Alwys Dewery e la Mappa del Malandrino

di DaisyCorbyn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Perché essere una ragazza normale è così difficile? ***
Capitolo 3: *** 2. Io sono cosa?! ***
Capitolo 4: *** 3. Shopping un po' speciale ***
Capitolo 5: *** 4. La mia bacchetta... o forse no? ***
Capitolo 6: *** 5. Binario 9 e tre quarti ***
Capitolo 7: *** 6. In viaggio verso Hogwarts ***
Capitolo 8: *** 7. La cerimonia di smistamento ***
Capitolo 9: *** 8. Prima lezione perf... lasciamo stare ***
Capitolo 10: *** 9. La prima lezione di volo ***
Capitolo 11: *** 10. Prima luna piena ad Hogwarts ***
Capitolo 12: *** 11. Misteri tra le mura della scuola ***
Capitolo 13: *** 12. L'inizio dei guai ***
Capitolo 14: *** 13. Tra verità e menzogne ***
Capitolo 15: *** 14. La Mappa del Malandrino ***
Capitolo 16: *** 15. Remedium Draconis ***
Capitolo 17: *** 16. Natale a casa dei Potter ***
Capitolo 18: *** 17. Problemi ad Hogsmeade ***
Capitolo 19: *** 18. Lezioni da cui imparare ***
Capitolo 20: *** 19. Ricordi di famiglia ***
Capitolo 21: *** 20. L'indovinello del fantasma ***
Capitolo 22: *** 21. James non potevi stare zitto? ***
Capitolo 23: *** 22. Il drago di Draconem ***
Capitolo 24: *** 23. Pericolo al chiaro di luna ***
Capitolo 25: *** 24. Un nuovo nemico ***
Capitolo 26: *** 25. Fatto il misfatto ***
Capitolo 27: *** Nota dell'autrice ***



Capitolo 1
*** Prologo ***




ATTENZIONE!

I personaggi presenti in questa storia non sono stati creati da me, ma da J. K. Rowling. Non scrivo a scopo di lucro, ma perché amo l’universo di Harry Potter e un giorno mi sono svegliata con questa malsana idea in testa.
Fatti avvenuti in precedenza a questa storia sono narrati solo nei sette libri di Harry Potter (escluse interviste e l’ottavo capitolo), questa storia non vuole fungere da continuo della serie. È possibile che vi siano fatti completamente inventati in quanto mancanza di fonti abbastanza soddisfacenti che hanno richiesto un po’ della mia fantasia: ciò verrà specificato nelle note a fine dei capitoli.
I personaggi Alwys Dewery, Damian Paw, Phaedrus Draconem, Adeline Tarill, Cornelia Lewis, Trevis Finnigan, Patrick Goyle, Abigail Bode, Julie Foranel, Benton Thomas, Emeraude Goldstein, Daichi Corner, Breanne Colthe, Reouven Davien sono di mia proprietà quindi, in caso li voleste usare per una vostra storia, dovrete chiedere il permesso a me. Vi ringrazio del vostro tempo, buon proseguimento!
 

 

Prologo

 
 
L’ululato di una lupa squarciò il silenzio della notte, le stelle tremarono al suo boato e gli alberi si fletterono al volere del vento che tuonò in quella fredda valle. Un trambusto di rumori aveva fatto fuggire ogni gufo, gli scoiattoli si erano rannicchiati dentro le loro tane scavate nella corteccia degli alberi e i lupi avevano alzato il loro muso verso il richiamo della straniera. Stridore di metallo e odore di gomma bruciata contro l’asfalto, un urlo disumano e uno schianto contro un abete solitario. Poi il silenzio.
Il fruscio di velluto contro la strada fu il primo suono dopo quella guerra di rumori assordanti. Poi il ticchettio di tacchi che muovevano passi brevi ma veloci e il tintinnio della corda degli occhiali contro gli orecchini. La donna sfoderò la bacchetta e la tenne con entrambe le mani, poi inspirò profondamente.
«Dove sei?»
Nessun suono rispose alla sua domanda, ma una luce emerse dal fitto bosco. La lupa sembrava fatta di capelli di fata, brillava illuminando tutto ciò che aveva intorno e non produceva alcuno scricchiolio ad ogni suo passo. Si avvicinò alla donna e la salutò piegando il muso verso il terreno.
«Portami da lei.»
Lasciarono la strada, dove pezzi di rottami ancora rotolavano lungo il pendio. Seguirono il sentiero di erba piegata, addentrandosi nei meandri di quel freddo bosco illuminato solo dalla luna. Bastò qualche passo per trovare il responsabile dello sterminio dei fiori e dei fili d’erba: il cammino della macchina aveva trovato la fine a causa di un abete ora incurvato. C’era un sottile scoppiettare nell’aria e un odore di fumo che presto disturbò gli abitanti di quegli alberi.
«Sei sicura che siano morti?»
La lupa annuì grave in risposta.
Lei si allontanò dal veicolo, le dita avviluppate alla bacchetta furono prede facili per il freddo di quella notte. Si voltò verso la luce proiettata dalla lupa, ora accovacciata contro l’erba umida. Il groviglio di coperte che teneva stretto a sé si muoveva appena, piccoli bozzoli si creavano contro la stoffa per poi sparire subito dopo. Deboli lamenti uscivano da esso, che la donna riuscì a sentire solo quando fu vicina. Avvicinò la bacchetta alla stoffa e spostò un lembo per scoprire cosa celasse.
«È l’unica sopravvissuta?»
Lo sguardo della lupa fu la risposta che stava cercando.
La prese in braccio, stringendola al petto per proteggerla dal gelo della foresta. La portò sotto i raggi della luna e scostò la coperta per guardarle il viso: i suoi occhi erano pallidi come il ghiaccio e la sua pelle diafana ricordava il dorso di un Panciasquamato Ucraino.
«Questo è un addio?» chiese la donna alla lupa.
Lei si voltò verso la luna, poi tornò sulla donna.
«Ti prometto che la proteggerò» disse la donna, la voce vacillò per un attimo. «Con la mia vita.»
La lupa si piegò verso l’erba, come se ne volesse assaporare l’odore, e tornò dritta. Svanì come la luce di una candela dopo una folata di vento: silenziosamente e trascinandosi dietro una scia di fumo appena visibile.
La donna strinse la stoffa che avvolgeva la bambina, si girò verso la macchina e rimase a fissarla per un momento. Due vite erano state rubate quella notte, non ce ne sarebbe stata una terza. Guardò la bambina e le regalò un bacio sulla fronte.
«Ci penso io a te.»
Lasciò la foresta a cavallo della sua scopa ormai vecchia, proteggendo la bambina dal vento grazie ad un incantesimo che evocò prima di partire. La strinse al petto, sentendo le sue manine aggrapparsi al suo corpetto. Quando arrivò nei pressi della torre, Sibilla era già pronta per prendere la scopa e aiutarla a scendere.
«Come sta?»
«Bene» rispose la donna mostrandole la bambina. «Un po’ infreddolita, ma illesa.»
«Cosa hai intenzione di fare?» chiese Sibilla, le sue mani già tremavano per la tempesta di emozioni che la stava attraversando.
«La porterò in una famiglia che ho già adocchiato, quando compirà undici anni frequenterà Hogwarts.»
«Una coppia di babbani? Minerva, non credo…»
«Meno sa delle sue origini, meglio è» disse interrompendo la sua frase. «Concediamole degli anni di tranquillità, le aspetterà una vita difficile.»
«Non la devi perdere di vista…»
«Certamente, Sibilla, farò in modo che il suo primo incontro con la magia sia a undici anni.»
«Non sto parlando di questo…» disse Sibilla. «Avrà molte domande, il suo animo sarà una nebbia di dubbio.»
«Dubbi che troveranno risposta a tempo debito.»
Minerva si diresse verso il suo studio, dove era stata posta una cesta colma di coperte calde sopra la scrivania. Poggiò la bambina, che ormai dormiva, dentro essa e le accarezzò il volto con dolcezza. Estrasse la lettera dalla tasca e la mise dentro la cesta, fermata da una spilla d’argento in cui era incastonata una pietra che ricordava il manto della luna.
Sibilla l’aveva raggiunta, le sue mani continuavano a tremare senza controllo. Si schiarì la gola per attirare l’attenzione di Minerva e si accostò a lei.
«Non è meglio dire la verità? Harry Potter deve sapere.»
«No» rispose Minerva scuotendo il capo. «Tutto verrà svelato a tempo debito.»
«Io…»
«Sibilla» la chiamò voltandosi verso di lei. «Tu hai un compito molto importante, sei sicura di essere in grado?»
Lei deglutì e si guardò le punte dei piedi. Subito dopo annuì con insistenza.
«Mi fido di te, Minerva.»
Eretta su un piedistallo d’ottone, la sfera era coperta da un telo color malva. Quando Minerva la scoprì, la alzò verso il lampadario dorato che pendeva sopra le loro teste: quando la luce delle candele la accarezzarono, fecero emergere il bianco del fumo che conteneva.
«Mi devi comunicare immediatamente qualsiasi cambiamento» disse la donna porgendo la sfera a Sibilla.
Lei indugiò prima di prenderla, la luce della sfera riflessa nelle sue pupille tremava leggermente.
«Credi che potrebbe cambiare?»
«Non possiamo avere la certezza del cammino che deciderà di intraprendere» spiegò Minerva guardando la bambina. «Possiamo solo sperare che il suo animo sia puro come quello dei suoi genitori.»
«La proteggerò con tutte le mie forze» disse Sibilla tenendo saldamente la sfera tra le mani.
«So che sarà così, per questo la affido a te.»
«Non so quando ci rivedremo, Minerva… ma…»
«Ci rivedremo, Sibilla» disse la donna poggiandole una mano sulla spalla. «Possiamo farcela.»
Lei annuì.
Quando Minerva rimase sola, il suo studio venne avvolto da un silenzio soffocante. Lo scoppiettare delle candele sembrava il tuonare dei fulmini oltre le nuvole per quanto fosse rumoroso. Guardò la bambina un’ultima volta e cercò di scacciare dalla mente un ricordo che cercava di farsi spazio nella sua mente. Quella notte in cui aveva dovuto dire addio a delle anime troppo giovani per poter lasciare quel mondo. Quei due occhi verdi come l’erba che ricopre una collina e quel simbolo nascosto da un ciuffo corvino. Chiuse gli occhi per combattere contro quei ricordi dolorosi e poi afferrò la cesta diretta verso l’esterno della torre.
Non sarebbe caduta negli stessi errori del passato, il destino le aveva concesso una seconda opportunità che lei aveva intenzione di custodire. Quando i suoi passi si fermarono, il sole aveva incominciato ad imbiancare il cielo con i primi sbadigli dell’alba. Poggiò il cesto davanti l’uscio della porta e scoprì il volto della bambina, che si guardò attorno con sguardo attento.
«Il tuo destino non è scritto in una profezia, sei tu che deciderai cosa accadrà» disse Minerva e la bambina strinse con la manina il suo dito sottile e allungato. «Non dimenticarlo mai, Alwys.»

 


Nota IMPORTANTE dell'autrice

Benvenute o bentornate!
Questa storia è stata scritta nel 2017, quando ancora ero un'acerba scrittrice con tante idee per la testa.
Mi ha accompagnata durante tutti i miei anni scolastici, regalandomi molte soddisfazioni ed emozioni, quindi per me lasciarla andare è un po' difficile.
Per questo ho deciso di riprenderla e darle la degna conclusione che merita.
Spero che chi ha seguito le gesta di Alwys negli anni precedenti sia felice di ciò e spero di aver incuriosito i nuovi lettori.
Piccoli dettagli che, però, devo specificare (e che approfondirò nella nota a fine romanzo):
  • La storia NON è stata riscritta, l'ho solo pulita da errori di battitura e le ho dato una degna formattazione (per quello che ho potuto), per questo motivo il mio stile di scrittura non sarà dei migliori (stiamo comunque parlando di quattro anni fa), ma dal secondo libro in poi ci saranno dei notevoli miglioramenti;
  • Chi ha letto la precedente versione, sì, sono sempre io, ho solo cambiato il mio nickname (tranquilli!)
Un caloroso saluto a tutti, spero che questo primo volume di questa saga vi appassioni, spero di leggere le vostre recensioni (ricordandovi però che questa storia è stata scritta nel 2017 e nel frattempo il mio stile di scrittura è migliorato molto!)
Daisy
 

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Capitolo 2
*** 1. Perché essere una ragazza normale è così difficile? ***


 

1
Perché essere una ragazza normale è così difficile?

 
 
Nel quartiere di Moon Street[1] andava tutto bene: la signora Turner cercava di tenere a bada il suo Yorkshire che abbaiava in continuazione, la famiglia Wilson stava per traslocare a causa della misteriosa scomparsa di tutti i loro canarini, e la famiglia Cleveland  ormai non cucinava più l’arrosto della domenica perché inspiegabilmente spariva; queste erano le uniche famiglie che ormai vivevano lì da più di undici anni perché ogni famiglia che decideva di trasferirsi lì finiva per fuggire qualche mese dopo, spaventati dagli strani avvenimenti. In quel trambusto di persone che andavano e venivano – per poi andarsene di nuovo – c’era la tranquilla famiglia Dewery, il cui capofamiglia, il signor Dewery, lavorava in un negozio d’animali aiutato dalla moglie.
La famiglia Dewery era riservata e silenziosa, l’ultima famiglia che i nuovi inquilini, di solito, conoscevano. Curavano il giardino e non arrecavano mai disturbo, tanto da renderli i vicini ideali e che qualsiasi persona avrebbe voluto avere accanto. Tranne che per un piccolo dettaglio: la loro figlia, Alwys Dewery. La ragazza era dolce e taciturna, una perfetta ascoltatrice, peccato che nessuno si avvicinasse a lei per via dei suoi occhi così bianchi da confondersi con la sclera e dei suoi capelli neri cosparsi da ciocche viola. Lei è speciale ripeteva la signora Dewery così tante volte da sembrare che si volesse autoconvincere. Nonostante i coniugi Dewery cercavano di spiegare ai vicini più curiosi che la bambina era affetta da una rara malattia che causava una carenza di pigmento nell’iride e una ipopigmentazione di alcune ciocche dei capelli che risultavano violastre, nessuno sembrava bere quella scusa che faceva acqua da tutte le parti. Solo Alwys sembrava accettare quella bizzarra spiegazione.
Non solo i vicini pensavano che fosse strana, anche i suoi compagni di classe le stavano alla larga e dovette cambiare più volte scuola a causa di alcune voci o comportamenti scorretti da parte di quest’ultimi. La signora Dewery aveva perso il conto di tutti gli astucci che aveva dovuto ricomprare alla bambina.
Ma… perché parlarvi di questa ragazzina apparentemente normale?
La nostra storia inizia un primaverile giorno di giugno, un anno dopo la nascita di Alwys, mentre la signora Dewery preparava allegramente la torta di compleanno per festeggiare quel giorno speciale. La piccola giocava col bavaglino appena regalatole dal padre che, mentre faceva facce buffe verso di lei, finiva di cucinare.
Tutto era perfetto: mancavano solo gli invitati.
«Eccoli!» esclamò la signora Dewery appena sentì il trillare del campanello.
Si tolse in fretta il grembiule su cui prima si era pulita le mani, mise la torta in frigo e andò ad aprire la porta mentre si sistemava l’acconciatura per assicurarsi che non avesse dei ciuffi fuori posto.
«Buongiorno! Sono così felice che siate venuti in questo giorno speciale.»
«Buongiorno anche a te, mia cara!» rispose la signora Turner tirando fuori dalla borsa un pacchetto giallo con un vistoso fiocco rosso. «E in ogni giorno speciale che si rispetti non possono mancare i regali.»
La signora Turner era una dolce anziana che non si lasciava intimorire dai capelli bianchi o l’artrosi, infatti si truccava ogni giorno, usava sempre scarpe alte e i capelli, rigorosamente tinti di un biondo dorato, erano acconciati in un elegante chignon. Tutti i suoi figli e nipoti sfortunatamente vivevano molto lontano e non potevano venire a trovarla spesso, quindi, da quando Alwys era appena nata, aveva trattato la piccola come se fosse la sua nipotina, fregandosene del suo strano aspetto fisico.
«Ti ringrazio da parte di Alwys» rispose la signora Dewery prendendo in mano il pacchetto. «Tu devi essere il piccolo Thomas.»
Un ometto alto quanto una sedia era nascosto dietro la gonna dell’anziana.
«Piacere» disse senza muoversi da quella posizione.
«Non chiudere, stanno arrivando anche i Cleveland!» esclamò la signora Turner. «Almeno oggi non arriveranno con un’ora di ritardo come al mio settantesimo compleanno!»
La sala da pranzo era molto spaziosa e agghindata a festa: una tovaglia arancione rivestiva il tavolo posto al centro, un’enorme scritta “Tanti auguri” era appesa sull’arco che dava sulla cucina, e i bicchieri, i tovaglioli e i piatti avevano decorazioni floreali. La signora Turner andò vicino al camino spento dove erano poggiate alcune foto dei Dewery al loro matrimonio o di Alwys appena nata in braccio alla madre. I due sposini vivevano in quel posto solo da tre anni ma, nonostante ciò, la signora Turner provava un particolare affetto nei loro confronti, soprattutto dopo l’inaspettata comparsa della piccola Alwys: i Dewery erano una famiglia così riservata da aver tenuto nascosta anche la gravidanza!
«Eccoci!» esclamò il signor Cleveland sbucando da dietro la porta dell’ingresso. «Questa volta non siamo in ritardo.»
Il signor Cleveland era un uomo basso e grassoccio con qualche capello biondo sulla testa, invece la signora Cleveland aveva lunghi capelli castani sempre raccolti in una coda laterale. I loro tesori più preziosi erano le loro figlie, Andie e Mandie, due gemelle con lunghi capelli biondi e occhi azzurri, sempre pronte a scambiare il dentifricio con la crema al peperoncino.
Quando tutti presero posto nella tavola, il signor Dewery arrivò con la prima portata che portò con sé un delizioso odore che stuzzicò la fame dei presenti. Il pranzo sembrava procedere bene e tutti avevano già iniziato a sommergere di complimenti i coniugi Dewery –anche se preparare dell’arrosto con contorno di patate per il compleanno di una bambina che mangiava solo omogeneizzati era un po’ contraddittorio–.
«Come vanno gli affari?» chiese il signor Cleveland asciugando del sugo che era gocciolato fino al mento.
«Non mi lamento» rispose il signor Dewery facendo spallucce. «I clienti continuano a comprare un sacco di conigli, non capisco cosa ci trovino di così bello in quelle povere bestioline confinate in piccole gabbie.»
La moglie si schiarì la gola e diede un calcio da sotto il tavolo al marito.
«Come vi sembra il pranzo?»
«Noi abbiamo un coniglio» disse la signora Cleveland ignorando apposta il brusco cambiamento di argomento della donna.
«Oh…» l’uomo era davvero mortificato. «Non lo ricordavo.»
«Ce lo hanno regalato i miei genitori» spiegò la bionda mentre suo marito si metteva in bocca una quantità esorbitante di patate al forno.
«Che pensiero carino…» disse la signora Dewery accennando un sorriso tirato.
Fortunatamente il resto della conversazione scemò in argomenti più leggeri, il cibo finì subito e tutti rinnovarono i complimenti al signor Dewery per la sua bravura.
«Potete portare la piccola all’asilo nido dove ho portato i miei due gioielli» disse la signora Cleveland sorridendo dolcemente verso le sue figlie.
«Non credo ci sia bisogno, mio marito riesce a cavarsela al negozio anche senza di me… e comunque preferisco passare tutto il tempo possibile con Alwys prima che si faccia grande!» rispose accennando una risata che l’altra donna ricambiò.
«La capisco benissimo…»
«E poi ci sono io!» si intromise la signora Turner giocherellando con la bimba che balbettava contenta.
«Certo, a me non hai mai dato una mano però» rispose la bionda spostando teatralmente una ciocca che le era ricaduta sul viso.
«Con quei due piccoli demoni?» rispose l’anziana sporgendosi in avanti. «Mai!»
Le due bambine si scambiarono un’occhiata come se potessero capire a pieno ciò che la donna aveva appena detto, invece Alwys si limitò a corrucciare la fronte per l’improvviso cambio di tono.
«Piuttosto…» prese parola il signor Dewery per venire in soccorso alla moglie. «Manca la torta.»
Quando i genitori misero la torta davanti alla piccola, Alwys storse in naso e guardò confusa i genitori che, invece, la stavano guardando sorridendo. Dopo aver spento le candeline, che in verità avevano spento tutti insieme, arrivò il momento che la signora Turner aspettava dall’inizio.
«Ora i regali!» esclamò l’anziana.
La signora Dewery, con Alwys in braccio, prese il pacchetto giallo e lo aprì: dentro vi era un grazioso pigiama rosa con disegnati tanti orsacchiotti.
«Che carino!»
«Puoi provarlo adesso, in caso lo riporto in negozio per cambiarlo» propose gentilmente la signora Turner guardando la bambina come se potesse capirla.
«Vado a cambiarla nella sua cameretta» disse la signora Dewery prima di sparire dietro la porta del salotto.
La piccola emise dei versetti d’approvazione mentre la madre le toglieva quel vestitino scomodo per i troppi merletti per farle provare il pigiamino. Per renderla più adorabile, la madre si ricordò di un fermaglio rosa che teneva nel suo portagioie.
«Mi allontano per un secondo, fai la brava» disse per poi lasciare la stanza.
Erano passati uno o due minuti, ma quando tornò si trovò davanti ad uno spettacolo impossibile! Le uniche cose che si sentirono furono il suono del fermaglio cadere per terra e la piccola dire “Cane!”. Peccato che non ci fosse nessun cane nella stanza ad eccezione fatta per Alwys, che aveva le orecchie tese verso l’alto per captare qualsiasi rumore, il corpo tutto peloso e una lunga coda marrone[2].
La signora Dewery soffocò un grido premendosi la mano contro la bocca: come poteva essere possibile? Si appiattì contro il muro sotto lo sguardo interrogativo della piccola, come se si trovasse davanti ad un pericoloso predatore (il che per metà era vero) e poi furtivamente sgattaiolò fuori dalla stanza.
«Tesoro, puoi venire un momento?» chiese la signora Dewery sbucando dalla porta del salotto con la voce che le tremava e gli occhi spalancati.
«Cosa succede?» chiese allarmato il signor Dewery fra gli sguardi interrogativi degli invitati.
«Nulla» tagliò corto per poi trascinarlo via. 
Appena entrarono nella stanza la piccola era per terra che si divertiva a fare a brandelli con i suoi artigli quello che doveva essere il fermaglio. Sì, aveva anche gli artigli.
«Ma che diavolo?!»
Il signor Dewery si portò le mani ai capelli visibilmente sconvolto e poi si girò verso la moglie che lo guardava come se gli stesse chiedendo «E ora?».
«Non è possibile…»
Si grattò la testa in cerca di qualche spiegazione logica, ma in quel momento la sua mente era annebbiata e ferma sull’immagine della figlia con le sembianze di un lupo.
«Dobbiamo chiamare aiuto! Un canile, non lo so!» strillò la signora Dewery strattonando la camicia del marito. 
«No!» ribatté guardando la moglie negli occhi.
 Si abbassò per prendere in braccio la piccola che protestava con versetti simili a grugniti tenendola a debita distanza dalla faccia.
«La prossima volta che adottiamo una bambina dalla strada dobbiamo controllare che non abbia le pulci.»
«Non è il momento di scherzare! Cosa facciamo?» chiese allarmata la signora Dewery che da un momento all’altro sarebbe scoppiata in lacrime.
«È lo stesso la nostra piccola Alwys, non è cambiato nulla. Anzi, dobbiamo proteggerla da chiunque si dovesse interessare a lei» rispose il signor Dewery stringendo la piccola che cercava di attirare la sua attenzione muovendo le zampine.
«Ma sei pazzo? Non avvicinarti a quella cosa!» disse la signora allontanandosi dal marito che cullava il piccolo lupacchiotto.
«Tu sei pazza! Non puoi chiamare nostra figlia cosa, anche io sono sconvolto, ma possiamo farcela insieme.»
L’uomo si avvicinò alla moglie, le prese una mano e la portò sulla testa della piccolina che si strusciò chiudendo gli occhietti.
«La mia Alwys…» disse la madre accarezzandola con il pollice per poi scoppiare in lacrime. «Secondo te rimarrà per sempre così?»
Il marito non rispose, serrò la mascella e si lasciò andare ad un sospiro profondo mentre guardava gli occhietti della piccola che lentamente stava sprofondando nel sonno.
Da quel giorno, dopo che i Dewery cacciarono via tutti gli invitati senza spiegazioni, incominciarono a girare strane voci sul loro conto, e il loro nome divenne solo un freddo sussurro del vento primaverile.
 
Alwys si era sempre chiesta da dove venisse lo strano comportamento dei vicini, ma, ogni volta che chiedeva spiegazioni ai suoi genitori, loro rispondevano vagamente, tanto che lei ormai aveva perso le speranze. A volte si guardava allo specchio e si chiedeva se fosse colpa sua perché era diversa dagli altri bambini, non poteva immaginare cosa fosse successo al suo primo compleanno perché ovviamente era troppo piccola per ricordarlo. I suoi genitori le avevano raccontato che la prima volta che si era trasformata erano soli a casa, quindi nessuno poteva sapere di lei. Ciò che la turbava erano i commenti di Andie e Mandie, le sue vicine di casa, e il fatto che passavano tutto il tempo a renderle la vita un inferno dandole spintoni e calci, urlandole «Strana come i suoi genitori!». Lei proprio non capiva quella frase perché ai suoi occhi i suoi genitori erano le persone più normali del mondo, tranne per il fatto che ogni giorno quando usciva per prendere il pulmino sua madre urlava dal balcone: «Il cappello!» attirando l’attenzione di tutto il vicinato.
Sì, il cappello: usava questo buffo ed enorme cappello, sotto cui raccoglieva i capelli per nasconderli e per coprire leggermente gli occhi, che le aveva comprato la madre per non attirare l’attenzione delle persone quando facevano delle passeggiate. Per fortuna i professori non le facevano problemi perché erano stati supplicati dai genitori.
Non capiva perché i suoi occhi e i suoi capelli fossero così, su internet non c’era nulla che riconducesse ai licantropi e i genitori non erano molto esaustivi perché ne sapevano davvero poco. Già, a peggiorare tutta la situazione c’era il fatto che era un licantropo. I suoi genitori le avevano detto che aveva ereditato quella “caratteristica” (come la chiamava il padre) da suo nonno paterno, per questo né suo padre né sua madre presentavano questa condizione. Aveva letto un sacco di cose su internet per capirci di più, ma tutte le informazioni che riferiva ai suoi genitori loro le bocciavano dicendo che internet non era affidabile.
«Ma il nonno non ha lasciato nemmeno una lettera?»
Quando i dubbi assalivano Alwys, lei iniziava sempre con questa domanda e il tutto finiva con sua madre furiosa che la mandava in camera.
Lei voleva solo capire chi fosse veramente perché non poteva continuare a vivere così: ad essere chiusa dai suoi genitori in soffitta durante la luna piena e ad essere derisa dai suoi compagni di scuola; sarebbe arrivato il giorno in cui sarebbe dovuta andare via di casa… ma come avrebbe fatto? Sarebbe riuscita a vivere senza i suoi genitori che la controllavano? Questi dubbi la assalivano quasi ogni notte e si mescolavano agli incubi che ogni giorno si facevano sempre più reali. Fortunatamente a tirarle su il morale c’era la signora Turner con cui passava la maggior parte del tempo: le aveva insegnato a fare a maglia, a cucire e a mettere un bottone. Le piaceva molto passare i pomeriggi con lei quando aveva pochi compiti, perché la quiete della sua casetta e il piccolo uccellino blu di nome Arturo allietava quelle ore dolcemente.
«Non pensarci» le diceva mentre le faceva una lunga treccia per tenere tutti quei capelli.
«A cosa?»
«A tutto!»
Sospirò ripensando a quei momenti e fece appannare leggermente il finestrino del pulmino pieno di bambini che ridevano e scherzavano. Alwys, come ogni giorno, era seduta da sola e con lo sguardo perso fra le aiuole che sfrecciavano davanti ai suoi occhi che riflettevano ogni cosa. Mai nessuno si era seduto accanto a lei, piuttosto si sedevano in tre in un posto.
«Cosa guardi, sfigata?»
Andie si posizionò accanto a lei e in un attimo l’intero pulmino cadde nel silenzio.
«Forse sta guardando il suo amico immaginario» la canzonò Mandie spuntando da dietro la sorella.
«Lasciatemi in pace» rispose Alwys continuando a guardare fuori dal finestrino non curandosi minimamente della loro presenza.
«Che c’è? Hai paura del lupo cattivo?»
Andie con la mano le afferrò la spalla e la voltò verso di lei.
«Ti ho detto di lasciarmi in pace!» urlò corrugando la fronte e spostando bruscamente la mano della ragazza.
«Sennò che fai?»
Mandie si avvicinò e le diede un colpetto sul petto guardandola con aria di sfida e mostrando i denti gialli.
Alwys si alzò e in un attimo fu faccia a faccia con le due gemelle che la guardarono confuse perché di solito non reagiva in quel modo, piuttosto subiva in silenzio. Ma quello non era un giorno qualunque: era il suo undicesimo compleanno e niente lo avrebbe rovinato.
«Stiamo aspettando» disse Andie molto interessata alla situazione che si stava creando.
Alwys strinse i pugni lungo i fianchi. Ad un tratto tutti gli zaini che erano conservati sopra i sedili caddero addosso alle due gemelle facendole imprecare per il dolore. Alwys rimase ferma visibilmente scossa dall’accaduto: Cosa è successo? Perché gli zaini sono caduti? Non c’è stata nessuna curva brusca.
Entrambe le bambine si massaggiarono la testa, come se fossero una il riflesso dell’altra, e poi guardarono con uno sguardo furioso Alwys. Il pulmino si fermò di colpo e l’autista, attirato dal rumore, si alzò dal sedile per raggiungere le ragazze con passo alquanto scocciato.
«Cosa state combinando?»
«È stata Alwys!» dissero piagnucolando in coro e si strofinarono gli occhi che erano sul punto di essere sommersi dalle lacrime.
«Non è vero! Io-» Alwys fu interrotta dallo sguardo inceneritore dell’autista.
«Scendi immediatamente! Non tollero questo comportamento, tanto è poca la strada per arrivare a casa tua» e con il pollice le indicò l’uscita.
Alwys senza dire nulla prese il suo zaino e, sotto lo sguardo di tutti, uscì dal pulmino con dentro un misto di sollievo e tristezza. Lì tutti la odiavano, pure l’autista che una volta aveva chiuso la porta troppo presto facendole incastrare lo zaino, quindi fare quell’ultimo tratto di strada a piedi fu un sollievo per lei. Fortunatamente per arrivare a destinazione le sarebbe bastato attraversare un enorme parcheggio e poi percorrere l’intera Moon Street. Durante il tragitto pensò a cosa era successo sul pulmino e rabbrividì: la sua vita era un enorme mistero che non vedeva l’ora di risolvere, ma mancavano gli indizi e, se c’erano, erano molto confusi.
Il parcheggio stranamente era vuoto, la cosa la inquietò un po’ perché si rese conto di essere completamente sola visto che non c’erano né macchine né case. Affrettò il passo e si coprì di più il volto col berretto come se si volesse proteggere da una strana sensazione.
Poi alla sua sinistra lo vide: un uomo totalmente vestito di nero e con un enorme cappotto così lungo da sembrare un mantello che lo avvolgeva del tutto, lasciando scoperto solo il collo e il volto segnato da un ghigno ammiccante. Alwys si fermò a guardarlo come se si volesse assicurare che fosse veramente reale. Subito dopo, però, realizzò che l’uomo si stava dirigendo verso di lei. Alwys incominciò a camminare più velocemente verso l’altro lato della strada, ma in pochi istanti arrivò a pochi metri di distanza. Era reale.
«Se ti fermi ti dico cosa voglio da te.»
La sua voce era intrisa di sarcasmo e con un pizzico di malizia che fece venire un brivido lungo la schiena di Alwys.
«Non lo voglio sapere» urlò lei mentre cercava di raggiungere Moon Street con passo svelto.
«E se ti dicessi che anche io sono un lupo mannaro?»
Il cuore di Alwys sembrò congelarsi. Le sue gambe smisero di muoversi e le mani lungo i suoi fianchi presero a tremare. Si impose di respirare profondamente per calmare il suo animo, come suo padre le aveva insegnato per superare i momenti in cui sentiva il mondo stringersi attorno a lei per soffocarla. Si girò verso di lui incontrando i suoi magnetici occhi blu.
«Non esistono i lupi mannari» rispose lei per metterlo alla prova
Lui avanzò di qualche passo: da vicino non sembrava poi così inquietante. Era giovane, anche se la sua età sfuggiva alla mente di Alwys per la sua barba incolta che gli invecchiava il viso. I suoi occhi riflettevano la tranquillità di un giovane, invece il ghigno che tagliava il suo volto apparteneva ad un uomo dal losco passato.  
«Ma noi due sappiamo che non è vero» disse, la sua voce era così calma da suscitare in Alwys un sentimento di inquietudine misto a rassicurazione.
«Come fai ad esserne certo?» chiese con una sicurezza non sua, ma scaturita dalla voglia di saperne di più.
Doveva fuggire o chiedere aiuto, questo i suoi genitori le avevano sempre raccomandato in quelle situazioni, ma non appena le sue orecchie avevano sentito quelle due parole qualcosa in lei aveva scacciato ogni timore.
Un lupo mannaro… rimbombava nella sua mente. Lui è come me.
«Ti osservo da un po’, Alwys Dewery, e so riconoscere un mio simile quando ne vedo uno. Non sei come i babbani, tu hai qualcosa di diverso.»
«Babbani? Qualcosa di diverso?»
«I babbani sono coloro nati senza poteri magici, ma non è questo il momento di imparare queste sottigliezze, avrai modo di conoscere questi termini più tardi.»
Arrivò così vicino ad Alwys che lei poté scrutare le sfumature più chiare nei suoi occhi. Un colore così sereno e limpido non poteva appartenere ad un uomo con un animo malvagio. Alwys non indietreggiò spaventata, piuttosto lo guardò incuriosita: sentiva di avere le risposte alle sue domande davanti a lei.
«Pensi che vedere i tuoi genitori chiuderti ogni luna piena in soffitta non sia strano?»
Mi ha spiata? Quella domanda che apparve nella sua mente, però, la scottò come una lama bollente. Come faceva a sapere della soffitta se i suoi genitori serravano tutte le finestre prima di richiuderla lì?
«Io ho un branco in cui ci sono persone come me e come te» continuò lui dopo quel breve attimo di silenzio. «Siamo come una famiglia e credo proprio che sia ciò di cui tu hai bisogno.»
Alwys si sentì ferita da quelle parole.
«Io ho una famiglia» rispose prontamente, nonostante il suo cuore le stesse battendo rumorosamente dentro il petto.
«Una famiglia che ti tratta come se fossi un mostro? Con noi potrai essere te stessa e ti potremmo aiutare.»
Sugli occhi di Alwys erano specchiate le emozioni che quelle parole le avevano provocato: una vita senza doversi nascondere per lei era come le favole che aveva letto nei libri. Impossibile.
«Non posso lasciare i miei genitori» spostò lo sguardo verso Moon Street che si specchiava su un cupo cielo non molto primaverile. «E io non ti conosco.»
«Mi conosci, facciamo parte della stessa specie» ribatté lui. «Devi scegliere: vuoi passare la tua vita a nasconderti o vuoi finalmente essere ciò che sei veramente?»
Ma come poteva essere qualcuno se neanche lei non sapeva chi fosse veramente? Lasciò cadere lo sguardo verso l’asfalto su cui stavano spuntando delle piccole macchie scure. All’idea che, andando con lui, avrebbe provocato meno problemi ai suoi genitori e avrebbe potuto trovare un rimedio alla sua condizione, le si riempirono gli occhi di lacrime. Avrebbe fatto un sacrificio come quello per loro, dopo tutto quello che avevano fatto per lei, ma qualcosa dentro di sé le disse che quello non era il modo giusto. Tornò a guardare Moon Street, la sua casa dove era nata e dove credeva di vivere fino alla fine della sua vita.
«Sta per piovere, devo tornare a casa…»
Si girò senza degnarlo di un ultimo sguardo, mentre piccole goccioline di pioggia incominciarono a stuzzicarle il viso.
«Vieni via con me.»
Le agguantò il braccio e lo strinse con una tale forza da mozzarle il fiato. Era stato così veloce da coglierla alla sprovvista e così forte da rendere vano ogni suo tentativo di sottrarsi. Rimase paralizzata appena realizzò di non avere via di fuga.
«Lasciami! Ho detto che voglio tornare a casa!»
Cercò di liberarsi ma lui la strattonò serrando la presa e la trascinò verso i fitti alberi che si estendevano oltre il parcheggio. Alwys Sentì un brivido attraversarle la schiena quando vide che gli occhi di lui si erano tinti di un rosso vivo[3].
«Non hai scelta!»
Degli artigli si conficcarono nella pelle di Alwys, falciando la richiesta di aiuto che voleva uscire dalla sua bocca per quel dolore lancinante. Sentì il sangue caldo bagnarle la felpa e le lacrime rigarle le guance contratte per il dolore. Stava accadendo tutto così in fretta. Era una bambola di pezza incapace di ribellarsi che lui stava trascinando verso i meandri di un bosco.
Cosa succederà adesso? Mi ucciderà?
Chiuse gli occhi e li coprì con il braccio libero.
Non voglio morire.
Ad un tratto una luce la investì e sentì il suo braccio libero dalla morsa degli artigli. Alwys aprì gli occhi e vide davanti a sé una figura di spalle con stravaganti capelli azzurri e un lungo impermeabile giallo. Il ragazzo che l’aveva afferrata era stato scaraventato lontano da lei.
«Stai dietro di me!»
Dalla voce Alwys capì che si trattava di un ragazzo e, non facendoselo ripetere due volte, si riparò dietro la sua schiena. C’era qualcosa nella sua voce che le infuse sicurezza.
«Il piccolo Teddy… mi sei mancato!» disse il ragazzo dagli occhi rossi e si alzò con un po’ di fatica.
«Tu, invece, no» rispose Teddy.
Alzò la mano di fronte a sé e Alwys vide che stava tenendo qualcosa con le dita: era un lungo bastoncino scuro che sembrava assomigliare ad una… bacchetta! Da essa uscì un lampo che si scagliò contro l’altro ragazzo che, però, con un gesto rapido tirò fuori una bacchetta per deviare il fascio di luce.
«Non devi intrometterti» disse il ragazzo i cui occhi erano tornati blu.
«Tu non devi intrometterti!» sbottò Teddy puntandolo con la bacchetta. «Questa è mia giurisdizione.»
«Il Ministero ha detto che è mio compito contattarla» disse e il volto di Teddy si contrasse come se quella frase fosse una chiave che apriva tutte le porte.
«Non in questo modo!»
«Mi stavi seguendo?»
«Cavolo, Damien, lei è troppo importante e tu con i tuoi metodi la stai spaventato» sbottò il ragazzo dai capelli azzurri indicando con la bacchetta la ragazzina che istintivamente si coprì il volto per paura che un altro fascio di luce uscisse da essa.
Damien fletté le gambe e tenne la bacchetta ferma davanti a sé come se si stesse preparando a sferrare un attacco. Per un breve attimo Teddy indugiò, ma subito dopo copiò i suoi movimenti e i suoi capelli sfumarono fino a diventare blu scuro. Alwys strofinò gli occhi incredula: cosa stava succedendo?
«Sei tu che la stai spaventando intromettendoti» controbatté Damien. «Lei deve entrare a far parte del mio branco, che tu lo voglia o no.»
«Non accadrà.»
«E invece sì.»
Lo spettacolo di luci riprese: i due incominciarono a lanciarsi queste saette colorate che esplodevano al contatto col terreno o con qualsiasi altra cosa. Ogni tanto Alwys sentiva delle strane parole uscire dalle loro bocche, ma era troppo stordita mentre ammirava quello spettacolo incredibile per capire appieno cosa stessero dicendo. 
«Ma cosa…?» esalò stupefatta.
Credeva di essersi ormai abituata alle stranezze: era un lupo mannaro, cosa poteva essere più strano di questo? Ma ciò che i suoi occhi le stavano mostrando batteva tutte le strampalate teorie che aveva formulato in quegli anni per giustificare la sua natura. Doveva scappare, in quel momento o mai più, e raggiungere i suoi genitori che avrebbero trovato una soluzione. Approfittò di un colpo che fece sbattere Damien contro il terreno per incominciare a correre verso la sua casa.
Un improvviso calore, però, le bruciò una gamba facendola cadere a terra. Batté con forza la testa sull’asfalto e per qualche secondo la sua vista divenne sfocata.
«Attenta!»
Una voce alle sue spalle venne coperta da un terribile boato. Si girò, ancora per terra, e vide le bacchette dei due ragazzi esibirsi in uno spettacolo di luci: lampi colorati uscivano da esse per poi svanire appena uno alzava la bacchetta per difendersi da quella lucina apparentemente innocua. Era uno spettacolo assurdo.
Alwys cercò di alzarsi, ma la gamba che poco prima era stata colpita non rispondeva ai suoi comandi. Preda del panico, riprese a piangere e diede dei pugni alla gamba urlando «Muoviti! Ti prego!». Il cuore le batteva a mille, voleva andare via ma non poteva, sarebbe morta lì, lo sapeva… ma perché?
L’ultima cosa che vide fu il corpo di Damien volare via e Teddy correre verso di lei. Poi il buio si appropriò della sua vista.

 

 
Note:
[1] Quartiere inventato da me situato in Gran Bretagna
[2] La Rowling non è stata molto esaustiva per quanto riguarda la vita di un licantropo che ha ereditato la condizione dai genitori: ho chiesto a molte pagine di HP, ma tutte mi hanno risposto che non ne sapevano molto, quindi ho preferito inventare io!
[3] Visto che la mia storia ha come protagonista un licantropo, mi sono dovuta “creare” vari aspetti per rendere più interessante e completa questa specie: dagli occhi che cambiano colore, al fatto che, con molto allenamento, è possibile uscire artigli e canini a comando.

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Capitolo 3
*** 2. Io sono cosa?! ***


2
Io sono cosa?!

 
 
Non aveva mai sentito le palpebre così pesanti, con fatica riuscì ad aprile mentre muoveva le dita delle mani intorpidite. I suoi occhi si aprirono su un soffitto familiare su cui si stagliavano delle stelle fluorescenti: era nella sua stanza. Di scatto si alzò, ma se ne pentì subito perché una fitta atroce le percorse la testa. La massaggiò con entrambe le mani e poi cercò di muovere la gamba sospirando di sollievo quando vide di riuscirci. Non la sentì nemmeno intorpidita, solo la sua testa era preda di un terribile mal di testa.
Appena si schiarì dal torpore di quella dormita, i ricordi di ciò che era successo apparvero nella sua mente: era stato reale? I frammenti dei ricordi erano confusi, ricordava solo i lampi di luce e i boati che facevano tremare la terra sotto i suoi piedi, e quegli occhi di un profondo blu che poi erano stati macchiati da un rosso simile al sangue.
«Damien…» sussurrò e istintivamente si toccò il braccio, avvertendo che sotto il tessuto della felpa vi era una spessa fasciatura.
«Non è stato un sogno…»
Delle voci al piano di sotto attirarono la sua attenzione e d’improvviso la voglia di abbracciare i suoi genitori la assalì. Una fitta le percorse il braccio appena lo appoggiò contro il materasso. Ricacciò le lacrime che volevano affiorare nei suoi occhi e si alzò facendo attenzione a non cadere per le vertigini. Fortunatamente la gamba non sembrava avere alcun problema. Fece gli scalini a due a due fino ad arrivare alla porta della cucina dove, però, si accorse che oltre alla voce dei suoi genitori ce n’era una che non conosceva.
«Alwys!»
Tutti si girarono verso di lei, che puntò subito lo sguardo verso il proprietario di quella voce.
«Cosa ci fai tu qui?» chiese la ragazzina alzando l’indice verso il ragazzo dai capelli tornati azzurri.
«Ti ho salvato la vita» rispose lui venendole incontro. «Come stai?»
«Non ti avvicinare! Mamma, papà, lui è pericoloso.»
Indietreggiò e guardò i suoi genitori alla ricerca di una reazione, o almeno una risposta al suo avvertimento, ma loro rimasero impassibili.
«Alwys lui non è cattivo» disse il padre sospirando e accarezzò le mani della moglie che annuì con un amaro sorriso. «Lui ci può aiutare.»
«Aiutare a fare cosa?»
Lo sguardo di Alwys era come una pallina da tennis che saltava da quello dei genitori a quello di Teddy.
«Se ti siedi possiamo parlarne…» disse lui spostandosi appena e indicando con il palmo della mano una sedia vicina a quella dei genitori.
«Voglio rimanere alzata» disse la ragazzina fulminandolo con lo sguardo.
Quel tipo era davvero singolare: i suoi capelli azzurri erano tutti dritti e indossava degli enormi occhiali neri che ingrandivano i suoi occhi nocciola. L’impermeabile giallo era tempestato di spille e toppe di stoffa colorate, alcune di loro brillavano per i brillantini poggiati su esse. Alwys pensò che in confronto i suoi occhi e i suoi capelli non erano poi così strani.
«Va bene…»
Il ragazzo guardò i due coniugi e, dopo un lungo sospiro, incominciò a parlare: «Mi chiamo Ted Remus Lupin, sono un professore della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts. Quando un bambino con poteri magici compie 11 anni, riceve una lettera dalla scuola per poter essere ammesso. Non sempre, però, il bambino ha i genitori anch’essi dei maghi e, quando ciò accade, viene inviato un professore per spiegare alla famiglia la situazione. Tu sei stata ritenuta idonea per frequentare Hogwarts e io sono il professore che risponderà a tutte le tue domande» finì con un sorriso e si sistemò l’impermeabile.
I genitori guardarono la figlia annuendo e sorrisero dolcemente come se stessero cercando di convincerla con lo sguardo.
«No» fu l’unica parola che Alwys disse dopo essersi ripresa dal quel fiume di informazioni.
Si girò verso le scale e si incamminò verso la sua stanza.
«Tesoro, ti prego, aspetta!»
I genitori si alzarono e le andarono incontro per bloccarla prima che salisse le scale.
«No! Non voglio avere niente a che fare con bacchette e incantesimi che fanno del male!» urlò.
Dentro di lei l’immagine di quel ragazzo scaraventato per terra che non si muoveva le appannò la mente. I rumori assordanti che le avevano fatto tremare il petto e il dolore tagliarle il respiro.
«La magia non serve solo a questo» Ted si intromise ma, invece di migliorare la situazione, non fece che peggiorare.
«E a cosa? A far comparire oggetti o a farli scomparire?» Alwys agitò le mani come se stesse lanciando un incantesimo. «Ho visto quel ragazzo cadere a terra!»
«Esistono molti tipi di incantesimi» spiegò lui sistemandosi gli occhiali. «E comunque ti stavo difendendo.»
«E perché dovevi? Non è anche lui un mago? Perché mi dovrei fidare di te?»
«Se ti calmi posso rispondere a tutte le tue domande…»
«Come posso calmarmi?» sbottò serrando i pugni lungo i fianchi. «Mamma, papà, perché lo avete fatto entrare?»
«Ad Hogwarts possono aiutarti con la tua licantropia!»
Cadde il silenzio. I genitori di Alwys sorrisero e annuirono alle parole di Ted, ma lei, nonostante quella frase piena di speranza, non ne voleva sapere nulla.
Era questo che volevano fare i suoi genitori? Liberarsi di lei perché causava solo problemi? Ma cosa ne voleva sapere lui? Su internet c’era scritto che non esisteva cura e l’unica cosa che poteva fare era convivere con ciò, ormai si era messa il cuore in pace da molto tempo. Sicuramente quel ragazzo stava usando come scusa la licantropia per portarla via dai suoi genitori. Proprio come Damien aveva tentato di fare.
«Nessuno può aiutarmi!» urlò e scoppiò a piangere per poi correre verso la sua camera.
Appena varcò la soglia si buttò sul letto affondando il viso nel cuscino ed incominciò a singhiozzare e a battere i pugni contro le coperte: perché non la lasciavano in pace? Perché non poteva tornare alla sua normale vita? Forse perché la sua vita non era mai stata normale. Tutti quegli anni passati a nascondersi, a credere di essere diversa e di essere un pericolo per le persone che le stavano attorno: veramente era arrivata una soluzione? Finalmente poteva vivere normalmente? Tutta quella speranza, però, le fece solo capire che in verità tutto ciò era solo una grossa bugia. Era impossibile che potesse esistere una soluzione che era piombata dal cielo così improvvisamente.
Sentì bussare, ma preferì non rispondere. Voleva scacciare dalla sua mente ciò che i suoi occhi avevano dovuto vedere. Voleva estirpare dalla sua mente gli occhi rossi di Damien che le avevano paralizzato il corpo. Anche lei sarebbe diventata come lui? Anche dalle due piccole mani sarebbero comparsi degli artigli che avrebbero ferito le persone a cui voleva bene?
«Si può?» era Ted.
Alwys avrebbe tanto voluto rispose “no” ma preferì tacere: sapeva che, probabilmente, non l’avrebbe ascoltata. Sentì i suoi passi farsi più vicini e poi il materasso piegarsi al peso del ragazzo.
«Hai dei capelli bellissimi» disse perdendo lo sguardo fra quella cascata di ciocche viola e nere.
«Non è vero, sono strani» rispose lei e alzò la testa quanto bastava per liberare la bocca dal cuscino.
«Stai parlando con uno che ha i capelli completamente azzurri.»
Risero tutti e due e finalmente Alwys si girò incontrando gli occhi di Ted.
«So che è il tuo lavoro, ma…. non potete aiutarmi» disse lei con decisione per poi affondare di nuovo la testa nel cuscino.
«Perché lo pensi?»
La sua voce era molto dolce: era la prima volta che un ragazzo di famiglia babbana si rifiutava di seguirlo ad Hogwarts, quindi non riusciva proprio a capire il perché di quella reazione. Ogni volta che aveva dovuto dare quella notizia aveva ricevuto in cambio sguardi di euforia e urla di gioia, non due occhi rossi per le lacrime e spalle tremanti per la paura.
«Non so come funziona il vostro mondo, come trattate i licantropi, ma è una cosa che non si può spiegare» rispose lei e si mise seduta. «Non è solo la licantropia, per quella potrei semplicemente chiudermi da qualche parte… è tutto.»
«Tutto?» chiese Ted.
«I miei occhi, i miei capelli… è come se tutto di me non andasse bene, non solo la licantropia, quindi, anche se ci fosse un metodo per guarirla, di tutto il resto che farei?»
Ted schiuse leggermente la bocca incapace di replicare a quelle parole. Alwys non gli diede nemmeno il tempo di pensare ad una risposta.
«Magari è vero che la vostra scuola è bella e adatta ai…» quasi le veniva difficile dire quella parola. «Maghi, ma non a me, perché io… sono diversa.»
«E cosa c’è di male nell’essere diversi?» chiese Ted spostandole una ciocca dal viso.
«Non è come nei film, non sei il protagonista diverso da tutti che poi riesce a far capire agli altri come vede il mondo e a vivere felice…» spostò lo sguardo e deglutì. «Nella vita reale non sei il protagonista e gli altri non apprezzeranno le parti nascoste di te, perché a nessuno importa come sei dentro, ma come se fuori.»
Ted strinse il copriletto: quelle parole, quei ragionamenti, perché erano nella testa di una bambina? Avrebbe tanto voluto abbracciarla, dirle che non era così, ma sapeva che prima doveva guadagnarsi la sua fiducia e poi sarebbe riuscito a consolare quegli occhi perennemente tristi. Quello sguardo che conosceva bene e che aveva visto riflesso nello specchio per molti anni.
«A me importa come tu sei dentro» le indicò il petto con il dito. «Cosa hai qui.»
Alwys istintivamente si portò la mano in quel punto.
«Ma io non lo so.»
«Permettimi di scoprirlo allora.»
Alwys lo guardò negli occhi, sentiva che poteva fidarsi di lui, non sapeva come spiegarlo, era come se avessero vissuto esperienze simili e potessero capirsi anche solo con uno sguardo. Lui non era un licantropo, ma sul suo volto sembrava esserci riflessa la stessa tristezza che Alwys ormai sentiva essere sua amica. Tornò a guardare il soffitto su cui suo padre aveva attaccato delle piccole stelle fluorescenti.
Così ti ricordi che anche la notte è bellissima.
Era arrivata ad odiare la notte perché era il momento in cui si trasformava. Ogni volta che il sole si nascondeva dietro le colline lei sentiva il bisogno di rincorrerlo per convincerlo a tornare su.
Guardò la porta e si alzò per dirigersi verso essa. Quando la chiuse, si girò verso Ted, che aveva seguito i suoi movimenti con uno sguardo curioso. Incominciò a sfilare la felpa dalle braccia.
«Cosa stai facendo?!»
Le guance di Ted si tinsero dello stesso colore delle fragole, visibilmente sorpreso da ciò che stava facendo la ragazzina. Appena, però, i suoi occhi notarono le cicatrici lungo le braccia della ragazzina, sul suo volto tornò un’espressione seria. Alwys rimase solo con la canottiera, gli occhi puntati verso il pavimento. Il suo petto era cosparso da spesse e bianche cicatrici, alcune erano il ricordo di graffi inflitti con forza, altre rotonde sembravano l’impronta del morso di un lupo.
«Perché le hai?» fu l’unica cosa che Ted riuscì a chiedere, mentre il suo sguardo vagava fra la pelle di quella piccola ragazzina marchiata da quegli orribili segni.
«Non ricordo cosa faccio quando sono un lupo mannaro, ogni volta che mi sveglio ho una ferita nuova, quindi ho cercato su internet[1] e a quanto pare se non ho qualcuno da mordere, mordo me stessa» sospirò e si accarezzò una cicatrice che doveva essere la più recente perché era ancora rosea e non pallida come le altre. «Ogni anno diventano sempre più profonde, questo vuol dire che anche la mia forza sta crescendo… finirò per fare del male a qualcuno» serrò le labbra e si sforzò di sorridere, ma calde lacrime le rigarono il volto.
«Tu non farai mai del male a qualcuno.»
Ted si alzò dal letto e si avvicinò a lei: le prese il volto con entrambe le mani e le asciugò le lacrime.
«Invece sì, qui potrei essere chiusa in soffitta, ma nella vostra scuola come farei?» spostò lo sguardo da quello di lui e si rimise la maglietta con qualche smorfia di dolore per la ferita al braccio.
«Mio padre era un lupo mannaro…»
Alwys spalancò gli occhi e si girò verso Ted.
«Ha frequentato anche lui Hogwarts, il preside a quell’epoca creò un passaggio nascosto per una casa nel villaggio di Hogsmeade, protetta da incantesimi per potersi trasformare senza che nessuno lo venisse a sapere.»
«Quindi potrò conoscere un lupo mannaro che non cercherà di uccidermi!» disse lei entusiasta, poi però realizzò che lui aveva usato il passato e che la sua faccia era stata attraversata da un’ombra di dolore.
«Mio padre è morto… a scuola studierai la Seconda Guerra dei Maghi, fu allora che morì.»
Ted spostò lo sguardo e si perse fra gli sgargianti colori del tappeto. I suoi capelli divennero più scuri come i suoi occhi. Alwys si morse il labbro, avrebbe dovuto capirlo.
Seconda Guerra dei Maghi, Hogwarts, licantropi: un nuovo mondo si stava aprendo davanti a lei, un mondo dove poteva essere sé stessa e dove non doveva nascondersi.
Cercò di cambiare discorso: «Dovrei comunque nascondere chi sono?»
«Questa è una scelta tua, io posso solo consigliarti, sappi però che tutti i professori lo saprebbero comunque e ti tratterebbero come una normale studentessa, posso assicurartelo» rispose e con una mano le accarezzò i capelli. «Ti proteggerò da tutti i pregiudizi delle altre persone.»
Vedere quella piccola e innocente bambina marchiata da quelle orribili cicatrici e sopravvissuta ad anni di solitudine gli fece pensare a suo padre, a quanto per lui doveva essere stato difficile ai suoi tempi, quando i pregiudizi nei confronti dei lupi mannari erano molto duri. Suo padre, l’uomo che non aveva mai conosciuto ma che era sempre presente accanto a lui, come se ogni tanto potesse sentire le sue carezze mischiate al vento che gli scostava i capelli. Si riprese da quei pensieri, si schiarì la voce e guardò Alwys attendendo una risposta.
«Io… non lo so.»
Era confusa: una parte di lei avrebbe tanto voluto partire l’indomani stesso, l’altra parte aveva paura di andare via senza i suoi genitori che l’avrebbero protetta. Ma c’era qualcosa in Ted che le gridava “fidati di me”.
«Almeno questo è un passo avanti» disse lui sorridendole.
Lei ricambiò sorridendo all’ottimismo di Ted, ma ad un tratto un lampo le attraversò la mente.
«Chi era l’uomo che prima voleva rapirmi?»
«Si chiama Damien, è un lupo mannaro anche lui. Lo incontrerai di nuovo a Hogwarts, è il custode insieme ad Hagrid» disse e agitò la mano come se volesse scacciare un brutto ricordo.
«E voi permettete che un individuo così pericoloso stia nella scuola?» Alwys strabuzzò gli occhi e aprì la bocca visibilmente scioccata.
«Non è pericoloso…» rispose Ted come se neanche lui fosse convinto di ciò. «Il Ministero della Magia gli ha affidato il compito di occuparsi di tutti i lupi mannari che hanno meno di diciassette anni.»
«E lui li tratta come ha trattato me?» Alwys era davvero stupita dalla stupidità di questo Ministero della Magia.
«Nemmeno io condivido i suoi metodi, ma diciamo che è uno dei pochi lupi mannari che non cerca di uccidere il primo mago che incontra.»
«Uccidere il primo mago che incontra?» chiese lei allontanandosi leggermente.
«No… io…» disse Ted e si schiarì la voce. «È molto difficile trovare un lupo mannaro che non cerca di attaccare un mago perché anni fa non erano visti di buon occhio e ciò li ha portati a chiudersi in loro stessi.»
«Perché non erano visti di buon occhio?» chiese Alwys e lo guardò come se Ted facesse parte di quelle persone. «Solo quando siamo trasformati siamo pericolosi.»
Era la prima volta che usava il noi e ciò non le sembrò nemmeno un po’ strano.
«Erano altri tempi, grazie a mio padre i lupi mannari hanno avuto più diritti, ma sembra che a qualcuno non importi» spiegò lui notando il dispiacere negli occhi della ragazzina.
Alwys rimase in silenzio: veramente doveva lasciare casa sua, dove aveva tutte le sue certezze, per andare in un mondo dove non ne aveva nemmeno una?
«Quasi mi dimenticavo!» esclamò Ted per poi trafficare fra le tasche dell’impermeabile. «Questa è per te.»
Le passò una busta di pergamena ingiallita dove vi era una scritta verde smeraldo che formava il suo nome e l’indirizzo di casa sua. Girò la lettera senza francobollo e osservò il sigillo di ceralacca color porpora su cui era impresso uno stemma araldico: un leone, un corvo, un tasso e un serpente attorno ad una grossa ‘H’. Con le mani tremanti la aprì e ne lesse il contenuto:


 
«Io…»
Una lettera su cui erano scritte le parole “magia” e “stregoneria” era tra le sue mani, proprio davanti a lei e poteva toccarla. Sentì la pergamena ruvida accarezzarle i polpastrelli e le lettere scure impresse negli occhi: lei era stata scelta per quella scuola. Lei era speciale.
«Diventerò una strega?» chiese continuando a fissare la lettera.
«Tu sei già una strega, Alwys.»
All’udire quella frase un sorriso le tirò le labbra. Portò la lettera al petto e la strinse con forza chiudendo gli occhi. Quando li aprì e vide Ted davanti a lei seppe con certezza che quello non era un sogno. Non sapeva se avrebbe trovato una cura per la licantropia o se non fosse riuscita a controllarla del tutto. Quello che le importava in quel momento era che finalmente era diventata la protagonista delle storie che coloravano i suoi sogni. Era diventata la protagonista della sua vita.
«Un attimo» si risvegliò bruscamente dai suoi sogni e guardò Ted. «Io non ho idea di dove posso comprare l’attrezzatura.»
Lui scoppiò a ridere e la ragazza lo guardò con uno sguardo tra l’arrabbiato e il confuso.
«Ti aiuterò io, stai tranquilla»
Era passata da un “non lo so” a chiedersi dove avrebbe comprato l’occorrente in pochissimi secondi.
«Hai altre domande?»
Lei annui: «I miei capelli e i miei occhi come saranno visti dagli altri?»
«Niente di allarmante: certo, magari ai miei c’è una spiegazione e ai tuoi no, ma tutti si abitueranno in fretta, per noi queste cose… diverse sono normali» spiegò lui pesando ogni singola parola: era riuscito a convincerla, non avrebbe distrutto quella piccola speranza proprio in quel momento.
«Hai detto che quel tipo si occupa dei lupi mannari che sono minori di diciassette anni… quindi…»
«Giuro che non è poi così male» la bloccò Ted sorridendole.
«Dovrò passare del tempo con lui?!» chiese Alwys ignorando la sua frase.
«Forse…» rispose grattandosi la nuca. «Non può farti del male, soltanto ti insegnerà qualche trucchetto se è necessario.»
«Se è necessario?»
«Se perdi troppo il controllo, se distruggi la casa ad Hogsmead… ma tu non sei il caso, tranquilla!» esclamò dandole qualche pacca sulla spalla che però non riuscì a tranquillizzarla. «Come ha detto Damien, è lui che dovrebbe pensare a te… infatti mi sa che mi sono appena cacciato nei guai…»
Alwys si morse il labbro dispiaciuta, se fosse stato necessario lei stessa avrebbe spiegato la situazione e avrebbe riempito di complimenti Ted.
«Ma capisco che sembra un tipo poco affidabile, per questo chiederò al Ministero di far decidere a te.»
«Cosa?» chiese lei molto interessata.
«Se far parte del suo branco o no.»
Alwys annuì: quante informazioni, quante cose strane le stavano capitando in poche ore. Era meglio però affrontare un problema alla volta, o si sarebbe ingarbugliata nei suoi stessi pensieri.
Andarono in cucina dove i suoi genitori la aspettavano ansiosi: sua madre si stava torturando le unghie e suo padre faceva avanti e indietro contando le mattonelle del pavimento. Appena sentirono i passi dei due alzarono di scatto la testa e si bloccarono come se stessero giocando a uno, due, tre, stella.
«Alwys, sono tuo padre e devo dirti che-»
Il padre evidentemente si era preparato un discorso, ma fu stroncato dalla frase di Alwys accompagnata dal suo sorriso.
«Non c’è bisogno che provi a convincermi, voglio andarci» disse guardando di sfuggita il sorriso di Ted.
I due genitori si guardarono e nel loro volto si dipinse un caloroso sorriso, si avvicinarono alla figlia e la abbracciarono tra i singhiozzi di felicità della madre.
«Ora che hai trovato il tuo posto non permettere a nessuno di ostacolarti.»
Il calore di quell’abbraccio non lo aveva mai provato in vita sua: anche se i genitori lo avrebbero mai ammesso, avevano dei pregiudizi nei confronti della figlia perché avere un lupo in famiglia non era una normale per loro, e molte volte, quando litigavano, la paura che la figlia potesse arrabbiarsi e fargli del male li portava a comportarsi non proprio come dei veri genitori, assecondando ogni richiesta della figlia e senza fare mai gite in famiglia per paura di attirare sguardi indiscreti. Ma ora che c’era una possibilità che la figlia imparasse a studiare come controllarsi avrebbero potuto vivere come una normale famiglia e amare Alwys con tutti i mezzi che possedevano.
«Mi occuperò io di aiutare vostra figlia a comprare il necessario, le darò anche le indicazioni per arrivare al treno, ma non potrò essere lì» spiegò Ted dopo aver tossicchiato. «Ma comunque ancora avete tutta l’estate.»
Un’estate che Alwys non voleva per niente passare chiusa a casa, perché voleva sfruttare tutto il tempo possibile per passarla con i suoi genitori. Infatti per la prima volta chiese loro di andare al mare, così cercarono un posto tranquillo con poca gente.
«È stupenda l’acqua!» gridava ogni volta che si immergeva in quella pozza blu che veniva specchiata dai suoi occhi bianchi.
Si era anche accorta che non aveva nemmeno un costume, e andare con la madre al centro commerciale per comprarlo le fece sprizzare gioia da tutti i pori. Stava facendo in un’estate tutto quello che non aveva fatto in undici anni di vita.
«Sei la figlia più bella che esista» disse il padre raggiungendola in acqua per poi toglierle un ciuffetto ribelle che si era attaccato alla sua guancia.
«Con queste cicatrici sono bruttissima» rispose lei coprendosi con le braccia e indurendo il suo sguardo.
«Invece sei bellissima perché ognuna di loro racconta un qualcosa che hai dovuto passare e che ti ha fatto diventare la splendida bambina che sei adesso» le prese il viso fra le mani e incontrò i suoi occhi bianchi. «Tu sei speciale.»
Alwys sorrise e abbracciò il padre: undici anni di attesa non erano nulla in confronto a quei giorni.
«Attenzione!» gridò la madre da uno scoglio per poi buttarsi e schizzare l’acqua addosso a loro.
«Non vale!» urlarono entrambi e si scambiarono uno sguardo come se si stessero leggendo nella mente.
«Cosa sono quegli sguardi? No, no, no!» disse lei per poi correre via inseguita dal marito e dalla figlia che le schizzavano l’acqua.
Quanto avrebbe voluto passare l’intera vita così, ma sapeva che a breve sarebbe dovuta andare via perché Hogwarts la aspettava e lei non vedeva l’ora.
 
