Maven l'arciere

di Theredcrest
(/viewuser.php?uid=186135)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incipit ***
Capitolo 2: *** Riunione di famiglia ***



Capitolo 1
*** Incipit ***


"E' la vita e non la morte che non conosce pietà."

Maven guardava malinconica la pioggia fuori dalla finestra sbarrata, in una cella che puzzava di vino, piscio e fieno. Nonostante il giaciglio fosse stato cambiato da poco, era più che sicura che in quella cella fossero passati così tanto ubriachi che le pareti si dovevano essere impregnate dei loro umori, e si stupiva di non sentire un sottofondo rancido di vomito - forse grazie al catino gentilmente offerto dalla casa. Ma persa nell'incedere ritmico dell'acqua all'esterno, tutto sommato, non le importava.
La chiamavano la terra del vino e del sole e sul primo avevano anche ragione. Sul secondo, pure, con brevi eccezioni consistenti in violenti temporali a catinella che lavavano via lo sporco e alleggerivano l'aria. Erano eventi passeggeri e in due o tre giorni sarebbero smessi, rasserenando il cielo, per poi permettere al sole di ricominciare a scaldare la terra per quel poco che si poteva anche d'autunno, ma l'acqua alle lunghe si dimostrava fastidiosa da sopportare e si infilava ovunque, specie per chi si era abituato ai balconi e agli angoli asciutti di una città sempre bagnata dai porti e dal mare.
Non ricordava neanche bene cos'aveva fatto, ma la sua vita era tanto cambiata negli ultimi anni da renderla irriconoscibile. Dai salotti lussuosi e i vestiti ingombranti ai quadrati di pelle logora che indossava, dalle fini gioiellerie al caldo mantello che la teneva riparata nonostante la povertà delle mura della cella: non aveva rimpianti tutto sommato, ma li ricordava con la nostalgia dell'abitudine e con la stessa ansia che le pulsava nel petto suggerendole che non aveva una via d'uscita da quella gabbia dorata, e che adesso le diceva che allo stesso modo era imprigionata tra mura di pietra. Eppure, già una volta aveva trovato la via d'uscita dalla prima prigione: per un anno, due, tre... per svariati anni. Incontrando infinite voci, infiniti volti e innumerevoli persone a cui voleva ricongiungersi al più presto. Persone che la pensavano morta e sepolta da tempo e che magari non la ricordavano nemmeno più. Ma non le importava, purchè le rivedesse.
Come fare però a fuggire anche da questa cella? Si era guardata attorno più volte e non aveva trovato una sola debolezza nella struttura che la circondava: i muri non erano scalfiti, le sbarre rimanevano ben piantate dov'erano e non c'era un solo calcinaccio che si muovesse, nemmeno sul pavimento. E allora si era distratta a guardare fuori dalla finestra, a respirare quell'odore di salmastro che conosceva bene e le riempiva i polmoni, ascoltando a tratti i pesanti passi delle guardie che passavano nel corridoio.
Ad un certo punto, non avrebbe potuto quantificare il tempo, lo sferragliare dell'ennesimo individuo si riaffacciò alle sue orecchie. Maven non si mosse da dov'era, rimanendo ad ascoltarlo assieme al lontano vociare della gente e aspettandosi di sentirlo sparire dietro l'angolo.
Invece, all'altezza della sua cella, lo sferragliare cessò. Un rumore metallico di chiavi che venivano passate in rassegna la riscosse, poi udì l'inserimento e la serratura scattare.
«Signorina» le si rivolse la guardia con voce deferente mai sentita prima. «Ha delle visite.»
Maven, poggiata con le ginocchia su una specie di muretto ricavato nel muro come seduta e praticamente appesa al bordo della finestra perché troppo corta, si voltò con sguardo interrogativo verso la guardia e l'uomo in ombra appena dietro di lui. Era una comune malvivente a prima vista: che genere di attenzioni poteva aver attirato una ladruncola di bassa lega beccata al mercato del pesce di Port Royal? Poche, a parte le ire dei pescatori che vivevano di quel pesce. Un brividò le passò attraverso, pensando che non sarebbe stato difficile per uno di loro presentarsi lì, e vendicarsi con una sana scazzottata.
