Without you, I'm just a sad song.

di dreamlikeview
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** I Parte ***
Capitolo 3: *** II Parte ***
Capitolo 4: *** III Parte ***
Capitolo 5: *** IV Parte ***
Capitolo 6: *** V Parte ***
Capitolo 7: *** VI Parte ***
Capitolo 8: *** VII Parte ***
Capitolo 9: *** VIII Parte ***
Capitolo 10: *** IX Parte ***
Capitolo 11: *** X Parte ***
Capitolo 12: *** XI Parte ***
Capitolo 13: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***



DESCLAIMER: La storia è scritta senza fini di lucro, i personaggi non mi appartengono in nessun modo e non intendo offendere nessuno. Giuro.
PS. C'è l'avviso che i personaggi sono molto OOC e ho ripreso alcune date dal canon - mi piace giocare con il canon - ma per ragioni di trama gli anni sono diversi.
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10 anni prima, 2 novembre 1993, Lawrence, Kansas
Without you, I'm just a sad song.
I'm just a sad song.
 
Era una notte tranquilla, nella piccola cittadina di Lawrence, Kansas. C’erano poche persone che camminavano tra le strade poco illuminate della città, alcuni rincasavano, alcuni giovani uscivano per far baldoria, e molte abitazioni erano buie e silenziose. Era da poco scattata la mezzanotte, la porta della casa dei Winchester si aprì, Mary era appena rientrata, e si apprestava ad andare a dare la buonanotte al suo piccolo ometto, Dean. Dean Winchester, anni quattro, vispo e vivace, aveva degli adorabili occhioni verdi, brillanti, e i capelli biondicci. Aveva appena dato la buonanotte al suo fratellino, il piccolo Sam, di appena sei mesi, che riposava nella sua culletta, in camera dei suoi genitori. Dall’alto dei suoi quattro anni, Dean era protettivo verso il piccolo di casa, fin da quando era nato, aveva sentito di doverlo proteggere, ogni volta che piangeva si sentiva male, e lo abbracciava forte, fino a che il piccolo non si calmava, soprattutto quando la mamma o il papà erano al lavoro, oppure dormivano. Dean adorava stare sul tappeto davanti al grande televisore, mentre giocava con le costruzioni e guardava i cartoni animati, con Sam che se ne stava seduto nella sua sediolina mobile e si dondolava allegro con i sonaglini in mano. Voleva bene a suo fratello, Dean ne era certo. Anche da grande, avrebbe fatto di tutto per proteggerlo e farlo essere felice, perché lui era il suo fratellone. D’altro canto, suo padre gliel’aveva detto, quando gli aveva dato Sammy – come lo chiamava affettuosamente lui – tra le braccia: questo è il tuo fratellino, Dean, tu sei il maggiore, quindi sarà tuo compito prenderti cura di lui; e Dean prendeva sempre molto sul serio le parole del padre, e il suo ruolo di fratellone; John era una sorta di eroe per il bambino: era un ex soldato dell’esercito, e adesso faceva il vigile del fuoco; Dean lo aveva sempre immaginato come un supereroe che sconfiggeva il male. Peccato che si sbagliasse davvero tanto sul suo conto, ma era solo un bambino e non poteva ancora sapere, cosa avrebbe riservato il futuro per lui. Quel giorno, Dean era stato davvero bravo, aveva fatto tutti i compiti che la maestra aveva assegnato per il giorno seguente, aveva fatto un bel disegno da regalare a sua madre – lei li conservava tutti – e aveva guardato i cartoni con Sammy, quelli belli che poteva guardare anche lui che era davvero piccolo. Aveva mangiato tutti i broccoli che Mary aveva preparato – e lui odiava davvero tanto le cose verdi, ma aveva voluto fare bella figura con la sua mamma – e a scuola la maestra gli aveva dato una faccina sorridente sul disegno della famiglia. Dean aveva disegnato lui e suo fratello sul divano intenti a giocare con i pupazzi di pezza che la nonna aveva fatto per loro, alla maestra era piaciuto così tanto il suo disegno, che aveva promesso che il giorno dopo lo avrebbero attaccato al muro della classe per tutto il giorno. E non vedeva l’ora di dire tutto alla sua mamma, perché quel giorno aveva dovuto lavorare davvero tanto – era andato lo zio Bobby a prenderlo a scuola, aveva portato lui e Sammy al parco e poi, quando John era tornato dal lavoro, li aveva riportati a casa – e renderla orgogliosa, facendola sorridere quando le diceva che era stato un bravo bambino e nessuno si fosse lamentato, perché sì, a volte era davvero un birbante e faceva i dispetti alle maestre o agli altri bambini. Dean, dopo aver dato la buonanotte a Sammy, ed aver sentito la porta aprirsi – la sua mamma era appena tornata dal lavoro, lavorava in un bar, che il bambino letteralmente adorava, perché tutti i colleghi di Mary gli regalavano i dolcetti ogni volta che lo vedevano, e lo viziavano – era corso a letto, con il sorriso sulle labbra e aveva iniziato ad aspettare che sua madre lo raggiungesse per dargli un dolce bacio sulla fronte per augurargli la buonanotte. Era un rito, Dean sentiva la porta aprirsi, si metteva nel lettino, fingeva di dormire, Mary arrivava da lui, sorrideva dolcemente e gli baciava la fronte, e gli augurava la buonanotte. Sicuramente quella sera, Dean avrebbe prima raccontato tutto alla donna e poi sarebbe crollato in un sonno profondo. Era davvero un bambino felice, e si sentiva fortunato.
Poi improvvisamente, Dean sentì delle urla davvero agghiaccianti e spaventose, provenire dalla cucina. La sua mamma era arrivata un po’ tardi, perché al bar c’erano stati molti clienti e era dovuta restare di più, e al papà questa cosa non piaceva molto, e si arrabbiava, a volte, come quella sera. Quando lui si arrabbiava, poi litigavano sempre, e urlavano forte, tanto che Dean, quando il più piccolo piangeva, correva nella camera dei suoi genitori e cercava di coprire le orecchie di Sammy per proteggerlo da quelle urla; ma Dean lo sapeva, poi le urla finivano, loro si scambiavano un bacio dolce, come nei film, e poi andavano a dormire insieme, dopo aver dato la buonanotte al loro primogenito. Dean se ne assicurava sempre, almeno le volte che Sam non piangeva, prima di tornare a letto. E come le altre volte, anche quella sera, sgattaiolò fuori dalla sua camera, chiuse la porta della stanza di mamma e papà, e si diresse fuori alla cucina, ad osservare la scena. Come al solito, li stava guardando mentre litigavano, nascosto dietro lo stipite della porta, sperando che finissero in fretta, così che la mamma lo raggiungesse, gli augurasse la buonanotte e la sua giornata si concludesse con un bacio della donna che più di tutte amava. Dean venerava sua madre, era una gran lavoratrice – spesso lo aveva portato con sé al bar, insieme anche a Sammy – ed era la cuoca migliore del mondo, almeno per un bambino di quattro anni era così. Qualcosa però, quella sera, andò storto.
Il papà stava di fronte a lei, era arrabbiato, si vedeva bene, in mano aveva un bicchiere di vetro, pieno di un liquido scuro, sicuramente il buonissimo tea freddo alla pesca che la mamma comprava sempre al supermercato quando andavano a fare la spesa. Stava urlando forte, ma Dean non capiva bene le sue parole, ed era davvero spaventato. Nella sua mente doveva correre dalla sua mamma, abbracciarla forte e proteggerla dalle urla del papà, ma non aveva il coraggio di muoversi; quando John faceva così, era davvero spaventoso. Dean lo aveva visto solo poche volte ridotto così, e ne aveva sempre paura, non che gli avesse fatto mai del male, eh, ma era capitato una volta – Dean non lo aveva fatto di proposito – che stava giocando con Sammy, sul tappeto, e aveva iniziato a piangere forte, perché voleva prendersi tutti i pezzi del puzzle che Dean stava costruendo, allora lui, da bravo fratello maggiore gli aveva passato un pezzetto per aiutarlo ad attaccarlo vicino agli altri, solo che era troppo piccolo e Sammy l’aveva quasi ingoiato, per fortuna che il suo papà era lì e gliel’aveva tolto dalle mani. Poi aveva guardato Dean con quello sguardo cattivo e molto, molto arrabbiato e gli aveva gridato contro che doveva essere più attento, perché Sam era piccolo e non sapeva niente delle cose da grandi  e aveva urlato così tanto, e la sua faccia era diventata così contratta dalla rabbia, che Dean era scoppiato a piangere terrorizzato. Da quel momento aveva smesso di giocare con i puzzle davanti a Sammy. E il suo papà quella sera sembrava arrabbiato quanto lo era stato quel giorno, ed era davvero terrificante. La mamma aveva iniziato a piangere, forse terrorizzata quanto lui il giorno delle costruzioni e cercava di farlo calmare. Dean non capivano di cosa parlassero.
«Hai una famiglia, Mary, una cazzo di famiglia» urlava John, arrabbiatissimo «Non puoi tornare così tardi!»
«Ho avuto un contrattempo al lavoro, John» diceva lei «Non l’ho fatto di proposito, lo sai!» urlava piangendo, e Dean avrebbe solo voluto correre verso di lei, abbracciarla forte e dirle che tutto sarebbe andato bene, ma aveva troppa paura e non si muoveva dal suo nascondiglio. Sperava che quello a cui stava assistendo fosse un terribile incubo, forse si era addormentato mentre aspettava la mamma, si sarebbe svegliato la mattina dopo nel suo letto, con l’odore dei pancake per la casa – perché era venerdì, il giorno dopo sarebbe stato sabato e la mamma faceva sempre i pancake il sabato mattina – e tutto sarebbe andato per il verso giusto, come se quel litigio non fosse mai avvenuto. In fondo, era così. Strinse forte gli occhi, si concentrò per svegliarsi, ma le urla dei suoi genitori non si affievolivano, anzi, dopo un po’, addirittura aumentarono. Il papà continuava a bere il suo tea alla pesca – sì, Dean sapeva quanto fosse buono, forse per questo ne beveva ancora – ma la mamma non smetteva di singhiozzare e digli di calmarsi, che non sarebbe mai più tornata tardi, che avrebbe fatto turni più brevi,  e sarebbe stata di più con i bambini. Che poi, si disse Dean, la mamma passava davvero tantissimo tempo con loro, anche se lavorava. Era il papà ad essere più assente.
Sciaff. Risuonò nell’aria, e Dean rabbrividì dal terrore, spalancò gli occhi a dismisura, davanti a quell’orribile spettacolo che stava avvenendo davanti ai suoi occhi e non sapeva cosa fare per fermarlo. Voleva solo abbracciare la mamma e dirle che le voleva davvero tanto bene e baciarle la guancia che sicuramente adesso le faceva molto male.
«John, ti prego» sussurrò lei, portandosi una mano sulla guancia, supplicando il marito di smettere di comportarsi così «Ci sono i bambini di sopra» gli ricordò la donna, non avendo notato il bambino che impotente stringeva i piccoli pugni, voleva difenderla da lui, ma non riusciva davvero a muoversi da lì. Non capiva perché il suo papà le avesse dato uno schiaffo forte sulla guancia. Cosa aveva fatto di male, la sua mamma?
Poi tutto si placò. John respirò forte, abbandonò il bicchiere di vetro sul lavabo e abbracciò la moglie, sussurrandole che gli dispiaceva, che era molto nervoso e non avrebbe mai dovuto prendersela con lei. Lei lo abbracciò a sua volta, annuì piano, ancora piangente, e gli disse che non faceva nulla, che andava bene, che lo perdonava. Dean tirò un sospiro di sollievo, e respirò – quando aveva smesso di farlo, esattamente? – ora era più sicuro, tutto era andato per il verso giusto, come sempre. Quando vide che i suoi stavano per andare in camera, dopo che la mamma ebbe detto vado a salutare Dean, poi andiamo a letto, il bambino subito salì velocemente le scale e si rifugiò nella sua stanza, sotto le coperte. Come sempre finse di dormire, aspettando la mamma. Ma lei non arrivò.
Forse era andata a salutare prima Sammy, e non era ancora andata da lui.
Passò qualche minuto.
Dean aprì gli occhi, stranito. Non aveva sentito alcun rumore, niente di niente. I suoi stavano per salire le scale quando era risalito, cosa era successo in quei pochi istanti?
Che fossero andati a letto senza salutarlo?
No, Dean aveva sentito chiaramente la mamma dire che sarebbe andata da lui, e poi a letto.
Passarono altri minuti, e niente cambiava.
Dean era davvero spaventato, adesso.
Poi improvvisamente si sentirono altre urla, qualcosa che si infrangeva al suolo e poi un altro urlo – uno spaventato, femminile – e infine un tonfo fortissimo che fece tremare il bambino. Dean scattò come una molla, si alzò dal suo lettino ed uscì dalla stanza, per vedere se ci fosse qualcuno, ma non vide nessuno. Cauto uscì in corridoio e vide solo suo padre in cima alle scale, che guardava in basso. Si avvicinò quatto alla rampa e quando guardò giù, con orrore, vide la sua mamma in una posizione completamente innaturale con del liquido rosso – somigliava tanto alla marmellata di fragole che piaceva tanto a lei – sul pavimento, sotto la sua testa. Suo padre solo in quel momento lo notò, ma non lo vide realmente, aveva gli occhi spalancati talmente tanto da sembrare ancora più grandi e cattivi, e diceva: «È caduta… è scivolata…» ma Dean sapeva che era stato lui a far cadere la mamma. Il bambino quando si rese conto di cosa effettivamente fosse accaduto urlò terrorizzato e in pochi secondi raggiunse la donna, voleva solo abbracciarla.
«Mamma…» la chiamò, avvicinandosi cauto. Dean non capiva cosa stesse accadendo, ma sapeva che fosse davvero una cosa brutta. Perché la sua mamma respirava malissimo e a fatica teneva gli occhi aperti. L’uomo invece non accennava a muovere un passo. Dean era terrorizzato e non sapeva assolutamente cosa fare.
«Dean…» mormorò lei, senza forze, avvicinando con le uniche forze che le rimanevano una mano al viso del figlio «Prenditi cura di Sammy…» gli disse piano, accarezzandogli con le dita la guancia coperta di lacrime.
«T-Te lo prometto, mamma» disse il bambino «Chiamo lo zio Bobby, così…» il bambino non ebbe la forza di continuare a parlare, quando sentì le dita della mamma scivolare via dal suo volto, e la sua mano sbattere contro il pavimento. Fu il suono più brutto che ebbe mai sentito. Forse avrebbe dovuto chiamare lo zio prima, avrebbe dovuto evitare di restare fermo, ma cosa poteva saperne?
L’ultima cosa che Dean ricordava, di quella terribile notte, fu lo zio Bobby che prendeva lui e Sammy, portandoli nella sua auto e la polizia che portava via suo padre.
La sua mamma non c’era più, così gli aveva detto lo zio Bobby, e Dean sgranò gli occhi – no, non era stato un brutto incubo – e semplicemente scoppiò a piangere. Non avrebbe mai più rivisto la sua mamma, non l’avrebbe più sentita ridere, e non avrebbe più potuto renderla fiera di lui. Dean pianse tutte le sue lacrime e quella fu l’ultima volta che ne versò una. Per molto, moltissimo tempo.




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Wow, l'ultima volta che ho postato qualcosa in questo fandom è stato... 3 anni fa. Sono una brutta persona. Okay, visto che sono passati anni luce dall'ultima volta, mi presento di nuovo. Sono Chiara e ho un rapporto di odio/amore con Supernatural. But, i Destiel sono una delle mie debolezze. Faccio quest'esperimento, perché mi piace come sta venendo questa cosetta che sto scrivendo. Sono già al sesto capitolo, circa, su un conteggio di 12/13, quindi la porterò a terminre... almeno si spera! Visto che ho lasciato un pezzo della mia anima nella precedente Destiel, ho pensato di riprovarci (che poi non è che non ne abbia scritte eh, è solo che è difficile che le mie cose mi piacciano e quindi evito di renderle pubbliche).
Questo è solo il prologo, eh. Le cose per Dean peggiorano nei prossimi capitoli, ops. Ma non temete che Cas arriverà a salvarlo dalla perdizione! Anyway, spero che vi sia piaciuto. Spero non ci siano errori di battitura o distrazione, beto le mie storie da sola, quindi a volte qualcosa sfugge! 
Lavoro permettendo, posterò una volta a settimana e vi terrò compagnia per l'estate, non siete felici? :) 


 

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Capitolo 2
*** I Parte ***


DESCLAIMER: La storia è scritta senza fini di lucro, i personaggi non mi appartengono in nessun modo e non intendo offendere nessuno. Giuro.
PS. C'è l'avviso che i personaggi sono molto OOC e anche in questo capitolo gioco con il canon. Perché altrimenti che gusto c'è?

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10 anni dopo, 2 novembre 2003.
Without you, I feel broke.
Like I'm half of a whole.

 
Dean aveva quattordici anni ormai; da quando sua madre era morta erano passati dieci anni. era di nuovo il due novembre, lui se ne stava al cimitero, di fronte alla tomba di sua madre, e silenziosamente le parlava; era una cosa che lo aveva sempre aiutato negli anni a stare meglio, a scacciare il senso di colpa che gli rodeva l’anima fin da quando aveva avuto le facoltà per capire che quella maledetta notte avrebbe potuto fare qualcosa. Aveva bisogno di scacciare dalla mente quelle bruttissime immagini che anno dopo anno si ripetevano nella sua mente, in dieci anni non aveva dimenticato nulla, esse erano lì, impresse e lui non poteva dimenticarle, niente poteva aiutarlo. Come avrebbe potuto? Aveva visto suo padre uccidere sua madre, o almeno sentito. E ogni giorno si sentiva in colpa per quanto accaduto, per non aver fatto niente per aiutarla, si incolpava per la morte di sua madre. Ricordava ancora, quando il detective che seguiva il caso, con una signorina che aveva detto di essere un’assistente sociale o una psicologa infantile, non lo ricordava bene, gli chiese cosa avesse visto e udito quella notte. Lui aveva raccontato del litigio, delle urla, del tea – che poi stupido, non era tea, ma whisky, solo che lo aveva capito molti anni dopo – e che avessero fatto pace prima di salire le scale. O almeno così sembrava. Aveva sentito un po’ di confusione, le urla di suo padre, un urlo femminile, un forte tonfo e poi nulla più. I detective avevano ricostruito la scena, ma Dean faticava a credere che fosse andata così: secondo i poliziotti Mary e John stavano andando in camera, quando il telefono di casa aveva suonato e la donna aveva risposto, il capo della donna l’aveva richiamata, dicendole che il sabato mattina sarebbe dovuta andare al lavoro – ma Dean proprio non ricordava di aver sentito il telefono suonare – il marito era andato avanti e quando lei lo aveva raggiunto, comunicandogli che il giorno dopo sarebbe dovuta andare al lavoro, di nuovo, lui, ancora ubriaco, aveva perso la testa, avevano avuto una discussione breve e colto dall’ira, John l’aveva spinta giù dalle scale. Se solo pensava a quella notte, Dean si sentiva perso e spaesato, arrabbiato con se stesso, perché sapeva che avrebbe dovuto far qualcosa. Tutti gli ripetevano che non fosse colpa sua, ma Dean aveva imparato a convivere con questa colpa. Se solo fosse intervenuto… se solo avesse spinto via John quando le aveva dato lo schiaffo,  tutto quello non sarebbe accaduto.
Dean non aveva vissuto bene la sua infanzia, aveva ricordi dolorosi di quella notte, e i sensi di colpa che lo perseguitavano. Avrebbe dovuto chiamare subito lo zio Bobby e farlo arrivare, o fare qualsiasi altra cosa. Ma ingenuamente – era solo un bambino, dopotutto – aveva pensato che fosse il solito litigio della notte. Con il tempo, Dean non aveva ancora capito la dinamica delle cose, o cosa avesse spinto quell’uomo a spingerla giù dalle scale, però il ragazzo, a quattordici anni, si chiedeva perché a cadere dalle scale non fosse stato John – no, non era nemmeno degno di essere chiamato padre, per Dean – egli era stato condannato a dieci anni di carcere, dopo un patteggiamento, in cui si dichiarava colpevole di omicidio colposo. La prima volta che aveva sentito quelle parole, Dean stava giocando in salotto sul tappeto davanti alla tv, mentre la sua mamma guardava un poliziesco. Quando le aveva chiesto cosa significassero quelle parole, lei gli aveva risposto che erano solo parole usate nel film, per fare scena, e che a lui non dovevano interessare, a meno che non avesse intenzione di fare l’avvocato, come quelli del film che stavano guardando. Dean rise, perché no, non voleva fare l’avvocato, lui voleva fare il pilota, quindi la madre gli disse che difficilmente avrebbe sentito ancora quelle parole, voleva solo proteggerlo da una triste realtà, in fondo, era solo un bambino. Quanto si sbagliava però. Dean invece di sentire quelle parole alla tv o in altri luoghi, aveva assistito al processo dell’assassino di sua madre, inerme e per giorni aveva dovuto raccontare cosa fosse accaduto quella notte, sotto gli sguardi pieni di pietà della gente. E lui si sentiva un codardo, un fallito, un emerito bastardo per non aver fatto niente per proteggere sua madre, perché se non avesse avuto paura, Mary sarebbe ancora viva. Dopo quella notte, per Dean non esistette nient’altro che dolore, anche se Bobby, un vecchio amico di famiglia, li aveva ospitati sotto il suo tetto, e li aveva cresciuti come figli suoi, perché la nonna, la mamma di Mary, era troppo anziana per prendersi cura dei due bambini. Anche se non aveva fatto mancare niente ai nipoti, li chiamava spesso, si interessava a loro, mandava loro dei regali, andava a trovarli… ma il lavoro duro l’aveva fatto Bobby inizialmente, e poi era stato aiutato dalla sua compagna, Jody Mills e da altri amici del quartiere. Vane erano le parole dell’uomo che gli ripeteva continuamente che un bambino di quattro anni era impotente davanti ad un uomo ubriaco, che quella notte non avrebbe potuto far niente, che sarebbe accaduto comunque. Eppure, Dean non riusciva a smettere di pensare, che se avesse fatto qualcosa, qualunque cosa, tutto sarebbe andato diversamente e Sammy sarebbe cresciuto con la madre di cui aveva avuto sempre bisogno. Dio, quando Sam, all’età di sette anni, gli aveva chiesto per la prima volta perché Dean non chiamasse Bobby papà, o perché Jody non era la loro mamma e perché non avessero una madre, e, dopo che il maggiore gli ebbe spiegato che i loro genitori naturali non erano le persone che li stavano crescendo, le domande aumentarono e chiedeva sempre – Sammy era un bambino molto curioso – perché loro padre non era con loro, perché non li chiamava mai, Dean aveva sentito un dolore atroce all’altezza del petto, perché avrebbe voluto preservarlo da quel dolore, e quando aveva dovuto spiegargli che la loro mamma, Mary, era diventata un angelo, perché un uomo cattivo – “un demone, Dean?” “Sì un demone, Sammy.” “Uno brutto, cattivo, con gli occhi gialli?” “Sì; Sammy” – le aveva fatto del male, e aveva visto suo fratello piangere a singhiozzi tra le sue braccia, Dean avrebbe voluto sparire dalla faccia della terra, ed essere inghiottito dal terreno. – “E papà?” “Papà viaggia molto per lavoro, è un soldato” “Allora è un eroe!” “Ovvio, Sammy” – in coscienza non aveva voluto dire al fratello che suo padre fosse un assassino ubriacone. Santo cielo, quanto si era sentito male, quel giorno, soprattutto quando Sam era scoppiato a piangere per la seconda volta, perché non era giusto che non l’avesse conosciuta. Ed era colpa sua se il suo fratellino stava così male, perché lui non aveva fatto nulla per salvare la sua mamma, poi il bambino si era calmato ed era corso ad abbracciare Bobby per ringraziarlo di essere stato il papà più bravo del mondo, Dean aveva tirato un sospiro di sollievo, ma il senso di colpa non era svanito. Si incolpava ogni giorno per quello che era successo e non riusciva a smettere.
Prese un lungo respiro ed inspirò a fondo l’aria fredda novembrina, espirando fece fuggire dalle labbra un po’ di condensa come un piccolo sbuffo, e la guardò dissolversi nell’aria, avrebbe voluto sparire come quella piccola nuvoletta; non riusciva a perdonare se stesso per non aver fatto niente quella notte. E si ritrovava, quel giorno, l’anniversario della morte della madre, sulla sua tomba a chiederle scusa per qualcosa che, in realtà, colpa sua non era. Perché aveva solo quattro anni e non sapeva nemmeno cosa significasse la parola morte.
Sebbene tutti gli ripetessero sempre che non era colpa sua, che aveva solo quattro anni, quando quell’orrore accadde, Dean non riusciva a scrollarsi di dosso il senso di colpa, e ogni anno, il 2 novembre si faceva accompagnare al cimitero, portava una rosa a sua madre e le chiedeva scusa per non averle salvato la vita quella notte; chiedeva scusa a Sam, che non aveva mai conosciuto sua madre; chiedeva scusa a Bobby, per avergli dato un peso come quello, perché aveva preso per se stesso un compito davvero impegnativo.
«Mi dispiace, mamma» disse, pestando i piedi sul terriccio, stringendosi nella felpa un po’ troppo leggera «Farei di tutto per tornare a quella notte e cambiare le cose» mormorò, poi appoggiò una rosa sulla lapide della madre e sospirò pesantemente «Avrei dovuto fare di più per proteggerti… è tutta colpa mia, e mi dispiace tantissimo…» disse, trattenendo i singhiozzi. Non versò neppure una lacrima, non lo faceva da quella notte e non avrebbe ripreso proprio in quel momento.
«Dean» lo chiamò una voce familiare alle sue spalle, l’uomo gli mise una mano sulla spalla, con fare confortevole.
«Bobby» mormorò lui «Non passa, il senso di colpa non passa…» aveva la voce spezzata, ma non piangeva.
«Mi dispiace, ragazzo» affermò l’uomo dispiaciuto, stringendogli la spalla con tenerezza, sembrava, all’apparenza, burbero invece era di una dolcezza incredibile, anche se non lo dimostrava, era più tenero di una pagnotta di pane caldo «Andiamo a casa, Sam sicuramente si chiederà dove sei» gli disse con fare paterno. Ogni anno, il due novembre, Bobby si metteva in auto e lo portava al cimitero di Lawrence, e aspettava che lui finisse la visita a sua madre. Sapeva quanto il ragazzo stesse male, ma era ancora chiuso in una bolla impenetrabile, vane erano state le visite psichiatriche, Dean non parlava del trauma subito alla tenera età di quattro anni, e sebbene Bobby cercasse in tutti i modi di aiutarlo, il ragazzo non voleva saperne di ricevere aiuto, era un dannatissimo cocciuto.
Udendo il nome del fratello, subito Dean fu sull’attenti, e guardò l’uomo preoccupato. L’ultimo desiderio di sua madre era che Sammy fosse al sicuro e non soffrisse, doveva proteggerlo da tutto e da tutti e l’avrebbe fatto a qualunque costo. Tutto nella sua vita era un errore, tranne suo fratello minore.
«Sta bene?» chiese.
«Ma certo, lo sai è con Jody» rispose l’uomo «Ma sai che si chiede sempre dove tu sia, ogni volta che sparisci» gli spiegò bonariamente «Dean, non devi torturarti inutilmente, non è stata colpa tua» gli disse con sincerità, ma Dean non gli credeva mai quando glielo ricordava. Era inutile dirgli che non fosse colpa sua, non sapeva perché il ragazzo rifiutasse di crederlo. Aveva solo quattro anni quando era successo, Bobby ricordava quando l’agente gli aveva detto che il bambino credeva che il padre bevesse del tea alla pesca, invece del whisky e il sangue fosse marmellata di fragole. Aveva solo quattro anni e non poteva capire che non avrebbe potuto fare niente. Infatti, il ragazzo si strinse nelle spalle, e senza rispondere – ovviamente non aveva creduto alle sue parole – accettò di seguire l’uomo a casa per vedere come stesse Sammy. Dopo aver lasciato un delicato bacio sulla foto della madre, che ritraeva una giovane donna sorridente con i capelli biondi e gli occhi verdi – Dean le somigliava più di quanto avrebbe voluto –  che era stata strappata via dalla sua famiglia troppo presto; dopo averla salutata ed essersi scusato ancora con lei per ciò che le aveva fatto, seguì Bobby fuori dal cimitero ed entrò nella sua auto, in completo silenzio. Non si lasciò tradire da nessuna lacrima, ma dentro di sé, avrebbe voluto piangere e riversare tutto il suo dolore all’esterno del proprio corpo; non lo faceva, perché farlo avrebbe significato ammettere che, in fondo, lui non era poi così colpevole, perché quella notte aveva solo quattro anni e non capiva molto. Ma lui avrebbe dovuto proteggerla, e aveva fallito. Era colpa sua.
Quando tornò a casa, Sam, che era rimasto in compagnia di Jody corse come un razzo verso il fratello, gli saltò al collo e lo abbracciò così forte da togliergli il fiato. Dean voleva davvero bene a suo fratello, era, forse, l’unica cosa positiva della sua vita; lo strinse forte a sua volta, Sam riusciva sempre a dimostrargli affetto e a strappargli un sorriso.
«Fratellone!» urlò il ragazzino allegramente, aveva solo dieci anni, eppure era alto come uno di dodici «Dean! Ho finito di costruire il vulcano che erutta! Lo presenterò a scuola! Vuoi vederlo? Jody mi ha dato una mano a finirlo!» esclamò eccitato, saltellando sul posto. Forse, un po’ di dolore scivolò via dalla pelle di Dean, quando udì il fratello così felice. Avrebbe voluto che restasse sempre così, piccolo, felice, spensierato e vivace.
«Ma certo, piccolo genio!» esclamò in risposta, scompigliandogli un po’ i capelli tagliati a scodella «Vediamo questo vulcano». La mamma sarebbe così fiera di te, Sammy – pensò, guardando il più piccolo con fierezza. Sam lo afferrò per mano e lo condusse nella cantina, dove Jody e Bobby gli avevano costruito un piccolo laboratorio di chimica, dove il ragazzino conduceva i suoi esperimenti. Sam era un piccolo genio, Dean sapeva che avrebbe fatto carriera nella vita, qualunque strada avesse scelto. Osservò il vulcano di Sam, eruttava davvero – certo, non era lava vera – ma era riuscito a portare a termine un progetto che si era messo in testa. Aveva solo dieci anni ed era più coraggioso di lui. Si abbassò alla sua altezza e lo abbracciò forte, sorridendo. «Sono così fiero di te, Sammy» gli disse a bassa voce. Il minore si lasciò stringere dal maggiore e poi passò tutto il tempo a spiegargli come avesse fatto. Dean non capiva una sola H di ciò che Sam stava dicendo, era una frana in qualsiasi materia scientifica, ma lo ascoltava rapito e orgoglioso. Lo era davvero. Avrebbe fatto di tutto, anche i salti mortali, per vedere suo fratello felice.
Passarono la giornata insieme, e quando andarono a letto, il più piccolo si voltò verso di lui e lo guardò dubbioso.
«Dean, mi dici perché il due novembre esci con lo zio Bobby e ritorni dopo tante ore?» chiese. Il biondo deglutì mordendosi le labbra. Cosa avrebbe dovuto rispondere? Dirgli la verità? Aveva già affrontato il discorso della mamma una volta, e no, non aveva davvero voglia di ripeterlo.
«Te lo dirò quando sarai più grande» promise il maggiore, ma Sam aveva già esclamato “uffa!” e si era girato, dando le spalle a Dean; sicuramente un giorno gli avrebbe detto che andava a chiedere scusa alla mamma per aver permesso a John di farle del male, ma non quella sera. Sperava solo che non facesse altre domande sul due novembre. 
 