 


 
Note:
[1] Anche io l’ho trovato su internet.
[2] Molti cognomi saranno quelli inglesi, dipende da quale mi piace di più! Potrebbero anche variare dalla traduzione vecchia a quella nuova.

 

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Capitolo 4
*** 3. Shopping un po' speciale ***


 

3
Shopping un po’ speciale

 
«Sistemati il cappello!» le disse la madre con tono nervoso mentre si torturava le unghie. «E, mi raccomando, fai attenzione!»
«Mamma, tranquilla, non sarò da sola!» le urlò la figlia abbassandosi di più il cappello.
«Amore, non esagerare» la ammonì il marito per poi spostare lo sguardo verso Alwys. «Buona fortuna, noi saremo qui ad aspettarti.»
Era la prima volta che usciva senza di loro e, per ciò, sua madre in quel momento era il ritratto perfetto dell’ansia.
«Non vi preoccupate, è in buone mani» la voce di Ted sbucò insieme al suo corpo da dietro un cespuglio. «Andiamo?»
Alwys guardò i suoi genitori e, dopo averli salutati con un cenno della mano, andò verso il ragazzo con un sorriso stampato sul volto.
«Come ci spostiamo?»
«Con questa.»
Ted si spostò da dietro il cespuglio e le mostrò cosa teneva in mano: una sfavillante scopa marrone.
«Non ci credo!» urlò Alwys trattenendo gridi di gioia.
Lui sorrise e subito dopo la posizionò fra le gambe.
«Mettiti dietro di me.»
«Fai attenzione!» esclamarono i genitori guardando poco convinti la figlia.
Lei annuì verso di loro. Lanciò un’occhiata alla scopa e poi scosse la testa: era un’esperienza così incredibile da scacciare ogni paura. Si posizionò dietro Ted, aggrappandosi al suo cappotto con entrambe le mani.
«Disillio» recitò lui facendo volteggiare la bacchetta sopra le loro teste, ma non accadde nulla.
«Dovrebbe succedere qualcosa?» chiese Alwys alzando un sopracciglio.
«Grazie a questo incantesimo i babbani non ci vedranno» le spiegò un po’ spazientito per il suo sguardo scettico. «Ti conviene tenerti forte.»
Con uno scatto la scopa volò via costringendo Alwys ad aggrapparsi con forza al busto di Ted: aveva gli occhi chiusi a causa del vento che le arrivava a grande velocità e che le stava scompigliando i capelli… i capelli?
«Il mio cappello!» urlò Alwys aprendo gli occhi e girandosi dietro di lei, ma l’unica cosa che vide fu una distesa di nuvole bianche che galleggiavano nel cielo.
«Non ti servirà» le urlò Ted, ma lei non ascoltò perché la sua mente era completamente presa dal meraviglioso spettacolo.
Stavano sopra la città che, da quella altezza, le ricordò le casette in miniatura che costruiva il marito della signora Turner nel suo polveroso studio. Non riusciva a vedere nemmeno le persone che stavano passeggiando per quelle vie. Poco dopo incominciarono a volare più basso e riuscì a vedere con più chiarezza delle piccole case che costeggiavano le lunghe strade che assomigliavano a serpenti silenziosi tra i verdi alberi, i quali, in quel momento, assomigliavano di più a dei cespugli. Era uno spettacolo bellissimo, non si era nemmeno accorta che aveva allentato la presa attorno a Ted.
«Ti prego dimmi che imparerò a volare» urlò nell’orecchio del ragazzo con molta foga.
«Assolutamente sì»
Dopo aver sentito quella risposta, lanciò un urlo di gioia. Lei era nata per questo, lo sentiva dentro il suo cuore.
Il problema fu quando atterrarono nei pressi di un parcheggio: appena toccò terra sentì il suolo tremare sotto i suoi piedi provocandole un conato di vomito.
«Forse ho esagerato un po’» disse il ragazzo dandole qualche pacca sulla schiena.
Lei non rispose, si limitò ad alzare il pollice per far capire che si sarebbe ripresa subito.
«Quindi… dove dobbiamo andare?» fu la prima cosa che chiese quando alzò il viso, anche se ancora un po’ frastornata.
«Intanto vediamo di cosa hai bisogno.»
Ted già lo sapeva, ma voleva che Alwys si sentisse una vera studentessa di Hogwarts.
La ragazza aprì la busta della lettera, estrasse il secondo foglio che durante l’estate aveva letto più volte e lesse:

 
SCUOLA DI MAGIA E STREGONERIA DI HOGWARTS
Uniforme
Gli studenti del primo anno dovranno avere:
Tre completi da lavoro in tinta unita (nero)
Un cappello a punta in tinta unita (nero) da giorno
Un paio di guanti di protezione (in pelle di drago o simili)
Un mantello invernale (nero con alamari d’argento)
N.B. Tutti gli indumenti degli allievi devono essere contrassegnati da una targhetta con il nome.
Libri di testo
Tutti gli allievi dovranno avere una copia dei seguenti testi:
Manuale degli incantesimi, Volume primo, di Miranda Gadula
Storia della Magia, di Bathilda Bath
Teoria della Magia, di Adalbert Incant
Guida pratica alla trasfigurazione per principianti, di Emeric Zott
Mille erbe e funghi magici, di Phyllida Spore
Infusi e pozioni magiche, di Arsenius Jigger
Gli animali fantastici: dove trovarli, di Newt Scamandro
Le Forze Oscure: guida all’autoprotezione, di Dante Tremante
Altri accessori
1 bacchetta magica
1 calderone (in peltro, misura standard 2)
1 set di provette di vetro o cristallo
1 telescopio
1 bilancia d’ottone
Gli allievi possono portare anche un gufo, OPPURE un gatto, OPPURE un rospo.
SI RICORDA AI GENITORI CHE AGLI ALLIEVI DEL PRIMO ANNO NON È CONSENTITO L’USO DI MANICI DI SCOPA PERSONALI.
 
«Avrò di già una bacchetta personale?» urlò la ragazza che non la smetteva di saltellare per la felicità.
«Certo» disse lui molto divertito dagli occhi scintillanti della ragazza che vagavano sul foglio accompagnati da versi di stupore.
«Però è tutto nero! Con i miei capelli sembrerò una morta!» si guardarono e scoppiarono a ridere per poi mettersi in cammino.
Arrivarono davanti ad un piccolo pub un po’ malridotto e, se non fosse stato per il cartello “aperto”, Alwys avrebbe pensato che fosse chiuso.
«Il paiolo magico… non dirmi che passi il sabato sera qui» disse Alwys storcendo il naso.
«Davvero simpatica, seguimi» rispose Ted mettendole una mano sulla schiena per spingerla verso la porta.
L’interno era immerso in una fitta oscurità, rischiarata in alcuni punti da qualche lanterna che pendeva dal soffitto e il cui scopo era solo non far sbattere i clienti contro i pali che sostenevano il tetto. Le persone avevano la testa bassa sul loro bicchiere e bisbigliavano fra loro, provocando un leggero brusio in sottofondo. Era un posto a dir poco inquietante.
«Il piccolo Teddy!» un vecchietto sdentato si trascinò da dietro il bancone per andare incontro a Ted.
«Salve, Tom.»
Si strinsero la mano e lo sguardo dell’anziano cadde subito su Alwys che istintivamente si nascose dietro il cappotto del ragazzo.
«Il tuo primo incarico, eh?» chiese l’uomo sorridendo in modo un po’ impacciato verso la ragazza.
Lei sembrò tranquillizzarsi perché in fondo non era altro che un vecchietto con lo sguardo dolce.
«Già! La sto accompagnando a prendere l’attrezzatura, se non ti dispiace…» disse per poi spostare lo sguardo su una piccola porta alle spalle dell’uomo.
«Fate pure» rispose lui stringendo un’altra volta la mano di Ted e sorridendo ad Alwys.
Attraversarono quella porta e si ritrovarono in un piccolo cortile recintato da quattro mura formate da grezzi mattoni.
«Tom è un tipo a posto» la tranquillizzò il ragazzo.
Lei in risposta annuì e poi gli schioccò un’occhiata confusa.
«Ti sei perso?»
Ted la guardò alzando un sopracciglio, poi prese la bacchetta e batté sul muro tre volte con la punta. Quest’ultimo incominciò a vibrare seguito da quelli attorno ad esso. Al centro apparve un buco che piano piano si fece sempre più grande fino a formare un arco che dava su una strada selciata tutta curve, di cui non si vedeva la fine.
«Ti do il benvenuto a Diagon Alley!» disse Ted sorridendo e spalancando le braccia per inspirare a pieni polmoni l’aria di quel posto.
«Incredibile» esclamò Alwys rimanendo a bocca aperta mentre il suo sguardo vagava fra i negozi con delle buffe insegne appese fuori.
«Forza, andiamo a comprare il materiale» la incitò il ragazzo dandole qualche pacca sulla spalla per farla risvegliare.
«Ma io non ho soldi!» disse lei facendo sparire il sorriso sul suo volto.
«Tranquilla, ci penserà la scuola a pagare. Ripagherai appena i tuoi genitori potranno, già ne ho parlato con loro» rispose lui facendole tornare il sorriso. «Seguiamo l’ordine della lista… vediamo… l’uniforme!»
Andarono più avanti facendosi spazio fra la gente: c’erano persone bassissime o altissime, con cappelli buffissimi o con le orecchie a punta. C’erano anche altri bambini come lei che molto probabilmente stavano comprando l’attrezzatura.
Chissà se uno di loro diventerà mio amico, pensò Alwys prima di notare che Ted si era fermato davanti ad un negozio.
Madama McClan: abiti per tutte le occasioni
«Sicuramente qui c’è quello che cerchiamo» le disse Ted per poi aprirle la porta per farla passare.
Li accolse una donna un po’ robusta con qualche lieve ruga e qualche capello bianco qua e là, che indossava un vestito color malva tempestato da aghi e fili.
«Professor Lupin, scommetto che è qui per l’uniforme di questa giovane» disse la signora McClan sorridendo.
Il ragazzo annuì in risposta.
«Spostatevi di là che porto l’occorrente.»
I due andarono in fondo al negozio e Alwys si posizionò su uno sgabello accanto ad una ragazzina con lunghi capelli biondi: aveva gli occhi di un azzurro pallido spalancati e incollati al pavimento e le braccia rigide lungo i fianchi.
«Ciao…» disse Alwys poco convinta.
La ragazzina alzò lo sguardo verso di lei e sorrise nonostante sembrasse molto impaurita.
«Ciao.»
«Stai bene?» chiese cercando di essere il più educata possibile.
«Sì…» rispose abbassando di nuovo lo sguardo. «Mi fanno solo molta paura gli aghi.»
«Tranquilla, sono sicura che la signora McClan sia bravissima e che non ti farà nemmeno un po’ di male» la rassicurò Alwys sorridendo.
La ragazzina annuì gravemente e rilassò le mani che si aprirono.
«Sei figlia di babbani?»
Alwys la guardò con un sopracciglio alzato come se non avesse compreso a pieno la domanda: ancora non si era abituata a quelle parole strane.
«Cioè io… non è che voglio offenderti… solo che»
Alwys temette che il cervello della ragazzina fondesse per quanto fosse diventata rossa.
«Volevo solo parlare…»
«No, scusami tu» rispose Alwys attirando la sua attenzione. «Non sono molto pratica con queste nuove parole, se volevi dire senza poteri magici, allora sì.»
La ragazzina fece su e giù con la testa più volte.
«Io sono metà e metà: mio padre è un babbano, invece mia madre una strega.»
«Chissà cosa ha fatto quando ha scoperto i suoi poteri!» esclamò Alwys strappandole un sorriso.
Arrivò la signora e le fece indossare una lunga tunica nera per poi incominciare ad appuntarle spilli qua e là per sistemare la lunghezza.
«Devo veramente andare in giro così?» disse Alwys girandosi verso Ted mentre la signora si lamentava perché si muoveva troppo.
«Solo a scuola» rispose lui ridendo per la faccia buffa di lei.
«Secondo me stai molto bene…» farfugliò la ragazzina.
«Sicura? Tutto questo nero è deprimente» controbatté Alwys girando su sé stessa. «Tu con i tuoi bellissimi capelli non avrai questo problema! Comunque grazie.»
Lei annuì ancora rossa in viso e si guardò intorno come se stesse cercando qualcuno che la salvasse da quella situazione.
«Come ti chiami?»
«Adeline Tarill… tu?»
«Alwys Dewery» rispose sorridendo e finalmente anche lei ricambiò mostrando dei perfetti denti bianchi.
Madama McClan finì in poco tempo, grazie alla magia che aveva fatto praticamente tutto il lavoro, quindi Alwys poté scendere dallo sgabello, dando uno sguardo fugace verso l’altra ragazzina: chissà da quanto tempo era lì e perché.
«Ci vediamo ad Hogwarts» disse poi prima di varcare l’uscita.
La ragazzina la salutò con la mano e solo in quel momento Alwys realizzò che non aveva visto i suoi genitori. Forse erano in giro a comprare altre cose ed erano stati trattenuti da un contrattempo.
Dopo aver finito con la tunica andarono in giro per comprare gli altri oggetti della lista, mentre Alwys faceva domande su ciò che vedeva o rimaneva a bocca aperta.
«Siamo nel ventunesimo secolo e ancora usate l’inchiostro voi maghi?»
La ragazzina era come stregata da tutto quello che la circondava, comprare tutti quegli oggetti la faceva sentire più vicina che mai alle porte della scuola. C’erano un sacco di gufi che andavano e venivano, infatti Alwys dovette abbassarsi più volte per evitare che le finissero in faccia, come anche alcune buste che delle persone facevano galleggiare con la bacchetta. La cosa che la stupì ancora di più erano le persone: c’erano uomini altissimi e magrissimi, altri bassi come gnomi e con buffi cappelli a cilindro, uno di loro aveva pure una foltissima barba bianca.
La libreria era enorme e si sviluppava in lunghezza: non c’erano scale, quindi Alwys si chiese come riuscivano a prendere i libri in alto. Diedero la lista alla commessa che, dopo aver fatto un sorriso di cortesia, sparì dietro al bancone. Fu in quel momento che Alwys ne approfittò per curiosare in giro: le persone si mettevano davanti allo scaffale, dicevano il nome del libro che interessava loro e quello magicamente volava nelle loro mani! Non si trattenne dallo spalancare occhi e bocca e ad indicare con meraviglia quello spettacolo a Ted che sorrise.
«Non smetterà mai di sorprendermi questo mondo.»
«Ora fai parte di questo mondo» disse lui guardandola con uno sguardo fraterno per la sua genuina ingenuità. «Ma ti auguro di guardare per sempre la realtà con gli occhi di un bambino, solo così puoi apprezzare quello che hai.»
Quelle parole suonarono un po’ strane alle orecchie di Alwys, ma sapeva che in futuro le sarebbero servite. Continuarono il loro giro con le buste che seguivano i loro passi, fino a quando Ted non si fermò di colpo davanti ad un negozio malridotto.
«È arrivato il momento» disse tagliando l’ultimo articolo della lista.
«Che momento?» chiese Alwys guardandolo confusa.
«Andiamo a comprare la tua bacchetta.»

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Capitolo 5
*** 4. La mia bacchetta... o forse no? ***


4
La mia bacchetta… o forse no?


Alwys continuava a saltellare e gongolare impaziente all’idea che di lì a poco avrebbe comprato la sua bacchetta magica. 
«Eccoci arrivati.» 
Si erano fermati davanti ad un negozio che aveva un’insegna a lettere d’oro sopra la porta che recitava: Olivander: Fabbrica di bacchette di qualità superiore dal 382 a.C.
Alwys, impaziente, si avvicinò alla porta ma, prima che potesse toccare la maniglia, Ted la prese per un braccio.
«Una cosa: comprare una bacchetta è molto personale perché non sei tu a scegliere la bacchetta, ma lei, quindi voglio che tu ti senta a tuo agio. Io vado a fare una cosa, non ci metterò molto, così tu potrai avere tutta la calma di cui hai bisogno. Il signor Olivander è un tipo a posto» la ragazza fu sorpresa da quelle parole, incominciò ad essere un po’ in ansia, ma il sorriso di Ted riuscì a tranquillizzarla. 
Si salutarono e ognuno andò per la sua strada. Aprendo la porta sentì un piccolo campanellino squillare come nei negozi antichi: il posto era sporco e mal ridotto, un sottile strato di polvere si estendeva ovunque come il mare sopra la spiaggia. C’era un silenzio inquietante e Alwys rabbrividì più per quello che per il sottile freddo annidato in quel luogo. Spostò lo sguardo verso una sfilza di librerie, una di fronte all’altra, che al posto dei libri ospitavano piccole scatoline.
«Buon pomeriggio» una flebile voce arrivò all’orecchio della ragazza facendola girare di scatto: un anziano signore con disordinati capelli bianchi era fra due librerie e la scrutava con i suoi occhi come se volesse analizzarla.
«A lei» rispose educatamente la ragazza e, senza accorgersene, fece un inchino. 
«Sono Olivander. E lei?» 
L’anziano si avvicinò come se stesse cercando di capire dove l’avesse già vista.
«Alwys Dewery, piacere» rispose la ragazza per poi porgergli la mano.
Lui, invece di stringerla, la agguantò e analizzò attentamente il braccio, poi un metro volò verso di lui e incominciò a segnarsi tutte le misure possibili ed immaginabili, anche la circonferenza della testa. 
«Voi lupi mannari siete difficili, molto difficili.»
Alwys trasalì a quella affermazione, ma Olivander sembrava completamente a suo agio. 
«Non esistono due bacchette uguali mia cara Alwys, ogni materiale è preso da elementi diversi, come ad esempio le crine di unicorno di questa non sono le stesse di un’altra» le spiegò mentre dondolava fra gli scaffali per poi prendere un cofanetto. «Prenda la bacchetta e la agiti.»
Alwys deglutì, si apprestò a fare come le aveva detto l’uomo, ma lui immediatamente la fermò e le strappò via dalla mano la bacchetta. Lei rimase a bocca aperta, ma lui non ci fece caso e continuò a cercare. Era un tipo davvero strambo, con una leggera gobba che gli teneva il naso incollato a terra, due occhietti piccoli attenti e guizzanti e dei capelli spelacchiati di un argento spento. Alwys capì che era un tipo che non doveva essere contraddetto, quindi si limitò a guardarsi intorno, scorgendo una foto sulla scrivania piena di scartoffie: vi era Olivander con un uomo ed una donna che sorridevano felici. Alwys non badò al fatto che essa si muovesse, ma al fatto che Olivander era radioso e non aveva la gobba nonostante la foto sembrasse recente. Il filo dei suoi pensieri però venne interrotto dall’uomo che le portò un’altra bacchetta: la agitò, ma non accadde nulla. Lo stesso avvenne per le altre sette o dieci bacchette, ormai Alwys aveva perso il conto.
«Forse salice e corde di drago… oppure abete e piume di fenice…» si grattava la testa quasi in preda ad un esaurimento nervoso mentre gironzolava fra gli scaffali.
«Cliente difficile, molto difficile… voi lupi mannari siete tutti uguali… ma io troverò qualcosa come sempre» farfugliava mentre faceva cadere scatole o le porgeva a lei. 
Alwys incominciò a sentirsi a disagio: forse non era una vera strega e per questo nessuna bacchetta andava bene. All’improvviso le venne un nodo allo stomaco e cercò disperatamente con lo sguardo Ted fuori dalla vetrina, ma di lui non c’era traccia.
«So io cosa ci vuole!» 
Una voce femminile la fece sobbalzare. Alwys si voltò e individuò la proprietaria: una pallida donna con un lungo vestito grigio come i capelli, adornati da una tiara argentata, si avvicinò ad Alwys che, arrivando alla fine della sua gonna dopo averla scrutata con curiosità, poté notare che non toccava terra. 
«Sì, sono un fantasma se te lo stai chiedendo» disse la donna un po’ spazientita dall’espressione allibita di Alwys.
«Sei molto bella» disse la ragazza cercando di rimediare.
«Grazie, comunque-»
«No! IO sono il negoziante e IO so cosa ci vuole» Olivander si intromise e guardò furioso la donna. 
«Allora perché non provi quella bacchetta?» chiese lei facendogli l’occhiolino.
«Perché è troppo giovane per poter usare una bacchetta che è stata di qualcun altro, ma tu che ne puoi capire?» rispose lui cacciandola con un rapido gesto della mano.
«Come osi trattare una signora così?» urlò lei corrugando la fronte, poi si girò e volò via.
«Brava, vai a volare da un’altra parte… prova questa» disse poi spostando lo sguardo su Alwys e porgendole una bacchetta. 
Ma anche quella, come le altre venti, non andò bene.
Stanco, Olivander si accasciò sopra una sedia e si massaggiò le tempie.
«Come è possibile…» farfugliò sconsolato.
 Ad un tratto un piccolo cofanetto volò verso di loro e si posò sulle mani di Alwys che, senza accorgersene, le aveva alzate davanti a sé. Da esso uscì un leggero fumo color cenere che poi formò la figura del fantasma di prima.
«Prova» le disse facendole l’occhiolino con in sottofondo le imprecazioni di Olivander. 
Alwys prese in mano la curiosa bacchetta bianca: ancora non ne aveva provate di quel colore. Aveva dei rampicanti che si attorcigliavano nel manico e una brillante pietra blu incastonata alla base. Improvvisamente sentì un calore propagarsi per tutto il braccio, agitò la bacchetta e delle scintille bianche uscirono dalla punta di essa. Si sentì piena e vuota allo stesso tempo, era una sensazione che a parole era impossibile da spiegare.
Olivander si alzò con gli occhi spalancati e la bocca semiaperta avvicinandosi alla donna che, invece, sorrideva.
«Perché è così sorpreso? Cosa succede?» chiese la ragazza preoccupata per la sua reazione.
«Quella bacchetta era la mia» rispose la donna per poi sedersi su una sedia in procinto di raccontare una storia che Alwys non vedeva l’ora di ascoltare. «Avevo anche io undici anni quando comprai la mia bacchetta: biancospino, nucleo di piume di fenice, rigida. Ero una bambina molto promettente, avrei avuto un brillante futuro se non fosse stato per il fatto che mi sono innamorata dell’uomo sbagliato: era bellissimo, intelligente e anche lui un ottimo mago. Forse troppo. Aveva grosse manie di potere, il suo sogno era di rivoluzionare il mondo magico facendo uso dei Doni della Morte. Io sapevo che ciò non avrebbe portato a nulla di buono, ma lui non mi ascoltò. Mi diceva che mi amava e che faceva questo anche per me, per poter un giorno vivere insieme felici. Io, stregata dall’amore, gli ho creduto. Un giorno però lo vidi parlare con un suo amico, stavano litigando a causa dei suoi metodi poco ortodossi e lì… li vidi confessarsi a vicenda di amarsi. Non potevo crederci, non volevo crederci. Confusa andai sugli scogli, dove di solito passavo il tempo con lui, e… mi buttai giù. La mia anima ha vagato per tutto questo tempo in cerca di pace, perché volevo che la mia bacchetta arrivasse nelle mani di qualcuno che l’avrebbe usata al meglio, così la cosparsi delle mie lacrime affinché solo i puri di cuore potessero impugnarla. E tu lo sei.»
Alwys guardò gli occhi lucidi della donna che si tratteneva dal pianto. Capì la sensazione che prima l’aveva investita: erano i sentimenti che la donna aveva provato durante tutta la sua vita. L’avevano investita e abbandonata nel giro di un battito d’ali. Alwys spostò lo sguardo sulla bacchetta così bianca da brillare per la luce riflessa. 
«Non sono pura di cuore» disse per poi rimetterla nel cofanetto e porgerla alla donna.
«Detesto ammetterlo, ma Lady Amelia ha ragione: se solo i puri di cuore possono impugnare questa bacchetta, allora tu lo sei perché ricorda che non è il mago a scegliere la bacchetta, ma la bacchetta a scegliere il mago» disse Olivander sorridendo dolcemente.
«Sono sicura che farai grandi cose» le disse Lady Amelia avvicinandosi e accarezzandole i capelli.
«Scusate il ritardo ma… che succede?» 
Ted entrò in negozio con i capelli disordinati e tinti di un acceso fucsia e il fiatone come se avesse corso per un lungo tratto.
«Poi te lo spiego» disse Alwys guardando la donna per poi scambiarsi un sorriso da complici.
«Comunque ho fatto tardi perché ci sono stato un po’ per scegliere cosa comprarti» disse lui alzando una piccola gabbietta lilla come quelle per i cani o i gatti.
«In che senso?» 
Alwys si avvicinò e, appena guardò dentro di essa, urlò 
dalla gioia. 
«Ma è bellissimo!»
«Niente animali dentro il mio negozio» disse Olivander un po’ spazientito per tutto quel trambusto.
Alwys si avvicinò a Lady Amelia e le schioccò un bacio sulla guancia, anche se in verità baciò l’aria. 
«La terrò con molta cura» disse e poi si avvicinò ad Olivander e lo abbracciò. «Grazie.» 
Lui per un breve attimo rimase con le mani per aria, poi, però, le poggiò sulla testa della ragazzina. 
I due uscirono dal negozio ed Alwys raccontò tutto a Ted che alternò un “Incredibile” con uno “Spettacolare” per ogni cosa che diceva. Anche lui, abituato a stranezze e magie, era rimasto colpito da ciò che le era successo.
Andarono a prendersi un gelato e Alwys ne approfittò per far uscire la piccola bestiolina che era prigioniera di quella gabbia. 
«È bellissima! Non dovevi» disse a Ted mentre due occhioni la scrutavano. 
Era un gatto soriano con il pelo lungo e dei ciuffetti bianchi che uscivano dalle orecchie sproporzionate perché più grandi del normale, era ancora piccolo quindi sembrava una palla di pelo piuttosto che un gatto e aveva un occhio verde e uno completamente nero.
«Cos’ha a quest’occhio?» chiese Alwys mentre accarezzava il gattino molto felice per quelle coccole.
«A causa di una malattia ha perso la vista da quell’occhio, nessuno la voleva prendere a causa di ciò così ho pensato che con te sarebbe stata benissimo perché l’avresti amata comunque» spiegò il ragazzo fra una leccata e l’altra al suo cono al cioccolato.
«È il gattino più dolce del mondo» disse la ragazzina grattandogli la pancina maculata. 
«Ovviamente ha bisogno di un nome» le disse Ted. «È una femmina.»
«Un nome femminile…» pensò la ragazza corrugando la fronte in cerca di un’idea mentre faceva vagare lo sguardo sul micetto. «Aspetta un attimo… ma quella coda…»
«Vero tu non sei abituata!» esclamò lui dandosi un colpetto sulla fronte. «Non è un semplice gatto, è un Kneazle.»
«Un che?» ripeté lei alzando un sopracciglio.
«Sono molto simili ai gatti se non fosse per la coda simile a quella di un leone e le orecchie molto grandi. La loro particolarità è che si attaccano molto al padrone e lo difenderebbero con tutte le loro forze, in più riesce a riconoscere le persone pericolose» spiegò sorridendo.
«Questo lo fa diventare ancora più speciale!» esclamò lei pensando alla faccia di sua madre quando l’avrebbe viso. «Ci vuole un nome davvero speciale allora.»
«Mentre ci pensi torniamo a casa, ci sei stata un sacco di tempo a scegliere la bacchetta!» la canzonò il ragazzo.
Alwys in risposta fece una smorfia e si misero a ridere.
Ovviamente sarebbe stato impossibile viaggiare con tutte quelle buste, così Ted prese la sua bacchetta, la agitò e, appena disse «Reducio», tutto divenne piccolissimo. 
Sicuramente quell’incantesimo lo ha inventato una donna, pensò Alwys nascondendo un sorriso malizioso. 
Durante il ritorno la ragazzina cercò e ricercò nella sua mente un nome da dare al gattino, mentre sui suoi occhi si specchiavano le nuvole e le piccole casette. Ad un tratto un lampo le attraversò la mente. 
Scesero dalla scopa e Ted fece tornare normali le buste.
«Domani andrai alla stazione, questo è il tuo biglietto, troverai tutte le informazioni lì, mi raccomando non perderlo. Ovviamente il binario è nascosto per evitare che i babbani lo scoprano… quello che devi fare è andare davanti alla colonna di pietra dove ai lati ci sono scritti il numero 9 e 10 e poi andarci contro» spiegò Ted sistemandosi i capelli scompigliati a causa del vento.
«Andarci contro?» chiese perplessa Alwys strabuzzando gli occhi.
«Sì, tranquilla, non ti accadrà niente. Vorrei essere lì con te, ma non posso, devo… salutare una persona» disse il ragazzo un po’ imbarazzato e i suoi capelli si tinsero leggermente di rosa. «Sicuramente troverai qualcuno a cui potrai chiedere.»
Alwys lo guardò negli occhi e gli sorrise. 
«Non potrò mai dirti grazie abbastanza.»
«Non c’è bisogno» e, detto ciò, si posizionò di nuovo con la scopa fra le gambe mentre lei si incamminava verso il portone di casa.
«Ah, una cosa!» esclamò lei girandosi di scatto. «Ho scelto il nome per il gatto.»
«Qual è?» chiese curioso Ted per la strana emozione che brillò negli occhi di lei.
«Ninfa» rispose Alwys sorridendo per poi entrare dentro casa sua.
«È un nome bellissimo…» disse Ted, ma nessuno lo sentì perché lo sussurrò così piano che solo il suo cuore poté sentirlo, mentre i suoi capelli si tinsero di uno strano colore scuro.

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Capitolo 6
*** 5. Binario 9 e tre quarti ***


 

5
Binario 9 e tre quarti

 
 
Alwys non riuscì a chiudere occhio quella sera, era troppo emozionata perché l’indomani sarebbe andata alla stazione per prendere il treno che l’avrebbe portata alla nuova scuola. E non vedeva l’ora. Sarebbe stato un treno che viaggiava tra le nuvole o così lungo da sembrare infinito? La sua mente era immersa nell’immaginazione, mentre il suo cuore batteva così forte da rimbombare nelle sue orecchie.
La Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts” aveva letto e riletto quella lettera un milione di volte e altrettante volte aveva fissato la sua bacchetta.
Per curiosità incominciò a leggere il libro di incantesimi e ogni tanto le scappava una risata per gli strani nomi che c’erano scritti. Ted le aveva raccomandato di non provare mai a pronunciare uno di quegli incantesimi, visto che ancora non sapeva come controllare la sua magia. Nonostante fosse euforica all’idea di poter lanciare un incantesimo, aveva seriamente ascoltando tutte quelle raccomandazioni: l’ultima cosa che voleva fare era far prendere fuoco alla sua casa.
Ninfa era molto tranquilla, ogni tanto si stiracchiava, ma la maggior parte della notte la passò dormendo accucciata sulle gambe di Alwys. Era dolce e molto morbida, non le importava del suo strano occhietto, per lei era perfetta così. Come aveva già immaginato, la madre aveva guardato Ninfa strabuzzando gli occhi e Alwys fu obbligata a tenerla chiusa nella sua stanza durante la cena. Il padre sembrava molto incuriosito da lei, ma la madre non era mai stata incline ad accettare tutto ciò che ai suoi occhi era strano.
Un sacco di pensieri le frullavano in testa, sia belli sia brutti, soprattutto sul fatto che ancora non aveva deciso se dire ai suoi compagni che era un lupo mannaro. Forse lo avrebbe detto a quelli con cui avrebbe legato di più, ma solo il tempo poteva darle una risposta, anche se Ted più volte l’aveva tranquillizzata dicendole che ormai i lupi mannari non erano più guardati male, nonostante ci fossero ancora famiglie che avevano forti pregiudizi. Il suo consiglio era semplicemente di capire prima cosa pensavano dei lupi mannari e poi dirlo.
Si distese sul letto, strinse al petto la lettera e fra un sospiro e l’altro finalmente prese sonno, immergendosi in sogni colmi di colorati incantesimi e castelli dove draghi dal respiro bollente erano a guardia di misteriosi tesori.
«Svegliati, mia piccola streghetta!»
Una flebile luce che entrava dalla finestra la accecò per qualche secondo. Si stropicciò gli occhi tra uno sbadiglio e l’altro e poi riuscì a distinguere la figura sorridente di suo padre che aveva Ninfa in mano che con una zampetta stuzzicava il viso di Alwys.
«Buongiorno» rispose lei stiracchiandosi.
Improvvisamente, però, si ricordò di che giorno fosse e sentì una scarica di euforia attraversarle il corpo fino a drizzarle il corpo. Balzò giù dal letto e si diresse in cucina, dove sua madre stava preparando la colazione.
«Ben sveglia.»
Mangiò con foga le sue frittelle con frutti di bosco perché non voleva perdere nemmeno un secondo: non avrebbe mai fatto tardi al suo primo giorno di scuola! Tornò nella sua stanza, si fece una doccia veloce e poi si vestì.
«Mamma!» gridò dalla sua stanza e in un attimo la signora Dewery arrivò con il fiatone. «Non so cosa mettermi!»
La madre la maledisse per lo spavento che le aveva fatto prendere, ma però addolcì il suo sguardo e si avvicinò alla figlia: non l’aveva mai vista così felice di andare a scuola.
«Guarda che poi in treno metterai l’uniforme.»
«Lo so, però voglio dare una bella prima impressione ai miei compagni di treno» spiegò la ragazza guardandosi allo specchio: era in intimo e quindi si vedevano tutte le cicatrici, guardandole sperò che l’uniforme riuscisse a coprirle tutte.
«Che ne dici di un vestitino? Ti stanno così bene!» le disse la mamma infilandosi dentro l’armadio alla ricerca di uno in particolare.
«Ma non voglio essere troppo formale» protestò lei storcendo il naso.
«Va bene…»
La signora Dewery tornò nell’armadio per posare il vestitino blu che aveva comprato tempo fa alla figlia, ma che non aveva mai indossato per la mancanza di occasioni dove sfoggiarlo. Alwys si avvicinò a lei per curiosare nel cassetto che aveva aperto, individuando la maglietta che aveva preso. Aveva la stampa di un lupo al centro del petto e le fasi della luna attorno ad esso. Quando Alwys l’aveva vista per la prima volta se n’era innamorata.
«Questa è perfetta.»
Alwys abbinò alla maglietta dei semplici pantaloni scuri e una giacca che le coprisse le braccia. Guardò compiaciuta il suo riflesso: la madre le aveva scostato i capelli dietro le orecchie, ma lei li liberò da esse per coprirsi il volto.
Con l’aiuto dei suoi genitori mise tutti i bagagli in macchina, tranne Ninfa che, dentro la gabbietta, venne poggiata sui sedili.
Chissà che in treno può stare con me, pensò Alwys.
«C’è una cosa che vogliamo darti prima di partire» disse il padre cingendo la vita della moglie che sorrideva.
La signora Dewery prese la borsa e tirò fuori un piccolo cofanetto dorato. Alwys, emozionata, lo strinse fra le mani e lo aprì: era una collana con un ciondolo argentato e rotondo dove vi era disegnata una mezza luna.
«È bellissimo» disse lei per poi abbracciare entrambi.
«Ted ci ha aiutato in verità: gli ha fatto un incantesimo, così ti basterà guardare il ciondolo per capire quando ci sarà la luna piena… e così penserai anche a noi» disse il padre mentre la madre si soffiava il naso con un fazzoletto cercando di non piangere.
«Vi avrei pensato ogni giorno comunque» disse Alwys spostando lo sguardo per terra un po’ imbarazzata.
Il viaggio non fu lungo, la madre continuava a ripeterle che ogni tanto le avrebbe dovuto scrivere e che per lei si sarebbe fatta passare la paura per i gufi. Alwys perse il suo sguardo fra gli alberi che sfrecciavano attraverso il finestrino e ogni tanto accarezzava Ninfa che miagolava infastidita per il poco spazio nella gabbietta. Stava andando via di casa senza i suoi genitori… la consapevolezza la investì come un fiume in piena solo in quel momento. Diede una fugace occhiata ai suoi genitori che guardavano dritto davanti a sé e poi tornò a guardare fuori dal finestrino, dove i primi e imponenti palazzi fecero il loro ingresso. Il padre notò il silenzio pensieroso della figlia, scambiò un’occhiata con la madre e poi incominciarono a parlare di alcune disavventure avvenute in quei giorni nel negozio di animali per strapparle un sorriso. Tra una risata e l’altra arrivarono alla stazione di King’s Cross dopo un’oretta: Alwys non era mai stata in una stazione e rimase imbambolata davanti all’entrata perché incantata dalla sua eccessiva grandezza. Il padre andò a prendere un carrello dove posarono i pesanti bagagli e incominciarono a cercare il binario nove e tre quarti come se fossero dei turisti che non avevano la minima idea di dove si trovassero.
«Ma sei sicura che sia proprio nove e tre quarti?»
Il biglietto diceva così e Ted le aveva detto che tutte le informazioni le avrebbe trovate in esso, ma, oltre il nome del binario, non vi era scritto molto. Quando furono davanti al binario, però, Alwys si ricordò cose aveva aggiunto e lo comunicò ai genitori che la guardarono strabuzzando gli occhi.
«Andare contro cosa?» chiese la madre visibilmente scioccata nonostante avesse sentito bene.
Alwys si avvicinò alla colonna e la sfiorò con il palmo, ma sentì solo il freddo dei mattoni.
«Fantastico, ci vuole ammazzare!» esclamò ironico il padre alzando gli occhi al cielo.
Si allontanarono e cercarono in giro qualcuno di strano che magari avrebbe potuto aiutarli, ma c’erano solo persone che aspettavano il treno o la guardia che analizzava seriamente ogni persona che gli passava accanto. Alwys perse le speranze e il sorriso che si era creato appena era entrata lì si spense sul suo volto.
«Ci riusciremo, tranquilla» disse il padre sorridendole per tirarle su il morale.
Ad un tratto un gran vociare attirò la loro attenzione: si girarono e videro un gruppetto formato da bambini che potevano avere l’età di Alwys e qualche adulto. Si fermarono davanti alla colonna e uno dei ragazzini, con i capelli neri e gli occhi nocciola, ci corse in contro: subito dopo il ragazzo era sparito.
I Dewery si guardarono ed esclamarono: «Bingo!»
«Salve…»
Il signor Dewery parlò per primo, tutti i componenti del gruppetto si girarono verso di loro e li scrutarono con aria sospetta.
«Mia figlia dovrebbe andare al binario nove e tre quarti, ma non abbiamo idea di dove sia.»
All’udire ciò, le loro espressioni si rilassarono immediatamente ed un uomo dai capelli scuri e gli occhi verdi incorniciati da degli occhiali si avvicinò a loro.
«Primo anno, vero?» sorrise verso Alwys e poi alzò la mano verso il signor Dewery. «Harry Potter, piacere.»
«Alexander Dewery» rispose stringendola educatamente.
«Lei è mia moglie Ginny, poi ci sono Hermione e Ron, loro sono Fleur e Bill, Percy e Audrey, infine Angelina e George. Vi risparmio i nomi dei ragazzi, tanto vostra figlia avrà modo di conoscerli» ad ogni nome indicò uno degli adulti.
I ragazzini erano davvero tanti e, ora che erano più vicini, Alwys poté notare che non tutti potevano avere la sua età, ma solo alcuni.
«Lei è mia moglie Donella e mia figlia Alwys.»
La famiglia Dewery ovviamente non si sarebbe mai potuta ricordare tutti i nomi, forse l’unico era quello del signore che aveva parlato.
«Bene, piccola Alwys, l’unica cosa che devi fare è andare dritto in direzione della barriera come ha fatto James prima» disse la donna con i capelli rosso fuoco che doveva chiamarsi Ginny.
Alwys arrossì un po’ imbarazzata e poi annuì.
«Ti facciamo vedere noi… vieni, Albus.»
Il signor Potter fece un cenno ad un ragazzino che aveva probabilmente la stessa età di Alwys. Aveva i capelli scuri e gli occhi verdi come il padre, ma l’espressione sul suo volto era totalmente opposta: da un lato il signor Potter aveva uno sguardo sicuro e un sorriso sul volto, dall’altro Albus era rosso in viso e con le labbra serrate. Il ragazzino si avvicinò titubante e, dopo che Harry mise una mano sul suo carrello, partirono contro la barriera. In un attimo non c’era più traccia di loro.
«Tranquilla, non farà male» disse una ragazzina con i capelli color carota e corti sulle spalle.
«Forse» da dietro di lei spuntò una ragazzina uguale a lei che scambiò uno sguardo complice con l’altra.
«Fatela finita» un’altra ragazza, sempre con i capelli rossi ma riccissimi e foltissimi, le richiamò assottigliando lo sguardo.
Le due gemelle risero e poi scomparvero attraverso il muro seguite dall’altra ragazza.
Lo stesso fecero tutti gli altri, alcuni erano anche così sicuri di sé che Alwys pensò che molto probabilmente lo avevano fatto più volte. Rimasero solo una giovane donna con i capelli castani e una ragazzina con i capelli rosso fuoco. Certo che lì tutti avevano quel colore di capelli tranne qualche eccezione.
«I babbani non posso oltrepassare la barriera, quindi dovresti salutarli adesso» spiegò la donna poggiando una mano sulla spalla della ragazzina.
Alwys si girò verso i suoi genitori e li abbracciò con tutta la forza che aveva in corpo. Avrebbe tanto voluto dire qualcosa, ma era troppo emozionata ed era come se avesse un groppo in gola che le impedisse di parlare. Guardò dritta negli occhi del padre che le schioccò un dolce bacio in fronte e, dopo aver ricacciato le lacrime, strinse le mani sul manico del carrello fino a far sbiancare le nocche.
«Se sei agitata ti conviene correre» le sussurrò la donna con voce dolce.
Alwys prese un bel respiro e, dopo aver guardato per l’ultima volta i suoi genitori, andò contro la barriera. Chiuse gli occhi sicura che si sarebbe schiantata e che si sarebbe fatta molto male, ma un fischio la fece risvegliare: una locomotiva a vapore scarlatta era ferma su un binario accanto al quale intravide il gruppo di prima. Alzò gli occhi e vide il cartello su cui c’era scritto “Binario nove e tre quarti”. Per l’emozione le mancò il respiro, fece vagare il suo sguardo curioso qua e là ma, appena perse di vista le persone di prima, si affrettò per poterle raggiungere. C’erano un sacco di persone particolari, non solo ragazzi come lei e genitori: vide un uomo bassissimo con uno strano capello viola, uno altissimo con una lunga barba bianca e valigie che volavano sopra le loro teste. Alwys cercò di farsi spazio fra quella miriade di persone con facce e vestiti insoliti, sussurrando ogni tanto un «scusi» che, però, veniva divorato dai rumori prodotti dalla locomotiva.
«I bagagli da questa parte.»
Una voce familiare attirò la sua attenzione: al lato del treno c’era Ted che con le mani faceva segno ai passanti di andare in una certa direzione.
Alwys affrettò il passo e finalmente il suo sguardo si incrociò con quello del ragazzo. Lui le corse incontro, la abbracciò stringendola forte a sé e in un attimo tutta l’ansia e la preoccupazione svanirono.
«Ben arrivata! Ci sei riuscita» disse sorpreso rimanendo con le braccia intorno alla sua vita.
«In verità-»
Lo sguardo di Ted, però, venne catturato da qualcosa dietro di lei che gli fece illuminare il viso: la lasciò e andò incontro ad una ragazza con i capelli biondi che prima era in mezzo a quel gruppetto e che stonava fra gli altri ragazzini per la sua altezza considerevole. Probabilmente aveva la stessa età di Ted, o forse era qualche anno più giovane.
Alwys si avvicinò timidamente e rivide tutti quelli che prima aveva incontrato dall’altra parte del binario, comprese quelle due gemelle che bisbigliavano fra loro ridendo.
«Anche tu conosci Teddy?» il ragazzino che assomigliava al padre, il Signor Potter, si avvicinò a lei.
«Sì» rispose un po’ imbarazzata: non era abituata a socializzare con i suoi coetanei.
«Lei è Alwys Dewery, è sotto la mia protezione quindi vi obbligo ad essere suoi amici» disse scherzoso Ted per poi spostare di nuovo lo sguardo verso la ragazza bionda.
«Sì, la conosciamo, l’abbiamo aiutata ad arrivare qui» rispose Ginny sorridendo in sua direzione.
«Io sono Albus comunque» disse il ragazzino tendendo la mano che Alwys strinse. «Lei è Rose, è mia cugina e abbiamo la stessa età, poi c’è James che è mio fratello di due anni più grande. Dominique è pure mia cugina, solo che è quattro anni più grande di me, e Louis è suo fratello ed è tre anni più grande di me, Molly e Lucy, che come puoi notare sono gemelle, sono mie cugine e hanno tre anni in più di me. Infine anche Fred è mio cugino… siamo una famiglia grande, ma imparerai tutti i nomi in poco tempo… forse» disse Albus ridendo insieme agli altri.
«Non fare caso a Molly e Lucy» disse la ragazza con i capelli riccissimi di nome Dominique. «Sono cadute dalla culla da bambine.»
«Davvero simpatica» dissero in coro facendole la linguaccia.
Alwys era ancora un po’ frastornata dal rumore e da tutta quella gente che la fissava e le sorrideva, però era tranquilla perché c’era Ted e se lui li conosceva voleva dire che erano gente apposto. Il suo sguardo fu catturato da un ragazzo in fondo al gruppo con i capelli chiarissimi che la fissava incuriosito ma, appena i loro sguardi si incrociarono, guardò da un’altra parte.
«Lei è Victoire, è all’ultimo anno ed è la…» disse il ragazzo di nome James guardando verso la bionda con uno sguardo un po’ disgustato. «Fidanzata di Ted.»
«Puoi evitare di dirlo ad alta voce?» disse il diretto interessato con una smorfia.
Ted aveva una ragazza e non le aveva detto nulla? Perché non le aveva detto che non era potuto andare con lei perché doveva salutare la sua ragazza? Il dispiacere si impadronì del suo volto e Albus lo notò.
«È successo qualcosa?»
«No, niente» rispose lei forzando un sorriso, il ragazzo non volle insistere così andò verso suo padre.
I familiari si abbracciarono fra di loro, si dissero parole dolci e frasi d’incoraggiamento, insieme a qualche pizzicotto sulla guancia. Ad Alwys venne una stretta allo stomaco guardandoli, perché ripensò ai suoi genitori e a quanto li avrebbe voluti lì per salutarli come si deve. Strinse la collana con la mano, venendo notata da Ted che si avvicinò a lei per accarezzarle i capelli.
«Andrà tutto benissimo.»
Si avvicinarono di più al binario, mentre alcuni componenti della famiglia andarono incontro ad altri studenti per salutarli e stringerli in un abbraccio.
«Anche io voglio andarci!» protestò una bambina con un caschetto color carota.
«Ancora è presto per te» le disse Ginny stuzzicandole il nasino.
La bambina si imbronciò e incrociò le braccia al petto. Un’altra bambina, solo che aveva una zazzera di ricci scurissimi, si avvicinò a lei e le accarezzò la spalla.
«Dai, ci divertiremo pure noi» disse la bambina dai capelli scuri.
«Già, almeno voi vi divertirete» disse James sospirando.
«Perché? Noi non lo faremo?» chiese Rose come se avesse letto nel pensiero di Alwys.
«Io e gli altri sì, voi avrete la cerimonia di smistamento…» rispose lui laconico.
Rose e Albus si scambiarono un’occhiata preoccupata.
«James, è meglio che non glielo dici o non vorranno più venire» disse Fred mettendosi accanto al cugino.
«In che senso?» chiese Albus incrociando le braccia al petto. «Mi stai prendendo in giro!»
«Pensala come vuoi…»
Alwys strinse il carrello in preda ad un attacco di panico: cos’era la cerimonia di smistamento? Era qualcosa di doloroso?
«Non infierite pure voi!» li richiamò Dominique mettendo le mani sulle spalle dei cugini. «Siete spregevoli.»
I due si guardarono sorridendo maleficamente e batterono il cinque.
Posarono i bagagli in uno scompartimento vuoto, Alwys però preferì tenere Ninfa con sé per evitare che si spaventasse durante il viaggio. Dopo aver salutato Ted, entrò dentro una delle carrozze e cercò un posto libero, anche se molti erano già pieni.
«Vieni qui!»
Una voce in fondo al corridoio attirò la sua attenzione: era Albus. Si avvicinò e vide che c’era un posto libero accanto a Rose. Si sedette un po’ imbarazzata perché la ragazzina la fulminò con lo sguardo, invece James si limitò ad alzare gli occhi da una pallina che teneva in mano e poi riabbassarli.
«Grazie…» disse con lo sguardo basso.
Si voltò poi verso la finestra, dove vide che il panorama della stazione incominciò a muoversi insieme alle mani dei ragazzi che salutavano i genitori.
Hogwarts era sempre più vicina.
 

