo che si adagiò su di lei e iniziò a baciarle il collo. Rose si perse in un gemito di piacere e si preparò ad accogliere le labbra di Scorpius che lentamente si avvicinavano alle proprie.
  «Buongiorno, dolcezza».
Dolcezza.
Una fitta alla testa sembrava perforarle il cranio. Provò ad aprire gli occhi ma i tenui bagliori del primo sole la accecarono, acutizzando il dolore. Cercò un cuscino con cui coprirsi il volto, ma la mano precipitò su carne calda, pelle morbida e muscoli forti: un petto nudo.
Aprì gli occhi di scatto, ignorando la testa che le esplodeva, e vide Alan Doyle dormire profondamente accanto a sé. Li richiuse immediatamente, sperando che si trattasse solo di un incubo.
Quando li riaprì, Alan Doyle era esattamente nella stessa posizione.
Un braccio teso fece capolino all’altra estremità del letto, si stiracchio e riprese ad adagiarsi comodamente: Johanna, distesa su un fianco, dormiva beatamente. La presenza di una terza persona nel letto di Doyle non contribuì affatto a migliorare la situazione. Il fatto che fosse vestita, per lo meno, le evitò un collasso immediato.
Con un sospiro di sollievo constatò che anche i propri vestiti erano lì dove li aveva lasciati. Si passò una mano sulla tempia, chiedendosi inorridita come avesse fatto a finire nel letto di Alan Doyle, lei che non aveva mai messo piede nemmeno nella Sala Comune dei Serpeverde.
Se solo sapessero.
Rose sbarrò gli occhi, improvvisamente allarmata. L’orologio al polso segnava le 6 del mattino. Si guardò intorno terrorizzata ma il Dormitorio era vuoto. Per il momento.
Con uno scatto scese dal letto, ignorando la sensazione di morte che le prese lo stomaco e le roteava attorno. Incapace di restare in piedi senza un sostegno, si appoggiò al letto dove recuperò un cuscino che scaraventò sul volto di Johanna; poi cadde per terra.
La bestemmia ovattata in un sommesso ruggito informò Rose che l’amica aveva colto quel cuscino come un invito per nascondervi il volto e proseguire il suo ingenuo riposo.
Un altro cuscino precipitò sul volto della ragazza, seguito dall’ennesima bestemmia.
  «Maledizione, Joa, alza il culo immediatamente» grugnì Rose, ancora sul pavimento, sfilandosi per la seconda volta lo stivale sbagliato.
  «Vai al diavolo» biascicò la ragazza con una voce che di umano aveva ben poco.
  «Sarebbe sicuramente meglio che trovarsi qui».
  «Qui cosa? Cosa qui?» proruppe in un lamento rabbioso.
Rose, che dopo diversi tentativi era riuscita a rimettersi in piedi, decise che avrebbe lasciato all’amica il piacere di scoprirlo da sola.
Un silenzio prolungato, spezzato da un tonfo pesante sul pavimento, informò Rose che Johanna doveva aver deciso finalmente di aprire gli occhi.
  «Via, veloci». Procedendo a tentoni, Johanna raggiunse la porta del dormitorio prima di Rose e così proseguì lungo tutte le scale.
Rose, una mano alla parete, cercava di non perdere di vista l’amica, non sicura di ricordare la strada per tornare in Sala Comune, mentre mormorava bassi e poco lieti commenti in merito al suo essersela svignata come una qualunque serpe.
Quando ritrovò Johanna alla fine della scalinata circolare, questa era stranamente in posizione eretta, particolarmente concentrata nel nascondere la difficoltà di rimanere in piedi. Il volto pallido era, se possibile, più spettrale di quando aveva realizzato di aver passato la notte nel letto di Alan Doyle.
A dirla tutta, sembrava proprio che Johanna avesse visto un fantasma.
O meglio, due fantasmi.
Ai piedi della scalinata, un’espressione furibonda sul volto, braccia incrociate in una delle più tetre emulazioni di Hermione Granger di fronte alla spudorata violazione di tutti i decreti C.R.E.P.A., troneggiavano Albus Potter e Scorpius Malfoy.
Rose rimase pietrificata ad osservare lo sguardo sconvolto del cugino e il lampo di fuoco che imperava negli occhi di Malfoy.
  «Cosa?» tuonò quest’ultimo, facendo sobbalzare le ragazze.
  «Cosa sta succedendo?» tradusse Albus in una versione più pacata e notevolmente meno terrificante.
Seguì un silenzio irrequieto, durante il quale le due ragazze si guardarono attentamente, cercando di capire a chi sarebbe spettata la cattiva sorte.
Coraggio Grifondoro, dicevano.
  «Non ci crederete…».
  «Però ci sono buone notizie…».
Iniziarono all’unisono, per poi guardarsi mortificate e farfugliare qualcosa di confuso riguardo un’emergenza di portata mondiale che aveva richiesto il loro intervento immediato.
  «Siete ubriache». L’affermazione di Albus aveva tutta l’aria di constatare una verità indubbia, ma il ragazzo concesse una venatura di sorpresa che le attribuì le sembianze di una domanda. O di una speranza.
  «Non proprio».
  «Decisamente».
Rose si voltò verso Joa per fulminarla con lo sguardo e la ragazza si strinse nelle spalle. «Parla tu allora» mormorò.
  «Si può sapere da dove venite e perché siete ubriache?» riprese Albus spazientito. «Dove avete passato la notte?».
La risposta a quella domanda non giunse mai dalla bocca delle due ragazze, bensì si presentò nella figura stordita, soddisfatta e mezza nuda di Alan Doyle che si palesò alle loro spalle.
Nonostante il disappunto di Albus Potter fosse talmente mal celato da essere percepito persino dalla Professoressa Cooman, lo sguardo di Rose volò al volto contratto di Scorpius Malfoy.
A braccia incrociate, seguiva Albus di qualche passo e si ergeva immobile come una statua. Gli occhi ora gelidi, ora di fuoco erano talmente tanto cupi, che l’intera figura sembrava celata da un’ombra oscura, come se il ragazzo fosse capitato lì per caso e stesse svanendo progressivamente alla loro vista.
  «Tutto chiaro» mormorò Albus, per poi superare le ragazze e risalire le scale del dormitorio.
Johanna fissò Rose con gli occhi di chi ha appena staccato una piuma ad un Ippogrifo e cerca lo stesso di salirgli in groppa, ma la ragazza non le prestava attenzione. Joa guardò prima il Dormitorio maschile Serpeverde, poi la porta in roccia che avrebbe segnato la sua libertà, poi di nuovo il Dormitorio.
Infine un sospiro e seguì Albus lungo le scale, con l’espressione di chi aveva deciso di riconsegnare la piuma all’Ippogrifo in segno di amicizia.
Nell’aria densa di tensione, Rose, tra Doyle e Malfoy, continuava a sostenere lo sguardo di quest’ultimo, temendo che ad una piccola distrazione  lui le avrebbe scagliato contro la prima Maledizione Senza Perdono che gli fosse venuta in mente. Senza particolare sforzo poteva immaginare quale lui avrebbe scelto.
  «Alan» disse Malfoy. «Sparisci».
Il ragazzo aprì e chiuse la bocca perplesso. «Capitano, c’è qualche problema?».
  «Sparisci!».
Il tono di voce del Capitano convinse Doyle a seguire il suo consiglio nel più breve tempo possibile.
Quando furono definitivamente soli, Rose si avvicinò di qualche passo. Lui non le risparmiò i suoi occhi glaciali nemmeno per un istante, ma quando gli fu a poca distanza, si scansò disgustato.
  «Puoi …» iniziò Rose con voce roca. Gli si avvicinò nuovamente. «Puoi aspettare un attimo?». Lo bloccò per un braccio e lo costrinse a guardarla. «Ho delle buone motivazioni».
Lui dilatò gli occhi impercettibilmente e digrignò la mascella. «Risparmiatelo».
Rose sospirò e rispose con voce calma, sperando di coinvolgere il suo interlocutore. «Mi piacerebbe spiegarti».
  «A me piacerebbe non vederti scendere dal Dormitorio maschile Serpeverde alle 6 di mattina».
Perché?
Il tono autoritario del ragazzo le fece precipitare le parole verso la gola arida.
  «So cosa può sembrare».
  «Non è che ci sia molto spazio per l’immaginazione» disse con voce glaciale, scrutandola in un rapido sguardo di riprovazione.
Rose sospirò a fondo e questo le constò un lungo giramento di testa, che la costrinse a chiudere gli occhi e a reggersi alla spalliera del divano.
  «Ma ti stai vedendo?» esclamò lui con ribrezzo. «Non ti reggi in piedi».
La ragazza sollevò il mento con dignità «Non sei nella posizione per farmi questa parte».
  «Pensavo che il ritegno e la decenza fossero una posizione sufficiente».
  «Tu» esclamò lei, puntandogli un dito contro. «Tu mi vieni a parlare di ritegno e decenza?».
Malfoy la guardò con una collera che mai prima aveva animato i suoi occhi . «Le stesse che hai dimenticato nel letto di Alan» tuonò.
Il silenzio cadde pesante come un macigno che si infrange sul fondo di un precipizio.
Il respiro di Rose si bloccò nei polmoni. «Malfoy» disse quasi in un sussurro. «Non è affar tuo».
Lui la guardò per diversi secondi, prima di aggiungere con voce più calma «Sei nella mia Sala Comune. Almeno questo è affar mio?».
  «Bene» rispose lei. «Tolgo subito il disturbo».
  «Sì, vattene» continuò con voce fredda. «Sparisci dalla mia vista».
Lei fece per superarlo, poi si voltò nuovamente verso di lui e gli urlo dietro. «Si può sapere cosa vuoi da me?».
  «Credevo di essere stato abbastanza chiaro» la voce di lui era talmente tanto gelida che Rose iniziò ad avvertire il freddo sulla pelle. «Voglio vederti fuori di qui».
Questa volta Rose non fu disposta a farselo ripetere. Girò i tacchi e si incamminò verso l’uscita, mentre la voce furiosa di Malfoy ancora la tratteneva a sé. «Sai una cosa?» ringhiò in un lamento. «Tu lo sapevi».
  «Sapevo che cosa?» rispose Rose con voce isterica, mentre il passaggio nella parete iniziava a deformarsi.
  «Non saresti dovuta entrare qui dentro» rispose. «Era la mia parola. Era una promessa. E tu lo sapevi».
  «Sapevo che cosa?».
  «Che avrei deciso io quando farti entrare».
Lo sguardo di delusione la schiaffeggiò con più potenza di quanto avesse fatto la sua ferocia. «Era solo un gioco» disse, aprendo le braccia lungo i fianchi. «Eravamo bambini».
  «Già» rispose lui, e la collera tornò in superficie come risvegliata da un torpore fittizio «Non so se te ne sei accorta, ma non lo siamo più da tempo».
Rose lo guardò senza capirlo. Come in fondo non lo aveva mai capito. Scosse la testa e varcò la soglia.

 

 
- § -
 

 
Ballo di Natale.
Roxanne Weasley, Caposcuola Weasley, scuoteva il capo con disappunto. I lunghi capelli neri immobilizzati da perfettamente rigide trecce sottili.
Il suo volto continuava a procedere in piccoli scatti dal foglio di pergamena al manifesto affisso sul grande portone della Sala Grande. Tess Rivers la guardava preoccupata.
  «Decisamente no» sentenziò alla fine, seguita da un’espressione amareggiata di Tess.
  «Le decorazioni sull’argento?» mugugnò indecisa. «Avevo pensato di ricreare l’effetto di una distesa di ghiaccio» spiegò.
Roxanne Weasley continuava a scuote la testa.
  «Possiamo andare su un classico rosso porpora» propose Tess e con un colpo di bacchetta la scenografia sul manifesto cambiò aspetto.
  «Non è quello, Rivers» spiegò pazientemente la Caposcuola. «È la musica. Non va bene questa musica. Mi serve mia cugina Molly» disse, depennando qualcosa sulla pergamena che stringeva tra le mani. Quando sollevò lo sguardo Tess Rivers era ancora accanto a lei e la guardava. Roxanne schioccò le dita con forza «Molly Weasley» ripeté con più decisione. La ragazza sobbalzò confusa, poi partì alla disperata ricerca di questa Molly.
Rose, passo silenzioso e andatura svelta, uscì dalla Sala Grande, confondendosi con un gruppo di Corvonero e costeggiando Roxanne alle spalle.
  «Rose!» tuonò la sua voce autoritaria.
Ovviamente la ragazza l’aveva vista. Continuando a darle le spalle, le fece cenno di avvicinarsi.
  «Ho problemi con le ronde notturne» parlò ad alta voce più a se stessa che a Rose. «Il ballo di Natale mi costringe ad anticipare i turni e a cambiare quelli di gennaio» continuò.
Rose la guardava senza dire una parola, sapendo perfettamente che Roxanne non richiedeva un suo intervento in quella interazione verbale.
  «Sai dove sono i nostri cugini? Mio fratello?» chiese, continuando ad esaminare la pergamena. «Sembra mi evitino tutti».
L’alzata di spalle di Rose spiegò quanto trovasse poco sconvolgente quella riflessione.
Roxanne sospirò il proprio disappunto. «Tutti in fibrillazione per il ballo, ma nessuno che mi dà una mano ad organizzarlo. Lily!».
Rose si voltò appena in tempo per vedere la piccola Potter arrestare di colpo la propria corsa. Con passo sconsolato si trascinò arrendevole verso le cugine, sapendo che Roxanne è come un’insufficienza in Pozione: prima o poi ti prende.
  «Potresti aiutare Rose con  quel manifesto?» disse con un accennato punto di domanda, depennando nuovamente dalla propria lista. «Più grande, più visibile, al centro del portone. Che si separino i ballerini ogni volta che passa qualcuno. Voglio avvertire il coinvolgimento» annunciò con voce altisonante.
Lily Potter abbandonò amareggiata tutti i buoni propositi di quella mattina e seguì la cugina preferita con la bacchetta.
  «Non sono sicura che non si possa considerare dispotismo» commentò Rose.
  «Ci sono mai stati casi di colpi di Stato ad Hogwarts?» rispose Lily con una risata sarcastica. «Caposcuola che depongono la Preside?».
Rose sbuffò una risata divertita. «Per farlo dovrebbe avere almeno un seguito» mormorò.
  «Già» disse con tono amaro. «Preferirei andare al ballo con Mirtilla Malcontenta che con lei».
  «E invece?»
  «Lucas ha mollato quella piattola della Pinkerson».
Rose seguì l’indicazione di Roxanne che le urlava di arricciare i bordi della pergamena gigante.
  «Sono felice per te» disse con voce interrogativa.
  «Sì, lo sono anch’io» annuì. «Spero che James non si ricordi della sua intenzione di portarmi nel Dormitorio alla festa dei Tassorosso».
  «È fortemente probabile che abbia una sua gigantografia in camera con cui gioca a freccette magiche».
  «Freccette magiche?».
  «Non sbagliano mai bersaglio» spiegò semplicemente Rose, mentre Lily sollevava sul Portone uno sguardo preoccupato.
  «E tu?».
Rose alzò lo sguardo verso il soffitto. «Non chiedermelo nemmeno».
La cugina si rabbuiò. «Sai a chi potresti chiederlo?».
  «A chi?».
Lily alzò gli occhi al cielo. «A Malfoy».
Il suono di quel nome le procurò un vuoto allo stomaco. «Chiedere cosa?».
  «Di prestarti gli appunti di Trasfigurazione» esclamò Lily esasperata. «Cosa vuoi chiedergli? Di andare al ballo insieme!».
Rose guardò la cugina in volto e si sorprese di scoprire che no, non stava scherzando «Ma fai sul serio?» esclamò in una risata. «Per quale ragione poi, per lasciare che mi risponda con uno Schiantesimo, o, peggio, con un rifiuto?».
Una smorfia contrariata si dipinse sulle labbra di Lily. «Io credo che gli farebbe piacere».
  «Portarmi al ballo, mano nella mano davanti a tutta la scuola, e poi baciarmi sotto il vischio?» disse sollevando il sopracciglio «Il suo sogno».
  «Ti ha fatto una scenata di gelosia, direi che le normali aspettative sono solo un lontano ricordo» constatò in un gesto meditativo. «Ora possiamo aspettarci di tutto».
  «Non lo conosci, Lily» sospirò Rose. «Non era gelosia, ma orgoglio ferito».
  «Puro possesso» precisò lei. «È Malfoy».
  «Un egoista borioso?».
  «Abituato ad essere il centro delle tue attenzioni» continuò lei.
Rose la fulminò con gli occhi. «Quando mai».
La piccola Potter scosse il capo rassegnata, chiedendosi per l’ennesima volta dove fosse finita la fantomatica capacità di giudizio di Hermione Granger.
  «Non ti disperare» affermò con tono ironico. «C’è sempre Alan Doyle».
No, assolutamente no.
 


 
- § -

 
 
Rose perlustrò con un delicato tocco dei polpastrelli il ruvido incresparsi della parete fredda. La pietra nuda e antica, solennemente segnata dal tempo, senza per questo apparire meno perfetta, aveva l’effetto di ricongiungere gli intricati disegni della sua mente, così da rabbonire quei tormenti che la vessavano.
Adagiò i gomiti sul ripiano basso di marmo, che a guisa di balconcino si affacciava sul giardino centrale, prima che questo si aprisse verso l’immenso parco. Una brezza gelida le scompigliò i capelli e la fece tremare. Si avvolse con maggiore apprensione la sciarpa rosso-oro intorno al collo. Nonostante il clima poco clemente, contrariamente ad ogni aspettativa, la neve sembrava volersi celare fino all’ultimo giorno di dicembre, tanto che Rose temette di dover assistere al trascorrere e al congedarsi del Natale in una continua attesa. Un Natale senza neve non sarebbe stato lo stesso Natale di sempre.
Inabissata nei propri pensieri quasi non si accorse dei passi poderosi sull’erba umida.
  «Che colpo, Scorpius». Sentì pronunciare da una voce maschile.
D’istinto si ritrasse come scottata. Si nascose dietro una colonna, rimanendo affacciata al balconcino, e da lì osservò tre ragazzi raggiungere il giardino e sostare in un angolo.
Scorpius Malfoy si appoggiò contro la parete di pietra della colonna, mentre le mani riposavano flemmatiche nelle tasche dei pantaloni. Indossava il maglioncino scuro con le rifiniture in argento della divisa invernale e la sciarpa Serpeverde stretta attorno al collo, che con un gesto rapido allentò. Rose lo vide frugare nelle tasche e condurre frettolosamente la sigaretta alla bocca. La accese con difficoltà a causa del vento e delle mani tremanti, sintomo di un certo nervosismo. Ma a Rose sembrò più eccitazione.
  «Questa fa curriculum» disse Carter Zabini, respirando in una nuvola di fumo.
Malfoy espirò con lentezza, finalmente rilassato.
  «Che poi proprio la Weasley» continuò con ammirazione.
Rose si fece ancora più piccola dietro la colonna, ma aguzzò la vista così ché non le sfuggisse nessuna espressione del ragazzo. Accanto a lui, Albus Potter, riposava nel proprio meditativo silenzio.
  «Perché la cosa ti sorprende tanto?»
  «Per come si è svolta la faccenda» spiegò Carter e con un movimento brusco della testa ricacciò un ciuffo di capelli ricadutogli sulla fronte. «Non mi sembrava che ci fosse interesse di quel tipo».
  «C’è sempre stata una certa affinità tra di noi» dichiarò lui «Adesso è semplicemente più evidente».
Rose sgranò gli occhi e strinse con forza le dita intorno al cornicione di marmo gelido. Non fu sorpresa quella che la invase, ma una prorompente quanto dolorosa vitalità. Un’energia febbrile che la scosse e le invase il cuore. Per un momento non sentì nulla se non il tuonare dei suoi battiti.
  «E io che credevo tu avessi la mente altrove» s’intromise la pacata voce di Albus, scuotendo la testa «Mi sarò sbagliato, sicuramente».
Scorpius Malfoy inspirò dalla sigaretta e si riservò ancora qualche secondo per lasciare i due amici in attesa.
  «Ero certo che sarebbe andata a finire così tra noi». Espirò per l’ultima volta e con un gesto secco premette la sigaretta contro la pietra, spegnendo le ultime scintille.
Carter sospirò, assorto. «Portare Dominique Weasley al ballo ti renderà l’idolo di tutta la scuola».
Dominique Weasley.
Dominique.
Era quello il nome che aveva udito. Era quella la Weasley di cui si parlava. Nonostante le mani tremassero convulsivamente e le gambe sembrassero doverle cedere, Rose trovò una forza inaspettata che, al di là di ogni proposito della ragione e ignorando i frammenti in petto, le permise di compiere qualche passo e avanzare lungo il corridoio. Si doveva trattare certamente di qualche leggendario spirito coraggioso di Grifondoro, particolarmente predisposto alla sopravvivenza.
Si arrestò non appena raggiunse il primo incrocio e la mano sfiorò la parete. Ebbe la prontezza di spirito di riconoscere, in prima analisi, di essere stata davvero una stupida. In modo vergognoso il suo castello fortificato era stato penetrato, cedendo il posto alle aspettative.
Rose sapeva che nulla potesse considerarsi più deleterio delle aspettative.
Per un attimo pensò all’amato padre.
Grazie papà, ho ammorbidito le mie difese, come da tuo consiglio, e ho fatto entrare un Malfoy.
E adesso sono a pezzi.
Qualcuno svoltò l’angolo e per poco non le cadde addosso. Lei lì immobile ebbe solo il tempo di alzare una mano per proteggersi dallo scontro, ma la celerità non intervenne anche per difendere gli occhi dal suo sguardo. Quando li incontrò, si inabissò in quel verde mare. E temette di affogare.
  «Ah, sei tu». La sua esclamazione fu un’amara constatazione. La guardò come se fosse la peggior disgrazia che gli fosse capitata.
Non c’era scherno nella sua voce e di colpo lui aveva cessato quell’ilarità che poco priva lampeggiava nei suoi occhi. Nessuna traccia del solito scintillio ironico, solo uno sguardo affettato che tagliava, freddo come un avvertimento. La differenza era troppa rispetto al tono malizioso con cui aveva riso fino a un istante prima, e premeva sul suo petto come pugno. Lei sostenne quello sguardo ignorando il tremito delle sue mani.
Malfoy incrociò le braccia e la guardò con curiosità dalla sua altezza.  «Chi è quel genio che ti ha strappato la lingua?» disse con serietà. «Mi assicurerò che riceva un biglietto di ringraziamento».
Le dita di Rose si serrarono in due pugni come se una forza indipendente dalla volontà di lei li stesse guidando. La mano destra volò rapida alla bacchetta nell’istante stesso in cui le sue labbra pronunciarono un incantesimo: Levicorpus.
Non osservò gli occhi atterriti di Malfoy, né il maglioncino che gli ricadde sul volto, lasciando nudo il torace – visione che con molta probabilità avrebbe gradito -, mentre il corpo oscillava dal soffitto, appeso per le caviglie. Si voltò prima di tutto ciò e si allontanò con passo fiero e sguardo ferito.
 
La Sala Grande accolse il passo inferocito di Rose con un impetuoso frastuono. Alzò lo sguardo per osservare il cielo corroborato di grigie e dense nuvole, squarciato dalla lama splendente di un fulmine. Si diramava in tante braccia saettate, simili a tentacoli di fuoco. I ragazzi sobbalzarono e alcuni strillarono.
Rose sbatté la borsa sul tavolo e si accomodò rumorosamente sulla panca, non prima di aver litigato con la propria gonna troppo lunga e aver maledetto tutte le sarte di Diagon Alley.
Johanna la fissava con un sopracciglio inarcato.
  «Solo belle giornate ultimamente» commentò in una risata amara.
Rose continuò nel suo silenzio e prese a torturare una ciocca di capelli.
James Potter sollevò lo sguardo interrogativo verso la cugina. «Chi devo schiantare?».
Rose e Johanna si scambiarono uno sguardo di sbieco, di chi ritiene più opportuno non soddisfare quella curiosità.
  «Cugina, c’è un certo Potter che si sta precipitando al nostro tavolo e posso escludere che sia così ansioso di parlare con qualcuno di noi altri» la informò Fred.
Per tutta risposta lei raccolse i lunghi capelli mossi, color mogano e li annodò con rapido movimento in un’alta coda.
Rose vide Albus Potter dirigersi in tutta fretta verso di lei, rischiando di travolgere diversi studenti. Si scusò con distratta mortificazione con una ragazza del terzo anno di Grifondoro, che in quel momento sedeva lungo il pavimento della Sala Grande.
Johanna Jordan contrasse la mascella in una smorfia di disappunto, quando il ragazzo prese posto accanto a Fred, salutando cordialmente i presenti. Ignorando Joa, ovviamente.
Albus poggiò i palmi aperti sul legno del tavolo in un atto meditativo e fissò i propri occhi verdi e assorti in quelli della ragazza che la fronteggiava. Avevano qualcosa di rassicurante e inquietante allo stesso tempo: erano così fatali da sembrare che conducessero sotto il proprio celeste dominio la volontà di chi li incrociava.
Rose sbuffò con ostinazione, perché era ciò che faceva quando non riusciva a controllare quello sguardo. Johanna tornò ad infilzare il pollo arrosto con manifesta irritazione.
  «Posso farti una domanda?» disse lui con voce vellutata.
  «Ha senso dirti di no?» sbottò Rose.
Albus mugugnò con fare pensieroso. Rose pensò che le sarebbe tanto piaciuto prenderlo a calci «Il tuo cattivo umore mi induce a proseguire».
  «Non avevo dubbi».
Il ragazzo non sembrò lasciarsi intimorire dall’ostilità della cugina e proseguì «Sai dirmi perché Scorpius è tanto nervoso?».
Rose sbatté le palpebre più volte, sperando di vedere vaporizzare il cugino da un momento all’altro. «Hai provato a controllare che non sia in quel periodo del mese?» sibilò tra i denti, serrando la mascella per trattenersi dall’urlare furiosa in piena Sala Grande.
Dai fianchi del ragazzo provennero sbuffi di risata.
  Le dita di Albus si mossero impercettibili, tamburellarono per qualche istante sul tavolo e poi, dopo che ebbero scaricato la tensione, tornare alla loro posizione meditativa. «Sì, è un ottimo suggerimento» disse con voce estremamente calma. Tutta questa calma irritava profondamente Rose. «Ma credo, con maggiore probabilità, che c’entri l’ essersi trovato appeso per le caviglie al soffitto nel bel mezzo del corridoio principale».
Rose non guardava il cugino, né nessun altro, ma così come aveva avvertito lo sguardo del primo mentre la scrutava, ora era perfettamente consapevole che i presenti la stessero osservando.
Fred Weasley scoppiò a ridere e si accasciò sul tavolo, mentre James sogghignava soddisfatto. Lily scuoteva la testa amareggiata, ricacciando ogni buon proposito di organizzare un imminente matrimonio alla cugina e al suo grande amore celato.
  Rose considerò più saggio guardare solamente Joa. L’amica, troppo impegnata ad ignorare Albus e a manifestare il proprio rancore, le concesse una rapida occhiata di sbieco, nella quale Rose lesse qualche sottile rimprovero alla propria incapacità di autocontrollo.
Ricevere uno sguardo di biasimo da colei che si ostinava a ignorare Albus, nemmeno fosse il più subdolo e irritante Serpeverde –cosa che effettivamente si stava dimostrando in quell’istante- e ad infilzare il contenuto del suo piatto con melodrammatica ostilità, le sembrò davvero troppo da sopportare.
  «E ciò dovrebbe interessarmi per quale motivo?» disse Rose con voce atona.
Questa volta Albus ridusse i suoi occhi indagatori a due impenetrabili fessure di puro scetticismo. Congiunse le mani in una posizione solenne e a Rose venne in mente l’austero ritratto di Albus Silente che imperava nell’ufficio della Preside. Rose pensò con una smorfia di disappunto all’orgoglio dello zio Harry dinanzi ad una tale espressione di molesta saccenteria, che in un altro tempo doveva essere apparsa come una ruga di assennatezza su un altro volto.
  «Rose» esclamò Albus con tono perentorio «Scorpius non ti ha fatto niente».
Rose sbuffò una risata amara. «Questo è ciò che ti ha detto lui».
James Potter si schiarì la voce con un basso e ironico gracchiare «Non si mettono in dubbio le parole del fidanzato».
  «Taci James» sibilò Albus, infarcendo quelle poche parole di tutto il veleno necessario, affinché un serpente intossichi la propria vittima. Quel movimento vibrante delle labbra e quel luccichio degli occhi raramente si manifestavano sul volto candido e serafico di Albus.
Fred, seduto tra i due fratelli, si muoveva con l’aria di chi avrebbe preferito trovarsi nei sotterranei in un tet-a-tet con Arrows.
  «Rose» pronunciò Albus e la sua voce sembrava intessuta della solita morbidezza, ma non accennava a nascondere un intento predicatorio. «Ho una grande considerazione della tua capacità di giudizio, del tuo buonsenso, della tua onestà intellettuale che ti ha sempre distinta dalla ottusità, irascibilità, irragionevolezza Grifondoro».
La ridondanza aggettivale del cugino risuonò come un’invettiva, e Rose non seppe dire se a favore della cugina o a danno di qualche presente.
  «Dove vuoi arrivare Albus?» tagliò corto lei.
Il cugino esitava ad incontrare il suo sguardo, cercando chissà dove un coraggio che non gli apparteneva. Quando si rese conto di non averne bisogno, perché possedeva già la fermezza dei propri propositi, decise di sorprendere la cugina con la propria imprescindibilità «Devi chiedere scusa a Scorpius».
Questa volta nemmeno Fred Weasley osò ridere di gusto, ma si limitò a sospendere in aria il boccone di pollo arrosto che stava per addentare. Lily Potter sembrava oltraggiata dalle parole del fratello e non lo degnò di uno sguardo, continuando imperterrita a scuotere la testa, mentre James latrò un verso di diniego e di stupore. Persino Johanna si concesse una tregua per alzare gli occhi dal suo piatto e scrutarlo come se avesse perso il senno.
  Fu Rose a dare sfogo ai pensieri di tutti «Che cosa?!»
  Albus sospirò. «Questa volta hai sbagliato, Rose».
  «Cosa ne sai tu di ciò è giusto e sbagliato in questa faccenda?»
  «Ti ho giustificata tante, troppe volte con lui» sentenziò con un tono inequivocabile.
  «E adesso vuoi pareggiare i conti intromettendoti a caso?»
  «Dannazione, Rose» esclamò Albus, portando una mano ai capelli indomabili «Cosa può mai aver giustificato una reazione del genere?».
La ragazza poggiò i palmi sul tavolo e, così come prima li aveva mossi il cugino con moderazione, ora lei li stringeva a pugno, trafiggendo la pelle con le proprie unghie.
Come poteva comprendere Albus quel segreto che ancora lei stessa non conosceva? Giaceva lì, in un angolo del suo cuore e con lentezza prendeva possesso di tutta l’area. L’aveva attaccata, invasa e colonizzata. E poi lo stesso cuore si era frantumato in mille pezzi. Avrebbe dovuto ricomporlo per poi lasciare che quel segreto la dominasse nuovamente?
Non sarò mai tua.
  «Sono stanca di averlo tra i piedi».
Albus attese un istante che sembrò eterno, prima di parlare. «Bene» disse e si alzò, ergendosi in tutta la sua statura, che mai come allora le era sembrata tanto imponente e si allontanò senza aggiungere altro.
Rose non lo guardò andare via, non ebbe il coraggio di osservare le sue spalle invece dei suoi occhi conciliatori.
L’aria scesa come un manto nero su tutti loro era fitta e pesante. Sembrava che a stento si riuscisse a respirare.
Lily faceva volteggiare tra le dita la forchetta in un movimento frenetico, indecisa se parlare o meno. Alternava lo sguardo sapiente tra i volti dei cugini, indugiando con disappunto sull’ atarassia del fratello. Quando osservò Rose e le vide dipinta negli occhi un’espressione vacua, mentre i polpastrelli frantumavano con violenza le briciole di pane contro il palmo irrigidito, decise che non poteva più tacere.
Si schiarì la voce con  titubanza «Non era proprio quello che intendevo» disse, senza nascondere una certa delusione.
Johanna latrò un verso di approvazione appena udibile, che tuttavia Rose recepì come un ulteriore schiaffo al proprio orgoglio. Non risparmiò nessuno dei presenti di uno sguardo truce ben assestato.
  «Non ricominciare Lils» intervenne James, che fremeva dal desiderio di dire la propria.
Lily dilatò le narici e accese gli occhi marroni con un raggio di fuoco. «Tu devi solo stare zitto, James» ruggì «Non fai altro che peggiorare i problemi. Non riesci proprio a lasciare in pace Al?». Le sue parole erano un carico pieno di biasimo e di tristezza.
Il fratello maggiore non sembrò dare alcun peso alla voce della sorellina, come era solito stimare nulla le chiacchiere degli altri, di chiunque volesse ammonirlo. «Rose avrà avuto i suoi buoni motivi. Malfoy è un tale idiota» disse e la sua fu una dichiarazione che non ammetteva repliche.
Una risata soave e melodiosa colse Rose alle spalle. Per quanto avesse le sembianze di una carezza dell’anima, l’effetto che provocò sulla ragazza fu un sussulto attonito, come se le corde dell’arpa che avevano prodotto tale sinfonia fossero in realtà rigide come il marmo.
  «Sei severo James» intonò la voce vellutata di Dominique. L’oggetto del suo interesse non la guardò, non turbò i muscoli del volto in nessun tipo di espressione, solo abbandonò quella sicurezza che seguiva James Potter come un’ombra. E si avvolse nel suo silenzio. «Ho sentito pronunciare 'Malfoy'. Rose c’entri per caso tu?» disse, sorridendo come una ninfa. Non sedeva sulla panca, vicino ai cugini, ma rimase in piedi, abbandonando il peso di una piuma sulla mano diafana, che poggiava sul tavolo. Per il resto, la sua posa era impeccabile e lì, eretta come una statua greca, lasciava che il mondo la contemplasse.
Chissà se lui sta contemplando il proprio trofeo, vittorioso.
Rose la guardò di sfuggita, quel tanto che permise alla sua irreale bellezza di farle ancora più male.
Poggiò i palmi tremanti sul tavolo, abbandonò il peso su di essi e si alzò. Lasciando il piatto ancora intonso davanti a sé, afferrò la borsa e scavalcò la panca.
Prima di volgere le spalle al tavolo di Grifondoro, alzò lo sguardo sulla cugina meno simpatica, quella a cui riservava sempre un sorriso di circostanza. Era stata questa la preghiera della madre dal giorno in cui Rose, con le forbici alle mani, aveva tagliato i suoi lunghi capelli biondi, di notte, in quella camera che da sempre condividevano nella casa dei nonni.
Un’occhiata rapida, fredda e Rose si allontanò da lei.
  «La piccola Rose sembra non gradire la mia presenza» disse Dominique, questa volta poggiando anche il sedere sul tavolo.
  «E’ sorprendente» disse Joa a denti stretti, scrutando il profilo della ragazza al suo fianco.
Dominique si inumidì le labbra e le piegò in un sorriso consapevole «Forse dipende dalla scelta del mio cavaliere per il ballo» ridacchiò soavemente. Accarezzò i lunghi capelli serici con un gesto esperto.
Lily alzò la testa dal piatto e , suo malgrado, concentrò tutta la propria attenzione sulla cugina «Perché, con chi andrai al ballo?» chiese velocemente, con una certa avidità.
Dominique fu soddisfatta di aver ottenuto l’attenzione che cercava e guardò la cugina con sufficienza, con la solita superiorità che riservava al resto del mondo. «E tu Lily, hai trovato un ragazzo?».
L’effetto desiderato si manifestò un istante dopo. Lily arrossì violentemente e pensò bene di concentrarsi sull’arduo compito di scegliere quale frutta avrebbe fatto al caso suo quel giorno. Attese, mentre l’imbarazzo le infuocava il collo e le orecchie, il momento in cui il fratello sarebbe intervenuto, umiliandola con quel suo modo invadente di proteggerla.
  James Potter a quel punto intervenne, ma le sue parole non nutrivano alcun interesse per la sorella. «Jordan» pronunciò lui, guardando la ragazza con sguardo assorto e intenso. La mascella era lievemente contratta, conferendogli un aspetto duro e virile. Le labbra si muovevano impercettibili ma lente, come se le sue parole fossero un oracolo, sfuggenti ma imprescindibili. «Vieni al ballo con me».
 Il ruminare di Fred, che elaborava gli ultimi residui di cibo, riecheggiava nel silenzio attonito che aveva seguito le parole di James. Fred Weasley guardava l’amico con pigro interesse, lo stesso che avrebbe manifestato se l’altro avesse dichiarato di voler saltare la lezione di Pozioni del pomeriggio.
Johanna spalancò gli occhi come prima reazione impulsiva, incoraggiata nella propria meraviglia dallo strillo strozzato della piccola Potter. Infine valutò con estrema cautela l’affermazione del ragazzo, la quale, più che una richiesta, poteva essere facilmente interpretata come un ordine.
Non aveva alcuna intenzione o desiderio di andare al ballo con James Potter, ma, quando si chiese chi avrebbe voluto avere al proprio fianco quella sera, lo sguardo raggiunse il tavolo dei Serpeverde e quel verde intenso, reso freddo dalle scaglie argentate le infuse la linfa vitale di cui necessitava. Senza abbandonare il punto di osservazione, disse «Andiamo al ballo», incerta se aggiungere o meno “Capitano”.
 
 
  Rose non si curò dell’ora, quando decise di percorrere i lunghi corridoi bui del settimo piano. Se avesse incontrato qualche Prefetto, gli avrebbe concesso la soddisfazione di toglierle dei punti e avrebbe continuato per la propria strada.
Rallentò quando riconobbe l’odore delle sigarette dello zio George, che Fred distribuiva per la scuola dal suo primo anno. Ne seguì la scia che conducevano al terzo balconcino sulla sinistra.
Salì la lunga scala a chiocciola e trovò la ragazza riparata sotto il portico in legno, seduta sull’ultimo gradino, mentre il vento portava via il fumo che lei rigettava.
Rose le si sedette accanto e contemplò la notte pesta e le sue stelle, che, come tanti occhi, guardavano e invitavano a liberarsi dai pensieri, mentre avvolgevano le alte cime del castello imponente: lo osservava mentre fendeva il buio, lasciandosi catturare, per poi riemergere in uno scenario suggestivo e magico.
Il fumo espirato da Joa le invase prepotentemente i canali respiratori e lei si agitò in una tosse convulsa.     Avvertì Johanna ridacchiare in un suono basso e rauco, quasi spento. Quando si fu ripresa, fissò sulla ragazza uno sguardo indagatore, che lei accolse in un impercettibile gesto della testa, accompagnato dallo schiudersi delle palpebre. Rose lo interpretò come una forma di accettazione nei confronti di ogni eventuale domanda.   Studiò attentamente il movimento delle labbra di Joa attorno alla sigaretta, mentre questa fingeva di ignorare il suo sguardo insistente.
  «Quindi» abbozzò Rose con studiata noncuranza. «Vai al ballo con James».
Finalmente riuscì ad intercettare lo sguardo di Joa, chiamandolo a sé e trattenendolo con tutta l’avidità della propria curiosità. La ragazza per tutta risposta socchiuse le labbra e rilasciò una considerevole quantità di fumo grigiastro che colpì Rose in pieno volto.
Cacciò con le mani ogni traccia di quel veleno, mentre i colpi di tosse già la dominavano «Questa sarebbe la tua risposta?» tossicchiò.
Johanna inarcò un sopracciglio nella sua espressione più scettica «Non mi sembrava una domanda la tua».
  «Da quello che si sente in giro non mi sembrava fosse necessario chiedere conferma».
Joa assottigliò gli occhi scuri in un’unica linea severa «La Torre di Grifondoro può fare concorrenza ad un club di cucito» sibilò.
Rose si inumidì le labbra prima di parlare. «Io non l’ho saputo da un Grifondoro».
Un latrato lento di disappunto provenne da Joa e valse più di tante proteste. «Bene» esclamò, riacquistando vigore «Se alle chiacchiere piace girare, che almeno girino nel verso giusto».
Rose osservò con preoccupazione il luccichio negli occhi dell’amica. «A scanso di equivoci, mi trovo costretta a farti una certa domanda» disse.
Johanna si voltò di scatto verso di lei e la guardò sconvolta «Non ti azzardare nemmeno. Non mi interessa quel pazzo di tuo cugino, Rose» esclamò indignata. «Non mi interessa James» aggiunse con tono più basso.
So che stiamo parlando di James. Di chi altri se no?
Joa tornò a guardare la notte limpida, questa volta senza portare la sigaretta alle labbra. Anche Rose seguì il suo sguardo, ma rimase intrappolata nel tortuoso estendersi delle varie aree del castello, in quel labirinto eretto sui misteri dell’inimmaginabile.
Rose aveva percepito qualcosa in più, di diverso, che Joa forse sembrava pronta a confidarle.
«Se alle chiacchiere piace girare, avranno raggiunto ogni luogo del Castello, compresi i sotterranei» disse, continuando a guardare il vuoto.
Seguì con la coda dell’occhio la testa di Joa voltarsi nella sua direzione e avvertì il suo sguardo penetrante studiarle il volto, mentre la mente studiava le sue parole. Rose incontrò i suoi occhi e vi lesse una conferma ai propri pensieri.
Era il suo modo di confessarle di essere innamorata di Albus.
  «Certo che tra tutti proprio James?» esclamò Rose, quando avvertì l’aria aleggiare pesante sulle loro spalle.
  «Tuo cugino me l’ha praticamente ordinato» disse lei con un ghigno. «Sembrava volesse far tacere la Veela».
Il volto di Dominique irruppe in tutta la sua splendente bellezza nella mente di Rose, prendendo possesso di ogni sua facoltà intellettiva. La ragazza si incupì e concentrò il proprio sguardo in un punto imprecisato dell’asse di legno calpestata dai propri piedi.
Johanna proseguì con più discrezione.
  «Probabilmente voleva far cessare quell’aura di mistero che la vipera si stava costruendo intorno» disse, poggiando il proprio peso sui gomiti ritti sul gradino precedente. Da lì, fingendo indifferenza, aveva la possibilità di osservare la reazione dell’amica. «Continuava a ciarlare con finta vaghezza del suo cavaliere per il ballo» concluse, lasciando che le proprie parole venissero trascinate dal vento e accolte dall’ira di Rose, che lentamente prendeva il sopravvento, manifestandosi nel frenetico martellare del suo piede sul pavimento.
Johanna esitò ancora qualche istante,  prima di aggiungere «Ovviamente non ha voluto dire il nome».
Questa volta il  pulsare del piede di Rose fu più deciso e con un ultimo colpo, come se stesse marciando, concluse il movimento incontrollato. La ragazza prese a torturare la ciocca ribelle che le scendeva sugli occhi. «Lo so io, quel nome» disse.
Joa, ormai consapevole della veridicità delle parole di Dominique, rimase lì in attesa, senza muovere un muscolo.
Rose la guardò senza riuscire a nascondere la tensione. Inarcò le sopracciglia e roteò i grandi occhi azzurri, per poi sollevare le spalle e parlare con quanta più serenità riuscisse a palesare. «Malfoy».
  «Malfoy, quel Mafoy?».
  «Sì, Joa quel Malfoy» rispose alzando gli occhi al cielo. «Non è che ci siano tanti Malfoy in giro».
  «La speranza che si tratti del cugino simpatico è l’ultima a morire».
Drizzò la schiena e raggiunse l’altezza dell’amica, nella posa più dignitosa che potesse confarsi ad una situazione di una tale gravità.
Aprì la bocca più e più volte, alla ricerca di qualcosa da dire, infine la richiuse rassegnata.
Si arrogò il diritto di riflettere sull’accaduto, ma un turbinio di pensieri ed immagini le vorticava in testa. Infine un ricordo prese il sopravvento e la ragazza si schiarì la voce prima di esprimere una sua considerazione. «Quindi abbiamo capito perché oggi Malfoy penzolava dal soffitto del primo piano».
Rose non ebbe bisogno di guardare l’amica o di provare a replicare. Era stanca di dover lottare contro tutti, contro se stessa e così decise di lasciare che quell’idea corrispondesse alla verità. Accettò le insinuazioni di Johanna e considerò la possibilità di essere terribilmente gelosa di Scorpius Malfoy.







Arabo. Sedersi insieme per raccontare storie all’ora del tramonto.






 

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Capitolo 13
*** Fil rouge ***




 
Le anime hanno un loro particolar modo d'intendersi, d'entrare in intimità, fino a darsi del tu,
mentre le nostre persone sono tuttavia impacciate nel commercio delle parole comuni,
nella schiavitù delle esigenze sociali.
 




CAPITOLO XIII
 

Fil rouge



 

Il ballo di fine anno era un Evento.
Il Ballo di Natale era l’Evento.
Atteso, temuto, rispettato, o semplicemente desiderato.
Era lo sfoggio dell’ultimo tessuto confezionato direttamente dalla Boutique di Madama Iselda; era il debutto della band emergente, il cantante indie rock del momento; era il pretesto per dimenticare il colore della cravatta del proprio accompagnatore.
  Piccoli cristalli di ghiaccio precipitarono dall’alto in una danza silenziosa, volarono su loro stessi lentamente, come se non aspettassero altro che lasciarsi contemplare; poi precipitarono al suolo e la magia svanì con essi.
Il Ballo di Natale era l’occasione per dismettere le norme della scuola ed evadere da tutte le costrizioni che imprigionavano ogni studente nella maschera che il tempo e la fatica, loro stessi e i compagni, avevano meticolosamente costruito.
  La musica d’accompagnamento accolse l’ingresso nella grande navata.
Era leggera, suadente, incalzante e confortevole.
Il Ballo era tutte queste cose insieme, ma soprattutto, loro lo sapevano bene, era l’occasione per cambiare le regole in gioco, per ridefinire personaggi e ruoli. Per scandire i tempi di un nuovo scandalo.
Per quel che si riusciva a ricordare a fine serata.
 
 
James Sirius Potter era particolarmente concentrato. Chiuse gli occhi per non lasciarsi distrarre dal chiacchiericcio sommesso e dalla musica incalzante. Fece un rapido calcolo, considerando una media di sette calici di alcolici a studente e una decina di bicchieri di succo di zucca per quelli meno interessanti.
Avrebbero dovuto farcela.
Qualcuno si schiarì la voce con insistenza, in un evidente tentativo di richiamare la sua attenzione. Aprì gli occhi per incontrare lo sguardo contrariato di Johanna Jordan, una mano piegata su un fianco in una posizione altezzosa che non le apparteneva.
Non riuscì a trattenere un ghigno divertito alla vista del suo battitore preferito avvolto in un delicato abito fasciante, i capelli raccolti in una disarmante compostezza.
  «Sono abbastanza certa che saremmo dovuti arrivare in Sala insieme». Qualcosa nel tono di voce gli suggerì che la Jordan stava provando a rifilargli un rimprovero.
  «È probabile» asserì, dopo averci riflettuto.
  «Sai Potter» disse con un sospiro aspro. «Hai tutte le carte in regola per essere il peggior accompagnatore della storia».
  «È probabile anche questo» annuì il ragazzo. «Per questo ho scelto l’accompagnatrice peggiore della storia».
Johanna lo guardò riducendo gli occhi ad un’unica fessura. «Hai scelto me perché sai che sarò ben lieta di starti lontano».
  «Touché».
James Potter sollevò la bacchetta in aria e con un movimento distratto invitò la caraffa a sollevarsi e a riempire un calice vuoto. Lo afferrò e lo porse alla ragazza. «Per la mia dama» pronunciò con un delicato inchino.
Johanna accettò il dono con un sorriso sommesso e disse a denti stretti. «Voi Potter siete tutti figli di puttana».
 
 
Il busto blu notte di Kate Hasting era squisitamente impreziosito da tanti diamanti nero pece. Un luccichio discreto a ricordare quanto i suoi capelli biondi fossero solo lo specchietto per le allodole di un animo ombroso e labirintico. O almeno sperava che il messaggio fosse quello.
  «Ti dispiace aiutarmi con la cerniera?».
La mano ferma e delicata di Albus Potter si arrestò all’altezza della sua vita, mentre l’altra seguì il profilo del fianco fino al principio della spalla.
Dallo specchio Kate studiò i capelli indomabili del ragazzo, poi quel viso gentile. I suoi occhi la sorpresero a fissarlo e le restituirono uno sguardo rassicurante.
Albus Severus Potter era l’orgoglio del Cappello Parlante.
Non un’ombra avrebbe scosso il verde caldo di quegli occhi ammaliatori. Nessuna traccia di fragilità avrebbe infranto il velo di serafica armonia del suo volto puro. Un tono di voce dolce e avvolgente avrebbe sempre carezzato le intenzioni di chiunque, a prescindere che il ragazzo stesse lusingando o vituperando il proprio interlocutore.
Eppure gli sarebbe bastata una parola e nulla gli sarebbe stato negato.
Albus Severus Potter era dannatamente Serpeverde.
  «Stai benissimo».
Non ‘sei bellissima’. Apprezzamento troppo intimo, conservato per chissà chi. Ma il ragazzo seppe mascherarlo abilmente, dietro quella sfacciata cortesia. E a Kate tanto bastava.
  «Anche tu non sei niente male» concesse lei. «Non ti dovrò tenere d’occhio tutta la sera,vero?».
Se fosse scappato anche lui per correre dietro l’aria altezzosa e melodrammatica della Weasley, se lo avesse fatto anche quella sera, non lo avrebbe sopportato.
Albus affondò i suoi occhi grandi su di lei, appianando ogni timore. «Ti sarò accanto finché lo vorrai».
Voleva dire tutto e non voleva dire niente, era indubbiamente un’arma a doppio taglio, una promessa che lo liberava da ogni responsabilità.
Ricercò in ogni caso i suoi occhi verdi e languidi e scoprì di esserne già dipendente. Lui le porse la mano, accolse quella di lei e la strinse con forza.
 
 
Dominique Weasley aveva l’abitudine di arrivare perfettamente in orario. Di seguire le indicazioni nel modo corretto, di fare volare la Civetta solo nei giorni pari e il Gufo in quelli dispari, come da disposizione del Decreto Generale per il Traffico Volatile.
Considerava il ritardo tremendamente volgare, contrariamente al proprio accompagnatore, a giudicare dall’espressione seccata con la quale questi  aveva accolto la sua presenza nei Sotterranei alle nove in punto.
Dominique Weasley detestava essere corteggiata. Essere riaccompagnata a casa dopo una cena, ricevere un mazzo di rose rosse profumate, sentirsi la musa ispiratrice di una poesia d’amore.
Fu per quella ragione che apprezzò lo sguardo distratto e leggermente annoiato con cui Scorpius Malfoy perlustrava la Sala. In cuor suo Dominique sperò che l’oggetto d’interesse del ragazzo varcasse il Portone il prima possibile e ponesse fine alle sue pene, o avrebbe passato la serata a ricucire un cuore in brandelli.
  «Pensi di farmi ballare?» suggerì in un risata, mentre l’acqua tonica volteggiava sul fondo del bicchiere, le inumidiva le labbra e increspava ruvidamente la gola.
Il ragazzo sembrò preso alla sprovvista, quasi colpevolizzandosi per non averci pensato da solo. Con un braccio sicuro e un sorriso incantevole non riuscì a nascondere tracce di mortificazione.
Lei lo trovò adorabile.
  «Spero che lo Scorpius Malfoy di cui ho tanto sentito parlare sappia fare meglio di così» disse e il suono della sua voce riuscì ad apparire più melodioso della canzone che accompagnava i loro passi.
Le mani del ragazzo le cinsero educatamente i fianchi e la avvicinarono al suo corpo, impedendo ogni possibile distanza.
Non c’era urgenza nel suo tocco, né timore.
  «E cosa dicono queste storie?» rispose lui divertito.
  «Che sei un encomiabile seduttore».
Scorpius trattenne un sorriso. «Troppo generose».
  «Potrei rimanerne delusa?» si informò lei, le mani abbandonarono il suo collo e gli sistemarono il nodo della cravatta.
Lui afferrò dolcemente le sue mani per allontanarla da sé, lasciarla volteggiare in quell’attimo eterno in cui i cristalli di ghiaccio sembravano tanti diamanti sui suoi capelli di seta e la stanza parve bloccarsi solo per ammirarla. Poi la riprese tra le sue braccia, l’espressione sorpresa di lei era di candida genuinità.
  «Affatto» le sussurrò all’orecchio. «Cerco solo di abbassare le aspettative per fare miglior figura: è il mio trucco».
La ragazza lo guardò con un cipiglio meravigliato, poi piegò leggermente la testa all’indietro e si lasciò andare ad una soave risata.
 
 
Rose Weasley riusciva ad essere ancora più bella nel suo lungo abito di taffetà verde smeraldo. I capelli semiraccolti non lasciavano dubbi su quanto quella chioma fosse indomabile, anche se momentaneamente controllata. I riflessi ramati sembravano intraprendere un gioco di colore con lo scintillio della seta che le fasciava il corpo, carezzando il ventre piatto e distendendosi lungo i fianchi.
Schiva e delicata, aggressiva e passionale. Contornata da quel verde brillante, quella sera appariva come un oggetto prezioso. O almeno questo fu quello che pensò Alan Doyle non appena la vide.
  «Non guardarmi così, Alan» disse semplicemente lei, a metà tra un avvertimento e una supplica.
Aveva smesso di chiamarlo per cognome da quando aveva imparato a fidarsi di lui.
Per questo gli si era addormentata accanto, nel suo letto.
Vestita.
  «La prossima volta scegli un abito che ti stia da schifo, allora».
Rose Weasley rise, come rideva solo con lui. Leggera.
  «Non suggerirmelo» disse in un sorriso. «Sono ancora tentata di correre in camera a prelevare il mio jeans preferito».
  «Hai sbagliato a dirmelo» le comunicò lui con serietà. «Sarò costretto a legarti ad una sedia il prima possibile».
  «Vicino il tavolo degli alcolici, se proprio devi».
  «Ragionevole richiesta».
  «Senza tacchi, ovviamente».
Lui ci pensò su qualche secondo, poi rispose «Non credo di potertelo permettere. Senza tacchi potresti essere scambiata per un Folletto della Gringott» aggiunse.
Rose Weasley si voltò a guardarlo con la bocca aperta.  «Evito di alzarti un dito medio per rispetto nei confronti del vestito che indosso» disse con solennità. «E perché sono terribilmente terrorizzata all’idea che mia cugina Lily possa vedermi».
La risata della ragazza si spense con la stessa rapidità con cui il suo sguardo aveva perlustrato attentamente la Sala.
Alan ne seguì la direzione e incontrò una splendida Dominique Weasley dare spettacolo nel bel mezzo della pista, insieme al suo accompagnatore Scorpius Malfoy.
  «Cosa ti dà più fastidio?» iniziò lui. Per Rose ormai non esisteva altro che le risate dei due ballerini. «Il fatto che sia gentile con un’altra o che non faccia più lo stronzo con te?».
Come si aspettava, i due occhi tetri ora erano poggiati su di sé. La ragazza aprì e chiuse la bocca più volte ma non emise alcun suono.
  «Guarda che io sto benissimo». Era innocente anche nella menzogna. «E poi è Malfoy, non credo sappia come si faccia a smettere di fare lo stronzo».
  «Sarà» disse lui, prendendola per la vita e spingendola fino al centro della pista. «Ma io non ho mai fatto il nome del Capitano» le sussurrò in un sorriso serpentesco.
  «C-cosa?».
  «Volevo accertarmi di questa cosa» disse lui, prendendo le braccia inermi della ragazza e portandosele al collo.
  «Di quale cosa?». Le guance di Rose Weasley avevano ormai raggiunto il colore dei suoi capelli.
  «Di te e il Capitano».
Lei spostò lo sguardo verso altro che non fosse il suo accompagnatore, ma si lasciò stringere e cullare. «Ti sbagli».
  «Non credo di sbagliarmi nel dire che ogni volta mi guarda come se volesse prendermi a pugni».
  «Beh sì» lo interruppe frettolosamente. «È una storia lunga: non voleva che entrassi nella vostra Sala Comune».
  «Come?» Alan non riuscì ad evitare di scoppiare a ridere. «Forse, non voleva che entrassi nel mio letto» completò. «Ha ragione Kate nel dire che voi Grifondoro siete un po’ lenti» aggiunse scuotendo la testa.
Un lampo di vita attraversò gli occhi di Rose Weasley, che ora lo guardavano muti.
  «Questo tuo ostentato rifiuto è adorabile, dolcezza» mormorò il ragazzo, affondando nei suoi capelli. «Se vorrai negare ancora a lungo di volerti fare il Capitano in tutte le stanze del Castello … » fu costretto ad interrompersi in seguito ad un pugno di lei contro il suo braccio. «… e volessi impiegare il tempo in modo più costruttivo, fammi sapere» completò in un sogghigno. «Non posso prometterti di non farti cambiare idea su Scorpius».
Rose roteò gli occhi. «È una promessa?».
Sì, si fidava decisamente di lui.
Alan guardò il suo sguardo luminoso e le guance riprendere il colore consueto. Era indifesa.
  «Smettila di fare la dura, dolcezza. Sei un libro aperto».
  «Ed è per questo che hai bisogno di manipolarmi per farmi dire le cose?».
  «Certo, sei un grazioso esempio di Grifondoro orgoglioso e testardo. Se te l’avessi chiesto apertamente, non mi avresti mai risposto».
Rose Weasley sollevò un sopracciglio e lo guardò scettica.
  «Va bene» concesse lui con un sospiro. «La manipolazione è decisamente più divertente».
 
 
  «Rimangiati subito quello che hai detto».
  «Avete ancora problemi nel riconoscere la verità?».
  «Distorsione dei fatti».
  «Dovresti rivedere le ultime riprese allora». Johanna sbatté il bicchiere di Acquaviola sul tavolo, poi lo riafferrò e lo posizionò sotto la caraffa, impegnata, in completa autonomia, in una caccia spietata ai calici vuoti in tutta la sala.
  «I Chudley Cannons sono capolista dall’inizio del Campionato» esclamò James.
  «Rubando punti».
James sembrò dovesse avere un mancamento da un momento all’altro. «Vi basta una vittoria e subito vi illudete che i Ballycastle Bats possano vincere la Coppa».
Johanna non fu disposta a tollerare altro. Si poggiò allo sgabello che circondava uno degli alti e circolari tavolini, disposti occasionalmente per la serata; distese le lunghe gambe nell’unica posizione che la seduta le permettesse e con un gesto della mano fermò un ragazzino dei primi anni. «C’è qualcosa di più forte?».
Il malcapitato sembrava troppo terrorizzato per poter elaborare una qualunque risposta significativa. «Non, non lo so».
  «Ragazzino» il tono di Johanna era di profonda sofferenza. «Ho bisogno di Whisky Incendario o questa serata finirà con un duello al centro della pista».
  «Io non sapevo nemmeno servissero alcolici» disse, chinando il capo in segno di colpa.
Lei lo guardò come se fosse appena disceso da un altro pianeta. «Vuoi davvero avere la fine della festa sulla coscienza?» esclamò con  importanza mentre lo sguardo di lui era di profonda mortificazione. «Whisky Incendiario. Ora!» decretò indignata.
James Potter scosse il capo. «Sai che mi occupo io dell’angolo bar da, beh, da quando sono ad Hogwarts?».
  «E con questo?».
  «Posso procurarti quello che vuoi, se metti insieme un po’ di buone maniere e me lo chiedi con gentilezza» James si aprì in un sorriso serpentesco.
Joa inarcò le sopracciglia in un’espressione di sfida. «Come i Chudely Cannons si procurano i loro punti?» disse restituendogli il sorriso. «O come Dominique Weasley rovina tutto ciò che tocca?» aggiunse, seguendo il suo improvvisato cameriere perdersi imbambolato nella contemplazione della dea danzante. «Non avrò mai il mio Whisky» constatò.
James Potter la fissò inespressivo. «Cosa intendi dire?».
  «Che quello lì non uscirà tanto presto dallo stato catatonico in cui li getta tua cugina».
Il ragazzo storse il naso, particolarmente disturbato da quelle parole. «Mi riferivo a quello che hai detto sul rovinare tutto di Dominique».
Joa sollevò semplicemente le spalle. «Beh sì, il suo gioco preferito. Prendere le cose degli altri per distruggerle. Non è forse questo il motivo per cui ha invitato Malfoy?».
  «Dici che ha invitato lei quel verme viscido?».
  «Mi sembra ovvio» decretò. «Nessuno si avvicina alla Veela».
Come una dea maledetta. Incanta e distrugge tutto ciò che tocca.
E come sotto incantesimo, per quanto si costringesse ad evitarlo, lo sguardo di James volò al centro della pista, dove Dominique era riuscita nuovamente nel suo intento di cattura l’attenzione di tutti. Questa volta, tuttavia, piuttosto che in un leggiadro volteggiare, la ninfa venefica si esibiva in un vivace tete-a-tete con sua cugina Rosa, di cui i rispettivi accompagnatori erano i protagonisti indiscussi.
Sguardo torvo, pugni chiusi lungo i fianchi uno, braccia incrociate e gelido rancore, l’altro, i due ragazzi conversavano con la stessa cordialità di chi aspetta il primo passo falso per sfoderare la bacchetta – o scagliare un pugno in pieno volto.
  «Che poi è anche il motivo per cui tu hai invitato me» s’ intromise tra i suoi pensieri la voce di Johanna con una impertinenza cui lei non diede peso. «Per far tacere la iena, giusto?» chiese Johanna, la voce inclinata da una punta di preoccupazione.
James Potter si chiuse in un insolito silenzio, al quale l’imbarazzo di Joa rispose dondolandosi insistentemente sullo sgabello : il cigolare della sedia fu il ritmo opprimente che scandiva l’attesa di qualcosa da dire.
Poi il ragazzo esplose «Jordan, coraggio» disse facendole segno con la mano.
Ed effettivamente il coraggio era ciò di cui Joa necessitò per evitare di cadere dalla sedia. Sgranò gli occhi nel più completo disagio «Non vorrai chiedermi di ballare?».
  «Jordan» minacciò lui. «Non te lo sto chiedendo».
Lei lo guardò allibita. «Non sfrutterai la tua posizione per abusare di me».
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e la afferrò per un braccio, costringendola ad alzarsi. «Potter, questo è abuso di potere» protestò con un pugno che cadde nel vuoto. Lei piantò i piedi a terra fino a fermarsi. «Non ho intenzione di ballare con te, è tremendamente umiliante».
  «Allenamento ogni sera dopo le lezioni fino alla fine dell’anno» decretò il ragazzo con quel tono di voce autoritario e lievemente dispotico che assumeva quando si parlava di Quidditch. «Da soli, io e te».
Joa aprì la bocca, poi la richiuse. «Non puoi».
  «Oh sì che posso».
  «Tu …».
  «Lo prendo per un sì» concluse trionfante. La afferrò per la vita facendola sobbalzare e la condusse verso la folla; lo sguardo di lei inceneriva il punto in cui la mano di lui la stava toccando, mentre coloriti consigli gli illustravano luoghi più consoni dove poterla indirizzare.
 
 
Albus sollevò una mano al passaggio dell’ennesimo Weasley. Poi un sorriso radioso rivolto alla cugina Caposcuola che non sopporta nessuno e un occhiolino a quella strana dai capelli rossi. Un rosso strano.
  «Non ricordo il nome dell’ultima» fece Kate placidamente.
  «Molly, figlia di zio Percy» spiegò Albus, mentre Fred Weasley gli lasciava una poderosa pacca sulla spalla.
  «Una specie di infestazione» mormorò Kate storcendo la bocca. Rivolse un sorriso velenoso a Hugo Weasley che la salutò calorosamente, ma fu particolarmente bendisposta nell’aspettare che questo non la guardasse per sibilare ad Albus. «Spero esista un vaccino».
  «Si può sopravvivere» rispose lui. «Basta guardare me».
  «O venire terribilmente contagiati» completò in tono secco. «Basta guardare Scorpius».
Albus, seduto comodamente su una poltrona di velluto, il braccio intorno alle spalle della sua compagna che sorseggiava Whisky Incendiario come fosse Champagne, sollevò un sopracciglio. «È mio amico da prima che lo conoscessi tu».
La ragazza lo guardò in tralice «Non essere sciocco, Albus» rispose. «Ovviamente non sto parlando di te, ma di tua cugina, quella impicciona in perfetto stile Grifondoro».
Albus rise. «Rose è particolarmente empatica» concesse lui. «Non riesce ad ignorare i problemi altrui».
  «Non fare sempre il diplomatico» lo ammonì lei. «So io cosa non riesce ad ignorare».
Il silenzio di Albus Potter solitamente aveva un significato ben preciso. Riusciva ad essere più inopportuno di mille parole dette a caso.
Kate, d’altro canto, non era una che prediligeva il silenzio.
  «L’hai notata anche tu la recente luna di miele tra i due?».
Le dita del ragazzo presero a tamburellare sul proprio ginocchio. «Dici?».
  «Sembrano costantemente legati da questo filo rosso» spiegò irritata. «È quasi palpabile, non fanno altro che cercarsi».
Mentre parlava l’amara consapevolezza delle sue riflessioni le premeva il petto come una percossa.
Albus Potter, senza guardarla, pensò bene di stringerla a sé, e la ragazza non si trattenne dal poggiare i propri lunghi capelli biondi sulla sua spalla esile.
  «Lascia stare, Kate» bisbigliò. «Alcune cose non possono essere impedite».  
Una lacrima le segnò la guancia e Kate si affrettò a cacciarla via. Tamponò distrattamente l’occhio, sperando che il trucco impeccabile non la tradisse. Tuttavia quando lanciò uno sguardo indagatore verso il ragazzo, questo sembrava essersi dimenticato della sua presenza.
Le lunghe ciglia da cerbiatto erano piegate in uno sguardo contemplativo; leggermente socchiusi, gli occhi sembravano studiare la figura appariscente di Johanna Jordan. Il pugno leggero appena sferrato dalla ragazza al suo accompagnatore non sfuggì ad Albus, a giudicare dal tremito che scosse le sue labbra.
Kate, profondamente scettica, non riuscì a comprendere cosa l’amico ci trovasse in una così selvaggia creatura scappata da chissà quale riserva naturale.
Per tutta risposta, adagiò le mani sulle gambe del compagno e si avvicinò al suo viso.  «Non credo a quello che sto per fare». Si piegò maggiormente verso il suo orecchio, poi passo al collo teso. Avvertì la rigidità di Albus, non appena le sue labbra lo sfiorarono.
Quando riemerse, lo sguardo sorprese quello della Jordan che, come si aspettava, li stava fissando. Kate si premurò di aprirsi in un sorriso da vipera.
Gli occhi enormi e confusi di Albus le chiedevano una muta spiegazione.
  «Ho appena fatto morire di gelosia la tua bestiaccia da compagnia» disse.
Poi portò il calice alle labbra e disperse lo sguardo tra la folla, appena in tempo per cogliere Rose Weasley scagliare un pugno sul braccio di Alan Doyle.
Sospirò amareggiata, pensando quanto la raffinatezza fosse una virtù ormai dimenticata.
 
 
Rubava sguardi dei ragazzi alle loro accompagnatrici inconsapevoli. Loro ballavano con le proprie compagne ma guardavano lei. Desideravano lei.
Dominique era tremendamente abituata a tutto questo.
Scorpius Malfoy, per sua fortuna, era un perfetto gentiluomo, al contrario dell’idea che ne avevano dato le innumerevoli ed eccessivamente tragiche lamentele di Rose. Ognuna di loro, in fin dei conti, desiderava stare al centro dell’attenzione, una per vanità, l’altra per superbia. Ma questo, l’ingenua e perfetta Rose non l’avrebbe mai ammesso.
Scorpius Malfoy, per sua fortuna, non aveva occhi che per la piccola e prevedibile Rose, splendida nella sua lucentezza, ma troppo impegnata a fingere entusiasmo tra le braccia del suo accompagnatore.
Che errore, mia dolce cugina.
Eppure Scorpius sembrava a tal punto acceso dalla rabbia alla vista delle mani di Alan Doyle su tutta la superficie corporea di Rose, da non notare la disperata attenzione della ragazza.
  Un filo rosso che li legava ed intrecciava anche a distanza di metri, anche ai due lati opposti della stanza, anche in mezzo alla folla. Palpabile, accecante, esclusivo.
In Dominique si riaccese tutto ad un tratto la curiosità, come ad un annoiato scienziato che riceve inattesi segni di vita dalla sua cavia preferita.
Continuando ad ondeggiare su se stessa,  prese a muovere i passi all’indietro, aprì un varco intorno a sé; nessuno osava toccarla, forse temendo che svanisse da un momento all’altro. Scorpius Malfoy la seguiva confuso. I passi di lei lo guidavano al centro della pista, costringendolo a scansare le persone.
Furono gli occhi del ragazzo ad avvertirla di essere arrivata a destinazione, prima ancora che lei sbattesse contro qualcuno e si voltasse con meccanica mortificazione.
  «Rosie, tesoro, spero di non averti fatto nulla» disse con studiata poca credibilità.
La cugina la guardò, poi spostò lo sguardo sul ragazzo biondo di fronte a sé e riportò l’attenzione su Dominique, fissandola come se le avesse causato tutto il male del mondo.
  «Tranquilla, Domi, sono ancora viva» rispose con un sorriso smagliante.
Risposta rapida, tagliente, ma cortese. Dominique si ritenne soddisfatta dei progressi della piccola Rose.
Sembriamo quasi cugine.
Per la gioia di Dominique, Alan Doyle decise di far capolino proprio in quel momento. «A chi hai pestato i piedi questa volta?». La domanda era evidentemente rivolta alla sua accompagnatrice, che parve indispettirsi appena e imbronciare le labbra.
  «A parte i tuoi, nessuna nuova vittima».
  «Vallo a dire a tutti quelli con cui mi sono dovuto scusare» disse e la prese per mano.
Una complicità che la sorprese. Lei che si aspettava struggenti sguardi di nostalgia da parte di Rose verso il ragazzo delle sue attenzioni.
Scorpius Malfoy non tardò a darle soddisfazione : si irrigidì talmente tanto che sembrava possibile percepire il suono del tessuto rigido della giacca incresparsi sopra la muscolatura tesa.
  «Direi che qui abbiamo finito» mormorò.
  «Non fare il brontolone» disse Dominque, prendendo il ragazzo sottobraccio. «Ce l’ha un po’ con me perché gli ho fatto perdere la sua canzone preferita».
  «Ma davvero» esclamò Rose. «Non ti facevo un tipo ballerino» aggiunse in tono accusatorio.
  «Certo» uno sbuffo annoiato. «Dominique, a differenza di altri, sa muoversi con grazia».
La punta acuminata che penetrava nel petto di Rose sembrava visibile a tutti i presenti.
Non cadere qui, Rosie.
La risata civettuola di Dominique giunse alle orecchie degli altri come un soffio di aria fresca «È un adulatore nato» disse languidamente, con una carezza sul volto del ragazzo. «Non trovi?».
  «Sinceramente no» decretò Rose. «Ma sono felice per te. Io d’altro canto trovo le smancerie un po’ noiose. Alan, ad esempio, è tutta la sera che non mi fa smettere di ridere» concluse con un sorriso allegro, poggiandosi con la mano libera alle spalle del ragazzo perplesso.
Dominique tacque, confortata dal lento irrigidirsi del braccio di Malfoy stretto tra le sue mani. «Avrà cercato di sopperire alla mancanza di complimenti che ti riguardassero».
Rose lo fulminò con gli occhi. «È gentile».
  «Già, nemmeno un po’».
  «E pieno di sorprese» continuò lei con una risata, ignorandolo «Dio, Alan, non abbiamo ancora toccato l’angolo bar. Ma dove abbiamo la testa?».
Alan Doyle sollevò un pigro sopracciglio, sperando che bastasse per rasserenare i presenti dell’assoluta normalità della sua accompagnatrice. Dominique, d’altro canto, non aveva mai trovato la cugina tanto divertente.
Malfoy affettò uno sguardo perplesso, di chi sarebbe stato pronto a scommettere il contrario. «Dovresti continuare a starne lontana per il bene dei presenti» si lamentò. «Dominique, sai, non beve questa robaccia».
Uno sbuffo imbronciò le labbra della piccola Rose, che mai come allora era sembrata tanto magnificamente capricciosa. «Da quando sei diventato così banale?».
Una strana sensazione la avvertì di essere stata chiamata in causa. Per tutta risposta Dominique si aprì in un sorriso stupefacente, senza osare interrompere quel cordiale scambio di opinioni.
  «Si chiama buon gusto».
  «Classico tuo».
  «Il meglio?».
  «L’apparenza».
  «Di certo abbiamo priorità diverse» aggiunse riservando uno sguardo truce ad Alan Doyle.
  «Almeno io non cerco trofei da esporre».
Malfoy la fissò per un lungo istante, le mani tornate a riposare nelle tasche dei pantaloni e l’indifferenza, che era solito esibire, veniva ripristinata. «Mi sembra il minimo» sibilò in una perfida condanna. «Tanto quanto tutto questo manca di dignità» concluse e non si premurò di celare il disgusto.
  «Che c’è, Malfoy, la nostra presenza ti infastidisce così tanto?». 
Solo un'ombra passò sul volto della piccola Rose.
Il ragazzo affettò uno sguardo impassibile e lo scagliò con quanta più potenza aveva. «Sì, in effetti mi date la nausea».
Nel silenzio assordante in cui la musica sembrava annegare e trasportare con sè chi ancora ballava, Alan Doyle si mosse irrequieto. Preparò qualche passo in avanti, incerto se fosse arrivato il suo momento, ma l’autorevolezza di Rose lo convinse a lasciarle ancora spazio.
  «Dovresti imparare a controllarti» disse lei con improvvisa indifferenza «O forse tutto questo rancore ha un nome ben preciso?» aggiunse lentamente, piegando la testa di lato.
Dominique la guardò profondamente colpita e rifletté su come l’amore fosse capace di tirar fuori il peggio delle persone.
  «Ribrezzo rende meglio l’idea?».
  «Puoi fare di meglio» lo provocò lei.
La risata che gettò fuori era fredda come una mano morta. «Non hai ancora capito quando fermarti, Weasley».
  «Che ti succede, Malfoy?» le sue parole erano lente e studiate, il tono di voce appena preoccupato, i gesti teatrali. Si voltò a guardare Dominique e Alan, e poi catturò a sé anche qualche presente vivamente interessato «D’un tratto hai paura di ferirmi?».
Rose Weasley aveva completato il processo di trasformazione in vipera velenosa. Dominique la guardò al culmine dell’approvazione, iniziando a dubitare della sua astinenza dal tavolo degli alcolici.
  «Non sapresti reggerlo».
  «Il famoso coraggio Serpeverde».
Solitamente l’orgoglio Serpverde era una di quelle cose che i suoi rappresentanti ritenevano disposti a farsi calpestare per salvaguardare interessi più conveniente, quali la pellaccia. Tuttavia ciò che Scorpius Malfoy non fu disposto a cedere, una delle notti più importanti dell’anno, in una delle discussioni più seguite della serata, era l’ultima parola.
Soprattutto se questa sarebbe stata pronunciata da quegli occhi grandi innocenti e dal ghigno serpentesco della saccente Rose Weasley.
Il ragazzo sorrise di un’ilarità glaciale, di chi raccoglie una sfida che sa di poter vincere. «Vedi, è che siete fin troppo ridicoli» il suo sguardo cadde sulle mani intrecciate. «Fingete di fare la coppia, quando lui non aspetta altro che scoparti e passare oltre» disse, e la compostezza dei suoi modi annientò il veleno che infarciva le sue parole «Quindi, mi chiedo, sei talmente disperata da ignorare la cosa, o lo sai benissimo e stai solo facendo felicemente la troia?».
  Il ghigno finale, che probabilmente avrebbe corroborato una già ben realizzata provocazione, fu demolito dallo schiaffo che colpì Scorpius Malfoy in pieno volto.
L’urlo di dolore di Celestina Warbec risuonò assordante nel silenzio magnetico che come un’onda si era disperso dal punto in cui si trovavano Rose e Scorpius: intorno a loro, agghiacciante come la previsione di una Terza Guerra Magica, la tensione coinvolgeva gli spettatori.
La mano di Malfoy andò a tastare la guancia dolorante, gli occhi non osavano sollevarsi sulla sua carnefice. Dominique, vestendo i panni della perfetta accompagnatrice, gli poggiò una mano sul braccio in segno di sostegno, gli occhi avidi attendevano una sua reazione.
  «Per l’appunto» solo mormorò.
Il petto di Rose era scosso da piccoli tremiti. «Non puoi» cominciò lei prima di una pausa. «Non te lo permetto».
  «Andiamo, Weasley, puoi fare di meglio».
Un’ombra di rancore bagnò gli occhi di Rose. Li mosse rapidamente, premurandosi di sottrarli alla vista del ragazzo.
Dominique Weasley detestava la fragilità femminile, che aveva come unico, prevedibile risultato l’indebolimento della tenacia avversaria. Come si aspettava, il ragazzo algido e spietato addolcì lo sguardo e rimase spiazzato.
Lei voltò la testa, poi il busto e indietreggiò, cosicché Alan Doyle potè coprirle le spalle con il braccio.
Il passo rapido di Malfoy le bloccò la strada, prima che lei potesse solo pensare di allontanarsi, con una perseveranza in pubblica visione che il ragazzo non aveva mai azzardato. Lo sguardo fu un lampo, rapido e inevitabile, richiamato a sè con ancora più celerità: ebbe solo il tempo di lasciare una traccia di fuoco sul braccio del compagno di Casa. Poi Malfoy tornò in sè.
Dominique, incredibilmente empatica nei confronti del povero Alan, riconobbe il gesto del proprio accompagnatore come una delle più silenziose e contorte manifestazioni di possesso. Ma, in fin dei conti, era perfettamente in linea con quanto aveva appena visto.
  «Aspetta un attimo».
La mano di Rose corse ad eliminare traccia di una lacrima precipitosa, e questo la innervosì maggiormente.
  «Vai al diavolo».
  «Mi fai strada?».
  «Così puoi ridirmi quello che pensi di me?».
La mascella di Scorpius Malfoy si contorse istintivamente. L’assenza di una sua replica scatenò l’ennesima lacrima negli occhi della ragazza, che si guardò intorno con evidente disagio. Un’ultima spinta e superò il ragazzo con un passo.
Quando le dita di Scorpius si strinsero intorno al polso di Rose, fu una terza voce a fermarlo.
  «Scorpius, lasciala stare» pronunciò Alan con rabbia, ormai persuaso che il suo intervento fosse necessario.
La stretta si fece più forte e Rose lasciò scivolare un gemito di dolore.
  «Le stai facendo male, dannazione» sbraitò, nel tentativo di lanciarsi su Malfoy.
Accadde tutto in un attimo.
La mano di James Potter finì sul braccio di Scorpius Malfoy, nell’istante in cui Alan Doyle si precipitava contro quest’ultimo. Il pugno che partì da qualcuno e si scagliò contro qualcun altro ebbe il solo risultato di vedere James Potter steso per terra, una mano accorsa a coprirsi l’occhio.
Ogni altro dettaglio sparì dalla visuale di Dominique Weasley e lei si gettò ai piedi di James, le mani protese ad accarezzarne il volto ferito.
 
 
La fuga di Rose per le scale della Sala d’Ingresso passò inosservata, grazie all’accalcarsi della ressa intorno ad una probabile rissa tra il suo accompagnatore e l’individuo che aveva deciso di rovinarle la vita.
Non appena le sue dite l’ebbero liberata, lasciò scorrere le lacrime che l’opprimevano, mentre i piedi la portavano lontano da lì.
Si accasciò sulle scale dell’ingresso, mentre qualcuno che si era attardato all’aperto veniva richiamato dal vociare interno e dalla prospettiva di uno scandalo imperdibile.
Fantastico.
Aveva freddo.
  «Rose, vieni dentro. Pare che qualcuno stia picchiando qualcun altro» squittì eccitata Tess Rivers, volandole accanto.
La solita storia, in conclusione.
Una mano calda si poggiò sulla sua spalla nuda. Poi un incantesimo la avvolse in una nuvola di calore.
  «Bevi qualcosa» le parole di Korbin Perkins suonarono come qualcosa di simile ad un consiglio, e Rose si affrettò a seguirlo.
Portò il bicchiere alle labbra con troppa foga e storse la bocca infastidita. «È succo di zucca» non poté fare a meno di constatare con delusione.
  «Certo» esclamò lui, poggiando il proprio bicchiere per terra e prendendo posto accanto a lei sui gradini. «Cosa ti aspettavi di trovare ad una festa della scuola?». Si chiuse nelle spalle, lasciando intendere altro che non poteva essere detto.
Lo sguardo di Rose frugò il contenuto del suo calice, per trovare conferma alle proprie supposizioni, ma il liquido azzurro che questo conteneva non aveva nulla a che vedere con gli alcolici che aveva introdotto illecitamente James.
  «Sono abbastanza certo che qualcuno lì dentro si sia preso un pugno a causa tua».
Rose rispose con un lungo sospiro. «Non l’ho mai chiesto. Solitamente ci penso da sola a picchiare la gente».
  «Molto corretto».
  «La ringrazio» disse in un sorriso mesto.
  «Spesso è più efficace della bacchetta».
  «Sicuramente più soddisfacente».
Perkins piegò la testa di lato in un gesto pensieroso. «Forse dovremmo far finta che questa conversazione non sia mai esistita».
Rose lo guardò divertita. «Noi non ci siamo mai incontrati».
  «E io non ho mai visto risse sulla pista da ballo, alcol nei bicchieri e sigarette nei vasi delle piante».
  «È il suo primo Ballo di Natale questo» gli concesse Rose. «Sono molte le cose che deve ignorare se vuole superare indenne la serata».
  «Incluse le lacrime sul tuo viso?» disse, svuotando d’un sorso il bicchiere.
Rose abbassò lo sguardo sulle proprie mani intrecciate. «Quelle sono un’esclusiva».
Perkins afferrò una ciocca di capelli scomposta dal vento e la posizionò dietro l’orecchio di Rose, facendola tremare. «Che abbiano vita breve allora».
Dei passi incerti li costrinsero a voltarsi. «Professore, per fortuna l’ho trovata» biascicò Gazza con gli occhi di chi ha appena finito di torturare una matricola in punizione. «Una rissa. Alla festa. Qui bisogna annullare tutto e tutti in punizione».
Il professore le rivolse uno sguardo complice. «Il dovere mi chiama» biascicò in un sorriso, e Rose pensò ironicamente all’ardua punizione che avrebbe atteso i colpevoli del reato.
Poi pensò a Malfoy e l’ironia svanì.
L’imperterrito cantante ingaggiato da Molly Weasley non sembrava intimorito dal caos generale e la musica continuava a scorrere fino al cortile e faceva da sottofondo al tamburellare dei pensieri di Rose.
Se fino a qualche giorno prima la gelosia all’idea di Malfoy e Dominique insieme l’aveva resa pazza, in quel momento l’unico sentimento che era disposta a tollerare era l’odio. Odio per l’orgoglio calpestato, per le difese annientate, per la mano tesa.
Odio verso se stessa per aver lasciato che tutto accadesse, per la sua ingenuità quando l’aveva avvicinato, credendo di trovare in lui un semplice complice. E nulla di più. Credendo che quello fosse l’unico motivo per cui lo volesse.
«Mi toglierò dalla testa che il vostro giocare agli investigatori sia solo una scusa per passare più tempo insieme senza essere costretti ad ammettere che la cosa non vi dispiace».
L’hai sempre saputo.
Che Scorpius Malfoy l’avrebbe avuta vinta su di lei.
Un sospiro gelido la avvertì che l’incantesimo di Isidore era svanito. Il marmo liscio dei gradini era tornato del suo freddo invernale. Rose ritrasse di scatto la mano e per poco non fece cadere il bicchiere dimenticato lì dal professore.
Lo afferrò al volo con un sospiro di sollievo.
Il contenuto azzurrino era ancora lì sul fondo, scartato da quell’ultimo sorso frettoloso del maestro.
Era più denso di una qualunque bevanda e più evanescente.
Lo fece volteggiare nel vetro in motivi concentrici, pensando a cosa farne.
Aveva davanti a sé l’invitante possibilità di crogiolarsi nella complessità dei propri tormenti, al Ballo di Natale, abbandonata sui freddi gradini di un imponente castello magico, come una qualunque adolescente.
Avrebbe addirittura potuto sfruttare la distrazione generale per farlo in tutta tranquillità, senza apparire disperata.
Oppure avrebbe potuto sfruttare la distrazione altrui per fare altro.
Il pensiero volò ad Albus.  Se c’era qualcuno in grado di spiegarle la natura di quell’intruglio senza farle troppe domande, quello era suo cugino Albus. Peccato che avevano deciso di ridurre la loro comunicazione a qualche grugnito nei corridoi e un cenno della mano non troppo palese durante i pasti, motivo per cui lei non ebbe potuto esprimersi sulla presenza di Kate Hastings al fianco del ragazzo quella sera.
D’altronde Johanna si era fatta accompagnare da James Potter. E lei da Alan Doyle.
E Malfoy da Dominique Weasley.
Con un delicato colpo del tacco spalancò il portone d’ingresso e si diresse in perfetta solitudine nei Sotterranei.
Vincent Nott, nuovo pupillo in Pozioni, avrebbe probabilmente fatto al caso suo. Certo, piuttosto che chiedergli un favore, avrebbe bussato in piena notte alla porta di Arrows in persona.
Una fiala, le serviva una fiala.
L’aula di Pozioni era aperta, ma metterci piede in piena notte le sembrò improvvisamente una pessima idea : troppi incubi si erano svolti tra le mura di quell’andito asettico e nauseabondo.
Un Lumus bisbigliato e il suo luogo degli orrori assunse forme più nitide. L’armadio dei materiali, quello che lei e Malfoy mandarono in fumo all’inizio dell’anno.
Troppa confusione per un armadio alto appena due metri. «Accio fiala vuota».
Pessima decisione : una piccola fiala di forma ideale si precipitò nella sua mano, ma altre tre della stessa misura le piovvero addosso, precipitando sul pavimento e infrangendosi in un boato che risuonò per tutti i Sotterranei.
Rose si ghiacciò sul posto, ma i minuti per pensare divennero secondi e dei passi in fondo al corridoio si muovevano frettolosi verso la sua direzione. Con una lucidità e una prontezza insospettabili si nascose nell’antro laterale coperto da una tenda, un colpo di bacchetta per aprire la finestra in corrispondenza della scena del crimine.
  «Cosa è stato?» la voce di Korbin Perkins era troppo recente per non risuonarle come un richiamo familiare.
La seconda voce non tardò a seguire, prevedibile e agghiacciante. «La finestra aperta ha fatto cadere qualcosa» disse Vincent Nott.
Poi un Reparo pronunciato con sicurezza.
  «Siamo sicuri che qui non ci sia nessuno?» sbottò Vincent improvvisamente irritato. «Guarda che io rischio una punizione ogni volta che ti faccio un favore».
Il tono di voce di Korbin si piegò in una supplica. «Sai bene che io rischio molto di più».
  «Siamo sicuri che non ci sia nessuno?» ripeté in un ringhio di ferocia che per la prima volta scompose la sua imperturbabilità.
  «Te lo assicuro» mormorò Perkins, cercando di tranquillizzarlo. «La professoressa McGranitt ha rispedito tutti nei Dormitori».
  «Dove dovrei essere anche io in questo momento».
  «Sei Prefetto, candidato Caposcuola, il ragazzo più brillante dell’istituito. Nessuno ti metterà in punizione perché non sei a letto il giorno del ballo».
Il sospiro profondo che colmò il silenzio fu percettibile anche dietro la tenda spessa e polverosa. Vincent parlò in una risata fredda. «Non posso credere di doverti sorbire anche ad Hogwarts».
  «E cosa intendi fare, abbandonarmi?» disse Perkins con serietà e una punta di panico.
  «Perché no?».
  «Perché sei l’unico in grado di aiutarmi. L’unico che mi rimane».
  «Non posso prepararti questa pozione per sempre».
  «Bene» tuonò l’altro. «Allora insegnami come si fa. Ma tu non lo vuoi fare, sai bene che ne va della mia vita e ti piace tenermi appeso ad un filo».
  «Ah sì?» sibilò Nott. «Chiedi a Madama Chips, ad Arrows» una pausa lieve in cui Rose immaginò un sorriso viscido increspargli il volto. «Alla McGranitt. Vediamo se ti permetterà di insegnare ancora nella sua scuola».
La risata amara di Korbin era carica di rammarico. «Arrivi a ricattare la tua famiglia?» disse, prendendo a camminare avanti e indietro. «Sai bene che nessuno mi permetterebbe di ricorrere alla magia per conservare questo aspetto, nessuno riterrebbe necessario valutare le mie esigenze. Qualcuno mi parlerebbe anche di illegalità» continuò tutto d’un fiato. «E tu preferisci tenermi sotto il tuo controllo, piuttosto che lasciarmi compiere in pace le mie scelte?».
  «La tua scelta l’hai fatta il giorno in cui mi hai chiesto questo, senza valutare che tutto ha un prezzo».
  «Ho creduto davvero che mi avresti aiutato».
  «Come potrei non farlo?» la voce di Nott si fece più sottile, quasi un sussurro e Rose dovette costringere il cuore che le martellava in petto a lasciarle il tempo di udire le ultime parole. Il ragazzo prese a camminare, con un incantesimo non verbale attirò a sé una fiala, la consegnò al professore e aggiunse. «Siamo una famiglia».