Sei mesi dopo, 16 maggio 2003
Quando Bobby gli aveva detto che suo padre, John, sarebbe uscito a giorni dalla prigione, Dean divenne intrattabile, aveva sempre sperato che quel giorno non arrivasse mai, o che lui non dovesse vedere per forza il volto di quell’uomo. Rispondeva male a tutti, non mangiava, se ne stava sempre sulle sue ed evitava qualunque contatto umano con chiunque. Non voleva rivedere quell’uomo, non voleva che Sammy lo conoscesse. Era solo un ubriacone assassino, e per lui lo sarebbe sempre stato, e promise a se stesso, che non avrebbe mai permesso a quell’uomo di far del male a Sam. Bobby provò a dirgli che magari in dieci anni era cambiato, che in tanto tempo aveva avuto modo di riflettere sui suoi errori e dargli la possibilità di rimediare a quello che aveva fatto. Dean non lo ascoltava, non ne aveva assolutamente intenzione, non avrebbe mai perdonato quell’uomo per quello che aveva fatto.
«Ragazzo, ragiona» gli diceva Bobby «Per lui sarà importante ricevere affetto. Non sei voluto andare a trovarlo nemmeno una volta in questi anni» insisteva, ma Dean non aveva intenzione di ascoltare le sue parole. Sarebbe andato con lui a prenderlo, perché era giusto così, ma non avrebbe mai perdonato quell’uomo per aver ucciso sua madre quando lui aveva solo quattro anni e Sammy sei mesi. Di solito, i ricordi dei primi sei anni di vita, tendevano a sparire durante la crescita, ma il ricordo di quella notte, era vivido nella sua memoria come una cosa vissuta da adulto; tutti gli avevano detto che fosse a causa del grosso trauma, per questo non l’aveva mai rimosso dalla memoria, ma Dean sapeva che fosse unicamente il senso di colpa a permettergli di ricordarlo ogni giorno, perché sapeva, nonostante le parole di tutti coloro che lo circondavano che fosse unicamente colpa sua, perché a causa della paura non lo aveva fermato.
Quando, qualche giorno dopo quell’annuncio, accompagnò Bobby fuori al penitenziario a prendere John, Dean sentì una fitta attraversargli lo stomaco; una sensazione spiacevole, una delle peggiori mai vissute, giunse al suo cervello, e nulla aveva il potere di fermare quel dolore che pian piano si stava dilagando dentro di lui. Deglutì, quando l’enorme cancello si aprì davanti ai suoi occhi, lasciando uscire un uomo con una folta barba, i capelli scuri spettinati, e l’espressione colpevole sul volto. Si sforzò di fargli un sorriso, quando si avvicinò a lui e Bobby, perché l’uomo gli aveva fatto il lavaggio del cervello in quei giorni, perché Dean è tuo padre, ha bisogno di supporto, del tuo supporto, Dean pensa anche a Sam, ha bisogno di suo padre, vane erano state le proteste di Dean a quelle parole e i suoi tu sei nostro padre, lui non merita di essere chiamato così, tu ci hai cresciuti come tuoi figli, tu mi hai insegnato a radermi e a prendermi cura di Sammy, e no, Sam non ha bisogno di lui. Bobby alla fine lo aveva convinto che John meritasse una possibilità, perché Bobby lo guardava con quello sguardo severo, ma fiero, e gli faceva capire quali fossero le cose giuste da fare, e Dean si fidava di lui, dell’uomo che lo aveva accolto nel momento più brutto della sua vita, e che era rimasto accanto a lui quando gli incubi avevano popolato i suoi sogni per molti anni e che aveva messo una lampadina nella sua camera, quando aveva avuto paura del buio. Bobby gli aveva detto di fare quella cosa – andare da John, fargli un sorriso, provare a dargli una seconda chance – e lui lo aveva fatto, perché era stato suo padre a dirglielo, anche se non li aveva mai adottati legalmente, lo aveva fatto affettivamente, e quello era più importante di qualunque pezzo di carta. L’unica approvazione che voleva era quella di quell’uomo fintamente burbero che sapeva indirizzarlo sempre sulla retta via, colui che lo aveva cresciuto e gli aveva insegnato ogni cosa.
«Ehi Dean» lo salutò John, guardandolo con un sorriso. Erano dieci anni che non lo vedeva, sapeva benissimo il motivo, e non poteva biasimare il figlio se lo detestava, Dean somigliava a Mary più di quanto immaginasse, aveva la sua stessa espressione, e soprattutto i suoi occhi; per l’uomo era stato davvero un colpo vedere il figlio così cresciuto, aveva persino un accenno di barba sul mento, l’ultima volta che lo aveva visto era un bambinetto di quattro anni. «Sei cresciuto» osservò, forse con un po’ d’ovvietà, voleva solo rompere il ghiaccio con il figlio. Non sapeva come iniziare una conversazione con il ragazzino che aveva assistito a quell’omicidio quella notte.
Dean si accigliò ed emise una leggera risata sarcastica, sul serio? Sapeva dirgli solo cose così banali?
«Non grazie a te» rispose acidamente il ragazzo, Bobby gli lanciò un’occhiataccia di rimprovero. John incassò il colpo, si aspettava che il ragazzo avesse una reazione simile, meritava il suo odio, dopotutto, aveva ucciso Mary, e faceva i conti con questa consapevolezza ormai da dieci anni. Non riusciva nemmeno ad immaginare cosa avesse significato per il ragazzo, aver assistito quella notte. Dean, adesso, aveva solo quattordici anni, ma aveva l’aria di chi era cresciuto troppo in fretta. E John non poteva che sentirsi in colpa, se solo quella sera non fosse stato ubriaco…
I ricordi di quella notte, ricominciarono ad affiorare con violenza alla mente di Dean: quando dieci anni prima erano arrivati a casa di Bobby, e l’uomo li aveva sistemati in una stanza per farli riposare, Sam era scoppiato in lacrime, ovviamente, si sentiva spaesato e non sapeva cosa accadesse, Dean si era sdraiato vicino a lui e lo aveva stretto forte, fino a che non si era calmato ed addormentato. Cosa ne voleva sapere quell’uomo di quello che aveva passato?
«E Sam?» chiese, quasi in un sussurro.
«Sì, è cresciuto anche lui dopo dieci anni» commentò acidamente. Bobby lo fulminò di nuovo, ma non disse nulla.
«Intendevo… dov’è?» domandò di nuovo.
«A casa di Bobby» rispose secco.
Improvvisamente, tra di loro scese di nuovo il silenzio, interrotto solo dal cigolare del cancello di ferro che si richiudeva, Dean non degnava John di uno sguardo, che al contrario guardava il figlio dispiaciuto e con aria colpevole.
«Dean, mi dispiace» disse nuovo John, spezzando il silenzio, mi ci pulisco il culo con le tue scuse, stronzo pensò il ragazzo, senza dare voce ai suoi pensieri, non voleva deludere Bobby; poi scosse la testa e non gli rivolse più la parola, limitandosi a guardarlo con astio, convinto che no, non lo avrebbe mai perdonato. Aveva reso la sua vita un vero e proprio inferno.
«Dean» lo chiamò Bobby con il tono di rimprovero che usava sempre quando stava facendo qualcosa di sbagliato. Il ragazzo sbuffò ed entrò nell’auto, sedendosi sul sedile posteriore. Appoggiò la testa al vetro e sperò che Bobby depositasse quell’uomo da qualche parte – in un motel, o qualcosa di simile – e tornassero a casa, come se tutto quello non fosse mai accaduto, come se non lo avesse mai rivisto. Le preghiere di Dean furono esaudite, dopo un silenzioso tragitto in auto, durante il quale il ragazzo lanciava occhiatacce all’uomo desiderando solo di prenderlo a pugni, come avrebbe dovuto fare quella notte e proteggere sua madre, e Bobby lo guardava con rimprovero, perché non avrebbe dovuto comportarsi così, i due lasciarono John fuori ad un motel. Bobby gli chiese del tempo, perché i suoi ragazzi ne avevano bisogno, dopo aver sofferto tanto, per tanti anni e John non poté far altro che accettare le parole dell’amico, dopo aver chiesto nuovamente scusa al figlio per il male che gli aveva causato.
 
John in poco tempo, quasi due mesi, entrò nelle loro vite, stava man mano iniziando a riprendersi la sua vita. Con il permesso degli assistenti sociali, a cui si erano rivolti Bobby e Jody per il bene dei ragazzi, dopo il suo rilascio dalla prigione, aveva visto Sam, e d’accordo con Bobby non aveva mai menzionato l’omicidio della madre; Sam, anche se non si ricordava di lui, era stato contento di conoscere finalmente il suo papà, e Dean abbozzò un sorriso quando li vide abbracciati. Sam meritava di essere felice. Anche se nessuno sano di mente, avrebbe mai affidato i ragazzi a John. Dean man mano iniziava ad apprezzare il cambiamento di quell’uomo, e cercava davvero di impegnarsi a non essere scorbutico con lui, e con l’aiuto di Bobby  era riuscito anche ad instaurare un dialogo, quando Bobby aveva intavolato il discorso sulla passione per le auto di Dean, il quale a soli dodici anni si era recato nell’officina dell’uomo e aveva fatto diverse domande sui motori e sulle auto in generale. John ricordava che Dean da bambino desiderasse diventare un pilota, e promise al ragazzo, che quando un giorno avrebbe preso la patente, gli avrebbe regalato un'auto; gli occhi di Dean erano diventati due sfere di luce pura, a quella notizia, non avrebbe mai creduto che John decidesse di fargli un regalo così, non dopo tutto l’odio che gli aveva riservato in quei mesi. Non seppe quando, ma iniziò a parlare più spesso con lui, su come andavano le cose a scuola – non si impegnava molto, ma dava comunque buoni risultati, nella media – e del suo migliore amico, Benny, l’unica persona a sapere davvero tutto di Dean, e una volta uscirono anche insieme per fare la spesa. Dean aveva rivalutato John, anche se ancora non riusciva a definirlo padre e a dimenticare il motivo per cui lo aveva detestato per tutta la vita, avevano un rapporto quanto meno civile e rendeva Bobby fiero; e si sentiva davvero felice. John sembrava davvero cambiato e intenzionato ad instaurare un sano rapporto con i figli, sebbene l’affidamento fosse lontano anni luce, e Bobby fosse totalmente contrario a lasciarli a lui. Anche se cercavano di dargli una seconda chance, nessuno dimenticava cosa avesse fatto a Mary e cosa avesse causato a Dean quella notte.
Dean, nell’ultimo periodo, si sentiva meno colpevole, soprattutto quando John confessò che, sì, quella sera era stato preso da un momento d’ira e che se il figlio lo avesse intralciato, avrebbe fatto del male anche a lui, perché non era in sé, era ubriaco fradicio e si era odiato per dieci lunghi anni, e continuava a farlo, da quella notte. Adesso frequentava gli alcolisti anonimi ed era sobrio, o almeno così diceva.
Dean, nel pieno dei quattordici anni, si sentiva un po’ meno con il peso del mondo sulle spalle e una famiglia un po’ disastrata, ma abbastanza stabile, ed era sempre il punto di riferimento di Sam, che più diventava grande e più faceva domande su quella fantomatica notte, a cui tutti alludevano, ma di cui nessuno parlava apertamente. Dean si sentiva sempre in colpa a mentirgli, e promise a se stesso, che un giorno, quando Sam sarebbe stato abbastanza grande da capire la dinamica delle cose, gli avrebbe raccontato tutto. Forse.
Stava riacquistando fiducia in se stesso e nel padre, a passi molto lenti, ma ci stava riuscendo. Anche a scuola, sebbene studiasse il giusto, stava acquistando fiducia in se stesso e nei suoi gusti, l’anno scolastico appena concluso era iniziato davvero in modo fantastico. Era successo per caso, spesso a scuola guardava i ragazzi con più interesse rispetto a come guardasse le ragazze, ne aveva parlato con il suo migliore amico, che gli aveva detto che poteva essere una fase, ma che comunque era okay per lui; poi, dopo molto tempo da quella chiacchierata, un pomeriggio di luglio, verso la fine del mese ne aveva avuto la conferma. Ad una festa di un suo compagno di scuola, a cui Benny lo aveva letteralmente trascinato, perché era giovane, si stava perdendo tutte le cose belle della loro età e non poteva restare chiuso in casa come un vecchio di ottant’anni, un ragazzo meraviglioso, Andrew della squadra di basket, lo aveva baciato durante uno stupido gioco, e Dean aveva avuto la conferma che gli piacessero i ragazzi e non le ragazze – perché con le ragazze non provava assolutamente nulla.
E così una sera, lo fece. Durante una cena, a cui era stato invitato anche John, Dean confessò a tutti di aver scoperto di essere gay. Fece coming out con la sua famiglia, Bobby e Jody lo abbracciarono forte, fieri del fatto che si fosse aperto con loro. John non fu entusiasta come loro, e si limitò a stringere la mano al figlio e a fargli un sorriso tirato. Sam, nella sua ingenuità da bambino di dieci anni, che non capiva ancora, gli disse che sarebbe stato sempre il suo fratellone, e che gli avrebbe sempre voluto bene. A Dean tanto bastava per essere felice.
Ma come al solito, anche quella volta si sbagliava. Per lui la felicità era un’utopia.
 
Un sabato di inizio ottobre però – ormai John faceva parte delle loro vite da diversi mesi, e tutto sembrava andare per il verso giusto – Dean era solo a casa, non aveva scuola per un problema idraulico – si era letteralmente allagato un intero piano – Bobby e Jody erano usciti con Sam per accompagnarlo a prendere delle cose per il suo club dei piccoli chimici e il quattordicenne aveva deciso di rilassarsi con della buona musica, in completo relax. Quando improvvisamente sentì dei rumori davvero forti dalla cucina, e temette che qualche ladro fosse entrato in casa. Scese cautamente al piano di sotto e vide John – come diavolo era entrato? Era certo che Bobby non gli avesse mai dato le chiavi – con una bottiglia di whisky in mano, che lo guardava con odio. Non aveva smesso di bere per il bene dei suoi figli? Perché aveva ricominciato? Perché adesso lo guardava in quel modo? Dean avvertì la sensazione di pericolo, ma cercò di scacciarla, perché Bobby gli aveva riempito la testa di cazzate sul fatto che loro avessero bisogno di John e viceversa, e sul non fermarsi alle apparenze.
«Ciao Dean» lo salutò con una risata mal celata, il ragazzo si accigliò e lo guardò preoccupato.
«John, qualcosa non va?» chiese, avvicinandosi cautamente, con un po’ di paura che cresceva dentro di lui «Che cosa ci fai qui? Come sei entrato?» domandò ancora, poi notò la porta sul retro aperta e si diede dell’idiota per non averla chiusa. Ovviamente, era colpa sua se in quel momento era in pericolo. Da quando, però, aveva ripreso a bere?
«Tu mi odi, non è vero, Dean?» domandò l’uomo avvicinandosi a lui barcollando.
«Ci sto lavorando… lo sai» balbettò a disagio «Non è facile, dopo quello che è successo alla mamma» spiegò. Bobby gli aveva sempre detto che il dialogo era la soluzione migliore in determinate occasioni.
«Sei identico a lei» sputò acidamente, bevendo altro alcool. Dean non sapeva se prendere le sue parole come un complimento o come un insulto. «Troppo identico».
«Senti… dimmi qual è il problema, possiamo risolverlo» disse con esitazione, cercando di trattenere i brividi di terrore.
«Sei un cazzo di finocchio, ecco cosa c’è che non va» rispose acidamente, lanciando un’occhiataccia al ragazzo. Dean boccheggiò. Era passato un po’ di tempo dal suo coming out, risaliva alla fine dell’estate… non aveva accettato la cosa? Perché ora gli parlava in quel modo? Lui gli aveva dato fiducia, cosa stava accadendo, ora? Si sentiva terrorizzato e confuso, senza capirne il perché.
«Si dice gay» lo corresse storcendo il naso, ostentando sicurezza «Sì comunque, quale problema ci sarebbe?»
«Che fai schifo» sputò acidamente, prendendo un altro sorso di liquido scuro. Dean ebbe un flash della notte della morte di sua madre ed indietreggiò terrorizzato. Doveva subito chiamare aiuto, farlo allontanare da quella casa, ma era paralizzato. Il ragazzo deglutì, mentre l’uomo muoveva dei passi verso di lui, ed indietreggiò ancora, sperando di arrivare al telefono prima che lui lo raggiungesse. John fu davanti a lui in lampo e gli tirò uno schiaffo forte sulla guancia «Fai schifo, ti devono piacere le donne, io non ho messo al mondo un frocio!» esclamò.
Ormai la mente di Dean era annebbiata dalla paura, si ritrovò a sentirsi un bambino di quattro anni che assisteva alla morte della madre per via di un ubriacone. John lo colpì forte di nuovo con un altro schiaffo, poi un altro ancora, poi lo colpì con un pugno. Dean cercò di reagire, ma la paura lo bloccava quasi completamente e non poteva avere vantaggio su un ex soldato e vigile del fuoco, seppur ubriaco era più forte di lui. Si ritrovò sopraffatto e subì la scarica di pugni e calci che il padre gli tirò, per metterlo in riga. Rivisse su se stesso la notte della morte di sua madre, ed era così paralizzato dalla paura, che persino reagire era difficile per lui. Aveva sbagliato a dare fiducia a quell’uomo, lo sapeva che non avrebbe mai dovuto, sapeva che fosse un errore, eppure ingenuamente aveva pensato che magari lui fosse cambiato e che potesse avere un rapporto sano con lui. Perse i sensi a causa del dolore, dopo altri colpi forti. Fu ritrovato da Bobby, privo di sensi sul pavimento della cucina, pieno di lividi e graffi; ma non disse nulla su John, inventò una scusa banale su dei ladri entrati dalla porta sul retro. Quella era la sua battaglia personale, sapeva di averlo meritato, non per la sua tendenza sessuale, ma per il suo passato. Lui meritava di fare la stessa fine di sua madre, quella che avrebbe dovuto fare anni prima, quando invece di proteggerla, era rimasto immobile. Forse in quel modo avrebbe espiato la sua colpa.
Dean tacque quando, quella sera, suo padre, abbastanza sobrio, sorrise davanti a tutti, come se nulla fosse successo.
Tacque quando, di nuovo soli, John lo picchiò ancora, ricordandogli quanto fosse un vigliacco e una femminuccia. Tacque quando gli disse che fosse solo un fallimento, che sua madre non sarebbe mai stata orgogliosa di uno come lui.
Tacque quando disse che anche per lei sarebbe stato solo una delusione.
Tacque quando John lo accusò di aver ucciso sua madre, dandogli del codardo perché non aveva chiamato nessuno. Tacque quando gli disse che non fosse un vero uomo.
Tacque quando si rese conto di non essersi sbagliato in quegli anni, era stata colpa sua, lo aveva sempre saputo.
Dean tacque quando il mondo, per la seconda volta, gli crollò addosso.
 



