You make me love the Pain

di imdreaming_saffo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ricordi ***
Capitolo 2: *** Inaspettato ***
Capitolo 3: *** Vecchia Casa ***
Capitolo 4: *** Rapporto ***
Capitolo 5: *** Impasse ***
Capitolo 6: *** Fuoco ***
Capitolo 7: *** Errore ***
Capitolo 8: *** Bisogno ***
Capitolo 9: *** Bonus: Preoccupazione ***
Capitolo 10: *** Accelleratore Temporale ***
Capitolo 11: *** Tradimento ***
Capitolo 12: *** Casa dolce Casa ***
Capitolo 13: *** Domande ***



Capitolo 1
*** Ricordi ***





Mi portai distrattamente una cucchiaiata di fiocchi d'avena fra le labbra, ascoltando in silenzio il dibattito fra Angela e Reinhardt. Era assurdo come i due, geograficamente vicini, avessero pareri completamente diversi su qualsiasi cosa, che fosse in ambito economico o musicale. Dovevo ammettere che era divertente sentirli battibeccare in modo ovviamente amichevole. Non c'era astio in quel momento, infatti non mi sorpresi quando la risata tuonante di Reinhardt echeggiò nella mensa. 

- Sei testarda, orologio svizzero. - disse con quella sua voce profonda e calda al tempo stesso, afferrando con la sua enorme mano il bicchiere di caffè, che si portò alle labbra. 

La dottoressa scosse appena il capo, un sorriso delicato sulle labbra, tornando a dedicarsi alle sue uova all'occhio di bue. 

Io fra me e me ridacchiai, mandando giù il boccone, abbandonando  il cucchiaio nella ciotola. 

Ero così contenta che la squadra di fosse riunita, nonostante tutto. Mi erano mancati, nessuno escluso. Rivedere i volti degli agenti, quando la base era tornata operativa era stata una gioia incontrollabile. Da Angela, Mercy, Wiston e Zarya, a quel muso lungo di Jack Morrison. Quella era la mia famiglia, coloro che mi erano stati accanto dopo l'incidente, che mi avevano aiutato. Perchè prima di tutto che un'organizzazione, Overwatch era una famiglia. 

Mi sistemai la cinghia dell'accelleratore temporale che brillava sul mio petto, mentre mi tiravo su e sgusciavo via dal davolo su cui ero seduta. Sollevai la mano, portandomi due dita alla fronte, e salutai Angela e il tedesco, che ripresero a chiacchierare.

Schizzai avanti nel tempo, accellerandolo finchè non mi ritrovai a posare il vassoio della colazione insieme agli altri sporchi e a varcare la porta della mensa in due veloci mosse. Nel farlo, mi ritrovai a scontrarmi con Mei, che finì per barcollare all'indietro.

Con velocità, mi portai dietro di lei per afferrarla prima che cadesse sul pavimento. 

- Scusa, dolcezza! - esclamai, facendo un passetto indietro e portandomi una mano dietro la nuca, con un sorrisetto di scuse. - Non era mia intenzione... a volte non faccio molto caso a dove vado. -

La ragazza grassottella si girò verso di lei, sistemandosi gli occhiali sul naso, ridacchiando. - Rilassati, Lena, non è successo nulla. - mi rispose, portandosi le mani dietro la schiena e dondolando sui i talloni. - Continua ad andare dove stavi andando. - concluse, preseguendo nella mensa. 

Non era la prima volta che succedeva, ma ormai tutti avevano fatto l'abitudine alle mie abilità. Era più forte di me, non riuscivo a camminare come tutti gli altri. 

Sospirai, preseguendo a passo d'uomo, diretta nel laboratorio di Wiston, il mio più caro amico in Overwatch, colui che mi aveva aiutata ideando l'accelleratore temporale. Non l'avevo visto quella mattina ed era abbastanza strano, dato che lui non saltava nessuna colazione... o pasto in generale. Non mi sarebbe costato nulla andare a controllare.

Scesi ai piani inferiore, passeggiando nei corridoi, ma quando svoltai l'angolo per proseguire, notai che la porta del laboratorio di Wiston era aperta e il Soldato 76 era proprio lì davanti, intento a parlare con Wiston. Rimasi li impalata, troppo sorpresa. Se Wiston e Jack stavano discutendo, allora c'era qualcosa sotto.

- Non m'interessa, Wiston. Formerò una squadra per andare a controllare e se sarà necessario apriremo il fuoco. - disse con voce ferma, quella che utilizzava ogni volta che prendeva una decisione per la squadra. 

Un cipiglio si formò fra le mie sopracciglia. Da quando Wiston aveva richiamato gli agenti Overwatch non c'era stata nessuna missione ufficiale, per non destare sospetti, eppure quella a cui aveva acennato il Soldato 76... oh, cavolo. 

- Avrai l'anima di Gerald contro, Morrison... - sospirò il gorilla, grugnendo appena. 

Gerald? L'agente assassinato da... Widowmaker, sua moglie? 

- Amèlie è morta come Gerald. - si limitò a ribattere l'americano.

Quando notai che stava per girarsi, mi portai fisicamente indietro nel tempo, per tornare nel corridoio precedente. 

Aspettai qualche secondo e quando sentii i passi del Soldato 76 mi avviai, incrociandolo poco dopo. 

Saltai sul posto, portandomi una mano alla fronte. - Buongiorno, boss! - lo salutai, per poi portarmi entrambe le mani sui fianchi, sorridendogli. 

Lui mi osservò, con il volto sfigurato dalle cicatrici, per poi fare un cenno del capo e proseguire.

Fiù! Per poco! 

Me ne stavo sulla poltrona girevole che avevo portato pochi giorni fa nel laboratorio, con le gambe incrociate, mentre osservavo Wiston armeggiare con il suo enorme computer a cui aveva dato anche un nome, Athena. 

- Come va l'accellatore temporale? - mi chiese improvvisamente, girandosi appena verso di me.

Arricciai il naso, storcendo appena le labbra per trattenere una risatina. - A parte l'aria nella pancia, intendi? Tutto bene! - 

- Aria? - mi si avvicinò, sistemandosi gli occhiali squadrati, come per controllarlo. 

Non riuscii a resistere e scoppiai a ridere, istigata da tutta quella sua serietà. - Wiston, sto bene. Sei un credulone. - 

Lui grugnii, andandosi a sedere sulla gomba del pneumatico gigante che gli faceva da poltrona. - Non sono in vena di scherzare, Lena. - disse, in un sospiro stanco. 

Sollevai le sopracciglia, confusa, limitandomi a guardarlo, sperando che volesse 'confidarsi' con me.

Fortunatamente, fu così, infatti prese con la zampa posteriore un barattolo di burro di arachidi, aprendolo. Vi ci passò la lingua,finendolo in tre secondi. - Il Soldato 76 è venuto da me, stamattina. E' ancora convinto a trovare... Reyes per ciò che è successo ad Overwatch. Quindi questo significa scovare Talon. Secondo lui, se trovassimo Widowmaker potremmo trovare anche Reyes, così... Secondo lui, c'è una riunione Talon a Londra e vuole andare a dare un'occhiata. Ma non credo che finirà bene, Lena. -

Ascoltai in silenzio, stringendo le braccia al petto, rimanendo seria. - Forse è il caso che io vada con loro. Conosco Londra e... Widowmaker... ho lottato contro di lei.. -

Wiston m'interruppe, gettandomi il barrattolo vuoto contro. - No! Lena, non ti azzardare a seguirlo. - disse con tono fermo. - Non voglio che t'immischi in queste cose. Non bisogna assecondare i suoi piani di vendetta.-

- Aio! - esclamai, portandomi una mano al braccio, esattamente dove mi aveva colpito, massaggiandolo delicatamente. Gonfiai le guance, abbassando il capo per qualche istante. Wiston sapeva quanto amassi l'azione, eppure non capii perchè volesse impedirmi di partecipare a quella spedizione. Poi, un'idea mi sfiorò la mente e sollevai lo sguardo, per osservarlo. - Il Soldato 76 vuole uccidere Reyes, non è così? - 

Il gorilla annui appena, storcendo le labbra. - E Widowmaker. Dice che è colpa sua se Gerald è morto, visto che è stato lui a ordinare il suo recupero quando è stata rapita. Quindi vuole sistemare questa questione. -

Schizzai dalla sedia, alzandomi, in un lampo azzurro, la mano stretta a pungo. - Non può farlo! Widowmaker è una vittima di Talon! - esclamai, scuotendo il capo. - Si potebbe fermarla, portarla qui, di nuovo. Provare a... - 

- Farla tornare quella di un tempo? Non credo sia possibile. Temo che quella parte di lei sia morta da tempo. - ribattè Wiston, sfilandosi gli occhiali per posarli sulla scrivania. - Ma sono d'accordo con te, non va uccisa. - 



Quella notte non riuscii a dormire. Me ne stavo abbandonata sul letto, a pancia su, fissando il soffitto. Un ricordo passato mi stava solleticando la mente, un nervo ancora scoperto. A volte, dimenticare sensazioni e avvenimenti era più difficile del previsto, sopratutto quando non si volevano lasciare andare.

Ricordavo perfettamente la chioma corvina della donna che mi era venuta a salutare sulla pista aerea di Overwatch, prima che partissi con lo Slipstream, il prototipo di caccia a cui ero stata assegnata. 

''Buon volo, chèri, ci vediamo al tuo ritorno.'' mi aveva detto, con un sorriso sulle labbra. 

Ero arrossita come un peperone, dato che avevo percepito le guance in fiamme, per non parlare della sensazione alla bocca dello stomaco, come se stesse ribollendo, pieno di farfalle. Ero partita con il sorriso sulle labbra, per poi scomparire per mesi e mesi, a causa dell'incidente. 

Storsi le labbra, portandomi a sedere al centro del letto, i pugni stretti.

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Capitolo 2
*** Inaspettato ***


Widowmaker. 

Londra era stranamente silenziosa, quella notte. Con il favore delle tenebre, me ne stavo vigile, sul tetto della sede Talon. Non avevo molta voglia di sorbirmi il caos delle reclute nella sala comune, preferivo di gran lunga stare da sola, senza quel vociare interminabile. Stavo sistemando il caricatore del mio fucile di precisione, che nell'ultima missione era rimasto scheggiato da un proiettile corso troppo vicino. Fortunatamente l'avevo sistemato, facendolo tornare lucido come suo solito. In quel periodo, di apparente calma, era meglio tener sempre pronte le armi, sopratutto per i sicari come me, lo sapevo bene. Nessuno in quella dannata organizzazione sapeva svolgere le missioni come me, a sangue freddo e senza esitazioni. Un rumore attirò la mia attenzione. Fu impercettibile, come un sassolino sotto una scarpa, ma mi fece mettere immediatamente sull'attenti. Con il calcio del mio fucile nel palmo, attivai il visore termico che calò immediatamente sui i miei occhi. Scrutai i tetti, alla ricerca di un'eventuale minaccia, quando un'esplosione fece tremare il pavimento su cui ero posata, facendomi imbracciare correttamente il fucile. L'allarme risuonò per tutto lo stabilimento, facendomi precipitare al piano di sotto. Percepivo il suono dei proiettili che schizzavano da una parte all'altra, mentre ogni individuo Talon correva per mettere in atto il piano in caso di un attacco a sorpresa. C'era chi gridava a gran voce 'Non è un'esercitazione!' 

Ma che diavolo stava succedendo? 

A quanto pareva, l'esplosione era avvenuta nei piani inferiori, dove c'era l'accesso a dei passaggi paralleli alle fogne, che usavamo per spostarci meglio nella città a nostro piacimento. Gridai a degli agenti di avviare ogni sicura di sicurezza possibile, avviandomi verso l'ascensore, che doveva portarmi sul posto. Ero pronta a combattere. Percepivo il sangue gelido ribollirmi nelle vene per l'eccitazione di trovarmi di nuovo nell'azione.

Come da programma, Talon aveva completamente isolato la zona, evacuandola per evitare che qualcuno disarmato fosse ferito. Infatti, fra le macerie, non c'era anima viva. Avanzai, attivando il visore termico, guardandomi intorno per capire cosa o chi avesse causato l'esplosione.''Widowmaker! Qualcuno ha violato i nostri sistemi di sicurezza! Overwa....'' al mio orecchio, la comunicazione con gli altri agenti, venne interrotta, sostituita da un suono continuo come un fischio, quasi stesse a rappresentare il silenzio del mio auricolare. Improvvisamente, sentii qualcuno tossire ove il fumo era più forte. Con velocità mi mossi fra le macerie in cerca dell'intruso. Quando individuai il bersaglio, sospirai, disattivando il visore termico.Non potevo crederci. 

- Ehi, love! Come andiamo? Scusa il baccano. - disse l'inglese, con quella sua voce terribilmente irritante. 

Se ne stava appoggiata con una mano al varco che si era creata, probabilmente con quelle sue bombe ad impulsi. Sollevai il fucile, pronta all'attacco. Lei fece roteare le pistole gemelle, puntandomele contro con un sorrisetto divertito sulle labbra, gli occhi coperti dagli occhialoni parvero scintillare. Schizzò in un lampo azzurro all'interno del tunnel e istintivamente mi ritrovai a correre al suo interno inseguendola. Era impossibile per me prenderla, nonostante fossimo alla pari in quanto forza. Sentivo la sua risata echeggiare nella galleria e poi notai uno squarcio di luce sopra la mia testa, un buco che dava sulla strada. Osservai la rottura, chiedendomi se una volta varcata non sarei caduta in una trappola.Quando vidi la sua testa apparire, quasi sobbalzai. Feci per parlare, ma lei si portò l'indice alle labbra, pregandomi di fare silenzio. Mi tese la mano.

 Stava scherzando, vero?

 Ignorai completamente la sua mano saltando fuori dal tunnel con un balzo. Mi guardai intorno, riconoscendo immediatamente la strada. Era a qualche isolato dalla base. Quando finalmente posai gli occhi su Tracer, la ragazza stava sistemando le sue pistole nelle fondine. Era sempre la stessa, non cambiava mai. Con la sua giacca da aviatore, l'accelleratore temporale che brillava nel suo petto, gli occhialoni sugli occhi e i capelli corti in disordine.

 - Quindi? - le chiesi, visto che pareva non aver intenzione di combattere. Era così strana quella situazione. Prima faceva esplodere una delle sedi Talon e poi? Si rimetteva le pistole a posto? Ne rimasi quasi delusa, combattere contro di lei mi aveva sempre dato soddisfazione, lo potevo trovare persino divertente.

 - Ti direi di andare al pub, ma credo non sia il caso. - ridacchiò, sfilandosi gli occhialoni per lasciarli appesi intorno al collo.

 C'era qualcosa in lei che non andava, pareva quasi... sollevata nel vedermi. Lo potevo leggere nei suoi occhi ambrati.Seccata sollevai il fucile, puntandolo proprio su di lei, prendendo la mira esattamente sulla sua testa. Tracer restò immobile, senza muoversi di un millimetro e anzi sospirò.

 - Oh, love. Ci risiamo. Non mi va di combattere questa volta, ho solo fatto quello che dovevo fare. Quindi se vuoi uccidermi, fallo. - disse, posando le mani sui i fianchi, fissandomi quasi di traverso.

 Questo mi lasciò più che sconcertata, non aveva davvero intenzione di combattere. Abbassai il fucile, inarcando un sopracciglio.

 - Che diavolo ci fai qui, chèri? - le chiesi atona, sistemando il rampino al mio braccio. Ero ancora sull'attenti,  certa che prima o poi sarebbero comparsi degli ex agenti overwatch e dovevo pur crearmi una via di fuga se fosse accaduto.

 Lei parve esitare alla mia domanda. Si portò una mano dietro il capo e si grattò la nuca schiarendosi poco dopo la voce. Fece per parlare quando un imprecazione giunse alle nostre orecchie. Tracer sgranò gli occhi e balzò in avanti, sparendo in quel suo lampo azzurro, arrivando sulle scale anti-incendio del palazzo sulla nostra destra.

 Rimasi per pochi istanti immobile, giusto il tempo di sentire la voce di Jack Morrison avvicinarsi.

- Qualcuno ci ha preceduti. - stava dicendo con un'intonazione a dir poco allarmata.

Tracer richiamò la mia attenzione con un cenno della mano, scattando verso il tetto del palazzo. Sospirai, allungando la mano e facendo scattare il rampino, che velocemente mi fece arrivare al tetto. L'inglese era affacciata alla strada appoggiata alla balaustra, sentendomi arrivare si voltò portandosi l'indice alle labbra per dirmi di fare silenzio. Inarcai un sopracciglio e mi affacciai alla strada, per cercare di capire che cosa stesse guardando. Quando vidi Jack Morrison insieme ad uno squadrone di quattro persone un cipiglio si formò sulla mia fronte.

Quelli erano agenti Overwatch, li riconoscevo tutti. Mercy, ovvero Angela Ziegler, con la sua armatura Valkirie se ne stava accanto a Faheera Amari, la figlia di Ana Amari. Non mi stupii di vedere quel dannato nano, Torbjorn, e Reinhardt parlottare accanto a Jack Morrison.

 - Chi mai attaccherebbe Talon? Solitamente sono loro ad attaccare... non ad essere attaccati. - tuonò il tedesco, che teneva l'elmo della sua armatura sotto braccio.