Francese. Filo conduttore. 








 

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Capitolo 14
*** Serendipity ***



 
Di quei tempi ero fatto per sprofondare, ad ogni parola che mi fosse detta, o mosca che vedessi volare,
in abissi di riflessioni e considerazioni che mi scavavano dentro e bucheravano giù per torto e su per traverso lo spirito,
come una tana di talpa;
senza che di fuori ne paresse nulla.





CAPITOLO XIV
 

Serendipity





Lily Potter sembrava completamente immersa nel Settimanale delle Streghe, ma fu disposta ad abbassare la rivista per lasciare emergere due occhi inquisitori.
  «So che sei smaniosa».
  «Adesso parlare di smania mi sembra esagerato» rispose Rose stizzita.
  «Ma vuoi sapere».
  «A puro scopo sociologico».
Lily alzò gli occhi al cielo. «Mi sfugge l’aspetto sociale».
Rose cercò sostegno in Johanna che si limitò a sbadigliare contro il finestrino.
  «Capire se devo sotterrarmi definitivamente o se è più utile sterminare tutto il sesto anno Serpeverde» spiegò pazientemente. «Cosa c’è di più sociale dell’organizzare il rapporto con i miei compagni di scuola preferiti?».
Il sussulto del treno represse la replica di Lily.
   «Bene» concesse, ma dal modo in cui si affrettò a recuperare un taccuino dalla borsa fu chiaro che non si sarebbe lasciata pregare a lungo. A Rose non parve difficile immaginarsela mentre si raddrizzava gli occhiali sul naso e si schiariva la voce con importanza. «La situazione non sembra essere ancora chiarissima. È abbastanza probabile che il pugno per James sia arrivato da Scorpius, ma non ci sentiamo di escludere un intervento di Dominique».
  «Non ci sentiamo, chi?» Rose guardò nuovamente Joahanna, sperando nella sua complicità ; questa la fissò attentamente e sbadigliò ancora al finestrino.
  «Io, Tess Rivers, Rachel Whein e due ragazze del quinto di Serpeverde» rispose Llily. «Ne abbiamo discusso a fondo e pensiamo che Dominique abbia voluto difendere l’onore dell’accompagnatore. Non per solidarietà, ovvio, più per contegno» aggiunse con gravità.
Rose, rinunciato definitivamente al contributo dell’amica, parlò al nulla «Sono completamente pazze» .
  «La Vipeera non scaglia pugni in pieno volto» Johanna rinvenne appena in tempo per bloccare con un salto il carrello dei dolciumi.
Lily sembrò essersi accorta solo in quel momento della sua presenza. «Tu cosa ci sai dire? Eri con James, cosa hai visto?» disse, girando la pagina e brandendo una piuma ad inchiostro spuntata dal nulla.
Joa si strinse nelle spalle. «Tuo fratello si è volatilizzato non appena Malfoy si è avvicinato troppo alla principessa» disse con un cenno rivolto verso Rose. «Sono arrivata giusto in tempo per trovare la Vipeera disperata al suo capezzale. Ne è valsa la pena solo per vederla in ginocchio» ridacchiò, addentando una Cioccorana.
  «Vero» gli occhi della piccola Lily si accesero di luce diabolica. «Dicono avesse i capelli tutti spettinati».
Rose si schiarì la voce e richiamò l’attenzione pazientemente.
  «Dunque, dicevamo». Lily voltò nuovamente pagina per abbandonare quella delusa dalla testimonianza di Johanna. «A quanto pare quasi tutte le ragazze della scuola convengono che l’occhio nero renda James ancora più sexy» sentenziò in una smorfia di disgusto.
Il grugnito dal fondo dello scompartimento avvertì che Johanna condivideva il suo diniego.
  «Molto affascinante» commentò Rose in modo laconico. «Quindi?».
  «Non lo so, per me era idiota prima, adesso è solo un idiota con l’occhio nero».
L’ennesimo mugolio di Joa, questa volta più vigoroso, era facilmente traducibile in un applauso di incoraggiamento.
Rose sollevò gli occhi al cielo. «Riusciremo ad andare oltre?» protestò.
  «Abbiamo ancora la sbronza di Bethany Hockins o la discussione furiosa tra Alan Doyle e Scorpius Mafloy». Lily proseguì con voce meccanica, sollevando gli occhi dal foglio per accertarsi che l’attenzione fosse ancora desta. «A te la scelta».
  «Tu che dici?».
  «Non so, credevo non fossi smaniosa».
 Rose accennò un sorriso acido. «Lily, muoviti».
  «Le pene d’amore ti rendono indisponente» commentò lei senza scomporsi, mentre Johanna annuiva vigorosamente.
  «Mi sto già pentendo di avertelo chiesto».
La ragazza la ignorò «Fammi un po’ vedere» borbottò lei mentre con gli occhi divorava le sue pagine. «Bene, quasi tutte le versioni concordano sul fatto che Doyle abbia insultato Mafloy» disse allegramente. «Tuttavia, sebbene molti sostengano che Alan abbia garantito di non aver fatto sesso con te, altri giurano di avergli sentito insultare Malfoy e poi rimproverarlo di non aver ancora fatto sesso con te».
  «Che cosa?!». All’esclamazione di Rose corrispose un incontrollato attacco di tosse di Johanna.
  «Sì, è terribile» convenne Lily, guardando le ragazze con profonda comprensione. «Due versioni completamente diverse, non riusciamo a venirne a capo».
  «Sono sconvolta in entrambi i casi».
  «C’è una buona notizia, però» declamò Lily. «Il pubblico femminile è dalla tua parte nonostante tu abbia deturpato il volto di uno dei ragazzi più belli della scuola. Ma lo schiaffo in pieno volto è stato apprezzato».
Rose la guardò perplessa. «Apprezzato? Pubblico femminile?» ripeté.
  «Beh sì» annuì Lily. «Lo schiaffo di questi tempi fa molto indipendente».
 Rose di passò una mano tra i capelli e pensò che le vacanze sembravano arrivare proprio al momento giusto.
 
 
Con un ultimo sforzo portò giù anche il baule di Lily, poi afferrò il cappotto nero lungo e lo conservò sul braccio. Aprì lo sportello dello scompartimento e diede un’occhiata fuori.
  «I Grifondoro sono quasi alle porte, la fila ormai scorre velocemente».
Johanna con uno sguardo fuori dal finestrino si accertò che la maggior parte degli studenti si fosse riversata oltre i binari e riempisse la stazione di abbracci nostalgici.
  «Sì, dai, andiamo».
Non appena aprì lo sportello un flusso ininterrotto di studenti fluì rapido verso l’uscita, ingombrando il corridoio come se una forte pressione lo stesse gettando via. Rose provò più volte ad immergersi nella corrente Grifondoro, ma questa le scorse davanti senza scampo.
  «Non è il momento di essere gentili» si lamentò Joa. «Devi buttarti o saremo le ultime ad scendere da questo maledetto treno».
Senza pensare troppo alle conseguenze dei malcapitati, Rose gettò il baule nel bel mezzo del corridoio, arrestando di colpo il flusso di studenti, e si fiondò con prepotenza tra loro.
  «Maledizione!» un latrato secco rimbalzò contro il baule di Rose. «Chi è l’idiota».
L’atto di protesta del malcapitato non rimase celato a lungo, e due mani afferrarono e spinsero con poca clemenza il baule di lato, eliminando ogni possibile barriera.
Quando il volto contratto di Scorpius Malfoy fu ben visibile, il cuore di Rose si schiantò contro il petto. L’ostilità abbandonò il volto del ragazzo e un’ombra di incertezza scese su di lui. Sembrava a disagio.
D’improvviso sembrò ricordarsi del trattamento sgarbato riservato al baule, lo rimise al suo posto con gentilezza, preoccupandosi che fosse il più stabile possibile, poi finalmente guardò la ragazza di fronte a sé.
  «Come va?».
Come va?
La mano di Rose finì sul baule e, con un movimento che le richiedesse il minor sforzo possibile, lo spinse. Nonostante il treno fosse fermo, il bagaglio pesante perse l’equilibrio e Malfoy fu costretto ad evitarlo con un balzo.
  «Direi male» disse tra i denti.
L’amico alle sue spalle gli precipitò addosso con un gemito, poi Albus Potter vide la cugina al di là del baule, in piedi, con una mano sul fianco, abbozzò un sorriso incerto e si portò la mano alla nuca, agitando i capelli in un gesto nervoso.
  «Ehilà».
Rose alzò gli occhi al cielo e valutò che un baule solo non sarebbe bastato a schiacciare tanta concentrazione di idiozia.
Finalmente il flusso riprese a scorrere e anche il baule di Joa riuscì a prendere spazio, portando con sé la proprietaria vittoriosa. L’entusiasmo si spense non appena la ragazza notò la nuova compagnia.
  «Credo che uscirò dal finestrino».
  «A pensarci prima!» tentò Albus con eccessivo trasporto.
Malfoy si portò la mano alla fronte con rassegnazione, mentre Joa lo guardava come se fosse uno Schipodo particolarmente disgustoso, intento ad infilzarsi con il proprio pungiglione.
In un gesto caritatevole Rose afferrò la ragazza e la costrinse a voltarsi. «Lascia stare, oggi in due non fanno un neurone».
  «Dolcezza, bisogno di aiuto?».
Davanti a loro, separato da Rose dalla presenza di Johanna, Alan Doyle le sorrideva nello stretto corridoio che li costringeva in fila indiana. Lanciò un rapido sguardo di intesa a Malfoy, che ricambiò con la stessa freddezza.
  «Fantastico» esclamò «Non manca proprio nessuno».
L’ultima cosa che avrebbe voluto dopo il Ballo era trovarsi in uno spazio claustrofobico chiusa tra Malfoy e Alan.
Lo sportello di fronte al proprio si aprì di scatto e una splendida Dominique emerse con un cipiglio curioso.
  «Rosie, esattamente perché stai urlando?».
E Dominique, naturalmente.
  «È uno scherzo» constatò Rose. A quel punto ritenne opportuno sporgersi per accertarsi che Vincent Nott non fosse nei paraggi.
Johanna era sconvolta e lanciò a Rose uno sguardo interrogativo di chi si chiede il perché di una tale punizione. «Certo che tu e il tempismo in sintonia perfetta» disse scuotendo la testa.
La piccola Lily decise di farsi coraggio e infilare il baule tra Johanna e Alan Doyle, poi si aggrappò a questo, quasi lo scavalcò e si inserì a suo modo nella fila. Con un sospiro affaticato palesò la propria presenza e si concentrò sull’ambiente angusto. Lanciò un urlo.
  «Non farlo mai più» la minacciò Joa, portandosi una mano a difendere l’orecchio pericolosamente vicino alla bocca della ragazza.
  «Che sta succedendo qui?» chiese allarmata. Un rapido sguardo le permise di constatare che gli elementi di quella fortunata combinazione erano invariati, fatta eccezione per un perdonabile scambio di fratello. «Vi state preparando per un’altra rissa?» si informò.
  «Tu prova solo a tirare fuori il tuo maledetto taccuino in questo spazio microscopico e giuro che lo faccio ingoiare a qualcuno» il tono intimidatorio di Joa ebbe l’effetto desiderato e Lily ripose la borsa.
Per tutta risposta Albus Potter si mosse agitato.
L’attesa sembrava eterna e la via d’uscita solo uno spiraglio lontano. I ragazzi, già vestiti di tutto punto per affrontare la temperatura esterna poco clemente, iniziarono a lamentarsi e a liberare qualche strato; qualcuno lanciava ingiurie contro le prime file; i Grifondoro del quinto anno presero ad intonare i cori da Quidditch con profondo disappunto di qualche Corvonero capitato lì per sbaglio.
Alle loro spalle l’impazienza si fece più prepotente e una spinta scatenò un effetto a catena che scombussolò il precario equilibrio tra studenti, bagagli e gufi starnazzanti. Proprio quando il flusso sembrò defluire con più celerità, Rose sentì il baule colpirle la schiena e il suo corpo precipitare verso il vuoto lasciato da Johanna.
Due mani che avrebbe riconosciuto tra mille la afferrarono per le spalle.
  «Non fa proprio per te» le sussurrò.
Un’altra fitta al petto. «Cosa?» disse, ma la voce non risultò irritata come nella sua testa.
Il fiato del ragazzo le solleticava l’orecchio. «L’equilibrio».
Rose si scostò, questa volta più a suo agio nel mostrarsi indispettita, e voltò leggermente la testa per poter guardare il nemico negli occhi. «Nessuno ti ha chiesto di aiutarmi».
Malfoy non sembrò intenzionato a lasciarla andare. «Vedo che nemmeno i ringraziamenti sono il tuo forte».
Era divertito. Rose aveva ceduto alla sua provocazione e in automatico lui si riteneva perdonato, credeva davvero che tutto fosse come prima.
«Cosa ti dà più fastidio? Il fatto che sia gentile con un’altra o che non faccia più lo stronzo con te?».
Era il loro modo di essere in sintonia, quell’ostilità provocatoria familiare come l’odore di cannella della Tana. Era un rifugio sicuro, la certezza che si sarebbero sempre cercati così, senza pretese o spiegazioni.
Era ciò che lui le aveva sottratto quando si era sentito ferito: la smorfia ironica, il tono canzonatorio, la caustica schiettezza, lo sguardo che la rincorreva.
Era l’arma sottile che le capitava tra le mani adesso che necessitava e desiderava punirlo. Non gli avrebbe tolto nulla, solo gli avrebbe fatto il candido dono dell’indifferenza.
Avvolse le dita intorno al suo polso con un gesto tecnico, quasi professionale, e lo gettò via. Sentì la sua fermezza presa alla sprovvista mentre anche la seconda spalla sfuggiva al suo tocco e lei si librava con una fluidità degna di Dominique.
  «Grazie» scandì con tono deciso, guardandolo dritto negli occhi e sperando di non trasmettergli nulla.
Malfoy impiegò qualche istante per capire che quella risposta non voleva intendere altro, era solo una parola asettica lasciata precipitare nel vuoto. L’aridità sembrò prosciugare anche il freddo che intorbidava i finestrini.
  «Riuscite a trovare un posto per me? Anche piccolo, non occupo molto spazio».
A mettere a dura prova i propositi di Rose intervenne la dea venefica. Dominique si lasciò scivolare tra Malfoy e Rose, in uno spazio che anche un fantasma avrebbe guardato con diffidenza. I corpi dei due ragazzi strusciavano l’uno contro l’altro ad ogni movimento, sotto lo sguardo confuso e preoccupato di lui.
Rose ebbe appena il tempo di avvertire che lui  la fissava, le braccia inermi distese lungo i fianchi in un gesto arrendevole. Poi si voltò disgustata.
 
 
Era esitante nel fiondarsi tra le braccia del padre come ogni anno, due volte l’anno da quando l’Espresso l’aveva portata ad Hogwarts. Non capì subito il perché, ma si sentiva in colpa.
Ron Weasley la avvolse senza notare differenza. L’onta del tradimento la pizzicò come la punta di un pungiglione.
Scorpius Malfoy le passò accanto mentre si dirigevano verso la macchina.
  «Weasley» si sentì chiamare.
Tutta la sua famiglia si voltò, compreso qualche zio e cugino nei paraggi. Malfoy sembrava tranquillo mentre aspettava che lei si fermasse.
Con le guance in fiamme Rose mosse qualche passo verso di lui, mentre avvertiva il cervello fondersi e scivolarle via dalle orecchie e insieme ad esso ogni sua capacità di prevedere ciò che sarebbe successo.
Sperò con tutto il cuore che Malfoy trovasse un pretesto sufficientemente dignitoso da poter presentare a tutta la brigata Weasley come prova inconfutabile della sua innocenza.
  «Spero che tu trascorra delle splendide vacanze».
E poi desiderò solo morire.
Si schiarì la gola a fatica  «Anche le tue? Spero» farfugliò e si sentì stupida.
  «Oh sì, le mie lo saranno. Non ho dubbi». La guardò più del necessario prima di decidersi a dileguarsi.
Quando tornò dalla propria famiglia, Rose dedicò un ultimo pensiero al treno, chiedendosi se fosse troppo tardi per decidere di trascorrere il Natale a Hogwarts.
Hermione Granger sembrava commossa. Rose sbirciò nella direzione del padre e lo trovò frastornato, il volto provato di chi ha appena assistito alla reincarnazione di Voldemort.
Come una maledizione, Scorpius Malfoy aveva appena marchiato a fuoco il destino delle sue prossime settimane.
 
 

 
- § -
 

 
 
Un ticchettio rapido proveniva dal piano di sotto.
Il rossetto deviò la traiettoria segnata dalla linea delle labbra. Un’imprecazione soffocata.
Il ticchettio era continuo e nervoso.
Avrebbe impiegato più tempo a ricordare un incantesimo per pulirsi il viso, che non ad immergere volgarmente un pezzo di carta sotto l’acqua e a strofinare forte. Olio di gomito, alla babbana, in poche parole.
Erano tacchi quelli che percuotevano freneticamente il pavimento.
Da quando Hermione Granger aveva iniziato ad indossare i tacchi? Doveva essere una tortura riservata solo a sua figlia Rose, la figlia che voleva femminile come lei non lo ora mai stata.
La voce stridula della madre che inveiva contro il padre fece da sottofondo a quella delicata operazione. Rassegnata, Rose, gettò il rossetto frettolosamente nel cassettino della trousse e si investì di profumo.
La borsa, le mancava la borsa.
  «Rose!». Hermione Granger riusciva a terrorizzare senza che il tono di voce si alterasse. «Ce ne stiamo andando».
Al diavolo la borsa. Afferrò quella nera da tutti i giorni e si precipitò giù dalle scale con i tacchi in mano.
A valle la dolce madre la attendeva con le braccia incrociate, il piede ancora frenetico nel suo décolleté nero e lo sguardo che non perdonava.
  «Rose» voce inclinata in tono rassegnato; Rose lo conosceva bene: nascondeva delusione, impazienza, biasimo. «Perché non hai messo il rossetto rosso? Sta così bene con i tuoi capelli».
  «Ma se nemmeno si vedono, me li hai fatti tutti legare» si lamentò lei tastandosi la lunga coda liscia che le sfiorava la schiena.
  «Sono così ordinati» sospirò la madre con talmente tanta commozione, che Rose non si sarebbe meravigliata di vederla in lacrime.
  «Hermione, è solo una cena». Ron Weasley guardava la figlia nel suo abito midi di taffetà nero e scuoteva la testa. «E non puoi conciarla sempre come se avesse 25 anni».
  «Ronald, non essere ridicolo» rispose semplicemente lei. «E ti pregherei di prestare un minimo di considerazione in più a questa cena, non mi sembra di chiederti molto. Sai quanto ci tengo».
  «Ma non mi dire».
Lei lo zittì con uno sguardo. «È la prima che organizzo in qualità di Ministro della Magia» disse e la voce le si incrinò appena per l’agitazione, la stessa che invece si tranquillizzava davanti ad una qualunque dichiarazione ufficiale. Il Ministero della Magia poteva essere un luogo molto meno minaccioso rispetto al covo delle ricche e facoltose mogli dei suoi Ministri.
Per Hermione Granger l’autorità era un dolce peso rispetto all’onere della popolarità.
  «Per l’amor del cielo, Rose,  vai a prendere la pochette rossa».
 Rose Weasley sollevò gli occhi al cielo con teatralità «Ma non avevamo fretta?».
  «Aspetteranno».
  «Aspetteranno, i Ministri?». Il marito la guardava preoccupato.
  «Priorità, caro»  dichiarò lei, facendo un cenno sbrigativo alla figlia.
 
 
Ennesima stretta di mano ad uno sconosciuto che dichiara di averla vista nascere e crescere. Con tutte le accezioni inquietanti che quella dichiarazione portava con sé.
Sorriso incastonato sul suo volto luminoso. Labbra color carne dal rossetto accennato, quel tanto che servisse a riempirle appena un po’. Il padre alle sue spalle, le mani poggiate per proteggerla, si occupava di liberarla da qualcosa di sconveniente che probabilmente avrebbe detto.
Donne imbellettate in ampi pellicciotti arruffati e in un attimo la sala si era trasformata in un covo di uccelli, corvi per la precisione: quei visi così diversi tra loro ma accomunati dall’unico stesso aspetto smunto, quasi divorato dalla vita.
Rose, Hugo e Ron sostavano lì, incapaci di compiere un passo, assaliti da tutti i nuovi arrivati, in una funzione di accoglienza familiare genuina e soprattutto spontanea. Hermione, più vincolata di loro, era già accerchiata da una decina di persone.
Le dita di Ron si strinsero più forti intorno alle spalle della figlia. Rose lo guardò confusa ma il padre sembrava non pensare a lei, gli occhi fissi su un gruppo di persone che aveva appena varcato l’ingresso e si prestava inevitabilmente a passare da loro.
Draco Malfoy sembrava desiderare ritrovarsi in qualunque posto che non fosse quello, a differenza di Astoria Greengrass in Malfoy, il cui sguardo perso nel vuoto e un sorriso ingenuo ad addolcire quei lineamenti affilati ricreavano l’immagine di chi non avesse minimamente idea di dove si trovasse.
Scorpius Malfoy chiudeva il triangolo con distinta eleganza.
  «Weasley». Una mano tesa, rigida.
  «Malfoy». Una stretta sicura, quella del padre.
Scorpius Malfoy era bello come lei lo aveva lasciato. Nel suo atteggiamento composto e nello sguardo algido che ora rivolgeva a Rose era ancora più bello. Un cenno della testa inaspettato era il saluto che aveva deciso di destinarle, poi un sorriso verso Hugo.
  «Ciao Scorpius!» esclamò lui con un entusiasmo che Rose trovò immediatamente inopportuno. Come lei, anche i due uomini, che ancora si guardavano in cagnesco, ebbero un sussulto di sgomento.
Astoria si aprì in un sorriso amorevole, guardando prima Hugo, poi Rose. «Buonasera, Ronald. I tuoi figli sono sempre più graziosi».
  «Grazie, Astoria». La risposta del padre era cortese; lo sguardo indugiò su Scorpius, ma Rose era abbastanza certa che non avrebbe ricambiato il complimento.
  «Lei è molto bella» disse Rose senza rendersene conto. Le parole le erano uscite dalla bocca senza che lei l’avesse deciso; sentì le guance prendere fuoco mentre Scorpius Malfoy guardava la madre con un’espressione ambigua. Sembrava rimprovero.
Astoria si illuminò. «Scorpius, non mi avevi detto che Rose fosse così gentile» disse con una gioia che avrebbe potuto condividere solo con Hugo. «E nemmeno così bella». Si voltò contraddetta verso il figlio, come chi mette in dubbio di avergli lasciato i giusti insegnamenti.
Il ragazzo lasciò volare altrove uno sguardo imbarazzato, mentre Draco Malfoy e Ron Weasley guardarono Astoria ora decisamente inorriditi.
  «Draco, Astoria» la voce squillante di Ginny Weasley li riscosse dalla situazione surreale nella quale stavano fatalmente sprofondando. Harry Potter la seguiva flemmatico, un filo invisibile sembrava trascinarlo verso la moglie.
Un abbraccio rapido circondò l’esile corpo della donna e una mano sul polso di Draco Malfoy fu il saluto più caloroso che un membro della sua famiglia ebbe mai rivolto a quella dinastia. Rose ammirava la zia Ginny.
  «Non so ancora come ringraziarti, Ginevra» disse Astoria mortificata.
  «Non dirlo neanche per scherzo».
  «È che con tutto quello che sta succedendo con mio padre e la famiglia di Draco … ».
Ginny poggiò una mano su quella tremante della donna. «Andrà tutto bene» mormorò, poi si illuminò. «E poi a noi fa sempre piacere avere Scorpius a casa. Non vedrai un Natale tranquillo, ragazzo».
No, aspettate tutti un attimo. Che cosa?
La bocca di Rose era ormai arida e l’urlo di sgomento le morì in gola. Il suo sguardo finì in un istante sul volto di Malfoy, che la fissava come sempre, come se volesse studiarla: un lampo di ilarità fulminò quegli occhi magnetici, gli angoli della bocca si sollevarono appena.
   «Lo spero, signora Potter».
 
 
Hermione Granger concluse il suo discorso con un sorriso e un battito di mani che imbandì i tavoli degli ospiti, poi tornò dalla sua famiglia e il volto smise quell’espressione artificiale.
  «Mamma, hai una bellissima voce».
  «Oh, grazie per questo giudizio, tesoro» disse lei, portando una mano sotto il mento del figlio. «Allora, cosa ne pensi?» aggiunse piegandosi verso il marito.
Ron Weasley, la testa immersa nel suo piatto, parlò a fatica. «Splendido, davvero».
Hermione annuì pensierosa. «Non lo so» mormorò. «Non hai notato qualcosa di strano?».
  «Non particolarmente» mugugnò lui, poi si allungò per riempire nuovamente il piatto ancora colmo.
  «Nell’aria, intendo».
Lui fece un gesto con la mano come a voler scacciare ogni preoccupazione. «Il profumo è buonissimo».
  «Profumo?». La voce di Hermione Granger si fece pericolosamente più acuta.
Ron Weasley, avvezzo a quel tipo di reazione, si decise a sollevare la testa dal piatto e la guardò perplesso.   «Non troppo forte comunque».
  «E tu come avresti fatto a sentirlo?».
La bocca del marito si aprì un paio di volte senza trovare una risposta che l’avrebbe salvato da qualsiasi situazione nella quale si era ficcato,e provò a cambiare strategia. «Perché, tu non lo senti?» tentò.
Hermione Granger sollevò il mento in aria. «No, non ne sono stregata come te, a quanto pare».
Rose sollevò gli occhi al cielo, iniziando a temere il peggio.
  «Ma se hai scelto tu l’Infuso di Radiogorda» si lamentò il marito, che aveva definitivamente abbandonato ogni tentativo di continuare il pasto.
Hermione lo guardò come se fosse completamente pazzo. «Di cosa stai parlando?».
  «Della cena» rispose lui, allargando le braccia. «Di cos’altro se no?».
  «Di Astoria Greengrass» mormorò, muovendo appena le labbra. «E di Draco Malfoy».
Ron guardò i figli perplesso, poi rivolse uno sguardo indignato alla moglie. «Perché? Stiamo mangiando».
  «Ronald!» uno schiaffetto sul braccio del marito contenne tutto il suo biasimo. «Per l’amor del cielo».
  «Non capisco perché tu debba scegliere gli argomenti peggiori sempre a cena» sbuffò lui.
La moglie decise di ignorarlo. «Con tutto quello che sta portando alla luce Daphne Greengrass, vedrai che avranno difficoltà a farsi vedere in pubblico, poverini».
  «Sinceramente non mi interessa» sentenziò lui. «Ognuno prima o poi deve fare i conti con il proprio passato».
  «Il passato del padre».
  «Non cambia molto».
  «Ron, cosa dici!» Hermione era allibita. «Astoria e Daphne non hanno colpa».
  «Colpa di cosa, mamma?».
Hermione Granger sembrava sorpresa nel sentire la voce della figlia interessata alle proprie parole. «Oh, beh, è una storia lunga, tesoro».
  «Friedric Greengrass era un Mangiamorte infame» tagliò corto il padre.
Hermione lo guardò con disappunto. «Grazie per il riassunto, Ron».
  «E nessuno lo sapeva?» aggiunse Hugo.
  «No, la canaglia ha lavorato per bene, ma la figlia sta cantando per lui».
  «La madre di Scorpius sta tradendo suo padre?». Rose guardò la donna dai modi gentili accarezzare la testa del figlio e scosse la testa incredula.
  «Daphne, non Astoria» rispose secco Ron. «E poi, la madre di chi? Cos’è questo tono confidenziale?».
Rose sentì le guance perdere fuoco e maledì i capelli legati che le lasciavano scoperte anche le orecchie. «Non era confidenziale» mormorò, improvvisamente attratta dal contenuto del suo piatto.
Sapeva che il padre la stava fissando.
  «E allora perché ti interessa?».
  «Papà». Rose alzò gli occhi al cielo.
  «Sei diventata amica di Malfoy junior?» sputò di colpo, inciampando goffamente nelle sue parole.
Ora Rose era certa che anche le orecchie avessero preso fuoco. «Certo che no» rispose indignata da quella insinuazione. Eppure era stato Hugo a salutarlo amorevolmente poco prima.
Il padre guardò la moglie in cerca di sostegno. «È diventata rossa. Perché è diventata rossa?».
  «Per l’amor del cielo, Ronald» fece lei con un’occhiataccia. «Lasciala stare».
Come ogni volta le discussioni si concludevano con l’ultima parola perentoria di Hermione e un borbottio risentito da parte di Ron a fare da sottofondo per i restanti minuti.
Per la prima volta, tuttavia, Rose si trovò con il cuore colmo di gratitudine nei confronti della madre.
L’arco di ingresso si aprì nuovamente e questa volta ad oltrepassarlo fu un volto fin troppo noto a Rose. La sorpresa di vedere Vincent Nott fuori dal Castello e nella vita di tutti i giorni fu pari solo alla soddisfazione che ebbe nel dare fattezze ai due demoni che avevano messo al mondo il suo incubo peggiore.
Adam e Alyssia Nott avanzavano verso il loro tavolo, trascinati da un’alterigia che la spaventò. L’imponenza dell’uomo si conciliava con l’aspetto burbero, affascinante, mentre la donna rivolgeva all’intera sala un’espressione arcigna. Se le presenti le erano sembrate anime spente e segnate dall’aridità, quella donna portava su di sé tracce della sua ascesa dagli inferi.
  «Adam, che bello vederti». Hermione Granger non ci pensò due volte ad accogliere in un affettuoso abbraccio l’uomo. «Temevo non ce l’avresti fatta».
Mentre il padre stringeva la mano ai nuovi arrivati, Rose notò con sgradevole pressione che tutti i presenti sembravano trovare quella scena particolarmente interessante. A giudicare dai loro volti, tuttavia, l’interesse poteva essere facilmente interpretato come disappunto.
  «Rose, come stai?». Vincent Nott le si era avvicinato educatamente.
  «A meraviglia» rispose lei gelida.
Lui si apprestò alla sedia vuota al suo fianco e la spostò, per poi sedersi.
  «Che stai facendo?».
  «Mi accomodo, come gentilmente ci ha invitato a fare tua madre» disse, mentre anche gli austeri genitori prendevano posto. «Che onore sedere al tavolo del Ministro in persona».
  «Infatti mi chiedo voi cosa ci facciate qui».
  «Impara a tenere a freno la lingua, Rose, o potresti risultare maleducata» commentò lui con noia.
  «Correrò il rischio. Mi chiedo se, tu, piuttosto presti mai attenzione a quello che pensa la gente di te».
Questa volta il ragazzo sorrise. «Parli di te, ovviamente» completò. «Le persone mi adorano e sai perché? Perché io so come comportarmi nelle diverse situazioni. Impara anche tu, è un consiglio».
  «A mentire, ingannare e manipolare?».
Gli occhi gelidi indugiarono su di lei «Non hai ancora capito qual è il tuo posto?» sentenziò e Rose deglutì a fatica.
  «Vuoi dirmelo tu?».
  «Fuori dalle mie questioni» sibilò lentamente, mentre il ghiaccio prendeva fuoco.
  «È quello che faccio. Per quanto mi riguarda tu e Candice potete vivere felici e contenti».
Vincent Nott guardava di fronte a sé, piegò le labbra in quello che probabilmente lui riteneva un sorriso ma che ricordava più l’espressione riluttante della madre. «Candice» mormorò. «Pensi che sia stupido, Weasley?» aggiunse in un sussurro appena più udibile.
Rose si irrigidì. «Affatto».
  «Pensi che seguirmi nei Sotterranei, nei depositi di Arrows e interrogare la mia Avanguardia sia stare lontano dalle mie questioni?» disse, chiudendo le dita della mano in un pugno ben disteso sul tavolo.
Hermione assorta nella conversazione con Adam Nott, stringeva la mano di Ron che pazientemente sospendeva la sua cena. Attorno a loro il brusio si era trasformato in un vociare alto per rincorrere la musica da accompagnamento.
In quell’atmosfera rilassata e decisamente più informe, Rose ebbe un tremito di paura. Si dipinse un sorriso teso sul volto e lasciò muovere le labbra freneticamente, premurandosi di non incontrare quegli occhi mortiferi. «Sono davvero mortificata, non vorrei mai che la mia invadenza scombussolasse qualche altra pedina del tuo sporco gioco » disse. Afferrò il tovagliolo e lo passò sulla bocca, poi si piegò verso di lui. «Se pensi che finora non sia stata al mio posto, non hai visto niente» concluse.
  «Scusatemi, vado alla ricerca di un bagno».
Percorse a grandi falcate l’intera sala, prima di sparire nel primo corridoio a destra e seguire le indicazioni. La toilette poteva essere scambiata per la sala d’attesa di una boutique di lusso, e fu una fortuna poiché Rose aveva intenzione di trascorrerci il resto della serata.
Qualsiasi cosa piuttosto che un altro minuto a quel tavolo.
Si inumidì le mani e poi le labbra e lasciò scorrere le gocce fino al collo, mentre lo specchio le restituiva l’immagine del suo petto scosso dall’agitazione.
Infallibile anche nelle amicizie, Hermione.
Le sembrava un incubo: quel ragazzo, quella famiglia. Erano ovunque. Si infiltravano nella propria vita senza che lei si rendesse conto di nulla. Forse erano sempre stati lì, al fianco della madre, tanto impegnata sul lavoro, così tanto che Rose non vi aveva mai prestato attenzione.
E tra tutti i colleghi, proprio lui …
  «Adam Nott» sentì dire distintamente. «Con Mme Alyssia».
  «Non ci credo».
  «Li ho visti entrare in Sala, personalmente».
  «Seduti al tavolo con niente di meno che il Ministro della Magia» si aggiunse una terza voce.
Rose sollevò lo sguardo sulla specchiera e individuò le tre donne impegnate nella conversazione. La pelliccia di kneazle maculato copriva le spalle esili della donna ossuta che monitorava la sua piega nello specchio.
  «Hermione Granger dovrà lavorare parecchio questa volta».
Rose aprì il rossetto rosso che la madre l’aveva costretta ad infilare nella borsa e finse di concentrarsi sulle proprie labbra.
  «Non credete che voglia far tornare i Nott al Ministero?».
  «Ci è riuscita con i Greengrass».
  «Alyssia dovrebbe imparare qualcosa da Daphne» disse la donna ossuta, pizzicandosi le guance aride «Un nome infangato è peggio di qualunque cella di Azkaban».
  «Voi credete» proseguì una voce esitante. «Che anche i Nott fossero coinvolti con Voi-Sapete-Chi?».
La donna ossuta fu costretta ad interrompere l’impegnativa attività di contemplazione di sé per rivolgerle dallo specchio un’espressione esasperata. «Cosa vuoi che ne sappia, Augusta» si lamentò. «Pensi che faccia differenza, ormai? I Nott sono spariti dalla scena per anni, e adesso ritornano con la solita prepotenza, pensando che tutto sia loro dovuto».
  «Parli della tragedia» proseguì Augusta.
L’altra sollevò semplicemente le spalle. «Tragedia» sibilò. «Io direi più scandalo».
  «Cosa c’è di scandaloso in un lutto?».
  «Non era nemmeno loro figlio».
La terza donna si intromise «Non farti sentire da Alyssia» ridacchiò. «Isidore Davis era tutto per lei».
Il rossetto scivolò dalle mani di Rose, atterrando sul lavello con un lungo segno rosso sangue. Con mani tremanti si affrettò a recuperarlo.
La donna ossuta scoccò la lingua «Vorrei fosse stato tutto per me».
L’altra scoppio a ridere mentre Augusta la guardò sconvolta. «Era solo un ragazzo».
  «Maggiorenne, quando ci fu l’incidente» precisò. «E rilassati Augusta, dico solo che i Nott erano ossessionati da quel ragazzo. Poi lui sparisce dalla scena per cause misteriose e viene fuori che è morto, mentre la regina di ghiaccio è stata in isolamento, per quanto tempo?».
  «Troppo» informò la terza donna.
  «Al Ministero potranno anche bersi questa storia e reintegrare Adam, ma Mme Nott non si aspetti lo stesso trattamento da noi» concluse, compiacendosi del sorriso che le sue labbra le restituivano dallo specchio. «Non vorrei essere in lei».
  «Che disonore, non so come Adam possa ancora esibirla in giro» fu la terza donna questa volta a mirarsi nello specchio, mentre la figura di Augusta rimaneva celata, chiusa dalle aguzze spalle delle due sanguisughe. «Non è nemmeno più così bella».
  «Non lo è mai stata».
La donna ossuta non dovette aver apprezzato l’intromissione di quel riflesso accanto al proprio, né il commento che ne era seguito. Afferrò la propria borsa e girò i tacchi senza dire una parola, mentre l’altra si affrettò a seguirla.
La specchiera non era più affollata,  in quel momento mostrava solamente il volto perplesso di Rose e quello finalmente visibile di Augusta.
  «È l’età o il lavoro a renderle così?» disse Rose, lasciando scorrere meticolosamente le mani sotto l’acqua.
Augusta sobbalzò e sembrò vedere la ragazza per la prima volta, poi sorrise mestamente. «Hai genitori al Ministero, immagino».
Non l’aveva riconosciuta. «Direi di sì».
  «Non ti preoccupare, non è per forza una condanna».
  «Per fortuna, anche perché mia madre è amica di Alyssia Nott. Spero non condivida la loro stessa opinione».
La donna sembrò davvero mortificata. «Non devi ascoltarle. Io non credo ad una sola parola di quello che si dice».
  «Il suo legame con Isidore Davis?».
  «Sciocchezze. Tutte sciocchezze». Fece un gesto con la mano come a voler scacciare i brutti pensieri dalla testa di un bambino prima di metterlo a letto. «Ci possono essere mille motivi per cui Alyssia e Adam abbiano preso con sé il ragazzo dopo la morte dei genitori».
  «Isidore era orfano?».
  «Oh sì, i Nott erano distrutti dopo la morte dei loro più cari amici, ma lui era già grande, già maggiorenne» spiegò in un sorriso commosso.
  «Quindi non era necessario che i Nott lo prendessero in affidamento. Il loro è stato un puro gesto di generosità?» chiese scettica.
  «Beh, immagino di sì» rispose in una smorfia. L’idea del re e della regina di ghiaccio divulgatori di esempi di altruismo non doveva convincere neanche la povera donna e i suoi tentativi di dare un lieto fine a quella favola sbagliata. «Dubito che Adam avrebbe accolto l’amante della moglie in casa propria per tenere sotto controllo la situazione e non far diffondere voci» rise nervosa.
Ed era proprio quello che Adam Nott sarebbe stato capace di fare, ma Rose ritenne misericordioso placare i nervi di quella debole e ingenua creatura. «Certo che no. Chi potrebbe mai pensare una cosa del genere?».
Le riservò un sorriso colmo della più sincera gratitudine e sperò di lasciarla tornare serena alla sua esistenza priva di interrogativi, fluttuante nella lasciva malizia altrui.
Si precipitò fuori dal bagno con le voci melliflue che le sussurravano congetture e un desiderio sempre più imperante di sedersi al tavolo e sbandierare un sorriso minaccioso all’intero branco di lupi assetati, portante il sigillo Nott.
Tuttavia una sensazione le avvolse le gambe e la fece muovere.
Quella magia la lasciò andare solamente quando si ritrovò in una stanza dalla profondità indefinita, dove il calore dell’ambiente le ricordò subito un rifugio montano; imponenti abeti innevati facevano da cornice ad uno rigagnolo di acqua termale, mentre lo scroscio della cascata era una melodia di accompagnamento.
   «Bella visione» una voce arrivò alle sue spalle. Quella voce. «A proposito di incantesimi, chi ti ha addomesticato la belva feroce?» disse, mimando i capelli della ragazza.
Scorpius Malfoy sedeva sull’imperiale poltrona in velluto verde, contornata da una cornice di foglie dorate e sinuose in perfetto stile vittoriano. La vista di cui si stava beando era l’immensa distesa di acqua torrenziale bollente, mentre un incantesimo simulava il tenue discendere della neve.
Così composto e magniloquente, nessuno avrebbe mai potuto dubitare che fosse un Malfoy. Forse per questo Rose ebbe saldi nella mente tutti i motivi per cui aveva deciso di odiarlo, mentre gli andava incontro come una furia.
  «Dov’è mio cugino?».
  «Pensi di aggiungere qualche altra informazione o passiamo al vaglio tutto l’albero genealogico?».
  «Quello che ti porta sempre in giro come un animale da compagnia».
Il ragazzo fece una smorfia. «In giro».
  «Ovviamente» lei restituì la smorfia.
Perché aveva la capacità di essere così irritante con sole tre sillabe?
Calma, ce la puoi fare.
  «Avrei bisogno di conferire con entrambi».
  «Conferire?» Il ragazzo sollevò un sopracciglio. «E cosa posso fare per Sua Maestà?».
Andarti a schiantare contro un treno in corsa.
Rose si trattenne dall’incrociare le braccia al petto e rifilargli un’espressione di puro e candido istinto omicida.
  «Smetterla di non fare assolutamente nulla su quella poltrona potrebbe essere un inizio».
  «Mi godo il suono della cascata» disse e chiuse gli occhi in un’espressione adorabile.
Irritante, molto irritante.
  «Perché?».
  «Libera la mente dai pensieri».
Presuppone che tu ce li abbia, i pensieri, razza di egoista superficiale.
   «Immagina cosa riuscirebbe a liberare un bel bagno bollente» disse lei, mordendosi subito la lingua.
Indifferenza, Rose. Ti è indifferente.
Malfoy aprì uno degli occhi per studiarla incuriosito. «Mi stai facendo una proposta indecente, Weasley?».
  «Sì, di affogarti, Malfoy» sbottò prima di avere il tempo di riflettere.
Dannazione.
Con sua profonda irritazione il ragazzo sorrise. O meglio storse la bocca in uno di quei ghigni compiaciuti o divertiti o ispirati dal diavolo.
  «Non ce la fai proprio» disse, poggiando la testa allo schienale, dando alla cornice dorata la possibilità di adagiarsi perfettamente sulla sua testa come fosse una corona.
E quando sfoggiava quell’aria di sfacciata superiorità, lei iniziava a cedere. Sapeva di non dovergli dare soddisfazione.
Sapeva di odiarlo come mai prima.
Sapeva di desiderarlo come mai prima. Di desiderare i suoi sguardi arroganti, le sue parole affilate, le sue intenzioni sfuggenti. Quelle che non capiva mai.
  «A fare cosa?» chiese con distacco.
  «Quello che ti stai così ammirevolmente sforzando di fare» spiegò. «Ignorarmi».
Questa volta dovette trattenere le braccia dall’impulso di prenderlo a pugni.
  «Io, sforzarmi?» disse in una risata. «Agire in funzione tua?» continuò al culmine dell’ilarità.
Già, è proprio così.
 «Questo dovrebbe presupporre che mi importi qualcosa di te» concluse.
Il ragazzo si decise ad aprire entrambi gli occhi, forse perché l’intensità del suo sguardo era troppo prepotente da poter essere celata. «Sei ancora nella fase della negazione?».
  «Ti sopravvaluti, Malfoy».
  «Che vuoi farci, mi hai abituato così» rispose tranquillamente, tornando alla posa rilassata.
Come poteva una sola persona accogliere tutta quella arroganza?
  «Evidentemente è così» rispose semplicemente lei.
Il ragazzo aprì pigramente gli occhi, ma il suo sguardo era curioso. «Fai sul serio?».
Il cuore di Rose prese a martellarle nel petto. «Magari c’è stato un momento in cui ti ho sopravvalutato» disse, mentre l’ilarità lasciava posto a un’espressione seria sul volto di Malfoy. «Per fortuna mi hai subito ricordato che sei uno stronzo irrecuperabile».
Aveva dimenticato quanto fosse piacevole schiaffeggiare Malfoy in pieno viso senza ricorrere alle mani. La delusione sul suo volto fu un delicato ristoro dopo giorni in cui la sua umiliazione le aveva fatto male. Poteva ritenersi quasi soddisfatta. Quasi.
Quando il ragazzo si alzò dalla poltrona per andarle incontro, Rose capì che il colpo aveva affondato.
  «Neanche tu ci sei andata tanto leggera» pronunciò con voce incerta.
Scorpius Malfoy a capo chino?
Più fulgida di qualunque vittoria di Quidditch, la bandiera bianca di Scorpius Malfoy era pigra e stentata, ma sventolava davanti ai suoi occhi.
  «Tanto perché sia chiaro» precisò lei, sollevando una mano per aria e intimandogli di non provare nemmeno ad avvicinarsi più del dovuto. «Ti rivolgo la parola solo perché devo conferire con te e con quell’altro idiota di mio cugino che inizia ad assomigliarti in modo preoccupante. Per il resto, qualsiasi cosa ci sia mai stata tra noi, finisce qua».
Pronunciò le ultime parole con un tremito che non si aspettava. Lui la guardava con durezza e per un attimo Rose sperò che decidesse di non crederle.
Ciò che la sorprese, tuttavia, fu l’espressione interrogativa con cui il ragazzo riprese il controllo di sé.
   «E cosa c’è stato tra noi, esattamente?».
Ma fai sul serio?.
Parlarne, per la prima volta a quella distanza, con il suono della cascata che si infrangeva sulla superficie d’acqua e fiocchi di neve che danzavano intorno, senza che ci fosse il profumo di Malfoy o il suo tocco esperto ad indebolirle le difese, fu la cosa più imbarazzante che avesse mai fatto.
D’improvviso le sembrò tutto così stupido. La speranza di essere diventata per lui qualcosa di unico, forse indefinibile, ma inevitabile come una dipendenza, si sgretolò nelle profondità delle sue paure.
Un gioco e nient’altro.
Rose si avvicinò al bordo della vasca e finse di essere interessata al ribollire dell’acqua.
  «Collaborazione, immagino».
Lui annuì pensieroso. «Quindi possiamo tornare a insultarci nei corridoi come abbiamo sempre fatto? O a schiantarci, se preferisci?».
Ti posso schiantare anche adesso, se tanto ne senti la mancanza.
  «Ah, perché, avevi smesso di farlo?»
Lui sorrise divertito «Decisamente».
  «La prossima volta avvertimi magari, così faccio finta di accorgermene».
  «Dovresti essere più attenta».
Rose lo incenerì con gli occhi. «Perdonami, mi sarò distratta l’ultima volta, non so se ti ricordi quando mi hai dato della troia».
  «Colpevole»  Scorpius Malfoy le si avvicinò con sguardo languido, le mani nelle tasche dei pantaloni. «Mi stai mettendo il broncio, Rose?».
  «Sei un idiota» disse con un colpo sul suo petto.
  «Un idiota dispiaciuto?» aggiunse in un sorriso.
Rose rimase senza parole. Un incantesimo Confundus sarebbe stato meno destabilizzante di quel ragazzo.
  «Mi stai chiedendo scusa, Malfoy?».
Lui sollevò gli occhi al cielo. «Solo se non me lo fai ripetere».
Era davvero più di quello che potesse immaginare. Soddisfatta? Quasi.
  «Mi stai davvero chiedendo scusa, Malfoy?».
  «Weasley, davvero non tirare la corda».
Lei trattenne un sorriso al suono del suo cognome pronunciato con tono irritato.
Familiare come il camino in Sala Comune.
  «Volevo solo esserne certa» disse lei. I tacchi risuonavano a bordo vasca mentre si avvicinava al ragazzo. Finalmente poteva guardarlo dalla stessa altezza. «Sai, hai molto di cui farti perdonare» sussurrò.
Scorpius Malfoy sembrò aver perso la solita padronanza; lasciò che lei gli girasse attorno come un felino, incuriosito da quella inaspettata svolta. «Hai anche tu le tue colpe».
Rose gli si fermò davanti. «La storia di Alan, certo» disse a voce bassa, guardandolo storcere il naso. «Superato il lutto?».
  «Non fare troppo la simpatica. Sai bene che non reggi le conseguenze».
  «Non ti stavi facendo perdonare?». Rose si concesse un attimo di giubilo nel vederlo sorpreso quando lei gli afferrò la cravatta e iniziò a passarsela lentamente tra le dita.
Avvertì gocce di acqua schizzarle le gambe nude.
  «In realtà avevo qualcosa di diverso in mente per farmi perdonare» le sussurrò Malfoy all’orecchio.
Rose sbatté gli occhi un paio di volte, poi restituì al ragazzo lo stesso tono languido. «Anche io».
Una spinta appena più forte del necessario, giusto per essere sicura, e Scorpius Malfoy precipitò nelle acque termali.
Riemerse dopo pochi istanti, si scostò i capelli fradici dal viso, mentre l’abito nero gli aderiva su tutto il corpo. Sul volto un’espressione furiosa.
  «Questa me la paghi» ringhiò a denti stretti.
  «Che fai, Scorpius, mi metti il broncio?» disse Rose, non riuscendo a trattenere le risate.
Adesso poteva ritenersi soddisfatta.
Il ragazzo nuotò con fatica fino al recinto in pietra dove il tacco di Rose batteva frenetico, lo sguardo torvo sostituito da un’espressione concentrata.
  «Hai finito di gongolare. Ti conviene sparire prima che esca da qui» grugnì.
Contorse il viso in una smorfia di dolore nel tentativo di sfilarsi la giacca e poggiarla sulla roccia.
  «Non ci penso nemmeno. La vista da qua su è impagabile» disse in un ghigno. «Ci stai prendendo gusto, Malfoy?» aggiunse, notando che il ragazzo non sembrava intenzionato ad uscire dalla vasca.
Malfoy la guardò truce. «Credo di essermi slogato il polso e non riesco a darmi la spinta per sollevarmi. Non scherzo quando dico che non ti conviene rimanere per vedermi uscire».
Non poteva credere che dopo tutto riuscisse anche a fare la parte del martire. Per un attimo si sentì in colpa e pensò di non infierire ulteriormente, lasciandolo lì da solo come aveva richiesto.
Quando comprese di provare dispiacere per Scorpius Malfoy, era già inginocchiata e gli tendeva una mano.
  «Che stai facendo?».
  «Ti do una mano, ma faremo finta che non sia mai accaduto».
Il ragazzo la guardò incerto se fidarsi o meno. Afferrò la mano di Rose, se la lasciò scorrere tra le dita e si aggrappò al braccio con entrambe le mani.
Rose riuscì a lanciare solo un urlo prima di precipitare in acqua.
  «Giuro che questa volta ti uccido».
Il getto caldo la cullò verso il centro dell’immensa piscina, ma la ragazza non lasciò la presa di Malfoy e lo trascinò con sé verso la sponda opposta. Individuò il punto in cui la cascata incontrava la distesa piatta e riemerse giusto in tempo per lasciare che questa colpisse in pieno volto il ragazzo.
  «Dove pensi di andare?».
Scorpius Malfoy la afferrò da dietro e la portò con sé sotto il getto violento e rilassante, a tal punto che Rose pensò bene di dimenarsi il minimo indispensabile per non dargliela vinta.
  «Come va il tuo polso?» disse, poggiando le mani sulle sue spalle e spingendo con forza fino a farlo sprofondare sott’acqua.
Il ragazzo riemerse ridendo. «A meraviglia».
Cercò di afferrarle le gambe, ma Rose si divincolò in un attimo e si immerse per sfuggire alla sua presa. Fu sotto la superficie dell’acqua che lui la bloccò per le cosce e la riportò su, sollevandola sulla propria spalla tra gli strilli di protesta della ragazza.
  «Sei davvero così ingenua?» affermò per poi rigettarla in acqua.
Dopo diversi secondi Rose riemerse alle sue spalle e si aggrappò ad esse. «Tu che dici?».
Lo sentì irrigidirsi sotto il suo peso, mentre le afferrava le gambe e se le posizionava intorno alla vita.
L’acqua era fin troppo calda e i vestiti opprimenti, ma Rose sperò che quel momento non finisse mai.
Poi lui sciolse bruscamente la stretta delle mani di Rose intorno al proprio collo.
   «Scorpius?» arrivò una voce lontana.
Il ragazzo scivolò via dalle gambe di Rose, mentre il padre si allontanava da un gruppo di uomini per andargli incontro sgomento.
  «Che diavolo stai facendo? Esci immediatamente da lì prima che arrivi qualcuno» disse inferocito. «Uscite tutti e due, tu e la tua amica» aggiunse a fatica.
Malfoy impallidì nonostante i vapori della piscina.
Con un balzo fu accanto al padre, poi tese una mano alla ragazza e l’aiutò a tirarsi su.
Draco Malfoy si guardò intorno.  «Ti sembra il momento?» borbottò. Continuava ad alternare lo sguardo dal figlio a Rose Weasley, non riuscendo a celare una smorfia di disappunto.
Finalmente dal gruppo di persone che aveva abbandonato Draco Malfoy emerse anche un incredulo Ron Weasley, seguito a ruota da Hermione Granger e George Weasley.
  «Rose!» disse in un lamento, sperando che la ragazza non rispondesse al suo richiamo. «R-rose» farfugliò quando ogni dubbio sull’identità della figlia fu svanito.
  «Avevate voglia di rinfrescarvi un po’, ragazzi?» commentò George comprensivo.
La madre si portò le mani alla bocca, probabilmente pensando a tutto il lavoro impiegato per portare i capelli della ragazza ad un aspetto consono.
Ronald Weasley strinse la figlia fradicia in un tragico abbraccio, come se avesse rischiato di non vederla mai più. «Che cosa ti ha fatto?».
  «Niente papà».
  «Come niente? Guarda come ti ha ridotta?».
Draco Malfoy si schiarì la gola. «Se permetti, Weasley, chi dice che sia stato mio figlio?».
  «Non so, Malfoy, sarà l’intuito» grugnì lui.
  «Papà». Rose poggiò una mano sul braccio del padre e parlò nel più totale imbarazzo. «Ho spinto io Scorpius in acqua».
Un fremito scosse Ron al suono di quel nome pronunciato dall’innocente voce della sua bambina, ma l’uomo sembrò riprendersi quando valutò il nobile gesto compiuto dalla figlia. «Oh, tesoro, mi rendi così fiero».
  «Ronald» tuonò Hermione indignata. «Ti rendi conto di quello che ha fatto tua figlia?».
  «Hai ragione, cara» l’uomo sembrava averci riflettuto su. «Ti sei buttata in acqua con lui?» disse deluso, scuotendo la testa.
  «Per l’amor del cielo» si lamentò Hermione.
  «No, signor Weasley» Scorpius arrestò ogni sua possibile replica. «L’ho trascinata io con me».
L’ha detto sul serio?
Draco Malfoy gli poggiò una mano sulla spalla in segno di approvazione, ma sembrava ancora indeciso se le parole del figlio significassero qualcosa di buono.
Ron Weasley, più rapido nella sua valutazione, era già diventato paonazzo.
  «Pessima scelta di parole, ragazzo» commentò George.
  «Direi che possiamo fermarci qua» Hermione Granger si reggeva la fronte tra le mani. «Ora troviamo qualcosa da farvi mettere, nel frattempo andate ad asciugarvi».
Tra la folla di presenti che accerchiava i due ragazzi, cercò di farsi strada Albus Potter.
  «Rose, Scorpius, finalmente vi ho trovati» esclamò sorridendo. Indugiò sul loro aspetto poco presentabile e poi aggiunse «Avete fatto pace, vedo».
Il grugnito di Ronald Weasley fu perfettamente coordinato al mugolio stizzito di Draco Malfoy.
  «Che lunga giornata» sospirò Hermione.
 
 

 
- § -
 
 
 
Si chiuse la porta leggera alle spalle. Era l’ultima ad entrare in casa. L’aria familiare che si aspettava di incontrare dopo quella giornata pesante aveva un odore sgradevole, di chiuso e deodorante stagnante.
Pensò al profumo nella terme con Malfoy.
Possibile che si sentisse più al sicuro con lui? Colpevole con lui e da lui solo compresa?
Si tolse le scarpe all’ingresso come le ordinava di fare sempre sua madre. Il dolore ai piedi si risvegliò solo in quel momento in cui lei aveva concesso loro di respirare.
Come un gatto silenzioso nella sua consapevolezza, suo fratello Hugo era in piedi, eretto e rigido, e guardava i familiari attentamente. Sembrava aspettare il momento giusto per leccarsi la zampa con fare saccente e voltare le spalle alla prevedibilità di tutti.
Il tintinnio delle chiavi che il padre ripose bruscamente nella cassetta era assordante. Rose sperò che la smettesse subito.
   «Papà, mi dispiace per oggi».
Non aveva pensato che la persona con cui mostrarsi mortificata sarebbe stata suo padre, fino a quel momento. Hermione Granger, la cui sfuriata era prevedibile quanto il sorgere del sole al mattino e il suo tramontare a sera, non si scompose. Piuttosto la madre aveva occhi tristi e quel tremito della bocca di quando freme dal bisogno di dire la propria, ma non è ancora certa di aver trovato il modo giusto per farlo.
  «Lascia stare, Rose».
Era un po’ la frase che lui le rifilava di solito per tranquillizzarla dopo le discussioni con la madre, ma questa volta sembrava deluso e bisognoso che tutti lo notassero.
Lo trovò ingiustamente eccessivo.
Volò in camera propria, premurandosi di non sbattere la porta e di non esplodere in isteriche scenate adolescenziali. Sarebbe stato davvero umiliante.
Pertanto, dallo spiraglio lasciato aperto per ovvia decisione strategica, spuntò la testa rossissima di Hugo.
  «Non ho mai visto papà avercela tanto con te».
  «Fuori dalla mia camera» urlò. Lo odiava perché lui non sbagliava mai. Nel suo essere fuori dal mondo sapeva starci dentro meglio di chiunque altro.
  «A quanto pare il sentimento è reciproco» analizzò, seguendo le istruzioni della sorella, senza però sembrare turbato.
Il cuscino che Rose scaraventò all’aria, rimbalzò sulla porta ormai chiusa.
Lasciò che il vestito recuperato da sua madre le scivolasse lungo il corpo. Non vedeva l’ora di toglierselo, non le piaceva come scendeva su di lei, carico di vergogna e di cose sbagliate. Odorava di asettico pulito e non aveva tracce delle dita di Scorpius Malfoy.
Si coprì il volto con le mani, dandosi piccoli schiaffi sulla fronte, ma il suo volto era ancora lì.
Il getto di acqua calda la tranquillizzò. Poi le ricordò il calore dei vapori di quella sera impregnare la camicia di Scorpius e spingerla contro il suo petto sicuro; i capelli biondi ricadere sul volto imbronciato;  gocce d’acqua accarezzare i suoi lineamenti, seguire il profilo del naso, lambire le labbra sottili.
Avvertì pressione sulle cosce, lì dove lui l’aveva afferrata per lasciarsi imprigionare dalle sue gambe. Per avere la possibilità di toccarla.
Che cosa era successo?
Era tutto così confuso, e scene inspiegabili si susseguivano senza logica.
Forse i vapori delle terme mi hanno incantata.
La cravatta di Scorpius Malfoy che le scivolava tra le mani e il suo sguardo sorpreso la fecero sorridere.
Sapeva giocare anche lei.
Si insaponò i capelli, strofinando forte la cute e la punta dei capelli.
L’insano desiderio di spingerlo in acqua per punirlo di essere così preponderante nei suoi pensieri e poi la consapevolezza della sua menzogna quando si era piegata per aiutarlo.
Lo conosceva, conosceva i suoi trucchi.
Di nuovo il getto d’acqua lavò via la schiuma e le schiarì i pensieri.
La speranza che lui la trascinasse in acqua. La gioia e la paura di essersi ritrovati quando lui le aveva preso la mano.
O forse è solo Scorpius Malfoy ad avermi stregata.
 
 
Qualcuno bussò alla sua porta. Era un suono delicato e colpevole: Hugo.
  «So che hai mille preziosissimi consigli Hugo, ma non sono interessata ad una consulenza».
Erano tutti così saccenti i Corvonero? Dominique lo era in modo brillante, ma lei era anche superba in modo odioso e magnifico. Ed era anche una stronza.
La porta si aprì lo stesso e la madre fece capolino. Attese sulla soglia forse aspettandosi un invito ad accomodarsi e a fare come se fosse la benvenuta. Ciò non avvenne e lei decise di valicare lo stesso il confine che la separava dalla figlia: si sedette sul letto con un sorriso.
Rose le voltò le spalle per nascondersi mentre sollevava gli occhi al cielo. Non la voleva lì.
  «Mamma, ho da fare» spiegò, pettinandosi i capelli ancora bagnati.
Hermione abbassò gli occhi e per un attimo sembrò ferita, ma riprese con tranquillità.
  «Va tutto bene, Rose?».
Non poteva iniziare in modo peggiore.
  «A meraviglia».
La madre sospirò «Sai che tenersi tutto dentro non è mai una buona idea?» parlò lentamente come temendo una sua esplosione.
  «Non ho proprio niente dentro». Che detta così poteva essere solo una cosa negativa.
L’irritazione nella sua voce convinse la madre che il tormento interiore della figlia fosse più urgente di quanto immaginasse. «Ti ostini a voler assomigliare a tuo padre».
Solitamente sì, ma non era proprio la giornata in cui presentare quella riflessione.
  «Sento che sta per arrivare un “ma”».
  «Perché non ti fermi un attimo?».
Parlò in modo grave, come se Rose dovesse spezzarsi da un momento all’altro sotto i suoi occhi. Come se le emozioni, positive o negative, fossero qualcosa da tenere sotto controllo.
La ragazza, per tutta risposta, agitò i capelli e prese a modellarli in morbide onde con quella crema babbana che la madre tanto odiava. Quando Rose ebbe terminato la sua esibizione ostile, Hermione non parlava, solo le fece cenno con la mano di sedersi accanto a lei sul letto.
Fu un gesto sicuro e discreto, e Rose apprezzò. Si trascinò accanto ad Hermione Granger e il suo profumo fresco di menta peperita la fece sentire a suo agio. Almeno quello non era cambiato nel corso del tempo.
Stava per arrivare il peggio.
  «La differenza è che tuo padre ha difficoltà ad esprimere i proprio sentimenti» spiegò lei. «Tu fai finta di non averli».
La pretesca riflessione su quanto lei fosse superficiale e irrispettosa nei confronti di tutto quello che Hermione aveva costruito con tanti sacrifici stava arrivando. Rose così approssimativa, Hermione così meticolosa.
  «Mi dispiace per te, signorina, ma sei molto più simile a me di quanto ti piaccia ammettere».
E poi il peggio non arrivò.
Aveva davvero osato pensare che fossero simili?
  «Nel senso che siamo entrambe in grado di darci una controllata?». Pensò allo spettacolino che il padre aveva inscenato con Draco Malfoy e la vergogna tornò a macchiare i ricordi in compagnia di Scorpius.
Lo stesso Scorpius che lei aveva gettato in acqua senza troppe remore, colta da un irrefrenabile bisogno vendicativo. Probabilmente non era la persona migliore per impartire lezioni di autocontrollo e a giudicare dall’espressione di Hermione, anche la madre doveva stare compiendo lo stesso tipo di autoanalisi.
  «Non ne sarei così sicura» concluse. «Però proprio come te, permetto spesso che siano i sentimenti a guidare le mie azioni. E voglio che tu capisca che non è per forza un errore».
La stava assolvendo da tutte le sue colpe di impulsività, irascibilità e spirito vendicativo?
  «Ok, lo terrò in considerazione».
  «Sai» A quanto pareva non le bastò e la madre riprese il suo monologo.  «Tuo padre sa essere un po’ immaturo delle volte».
E quello che non si sarebbe mai aspettata da Hermione Granger, la colpì con la sua solita solerzia: lasciò fluttuare per aria un’indulgenza che non le apparteneva per rinchiudere nella propria bolla vessatoria l’adorato marito. In tanti anni non l’aveva mai vista contraddirlo apertamente quando si trattava di riprendere i figli, cosa che in ogni caso Ron Weasley si guardava bene dal fare.
Meglio non abbassare la guardia. Aspettò che continuasse.
  «Più del solito, intendo» si corresse. «A noi donne tocca essere pazienti, molto pazienti».
Rose non era ancora del tutto convinta. «Mi stai dicendo che non sei qui per una ramanzina delle tue?».
  «Sono molto delusa, Rose» si affrettò a precisare lei e almeno la ragazza poté escludere che recentemente qualcuno avesse ingerito una Pozione Polisucco contenente i capelli della madre. «Sai bene quanto tenessi a questa cena e non mi sembrava necessario specificare che avrei preferito ti astenessi da un bagno nelle terme».
Era tanto necessario precisare l’ovvio?
Non posso di certo spiegarti che Scorpius Malfoy ha portato Dominique al ballo e mi ha umiliata davanti a tutti.
  «Mi dispiace, mamma, lo sai».
Lei abbandonò l’espressione severa. «Lo so, ma sentirlo dire è importante».
Una seconda richiesta di scuse non sarebbe arrivata e Rose iniziò a sentirsi a disagio. La donna prese a lisciare le pieghe sulla coperta e sembrò rilassarsi. «Tuttavia sono d’accordo con te sulla scenata di tuo padre».
  «È stato tremendo» sbottò. «Decisamente imbarazzante».
Hermione Granger annuiva. «Sai che ha sempre avuto problemi con i ragazzi che ti girano intorno».
Rose sollevò in alto una mano per bloccare ogni altro intervento della madre.  «Malfoy non mi gira intorno» si affrettò a spiegare. «Non in quel senso».
Non lo porterò a cena per Natale, se è quello che temete.
  «È che si aspettava ti sarebbe stato antipatico a vita» ridacchiò teneramente.
  «Non mi sento di escluderlo».
Hermione riprese a sorridere e Rose proprio non capiva cosa ci trovasse di tanto divertente. Almeno poteva considerarla una reazione più rassicurante di quella del padre.
  «Mi sento di darti qualche consiglio».
Quella situazione aveva del surreale, non poteva negarlo. Ma in qualche modo si riscoprì attratta dalle parole della madre, quasi ansiosa di un confronto con la persona più saggia che conosceva.
  «L’unico uomo della tua vita con cui devi essere paziente è tuo padre. Qualche eccezione per Hugo». Hermione aveva una luce diversa negli occhi e sembrò la ragazzina che non era mai stata. «Tutti gli altri non ti devono fare aspettare».
Rose si prese qualche secondo per concedere a quelle parole di dispiegare il loro significato più profondo, ma questo non arrivò. Era tutto qui il suo prezioso consiglio? Da quando Hermione Granger parlava come il ritratto della Sala Comune di Corvonero?
  «È una specie di oracolo o cosa? Devo risolvere l’indovinello e poi avrò tutte le risposte che cerco?».
  «Che risposte cerchi?».
E l’inganno arrivò. L’astuta manipolatrice dagli occhi dolci aveva liberato gli artigli silenziosi e adesso le accarezzava la giugulare.
  «Non cerco di salvare il mondo dal male, mamma. Puoi tranquillizzarti. Sono solo un’adolescente incompresa come tutte».
Più o meno.
Il sospiro di Hermione tradì un po’ di insofferenza. «Non tornerei a quel periodo della mia vita per tutto l’oro del mondo».
La prendeva in giro? «Vorrei ben vedere, avevate Voldermort alle porte un giorno sì e l’altro pure».
  «Ti assicuro che Voldemort impallidisce davanti ai drammi che mi ha fatto passare tuo padre».
Infallibile come ogni suo incantesimo, le parole di Hermione la accecarono con rutilante intensità. Il mastino aveva abbassato le orecchie rivelando l’inaspettato volto dell’aguzzino dietro il suo incessante abbaiare.
  «Papà?».
  «Oh sì» rispose in una risata.
Nonostante la sofferenza da lei sostenuta, il ricordo di quei momenti sembrò intenerirle il cuore.
  «Ci abbiamo messo anni per capire che più manifestavamo ostilità e più alimentavamo l’attrazione reciproca».
Mai come allora la madre le era sembrata capace di empatia.
  «Davvero? Ma non eravate amici?».
  «Ci volevamo bene a modo nostro, poi io ho capito di amarlo molto prima che ci arrivasse lui».
Rose poteva dire addio all’empatia. Hermione era riuscita ad essere migliore di lei anche in quello.
  «Sei stata eccezionale, mamma. Come sempre» il tono laconico fu inevitabile.
Hermione scuoteva la testa. «Sono stata sincera, con me stessa, ma mai con lui. Sono stata paziente e ho aspettato a lungo. E per cosa poi? Non era quello il momento di essere pazienti, te lo dico io».
  «Beh sì, considerando la fine del mondo immanente, potevate anche pensare di accorciare i tempi».
La risata della madre fu bellissima e Rose si trovo a trattenersi dal seguirla. «Per questo ho imparato a non sottovalutare mai i drammi adolescenziali. Che vuoi che sia la fine del mondo a confronto».
Seguirono attimi eterni di aria densa e colma di una complicità che guastava, difficile da gestire.
  «Quindi sei qui per dirmi che papà era un idiota e nel tempo non è cambiato molto?».
  «Rose!» il tono austero di Hermione scacciò in un attimo quell’atmosfera onusta.
Ok, aveva esagerato.
  «Ovviamente no» precisò lei. «Sono qui per dirti di non aspettare, di prenderti quello che ti sembra impossibile».
E le parole tanto sagge che Rose si aspettava, quelle che l’avrebbero convinta che alcune cose sono e saranno sempre sbagliate, non arrivarono.
  «Tu lo pensi davvero?». La voce di Rose era distaccata, ma gli occhi non osavano incontrare quelli della madre. «Quello che sembra impossibile può diventare possibile?».
  «Se è quello che vuoi, sì».
  «E se non lo so?».
Hermione fece una smorfia. «Si chiama paura, Rose. È normale ma tanto difficile da riconoscere come tale». Si interruppe per sistemare i capelli bagnati della figlia. «Vuoi un altro consiglio?».
Ormai erano lì, in quella situazione che aveva dell’assurdo. Hermione l’aveva voluto e ci era riuscita, aveva creato complicità con la figlia che non aveva mai capito. Rose annuì.
  «Smettila di fare tutto ciò che è in tuo potere per evitare che le cose accadano».
Ma come fa?
Questa volta Rose non trovò come replicare e si sentì tanto più simile al padre, quanto più vicina alla madre.
   «Ora asciugati i capelli o ti ammalerai».
Rose guardò Hermione lasciare il letto e raccogliere alcuni vestiti abbandonati da giorni sulla sedia di Rose; apprezzò molto che trattenesse a sé qualunque rimprovero, nonostante il sacrificio che questo le costò. Per la prima volta senza amarezza constatò quanto Hermione Granger fosse capace di accarezzare le situazioni e immergervisi senza infrangerne la patina cristallina di appropriatezza. Poi capì perché Hugo fosse così capace di stare al mondo.
La donna dalle mille risorse le aveva dato le risposte che cercava. O almeno quasi tutte.
  «Mamma» esclamò con troppo vigore ed Hermione trasalì sull’uscio della porta.
  «Rose, per l’amor del cielo» si portò una mano al cuore, temendo il peggio.
Come aveva fatto a non pensarci prima?
  «Per caso conoscevi Isidore Davis?».
La madre sembrava aspettarsi tutto tranne quella domanda. «Non personalmente, ma sono a conoscenza della sua tragedia» rispose perplessa. «Perché mi chiedi una cosa del genere?».
  «Ti ho vista parlare con i Nott e mi è venuto in mente» rispose frettolosamente.
Hermione aggrottò le sopracciglia. «Va tutto bene?».
No, non va bene per niente. E, se ti raccontassi tutto, forse tu mi forniresti le risposte su un piatto d’argento e mi daresti un bacio sulla fronte, sussurrandomi che non devo preoccuparmi di queste cose.
  «Sì certo» sorrise. «Mi chiedevo solo perché la famiglia Nott abbia ritenuto necessario accogliere Isidore dopo la morte dei suoi genitori».
  «Hai parlato con qualcuno, Rose?» disse incrociando le braccia al petto.
Sapeva sempre tutto. L’innata perspicacia di una madre sulla persona di Hermione Granger poteva solo avere effetti devastanti. Di certo un Ministro della Magia migliore non si era mai visto.
  «Solo con Vincent Nott, è un amico di Albus. Non di troppe parole» spiegò in una smorfia.
  «Beh» la madre sembrò poco persuasa e proseguì incerta. «Adam, Alyssia e Lucrezia erano inseparabili, non vedo nulla di strano nella decisione dei Nott di prendersi carico del figlio dopo la sua morte. Erano tutti affezionati a Isidore, ancora prima della dipartita di Lucrezia Davis e marito».
Talmente tanto affezionati che tra una riunione di famiglia e l’altra ci scappava una tresca tra Alyssia Nott e Isidore Davis. Ma questo la madre non glielo avrebbe mai confidato.
Hermione la guardava pensierosa, mentre Rose ricacciava ogni intenzione di porle l’altra domanda che le dava tormento. Aveva compiuto una scelta e aveva deciso che la questione Greengrass poteva aspettare tempi meno sospetti o l’inferenza di Hermione non le avrebbe dato tregua.
  «Grazie, mamma» concluse con un sorriso che sciolse lo sguardo indagatore della donna.
Hermione Granger si ritenne soddisfatta del risultato ottenuto quella sera, e si chiuse la porta alle spalle.






Inglese. Scoperta forunata e casuale. 






 

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Capitolo 15
*** Ohana ***




Un oggetto può piacere anche per se stesso, per la diversità delle sensazioni gradevoli che ci suscita in una percezione armoniosa;
ma ben più spesso il piacere che un oggetto ci procura non si trova nell'oggetto per se medesimo.
La fantasia lo abbellisce cingendolo e quasi irraggiandolo d'immagini care.
Nell’oggetto insomma amiamo quel che vi mettiamo di noi.