Invece, la figura che avanzava dal corridoio verso la porta appena aperta non aveva affatto l'aria di un pescivendolo iracondo: sembrava ben vestito, col mantello che gli scivolava alle spalle e scarpe di pelle che non cigolavano, sintomo di una buona fattura. Chissà, pensò ironica, magari era il capo delle guardie venuto a farle una sana ramanzina prima di rimandarla fuori e rimetterla al maltempo con un calcione nel sedere, come si faceva con ogni ladruncolo. C'era sempre il tempo di tagliare le mani come in altri stati più cattivi e "freddi dentro", oltreché fuori, ma un buon calcione? Qualsiasi guardia avrebbe assicurato con la vita di quanto fosse più utile e preventivo, e umiliante. Per chi non imparava, i calcioni poi diventavano ripetuti e pubblici e l'umiliazione a volte bastava a far fare una vita intera di rettitudine.
Dopo pochi passi, l'interlocutore uscì dalla penombra e finalmente la luce ne rivelò le fattezze: un uomo di mezza età con corti capelli neri brizzolati ai lati, gli occhi di un penetrante azzurro, il portamento fiero e il volto segnato da severe rughe d'espressione. Maven lo riconobbe subito, sgranando gli occhi.
«Papà?!»
Raramente Malcom sorrideva con la bocca, e quando lo faceva sembrava più una smorfia che un segno di felicità. Era più facile invece scorgere quel luccichio negli occhi, il riscaldarsi delle guance e il lieve rilassamento tra le sopracciglia. Magari qualcun altro avrebbe potuto fraintendere, ma non lei, nemmeno dopo così tanti anni.
«Maven... ragazza mia...»
Sembrava così fragile in quelle vesti, nonostante la voce ancora chiara, forte, resa quasi tremolante dalla commozione. Malcom allargò le braccia ad accoglierla e Maven non riuscì a trattenersi, nemmeno per un solo secondo: aveva immaginato così tante volte la loro ricongiunzione, pensato a mille frasi da dirgli, e diecimila rimproveri e colpe da urlargli addosso ma a nulla valevano in confronto ad un abbraccio. Si lasciò avvolgere dalle braccia forti del padre mentre lo stringeva col respiro mozzato, quasi togliendo il fiato anche a lui.
«Mi dispiace così tanto» lo sentì sussurrarle mentre le carezzava il capo, sopra il cappuccio del mantello. «Non avrei mai dovuto costringerti... voluto costringerti al matrimonio. Ma le cose andavano così male ed io-» lo sentì boccheggiare senza fiato «e dopo aver saputo che tu eri-»
«Basta, papà.» Maven si staccò, sollevando gli occhi lucidi su di lui, afferrandolo per le braccia nel tentativo di ispirargli una forza che non possedeva nemmeno lei al momento. Non voleva vedere suo padre crollarle così, davanti agli occhi, dopo tutti quegli anni in cui l'aveva visto forte come un macigno. Semplicemente non voleva. «Basta. Ne riparliamo un'altra volta, va bene?» Lui scosse la testa in un gesto d'assenso. «L'importante è che siamo vivi, vegeti, insieme.» Gli sorrise amaramente. «Eri così arrabbiato che non pensavo volessi neanche più vedermi.»
«Ed io pensavo la stessa cosa di te» le sorrise indietro il padre, facendo la solita smorfia. «Uguale a tua madre: quando le facevo un torto mi teneva il muso per anni. E anche tu me l'hai tenuto.»
Maven, che di solito era svelta ed ogni tanto anche più sboccata di un uomo, non si imbarazzava facilmente tranne quando la paragonavano a sua madre Orianna. Malcom se ne accorse e, datole un ultimo buffetto affettuoso, la lasciò libera di ritrarsi come la ragazzina che conosceva da sempre, e che ormai era diventata grande senza di lui.