 - La troveremo in ogni caso, non deve essere andata lontano. - gli aveva risposto Morrison. 

Erano li per attaccare la Talon? Cinque agenti di Overwatch armati fino ai denti... per cosa? Un attacco a sorpresa? Per... me? Quella storia non aveva alcun senso.

 - Cavolo, per un p... - stava bisbigliando Tracer ma non fece in tempo a terminare che l'avevo afferrata per il colletto della sua giacca da aviatore e l'avevo spinta contro il comignolo più vicino. Lei mi guardò con quei suoi occhi ambrati lievemente spalancati, sorpresa dal mio gesto.

 - Lena, non ho intenzione di perdere tempo. Che sta succedendo? - le sibilai, stringendo pian piano la presa sulla sua giacca. Quella situazione mi stava seccando e non poco. Detestavo sentirmi confusa, probabilmente era una delle cose che proprio non riuscivo a subire: la confusione. La ragazza inglese posò la mano sul mio polso, senza stringerlo per liberarsi e aggrottò le sopracciglia, guardandomi con serietà.

 - Il Soldato voleva te per trovare Reaper. - disse storcendo le labbra.

Quella sua affermazione mi face scappare una lieve risatina divertita: se Jack Morrison credeva che per arrivare a Rayes gli servivo io era proprio uno stupido. Lavoravo da sola a meno che Talon non richiedeva la mia presenza. Non ero la partner di Reaper e mai lo sarei stata probabilmente. Lasciai andai la ragazza facendo diversi passi indietro. - Io non ho la minima idea di dove sia, sciocca. -Lei alzò le spalle, portandosi una mano dietro la nuca quasi non sapesse cosa dire.Improvvisamente mi resi conto che lei, in quel momento, non era con il resto del gruppo ma con me, mi aveva attirato fuori quel posto prima che lo attaccassero. La osservai perplessa, riflettendo su quanto fossi stata stupida a non accorgermi immediatamente di tale dettaglio. Un sorrisetto divertito scivolò fuori dalle mie labbra.

 - I tuoi superiori non sanno che sei qui, vero? Hai fatto tutto da sola. Perchè? - le chiesi incuriosita. 

- Perchè era la cosa giusta da fare, love. - mi rispose, appoggiandosi al muro e incrociando le braccia al petto. Scrutò la strada in cui erano passati i suoi compagni e nei suoi occhi passò un lampo di consapevolezza.

 - Quindi tu hai tradito Overwatch e i tuoi compagni per aiutare un nemico solo perchè... è giusto? - rincarai la dose, ancor di più divertita.

 - Io non ho tradito Overwatch! - esclamò, gonfiando le guance. Pareva che la situazione non le piacesse minimamente e fui tentata di continuare solo per stuzzicarla ma non era quello il momento giusto, non con degli agenti di Overwatch sulle mie tracce. 

Mi allontanai, scegliendo il lato opposto del tetto in cui mi stavano cercando, era decisamente meglio tagliare la corda. Quando mi accorsi che Tracer si era mossa per seguirmi mi girai, aggrottando la fronte. Lei notando il mio sguardo s'infilò la maschera arancione e bianca, scuotendo il capo.

 - Ah, no. Non ti lascio andare da sola. - disse con sicurezza con quel suo dannato accento inglese.

 Io sospirai scuotendo il capo e tirando sulle mie labbra un ghigno di sfida.

- Sempre se riesci a starmi dietro, chèri. - sussurrai, prima di voltarmi, lanciare il rampino sull'altro tetto e calarmi nel vuoto.

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Capitolo 3
*** Vecchia Casa ***


Tracer.

Era strano tornare in quel posto, dovevo ammetterlo. Tutto era esattamente come l'avevo lasciato: le riviste sparse sul tavolino, la coperta sfatta sullo schienale del divano, il letto sfatto ed i cuscini buttati lì alla ben meglio. Non mettevo piede nel mio loft a Londra da mesi, dato che quando mi trovavo in zona restavo a dormire da Emily.
Gettai le chiavi di casa sul tavolo da pranzo rotondo e graffiato, mentre mi voltavo verso l'assassina dalla pelle viola. 
I suoi occhi dorati e scintillanti stavano scrutando quella che era stata la mia casa dopo la maggiore età.

- So che non è il massimo, ma è il posto più sicuro a Londra. È impossibile che ti vengano a cercare proprio qui. - le dissi, quasi a voler colmare quel silenzio che si era andato a creare dopo che avevamo oltrepassato la porta.
Sembrava perplessa, quasi confusa, ma di certo non pareva avesse voglia di rispondermi o conversare. 
Mi osservò solo per un attimo prima di tornare a guardarsi intorno. 
Sospirai, andando a togliermi l'acceleratore temporale che, ormai, era bello scarico. Cercai una spina della corrette e mi inginocchiai quando finalmente la trovai, per metterlo a riposo.

- Questo disordine mi sta innervosendo. - disse Widowmaker con tono decisamente seccato. Finalmente si era decisa a spiccicare parola.

Mi passai la mano dietro la nuca, mentre mi sollevavo, rivolgendole un sorriso di scuse. 
Le indicai la porta che stava accanto all'armadio dirigendomi, poi, a quest'ultimo.

- Facciamo che mentre ti vai a dare una rifrescata metto un po' a posto? Quando ho chiuso la porta a chiave, mesi fa, non mi aspettavo di avere ospiti. - le risposi, mentre aprivo le ante dell'armadio e tiravo fuori alcune cose, come degli asciugamani e dei vestiti di ricambio, fra cui una maglietta bianca abbastanza larga. Le tesi la roba e per un attimo rimanemmo immobili; mi fissava dritta negli occhi senza alcuna espressione sul volto, ed io la lasciai fare continuando ad avere un sorriso sulle labbra.
Mia madre lo diceva sempre: la cordialitá era la prima cosa, non importava chi avessi davanti o come si comportasse.
Quando finalmente si decise ad afferrare ciò che le stavo passando ed entrare in bagno mi lasciai cadere sul letto con un tonfo, terribilmente stanca. 
Era stata una giornata assurda e dovevo ancora capire come mi sentissi a riguardo. Avevo voltato le spalle a Jack Morrison solo per inseguire un mio ideale e sapevo perfettamente che ne avrei pagato le conseguenze.
Sospirai, sentendo l'acqua della doccia scrosciare, tirandomi su dal materasso per mettere a posto il loft.
Dopotutto, m'importava davvero della punizione che avrei ricevuto? Avevo agito come meglio credevo e non era questo l'importante? Avevo salvato la pelle a qualcuno che probabilmente non avrebbe mai esitato ad uccidermi ma sapevo che ciò che Widowmaker era diventata non era una sua scelta.
Lievemente affamata mi avvicinai al frigorifero, nella vana speranza di trovarci qualcosa di commestibile. Ovviamente, tutto quello che c'era era della semplice maionese ormai andata a male e un limone raggrinzito.
Fortunatamente però potei mettere su un po' di thè, dato che mi erano rimasti alcuni infusi. Mentre facevo riscaldare l'acqua, sistemai il divano per la notte; da brava ospite quale ero avrei lasciato dormire Amèlie sul letto.

- Ma che perfetta donna di casa. -

Stavo sprimacciando un cuscino quando la voce sarcastica della francese mi fece sobbalzare e girare di scatto. 
I miei occhi si spalancarono nel vederla per la prima volta senza la sua tenuta da combattimento. Se ne stava sulla porta con i capelli sciolti, ancora bagnati, e la semplice maglietta che la avevo passato. Le gambe snelle completamente scoperte.
Sembrava cosí... naturale, così fuori da quello che era il suo ruolo di assassina. Mai avrei pensato di riuscirla a vedere in quel modo.
Si stava passando l'asciuganano fra i capelli e sollevò le sopracciglia quando notò che ero rimasta a fissarla come un'idiota.

Scossi il capo, gonfiando poi le guance e gettando sul divano il cuscino che avevo stretto fra le mani. - Sto solo cercando di essere gentile! Sai, dovresti provarci anche tu.  - esclamai mentre le mie guance, per chissà quale arcano motivo, andavano a colorarsi di rosso. Mi andai a togliere la giacca che posai sulla spallina del divano, prima di tornare al piano cottura e togliere l'acqua dal fuoco che già aveva iniziato a fischiare. Versai due tazze e misi gli infusi.
In ogni mio movimento sentivo gli occhi della vedova su di me, nonostante non la stessi guardando. Mentre prendevo lo zucchero sospirai, inarcando un angolo della bocca. 

- Se vuoi startene lì impalata... - iniziai a dire, prima che una sua risata, lieve e gelida, m'interruppe. Mi voltai verso di lei, con la fronte aggrottata, e notai che stava scuotendo il capo.
Ero confusa, non riuscivo a capire. Avevo detto qualcosa di divertente, forse?

- Ancora non riesco a capire perché mi hai aiutata, non hai proprio la minima idea dei guai in cui ti stai mettendo, stupida. - disse con tono leggero, come se niente fosse, mentre cercava di celare le sue vere intenzioni. Stava cercando di capire non solo le mie azioni ma stava anche studiando le mie prossime mosse nel tentativo di prevederle. E non si trattava solo di me, ma anche dell'organizzazione stessa. Con quella semplice frase aveva iniziato un'indagine su Jack Morrison e lo squadrone che era stato formato per catturarla e poi ucciderla. Comprensibile, era una cosa che s'insegnava agli agenti speciali, una delle basi: indagare senza destare sospetti. Le sue iridi gialle e brillanti erano attente, pronte a carpire e analizzare ogni mia espressione facciale o movimento.

Sospirai mentre le allungavo il thè, quasi amareggiata. Ancora mi balenava nella mente l'immagine di lei prima dell'incidente con lo Slipstream. Rispetto a prima ora sembrava solo un'automa. 
- So cosa mi aspetta o almeno... lo posso immaginare. Ma non importa, era la cosa giusta da fare. - le dissi semplicemente, facendo le spallucce mentre mi portavo alle labbra la tazza per prendere un piccolo sorso. 

La sua fronte si aggrottò mentre stringeva fra le mani la tazza, osservandone per un attimo il contenuto. Che stesse cercando di capire se fosse avvelenato? Chissà, magari pensava che tutta quella messa in scena fosse solo una trappola.
Serrò la mascella, prima di allontanarsi dalla zona cucina per dirigersi sul letto dove si sedette, portandosi il thè alle labbra. Per un attimo chiuse gli occhi e rimase completamente ferma, dandomi l'occasione si osservarla ancora. 
Sembrava... stanca? 

Sospirai, sbattendo appena le palpebre, mentre notavo che, attraverso i finestroni, il cielo si stava schiarendo. Era l'alba.
Sbadigliando mi avvicinai al divano posando la tazza sul tavolino, proprio lì accanto, prima di sdraiarmi e portarmi le braccia dietro la testa.
- Beh, buonanotte tesoro. - le dissi, senza voltarmi verso di lei, facendole solo un cenno con le dita. 

Ci fu un fruscio di lenzuola e un lungo silenzio, che portò a domandarmi se si fosse semplicemente addormentata. 
Io me ne stavo lì, con le labbra appena storte in una smorfia, a fissare il soffitto.
In qualche modo l'indomani avrei dovuto contattare Wiston per capire il dafarsi. Era impossibile che Widowmaker mi seguisse in centrale ed era anche da stupidi lasciarla da sola a Londra, dato che sicuramente Morrison era ancora sulle sue tracce.
Che situazione.
Sbadigliai ancora una volta prima di sfilarmi gli occhialoni e gettarli sul tavolino, era decisamente meglio provare a dormire.

- Bonne nuit. -

Nel silenzio della stanza, quelle due parole riempirono l'aria lasciandomi completamente stupita.
E io che pensavo si fosse già addormentata.
Un sorriso mi scappò dalle labbra al pensiero di quelle lievi parole in quel francese che consideravo così soave. Chiusi gli occhi con il cuore più leggero.

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Capitolo 4
*** Rapporto ***


Widowmaker.

Agire di giorno non era mai stato nel mio stile ma per necessità ero stata addestrata dalla Talon per rendermi invisibile anche alla luce del sole. Quando fui certa che l'inglese fosse più che addormentata mi sollevai dal letto e scivolai via, afferrando la mia attrezzatura.
Che strana nottata quella che avevo appena passato: la mia nemica giurata mi aveva salvato la vita. Quanto poteva essere bizzarro? 
Ancora mi sfuggiva il reale motivo per quella azione contro la sua stessa organizzazione ma di certo sarei riuscita a scoprire qualcosa in più. 
Per il momento, però, dovevo andare ad informare la Talon di quello che stava accadendo e loro poi mi avrebbero dato degli ordini da seguire. Come da prassi.
Mi legai i capelli e uscii dal bagno in completo silenzio una volta pronta. Avevo già afferrato il mio fucile quando qualcosa mi fermò, lasciandomi incollata al pavimento per un attimo.
Tracer era sul divano, le labbra schiuse, respirava piano persa nei sogni. Strabiliante come quell'innocenza che vedevo sul suo volto riuscisse ad essere la stessa anche da sveglia. 
Un angolo della mia bocca si sollevò appena a quella vista prima che potessi scuotere appena il capo e tornare sui miei doveri. 
Non potevo distrarmi. 


Il quartiere principale della Talon a Londra era stato completamente evacuato dopo l'esplosione della bomba ad impulsi dell'inglese. Non c'era anima viva fra i corridoi, solo disordine e silenzio. 
Mi aggiravo tranquillamente fra le stanze, sicura di non incontrare la squadra di Overwatch mandata per uccidermi: era troppo stupido per loro tornare lì, così avevo escluso il rischio di incappare in loro.
In quel momento avevo solo bisogno di un pc per potermi mettere in contatto con i miei superiori. Mi sentivo quasi irrequieta all'idea di non sapere che cosa fare e come agire. Da quando ero entrata a far parte dell'organizzazione avevo sempre un Ordine, che fosse il semplice accompagnare una squadra e supportarla a distanza oppure un omicidio. In ogni caso sapevo esattamente e cosa e come farlo perché me l'avevano detto e ora... volevo riempire quel vuoto.
Entrai nella sala conferenze e mi avvicinai al pc più vicino, inserendo ID e Password del mio profilo come agente. Picchiettai con le dita sulla scrivania in attesa della chiamata dell'olo-chiamata. Quando avvenne, dovetti prima scannerizzare il mio volto per permetter loro di assicurare la mia identità. Rimasi ferma, davanti allo schermo, osservando la olo-cam che in quel momento mi stava riprendendo. Ovviamente io non potevo vedere loro, dato che poteva essere troppo rischioso. Persone come Sombra potevano rintracciare i capi dell'organizzazione criminale in poco solo conoscendo la forma degli occhi, quindi preferivano evitare.
Una voce distorta fuoriuscì dal pc, facendomi sospirare.

- Widowmaker. Rapporto. - disse semplicemente, diretta e concisa.

- Ricevuto. -
Mi umettai le labbra, prima di iniziare a parlare. Dovevo soppesare le parole per poter spiegare il più chiaramente possibile quello che stava succedendo, per permettere loro di organizzarsi al meglio e senza intoppi. 
- Non lo so con precisione, ma pare che alcuni agenti di Overwatch si siano riuniti, se non tutta l'organizzazione. Il Soldato 76, che ipotiziamo sia l'Ex Comandante Jack Morrison era in procinto di attaccare la nostra sede Londinese per potermi catturare, scoprire la locazione di Reaper e infine uccidermi. Solo che... - stavo parlando, con calma, ma la voce mi morì in gola mentre stavo per spiegare cosa era successo con Lena. Per un attimo una piccola parte di me preferí non parlare dell'aiuto che mi aveva offerto l'inglese. 

- Parla, Widowmaker. Continua. -  ordinò la voce, quando capì che non avrei continuato a parlare e che la mia non si trattava di una semplice pausa.

Sbattei per un attimo le palpebre, senza cambiare espressione e annuii, riprendendo a parlare con la stessa voce atona. - Per ragioni a me ancora sconosciute l'agente Lena Oxton conosciuta come Tracer mi ha... tratto in salvo, tradendo i suoi stessi compagni. - terminai, serrando le labbra in una linea dritta.

Ci fu un lungo silenzio e una lunga attesa. Sapevo che stavano discutendo delle informazioni che avevo riportato. In quel momento dovevo solo stare ferma e in silenzio, come mi avevano insegnato, in attesa.
Funzionava così, loro parlavano e io agivo. Loro complottavano e io attendevo. Non ricordavo nemmeno come fosse la mia vita prima di stare sotto la Talon, come fosse non dover attendere il da farsi. Sapevo solo che era quello che sapevo fare meglio, oltre che uccidere. 

- Widowmaker. Resta accanto l'agente Lena Oxton se ti è possibile. Assecondala, prova a farle sfuggire qualche informazione. Quando credi che sarà abbastanza portala da noi, magari potremmo riservarle il Trattamento. Inoltre tenta di indagare su Overwatch stessa. Ovviamente, ci aspettiamo che tu stia attenta di non cadere in nessuna trappola. Ricevuto? -

Ascoltai con attenzione le parole quando la voce tornò a parlare, assottigliando lo sguardo per un attimo. Nella mia testa c'era un enorme punto interrogativo ma non dovevo fare domande. Dovevo accettare e basta. - Ricevuto. - affermai, per poi sentire il tipico rumorino che seguiva la chiusura della chiamata. 
Rimasi a fissare la olo-cam, quasi pietrificata sul posto, senza alcuna espressione in viso.
Stavo cercando di riordinare i pensieri prima di tornare da Tracer.
Come da ordini.
No?