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Capitolo 7
*** 6. In viaggio verso Hogwarts ***


6
In viaggio verso Hogwarts

 
Per i primi dieci minuti rimasero in silenzio: Rose perdeva il suo sguardo fra i prati che si estendevano fuori dalla finestra, James giocherellava con una pallina argentata e Albus guardava Alwys imbarazzandola molto, infatti spostava continuamente lo sguardo dagli occhi di lui alla finestra alla porta della cabina.
«Scusami se ti fisso troppo… è che hai degli occhi bellissimi» disse Albus sorridendo.
«Grazie…» rispose lei diventando rossa come il tappeto sotto i loro piedi.
Nessuno le aveva mai fatto complimenti per i suoi occhi perché erano bianchi e a molte persone facevano impressione.
«Come mai li hai così?»
Rose si era girata verso di lei e buttò lì la domanda come se la stesse tenendo da un bel po’ sulla punta della lingua e stesse aspettando il momento più adatto per porla.
«Soffro di una malattia che causa una poca pigmentazione dell’iride…» ripeté a pappagallo come i suoi genitori le avevano insegnato.
In verità non si era mai interessata a quello strano fenomeno più di tanto visto che dalla nascita era in quel modo, anche perché pensava c’entrasse col suo essere un lupo mannaro… però Ted le aveva confermato che non era quello il motivo, quindi perché?
«Ti sei tinta i capelli?» chiese Albus subito dopo.
«No, sono nata così…» Alwys sembrava un disco rotto, non era abituata a tutte quelle domande, anche perché non se le poneva da tempo, ormai i suoi capelli e i suoi occhi facevano parte della sua normalità.
«Incredibile» commentò il ragazzino facendo vagare il suo sguardo fra le ciocche viola.
«Non è possibile» disse ad un tratto James facendo volteggiare in aria la pallina.
«Cosa?» chiesero in coro Rose e Albus.
«Non è possibile che tu sia nata così. Forse senza accorgertene hai fatto una magia quando eri bambina e sei rimasta così, molto probabilmente appena incomincerai a saper controllare la magia tornerai normale» il ragazzo continuò a non degnarsi di alzare lo sguardo, troppo concentrato a mantenere la pallina in alto.
«Io sono normale» disse infastidita Alwys e James, accortosi del tono delle sue parole, alzò la testa incrociando il suo sguardo. La pallina cadde sul suo palmo.
«Non è questo ciò che volevo dire… però ammetti che non è normale avere gli occhi bianchi e i capelli cosparsi da ciocche viola. Sei un metamorfomagus?» chiese James scuotendo la testa un po’ dispiaciuto per l’espressione della ragazza.
«Meta- che?» fece eco lei assottigliando lo sguardo: quella conversazione non le stava piacendo, si sentiva come quando nella sua vecchia scuola la prendevano in giro.
«Non sai cosa sia un metamorfomagus? Io so tutto sull’argomento» disse Rose tirando su col naso in procinto di spiegare per filo e per segno ad Alwys.
«Ti prego, no, Rose» disse Albus alzando gli occhi al cielo. «Non c’è bisogno che fai vedere quanto sei studiosa.»
«Lo faccio per lei» si giustificò la ragazzina per poi sistemarsi meglio sul sedile girandosi verso Alwys. «Un metamorfomagus è un mago che può cambiare parti del suo corpo a piacimento, anche prendere le sembianze di un’altra persona o di un animale. Questa dote però si ha dalla nascita, non si può imparare. Ted è un metamorfomagus, hai notato che i suoi capelli cambiano di colore in base al suo umore? Comunque per esserlo bisogna avere almeno un genitore con questa capacità, come la madre di Teddy, quindi se i tuoi genitori sono entrambi babbani non penso tu lo sia.»
Alwys strabuzzò gli occhi: ancora doveva fare l’abitudine al fatto che stava per andare in una scuola di magia. Annuì soltanto un po’ confusa e poi spostò lo sguardo verso James che la guardava come se la stesse analizzando. Ciò la fece sentire a disagio.
«Sei di poche parole… Facciamo così: parliamo delle Case!» esclamò Albus facendo un sorriso a trentadue denti. «Tu in che Casa vorresti andare?»
«Non capisco…» rispose Alwys un po’ confusa: cosa erano le Case?
«Albus, è figlia di babbani, lei non sa cosa siano» puntualizzò Rose alzando gli occhi al cielo. «Devo proprio spiegare tutto io! Ad Hogwarts ci sono quattro case: Grifondoro, quella è la Casa migliore secondo me, dove ci sono i maghi più coraggiosi, nobili di cuore e forti, noi Weasley finiamo sempre qui; poi c’è Corvonero, la Casa di James, lì ci vanno solo i cervelloni» la pallina che aveva James in mano schizzò verso la fronte della ragazzina. «Ahi! È vero!»
I due si scambiarono un’occhiata di fuoco. Subito dopo James riprese a far volteggiare la pallina sopra il suo palmo e Rose riprese a spiegare: «Poi c’è Tassorosso, dove ci sono i maghi più altruisti, leali e pazienti; e infine Serpeverde» Albus rabbrividì sentendo quel nome. «Qui ci vanno solo i maghi più malvagi e antipatici… anche se ogni volta che lo dico mio zio mi rimprovera perché dice che anche i maghi più potenti e buoni ci sono andati, ma dal loro motto non mi convincono molto. Probabilmente Louis è finito lì per sbaglio.»
Alwys ascoltò attenta e subito si innamorò dei Tassorosso.
«Voi dove volete andare?»
«Magari fossimo noi a scegliere!» esclamò Albus appoggiandosi allo schienale. «Comunque io Grifondoro come mio padre, non voglio assolutamente finire in Serpeverde.»
«Il primo giorno di scuola si viene smistati nelle case con una cerimonia chiamata Cerimonia di Smistamento, durante la quale ci metteranno il Cappello Parlante sulla testa che annuncerà a che Casa apparterremo» spiegò Rose un po’ infastidita dalla superficialità con cui Albus spiegava le cose. «Io amo studiare, infatti vorrei finire in Corvonero, ma poi quando ho visto che James sta davvero tanto chinato sui libri ho cambiato idea, e io non voglio fare questa fine, quindi Grifondoro anche io.»
James alzò di nuovo lo sguardo e le fece la linguaccia.
«Sta di fatto che io sono in grado di fare questo» disse e la pallina volteggiò in aria per poi ricadere sul suo palmo. «Anche se sono al terzo anno, invece voi nemmeno se foste al quinto ci riuscireste.»
«Che bello, sei bravo con gli incantesimi non verbali!» lo schernì Rose usando un finto tono d’ammirazione.
«A me sembra molto carina la Casa dei Tassorosso» disse Alwys per interrompere lo scambio di battute dei due: di certo non era né un tipo presuntuoso, né molto intelligente, e né molto coraggioso.
«I Tassorosso sono molto buoni, sono davvero delle brave persone però si fanno mettere i piedi in testa e non concludono molto perché non sono competitivi» disse Rose con il sangue dei Grifondoro che le scorreva nelle vene. «Però non dire che l’ho detto: Ted era un Tassorosso come sua madre.»
«Capisco…» rispose Alwys spostando lo sguardo verso il tappeto.
Sicuramente sarebbe capitata lì perché non aveva intenzione di mettersi in mostra, anche se questo voleva dire perdere le uniche persone che le avevano rivolto la parola. Loro, di certo, non sarebbero capitati in quella Casa.
Un rumore proveniente dal corridoio seguito dalla figura di una donna robusta la risvegliò dai suoi pensieri.
«Qualcosa dal carrello?»
Gli occhi di Albus e Rose si illuminarono, poi in coro dissero: «Prendiamo un po’ di tutto!»
Accanto a James, che imperterrito continuava a cercare di far volare la pallina sempre più in alto, posarono un sacco di caramelle colorate su cui si fiondarono per riempire il loro stomaco.
«Puoi mangiarle anche tu se vuoi, non possiamo mangiarle tutte solo noi!» esclamò Albus passandole una piccola scatolina.
Alwys lo ringraziò e poi lesse cosa c’era scritto: Cioccorane. Non aveva mai sentito di una caramella con un nome così buffo.
«Sono buonissime e inoltre ci sono delle figurine dentro di maghi e streghe famose, io le ho tutte!» disse soddisfatto mentre masticava una caramella verde.
Lei aprì la scatolina, prese la rana di cioccolato, la mangiò e poi guardò la figurina.
«È tuo padre!» esclamò verso Albus.
«Io ne ho tantissime di lui, anche di mia zia Hermione e di mio zio Ron» disse addentando uno zuccotto di zucca.
«Harry Potter, attuale Capo del Dipartimento Auror. Potter è l’unico mago ad essere sopravvissuto ad una Maledizione Senza Perdono, è noto soprattutto per aver sconfitto il mago oscuro Tom Orvoloson Riddle (conosciuto come Voldemort), che ha causato le due Guerre dei Maghi con i suoi seguaci, i Mangiamorte, e per i numerosi omicidi commessi per aver usato l’incantesimo Horcrux. È anche il vincitore più giovane che sia esistito del Torneo Tre Maghi, campione nell’anno 1994. È attualmente spostato con Ginevra Weasley e ha tre figli: James Sirius, Albus Severus e Lily Luna.»
Alwys lesse la descrizione sotto la foto e disse: «Tuo padre in pratica è un eroe.»
«Eccome!» esclamò Albus abituato a quelle affermazioni.
«Anche nelle descrizioni dei miei genitori c’è scritto questo, perché anche grazie a loro Harry è riuscito a sconfiggere Voldemort» disse Rose mentre cercava con lo sguardo una caramella in particolare.
«Come se solo loro lo avessero sconfitto…» la voce di James era bassa, come se avesse pensato a voce alta, ma comunque tutti e tre lo sentirono.
«In che senso?» chiese Alwys sorpresa dall’affermazione infastidita del ragazzo.
«Tutti dicono che i tre eroi sono mio padre, mia zia e mio zio, ma non è così…» finalmente alzò lo sguardo e guardò Alwys negli occhi. «Mio padre non ce l’avrebbe mai fatta senza molte altre persone, solo che nessuno si ricorda di loro perché sono stati nell’ombra. Chiedi in giro di Fred Weasley, nessuno ti saprà dire chi è, o di Ninfadora Tonks. Al massimo ricorderanno Remus Lupin perché grazie a lui i lupi mannari hanno più diritti» disse James con uno sguardo freddo e la voce dura.
«Non parlare così di papà» lo rimproverò Albus corrugando la fronte. «Lui è un eroe.»
«Questo è quello che tutti dicono… ma nessuno pensa a tutti quelli che sono morti per colpa sua» la pallina schizzò via dal suo palmo e si infranse contro il vetro della porta che dava sul corridoio.
«Perché dici così? Non è stata colpa sua! Voldemort li ha uccisi» esclamò Albus scattando in piedi.
James lo guardò, si alzò in piedi e con uno strattone allontanò Albus. Nella cabina calò un soffocante silenzio.
Anche nel mondo magico c’erano stati dei problemi, lei credeva che fosse tutto rose e fiori perché grazie alla magia pensava che tutti fossero amici e che si vivesse in un clima di serenità, invece a quanto sembrava c’erano sempre quelle persone che aspiravano solo all’interesse personale. Ripensò alla storia che le aveva raccontato Lady Amelia, a come quell’uomo, accecato dal potere, l’avesse fatta soffrire. Dopo un attimo di silenzio, James si voltò con uno scatto, facendo sobbalzare tutti, tese la mano verso la sua destra attirando a sé la pallina e poi uscì sbattendo la porta dietro di sé.
«Scusalo, a volte gli prendono questi scatti» disse Rose alzando le spalle come se fosse ormai abituata a quelle scenate, invece Albus rimase a fissare la porta con una strana ombra nello sguardo.
«Bleah!» Alwys sputò la caramella che aveva addentato in un fazzoletto e fece qualche smorfia di disgusto. «Sa di pepe!»
«Sono le caramelle tutti gusti +1, puoi trovare qualsiasi cosa: cocco, fragola, legumi, cioccolato… peccato che non puoi mai sapere cosa ti capiti!» esclamò divertita Rose.
L’espressione di Albus si sciolse accennando un sorriso.
«Mi sa che andrò sul sicuro mangiandone uno alla zucca!» esclamò lei addentando una caramella arancione.
Il viaggio passò accompagnato dalle loro risate. Alwys si sentiva molto a suo agio, anche se continuava a pensare a James e a come si fosse comportato, ma non fece domande e non riprese l’argomento “genitori” anche se la curiosità la stava divorando viva. Chiese di Ted e scoprì che i suoi genitori erano morti entrambi durante la seconda Guerra dei Maghi per mano dei Mangiamorte, i seguaci di Voldemort.
«Ted mi ha detto che suo padre era un lupo mannaro… voi cosa pensate di loro?» chiese Alwys cercando di apparire il più rilassata possibile.
Si sentì un po’ a disagio quando entrambi gli occhi dei due le si attaccarono addosso.
«Che c’è?» chiese cercando di non incontrare il loro sguardo.
«Niente, è che Teddy non parla mai dei suoi genitori e non pensavamo parlasse addirittura del fatto che suo padre era un lupo mannaro con una nuova studentessa» spiegò Rose rilassando il suo sguardo, ma Albus non smise di fissarla in modo strano. «Comunque non lo so, non ne ho mia incontrato uno, però mia madre me ne parla sempre bene perché Lupin era davvero una brava persona, tranne quando…» lasciò la frase in sospeso e lanciò un’occhiata ad Albus.
«Quando studieremo Difesa Contro le Arti Oscure impareremo a difenderci da loro perché, anche se ormai i pregiudizi nei loro confronti sono meno comuni, sono pur sempre delle creature che posso fare del male con la luna piena» disse Albus continuando a guardare Alwys che si sistemò il colletto perché l’aria incominciò a mancarle.
«Capito…»
A quanto pare la sua prima lezione sarebbe stata su come combattere contro sé stessa: davvero splendido! Anche se sarebbe stata una buona occasione per fare qualche domanda agli altri studenti per indagare su cosa pensassero dei lupi mannari. Comunque, la risposta dei due la tranquillizzò un po’: oltre che ad essere simpatici, non odiavano particolarmente quelli come lei, quindi magari in futuro avrebbe anche potuto confessare la sua vera natura. Il suono di un campanello la risvegliò dai suoi pensieri e guardò confusa i suoi compagni di viaggio.
«Questo suono vuol dire che dobbiamo metterci l’uniforme» le disse Rose sorridendo con uno strano luccichio negli occhi.
Albus uscì per far cambiare le due ragazzine e poi fecero a cambio: l’uniforme era composta da un maglioncino e calzini grigi, camicia bianca, gonna e cravatta nera. Quei colori smorti le fecero storcere il naso.
«Tranquilla, non ci vestiremo sempre così, poi ci daranno l’uniforme abbinata alla Casa, questa ci serve solo adesso per essere presentabili alla cerimonia e per quando c’è freddo… non hai letto Storia di Hogwarts, vero?» le chiese Rose alzando un sopracciglio.
Alwys scosse la testa un po’ imbarazzata.
«Tra cinque minuti arriveremo a Hogwarts, siete pregati di lasciare il bagaglio sul treno; verrà portato negli edifici della scuola separatamente, insieme agli animali.»
Alwys strinse i pungi: le batteva il cuore a mille e l’ansia si impadronì del suo stomaco. Albus le mise una mano sulla spalla sorridendo, poi uscì dalla cabina accompagnato da Rose. Il treno si fermò e il corridoio, seppur stretto, si riempì di ragazzini di tutte le età che cercavano di uscire dalla porta. Alwys senza rendersene conto si aggrappò alla tunica di Albus, lui le fece l’occhiolino e le strinse la mano per poi trascinarla sul marciapiede, lì la figura imponente di un uomo avvolto dalla folta barba li fermò.
«Ciao, piccolo Potter!» esclamò guardando Albus. «Mi sembra ieri quando tuo padre scese per la prima volta da questo treno» disse asciugandosi una lacrimuccia con la grossa mano.
«Ciao Hagrid!» esclamò lui cercando goffamente di abbracciarlo.
«Quelli del primo anno con me! Attenti a dove mettete i piedi» urlò per poi camminare verso un sentiero stretto e un po’ trascurato, pieno di erbacce e pietre, tanto che Alwys inciampò più volte a causa del buio che non le faceva vedere niente, perché l’unico punto di riferimento era una flebile luce coperta dalla massiccia figura di Hagrid.
«Ora vedrete Hogwarts! Cioè dopo questa curva… esattamente fra…»
Hagrid aumentò il passo, poi un “Oooooh” uscì dalla bocca di tutti, incantati dal meraviglioso spettacolo: il sentiero si era aperto sulla costa di un enorme lago che specchiava l’immagine di un imponente castello, illuminato da qualche lucina qua e là che si confondeva con le stelle che libere luccicavano nel cielo dello stesso colore delle mura. Alwys capì subito che si trattava di Hogwarts.
«Forza! Non più di quattro a battello»
Dall’acqua spuntarono tante piccole barchette: Alwys, Rose, Albus e un ragazzino biondo presero posto in una di quelle.
«Piacere, sono Scorpius Hyperion Malfoy» disse stringendo la mano di Alwys che rispose col suo nome.
Vide Albus ridere all’udire il nome del ragazzo, ma lui lo ignorò, facendo intuire alla ragazzina che dovevano conoscersi.
«Si parte!» la voce di Hagrid risuonò ovunque facendo vibrare le barchette che incominciarono a muoversi da sole attraverso il lago nero come la pece.
Alwys perse lo sguardo fra le piccole luci che macchiavano la scuola: d’ora in poi quella sarebbe stata la sua nuova casa.
«È davvero stupendo» disse Albus con il naso all’insù. «Le fotografie non rendono per niente.»
«Puoi dirlo forte» disse il biondo annuendo. «Chissà quante volte mi perderò.»
«Siamo in due» rispose Alwys sospirando: era un disastro quando si trattava di ricordarsi le strade visto che non usciva mai senza i suoi genitori.
«In tre!»
Si misero a ridere, ma la risata si gelò appena incontrarono lo sguardo serio di Rose.
«Qualcosa non va?» chiese il cugino preoccupato.
La rossa guardò per un attimo Scorpius e poi deviò lo sguardo verso il lago.
«No» rispose secca.
«È ovvio che qualcosa non va» disse il biondo notando quel fugace sguardo.
«Guarda che ti conosco» disse incrociando le braccia al petto come se volesse proteggersi da qualcosa. «So chi è tuo padre.»
«E quindi? È un problema?» chiese Scorpius assottigliando lo sguardo. «A me non sembra che ad Albus dia fastidio.»
L’aria era carica di tensione: Alwys guardò l’amico come se cercasse una risposta ai dubbi apparsi nella sua mente, ma il suo sguardo era dritto verso quello della cugina.
«Io so cosa ha fatto tuo padre, ho letto la storia della Seconda Guerra Magica» all’udire ciò entrambi i ragazzini sgranarono gli occhi.
«E quindi?» chiese Albus guardando la cugina e poi spostando lo sguardo verso l’altro. «Non so bene chi sia tuo padre, ma non importa perché tu non sei lui.»
Scorpius guardò la rossa e poi abbassò lo sguardo: voleva tanto scendere da quella barchetta, glielo si leggeva negli occhi. Alwys rimase in silenzio, non voleva peggiorare la situazione e lei era troppo ignorante per quanto riguardava la storia del Mondo Magico, sapeva solo quel poco che aveva sentito da Ted.
Il viaggio continuò in silenzio, si vedeva che Albus voleva tanto continuare a parlare, ma Scorpius gli fece cenno che era meglio di no.
Arrivarono ai piedi di una grande porta, tutti scesero dalle barche in preda all’emozione. Hagrid si fece spazio fra loro, alzò la grossa mano e bussò tre volte.

 

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Capitolo 8
*** 7. La cerimonia di smistamento ***


 

7
La cerimonia di Smistamento

 
La porta si aprì, ma la persona che spuntò dietro essa era immobile, come se si fosse aperta da sola. Un uomo dai capelli rosso fuoco laccati all’indietro e sulla trentina li guardava con aria severa e anche un po’ scocciata.
«Ecco gli alunni del primo anno, professor Draconem» disse Hagrid facendo un impacciato inchino a causa della grossa pancia.
Alwys ricordava quel cognome: era nella lettera che gli aveva dato Ted, lui doveva essere il vicepreside che l’aveva scritta.
«Seguitemi» soffiò l’uomo ignorando il custode per poi girarsi facendo svolazzare il lungo mantello nero.
Era molto alto e magrissimo, quasi scompariva dietro tutti quei indumenti dallo stile vittoriano. Alwys rimase tutto il tempo attaccata ad Albus e Rose che si scambiavano ogni due secondi la stessa occhiata confusa, Scorpius invece si era messo alla fine della fila, scomparendo fra gli studenti.
Ted è come scomparso dopo che ci siamo visti alla stazione, chissà dov’è e come è arrivato qui, pensò Alwys mentre faceva vagare lo sguardo fra i muri di pietra illuminati da fiaccole ardenti che ogni tanto scoppiettavano.
Arrivarono in una stanza completamente vuota, lì il professore si girò verso gli studenti con un brusco movimento. Tutti si fermarono e calò il silenzio.
«Vi do il benvenuto ad Hogwarts» incominciò poggiando entrambe le mani sui fianchi. «Fra poco vi scorterò nella sala dove abitudinariamente avvengono i pasti e si festeggiano avvenimenti importanti, come il banchetto di inizio anno. Prima di prendere posto, però, verrete smistati nelle vostre case. Lo smistamento è una cerimonia molto importante, perché la vostra Casa diventerà come la vostra famiglia» l’uomo non sembrava molto convinto di ciò che stava dicendo, era come se lo avessero costretto e avesse imparato a memoria il discorso scritto da qualcun altro. «Le lezioni avverranno con i compagni della vostra Casa, dormirete nei dormitori appartenenti alla vostra Casa e passerete il tempo libero nella sala apposita per i componenti della vostra Casa. Esse sono quattro: Grifondoro, Serpeverde, Corvonero e Tassorosso. Avrete modo di conoscere la storia di ogni Casa e dei maghi di prim’ordine che sono usciti da lì» sospirò pesantemente, poi riprese a parlare. «I trionfi che otterrete faranno vincere dei punti alla vostra Casa, invece ogni comportamento inadeguato li farà perdere. Alla fine dell’anno, la Casa con il maggior numero di punti verrà premiata con una coppa. Mi raccomando comportatevi bene e fate vincere molti punti alla vostra casa perché è un grande onore. Lo smistamento inizierà fra poco, buona fortuna» finalmente finì di parlare, alzò gli occhi al cielo visibilmente scocciato per quel discorso forzato e uscì dalla stanza.
Tutti tirarono un sospiro di sollievo, come se per tutto il discorso nessuno avesse osato respirare. Ad Alwys venne una stretta allo stomaco all’idea che sarebbe capitata in una Casa diversa da quella di Albus e Rose e che avrebbe dovuto fare nuove amicizie.
«Nervosa?» Albus le sorrise, ma anche lui era visibilmente agitato.
«È tutto così nuovo per me» rispose lei facendo vagare lo sguardo fra le pareti porose da cui, in controluce, si poteva vedere uno strato di polvere scendere giù come se non fosse stata pulita da anni.
Di lì a poco avrebbe iniziato una nuova vita, una vita che però ancora si trascinava le abitudini di quella di prima: per il troppo nervosismo, infatti, avrebbe tanto voluto nascondersi sotto il suo cappello che le mancava tanto. Si girò verso Rose che, invece, sembrava molto tranquilla e faceva vagare il suo sguardo incuriosito qua e là. Ci provò anche Alwys, ma quella stanza vuota le metteva solo una gran tristezza. Ad un tratto incominciò a sentire un leggero brusio di voci, molti si guardarono intorno confusi, ma alla fine arrivò soltanto il professor Draconem.
«Mettetevi in fila e seguitemi, non vorrete fare una brutta impressione il primo giorno sembrando tante pecore» disse facendo cenno agli studenti di sbrigarsi come se stesse spostando dei ramoscelli fastidiosi.
Gli studenti si allinearono in silenzio, il rumore di prima aveva lasciato spazio a quello delle loro scarpe che pesantemente battevano sul marmo. Attraversarono qualche porta, Alwys non seppe dire con esattezza il percorso che stavano facendo, era troppo presa dal guardarsi le scarpe per non inciampare a causa dell’emozione. Arrivarono nella Sala Grande e tutti rimasero a bocca aperta: quattro lunghi tavoli costeggiati da altri studenti si estendevano lungo l’enorme sala illuminata da tante piccole candele sospese in aria, ovviamente grazie ad una magia. I professori, invece, erano seduti ad un tavolo che si estendeva per lungo nel fondo della sala. Gli studenti del primo anno furono portati davanti ad esso. Alwys si guardò intorno e vide che il soffitto sembrava non esserci perché al posto di esso c’era un cielo stellato. Era così affascinata che quasi inciampò se non fosse stato per Albus che la prese per la tunica.
«Perché sei così affascinata? Non hai letto Storia di Hogwarts?» chiese Rose squadrandola da capo a piedi. «Io sì!»
«No…» sussurrò debolmente Alwys: in effetti si era fatta prendere così tanto dagli incantesimi che gli altri libri li aveva completamente ignorati.
Gli studenti seduti ai tavoli sembravano tante mummie che li analizzavano con lo sguardo, infatti ciò fece innervosire ancora di più quelli del primo anno che erano girati verso di loro dando le spalle ai professori. Il professor Draconem posizionò uno sgabello davanti a loro su cui mise un vecchio e malconcio cappello da mago. Con il cuore in gola Alwys lo scrutò e ad un tratto vide che si creò uno strappo da cui sembrò provenire una voce che intonò una canzoncina:
 
Forse pensate che non son bello,
ma non giudicate da quel che vedete
io ve lo giuro che mi scappello
se uno più bello ne troverete.
Potete tenervi le vostre bombette
i vostri cilindri lucidi e alteri,
son io quello che al posto vi mette
e al mio confronto gli altri son zeri.
Non c’è pensiero che nascondiate
che il mio potere non sappia vedere,
quindi indossatemi ed ascoltato
qual è la casa in cui rimanere.
È forse Grifondoro la vostra via,
culla dei coraggiosi di cuore:
audacia, fegato, cavalleria
fan di quel luogo uno splendore.
O forse è a Tassorosso la vostra vita,
dove chi alberga è giusto e leale:
qui la pazienza regna infinita
e il duro lavoro non è innaturale.
Oppure Corvonero, il vecchio e il saggio,
se siete svegli e pronti di mente,
ragione e sapienza qui trovan linguaggio
che si confà a simil gente.
O forse a Serpeverde, ragazzi miei,
voi troverete gli amici migliori
quei tipi astuti e affatto babbei
che qui raggiungono fini e onori!
Venite dunque senza paure
E mettetemi in capo all’istante
Con me sarete in mani sicure
Perché io sono un Cappello Parlante!
 
Finito lo spettacolino, il Cappello Parlante fece quattro inchini e tornò immobile. Dopo lo stupore iniziale, l’ansia assalì Alwys: la descrizione delle quattro case non combaciava assolutamente con il suo carattere, dove l’avrebbero messa? L’avrebbero buttata fuori perché non poteva essere collocata da nessuna parte? Strinse i pugni e si morse il labbro con il cuore che le martellava nel petto insieme agli applausi da parte degli studenti seduti. Tutti si ammutolirono quando il professor Draconem si girò verso i nuovi studenti con un grosso rotolo di pergamena in mano.
«Quando chiamerò il vostro nome vi siederete su questo sgabello e vi metterò il Cappello Parlante in testa. In base all’esito andrete al tavolo della vostra nuova Casa» disse aprendo la pergamena che arrivò fino a toccare il pavimento.
«Bryan Abossin» la sua voce riecheggiò per tutta la sala e un timido ragazzino spuntò dalla massa di studenti.
«CORVONERO.»
Un fragoroso applauso dal tavolo blu e bronzo lo accompagnò fino a quando prese posto. Continuò il lungo elenco di nomi fra acclamazioni e pianti da parte dei nuovi studenti, tutti quelli nuovi si lasciarono andare a sorrisi liberatori come se la Casa in cui erano capitati non gli dispiacesse. Alwys aveva il cuore in gola perché i cognomi erano stati chiamati in ordine alfabetico, quindi lei doveva sedersi prima di Albus e Rose.  
«Alwys Dewery!»
Il suo cuore perse un battito. Alzò gli occhi e incontrò quelli del professor Draconem che cercava di capire chi fosse il proprietario del nome. A passi lenti si avvicinò allo sgabello, le gambe erano molli e il suo respiro corto, si girò verso Albus che le sorrise e poi si sedette. Sentì il cappello sopra la testa, ma non parlò subito come con gli altri.
«Interessante…» fu la prima cosa che disse e Alwys incominciò a sudare freddo. «Voi siete dei tipi così turbolenti» a quel voi ebbe un sussulto, lui sapeva. «E coraggiosi» solo perché i lupi mannari lo erano, non voleva dire che anche lei lo fosse. «E tu lo sei, ma non lo sai perché sei una persona molto umile… paziente» lei sapeva che stava per dire Tassorosso, ma mentalmente incominciò a pensare ad un leone fiancheggiato da un tessuto rosso. «Vedo che hai le idee chiare, però.»
Leggeva anche nel pensiero? Alwys chiuse gli occhi e si sforzò di non pensare a nulla, ma ad un tratto l’immagine del leone fu accompagnata da un delizioso tasso.
«Il tuo cuore è così leggero, come se non fossi viva, come se fossi uno spirito libero intrappolato in un corpo…»
Alwys aprì gli occhi e vide il professor Draconem che la guardava con gli occhi fuori dalle orbite. Ad un tratto il panico si impossessò di lei. Guardò Albus e Rose che si scambiavano delle occhiate confuse e richiuse gli occhi concentrandosi sul suo respiro.
«Penso di aver capito però… GRIFONDORO!»
Riaprì gli occhi di colpo: vide Albus e Rose abbracciarsi, il tavolo abbellito dalla tovaglia rossa alzarsi e scoppiare in un applauso. Appena il professore le tolse il cappello si sentì immediatamente più leggera.
La Casa dei coraggiosi e nobili di cuore, pensò mentre camminava verso i posti vuoti come se stesse volando.
«Fred Weasley» un ragazzo con i capelli rossi e qualche lentiggine qua e là la guardò sorridendo e le strinse la mano presentandosi.
Alwys lo riconobbe: era quello che insieme a James li aveva fatti preoccupare per la cerimonia di smistamento. In quel momento, però, il suo ghigno da furfante si era sciolto in un sorriso rassicurante.
Mentre continuava la sfilza di nomi Alwys si sentì come ubriaca, faceva ciondolare la testa qua e là, sorrideva in continuazione e si alzava applaudendo ogni volta che un nuovo studente arrivava nella sua Casa anche se non lo conosceva. Nella sua Casa.
«Scorpius Hyperion Malfoy!»
Tutta la stanza calò in un silenzio tombale. Il ragazzino che era stato nella barca insieme ad Alwys, Rose ed Albus si alzò e percorse la strada fino al cappello guardando dritto davanti a sé. Alwys notò che alcune persone bisbigliavano fra loro, ma il ragazzino non sembrava minimamente turbato da ciò. Appena si sedette, però, si poteva scorgere nel suo sguardo una freddezza forzata, come se si stesse sforzando di non far vedere agli altri che era molto preoccupato.
Appena il cappello venne poggiato sopra la sua testa non esitò nemmeno per un istante: «SERPEVERDE.»
Dopo un attimo di silenzio, il tavolo con la tovaglia verde smeraldo esultò. Scorpius, invece, sembrò congelato. Draconem dovette dargli un colpetto nella spalla per risvegliarlo. Diede una fugace occhiata agli studenti del primo anno ed Alwys ebbe come la sensazione che avesse guardato Albus che, per il resto della cerimonia, guardò serio davanti a sé come se qualcosa lo turbasse.
«Albus Severus Potter!»
Di nuovo tutti gli studenti tacquero, ma subito dopo, mentre Albus incominciò a camminare, iniziarono a sentirsi dei bisbigli dal tavolo dei Serpeverde e da quello dei Grifondoro.
«È il figlio di quel Potter?»
«Grifondoro come il padre»
«Immaginate se diventasse Serpeverde!»
Quei commenti lo accompagnarono fino allo sgabello, poi il professor Draconem fulminò tutti con lo sguardo e il chiacchiericcio si ammutolì. Albus prese un bel respiro, sembrava calmo e quella espressione così severa non gli si addiceva per niente.
Il professore gli appoggiò il capello sulla testa, ci fu un attimo di silenzio in cui tutti rimasero con il fiato sospeso, ma subito dopo si sentì «GRIFONDORO!» e un applauso esplose per tutta la sala.
Alwys si alzò e urlò con tutto il fiato che aveva in corpo: per la prima volta nella sua vita si sentiva felice e non sola. Appena Albus arrivò al tavolo intrappolò Alwys in un abbraccio e le sussurrò all’orecchio «Ce l’abbiamo fatta». Poi salutò altra gente, come se i Grifondoro li conoscesse già tutti.
«Adeline Tarill!»
Una ragazzina, proprio accanto a Rose, trasalì e incollò il suo sguardo a quello del professore spazientito per la sua lentezza nel salire gli scalini. Era la ragazzina che Alwys aveva incontrato nel negozio dove aveva comprato l’uniforme. Sembrò sull’orlo di una crisi di pianto e, appena il Cappello Parlante fu poggiato sulla sua testa, piccole lacrime le uscirono dagli occhi.
«Suvvia, devi stare tranquilla» disse affettuosamente lui. «Il tuo cuore è stracolmo di dolcezza, non temere, chiunque sulla tua strada ti adorerà» la ragazza sorrise cercando di guardare il Cappello Parlante per ringraziarlo con lo sguardo.
«TASSOROSSO!»
Adeline tirò un sospiro di sollievo, diede un bacio al Cappello Parlante e andò verso il tavolo su cui vi era un enorme tovaglia gialla e nera.
«Rose Weasley!»
La ragazza a passo spedito arrivò allo sgabello, si sedette con un sorriso beffardo e per niente preoccupata, come se sapesse già dove sarebbe capitata.
«Weasley? Siete Tantissimi. GRIFONDORO!»
Albus e Alwys si presero per mano e le alzarono urlando il nome di Rose.
Ora che erano nella stessa Casa nulla li avrebbe separati.
«Incredibile! Siamo assieme» Albus sprizzava gioia da tutti i pori, attirò a sé le altre due e goffamente si abbracciarono.
«Come siete scortesi, non ci presentate ufficialmente la vostra nuova amica?» la ragazza con una riccissima chioma rossa sorrise verso i tre.
«Scusate! Lei è Alwys Dewery» spiegò Albus e lei, imbarazzata, improvvisò un inchino con la testa.
«Piacere…»
«Io sono Dominique, loro cugina» la ragazza sorrise mostrando dei denti perfettamente bianchi. «Poi ti presenterò anche mia sorella Victoire, che è Corvonero, e mio fratello Louis, che è Serpeverde. So che Albus ti aveva già detto i nostri nomi, ma ho come l’impressione che non te li ricordi.»
Alwys si sorprese nell’udire che uno della famiglia di Albus fosse Serpeverde, visto che nel treno non ne avevano parlato molto bene.
«Intanto ti basta sapere che io sono Molly» una delle gemelle sbucò da dietro Dominique. «E io Lucy» l’altra spuntò dietro Molly.
«Siamo gemelle» dissero in coro ridendo.
«Ma davvero?» commentò spazientita Dominique per poi spostare lo sguardo verso Alwys. «Tu non parli?»
La ragazza sorrise: non sapeva proprio cosa dire!
«Lasciatela stare, è nuova» disse Fred facendole l’occhiolino.
Un tintinnio arrivò all’orecchio degli studenti e in un attimo calò il silenzio in tutta la sala. I tre si guardarono confusi.
«Ora la preside farà un discorso di benvenuto» spiegò Dominique intuendo i loro pensieri dalle loro espressioni.
Una donna molto magra e slanciata, al centro del tavolo dei professori, si alzò e camminò facendo svolazzare il lungo abito smeraldo arricchito da ghirigori argentati. Aveva il viso segnato da numerose rughe che però non compromettevano la sua nobile bellezza, un po’ oscurata dall’espressione austera. Si posizionò sopra il piedistallo, dove prima c’era lo sgabello, e davanti a lei dei rami dorati sbucarono dal terreno crescendo fino all’altezza del suo collo per poi dividersi in due gruppi, uno a sinistra e uno a destra formando un meraviglioso leggio.
«Mi rende profondamente felice poter dare il benvenuto agli studenti che da quest’anno studieranno in questa scuola» disse, nonostante sul suo volto non vi fu nemmeno l’accenno di un sorriso. «Diventare studenti di questa scuola è un onore e un privilegio che non dovete mai dare per scontato. Eroi ed eroine hanno solcato questi corridoio per difendere il Mondo Magico. Ma queste antiche mura non sono state segnate solo dalle scarpe dei vostri antecessori, ma anche da uomini crudeli che hanno creduto di poter controllare questa scuola. Hogwarts non si è mai arresa ed è riuscita a scacciare le tenebre grazie non a grandi maghi, ma a studenti come voi che credevano veramente che Hogwarts fosse la loro casa» la donna sembrava in grado di guardare uno ad uno gli studenti nuovi. «Spero che anche voi sentirete lo stesso. Gli orrori che queste mura hanno visto non possono essere cancellati, ma possono essere rischiarati dalla luce dei ricordi che sarete voi a creare.»
Un caloroso applauso riempì l’intera sala ed Alwys sentì una scarica lungo la spina dorsale per quanto quel discorso l’avesse colpita. Non si era mai sentita parte di qualcosa come in quel momento.
«Ricordo inoltre che non è consentito andare nella foresta proibita e che non si possono fare magie fuori dalle aule. E, infine, siete pregati di non andare per alcun motivo nel villaggio di Hogsmeade durante la luna piena.»
Un gran vociare si propagò fra i tavoli: Albus e Rose si guardarono pieni di stupore, mentre gli altri invece avevano uno sguardo preoccupato sul volto.
«Ho come l’impressione che questo non sarà un anno tranquillo» disse Dominique guardando seriamente i tre come se fosse preoccupata che gli potesse succede qualcosa.
Alwys cercò di assumere la stessa espressione dei suoi amici, ma altro la preoccupava: era l’unico lupo mannaro in tutta la scuola? Negli anni precedenti non ve n’erano stati altri? Lo aveva dato per scontato, ma si era sbagliata. Rintanò quelle domande nella sua mente, sperando che arrivasse il prima possibile il momento in cui li avrebbe riversate su Ted per sentire le loro risposte.
Fortunatamente il discorso cadde lì, anche perché i vassoi sopra il tavolo si riempirono di pietanze appetitose e dei gusti più vari che catturarono l’attenzione di tutti. Alwys guardò tutto quel cibo con gli occhi spalancati, solo quando Albus per sbaglio le toccò il braccio mentre prendeva delle coscette di pollo si svegliò da quella trance. Fra le cose fritte e piene di spezie, finalmente trovò qualche verdura e della frutta: non aveva molta voglia di mangiare perché tutta quella situazione era davvero assurda per lei, in più la carne non le era mai piaciuta, quindi approfittò del fatto che sua madre non fosse lì per controllarla.
«Mangi davvero poco» constatò Albus il cui piatto era pieno di cibo.
«Sono ancora un po’ scombussolata» spiegò Alwys leggermente rossa in viso.
«Tu che puoi, mangia!»
Una voce alle sue spalle la fece trasalire: un uomo con vesti sfarzose e da vero nobile sui toni del grigio fluttuava davanti a lei e guardava il suo piatto con un cenno di disappunto.
«Ciao Nick!» trillò Dominique con un sorriso a trentadue denti.
«Sir Nicholas de Mimsy…» controbatté lui a denti stretti dopo un sonoro sbuffo.
«Sì, certo» rispose la rossa riprendendo a mangiare.
«Comunque, benvenuti nuovi Grifondoro!» esclamò poi facendo vagare lo sguardo fra gli studenti. «Io sono Sir Nicholas de Mimsy-Porpington.»
«Io sono Alwys» rispose la ragazzina accennando un sorriso.
«Che deliziosa fanciulla!»
«Ma voi potete chiamarlo Nick-Quasi-Senza-Testa» disse Molly seguita da un cenno col capo di Lucy.
«A differenza di voi…» soffiò in tutta risposta il fantasma guardandole con aria di disgusto.
«Quasi senza testa?» chiese Alwys visibilmente confusa.
«Non hai letto Storia di Hogwarts?» controbatté Rose abbassando il calice da cui stava bevendo. «C’è scritto nella sezione Biografia dei fantasmi delle Case.»
«Rose solo tu lo hai letto» disse Albus senza nemmeno guardarla negli occhi come se fosse solo un pensiero a voce alta.
«Comunque, mia cara…» prese parola Sir Nicholas schiarendosi la voce. «Un plebeo ha avuto l’indecente idea di mozzarmi la testa» raccontò rabbrividendo al ricordo. «Ma era bravo a mozzare teste quanto Dominique è brava con i ragazzi.»
Tutti si misero a ridere, invece la sottoscritta spalancò la bocca e indicò il fantasma con l’indice.
«Te la farò pagare!»
«Non ne ho dubbi» rispose lui soddisfatto della piccola vendetta personale. «Comunque, adesso la mia testa è ancora attaccata in una piccola parte al mio collo.»
Alwys rabbrividì al pensiero e ringraziò il fatto che non glielo avesse mostrato.
Quando tutti ebbero finito, il cibo sparì dai piatti e dai vassoi lasciando tutto pulito, e al suo posto spuntarono un sacco di dolci che Alwys guardò con gli occhi spalancati: si sentiva già pienissima! Prese una crostatina alle fragole tanto per non essere l’unica a non mangiare nulla e continuò a guardare sorridente Albus e Rose che si battibeccavano e Dominique che richiamava le due gemelle.
«Sei molto silenziosa» la voce di Fred attirò la sua attenzione.
«Non sono abituata a tutta questa confusione» ammise lei.
«Ora che sei diventata amica dei Weasley e dei Potter dovrai» disse lui con un mezzo sorriso e subito dopo risero entrambi.
«Grifondoro seguitemi!» una ragazza alta e slanciata e con la pelle olivastra si parò dietro i nuovi arrivati con un accenno di sorriso sulle labbra. «Io sono Abigail Bode, Prefetta della Casa Grifondoro e vi mostrerò la strada e il funzionamento dei dormitori.»
Ormai tutti avevano terminato il loro dolce, tranne Alwys che alla fine aveva solo mangiucchiato le fragole sopra la crema. Albus e Rose si scambiarono un’occhiata preoccupata, invece Alwys non vedeva l’ora di vedere dove avrebbe dormito di lì in avanti.
«E i nostri bagagli?» chiese un ragazzino alla fine della fila.
«Patrick, siamo in una scuola di magia» controbatté una ragazzina dal viso rotondo.
Tutti scoppiarono a ridere, tranne il ragazzino che corrucciò la fronte e abbassò lo sguardo.
«Per favore, seguitemi» insistette Abigail forzando di più il suo sorriso.
Si alzò un mormorio fra i nuovi arrivati, ma subito dopo fecero ciò che gli era stato detto: seguirono la ragazza che con passo frettoloso si allontanò dal tavolo. Appena uscirono e fecero il primo passo, Alwys si sentiva spaesata, quel posto era davvero enorme e sicuramente si sarebbe i primi giorni, sperando però non di tardare alle lezioni. Per fortuna c’erano Albus e Rose con lei.
«Vi sto mostrando la via più semplice per arrivare ai nostri dormitori» spiegò Abigail continuando a camminare mentre ogni tanto si girava per vedere se gli studenti tenevano il passo.
Ad un tratto, svoltato un angolo, si ritrovarono davanti ad un intreccio di scale su cui degli studenti stavano chiacchierando.
«Mi raccomando, alle scale piace cambiare.»
In quello stesso momento, una rampa incominciò a muoversi spostandosi verso un altro pianerottolo. Tutti i nuovi arrivati spalancarono la bocca meravigliati, provocando una risata da parte di Abigail.
«I dormitori si trovano nella torre dei Grifondoro al settimo piano, quindi le scale diventeranno le vostre migliori amiche.»
Tutti andarono esattamente dove lei stava andando per paura di finire su una rampa che poi si sarebbe spostata. Camminando, Alwys rimase a bocca aperta perché i quadri appesi alle pareti si muovevano… e parlavano!
«Benvenuti ad Hogwarts!» disse un uomo con un’armatura da cavaliere accanto ad una donna con un lungo vestito rosso.
«Incredibile!» esclamò Alwys sorridendo imbarazzata verso i sorrisi dei quadri.
«Non sei abituata, vero?» chiese Albus avvicinandosi a lei.
«No… ma è bellissimo.»
«Io sì, perché le fotografie funzionano allo stesso modo» spiegò lui indicando i quadri e salutando qua e là.
«Vuoi dire che anche le foto si muovono?» chiese Alwys con gli occhi che luccicavano. Subito dopo, però, si ricordò di quella che aveva visto da Olivander.
«Esattamente…» rispose per poi frugare dentro la sua tasca. «Tipo questa» prese un piccolo pezzo di carta e lo porse verso Alwys: c’erano lui, i suoi genitori, James e una bambina con i capelli come la madre che sorridevano felici e salutavano.
Quanto ne avrebbe voluta una anche lei…
«E come si fanno?» chiese cercando di evadere dall’argomento “famiglia”.
«Questo devi chiederlo a mio padre, è troppo complicato per me» rispose ridendo seguito da Alwys.
Dopo un bel po’ di scale, arrivarono finalmente in un pianerottolo dove Abigail fece sistemare tutti a semicerchio così da far guardare ad ogni studente ciò che si stava apprestando a spiegare.
«Oh, salve!»
Una donna dai fianchi morbidi e il doppio mento pronunciato li salutò, facendo ondeggiare la corona di uva poggiata sulla sua testa. Il quadro di cui faceva parte era incorniciato da foglie di vite d’ottone e luccicanti, la cornice sembrava essere molto antica.
«Ho visto così tanti ragazzi entrare per questa porta e poi andarsene, ma mi emoziono ogni volta!» esclamò la donna.
«Suvvia, devo far vedere loro i dormitori» disse Abigail scuotendo la mano.
Tutti gli studenti avrebbero riso sotto i baffi guardando quella buffa signora, ma due troll ai suoi lati, anche se disegnati, pietrificò tutti per la paura.
«Tranquilli, sono innocui» disse la ragazza accennando un sorriso. «Se non li disturbate…»
«Parola d’ordine?» chiese la signora sistemandosi i capelli già perfetti. 
«Rugiada Cristallina» disse scandendo ogni lettera per farsi capire.
La donna fece un cenno con la testa e il quadro si aprì come una porta. Subito Abigail entrò seguita dagli studenti che continuavano a mormorare fra loro.
«Cosa ha detto?» chiese Alwys sottovoce verso Albus.
«La parola d’ordine» disse Abigail prima che Albus poté rispondere. «Serve per far entrare solo i Grifondoro nei dormitori.»
Alwys si morse la lingua imbarazzata.
Dopo un piccolo corridoietto, arrivarono in una stanza rotonda arredata con mobili e armadi di colore vermiglio e oro, c’erano anche delle armature splendenti e le pareti erano rosse decorate da ghirigori. Era tutto così incredibile e allo stesso tempo accogliente, soprattutto grazie ad un fuocherello che scoppiettava nel lato destro della sala.
«Questo sarà d’ora in poi il vostro dormitorio, la vostra casa. Tutti i vostri effetti personali sono di sopra, compresi gli animali» disse Abigail girandosi verso di loro. «Il dormitorio dei maschi è in fondo a sinistra, quello delle femmine invece a destra.»
I tre si scambiarono delle occhiate emozionate.
«Spero che il vostro soggiorno qui sia gradevole, per qualsiasi cosa potete chiedere a me. Inoltre, ogni Casa ha una parola d’ordine che solo i membri della Casa posso sapere, per nessun motivo dovete dirla ad altri studenti, chiunque sgarri, subirà una punizione.»
Tutti i nuovi studenti incominciarono a guardarsi intorno con facce stupite ma, appena Abigail si girò per salire verso i dormitori, tutti si catapultarono lì per trovare le proprie cose e il loro letto. Quello di Alwys era accanto a quello di Rose ed era super morbido: era un letto a baldacchino corredato da tende rosse. Vide subito Ninfa e istintivamente la liberò per coccolarla.
«È un Kneazle?» chiese Rose attirando l’attenzione di tutti, infatti alcune ragazzine si avvicinarono per vederla.
«È carinissimo!» dissero dandole qualche carezza.
«Si chiama Ninfa…» disse Alwys un po’ imbarazzata.
«È un nome dolcissimo» dissero in coro.
«Grazie…»
Erano tutte così gentili! Alwys ringraziò mentalmente Ted, non voleva farsi notare, ma almeno così aveva fatto una buona impressione alle sue compagne. Vide la sua valigia ai piedi del letto sopra un baule dall’aria antica. La poggiò sul pavimento e lo aprì per vedere cosa c’era dentro: l’uniforme, un mantello, una sciarpa, un cappello e dei guanti. Tutti ovviamente dei colori della sua Casa. Vide che le altre per il momento avevano abbandonato la loro valigia accanto perché erano stanche ed optò anche lei per quella decisione: nonostante fosse ancora carica d’emozione, sentiva le gambe pesanti e la testa un po’ dolorante. Dopo aver preso il pigiama, lo indossò per poi infilarsi sotto le coperte.
«Il letto è davvero morbidissimo» disse guardando Rose che si era seduta sul letto accanto al suo.
«Concordo, io non riesco a dormire senza un cuscino super morbido» ammise dando qualche colpetto al suo.
«Anche io!» esclamò ed entrambe si misero a ridere.
«Mi raccomando, non fate rumore durante la notte» la voce di Abigail attirò l’attenzione di tutte che si girarono verso di lei senza proferire parola. «Buona notte.»
Quelle che erano ancora fuori dal letto, sgattaiolarono dentro le coperte e, solo allora, Abigail alzò la mano verso di loro facendola ondeggiare in aria. In un attimo tutte le candele si spensero.
 
 

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Capitolo 9
*** 8. Prima lezione perf... lasciamo stare ***


 

8
Prima lezione perf… lasciamo stare

 
 
Il castello era immenso: più volte Alwys si perse e Rose non era molto d’aiuto visto che si era già trovata delle amiche e spesso la lasciava sola per stare con loro. Doveva ancora abituarsi al fatto che le scale cambiavano e al fatto che le classi non si trovassero tutte in un’ala del castello, ma erano sparse qua e là. Almeno c’erano quadri che erano gentili e la aiutavano nei momenti di bisogno, salvandola da possibili ritardi alle lezioni. Fortunatamente, però, legò molto con Dominique, la cugina di Albus e Rose.
«E poi con uno scatto gli ho fregato la palla e…» quella zazzera di ricci rossi si fermò e puntò gli occhi su quelli di Alwys. «Mi stai ascoltando?»
La ragazza annuì, ma il suo sguardo confuso non mutò.
«È che non ho idea di cosa tu stia parlando…» ammise Alwys con tono dispiaciuto.
Dominique incominciò a ridere.
«Non dirmi che sei seria» disse asciugandosi una lacrimuccia.
Alwys, senza parlare, fece capire benissimo la sua risposta.
«Il Quidditch è famosissimo!» esclamò con uno luccichio negli occhi nocciola. «Ogni Casa ha una propria squadra, io ovviamente ci faccio parte.»
«Quindi è uno sport… tipo pallavolo!» asserì Alwys sperando di averci capito qualcosa, ma l’espressione di Dominique le fece intendere il contrario.
«Ora sono io che non ho idea di cosa tu stia parlando. Comunque, il Quidditch è un gioco fantastico, dovresti venire a qualche partita» rispose sistemandosi un riccio ribelle.
«Certo…»
Alwys non aveva voglia di mettersi in mostra, erano passati solo tre giorni dalla Cerimonia di Smistamento e in quei giorni lei aveva evitato per tutto il tempo qualsiasi contatto con altre persone, figuriamoci quante dovevano esserci ad una partita di Quidditch! In verità ciò che la preoccupava era che fra esattamente due giorni ci sarebbe stata la luna piena e non aveva la più pallida idea di dove andare, perché Ted era preso dalle lezioni e non sapeva con chi altro parlare. Tutte le domande che le avevano affollato la mente durante la Cerimonia di Smistamento non avevano ancora trovato risposta.
«Che materie hai oggi?» Dominique si era spostata davanti a lei perché molto probabilmente aveva cercato in tutti i modi di ottenere la sua attenzione senza riuscirci.
«Non ricordo…»
Tutte quelle materie avevano nomi troppo strani per lei abituata alla matematica o alla storia, per fortuna si portava sempre dietro un foglietto con tutti quei nomi e gli orari.
«Difesa contro le arti oscure a prima ora» disse guardando l’orario che teneva dentro la tasca.
«Ti conviene non fare tardi, il professor Draconem è un po’… irritabile» Dominique scrollò le spalle come se cercasse di scacciare via un brutto pensiero.
«Ci vediamo allora, e grazie» disse Alwys per poi alzarsi per andare verso il corridoio principale.
Lì si bloccò: dov’era l’aula? Tornò indietro, ma Dominique era scomparsa. 
Il corridoio brulicava di studenti, ma Alwys non conosceva nessuno di loro e non c’era nemmeno un professore nelle vicinanze. Tra quella coltre di studenti di tutte le età, riuscì ad adocchiare la ragazza del primo anno che era stata smistata in Tassorosso e che Alwys aveva incontrato nel negozio di Madama McClan. Alwys cercò di ricordare il suo nome, ma in quel momento nella sua mente rimbombavano solo i suoi stessi pensieri. Temendo di risultare scortese, si avvicinò con cautela e, cercando di non farsi scoprire, la seguì: quel giorno avrebbe avuto Difesa contro le Arti Oscure proprio con i Tassorosso. Passarono molte scale e corridoi, era come se l’aula fosse dall’altra parte del castello. Finalmente la ragazza si fermò per entrare nei bagni.
Mi toccherà aspettarla dentro per non sembrare sospetta stando qui impalata, pensò Alwys dirigendosi verso la stessa direzione.
Il bagno era molto ampio, come quello delle stazioni di servizio dove c’erano tante porticine sulla destra che nascondevano i gabinetti. Sulla sinistra, invece, vi era una sfilza di lavandini. Entrò dentro una delle porte senza nemmeno chiudere a chiave e aspettò un qualsiasi rumore che le avrebbe fatto capire che la ragazza stava uscendo. Aspettò qualche minuto, poi sentì un gruppo di ragazze, che discutevano animatamente, entrare in bagno.
«Adeline dove sei?» disse una dalla voce roca e pesante.
Si sentì una delle porte aprirsi lentamente e dei passi leggeri che, molto probabilmente, erano della ragazza che Alwys stava seguendo.
«Cosa vuoi Breanne?» la voce della Tassorosso era molto dolce e sottile, quasi come un sussurro di vento.
«Ancora queste domande mi fai?» chiese la ragazza di nome Breanne accompagnata dalla risata delle altre ragazze. «Prendetele la bacchetta.»
Adeline incominciò a dimenarsi, ma loro erano in superiorità numerica e più grandi di lei, riuscendo facilmente a bloccarla.
«Perché te la prendi sempre con me?»
«Perché è divertente» rispose con nonchalance Breanne per poi dirigersi verso il gabinetto. «Cosa succede se butto la tua bacchetta qui e poi tiro lo sciacquone?» 
«No!» gridò Adeline che aveva incominciato a piangere e a dimenarsi.
Alwys strinse i pugni: se fosse uscita come l’avrebbe aiutata? Erano comunque un gruppo di ragazze più grandi di lei e non conosceva nemmeno un incantesimo.
«Come sospettavo sei finita in Tassorosso, sei una debole» la insultò giocherellando con la sua bacchetta. «Sei il disonore della famiglia.»
Le urla di Adeline si fecero sempre più forti.
Alwys respirò profondamente chiudendo gli occhi: doveva assolutamente fare qualcosa. Uscì dalla porta attirando gli sguardi di tutto il gruppetto.
«E tu chi saresti?» una ragazza con i capelli neri la guardò e rapidamente tirò fuori la bacchetta da sotto la tunica.
«Sono Alwys Dewery, per favore lasciatela stare.»
Ora sì che era nei guai… e per di più non poteva dire una cosa più stupida di questa! Ovviamente tutte le ragazze incominciarono a ridere.
«È arrivata una Grifondoro! Sto tremando dalla paura» la schernì Breanne fra una risata e l’altra.
Finalmente Alwys riuscì a vederla: aveva capelli riccissimi e castani, occhi di un giallo acceso e la pelle olivastra. Ovviamente Serpeverde.
«Non è giusto trattare così un’altra studentessa!» esclamò Alwys che visibilmente stava tremando come una foglia.
«Kate, pensaci tu» Breanne non fece nemmeno caso alle sue parole, si girò verso una ragazza bionda e poi tornò ad interessarsi di Adeline. 
Kate estrasse la bacchetta e incominciò ad avvicinarsi ad Alwys che istintivamente sfoderò la sua. Il problema era che non aveva idea di cosa fare! Quelle ragazze erano molto più grandi, quindi sicuramente conoscevano più incantesimi di lei.
«Vediamo cosa sai fare…» la bionda alzò la bacchetta pronta a recitare un incantesimo.
Alwys chiuse gli occhi: sentì un calore propagarsi dalla sua mano fino al suo petto e in un attimo la stanza venne inondata da un fascio di luce.
«Che succede?»
Tutte si girarono verso di lei, la luce che stava sprigionando divenne così accecante che si dovettero coprire gli occhi con il braccio. Appena si placò, riuscirono a distinguere la figura di una bellissima donna argentea i cui capelli fluttuavano in modo innaturale.
«Lady Amelia!» gridò Alwys dalla gioia per poi ricambiare il sorriso del fantasma.
«Che succede qui? Non ditemi che avete interrotto il mio sonno perché stavate molestando queste fanciulle» disse Lady Amelia incrociando le braccia al petto visibilmente scocciata.
Il gruppetto di ragazze rimase a bocca aperta e si leggeva chiaramente nelle loro espressioni che avevano a dir poco paura.
«Io me ne vado!»
La ragazza con i capelli neri corse via, ma le altre rimasero immobili al loro posto incapaci di muoversi.
«E voi cosa aspettate?» chiese Lady Amelia con un pizzico di malizia.
Tutte si volatilizzarono, anche Breanne che, però, lasciò cadere la bacchetta di Adeline nel gabinetto.
«Windargium Leviosa!» le parole uscirono dalla bocca di Alwys da sole e con un rapido movimento del polso riuscì a far levitare in aria la bacchetta di Adeline senza farla cadere nel gabinetto.
«Grazie!» squittì la Tassorosso prendendo la bacchetta al volo.
«Complimenti!» esclamò Lady Amelia girandosi verso Alwys per farle un occhiolino.
«Come hai fatto a…?» Alwys lasciò cadere la frase rimanendo ancora a bocca aperta per ciò che era appena successo.
«È pur sempre la mia bacchetta, fin quando non la userai per un buon motivo rimarrò dentro essa» le spiegò la donna per poi svanire in un fumo grigio che entrò dentro la bacchetta.
«Sei pazzesca!» esclamò Adeline e i suoi occhi azzurri sembrarono brillare per l’emozione.
«Io non ho fatto niente…»
Alwys era visibilmente in imbarazzo, e pensare che non voleva attirare l’attenzione di nessuno! Sicuramente quelle ragazze sarebbero andate a spifferare l’accaduto a tutti quanti.
«Ma perché mi stavi seguendo?» chiese la ragazzina mutando la sua espressione.
«Io…» cercò di ricordarsi il perché, ma aveva solo il vuoto dentro la testa, poi… «Difesa contro le arti oscure!» all’esclamare ciò anche Adeline fece un balzo.
«Siamo in ritardo!» dissero in coro.
Uscirono di corsa dal bagno e aprirono con un tonfo la porta dell’aula, che fortunatamente non era tanto lontana, con il respiro affannoso sotto gli occhi di tutti che le guardavano o scocciati o confusi.
«Ebbene?»
Il loro sguardo vagò fra gli studenti fino ad arrivare a quello del professor Draconem appoggiato alla cattedra visibilmente furioso.
«La mia aula non è un hotel, ci sono degli orari da rispettare e sono stato io personalmente a stipularli su un foglio così che non avreste avuto problemi» la sua voce era pungente e dura, aveva ragione, ma c’era una spiegazione per quel ritardo.
«Professore-» Adeline cercò di parlare, ma fu zittita dalla mano del professore che con uno scatto si alzò in aria.
«Non tollero questa mancanza di rispetto, ma stiamo sottraendo tempo prezioso alla lezione, quindi per favore sedetevi e ne riparleremo durante l’ora di pranzo nel mio studio.»
Fantastico, il primo giorno con questo professore e già mi odia, pensò Alwys scambiando un’occhiata sofferente con Adeline.
A peggiorare il tutto fu il fatto che stavano studiando come curare il morso di un lupo mannaro perché «Anche se ormai sono considerati parte integrante del mondo magico, quando si trasformano sono solo delle bestie senza controllo e bisogna sapersi difendere». Ogni volta che il professor Draconem lo ripeteva, il cuore di Alwys aveva un sussulto. Se sperava di poter tranquillamente parlare della sua natura con altri studenti si sbagliava di grosso.
La stanza era ampia e gli studenti erano seduti su banchi posti in due file che ne contenevano sei o sette, Alwys non riuscì bene a contarli. Il tetto era formato da una serie di archi in legno che sostenevano l’intera stanza, che molto probabilmente senza di essi sarebbe caduta sotto il peso del piano superiore. Dietro la cattedra, che accanto aveva la lavagna su cui un gessetto incantato scriveva le parole del professore, vi era una piccola scala di marmo che portava a quello che doveva essere l’ufficio del professore. Alwys pensò che sicuramente a breve avrebbe visto anche l’interno.
«Che hai combinato?» la voce di Albus le arrivò come un soffio di vento e dovette concentrarsi molto per capirne il significato.
«Storia lunga, poi te ne parlo se sarò ancora viva» rispose Alwys forse con voce non troppo bassa, beccandosi uno sguardo furioso da parte del professore.
Abbassò la testa sul libro e cercò di capirci qualcosa, anche se tutti quei nomi strani e le parole “lupo mannaro” scritte in ogni frase non la aiutavano molto.
Appena uscì dalla classe fu bloccata da Rose e dal suo sguardo inceneritore.
«Sei pazza? Ora ci toglieranno dei punti per il tuo stupido comportamento, sei un’irresponsabile!» le urlò in faccia con tutto il fiato che aveva in corpo.
Alwys rimase ferma sorbendosi quella lavata di capo che fu la ciliegina su quella terribile giornata.
«Rose dai…» Albus cercò di farla ragionare prendendole il braccio, ma lei si spostò con un brusco movimento, fulminò un’altra volta con lo sguardo Alwys e poi andò via con le sue amiche. «Lasciala stare.»
«No, ha ragione» disse la ragazza non spostando lo sguardo dalla figura di Rose che si perdeva fra gli altri studenti.
Storia della Magia era una materia che non la entusiasmava, anche se la normale Storia a cui era abituata le piaceva molto. Molto probabilmente ciò era dovuto al professore, che era un uomo alto e magrissimo, aveva il viso spigoloso e il mento all’insù. Gli occhiali erano sulla punta del naso e Alwys pensò che a momenti sarebbero caduti per quanto si muoveva.
«Storia della Magia è una materia molto importante» la sua voce era come un lungo sbadiglio che fece venire sonno a tutti gli studenti. «Quindi, mi raccomando, impegnatevi.»
«Professor Pastime questa è la nostra seconda lezione, non la prima» disse Rose abbassando la mano che aveva usato per attirare l’attenzione del professore.
«Ah… come vola il tempo» si trascinò lungo il corridoio di banchi e con un colpo di bacchetta fece voltare le pagine dei libri degli studenti che poi si fermarono su un capitolo in particolare. «Signorina Weasley, visto che è così pignola, sono sicuro che si ricorderà a che punto eravamo arrivati del paragrafo.»
Alwys, dopo quella brutta figura, si sentiva uno straccio e la voce pesante del professore la fece sprofondare ancora di più nella sedia. Fortunatamente non era una materia difficile visto che bastava imparare le pagine come nella scuola babbana, ma il problema erano i nomi che vi trovava nelle pagine.
«Uric Testamatta?» lesse alzando un sopracciglio.
«Già, era un tipo molto eccentrico, pensa che usava una medusa come cappello» disse il ragazzino che il primo giorno di scuola aveva fatto la domanda sui bagagli. Patrick, se Alwys non si ricordava male.
«Forse è a causa dei tentacoli della medusa che si è fritto il cervello» disse Albus facendo roteare l’indice verso la tempia.
Alwys cercò di trattenere la risata tappandosi la bocca, anche se con poco successo.
Le tre ore volarono e il pranzo era ormai alle porte, anche se, prima della loro morte (la punizione architettata dal professor Draconem), ci sarebbe stata la loro prima lezione di Incantesimi: Alwys si era resa conto di adorare quella materia, anche perché la professoressa era davvero fantastica.
«Buon giorno a tutti» disse girandosi verso gli studenti: aveva dei bellissimi occhi azzurri perennemente con uno sguardo dolce, la bocca con un accenno di rossetto rosato, i cappelli biondi che le arrivavano mossi sopra le spalle ed aveva degli orecchini blu intonati alla gonna e una maglietta nera.
Sembrava tanto una delle maestre che Alwys aveva avuto, tranne per il fatto che accanto a lei stava galleggiando un libro aperto.
«Sono la Professoressa Fernsby e vi insegnerò gli incantesimi» fece cenno agli alunni di sedersi. «Alla fine del mio corso sarete dei maghi di prim’ordine, in grado di lanciare incantesimi di tutti i tipi. Sarà un percorso arduo, ma sono sicura che insieme ci riusciremo» finì il discorso con uno splendido sorriso.
Non c’erano dubbi: Alwys la adorava con tutto il suo cuore.
Iniziarono a prendere appunti perché la Professoressa Fernsby spiegò che prima della pratica doveva essere curata la teoria e che un incantesimo riesce bene solo se il mago è veramente concentrato. Sfortunatamente la prima lezione non tirarono fuori la bacchetta, ma Alwys era sicura che la prossima volta lo avrebbero fatto e non vedeva l’ora.
Alla fine della lezione, Alwys raggiunse Adeline con cui si scambiò uno sguardo preoccupato che valeva più di mille parole. Chiesero ad un fantasma dove si trovava lo studio del professore e lui le guardò con gli occhi fuori dalle orbite.
«Non voglio sapere cosa avete combinato, ma buona fortuna!» e si incamminarono con l’ansia che cresceva sempre di più.
Arrivarono ai piedi della porta di legno un po’ malridotta posta sopra la scala dell’aula di Difesa contro le Arti Oscure e, dopo aver bussato, entrarono senza emanare un soffio. La stanza era piccolina, principalmente occupata da librerie strabordanti di libri, al centro vi era una scrivania bifacciale scura su cui era poggiata una piccola statuetta di un drago che sputava fuoco. Dall’altro lato vi era il professore seduto su una sieda di pelle nera con le mani incrociate sotto il mento che scrutò le due studentesse con i suoi occhi a fessura.
«Prego.»
Alwys e Adeline si sedettero su delle sedie che il professore aveva indicato con un cenno del capo.
«Professore ci dispiace tanti-» Alwys provò a parlare, ma il professore alzò la mano per zittirla.
«Nessuno ti ha dato il permesso di parlare» e la ragazza si pentì di aver aperto bocca.
«Hogwarts non è una normale scuola come voi figli di babbani siete abituati a frequentare. Qui ci sono delle rigide regole da rispettare, fra queste il rispetto per i professori e questa mattina voi mi avete mancato molto di rispetto» la sua voce era calma, ma le sue parole taglienti fecero accelerare il battito delle due studentesse. «Cosa pensavate? Che anche se arrivavate in ritardo non ci sarebbero stati provvedimenti?»
Alwys voleva rispondere, ma Adeline le strinse la tunica perché sapeva che qualsiasi cosa sarebbe uscito dalla sua bocca sarebbe stato sbagliato.
«Senza la mia materia voi verreste uccise dopo pochi secondi nella Foresta Proibita, pensate ancora che non sia importante?» si alzò dalla sedia e lentamente si avvicinò a loro facendo scivolare il dito sul legno della scrivania. «Ho parlato con la preside, le mie punizioni erano troppo dure per lei quindi ho dovuto alleggerire un po’» alzò gli occhi al cielo ripensando alla discussione fatta prima con la preside.
«Ma professore prenderà provvedimenti solo con noi?» lo sguardo di Draconem incenerì la Grifondoro, ma lei non demorse. «Siamo arrivate in ritardo perché una Serpeverde ci ha dato fastidio! Lei stava-»
«Silenzio!» sbottò lui acchiappando l’aria con la mano. «Di queste cose non devi parlare con me, ma con la Preside.»
«Ma siamo arrivate in ritardo per questo!»
«Questo vuol dire che non sapete difendervi» snocciolò lui controllandosi le unghie. «Non fatemi aggiungere alla punizione delle ore in più con me.»
«Era più grande di noi ed erano di più» si giustificò Alwys rossa in faccia per la rabbia.
Draconem finalmente la guardò in faccia, si avvicinò a lei e la intrappolò contro la sedia poggiando le mani sui braccioli.
«Fuori da queste mura, quando vi scontrerete con un altro mago, non esisterà età o classe scolastica, ci sarete solo voi con le vostre capacità.»
«Allora la aspetto quando finirò gli studi» gli soffiò lei assottigliando lo sguardo.
«È una minaccia?» chiese retoricamente lui accennando una risata.
«Professore non vorrei perdermi la prossima lezione, può per piacere dirci la punizione?» Adeline intervenne con il fiatone, come se per tutta la durata del battibecco avesse trattenuto il respiro.
Il professore si allontanò dall’alunna, senza però distogliere lo sguardo, e sospirò.
«Dovrete semplicemente pulire i piatti della mensa per due giorni» le ragazze lasciarono un sospiro di sollievo. «Di tutte le case» Alwys spalancò la bocca in punto di controbattere di nuovo. «Senza l’aiuto della magia» soddisfatto, il professore fece un sorriso malizioso.
Le studentesse si girarono per guardarsi negli occhi cercando un po’ di conforto dall’altra.
«E ovviamente verranno sottratti cinque punti a Grifondoro» continuò lui agitando la mano in aria come se il dettaglio avesse poca importanza. «Potete andare.»
Alwys avrebbe tanto voluto continuare quella conversazione, ma intuì che i punti in meno, molto probabilmente, erano dovuti al modo in cui si era voltata con lui.
Lo detesto, pensò stringendo i pugni lungo i fianchi.
Alwys e Adeline, come erano arrivate in silenzio, andarono via e, fuori dalla stanza, incominciarono a lamentarsi sull’ingiustizia di quella punizione.
Ma di certo non sarebbe stato quel professore a infrangere la felicità di Alwys: stava adorando Hogwarts e questo sentimento nessuno glielo avrebbe tolto.
 