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Salve di nuovo, gente! 
Lo so, volete uccidermi per quello che ho fatto a Dean, sembrava andare tutto bene, eh? E invece no. Ma non preoccupatevi, non può andare peggio, giusto? Ehm, va beh. Penso che fino all'arrivo di Cas mi odierete. 
Questo è il primo capitolo effettivo. Chiedo pubblicamente scusa a John Winchester per averlo fatto diventare un pezzo di merda, ma mi serviva ai fini della trama! (Non che nella serie fosse uno stinco di santo, però...) So che sembra senza senso che sia scattato così con il figlio, ma comunque Dean è quello che lo ha praticamente incastrato quando è stato condannato, è identico alla madre - e gli ricorda ogni giorno quello che ha fatto - non è esattamente espansivo con lui, anche se cerca di avere un rapporto civile con lui... La sua vita è un casino per una cosa che ha fatto lui, ma come tutti gli esseri umani deve scaricare la colpa su qualcuno e questo è il figlio che lo ha fatto condannare... il fatto che sia gay è solo un mero pretesto. (L'ho spiegato perchè effettivamente non è chiaro, visto che la storia è quasi interamente dal p.o.v di Dean).
Ovviamente non potevo che osannare Bobby e Jody, che sono una sorta di secondo padre e seconda madre per i boys. ( E quando Bobby scopre ciò che ha fatto John sono cazzi... ops.)
E come potete vedere ho giocato di nuovo con il canon, perchè adoro farlo.
Vi ringrazio per avermi ri-accolta nel fandom, e ringrazio chi ha recensito, seguito e anche solo visualizzato la storia da quando ho iniziato a postarla! Siete degli angioletti :3 ci si becca la prossima settimana, su questi canali! 
A presto, people! - se non mi massacrano a lavoro! 

P.S se vi chiedete da quale canzone siano tratte le frasi all'inizio di ogni capitolo è questa. E da anche il titolo alla storia. In realtà, è stata proprio la canzone a dare il via a tutto ciò. 

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Capitolo 3
*** II Parte ***



DESCLAIMER: La storia è scritta senza fini di lucro, i personaggi non mi appartengono in nessun modo e non intendo offendere nessuno. Giuro.
PS. C'è l'avviso che i personaggi sono molto OOC. In questo capitolo non gioco con il canon, ma lo farò di nuovo nei prossimi!

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Without you, I feel broke

Da quando John era entrato nella sua vita, Dean l’aveva vista trasformarsi in un vero e proprio inferno, non che prima fosse migliore, ma riusciva comunque ad avere un certo equilibrio con se stesso e tutti gli altri. Da quando John era tornato, ed era stato da lui quel pomeriggio di ottobre, tutto era peggiorato e piombato nel caos, un caos a cui non sapeva come rimediare, si sentiva confuso e a pezzi al solo pensiero. Aveva paura di restare solo a casa, perché temeva che lui sarebbe entrato e lo avrebbe picchiato ancora, o peggio, avrebbe picchiato Sam. Lui non poteva permettere che accadesse, voleva parlarne con Bobby e Jody, ma ogni volta che cercava di parlarne, si sentiva bloccato, e  temeva che se lo avessero saputo, lo avrebbero reputato debole per non averlo fermato, si sarebbero arrabbiati con lui per non aver parlato prima, o peggio, non gli avrebbero creduto; aveva paura che in qualche modo John avrebbe potuto dire che stesse inventando tutto, che Dean parlasse in quel modo solo perché lo odiava – come poteva non odiarlo, dopotutto? – e loro gli credessero, e in quel caso, John sicuramente gliel’avrebbe fatta pagare. Dean era terrorizzato a morte, e cercava di non darlo a vedere, non ne aveva parlato nessuno, nemmeno con il suo migliore amico, temeva che se si fosse scoperto, avrebbe vissuto qualcosa di peggiore, e davvero non ne aveva bisogno. Non aveva rivisto John, se non a cena qualche volta, e ogni volta che lo vedeva, la paura lo assaliva e cercava di scappare per mettere più distanza possibile tra lui e quel mostro, con scuse banali come l’andare in bagno o iniziare a sparecchiare la tavola o addirittura dicendo di avere ancora dei compiti da fare per la scuola. Il suo atteggiamento era sembrato strano a tutti, più volte, gli era stato chiesto il motivo e più volte Dean era stato sul punto di dire tutta la verità, ma poi aveva guardato John, che gli aveva sorriso in quel modo inquietante, quel celato se parli sei davvero un codardo che non sa affrontare le situazioni, femminuccia, e aveva taciuto per paura che le sue parole ed azioni potessero ritorcersi contro suo fratello; sapeva che fosse questione di tempo, prima o poi il mostro che era in lui sarebbe venuto allo scoperto e allora avrebbe fatto del male a qualcuno e sarebbe stata – di nuovo – solo colpa sua. Questa consapevolezza avrebbe dovuto spingerlo a parlare, a dire qualcosa, a cercare di risolvere la questione, ma doveva proteggere Sam, mantenere la promessa fatta alla mamma dieci anni prima, non poteva permettere che quello si avvicinasse al più piccolo e cercasse di dare qualche lezione anche a lui. John aveva questa strana idea che con la violenza si potesse risolvere tutto, e Dean proprio non lo capiva, del resto non lo aveva mai fatto. Il suo atteggiamento, però, non era passato inosservato agli occhi del padre adottivo, che sebbene non sapesse cosa fosse accaduto, o cosa prendesse al ragazzo nelle ultime settimane, aveva intuito che il malessere del ragazzo provenisse dalla presenza di John – non era uno stupido – e  aveva provveduto ad evitare che John andasse troppo spesso a casa; decise che ne avrebbe parlato con Dean, prima di invitarlo di nuovo a cena, perché non voleva che fosse turbato; si era chiesto più volte se avesse sbagliato a concedere tanta fiducia a John, una volta uscito di prigione, e forse aveva sottovalutato la situazione, ma gli era sembrato cambiato e ben intenzionato a relazionarsi con i ragazzi, non poteva nemmeno immaginare cosa fosse accaduto al ragazzo poco tempo prima, perché lui non parlava mai dei suoi problemi personali. Eppure, gli era sembrato che le cose stessero migliorando, cosa gli era sfuggito? Come aveva fatto a non accorgersi che qualcosa non andava? Come aveva fatto a sbagliarsi? Proprio lui che aveva giurato di proteggere quei due ragazzi da ogni male, dopo quella terribile notte? Perché Dean si ostinava a restare in silenzio?
Dean voleva solo proteggere Sam, non sapeva cosa gli avrebbe riservato il futuro, ma sinceramente a se stesso non era molto interessato, il più piccolo era il punto focale di qualunque decisione da lui presa, perché se la sua vita era destinata ad essere così tormentata e disastrata, non era giusto che quella di Sammy lo fosse altrettanto, avrebbe rinunciato a qualunque cosa per permettergli di vivere tranquillamente, senza traumi. Ogni cosa nella sua vita era un disastro, tranne Sam, lui conservava la purezza e l’innocenza di un bambino piccolo, doveva conservare quella spensieratezza e preservarlo da ogni male. Aveva fatto una promessa che aveva intenzione di mantenere.
Sam era un ragazzino di appena dieci anni, era cresciuto con gli zii e un fratello maggiore molto premurosi ed era felice, ed era molto curioso e soprattutto intenzionato a scoprire cosa avesse suo fratello, ne approfittò un pomeriggio di metà novembre, quando rimasero da soli a casa. Bobby e Jody erano andati a fare la spesa, avevano detto ai ragazzi di restare a casa, perché faceva molto freddo ed era meglio che loro restassero in casa, così ne aveva approfittato per mettersi sul divano a guardare un documentario sulle balene e i delfini alla tv, mentre aspettava Dean, che gli aveva promesso di guardarlo insieme a lui. Era davvero un bambino molto curioso ed intelligente, e difficilmente non capiva cosa accadesse intorno a lui; sapeva che suo fratello nascondesse qualcosa, un po’ di tempo prima lo aveva visto mentre si massaggiava un fianco, una sera quando si era messo a letto un po’ dolorante; Dean non aveva mai avuto paura di niente – ecco perché era il suo eroe preferito, prima ancora di Batman – quindi gli sembrava davvero strano che uno coraggioso come il suo fratellone avesse paura di restare solo a casa, quando Bobby e Jody avevano detto che sarebbero andati a fare la spesa, Dean era impallidito e aveva borbottato qualcosa in maniera molto contrariata e si era chiuso in camera sua, prima che Sam proponesse di guardare un documentario insieme. C’era sicuramente qualcosa che non andava, anche Bobby e Jody lo sapevano – li aveva sentiti una volta parlare di Dean e del suo cambiamento dell’ultimo periodo – ed erano preoccupati, così come lo era lui. Era intenzionato a scoprire di cosa si trattasse, perché voleva davvero aiutare il maggiore così come lui lo aveva sempre aiutato; persino quando aveva imparato a camminare, Dean era stato dietro di lui e lo aveva alzato da terra quando era caduto. Sam sapeva che qualunque cosa fosse successa nella sua vita, bella o brutta, avrebbe avuto Dean accanto, lui c’era stato fin da quando ne aveva memoria. Quindi era giusto che lui, in quel momento, aiutasse suo fratello, quando era giù di morale.
Il maggiore lo raggiunse dopo qualche minuto, si sedette accanto a lui e chiese: «Davvero, Sam? Un documentario sui delfini?» Sam ridacchiò «Andiamo, alla tua età dovresti guardare solo cartoni animati!»
«Non mi piacciono!» obiettò scuotendo la testa «E poi i delfini sono così carini!» esclamò il minore, sorridendo «Lo sai che sono mammiferi?» domandò retoricamente, strappando un sorriso spontaneo al maggiore che gli chiedeva sarcasticamente, davvero? Ma non sono pesci? – e che fiero gli scompigliava i capelli, facendogli altre domande riguardo quel documentario che stavano guardando, e Sam ingenuamente gli rispondeva in modo ovvio. Sam voleva davvero bene a suo fratello, quando a scuola chiedevano di descrivere un eroe, lui senza esitazione scriveva qualcosa su Dean, una volta, per esempio aveva scritto che all’età di sei anni, Dean gli aveva insegnato ad andare in bici, gli aveva mantenuto la bici per i primi metri, e poi lo aveva lasciato, solo quando era stato sicuro che non sarebbe caduto; gli aveva persino medicato il ginocchio sbucciato quando era caduto. Non avrebbe desiderato un fratello maggiore migliore di lui. Sorrise appena ed attirò nuovamente la sua attenzione, conoscendo Dean non sarebbe stato facile farlo parlare.
«Dean?» lo chiamò.
«Sì, Sammy?»
«Sai che ti voglio bene?» chiese. Lo vide un attimo spiazzato, ma poi si sciolse in un dolce sorriso e annuì, mormorando che gli volesse bene anche lui, anche se il maggiore non capiva il motivo di quella domanda «Perché sei sempre triste?» chiese ancora, non sapeva definire come stesse il fratello, e la parola triste gli sembrava quella più adeguata al suo umore. Anche se le persone tristi di solito piangevano, tranne lui.
Dean si congelò sul posto, Sam stava davvero facendo domande su di lui? Da quando Sam era diventato così grande da capire le cose che lo circondavano? Come aveva fatto Sam a capire che in lui c’era qualcosa che non andava? Si sentiva improvvisamente a disagio con suo fratello, perché forse lo conosceva così bene da capire che nel suo atteggiamento c’era qualcosa che non andava; era solo un bambino di dieci anni, come poteva capire?
«Non sono triste» disse facendo un sorriso abbastanza forzato «Cosa ti fa pensare che io sia triste?»
«Perché lo so!» esclamò il minore «Perché tu non hai paura di niente, e invece hai paura di restare solo a casa!»
«Ma non ho paura, Sammy, è che non mi piace molto» disse, in difficoltà, non sapeva cosa rispondere, in effetti, come poteva spiegare al fratello di temere che John andasse lì e facesse del male ad entrambi? «Preferisco stare in compagnia» spiegò, torturandosi le dita delle mani «Non devi preoccuparti per me, okay, Sammy?» chiese sorridendo, cercando di essere meno nervoso «Io sto bene, sono solo un po’ stressato, sai, la scuola e simili, capirai quando andrai alle superiori» spiegò, Sam finse di credergli perché sapeva che non era solo un problema scolastico «Continua a guardare il tuo documentario, ti preparo qualcosa per fare merenda» tagliò corto. Sam sbuffò e annuì, ma decise che avrebbe parlato di nuovo con Dean, per aiutarlo, perché non era giusto che soffrisse, senza che nessuno facesse niente per aiutarlo, Dean aiutava sempre tutti. Forse avrebbe parlato anche con Bobby e Jody, magari in tre, lo avrebbero fatto parlare e sarebbero riusciti ad aiutarlo. Sì, avrebbe fatto così.
Dean tornò con delle fette di pane con la cioccolata e un bicchiere di succo di frutta per il fratello, che sorrise felice e accettò con gioia ciò che il più grande aveva preparato per lui. Stavano facendo merenda il più grande stava ridendo del più piccolo che aveva le labbra sporche di crema al cioccolato, quando improvvisamente, il campanello della porta trillò, e il maggiore fu costretto a lasciare il minore sul divano, immerso nella tv, nelle sue scoperte sui delfini e sulle balene per andare ad aprire la porta. Quando fece scattare la maniglia, rimase per un attimo senza parole e indietreggiò terrorizzato, John era lì, no, questo doveva essere un incubo, si era addormentato sul divano con Sam ed era piombato in uno dei suoi incubi, perché Bobby gli aveva espressamente vietato di andare lì quando lui e Jody non erano in casa. Cosa ci fa qui? – si chiese mentalmente, restando paralizzato.
Non sapeva né come né perché fosse arrivato, ma era lì, e lui era terrorizzato, non voleva neanche immaginare cosa avesse in mente quel pazzo e cosa volesse fare a loro.
«Cosa vuoi?» domandò, a bassa voce, cercando di non farsi sentire dal fratello.
«Non saluti nemmeno tuo padre, Dean?» gli chiese retoricamente, Dean deglutì e indietreggiò ancora, terrorizzato, poche cose lo spaventavano, e una di queste era restare solo con John, come l’ultima volta, soprattutto con Sam nella stanza accanto. Non gli avrebbe permesso di avvicinarsi a Sam.
«Tu non sei mio padre» sputò acidamente, mentre John lo guardava con il cipiglio alzato con fare curioso «Non farai del male a Sammy» aggiunse sicuro di sé. Anche se era spaventato, non avrebbe permesso a quel mostro di far del male al più piccolo, né in quel momento, né in un altro, era come se l’istinto di protezione verso il minore, avesse scosso qualcosa di indefinito dentro di lui. Un moto di coraggio che non sapeva definire, forse istinto di protezione o quella famosa promessa che tornava a galla proteggi Sam, Dean, proteggi Sam – si ripeteva come un mantra nella sua testa.
«Me lo impedirai tu?» domandò ridendo «Come non mi hai impedito di spingere tua madre giù dalle scale?»
Dean strinse gli occhi, rispedì il senso di colpa in fondo alla sua anima, e cercò di contenere la rabbia che gli stava crescendo dentro, quello stronzo si divertiva anche a provocarlo: «Non azzardarti a nominare mia madre» ringhiò stringendo i pugni «Non farai del male a Sam» ripeté più a se stesso che a John, cercando di chiudere la porta. Non era possibile che si sentisse ancora vulnerabile come un bambino di quattro anni – anche se non lo dava a vedere a chi gli stava di fronte – non era possibile che la sua vita fosse tanto sbagliata da farlo ricadere sempre nello stesso errore, e no, non avrebbe permesso al mostro di toccare Sam con un solo dito, oltre ad avere una promessa da mantenere, non voleva che Sam subisse quello che era accaduto a lui, poco tempo prima. John non impiegò molto tempo o molta forza a colpire con uno spintone Dean, spingendolo lontano da sé. Il ragazzo incassò bene il colpo, quel giorno era troppo determinato a non far succedere nulla al più piccolo, per pensare alla propria paura, alla propria salute o al dolore che stava provando. Cercò di spingere via John, e di colpirlo a sua volta, riuscendoci quasi, peccato che lui fosse il doppio di lui e lo bloccò. Odiava essere così debole e vulnerabile, era come se avesse dimenticato di avere solo quattordici anni e che quello fosse un ex-soldato; John non toccherà Sammy – si ripeteva.
«Voglio solo vedere mio figlio, Dean» sputò acidamente l’uomo, sorvolò sul fatto che si riferisse solo a Sam – sì, perché John aveva tenuto a sottolineare che lui non fosse suo figlio, quel pomeriggio di ottobre - e decise che quella volta non sarebbe stato con le mani in mano, quella volta avrebbe fatto qualcosa di intelligente e avrebbe chiesto aiuto. Spinto dal desiderio di proteggere il fratello, e dalla rabbia che provava per quell’essere, riuscì a spingerlo fuori dalla porta e a richiuderla in fretta, senza accorgersi di non averla chiusa bene. Corse di nuovo in salotto da Sammy e si affrettò a portarlo in camera loro, dicendogli – ordinandogli – di restare chiuso lì e non aprire la porta per nessun motivo al mondo. Sapeva di star spaventando suo fratello, ma non voleva che corresse rischi, mentre lui chiamava aiuto.
«Cosa succede, Dean?» domandò il più piccolo, con la voce tremante.
«Niente, ti proteggo io, Sammy» promise il maggiore, prima di chiudere la porta e intimare al più piccolo di chiudere la porta a chiave. Stava cercando il telefono, quando John, rientrato in casa, spuntò alle sue spalle, lo colpì alle spalle e lo bloccò sul pavimento, iniziando a prenderlo a pugni, dicendogli quanto fosse una femminuccia e quanto poco valesse.
Dean, quella volta, a differenza dell’ultima volta, non incassò ogni colpo senza opporsi perché nella stanza accanto c’era Sam, e non voleva che gli venisse fatto alcun male, almeno quella volta avrebbe fatto il suo dovere e avrebbe protetto una persona a cui teneva. John trovava gusto nel prenderlo a pugni, forse scaricando su di lui il senso di colpa di aver distrutto una famiglia o il rimorso per non aver fatto fuori tutti quella stessa notte, ma Dean non voleva che scaricasse le stesse cose sul minore, e cercava di reagire come poteva.
Dean sapeva che le cose sarebbero solo peggiorate con il corso del tempo. John lo stava distruggendo in ogni modo concepibile all’uomo, fisicamente e psicologicamente fin da quel pomeriggio di ottobre, non poteva permetterlo, doveva cercare di reagire, di essere più forte, non per se stesso, ma per suo fratello, che in quel momento se ne stava chiuso nella camera accanto e probabilmente stava sentendo tutto e aveva paura. Perdonami, Sammy – pensò, sentendosi in colpa. Non voleva che suo fratello vivesse qualcosa di simile a ciò che aveva vissuto lui.
Non aveva sentito la porta aprirsi, non aveva sentito né visto Sam comparire alle sue spalle, lo aveva solo udito improvvisamente urlare: «Fermo! Lascialo in pace!» poi tutto era diventato confuso e Dean si era ritrovato addosso a John, a bloccarlo per non fargli toccare Sammy, quando aveva mosso un passo verso il minore, che stringeva il cellulare tra le mani. Nella sua mente c’era solo il costante pensiero di proteggere Sam, che era un bambino molto più intelligente di lui. Proteggi Sam, Dean, proteggilo – sentì la voce di sua madre nella sua mente, chiedergli ancora una volta di proteggere il minore, e lo fece, lo stava facendo, anche se stava avendo la peggio contro John, stava cercando di fare di tutto per proteggerlo.
Quando Dean lo aveva fatto chiudere nella stanza, Sam aveva capito che qualcosa non andasse, si era affrettato a cercare un telefono, fortunatamente Dean dimenticava sempre il suo sul comodino ed era uscito in fretta dalla stanza, per vedere cosa stesse accadendo, quando aveva visto John – quello che doveva essere loro padre – picchiare Dean, e dirgli cose orribili, come che era colpa sua se la loro mamma era morta, Sam inorridì e, davanti a quella scena, immediatamente telefonò a Bobby dicendogli di fare presto, perché c’era John che stava facendo male a Dean. Sam avrebbe voluto fare qualcosa, avrebbe voluto fermarlo, ed era riuscito solo ad urlare a John di fermarsi e non fare del male a Dean, poi lo aveva visto sollevare la testa, guardarlo con cattiveria, e prima che potesse muovere un solo passo verso di lui, suo fratello lo aveva già bloccato e spinto per terra.
John lo stava sovrastando di nuovo e gli stava ancora ricordando quanto avesse deluso tutta la sua famiglia, quanto fosse un fallimento per aver fatto vivere a suo fratello la stessa cosa che aveva vissuto lui da bambino, e Dean non poteva che dargli ragione quella volta, perché era vero; quando improvvisamente la porta si aprì. Bobby era rientrato e aveva sentito le urla provenire dal salotto. Aveva fatto una corsa incredibile, e quando aveva visto il suo figlioccio sovrastato da quell’energumeno del padre, che continuava a picchiarlo e a dirgli che fosse una delusione, Bobby fu accecato dalla rabbia. Lo raggiunse in poche falcate e lo spinse lontano da Dean.
«Non toccare il mio ragazzo, John» aveva ordinato ad alta voce, avvicinandosi in maniera minacciosa a lui «Vai via da questa casa, prima che ti denunci e ti faccia rispedire dove tu dovresti marcire!» esclamò, mettendosi davanti a Dean, che rannicchiato sul pavimento si lamentava per il dolore, si assicurò  con lo sguardo che anche Sam stesse bene, ma quando si rese conto delle penose condizioni di Dean, la rabbia montò ancora di più in lui, tuttavia cercò di contenersi per non mettersi allo stesso livello di quel pazzo e non traumatizzare ancor di più i ragazzi.
«Il ragazzo aveva bisogno di una strigliata, visto che tu non dici nulla, avrei fatto lo stesso anche con il moccioso lì» aveva sputato acidamente John, indicando anche Sam, e sfidando Bobby, ma in quel momento, quello era l’unico errore che potesse fare. Sam, sul fondo della stanza, spiaccicato al muro, adesso tremava ed aveva paura, ma era consolato dal fatto che Bobby fosse arrivato. Dean, invece, guardava la scena dal pavimento, aveva un po’ di sangue che gli colava dal naso – John lo aveva colpito dritto sul setto nasale – e sentiva dolori ovunque. Non sapeva se essere grato a Bobby per essere arrivato in quel momento, o dirgli di andare via perché lo meritava, perché Sam aveva assistito a quella cosa.
«Decido io come educare i miei ragazzi, John. Adesso vattene da casa mia» ordinò con tutta la calma che stava riuscendo a mantenere, ma la sua voce era incrinata dalla rabbia. Dean lo conosceva, era ad un passo dal prendere John a pugni, anche se non ne capiva il motivo, lui meritava quel dolore, meritava di essere punito per ciò che aveva fatto al fratello e alla madre; tuttavia, John non andava e Bobby era sempre più arrabbiato.
«I tuoi ragazzi? Un frocio e un bambino fifone?» domandò acidamente. In quel momento, la rabbia di Bobby esplose completamente e lo colpì con un pugno dritto sul naso, John barcollò colto dalla sorpresa e l’altro uomo lo colpì ancora, intimandogli ancora una volta di andare via; poi, finalmente, lo cacciò in malo modo da casa sua, minacciandolo ancora una volta di chiamare la polizia se si fosse avvicinato di nuovo a Dean. Il ragazzo, ancora dolorante, non capiva affatto cosa fosse accaduto. Non meritava quello che Bobby stava facendo per lui, John doveva finire il lavoro, doveva dargli ancora ogni colpa e picchiarlo per fargli espirare le sue colpe, forse quello era un buon modo per evitare di commettere altri errori. Non poteva andare così. Forse, nonostante tutto, John aveva ragione a trattarlo così.
L’uomo lo raggiunse dopo qualche istante e lo aiutò a rialzarsi, Dean emise un gemito di dolore, e abbassò lo sguardo, senza guardare il padre adottivo che lo guardava con l’aria severa e preoccupata: «Dobbiamo parlare, Dean» disse solenne, facendolo distendere sul divano, ma il ragazzo non aveva affatto voglia di parlare, scosse la testa senza rispondere «Da quanto tempo va avanti?» chiese, Dean tacque.
«Perché non me ne hai mai parlato?» Dean tacque ancora.
«Dean, sto parlando con te, perché non mi hai detto niente? Perché ti sei fatto picchiare? Perché non mi parli? Ragazzo, non posso perdere un figlio solo perché non vuole parlarmi» disse ancora, più arrabbiato, senza però alzare la voce. Il ragazzo lo guardava con gli occhi gonfi e le lacrime represse, perché vedere Bobby in quel modo, così triste e pieno di dolore e arrabbiato, fu un colpo troppo grande da subire per lui. Aveva deluso anche lui, era una delusione che camminava, la consapevolezza che John avesse ragione, era peggio di qualunque pugno, era una delusione vivente e non aveva più nessun appiglio a cui aggrapparsi. Come aveva fatto a cadere così in basso?
«Oggi me lo meritavo» si lasciò sfuggire «Guarda Sam è traumatizzato… John ha ragione, sono una delusione» disse, la voce rotta da un singhiozzo «Non ho mai fatto niente di buono, e Sam… Sam non merita un fratello come me, sono una delusione che cammina, anche te… ho deluso anche te, mi dispiace…» ammise, per la prima volta da quando tutto era iniziato, Dean stava parlando, stava confessando il suo tumulto interiore, e il dolore che provava.
«Tu non potresti mai deludermi» gli disse l’uomo, raggiungendolo e abbracciandolo di slancio, Dean gemette di dolore, ma lasciò che Bobby lo abbracciasse «Sam sta bene, okay?» gli disse, Dean aveva gli occhi gonfi, ma non aveva versato nemmeno una lacrima. Il ragazzino, sentendosi chiamato in questione, strisciò fino a ritrovarsi accanto al fratello e gli abbracciò il braccio, quello che non era molto ferito e lo strinse come per dirgli io sto bene, ha ragione lui.
«Bobby, io…» tentennò.
«No, ascoltami. Non devi lasciarti andare così, okay? Sam sta bene, guardalo, sta bene, è solo spaventato, ed è normale, ma non ha nemmeno un graffio» disse, Dean non alzò lo sguardo sul minore, lo tenne basso e strizzò gli occhi «Smettila di accusarti di cose che non hai fatto» gli disse, Dean non rispose, ricambiò l’abbracciò, sperando che le sue parole fossero vere, che Bobby avesse ragione e la sua vita potesse essere un po’ migliore. Restarono in quella posizione qualche minuto, poi l’uomo corse a prendere il kit del pronto soccorso e iniziò a medicare il ragazzo, che si lamentava per il dolore, Jody tornò poco dopo che John era andato via e portò Sam in un’altra camera, per tranquillizzarlo, mentre l’uomo cercava di parlare con Dean e aiutarlo a ragionare. Il ragazzo aveva bisogno d’aiuto.
Bobby guardò il suo figlioccio, e lui capì che quello fosse il momento di sputare il rospo e vuotare il sacco, che lui non si sarebbe mosso da lì, fino a che non avesse saputo tutto, allora Dean lo fece, gli disse ogni cosa, gli raccontò degli insulti, della paura di lui che gli attanagliava le viscere fin da quando era stato da lui quel pomeriggio di ottobre, gli disse che lo aveva picchiato quando aveva scoperto che lui fosse gay, e per la prima volta nella sua vita, Dean si aprì con l’uomo che lo aveva cresciuto. Gli confessò che sentiva che il senso di colpa non lo avesse mai abbandonato e che si sentisse responsabile per le cose negative che accadevano nella sua vita e in quella del fratello, che si sentiva in colpa per aver traumatizzato Sam quel giorno, che aveva assistito a quello spettacolo orribile, in modo simile a quando lui aveva assistito all’omicidio di sua madre; gli disse che quelle immagini continuavano a tormentarlo. Bobby lo stringeva, gli diceva che gli voleva bene, che avrebbero superato tutto insieme, e promise che tutto sarebbe andato per il verso giusto a partire dalla mattina seguente. Infatti, il giorno dopo, John fu denunciato e arrestato, e Dean si sentì finalmente libero di respirare, libero dalla paura e dalla violenza che quell’uomo stava riportando nella sua vita.
Dean, finalmente, smise di tacere.