Una volta uscita dalla sede Talon, iniziai a ragionare. Dovevo far in modo che Tracer si fidasse di me... ma come? Era scontato che dovessi fingere senza risultare troppo falsa, eppure non sapevo da dove iniziare. In tutti quegli anni non avevo mai affrontato una missione simile. Dovevo uccidere, non tentare di farmi un amico. 
Più ci riflettevo più mi rendevo conto di quanto quella situazione fosse assurda. 
Stavo tornando al loft quando, fortunatamente, mi saltò in mente un'idea che forse sarebbe stata perfetta per la mia "causa".


- Dove diavolo sei finita!? - urlò la ragazza inglese sulla porta. Era completamente paonazza, mentre si stringeva le braccia al petto. 
Era stato troppo per me sperare che stesse ancora dormendo e che non si fosse accorta della mia assenza.
- Hai forse imprecato, chèri? - le chiesi, mentre le allungavo la busta con alcune cose da mangiare. Lena mi fissò dritta negli occhi, gonfiando appena le guancie, afferrando la busta solo dopo qualche istante. 
Potevo considerarmi fuori dai più che ovvi sospetti? 

- Mi hai fatta preoccupare! In più pensavo che avessi tagliato la corda. - esclamò, posando la busta sul mobile della cucina, iniziando a tirarne fuori il contenuto. Non la vedevo così agitata e nervosa dai tempi dell'omicidio di Mondatta. A volte dimenticavo che anche lei poteva essere soggetta a emozioni negative come qualsiasi altra persona.

Mi umettai appena le labbra, stringendo le braccia al petto mentre sospiravo seccata. - Non devi farmi da baby-sitter. La ragazzina fra le due qui sei tu. - affermai senza scompormi nè cambiare espressione. 
Mi appoggiai al tavolo scheggiato accanto al bancone, continuandola ad osservare.
Per poco non aveva fatto cadere una mela sul pavimento... quanto poteva essere goffa? 

- Se ti facessi da baby-sitter ti chiederei il vero motivo per cui sei sparita con armi e bagagli per tutto questo tempo. Di certo non ti serve il fucile per fare la spesa. - 

Sollevai appena le sopracciglia, lievemente sorpresa da quelle sue parole. 
Si girò verso di me, rigirandosi fra le mani la mela. 
Stavo per aprire bocca, quando lei mi fermò, scuotendo il capo.

- Non sono affari miei, rilassati. In ogni caso hai visto? Sai essere gentile anche tu. Portare da mangiare è stata una bella idea! - esclamò, sbattendo quei suoi grandi occhioni marroni, sorridendo dopo pochi istanti.
Storsi appena le labbra, nel tentativo di reprimere una sensazione strana che da tempo non percepivo. Quella di un sorriso spontaneo. 
Forse non dovevo sottovalutare quella sciocca ragazza se volevo portare a termine la missione.

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Capitolo 5
*** Impasse ***


Tracer.

Me ne stavo sulla finestra con lo smartphone fra le mani. Sentivo perfettamente lo scrosciare dell'acqua della doccia, ove si trovava in quel momento Widowmaker.
Erano passati un paio di giorni da quando era tornata a casa, provando ad imbrogliarmi.
Forse l'unica parola per definire quella situazione era "impasse"; non sapevo come agire, come poter risolvere quella situazione di stallo. Sapevo che se mi fossi rivolta ad Overwatch non avrebbero fatto altro che definirmi una voltagabbana e avrebbero preso in custodia sia me che la francese. 
L'unica possibilità era quella di portare la donna lontana da Londra... ma come? Con ogni probabilità l'organizzazione stava tenendo sotto controllo aeroporti e stazioni, per intercettare il prima possibile l'assassino.
Affondai i denti nel labbro inferiore, prendendo un respiro profondo. Non potevo trovare una soluzione da sola, avevo bisogno di aiuto. Premetti il tasto di accensione del telefono e attesi, storcendo le labbra quando mi ritrovai una centinaia di chiamate perse e messaggi. Diedi un'occhiata veloce, notando che la maggior parte erano di Emily: era preoccupata per me data la mia totale assenza in quei giorni. Che pessima fidanzata che ero, ma purtroppo se mi fossi fatta sentire sarebbe stato solo un rischio, dopotutto nessuno sapeva che fine avessi fatto ne dove fossi. 
Per un pelo non mi cadde il telefono dalle mani quando iniziò a vibrare, con la foto dello scimmione che inondava lo schermo illuminato.
Presi un sospiro profondo prima di rispondere e portare il telefono all'orecchio.

« Oya, ragazzon... »

« Lena Oxton! » tuonò la voce di Wiston all'apparecchio, ovviamente agitata e infuriata al tempo stesso. « Dove sei!? Sei nei guai, signorina. In guai molto seri! Non so cosa ti... »

Sollevai gli occhi al cielo: come volevasi dimostrare il gorilla era completamente nel pallone, in un misto di ansia e rabbia. Avevo scostato il telefono dall'orecchio, per non sorbirmi tutto quel ciarlare, eppure a quella distanza continuavo a sentire la sua voce. 
Tornai a portarmi il telefono all'orecchio per parlare solo quando notai che quell'esplosione si era conclusa in un sordo silenzio. 

« Wiston... sono a Londra e hai ragione, sono nei guai. Tesoro, mi serve il tuo aiuto. » iniziai, sperando che mi aiutasse. Nella mia voce si poteva leggere tutta la tensione che, da un po' di tempo a quella parte, mi aleggiava attorno.

« Ti ascolto. » disse immediatamente, senza pensarci nemmeno due volte, con quella voce roca e calda al tempo stesso. 
Ed eccolo lì, il mio migliore amico, la persona che mi avrebbe aiutato in ogni istante senza se e senza ma.
Iniziai a parlare, gli spiegai perché ero a Londra e perchè non mi ero fatta sentire. Lui non parlò molto, limitandosi a qualche sospiro, forse per lasciare spazio a me, dato che già era difficile per me spiegare il perché, per quanto assurdo fosse il motivo, avessi tradito Overwatch.
Alla fine rimasi in silenzio, pronta per i rimproveri che sapevo sarebbero arrivati.

« Dovevo capire che cosa avevi in mente, Lena. Ora dobbiamo solo capire come sviare Overwatch, sono riuscito a tenere l'organizzazione lontano da te. Il comandante Morrison non si è ancora accorto della tua assenza, o almeno così credo. Non mi hanno informato di nulla, solo che la loro missione era fallita. » disse Wiston, lasciandomi stupita.

Sollevai le sopracciglia, schiudendo appena le labbra. « Nessuna ramanzina? »

Dall'altro capo del telefono lo sentii ridere. « Hai agito come meglio credevi e sai come la penso su Widowmaker. Per quanto tu sia nei guai fino al collo, il fine giustifica i mezzi. »

« Ragazzone... mi dispiace così tanto averti fatto preoccupare. » mormorai, stringendo appena di più il telefono. Un estremo senso di colpa mi stava attanagliando lo stomaco; non avevo avvertito Wiston fin dall'inizio per paura che mi tradisse... che stupida che ero stata.

« Con chi stai parlando? »

Sobbalzai sul posto e per poco non mi cadde di nuovo il telefono da mano. Lo allontanai dall'orecchio, mentre mi giravo di scatto verso la voce di Widowmaker e rimasi completamente pietrificata sul posto.
Se ne stava poco distante da me, con solo l'accapatoio a coprirla. Sul petto  potevo intravedere delle gocce d'acqua che scintillando avevano lasciato una scia sulla pelle viola fino all'incavo fra i sen....
Oh, cavolo, Lena! Concentrati!

« A-Amèlie, non ti avevo sentita... » borbottai spostando immediatamente lo sguardo per guardare altrove. Sperai con tutta me stessa che non avesse notato quell'attimo ma, ovviamente, sembrava più un illudermi.

La sentii emettere un sospiro secco. « Mhmh... Manda i miei saluti allo scimmione, cherì. Io vado a finire di sistemarmi. Dopo dobbiamo parlare. » disse semplicemente, per poi tornare in bagno esattamente come era arrivata: senza far rumore, come un fantasma.

Diventai rossa come un peperone.

« Lena? Ci sei ancora? Widowmaker è lì? » sentivo la voce di Wiston provenire dal telefonino e, con un sospiro, me lo riportai all'orecchio.

« Si... cioè, era. Mi ha fatto prendere un colpo. Ascolta ragazzone mi farò sentire, ora devo andare, okay? » 

Ci fu un silenzio dall'altro capo del telefono, poi finalmente il mio migliore amico decise a parlare. « Va bene, stai attenta. »


 -

« Intercettate!? Cosa!? » esclamai, sgranando gli occhi sorpresa da quelle parole e al tempo stesso iniziai a considerarmi una stupida. Beh, perché lo ero. Era così scontato e ovvio eppure avevo commesso un terribile errore.

« Accendere il cellulare e chiamare il tuo amichetto è come gridare "Ehi, sono a Londra, perché non mi passate a trovare?". » sospirò la donna francese che se ne stava ad osservarmi seduta sul divano, con le gambe accavallate. Sembrava tranquilla, come se non fosse una cosa così grave anche se, a dirla tutta, lo era.

Mi battei una mano sulla fronte, gettando poi il capo al cielo. « Stupida! Stupida che sono! Stupida, stupida! » esclamai, per poi sentir ridacchiare Widowmaker. 
La guardai, aggrottando la fronte. Quella sua risata era così poco naturale... come se stesse recitando. 

« Abbiamo ancora del tempo, credo. Ma prima di tutto devi spegnere il telefono e... » stava dicendo, per poi essere interrotta dallo squillare dell'oggetto in questione. 
Entrambe lo fissammo per un attimo come se fosse una bomba ad orologeria.
Guardai per un attimo negli occhi scintillanti dell'assassina, prima di avvicinarmi al telefono e controllare lo schermo. Dava Sconosciuto.

« Metti in viva voce. » disse lei, atona.

Un po' titubante andai a rispondere, facendo come richiesto. « Sì? »

Uno sbuffo provenì dall'apparecchiarura. « Ah, araña! Ho capito che te la stai spassando con la chica ma almeno non far aspettare gli amici! »

Sollevai le sopracciglia di scatto nel sentire la voce femminile - con un'intenso intercalare... spagnolo? Messicano? - sconosciuta che mi arrivò dall'apparecchio. Mi voltai verso Amèlie e lei stava sollevando gli occhi al cielo, visibilmente innervosita. 
Posai il telefono sul tavolino e andai a sistemarmi sul divano dal lato opposto rispetto al suo, rimandando ovviamente in silenzio.

« Che diavolo vuoi, Sombra? » sibilò la francese, fissando il mio cellulare come se volesse perforarlo con uno dei suoi proiettili.
Ah, ecco chi era, Sombra, la ladra, l'hacker. 
Lavorava con la Talon?

« È così che si tratta un'amica, arãna? Sopratutto un'amica che vuole aiutarti? » la voce della donna era... ambigua. Non sapevo come decifrarla, sapevo solo che m'irritava e non poco. 

A quanto pareva, faceva lo stesso effetto anche ad Amèlie. « Vuoi girarci ancora intorno? Arriva al punto e basta. »

« Mh... un uccellino mi ha detto che l'ex - se ancora possiamo considerarlo così - comandate di Overwatch vuole sia te che il nostro amico amante degli AC-DC. Ma forse questo già te l'ha detto Tracer... sei tu che hai risposto, vero niña? Ho sentito molto parlare di te, dell'incidente con lo slipstream, la tua malattia, l'accelleratore temporale... hai una storia interessante devo ammett... »

« Sombra! » la riprese Amèlie, che si era rimessa dritta con la schiena, le gambe non più accavallate, protesa verso il telefono. Ora più che irritata sembrava aggressiva, glielo potevo leggere negli occhi dorati come quelli di un felino. 

Una risata provenì dal telefono, che si concluse con un piccolo e teatrale colpo di tosse. « Va bene! Ho capito! Aia, qui qualcuno è geloso. E io che volevo scambiare qualche parola con te, Tracer, ma credo che ce ne sarà l'occasione. In ogni caso... l'uccellino ha ascoltato un paio di chiamate e letto un paio di rapporti. La squadra di Jack Morrison sa che la tua fidanzatina non è alla base, blu pepe. Ma pensa che tu l'abbia presa in ostaggio... quindi... buon per te. Quegli idioti credono che la fish-and-chips li abbia seguiti ma che tu l'abbia trovata. 
Se fossi in te proverei ad eliminare uno di loro come avvertimento e me la darei a gambe.
Adesso devo andare, bella chiacchierata, adios. » e la linea cadde.

Sia io che Amèlie restammo perfettamente immobili, a guardarci. 
Il suo volto era una linea dritta, nessun espressione, nemmeno pareva che stesse riflettendo. Se non fosse stato per quegli occhi così penetranti l'avrei potuta scambiare per una statua. 
Si alzò dal divano.

« Non starai pensando di... » iniziai io, imitandola, avvicinandomi a grandi passi verso di lei.

La vedevo, stava recuperando la sua attrezzatura e si fermò solo un attimo per voltarsi verso di me. « Sombra non è una stupida, ha ragione. Un avvertimento. Sono gli ordini e poi ci volatilizziamo. È l'unica cosa da fare. »

« No che non è l'unica cosa da fare! Stai parlando di uccidere uno dei miei amici! » le gridai contro, sollevando appena le mani, quasi a invogliarla a fermarsi e abbandonare quell'idea.

« Non voglio deluderti, cherì, ma è quello che faccio. Sono tuoi amici, non miei. Il mio compito è ammazzare quando me lo si viene chiesto. Fine della discussione. Resta qui e non ti muovere. » aveva parlato con freddezza, decisa, non dubitando delle sue parole. 
La vedevo lì, al centro del mio loft, con la mano che andava ad afferrare il suo fucile che giaceva accanto le mie pistole, sul tavolo.

« Tu non andrai da nessuna parte. » affermai, lanciandomi verso di lei per rubarle  il fucile prima che lo prendesse. Il mio accelleratore scintillò, proiettandomi davanti a lei, ad un passo. 
Possai la mano sul fucile, facendo pressione per lasciarlo incollato al tavolo. 

Amèlie mi guardò per un attimo che parve infinito. Per quanto mi sforzassi non riuscivo a interpretare la sua espressione, non riuscivo a carpire nulla.
Mi si avvicinò, piano, fino a che non mi stette ad un soffio. Sentivo il suo corpo, il suo respiro contro il viso. Era così vicina... così tanto che riuscivo a percepire il suo profumo... lo stesso che aveva tanti anni prima, quando l'avevo conosciuta, quando era ancora Amèlie Lacroix. Lo stesso profumo che mi aveva fatto sentire la testa e il corpo leggerissimi.
Come in quel preciso istante.

Il pugno arrivò dal nulla, fulmineo, mi colpì in pieno viso facendomi barcollare all'indietro, stordita. Mi portai la mano alla bocca, sentendo una fitta al labbro inferiore, lo aveva sicuramente spaccato dato che il sapore del sangue mi stava inondando la bocca.

« Lasciami passare, cherì. » ordinò, afferrando il fucile.

Ed eccola, la sentivo scorrere nelle vene, la stessa eccitazione che mi colpiva ogni volta che lottavo con lei, come se il mio corpo riconoscesse quella situazione. 
Scossi il capo, tornando a fiondarmi su di lei per strapparle il fucile. 
Iniziammo a danzare, lei provava a colpirmi con calci, pugni, a volte anche con il calcio dell'arma senza mai riuscirci dato che io cercavo di evitare ogni colpo, guizzando per tutto l'appartamento - che sicuramente avremmo distrutto -. 
Ogni suo movimento era calcolato e preciso, rendendomi sempre più difficile il compito di schivare i suoi colpi senza colpirla. 
Stavo evitando in tutti i modi di farle male, limitandomi solo alla difesa personale.
Anche se voleva uccidere uno dei miei amici, quello che aveva ricevuto era un ordine e come tale andava rispettato. Era quello che faceva... obbedire alla Talon. 

Poi, per una frazione di secondo non riuscii a scappare via dal suo colpo e mi ritrovai a terra, con Widowmaker che torreggiava su di me.
Ingoiai, cercando di fermare il respiro affannato - che aveva invaso anche lei - per poter riprendere a combattere. Purtroppo però mi bloccò a terra, sedendosi su di me a cavalcioni per intrappolarmi con il suo corpo.
Sentivo il suo peso gravare su di me... e sospirai, quasi fosse piacevole quella sensazione.

« Non volevo farti del male. Mi hai costretta. » mi stava dicendo, mentre tirava il pugno all'indietro, pronta a colpirmi. Era la fine, avevo fallito. Non solo avevo tradito la mia famiglia ma avevo consegnato la vita di uno di loro... solo per puro egoismo. Stavo provando a giustificarmi, a credere che lo facevo perché era la cosa giusta. Ma in realtà... avevo fallito esattamente come quando aveva ucciso Mondatta. 

 Serrai i denti. « Oh, tesoro! Io non ti ho mai costretta! Sono quelli lì che ti costringono! Sei il loro burattino! Quindi colpiscimi e torna da loro, così ti daranno un altro ordine e poi un altro ancora! » le urlai contro, le lacrime agli occhi. Chiusi gli occhi, in attesa del pugno che mi avrebbe travolto da un momento all'altro. 