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Capitolo 10
*** 9. La prima lezione di volo ***


9
La prima lezione di volo

 
 
I due giorni passarono molto lentamente per Alwys e Adeline: i piatti erano tantissimi e molto sporchi, avevano dovuto impiegare almeno tutto il pomeriggio per finire in tempo per la cena. Ogni volta che passavano accanto al professor Draconem, lui le guardava con aria di sufficienza e ciò faceva smuovere i nervi ad entrambe. Per giunta non avevano nemmeno avuto il tempo di parlare con la preside di ciò che era successo con Breanne, perché fra lezioni e punizione non avevano avuto nemmeno un secondo libero.
«Già il terzo giorno ti sei messa contro il vicepreside, cosa farai a fine anno? Ti metterai contro tutta la scuola?»
Albus cercava di sdrammatizzare, ma in verità peggiorava soltanto la situazione, infatti ogni volta che faceva una battuta del genere le ragazze con uno sguardo lo zittivano.
Fortunatamente durante il giorno c’erano dei momenti in cui poteva rilassarsi, durante i quali Alwys stava nella guferia per mandare le lettere ai suoi genitori. Le mancavano tantissimo e ogni tanto, quando sbagliava la strada o si perdeva, sentiva la solitudine pesarle sul petto, pensando a come sua madre l’avrebbe sicuramente aiutata.
 

Cari mamma e papà,
spero che il gufo non vi abbia dato alcun fastidio portandovi questa lettera.
Mi mancate tantissimo, questo posto è così grande da farmi sentire persa e sola. So che è un controsenso, ma i vostri abbracci erano ciò di cui avevo bisogno, non una casa enorme o dei letti a baldacchino. Detesto il mio professore di Difesa contro le Arti Oscure (una materia) perché penso che ce l’abbia con me! La cosa che mi fa arrabbiare di più è che io adoro questa materia e lui me la sta facendo odiare! Tralasciando queste cose, mi sono già fatta degli amici e questo è ciò che conta di più.
Vi mando un grandissimo bacio, vi voglio tanto bene.
La vostra Alwys

 
Chiuse la lettera dentro la busta fra un sospiro e l’altro. La sensazione della pergamena sotto le dita le piaceva un sacco e, ogni volta che la utilizzava, si chiedeva come mai i babbani non la usassero.
«Penso già come loro» disse ridendo.
Era vero, ciò che contava in quel momento era il fatto che si era fatta degli amici, non importava se il professore cercasse di renderle la vita un inferno. Prese la busta che aveva decorato con dell’inchiostro rosso che le aveva prestato Adeline e la diede ad un gufo leggermente grassoccio e dall’aria innocua così che non spaventasse troppo sua madre. Subito dopo, però, Alwys lesse il programma delle lezioni di quel giorno e si lasciò andare ad uno splendido sorriso: avrebbe avuto la sua prima lezione con Ted. Già se l’immaginava: le avrebbe sorriso e l’avrebbe aiutata con pazienza nelle cose che non avrebbe capito. Sicuramente Trasfigurazione sarebbe diventata la sua materia preferita, anche se avevano avuto la prima lezione dopo cinque giorni perché era una materia molto complicata e volevano prima far ambientare i nuovi studenti.
«Trasfigurazione è una delle materia più complesse che imparerete ad Hogwarts» disse Ted entrando dentro la stanza e poi sfilando fra i banchi. «Per questo inizieremo con cose molto semplici e che forse vi sembreranno stupide, ma non mi sembra il caso di iniziare l’anno con qualcuno in infermeria.»
Prese la sua bacchetta e recitò: «Avifors
Diede un colpetto del polso verso un libro dalla copertina piumata posto sulla cattedra ed esso si trasformò in una maestosa civetta che volò verso il suo braccio. Ted la accarezzò accennando un sorriso, invece tutti gli altri lo guardarono con la bocca e gli occhi spalancati.
«Ci vorrà molto prima che voi siate capaci di ciò, ma non demordete.»
Infatti passarono la maggior parte della prima ora a prendere appunti su appunti. Alwys era ancora un po’ impacciata con la piuma e l’inchiostro, infatti, a causa della velocità con cui Ted dettava, aveva sporcato pure il banco e ovviamente qualche dito. Vide una ragazzina due banchi più lontana da lei che la guardò ridendo: se avesse potuto, si sarebbe sotterrata per svanire per sempre. Fortunatamente, però, nell’ora seguente Ted fece posare le piume e diede ad ognuno un fiammifero sopra il banco.
«Adesso con decisione dite Acutus» recitò indicando con la bacchetta il fiammifero davanti a lui che si trasformò in un ago. «Mi raccomando: movimenti fermi e decisi.»
Ciò era tutto fuorché facile: il fiammifero o si muoveva leggermente, o non faceva nulla. Addirittura a Patrick si accese.
«Signor Goyle, questa non è l’aula di Incantesimi» lo richiamò Ted spazientito.
«Acutus» disse Alwys con decisione per la decima volta: il fiammifero tremò leggermente e divenne argentato. «Ci sono riuscita!» esclamò soddisfatta ma, vedendo che tutti si erano girati per guardarla, si schiarì la voce. «Cioè sono riuscita a fargli cambiare colore…»
«È comunque un buon inizio» disse Ted dandole un colpetto sulla spalla.
Nemmeno un piccolo sorriso, pensò Alwys sotterrando il viso fra le braccia incrociate sul banco.
Per fortuna la giornata migliorò grazie alla simpatia del professore di Erbologia, Longbottom: era un uomo molto attraente e con un bellissimo sorriso, che riusciva ad essere serio e allo stesso tempo scherzoso. Quel giorno indossava un completo beige con una camicia a quadri verde che faceva risaltare i suoi occhi dello stesso colore. Alwys pensò che quei colori gli stavano davvero bene e lo ringiovanivano perché a causa della barba sembrava più grande della sua vera età.
«Qualcuno sa dirmi cosa avete davanti?» chiese guardando gli studenti che erano disposti ai lati di un lungo tavolo rettangolare.
Rose prontamente alzò la mano, beccandosi delle occhiatacce dai Serpeverde.
«Sì, signorina Weasley?»
«Il tranello del diavolo» disse accennando un finto sorriso.
«Complimenti» la elogiò. «E chi sa dirmi le proprietà?»
«Il tranello del diavolo è capace di strangolare o comprimere chiunque venga a contatto con esso» la voce di Scorpius Malfoy si alzò fra i Serpeverde che guardarono la rossa con un sorriso beffardo sul volto.
«Esattamente, Malfoy» confermò il professore facendosi però serio. «Però la prossima volta alzi la mano come ha fatto Weasley.»
Rose approfittò di essere coperta da Albus per fare una bella linguaccia a Scorpius.
«Comunque, per farla breve, possiamo dire che è come il vampiro delle piante» tutte le ragazze risero, ma il professore non badò a nessuna.
Erbologia non entusiasmava molto Alwys, ma imparò ad apprezzarla perché capì che le piante erano più importanti di quello che credeva e che con alcune di esse non bastava imparare gli incantesimi per cavarsela.
«Infatti, se mai ve la trovereste davanti, sappiate che non le piace né la luce né il fuoco, quindi mi raccomando, studiate bene questi incantesimi e la prossima volta passeremo alla pratica» si girò e fece l’occhiolino, per un attimo Alwys pensò che fosse rivolto a lei, ma subito dopo quel pensiero svanì dalla sua mente.
«Ma lo avete visto?»
Appena furono fuori dall’aula, Rose si precipitò verso i due amici.
«Chi?» chiese Alwys beccandosi uno sguardo di fuoco da parte della rossa.
«Malfoy! Si crede chissà chi solo perché ha letto la paginetta qualche minuto prima» sbottò stringendo di più i libri al petto.
«Mi ricorda qualcuno…» sussurò Albus all’orecchio di Alwys.
«Guarda che ti sento!»
Ma Alwys non era in vena di scherzare, infatti a pranzo non mangiò nulla. Il modo in cui Ted l’aveva trattata durante la lezione le aveva tolto l’appetito. Tutti i suoi amici si preoccuparono, anche Molly e Lucy che cercavano disperatamente di farla ridere.
«Sapete cosa abbiamo fatto oggi?» tutti alzarono la testa verso le gemelle tranne Alwys. «Abbiamo infilato una caramella schiumosa dentro il bagno delle ragazze, è uscita così tanta schiuma che anche i corridoi erano tutti appiccicosi!» tutti ridevano, ma Alwys no e la preoccupazione saliva sempre di più.
Albus e Adeline avevano provato a chiederle cosa avesse, ma lei diceva soltanto che era stanca per aver pulito tutti i piatti il giorno prima. Alla fine decisero di lasciar perdere, sperando che la mattina dopo il suo umore migliorasse.
 «Oggi avremo la nostra prima lezione di volo!» disse alla fine il Grifondoro per smorzare la tensione.
«Ma se a casa giochiamo sempre sulla scopa» Rose smontò il suo entusiasmo con un sonoro sbadiglio.
Albus guardò offeso la cugina e poi spostò lo sguardo speranzoso verso Alwys che sorrise imbarazzata.
«Anche io non vedo l’ora.»
Il Grifondoro aprì le labbra mostrando i suoi denti bianchi, invece Rose alzò gli occhi al cielo seguita dalla risata di Dominique.
«Ricordo la mia prima lezione: indimenticabile» fece vagare lo sguardo fra le pareti immersa nei ricordi. «Mi raccomando, fate tutto ciò che dice la professoressa, cadere dalla scopa non è una bella esperienza.»
«Una tremenda esperienza» annuì Molly poggiando il gomito sul tavolo per guardare meglio i tre.
«Orribile» confermò Lucy, «Chiedete a Trevis Finnigan, non si è potuto sedere per una settimana» si guardarono e incominciarono a ridere.
«Sempre le solite» sbuffò Dominique e i tre si guardarono preoccupati.
Subito dopo andarono in una sorta di cortile ricoperto dal verde dell’erba tagliata con cura e recintato da quattro possenti mura ai cui lati vi erano statue di maghi che erano intenti a fare magie di tutti i tipi: far spuntare un fiore, sputare fuoco o acqua dalla bacchetta, uno trafficava con delle boccette e l’ultimo aveva il naso immerso in un libro.
«Schiena dritta e orecchie aperte!»
Una donna sbucò dall’arco che dava sulla distesa verde su cui gli studenti del primo anno aspettavano ansiosi. Aveva una lunga treccia argentea poggiata lungo la spalla destra, occhi smeraldo e un curioso naso all’insù. Era molto giovane, o almeno lo sembrava, aveva un perfetto fisico slanciato, ma coperto da strati di imbottiture e coperture di cuoio abbinate ai guanti che le fasciavano le mani lunghe e affusolate. Se non fosse stato per i suoi vestiti, Alwys non l’avrebbe presa per una giocatrice professionista di Quidditch.
«Oh, Albus…» si girò incollando i due smeraldi al ragazzino che deglutì.
«Salutami tua madre» lui annuì imbarazzato sotto gli occhi di tutti.
Sorrise e superò il gruppo di studenti.
«Formate due file, per la distanza che deve esserci fra di voi, stendete le braccia e toccate con la punta delle dita quelle del vicino» si mise in posizione per far capire meglio ciò che intendeva.
Albus si mise fra Rose e Alwys, e Adeline accanto a quest’ultima. Si guardarono emozionati e sorrisero.
La donna si mise al centro delle due file e, con un colpo della bacchetta, fece volare le scope accanto a lei facendo spalancare gli occhi di tutti.
«Sono la Professoressa Armenia Hooch» ad ogni colpo della bacchetta una scopa si posizionava accanto ad uno studente. «E vi insegnerò come volare su una scopa, come già sapete».
Alwys fu tentata di toccare la sua, ma trattenne quella tentazione all’idea di ricevere un’altra punizione.
«Questa materia è solo per gli alunni del primo anno, ma ciò non vuol dire che sia semplice» le scope finirono e lei incrociò le braccia al petto facendo penzolare la bacchetta dai riflessi ramati. «Nessuno vuole finire in infermeria, giusto? Quindi fate tutto ciò che vi dico, qualsiasi trasgressione verrà punita con punti della casa in meno, oltre che con una costola rotta.»
Gli studenti annuivano ad ogni sua frase, nei loro occhi era impresso il timore misto all’euforia: anche se volare era difficile e pericoloso, era il sogno di ogni bambino.
La professoressa stese la mano davanti a sé.
«Fate lo stesso dal lato della scopa» gli studenti fecero come aveva detto e le mani di Alwys incominciarono a sudare per l’emozione.
«E ora dite con decisione “Su!”» la scopa accanto alla professoressa scattò nella sua mano.
I quattro si guardarono confusi: Rose la prima volta non ebbe successo, ma la seconda, dopo un sonoro Su!, sentito da tutta la scuola, riuscì a far salire la scopa; per Adeline ci volle un po’ perché non sapeva imporsi, ma alla fine fu come se la scopa si fosse rassegnata e con uno scatto si alzò verso la sua mano facendola traballare leggermente; Albus, con decisione, ci riuscì al primo colpo e guardò soddisfatto le sue amiche.
«Ho dei genitori fissati con il Quidditch.»
Alwys, invece, perse le speranze: la scopa stava beatamente distesa sull’erba senza la minima intenzione di alzarsi.
«Dovresti importi di più, prova a fare la voce grossa» Scorpius, che era davanti a lei, le fece l’occhiolino.
I suoi capelli erano color biondo cenere e perfettamente lisciati, gli occhi castani, invece, erano contornati da rade ciglia chiare. La Grifondoro cercò di ricordarsi dove lo aveva visto, perché il suo volto non le era nuovo, ma, prima che poté rispondere, Rose prese parola.
«Malfoy, non ha bisogno dei tuoi consigli, può cavarsela.»
«Lo vedo» rispose lui.
Alwys diventò rossa come la sua cravatta e Rose la fulminò con lo sguardo come faceva quando era arrabbiata con lei. Praticamente sempre. In quel momento si ricordò: era il ragazzo con cui avevano condiviso la barca per arrivare ad Hogwarts e che si era battibeccato con Rose durante la lezione di Erbologia.
«Su!» la scopa, finalmente, scattò nella sua mano facendole tirare un sospiro di sollievo.
Scorpius la guardò sorridendo, invece Rose alzò gli occhi al cielo scocciata.
«Ora che siamo tutti pronti, salite sulla scopa.»
Dopo uno scambio di occhiate presi dal panico, gli studenti fecero come era stato detto tenendosi saldi nel manico.
«Con un colpetto dei piedi sollevatevi per almeno dieci secondi.»
Fu molto difficile perché, appena i piedi non toccavano terra, era come stare alzati su una canoa smossa dalle onde. Albus era molto a suo agio, riuscì a stare anche più di dieci secondi sospeso in aria, riempito di complimenti da parte della professoressa. Anche Rose era molto brava, si vedeva che si stava impegnando con tutta sé stessa, molto probabilmente per superare Scorpius che al secondo colpo era riuscito a rimanere sospeso per dieci secondi. Alwys ondeggiava leggermente e stringeva convulsamente il manico: con Ted era stato diverso, lui era così sicuro che aveva trasmesso quella sicurezza anche a lei. Appena ci riuscì si sentì molto soddisfatta, ma subito dopo la Professoressa diede esercizi sempre più complessi che non davano nemmeno il tempo agli alunni di esultare perché erano riusciti a fare qualcosa. Alla fine tutti erano molto stanchi ma sorridenti, salutarono la Professoressa e andarono ognuno nelle proprie sale comuni per studiare nella seguente ora buca. In confronto alle altre lezioni, questa era stata la più difficile.
«Ci vediamo.»
Alwys ricambiò il saluto con un cenno della mano ed Adeline andò via saltellando e canticchiando verso la sala comune dei Tassorosso.
Subito dopo Alwys si girò verso l’amico.
«Perché lo chiama per cognome?» sussurrò ad Albus che in un primo momento apparve perplesso.
«Ah! Stai parlando di Scor-» Alwys si buttò sulla sua bocca per tappargliela: Rose si girò verso di loro e li guardò con un sopracciglio alzato, ma fortunatamente subito dopo tornò a parlare con le sue amiche.
«Mi raccomando, la prossima volta urla più forte» lo ammonì la Grifondoro aggrottando le sopracciglia.
«Scusa!» esclamò lui alzando entrambe le mani. «Comunque è una storia lunga… diciamo che mio zio Ron non vede di buon occhio i Malfoy, quindi ha sempre detto a Rose che deve essere migliore di lui e non fraternizzare, per questo lo chiama per cognome» spiegò stringendo le spalle.
«Non ha molto senso» snocciolò lei guardando dubbiosa la rossa da lontano.
«Perché?»
«Non importa chi sono stati i tuoi genitori, importa chi sei tu e chi vuoi diventare» disse e notò l’ombra di un sorriso nel volto dell’amico.
«Imparerai una cosa molto importante dalla mia famiglia» si fermò e la guardò dritta negli occhi. «Conta molto da dove provieni.»
 

 

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Capitolo 11
*** 10. Prima luna piena ad Hogwarts ***


10
Prima luna piena ad Hogwarts

 
I giorni erano passati velocemente: era come se tutte quelle nuove emozioni e lezioni ubriacassero Alwys che non aveva più la cognizione del tempo. Solo quando Rose le fece notare che il suo ciondolo era diventato una luna piena, fu come se il tempo si fosse fermato.
«È davvero carino questo ciondolo, l’idea che segua le fasi lunari è fantastica!» esclamò indicandolo.
«Sì, è vero…» disse distrattamente per poi nasconderlo dentro la camicia, come se, non vedendolo, la luna piena sarebbe sparita.
Ancora Ted non mi ha detto nulla, come farò sta sera?
Continuava a pensare mentre, durante la lezione del giorno dopo, cercava di fargli capire i suoi pensieri con lo sguardo. Ma Ted, quando entrava in aula, diventava un’altra persona: era sempre serio, composto e pensava solo a spiegare e poi dimostrare, a volte sorrideva, ma era successo solo poche volte dal primo giorno e, quando accadeva, si alzava un coro di gridolini fra le ragazze.
Però, quando tutte le speranze di Alwys ormai erano al minimo, finalmente, mentre stava andando verso i dormitori, Ted sbucò da dietro un pilastro e la prese per un braccio portandola in una stanza che in genere serviva a tenere le scope e altri oggetti simili.
«Scusami se non mi sono fatto vivo, sono stati giorni pesanti.»
Alwys, nel vederlo finalmente sorridente e con lo sguardo di quando lo aveva conosciuto, gli gettò le mani al collo per intrappolarlo in un abbraccio.
«Così non mi fai respirare!» disse lui ridendo per poi ricambiare l’abbraccio.
«Cosa devo fare?» chiese Alwys e d’un tratto il suo sguardo divenne serio. Ted deglutì.
«Ti porterò all’ingresso di un passaggio, dovrai percorrerlo tutto e alla fine di esso dovrai aprire una porta e rimanere in quella casa fino al mattino seguente» le spiegò Ted accarezzandole una guancia per farla tranquillizzare. «È meglio se ti cambi, sennò rovineresti…»
«L’uniforme» completò lei la frase.
Ted annuì e poi la lasciò andare nel dormitorio.
Per fortuna si era portata dei vestiti, ma non pensò a cosa avrebbe dovuto dire a Rose e Dominique, che, infatti, la guardarono confuse mentre si cambiava con una maglietta e dei pantaloni.
«Si può sapere dove devi andare?»
«Io…» Alwys si bloccò con la maglietta a metà petto, cercò una qualsiasi scusa, ma la sua mente era totalmente bianca. «La professoressa di astronomia mi ha detto di andare da lei perché vuole farmi vedere una cosa.»
Entrambe assottigliarono lo sguardo.
«Ok» dissero in coro, anche se non erano molto convinte, e Alwys cercò di fare il più in fretta possibile prima che facessero altre domande.
Trovò Ted nello stesso posto di prima: si guardava intorno e si girava ad ogni rumore come se non volesse essere visto da qualche studente.
«Non dirmi che ci hanno creduto» disse ridendo dopo che la ragazzina gli raccontò della discussione avvenuta con le amiche. «L’importante è che non facciano domande, la prossima volta penseremo a qualcosa di più convincente.» 
Camminarono molto, superarono un paio di rampe di scale e Alwys si accorse che stavano scendendo sempre più in basso. Varcarono una porta ed entrarono in una stanza piena di quadri che si muovevano.
«Questa è la Sala dei Ricordi, ci sono tutti i ritratti dei caduti per mano di Voldemort» spiegò Ted mentre a passo svelto attraversava la stanza.
Alwys ebbe un brivido appena si rese conto che erano davvero tanti.
Si fermarono davanti al ritratto di un uomo ed una donna: l’uomo, aveva il viso cosparso di lievi cicatrici e rideva, non era molto giovane in confronto alla donna con i capelli fucsia acceso che stava tramutando la sua faccia in quella di un’oca e poi in quella di un maiale. Alwys guardò la targhetta sotto di loro: Remus John Lupin e Nymphadora Tonks Lupin. Si girò verso Ted e vide un’ombra di dolore oscurargli il volto.
«Erano i miei genitori» quelle parole uscirono amare e piene di tristezza e fecero venire una stretta al cuore di Alwys come se quel dolore fosse anche il suo.
La ragazzina rimase in silenzio, non sapeva cosa fare perché non voleva dire qualcosa di sbagliato, così decise semplicemente di prendere la mano di Ted e di accarezzarla col pollice.
«Il passaggio è dietro questo quadro, hanno deciso di spostarlo qui perché mio padre era pure un lupo mannaro e lo hanno costruito per lui, quindi hanno pensato che fosse la scelta più giusta» le spiegò senza spostare il suo sguardo dai due.
Alwys continuava disperatamente a guardarlo, voleva fare qualcosa per farlo sentire meglio, ma sapeva che qualsiasi cosa avesse fatto non sarebbe cambiato nulla. Si prese di coraggio, si avvicinò di più al quadro e puntò gli occhi su Remus che ricambiò.
«Spero non ti dispiaccia se userò il passaggio, ne ho bisogno perché anche io sono un lupo mannaro» incominciò a parlare e finalmente Ted spostò il suo sguardo sorpreso su di lei «Vorrei tanto averti potuto conoscere perché così mi avresti spiegato un po’ come funziona fra noi lupi mannari» si mise a ridere e lo fece anche Remus «Però tuo figlio è riuscito a farcela comunque, mi ha aiutata» gli occhi dell’uomo brillarono per la commozione «È diventato un uomo fantastico, sono sicura che siete fieri di lui.»
Nymphadora strinse le mani di Remus, annuirono entrambi e sorrisero guardando Ted, poi il quadro si aprì come una porta.
Alwys si girò e vide che Ted aveva gli occhi gonfi di lacrime che invano cercava di ricacciare, lei si alzò sulle punte e gli diede un bacio sulla guancia.
«Che succede qui?»
Una voce fece fare un balzo ad Alwys, che si girò intorno per individuare la proprietaria di quella voce. Ted, invece, sembrava del tutto tranquillo.
La ragazza che si parò davanti a loro sembrava una normale studentessa: aveva i capelli lunghi e una spessa frangetta, ovviamente indossava l’uniforme. L’unico problema? Era un fantasma!
«E tu chi sei?» chiese la Grifondoro cercando invano di guardare lo stemma cucito nella sua giacca, che però era coperto da una ciocca di capelli.
«Alwys voglio presentarti una delle mie più care amiche» disse Ted avvicinandosi verso la ragazza. «Julie.»
«Piacere» disse sorridendole e istintivamente alzò la mano, ma subito dopo la riabbassò imbarazzata.
«Per sentirti meno sola ti accompagnerò io alla casa, ok?» disse lei poggiando i piedi sul terreno.
Era un pochino più alta di Alwys e, ora che la poteva guardare più da vicino, notò delle leggere lentiggini cosparse sulle sue guance e gli occhi erano contornati da folte ciglia incorniciate da un paio di occhiali scuri ed occhio di gatto. Alwys si chiese come mai si conoscessero, ma lo avrebbe fatto più tardi: in quel momento il tempo non era dalla sua parte.
«Perfetto, grazie…» rispose un po’ imbarazzata.
«Ci penso io a lei» disse poi rivolgendosi verso Ted: lui sembrò quasi volerle accarezzare i capelli, ma subito dopo bruscamente distolse lo sguardo.
«Sei in buone mani» disse lui facendole l’occhiolino e poi entrambe entrarono. 
Il passaggio era pieno di ragnatele e la polvere faceva starnutire Alwys in continuazione, sentì anche piccoli passetti ma cercò di non pensare ai topi che sguazzavano là dentro. Fortunatamente Julie emanava un po’ di luce, che almeno faceva vedere ad Alwys dove metteva i piedi.
«La prossima volta mi farò insegnare da Ted un incantesimo per fare un po’ di luce» disse mentre continuava a camminare tastando le pareti e sperando di non toccare qualcosa che non fosse la roccia.
Finalmente vide in lontananza una porticina i cui lati erano illuminati, molto probabilmente perché dietro c’era una fonte di luce. La varcò e vide che nel quadro-porta vi era un quadro simile a quello di Hogwarts, solo che Nymphadora e Remus non c’erano, ma solo il paesaggio.
«Benvenuta nella Stamberga Strillante!» esclamò Julie volando verso il centro della stanza.
Si girò e si trovò in una casa un po’ mal ridotta: le sembrò che fosse abitata perché le luci erano accese, c’era il letto, la cucina e un tavolo, ciò che le fece capire che fosse disabitata era il fatto che tutto era ricoperto da uno strato di polvere e sia il tavolo sia il resto dei mobili erano stati rosicchiati dai topi.
«Stamberga Strillante?» chiese storcendo il naso per quel nome un po’ inquietante.
«Quando il signor Lupin veniva qui e si trasformava, le persone sentivano ululati simili a lamenti e vari rumori, per questo fu ribattezzata così» spiegò lei girandosi verso la finestra: in quel momento Alwys poté vedere il distintivo dei Tassorosso.
Le assi del pavimento scricchiolarono sotto i suoi piedi e ad un tratto il suo piede sprofondò in una che doveva essere marcia. Guardò anche lei fuori da una finestra le cui tendine erano ridotte a brandelli e vide che ormai era buio pesto. Il suo cuore incominciò a battere all’impazzata, poi vide che da dietro una nuvola la luna stava per fare il suo ingresso.
«Devo avvertirti, però» quella frase fece venire ad Alwys un brivido lungo la schiena. «Ai primi raggi del sole io svanirò.»
«Perché?» ma, prima che poté sentire la risposta, il buio si impadronì dei suoi occhi.
 
Una lieve luce le stuzzicò gli occhi, con le mani toccò ciò su cui era distesa e notò che era il pavimento della Stamberga Strillante e un’insopportabile puzza di muffa arrivò alle sue narici. Cercò di girarsi da un lato ma una fitta lancinante al braccio le mozzò il fiato: la maglietta era stata completamente dilaniata e l’azzurro originario era stato coperto dal rosso. Due enormi buchi da cui uscivano fiotti di sangue le avevano lacerato la pelle. Si sentì male alla vista di tutto quel sangue, di solito si risvegliava nel suo letto con le ferite medicate da sua madre, ma mai una di queste era stata così profonda. Il sangue non si arrestava, si sentiva debole e priva di tutte le forze. Cercò di alzarsi per tornare a scuola, ma riuscì solo a strisciare fra le lacrime per il dolore e per quello spettacolo orribile. Arrivò nella stanza dove c’era il quadro e notò che c’erano Nymphadora e Remus che la guardarono preoccupati e la donna era come se cercasse disperatamente di uscire dal quadro per aiutarla. Alwys non ce la fece più, cercò di alzare una mano verso di loro ma poi sprofondò nell’incoscienza.
«Alwys! Alwys!»
Qualcuno chiamava il suo nome, ma non riuscì a mettere a fuoco, vide soltanto delle luci che la accecarono, poi un lupo trasparente come se fosse un fantasma che si avvicinò a lei e le leccò la ferita. La voce che chiamava il suo nome divenne ancora più forte, il lupo si girò e si mise in posizione come se volesse proteggerla da qualcosa, infatti arrivò un gigante drago rosso fuoco che la guardò minacciosa.
«Alwys! Alwys!»
La voce proveniva da dietro di lei, ma non voleva abbandonare il lupo, lui capì i suoi pensieri e si girò verso di lei.
«Vai, hanno bisogno di te» la sua voce era dolce e femminile, le ricordò il vento che sussurrava agli alberi.
Una luce la accecò di nuovo e finalmente aprì gli occhi. Si trovava in una stanza completamente bianca, sdraiata su un lettino che era coperto per metà da una tendina: l’infermeria! Chi l’aveva portata qui? Cercò di ricordare, ma l’immagine del lupo era stampata nella sua mente. Alzò la testa e vide che un ragazzo con i capelli neri aveva la testa appoggiata sul lettino come se stesse dormendo. Alwys provò a spostargli i capelli per capire chi fosse, ma appena si mosse lui alzò di scatto la testa.
«Ti prego dimmi che stai bene» era Ted, solo che sia i suoi occhi sia i suoi capelli erano neri come la pece.
Alwys provò a parlare, ma non ci riuscì poiché aveva la gola completamente secca.
«Giusto, l’acqua…»
Ted rapidamente prese una brocca e un bicchiere che erano sul comodino accanto al letto, le sue mani tremavano e qualche goccia cadde sulle lenzuola. Alwys bevve e si sentì subito meglio.
«Sto bene.»
Ted rilassò il suo sguardo: aveva le occhiaie come se non dormisse da giorni e i suoi capelli divennero blu scuro.
«Cosa è successo?»
Lui la fulminò con lo sguardo, ma subito dopo realizzò che la ragazza non ricordava nulla.
«Sei rimasta incosciente per quattro giorni, avevi perso molto sangue e la tua ferita era profonda» rispose secco senza guardarla negli occhi, come se il gioco di ombre delle pieghe del copriletto fosse più interessante. «Se i miei genitori non mi avessero avvisato forse non saresti qui.»
Alwys ebbe un tuffo al cuore: loro li ricordava, ma non pensava potessero andare ad avvisare Ted e mentalmente li ringraziò. Tirò un sospiro di sollievo, invece lui rimase col fiato sospeso.
«Non dovevo lasciarti sola» quella frase fu come una freccia che le trafisse il cuore.
«Non è colpa tua, anzi, se fossi stato lì avrei fatto del male a te…»
Calò il silenzio, Alwys fece vagare il suo sguardo fra i capelli scuri di Ted e lui le guardò la spessa fasciatura che aveva all’avambraccio. Si morse il labbro pensando che lo aveva fatto preoccupare così tanto da non farlo dormire e da fargli cambiare il colore dei capelli.
«Dobbiamo trovare una soluzione» disse ad un tratto. «Come gestivano questa situazione i tuoi genitori?»
«Io… non lo so, ogni volta mi risvegliavo nella mia stanza e con le ferite medicate, ma mai sono state così profonde» spiegò, la sua voce tremava e, come un fulmine a ciel sereno, tutti i ricordi di quella notte le piombarono addosso.
Ted spostò il suo sguardo immerso nei pensieri e strinse il lenzuolo.
«Meglio che vada, ora sono più tranquillo» disse per poi alzarsi dallo sgabello su cui era seduto.
Si stirò la schiena e fece una smorfia di dolore perché doveva essere rimasto seduto in quella posizione per molto tempo.
«C’è altra gente che vuole vederti.»
«Cosa gli hai raccontato?» chiese Alwys ricordandosi di Albus, Rose e Adeline che molto probabilmente erano preoccupati.
«Che sei caduta dalla torre di astronomia e ti sei rotta il braccio.»
A quanto pare anche lui è pessimo con le scuse, pensò lei.
«Grazie» disse Alwys, ma Ted non sorrise, il suo sguardo era su di lei ma la sua mente era altrove.
Rose non c’era e ciò fece dispiacere molto Alwys, ma i sorrisi e le parole dolci di Adeline e Albus riuscirono a farle pensare ad altro.
«Fammi capire: sei riuscita a scavalcare il recinto di ferro attorno al bordo della torre e a cadere giù?» chiese Albus e gli sguardi indagatori dei due amici le si attaccarono addosso facendola deglutire.
«Sì…»
Non aveva idea di cosa dire, la scusa di Ted faceva acqua da tutte le parti e lei non era mai stata una brava bugiarda. I due continuarono a tartassarla di domande, dopo che l’avevano lasciata andare nella torre di astronomia senza farle alcuna domanda, non credevano molto a ciò che diceva. Solo dopo un po’ si stancarono di porre domande, anche perché notarono che Alwys continuava imperterrita a sostenere la sua causa persa.
«Non potete semplicemente essere felici che sto bene?»
Adeline annuì, ma Albus sbuffò. Non era abituata a tutte quelle attenzioni e si sentì quasi soffocare.
«Ti sei persa Benton Thomas che ha fatto esplodere la sua pozione scacciabrufoli, è stato esilarante! Secondo tutti c’è lo zampino di Molly e Lucy» disse Adeline ridendo e Alwys fu felice del cambiamento di discorso.
«Ora sì che ho paura di fare una pozione» rispose la Grifondoro mentre gli altri due presero a ridere.
Albus si sedette sul lettino accanto alle sue gambe, invece Adeline optò per la sedia su cui si era seduto Ted. Era felice come non lo era mai stata, a volte a casa sua quando si risvegliava con le ferite fasciate, andava in punta di piedi dietro la porta della cucina e sentiva sua madre che piangeva mentre suo padre le accarezzava i capelli. Si era sempre sentita in colpa per tutte le preoccupazioni che dava a loro, invece in quel momento, alla luce di un caldo sole autunnale, l’unico sentimento che riempiva il suo cuore era la felicità.
 

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Capitolo 12
*** 11. Misteri tra le mura della scuola ***


11
Misteri fra le mura della scuola

 
 
Il mattino dopo finalmente lasciò l’infermeria. Aveva le gambe indolenzite perché Hannah Abbott, l’infermiera, le aveva permesso di alzarsi solo per andare in bagno. La prima cosa che le disse Albus appena varcò la porta fu che doveva assolutamente andare alla partita di Quidditch perché Dominique avrebbe gareggiato. Emozionata, Alwys non ci pensò due volte e seguì Albus che sembrava conoscere a memoria il percorso da fare.
«Dominique è pazzesca, un fulmine! Per questo è il cercatore» spiegò il ragazzo camminando a testa alta con aria fiera.
«Il cercatore…?»
Albus si fermò di botto, infatti Alwys arrivò a sbattere contro la sua schiena. Lui si girò verso di lei con la bocca spalancata.
«Non sai chi sia il cercatore?»
La ragazza ebbe paura di rispondere, così optò per un’espressione neutra che però fece arrabbiare ancora di più Potter.
 
«Vieni con me…»
La prese per un braccio e tornarono indietro, camminarono per un po’ mentre Albus continuava a tirarle la tunica. Finalmente si fermarono davanti ad una grande vetrina.
«Il Quidditch ha sette giocatori: tre cacciatori che cercano di far entrare la pluffa dentro gli anelli, due battitori che allontanano i bolidi dagli altri giocatori, il portiere che deve evitare che i cacciatori avversari facciano punto e il cercatore che ha il compito di prendere il Boccino D’oro guadagnando 150 punti. Mio padre era un cercatore» alzò il dito verso un ripiano di legno dove erano attaccati piccoli scudi d’oro.
Alwys aguzzò la vista e lesse in uno di quelli “Cercatore: Harry Potter”, si girò verso Albus ma notò che non aveva un’espressione orgogliosa sul volto. Piuttosto, sembrava deluso.
«Anche tu vuoi diventare un cercatore?»
«Ovviamente no, non sono fatto per questo sport, non sono agile e ho dei riflessi pessimi» insieme alle sue parole sembrò uscire veleno e Alwys non capì il perché della durezza della sua voce.
«Ma a te piace tantissimo il Quidditch.»
«Sì, ma non andrei da nessuna parte. Io devo studiare e poi mi troverò un vero lavoro» guardò con disprezzo quella teca e poi si allontanò senza aspettare Alwys.
Lei lo raggiunse e cercò di capire il perché di quella reazione.
«Non per forza devi diventare un giocatore a livello agonistico, quindi perché non ci provi?» ma Albus la fulminò con lo sguardo.
«Tu non rispondi mai alle mie domande, io non rispondo alle tue» detto questo aumentò il passo e Alwys preferì rimanere un po’ distante da lui.
Quelle parole la ferirono molto: l’Albus che pensava di conoscere non avrebbe mai detto una cosa del genere, o almeno non con quel tono. Come poteva pretendere di conoscerlo bene dopo qualche giorno? Ripensò al suo sguardo e ci vide solo tanto dolore, ma non riuscì proprio a capire il perché… quanto avrebbe voluto conoscerlo meglio, di lui sicuramente avrebbe apprezzato sia i suoi pregi che i suoi difetti.
Passarono davanti alla porta d’ingresso e videro la professoressa di Storia della Magia Katherine Lewis che stava per uscire: era davvero una strana donna perché riusciva a passare da sguardi dolci a sguardi che sembravano appartenere ad un’omicida che potrebbe soffocarti nel sonno. Ok, forse Alwys stava esagerando, ma era quella l’impressione che dava.
«Buongiorno, professoressa» dissero entrambi.
Lei sembrò trasalire all’udire le loro voci, infatti si girò lentamente e incatenò il suo sguardo su di loro.
«Buongiorno, cosa fate qui?» appena vide che erano due studenti rilassò il suo volto e tornò alla sua solita e dolce espressione. 
«Stiamo andando alla partita di Quidditch, siamo passati di qui perché ho fatto vedere ad Alwys la vetrina con i campioni dei Grifondoro» spigò Albus mentre i suoi occhi brillavano.
«Interessante…»
«Lei?» alla domanda di Alwys la professoressa mutò espressione.
«Non sono affari di uno studente» disse guardandola sprezzante per poi girarsi verso l’uscita facendo ondeggiare i capelli corvini.
«Arrivederci» dissero in coro, ma lei non rispose e sparì dietro l’angolo.
«Io la detesto» asserì Alwys ripensando al suo fisico perfetto e alle sue minigonne.
«Io la trovo fantastica.»
«Maschi…» risero entrambi e continuarono a camminare come se l’atmosfera pesante di prima si fosse dissolta.
Arrivarono sugli spalti, Alwys rimase a bocca aperta nel vedere la vastità del campo e la moltitudine di persone che urlava. Non era mai andata ad una partita nemmeno quando era nel mondo babbano. Lo stadio era diviso in due: una parte completamente rossa e oro e l’altra gialla e nera, che lasciava perfettamente intuire quali squadre stassero per giocare. Il campo era ovale, invece del classico prato inglese del calcio, visto che Alwys pensava assomigliasse a quello sport per il fatto che ogni squadra avesse un portiere, c’era una distesa di sabbia e ai lati tre cerchi di diversa grandezza su dei pali di diversa altezza.
Come possono i giocatori fare segno con le porte così alte?, si chiese Alwys nella mente.
Albus cercò con lo sguardo qualcuno, poi dalla massa si alzò una testa color carota che agitava la mano: Rose. La raggiunsero e presero posto accanto a lei che era seduta con il gruppetto di ragazze con cui passava la maggior parte del tempo.
«Adeline?» chiese Alwys urlando con tutto il fiato che aveva nei polmoni per sovrastare le altre voci.
«Mi ha detto che non le piacciono questo genere di cose» la ragazza annuì.
Le squadre fecero la loro entrata perfettamente in linea: ogni giocatore cavalcava una sfavillante scopa e si destreggiava con molta facilità.
Così si spiegano molte cose, pensò Alwys mentre vedeva che si esibivano in un balletto acrobatico perfettamente coordinati.
Poi il nome di ognuno venne annunciato dalla preside McGranitt che teneva la sua bacchetta premuta sul collo permettendole di farsi sentire da tutti. Dominique aveva un enorme sorriso che le percorreva il volto, gli occhi le luccicavano, la sua pelle brillava per il sudore che le stava inumidendo le tempie e i suoi ricci saltavano subito all’occhio fra tutti gli altri giocatori. Poi entrarono i Tassorosso, tutti allegri che sorridevano e salutavano il pubblico e si limitarono a qualche piroetta e acrobazia sulla scopa.
«Che la partita…» la voce della McGranitt riecheggiò per tutto il campo e le squadre si misero in posizione. «Abbia inizio!»
Immediatamente tutti quelli che erano seduti sugli spalti si alzarono e incominciarono a urlare il nome della propria squadra battendo le mani o fischiando con la bocca. Alwys si alzò pure, ma non aveva proprio idea di cosa fare: gli sport non facevano proprio per lei e a fine giornata non voleva rimanere senza voce. Si limitò a battere le mani quando le batteva Albus e ogni tanto saltellava sul posto poco convinta. I suoi occhi erano presi da Dominique -era facile individuare i suoi capelli color carota fra quelli degli altri- che volava di qua e di là inseguendo un piccolo puntino che brillava alla luce del sole. C’era anche un’altra ragazza che inseguiva il boccino, che ovviamente era la cercatrice della squadra avversaria, ma per tutto il tempo rimase distante da Dominique: non la placcava o cercava di metterla in difficoltà, invece la Grifondoro le lanciava occhiate di fuoco e ogni tanto le dava degli spintoni. Vedendo quelle due ragazze, Alwys pensò che forse il capello parlante aveva preso un granchio e che sarebbe dovuta capitare Tassorosso.
«Ma c’è anche Fred!» esclamò Alwys individuando il ragazzo vicino alle porte.
«Sì, è il portiere» disse Albus cercando di sovrastare il rumore generale. «Nessuno riesce a parare meglio di lui.»
Il che era vero: Fred riusciva a prendere tutte le palle che gli arrivavano anche se gli anelli erano ad una distanza notevole fra loro. Sicuramente era tipico dei Weasley avere il Quidditch nel sangue.
Il pubblicò si ammutolì e l’attenzione di Alwys salì alle stelle: «Che succede?»
«Dominique è vicinissima al Boccino.»
La ragazza guardò meglio e vide che la Weasley era in piedi sopra la scopa, con un braccio teso davanti a sé e il puntino a pochi millimetri dalla sua mano.
La tensione crebbe, i Grifondoro rimasero in silenzio perché non volevano distrarla e i Tassorosso ovviamente non potevano incoraggiarla. Accadde tutto in pochi secondi: Dominique avanzò con un piede che però fece inclinare la scopa in avanti e le fece perdere equilibrio, con la mano destra cercò di aggrapparsi al manico ma le scivolò e precipitò per terra.
«Dominique!» l’urlo di Victoire spezzò quel silenzio.
La Grifondoro era per terra e non si muoveva. Tutti i giocatori, sia Grifondoro che Tassorosso, fermarono la partita e si avvicinarono a lei seguiti dai professori e dalla preside. In un attimo il corpo della ragazza fu coperto da quella massa di gente e Alwys non riusciva a capire se si fosse svegliata. Seguì Albus che andò da Victoire per consolarla mentre lei fra un singhiozzo e l’altro diceva che sicuramente stava bene. Dopo un po’ gli spalti si svuotarono e rimasero solo loro insieme agli altri della famiglia che erano accorsi dopo aver sentito dell’accaduto.
«Victoire, tranquilla…»
Suo fratello Louis la abbracciò, cercò di calmarla abbracciandola e accarezzandole la testa, ma lei non smetteva di piangere. Alwys si sentì come se lo avesse visto per la prima volta: oltre al binario nove e tre quarti, non lo aveva mai visto in giro, nemmeno con Dominique o Victoire quando si mettevano fuori in giardino con gli altri nelle ore buca.
«Forse è meglio che andiamo a vedere come sta» disse Molly, tutti annuirono e si avviarono verso l’infermeria.
Fuori da essa c’era la preside che parlava con Madame Abbott che aveva lo sguardo molto preoccupato e ciò fece scoppiare di nuovo in lacrime Victoire.
«Mia cara, stai tranquilla» la preside McGranitt si avvicinò a lei e le asciugò le lacrime con le dita per poi accarezzarle il viso.
«Si è svegliata, ma le faceva molto male la testa, quindi ora sta dormendo. Ha la gamba rotta e mi dispiace dirlo ma non potrà giocare per un po’.»
Da ciò capirono che lo sguardo molto preoccupato di Madame Abbott era per il fatto che, appena Dominique avrebbe scoperto di non poter giocare per un po’, ci sarebbe rimasta molto male.
«La ringrazio» provò a dire Victoire tra un singhiozzo e l’altro.
«Vai da lei adesso» disse la Preside con tono dolce accarezzandole i capelli platino.
La ragazza annuì e varcò la porta insieme a Louis, invece gli altri preferirono rimanere fuori per lasciare un po’ di spazio alla sorella e al fratello.
«Voi potete tornare ai vostri dormitori, non credete?» la McGranitt tornò con la sua solita espressione seria.
Si girò per andarsene, ma incontrò lo sguardo di Alwys.
«Signorina Dewery» fece un cenno con la testa a mo’ di saluto e poi andò verso le scale facendo oscillare il suo vestito smeraldo.
«Siete intime?» chiese Rose con una punta di invidia, ma Alwys disse che non aveva idea del perché la preside avesse detto il suo nome e l’avesse guardata con quell’aria di sufficienza.
«Fantastico, anche la preside ti odia!» dissero in coro Molly e Lucy, ma Albus le fulminò con lo sguardo facendole capire che non era il caso di scherzare.
Fecero per andarsene, ma arrivò Ted correndo e si fermò chinandosi sulle ginocchia per riprendere fiato.
«Come sta Dominique?»
«Adesso sta riposando, ma niente di grave.»
«Meglio così. Victoire?»
«La tua fidanzatina è dentro.»
«Zitte!» Ted incenerì con lo sguardo le due gemelle, poi indugiò davanti alla porta e decise che forse era meglio aspettare che uscisse. Si girò verso Alwys e vide il suo sguardo spento che vagava nelle scale.
«Che hai?»
La ragazza sembrò come svegliarsi da un incantesimo e lo guardò confuso.
«Niente» rispose e poi andò via senza aspettare nessuno.
«Che le è preso?» chiese Rose incrociando le braccia al petto un po’ infastidita dal suo comportamento.
«Vorrei tanto saperlo…» disse Ted mentre con lo sguardo seguiva la figura della ragazza che sparì lungo le scale tenendo il ciondolo stretto nella mano.  
 
«Come stai?»
Piccoli raggi di luce sopravvissuti alle tende bianche si adagiavano fra le pieghe della coperta che copriva la spessa fasciatura della gamba.
«Potrebbe andare meglio» il volto di Dominique aveva perso il suo splendente sorriso per lasciare spazio ad un’espressione contratta dal dolore.
Alwys arrivò poco dopo, aveva preferito andare nel dormitorio per coccolare un po’ Ninfa e schiarirsi le idee prima di tornare dagli altri. Non sapeva cosa dire, sapeva quanto il Quidditch fosse importante per Dominique e non trovava parole adatte per esprimere il suo dispiacere. La Grifondoro prese la mano dell’amica e la accarezzò sapendo che delle parole al vento non sarebbero bastate. Ad un tratto la porta si spalancò ed entrò il professor Draconem che…
«Ma che…?» esclamò Dominique strabuzzando gli occhi seguita da Alwys.
Il Professor Draconem indossava un vestitino da infermiera rosa con tanto di copricapo su cui era disegnata una croce rossa. Entrambe rimasero immobili: anche se era una scena molto buffa, si trattava comunque del Professor Draconem, se avessero riso sarebbero sicuramente finite nei guai.
«Ora mi dite come avete fatto» disse Dominique per poi scoppiare a ridere mentre Alwys la guardava confusa.
«Noi Corvonero siamo bravissimi negli incantesimi!»
Da dietro il professore sbucò una lunga chioma bionda.
«Noi Corvonero siamo bravissimi in tutto!»
Dall’altro lato spuntò James con la sua solita espressione saccente.
Il viso di Dominique si illuminò e, appena Victoire le fu vicina, la intrappolò in un goffo abbraccio.
«Qualcuno mi può spiegare?» Alwys era molto confusa, il suo sguardo faceva avanti e indietro dal viso di Dominique a quello del professore.
«Signorina Dewery, deduco che lei non ne sa nulla di incantesimi» era proprio il professore: la voce, le espressioni e il modo di muoversi.
«Non ditemi che avete drogato il professore…»
Tutti ripresero a ridere ed Alwys incrociò le braccia al petto con un’espressione corrucciata.
«Ovviamente è stata una mia idea» disse una delle gemelle Weasley appena entrata dalla porta.
«E chi poteva se non voi?» disse Dominique che finalmente era tornata con la solita espressione serena.
«Cosa vuoi che faccia, signorina?»
Tutti si misero a ridere mentre il professore improvvisava qualche passo di danza facendo svolazzare il suo vestitino un po’ troppo corto.
James notò lo smarrimento negli occhi di Alwys e si avvicinò a lei: «Victoire è molto brava in trasfigurazione, così l’ho aiutata a trasformare Molly nel professore»
La Grifondoro annuì e si diede mentalmente della stupida.
Le risate degli studenti riecheggiarono nell’infermeria mentre buie nuvole si impadronivano del cielo stendendo un velo grigio sul castello le cui lanterne stavano per accendersi. Ma c’era comunque qualcosa che continuava a turbare Alwys e più cercava di ripercorrere quella notte, più si confondeva. La risposta arrivò la sera, prima di cena, quando ormai il buio della notte aveva inghiottito il sole.
«Julie!» esclamò attirando l’attenzione di tutti.
«Julie? Chi è?» chiese Albus guardandola con un sopracciglio alzato.
«Cosa? No… Non ho detto Julie» sussurrò evitando il suo sguardo interrogatorio. «Comunque devo andare!»
Disse per poi scappare via prima che ai suoi amici venisse la brillante idea di tartassarla di domande. Ora che ci pensava non sapeva come stava Julie e non aveva avuto sue notizie da Ted. In fretta scese le scale facendosi strada fra gli studenti affamati che la guardavano arrabbiati perché venivano spinti di lato. Quando arrivò nella Sala dei Ricordi, però, essa era completamente vuota.
«Julie? Sei qui?» chiese all’aria per poi avvicinarsi al quadro di Remus e Ninfadora. «Sapete dov’è?»
«Dietro di te» disse l’uomo accennando un sorriso.
Quando Alwys si girò, infatti, la Tassorosso era lì con i piedi che sfioravano il pavimento come se potesse ancora camminare normalmente.
«Ciao, che sorpresa!» esclamò accogliendola con un sorriso. «Ho saputo che ti sei fatta male, mi dispiace tantissimo non averti potuto aiutare… fino a quando c’ero io non ti eri fatta niente.»
«Tranquilla, non sono qui per darti la colpa» si giustificò Alwys scuotendo il capo. «Piuttosto volevo sapere come stavi.»
«Sei tu quella che ha perso litri di sangue e chiedi a me come sto?» chiese lei e si morse il labbro appena si rese conto della stupidaggine che aveva detto. «Scusami…»
«Veramente, non c’è bisogno di scusarsi, non hai fatto niente di male…» in quel momento Alwys l’avrebbe voluto abbracciare, ma per ovvi motivi non poteva. «Piuttosto, perché non ti vedo in giro?»
«Non mi va che le persone mi vedano» spiegò lei avvicinandosi al muro come se stesse camminando sul pavimento. «Farebbero molte domande… come te, suppongo.»
«Io…»
«Non devi scusarti, è normale» disse lei accennando un sorriso tirato. «Una studentessa Tassorosso morta che si aggira per il castello solo di notte…»
«Se non ne vuoi parlare va bene» disse Alwys un po’ imbarazzata.
«Credo solo che è meglio che nessuno sappia la mia storia» continuò poggiando la mano al muro così da non trapassarla. «L’unica che sa è Mirtilla Malcontenta, ma a lei l’ho dovuto dire perché il mio primo giorno da fantasma è stato pesante.»
«Mirtilla Malcontenta?» chiese Alwys ripensando a tutte le persone che aveva conosciuto fino ad allora.
«Non l’hai ancora conosciuta? Buon per te» rispose lei abbozzando un sorriso.
«Nemmeno Ted la sa?»
A quella domanda, Alwys vide Julie bloccare il dito che giocherellava con la polvere del muro.
«Sì… anche lui la sa…» sussurrò per poi girarsi verso di lei. «Alwys posso dirti solo una cosa» la Grifondoro trasalì appena la vide volare verso di lei «Non esiste il bene e il male, il bianco e il nero, ognuno di noi ha dentro entrambi e siamo noi a decidere a cosa tendere… non ti fidare di qualcuno solo perché all’apparenza è buono, perché potrebbe attingere dalla sua parte malvagia in qualsiasi momento.»
E, detto ciò, svanì dietro il quadro dei Lupin, lasciando Alwys al centro della stanza persa nei suoi pensieri.

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Capitolo 13
*** 12. L'inizio dei guai ***


 

12
L’inizio dei guai

 
 
Dopo quella pesante settimana, Alwys non desiderava altro che un po’ di tranquillità, ma ovviamente era chiedere troppo perché i giorni dopo non furono molto leggeri: il professor Draconem le metteva tutto il tempo i bastoni fra le ruote, Breanne prendeva in giro lei e Adeline, e Rose la trattava ogni giorno sempre con più disprezzo.
«Secondo me è solo una tua impressione» la tranquillizzava Albus quelle poche volte che riuscivano a stare soli perché i giocatori di Quidditch gli ronzavano sempre intorno cercando di convincerlo ad unirsi alla squadra quando sarebbe diventato più grande.
Ted non la guardava nemmeno, a volte si salutavano ma se non lo chiamava “Professore” lui si arrabbiava molto.
Per non parlare delle parole di Julie: le erano entrate dritte nel cervello e ogni tanto riaffioravano quando doveva dire un segreto a qualcuno o addirittura quando doveva prestare qualcosa a qualcuno. Ma la voglia di saperne di più sulla sua storia ogni tanto prendeva il sopravvento, tanto che si era ritrovata davanti ai dormitori dei Tassorosso senza rendersene conto. 
Il momento che preferiva della giornata era quando riceveva lettere dai suoi genitori: le mancavano molto e prendere in mano qualcosa che anche loro avevano toccato le faceva palpitare il cuore. Quasi passava più tempo nella guferia che con gli altri.
 
Cara Alwys,
Abbiamo saputo di ciò che è successo durante la luna piena: pensavamo che loro ti avrebbero potuto aiutare, invece ci sbagliavamo, vorremmo tanto riportarti qui da noi così non ti farai più male, ma deve essere una tua scelta. Sappi che ci manchi tanto e che noi faremo di tutto per non farti stare male. Ti pensiamo ogni giorno e stiamo contando i giorni che mancano a Natale. Ti vogliamo un mondo di bene.
Mamma e Papà
P.S. Questo gufo piace alla mamma, quindi continua ad usare questo.

 
Quella lettera, però, le mise più tristezza che nostalgia: quello che era successo non era stata colpa di Ted o della preside, ma sua perché aveva notato che ogni giorno che passava diventava più forte. Fortunatamente quel posto era coperto da incantesimi, quindi non avrebbe mai fatto del male a qualcuno e questo era ciò che contava di più per lei. La vista dalla guferia era fantastica: si poteva vedere una parte del castello e la foresta proibita che misteriosa si estendeva davanti ai suoi occhi. I gufi andavano e venivano e fortunatamente Alwys trovò lo stesso che aveva usato per mandare la prima lettera ai suoi. Se continuava ad usare sempre lui gli avrebbe dovuto dare un nome!
 