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Mi odiate un po' di meno, ora? 
Ci sono delle ripetizioni a volte, perché volevo sottolineare lo stato di confusione di Dean, che non ha pensieri molto razionali, visto che è confuso ed è mosso dalla paura.
La questione John è archiviata, ma i guai di Dean non ancora, I'm sorry! C'è ancora una cosa che deve accadere e poi arriverà Cas a salvarlo da se stesso! I promise! Mi vorrete tanto bene poi, almeno lo spero! 
Sono felice di vedere che la storia sia seguita, e che stia piacendo, ne sono davvero felice! 
Spero che questo capitolo non vi deluda, sentitevi liberi di insultare quel pezzo di merda di John e coccolare Dean - attenti a Cas eh, potrebbe essere geloso se lo coccolate troppo.
Non è adorabile Sammy? Lo vedo il tipo che guarda documentari sui delfini e sulle balene e fa merenda con il fratello che lo prende in giro, buh. Era tenera come scena.
Spero non ci siano troppi errori di battutira, ho controllato 5 volte, ma a volte mi sfuggono lo stesso!
Ci si becca sabato prossimo su questi canali! 
Vi ringrazio dal profondo del mio cuore, non credevo che effettivamente potesse piacere, è tanto triste e angst. Grazie, grazie, grazie!
A presto, people! 

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Capitolo 4
*** III Parte ***



DESCLAIMER: La storia è scritta senza fini di lucro, i personaggi non mi appartengono in nessun modo e non intendo offendere nessuno. Giuro. 
PS. C'è l'avviso che i personaggi sono molto OOC.
PPS. Questo capitolo è più lungo rispetto agli altri perché non sapevo come dividerlo. Enjoy!


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6 anni dopo, 2009.
Without you, I feel torn.
Like a sail in a storm.
 