CAPITOLO XV

 

 Ohana



 

Odore di cioccolato caldo alla cannella e sciroppo d’acero, burro fuso, vaniglia aromatizzata; pane abbrustolito su cumuli di legna fresca; lavanda sui capi ancora umidi. I primi raggi del sole.
Un torpore iniziale che divenne piacevole indolenzimento, mentre il corpo si distendeva teso come il  tronco appena sfilettato, poi sinuoso come un velo sul materasso. Le lenzuola sottili e vellutate, ordinate come quelle del baldacchino rosso di Hogwarts non erano mai state, portavano traccia di una mano esperta che non era la sua. Non si sentiva pronta a lasciarle.
Dalla finestra la luce permeava invadente, troppo accecante per appartenere ad un sole giovane, neonato.
Le galline starnazzavano già allegre.
Ma che ore sono?
Dal piano di sotto un coro di risate e voci alte.
Non è l’alba.
Qualcuno che intonò un canto country a pieni polmoni confermò il suo dubbio.
Bacon croccante e formaggio filante.
Nonna Molly sta preparando la colazione.
Rose aprì di scatto gli occhi e si tirò su. Le coperte di Molly erano ancora al loro posto, mentre Lucy sembrava non essere mai andata a dormire, a giudicare dalla compostezza del suo letto.
Lily al suo fianco si agitò nel sonno.
Tese un orecchio: troppa quiete.
Il vecchio materasso sprofondò sotto il suo gattonare, ma Lily dormiva indisturbata. In punta di piedi atterrò finalmente sul pavimento. Un rapido sguardo al proprio riflesso per allungare la vecchia t-shirt dei Chudley Cannons di Ron e sistemarsi i capelli, poi socchiuse la porta e sbirciò nel corridoio: calma assoluta.
Decisamente sospettoso.
  «Molly» la strattonò più del necessario e la ragazza mugugnò. Sentì Lily voltarsi nervosa nel letto. Con una mano le coprì la bocca. «Alzati» la sua voce era un bisbiglio. «È il momento» ma tanto bastò.
Due occhi sofferenti le risposero con indolenza e Lily voltò la testa dall’altro lato, cercando di ignorarla, già persuasa che niente sarebbe valso quel momento di ammaliante complicità con il letto che la accoglieva.
Da perfetto soldato, Molly Weasley era già in piedi e scuoteva Lucy.
  «Dobbiamo proprio?» si lamentò questa.
  «Non ci puoi abbandonare» la supplicò la sorella. «Siamo già in minoranza».
  «Ma perdiamo ogni anno».
  «Ha ragione» biascicò Lily tra le coperte. «Quelli sono degli animali».
Ed era proprio così, i cugini Weasley – Potter erano bestie feroci e spietate, anime sofferenti abbandonate nel deserto senza cibo per giorni, quando si trattava della colazione di Nonna Molly. Ma quella era la vigilia di Natale, Nonna Molly preparava la colazione dell’anno e loro avrebbero lottato fino alla fine.
Molly junior, come al solito, capitanava la loro squadra. Era la più verace, instancabile nelle sfide e caparbia nelle sconfitte. Oltretutto era una vita che sperava di far mangiare a James la polvere delle sue fatiche.
Nella stanza adiacente Roxanne e Dominique probabilmente ancora riposavano, indifferenti, come ogni anno, alla frenesia che vibrava per la casa.
Troppo indisciplinata, per la prima, decisamente volgare per la seconda.
Quando anche Lucy sembrò aver recuperato le buone intenzioni, Molly sbirciò dalla porta, poi fece un gesto alle ragazze di avanzare.
Tutto era immobile nel corridoio, tutto era vuoto. Le ragazze procedettero caute, i piedi nudi aderivano al parquet senza lasciare tracce udibili, ma solo lucide impronte di tensione sulle piante fredde.
Rose avvertì un brivido di eccitazione lungo le gambe nude.
Odiava quel silenzio, era denso, sordo e preparava all’attacco. La musica e le risate dal piano di sotto precipitarono su quella quiete, squarciando l’aria e facendole trasalire.
  «Ora!».
Poi l’attacco arrivò.
Rose li vide sfrecciare in un attimo: Fred in prima riga spintonò Molly, evitò Lily e Lucy saettando tra loro e superò Rose; poi Albus come un rettile sgusciò via dalla stanza e in un attimo fu dietro il cugino. Ma Rose era già partita.
Senti i passi precipitare lungo la scala della Tana, le imprecazioni di James e Molly che chiudevano la fila e si fronteggiavano senza tregua. Vide Lily sgattaiolare davanti a sé con un’agilità da felino, afferrare Fred per la maglietta e arpionare il suo braccio; non avrebbe mai fermato il battitore della squadra di Grifondoro, la piccola Lily lo sapeva bene, ma lo rallentò quel tanto che permise a Rose di superarlo.
  «Grande Lily» esclamò, mentre Molly le fischiava incoraggiamenti.
Ora Rose era in testa e la scala a chiocciola mostrava i primi colori della cucina. Avvertiva Albus marcarla con la sua agilità, ma Rose era più piccola, più leggera, più svelta, e, abilità fondamentale, sapeva proteggere i fianchi scoperti come fossero i suoi amati anelli, solo riconoscendo il suono dei passi alle sue spalle.
Era quasi alla fine, quando qualcuno con un salto azzardato atterrò in un boato al suo fianco.
Scorpius Malfoy invase i suoi fianchi scoperti e li cinse con le proprie mani, il tempo necessario per cui Rose dimenticasse che esistessero cose più importanti al mondo delle sue mani ferme nell’esatto punto in cui in quel momento la stavano toccando.
Poi i ragazzi le passarono davanti: Albus, Scorpius, Louis.
Lily era ancora avvinghiata a Fred, che ormai se la trascinava lungo le scale come fosse un gatto con gli artigli conficcati nella sua carne, Molly a fatica riusciva a tenere a bada James, Rose aveva perso terreno, Lucy era persa chissà dove. Erano spacciate.
Fu a quel punto che il sole freddo di dicembre illuminò i suoi capelli di seta e li smascherò in tanti filamenti d’argento. Erano lunghi, lisci e danzavano al suo movimento: un passo fulgido, scattante che dalla stanza principale la portò al tavolo imbandito, lasciando tutti a bocca aperta, come sempre accadeva quando Victoire faceva qualsiasi cosa.
Sorrideva Victoire, felice, eccitata, soddisfatta di quell’imboscata, e attorniava il tavolo della vittoria.
  «Un momento ancora». Tutti si scansarono per lasciare passare Nonna Molly mentre sollevava con difficoltà un vassoio carico di frittelle. «Giù le mani, James» rimproverò il nipote maggiore che aveva sfruttato la propria altezza per derubarla. «Mi sembra di capire che abbiano vinto le ragazze».
Molly junior si fiondò verso di loro; incurante del premio da riscuotere, sembrò avere occhi soltanto per la cugina maggiore che  prese a stritolare in un abbraccio commosso. Provò a sollevarla ma Victoire, alta e forte quanto suo padre, sembrava impossibile da smuovere.
  «Questo è sleale» si lamentò il Capitano. «Nessuno ha parlato del coinvolgimento di Victoire».
 Albus scosse la testa interdetto «In un modo così infido, poi».
  «E si può sapere da dove è saltata fuori?» intervenne Louis.
Victoire lanciò un bacio volante nella direzione dei suoi contestatori. «Non sono una dormigliona come voi».
  «Ma allora Teddy?» suggerì Hugo senza fiato, avvicinandosi a James.
  «James, avremmo potuto chiedere a Teddy» bisbigliò Fred. «Eh James? Teddy! L’anno prossimo è dei nostri» disse in un sussurro concitato mentre il compagno annuiva.
  «A volte mi chiedo se siamo davvero cresciuti nella stessa famiglia». La risata di Teddy Lupin era rumorosa e coinvolgente come quella di sua madre. «Un po’ di gentilezza, ragazzi». Avvolse Victoire tra le braccia e le lasciò un tenero bacio tra i capelli. «Con la pancia piena sono molto più mansuete».
  «Che ruffiano» sibilò Albus ma sembrava ammirato.
  «Codardo» recitarono in coro James e Fred.
Ma Victoire sorrideva ancora e nessuno faticò a capire perché Teddy desiderava solo vederla felice.
  «Andiamo ragazzi, siete in netta maggioranza, non se ne parla che mi unisca a voi» disse e rubò del pane tostato, sotto lo sguardo dolce di Nonna Molly, che, per qualche motivo ancora inspiegabile, aveva sempre avuto difficoltà a redarguire i membri acquisiti della famiglia. «Come se non bastasse avete una nuova recluta quest’anno e se la cava anche piuttosto bene, vista la facilità con cui ha arginato Rose».
La ragazza lottò per non arrossire, poi Nonna Molly diede il via libera e le nipoti partirono a riscuotere il premio.
Molly junior impiegò un tempo eterno per scegliere con meticolosità le proprie preferenze, premurandosi di sventolare il piatto della vittoria davanti a un indignato James. Tra i brontolii generali e la gioia di Lucy e Lily che ancora non credevano a quel risultato, a Rose era passata la fame.
Il tempo era terminato e mani su mani razziavano tutto ciò che riuscivano a fare proprio, sovrapponendosi, mescolandosi, sporcandosi di burro e cioccolato, ricordandosi che in quella fase della competizione non esistevano più squadre, e ognuno di loro era solo un cugino con lo stomaco più grande del proprio.
Rose si ritirò in un angolo con un piatto talmente tanto modesto, che il padre avrebbe storto il naso, dubitando della loro parentela.
Un braccio si inserì al di sopra delle proprie spalle e le rubò una frittella cosparsa di sciroppo d’acero.
Preso alla sprovvista, il cuore impazzì nel petto.
  «Troppo viziato per aspettare il tuo turno?».
Scorpius Malfoy sollevò le spalle. «Sono l’ospite, sii ospitale».
Indossava un pantalone della tuta e un t-shirt nera leggera per adeguarsi al calore della Tana. Non aveva mai notato che il nero rendesse ancora più regali i suoi lineamenti, nonostante i capelli fossero più disordinati di come li ricordasse. Il solito cipiglio di sufficienza tradiva una luce fresca che gli illuminava il volto e lo rendeva gentile. Rose non capiva come facesse ad apparirle così bello appena sveglio.
  «Sacrificando il mio bottino? Non credo proprio». Rose gli sfilò la frittella dalle mani, nell’istante in cui lui le stava staccando la testa con un morso; poi la divorò in un boccone.
  «Molto delicata, Weasley, come sempre».
Lei gli sorrise rincuorata, e pensò bene di leccarsi il dito per confermare la sua affermazione. Se ne pentì non appena vide il suo sguardo perdersi in un’espressione imbambolata.
  «È il massimo che posso offrirti» aggiunse.
Perfetto, sembra che l’abbia appena invitato in camera mia.
Ora lui la guardava sorpreso e divertito.
  «Un po’ deludente» constatò. «Pensi che possa trovare qualche cugina Weasley più disponibile?» si guardò rapidamente intorno. «Presenti e non?» concluse con un ghigno.
Per quanto si fosse arresa a quel disturbante desiderio che le suggeriva di accarezzare tutto il suo corpo ogni volta che Malfoy era nei paraggi, in quel momento Rose fu lieta di constatare che quello di prenderlo a pugni era sempre un impulso vivo e pulsante.
Il repertorio di risposte taglienti era ricco come sempre, ma Rose non riuscì a trovare nulla di convincente, solo si limitò a storcere la bocca in una smorfia. Lo sbuffo indignato, invece, le venne fuori come un amaro sospiro di rassegnazione.
Fece per andarsene ma lui la prese per il braccio e rise.
  «Dai, sto scherzando» disse. Dal polso le sue dita scesero verso il palmo della mano e vi indugiarono.
Non appena la sfiorò, gli sembrò di recuperare il respiro, come se avessero trattenuto il fiato per tutto il tempo in attesa che le loro dita si ritrovassero.
Era così naturale che accadesse, un gesto familiare e agognato, come se entrambi si fossero svegliati aspettando solo quel momento, consapevoli di non poter iniziare la giornata altrimenti. Fu in quelle dita che si cercavano che l’impossibile sembrò assumere le sembianze del possibile, quando, per la prima volta, Rose sentì non soltanto di appartenergli ma che lui le apparteneva.
Erano lì, uno di fronte all’altra, vestiti di discreta complicità, con tutti i cugini Weasley ad affollare la sala e le loro dita silenziose che si auguravano il buongiorno.
  «E poi sfido a trovarne una con un pigiama più interessante».
Rose si lasciò andare ad una risata leggera e si sentì bene. Ebbe talmente tanta paura di quella sensazione che per un attimo pensò di saltargli addosso e baciarlo davanti a tutti. E poi alle spiegazioni avrebbe pensato in un secondo momento.
Rose, calmati.
  «Malfoy!».
Entrambi sobbalzarono e sciolsero la stretta come scottati. James Potter lo scrutava dall’altro lato della stanza. «Rivincita a Quidditch contro le ragazze tra un’ora. Ti voglio in forma».
  «Come sempre, Potter» rispose e abbassò su Rose uno sguardo sorpreso.
  «Ma tu guarda, mio cugino adesso ti adora?».
Il ragazzo si strinse nelle spalle. «Sì, ci mettete un po’» disse, prendendo un’altra frittella dal suo piatto. «Ma prima o poi lo ammettete».
Andò via così, lasciandola lì in quell’angolo della stanza con il piatto intonso, lo stomaco in subbuglio e l’orgoglio che lottava per salire in superficie e per ricordarle che, tra una carezza e un’altra, rimaneva il solito Malfoy.
 
 
 
- § -
 
 
 
James Potter aveva quel tipico atteggiamento che i Grifondoro particolarmente impettiti si trascinano dietro, smaniosi di essere riconosciuti nella loro più limpida banalità: si prendeva troppo sul serio.
Voleva la rivincita, questo era chiaro.
E doveva essere il Capitano, questo era ovvio.
Peccato che una delle ragazze Weasley, quella lenta e timida, che arrossiva e si zittiva quando le chiedeva di passargli il sale, si era dichiarata fuori gioco. Tutti erano esplosi in una boato di proteste alla notizia, ma lui era convinto che non fosse una perdita così deleteria.
Era una brava ragazza, Lucy Weasley, anche se il sale, alla fine, non glielo aveva passato.
La situazione era, dunque, cambiata e Molly Weasley aveva pensato bene di mischiare le carte in gioco e stravolgere le regole di quella partita.
James Potter era furioso.
Molly Weasley aveva buone probabilità di essergli simpatica.
  «E basta con questa storia che Malfoy e il Potter imbronciato devono fare i capitani» aveva esclamato. Aveva la giusta teatralità. Le sarebbe bastato un cartello in mano e un pulpito improvvisato per proporsi come Rappresentante Sindacale. «Lo fate tutto l’anno. Vi sarete anche stancati!».
In realtà no, ma la ragazza sembrava convinta della sua idea.
Poi aveva proposto Albus e Lily Potter, probabilmente per umiliare maggiormente il Potter spodestato.
James non era d’accordo, ma gli altri avevano accettato e non poteva opporsi alla democrazia.
Al momento delle selezioni fu Lily ad iniziare e la sua prima scelta cadde su Rose Weasley. Prevedibile.
La Weasley era forte, inesorabile davanti ai suoi anelli da proteggere come fossero un prolungamento del suo stesso corpo. Era scattante, concentrata e passionale.
Questo però non c’entra adesso.
La osservò abbracciare la cugina più piccola. Era raggiante ma poco sorpresa, come sempre. Sembrava che nulla riuscisse a sorprenderla. Forse avvertì la pressione del suo sguardo perché lo ricambiò. Lui voltò la testa, seccato.
Si era sicuramente perso qualche passaggio fondamentale perché Albus aveva appena scelto James Potter come primo componente della sua squadra. James Potter e non lui.
Sì, la cosa lo infastidì tanto quanto sorprese il Potter borioso. Povero stupido, Albus lo adorava e lui ancora si meravigliava che fosse la sua prima scelta.
Albus gli lanciò una di quelle sue occhiate fugaci che nessuno avrebbe mai colto, ma che Scorpius avvertì come un solenne bagliore d’ansia, tenue, tanto da non modificare la sua condotta professionale. Gli chiedeva indulgenza.
Scorpius non ebbe bisogno di restituirgli un cenno, perché Albus già sapeva che l’amico avrebbe capito.
I Grifondoro erano individui piuttosto semplici, per la maggior parte vanesi e raccolti intorno al proprio ego con un senso di orgoglio che rasentava l’ottusità, e necessitavano dimostrazioni.
James Potter, a suo modesto parere, necessitava una botta in testa. Per lo meno lo sfizio di prenderlo a pugni se l’era tolto.
  «Scorpius».
Inizialmente non si era mosso, persuaso che quel giorno fosse davvero troppo distratto e aveva addirittura iniziato a immaginarsi le cose. Poi Lily Potter lo richiamò con quella sua voce inconfondibilmente da Lily Potter, decretando la sua sentenza, e la speranza di essersi sbagliato svanì nel nulla, trascinata negli abissi dal suo migliore amico che adesso chiamava a sé Molly Weasley.
Perché diavolo la piccola Potter l’aveva scelto nella sua squadra?
Rose Weasley doveva starsi ponendo lo stesso quesito, visto il modo querulo con cui stava squadrando la cugina minore.
Alla fine, con sorpresa generale, Albus Potter non scelse mai il formidabile battitore di Grifondoro, lasciando alla sorella ben tre giocatori delle due squadre più forti di Hogwarts.
Con sorpresa di tutti, tranne che di Scorpius. Conosceva troppo bene le valutazioni dell’amico per sapere che se avesse scelto Fred Weasley, la complicità tra lui e James avrebbe eclissato completamente il ragazzo, detronizzandolo non solo dal suo ruolo di fratello, ma anche da quello di Capitano.
Come se trovarsi in una squadra senza Albus, per di più alleato con Rose Weasley, non fosse sufficientemente destabilizzante, Molly aveva ribaltato nuovamente le carte di quella follia, e aveva proposto ciò che lei definiva una promiscuità di ruoli.
Quindi in quel momento Scorpius svolazzava attorno ai tre anelli improvvisati, mentre Rose Weasley reggeva la mazza da battitore e Lily Potter si dimenava alla ricerca del boccino.
Avrebbero sicuramente perso.
Per loro fortuna Fred Weasley se la cavava nel ruolo di Cacciatore, procacciando a quella squadra malandata già ben dieci punti.
Ogni tanto sollevava lo sguardo su Rose Weasley perché aveva l’impressione che quel giorno non smettesse di fissarlo. O forse solo perché voleva una scusa per controllarla.
Sembrava distratta, stava giocando male ma non le importava e lasciava che la mazza le volteggiasse mollemente tra le mani. Lo sorprese nuovamente a guardarla e per un attimo Scorpius si chiese dove sarebbero andati a finire in quel modo. Poi lei gli sorrise.
Fu inaspettato e diverso. Non era beffardo o stizzito, non sembrava tinto di quella asprezza che solitamente intendeva suggerirgli di lasciarla in pace. Era solo dolce.
E lei gli sembrò meravigliosa.
Una Pluffa gli passò accanto senza che la vedesse.
  «Malfoy» gli gridò dietro Fred Weasley con una veemenza dispotica che poteva emulare solo quella del cugino. «Devi guardare la Pluffa, non mia cugina. Sono entrambe rosse, ma una ti finirà addosso se perdiamo la partita» gli minacciò. «E non sarà Rose» precisò per non lasciare dubbi.
Si raddrizzò sulla scopa irritato, avvertendo il calore inondargli il collo. I mille cugini Weasley lo stavano fissando. Evitò accuratamente di incrociare lo sguardo di Albus.
Quando incontrò di sfuggita Rose Weasley, si aspettò di vederla rossa in viso per la rabbia e l’imbarazzo. Mai avrebbe immaginato di scoprirla ridere. Sembrava felice.
Era bellissima. Fece un respiro profondo e provò a tornare alla partita.
Non è il momento.
Ma quel giorno sembrava proprio che Fred Weasley lo avrebbe preso a pallonate, perché fonti di disturbo si manifestavano ad ogni angolo, inficiando una già misera concentrazione. Dominique Weasley attraversò incauta il giardino, passando loro accanto e ignorandoli come aveva sempre fatto. Si voltò all’ultimo momento per guardare Scorpius e sorridergli.
Bella come una dea, scomparve così come era apparsa, luminosa e proibita. Scorpius si riscosse da quell’incantesimo giusto in tempo per evitare un bolide scagliato contro di lui con tutta la potenza che avrebbe potuto irrogargli solo una canna da cannone.
O Rose Weasley.
  «Sei impazzita?».
Riecco quello sguardo omicida represso da una smorfia di serrata dignità.
  «Scusa, mi è sfuggito» disse con lo stesso livore di chi si è appena lasciato sfuggire un Avada Kedavra.
Fred Weasley gli volò accanto. «Cosa non vi è chiaro del fatto che state giocando insieme?» sbraitò.
  «Non è colpa mia se Malfoy non è concentrato» disse la Weasley con sufficienza. «L’hai detto tu».
  «Tu magari evita di farlo fuori. Sai com’è, ci serve un portiere» poi sparì giusto in tempo per soffiare la Pluffa a Louis.
Per fortuna di tutta la squadra, il gioco lo stava conducendo lui, perché al momento l’ interesse di Scorpius era del tutto catturato da quel viso imbronciato che evitava accuratamente di guardarlo, pur continuando a volargli vicina.
Quando rientrarono in casa, Fred Weasley era troppo amareggiato per provare a rivendicare la propria mazza da Battitore a sfavore di Scorpius e Rose, e si limitò ad inveirgli contro.
  «Voi due insieme, mai più» sbraitò.
Rose Weasley gli passò accanto, spintonandolo. Sembrava d’accordo con il cugino. Era offesa.
Non gli importava. Gli aveva lanciato contro un bolide micidiale. Quella volta non le sarebbe corso dietro con il cuore in mano e la dignità sotto i piedi. E aveva anche osato sorridergli in quel modo.
Perché deve essere così difficile?
Per un attimo fu tentato di seguirla, fermarla per un braccio, lasciando che il suo fuoco si spegnesse lentamente e lei tornasse a sciogliere quello sguardo impetuoso nella loro complicità rassicurante.
Mi farà impazzire.
Poi notò che Ron Weasley, dalla sua comoda poltrona che gli conferiva l’austerità necessaria a renderlo intimidatorio, pur compromettendone l’altezza, lo stava fissando.
 
 

 
- § -
 
 
 
C’erano delle volte in cui Rose non riusciva a nascondere quanto la propria famiglia fosse strana, e si chiese se anche Scorpius lo stesse considerando.
Dal modo in cui rideva sul pavimento con Albus, James e Teddy, una Burrobiurra alla mano e le carte di uno stupido Spara Schiocco nella’altra, dedusse di sì, ma probabilmente non gli importava.
Mentre li osservava da lontano, Albus Potter fu l’unico a notarla, e le sorrise.
Sembrava felice, forse per la prima volta consapevole che stare bene accanto al fratello fosse qualcosa di semplice e spontaneo, e farlo con il suo migliore amico all’altro fianco, fosse addirittura possibile.
James Potter, poi,  era il più strano di tutti. Dal Ballo di Natale sembrava aver moderato le ostilità contro Malfoy e non era intenzionato a parlare con nessuno di chi gli avesse conciato l’occhio in quel modo: d’altronde nessuno sembrava essere riuscito a capire le dinamiche di quella faccenda.
A casa aveva semplicemente dato la colpa ad una Pluffa troppo violenta durante gli allenamenti.
Zia Ginny gli aveva rifilato una ramanzina sul fatto che fosse ormai grande per quell’incoscienza che continuava a trascinarsi dietro, zio Harry si era limitato ad annuire, non credendo ad una sola parola del figlio.
Al centesimo Weasley che si era portato le mani alla bocca, chiedendogli spiegazioni, aveva risposto di esserselo procurato da solo, perché, si sa, l’autolesionismo è il primo sintomo di una insofferenza da soffocamento familiare.
Dalla sala da pranzo arrivarono distintamente le urla di Zio George, che ancora si ostinava a voler subentrare alla cucina di Nonna Molly, perché l’approccio tradizionale della madre era ormai obsoleto, e le innovazione che aveva sperimentato lui ai fornelli non potevano essere ignorate.
Il resto dei parenti, tuttavia, non disdegnava rimanere nell’ignoranza e affidarsi alla vetusta esperienza della Nonna. Nel frattempo un mattarello sembrava stesse gentilmente accompagnando lo zio fuori dalla cucina.
Nonno Arthur, sprofondato nella poltrona di pelle marrone da tempo ormai indefinito, appariva piuttosto turbato dalla recente posizione in classifica dei Ballycastle Bats, e cercava di persuadere Percy che i nuovi acquisti dei Chudley Cannons quell’anno avrebbero fatto scintille.
Lo zio Percy annuiva sconsolato, il disinteresse sul suo volto nemmeno troppo celato.
Ma Rose ignorò tutto questo e prese ad osservare la credenza preoccupata.
I passi di Albus Potter alle sue spalle furono silenziosi e circospetti.
  «Esattamente quanti viaggi pensa di farti fare la Nonna?».
I ventisei piatti di ceramica bianca, disposti in alte e pericolanti colonne, troneggiavano nella credenza e la fissavano in attesa.
La Nonna sosteneva di non aver bisogno di ricorrere alla magia, con tutti quei nipoti volenterosi in giro. Peccato poi che l’unica a rimanere incastrata fosse sempre Rose. Poi capì da chi Roxanne avesse ereditato l’atteggiamento dispotico.
  «Direi sei o sette. Forse ha parlato con James e vuole assicurarsi che mi tenga in allenamento».
Albus rise. «Sai che fa gli addominali tutte le sere e tutte le mattine?» disse scuotendo la testa. «Come se Scorpius da solo non bastasse».
Perfetto, adesso non mi toglierò più dalla testa l’immagine di Scorpius Malfoy che fa gli addominali.
Sperò di non essere arrossita.
Probabilmente avrebbe dovuto sferrare un’invettiva contro il migliore amico di suo cugino, come era accaduto ogni volta per sei anni fino a quel momento.
Probabilmente le parole sferzanti sarebbero dovute precipitare dalla sua bocca come lame indipendenti e già pronte alla battaglia, ma in quel momento Rose riuscì solo a pensare che Scorpius Malfoy dormiva la notte a due passi dalla propria camera.
E desiderò solo strisciare tra le sue lenzuola, forgiarsi tra le sue carezze.
No Rose, tu ce l’hai a morte con lui.
Una fitta al petto le fece rimbalzare il cuore e si estese come una lingua di fuoco fino al basso ventre. Osservò Scorpius Malfoy poggiare la testa contro la poltrona e mordersi il labbro pensieroso, per poi spostare tranquillo lo sguardo altrove e lasciarlo cadere su quello di Rose.
Precipitò nell’abisso che gli occhi della ragazza stavano tessendo per loro, e per loro due soltanto.
La fitta divenne bruciore e Rose aspettò che lui si lasciasse toccare incuriosito dall’indiscretezza con cui lo stava fissando. Irruente, sfacciata, rapita.
Lo odi, Rose, lo odi con tutto il cuore.
Albus Potter si schiarì la gola.
Il silenzio che si addensò tra i cugini fu strano, per la prima volta Rose non seppe colmarlo. Per la prima volta capì di non poter dare voce ai propri pensieri, se ad ascoltarli era il suo adorato Albus.
  «Rose?». Albus la studiava con quei suoi occhi verdi come i più bei paesaggi di Hogwarts.
La ragazza si riscosse, accorgendosi di essersi incantata.
  «Stai bene?».
Tranquillo Al, mi sto solo innamorando del tuo migliore amico.
Lei gli sorrise sperando di apparire rassicurante e sistemò una fila di piatti tra le braccia del cugino. «Vediamo se li facciamo diventare due, questi viaggi».
I ragazzi entrarono nell’immensa Sala da pranzo, che i nonni avevano pensato bene di allargare dopo la nascita del decimo nipote.
Hermione sollevò la bacchetta per distendere la tovaglia bianca con l’aiuto dello zio Harry dall’altro lato del tavolo. Quando ricorreva alla magia, solitamente era pensierosa. Il padre era abbandonato su una sedia intorno a loro e li ascoltava.
La distanza che intercorreva tra le due estremità del tavolo era tale che anche a Rose non sfuggì nulla di quella conversazione.
  «Non è pronto, Hermione» disse lo zio.
  «Nessuno di loro è mai pronto. Nessuno di noi lo è».
  «Non lo era nemmeno Greengrass e tu l’hai fatto reintegrare lo stesso».
Hermione lo ammonì con uno sguardo. «Abbassa la voce». Fece il giro del tavolo e tolse la tovaglia dalle mani di Harry, per stirarne con le mani i bordi. «Scorpius potrebbe sentirti».
  «Sa più di quanto credi sulla sua famiglia».
  «Sarà» fece lei con tono secco. «Ma non ci sentirà discutere di questo».
Ron si schiarì la voce. «Lui forse no» poi fece un gesto con la testa verso il punto in cui Rose e Albus attendevano immobili.
I due si ammutolirono e si girarono a guardarli.
  «Abbiamo portato i piatti» fece Albus con naturalezza, come se la loro inferenza non avesse gettato i presenti in un rigido silenzio.
Hermione si aprì in un sorriso teso. «Grazie ragazzi. Mi date una mano?».
Rose e Albus si guardarono mentre distribuivano i ventisei piatti sulla tavola. Il ragazzo sollevò le sopracciglia e le fece cenno con la testa. Rose sbuffò impercettibilmente, restituendogli uno sguardo contrariato, ma lui scosse la testa con decisione.
Rassegnata, Rose si premurò di posizionare i piatti nel punto in cui Harry sistemava la tovaglia. Ne girò uno tra le mani diverse volte, ma lo zio iniziava a guardarla stranito e Rose pensò bene di smetterla di cercare l’angolazione perfetta ad un piatto circolare.
  «Dimmi un po’, zio, Friedric Greengrass è tornato al Ministero» buttò così con un certo distacco.
Sollevò lo sguardo su Albus perché sapeva che lui la stava fissando con quei suoi occhi capaci di perforare il cranio. E infatti il cugino aveva sul volto l’espressione di chi si tratteneva dal prendersi la fronte tra le mani.
Fallo tu la prossima volta.
Harry Potter la guardò un attimo perplesso. «Sì, da tempo ormai».
  «Ma non è possibile per un ex Mangiamorte riprendere servizio al Ministero» constatò Rose.
Albus Potter ormai scuoteva la testa senza nemmeno provare a celare il proprio disappunto.
Certo, lui avrebbe preferito la sottile arte della circuizione. Languire la preda girandole attorno con mortifera riverenza e attendere pazientemente la sua resa. Ma Rose non possedeva quegli occhi di struggente suggestione, né tanto meno poteva definirsi una persona paziente.
  «Nessuno sapeva che lo fosse, è venuto fuori dall’ultimo interrogatorio a Daphne Greengrass» rispose con un sospiro mesto «Ma, beh, è tutto ancora da confermare».
  «È tutto dannatamente chiaro» ruggì Ron.
Harry annuì. «Aspettiamo l’esito delle indagini e speriamo che non decidano di procedere anche contro di te, Hermione. Se le dichiarazioni di Daphne dovessero essere confermate, tu rischi di perdere la fiducia del governo. Hai reintegrato Greengrass troppo in fretta e stai per commettere lo stesso errore con Nott».
Hermione Granger lasciò che il piatto atterrasse con un boato sul tavolo. Pronunciò un Reparo sussurrato, poi rivolse ad Harry uno sguardo carico di collera. «Sono pronta ad assumermi le mie responsabilità riguardo Greengrass, ma Adam non ha mai avuto nulla a che vedere con Voldemort e non accetto che paghi per frivole insinuazioni riguardo la morte del suo figlioccio» dichiarò. «Li stanno divorando come avvoltoi sulle carogne. Alyssia e Adam hanno il diritto di ricominciare».
Ci fu un attimo di sottile tensione in cui Rose e Albus si guardarono come pietrificati. Poi Albus sollevò sulla zia uno sguardo importante.
  «Non è da tutti concedere una seconda possibilità».
Come una percossa in pieno petto, le parole del ragazzo, condotte da una voce adulta che non sembra appartenergli, lasciarono i presenti senza fiato. Gli occhi di Hermione si riempirono di lacrime e Rose avvertì una stretta allo stomaco.
Albus parlava di sé.
Parlava delle proprie scelte, del proprio destino, di tutte le volte che dovette ripetersi quella stessa frase.
E di tutte quelle volte che, invece, gli altri l’avevano taciuta.
  «Nessuno mette in dubbio il tuo giudizio, Hermione» tentò Harry lentamente, sapendo di averla ferita.
  «Ma delle volte tendi ad essere troppo emotiva» completò Ron.
A quel punto nemmeno Albus aveva nulla da dire. Lui, i sentimenti, li custodiva gelosamente sotto una cortina di serafica indifferenza.
Indifferenza e sicurezza, gli ingredienti dell’ineccepibile Serpeverde.
Il ritratto perfetto di Malfoy.
Scosse la testa indispettita. Non era il momento.
  «Ma non ha senso» intervenne Rose. «Come è possibile che nessuno sapesse di Greengrass?».
Un silenzio scese profondo su di loro e i tre amici si scambiarono un’occhiata.
  «Ci sono delle teorie» cominciò Harry
  «Assolutamente no» sbottò Hermione. «Harry, non è il caso».
  «Perché no? Se i miei figli si interessassero al mio lavoro, probabilmente non parlerei d’altro».
  «Proprio per questo evitiamo domande» precisò Albus.
Harry lo guardò intenerito. Rose si chiedeva sempre se Harry Potter fosse capace di guardare diversamente i propri figli.
  «Quante storie» commentò Ron. «Sono solo teorie, Hermione».
La madre completò il ventiseiesimo piatto. «Bene» concesse stizzita. «Ma non esagerate».
Harry prese una sedia accanto a Ron, la girò e si sedette con il petto che si adagiava sullo schienale.
  «Vedete, ragazzi» cominciò e sembrava non desiderasse altro che vivere quel momento. Aveva una luce diversa negli occhi gentili, più fulgida dell’entusiasmo e intensa quasi quanto la paura: era delicata nostalgia. «Non tutte le più nobili famiglie purosangue si sono schierate a favore di Voldemort durante la Guerra Magica. Alcune di loro, anzi, erano suoi convinti contestatori: i Nott sono forse la più influente tra queste. Forse più per sdegno all’idea di piegare un prestigioso casato centenario al volere di un dittatore, Adam Nott si distinse per la ferrea opposizione che gli mantenne e per l’operato che garantì al Ministero alla caduta di Voldemort. Le accuse contro le famiglie purosangue erano spietate e indiscriminate, e Nott si mise a capo di un Tribunale Inquisitorio per fare luce sulla questione e liberare gli innocenti da ogni colpa. E, naturalmente, punire duramente i colpevoli».
  «Punire?». Albus inarcò le sopracciglia.
  «Hai capito bene, ragazzo» grugnì Ron. «Era il terrore dei Purosangue».
  «Liste di prescrizione che firmavano la loro condanna ad Azkaban» completò Hermione.
Qualcosa non tornava. «E hanno avuto clemenza per i Greengrass?» chiese Rose, iniziando a temere davvero che i Nott avessero deciso di predicare la pace nel mondo.
  «È qui che arriva il bello» spiegò Harry, poi guardò i ragazzi concedendo un attimo di attesa. «Il nome di Greengrass non è mai stato trovato sulle liste».
  «Disattenzione?» suggerì Albus.
  «Scherzi?» rise Ron. «Adam Nott non ha mai sbagliato un colpo. Mai, ve lo assicuro. Nonno Arthur lavorava al Ministero all’epoca e giurò di non averlo mai visto così infuriato. Non guardava in faccia nessuno. Peggio del vecchio Barty Crouch».
  «Ma questo è un dato di fatto, no?» proseguì Rose. «Quali sono le voci?».
Hermione sospirò amareggiata e pensò bene di gettare un po’ di moderazione su tutto quel fermento che i due uomini si stavano divertendo ad alimentare.
  «Si pensa che Adam Nott abbia favorito i Greengrass» spiegò. «Ovviamente nessuno lo prenderà seriamente in considerazione finché non sarà presentata e comprovata una motivazione valida che possa aver spinto Adam a fare una cosa del genere».
  «Per il tuo bene Hermione, io spero che non accada mai» disse Harry.
La donna guardò l’amico con occhi tristi e non disse nulla.
 
 

 
- § -
 
 
 
Angelina Johnson non mollò per tutta la sera Ginny Weasley che si affaccendava avanti e indietro, dalla cucina alla sala da pranzo, sollevando in aria la bacchetta e un paio di pirofile fumanti, il volto rosso per i vapori succulenti e la pazienza di sopportare l’angustia della cognata. Per addolcire l’animo della Weasley minore mentre le chiedeva spiegazioni sulle ultime irregolarità alla Partita dei Cannons contro i Bats, Angelina aveva saggiamente pensato di subentrare a Fluer nella preparazione della cena. 
Ma la giovane reporter sportiva si ostinava a tacere.
La cognata dalla chioma lucente d’altronde, non del tutto esperta nelle arti culinarie, era stata ben felice di dedicarsi alla mise en place, non rinunciando a sistemare tovaglie di lino e porcellane cinesi, per infondere un po’ di spirito boheme in tutto quel grigiore inglese.  
Hermione, assediata dalle domande di Nonno Arthur, sedeva, come sempre, tra il marito e lo zio Harry. Questi, scomposti alle sue spalle, si lanciavano scommesse su quante portate la donna avrebbe potuto sopportare prima di sbuffare spazientita con i capelli sconvolti, giurando di aver sentito distintamente la voce di Molly richiedere la sua immediata presenza in cucina.
  «Secondo me non supera gli antipasti» ghignò Ron.
Harry annuì divertito. «Per fortuna che Percy è impegnato» valutò.
George si diceva annoiato dalla presenza di Percy al suo fianco e di tanto in tanto lanciava sguardi indignati verso un discreto e sorridente Bill Weasley che penetrava in cucina, prelevando portate, con una semplicità a lui negata.
A suo dire, in quella famiglia persistevano favoritismi.
James Potter si premurò di sostituire la caraffa di acqua che troneggiava al centro dell’estremità giovanile del tavolo con due bottiglie di Vino d’Ortica.
Accanto a lui, Fred decise di non aspettare l’arrivo degli adulti per fare il primo giro di brindisi, quindi percorse tutti i bicchieri, lasciando cadere gocce violacee ovunque, tra gli strilli di Fleur e le risate mortificate di Victoire, che si apprestava a riparare al danno con rapidi colpi di bacchetta.
Lily Potter al suo fianco continuava a scuotere la testa.
  «Ti sarei molto grata se la smettessi» pregò Rose.
  «È insopportabile».
  «Ma non mi dire».
Si portò il bicchiere alle labbra per inalare il profumo intenso di vino. Le dita della cugina tamburellavano sul tavolo con manifesto disappunto.
  «Oltre che inopportuno».
Rose annuì, poi portò in alto il calice alle parole di Fred e bevve un lungo sorso. Una risata melodiosa le fece venire la pelle d’oca.
  «E nauseante» concluse con una smorfia.
Lo sguardo di Lily continuava a incenerire un punto di fronte a sé, lì dove Rose non osava guardare.
Una voce bassa, fredda rispose a quella risata con complicità e la punta di una lama le incise quelle parole nella mente. Volle dimenticarsele con tutto il cuore, erano solo frasi prive di significato, ma ogni intonazione diversa dal solito premeva subdola tra i pensieri.
Poi Lily Potter le pizzicò il braccio.
  «Ti prego, guardala».
Allora Rose si convinse che qualunque cosa avesse visto, le sarebbe stata indifferente, anche la forchetta di Dominique che rubava come una gatta dal piatto del suo vicino. Scorpius Malfoy le sorrise teneramente.
Rose stava per vomitare.
  «Tutto bene, Rosie?». Anche Victoire aveva preso ad abusare di quel nomignolo vezzoso che lei tanto detestava, imbellettandolo con quell’aria squisitamente francese, accentuata negli ultimi anni a Parigi. A differenza di Dominique, tuttavia, la sorella maggiore non aveva nessun interesse nel farsi detestare da ogni membro della sua famiglia, quindi Rose le concedeva pazientemente un po’ di indulgenza quando insisteva nello storpiarle il nome.
In più piaceva tanto a Teddy e tanto bastava per farsela andare a genio.
L’ennesima bassa gomitata della cugina la fece trasalire.
  «Lily» scattò in un sussurro.
La ragazza sembrava più contrariata con lei che non con i due amanti.
  «Come fa a non darti fastidio?».
Quindi era quella l’impressione che dava. Bevve un lungo sorso per complimentarsi con se stessa e aggiungere un po’ di spessore a quella improbabile indifferenza.
  «Sta facendo la gatta morta in un modo disgustoso» disse in tutto il proprio biasimo. 
Certo, avere vicino la telecronaca dettagliata di tutto il loro rituale d’accoppiamento non era il modo migliore per distrarsi. Confidò nella compagnia decisamente più dilettevole degli altri suoi vicini.
  «Siete molto strane voi due stasera» commentò brillantemente Victoire, richiamando l’attenzione di Teddy.
 «E lui potrebbe anche evitare di avere quell’aria compiaciuta» ritenne opportuno comunicarle Lily.
Questa volta l’incisione della lama scandagliò meticolosamente il suo petto.
  «Non ci credo: gli ha accarezzato i capelli».
No, i capelli no.
Rose strinse le dita a pugno e sorrise alle parole di Victoire a suo fianco, senza lasciarle intendere di aver progettato di soffocare la sorella nel sonno.
Lily trattenne il respiro, facendola voltare spaventata verso di lei. «Ha la mano sotto il tavolo» proseguì sconvolta. «Non oso immaginare cosa voglia accarezzargli in questo momento».
  «Okay» disse Rose a voce fin troppo alta.
Questa volta il cipiglio curioso di Teddy Lupin si illuminò nei suoi occhi cangianti e per un momento ricordò una volpe avveduta.
Scorpius Malfoy, invece, la fissò a lungo, tanto che Dominique dovette desistere dal cercare di attirare la sua attenzione. Uno sguardo preoccupato volò tra i cugini, poi ricadde distratto sul proprio piatto.
Lui assottigliò gli occhi come faceva sempre quando voleva approfondire una questione particolarmente significativa, e Rose capì che la stava studiando. Forse avrebbe voluto scavare tra i suoi pensieri.
Aveva sempre avuto l’impressione che la difficoltà di Scorpius nel capirla fosse ciò che maggiormente lo tormentava.
In quel momento Rose fissò il fondo del proprio bicchiere rincorrendo l’ultima goccia di vino, come fosse la fonte di vita sfuggitagli in un arido deserto.
  «Rose» esclamò Teddy, facendola sobbalzare. «Come sta andando il sesto anno? Nuove materie, nuovi professori».
  «Ragazzi finalmente interessanti» puntualizzò Victoire.
Un’ombra pensierosa scese sul volto del ragazzo. «Che vuoi dire?».
Mentre Victoire si affrettava ad accarezzare il volto del ragazzo, rassicurandolo con quel tocco magico, molto più da fata che da strega, Rose non poté fare a meno di pensare a Scorpius e di guardarlo, mentre Dominique ancora gli sorrideva magnetica.
Eppure Scorpius Malfoy riuscì a sottrarsi all’inesorabilità di quell’incantesimo, richiamato dallo sguardo di Rose, come se il polo opposto dall’imprescindibile attrazione fosse il suo, e non quello della dea letale.
Quando non riuscì più a reggerlo, si ricordò di avere il bicchiere ancora vuoto.
Allungò una mano sulla bottiglia. Quella di lui si poggiò sulla sua e la bloccò in un sigillo.
  «Io mi fermerei».
Sentì Lily sbuffare sonoramente al proprio fianco.
Quel tocco la fece vibrare più di quanto si sarebbe mai aspettata. Forse perché rubato. Forse perché non credeva le fosse concesso, ma sapeva quanto le spettasse.
Si sarebbe lasciata sfiorare sempre con la stessa incertezza anche se lui avesse insistito nel ferirla spudoratamente sotto i suoi occhi, anche se Dominique avesse avuto davvero il ruolo che lei tanto temeva.
  «Forse dovresti» gli suggerì Rose, rendendosi conto di aver parlato senza pensare.
Scorpius la guardava intensamente. «Mi stai chiedendo qualcosa?». 
Lei provò a tirare a sé la bottiglia ma la stretta del ragazzo era ferrea.
  «Di lasciarmi andare, magari».
Era quello che non capiva, il perché si ostinasse a tenerla in trappola, lontana ma costantemente sotto il suo controllo.
Per tutta risposta lui strinse ancora di più la sua mano e per un attimo Rose si chiese perché avesse deciso di sedersi accanto a Dominique.
Vuoi farmela pagare? Dimostrarmi che non ho il diritto di scagliarti un bolide contro se ti incanti a guardare mia cugina?
Scorpius scosse la testa con un sorriso. «Non ci riesco» disse senza voce, in un lento movimento delle labbra, cosicché solo lei potesse conoscere quel segreto.
Lei ignorò l’ennesima fitta al petto, fece scorrere via la mano sotto la sua e lo vide irrigidirsi.
  «Allora sarà una lunga serata» rispose freddamente.
Il ragazzo riportò la mano al suo posto, lì dove Dominique poté sfiorarla accidentalmente, per poi scusarsi mortificata. Scorpius le rispose cortesemente, ma ritornò a controllare con disappunto la quantità di vino che Rose si versava nel bicchiere.
  «Non sei mai stata capace di andare oltre tre bicchieri di Vino d’Ortica» considerò Scorpius con un cipiglio severo.
Sollevò uno sguardo stizzito sul ragazzo, ma l’insistenza di Lily nello scuotere la testa indignata iniziava a turbarla. Sentì Victoire ridere di gusto, mentre Teddy Lupin si sporse oltre il suo piatto per cogliere ogni parola. Dominique, invece, era semplicemente con la testa altrove.
  «Ditemi se devo sottrarre il bicchiere a qualcuno» intervenne Teddy fissando con insistenza Scorpius, sotto lo sguardo accigliato di Victoire. «Non guardarmi così. Ho la responsabilità dei mocciosetti da questa parte».
  «Vuoi dire abbiamo».
Lui la guardò attentamente, facendo scorrere lo sguardo dal basso verso l’alto. «Cosa ti fa pensare di non rientrare nella categoria?» fece con ovvietà, mentre lei gli lasciava un tenero schiaffetto sul braccio.
  «Non ti preoccupare, Teddy» rispose Rose secca. «Lascialo perdere» disse per poi tornare al polpettone.
Scorpius Malfoy fece scoccare la lingua in un gesto di rapida irrisione «Evidentemente hai i ricordi un po’ annebbiati».
  «Ti sbagli» scattò lei.
  «Oh, io credo di no» fece lui tranquillamente. «Comprensibile».
  «Prevedibile» continuò lei. «Il tuo tentativo di attirare l’attenzione».
Rose fece per afferrare sicura il bicchiere, ma lui glielo sottrasse in un gesto rapido. «Non posso permettertelo» disse serio.
  «Malfoy» lo ammonì lei.
Lui la guardava con gli occhi accesi da quella celata ironia, poi non riuscì a trattenere un sorriso. «Vogliamo chiedere ad Al?» .
Teddy mandò giù un boccone con un lungo sorso del vino in questione. «Sei serio, ragazzo?».
  «No, non ne è in grado» tagliò corto lei con un’occhiataccia.
Lui bevve un lungo sorso di vino dal calice di Rose.
  «Quarto anno, festa di Cormac nella Stanza delle Necessità» spiegò lui in automatico. «Al terzo bicchiere di Vino d’Ortica volevi salire sul tavolo per insegnare a tutti l’esatto movimento dei Nargilli nella stagione dell’amore».
Teddy mandò qualcosa di traverso e fu scosso da una tosse divertita, mentre Victoire lo schiaffeggiava sulla schiena con disappunto, soffocando un sorriso di mortificata ilarità.
Rose lottò per non prendere fuoco e provò a dire qualcosa, ma lui la anticipò.
  «Io e Al ti riportammo in Dormitorio».
Al, sempre Al.
Pronunciava il nome del cugino per conferire autorevolezza alle proprie dichiarazioni e ciò la fece innervosire ancora di più. Aveva un vago ricordo di quella situazione, molto meno definita, invece, era la parte in cui lui – e suo cugino- l’ebbero riportata in Dormitorio.
Guardò Lily per capire se ne fosse a conoscenza, ma la ragazza aveva smesso la sua silenziosa protesta e adesso sembrava non riuscisse a trovare nulla da dire.
  «Parliamo di tanto tempo fa» commentò Rose come se non le importasse.
  «L’anno scorso, brindisi iniziale al compleanno di Albus: avevamo sostituito l’Acquaviola con il Vino d’Ortica e tu dopo il terzo bicchiere hai iniziato a raccontare a tutti che Steven ti aveva mollata per un’altra».
Quella volta era davvero distrutta, aveva mentito tutto il giorno, sostenendo quanto poco le importasse di quella storia, ma la verità è che aver trovato Steven con una sua compagna di Casa nel bagno delle ragazze l’aveva fatta a pezzi.
Gli scoccò un’occhiata sarcastica. «Tu e Al mi avete riportata in Dormitorio anche in quel caso, immagino».
Lui scosse la testa. «Però abbiamo affatturato Steven impedendogli di stare con qualsiasi ragazza per almeno due settimane».
Una risata leggera scosse tutti intorno a loro, mentre Rose sapeva che avrebbe preso definitivamente fuoco se solo Scorpius avesse azzardato un’altra parola.
E invece, contro ogni previsione, fu un’altra la voce che si intromise per darle il colpo finale, sgusciando tra la loro spensieratezza con una causticità esperta. Albus Potter, qualche posto più distante da loro, parlò dal nulla e tutti si voltarono per ascoltarlo.
  «Sicuro, Scorpius?» chiese Albus, senza nemmeno degnarsi di guardare l’amico, ma continuando a rifornirsi il piatto. Quando ebbe finito, si abbandonò serenamente contro lo schienale e disperse la sua espressione più serena. «Ricordavo di averti chiaramente detto di non fare idiozie, e sono abbastanza certo che tu mi abbia mandato al diavolo».
Scorpius Malfoy non disse nulla, invece rispondeva allo sguardo languido dell’amico con uno tetro, di letale tranquillità.
  «Magari ricordo male io» concluse Albus con un’alzata delle spalle, come se avesse dato voce ad un pensiero da nulla.
E così come si era infiltrato con tutta la potenza della propria puntualità, allo stesso modo si rintanò in un placido angolo di leggerezza, tornando alle proprie occupazioni.
Lily adesso le premeva sulla coscia fino a farle male, quindi Rose fu costretta ad afferrare la mano della cugina e senza rendersene conto si trovò a stringergliela forte.
  «Ma chi l’avrebbe mai detto» il tono di Dominique era tediato e lei continuava a giocare distrattamente con il cibo nel suo piatto. Guardò tutti annoiata e contrita, come se pensieri ben più complessi affollassero la sua mente, già satura di cose stupefacenti per poter accogliere la loro prevedibilità.
Il giorno in cui fosse riuscita a capire le stranezze di Dominique, questa avrebbe già provveduto da tempo ad escludere tutta la famiglia dalla sua vita, Rose ne era certa.
  «Oh beh» fece Teddy in un leggero imbarazzo. «Direi che nelle tue mani è più che al sicuro» concluse.
Victoire lo fermò appena in tempo, prima che accennasse un goffo occhiolino di complicità, al quale Scorpius Malfoy avrebbe probabilmente risposto accigliandosi ancora di più.
 
 

 
- § -
 
 
 
Fred Weasley sembrò averlo perdonato per la partita di quel pomeriggio e gli tese un bicchiere di Burrobirra con talmente tanto entusiasmo che un po’ di schiuma sgorgò come lava fumante. Dovette fare un passo indietro per evitare un’inondazione, poi accettò il dono di pace, sperando di risultare il più grato possibile.
Ma non gli importava.
Si portò la Burrobirra alla bocca e bevve un sorso per inumidirsi il palato di freschezza, poi poggiò il bicchiere da qualche parte.
Albus gli premette contro i suoi occhi verde bosco con fare complice. Chiunque altro gli avrebbe dato una pacca sul braccio, Zabini gli sarebbe saltato sulle spalle. Invece lui si palesava placidamente con il suo sguardo molesto.
  «Non bevi». Era una constatazione più che una domanda, e nel linguaggio di Albus significava altre insinuazioni sottintese.
  «Che c’è, Al?».
Lui si strinse nelle spalle. «Non ti diverti». Ecco un’altra rivelazione delle sue. Delle volte si chiedeva cosa ci trovasse di tanto oltraggioso nel porre le domande come una persona normale.
Eppure, come se le parole dell’amico avessero avuto la stessa veemenza di un Veritaserum, Scorpius non riuscì ad impedire che il suo sguardo perlustrasse per l’ennesima volta la stanza. Riconobbe il gesto come un impulso ormai familiare, un tic nervoso.
Albus sorrise soddisfatto.
  «Ti manca la compagnia?».
Nemmeno si sforzava più di tanto di dissimulare la propria molestia.
  «Immagino che tu abbia qualche proposta da farmi» fece lui annoiato. Albus fremeva dal bisogno di pronunciare quel nome.
  «Dominique è tutta sola».
O anche solo di lasciarlo svolazzare nell’aria, opprimente come una percezione costante.
  «Grazie per l’informazione» disse lui tra i denti.
  «Credevo fosse di tuo interesse».
Scorpius sbuffò una mezza risata seccata. «No, non l’hai mai creduto».
Solo un sorriso increspò le labbra di Albus. Trovava appagante gongolare in quel silenzio spinoso, quando gli altri finalmente riconoscevano le sue ragioni.
Scorpius aveva già preso ad ignorarlo, troppo intento a perlustrare la stanza per assicurarsi che fosse tutto come l’aveva lasciato.
  «Hai per caso visto Rose in giro?».
Era arrivato dove voleva.
Recuperò il bicchiere di Burrobirra che aveva abbandonato poco prima e se lo portò alle labbra, giusto per avere qualcosa da fare.
  «Perché avrei dovuto?».
Albus annuì, aspettandosi quella risposta. «Inizio ad essere preoccupato. Ti dispiacerebbe andarla a cercare?».
  «Sì». La sua risposta era secca, intimando all’amico di non proseguire oltre.
  «Andrei io, davvero, ma Lily non si sta sentendo bene. Temo che il cenone della Nonna e il Whisky Stravecchio non siano un’ottima combinazione» spiegò, sollevando le spalle. «Mi faresti un favore» aggiunse.
Scorpius evitò di guardarlo e poi sospirò. «Piuttosto, mi devi un favore» disse, scoccandoli un’occhiata tediata.
Posò frettolosamente il bicchiere, ora che Albus non lo stava più guardando, e si dileguò in un attimo. Quando si avvicinò alle scale, Victoire Weasley dovette interrompere la sua conversazione per lasciarlo passare. Al suo fianco Lily Potter continuava a ridere di gusto per qualcosa detto poco prima dalla cugina.
Che maledetto figlio di puttana.
Sorrise tra sé, pensando quanto sarebbe stato tutto più difficile se quell’insopportabile Potter non fosse stato tanto perspicace.
Salì le scale laterali della mansarda, evitando di passare dal piano terra dove gli adulti esplodevano in risate incontrollate, e si ritrovò direttamente al piano delle camere da letto.
La trovò al termine della scalinata, vicino ad una finestra che dava sul giardino. Tastava incerta la vetrata come alla ricerca di qualcosa. Probabilmente della maniglia.
  «Dove pensi di andare?».
Rose Weasley lo guardò sorpresa, poi scrollò le spalle con fare ovvio. «In bagno, no?».
Si avvicinò maggiormente alla ragazza e studiò il suo volto arrossato e gli occhi umidi, un po’ persi. «Sei ubriaca» comprese.
  «No» disse semplicemente lei e nel frattempo aveva raggiunto la maniglia.
  «Okay» fece lui fermandola prima che decidesse di buttarsi di sotto. Richiuse la finestra e portò la ragazza lontano da lì. «Andiamo in bagno».
  «Vieni in bagno con me?». Sembrava confusa.
Non era proprio il caso. «Ti porto in bagno e io resto fuori» chiarì.
Lei si strinse contro il suo braccio. «Grazie» disse dolcemente.
Lui la guardò di sbieco, mentre la ragazza poggiava la propria testa sulla sua spalla. La situazione era  peggiore di quanto pensasse.
Arrivati alla porta del bagno, dovette allontanarla per cercare la luce ed evitare qualunque ostacolo che avrebbe potuto compromettere ogni sua attività. A giudicare dal modo in cui si abbandonò contro lo stipite, ogni arnese in quella stanza poteva essere considerato un pericolo mortale.
La afferrò per la vita, aiutandola a salire il gradino, ma lei riuscì comunque a perdere l’equilibrio e gli finì addosso.
  «Non c’è storia che tu stia in piedi da sola, eh?».
La ragazza dovette interpretare nel verso sbagliato le sue parole, poiché gli gettò le braccia al collo e piegò il viso nell’incavo della sua spalla «Per fortuna che ci sei tu».
Scorpius deglutì a fatica. Il profumo dei suoi capelli lo colpì in pieno viso, mentre il corpo della ragazza si abbandonava sempre di più contro il suo. Andarono a sbattere contro qualcosa alle spalle di Scorpius, e Rose rise delicata.
Sembrava completamente persa. Leggera come non l’aveva mai vista.
Quella risata gli scompigliò i pensieri e una mano finì ad accarezzarle il viso. Lei si adagiò contro quel palmo che la lambiva, e chiuse gli occhi. Era così innocente.
E ubriaca.
Si riscosse da quell’ipnosi, la afferrò per i polsi e la allontanò da sé.
  «Rose, per favore» parlò molto lentamente, ma la ragazza sembrava turbata. «Ti lascio in bagno il tempo necessario e ti aspetto fuori alla porta».
  «Ma non devi andare via» lei gli dischiuse la mano e si avvicinò. «Non mi dai fastidio».
Ne riparliamo quando sarai sobria.
Ormai gli era troppo vicino. «Possiamo fare la doccia insieme» gli sussurrò con una malizia che lo fece tremare, e per un attimo non osò opporsi.
Le avrebbe strappato i vestiti di dosso in un solo gesto, per poi trascinarla sotto l’acqua e farla propria come tutte le volte che se l’era figurata nuda e accaldata sotto il suo corpo.
Capì subito che non era una delle sue fantasia, perché Rose Weasley si era appena abbassata i jeans davanti ai suoi occhi e con le dita carezzava gli slip, attendendo che lui proseguisse.
Nonostante la mente gli si fosse completamente annebbiata, il suo corpo sembrò agire in autonomia e senza rendersene conto scoprì le proprie mani sulle gambe di Rose Weasley.
Mentre le sollevava i pantaloni.
  «Ti prego» sussurrò, non sapeva più se a lei o a se stesso.
Le dita indugiarono sulle cosce della ragazza, le strinsero appena o troppo violentemente, non seppe dirlo. Sentì solo un suo gemito soffocato, mentre lei allentava i primi bottoni della sua camicia, quel tanto che le permettesse di infilare una mano sotto di essa, e tastargli il petto. Era delicata, poi avida, poi aggressiva e lo graffiò.
Non sentì nulla, tranne la sua bocca che gli baciava il collo e ansimava, frenetica.
  «Rose» non si era accorto di stare tremando finché non ascoltò la vibrazione nella sua voce. «No» sussurrò e si allontanò di scatto.
Se Rose Weasley non lo avesse guardato con occhi feriti, avrebbe pensato che a spingerlo via fosse stata lei. No, non lo credeva. Non credeva che sarebbe stato in grado di separarsi da lei.
Non così.
  «Perché no?». Era tormentata e per un attimo Scorpius vide il lampo di sdegno con cui sempre lo guardava. «Non mi vuoi?» e poi solo delusione.
Avvertì un colpo allo stomaco togliergli l’aria, mentre le parole che non riusciva a pronunciare lo soffocavano e si increspavano nella bocca arida. «Non è questo» tentò. «Solo, non possiamo».
Avrebbe voluto prenderla per le mani e stringerla al petto, così da non dover più vedere i suoi occhi bagnati di dolce sofferenza, ma temeva e tremava alla sola idea di toccarla nuovamente.
Respirò per calmarsi, e uscì.
Quando la accompagnò in camera, lei era ancora imbronciata, e non lo guardava, ma il viso poggiava sempre sulla sua spalla, mentre la mano di Scorpius le circondava la vita e la stringeva a sé.
Aveva raggiunto un compromesso con se stesso. Dopo un profondo respiro e uno schiaffo in pieno volto, aveva ritrovato l’autocontrollo, decidendo che quel semplice contatto potesse darle il conforto che cercava, senza scatenare reazioni ingestibili.
In entrambi.
Lui chiuse la porta alle loro spalle. La fece distendere sul letto, togliendole le scarpe. Lei si adagiò e il volto si rilassò come su una nuvola. Sembrava di nuovo serena.
Fece per andarsene ma la mano di Rose lo trattenne.
  «Dove vai?».
  «Via, prima che la situazione degeneri».
  «Resta qui».
  «Oh no» lui rise nervoso. «Questo sarebbe davvero troppo da gestire».
Lei si sollevò a fatica dal letto, rischiando di cadere, e lui prontamente si piegò per afferrarla.
Rose Weasley sorrise, compiaciuta. Sapeva che lui non avrebbe esitato. Si era alzata di proposito.
Per un attimo si chiese se fosse davvero così ubriaca, e gli piacque credere a quel dubbio, mentre si arrendeva al suo sguardo.
Si adagiò al suo fianco, cauto, guardandole la schiena e i capelli lunghi, rossi, distesi disordinati intorno a lei, come spesso si era immaginato sarebbero stati dopo averli toccati, tirati, sconvolti. La linea del suo corpo era una sinuosa calamita, e lui la ispezionava da quella prospettiva che lei gli aveva concesso.
Almeno poteva guardare.
Fu facile, sentendo il materasso agitarsi ad ogni suo movimento, pensare di ritrovarsela sotto di lui, smaniosa come era stata poco prima. Qualcosa in basso pulsò più forte del suo respiro ed esplose quando la ragazza si poggiò contro di lui, facendo combaciare i loro corpi.
Ne avvertì la provocazione,  mentre Rose lasciò che il proprio fondoschiena premette contro la sua virilità in subbuglio.
  «Weasley». Chiuse gli occhi e soffocò un ansito. «Non sono un santo». Precisò mentre la sua mano le scorreva lungo la pelle lasciata libera dalla maglietta appena sollevata.
  «Mai pensato che lo fossi» sussurrò lei in un sospiro appena udibile che scese sulla propria razionalità come una nuvola di fumo, ottenebrando ogni decisione e trascinando nelle tenebre la più ferma capacità di distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato.
 
 
 
 

 
Hawaiano. Famiglia e amici sono uniti e in questa relazione devono cooperare e ricordarsi gli uni degli altri.






 

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Capitolo 16
*** Aware ***



 
Un’ora breve di dolore c’impressiona lungamente;
un giorno sereno passa e non lascia traccia.

 
 
 

CAPITOLO XVI

 
 
Aware
 

 

 
Quella fitta alla testa non poteva significare nulla di buono. E se almeno la luce non le perforasse le orbite oculari come tante schegge acuminate, poteva anche pensare di dare la colpa al polpettone di Nonna Molly.
Invece riconobbe la sensazione di morte fulminante dal modo in cui la stanza aveva preso a vorticare senza sosta, non appena aveva osato aprire gli occhi.
Una patina ovattata le offuscava la vista, e la pungente insistenza che le perforava le tempie fu un monito inequivocabile.
Il suo corpo le suggeriva di non sottrarsi all’illusorio cullare del sonno, per affacciarsi ad una realtà che l’attendeva vigile, esitante e devastante.
Ci riprovò con più coraggio, socchiuse gli occhi, distese le membra intorpidite, arrestò la corsa frenetica degli oggetti intorno alla sua debole concentrazione. Quando a fatica mise a fuoco i letti vuoti in cui avrebbero dovuto dormire le sue cugine, pensò di essere ancora in trance.
Qualcosa le era addosso. Una mano, un braccio. Un corpo. Qualcuno la stava toccando.
Provò a voltarsi lentamente, e il polpettone le risalì in gola, poi ritornò al suo posto, mentre lei si strofinava la fronte preoccupata. Infine lo vide.
Scorpius Malfoy era avvolto nelle beate cure dell’incoscienza, giaceva al suo fianco, il corpo abbandonato contro il proprio in una perfetta adesione delle loro linee. Il calore di entrambi si confondeva in una miscela di profumi dolci, assuefanti, ma anche agri e pulsanti come il sangue che scorreva fervido nelle vene e tingeva la pelle di sfumature accese, di orme bollenti.
Il volto di Scorpius, inerme nel sonno profondo, non cedeva alla supremazia dell’imprudenza, recava tracce di un’espressione concentrata, rigida, assorta.
I capelli gli ricadevano sugli occhi, rendendo impossibile valutare se li avesse già dischiusi.
Il braccio cingeva il busto di Rose in una ferrea e instancabile giuntura, portando il suo corpo vicino al proprio come se volesse penetrarlo, farlo proprio, inghiottirlo nella sua stretta.
Rose avvertì la pressione delle sue gambe tra le proprie, la schiena inarcata per adeguarsi alla linea rocciosa del suo petto, le spalle del ragazzo soverchiare la propria esile figura, valicare il confine eluso delle sue braccia, inglobarla in un abbraccio senza scampo.
La sorda impotenza di Rose, dentro quella pressione incandescente, implose nel suo petto, con un urto di piacere che risvegliò ogni muscolo in un tremore interno, fino a raggiungere l’angolo celato del suo desiderio, premuto con insistenza contro le fattezze frementi e piene, anche nel sonno, di Scorpius Malfoy.
Deglutì e la nausea ritornò a farsi sentire, ma questa volta fu certa che il polpettone non avesse colpe.
Come è finito qui?
Si sarà addormentato, non c’è altra spiegazione.
La giacca scura del ragazzo era poggiata ai piedi del letto dove riposavano.
Ma perché nel mio letto?
Poi ricordò di essere stata trascinata da lui nella propria camera, completamente ubriaca.
Spero non abbia fatto qualcosa di stupido.
Il cervello sembrò risponderle con più prontezza di quanto un corpo in quelle condizioni si sarebbe aspettato, e le ripropose l’immagine di sé mentre si gettava su Malfoy, abbassandosi i pantaloni e baciandogli il collo.
Sgranò gli occhi sconvolta, piantò le mani sulla superficie instabile del materasso e provò a tirarsi su nel minor tempo possibile, ma ricadde inerme ancor prima di aver sollevato le spalle.
Il braccio del ragazzo era ancora morbido sul suo fianco, le mani dischiuse ad accarezzarle l’addome in un allettante e ignaro invito a non lasciare quel candido idillio.
E invece valutò quanto la mente avesse scoperto un tempismo che aveva qualcosa di macabro e sarcastico allo stesso tempo, perché adesso, appena chiudeva gli occhi, vedeva solo Malfoy accompagnarla sul letto, trascinato da Rose stessa, mentre lei gli offriva libero accesso a tutto il suo corpo.
Si voltò terrificata e studiò il volto rigido del ragazzo, ma smussato da un sospiro intenso, dagli angoli del volto addolciti e da un sorriso di timido appagamento.
Sembra la faccia di uno che ha finito di fare sesso poche ore fa?
Iniziò a sudare.
  «Scorpius» tentò ma uscì solo un rantolo strozzato. «Scorpius» provò ancora,  nessuna risposta. «Scorpius» era la volta decisiva, la sua voce era alta e chiara.
  «Malfoy» sbottò, dandogli una gomitata.
Lui gemette di soprassalto e si portò le mani allo sterno.
Qualche gemito di soffocata protesta accolse il risveglio che lei gli aveva riservato. Dopo diversi lamenti di disappunto, si decise ad aprire gli occhi di un verde flebile, delicato, adombrato da una patina di innocenza.
L’impulso di allungare le dita quel tanto che le permettesse di accarezzargli il viso turbato, per lasciarlo immergere nella serenità che Rose desiderava concedergli, fu arrestato brutalmente dal suo mugolio contrito.
Lievemente increspato dal tono aspro e seccato del ragazzo, quel richiamo familiare le ricordò di aver estirpato i residui dell’alcol dal proprio corpo e, con essi, ogni probabile alibi.
Lì accanto a lei, adagiato contro il suo corpo in subbuglio, c’era il solito Scorpius Malfoy.
E lei era la Rose Weasley di sempre.
  «Dai modi delicati non mi sembra necessario chiederti se sei lucida» si lamentò.
  «Cosa vorresti dire?» chiese allarmata. Lo scrutò intensamente, poi i chiarori albescenti, penetrati dalla finestra, la riportarono alla realtà. «Devi andartene immediatamente» aggiunse.
Rose si sollevò istintivamente, e tutto iniziò a girarle intorno. Affondò le dita nel braccio del ragazzo per trovare sostegno.
  «Dove pensi di andare in queste condizioni?». La afferrò per il polso e la riportò al suo fianco «Riposati» disse in un sussurro, prima di chiudere gli occhi e abbandonarsi ad altri minuti di pace.
Per qualche secondo si lasciò convincere dalla sicurezza dei suoi modi, dal tono di voce adesso così caldo e coinvolgente, perché stargli accanto in quel modo, tornare all’attimo prima senza dubbi o perplessità, era tutto ciò che al momento desiderava, e lui riusciva a farla sembrare una volontà così realizzabile.
Come se fosse davvero possibile.
Scorpius aveva ancora gli occhi chiusi e il braccio abbandonato sul suo fianco. Quando la avvertì esitante e poi arrendevole, provò a stringerla a sé. Era cortese, ma sicuro. Delicato, ma in qualche modo esperto, come se sapesse già in quali punti il suo copro lo avrebbe accolto.
Come se non fosse la prima volta che affondava le mani in movimenti così intimi.
  «No» esclamò lei e si allontanò di colpo. «Tu non dovresti essere qui».
Il ragazzo sospirò. «Lo sapevo che stamattina avresti fatto la difficile».
Lei lo fulminò con gli occhi. «La difficile?» vomitò quelle parole. «Difficile rispetto a cosa, esattamente?». Si voltò per guardarlo meglio. «Cosa è stato così facile ieri sera?».
  «Facile?» il ragazzo sollevò le sopracciglia. «Proprio nulla, te lo assicuro».
Mentre parlava sembrava più stanco di prima, quasi affaticato. Lo sguardo si perse altrove, lontano da lei.
Immerso nei suoi pensieri, il suo viso assunse un’espressione profondamente appagata.
Rose lo colpì sul braccio.
  «Cosa?» rispose lui con un lamento.
  «Malfoy» esclamò, ma quel suono venne fuori distorto e Rose perse un po’ di fermezza. «Cosa è successo ieri sera?» aggiunse con più aggressività.
Scorpius la guardò di colpo serio. «Davvero non ti ricordi niente?».
  «Sì» mentì.
Lui non sembrava crederle. «Non è successo niente che tu non volessi, in ogni caso» disse e si voltò.
  «Niente che non volessi?». Non riuscì ad impedire che la voce risultasse stridula. «Non ero nemmeno in me».
  «Questo è sicuro».
Rose lo afferrò per il braccio e per la spalla, costringendolo a voltarsi. «Come avrei potuto valutare se volere o non volere qualcosa?».
Il ragazzo sollevò gli occhi al cielo e si decise a sedersi per poterla guardare meglio. Gli occhi sembravano stanchi. «Weasley» fece lui con molta calma. «Non abbiamo fatto niente» disse.
Diretto, conciso, efficace.
Di primo impatto Rose si ghiacciò come se tutto il corpo avesse perso ogni impulso vitale e lei si fosse dimenticata di respirare. Poi quel calore che le era stato negato tornò ad infiammarle il volto. Fu costretta a distogliere lo sguardo dal suo verde ora intenso, brillante e magnifico.
Infine sospirò sollevata e pensò davvero che avrebbe potuto abbracciarlo per quella lieta notizia.
E poi d’improvviso un’amara consapevolezza la bloccò.
Perché non è successo?
Era così impensabile per lui che potesse accadere una cosa del genere tra loro?
Sei davvero dispiaciuta che non abbia approfittato di te?
Certo che no.
Ma con un salto era giù dal letto e si risistemava i vestiti. Lo sentì muoversi silenzioso e seguirla verso la porta. 
  «Adesso perché sembri delusa?» chiese lui esterrefatto.
  «Sono solo sollevata» fece lei, ma mai come allora si era considerata una pessima bugiarda.
Il ragazzo la guardò intensamente e poi sospirò. «Sei un lavoro a tempo pieno».
Sapeva perché lo stava dicendo. L’unico ricordo nitido nella sua mente era la pazienza di Scorpius Malfoy mentre si prendeva cura di lei.
Non riuscì ad impedirsi di sorridere. Forse avrebbe dovuto ringraziarlo, lasciargli intendere quanto le sue premure significassero per lei e, quanto, immaginava, gli fossero costate.
Scorpius Malfoy sembrava innocuo, mentre la guardava, e tracce di stanchezza gli segnavano il volto affilato. Era austero nella sua preoccupazione, sembrava un uomo quando cercava di tranquillizzarla. I suoi occhi erano vigili e concentrati, come se un pensiero profondo si stesse arrovellando nelle iridi di smeraldo. La stava studiando.
Rose fece qualche passo verso di lui, e si concesse di vederlo confuso mentre si avvicinava al suo viso.
Ignorò il ronzio del suo cuore martellante, le dita ferme ma vibranti per il desiderio di indugiare sul suo collo, seguendo il profilo degli omeri sotto la camicia sbottonata. Lo sguardo si perse sul quel petto scoperto, liscio, eburneo come il corpo di una statua.
Con due dita gli sollevò il mento, poi si spinse sulle punte e poggiò delicatamente le labbra sulla sua guancia, indugiando in un bacio soffiato.
  «Buon Natale».
Quando si allontanò da lui, Scorpius Malfoy aveva sul volto un’espressione indecifrabile.
  «Adesso devi andartene» lo prese per il braccio e lo spintonò verso l’uscita «Davvero».
Quando fu completamente sola, si poggiò al legno alle sue spalle, freddo rispetto a tutto il suo corpo in ebollizione. E sorrise.
 
 
 
- § -
 
 
 
Il suo riflesso nello specchio aveva qualcosa di diverso.
Si passò una mano tra i capelli bagnati e li scompigliò, per recuperare quell’aria sicura, a tratti cupa, sempre distaccata, mai disavveduta. Ma ancora non si riconosceva nello sguardo che gli veniva restituito.
Quella nota stridente non accennava a lasciare il suo viso. Non era semplice comprendere da dove provenisse, ma gli sembrava tutto distorto. O tutto in perfetta armonia.
Poi capì che non riusciva a smettere di sorridere.
Si avvolse l’asciugamano intorno alla vita e aprì la porta del bagno. Lanciò un urlo strozzato alla vista del suo migliore amico, poggiato contro il muro, immobile con le braccia incrociate e un’espressione preoccupante sul volto.
  «Ma che problemi hai?» esclamò.
  «Doccia fredda?».
Albus Potter aveva le labbra contratte in una smorfia di serpentesca indiscrezione. Gli occhi accesi da quel bagliore di consapevolezza e di eccitante malignità, che si dischiudevano in sottili fessure con un intento deliberatamente inquisitorio.
Albus Potter gli avrebbe dato il tormento.
Era certo che il suo ghigno volesse ispirare una forma di complicità, ma a Scorpius ricordava solo un molestatore con poca esperienza.
Per tutta risposta lo ignorò e filò dritto in camera.
  «Ne hai avuto bisogno, immagino» disse Albus, seguendo l’amico «Per acquietare tutti i nervi tesi» precisò, chiudendosi la porta alle spalle. Parlava con ritmo lento, cadenzato, con enfasi eccessiva.
  «Inizi ad essere inquietante». Prese i vestiti del giorno prima che aveva abbandonato sul letto. Si premurò di voltare le spalle ad Albus prima di portarsi la camicia al viso.
Il suo profumo.
Qualcosa si risvegliò con una fitta di piacere, e tutti gli sforzi della doccia ghiacciata si andarono a farsi benedire. Adesso aveva ben altro da nascondere all’amico.
  «Sei di buon umore, mi fa piacere».
Con un freddo sibilo rese chiara quale fosse la sua opinione a riguardo.
Afferrò i vestiti puliti e lasciò cadere nel baule gli indumenti che aveva già indossato, separandosi con una certa fatica dall’odore che impregnava la sua camicia.
Poi si accorse che qualcosa mancava all’appello. Avevo lasciato la giacca sul letto di Rose.
  «E non mi sembra nemmeno tu abbia dormito troppo bene».
Questo era sicuro.
Dormirle accanto in quel modo, barricandosi in una fortezza di autocontrollo, debole ad ogni sua spinta, dolorosa ogni volta che lei si lasciava scorrere contro il suo corpo come fosse un serpente, sinuosa e delicata, in una velata e inviolabile provocazione.
La paura e il desiderio di infrangere quella patina di proibizione da cui era avvolta si erano scontrati in lui per tutta la notte, mentre la consapevolezza che lei non si sarebbe mai lasciata sfiorare dalle sue mani prepotenti, avide di assaggiarla e timorose di distruggerla, realizzava sulla sua volontà uno scudo di freddezza.
Questa volta un sospiro irritato fu l’unica forma di interazione che fu disposto a concedere ad Albus, mentre pensava ad un modo per infilarsi i pantaloni senza dare nell’occhio.
  «Che poi, dove hai dormito, sarebbe la vera domanda».
Eppure non gliela poneva, perché Albus Potter non chiedeva mai, a meno che non avesse uno scopo ben preciso che andasse oltre la prevedibile acquisizione di informazioni.
  «Hai poi incontrato Rose?».
Come quello di fargli perdere la pazienza.
Scorpius si voltò seccato con talmente tanta veemenza che i pantaloni gli caddero dalle mani.
Albus Potter scoppiò a ridere.
  «Direi di sì o sei davvero troppo felice di vedermi».
  «Ti ho mai detto che sei una vera piaga sociale?» grugnì, recuperando l’indumento che almeno adesso poteva infilare senza troppo mistero. «Una conversazione con James Potter a confronto è una passeggiata di salute».
  «Prego». Albus si grattò il naso, continuando a sogghignare. «Sono certo che non vede l’ora di sapere dove hai passato la notte. E con chi».
Si figurò l’assurda immagine di James Potter che entra in camera loro e lo sorprende con la cugina. Una scenata di melodrammatica teatralità sarebbe stata proprio nelle corde di Potter, ed un eventuale coinvolgimento del resto della famiglia, per convincerli di come Scorpius avesse macchiato l’onore della giovane Weasley, sottraendole la sua virtù illibata.
A quel punto sarebbe di certo intervenuto Ron Weasley, ma preferì interrompere lì quella riflessione.
  «Non ho proprio nulla da dirti» fece Scorpius gelido, evitando di dargli soddisfazione.
Albus Potter si strinse nelle spalle. «Non mi sembra di averti chiesto niente».
 
 
 
- § -
 
 
 
Rose prese dalla credenza la tazza del caffè, poi ci ripensò e ne afferrò una più grande; si avvicinò all’isola dove tre caraffe piene rilasciavano profumo di dolce risveglio alla Tana, e versò abbondante liquido nero in una porzione almeno doppia rispetto a quella cui era avvezza.
  «Non starai esagerando, ragazza?».
Ginny Weasley lasciò cadere un po’ di cenere nell’aria, poi questa svolazzò in piccole spirali fino a disperdersi fuori dalla finestra. Hermione Granger si separò immediatamente dalla Gazzetta del Profeta per sollevare su di lei uno sguardo preoccupato.
  «Tutto bene, Rose?».
Le due donne, ancora avvolte nelle loro vestaglie da notte, sedevano sugli alti sgabelli che circondavano l’isola, dove, scambiandosi giornali e riviste, tra un sorso di caffè e del succo di zucca, cercavano di dare inizio alla giornata.
La ragazza annuì semplicemente, perché non sapeva prevedere in quali rantoli moribondi si sarebbe manifestata la propria voce. Nonostante si fosse abbandonata per un’eternità nel vano doccia, sotto il flusso incandescente dell’acqua energica e penetrante, finché questa non le ebbe strappato di dosso il suo profumo anche dalla mente, si sentiva ancora stordita.
Allungò la mano verso un toast al formaggio, ma una fitta allo stomaco la convinse a desistere, e il senso di nausea tornò a tormentarla. Questa volta Hermione Granger depositò tutti i suoi ammirevoli tentativi di informarsi sulle notizie del giorno. In quel momento Rose si protese nella sua direzione per afferrare del pane tostato pulito, scelta decisamente meno minacciosa per il suo stomaco in subbuglio, e la madre ne approfittò per passarle una mano sulla fronte.
  «Mamma» disse semplicemente Rose, alzando gli occhi al cielo. «Non ho la febbre» la informò, considerando quanta poca esperienza dovesse avere la donna con i sintomi da sbronza.
Ginny Weasley, al suo fianco, ridacchiò. Qualcuno trascinò con troppo vigore lo sgabello al fianco di Rose e prese posto in un’espressione furibonda.
  «Buongiorno anche a te, Lily» commentò la madre allegra.
Per tutta risposta la figlia minore fece un gesto del capo rivolto alle due donne, poi tornò ad indirizzare tutto il suo odio verso la cugina.
  «Dove avete dimenticato le parole, vuoi due, stamattina?» fece Hermione, studiando Lily come se ne volesse valutare la distanza e capire di quanto il proprio braccio si sarebbe dovuto allungare per raggiungere la fronte della nipote.
  «Già, dove le abbiamo dimenticate?» rispose Lily acida, non accennando a voler mollare la cugina.
Rose le rivolse uno sguardo confuso. 
  «Ultimamente tante cose vengono dimenticate» aggiunse drammatica.
Le sopracciglia di Rose disegnarono un arco di perplessità, mentre la cugina sollevava il mento per aria, addentando il toast al formaggio cui aveva fatto la corte lei, poco prima di abbandonarlo. Un ruggito dello stomaco la informò di esserne già pentita.
  «Tipo?» le fece eco Ginny.
Lily, lungi dal considerare il tono canzonatorio della madre, si sentì profondamente rincuorata da quell’attenzione, e proseguì più motivata che mai.
  «Dettagliate informazioni su qualcosa di straordinario che potrebbe essere accaduto finalmente, contro ogni comune previsione, nonostante qualcuno – mente superiore inascoltata- sostenesse da tempo che sarebbe successo prima o poi, e avrebbe reso tutti più felici» rispose, poi scrollò le spalle «Cose così».
Hermione studiò le ragazze solo un’ultima volta, poi scosse la testa e valutò fosse più facile ritornare alla propria lettura. Ginny Weasley inalava il fumo dalla sigaretta e annuiva.
  «Vi siete divertite ieri sera, vedo».
  «Qualcuno più di altri» rispose Lily.
La gamba di Rose scattò sotto il tavolo e colpì lo stinco della cugina, che si lasciò sfuggire un gemito.
Nuovamente gli occhi di Hermione si sollevarono al di sopra del giornale e poi incontrarono quelli dell’altra donna, il cui volto contratto tratteneva una risata.
In quel momento dei passi flemmatici interruppero l’ennesima espressione di tragica sofferenza che avrebbe espresso alla meglio tutto il biasimo di Lily, e precedettero l’ingresso in cucina di Albus Potter e Scorpius Malfoy.
  «Hai visto, Hermione» esclamò Ginny. «Tutti mattinieri questi ragazzi».
La donna annuì, gli occhi distrattamente svolazzanti tra le pagine della Gazzatta, l’attenzione ben piantata su Lily che adesso sembrava conficcare il gomito nel fianco di una Rose color porpora.
  «Guarda che ci vedo benissimo» sussurrò quest’ultima.
Con la coda dell’occhio Rose avvertiva il profilo di Scorpius muoversi alle sue spalle. Tornò a sorseggiare il proprio caffè, lottando contro se stessa per evitare di voltarsi.
Quando Albus Potter si appoggiò con gli avambracci alla superficie del tavolo, Rose lo trovò particolarmente sorridente, motivo per cui evitò accuratamente di dargli ulteriori pretesti che alimentassero la sua euforia. Incrociare il suo sguardo, ad esempio.
Scorpius Malfoy si trascinò al fianco dell'amico. Indossava una felpa grigia che sposava perfettamente con quell’aria di educata indifferenza.
I loro occhi si erano incontrati con distrazione e subito entrambi si erano affrettati ad allontanare altrove l’attenzione. Solo quando Lily la spintonò, Rose si accorse di aver trattenuto il respiro.
  «Caffè, ragazzi?» si intromise Ginny, sorridendo ai nuovi arrivati.
Hermione si accigliò. «Non dovrebbero abusare di quella roba».
L’altra donna si strinse nelle spalle «Siamo in vacanza, Hermione. I ragazzi vengono da nottate intense, dovranno recuperare da qualche parte». Avvicinò nuovamente la caraffa con un colpo di bacchetta e la lasciò sospesa davanti al ragazzo biondo. «Scorpius?».
  «Sto bene così, signora Potter, grazie».
  «Sicuro?» fece lei, guardandolo con gli occhi socchiusi. «Non mi sembra tu abbia dormito molto».
Lily le piantò una gomitata dritto nello stomaco e Rose avvertì il caffè bollente andarle di traverso. Quindi prese a tossire convulsamente, ma cercò di darsi un contegno nel più breve tempo possibile, mentre i presenti guardavano perplessi il suo volto probabilmente rosso come non lo era mai stato.
  «Rose, sei sicura di stare bene?» riprese la madre.
Ginny Weasley abbassò finalmente la bacchetta e lasciò che la brocca di caffè si depositasse al suolo, evidentemente soddisfatta.
  «Cosa c’è che non va?» la voce profonda di Ron Weasley anticipò il suo ingresso in cucina.
Come se la risposta si fosse concretizzata nella figura giovane, prestante e alta quasi quanto la sua di Scorpius Malfoy a due passi da sé, gli occhi di Ron si ridussero a due fessure di disappunto.
  «Rose?» disse, continuando a scrutare il ragazzo. «Tutto bene?» aggiunse senza intonazione, lasciando vagheggiare la sensazione di velata minaccia dietro quel semplice concetto.
Scorpius Malfoy sembrava finalmente teso, e decise di raddrizzarsi intorno al tavolo alto, nel modo più dignitoso che la sua ineffabile educazione gli aveva garantito. Alla vista di quella postura elegante e di un busto così brillantemente impettito all’interno di una squallida felpa, tuttavia, Ron Weasley si accigliò maggiormente.
  «Non so, zio» intervenne Albus allegro, portando alla bocca una manciata di cereali. «Sembra che Rose non abbia dormito».
  «Rose?» ripeté il padre, addolcendo il tono.
  «O era Scorpius?». Arrestò a mezz’aria la corsa dell’uovo al tegamino infilzato dalla forchetta verso la sua bocca, per concedersi un’espressione pensierosa. «Non mi ricordo».
Scorpius sollevò uno sguardo gelido verso l’amico, mentre Rose valutò quanta distanza li separasse per rovesciargli l’intero contenuto della caraffa in testa.
Hermione Granger concluse che fosse arrivato il momento di deporre il giornale. «Hai fame, tesoro?».
Il brontolio sommesso di Ronald Weasley accompagnò il suo lungo e tortuoso percorso fino alla moglie. Lei gli accarezzò la mano, sorridendogli affettuosa, in un timido tentativo di ammansirlo.
Istanti di interminabili silenzi, carichi di pensieri espliciti e tentativi soffocati di sollevarsi da quell’imbarazzo con scuse plausibili, furono interrotte dalla voce goffa ma perentoria di Ron Weasley, che parlò in un rantolo indistinto e borbottante.
  «Allora» annunciò, puntando gli occhi sul ragazzo. «Tu, quindi, sei amico di Albus?».
Rose avvertì del freddo sudore imperlarle la fronte, mentre Lily le sferrava l’ennesima gomitata sotto banco. Hermione abbandonò la tazza di caffè in un gesto rammaricato, poi incrociò lo sguardo esasperato della cognata.
  «Sì, signore» rispose deciso Scorpius.
Ron annuì «Da molto tempo» continuò.
  «Direi di sì» rispose dopo una lieve esitazione. «Signore» aggiunse.
Ron annuì con più convinzione. «E come mai proprio quest’anno hai deciso di passare le vacanze da noi?» disse con una punta di aggressività malamente repressa. Il volto dell’uomo era diventato paonazzo, mentre una vena sulla tempia scoperta prese a pulsare più frenetica.
  «Ron» la voce tagliente di Ginny spazzò via tutta la tensione rilasciata dal fratello.
  «Sto solo facendo qualche domanda» si indignò lui. «Non mi è nemmeno concesso fare domande?».
Hermione interpose uno sguardo preoccupato tra i due fratelli. Il silenzio scese sulle loro teste piegate ognuno nei propri sorsi di caffè.
  «Dunque» riprese Ron, tra i sospiri amareggiati degli altri.
Scorpius riprese la postura rigida.
  «Lo sai che Albus e Rose sono molto legati?».
Fiamme di vergogna invasero il collo di Rose fino alla punta dei suoi capelli. Guardò la madre supplichevole, mentre la prospettiva che Scorpius Malfoy preparasse i bagagli per ripartire quella mattina stessa assumeva sempre di più contorni reali.
Qualcuno trascinò con uno stridore disturbante la porta della cucina.
  «Perché diavolo siete tutti qui?» latrò James, la voce ancora impastata dal sonno.
Diversi corpi sussultarono.
  «Tesoro » fece la madre, richiamandolo a sé e sistemandogli la massa di capelli corvini, sotto le manifeste proteste del figlio. «Il tuo buon umore di prima mattina è sempre contagioso».
Ron ignorò quell’interruzione.
  «Allora?».
Scorpius, che non aveva mai abbassato la guardia, fu pronto. «Lo so benissimo, signor Weasley» una pausa, poi continuò. «È impossibile separarli».
La risposta sembrò non essergli gradita, quindi Ron riprese con un tono sempre più alto. «Ma davvero?».
  «Già». La sicurezza di Scorpius assunse le tinte leggere di quell’arroganza che Rose conosceva fin troppo bene, e che iniziò a temere. «Possiamo dire che sono un pacchetto completo».
Gli occhi azzurri di Ron Weasley si infiammarono nell’espressione furiosa che stava scagliando contro quel ragazzo dal volto cereo, i capelli di un biondo irreale e lo sguardo insolente come ancora gli premeva nei ricordi.
Il volto assunse le stesse tonalità del rosso che lo caratterizzava come un marchio indelebile, e sembrò che del fumo dovesse perforargli i timpani, fino ad esplodere dalle orecchie.
La porta della cucina si aprì nuovamente, Nonna Molly procedette incerta, distribuendo con piccoli passi goffi tutto il suo peso sulle gambe tarchiate, e sollevando un’ampia cesta di indumenti. Una pericolante montagna di capi da lavare perse la sua vetta, che precipitò rovinosamente sul pavimento.
Hermione subito si sollevò per andarle incontro, ma la donna la bloccò con un movimento deciso della mano.
  «Tutto bene, cara». Agile come fu in una gioventù ormai sfiorita, Nonna Molly recuperò una giacca scura, dal taglio curato e le cuciture a vista, una preziosa manifattura di stampo italiano.
Rose la riconobbe con una fitta dolorosa allo stomaco, come se la nonna stringesse tra le dita grassocce una parte del suo stesso corpo.
  «James, hai lasciato nella camera della ragazze questa giacca»
James Potter sollevò appena uno sguardo stentato sulla richiesta della nonna, già convinto delle proprie affermazioni. «Non è mia» disse semplicemente.
La donna guardò circospetta l’indumento e ne rivalutò le misure in un’ultima vana ispezione, ben sapendo di conoscere a memoria le fattezze dei nipoti.
  «Sarà di Ron» concluse, poco convinta.
L’uomo, tirato in ballo, alzò gli occhi al cielo «Perché dovrebbe essere mia, mamma?».
  «Beh, vieni un po’ a vederla, nessuno dei ragazzi è alto quanto te» ribatté lei. «E poi l'ho trovata sul letto di Rose».
La ragazza in questione deglutì probabilmente sabbia incrostata.
Provò a trasmettergli tutta la supplica del suo volto contratto in una sofferente preghiera, ma Scorpius Malfoy la ignorò. Si alzò lo stesso, o forse si alzò di proposito, nel momento esatto in cui Ron si trascinava, brontolando verso la madre.
  «Mi scusi, signora Weasley» disse con tranquillità.
Con un passo agile fu accanto a Ron e rivolse la sua cortese attenzione alla padrona di casa.
Accarezzando con gentilezza quella giacca, che adesso Rose guardava con disgusto, come il più fetido dei cenci, disse «Credo sia mia».
Nonna Molly sembrò a disagio, ma gli sorrise teneramente, abbozzando qualche scusa impacciata.
L’espressione di Ron Weasley invece era indecifrabile.
Effettivamente, valutando le due figure fronteggiarsi, si poteva difficilmente distinguere i pochi centimetri sotto cui il capo di Scorpius Malfoy soccombeva con umile deferenza.
Eppure lo scarto bastò affinché Ronald Weasley si elevasse come un colosso al di sopra del ragazzo, troneggiando, indomito e solenne, come Rose non l’aveva mai visto.
Scorpius non si piegò, sostenne quello sguardo con fermezza, senza che nessuno dei due volti cambiasse espressione, tanto da far pensare che stessero comunicando in silenzio.
Poi Ron lo superò e lasciò la stanza, in silenzio, e nessuno capì se quella diatriba avesse visto un vincitore.
 
