Sogno una Nuova Hogwarts

di Thalassa_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X ***
Capitolo 11: *** XI ***



Capitolo 1
*** I. ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Sua Maestà J.K.Rowling. QUesta storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 
 

Capitolo I 


“Silenzio, Potter! C’è lo Smistamento”.
La voce imperiosa di Avery fece ammutolire all’istante metà del tavolo di Serpeverde. Albus sbuffò.
“Per me può anche bruciare, quello stupido Cappello” borbottò, in modo che solo Scorpius potesse udirlo. L’amico lo guardò orripilato.
“Il Cappello Parlante fu realizzato dai Fondatori di Hogwarts in persona, ed è un pezzo unico nella Storia della Magia!” protestò. “Ha più di mille anni” aggiunse, sottolineando le parole come se volesse essere sicuro che l’amico afferrasse il concetto.
“Appunto” replicò Albus, guardando il Cappello con odio, “ha avuto una vita dignitosamente lunga per un cappello, no? Sarebbe anche ora che andasse in pensione”.
Scorpius scosse la testa, guardandolo con aria esasperata.
“Al, ogni anno questo piagnisteo al momento dello Smistamento” sospirò. “Vorrei proprio sapere di cosa ti lamenti. Vuoi forse dirmi che cominci a rimpiangere di non essere finito a Grifondoro?” chiese con aria disgustata.
“No” rispose Albus seccamente, un po’ troppo forte. Avery gli rivolse un’occhiataccia.
“Dico solo che le persone dovrebbero avere la possibilità di scegliere” concluse a bassa voce, chiudendo la conversazione.
Il professor Longbottom aveva condotto dentro il gruppo di primini spaventati. Sembravano particolarmente numerosi e minuscoli, quell’anno. Guardandoli, Albus provò una fitta al cuore.
Tra le divise nere spiccava una chioma di un rosso acceso, marchio di fabbrica del clan Granger-Weasley-Potter che stava ormai invadendo Hogwarts. Tuttavia, le simpatie di Albus non andavano per suo cugino Hugo; era certo che sarebbe finito a Grifondoro, come la quasi totalità della sua famiglia. Certo, Teddy era stato un Tassorosso e Dominique era stata smistata a Corvonero, ma Teddy tecnicamente non era nemmeno suo parente, e comunque Tassorosso e Corvonero erano Case rispettabili.
No, decisamente non era preoccupato per Hugo, che in quel momento sorrideva e salutava con la mano sua sorella Rose, che si stava sbracciando dal tavolo di Grifondoro. La sua simpatia andava tutta alla ragazzina proprio di fianco a lui: minuscola, con lunghi capelli neri raccolti in due trecce e grandi occhi blu pieni di terrore.
Il Cappello aveva iniziato la sua stupida canzone, ma Albus non aveva intenzione di ascoltare. Non voleva sentire tutte le bugie che raccontava sulle qualità delle quattro Case che dovevano lavorare insieme in armonia. Non sapeva cos’avessero in testa i Fondatori nel prendere una decisione tanto stupida, e non sapeva se almeno a quei tempi avesse funzionato, ma di una cosa era certo: nell’Hogwarts che conosceva lui, non c’era spazio per la parola armonia.
Ora i ragazzini fissavano il Cappello come ipnotizzati; qualcuno – probabilmente Nato Babbano – aveva la bocca spalancata per lo stupore. La bambina con le trecce stava ascoltando con enorme interesse, ma non smetteva di torcersi le mani per il nervosismo. Albus seppe istintivamente che quella era la stessa agitazione che aveva pervaso lui cinque anni prima: nei suoi occhi leggeva la paura di non soddisfare le aspettative di qualcuno, l’ansia di non essere presa nella Casa che desiderava di più, la prospettiva di leggere la delusione negli occhi dei suoi amici e famigliari. Una delusione che Albus conosceva bene, e con cui non aveva ancora finito di scontrarsi. Mentre la voce rombante e stonata del Cappello riempiva la Sala Grande, il pensiero di Albus tornò a quella piovosa sera di cinque anni prima.
 
Albus era fradicio fino al midollo e tremava per il freddo. È un buon segno, si disse, sforzandosi di essere ottimista, anche il primo giorno di scuola di papà pioveva. Hagrid li aveva fatti entrare e lasciati nelle mani di Neville. Albus era contento di vedere tanti volti familiari tra i professori; l’esperienza gli sembrava già abbastanza terrificante così, e non osava immaginare come dovesse essere trovarsi davanti Hagrid per la prima volta. A conferma dei suoi pensieri, molti ragazzi tirarono un sospiro di sollievo nel vedere la faccia gioviale e rassicurante di Neville. Anzi, del professor Longbottom, si corresse mentalmente. Sarebbe stato difficile abituarsi a chiamarlo così.
Neville spalancò le porte della Sala Grande, e Albus afferrò istintivamente la mano di Rose, a fianco a lui. Rose si ritrasse come se si fosse scottata.
“Albus!” sbottò, con aria di rimprovero.
“Non c’è niente di male, lo sanno tutti che siamo cugini” protestò Albus in tono di scuse.
“Sì, ma non possiamo fare il nostro primo ingresso a Hogwarts tenendoci per mano come due bambinetti. Pensa se ci vedesse James!”
L’argomento convinse Albus, che non rispose. Attraversò la Sala Grande cercando di confondersi il più possibile nella folla e sentendo tutti gli occhi puntati su di lui. Sapeva che molti stavano commentando la straordinaria somiglianza con suo padre. “Ti manca solo la cicatrice” e “dove hai lasciato gli occhiali?” erano le due frasi che si era sentito rivolgere più volte nella sua vita, e la cosa più deprimente era che erano sempre seguite da una risatina soddisfatta da parte di chi le aveva pronunciate, come se avesse appena fatto una battuta particolarmente divertente e originale.
Cercò di evitare lo sguardo dei ragazzi più grandi, ignorando i cugini che lo salutavano e gli rivolgevano cenni di incoraggiamento, ma non poté fare a meno di notare che James gli stava tenendo un posto di fianco a lui. A quanto pare, nonostante l’avesse tormentato per tutta l’estate, non aveva in realtà dubbi sull’esito del suo Smistamento. La fiducia di James ebbe l’effetto di aumentare la sua ansia in un modo che non credeva possibile, così si costrinse a camminare tenendo lo sguardo sui propri piedi.
Rose, di fianco a lui, salutava allegramente i suoi cugini e si guardava intorno, indicando ad Albus tutte le cose di cui finora avevano solo sentito parlare. Albus teneva ostinatamente lo sguardo a terra, ed era sempre più difficile non andare a sbattere contro il ragazzo di fronte a lui, che aveva lo sguardo rivolto al soffitto. “Stai più attento!” sibilò Rose, irritata da quell’andatura irregolare.
Il ragazzo si voltò verso di loro. Era il figlio di Malfoy.
“Scusa, guardavo le costellazioni” rispose in tono sognante, indicando la volta stellata sopra di loro. Albus alzò gli occhi per la prima volta, e rimase affascinato dallo spettacolo. Ascoltò solo distrattamente la canzone del Cappello Parlante; sapeva a memoria le qualità delle Case, e sapeva che voleva andare nella ‘culla dei coraggiosi di cuore’. Potrei accontentarmi anche di Tassorosso, pensò. Teddy era stato in Tassorosso e nessuno l’aveva preso in giro.
Sussultò, accorgendosi che era calato il silenzio e che Neville, no, il professor Longbottom aveva iniziato a chiamare gli studenti del primo anno. L’ansia tornò ad attanagliargli le viscere, mentre osservava i suoi coetanei dirigersi a uno a uno verso lo sgabello che avrebbe deciso il loro destino per i successivi sette anni e calarsi sulla fronte il Cappello malconcio, troppo grande per le loro teste di undicenni.
“Granger-Weasley, Rose!” chiamò il professor Longbottom.
Albus sentì sua cugina fremere eccitata di fianco a sé. Rose si diresse verso la sedia con passo spedito e si infilò il Cappello con decisione. Dopo una manciata di secondi, il Cappello gridò “GRIFONDORO!” e Rose emerse trionfante. Fece l’occhiolino ad Albus e trotterellò raggiante verso il tavolo di Grifondoro, dove fu accolta da un boato di applausi.
Albus deglutì. Non voleva assolutamente essere separato da Rose, che oltre a essere sua cugina era anche la sua migliore amica, perciò Tassorosso non andava bene. Grifondoro Grifondoro Grifondoro, si ripeté come una litania per scacciare la paura. Lo Smistamento continuava, e si avvicinava il suo momento.
“Malfoy, Scorpius Hyperion” chiamò Neville.
Che razza di nome, non poté fare a meno di pensare Albus, è quasi peggio del mio.
Ci fu un “buuuuh” isolato dal tavolo di Grifondoro – forse era la voce di suo fratello – mentre i capelli biondo platino del ragazzino sparivano sotto il Cappello. Al contrario di Rose, però, non emerse subito. Dopo il primo minuto, un silenzio irreale era calato sulla Sala Grande. Tra i Serpeverde aleggiava impazienza e nervosismo; le altre Case guardavano il Cappello in attesa, lo stesso dubbio dipinto su centinaia di volti di studenti e anche sugli insegnanti: possibile che…?
Dopo oltre tre minuti di lotta silenziosa, il Cappello pronunciò la sua sentenza: “SERPEVERDE!”.
Un mormorio di delusione percorse il tavolo degli insegnanti, mentre i Serpeverde esultavano, accogliendo il nuovo arrivato, e i Grifondoro fischiavano. La delusione apparve per un attimo anche sul volto di Neville, ma la represse subito per riprendere un tono neutro mentre chiamava “Mortimer, Lucy”.
La mente di Albus viaggiava. Il cuore gli batteva a mille sapendo che la lettera P era sempre più vicina, ma lo Smistamento di Malfoy gli aveva restituito la speranza. Allora suo padre aveva ragione!
Albus era stato indeciso se credergli quando l’aveva rassicurato prima di salutarlo a King’s Cross. Gli sembrava di risentire la voce ferma di suo padre e le parole di quella mattina: “Se per te è importante, potrai scegliere Grifondoro invece di Serpeverde. Il Cappello Parlante tiene conto della tua scelta. Con me l’ha fatto”. L’idea che suo padre avesse corso il rischio di essere Smistato a Serpeverde continuava a sembrargli assurda, e una parte di sé continuava a pensare che se lo fosse inventato per rassicurarlo, ma si aggrappava al fatto che il Cappello Parlante avrebbe tenuto conto della sua scelta. L’aveva appena visto succedere lì, di fronte ai propri occhi: sicuramente il Cappello aveva visto qualcosa di strano nella testa di quel Malfoy, ma poi lui aveva insistito per finire a Serpeverde come da tradizione. O il contrario. Non gli interessava molto, in quel momento. 
“Potter, Albus Severus”.
Albus si sentì tutti gli occhi puntati addosso, mentre mormorii eccitati percorrevano la Sala Grande. Era paralizzato dalla paura e le sue gambe sembravano diventate improvvisamente di gelatina. Potrai scegliere Grifondoro, si ripeté, muovendo il primo passo. Iniziò a camminare lentamente verso la sedia, cercando di rimandare il momento del verdetto più a lungo possibile.
Il Cappello Parlante tiene conto della tua scelta.
Ormai lo separavano pochi passi dal terribile sgabello su cui il Cappello si ergeva come un giudice.
Se per te è importante…
Inspirò profondamente. Ormai il Cappello era proprio davanti a lui. Le parole di suo padre gli avevano trasmesso una fiducia che non pensava di avere. Chiuse gli occhi, concentrandosi il più possibile sul suo desiderio. Quando il Cappello Parlante calò sulla sua testa, pensò, con quanta più decisione poté: “Grifondoro, per favore!”.
“Non credo proprio” disse una voce nel suo orecchio. “SERPEVERDE!”
 
Un fragoroso applauso riscosse Albus dai suoi pensieri. Lo Smistamento era cominciato e un ragazzino dall’aria ottusa era stato assegnato a Serpeverde. Si unì senza entusiasmo all’applauso, e si stupì nel vedere Scorpius alzarsi in piedi per stringere la mano al nuovo arrivato.
“Lo conosci?” gli chiese con aria perplessa, quando il ragazzino si fu seduto di fianco a sua sorella.
“No, ma sono un Prefetto” gli ricordò Scorpius, “e non vorrei che Avery mi saltasse in testa per non aver adempiuto i miei doveri già la prima sera”.
“Ah già” bofonchiò Albus. Non si era ancora abituato alla spilla argentata che brillava sulla divisa del suo migliore amico, anche se non aveva dubbi sul fatto che se la fosse meritata. Non sapeva se lo invidiava o no. Non aveva la minima speranza di diventare Prefetto, e francamente non riusciva a immaginare se in famiglia sarebbe stata vista come un motivo di orgoglio o una mezza tragedia. Nonna Molly sarebbe stata contenta, però.
Scorpius gli tirò una gomitata.
“Quello è il fratello di Rose?” gli chiese.
“Già” rispose laconicamente Albus, mentre Hugo veniva prevedibilmente Smistato a Grifondoro.
Il professor Longbottom chiamò “Laplace, Yvette” e la ragazzina con le trecce si diresse con passo malfermo verso lo sgabello. Albus trattenne il fiato.
“GRIFONDORO” gridò il Cappello.
Albus la prese come un’offesa personale, e si unì al coro di “buuuh” proveniente dal suo tavolo. Si girò verso il suo migliore amico, determinato a non ascoltare più una sola parola di quello che avrebbe detto quel maledetto Cappello.
“Senti, Scorpius, c’è una cosa che non ti ho mai chiesto”.
Gli occhi grigi di Scorpius lo guardarono con aria interrogativa.
“Come mai il tuo Smistamento è durato così tanto?”.
Scorpius alzò le spalle. “Il Cappello era indeciso tra Serpeverde e Corvonero, secondo lui avevo le qualità essenziali per entrambe. A quanto pare, alla fine ha deciso che l’arguzia prevaleva sull’intelligenza”.
“Non ti ha…ehm…chiesto la tua opinione?” aggiunse Albus, esitante.
Scorpius lo guardò allibito.
“La mia opinione? Certo che no! È un arrogante, quel Cappello, pensa di essere infallibile. Figurati che continua a sostenere di aver avuto ragione a mandare Peter Pettigrew in Grifondoro!” disse, con aria incredula. “Perché, a te ha chiesto di esprimere una preferenza?”
“Ti ricordo che il mio Smistamento è durato tre secondi netti” rispose amaramente Albus. Il Cappello non chiedeva preferenze. L’aveva sempre saputo; suo padre gli aveva mentito.
Fu di cattivo umore per tutta la sera.

 

N.d.A.
 
La storia è ambientata durante il quinto anno di Albus e Scorpius a Hogwarts e segue i punti di vista di diversi personaggi. Ho cercato di dare spazio al maggior numero possibile di membri del clan Potter-Granger-Weasley, ma per ovvie motivazioni non posso parlare di tutti.
Ho scelto di non considerare Canon gli avvenimenti descritti in The Cursed Child (che considero una fanfiction del signor Thorne e non una parte integrante della saga). Per chi l’ha letto, è possibile che trovi qualche somiglianza in due aspetti. Il primo è il rapporto problematico tra Albus e Harry, che però ho affrontato in maniera diversa da quanto avviene nella pièce teatrale, e in questo caso si tratta di pura coincidenza (ho sempre immaginato che Albus desse qualche problema al papà). La seconda somiglianza è nella caratterizzazione di Scorpius. Non avevo un’idea precisa sul rampollo di casa Malfoy e ho trovato simpaticissima la versione di Scorpius data nella Maledizione dell’Erede, perciò ne ho tratto (molto) liberamente ispirazione.
Per quanto riguarda la saga, ho cercato di essere più IC possibile e di attenermi anche da quanto dichiarato dalla Rowling nelle interviste. Tuttavia, mi sono riservata di non essere maniacale nel seguire le indicazioni date al di fuori dei canonici sette libri.
Per il momento è tutto. Fatemi sapere cosa pensate del capitolo! Mi piacerebbe avere un riscontro anche sul titolo e l’introduzione alla storia, che mi hanno creato non pochi problemi.
 
Thalassa_
 
Edit: Aggiungo un ringraziamento a Mavis Potter che è stata la prima a recensire e che mi ha fatto notare la mia dimenticanza nel pubblicare le note! :)

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Capitolo 2
*** II ***


Capitolo II
 
“Questo” annunciò Scorpius a colazione, in tono tetro, “è il peggior lunedì della storia dei lunedì”. Albus diede in un lamento, senza avere il coraggio di poggiare lo sguardo sul loro nuovo orario.
“No, ti prego, non dirmelo!” implorò, nascondendosi il volto tra le mani.
 “Due ore di Antiche Rune, due di Trasfigurazione e due di Storia della magia nel pomeriggio” continuò Scorpius, implacabile.
“Stai scherzando, spero” scattò Albus. “Binns subito dopo pranzo è semplicemente illegale”.
“Almeno quest’anno iniziamo a studiare qualcosa di interessante, anche se Binns sarebbe capace di rendere noiosa anche la Finale della Coppa del Mondo di Quidditch” commentò Scorpius.
“Oh giusto, mi ero quasi scordato! Questo è per te” disse Albus, estraendo ‘Storia delle relazioni tra Maghi e altre Creature Magiche (Goblin, Giganti, Elfi Domestici), di Hermione Jean Granger’ dallo zaino e porgendolo a Scorpius.
L’amico lo guardò con aria perplessa. “I Malfoy non sono più ricchi come una volta, ma possiamo ancora permetterci i libri di testo, grazie”.
“Aprilo, scemo” lo rimbeccò Albus.
L’espressione di Scorpius si illuminò nel vedere la firma di Hermione sulla prima pagina, con la sua grafia minuscola e nitida. “Wow, me l’hai fatto autografare! Grazie, Al!” esclamò entusiasticamente.
Albus scosse la testa, sorridendo. “Che razza di persona è contenta di ricevere come regalo un libro di Storia della Magia?”
“Io” intervenne una voce femminile alle sue spalle. Albus si voltò, per scoprire stupefatto che Virginia Avery gli stava sorridendo. “Per tua informazione, Potter, il mio compleanno è l’undici gennaio. Ciao Scorpius”. Salutò i due ragazzi con un cenno distratto e se ne andò con passo aggraziato, i lunghi capelli neri che le oscillavano sulla schiena.
Albus guardò sbalordito il suo amico. “Quella era Virginia Avery”.
“L’avevo notato” rispose Scorpius ironicamente, senza alzare lo sguardo dal suo caffè.
“La ragazza più bella e popolare della scuola, che non ci ha mai degnato di uno sguardo in cinque anni, né rivolto la parola se non per toglierci punti, passa e ti saluta chiamandoti per nome. E a te sembra una cosa normale?”
Scorpius ebbe la decenza di arrossire.
“Ci siamo parlati sul treno, sai, nello scompartimento dei Prefetti. È più simpatica di quanto mi aspettassi” ammise imbarazzato.
“Scorpius, ti avverto: se all’improvviso diventi popolare e fai finta di non conoscermi, butterò la tua spilla da Prefetto nel lago” lo minacciò Albus.
“Non credo ci sia pericolo” rispose Scorpius, con un flebile sorriso, “ma se dovesse capitare, ti autorizzo ad annegarmi insieme alla spilla”. Albus tornò a rivolgere la sua attenzione alla colazione.
“Oh-oh” disse Scorpius, guardando qualcosa alle spalle di Albus con aria preoccupata. “Questa non ti piacerà. Aspetta, non ti girare!”.
Albus si voltò. Non fu l’unico. La Sala Grande era ancora semideserta – Scorpius l’aveva svegliato prestissimo per l’ansia da primo giorno – ma tutti i ragazzi presenti si erano girati a guardare le tre figure che avevano appena fatto il loro ingresso e ora si stavano dirigendo verso il tavolo degli insegnanti.
 
***
 
“Evitiamo le entrate trionfali, avevamo detto” borbottò Harry. “Andiamo il giorno dopo, avevamo detto, evitiamo lo Smistamento e nessuno farà caso a noi”.
“Sarebbe andata così se fossimo arrivati qui presto!” protestò Hermione. “Ma qualcuno” lanciò un’occhiata assassina al marito “stamattina non voleva alzarsi dal letto, nonostante - ”
“Hermione, rilassati” la interruppe Ron. “Sai che a me e Harry piace fare il nostro ingresso in grande stile. Volevo riesumare la Ford Anglia di papà per l’occasione, ma non siamo mai riusciti a rimetterla insieme dopo l’incontro ravvicinato con il Platano Picchiatore”.
Harry rise sinceramente, e anche l’espressione di Hermione si ammorbidì.  
“Ci ho riflettuto a lungo” disse Harry “e sono giunto alla conclusione che quella è stata in assoluto la cosa più stupida che abbiamo mai fatto”.
“Guarda caso, io non ero presente” puntualizzò Hermione.
“Comunque, non saremmo mai passati inosservati” commentò Ron in tono pratico, tornando al discorso iniziale. “Sai, con il fatto che Harry è il salvatore del Mondo Magico e tu a un passo dal diventare Ministro della Magia…”
Hermione arrossì furiosamente. “Io non - ”
“Hai il mio voto e quello di Malfoy, ti manca solo qualche capello bianco in più, signor capo del Wizengamot” la interruppe Harry in un tono che non ammetteva repliche. Erano arrivati di fronte al portone d’ingresso. Nessuno aveva il coraggio di aprirlo.
“È strano essere qui” disse Ron.
“Già” confermò Harry.
Ci fu un attimo di silenzio.
“Perché devo sempre fare tutto io?” sbottò Hermione. Spalancò la porta, e gli occhi di tutta la Sala Grande furono su di loro. 

A Harry sembrò di essere tornato indietro nel tempo. Molti ragazzini stavano dando una gomitata al loro vicino di posto, indicando la cicatrice e bisbigliando eccitati; dal tavolo di Grifondoro si levò un applauso, a cui ben presto si unirono anche le altre Case. Harry salutò con la mano Lily, realizzando con sollievo che sembrava contenta di vederlo; Rose, seduta di fianco a lei, fece un salto nel vederli e si allontanò di diversi centimetri dal ragazzo che le stava a fianco. Harry soffocò una risata, ma per fortuna Ron non sembrava essersi accorto di nulla, troppo concentrato a fissarsi la punta delle scarpe.
Passarono oltre il gruppetto di ragazze schiamazzanti intorno a Lily e Rose, e Harry non riuscì più a trattenersi; si voltò verso il tavolo di Serpeverde. Anche dall’altra parte della Sala, gli occhi di Albus sembrarono trafiggerlo da parte a parte, mentre il figlio di Malfoy rideva e gli tirava pacche sulla schiena, cercando di impedirgli di soffocare con il suo stesso succo di zucca. Buongiorno anche a te, figliolo, pensò Harry, depresso, e tornò a rivolgere la sua attenzione al tavolo dei Grifondoro.
James era seduto di fianco alla sua inseparabile amica, Sarah Jordan, insieme a buona parte della squadra di Quidditch. “C’è anche la mamma?” sillabò James, senza emettere un suono, con il terrore negli occhi.
Harry scosse la testa, e James tirò un sospiro di sollievo.
Dopo quella che gli era sembrata una sfilata interminabile, raggiunsero finalmente il tavolo dei professori. La preside McGonagall li accolse con i suoi modi bruschi, ma un sorriso sinceramente affettuoso che gli riscaldò il cuore. I capelli, ordinatamente raccolti della sua solita crocchia, erano ormai del tutto grigi e la sua postura, un tempo fiera ed eretta, era leggermente curva. Gli occhi, però, erano severi e vigili come sempre.
“Hai visto com’è invecchiata la McGonagall?” gli sussurrò Ron all’orecchio.
“Sono vecchia, non sorda, signor Weasley!” abbaiò la McGonagall. Le orecchie di Ron diventarono rosse all’istante e Hermione gli rivolse uno sguardo di disapprovazione.
Harry soffocò una risata. Certe cose non sarebbero mai cambiate.
“Lascia perdere, Ron” concluse bruscamente la McGonagall, mettendo a tacere le scuse balbettate di Ron. “È un piacere e un onore avervi come ospiti. Accomodatevi pure”.
Si sedettero, un po’ in imbarazzo. Harry prese posto di fianco a Ron e di fronte a Susan Bones, che lo salutò amichevolmente. Alla sua sinistra, un professore che non aveva mai visto.
Hermione era immersa in una fitta conversazione con la McGonagall, la professoressa Vectore e una giovane insegnante che Harry non conosceva.
Harry scambiò uno sguardo con Ron e lesse nei suoi occhi la stessa sensazione di disagio che provava lui.
Stare seduti al tavolo dei professori senza Silente, né Snape, né Flitwick era semplicemente assurdo. Sbagliato.
“Susan, dov’è Neville?” chiese Ron, indicando il posto vuoto di fianco a lei. Anche Harry se lo stava domandando. Non conosceva nessuno dei nuovi professori, e la mancanza di Neville lo faceva sentire a disagio.
“Fa colazione a casa, con Hannah, poi viene qui per le lezioni” rispose Susan. “Sarà felicissimo di rivedervi”.  Harry notò che Susan portava ancora i capelli in una lunga treccia, come quando era ragazzina. Era come se la ricordava: diretta, di poche parole, un po’ brusca ma con un sorriso per tutti.
Susan dovette accorgersi del loro disagio, perché decise che era venuto il momento di fare le presentazioni.
“Dev’essere strano per voi, eh?”. Svelta a capire e dritta al punto. Susan gli era sempre piaciuta. “Sono cambiati tanti professori da quando eravamo studenti. Beh, come immagino sappiate, io insegno Incantesimi e sono il Capocasa di Tassorosso”. Harry e Ron annuirono.
“Rose adora le tue lezioni” la informò Ron.
“Dubito fortemente che ci siano lezioni che Rose non adori” commentò Susan, ma si vedeva che era compiaciuta dal complimento. “Purtroppo nessuno dei vostri figli è nella mia Casa. Un vero peccato: sono dotati e simpatici. Tutti Grifondoro come voi, eh?”
“Tranne Albus” puntualizzò Harry.
“Tranne Albus” convenne Susan. “Beh, dei nostri vecchi professori sono rimasti solo la professoressa Sinistra, di Astronomia” la professoressa Sinistra si voltò sentendo il suo nome, e sorrise a Harry e Ron, “la professoressa Vector” che smise un secondo di parlare con Hermione per rivolgere loro un cenno del capo “e la professoressa Babbling”.
“Nessuno di voi due seguiva Aritmanzia, vero?” commentò l’anziana professoressa Babbling, la cui pelle era talmente incartapecorita che sembrava sul punto di sbriciolarsi da un momento all’altro. “Un vero peccato. Sua figlia è molto portata per la mia materia, signor Weasley, ma suppongo abbia preso dalla madre”.
Ron sembrò offeso e Harry e Susan ridacchiarono.
“Oh, beh, poi c’è Binns, naturalmente. Voglio dire, come si fa a mandare in pensione un fantasma? Neville è il Capocasa di Grifondoro, mentre il Capocasa di Corvonero è la professoressa Collins”.
La professoressa Collins sedeva accanto al posto vuoto lasciato da Susan. Aveva capelli corti color ruggine, lineamenti affilati e una mascella severa. Strinse la mano a Harry e Ron con una stretta d’acciaio.
“Insegno Cura delle Creature Magiche, come sicuramente i vostri figli vi avranno detto”. Harry capì immediatamente lo sguardo di orrore di Al e James quando Hermione quell’estate aveva definito Cura delle Creature Magiche “una scelta facile”.
“È esigente, ma molto valida” commentò Susan sottovoce, quando la Collins si fu girata. “Anche se dovrebbe dare meno compiti: sono stufa di sentire studenti in lacrime che mi dicono che non hanno potuto esercitarsi con gli incantesimi perché hanno passato la notte a scrivere temi infiniti sull’apparato respiratorio delle Sirene” aggiunse, irritata. Harry pensò che né Albus né James gli sembravano tipi da star svegli la notte a scrivere temi, e si chiese se Rose li aiutasse come Hermione faceva con lui e Ron. Una parte di lui dubitava fortemente che la nipotina avesse ereditato l’animo compassionevole della madre.
Susan riprese il giro delle presentazioni. “Il professor Griffith è il Capocasa di Serpeverde, e insegna Difesa Contro le Arti Oscure”. L’uomo calvo seduto di fianco a Harry, che fino a quel momento gli aveva dato le spalle, si voltò verso di lui per stringergli la mano. La sua stretta era molle e la sua mano viscida e fredda. “Piacere di conoscerla, signor Potter” disse con voce melliflua, le labbra piegate in un sorriso. I suoi occhi, però, non sorridevano. Il pensiero di Harry corse ad Albus. In un momento di difficoltà, si sarebbe dovuto rivolgere a un uomo come quello?
“Sua figlia Lily è molto portata per la mia materia. Penso voglia diventare un Auror come lei” aggiunse il professor Griffith. Harry annuì un po’ troppo bruscamente, e Susan passò rapidamente al professore successivo.
“La professoressa Chapman ha sostituito la McGonagall a Trasfigurazione”. La professoressa Chapman era una donnina minuscola, con i capelli completamente bianchi, che sembrava potesse volare via al primo soffio di vento. “Non farti ingannare dal suo aspetto innocuo” sussurrò Susan “Neville se la fa sotto ogni volta che le deve chiedere qualcosa”.
A Harry tornò alla mente la descrizione che ne aveva fatto Albus qualche tempo prima: “La Chapman è una vecchina malefica che considera sprecata ogni giornata in cui non riesce a far piangere almeno uno studente”.
“Il professor Dipsit insegna Pozioni…ehm? Professor Dipsit?”. Il mago sembrò risvegliarsi da un sogno a occhi aperti e si guardava intorno come se non sapesse come era arrivato al tavolo della colazione. Quando finalmente si rese conto di trovarsi di fronte a Harry, gli strinse la mano entusiasticamente.
“Che onore, che onore, signor Potter e signor Weasley!” A Harry ricordò terribilmente Dedalus Diggle e dovette sforzarsi di non ridergli in faccia. Qualcosa di estremamente interessante nel contenuto del suo bicchiere attirò l’attenzione del professore, che sprofondò nuovamente nei suoi pensieri.
“Ha tutte le rotelle a posto?” si informò Ron, con il suo caratteristico tatto. Hermione gli tirò una gomitata, ma Susan sorrise.
“Ecco, sì, più o meno. Troppi vapori che escono dal calderone, ecco come la vedo io, e comunque ha quasi novant’anni. Ma è un genio nel suo campo, il miglior pozionista vivente secondo il Profeta. Fino all’anno scorso era Capocasa di Serpeverde, ma la McGonagall ha deciso che ci voleva qualcuno con i piedi un po’ più saldamente piantati a terra, e così il compito è passato a Griffith”. Lo sguardo di Susan lasciava intendere chiaramente cosa pensasse della decisione della Preside.
“Infine, la professoressa Barnes, di Babbanologia, che come saprete è diventata una materia obbligatoria”. La professoressa Barnes era giovane e piena di entusiasmo. Non poteva avere molto più di trent’anni; i capelli biondi le svolazzavano intorno al viso allegro e i suoi occhi azzurri sembravano enormi dietro le lenti rotonde degli occhiali. Interruppe solo per un secondo il flusso di parole rivolte a Hermione dal momento in cui si era seduta a tavola per rivolgere loro un sorriso smagliante. A Harry si chiese stupidamente se avesse le branchie, dato che non sembrava avesse bisogno di respirare.
“Molto piacere! È un vero onore conoscervi di persona e poter insegnare ai vostri figli, anche se, signor Potter, James è veramente distratto! Avrebbe dovuto vedere come si è conciato quando ho detto di presentarsi vestiti da Babbani! Rose invece è un tesoro, non si perde una parola di quello che dico. Sono deliziata dal fatto che Babbanologia sia diventata obbligatoria, e naturalmente questo lo dobbiamo in gran parte alla signora Weasley qui presente! Senza i suoi provvedimenti per la tutela dei Nati Babbani, nonché i decreti che riguardano il rapporto con la Comunità Non-Magica, come è più corretto chiamarla, tra cui le nuove norme di abbigliamento –“
Harry e Ron si scambiarono un’occhiata, frastornati. “E ci credo che Rose è l’unica a non perdersi una parola di quello che dice” gli sussurrò Ron nell’orecchio.
“HARRY!” tuonò una voce dietro di loro, e una mano pesante si appoggiò sulla sua spalla.
“Hagrid!” esclamarono Harry, Ron e Hermione in coro. Hagrid lo strinse in una morsa mozzafiato e quando lo lasciò andare avevano entrambi le lacrime agli occhi: Hagrid per la commozione, Harry per la mancanza di ossigeno.
“Sono così contento di rivedervi tutti e tre” disse, lasciandosi cadere pesantemente nella sedia tra Susan e la Collins. Faceva uno strano effetto vederli insieme: il mezzogigante dall’aria selvaggia, con dei rametti incastrati nella barba, e la professoressa impeccabile e precisa. A Harry era dispiaciuto sentire che Hagrid non insegnava più ed era retrocesso a guardiacaccia, ma si dovette ricredere: sembrava più in forma che mai.
Hagrid si protese verso i ragazzi con aria cospiratrice e un preoccupante luccichio negli occhi.
“Harry, lo sai che la professoressa Collins mi ha dato il permesso di allevare un –“ 
“Hagrid!” protestò la professoressa, scandalizzata. “È un’informazione riservata!”
Harry sorrise. “Non si preoccupi, professoressa, ne sappiamo qualcosa degli animaletti speciali di Hagrid”.
La conversazione si spostò sul terreno dei ricordi, e ben presto si trovarono a ridere tutti e quattro rivivendo i tanti bei momenti passati nella capanna di Hagrid e tutte le sue strambe creature: Fierobecco, Aragog, Norberto… La professoressa Collins seguiva la conversazione senza perdersi una parola, anche se ancora con la mascella contratta, chiaramente indecisa tra l’interesse professionale e la profonda disapprovazione. Ben presto Susan si unì a loro e iniziarono a parlare delle riunioni segrete dell’ES.  Finalmente Hogwarts era tornata Hogwarts, e Harry si sentì a casa.
Quando ebbero terminato la colazione, la McGranitt prese la parola. Harry notò che non aveva nessuna difficoltà a ottenere il silenzio, proprio come accadeva durante le sue lezioni di Trasfigurazione. Era un silenzio diverso da quello che si creava quando ad alzarsi era Silente, però.
“Come avrete notato, abbiamo degli ospiti. I signori Weasley e il signor Potter saranno con noi per la giornata di oggi. Sono qui per conferire con me in merito a faccende che riguardano la scuola, tuttavia spero che accetteranno di condividere parte del loro sapere con voi nelle lezioni del mattino”. La professoressa rivolse un’occhiata fugace a Harry. Le orecchie di Ron diventarono scarlatte all’istante, mentre Harry guardò la sua ex-professoressa esasperato. Spero che accetteranno…e come potevano rifiutare, dopo che lei gliel’aveva chiesto di fronte a tutta la scuola? Harry avrebbe dovuto aspettarselo. La McGonagall gli aveva offerto varie volte la cattedra di Difesa contro le Arti Oscure e aveva insistito perché Harry desse almeno qualche lezione ogni tanto, e Harry aveva declinato l’invito in modo vago. Ora non gli aveva lasciato scelta.
Appena lo sguardo della preside tornò a posarsi sugli studenti, il brusio eccitato che si era diffuso tra i tavoli si spense.
“Raccomando a tutti gli studenti” riprese con voce severa “di non assillare i nostri ospiti e di comportarsi al meglio. Immagino che tutti desideriate dare una buona impressione, ma se così non fosse, avrete a che vedere con me personalmente. Ora, qualcuno dei nostri ospiti desidera dire due parole?”
Harry e Ron si voltarono automaticamente verso Hermione, che si alzò in piedi, leggermente rassegnata.
 