Da quel pomeriggio infernale erano passati sei anni, sei lunghi anni, in cui Dean aveva cercato di combattere contro i suoi demoni, e cercare di sconfiggere quel senso di impotenza che aveva avvertito quando aveva affrontato John. Il senso di colpa per aver lasciato che suo fratello guardasse quella scena ingiustificabile lo perseguitava, ma Sam sembrava non esserne stato poi tanto traumatizzato. Era stato difficile raccontare tutta la storia a Sam, era stato difficile confessare di avergli mentito per il suo bene. I ricordi, nel racconto, emergevano con violenza, giungevano alla sua mente e più parlava, più si rendeva conto di quanto fosse stato codardo quella sera, sedici anni prima. Raccontò del litigio, del fatto che avesse scambiato il whisky con del tea alla pesca, di averli visti abbracciarsi ed essere corso in camera. Raccontò dei tonfi, delle urla e di aver visto la mamma per terra, con del sangue che le usciva dalla testa – e difficilmente avrebbe tolto quell’immagine dalla sua mente – Sam lo guardava allibito, forse spaventato, e quando Dean arrivò alla fine del racconto, quando la mamma gli aveva chiesto di prendersi sempre cura di Sam e lui aveva promesso, il minore lo guardò con gli occhi spalancati e l’aria davvero persa. Infine, raccontò dei poliziotti, degli assistenti sociali e della prima notte a casa di Bobby, quando lo aveva stretto forte, mentre piangeva, fino a che non si era addormentato. Raccontò di essere rimasto sveglio a vegliare su di lui, fino a che le forze non gli erano mancate. Raccontò tutto, si sentì svuotato, triste e per niente sollevato, ma si sentì leggermente meglio quando Sam lo abbracciò ringraziandolo per essersi sempre impegnato a mantenere quella promessa. Da quella sera erano passati sei anni, e tutto sembrava andare bene. Dean, adesso, studiava ingegneria meccanica al college – perché Bobby lo aveva quasi costretto e non ti farò buttare la tua vita, quando puoi studiare, capra e quando Dean aveva obiettato dicendo che Sam era quello che meritava il college, il padre adottivo lo aveva abbracciato e l’aveva rassicurato, anche Sam sarebbe andato al college – ma viveva a casa, frequentava il campus solo per le lezioni, preferiva così, in fondo gli piaceva guidare e, da quando Bobby gli aveva ceduto una delle auto della rimessa, una bellissima Impala che lui stesso aveva messo a nuovo con l’aiuto del padre adottivo, era automunito, quindi non aveva problemi per gli spostamenti. Era sereno, era un ventenne in salute, e anche se aveva un oscuro passato alle sue spalle, poteva dire di stare abbastanza bene, anche se a volte, il dubbio che potesse essere un errore, lo tormentava ancora. Ciò che importava davvero era suo fratello Sam. Era cresciuto tanto, ormai aveva sedici anni, e i classici problemi degli adolescenti, o almeno così credeva Dean; lo vedeva davvero molto giù di morale, per non dire triste. E no, si era battuto tutta la vita per non vederlo in quello stato, si chiedeva se fosse il trauma, ma non sembrava così, non aveva mai parlato di quel che era accaduto quel giorno. Non avrebbe mai voluto vederlo soffrire, e aveva cercato più volte di parlargli, di capire cosa non andasse, e il perché fosse così triste, ma Sam ogni volta lo respingeva, gli diceva di farsi gli affari propri, che era solo la scuola molto pesante e lui era molto stanco, lo liquidava sempre con queste frasi, ma Dean sapeva cosa significasse tenersi tutto dentro, era ciò che aveva fatto lui, continuamente, fin da quando John gli aveva fatto del male. E fino a che non ne aveva parlato, e quell’uomo era stato sbattuto di nuovo in prigione per il resto dei suoi giorni, aveva vissuto un vero e proprio inferno, e non voleva che suo fratello vivesse lo stesso inferno. Dean sapeva di non meritare la felicità, ma Sam – santo cielo – Sam doveva essere felice, doveva vivere bene la sua vita e non deprimersi. Dean avrebbe sempre fatto di tutto per renderlo possibile, per questo non riusciva a farsi una ragione che lui non volesse parlare dei suoi problemi, e che si chiudesse in se stesso. Bobby gli diceva che probabilmente era l’età – era un adolescente dopotutto e studiava al liceo – ma Dean sapeva che ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato, insomma, Sam era sempre lo stesso ragazzino che sei anni prima aveva fondato il club dei piccoli chimici in garage e voleva far credere al maggiore che per lui la scuola fosse difficile?
Era maledettamente preoccupato per lui, e non lo nascondeva, solo che il fratellino evitava il maggiore di proposito, e Dean avrebbe davvero voluto essere più forte per poterlo sostenere in quel momento. Sam non stava bene, e dopo i primi mesi dall’inizio della scuola, Sam era al secondo anno, anche Bobby iniziò a sospettarlo, perché Sam rientrava sempre con l’umore nero; si vedeva il suo malessere, ma si ostinava a non parlarne, e Dean aveva fin troppa poca pazienza per non intervenire anche in modo abbastanza rude, a volte. Non sapeva come aiutarlo a stare bene, ed era colpa sua. Non era un buon fratello maggiore, non riusciva a far aprire suo fratello con sé e non riusciva ad aiutarlo. In testa, spesso gli risuonavano le parole di John, ma cercava di evitarle – non era riuscito a salvare sua madre, come avrebbe potuto farlo con suo fratello? – tuttavia Sam gli aveva sempre detto tutto negli anni precedenti, come quella volta in cui – a tredici anni – si era preso una cotta per una bambina della sua classe, e Dean gli aveva organizzato un piccolo appuntamento nel salotto di casa: cartoni animati – anche se Sam si era lamentato perché a lui proprio non piacevano – tea al limone e dolcetti. Sam era stato così felice che aveva sorriso per tre giorni di seguito. Aveva chiesto aiuto quella volta, a otto anni, quando un bambino più grande gli aveva rubato il suo quaderno preferito; così il maggiore era andato a scuola di Sam, aveva cercato il malvagio bambino e lo aveva bonariamente minacciato – perché tu sei quello grande, Dee – aveva detto il minore, e lui non aveva potuto far altro che sorridere felice. E Dean, davvero, sapeva che non fossero quelle stronzate ad assillare suo fratello, perché lo conosceva. Voleva aiutarlo come in passato, ma non sapeva come, non poteva fare nulla se lui non si apriva, perché, al momento, brancolava nel buio. Spesso durante la notte lo sentiva piangere, del resto condividevano ancora la stanza, scivolava fuori dal letto e lo abbracciava forte – esattamente come quando erano piccoli – ma Sam lo scacciava in malo modo, lo respingeva, si alzava in gran fretta, gli urlava contro di lasciarlo in pace, che non aveva bisogno di lui e correva nel bagno, chiudendosi dentro con la chiave e continuava a piangere. Dean moriva dentro ogni volta che udiva quel pianto. Avrebbe solo voluto fermarlo, ma si sentiva impotente. Non poteva fare niente.
Perché non poteva mai fare niente per le persone che amava? Perché era così un fallimento? Sam aveva dei problemi, perché non ne parlava con lui? Era certo che insieme avrebbero superato anche questa difficoltà, se solo il minore si fosse sfogato con il più grande. Chi era a farlo soffrire così?
Quando, un giorno, Sam tornò a casa con uno zigomo livido e gli occhi gonfi dal pianto e Dean lo vide, iniziò a capire cosa accadesse, così decise di prendere la situazione in mano e di agire da bravo fratello maggiore qual era. Avrebbe pestato a sangue chiunque avesse osato alzare un solo dito sul più piccolo. Era una promessa che aveva fatto a sua mamma, proteggere Sam era stato l’ultimo desiderio della donna, e Dean avrebbe fatto di tutto per mantenere fede alla parola data.
Un paio di giorni dopo aver visto suo fratello tornare con lo zigomo gonfio, Dean decise che, dopo le lezioni del mattino, sarebbe andato a prendere Sam a scuola per tornare a casa insieme, magari a Sam faceva anche piacere evitare l’autobus per una volta. Era preoccupato e ansioso e non sapeva cosa aspettarsi da ciò che avrebbe scoperto, mentre guidava e stringeva i pugni sul volante dell’auto, sentiva i palmi sudare per il nervosismo, davvero, chiunque fosse a far del male a suo fratello, avrebbe vissuto il quarto d’ora peggiore della sua vita, e non solo. Quando arrivò fuori dalla scuola superiore di Lawrence, la stessa che aveva frequentato lui, attese qualche minuto. Gli studenti già uscivano dalle classi, e si riversavano nel cortile della scuola felici di essere liberi da quel luogo infernale. Dean scrutava ognuno per scorgere il suo fratellino. Poi lo vide, avanzava lentamente, con i libri stretti al petto, gli occhiali leggermente storti – aveva iniziato a portarli da poco – e dopo poco si rese conto di quanto fosse raccapricciante la scena a cui stava assistendo. Suo fratello stava uscendo da scuola con due ragazzi più grandi dietro di lui, intenti a ridere di lui e a spintonarlo. Sam non reagiva, ma stringeva i libri al petto, aveva gli occhi pieni di lacrime e cercava di avanzare più veloce di loro. Il minore non poteva subire tutto ciò, non era giusto. Già quello sarebbe bastato a fare scattare il maggiore dei Winchester, poi però, le cose peggiorarono davanti ai suoi occhi, nell’esatto momento in cui uno dei due lo spinse più forte, gli fece perdere l’equilibrio, e Sam cadde rovinosamente per terra, tutti i suoi libri si sparsero al suolo e perse anche gli occhiali nella caduta. In quel preciso istante Dean perse il controllo, uscì dall’auto come una furia e raggiunse i ragazzi e suo fratello in pochissimi istanti. «Ehi, stronzi!» urlò ai due raggiungendoli. Sam impallidì notando che il fratello fosse lì e soprattutto che avesse visto ogni cosa.
Dean gli porse una mano e lo aiutò ad alzarsi da terra, poi gli raccolse gli occhiali e sibilò un adesso ci penso io. Subito dopo si voltò verso i due ragazzi e li guardò in cagnesco. Non voleva essere violento, non voleva imitare quel bastardo di John, ma non poteva permettere che due stronzi distruggessero Sam, aveva davvero intenzione di parlare, ma quelli ridevano ancora, ridevano di Sam e Dean, arrabbiato come mai, perse completamente la lucidità mentale, afferrò uno dei due per il colletto della maglietta e lo avvicinò a sé, minacciosamente.
«Non avvicinatevi mai più a lui, chiaro?» domandò furioso. Quello non smise di ridere, per niente intimorito.
«Chi è questo? Il tuo fidanzatino, Sam?» chiese lo stronzo numero uno, quello che Dean teneva ancora per la maglietta, il ragazzo gli tirò un pugno nello stomaco lasciandolo andare, il bullo si piegò su se stesso e tossì.
«Sono suo fratello e tu devi lasciarlo in pace» disse di nuovo, la voce intrisa di rabbia e risentimento. L’altro ragazzo sbiancò, non disse niente, ma Dean sottolineò il concetto tirando un pugno ben assestato anche a lui. Sam, in piedi dietro il fratello, lo guardava terrorizzato, e cercava a bassa voce di farlo smettere, era terrificante, assomigliava a John, e nella mente di Sam ritornarono le immagini di quella giornata, in cui aveva visto John picchiare Dean.
«Dean, basta…» mormorava, ma Dean non lo ascoltava, aveva davvero voglia di picchiarli ancora. «Ti prego, Dean» disse dopo che il maggiore ebbe colpito ancora una volta i ragazzi. La sua voce intrisa di paura spinse l’altro a fermarsi all’istante, perché si rese conto di aver fatto vedere a Sam la parte di lui che detestava, quella che somigliava troppo a John, che cazzo sto facendo? Dean lasciò andare immediatamente i due ragazzi, sussurrò uno sparite che li fece tremare e scapparono con la coda tra le gambe, quasi singhiozzando. Dean cercò di riprendere il controllo di se stesso, e poi si voltò verso il minore, il suo volto era una maschera di terrore e rabbia. Lo aveva solo protetto, perché lo guardava così?
Il minore lo spinse via in maniera brusca e si incamminò cercando di mettere distanza tra sé e il maggiore che lo seguì immediatamente.
«Sammy!» lo fermò per un braccio «Quando cazzo mi avresti detto che sei vittima di bullismo?»
«Mai!» urlò Sam cercando di liberarsi il braccio, spingendo via di nuovo il fratello «So cavarmela da solo! Non ho bisogno di te che vieni qua e mi salvi il culo!» urlò ancora. Dean non lo aveva mai visto in quel modo, e si sentì in colpa. Aveva cercato di proteggerlo, no? «Adesso lo sai che diranno? Che Sam Winchester non sa difendersi e chiama il fratello maggiore! Grazie tante, Dean, ne avevo proprio bisogno!» commentò, ad alta voce, sarcasticamente. Dean non capiva il perché della sua reazione, aveva cercato di fare qualcosa per lui, mica per se stesso.
«Sì, te la cavi così bene che stai male! Dannazione, Sammy!» esclamò Dean. Perché Sam si stava chiudendo con lui?
«Non ho bisogno di te che vieni a prendere a pugni la gente, okay?!» domandò furioso «Sei uguale a quello lì!» urlò ancora. Dean cercò di incassare il colpo al meglio, ma ogni cosa si stava pian piano sgretolando davanti a sé. No, lui non era come John, non era minimamente come John, lui non era un assassino, perché Sam gli dava dell’assassino?
«Ti stavano picchiando, Sam! Non potevo permetterlo! Dovevo proteggerti!» esclamò. Come poteva lasciarlo in difficoltà? Aveva fatto una cazzo di promessa a sua madre, non poteva evitare di mantenerla.
«Non sono affari tuoi!»
«Lo sono, sono tuo fratello!»
«Non ho chiesto io di avere te come fratello!» urlò a perdifiato «Ti odio!» crack, Dean sentì il cuore spezzarsi nel petto, Sam non era mai stato tanto arrabbiato con lui, e quello che Dean leggeva nei suoi occhi puro disprezzo, lo stesso che lui stesso provava per se stesso, il medesimo che lui provava per John. «Lasciami in pace, non ho bisogno di te!» urlò ancora «Sparisci, Dean!» urlò allontanandosi da lui, dirigendosi alla fermata dell’autobus. Dean si chiese cosa avesse sbagliato con Sam, mentre rientrava in auto e metteva in moto, guidando verso qualche luogo imprecisato. In realtà, il luogo lo conosceva bene; qualche minuto dopo, si fermò fuori al cimitero. Restò diverse ore sulla tomba di sua madre, scusandosi con lei per essere stato un pessimo figlio, ed essere un pessimo fratello. Forse avrebbe dovuto dire a Sam che temeva di perderlo, come aveva perso lei. Si guardò le mani, aveva i pugni ancora stretti e arrossati. Santo cielo, si era comportato esattamente come John, era ovvio che Sam lo odiasse. Mi dispiace, mamma – pensò, sospirando pesantemente – non voglio essere come lui, ti prego, aiutami a non essere come lui – la pregava, in silenzio. Restò lì per quelle che parvero ore, poi Bobby gli inviò un messaggio dicendogli di tornare, che lui e Sam avevano bisogno di chiarire. Dean baciò la foto della madre, pregandola di dargli la forza, di affrontare suo fratello dopo la stronzata che aveva fatto; era una motivazione valida il fatto che avesse visto suo fratello in pericolo? Iniziava ad avere dubbi.
Al suo ritorno, Dean più calmo si avvicinò al fratello, che era ancora arrabbiato con lui – come dargli torto – si scusò per il suo orribile comportamento, ma non si pentiva di averlo difeso, perché Sam non meritava di soffrire. Dean, con la dolcezza che riservava solo a lui, con giusto un po’ d’ansia in corpo, prese una profonda boccata d’aria e poi iniziò a parlare, era difficile parlare dei propri sentimenti, soprattutto con il proprio fratello sedicenne, ma era necessario.
«Ti ho parlato di quando è morta la mamma, no?» Sam annuì «Le ho promesso che ti avrei protetto, sempre» Sam annuì ancora «Ho paura di perdere te, come ho perso lei quella notte, per questo a volte mi comporto da stupido» spiegò, sospirando pesantemente «Mi dispiace, se oggi ho fatto quello che ho fatto… è stato solo per proteggerti. Non posso perderti, sei mio fratello». Sam annuì di nuovo, senza rispondere e lo abbracciò. Si chiarirono, ma Dean sapeva di dover stare all’erta, perché la questione era lontano dall’essere risolta una volta per tutte.
Infatti, le cose precipitarono in fretta.
Dopo la comparsa di Dean a scuola, le cose per Sam non migliorarono, anzi, forse peggiorarono solo, come preannunciato dal minore. Dean si sentiva davvero in colpa per aver causato una cosa del genere al fratello, avrebbe solo voluto proteggerlo e invece aveva peggiorato le cose, come al solito la colpa era sua.
Sam detestava Dean, gli aveva reso la vita un inferno, chiunque lo vedeva lo derideva come cocco del fratellone o come codardo. E per lui era davvero troppo, suo fratello aveva giurato che avrebbe fatto di tutto per proteggerlo e invece lo aveva messo solo di più nei guai. Era colpa di Dean se adesso soffriva così tanto. E non tardò a dirglielo: una sera, dopo cena, Bobby gli chiese cosa avesse all’occhio sinistro – un ragazzo della sua classe di letteratura gli aveva lanciato una penna che aveva sfiorato l’occhio – e Sam guardò Dean con disprezzo.
«Chiedilo a Dean» rispose «È colpa sua» la sua voce era intrisa di rabbia, e non passò inosservata a nessun presente.
«Dean?» domandò l’uomo, guardando l’altro. Il ragazzo si morse le labbra e scosse la testa, stringendo forte la forchetta tra le mani. Jody li guardava preoccupata, perché non aveva mai sentito tanta tensione tra i due fratelli, di solito erano molto affiatati.
«Io non ho fatto niente» disse sulla difensiva, capiva Sam a cosa si riferisse, lo guardava con disprezzo e aveva ragione.
«Non hai fatto niente?» domandò sarcasticamente «Ma se sei venuto un paio di settimane fa ad annunciare che fossi mio fratello maggiore! E che dovessero lasciarmi in pace!» esclamò arrabbiato «Indovina? Non l’hanno fatto! Anzi! È tutto peggiorato! Per colpa tua, stronzo! È colpa tua!» esclamò a voce alta, Dean accusò il colpo. Non avrebbe mai voluto far soffrire il fratello, e invece lo aveva fatto, aveva fatto del male a Sam.
«Sammy, io…» cercò di dire, ma Sam si alzò di scatto e lo interruppe.
«No! Non ti ascolto, mi hai peggiorato le cose! Andava bene, avevano detto che se gli avessi fatto tutti i compiti mi avrebbero lasciato in pace, invece per colpa tua, non lo faranno! E perché? Perché mio fratello è una testa di cazzo che viene a rompermi le scatole a scuola! Grazie tante, Dean!»
Prima che Bobby potesse dirgli di calmarsi, che non era il caso di parlare in quel modo con il fratello, Sam si era già alzato da tavola ed era corso di sopra. Dean si alzò immediatamente dopo di lui, lo seguì urlandogli Sam, aspetta! - ma Sam non si fermò non aspettò e corse nel bagno, chiudendosi dentro.
«Sam per favore! Mi dispiace!» urlò il maggiore contro la porta del bagno.
«La mia vita è un disastro!» singhiozzò il più piccolo dei Winchester «Non potevi farti gli affari tuoi?!»
«Mi dispiace, davvero! Non credevo di creare tutto ciò! Volevo proteggerti, Sammy!»
«E invece non lo hai fatto, non lo fai mai!»  urlò ancora «È tutta colpa tua, ti odio!»
Dean, pur sentendo un dolore atroce al petto a causa delle parole del fratello, cercava di scusarsi con lui, di fargli capire quanto gli dispiacesse, sapeva che avrebbe dovuto fare di più, fare di meglio, sì era solo un fallimento, uno stupido fratello maggiore che non sapeva mantenere una promessa. Era un inetto, non meritava niente. Era la storia della sua vita, falliva sempre quando cercava di fare qualcosa; non doveva accadere una cosa del genere a Sam, una volta intuito come stavano le cose, avrebbe dovuto parlare con Bobby, chiedergli di far cambiare scuola al fratello, mandarlo in una dove fosse stato al sicuro, forse avrebbe dovuto parlare con quei ragazzi, non picchiarli. Aveva aizzato tutti contro Sam e se ne pentiva. Aveva sbagliato, e Sam ne stava pagando le conseguenze, avrebbe dovuto farlo lui.
Sentì dal bagno dei rumori raccapriccianti. Sam stava rompendo qualcosa.
«Sammy! Sammy, aprimi!» urlò Dean, battendo i pugni sulla porta, ma Sam non apriva. Sam stava cercando gli antidolorifici di Jody, quelli che teneva nel mobile del bagno, sopra al lavandino. Non voleva più vivere, non voleva in quel modo, non in una famiglia in cui suo fratello picchiava gente per una promessa fatta alla madre morta, e il suo padre biologico era un assassino. Sam buttò giù un paio di pillole, ma non fecero effetto, così ne prese altre, e ancora altre, fino a che non finì tutto il flaconcino e perse i sensi.
Quando Dean riuscì a forzare la porta del bagno, suo fratello giaceva privo di coscienza sul pavimento del bagno, il flacone delle pillole vuoto nel palmo della sua mano e il mondo di Dean, crollò di nuovo.
Ho ucciso Sammy, perdonami mamma.
I secondi passarono inesorabilmente lenti, e gli ci volle qualche istante per chiamare Bobby, e dirgli di Sam. Lui non riusciva a pensare, non riusciva a muoversi, era completamente paralizzato, il terrore di aver perso suo fratello gli passò davanti agli occhi e dovette reggersi al muro dietro di sé per non cadere a terra svenuto. Il padre adottivo arrivò in pochissimo tempo anche lui spalancò gli occhi: Dean non riusciva a dire altro se non: ho ucciso mio fratello, ho ucciso mio fratello… immediatamente Bobby gli mise due dita in gola, per farlo vomitare. Riuscì a fargli rigettare una parte delle pillole. Jody, accorsa anche lei, chiamò immediatamente l’ambulanza, mentre Dean si lasciava scivolare contro il muro. Sam era vivo, ma non per merito suo, lui l’aveva quasi ucciso. L’ambulanza arrivò in pochi minuti, Bobby controllava che Sam non svenisse di nuovo, ma era debole e Dean non riuscì a guardare mentre i paramedici arrivavano, lo caricavano su una barella e lo portavano via. Dannazione, cosa aveva fatto? Come era successa una cosa simile? Quando era diventato il fratello più inetto della storia? Non si sarebbe mai perdonato il gesto disperato che il fratello aveva compiuto, lo avrebbe avuto per tutta la vita sulla coscienza, ne era certo; così come la morte di sua madre, adesso anche il tentativo di suicidio del fratello, era una sua colpa, una sua responsabilità.
Jody era salita in ambulanza con lui, mentre Dean e Bobby li avevano raggiunti in ospedale con l’auto. Man mano che avanzavano, il ragazzo sentiva su di sé il peso dell’azione del fratello, nonostante il padre adottivo gli ripetesse che non fosse così, non era affatto colpa sua, Sam stava male già da molto.
«Se non avessi fatto lo spaccone come lui…» mormorò Dean, alludendo a John «Sammy starebbe bene».
«No, Dean» ribatté l’uomo che guidava «Tu non c’entri nulla, Sam stava male, lo hai visto» gli disse calmo, guardandolo con la coda dell’occhio, mentre si torturava i pollici «Se c’è qualcuno a cui dare la colpa sono io. Ho lasciato che soffrisse e non mi sono accorto prima dei sintomi» spiegò. Dean spalancò gli occhi e scosse energicamente la testa. Come poteva pensare, Bobby, che fosse colpa sua?
«No, non dire stronzate» rispose il biondo deglutendo «Tu hai già fatto tanto per noi».
«Sono vostro padre, Dean, io ho promesso di prendermi cura di voi. Sono responsabile della vostra salute. Non tu» lo rimproverò scuotendo la testa «Andrà tutto bene, ragazzo. Te lo prometto».
«Già» mormorò appoggiando la testa al finestrino dell’auto. Come no, aveva sentito quella frase così tante volte, che ormai era solo un fastidioso ronzio. Nella sua vita, niente andava mai nel verso giusto, mai.
Il discorso fu lasciato cadere, Bobby non voleva turbare Dean ancor di più e il ragazzo non voleva che l’uomo continuasse ad accusarsi inutilmente, sapeva che la colpa fosse esclusivamente sua, che non aveva saputo prendersi cura di Sam. Aveva fallito, e ancora implorava mentalmente la madre di perdonarlo per non esserci riuscito.
Quando arrivarono in ospedale, si precipitarono da un medico, che comunicò loro le condizioni di Sam. Erano stabili, aveva subito una lavanda gastrica per eliminare i residui di pillole ed era sedato affinché riposasse. Uno dei dottori insistette per fargli vedere uno psicologo, perché evidentemente c’era qualcosa che non andava nel ragazzo; se aveva tentato il suicidio una volta, era molto probabile che se non avesse affrontato i demoni che aveva dentro, non ne sarebbe mai uscito e prima o poi avrebbe ricompiuto un gesto simile. Dean chiese se potesse vedere il fratello, il medico acconsentì, perché vide della sincera preoccupazione sul volto del giovane e gli indicò la stanza dov’era ricoverato. Dean corse immediatamente dal minore e gli afferrò la mano, con delicatezza, senza svegliarlo.
«Mi dispiace, Sammy» sussurrò piano, aveva bisogno di dirgli quelle cose «So che mi odi, e so che vorresti avere qualcun altro come fratello» gli disse ancora «Ti starò lontano, fratellino, te lo prometto» mormorò, sentiva gli occhi pungere, ma non avrebbe mai pianto, lui era un uomo, dopotutto «Ti voglio bene, okay? Guarirai, e ti cambieranno scuola… andrai dove potrai essere felice» disse ancora, a bassa voce per non svegliare il minore «Mi dispiace così tanto averti rovinato la vita, spero che un giorno tu potrai perdonarmi» concluse, lasciandogli un delicato bacio sulla fronte, come faceva quando Sam era piccolo, si sbucciava il ginocchio cadendo dalla bici e lui gli metteva un cerotto. Avrebbe voluto che fosse tutto facile come allora, quando l’oscurità non aveva ancora fatto breccia nelle loro vite non così completamente almeno, ma non poteva essere di certo così.
Dean si alzò, sopraffatto ed uscì dalla stanza d’ospedale del fratello, salutò Bobby e Jody, dicendo loro che aveva bisogno di stare un po’ da solo e tornò a casa, preparò una borsa rapidamente ed entrò nella sua auto, guidando senza una meta, non poteva restare lì a rovinare ancora la vita di suo fratello e della sua famiglia, non lo meritavano. Si ritrovò fuori ad un bar appena fuori città e decise di affogare la sua disperazione lì. Restò lì tutta la serata, bevendo fino a dimenticare anche il suo nome – nessuno in quel bar si era preoccupato di chiedergli i documenti e lui non aveva intenzione di dire di avere ancora vent’anni – e solo quando fu abbastanza ubriaco, riuscì a dimenticare il dolore e il senso di colpa. Forse quella sera la strada giusta da percorrere per espiare le sue colpe.
Nei giorni seguenti, Dean non tornò a casa, si presentò giusto qualche volta, per aiutare Sam a guarire, ma sapeva che la sua presenza non lo avrebbe aiutato granché; il litigio con Sam, prima che si chiudesse nel bagno, ingoiasse tutte quelle pillole, fino quasi ad uccidersi, si ripeteva nella mente di Dean come in loop, Sam glielo aveva detto chiaramente  è colpa tua, Dean, tutta colpa tua, e lui sapeva che avesse totalmente ragione. E dal tentativo di suicidio di Sam, erano passati circa sei mesi. Il ragazzo era in cura da uno psicologo che lo stava aiutando, Bobby gli aveva cambiato seduta stante scuola e Sam sembrava stare meglio.
I sensi di colpa, il dolore represso e forse anche alcuni conti in sospeso con il passato, lo avevano spinto in un tunnel dal quale sapeva che non sarebbe uscito facilmente. Era entrato in un giro clandestino di corse con le auto, beveva molto e a volte faceva anche uso di droghe, per non pensare, diceva. Solo quando correva con l’auto, beveva o si drogava, riusciva a smettere di pensare e di darsi la colpa, e quando vinceva c’era sempre il coglione di turno che aveva perso e dava inizio ad una rissa, a cui lui partecipava volentieri. Il dolore fisico che provava, quando veniva colpito, era niente paragonato al senso di colpa che lo affliggeva per ciò che era capitato al fratellino. Santo cielo, aveva peggiorato la sua situazione a scuola, con il suo atteggiamento, aveva fatto in modo che quei bulli lo tormentassero di più, aveva acceso i riflettori su di lui, perché aveva cercato di proteggerlo e aveva fallito. Ogni giorno chiedeva scusa alla madre per non averlo saputo proteggere, ogni giorno si incolpava perché non era stato un buon fratello maggiore. Le sue mani erano sporche del tentato suicidio di Sam.
Ad ogni rissa, assorbiva ogni pugno, ogni calcio, ogni insulto e li registrava come punizione per non essere stato un bravo fratello, Dean non meritava nessuno nella sua vita, non meritava di essere felice, a causa di tutti gli errori che stava compiendo, fin da quella notte del 1993. Invece, Sam meritava la felicità, lui non era colpevole in alcun modo, era stato vittima degli eventi, e si era ritrovato nel mezzo di tutto l’orrore che avevano vissuto. Le sue nottate brave, fatte di corse, alcool, droga e risse, però erano solo un palliativo, un mero espediente per evitare di pensare, perché se si fosse fermato a pensare, beh, le cose sarebbero andate decisamente peggio «Non ti vergogni?» gli chiedeva una voce nella sua testa, somigliante in modo impressionante a quella di John «Tuo fratello ha rischiato di morire, per colpa tua» gli diceva duramente. Durante le risse, Dean sperava che un giorno uno di quei pugni potesse essergli fatale, così da smettere di infastidire con la sua presenza la sua famiglia. Gli sarebbe bastato anche morire per overdose o soffocato nel suo vomito, sul serio. Aveva solo 20 anni e stava già perdendo ogni speranza di un futuro migliore, del resto ogni volta che l’aveva avuta, la sua vita era precipitata in un baratro senza via d’uscita.
I suoi errori si riversavano sulle persone che amava, e ogni cosa bella che aveva svaniva in un lampo di luce.
Si stava lasciando completamente andare, e per poter dimenticare ogni cosa, per sfuggire a quel dolore, a quelle colpe, a quel peso che portava sul cuore. Quando non  c’erano gare, guidava fino a qualche bettola puzzolente e, avendo l’età per bere, ingurgitava ettolitri di alcolici, senza darsi un freno, se era fortunato, passava anche la nottata con qualche bel ragazzo, e rientrava all’alba della mattina seguente, perché non aveva niente di meglio da fare. Non aveva uno scopo, non aveva un appiglio, sentiva solo lo sconforto prendere possesso di lui, e non vedeva nemmeno uno spiraglio di luce in quel mare di oscurità. Ma l’alcool e il sesso non sopprimevano tutto il male che sentiva dentro, non affievolivano nemmeno un po’ quel dolore che provava; non annullavano il senso di colpa, lo assopivano per un paio d’ore, ma poi questo tornava, più forte di prima. Dean ci aveva provato con tutte le sue forze, ma niente era riuscito a mandare via quel magone che provava all’altezza del cuore. Era tutto inutile, niente avrebbe potuto espiare le sue colpe.
Viveva con il suo migliore amico in un appartamento, del quale pagava la sua quota con gli incassi delle corse – perché Dean, sebbene distrutto, quasi sempre ubriaco o fatto, era bravo al volante – delle quali però non parlava, sapeva che Benny non avrebbe mai approvato quel genere di cose. Non aveva avuto il coraggio di tornare a casa sua, dopo il tentato suicidio di Sam. Poteva anche sparire dalla circolazione, a chi sarebbe importato? Sam, anche se non lo diceva più apertamente, lo reputava colpevole di avergli rovinato la vita a scuola, Bobby aveva solo il peso di un ragazzo che stava gettando al vento la sua vita. Che senso aveva continuare quella farsa? Che senso aveva continuare a vivere?
Dean sapeva che quella strada lo avrebbe portato all’autodistruzione, ma era l’unico modo per fermare il senso di colpa che cresceva dentro di lui, e più sentiva la colpa e il peso di ciò che era accaduto, più voleva correre, bere o drogarsi e dimenticare ogni cosa, ogni piccola colpa semplicemente svaniva con l’adrenalina che provava mentre correva, o veniva accantonata mentre beveva o faceva sesso. Ecco, erano le uniche cose che riuscivano a tirarlo fuori dal baratro in cui stava piombando. In pochi mesi era diventato un fenomeno delle corse clandestine, era un campione indiscusso e, anche per il fatto che partecipava alle risse, era forse uno dei più tosti che fossero lì presenti.  I suoi avversari potevano solo mangiare la sua polvere e questo li faceva imbestialire, ma Dean non diceva mai di no, ad una sana scazzottata con qualcuno, anche solo perché in quel modo, pensava di espiare ogni colpa che aveva, perché tutto era cominciato a causa sua; Dean sapeva che se quella notte avesse fatto qualcosa per fermare John, Mary sarebbe ancora viva, John allontanato dalla famiglia per sempre, e Sam non avrebbe mai tentato il suicidio. E invece, era stato lui a gettare la sua famiglia in quell’orrore, quando era rimasto paralizzato dietro lo stipite della porta, e poi era corso a letto, aspettando la mamma. Dentro di lui, quel bambino, la stava ancora aspettando, solo che non sarebbe mai arrivata.
Forse, Dean aveva bisogno d’aiuto, ma ancora non lo sapeva, aveva bisogno di soffrire così, per espiare i suoi peccati e le sue colpe.
Quando si rese conto che i pensieri negativi lo stavano sopraffacendo, decise di uscire di casa e prendere una boccata d’aria, erano ancora le sette di sera, non aveva alcuna corsa quella sera, ma sapeva che se fosse rimasto a casa ancora un attimo sarebbe impazzito. Si fermò in un negozio di liquori, acquistò una bottiglia di qualcosa di forte e guidò fino al cimitero. Stranamente, era l’unico posto in cui si sentiva meno un errore. Non ne sapeva il motivo, ma andare al cimitero gli metteva una strana calma interiore. Parcheggiò l’auto ed entrò in quel luogo tetro e poco accogliente, ma per lui calmante. Si diresse con passi lenti verso la parte che gli interessava, dove c’era la tomba di sua madre e raccolse un fiore da una pianta lì vicino e si sedette per terra, di fronte alla lapide di sua madre.
«Ciao mamma» disse a bassa voce «Non voglio disturbarti…» mormorò «Ma avevo bisogno di venire qui, perché mi sentivo oppresso a casa…» disse in un sussurro «Mi dispiace, mamma, ti prego, perdonami» mormorò, la voce leggermente incrinata «Mi dispiace non aver protetto te e Sam, io… mi odio» continuò, dire di se stesso cose del genere era davvero come ammettere di avere un problema, ma Dean lo classificò come insulto utile «So di essere un fallimento, non riesco ad essere diverso e mi dispiace, mi dispiace così tanto» disse ancora, aprendo la bottiglia d’alcool che aveva comprato. Ne bevve un lungo sorso e sentì la gola bruciare, santo cielo, doveva aver preso qualcosa di davvero forte, voleva dimenticare, voleva che tutto il dolore finisse «Vorrei poter rimediare… ma tu sei morta, e Sam… Sam è quasi morto per colpa mia… colpa mia, mamma…» non piangeva, ma dalla sua voce si poteva capire quanto fosse spezzato e distrutto, bevve ancora, svuotando mezza bottiglia «John mi diceva sempre che sono nato per errore, e penso che quel grandissimo figlio di puttana abbia ragione!» ormai l’alcool circolava veloce nelle sue vene e stava anche alzando la voce, mentre continuava a scolarsi la bottiglia, fino a che non la lanciò per terra, accasciandosi anche lui «Lui ti ha ucciso, ha gettato me e Sam nella merda ogni giorno e ha anche ragione, perché sono un codardo!»
Per sua fortuna, il cimitero a quell’ora era deserto, altrimenti qualcuno avrebbe chiamato la polizia per disturbo della quiete pubblica. Era completamente ubriaco, e continuava a sbraitare di essere solo un fallimento, una delusione per la sua famiglia, di essere lui stesso un assassino, quando qualcuno, forse il guardiano notturno, che aveva da poco iniziato il suo turno, lo trovò e gli intimò di andare via. Dean lo guardò male, lo insultò dandogli del figlio di puttana e poi se ne andò, arrancando sulle gambe. Non poteva tornare a casa, Benny lo avrebbe sicuramente assillato di domande a cui sapeva di non voler rispondere, o peggio, avrebbe chiamato la sua famiglia, per questo si ritrovò ad andare a piedi in un bar lì vicino. Entrò già ubriaco e chiese qualcosa da bere a un barista davvero carino. Ci provò spudoratamente con lui, fino a che, alla fine del turno del ragazzo, non si ritrovò nel bagno del bar, con la schiena schiacciata al muro e il ragazzo inginocchiato di fronte a lui. Non ricordava esattamente come fosse finita quella notte, ma la mattina dopo si risvegliò in una stanza non sua, con un post-it attaccato sulla fronte che diceva “è stato il miglior sesso della mia vita, richiamami” e riportava il numero del telefono di un ragazzo che si era firmato Jack. Dean si alzò borbottando per il mal di testa e si guardò intorno. Ovviamente, erano andati in uno stupido motel e avevano fatto sesso, anche se lui aveva vaghi ricordi di quello che era accaduto dopo essere stato cacciato dal cimitero. Si rivestì in fretta, accartocciò il biglietto e andò a riprendere la sua auto. Non voleva legami con nessuno, di nessun genere, non poteva permettersi di rovinare la vita a qualcun altro, era un’azione ingiusta e totalmente sbagliata.
Rientrò che erano le nove del mattino, l’amico lo guardò e provò a chiedergli dove fosse stato, ma Dean lo zittì con un gesto brusco e un po’ maleducato e se ne andò in camera sua, gettandosi a peso morto sul letto. Quando fu sicuro di essere solo in casa, si recò in cucina, per prepararsi un sandwich o qualsiasi cosa commestibile per poter fermare l’atroce fame che l’aveva colto. Aprì il frigo trovando del prosciutto e del formaggio, poi prese del pane dalla credenza e si farcì un panino, iniziando a mangiarlo lentamente, seduto davanti al tavolo della cucina, scrutando il vuoto. Decise che quella sera sarebbe uscito, avrebbe corso e dimenticato ogni dolore, quella sera, nel bene o nel male, tutto sarebbe finito per lui, non ne poteva più di soffrire così, non ne poteva più di avere quei sensi di colpa e non sopportava più nemmeno la voce irritante di John nella sua mente. Si odiava per quello che era, per ogni cosa e forse era meglio se quella sera, avesse messo fine alla sua insulsa esistenza. Sì, quella sera avrebbe rischiato più delle altre volte.
Quando uscì di casa, lasciò un post-it al coinquilino, dicendogli che sarebbe uscito e non sapeva a che ora sarebbe tornato, sapeva che molto probabilmente non sarebbe tornato affatto, la corsa che doveva affrontare era una delle più difficili, sarebbe stata sul versante di una montagna, fuori città, con delle curve da far spavento ai piloti professionisti e il rischio di andare fuori strada e precipitare nel vuoto era altissimo. Dean non aveva niente da perdere, per questo decise che sì, per lui andava più che bene quella corsa. Arrivò con un largo anticipo al luogo di ritrovo, intorno alle dieci di sera, la strada era già deserta e non v’era anima viva da quelle parti, a parte i suoi sfidanti.
Una delle ragazze al traguardo gli faceva gli occhi dolci, ma lui tendeva ad ignorarla, non gli interessava avere a che fare con lei o con altre persone. La corsa sarebbe iniziata a mezzanotte, Dean aveva il tempo di sistemare l’auto e bere qualcosa prima di mettersi alla guida. Poi improvvisamente, qualcuno attirò la sua attenzione; era un ragazzino di qualche anno più piccolo di lui, che già aveva visto qualche volta vagare su quelle piste, aveva sempre creduto che fosse lì per puro spirito di curiosità, ma quella sera lo aveva visto a bordo di una delle auto che erano lì per la sfida. Poteva avere più o meno l’età di Sam, forse qualche anno in più. Qualcosa di strano scattò dentro di lui.
«Ehi, moccioso, non sei troppo piccolo per gareggiare?» chiese con tono sarcastico, avvicinandosi a lui.
«Forse sei tu che sei vecchio» rispose acidamente, lanciandogli un’occhiataccia «Hai paura di perdere contro un ragazzino?» domandò con tono di sfida, alzando lo sguardo verso lo sfidante.
«Come no» borbottò «Sai chi sono io?»
«Dean Winchester, chi non ti conosce nel giro. Hai fatto mangiare la polvere a molti» disse, Dean non riusciva ad immaginare che un ragazzino poco più grande di suo fratello parlasse in quel modo, ma soprattutto che già rischiasse la vita «Ma non succederà con me. Ti farò uscire fuori strada». Il più grande alzò gli occhi al cielo e gli venne da ridere, perché davvero, quel moccioso non sapeva a cosa stesse andando incontro, era pericoloso per la sua incolumità.
«Sono serio, queste gare non fanno per un ragazzino come te, tornatene a casa» disse con serietà. L’altro lo guardò con sfida, e scosse la testa. Dean comprese che non si sarebbe arreso e avrebbe giocato sporco pur di vincere. Non gli era mai capitato di trovarsi davanti persone così giovani, che gli ricordassero Sammy, di solito sfidava suoi coetanei o persone più grandi, o persone come lui che non avevano nulla da perdere nella vita.
«Ritirati finché sei in tempo» lo avvertì. Poi si diresse verso la sua auto, per controllarla e sistemarla, prima che la gara avesse inizio. Sentiva le mani tremare un po’, forse per l’adrenalina che già sentiva, quando guidava, con il finestrino calato totalmente, e il vento tra i capelli, diventava un’altra persona, qualcuno di diverso dal Dean che tutti conoscevano, forse una versione migliore, priva di tutti i problemi che affliggevano la sua vita. Tuttavia, quella sera, non riusciva a smettere di pensare a quel ragazzino, non appena lo aveva visto, era come se un flash di suo fratello che tentava il suicidio tornasse alla sua mente e lo riportasse a quella notte. Dannazione. Si allontanò dall’auto ed andò dal responsabile della gara, e gli disse di aver scoperto che quel ragazzino fosse minorenne e non potesse affatto partecipare alla gara. Non sapeva perché lo stesse facendo, altre volte non avrebbe nemmeno badato ad un dettaglio tanto futile, ma quella sera era come se fosse tornato indietro nel tempo e avesse impedito a suo fratello di uccidersi.
Il moccioso fu subito squalificato – perché l’organizzatore non voleva guai con i minorenni implicati nel suo giro – e immediatamente corse verso l’artefice della squalifica. Dean cercò di ignorarlo entrando sotto la sua auto per controllare il motore, mentre il ragazzino sbraitava dicendogli che non fosse nessuno per intromettersi nella sua vita. il ragazzo dovette stringere gli occhi per non sentire la voce di Sam che gli urlava di avergli rovinato la vita.
Poi improvvisamente tutto precipitò. Il ragazzino chiamò due energumeni che di forza tirarono fuori Dean da sotto la sua auto e, mentre i due lo tenevano fermo, il ragazzino iniziò a sfasciargli l’auto.
Dean spalancò gli occhi e cercò di liberarsi, no, non potevano distruggere la sua auto, si dimenava urlando contro al ragazzino di fermarsi, quell’auto era tutto ciò che aveva, era un regalo di Bobby e la prima auto su cui avesse messo le mani. L’aveva riparata lui, quando il motore aveva fatto i capricci le prime volte. No, no, urlava, ma il ragazzino che gli stava sfasciando l’auto rideva. Dean si sentì un idiota per aver pensato che quel ragazzino fosse uno sprovveduto, un ragazzino da proteggere. Quello non è Sammy, idiota, si disse, ma ormai era tardi.
Quando riuscì a liberarsi, a raggiungere il ragazzino e a togliergli la chiave inglese dalle mani, lo spinse via in malo modo, fu tentato di colpirlo con un pugno. Non era diventato improvvisamente come John, no. Non avrebbe picchiato un ragazzino solo perché gli aveva sfasciato l’auto. Poi le cose peggiorarono ancora di più, i due energumeni – forse amici di quel demonietto – lo spinsero per terra e iniziarono a pestarlo. Dean subito reagì, colpendo a caso, cercando di difendersi, ma nel frattempo nella sua mente si ripetevano le parole di John che gli diceva costantemente che fosse un fallimento e un pessimo esempio per il fratello. Sapeva come sarebbe andata a finire quella notte, lo aveva saputo fin da quando aveva messo piede fuori da casa, ma sperava di farla finita volando fuori strada, senza sentire dolore. Quando riuscì ad alzarsi da terra e a reagire per bene, lui, già ferito, ebbe di nuovo la peggio contro quei due – o forse non si impegnò per niente. Perse i sensi dopo aver ricevuto altri colpi forti e fu abbandonato sulla strada insieme alla sua auto sfasciata.
Si risvegliò il giorno dopo in ospedale, gli dissero che un buon samaritano l’aveva ritrovato sulla strada e lo aveva soccorso, aveva chiamato l’ambulanza e gli aveva praticamente salvato la vita.
Quando Bobby arrivò in ospedale, per capire cosa diavolo fosse successo, Dean non poté mentire e dovette raccontare ogni cosa accaduta, fin da quando Sam aveva tentato il suicidio. Gli raccontò dei sensi di colpa, del fatto che si sentisse una completa delusione e fallimento camminante, che non meritasse di vivere. Bobby non riuscì ad arrabbiarsi con lui, e lo pregò di raccontargli chi lo avesse ridotto in quello stato. Dean gli raccontò delle corse clandestine, gli disse che aveva iniziato ad affogare il dolore nell’alcool, a volte nella droga, e nel sesso, e raccontò di quella sera, quando aveva cercato di proteggere un ragazzino dell’età di Sammy e questo suo gesto, gli si era ritorto contro. Dean aveva decisamente bisogno di aiuto. Fu difficile parlarne anche con Sam e scusarsi con lui, ancora una volta, per ciò che aveva fatto. Sam lo abbracciò forte e si scusò con lui per avergli riversato la colpa addosso, quando stava male, ma come al solito, Dean non credette alle sue parole, non meritava di essere aiutato.
Il giorno seguente, dopo essere stato dimesso dall’ospedale, fu ricoverato in una clinica di disintossicazione.