Lo sentì arrivare, forte e veloce, solo che... non giunse mai a destinazione. Mi sfrecciò accanto, colpendo il pavimento con un tonfo.
Spalancai le palpebre, sorpresa.

Amèlie era lì, ferma immobile, inespressiva ma con gli occhi che parevano ardere nei miei, pieni di... rabbia?
Mi afferrò per la giacca con entrambe le mani, tirandomi a se, faccia a faccia. 
« Io non sono un burattino. » disse con voce bassa, vibrante, decisa. Per la prima volta non sembrava una recita.

Feci la stessa cosa, l'afferrai per i polsi, stringendoli con forza e flettendo la schiena per avvicinarmi ancora di più, per non lasciarla scappare subito nel caso non cambiasse idea. 
Non staccai nemmeno per un attimo gli occhi dai suoi. « Allora dimostralo! Dimostra che non sei un burattino! Agisci per tua scelta, prendendo una tua decisione! Fa qualcosa perché tu vuoi farlo! » le urlai in faccia, stringendo la presa su di lei. 

Stava respirando più pesantemente, la sentivo. Aveva schiuso le labbra e l'aria aveva assunto un rumore affannato che aveva iniziato ad aleggiarci attorno, insieme al mio.
Amèlie  aveva lo sguardo basso mentre stringeva con più forza la mia giacca. 

Accadde così, all'improvviso: sollevò lo sguardo con il volto accigliato e mi tirò ancor più verso di se, spingendo la bocca contro la mia fino ad unire le nostre labbra.
Spalancai gli occhi, completamente colta alla sprovvista. 
Mi stava baciando.
Widowmaker, l'assassina, la mia nemesi, stava spingendo e muovendo le labbra contro le mie con prepotenza.
Una scarica mi colpì il basso ventre nel momento in cui sentii la sua lingua, dolce e umida, così  scattai come una molla. Le lasciai i polsi e mi aggrappai alle sue spalle, prendendo a ricambiare il suo bacio.
Ero ubriaca, come se la mia lucidità fosse andata a farsi un viaggetto. Il cuore mi pompava nel petto così forte che lo sentivo nelle orecchie.
Dio... cos'erano quelle labbra, quelle dannate e morbide labbra che si muovevano sulle mie, danzando. Sentivo la stessa adrenalina che mi colpiva quando lottavamo, mi scorreva nelle vene mandandomi completamente a fuoco.
Ci staccammo di scatto,  con la stessa velocità con cui mi aveva baciata.
Mi ritrovai a riprendere fiato con ingordigia, affannata, mentre la guardavo negli occhi. Lei non sembrava stare meglio di me, in quel momento. Di nuovo i suoi occhi mi parvero quelli di un predatore, solo che non erano omicida ma... affamati. 
Andò a togliermi la giacca frettolosamente ed io l'aiutai, prima di tornare ad aggrapparmi alle sue spalle e a spingere la bocca contro la sua per riprendere a baciarla.
Le sue dita gelide mi passarono fra le ciocche dei capelli, che afferrò poco dopo, mordendomi le labbra con la stessa voracità di poco prima. 
Stavamo danzando di nuovo, solo che in un modo diverso, un qualcosa che pareva fosse solo un tasto che andava premuto per ogni volta che avevamo combattuto insieme, per quell'amaro in bocca che ne seguiva ad ogni incontro. 
Mi aveva aiutata a sollevarmi da terra senza mai interrompere quel contatto, circondandomi il corpo con le braccia. Amèlie era decisa, ogni tocco, ogni movimento era preciso ma per la prima volta non studiato, solo voluto.  
Non sapevo descrivere ciò che provavo  in quel momento nel sentire il suo corpo contro il mio, così vicina, molto di più dei nostri soliti scontri. 
Presi a tirarle la scollatura della sua uniforme finchè lei non se le liberò, guidandomi verso il letto, una presa salda sul mio sedere mentre vi affondava dita e unghie.
Si, quello era proprio un Impasse.
Ero in balia del ragno.

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Capitolo 6
*** Fuoco ***


Widowmaker

In quel momento eravamo qualcosa di indistinto. Un miscuglio di corpi e suoni affannati, godenti. Sotto di me l'inglese aveva il viso arrossato, gli occhi languidi con le palpebre lievemente calate. Il suo corpo, completamente nudo, era caldo e rovente nonostante il mio tocco gelido. Pareva che ogni mia terminazione nervosa fosse saltata a quel piacere che stavo provando in quell'istante. 
Con una mano le avevo afferrato i capelli per costringerla a inclinare il capo di lato, in modo da avere il collo completamente scoperto. Affamata vi passai la lingua e i denti, lasciandole un morso ad ogni gemito. 
Quella sciocca e folle ragazza mi avrebbe fatto impazzire, prima o poi. 
Però, mi resi conto che il collo era diventanto appena più robusto e salendo più su incontravo la peluria della tipica barba incolta da un paio di giorni. Le mie mani andarono a circondare quel collo, stringendolo con forza, decisione.
Gerald boccheggiò, alla ricerca di aria, mentre afferrava i miei polsi.
Le mie unghie penetrarono nella sua carne per non staccarsi da quel corpo che si dimenava. 



Flettei la schiena, sollevandomi di scatto. La stanza era sarebbe stata perfettamente buia se non fosse per la luce luna che filtrava dalle finestre del loft. 
Il cuore mi batteva forte nel petto, ma mano a mano iniziò a rallentare quando il mio essere si rese conto che si era trattato di un incubo, un semplice sogno.
Mi scostai alcuni capelli dal viso, portandomeli dietro la schiena mentre voltavo il capo verso la figura che giaceva accanto a me. Lena dormiva tranquillamente a pancia in su, il respiro era così leggero che a stento si percepiva nella stanza. La luna faceva scintillare la sua schiena nuda appena striata dal segno delle mie unghie.
Non riuscivo a capacitarmi di quello che era successo. Ogni volta che in passato avevo lottato contro di lei avevo sentito eccitazione e adrenalina e la sera precedente tutte quelle sensazioni avevo preso il sopravvento. La mia ragione sapeva che fare sesso con lei era stato un errore ma ovviamente il mio corpo, ancora capace di provare piacere sessuale, non poteva esserne più felice. Sentivo le labbra gonfie, piene della lussuria che ci aveva travolte e mi sentivo rilassata, stanca ma appagata. Stranamente Lena mi aveva stupito di nuovo, dato che non l'avevo considerata capace di soddisfarmi abbastanza. 
Alla fine, quella sciocca aveva mandato a monte ciò che dovevo fare. 
Lentamente mi sollevai dal letto, posando i piedi nudi sul pavimento. Silenziosa come mio solito mi allontanai, cercando di recuperare i miei vestiti e la mia attrezzatura sparsa per la stanza. Dovevo star attenta a non far rumore, dato che se si fosse svegliata sarebbe stato un problema.
Avevo un piano da attuare e gli intoppi non erano contemplati.






Contattare Sombra e farmi dare le informazioni fu semplice, dato che sapevo che mi teneva d'occhio. In quel momento, come un fantasma nel cuore della notte, me ne stavo in allerta.
Dal tetto vedevo gli agenti di Overwatch attraverso le finestre del loro rifugio, un vecchio hotel nella periferia di Londra per non dare nell'occhio. Il visore termico calato sugli occhi mi permetteva di osservare la scena con attenzione, individuando la posizione di ognuno. 
Jack Morrison sembrava avere una discussione con la figlia di Ana Amari, datele loro secondo il linguaggio del corpo. Tirai su il fucile, sollevando il mirino pronta a sparare. 
Uccidere Morrison poteva rivelarsi un grande errore, data la sua figura, ma la figlia di Ana... a nessuno sarebbe importato. Bastava solo che facesse un passo avanti e sarei riuscita a trapassarla da tempia a tempia, in una morte rapida e indolore. Un avvertimento. Mi serviva un modo per tenerli lontani da Lena e portare avanti il  mio piano. 
Un colpo.
Un morto.
Ed eccola, l'eccitazione della caccia, il sapore della soddisfazione di togliere la vita che mi inebriava come una droga. L'unico modo che conoscevo per sentirmi viva.
La donna Egiziana si alzò dal divano su cui era seduta e l'indice mi formicolò, pronto a sparare...
Di scatto  abbassai  l'arma storcendo le labbra, proprio nell'esatto momento in cui quel passo venne compiuto. 
Indietreggiai, allontanandomi dal cornicione irrequieta. Mi bastava un morto, solo un morto. Un escamotage per tenerli lontani.
Chiusi gli occhi, puntando di nuovo il fucile verso la finestra e questa volta sparai
Il vetro si ruppe, incrinandosi dopo il colpo e andando in mille pezzi.

« Cecchino! State giù! »

Aveva urlato Angela Ziegler, gettandosi immediatamente dietro al divano. Ognuno di loro, ne ero certa, aveva già la propria arma in pugno e guardava attraverso la finestra. 
Mi sporsi dal cornicione, il fucile di precisione abbassato. 

« Provate a seguirmi e l'ammazzo! Provate ad intralciarmi e l'ammazzo! Statemi lontana e non farò nulla a quella mocciosa. » intimai, alzando quanto bastava la voce per farmi sentire. 
Forse quello sarebbe bastato a tenerli lontani da lei. 
Mentre mi allontanavo in fretta, per sparire nella notte, sentivo qualcosa afferrarmi la bocca dello stomaco, una tremenda sensazione di malessere che quasi mi faceva soffocare. 
Per la prima volta avevo disobetito ad un ordine chiaro.
Per la prima volta avevo lasciato vivere il bersaglio a me assegnato.
Avevo esitato e sapevo che appena la Talon, appena scoperto l'accaduto, mi avrebbe punita per infliggermi la lezione. Quasi sentivo la loro delusione aleggiare intorno a me. 
Adesso però non potevo tornare indietro, il danno era fatto. Potevo solo prepararmi per il prossimo passo da compiere.

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Capitolo 7
*** Errore ***


Tracer.


« Svegliati, idiota. »

M'intimò la voce, facendomi stringere appena di più il cuscino. Sentivo il corpo estremamente pensante, ancora stanca e desideriosa del mondo dei sogni. 
Perché doveva proprio svegliarmi?

« Lena, se non ti alzi giuro che ti faccio svegliare io. »

Continuò, imperterrita. Mi ritrovai ad affondare il viso nel morbido cuscino, cercando di soffocare la voce di quella donna che cercava in tutti i modi di strapparmi dal sonno e da quel morbidissimo letto. 
Per un po' non sentii più niente, poi però qualcosa mi sfiorò la schiena nuda, facendomi rabbrividire. Amèlie prese a far scorrere le gambe lungo i miei fianchi, chinandosi su di me per lasciarmi un morso sulla spalla.
Fu quasi automatico il mio sospiro piacevole, ma poi mi resi conto che la sua mano si stava insinuando in posti un po' troppo intimi. 
In quell'esatto istante mi ricordai si tutto quello che era successo quella notte e saltai sul letto, coprendomi con il lenzuolo il corpo nudo.  Il viso iniziò a bruciare, dato che probabilmente ero completamente rossa per l'imbarazzo. 

Widowmaker mi osservò con un sopracciglio alzato e potevo perfettamente leggere il divertimento nei suoi occhi. 

« Ieri non eri così timida... ma in ogni caso ti sei svegliata. Preparati, abbiamo da fare oggi. » 
Si tese per lanciarmi la giacca da aviatore che afferrai fra le braccia, prima di scappare in bagno con la coda fra le gambe. 
Mi chiusi la porta alle spalle, dove mi appoggiai ad essa, abbracciandomi la giacca. 
Di fronte a me vedevo il mio riflesso allo specchio e mi stupii di come fossi conciata. 
I miei capelli erano molto più in disordine del solito e le labbra erano gonfie, ma ciò che mi stupì di più furono i diversi morsi e marchi violacei che mi punteggiavano il collo e il petto, lividi e accesi. Mi avvicinai allo specchio e piegai il collo di lato, notando che alcuni graffi partivano dalle spalle e, girandomi appena, continuavano lungo la schiena.
Quella era una donna o un animale?
Il primo pensiero che mi sfiorò la testa fu il peggiore e mi colpì come un pugno nello stomaco.
Come avrei spiegato tutto quello ad Emily?
Avevo tradito la mia ragazza, la persona più buona e dolce dell'intero pianeta. 
I sensi di colpa mi attanagliarono immediatamente, facendomi aggrappare al lavandino. Che diavolo mi era passato per la testa? A che cosa stavo pensando? 
Ero stata un'idiota di proporzioni bibliche perchè quella debolezza aveva mandato a monte tutto e, se Emily lo avesse saputo, avrei fatto soffrire l'unica persona che si meritava solo ed esclusivamente amore. Percepì gli occhi pizzicarmi per la frustrazione ma dovetti reprimere le lacrime, non era quello il momento per crollare. 



Una volta che fui pronta, mi sedetti sul divano per allacciare le cinghie dell'accelleratore temporale. Amèlie era vicino alla finestra, stranamente a suo agio in quel momento; stava guardando fuori, con una tazza di caffè fra le mani. 
La osservai di sottecchi, storcendo le labbra, mentre immagini della sera prima mi tornavano in mente. Era stata così delicata in quel momento, nonostante i diversi marchi che mi aveva lasciato sulla pelle e la passione che ci aveva travolte. Dovetti ingoiare a quel ricordo, mentre per l'ennesima volta mi sentii pizzicare le guance dall'imbarazzo. 
Mi schiarii la voce per attirare la sua attenzione.

« Allora, qual'è il piano? » le chiesi, mentre mi andavo a sistemare le pistole nelle fondine sugli avambracci. Immaginavo che non mi sarebbero servite, dato che Amèlie aveva lasciato il suo fucile privo di munizioni appeso alla sua schiena. Lo sapevo perché aveva poco prima sistemato la sua arma, lasciandola completamente scarica. Per una volta avevo la consapevolezza che forse, le mie pistole, non sarebbero servite.

La donna in viola si voltò verso di me, sollevando un sopracciglio. « Sombra mi ha procurato un biglietto di sola andata. Adesso noi andremo alla metro e tu prenderai una strada diversa. Andrai in periferia ed io in centro, è più facile per me lasciare Londra fra la folla per cui prenderò il treno alla stazione centrale. Tu invece a quella periferica, hai un biglietto a tuo nome che porta in centro, ma io a quel punto sarò già andata. »

Mentre parlava, Amèlie sembrava tranquilla, per nulla tesa. Come se fosse sicura che il piano sarebbe andato tutto liscio... dopotutto non aveva nemmeno caricato il suo fucile di precisione. 
Presi un respiro profondo, annuendo. Dopotutto ero io quella fra le due che non era per nulla convinta e che, ovviamente, aveva una brutta sensazione.

-

In strada non c'era nessuno, forse per l'ora abbastanza bislacca del mattino. Verso quell'orario dopotutto passavano solo i veicoli dei netturbini che pulivano le strade. Appunto, uno di esso era fermo accanto l'entrata della metro. Presi un respiro profondo, guardandomi intorno per l'ennesima volta.

« Sembra che tu non voglia andartene, cherì. » mi stuzzicò la donna che se ne stava accanto a me, con un lungo cappotto che aveva rubato dal mio armadio. 

Io ovviamente mi ritrovai a scuotere il capo e a passarmi la mano alla base dei capelli, per cercar di celare la mia preoccupazione.
« Stavo cercando un modo per salutarti, tesoro. Tutto qui. » ribattei, abbozzando un molto tirato sorriso. 

Amèlie sollevò gli occhi al cielo, avvicinandosi a me, afferrando la mia giacca esattamente come aveva fatto la sera prima, solo che questa volta non mi baciò, ma avvicinò la sua bocca al mio orecchio. Sentivo il suo respiro sfiorarmi la pelle, facendomi rabbrividire. 

« Ne pas oublie qui tu est. »

Dovetti ingoiare, perché anche se non capii praticamente una parola di ciò che aveva detto, la sua voce roca e graffiante mi aveva fatta a avvampare. 
Si allontanò dopo pochi istanti e io guardai altrove, indietreggiando. Improvvisamente avevo sentito il bisogno di allontanarmi da lei, quasi di scappare. Non riuscivo a spiegare ciò che stavo provando in quel momento e scappare sembrava la soluzione più semplice. 

« Si... ehm... ci si vede. » le dissi, facendole un cenno con due dita, mentre mi voltavo per prendere le scale e scendere giù in metropolitana. 
E quindi finiva così quella strana bizzarra avventura? Che aveva aperto solo un milione di quesiti su quella strana donna che era stata mia nemica?
Ovviamente non potevo aspettarmi il sordo colpo dietro il capo, così forte e veloce che non mi fece nemmeno sentire dolore.
Tutto divenne scuro, ottavando il mondo che mi circondava. Tranne per due parole:

« Pardon, cherì. »

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Capitolo 8
*** Bisogno ***


Widowmaker.