 
 
- § -
 
 
 
Nel giardino sul retro l’aria era fredda come se l’era immaginata, ma secca. Si strinse nel cappotto mentre raggiungeva i cugini, e pensò che forse quella sera avrebbero potuto sopportare il gelo di dicembre.
Dominique aveva organizzato tutto, ed era facile notarlo.
A stento individuò altro che non fosse il buio del cielo inghiottire la vegetazione fitta intorno a sé, valicare il confine della recinsione in legno scuro del giardino Weasley e investire il prato inglese. Solo qualche albero perimetrale si stagliava imponente sulla distesa di ragazzi, avvolti nelle loro coperte di marchio Nonna Molly, stretti tra abbracci reciproci per vincere il clima poco clemente di quella stagione.
Eppure Dominique aveva aggiunto del suo.
Le tante chaise longue in pelle di daino erano disposte in file asimmetriche, disperse nell’erba fitta, un po’ confuse, ricreando il disegno luminoso del cielo.
La nottata delle stelle era l’unica sua debolezza che Dominique si riteneva disposta a condividere con i cugini, quindi Rose trasse un profondo respiro di vapore condensato e scelse una delle rustiche chaise longue che la ragazza aveva disposto in quella coltre buia.
Non una sola fonte luminosa doveva inficiare l’apparizione delle stelle alla loro misera vista.
Dominique lo ripeteva sempre.
Era molto più morigerata di quanto si impegnasse a far trasparire.
Molly e Lucy erano già avvolte nelle loro coperte e sorseggiavano la cioccolata calda di Nonna Molly che volteggiando nella notte si era fatta strada verso ogni seduta, mentre Fred e Roxanne discutevano per accaparrarsi la tazza più capiente. Gli altri cugini ancora vagavano nel giardino in attesa di sistemarsi, sotto la supervisione di una Dominique sempre più impaziente.
Le postazioni erano quasi tutte occupate, eppure James Potter, alto e imponente, sedeva ancora solo sulla comoda poltrona.
Lily Potter scosse la coperta accanto a Rose e si lasciò andare nervosa.
Lei sollevò un sopracciglio e guardò la cugina minore imbronciata. I capelli corti fino alle spalle, sottili e lisci come i suoi non erano mai stati, le ricadevano sul volto contratto.
  «Non so se è peggio avere un idiota come fratello o una Vipeera come cugina».
Rose ci pensò su a lungo, per non dare l’impressione di custodire dentro di sé una chiara risposta, fulgida e meschina come il desiderio di depennare quella stessa cugina dall’albero genealogico.
  «Scelta difficile, in effetti».
Lei sbuffò. «Non ci vedo nulla di male nel pensare di sedermi accanto a lui».
  «E invece?».
  «Dominique ha fatto l’isterica come ogni Notte delle Stelle e lui mi ha detto di sparire».
Osservò la ragazza abbandonarsi contro lo schienale, mentre il proprio rammarico si dissolveva in una nuvola di rassegnazione. Provava ogni volta una forma di distaccata curiosità nel constatare le infinite maschere di sofferenze che i fratelli Potter si passavano sui loro volti, in un gioco interscambiabile di sopravvivenza.
Quanto fossero capaci di provocare dolore nell’altro, forse era visibile solo ad un occhio esterno.
  «Sai che James è l’unico a sopportarla» disse in un tentativo poco convincente di rincuorarla e di assolvere James Potter da tutte le accuse che lo ritraevano come il peggiore dei fratelli. «E poi ti rimane sempre quello simpatico».
Lily sollevò su di lei uno sguardo ancora più contrito. «E Scorpius dove lo metti?».
Più prepotente di ogni sua resistenza, l’immagine di lei e Malfoy avvolti tra le coperte a guardare le stelle, si esibiva trionfante, attenendo solo che lei vi scivolasse dentro.
  «Secondo te avrà piacere a stare con Albus?» disse, non sapendo se avesse lasciato trasparire un po’ della sua speranza.
Lily si strinse nelle spalle. «Figurati, fanno qualsiasi cosa insieme».
Rose si chiuse nel suo silenzio.
  «E poi, con chi altro potrebbe mai stare?» aggiunse, dopo averla guardata attentamente.
La voce di Lily sembrava vaga, nel tentativo di simulare quella artificiosa del fratello minore. Rose la ignorò e lei non gradì che il proprio colpo cadesse nel vuoto.
  «Che poi perché Dominique dovrebbe preferire James quando c’è Scorpius tutto solo e caldo da stringere sotto le coperte?».
Istintivamente si irrigidì.
Scoccò alla cugina un’occhiata di profondo disgusto misto a rancore cocente, destinato a persistere dentro di lei a lungo, per la sola immagine che Lily le aveva creato nella testa. Un’immagine che adesso premeva come una lenta tortura.
  «Certo, potresti proporglielo tu» buttò lì Lily con noncuranza. «Se mi chiedi cosa e a chi ti do un pugno in testa».
Rose sollevò gli occhi al cielo. «Non ricominciare, Lils»
La ragazza annuì, aspettandosi quella risposta. «O potremmo fare in modo che la cosa accada» aggiunse, questa volta con una luce pericolosa in viso.
  «Accada che cosa?».
La voce fredda di Scorpius Malfoy giunse dal nulla alle spalle di Lily, e le fece sussultare.
Le mani nelle tasche del cappotto e una sciarpa che si adagiava sul suo collo senza nemmeno provare a proteggerlo. Così esibiva un’espressione leggera, di chi si trova in quel posto, in quella circostanza e con quegli occhi curiosi, per puro caso.
Nel buio pesto ricreato da Dominique, i suoi capelli biondi e quel volto eburneo erano impossibili da non notare.
Albus Potter lo seguiva di poco.
  «Oh, nulla» fece Lily con enfasi, poi si voltò verso Rose e la guardò fissa, continuando a parlare. «Si parlava di Dominique tutta sola, poverina».
Lei sostenne il suo sguardo in segno di sfida, ma la verità era che la piccola Lily Potter iniziava a farle paura.
Albus guastò appena la propria maschera di serenità per sollevare un sopracciglio, unica virgola di scompostezza in un volto placido come il mare in una notte d’estate. «E James?» 
  «Credo che quest’anno la nostra bella cugina gradisca un altro tipo di compagnia» continuò Lily. «Scorpius, hai già preso posto?» disse, rivolgendo al ragazzo un sorriso di sinistra cortesia.
Qualcosa di raccapricciante nell’espressione della piccola Lily indusse Scorpius Malfoy a scoccarle una pigra occhiata tediata.
Rose, a quel punto, comprese come fosse sottile la differenza tra Grifondoro e Serpeverde se di mezzo vi erano i geni fatali dei fratelli Potter. Si ripromise di costringere James ad osservare quanto di tutto quel mondo, cui lui aveva dichiarato guerra ben sei anni orsono, fosse radicato nella sorella minore.
  «Ok». La risolutezza di Rose si scagliò nello sguardo di fuoco che mise a tacere la cugina. «Lily desidererebbe passare la serata con te, Al».
Il ragazzo sollevò un sopracciglio. «Davvero?» 
Anche Lily sembrava sbigottita. «Davvero» disse tra i denti, fulminando la cugina.
  «Si sente un po’ trascurata ultimamente» continuò Rose. «È normale, in quanto sorella minore, soffrire per le tue mancate attenzioni» disse, aggiungendo uno sguardo di profondo biasimo e carezzando la testa della cugina in un gesto di completa empatia.
Lily Potter ridusse i suoi occhi a due fessure di odio, mentre Scorpius Malfoy incrociò le braccia al petto, profondamente interessato.
  «Trascurata?». Albus Potter era decisamente perplesso, ma la risolutezza che si trascinava dietro come un manto di protezione contro le insidie esterne e le debolezze interne, si incrinava nei tratti somatici di stampo Potter. Un solo punto debole si poteva ravvisare nella coltre che lo avvolgeva e tutelava, e questo aveva le sembianze dei suoi due fratelli, le estremità della sua persona.
Per questo prese con sé la sorella, ritenendo quel semplice sfogo di capriccio infantile, una normale manifestazione di affetto.
Scorpius Malfoy aveva sul volto un ghigno divertito.
  «Quindi» iniziò con tono basso e caldo, tanto che i primi brividi di freddo o di tensione pizzicarono la giuntura tra il collo e la nuca di Rose, come una reazione di contrasto. «Se non ho capito male, dovrei cercarmi un posto».
A quel punto il fulgido ragazzo dalla disinvolta sfrontatezza avrebbe dovuto percepire le sue intenzioni, sottraendo Rose dalla scomoda situazione in cui, lo sapeva, si stava inabissando.
Ma quel ragazzo era Scorpius Malfoy, e vedere Rose precipitare nella disperazione era il suo passatempo preferito.
Glielo suggerì l’aria di scherno con cui attendava l’esito di quella messinscena.
  «Malfoy» iniziò lei con quanta più velenosa cortesia fosse in grado di manifestare.
  «Sì?» era educata formalità quella che le rivolse.
Lei si costrinse a mantenere uno sguardo fermo su di lui; si scambiarono uno sorriso di muta provocazione, poi lui la invitò a proseguire.  «Si dà il caso che io abbia un posto libero» fece lei e come esordio sembrava anche convincente. «Sono disposta ad ospitarti» concluse con più fatica.
Lui finse sorpresa, poi strabuzzò gli occhi. «Sei disposta?».
  «Mi farebbe piacere» corresse.
Un attimo di silenzio. «Sicura di non sentirti costretta?».
Rose sollevò gli occhi al cielo. «Sarebbe davvero fantastico».
  «Cosa sarebbe fantastico?» proseguì lui.
Era certa che avrebbe continuato così in eterno. «Averti qui accanto a me questa sera» disse, sbattendo insistentemente gli occhi.
Scorpius Malfoy annuì e ci pensò un po’ su, infine si rivolse ad Albus. «Non ci sarebbe qualcosa di meglio?».
Rose sbuffò sonoramente.
Albus era divertito «Allora siamo d’accordo» disse. «Fate i bravi» aggiunse indugiando sull’amico, prima di andare via, seguito da Lily che si volto appena per lanciare a Rose uno sguardo stravolto.
Scorpius Malfoy non sembrava intenzionato a muoversi.
  «Posso?».
  «Da quando mi chiedi il permesso per fare le cose?».
Lui sorrise. «Sento del rimprovero».
  «Più una punta di risentimento. Non guasta mai». Poi sollevò la coperta e gli lasciò posto accanto a sé.
Quando si accomodò, Rose si rese realmente conto di quanto lo spazio si fosse ridotto, rispetto a quello lasciato libero dalla piccola Lily. Dovette sollevare le spalle per permettergli di sistemarsi al meglio, e nel momento in cui provò a riprendere posto, comprese che lui non lo aveva messo in conto.
Lo guardò di sbieco. «È previsto che ci sia spazio anche per me?» domandò.
  «Prego».
Rose aggrottò la fronte. «Dove, esattamente? Addosso a te?» fece in una risata.
Scorpius Malfoy la guardò serio. «Dovrebbe risultarti familiare ormai».
Lei lo colpì sul braccio.
  «Ti preferisco da ubriaca» fece lui, massaggiandosi l’arto.
  «Comodo, quando sono debole e innocua».
Lo sguardo del ragazzo era circospetto. «Allora è vero che non ti ricordi niente».
Un altro schiaffo sul suo braccio. Questa volta lui rise.
Rose continuava a guardarlo incerta, non osando adagiarsi accanto a lui. Scorpius rilassato, attendeva.
  «Ti perdi un bello spettacolo» disse, gli occhi verdi immersi nella volta nera, macchiata di luci.
Eppure lei credeva che uno spettacolo più bello di quello cui stava assistendo difficilmente l’avrebbe trovato.
  «Hai paura?».
  «Dovrei?».
Scorpius si strinse nelle spalle. «È pur sempre un’altra notte con me».
Sì, aveva paura.
  «Non può essere tanto più pericolosa dell’ultima».
Poteva solo essere devastante.
  «Non lo so, ci sono le stelle» disse con sguardo assorto «Rischi di innamorarti davvero».
Di colpo le mancò l’aria. Provò a respirare così da guardarlo negli occhi, ma una lotta interiore le richiedeva tutta l’energia di cui disponeva: capire quanto di sincero ci fosse in quelle parole.
Gli studiò gli occhi per cogliere turbamento, le labbra, sperando di intravedere l’incertezza che le facesse vibrare. Ma Scorpius Malfoy era una maschera di cera senza emozioni che la tradissero.
  «Pensi che mi bastino le stelle?».
Lui sorrise «Penso che il danno sia fatto ormai» e quel sorriso, infine, le sembrò una linea di tensione, cosicché fu impossibile dire con certezza di chi stesse parlando.
Si guardarono per momenti interminabili senza dire una parola, ma quel silenzio sembrò leggero come il vento freddo che si insinuò tra i loro capelli, li agitò su occhi,  naso, bocca, celando parte del viso.
Rose tremò.
  «Non essere testarda» disse infine, facendole cenno con la mano.
Intanto l’idea che Scorpius Malfoy non le avrebbe mai fatto posto accanto a sé divenne certezza.
  «Difficile come chiederti di essere trasparente».
Lui annuì divertito. «Hai mai pensato che se non me lo chiedi è perché non vuoi che io lo sia?».
La veridicità di quell’affermazione la colpì nel momento esatto in cui la pronunciò, con una sordida efficacia di cui solo Albus sarebbe stato capace
Rose piegò la testa di lato. «Probabile».
Scorpius Malfoy si portò una mano dietro la testa e la guardò consapevole «Ah, Weasley» sospirò «Quante cose di me continuerai a disprezzare prima di ammettere che non ne puoi fare a meno?».
Una punta di arroganza per inasprire quel momento troppo complicato.
Rose lo apprezzò e ritenne opportuno contribuire ad allentare quell’aria densa, perciò sollevò appena il mento, stizzita.
  «Credo tu abbia dimenticato di lasciare in camera il tuo ego» disse acida. «Malfoy».
Scorpius Malfoy scoppiò a ridere di una risata leggera, poi la afferrò per la vita e la condusse verso di sé. Il braccio sinistro la avvolse completamente, permettendo alle scapole di lei di adagiarsi contro il suo petto.
Rose rimase di stucco. Un brivido la fece tremare ancora, più forte.
Lo sentì sistemare la coperta in modo che fossero ben riparati.
Si chiese se pensasse che il brivido fosse colpa del freddo.
  «Per quanto mi riguarda, adoro il tuo essere testarda» le disse con voce diversa, dolce e complice, come se fosse un segreto sussurrato perché fosse poi dimenticato.
Nel buio, Rose, cercò la sua mano, la trovò e la strinse, lasciando che le dita si intrecciassero completamente.
Sono lontani i momenti in cui ci sfioravamo.
Qualcuno ordinò di fare silenzio, forse Dominique, o Molly, qualcun altro simulò suoni molesti, probabilmente Fred, quasi tutti risero.
Era un dolce sottofondo.
Rose dimenticò dove si trovava, dimenticò i cugini lì vicino, che la sapevano tra le braccia di Scorpius Malfoy, dimenticò il padre a pochi metri che non le avrebbe parlato per giorni, se solo avesse saputo.
D’altronde si era data da fare per realizzare l’impossibile, proprio come voleva.
Era quello che voleva?
Sentì una voce pronunciare parole che le arrivarono confuse. Scorpius Malfoy rideva con qualcuno che non fosse lei, sotto le coperte disegnava linee di cocente pressione sulla sua mano, in un gesto distratto.
Lei aveva gli occhi immersi nel cielo e la paralizzante sensazione di aver dimenticato qualcosa di importante. Respirare.
  «Rilassati» le sussurrò, il ghigno percepibile nel soffio del suo anelito che le solleticò l’orecchio.
E lei ci provò, inalò aria satura di quel profumo, ignorò il calore del suo corpo e la fermezza del suo respiro, il petto scosso da quella risata sicura e rilassata. Poi lui lasciò scivolare una mano esperta sotto il cappotto di Rose, che trasalì.
Lo sentì ridere di nuovo, ma questa volta per lei, di lei.
Si scostò irritata, ma lui la riportò a sé, stringendola maggiormente contro il proprio petto. Avvertiva il suo volto vicinissimo. Provò a scostarsi nuovamente, non sufficientemente certa di aver manifestato il proprio sdegno, ma lui non sembrava intenzionato a concederle quella piccola vittoria.
  «Buona». Era solo un sibilo, ma tanto bastò perché la lingua di fuoco dalla sua bocca serpentesca sgusciasse tra le viscere di Rose fino a farla vibrare.
Cercò disperatamente una maniera per fronteggiarlo, ma lui non gliene diede il tempo e lasciò scorrere le labbra sul suo collo.
E qualcosa esplose in lei sotto i vestiti.
Poi lui interruppe d’improvviso quel contatto, lasciandola tribolare in silenzio.
  «Stai bene, Weasley?».
Questa volta a bruciarla fu la fiamma della sua alterigia.
Allora cambiò strategia. Si rilassò maggiormente contro il suo petto e sollevò su di lui uno sguardo pieno.
  «Tutto nella norma, Malfoy» disse. «È soltanto un’altra notte con te».  
Scorpius Malfoy sembrò soddisfatto di quella risposta
Rose allontanò gli occhi, perché in quel momento non chiedeva domande, e non cercava risposte che non avrebbe compreso. Si lasciò andare contro il suo corpo caldo, poggiò il viso sulla sua spalla e ne inspirò il profumo fresco e moderato, mentre lui la avvolgeva sempre di più.
 
 
 
- § -
 
 
 
Suo padre si lamentava sempre che se lo avessero pagato quanto meritava, sarebbe stato anche disposto a riprendere a lavorare così presto.
Harry solitamente annuiva, ma in fondo non gli dispiaceva ritornare alla vita di tutti i giorni. Amava essere un Auror.
E anche suo padre, ma lui amava di più lamentarsi.
In quei giorni, tuttavia, Rose non si sentiva particolarmente comprensiva nei confronti dei malumori del padre, che solitamente trovava così affini ai propri scompensi emotivi.
Ma, davvero, in quegli ultimi giorni lo scombussolamento che dovette sopportare all’idea che i Potter tornassero a casa loro, impegnò tutta la sua attenzione. Hermione continuava a ripeterle quanto fosse distratta e James le urlava dietro tutto il proprio disappunto su come i tempi di pace potessero ammorbidire i buoni costumi. Quindi la guerra che l’avrebbe attesa sul campo da Quidditch al suo ritorno sarebbe stata devastate.
Ubriacata dalla tensione che quella decisione le causava, vagava per la casa alla ricerca di una scusa che dilatasse il momento, ma il giorno stava per giungere al termine e aveva la responsabile sensazione che il tempo a sua disposizione stesse scadendo.
Quindi ingoiò il proprio orgoglio e bloccò il cugino per casa, chiedendogli se avesse visto Scorpius.
Disse proprio così, Scorpius, non Malfoy.
Si sentiva ispirata quella sera, d’altronde mancavano poche ore alla loro partenza, ultima occasione per approfittare di quella follia inebriante, prima che l’incantesimo si spezzasse.
Lui la fissò solamente per un po’, senza mostrare i suoi pensieri.
  «Dovrebbe raggiungerci a breve in mansarda» spiegò Albus. «Ma lo puoi trovare in camera, se è proprio urgente» aggiunse.
Forse intuì il fermento della cugina perché non azzardò domande.
Non ebbe bisogno di farsi coraggio quando si trovò davanti la porta chiusa che chiedeva solo di essere percossa dal suo pugno tremante in modo gentile e impaziente.
Credeva che lui avrebbe apprezzato l’impazienza che indossava quella sera. L’aveva sentita scuoterla la notte precedente, anelante sulle labbra che lui le aveva dischiuso sul collo.
Da quel momento qualcosa era definitivamente imploso e lei era impazzita di consapevolezza: la certezza che il posto della labbra di Scorpius Malfoy fosse il suo corpo.
Il fuoco d’ansia la stava consumando, quando pensò di rifugiarsi nel bagno per spegnere il calore sul suo collo con gocce di acqua fredda.
Per questo sentire la porta della camera dei ragazzi schiudersi non le causò spavento ma una specie di allucinazione.
Sì, era sicuramente ancora sotto l’incanto di quella delirante follia, perché le parve di vedere riflessi di chioma biondo-argento di stampo Delacour.
Allora si appoggiò contro lo stipite e sbirciò nella giuntura tra questo e la porta del bagno. Ben presto si rese conto di quanto tutta quella discrezione non fosse necessaria, perché Dominique Weasley, dopo essersi fatta più distinta, mentre si chiudeva la porta della stanza dei ragazzi alle spalle con un sorriso beato sul volto, si diresse frettolosamente verso di lei.
Spalancò la porta del bagno e per poco non la colpì.
  «Rose» si portò una mano al petto.
Sembrava sinceramente spaventata, poi i suoi occhi sempre languidi e ora provati, si piantarono su di lei con determinazione.
  «Che ci fai qua?».
Se non fosse stata tanto sconvolta, probabilmente le avrebbe sputato addosso che non era affar suo, eppure Dominique sembrava troppo presa dalla sua preoccupazione, per prestare attenzione al viso sempre più pallido della cugina.
Quindi Rose ebbe il tempo di recuperare un po’ di voce, precipitata chissà dove nei meandri di quella disperazione.
  «Me ne stavo andando».
 
 
Effettivamente andò via, non in mansarda con gli altri, ma sul retro del giardino e vomitò.
Così rifletté che fosse più facile essere ubriaca che innamorata.
Era tra i cespugli dei nonni con sudore ghiacciato ad intorpidirle le braccia nude.
Tremò come scossa da convulsioni.
Corse di sopra, evitando di guardare la porta di quella camera e si rifugiò in bagno sotto lo doccia. Si rintanò nel vano, strofinando via con forza tutta quella stupidità di cui quell’anno era infarcita l’aria natalizia e che sicuramente adesso le aderiva alla pelle.
Si guardò allo specchio, sollevando i capelli bagnati con un elastico e contemplando il collo dal riflesso appannato. Allora premette sul distributore di sapone tante volte, finché lava bianca non le colò dal palmo, fino all’avambraccio, e iniziò a graffiare il collo tanto da farsi male.   
 

Era in mansarda, seduta sul muretto perimetrale in legno, accanto a Lily, abbandonata contro il muro, mentre Dominique alternava cortesie tra tutti i presenti, volteggiando in leggiadre piroette di disturbante allegria.
Scorpius Malfoy continuava a cercare il suo sguardo.
Lei non ricordava nemmeno quanto fosse intenso il verde dei suoi occhi, tanto era lo sforzo con cui si stava premurando di far finta che non esistesse.
Così quando lei decise di averne abbastanza di tutta quella gioia che Dominique voleva diffondere nel mondo, e si avvicinò alle scale per raggiungere il piano di sotto, lui le si parò davanti.
  «Effettivamente tuo fratello ascolta musica raccapricciante».
Lei non lo guardava, ma gli diede la possibilità di proseguire.
  «E l’alcol è migliorabile» aggiunse storcendo il naso. «Credo sia opera di Potter».
Rose spostò il peso sull’altra gamba.
  «Ma vedo che tu non ne hai bevuto nemmeno una goccia» concluse. «Quindi proprio non capisco perché te ne vuoi andare» aggiunse e sembrava dispiaciuto.
Quanto sei bravo.
  «Sono stanca» disse, sapendo di non essere convincente.
Lui le passò due dita sotto il mento e la costrinse a guardarlo, ma Rose si ritrasse bruscamente al suo tocco.
Avvertì la tensione del ragazzo anche senza incrociare il suo sguardo. 
  «Cosa c’è?».
  «Niente».
Scorpius mugolò pensieroso. «Ovviamente» disse. «Perché non mi guardi?».
Rose sospirò.
  «Siamo al solito?» domandò con una vibrazione di collera «È uno dei tuoi capricci?». 
Quello era davvero troppo. Si decise a fissarlo con occhi fermi.
  «No, sono solo stanca» disse con tono piatto, basso. «Se ti sposti me ne posso andare».
Lui sembrava spiazzato, ma si fece di lato e la lasciò passare.
Svolazzò tra la cucina e la sala da pranzo dove gli adulti erano riuniti davanti al camino con una tazza di tè.
  «Tesoro, un po’ di tè?» fece la Nonna, quando si avvicinò al divano per recuperare un libro di cui aveva estremo bisogno.
Lo afferrò e si impegnò ad indietreggiare, prima che qualcuno dei suoi familiari la prendesse sotto interrogatorio. Aveva già notato la madre contorcere la bocca in un’espressione preoccupata.
Poi andò a sbattere contro qualcuno.
Preparò un ‘scusa’ neutro e abbastanza cortese da rifilare a chiunque indistintamente, ma le morì in gola quando vide Scorpius Malfoy.
  «Tranquilla, ci sono abituato» disse lui, e sembrava gentile.
Non sapeva perché ma le parve la cosa più sbagliata che potesse dire.
Iniziò ad ipotizzare doppi sensi, allusioni, provocazioni. Poi immaginò Dominique con lui in camera, sul volto di lui la stessa espressione soddisfatta che restituiva al mondo.
Rose non riuscì a parlare.
  «Perché sei qui?» chiese con voce strozzata.
  «Sei pallida» spiegò lui, aggrottando le sopracciglia.
Sembrava preoccupato.
Avvertì la madre trattenere il respiro, ma per qualche strano motivo non si alzò per scrutarle le pupille alla ricerca del suo malessere. O forse l’aveva individuato da tempo, e ritenne saggiamente che non ci fossero cure.
Soprattutto se la causa del suo tormento la guardava da un metro e ottanta di sfrontata bellezza come se lei fosse il centro dei suoi pensieri.
Ennesima finzione.
  «Ok» disse aspramente. «Io me ne vado».
Iniziava a sentirsi osservata dagli altri.
  «Perché?» le mandò lui dietro e lei proprio non capì perché ci tenesse ad umiliarla in ogni situazione.
Aveva già permesso che lei stessa calpestasse la propria dignità, non occorreva che anche la sua famiglia si accorgesse di quanto fosse debole.
Si voltò per rispondergli con tono basso «Non è affar tuo».
 
 
Rose, questa volta, afferrò il cappotto e si avvolse la sciarpa intorno al collo. Di tremori incontrollati ne aveva fin troppi sotto la pelle.
Sbatté la porta alle proprie spalle con più veemenza di quanto avrebbe voluto.
Decise di marciare svelta nel buio gelido di quella notte, pensando che questa energia la distraesse dai suoi pensieri e attenuasse la sensazione di essersi lasciata proprio tutto alle spalle.
Ma dopo pochi metri le giunse all’orecchio il vociare proveniente dall’interno, durò pochi istanti e nuovamente il silenzio calò intorno a sé.
Percorse il vialetto in pietra illuminato, seguendo il tragitto che conosceva alla perfezione. Solo dopo aver abbandonato il percorso lastricato per l’erba fresca e fiocamente illuminata dalle basse lampade, decise di prestare attenzione ai passi cauti alle proprie spalle.
Si voltò lentamente, già sapendo chi ci fosse dietro di lei.
Colse subito l’ombra longilinea che si intrecciava alla propria. I suoi occhi si poggiarono per un breve istante su quel volto appuntito, dai lineamenti eleganti, avvolti dalle goccioline di nebbia illuminate dalle lampade, come minuscoli frammenti di cristallo.
Lui intercettò il suo sguardo fulmineo, ma aspettò che si inoltrassero ancora un po’ nell’oscurità degli alberi, prima di parlare.
  «Perché scappi?». La sua voce era tranquilla, impassibile.
  «Non mi sembra di averti invitato. Smettila di seguirmi» Il suono che liberò insieme a quelle parole fu aspro e tagliente, forse troppo sofferente. Non si voltò a guardarlo, né arrestò i propri passi.
  «Io non ti seguo».
 Lei sbuffò una risata amara «E io non scappo».
  «Quindi facciamo a gara a chi dice più cazzate?».
Il passo di Rose si fece più incerto ma lei non accennò a fermarsi.
  «Non mi piace quando riesco a zittirti».
Il petto riprese a farle male.
Che senso ha tutto questo?
Rose si voltò appena con occhi grifagni «Non sono in vena per questo», poi si decise a fermarsi perché aveva ragione lui, e scappare era inutile.
  «Sì, mi era abbastanza chiaro» fece lui, fermandosi a sua volta e studiandola con attenzione dall’alto. «Hai finito di guardarmi così?».
  «Così come?» disse in un sospiro stanco e questa volta la sua voce suonò come una supplica.
Supplicava che la lasciasse stare.
  «Con quei tuoi occhi disarmanti».
Il cuore di Rose ebbe un sussulto e ringraziò il buio della notte che le coprì il velo di fuoco sulle gote.
Incrociò le braccia al petto. «Non ti seguo, mi spiace» disse seccata.
  «Sei una pessima bugiarda» commentò con un sorriso, andando ad accarezzarle i capelli «È da prima che mi guardi come se mi detestassi».
La sua sfacciataggine riuscì a sorprenderla ancora una volta, e a darle la forza di tirar fuori l’ira sepolta sotto un manto di vergogna.
  «È da tutta la vita che ti guardo così, Malfoy».
Il silenzio del ragazzo la avvertì che le sferzate avevano ferito. Ritrasse la mano come scottato.
   «Non è vero» disse dopo un po', e Rose non capì se avesse recuperato la propria sicurezza o se solamente fingesse. Era incredibilmente bravo. «Non hai mai cercato il mio sguardo come ora».
Se si riferisse a quel momento specifico, a quella breve e surreale parentesi che stava giungendo al termine o a quell’anno inaspettato, Rose non seppe dirlo.
Ciò che il cuore impetuosamente si affannava di trasmetterle, martellandole in petto con un dolore opprimente, era già sufficientemente difficile da affrontare.  
  «Finiamola qui, ti prego» 
Iniziò a mancarle l’aria, mentre il timore di cedere proprio in quel momento si faceva strada in lei man mano che una voce le sussurrava di guardarlo un’ultima volta.
Si voltò per proseguire indisturbata lontana da lì, poi avvertì una mano calda afferrarle le dita. Guardò quella stretta con occhi confusi, aspettando che si sciogliesse, ma Malfoy non sembrava intenzionato a lasciarla andare. La condusse lontano da lì, alle spalle dell’ingresso. Si accostò al capannone di legno e la liberò solo dopo che Rose fu ben visibile alla fioca luce del lampione.
Il tremore incontrollato la colse nuovamente, non appena lui la fronteggiò in modo implacabile, imprigionandola con lo sguardo importante di chi medita per il bene dell'umanità.
  «Mi vuoi dare una spiegazione?»
  «A che proposito?»
Lui inarcò le sopracciglia «Perché fai così? Perché vuoi rovinare il nostro ultimo giorno insieme?» 
  
«Come è imprevedibile la vita. Chi l'avrebbe mai detto che ti saresti ritrovato vittima delle mie decisioni»
Scorpius Malfoy contrasse le labbra in una smorfia che soffocò un istinto o una parola. «Questa è la parte peggiore del tuo carattere, quella che non sono disposto a sopportare. Decidi che le cose debbano andare in un modo e fai la dura per tenermi fuori, senza darmi la possibilità di partecipare. Come se tutto questo non riguardasse anche me»
  «Non ti sforzare troppo, non mi dovrai sopportare ancora a lungo»

Scorpius Malfoy si mosse irrequieto. «E' tutto ciò che ti è rimasto di quello che ho detto? Se per una volta non ti comporti come un'ottusa Grifondoro, non ti cacceranno dalla Casa».
Rose sospirò lieta e per un attimo assaporò il confortante suono di parole che non avevano più il potere di ferirla.
  «Sei finalmente tornato a parlare una lingua che conosco bene, vedo» disse lei incrociando le braccia al petto, soddisfatta di aver ritrovato la propria sicurezza. Lo fissò con un bagliore di sfida.
Evidentemente non era ciò che il ragazzo si aspettava o che desiderava. Il lampo di’ira scese come un’ombra sul suo volto e lo contorse in una maschera di durezza. «Mi sembrava che finalmente avessimo entrambi abbassato le difese» spiegò impacciato.
«Mi sembrava che tu avessi preso una decisione»
Rose lo guardò spaventata. Si sentì nuda, smascherata, ancora più umiliata. «Non mi conosci per niente». 
  «Molto più di quanto ti piaccia ammettere».
Si fissarono con astio per un lungo momento, fino a che Rose non poté più mantenere lo sguardo. Forse era vero che la conosceva così bene, altrimenti non avrebbe saputo sempre quali tasti premere con lei.
E’ stato lui ad insinuare che io mi sarei innamorata.
Rose sbuffò esasperata e alzò gli occhi al cielo «Il problema sei tu, tu e le tue insinuazioni» sbottò, adesso che quella dura consapevolezza la stava cogliendo.
Era iniziato tutto in quel momento.
   «E io sono una stupida perché mi sono lasciata …» scosse la testa, passandosi una mano tra i capelli e avvolgendoli intorno alle dita nervosamente «Non avrei mai dovuto iniziare questa storia».
Gli occhi di Malfoy si ridussero a due fessure, mentre le sopracciglia chiare sembravano disegnare archi interrogativi.
  «E non dovrei trovarmi qui in questo momento con te» concluse lei, guardandosi per la prima volta intorno e accorgendosi solo in quel momento che dalla casa avrebbero potuto notare la loro assenza prolungata. «Si può sapere come ti è saltato in mente di seguirmi?».
Lui alzò gli occhi al cielo. «E adesso qual è il problema?» sospirò.
  «Il problema è quello che potrebbero pensare le persone all’interno».
Ma tanto a lui non importava, non considerava mai le conseguenze per Rose ogni volta che si metteva in testa qualcosa.
Aveva deciso di seguirla nel buio della notte, sotto lo sguardo di tutti. Aveva deciso di farla cadere sotto le sue insinuazioni, per poi continuare il suo inganno con Dominique.
Si chiese con una punta di vergogna a quale punto fossero arrivati, chi tra le due cugine fosse il terzo elemento sgradito, a quale delle due spettasse l’ufficialità e a quale il mistero.
O forse erano semplicemente interscambiabili. Entrambe un divertimento, entrambe una provocazione, solo in modo diverso.
  «Non mi interessa quel che pensa la gente» rispose lui secco, nascondendo le mani all’interno delle tasche.
Per un inspiegabile motivo la figura di diafana bellezza di una Dominique sorridente tornò ad invaderle i pensieri con inopportuna insistenza, ad insinuare qualcosa che in modo ancora più irrazionale la fece infuriare.
  «Già, non perdi tempo a interessarti agli altri» urlò lei senza un apparente motivo.
Malfoy la guardò confuso.
  «Non stiamo facendo niente di male» disse, allargando le braccia.
Quelle parole ebbero lo stesso effetto di una doccia d’acqua gelata. Il graffio di dolore che le perforò lo stomaco si trasformò nel preludio di una violenta eruzione vulcanica.
Niente era ciò che stavano facendo loro.
Sicuramente niente per lui, insignificante rispetto a ciò che era abituato a fare con Dominique: lì sì che ci vedeva qualcosa di male.
  «Mi dispiace se ciò che facciamo noi due non è all’altezza delle tue aspettative» sbraitò, mentre il fuoco al suo interno si tramutava in lava.
Perfetto, adesso parlo anche al plurale.
  «Non ho mai detto una cosa del genere» rispose lui al limite dello sbigottimento. «Quindi adesso c'è un noi due? Saresti così gentile da spiegarmi cos'è che facciamo noi due? Perché io ancora non l'ho capito».
  «Sicuramente non quello che fai con le altre».
Rose si maledisse subito dopo aver aperto bocca. Aveva raggiunto il fondo dell’umiliazione e, non contenta, aveva continuato a graffiare disperatamente.
Era arrivata a paragonarsi alle altre ragazze, alle altre sue ragazze, come se lei lo fosse mai stata.
Lui incrociò le braccia al petto e la guardò come se non esistesse nulla di più interessante al mondo.
  «E questo che ti dà fastidio?».
Lei rimase di pietra e abbassò di colpo il tono della voce «Ti piacerebbe».
Scorpius Malfoy le parlò serio come poche volte l'aveva visto «Weasley, non è più tempo per questi giochetti».
Quella vibrazione esperta di sicurezza e presunzione la fece fremere di eccitazione, e la spaventò.
  «Già, perché sono la tua specialità».
Lui alzò gli occhi al cielo e si avvicinò ancora di più a lei «Dimmi perché ce l’hai tanto con me». Aveva decretato la fine dei preamboli inconcludenti.  Fissò i propri occhi in quelli di Rose e provò a guardarle dentro come solo lui sapeva fare.
Lei mantenne il suo sguardo.  «C’è qualcosa in particolare che vuoi sentirti dire? » sussurrò a denti stretti.
  «Sì
» dichiarò deciso. Poi, però, abbassò lo sguardo e trovò a fatica le parole «Vorrei la verità su quello che pensi di me...e di quello che sta succedendo».
La verità che le graffiava il petto ad ogni suo passo nella direzione di Scorpius, come un bagliore accecante immerso in un abisso vuoto e assoluto di incertezze confortevoli. E ad ogni tentativo di guardare dritto verso quel faro di consapevolezza, quella luce le perforava le iridi fino a farla lacrimare.
  «Ti do un suggerimento» mormorò lei. «Smettila di pensare di essere il centro del mio mondo» 
Lui irrigidì il volto in una maschera di gelida pietra, si passò una mano tra i capelli e disse con rabbia «Perché non riesci a dirmi ciò che ti sta logorando da ben più di una giornata?».
Rose scosse la testa con decisione.
   «Ti è così difficile ammettere di provare qualcosa per me?»
Rose rimase pietrificata, mentre un brivido le percorse tutto il corpo, risvegliando ogni arto; avvertì la pelle d’oca sulle braccia come tante schegge di ghiaccio. Quella febbrile eccitazione si impadronì delle sue mani, che si avventarono sul ragazzo di fronte a sé e lo spinsero con forza.
  «No» gli urlò. Forse aveva le lacrime agli occhi, non seppe dirlo. «Non puoi fare così. Prendi qualcosa, lo rendi bellissimo e poi lo distruggi» scandì le parole, mentre le mani continuavano a torturare il suo petto con spinte poderose.
Lui le afferrò i polsi per bloccarne ogni movimento e la spinse lentamente contro la parete alle sue spalle. Sollevò le braccia lateralmente, al di sopra dei suoi capelli e le premette contro il legno freddo per non perderne il controllo. Le sue mani si spostarono dolcemente dai polsi fino alle dita di lei, le costrinse a dischiudersi, accarezzò i palmi e andò ad intrecciarle con le proprie dita in un contatto che fece sospirare entrambi.
Scorpius Malfoy perlustrò il suo volto attentamente come se non volesse lasciarsi sfuggire una sola sfumatura. Erano sguardi avidi e frettolosi, indugiavano sul mento, i capelli scomposti, le labbra dischiuse. Sembravano incapaci di fissarsi su un punto, di trovare una via d’uscita.
Lei guardò i suoi stupefacenti occhi verdi dal disegno gentile e incorniciato da ciglia dorate. Contemplò quello sguardo che la invadeva, divorandole il cuore che le rombava nelle orecchie con ritmo assordante e frenetico.
  «Dimmelo, Rose» sospirò e il suo respiro freddo le carezzò il volto.
Il tremito che ne derivò non fu soltanto una conseguenza di quel contatto ma fu anche un rapido manifestarsi della propria irrazionale e incondizionata paura.
In quel momento ebbe la consapevolezza che gli avrebbe rivelato qualunque cosa, anche ciò che ancora tremava ad ammettere.
In quel momento si rese conto di amarlo con incoscienza, in un modo talmente tanto irrazionale da farle perdere il controllo.
Lei chiuse gli occhi e scosse la testa esitante.
  «Tra poco torno a casa. Se hai qualcosa da dirmi, non aspettare».
L’impazienza nel suo tono di voce convinse Rose ad aprire gli occhi e a sciogliere quel contatto incandescente. Ripensò a quei lunghi anni di ostilità, a quei  pochi mesi di incertezza, ai suoi comportamenti ambigui, a quella insistenza affinché lei si rivelasse fragile per la prima volta davanti a lui, e si rese conto che, in fin dei conti, non aveva motivo di fidarsi di Scorpius Malfoy.
Allontanò il ragazzo con una spinta più delicata e lo guardò con sicurezza.
  «Fa’ buon viaggio».
Dalla sua bocca prese vita un sospiro amaro e il volto disegnò un’espressione rassegnata e beffarda allo stesso tempo. Ma furono gli occhi a sconvolgere Rose, occhi che l’avevano guardata in tanti modi diversi, ma mai come in quel momento erano stati delusi.
  «Sarà un incanto, se vorrà dire andarmene da qui».
Lei si scostò e lo urtò con la spalla nell’incamminarsi lontano da lì.
  «Sei solo una ragazzina, Weasley» le arrivò la voce lontana.
Affrettò il passo, mentre le mani le tremavano per la rabbia e l’emozione. In quel momento avrebbe voluto piangere a dirotto e prendere a pugni qualunque cosa.
Svoltò l’angolo per rimettersi sul percorso illuminato e si ritrovò all’ingresso della grande casa, dove tutti i suoi parenti chiacchieravano, scambiandosi baci di commiato.
Appena fu ben visibile, gli innumerevoli occhi si puntarono su di lei e lo zio Harry la fermò.
  «Rose, hai per caso visto in giro Scorpius?» la sua domanda rimase sospesa dall’arrivo del ragazzo alle spalle di Rose, dallo stesso angolo buio dal quale proveniva lei.
Vide James sbuffare sonoramente mentre rivolgeva un’occhiata torva a Scorpius.
  «Direi che possiamo andare adesso» disse in tono secco.
Ciò che consolò in minima parte Rose fu lo sguardo adirato che sia lei che Malfoy avevano dipinto sul volto, segno almeno, per tutto il folto pubblico, che il loro incontro non dovesse essere stato tanto intimo come fosse facile immaginare. O almeno era ciò che sperava stessero pensando tutti quei visi mortificati.
Lo sguardo che evitò accuratamente di incrociare fu quello di suo padre.
Braccia infreddolite ripresero a stringersi sotto l’ultimo chiarore di luna alla Tana.
Dopo la stretta impacciata e ancora mortificata dello zio Harry, le braccia della zia Ginny l’avvolsero con vigore incoraggiante, trasmettendole quello che Rose immaginava fosse tutto il suo sostegno.
James le diede uno scappellotto di disappunto mentre Lily la stritolò per minuti interminabili.
L’ultimo fu Albus, che le accarezzò la guancia, per poi lasciarle un bacio nell’esatto punto in cui l’aveva toccata, e le strizzò l’occhio.
Per un istante eterno si trovò di fronte a Scorpius Malfoy che inspiegabilmente la osservava imbambolato come se fosse indeciso se sfoderare la bacchetta per un duello o baciarla appassionatamente di fronte a tre generazioni Weasley.
Il momento di devastante disagio fu peggiorato, se possibile, dall’intervento di suo padre.
  «Direi che l’hai salutato abbastanza» borbottò con voce bassa, imbronciata.
  «Ron» ruggirono all’unisono la madre e zia Ginny.
Percorse d’un fiato le lunghe scale tappezzate di rosso e raggiunse la propria camera deserta senza la presenza di Lily.
Dopo aver accuratamente chiuso la serratura della porta, si abbandonò sul letto e ancora vestita lasciò che il piumone caldo la avvolgesse, mentre il cuscino accoglieva le proprie lacrime.
 




 
Giapponese. La sensazione dolceamara che si ha quando si sta vivendo un momento di grande bellezza.
 
 
 



Solo una piccola parentesi:


Premetto che senza di Voi non ci sarebbe nulla di tutto questo.
Non avrei la spinta giusta che mi porta a scrivere in ogni momento possibile, con l’entusiasmo e l’ispirazione che solo Voi sapete trasmettermi.
Grazie a Voi che siete come una certezza ad attendermi.
 
Solo qualche parola sul capitolo.
È stato un capitolo difficile, diverso da come lo avevo immaginato, ma è venuto fuori così, un po’ di getto, un po’ a fatica.
Mancano menzioni alla nostra cara querelle Nott – che invece avevo programmato –ma poi è venuto fuori un trattato più che un capitolo e ho pensato di risparmiarvi un po’ di tedio.
Quindi è un momento tutto concentrato su quei due. È venuto fuori così e così ve lo consegno.
Non so se vi piacerà o mi odierete a morte, il rischio c’è.
Vi aspetto come sempre, siete i lettori migliori di sempre.
 





 

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Capitolo 17
*** Rimihim ***



 
E come possiamo intenderci se nelle parole che io dico metto il senso e il valore delle cose
che sono dentro me;

mentre chi le ascolta, inevitabilmente, le assume col senso e il valore che hanno per sé del mondo
che egli ha dentro?

 

 
 

CAPITOLO XVII

 


Rimihim




 
Il cielo denso di grigie inquietudini tribolava in ruggiti sommessi, poi assordanti, si raggrumava carico di collera e disperdeva una cupa ombra di ineluttabilità.
Poi esplose in un boato senza riserve, spietato nel precipitare da nembi plumbei tutto il proprio volere senza misericordia. Sferzava violento in cristalli di pioggia, sradicando inesorabile ogni forma di vita che investiva, inveendo contro il vetro della locanda con un impeto angosciante.
Un anelito represso fu la risposta di due occhi piantati contro quella lastra vitrea straziata da un’oppressione che sentiva comune.
  «Non promette nulla di buono».
Rose immerse i suoi occhi cupi nella pozzanghera di lacrime che si distendeva sull’asfalto, mentre gocce di pioggia la picchiettavano con crudeltà. Sbatté le palpebre in un battito d’ali e l’umidità esterna ora le bagnava gli occhi.
  «Sarà furioso» disse Johanna amareggiata. «E insopportabile» grugnì con grazia stentata.
Sedeva di fronte a Rose, vicino la finestre perché entrambe desideravano contemplare quello spettacolo infernale. Le spalle poggiate contro la parete umida e una sigaretta tra le dita che portava convulsamente alla bocca, inspirando quel poco che le permettesse di prolungare la durata della sua dipendenza.
Un germoglio di candido biancore si affacciava timidamente dalla pianta che troneggiava sul loro tavolo imperiale e assorbiva il veleno nebbioso, disperso da Joa in sbuffi fumogeni.
  «Non mi importa» rispose debolmente Rose, che adesso immaginava di affondare il viso in quel mare in tempesta piovuto dal cielo.
Johanna la guardò pensierosa. «Come qualsiasi cosa ultimamente».
C’era qualcosa di velato con premura nel sarcasmo della ragazza, era uno spiraglio di preoccupazione, ben mascherato dall’odore asfissiante di fumo e alcol che le scaraventò in una nuvola tetra e grigia come quella giornata.
Rose si strinse nelle spalle.
  «Se annulla gli allenamenti, pretenderà una settimana di esercizi di resistenza» disse Joa con tono amaro, che si affievolì in un’espressione appagata. Aveva una strana dipendenza dalla preparazione fisica e, per quanto criticasse l’approccio dispotico del Capitano, ne era inevitabilmente attratta, quasi gioendo per tutte quelle complicazioni che alteravano l’umore del ragazzo e si riversavano con puntualità inesorabile sull’intera squadra.
  «Come se la cosa ti dispiaccia» le fece eco Rose, storcendo la bocca in una smorfia.
La sedia al suo fianco venne sollevata con gesto rapido e silenzioso, tanto che lei non avvertì nessuna presenza, finché Lily non parlò con voce spenta.
  «Chi è che non ti dispiace?». Fingeva un’allegria che non combaciava con il resto del corpo rigido e distratto.
  «James» rispose Rose.
Lily le guardò confuse, mentre ringraziava il ragazzo della locanda che le porgeva una Burrobirra e le lanciava uno sguardo inequivocabile.
  «Quindi ora sei passata a lui?» chiese a Joa con un lampo di partecipazione più vivo, ma corrucciando la fronte in una espressione di biasimo. Il ragazzo portò via il vassoio, trascinandosi dietro i brandelli di timide attenzioni rifiutate.
Johanna Jordan le scagliò contrò un lampo raggelante dalla fessura impercettibile che i suoi due occhi scuri avevano riproposto, restringendosi fino al limite della giuntura, contornata da ciglia lunghe come alghe sul fondo del mare in tempesta.
Solo il fumo scorreva tra loro, venefico quanto l’acido di uno Schiopodo selvatico. Lily Potter era impercettibile tra le cortine che la offuscavano, e si limitò a roteare gli occhi esasperata e intimidita.
  «Cos’è che vi dà pena?» chiese con rinnovato interesse.
Rose si discostò dalla danza impetuosa della pioggia solo per risponderle pigramente.
  «Al momento o nella vita?».
Lily corrucciò la bocca e si trattenne dal dire qualcosa che avrebbe contenuto tutto il suo rammarico.
  «Iniziamo con le cose più semplici».
  «Tuo fratello furioso».
  «Capisco». La ragazza annuì comprensiva e si leccò la schiuma zuccherata sulle labbra. «Effettivamente poche cose preoccupano più di James nervoso».
Il silenzio che ne seguì fece da sottofondo allo sguardo languido di una, persa in quella realtà devastante fuori dalle mura ingiallite, e ruvido dell’altra, che oscillava frenetica la sigaretta, cospargendosi di cenere senza curarsene.
  «Davvero siete così cieche?» sbottò la piccola Lily.
Rose le prestò per la prima volta attenzione e Johanna si tolse la sigaretta dalla bocca, liberando l’atmosfera nebulosa intorno a sé con un gesto della mano, solo per poterla guardare veramente.
  «Non vedete che James è innamorato?».
Un unico e solitario raggio di sole sembrò aver attraversato le strade dell’Inferno per precipitare in quell’abisso fradicio di miseria e lambire il volto dorato di James Potter.
All’altra estremità del tavolo, compagno di Fred Weasley e Casey Finnigan che dispiegavano con maestria le pagine della Gazzetta del Profeta, tra un sorso di Burrobirra e un’imprecazione di manifesta virilità, sedeva James Potter.
Beato nella luce divina come fosse il suo prescelto, in quella giornata di apocalittica tensione, il ragazzo non sbuffava contrito per le scelte dell’allenatore dei Cannons, non inveiva contro le previsioni meteo dell’intera settimana e non si portava il boccale traboccante di preminenza alle labbra imbronciate.
  «Ma chi, James?».
  «E chi sarebbe il terzo sfortunato?» chiese Joa.
  «Il terzo?» fece Lily.
  «James Potter ha solo due grandi amori nella sua vita: il Quidditch e il suo orgoglio» continuò Joa.
Lily la guardò con rimprovero. «Avrà trovato qualcosa di più significato, a giudicare dal suo buon umore».
In quel momento il ragazzo si accorse dell’arrivo della sorella, alla quale riservò un occhiolino complice che lasciò i presenti profondamente scossi.
Solo Lily sembrò comprensiva e sollevò la mano in un cenno rapido, scrutando il fratello burbero con sguardo clinico.
  «Hai ragione» dichiarò Joa. «Sta davvero male» concluse, continuando a guardare stranita il Capitano come se lo vedesse per la prima volta.
Lily annuì turbata. «Lo so».
Johanna tornò a rilassarsi, inspirando profondamente e socchiudendo le labbra sorridenti tanto da far svolazzare ciuffi grigiastri. Gli occhi studiavano ammirati la ragazza. «Hai qualche strano potere, piccola Potter».
  «Niente di speciale» disse Lily, chiudendosi nelle spalle. «È che riconosco gli effetti» disse con un cipiglio preoccupato, spostando l’attenzione verso Rose.
La ragazza sorrise mestamente, ma tornò con la mente all’acqua torrenziale che precipitava a getti violenti.
Non sapeva perché si fosse lasciata trascinare da Johanna quella mattina, nonostante il cielo le avesse promesso un’intensa partita a scacchi con se stessa, sotto un diluvio dalla potenza catartica.
Joa le ripeteva che stava tagliando fuori tutti, persino Albus, e così non sarebbe andata a finire bene.
Il campanellino sulla porta dei Tre Manici di Scopa trillò per l’ennesima volta, fedele compagno di raffiche di vento che la locanda si preparava ad accogliere, e Lily per l’ennesima volta si girò a controllare l’ingresso, seguita da uno sguardo pigro di Johanna.
La ragazza, a quel punto, si portò una seconda sigaretta alla bocca e la accese dopo svariati tentativi, mentre Lily tornò ad incupirsi nello stesso clima teso con cui si era unita a loro.
  «Sono loro, non è vero?».
Johanna lasciò che a rispondere per lei fosse la nuvola di fumo grigiastra fluttuante nell’aria.
  «Non fraintendermi» fece Joa, lasciando piccoli colpetti sulla sigaretta, per far disperdere un po’ di cenere nel vento «Non ho nulla in contrario al tuo volerti tenere lontana da quella piaga di tuo cugino – sentiti pure offesa piccola Potter, la genetica non perdona» aggiunse, scoccando uno sguardo ammonitore verso la ragazza. «ma mi piacerebbe sapere cosa è successo».
  «Piacerebbe a tutti» annuì Lily.
Aveva un umore cupo come il cielo che infuriava fuori dalla locanda, ma cercava di dissimularlo.
  «Almeno saprei perché li stiamo odiando a morte» aggiunse Joa.
Rose prese a stuzzicare con le dita le piccole foglie di menta precipitate dal ramoscello smunto che decorava la sua bevanda. «Tu non hai già i tuoi motivi?».
  «Più che validi» confermò l’altra. «Ma adesso sento di dovercela avere con entrambi» spiegò semplicemente.
Si lasciò andare ad un sospiro di amara tristezza nella consapevolezza di quanto fosse sbagliato avercela con il cugino. Per un momento odiò e invidio Johanna per il suo sentimento semplice e innocuo che lei si ostinava a infangare con quella vana impudenza.
  «Non riguarda Al».
  «Ancora non l’hai capito che tutto riguarda Albus?». Il grugnito di disappunto di Johanna fu impossibile da ignorare. «Vai avanti» la incoraggiò in un afflato di fumo.
Rose si concesse un lungo sorso della sua Burrobirra, attendendo che l’amarezza del luppolo venisse trascinata lentamente dalla dolcezza del miele fino ad annebbiarle appena la mente. «Malfoy» sibilò e il solo pronunciare quel nome le spezzò la voce.
Johanna annuì impercettibilmente. «Ovviamente».
  «E invece no». Questa volta Lily Potter scuoteva la testa con disappunto. «Non puoi farmi questo, dopo tutto quello che è successo a Natale».
Rose la guardò un po’ turbata. «Inizio a chiedermi se tu lo faccia per me o se alla base ci sia qualcosa di patologico che stiamo tutti trascurando».
Lily le puntò un dito contro. «Non ricominciare, Rose» disse indignata. «Smettila di sminuire sempre tutto».
Rose non rispose e bevve ancora un lungo sorso. La nuvola di fumo di Johanna la colse in pieno viso e la fece tossicchiare.
  «Di cosa diavolo state parlando?».
Sbuffò  un po’ di insofferenza e si abbandonò contro lo schienale, ben sapendo quanto Lily fremesse dal bisogno di parlare.
  «Hanno dormito insieme» intervenne senza riuscire a trattenersi.
Un attimo di silenzio. «Chi?».
Lily sollevò gli occhi al cielo. «Scusa, ma di chi stiamo parlando? Rose e Malfoy».
A quel ricordo una fitta di dolore le punzecchiò l’addome.
Johanna rimase con la sigaretta a mezz’aria. «Hai fatto sesso con Malfoy?» disse semplicemente e Rose non capì se fosse più sbigottita o inorridita.
  «Purtroppo no» disse Lily con tono accusatorio.
Rose sollevò un sopracciglio. «Ti rendi conto che tutto questo ha dell’inquietante?».
  «Quindi» Joa inspirò ancora dalla sigaretta, lasciando svolazzare piccoli rigagnoli di fumo ad ogni parola. «Ti sei svegliata sconvolta e hai capito di aver commesso il più grande errore della tua vita» concluse comprensiva.
Il più grande errore della sua vita, probabilmente sì.
  «In realtà è successo due volte» precisò Lily.
Questa volta Joa non si premurò nemmeno di ricomporre l’espressione di profonda gravità che le contorse il volto dal taglio beffardo.
  «Vuoi dirmi che non ti sei pentita?».
  «A quanto pare no» la anticipò Lily per un attimo allegra come sempre.
  «Ed eri nel pieno delle tue facoltà mentali?».
Lily questa volta esitò.
Ci pensò un po’ su  «Parzialmente» concesse Rose, infine.
Johanna sembrò farsi bastare quella risposta. «Quindi c’è ancora speranza?».
Rose tacque e tornò a concentrarsi con dovizia sulle tante bollicine di schiuma che imbellettavano il vetro spesso tra le sue mani.
  «Diamine, Rose, è Malfoy» esclamò lei, sporgendosi nella sua direzione, quasi tentando di darle uno schiaffo in pieno volto. «Come è potuto succedere?».
Rose sollevò uno sguardo tetro su di lei e si passò una mano tra i capelli, esausta. «Non lo so» mugugnò. «So solo che è la cosa peggiore che mi sia mai capitata».
  «Si lo è» tagliò corto l’amica.
Innamorarsi di Scorpius Malfoy le fece male come il fuoco sulla pelle viva, e ancora si leccava a capo chino le ustioni penetrate dentro la carne, fin nelle ossa, dove le fiamme avevano incenerito tutto ciò che di sano e vivo ci fosse in lei, raggelandole il sangue pulsante nelle vene e torturandola come la tempesta che infuriava contro il vetro intelligibile.
Era di bruciante sconfitta che il proprio orgoglio gemeva in un singhiozzo continuo di rimpianti che premono contro il petto e bruciano le lacrime in gola.
Le stesse lacrime di rabbia che aveva strappato dal suo viso per una notte intera, disprezzandosi come aveva denigrato per anni chiunque le avesse confidato di trovarlo anche solo attraente, sentendosi umiliata come mai era successo dall’inizio di quella guerra letale, ferita come solo lui era in grado di fare.
Quel sentimento per Scorpius Malfoy, qualunque esso fosse, l’aveva calpestata.
Lily era davvero indignata da tutta quella faccenda. «Ma perché?» esclamò.
  «Lils» cominciò Rose e si meravigliò di come la propria voce risultasse calma, quasi rassegnata. «Ho visto Dominique uscire dalla sua stanza l’ultima sera alla Tana».
La ragazza si lasciò andare contro lo schienale con uno sguardo vuoto e nulla da dire.
Johanna disintegrò l’ultimo frammento di sigaretta contro il vetro del suo bicchiere. «Non per mettere il dito nella piaga, ma Kate Hastings gli si sta completamente strusciando addosso» disse disgustata.
Rose strinse qualche foglia di menta secca in un pugno tremante, sentendo ogni parte strapparsi in piccoli frammenti. Quando riaprì, sul palmo giacevano solo brandelli.
Si alzò e la sedia strisciò sul pavimento in uno stridore disturbante, che costrinse anche gli altri componenti del tavolo a prestarle attenzione.
Percorse tutto il locale con piedi di piombo, e si fermò solo davanti al tavolo dove il gruppo Serpeverde si disperdeva in un alto vociare. Ridevano, urlavano con quell’eccitazione infantile che anima il corpo degli innocenti e degli ingenui.
Albus Potter sembrava preoccupato.
  «Rose, tutto bene?» disse, mentre si assicurava che avesse le mani libere dalla bacchetta.
Mai stata peggio, Al.
Ma Rose non gli prestò attenzione, 
guardava solamente Kate Hastings con profonda commiserazione. Lo sguardo di Scorpius Malfoy lacerava la traiettoria che da Rose conduceva a Kate.
  «Sai, dopo tutto questo tempo posso dirti che non ne vale la pena» disse con un mezzo sorriso.
Kate sembrava sconvolta. «Stai parlando con me?».
  «Perché vuoi piacergli?».
La ragazza questa volta guardò Scorpius allarmata.
  «Sei pazza».
  «La coda è troppo lunga per sperare che ti dedichi abbastanza tempo» Indicò il ragazzo con la testa . «È solo un’enorme delusione».  
Si premurò solo di controllare che lui fosse abbastanza adirato, prima di girare i tacchi e uscire dal locale.
L’aria fredda la colpì duramente e il vento le agitava i capelli davanti agli occhi. Poi arrivò la pioggia, rapida, crudele, anche se sottile, e sul suo volto avido le gocce erano solo carezze di conforto.
  «Ho smesso di correrti dietro». La sua voce, se possibile, sembrava più fredda di quell’inverno.
L’aveva visto afferrare la porta nel momento in cui lei l’aveva lasciata andare, per poi chiudersela alle spalle in un tonfo. Nemmeno si era voltata quando lui le era andato in contro con passo deciso.
Aveva lasciato che la fronteggiasse, solo per vedere come l’acqua gli ricadesse spietata sui capelli morbidi, impregnandoli di tutta la sua collera.
  «Lo vedo» disse lei atona.
  «Non sono qui per te».
  «Questo è sicuro» constatò, piegando la testa di lato e riflettendo su quanto solo in quel momento avesse compreso.
Lui era furioso. Gocce amare gli rigavano il volto contratto come lacrime sulla pietra gentile piegata dalla natura. «Ma si può sapere che problema hai?» esclamò e il suo rantolo adirato sembrava frustrazione.
Eppure era lì, sotto il temporale, solo per lei.
  «Davvero non ci arrivi da solo?».
Per un attimo la guardò perso, poi riprese l’odio nei suoi occhi. «Da cosa dovrei capirlo?» ringhiò. «Da quella scenata senza senso di poco prima? Che cosa volevi dimostrare, dicendo quelle cose a Kate?».
Certo, Kate.
Lei rise «Spero che Kate non ci sia rimasta troppo male».
  «Che cosa vorrebbe dire questo, adesso?».
  «Lascia perdere».
Lui si portò le mani al viso, poi le passò stancamente tra i capelli, ma non servì a tranquillizzarlo, perché l’ardore nel suo sguardo era sempre più vivo. Scostò per una frazione di secondo il velo bagnato dal suo volto, ma l’attimo dopo era già pregno di acqua instancabile.
  «Come puoi chiedermi di lasciar perdere?» la sua voce quasi si perse nelle frustrate di pioggia sui vestiti «Anzi, come puoi chiedermi di stare dietro a tutto questo? Ai tuoi cambi d'umore, al tuo volermi stare accanto, per poi respingermi senza motivo».
   «Ti ha mai sfiorato l'idea che qualcosa non stesse funzionando?».
  «Ma io non ho fatto niente» concluse in un unico basso latrato minaccioso. Respirò lentamente, pensando a cosa dire. Rose lo vide lottare internamente e per un attimo provò dispiacere.
Quando riprese a parlare la sua delusione le trafisse il petto.
  «Ti serviva solo una scusa per liberarti di me» disse. «Ti sei pentita di qualcosa evidentemente» proseguì.
Rose non rispose, forse perché era troppo esausta anche solo per litigare, forse perché stava prestando realmente attenzione alle sue parole, trovando in loro un senso che non aveva ancora colto.
Scorpius interpretò il suo silenzio, poi si raddrizzò il cappotto e affettò uno sguardo di disprezzo. «Non ci metto nulla a tagliarti fuori, Rose. Non sei così importante come credi».
Lo sapeva già, lui le aveva solo dato conferma.
  «Bene».
  «Bene».
Non lo vide andar via, perché lei gli aveva già voltato le spalle, marciando decisa verso il Castello. I suoi passi si persero nelle grida disperate di quel cielo, adesso così simile al suo petto.
 
 
 
- § -
 
 
 
  «5 galeoni».
  «Può andare».
  «Al grammo».
Sollevò il volto, stirandosi il colletto della camicia con sguardo contrito.
  «Allora, lo prendi, Weasley?».
Rufus Stanley, settimo anno Tassorosso, la guardò con impazienza. Le edere pungenti che chiudevano i due ragazzi nell’unico antro buio e umido di tutta la Sala Comune, iniziarono a solleticarle la schiena con movimenti lenti e intimidatori.
  «10 grammi» disse a denti stretti, la bocca tesa in un’unica linea rigida.
Le labbra sottili si schiusero in un sorriso soddisfatto. Stanley si sollevò e le edere crearono un arco per lasciar sgusciare fuori i due imboscati. Il sole accecante che brillava perenne in quella stanza bassa e circolare le tolse la vista, impedendole di seguire i movimenti del ragazzo.
Ricomparve dal nulla accanto ad una finestra rotonda, il cui affaccio sul prato di erba increspata e denti di leone in fiore, lasciava presupporre che nelle giornate dei Tassorosso la primavera premesse con insistenza tutto l’anno.
Con una fiala di rame brunito tra le dita lunghe ed emaciate, e il sacchetto tintinnante di galeoni nella mano libera, assottigliava i suoi viscidi occhi predaci, agitandoli in scatti fluidi e continui. Sembrava circospetto.
  «Non mi interessa cosa vuoi farci».
  «Ottimo, perché non te l’avrei detto».
  «Ma se lo sapessi potrei dirti con certezza che è una dose eccessiva».
Fu costretta a rivolgergli uno sguardo gelido. «Non ti riguarda, Stanley».
Lui allargò le braccia e si piegò in un magniloquente inchino, poi invitò Rose a lasciare il posto.
Raggiunse la porta circolare, bassa, in legno color miele, mentre viticci indispettiti si infiltravano tra i suoi capelli, strappandogliene alcuni e graffiandole il collo. Si infilò con prepotenza nel lungo e fangoso tunnel che conduceva fuori quell’Eden infernale che era la Sala Comune dei Tassorosso.
 
 
Giorni dispari miei, giorni pari tuoi. A settimane alterne.
Così recitava il foglio di liscia pergamena eburnea, profumata di pino e inchiostro fresco. Poggiò quelle parole aride sul davanzale accanto a Petunia, con l’idea penosa di stare partecipando ad una squallida diatriba di dispetti e compromessi per l’affidamento della loro creatura timida e trascurata.
Erano approdati al divorzio, senza nemmeno passare per il congiungimento.
L’unica costante nel loro rapporto tortuoso era la guerriglia.
Avvertì il calore infuocato di quella culla di sole appiccicarle la camicia leggera sull’addome bagnato da gocce di sudore. La sfilò, spettinandosi i capelli che le dolevano nei punti della tesa in cui le erano stati tirati dalle radici demoniache sotto il controllo di Stanley.
Alcuni cactus sullo scaffale più alto della serra si mossero all’improvviso irrequieti, spruzzando infidi aculei come coriandoli in subbuglio.
Dalla finestra bassa che dava sul cortile, interrompendo la lastra di vetro incandescente, Rose vide un’ombra incappucciata scorrere rapida sotto la pioggia, precipitando nella sua direzione. Questa si riparò nel tepore della serra e liberò i ricci indomabili dalla vana protezione del cappuccio.
I suoi capelli erano sconvolti dal vento bagnato, gli occhiali macchiati di gocce, il viso scosso, luminoso sotto le ombre delle grandi foglie.
  «Ho dovuto cercarti sulla Mappa» disse, mentre il mantello accarezzava i vetri appannati, liberando finalmente la sua vista. «È da pazzi attraversare il giardino in una giornata come questa».
Forse erano tante altre le cose che Albus riteneva fuori dall’ordinaria capacità di giudizio, ma non aggiunse parole a quelle pronunciate.
Rose si strinse nelle spalle. «Oggi Petunia dischiude i boccioli».
  «Bene, quindi avete finito?».
La placidità con cui parlò le fece male senza un motivo apparente. Forse il timore che qualcosa finisse davvero, anche solo quell’ingrato compito che aveva segnato l’inizio della loro impacciata condivisione, osteggiava la presa di coscienza su quanto persino il suo migliore amico sembrava aver accettato.
  «In realtà no, dovremmo ancora capire come assorbire il liquido dallo stimma, e aspettare che lo stelo sia abbastanza rigido da poterlo tagliare».
  «Un’eternità, per farla breve».
Rose aprì la borsa ed estrasse la fiala rossastra con striature dorate che le era costata ben 50 galeoni.
  «Non ho un’eternità da passare in questo modo». Tra le nauseabonde escrescenze di Petunia e le candide pergamene di Malfoy.
Svitò il tappo sigillato con forte pressione e l’olezzo intenso di terra bruciata e mangime per lumache le prese lo stomaco, risvegliando il subbuglio già alimentato dall’aria asfissiante.
  «Che roba è?» chiese, mentre lei ne lasciava una manciata sul terreno umido.
  «Concime per Aconito».
Albus Potter storse il naso, disgustato. «Un po’ aggressivo» constatò. «Vuoi che le spuntino le fauci?».
Rose immerse un dito nelle profondità del terriccio melmoso, mescolò con cura, lungo tutta la circonferenza del vaso. «Solo accelerare il processo di crescita».
  «È illegale» disse semplicemente, come avesse liberato consapevolmente parole destinate a disperdersi nell’aria. «Non vedi l’ora di togliertelo davanti?».
Rose alzò due occhi di distratta inquisizione e lo scrutò leggera, dal basso della sua insicurezza, che le ginocchia piegate la costringevano ad accentuare.
  «Scorpius» spiegò lui.
Lei riportò lo sguardo concentrato sui bozzi di terra bagnata, per rettificarne la superficie.
  «Non mi ignorare, Rose».
  «Non farmi domandeì difficili, Al» sospirò. 
«Non credo tu voglia davvero affrontare questo argomento»
Con la coda dell’occhio lo vide appoggiarsi alla bassa scrivania e incrociare la braccia al petto. «Da quando hai paura di questo?»
  «Che tu possa preferire lui a me?».
  «Non l’ho mai fatto» rispose di getto «E tu non me l’hai mai fatto pesare».
Un breve silenzio fece da cassa di risonanza all’accusa diretta e spietata di Albus, poi il sospiro sommesso di Rose inghiottì il tono deluso del ragazzo, ingoiando tutto il suo severo rimprovero.
  «Adesso è diverso» rispose a voce bassa, liberando le gambe indolenzite da quella posa castigante.
L’acqua del rubinetto che scrostava il terreno sotto le sue unghie andò ad aggiungersi a quella torrenziale, violenta contro il vetro, sul quale precipitava in tanti, continui tuoni carichi di elettricità.
  «Le cose sono sempre state complicate tra voi, Rose» il tono abitualmente serafico di Albus si increspò in lievi altezze di nervosismo. «Ora lo sono di più? Forse, non sono così sicuro che sia stato un male arrivare a questa rottura, ma ti assicuro che per me non è cambiato niente».
Con un colpo secco Rose chiuse il rubinetto, le mani ancora bagnate e fredde andarono a rinfrescarle il collo umido. «Se ti dicessi che non voglio più mangiare dove c’è lui, sedere al suo stesso tavolo ai Tre Manici di Scopa, percorrere insieme il corridoio che ci porta alle lezioni, vederlo a meno di due banchi di distanza dal mio, se ti dicessi tutto questo, mi vuoi dire davvero che per te non farebbe differenza?».
Albus Potter si scostò dall’ombra fitta che cadeva come un velo sulla sua figura, celandola nel buio tenue di quell’angolo perennemente soleggiato. Ne uscì come un embrione si appresta alla vita, delicato, silenzioso e con gli occhi accesi in due fari meravigliati, solo perché Rose vi affondasse, si perdesse e ne riemergesse, pregna di tutte le certezze che cercava.
  «Che voi decidiate di odiarvi o altro, il mio posto sarà sempre lo stesso» dichiarò con fare solenne «Accanto ad entrambi».
  «La vita è fatta di scelte, Al».
Lui rise freddo. «Sembri James» disse con una voce capace di raffreddare l’afa respirata «Poli opposti, scelte incompatibili e altre stronzate».
A quel punto Rose temette di averlo ferito davvero, sferzando con un’ultima decisiva percossa quella corazza d’oro che lui esibiva al mondo intero.
  «Scusami. Lo sai che non sono facile da accontentare» disse, mentre annotava gli ultimi aggiornamenti su una pergamena intonsa che avrebbe conservato accanto a Petunia per il suo fortunato compagno di studio. «Non sono sicura che starmi accanto sarà tanto facile».
Avvertì Albus avvolto in un silenzio compiaciuto, quindi fu costretta e attratta dalla sua sicurezza e dovette constatare personalmente che i suoi occhi brillassero di inquietante eccitamento.
  «Che hai?».
  «Un regalo di consolazione».
Rose depose la piuma e si avvicinò al cugino, poggiandosi alla bassa scrivania accanto a lui. Lo guardò avidamente, cercando di apparire turbata da una discreta curiosità. «Stai cercando di comprarmi, Severus?».
Lui infilò la mano nella tasca del mantello ed estrasse una fiala di liquido ceruleo, denso tanto da sembrare gelatina.
  «Ti può interessare?».
Un lampo di rapacità accese gli occhi della ragazza. «Hai la mia completa attenzione».
La bevanda ignota e dall’aspetto ambiguo che Korbin Perkins consumava la sera del Ballo di Natale, sui gradini freddi, dove Rose disperata si era abbandonata alle sue consolazioni, luccicava tra i raggi di sole fittizi della serra e i lampi di ghiaccio, tuonanti nel cielo.
  «Non so» fece lui. «Non vorrei rischiare di offendere la tua dignità».
Lei alzò gli occhi al cielo e chiuse per un attimo gli occhi. «Andiamo, Al, non farti pregare».
La pesante lentezza con cui espressioni pensierose smussavano il viso sereno di Albus, sfiorandolo con tinte di emozioni cangianti, per poi ripristinare l’infallibile placidità, picchiettò la poca pazienza di Rose.
  «Ci ho lavorato così tanto».
  «E io lo apprezzo davvero molto»
  «Un gesto impegnativo per un amico così poco presente».
Rose mugolò un po’ di esasperazione.
  «E se fosse l’ennesima scelta sbagliata della mia vita?» si chiese in un ansito amareggiato, piegando gli occhi affranti verso il basso.
  «Oh, tranquillo, peggio di così non può andare».
Evitò accuratamente di menzionare l’individuo che riteneva fatale artefice delle atroci inferenza nella vita del cugino. E nella propria, di conseguenza.
Bastò lasciare che la sua evocazione aleggiasse opprimente nell’aria. Dopo poco sentì il fiato mancarle.
Albus non provò nemmeno a puntarle contro i suoi occhi disarmanti, solo le sfiorò il palmo della mano con i polpastrelli, e per la prima volta sembrava esitante.
Un’ombra di cupo bagliore fece brillare gli occhi senz’anima di Rose. Lei si affrettò a direzionarli lontano dall’attenzione del cugino, quando si accorse che quel nebuloso luccichio era solo una patina di umida tristezza.
  «Indovina un po’?» La voce di Albus era viva e serafica.
  «Cosa?» fece Rose con debole interesse.
  «È una pozione».
Tra le sua dita incerte, Albus lasciò cadere la fiala delle loro attenzioni.
Lei sollevò la testa di scatto e incontrò gli occhi seri del ragazzo, di un verde brillante sotto il tratto incisivo del sole. Deglutire le risultò più difficile, ora che il caldo le aveva seccato le fauci. «Ne sei sicuro?».
Lui annuì.
  «Non chiedermi di cosa si tratta con precisione, perché è oltre le mie capacità» spiegò. Distese le mani nelle tasche dei pantaloni, nonostante l’aria cocente rendesse umida la pelle di entrambi. Un gesto che denotò tensione. «Stavo impazzendo perché la maggior parte degli ingredienti non li ho mai nemmeno sentiti nominare, e pur facendo ricerche, non sono riuscito a trovare da nessuna parte una pozione che richiedesse quel tipo di prodotti. Ero convinto che nella Sezione Proibita …».
  «Aspetta» lo interruppe lei. «Sei andato nella Sezione Proibita?».
Albus si strinse nelle spalle. «Sì, certo».
  «E non è la prima volta» disse, rinunciando da subito a porre la questione come un interrogativo.
Lui aggrottò la fronte in un’espressione sarcastica «Secondo te, Nott come fa a preparare tutta quella roba per i Settimi? Frequentiamo la Sezione Proibita dal primo anno».
Si sottrasse all’impulso di scrutarlo con rimprovero, preferendo che proseguisse indisturbato. «Quindi?».
  «Delusione anche dalla Sezione Proibita, oppure c’è qualcosa che mi sta sfuggendo».
  «Non sappiamo di che si tratta, in conclusione».
Svitò il tappo per inalare l’odore rilasciato da quella melma azzurrina, confidando nell’ultima speranza che il senso più intuitivo tra i cinque accorresse in suo aiuto con una folgorazione fortunata. Tuttavia ciò che la illuminò fu solo la spinta acre e pungente di erbe aromatizzate con una punta di acidulo.
  «Non proprio» continuò Albus più esitante.
Rose lo guardò, nuovamente catturata dalla sua tensione.
  «Non riuscivo a venirne a capo, per via di alcuni ingredienti totalmente sconosciuti, ma c’erano altri più familiari, quasi banali, tanto che mi sembrava di averli avuti sotto mano recentemente» disse, corrucciando il volto, spalancando in lievi sussulti gli occhi assorti dal ricordo di quella frenesia. «Poi ho capito». Albus sollevò sulla ragazza uno sguardo stravolto. «Rose, molti di quegli ingredienti erano gli stessi identici che abbiamo usato per la Pozione Ossofast».
Per un attimo lei ricambiò il suo sguardo senza capire. Si separò dalla cattedra e prese a camminare lentamente avanti e indietro.
  «Mi stai dicendo che il professor Perkins avrebbe bevuto una pozione che fa ricrescere le ossa, molto probabilmente sotto prescrizione e preparazione di Nott?».
  «No, non è quella Pozione» ripeté Albus.
  «Ma hanno molti ingredienti in comune».
Lui annuì. «Più altri che non potrebbero nemmeno essere introdotti in una scuola».
Ma che Nott è riuscito a procurarsi.
  «Come?» chiese semplicemente, ma Albus già scuoteva la testa, anticipando le sue perplessità.
  «Fuori dalla scuola, immagino» tentò senza convinzione.
I graffi impetuosi del vento e della tormenta sul tetto che li rassicurava lasciarono brividi sulle braccia nude di Rose, come se la sola idea di varcare i confini di quella inaffondabile roccaforte in pietra  che li accoglieva da sei anni, decretasse la condanna tra le fauci dell’Inferno.
Eppure sembrava impossibile che il principe del ghiaccio si fosse aggirato tra le mura del Castello maneggiando gli ingredienti del suo maleficio, certo di restare impunito, fiducioso nella potenza dei suoi alleati.
Come se avesse libero accesso a tutti i segreti di Hogwarts.
Libero accesso.
Una scossa lungo tutto il suo corpo arrestò di colpo il suo passo frenetico senza ritmo.
  «I depositi di Arrows» pronunciò in un sussurrò meditativo.
  «Cosa?» chiese Albus, sorpreso.
  «Albus, i depositi di Arrows» esclamò con più vigore, guardando il cugino con un lampo famelico in volto. «Può uscire ed entrare dal Castello, portando tutto con sé, tranne qualcosa che la McGranitt non si sarebbe lasciata passare sotto il naso facilmente, come gli ingredienti illegali per la Pozione. Sono quelli che va cercando nel deposito di Arrows, sfruttando l’incarico dei Settimi per le feste della Scuola».
Albus continuava a guardarla esitante. «Arrows è un professore,  la probabilità che nasconda roba illegale nei suoi depositi è alta quanto …».
  «Quella che conservi una Maledizione nelle aule di lezione» completò lei, trionfante. «All’inizio dell’anno io e Malfoy abbiamo rovesciato il barattolo contenente il fuoco incantato. Sia Eloise che Nott hanno detto che si trattava di materiale di cui la McGranitt probabilmente non è a conoscenza. Quanti altri prodotti sono sfuggiti all’attenzione della Preside nella sua cieca fiducia verso il corpo docente?».
Il petto di Rose era scosso da brividi di eccitazione e da un fiato ansimante che le risaliva in gola e poi sprofondava, inghiottito dai suoi polmoni, avidi di ossigeno fresco e rigenerante che la serra asfissiante negava loro.
Albus Potter aveva occhi verdi spalancanti in due limpidi specchi in cui Rose vide il riflesso dei propri pensieri: un groviglio indistinto di fervore e paura. 
 