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Ben ritrovati, people!
Sembrava tutto risolto, eh? E invece no!
In questo capitolo non sono stata cattiva con un solo Winchester, ma con entrambi, yee. Sammy sta bene ora, eh. Sia lui che Dean hanno delle vite difficili, ma è tutto è bene quel che finisce bene (ahah, non gioite troppo però). Finalmente nel prossimo capitolo c'è il tanto atteso arrivo di Cas. 
Dean ha passato un periodo veramente orribile, si merita un po' di tranquillità, dopotutto si è quasi autodistrutto per il senso di colpa, facciamolo respirare un po'! Sentitevi liberi di insultarmi o picchiare quel ragazzino infame che non solo ha distrutto l'auto di Dean - ma Dean quando starà bene la sistemerà di nuovo, pft. 
Chiedo scusa per eventuali errori di battitura, ma come al solito alcuni mi sfuggono. Ho riletto e corretto questo capitolo più degli altri, but... ho sempre il terrore che ce ne siano.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto come gli altri e rinnovo i ringraziamenti alle persone che seguono, commentano e apprezzano la storia :3 ma anche a quelle che spendono un click per leggere. Ci si becca sabato prossimo come sempre, sempre su questi canali!
Ormai credo di aver preso questa cosa come un appuntamento fisso, tipo un episodio di una serie tv. A presto, people! 

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Capitolo 5
*** IV Parte ***



DESCLAIMER: La storia è scritta senza fini di lucro, i personaggi non mi appartengono in nessun modo e non intendo offendere nessuno. Giuro. 
«Perché? Perché a me?! Che ho di tanto speciale? Sono solo un orfano, che caccia i mostri con il padre adottivo e il fratello minore!» PS. C'è l'avviso che i personaggi sono molto OOC.
PPS. Questo è un altro capitolo lungo, tutti i capitoli saranno lunghi d'ora in poi. Non mi sono regolata, sorry! 
 
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5 anni dopo, 18 settembre 2015

 
So stop time right here in the moonlight,
'Cause I don't ever wanna close my eyes.
 
Era stato difficile per Dean uscire da quel periodo così buio e privo di speranza, era stato difficile credere a Bobby, Sam e Jody che gli ripetevano che non era colpa sua, che se Sam aveva tentato il suicidio non era colpa sua, se sua madre era morta non dipendeva da lui. Per Dean, accettare tutto ciò, era stato difficile come scalare una montagna.
Aveva accettato di essere ricoverato, ed era rimasto in quella clinica per due anni, perché aveva sempre mentito, dicendo di stare bene, che sarebbe passato, invece, alla prima occasione ricadeva sempre nello stesso tunnel perché le parole della sua famiglia non avevano fatto breccia dentro di lui, per anni. Quando era stato dimesso, ormai pulito, ed aveva visto suo fratello sorridente ad aspettarlo fuori alla clinica, Dean iniziò a credere che qualcosa stesse cambiando nella sua vita.
Dopo essere tornato a casa, pian piano si era ripreso, anche se era stato difficile non ricadere in tentazione; si era rimesso in carreggiata, aveva accettato l’aiuto, partendo dalle piccole cose, come riparare i danni subiti dalla sua auto insieme a Bobby, arrivando a quelle più grosse, come chiedere scusa per il suo atteggiamento a tutta la sua famiglia e ai suoi amici. Aveva allontanato tutti, persino i pochi amici che aveva. Era stato difficile andare da Benny e scusarsi per essere sparito quella notte, era stato difficile raccontargli la verità, e ammettere di aver bisogno di aiuto, ma l’amico non lo aveva mai abbandonato, anzi. Si era unito alla sua famiglia e insieme a loro, lo aveva aiutato, lo aveva tirato fuori dal baratro in cui era precipitato. Sam in quel periodo di recupero era stato la sua roccia, tra tutti quanti era la persona che gli era stata più vicino, sia in clinica che fuori, e lo aveva aiutato ad uscire dall’abisso in cui era affondato; e in qualche modo lui aveva aiutato il minore, anche se non sapeva come, ma Sam continuava a ripeterglielo, quindi doveva essere vero, no?
Ed erano passati cinque lunghi anni. Dean era tornato al college da due, ma non aveva avuto il coraggio di sostenere nessun esame, dopo i primi che aveva fallito. Ormai avrebbe dovuto essere in procinto di laurearsi, non sostenere gli esami del terzo anno. Era notevolmente fuori corso, ma Bobby gli aveva assicurato che non era un problema. Dean però si era rimboccato le maniche, aveva trovato un lavoro part-time come barista, con l’aiuto di Benny che aveva garantito per lui, e aveva deciso di aiutare la famiglia con le spese del college, sia per lui che per Sam, che, nei suoi da poco compiuti, ventuno anni, frequentava il terzo anno di giurisprudenza. Il minore, dopo aver cambiato scuola ed aver superato quel buio periodo, si era diplomato con il massimo dei voti, era stato accettato al college e viveva al campus, mentre Dean aveva preferito restare a casa, come prima, e dirigersi al college solo per seguire, quando poteva, le lezioni e studiare. Adorava passare i pomeriggi in biblioteca, perché lì regnava la calma più totale e nessun brutto pensiero andava a bussare alla sua mente.
L’aveva superato, ma dentro di sé, sapeva che il senso di colpa non sarebbe mai andato via, sarebbe stato sempre una parte di lui, solo che ora, lo viveva in modo totalmente differente. Si sentiva sempre responsabile verso il fratello minore, e voleva sempre proteggerlo, ma doveva accettare che ora non fosse più un bambino piccolo e non avesse bisogno della sua supervisione minuto per minuto della sua vita. Dean era sempre stato super protettivo verso di lui, e sapeva che a ventisei anni le cose non potevano cambiare. Poteva però fidarsi del minore e accettare le sue scelte, dandogli consigli più o meno buoni, come non lasciare che degli stronzi ti mettano sotto, o se loro ti picchiano, tu picchiali più forte e simili. Sam, adesso, era un ragazzo totalmente nuovo, più sicuro di sé, più estroverso e più forte; tra un libro enorme e l’altro, si era concesso delle uscite abituali con gli amici – sì Dean, non tocco alcool fino al compimento dei ventuno anni, promesso e non ti sfascerò l’auto te lo giuro, me la presti? Ti prego, e si era dato anche alla pazza gioia con le ragazze, dopotutto non era affatto un brutto ragazzo, anzi, da loro era molto apprezzato. Dean era fiero e si fidava di lui, Sam lo seppe quando il fratello gli diede una scatola di preservativi con l’avvertimento di andarci comunque piano e di stare attento, Sam conosceva e comprendeva le motivazioni per cui il fratello si comportava così, quindi non ci provava nemmeno ad essere irritato. Il maggiore si era solo fatto promettere che qualunque cosa negativa fosse accaduta, l’avrebbero risolta insieme, senza atti estremi. E Sam aveva accettato, solo se il maggiore avesse fatto lo stesso, perché nessuno dei due doveva più ridursi in fin di vita per risolvere i loro problemi. Era una cosa su cui erano d’accordo entrambi. Erano di nuovo affiatati come lo erano stati prima di quell’orribile periodo della depressione e del tentato suicidio, ed entrambi non avrebbero potuto essere più uniti, si raccontavano ogni cosa, Sam quando era al campus e non vedeva il maggiore per troppo tempo, gli telefonava la sera, e restavano al telefono almeno un paio d’ore, raccontandosi le giornate e cose del genere, Sam non diceva mai apertamente che controllasse che il fratello non ricadesse in quell’abisso, Dean lo aveva capito, ma non obiettava, perché capiva la preoccupazione del minore.
Quella sera, era particolare. Il maggiore dei Winchester, in una sessione straordinaria d’esami, aveva superato il suo primo esame dopo anni. Era incredibile, ma vero. Dopo anni, era riuscito a superarne uno, e ora la strada poteva essere solo in salita. Per questo, Sam aveva insistito per portare Dean con sé ad una festa organizzata da alcuni compagni di lezioni, e Dean si era convinto ad andare con lui, solo perché il minore sapeva essere davvero molto insistente – e anche se lo nascondeva, era molto preoccupato per Dean, che, nonostante si fosse aperto con loro, ed ogni cosa fosse cambiata in meglio, era solo e sembrava non avere interesse per trovare qualcuno con cui essere felice. Gli voleva bene, e voleva solo che suo fratello maggiore fosse felice, in fondo, dopo tutto il dolore che aveva provato, si meritava un po’ d’amore e di felicità, ma Dean sembrava non essere dello stesso parere. Stavano bevendo delle bibite gassate brindando all’esame superato, e stavano festeggiando insieme in un locale, mentre intorno a loro alcuni ragazzi si divertivano, la musica non era molto forte e c’erano davvero molte persone, il minore si guardava intorno, sicuramente stava adocchiando qualche ragazza, e non si muoveva per non lasciarlo solo. Dean ridacchiò, adorava il fatto che il suo fratellino fosse un libro aperto per lui, Sam non riusciva più a nascondergli nulla ormai; gli appoggiò una mano sulla spalla e gli sorrise dolcemente, scuotendo la testa.
«Sammy, vai, io mi siederò da qualche parte e ti aspetterò» gli disse con sincerità. Non voleva che si privasse del divertimento per lui, non era giusto, se lui era noioso come un pensionato, non poteva trascinare con sé il minore.
«Dean, non voglio lasciarti solo» ribatté l’altro «Non è stata una grande idea venire qua, eh?»
«Non è così» rispose «Starò bene, ehi, sono io il pensionato tra noi due, vai a divertirti, ho visto alcune ragazze guardarti interessate» sorrise ammiccando e indicando con la testa un gruppetto di ragazze che ridacchiavano imbarazzate, guardando Sam.
«Idiota» borbottò, poi sorrise al fratello «Ne sei sicuro?» chiese ancora, preoccupato, Dean annuì, alzando lo sguardo al cielo, esasperato, e «Non toccare nulla di alcolico!» si raccomandò il più piccolo, al sono pulito da anni, Sammy, non preoccuparti, decise di fidarsi del più grande e allora si diresse verso una ragazza mora, che aveva notato poco prima, offrendole da bere. Dean prese un’altra lattina di coca cola e si sedette su un divanetto, guardandosi intorno con aria annoiata. Non c’era nessuno di interessante, apparentemente, o almeno così era per lui, a lui le feste non piacevano granché, da quando era uscito dalla clinica, per evitare le tentazioni, si era tenuto ben lontano da quelle feste, ma non aveva saputo dire di no, quando il fratello aveva insistito tanto per farlo divertire un po’ perché sembri un vecchio pensionato, Dee, andiamo, vieni a divertirti!  - aveva detto al telefono, quando lo aveva invitato. Stava sorseggiando la sua bibita, che quasi gli andò di traverso, quando improvvisamente, lo vide: tra le luci psichedeliche del locale, avanzava verso di lui un ragazzo niente male, aveva una postura dritta e il passo elegante, si guardava intorno un po’ spaesato, e stava camminando verso di lui, con una lentezza disarmante, ma sicuramente Dean non era l’interesse del suo avvicinamento. Indossava un trench beige che ondeggiava tra le sue gambe e Dean perse per qualche istante il fiato, alzando lo sguardo ed incrociando il suo, era davvero mozzafiato, anche se con quelle luci non riusciva a distinguere il colore dei suoi occhi. Smise di analizzarlo, quando fu ad un passo da lui e gli sorrise in modo incerto.
«Ciao» disse il bellissimo ragazzo arrivando di fronte a lui «Mi chiamo Castiel» si presentò porgendogli la mano. Dean si rese conto che stesse parlando proprio con lui e si riscosse un po’ stupito, guardando prima alla sua destra e poi alla sua sinistra per capire se parlasse davvero con lui o no. Da quanto tempo esattamente non parlava con qualcuno della sua età, a parte Benny? Troppo tempo forse. Ricordava vagamente gli amanti che aveva avuto cinque anni prima, ed aveva giurato a se stesso che non avrebbe più usato nessuno per del banale sesso, da allora la sua vita sentimentale era pari o meno di zero. Per questo, non capì subito se il ragazzo scherzasse o fosse serio. D’altra parte, si vedeva che trasudasse imbarazzo mal celato da ogni poro. Adorabile.
«Io sono Dean, piacere» disse sfoggiando uno dei suoi sorrisi migliori, beh, non voleva fare brutta figura. Insomma. Era il primo ragazzo carino che si avvicinava a lui dopo anni, era ovvio voler fare bella figura.
«È un po’ imbarazzante» disse Castiel, sorridendo in modo impacciato «Ma vedi, i miei amici laggiù» mormorò indicando due ragazzi che sghignazzavano agitando una bottiglia di birra «Mi hanno sfidato, per mettermi a disagio. Mi hanno chiesto se vedessi qualcuno di carino, e ho visto te, così loro hanno detto che dovevo invitarti a ballare e… scusa. Non sono esattamente uno che attacca bottone così con le persone, ma… ti sarei grato se non mi facessi fare una figuraccia» disse parlando troppo velocemente, si vedeva chiaramente che fosse a disagio ed imbarazzato e avesse agito solo per non far brutta figura davanti ai suoi amici «Magari non ti piacciono nemmeno i ragazzi e io sto facendo la figura dell’idiota» borbottò Castiel, a disagio «Insultami pure, oddio scusa!» esclamò, vedendo che l’altro non rispondeva. Cosa? A Dean sfuggì un sorriso intenerito, era bellissimo, ma impacciato, e stava parlando troppo, il vecchio se stesso lo avrebbe zittito con un bacio, ma ora? Ci aveva visto giusto, la sua era una sicurezza mal celata, e lui lo trovava dannatamente irresistibile. Poteva essere un normale ventiseienne per una volta, no? Si guardò intorno e vide Sam offrire da bere ad un’altra ragazza – che donnaiolo pensò – e sorrise rilassato, lui stava bene, quindi poteva divertirsi anche lui per una volta. Quindi sorrise con sincerità al moro di fronte a lui, e decise che sì, gli avrebbe fatto vincere la sfida, perché era adorabile, i suoi amici erano davvero due stronzi e si vedeva che stesse sudando freddo nell’attesa di una sua risposta e continuava a straparlare, scusandosi. Quanto tempo era stato in silenzio, esattamente?
«Va bene, Castiel» disse posando la sua bibita sul primo tavolino a tiro e alzandosi in piedi «E tranquillo, i ragazzi carini mi piacciono» affermò ammiccando, vedendo l’altro arrossire come un tizzone, non voleva fare lo spaccone, ma visto che non era stato lui a ricercare la situazione… poteva approfittarne un po’, giusto? Sam avrebbe detto di sì, così afferrò Castiel per mano e lo trascinò con sé in pista. Il ragazzo poteva avere sì e no, tre o quattro anni in meno di lui e dopo un primo momento di smarrimento, lo guardò con riconoscenza, e impacciatamente si posizionò davanti al biondo, che sembrava saperne di più. «Rilassati, non ti mangio mica» scherzò. Castiel avvampò di nuovo e Dean sorrise intenerito, ballarono un po’ insieme, in maniera davvero orribile da guardare, erano due pezzi di legno entrambi – chi per un motivo, chi per un altro – così Dean ritenne opportuno interrompere quello spettacolino patetico e invitare Castiel a bere qualcosa insieme, magari per conoscerlo meglio. A pelle, gli sembrava una brava persona. Ora che lo guardava più da vicino, restò affascinato dai suoi occhi, erano di un azzurro puro, bellissimo, così limpidi da potersi specchiare dentro, Dean a primo impatto restò senza fiato per qualche istante, Castiel ricambiò lo sguardo, fissando i suoi occhi blu in quelli del verdi biondo, che temette per un attimo che potesse leggergli l’anima attraverso quello sguardo, e si sbrigò a guardare altrove, portando l’attenzione sulla bevanda che aveva tra le mani.
«Non ti ho mai visto in giro» disse Castiel, bevendo un sorso dalla sua bibita, aveva ordinato anche lui una coca cola, perché lui l’alcool proprio non lo reggeva. Adorabile al quadrato – pensò Dean. «Non vivi al campus?»
«No, in effetti» rispose il ragazzo «Studio ingegneria meccanica, e sono leggermente fuori corso, quindi studio a casa e do gli esami, quando posso seguo le lezioni» spiegò, l’altro annuì e fece un sorriso «Tu invece?»
«Io studio lettere» rispose «Nemmeno io vivo al campus, ma ci vado molto spesso» disse abbozzando un sorriso «Ma non frequento molte feste, non sono il mio genere, preferisco restare a casa a guardare film o serie tv». Dean non riusciva a staccare gli occhi da quelli del moro, erano semplicemente delle calamite per lui. E, davvero, quello doveva essere il suo giorno fortunato, perché aveva trovato qualcuno che come lui detestava le feste e non toccava alcool, per i motivi diversi dai suoi, ma poteva accontentarsi.
«Nemmeno io adoro troppo questo genere di cose. Mi ha trascinato mio fratello, Sam» disse indicandolo, mentre il fratellino si divertiva con quella ragazza – sperava solo che questa non facesse del male al più piccolo, ignaro che probabilmente sarebbe stato il fratello a spezzarle il cuore «Per festeggiare il fatto che dopo decenni abbia superato un esame» scherzò. E in effetti era vero, perché quello che aveva sostenuto, era, in effetti, il primo esame che riusciva a superare dopo la sua pausa di riflessione – così chiamava il periodo in cui si era gettato nell’autodistruzione e non aveva aperto un libro nemmeno per errore – dallo studio. Aveva provato a darne alcuni, ma aveva sempre fallito, o si era tirato indietro, troppo spaventato dall’idea di fallire. Castiel ovviamente non sapeva tutto ciò e si limitò a sorridergli e a porgergli il bicchiere con fare allegro, esclamando: «Allora ci vuole un brindisi!»
Dean lo assecondò, prese la sua bibita e brindò con lui a quell’avvenimento miracoloso. Dopo aver finito le loro bevande, i due uscirono fuori all’aria aperta, dentro avevano alzato il volume della musica e chiacchierare era diventato impossibile, poi il caldo e quelle luci avevano spinto i due non-amanti-delle-feste ad uscire fuori dal locale e a camminare fianco a fianco per qualche metro. Passeggiarono fuori dal locale, che non distava molto dall’appartamento in cui Castiel viveva, e chiacchierarono di un po’ di cose. Dean scoprì che il ragazzo aveva ventitré anni, era al terzo anno e si sarebbe laureato nel giro di un paio d’anni. Castiel era davvero simpatico, forse un po’ timido per essere il ragazzo che si era avvicinato a lui; gli spiegò che i suoi coinquilini adoravano prenderlo in giro, e quando potevano cercavano di metterlo in imbarazzo. Magari aveva solo accettato la sfida e non gli piacevano nemmeno i ragazzi, Dean doveva mettere in conto quest’ipotesi, perché anche lui con Benny aveva fatto stronzate simili – soprattutto al lavoro, e Benny lo insultava ogni volta che gli lanciava quelle sfide idiote.
«Ti ringrazio, Dean» disse Castiel sorridendo, interrompendo il flusso dei pensieri di Dean. Santo cielo, il suo nome pronunciato da lui sembrava davvero bello e melodioso «Almeno stavolta, non tornerò all’appartamento con loro che mi prendono in giro per aver fallito, di nuovo». Dean sorrise e gli mise una mano sulla spalla, con fare amichevole. Decise che non avrebbe fatto l’invadente chiedendo a cosa si riferisse con di nuovo, anche se dentro di sé voleva solo chiedergli di restare ancora un po’ con lui. Patetico.
«Beh, quando avrai bisogno di rimorchiare qualcuno per fare bella figura, conta pure su di me» disse ammiccando. Vide il volto di Castiel diventare di mille colori, e gli venne spontaneo ridacchiare; la sua risata coinvolse Castiel, che lo guardò con riconoscenza. Restarono ancora un po’ fuori, a chiacchierare, lontani dalla confusione, cercando di conoscersi meglio. Quando i coinquilini di Castiel, Gabriel e Michael, li raggiunsero sghignazzando, si complimentarono con l’altro per aver vinto la scommessa che avevano fatto, il sorriso che spuntò sulle labbra del moro scaldò il cuore di Dean. Castiel lo salutò con un dolce sorriso e un bacio sulla guancia e poi sparì nell’auto del suo amico. Dean, quando tornò a casa, si pentì di non avergli chiesto il numero.
 
Due settimane dopo.
Dean era nella biblioteca del dipartimento di lettere a studiare, la scusa che aveva rifilato a suo fratello, era che in quella del dipartimento di ingegneria c’era troppa gente e il caldo opprimente – e non era nemmeno una bugia, per essere la fine del mese di settembre, faceva davvero troppo caldo; si stava avvicinando l’autunno e faceva caldo come se fosse stato agosto, e tutti sapevano che Dean non sopportasse il caldo. In realtà, lui studiava lì solo per avere la possibilità di incontrare di nuovo Castiel, che studiava lettere. Sapeva che il suo atteggiamento risultasse un poco da stalker, ma era stato più forte di lui. Stava studiando, quando Benny gli scrisse per messaggio che il suo turno al bar era stato spostato alle quattro del pomeriggio, invece che alle sei, perché quella mattina uno dei loro colleghi si era ammalato di influenza. Dean sbuffò, ma poi si disse che avrebbe avuto più soldi, così da poterne mettere di più da parte per quel famoso viaggio che aveva in programma con il fratello minore dopo la laurea di entrambi – si erano promessi che un giorno avrebbero girato insieme tutta l’America, a caccia di avventure a bordo dell’auto di Dean. Controllò l’ora, era mezzogiorno, aveva ancora un’ora prima di ritornare a casa. Avvisò Sam con un messaggio che sarebbe andato via prima, per andare al lavoro, e poi riprese a studiare nel più totale silenzio, che fu spezzato da un gran fracasso, alcuni ragazzi ridevano e dei libri cadevano. Dean alzò lo sguardo verso il punto da cui arrivavano le risate e vide il ragazzo della festa, Castiel, chinato per terra, che cercava di raccogliere i propri libri mentre degli idioti dietro di lui sghignazzavano; e fraintese ogni cosa. Dean, che aveva visto suo fratello distrutto per quei comportamenti, si sentì chiamato in causa e si alzò, raggiungendo lentamente i ragazzi. Sentiva una rabbia feroce ribollire dentro di lui, ma ricordava bene la reazione dei bulli che avevano avuto contro Sam, quando aveva usato la violenza; quindi nonostante la rabbia decise che avrebbe usato la diplomazia. Decise che, avendo fallito con suo fratello al tempo, avrebbe protetto questo ragazzo dai bulli. C’era qualcosa che lo spingeva verso di lui, e non capiva il motivo. Si diceva di non voler vedere un’altra persona soffrire nel modo in cui aveva sofferto Sam.
«Qualche problema?» domandò, ai ragazzi, guardando poi Castiel e chiedendogli «Stai bene?»
Lui annuì, e gli sorrise leggermente mormorando: «Sì tranquillo, sono inciampato, c’era uno scalino».
Quando non udì risposta dagli altri ragazzi, li guardò torvamente e ripeté: «Qualche problema?»
«No!» esclamò uno dei due, davanti allo sguardo minaccioso del biondo «Scusa, non volevamo ridere, ma è stata una caduta epica!» esclamò uno dei due, porgendogli la mano, aiutando Castiel a rimettersi in piedi, e poi allontanandosi da loro. Dean sorrise e, dopo avergli raccolto i libri da terra, si voltò verso di lui, che lo guardava confuso e riconoscente allo stesso tempo, porgendoglieli. Castiel non sapeva cosa fosse accaduto in quel momento, gli era capitato che ridessero delle sue epiche cadute, perché gli capitava spesso di scivolare o cadere nei suoi stessi piedi, era un po’ un tipo con la testa tra le nuvole, ma l’aiuto e le scuse che gli avevano rivolto non erano mai accadute… e come diavolo aveva fatto Dean?
«Grazie» mormorò «Come… come hai fatto?» chiese il ragazzo, prendendo i suoi libri dalle mani dell’altro «Li hai mandati via con uno sguardo solo, come hai fatto?»
«Esperienza con brutte persone» gli disse semplicemente, poi lo guardò attentamente, a differenza della festa, portava degli occhiali neri e indossava una felpa con la zip aperta, da cui si intravedeva una t-shirt di Star Wars, e dei jeans chiari. Adorabile. Un piccolo nerd, un po’ come Sammy. Dean si ritrovò a sorridere, perché gli ricordò suo fratello, e quanto avesse insistito per guardare insieme tutti i film di Star Wars in ordine cronologico, era una cosa che non aveva mai capito, ma si fidava di lui, quindi lo aveva lasciato fare. Inutile dire che Sam lo aveva coinvolto e adesso adorava anche lui quel tipo di film. Aspettava con impazienza che il fratello tornasse per il weekend a casa per poter guardare quei film da nerd con lui – non si erano limitati a Star Wars, no, Sam gli aveva fatto vedere qualunque film fantasy o fantascientifico o sui supereroi conoscibile, dagli Avengers agli X-Men, alla Justice League e non si erano limitati ai film, no, Sam gli aveva fatto vedere anche molte, moltissime serie tv. Avevano questa piccola cosa che facevano insieme, soprattutto il weekend che si incontravano a casa, ed era servito molto al loro rapporto ritrovato, era come se guardare film e serie tv insieme, li avesse fatti tornare gli stessi Sam e Dean di qualche anno prima, prima del tentato suicidio di Sam, prima del ritorno di John.
«Grazie… wow, che brutta figura che ho fatto» disse piano un po’ a disagio, grattandosi la nuca con una mano. Dean si sentì un po’ in colpa per essersi imposto in quel modo «Stavo pensando a delle cose e non mi sono accorto dello scalino» ci tenne a specificare, sentendosi a disagio davanti a Dean, davanti al quale aveva fatto una figuraccia di dimensioni epiche «E loro hanno visto tutto, e hanno trovato la cosa divertente» spiegò.
«E io che pensavo ti avessero spinto» borbottò Dean, sollevato «Beh, sono contento che sia stato solo un malinteso» disse. Castiel restò immobile per un attimo, aveva pensato che avesse qualche problema riconducibile al bullismo ed era intervenuto? Si ritrovò a sorridere al pensiero che esistessero persone così buone di cuore, non ne aveva mai incontrate prima. Sì, a volte capitava, che alcuni scapestrati si divertissero a prenderlo in giro solo perché era un po’ nerd; non avevano mai fatto niente di grave, a parte qualche sfottò generale sulle sue improbabili t-shirt o sui suoi discutibili gusti di moda, ma a Castiel poco importava di loro, lui era se stesso e basta; a volte rispondeva anche a tono, ma nessuno aveva mai preso le sue difese… e lui aveva appena fatto una figuraccia davanti a lui, cadendo come un vero e proprio idiota.
«Ti ringrazio» mormorò «Scusa per la brutta figura» disse abbassando lo sguardo sui suoi piedi.
«Tranquillo, sai quante volte Sam è caduto?» scherzò, vedendo Castiel rilassarsi un po’ «Comunque, studio spesso in questo dipartimento perché è più tranquillo, se hai bisogno fai un fischio» disse ammiccando, sarebbe stato imbarazzante dirgli che era lì perché sperava di incontrarlo di nuovo «Se vuoi sederti, il tavolo è libero» lo invitò sorridendo, e poi gli sorrise e concluse dicendo: «Comunque bella maglietta».
Castiel arrossì davanti all’invito e all’apprezzamento del ragazzo, e sorrise, non gli capitava spesso di incontrare suoi coetanei che apprezzassero Star Wars e i pochi esemplari che conosceva si riducevano ai suoi coinquilini.
«Ti piace Star Wars?» chiese e si sedette accanto a Dean, che gli sorrise cordialmente.
«Sì» ammise «Cioè, il vero patito è mio fratello, ma alla fine è piaciuto anche a me» rispose e Castiel si ritrovò ancora una volta a sorridere, perché era un bravo ragazzo e apprezzava Star Wars, avrebbe voluto chiedergli se gli piacessero altri film, ma credette di essere troppo sfacciato, e dopo avergli detto che suo fratello avesse ottimi gusti, lasciò cadere il silenzio tra di loro. Studiò per un’ora abbondante accanto a lui, poi lo vide alzarsi e: «Ci vediamo, Cas, devo scappare per andare al lavoro… magari qualche volta puoi venire a trovarmi» azzardò, con mezzo sorriso sul volto.
Castiel arrossì a dismisura davanti a quell’invito, e non riuscì a trattenersi dall’esclamare e dal chiedere: «Con piacere! Dove lavori?» chiese interessato, facendo accigliare Dean.
«In un bar in città» rispose il ragazzo, dopo un breve momento di sorpresa e poi gli scrisse l’indirizzo del bar su un post-it, porgendoglielo con un sorriso; Castiel promise che sarebbe andato il prima possibile, pensò che magari avrebbe invitato Gabriel o Michael ad andare con lui, per non sembrare troppo sfacciato a Dean. Non nascondeva che l’incontro con lui era stato davvero sconvolgente in senso positivo, e aveva avuto voglia di incontrarlo di nuovo, ma non aveva neanche il suo numero. Prima che potesse realizzare che non lo avesse ancora, Dean era già schizzato fuori dalla biblioteca ed era sparito dalla sua vista. Castiel sorrise appena scuotendo la testa, e tornò a studiare, sovrappensiero.
Solo quando fu in auto, il biondo si rese conto di non avergli nemmeno chiesto il numero. Entrambi, quel pomeriggio, si pentirono di nuovo di non essersi scambiati ancora i numeri di cellulare.
 