Qualche minuto dopo, i tre avevano finalmente lasciato la Sala Grande. La McGonagall aveva dato loro istruzioni di partecipare alla prima lezione del mattino (Difesa contro le Arti Oscure per Ron e Harry e Storia della Magia per Hermione) e di raggiungerla in seguito nel suo ufficio.
Harry sorrise nel riconoscere un viso famigliare che si avvicinava dal fondo del corridoio. “Neville!” chiamò, salutandolo con la mano.
“Oh, no” si lasciò sfuggire una ragazza pochi passi avanti a loro, cercando con lo sguardo una via d’uscita, mentre il suo professore di Erbologia marciava verso di loro con aria tutt’altro che amichevole.
“Caspita” commentò Ron, “chi l’avrebbe mai detto che Neville sarebbe stato il tipo di insegnante che terrorizza i suoi allievi?”.
Harry non poté fare a meno di concordare tra sé, eppure la studentessa non sembrava affatto contenta di vederlo arrivare. La ragazza poteva avere circa l’età di James, ma era di Serpeverde. Quando Neville li raggiunse, un sorriso cordiale si era dipinto sul suo volto paffuto, e strinse calorosamente la mano ai suoi vecchi amici.
“Harry, Ron, che piacere rivedervi! Hermione, ti trovo benissimo. Qualcuno di voi ha avuto notizie da Luna di recente?” chiese con una punta di ansia nella voce. “Non mi scrive da un paio di mesi, da quando è partita per il suo ultimo viaggio e – dove credi di andare, Avery?” tuonò contro la ragazza, che stava approfittando della sua distrazione per sgattaiolare via.
Un sorriso innocente si dipinse sul volto di Avery. Harry non poté fare a meno di notare i suoi occhi magnetici, di un verde chiaro che risaltava per contrasto con i lunghi capelli scuri.
“Professor Longbottom” salutò con voce suadente e un’aria sorpresa, come se avesse notato solo in quel momento la sua presenza “quasi non la riconoscevo! è dimagrito moltissimo quest’estate, sa?”.
Neville si accigliò, ma non riuscì a trattenere l’ombra di un sorriso.
“Risparmiami i tuoi giochetti, Avery, con me non attaccano. Ragazzi, datemi solo due minuti” aggiunse, rivolgendosi ai suoi vecchi amici, “il tempo per scambiare due paroline con questa studentessa sul suo comportamento”. Avery lo guardò con aria rassegnata, come se sapesse già parola per parola cosa stesse per dirle il suo professore.
Harry guardò Neville perplesso. Se l’era immaginato come un insegnante affettuoso e cordiale, pronto a dare a tutti quell’incoraggiamento di cui lui avrebbe avuto un gran bisogno quando era ragazzo; in quel momento aveva un’aria molto severa. Era successo qualcosa di grave?
“Ho solo due parole per descrivere quello che provo: tradimento e delusione” esordì il professor Longbottom, puntando il dito contro Avery.
La ragazza lo guardò sbigottita, e cercò di difendersi.
“Professore, io -”.
“No, lasciami finire, Avery. Credevo ti piacesse Erbologia!” sbottò con aria incredibilmente offesa.
Harry strabuzzò gli occhi, certo di non aver capito bene.
“Certo, ma -”
“Nessun ma! La migliore allieva delle mie classi, e tutte quelle domande dopo le lezioni, e alla fine dello scorso semestre avevamo accordato che avresti continuato con Erbologia per il M.A.G.O.! E hai anche ottenuto una E nel tuo G.U.F.O.!”
“Il guaio, professor Longbottom”, lo interruppe Avery sospirando con aria annoiata, “è che ho ottenuto E in tutti i miei G.U.F.O., e ho sentito questo stesso discorso da tutti i professori, perché naturalmente tutti pensano che la propria materia sia la più importante”.
Neville la guardò come se avesse appena subito un affronto.
“E così, trovandoti di fronte all’imbarazzo della scelta su quali materie continuare, hai deciso che Erbologia non era una materia degna di essere approfondita”, replicò oltraggiato, “una materia inutile, facile, di cui poter fare a meno! è quello che pensano tutti, ma vi sbagliate, vi sbagliate di grosso e -”.
Avery a questo punto era decisamente spazientita.
“Professore!” esclamò in tono di comando. Neville si ammutolì.
“Io avevo scelto di continuare Erbologia” continuò esasperata “lo so che la conoscenza delle proprietà delle piante, e specialmente di quelle più rare che si studiano al sesto e settimo anno, è fondamentale per un pozionista. Il problema è che dovevo scegliere quale materia eliminare, perché la preside ha detto che avevo raggiunto il limite massimo, e la professoressa Collins ha letteralmente dato di matto” lanciò un’occhiata significativa a Neville, che sembrò leggermente a disagio “quando ha scoperto che volevo lasciare Cura delle Creature Magiche e mi ha detto ogni sorta di cose per convincermi, che non potevo non studiare le creature del programma del M.A.G.O. perché sono fondamentali nello studio dei veleni, che quest’anno Hagrid ha un sacco di novità, eccetera eccetera”. Fece una breve pausa, e la sua voce si addolcì.
“Perciò vede, professore, io vorrei tanto continuare Erbologia, ma non riesco a far quadrare il mio orario”. L’espressione di Neville si era ammorbidita.
“Beh, quand’è così” borbottò “in effetti penso proprio che non dovresti lasciare né Erbologia né Cura delle Creature Magiche, sempre che la tua ambizione sia ancora quella di diventare la più grande pozionista del Mondo Magico”.
 Avery sorrise, lanciandogli uno guardo tra il divertito e l’arrogante. “Non lo sono già?”.
Neville rise bonariamente.
“Senz’altro sei sulla buona strada, Avery. Soprattutto se continui a pedinare il professor Dipsit giorno e notte come hai fatto l’anno scorso. Dammi il tuo orario, vediamo cosa si può fare”. Avery rovistò per qualche secondo in tasca e poi glielo porse.
“Professore” aggiunse a voce più bassa, mentre Neville esaminava i suoi orari “il professor Dipsit le ha parlato del mio colloquio di orientamento professionale?”.
“Naturalmente, naturalmente” rispose Neville con lo stesso tono, alzando lo sguardo dal foglio e fissandola dritto negli occhi. “Il guaio di lavorare all’Ufficio Misteri, Avery, è che non sai esattamente cosa si richiede per essere presi, perché chi ci lavora non può dire nulla, e a chi sostiene il colloquio senza poi essere preso oppure smette di lavorarci viene rimossa la memoria”. Una sfumatura di delusione apparve sul bel volto della ragazza.
“D’altronde” aggiunse il professore in tono pragmatico “se ti impegni a fondo in questi due anni non vedo assolutamente alcun motivo per cui non dovresti riuscirci. Qualunque qualifica possano richiedere, penso che tu ce l’abbia. In ogni caso, farò del mio meglio per prepararti quando sarà il momento. Per il momento, concentrati sui M.A.G.O.”.
“Grazie, professor Longbottom” disse semplicemente Avery, con un sorriso affascinante. Neville arrossì leggermente.
“Di nulla” borbottò, tornando a guardare gli orari “dunque, vediamo, potresti lasciare Storia della Magia”. “Non se ne parla” affermò decisamente la ragazza “sono sei anni che ripeto che Storia della Magia è la cosa più importante che studiamo a Hogwarts, e non ho intenzione di iniziare a contraddire le mie stesse affermazioni”.
“Mmh. Che ne dici di Antiche Rune?”. Avery sospirò.
“Avevo intenzione di fare ricerche sulle pozioni più antiche, e pensavo che le rune sarebbero state utili, ma…”. Ci pensò un momento con aria indecisa, poi sospirò di nuovo con aria rassegnata. “Sì, penso che abbandonerò Antiche Rune. Se mai dovesse servirmi qualcosa, mi farò prestare gli appunti da Rose” concluse.
“Rose? La mia Rose?” esclamò Ron, sconvolto. Avery inarcò un sopracciglio.
“Certo, signor Weasley, la sua Rose” rispose freddamente.
“Ora devo proprio andare a lezione. Grazie di tutto, professor Longbottom” aggiunse sorridendo “ci vediamo a lezione”. Si allontanò con passo deciso, e diversi ragazzi si voltarono a guardarla con sguardo perso mentre passava.
“Molto maleducato da parte tua intrometterti a quel modo, Ron” sbottò Hermione, guardando il marito con aria contrariata.
“Hermione” rispose Ron, come se Hermione non capisse la gravità della situazione, “la nostra Rose! Con Virginia Avery!”.
Neville sorrise. “Stai tranquillo, Ron, è normale che due ragazze così intelligenti si frequentino. Anche se a dire il vero discutono in continuazione, naturale, con due caratterini del genere…”.
L’espressione di Ron era ancora dubbiosa.
“È una brava ragazza, davvero” cercò di rassicurarlo Neville “prefetto e tutto”.
“Prefetto di Serpeverde” borbottò Ron sottovoce, con aria contrariata, ma Neville finse di non sentirlo e tornò a parlare di Luna e dei bulbi che aveva promesso di portargli di ritorno dall’Australia.
La mente di Harry era in subbuglio. C’era qualcosa in quella ragazza che lo turbava. Studentessa modello – prefetto – sorriso affascinante – Neville che pendeva dalle sue labbra…e improvvisamente capì che cosa gli ricordava.
Gli tornò alla mente un’altra conversazione tra uno studente molto affascinante e un professore amante della buona cucina.
“Professore, cosa sa dirmi sugli Horcrux?”.
 


NdA
In questo capitolo conosciamo un po’ più da vicino il simpatico prefetto Avery che rimprovera Albus durante lo Smistamento. Essendo un mio personaggio originale, ci tengo ancora di più che mi facciate sapere la vostra opinione ;)
Il nome Virginia è chiaramente di origine latina, ma utilizzato anche nel Regno Unito con una sua tradizione letteraria (per esempio, è un personaggio del Fantasma di Canterville), oltre a essere molto musicale. Mi sembrava adatto considerando la lunga tradizione purosangue della famiglia Avery.
Per quanto riguarda gli insegnanti, naturalmente a parte Neville, non abbiamo informazioni quindi ho piacevolmente inventato.
Sto cercando di pubblicare regolarmente il mercoledì, una settimana questa e una settimana l’altra long-fic, ambientata al tempo in cui i Malandrini razzolavano a Hogwarts (la trovate qui). 
 

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Capitolo 3
*** III ***


Capitolo III
 
“Harry, non so se me la sento” si lamentò Ron per la sedicesima volta.
“Ron, non essere ridicolo, sei un Auror tanto quanto me” ribatté Harry in tono fermo.
“È un po’ che sto dietro a una scrivania, potrei essere un po’ arrugginito…”
“Non dobbiamo sfidarci a duello, ok? Basta che gli facciamo un bel discorso, rispondiamo alle loro domande e magari gli insegniamo un incantesimo di difesa come ai tempi dell’ES”.
Ron non parve convinto.
“Hermione, per favore, digli tu qualcosa” sospirò Harry.
Hermione, però, sembrava agitata quanto Ron. Si passò nervosamente una mano nei capelli e Harry notò che si era accorciata le unghie per evitare di mangiarsele, come faceva sempre nei momenti di stress.
“Io sono arrivata” annunciò, indicando l’aula di Storia della Magia. “Auguratemi buona fortuna!”
Ron la guardò incredulo. “Buona fortuna per cosa? Per te fare una lezione è normale amministrazione. Hermione, tu fai discorsi tutti i giorni per lavoro, ne hai fatto uno in Sala Grande meno di un’ora fa!”
Harry condivise silenziosamente la perplessità di Ron. Doveva esserci qualcosa di più.
“Hermione” chiese, un’illuminazione improvvisa, “a chi devi fare lezione?”
“Grifondoro e Serpeverde del quinto anno” sussurrò lei ansiosamente.
Harry le sorrise incoraggiante. “Tranquilla, andrà benissimo. Sii te stessa e fai finta di non conoscere Rose e Albus”.
“E per Merlino, fai rispondere a Rose ad al massimo una domanda” aggiunse Ron.
Hermione sorrise. “Ricevuto. Ci vediamo!” Diede un rapido bacio sulla guancia a Ron ed entrò in classe.
“Rose sarà molto contenta di fare lezione con sua madre” commentò ironicamente Ron.
“Perché non hai visto la faccia di Albus stamattina quando mi ha visto! Stava per strozzarsi con la colazione!”
“Beh, non puoi dargli torto, amico. Se mia madre si fosse presentata a Hogwarts, mi sarei dato malato per due giorni” commentò Ron. “Noi a chi dobbiamo fare lezione?”
“Serpeverde e Grifondoro del quarto anno” rispose Harry. “Almeno evitiamo i nostri figli. Ecco, siamo quasi arrivati”.
  
Hermione decise che, per una volta nella sua vita, Ron le aveva dato un buon consiglio. Così, quando alla prima domanda la mano di sua figlia scattò in aria prima ancora che avesse finito di formulare la frase, decise di lasciarla rispondere e poi ignorarla per il resto della lezione.
“Grazie, signorina Granger-Weasley” disse compitamente, ignorando i risolini delle amiche di Rose. “Una risposta molto esauriente. Ora però lasciamo anche ad altri la possibilità di rispondere. Voglio che vi sentiate tutti liberi di intervenire”.
Rose mise su un adorabile broncio, ma Hermione non era il tipo di genitore che si lasciasse corrompere facilmente. Nelle domande successive, notò con un certo stupore che le mani alzate appartenevano in gran parte a Serpeverde.
Ogni tanto lanciava un’occhiata speranzosa nella direzione di Albus, ma suo nipote non sembrava avere la minima intenzione di partecipare alla discussione, nemmeno quando Hermione era sicura che conoscesse la risposta. Non poteva seriamente non ricordarsi nessuno dei motivi per cui Godric’s Hollow era famosa, considerando che ci andava almeno una volta all’anno. In compenso, la mano di Malfoy, seduto di fianco a lui, era perennemente ed educatamente alzata.
“Sì, signor Malfoy?”
“La convenzione di McDust fu stipulata il 7 settembre 1999 per regolare i rapporti tra goblin e maghi in merito alla proprietà dei manufatti goblin acquistati dai maghi”.
“Esattamente” disse, un po’ stupita. Le domande iniziavano a essere molto specifiche, ma i Serpeverde non demordevano. Soprattutto quando si parlava delle due guerre magiche, nessuno era più ferrato di loro. Da dove arrivava tutta quella conoscenza?
“Bene, sono lieta di aver testato le vostre conoscenze preliminari sull’argomento, e devo dire che sono più soddisfacenti, soprattutto da questo lato dell’aula”. Lanciò un’occhiata obliqua ai Serpeverde. A parte Rose, pochi Grifondoro avevano risposto alle domande.
“Ora però veniamo alla domanda più difficile di tutte. Perché è necessario studiare Storia della Magia? Non faremmo meglio a impiegare il nostro tempo per imparare qualcosa di più pratico, invece che memorizzare vecchie genealogie e seppellirci in tomi polverosi?”
L’aveva intesa come una domanda retorica, a cui avrebbe risposto lei stessa con il discorsetto che si era preparata. Con sua enorme sorpresa, però, si levò una voce femminile dalla seconda fila.
Storia della Magia è la cosa più importante che studiamo a Hogwarts” dichiarò, in tono sognante. Parecchi Serpeverde si coprirono la bocca con le mani per non lasciarsi sfuggire una risatina.
Il presente è seminato nel passato; le colpe dei padri ricadono sui figli; nasciamo con le mani macchiate di sangue” continuò la ragazza bionda in seconda fila, con una voce ipnotica, come se stesse recitando una litania o una preghiera.
Conoscere è un dovere; comprendere una necessità; ignorare una colpa” concluse Albus, con un falsetto così convincente che Hermione non avrebbe creduto che si trattasse di lui se non l’avesse visto parlare.
La risata dei Serpeverde fu prorompente e non più mascherata, e contagiò anche qualche Grifondoro; Albus e Scorpius erano scossi da risa convulse. Hermione era profondamente perplessa. La stavano prendendo in giro? Eppure era abbastanza sicura che quelle non fossero parole sue, e nemmeno l’imitazione della sua voce era molto somigliante.
Quando la risata si fu acquietata, Hermione chiese spiegazioni in tono fermo ma non arrabbiato.
“Vuole essere così gentile da spiegarmi il motivo di tanta ilarità, signorina…?”
“Flint” rispose la ragazza bionda dal viso impertinente che aveva dato inizio allo scherzo. “È solo che Avery lo ripete in continuazione. Non era mia intenzione interrompere, signora Weasley”.
Hermione alzò un sopracciglio. La voce della ragazza incontrata poco prima in corridoio faticava a sovrapporsi alle parole che aveva appena sentito. Parole sagge ma dure, di una verità sferzante che sarebbe sembrata naturale in bocca a un anziano, non a un’adolescente.
“Virginia Avery” intervenne Rose, in tono di disapprovazione, interpretando la sua espressione come una richiesta di spiegazioni. “Prefetto di Serpeverde del sesto anno”.
Hermione tacque, pensierosa. “Capisco. Delle parole senza dubbio interessanti” dichiarò in tono neutro. Continuò con il discorso che si era preparata, ma era distratta.
Alla fine della lezione, concluse dicendo: “Sono la vostra insegnante solo per oggi, quindi non sono sicura di avere l’autorità per togliere o aggiungere punti. Comunicherò al più presto al Capo della vostra Casa che le risposte dei Serpeverde si meritano senz’altro dieci punti”. Un mormorio di protesta si levò dal lato dei Grifondoro, e Rose lasciò furiosamente l’aula.
 
“Tesoro, com’è andata la lezione?” chiese affettuosamente Ron alla figlia, intercettandola per il corridoio. “Chiedilo alla mamma!” sbottò rabbiosamente Rose. “Ha dato dieci punti a Serpeverde!”
“Hermione!” esclamò Ron indignato. 
Hermione gli lanciò un’occhiata tale da mettere in fuga un troll. Harry mise in pratica la tattica adottata negli ultimi trent’anni e rimase vigliaccamente in disparte, finché l’offesa di Ron e la rabbia di Hermione non fossero sufficientemente sbollite. Ron e Hermione battibeccavano sempre e da sempre, e Harry si sarebbe sinceramente preoccupato se avessero smesso da un momento all’altro. Rose aveva complicato le cose, soprattutto negli ultimi anni: era perennemente in conflitto con sua madre, e di riflesso prendeva le parti di Ron in qualunque situazione, anche quando si trattava di difendere l’indifendibile. Ron non era sufficientemente bravo in psicologia per capire che l’atteggiamento di Rose era dovuto a una sfida continua verso una madre troppo simile a lei, e il suo ego si compiaceva non poco di avere una sorta di Hermione in miniatura che gli dava ragione su tutto. Hermione era esasperata dalla situazione, tanto che perfino Harry se n’era accorto, con un piccolo suggerimento da parte di Ginny, s’intende. Harry avrebbe sinceramente voluto aiutarla, ma se avesse avuto una minima idea di come appianare i conflitti con figli adolescenti l’avrebbe fatto innanzitutto in casa propria.
“Allora, com’è andata la vostra lezione?” chiese Hermione, dopo un paio di minuti di silenzio carico di sottintesi. Era il segnale che potevano ricominciare a parlare serenamente. Ron era ancora rosso in volto e tenne ostinatamente la bocca chiusa. Harry poteva quasi sentirlo rimuginare nella sua testa devi smetterla di zittirmi in quel modo, Hermione, non siamo più due bambini o non posso credere che non riesci a stare nella stessa stanza di Rose per un’ora senza farla infuriare o anche come hai potuto dare dieci punti a Serpeverde?
Toccò a Harry rispondere. “Piuttosto bene, erano molto interessati. I Grifondoro ci hanno sommerso di domande, e abbiamo mostrato loro l’effetto Patronus, che fa sempre il suo effetto. Anche a Ron è riuscito benissimo” disse, sperando di risollevare un po’ il morale dell’amico.
“Non hai notato nulla di strano nei Serpeverde?” chiese Hermione, un po’ esitante.
Harry ci pensò un attimo, stupito. Non era una domanda da Hermione. “Perché me lo chiedi?”
Hermione si strinse nelle spalle. “Si vede che Ron mi ha contagiato” rispose scherzosamente.
“Nulla di anomalo, si sono comportati bene. Alcuni Grifondoro sono un po’ arroganti, a dirla tutta. Chissà che razza di esempio dà loro James… In realtà, se vuoi saperlo, una cosa che non mi è piaciuta c’è stata…”
“Griffith” intervenne Ron. “Ha un non so che di…viscido”.
Harry annuì. Durante la lezione, una ragazzina di Grifondoro aveva chiesto a Harry se per diventare Auror si dovessero studiare anche le Arti Oscure. Harry e Ron avevano negato, sconvolti. “Il professor Griffith dice sempre che bisogna conoscere quello contro cui si combatte…per questo motivo l’ho chiesto” aveva incalzato la ragazzina, con un sorriso sgradevole nella direzione del professore. “Conoscere non significa praticare” aveva risposto Griffith con la sua voce sibilante. Harry aveva avuto la netta sensazione che avrebbe risposto in modo ben più secco all’evidente insinuazione, se lui e Ron non fossero stati presenti. Più tardi, quando Harry e Ron stavano rispondendo alle domande sulla guerra contro Voldemort, fu il turno del vicino di banco della ragazzina di prima a parlare.
“Professore” domandò “dove si trovava lei durante la guerra? Un mago del suo calibro deve aver avuto un ruolo importante…”. Harry si era voltato verso Griffith, ben deciso a non intervenire. “All’estero” rispose elusivamente il professore, “cinque punti in meno a Grifondoro. Spero che vi faccia passare la voglia di fare domande poco pertinenti”.   
Riportò sommariamente l’accaduto a Hermione.
“Griffith non ha fatto una bella impressione neanche a me” ammise Hermione.
“Se ci pensi, però, probabilmente non è così male” intervenne Ron “è pelato, e questo consente di verificare facilmente che non ha la faccia di Voldemort sul retro della nuca”.
Scoppiarono tutti e tre a ridere. Lieto che l’atmosfera si fosse alleggerita, Harry si godette qualche minuto speso a rievocare la peggior sfilza di insegnanti di Difesa contro le Arti Oscure nella storia della scuola.
Tuttavia, non riusciva a togliersi dalla testa il tono malevolo con cui i Grifondoro avevano rivolto quelle insinuazioni al loro professore, e nemmeno quella risposta enigmatica, all’estero. All’estero poteva significare molte cose. Un codardo che fugge dalla guerra. Un calcolatore che si fa da parte per decidere da che parte pende la bilancia prima di schierarsi.
Harry era a Hogwarts da meno di un giorno, e troppe cose non gli erano piaciute della scuola. Non gli era piaciuta l’arroganza dei Grifondoro del terzo anno e il modo che avevano di guardare i Serpeverde. Non gli era piaciuto Griffith, altezzoso e viscido, troppo simile a un amante delle Arti Oscure più che a uno che le combatteva. Non gli era piaciuta Avery, proprio per niente.
 