 
 
- § -
 
 
 
Per la prima volta Rose valutò l’idea di sdraiarsi sui cuscini pervinca in velluto polveroso distesi lungo le panche nell’aula di Divinazione. La luce era sufficientemente fioca e gli odori solleticanti sembravano creati con l’intenzione di condurla verso un lungo riposo.
Le striature scarlatte penetravano le tende tirate lungo le finestre e le sciarpe rosso scuro che drappeggiavano le lampade rilasciavano un’atmosfera soffusa, appena disturbata dall’odore malsano che il bollitore di rame nel camino disperdeva.
Intorno a sé alcuni Grifondoro sonnecchiavano già da tempo, ad esclusione di Tess Rivers alle proprie spalle che continuava a trasalire ad ogni parola della Cooman, completamente assorta dalle visioni di cui questa si stava facendo mediatrice. La professoressa si affaccendava impacciata tra i numerosi scaffali stipati di piume spelacchiate, residui di candele consumate e vari tipi di tazze da tè. Poi finalmente afferrò una sfera di cristallo, mentre tante altre si andarono a depositare sul tavolo degli studenti.
L’esperimento mistico, che sarebbe toccato loro in sorte quella giornata, le sembrava più fanatico del solito, oltre che totalmente privo di senso.
Albus sbadigliò vistosamente davanti ai suoi occhi e lasciò che il mento gli ricadesse inerme sul palmo della mano.
Rose valutò con convinzione crescente l’idea di serrare gli occhi finché il dolce oblio del sonno non avesse avvolto anche il turbinio delle proprie angustie.
Per lo meno avrebbe evitato di concentrarsi sui Serpeverde seduti due file più avanti.
E con Serpeverde intendeva il ragazzo alto, biondo, poggiato svogliatamente contro lo schienale, le dita annoiate perse a volteggiare intorno alla sfera di cristallo abbandonata sul suo tavolo.
Johanna mugugnò.
  «Hai detto qualcosa?» chiese Rose.
  «Rispondevo alle domande della Cooman»
  «Davvero?»
  «Hai mai visto la Cooman fare domande?».
  «Sì, alle tende principalmente»
  «Appunto».
Rose si rabbuiò e tornò ad affondare il viso tra le mani.
Cercò di concentrarsi sulle preziose indicazioni della professoressa riguardo l’intenso sacrificio che quel giorno ella chiedeva ai suoi studenti: fare della sfera davanti ai loro occhi l’occasione per scrutare nei meandri della magia oscura, alla ricerca di quelle catastrofi che inconsapevolmente pendevano su di loro.
Sospirò amareggiata.
Esonerarsi da quella missione sarebbe stata la giusta ricompensa per gli ultimi giorni di penuria. Di certo, per lei, la sfera magica o il famigerato occhio interiore non avrebbero aggiunto un responso significativo al già cospicuo cenobio di drammi che le volteggiavano attorno.
I suoi tormenti le voltavano le spalle nel profilo affilato e gentile di Scorpius Malfoy.
Era distante, estraneo, come se qualsiasi parte di sé le avesse concesso di toccare, si fosse richiusa su se stessa risucchiando tutto ciò che c’era prima. Le spalle larghe, piene, definite sotto il maglione aderente la escludevano dalla sua vita, come lui le aveva così freddamente preannunciato.
E nonostante lo odiasse come mai aveva fatto, avrebbe dato qualsiasi cosa per mettere a tacere quel sibilo infernale dentro la sua testa che le sussurrava quanto fosse stata ingenua a cadere nel suo gioco.
Avrebbe taciuto ogni senso di inadeguatezza e di umiliazione, solo perché si svoltasse verso di lei un’ultima volta.
Un altro sospiro di autocommiserazione la informò che tutto ciò aveva del patetico.
Johanna le lanciò un’occhiata profonda.
  «Datti un contegno».
Lei si accigliò. «Sto facendo del mio meglio».
  «No» precisò lei. «Stai sospirando».
  «Sono pensierosa, okay?».
  «Sospiri e lo guardi e poi sospiri di nuovo». L’espressione di Joa era di profonda gravità. «È imbarazzante».
Rose si ricompose con forte senso dell’onore. «È probabile che stessi pensando a lui» constatò, emulando il tono grave dell’amica.
Johanna la guardò per qualche secondo, colta dal dubbio che fosse più opportuno provare compassione o ribrezzo. «È troppo strano» concluse nell’indecisione.
Rose non disse nulla, ma condivideva il turbamento dell’amica.
Si chiese se anche lui la stesse sfiorando con il pensiero - forse in modo più discreto di quanto stesse facendo lei in quel preciso istante - mentre si ostinava a scaraventarle contro tutto quel risentimento.
  «Non lo convincerai a voltarsi, perforandogli la schiena con gli occhi».
  «Magari riesco ad affatturarlo e a farlo sembrare un incidente» disse in un ennesimo sospiro affranto e si rese conto di quanto le sue parole portassero con sé il dolce suono di una dichiarazione sentimentale.
Johanna scosse la testa. «Tutto ciò ha qualcosa di perverso».
Rose prese a picchiettare la fronte contro la superficie del tavolo, sperando che qualcosa dentro di lei ritornasse a funzionare nel modo corretto.
  «Non potresti scegliere se odiarlo o amarlo e portare avanti questa linea di pensiero?»
Joa aveva ragione. Risolutezza, linearità dei propri propositi, puro e spassionato egoismo.
  «Infatti ho deciso: lo odio» la informò, riprendendo una posizione eretta e iniziando a valutare le striature fluorescenti che si agitavano convulse nella sfera dei segreti.
  «Hai deciso?» chiese Joa scettica.
  «Già».
  «Adesso?».
  «Sì, Joa, sono pienamente convinta».
La ragazza sollevò entrambe le sopracciglia in un arco di cinica indifferenza. «Ed è una decisione ponderata e maturata nel tempo di due intensissimi minuti?».
Rose rivolse all’amica uno sguardo consapevole. «È una decisione impulsiva, capricciosa e irrazionale. E non ammette repliche» la informò, passandole il foglio di pergamena che girava per la classe, dove lei aveva già annotato una decina di catastrofi che l’avrebbero riguardata nelle prossime settimane.
Dovette compiere un notevole sforzo per non inserire ‘Reclusione ad Azkaban per tortura e omicidio’, anche se le sembrava molto più probabile del prendere una D in Trasfigurazione e finire in Infermeria per intossicazione alimentare.
Johanna sollevò le spalle e aggiunse la possibilità di essere investita da un Ipogriffo infuriato.
Tess Rivers le bussò delicatamente sulla spalla e lei trasalì. Nonostante il movimento leggero della ragazza, quella carezza sulla sua pelle pizzicava cautamente, come se le dita di Tess avessero sottili estremità acuminate.
  «Sì?» domandò con una certa ansia.
Quando Tess dimostrava interesse per qualcosa intorno a sé, questo era un chiaro sintomo del suo desiderio incalzante di ficcare il naso nelle questioni altrui.
Rose avvertì i capelli elettrizzarsi per l’agitazione, e lanciò un rapido sguardo al ragazzo di fronte a sé, aspettandosi di cogliere finalmente sul suo volto di pietra un ghigno familiare, come una debole cessazione di ostilità: divertito, irritato, interessato.
Ma Scorpius Malfoy persisteva nel mostrarle le spalle.
La ragazza la guardò stranita per diversi secondi «Ti è caduto l’elastico per i capelli» disse titubante, porgendoglielo con estrema delicatezza.
  «Oh» la sua delusione era percepibile come i fumi densi nell’aria. «Grazie» disse e tornò al suo posto, pensando seriamente che cadere in un sonno profondo sarebbe stata la soluzione migliore per quella giornata di delirante disagio.
Johanna sghignazzò senza controllo.
  «Non mi è ancora concesso di replicare?».
  «Sei davvero indelicata» la fulminò lei.
Tess Rivers picchiettò nuovamente sulla sua spalla e questa volta Rose si voltò appena più seccata.
  «Tess, dimmi» disse, cercando di apparire cortese.
Lei si schiarì la gola. «Non so se l’hai notato, ma Scorpius Malfoy non ti ha guardato mezza volta».
Rose rimase senza nulla da dire, solo strabuzzò gli occhi incredula, mentre Joa cercò di far passare una risata repressa per un colpo di tosse.
  «No, non l’avevo notato» rispose a fatica.
  «Si potrebbe dire che stia facendo finta che tu non esista, se non fosse che sembra proprio che per lui tu non esista davvero» spiegò concitata. «Sembra che tu non sia nemmeno nella sua stessa stanza» aggiunse e sembrava oltraggiata.
  «Non ci vedo nulla di strano, Tess».
  «Insomma, persino Samuel Tockinson sembra essere più interessante rispetto a te» disse, indicando il ragazzo brufoloso che grugniva in perfetta solitudine e vagava per la stanza con sguardo vacuo.
Rose irrigidì le labbra in un’espressione che annunciava quanto fosse pericolosamente vicina al perdere la pazienza. «Evidentemente non sono mai stata così interessante per lui».
  «Sciocchezze, aveva occhi solo per te un tempo».
Solo per me e per mia cugina Dominique, forse per Kate Hastings e qualcuna del Settimo di Corvonero.
  «Credo tu abbia frainteso» rispose più dolcemente.
E io come te, Tess. Non ti preoccupare, siamo state stupide in due.
Lei la guardò con sufficienza mista a compatimento.
  «Io non fraintendo mai» spiegò. «Non mi sfugge nulla».
  «In questo caso sembra che non sia andato tutto proprio secondo i tuoi piani».
La ragazza annuì e continuò come se lei non avesse parlato «È assurdo, lo so» continuò, poi si piegò nella loro direzione. «Pensi sia successo qualcosa?»
Rose scambiò uno sguardo perplesso con una Johanna palesemente divertita.
Allora abbozzò una risata leggera  «Perché dovrebbe essere successo qualcosa?».
Tess rispose con uno squittio particolarmente stridulo anche per essere di sua provenienza. «Oh beh» disse semplicemente, per poi tornare al suo posto.
Ma qualcosa aveva perforato il petto di Rose. Una fitta appena percepibile nella sua causticità, che ultimamente la tormentava con perizia inequivocabile ogni volta che il dubbio di poter essere ferita si insinuava in lei.
  «Tess» la richiamò lentamente, voltandosi completamente nella sua direzione. «Sai qualcosa?»
Tess Rivers fece volteggiare gli occhi per aria, meditando in un tempo infinito «Potrei» concluse.
Le labbra erano secche, forse non le inumidiva da un po’, quindi fece scorrere sopra la lingua che raspava arida. Johanna si mosse irrequieta.
  «Tess» ripeté. «Hai qualcosa da dirmi?»
  «La domanda non è se ho qualcosa da dirti, ma se dovrei dirtelo».
  «Rivers, datti una mossa» tagliò corto Johanna.
La ragazza si indispettì. «È che non amo intromettermi nelle faccende altrui»
  «Ci vuoi prendere in giro?» disse Joa in uno sbuffo scettico.
Lei sollevò le spalle «Almeno non quando si tratta di questioni familiari».
  «Tess» ripeté Rose con tono più deciso, avvertendo i vapori nauseabondi annebbiarle la mente. «Cosa c’è?»
  «Oh beh» si arrese lei in un cipiglio soddisfatto. «Riguarda Dominique Weasley».
Di nuovo la punta acuminata le trafisse il costato.
Avvertì il continuo agitarsi di Johanna, ma la ignorò e invitò la ragazza a proseguire.
  «Non so se avete dato un’occhiata al calendario delle ronde di questo semestre» disse, poi proseguì davanti al prevedibile gesto di diniego delle due. «Le sono capitati tutti i turni notturni. Un po’ strano non trovate?» aggiunse con l’ennesimo squittio.
Sì, era davvero strano, abbastanza da far pensare che Roxanne volesse penalizzare pesantemente l’unica cugina Weasley con cui andasse sinceramente d’accordo. A meno che quella ambigua e sgradita situazione non fosse stata un’esplicita richiesta della ragazza.
  «Perché Dominique avrebbe dovuto chiedere le ronde notturne?».
  «Non lo so». Tess si strinse nelle spalle ma sorrideva consapevole, come chi ha scandagliato tutte le possibili soluzioni e non aspetta altro che rigurgitare la propria intuizione «Perché i suoi compagni di ronda sostengono di non averla mai incontrata durante i turni insieme? Sembra si volatilizzi nel nulla nel pieno della notte».
  «Si vede con qualcuno» disse Rose, ma ormai aveva smesso con le domande.
Tess si strinse nuovamente nelle spalle. «L’ultima volta che è stata vista con qualcuno, ballava dolcemente tra le braccia di Scorpius Hyperon Malfoy».
Abbandonò l’aria compiaciuta di Tess Rivers, non riuscendo a valutare quanto il proprio volto fosse in grado di tradire il turbamento che la divorava.
Si fiondò sulla sfera delle disgrazie, chiedendosi se mai potesse vederci qualcosa in grado di farla stare peggio. Tra lo sguardo pressante di Johanna e l’aria densa dell’appagamento di Tess Rivers, Rose puntò gli occhi grifagni sulle striature nero pece che si dischiudevano in una nube rossastra, per poi contorcersi come tanti serpenti infuocati e raddensarsi nell’unica, nitida immagine di un grande occhio luccicante come perla di vetro, le palpebre divorate dalle fiamme che lo lambivano.
 
 
 
- § -
 
 
 
I libri le caddero dalle braccia incrociate al petto e si dispersero su tutto il pavimento. Soffocò un’imprecazione e si piegò a raccoglierli. La stanza era un vero caos nel momento perfetto.
Si ostinava a rifiutare gli incantesimi di pulizia e organizzazione, perché adorava sguazzare nel suo disordine, trovava conforto negli oggetti di tutti i giorni e in quelli presi una volta e poi abbandonati, che le roteavano intorno indistintamente. E riordinare tutto, tra i pensieri affollati che si disperdevano per fare posto ad un po’ di monopolio, era rassicurante come un balsamo sulle ferite.
Era passata l’ora di cena quando finalmente riuscì a distinguere nitidamente la superficie del letto dal comodino, il pavimento e l’antro di rifugio nella finestra.
Si lasciò cadere esausta e si addormentò.
Quando riaprì gli occhi, le ragazze erano già nei loro letti, le cortine tirate intorno al baldacchino, mentre lei indossava ancora la divisa e il libro di Trasfigurazione del Settimo anno di James giaceva sommerso dalle sue ginocchia.
Le pagine sgualcite di quell’incantesimo troppo difficile, che si ostinava a voler eseguire, le chiedevano pietà. Chiuse tutto, aprì l’ultimo cassetto e vi gettò dentro il libro, nervosa.
Sul fondo giaceva il diario di Penelope.
Se lo lasciò scorrere tra le mani, mentre sedeva contro la finestra e i bagliori di luce lunare seguivano il movimento delle sue dita su quella superficie ostica. I disegni lasciati erano piccole tracce che gli occhi divoravano avidamente.
Un fascio argentato illuminò un’impercettibile incisione, consumata sulla copertina lisa. Indugiò su quel disegno, percorrendolo con i polpastrelli, ma non lo capì.
  «Lumus» bisbigliò e inondò di luce calda quello che adesso le apparve nitido come un occhio senza palpebre.
Un fremito lungo la spina dorsale le impedì ogni movimento e per un momento pensò che un incantesimo l’avesse immobilizzata. I brividi che le solleticavano le braccia salirono fino alla nuca e Rose avvertì un freddo spaventoso.
Fissò a lungo quel solco argentato sul diario di Penelope, lo toccò ma sembrava inciso fino all’interno delle pagine. Ne studiò lo spessore, il rigonfiamento impercettibile rispetto alla copertina rigida, che lei aveva scambiato per un effetto del logorio del tempo e che invece caratterizzava perfettamente l’idea che il simbolo voleva trasmettere: quella di un occhio deturpato che tutto vede e inghiotte, come un’inesorabile sfera di cristallo.
Un occhio interiore.
Di vetro e di ghiaccio.
Come quello che aveva visto tra i rigagnoli incandescenti durante l’ora di Divinazione.
Pensò a lungo finché non si accorse di essersi morsa il labbro con troppa foga e il sapore del sangue le esplose in bocca, macchiandola di nauseante amarezza.
E in un attimo si ritrovò nella Sala Comune, poi lungo le scale, nel corridoio e davanti la porta della Biblioteca.
Di dormire non se ne parlava, quindi tanto valeva visitare l’unico posto capace di accoglierla senza remore anche in piena notte, dove era certa che nessuno l’avrebbe disturbata. La luce della bacchetta le mostrava i volti nascosti nelle ombre degli alti scaffali, il cui legno antico, striato dalle venature del suo prestigio e corroso nell’arco di quel tempo inesorabile, dispensatore di austerità, proiettava senza pietà.
Linee ambigue, deformi andavano a stagliarsi lungo le pareti e sul pavimento che si apprestava a percorrere.
Non sapeva cosa stesse cercando, ma capì di essere nel posto sbagliato quando l’ansia asfissiante prese ad abbandonarla e l’impressione che ciò che la tormentava non le sarebbe scorso tra le mani dei suoi tanti testi scolastici premeva nella sua fiacca ricerca.
Una mano bloccò le barre del cancello e con la bacchetta districò il nodo d’acciaio che chiudeva la serratura della Sezione Proibita. La bacchetta spenta salda nella mano e il passo felpato. Scese le scale a chiocciola fino ad incontrare l’odore di muffa e di polvere che si aspettava.
La luce della bacchetta era tenue sotto il suo mantello, illuminando quel tanto che le permettesse di orientarsi tra i tetri corridoi onusti di densa immobilità.
I libri più oscuri dell’intero Castello la fissavano, giudicando l’entità della sua presenza, ne valutavano la nefandezza, l’irriducibilità delle sue intenzioni, facendola sentire piccola e sola.
Cercò qualcosa che avesse a che fare con i simboli, ma i libri da consultare erano un’infinità; provò tra le magie visive, quelle che impediscono lo sguardo, gli occhi artificiali, i malocchi. Ma le sembrò di perdere se stessa dentro qualcosa di ignoto che riusciva solamente a divorarla dall’interno. Come una maledizione.
Allora le venne in mente ciò che l’ ebbe colpita come un getto d’acqua incandescente la prima volta che ebbe incontrato gli occhi spaventosi di Penelope: una maledizione.
Tentò tra gli scaffali alti tutte le fatture oscure che riguardassero la vista, ma libri su libri erano dedicati alle Maledizioni Senza Perdono. Finché la sua attenzione non fu catturata da un volume di modeste dimensioni, più pulito rispetto agli altri e con una scritta nitida sul dorso: La svista della maledizione.
Lo prese, sollevando leggermente tutte le pagine in un solo movimento per accertarsi che non vi fossero contro indicazioni, poi lo aprì.
Era un semplice manuale di teoria.
Rriportava minuziose istruzioni per riconoscere i punti deboli di una maledizione, fondante sul dogmatico precetto che ognuna di esse comporta, nel momento dell’esecuzione, una svista, impercettibile o grossolana, ma una volta individuata, letale per il suo smascheramento.
Seguivano una serie di esempi di riconoscimento: tra questi il più comune, riportato con una rutilante insistenza, era, a quanto sembrava, la percezione degli occhi.
Il testo recitava:
La naturale connessione tra i bulbi oculari e le capacità cognitive, rende questi maggiormente esposti al rischio cui il corpo va in contro nel momento in cui subisce una maledizione. Come primigenio istinto infantile verso l’apprendimento della realtà circostante, la vista è la prima facoltà ad essere sviluppata e l’ultima ad essere rimossa durante la presa in atto della maledizione. Se questa viene eseguita su un corpo in età infantile, il gesto istintivo di chiudere gli occhi, proteggendosi anche solo visivamente dalla minaccia, preserva questa parte della figura - umana e non - dall’incantesimo che ne deformerà l’aspetto o la cognizione di sé.
In allegato alcune immagini di corpi deturpati dalle peggiori maledizioni corporee, e, in ultimo, un disegno accennato ma inequivocabile di un occhio nudo e striato da vene rossastre, privo di palpebre e, in quella stentata tridimensionalità, perfettamente di vetro perlato.
  «Oh, mia cara Rose».
Il libro le cadde dalle mani e precipitò al suolo in un boato che si estese lungo tutto il corridoio, risvegliando voci mortali nella scia dell’eco. Il cuore le batteva così forte che il petto si alzava e abbassava come dopo una lunga corsa.
Si voltò di scatto ma la bacchetta le tremava tra le mani talmente tanto che non riuscì a liberarla dalla prigionia del mantello. Mentre lottava con questo, il buio le nascondeva quella voce.
   «Rose, Rose, Rose».
Le dita contratte convulsamente strapparono un pezzo di tessuto, la paura le stringeva lo stomaco come una presa violenta e dolorosa.
Qualcuno fu più veloce di lei e una luce illuminò tutto intorno in quella latebra angustiante, creando altre ombre istrioniche da aggiungere a quelle che già la tormentavano.
Un volto si illuminò, ma a quel punto brividi di glaciale terrore già l’avevano avvertita.
Vincent Nott scuoteva la testa, mente la sua bacchetta assorbiva ogni traccia di temerarietà dal viso pallido della ragazza, lasciandola sola nella sua debolezza.
  «Non va affatto bene» disse, profondamente contrito.
Rose non seppe dire cosa di quel ragazzo la spaventasse al punto da non osare muoversi. Se il volto di pietra bianca e levigata, ora cerchiata da segni violacei sotto gli occhi di ghiaccio, o la rigidità di tutto il suo corpo, inflessibile come una roccia, mentre la scrutava, valutando di precipitarle addosso con tutta la fatalità del suo peso statuario o di sgusciare come un serpente all’improvviso e senza che lei potesse prevederlo.
O semplicemente gli occhi spalancati, folli che roteavano in tante convulsioni senza pietà.
In quell’individuo dall’aria demonizzata non c’era traccia del ragazzo distinto e imperscrutabile che aveva conosciuto.
  «C’è qualcosa che ti sfugge in quello che sto cercando di dirti da tempo».
Faticò a deglutire, avvertendo gocce di saliva dense come melma raschiare la ruvidità del suo palato.
Aprì la bocca ma ne uscì solo un suono strozzato, e parole che non aveva immaginato precipitarono nell’abisso che la circondava e la inghiottiva. Ad ogni movimento del faro di luce, perforante come tanti spilli nei suoi occhi, il volto di Vincent Nott era più nitido in tutta la sua follia.
  «Cosa ho sbagliato con te?» disse, avanzando lentamente verso di lei.
Un passo e una parola.
  «Dimmelo».
La sua bacchetta era alta, dritta, puntata contro il viso di Rose.
La bocca di Rose era sigillata in una tomba di cemento impiastrata di saliva densa e collosa.
  «Mi hai molto deluso» parlò con voce bassa di frustrazione e collera crescente.
Vincent Nott storse la bocca in una smorfia che ne deformò la bellezza. Trattenne un sorriso grottesco e sollevò la bacchetta finché la luce non colpì la vista di Rose fino a darle bruciore, e per un attimo lei chiuse gli occhi.
Li riaprì quando si accorse di averlo fatto per paura e dolore. Indietreggiò fino a sbattere la schiena contro la libreria, avvertendo lo spigolo di un libro perforarle il fianco, il legno scheggiato ancorarsi ai capelli, la testa premuta contro una superficie ruvida e dissestata.
  «Perché non mi parli?» chiese disperato, la voce simile ad un lamento.
La bacchetta arrivò a puntarle la gola senza toccarla.
Un brivido gelido le percorse la schiena, le fece vibrare le dita, finché queste non si serrarono intorno ad un libro sporgente. Lo prese, scaraventandolo addosso al ragazzo, nel momento stesso in cui si allontanava da lui in una corsa.
Boccheggiò annaspando nel buio, il viso contratto, le gambe agitate convulsamente in un disperato tentativo di arrestare la caduta. Ma qualcosa più forte della sua volontà l’aveva bloccata e sbattuta al suolo.
Non poteva muoversi. Intorno a sé solo il vuoto mentre provava a sollevarsi sulle braccia, e allora
lo vide emergere dall'oscurità, fiocamente illuminato dalla luce che ne disegnava il contorno in una raggelante immobilità.
  «Voglio solo parlarti» la voce fredda era vicina al pianto.
Nel silenzio mortifero dei suoi passi, Rose lo vide farsi più vicino con lentezza agghiacciante come una tortura. Desiderava chiudere gli occhi per non vedere più il suo sguardo folle, ma l’incantesimo le aveva pietrificato ogni muscolo.
Era inesorabilmente a due passi da lei, quando la bacchetta cambiò direzione e senza un motivo puntò il suo collo pallido.
Lo vide trasalire e il livore del suo volto sostituire lo sgomento.
Così capì che la bacchetta ad averlo incantato non era la sua.
Vincent Nott la fissava immobile, mentre la vita iniziava a riprendere il controllo delle membra di Rose, linfa energica intorpidì i suoi muscoli assopiti fino a farli vibrare di veemenza.
Nella tiepida luce della bacchetta, un’ombra emerse dal buio per modellarsi nella sagoma di Korbin Perkins. Rose credette fosse un miraggio finché non vide distintamente le altre parti del suo corpo prendere forma e dare movimento ad un volto rigido e a quello sguardo risoluto che adesso la fissava.
La bacchetta che ancora arpionava la sua preda, un maschera di dura compostezza ad irrigidirgli il volto e due occhi penetranti nonostante lo strato di ghiaccio a difenderli, Korbin Perkins parlò.
  «Vai» disse semplicemente con tono perentorio. Un gesto con la testa per suggellare quell’ordine e non lasciarle il dubbio di disobbedirgli.
 
 
Sedeva con le spalle contro il muro nel terrazzo sulla Torre Nord, accanto all’aula di Divinazione da almeno due ore. A quel punto potevano essere le tre di notte e lei non avrebbe mai preso sonno.
Il tremito aveva abbandonato le sue dita insieme alla sensazione di essere perseguitata dagli occhi glaciali dei due uomini che quella sera l’avevano aggredita e salvata.
Tra le mani La svista delle maledizioni pesava più di qualunque tomo scolastico e le bruciava i polpastrelli.
Lo aprì con esitazione solo per incontrare nuovamente quell’occhio vitreo dalle iridi agghiaccianti come la morte, e il ricordo della visione nella sfera di cristallo tornò a tormentarla con la stessa intensità con cui  angosce sconosciute, predette dalla Comman, pendevano su di lei.
E adesso invece che ne aveva certezza, cosa le avrebbe rivelato la sfera?
L’aula era solo a due passi da lì, ma l’odore intenso di infusi e legno bruciato, polvere e cuscini in chintz consumato le diede la nausea al solo pensiero, mentre una morsa allo stomaco più forte del ribrezzo e del fetore la aggredì. Era la paura.
La luce della bacchetta le infuse tranquillità mentre saliva le scale a pioli fino alla botola. La sollevò esitante, attenta a non lasciare echeggiare alcuna traccia dei suoi movimenti, ma quando poggiò la porta contro il pavimento della mansarda il ruggito che le restituì la stanza fu inevitabile.
Ciò che la sorprese fu il gemito spaventato di qualcuno.
Entrò nell’aula decisamente fuori di sé e la percorse con il fascio luminoso della bacchetta.
Il cuore le batteva forte in petto e si arrestò definitivamente quando individuò una figura femminile stesa su una delle panche, le gambe divaricate ad accogliere il busto di un ragazzo, proteso verso di lei.
Mise a fuoco il volto di Dominique Weasley.
Era pronta a fare qualsiasi cosa.
Puntarle la bacchetta contro e fare  precipitare su di loro tutti gli oggetti presenti in quella stanza affollata, urlare, urlare e urlare ancora tutta la propria rabbia, la delusione cocente che scendeva inesorabile come una mano demoniaca per offuscarle la vista di quella dolorosa perversione.
Era pronta a fare tutto questo contro Scorpius Malfoy e Dominique Weasley.
Ma quando sollevò la bacchetta per aspettare che il riflesso accecante sul biondo dei capelli di lui le facesse ancora più male, le rispose solo il buio.
Nero come la pece, come le tenebre che avvolsero tutto nel silenzio dell’inconsapevolezza.
Scuro, forte, denso, agitato, irruento.
Fu tutto ciò che vide tra i capelli indomabili di James Potter.
 
 
 
 

 
Indiano. Il dolce suono della pioggia che cade. 

                                                         

 
                                                                        
 
 
 
 
 

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Capitolo 18
*** Kairos ***



 
Rispondigli di sì, anche se stai morendo di paura,
anche se poi te ne pentirai,
perché comunque te ne pentirai per tutta la vita 
se gli rispondi di no.
 
 
 
 
CAPITOLO XVIII

 
 
Kairos
 
 

 
Pareti fredde di una umidità perenne e finestre in ferro arrugginito da cui sfuriava il vento indomito, portando via il fetore di acqua stagnante.
Era un ambiente sterile, per quanto impregnato di segreti altrui, vuoto, anche se l’ombra del fantasma che ne era padrona vibrava negli angoli e sospirava di dolore.
Nel bagno delle ragazze non c’era giudizio.
Si era lasciata andare completamente nel palmo della mano che la sorreggeva contro la parete bagnata. Il peso di quello che aveva visto le premeva sulle spalle incurvate, e la testa le cadeva inesorabile verso l’unico motivo che riusciva a seguire senza impazzire: le maioliche delle piastrelle.
Avrebbe vomitato, ne era certa.
Respirò lentamente, cercando di ricordarsi come scacciare il senso di nausea che le impiastrava la bocca.
Dei passi risuonarono leggeri sulla distesa d’acqua profonda come un lago che si estendeva dalla porta alle caviglie di Rose.
Qualcuno l’aveva seguita.
  «Non puoi dirlo a nessuno».
La voce che le parlava non aveva nulla di mellifluo, era ferma e ruvida come se fosse stata sepolta per troppo tempo. Non provava ad incantarla, solo a minacciarla in un’eco profonda.
Rose non riusciva a guardarla, la sua sola presenza le dava i brividi.
  «Perché?»
Rispose dopo un po’. «Gli altri non capirebbero».
Fu costretta a vincere ogni senso del pudore e sollevò uno sguardo stravolto su di lei.
  «Perché questo?» quasi urlò, poiché l’altra non sembrava in grado di capirla «Perché lo fate?».
Cercava di superare la barriera che le rendeva Dominique sempre più distante, sempre più piccola, mentre si rifugiava in un antro di incoscienza, cui Rose non aveva accesso.
Dominique non aveva parole sulle labbra, né emozioni sul viso, ma i suoi occhi piangevano.
Si separò dalla parete che la sorreggeva come se i piedi si fossero sollevati dal suolo senza il suo controllo, immergendosi nel pavimento che le schizzava i polpacci e riemergendo solo davanti alla ragazza dai capelli opachi, come fili di paglia bruciata al sole. 
Tra i pochi spiragli lunari che squarciavano quel buio asfissiante, si affacciava un viso consumato, piegato in linee disarmoniche, spezzato da una bocca senza vita, un viso che di bello aveva solo il ricordo.
Eppure solo qualche istante prima aveva colto quella disarmante bellezza che seguiva Dominique come una condanna, la stessa che, impressa nella sua memoria, aveva preso, da un po’ di tempo, a farle male.
Guardò la cugina detestata piangere in silenzio.
Cosa avrebbe potuto dirle?
Che era la cosa sbagliata, ma Dominique aveva tanta consapevolezza in quelle lacrime inconsuete, che le rigavano il viso imbruttito dal rimorso, come fossero torrenti dal corso perenne, avvezzi a corrodere quella superficie levigata e quasi eterea, anche quando non fossero visibili.
Le sembrò un delitto, distruggere dall’interno un fiore di meraviglioso incanto.
Allora Rose passò un dito sul suo viso e portò via le tracce del suo deterioramento.
La statua incantevole sembrò riprendere a respirare.
  «Lui mi ama davvero» sussurrò.
Avrebbe preferito non sentirglielo dire, perché in quel momento non poté evitare di chiudere gli occhi, mentre la nausea tornava a disturbarla e a contorcerle il viso in un’espressione che non celava il suo disgusto.
Dominique si irrigidì.
  «Non so cosa dire» confessò Rose.
La ragazza la guardò profondamente, riprendendo a piangere.
  «Non devi dire niente» disse «Non devi dirlo a nessuno».
 
 
 
- § -
 
 
 
La piuma sfilava sulla pergamena, imprimendo tracce di inchiostro scure come impronte di fango e catrame. Scivolò nella sua presa e lasciò un marchio della sua distrazione su quella superficie levigata.
Sollevò il volto, nuovamente.
Il silenzio della Sala Studio aveva avuto la breve durata di qualche minuto, poi i banchi si erano stipati di studenti, i tavoli accoglievano pergamene, libri, sparsi in un caos intenso. La luce soffusa del primo pomeriggio di quella giornata senza lezioni si era fatta più accesa e opacizzante nelle sue iridi azzurre, e iniziava a darle alla testa.
L’aria era densa di una tensione che la scuoteva dall’interno, solleticando i suoi pensieri, catalizzando tutta la sua attenzione.
Da quando Scorpius Malfoy era entrato in Sala, tutto il resto aveva smesso di esistere.
Aveva scavalcato la panca del tavolo di fronte al suo, accomodandosi con compostezza e una serietà che oscurava il suo volto, rendendolo estraneo a quello che lei era abituata ad accarezzare nelle sue fantasticherie. Nonostante l’ora tarda in cui lui e il suo migliore amico si fossero decisi a palesarsi davanti ai libri di testo, i tavoli liberi erano ancora numerosi, ragion per cui Rose ebbe un sussulto quando lo vide scegliere il posto che le avrebbe garantito la sua perfetta e inevitabile contemplazione per le ore successive.
Voleva lasciarsi ammirare nella sua indifferenza, in quella sua promessa di atroce apatia che pesava sul cuore di Rose come una lama impregnata di un odio dolce e distruttivo.
Era lì, vicino tanto da squarciare le difese di Rose e proclamarsi alla sua assoluta attenzione, distante quanto la sua sfrontata superbia gli assicurava. Vincente, come mai lo era stato in tanti anni di diatribe.
La piuma si incrinò ancora in un tratto secco e distorto, che disperdeva sulla pergamena tutta la sua inquietudine.
  «Non ti mostrare così debole»
Sussultò impercettibilmente, rigando per l’ennesima volta i suoi appunti. Sollevò il volto su quella figura irreale che aveva preso posto accanto a sé con una leggerezza tanto angelica da rasentare la fatalità.
Dominique la guardava con distacco come se volesse studiare i suoi movimenti.
  «Stai parlando con me?».
Strabuzzò gli occhi per accertarsi che non fosse solo uno dei suoi tanti incubi. Tuttavia, a giudicare dalla distanza che intercorreva tra la bellissima cugina e il ragazzo che la tormentava, poteva ritenere di escludere la solita angoscia imperante che scuoteva il suo sonno ormai da giorni.
Era sveglia e lucida e Dominique Weasley le si era seduta accanto.
  «Se devi essere così trasparente tanto vale andare a dirglielo direttamente».
Lei sbatté le palpebre qualche volta di troppo. «Cos’è che dovrei dire?» chiese esterrefatta.
  «Che ti fa questo effetto» rispose con semplicità.
A quel punto si voltò indignata verso di lei «Non ci posso credere» scattò. «Stai davvero parlando di lui
Dominique la guardò come se fosse stupida.
  «Andiamo, Rose, svegliati». La sua voce era delicata anche in quel sussurro velenoso. «Tra noi non c’è mai stato niente. Perché vuoi continuare a credere che sia così?»
Lei ritornò a far scivolare parole vuote sulla pergamena accanto a sé. Le dita sporche di inchiostro erano umide di tensione, ma lo sguardo era fermo di fronte a sé.
  «Cosa vuoi da me, Dominique?»
La sentì piegarsi nella sua direzione e si irrigidì infastidita, mentre la cugina dai modi serafici le scostava i capelli dall’orecchio, in un gesto che Rose trovò dannatamente seducente.
  «Forse sei tu che potresti volere qualcosa da me» sussurrò con voce ancora più morbida.
  «Di che stai parlando?»
  «So che c’è qualcosa che fremi dal bisogno di chiedermi».
Rose si scostò. «Non siamo amiche» disse bruscamente. «Non lo siamo solo per l’altra notte».
Le dita della ragazza furono scosse da un tremito che convinse Rose a guardarla negli occhi persi e annientati come li aveva visti solo una volta.
  «Mi odi» disse con voce amara, lo stesso tono rotto come un violino dalle corde di piombo che aveva già colto tra le sue parole. «Eppure sai cosa è successo quel giorno. Sembra che tu preferisca che in quella camera con me ci fosse stato Scorpius, piuttosto che James» .
A quelle parole la piuma cadde definitivamente stramazzante sulla pergamena smussata, affogando in una pozzanghera di inchiostro scuro come sangue fresco, ancora pulsante.
Sapeva che non sarebbe stata in grado di restituirle uno sguardo diverso rispetto a quello così inequivocabilmente affacciato sul proprio sgomento, quindi preferì non darle nulla.
Né il proprio appoggio, né il proprio biasimo.
  «Eppure pensavo che tu, almeno tu, mi avresti capita».
Andò via così, leggera come era arrivata.
Rose chiuse gli occhi, chiedendosi se davvero la certezza che Scropius Malfoy non stesse in quella camera con Dominique fosse più confortevole, adesso che nella stessa immagine devastante il posto del ragazzo era stato preso da suo cugino.
L’unico ad aver mai tollerato la funesta Dominique Weasley.
James Potter, seduto lontano da lei, la ignorava. Come aveva preso a fare con dedizione da quella fatidica notte.
Rose sospirò tutta l’amarezza che gravava sul suo petto, la stessa che confondeva emozioni così diverse in un’unica bolla di disorientamento.
Sollevò lo sguardo su di lui, richiamata da quell’attenzione che le premeva addosso con inconfondibile indiscrezione. Quando si incontrarono, in quell’atmosfera carica di cose che sarebbero dovute essere, lui non fece volare altrove gli occhi e lasciò che entrambi si perdessero per un attimo nel ricordo di un altrove.
La fitta al petto fu incredibilmente piacevole, come se lui l’avesse accarezzata con quella lieve concessione.
Fu solo per un momento che Rose non cedette all’impulso di alzarsi e raggiungerlo. E in quel preciso istante, che le sfuggì davanti, Kate Hastings si intromise, facendola precipitare al suolo.
La vide sgusciargli accanto, dietro le spalle, far combaciare il suo ventre contro la schiena di lui. Un gesto confidenziale. Passargli le mani tra i capelli per richiamare finalmente la sua attenzione, e farlo voltare verso di lei con un sorriso paziente. Un gesto intimo.
Si piegò così tanto verso il suo viso che i capelli coprirono quasi del tutto quello scenario abominevole. Riuscì a cogliere solo un sorriso interessato increspare il volto di Scropius in risposta a quello che gli era appena stato sussurrato con melliflua insinuazione.
Poi lui si alzò dalla panca, sotto lo sguardo curioso di Albus, e seguì i passi di Kate.
Il cuore ebbe un singhiozzo e affondò esamine nel suo petto.
  «Perché la Vipeera ti stava parlando?».
Johanna si era appena accomodata di fronte a lei, palesando la su presenza con un tono di voce eccessivamente alto. Noncurante, sollevò un dito medio verso gli sguardi carichi di rimprovero che i vicini le ebbero indirizzato.
  «Ehi, dove stai andando?» quasi le urlò dietro, mentre qualche coraggioso le intimava di fare silenzio.
Probabilmente doveva essere stato un Grifondoro, che alla buona tempra accompagnava sempre una considerevole dose di giusta opportunità, perché Johanna in quel momento si esonerò dal tirare fuori la bacchetta per informarlo di tutta la propria irritazione.
Troppo impegnata ad osservare l’amica percorrere a grandi falcate la Sala, seguì la curiosa veemenza con cui ne stava spalancando il portone, aspettando solo di vederla teatralmente sbatterselo dietro.
 
 
Se aveva intenzione di continuare a torturarlo con il suo sguardo per il resto dell’anno, lui le avrebbe solo agevolato il compito.
L’aveva respinto con quella gelida umiliazione, senza piegare il suo sfrontato orgoglio nemmeno per un momento, nemmeno dopo tutti gli ostacoli che erano riusciti a far precipitare nell’abisso della loro indifferenza. Lo stesso stoicismo con cui avevano assistito, inermi e rasseganti, allo scioglimento di tutte le barriere di ghiaccio che si erano costruiti attorno per anni.
Una dopo l’altra, le loro inibizioni erano crollate sotto il fuoco lento della loro volontà.
Eppure al momento dell’esplosione, lei era tornata in quell’iglù, vinta da una prepotenza così succube dell’orgoglio, che scalava imbattuta la vetta delle sue priorità.
Dominique Weasley le parlava con un trasporto che non pensava potesse appartenere a quella ragazza, eppure lei la ignorava, la respingeva con tutto il suo disprezzo, con quell’indifferenza che aveva più della superbia che della atarassia.
Perché lei, di placido e dominabile, non aveva proprio nulla. Era incostante, capricciosa, inafferrabile.
Lo guardò ancora, come faceva sempre, nonostante lo avesse respinto. Lo divorava con gli occhi, mordendosi le labbra in un gesto che aveva dell’involontario ma che lo faceva impazzire ogni volta.
Cercava di evitarlo, quello sguardo.
Ma quella volta lei lo aveva sorpreso a pensarla, e lui non poté fare altro che cedere a quel volto tormentato, concedersi questa breve e amara debolezza, prima di ricomporre tutta la sua maschera di sicurezza.
La sentì persino toccargli i capelli, in un gesto così tanto esperto e sensuale che non sembrò appartenere al suo tocco vibrante. Non avvertì l’impazienza che vince il timore in quelle dita che lo accarezzavano con una maestria ormai assuefatta, in un ritmo abituale.
Un odore forte, pungente lo riportò alla realtà.
Una realtà in cui il biondo artificiale di Kate Hastings gli negava quello sguardo cupo in lontananza.
  «Ho un regalo per te».
Scorpius sapeva bene cosa aveva in serbo per lui quella fantastica creatura.
La guardò distante, a un tavolo da lui, un’ultima volta, e i suoi occhi, prima tormentati, poi cupi, erano adesso furenti.
Decise di alzarsi con lentezza, cosicché lei non perdesse neanche un movimento di quella decisione, e seguire Kate, poi, fu un’inevitabile quanto semplice vendetta, così dolce nella sua testa, da farlo sorridere, mentre immaginava Rose percorrere con i suoi occhi cocenti la scia dei loro passi.
Fuori dalla Sala, Kate si voltò verso di lui, gli sorrise, lo prese per mano. Superarono alcuni studenti messi lì come tanti ostacoli al loro procedere verso la perdizione, giusta o sbagliata che fosse.
Carter Zabini gli fece l’occhiolino, ma passò nella sua vista con la stessa rapidità con cui tanti volti si erano confusi. Solo uno sguardo sembrò premergli con troppa pressione per essere ignorato.
Lo intercettò nel volto sempre canzonatorio di Alan Doyle. Una sigaretta alle labbra, affacciato al muro perimetrale in pietra che dava sul chiostro, Alan lo guardava profondamente.
Sorresse il suo sguardo con un’occhiata di sfida, fredda come quell’astio che aveva raggelato tutto tra loro, ormai da tempo.
In un attimo furono nel capanno delle scope.
Kate era già sul suo collo, lo percorreva con avidità, sgusciando sul suo corpo con quelle mani rapide, frettolose. Lui le restituì la bramosia, infilandosi sotto la sua camicia, aprendogliela in un gesto lento, che scosse la sua impazienza.
Lei si avventò sul suo viso, sul suo mento, cercando la sua bocca, che lui scostò con finta casualità.
La sentì più tesa, e capì subito di doversi far perdonare. Passò le mani sotto la sua gonna, afferrando le sue natiche, lasciandosele scorrere tra le dita, premendo con forza, nutrendosi di quei gemiti intensi, graffianti, eccessivi.
Lo sguardo di Alan Doyle si intromise tra i lamenti di Kate, lasciando in lui solo quel senso di vuoto che il ragazzo gli aveva comunicato.
Era rimprovero, biasimo, rammarico? Lui, proprio lui osava guardarlo in quel modo.
Come se si stesse macchiando di chissà quale colpa, come se stesse vestendo i facili abiti del tradimento.
Lo guardava compiaciuto. Intento a studiare la prossima strategia che gli  avrebbe fatto scintillare l’armatura da cavaliere indomito e onnipresente al fianco di lei, per cingerle le spalle, ancora una volta, dinanzi alle ferite che Scorpius le aveva procurato, ancora una volta.
Alan cercava un consenso, un permesso che Scorpius non gli avrebbe mai dato. Allora se lo veniva a prendere, incidendo la sua gola con quegli stessi artigli famelici con cui gli avrebbe sottratto ciò che era suo.
Il sospiro di Kate si fece più intenso, mentre gli accarezzava il petto completamente nudo.
Lei lo avvertì distratto, poiché cercò le sue mani e le strinse.
Scorpius si irrigidì, affrettandosi a sciogliere quel contatto, prima che lei lo profanasse.
Finse di avere fretta di tastarle la schiena, sfilarle la camicia, assaggiare il suo seno. Passò a baciarle il collo e di nuovo quell’odore forte lo schiaffeggiò con una potenza tale, da farlo precipitare nell’oblio di quella notte con le stelle.
Percorse il collo di Kate, immaginando che fosse la sua pelle a pulsargli tra le labbra. Procedette con la stessa esitazione che l’avrebbe fatta sospirare di sofferenza e piacere, se lei fosse stata lì tra le sue mani, al posto di Kate. Ma questa non gradì quell’indugio, gli afferrò i capelli e premette con più forza la sua testa sul proprio collo, lasciando che il profumo di Rose Weasley fosse inghiottito dai suoi ricordi.
Si rese conto che qualcosa non stesse andando nel verso giusto dal fatto che Kate aveva cessato la sua foga.
La mano di lei era fissa nei pantaloni di Scorpius e sul suo volto era indubbia un’ espressione di gelida offesa.
Kate prese a muovere con più insistenza sotto quella virilità stentata, ma il dolore della vergogna di Scorpius fu troppo lampante, e si confrontò solo con l’alterigia di lei.
Allora Kate ci riprovò con crescente fervore, inginocchiandosi davanti a lui, fissandolo negli occhi. Le sue labbra lambirono il suo ventre, percorrendo ogni lembo di pelle e carne con la lingua. Ma per far sì che quelle carezze si approfondissero in un contatto esplosivo, qualcosa in lui doveva dimostrare gratitudine per quelle attenzioni.
L’unica risposta che arrivò fu la sua umiliante immobilità.
  «Dannazione».
Lei si scostò come scottata. «Vuoi scherzare?».
Si sollevò di scatto, riprendendo la camicia e abbottonandosela con dita rapide e indignate.
Scorpius chiuse gli occhi solo per un attimo. «Mi dispiace» tentò.
Ma lei si era già sbattuta la porta dello sgabuzzino alle spalle.
Quando tornò nel corridoio, di Kate non c’era alcuna traccia. Calciò lontano con rabbia un sasso che dal cortile era finito tra i suoi piedi, e si incamminò per ritornare a studiare.
Vide Rose Weasley lì, ferma, davanti al portone della Sala Studio, tra i tanti ragazzi in pausa, assorta da qualcosa che le veniva detto.
Lo sguardo era serio, preoccupato, poi sorrise triste, gli occhi erano ancora cupi.
All’improvviso si sentì sporco, avvertì l’onta del tradimento in quelle macchie dall’odore pungente che premevano sul suo corpo toccato da Kate, lì dove sarebbero potute esserci altre mani, un’altra bocca, un’altra lingua.
La gonna di lei sgualcita non aveva visto il tempo di essere sistemata e si arricciava in tante pieghe, costringendola ad accorciarsi, scoprendo le gambe, che, in quella fredda giornata di gennaio, lei aveva pensato di lasciare nude.
Fu istantaneo il dolore con cui si risvegliò in lui il piacere, rimasto sepolto per tutto quel tempo. Soffocò un’imprecazione, perché proprio in quel momento lei si era voltata verso di lui.
Aveva ritrovato la solita luce di vita negli occhi, lontani dalla conversazione in cui era immersa poco prima, e adesso lo fissava, consumandolo, assorbendo ogni traccia di sé, come se ne dipendesse della loro vita.
La detestava per quello sguardo, ma vi era già precipitato.
Quando si riscosse, era al fianco della ragazza e si frapponeva tra lei e Alan Doyle.
 
 
Era già immersa tra gli studenti che si consumavano con inerzia in quella pausa-studio eterna. C’era chi fumava affacciato al muretto che dava sul giardino, chi ripeteva ad alta voce una lezione, passeggiando mollemente nel corridoio, chi chiacchierava, discuteva, risolveva in quella frazione che lo separava dal ritorno all’incombenza dello studio, tutte le questioni di vitale importanza che lo riguardavano.
C’erano tutti, ma di loro nessuna traccia.
Si guardò ancora intorno, senza rabbia, né frustrazione, solo con un tormento che aveva le sembianze di tutte le sue colpe.
Ancora una volta, Scorpius Malfoy la salutava dalla distanza della sua consapevolezza, dandole le spalle e procedendo in una direzione che lei non era stata in grado di cambiare.
Ancora una volta, i suoi tempi erano stati deboli e lenti.
  «Dolcezza».
Alan Doyle si separò da alcuni ragazzi con cui stava condividendo un po’ di fumo ristoratore, per andarle incontro, senza abbandonare la sigaretta che reggeva tra le dita.
  «Cerchi qualcuno?»
Rose sollevò uno sguardo perplesso verso il ragazzo, guardandolo come se non lo vedesse.
  «No, affatto» disse atona.
Alan continuava a guardarla incuriosito. «Sei sicura?» disse con un ghigno. «La tua faccia tremenda dice altro».
Sospirò quella amarezza che le storpiava il viso, e capì che non si sarebbe date pace in ogni caso.
  «Per caso hai visto la Hastings?».
Lui inarcò le sopracciglia e la fissò con più attenzione, inalando dalla sua sigaretta e disperdendo un fumo dall’odore disturbante. «Vuoi chiederle di diventare la tua nuova migliore amica?».
  «Direi di no».
Lui sorrise sghembo «E allora?»
Rose voltò la testa e passò il peso da una gamba all’altra. «Quindi non l’hai vista?».
  «Non ho detto questo».
Lei si accigliò appena. «Alan, per favore» disse rigida. «Almeno puoi dirmi se fosse sola?».
Alan Doyle incrociò le braccia al petto, inspirò profondamente dalla sigaretta e sorrise. «Con chi temi possa essere, dolcezza?» disse, ora più leggero, espirando e salutando qualcuno che gli passò accanto. «Con il Capitano?» fece, strizzandole l’occhio.
Rose si irrigidì, mentre qualcosa le salì in gola impedendole di parlare con fermezza.
  «Li hai visti insieme?».
Il ragazzo le accarezzò il viso, porgendole la sigaretta che aveva tra le dita.
  «Non fumo».
  «Questa ti fa bene, fidati».
  «Che roba è?»
  «Qualcosa che ti aiuta a scacciare i brutti pensieri».
Rose scrutò l’erba avvolta da una cartina tanto sottile da permetterle di notare tutte le diverse sostanze di cui era composta. Osservò il volto sempre disteso di Alan Doyle, e non capì se la sua leggerezza fosse una virtù naturale o fosse riposta in quell’apparentemente innocuo dono che le offriva.
Non sapeva se Alan volesse condividere con lei un po’ della sua saggezza o solo trascinarla verso un percorso in discesa scevro da domande e da risposte, di chi galleggia semplicemente nell’inconcludenza.
Afferrò quella sigaretta. Che fosse venefica o il più grande beneficio, lei si fidava di Alan.
  «Quindi l’hai vista?»
Inspirò profondamente, avvertendo quel veleno amaro bloccarle il petto, occludere le vie respiratorie, devastarle la gola, finché non cacciò via tutto con un tosse violenta.
Alan era divertito e scosse la testa. «No». Tornò di colpo serio, sporgendosi verso la ragazza per inalare un po’ del suo fumo.
Lei lo guardava, lo ascoltava come se avesse pronunciato tante altre parole.
  «Pensi di riprovarci?» chiese Alan, indicando la sigaretta.
Lei sorrise senza gioia e annuì.
Poi lo vide, avanzava nella loro direzione, solo.
Non seppe se un sorriso avesse smascherato il suo sollievo, ma non se ne curò, perché lui precipitava nella sua direzione, senza esitazione, né rancore o indifferenza. Solo immerso nel suo sguardo.
  «Capitano, già di ritorno?».
Scorpius Malfoy sollevò sul ragazzo uno dei suoi sguardi talmente tanto gelidi da indurre solitamente l’altro a non proseguire. Era un’impeccabile statua di ghiaccio e compostezza, nonostante la camicia fosse disordinata, la cravatta allentata e i capelli scompigliati, irrequieti.
Una morsa di fuoco prelevò tra le viscere di Rose tutto il desiderio che aveva di lui. Le sue guance erano più colorite del solito, ma le labbra dischiuse in una linea di ferreo rigore, non lasciavano scampo.
Era così tormentato, come se tra il volto marmoreo e gli occhi di un ghiaccio raggelante si contendesse una lotta, che trovava quiete solo sul suo profilo deciso. Era bello, in tutto il suo debole autocontrollo, autorevole, seppure incrinato da un dissidio interiore.
Eppure Rose riuscì ad acquietare ogni devastante impulso di tornare a toccarlo, come l’ultima volta in cui erano stati intimi. Tutto si fece più trascurabile, davanti alla gioia, mista a sollievo, di averlo lì, accanto a sé, muto, freddo, ma vicino come non lo era da tempo.
  «A quanto pare, Doyle».
  «Qualcosa non ha funzionato?».
Avevano quel modo di parlare così fitto di misteri, come spesso accadeva nelle comunicazioni dei Sesti di Serpeverde, che Rose aveva fatto l’abitudine a sentirsi estranea, ma il modo di girarsi attorno con lo sguardo e con il corpo era così conturbante che lei, lì in mezzo, stretta come una preda, non aveva alcun dubbio su quello che stava accadendo.
  «Non so quanto ti convenga continuare a dare aria a quella bocca».
  «Mi stai suggerendo di non andare oltre?». Alan sembrava si divertisse a tormentarlo, ma forse in lui qualcosa simile alla rivalsa fremeva per essere ascoltata «Se temi che io dica qualcosa di troppo, fermami».
Scorpius gli fu vicinissimo, la bacchetta tra le mani e una mano stretta attorno al colletto di Alan.
  «Io ti sto solo suggerendo di restare al posto tuo». Il suo tono era calmo e basso, la presa sulla camicia dell’amico, leggera. Ne lisciò le pieghe ancora un po’.
Il ragazzo non rispose con altrettanta lucidità a quella provocazione. Strattonò Scorpius per il maglione, avvicinandolo ancora di più a sé e intimandolo di lasciarlo andare.
  «Alan, smettila» intervenne Rose, allarmata.
Gli altri, che sostavano ancora lì, in attesa di rientrare in Sala Studio, si erano già accalcati intorno a loro.
Alan non diede segno di averla sentita e continuava a fulminare il ragazzo con gli occhi.
  «Perché non la finisci di fare cazzate, Capitano?» ringhiò basso. «Lo sai che se non lo cogli, il fiorellino prima o poi sboccerà tra le mani di qualcun’altro?».
Questa volta Scorpius ripose la bacchetta, lo afferrò con entrambe le mani dal maglione che copriva la camicia, e lo sbatté contro il muro alle sue spalle, sollevandolo quel tanto che i suoi diversi centimetri di superiorità gli concessero.
Un brusio di panico iniziò a scuotere i presenti. La preoccupazione agitò i più impavidi che suggerirono loro di darsi una calmata.
Carter Zabini, uno spiraglio di sole in ogni situazione più tetra, li guardava assorto, a braccia incrociate, senza osare fiatare, in attesa che quell’ incalzante tensione tra i suoi due amici finalmente esplodesse per poi richiudersi su se stessa.
Rose si avvicinò, ma non voleva toccarli o dire una parola.
Temeva quella reazione tra i due ragazzi che le erano vicino in modo così diverso, ma ugualmente importante. Tremava per la rabbia con cui Scorpius aveva dato una risposta a quel tormento che lo logorava e di cui lei stessa si sentiva responsabile.
Intervenire, in quel momento, a favore di entrambi o di nessuno, avrebbe solo potuto peggiorare la sua posizione e la sottile linea che ancora la legava a lui.
Come sull’orlo di un precipizio, Rose rimase immobile.
  «Scorpius».
Albus Potter si mostrava al centro di un varco che la folla gli aveva creato, così da poter osservare la scena da lontano, senza scomporsi, senza avanzare con decisione. Solo diramando la sua voce perentoria, calma e confortevole.
Il ragazzo rilassò il viso e i muscoli del corpo, fino a che anche le braccia non ebbero cessato quella presa granitica. Come un velo di limpidezza, la ragione riprese il controllo di sé, ripristinando l’autocontrollo che ne costituiva un marchio indiscusso.
Solo un ultimo sguardo ad Alan suggellò il suo messaggio, prima che sparisse tra la folla, per seguire il passo saldo di Albus Potter.
 
 
L’aveva vista, quella provocazione, nello sguardo inequivocabile che lui aveva lanciato a lei di sbieco, prima che desse voce ai suoi pensieri, e non si curò del fatto che lei fosse lì a guardarli, a struggersi di compatimento per Alan e di biasimo per lui.
Come sempre.
Ai suoi occhi era in grado di fare sempre la cosa sbagliata. E il povero Alan era solo travolto da un imprescindibile bisogno di difendere la dignità di lei, di ergersi in tutto il suo tempismo fortuito e impeccabile, lì dove Scorpius aveva solo l’abilità di lasciarsela scivolare dalle dita.
Eppure era intervenuta contro Alan, chiedendogli di fermarsi, e il livore di Scorpius si era fatto più tiepido nella stretta attorno al collo del ragazzo.
  «Perché non la finisci di fare cazzate, Capitano?»
In quel momento aveva tremato interiormente, scosso dalla consapevolezza del baratro nel quale l’altro l’avrebbe fatto sprofondare, se solo avesse reso più esplicito quel riferimento a Kate, che gli premeva tra i denti, nel suo sorriso compiaciuto.
Gli occhi di Scorpius erano sbarrati e vigili nell’occhiata truce con cui sperava di metterlo a tacere, ma nel profondo li aveva chiusi terrorizzato, sperando che Alan Doyle non aggiungesse altro.
  «Lo sai che se non lo cogli, il fiorellino, prima o poi sboccerà tra le mani di qualcun’altro?»
Poi il tremore aveva pervaso ogni parte del suo corpo e il solo desiderio di strappargli dalla bocca quel sorriso sfrontato, alimentato dal timore che le sue parole fossero vere, prese il sopravvento su ogni altra esigenza. Al Ballo aveva mancato il colpo, ma quella volta niente avrebbe impedito ad Alan Doyle di trovarsi le sue nocche dritte sulla faccia.
  «Scorpius».
La voce di Albus gli arrivò da molto lontano, e per un attimo credette di averla immaginata. Ma il respiro si era fatto più regolare, l’ombra di ira, scesa sulla sua vista, si stava dipanando in una tenue dissolvenza di lucidità crescente, e il conforto dell’inclinazione serafica, che trovava adito solo nella voce del suo migliore amico, gli fece perdere il senso di tutto ciò che stava accadendo.
Mollò Alan con le mani, torchiandolo ancora con lo sguardo.
Non ebbe il coraggio di guardare Rose Weasley, forse perché temeva che la rabbia nei confronti della ragazza fosse maggiore di quella che riusciva a scatenargli Alan Doyle.
Raggiunse il suo porto sicuro sotto gli occhi catalizzanti di Albus Potter.
  «Ti ricordavo più controllato» disse Albus, mentre procedevano a passo morbido lontano da lì.
Gli offrì una sigaretta che l’amico accettò avidamente.
Scorpius si fermò nel cortile, perché sapeva che, se qualche professore lo avesse beccato a fumare nei corridoi, avrebbe passato un pomeriggio peggiore di quello che si stava dimostrando.
  «Mi fa diventare matto».
  «Chi dei due?».
Lui gli rivolse un’occhiata gelida, di chi rendeva chiaro quanto non fosse in vena per quei giochetti.
  «Non è spaccando la faccia ad Alan che risolverai i tuoi problemi».
Scorpius gli restituì una smorfia che disperdeva fumo. «Almeno mi toglierei qualche soddisfazione».
  «O lo renderesti il martire che Rose si affretterebbe a consolare»
Si irrigidì ma non disse nulla. Sapeva che aveva ragione.
  «Sai che Rose ha un’attrazione per i casi disperati» continuò Albus e sembrava fastidiosamente di buon umore. «Tu ne sei un esempio».
La sigaretta che portò alle labbra era insicura tra le sue dita tremanti, così si affrettò a nascondere l’effetto del suo corpo alle parole dell’amico, assottigliando gli occhi in due fessure scettiche.
  «Con me non attacca, Potter» sibilò. «Porta altrove la tua sottigliezza da quattro soldi».
Albus rise leggero, poi si sedette sul muretto, poggiando le spalle contro la colonna, le gambe lungo la superficie in pietra, riproducendo la posizione speculare dell’amico di fronte a lui.
Intorno a loro c’era un silenzio che raramente si avvertiva nel Castello a quell’ora del pomeriggio.
In quell’antro ricavato tra le due colonne che delimitavano l’affaccio sul cortile, non uno spiraglio di vento invernale turbava la loro quiete.
  «Il tuo atteggiamento non ti porterà da nessuna parte»
Scorpius sbuffò tutto il fumo che aveva accumulato «Da quando ti sei messo a fare terapia?»
La mano di Albus vagò tra l’erba alta che dal giardino lo raggiungeva.
  «Da quando ho capito che non ci sai proprio fare»
Lui si accigliò, questa volta più offeso che infastidito dalla sua invadenza. «Con chi credi di stare parlando?»
  «Con uno che è stato con metà delle ragazze di questa scuola, ma non ne fa una giusta quando si tratta di mia cugina».
Scorpius rivolse altrove lo sguardo e si concesse qualche attimo in compagnia solo del fumo che penetrava e fuoriusciva dalla sua gola, solleticandolo quel tanto che gli permetteva di trovare le parole giuste da dire.
Eppure la cosa migliore gli parve il silenzio.
  «Almeno potresti dirmi cosa è successo a Natale tra di voi».
Nemmeno guardò l’amico, quando gli rispose. «Da che punto di vista?» solo si lasciò andare ad un ghigno.
  «Scorpius». Albus Potter aveva quella voce calma, la cui tonalità non poteva essere definita né alta, né bassa, solo minacciosa. «Ti ricordo che stiamo parlando di Rose».
Lui lo guardò divertito. «D’un tratto fai il cugino protettivo?»
  «Fai ancora il coglione e ti sguinzaglio dietro James».
  «Mai che ti sporchi le mani, eh?»
Albus storse la bocca in una di quelle espressioni di sdegno che poche volte smussavano la sua maschera di limpidezza. «E fare una cosa da barbari come metterti le mani addosso? Scusami se conservo un po’ di classe».
Scorpius scosse la testa in una risata di disappunto. Poi si fece pensieroso e serio.
Si premurò di non guardare l’amico negli occhi e parlò con distacco.
  «Perché non lo chiedi a lei?»
  «Di spaccarti la faccia?» disse Albus. «Non mi sembra il caso di infierire, credo abbia già le sue buone motivazioni per detestarti».
  «No. Cosa è successo a Natale».
Albus si chiuse in un silenzio pensieroso, denso di tutte le sue elucubrazioni di disturbante invadenza «Non sai nemmeno tu cosa hai combinato?» concluse esterrefatto.
  «Cosa?» anche Scorpius era al culmine dello sbigottimento. «Perché dovrebbe essere colpa mia?»
  «È sempre colpa tua».
  «Non ci provare, Al»
  «Lo sai…»
  «Che quando quella squilibrata di tua cugina è incazzata, la colpa è mia» completò. «Sì, è la frase che ti ho sentito ripetere più spesso da quando ti conosco»
Albus scosse la testa «No» disse, allontanando le spalle dalla colonna per raggiungere l’amico con il corpo e con le parole. «Che se Rose sta così male…»
  «Sta male per colpa mia» concluse Scorpius in uno sbuffo annoiato, sollevando gli occhi al cielo.
  «Sta male per te» disse Albus e il suo tono di voce era alto quel tanto da rendere le sue parole un’eco gridata che rimbombava nella sua testa.
Irrigidì la mascella come sempre accadeva quando non intendeva proseguire una conversazione. Impose il suo sigillo su quell’argomento che aveva sconfinato in territori mai esplorati da lui, né tantomeno in compagnia di Albus aveva mai lasciato che i tormenti, ruotanti attorno alla figura di Rose, sfociassero in parole così dirette.
Aveva sempre temuto che la loro tendenza a farsi del male, spesso involontariamente, ma tanto volte con tutta l’intenzione di non sottrarsi a un’abitudine che li rassicurava, sfuggisse alla comprensione del suo migliore amico.
Lui così abituato a carezzare di attenzioni discrete e incisive la fragilità della cugina preferita.
Quella stessa fragilità che tante volte Albus aveva difeso negli anni, davanti allo scetticismo di Scorpius.
Le sue erano sempre state accuse fondate, quelle che aveva perpetrato con solerzia contro Rose Weasely.
La prepotenza di quella bambina, l’emotività aggressiva che la ragazzina scagliava indomita contro di lui ad ogni occasione, lo sdegno ricco di superbia con cui aveva poi imparato a fronteggiarlo, mascherando il fuoco che minacciava di esplodere ad ogni sua provocazione.
Non aveva nulla di fragile, lo aveva sempre ripetuto ad Albus.
E poi era subentrato altro a dargli conferma.
I giochi incostanti di cui la giovane donna, che si librava in quel corpo sbocciato e premuto, troppo spesso, contro il suo piacere, l’aveva reso partecipe, incatenandolo nella sua incostanza, in quel desiderio che accendeva e raggelava il suo animo sfuggente.
Non aveva nulla di indifeso, ma questo ad Albus  non poteva di certo dirlo.
Avvertirono dei passi in lontananza percorrere il lato del corridoio che affacciava sul cortile. Si scambiarono uno sguardo seccato, di chi si domanda perché in quel dannato Castello non si riuscisse a conservare la pace per più di pochi minuti.
Le voci erano concitate, troppo alte, coinvolte e scosse dalla rabbia.
  «Maledizione, non farla così lunga». Una delle voci si distinse più forte e seccata. «Vai a parlare con la Veepera e togliti ogni dubbio».
Quando riuscì a dare un nome a quella voce così sferzante, cercò conferma nel volto di Albus, ma questo, precedendolo di parecchio in quella identificazione, si era già incupito, e fissava il punto a breve distanza da loro, dove Johanna Jordan procedeva spedita e inesorabile nella loro direzione.
Gli passarono accanto, quindi Scorpius fu costretto a voltarsi verso Rose Weasely.
Bastò un attimo e i loro sguardi si incrociarono. Ebbe l’impressione che si fossero fermate lì, a causa di quel contatto che impediva a Rose di proseguire, ma le ragazze sfuggirono ad ogni controllo, proseguirono quella marcia imperiosa, e svanirono alla loro vista, fulgide come erano comparse.
Albus Potter continuava a guardare il punto dove un attimo prima l’apparizione celeste aveva illuminato quella tetra giornata di pensieri e cattivi umori. Il suo volto, teso come non lo era mai stato, sembrava aver dimenticato come fosse possibile essere di nuovo felici.
  «E tu, invece, si può sapere che hai combinato?».
 
 
 
- § -
 
 
 
In quel periodo dell’anno il sole tramontava molto presto.
Gli alberi che circondavano il giardino erano coperti da un manto cangiante, a partire dalla radice nera come la pece, per procedere lungo il tronco blu intenso e progressivamente sempre più tenue, fino alla chioma florida, striata dai raggi del lampione alto, che troneggiava su tutto il parco.
Il cielo. maculato di nubi dense del buio della notte, si faceva discontinuo nella sua parte più prossima all’orizzonte, conservando ancora tracce del grigio antracite del giorno.
Dal riflesso dello specchio, Rose riusciva a vedere tutto questo.
Nel bagno delle ragazze del quinto piano, era difficile trovare anima viva, a meno che qualche ragazza – rigorosamente in gruppo – non vertesse nelle estreme condizioni di dover ricorrere al bagno più desolato della scuola per bisogni impellenti, che non concedevano le lunghe attese per quelli degli altri piani, presi sempre d’assalto.
O a meno che non si desiderasse il massimo della riservatezza.
  «Mi stai seguendo, Rosie?».
Dominique era appena uscita da un cubicolo, accompagnata dal pigro consenso di Mirtilla Malcontenta, ormai avvezza ad averla tra i piedi, e si apprestò al lavandino accanto al suo.
Rose storse la bocca, infastidita. Farsela andare a genio era già di per sé un’impresa non da poco, senza che lei si mettesse con tutto il suo impegno per ricordarle quanto desiderasse trovarsi in qualsiasi altro posto.
  «Ho pensato che potremmo parlare».
La ragazza la guardò dallo specchio e si distese in un sorriso incantevole. «Scordatelo». Chiuse il rubinetto e passò la bacchetta intorno alle mani, asciugandosele in fretta, per poi darle le spalle.
La sorpresa di Rose riuscì ad essere più dominante della sua irritazione. «Come?»
Dominique si voltò subito, perché in fondo non desiderava altro che fargliela pagare.
  «Dopo che mi hai trattato in quel modo?» disse in una dolce quanto velenosa risata. «Ma davvero, Rosie?».
Questa volta l’irritazione ebbe la meglio.
  «Prima di tutto, piantala di chiamarmi così» disse a denti stretti. «Mi dà ai nervi da quando sono a questo mondo».
  «Da quanto mi hai tagliato i capelli nel sonno a casa dei nonni» precisò la ragazza.
  «No, da quel momento tu l’hai fatto diventare virale».
  «Mi sembra il minimo».
Si guardarono per diversi secondi di silenzio, durante i quali Rose constatò con crescente astio, quanto la sua espressione imbronciata fosse così simile ad una smorfia civettuola.
Quella ragazza sembrava disperdere fiori profumati ad ogni ondeggiamento del corpo.
  «Mi dispiace se ho detto che non siamo amiche» sputò fuori prima di avere il tempo di pentirsene.
  «Perché? È la verità».
Certo che era la verità, ma lei avrebbe anche potuto indossare quella maschera così tanto da Corvonero, che la poneva al centro delle situazioni con una padronanza invidiabile, compiendo il piccolo sforzo di risultare meno detestabile.
Forse era proprio quella sua assenza di finzione in lotta con la bellezza, irreale tanto da sembrare artificiosa e  che Dominique indossava senza scampo, ad attrarre inesorabilmente suo cugino.
Peggio di un incantesimo, ciò che lui doveva aver scoperto nella ragazza era una disarmante sincerità.
  «Io non ti piaccio» disse Rose.
Dominique piegò la testa di lato, pensierosa e seria. «Questo non l’ho mai detto» rispose. «Ti trovo molto interessante».
Come un esperimento da laboratorio.
  «È per questo che fai di tutto per rovinarmi la vita?».
La ragazza bellissima rise di una risata melodiosa. «Per questo ci riesci benissimo da sola».
Rose provò a fronteggiarla, ma Dominique avanzò verso di lei, imperiosa e melliflua, costringendola ad indietreggiare verso l’odore di acqua stagnante e la pozzanghera fangosa del lungo corridoio di cubicoli.
  «Pensare che in quella stanza con me ci fosse Scorpius Malfoy ti ha dato sollievo» disse con voce meccanica, come se si limitasse a riportare una considerazione alla quale era giunta dopo attente analisi. «Ha dato una risposta comoda a tutte le tue incertezze».
  «Che ne sai se ho pensato che con te ci fosse lui?».
Lei rise ancora. «Lo so, invece, perché è quello che mi sono impegnata a far credere ai presenti per tutte le vacanze di Natale. Un mio coinvolgimento con lui avrebbe liberato James da ogni preoccupazione» spiegò, incupendosi appena nel pronunciare il nome del cugino. «Non avevo considerato quell’estenuante filo rosso che vi lega in modo così lampante» aggiunse con un sospiro seccato. Le lanciò uno sguardo frustrato, come se la colpa di tutto fosse sua. «Sembrava impossibile riuscire a separarvi, anche quando non eravate vicini fisicamente».
Rose incrociò le braccia al petto, le stesse che avrebbe voluto usare per strangolare quella piccola e candida manipolatrice.
  «Non importa quale sia stato il tuo contorto giochetto, lui ha abboccato pienamente, e tanto basta» disse Rose.
  «Basta per cosa?»
Dominique sembrava combattuta tra la profonda curiosità e la totale esasperazione.
  «È come dicevo io: ti serviva solo una scusa per liberarti da una situazione che hai paura di affrontare» continuò.
Rose ne aveva abbastanza.
  «Tu non sai niente di questa situazione» disse e fece per andarsene, ma Dominique sollevò una mano per bloccarla.
I suoi occhi si erano spenti di colpo, perdendo tutta la malizia che li rendeva splendidi «Io la trovo tanto simile alla mia, invece» disse cupamente.
Quello, se possibile, la fece infuriare maggiormente.
La voce uscì dalla sua gola quasi come un urlo «Ti sembra che ci sia qualcosa di paragonabile con…».
Non capiva perché la sua rabbia si fosse bloccata proprio in quel momento, ma stentava a trovare le parole adatte.
Dominique la guardava più interessata che mai «Sentiamo, che definizione daresti?» chiese sfrontata, ma la voce era fin troppo incrinata.
  «Toglitelo dalla testa, Dominique» disse Rose, sollevando nei suoi occhi uno sguardo rammaricato.
La ragazza annuì, non preoccupandosi di nascondere le lacrime. Per un attimo Rose si chiese se avesse smesso di accorgersi quando queste le rigavano il viso.
  «Non mi aspettavo ci saresti andata giù leggera, ma che almeno avresti provato a capirmi».
Rose sospirò, ma capì quanto la cugina avesse bisogno di parlare. «Perché?».
  «Anche tu fai di tutto per combattere qualcosa che ti fa stare così male e così bene allo stesso tempo».
Non fu empatia, quanto un doloroso senso di pietà che la colpì in pieno volto, inumidendole gli occhi e costringendola a raccogliere la mano della ragazza nella sua.
Capì quanto Dominique non avesse bisogno che le si ripetesse che fosse tutto sbagliato, e forse proprio per questo aveva provato sollievo quando Rose aveva portato una luce inconsapevole su quel loro segreto, divenuto opprimente come una lapide sul petto.
Proprio Rose che non avrebbe mai sollevato il dito su nessuno per indicare la strada giusta da seguire.
Una strada che Dominique conosceva molto bene e che aveva con consapevolezza e totale paura scelto di non seguire.
La disperata necessità di trovare qualcosa da dirle, unita alla certezza che lei ricercasse semplicemente una complicità che non la facesse affogare da sola in quella disperazione alienante, la mandò nel panico.
Le parole di conforto non erano mai state il suo cavallo di battaglia.
  «D’altronde non ci possiamo fare nulla» disse infine Rose con serietà. «Sono due tra i ragazzi più carini della scuola».
Dominique la guardò assorta con un volto provato, gli occhi gonfi per il pianto, la disperazione a smorzarle ogni bellezza. La guardò per qualche secondo e poi rise.
Rise come Rose non l’aveva mai sentita ridere, producendo un suono dolce, delicato, da bambina che di ammaliante e conturbante non aveva niente.
Sfilò la mano dalla stretta di Rose, pulendosi il viso e ricomponendo il suo solito contegno, in un’atmosfera più leggera che Rose gradì.
  «È meglio che vada» Si avvicinò allo specchio per contemplare il riflesso di se stessa e ripristinare la sua invidiabile perfezione. «Ho un’altra ronda notturna».
Come aveva chiesto a Roxanne.
Per incontrarsi con James, non con lui, ora era chiaro.
Si chiese se quella fosse la prima confidenza che sua cugina Dominique avesse deciso di condividere con lei.
  «Lo immaginavo» rispose Rose.
Dominique smise di mirare il suo riflesso, per restituirle dallo specchio un sorriso esperto, molto più insinuante rispetto ai tratti che avevano turbato il suo viso fino a poco prima.
  «Allora vediamo se riesci ad immaginare chi è il mio sfortunato compagno di ronda che questa sera resterà tutto solo tra le aule deserte della scuola».
Cacciò ogni traccia di sorriso e andò via dal bagno come un oracolo che rivela una catastrofe immanente, senza accompagnare quella funesta profezia con il segreto infallibile per poterla fronteggiare.
 
 
 
- § -
 
 
 
Rose era poggiata alla colonna longilinea che dal pavimento si innalzava verso l’alto soffitto, esplodendo in una meravigliosa volta. Poggiava le spalle contro il muro appuntito nelle sue increspature, e freddo in quella notte di pieno inverno, freddo per natura ma reso caldo dal tocco delle sue scapole incandescenti.
I piedi si agitavano in una danza senza musica, che di armonico aveva davvero poco. Le punte delle scarpe si toccavano e scontravano come i pensieri nella propria mente. Lei le guardava di tanto in tanto, chiedendosi perché fossero così frenetiche, sperando che cessassero di palesare ogni sua emozione come se davanti a loro fosse inerme, spogliata di ogni velo.
Intanto aspettava. E con gli occhi cercava, scrutava ogni incertezza tra le ombre di quel lungo corridoio, che proiettava immagini diverse, ingannevoli e spaventose, immagini che Rose aveva imparato a riconoscere e il cui gioco macchinoso sapeva smascherare.
Udì un suono e subito si ridestò. I propri capelli quasi presero ad agitarsi, quando lei con un balzo si separò dalla parete rocciosa per andare incontro ad esso.
Tutto in lei quella sera vibrava di pura vitalità.
In un rapido momento colse il lampo fugace di quell’ombra estranea, che come una saetta  era comparsa lungo la pietra, per poi dileguarsi simile a fumo nell’aria.
Partì al suo inseguimento.
Rose lo vide camminare placidamente lungo il corridoio, impugnano con forza la bacchetta illuminata, mentre gli occhi vigili tradivano una vaga tensione. Quando svoltò l’angolo, inoltrandosi nel vicolo buio e profondo che conduceva alla terrazza, Rose lo seguì silenziosa.
Si mosse nell’oscurità non rivelata dalla luminosità della bacchetta di lui, avvicinandosi quanto più possibile alle sue spalle e premurandosi che lui se ne accorgesse.
Il suo era un passo felino, poco prima dell’attacco finale dell’animale feroce, quando la preda è sotto il suo soggiogo e l’unico imperante desiderio è farle sapere che non può più fuggire.
Scorpius Malfoy avvertì l’aria smossa intorno a sé e un rumore di passi proveniente da un luogo che né i suoi occhi solerti né la sua fedele compagna, stretta tra le dita, stavano vigilando.
Si voltò di scatto, indietreggiando davanti ad una presenza così vicina, piegando le linee del volto marmoreo in una smorfia di sgomento, mentre dalle labbra sottili incurvate verso il basso fuoriuscì un rantolo soffocato. Un sorriso esperto si dipinse sul volto di Rose, mentre osservava compiaciuta occhi che la fissavano ora terrorizzati, ora stupiti.
Il ragazzo, una volta appurato che si trattasse di lei e non di qualche reincarnazione della propria zia Lestrange, si premurò di celare quella che doveva essere una ridicola faccia da matricola alla prima partita di Quidditch, ma il gemito stridulo risuonava ancora troppo distinto nelle orecchie di Rose.
  «Il famoso coraggio Serpeverde» esclamò lei, squarciando il silenzio di quell’oblio nel quale erano inabissati «Dovrebbero smetterla di farvi fare le ronde notturne».
Scorpius Malfoy continuava a fissarla con sguardo vitreo, vigile, cercando di cogliere le sfumature di qualcosa che gli sfuggiva. Voleva palesare indifferenza, ma il suo sguardo sfuggente tradiva confusione.
   «Già» dichiarò sprezzante. «Magari lo proponi tu a quella dispotica di tua cugina» disse, osservandola dalla posizione elevata che diversi centimetri in più gli garantivano. «A proposito, 20 punti in meno per Grifondoro. Sei fuori dal letto e sei molto indisponente». Gli angoli delle labbra si incurvarono nel suo sorriso più perfido, mentre le braccia andarono ad incrociarsi all’altezza del petto, suggellando quel comando e infarcendo le proprie parole di tutta l’autorità che gli si confece.
La bocca di Rose si aprì appena per sputare una qualche protesta, ma l’intenzione perse vigore e le parole morirono ancor prima di essere generate. Al posto loro una spontanea risata prese a scuoterla. Davanti all’espressione contrita del ragazzo, Rose portò la mano a coprirsi la bocca e a trattenere la risata, che nel frattempo si nutriva di quelli occhi da bambino innocenti e spaesati.
  «Ora perché diavolo stai ridendo?».
Rose cercò di darsi un contegno e asciugò le lacrime che scintillavano nel buio, sgorgando dalla punta dei suoi occhi. Avvertì una gioia impulsiva rassicurarla sulla naturalezza di quello che stava accadendo.
  «Sei tornato ad essere il solito stronzo»
Scorpius Malfoy continuava a fissarla assorto, cercando di entrarle dentro, di capirne il significato. «Quando avrei abbandonato questa politica?».
  «In continuazione, Malfoy» dichiarò lei, inebriandosi del suono che quella parola assumeva se pronunciata dalla propria voce vellutata.
Una scarica elettrica la percosse, scuotendo ogni muscolo, animando ogni fibra sotto la propria pelle.
  «Sei del tutto fuori di testa» disse lui «Weasley» aggiunse con disprezzo, piegandosi appena nella sua direzione, ma tornando nell’istante successivo a conservare quella ostinata distanza.
Lei la accolse come una lieta provocazione. Aveva smesso di scappare. Fece un passo in avanti, accorciando la distanza, sotto il suo sguardo infastidito.
  «Il tuo farmi la guerra ultimamente è diventato un modo originale per evitarmi» disse lei. «Mi eviti dalle feste di Natale».
Scorpius Malfoy sbuffò una risata fredda «Per evitarti, dovremmo frequentarci».
Per un attimo Rose si sentì colpita.
  «Non ci frequentiamo?». Il veleno del suo odio era riuscito a corrodere la sicurezza che la rivestiva.
  «Hai bisogno che ti ricordi le regole del nostro rapporto?».
Lei esitò solo per un momento, perché in fondo la sua freddezza era un muro di ghiaccio che la respingeva con folate di disprezzo, e lei non sapeva quanto il fuoco del suo orgoglio avrebbe potuto sopportare.
  «Da quando abbiamo delle regole?»
Lui non le rispose, solo abbassò su di lei uno sguardo sprezzante che anche nel buio riuscì a far brillare quegli occhi verdi. Occhi che non ricordavano più il calore sotto le stelle, ma erano freddi mentre la allontanavano.
  «Tra di noi non si basa tutto sull’imprevedibilità?» osò lei.
Scorpius sembrò spiazzato.
  «A quanto pare no» disse la sua voce incollerita «Sono regole inviolabili che abbiamo costruite in sei lunghi anni».
  «Ma ne è bastato uno solo per farle crollare».
La fiamma che le inondò il petto le procurò un dolce dolore, così come la sensazione di avergli tolto le parole di bocca, oltre che quell’espressione di alterigia che si ostinava a conservare.
Il volto di lui si irrigidì e il silenzio che seguì valse più di mille cose dette. Eppure, Rose sapeva che non le avrebbe concesso quella vittoria: la possibilità di sorprenderlo, chiudendo la conversazione con l’ultima parola, di lasciarlo nell’incertezza di una sua provocazione.
  «Se le tue certezze non sono così solide, non è un problema mio» disse, mentre lo sguardo era assorto da qualcosa di ben più interessante intorno a lei, tipo le infinite pieghe che il marmo disegnava sulla pietra del muro.
Era distante, indifferente, annoiato.
   «Forse qualcosa ci è sfuggito di mano» aggiunse, riacquistando placidità «Ma tu non hai alcun ruolo nella mia esistenza». La sua era una dichiarazione, marchiata con un suo sguardo di ghiaccio, inesorabile come la decisione che quelle parole rendevano ufficiale.
Con il busto si allontanò dalla sua direzione, porgendole sempre di più quelle spalle forti e spietate.
La saliva le impastava la bocca arida, la gola secca e la lingua intorpidita  raspava contro il palato. L’ennesima fitta al petto venne ignorata. Non lo avrebbe assecondato, lascando che lei si scontrare contro le sue spalle, ancora una volta.
Guardò quel volto duro e implacabile, quegli occhi imperscrutabili che tante volte l’avevano fatta oscillare nell’incertezza, rendendola schiava delle onde cristalline di quell’oceano verde.
  «Adesso chi è che scappa?» disse con un filo di voce.
Lui serrò ancora di più la mascella e strinse le dita intorno alla bacchetta. «Io non scappo da nessuno e di certo non scappo da te» ringhiò mentre una luce irosa agitava le onde dei suoi occhi. Le labbra si corrucciarono e si incresparono mentre le parole sferzavano l’aria come lame, con il solo intento di ferirla a morte.
Percorse ancora qualche passo lontano da lei, ma Rose fu più svelta e con un unico, rapido movimento si arrestò davanti a lui, come se stesse difendendo uno dei suoi anelli. Gli impedì di proseguire o anche solo di pensare di allontanarsi da lei, perché la distanza tra i due, ormai, era quasi inesistente.
  «Allora smettila di evitarmi» disse.
  «Fammi passare» mormorò lui e la sua voce perdeva sempre di più la propria glacialità, divenendo più insicura e allo stesso tempo più calda.
Rose, immobile nello stretto corridoio, si ergeva in tutta la sua imponenza, lasciando che le braccia cadessero lungo i fianchi, mostrandosi inerme davanti al suo sguardo.
  «Se è quello che vuoi, spostami» disse.
Le guance le si tinsero di rosso al solo udire la propria voce pronunciare tali parole, lanciare una provocazione talmente tanto schietta. A quel punto temeva solo che lui seguisse quell’incoraggiamento e la abbandonasse lì, ora che lei si era spogliata di ogni velo.
Scorpius Malfoy chinò il capo e lei fu grata che onde dorate gli oscurassero gli occhi, impedendole di leggervi dentro quell’incertezza che l’aveva sempre ferita.
Ma quando le sue mani si chiusero intorno alle spalle di Rose, lei avverti la dolce pressione lasciare tracce di fuoco nei punti in cui i polpastrelli affondavano nella carne incandescente. Il delizioso dolore di quel contatto veemente si diffuse lungo tutto il suo corpo, procurandole brividi di eccitazione, mentre le mani del ragazzo stringevano senza sosta, frementi e incontrollate nella loro scarica vitale, fino a farle male.
Lui fece per allontanare di poco quel corpo gracile nelle proprie mani, quel tanto che gli permettesse di superarlo e abbandonare ogni contatto. Ma proprio quando aveva interposto diversi centimetri tra di loro, riavvicinò Rose a sé, accorciando maggiormente la distanza, quasi portando i loro copri a scontrarsi.
E affondò occhi indomabili e selvaggi nelle iridi azzurre adombrate dal desiderio e dall’attesa.
La avvolgeva con le proprie mani, lei che riusciva addirittura ad apparire delicata e indifesa contro l’irruenza che invece scuoteva lui e che riaccendeva quella lotta interiore.
  «Sei la persona più incostante che abbia mai conosciuto» dichiarò lui con un sospiro rabbioso.
  «Non sai quanto».
Le ciocche bionde ormai danzavano sul suo sguardo folle.
  «Sei testarda e completamente fuori ogni prevedibilità» mormorò, mentre i polpastrelli premevano e indugiavano, carezzavano e assaporavano quella pelle fresca e infuocata. «Sei impossibile da sopportare».
La sua voce era vibrante, come se quella fosse una confessione che ne rivelava la debolezza.
Rose piegò la testa di lato, lasciando che i capelli le  scoprissero il collo e andassero a solleticare la mani che la stringevano.
  «E tu sei un bugiardo» sussurrò in un sospiro che sapeva di soffio di vento.
Il petto di Scorpius prese a muoversi lentamente in sussulti profondi e il suo respiro si fece veloce e insistente. Rose avvertì la sua urgenza, che annebbiava anche lei in un incontrollato desiderio. Aprì le mani sul suo petto, come altre volte aveva fatto per allontanarlo da sé, ma in quel momento le dita si compiacquero del tocco serico della sua camicia e approfondirono quel contatto con curiosità, vagando sul petto marmoreo, accarezzando la superficie a lei negata dalla custodia del tessuto.
La reazione del ragazzo si manifestò nel momento in cui le piccole dita di lei ebbero varcato quel confine: la pressione di Scorpius sulle sue spalle si fece più lieve, ma con insistenza condusse il corpo di Rose contro la parete vicina.
Rose si sentì spingere delicatamente contro il muro freddo, mentre le mani di lui si avvolsero intorno ai suoi fianchi, premendoli contro i propri, facendo combaciare perfettamente i due corpi tremanti.
Il volto di lui affondò nell’incavo del collo lasciato nudo, inebriandosi della sua fragranza fresca, lasciandosi avvolgere dall’ondeggiare disordinato dei suoi capelli di fuoco.
Rose premette le dita sulle sue scapole, stringendosi ancora di più al suo corpo caldo, impedendo che una sola parte di esso sfuggisse al proprio tocco. Spinse con più insistenza il volto del ragazzo sulla sua pelle scoperta e liberò un sospiro di piacere e di sorpresa quando avvertì il tocco delle sue labbra seguire il profilo del collo.
 