«Se aspetti che sistemi le cose con la guardia cittadina, ti faccio uscire da qui» le si rivolse, schiarendo la voce. «Meglio parlare di tutto davanti ad una tazza di thè a casa, che dici?»
Maven lo guardò di sbieco per un attimo.
«E gli altri nobili? Che diranno?» gli chiese corrugando le sopracciglia, subito sulla difesa. «Gli parlerai del mio ritorno?»
«Che si fottano i nobili!» Il ruggito di Malcom fu piuttosto chiaro a riguardo e rivelò che suo padre non aveva affatto perso il suo assetto militarista, oltreché la voce, da qualche parte sotto gli abiti da nobile. «Sei mia figlia, se vogliono o avranno il coraggio di dire qualcosa se la vedranno direttamente con le mie guardie, o col mio arco.»
La guardia al di fuori della cella grugnì, non tanto perché il tempo era finito, ma per far notare che c'era anche lei nei dintorni.
«O col mio» rispose felicemente la ragazza, chiudendo il discorso con un tono abbastanza alto da farsi sentire dal terzo incomodo. Quando sentì l'uomo sospirare esasperato in lontananza, fece segno a suo padre in direzione della porta. «Allora, ti attendo?»
«Ci metterò un attimo» le rispose Malcom con un gesto di assenso. La salutò con un bacio sulla fronte prima di darle le spalle e incamminarsi fuori dalla porta: la guardia si arrabattò subito per chiudere la porta e poi le lanciò un lungo sguardo indagatore, prima di seguire suo padre. A quel punto, Maven tornò a guardare la pioggia: sentire la sua unica via d'uscita richiudersi alle sue spalle non le aveva certo risollevato lo spitiro, ma la visita di suo padre sì. E, a meno un qualche immondo demone non avesse preso il suo posto, la ragazza conosceva abbastanza il genitore da sapere che non le avrebbe mai e poi mai mentito, per quanto potesse ancora essere arrabbiato con lei.
Attese, quietando l'ansia col ritmato rumore dell'acqua al di fuori che andava scemando. Poco meno di mezz'ora più tardi, mentre una fine nebbiolina s'alzava dal terreno impregnato, lo sferragliare fece nuovamente capolino dal corridoio, e con un cigolio la porta si aprì.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Riunione di famiglia ***


Il tenue vapore che si alzava dalla tazza di thè fumante somigliava solo vagamente alla nebbia sollevatasi fuori, ben più densa di quanto la ragazza avesse creduto da dentro la cella. Nel percorrere tutto un intrico di vie dalla prigione della Guardia Cittadina alla piazza di Port Royal, e da lì alla Villa Rovonero ai margini della cinta muraria, Maven e Malcom si erano fatti strada attraverso una foschia fitta che non accennava a sollevarsi. In altri Regni, quello non sarebbe stato altro che un lieve incomodo alla vita di tutti i giorni, una prassi: non per Castelvecchio, a quanto pareva. La gente brancolava nel biancore della foschia, e mano a mano calava la sera i mercanti sulla strada, i cittadini e i viandanti si facevano tutti più frettolosi di trovare riparo all'ombra dei tetti e delle bettole. Perfino gli ubriachi, generosamente innaffiati di vino e solitamente indifferenti a umidità e freddo, si erano rintanati al caldo nelle taverne, probabilmente intimoriti da quella sensazione di bagnato tanto diversa dal lieve tocco del sole. Le veniva quasi da sorridere, ripensando a quello strano senso di inadeguatezza che non era più suo.