Harry si pentì immediatamente di aver condiviso con i suoi amici i suoi sospetti su Avery. Ron lo stava fissando a bocca aperta e Hermione lo stava guardando come se avesse appena proposto di mangiare un elfo domestico arrosto per cena.
“Harry, non puoi seriamente paragonare una ragazzina di sedici anni a Voldemort!” esclamò indignata.
“Non ho detto che mi ricorda Voldemort, ma Tom Riddle” sottolineò Harry, irritato.
“Capirai che differenza!”
“È diverso, invece! Ron, anche tu l’hai detto che la trovi inquietante”. Harry cercava disperatamente l’appoggio di almeno uno dei suoi migliori amici, ma Ron non parve affatto contento di essere tirato in mezzo alla discussione.
“Ho detto che non mi piace l’idea che Rose abbia compagnie del genere, non l’ho paragonata al più pericoloso mago Oscuro mai esistito” rispose pacatamente. Harry si sentiva ribollire per la rabbia.
“Sentite, non sto dicendo che sia la figlia segreta di Voldemort o qualcosa del genere, dico solo che ha qualcosa di inquietante. Sta tramando qualcosa di oscuro, me lo sento. Il mio istinto mi dice che dovrei tenerla d’occhio”.
I suoi amici si scambiarono una delle loro occhiate da ‘ecco di nuovo le paranoie di Harry’.
“Harry” disse Hermione, con un tono dolce e paziente che irritò Harry ancora di più, “questa è la tua solita attitudine da Caccia al Mago Oscuro. Dopo tutti questi anni, ancora non hai imparato ad andare oltre ai tuoi pregiudizi. Non hai trovato nulla di male da dire sul figlio di Malfoy, così ora ti sei fissato su questa ragazza…”
Ron stava annuendo alle parole della moglie. “È proprio come ai vecchi tempi, Harry, quando pensavamo che Snape e Malfoy fossero responsabili di tutti i mali del mondo”.
“E alla fine è venuto fuori che avevo ragione su Malfoy! Era davvero un Mangiamorte, dopotutto!” esclamò Harry, trionfante.
Hermione alzò gli occhi al cielo, mentre Ron esplose in una risata incredula. “Non posso seriamente credere che tu ce lo stia ancora rinfacciando dopo vent’anni, Harry!”
Harry sapeva riconoscere una battaglia persa. Avrebbe tenuto per sé i suoi pensieri, d’ora in poi. Il tempo avrebbe rivelato che il suo intuito aveva ragione, ne era sicuro.
 
***
 
Quella sera, a cena, Scorpius era ancora euforico per aver fatto lezione di Storia della Magia con Hermione Granger, e Albus non aveva la forza di sopprimere le sue chiacchiere. Primo, perché sapeva che quando Scorpius era a quei livelli di eccitazione, tentare di zittirlo era del tutto inutile; meglio lasciarlo blaterare e limitarsi ad annuire e ridacchiare di tanto in tanto. Secondo, perché controllare ogni corridoio per essere certo di non imbattersi mai e poi mai in suo padre per tutto il giorno si era rivelato spossante. Terzo, la partenza di suo padre e dei suoi zii l’aveva lasciato in uno stato di sufficiente sollievo da lasciarsi volentieri contagiare dal buonumore di Scorpius, soprattutto dopo che l’aveva assecondato per tutta la giornata seguendolo nella sua folle fuga da incontri spiacevoli.
“Oh oh! Prefetto a ore due!” lo avvertì Scorpius. Albus spalancò gli occhi.
“Ti prego, dimmi che non è Avery…”
L’espressione di Scorpius diceva tutto senza bisogno di parole.
“Mai una volta che mi dai buone notizie” borbottò Albus.
“Dici che qualcuno le ha raccontato della lezione di oggi e se l’è presa?” chiese ansiosamente Scorpius.
“Spero proprio di no, quella è l’unica talmente matta da togliere punti anche alla propria Casa… Non potresti corromperla, ora che siete compagni Prefetti?”
“Sssh, arriva!”
“Potter, posso?” chiese Avery, e si sedette nel posto vuoto accanto ad Albus senza attendere una risposta. Dopodiché, non lo degnò più di uno sguardo. “Scorpius, vorrei parlarti un momento” disse con la sua voce bassa e suadente.
Albus non sapeva bene se sentirsi offeso per essere stato ignorato (non che fosse una novità, ma almeno di solito lui e Scorpius venivano ignorati insieme) o sollevato perché sembrava che Avery non avesse il minimo sospetto di quanto accaduto quella mattina.
“Ehm, certo, dimmi pure” rispose Scorpius, “se si tratta dei turni delle ronde, li ho già visti in Sala Grande”.
“No, non è per quello” rispose Avery in tono pratico. “Ho prenotato il campo per i provini di Quidditch sabato mattina, e ci serve un nuovo Battitore. Che ne diresti di provare?”
Scorpius era sbalordito. “Io?” chiese, stupidamente.
Se Albus non avesse saputo con assoluta certezza di essere completamente negato per il Quidditch, contro ogni legge genetica, in quel momento sarebbe corso a prendere la sua scopa e avrebbe iniziato a tirare Bolidi direttamente in testa ad Avery, giusto per dirle, ehi, esisto anch’io, grazie per averlo notato. Purtroppo, però, sia lui che Avery sapevano benissimo che sapeva a malapena tenersi in equilibrio su una scopa quel tanto che basta per fare un mezzo giro di campo.
Il sopracciglio alzato di Avery fece capire a Scorpius di aver dato una risposta estremamente stupida, perciò si affrettò a spiegarsi.
“Intendevo dire…non so, non ho mai pensato di entrare in squadra, e di solito i Battitori sono grandi e grossi e violenti…”. La descrizione coincideva con la totalità dei Battitori delle altre squadre, e non avrebbe potuto essere più in contrasto con l’aspetto esile e gli occhi gentili di Scorpius.
Avery sbuffò. “Questo perché il ruolo dei Battitori viene sempre frainteso. Se le altre Case vogliono scegliersi degli scimmioni che distinguono a malapena i Bolidi dalla Pluffa facciano pure, ma quest’anno voglio in coppia con me un Battitore intelligente, che sappia leggere l’andamento della partita. è il giocatore strategicamente più importante, perché un Bolide ben piazzato può contrastare un attacco, distrarre un Portiere, deviare la traiettoria di un Cercatore. Perciò, ti aspetto sabato mattina al campo”.
Si alzò senza aspettare una risposta e tornò a sedersi con quelli del suo anno.
Scorpius apparve frastornato.
“Allora?” chiese Albus.
“Allora cosa?”
“Ci andrai?”
Scorpius ci pensò un attimo. “Non lo so”.
Albus mise insieme tutto il suo altruismo per affermare decisamente: “dovresti”.
“Ci penserò” sorrise Scorpius. “Certo che non capita spesso di avere Virginia Avery al nostro tavolo per due volte in un giorno!”
La cosa aveva dello stupefacente, pensò Albus. Certo, negli ultimi anni non aveva mai dato segni di avercela particolarmente con lui. Semplicemente, si disinteressava totalmente della sua esistenza, se non quando si ritrovava a togliergli punti. Ma Albus non aveva scordato il loro primo incontro e lo sguardo che lei gli aveva rivolto.
 
Cinque anni prima
 
Era a Hogwarts solo da un paio di giorni, e Albus si sentiva frastornato e confuso. Gli eventi avevano preso una piega che non si era affatto aspettato. Non sapeva bene cosa pensare dei suoi compagni di Casa. Con tutto quello che aveva sentito dire dei Serpeverde, ora essere uno di loro era straniante. Per di più, il loro comportamento era contraddittorio.
Molti ragazzi più grandi, tra cui il Prefetto che l’aveva accolto il primo giorno, andavano a presentarsi e gli stringevano la mano. Albus trovava strano che dei ragazzi più grandi di lui si interessassero così di uno del primo anno. I loro sorrisi avevano qualcosa di falso.
Comunque, era più dell’accoglienza che si era aspettato, e si era sentito incoraggiato a fare amicizia. Dopotutto, che gli piacesse o no a Serpeverde ormai ci era finito, e non voleva passare sette anni da solo. Nella Sala Comune una ragazza molto carina che poteva avere circa la sua età stava leggendo un libro mastodontico dall’aria noiosissima. Sembrava proprio il tipo di libro che sarebbe piaciuto a Rose, così Albus si era avvicinato per presentarsi.
“Ciao, io sono Al. Cosa leggi?” le aveva chiesto sforzandosi di essere amichevole. Non era mai stato un tipo espansivo e si era sempre appoggiato su Rose e su James. Ora, però, doveva sbrigarsela da solo.
La ragazzina aveva alzato lo sguardo dalla pagina solo per un momento, ma i suoi occhi chiari sembrarono trapassarlo da parte a parte. “Un libro” aveva risposto freddamente. SI era portata dietro l’orecchio una ciocca di capelli scuri e aveva ripreso a leggere senza una parola.
Se non altro, Malfoy sembrava uno che la sapeva lunga. Albus decise di chiedere a lui spiegazioni dello strano comportamento dei suoi compagni di Casa.
“Alcuni ragazzi, soprattutto tra quelli più grandi, mi sorridono come se ci conoscessimo da anni. Altri, come quella ragazza, mi guardano come se avessi il vaiolo di drago”.
Scorpius seguì con lo sguardo il dito di Albus, che indicava la ragazzina che aveva incontrato in Sala Comune qualche ora prima.
“Ah, quella è Avery. Tuo padre ha spedito ad Azkaban metà della sua famiglia, non mi stupisce che non abbia una gran voglia di conoscerti” commentò in tono leggero. Albus si sentì sprofondare. Suo padre era a capo del Dipartimento Auror. Si rese conto all’improvviso che un sacco di Serpeverde avevano un ottimo motivo per odiarlo.
“Per quanto riguarda gli altri, beh, molti sono dell’idea che farsi amici del figlio di Harry Potter sia un’ottima idea per fare strada. Sai, le reputazioni di molte famiglie Purosangue si sono incrinate dopo la guerra” continuò Scorpius.
La tua, per esempio, pensò Albus, ma non ebbe il coraggio di dirlo ad alta voce. Perfetto, quindi metà della sua Casa lo odiava a prescindere perché suo padre aveva distrutto le loro famiglie e l’altra metà voleva farselo amico nella speranza di fare carriera.
“E tu che intenzioni hai?” chiese a bruciapelo a Scorpius. Sembrava uno che diceva le cose come stavano
Il ragazzo biondo si strinse nelle spalle. “Io penso che dobbiamo dormire nella stessa stanza per i prossimi sette anni, e mi sembra estremamente stupido farti nemico qualcuno che può soffocarti con un cuscino mentre dormi” osservò saggiamente.
 
Cinque anni prima, da un altro punto di vista
 
Il primo gufo ad arrivare fu quello di James. Ginny sorrise, scorrendo velocemente il contenuto della lettera. “A quanto dice tuo figlio, Albus è finito a Serpeverde” annunciò al marito.
“Molto divertente” commentò Harry, “mi domando da chi abbia preso il senso dell’umorismo. Comunque ti ricordo che James è anche figlio tuo”. Ginny gli tirò un pugno scherzoso sulla spalla.
Il secondo gufo fu quello di Rose. Il terzo era di Neville, e Harry dovette rassegnarsi al fatto che non si trattasse di uno scherzo. Le paure del suo secondogenito si erano rivelate fondate. Quando alzò lo sguardo dalla lettera, si stupì nel vedere sua moglie insolitamente preoccupata.
“Albus non ci ha ancora scritto nulla” mormorò. “Dev’essere stato un colpo, ci teneva tantissimo a finire in Grifondoro!”.
“Ehi, chi è il genitore ansioso, adesso?” chiese Harry, cercando di strapparle un sorriso. L’espressione di Ginny non cambiò.
“Non conosce nessuno a Serpeverde, tutti i suoi amici e i suoi cugini sono a Grifondoro! Che razza di amici potrà farsi a Serpeverde? Come pensi che lo guarderà il figlio di Malfoy?”
“Nemmeno io conoscevo nessuno appena arrivato a Hogwarts. È in gamba, se la caverà, e potrebbe fargli anche bene stare un po’ lontano da James”.
Ginny scosse la testa.
“Harry, tu non capisci. Albus è il più insicuro dei nostri figli, è quello che ha preso di più da me. Ti ricordi com’ero quando ci siamo conosciuti?”.
Harry tacque. A volte era estremamente difficile ricordare che ci fosse stato un periodo della sua vita in cui Ginny era una ragazzina timida e fragile.
“Per te Hogwarts è sempre stata una casa, ma per me il primo anno è stato un incubo. Non riuscivo a legare con le mie coetanee - ero cresciuta in una famiglia di soli maschi dove si parlava solo di Quidditch – e non avevo il coraggio di rivolgere la parola ai ragazzi. I miei fratelli si sentivano troppo grandi per stare con me. Non avevo nessuno con cui parlare. Ti ricordi com’è finita, vero?”.
“Ginny” rispose Harry con voce ferma. “Ti giuro che nostro figlio non sarà posseduto da Voldemort”.
Ginny sbuffò, ma non riuscì a trattenere un mezzo sorriso.
“Harry, mi prometti che gli scriverai?”
“Promesso” rispose solennemente Harry.
Mantenere la promessa si rivelò più difficile del previsto. La prima lettera che scrisse era piena di entusiasmo; Harry la trovò troppo falsa nel rileggerla, e la buttò nel cestino. Albus si sarebbe sentito preso in giro a vedergli fare i salti di gioia per avere un figlio Serpeverde. La seconda lettera risultò troppo malinconica; la terza troppo sdolcinata. Quando il contenuto del suo cestino iniziava a diventare preoccupante, Harry decise che ridurre il numero di parole all’osso poteva essere la strategia giusta per non dire nulla di fuori posto. Inviò la lettera senza rileggerla, per paura di dover ricominciare un’altra volta.
 
Caro Albus,
ho saputo del tuo Smistamento. Ricordati di cosa ti ho detto il giorno della tua partenza a King’s Cross.
Non so cosa ti stia passando per la testa, ma non scrivere mai non è un’opzione. Tua madre è preoccupata da morire.
Non farti mettere i piedi in testa da nessuno. Se il figlio di Malfoy ti infastidisce, fagli avere quello che si merita.
Saluta Neville e facci avere presto tue notizie.
Papà
 
“Tuo padre è un tipo loquace” commentò Scorpius, leggendo al di sopra della sua spalla. “Ti infastidisco, per caso?” aggiunse in tono falsamente preoccupato.
“Beh, Scorp, non sapevo come dirtelo” rispose Albus, serio, “ma questa tua mania di rivolgermi la parola mi sta sfiancando. È così piacevole essere ignorato da tutti!”.
Scorpius scoppiò a ridere.
“Tuo padre invece cosa pensa della nostra amicizia?” chiese Albus, curioso.
“Pensa che sia un’ottima idea. Qualsiasi cosa risollevi la reputazione di famiglia non può che giovare alla sua carriera!”
“Ottimo” commentò Albus. “Propongo un brindisi! Ai padri impiccioni e i loro intrighi politici!”
 
 
 
 
NdA
 
La convenzione di McDust è naturalmente inventata; ho immaginato che in seguito alla disputa circa la spada di Grifondoro, Hermione abbia portato il problema delle relazioni con i goblin all’attenzione del Ministero. D’altronde sappiamo che ha iniziato la sua carriera nell’Ufficio per la Regolazione e il Controllo delle Creature Magiche.
Spero che i fan di Delphini Riddle non si sentano troppo offesi dalla frecciatina sulla figlia segreta di Voldemort :P
Miracolosamente, non ho altre note!
Ringrazio molto tutti quelli che leggono e che hanno aggiunto la storia tra le preferite e tra le seguite!
Thalassa_
 

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Capitolo 4
*** IV ***


Capitolo IV
 
“Harry?”
La voce di Ginny arrivò come un lamento da un punto indefinito sotto le coperte aggrovigliate.
“Ma che ore sono?” brontolò. Harry sorrise. Le era sempre piaciuto sommergersi completamente sotto il piumone per dormire, d’inverno.
“Scusa amore, non volevo svegliarti. Torna pure a dormire, è presto” le sussurrò.
Un grugnito indefinito fu l’unica risposta. Harry tornò a rileggere la lettera per la quattordicesima volta, sperando di trovarci qualcosa che non avesse notato nelle tredici letture precedenti. Un indizio, una prova, un appiglio qualsiasi a cui aggrapparsi…
Dopo una lotta di qualche secondo, Ginny emerse dalla sua trappola di coperte, scarmigliata e bellissima.
“È di nuovo quella stupida lettera, vero?” biascicò, prima ancora di aprire gli occhi.
“Certo che no, tesoro” mentì Harry, nascondendola dietro la schiena in maniera così palese che Ginny scoppiò a ridere. La sua risata si spense all’improvviso per tramutarsi in una maschera di orrore quando vide l’ora segnata dalla sveglia sul comodino.
“Harry, sono le sei del mattino!” mugolò disperata, affondando la testa nel cuscino. Riemerse, guardò suo marito negli occhi e iniziò a prenderlo a cuscinate. “Le sei del mattino di domenica!”
L’accusa era talmente grave e la sua colpevolezza talmente evidente che Harry non trovò nulla da controbattere. Si sforzò di assumere un’espressione contrita, sperando di giocarsi la carta della pietà.
Ginny sospirò, abbassando il cuscino con aria sconfitta.
“Non guardarmi con quegli occhioni, Harry” disse irritata, puntandogli contro un dito ammonitore, “è solo che pensavo che sai, ora che finalmente Lily è a Hogwarts, saremmo riusciti a dormire almeno nel weekend!”.
Sorrisero entrambi, pensando alla piccola di casa Potter che per undici anni era piombata implacabile nella loro stanza alle sei del mattino, puntuale come un orologio svizzero. Le avevano provate tutte: promesse, minacce, due gocce di Pozione Sonni Tranquilli nel latte alla sera (Harry si era sentito un genitore orribile), Muffliato intorno alla sua camera, vetri oscurati per non far entrare la luce dell’alba, avevano persino incantato tutti gli orologi della casa affinché indicassero la mezzanotte da mezzanotte alle otto, ma nulla aveva mai funzionato.
Ogni domenica mattina alle sei, uno scoiattolino con i capelli rossi si lanciava nel loro letto e cominciava a saltellare al grido di guerra di “Mamma mamma mamma, giochiamo? Papà? Papà, facciamo un gioco?”.  Anche se ora Lily era cresciuta, la tradizione era rimasta. Così, anche se ormai era grande per giocare con mamma e papà, ogni domenica delle vacanze estive si era premurata di svegliare i suoi genitori. Harry ci aveva fatto l’abitudine, e anche ora che Lily era a Hogwarts spesso si svegliava presto anche nel weekend, soprattutto quando aveva pensieri che lo disturbavano, come quella lettera.
Ginny sembrava essersi rassegnata al fatto che non sarebbe più riuscita a riaddormentarsi e si mise a sedere a gambe incrociate sul letto.
“Chissà come sta andando la piccola a Hogwarts” commentò Harry. Probabilmente avrebbero continuato a chiamarla ‘la piccola’ fino ai trent’anni.
“Ah, lei benissimo” rispose Ginny, con piglio sicuro, “io mi preoccuperei per le sue compagne di stanza!”. Risero insieme.
“Dubito che svegli anche loro a quel modo, se è sopravvissuta fino al terzo anno” osservò filosoficamente Harry. Rimasero qualche secondo in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri.
“Allora?” domandò Ginny.
“Allora cosa?”.
“Non pensare che mi sia scordata del motivo per cui mi hai svegliata, Harry”.
Harry sospirò, ed estrasse la lettera controvoglia. Ginny gli prese una mano tra le sue e lo guardò; nei suoi occhi nocciola c’era un’espressione decisa e rassicurante.
“Harry, ti ricordi i primi anni dopo la guerra? Al Dipartimento Auror ricevevate lettere anonime come questa un giorno sì e l’altro pure. Megalomani, esaltati, gente in cerca di attenzione. Quante volte si sono poi rivelate segnalazioni vere?”.
“Qualche volta” grugnì Harry, ostinato, ma sia lui che Ginny sapevano che ‘raramente’ sarebbe stata una stima molto più accurata. Harry si sfiorò distrattamente la fronte, accarezzandosi la cicatrice. Cara, vecchia cicatrice…
“Ginny, non prendermi per pazzo, ma a volte rimpiango i tempi in cui mi faceva male la cicatrice. Voglio dire, era orribile, ma almeno avevo un campanello d’allarme, capisci? Ora posso affidarmi solo alle mie intuizioni, senza sapere se sono sulla strada giusta. È snervante”.
Ginny gli stava accarezzando distrattamente i capelli.
“Bene, vorrà dire che dovrai presentarti all’appuntamento” annunciò.
“Cosa?” esclamò Harry, sorpreso. “Ma se fino a due minuti fa eri contraria!”.
“Lo sono ancora” rispose infastidita “ma ti conosco, e so che non ti darai pace finché non sarai andato in fondo alla questione. Prima ti convincerai che si tratta solo di uno scherzo di cattivo gusto e prima torneremo a dormire la domenica mattina!”. Harry guardò sua moglie con un misto di ammirazione e gratitudine. Per un folle momento, pensò a come sarebbe stata diversa la sua vita se, svegliandosi alla mattina pieno di preoccupazioni, non si fosse trovato davanti Ginny – coraggiosa, inaffondabile Ginny – ma una piagnucolosa Cho Chang.
“Ginny” annunciò “sono molto contento di averti sposato!”
 
Nel frattempo, a Hogwarts
 
“Buongiorno! Sveglia, ragazze, svegliaaa!” trillò una voce allegra. Samantha raccolse le forze per sollevare le palpebre di mezzo millimetro, sufficiente per vedere un turbinio di capelli rossi volteggiare nella stanza.
“Lily, ti ammazzo” bofonchiò, nascondendo la testa sotto il cuscino.
“Ma che ore sono?” chiese una voce assonnata proveniente dalla sua sinistra.
“Quasi le sette! Io sono già sveglia da quarantacinque minuti!” rispose vivacemente Lily. “Sam, non ci provare neanche!”
Samantha sentì che il cuscino le veniva strappato con la forza. Allungò istintivamente la mano per prendere la bacchetta, ma scoprì che non era al suo posto.
“Cerchi questa?” chiese Lily in tono canzonatorio, indicando il proprio comodino.
Oh, perfetto. Per lanciare una maledizione a Lily sarebbe dovuta andare dall’altra parte della stanza per recuperare la sua bacchetta, ma così facendo si sarebbe alzata svegliandosi del tutto, che era esattamente quello che Lily voleva. Decise di rimanere ancora un minuto nel limbo del dormiveglia, cuscino o non cuscino.
“LE SETTE? Lily, ti rendi conto che oggi è domenica, vero?” domandò Agatha, orripilata.
“E tu ti rendi conto che oggi ci sono le selezioni per la squadra di Quidditch, vero?” ribatté Lily. “E avete il coraggio di definirvi le mie migliori amiche?”.
Senza il cuscino a isolarla, non c’era modo di tenere le voci fuori dal suo meraviglioso limbo, perciò Samantha si rassegnò a unirsi al battibecco.
“Lily, nessuna di noi a parte te vuole partecipare alle selezioni” borbottò, cercando di far ragionare l’amica. Anche solo per il fatto che quel genio di James Potter le ha fissate alle sette del mattino. “Voglio dire, sarebbe fantastico, ma io non vengo da una famiglia di giocatori di Quidditch in cui mi hanno messo sulla scopa a due anni, perciò non ho nessuna possibilità di entrare in squadra al terzo anno”.
“Dai Sam, vieni anche tu!” cinguettò Agatha.
Con orrore, Samantha si accorse che Agatha si era alzata e si stava vestendo con il sorriso sulle labbra. Ad Agatha il Quidditch non interessava, ma non si sarebbe lasciata sfuggire per nulla al mondo l’opportunità di avere una buona scusa per fissare James Potter per ore senza sembrare un’ebete.
Samantha sbuffò; ora che Agatha si era alleata con il nemico, era decisamente in minoranza.
“Potresti provare lo stesso, non sei male!” rincarò Lily. “Ti prometto che se vieni oggi, nel tempo libero ti aiuterò ad allenarti, così l’anno prossimo arriverai pronta alle selezioni e giocheremo insieme!”
Tutte le sue difese erano ormai cadute. Sam sospirò e si alzò in piedi, rassegnata.
Venti minuti più tardi, era seduta sugli spalti di fianco ad Agatha, addentando voracemente le frittelle che Lily aveva dato loro giusto il tempo di trafugare velocemente dal tavolo della colazione. Si erano posizionate proprio in prima fila, davanti ai giocatori, naturalmente su insistenza di Agatha, anche se Samantha le aveva detto che appena avessero incominciato a volare si sarebbero spostate più in alto per vedere meglio. A parte loro due e gli aspiranti giocatori, il campo era praticamente deserto; l’idea di James di fare le selezioni alle sette del mattino, quando la gente normale dormiva o faceva colazione, per mantenere la riservatezza aveva funzionato. Samantha sapeva, dai racconti di Lily, che quando si trattava di Quidditch James aveva un’ossessione per la privacy che avrebbe fatto impallidire i funzionari ministeriali addetti allo Statuto di Segretezza.
“Agatha, la finisci quella ciambella?”
“Eh?” Agatha sembrò risvegliarsi da un sogno ad occhi aperti. “No, mangiala pure” rispose in tono sognante, tornando a posare lo sguardo sul Capitano di Grifondoro. Samantha alzò gli occhi al cielo e ringraziò silenziosamente che l’inappetenza fosse uno dei sintomi da innamoramento.
“Spia nemica!” urlò un ragazzo del quarto anno vicino a Lily. Samantha vide chiaramente Lily tirargli una gomitata nello stomaco che gli strappò un suono soffocato. Tutti si voltarono a guardare Albus Potter, che stava accompagnando Rose al campo.
“Al!” tuonò James, furibondo. “Cosa credi di fare?”
“Vorrei entrare in squadra” rispose Albus, sarcasticamente.
“Non vogliamo Serpeverde tra i pie-”
“James, sai che non capisco nulla di Quidditch e anche se vedessi uno schema non lo riconoscerei, e comunque queste sono le selezioni, non gli allenamenti, quindi non penso che potrei carpire nessuno dei tuoi preziosi segreti. Sono venuto a fare il tifo per nostra sorella” aggiunse Albus, rimarcando le ultime parole in tono di sfida. Lily gli rivolse un sorriso smagliante.
“Oh, giusto” borbottò James, confuso. “Bene! Mio fratello è il benvenuto, e nessuno si azzardi a dire il contrario!” annunciò, piuttosto incoerentemente. Sam scoppiò a ridere, mentre Albus si andò a sedere un po’ distante da loro, scuotendo la testa.
Ora che era arrivata anche Rose (sicuramente in ritardo per colpa di suo cugino), la vecchia squadra era al completo.
“Possiamo cominciare!” annunciò James, mettendo fine al brusio tra i candidati. “Allora, l’anno scorso si sono diplomati il nostro precedente Capitano, Manfred Wood, e AnnaLou Jones. Quindi, si sono liberati un posto da Battitore e uno da Cercatore. Ora, cominciamo subito dal nuovo Battitore, perché deve lavorare bene in coppia con Paul…”
“Non puoi sapere Paul sarà ancora in squadra!” lo interruppe Rose. “I vecchi giocatori devono partecipare alle selezioni per essere riconfermati, è la regola!”
“Questo vale anche per i Cacciatori, James” si intromise Jordan.
“Non ho bisogno di una selezione per sapere che io, te e Rose siamo il trio di Cacciatori più forte e compatto di tutta Hogwarts!”.
“Sì, ma è la regola” insistette Rose, testarda.
“E va bene” si arrese James, spazientito. “C’è qualcuno che vuole provare a scalzare una di queste due furie dal ruolo di Cacciatore di Grifondoro per quest’anno?”
Silenzio. Nessuno alzò la mano. E chi avrebbe avuto il coraggio di farlo? Quei tre insieme erano imbattibili e avevano portato Grifondoro alla vittoria per tre anni di fila. Squadra che vince non si cambia, pensò Samantha. Forse sarebbe stato meglio scegliere un altro ruolo in cui allenarsi con Lily.
“Ottimo” disse James, asciutto. “Cacciatori riconfermati: James Sirius Potter, Sarah Jordan e Rose Granger-Weasley. Qualche obiezione, signorina Wizengamot?”
“Nessuna, Vostro Onore” rispose Rose con un sorriso.
“Meno male. Passiamo finalmente ai Battitori, venite pure avanti” riprese James.
Samantha tenne lo sguardo incollato sui giocatori per l’ora successiva. Adorava il Quidditch dal suo primo giorno a Hogwarts, quando per la prima volta aveva visto un’immagine di sette giocatori che sfrecciavano nel cielo su manici di scopa, e le era sembrato mille volte più affascinante di qualsiasi sport babbano. Mentre osservava le selezioni, analizzava pro e contro di tutti i ruoli per decidere su quale concentrarsi.
La selezione del nuovo Battitore fu lunga e difficoltosa. Alcuni dei ragazzi che si erano presentati alle selezioni erano davvero terribili, e Samantha provò pena per loro. Ho fatto bene a non presentarmi quest’anno, pensò, sentendosi terribilmente in imbarazzo per un suo coetaneo che si era appena colpito da solo con la mazza. Alla fine James scelse un ragazzo del sesto anno con le spalle larghe, un certo Edmund Caster. L’altro Battitore, Paul Thomas, non sembrava per niente convinto, ma non c’era niente di meglio a disposizione. “Vi serve solo un po’ di affiatamento in più” cercò di rassicurarlo James. “Faremo allenamenti intensivi per voi due”.
Dopo i Battitori, fu il momento dei Portieri. Samantha ammirava rapita i passaggi precisi e puliti di Rose, i tiri imprevedibili di Jordan, le acrobazie di James…sarebbe rimasta a guardarli incantata per ore. Nessuno dei candidati riuscì a parare più di due tiri, a parte Fred Weasley, il cugino di Lily, che venne riconfermato Portiere di Grifondoro per il quarto anno di fila. Samantha distolse lo sguardo dai Cacciatori per rivolgerlo a Fred, l’espressione concentrata nel leggere le mosse di Rose, la scopa pronta a scattare in una direzione o nell’altra. Pensò che non le sarebbe dispiaciuto diventare un buon Portiere. Il ruolo del Battitore proprio non faceva per lei e l’anno successivo Fred si sarebbe diplomato, liberando il suo posto.
Anche la selezione del Cercatore fu rapida. Lily volò in maniera magnifica, catturando il Boccino prima di tutti per due volte di fila. Atterrò con il Boccino in pugno e un sorriso radioso, e Sam e Agatha le corsero incontro per complimentarsi. Albus fu più veloce di loro, e Lily gli buttò le braccia al collo.
“Al, grazie grazie grazie di essere venuto!”
Albus sorrise, un po’ impacciato.
“Solo perché è la sorella di James” borbottò un ragazzo biondo che voleva diventare Battitore, lo stesso a cui Lily aveva tirato una gomitata.
“Come scusa? Ma l’hai vista volare o sei cieco?” sbraitò Samantha.
“Lascia stare” intervenne Lily, troppo felice per aver voglia di litigare. “Torniamo al castello, ho bisogno di una doccia”.
Vedendo le condizioni in cui versavano i capelli della sua migliore amica, Samantha non poté fare a meno di concordare silenziosamente. Mentre camminavano - Sam avrebbe potuto giurare che Agatha stesse facendo apposta a rallentare il passo - furono raggiunti da James e Rose.
“Rose, non puoi interrompermi in quel modo mentre parlo alla squadra! Sono io il Capitano!” sbottò James, irritato.
“Sai benissimo che l’unico motivo per cui il Capitano sei tu, James, è che io sono già Prefetto!” ribatté prontamente sua cugina.
“Avery è sia Prefetto che Capitano” osservò James malignamente.
“Lei non conta” intervenne Albus pacatamente “sarebbe Capitano anche se non facesse parte della squadra!”
 