 
La sua bocca assaporava ogni lembo roseo, ogni frammento di carne viva e pulsante. Avvertì il cuore di lei battere forte, dal palpitare della vena sul collo. Abbandonò quella curva sensuale per osservare il suo volto bellissimo che si preparava a lambire, mentre il proprio respiro spezzato e fresco si spandeva sulla guancia tremante di Rose.
Osservò quell’azzurro sempre così limpido, reso ombroso dalla bramosia, supplicarlo di farla propria.
La labbra di Scorpius si poggiarono su quelle di Rose con una lieve incertezza. Le incontrarono e le conobbero con una iniziale esitazione, quasi temendo di spezzare un suggello divino, quasi attendendo timoroso una punizione celeste che sconvolgesse le leggi della natura. Quando però si adagiarono su di esse, le trovarono morbide e umide e le sentirono muoversi con una urgenza che tradiva il bisogno di essere assaporate. L’esitazione si trasformò in una risposta irruente e il bacio esplose in un desiderio incontrollato, in un continuo dischiudersi di labbra frementi, alla ricerca della lingua con cui intrecciarsi, di carne calda da mordere, di frammenti di pelle da baciare.
 
 
Le mani di Rose affondarono nei suoi capelli, agitandoli e sconvolgendoli, come avrebbe sempre desiderato fare, allontanando quel volto da sé e riappropriandosene un attimo dopo, seguendo l’impetuosa prepotenza che la divorava.
Avvertì le dita calde di Scorpius marcarle la schiena, mentre la stringeva a sé e premeva il proprio corpo sul suo, guidando il suo bacino impaziente contro quello di lei, facendole sentire quanto fosse grande il suo desiderio. Lei tremava a quel contatto e desiderava avere di più e baciava con veemenza quelle labbra, non essendone mai sazia, mentre nel piacere di entrambi si consumava quel bisogno di dominare l’altro, di prevaricare, di colmare la propria libidine.
Rose si separò per riprendere fiato. Le labbra di lui cercarono le sue per un ultimo breve contatto, prima di tornare a respirare.
Rose si adagiò contro la parete che le premeva la schiena, vi poggiò anche la nuca e liberò il fiato affannoso e ancora gemente. Lui, senza perderla di vista un attimo, spinse le mani contro il muro alle estremità della testa della ragazza, avvolgendola maggiormente, imprigionandola nella sua rete fatta di braccia forti e scolpite, in cui i muscoli tesi vibravano sotto la pelle accaldata.
La ragazza avrebbe voluto afferrare la cravatta verde-argento, tirarla verso sé e gettarla via, liberando il suo corpo da quel misero vincolo, per poi tornare a sentirlo fremente di desiderio. Ma, prima di azzardare qualunque gesto, guardò il suo volto, illuminato dalla fioca luce della notte che dalla terrazza li custodiva: le labbra gonfie e umide, appena socchiuse per permettere al respiro di ripristinarsi, le gote, sempre pallide, ora accese dal rossore, gli occhi luminosi come tanti piccoli smeraldi infiammati nei quali si agitavano emozioni a cui non sapeva dare un nome.
Anche tu non stai capendo più nulla.
Lo guardò e lo sentì vicino, ancora più di quanto i loro corpi permettessero. Lo sentì simile a sé in quella durezza che li aveva corrosi sin da piccoli, guidandoli verso l’odio e il disprezzo, nutrendoli di una feroce passione, facendoli esplodere nel desiderio. E ora si trovavano lì, vicini, accaldati, mentre il profumo dell’altro ancora inebriava i propri sensi, ad ascoltare l’avversione e la bramosia fondersi in un’unica alta marea, dove il confine veniva spazzato via come piccoli granelli di sabbia.
E se avessero voluto riemergere dall’abisso, per ammirare il cielo limpido e rassicurante, non avrebbero trovato la via, e forse neanche le forze.
Perché quell’abisso di incertezza, in fondo, era ciò che avevano sempre atteso.
Si guardarono alla ricerca di qualcosa da dire, cercando chissà dove le parole giuste.
Quando Rose si rese conto che queste non sarebbero mai arrivate, decise che preferiva non udire la sua voce o la propria. Non voleva che nulla guastasse la sinfonia dei loro baci e dei loro respiri affannosi che si erano intrecciati tra le labbra.
Si separò dalla parete, portando le proprie labbra a pochi centimetri da quelle di lui.
Scorpius Malfoy esitò, poggiando ancora le mani contro il muro, facendole capire che della sua vicinanza non si sarebbe mai privato e l’avrebbe tenuta costretta lì in quella prigione, le cui pareti erano il muro alle sue spalle e il corpo di lui che la aspettava.
Rose portò le dita tremanti e leggere ad accarezzare il suo volto e poggiò nuovamente le labbra su quelle del ragazzo.
Scorpius, come colpito da un fulmine, si riscosse, abbandonò il muro e poggiò le mani sui fianchi di Rose.
Lei, approfittando del suo tocco delicato, interruppe il bacio e si allontanò lentamente, senza abbandonare il suo volto confuso. Le mani di lui la cercavano e trovarono la sua mano, la fermarono mentre fuggiva via, la accarezzarono, fino a sfiorarla e a perderla del tutto.
Rose camminava con estrema calma all’indietro nel buio, svanendo alla vista del ragazzo.
 
 
Scorpius capì la sua intenzione e la tenne legata a sé un secondo in più, sfiorando il profilo delle mani, disegnando linee esitanti sul suo palmo, non osando approfondire quel contatto che adesso, come mai, bruciava di consapevolezza.
Poi quel legame si spezzò, non la vide più, ma udì i passi affrettarsi in lontananza risuonare poderosi nella notte assordante, mentre lei correva verso chissà cosa.
 
 
 
 
 
 
Greco antico. Momento giusto o opportuno, momento supremo.
Il tempo per gli antichi greci poteva essere espresso da due parole: χρονος (chronos) e καιρος (kairos).
Chronos si riferisce al tempo cronologico e sequenziale ed ha una caratteristica quantitativa, mentre Kairos è qualitativo e significa “un tempo nel mezzo”, un momento di un periodo di tempo indeterminato nel quale accade qualcosa di speciale.

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Capitolo 19
*** Kilig ***



 
Aveva il cuore che gli sbatteva da dentro come un matto,
le mani che gli tremavano e uno strano ronzio nelle orecchie.

Non c'era da stupirsi, pensò: non capita tutti i giorni di riuscire a volare.
 



CAPITOLO XIX


 
Kilig
 
 

 
Aveva seguito le linee tracciate nel campo da Quidditch, meticolosamente. Ne aveva percorso tutta la forma ellittica in giri continui, finché non si era fatto giorno. La stanchezza non era mai subentrata per ricordarle che fosse ora di rientrare, solo i raggi del sole avevano finalmente preso a scaldare la sua pelle resa fredda dal vento della prima mattina, nonostante il corpo accaldato dalla corsa.
Era chiaro che avesse esaurito tutte le attese che il tempo le concedeva.
Aveva avvertito il respiro, ora affannoso dopo lo sforzo, vibrare esausto come la sera precedente, sottratto dalla prepotenza dei suoi baci.
Le guance bollenti, come se il suo respiro caldo fosse ancora lì a riempire l’aria.
Le mani intorpidite per il freddo avevano conosciuto un calore che solo i suoi capelli, esplorati, scomposti, tirati in un impeto irrealizzato di possederlo con tutte le sue forze, erano capaci di concederle.
Il corpo di Rose, le sue spalle, la linea del busto fino ai fianchi e alle gambe, tutto era scosso da un febbrile turbamento, come se, dal momento in cui lui l’aveva esplorata con quella sua smaniosa esitazione, lei non potesse più averne abbastanza.
Correva, incapace di arrestare il grido di liberazione che aveva preso dominio di sé.
La luce albescente aveva lasciato posto ad un sole più sicuro, caldo come da tempo non lo percepiva in quei giorni tetri, e tutto le sembrò un miracoloso allineamento degli astri, come se anche il cielo sorridesse di felicità.
Fece l’ennesimo giro intorno al campo, ma quella volta una sagoma nuova fu catturata dai suoi occhi rapidi nel paesaggio che le saettava attorno, confondendosi in un tutt’uno lineare e indistinto.
Decelerò e voltò il capo per accertarsi che sugli spalti ci fosse davvero qualcuno a controllare la sua corsa.
Era in piedi sull’ultimo dei gradini e la fissava dall’alto, immobile. Solo i vestiti erano scossi dall’aria leggera come foglie al vento libere dall’eterna rigidità del tronco.
Vincent Nott le fece un cenno con la mano.
Non seppe definire se fosse un saluto o un richiamo, solo arrestò di colpo la sua corsa e lo fissò immobile, mentre la paura prese a raffreddarla in violenti brividi invernali. Si guardarono a lungo, soli come sempre, ma quella volta liberi di fuggire nella direzione opposta in qualunque momento.
Non c’era il buio a nasconderle le sue mosse, né la polvere soffocante a mozzarle il respiro, né tanto meno un libro proibito tra le sue mani tremanti.
Vincent Nott le fece un altro cenno, invitandola a raggiungerlo e lei riprese a correre, ma nella sua direzione, in alto, nel cielo, come se la forza del vento potesse isolarli da quella gabbia di diffidenza in cui erano imprigionati, e renderli simili almeno per la durata di un volo.
In quel momento non aveva motivi per dubitare che tutto fosse comprensibile, se solo lei l’avesse voluto.
Era ormai al primo dei tanti gradini che la separavano da lui, quando una scopa appena visibile le sfrecciò davanti, facendole perdere l’equilibrio e confondendole la vista.
La Firebolt le girò attorno un paio di volte, prima di fermarsi alla sua altezza.
  «Allenamento prima della partita dei Serpeverde?».
Solo gli occhi nocciola erano visibili dalla sciarpa arancione brillante con una palla di cannone in volo ricamata e una doppia C nera, marchio Cannoni di Chudley, che inghiottiva il volto bianco e freddo di James Potter, e questi erano occhi sorridenti e sornioni.
Rose lanciò un ultimo sguardo oltre il cugino, ma Vincent Nott era sparito così come era apparso, nella stessa imprevedibile rapidità.
  «Perché dovrei? Non siamo noi i loro avversari»
  «Non è un motivo per abbassare la guardia, soprattutto alla luce dei loro ultimi allenamenti. Malfoy ha sperimentato una nuova strategia, forse per sopperire alla sua mancata fisicità» disse James, continuando a svolazzare freneticamente in bassi e lenti movimenti. «È un fisico rubato ai Battitori, mi chiedo sempre perché abbia scelto di fare il Cercatore».
  «Perché è bravo» rispose semplicemente Rose.
E perché gli piace avere il dominio sulle situazioni.
Controllare tutto dall’alto del suo volo e avere la facoltà e il merito di cambiare le sorti della partita.
Come si aspettava, James si indispettì. «Anche contro i Corvonero? Non saranno un granché ma quel Cercatore è una maledetta scheggia».
A quelle parole Rose guardò in volto il cugino e non disse nulla. James le restituì uno sguardo serio e finalmente depositò la scopa al suolo. Abbandonò l’altezza che lo rendeva irraggiungibile e immune ad ogni interferenza, per raggiungere la caducità di una realtà terrena misera e deludente.
  «Dominique è preoccupata»
Rose sbuffò scettica. «A me sembra tranquillissima» disse acidamente. «Forse sei tu che le stai sempre con il fiato sul collo»
  «Solitamente sì, ma questa volta è davvero tesa: a giorni arriverà Teddy ad Hogwarts per il lavoro di Ricerca con il professor Roberts, e lei teme che tu possa lasciarti sfuggire qualche parola di troppo»
Lo perforò con uno sguardo carico di stupore e ostilità.
  «Se qualcosa la preoccupasse davvero, verrebbe a parlarmene personalmente».
James sollevò un sopracciglio, guardandola di sfuggita. «Siete amiche, adesso?»
  «A quanto pare più di quanto lo siamo io e te»
Solo un sospiro esasperato uscì dalle labbra di James.
  «Almeno lei ha avuto il coraggio di parlarmi»
  «Non parlarmi di coraggio, Ross» scattò il ragazzo. «Ho coraggio ogni giorno della mia vita»
  «Quindi come devo interpretare il tuo continuo evitarmi?»
James le voltò le spalle per poggiare delicatamente la scopa contro i gradini, ma senza lasciarla veramente. La tenne stretta tra le dita goffe e spesse per i guanti marroni e consunti: la presa era ferrea intorno al legno scheggiato e il suo corpo leggero sembrava spinto ancora dal vento, ma lo sguardo che puntò sulla ragazza era scuro e pesante come amianto. «Se avessi avuto qualcosa da chiedermi, saresti potuta venire tu stessa da me. Io non devo dare spiegazioni, tanto meno giustificazioni»
  «Non sono tua madre, James, né tuo fratello» esclamò, raggiungendo il cugino e sedendosi sul gradino accanto a lui. «Non pretendo di capire ogni cosa, voglio solo sapere se stai bene»
James rise, ma la guardò con più tenerezza. «Non ti devi preoccupare per me, non è il tuo compito»
Lei lo incenerì con gli occhi. «Che cosa stupida»
  «Hai detto che non sei mio fratello, allora non cercare di prenderti cura di me»
Rose roteò lo sguardo. «Questa è un’altra cosa stupida»
  «Piuttosto» continuò lui con un sorriso sghembo, senza ascoltarla. «La tua nuova amicizia con Dominique è molto interessante»
  «Non ho mai parlato di amicizia» tagliò corto lei.
James continuò a ridere, poi il sorriso si spense e lui si fece prima serio, infine teso.
  «Ha bisogno di un’amica»
  «Non sa nemmeno cosa voglia dire avere un’amica»
Il ragazzo le passò una mano tra i capelli bagnati di sudore. «Appunto» disse a voce bassa, si alzò e in un salto era già a cavallo della sua scopa.
  «E tu hai qualcuno?» gli urlò dietro, mentre lui riprendeva il volo.
  «Stalle vicino, Rose» le rispose. «È lei che ha bisogno di qualcuno»
James sparì alla sua vista in un attimo, rapido come fulmineo era stato il confronto che lui le aveva permesso. I pochi attimi con la realtà, cui James Potter aveva dato un’occasione, si erano richiusi su loro stessi, rischiando di risucchiare ogni traccia di quella fittizia spensieratezza. Prima che smascherasse la sua gravosità, si era librato nel cielo con un impeto di libertà agognata, lasciando Rose a mirarlo dal basso.
Ritornò con lo sguardo sui gradini alti ma di Vincent Nott nessuna traccia.
Allora si concesse un ampio respiro, accantonò ogni altro pensiero e perlustrò l’intero campo, assicurandosi di non essersi lasciata sfuggire nulla.
James aveva ragione, era lì per l’ultimo allenamento prima della partita di quella mattina.
Solo che l’allenamento in cui sperava di imbattersi non era di certo quello di suo cugino.
Eppure Scorpius Malfoy quella mattina aveva deciso di non scendere in pista per redarguire i Serpeverde un’ultima volta prima di affrontare i Corvonero, e Rose rinunciò ad ogni patetica speranza di incontrarlo.
Abbandonò il campo da Quidditch, continuando a correre in un giardino deserto. Guardò l’alto portone del Castello e lo trovò magnifico, gli dedicò il suono del suo battito accelerato, nella consapevolezza che quel posto non fosse più solo una casa, ma una culla, ospitante una magia silenziosa e vibrante.
Lo ringraziò e volò sulle scale in un movimento, trovandole lente rispetto al ritmo dei suoi piedi, non il linea con l’affanno del suo respiro irrequieto.
La Sala Comune era un delirio di gente in confusione, da quelli dei primi anni in ritardo per le lezioni del mattino, ai ragazzi più grandi che si trastullavano sul divano, liberi almeno fino a mezzogiorno.
Era sull’uscio della porta del Dormitorio quando questa si spalancò davanti ai suoi occhi e per poco non la travolse.
Le urla furiose che la stanza sprigionava, invece, riuscirono a colpirla in pieno volto.
Eloise la guardava spaventata.
  «Ascolta quello che ti dico: non entrare» disse, prima di superarla e precipitarsi lungo le scale.
Ovviamente non avrebbe potuto mai seguire il consiglio della ragazza, non dopo che la voce inconfondibile di Johanna ebbe educatamente invitato qualche fortunato intruso nel Dormitorio femminile a lasciare il prima possibile quel luogo a lui non degno.
Rose fu certa che il concetto espresso dall’ultima imprecazione fosse all’incirca quello, e sperò che anche il destinatario riuscisse ad andare oltre la forma colorita con cui Johanna solitamente esprimeva la propria contrizione.
A giudicare dal modo in cui Albus Potter si precipitò nella sua direzione, le intenzioni pacifiche della ragazza non dovevano averlo persuaso nel modo giusto.
  «Quanto pensi sia irreparabile?». Albus le lanciò uno sguardo disperato.
  «Che ha combinato?» gli chiese Rose.
Un ruggito di indignazione, immesso con voce gutturale e profondamente sconcertata, attraversò le mura del bagno per raggiungerli nel piccolo ingresso adibito a loro rifugio dall’ira di Johanna, e Rose non ebbe dubbi che, quella volta, fosse un grugnito riservato solo a lei.
Nella maggior parte delle discussioni che li coinvolgeva, Albus Potter aveva l’ardire di ostentare la sua spudorata serenità nei confronti della vita, tinta strategicamente da languide occhiate di comprensione e da un sorriso di condiscendenza di chi cela tra le fossette adorabili e i capelli da ragazzino ingenuo, tutte le arti di seduzione del mondo. 
Una passività, a detta di Joa, che di apatico e innocente aveva ben poco, e che spesso coincideva con la sua prevedibile e definitiva perdita della pazienza, quella stessa di cui Joa era sempre stata poco provvista.
Nella maggior parte delle discussioni che li coinvolgeva, quindi, Johanna Jordan si macchiava della colpa della sua impulsiva aggressività, e, come conseguenza logica quanto naturale, scagliava tutta questa frustante incomprensione su Albus Potter. La successiva placidità del ragazzo, nell’affrontare qualunque dramma gli si presentasse, aveva l’estrema conclusione di accendere la ragazza di un’ira accecante e fuori controllo.
Rose lo sapeva bene e in fondo le era sinceramente vicina, perché lei aveva solo avuto il grato beneficio di imparare a convivere con Albus Potter da molti più anni.
  «Questa volta potrebbe essere davvero colpa mia».
Il volto di Albus era indubbiamente contratto in un’espressione colpevole, eppure a Rose parve di cogliere un luccichio di vita animargli gli occhi dolci. Sembrava perverso compiacimento.
  «Allora ti conviene sparire da qui» commentò preoccupata. «Adesso»
Albus annuì. «Ci vediamo a colazione?»
  «Se riesco a calmarla»
  «Non ci contare» urlò Johanna, facendo sobbalzare Albus, che salutò la cugina con una leggera carezza sulla spalla, prima di dileguarsi in un’impavida corsa lungo le scale.
Rose comparve timidamente nel bagno dove l’ira furiosa di Johanna la accolse nel riflesso di due occhi strabordanti e un’espressione sconvolta sul volto ancora intorpidito dal sonno.
Joa la perlustrò rapidamente, in una fulminea valutazione della pertinenza dell’amica in quella stanza, e il suo turbamento riuscì ad acuirsi ancora in uno sguardo di profondo tradimento.
  «Sei andata a correre senza di me?»
Rose era spiazzata. «Avevo caldo» si giustificò.
  «Avevi caldo?» tuonò in una domanda che assomigliava sempre di più ad una minaccia. «A gennaio?» ormai la sua voce era solo un urlo continuo di crescente indignazione. 
  «Hai mai notato che questa stanza è incandescente? Sarà l’esposizione a est a portarla a tali temperature in pieno inverno».
Johanna emise l’ennesimo ruggito che la fece sobbalzare.
  «E hai pensato bene di andare a correre? Sudore, corpo accaldato e tutto il resto?»
Rose ci rifletté su. «Avevo bisogno di aria»
Gli occhi di Johanna erano due sfere di fuoco, che lei dischiuse, fino a chiuderle completamente. Poi trasse un respiro profondo e parlò con una voce bassa, se possibile ancora più tetra di quando ad esprimersi erano solo ruggiti rabbiosi.
  «Avete la stessa capacità di portare la mia pazienza al limite» disse, per poi tornare ad aggiustare alla ben meglio i suoi capelli corti e selvaggi.
Rose si privò di tutti i vestiti impregnati del proprio calore e dell’aria fresca dei suoi pensieri e si chiuse nella doccia.
  «Ha detto di aver combinato qualcosa» disse Rose a voce alta per sovrastare il suono insistente del getto d’acqua.
  «Innanzitutto è venuto al mondo» commentò Joa. «Poteva risparmiarselo».
  «Non essere troppo dura. Sai bene quanto sia sensibile».
Johanna si affacciò oltre il vetro della doccia solo per guardarla male.
  «La famigerata sensibilità di Albus Potter: una favola della buona notte che la Signora Potter raccontava al Signor Potter per muoverlo a compassione dopo la notizia del suo secondogenito a Serpeverde. Posto dove merita di stare con tutti i nostri encomi».
  «Che ha fatto di tanto atroce?»
  «Non è questo il punto». Joa era indignata da tutta quella scarsa capacità di comprensione.
Rose uscì attentamente dalla doccia, volteggiando goffamente intorno a Johanna che non dava segni di volerle concedere spazio per superare tutta quella manifestazione di contrarietà. «Allora mi sfugge il motivo per cui tu ce l’abbia tanto con lui».
  «Da quando sei diventata la paladina delle razionalità?»
Si guardò allo specchio per diversi secondi di contemplazione, tanto da sfociare nella pura vanità, se non fosse che i suoi occhi sprizzavano una luce inequivocabile alla quale lei stessa non riusciva a sottrarsi.
Era incantata dalla gioia che si spargeva sul suo volto; avida di assaporare ogni goccia di un’ambrosia mai conosciuta, catturata in rivoli cristallini di acqua solo perché lei la toccasse con le sue stesse dita, persuasa dalla certezza che quella felicità fosse reale.
  «Che cos’hai oggi?»
  «Nulla»
Rose si guardò ancora un po’ con ammirazione, lasciò scorrere i capelli bagnati sulla spalla avvolta dall’asciugamano, poi la scoprì, studiando quella nudità calda e in un attimo le sue labbra erano lì ad assaggiarla, in un momento rubato, in un attimo di inebriante cedimento.
Come quello della sera precedente.
  «Due minuti di conversazione con la Vipeera e già non riesci a staccare gli occhi dal tuo riflesso»
Si riscosse da quella contemplazione, e il vapore soffocante del bagno riprese a scorrerle intorno, ad appannare lo specchio, oscurando ogni traccia dei suoi desideri.
Johanna era già sull’uscio della porta con un’espressione arrendevole, quando si fermò, prima di sparire definitivamente.
  «A proposito, l’hai poi fatto ieri?»
  «Cosa?» chiese, voltandosi di scatto verso la ragazza e dando definitivamente le spalle ai suoi pensieri.
Johanna aggrottò le sopracciglia. «Hai parlato con Dominique?»
Sì,  l’aveva fatto, e quello che era successo dopo era troppo confuso da potergli imporre delle linee di definizione; si dimenava nella sua mente in immagini spezzate, in sospiri indistinti, in mani disperse alla rinfusa su due corpi che si confondevano. Era davvero troppo pensare di riuscire a dare semplici parole a tutto quel caos che le scorreva nelle vene.
  «Sì» rispose semplicemente.
La ragazza si poggiò allo stipite, guardandola in attesa di una risposta che aveva tutta l’aria di dover impiegare più tempo del previsto per dispiegare tutte le sue ragioni. «Allora?»
Rose ci pensò su «Resoconto positivo». Poi la superò e raggiunse la camera.
  «Nel senso che Malfoy è assolto da ogni accusa?»
  «Momentaneamente»
  «Cosa vuol dire momentaneamente?»
  «Che sono cauta» rispose Rose semplicemente, piegando con delicatezza la divisa sul suo letto.
Johanna la scrutò a lungo. «Che cos’hai tu stamattina? Perché non sei impulsiva, irrazionale, in preda a crisi esistenziali?»
Sollevò gli occhi al cielo e guardò l’amica con uno sguardo rasserenante. «Sono solo riflessiva»
  «No» Johanna le puntò un dito accusatorio contro. «Tu sei felice»
Rose prese ad asciugarsi i capelli nel modo più rapido possibile, facendo scorrere la bacchetta tra di essi e rilasciando un calore che la accarezzò solamente. Sembrava che niente riuscisse a raggiungere la temperatura che conservava dalla notte precedente.
Infine le sorrise.
  «Dovresti provare anche tu» confermò, vestendosi di tutto punto con premura e particolare attenzione al suo riflesso nel lungo specchio. Liberò i primi bottoni della camicia, stirò con le mani le ultime pieghe all’interno della gonna, e decise che quel giorno avesse ancora troppo calore addosso per indossare il cardigan, quindi optò per la giacca della divisa. Si ravvivò inutilmente i capelli, già voluminosi nelle loro morbide onde ramate. «È una bella sensazione».
Johanna continuava a fissarla, chiedendosi che fine avesse fatto l’amica di sempre, quella con cui condivideva ogni cosa da anni, ma che stava imparando a conoscere solo negli ultimi mesi.
La seguì con lo sguardo mentre questa si avvicinava alla porta del Dormitorio e la fermò solo per un momento.
  «E poi parleremo del perché sei andata a correre senza di me» disse con gravità.
 
 
  «Ferma un po’»
Lily Potter apparve davanti ai suoi occhi dal nulla, nel flusso di studenti che scorreva dalla Sala Grande verso le lezioni. Aveva le braccia impuntate sui suoi fianchi clementi.
  «Lily, non ti avevo vista» disse, portandosi una mano al petto.
Lei la guardò con un accenno di sospetto.
  «Per l’appunto»
Nel bel mezzo della Sala d’Ingresso, il fervore del lunedì mattina, misto alla noia che riporta alla quotidianità agitava l’aria intorno a loro in un chiacchiericcio eccitato, rendendo a Rose più semplice il compito di sottrarsi all’attenzione della cugina.
  «Strano che tu sia così distratta»
  «Devo ancora fare colazione, Lily. Sai bene che prima del caffè non esisto»
  «Eppure qualcosa mi dice che tu sia andata a correre stamattina»
Rose incrociò le braccia al petto, ora del tutto diffidente. «Qualcosa o qualcuno?»
  «Tess Rivers ti ha visto rientrare» concesse senza troppi problemi.
Sollevò gli occhi al cielo e superò la cugina. La voce di Lily la raggiunse prima che lo facessero i suoi passi.
  «Rose, fermati. Mi farai arrivare in ritardo alla prima lezione»
  «Perché siete tutti interessati alla mia corsa mattutina?»
  «Non mi interessa affatto delle tue abitudini sportive» Lily la rincorreva per poter seguire il suo procedere rapido. «Bensì chi frequenti di nascosto»
Le parole della ragazza sovrastarono il chiacchiericcio, colpendola alla nuca come fossero una percossa, risuonando nella sua mente in un’eco gigantesca, e la disorientarono, tanto che si ritrovò contro la spalla di un passante dal lungo mantello scuro, nel momento esatto in cui provò a voltarsi per risponderle affannosamente.
Sollevò uno sguardo mortificato e ne ricevette uno raggelante. Il professor Perkins la travolse con i suoi occhi gelidi che di avvolgente e tranquillizzante, quella volta, non avevano nulla. Simili solo a quelli che Penelope le aveva scagliato contro una volta, unico faro di speranza su un volto divorato dagli eventi o dall’odio, i suoi occhi la bloccarono in un momento senza spazio e senza tempo, incrinando i suoi ricordi verso uno sguardo adirato oltre ogni misura, preoccupato per qualcosa che Rose non capiva, intento a liberarla dalla trappola infernale di Vincent Nott.
In un attimo era di nuovo lì, in quel punto della Biblioteca, dove non avrebbe mai dovuto mettere piede.
Si avvolse tra le braccia perché per la seconda volta quel giorno i fremiti calorosi avevano ceduto il posto a brividi di inquietudine.
Forse colse il suo turbamento, perché il professore addolcì lo sguardo, poi lo sollevò, liberandola da quel giogo di ricordi che ancora la tormentavano. Le passò una mano sulla spalla, e all’occhio di un passante curioso quel gesto avrebbe avuto l’ingenuo significato di rispondere al suo sguardo mortificato per essergli piombata addosso. Ma lei vi vide tutto il proprio rammarico per parole che non avrebbero avuto il coraggio o la possibilità di essere pronunciate, o per qualcosa che lui stesso non era in grado di spiegare.
Si sentì rigettare nel vociare confuso di studenti e lui passò oltre, superandola e lasciandola lì.
  «Rose» Lily la richiamò a sé disperata. «Se devo farmi togliere punti da Arrows almeno mi piacerebbe sapere da quant’è che va avanti»
Di nuovo le insinuazioni della cugina la riportarono alla realtà.
Rose era ancora confusa e la guardò frastornata, senza trovare nulla da dire. «È successo solo una volta» concesse infine.
  «Per ora» disse, socchiudendo due occhi inquisitori.
Rose decise che avrebbe ignorato la piccola Lily, riprese a spintonare il flusso inarrestabile, finché quasi tutti gli studenti più piccoli non ebbero terminato di accalcarsi nella Sala d’Ingresso e lei poté procedere più serena verso la propria colazione. Ma Lily Potter non sembrava intenzionata a cedere e le stava dietro come un segugio.
   «Non è detto che ricapiti, Lily» spiegò lei, cercando di cacciare ogni pensiero «Potrebbe essere stato solo un errore»
  «Certo che lo è stato»
Quella era una risposta che non si sarebbe aspettata.
La guardò sorpresa. «Credevo che tu fossi d’accordo»
  «Perché mai?» contestò, indignata. «Per ritrovarmi ovunque quei suoi capelli biondissimi e setosi?»
Rose guardò ancora la cugina, adesso decisamene disorientata.
  «Non mi sembra che in questi anni tu abbia mai fatto troppe storie a tuo fratello»
  «Vorrei ben vedere. Prova tua a discutere con James»
Si fermò davanti all’immenso portone della Sala Grande e si voltò completamente verso Lily Potter, guardandola nei suoi grandi occhi color nocciola, cercando di capire perché mai la cugina ritenesse che Scorpius Malfoy fosse una presenza costante nella vita di James Potter.
  «Di chi diavolo stai parlando?»
Lily riportò le mani stizzite ai fianchi. «Non provare a rifilarmi quell’aria svampita. Tess Rivers ti ha vista andare in bagno con Dominique. In bagno, Rose, in bagno. Non ci vai con la prima amica che trovi, e decisamente non vai a quello del quinto piano, ma soprattutto non scegli di andare in bagno con la Vipeera Weasley».
Il sospiro che rilasciò fu talmente profondo e denso di tensione, che Rose non si sarebbe meravigliata di constatare l’assenza di altra aria nei polmoni.
  «Dominique» disse debolmente, sollevando il volto verso il soffitto irraggiungibile e rilasciando un sorriso leggero.
  «Non usare quel tono accondiscendente» la ammonì la cugina.
  «Ti stavi riferendo a Dominique»
  «Certo, non mi risulta ci siano stati eventi più sconvolgenti di cui tu debba mettermi al corrente»
Rose rispose con un lungo silenzio. Infine decise che il desiderio di caffè forte fosse, a quel punto della mattinata e della conversazione, un bisogno impellente.
Quando si voltò, decisa a non arrestare più la sua corsa verso una colazione sempre più vicina, l’ultimo e inevitabile tassello di quel labirinto di spiriti demoniaci, risaliti dagli inferi solo per abitare la sua mattinata, l’attendeva all’ingresso della Sala Grande, poggiato contro il muro in pietra, con un’espressione di pacato divertimento sul volto.
Scorpius Malfoy non si era ancora accorto di lei.
  «Non è proprio la compagnia che mi sarei aspettato».
Albus Potter la guardava da lontano, indugiando con un cipiglio severo sulla presenza inopportuna della sorella minore. Le rivolse due occhi socchiusi di disapprovazione, come aspettandosi di vederla svolazzare via alla maniera di un insetto piccolo e molesto.
Eppure Rose non lo vedeva. La sua voce era lontana e si affievoliva ad ogni suo passo, piuttosto che rafforzarsi con la vicinanza.
Scorpius Malfoy, abbandonato contro la parete, si separò da questa come scottato e si irrigidì in tutta la propria altezza, ergendosi immobile e statuario, contraendo il volto adesso serio e puntando i suoi occhi magnifici su di lei.
Rose si staccò a fatica da quello sguardo.
  «Johanna è infuriata con te» disse con voce atona.
  «Non è infuriata» si lamentò Albus. «Ha solo bisogno di attenzioni»
Lei annuì distrattamente, ma gli occhi tornarono ad incatenarsi con quelli di Scorpius.
  «Allora dagliele» commentò, continuando a far danzare lo sguardo. Si impose di fissarlo sul volto del cugino, come avrebbe richiesto una consueta conversazione, ma l’indiscrezione, con cui Scorpius sembrava voler lasciare un marchio di fuoco sulle proprie gote già accaldate, le rendeva impossibile cessare di vagare altrove con gli occhi e fingere di catturare alla propria attenzione tutto ciò che intorno a lei aveva vita.
  «Illuminante, Rose, grazie per il suggerimento»
Scorpius Malfoy si aprì in un ghigno, eppure Rose non vi vide tracce di arroganza, né il piacere di canzonarla, solo un pensiero distante che aveva appena preso forma in quel tratto sottile e divertito.
Il cuore le si bloccò in petto.
  «Qualcosa ti diverte?» pronunciò, travolta inesorabilmente da un istinto a briglia sciolta.
Capì quanto scarsi dovessero risultare i suoi tentativi di immettere in quelle parole una punta di sdegno, dal modo in cui Lily si voltò di scatto a guardarla come se avesse perso il senno. Albus, allo stesso modo, sembrò molto occupato a valutare la nota di inequivocabile e genuino interesse con cui la cugina si era rivolta al suo migliore amico, dopo troppi giorni di silenzio.
Scorpius sollevò le mani per aria in segno di resa e inclinò leggermente il capo verso il basso, accentuando un sorriso che aveva raggiunto anche gli occhi verdi e luminosi.
  «No, affatto» disse in sua difesa.
A quel punto persino Albus cessò ogni tentativo di decifrare il significato di un’improbabile e del tutto repentina resa della cugina, per concentrarsi sull’atteggiamento dell’amico, se possibile ancora più imprevisto. Lasciò scorrere lo sguardo tra i due e corrucciò le sopracciglia in un’espressione di esasperante rassegnazione.
  «Sono sicura che tu avresti qualche consiglio più edotto da rifilare a mio cugino»
  «Ti sbagli»
  «Hai finito gli assi nella manica?»
  «Come tu con i tuoi alibi»
Rose distolse lo sguardo e lo stesso fece il ragazzo davanti a lei.
Si decise ad ignorare l’espressione perplessa che disturbava la consueta placidità del volto di Albus, per lasciarli tutti lì e proseguire verso la Sala Grande, ad una colazione che il suo stomaco ormai in subbuglio non avrebbe gradito; poi capì che l’attenzione del cugino era rivolta verso qualcun altro.
  «Lily, non hai Arrows alla prima ora?»
Solo in quel momento Rose si ricordò della presenza eccezionalmente silenziosa della ragazza.
Quando si voltò a guardarla, tuttavia, Lily Potter aveva due occhi spalancati in una disarmante consapevolezza e le labbra sigillate, incapaci di liberare qualsiasi parola.
Lily la fissava senza dire nulla.
La fissava, piegando le ciglia in battiti impercettibili e in frammenti di secondi che sfuggivano a qualsiasi controllo, la fissava, lasciando che altro che non fosse la sua voce raggiungesse la cugina maggiore, quella cui era da sempre legata come le avevano insegnato le loro madri, con una complicità semplice e diversa.
La fissava e sapeva che Rose l’avrebbe capita.
  «Ci vediamo alla partita»
Poi indietreggiò e si lasciò travolgere dalla folla.
Albus Potter lanciò un ultimo sguardo perplesso ai presenti, prima di scrollare le spalle, voltarsi e dirigersi verso il tavolo dei Serpeverde.
Non sapeva perché d’improvviso lo ritenesse così normale, ma si ritrovò sulle orme del cugino come se non avesse fatto altro che vivere della semplice compagnia di quei due ragazzi per tutti gli anni che avevano preceduto quel momento.
Scorpius Malfoy le fu accano in un passo, molto accanto.
Le sfiorò la spalla con la propria e lei avvertì tutta la pressione del suo braccio forte contro il tessuto. Percepì le mani scontrarsi, in una scintilla istantanea, che il corpo in movimento aveva permesso. Fu un breve sfiorarsi delle dita.
Poi tutto tornò a debita distanza, cosicché nessuno, a parte loro, potesse sentire i brividi che avevano agitato i loro corpi.
  «Rose»
Dovette impiegare più tempo del previsto per capire che qualcuno tentava di attirare la sua attenzione.
Quindi voltarsi e trovarsi a incredibile vicinanza il volto di Tess Rivers fu per un attimo destabilizzante.
  «Tess»
  «Posso parlarti un attimo?»
Rose intercettò lo sguardo di Scorpius che proseguiva verso il tavolo, facendole un debole cenno con la testa di seguirla, poi si voltò seccata verso Tess «Facciamo alla partita?»
  «No, Rose. Adesso»
 
 
 
- § -
 
 
 
Il vociare alto e confuso che si disperdeva tra gli spogliatoi maschili era indice di un elevato ed eccessivamente spavaldo stato di eccitazione: un’impulsiva, incosciente e del tutto fuori luogo sicurezza degna solo dei migliori tra quei vanagloriosi dei Grifondoro.
Per tanto sigillò lo sportello del suo armadietto con un tonfo dalla solennità indiscutibile e il silenzio scese immediato e denso intorno a loro.
  «Chiedo scusa se ho interrotto il vostro ritrovo mattutino nel pollaio»
Quasi tutti i componenti della squadra abbassarono lo sguardo colpevoli, mentre gli altri evitarono accuratamente di incontrare il suo. Persino Albus si concesse solo una debole alzata degli occhi al cielo, per poi tentare di avvicinarsi alla stessa espressione mortificata dei suoi compagni, sapendo bene quanto a poco servisse reclamare tracce di quel favoritismo che spudoratamente il suo migliore amico gli riservava in ogni contesto.
Quando si trattava del ruolo da Capitano, Albus era consapevole che Scorpius non gli avrebbe perdonato nessun attentato alla sua autorità.
  «Quando avrete finito di starnazzare, potrò provare a considerare la possibilità che oggi non facciate completamente schifo là fuori»
La sua voce era ferma e pacata, ma risuonava alta nell’eco che il silenzio e la tensione avevano creato.
  «Oppure credete di essere così imbattibili da non aver bisogno di concentrazione?»
  «Contro i Corvonero ci vuole concentrazione per restare svegli»
Un coro di bassi e timidi sghignazzamenti fece da sottofondo all’irritazione di Scorpius.
Lo conosceva fin troppo bene per prevedere che non avrebbe taciuto la sua irriverenza. E dietro la solita bonaria ironia delle sue intenzioni, Scorpius percepì tutta la potenza della sferzata che quelle parole leggere scagliavano contro la propria autorevolezza.
Compì qualche lento e ponderato passo verso Alan Doyle, dando il tempo al suo cammino di suggellare il valore di quanto stava per dire. Procedeva verso di lui senza degnarlo di uno sguardo, si arrestò ad una distanza che gli consentisse di palesare il giusto ribrezzo e fissò i suoi occhi in quelli di lui, facendolo precipitare in tutta la profondità del proprio livore.
  «Un’altra parola e oggi contemplerai l’inettitudine dei Corvonero direttamente dagli spalti»
Il sorriso rilassato di Alan si intiepidì, ma il ragazzo non accennava ad indebolire lo sguardo di sfida.
Scorpius continuava a fissarlo con insistenza e i secondi divennero minuti. L’immobilità dell’aria intorno a loro iniziava a cedere, mentre i componenti della squadra non nascondevano più la tensione imperante.
Albus Potter, quella volta, era un debole ma tranquillo spettatore.
Dopo minuti che parvero ore, Alan distolse lo sguardo senza abbassarlo e Scorpius lo lasciò andare, voltandogli le spalle, fingendosi soddisfatto per una vittoria che aveva troppo l’aspetto di una concessione.
Avrebbe dovuto elargire le solite parole di conforto che acquietavano gli animi effervescenti della squadra qualche minuto prima della partita, ma la tranquillità che il Capitano si imponeva di diffondere tra i suoi compagni aveva abbandonato anche lui stesso e Scorpius si limitò a liberarli dal suo controllo con qualche debole ammonimento.
Alan Doyle gli strizzò l’occhio poco prima di abbandonare lo spogliatoio, portando con sé la vera vittoria di quella giornata.
Avvertì la mano di Albus sulla spalla.
  «Per fortuna il compito peggiore spetta a te»
  «Tenere a bada la vostra strafottenza?»
  «Più Dylan Kunis, direi»
Aggrottò le sopracciglia e liberò la spalla dal tocco dell’amico. «Ti voglio concentrato, Potter» lo redarguì, invitandolo a lasciare lo spogliatoio prima che lo facesse lui.
  «Ti ho mai deluso?»
Lasciò ad Albus l’ultima parola, come desiderava, e gli fu dietro, chiudendosi la porta alle spalle.
Al di là di quell’antro celato che racchiudeva tutti i segreti e le tensioni intime della squadra, c’era qualcuno ad attenderli, sotto il sole alto di quella mattinata invernale.
D’improvviso avvertì tutto il calore della giornata più assolata della stagione.
Rose Weasley era già caduta nella trappola di Alan, che le parlava sicuro e spensierato, facendola ridere.
Il ragazzo aveva dimenticato completamente la scopa contro il muro posteriore delle gradinate che davano sul campo e, poggiato con una mano ad esso, dava sfogo a tutta la sfacciata sicurezza che Scorpius inutilmente aveva provato a contenere.
Johanna Jordan, accanto a loro, assaporava parte dell’allegria del ragazzo, contribuendo con una gaiezza che i suoi modi burberi non le avevano mai concesso.
Strinse forte i pugni attorno alla propria scopa, constatando con quanta facilità Alan riuscisse ad indebolire le difese di chiunque.
  «Dovresti andare a riprenderti la ragazza» disse ad Albus che assisteva immobile alla scena.
  «Dopo di te»
Gli lanciò uno sguardo di sbieco, poi andò a passo sicuro verso il punto in cui Alan Doyle faceva tutto in suo potere per farsi espellere dalla squadra.
  «Doyle, ancora qui». Scoccò un’occhiata gelida e compiaciuta al ragazzo. «Non credevo oggi avessi tutto questo desiderio di unirti alla tifoseria» concluse con un sorriso sottile e aspro, lasciando scorrere gli occhi rapidamente sulle due ragazze.
La bolla di ilarità si disperse man mano che loro mutavano sorrisi e carinerie in gelida serietà, riservata solo a lui. Scorpius nascose tutta la propria delusione nel constatare quanto poco riuscisse a far sorridere Rose, poi quella triste consapevolezza lo colse nel profondo del suo orgoglio. Mentre maturava in lui la spiacevole quanto nuova sensazione che qualcosa di sua proprietà non gli tributasse gli onori dovuti, Alan si aprì in una risata a pieni polmoni.
  «Puoi tranquillizzarti, Capitano» disse, scrollando le spalle «Nonostante indubbie e pericolose fonti di distrazione, la mia concentrazione è ferrea e incorruttibile, come tu desideri» disse, perlustrando con uno sguardo talmente tanto intenso e inopportuno la figura di Rose che, se la Jordan non fosse stata così appariscente, niente gli avrebbe tolto dalla testa la convinzione di aver appena interrotto un incontro particolarmente intimo.
Afferrò la scopa e in un gesto secco gliela sbatté contro il petto. «In campo, adesso»
Lui soffocò il respiro spezzato per il colpo. «Vale anche per la tua damigella d’onore?» chiese, facendo un cenno verso il ragazzo che lo seguiva.
Scorpius gli si parò davanti in tutta la sua rigida e immobile fermezza, poi parlò con tono irremovibile, ma quando la voce bassa soffiò tra i suoi denti digrignati un tremito di collera la spezzò.
  «Albus arriva quando lo decido io» sibilò, mandando all’aria tutti i buoni propositi di imparzialità.
Alan Doyle retrocedette di un passo, ubbidendo a capo chino alle direttive del Capitano. Poi volò accanto a Rose e le passò le dita tra i capelli.
  «Non ti affannare troppo per il tifo. Sarò strepitoso»
  «Non ho dubbi» fu la candida risposta della ragazza.
Un tono dolce, sincero, senza increspature o intenzioni sottintese. Splendeva limpida e leggera, nel modo in cui a lui si era sempre negata.
Albus fu colpito da un eccesso di tosse con cui nascose una risata nervosa.
  «Giuro che lo butto giù dalla scopa» fu il basso latrato di Scorpius.
  «Così mi piaci: ponderato, razionale, sempre misurato nelle fragilità emotive»
Una smorfia stizzita comparve sul volto di Scorpius.
  «Cosa c’entra la fragilità emotiva?».
Albus Potter gli lanciò un’occhiata profonda e silenziosa al di sopra degli occhiali. Corrugò appena le sopracciglia, accennando solamente quella onnipotente consapevolezza di cui lui riteneva di essere l’ambasciatore in terra, ma tanto bastò per portare la pazienza di Scorpius al limite.
   «Vola in campo, Potter» ordinò a voce alta. «Sparite tutti dalla mia vista».
Johanna Jordan mugolò qualcosa riguardo il suo brutto carattere, ma si apprestò ad esaudire il desiderio del Capitano senza troppe proteste, o forse lieta di aver trovato una causa di forza maggiore per essere tragicamente costretta ad accompagnare il ragazzo verso il campo.
Le spalle furono la prima parte che vide davvero.
Poi i capelli rossi seguirono come una frusta il movimento del suo corpo e si adagiarono su di esse per coprirle.
Eppure il suo era un gesto lento, esitante, che lo chiamava a sé.
  «Weasley»
Gli sembrò che si fosse fermata ancora prima che lui parlasse. Lei si voltò a guardarlo interrogativa e per la prima volta la vide.
Era curiosa e in attesa.
I due ragazzi si mostrarono altrettanto interessati al suo richiamo, con una indiscrezione cui Albus Potter doveva aver dato legittimo riconoscimento.
Scorpius sospirò irritato. Un cenno stentato della testa li invitò a proseguire.
  «Concentrazione, Capitano» furono le parole di commiato del suo migliore amico.
Rose Weasley, nel frattempo, era ancora lì e lo guardava in attesa.
  «Sono stata convocata?»
  «Per pessima condotta» disse freddamente.
Lei piegò le labbra in un sorriso interessato e si avvicinò di qualche passo, lentamente. Aveva il solito cappotto invernale che copriva abiti consueti, semplici ed eleganti, fuori dai dogmi della divisa. Solo la sciarpa dei colori caldi che più detestava ricordava l’abbigliamento di sempre e gli parve così perfetta intorno ai suoi capelli di fuoco.
Eppure avrebbe tanto voluto gettarla via e riscoprire il collo pulsante sotto di essa.
Lei si arrestò ad una distanza di sicurezza, dalla quale avevano la possibilità di guardarsi, senza minacce o sensazioni impreviste.
  «Di quale colpa mi sarei macchiata?»
  «Hai atteggiamenti sconvenienti con i componenti della mia squadra» disse in un muro di ghiaccio e collera. «Li distrai poco prima della partita».
Il suo sorriso questa volta fu a pieni denti e sciolse la freddezza del volto di Scorpius.
Sembrava divertita.
Si avvicinò maggiormente, percependo un consenso dalle parole di lui che fino a poco prima non le era stato dato. Fu così vicina che il profumo dei capelli lo raggiunse come un incantesimo inesorabile e in un istante capì che avrebbe ceduto a qualsiasi mossa.
Rose sollevò il mento per guardarlo dritto negli occhi.
  «Chiedo scusa» sussurrò. «La mia intenzione era di distrarre solo il Capitano».
Avvertì un velo calare sulla sua lucidità e offuscargli ogni intenzione ponderata, lo sguardo piegarsi verso quello di lei per catturarlo nel proprio e le dita scostarle i capelli dal viso.
  «Oggi sono irremovibile» disse debolmente.
Lei scosse la testa divertita. «Davvero?»
Gli fu vicinissimo e lui non vide altro che i suoi capelli ovunque, poi sentì le labbra di lei adagiarsi sullo zigomo e seguire il profilo del volto fino al mento, sfiorargli le labbra. In un attimo il suo profumo fu di nuovo distante e Rose Weasley si era allontanata.
Poggiò le mani sui suoi fianchi coperti e la riportò a sé con poca delicatezza, scoprendo un’avidità così tanto contraria al languore di lei, da farla sorridere soddisfatta.
E capì che quella era stata la sua mossa.
Alzò la testa e lasciò andare un sospiro, poi poggiò la fronte contro quella della ragazza e chiuse gli occhi.
  «Quindi qual era il tuo piano per distrarmi?»
Lei disperse una risata leggera, le dita gli carezzarono il mento, il profilo della mascella, la guancia, fino ai capelli. Giocò con questi appena un po’, poi immerse la mano, li assaporò nel loro disegno confuso dal vento, e, quando avvolse la nuca, la spinse verso di sé, costringendo Scorpius a sfiorarle le labbra con le proprie.
La sentì sorridere per quel colpo mancato, deridere la vana resistenza di lui. Allora lei scostò il volto per riprendere aria fredda nei proprio polmoni, senza allontanarsi davvero, dandogli ancora la possibilità di cercarla.
Scorpius la avvicinò ancora a sé e la strinse in un abbraccio che di tenero aveva ben poco.
  «Ho una partita da giocare» le sussurrò all’orecchio.
  «Là su o qui con me?»
A quelle parole non resistette più. La sciolse dall’abbraccio e si guardò intorno. Cercò le sue dita e le strinse, avvolse la sua mano esile nella propria, racchiudendola in un segreto che era solo loro. La condusse lontano da lì, dietro l’albero, nascosti dal muro degli spalti.
Si voltò verso di lei senza lasciarle la mano, ma con l’altra le circondò la vita, riportandola contro il proprio corpo.
Rose Weasley non sorrideva più, lo guardava intensamente e gli parve di vederla tremare.
Avrebbe voluto trovare un terzo aggancio con cui avvolgerla maggiormente, e nell’indecisione straziante abbandonò il corpo e le dita fredde, per prendere il suo volto con entrambe le mani.
Posò le sue labbra sigillate su quelle morbide di lei e le spinse con irruenza in un bacio lento e violento.
  «Sei venuta solo per tormentarmi».
Lei strinse le dita attorno alla divisa verde-argento, all’altezza del petto e si portò completamente contro di lui, cercando ancora il suo volto. Quando vide che lui si scansò, lo guardò confusa.
  «Per augurarti buona fortuna» spiegò.
Scosse la testa. Forse era così, o forse lo era solo in quel momento.
Rose approfittò della sua esitazione per baciarlo ancora, con delicatezza, portandolo a socchiudere le labbra, riprendendole tra le proprie in lenti e continui movimenti sensuali e dolci, fino ad accarezzarle con la lingua e a toccare quella di lui.
   «Perché non mi credi?» sussurrò nella sua bocca.
 Scorpius si lasciò scorrere il suo labbro inferiore tra i denti «Perché ti piace farlo»
  «Cosa?»
  «Tormentarmi»
Gli occhi di Rose Weasley tremavano mentre lei li lasciava vagare irrequieti sul suo volto. Si sollevò sulle punte per arrivare perfettamente alla sua altezza, lanciargli le braccia intorno al collo e baciarlo finalmente senza esitazione, premendo insistentemente quelle labbra gonfie e insaziabili, assaggiandolo fino a divorarlo.
  «Mi piace più questo» disse, recuperando il fiato.
Non si era accorto di averle scomposto i capelli e si concesse qualche istante per recuperare lucidità e contemplarla così, indomita e sicura, talmente tanto da non riuscire a decifrarla. Le accarezzò la pelle eburnea, dalle gote arrossate, temendo di infrangere la patina di irrealtà che la avvolgeva.
Un boato di grida e cori gli ricordò dove si trovava.
Gli ricordò la partita contro i Corvonero e l’onore da Capitano da difendere.
Temette di guardarla ancora negli occhi e di rendersi conto che non gli importasse più nulla di tutto il resto, ma quando incontrò quel blu scuro, sempre feroce, e vi precipitò dentro, credendo di non riemergere più, lei gli sorrise con dolcezza.
  «Se perdi contro i Corvonero te lo rinfaccerò a vita»
  «Allora vincerò solo per questo»
Lei rise. «Per me?» chiese con ironia ostentata.
  «Per poterti battere alla prossima partita, Weasley».
 
 
 
 - § -
 
 
 
La partita era iniziata ormai da tempo e lei continuava a temporeggiare, affacciata a strapiombo oltre la staccionata degli spalti.
Scorpius Malfoy era concentrato, perlustrava i movimenti dei suoi compagni, irrigidendo la mascella quando desiderava imprecare contro di loro e incitandoli nei momenti di maggior fiacchezza.
I Serpeverde, quella mattina, stavano giocando la peggior partita dell’anno, subendo, piuttosto che compiendo, una quantità indicibile di falli.
Rodolphus Mumps, Battitore Corvonero, si scagliò contro Zabini per poi frenare all’ultimo momento la sua rotta e incrociare i manici di scopa così da deviare l’avversario Serpeverde verso un’altra direzione. La Pluffa, conquistata da Eveline Rabnott, attraversò gli anelli ancora stretta tra le mani della Cacciatrice, la quale si esonerò dallo scagliarla oltre i cerchi, in linea con le regole del gioco, mentre altri Cacciatori troneggiavano fieri nell’area di punteggio.
L’incessante mancanza di pudore da parte della tifoseria Serpeverde si accese in un boato di protesta per quella violazione spudorata, nonostante probabilmente furono loro stessi in tempi passati ad averle dato legittimità.
Lei strinse i pugni contro il legno umido e piegò la testa all’ennesimo punto segnato dai Corvonero.
  «Arrivi tu nella sua vita e improvvisamente non sa più fare il Capitano»
Rabbrividì, ma non era colpa del vento freddo che a quell’altezza le scorticava il viso.
Si voltò verso Vincent Nott, affacciato accanto a lei.
  «Stammi lontano» disse a denti stretti.
  «Credimi, mi piacerebbe esaudire questo tuo desiderio» rispose in un impercettibile sibilo di odio.
Rose sigillò le dita in risposta all’applauso che percorse tutta la folla da un'estremità all’altra del settore e ringraziò il boato che la aiutò a nascondere la vibrazione della sua voce.
  «Talmente tanto che niente riesce a trattenerti dal girarmi intorno in piena notte all’interno di una biblioteca isolata» disse Rose gelida, poi studiò una pausa di riflessione. «Certo, a parte il professor Perkins»
Vincent non sembrava sorpreso. «Avrei potuto denunciarti o toglierti dei punti, molti punti»
  «Anche tu eri nella Sezione Proibita»
Lui addolcì l’espressione di pietra e ne indossò una mortificata, ma profondamente scossa «Ho sentito dei rumori e sono corso a controllare» spiegò in una perfetta imitazione della maschera che avrebbe indossato davanti alla Preside. «Sai, ero di ronda quella notte» concluse con una smorfia di sdegno che vanificò ogni tentativo di sembrare innocente.
  «Quindi ti dovrei ringraziare per non avermi fatto espellere?»
  «Non me ne faccio niente dei tuoi ringraziamenti»
Era teso e il suo volto bellissimo aveva conosciuto tempi migliori. La patina raffinata di elegante pallore si increspava intorno agli occhi in violenti segni violacei.
  «Perché mi sei sempre intorno?»
  «Ti sbagli» disse senza guardarla, ma era un tentativo troppo debole di indurla a desistere, così Rose fu spinta a proseguire.
Si guardò ancora intorno, mentre la folla incitava e i tifosi verde-argento si isolavano in una tetra delusione.
Johanna Jordan non stava guardando la partita.
Era seduta sull’ultimo gradino e fissava un punto di fronte a sé, in corrispondenza delle fenditure sulla staccionata. Una timida apertura sul peggior disastro del Campionato.  Gli occhi assorti e inermi sembravano meditare senza speranze su ciò che si stava verificando davanti a loro.
Rose vide Lily Potter sugli spalti bloccata tra le grinfie di Tess Rivers. A braccia incrociate ascoltava la ragazza parlare incessantemente. Di tanto in tanto Tess lanciava nella sua direzione qualche occhiata sfuggente e profonda, alla quale Rose rispondeva con un timido sorriso di gentilezza.
Tess Rivers iniziava a spaventarla.
  «Quindi non volevi che mi facessi una passeggiata tra i corridoi della Sezione Proibita» disse a voce bassa, guardando attentamente Vincent Nott che continuava a mantenere gli occhi fissi sul campo.
Rimase immobile per diversi secondi, imperturbabile come se fosse incapace di vita, e quando Rose iniziò a dubitare che avesse davvero sentito le sue parole, il ragazzo sorrise.
Fu una smorfia impercettibile, che di gioioso non recava tracce; piuttosto le parve un segno di aridità su un volto che aveva dimenticato il brivido di un qualunque sentimento.
Eppure Rose lo raccolse come un incoraggiamento.
  «Che cosa temi possa finire nelle mie mani?»
Vincent Nott sollevò gli occhi verso il punto più alto del cielo e per un momento Rose pensò che stesse guardando la fuga di Scorpius verso il boccino.
  «Se davvero in questo momento nella Sezione Proibita ci fosse qualcosa che non vorrei farti leggere, perché mi sarei dovuto prendere la briga di girarti intorno l’altra notte?» disse serio, cessando di sorridere o di palesare cortesia. Si voltò, fissando i suoi occhi di ghiaccio in quelli di lei per la prima volta, e parlò con fare annoiato «Forse perché non posso farne a meno».
Rose lo trattenne per il braccio quando Nott provò ad allontanarsi, e l’occhiata di odio che lui le scagliò contro fu talmente tanto diretta e sincera, che lei allentò la presa all’istante.
  «Io non riesco a capire» disse infine e la sua voce vibrò di disperazione.
  «Non è un problema mio» esclamò a voce chiara, sfilando rapidamente, in un soffio impercettibile il braccio dal suo controllo.
Entrambi si voltarono tra il frastuono imperante dei cori Serpeverde per ammirare Scorpius Malfoy sollevare tra le dita sigillate il boccino dorato della loro vittoria, luccicante tanto quanto tetro era il viso del Capitano.
Lo spettacolo che le si presentò in cielo le alleggerì il petto da ogni altra preoccupazione e valutò in un attimo di scendere nel campo per stringere l’unico campione di quella giornata in un abbraccio di sollievo, ma il volto rilassato di Vincent Nott riuscì ad imbambolarla in uno scenario ancora più sorprendente della vittoria dei Serpeverde: un dolce spiraglio di tenerezza e felicità conferì la dignità di uno spirito umano a quella statua di gelida indifferenza.
Vincent non sorrideva, ma gli occhi color del ghiaccio erano un mare scuro e profondo e il volto più roseo che mai portava i segni di una leggerezza infantile.
  «A quanto pare non l’hai rovinato del tutto» constatò. «Per ora» aggiunse in un sussurro che aveva ormai abbandonato i segni del rancore e non si preoccupava di celare tutta quella desolazione.
Per un solo indefinibile attimo Rose provò una strana pietà.
Poi qualcuno le finì addosso, si sentì strattonare in mezzo alla folla e in un attimo perse di vista Vincent Nott.
Lily Potter, scaltra e agile, saettava giù per gli spalti, sgusciando tra la gente. I suoi capelli rosso scuro furono il faro a cui si aggrappò per non perdere la cognizione dello spazio e del tempo che vorticavano intorno a sé confondendosi inesorabilmente, cosicché Rose non seppe dire come fossero finite in mezzo al campo, dove ancora i quattordici giocatori tentavano a fatica di riprendere coscienza di quanto avvenuto.
Nel frattempo nell’area di centrocampo l’intera Casa Serpeverde si era riversata per osannare i suoi eroi.
Rose si liberò dalla presa di qualche matricola, che, vedendola priva di indumenti identificativi, aveva facilmente attribuito la sua presenza così vicino alla squadra vincitrice ad una stessa appartenenza di colori. I Serpeverde, del resto, non prediligevano le amicizie extraterritoriali.
E così, sentendosi toccata dai viscidi colori verde-argento o umiliata dalla prevedibilità di tante ragazze che l’avevano preceduta, Rose si trovò a vagare tra la ressa, facendo scorrere lo sguardo fremente, alla ricerca di capelli biondi e luminosi come il boccino che poco prima lui aveva sollevato in aria.
Lo trovò già a fissarla, immobile, per un istante lontano dalle attenzioni degli altri.
Si mosse per andargli incontro e lo vide riscuotersi come allarmato, abbandonare quello stoicismo, fare qualche passo indietro e guardarla irrequieto. Poi si distrasse con qualcuno, accettò una pacca sulla spalla e un abbraccio caloroso. Fingeva.
Non era pronto, Rose lo capì all’istante come se non avesse mai avuto dubbi a riguardo, ma le stava bene così.
Allora rimase dov’era e a quella distanza finse di congratularsi con un pigro e meccanico inchino. Lui si aprì in un sorriso sghembo, strappato sul suo volto di cera. Era un taglio divertito su una maschera di indifferenza, ma gli occhi verdi brillavano.
Il sorriso di Scorpius si perse tra quello di tanti, nonostante fosse indelebile nella sua mente, e in un attimo tutto iniziò a roteare. Alan Doyle l’aveva sollevata in aria, riportandola poi tra le sue braccia e stringendola come se fosse la Coppa della finale di Quidditch.
  «Lo sapevo che avresti portato bene, dolcezza»
  «Ma se avete giocato malissimo» si lamentò mentre ricercava l’equilibrio.
  «Non dirlo mai davanti al Capitano»
In un attimo, senza comprenderne il motivo, si sentì sporca; sollevò gli occhi nuovamente verso di lui, solo per controllare che andasse tutto bene.
Lo trovò talmente tanto diverso da come lo aveva lasciato, immerso in una conversazione con Albus fatta di poche parole e di sguardi rubati, dove aveva spazio per essere se stesso e la distrazione era solo una maschera con cui confondere il suo turbamento, che per un attimo maledisse Alan e il suo entusiasmo inopportuno.
  «Grazie per essere qui»
Poi Alan parlò e la guardò con una semplice gratitudine che di sottinteso non aveva nulla. Versò nell’aria che lei stava respirando i suoi sospiri di sincerità e di discreta dolcezza, una delicatezza che il ragazzo aveva imparato ad immettere in tutta l’invadenza con cui da sempre le ricamava attorno.
Si sentì in colpa per aver disdegnato quella purezza, per averlo fatto a favore di qualcosa che non aveva nemmeno la forza di sorriderle da vicino. Allora si protese verso di lui e depositò un rapido bacio sulla sua guancia.
Quella volta non avrebbe controllato la reazione di Scorpius.
Qualcuno intonò un coro e Scorpius Malfoy venne sollevato in aria.
Qualcun altro si schiarì la gola con un ruggito sorprendentemente forte, tanto da superare il frastuono dei Fuochi Forsennati Weasley.
  «Serve un volontario per togliere la maglietta al Capitano» Lily la guardava duramente e il tono di voce aspro rese la sua proposta tanto più simile ad una minaccia. «Avevo pensato avessi una certa dimestichezza con la faccenda, ma a quanto pare ti ho colta in un brutto momento» concluse urlando a due palmi dal naso di Rose per sovrastare la musica che accompagnava il giro del campo celebrativo dell’intera squadra.
Lei si strinse con più energia la sciarpa intorno al viso per nascondere il rossore sulle guance. Sapeva di dover spendere due parole in difesa del povero Alan, ingiustamente trucidato da una delle migliori occhiatacce di stampo Weasley, ma nella sua mente roteava infida la possibilità che Scorpius Malfoy sarebbe rimasto di lì a poco illibato e puro come solo una volta le era accidentalmente capitato di intravederlo.
E il suo autocontrollo era ormai inabissato in una battaglia per decidere quanto questo spettacolo le recasse un discreto piacere, essendole tutto sommato indifferente o quanto invece avrebbe portato Scorpius Malfoy ad infliggerle la sferzata finale per lasciarlo troneggiare, vittorioso come un colonizzatore, sulla sabbia dei propri pensieri e del proprio orgoglio.
  «Non essere gelosa, piccola Potter» dichiarò infatti Alan, lasciato da solo a provvedere a se stesso. «Ce n’e’ per tutte» disse e il suo tono aveva un intento rassicurante.
Lily gli lanciò uno sguardo di sbieco. «Ti prego» disse tra i denti.
  «Non è ancora il momento di pregarmi»
  «E non lo sarà mai» tagliò corto lei. «Ci puoi scusare?»
La ragazza la afferrò per il braccio e la portò lontano da orecchie indiscrete.
  «Farò finta che Doyle sia solo un incidente di percorso sulla via della felicità, lo sbaglio perdonabile il giorno prima del grande sì, la crisi di mezza età che preannuncia una rinascita matrimoniale» dichiarò Lily seria.
  «Mi stai spaventando»
Lily Potter aveva le mani affondate nei fianchi modesti, era esile e di molto più bassa di lei, motivo per cui non fosse ancora riuscita a debellare dalla sua reputazione l’appellativo di ‘piccola’.
Il viso era dolce e gli occhi grandi color nocciola brillavano dello stesso languore del padre. Eppure la piccola Lily riusciva ad assumere quel cipiglio scaltro e inevitabile, come se il suo ingegno sgusciasse tra i pensieri delle persone con la stessa facilità con cui facesse il suo corpicino.
Non era autoritaria come James, né melliflua come Albus, ma lo sguardo capriccioso, che si trascinava dietro il suo vezzeggiativo e che la ragazza aveva preso ad adoperare come un’arma dalle grandi possibilità,  emanava bagliori pericolosi.
Lily annuì saggiamente. «La felicità può spaventare»
  «Mai quanto le tue conversazioni con Tess Rivers»
La ragazza continuava a scuotere la testa comprensiva, senza ascoltarla. «Il trucco è non farsi troppe domande» aggiunse dolcemente.
  «E di non farle a lei soprattutto» disse distrattamente. «A proposito, di che parlavate?»
Rose fingeva di non prestarle attenzione, mentre con gli occhi vigilava sul punto esatto in cui la squadra Serpeverde avrebbe privato il suo Capitano di ogni indumento superfluo. Tutti sembravano assorti da quella visione, persino Vincent Nott aveva rinunciato al suo altezzoso disprezzo e osservava a debita distanza lo spettacolo. Solo Albus Potter mancava di attorniare il suo amico e capitano.
  «Tess crede che Dominique non stai frequentando Malfoy»
Quella volta Rose la guardò seriamente.
  «Ma questo è abbastanza ovvio» aggiunse Lily con una lunga e densa pausa, durante la quale si premurò di scrutarla in maniera eloquente. Quando accettò che Rose non avrebbe aggiunto nulla di significativo, proseguì «Vuole capire chi incontra durante i turni notturni, è convinta che abbia una stabile relazione clandestina. Ho scommesso 10 galeoni sul contrario e Tess si stancherà presto di sgusciarle dietro nei diversi Dormitori che frequenta» concluse con una smorfia di disgusto.
Per la verità Dominique Weasley non aveva affatto quel tipo di reputazione, ma Rose non se la sentì di indisporre la cugina più di quanto stesse facendo il suo continuo girare attorno all’argomento scottante.
Il gruppo reggente il Capitano come un trofeo passò loro accanto e furono costrette a spostarsi per lasciargli spazio lungo la navata centrale. Scorpius fingeva un imbarazzo talmente tanto lieve e ben studiato che poteva più facilmente ritenersi timore per un solenne ritegno violato. Le sfiorò, immerso in una lava colante di gloria e ammirazione, e solo per un attimo i suoi occhi si piegarono ad incrociare quelli di Rose.
Eppure tanto le bastò.
  «Per lo meno sappiamo che non è lei che frequenti di nascosto». La voce di Lily sgusciò tra i suoi pensieri.
Rose lasciò volteggiare lo sguardo sul resto della folla, poi lo poggiò sulla cugina con leggerezza e ingenuità.
  «Una domanda ce l’avrei, in realtà» fece Rose. «Si può sapere di cosa stai parlando?».
Lily Potter si ammutolì e sbatté le palpebre una volta di troppo, poi i suoi lineamenti si addolcirono e le labbra si piegarono in un broncio pensieroso. Sigillò gli occhi in uno sguardo accusatorio, ma era priva dell’impudenza di James o della padronanza di Albus, e così come aveva sollevato un dito per puntarlo contro la cugina, lo richiuse nel pugno della sua mano, abbandonando ogni intenzione.
Lily la guardava con sospetto, iniziando a dubitare.
Rose la accarezzò con i pensieri, perché la piccola Potter non aveva nulla da invidiare alle capacità fraterne, ma quello non era ancora il momento per parlare di Scorpius Malfoy.
Il grido di giubilo della folla coinvolse anche gli spettatori neutrali, la tifoseria nemica e addirittura chi di Quidditch non voleva saperne proprio nulla. Si fece unanime in un applauso generale, di crescente entusiasmo e Rose non ebbe dubbi che una reazione del genere potesse essere comprensibilmente generata solo dal torso nudo del Capitano Serpeverde.
Fu per tale ragione che voltarsi verso il ragazzo e trovarlo vestito di tutto punto le procurò un’iniziale delusione, seguita più razionalmente dallo sgomento e dalla necessità di comprendere l’ilarità diffusa.
Non impiegò molto a dare risposta ai suoi pensieri, perché lo spettacolo catturò la sua attenzione come una calamita.
Così, senza preavviso o preparazione, si ritrovò ad osservare con le mani alla bocca Albus Severus Potter, ancora in divisa sportiva, sospeso a mezz’aria sulla sua Firebolt ultimo modello, ben visibile a tutti, piegato verso il campo da Quidditch per tirare a sé Johanna Jordan e baciarla con talmente poca moderatezza da far storcere il naso a tutto il perduto contegno della dinastia Malfoy.
 