Dean stava lavorando, puliva il bancone con movimenti rapidi e veloci, sperando che Castiel andasse lì, era un idiota, non gli aveva nemmeno lasciato il numero di cellulare e non sapeva se avesse accettato o meno il suo velato invito, certo magari non doveva aspettarsi che si presentasse quella sera, dopotutto aveva detto qualche volta. Non sapeva cosa fosse scattato in lui, quando l’aveva incontrato, Castiel gli aveva trasmesso una strana calma interiore, non si era mai sentito così in presenza di qualcuno. Aveva servito degli alcolici – ormai non sentiva nemmeno più il desiderio di bere – a due neo-ventunenni e sorrise pensando a quando aveva fatto bere il suo primo drink a Sam, e lui non aveva retto per niente, anche se aveva già l'età legale per bere, sperava che non facesse scelte stupide. Ridacchiò al pensiero di Sam brillo e continuò a lavorare, finché non vide entrare Castiel. La porta si aprì e lui entrò sotto le luci soffuse del bar, forse era l’atmosfera, ma a Dean sembrò un essere sovrannaturale in quel momento, il trench beige ondeggiava ai suoi piedi, come la prima volta che l’aveva incontrato, aveva l’aria un po’ smarrita e con lo sguardo – quei bellissimi occhi azzurri che avevano rapito la mente del biondo – cercava qualcuno. Dean sperava che fosse lui, anche perché chi poteva conoscere in quel bar? Uno dei suoi colleghi era Benny, che aveva il giorno libero, l’altro ragazzo, quello malato, non frequentava il college e di certo non poteva conoscere il cassiere che ad occhio e croce aveva l’età di Bobby. L’aveva invitato lui, perché diavolo faceva tutte queste supposizioni inutili?
Poi finalmente lo vide avvicinarsi al bancone e gli sorrise cordialmente. Santo cielo, il sorriso di Castiel era davvero meraviglioso, Dean non aveva altre parole per descriverlo, i suoi occhi blu brillavano nella penombra del locale, e il barista temette davvero di fare qualche azione impropria di fronte al ragazzo. Dannazione, Dean, datti un po’ di contegno, non sei un adolescente, hai ventisei anni! – si disse mentalmente. Castiel prese posto esattamente di fronte a lui, e sì, Dean si rese conto che lo stesse provocando un po’, perché quelle movenze lente e sensuali non potevano essere spontanee, altrimenti avrebbe dovuto pensare che il ragazzo, davvero, non fosse umano.
«Ciao Dean» disse sorridendo «Sono riuscito a venire, in realtà credo di essermi perso, prima di arrivare» mormorò un po’ imbarazzato «Non sono molto pratico della città, sono venuto in autobus» spiegò. Dean spalancò gli occhi, allibito «Fortunatamente ho chiesto in giro e ho trovato la strada» disse con semplicità, e il biondo non riuscì a reagire subito. Castiel aveva preso l’autobus per andare da lui? Davvero? Quasi non credeva alle sue orecchie, era… strano per lui.
«Ma non dovevi…» mormorò quasi in imbarazzo – e no, lui non era un tipo che si imbarazzava facilmente - «Davvero, bastava dirmelo…» ma Castiel scosse la testa e sorrise dolcemente, facendo perdere un battito a Dean.
«Mi andava di vederti» disse con sincerità, il biondo lo guardò con gli occhi sgranati «E poi volevo ringraziarti per avermi aiutato stamattina» spiegò sorridendo, avrebbe voluto portare Michael o Gabriel, ma entrambi erano impegnati e lui aveva davvero troppa voglia di incontrare Dean, di nuovo. Non voleva che si dimenticasse di lui.
«Davvero, io… non c’era bisogno che tu venissi fin qua in autobus» farfugliò il ragazzo, in evidente imbarazzo. Si riscosse quasi subito, anche se non capiva quale assurdo potere avesse quel moro su di lui. Non si era mai sentito in questo modo con qualcuno, e per lui era una cosa totalmente nuova, e anche un po’ strana. Immediatamente, offrì al ragazzo un drink analcolico, e una coppetta con delle noccioline. Il ragazzo lo accettò di buon grado e, mentre Dean serviva altri clienti, lo osservava ammirato. Anche a lui aveva fatto uno strano effetto incontrare quel giovane, nessuno dei suoi conoscenti si era mai esposto tanto per lui, e invece il biondo senza nemmeno conoscerlo aveva preso le sue difese, senza pretendere nulla in cambio. Avevano studiato insieme, e quando Dean lo aveva invitato al bar dove lavorava, beh, Castiel non aveva esitato nemmeno un attimo a raggiungerlo, e poi, era sincero, aveva avuto voglia di rivederlo fin dalla festa, e non aveva esitato a cogliere l’occasione. Dean sembrava una di quelle persone che una volta entrate nella tua vita, poi faticavano ad uscirne. E poi, Castiel non poteva fare a meno di apprezzarlo fisicamente, insomma, era davvero un bel ragazzo, occhi verdi, stanchi, che nascondevano dietro di loro chi sapeva quale storia, capelli biondi un po’ spettinati e fisico asciutto. Wow.
«Ascolta, Cas» richiamò la sua attenzione il barista, facendolo sorridere, erano già passati ai soprannomi? «Non accetto un no come risposta, tra qualche ora finisco il turno, ti accompagno io al tuo appartamento».
«Ma no, davvero…» cercò di obiettare, ma Dean non glielo permise.
«Insisto» disse sorridendo «Non vorrei che qualche malintenzionato possa far del male a un bel ragazzo come te» disse, facendo arrossire nuovamente Castiel, che non si aspettava quel complimento. Dean fece a se stesso un promemoria mentale, in cui si ricordava di fare complimenti al ragazzo su quanto fosse bello, solo per poter vedere di nuovo le sue guance prendere fuoco in quel modo. Gli sorrise ancora, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
«Va bene… accetto» si limitò a dire il moro, con l’aria ancora confusa. Gli occhi di Dean si illuminarono subito e gli indicò dei divanetti in fondo alla sala, dove sarebbe stato tranquillo. Ogni tanto gli portava delle bibite e gli sorrideva in modo imbarazzante e tra una cosa e l’altra, il suo turno terminò. Saldò il conto aperto a nome suo – non avrebbe fatto pagare un centesimo al moro – aiutò il proprietario con la chiusura della cassa e del bar, ritirò la sua paga quotidiana, e verso mezzanotte ritornò da Castiel, stanco, ma con il sorriso sulle labbra.
«Scusa, oggi eravamo a corto di personale» si giustificò, con mezzo sorriso «Muoio di fame, che ne dici di andare a mangiare un hamburger?» chiese, Castiel strabuzzò gli occhi «So che è tardi, ma… se non ti va ti riaccompagno, eh…»
«Questo è un modo carino per invitarmi ad uscire?» domandò l’altro. Dean si sorprese, sembrava un ragazzo impacciato, timido e con poca esperienza, e invece riusciva anche a tirare fuori una certa sicurezza, che intrigava Dean.
«Beh, sì. È stato un po’ patetico, lo ammetto».
«L’ho trovato adorabile» disse Castiel alzandosi e sorridendogli, gli sfiorò il braccio passandogli accanto, e Dean si limitò a sorridere come un idiota e a condurlo verso la sua auto, parcheggiata nel garage dietro al bar. Mentre arrivavano all’auto non dissero molto, però si guardarono in un modo, che fu definito da Dean, imbarazzante. Si sentiva davvero come un adolescente in preda ad una crisi ormonale, davanti al ragazzo per il quale aveva una cotta e non riusciva a trovare niente di sbagliato in tutto quello. Anche se era un po’ patetico, non si era mai sentito in quel modo.
Silenziosamente si avvicinarono all’auto, Castiel appena la vide strabuzzò gli occhi, Dean l’aveva rimessa totalmente a nuovo, e se ne prendeva cura ogni giorno: si assicurava che l’olio fosse sempre giusto, che il motore non avesse alcun problema, che i freni fossero a posto, e spesso lucidava la carrozzeria, anche se apparentemente non ce n’era bisogno, quell’auto era un gioiello.
«Wow, è magnifica» aveva sussurrato il moro, stupito.
«Tratto bene la mia piccola» disse Dean entrando nell’auto, invitando Castiel a fare lo stesso. Il ragazzo lo seguì in pochi istanti e subito il biondo gli spiegò che avesse sistemato lui quella macchina, perché quando gli era stata regalata era ferma da anni e Castiel lo guardò ammirato per la quinta volta in una giornata. Il biondo accese lo stereo e, mentre della buona musica rock si espandeva nel piccolo abitacolo, guidò verso uno dei fast-food aperti a quell’ora. Si lasciarono cullare dal suono della musica, non parlarono molto, scrutandosi l’un l’altro interessati. Appena arrivarono, Dean cercò parcheggio, ma a quell’ora era tutto pieno, doveva esserci qualche sorta di festa o simili. Così dovettero optare per il drive-in, Castiel scoppiò a ridere alla reazione di Dean al fatto che dovessero mangiare in auto e Dean annotò la risata di Castiel come il suo più bello dell’universo.
Patetico sdolcinato.
Consumarono la cena in auto, qualche isolato più in là, ridendo tra di loro e di alcuni aneddoti che si raccontarono, Dean raccontò di Sam che gli imponeva di guardare Star Wars e Il Signore degli Anelli periodicamente, per non parlare delle maratone dei vari film sui supereroi e Harry Potter; e Castiel sentiva man mano di aver trovato la persona giusta con cui passare il tempo. Dean era spiritoso, divertente, e galante; davvero, quella di Castiel era stata una pura botta di fortuna, e ne era davvero felice.
«Sai, dovremmo organizzare una bella maratona di… qualcosa» azzardò Castiel, restando vago «Ci piacciono gli stessi film e… Potremmo sentirci e-» balbettò, imbarazzandosi man mano che parlava.
«Questo è un modo per chiedermi il numero di telefono?» lo interruppe Dean, ridendo leggermente senza scherno nella voce. Stava solo facendo il verso a quello che Castiel, poco prima gli aveva chiesto al bar. Il moro arrossì a dismisura, e l’altro giurò che i suoi occhi avessero brillato di luce propria in quel singolo istante.
«Può darsi» mormorò imbarazzatissimo «Sarebbe così sconveniente?»
«Tutt’altro» disse Dean sorridendo, prese tra le mani il cellulare di Castiel e digitò velocemente il suo numero sul display, ridacchiando sommessamente. Poi scrisse un messaggio al proprio numero dal cellulare dell'altro, e salvò nel proprio telefono il suo numero.
Poco dopo, Dean stava guidando verso l’appartamento del ragazzo, con un Castiel mezzo addormentato sul sedile accanto al proprio, lo guardò per un attimo e sorrise dolcemente, intenerito da quella vista. Gli sfiorò la guancia e gli spostò un ciuffo di capelli ribelle dalla fronte, sentendosi un vero idiota, ma in modo positivo.
Non sapeva come spiegarlo, ma quel ragazzo aveva portato una ventata di positività nella sua negativa e triste vita.


_________
E' già passata una settimana? Non mi sembra vero. 
Anyway, hola people! Finalmente Cas è qui!! Ora è tutta una strada in salita per Dean. Habemus un numero di capitoli! Sono 13 compresi di prologo ed epilogo, ho finito di scrivere tutto questa settimana e mi sento un po' vuota. Mi sono resa conto che tutti i capitoli sono intorno alle 5/6mila parole, spero che per voi non sia un problema! 
Vi è piaciuto l'ingresso di Cas? E Dean riuscirà ad essere felice? Vi piace il ritrovato rapporto tra Sammy e Dean?
Michael e Gabriel sono i migliori amici di Cas, non sono stronzi, sono i cupidi della Destiel aw.
Spero che il capitolo via sia piaciuto e non vi siano errori! Ci si becca come sempre su questi canali, la settimana prossima! Come ogni settimana rinnovo i ringraziamenti a chiunque abbia speso un click per leggere, le persone che seguono, preferiscono e ricordano la storia, e le mie commentatrici abituali! Grazie mille a tutti del supporto! Stay tuned!
A presto! 

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Capitolo 6
*** V Parte ***


DESCLAIMER: La storia è scritta senza fini di lucro, i personaggi non mi appartengono in nessun modo e non intendo offendere nessuno. Giuro.
PS. C'è l'avviso che i personaggi sono molto OOC, e in questo capitolo qualche riferimento al canon, ma riadattato alla trama.

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Ottobre 2015
 
With you I'm a beautiful mess.
It's like we're standing hand
in hand with all our fears upon the edge.
 