***
 
“Scorpius, non incominciare anche tu a mettermi ansia, adesso. Rose quest’estate non ha fatto altro che parlare dei G.U.F.O. e dell’orientamento professionale. Vorrei proprio sapere di cosa si preoccupa, lei. Con tutti gli Eccezionale che otterrà, potrebbe trovare lavoro prima ancora di diplomarsi!”
“Tu hai già pensato a cosa vorresti fare?” chiese Scorpius.
Albus scosse la testa. “Non c’è nulla in particolare che mi interessi…e non c’è neanche nulla in cui sono bravo. E poi per tutte le professioni più importanti richiedono un mucchio di G.U.F.O. che non otterrò mai, in Pozioni, per esempio!”
“Io sono sicuro che raggiungerai i tuoi obiettivi, invece. Siamo Serpeverde, Al! Siamo geneticamente predisposti al successo!” dichiarò in tono serio.
Albus ridacchiò.
“Potresti chiedere una mano a Avery, dicono sia un genio delle Pozioni. E poi se mette lei una buona parola con Dipsit…” suggerì Scorpius. Albus lanciò un’occhiata fugace a Avery, seduta da sola a un tavolo poco distante, per assicurarsi che non avesse sentito.
“Sì, certo, come no. Ti sembra che quella perda il suo tempo con uno come me? Non è così che funziona la catena sociale”.
Rimase per un attimo ipnotizzato a fissarla, seguendo con lo sguardo le morbide onde dei suoi capelli neri. Tutto in lei sprizzava Serpeverde: la schiena eretta, il mento sollevato, le sopracciglia arroganti.
“Secondo me, non se l’è neanche infilato, il Cappello Parlante” gli sussurrò Scorpius. “Ha urlato ‘Serpeverde’ appena l’ha vista in faccia”.
Albus ridacchiò. “Lei giura di non sapere il Serpentese” rincarò “ma se la Camera dei Segreti si riapre, sapremo a chi chiedere spiegazioni!”
“Potter, Malfoy, guardate che vi sento!”
Albus e Scorpius si scambiarono un’occhiata allarmata, ma Avery sembrava più divertita che arrabbiata. Rivolse loro un fugace, minuscolo sorriso prima di dirigersi verso il dormitorio femminile. A metà strada cambiò idea, e fece cenno a Scorpius di avvicinarsi.
“Come sono andate le selezioni delle altre squadre? Hai saputo qualcosa?” si informò.
“Lily Potter è il nuovo Cercatore di Grifondoro, il nuovo Battitore è un tale di nome Caster, tutti gli altri riconfermati” rispose Scorpius.
Avery sbuffò.
“Magnifico. E così abbiamo la conferma che l’unico Potter nella mia Casa è anche l’unico che non sa giocare a Quidditch!”. Puntò un dito ammonitore contro Scorpius. “Non dire ad Albus che l’ho detto”. 
 
 
N.d.A.
 
Finalmente, un po’ di sano Quidditch :D Stavolta non ho osservazioni intelligenti da fare, se non che anch’io sono molto contenta per Harry che non abbia sposato Cho Chang xD
Come sempre un grazie a chi legge, e ancora di più a chi spende due minuti per recensire.
Thalassa_

Nota di servizio: d'ora in poi, le pubblicazioni saranno meno regolari del solito, causa estate e tutto ciò che comporta (esami universitari e meritate vacanze). Può essere che aggiornerò più spesso l'altra fic rispetto a questa (piccolo spazio pubblicità: se volete passare, la trovate qui) perché ho un maggior numero di capitoli già pronti. Buona estate a tutti!

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Capitolo 5
*** V ***


Capitolo V
 
Virginia si portò distrattamente una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio, spostandola dalla pagina del libro che stava leggendo. La concentrazione si stava facendo attendere, quella sera.
Chiuse il libro di scatto e lo posò di fianco al letto. Estrasse la scatola in cui riponeva i suoi oggetti più personali dal suo nascondiglio segreto, una tasca ricavata nelle tende verde smeraldo del letto a baldacchino. Solo un elfo domestico molto meticoloso nelle pulizie avrebbe potuto trovarla, ma Virginia non se ne preoccupava; è raro che un elfo domestico sappia leggere. I suoi piani erano al sicuro in quella tasca.
Aprì il taccuino finemente intarsiato che le aveva regalato sua madre per Natale molti anni prima e ne sfogliò distrattamente le pagine, fittamente ricoperte d’inchiostro nella sua grafia elegante.
C’erano nomi, luoghi, date, tantissime date, tutti i suoi pensieri e i suoi progetti, in quel quaderno; tutto ciò che aveva rilevanza per il suo sogno. Sfogliò fino a trovare la pagina che cercava; c’erano tanti, troppi punti di domanda, ancora. Sospirò e mise da parte il quaderno.
Prese dalla scatola uno dei numerosi articoli di giornale. Era una vecchia pagina del Profeta, risalente a tanti anni prima, quando Virginia era appena nata.
“Harry Potter: nuovo Capo del Dipartimento Auror” titolava il Profeta. Nel centro della pagina troneggiava una foto in bianco e nero del signor Potter, più giovane di come lo aveva visto il primo giorno di scuola.
La mano affusolata di Virginia sfiorò delicatamente che una versione più paffuta e infantile di quella stessa mano aveva sottolineato tanti anni prima con un pastello azzurro.
“I principi del mio lavoro? Beh, innanzitutto direi questo” dichiara Harry Potter, neo-eletto Capo del Dipartimento Auror, “tutti hanno il diritto di essere ascoltati e di dare la propria versione dei fatti. Chiunque verrà a rivolgersi a me e ai miei colleghi verrà ascoltato con la massima attenzione e considerazione”.
“Ancora quella roba, Vì?”
Virginia si voltò di scatto, nascondendo automaticamente l’articolo sotto il cuscino. Quando vide chi aveva davanti, il suo viso si rilassò.
“Ah, sei tu Eliza” commentò con voce annoiata. “Sì, ancora questa roba. Io non mi arrendo, lo sai”.
“No” constatò Eliza, stancamente. “Tu non ti arrendi proprio mai”.
Ci fu un attimo di silenzio, quel silenzio pesante e imbarazzato che può piombare solo tra due persone che sono state molto amiche e ora non lo sono più.
“Puoi ancora cambiare idea, Eliza” disse infine Virginia, guardando la sua compagna di stanza dritto negli occhi. “Puoi ancora decidere di aiutarmi”. Eliza si spostò nervosamente un ricciolo da davanti agli occhi.
“Vì, io…”
In quel momento, la porta si spalancò e Sabina Greengrass fece il suo ingresso nella stanza, spostando lo sguardo da Virginia a Eliza con la sua caratteristica espressione diffidente. Eliza cambiò repentinamente espressione e distolse lo sguardo da Virginia per accogliere l’amica con un gran sorriso.
Virginia sospirò cupamente e chiuse le tende del baldacchino con un colpo di bacchetta. Prese in mano delicatamente il quaderno e il giornale e li ripose nella loro tasca; poi affondò la testa sotto il cuscino, cercando di ignorare le risatine e i commenti malevoli che arrivavano distintamente dal letto di fianco, in particolare quelli rivolti a lei da una voce che una volta le era amica. Non pensarci, si ripeteva. Pensa a qualcosa di bello, qualcosa che ti impegni il cervello. Pensa a Serpeverde-Grifondoro, mancano pochi giorni alla partita.
 
*
 
Secondo Livello, Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia, declamò una fredda voce femminile.
Harry salutò con un cenno del capo e un sorriso l’unica occupante dell’ascensore, una strega di mezza età che lavorava all’Ufficio del Trasporto Magico e che arrossì violentemente nel ricambiare il saluto.
Chiamarsi Harry Potter portava innumerevoli vantaggi, e altrettanto innumerevoli fastidiosi inconvenienti. Dalla fine della Seconda Guerra Magica, i fastidiosi inconvenienti erano passati dal rischiare continuamente la vita e essere additato come strambo nel migliore dei casi, al non poter fare un giro a Diagon Alley con i bambini senza essere fermato per un autografo ogni due passi e al rinunciare per sempre a qualsiasi tipo di sorpresa.
Una volta, aveva comprato un anello di fattura goblin a Ginny per il loro anniversario, e dopo mesi di trattative per ottenerlo, lei era venuta a saperlo dalla Gazzetta del Profeta. Per quanto fosse un passo avanti rispetto a quanto pubblicavano ai tempi in cui volevano insabbiare il ritorno di Voldemort, a Harry pareva proprio un argomento inadatto a stare sulle pagine del Profeta; anzi, sarebbe stato fuori posto persino su Oggi Strega, ma almeno avrebbe avuto la certezza che Ginny di certo non l’avrebbe mai letto. In ogni caso, George gli aveva procurato un tale assortimento di fuochi d’artificio dei Tiri Vispi Weasley che l’anniversario era stato salvo.
Chiamarsi Harry Potter portava innumerevoli vantaggi e innumerevoli fastidi; tuttavia, a disturbare di più Harry erano senza ombra di dubbio i vantaggi. Chi per sincera riconoscenza e ammirazione, chi nella speranza di ottenere a sua volta qualche favore, chiunque incontrasse Harry sulla sua strada si sentiva in dovere di procurargli una scorciatoia per qualsiasi cosa. Vuoi partire per vedere gli allevamenti di draghi in Romania ma non hai i permessi necessari? Nessun problema, Harry Potter li può ottenere entro un giorno per tutta la famiglia.
Quinto livello, Ufficio per la Cooperazione Internazionale Magica…
La strega scese, augurandogli buona giornata. Era rimasto l’unico occupante dell’ascensore. Ripiombò nei suoi pensieri.
Harry spesso acconsentiva a tutte le gentilezze, anche le più strane, solo per evitare lo sguardo di delusione di chi aveva sinceramente offerto il proprio aiuto. Sulle questioni di sicurezza, però, era sempre irrevocabilmente fermo; lo considerava un suo preciso dovere come Capo del Dipartimento Auror.
Ogni volta che qualcuno si offriva di condividere informazioni riservate, aprirgli porte a cui non aveva accesso o dargli in alcun modo poteri che non gli spettavano, Harry diceva no, no e ancora no.
Non sarebbe mai riuscito a spiegare che non ci si può mai fidare completamente di nessuno e che un giorno dal nulla lui sarebbe potuto impazzire e diventare pericoloso, né che non è mai saggio mettere troppo potere nelle mani di una persona, perché l’illusione del comando corrompe anche gli uomini più onesti; Harry però tentava almeno di convincere le persone che avrebbe potuto trovarsi sotto la Maledizione Imperius. Quasi nessuno era disposto a credere che un uomo sopravvissuto due volte all’Anatema che Uccide potesse essere messo sotto Imperius (e Harry non aveva intenzione di darne una dimostrazione pratica), ma vedendo la fermezza di Harry su questo punto ne lodavano l’integrità morale e rinunciavano.
Proprio per questo motivo, Harry odiava in questo momento andare contro a tutti i propri principi e sfruttare il proprio nome per ottenere qualcosa a cui non aveva diritto, nello specifico l’accesso al…
Nono livello, Ufficio Misteri.
Harry lavorava per il Ministero da oltre vent’anni, eppure non aveva mai avuto motivo di tornare all’Ufficio Misteri dopo il suo quinto anno a Hogwarts. Buffo come si possa non pensare a un luogo per anni e poi essere improvvisamente inondati dai ricordi quando ci si torna, come se si fosse stati lì appena il giorno prima.
Il lungo corridoio tetro e spoglio, debolmente illuminato da una sequenza di fiaccole azzurrine, era esattamente come lo ricordava, quando l’aveva attraversato per la prima volta insieme ad Arthur per presentarsi all’udienza di fronte al Wizengamot e quando l’aveva fatto di nuovo pensando di salvare Sirius. Soprattutto, la sensazione più forte di tutte sulla pelle era quella di percorrerlo all’infinito come aveva fatto per mesi nei suoi sogni. Arrivato davanti alla porta in fondo, temette quasi di svegliarsi; sfiorandola, la porta si aprì.
Anche se il corridoio era apparentemente deserto, Harry non aveva alcun dubbio che gli Indicibili avessero i loro particolari sistemi di sorveglianza, perché appena ebbe varcato la soglia ebbe la certezza che quei pochi secondi trascorsi da quando aveva lasciato l’ascensore fossero bastati all’intero piano a mobilitarsi per il suo arrivo.
La sala circolare era affollata di maghi che si affannavano ad avvicinarsi per stringergli la mano, porte chiuse all’improvviso e incantesimi borbottati a mezza voce. Harry ebbe contemporaneamente l’impressione di un alveare ronzante e di un gruppo di studenti che tentano di nascondere Caccabombe e Pasticche Vomitose all’arrivo dell’insegnante.
Un mago corpulento dalla folta barba scura si fece avanti per accoglierlo con un sorriso incerto, come se avesse scordato come sorridere. Harry lo riconobbe come Herbert Pinklewood, capo dell’Ufficio Misteri.
“Signor Potter, quale onore!” disse con voce rauca, stringendogli la mano. Harry rabbrividì; era fredda come quella di un cadavere.
“Ah, naturalmente” aggiunse Herbert, con un sorriso ancora più incerto, “chiedo scusa. Stavo supervisionando il lavoro di Terrence, si occupa del Velo… il suo arrivo ci ha colti di sorpresa, signor Potter”.
“Era esattamente il mio intento, signor Pinklewood” rispose Harry, con quanta più autorità poté. “Non si avverte prima di un’ispezione a sorpresa”.
Ogni tentativo di sorriso scomparve dal volto di Pinklewood. Le folte sopracciglia si aggrottarono mentre replicava, con voce bassa e lenta:
“Non riceviamo mai ispezioni all’Ufficio Misteri. Fa parte delle norme di sicurezza”.
“Abbiamo ricevuto una segnalazione e mi è stato ordinato di venire a dare un’occhiata. Si tratta senz’altro di uno scherzo, ma sempre meglio controllare. Di sicuro lei non avrà niente in contrario. O preferisce se ne parliamo direttamente con il Ministro?”.
Pinklewood lo scrutò per un istante, accigliato. Harry sudava freddo. Era sceso al nono livello di propria iniziativa; temeva che il Ministro non l’avrebbe preso sul serio e l’ultima cosa che desiderava era che si diffondessero voci sulla sua sanità mentale. Ginny aveva ragione, quella lettera era ridicola, così vaga che poteva anche averla fraintesa del tutto. Indicava solo un posto e un orario, ma da quando l’aveva letta Harry non riusciva a togliersela dalla testa, era come un tarlo sul fondo dei suoi pensieri.
Stanza 403, Ufficio Misteri. Ore 20 di un giorno qualunque. Qualcosa di strano.  
Pinklewood infine annuì, sfoderando quello che nelle intenzioni doveva essere il suo sorriso più convincente.
“Ma certo, signor Potter. È un onore averla qui. Vuole fare il giro completo o è interessato a qualcosa in particolare?”
Harry resistette all’impulso di chiedere il giro completo. Aveva la netta impressione che quello che avrebbe visto lo avrebbe inquietato già abbastanza.
“La segnalazione riguarda la stanza 403” rispose con aria decisa.
“Certamente. Prego, da questa parte” disse Pinklewood, guidandolo verso una delle porte apparentemente identiche della stanza circolare. “Sono certo che non troverà nulla di strano…beh, nulla di più strano del solito”.
Harry si sentì gelare il sangue nelle vene.
“Non è la sua prima visita qui, vero, signor Potter? Teniamo tutto scritto nei nostri registri. Giornata orrenda nella storia dell’Ufficio Misteri, quella. Decine di profezie perdute, per non parlare delle Giratempo… Non passeremo davanti alla Sala delle Profezie questa volta… ah, ecco la stanza del Pensiero, questa l’ha già vista, vero?”
Harry rabbrividì nel riconoscere la stanza in cui un cervello si era avvinghiato attorno a Ron.
“Un mistero davvero affascinante, il cervello umano” commentò Pinklewood. “Li stiamo studiando da decenni, ma ancora ne sappiamo ben poco…teniamo sia cervelli di mago che di Babbano, sa?” proclamò con una certa soddisfazione.
Harry decise che evitare il giro completo era stata un’ottima idea e iniziò a camminare con lo sguardo fisso davanti a sé, girandosi quel tanto che bastava a non apparire scortese quando Pinklewood gli indicava qualcosa. Meno sapeva cosa avveniva lì sotto, meglio avrebbe vissuto. In ogni caso, non era niente che avesse a che vedere con il Dipartimento Auror. Magari, quando Hermione fosse diventata Ministro le avrebbe suggerito di scendere a dare un’occhiata. Chissà che faccia avrebbe fatto quando Pinklewood le avesse annunciato tutto soddisfatto di avere dei cervelli Babbani da analizzare!
“Questa è una stanza nuova, ci teniamo i prototipi…”
A Harry ricordò una via di mezzo tra la Stanza delle Necessità quando si predisponeva a nascondere gli oggetti e il garage in cui Arthur si dilettava a smontare e ricostruire oggetti Babbani.
“Ah, ecco Terrence, come le dicevo prima, lavora al Velo da più di trent’anni…” disse, indicando un uomo così esile da volare via a un soffio di vento. Aveva i capelli completamente candidi e la pelle traslucida; quando strinse la mano a Harry, era gelata. Harry pensò che lavorare a contatto con la Morte dovesse avere delle conseguenze a lungo termine. Voltò la testa per non vedere il velo. Sentiva ancora i bisbigli, più forti e più numerosi. Accelerò il passo. Non voleva rivedere Sirius, non così.
"Quella stanza cos'è?" chiese Harry, indicando una porta bianca. 
"Nessuna stanza, signor Potter" rispose Pinklewood con uno sguardo obliquo. "Certe volte una porta è solo una porta". Harry rinunciò all'idea di fare domande, e non aprì più bocca mentre passavano velocemente in rassegna la nuova Stanza del Tempo, una stanza che Pinklewood fece sparire rapidamente con un colpo di bacchetta e un'aria allarmata, ma non prima che Harry potesse leggere STANZA 101, la Galleria dei Sogni e la Sala del Non-Essere.
Con grande sollievo di Harry, Pinklewood annunciò che erano arrivati. Sulla porta nera era inciso a lettere fiammeggianti STANZA 403, anche se Harry non era riuscito a dare un senso alla numerazione.
“L’apertura di questa stanza richiede incantesimi piuttosto complessi, signor Potter, quindi se mi vuole scusare un momento…”. Pinklewood si avvicinò alla porta e iniziò a agitare la bacchetta senza dire una parola.
“S-s-signor P-P-Potter!”
Harry si sentì strattonare un braccio e si girò di scatto, sfoderando la bacchetta. La rimise subito in tasca, costernato. Il mago di fronte a lui indossava la veste degli Indicibili. Un tempo doveva essere stato molto alto, ma ora la sua schiena curva lo portava alla stessa altezza di Harry. Aveva l’espressione di un Babbano che ha appena visto un fantasma.
“Mi scusi per la reazione eccessiva, non l’avevo sentita arrivare”. L’uomo continuò a fissarlo con i grandi occhi verde pallido fuori dalle orbite.
“S-signor Potter, è molto importante…le devo dire una cosa, m-m-molto importante…” farneticò.
“Ehm…certo, mi dica pure. Scusi, chi è lei?”
“Una cosa molto importante… io…non ricordo! N-n-non ricordo, signor P-Potter!” aggiunse, sempre più nel panico.
“Si calmi, si calmi” disse Harry, allarmato. “Riesce a ricordare almeno qualcosa?”
“No! Nessuno…nessuno può!” urlò l’uomo, per niente rassicurato dalle parole di Harry. “Non r-r-ricordo…è molto importante!”
L’Indicibile prese Harry per il colletto, rivelando una forza inaspettata.
“L’uovo…è un uovo, signor Potter!” disse a pochi centimetri dal viso di Harry, la voce poco più che un sussurro. “L’uovo è un uovo!”.
“Va bene, però ora mi lasci” esclamò Harry, spazientito. Non sembrava pericoloso, ma in tanti anni di carriera aveva imparato che l’imprevedibilità è un’arma pericolosissima.
L’uomo lo guardò, profondamente rattristato. “È tutto sbagliato” sospirò. “L’uovo è un uovo. T-t-tutto sbagliato”.
“Croaker! Smetti di importunare il signor Potter e vai a casa, il tuo turno è finito”. Pinklewood aveva finito di sbloccare i meccanismi di difesa della porta e li aveva raggiunti.
“Ehm…signor Croaker!” chiamò Harry, nel tentativo di rimediare. “Se le viene in mente quella cosa molto importante, può venire nel mio ufficio, d’accordo?”
Croaker lanciò a Harry un’ultima occhiata afflitta e se ne andò senza dire una parola. Harry si sentì vagamente in colpa per essere stato così brusco.
“Quello era Saul Croaker” spiegò Pinklewood, rispondendo alla domanda inespressa di Harry. “Pover’uomo, è del tutto innocuo, ma non dia peso alle sue parole. I suoi momenti di lucidità sono sempre più rari, per la maggior parte del tempo blatera cose incomprensibili… Una volta lavorava qui, sa? Era uno dei migliori. Per questo gli permettiamo di venire, secondo i dottori gli fa bene, ma ultimamente sembra aver avuto una ricaduta…Comunque, non è certo venuto qui per parlare di Croaker. Prego, entri pure”.
Harry controllò l’orologio. Mancava esattamente un minuto alle 20; se avveniva qualche strano fenomeno legato all’orario vi avrebbe assistito.
La stanza era stranamente sgombra e molto buia; al centro si trovava un piedistallo che emanava un flebile bagliore verde. Sosteneva un oggetto scuro che Harry non riuscì a identificare. La temperatura era nettamente più bassa rispetto a quella delle altre stanze.
“Naturalmente, lei sa già di cosa si tratta?” domandò Pinklewood.
“Naturalmente” rispose Harry. In dieci anni a capo del Dipartimento Auror aveva imparato che mostrarsi informato era il modo migliore per ottenere spontaneamente informazioni. “Ma non nei dettagli. Non sono un esperto, dopotutto”.
“Avrà sentito parlare del Progetto Ibernazione, immagino”.
Qualcosa si smosse nella memoria di Harry. Un progetto di cui aveva solo sentito parlare sottovoce, negli anni immediatamente successivi alla guerra, quando era appena diventato Auror…
La luce verde definiva i contorni in maniera più netta mentre i suoi occhi si abituavano all’oscurità. Sembrava che il piedistallo sostenesse una specie di teca, fatta non di cristallo ma di protezioni magiche. Diresse la bacchetta verso la teca senza eseguire nessun incantesimo, e notò la lievissima risposta che si era aspettato, inconfutabile segno di magia.
“Per quanto le sue abilità siano eccezionali, dubito che perfino un mago come lei riuscirebbe a prenderlo, signor Potter… Gli incantesimi di protezione sono di una complessità tale che nemmeno io potrei riuscirci senza aiuto, sono stati realizzati da un esperto di fama mondiale…è impossibile rubare qui dentro…”
Harry non poté fare a meno di pensare di aver rubato un Horcrux nel caveau personale dei Lestrange alla Gringott. Per non parlare di quando lui, Ron e Hermione avevano superato tutte le difese della Pietra Filosofale senza conoscere incantesimi più complicati di Alohomora. Da allora, era sempre stato profondamente scettico nei confronti della frase “è impossibile rubare qua dentro”.
Harry mosse un passo in avanti. Ora che si era abituato al buio riusciva a vedere chiaramente.
Un uovo delle dimensioni di un cocomero troneggiava nel centro della stanza, liscio come se fosse fatto di marmo nero. Era di un nero intenso e scintillante, che emanava strani bagliori, come un lucente grumo di oscurità. Harry sussultò, mentre i ricordi legati al Progetto Ibernazione gli riaffioravano alla memoria. Non è possibile, pensò boccheggiando. Questo è…
“Proprio così, signor Potter” annunciò Pinklewood. “Ecco a lei l’ultimo uovo di Dissennatore”.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
N.d.A.
 
Eccomi tornata! Chiedo scusa per il ritardo negli aggiornamenti, ho appena finito la sessione esami e non avevo capitoli già pronti da pubblicare. Ora finalmente ho trovato il tempo necessario e ho anche avuto l’ispirazione giusta per risolvere un problema di trama.
Personalmente, adoro l’Ufficio Misteri. Temo di non avergli reso giustizia, ma ho scoperto che è difficilissimo scriverne mantenendo intatto il fascino originale. La stanza 101 è un omaggio a 1984 e non ha nulla a che vedere con questa storia xD Saul Croaker non è un personaggio originale, ma un Indicibile citato in HP4 (di cui poi non si è più saputo nulla. Giustamente, per una volta che la Rowling non ha distrutto l’esistenza di un personaggio, ci ho pensato io).
Primo tentativo di capitolo con finale a cliffhanger. Spero che abbiate sentito la sigla di Lost partire nella vostra testa xD
Mi rendo conto che le scene possano risultare un po’ frammentarie ma vi assicuro che in realtà più o meno tutte sono funzionali alla trama. Penso sia evidente che sto strutturando la storia in modo da seguire l’anno scolastico con le tappe immancabili dei libri della saga (in sette romanzi, è mai successo che Halloween fosse una notte come tutte le altre?). Perciò siamo ancora nella prima parte dell’anno e sto ponendo le basi per quello che verrà dopo.
Sono molto curiosa di sentire le vostre opinioni su questo capitolo, perciò come sempre vi invito a scrivermi cosa ne pensate.
Thalassa_
 

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Capitolo 6
*** VI ***


Capitolo VI

Albus scrutò l’amico con aria preoccupata. Scorpius era sceso a colazione estremamente teso e se possibile ancora più pallido del solito. L’ultima volta che Albus l’aveva visto così nel panico era stato quando cinque minuti prima del compito di Trasfigurazione si era accorto di aver saltato un capitolo. Avery passò accanto a loro, aprendo la bocca per dire qualcosa, ma Scorpius la fulminò con un’occhiata.
“Se mi ripeti un’altra volta quegli stupidi schemi, ti uccido” sibilò minaccioso.
“D’accordo” rispose Avery, tranquillamente. “Per stavolta ti lascio in pace. Solo, non essere così teso, ok? Abbiamo concrete possibilità di vittoria, questa volta”.
“Albus, ripetigli tu gli schemi” aggiunse sottovoce. “Ormai li saprai a memoria. Flint! Piantala di ridere e concentrati!”.
“Rilassati, Vì” rispose Alyssa con una smorfia, passandosi una mano tra i capelli biondi. “Non lascerò prendere il boccino a una ragazzina del terzo anno”.
“Ti ricordo che la ragazzina del terzo anno è figlia di una giocatrice di Quidditch professionista e del più precoce Cercatore del secolo” ribatté vivacemente Avery.
“Potrei dire lo stesso del nostro piccolo amico qui” rispose, rivolgendo un mezzo sorriso ad Albus. “Perché non hai mai provato a entrare in squadra, Potter? Hai paura di scontrarti con i tuoi fratelli? O forse saresti contento, se Grifondoro vincesse…”
Albus alzò gli occhi al cielo e non rispose. Iniziò a ripetere gli schemi a Scorpius.
“Li hai davvero imparati a memoria!” sorrise l’amico. “Da quando ti interessa il Quidditch?”
“Da quando il mio migliore amico è nella squadra” rispose Albus. Scorpius distolse lo sguardo, evidentemente compiaciuto. “E da quando Avery dice che avete serie possibilità di stracciare Grifondoro. Voglio vedervi umiliare James! Quest’estate con lui è stata un incubo…”
Un’ora dopo, Albus era seduto sugli spalti e per la prima volta era nervoso per l’esito della partita. Non aveva scordato che oltre a essere la prima partita di Scorpius, era anche l’esordio di Lily. Comunque fossero andate le cose, una parte di lui avrebbe esultato e l’altra sarebbe stata triste.
C’era fermento nello stadio. La partita Serpeverde-Grifondoro era sempre accanita, ma quest’anno c’era un’animosità particolare. Troppo nervosismo, troppi scontri repressi; il campo da Quidditch era l’unico luogo dove era permesso dare liberamente sfogo alle ostilità.
Socchiuse gli occhi per cercare di vedere chi avrebbe fatto la cronaca della partita. Non poteva essere…oh, no…
Pochi secondi dopo, la vocetta stridula di Chloe McLaggen fu magicamente amplificata in tutto lo stadio, fugando ogni dubbio.
“Benvenuti alla prima partita dell’anno, l’attesissimo match Grifondoro-Serpeverde!” trillò. “Ricordando che Grifondoro ha vinto la Coppa delle Case per quattro anni di fila, rimanendo quasi imbattuta, non è difficile immaginare l’esito della partita…”
“Signorina McLaggen, al primo cenno di favoritismi le tolgo il microfono!” sbraitò la preside, seduta accanto a lei. “Si attenga ai fatti, per favore!”
“Era una semplice constatazione, preside…ed ecco scendere in campo le formazioni ufficiali! Grifondoro: Potter, Weasley, Granger-Weasley, Jordan, Carter, Thomas e Potter! Non si può certo dire che la scelta del nuovo Cercatore sia stata una sorpresa, considerando che suo fratello è il Capitano…”
“McLaggen!” abbaiò la McGonagall.
Evidentemente l’insopportabile McLaggen aveva una certa imparzialità nel parlare male di tutte le persone presenti in campo, anche quelle della sua Casa.
“Serpeverde: Avery, Bulstrode, O’ Donnell, Prewett, Selwyn, Malfoy e Flint! Sembra che il nuovo capitano Virginia Avery abbia messo su una squadra di modelli… Malfoy sembra insolitamente esile vicino a Caster e Thomas…”
Albus si concentrò a seguire l’andamento della partita. Qualcosa non stava andando come avrebbe dovuto. C’era qualcosa di insolito nel gioco dei Grifondoro…
“Potter, passa a Granger-Weasley, ottimo bolide di Avery che devia il tiro! Ora O’Donnell è in possesso della Pluffa, Prewett, ancora O’Donnell, intercettata da Jordan, lancio lungo per Granger-Weasley – e segna! Dieci a zero per Grifondoro!”
I Serpeverde stavano giocando in maniera ineccepibile, ma Scorpius e Avery non avevano ancora portato a termine la loro mossa segreta…perché? Albus scrutò il campo in cerca di una risposta. Vide Avery avvicinarsi a Scorpius e fargli dei cenni, e in quel momento Albus capì. I Cacciatori di Grifondoro non stavano usando i loro soliti schemi, che Scorpius aveva dovuto imparare a menadito. Rose e Jordan si erano scambiate di ruolo per confondere gli avversari. Questo significava che non era più Rose a fungere da collegamento tra Jordan e James. Questo significava che Scorpius avrebbe dovuto…
“Bulstrode, Prewett, schiva facilmente un Bolide di Caster, a cosa miravi, Caster, alla luna? Prewett tira, ottima parata di Weasley, buon sangue non mente, suppongo… Grifondoro in possesso di Pluffa, Jordan, Granger-Weasley schiva agilmente un bolide di Avery, che classe quella ragazza, e – ah! Era una trappola! Il Bolide di Malfoy l’ha colpita alla nuca!”
Albus guardò con il fiato sospeso la cugina perdere l’equilibrio e cadere rovinosamente dalla scopa. L’infermiera arrestò la caduta un secondo prima che toccasse terra. Albus sospirò di sollievo. Sembrava che stesse abbastanza bene, certo, per essere una che è appena caduta da tre metri d’altezza.
“Sembra che Granger-Weasley stia bene, il gioco riprende…il Capitano di Grifondoro non ha preso molto bene la faccenda, non fa altro che sbraitare e…attento, James!”
Troppo tardi. James era talmente infuriato da aver perso del tutto il controllo della partita. Un Bolide lo colpì in pieno petto e cadde a terra boccheggiando. Albus esultò insieme alla metà verde-argento dello stadio.
“È inutile prendersela con Avery, Potter” commentò filosoficamente Chloe. “Il Bolide era di Caster. Forse avresti fatto meglio a scegliere anche tu dei Battitori con un po’ di cervello. Ora ti pentirai di non avermi voluto in squadra, immagino”.
Con Rose e James fuori uso, la partita era ormai decisa. Jordan fece l’impossibile per recuperare, ma i Grifondoro continuavano a subire una rete dopo l’altra.
“La disfatta è ormai segnata” commentò Chloe, che sembrava divertirsi immensamente a criticare le pessime scelte di James. “Senza due dei suoi Cacciatori non c’è speranza per Grifondoro…un momento! Potter si dirige spedita nella direzione di Flint! Che voglia vendicare il fratellino? O forse ha visto qualcosa?”
Dai, Lily, tifò mentalmente Albus, vai, prendilo!
“Flint sembra essersi accorta troppo tardi che quella di Potter non era una finta! La sta inseguendo, ma Potter ha diversi metri di vantaggio…sì!”. Ci fu un boato unanime da entrambe le parti dello stadio.
“Potter afferra il boccino, ma Serpeverde vince centonovanta a centosessanta!”
 