Cari Mamma e Papà…
 

Ma appena scrisse la prima frase fu come se non avesse idea di come rispondere alla loro lettera: andava veramente tutto bene? Era molto confusa in verità, perché le sue giornate si alternavano fra momenti di pura allegria a momenti di tristezza. Optò per una sbrigativa lettera sdolcinata tanto per farli stare tranquilli.
 
Sto benissimo e qui sono tutti molto carini con me, non me ne andrei per nulla al mondo! Mi mancate tanto, ma sento che il mio posto è qui.
Vi voglio tanto bene.

 
Era molto corta, ma in quel momento non aveva proprio voglia di scrivere. La chiuse dentro la busta e la diede al gufo che, dopo una carezza, spiccò il volo fra le grigie nuvole che sovrastavano Hogwarts. Quanto avrebbe voluto saper volare anche lei, solcare quei cieli inesplorati senza pensare a niente e a nessuno, solo lei e quel mare che in quel momento si specchiava nei suoi occhi. Con quella tristezza addosso preferì andare nella sala dei ricordi piuttosto che dagli altri: le piaceva parlare con Remus e Tonks, erano così disponibili e dolci con lei e soprattutto lì c’era il silenzio perfetto per studiare. Quel pomeriggio, però, il rumore di un gruppetto di ragazzi turbò quella quiete che avvolgeva Alwys. Scambiò un’occhiata perplessa con Remus, che però alzò le spalle con uno sguardo confuso. Alwys, allora, si alzò per controllare. Allo scalpiccio dei passi, però, si accodò un leggero brusio che si fece sempre più forte. Alwys, incuriosita, si apprestò ad andare verso il rumore, ma si girò di scatto appena vide il personaggio di un quadro tornare in esso con un respiro affannoso: era grosso, con capelli grigi, un occhio marrone e l’altro di vetro che guizzava a destra e a sinistra. Alwys non gli aveva mai parlato perché di solito se ne stava seduto su una vecchia sedia a dondolo borbottando.
«Senti, ragazzina, ti conviene nasconderti» disse facendo un cenno col capo verso una colonna.
«Cosa? Perché?» chiese lei spaesata.
«Fai come ti dico e basta!» sbottò alzando l’occhio normale al cielo.
Alwys si guardò intorno indecisa sul da farsi, poi optò per seguire il consiglio e si andò a nascondere dietro la colonna che aveva accanto il ritratto di uno studente Grifondoro.
«Cosa succede, Alastor?» chiese Tonks visibilmente preoccupata.
«Breanne, quella mocciosa» disse come se avesse appena mangiato una caramella amara. «E non è nemmeno sola.»
Infatti, proprio in quel momento, la ragazzina scese l’ultimo gradino con un salto che rimbombò per tutta la sala: con lei c’erano Kate e altre ragazze.
«Dove sei piccola Alwys?» chiese a mo’ di cantilena mentre avanzava verso il centro. «L’avete vista?»
Nessun quadro rispose, anzi la guardarono con gli occhi socchiusi.
«Per fortuna sono una strega» disse accennando un sorriso e prendendo la bacchetta. «Homenum Revelio
La bacchetta tremò leggermente e puntò la colonna dietro cui era nascosta Alwys.
«Guarda che ti ho trovata, non costringermi ad arrivare fino a lì.»
Alwys strinse i pugni e, nonostante il cuore le battesse a mille, uscì dal suo, ormai inutile, nascondiglio.
«Cosa vuoi, Breanne?» chiese guardandola dritta negli occhi dorati.
«Divertirmi» rispose divaricando le braccia. «È un male?»
«Importunare un’altra studentessa sì» controbatté Ninfadora aggrottando le sopracciglia.
«E cosa vorresti fare tu?» controbatté lei squadrandola da capo a piedi.
«Io niente, ma Remus sta già avvisando il professor Lupin.»
Ma quella frase sembrò non turbarla per niente.
«Il tempo che arriva e avrò già conciato per le feste questa mocciosa.»
Alwys deglutì e fece un passo indietro: cosa aveva fatto per meritarsi una bulla anche in questa scuola?
«Ricordi cosa è successo la scorsa volta?» chiese la Grifondoro cercando di essere minacciosa, anche se fallendo nell’intento. «Posso chiamare anche adesso Lady Amelia.»
«Non mi fa più paura, è solo un fantasma» rispose ridendo e avanzando insieme al resto del gruppo.
«Breanne, ferma!»
Una voce da dietro la sottoscritta attirò l’attenzione delle ragazze: era Scorpius.
«Che c’è? Vuoi unirti?» chiese lei mettendo le mani sui fianchi.
Scorpius la superò senza degnarla di uno sguardo e si mise davanti ad Alwys visibilmente colpita da quel gesto.
«Perché la tormenti?»
«E a te che importa?»
Calò il silenzio e i due si scambiarono degli sguardi che volevano dire più di mille minacce.
«Vorrà dire che farò il culo pure a te.»
«Alwys» la ragazzina guardò Tonks e capì subito la sua idea: prese per la manica del mantello Scorpius e corse verso la donna.
Le altre due complici di Breanne sfoderarono la bacchetta, ma il quadro si aprì e permise ai due di entrare dentro il passaggio.
«Ma cosa?» chiese Scorpius affaticato dalla corsa.
«Tu corri!» lo interruppe Alwys lasciando la sua manica.
Arrivarono alla fine del corridoio e caddero per terra a causa della foga che avevano impiegato per aprire l’altro quadro. Entrambi avevano il respiro affannoso, Alwys si alzò di scatto e chiuse il quadro-porta, poi si lasciò cadere per terra per prendere fiato. Scorpius si mise a sedere e incominciò a ridere seguito dalla ragazzina.
«È stato incredibile» disse guardandosi intorno. «Come conosci questo posto?»
Fu come se il cuore di Alwys si fosse fermato: sperò che Scorpius non sapesse per cosa era stato usato anni prima e cercò una scusa plausibile fra le tende lacere come se potessero aiutarla.
«Ho legato molto con i Lupin e me lo hanno confidato loro» spiegò senza guardarlo in faccia. «È un bel posto per studiare, c’è molta tranquillità.»
«A me mette ansia» disse lui andando nell’altra stanza. «Guarda qui!»
Alwys corse verso di lui dopo aver dato un’occhiata preoccupata verso Tonks.
«Che c’è?»
«Questo posto cade a pezzi!» disse passando una mano sopra il mobile completamente ricoperto di graffi: una volta Alwys durante la notte lo aveva scaraventato per terra e la mattina dopo lo aveva rimesso a posto con molta difficoltà.
«Già…»
«Ma tu ci vieni anche se la preside ha detto di non venire qui ad Hogsmade?» chiese lui guardando fuori dalla finestra: da lì si potevano vedere alcune casette che si estendevano in quella collina desolata.
Alwys si gelò e guardò intorno schiarendo la gola.
«Lo dirai a qualcuno?»
Lui sorrise e si avvicinò a lei: «Non sono tipo.»
Lei ricambiò il sorriso, ma, nonostante le sue parole, la preoccupazione non accennò a diminuire.
 
Verso fine settembre il freddo cominciò lentamente ad appropriarsi delle aule e gli studenti incominciarono ad usare la sciarpa per scongiurare un brutto mal di gola. Sfortunatamente nella guferia c’era un bel po’ di freddo, quindi Alwys preferiva prendere la lettera, leggerla e poi scriverla nella Sala dei Ricordi dove, siccome non c’era nessuno, c’era un fantastico silenzio. Nonostante ciò che era successo settimane prima, non avrebbe mai rinunciato ai suoi momenti con i Lupin e per giunta Scorpius non si era fatto vivo, quindi voleva dire che non sospettava nulla. Dopo aver scritto la lettera, optò per andare nel dormitorio perché nell’ultimo periodo non aveva passato molto tempo con gli altri che come sempre si erano insospettiti. Però, alla vista di quel morbido praticello appena tagliato, Alwys non resistette: non c’era nessuno, l’unico suono che si sentiva era il frusciare delle foglie per i flebili soffi di vento. Si distese e guardò i giochi di luce come se fossero la cosa più divertente di questo mondo. Quanto avrebbe voluto vivere per sempre su un enorme prato bagnato dalla rugiada, con qualche albero sotto cui si sarebbe riposata nelle ore più calde e senza nessuno che le dicesse cosa fare o che era un mostro. Chiuse gli occhi e si beò di quel suono e dell’odore dell’erba che le stuzzicava le guance. Questo mondo in cui era stata catapultata con l’arrivo di Ted sembrava più complesso e misterioso di come appariva, e lei aveva sempre adorato i misteri, soprattutto perché le piaceva risolverli, ma provava un leggero timore all’idea di scoprire cosa si celava dietro le domande che le affollavano la mente.
Dei passi attirarono la sua attenzione e rapidamente si alzò per nascondersi dietro il tronco… perché questa sensazione di pericolo? Il proprietario di quei passi era un ragazzo basso e con i capelli ricci e castani, cercò di guardare la sua cravatta e notò che era Tassorosso. Si diede della stupida, ma prima che potesse poggiare il piede fuori dal suo nascondiglio vide la Professoressa Lewis spuntare da dietro una colonna e avvicinarsi al ragazzo. Lui le diede una lettera e, senza dirsi nulla, ognuno andò per la sua strada. Per fortuna non l’avevano vista: cos’era quella lettera?
«Ora spii pure le persone?»
Una voce dietro di lei le fece fare un salto di qualche metro e automaticamente puntò la bacchetta verso la fonte.
«Damien!» anche se aveva capito chi era, non si rilassò e lasciò la sua bacchetta sospesa in aria indecisa su cosa fare.
«Vedo che sei felice di vedermi» disse lui alzando un angolo della bocca per poi avvicinarsi a lei fino a toccare la punta della bacchetta con l’indice.
«Cosa vuoi?» la voce di Alwys tremava come la sua mano, ma il suo sguardo era imperturbabile.
«Non posso semplicemente volerti salutare?» chiese retoricamente lui fingendo una faccia da cucciolo bastonato.
Alwys abbassò la bacchetta pensando che forse aveva esagerato, ma quel suo sguardo così penetrante la metteva sempre a disagio.
«Ciao, allora» disse la Grifondoro con un tono di disprezzo che lo fece ridere.
«Rancori per il nostro primo incontro?»
«Forse.»
«Volevo solo dirti che non ti conviene origliare le conversazioni altrui, potresti farti molto male» più che un consiglio sembrava una minaccia e ciò fece rabbrividire Alwys come se tutto d’un tratto il freddo del vento fosse diventato più penetrante.
«Lo terrò a mente» rispose la ragazza rimettendo la bacchetta a posto.
Lui sembrò sul punto di dire qualcos’altro, ma il nome di Alwys fu gridato da qualcuno in lontananza: Albus, Rose e James erano appena entrati nel cortile e li stavano per raggiungere.
«Ti stavamo cercando!» disse il ragazzino con il respiro leggermente ansante come se avesse percorso l’intero castello. «Scusate, ho interrotto qualcosa?»
«Sicuramente no» James avanzò frapponendosi fra Damien e Alwys come se la volesse proteggere.
«Ho come l’impressione di non avere una buona nomina nella vostra famiglia» disse il licantropo rimanendo sempre col suo sorriso beffardo e imperturbabile.
«Si raccoglie ciò che si semina» disse il Corvonero incrociando le braccia al petto con aria saccente.
Damien si avvicinò a James fino a che li divise solo un breve tratto d’erba. Il ragazzo deglutì come se sostenere il suo magnetico sguardo blu fosse un’impresa colossale. James lasciò cadere lo sguardo verso l’erba e Damien, soddisfatto, gli sorrise.
«Ci vediamo» disse il licantropo e si diresse verso gli archi oltre il cortile. «Spero di rivederti presto.»
Ma i quattro non capirono se stesse parlando con Alwys o con James.
Subito dopo, la Grifondoro si girò verso James e sussurrò un flebile: «Grazie.»
«Non c’è bisogno di ringraziarmi. Sei amica di Albus, quindi anche mia» rispose James sorridendole e Alwys pensò che forse anche lui in fondo aveva un lato tenero.
«Certo che tu sempre ti cacci nei guai» disse Albus e poi tutti scoppiarono in una risata.
«Devo dirvi una cosa» Alwys ripensò a cosa aveva visto prima e pensò che forse era meglio condividerlo con gli altri. «La professores-»
«Guardate!»
Senza poter finire la frase, Albus la prese per una manica e la trascinò dietro il possente tronco dell’albero insieme agli altri.
«Cosa succede?»
Sssh le disse portandosi il dito alla bocca per poi spostarlo in direzione dell’uscita: c’era il professor Draconem, con aria molto sospetta, che camminava con tanto di cappuccio che lasciava intravedere solo un ciuffo dei capelli rossi.

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Capitolo 14
*** 13. Tra verità e menzogne ***


 

13
Tra verità e menzogne

 
 
Alwys si maledì perché era finita in quella situazione assurda contro la sua volontà: se il professore li avesse scoperti avrebbe sicuramente chiuso un occhio su Albus, Rose e James, ma lei l’avrebbe fatta espellere.
«Perché sta uscendo a quest’ora?» chiese Rose, ma nessuno poté rispondere perché tutti si stavano facendo quella domanda.
«Seguiamolo!» esclamò Albus così tanto forte che James dovette coprirgli la bocca.
«Sei impazzito?»
«Dai!» disse Rose tirando la tunica di James che disperatamente cercava l’appoggio di Alwys con lo sguardo.
«Sicuramente ci scoprirebbe» rispose la Grifondoro cercando di far ragionare quei due.
«Non con questo» disse Albus con uno strano luccichio negli occhi mentre rovistava dentro la sua borsa «Per il mio compleanno me lo ha regalato mio padre» e tirò fuori da essa uno strano mantello scuro.
«Non ci credo, non è giusto!» protestò James che molto probabilmente non lo aveva ricevuto per il suo di compleanno.
Alwys però continuava a guardarli con aria confusa, Rose lo capì e, dopo aver alzato gli occhi al cielo, le spiegò che era un mantello dell’invisibilità.
«Incredibile…»
Anche dopo quasi un mese che frequentava una scuola di magia, c’era qualcosa che riusciva a stupirla.
«Ora non avete scuse!» protestò Albus alzando il volto con aria di vittoria e stese il braccio posizionando la mano al centro del cerchio che inconsciamente avevano formato.
Tutti lo guardarono confusi.
«Mettete la mano anche voi, è una cosa che ho inventato» fecero come aveva detto e il suo sguardo si illuminò.
Alzò la mano verso il cielo seguito dagli altri: «Decreto segreto.»
L’eccitazione dei due più piccoli aveva anche contagiato il più grande e Alwys si ritrovò contro tre persone, nonostante cercò di persuaderli più volte. Per di più sotto quel mantello erano attaccati come sardine perché ovviamente nemmeno una piccola parte del corpo doveva rimanere scoperta. Appena i loro piedi non toccarono più la fredda pietra del pavimento, si ritrovarono davanti un’enorme distesa di verde che faceva su e giù per una ripida collina. Ai piedi di quest’ultima vi erano due piccole casette fatte di legno con il tetto sporgente un po’ malconce, dietro si estendeva una fitta foresta scura che fece rabbrividire i quattro per l’innaturale nebbia sopra di essa. Individuarono il professore che velocemente stava percorrendo un sentiero verso le due case.
«Vedete? Vuole solo parlare con le persone che sono in quelle case» disse Alwys cercando ancora una volta di persuaderli.
«Quelle due case sono di Damien e Hagrid, cosa vuole da loro?» constatò James, ma nessuno aveva una risposta.
Continuarono a seguirlo, rimanendo comunque a debita distanza, fino a quando furono vicini alle due case, ma Draconem tagliò verso la foresta. James si bloccò di botto e tutti gli furono addosso.
«Ma che fai?»
«Non entreremo lì dentro» disse il maggiore con lo sguardo serio di chi non ammetteva repliche.
«Che c’è? Hai paura?» lo sfidò Rose con la sua solita aria saccente.
«Sono solo responsabile» disse lui facendo una smorfia in sua direzione.
«È scomparso!» esclamò Albus e l’attenzione di tutti tornò verso la foresta che sembrava avesse inghiottito il professore. «È impossibile che in così poco tempo l’abbia raggiunta.»
«Ragazzi…» la voce di Alwys fece venire a tutti un brivido, infatti quando si girarono rimasero a bocca aperta: a pochi centimetri da loro c’era il professore che con aria interrogativa annusava l’aria.
Incominciarono a sudare freddo, il loro cuore prese a battere così forte che ebbero paura che lui lo potesse sentire. Cercarono di respirare piano e poco e rimasero immobili come statue. Di scatto una mano del professore acchiappò l’aria e loro persero un battito: se lo avesse fatto qualche centimetro più a sinistra li avrebbe presi. Dalla sua espressione si intuiva che aveva capito che c’era qualcuno, infatti continuava ad annusare l’aria, spostava il volto a destra e a sinistra ma non riusciva proprio a capire da dove potesse venire quel profumo alla vaniglia. Rose si maledì perché quello era il primo giorno che aveva usato quel profumo per far colpo su un ragazzo. Alwys chiuse gli occhi ed incominciò mentalmente a pregare perché non voleva essere espulsa e tornare alla sua vecchia e squallida vita. Albus stringeva la tunica di suo fratello maggiore come se volesse proteggersi, infatti James prontamente mise la mano sopra la bacchetta e mentalmente ripassava tutti gli incantesimi che avrebbero potuto aiutarli a scappare. Draconem alzò la mano e questa volta era nella direzione giusta.
«Salve professore.»
Una voce femminile che proveniva da dietro la casetta fece sobbalzare il professore per lo spavento.
«E tu chi diavolo sei?»
«Lady Amelia al vostro servizio. Sono uno dei fantasmi di Hogwarts, non mi ha mai vista?» disse la donna facendo l’occhiolino in direzione di Alwys.
Gli altri erano molto confusi, ma la ragazza li tranquillizzò con uno sguardo e si chiese quante volte avrebbe dovuto ringraziare quella donna. Tutti ripresero a sospirare e i loro cuori non tartassarono più i loro petti.
«E cosa vuoi? Vai via!» disse lui infastidito agitando le mani in aria in direzione del fantasma.
Da dietro il gruppetto dei ragazzini spuntò Damien che si mise accanto a loro e sussurrò: «Seguitemi.»
«Professore cosa ci fa qui?» disse poi in direzione di Draconem che sobbalzò un’altra volta.
«Ma si può sapere cosa siete? La polizia di Hogwarts? Io non devo spiegazioni a nessuno!» urlò agitando un dito verso il licantropo.
«Non sarò la polizia, ma sono il custode.»
«Il custode? Rubeus lo è, tu sei soltanto un ragazzino con un peso troppo importante sulle spalle» lo guardò con disprezzo e ciò fece digrignare i denti a Damien.
«Non è ciò che pensa la Preside, lei stessa mi ha nominato custode insieme a Rebeus» rispose tranquillizzandosi improvvisamente.
«Allora pensa a questo fantasma!» disse Draconem per poi girarsi verso Amelia. «Tu non dovresti essere dentro Hogwarts?»
«Mi piace prendere un po’ d’aria, come lei vedo» rispose la donna non scomponendosi minimamente e rimanendo con lo sguardo imperturbabile.
«Sentivo dei passi, per questo sono uscito. Ma visto che è lei, torno nella mia umile dimora, il fantasma è libero di andare dove vuole» rispose Damien fingendo un inchino che fece infuriare di più il professore.
«Sì, vai!» e, detto questo, agitò le mani in aria e andò in direzione del castello.  
Il licantropo sorrise soddisfatto, poi andò dentro casa sua seguito dal gruppetto e da Lady Amelia.
Appena varcarono la porta Damien prese un grosso respiro.
«Si può sapere cosa cavolo vi è venuto in testa?» li sgridò sbattendo la porta così forte che la credenza accanto traballò.
Casa sua era molto piccola: entrando dall’ingresso eri subito nel salotto in cui vi era un divano malconcio, un enorme tappeto e una piccola televisione. C’era anche una credenza piena di boccette di ogni tipo e colore e l’unica finestra era molto ampia. La cucina non aveva la porta, si apriva su un enorme arco che, più che costruito a posta, sembrava che un gigante avesse sfondato la parete, e accanto ad un mobile chiuso con un lucchetto c’era una porta che doveva portare alla camera da letto.
«Non trattare così dei bambini» lo ammonì Lady Amelia mentre i ragazzini sbucavano da sotto il mantello con aria colpevole e ancora spaventati da prima.
«Fantastico, ci sei anche tu James! Non dovresti essere il fratello maggiore?» disse Damien in tono ironico sull’orlo dell’esasperazione ignorando il fantasma.
«Proprio perché sono il fratello maggiore non potevo lasciarli soli» disse il ragazzino, ma capì subito che quello che aveva detto non aveva senso.
«Se fosse successo qualcosa, sarebbe stata colpa tua. Cresci un po’!» all’affermazione di Damien, James divenne rosso in faccia per la rabbia, con uno scatto si avvicinò a lui, prese la bacchetta e la puntò alla gola del licantropo che si mise a ridere.
«Tu sei così: scappi dai problemi rifugiandoti dietro la tua bella bacchetta» disse Damien.
«Non è vero!»
Tutti gli altri rimasero a bocca aperta non sapendo cosa fare, era come se in quella stanza ci fossero solo James e Damien.
«E allora cosa è vero? Che ormai sei un uomo adulto capace di affrontare le discussioni?» lo canzonò il licantropo che non era nemmeno un po’ preoccupato di avere una bacchetta puntata alla gola.
James la strinse con forza: non sapeva cosa rispondere perché in fondo sapeva che lui aveva ragione, solo non lo voleva ammettere.
Alzò la bacchetta con tutta la forza che aveva e urlò: «Stupeficium
Rapidamente Damien estrasse la sua bacchetta e deviò il bagliore fuoriuscito dal quella del ragazzo contro un bicchiere fuori dalla credenza.
«Così la vuoi mettere?»
Gli occhi del licantropo divennero rossi abbandonando il blu originario. Per un breve attimo James esitò, poi però la rabbia riprese il sopravvento e si mise in posizione d’attacco.
James era molto abile per essere uno studente del terzo anno, e questo Damien lo riconosceva, infatti ad ogni attacco lui riusciva prontamente a parare. Quella danza andò avanti per qualche minuto, ma il posto ristretto sfavoriva il giovane che ogni tanto aveva qualche segno di cedimento.
«Non sei un Corvonero? Stupiscimi» lo canzonava e lui perdeva facilmente il controllo.
Damien, ovviamente, lo faceva di proposito per approfittare di quei momenti per sferrare i suoi attacchi più forti.
«Che c’è? Non riesci a stare al passo di uno più giovane di te?» anche i commenti di James facevano smuovere il licantropo, che però non si scomponeva dimostrando un perfetto autocontrollo che invece fece arrabbiare sempre di più il mago.
Ad un tratto i due si fermarono per riprendere fiato: da un lato c’era James che grondava di sudore e con il respiro pesante, dall’altro Damien con il suo solito sorriso e il suo sguardo rilassato come se fino a quel momento non avesse lanciato una sfilza di incantesimi.
«Mi sono stancato» disse il licantropo e quella frase fece vibrare la colonna vertebrale del ragazzo che però cercò di concentrarsi nonostante la stanchezza.
«Smettila! Non vedi che è un ragazzo?» Lady Amelia si mise dietro James, ma dalla bacchetta di Damien uscì una luce che intrappolò la donna e la fece svanire.
«Cosa hai fatto ad Amelia?» urlò Alwys che cercò di avvicinarsi al licantropo, ma il Corvonero alzò un braccio facendole capire che doveva stare dietro di lui.
«Ecco finalmente il ragazzo responsabile» disse scherzoso Damien per poi rimettersi in posizione d’attacco.
James ormai era allo stremo delle forze e Damien usava incantesimi sempre più potenti, fino a quando il mago non cadde sulle ginocchia perché non riusciva più a reggersi in piedi.
«Debole dentro e fuori» disse il licantropo con la faccia delusa perché sperava di divertirsi di più.
«Allora perché?» la voce di James era debole e, appena Damien lo sentì così, si girò con uno sguardo preoccupato sul volto. «Perché mi proteggi sempre?»
James stava piangendo, nemmeno Albus lo aveva mai visto piangere, era sempre così serio e durante ogni discussione riusciva sempre a cadere in piedi. In quel momento, invece, davanti a loro c’era solo un ragazzo stanco e sconfitto. A Damien si strinse il cuore, si pentì di averlo trattato il quel modo e i suoi occhi ritornarono del solito blu acceso. Si chinò fino ad arrivare col viso alla stessa altezza del ragazzo e gli prese il mento con le dita.
«Non sarai un ragazzo responsabile, ma sei un ottimo mago.»
James rimase a guardarlo negli occhi, non sapeva cosa dire, poi ricordò che in quella stanza c’erano anche Rose, Albus e Alwys e con uno schiaffo lo allontanò.
«Non toccarmi» prese il mantello dell’invisibilità dalle mani di suo fratello e uscì dalla casa senza aspettare gli altri.  
Albus fece per rincorrerlo, ma Damien alzò un braccio verso di lui.
«Lascialo solo, so quanto può bruciare una sconfitta.»
Cadde il silenzio, il licantropo si lasciò cadere nel divano visibilmente sfinito e poi guardò i tre che lo fissavano.
«Che c’è? Gli ho dato una lezione che non si dimenticherà mai. Comunque, volete qualcosa?»
Offrì loro del tè freddo, l’unica cosa che possedeva, e li fece accomodare nel piccolo tavolo della cucina: c’era solo un frigo e due ripiani, niente lavastoviglie o fornelli e loro si chiesero cosa potesse mangiare. Alwys ebbe un brivido quando ci pensò. La tensione era palpabile e il silenzio dominava la stanza.
«Fra poco avete lezione, no? Dovreste andare» Damien spezzò quel silenzio e poi fece vagare il suo sguardo fuori dalla finestra fra i verdi prati che costeggiavano la sua casa, mentre si premeva sulla guancia un bicchiere con del ghiaccio ed un liquido marroncino.
«Hai ragione» disse Rose che sembrava essere la più tranquilla dei tre.
«Perché la mia famiglia non ti sopporta?» Albus, che fino a quel momento era rimasto in silenzio e con la testa bassa, finalmente parlò e incatenò il suo sguardo a quello del licantropo.
«Non dovrei essere io a raccontarvelo…»
«Ted non ce ne vuole parlare.»
«E forse è meglio così.»
Albus strinse i pugni e pensò che non era giusto, ma di certo non poteva obbligarlo a parlare.
«Perché?»
«Sei duro di comprendonio» disse Damien divertito dalla determinazione del ragazzo. «Posso solo dirvi che un tempo io e Ted eravamo molto amici…» strinse i pugni mentre i vaghi ricordi riaffioravano nella sua mente.
«E cosa è successo?» fu Alwys a parlare, perché ad un tratto pensò a cosa il licantropo avesse potuto fare per non essere più amico di Ted, che era una delle persone più buone che conosceva.
«È meglio se tornate a scuola» disse lui spostando il suo sguardo verso la porta.
I tre ci rinunciarono e in silenzio varcarono la porta della casa, solo Albus rimase fermo sulla soglia.
«Se vuoi diventare amico di James va bene, ma se poi lo farai soffrire come hai fatto con Ted, non ti perdonerò mai.»
Damien accennò una risata: quel ragazzino era davvero uno spasso.
Nel tornare ad Hogwarts, altre domande si sommarono a quelle di prima: chi era Julie? Era amica anche di Damien visto che era amico di Ted? Quei tre non gliela contavano giusta, ma il fatto che ci fosse così tanto silenzio sull’argomento la insospettì molto e da un lato le fece venire qualche ripensamento, se non fosse stato per la voglia irrefrenabile di capire di più sul passato di Ted. Anche lui doveva aver passato delle brutte esperienze, solo perché lei era un licantropo e ogni luna piena si svegliava con una nuova ferita, non voleva dire che quello che avevano passato gli altri fosse meno importante. Ma soprattutto… cosa c’entrava James in tutto ciò? Sembrava molto legato a Damien: forse lui sapeva cosa era successo ed era dalla parte di Damien? Forse era per questo che Ted non voleva che si sapesse: perché tutti si sarebbero potuti mettere contro di lui. Alwys cercò di scacciare quell’orribile pensiero: non era possibile che Ted avesse fatto qualcosa di brutto, sicuramente Damien aveva raccontato altro a James.
«Posso quasi sentire il rumore dei tuoi pensieri» la voce di Rose ad un centimetro dal suo orecchio la fece sussultare.
«Pensavo solo alla conversazione fra Damien e James» la buttò lì per non essere troppo sospettosa.
«Non avevo mai visto James così…» sussurrò Albus, perso pure lui fra i suoi pensieri.
«Però è stato carino a prendere le nostre difese» constatò la rossa. «Sicuramente quei due nascondono qualcosa, ricordate cosa ha detto James? Mi proteggi sempre…»
«Non so cosa pensare, spero solo che non tratti male James come ha fatto con Ted» ammise Albus corrucciando le sopracciglia.
«Tu sai cosa è successo fra loro due?» chiese Alwys: forse si stava avvicinando a qualcosa.
«Non proprio…» ammise perdendo lo sguardo fra le piastrelle di marmo. «Forse c’entra con ciò che è accaduto tre anni fa.»
Rose fece spallucce mentre Alwys si avvicinò di più, visibilmente interessata all’argomento.
«Cosa è successo tre anni fa?» chiese lei guardando prima Rose e poi Albus.
«Ricordo che tre anni fa Ted è venuto a casa nostra nonostante dovesse essere ad Hogwarts, sembrava molto scosso e non parlava per niente. Il giorno dopo tutti erano vestiti di nero e mi hanno lasciato con mia zia Hermione» spiegò Albus come se si stesse sforzando di ricordare. «Ted è rimasto con noi per una settimana e da lì è cambiato molto: prima era un tipo molto allegro e giocherellone, da quel giorno invece lo è diventato sempre meno. I miei mi hanno sempre detto che era perché stava crescendo, ma secondo me c’entra con quello che è successo.»
«Pensi che stessero andando ad un funerale?» chiese Alwys: al funerale di Julie?
«Il fatto che erano tutti vestiti di nero faceva intendere di sì» rispose lui come se non ci avesse mai riflettuto su più di tanto.
«Forse c’entra anche Damien.»
«Se Damien fosse coinvolto in quella morte non sarebbe qui, ma ad Azkaban» intervenne Rose come se ciò fosse ovvio.
«O forse Ted è arrabbiato con Damien perché non gli è stato vicino» propose Albus beccandosi un sopracciglio alzato da parte di Rose.
«E non si parlano da tre anni per questo?»
Tutti e tre caddero in un silenzio tombale, ognuno con i propri pensieri e supposizioni, invece Alwys era più confusa che altro: non sapeva cosa fosse questo Azkaban, ma se Rose era così sicura, il fatto che Damien fosse coinvolto nella morte di Julie era da escludere… cosa era successo allora? Perché tutto quel mistero?

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Capitolo 15
*** 14. La Mappa del Malandrino ***


 

14
La Mappa del Malandrino

 
 
Era ormai passata un’ora dal coprifuoco: il Corvonero per tenersi sveglio aveva ripassato mentalmente la lezione di Pozioni e aveva preparato un percorso alternativo a quello dell’altra volta perché Hagrid lo aveva quasi scoperto. Il ticchettio dell’orologio scandiva gli attimi che lo separavano da ciò che stava per fare. Appena un gufetto di legno uscì da esso, capì che era ora di andare. Ovviamente era andato a letto con l’uniforme: il pigiama non avrebbe mai potuto sopportare il freddo della notte. Scaltramente scese dal letto, prese le scarpe che poi avrebbe messo fuori dalla stanza, il mantello, lo zaino e ovviamente la bacchetta. In punta di piedi scese le scale e si posizionò davanti alla porta che dava sul corridoio.
«Giuro solennemente di non avere buone intenzioni.»
Sulla pergamena si disegnò la mappa di Hogwarts. «Cavolo… la professoressa Lewis è in giro» dovette cambiare il suo piano perché la professoressa era proprio ferma davanti all’uscita che voleva prendere lui.
Seguito dalle imprecazioni dei quadri per la luce proiettata dalla sua bacchetta, arrivò fuori e strinse la stoffa del mantello per il pungente freddo che gli entrò dentro le ossa.
«Che ci fai qui?»
Una voce alle sue spalle gli fece venire un tuffo al cuore: si girò lentamente per vedere chi fosse e solo in quel momento si rilassò.
«Julie mi hai fatto morire di paura…» sussurrò lui.
«Bene, così mi farai un po’ di compagnia nell’aldilà» lo stuzzicò lei ridendo.
«Davvero simpatica, comunque sai perché sono qui.»
«Sì, è vero, ma siccome sei venuto anche ieri sera, pensavo che oggi non saresti venuto» spiegò lei incrociando le braccia al petto. «Non puoi farlo ogni giorno.»
«Devo assolutamente imparare questo incantesimo entro domani» disse lui prendendo in mano il libro di incantesimi.
Julie sbuffò sonoramente e lo guardò con il suo sguardo da mamma in pensiero, ma sapeva che non avrebbe mai convinto quel testardo.
«Sai che potrei andare a dire tutto alla McGranitt?»
«Ma so che non lo farai» disse lui riprendendo a camminare. «Per questo ti adoro.»
«Tu adori solo chi ti conviene» constatò lei ricevendo in risposta una risata.
Per arrivare nel solito posto dal punto in cui era uscito, sarebbe dovuto passare per le due casette dei custodi. E sapete chi fa la guardia la sera? Ipos, il lupo cecoslovacco di Damien. Fortunatamente fino ad allora non lo aveva mai incontrato, ma la paura lo assaliva ogni volta.
«Qui io ti lascio» disse lei fermandosi davanti alla soglia della collinetta. «Ti aspetterò qui.»
«Come sempre» rispose lui sorridendole dolcemente.
Incominciò a camminare fra i ciuffi d’erba leggermente bagnati che ogni volta gli sporcavano le scarpe che prima di tornare nel dormitorio doveva pulire per destare qualsiasi sospetto. Era a pochi passi dalle capanne e, mentre passò vicino ad esse, mentalmente pregò affinché nessuno lo scoprisse.
«Cazzo!» imprecò ad alta voce portandosi una mano al petto come per capire se il suo cuore stesse ancora battendo dopo lo spavento.
Ipos guardò James con sguardo interrogativo: molto probabilmente non lo avrebbe attaccato perché lo aveva riconosciuto, ma si stava chiedendo cosa ci facesse fuori dal castello a quell’ora.
«Sei proprio un bel cagnolone» James si avvicinò per accarezzarlo, ma il lupo lo guardò con aria più sospetta «Ok, mi hai beccato… Tranquillo, non sto scappando» lo sguardo del lupo si rilassò e si lasciò accarezzare «Per favore non dirlo a Damien, per me è importante uscire la sera.»
Ipos abbaiò e con qualche salto si allontanò dal ragazzo come per dirgli di fare strada.
Dopo qualche minuto arrivarono in uno spiazzo protetto da occhi indiscreti, grazie a qualche masso e albero, sul confine della Foresta Proibita. Il Corvonero posò lo zaino per terra, prese il libro di incantesimi e lo poggiò sopra un sasso come se fosse un leggio. Si mise in posizione e incominciò a lanciare degli incantesimi sempre con più foga, cercando di azzeccare la pronuncia e di metterci tutta la forza che aveva nel corpo. Piccole luci spuntavano dalla sua bacchetta che flebili si perdevano nell’aria senza scalfire nemmeno la corteccia dell’albero che aveva puntato. Si riposizionò e prese un bel respiro, ma era come se quella notte la sua bacchetta non volesse collaborare.
La abbassò e respirò affannosamente: «Non basta…»
Riprese a lanciare incantesimi ma la stanchezza e la mancanza di sonno incominciarono a farsi sentire. Le sue gambe cedettero e cadde per terra, Ipos si avvicinò a lui e preoccupato gli leccò il viso.
«Sto bene, tranquillo.»
Il lupo si accucciò accanto a lui e poggiò il muso sul suo grembo.
«Ipos non guardarmi così! Devo farlo.»
Gli accarezzò il muso beandosi del suo calore perché quello della sua mano era ormai del tutto sparito per il freddo della notte. Il vento gli pizzicò le guance, il cielo era macchiato da una immensa distesa di stelle che incorniciavano la luna perfettamente a metà.
James strinse i pugni per la rabbia: perché non riusciva a diventare più bravo?
Perché Damien pensa che io sia un ragazzino?
Il cane lo guardò come se potesse leggere i suoi pensieri e ciò fece imbarazzare James per la stupida domanda che si era posto.
«Lascia stare…»
Si coprì il volto con un braccio, si distese sull’erba e assaporò l’odore della rugiada che si stava depositando sopra i fili d’erba che gli stuzzicavano il volto.
«Gli dimostrerò quanto valgo» si alzò facendo sussultare Ipos che beatamente stava godendo del calore della sua pancia e riprese ad allenarsi.
A chi voleva dimostrarlo? A Damien? Non solo a lui…
“Ha gli occhi di mia madre.”
Anche se era piccolo quella scena era ben impressa nella sua mente: suo padre seduto sulla sedia a dondolo che fissava il vuoto oltre la finestra, Albus accucciato fra le sue braccia che lo guardava con aria interrogativa e la zia Hermione che gli accarezzava le spalle. Da quel momento sapeva che qualcosa sarebbe cambiato, anche se aveva solo tre anni in fondo era come se lo sapesse.
Mise più foga nell’ultimo incantesimo e ciò gli fece appannare la vista per qualche secondo.
Buttò la bacchetta per terra, alzò il viso e urlò verso le stelle: «Perché?»
“Ha detto la sua prima parola!”
“Guarda Harry, Albus sta cammiando!”
“Albus sei un bambino prodigio!”
“Albus ha ricevuto la sua lettera!”
“Albus.”
«Perché non posso essere io?» strappò qualche ciuffetto d’erba e li strinse nelle mani come per sfogare tutta la sua rabbia.
Non avrebbe pianto perché non era triste, era solo deluso, deluso da sé stesso. Ipos si avvicinò a lui, gli leccò il viso e andò via. Era rimasto solo, di nuovo.
Prese il libro di incantesimi e cambiò pagina: doveva continuare ad allenarsi, non gli importava di essere stanco, non gli importava delle lacrime che gli appannarono la vista. Gli incantesimi, però, incominciarono ad essere più fiacchi, nonostante la foga fosse aumentata, la forza incominciava a mancargli. Il freddo gli sembrò più pungente e cercò di coprirsi di più col mantello, ma fu del tutto inutile. Non voleva tornare al dormitorio, voleva imparare tutto ciò che gli era possibile e la stanchezza non lo avrebbe ostacolato.
«Ho una coperta se vuoi» quella voce.
Il cuore di James incominciò a battere a mille, si bloccò con la bacchetta ancora sospesa in aria e incominciò a cercare una scusa plausibile per giustificare cosa ci facesse fuori dalla scuola a quell’ora.
«Non chiamerò nessun professore se è questo ciò che ti stai chiedendo.»
Il Corvonero si girò lentamente e vide Damien con in mano una coperta. Posò ciò che aveva in mano e se la mise addosso provando subito una sensazione piacevole. Il licantropo lo guardò con uno sguardo dolce e pieno di sensi di colpa.
«Non devi dimostrare niente a nessuno.»
James si girò e si morse il labbro: sicuramente stava pensando che fosse un ragazzino.
«Grazie.»
Calò il silenzio, il ragazzo sistemò le sue cose dentro lo zaino e a testa bassa passò accanto a Damien che alzò la mano come se volesse accarezzargli i capelli, ma la bloccò riportandosela lungo i fianchi. Sbirciò dentro la borsa del ragazzo e notò una strana pergamena.
«Cos’è?» lo prese per una spalla per girarlo.
«Non toccarmi!»
Forse aveva esagerato con il tono della sua voce, infatti, appena guardò gli occhi preoccupati e confusi di Damien, arrossì e spostò il suo sguardo fra gli alberi che si muovevano al ritmo del vento.
«Una mappa di Hogwarts» rispose con tono evasivo.
«È grazie a quella che esci la sera senza farti scoprire?» James non rispose, ma il suo silenzio fece intuire la risposta al lupo. «Ci rimetterai la salute.»
«Non sono affari tuoi se non sbaglio.»
«Ma della McGranitt sì.»
Il Corvonero fulminò con lo sguardo il sorriso beffardo di Damien che non si scompose.
«Cosa vuoi?» suonava strana come domanda: cosa doveva volere un tipo come Damien?
«Che tu la smetta di farti del male così, non hai bisogno di allenarti di nascosto» il licantropo si avvicinò al ragazzo: nel suo sguardo non c’era compassione, solo tanta dolcezza che fece rilassare James.
«Va bene» continuò a non guardarlo negli occhi, se lo avesse fatto non avrebbe saputo mentire.
«Non devi darmi il contentino» James sbuffò facendo ondeggiare un ciuffo ribelle. «Dammi la mappa.»
«Cosa? No!» il ragazzo si allontanò e si portò al petto lo zaino come se fosse la cosa più preziosa che possedesse. «E se la usi per… per cose strane?»
«Cose strane? Ma che hai in quella testolina?» disse Damien guardandolo sbigottito con la mano sospesa in aria attendendo di avere la mappa.
«È un regalo di mio padre, non posso dartela.»
Non era un regalo tecnicamente, più che altro suo padre aveva fatto finta di non averlo visto prenderla dalla sua scrivania.
«Allora la nasconderemo» il ragazzo lo guardò confuso, poi il suo volto si illuminò.
«Nella stanza delle necessità?» il licantropo annuì, ma James strinse di più la sacca. «Non posso, mi serve.»
«A cosa? A perdere ore di sonno per esercitarti?» il tono di Damien era autoritario e ciò fece trasalire il ragazzo che non aveva mai visto il suo sguardo così severo.
«Non puoi capire» spostò lo sguardo come se sostenere il suo fosse un’impresa colossale.
«Spiegami allora» Damien si avvicinò di nuovo e questa volta James rimase fermo dov’era assorto nei suoi pensieri.
I loro sguardi si incatenarono di nuovo, la bocca carnosa del lupo incorniciata da una rada barba era rivolta all’insù, invece quella sottile del ragazzo all’ingiù.
«Devo diventare più forte.»
Quella frase nei suoi pensieri sembrava così perfetta, così piena di senso, invece in quel momento, in balia del vento autunnale, era solo un piccolo sospiro del cuore infranto di un ragazzo.
«Sei proprio di coccio!» Damien gli arruffò i capelli con così tanta forza che fece scappare qualche lamento dalle labbra del ragazzo. «Sei solo al terzo anno e già pretendi di essere il più grande mago di tutti i tempi.»
Quelle parole arrivarono dritte nel petto di James che si coprì il volto diventato terribilmente rosso per la vergogna.
«Facciamo così: aspetta qualche anno, diventa più forte grazie alle lezioni e poi, se non sarà abbastanza, ti allenerai la sera. Non farlo adesso, ci rimetti solo tu.»
Il Corvonero non rispose, la coperta cadde per terra, ma lui la lasciò lì. Alzò lo sguardo verso gli occhi blu di Damien che ansiosi aspettavano una risposta.
«Facciamolo.»
Entrarono a scuola, nessun professore era più in giro e ciò permise loro di girare tranquillamente fra i corridoi. Quando Damien si avvicinò a James per guardare meglio la mappa, il ragazzo pregò mentalmente che non sentisse il suo cuore che come un tamburo batteva nel suo petto. James era molto stanco e tutte quelle scale si sentirono molto, invece Damien non sembrò farci caso perché era troppo intento a scrutare l’oscurità che cercava di inghiottire la flebile luce proiettata dalla bacchetta. Arrivati al settimo piano si fermarono davanti ad un enorme muro su cui niente era appeso.
«E ora?» il Corvonero non aveva mai usato la Stanza delle Necessità, aveva solo sentito qualche storia raccontata da suo padre.
Damien fece allontanare il ragazzo e poi fece avanti e indietro per tre volte davanti a quell’insignificante muro spoglio.
«Cosa dovrebbe succ-» prima che James poté dare sfoggio alla sua arroganza, un’enorme porta comparì davanti a loro completamente nera.
«Questo» disse soddisfatto il licantropo guardandolo con un sorriso beffardo.
Entrarono dentro la stanza e dei sospiri di meraviglia uscirono dalla bocca di James mentre guardava estasiato l’innumerevole quantità di oggetti che c’era.
«Devo venirci più spesso» disse sorridendo come un bambino davanti ai suoi regali ricevuti a Natale.
«È per questo che nasconderò io la mappa, così che per poterla riavere chiederai a me» quella affermazione fece disegnare un’espressione di stupore nel volto di James, ma lo sguardo di Damien non ammetteva repliche.
«Fatti un giro mentre cerco un posto adatto» gli disse il lupo sfilando la mappa dalla borsa del ragazzo per poi allontanarsi facendogli l’occhiolino.
James si girò e andò dal lato opposto: vi erano un sacco di oggetti come mappamondi, quaderni, lampade, modellini dell’universo e tanto altro. Un libro impolverato però catturò l’attenzione del ragazzo: Infusi e pozioni magiche. Cosa ci faceva un semplice libro di pozioni lì dentro? Lo prese, soffiò sopra di esso per togliere lo strato di polvere che si era andato a creare e lo aprì: questo libro è proprietà del principe mezzosangue. James si grattò la testa cercando di ricordare se avesse mai sentito quel nome, ma non riuscì a trovare nulla. Sfogliò qualche pagina ingiallita e mal ridotta e notò che vi erano molti scarabocchi, li lesse e capì che era la spiegazione dettagliata per preparare delle pozioni molto difficili e incantesimi di cui non aveva mai sentito parlare.
«Eccomi» la voce di Damien lo fece sobbalzare e rapidamente mise il libro dentro lo zaino sperando di non essere visto. «Possiamo andare?»
Il ragazzo annuì e uscirono fuori: forse qualcosa di buono l’aveva avuta.
Damien insistette per accompagnarlo fino al dormitorio, James si chiese perché visto che senza la mappa non avrebbe potuto fare nulla. Camminarono in silenzio, solo i loro passi riecheggiarono in tutto il corridoio e più andavano verso la torre di Corvonero, più James dovette coprirsi col mantello per il freddo che stava aumentando.
Damien si fermò e lo guardò.
«Tieni» si tolse il giubbotto rimanendo a maniche corte.
«No, posso stare» rispose prontamente.
Il licantropo in tutta risposta gli lanciò in testa il giubbotto e riprese a camminare. James, che non aveva la bacchetta che lo illuminava, si mise il giubbotto che era tre volte più grande di lui e si affrettò per raggiungerlo. Strinse la stoffa beandosi del calore lasciato da Damien insieme al suo profumo che James cercò di analizzare: fumo, terriccio e l’odore di Ipos. Arrivarono ai piedi della scala a chiocciola che portava alla porta della sala comune.
«Grazie» James stava per togliersi il giubbotto ma Damien lo fermò.
«Me lo dai un’altra volta, il camino sarà spento e ci sarà molto freddo.»
Per un attimo il ragazzino si chiese come faceva a sapere che ci fosse un solo camino, ma scacciò subito quel pensiero dandosi mentalmente dello stupido.
«Grazie…» si girò e incominciò a salire le scale, imbarazzato per lo sguardo penetrante di Damien che non lo lasciò nemmeno quando fu sotto le coperte.

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Capitolo 16
*** 15. Remedium Draconis ***


15
Remedium draconis

 
 
I giorni dopo per Rose, Albus e Alwys furono davvero strani: James li evitava in continuazione e a volte li inceneriva con lo sguardo, Damien si aggirava spesso dentro il castello e quando li incontrava cambiava direzione, e il professor Draconem era in ansia per qualcosa. Ogni tanto lo spiavano, notando che i giorni passavano e lui andava nella foresta proibita sempre più spesso.
«Dì al tuo furetto di seguirlo!»
«Non esiste.»
E, appena nominavano Ninfa, Alwys faceva intuire la sua risposta con un’occhiataccia. Il loro interesse nei suoi confronti sembrò scemare insieme alle foglie gialle che si staccavano dagli alberi, ma un giorno, durante una tranquilla cena, un Albus super felice arrivò al tavolo.
«Avete visto?»
Alwys trasalì risvegliandosi dal suo stato catatonico.
«Cosa?» chiese girandosi verso il ragazzino che alzò gli occhi al cielo scocciato.
«Il professore ha la mano fasciata!» gli occhi di lui brillarono per l’eccitazione.
«E quindi…?» questa volta fu il turno di Rose di alzare gli occhi al cielo: possibile che l’unica a non capire fosse Alwys?
«Deve essersela procurata una di quelle volte in cui è andato nella foresta proibita» spiegò la rossa per poi addentare un pezzo di pollo.
Alwys capì subito a cosa puntassero i due e cercò di nascondersi dentro il maglione anche se con scarso successo.
«Dobbiamo seguirlo a qualunque costo, la scuola potrebbe essere in pericolo!» disse Albus abbassando il tono di voce.
«Non ricordate cosa è successo l’ultima volta?» chiese la Grifondoro: di certo James non li avrebbe accompagnati un’altra volta ed Alwys non aveva intenzione di seguirlo senza una protezione.
«Per questo ho un piano» disse Albus fiero di sé.
I tre si avvicinarono per evitare orecchie indiscrete, nonostante Dominique li stesse guardando con un sopracciglio alzato.
«Non lo seguiremo quando va nella Foresta Proibita, ma… quando va in infermeria» disse con un sorriso soddisfatto.
«E quando ci va?» chiese Rose pronta a dimostrare come il suo piano facesse acqua da tutte le parti. «E soprattutto: perché?»
«Ci va prima di andare a dormire» spiegò lui guardando la cugina spazientito. «Perché così vedremo cosa si è fatto alla mano e capiremo un po’ di più di ciò che nasconde: un oggetto tagliente, un animale con le zanne…»
«Ma non possiamo uscire dal dormitorio dopo il coprifuoco» protestò Alwys: non aveva proprio intenzione di tornare in punizione.
«Abbiamo il mantello dell’invisibilità, tranquilla!» controbatté Albus. «Dai, è la nostra occasione per capirne di più, senza metterci troppo nei guai.»
«Sì, dai, tanto nessuno ci scoprirebbe.»
Alwys era con le spalle al muro: sospirò sconfitta e mise la mano davanti a sé seguita dagli altri due.
«Decreto Segreto!»
La sera arrivò prima che Alwys potesse convincere i due a cambiare idea ma ormai, dopo che Albus aveva convinto Rose, era sicura che non ci sarebbe più riuscita perché la Weasley quando prendeva una decisione era irremovibile.
«Cercate di camminare meno rumorosamente!» sussurrò Albus girandosi verso le sue amiche: sfortunatamente loro non potevano fare molto, perché le scarpe delle ragazze erano fatte così.
Albus era davanti e aveva in mano la lanterna, invece Rose ed Alwys erano ai lati e si guardavano in giro per evitare brutte sorprese. Ad un tratto, infatti, una lucina sbucò da dietro una curva: prontamente il Grifondoro spense la luce e silenziosamente si avvicinarono. Era il professor Draconem che, con la bacchetta alla mano, camminava tranquillamente verso l’infermeria che si trovava a pochi metri da lì. Stando a debita distanza, i tre lo seguirono fino a quando entrò dentro la stanza.
«Come va?» chiese la signora Abbott con il suo solito sorriso.
«Grazie a lei meglio» rispose lui accennando un sorriso. «Mi dispiace farti venire qui a quest’ora.»
«Nessun problema, è il mio lavoro» controbatté lei dandogli una pacca sulla spalla «Vediamo come sta la tua mano… qui ci vuole altro Remedium Draconis.»
«Remedium Draconis?» ripeté Rose attirando l’attenzione di Draconem.
Albus le mise una mano sulla bocca e tutti e tre smisero pure di respirare pur di non fare altro rumore.
«Lo ha messo anche a pranzo?» disse la signora Abbott notando l’espressione perplessa dell’uomo.
«Sì, certo…» farfugliò lui distrattamente tornandola a guardare.
Albus fece un cenno con la testa verso le altre due e lentamente uscirono dalla stanza: superata la prima curva si fermarono per accendere la lanterna.
«Ok, questo sì che è strano» disse il Grifondoro girandosi verso le due amiche.
«Se non guarisce presto vuol dire che è stato causato dalla magia» spiegò Rose con il tono che usava ogni volta che voleva impartire una lezione.
«E chi gliel’ha lanciata?» chiese Albus.
«Al» lo chiamò Alwys attirando la sua attenzione. «Se Madama Abbott lo sa e non dice niente vuol dire che non è una cosa grave.»
«Forse le ha mentito» propose il ragazzino mordendosi il labbro.
«Ma non sarà seguendolo e beccandoci una punizione che lo capiremo.»
Albus abbassò lo sguardo sconfitto: Alwys aveva ragione e soprattutto lei era in una situazione più critica di loro.
«Va bene…» disse con tono sconfitto. «È meglio tornare ai dormitori.»
Ad Alwys dispiacque un sacco vederlo così triste, ma il fatto che Rose non avesse protestato, voleva dire che in fondo anche lei la pensava così.
La mattina dopo, però, Albus sbucò fra le due mentre erano in attesa dell’inizio della lezione di Incantesimi.
«Remedium Draconis…» disse prendendo il mento con una mano.
«Mi raccomando, dillo più forte» lo canzonò la cugina. «Mi sa che l’altra aula non lo ha sentito.»
«Io sì, però» i tre trasalirono all’udire quella voce: Scorpius, seduto davanti a loro, si era girato per guardarli. «La conosco quella pianta.»
«Davvero?» chiese Albus chinandosi in avanti, ma la gomitata di Rose lo fece tornare dritto.
«Non so a cosa vi serve, ma posso aiutarvi.»
«Non ci serve il tuo aiuto» controbatté la Rosa spostando lo sguardo verso la lavagna.
«Come volete…» il ragazzino fece per girarsi, ma Albus lo bloccò.
«Per favore, puoi dircelo?» gli chiese sorridendo cortesemente.
Scorpius diede una fugace occhiata a Rose che però non accennò a muoversi.
«È una pianta la cui linfa cura le ustioni, anche quelle più gravi.»
«Interessante…» si lasciò scappare Alwys che incontrò lo sguardo di Albus.
«Grazie mille.»
Il biondo fece spallucce e, prima di girarsi di nuovo verso la professoressa che era appena entrata, lanciò un’occhiata verso Rose.
Il fatto che il professore si fosse procurato un’ustione rese il tutto ancora più sospetto, ma quella pianta doveva essere davvero miracolosa perché la mano del professore guarì in pochi giorni.
Alla fine rinunciarono del tutto, passò un mese e non conclusero nulla: il professore non lasciava indizi e, ovviamente, Ted non credette alle loro parole.
«Ti dico che nasconde qualcosa!» ma lui li scacciò, troppo occupato a preparare le lezioni.
Un giorno, però, mentre entrava dentro la sala della sua Casa, Alwys fu colpita dal fatto che era completamente vuota: dov’erano tutti? Si guardò intorno, ma oltre allo scoppiettare del camino non vi era nessun rumore.
«Psst.. Alwys!» la Grifondoro si girò di scatto ma non c’era nessuno.
«Chi sei?»
«Sono Victoire» Alwys divenne ancora più confusa perché la stanza era vuota e Victoire era Corvonero, quindi non avrebbe dovuto essere lì.
«Oggi è il compleanno di Dominique, le stiamo facendo una sorpresa. Ti abbiamo cercata ma non ti trovavamo, avvicinati al camino che ti faccio l’incantesimo.»
La ragazza obbedì, andò lì e dalla poltrona uscì una mano con una bacchetta.
«Ma che cosa!» urlò Alwys spaventata.
«Zitta! È un incantesimo di disillusione, non farà male. Avvicinati al muro… Disillio.»
Alwys non ebbe nemmeno il tempo di replicare che fu letteralmente assorbita dal muro diventando parte della carta da parati: non riusciva a vedere nemmeno le sue mani!
«Chiudi gli occhi che si vedono!» James? Anche lui lì?
Appena sentì dei rumori arrivare dal corridoio chiuse gli occhi e cercò di non pensare al fatto che adesso era diventata carta da parati rossa.
«Ma dove sono tutti?» era la voce di Dominique.
«E io che ne so, ero con te» rispose Fred che alzò le spalle. «Mettiamoci seduti, sono stanco di stare in piedi.»
Si avvicinò alla poltroncina che era vicino il camino e fece cenno a Dominique di sedersi.
«Hai ragione, dopo gli allenamenti sono sempre sfinita.»
Si sedette e in quello stesso momento Fred prese la bacchetta, la puntò davanti a sé e disse: «Finite Incantatem
Tutti quanti tornarono normali e urlarono: «Tanti auguri!»
Puntarono la bacchetta al cielo e ci fu un’esplosione di stelle filanti e coriandoli. Dominique balzò in avanti perché sotto di lei era spuntata Victoire che l’aveva intrappolata in un abbraccio spaventandola.
«Siete pazzi» disse ridendo a crepapelle.
«Il meglio per la mia sorellina» le scompigliò i ricci e furono raggiunte da Louis che le abbracciò.
Victoire prese la bacchetta e con un colpetto fece galleggiare una splendida torta che era stata nascosta dietro un mobile.
«Buon compleanno Dominique.»
La torta raffigurava una piccola scopa cavalcata da una ragazza con ricci rossi e un bellissimo sorriso. Sfortunatamente non avevano potuto organizzare una festa come si deve perché la Preside aveva concesso loro solo mezz’ora.
«Inizialmente erano dieci minuti» disse Molly.
«Ma diciamo che siamo riuscite a convincerla» le gemelle si guardarono con uno sguardo d’intesa che fece ridere Dominique.
«Ok, non voglio sapere come.»
«Auguri» Alwys si avvicinò alla rossa che la abbracciò.
«Grazie di essere qui, mi fa davvero tanto piacere.»
Solo in quel momento Alwys si rese conto che in quella stanza erano tutti parenti di Dominique e immediatamente si sentì in imbarazzo, ma in un certo senso era come se si sentisse parte di quella famiglia.
 