Dovevo ammettere che essere tornata in una delle sedi Talon mi dava un forte senso di sicurezza. Stranamente, dopo che avevo consegnato Tracer a loro, non avevo avuto alcuna ripercussione sulla mia scelta di non uccididere nessuno della squadra mandata per catturarmi e eliminarli. Un peso in meno, sopratutto perché erano passati anni da quando avevo disobbedito al loro ordini e il risultato non era stato dei migliori; di certo non volevo testate un'altra volta i loro metodi di 'educazione'.
Così me ne stavo tranquilla nella stanza che mi avevano assegnato nella sede dello Yorkshire, decisamente molto più grande di quella di Londra. Sapevo che al suo interno, data l'enorme struttura, quella sede era designata per la ricerca in campo militare e scientifico della Talon. Per quanto fossero un'organizzazione terroristica sapevano decisamente il fatto loro. 

Stavo lucidando il fucile, seduta sul letto, quando la porta si aprì senza che nessuno l'avesse spinta, ovviamente apparentemente. La fissai per un secondo, senza cambiare minimamente espressione, per poi tornare a pulire il mio amato fucile. 
Accanto a me, sul letto, apparve Sombra quando finalmente decise di lasciar perdere con l'invisibilità. Sapeva perfettamente che spaventarmi era qualcosa un po' difficile.

« Bentornata araña. » disse, mentre la sentivo sdraiarsi sul letto. Dovevo aspettarmelo che prima o poi sarebbe passata per la mia stanza. 
Potevo sbarrare la porta per impedirle di entrare, ora che ci pensavo. 
Ovviamente non le risposi, continuando a sistemare il fucile. Avevo iniziato a smontarlo per dare una sistemata al mirino. 

Sombra ovviamente sbuffò, detestava essere ignorata a quel modo. « Deve essere stato difficile consegnare alla Talon la tua ragazza, mh? » continuò, come se le avessi risposto e stessimo intrattenendo una normale conversazione.

« Non so di cosa tu stia parlando, ho solo eseguito degli ordini. » continuai, serva spostare lo sguardo su di lei. 

La potei quasi sentir sogghignare alle parole che seguirono poco dopo. « Sono passata per la sua cella quando le stavano sistemando l'accelleratore temporale per renderla innocua. Aveva... dei segni viola e graff.. »

« Sombra, sta zitta. » la interruppi immediatamente, stringendo con forza la presa sulla canula del fucile. Sperai vivamente che la Talon non pensasse che quei segni fossero opera mia ma bensì di qualcun altro, Sombra però sembrava essere arrivata alla giusta conclusione; conoscendola però non avrebbe fatto parola al riguardo, sopratutto perché le conveniva.

La messicana ridacchiò, spostando le dita per far apparire delle olo-finestre di ricerca. Su una di esse c'era una figura femminile dai capelli rossi. Ci picchiettò sopra. « Mi dispiace deluderti ma lei è Emily, la ragazza della tua fish-and-chips. »

Senza cambiare espressione osservai il volto lentigginoso della ragazza e quella vista m'innervosì molto più della presenza di Sombra nella mia stanza. Quindi quella donna era la compagna di Lena, che probabilmente l'aveva toccata allo stesso modo che avevo fatto io la sera prima, marchiata allo stesso modo.
Strinsi ancora di più la presa sulla canula, senza riuscire a spostare lo sguardo da quell'immagine.

Accanto a me, Sombra scoppiò a ridere « Araña devi vedere la tua faccia! » con un movimento delle dita fece sparire l'immagine e questo mi costrinse a guardarla, cosa che avevo voluto fino a quel momento; tutto pur di ottenere la mia attenzione.

Cercai in tutti i modi di non sbroccare, volevo Sombra fuori dalla mia stanza e volevo starmene da sola. « Sei venuta qui solo per una risata? Potevi guardarti un po' di televisione. »

Sombra sollevò le sopracciglia tagliate, con quel suo sorrisetto che mi portava sempre di più a volerle sparare in viso. 
« No, volevo la conferma di alcune cose, e me le sono prese. Se ti interessa domani inizieranno a giocare un po' con quella lì, per poi farle quello che hanno fatto a te. » disse Sombra, facendo leva sulle mani per sollevarsi dal letto. 

Serrai la mascella, cercando in tutti i modi di soffocare quella domanda che era sulla punta della mia lingua. Ma ovviamente fu un totale fallimento.
« Era cosciente quando l'hai vista? » le chiesi, atona come mio solito, nonostante fossi realmente interessata a scoprirlo.

La donna sollevò le spalle e le mani, come se non lo sapesse, sospirando mentre si avvicinava alla porta. « Perché non vai tu stessa a controllare? Scommetto che sarà felice di vederti! Che carine che siete, voi due piccioncine! »

-

Chiusi la porta alle mie spalle, quando mi accertai che fosse un orario in cui tutti, o almeno chi non aveva i turni, stessero dormendo. L'orologio segnava le due di notte.
Mi addentrai per i corridoi, diretta al posto in cui c'erano le celle riservati ai prigionieri della Talon. Più che una prigione, sembravano tante vetrine, come se le persone rinchiuse li fossero dei pesci in un acquario. Alcune erano libere di girare la loro cella, altre invece costrette con catene all'immobilità e imbavagliati. Con mia fortuna incontrai solo un agente di guardia in quella zona, dato che comunque c'erano i turni notturni. 
Al mio passaggio, il ragazzo della Talon mi osservò annoiato, dondolandosi sui i talloni. 
Io lo fulminai con lo sguardo, allungando la mano col palmo sollevato.

« Dammi il pass per la cella dell'agente di Overwatch. Voglio scambiarci due chiacchiere. » gli ordinai, con voce così ferma da impedirgli di replicare. « E vatti a fare un giretto. »

Fortunatamente il ragazzo non fece alcuna domanda e mi passò subito il pass per la cella. Era quella di isolamento, a quanto pareva. Doveva essere uno dei nuovi agenti costretto alla gavetta, dato che non si interessò molto e non solo, si allontanò anche. 
Mi rigirai la piccola scheda fra le dita, proseguendo per quel corridoio. Quando arrivai alla porta vi entrai, facendo passare la carta nel dispositivo. Il buio e l'oscurità prevalevano in quel posto, impedendomi persino di vedere la ragazza, così appena trovai l'interruttore un'accecante luce illuminò quella prigione.
La stanza era completamente bianca, divisa in due da un vetro spesso e doppio, molto simile alla stanza usata dalla polizia per gli interrogatori. Lena se ne stava in un angolino di essa, oltre il vetro, era raggomitolata e si stringeva le gambe al petto, il volto chinato.
Non si mosse nemmeno di un millimetro.
Chiusi la porta alle mie spalle, avvicinandomi silenziosa come mio solito al vetro. 

« Lena. » dissi semplicemente, per richiamare la sua attenzione.

L'inglese si smosse dopo qualche istante, sollevando lo sguardo, non aveva i suoi soliti occhialetti arancioni e ora che notavo, non aveva nemmeno il crono acceleratore che giaceva nel lato della stanza dove mi trovavo io. 
Gli occhi da cerbiatto della ragazza sembravano spenti, privi di vita. Restò lì a guardarmi, senza dirmi una parola.

Scossi il capo e sospirai, andando ad aprire la porta in vetro, passandovi di nuovo il pass. Lentamente entrai nella sua parte di stanza e, ad ogni movimento, sentivo che mi seguiva con lo sguardo. 
Nell'esatto momento in cui mi chiusi la porta di vetro alle spalle, Lena mi fu addosso.
Non si era mossa velocemente come suo solito, in lampi blu, ma mi aveva spinta con forza contro il vetro, tirandomi un pugno dritto sulla mascella. Fui così sorpresa da quella reazione che rimasi schiacciata con la schiena contro il vetro, mentre lei teneva il pugno sollevato, pronta a colpirmi di nuovo.
I suoi occhi erano pieni di rabbia.

« Traditrice. » sibilò, tornandomi a colpire violentemente, prima fin faccia e poi dritto nello stomaco. « Traditrice! »

Strinsi i denti, cercando di incassare i colpi senza emettere un fiato. Ci misi alcuni attimi per riprendermi e reagire a quei colpi. Le afferrai un polso, che storsi per costringerla a fare un passo avanti. Lo tirai con forza, tendendole il braccio e torcendolo ed in pochi attimi l'avevo bloccata contro la parete bianca, tenendola ferma, con la mano serrata sul suo polso che avevo premuto dietro la schiena. Le avevo anche afferrato con forza i capelli, spingendole la testa contro il muro.
Sotto la mia presa la sentivo ribellarsi e dimenarsi, fremere per la rabbia.

« Vuoi stare buona? » le chiesi, stringendo appena di più la presa sulle sue ciocche.

« Stare buona!? Mi hai rinchiuso qui! » ringhiò ancora, provando a fare leva sul suo altro braccio per potersi liberare, senza molto successo. Senza l'accelleratore temporale non poteva fare molto. 

Scossi il capo, aderendo il mio corpo al suo, mentre avvicinavo la bocca al suo orecchio. Le tirai appena il lobo con i denti, con la conseguenza che si irrigidì e la sentii perfettamente.
« Oh, andiamo cherì, ho seguito solo un ordine.  » le sussurrai, modulando la voce, redendola meno incolore e più affabile. Volevo farle capire che non c'era nulla di personale in quello che avevo fatto ma che stavo semplicemente svolgendo il mio lavoro. 
In quel momento volevo solo potermi lasciare andare con lei come quella notte, toccarla e averla di nuovo. 

Mi accorsi che non si stava più dibattendo, così con un sospiro le lasciai andare il polso, iniziando a passare le mani sulle sue cosce fini a fermarmi ai suoi fianchi. Mi sentii come sollevata, da quando non l'avevo più vista - dopo averla portata alla Talon - avevo solo voluto sentire il suo calore contro la mia pelle gelida.
Ovviamente non mi aspettavo la gomitata nello stomaco, che arrivò forte e decisa. Fui costretta a piegarmi in due, mentre indietreggiavo.

« Non toccarmi più. » affermò l'inglese, voltandosi con il corpo per guardarmi in viso. 
I suoi grandi occhi castani non erano più comprensivi e dolci ma furiosi e colmi di ribrezzo.

Era un rifiuto quello che stavo ricevendo? Osava davvero rifiutarmi?

« Andiamo, cherì, non sembrava ti dispiacesse il mio tocco... » iniziai, sollevando il sopracciglio, al solo scopo di provocarla un po'. 

Con mia sorpresa Lena non si scompose nemmeno per un istante, non spostando gli occhi dai miei nemmeno per l'imbarazzo che invece l'aveva colpita l'ultima volta. « È stato un errore, Widowmaker. Uno sbaglio che non accadrà più. »

Rimasi ferma, immobile, mentre una sensazione forte s'impossessò di me. Frustrazione? Rabbia? 
Non mi aveva nemmeno chiamato per nome. 
Mi avvicinai a lei con passò deciso, afferrandola per la giacca prima di scaraventarla contro il muro con decisione. 
Lei non poteva rifiutarmi, no. 
La colpii in pieno volto, un pugno ben assestato mentre continuavo a tenerla ben stretta con l'altra mano.
Sentivo la sua presa sul polso, forte, nel tentativo di farmi mollare la presa. 

« Lasciami! » esclamò ancora, urlando, questa volta per il dolore. « Non mi toccare! »

Strinsi sia il pugno che i denti sempre più forte, mentre tiravo il braccio indietro per colpirla ancora e ancora. Ero furibonda come non lo ero da tanto tempo. 
Mi fermai solo quando sentì il suo sangue sulla punta delle dita. Con violenza, senza il minimo di delicatezza le presi il volto per le guance, costringendola a guardarmi in viso. 
E ancora nei suoi occhi vidi rabbia e... quello che probabilmente era ribrezzo. 
Un sorriso gelido mi spuntò sulle labbra.

« Hai qualcosa da dire ora, cherí? Devo ancora non toccarti più? » le domandai in un mormorio, stringendo di più la presa su di lei. 

Lena strattonò appena il collo, per provare a liberarsi senza però successo. Si limitò a guardarmi, la mascella irrigidita. 
Quell'assenza di una risposta mi strappò un altro ghigno. 
Chinai il capo su di lei per premere le labbra sulle sue, nel tentativo di baciarla. Le sentii morbide solo per un attimo, dato che lei iniziò immediatamente a cercare di spingermi via. 
Ancora tentava di rifiutarmi?
Con violenza affondai i denti nel suo labbro inferiore, mentre la guardavo con occhi spalancati. Un gemito di dolore riempì la stanza esattamente come il gusto del sangue inondò la mia bocca. 
Mi allontanai da lei, abbandonando le sue labbra.

« Tu... » mormorò Lena, rifilandomi lo stesso sguardo pieno di rabbia. Un rivolo di sangue le scorreva lungo il mento, provocato dal mio morso che le aveva spaccato il labbro. 

« Io, cherì? » le sussurrai, mentre mi allungavo a raccogliere quel rivolo con la punta della lingua, assaporando quel gusto metallico e salato. 

Percepii distintamente la ragazza inglese rabbrividire al mio gesto, ma non seppi se di piacere o di disgusto. 

Ingoiò, senza distogliere lo sguardo dai miei occhi, quasi fossero incollati. « Tu sei pazza. »

A quelle parole la lasciai andare di scatto, spingendola contro il muro. Avrei voluto colpirla di nuovo, forte. Perché mi stava trattando così male, quella notte? Ero andata a trovarla per vedere come stava e lei mi aveva anche rifiutato. 

« Hai ragione, sono pazza. » affermai, con voce così tagliente che probabilmente avrei spaccato il vetro della cella.
Feci dietro front diretta in camera mia. Chiusi la sua cella di isolamento, ridando la chiave alla guardia di turno. Per tutto il tragitto camminai a passo svelto, quasi la tentazione ci correre e fuggire fosse troppa. Mi sentivo agitata, tremendamente agitata; ogni parte di me fremeva di frustrazione, rabbia e... cosa? Una sensazione amara che mi intrappolava il fiato nel petto. Aveva ragione Lena, ero completamente pazza. Ero impazzita.
Persino una volta tornata nella mia stanza non riuscii a stare ferma, camminando avanti e indietro come una forsennata. 
Mi sentivo umiliata da quel rifiuto che mi aveva riservato, come se il torto fosse stato così grande da toccarmi. Che avevo pensato? Che una come lei potesse desiderarmi o volermi? Una notte di sesso non significa viene. Non importava il modo in cui l'avessi toccata e marchiata. Era stato un errore, l'aveva detto anche Lena.

Un pugno si scaraventò contro la parete della stanza, accanto al letto. Nell'impatto percepii le nocche scrocchiare, mentre il dolore per aver colpito una superficie dura mi si propagò per tutta la mano e lungo le ossa.
Perché non mi aveva voluto, stanotte? Doveva volermi, ricordavo perfettamente i suoi gemiti e i suoi ansiti mentre la prendevo e la facevo mia.
Quella sciocca piccola ragazza, dalle guance morbide e la pelle rovente...
Mi afferrai la testa fra le mani, serrando la mascella con forza. Dovevo dimenticare quelle immagini, quelle sensazioni... dovevo smettere di pensarci. Lei mi voleva? No. Non mi voleva. 
Perché mai volermi? Aveva un rapporto con quella Emily, io invece l'avevo solo intrappolata portandola via dai suoi amici, dalla sua libertà per renderla... come me.
Ed eccola di nuovo, quella sensazione che ancora mi impedì di respirare. 
Senso di colpa.

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Capitolo 9
*** Bonus: Preoccupazione ***


Angela Ziegler


Non vedevo Jack così agitato e furioso da un bel po', se non da quando Overwatch stava per collassare su se stessa. Sbattè il pugno sul tavolo. Ci trovavamo nell'hangar dell'elicottero che avrebbe dovuto riportarci in base, allestito per l'occasione come una base provvisoria. Alcune scartoffie volarono in giro, scivolando sul pavimento. 
Dopo aver scoperto che Widowmaker aveva messo le mani su Lena eravamo andati in stato di codice rosso e persino la centrale era stata avvertita; tutti avevano iniziato a mobilitarsi per aiutare l'agente di Overwatch.
Inizialmente era sembrato abbastanza strano, dato che ci sembrava improbabile che Tracer potesse essere a Londra e presa in ostaggio dall'assassina della Talon. Solo che, dopo esserci voltati verso Morrison, lui spiegò le sue ipotesi. 

Stupida, stupida Lena. 
Era più plausibile che dopo aver ascoltato la discussione fra Wiston e il Comandante avesse deciso di avventurarsi in quella missione, sopratutto conoscendo il buon cuore della ragazza.

Dopo l'ennesimo pugno di Morrison che rimbombò in tutta la stanza, Wilhelm posò la grande mano sulla sua spalla, nel tentativo molto più che vano di tranquillizzarlo.
Eravamo lì riuniti attorno a Jack, in attesa del da farsi.
Torbjorn non aveva fatto altro che borbottare come suo solito, imprecando contro Lena e la sua stupidità. Se ne stava appoggiato sulla sedia girevole, osservando la mappa delle possibili basi della Talon a Londra e in Inghilterra. 
Con un sospiro mi voltai, osservando Fareeha che silenziosa se ne stava appoggiata al muro accanto alla porta della stanza, le braccia incrociate al petto. Se era preoccupata non lo dava a vedere. 