Sfregò le mani tra loro e prese la tazza bollente dal manico bilanciandola dall'altro lato con due dita, faticando nel tentativo di non versarsi addosso il contenuto che quasi strabordava. Il profumo intenso e piacevole della bevanda, speziata con arancia e garofano, e il camino che scoppiettava poco distante emanando aroma di pino le riportavano alla mente i ricordi di lunghe nottate insonni passate a leggere davanti a quella stessa tazza, nella stessa sala dalle pareti dipinte di rosso. Seduto a poca distanza, anche suo padre sorseggiava lentamente, racchiuso in un silenzio carico d'attesa: nonostante il suo profilo si fosse inasprito nel tempo in cui era stata via, non c'era alcunché di intimidatorio nei suoi gesti. Anzi, diversamente da quanto ricordasse, aleggiava quasi un senso di gratitudine per la familiarità che quei rituali casalinghi scatenavano. Osservando il bianco nei suoi capelli, Maven si chiese quanti dei suoi anni avesse perso quand'era scappata, e quanto l'avesse cercata. Quante cose non avevano visto assieme? Quante caccie negli acquitrini, quante nobili feste, quanti Natali non avevano condiviso tra loro?
Malcom si schiarì la voce con un rauco colpo di tosse.
«Allora...» iniziò esitante, guardando prima la tazza e poi lei. «Vuoi raccontarmi qualcosa del tuo viaggio?»
Maven lo fissò con occhi grandi, sorpresa. Per come l'aveva conosciuto, suo padre era un uomo diretto, che tendeva a prendere di petto qualsiasi questione e non si perdeva spesso in chissà quali muti pensieri. Questa sua esitazione era solo uno dei tanti inaspettati cambiamenti che stava iniziando ad osservare in lui.
«Dovrei parlare per ore e ore senza sosta e non riuscirei comunque a elencarti tutti i posti che ho visitato, le persone che ho conosciuto e i mostri che insieme abbiamo affrontato. Qualcosa di più specifico?»
«Quanto specifico?»
La risposta venne da sè: Maven roteò gli occhi davanti all'espressione improvvisamente malandrina di suo padre, che sorrideva solo a mezza bocca ma in realtà se la stava ridendo di gusto sotto il velo di barba ben curata.
«Papà!» esclamò lei, affogando un velo di indignazione e il proprio naso nella tazza.
«Oh, lo so, lo so. Scusami. Ma ormai sei una donna e avrai fatto le tue esperienze, giusto?» Maven sprofondò nell'imbarazzo, mentre Malcom si sporgeva in avanti puntando i gomiti sulle ginocchia, facendosi più serio. «Sono pur sempre tuo padre, voglio sapere cos'è successo a mia figlia in tutto questo tempo, anche se dovesse aver fatto delle stupidaggini.»
«Davvero? Senza giudizi?»
Malcom sorrise di comprensione.
«Ormai sei grande. Credo che nessuno si possa più permettere di giudicarti, io meno di tutti. Avrei solo dovuto capirlo prima...» si chiuse di nuovo nel silenzio, forse intenzionato a restarci di nuovo e a lungo. Maven malsopportava di vederlo così cupo, quindi si fece avanti per prima.
«Non hai suoceri, nè nipoti.»
Malcom sollevò le sopracciglia, quasi meravigliato.
«Davvero?»
«Davvero. E poi è difficile viaggiare con una varietà di soldati, sia uomini che donne, e pensare a far quello proprio in piena guerra.»
«Aspetta... di cosa stai parlando?» Malcom si sollevò da un ginocchio, già in allerta. «Come, "in piena guerra"?»
«Con calma ci arriviamo, ma prima fammi continuare.» lo avvertì la ragazza, sorbendo il thè. Il padre si risistemò momentaneamente nella poltrona, non molto convinto, ma proseguì nell'ascolto. «C'erano ragazzini poco più che implumi, alcune coppie sposate, alcuni veterani e perfino qualcuno dal Muro a nord. E poi un Barone, due aspiranti cavalieri, un mezzo gigante, un locandiere, tre nani e due elfi...»
«Sembra l'inizio di una barzelletta.» sogghignò Malcom, per poi riprendersi. «Elfi? Strano, non se ne vedono mai da queste parti. Come sono?»
«Non tanto diversi da noi a dire il vero. Alti, con le orecchie a punta. Molti di loro testardi, arroganti o del tutto insopportabili.»