I mesi passarono veloci e le vacanze di Natale erano alle porte, tutti erano molto eccitati e ciò si poteva intuire anche dalle chiacchiere degli studenti che erano incentrate solo su quello. Alwys non ebbe più problemi con le trasformazioni, nella casa faceva a brandelli coperte e mobili, così non rischiava di farsi troppo male come la prima volta. Inoltre, c’erano i Lupin: Alwys non sapeva come spiegarlo, ma quei due le facevano molta simpatia, la guardavano con uno sguardo molto dolce che riusciva sempre a tranquillizzarla prima delle trasformazioni e Nymphadora cambiava il suo aspetto in buffi animali che la facevano ridere.
«Mangia il cioccolato, ti sentirai meglio» diceva sempre Remus quando la vedeva giù, lo diceva così tante volte che Alwys capì che doveva essere una cosa che diceva spesso da vivo.
«Quanto avrei voluto conoscervi» le scappava questa frase ogni tanto e i due si guardavano sorridendo.
Arrivò a scendere da loro anche quando non doveva trasformarsi, tanto per raccontargli una giornata particolare o per parlare con Remus della sua vita da lupo mannaro costretta a nascondersi.
«Ho sempre avuto così tante domande che sono arrivata ad un punto in cui non cercavo più le risposte perché erano diventate parte di me» confidava a loro che in silenzio la ascoltavano.
Ovviamente non potevano rispondere in modo completo, ma quelle piccole frasi di incoraggiamento, anche se ripetute spesso, riuscivano a tranquillizzarla.
Nymphadora si avvicinò diventando sempre più grande fino a quando il suo viso fu alla stessa grandezza di quello di Alwys, poi alzò la mano mostrandole il palmo, la ragazza alzò pure la sua e la appoggiò sulla tela: sentiva solo il freddo della tempera magica, ma una sensazione di calore si propagò nel suo petto. Ad un tratto la mano della donna incominciò a cambiare in quella di un coniglio, di un cinghiale e in tanti altri animali per poi tornare normale.
«Anche se la mia mano cambia forma, saprò sempre darti il calore di cui hai bisogno. Anche se pensi di essere diversa, puoi dare lo stesso calore che le altre persone possono dare» disse la donna sorridendole. Alwys pianse e poggiò il viso sulla tela cercando disperatamente di entrare nel quadro.
Nella penombra della stanza, dietro una colonna, c’era Ted che in silenzio guardava la scena mentre un peso si appropriava del suo stomaco. Anche lui avrebbe voluto conoscere i suoi genitori, non voleva soltanto sentire storie su di loro e quanto fossero degli eroi. Io non voglio degli eroi, io voglio loro qui con me. Se non fosse stato per Harry e gli altri, non sarebbe nemmeno diventato professore, ma aveva una missione da compiere e non poteva lasciarsi trasportare dai sentimenti. Ricacciò le lacrime e andò via dalla stanza.
Un rumore, però, catturò la sua attenzione: dei passi frettolosi stavano percorrendo le scale, come se il proprietario non volesse essere scoperto. Inseguì quel rumore e vide un’ombra aggirarsi velocemente per le scale, tirò fuori la bacchetta, si posizionò dietro una colonna e aspettò che l’ombra gli passasse accanto. Respirò profondamente, strinse i pugni e, appena i passi si fecero più vicini, con uno scatto uscì dal nascondiglio e puntò la bacchetta alla gola dell’ombra.
«Professoressa Lewis?» la donna era davanti a lui, coperta da un lungo mantello da cui fuoriuscivano i boccoli corvini.
«Le sembra il modo di trattare una signora?» disse spazientita guardando con un sopracciglio alzato la bacchetta che le stava toccando la gola.
«Scusate…» spostò la bacchetta e la rimise dentro il giubbotto, ma continuò a guardare sospettoso la donna.
«Cosa ci fate qui?»
«Perché le devo delle spiegazioni?» quella risposta fece insospettire ancora di più il professore che forzò un sorriso.
«Mera curiosità» si giustificò chinando leggermente il capo.
«E lei?» la donna assottigliò lo sguardo cercando di carpire il minimo segno di debolezza da parte dell’uomo.
«Volevo vedere cosa stava facendo la signorina Dewery» il che era vero, peccato che la studentessa ne fosse completamente ignara.
«Vedo che è molto affezionato a lei.»
«È una mia studentessa.»
«Solo?» quello scambio di battute incominciò a rendere l’aria più pesante e Ted a poco a poco stava perdendo la pazienza.
«Cos’altro potrebbe essere?»
«Non so, mi dica lei» il sorrisetto della professoressa fece perdere ancora di più il controllo a Ted, ma non si scompose e ricambiò con un mezzo sorriso.
«Non saprei. Piuttosto mi dica lei perché è nei sotterranei con un mantello» a quell’affermazione la donna cambiò l’espressione in una preoccupata, poi però si riprese e lo guardò disgustata.
«Come ho già detto, non le devo alcuna spiegazione» scostò con un soffio un ciuffo ribelle, girò i tacchi e andò via verso le scale.
Quella donna non nasconde niente di buono, pensò Ted. Appena la professoressa sparì dal suo campo visivo, si girò per tornare verso… «Alwys!»
«Cosa ci fai qui?» la ragazzina doveva essere appena arrivata.
«Ti ho vista venire qui e volevo capire come mai visto che non c’è la luna piena» spiegò lui ancora un po’ turbato per la discussione con la professoressa.
«Capito…»
Ted notò che qualcosa tormentava anche Alwys, ma preferì non indagare e aspettare che magari lei stessa si fosse fatta avanti.
«Torniamo sopra.»
I corridoi erano pieni di studenti eccitati per le vacanze imminenti, poter vedere dopo dei mesi i loro genitori li faceva fremere sulle sedie delle aule, soprattutto a quelli del primo anno che non erano mai stati per così tanto tempo lontani da casa. Alwys invece non era così: le sue gambe ciondolavano dalla sedia troppo alta per lei e la sua andatura gobba faceva intuire che qualcosa non andava. Ted cercò di analizzarla con lo sguardo, ma il viso della Grifondoro era imperturbabile.
«Quindi… progetti per queste vacanze?»
Quella frase risvegliò Alwys dai suoi pensieri: una giornata in famiglia abbellita da luci colorate, un regalo e troppe cose da mangiare per una famiglia sola. Molte volte aveva chiesto ai suoi genitori di andare con loro dai parenti, ma ogni anno le rispondevano che era meglio se restava a casa con la babysitter.
«È meglio così, non vogliamo che si facciano delle domande, vero? Quando sarai più grande verrai» e lei annuiva, ogni anno calava la testa e reprimeva dentro di sé i suoi sentimenti che prima o poi sarebbero usciti fuori come una bomba ad orologeria.
«Niente» si limitò a dire guardando il pavimento che sfrecciava sotto i suoi piedi.
«E cosa farai con i tuoi genitori?»
Nonostante tutto il tempo che avevano passato insieme, Ted si sentì un po’ indiscreto a chiederle una cosa così personale, soprattutto dopo che la ragazzina si morse il labbro inferiore.
«Starò con loro solo un giorno, vogliono approfittare del fatto che sono qui per farsi una vacanza.»
Ecco spiegato il comportamento di Alwys, il suo evitare le discussioni sul Natale, il suo inventare scuse quando gli altri volevano uscire per giocare fuori con la neve.
Ted non disse nulla, le passò una mano sopra la spalla e le sorrise, lei però non ricambiò.
«Tu, invece?»
«Starò con i Potter e i Wesley come ogni anno» spiegò lui cercando di non entrare troppo nel particolare temendo che la ragazzina potesse starci male. «Ti va se ti insegno una piccola magia che piacerà molto ai tuoi genitori?»
Alwys lo guardò confusa: quando Ted faceva quello sguardo non prospettava nulla di buono.
 
«Finalmente sei di buon umore!» esclamò Albus appena la Grifondoro arrivò al tavolo sedendosi nel suo solito posto.
«Scusate se vi ho fatto preoccupare» disse lei un po’ imbarazzata visto che tutti la stavano fissando curiosi.
La cena passò fra risate e aneddoti divertenti raccontati dalle due gemelle, Alwys si meravigliò del fatto che ancora non fossero state espulse. La Grifondoro guardò i suoi compagni, i suoi amici, che ridevano e scherzavano: lei era con loro, faceva parte di tutto questo e non era mai stata così tanto felice in vita sua.
«Alwys hai posta!» una piccola lettera scarlatta era poggiata accanto alla sua mano: era sempre stata lì? Lei non se n’era manco accorta.
La prese, ma ad un tratto la lettera scivolò via dalle sue mani e galleggiò davanti al suo viso «Buona sera signorina Dewery» la lettera stava parlando. LA LETTERA STAVA PARLANDO. Gli altri incominciarono a ridere perché la Grifondoro doveva avere davvero una faccia inebetita.
«È ufficialmente invitata a passare le vacanze invernali presso la modesta casa della famiglia Potter. La preghiamo di dare una risposta entro… adesso.»
Alwys continuò a fissare la lettera con gli occhi fuori dalle orbite, poi spostò lo sguardo verso gli altri che si erano dati a urli di gioia per ciò che aveva detto la lettera.
«Sì…» disse più confusa che altro.
La lettera si girò verso Albus: «Quando tornerai a casa mi dirai tutto ciò che ha fatto James e vedremo se farà ancora lo sbruffone» poi andò in mille pezzi.
La Grifondoro guardò i suoi amici e incominciò a ridere: era tremendamente felice.
 

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Capitolo 17
*** 16. Natale a casa dei Potter ***


16
Natale a casa dei Potter

 
 
Guardò il suo riflesso nello specchio: ormai vedersi senza cappello era diventato normale per lei e ciò la spaventava un po’, come se avesse la sensazione che tutti quei cambiamenti non portassero a qualcosa di buono. Ma era felice, e quel grosso bagaglio davanti a lei aspettava solo di essere portato via da quella stanza piena di letti tra cui era difficile camminare per quanto fosse piena di vestiti, gabbie per uccelli e altri animali. Ninfa era dentro il suo trasportino e ogni tanto emetteva qualche miagolio di disapprovazione perché non poteva scorrazzare libera in giro.
«Andiamo?»
Lady Amelia si accostò accanto a lei e Alwys notò che non vi era il suo riflesso, ma ormai a questo tipo di stranezze ci aveva fatto l’abitudine.
Annuì, si sistemò la sciarpa, prese la valigia e scese le scale. Ad aspettarla nella sala comune c’erano i suoi amici sorridenti che fantasticavano sulle pietanze che li aspettavano a casa.
«Ecco Cenerentola tornata dal ballo!» scherzò Dominique ormai senza la fasciatura.
«Con gli altri ci incontriamo all’entrata» le disse Albus che sembrava essere più eccitato di lei all’idea che avrebbero passato insieme le vacanze.
Dalle finestre del corridoio si poteva vedere la candida neve che scendeva silenziosa dal cielo per imbiancare tutto il cortile in cui gli studenti si sfidavano a battaglie di palle di neve. Ad un tratto una di quelle fu scagliata contro la nuca di Fred.
«Chi è stato?»
Tutti rimasero in silenzio e scappò qualche risata qua e là. Continuarono a camminare ma di nuovo un’altra palla colpì il ragazzo.
«Molly e Lucy io vi ammazzo!»
Fred tirò fuori la bacchetta e fece volteggiare attorno a lui delle palline.
«Era uno scherzo!» cercarono di giustificarsi le gemelle con uno strano luccichio negli occhi.
Appena la prima pallina di neve andò a segno, si scatenò il finimondo: si formarono due squadre, una con Albus, Alwys, Dominique e Fred, l’altra con Rose e le gemelle. Gli amici si divertirono tantissimo perché era la prima volta che giocavano tutti insieme e si chiesero come mai non lo avessero fatto prima.
«Patetici» James si mise al centro fra le due squadre con il suo solito libro in mano e non li degnò nemmeno di uno sguardo.
«Sei proprio un amore» Victoire si unì alla squadra con Rose e incominciò a giocare pure lei.
James farfugliò qualche parola e poi andò a sedersi su una panchina a debita distanza da loro.
«Perché non giochi con loro?»
Il Corvonero alzò lo sguardo e incrociò due occhi color ghiaccio che lo scrutavano.
«Non perdo tempo con queste cose.»
Louis annuì e guardò malinconicamente gli altri che invece si stavano divertendo un sacco.
«Invece tu?» chiese James.
«Preferisco non avere guai con gli altri Serpeverde» confessò amaramente Louis per poi sedersi accanto al cugino.
«Come sei melodrammatico» accanto a loro spuntò Scorpius che guardò Louis con sguardo sprezzante. «Se ti interessa così tanto cosa pensano gli altri allora puoi anche andartene dalla nostra Casa» e, detto ciò, si buttò nella mischia accompagnato dalle grida di entusiasmo degli altri.
«Non pensavo fossi tipo da giocare con noi comuni mortali» lo canzonò Rose guardandolo col suo solito sguardo saccente.
«Tu sarai una mortale, ma non sei per niente comune» le fece l’occhiolino e poi lanciò una pallina di neve verso Albus.
 
La casa non era molto grande: era a due piani, ma le stanze dovevano essere piccole vista la larghezza, era verniciata con color nocciola e qualche striscia più scura qua e là. Una normale casa inglese, pensò Alwys. Era situata nel villaggio di Godric’s Hollow, un piccolo e silenzioso posto dove le persone si salutavano fra di loro con un cenno del capo. La porta si aprì e la Grifondoro rimase a bocca aperta: l’entrata dava su un’ampia stanza con un grosso tappeto rosso che la delimitava quasi tutta, su cui era raffigurato un mago intento a fare una magia, e con un’enorme scala di legno antico che era posta al centro e divideva la stanza perfettamente a metà. La grandezza della stanza non corrispondeva per niente a quella della casa vista da fuori.
«Vuoi darmi il cappotto?» una donna con un caschetto color carota le sorrise e prese con cautela la giacca della ragazza.
«Ciao mamma!» Albus le saltò letteralmente al collo e la riempì di baci.
Arrivò un’altra signora, anch’essa molto bella, con lunghi capelli castani che scendevano sul petto solo dal lato sinistro del viso.
«Dov’è la mia piccola Grifondoro?» Rose sbucò da dietro la porta e abbracciò la donna.
Il resto degli amici entrò salutando le due donne e posando i cappotti chiacchierando fra di loro.
«E papà?» dissero in coro i due ancora attaccati alle mamme.
«Stanno cercando di non bruciare la casa.»
Andarono tutti nella stanza a destra delle scale, che doveva essere il salotto: vi erano quattro divani molto spaziosi disposti in cerchio e dal soffitto pendeva un enorme lampadario le cui luci erano tante piccole ballerine che danzavano attorno ad esso.
«È meraviglioso.»
Louis sentì l’esclamazione di Alwys e le fece l’occhiolino.
«Incantesimo di Estensione Irriconoscibile, tutte le nostre case usano questo escamotage.»
Alwys annuì meravigliata: ricordava quell’incantesimo, la cosa che l’aveva colpita era il perfetto accento francese del ragazzo.
Seduti sopra uno dei divani vi erano un uomo e una donna: a lui mancava qualche capello, ma il colore rosso tipico dei Weasley era sempre presente, leggermente in carne e con un grezzo maglione che doveva avere qualche anno; lei aveva corti capelli sempre rosso fuoco, un lungo vestito di lana a scacchi e due occhi molto dolci incorniciati da qualche ruga. L’uomo, a differenza della donna, aveva lo sguardo perso nel vuoto, come se fosse assente, e ciò, sommato alle rughe, lo fece sembrare ancora più vecchio.
«Nonna Molly! Nonno Arthur!» tutti andarono sul divano e strapazzarono di coccole i due anziani i cui visi si illuminarono.
«E chi è quella bella bimba lì?» chiese Molly indicando Alwys che si sentiva un po’ a disagio, infatti non riuscì a spiccicare parola.
«Lei è Alwys Dewery, una nostra amica» Ted spuntò dietro lei in suo soccorso e le accarezzò le spalle per farla rilassare un po’.
«Vieni qui che ti abbraccio!» disse la donna alzandosi dal divano con qualche difficoltà per poi intrappolare la ragazzina presa alla sprovvista. «Per noi è sempre un piacere avere un posto in più a tavola, vero Arthur?»
L’uomo annuì e poi spostò lo sguardo verso l’albero di Natale rimanendo incantato dalle luci colorate.
«Cos’è tutto questo trambusto?» dalla porta della cucina uscì un uomo alto e magro, anche lui con capelli rossi e un sorriso da furfante.
«Papà!»
Il ragazzo scavalcò il divano con un agile salto e buttò le braccia al collo di George: l’uomo gli accarezzò la testa e gli diede un bacio sulla fronte.
«Ben tornato, Fred.»
Certo che in questa famiglia si assomigliano tutti, pensò Alwys mentre fissava quello strano ma felice gruppetto. Quanto avrebbe voluto anche lei vivere così.
Prese posto su un divano occupato da Albus, Rose e Dominique, che incominciarono a raccontare tutto il loro primo semestre ai loro nonni un po’ frastornati dal rumore. Ted sbucò dalla cucina e fece segno alla Grifondoro di andare con lui. Lo seguì dentro la stanza, dove vi eranpo due uomini intenti a mescolare un qualcosa dentro una pentola e Ginny ed Hermione che ridevano guardandoli.
«Lei è Alwys» uno dei due uomini sobbalzò e si girò lentamente: era l’uomo che aveva attraversato il binario 9 e tre quarti con Albus.
Si asciugò le mani sul grembiule e ne porse una ad Alwys: «Piacere, sono Harry Potter.»
La ragazza gli strinse la mano e sorrise.
«Lei è… sai, l’amica di Albus di cui ti avevo parlato» Ted farfugliò qualche parola e fece ripetutamente l’occhiolino ad Harry.
«Ma certo! Alwys!» disse ad un tratto l’uomo il cui volto si illuminò con un gigante sorriso.
Alwys guardò i due che si scambiarono qualche occhiata da complici, ma non ci capì molto e la sua attenzione fu catturata da uno strano odore… come di bruciato.
«Miseriaccia Harry, qui sta bruciando tutto!»
L’altro uomo passò il cucchiaio ad Hermione e si mise le mani nei capelli rossi. Il signor Potter raggiunse gli altri e cercò di sistemare la situazione, anche se fu del tutto inutile.
«Che cos’è questo odore?»
Molly sbucò dalla porta con una faccia a dir poco furiosa, allontanò dai ripiani i due uomini e si rimboccò le maniche.
«Via dalla mia cucina!» urlò scacciando gli altri con le mani.
«In verità è la mia» puntualizzò Harry, ma lo sguardo della donna lo incenerì e capì che forse era meglio andare via. «Vieni?»
«No, rimango qui» rispose Ginny per poi schioccare un bacio sulle labbra del marito che le sorrise dolcemente.
«Tu un bacio non me lo dai?» Ron si avvicinò ad Hermione, ma la donna gli diede un colpo sulla nuca facendolo imprecare dal dolore.
«Ti conviene andare di là prima che combini altri guai.»
I due uomini, con espressioni completamente diverse, uscirono dalla cucina per andare ad abbracciare i loro figli.
«E tu chi saresti?» per tutto il tempo Alwys non si era accorta di una piccola bambina nascosta dietro la grossa gonna di sua madre.
«Sono Lily» disse uscendo dal suo nascondiglio come incantata dalla figura della ragazza.
«Teddy puoi portarla dagli altri? Sicuramente con te ci starà» chiese Ginny indicando con lo sguardo la figlia che annuì felice.
Nell’altra stanza c’erano aeroplani di carta che volavano, pupazzi che si muovevano da soli e tante risate. Un lungo treno volava fra gli invitati con patatine e stuzzichini di tutti i gusti che Alwys non conosceva, infatti optò per non mangiare nulla, non si poteva mai sapere! Ninfa, invece, si stava beando delle coccole di Lily e Hugo che si erano innamorati di lei. Poco dopo apprese che Lily era la sorella di Albus e invece Hugo di Rose.
«Non mangi?» chiese Albus mentre addentava uno zuccotto di zucca, quello lo avrebbe mangiato volentieri, ma il treno andava così veloce che era difficile prendere qualcosa senza sbagliare.
«No, sto bene così» disse Alwys leggermente imbarazzata.
Ad un tratto Dominique, da che era tranquillamente seduta sul divano, si trovò a levitare ad un metro dal pavimento.
«ZIO GEORGE!» urlò seccata.
L’uomo, in un angolo della stanza, incominciò a ridere senza nemmeno un minimo di contegno.
«Appena finisco queste Api Frizzole, scendo e mi vendico!» disse a testa in giù e con le braccia incrociate al petto.
«Non è colpa mia se sei fissata con le caramelle al limone» controbatté lui alzando le mani come se fosse innocente.
Tutti si misero a ridere e alla fine anche Dominique cedette, anche se sua madre non la pensava allo stesso modo: appena entrò cercò in tutti i modi di farla tornare a terra, fallendo miseramente.
«Bill ti pvego, fai scendeve nostva figlia!» lo supplicò, ma l’uomo guardò il fratello e si misero a ridere.
La madre di Dom era davvero bellissima, anche se Alwys non aveva dubbi ancora prima di vederla: tutti e tre i suoi figli erano bellissimi, anche se il marito, Bill, a causa di una grossa cicatrice sul viso perdeva un po’ della sua bellezza.
«Quest’anno come sta andando la squadra di Quidditch?» chiese Harry sedendosi accanto al figlio.
«Benissimo, Dominique è una bomba» esclamò Albus guardando orgoglioso la cugina.
«Peccato però che ha avuto quell’infortunio, abbiamo perso due partite nel frattempo, perché Nott ne ha approfittato per prendere il boccino, visto che Clara Flautin non riusciva nemmeno ad avvicinarsi» spiegò scocciata Rose.
«Vorrà dire che la prossima volta ci sarai tu e gli darai una bella lezione» Ron si avvicinò a loro e le fece l’occhiolino.
«Chissà» rispose altezzosamente.
«E la Coppa delle Case? L’anno scorso l’avete fatta vincere a Corvonero, quest’anno?» il Signor Potter si fece più vicino e guardò con aria di sfida la rossa.
«L’avete fatta vincere?» Victoire gli fece il verso arrivando con le mani sui fianchi. «L’abbiamo vinta perché avevamo dei Prefetti fantastici che si sono impegnati molto.»
«E casualmente eri tu uno dei Prefetti» constatò Dominique ancora a testa in giù.
«Esattamente.»
«E quest’anno? Non è che state facendo scintille» la sfidò Rose e la bionda sorrise.
«Ho cose più importanti a cui pensare, come i M.A.G.O.» rispose facendole la linguaccia.
«Quindi vittoria facile per i Grifondoro quest’anno?» scherzò Harry e i tre Grifondoro si misero a ridere.
«Esistono anche le altre case» calò il silenzio e tutti si girarono verso Louis.
«Sì, hai ragione…» Rose si grattò la nuca imbarazzata.
«L’anno scovso hanno vinto gvazie a Victoire, quest’anno gvazie a Louis» disse orgogliosa Fleur che diede un pizzicotto al figlio a cui scappò un sorriso.
«Ah, sì? Secondo me, invece quest’anno vinceranno i Grifondoro grazie ad Albus, Rose ed Alwys» rispose Harry alzandosi dal divano.
Alwys divenne rossa come un peperone: perché avevano messo in mezzo anche lei?
«Lo vedvemo» rispose la donna sorridendo.
«A tavola!» urlò la Signora Molly dalla cucina.
Il tavolo percorreva tutta la lunghezza della sala da pranzo e, ovviamente, era pienissimo di pietanze di tutti i tipi. Al centro vi era un binario su cui un treno sfrecciava con, al posto dei vagoni, caraffe con svariate salse, dei panetti di pane e qualche stuzzichino. Alwys rimase ferma per qualche istante ma, appena vide che tutti avevano già preso posto, si affrettò a sedersi: il suo posto era fra Ted ed Albus. Il pranzo incominciò e, fra risate e conversazioni riguardanti la scuola, il tempo sembrò volare insieme alle porzioni che gli altri si passavano. Più volte Alwys si dovette abbassare per paura che un piatto sbattesse contro la sua testa.
«Che lavoro fanno i tuoi genitori?» chiese Hermione che era seduta dall’altro lato del tavolo.
«Hanno un negozio di animali…» rispose Alwys: si sentiva tremendamente impacciata.
«Ma che bello! Sicuramente ti piaceranno molto gli animali.»
Lei annuì: in verità ogni volta che entrava nel loro negozio tutti gli animali incominciavano ad agitarsi, quindi non ci entrava da molto tempo ormai.
«Anche i miei genitori sono babbani» disse attirando la sua attenzione: una strega così potente una nata-babbana? «Sono dei dentisti.»
«Non credere a chi dice che chi ha i genitori babbani è svantaggiato» si intromise Harry sorridendo. «Non sarei qui senza Hermione.»
I due si guardarono e si misero a ridere, come se le loro avventure stessero passando davanti ai loro occhi come un vecchio film proiettato sul muro.
Subito dopo il pranzo, tutti si gettarono verso l’albero di Natale che, ovviamente, era stupendo: a parte il fatto che era enorme, le decorazioni erano colorate e scintillanti, piene di luci a forma di fiocco di neve, e dei piccoli babbi natale e renne si muovevano attorno ad esso. Alwys preferì rimanere in disparte, era ovvio che non ci fossero regali per lei. Tutti ricevettero un maglione con il colore delle loro case e la loro iniziale stampata al centro, fatto dalla nonna Molly: quanto avrebbe voluto averne uno anche lei.
«Ti piace? Io lo adoro, pensa che lo ha fatto senza magia!»
Alwys annuì: Albus era come un faro nella notte in quel momento, il suo sorriso avrebbe potuto illuminare qualsiasi cosa.
La serata passò così: fra abbracci e strane canzoni, riempendo Alwys di un calore che non aveva mai provato prima.

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Capitolo 18
*** 17. Problemi ad Hogsmeade ***


 

17
Problemi ad Hogsmeade

 
La seconda parte delle vacanze passò lentamente: tornare a casa dopo essere stati dai Potter fece apparire il classico cenone in famiglia noioso. Niente treno in mezzo al tavolo con salse di tutti i gusti, niente aeroplani di carta che volavano sopra la sua testa. Niente di niente. I suoi genitori presero subito a parlare di quanto i loro parenti fossero simpatici e che non vedevano l’ora di poterla presentare a loro quando sarebbe stata meno instabile. Prima quel termine non le avrebbe fatto né caldo né freddo, adesso era come se la sua condizione fosse la normalità e i suoi genitori l’anomalia. Cercò di non pensarci e si fece cullare dal calore familiare mentre ansiosa guardava fuori dalla finestra. C’era pure la Signora Turner che dava un po’ di allergia con il suo cardigan rosso come il rossetto: per tutto il tempo le aveva fatto domande su questa nuova scuola, però lei ovviamente non poté rispondere in modo sincero poiché i babbani non dovevano sapere dell’esistenza del Mondo Magico.
«E ora i regali!!» disse tutta emozionata la madre avvicinandosi all’albero. «Vediamo cosa ti ha portato Babbo Natale.»
«Anche io ho un regalo per voi» disse Alwys sorridendo emozionata.
Si alzò dal tavolo e andò di corsa nella sua stanza. Aprì il borsone e prese un pacchetto ricoperto da una carta regalo dove vi erano delle stelle di Natale che giravano. La madre, appena vide quella strana confezione, accennò un sorriso poco convinto, invece il padre era a dir poco estasiato. Sfortunatamente non aveva qualcosa anche per la signora Turner, ma lei non sembrò badarci molto.
«Prima tu, amore.»
Alwys annuì, prese in mano il pacchetto all’apparenza leggero e lo scartò non cura.
«Non ci credo!» esclamò prendendo in mano il contenuto: una macchina fotografica istantanea.
«Ma è bellissima» aprì la scatola e la tirò fuori per vederla meglio: era un modello di quelli vecchi color parquet.
«Siamo contenti che ti piaccia» disse il signor Dewery stringendo la vita della moglie.
«Facciamoci una foto!»
«Aspettate!» esclamò la signora Turner frugando nella borsa. «Apri il mio così lo metti nella foto.»
Il contenuto, infatti, era una sciarpa viola con dei ghirigori argentati e dei guanti dello stesso colore: ogni anno le regalava qualcosa fatto a mano, l’anno precedente per esempio le aveva regalato una collana fatta con l’uncinetto.
Poggiarono la macchina fotografica sopra il tavolo e poi si posizionarono davanti al camino.
«Dite Cheese!» tutti sorrisero e il flash scattò.
«C’è anche un’altra cosa» disse la madre indicando l’albero.
Alwys prese il piccolo pacchetto che solo soletto se ne stava lì e lo aprì con un sorriso stampato sul volto: era un piccolo quaderno la cui copertina aveva un lupo che ululava alla luna.
«Così le foto le metterai tutte lì» disse la madre dandole uno sbuffetto sulla guancia.
«Vi adoro» rispose Alwys buttandosi su di lei per abbracciarla.
«Manco io!» disse scherzosamente il signor Dewery che cinse con le braccia entrambe.
La signora Turner guardò con un sorrisetto dolce quel quadretto, ma subito dopo anche lei fu intrappolata dalle braccia della ragazzina.
«Dovete aprire il mio regalo!»
I genitori si guardarono sorridendo e poi anche loro aprirono il piccolo pacchetto: era la prima volta che la figlia faceva loro un regalo che non fosse un disegnino fatto da lei.
«Ma è deliziosa!» esclamò la madre accarezzando il contenuto del regalo.
Era una loro fotografia in cui sorridevano, la cui cornice era simile alla carta regalo solo che color argento.
«Ma la foto si muove!»
«Si, è una magia… mi ha dovuto aiutare Ted però» confessò lei un po’ imbarazzata.
«È bellissima» dissero in coro.
Quello era il miglior Natale in assoluto: stare con i Potter e poi vedere i suoi genitori così felici le aveva fatto capire che finalmente la sua vita stava prendendo una giusta piega. Ma c’era sempre quel piccolo vuoto dentro di sé che nemmeno i suoi genitori riuscirono a colmare: le mancava Hogwarts.
 
Passate le vacanze tra battaglie di neve e cioccolata calda, finalmente arrivò il tanto atteso giorno. Nonostante il freddo, un dolce calore si propagò dentro il cuore della ragazzina appena le porte si aprirono.
«Eccoti!» Albus e Adeline le buttarono le braccia al collo e la riempirono di baci.
Appena si spostarono da dietro spuntò Rose un po’ imbarazzata che si limitò ad un bacetto. Inspirò profondamente l’aria gioiosa degli studenti che erano tornati dalle vacanze e si avviò verso i dormitori per lasciare le sue cose. Posò il baule accanto al suo letto e lasciò uscire Ninfa che si stiracchiò e andò subito ad accoccolarsi sul letto. Poi, insieme agli altri, andò nella sala comune dove c’era il resto del gruppetto ad aspettarli.
«Avete presente il tacchino del giorno del ringraziamento?» tutti si sporsero in avanti come per ascoltare meglio ciò che le due gemelle stavano dicendo. «BOOM!» tutti saltarono in aria mentre Molly e Lucy si misero a ridere.
«Non si fanno queste cose!» Rose le guardò arrabbiata mentre Dominique le faceva le smorfie da dietro.
«Perché? Volevamo vendicarci del fatto che siamo dovuti andare fin laggiù perché Percy non poteva scendere.»
«Papà si chiama, non Percy» le ammonì Fred.
«La stessa cosa.»
«Dove sono gli altri?» chiese Alwys guardandosi intorno mentre coccolava Ninfa che stava tenendo il broncio per tutto quel tempo in cui era stata rinchiusa in quella gabbietta.
«Non possono venire qui perché sono di Case diverse» spiegò Albus.
«E poi Victoire ha altro da fare» Lucy guardò ammiccante Molly per poi mettersi a ridere.
«Di che stanno parlando?» in quella stanza tutti sembravano sapere cosa volevano dire tranne Alwys.
«Non te lo ricordi? Victoire è la fidanzata di Ted» disse Albus per poi ricevere uno schiaffo sulla nuca da parte di Fred.
«Non dirlo ad alta voce!»
Albus strinse la mano di Alwys e lei si sciolse in un sorriso. Non le importava se Ted avesse una fidanzata, niente poteva convincerla del fatto che fra di loro c’era qualcosa di speciale.
«Dobbiamo andare, sta per iniziare il banchetto» disse Dominique alzandosi dalla poltrona. «Dobbiamo metterci l’uniforme per le cerimonie.»
«Per le cerimonie?» chiese Alwys un po’ perplessa.
«Ricordi che alla Cerimonia di Smistamento gli altri non avevano la solita uniforme?» chiese Rose con il suo solito tono saccente.
«Sì, vero.»
«Bene, dovete mettervi quella!» esclamò Dominique facendo cenno di andare verso i dormitori.
Alwys non vedeva l’ora di indossarla: era davvero bellissima e ne era rimasta incantata la prima volta che l’aveva vista così come la seconda. Quando la prese dal suo armadio ebbe qualche difficoltà a metterla perché era composta da una camicia color avorio, un corpetto bordeaux con la scollatura abbellita da una pelliccia marroncino scuro, una gonna a palloncino dello stesso colore con dei ghirigori dorati, un fazzoletto dei stessi colori della casa ed una giacca dello stesso colore del corpetto.
«Ti aiuto io» disse bonariamente Dominique: a lei stava davvero d’incanto.
Le scarpe erano degli stivali oro e bordeaux ornati dalla stessa pelliccia del corpetto.
«Non dimenticare i guanti e il cappello» la ammonì la rossa passandoglieli.
Il tetto della sala era uno spettacolo: era come se si aprisse sul cielo stellato e fiocchi di neve cadevano sui tavoli senza però formare neve. Il gruppetto si sedette ai soliti posti davanti ad enormi vassoi vuoti, pieni di emozione per il fatto che dopo un po’ di tempo erano finalmente tutti seduti insieme lì e con tanta voglia di mangiare. Alwys notò che ogni Casa aveva un’uniforme diversa e, appena individuò Adeline, pensò che era davvero adorabile con la sua. Improvvisamente calò il silenzio dentro la stanza e automaticamente spostarono lo sguardo verso il tavolo dei professori: in quel momento Alwys notò che anche Hagrid era seduto lì, ma Damien no, nonostante fosse anche lui un custode.
La preside McGranitt, vestita con un elegante abito lungo color smeraldo, andò nel solito posto dove faceva gli annunci, si schiarì la voce e incominciò a parlare: «Bentornati a tutti, spero che abbiate passato delle belle vacanze di Natale. Mi rammarica comunicarvi queste notizie, ma c’è qualcosa che dovete sapere: una parte del villaggio di Hogsmade è stato attaccato da dei maghi oscuri, non si sa chi essi siano, ma vi prego di fare attenzione, di non camminare da soli, di rispettare il coprifuoco e di non andare per nessuna ragione ad Hogsmade» fece una pausa e ad Alwys sembrò che stesse guardando proprio lei. «Inoltre, proprio in questo momento, sta avvenendo un’ispezione delle camere di tutti gli studenti.»
James ringraziò mentalmente Damien per averlo convinto a nascondere la Mappa del Malandrino.
«Vi auguro buona cena.»
I vassoi si riempirono di un sacco di cibo e gli studenti incominciarono a mangiare come se non avessero mangiato per giorni.
Alwys per qualche secondo continuò a guardare la preside e poi spostò lo sguardo verso Ted che la stava guardando.
Come farò?
Ted sembrò capire dallo sguardo della ragazzina la sua richiesta di aiuto, le fece cenno che dopo la cena si sarebbero incontrati nella stanza dei ritratti.
 
Alwys, appena gli altri finirono, disse di voler andare a salutare Remus e Tonks e sgattaiolò fuori dal tavolo prima che gli altri potessero farle delle domande. Arrivata lì vide Ted che stava parlando con i suoi genitori e subito lo abbracciò da dietro.
«Mi dispiace tantissimo» disse lui anche se non era colpa sua.
«Potevo rimanere a casa, perché mi avete fatta tornare?»
«Non dirlo nemmeno per scherzo!»
«Ma ora come farò?» si allontanò da lui con gli occhi pieni di lacrime.
«Abbiamo trovato una soluzione, so che non ti piacerà ma è l’unico modo» disse lui mentre Alwys cercava di capire quale potesse essere. «Praticamente andrai con-»
«Me» da dietro una colonna spuntò Damien col suo solito sorriso beffardo.
«Cosa?» disse la Grifondoro guardando scioccata prima il lupo e poi Ted.
«Alwys è per il tuo bene.»
«Il mio bene? Preferisco essere abbandonata in mezzo alla foresta proibita.»
«Come sei drammatica» Alwys fulminò con lo sguardo Damien che era molto divertito dal suo comportamento. «Senti, anche per me è una seccatura, ma il Ministero ha avuto la splendida idea di nominarmi Protettore dei lupi mannari, quindi o fai ciò che ti dico o misteriosamente sparirai così avrò un problema in meno.»
Alwys guardò scioccata Ted: «E io dovrei affidare la mia incolumità a questo tizio?»
«Damien perché sei così idiota?» disse il professore mettendosi le mani nei capelli. «Alwys, ti prego, fallo per me.»
La ragazzina guardò negli occhi Ted: cosa poteva fare se non accettare?
«Va bene…»
«Non che avessi molta scelta, l’avrai solo quando compirai sedici anni» all’udire ciò, Alwys guardò Ted con un sopracciglio alzato. «Oh, non te lo ha detto?»
«Di cosa sta parlando?» chiese Alwys fissando intensamente gli occhi del professore.
«Niente di rilevante» controbatté lui ma, notando la serietà della ragazzina, sospirò pesantemente. «Quando avrai sedici anni portai decidere se far parte del branco di Damien, fino ad allora, qualora ci fosse un comportamento scorretto da parte tua, saresti obbligata a farne parte.»
Alwys spalancò gli occhi visibilmente preoccupata e Ted la prese per le spalle.
«Ma questo non è il tuo caso.»
«Forse» entrambi fulminarono Damien con lo sguardo che alzò le mani in segno di difesa. «Sta sera, dopo il coprifuoco, da me.»
Sparì improvvisamente come era apparso, lasciando i due con un’espressione scocciata.
«Chi ha distrutto il villaggio?»
Alwys tornò a guardare seria Ted: non le andava di riprendere il discorso di prima, doveva prima metabolizzare il fatto che Ted le avesse nascosto qualcosa di così importante.
«Dalla fine della Seconda Guerra Magica abbiamo vissuto in un tempo di pace, non abbiamo idea di chi possa aver fatto ciò e perché» la risposta fece preoccupare ancora di più la ragazzina che guardò i Lupin in cerca di conforto.
«Perché quel broncio? Mangia del cioccolato così ti sentirai meglio» le disse Remus sorridendole.
«Papà se ci continui a dire di mangiare cioccolato diventeremo enormi» scherzò Ted ridendo seguito da Tonks.
«Ma è così buono!» dissero in coro Alwys e Remus e la stanza si riempì del calore delle risate che tentò di abbattere il freddo della neve che lieve stava imbiancando i tetti di Hogwarts.
«Ma Julie?» chiese ad un tratto Alwys guardandosi intorno.
«Non le piace mostrarsi a molta gente per evitare troppe domande» spiegò lui grattandosi la nuca.
«Ma cosa le è successo?» chiese preoccupata la Grifondoro: quindi Damien non sapeva di lei? Come era possibile?
“Come è morta?” avrebbe tanto voluto chiedere, ma Ted aveva comunque capito cosa intendeva veramente.
«Non le piace che racconto questa storia…»
«C’entra con il fatto che non può mostrarsi alla luce del sole?» chiese come se volesse a tutti i costi capirne di più.
Lui annuì gravemente, poi tra i due cadde il silenzio.
«Un’ultima cosa…» disse Ted fermando il passo della ragazzina che si stava dirigendo verso le scale. «Questo è da parte dei Weasley e dei Potter.»
Tirò fuori dalla borsa che portava a tracolla un pacchetto incartato con una carta natalizia rossa su cui vi erano disegnati degli alberelli dorati che ondeggiavano appena. Alwys lo prese con cautela, notò che era qualcosa di morbido e lo aprì: un lungo mantello scuro decorato da astri e lune dorate arrivò a toccare il pavimento.
«Bello…» disse poco convinta la ragazza. «Grazie.»
«Provalo» Ted la guardò con uno sguardo di chi la sapeva lunga.
La ragazza lo se lo sistemò con qualche difficoltà sulle spalle: era davvero lungo!
«Come mi sta?» chiese lei cercando di sorridere guardando il ragazzo.
«Divinamente» disse lui trattenendo a stento una risata.
«Vuoi smetterla? È stato un pensiero carino…» disse lei, ma poi capì perché Ted la stava guardando in quel modo. «Il mio corpo è scomparso!»
Ted si lasciò andare in una fragorosa risata per l’espressione allibita della ragazza: «Esattamente.»
«Ma come…»
«È un mantello dell’invisibilità, Harry l’ha fatto fare apposta per te così potrai uscire dal dormitorio durante la luna piena senza farti vedere» Alwys pensò a quello di Albus, ma evitò di nominarlo perché, conoscendo Ted, glielo avrebbe subito confiscato. «Mi raccomando, usalo solo per questo.»
La ragazza annuì e strinse la stoffa: era il suo primo regalo di Natale non da parte della sua famiglia.
 
«Vedo con piacere che sei felice di vedermi.»
Damien aprì la porta della sua umile dimora per far spazio al suo solito sorrisetto.
«Dimmi che durerà poco.»
«Durerà molto, ma spero bastino solo un paio di volte» e, detto ciò, uscì dalla casa e con un colpo di bacchetta chiuse la porta a chiave.
«Dove andiamo?» chiese Alwys con un misto di preoccupazione e curiosità.
«In un posto più tranquillo, non voglio che spaventi gli studenti con i tuoi ululati» quella frase fece rabbrividire Alwys che aprì la bocca per rispondere, ma ormai con quattro falcate Damien era arrivato lontano.
Alwys accelerò il passo e, appena si addentrarono nella foresta proibita, si chiese cosa potesse fare il Professor Draconem in un posto del genere: vi era una sottile nebbia innaturale che faceva confondere fra loro gli alti alberi che sembravano tutti neri nonostante ci fosse la luce della bacchetta di Damien, così flebile che sembrava non volesse svegliare gli alberi che sospiravano smossi da un leggero vento tremendamente freddo. Per tutto il tragitto Damien guardò davanti a sé senza curarsi di Alwys che col fiatone cercava di stare al suo passo deciso. Gli unici rumori che si sentivano erano lo scricchiolare dei legnetti sotto i loro piedi che affondavano dentro il sottile strato di neve, e quello dei piedi di Alwys che ogni cinque secondi inciampava in una grossa radice. Dopo un tempo che era sembrato interminabile, Damien si fermò davanti alla bocca di un’enorme grotta.
«Attenta, è molto scivoloso» disse senza nemmeno girarsi per poi riprendere a camminare.
Le pareti erano di semplice pietra grigia che, illuminata dalla bacchetta, brillava come se fosse stata appena bagnata da dell’acqua che formava tante piccole goccioline sulla superficie. Il rumore dei loro passi era infatti accompagnato dal ticchettio di gocce d’acqua che dal soffitto si infrangevano su una pozza che Alwys però non riuscì ad individuare. Passarono per una stretta cavità e arrivarono in una specie di stanza circolare col soffitto molto alto da cui pendevano delle stalattiti dall’aria salda. Con un colpo di bacchetta si accesero delle candele che erano sospese in aria all’altezza delle stalattiti: in quel momento Alwys poté notare che le pareti rocciose erano marchiate da tantissimi graffi, alcuni recenti, altri meno.
«Che faccia… mai visti dei graffi provocati da degli artigli?» la canzonò Damien.
Alwys, in tutta risposta, si alzò una manica mostrando le cicatrici che segnavano la sua pelle diafana. Damien tacque.
«Qui è dove mi trasformavo quando frequentavo Hogwarts, l’ingresso è protetto da degli incantesimi che non permettono a nessun lupo mannaro di uscire.»
«Alcune non sono recenti, sono tue?» chiese Alwys notando il sorriso amaro del ragazzo.
«Diciamo che quando ero ad Hogwarts non mi hanno permesso di andare dove ti trasformavi tu, quindi mi sono dovuto arrangiare e, personalmente, mi trovo più a mio agio qua ancora oggi» spiegò per poi puntare la bacchetta contro Alwys. «Incominciamo.»
«Cosa devo fare?»
«Tu guarda» ondeggiò lentamente la bacchetta prima a destra e poi a sinistra e gradualmente si formò l’immagine di un cielo notturno coperto da delle nuvole. «Controllati.»
Le nuvole scomparvero lasciando spazio ad una luna piena pallida e bellissima come se fosse vera.
«Ma sei impazzito?!»
Si coprì gli occhi ma con un colpo di bacchetta Damien la incollò alla parete costringendola a guardare.
Alwys incominciò a piangere: di solito durante la fase della luna piena sveniva e poi non ricordava nulla, in quel momento invece era cosciente e sentiva i muscoli dolere come se si strappassero sotto la sua pelle e i denti come se glieli stessero staccando uno ad uno. Girò la testa e vide che dalle sue mani stavano spuntando degli artigli che si stavano incurvando verso il suo palmo.
«Ti prego, basta!» cercò di dire nonostante i denti fossero diventati così sporgenti da ferirle le gengive ad ogni lettera che usciva dalla sua bocca.
«Sai perché i lupi mannari non parlano ma ululano soltanto?»
Damien aveva un’espressione severa sul volto, la mascella contratta e la bacchetta adagiata accanto al fianco.
La ragazza scosse la testa.
«Perché più parli, più ti ferirai, invece se ululi i denti non arrivano a ferirti» si avvicinò alla ragazza. «Prova.»
Alwys si lasciò andare ad un ululato disumano che quasi fece tremare le pareti rocciose. Damien roteò il polso che teneva la bacchetta e l’immagine sparì.
La Grifondoro si accasciò per terra: aveva il fiatone, il suo petto velocemente faceva su e giù come se avesse corso per ore, gli occhi spalancati fissavano un punto indefinito della stanza e rivoli di sudore le avevano imperlato la fronte. Damien, invece, era rimasto impassibile tutto il tempo mentre analizzava la ragazza.
«Come sospettavo» disse dopo un interminabile silenzio.
«Perché a te non fa questo effetto?» chiese lei nonostante l’aria le mancasse.
«Perché ho molto più autocontrollo di te. Ma guardati, anche solo guardando la proiezione della luna perdi il controllo» rispose il licantropo guardandola con uno sguardo sprezzante. «Che delusione.»
«Non ho mai provato a controllarmi» tentò di giustificarsi.
«Dovresti» le soffiò incrociando le braccia al petto.
Alwys avrebbe voluto rispondergli, ma la sua vista incominciò ad annebbiarsi.
«Mi sa che ci vorrà più del previsto.»
L’ultima cosa che Alwys vide fu Damien avvicinarsi a lei col suo solito passo felino. Poi le sue palpebre chiuse inghiottirono ogni cosa attorno a lei con la loro oscurità.

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Capitolo 19
*** 18. Lezioni da cui imparare ***


18
Lezioni da cui imparare


«Io ho i miei metodi, tu devi starne fuori!» 
Delle voci svegliarono Alwys, le cui palpebre erano così pesanti da oscurare la sua vista ancora per qualche attimo. Mosse le mani fra il tessuto morbido e accogliente su cui era distesa, tirando subito un sospiro di sollievo.
«Se questo vuol dire farle del male allora è meglio che non la mandiamo più da lui!» 
La prima cosa che riuscì a vedere fu l’infermiera che sorrise verso di lei e le diede uno sbuffetto sulla guancia.
«È meglio se continuiamo questa conversazione dopo nel mio ufficio, signori.» 
Le tre figure si girarono verso di lei.
«Ehi … stai bene?» Ted le prese una mano e la accarezzò teneramente. 
Damien sbuffò ed uscì a passo spedito chiudendosi dietro la porta con un tonfo.
«Buongiorno, mia cara» la preside McGranitt sciolse la sua espressione severa in un dolce sorriso.
«Cosa è successo?» chiese la Grifondoro guardando confusa le pareti dell’infermeria così bianche da darle fastidio agli occhi.
«Cosa ricordi?» chiese Ted, ma la preside scosse il capo.
«È meglio non affrontare questo discorso in questo momento. Vai nel tuo dormitorio, mettiti a letto e fai finta che non sia successo nulla, ancora la sveglia non è suonata, ma manca poco» disse la McGranitt.
Alwys annuì e scese dal letto un po’ frastornata: in quel posto era come se tutti le volessero nascondere qualcosa. Fece un cenno verso Ted che ricambiò sorridendole ed uscì dalla stanza. 
Guardò un’enorme finestra che dava sui primi raggi di sole che avevano imbiancato il cielo da poco, sospirò e in silenzio andò verso il dormitorio. A passo felpato entrò dentro la stanza, salutò Ninfa ancora impastata dal sonno e si mise sotto le coperte. Incominciò a piangere, nemmeno lei sapeva esattamente il perché, si sentiva come se avesse l’imbarazzo della scelta e tutto ciò che era successo la notte prima le avesse tolto la fiducia in sé stessa. 
Riuscirò mai a controllarmi? E soprattutto… farò mai del male a qualcuno? 
Quel posto e quei segni le fecero venire i brividi: cosa aveva passato Damien? Anche lei diventerà così pericolosa da provocare quei segni? Si pentì di aver lasciato stare la storia di Julie: dopo quello che Damien le aveva fatto, forse il fatto che era coinvolto nella morte della Tassorosso non sembrava più una strana idea.
Si girò sul fianco destro per mettersi comoda, ma incontrò due occhi nocciola che la guardavano nella penombra della stanza.  
«Stai piangendo?» la voce di Rose era chiara e limpida, non di una persona che si era appena svegliata.
Alwys non rispose ed abbassò lo sguardo come se già la sua faccia fosse una risposta soddisfacente.
«Se non ne vuoi parlare lo capisco…» disse rimboccandosi la coperta fino al naso.
«No… è che…» 
Non riuscendo a controllare la sua voce, Alwys riscoppiò a piangere di nuovo e nascose il suo viso nel cuscino perché non voleva disturbare gli altri che ancora stavano dormendo. Si sentiva patetica e debole, quello di certo non era un comportamento da una Grifondoro, ma in quel momento si sentiva così sola che il suo unico pensiero era tornare a casa e dormire fra le braccia dei suoi genitori. Nonostante un sinistro scricchiolio, Alwys continuò a rimanere con il viso sepolto, solo quando il letto si piegò da un lato lo alzò: Rose, con il suo pigiamino color verde pastello, stava cercando di intrufolarsi sotto le coperte del letto di Alwys facendo meno rumore possibile. La Grifondoro istintivamente si spostò leggermente per fare spazio all’amica che ne approfittò per entrare con un colpo secco: ora i loro nasi erano a qualche centimetro di distanza a causa del letto idoneo per una persona.
«Se non vuoi parlare va bene… sarai stanca» disse la rossa accarezzandole dolcemente i capelli. «Ma non posso di certo lasciarti in questo stato.»
Alwys accennò un sorriso e prese la mano che le stava accarezzando i capelli per stringerla forte.
«Grazie» disse un po’ imbarazzata ma molto felice.
Con Rose non aveva mai avuto un buon rapporto dal primo giorno che si erano viste, quindi quel gesto, oltre che a sorprenderla, la rese davvero molto felice. 
Sfortunatamente, però, quella felicità non durò molto perché di lì a poco le due amiche dovettero uscire dal letto per iniziare un’altra giornata scolastica. 
«Difesa contro le Arti Oscure a prima ora è da suicidio» disse Dominique addentando una ciambella: i suoi ricci di prima mattina erano sempre più ribelli del solito, forse perché andava a fare colazione come si era svegliata, ma questo non lo avrebbe mai ammesso.
«Concordo in pieno» disse Rose sbuffando. «Con tutte quelle ciambelle diventerai il doppio.»
«Sono qui da quattro anni, mangio sempre le stesse cose e sono perfetta» controbatté lei addentando con più foga il dolce che aveva in mano.
Rose si limitò a guardarla disgustata, poi si girò verso Albus: «Non sei emozionato? Oggi impareremo un fantastico incantesimo!»
Il cugino annuì poco convinto per poi avvicinarsi all’orecchio di Alwys: «Che facciamo oggi?»
«Guarda che ti ho sentito!» sbottò la rossa corrugando la fronte.
«Abbiamo un sacco di materie, come posso ricordarmi il programma di tutte?» controbatté lui prendendosi il viso fra le mani.
Alwys si lasciò scappare un sorriso divertito e disse: «Il Sortilegio Scudo.»
«Esattamente» disse Rose facendole l’occhiolino.
«Attente, è una magia molto complessa» spiegò Dominique incrociando le braccia al petto. «Il mio ancora non è perfetto.»
«Chi ti ha detto che abbiamo le stesse capacità?» la schernì Rose beccandosi una linguaccia e una risata da parte delle gemelle che, però, erano troppo occupate a fare qualcosa per interessarsi veramente alla conversazione.
«Dominique non scherza» si intromise Fred. «Ci vuole molta pratica per riuscire a creare un Sortilegio Scudo in grado di proteggervi da incantesimi minori.»
«Perché allora ce lo insegnano adesso?» chiese Alwys molto interessata all’argomento.
«Proprio perché è una magia complessa, il Ministero ha deciso di farla insegnare dal primo anno, così poi al termine degli studi tutti sono in grado di evocarlo» spiegò il ragazzo prendendo alla fine un sorso della sua bevanda fumante.
«Quando c’è stato di bisogno pochi maghi ne sapevano evocare uno veramente potente, di certo non vogliono ritrovarsi in quella situazione» confermò Dominique annuendo.
«Ma dopo Voldemort chi dovrebbe farci del male?» chiese Albus beccandosi un’occhiata confusa da parte di Alwys.
Ah, sì, Voldemort…
Realizzò subito dopo lei immergendosi nei suoi pensieri: dall’inizio dell’anno si era chiesta come mai il programma di Storia iniziasse con quella contemporanea, ma già dopo due lezioni si era data una risposta da sola. Quel Voldemort era stato un vero incubo per il Mondo Magico e immaginare qualcun altro come lui in quegli anni le fece venire dei brividi lungo la schiena.
«Può chiamarsi Voldemort, Grindelwald» Victoire spuntò dietro di loro con la faccia seria. «Il male ha molteplici forme e noi dobbiamo essere sempre pronti a contrastarlo.»
I tre annuirono silenziosamente. 
«Dai, basta con gli argomenti tristi» disse Dominique per spezzare il silenzio. «Piuttosto: tu che ci fai qui?»
«Ah, vero!» esclamò la Corvonero battendosi il palmo sulla fronte. «Abigail, riunione!» 
Una ragazza dall’ammasso di studenti si alzò prontamente e sorrise verso Victoire, Alwys guardandola ricordò che era la Prefetta della loro Casa che aveva mostrato la scuola ai nuovi studenti durante il primo giorno.
«Come mai riunione?» chiese Dominique storcendo il naso.
«Non ne ho idea» rispose la maggiore facendo spallucce.
Le due ragazze andarono via lasciando gli altri con uno sguardo perplesso e i tre che si scambiarono un’occhiata sospettosa. Subito dopo la colazione non persero tempo: ormai Alwys aveva imparato che non doveva arrivare per nessun motivo in ritardo alla lezione o le sarebbe costato caro. Fortunatamente quando arrivarono, il professore ancora non c’era e poterono prendere posto con calma. Alwys prese la sua bacchetta e, cercando di non farsi vedere, la avvicinò al volto.
«Cerca di non intrometterti, è una magia molto complessa e potrebbero insospettirsi se ci riesco al primo colpo» sussurrò.
«Sì, sì, tranquilla…» la voce di Lady Amelia arrivò come un lungo sbuffo. 
Subito dopo arrivò il professor Draconem con un lungo soprabito nero che sfumava verso la fine su un profondo vermiglio e…
«Zoppica!» esclamarono in coro i tre scambiandosi degli sguardi d’intesa.
«Come siete perspicaci» controbatté lui lanciando occhiate di fuoco ai tre che si zittirono all’istante. «Bacchette sopra il banco.»
Tutti gli studenti fecero come era stato detto, invece il professore prese la sua e la alzò davanti a sé. 
«Finnigan.» 
Un ometto che Alwys non aveva notato perché fino a quel momento era stato molto taciturno, si alzò dalla sedia come se stesse per andare al patibolo.
«Colpiscimi con un incantesimo.»
Il ragazzino spalancò gli occhi e boccheggiò qualcosa, ma lo sbuffo del professore lo pietrificò di nuovo. 
«Forza!» lo incitò alzando la voce. 
Il ragazzino annuì e prese la bacchetta con poca decisione: la puntò verso il professore e disse con fermezza: «Incendio!» 
Una pallina luminosa, e molto probabilmente bollente, schizzò così velocemente dalla bacchetta che Finnigan indietreggiò leggermente sbattendo contro la sedia. Il professore, già pronto da prima, con un colpo secco creò un velo quasi trasparente che la neutralizzò.
«Grazie, Finnigan.»
Il ragazzino annuì e si lasciò cadere contro la sedia.
«Ci sono molte varianti di questo incantesimo, anche per questo è ritenuto molto complesso» spiegò aggirandosi fra i banchi. «Per adesso vi interessa sapere che la formula è Protego.»
Rose, appena il professore finì la frase, alzò prontamente la mano.
«Sì, Signorina Weasley?» 
«Perché lei non ha detto la formula?» chiese tirando su con il naso.
«Perché fa parte degli incantesimi non verbali» disse accennando un sorriso forzato verso di lei. «Signorina Dewery dica la definizione di incantesimo non verbale.» 
Alwys trasalì, ma fortunatamente la domanda non era molto complicata. 
«Gli incantesimi non verbali hanno lo stesso effetto di quelli verbali solo che, invece di essere evocati con la voce, vengono evocati con la mente. Solo maghi dotati di una grande concentrazione sono in grado di evocarli» disse tutto d’un fiato non staccando gli occhi da quelli del Professore. 
«Esattamente» disse per poi spostare lo sguardo verso quello di Rose. «La Signorina Weasley dovrebbe ripassare le lezioni durante i momenti di pausa.» 
La ragazzina abbassò lo sguardo rossa in viso per l’imbarazzo e la rabbia.
«Ha soltanto fatto una domanda.»
La classe calò in un silenzio tombale: Draconem rispostò gli occhi su quelli di Alwys che era rimasta alzata. Cosa le era preso? Voleva cacciarsi nei guai?
«Come, prego?» chiese lui assottigliando lo sguardo.
«Non vorrei essere maleducata, ma…»
«Lo sei, invece» la interruppe avanzando. «Io rispondo alle domande dei miei studenti come ritengo più consono.»
«Mi scusi…» sussurrò lei abbassando lo sguardo.
«Lanciami un incantesimo.»
Alwys deglutì, aspettò che il professore tornasse vicino alla cattedra e alzò la bacchetta davanti a lei: le mani le sudavano e le tremavano, sperò che ciò i suoi compagni non lo notassero. 
«Diffindo» disse con un colpetto del polso.
Una rapida saetta luminosa attraversò la stanza in un battito di ciglia, ma il professore riuscì comunque ad evocare il velo trasparente che però questa volta non annullò l’incantesimo, ma lo fece rimbalzare contro il lampadario sopra Alwys che cadde sopra il suo banco frantumandosi in mille pezzi.
«Protego!» una voce femminile coprì il rumore del lampadario e un velo trasparente ricoprì la studentessa che già stava cercando di coprirsi inutilmente con le braccia.
Dopo che l’ultimo pezzo di lampadario cadde per terra, la stanza calò in un silenzio tombale: Alwys tolse le mani dal suo viso e guardò i cocci di vetro attorno a lei ormai in mille pezzi. Il professor Draconem la guardò con la bocca semiaperta e dovette scuotere la testa per riprendersi.
«Il Sortilegio Scudo può annullare l’effetto di un incantesimo o rimbalzarlo in un punto scelto dal mago, ma solo chi ha una maestria superiore è in grado di fare ciò, o, come ha fatto la Signorina Dewery, creare un vero e proprio scudo» disse riponendo la bacchetta dentro il soprabito.
«Non è stata la Signorina Dewery» quella voce fece spalancare gli occhi del professore: dal fondo della stanza emerse la figura della Preside con il suo lungo abito smeraldo che strisciava silenziosamente.
«Preside, sono stupito della sua visita, felice, ma stupito.»
«Può essere stupito quanto vuole, ma non felice» disse guardandolo con il suo sguardo imperturbabile che non lasciava trapelare alcuna emozione. Oltre al dissenso.
«Qualcosa non va?» chiese accennando un sorriso che però si spense subito.
«Vorrei aiutarla a dare un’ulteriore dimostrazione agli studenti» disse avanzando di qualche passo.
«Per me non c’è alcun problema.»
Entrambi, con lo sguardo serio e concentrato, si misero in posizione e, senza aspettare, la McGranitt sfilò la bacchetta dal suo vestito e con un rapido movimento del polso evocò una saetta luminosa che andò contro il professore. Lui, prontamente, rievocò il velo trasparente, ma questa volta non annullò o rimbalzò l’incantesimo: si disintegrò e il professore balzò dall’altro lato della cattedra. La McGranitt si sistemò il corpetto e ripose con nonchalance la bacchetta.
«Ecco cosa succede se un mago di livello superiore vi lanciasse un incantesimo nonostante il Sortilegio Scudo» disse facendo vagare lo guardo fra gli studenti. «Innerva.»
Il professore, con i capelli spettinati e il soprabito sgualcito fece capolinea dalla cattedra e si schiarì la voce: «La ringrazio, Preside, della dimostrazione.»
«Non c’è di che» disse verso Draconem, fece un cenno verso gli studenti e poi si girò per uscire dalla stanza. 
Con un altro professore tutti avrebbero riso, invece con lui gli studenti rimasero pietrificati dal suo sguardo inceneritore e, soprattutto, umiliato. Alwys per tutto il tempo era rimasta con la bocca aperta, affascinata dalla forza e l’eleganza della McGranitt perché era la prima volta che la vedeva lanciare un incantesimo. Il brutto scherzetto del professore era sparito dalla sua mente, anche se prima di sedersi aveva dovuto togliere alcuni cocci di vetro dalla sedia. 
La lezione continuò carica di tensione, anche perché il professore doveva essersi fatto più male alla gamba, perché adesso zoppicava maggiormente. La cosa non dispiaceva ad Alwys, ma vederlo così umiliato davanti ai suoi studenti le fece comunque venire una strana sensazione all’altezza dello stomaco. Appena la lezione finì, però, il professore le fece un cenno con il capo per attirare la sua attenzione.
«Infatti mi sembrava strano che fossi riuscita ad evocare un Sortilegio Scudo» la schernì accennando un sorriso.
Altro che strana sensazione all’altezza dello stomaco, lo voleva soltanto prendere a pugni.
Ovviamente nello stacco tra la lezione e quella di Erbologia, Albus e Rose commentarono ridendo l’accaduto, dicendo che dovevano assolutamente dirlo a Dominique. E ovviamente…
«Secondo voi perché zoppicava?»
«Ci risiamo…» sbuffò Rose alzando gli occhi in cielo.
«Deve esserci una spiegazione!» controbatté Albus offeso.
«Forse è caduto dalle scale» propose Alwys facendo spallucce.
«O forse è ciò che tiene nascosto nella foresta a dargli problemi» disse lui incrociando le braccia al petto.
«E se anche fosse?» chiese Rose continuando imperterrita a camminare. «Non è andata molto bene l’ultima volta che lo abbiamo seguito.» 
«Questo perché ci siamo avvicinati troppo… Nemmeno Damien sapeva perché era lì.»
«Albus, dai…» provò a convincerlo Alwys, ma il ragazzino era irremovibile.
«Ho anche una cosa…» disse lui a bassa voce per far capire alle due ragazze che dovevano avvicinarsi. «Polvere Buiopesto Peruviana.» 
«Cosa? E come l’hai avuta?» chiese Rose spalancando gli occhi.
«Scusate, cosa è?» Alwys guardò i due molto perplessa.
«È una polvere che, se gettate per terra, crea una nube nera che neutralizza la luce, nemmeno l’incantesimo Lumos funziona» spiegò Rose continuando a guardare il cugino. «Serve per le fughe veloci.»
«È difficile da trovare?» chiese Alwys continuando a non capire.
«È costosa.»
«Pronto? Abbiamo uno zio che vende questa roba!» esclamò Albus sbuffando. «Allora? Ci state?»
Le due ragazzine si scambiarono un’occhiata perplessa ma, dopo un sonoro sbuffo, annuirono gravemente.
«Prima però devo fare una cosa…» disse lui fermandosi davanti alla porta dell’aula di Erbologia.
«Cosa?»
Ma Albus, invece di rispondere, entrò con uno strano sorriso stampato sul volto. 
Subito dopo, senza aspettare le due amiche, uscì di corsa dall’aula diretto verso l’esterno. Appena arrivò fuori dalla scuola, incominciò a correre più velocemente perché non aveva molto tempo visto la prossima lezione. Appena arrivò davanti alla casetta malandata, alzò la mano e bussò con forza per essere sentito. 
«Sì?» Hagrid aprì la porta e guardò con un sopracciglio alzato il ragazzino. «Mi sento come se l’avessi già vissuta questa scena.»