 
 
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Ogni volta che gli chiedevano spiegazioni sulla necessità di incantare l’armadio del Dormitorio per ospitare tante versioni lievemente differenti della stessa giacca della divisa, lui rispondeva che Draco Malfoy possedeva una preziosa e centenaria tradizione sulla cultura dell’abbigliamento e che non avrebbe mai permesso che il rampollo di casa Malfoy si infangasse nell’anonimia di un istituto scolastico, vestendo ogni giorno squallidi maglioncini di pessima fattura e inaccettabile design.
Sulla lotta portata avanti dal padre con il Comitato Studentesco, per introdurre il blazer nella divisa della futura classe dominante di Londra, tentò sempre di sorvolare, così come aveva costantemente tenuto a tacere la presenza stabile, nel ristretto ed esclusivo nucleo familiare Malfoy, del caro e indispensabile Domenico, sarto e stilista personale da quando era in fasce.
E grande stimatore di Albus, naturalmente.
All’ennesimo fallito giro di perlustrazione nel suo camerino da diva, come brillantemente l’aveva soprannominato il suo migliore amico, sferzò un pugno leggero contro il legno dell’armadio.
  «Hai controllato in lavanderia?»
Vincent aveva già terminato di sistemare la borsa e adesso raddrizzava pieghe immaginarie sulla sua perfetta e illibata camicia, probabilmente per assumere la stessa misera condotta della gente mediocre che lo circondava.
  «Non riuscirei a beccare un elfo domestico nemmeno se provassi a rimanere sveglio tutta la notte»
  «Chiederò a Zelma»
La sua domestica personale, certo.
Astoria si era categoricamente opposta all’idea che Scorpius portasse con sé un elfo domestico o che uno di questi fosse mai impiegato al servizio di casa Malfoy. Riuscire a far comprendere l’atrocità di un’usanza così bestiale e dominatrice al caro marito fu la seconda battaglia più violenta di cui fu partecipe Draco Malfoy.
Scorpius annuì e rinunciò ad indossare la sua giacca preferita.
Nonostante gli ammirevoli tentativi da parte di Astoria di mitigare l’influenza che certe ossessioni della famiglia Malfoy perduravano da generazioni, Scorpius preferiva di gran lunga dedicarsi agli acquisti personali in compagnia del padre. E adorava le giacché confezionate dalle mani fatate di Domenico.
  «Sei in ritardo» constatò Vincent, prima di decidere che il suo riflesso nello specchio non necessitasse di altre fittizie revisioni e fosse già perfetto da quando aveva aperto gli occhi quella mattina.
  «Già» sbuffò lui, accettando di malavoglia una giacca nera pece dalle tonalità più intense rispetto a quelle che tingevano i pantaloni.
Per sua fortuna, rifletté, le lezioni di Pozioni si svolgevano nell’oscurità più profonda.
  «Ti prendo un posto?»
Scorpius si affacciò oltre l’anta dell’armadio che ospitava lo specchio, per rivolgergli un cenno di frettolosa gratitudine.
  «C’è Albus giù ad aspettarmi» spiegò. «Troveremo qualche buco in cui infilarci» disse e subito si accorse di un’imprecisa quanto ambigua scelta di parole.
L’espressione strana che contorse il viso di Vincent fu un’imbarazzante conferma.
Il ragazzo non disse nulla, solo andò via silenziosamente, portando con sé il suo volto turbato.
Quando raggiunse la Sala Comune, Albus Potter era visibilmente sereno.
Sedeva comodamente su una delle poltrone in velluto verde, affacciate verso l’ ampia vetrata che dava sul lago, e ancora il sole intenso di quella mattina si rifletteva sulla superficie specchiata. Leggeva un libro che doveva aver trafugato dalla Biblioteca, a giudicare dall’aspetto consunto e polveroso.
Era sfacciatamente rilassato. Quel ragazzo non conosceva vergogna.
Quando lo vide, Albus sollevò lo sguardo dal libro per studiarlo attentamente.
  «Non uno dei migliori lavori di Domenico» concluse dopo un’attenta analisi.
Scorpius si sistemò con fierezza il colletto della giacca.
  «Invece sono un incanto» disse acidamente «Nulla che i tuoi gusti da campagnolo possano comprendere».
Detestava quella giacca, era sensibile a riguardo e il ragazzo che lo fronteggiava dalla sua poltrona di comfort e lassismo ne era perfettamente consapevole.
Ma quel giorno, ancora più della sua giacca, detestava Albus Severus Potter.
Si sistemò con attenzione la tracolla intorno alla spalla, premurandosi di indossare una delle sue espressioni più altezzose.
Albus mugolò e chiuse di scatto il libro.
  «Sei ancora in versione Principe delle Serpi» si lamentò. «Forse dovrei iniziare a preoccuparmi»
Lo fulminò con un’occhiata carica di sdegno, prima di incamminarsi fuori dalla Sala Comune.
  «Forse» sibilò a voce bassa.
Avvertì il passo lento e silenzioso di Albus seguire le sue orme con una discrezione ponderata fino all’ultimo movimento.
  «Che cosa mi è sfuggito?»
  «A parte la Pluffa per tutta la partita?» rispose tranquillamente lui.
Il ragazzo sospirò lievemente ma ebbe il decoro di concedergli un silenzio di mortificazione.
  «Ok, me lo merito» concesse, dopo una lunga riflessione. «Ma ero ben consapevole di poter contare sul Cercatore migliore di tutta la scuola»
  «Non ci provare nemmeno» tagliò corto lui.
 «Mi riferivo a Dylan Kunis» precisò con una piega lieve e soddisfatta sulle sue labbra. «Veniva da una brutta influenza, poverino. Sapevo che oggi avrebbe mancato il tiro»
Scorpius si limitò ad ignorarlo, sapendo quanto accennare del turbamento ai timidi e letali colpi assestati da Albus potesse lenire il proprio contegno, e come invece la discreta vanità dell’altro ne avrebbe giovato.
L’amico cercò con lo sguardo una sua reazione, ma si zittì senza troppe proteste.
  «Hai davvero un brutto carattere» dichiarò Albus, dopo intollerabili secondi di silenzio.
Scorpius si fermò prima di voltare nel corridoi dei Sotterranei che li avrebbe condotti verso l’aula.
  «Non mi interessano le perverse dinamiche che ti permettono di tenerti buona la ragazza, ma metti a repentaglio un’altra volta la mia partita e sei fuori dalla squadra» disse con voce gelida.
  «Molto delicato, come sempre» replicò Albus in tono rigido.
Quando fu certo che l’amico gli ebbe restituito uno sguardo ostile, Scorpius si voltò in modo sostenuto e riprese a camminare con più indulgenza, accompagnato dal passo flebile dell’altro.
Attraversarono l’unico fascio dorato proteso ad illuminare il loro percorso e Scorpius avvertì il tessuto della giacca premergli nei punti in cui maggiormente lo fasciava, come a ricordargli l’imperfezione che aveva deciso di indossare.
Era davvero una pessima giornata.
  «Non sei andato così male» valutò Scorpius misericordioso, con lo stesso tono con cui poco prima l’aveva minacciato. «Coraggioso» aggiunse, piegando la voce in una vibrazione ironica.
  «Non ne voglio parlare» fece laconico Albus.
Scorpius gli lanciò uno sguardo di sottecchi. «Molto da Grifondoro, avrà sicuramente apprezzato»
  «Ho detto che non ne voglio parlare». 
Annuì comprensivo. «L’hai baciata davanti a tutta la scuola» disse semplicemente, come se il solo concetto evocato potesse chiarificare ogni perplessità.
  «Grazie per averlo precisato, rischiavo di rimuoverlo per sempre dalla lista dei peggiori attentati al mio orgoglio»
Si strinse nelle spalle «Molto in stile giullare di corte o Grifondoro»
  «L’hai già detto»
  «È vero, sono distratto. Sto pensando al triste destino del tuo ritegno»
Albus storse il naso e mugolò qualcosa.
  «Darsi alla fuga quando faccio l’unico gesto alla James della mia vita» si lamentò. «Poi si lamentano se ponderiamo le dimostrazioni d’affetto»
Scorpius lo guardò con gravità. «Chiariamo subito una cosa: tuo fratello non è e non sarà mai un modello da seguire»
Albus lo ignorò. «Pero se poi Kate mi bacia non le sta bene per niente»
  «Aspetta, Kate ti ha baciato?»
  «Più o meno»
Scorpius lo guardo interrogativo.
  «Al Ballo di Natale» spiegò, poi colse l’espressione ancora vuota del ragazzo. «Eri troppo impegnato a giocare alla bacchetta più lunga con quei due trogloditi di Alan e James» aggiunse.
Un lungo silenzio sostituì ogni replica.
  «Odio quando non mi dici le cose» decise infine.
Albus inarcò un sopracciglio «Non sapevo ci facessimo le treccine a vicenda»
  «Certe cose mi piacerebbe saperle»
L’amico si lasciò andare ad una risata ironica. «Non starai ancora provando ad andare con Kate?»
  «Più o meno» disse incerto. «O, meglio, non più»
  «Da quando non ci sei riuscito?»
Scorpius si fermò di colpo davanti all’ingresso ad arco basso dei Sotterranei, tanto che qualcuno, che lo seguiva di poco, gli andò a sbattere contro, augurandogli le peggiori pene dell’inferno. Ignorò il Grifondoro in questione e si spostò seccato per lasciarlo passare e liberarsi della sua trascurabile indisponenza.
Chiuse gli occhi per un attimo di improvvisata pazienza con cui si premurò di placare la propria irritazione.
Ricambiò a fatica la spensierata espressione sul volto candido dell’amico, valutando quanto potesse risultare sconveniente schiantarlo davanti ad un pubblico tanto folto.
  «Kate parla con me» spiegò Albus con naturalezza.
  «Perché tutti ti dicono sempre tutto?» sibilò velenoso, riconsiderando all’istante l’impulsiva benevolenza con cui gli aveva concesso amnistia. Si voltò e proseguì solo verso la lezione.
  «Si fidano di me» gli urlò dietro lui, divertito.
Scorpius lo ignorò e perlustrò le postazioni rimaste ancora libere.
Una rapida valutazione fu più che sufficiente per constatare come l’elemento di maggior interesse di tutta l’alula avesse una folta chioma rossa che precipitava lungo una sola spalla, mentre lei ne stuzzicava qualche ciocca pensierosa. Le scapole dritte erano perfettamente aderenti alla spalliera della panca, ma la schiena flessuosamente incurvata, come se fosse innaturalmente spinta lungo i fianchi, disegnava un arco irregolare e armonioso, in un atteggiamento talmente tanto vezzoso da far pensare che volesse mettere in evidenza il seno.
Sorrise a quel pensiero, sapendo bene con quanto sdegno avrebbe negato un’insinuazione simile.
Leggeva un libro, che, dalle piccole dimensioni, giunse facilmente ad escludere si trattasse di materiale da Pozioni. La testa inclinata e la cantilena del movimento delle dite riflettevano un’immagine molto assorta, tanto che Rose non sembrava prestare particolare attenzione alle gambe nude accavallate e troppo sporgenti lungo il corridoio.
Scorpius deglutì a fatica e seguì quella linea morbida fino alla coscia di lei, notando con piacere di quanto la gonna si fosse sollevata.
No, non si era accorta di nulla.
Qualcuno gli passò un braccio intorno al collo e seppe che si trattava di Albus dal modo delicato con cui cercò di stringerlo. Seppe subito quanto quello slancio affettivo, inconsueto e provocatorio, fosse solo la carezza infernale che precedeva il morso della vipera.
  «Non farne un dramma» disse, infatti. «Succede anche ai migliori».
Scorpius era avvezzo alle carezze demoniache di Albus Potter, eppure non poté fare a meno di digrignare i denti e sospirare con irritazione.
  «È successo solo una volta»
Albus annuì, intensificando l’abbraccio in un gesto di conforto.  «Non è la quantità, amico mio» spiegò lui allegro. «Piuttosto la ragione» continuò, per poi aggiungere qualche pacca poderosa sulle spalle di Scorpius, probabilmente immaginando di corroborare alla meglio il suo messaggio.
Fu un attimo in cui allontanò l’attenzione dalla propria lettura e Rose Weasley si accorse di loro, fermi in quel punto, vicino alla porta, da un tempo che lei non poteva nemmeno immaginare. Li guardò abbracciati, poi sorrise confusa e li salutò con un cenno incerto della testa.
In quel primo risveglio da un lungo torpore la ragazza si ridestò, accorgendosi della posizione indecorosa della sua gonna e si affrettò a sciogliere le gambe, risistemando l'indumento ad una lunghezza più dignitosa.
Ma Scorpius era già partito. Sentì Albus schiarirsi la gola.
  «Dove stai andando?»
Lui si voltò paziente. «C’è Rose» spiegò. «Tua cugina» si affrettò ad aggiungere.
  «Già , la vedo» disse, come se lui gli avesse appena comunicato che il sole splendeva alto quel giorno.
Attese qualche istante di tolleranza, ma Albus rimase nel suo tranquillo silenzio, mentre il resto degli studenti si affrettava in aula. Lanciò uno sguardo nervoso nella direzione della ragazza, non perdendo d’occhio i posti al suo fianco ancora liberi.
  «Immagino tu voglia farle compagnia» disse Scorpius, profondamente tediato da quella conversazione.
  «Immagini?»
Lui scosse le spalle in un cenno pigro.
  «Dico solo che sappiamo quanto sia incapace in Pozioni»
Albus lo fissò intensamente.
  «Ti preoccupi per lei?»
  «Come non detto» tagliò corto lui. «Prendo i posti accanto a Vincent»
  «Scorpius»
Era già vicino all’ultima seduta, quando la voce di Albus lo fermò con quel suo tono lento e cantilenante, di chi prova un perverso piacere nel suono prolungato delle parole.
Gli fece cenno di avvicinarsi, allora lui sollevò gli occhi al cielo e si prestò ad accontentarlo.
Albus continuava a guardarlo e poggiò una mano sulla spalla, fingendo di aggiustargli il collo della giacca o di lasciargli pacche di paterna complicità.
  «Sono molto preso da piccole questioni personali ultimamente»
  «Ne hai tutto il diritto»
  «Ti ringrazio per la comprensione»
Il ragazzo annuì soddisfatto e fece per andarsene, ma Albus lo afferrò poco delicatamente per un braccio e lo costrinse a ritornare al suo posto.
  «Credevo avessi finito» si lamentò, affrettandosi a ricomporre la giacca sgualcita dalla sua presa.
  «Sono molto preso, Scorpius» precisò Albus con voce lenta e puntigliosa. «Non stupido»
A quel punto lui decise che le pieghe sulla giacca fossero un male trascurabile e distese le braccia lungo i fianchi, cercando di rilassarle, poi le incrociò al petto e infine lasciò che queste si depositassero nelle tasche dei pantaloni, assumendo un’aria di disinteresse.
Lo scrutò appena, assicurandosi che Albus non perdesse di vista lo sguardo languido che tante volte gli aveva visto indossare e che lui adesso tentava di riprodurre.
Quando l’amico sollevò un sopracciglio tra il divertito e lo scettico, Scorpius decise che non fosse ancora arrivato il momento di farsi le treccine a vicenda.
Gli strinse la spalla con eccessiva veemenza, tanto che Albus emise un gemito di contrizione.
  «Cerca di fare lo stupido per un po’ allora, perché la situazione è più complicata del previsto»
La smorfia sofferente di Albus, sotto la presa ancora ferma di Scorpius, chiarì che non avrebbe indugiato a lungo sull’argomento.
  «Quando mai è stata semplice»
Scorpius gli scoccò un’occhiata sostenuta, ma decise di non replicare.
Scivolò accanto a Rose, seguito dall’amico che si sistemò silenziosamente al suo fianco.
Lei non si scompose quando li vide arrivare e sollevò appena il capo nella loro direzione.
  «Complimenti per la partita» fece a Scorpius, poi guardò il cugino. «E complimenti a te per lo spettacolo»
Albus sollevò gli occhi al cielo.
  «Per tua informazione, ho giocato anche io»
  «Ma lui è stato bravo» disse Rose semplicemente, tornando alla sua lettura.
Scorpius avvertì un calore inconsueto e sconveniente inondargli il collo e salire progressivamente verso il volto. Si augurò che il proprio colorito non avesse assunto una tonalità differente dal rassicurante pallore che da sempre celava ogni sua emozione, ma a giudicare dallo sguardo stranito che Albus Potter indossava senza discrezione né decenza, le parole della ragazza erano risultate sufficientemente singolari per caricare l’atmosfera di tensione.
Oppure lui era effettivamente arrossito e a quel punto avrebbe solo desiderato un’irruzione in aula di qualche parente Mangiamorte, salito dall’Inferno o da Azkaban  per accorrere in suo soccorso.
  «Fare lo stupido» farfugliò Albus in un borbottio fin troppo udibile. «Come se fosse facile»
Scorpius lo ignorò.
  «Lettura interessante?» si affrettò a chiedere, sporgendosi oltre la spalla della ragazza.
  «Spero di sì» rispose.
Poi chiuse il libro, lasciando un dito tra le pagine e si piegò nella direzione di Scorpius per avvicinarsi il più possibile ai due ragazzi in modo confidenziale.
Si sporse talmente tanto oltre Scorpius, così da includere in quella importante confessione anche il cugino, che fu costretta a poggiare una mano sulla sua coscia, con tanta naturalezza, come se stesse solo carezzando le venature del legno antico sotto di lei.
Scorpius, preso alla sprovvista, si irrigidì. Colse lo sguardo rapace di Albus piegarsi su quel gesto e poi lanciargli un’occhiata silenziosa che lui si preparò a respingere.
La pressione delle dita di lei era un dolce piacere che si irradiava su tutta la coscia, perforando la carne e raggiungendo il focolaio del suo turbamento.
A quel punto accavallò le gambe con perfetta disinvoltura.
  «Quante probabilità ci sono che Nott abbia scagliato una maledizione contro qualcuno?» sussurrò.
Sia lui che Albus la guardarono seri.
  «È un’accusa grave» tentò inutilmente Albus.
Rose Weasley si accigliò.
  «E chi sarebbe questo qualcuno?» chiese Scorpius in tono neutro, meritandosi l’ennesima occhiata scettica di Albus.
La ragazza sembrò rincuorata e piuttosto sorpresa.
  «Credo fortemente che si tratti di Isidore» rispose decisa.
Un silenzio teso scese su di loro e per un momento il vociare incosciente della classe fu una rincuorante melodia.
Scorpius attese senza dire una parola, lasciando che l’amico svolgesse il compito che a loro meglio riusciva quando si trattava della Weasley, ma che lui preferì astenersi dall’adempiere. 
  «Lo stesso Isidore che è morto tempo fa in un incidente?» replicò con ragionevolezza Albus.
  «Misteriosamente» precisò Rose.
  «Sta parlando di quell’idiota di Perkins» intervenne Scorpius, ora decisamente stizzito.
Rose Weasley avventò con maggiore insistenza i polpastrelli intorno alla sua gamba, tanto che oltre al piacere tra le cosce, Scorpius avvertì le unghie della ragazza pungolare la sua carne.
Mascherò un sussulto, irrigidendosi con dignità.
  «Quindi Isidore, bloccato in un limbo senza via di uscita» continuò lei.
  «Stai deliberatamente ammettendo che Perkins è un inetto impostore che fa di tutto per farsi scoprire» la sfidò lui.
  «O forse chiede aiuto»
  «A te?» fece scettico, accorgendosi in un secondo momento della punta di derisione nel suo tono ironico.
Rose Weasley arricciò le labbra, infastidita e lo guardò con le fiamme negli occhi.
Fu certo di essersi bloccato, di aver perso il sorriso beffardo sul suo volto sicuro, per precipitare nei ricordi che quelle labbra, protese a così poca distanza da lui, avevano risvegliato. Le fissò con troppa insistenza e un velo bruciante cosparse le guance della ragazza.
Le dita adagiate sulla sua coscia inerme presero a muoversi in lente e involontarie orme di lascivia.
Lui distese le braccia lungo le proprie gambe, assicurando a quelle mani gentili la necessaria protezione dallo sguardo indiscreto di Albus. Inspirò profondamente, guardò dritto davanti a sé, lontano da lei, lontano dalle sue carezze mortifere.
  «Se Vincent dovesse aver scagliato una maledizione contro Isidore, costringendolo a inscenare una così fragorosa morte, perché nessuno l’ha ancora riconosciuto?» chiese Albus.
Rose sfilò il dito dal libro che custodiva gelosamente e lo depositò sul grembo del cugino. Il testo recitava La svista delle maledizioni.
  «Nott non voleva che io arrivassi a questo punto» disse. «Non era nei suoi piani e non vuole che io vado affondo in questa storia o in questa lettura. Se nessuno l’ha riconosciuto, forse una maledizione c’entra davvero»
Vincent era seduto qualche fila davanti a loro. Non parlava con nessuno, come suo solito.
La sua ragazza-copertura gli lanciava sottili e distanti occhiate di struggimento, ma lui sembrava impassibile, indifferente e completamente innocuo.
O quella era l’idea.
  «E lavora con le provette di Arrows alle nostre spalle» aggiunse Scorpius.
Rose intensificò la stretta in un gesto di gratificazione e Scorpius fu costretto a sigillare maggiormente la giuntura tra le sue gambe.
  «Supposizioni azzardate, considerando che non abbiamo neanche idea di quale sia la Pozione in questione» proseguì Albus.
Il vociare si spense al lugubre trascinarsi di Arrows lungo il tetro corridoio. 
Le tenebre scesero sull’aula a suon di bacchetta e l’unico raggio di luce si affacciava timido da una lampada in ferro brunito e illuminava scenicamente gli oggetti sulla cattedra.
Ognuno di loro tornò al proprio posto, Rose Weasley smise di torturarlo e Albus Potter si chiuse in un silenzio meditativo.
Scorpius rilassò le spalle, poi il respiro, e riprese una postura più comoda, lasciando libere le proprie fantasie di scorrere fluide tra i suoi pensieri e di ravvivare il suo corpo.
In quel buio complice,  si premurò di rivolgere a Rose un’occhiata ammonitrice.
Non sapeva se fosse semplicemente imprudente o ancora inconsapevole dell’effetto che ogni suo tocco aveva su di lui.
Lei gli restituì un’espressione confusa su quel volto candido, arricciando le labbra in movimenti impercettibili, lenti e invitanti, piegando le lunga ciglia languide sui grandi occhi blu, bagnati di una luce ingenua, e Scorpius capì che Rose Weasley lo stava provocando.
In quelle sembianze, prima tanto docili, ora così spavalde e prepotenti, la ragazza sembrava credere davvero di avere qualche possibilità contro di lui.
Scorpius sorrise nel buio, si piegò sulla pergamena, fingendo di intensificare i suoi appunti, e si lasciò scorrere nella direzione di Rose, in modo tale che solo piegando lateralmente la gamba avrebbe finito per sovrastare quella di lei.
La piuma scorreva rapida e sinuosa sulla pergamena e la sua mano sgusciò scaltra e silenziosa sotto il tavolo, artigliando la coscia nuda e fresca di Rose Weasley in quella giornata umida nei Sotterranei.
La senti sobbalzare con talmente tanta energia che la piuma cadde sul banco in un frastuono eccessivo e Arrows si voltò di scatto per fare rimpiangere a qualcuno quell’atto di insolenza.
La carne pulsante di lei si infiammava nei punti in cui lui la premeva tra i polpastrelli e il palmo. La mano di Rose corse sotto il tavolo ad incontrare la sua, per ricacciarne ogni proposito, ma Scorpius oppose una ferrea resistenza e la lasciò lottare invano per qualche secondo, finché non addomesticò con le proprie dita, quelle ribelli di lei.
Contro la sempre più debole difesa della ragazza, intraprese un lento percorso sulla sua pelle, risalendo tutta la coscia.
Avvertiva i brividi di lei, sotto il suo tocco, penetrare i polpastrelli nei punti in cui li lasciava scorrere dolcemente. La vide inarcare la schiena per combattere una battaglia che le procurava solo piacere, mentre lui iniziò a lambire l’orlo della gonna, lasciandosela scorrere tra le dita e varcando quel confine per inoltrarsi sotto di essa, tra i sospiri trattenuti di Rose.
Infine raggiunse la parte più alta di quella pendenza, si arrestò nell’incavo dell’inguine, dove la morbida curva della sua pelle lo lasciava precipitare nel più profondo degli abissi.
Sfiorò l’orlo del suo intimo in una tiepida conoscenza di tutto ciò che gli era proibito, e una fitta di dolore lo prese violentemente, in un modo che aveva già previsto. Chiuse in un pugno la mano libera distesa sul banco.
Intensificò le carezze, indugiando sui punti fino a poco prima inesplorati e affacciandosi senza pretese né avidità su quelli ancora selvaggi.
La senti irrigidirsi sempre di più, abbandonare ogni protesta e dischiudere appena le gambe per lasciarlo navigare.
Lei sollevò la testa, dritta e fiera, verso il tavolo e le parole di Arrows, ostentando una attenzione che non poteva permettersi. Portò una mano all’altezza della bocca e avvolse l’estremità del dito tra le labbra, per poi stringere forte con i denti e sfogare così ogni pensiero.
Scorpius si sentì impazzire.
Abbandonò di scatto il sentiero inesplorato e ritirò la mano.
Rose lo guardò spiazzata. Gli occhi stravolti, deboli erano lontani da ogni innocenza e gli chiedevano una sofferente spiegazione.
  «State pensando quello che credo?»
La voce bassa e vicina di Albus squarciò il buio e li ghiacciò.
Davanti al silenzio profondo che seguì, il ragazzo riprese.
  «Che la soluzione scintilla invitante tra le grinfie in decomposizione di Arrows?» disse, indicando il tavolo degli strumenti.
Scorpius si sentiva ancora stordito. «Di che stai parlando?» fece irritato dopo un po’.
Albus gli scoccò un’occhiata delusa e guardò la cugina.
Rose Weasley sembrò risvegliarsi da un lungo coma. Si schiarì la gola nonostante le fosse richiesto solo un bisbiglio e la voce venne fuori tremante.
  «Scusa, Al, sono rimasta indietro» 
Scorpius trattenne un sorriso.
Il ragazzo li guardò per qualche istante, poi sorvolò in un rapido e accondiscendente battito di ciglia lunghe e scure. Con un cenno del capo li condusse fino alla cattedra illuminata, alle mani di impacciata delicatezza con cui Arrows disperdeva gocce cristalline come l’acqua in una coppa d’argento ossidato.
Come in un imbuto, la coppa accolse il liquido verso un percorso sinuoso dove un tubo dello stesso materiale si contorceva in continui meandri, fino a sfociare, all’estremità opposta, in piccoli brandelli di piume.
Era solo un incantesimo, ma Scorpius non ebbe dubbi che l’idea fosse quella di un uccello disintegrato.
  «Qualcuno ha capito quale Pozione abbiamo davanti?» fece Arrows altisonante.
  «Distillato di Morte Vivente» rispose di scatto Rose Weasley, in un tono alto e assorto.
Nella teoria era sempre la più scattante.
Arrows arricciò le sopracciglia, nervoso. «La mano» ringhiò, mentre la vena sulla tempia. premeva anche nel buio. «In sei anni non sono riuscito a trasmetterle nemmeno l’educazione, Miss Weasley» borbottò senza confermare né smentire la sua risposta.
Ma Rose non gli prestava attenzione. Sapeva di aver azzeccato e sapeva che per la prima volta, in sei anni, Arrows era riuscito a trasmetterle davvero qualcosa.
Si voltò esitante verso di loro, ma parlò decisa.
  «Mi duole profondamente essere riconoscente ad Arrows, ma abbiamo una soluzione».
 
 
 
- § -
 
 
 
Johanna era da sempre una presenza disturbante, ovunque mettesse piede.
Si trascinava dietro sguardi di rimprovero, sospiri esasperati e insulti mai troppo velati. Eppure lei non vi aveva mai fatto troppo caso.
Rose la fissò come fosse in contemplazione. Ne seguiva i movimenti della piuma, indecisi ma costanti sulla pergamena, e rifletté su quanto l’amica dovesse essere sconvolta dopo i recenti avvenimenti, per decidere di concentrare tutte le proprie energie sullo studio.
Poi Johanna allungò il collo senza troppi problemi sul compito appena terminato di Rose, e riprese la sua composizione con più decisione.
Scosse la testa con disappunto.
Johanna fingeva una placidità come il più nodoso tra i cieli grigi.
Rose le lasciò sbirciare sul suo lavoro appena terminato e puntò la bacchetta contro La svista delle maledizioni, cercando di incantare il libro affinché le rivelasse chi prima di lei l’avesse consultato.
Non erano informazioni cui gli studenti avevano accesso, per questo erano ben custodite nei preziosi registri di Madama Pince, ma d’altro canto in nessuno di quegli schedari era stata segnata l’appropriazione illecita di quel manuale da parte di Rose. Niente le avrebbe dato informazioni accurate quanto il libro stesso.
Puntò la bacchetta contro il manuale ma questo le rispose con un silenzio cupo e polveroso.
Quando dalla borsa Johanna tirò fuori un pacchetto di sigarette, Rose sollevò prontamente la bacchetta e lo fece sparire in un solo movimento.
  «Non sei nemmeno un Prefetto» si lamentò questa.
  «È una Biblioteca» rispose seria Rose.
Johanna roteò gli occhi, ma non rispose.
Un punto a suo vantaggio. Più l’amica fingeva indifferenza, maggiori erano le probabilità che si tenesse alla larga da questioni che Rose non aveva ancora deciso di condividere con qualcuno. Come tutta la storia di Malfoy, ad esempio.
Tuttavia Rose non era disposta a sopportare a lungo tutto quel silenzio.
  «E tu sei a conoscenza della sua esistenza, evento degno dei migliori memoriali»
Johanna sembrava sinceramente interessata al compito di Incantesimi, pertanto non la degnò di uno sguardo.
  «È pur sempre un’ottima soluzione se vuoi far sparire le tue tracce per un po’» continuò Rose.
La ragazza annuì distrattamente, poi allungò il collo oltre la sua pergamena, sul compito già concluso di Rose. Questa sfilò il testo in un gesto rapido, lasciando scorrere tutte le risposte sotto gli occhi dell’amica.
  «Non puoi ignorare a lungo i problemi»
  «Ti riferisci ad Incantesimi Avanzati o al tuo fiato sul collo?»
Rose si stizzì appena. «Ad Albus».
La ragazza si strinse nelle spalle. «Non faccio nulla di diverso dal solito. Lo tratto come l’ho sempre trattato, non so cosa abbia voluto dimostrare con l’umiliazione di stamattina».
Rose era incredula davanti a tutta quella ostentata rigidità.
  «Di essere disposto a tutto per te?» azzardò.
  «Di non sapere eseguire una marcatura a doppio livello» la corresse con una smorfia ironica.
A quel punto Rose fu costretta a deporre la piuma e ad allontanare il manuale di Incantesimi. Si sporse meglio verso l’amica e parlò lentamente con voce più alta di quella richiesta da Madama Pince, ma perfettamente aderente alla gravità della situazione.
  «Joa, ti ha baciato» spiegò, dubitando seriamente che la ragazza se ne fosse accorta.
Johanna scosse la testa. «No,  ha giocato in modo tremendo per dimostrarmi che è disposto a perdere per me» sputò fuori di sé. «Quale persona sana di mente farebbe una cosa del genere?».
Rose ci pensò su qualche istante, ma la risposta era già sulla sua bocca da tempo.
  «Una persona innamorata».
Questa volta anche Johanna abbandonò ogni tentativo di mostrare interesse per lo studio e la guardò intensamente.
  «Un tempo mi avresti risposto ‘una persona debole o disposta a tutto pur di dimostrare di avere ragione’».
Dallo scaffale che delimitava il corridoio dall’accesso all’area studio comparve il passo lento e rilassato di Scorpius Malfoy. Stava per superarle e proseguire, quando le vide in fondo al tavolo affacciato sull’ampia finestra di mosaico, arrestò repentinamente la marcia e si diresse nella loro direzione.
Malfoy non pensò di dare troppa importanza all’interruzione di cui si stava rendendo artefice. Si limitò a guardarle annoiato e a fare un cenno della testa a Johanna.
  «Jordan, ti dispiace?»
La ragazza, che in un'altra occasione avrebbe ben volentieri replicato all’insolenza del nuovo arrivato, sembrò sollevata all’idea di chiudere la questione. Raccolse la propria pergamena e si piegò un’ultima volta verso Rose.
  «Un tempo in cui Malfoy non mi avrebbe invitato gentilmente a lasciarvi soli» spiegò con voce ben udibile, prima di fare un cenno di commiato al nuovo arrivato.
Scorpius Malfoy, a proprio agio come se non avesse ascoltato una parola, voltò una sedia accanto a Rose e si sedette comodamente. Abitudine piacevole che quel giorno non si era ancora deciso ad abbandonare.
Piacevole sì, ma inopportuna.
  «È il caso che io ti ricordi che siamo in una biblioteca?»
Un ghigno gli rigò il volto, come se quella constatazione avesse contribuito ad accendere qualunque sua intenzione, piuttosto che placarla.
  «Ti sentirai più a tuo agio».
Lei si accigliò appena. «È un’offesa, Malfoy?».
  «Dipende» disse, avvicinandosi pericolosamente al suo orecchio, mentre la mano sgusciava sul suo fianco, stuzzicando la camicia in un gioco lento e continuo, invitandola a liberarsi dalla stretta della gonna. «Hai intenzione di farmela pagare?»
Rose perse la capacità di capire cosa stesse accadendo intorno a loro. Quando il ragazzo riuscì a sollevare definitivamente la camicia, la sua mano oltrepassò quel misero vincolo, infilandosi sotto di esso e accarezzando la pelle di lei, prima delicatamente, poi in un modo sempre più invadente, percorrendo tutta la superficie del suo addome.
Lei chiuse gli occhi, avvertendo solo il petto soffocarla per il ritmo eccessivo con cui il cuore la metteva in allarme e un caldo piacere invaderle lentamente il punto in cui più desiderava avvertire il suo tocco.
  «Per così poco?» rispose lei debolmente, mentre le dita del ragazzo proseguivano la loro esplorazione sempre più in alto.
Si arrestò di colpo. «Poco?» disse, inarcando le sopracciglia.
Rose non capì se fosse più offeso o divertito, ma lei si riscosse nel frangente di quella breve esitazione, rendendosi subito conto dove si trovassero. Gli afferrò la mano, portandola fuori dalla camicia, lontano dal suo corpo.
La cosa sembrò divertirlo maggiormente.
Si chiuse in un sospettoso silenzio, fissandola per minuti interminabili, mentre lei si ostinava a dimostrarsi concentrata sulla ricerca cui era dedita. Poi si rilassò definitivamente contro lo schienale, guardandosi intorno per accertarsi della presenza che popolava quella biblioteca.
Disteso sulla sedia, aveva un atteggiamento tra il regale e l’annoiato, come se fosse comodamente adagiato su una delle sue morbide poltrone in velluto verde. Le dita tamburellavano sul legno del tavolo e l’atteggiamento da padrone con cui si guardava intorno rendeva chiara l’idea di quanto Scorpius Malfoy riuscisse a trovarsi a suo agio in ogni contesto.
In un modo che le aveva sempre dato sui nervi.
Un tempo.
  «Ti posso dare una mano?» fece lui con un interesse che rasentava la canzonatura.
Rose, che aveva sempre difficoltà ad individuare quella linea sottile, gli lanciò un’occhiata di sbieco. «Dipende, posso tenerti a bada?».
Una smorfia ironica sostituì per un attimo la sua espressione rilassata. «Non esagerare, Weasley».
Lei scosse la testa, adesso divertita.
  «Mi piacerebbe studiare».
  «Mi riferivo a quello, infatti» disse lui. «Dovresti placare i tuoi ormoni».
Rose depose la piuma per voltarsi lentamente verso di lui con un’espressione di profondo sdegno sul volto. Sbatté le palpebre un paio di volte in un gesto di teatrale sconcertamento. Fu indecisa se alzare il mento stizzita, tornando a studiare con marcato risentimento, ma pensò fosse il caso di non esagerare.
  «L’hai detto davvero?» si limitò a replicare.
Scorpius rise, poi perlustrò la sua figura con un’insistenza che mise Rose a disagio.
  «Sei stata un po’ impudente questo pomeriggio» disse con voce bassa e tremendamente insinuante.
  «Non credo tu sia nella posizione per esprimerti sulla questione».
La sua provocazione cadde nel vuoto, quindi Rose sollevò la testa sul suo muto interlocutore e lo trovò a fissarla con talmente tanta intensità che il cuore le si bloccò in petto e riprese a battere con martellante frenesia.
La mano di Malfoy vagò sulla superficie del legno fino ad incontrare la sua, mentre con il busto eliminava ogni distanza. Le era vicino, talmente tanto da dubitare che fossero seduti su sedie diverse.
Un paio di studenti passò nel corridoio limitrofo e Rose ricacciò il ragazzo al suo posto con una mano sul petto e una spinta decisa. Scorpius tornò a rilassarsi sullo schienale con un sorriso a metà tra il seccato e il divertito.
Poi Rose lasciò scivolare sotto i suoi occhi il libro che aveva tra le mani.
  «Che roba è?»
  «Hai detto tu di volermi aiutare con lo studio».
Scorpius la guardò visibilmente deluso, tacendo quella che aveva l’aria di essere un’importante lotta interiore. Infine contrasse la mascella e trattenne un mezzo sospiro.
Scrutò La svista delle maledizioni come se fosse una lezione di Cura delle Creature Magiche dai dettagli particolarmente disgustosi.
  «Non credevo avrei passato la serata a parlare di Korbin Perkins» disse in tono duro e vagamente accusatorio.
  «Non parlerei mai di lui con te» rispose di rimando Rose.
Lui sollevò due occhi di ghiaccio e la penetrò con un’occhiata cupa. Rose si sentì colpita come se le avesse appena scagliato contro una Maledizione Senza Perdono.
  «Non era quello che intendevo dire».
Scorpius la fissava in attesa.
Aveva la strana sensazione di averlo ferito in qualche modo che lei non comprendeva veramente e ancora più nuova era la consapevolezza di esserne dispiaciuta. Cercò una strada per rimediare e individuò le sue dita distese sul tavolo, poco distanti dalle proprie, le stesse dita che conosceva così bene, ma che in quel momento non riuscì a stringere.
  «Se ho novità in merito aspetto che siate presenti sia tu che Albus» tentò di spiegarsi, avvertendo il pericolo di stare solamente peggiorando la situazione. «Potresti semplicemente aiutarmi con un incantesimo di cronolocalizazione?» terminò con un sospiro.
  «Credevo fossi tu quella esperta di Incantesimi» disse lui con voce gelida.
L’ostilità di Scorpius era a quel punto una certezza.
Mai come in quel momento aveva desiderato fuggire da Scorpius Malfoy, abbandonare in quel punto insieme a lui tutta l’ incertezza che la pietrificava. Mai aveva desiderato a tal punto l’arroganza che da sempre disprezzava ma che aveva così familiarmente imparato a fronteggiare.
La mano di Scorpius era ancora lì accanto alla propria, ma afferrarla avrebbe voluto dire compiere quel passo in più, lo stesso che la mattina precedente, nel bel mezzo del campo da Quidditch, lui aveva disdegnato.
Cercare la sua approvazione, poi, implorandogli un perdono di cui lei non necessitava o piegando il proprio orgoglio ad una più esplicita richiesta di aiuto, era fuori discussione.
Nel dubbio di non avere armi sufficienti per riportare l’attenzione del ragazzo sotto il proprio controllo, Rose accavallò le gambe, premurandosi di guidare la gonna sempre più lontana dalle proprie cosce.
Come si aspettava, lo sguardo di Scorpius si piegò in un gesto involontario e il ghiaccio nei suoi occhi si tinse di ombre rossastre e calde.
  «Lo sono, pensavo solo che un punto di vista in più avrebbe reso le cose più interessanti» disse Rose, mentre i capelli le ricadevano lentamente lungo la spalla, lasciando libero il collo e la timida scollatura della sua camicetta.
Scorpius Malfoy sgranò gli occhi in un impeto improvviso e fuori controllo, poi allontanò lo sguardo da lei e piegò gli angoli della bocca in un sorriso di lieta sconfitta.
Si guardò intorno con naturalezza e si sollevò delicatamente dalla sedia, facendo il giro del tavolo e allontanandosi da lei con una lentezza talmente estenuante e studiata che Rose pensò volesse solo lasciarsi ammirare. Solo quando fu nel corridoio si voltò verso di lei.
  «Che aspetti, Weasley?»
Lei lo guardò con sospetto.
  «Mi sembra un po’ troppo chiedermi di fidarmi di te» disse lei, lanciando un’occhiata dubbiosa al corridoio buio e deserto che lui stava imboccando.
Scorpius inarcò le sopracciglia piuttosto interdetto dalle innumerevoli contraddizioni cui la ragazza sembrava dar voce, poi piegò le mani nelle tasche, paziente e soddisfatto, perché, tutto sommato, le sue incongruenze avevano la piacevole forma della prevedibilità.
  «Non ti ho mai chiesto di fidarti» replicò con voce calda. «Dovrai correre il rischio».
Scorpius Malfoy era già un lontano ricordo inabissato nelle ombre scure degli alti scaffali, quando Rose si decise a seguirlo.  Continuava a camminare, senza voltarsi né fare cenno di curarsi se lei fosse o meno dietro di lui. Si arrestò solo quando raggiunse l’ultimo corridoio, più buio rispetto agli altri, dove Rose aveva sempre stentato a credere che ci fossero realmente libri di una qualunque utilità.
Era un antro nascosto, in cui nessuno studente aveva mai messo piede, e probabilmente persino Madama Pince aveva rimosso la sua esistenza dalla sua già impolverata memoria.
Quando Rose si affacciò oltre la scala in legno adagiata sullo scaffale come la grata di una gabbia posta al confine di un territorio inesplorato e pericoloso, lo vide poggiato contro un tavolo occasionale, ad attenderla. Il palmo delle mani premuto sulla superficie che lo sorreggeva tradiva il bisogno di separarsi da lì il prima possibile e di andarle incontro.
La penombra era perfetta, macchiata solo ma sprazzi di luce tiepida, diffusa in lontananza. Ne illuminava solo le forme del viso più aspre, creando un profilo più duro di quanto non permettessero i suoi lineamenti eleganti. I capelli gli ricadevano morbidi sugli occhi accesi e immobili, puntati avidamente su di lei.
Scorpius Malfoy le diede solo il tempo di cogliere il lampo di inebriante vittoria sul suo volto ombroso, prima di far guizzare le sue braccia intorno al corpo di Rose e premere le labbra contro le sue.
Lei ebbe appena la forza di soffocare il lamento di protesta tra la prepotenza del suo tocco.
La afferrò per i fianchi, lasciando che si scontrasse contro il suo busto, sollevandola appena, tanto da poter intensificare quel contatto. Le assaporò le labbra in movimenti frenetici e caldi, prima lentamente poi con impazienza crescente, dischiudendole e inserendo la sua lingua con veemenza.
Lambì il loro contorno, ormai gonfio dopo quel continuo strofinio, si lasciò scorrere il labbro inferiore tra i denti, lentamente, passando ad assaggiare il mento, poi il collo.
Rose aveva debolmente cercato di allontanarlo, per ricordargli di non poter pretendere quell’infida vittoria. Gli aveva graffiato le mani sui propri fianchi, voltando la testa e allontanando le labbra che lui cercava sfacciatamente e di cui si impossessò con irruenza.
Per rendere chiara quell’urgenza che non ammetteva repliche, lui spinse il bacino contro quello di lei, conducendola in un percorso dove Rose era cieca, finché non andò a sbattere contro la libreria alle sue spalle e lui poté premere con forza maggiore tutto il suo desiderio, incatenandola in un vincolo senza via di uscita.
Ma Rose era già contro il suo petto, gli accarezzava le spalle, le scapole, il viso, fino a perdersi nei suoi capelli. Li afferrò con la stessa energia con cui lui le stringeva i fianchi, inebriandosi di quel controllo che lui era ben disposto a concederle. Lo guidò con quella presa, conducendolo più affondo contro il suo collo, sentendolo assaporare con i denti la sua carne, come volesse succhiarle via ogni goccia di sangue.
In un attimo la mano di Scorpius aveva già ritrovato la strada sotto la sua camicetta, e si era arrestata solo quando ebbe i suoi seni stretti tra le mani.
Rose disperse un gemito di respiro soffocato, che penetrò nell’orecchio di Scorpius così vicino alla sua bocca, invitandolo a proseguire. Le dita del ragazzo esploravano i disegni del pizzo che contornava il reggiseno, ne seguirono ogni dettaglio, mentre i bottoni della camicia sfuggivano alle asole, sotto l’impazienza di quella mano.
Rose avvertì la spalla libera dalla camicia ormai aperta e dispersa sul suo braccio. Vide Scorpius arrestare la sua corsa senza fiato, il petto ampio che la copriva sollevarsi in respiri mancati e frenetici. Con le dita indugiò sulla sua spalla nuda, più volte, in carezze leggere, tastò la bretella nera del reggiseno, lasciandosela scorrere tra le mani, pizzicandola, finché non tornò come una frusta sulla sua pelle.
Poi la abbassò completamente e si avventò sulla sua spalla completamente nuda, assorbendo tutto il profumo che quel lembo di pelle scoperto gli concedeva, poggiando labbra piene sul contorno della spalla, risalendo fino al collo, tra i lamenti che Rose si costringeva a tenere bassi.
Rose lanciò uno sguardo rapido alla luce in fondo a quel corridoio, dove loro erano rintanati, accertandosi che fossero ben riparati, non rinunciando ad inarcare la schiena tra le sue mani, permettendogli di approfondire ogni sua intenzione.
Le mani di Scorpius erano impazienti. Percorsero con una lentezza estrema tutto il suo addome, le sfiorarono il seno, proseguirono fino alle spalle e si bloccarono solo sulla camicia che ancora copriva tutto alla sua vista. Fece per sfilargliela, ma Rose si irrigidì e lanciò un altro sguardo teso lontano da loro.
  «Cosa c’è?»
  «Controllo che non ci sia Tess Rivers»
Scorpius la guardò confuso e si voltò nella stessa direzione. «Perché dovrebbe esserci Tess Rivers?»
  «Sembra abbia la capacità di essere ovunque»
Lui inarcò le sopracciglia.
  «Devo andare a controllare?» disse, allontanandosi da lei di colpo.
Quell’assenza improvvisa la fece sentire nuda, più di quanto non facesse la camicia scoperta. In un istante la pressione del suo corpo era diventata un vuoto di buio e polvere che le strofinava la pelle, il suo petto ampio, prima costretto contro il proprio, aveva smesso di sopraffarla, lasciandole ritrovare un respiro più pieno, ma più pesante.
  «No» sussurrò.
Lo cercò con le dita, trovò le sue, prima avidamente, poi in una carezza sospirata, quando fu certa che quel contatto l’ebbe restituito la tranquillizzante incapacità di respirare. Allora le intrecciò e, sicura di averlo tra le proprie grinfie, lo riportò a sé, contro il proprio corpo, vicino tanto da potersi sentire avvolta dal suo calore.
Lo vide sorridere, stringendole la mano, sollevandola fino all’altezza del viso di Rose, che prese a lambire con i polpastrelli, mentre lei chiudeva gli occhi e si lasciava accarezzare. 
Poi non sentì più niente.
Aprì gli occhi e trovò la mano di Scorpius sospesa vicino al proprio viso, ferma. Gli occhi di lui erano puntati contro il buio del corridoio che proseguiva oltre loro, verso la Sezione Proibita.
Con la mano che poco prima le aveva accarezzato il volto corse a sollevarle la camicia per coprirle spalle e seni, mentre nell’altra la bacchetta era già sguainata.
  «C’è qualcuno» disse in tono gelido.
 






TagalogSentire le farfalle nello stomaco.

 
 
 
 
Come implorare perdono nel modo sbagliato.
 
Un ritardo vergognoso, non c’è che dire e non ci sono scuse.
Potrei parlare del terribile periodo tra esami telematici da film horror, relatori che si danno alla macchia e progetti di tesi irrealizzabili. Potrei aggiungere la prevedibile dipartita di un computer centenario che però era la mia casa e cassaforte.
Avevo questo capitolo in forno da parecchio tempo, attendeva solo gli ultimi minuti di grill per creare la crosticina in superficie che però è sempre la parte più buona. E senza crostiscina non avrei mai potuto servirvi il piatto forte.
Finalmente l’ho sfornato e ve lo cedo come richiesta di misericordia.
Finalmente si ritorna, se pur con tempi più dilatati, alle piacevoli abitudini della quarantena.
Mi mancavano i miei ragazzi, ma ancora di più mi siete mancati Voi, che sempre date vita alla mia ispirazione.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 20
*** Hanyauku ***


 
 
 
Crepita, la vita, brucia istanti feroci e negli occhi di chi passa anche solo a venti metri da lì
non è che un'immagine come un'altra,
senza suono e senza storia.




CAPITOLO XX
 

 
Hanyauku


 
Scorpius le dava le spalle, aveva le dita di una mano leggere sui dorsi dei libri ai limiti dello scaffale e l’altra mano bassa e ferma sulla bacchetta.
Rose aveva lasciato pazientemente che lui si irrigidisse e abbandonasse i suoi fianchi delusi, mentre qualcosa le pulsava dentro, e l’umida attesa lasciava il posto alla perplessità.
L'odore acre di muffa le solleticava il naso, gli occhi iniziavano a bagnarsi per la polvere e la nausea. Non impiegò molto a chiedersi cosa l'avesse spinta a rintanarsi in un anfratto in compagnia di quel ragazzo alto e biondissimo che ora guardava rigido un punto imprecisato.
Lo sentì sospirare nel buio, ne individuò il profilo, ne cercò lo sguardo, lo stesso suo sguardo perso e contrito di chi teme che qualcosa non sia andata nel verso giusto. Scorpius Malfoy era preoccupato, lo capiva dal suo silenzio denso di un respiro affannato che ricerca il suo equilibrio, e di guance arrossate, lasciate spegnersi al pallore di sempre.
  «C’è qualcuno» aveva ripetuto come a porle una domanda.
Il volto era contratto in emozioni istantanee che lo macchiavano a intermittenza, dando appena il tempo a Rose di decifrarne una e subito questa retrocedeva per fare spazio a una nuova smorfia. Era un discorso, una lotta che Scorpius stava tenendo dentro di sé e che il viso provava a riassumere.
  «Hai qualche difficoltà, Malfoy?»
Non seppe spiegare perché la propria voce risuonasse così altera, e solo quando il ragazzo piegò uno sguardo intenso su di lei capì quanto le risultasse facile apparire velenosa. Era irritata da quella pausa e cominciava a chiedersi per quale ragione lui l’avesse condotta nell’anfratto polveroso di un luogo pubblico, se fosse tanto suscettibile a tenui manifestazioni di vita.
La guardò come se si fosse appena reso conto di averla lasciata lì, in attesa. Poi i passi tornarono più vicini e le voci più nitide, tanto da poter distinguere un suono maschile e uno femminile profondo e severo, in quello che altrimenti sarebbe sembrato un unico mormorio.
Scorpius Malfoy si dimenticò nuovamente di Rose, tornò tetro e confuso, poi incredulo. Lanciò uno sguardo ostinato ad uno dei grandi orologi a pendolo posti ad ogni incrocio del corridoio: quello che segnava le 5 del pomeriggio in Rune Antiche era l’unico alla portata della loro visuale.
In un primo momento Rose interpretò lo sguardo sgomento del ragazzo come irritazione per la propria incapacità di decifrare i segni antichi, poi si ricredette con meraviglia, perché Scorpius Malfoy si voltò verso il cielo ancora luminoso cercando una conferma a quella verità che l’orologio gli aveva restituito e che lui non doveva aver gradito.
  «Qual è il problema?» sbottò a voce troppo alta.
Malfoy l’avrebbe ignorata ancora per un po’ se l’impulso di incenerirla con un’occhiata gelida non avesse preso il sopravvento.
  «Te ne devi andare» la liquidò senza troppi complimenti.
  «Cosa?»
Solo per un breve momento non seppe a chi dare ragione nella disputa che lo sgomento e la vergogna stavano sostenendo duramente, finché quest’ultima non prevalse, facendole sudare i palmi delle mani.
Scorpius la afferrò per la spalla, strattonandola distrattamente la trascinò lontano da lì, mentre lei, come un corpo inerme, seguiva la sua volontà, pronta ad adattarsi al nuovo utilizzo cui lui l’avrebbe destinata. Si fermò poco prima di imboccare il corridoio principale, dando le spalle alla Sezione Proibita, e le artigliò il braccio, poi lo sguardo frettoloso cadde sul suo petto ancora discinto.
Lo vide piegare le palpebre con lentezza, mentre le dita si impegnavano nel richiuderle la camicetta, questa volta con più delicatezza. Indugiò sul primo bottone, per premura o indecisione, Rose non seppe dirlo. Certo era che i suoi modi si fossero addolciti.
Con uno scatto della mano Rose cacciò via le sue dite e ogni tentativo di tenerezza.
  «Copriti, per favore»
  «Fai sul serio?». Per tutta risposta ostentò una scollatura che lasciava poco spazio alla fantasia.
Lui socchiuse gli occhi per calmarsi, ma le sue parole suonarono come un ordine  «Weasley, non è il momento».
Per fare cosa, non le era chiaro. Discutere o altro?
Di sicuro non c’era più tempo per gli indugi, e le voci alle spalle di Scorpius presero forma e risalirono le scale sullo sfondo.
Lesse negli occhi di Scorpius una lotta interiore che lo bloccava su stesso, nell’attesa del responso positivo su quale sarebbe stata l’uscita senza danni. Ma la sua attesa la innervosiva, il suo timore la faceva sentire sporca, e la vergogna di essere immobile in attesa di una sua decisione era un’onta troppa grave da poter sopportare. Malfoy possedeva, in quel momento, un controllo sul suo corpo più forte di quando l’aveva spogliata e toccata senza pudore.
La stessa indecisione, che imbalsamava Scorpius, era energia vitale che le chiedeva di agire: prenderlo a pugni e andarsene da lì, ad esempio
Ma prima di poter prendere qualunque decisione, qualcosa accadde contro ogni sua volontà. Scorpius Malfoy la spinse contro la parete e la sovrastò con il suo corpo, fino a incontrare le sue labbra in un assaggio avido e frettoloso, tanto che l’umido della sua bocca strabordò i contorni rosei e la pelle fino al mento accolse i suoi baci insensati.
Non ebbe il tempo di spingerlo via o di rispondere al suo impulso, perché quel mormorio indistinto si fece inconfondibile mentre Clegar Walder li interrompeva.
  «Mi sorprende doverti ricordare che esistono posti più consoni, Scorpius» disse compiaciuto. «Credevo avessi smesso da anni di portarle in Biblioteca».
Rose era finalmente riuscita ad allontanare bruscamente Malfoy: lui aveva allentato la presa e sembrava aspettare solo che lei lo rimettesse al suo posto. Il ragazzo finse una smorfia irritata e divertita, ma accolse docilmente la sferzata del suo superiore.
Per quanto la rabbia le facesse tremare le mani, Rose si dipinse sul volto un’espressione mortificata, non appena vide la figura che accompagnava il Caposcuola Serpeverde.
  «Roxanne»
La cugina l’avrebbe biasimata, lo sapeva bene. Non solo, avrebbe scelto per entrambi una punizione degna di nota, denunciandoli alla Preside con immediata segnalazione ai genitori, ricordando loro quanto indegno fosse violare i sacri spiriti di quell’aula.
Eppure Roxanne a stento riusciva a reggere il suo sguardo. Era schiva, a disagio, la pelle scura chiazzata da segni violacei intorno agli occhi. Non aveva mai visto l’irreprensibile Caposcuola Corvonero chinare il capo dinanzi a una violazione delle regole. Allora Rose studiò meglio i due intrusi.
Perché è qui con Walder?
Scorpius al suo fianco sembrava porsi la stessa domanda, ma un’ombra più scura annebbiava il suo volto. Sospetto.
Fu Walder a parlare per tutti e quattro, assolvendo al compito che la sua compagna non sembrava nelle condizioni di portare a termine. E fu più clemente di quanto sarebbe stata la Weasley. A modo suo.
  «10 punti in meno per Serpeverde» dichiarò senza indugi. Era un Caposcuola, il leader dei Settimi, qualsiasi cosa volesse dire, era ligio al suo dovere. «15 in meno per Grifondoro: ti si vede il reggiseno, Weasley» ed era un Serpeverde.
Scorpius digrignò appena la mascella ma rimase immobile.
  «Davvero, Malfoy?» ringhiò Rose contro il ragazzo taciturno, dopo essersi richiusa la camicia. «Non hai niente da dire? Semplicemente accetti questa ridicola sottomissione?».
Scorpius la guardò come tradito.
Dal canto suo Walder sollevò appena le sopracciglia contrariato, ormai ben consapevole di quanti dettagli su questioni riservate fossero sfuggiti al rampollo Malfoy e ad Albus Potter, durante i loro incontri ravvicinati con la Weasley Grifondoro.
  «Ho sempre avuto ragione su di te, Weasley, ti manca qualcosa»
  «Cosa vorrebbe dire?»
  «Sottomissione, come dici tu, obbedire, vuol dire far parte di qualcosa di più grande: disciplina, spirito di sacrificio, solidarietà sono virtù che tu non possiedi»
  «Solidarietà?» ripeté lei ironica, cercando di immaginarsi in quale contesto Walder avesse mai dimostrato di essere solidale con chi lo temeva e venerava.
Al fianco del ragazzo, Roxanne Weasley aveva ritrovato il proprio contegno e sorreggeva il discorso del compagno con un aspetto fiero.
  «Non è un mondo per te» concluse Walder, ma questa volta guardava Scorpius.       
Rose non seppe cosa rispondere, non riuscì a capire il significato delle sue parole ma ammetterlo sarebbe stato troppo umiliante. Non disse niente e un vociare alto la tolse da ogni imbarazzo mentre la Preside invadeva i confini silenziosi della Biblioteca e avanzava richieste indeclinabili alla sua custode.
  «Faccia uscire tutti dalla Biblioteca, Madama Pince».
  «Ma, Signora Preside, non è ancora il tramonto».
  «È passato fin troppo tempo» disse e il rimprovero nella sua voce severa fu percettibile anche a distanza. «Il libro potrebbe aver fatto il giro degli studenti o essere arrivato fino ai genitori. Ha idea di quanti Gufi giaceranno sul mio davanzale all’alba?».
Roxanne non aspettò di consultarsi con il secondo Caposcuola, più intraprendente di quanto si fosse dimostrata lei dalla loro apparizione, e fece cenno ai presenti di celare la propria figura dietro gli alti scaffali.
  «Se mi permette, signora preside» Si introdusse una terza voce «Forse chiudere la Biblioteca in anticipo non aiuterà a debellare il problema. Se i ragazzi accedono tanto facilmente alla Sezione Proibita, credo che bisogni intervenire a livello disciplinare»
Percepì lo sguardo di Scorpius su di lei ma le fu facile ignorarlo.
  «Professor Perkins» disse la Preside in tono alto ma fermo. «Mi sta forse suggerendo come gestire i miei studenti? D’altro canto è stato a lei che un ragazzo ha confessato di frequentare abitualmente la Sezione e di aver assistito personalmente alla sottrazione di un libro in piena notte, nonostante gli incantesimi protettivi che da anni custodiscono quell’ala della Biblioteca» aggiunse, lasciando sospendere la frase e insieme ad essa le proprie perplessità.
  «Lo studente in questione ha ammesso di aver arginato le difese»
  «Uno studente brillante, quello di cui non mi vuole rivelare il nome». Il tono polemico della McGranitt sfiorò le corde scomode dell’accusa.
Il silenzio che ne seguì fece immaginare a Rose un capo chino e un volto che nasconde fin troppo.
  «Ho dato la mia parola, Preside»
  «E io ammiro il suo rispetto» Replicò duramente. «Ma non posso esimermi dall’infliggerle una nota di demerito»
  «Lo capisco» disse in tono vagamente sorpreso.
  «Allora capirà anche che, in quanto professore di Difesa Contro le Arti Oscure, il compito di provvedere alla tutela del materiale Oscuro custodito nella nostra Biblioteca è affidato a lei principalmente e ogni altra violazione verrà considerata come una sua mancanza e responsabilità» concluse con una fermezza che nessuno avrebbe osato mettere in discussione. I tacchi delle scarpe a punta della Preside si mossero frettolosi e il suo profilo austero sul pavimento si incamminò lontano dalle ombre, tra i fasci di luce, mentre Madama Pince setacciava ogni angolo per accompagnare i presenti verso l’uscita. «È ancora giovane, professore, spero capisca che essere amico degli studenti non è mai il modo migliore per svolgere il proprio lavoro. La questione è molto grave e se lei ha ritenuto di tacere il nome del trasgressore, sarò costretta a prendere provvedimenti di più ampio raggio».
Il professore esitò, poi parlò. «Non vorrà punire tutti gli studenti?»
  «In qualche modo, professore, … in qualche modo dovrò pur agire»
I ticchettii proseguirono sempre più lontani, sempre più frenetici, mentre la voce austera della Preside si diffondeva nell’eco degli alti corridoi. Non mormorava più, imponeva agli studenti di lasciare la Biblioteca.
  «Voi perché siete ancora qui?». Madama Pince passò per caso accanto al buio corridoio e trasalì alla vista dei quattro ragazzi. Li scrutò con sospetto per tutto il tragitto fino al portone principale.
 
 
 
- § -
 
 
 
Rose possedeva una quantità indicibile di fogli di pergamena, residui di appunti o vecchie lezioni, alcune di diversi anni precedenti, che non aveva mai provveduto a rimuovere. Avvertiva la fretta degli studenti intorno e ne fu coinvolta, raccogliendo alla rinfusa il suo materiale e ricacciandolo nella borsa. La McGranitt ancora setacciava i corridoi, e Rose, per prima cosa, nascose il libro che aveva trafugato dalla Sezione Proibita tra manuali di testo e scartoffie varie. Qualche rotolo le cadde per terra e rovesciò calamo e inchiostro sul tavolo. Il suo Gratta e netta risolse ben poca parte di quel danno, quindi con le braccia ancora ingombrate si affrettò a togliere il disturbo.
Uscì distrattamente nel corridoio colmo di studenti imbronciati e confusi, mentre ancora trafugava nella sua borsa. Quando fu certa di aver sepolto il libro sul fondo, affrettò il passo e pensò di andare dritta nei Sotterranei.
Quasi non si accorse della figura alta e bionda poggiata contro il muro. Sembrava in attesa. Un’ombra si mosse non appena lei superò la statua di ghiaccio, e le fu dietro in un attimo.
  «Non c’è bisogno che tu mi accompagni»
  «Non intendevo farlo» rispose lui duramente.
Inutile provare a seminarlo, con due falcate le sue gambe notevolmente più lunghe di quelle di Rose le furono accanto e imitarono la marcia spedita della ragazza. Rose si mantenne a debita distanza mentre procedevano come una furia tra la calca di studenti, pronti a schivarli.
  «Puoi anche evitare di seguirmi, allora»
  «Non ti sto seguendo, sei tu che stai prendendo la strada per i Sotterranei».
Anche lui proseguiva di gran fretta verso la Sala Comune dei Serpeverde, ovviamente. Si sentì una stupida. Pensandoci bene, a quell’ora dopo il trambusto recente, il luogo dove era diretta avrebbe pullulato di Serpi in concilio ristretto e riservatissimo, in attesa di disposizioni dal Comando Generale: non il momento migliore per far scorrere con discrezione i suoi colori accesi tra i verdi divani in velluto.
  «Mi hai aspettato» fece notare logicamente, sperando di non sembrare disperata.
  «Per assicurarmi che tu riuscissi a uscire senza essere fermata dalla McGranitt».
La Preside non avrebbe mai interrogato Scorpius Malfoy davanti a tutta la scuola, lo sapeva bene. Per questo Scorpius si era permesso il lusso di sostare ancora un po’ lì davanti, dinanzi alla fuga generale di molti degli studenti che avevano assistito al dibattito tra la Preside e il professore di Difesa Contro le Arti Oscure. D’altronde lo stesso Walder si era dileguato in pochi secondi, pur essendo Caposcuola Serpeverde: ma lui aveva ben altri affari da tenere segreti alle domande della McGranitt. Lo stesso Scorpius, pur immune agli attacchi diretti del corpo docente, camminava teso, guardandosi spesso le spalle, desideroso di smaterializzarsi alla vista di chiunque.
  «Ti ringrazio per la premura»
  «Immeritata, direi» fece lui in risposta al suo tono sarcastico.
Senza arrestare la corsa, Rose sbuffò sonoramente in tono stizzito ed evitò di guardarlo.
  «Sei in grado di parlare a sproposito come poche altre persone. Credo sia un talento il tuo» proseguì Scorpius in un evidente e faticoso tentativo di ammorbidire il tono, mentre raggiungevano le scale con un balzo, poco prima che queste si muovessero. Rose atterrò goffamente su un gradino e spinse con la spalla una studentessa del suo anno, rischiando di pestarle anche il piede. La mano di Malfoy comparve immediatamente per tirarla a sé e mantenerla in equilibrio sulla scalinata affollata. Rose si liberò con uno strattone dalla sua presa.
  «Vogliamo davvero parlare di ciò che appropriato?» disse, mentre coglieva i suoi occhi sollevarsi al cielo. «Riesci almeno a ricordarti cosa è successo con quel fanatico e prepotente di Walder? Ah, scusami, ho il privilegio della copia, in miniatura, proprio qui davanti ai miei occhi» aggiunse parlando all’altezza del suo mento. «Che ragazza fortunata».
  «Ti avevo detto di coprirti» replicò con fastidio a voce alta, facendo voltare diverse teste nella loro direzione.
Finalmente le scale si fermarono al primo piano e Rose gli dedicò una lunga occhiata tetra prima di superarlo con una spallata. L’ombra di Scorpius Malfoy fu nuovamente sulle sue tracce, lo avvertiva nei suoi passi silenziosi, sentendo il suo mantello sfiorarle le gambe nude, poi una mano fu sulla sua schiena per condurla agilmente tra la calca di passanti, che il ragazzo si premurava di allontanare con tono perentorio. Rose cercò di ignorare la curiosità di chi li osservava sfilare insieme, mentre il viso prendeva fuoco e gli occhi cercavano di incontrare quelli del ragazzo alto e biondo, che le cingeva il fianco come per proteggerla. All’ultimo momento provò a scivolare via dal suo tocco delicato, ma lui, prevedendo le sue intenzioni, le afferrò il braccio e la condusse al riparo delle due colonne in pietra fredda e scura che i Sotterranei ponevano al loro confine.
La abbandonò contro il muro senza lasciare la presa.
  «Non mi devi toccare, Malfoy» disse a denti stretti.
Lui distese le dita, continuando a tenere il braccio alto come un ammonimento e a guardarla con rigida severità.
  «È un po’ tardi per questa richiesta» Aveva cercato di ammorbidire il tono, ma l'asprezza della sua voce fredda era pungente come sempre.
Rose cercò di riprendere il controllo di sé, della pelle intrappolata tra dita rigide e un palmo ampio, mentre lo sguardo fermo di lui la bloccava in quel punto più di quanto facesse la sua mano, rendendo chiaro che non le avrebbe concesso altro. Lo sfidò per un po’ con inutile alterigia e lui aspettò che la sua foga cessasse.
  «Hai finito?»
Lei sollevò il mento per arrivare alla sua altezza. «Di fare cosa esattamente?»
  «La ragazzina» dichiarò in un basso sibilare. «La testarda» aggiunse, assottigliando le labbra in una smorfia che aveva tanto l’aria di un ghigno.
Non seppe se furono le sue parole o l’espressione familiare del ragazzo con cui era cresciuta a crearle quel vuoto allo stomaco, ma la mano libera affondò nella tasca della gonna per estrarre la bacchetta che adesso puntava contro il suo collo, tremolante nell’incertezza del braccio sinistro.
  «L’impulsiva» concluse debolmente il ragazzo, mentre tra il viso di pietra e il sorriso sghembo si contendeva una lotta senza pari.
  «Che ne dici di lasciarmi il braccio?»
Effettivamente lui allentò la presa molto lentamente, sostenendo il suo sguardo. Rose non mosse un muscolo mentre il ragazzo la liberava dal vincolo, e invece di sgusciare lontano dal suo tocco mortifero, aspettò fino all’ultimo istante, ma lui ritrasse la mano e la riportò al suo posto. Una scheggia acuminata le perforò il petto, aprendole una ferita di atroce delusione, e la punta della bacchetta affondò con più insistenza nella pelle tesa di Scorpius, che emise un rantolo di protesta.
  «Non sai nemmeno tu quello che vuoi» suggerì in un sussurro divertito.
Non si dimostrò spaventato nemmeno quando Rose avanzò nella sua direzione di qualche passo, con la bacchetta ancora vicina alla vena pulsante, e questo le causò uno brivido di impudenza. La sfacciata sicurezza del ragazzo era palpabile, ma lo sguardo vigile perlustrava il volto di Rose, decidendo fosse più opportuno non lasciarsi cogliere impreparato.
  «E tu pensi di saperlo?» chiese a quel punto.
Lui sembrava non aspettarsi quella domanda. «Non ci dormo la notte» disse dopo un po’, con una leggerezza che osteggiava il significato delle sue parole, in una nota di mesto stridore. «In compenso posso dimostrarti quello che voglio io».
Aveva parlato con noia e una punta di divertimento, e le era sembrato bello, nonostante il sorriso sghembo e quell’aria di chi non conosce il rispetto, e si era scoperta a guardarlo assorta. Per questo le sfuggì il suo braccio rapido e la mano scattare verso la sua, impugnare la bacchetta e deviarne la traiettoria. Rose perse il controllo della bacchetta o questa prese il sopravvento su di lei, e vide sfuggire un lampo improvviso che il ragazzo fu pronto schivare, lasciando che si schiantasse contro la parete in un fracasso ben udibile, conducendo la bacchetta esausta al suolo.
Poi sentì solo le labbra rigide di Scorpius sulle sue, in seguito morbide, delicate mentre chiedevano di poter dischiudere quel sigillo e incontrare la sua lingua. Lei si lasciò violare volentieri. Aprì gli occhi solo quando quel contatto le fu portato via e il profumo fresco e un po’ pungente del ragazzo le assicurava che lui la attendeva ancora lì.
Infatti la fissava in contemplazione, poi le sollevò il mento con un dito.
  «Cosa devo fare per averti sempre così docile?»
  «Esimerti dal comportarti come uno stronzo, tanto per cominciare»
Lo vide trattenere un sorriso, poi rifletté come cercando le parole giuste. «Ti rendi conto, mia piccola Weasley, che attenti continuamente ad una mia possibile carriera da Caposcuola?»,
Rose corrucciò le sopracciglia, ora sinceramente sorpresa. «Non sapevo avessi aspirazioni del genere»
Scorpius le posizionò una ciocca di capelli dietro l’orecchio con una dolcezza tale da farla sentire come una foglia in balia del vento. «Non per molto ancora, se continui a fornire a Clegar buoni motivi per escludermi dalla candidatura»
  «Credevo spettasse alla Preside nominarli»
Scorpius scosse la testa paziente come se parlasse con un bambino «È il Comitato Studentesco a fornire i nomi dei candidati, la Preside si limita a valutare i requisiti, ma alla fine lascia sempre che prevalga il favorito»
  «E chi presenta i nomi dei candidati?» chiese ancora approfittando di quel momento di benevolenza del ragazzo.
  «I Caposcuola» rispose con ovvietà. Dopo l’impiego di un certo impegno, aveva avuto la meglio su quella ciocca di capelli e adesso ammirava il risultato soddisfatto, accarezzando con i polpastrelli la guancia di Rose arrossata, e con grande mortificazione della ragazza, sicuramente incandescente.
Tutta quella delicatezza le sembrò surreale e si chiese dove avessero dimenticato la foga dell’incontro in Biblioteca e la rabbia di poco prima, come avesse lasciato che il bisogno di schiantarlo si adeguasse all’impulso di baciarlo e alla necessità di essere toccata da lui.
Accettò la situazione di buon grado, mentre lui la sfiorava appena, con una premura eccessiva, come temendo che sotto quella pelle morbida e arrossata si celassero i punti pericolosi che l’avrebbero portata a una nuova esplosione.
Solo in quel momento si rese conto di aver spedito la propria bacchetta lungo il corridoio tetro e buio di proprietà esclusiva dei Serpeverde. Quell’istante di semplice beatitudine con Scorpius Malfoy era stato sufficiente per privarla del saggio istinto all’autoconservazione, che più o meno ogni mago o strega, dotato di buon senso, affida alla propria bacchetta.
Inoltratasi nel buio di scatto, colse il suo volto confuso un attimo prima di voltare l’angolo, persa tra le orme silenziose che la bacchetta, abbandonata chissà dove, tracciava nel suo petto.
Non la trovò. In compenso si imbatté in lunghi stivali di pelle di drago alti fino al ginocchio, una minigonna da togliere il fiato in attesa che una folata di vento ne rivelasse i segreti, e capelli di un biondo finto e aspro, capaci di mettere in soggezione con tutto quel perfetto e ordinato ondeggiare.
Un flebile lamento, come uno squittio sospirato, fu l’iniziale reazione che ne seguì.
  «Weasley»
Kate Hastings sembrava spiacevolmente sorpresa di trovarsela davanti in un luogo che, al di fuori dei recenti avvenimenti, avrebbe con facile sentimento chiamato casa. Pertanto il cipiglio accusatorio, con cui pose la mano sul fianco, fece intendere che non avrebbe tollerato quella presenza ancora a lungo.
  «Kate»
Qualcosa le suggerì di attenuare l’ostilità della ragazza. Lo stesso richiamo alla benevolenza la informò, con una lucidità che sorprese anche Rose stessa, che fosse arrivato il momento di provare a piacerle. E a farsela piacere.
Vuoi davvero essere accettata dai suoi amici?
Preferì non pensare a nulla, a dire la verità.
Una benevola riflessione che, a quanto pareva, non doveva aver attraversato anche le intenzioni della sua interlocutrice, dato il sussulto inorridito con cui accolse il suo nome di battesimo e lo sguardo raggelante che le riservò, a metà tra un avvertimento e una candida minaccia. Esaminò da cima a fondo la figura di Rose, facendola sentire come sempre in disordine.
Kate non era bella come un fiore bagnato di rugiada invernale, né come la brezza estiva che profuma di sale i capelli e la pelle, non aveva quel bagliore fatale e perenne con cui  Dominique si svegliava al mattino, ma la sua sicurezza era impeccabile, il portamento fiero e sciolto la rendeva sensuale, le labbra pronunciate e il sorriso luminoso, desiderabile.
Scorpius Malfoy comparve alle proprie spalle in quell’istante. Lo sentì bloccarsi, fermo e silenzioso, mentre il volto di Kate sembrò piegarsi sotto un peso più forte della gravità e la sicurezza di sempre ingarbugliarsi in gesti impacciati.
  «Kate» disse semplicemente lui, ma il languore nella sua voce fu sufficiente perché Rose si sentisse trafiggere dalla schiena fino al torace. Lo guardò con ferocia e paura, e incontrò un volto teso, due occhi mortificati.
Come un gatto ferito, Kate fece un passo indietro e rizzò il mento simile a  pelo sul corpo. Gli occhi dolenti guizzavano da Rose a Scorpius.
  «Kate, ho bisogno di parlarti»
Rose aveva abbastanza esperienza in materia per poter dichiarare che quelle furono tra le parole più dolorose che sentì pronunciare dalle labbra morbide di Scorpius Malfoy. Morbide erano nei suoi ultimi momenti, così le aveva lasciate, eppure quei ricordi si affievolivano così rapidamente come brina scaldata da un sole cocente fuori stagione, e Rose avvertì solo la lacrima di ghiaccio sciolto scavarle il petto con un brivido, mentre ora quelle stesse labbra le sembravano aguzze e taglienti.
  «Riprova un’altra volta, Scorpius» fece dura lei. «Magari sarai più fortunato» concluse con un sorriso sarcastico, ma Rose vi vide solo molta tristezza.
Scorpius si irrigidì e la ragazza capì, senza capirlo davvero, che fosse in difficoltà. Aveva un aspetto grave, anche se la voce risultò calda e confortante.
  «Ho davvero bisogno di parlarti» disse con più enfasi. «Dobbiamo tornare in Sala Comune».
Nonostante il tono inequivocabile del ragazzo, quello stesso monito inflessibile con cui l’aveva più volte sentito rivolgersi alla sua squadra o a chi non desiderava avere tra i piedi, Rose si meravigliò dello sguardo arrendevole di Kate, che annuì pensosamente e mutò ogni felina diffidenza in una cieca lealtà.
A quel punto avvertì il disagio di Scorpius, che per la seconda volta nell’arco di un’ora aveva completamente eclissato la sua presenza, per poi ritrovarla lì accanto a sé, come emersa dalle assi del pavimento, in sembianze troppo ingombranti da poter gestire.
  «Non c’è problema, tolgo il disturbo» concluse Rose con un sorriso rasserenante e una voce che le sembrò sufficientemente ferma.
Si congratulò con se stessa per gli enormi progressi raggiunti in una sola giornata. Poi individuò la bacchetta ai propri piedi e il desiderio di schiantare i presenti tornò a farsi vivo e pulsante.
 
 
 
- § -
 
 
 
Il bivio si apriva davanti ai suoi piedi nel modo più sconveniente possibile. Pertanto Rose Weasley prese la strada verso la Sala d’Ingresso e Kate Hastings era già stata inghiottita dalla parete rocciosa della Sala Comune. In quel momento rimase nel corridoio per diversi minuti, non seppe dire quanti. Camminò avanti e indietro per rimandare quella decisione, già sapendo quali fossero le sue priorità. Varcò la parete rocciosa della Sala Comune ma di Kate nessuna traccia.
Clegar Walter era frettolosamente impiantato nel mezzo della stanza con una Gazzetta del Profeta tra le mani e l’aria di chi deve assolvere a un compito importante.
  «Congratulazioni per tuo padre, Vincent».
Il ragazzo, preso in causa, piegò la testa in un inchino di riconoscimento. «Alla Gazzetta lavorano bene».
Clegar depose il giornale soddisfatto del nuovo traguardo raggiunto dal suo pupillo. Scorpius gli camminò alle spalle, sperando di raggiungere indisturbato le scale.
  «Scorpius»
Il tono di voce rapido e preoccupato lo convinse a voltarsi con più tranquillità. «Lascia perdere quello che è successo» concluse con un gesto seccato della mano, per quella insinuazione che doveva aver letto sul volto del ragazzo e che lui giudicò totalmente fuori luogo. «Abbiamo problemi più seri». Poi si avvicinò e gli sussurrò in un filo di voce che a stento riuscì a cogliere «Domani sera adunata, ti dirò in seguito il luogo. Avvisa gli altri».
Lo congedò senza nemmeno guardarlo, tornando a sfogliare il giornale accanto a Vincent. Capì che a lui spettava il compito privilegiato di essere informato, prima di ogni altro, sulle disposizioni del Caposcuola, ma il beneficio non si estendeva a tal punto da evitargli il ruolo di ambasciatore, mentre Vincent sedeva comodamente sulla poltrona regale. Prediletto sì, ma sempre secondo.
Trovò Albus e Kate raccolti in una nicchia tra la parete rocciosa e il vetro freddo della finestra. Parlavano in silenzio, ma interruppero i loro segreti al suo arrivo. Provò a ricacciare il senso di estraneità che la situazione gli procurò, consapevole di quanto a Kate fosse concessa un po’ di quiete dai tormenti; tuttavia, non poté fare a meno di biasimarla per aver trovato proprio in Albus quel conforto agognatoma no vi indufiò a lungo, perché evidentemente la ragazza cercava solo la via più impervia e prevedibile per fargliela pagare.
Kate sollevò il mento con sdegno, gli occhi grandi e scuri affilarono un’espressione tagliente, di chi non perde tempo a leccarsi le ferite, ma drizza il pelo in allerta e tamburella nel buio con gli artigli adunchi. Gli rivolse uno sguardo interrogativo, senza parlare.
  «Walder ha ordinato un’adunata per domani sera» rispose al suo quesito.
Entrambi sembravano confusi e Kate cessò ogni ostilità.
  «Ti ha detto il motivo?» chiese Albus.
  «Certo, mi ha anche proposto di tenere un’orazione pubblica al posto suo e di subentrargli a metà anno per un suo congedo anticipato» precisò Scorpius con serietà. «E ha aggiunto di volermi tanto bene»
Albus sollevò su di lui uno sguardo che gli parve collerico «Sarebbe bastato un “no”» o eccessivamente querulo.
Scorpius rimase a fissarlo, interdetto più del necessario, tanto perché l’amico si sentisse toccato dalle sue domande; poi piantò la mano in tasca alla ricerca di una sigaretta. «Però qualcosa di strano è successa oggi» disse in un sussurro.
Kate saltò giù dalla nicchia e atterrò davanti a lui in un lampo. «Vado ad avvisare Alan e Vincent».
  «No che non lo farai»
La ragazza guardò Albus in cerca della ragione. «Da quando li teniamo all’oscuro?».
Il silenzio del ragazzo fu strano ed elettrico. «Non guardare me» disse infine.
Scorpius questa volta non gli risparmiò un’occhiataccia. Due ragazzi scesero dal Dormitorio maschile e li salutarono con il capo, percorrendo le scale lentamente, fino a sfociare nella sala principale.
Scorpius si accertò della loro lontananza e si lasciò coprire da una colonna prima di parlare. «Vincent è il favorito di Walder» spiegò senza riuscire a nascondere il proprio risentimento. «Non ha senso fidarsi troppo».
  «Ascoltiamo cosa ha da dire Scorpius e poi valutiamo se informarlo» aggiunse Albus, improvvisamente più mite, così da tranquillizzare Kate.
  «Bene, e Alan?».
Scorpius si limitò a ignorarla, senza guardarla né affannarsi nella ricerca di alibi credibili. Nessuna menzogna o mistificazione per celare il semplice e cocente astio che da tempo ormai gli rendeva insopportabile anche solo il suono di quel nome. Non si sarebbe abbassato a tanto.
  «Bene» ripeté Kate e questa volta sorrideva. «Vado a chiamarlo».
Quando furono soli, Scorpius si voltò verso l’amico «Tutto bene?».
  «A meraviglia» fece Albus laconico. «A te?».
Scorpius ebbe un abbaglio mistico, quando realizzò quanto quel ragazzo bruno, dagli occhi furbi e dolci, gli ricordasse, nel modo più sconveniente possibile, la cugina. Provò quel familiare timore che una caterva di legna dolce e di stagione prendesse fuoco, davanti ai suoi occhi, ad ogni parola errata. La sottile differenza, che gli aveva reso tollerabile anni di diatribe con Rose Weasle, era che le fatue esplosioni della ragazza non lo spaventavano tanto quanto la rancorosa e meditata freddezza dell’amico.
  «Anche»
  «Novità?»
  «A parte Walder che mi fa incazzare, nulla di nuovo».
Albus annuì. Vennero raggiunti, dai ragazzi, nella nicchia che si era fatta stretta per ospitare quel cenobio informale. Alan aveva il viso gonfio e la voce impastata di chi è stato costretto ad abbandonare il letto durante un sogno intenso, ma non si sottrasse a quella chiamata improvvisa né alla possibilità di un faccia a faccia con Scorpius. «Capitano» biascicò in un mezzo sorriso. «Ho saputo che hai richiesto i miei servigi»
  «Ho il dovere di farlo, Alan. Sai che non mi sottraggo mai agli impegni che l’onore mi impone» rispose con una sincerità così facilmente smascherabile, che nessuno avrebbe dubitato della sua fallacia.
Quando arrivarono nel Dormitorio maschile, Kate barricò le finestre, lasciò scorrere musica ad alto volume dalla Pronus J-160, socchiuse la porta del bagno e accese una sigaretta che mantenne sospesa a mezzaria, di modo che il fumo creasse una scia di nebbia e caligine attraverso quello spiraglio di aria salubre.
Con la vista giù offuscata e la mente appena intontita, Scorpius si sedette sull’orlo della grande vasca da bagno. «Sapete dirmi qualcosa a proposito degli incontri tra Walder e la Caposcuola Corvonero».
  «Incontri?» chiese Albus.
  «Da soli, segreti, nei pressi della Sezione Proibita»
  «E allora? Lo sanno tutti che è il posto migliore per scopare indisturbati» aggiunse Alan.
Kate lo guardò disgustata. «Ti è mai capitato, in questi lunghi e tetri anni, di dare un’occhiata alla Weasley?»
Alan si strinse nelle spalle, non trovando la questione di particolare impedimento. «C’è il corridoio nascosto dove nessuno mette piede, se sei disperato e non vuoi farti vedere in compagnia. Ci gioco tutto che Walder ne aveva bisogno, è sempre nervoso ultimamente»
  «Non erano lì quello» si intromise Scorpius irritato e improvvisamente a disagio. Avvertì un po’ di calore pizzicargli le guance, pertanto scacciò con la mano il fumo che gli vorticava intorno, nel tentativo di poter attribuirgli le cause del proprio turbamento. Sapeva bene che la tresca tra i due Caposcuola non si realizzava al punto da consumarsi lungo il corridoio buio degli amanti, e lo credeva con convinzione proprio perché, al momento del misfatto, il fatidico luogo della perdizione era già stato occupato.
  «Non è ipotesi da escludere» commentò Albus e Scorpius non capì se volesse solo andargli contro.
  «Secondo te, Doyle, io mi prendo il disturbo di guardare la tua faccia per spettegolare sui passatempi del Caposcuola?». Scorpius si impose di rimanere calmo, ma il tono di voce incrinato si sollevò più di quanto fosse consueto, pertanto mantenne lo sguardo fisso su Alan, cercando, a quel punto, di celare al meglio la commistione tra disprezzo e frustrazione con cui temeva di proseguire la discussione. «Credi davvero che non abbia di meglio da fare?» disse senza riuscire a trattenersi, questa volta in una smorfia di bonario divertimento.
Alan Doyle era impassibile ad ogni provocazione, ma lo guardava per lungo tempo. Lo fissò troppo, a detta di Scorpius, come qualcuno invaghito, atterrito o in cerca di parole appropriate.
Scorpius si sentì clemente quella sera e lasciò cadere ogni più perfida intenzione.
«Vi sto dicendo che Walder e Caposcuola Weasley si aggirano nei pressi della nostra Sezione Proibita, in pieno pomeriggio, quindi con il consenso di Madama Pince e Vossignoria McGranitt. Oltretutto Walder ha convocato un’adunata improvvisa per domani sera, durante la quale non mi sorprenderebbe qualche  lieto annuncio».
  «Dovremmo avvertire Vincent dell’adunata» s’intromise Alan.
  «Come se già non lo sapesse» sbottò Scorpius. «Sono certo che sa anche spiegare la presenza della Weasley nella Sezione Proibita, insieme a Walder»
  «Sono sempre appicciati quei due. Non mi sorprenderebbe se sia diventata una questione a tre, non so se mi spiego»
  «Doyle, dannazione, ti è così tanto difficile non fare l’idiota per qualche minuto?» sbottò Scorpius al limite. Si alzò in piedi tanto per sbollire l’inspiegabile fervore, ma quando realizzò l’autonomia concessagli in quell’angusto spazio, ritornò all’originaria postura.
Alan alzò le mani in segno di resa. «Hai provato a chiedere a Walder se ti passa il numero della Weasley? Credo che un giro nella Sezione Proibita potrebbe darti una calmata».
Scorpius trovò destabilizzante non riuscire a fronteggiare l’indiscrezione del compagno di Casa, come se il segreto di cui si faceva custode fosse troppo grave per essere contenuto, e minacciasse di sgorgare ad ogni sua titubanza. L’insistenza di Alan, tuttavia, pungolava oltre il suo solito senso dell’indecenza e aveva l’aria di tradire qualche premura o curiosità di troppo.
Decise, quindi, di fornire al ragazzo la risposta che tanto aspettava «Di ragazza Weasley me ne basta una».
Trovò agghiacciante il secondo che seguì quell’affermazione e l’impressione, così viva, che ogni membro di quel lugubre bagno avrebbe volentieri sollevato la bacchetta per schiantarlo, seduta stante.
  «Quanto siete ridicoli» intervenne Kate, liquidandoli rapidamente con l’atteggiamento di chi attenta alla propria salute nel perpetrare in quel luogo ancora a lungo. «Non c’è poi così tanto mistero, Scorpius» lo guardò come se il suo intervento l’avesse sottratta a mansioni ben più urgenti che stare lì rintanati, nel bagno delle ragazze. «I Corvonero fanno la corte da tempo alla Sezione Proibita, credono di essere i soli capaci di accedere ai manoscritti oscuri o in generale alla conoscenza dell’universo» commentò sarcastica. «Se Walder ha deciso di cedere le competenze, ne sono solo sollevata, così l’anno prossimo potremmo evitare le rogne dell’idiota di turno che cerca di sottrarre libri per giocare al Mago Oscuro. Avete sentito dell’ultimo furto? La McGranitt è furiosa e Walder ne pagherà le conseguenze»
  «Se Walder non vuole problemi, l’episodio del furto lo convincerà ulteriormente del fatto che non siamo capaci di gestire la Sezione Proibita. Non credo proprio che la cessione di questa competenza sia la scelta più vantaggiosa per noi» rifletté Albus cupo.
  «Perché mai?»
Scorpius si decise ad allontanarsi dalla vasca e a percorrere le mattonelle di maioliche anticate fino alla porta. «L’unica competenza che ci resterà sarà Pozioni, quindi tanto varrà ritirarci subito perché, a quel punto, non ci sarà nulla che impedirà la nomina di Ser Nott a Caposcuola Serpeverde per il prossimo anno». Aveva ormai trovato la risposta che cercava e quel concilio poteva dirsi sciolto, pertanto aprì la porta del bagno e vide stagliarsi ben distinta a due palmi dal suo volto la figura immobile di Vincent Nott.
  «Stavo proprio per bussare». 
 