« Jack... » iniziai, nel tentativo di placare la sua rabbia. Se non fosse riuscito a pensare lucidamente non avremmo potuto ideare un piano d'azione efficace per ritrovare e portare a casa la nostra agente. « Perché non ti prendi una pausa? Un paio d'ore di sonno, non chiudi occhio da un giorno. »

Il Comandante si appoggiò con entrambi i palmi sul tavolo, chinandosi appena, improvvisamente svuotato di tutte le energie che prima parevano essersi impossessate di lui. 
Sollevò lo sguardo su di me, emettendo un sospiro.
« È colpa mia, Angela. Se avessi sospettato... »

« Non potevi sapere che avrebbe agito in quel modo, non incolparti. »
Lo interruppi immediatamente, andandogli a sfiorare una mano come a cercare di tranquillizzarlo. Potevo immaginare come si sentiva: Lena era come una figlia per lui.
« Domani mattina presto inizieremo da dove abbiamo interrotto e sono certa che... riusciremo a trovarla. »

L'uomo sospirò pesantemente, portandosi una mano sul viso provato, mentre lentamente annuiva e si allontana dal tavolo. Tutti rimanemmo a osservarlo mentre lasciava la stanza ciondolante e, quando l'ebbe abbandonata, ci guardammo in volto. 

« Credo che dovremmo tutti riposare, Angie. Mi vado ad accertare che Jack lo faccia sul serio. » affermò Reinhardt, passando accanto a me fino a superarmi per seguire il suo superiore.

« Sperando che quell'idiota non si sia fatta già ammazzare, aye! » esclamò invece Torbjorn che, seguendo l'amico tedesco, non fece altro che attentare ad ogni nostra speranza con quella sua "positività". 

Sollevai gli occhi al cielo, andandomi a sedere dove prima si era appollaiato il nano con un tonfo, gettandomi sulla sedia di peso. Andai ad afferrare la mappa delle basi Talon, iniziando immediatamente a consultarla. Ora che mi ero liberata di quei tre potevo finalmente iniziare a pensare a qualcosa. 
Troppo presa dalla fretta e decisamente tesa quando mi sentii toccare la spalla sobbalzai.

Fareeha sospirò alle mie spalle, mentre delicatamente iniziava a massaggiarmi la schiena. Era un gesto così abituale quello, ogni volta che rimanevo a lavorare fino a notte fonda era lei che veniva a riprendermi, massaggiandomi la schiena fino a convincermi a rilassarmi per un attimo e ad abbandonare la mole di lavoro. 
Solo che quella volta... non potevo lasciar tutto così, sospeso. In ballo c'era la vita di Lena.

« Schätzli... » iniziai portando una mano sulla sua per fermarla, cosa che lei non fece minimamente, anzi m'ignorò. 
Dovevo ammettere che era proprio brava con i massaggi...
Un sospirò mi scappò dalle labbra, mentre mi rilassavo contro la sedia.

« Ecco, ora ci siamo. » affermò l'egiziana, con quella sua voce calda e, mio parere, tremendamente rilassante.  « Sei troppo tesa. »

« Sono tesa perché Lena potrebbe morire. » le spiegai, voltandomi appena verso di lei per guardarla in volto. 
I suoi occhi ambrati si puntarono nei miei e in quel momento capii che non avrebbe mollato la presa finchè anch'io non mi fossi riposata per un po'. 

«  Si, potrebbe. Ma non cambierà molto se ti prendi una pausa, habibti. Hai delle pessime occhiaie che ti fanno sembrare ancora più vecchia, sai... » mi disse, stuzzicandomi alla fine come suo solito.

Sollevai gli occhi al cielo e, con riluttanza, decisi di abbandonare il tavolo e la sedia, voltandomi verso di lei. 
Non ci volle molto che le sue braccia forti andarono a circondarmi i fianchi per stringermi a lei.
In un attimo mi sentii al sicuro, in quella stretta e in quel calore che erano come un porto sicuro. Affondai il viso nel suo petto, concedendomi per un solo istante di pensare ad altro. 

« Grazie schätzli, sopportarmi dev'essere un'impresa. » le sussurrai, sollevando il viso dopo aver fatto il pieno del suo odore.

La vidi sorridere, far scintillare i denti bianchissimi in contrasto con la pelle più scura.  Si chinò sul mio volto per lasciarmi un lieve ma dolce bacio sulle labbra, dandomi l'opportunità di gustarmi quel sapore delizioso che era la sua bocca.
Dopo alcuni istanti posò la fronte sulla mia, andandomi a sciogliere i capelli che avevo tenuto legati fino a quel momento. 

« Faccio del mio meglio... e non preoccuparti, Lena tornerà a casa sana e salva. »

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Capitolo 10
*** Accelleratore Temporale ***


Tracer.

Battei il pugno con forza contro la parete di vetro, incubata in quella vasca come un pesce in un acquario. Vedevo delle figure di fronte a me, increspate dall'acqua che mi riempiva gli occhi, impedendomi di vedere chiaramente i loro volti che restavano anonimi, come le figure che da bambina venivano ad infestarmi gli incubi. Non percepivo nulla, come se improvvisamente avessi perso la sensibilità al mio corpo; per quanto battessi con forza contro il vetro non sentivo alcun dolore al pugno, come se quel braccio non mi appartenesse. Sentivo le orecchie ricolme d'acqua, otturate, mentre ogni singolo suono era distante, come a kilometri di distanza. Per quanto stessi urlando nella maschera che mi avevano infilato, nemmeno il mio stesso grido riuscivo a sentire. 


Mi sollevai di scatto dal pavimento ansimando, portandomi la mano alla gola nel tentativo di trattenere l'aria che stavo trangugiando. Un incubo. Solo un incubo. 
Un sogno che però sarebbe stato la mia giornata l'indomani. 
Era quello la "chicca" della Talon, il loro famoso lavaggio del cervello che aveva portato Amèlie a diventare quello che era ora, assinando suo marito. Un trattamento inumano, a dir poco.
Lasciai che il palmo mi scorresse lungo la fronte per asciugarmi il sudore che imperlava la pelle, risultato di ciò che avevo sognato. 
Nel buio della stanza, un guizzo di luce azzurra mi fece sollevare gli occhi che si posarono su una figura esile; due occhi di un celeste acceso si puntarono su di me, appartenenti a un viso estremamente familiare... il mio viso.

« Lena, ma guarda un po', quanti anni sono passati? » disse la figura incorporea, simile alla luce che si propagava dal mio acceleratore temporale. Un sorriso divertito apparve su quelle labbra. 
Quella 'cosa' era stato il mio incubo per alcuni mesi dopo il mio ritorno dall'incidente dello Slipstream. 

« Per mia fortuna, tanti. » borbottai, scuotendo il capo e sprimacciando gli occhi, nel tentativo di mandarla via. La dottoressa Ziegler l'aveva definito uno "scherzo" della mia mente, il risultato della mia esperienza che ancora non riuscivo ad accettare all'epoca. Perché doveva tornare proprio ora? Forse per quello che mi stava facendo la Talon? 

Sentii come toccarmi la spalla e rabbrividii, sollevando di nuovo lo sguardo. Era ancora la, con quel suo sguardo saccente, quasi arrogante. Una risatina rieccheggiò nella stanza.

« Certo che ci hanno trattate bene, quelli della Talon. Sopratutto la signorina in viola! Abbiamo ancora il viso gonfio di botte. » mi fece notare.

Andai a raggomitolare su me stessa, stringendomi le gambe al petto per circondarle con le braccia e stringerle con forza. Nascosi il viso, tentando di ignorarla completamente. Magari se l'avessi ignorata sarebbe scomparsa nello stesso modo in cui era riapparsa. 
Solo che, a quanto pare, la mia mente non voleva scacciarla; mi sentii afferrare per le braccia e con forza la andai a scostare, infastidita da quella sensazione. Mi sentivo tremendamente oppressa, come quando ero rinchiusa in quella sorta di incubatrice. 

« Uh! Andiamo, non puoi rifiutarmi. » la sentii dire, emettendo un'altra lieve risatina questa volta però di scherno. Ricordavo perfettamente quanto quella dannata vocina amasse umiliarmi in passato. 

« Sparisci. » mi limitai a dire, fulimando quella figura con lo sguardo.

Quegli occhi azzurri si puntarono su di me, attenti, mentre le labbra s'incurvarono di un sorriso divertito. Improvvisamente, quella essenza cambiò forma, prendendo le sembianze di Amèlie. Sarebbe stata identica a lei se non fosse stato per gli occhi, che non mutarono di colore e mancavano di quel giallo acceso in cui mi ero persa poco tempo prima.

« Forse questo... è più di tuo gradimento? » mi schernì, indicandosi. 

Digrignai i denti, osservandola per un attimo mentre sentivo le orecchie andare a fuoco, segno che probabilmente ero arrossita. Se prima mi sentivo oppressa adesso mi sentivo solo a disagio. Mi passai la mano davanti agli occhi, strofinandoli.
« Ascolta, a me non... » iniziai, ma quando scostai la mano la presenza non c'era più. C'era solo il buio della stanza. 
Sospirai sonoramente, decisamente sconsolata; stavo dando i numeri, questo era poco ma sicuro. Quello che la Talon mi aveva inflitto mi stava giocando davvero dei brutti scherzi. 

Le mie mani passarono lungo le braccia, quasi volessi scaldarmi in quella stanza gelida e priva di mobili. La cosa più ironica era che in quella situazione ci ero finita io, solo per aiutare una donna, la stessa donna che mi aveva poi ingannato e intrappolata. 
Che stupida che ero stata, una vera idiota. Il solo pensare che aiutare la vedova era una buona azione era stata la scelta più stupida che potessi fare. 
Storsi le labbra, andandomi a toccare il morso che mi aveva lasciato il giorno prima, quando mi era venuta a "trovare". Se solo ripensavo a che cosa avevo visto in quegli occhi gialli... 

Sobbalzai, nel sentire la porta della cella d'isolamento aprirsi. D'istinto mi schiacciai contro la parete opposta, terrorizzata. Erano già tornati per continuare con quella tortura? 
Una luce intensa bianca mi accecò per un attimo gli occhi, abituati all'oscurità. 
Sbattei le palpebre, emettendo poi un sospiro: parlando del diavolo...

Amèlie reggeva un vassoio, vestita con un semplice leggins scuro e una maglietta bianca. Era ancora strano non vederla con la tuta che indossava quasi sempre in missione. Il suo volto, come al solito inespressivo, mi scrutò per un attimo prima di aprire anche la seconda porta, quella del vetro che separava le due stanze. Vi lasciò il vassoglio e la richiuse, restando in piedi di fronte ad essa.

« Ti ho preparato qualcosa da mangiare. È un semplice sandwich, immagino che tu abbia fame. » affermò, andandosi a sedere sul pavimento accanto al vetro, nel suo lato della stanza.

Al vedere quel tramezzino mi brontolò lo stomaco e come una scheggia mi ci buttai su, afferrandolo per darci un enorme morso. Era al prosciutto a quanto pareva. Mentre masticavo spostai lo sguardo sulla vedova. Per un attimo nei suoi occhi riuscii a percepire qualcosa, come un'accenno turbato? Qualcosa la preoccupava? Non sembrava esattamente la stessa donna che mi era venuta a fare visita l'altra notte, sembrava solo... spenta. L'ultima volta che l'avevo vista era stata violenta e ossessiva, fuori dai gangheri. Cosa alquanto strana visto il suo portamento e il suo autocontrollo. Osservai il panino che mi aveva portato, dandogli un altro morso.

« Perché questa... cena? » azzardai a chiederle, rompendo quel silenzio che si era andato a creare attorno a noi. Sollevai lo sguardo per incrociare i suoi occhi felini che nemmeno per un attimo si erano staccati da me.

Lei fece per aprire bocca ma poi scosse il capo, indicandomi la ferita al labbro, quella procurata da lei quando mi aveva morso. 
« Ti fa male? » mi chiese di rimando, con un tono decisamente strano. Beh, a dirla tutta la domanda stessa era bizzarra, come se fosse o potesse essere preoccupata per me.

« Vuoi accertarti di avermi fatto abbastanza male? » storsi le labbra, passandomi la lingua sulla ferita. Probabilmente mi stava prendendo in giro, come aveva fatto per imprigionarmi. 

Vidi le sue sopracciglia inarcarsi e le sue labbra strette in una linea dura, come se non le fosse piaciuta la mia risposta. Che cosa si aspettava? Potevo sembrare buona e sciocca - probabilmente lo ero - ma non stupida a quei livelli. Finii il panino, scostando poi il vassoio da me.

Amèlie dall'altro lato del vetro si sollevò, accostandosi alla porta. « Sto per entrare a prendere il vassoio. » mi avvertì, questa volta la sua voce era decisamente atona e inespressiva. Qualsiasi cosa le fosse passato nella testa prima pareva scomparsa. 
Annuii, allontanandomi da lei per lasciarla fare. 

Così prese il vassoio e, prima di uscire dalla cella dopo aver riuchiuso la porta, mi diede un ultimo sguardo. « Buonanotte, cherì. »

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Capitolo 11
*** Tradimento ***


Widowmaker.

Le sue mani calde e delicate sulla mia pelle gelida, insensibile. 
La voce roca, piegata dal piacere, che non faceva che chiamarmi e supplicarmi di continuare. Mon dieu, che cosa mi stava succedendo? Volevo solo tornare a qualche giorno prima, quando i suoi occhi su di me erano privi di odio e rancore. Avevo sentito qualcosa, avevo provato qualcosa, grazie a quella dannatissima e fastidiosa inglese, così piena di vitalità, positività. Un esile contenitore di emozioni e sentimenti che esplodono in tanti piccoli fuochi d'artificio in ogni sorriso o risata. 

Mi aggrappai al manichino, spingendovi contro la fronte. Dovevo dimenticare. Seppellire quei pensieri o cancellarli. Io non ero capace di provare quello che mi aveva dato lei, ero stata programmata solo per l'omicidio non per desiderare qualcuno, qualcosa.  Eppure non riuscivo a lasciarmi alle spalle quello che era successo in quel letto e poco prima, come se fosse stato impresso nella mia mente a fuoco. 
Per la prima volta dopo tanto tempo avevo agito solo secondo i miei impulsi e i miei desideri, secondo ciò che volevo in quell'istante. E quanto l'avevo voluta, solo dio lo sapeva. Era stata mia in quell'attimo, mia e soltanto mia, dandomi un qualcosa che niente, nemmeno la sensazione dell'omicidio, mi aveva dato. Oh, sapevo che lei mi aveva desiderata allo stesso modo, nonostante per lei fosse stato un errore, io lo sapevo. 
"Amèlie..."

Colpii con forza il manichino, tornando in posizione di guardia con i pugni alzati, saltellando sulle piante dei piedi per riprendere l'allenamento. La palestra era vuota, dopotutto era orario di lavoro per gli agenti della Talon. Io ero priva di scopo e questo mi rendeva tremendamente frustrata: starmene con le mani in mano in attesa di un nuovo ordine era ciò che odiavo di più, sopratutto perché magari un nuovo obbiettivo mi avrebbe distratto da quei pensieri che non facevano altro che perseguitarmi. Come se tutto quello fosse stato reale e non frutto della mia suggestione.
Perché io non potevo provare nulla, giusto?
" Amèlie... "

La sua dannata bocca schiusa, le palpebre calate, in un espressione così dolce e spensierata mentre dormiva accanto a me. Come poteva esistere una creatura tanto buona da aiutare un'assassina come me? Da impedire che i suoi amici mi uccidessero?
Eppure io l'avevo intrappolata qui, lasciando che quella bontà morisse per mano della Talon. 
Vedere quegli occhi pieni di vita completamente spenti, in trappola dietro un vetro era stato come un colpo al mio cuore che non batteva più come un tempo. 
Aveva ragione lei, ero solo una bambola di pezza fra le mani della Talon, un giocattolino per soddisfare i loro scopi. 
" Amèlie... "

Se solo fossi stata la metà di ciò che credeva di me, magari non sarebbe chiusa lì, in quella cella, pronta per il Trattamento.

" Amèlie... "

« Esci dalla mia testa! » gridai, spintonando con forza il manichino fino a farlo cadere sul pavimento con un tonfo. 

« Oh, oh, araña! Quanta violenza! » 

Mi voltai verso la porta della palestra di scatto, osservando Sombra come se fosse il mio prossimo obbiettivo da assassinare. Se ne stava tranquilla sull'uscio, con il suo solito sorrisetto sulle labbra. Entrò nella stanza, sollevando un palmo della mano.

« Rilassati, chica. Ti vedo troppo sulle spine! Qualcosa ti turba? » mi chiese, appoggiandosi al manichino a qualche passo da me, con gli occhi che scrutavano quello che invece io avevo spinto sul pavimento. 

Non le risposi. Non avevo intenzione di intrattenere una chiacchierata con lei, sopratutto quando non ero dell'umore adatto. Mi andai a stringere le fasce alle mani, prima di chinarmi e sollevare il manichino per rimetterlo al suo posto. Dovevo passare agli addominali, tre serie da quaranta. 

« Sai, oggi continuano a giocare con la tua amichetta inglese. Non sembrava in ottimo stato quando l'hanno trascinata fuori dalla cella. Secondo quei tipi in camice fra poco dovrebbe cedere. » continuò Sombra, ignorando completamente il mio silenzio. 

Cedere. Avevo visto come aveva smesso di opporre resistenza quando le avevo portato da mangiare, quanto fosse priva di forze in quel momento. Aveva mangiato senza fare storie, senza lamentarsi.  Scossi il capo, dirigendomi ai tappeti. 