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Capitolo 20
*** 19. Ricordi di famiglia ***


 

19
Ricordi di famiglia

 
 
«Hagrid ha detto che il Professor Draconem nasconde qualcosa nella foresta proibita» Albus sbatté entrambe le mani sul tavolo per attirare l’attenzione delle due ragazze.
«E quindi? Non possiamo andarci e di certo non possiamo seguirlo 24 ore su 24» controbatté Rose scocciata, riprendendo a leggere il libro che aveva in mano.
«Davvero pensi che non mi sia venuta un’idea?» chiese il cugino poggiando i pugni sui fianchi.
«Le tue idee sono pessime» snocciolò alzando di più il libro.
Albus sbuffò, prese la bacchetta e dopo aver recitato Wingardium Leviosa fece cadere il libro per terra. Rose scattò in piedi, ma il cugino alzò un dito per farle capire che di lì a poco avrebbe spiegato tutto.
«Dobbiamo usare la Mappa del Malandrino» spiegò lui con l’aria di uno che era cosciente della fantastica idea che aveva avuto.
Nello stesso momento in cui lo aveva detto James si era avvicinato a loro soffocandosi nella sua stessa saliva, Rose spalancò gli occhi e Alwys lo guardò perplessa.
«Perché non ci ho pensato prima?» Rose si diede una palmata sulla fronte dandosi mentalmente della stupida.
«È una mappa di Hogwarts che segna gli spostamenti di tutte le persone, così potremmo vedere cosa fa il professore durante la giornata» spiegò il ragazzino girandosi verso Alwys e battendo il pugno sul palmo della mano. «L’ultimo proprietario è…»
Tutti i loro occhi si incollarono a quelli di James che deglutì.
«Ho molto da fare ultimamente» disse cercando di essere il più convincente possibile.
«Tu hai sempre un sacco da fare» controbatté il fratello alzando gli occhi al cielo.
«Pronto? Devi semplicemente andare nel tuo dormitorio e prenderla» disse la rossa alzando il sopracciglio come se la reazione di James l’avesse insospettita. «Piuttosto è strano che questa idea non sia venuta a te.»
Il maggiore si allentò il colletto come se ad un tratto gli mancasse l’aria.
«Va bene, ci penso io» rispose facendo rilassare lo sguardo dei tre.
«Perfetto, allora ci vediamo sta sera dopo il coprifuoco davanti alla biblioteca.»
Alwys, Rose ed Albus si guardarono con uno strano luccichio negli occhi e misero una mano sopra l’altra.
«Decreto segreto!»
Quando si lasciarono, James incominciò a torturarsi le unghie all’idea di dover chiedere a Damien dove fosse la mappa: cosa avrebbe detto? Come avrebbe reagito? Sfortunatamente, però, non ebbe il tempo di trovare la soluzione a quelle domande perché si era presentato il momento perfetto: un’ora buca. Dopo averlo realizzato, prese un bel respiro e si incamminò verso la piccola casetta che passo dopo passo diventava sempre più grande, mentre dentro di sé cercava qualche spiegazione.
«Terra chiama Potter!» una mano mulatta davanti ai suoi occhi lo fece risvegliare dai suoi pensieri.
«Rou! Che c’è?»
Reouven Davies era un Corvonero come James, si erano conosciuti la prima volta che erano entrati nel treno per Hogwarts, poiché erano capitati nella stessa cabina, e da lì erano rimasti buoni amici, soprattutto perché erano capitati nella stessa Casa. Era molto più basso di James -anche se lui era più alto della media- pelle mulatta, occhi e capelli scuri e un naso sporgente: grazie ai suoi lineamenti delicati e ai suoi modi pacati, aveva un certo successo fra le ragazze.
«Dovrei chiederti io che c’è?» ripeté imitando il tono di James. «Oggi dovevamo studiare insieme Pozioni!»
Il Corvonero sgranò gli occhi facendo intuire la risposta all’amico.
«Ci metto un secondo, sarò subito da te.»
«Ma si può sapere che stai facendo di così importante? E soprattutto…» si girò verso le due casette che si vedevano in lontananza. «Perché stai andando dai custodi?»
James, dopo tutte quelle domande, voleva solo sotterrarsi poiché non trovava nemmeno una risposta convincente.
Pensa, James, pensa.
«Non lo so, è stato Hagrid a chiamarmi» spiegò distogliendo lo sguardo: una cosa che proprio non sapeva fare era mentire guardando negli occhi.
Fortunatamente Rou si limitò ad un sonoro sbuffo.
«Va bene, ma sappi che incomincerò a studiare senza di te, abbiamo un sacco di ingredienti da ricordare e la Lewis ci ha dato della teoria inutile per il potenziamento.»
James pregò mentalmente che la conversazione con Damien fosse veloce e indolore perché, all’udire tutte quelle cose, si ricordò anche del corso di potenziamento di Difesa Contro le Arti Oscure che aveva alle 18.
«Grazie Rou, ci vediamo dopo.»
I due amici si salutarono e James fece la strada il più lentamente possibile, per aspettare che l’amico tornasse dentro la scuola e non lo vedesse entrare dentro la casa di Damien. Arrivato davanti alla porta alzò il pugno in procinto di bussare.
«Ma cosa gli dico?»
Si portò la mano ai capelli sforzandosi di pensare a qualcosa di intelligente, ma in quel momento la sua mente era completamente vuota.
«Stai aspettando un invito scritto?»
Il Corvonero balzò all’indietro premendosi una mano sul cuore che aveva preso a battere all’impazzata per lo spavento: lentamente si girò incontrando due pozze blu che lo scrutavano infastidite. Come sempre.
«Scusami, io…»
Damien lo sorpassò, prese la bacchetta e con un colpo aprì la porta. James rimase fermo sulla soglia indeciso sul da farsi.
«Devo anche inviarti ad entrare?»
Il ragazzo scosse il capo ed entrò dentro il salotto, rimanendo poi fermo come una statua.
Damien non sembrava di buon umore: aveva la mascella contratta, lo sguardo basso e in mano un bicchiere pieno di un liquido marroncino con qualche cubetto di ghiaccio. Si buttò sul divano e malamente si tolse le scarpe per mettere le gambe sopra il tavolino da cui provenne un sinistro scricchiolio.
«Che vuoi?» disse dopo aver preso un sorso.
«Se non è un buon momento passo dopo» rispose il Corvonero la cui voce era diventata incredibilmente stridula.
«Non è costantemente un buon momento» snocciolò lui senza nemmeno guardarlo negli occhi. «Dimmi che vuoi così vai via.»
James si sentì come punto da uno scorpione, strinse nella mano la cravatta e si girò per uscire da quella casa: se Damien non era di buon umore era inutile anche solo provare a chiedergli della mappa. Ma, prima che James poté uscire, la serratura della porta scattò come se si fosse chiusa a chiave.
«James, ti prego, non ti ci mettere pure tu» disse Damien che si era coperto il viso con la mano aperta.
«Infatti me ne stavo andando.»
Il licantropo batté la bacchetta sulla poltroncina accanto al divano per fargli capire che doveva sedersi lì. Silenziosamente James andò dove gli era stato indicato e si sedette stringendo in grembo le mani.
«Dimmi.»
«Mi serve la Mappa del Malandrino» disse tutto d’un fiato.
Si morse il labbro perché non poteva vedere la sua reazione a causa della mano che gli copriva il viso.
Damien rise facendo trasalire il ragazzo.
«No.»
James avrebbe voluto tanto lanciargli una fattura in faccia ma, siccome ormai lo conosceva troppo bene, sorrise e prese un bel respiro.
«Ti prego, ne ho veramente bisogno» disse sforzandosi di mantenere la calma.
Damien girò il viso verso di lui alzando un sopracciglio ma, prima che poté rispondere con l’ennesimo “no”, qualcosa gli colpì la fronte facendolo imprecare. Prima che James potesse farsi mille domande, Damien si alzò con uno scatto e si avvicinò pericolosamente a lui intrappolandolo nella poltrona.
«Va bene, vieni con me.»
Damien uscì dalla casetta seguito da James e si incamminarono in silenzio lungo la collina. Il ragazzino preferì cogliere l’occasione senza protestare: lanciò un’occhiata verso la casetta come se si aspettasse di vedere un’ombra nascondersi. Ma non c’era nessuno.
Appena misero piede nel freddo marmo del corridoio abbandonando l’erba, il Corvonero si rese conto che molti studenti li guardavano bisbigliando. Istintivamente avvampò e si allontanò leggermente da Damien, come se fossero due semplici estranei che casualmente stavano andando verso lo stesso posto. Arrivati al settimo piano, completamente deserto, James si avvicinò a Damien che sembrava non essersi accorto di nulla. Fatto ciò che doveva fare, spuntò un portone ed il Corvonero ebbe un fremito di gioia che però si spense appena lo aprirono: al posto della stanza piena di aggeggi vi era una distesa di spighe secche e non curate, il cielo completamente grigio perché coperto da imponenti nuvole, e fra quell’erba incolta si innalzava una vecchia casa di legno che pendeva leggermente verso destra come se stesse per cadere a causa dell’eccessiva altezza. Il portone si chiuse con un tonfo e istintivamente James si aggrappò al cappotto di Damien, che era visibilmente preoccupato. Bacchetta alla mano e con decisione avanzarono verso la casa. Per aprire la porta bastò poggiarci sopra la mano, facendo notare ai due che non era chiusa a chiave. All’interno, ogni mobile era mal ridotto, anche le toppe che avrebbero dovuto coprire i buchi del piccolo divano erano scucite e pendevano verso il basso, la polvere si era impadronita di ogni cosa e un fastidioso odore di bruciato arrivò alle loro narici.
«Conosci questo posto?» il lupo scosse la testa continuando a guardare la stanza con la bocca schiusa. «Perché la stanza delle necessità ci ha condotto qui?»
«Non ne ho idea, io ho pensato alla mappa» spiegò gironzolando fra i mobili in cerca di ciò per cui erano lì. «Deve averci qualcosa a che fare.»
«Allora ci conviene cercare» rispose James stringendo di più la bacchetta. «Io vado di qua.»
«Non ti allontanare troppo, rimani nella mia visuale.»
Il ragazzo non badò molto a quelle parole, avanzò verso il salotto e si guardò intorno alla ricerca di qualche foto, ma tutte le cornici o erano rotte o vuote. Vide uno strano orologio, come quello a casa della nonna Molly, con molte lancette e al posto delle ore dei luoghi come «Scuola» o «Lavoro», solo che lì le lancette erano spezzate a metà e tutte puntavano su «Casa». Si avvicinò alla scala e salì il primo gradino facendolo scricchiolare come se il legno fosse marcio.
«Dove stai andando?» chiese Damien riaffiorando da quella che doveva essere la cucina.
«Di sopra?» rispose ironico James.
«Vengo con te.»
Salirono le scale che sembrarono infinite: ogni volta che si fermavano su un piano le porte erano bloccate e nemmeno i calci di Damien o gli incantesimi riuscirono ad aprirle. Damien cominciava a indispettirsi, si guardava intorno con le sopracciglia aggrottate e stava incollato a James che invece sembrava più incuriosito che spaventato. Arrivarono all’ultimo piano dove vi erano due stanze: una era bloccata come le altre, invece la serratura dell’altra scattò aprendosi. James avanzò per primo con la bacchetta prontamente alta davanti a sé e analizzò la stanza: era leggermente piccola e completamente vuota, ma vi erano i segni di alcuni mobili che erano stati lì e che dovevano essere stati tolti da poco, sembravano essere due letti, due comodini e un armadio molto ampio. Vi erano solo due piccole finestre che però bastavano ad illuminare tutta la camera. James si rilassò notando che non c’era nessuno e cercò di analizzare ogni piccolo particolare per capire se il fatto che fosse l’unica ad essersi aperta avesse a che fare con la mappa.
Ad un tratto, però, un rumore catturò l’attenzione dei due che si girarono verso la porta: Damien gli fece segno di stare in silenzio portandosi un dito alle labbra e avanzò con la bacchetta stretta nella mano. James era troppo lontano dalla porta e non poté evitarlo: appena Damien uscì dalla stanza, essa si chiuse con un tonfo facendo scattare la serratura come se si fosse chiusa a chiave. James si lanciò su di essa battendo i pugni e sentì che anche Damien lo stava facendo.
«Alohomora» disse il licantropo senza però ottenere risultati.
«Che succede?» chiese James come se stesse per avere un attacco di panico.
«Tranquillo, troverò un modo» disse Damien a denti stretti battendo il pugno sulla porta. «Non ti lascio lì.»
Era rimasto chiuso là dentro senza sapere il perché né chi fosse stato. Il panico incominciò a prendere possesso di lui e corse alla finestra per provare ad aprirla, ma fallì miseramente nell’intento. Il paesaggio non era cambiato, nemmeno la stanza aveva subito variazioni: chi era stato allora? Un fantasma? Un poltergeist? Sperò tanto che fosse l’ultima opzione, perché sapeva come scacciarli.
Un rumore attirò l’attenzione di James che si girò di scatto puntando la bacchetta contro l’artefice: due occhietti castani lo guardarono dolcemente.
«Cosa ci fai qui?» chiese il ragazzo senza però abbassare la bacchetta.
«Cosa ci fai tu qui?» controbatté l’uomo alzando gli angoli della bocca.
«Sto cercando la Mappa del Malandrino» spiegò non sciogliendo i tratti del viso tesi. «Tu non dovresti essere qui, dovresti essere a casa.»
L’uomo sorrise amaramente e lasciò vagare lo sguardo nella stanza: «Io sono a casa.»
James lo guardò confuso.
«Tu non eri nemmeno nato, quindi non conosci questo posto… io sono nato e cresciuto qui.»
Il ragazzo, però, non cambiò la sua espressione perché mille domande gli balenavano nella mente e ne pescò a caso una: «Perché sei qui?»
«Hai proprio gli occhi di tua madre» si avvicinò per accarezzare dolcemente la sua guancia ignorando la domanda. «Quanto mi manca.»
«Ma se vi sentite ogni giorno» James si allontanò leggermente: quella situazione era davvero strana «Zio George mi stai spaventando.»
Chi era in verità? Qualcuno gli stava facendo uno scherzo? Se fosse così, sarebbe davvero di cattivo gusto. L’uomo bloccò la sua mano e spalancò gli occhi, poi lentamente si girò verso destra. James sul momento non capì, poi spalancò la bocca e indicò lo zio col dito.
«Non è possibile.»
«Eppure eccomi qui» allargò le braccia come per sottolineare il concetto.
«Devo far venire Zio George qui, non hai idea di quanto sarebbe felice, potremmo venire a fare la cena di Natale qui e…»
James sorrise come un bambino a cui avevano appena regalato l’oggetto dei suoi sogni, ma Fred lo zittì mettendogli un dito sulle labbra.
«Nessuno deve sapere che sono qui.»
L’espressione del ragazzo si sciolse in puro dolore.
«Perché?»
«È complicato» snocciolò spostandosi verso la finestra per guardare la distesa di spighe che ondeggiavano pigramente.
«Rendilo semplice, allora» controbatté il ragazzino incrociando le braccia al petto.
Fred abbozzò un sorriso senza però staccare lo sguardo dalla finestra: «Non starò qui per sempre, solo fino a quando non avrò realizzato il mio proposito.»
«E quale sarebbe?»
«Non posso dirtelo» James storse il naso infastidito. «Però tu puoi aiutarmi… Facciamo così: tu risolvi un mio indovinello e io ti darò la Mappa del Malandrino.»
«Un indovinello?» chiese alzando un sopracciglio. «Ci sto.»
Fred lo guardò con aria di sufficienza come se la sicurezza di James gli rimembrasse dei ricordi.
«Ecco a te» una piccola pergamena si materializzò sul palmo aperto di Fred che la porse al nipote.
James la prese meravigliandosi del fatto che fosse tangibile e la aprì per leggerne il contenuto: storse il naso come se la sua speranza di riavere la mappa si fosse sciolta al sole. Fred sorrise soddisfatto e poi spostò di nuovo lo sguardo verso la finestra.
«Ci credi se ti dico che il tuo amico sta scalando la casa a mani nude?»
«Cosa?»
James corse alla finestra per guardare ciò che stava succedendo: Damien si stava arrampicando per arrivare, molto probabilmente, alla finestra dove si trovava James.
«È pazzo.»
«Ti sei trovato un bell’amico» controbatté Fred mettendosi a ridere «Ricorda» si avvicinò a lui toccandogli la punta del naso con il dito «Solo se lo risolverai potrai avere la Mappa del Malandrino.»
 

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Capitolo 21
*** 20. L'indovinello del fantasma ***


 

20
L’indovinello del fantasma

 
 
Una serie di tonfi attirò l’attenzione di Alwys appena mise piede in biblioteca, si girò e rigirò fino a quando trovò la fonte: Albus era seduto su una sedia e sbatteva la testa sul tavolo su cui erano poggiate due pile di libri che sussultavano ad ogni colpo. Si avvicinò e guardò confusa Rose che fece spallucce.
«Al?» il ragazzino girò lentamente il capo per guardare l’amica.
«Cosa…?» lasciò cadere la domanda mentre analizzava il bernoccolo che si stava formando sulla fronte dell’amico.
«Non capiamo la risposta dell’indovinello» disse pesantemente per poi tornare alla posizione di prima schiacciandosi la guancia destra contro il legno.
«Abbiamo cercato in qualsiasi libro, niente!» disse disperata Rose arruffandosi i ricci rossi. «Dobbiamo mandare una lettera a Zio George, lui lo capirà.»
Albus con uno scatto alzò la testa.
«Zio Fred… voglio dire, il fantasma ha detto che nessuno deve sapere che è qui o non ci darà la mappa!»
Rose sbuffò incrociando le braccia al petto.
«Ma James non ci ha capito qualcosa? Lui è intelligente» chiese Alwys che prese posto accanto all’amico che soffiò su un ciuffo che gli era caduto sugli occhi per vederla meglio.
«James si è tirato indietro, ha detto che è un segno del destino» disse Rose facendo le virgolette con le mani come per far capire che fosse una sua citazione.
 Alwys si lasciò andare ad un sospiro stanco e incominciò a rigirarsi una ciocca viola fra le dita come se la aiutasse a pensare. Calò il silenzio fra i tre, che però venne coperto dal brusio degli altri studenti presi dalle loro ricerche scolastiche. La concentrazione di Alwys, però, era messa a dura prova dai libri che magicamente tornavano al loro posto e che la facevano uscire dalla bocca sospiri di stupore. Ad un tratto Rose sbatté le mani sulla scrivania facendo trasalire gli altri due.
«Ragioniamo insieme» disse con decisione ed Alwys e Albus annuirono senza controbattere, pietrificati dallo sguardo della rossa che non ammetteva repliche.
Si sedette davanti a loro, prese pergamena e piuma e scrisse frettolosamente l’indovinello lasciando apposta un po’ di spazio fra ogni frase.
Rotondo e importante io sono
Molte persone calpestarmi vogliono
Nonostante io abbia più di mille anni.
Il mio nome potrebbe ingannarti,
Ma solo i più stupidi potrebbero pensarci!
Finì di scrivere e respirò pesantemente aggrottando le sopracciglia.
«Lo sai a memoria?» chiese Albus spalancando gli occhi.
«Quindi è qualcosa di rotondo e importante» Rose lo ignorò alzando gli occhi al cielo per poi concentrarsi sul foglietto.
«Una collana» propose Alwys rigirandosi la sua fra le mani.
«Tu calpesti una collana?» la schernì la rossa e la Grifondoro si morse la lingua imbarazzata.
«Un tappeto» disse Albus guardando soddisfatto la cugina.
«Non mi convince l’ultima parte» spiegò Rose facendo vagare lo sguardo fra le lettere. «Forse è qualcosa di particolare.»
«Un tappeto volante?»
«Al mi farò insegnare un incantesimo per chiuderti la bocca» lo fulminò Rose col suo solito sguardo scocciato.
«Esistono i tappeti volanti?» chiese allibita Alwys.
«Sì, ma sono stati banditi anni fa, storia lunga! Concentriamoci» snocciolò la Grifondoro.
«Io non conosco molto del vostro mondo…» sussurrò sconsolata.
«Nessun problema, potrebbe esser qualsiasi cosa» il Grifondoro sorrise facendola arrossire. «Dì tutto quello che ti passa per la testa.»
«Tranne le cose stupide» puntualizzò Rose lanciando un’occhiataccia al cugino.
«Quindi…»
«Un qualcosa di importante e rotondo, che le persone calpestano e il suo nome ha più di un significato» ricapitolò Alwys sperando di averci capito qualcosa perché non aveva il foglietto davanti.
«Solo per gli stupidi però… Al, sicuro che non ti viene niente in mente?» ironizzò Rose e in tutta risposta il sottoscritto le fece una linguaccia.
«Oh, un indovinello!»
I tre trasalirono: erano così immersi nei loro ragionamenti che non si erano accorti che Scorpius era sbucato da dietro Rose in perfetto silenzio.
«Bello intricato, che origine ha?»
«Ehm… noi, praticamente… sai…» Albus deglutì sistemandosi il colletto.
«Abbiamo fatto una scommessa con James» Rose si girò per guardarlo negli occhi sorridendo innocentemente per non destare sospetti. «Se riusciamo a capire l’indovinello, durante le vacanze di Pasqua farà lui i piatti.»
Scorpius la guardò con un sopracciglio alzato, ma poi scrollò le spalle come per scacciare un brutto pensiero.
«Ci è andato giù davvero pesante.»
«Eh, già» sussurrò Albus dando una leggera gomitata ad Alwys che annuì, anche se poco convinta.
«Fatemi dare un’occhiata…»
Senza nemmeno dare il tempo a Rose di controbattere, le sfilò il pezzo di pergamena dalle mani e fece scorrere il suo sguardo lungo le frasi beccandosi un’occhiataccia da parte della rossa.
«James è davvero bravo con gli indovinelli.»
«È Corvonero, è bravo in tutto» rispose Rose senza smettere di sorridere, sicuramente le guance stavano incominciando a farle male. «Comunque non ci serve il tuo aiuto.»
«Allora potreste chiedere di nascosto agli altri» propose restituendo il foglietto. «Anche Victoire è Corvonero.»
I tre si guardarono e si poteva facilmente intuire che stavano pensando la stessa cosa: perché non ci abbiamo pensato prima?
«Ha ragione!» esclamò Albus e il suo volto si illuminò come se si fosse accesa una lampadina sopra la sua testa.
«Non c’è di che» fece l’occhiolino e sorrise.
«La prossima volta avvisa, non ficcare il naso nelle cose altrui» disse Rosi alzandosi dal tavolo con il foglietto stretto nella mano.
«Mi odia davvero tanto, eh?» chiese retorico guardando i due.
«Tranquillo, fa così con tutti quelli che non conosce» spiegò Alwys facendo spallucce. «A me odiava per il primo mese in cui ci siamo conosciute.»
Scorpius sorrise: quel ragazzino non meritava di essere trattato in quel modo solo perché suo padre era stato un Mangiamorte… e aveva fatto altre cose.
«Se vi serve aiuto per qualsiasi cosa, chiedete» disse poi mentre si stava incamminando per andarsene. «Non sono una cima, ma mi farebbe piacere.»
Si allontanò dal tavolo e Alwys ed Albus si scambiarono un’occhiata dispiaciuta. Si alzarono, rimisero a posto i libri e uscirono dalla biblioteca per cercare Rose che si era appoggiata al muro del corridoio.
«A chi chiediamo per primo?»
«Victoire, è molto intelligente.»
Annuirono e andarono verso la torre di Corvonero sperando che la ragazza si trovasse lì.
Fortunatamente trovarono ai piedi della scala a chiocciola Daichi Corner, il migliore amico di Victoire, appoggiato al passamano che analizzava ogni persona che saliva i gradini mentre scherzava con altri amici Corvonero su delle risposte stupide di altri studenti durante le lezioni.
«Ciao!» il ragazzo si girò e ricambiò con un ceno della mano. «Vic è dentro?»
«È salita subito dopo Rune Antiche e poi non è più scesa, solo per mangiare un misero pezzo di pollo per cena, starà studiando trasfigurazione come fa ogni volta che ha ore libere» spiegò fissando Alwys con uno strano interesse. «Daichi Corner.»
«Alwys Dewery» si strinsero la mano e si scambiarono un sorriso: lei leggermente imbarazzata, lui sicuro di sé.
«Puoi farla scendere? Dobbiamo chiederle una cosa» spiegò Rose.
Daichi fermò due ragazze che stavano per salire le scale.
«Peonia puoi far scendere Victoire per favore? I suoi cugini la cercano.»
La ragazza con le mesce blu annuì e si girò verso Alwys: «Bei capelli.»
La Grifondoro arrossì e bofonchiò un imbarazzato «Grazie», Peonia sorrise e salì.
«I tuoi genitori ti hanno permesso di tingerti?» chiese curioso il ragazzo.
«Io… sono nata così.»
Daichi assottigliò lo sguardo come se da quel momento in poi lo scopo della sua vita sarebbe stato scoprire il perché. Alwys lo notò e si sentì un po’ a disagio.
«Avrò fatto una magia involontariamente» si affrettò a spiegare ripensando a ciò che le aveva detto James la prima volta che si erano incontrati.
Lui annuì poco convinto, ma lasciò perdere e spostò lo sguardo verso gli altri due: «Come sta andando il vostro primo anno?»
«Fantastico!» esclamò Albus.
«Le lezioni me le aspettavo più interessanti, molte cose già le sapevo.»
«Mi chiedo ancora perché il cappello parlante ti abbia messo in Grifondoro.»
«Perché siamo la Casa che unisce forza fisica e mentale perfettamente» rispose la rossa cacciandosi indietro un riccio.
«Ecco la vera Grifondoro» Daichi si mise a ridere seguito dagli altri.
Nel frattempo dalla scala stava scendendo Victoire con un elegante chignon leggermente disordinato e il maglioncino legato in vita.
«Cosa vogliono le mie piccole pesti?»
Alwys fu sorpresa per quanto fosse bella nonostante i capelli spettinati e il trucco leggermente sbavato.
«Abbiamo bisogno della tua intelligenza» spiegò Rose cercando di non far trapelare informazioni in più: meno persone sapevano, meglio era.
«Andiamo fuori allora, ho bisogno di prendere un po’ d’aria fresca» scese l’ultimo gradino e si avvicinò ai tre.
«Matita» disse Daichi con nonchalance.
Lei si diede un colpetto sulla fronte col palmo della mano e sfoderò la bacchetta da un piccolo fodero di pelle attaccato alla cintura, decorato con un coniglietto e un cavalluccio marino. La bacchetta era molto elegante: il legno era molto chiaro e, appena incontrò i raggi del sole, Alwys notò dei riflessi dorati, era lunga e nel manico vi era una spirale costeggiata da strani segni. Diede un colpetto col polso e una piccola matita, prima nascosta dietro il suo orecchio, salì su per le scale.
«Secondo me ormai hanno fatto una piccola entrata per tutte le matite che dimentichi ogni volta» ironizzò Daichi divertito dalla linguaccia dell’amica. «A dopo, Tokki.»
«A dopo, idiota.»
«Non è un linguaggio adatto ad una signorina.»
«Ti rispondo dopo, adesso ci sono dei bambini» rispose mentre con leggiadra eleganza sfilava lungo il corridoio con accanto i tre che ridevano.
Durante il tragitto lei si tolse il maglione dai fianchi e lo indossò perché fuori c’era molto freddo, nonostante le piccole luci che galleggiavano tranquille e che davano un po’ di calore. Arrivarono nel cortile e si sedettero sotto un albero che solitamente proteggeva gli studenti dai tenui raggi del sole, anche se adesso serviva solo per proteggerli da quelli innocui della luna.
«A cosa devo questa chiamata?» chiese Victoire poggiando la schiena sul possente tronco.
«James ci ha dato questo indovinello per una scommessa, sai di cosa si tratti?» spiegò Albus porgendole il foglietto piegato più volte.
«Mh…»
La ragazza si portò il pezzo di carta a qualche millimetro dal naso, sbuffò e sfoderò la bacchetta: «Accio occhiali
Gli occhiali arrivarono a grande veloce, li prese al volo e li inforcò.
«Chiunque abbia scritto, ha una scrittura tremenda» disse la Corvonero.
«O sei tu ad essere una talpa» la punzecchiò Rose leggermente offesa.
«Per quanto leggi finirai anche tu come me, anche James sta iniziando ad avere dei problemi anche se non lo vuole ammettere» sorrise affettuosamente e riprese a leggere. «A proposito di James… sto rivalutando la sua intelligenza con questo indovinello.»
«Perché?»
«È davvero complesso, molto bravo» si bagnò le labbra e si sistemò gli occhiali che le rendevano gli occhi ancora più grandi di quanto non fossero. «Cerchiamo un pavimento.»
I tre la guardarono confusi e lei finalmente alzò gli occhi verso loro.
«Un posto o una piazza, una di queste con un nome complicato» spiegò gesticolando come quando doveva ripetere una lezione. «Magari che ha un nome straniero che può avere un duplice significato.»
«E la cosa degli stupidi?»
«Penso sia inteso come ignoranti» aggrottò la fronte e si grattò la tempia destra con la bacchetta.
Rose sbuffò esausta e si lasciò cadere all’indietro, Albus poggiò la testa sulla spalla di Victoire e Alwys si prese il viso fra le mani.
«Siete stati in biblioteca?» i tre annuirono debolmente «Mi sa che dobbiamo tornarci e concentrarci sulla sezione Luoghi» ridiede il foglietto a Rose «Mi dispiace di non essere stata molto d’aiuto.»
«Ci hai dato un posto dove cercare, Albus pensava fosse un tappeto!» le tre ragazze si misero a ridere mentre lui mise il broncio.
«Se ci riflettete poteva esserlo!» protestò, ma loro risero più forte.
«Da quando in qua si ride senza di me?» Dominique arrivò con le mani poggiate sui fianchi.
«Oh no, Dom ha scoperto di non essere il centro del mondo!» dietro lei spuntò Fred che si mise a ridere, invece la rossa gli fece il verso infastidita.
«Capitate a pennello!»  esclamò Victoire che poggiò la mano sull’erba per fargli capire che dovevano sedersi.
«Vic ti ricordo che sono Grifondoro, non Corvonero» rispose la rossa squadrando il foglietto che Albus le aveva passato.
Fred le spostò i ricci per leggere meglio: spalancò gli occhi e alzò di scatto la testa.
«Chi lo ha scritto?»
Albus, Rose ed Alwys si guardarono presi dal panico, invece le altre due lo guardarono confuse: «Perché?»
«Rispondete.»
«James.»
Questa volta fu lui a guardarli confuso, spostò di nuovo lo sguardo verso il foglietto e lo accarezzò.
«So la soluzione.»
 

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Capitolo 22
*** 21. James non potevi stare zitto? ***


 

21
James non potevi stare zitto?

 
 
I cinque guardarono il Weasley con gli occhi fuori dalle orbite, a causa della sua reazione, e perché erano ansiosi di sapere la risposta.
«Quindi?»
«Devo prima parlare con James.»
Fred si alzò con uno scatto e andò dritto verso l’arco che portava al corridoio principale. Albus realizzò di non aver detto al fratello di essersi inventato che era stato lui ad ideare l’indovinello, quindi si alzò con movimento brusco e trascinò Alwys con sé mentre le altre tre ragazze li guardavano confuse, sperando di raggiungere il fratello prima di Fred.
«James!»
Il Corvonero divenne immediatamente rigido e mentalmente scandagliò la sua fedina penale.
«Come fai a saperlo?»
«Cosa?» James cercò di sembrare rilassato, ma rivoli di sudore gli imperlarono il viso.
«Hai parlato con lui, vero?» chiese Fred.
James boccheggiò non sapendo cosa dire.
«Ma chi? Non capisco» cercò di articolare una frase di senso compiuto, ma lo sguardo accusatorio del cugino gli fece venire l’ansia.
«Come hai fatto a scrivere quell’indovinello?»
James sul momento tirò un sospiro di sollievo, poi però lo guardò confuso.
«Indovinello?»
Fred prese il foglietto dalla tasca dei pantaloni e lo aprì davanti ai suoi occhi.
«Dai, James! Ci sto mettendo così tanto che già te ne sei dimenticato?» Albus corse verso di loro e diede una gomitata al fratello.
«Ti sei impegnato così tanto per scriverlo» esclamò Alwys facendo un sorriso un po’ tirato.
James guardò i due confusi, poi però lesse il contenuto del foglietto e sorrise verso il cugino: «Ma certo! Fred sai la soluzione?»
«Prima vorrei sapere come ti sia venuto» rispose incrociando le braccia al petto.
«Risposta, poi spiegazione» rispose con aria di sfida il Corvonero.
Fred alzò gli occhi al cielo: «Foro Romano.»
I tre all’udire la risposta lo guardarono con un sopracciglio alzato e visibilmente confusi, la stessa espressione del rosso.
«Cosa ho detto?»
«Perché proprio Foro Romano?» chiese Albus grattandosi la tempia destra cercando inutilmente di capirci qualcosa.
«Prima voglio sapere perché James conosce questo posto.»
I tre si guardarono confusi: Alwys ed Albus annuirono verso James che prese un bel respiro.
«C’è una cosa che dobbiamo dirti» disse serio.
«E che non dovrai dire a nessuno» puntualizzò Albus.
«Non è niente di male» aggiunse Alwys notando l’espressione preoccupata di Fred.
«Ok, ora sono molto preoccupato.»
«Un fantasma ha preso la Mappa del Malandrino e per riaverla ci ha posto questo indovinello» spiegò James sorvolando esplicitamente sui dettagli importanti. «Vieni con noi e te lo mostreremo, così capirai meglio.»
Il rosso deglutì e annuì poco convito. Andarono verso le scale che stavano facendo impazzire alcuni studenti del primo anno per quanto si stessero muovendo e arrivarono al settimo piano.
«La stanza delle necessità?» chiese notando ciò che stava facendo James.
Lui annuì, aprì la porta che era spuntata nel muro e il vento gli scompigliò i capelli: la casa che pendeva da un lato in mezzo alla distesa di spighe secche era ancora lì.
«Ma questa è la Tana!» esclamò estasiato Fred mentre i tre lo guardarono curiosi «Voi non la potete conoscere, ai vostri genitori non piace parlare del passato… a mio padre sì, invece» si girò verso di loro per guardarli uno ad uno negli occhi «È la vecchia casa dei Weasley, prima della Seconda Guerra Magica. Le foto del matrimonio di zio Bill e zia Fleur sono state scattate qui» spostò lo sguardo verso la casa malandata che era come se emanasse ricordi dalle pareti «Perché la stanza delle necessità ci ha condotto qui?»
I tre tacquero.
James strinse i pugni lungo i fianchi: «Lo capirai dentro.»
Arrivarono ai piedi dell’imponente struttura che li sovrastava con la sua altezza, entrarono e gli occhi di Fred incominciarono a pizzicargli perché dentro di sé aveva sempre desiderato vedere dove suo padre fosse nato, dove fosse cresciuto con suo fratello.
«Perché dentro è così?» fece scivolare una mano lungo il tavolo rosicchiato dai topi sporcandosela di cenere mista a polvere.
Il suo sguardo si posò sull’orologio le cui lancette, che erano nove e non due, erano state bruciate verso la fine. James lo prese per mano, fece cenno ad Alwys e ad Albus di rimanere lì e salirono le scale che scricchiolarono ad ogni loro passo.
«Dietro questa porta troverai tutte le risposte.»
Fred lo guardò serio e varcò la porta che si chiuse dietro di sé. La stanza era immersa nel silenzio, molto probabilmente se ci fosse stato qualcuno lì avrebbe sentito il suo cuore che gli martellava il petto.
«Chi sei?»
Fred si girò di scatto incontrando due occhi castani.
«Papà?» il fantasma divenne rigido e lentamente si avvicinò al ragazzo.
«Come ti chiami?» chiese, e Fred notò che anche la voce era uguale a quella di suo padre.
«Fred Weasley Jr.»
L’uomo sorrise, si portò una mano agli occhi per coprirli.
«Certo che George non ha per niente fantasia» calde lacrime gli rigarono il volto nonostante stesse sorridendo.
Il ragazzo si portò entrambe le mani alla bocca, scoppiò a piangere e si mise a correre per abbracciarlo, ma fra le sue braccia ci fu solo l’aria gelida che lo avvolse.
«Perché…?» farfugliò indeciso su quale domanda scegliere fra il mare che aveva in testa.
«Sono un fantasma» guardò fuori dalla finestra come se guardare gli occhi di Fred fosse troppo doloroso.
«Perché sei qui? Perché hai fatto quell’indovinello? Perché non ci hai detto prima che eri qui?» cercò di toccarlo, ma la sua mano passò oltre i vestiti e sentì improvvisamente freddo.
«Ho deciso di rimanere perché c’è una cosa che devo fare» rispose mentre incominciò a passeggiare per la stanza come se fosse trasportato dal vento che entrava dalla finestra «Ma allo stesso tempo non volevo mostrarmi perché sapevo che avrei causato solo altro dolore» strinse i denti «Poi James ha portato la Mappa del Malandrino e ho pensato che un ultimo scherzo me lo potevo concedere» passò accanto alla finestra e il suo sorriso brillò insieme alle rughe sotto i suoi occhi «Lo hai risolto?»
«Penso di sì… mio padre mi ha parlato tantissimo di te, sono le poche volte in cui lo vedo ridere per davvero» l’uomo si portò una mano alla bocca e si girò per non farsi vedere dal ragazzo. «È il Foro Romano?»
Il fantasma si mise a ridere.
«Ma solo i più stupidi potrebbero pensarci» citò e un comodino si materializzò accanto a lui. «Primo cassetto.»
Fred si avvicinò, aprì e vi trovò dentro la Mappa del Malandrino.
«Grazie…» si girò per guardarlo e il loro occhi finalmente si incontrarono. «Potrò venire a trovarti?»
L’uomo sorrise.
«Ormai questo non è più il mio posto.»
«E dove andrai?»
«In un posto migliore e dove sarò felice» anche se Fred stava sorridendo, il ragazzo riprese a piangere «Non c’è bisogno di essere triste» si avvicinò a lui e cercò di consolarlo con lo sguardo perché non poteva accarezzarlo «Sono felice ora che ho finalmente realizzato ciò che mi ha fatto rimanere qui.»
«E cos’era?» chiese il ragazzo tra un singhiozzo e l’altro.
«Sapere che George è felice.»
Scomparve in una nuvola di fumo che uscì dalla finestra per volare in alto, lasciando Fred accasciato per terra che, non potendo più trattenere le lacrime, stringeva a sé la mappa. Con la manica della camicia si asciugò il viso e prese un bel respiro. Con decisione aprì la porta e incontrò lo sguardo di James, che appena vide la mappa sorrise. Si abbracciarono e tornarono al primo piano, dove c’erano Albus e Alwys che dormivano sul divano: lei era appoggiata sulla sua spalla e lui sulla sua testa. Fred e James sorrisero con tenerezza, li presero sulle spalle ed uscirono dalla stanza delle necessità, sapendo che tutto ciò che era successo sarebbe rimasto dietro quelle mura malandate e nei loro cuori.
 
«Alwys!» la Grifondoro aprì gli occhi rimanendo accecata da una flebile luce.
Si mise a sedere notando che si trovava nel letto e si massaggiò la testa per il dolore causato dal brusco risveglio.
«Ci sei?» mise a fuoco la figura stropicciandosi gli occhi.
«Rose?» cercò di dire tra uno sbadiglio e l’altro.
«Se non ti svegli faccio apparire un secchio d’acqua!»
«Sono sveglia!» esclamò alzando le mani in aria e in quel momento si accorse che tutti stavano beatamente dormendo.
«Non urlare! Devi venire con me, Albus ha scoperto qualcosa» le disse in anticipo capendo la domanda che stava per farle.
La ragazzina annuì, si cambiò, perché Rose aveva l’uniforme, accarezzò Ninfa che la salutò con un sonoro sbadiglio e uscirono dalla stanza.
«Puoi veramente far apparire le cose?»
La rossa rise e scese le scale facendo i gradini a due a due.
Arrivarono nella sala comune dove Albus era intento a fare avanti e indietro dal divano ad un mobile dall’altro lato della stanza con in mano la Mappa del Malandrino.
«Eccovi!» esclamò a bassa voce per paura che qualcuno potesse scoprirli.
«Alwys non voleva alzarsi» si giustificò la rossa, invece l’altra la guardò con la bocca spalancata come se avesse tradito la sua fiducia.
«Guardate qui» disse ignorando la frase della cugina.
Le due ragazzine si avvicinarono e puntarono i loro occhi sulla mappa: il professore stava incontrando un certo Ingole Kelva.
«Ma tu non dormi?» chiese Alwys visibilmente assonnata.
«Io… sì, ma avevo da fare» la buttò lì e spostò di nuovo lo sguardo verso la pergamena.
«Hai idea di chi sia?» chiese Rose storcendo il naso.
«Se non lo sai tu, non lo so io» controbatté stringendo le spalle. «Stanno parlando da una buona mezz’ora.»
I tre divennero più sospettosi: si sedettero sul divano e aspettarono una qualsiasi mossa da parte del professore. Passò un quarto d’ora, il sonno si stava per impossessare delle due ragazzine quando ad un tratto Albus balzò in piedi.
«Sta andando verso la Foresta Proibita!» esclamò scuotendo le due amiche che aprirono gli occhi frastornate.
«Di nuovo? Non possiamo andare lì» protestò Alwys guardando l’amico che prese il mantello dell’invisibilità nascosto sotto una delle poltrone.
«Alwys le creature staranno dormendo» controbatté Albus che nel frattempo aprì il mantello sul divano.
«E poi staremo attaccati al professore» lo sostenne Rose.
«Creature?» chiese preoccupata, ma entrambi la ignorarono e aprirono la mano davanti a loro.
Alwys, controvoglia, lo fece pure: «Decreto Segreto!»
Si nascosero sotto il mantello e uscirono dalla sala comune stando attenti a non svegliare i quadri, guidati dalla flebile luce della bacchetta di Rose che ancora non era riuscita a evocare una luce vera e propria. Uscirono dal castello e furono investiti dal freddo accumulato durante la notte e che il sole ancora non aveva attenuato perché nascosto dietro le montagne. Alwys alzò gli occhi versp cielo e fu affascinata dallo spettacolo che le si parò davanti: verso il castello si poteva vedere ancora qualche stella coraggiosa e la luna leggermente trasparente, dall’altro lato, invece, i primi raggi del sole che stavano stuzzicando col loro tepore il freddo blu della notte.
Arrivarono vicino alla casa di Damien ed un rumore li fece sobbalzare: istintivamente si nascosero dietro un cespuglio incolto, nonostante fossero invisibili, e videro una figura con un lungo mantello nero uscire a passo spedito dalla porta che si chiuse con un tonfo.
«James?» chiamò Albus e il ragazzo si girò con uno sguardo preso dal panico.
Si girò e rigirò per capire da dove venisse la voce e, appena i tre si tolsero il mantello, si portò una mano al cuore che sicuramente stava battendo all’impazzata e li guardò furiosi.
«Cosa ci fate qui?» disse con la voce bassa ma furibonda, non volendo svegliare il proprietario della casa.
Con quattro falcate decise li sovrastò con la sua altezza dovuta alla maggiore età.
«Il Professor Draconem ha incontrato un tizio e ora sta andando nella Foresta Proibita» spiegò squadrando il fratello dalla testa ai piedi.
«Ingole Kelva» puntualizzò Rose che lo guardò con un sopracciglio alzato.
«Ok, andiamo» rispose James in fretta: prese il mantello, li coprì e li trascinò il più lontano possibile dalla casa.
I tre si guardarono confusi e le due ragazzine fecero un cenno con il capo ad Albus verso James per fargli capire che doveva indagare.
«Allora… cosa ci facevi nella casa di Damien?»
Le due amiche si presero il viso fra le mani per il poco tatto dell’amico.
«Niente» rispose senza nemmeno girarsi per guardarli.
Le due ragazzine fecero un altro cenno ed Albus, alzando gli occhi al cielo, provò a continuare la discussione: «È molto presto, magari potevi andarci di pomeriggio.»
«Ero libero solo sta mattina» la freddezza delle sue parole fece venire un brivido a tutti e tre.
«Va tutto bene fra voi, adesso?»
James si fermò di botto e i ragazzini sbatterono contro la sua schiena.
«Ora ricordo!» i tre si scambiarono delle occhiate confuse. «Ingole Kelva lavora con Zio Charlie in Romania, è, potremmo dire, un suo apprendista.»
Albus fece finta di non badare al brusco cambiamento di discorso, e lasciò stare perché il maggiore con passo deciso era andato avanti e i tre rischiavano di rimanere indietro mentre cercavano di comunicare a gesti per non farsi sentire da lui.
«Cosa dovrebbe volere il professore da un tipo del genere?» osservò Rose, ma tutti fecero spallucce.
«A meno che non abbia un drago non ne ho idea» ma tanto quella opzione era ovviamente da scartare.
«Sì e alle cinque del mattino si diverte a cavalcarlo» scherzò Rose e tutti risero.
Appena misero piede sulle foglie secche che scricchiolarono al loro passaggio, ad Alwys venne un brivido lungo la schiena perché il ricordo della sera passata con Damien le ritornò alla mente. Combattendo contro il freddo che via via si faceva sempre più penetrante, cercarono di stare al passo del professore che con il suo lungo mantello nero si confondeva fra i tronchi degli alberi. Passavano i minuti e i tre incominciarono a stancarsi: Draconem non accennava a rallentare e i tre inciamparono più volte su radici o grosse pietre. Dopo mezz’ora, James incominciò a preoccuparsi perché dopo esattamente un’ora ci sarebbe stata la sveglia e non osava immaginare che punizione avrebbe scelto il professore per loro se fossero stati scoperti. O peggio, li avrebbe sicuramente espulsi.
Finalmente, in lontananza, un’enorme figura scura apparì dalla nebbia che la avvolgeva: due occhi verde smeraldo si aprirono nell’ombra ad un’altezza abbastanza consistente, il suo ruggito, appena vide il professore, fece vibrare il busto degli alberi come se tremassero per la paura, due ali si aprirono smuovendo l’aria. Appena riuscirono a definirne i contorni non ebbero più dubbi: era un drago.
«James non potevi starti zitto?»

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Capitolo 23
*** 22. Il drago di Draconem ***


 

22
Il drago di Draconem

 
 
Il drago aveva una lunga serie di spuntoni neri come la pece lungo la sinuosa schiena fino alla fine della coda, le ali erano sottili ma molto ampie e in controluce si potevano vedere le venature rossastre. Il drago, privo di qualsiasi catena, si alzò su due zampe come se fosse contento di vedere il professore, che si avvicinò, gli accarezzò il ventre e poi il muso. I tre rimasero impietriti sul posto, i loro respiri si confondevano fra loro creando una perfetta sinfonia orchestrale insieme ai loro cuori che battevano all’impazzata. Ad un tratto il drago girò di scatto il muso verso di loro, annusò l’aria e digrignò i denti aguzzi.
«Cosa c’è, tesoro?» chiese Draconem accarezzando sotto il muso per farlo rilassare.
Loro, spaventati, lentamente indietreggiarono per scappare verso la scuola, ma uno di loro, per sbaglio, calpestò un legnetto attirando l’attenzione del drago, che spalancò le fauci, e del professore, che prontamente sfoderò la sua bacchetta. Prima che i tre potessero darsela a gambe, un fuoco azzurro li investì completamente, ma per fortuna non si fecero male perché James urlò «Protego!» e una pallida cupola fermò le fiamme.
Sfortunatamente, però, il fuoco del drago era più forte e la cupola andò in mille pezzi scagliandosi contro il Corvonero che si girò per proteggere i più piccoli.  Appena la fiammata arrivò, urlò per il dolore e si accasciò per terra, senza, però, demordere.
Riprese la bacchetta e urlò: «Glacius
Un raggio ceruleo colpì il muso del drago congelandolo così da impedirgli di sputare fuoco.
Si alzò con molta fatica, Albus prese il mantello fortunatamente intatto, perché per scagliare gli incantesimi James lo aveva gettato per terra, e aiutò il fratello a scappare. Rose nel frattempo aveva preso, dalla tasca del cugino, la Polvere Buiopesto e l’aveva gettata per terra creando una fitta nube scura attorno a loro.
«Lasciatemi qui, così solo io sarò in punizione» disse il maggiore tra un lamento e l’altro.
«Non dirlo nemmeno per scherzo!» lo rimproverò il fratello.
«Di qua!»
Rose individuò una piccola caverna nel terreno che a occhio e croce li avrebbe potuti ospitare tutti. Fecero sedere James e guardarono la sua ferita: il fuoco aveva bruciato tutti i vestiti e la schiena mostrava varie bruciature che avevano lacerato la pelle e si stavano formando molte bolle. Rose trattenne un conato di vomito, invece Albus abbracciò James con gli occhi gonfi per le lacrime.
«Mi dispiace!»
«Non è colpa tua» disse cercando di trattenere i gemiti di dolore e gli arruffò i capelli con tenerezza.
I passi del professore si fecero sempre più vicini, i quattro si strinsero per occupare meno spazio possibile, schiacciandosi contro la parete che cedette a causa del loro peso: il buio li inghiottì. Caddero su un terreno morbido, ma appiccicoso, e la caduta mozzò il fiato a James che si contorse per il dolore.
«James stai bene?» urlò Albus, ma davanti a sé vedeva solo il buio.
Alwys e Rose presero le bacchette per fare un po’ di luce e cercarono gli altri due, ma lo spettacolo che videro gelò loro il sangue: erano atterrati su un’enorme ragnatela circondata da pallide uova più grandi del loro viso.
«James…» Rose cercò un po’ di conforto dal maggiore che però non rispose perché svenuto per il dolore dovuto alla botta.
«Come può un ragno tessere una ragnatela così grossa e spessa?» chiese Alwys facendo ondeggiare la sua bacchetta qua e là.
Appena lo individuò, Albus corse verso il fratello e lo scosse per farlo risvegliare, ma il maggiore non accennava a muoversi.
«Non un semplice ragno…» rispose Rose che era rimasta ferma a fissare un punto che Alwys non riuscì ad individuare con chiarezza.
I candidi occhi della ragazza vagarono fra la fredda pietra che li circondava fino ad individuare il punto che l’amica stava fissando: otto occhietti la fissavano curiosi.
«Ragazze, James non si sveglia» urlò Albus sull’orlo di una crisi di pianto.
«In questo momento è un altro il nostro problema.»
«Cosa è?» chiese Alwys pietrificata sul posto dalla paura.
«Un’acromantula» a quella parola Albus scattò in piedi. «Siamo nella sua tana.»
«Nella loro tana» puntualizzò il ragazzino prendendo la bacchetta anche se non aveva idea di come usarla in quella situazione.
Enormi ragni ricoperti da una fitta peluria scura e con otto occhietti neri che li scrutavano nell’ombra li accerchiarono infastiditi dalla luce delle bacchette.
«Rose, ti prego, dimmi che conosci qualche incantesimo» piagnucolò Albus.
«Al, frequentiamo le stesse lezioni.»
«Sono molto pericolose?» i due fulminarono con lo sguardo Alwys che deglutì.
Fra quel gruppo che li fissava ansiosi, si fece spazio un’acromantula più grande delle altre che fece scivolare le sue zampe pelose sulla pietra fino ad arrivare sulla ragnatela su cui erano i quattro. Albus si mise davanti a James per proteggerlo, anche se poco convinto. Sicuramente lui avrebbe saputo cosa fare, pensò.
«Cosa abbiamo qui?»
Alwys si girò intorno per capire da dove venisse quella voce.
«Chi è stato?» sussurrò all’orecchio di Rose.
La rossa, con la bacchetta che le tremava, indicò l’acromantula davanti a loro.
«Veniamo…» provò a dire Albus nonostante la voce gli tremasse. «Veniamo in pace!»
«In pace, eh?» rispose sarcastica accennando una risata. «Voi umani non sapete cosa sia la pace!»
«Noi sì, siamo amici di Hagrid!» esclamò Rose e gli altri due annuirono.
«Hagrid? Non mi ha mai parlato di voi.»
«Beh, siamo qui da poco, forse per questo…» continuò lei sorridendo.
«Rose…» disse Albus a mo’ di lamento.
«Zitto Al!» lo richiamò per poi tornare a sorridere verso l’acromantula. «Siamo caduti qui per sbaglio, scusateci.»
«Scusarvi? Noi non siamo molto amici degli umani…»
«Rose!» questa volta fu il turno di Alwys.
«Che c’è?» sbottò la rossa girandosi verso gli amici: le altre acromantule si erano avvicinate ed era praticamente impossibile contarle per quante erano.
«Da quando dei maghi ci hanno cacciato da qui, non crediamo più alle vostre menzogne!» urlò l’acromantula facendo addirittura tremare le pareti.
«Ve lo giuro, siamo solo studenti indifesi» disse Rose avvicinandosi agli altri due.
«Indifesi? Meglio per noi!»
Ad un tratto una figura scese dal buco da cui erano caduti e si mise davanti a loro: gli occhi blu come il mare risplendevano nell’oscurità illuminati dalla sua bacchetta e un ringhio gutturale arrivò alle loro orecchie.
«Chi diavolo s-»
«Arania Exumai!» urlò la figura prima che l’acromantula potesse finire la frase, ed il primo lampo andò a segno scagliandola contro il muro di pietra.
Ne seguirono altri che riuscirono ad allontanarli quanto bastasse per creare una bolla che li avrebbe protetti per un po’.
«Giuro che prima o poi vi ucciderò con le mie mani e occulterò i corpi» li minacciò furioso Damien che si girò verso di loro «James?» fece vagare il suo sguardo e, appena individuò il ragazzo, corse verso di lui e gli prese il viso fra le mani «È bollente.»
«Il professore nasconde un drago, è stato lui a colpire James» spiegò Rose con la voce che le tremava.
«James, ti prego rispondimi» il ragazzo poggiò il viso sul suo petto e strinse la sua maglietta.
«Damien, la barriera sta cedendo…» disse Alwys stringendosi ad Albus.
«Prendetevi per mano.»
Mentre loro fecero ciò che aveva ordinato, lui premette le labbra contro la fronte di James e lo prese in braccio.
Damien si avvicinò a Albus e gli fece cenno di aggrapparsi alla sua giacca: un vortice li risucchiò, si sentirono sottosopra e un conato di vomito si impossessò della loro gola. Ad un tratto si ritrovarono in mezzo alla foresta proibita, barcollarono e si aggrapparono ad un albero.
«Andiamo, dobbiamo portarlo al sicuro» ma i tre, invece di muoversi, vomitarono tutto ciò che avevano nello stomaco.
«Cosa è successo?» chiese Alwys che si sentiva come se avesse preso un brutto virus allo stomaco.
«Se non vi muovete vi lascio qui!» urlò e incominciò a camminare con passo deciso.
Albus fu il primo a riprendersi: prese per mano le due amiche e cercarono di stare al passo svelto di Damien. In poco tempo furono fuori dalla foresta e continuarono a seguirlo fino alla casa di Hagrid dove, con un deciso calcio, Damien spalancò la porta.
«Per la barba di Merlino!» esclamò una voce pesante e roca, come se si fosse appena svegliata.
Il gigante arrivò nel piccolo salotto con una lunga vestaglia malconcia e un cappello da notte con qualche toppa.
«Cosa è successo?»
«Il drago di Draconem lo ha colpito.»
Hagrid, con un colpo della grande mano, fece cadere per terra tutto ciò che c’era sul tavolo e Damien stese il corpo del ragazzo a pancia in giù.
«Voi lo sapevate?» strillò Rose indignata.
«Sta zitta mocciosa!» ringhiò Damien e i tre per la paura si strinsero in cerca di conforto. «Ti prego dimmi che puoi fare qualcosa.»
«Io…» Damien lo guardò supplicante, Hagrid si riprese dandosi qualche colpetto sulle guance con i palmi ed esclamò. «Mi sono preso ustioni peggiori!»
Andò a trafficare con delle boccette e ne prese una: la passò sotto il naso del ragazzo che spalancò gli occhi preso dal panico.
«Tranquillo, ci sono io qui» appena James incontrò gli occhi di Damien si rilassò, ma comunque la sua espressione era contratta dal dolore.
Hagrid prese qualche erba e la schiacciò in un piccolo contenitore per poi mescolarle con il contenuto liquido di una boccetta verde.
«Mi dispiace» disse affranto il gigante prima di spalmare il contenuto del contenitore sulla schiena del ragazzo.
Appena la miscela toccò la ferita, James urlò e incominciò a piangere disperatamente. Damien gli strinse la mano e gli accarezzò i capelli «Ce la puoi fare» ripeteva a denti stretti.
Appena la miscela fu spalmata su tutta sulla ferita, Hagrid fece un cenno con il capo a Damien che prese la bacchetta.
«Accio bende» le prese al volo e fasciò tutta la schiena del ragazzo che era svenuto di nuovo, ma non aveva più la fronte troppo bollente.
«Due giorni e della ferita rimarrà solo una brutta cicatrice, domani mattina passerà anche la febbre» disse Hagrid asciugandosi la fronte grondante di sudore.
Entrambi gli uomini si girarono verso i tre: uno li guardava minaccioso, l’altro molto preoccupato. Damien sbuffò, prese James, lo appoggiò sul letto del gigante, gli accarezzò la fronte e si sedette accanto a lui. Hagrid aspettò che il ragazzo fosse fuori dalla stanza prima di rivolgersi verso i tre che erano rimasti imbambolati davanti alla porta.
«Sedetevi» presero posto sul divano, invece lui su un’enorme poltrona davanti a loro.
«Deve essere di famiglia cacciarsi nei guai» disse in tono bonario.
«Non è colpa nostra se il nostro professore di Difesa contro le Arti Oscure nasconde un drago nella Foresta Proibita e inoltre c’è pure una colonia di acromantule!» sbottò Rose che stava per avere una crisi di pianto.
«Leila non farebbe del male ad una mosca!» rispose Hagrid scuotendo il viso barbuto.
«Ha anche un nome!»
«Rose, calmati…» cercò di farla ragionare Albus, però senza successo.
La cugina sbuffò e si lasciò cadere sulla poltrona.
«Leila è stata un’idea della Preside» spiegò Hagrid prendendosi le mani in grembo. «E chi meglio di lei può prendere queste decisioni? Io l’ho aiutata a trovare il drago.»
«Ma perché? Non siamo in un periodo di pace?» chiese Alwys, ma subito dopo si ricordò di ciò che era successo a Hogsmade.
«Solo perché…» quasi ancora gli veniva difficile nominarlo. «Voi-sapete-chi non c’è più, non vuol dire che il male non esista.»
Tutti e tre abbassarono lo sguardo persi nei loro pensieri: si sentirono in colpa perché a causa del loro essere così ficcanaso James si era fatto molto male e stavano per essere divorati da delle acromantule.
«Volete qualcosa?» chiese Hagrid dirigendosi verso la credenza, ma il silenzio dei ragazzini gli fece intendere che a loro non sarebbe entrato nemmeno uno spillo in quel momento. «Almeno una bevanda calda!»
Prese una grossa teiera e quattro bicchieri.
«Tu, Damien?»
«No!» esclamò lui dalla stanza.
Dopo aver riempito i bicchieri con un liquido fumante, glieli passò con un sorriso stampato sul volto. 
«Le acromantule, invece?» chiese Alwys che si concentrò molto per ricordare il loro nome.
«Quella è casa loro, voi le avete disturbate» rispose Hagrid che però si beccò un’occhiataccia da parte di Rose. «Per questo la Foresta Proibita è un luogo pericoloso.»
«Prenderai provvedimenti?» chiese Albus mordendosi il labbro.
Hagrid borbottò qualcosa indeciso sul da farsi ma, prima che poté rispondere, la porta si spalancò.
«Lui no» la preside McGranitt entrò seria in volto. «Ma io sì.»
I tre guardarono con gli occhi spalancati la donna che incrociò le braccia al petto. Dall’altra stanza arrivò Damien, attirato dal rumore della porta, che la guardò con la faccia più felice del mondo.
«Finalmente è arrivata!» disse avanzando verso di lei. «È dall’inizio dell’anno che fanno danni!»
«È così?» chiese lei rivolgendosi ai ragazzi che, però, rimasero in silenzio evitando il suo sguardo. «Capito… James Potter?»
«È stato colpito da Leila…» spiegò Hagrid alzandosi un po’ impacciato dalla sedia. «Brutte ustioni, ma si riprenderà presto.»
«Abbastanza presto da partecipare anche lui alla punizione?»
«Punizione?» protestò Rose, ma subito dopo si morse la lingua.
«Signorina Weasley penso che sia il minimo darvi una punizione visto il vostro comportamento» la richiamò la Preside: il suo sguardo era molto severo e imperturbabile.
«Ci dispiace tantissimo» sussurrò Albus abbassando lo sguardo.
«Non ne dubito, caro» lo rassicurò la donna. «Ma avete messo a repentaglio la vostra incolumità invece di chiedere ad un professore. Potter adesso è in quella stanza in preda a chissà quali dolori per colpa vostra.»
«Non ci volevano ascoltare, pensavamo veramente che il professore nascondesse qualcosa che poteva fare del male alla scuola» Alwys cercò di giustificare il loro comportamento, ma lo sguardo della professoressa divenne gelido.
«Signorina Dewery, questa non è la sua prima punizione, giusto?» la Grifondoro si morse il labbro. «Le consiglio di stare più attenta e di non accusare infondatamente i professori che io stessa ho scelto con cura.»
«Mi scusi…» mormorò abbassando lo sguardo.
«Ad ogni modo sono costretta a togliere cinquanta punti ai Grifondoro» disse in tono veramente dispiaciuto.
Rose subito lanciò un’occhiata di fuoco ad Alwys come se fosse solo colpa sua.
«Non dite a nessuno del drago o dovrò prendere provvedimenti più seri.»
I tre annuirono silenziosamente.
«Signor Paw, mi devo complimentare con lei… questa sua azione non passerà inosservata al Ministero della Magia» disse guardando Damien per poi rispostare lo sguardo verso di loro. «Non cercate di fare come i vostri genitori cacciandovi nei guai: più lontani siete da essi meglio è, e soprattutto quelli erano altri tempi.»
Alwys notò che Albus aveva stretto i pugni lungo i fianchi e istintivamente gli strinse una mano.
«Comunque, per adesso tornate nei vostri dormitori, vi farò sapere al più presto… Signor Paw, lei per favore porti Potter in infermeria.»
I tre salutarono Hagrid con un forte abbraccio e si avviarono verso la porta.
«Expecto Patronum!» dalla bacchetta della McGranitt uscì una luce cerulea che prese la forma di un gatto che saltellò accanto ai tre. «Farà in modo che voi andiate nei vostri dormitori.»
I tre rimasero a bocca aperta, incantati dalla bellezza di quell’incantesimo.
«Arrivederci» dissero in coro e poi uscirono dall’umile casetta a testa bassa.
 