Albus corse ad abbracciare l’amico.
“Ce l’hai fatta, Scorp! Abbiamo vinto!” esultò, festante.
Scorpius lo guardò con gli occhi spalancati dall’orrore e si prese il volto tra le mani.
“Al, cos’ho combinato! Rose non mi parlerà mai più!” gemette. “Avrei dovuto colpire Jordan, non Rose!”
“Lascia perdere Rose” rispose Albus, spazientito. “Ho appena avuto un’idea geniale. Lo sai fare l’Incantesimo di Adesione Permanente, vero?”
 
***
 
Harry guardò perplesso sua moglie correre qua e là per la cucina come un’ape impazzita, sbuffando ansiosamente. Ginny estrasse dal forno una torta dall’aspetto deforme, la guardò con aria critica e la fece Evanescere con un colpo secco di bacchetta.
“Ripetimi un’altra volta perché è così importante che ti riesca la Victoria Sandwich” si azzardò a chiedere.
Ginny alzò gli occhi su di lui con aria esasperata.
“Te l’ho detto! Bill se n’è saltato fuori con questa storia che Fleur sa preparare una Victoria Sandwich identica a quella della mamma, e io ho lanciato la sfida, ora non mi posso più tirare indietro! Oh Harry, cosa mi è venuto in mente? Le mie torte sono un disastro!”
Harry non se la sentì sinceramente di controbattere. In vent’anni di matrimonio, a Ginny non era riuscito nemmeno una volta di riprodurre i dolci di Molly. La torta di mele che aveva preparato per il suo compleanno era così spugnosa che James ne aveva ricavato una Pluffa e l’ultimo tentativo di Victoria Sandwich era misteriosamente esploso nel forno.
“Probabilmente Bill esagerava, sono sicuro che Fleur non sappia davvero cucinare così bene” disse in tono consolatorio, cingendole dolcemente un fianco.
Ginny lo scrutò con occhi pieni d’ansia.
“George l’ha assaggiata e ha detto che la torta di Flebo è davvero délicieux…” replicò, svincolandosi dall’abbraccio e rimettendosi a vagare per la cucina.
“In ogni caso, perché devi prepararla ora? Saremo da tua madre domani sera a cena”.
Ginny gli rivolse uno sguardo assassino.
“Perché entro domani sera deve essere perfetta” sbottò, facendo levitare il coltello pericolosamente vicino alla testa di Harry. “Quella donna è già bella oltre ogni umana decenza! Ma l’hai vista? Ti sembra una che ha passato tre gravidanze? Due giorni dopo aver scodellato Louis era già in forma come prima! Non posso tollerare che cucini anche come mia madre, e – chi c’è ora?” sibilò seccata, sentendo il campanello suonare.
“Vado io” si offrì Harry, ringraziando mentalmente per la preziosa via di fuga che l’ospite inatteso gli aveva appena regalato.
“Arthur!” esclamò sorpreso, trovando il suocero davanti alla porta. “Non ti aspettavamo. È successo qualcosa al Ministero?”
“Ciao Harry” salutò amichevolmente il signor Weasley. “No, sono stato inviato qui da Molly. Come va di là?” chiese con un’occhiata significativa alla cucina, da cui provenivano allarmanti suoni di pentole sbattute.
“La situazione è critica” affermò Harry in tono serio. Entrambi scoppiarono a ridere.
“Forse posso rimediare” disse Arthur, dirigendosi verso la cucina. “Ginny, vieni qui! Tua madre ti manda questa”.
Porse a Ginny un incartamento che lei aprì frettolosamente, rivelando la più gloriosa Victoria Sandwich mai realizzata, un trionfo di crema e lamponi. “Cara, cara mamma” esultò Ginny, “non mi lamenterò mai più di quanto sei impicciona!”
“Molly ha pensato che tu potessi avere bisogno di un…aiutino” spiegò Arthur con un sorriso. “Giusto nel caso in cui la tua torta non riesca perfettamente. Non credo che tua madre accetterebbe mai che la Victoria Sandwich possa essere realizzata da qualcuno che non ha sangue inglese nelle vene!”
“Grazie papà, mi avete davvero salvato” commentò Ginny, tirando un sospiro di sollievo. “Ora possiamo rimettere tutto a posto, Harry dammi una mano… Harry? Ti sei di nuovo fissato con le uova?”
Harry sussultò, riscosso dai suoi pensieri. Distolse con aria colpevole lo sguardo dalle uova. L’uovo è un uovo, signor Potter.
“Arthur” chiese lentamente, “hai mai conosciuto un uomo di nome Saul Croaker? Un tempo lavorava al Ministero”.
Ginny sfoderò la sua migliore espressione da ti-prego-Harry-non-di-nuovo-questa-storia, ma Harry decise di ignorarla.
“Croaker” rispose Arthur, meditabondo. “Pover’uomo, non lo vedo da anni. Brutta storia, quella. Non che mi fosse particolarmente simpatico, come tutti gli Indicibili aveva sempre l’aria di saperne più di chiunque altro su tutto, ma… sì, davvero una brutta storia”.
“Mi piacerebbe sentirla” disse Harry. Ginny alzò gli occhi al cielo e si abbandonò stancamente su una sedia.
“Tanto vale che ci sediamo, allora” replicò in tono pratico, appellando teiera e tazzine. “Preparo il tè”.
“Non pensavo a Croaker da anni. Come mai mi chiedi di lui, Harry?” domandò il signor Weasley, perplesso.
“L’ho incontrato l’altro giorno al Ministero, in…ascensore” rispose in fretta Harry. “Farneticava qualcosa di incomprensibile. Mi ha fatto una certa impressione”.
“Ah, non fatico a crederlo” replicò Arthur, scuotendo la testa. Guardò Harry con fare paterno; era sempre stato bravo a intuire quando qualcosa lo preoccupava. “Inutile arrovellarsi, Harry: qualunque cosa ti abbia detto era priva di senso. Il suo cervello è completamente fritto, ormai. E pensare che era uno dei migliori! Una delle risorse più preziose dell’Ufficio Misteri!”
“Cosa gli è successo, poi?” domandò Harry, sorseggiando il tè. Ginny poteva avere qualche difficoltà con le torte, ma il suo tè era imbattibile.
“Come ben sai, Maledizioni Cruciatus intense e ripetute possono portare alla follia, come è successo ai Longbottom” cominciò a spiegare Arthur. “Credo che Croaker sia ricoverato nello stesso reparto, anche se di tanto lo fanno tornare al Ministero. I Curatori pensano che gli faccia bene”.
“Anche lui è stato torturato da Bellatrix?” chiese Ginny, quasi in un sussurro. Il ricordo delle Cruciatus che i Carrow le avevano inflitto durante il suo sesto anno a Hogwarts era uno dei più sgradevoli, anche dopo tanti anni.
“No, il suo caso è diverso. Troppi incantesimi di rimozione della memoria” rispose Arthur, asciutto. “Vi ricordate di Broderick Bode?”
Harry annuì. “Quello che era stato messo sotto Imperius da Lucius Malfoy per rubare la profezia, e che poi è stato strangolato da un Tranello del Diavolo per insabbiare il tutto”.
“Proprio lui” confermò Arthur. “Era un collega di Croaker. Lavoravano in coppia a non so bene cosa, nella Stanza delle Profezie, suppongo”.
“Ora mi ricordo dove ho già sentito questo nome!” esclamò Ginny. “Li abbiamo incontrati alla mia prima Coppa del Mondo di Quidditch, quella in cui poi è stato evocato il Marchio Nero”.
“Può darsi” concesse Arthur. “Comunque sia, in quel periodo Voldemort voleva a tutti i costi mettere le mani sulla profezia che riguardava lui e Harry. L’idea di usare un Indicibile era stata di Avery, che in quel momento era quanto mai ansioso di riconquistarsi le simpatie del suo capo. Era uno di quelli che avevano rinnegato Voldemort dopo la sua prima dipartita, sapete. Non aveva le stesse conoscenze di Lucius al Ministero, perciò tentò ripetutamente di mettere un’Imperius su Croaker, ma senza successo. Non so per quale motivo non lo uccise, dato che sapeva troppo; forse pensava che gli sarebbe potuto essere utile nel caso in cui Bode avesse fallito”.
Fece una pausa. Erano anni che a Harry non capitava più di occuparsi di crimini accaduti durante la guerra, e questo era il tipo che più detestava, il genere di crimine del tutto evitabile e non necessario.
Arthur riprese la sua spiegazione.
“La memoria degli Indicibili…non funziona come quella di tutti gli altri maghi. Lavorando là dentro, spesso sono Obliviati dai loro stessi capi per ragioni di sicurezza. Probabilmente la memoria di Croaker era già molto delicata…gli incantesimi di Avery l’hanno compromessa per sempre”.
Un silenzio pesante piombò nella stanza. Ecco un’altra delle tante persone rimaste vittime della crudeltà dei Mangiamorte per cui Harry non avrebbe mai potuto fare nulla, assolutamente nulla.
Ho già fatto quello che potevo fare, si disse. Avery è rinchiuso ad Azkaban a vita, e non potrà più rovinare quella di qualcun altro.
Il pensiero lo fece sentire meglio. Immaginò il bel volto di Avery, che non aveva perso l’espressione arrogante nonostante gli anni passati ad Azkaban, dietro le sbarre della sua cella di isolamento…e poi quegli stessi occhi magnetici vagare alteri per i corridoi di Hogwarts…  
“Tre gufi!” esclamò Ginny, facendolo sobbalzare. “Tre gufi questa settimana, Harry! O è un miracolo o è successo un cataclisma!”
Arthur spalancò la finestra della cucina e tre gufi entrarono in picchiata uno dietro l’altro. La civetta bianca di Albus e il gufo di James erano impegnati ad azzuffarsi per cercare di strapparsi le lettere a vicenda, come gli avevano diligentemente insegnato i rispettivi padroni. Lily si era sempre categoricamente rifiutata di occuparsi di un qualsiasi animale, perciò aveva mandato un vecchio gufo della scuola, che si lasciò cadere sul tavolo stremato subito dopo aver consegnato la lettera.
Ginny strillò così forte da spaventare qualsiasi uccello nel raggio di due chilometri e i due animali smisero finalmente di lottare; il gufo marrone consegnò docilmente la sua lettera, mentre la civetta si rintanò in un angolo, offesa.
“Questa è quella di James” annunciò Ginny, aprendola e scorrendola velocemente, aggrottando la fronte nel tentativo di decifrare la grafia disordinata del figlio. “Si capisce ancora meno del solito…sembra decisamente furioso…ah, si tratta di Quidditch! Grifondoro ha perso contro Serpeverde, accidenti!”
Harry e Arthur espressero rumorosamente il loro disappunto.
“Mmm…insulti vari contro i Serpeverde, bla bla bla… Qua dice qualcosa su Malfoy, ma non si capisce niente… Qui c’è una macchia di liquirizia… Non dice altro di interessante, quindi suppongo che possiamo concludere che per il resto va tutto bene” commentò Ginny in tono pratico.
“Oh no” esclamò Harry, angosciato, “ora che ci penso, questa era la prima partita di Lily! Povera piccola”. Prese dal tavolo la lettera di Lily e cominciò a leggere ad alta voce.
 
Cari mamma e papà,
scrivo a voi perché non posso sfogarmi con nessun altro. Oggi ho giocato la mia prima partita come titolare della squadra di Grifondoro. Ero molto nervosa, ma è andata alla grande! Cioè no, in realtà è andata malissimo, è stata una sconfitta devastante.
Ma io ho preso il Boccino! Sono così contenta che vorrei saltellare in giro per la felicità, ma tutti stanno vestendo il lutto per il risultato e quindi devo fingere di essere triste anch’io. Un po’ lo sono, ma non avrei proprio potuto evitare che perdessimo, eravamo sotto di troppi punti. Avreste dovuto vedermi! Alyssa Flint, il Cercatore di Serpeverde, non si è accorta di niente, si è lasciata sfuggire il Boccino sotto il naso!
La McGonagall era furibonda per il risultato, sembrava le uscissero spire di fumo dalle narici. Però è venuta da me a complimentarsi per la mia presa, ha detto che devo aver ereditato il talento di papà.
Ora vado a porgere le condoglianze a James, non ditegli di questa lettera altrimenti mi uccide!
Con affetto,
Lily Luna

 
Harry non poté trattenere un gran sorriso mentre leggeva. “Ce l’ha fatta!” esultò Ginny. “Le manderemo in risposta una riserva di Api Frizzole che le basterà almeno fino all’anno prossimo!”.
“Non vorrei essere in chi divide la stanza con James e con Rose, in questo momento” osservò saggiamente Arthur. “Quei due sono i tipi più competitivi che abbia mai visto”.
“Ora manca solo quella di Albus” disse Ginny. “Coraggio, Harry, aprila”.
Harry accarezzò la civetta bianca che gli ricordava tanto Edvige e le sfilò delicatamente dalle zampe la lettera di Albus. Nonostante non fosse difficile immaginare l’argomento che l’aveva spinto a scrivere a casa, visto il tono delle altre due lettere, Harry non poté fare a meno di emozionarsi un po’ nel leggere sulla busta “Per papà” scritto con la calligrafia minuta e precisa di Al.
Non appena la aprì, qualcosa che non fece in tempo a identificare volò fuori e gli si appiccicò sulla fronte. La busta non conteneva nient’altro e dalle espressioni di Ginny e Arthur non si aspettava nulla di buono.
“Carino il tuo nuovo coprifronte, tesoro. Si intona al colore dei tuoi occhi” sghignazzò Ginny, porgendogli uno specchio. Harry inorridì nel vedere la sua fronte completamente coperta da uno stendardo verde-argento che riportava la scritta SERPEVERDE REGNA.
“Non posso crederci” borbottò, grattandosi inutilmente la fronte. “Tra mezz’ora devo essere in ufficio, non posso presentarmi così, Wilkins mi prenderà in giro a vita… Datemi una mano a toglierlo, vi prego…”
Dopo qualche minuto di tentativi, apparve evidente che né Ginny né Arthur erano in grado di staccarlo. Ginny protestò vivacemente quando Harry la accusò di avere un’espressione troppo divertita e gli proibì di continuare a cercare di levarselo da solo o avrebbe finito per cavarsi un occhio con la bacchetta.     
“Mi dispiace, Harry, sembra proprio che Al abbia usato un incantesimo di Adesione Permanente” constatò Arthur, scuotendo la testa. “Hermione dovrebbe essere in grado di sistemarlo facilmente”.
“Andrò nell’ufficio di Hermione in mezzo alle risate di tutti quelli che incontrerò nel tragitto, allora” si arrese stancamente. “Se solo Albus si impegnasse a scuola come per farmi i dispetti avrebbe già i G.U.F.O. in mano. Non è possibile che prenda continuamente Desolante in Incantesimi e poi sappia realizzare un incantesimo di Adesione Permanente così potente”.
 
 
 
 
 
 
N.d.A.
Aggiorno oggi perché poi parto (ahimè, l’estate è così: ogni tanto sparisco, però poi torno, promesso).
La Victoria Sandwich è un dolce tipico inglese dall’aspetto decisamente invitante (per lo meno, quella cucinata da Molly Weasley). Sono contenta che Arthur Weasley abbia fatto una comparsata: è un grand’uomo. Spero di non avervi annoiato troppo con la partita; prometto che dopo questo match non parlerò più di Quidditch.
Un ringraziamento speciale a Ginevra1988 e inzaghina che hanno pazientemente recensito ogni capitolo! :)
Per chi se lo fosse perso, ecco il mio nuovo progetto di minilong (non temete, sono solo quattro capitoli) "Trilogia degli orfani". Non sono riuscita a mettere il link, andate a sbirciare nella mia pagina.
 

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Capitolo 7
*** VII ***


Capitolo VII
 
Neville attese i suoi studenti all’ingresso della serra e sorrise, notando le loro espressioni meravigliate nel vedere Hagrid a fianco a lui.
“Tassorosso, ci siete tutti? Non vedo Gregory. Ah, eccolo” aggiunse, mentre un ragazzo pieno di lentiggini arrivava trafelato. “Bene, possiamo cominciare. Oggi non sarà necessario entrare nella serra, ma Hagrid ci accompagnerà nella Foresta per analizzare alcuni esemplari di piante”.
Un mormorio eccitato si diffuse tra gli studenti. Neville sorrise, pensando a quel tempo innocente in cui bastava il nome della Foresta Proibita per terrorizzarlo. “Non avete nulla di cui preoccuparvi. Seguiteci”.
Fece finta di non sentire quando Albus chiese ad Hagrid qualche dritta per rispondere al “compito impossibile” assegnato dalla professoressa Collins. Sono troppo buono con gli studenti, pensò rassegnato.
La loro prima tappa non era lontana dal limitare della Foresta. Quando si fermarono di fronte a un albero dall’aspetto assolutamente ordinario, si diffuse un borbottio di delusione.
“Ragazzi, cos’è questo mormorio? Credevo che dopo cinque anni di Erbologia aveste ormai capito che le piante magiche raramente diffondono polverine scintillanti dalle spore o presentano facce canterine nel tronco!” disse, in tono di rimprovero.
“Ma questo è un comune frassino!” si lamentò Gregory.
“Esatto, è proprio un frassino. Come riconosciamo che abbia delle proprietà magiche?”.
La classe iniziò a riflettere in silenzio.
Neville si sforzò di non ridere per le loro espressioni tremendamente concentrate nello scrutare quel noiosissimo frassino in cerca di qualsiasi segno di magia. Una mano si alzò senza arroganza.
“Sì, Scorpius?”
“Per via degli Asticelli sui rami” rispose prontamente. Un’espressione di sbalordimento si dipinse sul volto di diversi suoi compagni, che iniziarono a indicare gli animali mimetizzati tra i rami dell’albero.
“Esatto, cinque punti a Serpeverde” disse Neville, soddisfatto.
“Se ci dico alla professoressa Collins che in tutto il quinto anno solo Malfoy sa riconoscere un Asticello quando lo vede, ci viene un colpo” borbottò Hagrid, contrariato.
“La presenza di Asticelli è un segno inequivocabile del fatto che una pianta possieda proprietà magiche di vario tipo, curative, per esempio. Delle piante medicinali parleremo più avanti. Qualcuno mi sa dire quale proprietà ha il frassino?”
Stavolta diverse mani si alzarono, compresa quella di una ragazzina piuttosto ottusa di Tassorosso. Neville decise di darle una possibilità, sperando che non dicesse qualcosa di troppo ridicolo. “Nancy?”
“La mia bacchetta è di frassino” rispose Nancy, con semplicità.
“Eccellente” commentò Neville, sollevato. “Due punti a Tassorosso! La lezione di oggi verterà appunto sugli alberi che forniscono legni da bacchette. Non sono moltissime le specie di piante che forniscono il legno adatto, e i fabbricanti di bacchette non sempre concordano su quali siano. A Hogwarts ne abbiamo diversi tipi, perciò oggi inizieremo a parlare del frassino e dell’olmo. Poi da settimana prossima…sì, Albus?” chiese stupito. Albus con la mano alzata era un evento più unico che raro.
“In che senso i fabbricanti di bacchette non concordano, professore?” chiese con sincero interesse negli occhi verdi.
“La produzione di bacchette non è una scienza esatta; è una branca della magia in cui c’è ancora molto da esplorare, e i migliori fabbricanti di bacchette custodiscono gelosamente i loro segreti, tramandandoli di generazione in generazione ai loro figli. È mancato qualche anno fa Ollivander, il miglior fabbricante del mondo, e purtroppo si è portato nella tomba molti dei suoi segreti, non avendo figli a cui lasciare l’attività. Qualcuno di voi ha ancora una bacchetta di Ollivander, per caso?” chiese speranzoso. Solo un ragazzo alzò la mano. “Era di mio nonno” spiegò. Neville annuì.
“Ollivander è stato una grande perdita, ma non disperate, sicuramente anche le vostre bacchette saranno di qualità. Comunque, torniamo al frassino”. La lezione continuò senza particolari interruzioni, finché non iniziò a elencare le qualità delle bacchette di frassino. Con suo grande stupore, la mano di Albus si alzò nuovamente. Neville lo incoraggiò a parlare.
“Mi domandavo se ci potesse dire come è possibile che la bacchetta scelga il mago e come si determinano le affinità tra la bacchetta e il suo proprietario”.
“Temo di non saperti rispondere, Albus” ammise Neville. “Non sono un esperto in questo campo. Io mi limito a prendermi cura degli alberi da bacchetta e dare la mia collaborazione come erbologista se un fabbricante lo richiede”. Albus apparve un po’ deluso.
“Compito per la prossima volta” annunciò Neville, tra lo sbigottimento generale. “Scrivetemi un saggio sulle caratteristiche della pianta da cui è stato ricavato il legno della vostra bacchetta: l’ambiente in cui vive, il clima, a quale categoria appartiene eccetera”.
“Potter fa domande e Longbottom dà compiti a casa” borbottò Montgomery sottovoce. “La fine del mondo è vicina”.
“Albus, vieni un momento” chiamò Neville, mentre gli altri studenti si disperdevano per andare a pranzo. “Mi sei sembrato interessato all’argomento. C’è un motivo in particolare?”
Albus alzò le spalle con noncuranza.
“D’accordo” disse Neville rassegnato, “mi dispiace non averti saputo aiutare. Se ti interessa, posso metterti in contatto con un fabbricante che vive a Hogsmeade, procurarmi qualche libro o qualcosa del genere”.
Albus si illuminò. “Grazie, Neville!” gli disse con un sorriso sincero.
“Di niente” rispose Neville, contento di sentirsi chiamare per nome. Dopotutto aveva tenuto Albus sulle ginocchia quando ancora era troppo piccolo per camminare. “Ora vai pure, Scorpius ti sta aspettando”.
Albus sorrise e annuì, andando incontro all’amico che lo stava chiamando spazientito.
“Al, muoviti! Non possiamo arrivare tardi a Incantesimi!”
 
Albus pestò un piede al suo migliore amico sotto il banco.
“Ahi!” protestò Scorpius. “Per che cos’era questo?”
“Piantala di lasciare che Rose risponda a tutte le domande!” gli sibilò Albus nell’orecchio, furibondo. Negli ultimi cinque minuti, Rose aveva fatto guadagnare quindici punti a Grifondoro senza che Scorpius facesse nulla di più utile che stare a guardarla con aria sognante.
Scorpius gli lanciò un’occhiataccia.
“Al, tu non capisci. Quest’anno era diverso, lei…insomma, stavamo facendo passi avanti…pensa che un giorno mi ha salutato anche se non c’eri tu! Ora ho rovinato tutto, non mi parlerà mai più, per colpa di uno stupido Bolide…”
Albus alzò gli occhi al cielo. “Scorpius, non hai la minima possibilità di conquistare mia cugina lasciandola rispondere alle domande al posto tuo!”
Scorpius si imbronciò, ma alla domanda successiva la sua mano scattò in aria un secondo prima di quella di Rose.
Colloportus è il controincantesimo di Alohomora. Serve per chiudere le porte dall’interno, bloccando ospiti indesiderati” recitò, evitando accuratamente di girarsi verso Rose, che lo stava fulminando con lo sguardo.
“Eccellente, cinque punti a Serpeverde” commentò la professoressa Bones, asciutta. “Ora passiamo alla pratica”.
 