« Si può entrare ad assistere, sai? Mi sa che andrò a vedere mentre la rendono un pupazzo. Ho sempre desiderato assistere a quella roba. »

Mi fermai sul posto, dando le spalle alla donna a quelle parole. Ricordavo bene la sensazione di essere sottoposta a quella maledetta roba, come mi ero sentita. Mi voltai verso di lei, indicandole la porta con un cenno del capo. 

« Tu vai. Ti raggiungo fra poco. »

-

Le porte del laboratorio erano socchiuse quando entrai nella stanza. Solo una guardia armata era in essa, proprio accanto all'entrata. La osservai con attenzione, notando che aveva solo una pistola che scintillava nella fondina ascellare. Uno degli scienziati della Talon stava prendendo appunti accanto alla vasca dove Lena era immersa, con la maschera da dove due tubi fuoriuscivano, per l'ossiggeno. Attraverso il vetro la vedevo immobile, con gli occhi socchiusi. Non si muoveva, restando immersa senza smuovere l'aria. Quella scena mi fece rabbrividire, sembrava un cadavere in ammollo. 
Sombra era seduta sul tavolo di acciaio lì davanti, come se stesse guardando un film, le gambe incrociate sotto di lei. Le diedi un solo fugace sguardo che ricambiò con un occhiolino. 
Con lentezza mi avvicinai alla vasca, provando una sensazione che non seppi decifrare. 
Lena sollevò lo sguardo verso di me, le iridi castane s'incastrarono ai miei occhi per un lungo attimo. I suoi occhi solitamente espressivi come uno specchio della sua anima, in quel momento non mi dissero nulla se non rassegnazione e... consapevolezza. 
Senza che riuscissi a governarla, la mia mano volò al vetro. Schiacciai il palmo contro di esso, chiudendo per un secondo gli occhi. Riuscivo quasi a vedermi dentro a quella vasca, ricordandomi la sensazione come se fosse stato ieri. I miei muscoli erano stati molli, come se improvvisamente fossero diventati gelatina, privi di forza. L'assenza di suoni mi aveva fatto dubitare della mia stessa esistenza. 
Lentamente riaprii gli occhi, sconvolta nel vedere la mano di Lena contro la mia, al di là del vetro spesso. Quando incrociai i suoi occhi, per la seconda volta, lei mi stava ancora guardando e quello che vidi mi paralizzò sul posto, congelandomi. C'era compassione e pietà in quelle iridi castane, come se capisse, come se fosse riuscita a capire me e ciò che avevo passato. Un nodo d'aria si bloccò nella gola imponendomi di ingoiare e fare un passo indietro. Di nuovo, sentii la necessità di scappare e correre via, lontana da quella scena. 

Mi voltai di spalle, affondando le unghie nei palmi mentre stringevo così forte i pugni da farmi male, per impedirmi di correre via. 
Sollevai solo per un attimo lo sguardo e notai che gli occhi della messicana erano puntati su di me. Stranamente non c'era scherzosità in essi ma semplicemente la vidi annuire con due e brevi cenni del capo. 

« Iniziamo con una lieve scossa. Vediamo come reagisce. » disse l'uomo col camice mentre mi dirigevo alle porte del laboratorio. 
Sentii la pressione su alcuni tasti e, nell'esatto momento in cui posai la mano sulla porta per aprirla, un urlo squarciò la stanza. Era attutito, soffocato dall'acqua. Mi voltai di scatto e vidi Lena contorcersi e scalciare nell'acqua della vasca, battendo i pugni contro il vetro nel tentativo di scappare. I suoi occhi erano spalancati, mentre piccole scintille s'intravedevano dall'interno. Un brivido di freddo mi oltrepassò la schiena, mentre percepivo il cuore nel mio petto battere decisamente più veloce, sentendo il fiato mancarmi. 

« Aumentiamo un po'... » borbottò l'uomo ai macchinari, continuando a smanettarci. 
Un rumore sordo, come un ronzio, iniziò ad invidadere la stanza. Sapevo come funzionava, mano a mano avrebbero aumentato le scariche fino far impazzire il suo cervello. 
Il suono dello spostamento dell'acqua s'interruppe e Lena smise di dimenarsi, venendo sopraffatta da piccoli spasmi, gli occhi chiusi. Era svenuta come da prassi. 
Stavo vedendo spegnersi davanti a me l'unica creatura che aveva posto fiducia in me fino all'ultimo. L'unico essere che mi aveva trattato come un essere umano. 
Quella consapevolezza mi ridestò come uno schiaffo in pieno volto, scacciando il panico e facendomi invadere da una fredda e incontrollata rabbia. 
Come osavano farle questo? 

I miei occhi andarono a spostarsi sulla guardia accanto a me, che osservava curiosa quella scena. La pistola era in bella vista.
Allungai la mano di scatto, portandomi in avanti con tutto il corpo. Non ebbe nemmeno il tempo per fermarsi che già stavo premendo la cannula di essa contro la sua fronte, la mia mano ben salda sull'impugnatura. Potevo leggere lo stupore negli occhi dell'agente della Talon.
Senza esitare premetti il grilletto, trapassando la sua testa da parte a parte; il suo cadavere si afflosciò come una bambola di pezza. 
Spostati immediatamente la pistola contro lo scienziato dal camice bianco, che si era voltato verso di me, con le mani alzate. 
Un secondo colpo dritto in fronte e anche lui cadde sul pavimento, macchiando il vetro della vasca con il sangue che era schizzato via. Il rumore sordo degli spari ancora aleggiava nella stanza. 
Spostai di nuovo la pistola su Sombra che però si era già alzata velocemente dal tavolo e si era diretta verso il macchinario, premendo tasti a caso.

« Non mi sparare! Dobbiamo resistere qui dentro, hai capito? Io lo spengo, ma tu tirala fuori! » esclamò, mentre le dita correvano veloci. In un attimo, il ronzio del macchinario s'interruppe e io mi voltai contro la porta del laboratorio, la pistola ben alta mentre indietreggiavo. 
Uno.
Due.

Un agente con il casco antiproiettile fece irruzione con la pistola ben alta, ebbe il tempo di sparare un solo colpo che tre pallottole lo avevano colpito a tre dei suoi arti. Avevo evitato di colpirlo sul busto perché con ogni probabilità aveva il giubbotto antiproiettile.  Continuai ad indietreggiare, scalciando il tavolo in metallo per capovolgerlo e tenerlo da un solo lato, in modo che ci facesse da scudo.

« Sombra, chi diavolo sta arrivando? » sibilai, continuando a tenere la pistola ben alzata. 
Lei si era allontana dalla macchina per poter tirare fuori il suo uzi e finire l'agente della Talon.
Perché era armata? Che cosa stava succedendo? 

« Tirala fuori di lì e basta! Stanno arrivando i suoi amichetti e io non voglio entrare in tutto questo. » borbottò, appiattendosi al lato della porta per non farsi vedere, l'uzi bene in vista per coprirmi. 

Sbuffai, sparando i colpi che avevo nel caricatore per poter sfondare il vetro della vasca che si ruppe in mille pezzi. Una piccola onda si riversò nella stanza mentre afferravo fra le braccia Lena, che fradicia ancora era colpa da piccoli spasmi, priva di sensi. 
La strinsi forte a me, mentre mi andavo a riparare dietro il tavolo, mentre un'estrema sensazione di sollievo mi inondava il petto. Era lì, la stavo tenendo stretta, nessuno le avrebbe fatto più del male e io l'avrei protetta a costo della mia vita. Posai tremante la pistola a terra, scostandole i capelli bagnati che le cadevano il viso. 
Un'altra pistola mi arrivò ai piedi, lanciata da Sombra. Quel rumore mi fece girare, piegandomi in obliquo per vederla in volto.

« Perché la stai aiutando, Sombra? » le chiesi, sollevando appena le sopracciglia. 
Tutta quella situazione non aveva alcun senso.
Un lieve pizzico mi infastidì il fianco, ma così piena di adrenalina non ci feci nemmeno caso. 

La messicana sollevò gli occhi al cielo, mentre un sordo allarme che gridava "Intruso" inondava la stanza e l'intera base. Sentivo un gran trambusto e ripetuti spari che avevano iniziato ad esplodere prima in lontananza, poi mano a mano più vicini.

« Una conejita mi ha fatto una proposta che non potevo rifiutare. Come si dice? Mi vendo al miglior acquirente. Adios, araña, ora sono problemi tuoi. » affermò, prima di diventare invisibile e sparire.

Presi un profondo respiro, una volta rimasta sola, strinsi con un braccio Lena a me. Mentre con l'altro andavo ad afferrare la pistola, qualsiasi altro agente Talon le si fosse avvicinato avrei fatto fuoco. La stanza aveva preso a girare vorticosamente e la mano sull'impugnatura dell'arma non era più così salda. Che fosse il sollievo? L'euforia? Lena stava bene... era fra le mie braccia in quel momento...
Appoggiai il capo al tavolo nel momento in cui sentii alcune voci provenire dal corridoio, erano voci che conoscevo bene, persone con cui avevo dialogato in passato. Il pizzico al fianco inizio a bruciare, diventando un dolore così intenso da farmi perdere completamente le forze. Abbassai la mano che reggeva la pistola, lasciando il braccio poggiato per terra mentre con l'altro ancora stringevo l'inglese. 

« Via libera! Non c'è nessuno! » urlò, una donna dal forte accento egiziano, aveva una tonalità di voce simile a quella di Ana Amari... Fareeha, probabilmente. 
Tonfi, persone che correvano, passi pesanti che piano piano andavano a circondarmi. Sentivo le palpebre terribilmente pesanti...

« Ci sono agenti della Talon morti... sembra che qualcuno abbia sparato... Eccola! Abbiamo trovato Lena! È con... Widowmaker? Angela! Dannazione! Vieni qui! » 


« Sta bene... lei sta bene... » mormorai a fior di labbra, cercando di trovare quel poco di voce che ancora mi rimaneva. 
Altri rumori di passi, quelle voci iniziavano a diventare ottavate. Davanti ai miei occhi, che ormai si stavano chiudendo piano piano, apparve il volto familiare della Dottoressa Ziegler. 


« Ferita d'arma da fuoco! Dobbiamo portarla via immediatamente! »

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Capitolo 12
*** Casa dolce Casa ***


Tracer.

Mi sentivo fossilizzata, come se i miei arti fossero diventati improvvisamente  di pietra. Quanto avevo dormito? Non lo sapevo, sentivo solo quel tipico sapore impastato fra le labbra. Sbattei appena le palpebre, ritrovandomi in una stanza decisamente familiare. Era estremamente pulita, sterilizzata, piena di lettini che però in quel momento erano completamente vuoti. L'infermeria alla base di Overwatch? Ero davvero tornata a casa o tutto quello era solo l'ennesimo sogno? 
Ricordavo poche cose prima del blackout totale: come il dolore provocato dalle scosse di quella macchina mi avesse tolto il fiato, gli occhi gialli di Amèlie che mi guardavano pieni di sofferenza... la consapevolezza di cosa aveva dovuto subire per mano della Talon.... e poi, tutto era diventato troppo da sopportare e avevo perso i sensi.

« Ma buongiorno... » 

Mi voltai di scatto, ritrovandomi la Dottoressa Ziegler che si avvicinava al lettino, dove ero sdraiata, con un foglio fra le mani che stava leggendo, i suoi occhi azzurri scorrevano fra le righe. Quando alla fine mi fu accanto mi regalò uno dei suoi dolci e materni sorrisi. 
Rimasi li a fissarla, sorpresa.

Le sopracciglia bionde del medico si sollevarono confuse e preoccupate, data la mia reazione. « Lena, stai bene? »

Mi piegai sul letto, posando i palmi sul materasso per sollevarmi. 

« Che cosa è successo? Perché sono qui? » chiesi immediatamente, passandomi una mano sulla fronte. Mi girava la testa, ma probabilmente perché mi ero alzata troppo velocemente. 

Angela si appoggiò con una mano alle sbarre ai piedi del letto, rivolgendomi uno sguardo che non riuscii a decifrare. « Abbiamo avuto una soffiata anonima e siamo riusciti a individuarti.  Siamo riusciti poi a fare irruzione nella base della Talon per prelevarti. Tu non ricordi proprio niente? »

Un brivido mi corse lungo la schiena, non avevo proprio voglia di parlare di che cosa ricordavo. Lo sguardo di Amèlie attraverso l'acqua e il vetro...  c'erano lei e Sombra nella stanza dove mi ero trovata, che fine avevano fatto? Amèlie era riuscita a scappare all'incursione di Overwatch?

« Io non capisco... credo di aver perso i sensi prima del vostro arrivo. » mormorai, abbassando lo sguardo. 

La Svizzera s'infilò le mani nelle tasche del camice, avvicinandosi di più a me. « Non ricordi proprio niente, Lena? Sta per arrivare Ana per farti alcune domande su quello che è successo prima di trovarti. »

Sull'accaduto? Cosa era successo mentre ero svenuta? Parlava del Trattamento della Talon? Mi premetti la mano sulla fronte, pensando che forse la stanza stesse iniziando a girare troppo velocemente. « Doc, penso che mi stessero facendo lo stesso lavaggio del cervello che hanno fatto ad Amèlie. Gli agenti non parlavano con me, mi trascinavano solo da una parte all'altra. Solo Amèlie... »

« Widowmaker? Ricordi che cosa è successo con lei? » incalzò immediatamente, inclinando appena il capo di lato.

Se ricordavo che cosa era successo con la donna francese? Dio, ovviamente lo ricordavo, ricordavo tutto. 

Ma perché mi stava  domandando proprio di lei? Sembrava interessata più a lei che alla situazione generale. Erano sulle sue tracce? O... l'avevano catturata? Sollevai le sopracciglia, decisamente preoccupata. « Perché me lo stai chiedendo? Che volete da Amèlie? »

Angela abbassò appena lo sguardo per qualche istante, mordendosi il labbro inferiore. Sapevo bene cosa significava quel gesto, sopratutto perché dopo tutti gli anni che avevo passato a lavorare insieme avevo imparato a conoscerla piuttosto bene. Stava riflettendo e questo non fece altro che turbarmi ancora di più. 
Gli occhi azzurri del medico si puntarono poi un attimo sulla porta, quasi ad assicurarsi che nessuno fosse in ascolto o stesse per entrare. Alla fine, si avvicinò ancor di più a me, abbassando il tono di voce.

« Quando ti abbiamo trovata... le circostanze erano strane. Nel laboratorio gli uomini della Talon sono stati tutti eliminati e non per mano nostra. Amèlie ti teneva stretta fra le braccia... l'abbiamo trovata con una ferita d'arma da fuoco. Supponiamo che ti abbia "protetto" fino al nostro arrivo nella stanza. » 

I miei occhi si spalancarono, confusi e sorpresi da quelle parole. Sentii perfettamente il cuore battermi più veloce nel petto, nella paura.
Se per loro era una supposizione per me era una sicurezza: Amèlie mi aveva salvata. Aveva ucciso i suoi stessi compagni e per difendermi... era stata sparata.

« Dov'è ora, Angela?! Dov'è Amèlie?! » esclamai, saltando giù dal letto a cui mi aggrappai dato che la stanza aveva cominciato a girare vorticosamente, mentre il flash della mia mano che toccava la sua, attraverso il vetro di quella macchina abominevole, mi aleggiava nella mente. Mi aveva salvata.
Le mani della dottoressa si posarono sulle mie braccia, per evitare che cadessi rovinosamente a terra.

« Lena! Devi stare a riposo, ancora non sappiamo le tue condizioni! Amèlie è nel mio laboratorio, l'ho operata e sta bene anche se non ha ancora ripreso conoscenza. » la voce della donna era allarmata, visibilmente preoccupata. 

Io però non avevo tempo per quelle sciocchezze, io stavo benissimo. La scostai da me, guardandomi per un attimo in giro. Il mio accelleratore Temporale era accanto alla porta, sulla base per caricare. 
Mentre mi muovevo verso di esso, sentendo il freddo del pavimento sotto i piedi scalzi, il cuore non faceva altro che battermi così forte da sentirlo nella gola. Dovevo andare da Amèlie, dovevo vederla. 

« Lena... » mormorò la donna Svizzera, ma non mi voltai a guardarla. 

Siccome indossavo il  pigiama da infemeria, fatto da pantalone in tuta che mi arrivava sopra alla caviglia e poi una semplice maglietta bianca, non ci misi molto ad infilarmi e stringere le cinghie dell'accelleratore.

Angela mi corse accanto, parandosi fra me e la porta, sollevando i palmi quasi a tentare di porre una barriera. « Lena, nessuno può entrare nel laboratorio, hanno isolato Amèlie perché non la ritengono sicura. Fareeha e Genji sono di guardia alla porta. Non è una buona idea andarci, credimi. »

Per quanto stesse cercando di farmi ragionare, non m'importava chi mi sarei trovata davanti. Io dovevo vederla, dovevo assicurarmi che stesse bene. Inoltre, con Morrison che aveva quei piani per lei... non potevo lasciare che rimanesse senza protezione. 
Sollevai il mento in direzione della bionda

 « Angela, io devo vederla. » le dissi decisa, dato che volevo tutto tranne che repliche. 