 
 
- § -
 
 
 

  «Quella donna è una grandissima…»
Qualcuno sbatté la porta del ritratto alle proprie spalle con un po’ troppa veemenza e nessuno seppe con certezza quale giudizio avesse James Potter riguardo la donna in questione. Il ragazzo del quinto anno appena rientrato nella Sala Comune sembrava condividere lo stesso disappunto del Capitano.
  «Niente gita ad Hogsmeade» dichiarò infatti. Un boato generale accolse quella notizia con altrettanti coloriti epiteti che andarono ad aggiungersi alle considerazioni di James Potter.
Il ragazzo contemplava le proprie dita intrecciate sul basso tavolino principale, meditando a fondo. «Non credo abbia l’autorità per farlo» disse dopo un’attenta analisi.
Diverse teste annuirono persuase da quella constatazione, cui il lume del giovane e florido Capitano aveva dato ragione. Ci furono persino esclamazioni di assenso dagli angoli più remoti della stanza e qualche vagito di ammirazione, che poco aveva a che fare con le capacità dialettiche del ragazzo. Tra questi non fu difficile scorgere i ricci ordinati di Eloise McDavis.
Rose emerse una mano dalle pagine consunte del testo di Trasfigurazione e la fece vagare alla cieca, tastando quelle che riconobbe come le gambe di Johanna, il suo petto modesto e qualche parte indistinta del suo viso. Proprio quando sembrava essersi arresa all’idea di abbandonare il discorso, che il professor Roberts stava portando avanti con innumerevoli acrobazie lessicali, l’amica le porse distrattamente la propria piuma spennacchiata, mettendo a tacere la mano molesta che continuava ad esplorare il suo corpo. Rose la ringraziò con un altro tenero buffetto sul gomito.
  «Credo proprio di sì, considerando che stiamo parlando della Preside della scuola» chiarì logicamente la ragazza, meritandosi un’occhiata penetrante di Melissa McDavis. Non sarebbe stato facile distinguere un ammiccamento da un ammonimento, tre le lunghe ciglia contornanti occhi color miele, eppure Johanna non si era mai posta il problema, ritenendo che nelle intenzioni della ragazza il linguaggio non verbale avesse più o meno sempre lo stesso squallido significato.
Fred Weasley, stravaccato sulla poltrona opposta, scosse la testa divertito dall’ingenuità di cui la Jordan si stava mostrando artefice, cosa che non sfuggì alla ragazza. Lei ricambiò l’ilarità del compagno di Casa con un per nulla celato sopracciglio perplesso, mentre Fred scuoteva la testa in cenni increduli di diniego, vagando con la mente a ricordi di malefatte impunite in tempi in cui il potere di decidere le sorti della Scuola era in mano agli studenti.
Johanna continuò ad osservare scettica i suoi movimenti del capo, individuando la colpa di quell’aria da vagabondo in piena crisi sensoriale, nella cartina che adesso il ragazzo portava alle labbra, dopo averla arrotolata con cura, e che dubitò all’istante avvolgesse del tabacco.
James Potter, ancora intento nel suo atto meditativo, non volle sentire ragione.
  «Ha blindato, e dico blindato, la Stanza delle Necessita, e Silente solo sa che significa per noi» disse, sotto il consenso generale dei presenti in Sala Comune. «Dico bene?» aggiunse più per naturalezza che per autentico coinvolgimento della massa, procurandosi un grandioso giubilo di assenzo e mani accorse ad applaudire.
Rose sobbalzò e andò a sbattere con la testa alla poltrona contro cui lei e Johanna erano poggiate, intente a completare il tema di Trasfigurazione la prima, e ad ascoltare annoiata la campagna elettorale del Capitano, la seconda. Dopo averci riflettuto, questa si unì meccanicamente all’applauso generale.
Rose riservò uno sguardo truce a quel comizio rumoroso e di ben poche speranze, e vagò contrariata sulla figura di Johanna, intenta in una pigra acclamazione, cercando di spiegarsi per l’ennesima volta cosa spingesse l’amica a seguire le parole del cugino, come fossero un mantra religioso, cui da tempo si ha giurato fedeltà senza possibilità di recesso. Corrucciò la fronte pensando con sospetto a un Voto Infrangibile.
Johanna si accorse di quella meditazione, scrollò le spalle e aggiunse incerta «Ha ragione sulla storia della Stanza delle Necessità».
Per la verità Rose non frequentava a quello scopo la Stanza, da più tempo di quanto le facesse onore ammettere. Aveva da sempre avuto una pessima capacità nello scegliere i ragazzi per cui perdere la testa, ed era quasi un anno che non si ritrovava con il cuore in brandelli e la solita promessa di non sottoporre più alla propria attenzione nessun individuo di sesso maschile, che non fosse il più possibile vicino al suo migliore amico e ragazzo ideale: Albus Severus Potter.
Scosse la testa indignata per quell’infelice scherzo della sorte e decise di tornare ad annotare riflessioni personali accanto alle spiegazioni del professore, con più ferocia di quanto si meritasse la lezione di Trasfigurazione da Inanimati ad Animati.
  «Ha posto professori come sentinelle a ogni allenamento di Quidditch» disse il Capitano, poi si voltò verso i compagni di Casa per accogliere lecite esclamazioni di indignazione. «Ha impedito ogni associazione studentesca fino ad ora organizzata» aggiunse, camminando per la stanza in direzione del Battitore della sua squadra, dalle cui mani sottrasse con un gesto impaziente la sigaretta consumata, gettandola tra le fiamme del caminetto. «E ha imposto il coprifuoco anche il venerdì sera, motivo per cui siamo qui costretti. Rose, per carità, smettila di studiare, è già tutto abbastanza penoso».
La ragazza sollevò uno sguardo paziente, il tempo di verificare di essere effettivamente l’unica disinteressata alle questioni trattate. Diversi occhi puntati su di lei tacevano qualche rimostranza per la sua insensibilità. Notò, con palese disappunto, che anche Johanna si era unita a quella lapidazione non verbale.
Per sua fortuna, un ragazzino dall’aria spaventata fece il suo rumoroso ingresso proprio in quel momento, catturando l’attenzione della giuria. Qualche sbuffo sdegnato per tutta quella mancanza di rispetto si sollevò nel silenzio pesante, mentre James Potter farfugliava qualcosa a proposito del non poter lavorare in quelle condizioni.
  «Rose Weasley?» tentò il ragazzino che avrebbe dovuto salvarla dalla gogna.
Gli occhi penetranti tornarono a incenerirla, finché Rose non avvertì realmente il calore della loro disapprovazione sfregolare il collo della camicia. Lì nascosta, dietro la poltrona, sbucò discretamente per scorgere il quadro della Signora Grassa, ancora in lenta chiusura, e la figura contrita del ragazzino, nel bel mezzo della stanza, guardarsi attorno con l’aria di chi si chiede se il Cappello Parlante avesse seguito un criterio affidabile il giorno del suo Smistamento.
Quando il malcapitato non diede segno di avere idea di chi lei fosse – nonostante le occhiate di letale accusa non lasciassero dubbi in merito – Rose sollevò una mano per rendersi palese e lui sembrò guardarla con grata venerazione.
  «C’è Scorpius Malfoy all’ingresso» rivelò come se questo lo assolvesse da ogni colpa.
Il calore non fu più solo un’impressione e Rose si trovò con il volto in fiamme.
  «Quindi?» chiese e l’indifferenza che avrebbe voluto ostentare si dissolse in un timido filo di voce.
Il ragazzino non si aspettava quel quesito e precipitò in un silenzio tormentato.
  «Non lo so, ha detto che questo sarebbe bastato»
Il brusio interdetto, in quel momento, sembrò sollevare una certa curiosità condivisa, e persino il borbottio del cugino fu riservato a constatare l’arroganza di certe persone che credono basti annunciarsi perché il mondo sia ai loro piedi. Il suo risentimento sulla questione fu talmente fervente, che nessuno si sarebbe sorpreso se fosse diventato il prossimo punto della discussione collettiva.
  «Bene, restasse pure lì fuori tutta la notte» rispose Rose, sperando di chiudere la questione.
Il ragazzino la guardò poco convinto, dubitando che quella fosse la decisione più saggia, non individuando, tuttavia, alcun motivo per cui la faccenda dovesse riguardarlo più del necessario. Persino l’eccitazione generale della folla sembrò non ritenere Rose una persona dotata di indiscussa lucidità, tanto che le arrivò distinta qualche esclamazione femminile in cui la parola “pazza” risuonava con una certa ridondanza. Eppure James Potter si dichiarò soddisfatto e pronto ad assolvere la cugina dalle colpe precedenti, pertanto riprese a parlare con un richiamo generale all’ordine.
Non senza difficoltà le persone smisero di guardarla, mentre Fred ancora le mandava con la bacchetta rose rosse dai petali laccati e così fastidiosamente lucidi che Rose non si sarebbe meravigliata se fossero stati duri come pietra. Provò a scacciarli con la mano ma, ogni volta che lei li toccava, questi mormoravano suadenti “Sono qui per te, Rose”.
Troppo distratta dall’idiozia del cugino, non si era accorta che anche Johanna aveva smesso di fingere di prestare ascolto a James Potter e la guardava con profondo interesse.
  «Ti è venuto a prendere, ma davvero?»
  «Non ho idea di cosa voglia» rispose sinceramente Rose. In realtà il timore che intendesse chiarire l’imbarazzante situazione con Kate l’aveva tormentata per tutto il giorno, nonostante continuasse a ripetersi che non fosse accaduto nulla di strano, non avendo lei nessuna autorità per potersi permettere scenate di gelosia.
Ne hai fatte di peggiori quando a stento vi parlavate.
Una fitta al petto di desiderio e nostalgia le fece male, ma la ignorò.
  «Portarti fuori per un appuntamento probabilmente. È pur sempre venerdì sera».
Rose la incenerì con lo sguardo. «C’è il coprifuoco» sbottò.
  «Ah, è per questo che si trova fuori dalla nostra Sala Comune» rispose sarcastica. «Perché ha a cuore il Regolamento scolastico».
A quel punto Rose sollevò sull’amica uno sguardo preoccupato. Proprio mentre nella sua testa si svolgeva un’attenta disamina per decidere quanto Scorpius Malfoy potesse essere considerato un Prefetto modello, il ritratto della Signora Grassa si mosse ancora e Tess Rivers si precipitò al suo interno.
  «Rose, Scorpius Malfoy ha giurato che toglierà 50 punti al prossimo Grifondoro in vista, se lo farai aspettare ancora» squittì al limite dell’eccitazione.
Mentre una prova inequivocabile metteva a tacere ogni quesito sulla moralità e il senso del dovere del ragazzo, il brusio di disappunto si tramutò in un vociare rabbioso dal tono cupo e distintamente maschile, mentre cori più leggeri si affiancavano all’entusiasmo di Tess.
Capelli lunghi e profumati presero forma accanto a lei, mentre due gambe flessuosamente piegate sgusciavano dalla gonna della divisa vecchia ormai di qualche anno. Melissa le mise una mano sul braccio per richiamare la sua attenzione e le sorrise complice.
  «Ti sei persa, Mel?» scattò Johanna.
Melissa la mise a tacere con un gesto sbrigativo del mento.
  «Scorpius Malfoy» scandì attentamente come se l’enfasi che gravava nell’aria non fosse sufficiente. «Finalmente» dichiarò e quasi Rose si aspettava che le stringesse la mano. «Non credevo fosse un tipo romantico».
Per la verità, in appostamenti notturni e minacce pubbliche, lei di romantico vedeva ben poco.
  «E per il resto se la cava bene come dicono?»
Nuovamente il senso di nostalgia le fece vibrare le gambe e per un solo istante fu tentata di andargli incontro e dimenticare tutte le buone ragioni per cui avercela con lui fosse sempre la cosa giusta.
  «Perché dovrebbe venire a dirlo a te?»
  «Andiamo, Johanna, non fare la fidanzata gelosa» esclamò la ragazza con la solita civetteria. Johanna si incupì senza una ragione apparente, lasciando Rose lì da sola a doversi occupare di quella vipera dalle gambe lunghe.
Fu James Potter a decidere che quella situazione fosse durata più del necessario, chiamando a raccolta, con un cenno d’intesa, il fidato compagno di una vita e qualche ragazzo dall’aspetto promettente, reclutato con un’improvvisazione degna solo della lealtà Grifondoro.
  «James, dove stai andando?» tentò intuitivamente Rose, scattando in piedi e decidendo che esporsi alla gogna pubblica fosse, a quel punto della tragedia, un atroce quanto inevitabile epilogo.
  «A dichiararmi come il prossimo Grifondoro in vista. Voglio proprio vedere quanti punti avrà il coraggio di togliermi» sbottò più sollevato all’idea di avere una buona ragione per affrontare Malfoy, che indignato dalla minaccia del ragazzo. «Con te facciamo i conti più tardi» disse, quando ormai la Signora Grassa li fissava contrita.
  «James, Fred, diamoci tutti una calmata».
Fu la tenue voce proveniente dal tavolo più isolato della Sala Comune, quello nascosto sotto le scale del dormitorio femminile, a parlare come se intorno a lui non stessa accadendo nulla capace di perturbare la placidità dei suoi programmi serali.
Louis Weasley aspettò di porre un punto di inchiostro fresco e deciso sulla sua pergamena, prima di sollevare il capo dai libri. «D’accordo?»
Per la verità, James Potter non appariva particolarmente persuaso da quel debole richiamo, e Fred Weasley, che si sarebbe stretto volentieri nelle spalle, ritornando vigile e ubbidiente al suo posto, convinto da tempo che l’arroganza di Scorpius Malfoy fosse un male tollerabile, dopo anni di cieca amicizia con James, rimase lì in attesa del cugino. Per questo Rose non comprese cosa convinse i due ragazzi a ricacciare i propri propositi cavallereschi, senza forme di proteste differenti dall’irrigidimento della mascella e da qualche nocca pallida in evidenza.
Guardò il cugino maggiore dal viso roseo e la voce suadente, chiedendosi fino a che punto la seduzione Delacour avesse presa sugli uomini della propria famiglia, e notò che lo stesso cipiglio languido adesso la fissava con insistenza.
  «Rose, forse è il caso di accompagnare il tuo cavaliere in un luogo più consono alla sua presenza»
Rose trovava irritante che il ragazzo provasse ad irretire anche lei. Che lo facesse, poi, comodamente seduto sulla poltrona più lontana, magari sfogliando distrattamente la sua agenda personale, era davvero al di là di ogni livello di strafottenza cui Scorpius Malfoy l’aveva preparata in tutto quel tempo.
  «C’è il coprifuoco» rispose logicamente, chiedendosi, a quel punto, se la questione importasse solo a lei, nonostante fosse l’argomento del giorno.
  «Faremo tutti un’eccezione» disse gentile. Probabilmente le avrebbe strizzato l’occhio, se non lo avesse da sempre ritenuto un gesto tremendamente volgare.
Ti ringrazio, Louis, per il tuo magnanimo lasciapassare.
Lily Potter spalancò il ritratto della povera Signora Grassa – che a quel punto emise un comprensibile gemito di risentimento, lamentando le vane ragioni per cui la pensione fosse un beneficio ancora negato ai quadri – e per poco non precipitò sul fratello.
  «James, sei davanti all’ingresso» lo ammonì apprensiva, poi individuò la cugina «Scorpius sembra davvero fuori di sé. Ha detto che sono l’unica persona, in questo Castello, per la quale avrebbe fatto un’eccezione. Non ho ben capito di cosa stesse parlando, ma mi è sembrato molto carino».
A quel punto della situazione, proteste generali, ormai rivolte solo a lei, si confusero con moniti di incoraggiamento, provenienti da qualche studente più coraggioso, a cui si aggiunsero consigli infallibili su come gestire un fidanzato possessivo.
Rose depose il libro di Trasfigurazione, sfilò tra insulti e acclamazioni, ignorò il Potter maggiore dal volto ormai livido e provò a convincere la Signora Grassa che avrebbe posto fine ai suoi tormenti.
 
Individuò la fonte di tutto quel trambusto in una figura longilinea e vestita di scuro nelle ombre della Torre, poggiata allo stipite di uno dei corridoi sospesi. I capelli biondi e il viso pallido avrebbero anche emanato bagliori luminosi, se il volto del ragazzo non fosse stato pericolosamente severo.
  «Mi cercavi?» chiese caustica.
Il ritratto alle sue spalle si chiuse in un fragoroso boato, che risuonò nel corridoio buio e profondo, lungo le pareti, risvegliando singulti di protesta negli altri quadri. La Signora Grassa attaccò con la sua litania, destinata a un debole sottofondo.
Per tutta risposta il ragazzo le puntò contro due occhi immobili.
  «Ti meriteresti quei famosi 50 punti in meno» disse rigido dopo un lungo silenzio.
  «Sono qui per questo» spiegò, allargando le braccia in un gesto di lieto invito. «Lo sanno tutti che saresti capace di farlo».
  «Togliere punti ad ogni Grifondoro che mi si presenta davanti con questo atteggiamento?». Scorpius riusciva a conservarsi nella stessa posizione per minuti interminabili, senza che il corpo si concedesse di accompagnare, in gesti, l’esasperazione crescente nel suo tono di voce. «Con piacere».
  «Accomodati» propose lei in un sorriso d’affetto.
Aveva capito da tempo quanto fosse facile ferirlo in quel modo, con la semplice dolcezza che lui pensava di non meritare e che gli veniva offerta come un pezzo di carne, proprio nei momenti in cui non faceva nulla per ottenerla. Per poi portargliela via sotto il naso.
  «Non è il tuo caso, Weasley».
Scorpius Malfoy le rivolgeva una sguardo vitreo, le braccia incrociate al petto sigillavano quel corpo di pietra solo apparentemente adagiato lungo il muro basso. I lineamenti gentili addolcivano le rughe di un viso contratto e tetro, ma solo ai suoi occhi che ben sapevano scrutarlo. Con poca difficoltà comprese come dovesse apparire agli altri: nervoso, gelido, pericoloso.
  «Non sono forse il tuo bersaglio preferito?».
Si fissarono per diversi secondi di silenziosa e dolorosa resistenza. Erano tempi eterni, durante i quali Scorpius pungolava quel velo di compostezza, che ogni tanto Rose si prendeva la briga di calare sulle proprie intenzioni, per fingere una parvenza di autocontrollo. Lui aspettava solo un’altra esplosione e lei faceva di tutto in suo potere per reprimerla.
Scorpius socchiuse gli occhi come guardingo, poi inclinò leggermente la testa di lato e sembrò pensieroso.
  «È una domanda difficile».
Lei si costrinse a guardare altrove, a non immaginarlo lì, fuori dalla propria Sala Comune, solo per lei.
  «Strano, considerando che sarebbe arduo stabilire cosa abbia perso di più oggi a causa tua, se i punti o la dignità» sbottò lei in risposta a quello sguardo che sperava di parlare senza dire troppo. «È davvero la relazione che ho sempre sognato».
Era consapevole del pensiero che aveva preso forma nella sua mente prima ancora di dargli voce, ma l’espressione di gelo, che si dipinse sul volto attonito del ragazzo, la costrinse a riesaminare con attenzione le battute di quell’atto, per assicurarsi di non averlo appena minacciato di morte. Avrebbe facilmente pensato, dal pallore crescente e da quella immobilità irreale, che la vittima di fronte a sé avesse perso ogni traccia di vita, se ad un certo punto non avesse mosso le labbra impercettibilmente, in vagiti senza voce, come alla ricerca di una via d’uscita.
  «Te ne devi andare» concluse Rose.
  «Cosa? Perché?»
Rose era già verso di lui e adesso lo spingeva lontano dal proprio corridoio. Lo aveva afferrato dal braccio, forse per avere la scusa di percuoterlo o di toccarlo ancora. Sapeva che le era concesso solo quello, e in parte ringraziava il suo pessimo interlocutore per quella indecisione che l’aveva spezzata in due. Lo ringraziava di avere il coraggio di essere sincero su quello che loro non avrebbero mai potuto condividere.
  «Non hai nessun motivo per stare qui» continuava a ripetersi, anche se un pensiero insistente le riscaldava il cuore. «Nonostante ci sia il coprifuoco e tu abbia violato tutte le regole per farti trovare fuori dalla Sala Comune di Grifondoro» concluse, perché il bisogno di dirlo ad alta voce le aveva dato il tormento da quando Johanna aveva pensato bene di indurla alla paranoia.
Avevano compiuto ancora qualche passo sotto le spinte di Rose, quando lui cercò di difendersi dal suo ennesimo attacco, questa volta trattenendo le risate.
  «Scherzi?» disse, schivando la presa della ragazza. «Ho la ronda notturna». Rose smise di spingerlo via e lo guardò confusa. «Ti sembro il tipo che rischierebbe una punizione in modo così stupido?».
Con lo sguardo perso sul volto di lui, divertito per quella insinuazione, Rose pensò che avrebbe potuto piangere da un momento all’altro. Gli diede le spalle e si passò una mano distratta sugli occhi asciutti per calmarsi, prima di allontanarsi da lì.
  «No, aspetta un attimo».
Scorpius Malfoy la superò e in un lampo le si parò davanti con un’espressione grave sul volto. La fissò per diversi secondi e si lasciò andare ad un sospiro.
  «Non sono qui per litigare» disse in un sussurro tenue.
  «Certo che no» dichiarò lei. «Sei qui per sfoggiare il tuo potere da Prefetto del cazzo durante la tua cazzo di ronda».
Lui inarcò entrambe le sopracciglia e stette qualche istante senza sapere cosa risponderle. Ancora.
  «Si può sapere che ho detto per meritare una reazione del genere?».
  «Hai detto che non sei qui per litigare. Bene, cosa vuoi?».
Scorpius rimase spiazzato e con non poca difficoltà si costrinse a fare ordine tra i suoi pensieri, per formulare una risposta convincente. «Parlarti di oggi,» aggiunse a fatica. «di Kate».
Con ritrovata lucidità Rose stabilì che il fondo era stato appena toccato.
  «Buonanotte, Malfoy».
Lo vide chiudere gli occhi e alzare la testa al cielo, prima di superarlo definitivamente per tornare dalla Signora Grassa, che, questa volta, la guardò comprensiva.
  «Rose …» lo sentì chiamare debolmente e apprezzò che non tentasse di fermarla.
  «Ce ne sono di migliori, mia cara» le borbottò con rimprovero la madre del dipinto, che con molta probabilità aveva preso in antipatia il ragazzo già dalle prime minacce rivolte ai suoi studenti. Prima che la donna la informasse chiaramente su quanto le sue scelte in fatto di uomini non giustificassero tutto il disturbo inflittole quella sera, il quadro fu costretto ad aprirsi, per lasciar passare Fred Weasley, i cui occhi erano attentamente coperti da una mano. Seguivano qualche ragazzo del sesto anno e James Potter.
  «Avete tutti i vestiti addosso?» si informò Fred prima di inciampare nell’architrave inferiore. «Non voglio che mi si blocchi la crescita».
  «Vedermi nudo potrebbe solo farti venire complessi di inferiorità» rispose con scherno Scorpius Malfoy, palesemente irritato da quella numerosa interruzione.
Melissa, che aveva varcato il ritratto per ultima, ridacchiò, probabilmente persuasa dalle parole del ragazzo. Scorpius la lanciò uno sguardo rapido ma curioso e lei lo ispezionò da cima a fondo con i suoi occhi inquisitori, per poi comunicare, in una smorfia compiaciuta, il suo verdetto finale.
Tutto quello squallido e silenzioso ammiccamento era avvenuto con talmente tanto esibizionismo, sotto gli occhi di tutti, che Rose provò vergogna per essersi intrattenuta in compagnia di Malfoy.
  «Tutto bene?» si informò James, guardando attentamente la cugina.
  «A quanto pare, voleva davvero solo una scusa per togliermi dei punti» spiegò Rose. «Sai, è di ronda stasera» aggiunse, non potendo fare a meno di guardare il diretto interessato.
  «Di questi tempi sembra essere motivo di reclusione ad Azkaban» rispose lui, restituendole un’occhiata tetra.
  «Sei fortunato che io sia la gemella sbagliata, Scorpius, o avrei trovato il modo di fartela pagare» chiarì Melissa.
Solo James Potter continuava a fissare duramente la cugina. «Torna dentro, Rose. C’è il coprifuoco» disse inutilmente, come se ripetere quella parola potesse dare l’impressione che qualcuno avesse mai preso seriamente la questione.
  «Voi dove state andando?» chiese Rose, infatti, trovando per un momento strana la presenza di Melissa tra loro. Quando pensò che avrebbe potuto trattarsi di un’orgia o di qualcosa del genere, si pentì di aver posto la domanda e varcò il ritratto.
  «Dove pensi di andare, giovanotto?».
Poi la Signora Grassa chiuse il passaggio.
 
Il suo rientro in Sala Comune era preannunciato come la più mesta delle sconfitte, ma ciò non valse la ragione delle sue compagne di Casa, le quali, senza un’apparente logica, la attorniano con i loro sguardi indiscreti, accompagnando qualche domanda ad un cenno d’intesa e in un attimo se le ritrovò intorno, come uno stormo in tempesta. Non le vedeva veramente e non capiva le loro parole, farcite di curiosità e di una letizia fuori luogo. Vagava alla ricerca dell’unica persona sulla quale riversare la propria ira, nella melodia di una rincuorante filastrocca, che faceva pressappoco “te l’avevo detto”. Ma di Joa nessuna traccia, eppure la Sala Comune non le era mai sembrata tanto piccola e claustrofobica.
  «Spero tu ti sia fatta sentire» disse una matricola particolarmente vivace.
  «Rose, cara» una ragazza del settimo anno le fece cenno con la mano di avvicinarsi al divano, dove lei e il suo seguito scorrazzante confabulavano assorte. Quando si mosse, avvertì una presenza corposa seguirla nei movimenti, e capì di aver appena guadagnato il proprio corteo. «Lascia che ti dica una cosa molto importante, che forse ti sorprenderà: devi sapere che i ragazzi come Malfoy sono i più facili da gestire» si interruppe con fare enfatico.
  «Oh» riprese Rose, quando capì che avrebbe dovuto mostrarsi colpita. «Ma davvero?»
  «Certo» disse ridacchiando.
  «Ellen ha una lunga esperienza con tuo cugino James» confermò un’altra ragazza, alla quale spettava evidentemente il compito di illustrare le referenze dell’amica.
  «Ah sì?» disse, ma capì all’istante che a quella rivelazione non avrebbe dovuto manifestare meraviglia di alcun tipo. «Ma certo, me lo ricordo» mentì, chiedendosi dove sarebbe andata a finire la sicurezza di Ellen se avesse saputo di dover competere con Dominique.
  «Per un periodo siamo state praticamente parenti» chiarì subito Ellen, che non aveva gradito quell’inutile indugio.
Rose soffocò una risata con un colpo di tosse. «Ti ringrazio per la dritta, ma Malfoy non è il mio ragazzo».
Rimase delusa dalla generale impassibilità che seguì quell’importante dichiarazione. Le ragazze più grandi si scambiarono qualche sorriso divertito.
  «Lo sappiamo che non è il tuo ragazzo, ti ha sempre trattata di merda in questi anni» replicò la stessa matricola dall’aria impertinente.
Rose le lanciò un’occhiataccia, come a volerle ricordare che un tempo si rispettava una certa gerarchia prima di rivolgersi con tanta sfrontatezza a quelli degli ultimi anni. Soprattutto se tali libertà venivano poi impiegate per esprimere sconvenienti – quanto veritieri – pareri in fatto di pessimi fidanzati.
Quella era proprio la tipica questione alla quale non era in grado di pensare con lucidità, se prima non avesse sfogato un po’ di sana isteria da incontro con Malfoy su Johanna Jordan, artefice indiscussa di tutti i suoi mali. L’avrebbe ammonita di non riprovare, in nessun evento futuro, a immaginare Scorpius Malfoy in vesti diverse da quelle del solito, egoista Scorpius Hyperion Malfoy.
Lasciò a Ellen il compito di ricordare alla matricola incandescente che sarebbe arrivato un giorno in cui non l’avrebbe più pensata in quel modo. Quando raggiunse il Dormitorio e non trovò Johanna nemmeno nel suo letto, capì che Louis doveva aver concesso ben più di una violazione del coprifuoco quella sera.
Sentì dei colpi alla porta aperta. Tess Rivers la guardava con consapevolezza e Rose considerò, a quel punto, che seguirla fino al Dormitorio fosse un atteggiamento preoccupante persino per una come lei, che aveva tutta l’aria di essersi votata a renderle la vita particolarmente difficile.
Invece Tess parlò senza leziosità, ma seria in volto. «Non ti conviene aspettarla sveglia».
Allora Rose capì e la invitò ad entrare, chiudendo su di loro la porta di quella camera nuda.
 
 
 
 
 
 
NamibiaCamminare in punta di piedi sulla sabbia calda
 

 
Ho pensato che nessuna parola potesse valere quanto un capitolo lungo abbastanza per farmi perdonare.
Nel frattempo mi sono laureata, sono esaurita, ho ritrovato lucidità, sono esaurita nuovamente e ho pensato alla miglior medicina del mondo: un bel capitolo pronto da un vita che aspetta solo di essere levigato e infornato.

 
 

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Capitolo 21
*** Ubuntu ***


Succede.
Uno si fa dei sogni, roba sua, intima, e poi la vita non ci sta a giocarci insieme, e te li smonta, un attimo, una frase, e tutto si disfa.
Succede.

Mica per altro che vivere è un mestiere gramo. Tocca rassegnarsi. Non ha gratitudine, la vita, se capite cosa voglio dire.


 

 
 CAPITOLO XXI
 

 

Ubuntu

 

 
L’enorme orologio a pendolo della Torre di Infermeria segnò mezzanotte con un profondo singulto, che echeggiò per i corridoi bui del castello, come un sinistro presagio. Era ormai in ritardo.
Non aveva più motivo di affrettare il passo, il peggio gli sarebbe stato scaraventato addosso in ogni caso, sotto l'aguzza forma di rimproveri a sguardi desolati.
E tanto piacere.
Forse un Grifondoro avrebbe già riscaldato i caldi bollori, da infiammare all'occasione, in nome dell'orgoglio ferito, davanti alla ramanzina della Preside. Dal canto suo, era diffidente verso le lusinghe, quanto seccato dalle accuse, ma in una misura che non lo avrebbe mai scomposto più di tanto. Il padre gli aveva insegnato a incassare ogni colpo con il mento alto e lo sguardo fiero, ma la madre aveva sempre avuto la debolezza di inumidirlo, quello sguardo, e di allontanarlo, mortificato e colpevole.
Salutò con un cenno della mano il grifone che lo scrutava impenetrabile e spaventoso, in attesa di qualche profezia che non avrebbe mai pronunciato.
Cazzo, la parola d’ordine.
Gli era stata comunicata nella lettere di convocazione, ma nella fretta di catapultarsi all’appuntamento non vi aveva prestato troppa attenzione. E poi quel giorno i pensieri si affannavano e accatastavano, ingombrandogli la mente e ogni altro spazio residuo destinato alle funzioni vitali.
Era perennemente sovrappensiero.
È davvero la relazione che ho sempre sognato.
Il cuore accelerò il ritmo, mentre il respiro si faceva pesante, come improvvisamente spezzato, faticoso. Rincorse ancora il suono della sua voce, caustico e sereno allo stesso tempo.
Relazione.
Così l’aveva definita Rose Weasley. Cosa? Quella cosa che avevano loro due. Fatta di conflitti, incomprensioni, tanta, ingestibile elettricità, che avevano imparato a contenere e a canalizzare nella giusta direzione. Quando si toccavano riuscivano a tacere ogni malinteso e parola di troppo, non c’erano timori, dubbi e rancori, solo il desiderio di esplorarsi e di capire quanto ancora di sconfinato ci fosse per loro, oltre tutto quello di distruttivo che si erano già dati.
Relazione.
Scosse la testa nel nulla e lo sguardo si impiantò, ovattato e penetrante, sul grifone, come se non vedesse altro. Era incantato dal movimento regale di quello strano uccello dall’aspetto pomposo che gli ricordava i Grifondoro e gli trasmetteva una certa ansia. «Relazione?» gli chiese, senza che ci fosse alcuna valida ragione per pensare che fosse la parola d’ordine.
  «Relatio-onis, derivato di referre, riferire. Esposizione, illustrazione, connessione».
Trasalì e condusse la mano alla bacchetta riposta sotto la giacca. Gli occhi tornarono fissi sul grifone, ma la sua immobilità lo spaventò.
  «Credevo studiaste il latino» ritornò la voce, insieme a passi che prima gli erano sfuggiti.
Si voltò di scatto mentre sussurrò alla sua bacchetta di illuminarsi.
  «Abbassi la luce, Signor Malfoy, è perfettamente al sicuro con me»
Korbin Perkins apparve lentamente sempre più distinto, all’interno del triangolo luminoso disegnato dalla sua bacchetta e gli sorrise cordialmente, instillando in lui il bisogno di stringere la bacchetta.
  «Demiguise» disse con convinzione al grifone che prese vita. Perkins intercettò i gradini in movimento con un saltello «La Preside è un’amante degli animali, lo sapeva?»
No, non lo sapeva e gli interessava davvero poco. Ciò che più gli premeva di scoprire era perché lui si trovasse lì in quel momento, diretto all’ufficio della Preside. Attese a lungo e si lasciò ospitare solo dall’ultimo gradino, tanto perché la distanza rendesse palese l’ostilità con cui già il suo silenzio aveva riempito gli spazi tra lui e il professore.
  «Si accomodi»
Non ci pensò neanche per un minuto, pertanto restò in piedi al centro dell’ampia sala circolare, sotto la pigra sorveglianza degli antichi presidi sonnolenti.
  «Deve esserci stato uno sbaglio, professore. Sono stato convocato dalla Preside, nel suo ufficio».
Lungi dalle ossequiose arti dialettiche di Albus Potter, poteva comunque dirsi soddisfatto della propria abilità nel mistificare ogni forma di ribrezzo. Non si risparmiò, tuttavia, dalla valutazione di quanto inopportuna fosse la presenza di quel pagliaccio in un posto tanto rispettabile.
Perkins ebbe, quantomeno, la decenza di non sedersi sulla poltrona dietro la scrivania. «Vorra scusarla se non si presenterà al vostro incontro. È stata trattenuta da faccende di carattere, come dire, disciplinare» precisò, dopo una pausa enfatica e un lungo sorriso che Scorpius non seppe interpretare. «Si è assicurata, tuttavia, che il vostro appuntamento venisse rispettato, data l’importanza della questione».
  «E ha mandato lei?» chiese, non potendo trattenere una punta di scetticismo. Adesso che i contorni di quella faccenda assumevano forma definita, gli sembrò tutto talmente grottesco da montargli una furente ira: stava rinunciando all’adunata di Walder per concedere a Perkins il suo momento di gloria.
  Perkins si lasciò andare a una leggera risata «Temo che dovrà far pace con l’idea che io sono un suo professore».
Scorpius trascinò la sedia lontano dalla scrivania con uno stridore insistente che fece sorridere il professore. «Mi dica pure»
  «Signor Malfoy, la questione che vorrei trattare è piuttosto delicata»
  «Le ho mancato nuovamente di rispetto?»
Perkins fece una lunga pausa «Si tratta di sua madre. Domani salirà sul primo treno diretto a Hogwarts, desidera parlare con lei di alcune novità che hanno interessato la sua famiglia. Non vorrei essere io ad affrontare l’argomento, ma di certo saprà che Adam Nott è stato reintegrato dal Ministro della Magia, e le accuse nei confronti della famiglia di sua madre si sono fatte più insistenti»
Scorpius lasciava scorrere lo sguardo dal professore a un punto vago della stanza, dove i suoi occhi si annebbiavano. La mortificazione lo inchiodava alla sedia e gli faceva battere la gamba, come se fosse scossa da tremori. Arrestò il movimento appena se ne accorse.
  «Perché avete permesso a mia madre di venire qui?» sussurrò con voce roca.
Il professore costeggiò la scrivania e si avvicinò al ragazzo, che sollevò uno sguardo ostile «Forse non ti è chiara la difficoltà della situazione, Scorpius. Inizierà un processo, ci saranno i giornalisti alle porte di Hogwarts e per te potrà non essere un momento facile. L’ultima cosa che la scuola vuole è che un suo studente venga sottoposto a una pressione del genere».
  «Che un Malfoy, intendeva dire»
Perkins sospirò cupo «Tua madre è molto preoccupata per te»
  «Mia madre è una persona fragile» tuonò Scorpius. «E voi state assecondando le sue paranoie. Non gliel’ha detto, la cara Preside?» aggiunse con un sorriso isterico «Mia madre ha perso la ragione da molti anni. È convinta che chiunque ce l’abbia con lei, che i Nott la perseguitino e che lei sia la causa dei peggiori mali compiuti a questo mondo»
  Perkins annuì pensieroso «Se così stanno le cose, la scuola dovrebbe chiedere un colloquio con Hermione Granger, alla presenza di tua madre, per rassicurarla in merito alla tua salute e serenità…»
  «Non mi sta ascoltando, professore. In che modo pensa che un incontro con il Ministro possa farle bene?» sospirò stanco e si portò una mano agli occhi «Me ne occupo io, a quanto pare sono l’unico qui dentro capace di gestire una probabile esplosione».
Il latrato di una sirena coprì ogni altra parola e rimbombò nella stanza dalla volta alta. Entrambi sobbalzarono e si guardarono intorno istintivamente, mentre le mani corsero a stringere la bacchetta. Il professor Perkins si diresse verso l’ampia finestra, affacciata sul cortile interno, sul campo da Quidditch e sulla Foresta Proibita in lontananza. Emise un gemito di sorpresa. Quando Scorpius lo fiancheggiò, ciò che vide fu la Stamberga Strillante avvolta da una nube di fuoco alto e sfavillante, che imperava nel buio della notte e disperdeva scie di fumo e fiamme, senza, tuttavia, compromettere l’architettura dell’edificio.
Un fuoco magico divorava la sede dell’Adunata, mentre i suoi compagni di Casa vi erano nascosti. L’allarme tuonava, svegliando l’intero Castello.
  «Non ti muovere da qui» disse il professore, poco prima di abbandonare la stanza.
Scorpius continuava a fissare la Stamberga Strillante in lontananza, alla ricerca di minuscole figure che da essa uscissero e che si dessero alla fuga, ma intorno al rudere c’era solo fuoco e fumo acre che saliva in spirali, illuminate dagli occhi della notte.
 
 
 
- § -
 
 
 
Eloise e Candice avevano aperto la porta del Dormitorio, trovando Tess Rivers ancora seduta sul letto di Rose. La ragazza si era congedata educatamente, lasciando che un silenzio attonito riempisse la stanza, al posto delle domande che ognuna di loro si dipinse sul volto. Tra le possibili risposte, nessuna di queste era riuscita a spiegare l’assenza di Melissa e di Johanna.
Rose aveva lasciato la Stanza Comune di Grifondoro già da parecchio.
La conversazione avuta con Tess poco prima le riempiva ogni pensiero.
 
  «Non ti conviene aspettarla sveglia»
  «Di chi parli?»
Tess le aveva rivolto uno sguardo eloquente «Dell’unica amica che ti è rimasta».
Nonostante avesse preso la dolorosa decisione di ricorrere al suo aiuto, non riusciva a risparmiarsi di constatare la facilità con cui la ragazza mostrava la sua parte più sgradevole.
  «Apprezzo l’interessamento» mentì «ma non è quello che ti avevo chiesto»
  «Sai perché riesci a essere così cieca davanti alla verità?» aveva aggiunto allegramente. «Perché ti sfugge la visione d’insieme. Inseguire una vita di coppia con Malfoy è talmente tanto estenuante?»
Rose avrebbe tanto voluto strangolarla, ma si limitò a poggiarle una mano delicata sul braccio «Perché mi fai domande di cui conosci già la risposta?»
  «Perché tu non mi dai mai nulla in cambio» Tess mise il broncio e prese a battere il piede sul pavimento, stizzita «A che prezzo raccontarti i dettagli delle discussioni tra Candice e Vincent, quando poi non posso ripagare con la stessa moneta le curiosità della tua ex migliore amica?»
Un’ombra scese sul volto di Rose «Lei ti chiede di me?»
   «Di te e Johanna, di te e Malfoy, di te e Alan Doyle. È una curiosità abbastanza comune, a dire la verità. Come vedi, la mia credibilità si basa sulla quantità di informazioni corrette di cui posso disporre»
Rose la guardò inorridita «Oppure potresti dire a Candice di lasciarmi in pace, una buona volta»
  «Come tu lasci in pace lei e Vincent? Lo vedi? Siamo tutti uguali» Tess la guardò con attenzione chiudersi nel suo silenzio «Imparerai a fidarti di me» concluse.
  «Non ho scelta, Tess. Sei gli occhi e le orecchie di questa Casa» disse in un sussurro cupo.
Lei sorrise lusingata e si schiarì la gola «A proposito di questo, avrai notato che la Sala Comune è vuota. Louis non ha fatto eccezione solo con te, ma ha concesso a chiunque un lasciapassare per questa sera, nonostante ci sia il coprifuoco. Un comportamento stranissimo».
  «Perché l’ha fatto? In quanto Caposcuola risponderebbe lui stesso di questa violazione, la Preside è stata molto chiara»
Tess annuì «Mi sono premurata di fornirti una lista di persone che al momento non sono in Dormitorio, né in Sala Comune. Come vedi, figurano il Caposcuola in persona, i tuoi cugini e la tua amica del cuore».
 
E molti altri studenti Grifondoro.
Bussò contro il muro in pietra un paio di volte. Un ragazzino Serpeverde dall’aria divertita la accolse all’ingresso.
  «Dove pensi di andare?»
  «Scusami per l’intrusione. Saresti così gentile da farmi passare? Ho necessità di incontrarmi con mio cugino Albus Potter, sesto anno».
Il ragazzo sembrò non averla ascoltata «Potrei, forse, ma c’è un prezzo da pagare» rispose con goffa lascivia, guardando i compagni sghignazzanti. Quando ritornò a prestare attenzione a Rose, incontrò la bacchetta della ragazza piantata dritta tra i suoi occhi.
  «Che perdita di tempo provare a essere gentile con voi».
Il Dormitorio maschile dei suoi ragazzi preferiti era completamente deserto. Per quanto non avesse mai considerato gli abitanti di quell’anfratto dai colori tetri, individui particolarmente ligi al dovere, la violazione tanto sfacciata di un divieto, appena imposto dalla Preside, era troppo persino per loro.
Trovò la Mappa del Malandrino nell’armadio di Albus, nascosta con perizia tra le pieghe dei maglioni.
La ricerca dei suoi compagni di Casa non fu così ardua come aveva immaginato; li ritrovò in un punto preciso della Mappa, dove questa disegnava un edificio dai tratti confusi, sommersi dai tanti nomi che si affastellavano l’uno sull’altro. Si trattava della Stamberga Strillante, e una buona parte degli studenti di Hogwarts era, inspiegabilmente, concentrata al suo interno.
Rose ne riconobbe fin troppi:
 

Johanna Jordan, James Sirius Potter, Fred Weasley, Melissa Davis, Louis Weasley

Dominique Weasley, Roxanne Weasley, Lorcan Scamander, Lysander Scamander

Albus Severus Potter, Alan Doyle, Vincent Nott, Katherine Hastings, Clegar Walder

Molly Weasley 


Un suono disturbante irruppe nell’interno più profondo del suo cervello e rimbombò contro le pareti del Dormitorio. L’allarme incalzava, accelerando il suo ritmo, mentre Rose si precipitava in Sala Comune, a ritrovare la stessa sua confusione nei volti degli studenti Serpeverde.
 

 

 
- § -
 
 
 
Scorpius era ormai nella Sala d’Ingresso.
  «Signor Malfoy, cosa fa fuori dal letto?». Il professor Roberts gli andava in contro, avvolto nella sua vestaglia verde oliva di velluto. «Un’altra segnalazione per questa sera, l’ennesima».
L’organico della scuola era tutto riversato tra i corridoi, nella Sala d’Ingresso, lungo le scale.
  «C’è stato un malinteso, professore. Sono stato convocato dalla Preside, ero lì con Perkins fino a poco fa, poi è scattato l’allarme e il professore si è recato personalmente alla Stamberga».
  «Alla Stamberga!» arrivò la voce stridula di Madama Pince «Oh buon cielo».
  «Vedremo, Malfoy» borbottò il professore preoccupato «Rimandiamo questo discorso alla presenza del professor Perkins, perché stasera i tuoi compagni di scuola fremono dal desiderio di ricevere una bella punizione» disse, facendo vibrare di collera i folti baffi.
Scorpius avvertì gocce di sudore scivolare sotto la sua camicia e accarezzare il martellante movimento del suo cuore. I palmi erano ghiacciati per la corrente che sferzava l’aria, tra il Portone spalancato e le finestre, alle quali in molti erano affacciati. Il trambusto era narcotizzante, per quanto figure frettolose gli passavano accanto. L’ira dei docenti era alle stelle e Scorpius guardava in lontananza la Stamberga Strillante, chiedendosi come avrebbe mai potuto salvare Albus da quella situazione.
Quando l'ennesimo professore gli passò accanto adirato, pensò che la soluzione più saggia fosse quella di rintanarsi nell'oscurità dei Sotterranei, ma lungo la profonda scala che defluiva vero il basso, un’ombra svelta venne catturata dalla lanterna passeggera, alle calcagna di un professore frettoloso.
Sgattaiolò via dall’attenzione dei presenti e inseguì la sagoma dai capelli rossi.
  «Rose, che ci fai qui?» La ragazza era stravolta e lo guardava con occhi persi.
  «Non capisco cosa stia succedendo. Devo andare alla Stamberga».
Scorpius le bloccò il viso tra le mani, accarezzandole i capelli, ma parlando con voce chiara e decisa.    «Ascoltami bene, devi andare subito in Sala Comune: i professori stanno setacciando il Castello e a breve avvieranno un’ispezione in tutte le stanze. Non è solo violazione del Coprifuoco, quelli che verranno scoperti fuori dal letto saranno in un gran bel casino».
  «Ma, non capisci» biascicò «sono tutti fuori dal letto. Albus…»
  «Lo so, questa sera si è tenuta un’Adunata alla Stamberga. Mi dispiace, Rose, ma temo che Albus e tutti quelli di Serpeverde non siano riusciti a scappare in tempo».
La ragazza continuava a scuotere la testa «Johanna, James, Fred… ».
Scorpius continuò ad accarezzarla, ora sinceramente preoccupato dallo stato in cui versava: continuava ad agitare la Mappa del Malandrino, fino a che non la aprì, indicando a Scorpius un punto ben preciso.
  «Non è possibile» disse lui davanti alla sfilza di nomi imprigionati nella Stamberga Strillante.
Quando qualcuno in lontananza urlò un ordine e diversi passi seguirono quella via, Rose gli strinse forte la mano. «Scorpius» disse in un filo di voce «Il libro della Sezione Proibita: è nella mia stanza, se fanno l’ispezione lo troveranno».
Scorpius abbandonò presto l'idea di essere sfuggito a un gramo destino, evitando l'Adunata di quella sera. L'esperienza, più volte, aveva tenuto a fargli notare che non esiste destino più gramo di Rose Weasley. «Andiamo a prenderlo».
 
Procedere tra i corridoi di Hogwarts non era mai stato tanto complicato.
Scorpius si faceva avanti, controllando la strada e assicurandosi che un altro antro buio fosse vicino e pronto a nasconderli agli occhi del personale scolastico.
  «Scorpius Malfoy» tuonava ogni tanto qualche voce.
  «Ero con il professor Perkins fino a poco fa, lo chieda a lui. Ho sentito l’allarme e ho pensato di controllare cosa stesse succedendo» ripeteva a ogni passante.
  «Hai pensato male!»
  «Fila nei Sotterranei prima che abbia il tempo di spiegarti da quanti punti di vista questa tua scusa sia poco credibile».
Alle porte della Sala Comune di Grifondoro, la Signora Grassa non risultò collaborativa.
  «Non puoi esserci ricascata, ragazza mia» si lamentò, fulminando Scorpius con lo sguardo. «Non sarai una Corvonero ma un minimo di sale in zucca dovrai avercelo».
  «La prego, Signora Grassa, le prometto che non metterà piede nel Dormitorio»
  «Ah» sbuffò scettica «Me ne ricorderò» concluse, aprendo il passaggio «E sappiate che i quadri parlano» li riconcorse con la sua eco.
  «Inquietante» Scorpius incrociò le braccia al petto, come se si sentisse violato. «E con questo scordati di chiedermi di rimanere nella tua Sala Comune. Almeno da me si fanno gli affari loro».
  «Ma ti sembra il momento?»
 
Rose tornò con il libro sottile infilato nei jeans e nascosto dalla giacca, chiusa sopra il maglione.
  «Ho pensato potesse esserci utile» disse, porgendo al ragazzo metà del Mantello dell’Invisibilità «è la settimana di Lily»
Scorpius se lo gettò sulle spalle, ma, per riuscire a coprire la sua notevole altezza, dovette provare ad accucciarsi, sollevare una gamba e lasciare un gomito scoperto e sospeso nel nulla. Infine lo sottrasse dal corpo di Rose, se lo sistemò con attenzione e attirò la ragazza a sé. Le avvolse le mani intorno alle spalle, chiudendole il mantello sul petto. Si concesse di indugiare sulle curve del seno, di accarezzarle i fianchi e di accompagnarli contro il proprio corpo.
Rose rispose con un’immobilità inerme, ma inclinò il capo, liberando il collo dall’invadenza dei capelli, e concedendo al ragazzo di poggiarvi le sue labbra. Scorpius depositò finalmente le braccia sul suo corpo, prendendole il ventre, i fianchi e tutto ciò che riusciva ad avvolgere. La strinse a sé con tenerezza, le annusò i capelli, il volto e il collo, rilasciando baci di una dolcezza sconvolgente.
  «Mi dispiace per prima».
Lei chiuse gli occhi, lacerata dall’interno «Non fare così, sai che non è giusto». Lo sentì soffiare una risata nel suo orecchio. «E non è il momento». Voltò il capo per incontrare i suoi occhi accesi di una luce intensa, che le fece dimenticare ogni cosa. Era muto e imperscrutabile, ma nelle iridi un capriccio ballava e la penetrava così a fondo da farla sentire nuda. In quell’istante sì percepì come l’essere più desiderabile sulla faccia della terra.
Si sostenne sulle punte per incontrare le sue labbra e baciarlo frettolosamente, poi cambiò idea e le mani si fiondarono nei suoi capelli, toccandogli il viso, il collo e il petto sotto il maglione. Scorpius reagì in ritardo, quasi strappandole altri baci e facendole male mentre la stringeva a sé.
  «Dobbiamo andare»
 
Come da previsione, il professor Arrows sbarrava l’ingresso della Biblioteca con il suo passo goffo che saliva e scendeva, visibilmente annoiato. Scorpius si accorciò sotto il mantello, quasi piegandosi sulle ginocchia, ma per quanti sforzi facessero entrambi,  i loro piedi continuavano a vagare solitari nel nulla.
  «Vado solo io» proruppe Scorpius nervoso.
  «Non dire assurdità».
  «Frena l’impulsività, Grifondoro. Io ho accesso alla Sezione Proibita, la mia presenza è necessaria, mentre la tua è solo un peso».
La ragazza lo guardò accigliata «E’ un libro di melediziologia, può essere depositato solo dalla mano che lo ha afferrato».
Rose aveva letto un’informazione del genere da qualche parte, ma non era sicura che questo discorso fosse estendibile anche al loro caso. Il ragazzo, il cui colorito si era fatto più eburneo, non sembrava intenzionato a intrattenersi in quella situazione ancora a lungo, pertanto finse di crederle.
Scorpius trattenne il respiro e proseguì a piedi scalzi, superando la figura di Arrows e arrestandosi accanto al portone. In quel momento Rose lanciò, lungo il corridoio, uno degli articoli Weasley che avevano trafugato in camera di Lily, il quale produsse un frastuono in lontananza, simile a una mitragliatrice in azione. Mentre Arrows si accasciava spaventato, il ragazzo aprì il portone e lo lasciò aperto nel buio.
Avvertì dei movimenti alle sue spalle, poi il corpo esile di Rose sgusciò dietro di lui.
Scorpius sgranò gli occhi «Avresti dovuto aspettare che ti passassi il Mantello dalla finestra» sussurrò con il cuore che impazziva nel petto.
  «Mi è sembrato un piano troppo macchinoso»
  «Sì, ma era il piano. Si chiama così perché va rispettato»
La ragazza non lo ascoltava più, invece scendeva la minuscola scala a chiocciola diretta alla Sezione Proibita. L’odore di muffa pungente gli inumidì gli occhi, mentre cercava di orientarsi al buio e di tenere il passo spedito di Rose Weasley, che, senza timori o premure, si inoltrava in luoghi sconosciuti, e celati alla loro vigilanza.
Quindi oltre che preoccuparsi per la propria pellaccia, doveva considerare anche le sorti di quella ragazza sconsiderata.
Man mano che si inoltravano, l’allarme stridente si attenuava a una litania di sottofondo, e il trambusto del Castello veniva risucchiato nel ronzio del silenzio. Scorpius fu scosso da un tremito.
Puntò la bacchetta contro il marchio di ceralacca color porpora, che sigillava un consunto lucchetto in ottone, e incidendo con la punta della bacchetta, realizzò una runa antica. Il marchio si indorò per diversi secondi, per poi disperdersi in fuliggine rossastra.
  «Perché non funziona?». Per la prima volta Scorpius avvertì il panico nella voce della ragazza, e l’ansia gli fece bruciare lo stomaco.
  «Non lo so»
  «Hai sbagliato incantesimo?»
  «No, è sempre lo stesso incantesimo, è quello che uso da anni»
  «Allora avrai sbagliato la formula»
Scorpius le lanciò un’occhiataccia «Non ho sbagliato la formula»
  «Beh, non è che abbiamo molte altre soluzioni» replicò lei querula «Quindi io direi che un secondo tentativo ce lo possiamo concedere, senza che questo valga come oltraggio alla tua perfezione, che ne pensi?»
Scorpius preferì concederle solo un silenzio di disappunto e un sospirò enfatizzato mentre puntava, per la seconda volta, la bacchetta contro la ceralacca. Prima ancora che ebbe il tempo di pronunciare l’incantesimo, una runa che nulla aveva di familiare, si dipinse sul marchio, incidendo la dura cera fiammante e lasciandola colare come lava.
Rose si trattenne dal battere le mani con ilarità «Bisogna sempre darsi una seconda possibilità».
  «Non sono stato io»
Scorpius si era voltato verso le scale, puntando la bacchetta nel buio e cercando risposte in una figura, nascosta dalla penombra, che illuminava lo spazio con una chioma bionda e splendente quanto una lanterna magica,
  «Sono stata io» disse Dominique Weasley.
 
  «Tu dovresti essere alla Stamberga Strillante» la accusò Rose.
Dominque studiò attentamente la scena per diversi secondi. «Hai in mano la Mappa del Malandrino, ovviamente, altrimenti non potresti essere a conoscenza dell’Adunata. Non ti avrebbero mai scelta per far parte dei Sesti. Tu invece» continuò, indicando Scorpius «Hai cercato di sbloccare la serratura con una runa antica, ma non eri presente all’Adunata. Fai parte dei Sesti di Serpeverde e ti sei salvato dallo sfacelo di questa serata. Buon per te, forse».
I ragazzi si guardarono perplessi e Scorpius ruppe il silenzio «I Sesti di Serpeverde?»
  «Ogni Casa ha le sue gerarchie» rispose in tono annoiato, di chi assiste alla stessa scena per l’ennesima volta. «Solo i Settimi ne sono a conoscenza, si spartiscono le competenze e informano i successori solo al termine del Sesto anno» riferì tutto d’uno fiato, con voce informe. «La notizia davvero divertente è che adesso le identità di tutti i Sesti sono state rivelato, il che, ammettiamolo, è potenzialmente deleterio per il quieto vivere delle Case. Cosa è successo? Nessuno se lo spiega, ma ci siamo ritrovati tutti alla stessa Adunata».
Con un gesto della mano indicò loro di spostarsi, aprì il cancello della Sezione Proibita e passò oltre.
  «Come hai fatto ad aprire la serratura?» chiese Scorpius.
  «Questa sera c’è stato il cambio di consegna. Non sarebbe dovuto avvenire alla presenza di tutti, ma non abbiamo avuto scelta. La Sezione Proibita adesso appartiene a Corvonero e noi, ovviamente, abbiamo cambiato la runa» chiarì con un sorriso soddisfatto. «Ve ne siete appropriati ingiustamente per troppo tempo».
Dominique sfilò tra gli scaffali, inspirando con orgoglio l’odore stantio di umidità e pergamena impolverata. Ogni tanto afferrava qualche libro e lasciava scorrere la bacchetta tra le pagine, inspirandone l’ombra, come un velo acquitrinoso, che si dissolveva nella sua bacchetta.
Rose le invidiò quella capacità, quell’incantesimo così prezioso che lei non conosceva. Per la verità, le invidiò tutto, più di quanto avesse mai fatto. Guardò Scorpius che recepiva con cupa irritazione le parole della ragazza, e si sentì esclusa, inferiore, ridicola a trovarsi lì, con il suo libro da depositare. Si avvicinò allo scaffale in questione e i libri si fecero da parte, per permettere al suo di ritornare lì dove l’aveva trovato.
  «E’ il motivo per cui ora ci troviamo tutti in questa situazione» spiegò ispida, guardando Rose «Per i Serpeverde che sottraggono libri alla Sezione Proibita, mettendo la McGranitt in allarme».
  «Abbiamo sempre messo questo servizio a disposizione della scuola»
Dominique si portò i boccoli dorati dietro alle spalle «Siete maldresti e attirate troppo l’attenzione su di voi. I libri non possono uscire da qui, siete voi a doverli portare fuori» spiegò, ripetendo sempre lo stesso movimento con la bacchetta e strappando copie su copie di pagine bagnate.
  «E tu, come te ne sei tirata fuori? Gli altri sono ancora alla Stamberga»
  «Quando abbiamo capito che qualcuno ci aveva incastrati tutti, era chiaro che la McGranitt ci avrebbe sottratto i privilegi che le Case patteggiarono tempo fa. Non potevamo permettere di perdere tutte le nostre competenze: la bottega di Pozioni, gli Archivi e la Biblioteca, gli Incantesimi di Difesa Contro le Arti Oscure, le stanze segrete della Scuola…abbiamo dovuto fare una scelta, e questa è caduta, ovviamente, sui libri» per la prima volta la sua voce si incrinò quasi commossa «senza i quali siamo perduti. Hanno nominato me, per un discreto favoritismo, avendo Louis, James e Roxanne dalla mia parte. Alla Stamberga c’è un passaggio che conduce ai magazzini di Mielanda, dove Alec, il proprietario, conserva la sua piccola e inutile scopa monoposto. Quindi eccomi qui».
Scorpius sembrava sul punto di schiantarla, mentre lei volteggiava tra i libri, leggiadra e annoiata. Terminò la sua danza soddisfatta e mosse i tacchi in direzione dell’uscita.
  «Mi complimento, Miss Weasley, siete l’unica a non aver condiviso la disfatta con la propria squadra».
Dominique rise di gusto «Un Serpeverde che mi fa lezione sul senso dell’onore. Ora le ho viste tutte»
  «Ti sarà costato tanto accettare il compito scelto per te, immagino» aggiunse Rose.
  «Come siete carini» commentò leziosa «Non molto gentili, nell’allearvi contro colei che ha fatto scoppiare il vostro amore, e sicuramente poco furbi, ma questo non mi sorprende» concluse amareggiata e vagamente querula, come se la colpa di questa valutazione fosse da attribuire all’intero genere umano. «Mi è costato accettare questo compito, cara Rosie, tanto quanto a ogni Grifondoro è costato vedermi immolata per una causa comune. Il sogno della loro vita, in poche parole». Si avvicinò alla cugina e le poggiò un profumato bacio sulla guancia, poi fece lo stesso con Scorpius, sfiorandolo con più leggerezza. «Nessuno potrà evitare la disfatta, questa sera» annunciò con tranquillità, prima di riprendere il suo lavoro.
  «Quindi persino Dominique, e Johanna…» mormorò Rose a se stessa.
  «Di che stai parlando?» chiese turbato Scorpius.
  «Fate tutti parte di questa… cosa, tutti tranne me»
  «Perché ne sei sorpresa?» rispose acidamente lui «Non è roba per te, non resisteresti un giorno in questo sistema»
Altre parole le morirono in gola, per cui riuscì solo a bisbigliare «Ti ringrazio»
Scorpius sollevò gli occhi per guardarla bene «Guarda che è motivo di merito per te» spiegò, ma la ragazza si ostinava a non incontrare il suo sguardo.
I passi silenziosi di Dominique si persero lungo la scalinata, mentre il cancello della Sezione Proibita si richiudeva lentamente alle sue spalle, costringendo i ragazzi a sgattaiolare fuori dalla stanza.
In cima alle scale, un fascio dorato spezzava il buio della biblioteca e bloccava la figura della cugina sul posto, quindi Rose afferrò il braccio di Scorpius e gli intimò di ascoltare il vociare in sottofondo.
  «Non sia timida, Signorina Weasley. Signor Malfoy, prego, si faccia avanti».
In cima alle scale, Dominique Weasley fronteggiava Arrows con aria pacata, come se lui le avesse appena chiesto le previsioni del tempo. L’esile figura della ragazza era inondata dalla luce della bacchetta, che la McGranitt impugnava dritta e rigida, come un prolungamento del suo braccio austero.
Li guardava tanto amareggiata, quanto tremendamente soddisfatta. «Sarò una lunga nottata».
 
 
 
- § -
 
 

Durante la tetra processione, che li avrebbe condotti nello studio della Preside, non fu concesso loro nemmeno di sostare in una sala d’attesa o anche solo di accasciarsi sul pavimento freddo del Castello, in quella lunga notte gelida di un inverno, in cui avrebbero per sempre ricordato le scelte sbagliate compiute nella loro vita.
Rose l’avrebbe trovata una punizione sufficiente, incisiva, ma a ben pensarci il dolore alle ginocchia gareggiava con le fitte alla bassa schiena, mentre lei si dondolava sui piedi per ridistribuire il peso, concedere un po' di tregua alle piante ormai atrofizzate, e l’idea che la McGranitt sapesse il fatto suo iniziava a non sembrarle più soltanto una leggenda.
La notte era cambiata, come se il vento freddo e il cielo polveroso fossero stati solo segnali degli atti nefandi appena compiuti. La luna finalmente proiettava una luce limpida, che rinfrescava l'aria, ormai sgombra dal fumo e dai bagliori caldi delle lanterne di emergenza. Tutto era disteso, silenioso e tremendamente immobile.
Dopo mezz’ora di attesa, la fila si mosse di un metro, segno che un altro studente stava per essere sottoposto a giudizio.
Dominique la precedeva, Scorpius era dietro di lei e ogni tanto le poggiava una mano sulla schiena, quando temeva di vederla precipitare al suolo. Quel moto di apprensione, seppur eccessivo, le scaldava il petto e le guance, facendola sentire ridicola nel desiderare quella premura, ma anche protetta, in una notte in cui tante certezze erano crollate.
Le sembrò assurdo constatare che chiunque la circondasse conservasse un segreto a lei celato, e che la famosa visione d’insieme fosse solo un’illusoria menzogna. E in questo turbine di incertezza, solo Scorpius Malfoy le era stato vicino.
Quando fu il turno di Dominique, uno dei custodi le fece cenno con la mano e le sorrise gentile, così da infonderle un coraggio, di cui la ragazza non aveva bisogno. Aveva atteso impassibile quel momento, senza tradire alcuna emozione, per questo Rose si sorprese di vederla sbiancare all’arrivo di Teddy Lupin, vestito di tutto punto, che comparve dietro l’uomo gentile, come un cavaliere splendente.
  «Entro io con la ragazza»
  «Certo, professore, prego»
Teddy sembrava imbarazzato «Non chiamarmi professore, Magnus, mi hai visto crescere. Sono solo un tirocinante»
Lanciò uno sguardo d’intesa a Rose e Scorpius, e accompagnò una riluttante Dominique.
Rose si voltò a guardare Scorpius e lo vide teso.
 

  
- § -
 
 
 
 «Hai pensato a qualcosa da dire?»
  «Ci sto pensando da due ore» rispose nervoso «Siamo gli unici senza un alibi. Quelli dell’Adunata avranno sicuramente definito una versione comune. Come ti senti?»
Non seppe dire se Rose Weasley riuscisse davvero a capire quanto dovesse sentirsi tradito, ma la possibilità che qualcuno della sua Casa potesse comunicare con lui era davvero remota: inchiodati in una fila chilometrica, tutti i ragazzi sopresi fuori dalle Sale Comuni, non potevano lasciare il proprio posto, eccezion fatta per raggiungere i bagni, dove venivano scortati da un professore. Lui stesso non riusciva a scorgere nessuno dell’Adunata, probabilmente i primi della fila a essere stati sottoposti all’interrogatorio.
  «Mi fa male tutto»
Scorpius fece un passo verso di lei e le permise di appoggiarsi al suo petto; lei accettò volentieri, allentando il peso sulle gambe. Quando il custode li intercettò, fece loro segno di allontanarsi.
  «Credo convenga affidarci alla versione di Dominique» concluse Rose.
  «Che non ci eviterà una memorabile punizione»
Rose annuì con rassegnazione, poco prima di seguire il percorso indicato vanamente dalla mano del custode.
Quando fu il momento di Scorpius, di varcare la soglia, il professor Perkins gli mantenne aperto il portone ed entrò con lui.
  «Sei tranquillo, Malfoy?»
Lui lo guardò sorpreso «Nei limiti del possibile» rispose atono, ma in cuor suo si sentì più leggero.
La McGranitt non sembrò troppo contenta di vederlo. Non doveva essere stata la nottata migliore della sua vita, ma Scorpius fu certo che le sue sopracciglia avessero raggiunto un livello di linearità non ancora sperimentato, e gli occhi le si erano chiusi con la stessa stanchezza di chi medita la pensione.
  «Siediti, per favore»
Anche la cortese severità della sua voce tradiva il disagio che stava provando. Un processo disciplinare al figlio di Draco Malfoy, sorpreso a vagabondare di notte nella Sezione Proibita, in compagnia di due ragazze Weasley, non doveva coincidere con il momento più alto della sua carriera.
  «Sai perché sei qui?»
  «Sì» rispose secco «signora Preside»
L’esperienza gli aveva insegnato che ridurre al minimo il contenuto delle risposte poteva essere un’ottima strategia di salvataggio. Guadagnare tempo, era il segreto, così da far spazientire l’avversario o permettere al Grifone imbalsamato all’ingresso di prendere vita, irrompere nella stanza e vendicare secoli di parole d’ordine poco dignitose.
La McGranitt assunse un’espressione severa «Hai ignorato il coprifuoco, hai vagato per il Castello, per di più nella Sezione Proibita. Lo confermi?»
C’erano vie di fughe? «No, non confermo» rispose in tono rigido «Non ho ignorato il coprifuoco. Quando è scattato mi trovavo nel suo studio con il professor Perkins. Non è stata una mia volontà quella di violarlo»
  «Posso confermare» arrivò la voce scura del professore.
Tutti si voltarono a guardare l’intruso, compreso Arrows che grugniva di disapprovazione e Teddy Lupin, la cui espressione perplessa rimase incollata sul volto di Perkins per più tempo del necessario. Scorpius lo vide corrucciare la fronte, sistemarsi gli occhiali sul naso, irrequieto, e allontanare nel nulla uno sguardo pensoso. Persino Scorpius iniziò a studiare con sospetto tutta quella spontanea solidarietà.
  «Ma tua è stata la volontà di dirigerti nella Sezione Proibita, invece di tornare nei Sotterranei»
  «Temo di no» intervenne Perkins nuovamente.
La Preside sembrò incuriosita dalla sua posizione, e vagamente speranzosa di trovare nelle sue parole risposte confortanti.
  «Il ragazzo era stato convocato nel suo studio per essere informato di una questione familiare particolarmente delicata, come ben sa» spiegò con l’assenso della Preside «Dopo aver ricevuto l’allarme, ho pensato di raggiungere la Stamberga, ma il ragazzo sembrava visibilmente scosso per la notizia appena ricevuta».
La storiella di improvvisa coalizione tra lui e il professore stava prendendo una piega non propriamente di suo gradimento. Il fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio si confermava come il motto Serpeverde di maggiore affidabilità.
  «Deve scusarmi, signora Preside, per questo mio errore di valutazione. Ho pensato di chiedere al Signor Malfoy di riporre, per mio conto, un libro nella Sezione Proibita»
Da “ragazzo” emotivamente provato a “Signor Malfoy”, inviato speciale per le missioni suicide, il passo fu troppo breve e Scorpius dovette accertarsi di aver sentito bene.
  «Ha mandato uno studente nella Sezione Proibita?» chiese Arrows al posto dei presenti.
  «Con le chiavi provvisorie» confermò Perkins.
La McGranitt chiuse le palpebre un paio di volte senza emettere un suono. Guardò a lungo Perkins, poi si rivolse lentamente a Scorpius, soppesando ogni parola «Quale libro avresti depositato in Biblioteca, Signor Malfoy?»
Scorpius tacque per qualche istante, mentre una goccia di sudore gli imperlava la fronte. Pensava a quel maledetto libro, a Perkins, ai suoi misteri che lo avevano scaraventato in quella situazione e agli stessi misteri che, in quel momento, gli suggerivano di prendere le sue difese. Pensò a Rose Weasley e a quel dannatissimo desiderio Grifondoro di votarsi all’avventura senza una buona strategia; all’impulso che le aveva suggerito di rubare un libro sulle Maledizioni, alla dedizione con cui lo aveva sfogliato in Biblioteca, il giorno precedente.
Quel pensiero lo fece sussultare, perché nemmeno per un istante aveva considerato la questione più importante del bisogno di tornare con le mani e con le labbra sul corpo di Rose Weasley. Le aveva sottratto il libro, abbandonandolo sul tavolo, insieme allo loro intenzioni di imporre delle regole a quello che stava succedendo.
  «La svista delle maledizioni» rispose, ripensando a quella copertina, chiusa tra le dita di lei.
La McGranitt ebbe un fremito.
  «Lo studente di cui le parlavo ha riportato il libro nel mio studio quella sera stessa» spiegò Perkins.
  «Non so se esserne sollevata o spaventata» concluse la Preside «Abbiamo già capito che Dominique Weasley era lì per uno spiacevole inconveniente, che non le risparmierà una punizione esemplare. Rimane da definire come tu, signor Malfoy, spieghi la presenza di Rose Weasley»
  «Non l’avete già interrogata?». Scorpius prese ad agitarsi sulla sedia.
  «Certo, ma adesso occorre ascoltare la tua versione»
Scorpius sentì il panico divorarlo e pensò all’unica alternativa, cui la vita lo aveva preparato
  «Posso contare sulla sua riservatezza, professoressa?»
La McGranitt non credeva alle sue orecchie «Non è un processo, questo. Un po’ di serietà» esclamò «Non posso fare promesse su qualcosa che non mi hai ancora detto, Scorpius»
  «Bene» cominciò Scorpius, per nulla rassicurato «La verità è che Rose Weasley è la mia ragazza ed era venuta a cercarmi, perché sapeva che non ero rientrato nei Sotterranei e che nel Castello era scattato l’allarme».
La Preside chinò il capo su carte e materiale che aveva di fronte a sé. Sembrava soddisfatta. Teddy Lupin, bianco come un cencio, lo guardava perplesso, non del tutto a suo agio in quella profonda rivelazione.
 
Quando uscì dalla porta sul retro, la vista di Rose Weasley tra le braccia di Alan Doyle quasi gli fece mancare l’aria nei polmoni. Non appena la ragazza lo vide, si liberò dall’abbraccio e gli andò incontro, gettandogli le braccia al collo.
La sorpresa, per tanta manifestazione d’affetto, non riuscì a scongelarlo dal torpore che ormai lo aveva imprigionato nella sua rigidità, la stessa con cui scrutava Alan e ignorava la ragazza. Solo quando si accorse dei suoi occhi umidi di lacrime, avvertì il corpo sciogliersi.
Rose Weasley aveva due occhi blu, che, nel buio della notte, si adombravano in un nero cupo e angosciante.
Piegò su di lei uno sguardo distaccatamente interrogativo, poi Rose si voltò verso Alan, rinchiuso nella penombra, in cui lei l’aveva depositato, e lo salutò con un gesto gentile della mano.
  «Buonanotte, piccola» rispose semplicemente, al suono dei suoi stessi passi che lo conducevano lontano da lì.
  «Credo che potrei ucciderlo nel sonno» disse con voce atona Scorpius.
Rose, come da previsione, si accigliò. «Perché gli sei così ostile?»
Corrucciò le sopracciglia in un gesto scettico «Te lo devo davvero spiegare,» rispose freddamente «Piccola?».
La ragazza si ammutolì e guardò altrove, probabilmente l’avrebbe vista arrossire se la luce fosse stata dalla sua parte.
  «E’ molto gentile con me, lui»
  «Perché lo dici come se io non lo fossi?»
La sentì ridere sarcastica. «Forse, a modo tuo» replicò «Così come, a modo tuo, sei geloso»
  «E come dovrei esserlo? Come te che scappi via solo perché Kate respira la mia stessa aria?»
  «Solo perché…» Rose Weasley aprì la bocca e la richiuse esterrefatta. «Davvero è successo solo questo? Guarda, non voglio nemmeno parlarne» concluse secca «Non sono nemmeno gelosa, non mi interessa cosa fai o con chi sei nella tua giornata, quando non stiamo insieme» si interruppe, inciampando nelle sue stesse parole.
Fece per andarsene, poi si bloccò su se stessa, e Scorpius credette seriamente che stesse riflettendo sulle accuse che lui le aveva rivolto, sulla sua tendenza a sgattaiolare via di fronte alle situazioni ingestibili. Con grande fatica, ritornò sui suoi passi e piantò su di lui uno sguardo che, al di là di quali fossero le sue intenzioni, di rilassato aveva ben poco.
  «Come è andata?»
  «Bene»
  «Magnifico»
  «A te?»
Rose si strinse nelle spalle, ma la tensione iniziò a prendere il sopravvento sull’ostilità.
  «Hai avuto problemi con la McGranitt?» insistette Scorpius, addolcendo il tono.
La ragazza scosse la testa frettolosamente «Credo sia andata bene, c’era Teddy che mi ha aiutata con la versione di Dominique e la storia dell’equivoco, che ci ha condotte nella Sezione Proibita. Per Dominique credo sia stato più semplice mentire, perché aveva la ronda notturna, ma io ho dovuto arrancare qualche scusa, e la McGranitt mi ha scrutata scettica tutto il tempo» rispose con il respiro corto «Secondo te mi ha creduta?»
  «Sono certo di sì»
  «E tu che le hai detto?»
  «Non ci crederai, ma Perkins mi ha dato una mano notevole»
  «Quanto ti sei sempre sbagliato su quell’uomo» rispose meditativa, poi aggiunse, ignorando l’espressione inorridita del ragazzo «Mi ha chiesto anche di Dominique, per confermare la sua versione. Su di me ti ha fatto domande? »
  «Sì, qualcuna» tagliò corto lui.
Rose lo scrutò attentamente «Mi devo preoccupare?»
Scorpius si guardò intorno, accertandosi che non ci fosse anima viva. Poi la prese per mano e la condusse in un corridoio non troppo lontano, nell’aula più remota che gli venisse alla mente, in quella tetra ricostruzione delle mattinate scolastiche.
Rose Weasley non protestava più di tanto, solo quando lui la fece appoggiare allo stipite della porta, gli sussurrò appena «Non credi che siamo già abbastanza nei guai?»
Ma una cosa l’aveva capita su quella ragazza, che i guai la eccitassero oltre ogni misura.
  «Appunto, tanto vale approfittarne»
Lui si piegò sulle sue labbra e le spinse con forza, costringendola a sollevare la testa verso l’alto, lasciando che strofinasse contro il legno dello stipite, mentre le mani armeggiavano distratte sulla maniglia. Rose infilò le dita tra i capelli biondi e condusse il suo volto sul suo collo, mentre lui vi passava le labbra, poi la lingua, procedendo fino alla scollatura del maglione. Quel vincolo lo fece fremere di frustrazione, accresciuta dal movimento continuo del petto della ragazza, che si alzava e abbassava, lento e poderoso, sotto i suoi baci. Ritornò all’altezza del mento e si impossessò nuovamente delle sue labbra. La sentì spingere la lingua dentro la sua bocca e, prima di rendersene conto, si trovò a premere il proprio bacino contro il suo, in movimenti intensi e continui.
Si staccò da lei solo per dare un colpo deciso alla porta e convincerla ad aprirsi.
Una volta dentro, il buio venne spazzato via dalla luce lunare, che da ben due ampie finestre, arcuate e alte fino al soffitto, penetrava nella stanza. Rose gli fu subito vicina, gli afferrava le mani, le stringeva e se le portava sui fianchi, in un invito nemmeno troppo celato. Trovarono la poltrona su cui, solitamente, sedeva il professore, Scorpius vi si accomodò alla cieca e con qualche difficoltà, divertito dal gioco che voleva condurre lei.
Sgranò gli occhi quando Rose Weasley gli si sedette a cavalcioni.
Lei si arrestò e lo guardò a fondo, diffidente e impaziente, concedendogli di sfilarle il maglione, che le lasciò i capelli al vento e uno sguardo di sfida negli occhi. Scorpius decise che prendersi il giusto tempo per contemplarla in reggiseno, mentre le gambe di lei gli avvolgevano il bacino, fosse la giusta ricompensa per quella giornata.
  «E’ una tregua o ti arrendi alla battaglia?»
  «A cosa mi dovrei arrendere, esattamente?»
Scorpius si finse pensieroso, mentre le accarezzava il petto e le curve del seno «Tra le tante questioni…Alan Doyle» scandì bene le parole, con una lentezza esasperante, come se solo pronunciare quelle sillabe gli costasse fatica.
  «E’ un mio amico»
Scorpius scoppiò a ridere «Andiamo, ti facevo più intelligente»
Rose simulò uno lieve schiaffo sul suo viso, ma lui le afferrò la mano e gliela baciò.
  «E anche se fosse? Non dovrei frequentarlo?» rispose in un sospiro, mentre Scorpius le lambiva ogni singolo dito con le labbra.
  «Dipende» fece semplicemente, lasciandole la mano. Le rivolse un sorriso di sfida e incrociò le braccia dietro la testa.
Rose lo guardò sorpresa, poi si sistemò meglio sulle sue gambe, assicurandosi di accarezzare accuratamente il corpo che la sorreggeva, e si piegò sul suo viso, baciandogli i lineamenti. «Dipende?»
 
 
 
Lo vide socchiudere gli occhi e abbandonarsi completamente contro lo schienale. Lo sentì inerme, fragile e vulnerabile, come non aveva mai immaginato di poter vedere Scorpius Malfoy. Questo senso di totale indifesa, al quale lui si era concesso, glielo fece avvertire come suo e di nessun altro.
Si avvinghiò contro il suo petto, riprendendo il movimento del bacino su di lui, sentendolo risvegliarsi, toccarle la pelle nuda della schiena, sganciarle il reggiseno e farlo precipitare al suolo. Le baciò teneramente il seno, mentre tutto diventava più frenetico e intenso, e il desiderio cresceva come un’onda che le esplose contro i pantaloni di lui. Si accasciò, prolungando quel piacere in spinte tenui e involontarie, sentendo le labbra di Scorpius ancora alla ricerca dei suoi capezzoli.
Si infiltrò nella cerniera del pantalone, oltre strati di vestiti, ed esplorò tutto il suo piacere vibrante, sentendolo soddisfatto nella voce, nei suoi occhi e nella risposta che il corpo le rimandò.
Dalle finestre la luce lunare si spegneva lentamente, mentre l'alba ascendeva fioca al cielo.
  
 
 
- § -
 
 
 
Una folata di aria gelida le sferzò la pelle, mentre un fantasma le passava accanto, troppo accanto; uno sguardo carico di collera.
Da quando aveva messo piede a Hogwarts la vita era proceduta con regolare svolgimento, rasentando i limiti della prevedibilità.
A detta di suo padre, lui in tempi tranquilli avrebbe sfruttato tutte le sue energie per eccellere nel Quidditch, e nello studio – aggiungeva in un borbottio indistinto sotto il rimprovero di sottecchi lanciatogli dalla moglie – ma ogni volta concludeva quegli amari tuffi nostalgici con uno sbadiglio e una grattata alla folta barba rossiccia, cosicché Rose stentava a credere che quei propositi avrebbero trovato reale adempimento, anche senza continue minacce all’intera comunità magica.
Luce intensa, accecante tra il buio pece oltre i vetri e le nubi scure nel cielo artificiale. Calma assoluta.
Harry, d’altro canto, aveva sempre quel luccichio speranzoso di rivivere gli anni andati e sembrava  vicino alle parole dell’amico tanto quanto lo era Rose. Lui, il tempo ad Hogwarts, lo avrebbe rivissuto così come era trascorso. Con qualche lieto fine in più, diceva sempre Ginny, carezzandogli i capelli. Ma Hermione parlava nel suo silenzio, convinta che le sofferenze di Harry avessero temprato il suo spirito e cementato ogni virtù, e che, a ogni modo, rimescolare le carte in tavola abbia conseguenze troppo catastrofiche anche solo da immaginare.
Passi pesanti che precipitano nell’eco come in un vortice.
Quindi il vuoto generato dalle parole non dette di Hermione rombava assordante nella sua mente, mentre attraversava il corridoio centrale in Sala Grande, apertosi come un miglio verde al suo passaggio. O a quello di qualunque altro studente di Hogwarts.
Era sola. Mentre camminava, mentre faceva scorrere lo sguardo tra i suoi compagni di scuola, mentre si accertava che lui fosse presente, già al suo posto, pronto per giudicarli.
Avvertì il suo sguardo marchiarla a fuoco con più forza di quanto facessero gli altri, nonostante quegli occhi fossero freddi e impenetrabili come il ghiaccio.
L’inconfondibile rosso Molly Weasley si agitava alla sua destra sotto l’occhio vigile di Alice Paciock. Molly avrebbe stemperato la tensione e trovato una buona giustificazione a tutto quello che era accaduto.
Rose evitò accuratamente di incontrarla.
Volò come calamitata alla sinistra del corridoio, verso quel fare magnetico e seduttivo che Dominique Weasley indossava anche da seduta, composta, leggiadra, bellissima. Fatale.
Stretta tra i fratelli Scamander, Dominique la guardava a lungo, intensamente, le disse così tante di quelle cose che Rose si sentì stordita e la stanza le vorticò attorno per un attimo, annebbiata nella sua vista circospetta. Al suo fianco Roxanne, Caposcuola Weasley, abbassò sulle mani intrecciate uno sguardo di candida vergogna.
Camminò a lungo per raggiungere i Grifondoro, ignorò gli sguardi degli altri e individuò con un moto di sollevo il solito gruppo, riunitosi quella volta più per costrizione che per volontà. Erano veri Grifondoro loro e si guardavano le spalle a vicenda. E sarebbero rimasti uniti.
Korbin Perkins ancora la sorvegliava da lontano, quindi Rose prese il posto che le spettava in quella situazione con il cuore più leggero.
Johanna cambiò sedia, per farle posto accanto a James, senza guardarla o chiederle come stesse. Se conosceva già la risposta, non riteneva necessario porre domande, con il solo intento di farsi vedere interessata. Sarebbe stata un’inutile ed egoistica smanceria. Rose le diede le spalle.
  «Rosie».
James piegò appena la testa di lato, troppo impegnato a far lievitare la sedia di Jude O’Malley, due file più avanti. Il poverino, confuso e spaventato, sembrava cercare con lo sguardo la McGrannitt, pronto a reclamare una sedia che non fosse accidentalmente incantata come quella che gli era capitata.
Rose sperò con tutto il cuore che un incantesimo colpisse in testa il compagno di casa, prima che avesse il tempo di decretare in questo modo la sua morte prematura.
Perché?
Perché la McGrannitt era furiosa.
Il ruggito che si stagliò nel cielo plumbeo, come un artiglio di fuoco, bastò a portare un silenzio lapidario su chi ancora pensava di poter trascorrere una piacevole giornata.
  «Ti hanno mai detto che non dovresti sfidare troppo la sorte?» disse seria.
Per tutta risposta James sollevò la bacchetta e O’Malley cadde dalla sedia, tra le risate incontenibili di quelli del Settimo anno. Fred Weasley si limitò a sogghignare, una linea di tensione rigava la sua  fronte sempre distesa.
  «Puoi dire questo alla tua cara sorte, quando la incontri. Io sono abituato a crearmela da solo»
Rose non batté ciglio quando considerò  «L’arroganza sarà la tua rovina ».
Qualcuno le carezzò i capelli, adagiandoli dolcemente sulla sua spalla destra, e lasciando nudo il profilo sinistro del suo viso.
  «Sei tesa, Rose. Non va bene» le sussurrò una voce calda all’orecchio lasciato scoperto.
Ignorando il brivido di benessere che quei due brevi e abili gesti le avevano provocato, si voltò appena per lanciare uno sguardo di sfida a Louis Weasley.
  «Non dovrei essere l’unica»
Nonostante i cugini avessero scelto di sedersi tra le ultime file, e dietro quella di Louis già si delineasse lo schieramento Tassorosso, Rose avvertiva ugualmente la sensazione di trovarsi ai piedi dell’immenso tavolo dei professori, che dal palco si ergeva sulle loro teste, austero e intimidatorio come un cupo e sinistro tribunale del Ministero della Magia. Non senza una punta di irritazione constatò quanto lo sguardo  inquisitorio del corpo docente fosse vicino e già pronto a scagliarsi, senza alcun beneficio del dubbio, sugli studenti Grifondoro e Serpeverde, che ricoprivano i primi dei quattro quadranti frontalmente disposti rispetto ai loro giudici.
Quattro perfetti allineamenti di sedie singole e distanziate, al posto delle confortevoli panche, dove i  ragazzi si sarebbero potuti stringere nella loro complicità. Isolati e diffidenti, ognuno di loro valeva come elemento singolo, non come compagno, amico, alleato. Solo, indifeso e sfiancato su quelle maledette sedie.
  «Hai tracciata sul volto la tua colpevolezza» decretò Louis, continuando a lambire ciocche di capelli, e a tenere bassa la voce.
Il sorriso di Rose fu di scherno.
  «Non si può dire lo stesso di te»
  «Non è a me che devi fare guerra»
La presenza statuaria di Johanna le fece pulsare il fianco scoperto e Rose resistette all’impulso di voltarsi, intimidita da quella prospettiva indifesa che lei, ingenuamente, aveva fornito, a chi, fino al giorno prima, avrebbe definito amica.
Poi si accorse dell’attenzione tesa di James, mentre ascoltava la loro conversazione.
  «Non ci giurerei» disse, voltandogli le spalle definitivamente.
Era tra i Grifondoro, al centro di quella formazione da combattimento, ma in quel momento si chiese se davvero si sarebbero difesi a vicenda.
Johanna si accigliò nel suo mutismo. Fred non provò nemmeno più a fingere serenità e James irrigidì le spalle.
  «Credi di essere tanto migliore di noi?». La voce di Louis le colpì la nuca, dopo attimi densi, senza parole.
Il silenzio la fece vibrare, prima che Louis pronunciasse le sue fatali sentenze, capaci di irretire e maledire. Capì all’istante il significato di quel sussurro, perché altri, stentati e accusatori, ne seguirono, scuotendo l’intera Sala Grande, cosicché sembrò che un unico greve respiro piombasse sui passi dei nuovi arrivati.
Clegar Walder, Caposcuola Serpeverde, procedeva fiero nella sua lenta e maestosa camminata lungo la navata, accompagnato da una splendida Mrs Pritchard. Dietro di loro, a debita distanza, tanto da assicurare che tutti ammirassero i reali Serpeverde, cominciavano i Sesti.
Vincent Nott era l’indiscusso apice di quella roccaforte, mentre Scorpius Malfoy lo seguiva di qualche passo, affiancato da Albus Potter e Kate Hastings, lasciando a Carter Zabini e ad Alan Doyle l’arduo compito di chiudere la costellazione, senza nessuno a proteggere le loro, di spalle.
Gli occhi di chiunque erano poggiati sul gruppo, occhi carichi di ostilità e ribrezzo, ben corroborati, tanto da celare quelle tracce di ammirazione che la fama porta con sé.
Solo quella volta Rose sollevò lo sguardo sul trono, da cui la Preside li osservava, e solo in quel momento le sembrò tanto elevata e distante da tutti loro, rigida nella sua maschera di rughe severe, gli occhi piccoli serrati e attenti, cupi e limpidi nella loro alterigia.
Per la prima volta, da quando aveva messo piede in Sala Grande, la professoressa McGranitt si mosse e sorrise.
Un sorriso soddisfatto.
 
 
 
Lingua bantu:  umanità verso gli altri, la sensazione del sentirsi parte di una grande comunità, secondo la filosofia, per cui una persona è quella che è, in virtù di ciò che tutti siamo.





 

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