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Capitolo 24
*** 23. Pericolo al chiaro di luna ***


 

23
Pericolo al chiaro di luna

 
 
Ovviamente sarebbe stato troppo bello avere la stessa punizione di Rose e Albus: la McGranitt, infatti, aveva avuto la brillante idea di dare una punizione diversa ad ognuno, così che non stessero insieme e non commettessero altre marachelle.
«Tanto lo so che sono quella messa peggio» sbuffò Alwys incrociando le braccia al petto.
«No, dai…» disse Albus dandole un pizzicotto.
«Cosa dovete fare?»
«Io devo controllare l’inventario della biblioteca, individuare i libri che mancano e contattare i proprietari per sollecitarli a riportarli» spiegò Rose emozionata: adorava stare fra i libri quindi, anche se era una punizione un po’ pesante, non era poi così male.
«Io devo aiutare Hagrid» spiegò Albus facendo spallucce. «Non ho idea di cosa mi farà fare.»
«Fantastico!» esclamò ironica Alwys. «Io ho la punizione più tremenda.»
«E cosa ti aspettavi? È la seconda volta che finisci in punizione» la punzecchiò Rose che si era legata al dito tutti i punti che la Casa aveva perso. «Anche se non ci hai ancora detto qual è.»
«Devo sistemare tutte le boccette dell’aula di pozioni» i due amici la guardarono con gli occhi spalancati. «Senza magia.»
«Ok, hai vinto tu» disse Rose alzando entrambe le mani.
«Certo che c’è andata pesante…» Alwys fulminò con lo sguardo Albus. «Sono tantissime.»
«Già…» Alwys buttò la testa all’indietro e inspirò profondamente: perché tutte a lei?
«Quindi con te ci sarà la professoressa Lewis» constatò Rose.
«Almeno un lato positivo c’è» disse Albus beccandosi uno schiaffo sulla nuca da parte della cugina.
«Non è male come professoressa.»
Il che era vero: la professoressa Lewis la accolse con un grande sorriso e la abbracciò pure.
«Tranquilla, ci divertiremo un mondo!» disse continuando a sorridere.
La professoressa Lewis era davvero una bella donna: aveva lunghi capelli castani che terminavano in morbidi boccoli, il viso color perla e gli occhi erano piccolini ma di un profondo nero. Indossava un lungo abito violetto abbellito da arabeschi neri con una provocante scollatura a V. Alwys si chiese come le permettessero di girare vestita in quel modo.
«Ho chiesto io alla Preside perché avevo proprio bisogno di una mano» disse avvicinandosi verso uno scaffale. «Sono proprio sbadata e a volte scambio delle boccette perché hanno colori simili.»
«Vedrò come posso aiutare…» disse Alwys un po’ imbarazzata: una professoressa che scambiava le boccette? Questo sì che era strano.
«Così nel frattempo potrei aiutarti con qualche lezione extra» disse facendole l’occhiolino. «E magari diventerai brava come James Potter.»
«James è così bravo?» chiese Alwys: era convinta che a lui non piacesse molto Pozioni.
«Sì, da quest’anno è diventato il primo della classe ed è molto complicato visto che in Corvonero sono tutti molto bravi.»
«Io ho qualche difficoltà visto che ero abituata con le materie babbane» spiegò Alwys avvicinandosi a lei.
«Anche Hermione Granger era di famiglia babbana ed è una delle streghe più potenti che io conosca» disse Lewis aprendo una credenza.
Sì, Alwys la ricordava bene: era una donna con uno sguardo davvero dolce, ma a Natale era stata tutto il tempo con il suo Patronus a mandare messaggi a delle persone che molto probabilmente lavoravano con lei. Ancora Alwys non aveva capito come funzionasse questo strano Patronus.
«Allora» esclamò la professoressa risvegliandola dai suoi pensieri. «Io ti passerò le boccette e tu dovrai metterle nelle credenze… semplice, no?»
«Io però non so bene in che credenza devo metterle…»
«Ti aiuterò io» disse dandole un buffetto sulla guancia.
Appena Alwys realizzò che avrebbero dovuto sistemare tutte le boccette che erano sul tavolo, le venne il mal di testa: erano tantissime!
«Sale marino Africano» disse passandole un contenitore oblungo con un liquido trasparente.
Incominciarono a lavorare e la Grifondoro doveva ammettere che si aspettava di peggio, anche perché alla professoressa piaceva molto chiacchierare, quindi il tempo passò molto in fretta.
«E cosa fanno i tuoi genitori?» chiese mentre guardava con un sopracciglio alzato una boccetta senza etichetta.
«Hanno un negozio di animali» spiegò Alwys mentre ne poggiava una su un ripiano.
«Tipo Hagrid?» chiese con la faccia perplessa.
«No, tipo quello che c’è a Diagon Alley, solo che loro vendono animali…» cercò la parola adatta ma non le venne nulla in mente. «Normali.»
«Che carini!» esclamò sorridendo.
Visto che la professoressa era così disponibile, avrebbe potuto farle qualche domanda che le brancolava nella mente…
«Lei di che Casa era?» chiese optando per iniziare con domande neutre.
La donna si fermò con un la mano sospesa in aria per qualche secondo.
«Serpeverde» disse sbloccandosi.
«Non sembra una Serpeverde…» disse mordendosi subito dopo il labbro.
«Noi Serpeverde veniamo sempre etichettati in modi negativi, ma non è sempre così» spiegò guardandola dritta negli occhi. «Come i Grifondoro.»
Quell’ultimo commento fece venire un brivido lungo la schiena ad Alwys, ma la professoressa sorrise come se quel tono acido non fosse voluto.
«Lei da quanto è qui?»
«In verità sono venuta quest’anno» disse accennando una risata.
«Infatti mi sembrava troppo giovane!» esclamò Alwys ridendo anche lei.
«Ho sempre desiderato insegnare e finalmente ho coronato il mio sogno!» esclamò passandole un’altra boccetta viola con un nome improponibile. «Sono sempre stata portata per Pozioni, quindi è stato semplice per me.»
Beata lei: Alwys non era molto brava perché doveva riuscire a ricordarsi gli ingredienti – dai nomi impossibili da ricordare e alcuni schifosi- e per giunta usare la bacchetta! Fortunatamente però non aveva mai fatto esplodere niente, al massimo il contenuto del calderone usciva fuori.
«Anche a me piacerebbe molto insegnare» confidò un po’ titubante: non era molto brava a parlare davanti alle persone, ma le piaceva aiutarle e studiare le materie, anche se con qualche difficoltà.
«Allora non demordere» disse lei avvicinandosi alla studentessa. «Se ci credi veramente e ti impegni con tutta te stessa, si avvera.»
Fortunatamente la punizione alla fine non si rivelò molto pesante: certo, le boccette sembravano non finire mai, ma parlare con la professoressa era piacevole. Ovviamente appena si era incontrata con Albus e Rose, l’amico aveva incominciato a farle un sacco di domande.
«Che ti ha detto? Hai scoperto qualcosa su di lei? Non è fantastica?»
«Serpeverde, eh? Non me lo aspettavo» disse Rose prendendosi il mento con la mano.
Alwys annuì per farle capire che anche lei la pensava così.
«A voi com’è andata?»
«Molto stancante ma bello, nella pausa ho letto un sacco di libri.»
«Finalmente me lo avete chiesto!» esclamò Albus, cingendo con le braccia le spalle delle amiche per farle avvicinare di più al suo viso.
«No, ti prego…» protestò la cugina alzando gli occhi al cielo.
«Nel tempo che ho passato con Hagrid ho scoperto delle cose» sussurrò guardandosi intorno per assicurarsi che nessuno potesse ascoltare. «Il drago glielo ha dato Ingole Kelva, lo ricordate? Bene, quella volta era qui perché il drago si sta comportando in modo strano e non capiscono perché.»
«E… quindi?» chiese Rose con aria scettica.
«Non capite? Gli sta facendo qualcosa!» sbottò un po’ troppo forte.
«Albus, ti prego, già ci siamo beccati una punizione» controbatté Alwys preoccupata: ormai aveva capito che quando Albus si fissava era difficile fargli cambiare idea.
«Vi giuro che non ci succederà niente» rispose lui cercando di essere convincente. «In questo periodo si sta incontrando molte volte con Kelva, se solo riuscissimo ad origliare una loro conversazione!»
«Sei impazzito? E se ci scoprissero?» chiese Rose sgranando gli occhi: Alwys sapeva che, se Rose incominciava a fare domande, voleva dire che si stava convincendo.
«Vi prego, no, se mi scoprissero sarei fregata!» disse prima che Albus potesse rispondere alle domande.
«Allora tu non vieni» snocciolò la rossa spostando lo sguardo verso il cugino. «Quando?»
Alwys sospirò pesantemente: sapeva che tutto ciò era profondamente sbagliato, ma ormai era stata coinvolta e, dopo aver detto sì, lo sguardo di Albus non ammetteva repliche. L’unica cosa che Alwys era riuscita ad ottenere era il fatto che James venisse con loro, almeno lui conosceva molti più incantesimi e poteva aiutarli in caso di bisogno. Inoltre, era lui a custodire la Mappa del Malandrino.
«Giuro solennemente di non avere buone intenzione» nella pergamena si disegnò la mappa della scuola.
I loro occhi incominciarono a vagare fra le stanze leggendo ogni nome che capitava a tiro.
«Trovato» Rose indicò col dito il nome del professor Draconem.
«Che ci fa in cortile a quest’ora della notte?» chiese Albus cercando altri nomi intorno a lui. «Damien? Ma è ovunque questo tizio?»
«Dov’è?» scattò James prendendo la pergamena.
«È vicinissimo a noi, se ci scopre siamo fregati!» esclamò Alwys guardando verso il punto da cui sarebbe dovuto comparire.
«Ma è fermo, quindi non ci sono problemi» disse Albus per calmarli. «Lo teniamo d’occhio e, se si muove, andiamo via.»
«Ho come l’impressione che staremo qui un po’, però» disse la rossa che, mentre i tre avevano parlato, aveva fissato la mappa. «Il professore non si muove di un millimetro.»
«Dovremmo andare a controllare.»
«Non se ne parla, non ho intenzione di essere espulso» protestò il maggiore.
Il Grifondoro guardò il fratello con la sua solita faccia arrabbiata, ma rassegnata, per poi spostare lo sguardo verso la mappa.
«Forse sta prendendo un po’ d’aria» cercò di convincerli Alwys che sbadigliò per la stanchezza.
«Aspettiamo ancora un pochino e poi andiamo a dormire» propose James e gli altri in risposta annuirono.
Si sedettero per terra, rabbrividendo per il freddo del marmo che riusciva ad attraversare la loro uniforme. L’unica luce in tutto il corridoio era quella proiettata dalla bacchetta di James, che cercava di coprirla con il mantello per non svegliare i quadri che sarebbero andati subito dalla preside. Passarono i minuti, ma il professor Draconem non accennava a muoversi.
«Ma in bagno ci va?» ironizzò Rose.
«È tardi, meglio se torniamo nei dormitori.»
Albus protestò, ma James non ammetteva repliche.
Si alzarono e si incamminarono verso le scale mentre il Grifondoro fissava la mappa sperando in un qualsiasi movimento.
«Buona notte.»
James preferì prima accompagnare i tre per evitare qualsiasi tipo di fuga.
«Che ci fate a quest’ora fuori dal dormitorio?» la signora grassa, in bigodini e maschera facciale, li fulminò con lo sguardo per aver interrotto il suo sogno di bellezza.
«Siamo qui, è questo l’importante, no?» rispose Rose sorridendo innocentemente.
La donna alzò gli occhi al cielo: «Parola d’ordine?»
«Noce moscata» il quadro si aprì e i tre poterono entrare.
«Buona notte» si salutarono ed Albus salì la scala a chioccia verso il dormitorio maschile.
Rose aprì la porta, ma un rumore attirò l’attenzione di Alwys: «Hai sentito?»
«No e non mi importa, ho sonno» rispose sbadigliando sonoramente per poi entrare dentro il dormitorio.
Alwys provò a non pensarci ma, prima che potesse varcare la soglia della porta, risentì quel rumore e si girò: un gufo era appollaiato sul bracciolo di una delle poltrone, solo che era come se fosse fatto di luce, non corporeo.
«Sei un fantasma?» chiese, ma il volatile si limitò ad inclinare la testa.
«Non è un fantasma» Lady Amelia sbucò da dietro la ragazza. «È un Patronus, qualcuno deve averlo evocato.»
Alwys sul momento si spaventò perché pensava che qualcuno l’avesse scoperta, ma poi guardò la donna che scrutava seriamente l’animale.
«A cosa serve?»
«È complicato, ma il fatto che non stia svanendo vuol dire che è un messaggero» spiegò non mutando la sua espressione.
«Chi potrebbe mandarmi un messaggio così?» mosse un passo verso il gufo che rimase immobile.
«Non lo so… bacchetta alla mano» la ammonì e lei fece come le era stato detto, ma il gufo volò via.
«Dove vai?»
«Lo seguo» rispose sulla soglia della porta della sala comune. «Ci sei tu con me.»
Lady Amelia in un primo momento la guardò con un sopracciglio alzato, ma poi pensò che non sarebbe riuscita a farle cambiare idea, quindi era meglio non farla andare da sola. Fecero le scale cercando di non fare rumore (tanto la donna non toccava terra ed Alwys aveva il passo felpato). Il gufo continuava a volare e ogni tanto si girava per vedere se fossero ancora dietro di lui. Arrivarono nel corridoio che dava sul cortile e Alwys si strinse di più nel mantello cercando di coprirsi dal freddo che la fece rabbrividire. Fra qualche giorno ci sarebbe stata la luna piena, quindi la luce dell’astro bastava per non far inciampare la ragazzina che camminava frettolosamente. Arrivata all’ingresso della scuola, il gufo trapassò il portone.
«Non puoi uscire, la cosa si sta facendo troppo sospetta» disse Lady Amelia e Alwys annuì leggermente preoccupata.
«ALWYS!» un urlo disperato squarciò il silenzio della scuola.
«Mamma!»
La Grifondoro si girò verso il portone e incominciò a correre: il freddo come frammenti di vetro le sfregiò il viso, le labbra screpolate incominciarono a farle male, come le pantofole non adatte alle pietre su cui metteva il piede. Individuò il gufo e riprese a correre più velocemente, fregandosene del fatto che il suo cuore stesse battendo a mille e che le mancasse l’aria. Arrivò vicino al gufo il più in fretta possibile e si appoggiò con le mani sulle ginocchia per riprendere fiato.
«Dov’è mia madre?» chiese fra un sospiro e l’altro.
Stava bene? Qualcuno l’aveva rapita? Era in pericolo?
Il gufo inclinò la testa e si dissolse in una nuvola argentea che salì verso il cielo. Alwys si guardò intorno confusa alla ricerca di qualcuno o qualcosa, non lo sapeva nemmeno lei, ma non le importava, in quel momento l’uro di sua madre era padrone della sua mente. Ad un tratto la terra sotto i suoi piedi incominciò a tremare: scosse sempre più violente turbarono il suo corpo e i ciottoli sparsi per il prato. Alzò lo sguardo verso la foresta proibita e lo incollò ad un’enorme figura alata che si stagliava sopra di essa: le sue ali erano ampie e possenti e si muovevano con decisione smuovendo anche l’aria vicina ad Alwys nonostante fosse lontana. Il dorso, illuminato dalla pallida luce lunare, risplendeva squamoso e di color porpora, su cui si estendeva una linea di spuntoni che percorrevano la spina dorsale fino alla fine della lunga coda che ondeggiava a ritmo delle ali. Non c’erano dubbi: era un drago.
 

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Capitolo 25
*** 24. Un nuovo nemico ***


24
Un nuovo nemico


Freddo. C’era molto freddo. 
La piccola collina si estendeva silenziosa fino alla Foresta Proibita, dove i corvi stavano litigando per qualcosa. Nonostante fosse fine maggio, il respiro uscito dalle labbra di Alwys si condensava in una nuvoletta tiepida e pallida come la luna, che silente osservava dall’alto quella mostruosa creatura che corrompeva quella pacifica collina e lì, davanti ad essa, una bambina tremante era inciampata sui suoi stessi piedi. A differenza di quello di Alwys, il respiro del drago non si condensava in una nuvola, quasi sembrava che non respirasse se non fosse stato per il ventre che si alzava e si abbassava ritmicamente. Alwys rimase impietrita sul posto: non aveva via di scampo e certamente non era in grado di affrontare un drago. La creatura si accorse di lei e con due colpi d’ala già era a qualche metro di distanza. Leggiadramente atterrò non poco lontano e in quel momento lei poté vedere meglio il muso, da cui spuntavano denti aguzzi e due occhi completamente neri la scrutavano minacciosi. 
Mi attaccherà? Cosa vuole da me? Ha rapito mia madre? 
Queste domande si fecero spazio nella sua mente mentre faceva vagare lo sguardo seguendo la linea curva della colonna vertebrale del drago. 
«Alwys Dewery» una voce metallica e distorna, molto probabilmente da un incantesimo, arrivò alle orecchie della ragazza, che rabbrividì.
Una figura vestita completamente di nero e col volto coperto da un cappuccio spuntò da dietro il collo della creatura. Alwys non riuscì a rispondere perché la sua voce e il suo corpo tremavano per la paura e per la temperatura che improvvisamente era come se si fosse abbassata.
«Sono qui per porti una scelta» disse la figura, anche se la Grifondoro non poteva vedere la sua bocca muoversi. «O vieni con me, o ti obbligherò con la forza.»
Finì con una risata che fece rabbrividire Alwys, il suo cuore perse un battito e poi incominciò a battere velocemente: chi era? Cosa voleva da lei? Non poteva andare con quella persona senza sapere quelle due cose, ma la sua minaccia non sembrava darle molta scelta.
«Lei non va da nessuna parte!» 
James, con la bacchetta alla mano, si pose tra le due e si mise in posizione d’attacco.
«James Sirius Potter… finalmente ci conosciamo, primogenito dei Potter» il drago ebbe dei sussulti come se stesse ridendo. «Sto tremando come una foglia.» 
La creatura sbatté le ali alzando le zampe posteriori creando un forte vento che fece coprire gli occhi ai due con i mantelli.
«Puoi ancora scegliere» ma James strinse di più la bacchetta e alzò un braccio come per proteggere Alwys. «Ottuso come il padre.»
«Deve essere di famiglia.» 
Quella figura conosceva il Signor Potter? Perché?
«Non dovresti essere così sfacciato durante gli ultimi istanti della tua vita.» 
La figura alzò il braccio ed Alwys intravide delle dita pallide e affusolate uscire dalla manica del mantello, nero come il bosco che si estendeva davanti a loro. Il drago spalancò le fauci facendo fuoriuscire una colata di fuoco.
«Protego!» una cupola magica ricoprì i due fermando quella fiammata. 
L’animale, notando che il ragazzo era riuscito a fermare il fuoco, si tirò più indietro per prendere più potenza.
«Devi scappare, non resisterò a lungo» le urlò James cercando di sovrastare il rumore del fuoco che si abbatteva contro cupola su cui incominciarono a formarsi delle crepe.
«E tu?» Alwys riuscì a parlare di nuovo e si alzò con decisione.
«Sono un Corvonero, ricordi? Posso cavarmela» strinse i denti e cercò di concentrarsi di più, ma i suoi occhi tradivano il sorriso che si era dipinto sul suo volto. «Vai!»
Ma, prima che potesse muoversi, la seconda fiammata arrivò disintegrando la cupola: James si girò e coprì Alwys fortunatamente senza farsi male. Si rimise in posizione d’attacco e alzò la bacchetta i cui riflessi bluastri risplendevano alla pallida luce lunare.
«Glacius!» questa volta però, il raggio ceruleo si disintegrò appena toccò il muso incandescente del drago.
«Davvero astuto, ma mi dispiace dirti che il drago sputa fuoco e il ghiaccio si scioglie con il fuoco» ironizzò la figura lasciandosi andare un’altra volta ad una risata agghiacciante.
«Vai!» urlò James e rievocò la cupola per proteggersi.
«Andrai avanti così?» chiese ancora ridendo. 
La Grifondoro prese un bel respiro e incominciò a correre verso il castello nonostante fosse tutto in salita, ma l’istinto di sopravvivenza prese il sopravvento non facendole perdere potenza.
«Maledizione!» 
La figura spostò il volto verso Alwys, prese la bacchetta e un lampo colpì il dorso del drago che si alzò sulle zampe posteriori per poi spuntare una fiammata più potente di quella di prima. La cupola si disintegrò, ma James riuscì a buttarsi di lato, anche se il fuoco centrò comunque il braccio facendo volare la sua bacchetta lontano e facendolo urlare dal dolore. 
«Finiscilo!» 
Il drago avanzò minaccioso, James strinse il braccio ferito che non accennava a muoversi e cercò di strisciare verso la bacchetta, che però era arrivata troppo lontano. 
Chiuse gli occhi appena il drago aprì le sue fauci e pensò che ormai fosse arrivata la sua fine, ma il calore del fuoco stranamente non arrivò. Aprì gli occhi e vide una figura davanti a lui che aveva proiettato una cupola che li proteggeva dalla fiamma. 
«Confringo!» una piccola pallina di luce arrivò addosso all’animale esplodendo e creando un fuoco che lo accerchiò. «Andiamo, lo distrarrà per poco.»
Damien prese per il braccio James. 
«Non possiamo, dobbiamo proteggere Alwys.»
«Non me ne frega nulla di Alwys, mi importa solo di te!» il ragazzo boccheggiò, ma il lupo non gli diede nemmeno il tempo di rispondere che lo prese per mano per allontanarlo il più possibile dal drago che, per liberarsi dal fuoco, era volato in cielo.
Alwys corse con tutto il fiato che aveva nei polmoni nonostante le gambe le cedessero per la stanchezza: aveva lasciato James lì da solo e il senso di colpa incominciò a farsi strada dentro di lei, ma quella figura era lei che voleva, quindi forse lo avrebbe lasciato stare. Arrivò in cortile, ma improvvisamente attorno a lei tutto si fece più scuro, come se qualcosa avesse oscurato la luna.
«Davvero credi di potermi sfuggire?» 
Quella voce le gelò il sangue: il drago atterrò davanti all’entrata della scuola sbarrandole la via. Ora era completamente sola perché chissà che fine aveva fatto James. Ricacciò le lacrime e cercò di scacciare quel terribile pensiero.
«Cosa vuoi da me?» urlò con la voce che le tremava.
«Tante cose, piccola Alwys» la figura scese dal drago e come un serpente si incamminò verso di lei facendo strisciare la tunica nera sulla fredda pietra. 
«Tu non hai idea di ciò che hai qui dentro» indicò con il dito, fasciato da un guanto nero, la testa. «Sei preziosa.»
Alwys non capiva: non era particolarmente intelligente, quindi cosa voleva dire che? Indietreggiò leggermente, ma non perché voleva scappare, tanto sarebbe stato inutile, ma perché era come se il terreno le stesse cedendo sotto i piedi.
«Ma di cosa stai parlando?»
«Avremo modo di parlare» disse e subito dopo incominciò a camminare più velocemente per raggiungerla.
Ovviamente Alwys non rimase ferma a guardare: si girò per andare via, ma qualcosa la colpì alla schiena facendola cadere per terra.
«Non sento… niente» cercò di dire, ma le era addirittura difficile parlare: non riusciva a muovere niente del suo corpo, solo gli occhi e con fatica le labbra.
Il panico incominciò a prendere il sopravvento e il fatto che non potesse nemmeno muoversi peggiorò la situazione.
«È un incantesimo molto semplice, non lo riconosci?» arrivò accanto a lei e un pezzo del mantello le toccò una mano. «Comunque, non c’è tempo da perdere…»
Alzò di nuovo la bacchetta ed Alwys chiuse gli occhi: sentì il rumore di un incantesimo e il mantello della figura non toccò più la sua mano. Infatti, la figura era stata scaraventata lontano da lei e vide Victoire correre con la bacchetta in mano.
«Ti ha pietrificata» disse a mo’ di constatazione: mosse la bacchetta e finalmente Alwys riuscì a muoversi.
Si abbracciarono e Victoire le diede più volte baci sulla testa: com’era riuscita a mettere k.o. quella figura?
«Signorina Weasley, porti Dewery dentro» era la voce del professor Pastime.
Alwys non credette ai suoi occhi: il professore era dritto davanti a loro e con uno sguardo deciso, non sembrava assolutamente lo stesso di quando spiegava durante le lezioni. Victoire la prese per mano e incominciarono a correre verso la porta, sperando che il drago non si muovesse visto che la figura era impegnata. Sfortunatamente, però, ciò non avvenne: il drago si mise su due zampe e poi le sbatté di nuovo a terra creando una scossa così forte da far perdere l’equilibrio ad entrambe. Successivamente, videro la sua coda volteggiare in aria e poi scagliarsi verso di loro: Alwys non riuscì ad evitarlo e Victoire fu scaraventata contro una colonna cadendo per terra senza sensi. Subito dopo vide il professor Pastime bloccato da dei tentacoli che non gli permettevano di muoversi. La figura avanzò minacciosa ed Alwys ebbe paura che potesse succedere qualcosa di terribile al professore.
«È me che vuoi, giusto?» disse stringendo i pugni lungo i fianchi.
La figura guardò il professore, ma poi lo lasciò stare e andò verso di lei. Era la fine, ormai chiunque cercasse di aiutarla finiva per farsi del male, tanto valeva far finire tutto il prima possibile. Ma qualcosa dentro di lei le disse che no, non sarebbe andata così, che doveva combattere, che doveva far capire quanto tenesse agli altri. La bacchetta brillò così forte da far accecare la figura e Alwys ringraziò mentalmente Lady Amelia. Prese un bel respiro e incominciò a correre verso destra, lasciando sbigottita la figura: se avesse continuato a correre così sarebbe finita giù nel precipizio, cosa che avvenne.
«No!» sentì l’urlo della figura e capì che stava andando dal drago per prenderla, ma non sarebbe mai stata così veloce.
Aprì gli occhi che aveva chiuso per farsi coraggio e, tra il vento che le sferzava i capelli e la valle che si faceva sempre più vicina, tirò fuori la bacchetta e la puntò in alto. Era buffo il fatto che in quel momento, in caduta libera, stesse pensando ai suoi genitori, a quando era andata per la prima volta a mare ad agosto e aveva provato l’ebbrezza di lanciarsi da una scogliera. Ovviamente le due cose non erano minimamente paragonabili.
«Accio scopa!» 
In verità non era sicura della riuscita dell’incantesimo, aveva preso quella decisione molto impulsivamente e solo dopo aver saltato si era resa conto della stupidaggine di ciò che aveva fatto. Fortunatamente, però, la scopa arrivò in gran velocità ed Alwys vi si avvinghiò come se fosse la sua unica salvezza. Effettivamente era così. Incominciò a volare bassa, così che il drago avesse difficoltà ad individuarla e intanto cercò una soluzione a quel disastro: doveva andare dalla preside, ma non aveva idea di dove si potesse trovare in quel momento. Ad un tratto, però, una luce argentea incominciò a volare accanto a lei: diventò un gatto intento a correre che la guardava.
«Signorina Dewery vediamoci nel cortile posteriore» poi svanì. 
È incredibile quella donna, pensò mentre si alzava in volo per capire da che lato della scuola si trovasse, visto che fino a quel momento era rimasta dentro la valle.
Del drago non c’era traccia e ciò la preoccupò più che rassicurarla. Arrivò al cortile e vide Ted e la McGranitt che le stavano facendo segno con la luce proiettata dalle loro bacchetta. Appena scese dalla scopa si buttò fra le braccia di Ted, che si assicurò che non le fosse successo niente di grave.
«Cosa è successo?» le chiese preoccupato.
Alwys capì che non sapeva di Victoire e si morse il labbro. 
«Vicky è stata colpita dalla coda del drago, era per terra senza sensi l’ultima volta che l’ho vista, invece il professor Pastime era bloccato da dei tentacoli» spiegò con il respiro affannoso come se avesse corso piuttosto che volato.
«Sei stata bravissima» la rassicurò la preside mettendole una mano sulla spalla.
Ad un tratto, però, una luce si scagliò contro di loro facendoli volare in tre direzioni diverse: la figura si materializzò davanti ad Alwys e con un colpo di bacchetta evocò una cupola scura attorno a loro due. Ted corse verso di lei, nonostante un dolore alla gamba, e sbatté i pugni contro la cupola, invece la McGranitt provò degli incantesimi che la scalfirono leggermente.
«Ammetto di averti sottovalutata» disse passeggiando attorno ad Alwys, che rimase a terra perché la schiena le faceva molto male. «Ma comunque non puoi sfuggirmi.»
La Grifondoro si sentiva come un uccellino in gabbia: quella cupola le dava un senso di oppressione che lentamente le fece scemare la speranza che prima le aveva riempito il cuore. Però, grazie agli incantesimi scagliati da Ted e dalla McGranitt, si formò una lunga crepa sulla cupola. 
«Non hai scampo, appena questa cupola cederà ci saranno tutti i professori pronti» minacciò la preside scagliando con violenza un altro incantesimo.
«Peccato che porterò Alwys con me molto prima.»
«E come? Hogwarts ha un sistema di protezione infallibile» la risata della figura fece indispettire la McGranitt che corrucciò le labbra. 
Ad un tratto sbucò dal nulla il drago, che fino a quel momento molto probabilmente era stato coperto da un incantesimo di dissimulazione. La creatura aveva il respiro pesante ed era pronta ad eseguire gli ordini del padrone.
«No, ti prego!» urlò Alwys, intuendo ciò che voleva fare.
Con fatica lei si alzò e andò davanti alla figura: sotto il cappuccio c’era il buio più nero, come se il suo viso fosse un buco nero che inghiottiva ogni barlume di luce. 
«È me che vuoi, basta fare del male agli altri.»
La Grifondoro mise la mano dietro la schiena e strinse la bacchetta con tutta la forza che aveva come se le potesse infondere il coraggio: da essa uscì Lady Amelia, che andò contro la figura oscurando la sua vista, ed Alwys ne approfittò per evocare un incantesimo. 
«Diffindo!» la saetta partì dalla sua bacchetta e arrivò dritta al braccio della figura: si sbilanciò leggermente, ma l’incantesimo sembrò non averle fatto nulla.
«Stupidi Grifondoro» disse con disprezzo. «Vuoi una lezione? Eccotela.»
Alzò la bacchetta nera come la pece che però brillò leggermente per dei riflessi più chiari, ed una pallina di luce a grande velocità arrivò contro Alwys. Lei si coprì il volto con le braccia aspettandosi di cadere nell’incoscienza per la botta che però non arrivò. Aprì gli occhi e spalancò la bocca per lo spettacolo che si parò attorno a lei: l’incantesimo era esploso in mille puntini di luce che volavano attorno a lei per poi scendere giù come stelle cadenti ed infrangersi al suolo.
«Com’è possibile…» sussurrò la figura abbassando la bacchetta.
Puoi farcela.
Una voce arrivò nella sua mente come un pensiero, non la riconobbe, ma, senza capire il perché, si fidò di lei e alzò la bacchetta: una luce viola uscì da essa e andò ad infrangersi con la luce bianca venuta fuori da quella della figura. Prese la bacchetta con entrambe le mani come se tutta la stanchezza di stesse facendo sentire solo in quel momento.
«Puoi farcela» ancora quella voce, solo che questa volta proveniva dalla sua destra.
Si girò e vide Tonks: i suoi capelli non erano fucsia, ma argentati come tutto il resto del corpo che fluttuava leggermente.
«Tesoro mio non devi perdere mai la speranza» le accarezzò la guancia e ad Alwys venne l’irrefrenabile desiderio di buttarsi fra le sue braccia, ma lo scontro con la figura non glielo permise.
«Ma come posso fare?» chiese fra un singhiozzo e l’altro.
L’espressione della donna per un attimo si contrasse in puro dolore, poi però si sciolse in dolcezza. 
Si avvicinò al suo orecchio e le sussurrò: «Anche chi non c’è più, rimarrà per sempre nel tuo cuore.» 
Le diede un bacio in fronte, poi si spostò dietro di lei e mise le mani intorno alle sue: il fascio viola divenne più forte e ad un tratto esplose in numerosi fiotti di luce. La figura venne scaraventata ai piedi del drago disintegrando la cupola. Di Tonks non c’era più traccia. 
«Maledizione…» imprecò alzandosi. «Tornerò!» 
E, detto ciò, sparì in una nube nera. Tutto era finito, non c’era più pericolo: allora perché Alwys si sentiva come se avesse un mattone dentro il petto? 
Guardò Ted che la stava guardando con gli occhi spalancati, e poi la McGranitt che invece guardava il cielo in cui un cerchio luminoso con delle strane linee si faceva spazio fra le nuvole. Anche Alwys lo guardò chiedendosi cosa fosse, ma ad un tratto la sua vista si appannò, non seppe dire se fossero le lacrime o il fatto che lentamente stava sprofondando nell’incoscienza.

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Capitolo 26
*** 25. Fatto il misfatto ***


 

25
Fatto il misfatto

 
 
Ormai si era abituata a quella sensazione di tepore sulle guance, di liscio sotto i polpastrelli e di morbido sotto la testa: anche senza aprire gli occhi, era sicura di essere in infermeria, perché questa volta? I ricordi ritornarono a galla come la pietra pomice dopo essere stata immersa nell’acqua. Luci, vento, nero e tanti suoni indistinti riaffiorarono nella mente di Alwys provocandole un terribile mal di testa che le fece corrucciare gli occhi.
«Alwys?» una voce si fece spazio fra le altre perché più vicina e la sua familiarità la portò ad aprire gli occhi.
Davanti a lei la figura di Ted incominciò ad essere messa a fuoco: aveva i capelli blu scuro ed Alwys ogni volta si meravigliava del fatto che con quel colore sembrasse una persona completamente diversa.
«Come va?»
Alwys non riuscì a rispondere perché era troppo frastornata, si guardò intorno notando che non c’era nessuno oltre lei. Victoire?
«Piano, piano» le disse Ted: senza rendersene conto aveva tentato di alzarsi per andare a controllare gli altri lettini, ma era troppo debole, quindi si mise soltanto a sedere.
«Dov’è Victoire?» chiese guardandolo negli occhi neri.
«L’hanno dimessa ieri, sta bene adesso» rispose accennando un sorriso.
Adesso. Quella parola le rimbombò nella mente.
«Da quanto sono qui, allora?»
Ted sospirò e si mise comodo visto che fino a quel momento era rimasto chino su di lei.
«Cinque giorni.»
Davvero tanti giorni. Ma era comprensibile dopo tutto quello era successo, dopo tutto quello che aveva passato e che ora l’aveva marchiata come le cicatrici che aveva nel corpo. Ora stava meglio, ma sarebbe tornata quella figura? Perché la voleva?
«Basta pensare» lo sguardo di Alwys fu catturato dalla frase di Ted.
Gli sorrise e prese un respiro profondo per calmarsi: «Io… non capisco cosa sia successo.»
«Lo so…» rispose Ted avvicinandosi al suo viso: le diede un bacio in fronte e poi le accarezzò dolcemente i capelli. «Però un problema alla volta: pensa al fatto che sei qui e stai bene.»
Ted aveva ragione, sicuramente la McGranitt e tutti gli altri professori stavano già cercando una spiegazione o chissà, l’avevano già trovata.
Ted si abbassò per prendere una scatolina colorata.
«Ti ho preso delle caramelle, hai bisogno di zuccheri» disse con un sorriso premuroso.
Alwys non aveva proprio voglia di far entrare qualcosa nel suo stomaco, ma sapeva che rifiutare avrebbe fatto dispiacere Ted, così provò a mettere sotto i denti qualcosa di gustoso. Le raccontò di quei cinque giorni, del fatto che le lezioni erano state sospese per un giorno, di come Albus e gli altri si fossero preoccupati davvero molto per lei.
«Cosa aveva Victoire?» chiese ad un tratto Alwys interrompendo il discorso di Ted.
«Lei… è stata colpita duramente dal drago, ma grazie al professor Pastime si è risparmiata il peggio» spiegò cercando di sorridere.
«Mi dispiace un sacco…» sussurrò lei abbassando lo sguardo.
«No!» esclamò Ted facendola sobbalzare. «Non ci pensare nemmeno: non è stata colpa tua, non hai lanciato tu quell’incantesimo.»
Era vero, ma Alwys si sentiva come se fosse stato così.
Nel pomeriggio, però, la situazione sembrò migliorare con l’arrivo di tutti i suoi amici: la fecero sorridere e le portarono Ninfa che fra fusa e pancia all’insù le fece capire che le era mancata.
«Quindi abbiamo un eroe qui» disse Dominique scompigliando i capelli di James. «Sicuro di non essere Grifondoro?»
«Nemmeno se mi dessero in pasto ad un cane a tre teste!» esclamò lui indignato.
«Si sa che i migliori sono i Corvonero» disse Victoire cingendo il collo del cugino.
«Sì, certo» dissero Dominique e Rose in tono ironico, e subito dopo risero per il fatto che lo avessero detto in coro.
Alwys era davvero felice di vedere la Corvonero sorridere e scherzare, vederla schiantata contro una colonna e poi non muoversi le aveva fatto venire un tuffo al cuore. Albus ed Adeline la abbracciarono per così tanto tempo, che quasi Alwys aveva smesso di respirare! Ma sapeva di averne bisogno: quella volta stava per rimetterci perché era sola, invece in questo momento, con tutti i suoi amici attorno, si sentiva invincibile.
Dopo una notte passata in infermeria ma cosciente, finalmente poté tornare ai dormitori dove, con grande sorpresa, le sue compagne la accolsero con calorosi abbracci e sorrisi.
«Stai bene adesso?»
«Sei davvero coraggiosissima!»
«È vero che hai cavalcato un drago?»
Alwys si sentì frastornata da quelle frasi e domande, limitandosi ad annuire o a corrucciare le sopracciglia appena sentiva domande strane. Mancavano pochissimi giorni alla fine delle lezioni, che passarono fra un sospiro e l’altro, mentre Alwys guardava fuori dalla finestra di ogni aula, con il terrore di vedere il sole oscurato da due ali.
Finalmente il giorno atteso da tutti quanti arrivò: la sera ci sarebbe stata la festa di fine anno e le ragazze non vedevano l’ora di indossare di nuovo l’uniforme delle cerimonie. Calato il sole, i tre si incontrarono fuori dai dormitori e fra una risata e l’altra arrivarono nella Sala Grande: vi erano degli stendardi color pergamene, che fluttuavano leggermente nonostante non ci fosse un accenno di vento, dove vi era disegnato il simbolo di Hogwarts. Si misero ai loro soliti posti e parlarono del più e del meno con gli altri mentre guardavano ansiosi i vassoi vuoti.
«Ti piace davvero tanto il soffitto, vero?» chiese Dominique accennando un sorriso verso Alwys.
La ragazzina annuì imbarazzata. Nonostante avesse passato un anno a fare magie, quelle stelle che si specchiavano nei suoi occhi le toglievano sempre il fiato. Ad un tratto, però, il tintinnio di un cucchiaio contro un bicchiere di vetro fece cadere la sala in un silenzio tombale.
«Buona sera a tutti» la preside McGranitt era come sempre davanti al suo leggio di rami argentati: indossava un lungo vestito molto elegante –non che tutti i suoi vestiti non lo fossero- sul verde scuro, con ghirigori argentati sulla gonna e anche nel corpetto, solo che più piccoli. Come sempre aveva l’aria austera e accigliata, come un vecchio gatto che pigramente guardava da lontano la sua preda, ma comunque si poteva intravedere un luccichio di orgoglio nei suoi occhi a fessura.
«Anche questo anno è passato e spero sia stato indimenticabile sia per i nuovi studenti che per gli altri. Volevo complimentarmi con gli studenti che quest’anno si diplomeranno: il punteggio generale è molto alto e io non posso che essere molto orgogliosa» accennò un sorriso che però svanì quasi subito «Adesso il momento che tutti aspettate…»
Sfilò la sua bacchetta dalla larga manica e la agitò leggermente: apparì una pergamena che si aprì davanti a lei.
«Come ogni anno verrà assegnata la Coppa delle Case.»
Alwys notò Dominique soffocare un grido di gioia seguita da tutti gli altri studenti.
«L’anno scorso la Coppa è stata vinta dai Corvonero» il tavolo blu e bronzo accennò un applauso. «Quest’anno…. Al quarto posto, con trecentoquaranta punti, Tassorosso! Al terzo posto con trecentosettanta punti, Serpeverde! E al secondo posto…»
L’ansia salì, Alwys strinse la mano di Albus mentre nella sua testa rimbombava la parola “Corvonero, Corvonero, Corvonero”.
«Grifondoro, con trecentottanta punti! E al primo posto, per ben due anni consecutivi, Corvonero, con quattrocentodieci punti!»
Il tavolo blu e bronzo esplose in un grido: Alwys vide persone abbracciarsi, ridere ed esultare. Se lo erano meritato, quindi nessuno aveva niente da controbattere.
«Complimenti!» esclamò la McGranitt sorridendo.
Batté le mani e gli stendardi si colorarono di blu e bronzo, ed uno stendardo più grande si materializzò sopra il tavolo dei professori, raffigurante un’aquila che smuoveva le sue possenti ali. In seguito i tavoli si riempirono di cibo e gli studenti non ci pensarono due volte a fiondarsi, nonostante la sconfitta bruciasse.
«Altro che Corvonero…» disse Dominique prendendo un sorso del suo succo viola. «Dovrebbero far vincere solo Vicky!»
«Per il secondo anno consecutivo» sottolineò Fred asciugandole un po’ di salsa sul labbro. «Non potresti essere più femminile quando mangi?»
«Quando mangi, quando dormi, quando parli» incominciò ad elencare Rose tenendo il conto con le dita delle mani.
«È un complotto?» controbatté la rossa arricciando le labbra.
«Scherzo» rispose Fred schioccandole un bacio fra i ricci. «Ti adoriamo perché sei così.»
Ed Alwys non poté che confermare.
Il cibo, però, andò via prima del solito lasciando i nuovi studenti molto perplessi.
«Attenzione, prego» la voce della preside fece girare i volti di tutti gli studenti. «Sono orgogliosa anche quest’anno di incoronare lo studente che si è distinto fra gli altri per il suo impegno nello studio e nel migliorare sempre di più la nostra scuola.»
La professoressa Lewis sbucò da una porticina al lato destro del tavolo dei professori e teneva in mano un cuscinetto con qualcosa che, però, era celata da una copertina bordeaux. Appena arrivò accanto alla preside, quest’ultima, con un colpetto della bacchetta, fece alzare in aria il lembo di stoffa: vi era una corona argentata con un grosso diamante blu incastonato al centro e alcuni più piccoli ai lati. Il diadema risplendeva, grazie alla tenue luce delle candele che si infrangeva sul diamante più grande dando vita a dei raggi color arcobaleno. Alwys, Rose ed Albus erano a bocca aperta e gli altri cercavano di trattenere le risate.
«È il diadema dei Corvonero» spiegò Fred indicando con un cenno del capo il lato dei professori.
«Una riproduzione» puntualizzò Dominique facendosi avanti. «Dopo che fu distrutto, decisero comunque di ricrearlo il più fedelmente possibile, e in seguito decisero di usarlo per incoronare a fine anno o un mago o una maga, visto che l’originale si illuminava in testa ai veri Corvonero, cosa che ovviamente questo non può fare.»
«Davvero brava» si complimentò Rose. «Se solo fossi sempre così…»
Dominique le fece la linguaccia e lei alzò teatralmente gli occhi al cielo. Ritornarono a guardare la McGranitt che nel frattempo aveva spiegato l’importanza del premio, dello studiare, dell’impegnarsi e di prendere esempio dai vincitori.
«Ogni anno è sempre molto difficile, ma quest’anno non avevamo dubbi.»
«Questa frase la dice sempre» sussurrò Dominique verso i tre, coprendosi la bocca con la mano.
«Signorina Weasley numero due» la rossa balzò sulla sedia e si girò verso la preside sorridendo. «La sento.»
Gli altri si misero a ridere mentre Dominique mise il broncio visibilmente offesa. Alwys si meravigliò perché erano lontani: quella donna era piena di sorprese.
«Allora…» Alwys vide ragazze di tutte le Case chiudere gli occhi o stringere la mano della compagna accanto «Il vincitore è… Victoire Weasley!»
Il tavolo dei Corvonero esplose in un fragoroso grido e Victoire, con le lacrime agli occhi, guardò le sue amiche con un sorriso stampato sul volto.
«Inutile dirti che quasi sempre lo vincono i Corvonero» sussurrò Dominique all’orecchio di Alwys.
Lo spettacolo subito dopo, però, lasciò tutti senza parole: quando Victoire si alzò per andare verso la McGranitt, puntò la sua bacchetta in alto e da essa uscirono scintille argentate che scesero verso la sua divisa, che incominciò a brillare e si trasformò in un lungo e vaporoso vestito blu con pietre scintillanti sul corpetto color argento che poi andavano scemando sulla gonna. Tutti avevano la bocca spalancata e la sala cadde nel silenzio, l’unico rumore proveniva dai tacchi di Victoire, che però non potevano essere visti a causa della gonna che strisciava sul pavimento.
«Sei bellissima» le sussurrò la preside con tono materno e sorridendo.
Victoire si mise in ginocchio davanti alla McGranitt e chinò il capo diventando seria.
«Sono molto felice di essere qui e di poter incoronare questa studentessa che è a tutti gli effetti la miglior studentessa di Hogwarts, sia in intelligenza che in bellezza e nobiltà d’animo» Alwys vide Fred stringere la mano di Dominique. «Io, Minerva McGranitt, sono lieta di incoronare, con questo diadema, Victoire Weasley.»
Tutti gli studenti applaudirono e nel tetto scoppiarono fuochi d’artificio di tutti i colori dell’arcobaleno, che portarono gli studenti ad alzare il naso, compresa Victoire. Appena lo spettacolo finì, tutti tornarono a guardare la ragazza che si era spostata accanto alla preside ed aveva sul volto un sorriso radioso, e nel frattempo davanti a loro, sulla piccola scalinata, si erano posizionati i ragazzi del coro della scuola.
«Ora, come da tradizione, la vincitrice ballerà con un ragazzo che vorrebbe ballare con lei, in caso di più ragazzi, sarà Victoire a scegliere» spiegò mentre la ragazza si posizionava davanti al coro.
Ci fu di nuovo silenzio nella sala ma, più passava il tempo, più il leggero brusio iniziale diventava forte.
«Perché nessuno ci va?» sussurrò Alwys verso Dominique.
«Perché tutti si aspettano che Ted ci vada» spiegò la rossa che guardava la sorella con un misto di speranza e preoccupazione.
Alwys spostò lo sguardo verso Albus che, dopo aver incontrato gli occhi di lei, abbassò la testa in silenzio. Victoire si girò, la gonna svolazzò pesantemente e guardò il tavolo dei professori incontrando gli occhi tristi di Ted: il ragazzo abbassò gli occhi, il cuore di Victoire perse un battito e si portò la mano al petto come se volesse tranquillizzare il mare che dentro di lei era in tempesta. Si girò di nuovo verso gli studenti: ora i suoi occhi erano rossi e gonfi per le lacrime che però non accennavano a scendere, come se lei le stesse trattenendo con tutte le sue forze. Il suo labbro tremava, come le mani che si stringevano fra loro. Ad un tratto il rumore di una sedia distolse l’attenzione degli studenti da Victoire, che aveva abbozzato un sorriso nonostante le lacrime: Daichi si era alzato e stava camminando verso di lei. Quando fu davanti all’amica, le prese la mano e mise l’altra sul suo fianco per attirarla a sé. Incominciarono a danzare come due piume trasportate dal vento, la musica però iniziò solo dopo un’occhiataccia da parte della preside. Il volto di Victoire, nonostante le righe sulle guance lasciate dalle lacrime, sorrise e tornò ad essere radiosa come sempre. La musica riempì la sala, i due danzarono come se fossero un principe ed una principessa e gli studenti rilassarono i loro sguardi, tranne i Weasley, come se lo stesso pensiero li attanagliasse tutti. Finita la musica, i due si lasciarono, fecero un inchino e poi Daichi le diede un bacio in fronte prima di tornare a sedersi.
«Grazie al signorino Corner e alla signorina Weasley per questo magnifico spettacolo» disse la preside mentre la studentessa si posizionava accanto a lei. «Spero passiate delle vacanze ristoranti, dò un caloroso buona fortuna ai diplomati, che Hogwarts possa sempre essere con voi. Con gli altri ci vediamo a settembre.»
 
Settembre sembrava lontanissimo agli occhi di Alwys: avrebbe tanto voluto dei corsi estivi, ma si dovette accontentare di una settimana a casa dei Potter. Quando Albus glielo aveva proposto era scoppiata in un grido di gioia. Sul treno per tornare a casa si misero in una cabina anche insieme ad Adeline, che teneva a debita distanza il suo coniglietto da Ninfa, già pronta con forchetta e coltello e che si stava già leccando i baffi.
«Quindi per voi va bene?» chiese Albus serio, approfittando del fatto che Adeline era uscita per un momento.
Le due ragazzine annuirono.
Tornati a casa, Alwys abbracciò i suoi genitori con tutto l’amore che aveva dentro e la sensazione del calore dei loro corpi cancellò per un attimo la nostalgia di Hogwarts.
«Sicura che è da questa parte?» chiese suo padre perplesso, quando Alwys qualche giorno dopo li condusse in un villaggio di cui loro avevano ignorato l’esistenza fino a quel momento.
«Sì sì, sempre avanti» rispose indicando la via con la mano.
Hogsmade, come sempre, era immerso in un leggero strato di nebbia e a fatica riuscirono a trovare la piazzetta principale dove vi erano i Potter.
«Siamo sicuri?» chiese Albus stringendo a sé la mappa.
«Dobbiamo farlo» rispose Rose senza staccare gli occhi dalla lapide.
«È la cosa giusta» continuò la frase Alwys guardando l’amica annuendo.
 
Sirius Black III
Conosciuto anche come Felpato
3 novembre 1959 - 18 giugno 1996
«Se vuoi sapere davvero com’è una persona,
devi guardare come tratta i suoi inferiori e non i suoi pari.»
 
Le lettere erano incise sul blocco di marmo con una semplice calligrafia a stampatello e accanto ad essa un cane che guardava in alto.
«Forza…» James si girò verso il fratello con il palmo rivolto verso l’alto.
«Prima dobbiamo fare una cosa…» rispose allontanando la mappa dalle grinfie del maggiore e, subito dopo, stese la mano davanti a sé seguito dagli altri.
«Decreto segreto!» esclamarono in coro.
«Applicherò un incantesimo di adesione permanente» spiegò posizionando la mappa nel lato di lapide senza disegni.
Prese la bacchetta, fece un respiro profondo e, con un colpetto del polso, fece fuoriuscire una luce quasi impercettibile che andò dentro la mappa.
«Guardate!» esclamò Albus che si avvicinò per guardare meglio: la copertina era diventata completamente vuota tranne che per la piccola scritta porpora che comparve.
«Fatto il misfatto…»  lesse Rose. «Magico!»
«È merito tuo, James?» chiese Alwys sbalordita.
Il maggiore scosse la testa visibilmente colpito. «Deve essere opera di un incantesimo fatto prima dai Malandrini.»
I tre, dopo un attimo di silenzio, si scambiarono delle occhiate e scoppiarono a ridere ripensando a tutto quello che avevano passato con quella mappa.
«Ora cosa pensi di fare?» chiese Albus diventando improvvisamente serio.
«Io…» sussurrò Alwys dando una fugace occhiata ai suoi genitori che sorrisero.
«Non lo so…»
In un anno aveva dovuto affrontare terribili avventure e una pericolosa figura che tormentava le sue notti. Ogni giorno temeva di scorgere il suo mantello nero come le tenebre oltre le porte, temendo per i suoi genitori e tutti gli amici che aveva incontrato durante quei mesi.
Perché, per una volta nella sua vita, sentì di avere qualcosa da perdere. E ciò la terrorizzava nel profondo.

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Capitolo 27
*** Nota dell'autrice ***


NOTA DELL'AUTRICE
 
Innanzitutto ti ringrazio dal profondo del mio cuore per essere arrivat* alla fine di questa storia e per aver creduto nella mia piccola Alwys. Se vuoi farmi sapere cosa pensi, o se semplicemente vuoi farmi qualche domanda, ti aspetto tra le recensioni, per noi autori sono molto importanti! Ma andiamo a cose più importanti...
 
Quale sarà il futuro di Alwys Dewery?

Come ho detto nella nota alla fine del prologo, Alwys Dewery è una storia che ho scritto nel 2017 e che poi ho dovuto abbandonare per vari motivi personali. è sempre rimasta dentro di me, accompagnandomi nel mio percorso di crescita interiore e scrittorio. Ormai Alwys è letteralmente parte di me e della mia esperienza come scrittrice. Per questo, dopo essermi ripresa da un brutto periodo della mia vita, ho deciso di dare la giusta cura che questa storia merita, donandole il finale che per tanti anni è rimasto chiuso nel cassetto della mia scrivania.
 
Questo vuol dire che Alwys Dewery è una saga?

Sì! Alcuni capitoli del secondo volume sono già pubblicati, ma ancora li devo revisionare. Per il resto ho già tutte le idee su carta, devo solo scrivere! Ed è qui che entrate in gioco voi: con il vostro sostegno Alwys potrà finalmente vedere la luce. Quindi fatemi sapere cosa pensate della storia e se avete qualche teoria sulla misteriosa figura che ha minacciato il Mondo Magico. Vi aspetto qui sotto!

Per me è una grandissima emozione essere tornata qui a parlare con voi, non vedo l'ora di scambiare due chiacchiere e qualche consiglio che sono sicura si rivelerà prezioso. 

Un grandissimo abbraccio, vi aspetto con Alwys Dewery e la Luna d'Argento! 

[19 anni dopo] [Next Generation]
Dopo gli avventimenti che hanno scosso Alwys alla fine del suo primo anno ad Hogwarts, la Grifondoro si troverà ad affrontare un nuovo nemico: la Luna d'Argento, un fenomeno che causa effetti oscuri ai licantropi. La soluzione sembra la Pozione Antilupo, ma è veramente ciò di cui Alwys ha bisogno?
Tra la ricerca degli ingredienti e le lezioni, Alwys dovrà anche scontrarsi contro quella figura oscura che cercherà di manipolare la sua mente.

 

 

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