Intanto, al sesto anno
 
Il professor Griffith entrò nell’aula con passo strascicato. Il brusio che riempiva la classe cessò improvvisamente.
Virginia aprì silenziosamente il libro e preparò piuma e pergamena, cercando di ignorare del tutto l’esistenza del suo vicino di banco. Possibile che Potter potesse essere così rumoroso anche solo nell’aprire un libro?
Virginia non gli aveva rivolto uno sguardo da quando pochi minuti prima era entrato sogghignando nell’aula e si era seduto nel posto a fianco al suo. Dal momento che era arrivato in ritardo, era l’ultimo posto disponibile e Virginia aveva stretto i denti, non sapendo come impedirgli di sedersi lì.
L’aveva fatto apposta, ne era sicura. Nemmeno lui si permetteva di arrivare tardi con Griffith, solitamente, e se la sua inseparabile amica Jordan non gli aveva tenuto il posto evidentemente aveva ricevuto precise istruzioni in merito. Si era seduto lì con il preciso scopo di irritarla; bene, facesse pure, lei non gli avrebbe dato la minima soddisfazione.
“Ehi, Avery” le sussurrò malignamente. “Come ci si sente a vincere in sette contro cinque?”
Quindi era questo. La sconfitta gli bruciava ancora. Virginia si lasciò sfuggire un sorriso soddisfatto.
“Buffo” replicò sottovoce “stavo proprio per chiederti come ci si sente a essere Capitano di una squadra che non sa reggersi sulla scopa…”. Con una certa soddisfazione, vide le orecchie di James avvampare.
“Aprite il libro a pagina quarantadue” disse Griffith, con voce lenta e monotona. “Oggi parleremo degli Inferi, creature tra le più oscure…”
La mano di Virginia scattò in aria. Griffith sollevò un sopracciglio.
“Sì, signorina Avery?”
“Mi scusi, professore, non dovremmo essere a pagina trentuno? Abbiamo saltato il capitolo sui Dissennatori” osservò.
“Conosco perfettamente il libro di testo, signorina Avery” rispose Griffith freddamente. Virginia sgranò gli occhi, colta in fallo. Solitamente, era una delle allieve preferite di Griffith.
“Come la vostra compagna ci ha gentilmente fatto notare” spiegò Griffith rivolto alla classe “quest’anno non tratteremo i Dissennatori. Il Ministero ha deciso di eliminarli dal programma e io sono completamente d’accordo. È mia intenzione spiegarvi solo argomenti utili. Come tutti saprete, i Dissennatori sono ormai considerati estinti grazie all’intervento degli Auror in seguito alla Seconda Guerra Magica, quando sono stati radunati in massa ed eliminati. Non ci sono stati più avvistamenti negli ultimi vent’anni”.
“Il Cavillo dice…” intervenne un ragazzo di Grifondoro. Griffith arricciò il naso, disgustato.
“Non ci sono stati più avvistamenti attendibili negli ultimi vent’anni” ribadì. “Non c’è motivo che io vi insegni a difendervi da pericoli inesistenti”.
“Ma professore” protestò Virginia. “Non ci sono stati nemmeno più Inferi dopo la caduta di Voldemort, eppure li studiamo! Non ci sono prove che i Dissennatori siano effettivamente estinti, appaiono e scompaiono nella Storia Magica… Se dovessero tornare nessuno di noi saprà produrre un Patronus…”
“Piantala, Vì” sibilò Eliza, voltandosi verso di lei dalla fila di fronte. “Che ti prende? Vuoi farci perdere punti?”
“Lei deve sempre farsi notare. Pensa di saperne più di tutti” commentò Sabina, a voce un po’ troppo alta.
“Sono d’accordo, signorina Greengrass” intervenne Griffith. “Se la signorina Avery crede di saperne più di me, può fare domanda alla Preside e chiedere la mia cattedra”.
Virginia ammutolì.
“Spero che possiamo riprendere la lezione senza altre spiacevoli interruzioni” concluse Griffith, in un tono che non ammetteva repliche. Virginia si morse la lingua e aprì il libro a pagina quarantadue.
“Cavolo, ci tenevi proprio a studiare i Dissennatori” le sussurrò Potter. “Sempre affascinata dalle Creature Oscure, eh?”
Virginia non aprì bocca e continuò a prendere appunti. Gli Inferi sono corpi morti riportati in vita da un Mago Oscuro, utilizzati l’ultima volta in gran numero da Lord Voldemort durante le due Guerre Magiche…
“Non mi stupisce che ti piacciano i Dissennatori, formereste una bella compagnia, eh? Tutta quella nebbia e quel gelo, dev’essere il tuo habitat naturale…”
La mascella di Virginia si indurì e la sua mano strinse la presa intorno alla piuma, ma continuò a scrivere con la consueta compostezza. Gli Inferi sono spaventati dal fuoco…
Stavolta James si avvicinò fino a sfiorarle l’orecchio.
“Sei sempre stata la più attenta quando si parla di Arti Oscure… Scommetto che tuo padre sarebbe fiero di te…”
La mano di Virginia scattò alla bacchetta, ma prima di poter formulare un incantesimo si trovò a sua volta una bacchetta puntata contro. Griffith si era mosso con una rapidità impressionante e aveva bloccato il suo attacco.
“Niente duelli non autorizzati in questa classe, signorina Avery” disse con voce sepolcrale. “Meno cinque punti a Serpeverde, e lasci l’aula immediatamente”.
Virginia scattò in piedi e rivolse uno sguardo di profondo odio a Potter, che aveva un’espressione confusa. Virginia era perplessa quanto lui. Perché era stata rimproverata solo lei? Era evidente che era stata provocata e non era da Griffith togliere punti a Serpeverde. Lasciò l’aula a testa alta, con le labbra serrate, accompagnata dai commenti dei compagni di Casa.
“Hai visto che roba, Griffith? Non l’ho nemmeno visto muoversi! Allora è vero che è uno dei migliori duellanti viventi!”
“Avery è sempre più strana, come le viene in mente di mettersi contro Griffith? È l’unico sempre dalla nostra parte! Ma già, lei preferiva quello svitato di Dipsit come Capocasa…”
Virginia chiuse la porta dietro di sé e uscì senza guardare dove andava, gli occhi umidi di lacrime. Andò a sbattere contro qualcosa di molto morbido.
“Scusi, professor Longbottom” bofonchiò mortificata.
“Virginia! Ma che succede?” esclamò il professore di Erbologia, allarmato. “Vieni, andiamo nel mio ufficio”.
 


N.d.A.
Sono tornata e riparto tra pochi giorni, non pensavo di fare in tempo a pubblicare. Per la serie, non vi libererete mai di me xD
Capitolo un po’ di transizione, incentrato sulle lezioni. Neville mi sembra proprio il tipo di professore che chiama gli studenti per nome e si preoccupa di non metterli in ridicolo di fronte alla classe.
Mi sono presa la licenza poetica di immaginare che nella Foresta Proibita possano crescere frassini e olmi, anche se temo non sia propriamente il clima più adatto a loro (mi fido delle doti di Neville).
Il capitolo è più breve del solito, ma prevedo di compensare con il prossimo (come al solito prometto alla cieca, visto che non l’ho ancora scritto xD). Brace yourselves, Halloween is coming!
Thalassa_

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Capitolo 8
*** VIII ***


Capitolo VIII
 
 
È impossibile condividere certe avventure
 senza finire col fare amicizia, e mettere KO un troll
di montagna alto quattro metri è fra quelle”.
Harry Potter e la Pietra Filosofale
 
 
James afferrò sua cugina per un braccio e la strattonò senza tanti complimenti.
“James!” protestò Rose, scandalizzata. “Non puoi portarmi via così nel bel mezzo di un appuntamento!”
“Oh giusto” borbottò James. “Scusa, coso, te la riporto tra cinque minuti” disse al ragazzo allampanato vicino a Rose, un po’ troppo vicino, per i suoi gusti. Il ragazzo, un Corvonero del settimo anno dall’aria molto noiosa, lo guardò stranito e lanciò un’occhiata a Rose come se non sapesse come comportarsi.
“Scusami, Daniel, torno subito” lo rassicurò gentilmente Rose. James la trascinò impazientemente dietro il negozio di Mielandia, dove Jordan li stava aspettando studiando una pergamena con aria assorta.
“Grazie, James, mi hai salvato” sospirò Rose non appena il suo spasimante non fu più a portata d’orecchie. “Un minuto in più e l’avrei Schiantato o mi sarei addormentata mentre parlava. Come facevi a sapere che mi stavo annoiando a morte?”
“Finché ti ostini a uscire con i Corvonero…” rispose James, alzando gli occhi al cielo.
“Non sono affari tuoi con chi esco, e comunque chi ti ha dato il diritto di interrompere – ”
“Ma se fino a un secondo fa eri content- ”
“Scusa Rose, è un’emergenza” tagliò corto Jordan. “Abbiamo ricevuto una notizia bomba”.
Si avvicinò a Rose con aria cospiratoria. “Hai notato che dall’inizio dell’anno Hagrid è particolarmente di buon umore e continua a gongolare che la professoressa Collins si fida di lui e gli ha dato il permesso di tenere qualcosa che non ci può dire?”
Rose sgranò gli occhi. “Ti prego, dimmi che non è un drago”.
“No, ma è qualcosa di potenzialmente altrettanto pericoloso” rispose James, in tono grave. “Un Tuono Alato”.
Rose lo guardò incredula. “Non è possibile” replicò “il Tuono Alato è originario dell’Arizona, non potrebbe mai sopravvivere con questo clima. E poi non pensi che ci saremmo accorti della presenza di un enorme rapace che scatena tempeste sbattendo le ali?”
“Lo tengono in una specie di serra che ricrea le giuste condizioni climatiche, al limitare della Foresta” rispose Jordan tranquillamente. “La versione ufficiale è che si tratti di una nuova serra richiesta dal professor Longbottom. Voglio dire, chi andrebbe mai a curiosare in una serra? Come se potesse esserci qualcosa di interessante in delle piante”.
James non poté fare a meno di concordare. Neville gli era simpatico e tutto quanto, ma occuparsi delle piante era noioso quasi come Storia della Magia. A giudicare dal modo in cui stava arricciando il naso, Rose non era d’accordo – ma quando mai Rose aveva disprezzato una materia scolastica?
“Comunque sia, è solo un cucciolo e per di più ha un’ala ferita; per questo è stato affidato alle cure della professoressa Collins, suppongo. Immagino che quando guarirà lo riporteranno a casa” concluse Jordan. 
“Sembri molto sicura di quello che dici. Chi sarebbe la fonte di tutte queste informazioni?” domandò Rose, scettica.
James e Jordan si guardarono. “Molly” risposero all’unisono.
Rose sbuffò. James la conosceva abbastanza bene per sapere cosa stava pensando. La diffusione di qualsiasi pettegolezzo a Hogwarts aveva origine nella bocca di Molly Weasley, eppure le sue notizie erano sempre certe. Era universalmente riconosciuta come fonte affidabile, ma una notizia del genere…persino James era stato dubbioso la prima volta che l’aveva sentita.
“C’è di più” rivelò. “Anche noi eravamo scettici, così ieri abbiamo pensato di andare a dare un’occhiata”.
Un lampo di incredulità passò negli occhi della cugina.
“È tutto vero, Rose” confermò Jordan. “Un animale splendido, se posso dirlo, magari ci facessero studiare quello al posto dei Vermicoli…”
Rose si portò una mano alla bocca. “Voi due siete fuori di testa!” sbottò. “Ma come vi è saltato in mente? Vi rendete conto di quanto potrebbe essere pericoloso se venisse liberato?”
“Vedo che hai centrato il punto, Rose” replicò James. “Se lo sa Molly, allora lo sa anche…”
“Tutto il resto della scuola” sospirò Rose.
“Non solo” aggiunse Jordan “Molly dice che i Serpeverde stanno tramando qualcosa, e che stasera approfitteranno del banchetto di Halloween per agire indisturbati, sai, mentre tutti guardano l’esibizione dei fantasmi”.
“Dobbiamo fermarli” affermò deciso James, stringendo il pugno. “Ho tenuto d’occhio Avery sulla Mappa del Malandrino. Guarda dov’è la tua amichetta”. Jordan gli passò la pergamena che stringeva in mano. “Giuro solennemente di non avere buone intenzioni” dichiarò fieramente James e indicò un puntino minuscolo sulla mappa.
“È in biblioteca” osservò freddamente Rose. “Locazione insolita per una serra”.
“Molto spiritosa” borbottò James. “Il punto è che si trova a Hogwarts mentre tutti gli altri sono a Hogsmeade! Non ti pare sospetto?”
Rose alzò le spalle. “Non va più molto d’accordo con le sue amiche, sarà rimasta al castello a studiare”.
“Sì, a studiare un piano!” proclamò James trionfante.
 Rose alzò gli occhi al cielo e si avviò verso il castello. “Si è fatto tardi, sarà meglio che rientriamo”.
“E Daniel?” le chiese provocatoriamente.
“Saprà trovare la strada da solo, suppongo” commentò filosoficamente Rose. James decise di farsi da parte e sperare che Jordan avesse maggiore successo.
 
Qualche minuto dopo, camminavano tutti e tre in silenzio verso il castello. Rose stava ancora rimuginando su quanto le aveva detto James. Più ci pensava, più andare in quella serra le sembrava una pessima idea, eppure…
Jordan le posò una mano sulla spalla. “Rose, so che James è un pochino esagerato a riguardo dei Serpeverde, a volte…”
“Infatti non penso che Avery stia pensando di fondare il Nuovo Ordine dei Mangiamorte, né che nessuno di loro abbia intenzione di attentare alla vita di centinaia di studenti stasera. Fino a prova contraria, gli unici che sono andati a ficcare il naso dove non dovevano siete voi due” ribatté irritata.
“Giusto” sorrise Jordan. “Sinceramente, anch’io non penso che Avery farebbe qualcosa del genere. Ma andare a dare un’occhiata per sicurezza non può fare male, no?”
Certo che no, pensò Rose. Potremmo solo essere scoperti, puniti, espulsi o barbaramente uccisi nel caso il Tuono Alato non gradisse la nostra compagnia.
“Basta chiacchiere” intervenne James. “Audaci donzelle, rispondete alla chiamata del vostro Capitano. Jordan, sei con me?”
“Ti copro le spalle, fratello”.
“Rose, tu sei dei nostri?”
Rose si prese un momento per riflettere. Non aveva idea di come Molly riuscisse a procurarsi tutte quelle informazioni (anche se sospettava un uso massiccio di Orecchie Oblunghe) ma finora non aveva mai fallito, e se davvero la voce dell’esistenza di un Tuono Alato a scuola aveva raggiunto i Serpeverde, non aveva dubbi che almeno due di loro sarebbero stati lì quella sera. Non certo quelli che si aspettava James, però…
“Ci sarò” acconsentì, sperando di non pentirsene.
 
“Un Tuono Alato, Albus!” esclamò Scorpius, eccitato. “È un animale rarissimo, e non ce ne sono mai stati in Inghilterra! Potrebbe essere l’unica occasione della mia vita per vederne uno!”
Albus guardò il suo migliore amico con aria rassegnata. “Promettimi che non moriremo”.
“Ma che dici!” protestò allegramente Scorpius. “Non sarà pericoloso, Hagrid e la Collins avranno preso sicuramente tutte le precauzioni necessarie. Faremo il giro largo, in modo da evitare la Foresta Proibita… nessuno noterà la nostra assenza, saranno tutti troppo occupati a guardare tutto questo”. Fece cenno con la testa alle decorazioni di Halloween che pendevano sulle loro teste. La Sala Grande era splendida, avvolta nella luce arancione delle candele nascoste nelle zucche sospese a mezz’aria e animata da mille pipistrelli svolazzanti.
“E poi quando mai qualcuno fa caso a noi?” commentò Albus. “Mi hai convinto. Potremmo anche riuscire a prendere una sua piuma” aggiunse, con un luccichio negli occhi. “Ho letto che possono essere usate al posto della piuma di fenice come anima delle bacchette”.
Scorpius lo guardò come se fosse impazzito. “Vuoi strappargli una piuma? Io non avevo intenzione di avvicinarmi così tanto!”
“Ma no, intendevo raccoglierla da terra…dovrà pur perdere qualche penna, ogni tanto, no?”
L’espressione di Scorpius si rilassò. “Ehi, Nick! Buona Complemorte!” Nick-Quasi-Senza-Testa si tolse la testa per ringraziare.
Albus rivolse un’occhiata a Avery, che stava chiacchierando amabilmente con il Barone Sanguinario. “L’unica incognita è lei” sussurrò “se ci becca, siamo spacciati”.
“Approfittiamone finché è distratta, allora” rispose Scorpius. “Diamo ufficialmente il via all’operazione Tuono Alato!”

 
“Scorpius?”
“Mmh?”
“Sei proprio convinto di volerlo fare?”
“Davvero mi domando come mai non sei finito a Grifondoro, Al” rispose sarcasticamente Scorpius. “Sei talmente coraggioso!”
Albus si imbronciò. “Visto che ti senti tanto audace, vai prima tu”.
Scorpius rimase immobile.
“Ecco, visto” esclamò Albus, trionfante. “Neanche tu – ”
“Sssh” lo zittì Scorpius. “Ascolta. Sta arrivando qualcuno!”
Albus ammutolì. I passi si stavano avvicinando, e con i passi le voci…voci conosciute… Lui e Scorpius si scambiarono un’occhiata allarmata.
“James!” sussurrò Albus, nel panico.
“E Rose” aggiunse Scorpius con lo stesso tono. “Non abbiamo scelta, entriamo e nascondiamoci!”
Albus trattenne il fiato nel varcare la soglia. La serra era molto più spaziosa di quanto non sembrasse da fuori ed era ricoperta di sabbia rossa e vegetazione arida. Il caldo era soffocante e per un attimo lo sbalzo termico gli annebbiò la vista.
“Non siamo davvero in Arizona, vero?” mormorò dubbioso. Scorpius era troppo eccitato per starlo a sentire.
“Hanno usato un Incantesimo di Estensione Irriconoscibile!” sussurrò entusiasta. “Tranne in circostanze speciali, è vietato dal Ministero…”
Albus si guardò intorno nervosamente. Non c’erano molti posti dove nascondersi, solo deserto. Scorpius saltellava qua e là pochi metri avanti a lui, guardandosi intorno, poi si bloccò all’improvviso.
“Al, vieni a vedere!”
Albus lo raggiunse con il cuore che batteva all’impazzata. Davanti a lui si prospettava lo spettacolo più incredibile che avesse mai visto.
Il Tuono Alato era disteso a terra, profondamente addormentato. Nonostante fosse solo un cucciolo, era più grande di qualsiasi uccello avesse visto in Inghilterra. Il suo piumaggio lucente, gli artigli, il becco ricurvo gli conferivano un aspetto pericoloso e maestoso allo stesso tempo. Albus ebbe la sensazione improvvisa di trovarsi al cospetto di un re.
Eppure, c’era qualcosa di profondamente sbagliato in quella vista. Anche Scorpius non sorrideva più.
Una delle sei ali del Tuono Alato era profondamente squarciata e sulle altre c’erano segni di cicatrici rimarginate da poco.
“È ferito” mormorò dispiaciuto.
“Sì, ma sta guarendo” replicò Scorpius, cupo, come se non fosse quello il punto della questione.
Albus seguì con lo sguardo l’indice di Scorpius, che gli stava mostrando le zampe, e si rese conto con orrore che il Tuono Alato era saldamente legato con robuste funi. Erano lunghe diverse decine di metri e gli permettevano comunque di volare entro certi limiti, ma davano la stessa sensazione di una libertà vigilata.
“ALBUS! Cosa ci fai qui?” tuonò la voce di James.
Albus e Scorpius sobbalzarono. Si erano completamente dimenticati di nascondersi e ora James e Jordan si stavano precipitando verso di loro con aria minacciosa. Rose li seguiva sospirando.
“Lo sapevo” dichiarò fieramente. Lo sapevo e te l’avevo detto erano le sue frasi preferite. “Figuriamoci se Scorpius si lasciava sfuggire l’occasione di vedere un Tuono Alato – e dove c’è Scorpius c’è anche Al”.
“Cosa credete di fare?” domandò James, inquisitorio.
“Potrei farti la stessa domanda” replicò Albus in tono di sfida.
“Su, ragazzi, credo ci sia stato solo un malinteso” intervenne Jordan, conciliante. “Perché non ci godiamo lo spettacolo? Guardate che meraviglia”.
Rose era ferma davanti all’animale, piena di meraviglia, completamente assorta nella contemplazione. Scorpius, a fianco a lei, parlava più veloce che mai.
“Guarda la forma della coda, Rose” esclamò concitato “e le piume sono iridescenti, cambiano colore a seconda di come riflettono la luce, passando dall’oro al blu. Sapevi che può percepire il pericolo? È una creatura molto intelligente e fiera, infatti è parente dell’ippogrifo e della fenice…”
“Sono ancora arrabbiata con te” rispose Rose, con un tono che Albus giudicò assai poco credibile. Evidentemente Scorpius era dello stesso parere, o semplicemente non si scoraggiava mai, perché continuò a parlare senza smettere un secondo di sorriderle.
“Si può sapere cosa sta succedendo qui?” chiese una voce fredda e ferma alle sue spalle. Tutti si voltarono di scatto.
“Avery! Lo sapevo che c’eri tu dietro tutto questo!” sbraitò James, sfoderando la bacchetta.
Virginia estrasse la bacchetta a sua volta, gli occhi fuori dalle orbite.
“Ma se io ho seguito te fin qui!” protestò. “Difficile non notare la tua assenza, Potter, considerando che ti muovi con la grazia di un Erumpent imbufalito”.
“Sssh!” li zittì Rose. “Lo state svegliando!”
La state svegliando” la corresse Scorpius. “Credo che sia un esemplare femmina”. Rose gli rivolse un’occhiataccia e Scorpius abbassò lo sguardo, mortificato.
Virginia e James non avevano ancora abbassato le bacchette.
“Ok, ora vi dico cosa faremo” intervenne Jordan, con voce pacata ma decisa. “Qui dentro non è ancora successo nulla, giusto? Perciò ora usciamo tutti con calma e voi due sistemate le vostre divergenze fuori da qui, e lasciamo dormire questa povera creatura”.
Albus non poté fare a meno di pensare che Jordan fosse la migliore amica possibile per quella testa calda di suo fratello, e che suo padre non aveva tutti i torti di essere tanto contento di ospitarla in casa loro. Jordan era una dura, ma al contrario della maggior parte dei Grifondoro era dotata di cervello attivo e funzionante.
“D’accordo” convenne James. Lui e Virginia si avviarono verso l’uscita senza smettere di guardarsi in tralice, seguiti dai rispettivi compagni di Casa.
Albus rimase in fondo al gruppo. Stava per raggiungere gli altri, quando con la coda dell’occhio la vide.
Una piuma. Magnifica, perfetta, iridescente con mille sfumature di colore che viravano dall’oro all’argento, lunga come il suo avambraccio. Ed era posata lì, a terra, vicino alla coda del Tuono Alato, che aspettava solo di essere raccolta.
L’uccello sembrava di nuovo profondamente addormentato, e in ogni caso era legato saldamente a terra. Sarebbe bastato avvicinarsi piano, molto piano…
Camminò in punta di piedi, trattenendo il respiro. Arrivò fino a mezzo metro dall’uccello, non osando avvicinarsi di più. Scorpius si era accorto della sua assenza e si stava sbracciando silenziosamente per dirgli di tornare indietro, ma lui non poteva tornare indietro, non ancora. Si mise a terra carponi. Sarebbe bastato sporgersi ancora per pochi centimetri…
Afferrò la piuma e la accarezzò soddisfatto. Era incredibilmente liscia al tatto. Fu solo allora che alzò lo sguardo e se ne accorse. Le funi con cui il Tuono Alato era ancorato a terra erano state recise con un taglio netto.
Un’ondata di panico lo travolse. Sollevò la fune agitandola freneticamente nella direzione di Scorpius e vide gli occhi grigi dell’amico spalancarsi per l’orrore.
“Al-Albus” balbettò, piano. “Resta immobile dove sei. Non girarti per nessuna ragione”.
Albus iniziò a sudare freddo mentre Scorpius sembrava indeciso se avvicinarsi o correre via. Non resistette più alla tentazione; si voltò verso sinistra. Un occhio ambrato più grande del suo pugno lo fissava con enorme interesse.
La voce di James che sbraitava contro Virginia rimbombò nella serra e il Tuono Alato si innervosì. Un colpo secco di coda colpì le caviglie di Albus come una sferzata, facendogli perdere l’equilibrio. Gridò, e sentì Scorpius gridare con lui, correndogli incontro. Il Tuono Alato era sempre più agitato e si muoveva inquieto avanti e indietro.
“Smettetela” urlò Scorpius “lo state spaventando! Pensa che vogliate attaccarlo!”
James non gli diede ascolto, troppo impegnato nella propria guerra personale.
Albus lesse un lampo di comprensione negli intelligenti occhi dorati della creatura e seppe istantaneamente che erano spacciati.
“Ha capito di essere libero” urlò “è la fine! Scorpius, scappa!”
Corsero a perdifiato verso l’uscita, mentre Rose e gli altri rientravano, attirati dalla confusione.   
“Correte!” gridò Albus, mentre Scorpius tentava invano di immobilizzare l’animale.
“Pietrificus Totalus! Pietrificus Totalus! Niente da fare, non funziona, è troppo grosso” si lamentò. “Probabilmente gli sto facendo a malapena addormentare una zampa o qualcosa del genere!”
Il Tuono Alato iniziò ad aprire le ali con delicatezza, come per verificare di essere ancora in grado di usarle, e cominciò a sbatterle lentamente, alzandosi di pochi metri dal suolo. Il battito delle sue ali provocò delle scariche di vento che gettavano la sabbia negli occhi.
“Possiamo almeno provare a rallentarlo” gridò James, coprendosi il volto. “Impedimenta!”
“Forza, tutti insieme!” intervenne Rose. “Impedimenta! Impedimenta!”
Sei lampi di luce blu colpirono il Tuono Alato – anche se Albus sapeva di non essere mai riuscito a rallentare nemmeno un porcospino – e per quasi un minuto l’uccello si guardò intorno confuso, muovendosi come se l’aria fosse diventata viscosa. Quando l’effetto svanì, la sua furia fu spaventosa. Le ali cominciarono a vorticare formando mulinelli di vento e una pioggia battente li inzuppò da capo a piedi.
“L’abbiamo solo fatto infuriare ancora di più” gridò Rose, disperata. “Ci serve un’altra idea!”
“Proviamo con questo” intervenne Virginia, e agitò la bacchetta sopra se stessa e Albus senza dire una parola. Una barriera circolare di un bianco traslucido apparve sopra le loro teste, proteggendoli dalla pioggia.
“Come hai fatto?” domandò Scorpius, stupefatto.
“Ho provato a combinare un Sortilegio Scudo con Impervius” rispose, come se fosse la cosa più naturale del mondo. “Provate anche voi”.
“Protego…Impervius…ehi, funziona!” esclamò Scorpius entusiasticamente.
“Scorpius, potresti per favore smettere un secondo di essere te stesso e concentrarti sul fatto che stiamo per morire?” urlò Albus, fuori di sé.
Le raffiche di vento erano talmente forti che Albus temette di essere spazzato via. Un fulmine si scaricò a terra a pochi metri da loro.
“Il soffitto non reggerà a lungo” gridò Jordan. “Questo posto non è fatto per contenere una tempesta!”
Come se l’avesse sentita, l’uccello cominciò a prendere rabbiosamente a testate il soffitto, lottando per uscire. Una parte del soffitto crollò rovinosamente colpendo James prima che avesse il tempo di schivarlo. Albus guardò con orrore suo fratello bloccato a terra da un cumulo di detriti, boccheggiante.
“James, stai bene?” gridò Jordan, correndo verso di lui.
“Credo di avere una costola rotta” tossicchiò lui in risposta. “Sai, come in quella partita contro Corvonero due anni fa…ehi, ma che stai facendo?” le urlò dietro, mentre lei schizzava verso l’uscita veloce come il vento.
“Quello che avrei dovuto fare un quarto d’ora fa!” urlò lei di rimando. “Corro a cercare aiuto! Sono io la più veloce, lo sai, e tu non sei nelle condizioni di correre”.
Albus si rese improvvisamente conto di cosa intendeva dire suo padre quando ringraziava dell’esistenza di Jordan, l’unica amica di James con un po’ di sale in zucca.
Per quanto Virginia si sforzasse di mantenere l’incantesimo, la pioggia era troppo forte per l’Impervius e penetrava attraverso lo scudo.
“Dobbiamo liberarla” gridò. “Sta facendo troppi danni qui dentro! Presto, prima che questo posto ci crolli in testa!”.
“Cosa sta facendo, adesso?” chiese Rose, preoccupata. Il Tuono Alato aveva smesso di lanciarsi contro il soffitto e aveva improvvisamente ritrovato l’interesse nei loro confronti. Iniziò a volare proprio sopra le loro teste, studiandoli. All’improvviso stese una zampa e afferrò Rose tra gli artigli.
Rose strillò mentre il Tuono Alato la portava con sé, sempre più in alto.
“Rose!” urlarono tutti e quattro, disperati. L’urlo costò a James uno sforzo immane e continuò a rantolare e tossire per due minuti.
“Credo che l’abbia rapita” dichiarò Scorpius. “Vuole fare uno scambio con noi: Rose in cambio della libertà”.
“Ne sei sicuro?” chiese Albus.
“No! Come faccio a esserne sicuro? Ti pare che parlo la lingua degli uccelli?”
“Potter!” gridò Virginia in tono autoritario, lo stesso che usava a scuola. “Resta il più possibile coperto dai detriti, ok? Soprattutto stai attento a proteggerti la testa”.
“Ma…” protestò James.
“Fallo e basta!” lo zittì Virginia. Si girò verso Albus e Scorpius e li guardò intensamente negli occhi. Rose continuava a gridare, ondeggiando pericolosamente a diversi metri dal suolo.
“Ragazzi, vi fidate di me?” chiese semplicemente.
“Sì” rispose immediatamente Scorpius, e Albus annuì gravemente.
“Allora state vicino a me e state pronti a usare la bacchetta”. Puntò la bacchetta al soffitto e gridò: “BOMBARDA MAXIMA!”
L’esplosione distrusse una buona parte del soffitto e delle pareti e i detriti volarono ovunque, sballottati dalle raffiche di vento. Albus si sentì mancare il terreno sotto i piedi e cadde a terra, le orecchie che gli fischiavano per il rumore assordante dell’esplosione. Tutte le sue percezioni erano attutite, era tutto molto confuso…una macchia di colore più nitida delle altre si avvicinava sempre di più…quando finalmente mise a fuoco, era troppo tardi. Un grosso pezzo di impalcatura del soffitto stava piombando proprio sulla sua testa. Nel panico, cercò con la mano la bacchetta ma ormai era troppo vicino.
“Reducto!” gridò Virginia, e il detrito si polverizzò a mezzo metro dalla faccia di Albus, riempiendogli i polmoni di cenere. Quando ebbe finito di tossire sputacchiando cercò di ringraziarla, ma un urlo perforante distolse la sua attenzione.
Il varco nel soffitto era abbastanza largo da permettere al Tuono Alato di uscire finalmente al cielo aperto. Una volta ritrovata la libertà, aveva perso qualsiasi interesse in Rose, che ora stava precipitando in caduta libera. Albus trattenne il fiato. Era troppo lontana da lui e Virginia, non l’avrebbero mai presa in tempo…
“ARRESTO MOMENTUM” gridò Scorpius, che era già scattato a pochi metri da Rose. La caduta si bloccò improvvisamente e Rose prese a ondeggiare dolcemente come una piuma, atterrando tra le braccia di Scorpius. Rose iniziò a singhiozzare disperatamente sulla sua spalla.
Scorpius le accarezzò dolcemente la testa, un po’ imbarazzato e fece per metterla a terra.
“Non è questo il momento di fare il gentiluomo, Scorpius” abbaiò Virginia. “Portala fuori di qui! Dobbiamo uscire tutti e subito!”
“Aspetta” la fermò Albus. “Dobbiamo recuperare mio fratello!”
Virginia scosse la testa bruscamente. “Non me la sento di spostarlo se ha delle ossa rotte” replicò “meglio lasciar fare all’infermiera, credo che ormai Jordan l’abbia avvisata, senti?”
Albus rimase un momento in ascolto e si rese conto che c’erano molte altre voci provenienti da fuori oltre a quelle di Rose e Scorpius. Seguì Virginia e uscirono attraverso un varco nella parete dove una volta si trovava la porta.
La tempesta scatenata dal Tuono Alato aveva riempito il cielo; scariche di fulmini attraversavano l’aria e le raffiche di vento erano talmente forti che Albus dovette aggrapparsi a un tronco per non cadere. Il Tuono Alato volava alto nel cielo, libero e maestoso.
Albus si rese conto che la maggior parte degli insegnanti era accorsa e stava cercando di aiutare la professoressa Collins a calmare la creatura, senza successo. La preside McGonagall era fuori di sé come Albus non l’aveva mai vista. Jordan stava guidando l’infermiera da James.
“Con il suo consenso, Preside” intervenne Griffith “ritengo sia più opportuno usare le maniere forti, in questo caso”.
“Accordato” rispose la preside, asciutta, la bocca tramutata in una linea sottile.
Griffith agitò la bacchetta verso la creatura senza dire una parola e nel giro di pochi minuti la riportò a terra, docile e con gli occhi vuoti. Albus lo guardò con orrore.
“Credi che le abbia fatto male?” domandò a Scorpius, che scosse la testa.
“Credo abbia usato un’Imperius. È legale, sugli animali selvaggi. Certo, Griffith dev’essere veramente potente per riuscire a domare una creatura del genere…”
La tempesta cessò e al suo posto rimase solo una pioggerellina quieta. Hagrid singhiozzava senza ritegno, mentre il professor Longbottom stava in punta di piedi per dargli pacche sulle spalle.
“La mia Daisy” ripeteva come un lamento disperato “cosa ci faranno adesso? La mia piccola Daisy non ci voleva fare male a nessuno”.
La McGonagall marciò verso di loro come una furia.
“Si può sapere cosa credevate di fare?” urlò, fuori di sé. “Vi rendete conto di cosa avete combinato? Siete fortunati a essere tutti ancora vivi! Se il professor Griffith non fosse intervenuto…e pensare che tre di voi sono Prefetti! Sono esterefatta! Avery, Granger-Weasley, da voi due non mi sarei mai aspettata un comportamento così sconsiderato!”
Fece una pausa per riprendere fiato. Nessuno osò fiatare e tennero tutti lo sguardo prudentemente ancorato a terra. Albus però sentiva che le parole della preside gli scivolavano addosso. L’adrenalina gli scorreva ancora nelle vene e il sollievo e la sorpresa di esserne uscito indenne prevaleva su qualsiasi altra sensazione.
“Cinquanta punti in meno a ciascuno di voi” continuò la McGonagall. “Quaranta alla signorina Jordan, che ha avuto almeno il buonsenso di venire a cercare aiuto. Ora tutti nel mio ufficio, immediatamente, prima che abbiate il tempo di inventarvi chissà quale storia assurda per giustificarvi”.
 