«Questa non sarebbe la descrizione comune? Quella che si sente da tutti?»
«Giusto.» Maven ridacchiò. «La vera sorpresa è che ne sono altri che invece hanno voglia, pazienza ed empatia in abbondanza anche per quelli a cui manca. Nel nostro gruppo uno di loro mi faceva da tutore. Mi ha insegnato tante cose che non sapevo sull'erboristeria... si è occupato di me come se fossi tu a farlo.» Un velo di tristezza le calò sul volto. Malcom la guardava con la fronte corrugata, impossibile dire se per la disapprovazione o per il dispiacere, sicuramente sforzandosi di capire - o perlomeno provandoci. «Era una brava persona. A dire il vero, mi manca. Vorrei sapere se sta bene, se è sopravvissuto. Vorrei fargli sapere che sono... ancora viva.»
«E sicuramente vorrebbe saperlo anche lui.» commentò suo padre, facendola sorridere. «Vuoi che lo faccia cercare?»
Dopo un po' di esitazione e diversi secondi di silenzio, Maven annuì.
«Mi piacerebbe, sì.»
«Come si chiama?»
«Barahir.»
«E vuoi che faccia cercare anche qualcun'altro?» Suo padre rimescolò il thè e lo finì, posandolo lentamente sul tavolino ai loro piedi. La ragazza scosse la testa.
«Troppe persone.»
«Tutte quelle necessarie.» Malcom accennò ad un sorriso, lo sguardo puntato su di lei affilato come una freccia. Maven sapeva che sarebbe stato capace di andare a scovare personalmente qualsiasi persona di cui gli avesse fornito il nome. «Qualcun'altro?»
«Magari...» Esitò. «C'era un locandiere, un uomo gentile che veniva da Roccafonda. Si chiamava Ewan McLorren. E poi...» Esitò ancora, suscitando lo sguardo allarmato del padre. «Un ragazzo, più giovane di me. Alto, un mago. Rhebryn. Sono loro che hanno celebrato il mio funerale.»
«Funerale?» Malcom la guardò per lunghi attimi senza capire. «Ma che vai dicendo, figlia mia?»
«Sono...» Nemmeno Maven sapeva cosa dire. «Ero...» Si poggiò alle ginocchia, la tazza stretta in mano, lo sguardo basso: non per la vergogna, perchè non si trattava di aver fatto stupidaggini o combinato qualcosa, ma per la paura. Aveva ancora davanti lo sguardo fisso del demone, l'arco che il suo dito aveva tracciato nell'aria verso di lei e il dolore, l'infinito dolore che aveva sentito al petto e poi si era spento come il lume di una candela, assieme a tutto il resto. «Mi avevano data per morta.»
Il padre la guardò incredulo, poi si alzò, avvicinandosi a lei cautamente. Le si inginocchiò ai piedi e le posò una mano sulla sua, in un gesto ruvido, rassicurante e caloroso come lo scoppiettare del legno nel fuoco.
«Sei qui, e non sei un fantasma nè un'apparizione, sei reale quanto me. Se gli Dei ti hanno graziato, io non posso fare altro che ringraziarli mille volte, e altre mille volte ancora per averti riportata da me. Nessuno oserà avvicinarsi per farti ancora del male.» I suoi occhi azzurri brillavano nella penombra, e Maven se ne accorse solo quando alzò i propri su di lui. Aveva lo stesso sguardo che le aveva riservato quando era stata al riparo delle sue braccia, dopo gli incubi più oscuri. Solo che non pensava sarebbero stati ancora così terribili. «Non crucciarti. Piuttosto, affrontalo, qualsiasi cosa sia stato. Racconta. Raccontami tutto.»
Gli occhi le si riempirono di lacrime che rischiavano di cadere da un momento all'altro. Le ingoiò, assieme al groppo amaro che le era salito alla gola dopo tutti quei pensieri.
«Va bene, papà.»

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3686198