Le passai accanto con passo deciso,  il mio andamento era moderato ma poi, senza nemmeno accorgermene, mi ritrovai a correre e a saettare in lampi blu per i corridoi della base. Non solo avevo fretta di arrivare da lei per controllare le sue condizioni ma c'era qualcosa dentro di me che mi tirava, letteralmente parlando, verso di lei. In quel momento, starle vicino non era diventato un semplice dovere legato alla mia missione di salvarla. Quando svoltai l'angolo e mi ritrovai l'ingresso dei laboratori bloccato da Genji mi fermai, piantando le piante dei piedi sul pavimento. 

Il ragazzo cyborg si voltò verso di me, inclinando il capo di lato. La sua armatura m'impediva di vedere i suoi occhi e quindi anche quel poco di espressione che gli era rimasta dopo l'incidente con il fratello. 
« Lena, ciao. » disse, calmo come suo solito. 

Ma io non ero calma, ero tutto fuorché che calma. Amèlie era oltre quelle porte, incosciente, ferita e in pericolo, in una base dove c'era qualcuno che voleva farle del male. Dovevo andare da lei. 
« Devo passare, Genji. » affermai, avanzando verso la porta.

« Ana ha dato ordini di non far entrare nessuno. » spiegò, spostandosi dal muro su cui era appoggiato per portarsi esattamente davanti l'ingresso. « E credo davvero che dovresti riposare, non hai una bella cera. »

Strinsi i pugni, storcendo appena le labbra. 
Non potevo assalire un mio compagno come un giocatore di rugby, dovevo semplicemente fare quello per cui ero famosa: correre. In un lampo azzurro superai il ninja, ritrovandomi contro la porta a doppia ala, che spinsi con violenza prima di scattare di nuovo avanti nel tempo, per avere la sicurezza di aver posto della distanza fra me e lui.
Sentivo il rimbombare dietro di me dei piedi sul pavimento, mentre mi inseguiva urlando.

« Lena! Fermati! » gridò, ma a me non importava, io volevo solo assicurarmi che Amèlie stesse bene e che nessuno le aveva torto anche un singolo capello. 

Corsi per il corridoio dell'ala adibita ai laboratori come un razzo, dando sfogo ai muscoli delle gambe che erano rimasti addormentati fino a quel momento. Non avevo previsto che, una volta arrivata davanti la porta dove Amèlie era tenuta, Fareeha si mettesse in mezzo. Era esattamente lì davanti, con le braccia conserte, e nel momento esatto in cui mi vide si posò le mani suoi fianchi. Gli occhi dell'egiziana si puntarono sui miei, sollevando un sopracciglio. 

« Sembri agitata. » mi disse semplicemente, prima di spostare lo sguardo su Genji che mi aveva raggiunta. 

Mi voltai appena verso il ragazzo giapponese, cercando di recuperare il fiato che oramai era diventato pensante per la corsa. Il cuore nel petto mi batteva così forte a causa dello sforzo, oltre all'ansia di vedere Amèlie al più presto.
Genji sollevò le braccia e i palmi delle mani, nel caso fosse necessario agguantarmi.

« Lasciatemi vedere Amèlie, vi prego. » dissi loro, come un topo in trappola. Potevo superare Genji e Angela, ma non due abili combattenti nella stessa stanza e questo mi aveva portato ad avere le mani legate. 

Fareeha si appoggiò con la schiena alla porta della stanza, facendo le spallucce. « Gli ordini sono ordini, mi spiace. » 

Incrociai gli occhi dell'egiziana e per un attimo mi rivolse un'occhiata estremamente seria. Per un attimo sembrò studiarmi con attenzione, quasi cercasse di capire qualcosa che non capiva. Ma cosa c'era da capire? Dovevo vedere Amèlie, dovevo...

« Ti prego, Fareeha. Lasciami passare... dai! » la mia voce si alzò di qualche ottava e in un attimo mi ritrovai quasi ad urlare. In quel momento ero con le mani legate, spalle al muro. Genji dietro di me e Fareeha che mi bloccava la strada. 

L'egiziana aggrottò la fronte a quella mia reazione, storcendo appena le labbra. Fu solo un attimo, dato che una voce, soffocata dalla spessa porta, mi chiamò.

« Lena? »

Tutti e tre ci voltammo verso la porta, sorpresi nel sentirla ma solo io scattai immediatamente verso di essa. Amèlie era sveglia, mi aveva chiamata e io dovevo raggiungerla.
Saettai in avanti, pronta a scostare Fareeha anche con violenza se fosse stato necessario. 
L'egiziana mi afferrò per la vita con un braccio, mentre Genji si avventò su di me per bloccarmi le mani dietro la schiena. Iniziai a dibattermi con violenza, scalciando quando la donna mi issò in spalla per allontanarmi da lì.

« Amèlie! Sono qui! Sono qui! Lasciami andare! Lasciatemi andare! » urlai continuando a scalciare e a battere i pugni contro Fareeha. Ma si sapeva, l'egiziana era molto più forte di me, senza contare la sua stazza. 

« Basta così! Fareeha mettila giù, non è un sacco di patate! »

La voce di Ana irruppe in quel caos, zittendomi immediatamente. In tutto quel trambusto non l'avevamo vista arrivare. Dietro di lei, Angela mi osservava preoccupata. 
Come le disse la madre, Fareeha mi mise giù e mi lasciò andare. 
Nell'esatto momento in cui toccai terra saettai verso la porta, con l'eco delle parole dell'anziana che mi seguirono.

« Lasciatele un momento da sole. » aveva detto l'anziana signora, mentre spalancavo la porta e la richiudevo alle mie spalle. 

Non ero stata tante volte nel laboratorio di Angela, sopratutto perché non mi affascinava particolarmente il suo lavoro. Tutto era molto ordinato, come ci si sarebbe aspettato da lei. Mi guardai un attimo intorno, prima di individuare una tenda, che serviva a dividere la stanza. Mi ci avvicinai e lentamente la scostai, trovando il letto di ospedale su cui giaceva la vedova dalla pelle viola. Amèlie non sembrava proprio avere una bella cera, le sue labbra erano secche e il suo volto era estremamente pallido. Dei tubicini le fuoriuscivano dal naso, per permetterle di respirare meglio. Sentivo il lento "bip" della macchina che monitorava i battiti del suo cuore e la sacca di sangue che penzolava per la trasfusione non fu per niente una fantastica vista. 
Ciò che più mi turbò, fu notare che l'avevano legata al letto, mani e piedi, come se fosse una pazza pronta per il manicomio. Aggrottai la fronte, preoccupata, mentre andavo ad incontrare i suoi occhi gialli che in un attimo si legarono ai miei. 

« Che cosa ti hanno fatto... ? » le domandai, mentre lentamente mi avvicinai a lei. 
Essere lì, in quel momento, mi stava dando un enorme sollievo. Ero accanto a lei, ora potevo proteggerla.

« Nulla, cherì. Tu come stai? Sei pallida. » disse, non risponendo affatto alla mia domanda. Sembrava più preoccupata per le mie condizioni che per le sue. 

« Credo che tu sia la quarta persona oggi che le lo dice... » ridacchiai lievemente, facendo un passo verso il lettino, per andarle a prendere una mano. Era fredda e morbida a contatto contro la mia pelle. 
A quel tocco sentii un peso abbandonarmi il petto, facendomi sentire decisamente meglio. 
Aggrottai la fronte, quando notai che aveva calato le palpebre ed anche lei sembrava molto più rilassata rispetto a prima. 

« Che cosa è successo, tesoro? » le chiesi ancora, quasi quella domanda mi sfuggisse dalle labbra.

Amèlie aprì gli occhi, puntandoli di nuovo nei miei. Per un attimo, mi sembrò di vederla di nuovo attraverso il vetro della cella in cui mi avevano rinchiusa.
Fece per parlare ma venne brutalmente interrotta.

« È quello che vorremmo sapere anche noi. » disse Ana, scostando la tenda per entrare nella zona della "convalescenza" di Amèlie. 
Angela era proprio dietro di lei e nel vederla sveglia di affrettò ad avvicinarsi alle macchine a cui era attaccata per controllare come stessero i suoi valori. 

L'anziana Egiziana si accostò al letto, sistemandosi entrambe le mani dietro la schiena. « Credo che entrambe avete molto da raccontarmi. »

A quell'affermazione io e Amèlie ci scambiammo uno sguardo fugace.

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Capitolo 13
*** Domande ***


Widowmaker.

C'era troppa confusione per i miei gusti. 

« È stata sparata! Non vi sembra il caso di aspettare per le vostre domande? »

Lena, accanto a me, era visibilmente irrequieta. Si muoveva accanto al lettino, stringendomi la mano quando pareva che il suo stato d'animo raggiungesse un picco estremo di nervosismo. 
La sua pelle a contatto con la mia era così calda che quasi sembrava stessi per scottarmi.

« Siete entrambe sveglie e nella stessa stanza, mi sembra il momento opportuno. » ribattè il capitano Amari, stando seduta su una sedia girevole. Dava l'impressione di star molto comoda in quel momento. 
Non potei fare a meno di notare come tenesse l'occhio che avevo ferito coperto, lei era stata una dei miei più grandi fallimenti, dopotutto ucciderla doveva essere  un compito abbastanza semplice.

« Poi perché dovrebbe rispondere alle vostre domande? Avete cercato di ucciderla! » continuò ad esclamare la piccola inglese, stringendo la presa sulla mia mano. Debolmente cercavo di ricambiare quella stretta, sopratutto perché era ben gradita. Rispetto a quando mi aveva rifiutata quello era un passo avanti.

« Morrison ha agito senza consultarmi, agendo alle mie spalle. Peccato che quella stupida di mia figlia l'abbia seguito... » l'anziana signora scosse il capo, puntando gli occhi sulla dottoressa Ziegler. Quest'ultima si limitò a sospirare, allontanandosi da me dopo che ebbe finito di controllare la mia pressione. 

« Sai perfettamente perché Fareeha ha seguito Jack, Ana. Prima di partire ho provato a dissuaderla ma poi ho preferito seguirla per accertarmi che nessuno facesse stupidaggini. » affermò la Svizzera, andandosi ad appoggiare contro il bancone dove teneva alcuni strumenti e medicine. 

Strattonai appena una delle cinghie che mi tenevano legata al letto. Mi sentivo i trappola bloccata a quel modo, sopratutto perché non potevo fare alcun movimento. Sentivo braccia e gambe indolenzite e questo era un tremendo fastidio. 
Spostai lo sguardo su Lena, restando in silenzio, dopotutto se avessi detto qualcosa di sbagliato essa poteva ritorcersi contro di me; non ero esattamente nella posizione di mosse avventate, sopratutto quando ero io ad essere in trappola, presa in custodia da Overwatch.

Quando Lena si accorse del mio sguardo lo sostenne per qualche attimo, prima di spostare gli occhi castani sulle cinghie che mi tenevano legata. Aveva immediatamente capito quale fosse il mio fastidio e ciò un po' mi turbò.

« Possiamo sbarazzarci di queste cinghie? » chiese dopo qualche attimo.

Ana la osservò per un lungo istante prima di spostare le sue attenzioni su di me. Conoscevo bene l'anziana signora, era stato Gerald a presentarmela e per quanto fossero passati tanti anni ricordavo con quanto impegno mi avesse affiancata per aiutarmi ad entrare a far parte di Overwatch, come diventare un buon cecchino. Era lei che mi aveva dato le basi in tutto quello che sapevo. 

« L'ultima volta che sei stata qui hai ucciso uno dei nostri, Lacroix. Dovevo prendere delle precauzioni, molti qui sono preoccupati della tua presenza. » disse la donna, rivolgendosi direttamente a me. « Ma non ho intenzione di farti del male, se è questo che ti stai chiedendo. Io non sono Morrison. »

All'ultima frase, riuscii a percepire quanto fosse alterata nei confronti dell'uomo. Strano, dopotutto lei era fra tutti quella che doveva serbare più rancore nei miei confronti. 

Lena si mosse sul posto, pronta di nuovo a contraddire quello che aveva detto Ana. « Ma non è giusto! La situazione è diversa ora, vi posso assicurare che... »

« Voglio ricordarti che è stata lei a portarti dalla Talon. » disse subito Angela, interrompendola. 

« Stava eseguendo un ordine. » subito Lena rispose a quell'affermazione, portandomi a guardarla un'altra volta. Quelle parole mi avevano stupito, proprio lei che mi aveva dato della "traditrice" adesso era di tutt'altro parere. 
Non riuscii ad incrociare i suoi occhi, dato che erano bassi e il suo sguardo rivolto al pavimento. C'era qualcosa di me che mi spingeva a continuare a guardarla, quasi fosse un sollievo vederla fuori da quella che era stata la sua prigionia. Scossi il capo, scacciando quel pensiero. "Sollievo". Io non ero capace di provare niente, dovevo smetterla di illudermi di semplici suggestioni.

Emisi un sospiro, magari se avessi collaborato la mia posizione sarebbe migliorare e mi avrebbero permesso di muovere almeno le gambe. « Domandate quello che dovete. »

Lena sollevò lo sguardo sul mio, quasi a domandarmi se fossi sicura e io annuii. Dopotutto avrebbero potuto anche torturarmi per tirarmi fuori quelle risposte ma non lo stavano facendo. 
Inoltre, avevo un nuovo motivo, una nuova missione; la stavo stringendo nella mia mano in quel preciso istante.

-

Passò quella che mi sembrò un'eternità. Le domande di Ana non furono solo incentrare sull'accaduto recente ma sull'organizzazione stessa. Non avevo mai saputo molto a riguardo,  spesso si limitavano a darmi semplici ordini o bersagli da assassinare, io eseguivo senza fare troppe domande. Angela non proferì parola in quel lasso di tempo, limitandosi semplicemente a controllare i miei valori vitali di tanto in tanto. Lena invece... non solo spesso era intervenuta per parlare, ma se ne stava anche comodamente seduta ai piedi del mio letto, con le gambe incrociate sotto di se. Nonostante o vari inviti ad allontanarsi per riposare un po', era sempre rimasta vicino a me. Più ci provavo a capirla e più mi schiantavo contro un muro. Avrebbe dovuto odiarmi... non starmi accanto. 

« L'ultima domanda, Lacroix. Poi ti lasceremo... riposare. » affermò Ana, picchiettando le dita sulla tazza di caffè che stava sorseggiando con estrema calma, era quasi snervante. 

Annuii, facendo un cenno con il capo.
 « Vada. » mormorai, abbassando lo sguardo. Avrei voluto tanto stropicciarmi gli occhi, ma con le mani legate non potevo fare molto. 

Ana osservò per un attimo Lena, stringendo per un secondo le sottili labbra scure. Sembrava stesse cercando di trovare le parole giuste ma alla fine si arrese. « Siamo molto curiosi di sapere... perché hai salvato Lena da quello che le stavano facendo. »

« Capisco. »  risposi immediatamente, abbassando lo sguardo sul letto dove ero sdraiata. Sentivo gli occhi dell'inglese su di me, e nonostante sapessi che anche le altre due donne mi stavano guardando, quello sguardo bruciò più di ogni altra cosa. Quella era un quesito a cui ancora non sapevo dare risposta. O meglio, non sapevo come spiegarlo. 
Presi un respiro profondo, mentre cercavo di scegliere con cura le parole da usare. Mi morsi il labbro inferiore, ripensando agli occhi di Lena nei miei mentre sfiorava la mia nuda, le sue iridi erano state cioccolato liquido, caldi e pieni di desiderio. Il mio cuore aveva battuto così forte...
Scossi con violenza il capo, cercando di scacciare quei ricordi che mi tormentavano. 

« Credo... che non sia necessaria una risposta. Mi ha salvato la vita, non importa il perché. » 

Le parole di Lena mi fecero sollevare lo sguardo ed incrociare i suoi occhi che continuavano a fissarmi. Aveva la fronte aggrottata, come se qualche pensiero la stesse affliggendo. 

Ana si sollevò dalla sedia e quel movimento interruppe i nostri sguardi, che si spostarono subito su di lei. « Direi che abbiamo finito. Vi lasciamo sole. »

Sia Angela che l'anziana si allontanarono, non prima che la Svizzera lasciasse a me e a Lena un'occhiata che non riuscii a decifrare.
Emisi un forte sospiro, quando uscirono dal laboratorio. 

« Dovresti dormire. » mi fece notare l'inglese, che non si era spostata dal suo posto. Sembrava stare comoda e chi ero io per sfrattarla?

Sollevai gli occhi al soffitto, scuotendo il capo. « Indovina un po'? Dovresti farlo anche tu. »

Una risatina fuoriuscì dalle sue labbra così invitanti, alleggerendo immediatamente l'aria grave che sembrava aver impregnato la stanza. « Non me ne vado da qui. Non mi fido a lasciarti da sola. »

« Come fai a non fidarti dei tuoi compagni? » le chiesi, sorpresa da quelle parole.

« Morrison voleva ucciderti e sappiamo entrambe cosa pensano di te molti degli agenti. » rispose, nella sua voce un lieve tono di amarezza. 

« E tu cosa pensi di me?  » mormorai, senza spostare lo sguardo da lei. Quella domanda mi era uscita dalle labbra senza che potessi fermarla. 

Lena si passò la lingua fra le labbra, scendendo dal letto solo per potersi avvicinare di più a me. La vidi in piedi, lo sguardo estremamente serio ma ardente di un fuoco che in pochi avevano, lo stesso fuoco che era riuscito, anche se poco, a scaldarmi. 

« Io penso che si sbaglino. » affermò. 

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