 
Il professor Giffith osservò compiaciuto la sua studentessa preferita che entrava nel suo studio e la fece accomodare. Con le lunghe dita affusolate accarezzava la poltrona di pelle nera, riflettendo.
Che risorsa eccezionale aveva trovato, l’avrebbe dovuta sfruttare di più in futuro. Lui restava al di sopra di ogni sospetto, e anche se lei un giorno l’avesse accusato, a chi avrebbe creduto la preside? A un’adolescente o all’esperto professore che quella sera era intervenuto prontamente salvando la vita a tutti?
L’aspetto migliore della faccenda era che quella collaborazione non gli sarebbe costata praticamente nulla. Incredibile di quali piccole soddisfazioni si accontentino gli studenti. Basta promettere qualche bel voto a un esame, qualche sciocco privilegio e il gioco è fatto.
“Hai fatto un lavoro eccellente, mia cara” si congratulò. La ragazza sorrise.
“Il tempo che il diversivo le ha procurato le è stato sufficiente per sbrigare i suoi affari, professore?”
Ecco un’altra ottima caratteristica della sua allieva. Capiva al volo la situazione senza fare troppe domande. Gli era bastato dirle vagamente che doveva occuparsi di faccende che non avrebbe voluto arrivassero alle orecchie della Preside o del Ministero e lei non aveva domandato altro. Probabilmente era abituata a discorsi del genere in casa propria, aveva incontrato spesso sua madre a Notturn Alley. Eppure non poteva certo immaginare di essersi invischiata in affari ben più grandi di amuleti di contrabbando…
“Il tuo tempismo è stato perfetto” rispose. “Mi sembra di capire che anche tu sei riuscita a toglierti qualche piccola soddisfazione personale, giusto? Far ricadere la colpa su qualcun altro uscendone puliti richiede una certa… arte”.
La ragazza si sistemò distrattamente la frangia bionda, annuendo compiaciuta.
Il professore si alzò per congedarla. “Il tuo contributo non sarà dimenticato. Ci vediamo a lezione, signorina Greengrass”.
 
 
N.d.A.
Eccomi tornata, finalmente!
Capitolo decisivo e ora finalmente posso dirlo: 10 punti alla Casa di quelli che avevano intuito che Virginia non è così cattiva come la si dipinge, anzi non lo è proprio per niente. D’altronde l’impressione negativa derivava principalmente dal punto di vista di Harry, che in quanto ad affidabilità sulle prime impressioni non è proprio in cima alla lista.
I nostri protagonisti sono Serpeverde e quindi a differenza di Harry & Co ci pensano due volte prima di correre incontro al pericolo!
Il capitolo presenta molti parallelismi con il capitolo “Halloween” di Harry Potter e la Pietra Filosofale. Il Tuono Alato è comparso in Animali Fantastici e non poteva non suscitare l’entusiasmo di Scorpius. Per quanto riguarda il nome, beh, se Hagrid ha chiamato un cane a tre teste Fuffy non vedo perché un maestoso Tuono Alato non dovrebbe chiamarsi Daisy!
Fatemi sapere la vostra opinione nei commenti e grazie a tutti i nuovi lettori 😊
Thalassa_
 

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Capitolo 9
*** IX ***


Capitolo IX


Albus inspirò profondamente e si concentrò sul movimento della bacchetta, che aveva provato e riprovato fino a rischiare di slogarsi un polso. “Evanesco” disse a mezza voce.
Il fermacarte d’argento con le iniziali di Scorpius rimase lì dov’era, la sua presenza più solida e concreta che mai.
“Ci rinuncio” borbottò, posando la bacchetta e appoggiando la testa sul tavolo, sfinito.
Rose gli rivolse un’occhiata di rimprovero. Albus fu grato che avessero deciso di esercitarsi in biblioteca; almeno lì, sua cugina non poteva urlargli contro.
“Non ti stai impegnando abbastanza” lo rimproverò sottovoce.
“Non è vero, è una settimana che ci provo, non ci riesco e basta” protestò vivacemente. Cercò con lo sguardo il supporto di Scorpius, ma l’amico aveva vigliaccamente deciso di tenersi fuori dalla discussione e sembrava profondamente immerso in Pozioni Avanzate, un libro che aveva sempre criticato ampiamente per la sua palese inutilità.
Rose non demordeva. “Vuol dire che non hai studiato abbastanza attentamente la teoria” sentenziò.
Albus si morse la lingua per non risponderle male. Aveva letto e riletto il manuale fino alla nausea, aveva ascoltato mille volte sua cugina ripetere ogni definizione, aveva memorizzato anche il numero di pagina e la piccola macchia d’inchiostro sull’angolo destro della pagina che spiegava l’incantesimo, ma nulla di ciò che aveva provato a Evanescere aveva mai fatto qualcosa di più concreto che impallidire.
“La so a memoria, chiedimi qualsiasi cosa” la sfidò.
Dopo che ebbe risposto perfettamente alle sue domande per qualche minuto, Rose dovette arrendersi all’evidenza. “Forse hai una specie di blocco psicologico” mormorò, dubbiosa. “Ho sentito che può succedere…”
Albus sbuffò spazientito. “Semplicemente non vuoi accettare che io non sia brillante come te e Scorpius e tutta la nostra famiglia! Sono un mago scarso, ecco la verità, e non riuscirò mai a trasfigurare neanche una piuma!” Aveva alzato la voce, preso dalla foga, e una Tassorosso si era girata a guardarlo dal tavolo a fianco. La fulminò con lo sguardo, e lei tornò al proprio libro scambiando una risatina di scherno con la sua amica.
“Al, stai facendo una tragedia per niente” intervenne Scorpius, emergendo finalmente da Pozioni Avanzate. “Tutti hanno una materia che proprio non gli riesce. Puoi diventare un buon mago anche senza un G.U.F.O. in Trasfigurazione, ok? Non è un dramma”.
Magari fosse solo una materia il problema, pensò Albus tristemente. Trasfigurazione è quella che mi riesce peggio in assoluto, ma non si può certo dire che sia portato per gli Incantesimi o Pozioni o Difesa Contro le Arti Oscure…
Rose sembrava sul punto di esplodere.
“Non è un dramma?” sibilò. “Non è un dramma? Al, quello che dici è ridicolo, sappiamo tutti che hai tanto talento, è solo che non ti impegni abbastanza per tirarlo fuori! Ti ricordi l’incidente di zia Fleur?”
Albus alzò gli occhi al cielo. Scorpius rivolse loro un’occhiata perplessa, ma Rose lo fulminò con un’occhiata, impedendogli di parlare.
“Al, tu devi prendere un G.U.F.O. in Trasfigurazione! Che razza di carriera potresti fare, altrimenti? Dobbiamo pensare al nostro futuro!”
Estrasse i volantini per gli studenti del quinto anno che descrivevano le competenze richieste per lavorare in vari campi, e iniziò ad elencare tutte le sfolgoranti carriere che Albus si sarebbe perso se non avesse preso un G.U.F.O. in Trasfigurazione.
“Basta, Rose, ho capito. Ti prometto che mi impegnerò di più, ok?” disse Albus sfinito, per farla tacere.
Rose parve soddisfatta e sbadigliò sonoramente. “Siamo tutti molto stanchi” disse, raccattando le sue cose. “Riprovaci domani quando ti sarai riposato, sono certa che andrà meglio”.
Albus aveva la certezza assoluta che non sarebbe andata affatto meglio. Per di più, ammirava la diplomazia con cui sua cugina riusciva a dire con leggerezza “siamo tutti molto stanchi” sottintendendo “siamo devastati fisicamente e psicologicamente dal fatto di aver passato la notte in bianco, rischiato le nostre vite e affrontato gli infiniti rimproveri e i sono veramente delusa della Preside e delle nostre madri fino al mattino”. La preside li aveva interrogati uno alla volta senza ricavarne granché, sempre più esasperata. James aveva accusato platealmente Virginia, ma aveva anche ammesso di non avere prove. Quando Rose aveva domandato candidamente se avesse preso in considerazione l’idea che fossero tutti innocenti, la preside aveva chiesto sarcasticamente se non fosse molto più probabile che fossero tutti colpevoli e che si stessero coprendo a vicenda. Albus era stato sul punto di rispondere che James avrebbe preferito essere espulso insieme a Avery che restare impunito, ma l’espressione glaciale della preside l’aveva talmente atterrito da privarlo della voglia di scherzare.
A quel punto, Albus aveva sperato che sarebbero stati finalmente mandati a dormire. Aveva invece scoperto con orrore che il peggio doveva ancora arrivare. Tutti i loro genitori erano stati immediatamente avvisati e alcuni di loro avevano chiesto di parlare con i propri figli mettendosi in comunicazione via camino. Albus aveva già visto sua madre arrabbiata innumerevoli volte, ma ciò che lo prese completamente alla sprovvista fu non sentirla gridare. Vederla pallida e scarmigliata nell’immagine tremolante tra le fiamme, gli occhi pieni d’angoscia e di accusa lo fece sentire tremendamente in colpa. James, alla sua sinistra, era mortalmente serio e teneva gli occhi bassi. Sua madre aveva detto loro poche parole che gli erano riecheggiate nella memoria tutto il giorno, come disegnate nelle fiamme tra cui si trovava, che si confondevano con il colore dei suoi capelli. Mi avete spaventata a morte, aveva detto con voce vibrante. Non fatelo mai più.
A urlare era stata invece zia Hermione, che aveva preteso di parlare non solo con Rose, ma anche con i suoi nipoti, e che era la ragione principale per cui quando avevano lasciato l’ufficio della preside era ormai mattino. Il colloquio di Scorpius con suo padre era durato pochi minuti, ma ne era uscito talmente pallido e tremante che Albus non aveva osato domandargli nulla.
Evidentemente, tutti e tre stavano rimuginando sugli avvenimenti di quella notte, perché uno strano silenzio carico di sottintesi era calato tra di loro.
“Tuo padre è stato molto duro con te, Scorpius?” chiese Rose, con una dolcezza nella voce che non era frequente sentirle adoperare.
Scorpius ebbe un impercettibile moto d’incertezza, poi scosse la testa. “No, niente di che. Mi ha solo detto di non mettermi nei guai, rispettare le regole e quelle cose lì. Credo si sia piuttosto spaventato, non ha mai avuto molta simpatia per le Creature Magiche, da ragazzo è stato attaccato da un ippogrifo o qualcosa del genere. Secondo me, però, è stato piuttosto contento che siamo finiti sul giornale” aggiunse, con un mezzo sorriso. “Non sembrava molto contento dell’intervento di Griffith, però…dice che passa troppo tempo da Magie Sinister per essere uno che insegna Difesa contro le Arti Oscure…”.
“Beh, meglio così” rispose Rose, interrompendo il suo abituale fiume di parole e rivolgendogli un gran sorriso. “E… grazie di tutto”. Scorpius sorrise imbarazzato, guardandola intensamente negli occhi.
Albus si sentì improvvisamente di troppo.
Uno strano malessere lo pervase. Aveva ascoltato mille volte gli sproloqui di Scorpius sul loro radioso futuro, in cui avrebbero avuto una splendida carriera appena terminata la scuola e immancabilmente sarebbero diventati una grande famiglia felice. A questi discorsi Albus aveva sempre annuito con grande entusiasmo, cercando di non far trapelare il proprio scetticismo. Ci avrebbe pensato la vita a infrangere i sogni di Scorpius. Dal canto suo, non aveva mai avuto dubbi né sul fatto che dopo Hogwarts le loro strade si sarebbero divise, perché mai e poi mai avrebbe avuto accesso alle stesse possibilità di carriera di Scorpius, né sul fatto che sua cugina potesse provare il benché minimo interesse per il suo migliore amico. A quanto pare, almeno su questo punto si era sbagliato, ma non si sentiva euforico come quando si lasciava contagiare dai sogni entusiastici di Scorpius. Non poté fare a meno di sentirsi messo da parte. Chi l’avrebbe mai detto che l’invidia fosse una sensazione tanto pungente?
“Buonanotte, Rose” intervenne, spezzando la magia degli sguardi.
“Buonanotte, ragazzi” rispose Rose, allontanandosi sotto lo sguardo trasognato di Scorpius.
“Che dici, facciamo qualche altro tentativo?” chiese Scorpius, stranamente poco loquace. Albus annuì stancamente.
Dopo qualche minuto, la totale mancanza di miglioramenti e l’assenza di Rose fecero desistere entrambi dal loro proposito. Albus era ormai rassegnato all’idea di fallire miseramente il test il giorno successivo.
Cercò di non pensare al sorriso crudele della Chapman quando avrebbe annunciato, con la vocina stridula piena di soddisfazione: “Un altro Deludente, signor Potter, e un’altra delusione per tutti noi – temo proprio che dovrò scrivere ai suoi genitori”. Ormai suo padre doveva possedere una tale collezione di lettere simili da riempirci una biblioteca.
“Sarà meglio che andiamo a dormire anche noi” sospirò, e l’amico annuì. L’adrenalina che aveva continuato a scorrere per diverse ore dopo l’incontro con il Tuono Alato era scomparsa e la stanchezza accumulata si stava facendo sentire. “Cosa sarebbe l’incidente di zia Fleur?” chiese Scorpius curioso, mentre imboccavano la strada per i sotterranei.
“Solo il preludio dell’ennesima delusione che ho dato ai miei” rispose Albus, di cattivo umore. “Non bastava essere figlio del Ragazzo-che-è-sopravvissuto, non bastava un nome ridicolo come Albus Severus, no, ci voleva anche qualcos’altro per far alzare le aspettative di tutti nei miei confronti. Così, ho dato i primi segni di magia a nove mesi, quando ho fatto esplodere in mille pezzi il carillon con le ninne nanne francesi che mi aveva regalato zia Fleur. Si offese moltissimo, a quanto mi hanno raccontato, e andò avanti a bisticciare con mia mamma per secoli…”.
“Nove mesi? Ma è prestissimo!” commentò Scorpius, stupito.
“Già. È stata l’unica volta che ho battuto Rose in qualcosa” replicò, depresso. “In realtà ho battuto anche James, lui ha compiuto la prima magia accidentale tardissimo, era già nata Lily…”
Scorpius ridacchiò. “Non mancherò di ricordarglielo la prossima volta che mi chiama Sgorbius” disse con un sorrisetto che Albus ricambiò.
“Se non sbaglio fece levitare un calderone di mia madre e me lo fece cadere in testa” continuò Albus, a cui era appena tornato alla mente un ricordo abbastanza nebuloso. Quello che ricordava distintamente era il terrore che l’aveva pervaso quando aveva visto piombare su di sé il calderone e poi una strana sensazione di calma. Una sensazione strana, indefinibile se non con il fatto che in quel particolare momento per lui valeva una legge in genere non realizzata nell’universo, che è volere è potere.
“Prima che tu possa fare battute idiote sui danni permanenti riportati dal mio cervello in seguito alla botta” riprese “ti informo che il calderone andò in mille pezzi, mamma era furiosa… Insomma, le magie accidentali sono state frequenti durante la mia infanzia, e in genere anche abbastanza eclatanti. Così la mia famiglia si era fatta l’idea che avessi qualche talento straordinario. Quando sono arrivato a Hogwarts, hanno dovuto constatare che non era così” concluse amaramente.
Scorpius parve molto colpito dal racconto. Guardò Albus con un’aria strana, come se lo stesse esaminando.
“Sai, Al”, disse meditabondo, “tua cugina potrebbe avere ragione”.
“Oh no, ti prego” gemette Albus. “Non iniziare anche tu con la teoria del talento nascosto che aspetta solo di emergere! Grindelwald” disse al serpente inciso sulla parete. Non successe nulla.
“Hanno cambiato la parola d’ordine?” chiese perplesso. Scorpius sembrava saperne quanto lui. “Devono averla cambiata ieri sera…”
“La nuova parola d’ordine è Arsenico” disse una voce alle loro spalle. “Ingrediente utilissimo in molte pozioni e veleni”. Il muro si fece da parte per aprire il passaggio davanti a loro.
“Punto numero uno, piantala di sbucare in questo modo alle spalle della gente!” sbottò Albus.
Virginia sorrise divertita.
“Punto numero due” intervenne Scorpius “come fai a sapere la nuova parola d’ordine se ieri sera eri con noi?”.
“Ma che carini” li punzecchiò Virginia, sorridendo, “ora vi completate anche le frasi a vicenda?”
“No, seriamente” insisté Albus “come fai?”
“Chi pensi che le scelga le parole d’ordine, Albus?” chiese Virginia con un sorriso ambiguo, entrando nel passaggio con il suo passo leggiadro.
“Stai scherzando!” protestò Albus, scandalizzato. “Entro quando hai intenzione di prendere possesso della scuola, di preciso?”
Virginia rise, ma non rispose. “Beh, io andrei nel mio dormitorio” disse in tono vago.
“Punto numero tre” riprese Scorpius, imperterrito. “Cosa ci facevi oggi pomeriggio con un elfo domestico?”
“Shhh!” lo zittì Virginia, allarmata.
Giusto, l’elfo domestico! Albus se n’era completamente scordato. Dopo pranzo, mentre vagavano per corridoi poco frequentati nella speranza di evitare i Grifondoro, se possibile ancora più fastidiosi del solito, e le loro insinuazioni su quanto successo la sera prima, avevano intravisto Virginia parlare amabilmente con un elfo domestico. Albus sapeva, naturalmente, che gli elfi domestici lavoravano a Hogwarts – non era possibile essere nipote di Hermione Granger e non sapere tutto quanto c’è da sapere sullo sfruttamento degli elfi domestici – ma nonostante fossero regolarmente pagati per lavorare a Hogwarts, proprio grazie a sua zia, non ne aveva mai visto uno. Continuavano a compiere il loro lavoro silenzioso nell’ombra, nelle cucine o mentre gli studenti dormivano. Albus non aveva idea di come Virginia l’avesse convinto a uscire dalle cucine, ma se c’era qualcuno che sapeva essere estremamente persuasivo era sicuramente lei.
Albus e Scorpius avevano guardato la scena a bocca aperta, ma l’elfo era scomparso nel nulla con un sonoro crac prima che avessero potuto avvicinarsi. Virginia si era allontanata in tutta fretta, e Albus e Scorpius, dopo essersi scambiati uno sguardo stralunato, avevano concordato silenziosamente di aver avuto abbastanza avventure per quel giorno.  
“Eh va bene” si arrese Virginia, con gli sguardi inquisitori di Albus e Scorpius puntati addosso. “Ora vi spiego tutto, sediamoci qui”. Presero posto sulle poltrone in pelle nera di fronte al camino nell’angolo a destra della Sala Comune, il più lontano possibile dagli altri Serpeverde.
“Sto facendo delle ricerche sull’aspetto più primitivo e innato della magia, quella dei maghi antichi, quella dei bambini maghi prima che imparino a controllarla” sussurrò Virginia. “Sapete che Albus Silente era in grado di compiere alcuni tipi di incantesimi senza l’ausilio della bacchetta? Così, ho pensato di analizzare più da vicino i Senza Bacchetta più accessibili a noi, gli elfi domestici”.
Albus la guardò pieno di interesse. Non gli era mai venuto in mente che gli elfi domestici possedessero un tipo di magia che ai maghi era preclusa.
Scorpius, invece, era sbiancato. “Vì, sarai anche la cocca della McGonagall, ma se ti beccano a sperimentare sugli elfi domestici altro che espulsione, finisci dritto ad Azkaban!”
“Ma per chi mi hai preso!” protestò Virginia, indignata. “Gli ho solo fatto qualche domanda! Ma vi pregherei di non, ehm, pubblicizzare la cosa”.
Albus smise di seguire il battibecco tra lei e Scorpius. Qualcosa nelle parole della ragazza l’aveva colpito, ma non riusciva a identificare cosa fosse. Rimase affascinato dall’idea di una Magia istintiva, primordiale, posseduta dai Senza Bacchetta… Ripensò alla sensazione provata da piccolo, quando aveva fatto esplodere il calderone.
Le risate dei suoi due compagni lo riportarono al presente. Scorpius stava raccontando a Virginia gli incidenti causati da Albus durante l’infanzia.
“E così, James Potter non ha dato segni di magia fino a sei anni e mezzo, eh?” ghignò Virginia. “Interessante”. 
“Virginia, raccontaci una di quelle storie su Serpeverde!” trillò una ragazzina del primo anno saltellando verso di loro con aria speranzosa. Diversi suoi coetanei annuirono eccitati.
“Un’altra volta, Emily, è già molto tardi ed è ora che andiate nei vostri dormitori” rispose Virginia, accarezzandole i capelli scuri.
“Dai, per favore” insistette Emily con voce innocente. “Non è poi così tardi, e abbiamo già finito i compiti…”.
“E va bene” cedette Virginia, rassegnata, sedendosi con un sorriso in mezzo ai marmocchi.
“C’erano una volta quattro maghi di straordinario talento. I loro nomi erano Godric Grifondoro, Tosca Tassorosso –”
“Quanto la prendi alla larga, Vì!” commentò Albus alzando gli occhi al cielo. “E meno male che dovevano andare a letto presto! Faranno l’alba se ogni volta riparti dai Fondatori…”
Virginia lo fulminò con un’occhiata. “È necessario” rispose seccamente “perciò siediti in silenzio e ascolta”.
Albus si sedette suo malgrado. Anche se conosceva a memoria i racconti di Avery, bisognava ammettere che c’era qualcosa di ipnotico nella sua voce. Le storie erano sempre le stesse: i quattro Fondatori e un’epoca perduta in cui a Hogwarts regnava l’armonia; ex-Serpeverde che avevano fatto cose grandiose, nel bene e nel male; e poi le Guerre Magiche, il ruolo cruciale di Snape, la scelta del professor Lumacorno e di pochi altri, le schiere infinite di Mangiamorte. Virginia parlava della propria Casa con passione, ma anche con una lucida accuratezza storica che non mancava di fargli venire i brividi.
I Mangiamorte avevano scelto di essere malvagi, questo cercava di inculcare Virginia ai suoi compagni di Casa. Si può scegliere la propria strada, anche se si è Serpeverde.
Albus la ascoltò più attentamente del solito, quella sera. Erano passati secoli dall’ultima volta che era rimasto ad ascoltarla. Gli erano sempre sembrati discorsi vuoti; riportare l’armonia a Hogwarts, sconfiggere il pregiudizio (peraltro estremamente fondato e basato su prove quasi schiaccianti) che voleva tutti i Serpeverde destinati all’oscurità, per Albus era un progetto disperato, lo vedeva nella sua stessa famiglia.
Pensando a come Virginia li avesse salvati, la sera prima, non riusciva più a vederle solo come parole vuote. Molti ragazzi si erano fermati ad ascoltarla, irretiti dal suo modo di raccontare malgrado la patina di indifferenza e scetticismo, mentre i più piccoli la ascoltavano rapiti. Sabina Greengrass rivolse loro un’occhiata di ostentato disgusto e marciò verso il suo dormitorio con il naso in su, seguita affannosamente da una ragazza senza personalità che si chiamava Elizabeth, o forse Eleanor.
“Quella non era un’amica di Virginia?” sussurrò a Scorpius.
“Eliza? Non più” rispose l’amico, che venne brutalmente azzittito dalla bambina di nome Emily.  
Erano finalmente arrivati a una delle cantilene che concludevano ogni storia. Conoscere è un dovere; comprendere una necessità; ignorare una colpa.
Emily tirò una manica a Virginia, facendola abbassare per non farsi sentire, mentre gli altri ragazzi si disperdevano. “Speravo fosse una di quelle storie in cui dici: le colpe dei padri ricadono sui figli, nasciamo con le mani macchiate di sangue. Speravo me lo spiegassi bene” disse piano.
Virginia le sorrise affettuosamente. “Un’altra volta, Emily, promesso. Ne parliamo solo io e te, ok? Ora vai a dormire”.
Albus continuò a pensare a lei, una volta salito in dormitorio. Riportò la conversazione a Scorpius, parlando sottovoce da un letto all’altro.
“Com’è possibile che a una bambina tanto minuscola interessi una frase così inquietante?” domandò perplesso. “È una frase che non ho mai capito, tra l’altro”.
“Io non mi stupirei tanto” sussurrò Scorpius. “Non mi aspetto che per te sia facile da capire, Al, ma tieni presente che quella bambina si chiama Emily Rookwood”.
Albus rimase un momento in silenzio, mentre il nome faceva scattare collegamenti nella sua memoria.
“Il padre…?”
“Lo zio”.
Albus non disse nulla. Sapeva che Scorpius pensava al Marchio Nero che marchiava indelebilmente l’avambraccio del padre.
“Scorpius” chiamò, esitante. “Cosa ti ha detto davvero tuo padre, oggi?”
Quando Scorpius rispose, aveva la voce rotta. “Mi ha detto che ha già perso la mamma una volta, e non la vuole perdere di nuovo”.
Albus si sentì profondamente ingrato.
 
 
 
N.d.A.
 
So di essere estremamente in ritardo con gli aggiornamenti, scusatemi! In questo periodo sono molto impegnata e i capitoli arriveranno un po’ a sorpresa, non me la sento di promettere la regolarità della scorsa primavera. In compenso ho due buone notizie per voi. La prima è che sto anche scrivendo una storia per un contest, appena la pubblico vi lascio il link; la seconda è che i prossimi due capitoli di questa sono già quasi pronti, quindi non dovrete aspettare altri mille anni!
Unica nota inutile: “Pozioni Avanzate” è il libro di Pozioni che Harry usa al sesto anno e di cui eredita la copia di Piton. Considerando che senza i preziosi appunti del Principe Mezzosangue è impossibile preparare una pozione decente, mi sembra chiaro che sia un libro di testo fondamentalmente inutile e che Scorpius lo stia leggendo solo per non mettersi in mezzo tra Rose e Albus.  
Questo capitolo naturalmente si ricollega al terzo, in cui Hermione si stupiva delle conoscenze storiche dei Serpeverde. Nel caso a qualcuno il nome non dica nulla, Rookwood era un Mangiamorte.  
Come sempre vi ringrazio e vi invito a lasciare un commento, mi fa sempre molto piacere sentire le vostre opinioni e mi aiuta tantissimo.
A presto! 

 

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Capitolo 10
*** X ***


Capitolo X
 

Qualche settimana dopo l’incidente del Tuono Alato, nuovi pettegolezzi avevano preso il suo posto. L’intera faccenda era uscita dai pensieri della maggior parte degli studenti, con due sole eccezioni.
James, a sentire Lily, ripeteva ossessivamente le sue accuse contro Virginia a ogni allenamento, ammonendo tutti i membri della squadra a tenersi alla larga da lei nella convinzione che avrebbe sicuramente tentato di sabotarli durante Grifondoro-Corvonero.
La seconda eccezione era Albus. Chi aveva tranciato quelle corde, e con quale scopo?
A differenza di suo fratello, Albus si teneva le proprie domande per sé. Non essere più sulla bocca di tutti era un sollievo. Ora che tutto era tornato alla normalità, lui e Scorpius erano tornati a essere ignorati da tutti come sempre.
Non proprio da tutti, a dire la verità. Qualcosa era cambiato. Nel vedere il posto vuoto di fronte a sé, Albus realizzò improvvisamente che aveva iniziato a dare per scontata la presenza di Virginia al loro tavolo.
“Strano” commentò Scorpius, che evidentemente stava pensando la stessa cosa. “Non è da lei essere in ritardo a colazione”.
Proprio in quel momento, Virginia arrivò trafelata tenendo tra le mani un enorme tomo dalle pagine ingiallite. Sbatté il libro sul tavolo e si sedette al proprio posto senza nessuna grazia, sbuffando. L’intera scena era talmente anomala che Albus non poté esimersi dal domandare, con voce incerta:
“Tutto bene, Vì?”
Virginia gli rivolse un’occhiata contrariata e attaccò ferocemente un pancake con la forchetta.
“Sono stata in biblioteca” annunciò, come se questo spiegasse tutto. In effetti, sembrava che Scorpius avesse colto implicazioni a lui misteriose, perché rispose, in tono comprensivo:
“Ancora niente?”
“Niente di niente, ho cercato per ore” borbottò Virginia.
L’unico commento che si affacciava alla mente di Albus era di natura ben diversa.
“Hai cercato per ore? A che ora sei andata in biblioteca, alle sei di mattina?” domandò, sconcertato. “E comunque cosa stavi cercando, Nicolas Flamel?”
Cercare Nicolas Flamel era un’espressione di casa Potter-Weasley per indicare una ricerca impossibile. Qualche volta, poteva anche indicare una ricerca apparentemente impossibile che si rivelava poi essere una banalità, come quando si cerca freneticamente la bacchetta per poi accorgersi di averla in mano.
“Lasciate perdere” commentò, notando che Virginia e Scorpius lo guardavano straniti. “Insomma, cosa stavi cercando?”
“Ti ricordi quando ti ho raccontato della lezione in cui Griffith ha detto che avremmo saltato i Dissennatori? Da quel momento non sono più riuscita a togliermelo dalla testa” rispose Virginia, abbassando la voce.
“Ma è successo mesi fa!” replicò Albus, strabuzzando gli occhi. Virginia ignorò il suo intervento e riprese a parlare.
“Dopo la lezione, ho deciso che avrei approfondito l’argomento per conto mio. Non mi sono messa a cercare subito, però, perché ero molto impegnata con la preparazione della Felix Felicis per Pozioni e con i temi di Cura delle Creature Magiche. Appena ho avuto del tempo libero, però, sono andata in biblioteca”.
“D’altronde, non potevi certo permetterti una lacuna così profonda nella tua istruzione” commentò Albus, serio. Con la coda dell’occhio, vide Scorpius nascondere la bocca dietro al tovagliolo per camuffare una risata.
Dal momento che Virginia era estremamente permalosa, non si poteva mai sapere come avrebbe reagito alle battute di Albus. Questa volta, il risultato fu una comica unione di un’occhiataccia e un sorriso.
“Esattamente” rispose, sorniona. “Il nostro libro di testo liquida l’argomento in poche pagine e in biblioteca non sono riuscita a trovare una singola riga di approfondimento sui Dissennatori. L’unico riferimento che sono riuscita a trovare è questo”. Aprì il libro che si era portata dietro e indicò una frase perché Albus la leggesse. Per uno studio più approfondito dei Dissennatori si rimanda all’opera di Tarquinus il Sagace del 1628.
“Ho controllato e si trova nella Sezione Proibita” sospirò Virginia, con aria sconfitta. “La cosa veramente strana è che io sono sicura che fino all’anno scorso c’erano altri libri in biblioteca su questo tema. Penso che Griffith li abbia fatti spostare nella Sezione Proibita…”.
“E perché avrebbe dovuto fare una cosa del genere?” domandò Scorpius, perplesso. Virginia scosse la testa.
“Non lo so, ma si è comportato in modo decisamente anomalo in quella lezione. Comunque, non mi firmerà mai un permesso per andare nella Sezione Proibita, e non vedo come posso chiederlo a un altro insegnante senza che lui lo venga a sapere, dato che si tratta della sua materia” concluse tristemente. “Ma lasciamo perdere. Di cosa stavate parlando prima che arrivassi?”
“Io e Al discutevamo di come moriremo soli e infelici” rispose Scorpius in tono leggero.
“Tu morirai solo e infelice, Scorpius” ribatté Albus, in tono lugubre. “Io verrò rifiutato da tutte le ragazze carine e finirò per sposare qualche tua cugina orrenda e Purosangue solo per innervosire i miei genitori!”.
Scorpius rise, mentre Virginia alzò gli occhi al cielo.
“Scorpius, sei bello, intelligente, ricco e l’unico erede dei Malfoy. Non c’è speranza che tu muoia solo, neanche se continui a impegnarti come hai fatto finora” affermò in tono pratico. Scorpius sgranò gli occhi e rimase a fissarla con la bocca semiaperta e la forchetta a mezz’aria.
“Albus, tu sei un Potter; farai come tutti i Potter e sposerai una rossa che ti comanda a bacchetta e che assomiglia tremendamente a tua madre!” proseguì imperterrita con lo stesso tono pragmatico.
“C’è solo un piccolo problema” borbottò Albus, “tutte le ragazze con i capelli rossi a Hogwarts sono mie parenti!”.
Stavolta Scorpius e Virginia scoppiarono a ridere insieme. Dopo poco Albus si unì a loro, incapace di tenere il broncio.
“Tu invece, Vì?” chiese Albus, quando furono tornati seri. “Si dice che hai ridotto in lacrime Michael Bronn quando ti ha chiesto di uscire”.
Virginia fece spallucce. “Se l’è cercata” rispose laconicamente.
“Si dice anche che hai un innamorato segreto” insistette Albus.
“Io so chi è” intervenne a sorpresa Scorpius, mortalmente serio. “È Salazar Serpeverde risorto dai morti!”.
 
“Che hanno tanto da ridere quei tre?” chiese James, scrutando il tavolo dei Serpeverde con espressione sospettosa.
“Scorpius è buffo” rispose Rose sovrappensiero.
“Scorpius? Da quando tu e Malfoy vi chiamate per nome?” esclamò James con aria allarmata. Vedendo l’espressione del cugino, Rose si rese rapidamente conto di aver fatto un passo falso, e si affrettò a riempirsi la bocca di patate al forno per evitare di rispondere.
“Passi molto tempo con loro, Rose” commentò Molly in tono insinuante.
“Passo molto tempo con Albus” rispose Rose, piccata, “non posso impedire ai suoi amici Serpeverde di stargli intorno, ma non significa che siano miei amici”. La risposta sembrò soddisfare i suoi cugini, che cambiarono argomento.
 
*
 
Erano quasi le undici quando Virginia rientrò; la Sala Comune di Serpeverde era semideserta. Solo gli studenti del quinto e del settimo anno erano ancora svegli a studiare.
Nel solito tavolo in un angolo trovò Scorpius chino su una pergamena, su cui stava scrivendo con la sua grafia minuscola e fittissima. Di fianco a lui, Albus aveva la testa appoggiata sul tavolo, semiaddormentato. “Scorpius, che fai a quest’ora?” gli chiese, sedendosi di fianco ad Albus.
“Il tema di Trasfigurazione!” rispose Scorpius entusiasticamente, senza alzare gli occhi dal suo lavoro.
“Ma se l’hai finito ieri!”.
“Sì, ma questo è quello di Albus” rispose pazientemente Scorpius, come se stesse spiegando qualcosa di ovvio. Succhiò la penna con aria distratta e aggiunse un altro paragrafo.
“Albus!” esclamò Virginia indignata, sbattendo un libro sul tavolo proprio di fianco al suo orecchio. Albus si tirò a sedere sobbalzando e la guardò con odio.
“Non è sfruttamento, Vì” biascicò, con la voce impastata per il sonno, “a lui piace fare i compiti al posto mio!”. Virginia spostò lo sguardo da uno all’altro, incredula.
“Trasfigurazione è la mia terza materia preferita!” confermò Scorpius allegramente. “E poi non ci beccheranno mai, non ho solo ricopiato il tema, l’ho riscritto adottando una prospettiva completamente diversa! Ora che ci penso, è molto più bello del primo che ho scritto, possiamo scambiarli, Al?”.
“Fa’ come ti pare” borbottò Albus, riappoggiando la testa sul tavolo ma senza più chiudere gli occhi.
Virginia sospirò. “Ci rinuncio, Albus, fai come vuoi, ma tra poco è Natale e gli esami si avvicinano”. L’espressione di Al si incupì ancora di più. “Esami e Natale tutto in una sola frase! Vuoi farmi venire gli incubi?” protestò.
Virginia gli rivolse un’occhiata perplessa.
Albus sembrò riscuotersi per un’idea improvvisa. “Ehi, Scorpius, che ne dici se quest’anno rimaniamo a Hogwarts per Natale? Magari riesco a convincere i miei” propose con un sorriso speranzoso.
Scorpius scosse la testa.
“No, voglio stare con mio padre. È il primo Natale senza la mamma e non voglio che lo passi da solo” disse malinconicamente. Virginia vide gli occhi verdi di Albus riempirsi di tristezza.
“Scusa, non ci avevo pensato” sussurrò. “E tu Vì cosa fai per Natale?” le chiese con falsa allegria.
“Torna a casa mio padre, permesso di uscita speciale da Azkaban” rispose Virginia. Scorpius aveva finito di scrivere il suo tema – tre pergamene e mezzo – e sia lui che Albus la guardarono con l’aria di non saper bene cosa dire.
“Ed è una cosa positiva o negativa?” chiese infine Albus.
“Al!” protestò Scorpius, scandalizzato.
Virginia fece spallucce. “Non è così male. Mamma è contenta di rivederlo. Ma è strano, come avere un estraneo che gira per casa”.
“Siamo proprio una compagnia allegra!” commentò Scorpius, strappando a entrambi una risata.  
“Eppure ad Albus piace lamentarsi del suo Natale” aggiunse amaramente Virginia. Si sentì cattiva per averlo detto, ma non se ne pentì. Qualcuno doveva pur farlo. Non si rendeva conto di quanto era fortunato?
 
 
 
 
 
 
 
 
N.d.A.
 
Innanzitutto, grazie a tutti voi che seguite e commentate, siete sempre di più. Nel caso qualcuno stesse seguendo anche “Trilogia degli orfani”, vi annuncio che ho aggiornato anche quella.
Non ho particolari note, il capitolo è molto breve perché è di transizione: nel prossimo iniziano le vacanze di Natale.
A presto :)
Thalassa_

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Capitolo 11
*** XI ***


Capitolo XI
 
“Papà, posso parlarti un attimo?”
Harry sospirò. Sapeva già cosa voleva chiedergli Albus. La stessa cosa che chiedeva incessantemente ogni estate e ogni Natale e ogni Pasqua.
“Possiamo invitare –“
“No, non possiamo” lo interruppe stancamente. “E sai benissimo perché”.
Albus si imbronciò. “Perché le vacanze sono un tempo per la famiglia” recitò con una smorfia.
“Esattamente” rispose Harry.
Non gli piaceva l’espressione cupa del suo secondogenito. Non che abitualmente fosse l’allegria in persona, ma negli ultimi tempi Albus sembrava più sereno, gliel’aveva scritto anche Neville via gufo. Harry sperava di approfittare delle vacanze per “coltivare la loro relazione padre-figlio”, come aveva caldamente suggerito Ginny con uno sguardo particolarmente fiammeggiante.
Albus fece per andarsene, ma Harry lo trattenne prendendolo gentilmente per le spalle.
“Albus, ascoltami un attimo” disse, guardandolo negli occhi. Non era bravo come Ginny a fare questo genere di discorsi, ma aveva lasciato tante, troppe volte a lei il compito di parlare, e questo aveva creato un distacco con il secondo dei suoi figli che Harry aveva paura non si potesse più colmare. Il solo pensiero gli fece venire un groppo in gola.
Albus lo stava guardando, in attesa, occhi verdi in occhi verdi. Guardare suo figlio era come guardare uno specchio che lo riportava a quando aveva lui quindici anni, riportando alla luce ogni sorta di ricordi, piacevoli e spaventosi, divertenti e tristi. Albus aveva i suoi capelli neri, forse solo appena più lisci e ordinati, la sua statura, il suo naso e i suoi occhi; ma quasi nient’altro.
Era circondato di amore quanto Harry era stato bisognoso di affetto, eppure lo rifuggiva; era sfuggente, chiuso, non alzava mai la voce – i muri della Tana se la ricordavano, la voce di Harry, quando aveva quindici anni e sbraitava contro le ingiustizie del mondo; aveva un umorismo ironico e tagliente, e Harry lo adorava, suo figlio, tanto diverso, tanto complicato e incomprensibile, suo figlio. Ma di tutte le cose che avresti potuto prendere da me, Al, pensò Harry, amareggiato, proprio le manie di persecuzione?
Albus lo guardava perplesso, e Harry si rese conto di non aver detto nessuna di quelle cose ad alta voce.
Ce la posso fare, pensò Harry, costringendosi a parlare, a dire qualcosa, qualsiasi cosa, per rompere quel silenzio terribile tra loro.
“Albus, lo so che pensi che il mondo intero ce l’abbia con te. Non mi interrompere finché non ho finito” lo ammonì, perché Al aveva già aperto la bocca per ribattere. Con suo enorme stupore, Al ubbidì.
“Ti assicuro che non è così. Io e tua madre non abbiamo nessun tipo di preferenze e vogliamo bene a ognuno di voi tre piccole pesti allo stesso modo. So anche che non ti trovi bene con tutti i tuoi cugini, che James a volte è un tormento, e che vorresti avere un amico qui. Ma non si può, perché come hai detto giustamente tu, le vacanze sono un tempo per la famiglia. Vi vediamo pochi mesi l’anno, e vogliamo passare più tempo possibile con voi. A Hogwarts hai tutto il tempo a tua disposizione da passare insieme a chi più ti aggrada. Perciò credimi quando ti dico che non è una questione personale, e ti dirò di più” Harry prese un bel respiro “Scorpius mi sta persino simpatico”.
Al sembrava paralizzato dallo shock, e Harry sorrise nel vedere la sua reazione. Cosa credeva? Che il suo sogno proibito fosse mangiarsi l’intera famiglia Malfoy per cena?
“Ma le regole valgono per tutti, senza eccezioni, e la regola ‘niente ospiti’ diventa particolarmente importante alla Tana: siamo già abbastanza così, senza che ognuno di voi inviti qualcuno, ti pare? Immaginati la stanza di là, che sta già esplodendo, se dovessimo ospitare le amiche di Lily e gli scapestrati compagni di malefatte di tuo fratello…” concluse scherzosamente.
Per un lunghissimo momento Al lo guardò negli occhi con un’espressione indecifrabile, poi si lanciò in avanti e lo abbracciò forte come non faceva da anni.
 
 
“Zia Herm!” esclamò James trafelato, entrando in cucina. “Zia Herm, mi serve...”.
“Sai, James” lo interruppe Hermione, visibilmente irritata “a parte te, l’unica persona di mia conoscenza a non essere in grado di pronunciare il mio nome per esteso è Grop. Non fa molto onore alla tua intelligenza”.
James si imbronciò. Non appena Albus vide l’espressione sul volto di suo fratello, sapeva che qualsiasi resistenza sarebbe stata vinta. Il guaio, con James, era che nessuno sembrava veramente in grado di dirgli di no – specialmente quando sfoderava la sua migliore aria imbronciata.
“Dai, zietta” supplicò James “nessuno mi vuole aiutare con il tema di Trasfigurazione, e se anche papà volesse aiutarmi non credo che il suo contributo varrebbe quanto il tuo… Dopotutto, sei sempre stata la migliore del tuo anno a scuola, lo sappiamo tutti, sono certo che ti ricordi ancora ogni dettaglio di Trasfigurazione Avanzata…”
“James” lo interruppe zia Hermione, severa. “Credi davvero che il capo del Wizengamot ceda così facilmente alle tue lusinghe?”
“Precisamente” rispose James, con un sorriso beffardo. Zia Hermione sorrise suo malgrado.
“E va bene” concesse. Albus distolse lo sguardo, disgustato. L’ennesimo capriccio di James era stato esaudito. L’unico pensiero che lo consolava era la certezza che zia Hermione, anziché alleggerirgli il lavoro, gliel’avrebbe reso tre volte più complesso.
“Mettiamoci subito al lavoro” esclamò Hermione mettendosi a sedere con espressione soddisfatta. Con un incantesimo di Appello richiamò pergamena, inchiostro e almeno tre tomi dall’aria ben più minacciosa di Trasfigurazione Avanzata sotto gli occhi pieni di terrore di James.
“Sembra proprio che io sia arrivato per portarti via al momento giusto, Al” disse Ron. Albus si voltò per salutarlo e notò che stava fissando i libri sul tavolo con uno sguardo molto simile a quello del nipote. “Insomma, Hermione… siamo a Natale! Cosa credi di fare con quelli?”
“È stato James a chiedermelo” replicò Hermione, pungente. James annuì con aria ben poco convincente.
“Bene, allora se sei pronto possiamo andare” disse Ron rivolgendosi ad Albus. “Mi serve una mano con un affare a Diagon Alley, Harry mi ha detto che ti avrebbe fatto piacere venire…” aggiunse un po’ impacciato.
“Sono pronto” rispose Albus con un sorriso.
 
Albus era contento di passare un po’ di tempo da solo con zio Ron; era sempre stato il suo zio preferito, e per una volta suo padre aveva avuto una buona idea. Ron era l’unico che potesse capire la sua sensazione di vivere all’ombra di James, con i conseguenti tormenti interiori che derivavano dall’amore-odio che provava per il fratello.
Zio Ron lo capiva, non lo giudicava, gli raccontava un sacco di storie divertenti su sé stesso e suo padre, ed era sempre sincero; non nascondeva il suo disappunto per il fatto che Albus fosse finito a Serpeverde, ma almeno non lo trattava come se avesse una malattia rara o se fosse un segreto di cui non era bene parlare in pubblico. Anche zia Hermione non gli dispiaceva, ma lo stressava troppo perché studiasse di più, e c’era già Rose per quello.
“Allora, Albus, quest’anno ci sono gli G.U.F.O., eh?” gli chiese suo zio con aria di compatimento, dandogli una pacca sulla spalla.
“Dal canto mio, non vedo l’ora che tu e Rose li passiate” aggiunse, in tono confidenziale, “tua zia e tua cugina mi stanno uccidendo, nelle lettere di Rose c’è così tanta ansia che quando le leggo vado in iperventilazione, e Hermione si comporta come se gli esami dovessimo sostenerli noi due”.
Albus ridacchiò.
“Rose è in perenne competizione con sua madre” spiegò “è andata a vedere i risultati di zia Hermione ai G.U.F.O., e ha scoperto che l’unico modo che ha di batterla è di prendere tutte E, perciò è nel panico”.
Ron alzò gli occhi al cielo.
“Ottimo, quindi mi toccherà consolarla se prende anche solo una O! Per fortuna, Hugo è nato normale…”. Albus sorrise. “Non mi fraintendere” aggiunse Ron “non avrei passato neanche mezzo esame se non fosse stato per tua zia, e anche tu dovresti essere grato di avere Rose. Ma c’è un limite a tutto – l’altra notte ho avuto un incubo in cui la McGonagall mi convocava a Hogwarts dicendomi che dovevo ripetere tutti i miei esami davanti alla corte marziale del Wizengamot!”. Albus rise, e annuì con comprensione.
“Rose e Scorpius mi stanno facendo diventare matto” confessò “voglio dire, vado in libreria e c’è Rose che studia, vado in Sala Comune e c’è Scorpius che studia, non so più dove nascondermi!”. Risero insieme. “Albus, ti do un compito molto importante” disse Ron in tono serio, guardando il nipote negli occhi “vigila sulla sanità mentale di mia figlia. Se la vedi studiare più di otto ore al giorno, ti autorizzo a darle di nascosto un Preparato Sonno Istantaneo”.
“Lo farò” promise Albus.
“Ci conto” disse Ron “e se puoi, manda ogni tanto un gufo a Hermione dicendogli che Rose è preparatissima o cose del genere, magari si dà una calmata. Quando cerco di tranquillizzarla, mi risponde cose tipo ‘l’istruzione è una cosa seria, Ron, ma non mi aspetto che tu lo capisca’ o ‘solo perché tu non hai concluso la scuola, Ron, non significa che nostra figlia debba seguire il tuo esempio’, così ci ho rinunciato e mi limito ad annuire a tutto quello che dice”. Albus lo guardò interessato.
“Tu e mio padre non avete mai finito la scuola, giusto? Non vi ho mai chiesto cosa sia successo, beh, dopo la guerra”.
“A nessuno interessa molto cosa sia successo dopo la guerra” commentò Ron saggiamente. “Beh, come sai abbiamo saltato l’ultimo anno di scuola per andare a caccia di Horcrux, ma niente di meno che Voldemort risorto dai morti avrebbe potuto tenere tua zia lontano da Hogwarts per un altro anno. Le servivano i NEWT, sai, per la carriera al Ministero che aveva in mente, e comunque non penso avrebbe potuto convivere con sé stessa pensando di non aver concluso la propria educazione. Naturalmente, cercò di convincere in tutti i modi me e Harry a fare lo stesso”. Alzò gli occhi al cielo.
“All’epoca eravamo fidanzati, e mi assillava continuamente perché tornassi con lei per l’ultimo anno. Per me e Harry non era così importante, naturalmente; volevamo entrambi diventare Auror, e avevamo acquisito una certa esperienza sul campo che sapevamo valere ben più di un M.A.G.O. in Incantesimi”.
Albus lo ascoltava rapito.
“Normalmente, per diventare Auror servono ottimi voti ai M.A.G.O. e tre anni di addestramento a cui si accede con un test di selezione. In quel momento, però, era passato a malapena un mese dalla caduta di Voldemort, e c’era bisogno di un piano d’azione immediato per incastrare tutti i Mangiamorte conosciuti, cercare quelli in fuga, riportare i giganti nelle loro terre, insomma, un sacco di lavoro urgente e pericoloso. Kingsley – Kingsley Shacklebolt – era appena diventato Ministro della Magia, e disse a Harry che non aveva certo bisogno di un addestramento, dopo tutto quello che aveva passato, e che poteva diventare un Auror seduta stante. Sarebbe stato affiancato ad Auror più anziani che gli avrebbero insegnato man mano tutto il necessario. Era una decisione saggia, perché c’era bisogno di tutto l’aiuto possibile in quel momento, e sapeva che Harry non se ne sarebbe stato in disparte mentre altri combattevano.
Tuo padre era entusiasta, e accettò subito, naturalmente. Poi disse a Kingsley che aveva sempre combattuto con me al suo fianco, che ero coraggioso e capace e che garantiva lui per me. Dopotutto anch’io avevo cercato gli Horcrux, combattuto Voldemort, eccetera eccetera.
Kingsley mi conosceva di persona, sapeva che non ero eccezionale come Harry, ma si lasciò convincere. Disse che avrebbe fatto un’eccezione anche per me, ma che non poteva estendere l’invito a nessun altro dei nostri amici, per quanto coraggioso fosse – in tempo di guerra non importa molto quanti anni hai e cosa hai studiato, ma solo se sei pronto a combattere o no; in tempo di pace però subentrano una quantità incredibile di scartoffie da compilare e cavilli da seguire, e Kingsley era pur sempre Ministro. Comunque, tutti facevano volentieri qualche eccezione per il Ragazzo-Che-è-Sopravvissuto.
Il nostro sogno si sarebbe realizzato: io e Harry saremmo stati Auror, avremmo combattuto a fianco a fianco, per la prima volta senza essere considerati dei ragazzini. Era l’occasione della mia vita”.
Ron fece una breve pausa, lo sguardo perso. “Rifiutai”.
“COSA?” esclamò Albus incredulo, preso alla sprovvista. Ron sorrise.
“Rifiutai” ripeté, con più convinzione. “Sapevo che se avessi accettato, non avrei mai ottenuto il rispetto degli altri Auror. Non sarei mai stato trattato come un adulto e un professionista. Avrebbero detto che ero lì solo perché ero il migliore amico di Harry, e avrebbero avuto ragione, Al.
Così rifiutai, e in attesa di scegliere cosa fare della mia vita andai a lavorare da George ai Tiri Vispi Weasley. Fred – tu non l’hai conosciuto, Albus, ma Fred e George insieme erano una forza della natura – era appena mancato, e George aveva bisogno di una mano in negozio.
Non che gli mancassero assistenti, naturalmente – gli affari andavano a gonfie vele – ma pensavo che avere vicino qualcuno di famiglia gli avrebbe fatto bene. Lavoravo con mio fratello, guadagnavo bene, il negozio era uno spasso e finalmente vedevo volti allegri dalla mattina alla sera”. Ron guardò Albus negli occhi. “Riesci a vedere il problema, Al?”.
“Zia Hermione” rispose Albus in un sussurro.
Ron annuì con aria grave.
“Zia Hermione” confermò. “Lei ormai era a Hogwarts, e prima della partenza le avevo detto genericamente che avevo avuto una grossa opportunità e che sapevo quello che facevo nel lasciare definitivamente la scuola. Quando le arrivò la notizia che lavoravo ai Tiri Vispi Weasley, diede di matto. Mi mandò una Strillettera al giorno per settimane”. Albus lo guardò con un misto di orrore e compatimento.
“E così, la mia ragazza era a Hogwarts a costruire il suo brillante futuro, collezionando E, ed era infuriata con me. Il mio migliore amico era diventato un Auror, era spesso in missione e non nascondeva la sua delusione per il mio rifiuto. Lavorare in negozio era più stressante di quanto mi fosse sembrato all’inizio, e George stava passando un brutto periodo di depressione, così ero io a sobbarcarmi della maggior parte del lavoro. Ma non era solo questo.
Lavorare ai Tiri Vispi mi piaceva, ma non era il lavoro che volevo fare per tutta la vita.
Tutti i miei amici dell’Esercito di Silente sembravano aver trovato la loro strada, inebriati dall’improvvisa libertà che si respira solo dopo una guerra.
Neville si poteva finalmente dedicare a tempo pieno alla sua passione per l’Erbologia, Seamus era all’estero. Luna e Ginny erano a Hogwarts, ovviamente, per il loro settimo anno, e iniziavo a pentirmi di non esserci tornato anch’io.
Così decisi di fare due cose che non avevo mai fatto prima in vita mia: mettermi a studiare e credere nelle mie capacità. Mi allenai in segreto, senza dire niente a nessuno, dopo il lavoro; studiavo fino a tarda notte. Soprattutto, mi Smaterializzavo in continuazione, finché non fui sicuro che non mi sarei mai più Spezzato. Mi confidai solo con Bill, che mi era stato vicino l’anno precedente nel periodo più brutto della mia vita, e mi aiutò con le sue conoscenze da Spezzaincantesimi e la sua esperienza nell’Ordine. Lavorai duramente. Avevo perso la sessione di settembre, ma a febbraio c’era un’altra data. Mi presentai al test di ammissione per diventare Auror”.
Albus stava ascoltando suo zio con gli occhi sgranati.
“Non avevo le credenziali scolastiche necessarie, ma mandai un gufo alla McGonagall chiedendole una lettera di presentazione –  fu brutalmente sincera, come sempre, ma evidenziava i miei punti di forza – e il mio rifiuto aveva fatto un’impressione favorevole su Kingsley qualche mese prima, così mi ammisero al colloquio e al test. Lo passai”.
Il sorriso di soddisfazione di Ron brillava come se quello che stava raccontando fosse successo il giorno prima. Albus sapeva che Ron era stato Auror, ma questo non gli aveva impedito di seguire la storia con il fiato sospeso.
“E poi?” chiese, guardando suo zio con ammirazione, come se non l’avesse mai conosciuto veramente prima. Ron sorrise con una scrollata di spalle.
“E poi iniziai i tre anni di addestramento. A volte ci portavano sul campo, e lavoravo insieme a Harry. Quando diedi la notizia a casa, mia madre – nonna Molly – scoppiò a piangere e disse che non era mai stata così fiera di me in vita sua; George si congratulò con me pensando fosse lo scherzo più riuscito dell’anno, e mi servì la testimonianza di Bill per convincere i miei fratelli e mio padre che ero serio.
A San Valentino mi presentai a Hogsmeade per fare una sorpresa a Hermione, e lei fu così contenta che mi chiese di sposarla” ammise, leggermente imbarazzato. Albus scoppiò a ridere.
“Ah beh, tanto sapevamo entrambi che sarebbe stata lei a fare la proposta, io non avrei mai trovato il coraggio. E così ho ottenuto il lavoro dei miei sogni, la moglie dei miei sogni e due bellissimi bambini. E tutto questo, Al” gli puntò contro un dito ammonitore “perché ho avuto una briciola in più di fiducia in me stesso il giorno del test, quando nel panico pensavo di non presentarmi. Solo un pizzico di fiducia in me stesso”.
Albus sorrise. Ron era decisamente il suo zio preferito.
 
 
 
N.d.A.
Ciao a tutti, cari lettori che ancora non hanno desistito dai miei (ormai) proverbiali aggiornamenti ballerini!
Posso solo dire a mia discolpa che finalmente mi sono laureata, perciò ultimamente non ho avuto un attimo di respiro.
Ringrazio in particolare Guido per i suoi commenti puntalissimi che mi hanno fatto scoprire un bel po’ di imprecisioni.
Spero che il capitolo vi piaccia, ci sentiamo la prossima settimana :)
Thalassa_

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