Castiel Novak era scivolato pian piano nella vita di Dean, così lentamente che il ragazzo nemmeno se ne era accorto, semplicemente il giorno prima non c’era e il giorno dopo era ovunque. Sebbene fosse entrato da relativamente poco tempo, circa qualche settimana, nella sua vita, Dean aveva l’impressione che ne avesse sempre fatto parte, perché nel modo di parlarsi e comportarsi tra di loro, sembravano conoscersi da anni, tanto si sentivano a proprio agio l’uno con l’altro. Dopo la serata che avevano trascorso insieme, al bar dove lavorava Dean, si erano incontrati per caso, sempre più spesso in biblioteca, quella di lettere, dove per caso Dean si trovava a studiare, casualmente ogni volta che c’era anche l’altro – e no, Dean si ripeteva, il suo atteggiamento non era affatto da stalker, era puramente casuale. Studiavano insieme e, quando potevano, pranzavano insieme, ma evitavano la mensa del campus, a loro piaceva pranzare in una tavola calda poco distante. Dean aveva riso quando la prima volta che erano usciti a pranzo, Castiel aveva preso solo un’insalata, sostenendo che le verdure facessero bene. Era il gemello nascosto di Sam, ne era certo, come suo fratello, il ragazzo aveva la fissa per le cose salutari e poco grasse, a differenza del biondo per il quale, il cibo, se non colava grasso e colesterolo, non era commestibile. Si frequentavano, come amici, relativamente da poco, ma Dean provava già fiducia verso il moro, era una sensazione strana, non l’aveva mai provata prima, ma con Castiel si sentiva esattamente a suo agio. Era la cosa più strana e al contempo bella che gli accadeva da anni.
Erano di nuovo a pranzo insieme, in quella che era diventata la loro tavola calda. Castiel indossava una felpa nera con la scritta STAR laboratories, Dean non aveva capito a quale serie tv fosse ispirata e si disse che avrebbe chiesto a Sam, perché era lui il massimo esperto di serie tv e relativi gadget; però a Cas quella felpa stava davvero bene, gli stava un po’ larga e gli donava quell’aria da ragazzo piccolo e indifeso che gli aveva visto la prima volta in biblioteca. Non riuscì a trattenersi dal pensare se anche i suoi vestiti potessero andargli larghi in quel modo… e no, doveva eliminare dalla mente quell’immagine. Lui non era interessato sentimentalmente a Castiel, no, ma non poteva negare che fosse attraente, perché insomma con quegli occhi blu, quei capelli scuri che contrastavano con la sua pelle chiara, era dannatamente attraente, e neppure se ne accorgeva. Non sei una ragazzina alle prese con la sua prima cotta, Dean, datti un contegno – si disse, obbligandosi a non guardare il moro nel modo in cui lo stava fissando. Si concentrò sul suo cheeseburger, ecco, sì, quello era davvero buono e invitante, e…
«Dean» lo chiamò l’altro interrompendo il suo flusso di pensieri senza senso, storcendo il naso, mentre lo osservava; e cielo, il ragazzo non si sarebbe mai abituato al suono del suo nome detto da Castiel «Non pensi di esagerare con queste schifezze?» chiese inclinando appena la testa, alludendo al doppio cheeseburger che il biondo stava trangugiando senza alcun ritegno. Gli sembrava di essere a pranzo con Sam, davvero, avevano lo stesso sguardo disgustato nel guardare quelle prelibatezze. Davvero, cosa ci trovavano nelle cose verdi?
«Nah, sto bene» rispose, deglutendo e addentando nuovamente il suo cheeseburger «Tu piuttosto non credi di aver imitato abbastanza le pecore con quelle cose verdi?» chiese sarcasticamente, Castiel in risposta alzò gli occhi al cielo, trattenendo una risata. Oh, mio dio, smettila di fare così, Castiel, mi fai impazzire – pensò Dean guardando il ragazzo di fronte a sé. Adorava passare il tempo in compagnia di Cas, era spiritoso, brillante e intelligente, si imbarazzava per banali complimenti e rideva alle sue stupide battute; ogni uscita con lui, era una boccata d’aria fresca e positività per Dean, persino quegli stupidi battibecchi su quale cibo fosse migliore lo facevano stare bene. Non sapeva perché, ma con lui si sentiva davvero bene, e uscire con lui gli faceva bene, Sam gli avrebbe detto di cogliere l’occasione e lui lo stava facendo, non c’era nulla di male, in fondo, no?
«Si chiama insalata» spiegò come se stesse parlando con un bambino di cinque anni, trattenendo le risate «Te l’ho detto, preferisco il cibo salutare piuttosto che rovinarmi lo stomaco con il cibo spazzatura» disse seriamente, sistemandosi gli occhiali sul naso, Dean rise. Era assurdo che preferisse mangiare verdure, piuttosto che quelle prelibatezze.
«Come vuoi…» mormorò, prendendo una patatina e intingendola nel ketchup «Vedi, mangio anche io le verdure, il ketchup è fatto di pomodoro, il pomodoro è una verdura» spiegò, convinto delle sue parole, mentre Castiel scuoteva la testa e si lasciava andare in una risata divertita, stavolta. Dio, sei un idiota, Winchester – pensò il moro.
«Come no» ironizzò, guardando l’altro con sfida «Qualche volta ti preparo io qualcosa, così vedi che le verdure non sono poi così male» affermò, senza rendersi conto minimamente che quello potesse risultare una sorta di invito.
«Questo dovrebbe essere un invito a cena?» scherzò immediatamente Dean «Andiamo, Cas, sai fare di meglio» lo ribeccò, guardandolo negli occhi, c’erano questi lievi flirt tra di loro, che il biondo catalogò come semplici scherzi tra amici. Castiel si sentì decisamente a disagio sotto il suo sguardo, ma cercò di non dar a vedere il proprio imbarazzo, fallendo miseramente. Dean rideva sotto i baffi, ma senza scherno, a lui avrebbe fatto piacere un invito, come amico, ovviamente.
«Quanto sei stupido…» borbottò arrossendo, abbassando lo sguardo sulla sua insalata. Il biondo adorava il suo modo di imbarazzarsi anche per le cose più piccole, quell’espressione dolce che aveva, e il modo in cui poi dopo si torturava le mani, senza sapere come uscire dall’imbarazzo. Semplicemente adorabile.
«Comunque per me va bene» disse, smorzando l’imbarazzo del momento e Castiel gliene fu grato «Ma dubito che tu riesca a farmi apprezzare le verdure, Sam non ci è mai riuscito» lo sfidò, ridacchiando, insomma suo fratello aveva cercato per anni di convincerlo a cambiare piano alimentare, ma non ci era mai riuscito.
«Bene… allora accetto la sfida. Ma se ti faccio apprezzare qualcosa di diverso da cheeseburger e simili, tu limiterai il cibo spazzatura per un mese» impose il moro, sfidandolo a sua volta.
«Un mese? No, no! Tu sei pazzo!» obiettò il biondo, terrorizzato.
«Ti stai già tirando indietro?» chiese guardandolo negli occhi, Dean ebbe come la sensazione che quegli occhi potessero penetrare a fondo dentro di lui e leggere tutte le cose sbagliate che avevano caratterizzato la sua vita. Deglutì, prima di distogliere lo sguardo e abbassarlo nuovamente sul suo cheeseburger. Doveva dissimulare quel momento di debolezza che aveva avuto. Perché si sentiva così? Non gli era mai capitato con nessuno. Cosa gli stava facendo Castiel?
«No, accetto la sfida, tanto non mi farai apprezzare nessuna verdura, pft».
«Vedremo» disse sorridendo beffardamente. Dean non sapeva che Castiel amava cucinare, e per lui qualunque scusa era buona per mettersi in cucina e dare il meglio di sé, lo conosceva ancora così poco... «Facciamo domani sera».
«Dove?» si ritrovò a chiedere, per un istante aveva dimenticato che non viveva al campus, ma in un appartamento.
«A casa mia, no? Gabriel e Michael non ci saranno, sicuramente andranno ad una festa. Sai dov’è mi hai accompagnato spesso» spiegò sorridendo. Dean boccheggiò un attimo, come faceva Castiel a passare da nerd secchione adorabile a ragazzo sicuro e sfacciato in meno di tre secondi? E, subito dopo, si chiese se davvero meritasse tutto quell’interesse da parte di una persona che non faceva parte della sua famiglia; poi si ritrovò a sorridere, la semplicità con cui Castiel diceva le cose lo lasciava sempre spiazzato e senza parole, era timido, e si imbarazzava spesso, ma riusciva anche a sorprenderlo, piacevolmente. Cas era una continua scoperta e Dean aveva il desiderio di conoscerlo meglio, al diavolo i suoi dubbi esistenziali, poteva avere un amico che non fosse quell’idiota di Benny, no?
«Va bene… a casa tua» mormorò, e non riuscì a mascherare il lieve disagio che provò dicendo quelle parole, perché si sentiva a disagio? Non sapeva perché, ma il fatto che Castiel lo avesse invitato a casa sua, un posto in teoria intimo e personale, lo faceva sentire davvero in imbarazzo, forse era perché non era mai stato invitato a casa di qualcuno, e gli sembrava una cosa troppo intima per due che si conoscevano da così poco, o forse perché dentro di sé sentiva di non meritare un’occasione del genere. Castiel notò il suo disagio, ma non disse niente, catalogando il suo silenzio come una piccola vittoria, però gli strappò una risata quando rubò una patatina fritta dal suo piatto, ridendo ed esclamando: «Vedi? Anche io mangio schifezze, ogni tanto!» Dean scosse la testa e rise di cuore, Castiel aveva il potere di illuminare una vita buia come la sua con pochissimo, anche con un’azione stupida come quella. Cas era davvero speciale. Il suo era un potere sovrannaturale, nessun altro essere umano aveva una capacità simile, e Dean era grato che proprio lui fosse entrato nella sua vita, così, improvvisamente.
«Sei adorabile, Cas» disse spontaneamente, senza neanche rendersi conto delle sue parole, se ne rese conto qualche istante dopo averle pronunciate, perché vide il volto del moro diventare rosso come un peperone. Ah già – pensò – Cas e i complimenti non vanno molto d’accordo.
«Grazie, Dean» borbottò e le sue gote divennero ancora più rosse. Dean sentì le farfalle nello stomaco, ma restò in silenzio e gli sorride teneramente, dicendosi che quella sensazione non significava niente.
Il loro pranzo si concluse nel modo più normale possibile, poi uscirono insieme dalla tavola calda e il biondo chiese all’altro se avesse bisogno di un passaggio, come ogni giorno. Pur di restare con lui qualche minuto in più, Cas accettò e Dean lo accompagnò a casa, perché, gli disse, non aveva lezioni quel pomeriggio. Anche se ormai stava imparando i suoi orari a memoria, e no, lui era solo un bravo osservatore, nient’altro. Castiel doveva essere solo un buon amico per lui, non poteva permettersi altro, perché in fondo sapeva di non meritare nient’altro che l’amicizia di una persona come lui.
«Allora ci vediamo domani?» chiese Castiel «Vieni qui alle sette?»
«Non ci vediamo in biblioteca?» domandò, forse apparendo troppo disperato all’idea di non vederlo. Ormai era una dolce abitudine, si vedevano tutti i giorni in biblioteca – di solito Castiel arrivava alle undici – e dopo aver studiato insieme, andavano a pranzo fuori, poi Dean lo accompagnava al campus per le lezioni del pomeriggio o a casa.
«Domani non ho lezioni» disse Castiel, semplicemente «E poi devo andare a fare la spesa per la cena!»
«Okay. Allora ci vediamo domani, alle sette».
«Sii puntuale, ciao Dean!» esclamò uscendo dall’auto e cercando le chiavi nelle tasche. Dean ignorava il motivo per cui aspettava sempre che Cas le trovasse, aprisse il portone e poi sparisse dalla sua visuale, prima di andare via, si disse che lo faceva solo perché la zona era pericolosa e Castiel troppo indifeso. Ritornò a casa sentendosi davvero un idiota, e gli stava capitando un po’ troppo spesso, in quel periodo. Poi si preparò ed andò al lavoro, ricordandosi di avvisare il titolare che la sera seguente non sarebbe stato disponibile perché aveva un appuntamento, persino lui si congratulò con Dean, che finalmente stava decidendo di divertirsi alla sua età. Ma meritava un’occasione del genere? O stava rovinando per l’ennesima volta qualcosa? Si domandò istintivamente. Non era un appuntamento, era solo una sfida tra amici, nient’altro. Cercò di non avere pensieri negativi fino al giorno dopo, perché non voleva che la sua serata con Cas fosse rovinata dai suoi dubbi esistenziali, ma fallì miseramente e si ritrovò a parlarne con Benny durante la pausa quella sera, e l’amico gli disse: beh, non esitare troppo, non ti sei rotto il cazzo di avere solo me come amico? Andiamo, meriti un’altra occasione. In altri tempi non avrebbe creduto all’amico, ma quella volta, ci provò. Parlò anche con Sam, perché aveva bisogno di suo fratello per sapere che non stesse facendo un azzardo. Quando la loro conversazione si concluse con un affettuoso bitch, da parte di Dean e un jerk, da parte di Sam, il maggiore capì che sì, andava bene così. In fondo, come aveva detto sia al suo migliore amico che a suo fratello, era una cena di sfida, giusto? Lui non voleva alcun coinvolgimento sentimentale o sessuale con Castiel, non poteva averne, non doveva averne.
Così la sera seguente, puntuale come un orologio svizzero era fuori alla porta di casa di Castiel, non sapeva perché avesse tra le mani una torta chiusa in una scatola – perché è maleducazione andare a cena a casa delle persone senza portare nemmeno un dolce o una bottiglia di vino, diceva sempre Jody – e tremava d’euforia come una ragazzina al primo appuntamento. Non era mica un appuntamento, eh. Era solo una stupida sfida che si erano lanciati, sicuramente la cena sarebbe stata a base d’insalata e dopo sarebbero dovuti uscire per andare al fast-food e mangiare qualcosa di commestibile per non morire di fame. Aveva chiesto a Castiel per citofono il piano e il numero dell’appartamento, aveva salito le scale, non era mai stato lì, e Castiel viveva nel dopoguerra, in un palazzo di tre piani senza ascensore, ovviamente il suo amico viveva al terzo piano, era arrivato fuori all'appartamento, ma non aveva il coraggio di suonare il campanello. Quale problema mentale lo affliggeva esattamente? Castiel già sapeva che fosse arrivato, in un modo o nell’altro, non poteva più dargli buca, ora. Non poteva semplicemente scappare, anche perché davvero, nemmeno da adolescente sarebbe scappato, forse da adolescente, prima dell’arrivo di John tutto era più semplice, leggermente più semplice. Scacciò immediatamente quei pensieri dalla mente, Sam gli aveva consigliato di godersi la serata, e lui aveva intenzione di divertirsi, e impedire a quello stronzo di John di insinuare dubbi in lui. Prese un paio di respiri profondi e poi finalmente trovò il coraggio di suonare il campanello, pochi istanti dopo fu investito da un invitante profumo di cibo, wow. Poi si soffermò sul padrone di casa, che gli aveva appena aperto la porta, indossava una t-shirt nera con la scritta Non sono basso, sono un Hobbit, e dei pantaloni di tuta, che gli stavano un po’ larghi, ma che gli donavano un’aria davvero tenera. Si soffermò a pensare Castiel con la sua camicia di flanella a quadri che aveva indossato quella sera, dopo aver fatto sesso… ma no, no, cosa diavolo andava a pensare? Castiel era troppo puro per finire in pensieri così sconci. E poi era lì per una dannata sfida – si ripeté mentalmente – doveva essere solo una cena. Nient’altro.
«Ciao Dean» lo salutò, dannazione doveva smetterla di chiamarlo in quel modo – il suo nome – con quella voce.
«Ciao Cas… sento un profumino invitante, non avrai mica preparato roba commestibile? Hai rinunciato a farmi mangiare le tue amate verdure?» domandò ilare. Castiel sbuffò leggermente e lasciò che il ragazzo entrasse in casa.
«Idiota, ho preparato la cena, vedrai, ti leccherai i baffi» gli rispose, fiero di se stesso.
«Questa dove la metto?» domandò l’altro alludendo alla scatola con la torta. Quando Castiel si rese conto che Dean aveva portato con sé un dolce, per la loro cena di sfida, quasi arrossì. Che avesse la malsana idea che si trattasse di un appuntamento? Cioè, non gli dispiaceva, Dean gli piaceva anche tanto, ma si conoscevano relativamente da poco tempo, e avere già un appuntamento… sì, sapeva che poteva suonare davvero così, perché Castiel aveva invitato Dean a casa sua, e aveva cucinato per lui, ma potevano essere solo conoscenti che si conoscevano meglio, no? Dean non sapeva neanche tutto di lui, e non si fidava ancora abbastanza da dirgli tutto, per ora. Okay, forse era stato solo gentile e non si era presentato a mani vuote. Potevano essere semplicemente due amici che cenavano insieme, non c’era bisogno di alcun coinvolgimento sentimentale. Con Michael e Gabriel non si era mai fatto tanti scrupoli, non era poi così inusuale, non era mica una cena al lume di candela.
«Non dovevi…» mormorò Castiel, facendogli strada verso la cucina «Puoi metterla sul ripiano accanto al piano cottura» gli disse sorridendo. Dean entrò e si guardò intorno, la cucina era piccola, c’era giusto un piano cottura con un ripiano, una piccola credenza e un frigo. Niente di molto elaborato. Ovviamente, era la cucina dell’appartamento di tre studenti del college, mica poteva essere una reggia. Notò diversi piatti coperti con degli strofinacci e si incuriosì, da ognuno di essi proveniva un profumo buono. Sul ripiano indicatogli ripose la torta, e si guardò intorno in imbarazzo; subito dopo seguì un imbarazzante silenzio e una conversazione patetica sul motivo per cui Dean avesse portato la torta, perché volevo essere gentile, Cas e ti ringrazio Dean, non dovevi esserlo e simili. Una volta sconfitto l’imbarazzo iniziale, i due ragazzi si sedettero a tavola e Castiel porse al giovane i piatti che aveva preparato per quella sera, divise le pietanze nei piatti e Dean si stupì di ciò che vedeva, dannazione, Castiel era un ragazzo attraente, irresistibile e sembrava saper cucinare. Siamo amici, siamo amici, siamo amici…
«Quindi… queste sono verdure?» chiese indicando un tortino verde dal profumo davvero invitante.
«Sì, Dean» rise Castiel «In realtà, è una quiche di spinaci e formaggio» rispose sorridendo Castiel «E questi sono dei piccoli strudel di verdure» continuò la spiegazione «Poi ho preparato degli sformati di melanzane e zucchine, e del pollo con verdure grigliate» concluse sorridendo. Gli spiegò, infine, che erano tutti piatti con molte fibre e vitamine e poveri di grassi – almeno così dicevano le ricette che aveva cercato su internet. Sperava di aver fatto colpo, però.
«Wow» riuscì a dire solamente Dean «Spero che siano buoni quanto sono invitanti».
Castiel fece un piccolo sorriso e iniziò a cenare con Dean, solo che non si aspettava di essere stato così bravo e nemmeno i versi che emetteva l’altro ragazzo, molto simili a quelli che emetteva quando mangiava un cheeseburger. A quanto udiva, stava apprezzando molto ciò che gli era stato offerto, allora i suoi coinquilini non erano poi così bugiardi quando gli dicevano che fosse bravo in cucina, non lo dicevano solo perché effettivamente lui era l’unico in grado di cucinare e loro non sapevano nemmeno mettere una pentola con l’acqua sul fuoco – sul serio, Gabriel una volta aveva quasi bruciato la pentola perché l’aveva dimenticata per ore e l’acqua era quasi del tutto evaporata – non sapeva perché, non aveva mai creduto alle loro parole. Doveva ricredersi in quel momento, Dean stava apprezzando ogni cosa da lui preparata. Cenarono in tutta tranquillità, il biondo aveva decisamente perso la sfida, e dovette ammetterlo prima a se stesso e poi all’altro, non erano di certo mancate battute, risate e sguardi profondi. Dean non sapeva spiegare cosa stesse accadendo, ma gli piaceva fin troppo. Con Castiel si sentiva davvero bene, e si comportava in maniera totalmente naturale, cosa che per un periodo gli era stata difficile da fare persino a casa sua; con lui tutto era più luminoso e positivo e non si spiegava il motivo. Doveva avere qualche sorta di potere paranormale, davvero, perché non si spiegava come potesse farlo sentire in quel modo, con solo qualche sguardo, sorriso o solo la sua presenza.
«Ho perso la sfida» ammise ad un certo punto della cena-sfida, l’altro sorrise, fiero di se stesso, vittorioso, senza riuscire a trattenere dal dire un te l’avevo detto che ti sarebbero piaciute le verdure. Il biondo dovette accettare la sconfitta, perché davvero si era leccato i baffi e avrebbe davvero chiesto il bis di ogni portata – ma aveva ancora una dignità.
«Sei incredibile, Cas» disse Dean, alla fine della cena, avevano anche sparecchiato, ed erano seduti sul divano a guardare un film che passava in tv, una stupida commedia romantica inglese, con una fetta di torta tra le mani «Era tutto ottimo, stento a credere che quelle cose fossero verdure» disse ridendo, e scuotendo la testa «O tu sei un fantastico cuoco, o io non ho mai capito nulla» affermò con serietà, facendo arrossire l’altro.
«Non sono poi così bravo, su» mormorò, imbarazzato Castiel con il sorriso sulle labbra. Dean gli mise un dito sotto il mento e gli alzò il volto verso il proprio, fissando i suoi occhi in quelli dell’altro, che si spalancarono rivelandosi ancora più azzurri e profondi di quel che erano, sembravano davvero riuscire a scavare l’anima di chi gli stava di fronte, e Dean, perdendosi in quegli occhi, sentì la gola secca e il cuore a mille. Non dovrei sentirmi così, no.
«Dovresti avere più fiducia in te stesso» soffiò, avvicinando il suo viso a quello dell’altro, che diavolo stava facendo? Erano davvero quasi ad un soffio l’uno dall’altro e si stavano scavando l’anima a vicenda, attraverso gli sguardi che si scambiavano, ma nessuno dei due aveva il coraggio di sottrarsi, forse… se Dean si fosse sporto un po’ più in avanti e se Cas non si fosse ritratto, forse… se…
Un rumore improvviso, la porta che si apriva, li fece separare di scatto, come scottati. Santo cielo, erano a distanza di bacio, realizzò Dean, e no, no, no, cosa diavolo stava combinando? Dov’era finito il non-essere-assolutamente-coinvolto-sentimentalmente-ancor-meno-sessualmente? Per fortuna, erano stati interrotti, ma se non fossero stati interrotti… si sarebbero baciati? Castiel si sarebbe ritratto? Gli avrebbe tirato un ceffone? O avrebbe ricambiato il bacio? Un Gabriel totalmente ubriaco fece la sua comparsa sotto l’uscio della porta e: «Cassie, non mi sento per niente bene» biascicò, quasi piegandosi a metà, tenendosi lo stomaco, pronto a rigettare qualunque cosa avesse bevuto.
«Penso sia tardi…» mormorò Castiel, alzandosi per raggiungere il coinquilino «Dovresti andare» disse sbrigativo.
«C-Certo» disse alzandosi di scatto. Salutò con un gesto veloce sia Castiel che il suo coinquilino appena arrivato – che fortunatamente era ubriaco e non si sarebbe mai ricordato di lui in casa – ed uscì di corsa dalla casa, con il cuore in gola. Cosa era appena successo?
 
31 ottobre 2015, Halloween.
Né Dean né Castiel parlarono più di quell’imbarazzantissimo finale di serata, e di quel probabile bacio, sarebbe stato strano e fuori luogo, visto che non era successo niente, così si ripeteva Dean, lo ripeteva così tante volte che aveva messo da parte quel brivido improvviso che aveva provato lungo la schiena e il cuore che batteva all’impazzata una volta fuori dal suo appartamento. Continuarono normalmente a vedersi ogni giorno in biblioteca, a chiacchierare, a studiare insieme, ad uscire a pranzo insieme – Dean aveva davvero dovuto rinunciare al cibo spazzatura, ma Cas era stato clemente e si era accontentato di una settimana di astinenza da quel tipo di cibo. Forse una cosa che era cambiata tra di loro, era il fatto che uscissero più spesso insieme, quando Dean era libero dal lavoro, capitava spesso che si vedessero, la maggior parte delle volte per bere qualcosa insieme, o per guardare gli episodi di alcune serie tv insieme. Castiel lo aveva un po’ contagiato, più di Sam, un giorno si era presentato al college con una maglia enorme, blu con dei quadrati che sembravano finestre. È il TARDIS gli aveva detto il moro Doctor Who, hai presente? Alla faccia confusa del biondo, Castiel gli aveva spiegato la trama di una delle sue serie tv preferite, quella che raccontava le avventure di un alieno, che viaggiava nel tempo e nello spazio con una cabina blu, e gli aveva proposto di guardare insieme il primo episodio. Dean accettò e si ritrovarono una sera, sul divano dell’appartamento di Cas, spiaccicati l’uno all’altro – perché il divano era davvero piccolo – con un bicchiere di succo di frutta tra le mani a guardare quella serie. Dopo i primi dieci minuti di episodio, Dean capì che avrebbe davvero fatto a meno di guardare quella serie, un po’ troppo stupida per lui, ma gli occhi di Castiel – che già brillavano di luce propria – erano davvero esplosi di luce, come fatti di fuochi d’artificio mentre guardavano, ma soprattutto mentre gli spiegava ogni scena, recitando a memoria alcune delle battute – un po’ come Sammy quando guardava il Signore degli Anelli – e rideva alle leggere proteste di Dean, che si lamentava che non fosse abbastanza d’azione per lui; tuttavia, visto il suo entusiasmo, non aveva saputo dirgli di no e così aveva iniziato a seguire anche lui quella serie, e anche altre. Cas probabilmente poteva far concorrenza a suo fratello, le conosceva tutte, dalle sitcom più idiote, alle serie più complesse e lunghe. Così almeno una volta a settimana, si vedevano – soprattutto quando i coinquilini di Cas non erano in casa – e guardavano un episodio di Doctor Who o di un’altra serie, e Dean stranamente non credeva che quei minuti fossero sprecati, anzi, non si pentiva minimamente di quello, perché Castiel sorrideva radiosamente ed era tutto ciò che contava. Era grato di poter passare del tempo con Castiel, con lui stava bene, si sentiva bene e si sentiva una persona migliore; e soprattutto il moro non faceva domande inappropriate su di lui, sulla sua vita e simili; gli interessavano più che altro i suoi hobby e le sue passioni – e sul serio, avevano davvero molte cose in comunque, ad esempio, anche Cas amava viaggiare – solo una volta aveva chiesto come mai era così tanto fuoricorso, e Dean aveva evitato l’argomento, girandoci attorno, sentendosi davvero a disagio. Castiel si era scusato per essere stato invadente e gli aveva sorriso comprensivo, e insieme a lui aveva cambiato argomento. Castiel capiva, e non faceva domande inopportune. Forse per questo Dean passava volentieri il suo tempo libero con lui – non perché gli piacesse, eh, a lui non piaceva per niente, o almeno si impegnava a fingere che fosse così, perché sapeva di non meritare il modo in cui Castiel lo faceva sentire, ma davvero non poteva farne a meno. Castiel in qualche strano modo lo faceva sentire in pace con se stesso e con il mondo, ed era una sensazione che non provava da quando Bobby gli aveva consegnato le chiavi dell’Impala e gli aveva permesso di ripararla – e davvero, quello era stato uno dei momenti più felici della sua vita, sebbene avesse solo aperto le porte alla seguente catastrofe e al crollo emotivo di Sam.
Halloween era alle porte, e Sam non la smetteva di parlare di quella stupida festa che i suoi nuovi amici – quelli della confraternita in cui era entrato – avevano organizzato, diceva che era un evento importante, e che tutto il campus ci sarebbe andato, quindi loro due dovevano per forza andare lì e partecipare. Dean non ne era molto sicuro, non voleva andare a una stupida festa, aveva in programma con Castiel di vedersi a casa del moro e guardare film horror insieme. Ne stavano parlando da un po’, da quando avevano scoperto di essere entrambi pantofolai, avevano deciso che ad Halloween non sarebbero andati a nessuna festa, e che avrebbero fatto l’alba a guardare film horror e Dean ci teneva a non dare buca al moro. Vane erano state le proteste di Sam, che gli diceva che era imperdibile, che si sarebbe divertito, che c’era anche la torta perché il maggiore non avrebbe mai detto di no all’altro studente, anche se era suo fratello ad insistere. Dean aveva supplicato il titolare del bar per avere Halloween libero, visto che nell’ultimo periodo aveva fatto molti turni extra, ed era riuscito ad ottenerlo solo dopo molti tentativi, e non era stato affatto facile, ma alla fine i suoi occhioni verdi e il benedetto carisma avevano fatto il loro lavoro e dopo aver promesso al capo altri turni extra per il weekend successivo, aveva ottenuto la giornata libera. No, non si pentiva di nulla.
Era la mattina del trentuno di ottobre, lui era in biblioteca come al solito, stava aspettando Castiel, che, se non ricordava male, aveva detto che avrebbe finito una lezione di filosofia antica alle undici. Aveva preso un caffè scuro per se stesso e un cappuccino per l’altro, la giornata era nuvolosa e fredda, esattamente come il giorno dei morti avrebbe dovuto essere; Dean non vedeva l’ora che arrivasse quella sera, in modo da ritrovarsi con Castiel tra le braccia, terrorizzato da uno dei film – o tutti – che avevano scelto. Sorrideva al solo pensiero di stringerlo forte a sé. Anche se provava – in modo davvero penoso – a fingere che non fosse interessato, dentro di sé non poteva che ammettere che sì, Castiel gli piaceva. Suo fratello trovava il modo di ricordarglielo in qualunque situazione, per esempio l’ultimo weekend che era stato a casa, durante il pranzo, Dean stava scambiando messaggi con Cas, Sam lo aveva guardato, sorriso e poi aveva detto: Ti fa proprio bene questo… Cas, giusto? Ti fa sorridere con un solo messaggio. Sei così tenero!  Ovviamente Dean, da duro di cuore qual era, aveva negato tutto, sostenendo che fossero solo amici, ma non poteva negare che Sam avesse ragione, Castiel gli faceva davvero bene con poco, e sì, era assurdamente patetico, ma lui non ci trovava niente di sbagliato.
Castiel arrivò trafelato, con una felpa scura macchiata di gocce d’acqua, che sicuramente aveva visto giorni migliori, e la scritta “You have failed this city”, in verde; uh, stavolta conosceva la serie tv da cui era tratta, e l’espressione di un pulcino bagnato; aveva i capelli spiaccicati sul volto, bagnati fradici. Doveva essere scoppiato un acquazzone e lui doveva averlo preso in pieno, sebbene in quello stato, era carino. Smettila di pensare che sia bello, non è il tuo tipo, non deve esserlo.
«Ciao Cas» lo salutò «Sei fradicio» commentò con ovvietà. Il moro storse il naso e annuì, indispettito.
«Ho dimenticato l’ombrello a casa, stamattina. E hanno spostato la lezione all’edificio dall’altra parte del mondo, perché l’aula di questo era inutilizzabile» rispose nervosamente, sedendosi di fronte a Dean «E oggi è sabato, dannazione, non ci sono lezioni il sabato, ma quella stronza doveva recuperare la fottuta lezione a cui lei non è venuta» si lamentò, Dean si accigliò, Castiel non era il tipo che usava un linguaggio così scurrile, doveva essere davvero arrabbiato. E santo cielo, Castiel arrabbiato doveva essere dichiarato illegale in tutti gli stati americani e non, perché se prima Dean poteva evitare di ammettere a se stesso di trovarlo attraente, ora non riusciva a staccare lo sguardo dal suo volto corrugato e dalla sua mascella contratta, lui avrebbe saputo come fargli tornare il sorriso. Si morse le labbra con forza prima di riuscire a tornare in se stesso e spiccicare una frase di senso compiuto.
«Ora capisco la felpa» scherzò «Era un chiaro messaggio alla stronza che ti ha rovinato il sabato mattina».
«Hai riconosciuto la citazione?» chiese, con un lieve sorriso che compariva sulle sue labbra.
«Certo! È Arrow, giusto?» Cas annuì, leggermente meno nervoso  «Bevi questo» disse poi porgendogli il cappuccino che gli aveva preso «È ancora caldo».
«Sei un angelo» rispose, un po’ più calmo, accettando la bevanda calda, stringendola tra le mani per trovare un po’ di sollievo dal freddo che sentiva fin dentro le ossa. Dean lo osservò un attimo, sebbene arrabbiato, Castiel tremava appena per il freddo e cercava di stringersi nei suoi umidi vestiti; il biondo, senza alcuna esitazione, come se fosse stato un atto del tutto naturale, si sfilò la felpa che aveva indossato quella mattina e gliela porse.
«Prendi questa» disse semplicemente.
«Ma no, non posso accettare, Dean» cercò di ribattere e di rifiutare, perché altrimenti lui avrebbe avuto freddo e non era giusto, perché davvero quel giorno faceva un freddo assurdo per essere solo autunno.
«Insisto» sorrise Dean «Prendila io non ho freddo» continuò, ed insistette fino a che Castiel non si tolse quel capo fradicio e la indossò, tirando un evidente sospiro di sollievo a contatto con la stoffa calda – e no, Castiel non si crogiolò per niente nel penetrante profumo di Dean. Ne aveva davvero bisogno, e non capiva Dean come avesse fatto a rendersene conto, anche se doveva ammettere che stesse tremando in modo davvero imbarazzante.
«Grazie» soffiò, tenendosi la felpa dell’altro stretta addosso.
«Figurati» gli disse sorridendo, si concesse uno sguardo abbastanza lungo sull’altro, aveva ragione, a Cas i suoi abiti stavano leggermente larghi, ed era semplicemente adorabile «Sei più calmo ora?» Castiel prese un lungo sorso di cappuccino caldo e annuì, la sola presenza di Dean lo calmava «Allora… stasera, ho pensato che potremmo guardare-» iniziò, ma fu subito interrotto, bruscamente, senza che potesse prevederlo e ripararsi dalla delusione imminente.
«Dean…» mormorò bloccandolo «I miei coinquilini hanno insistito per andare a questa assurda festa in maschera e… beh, alla fine mi hanno convinto, io… mi dispiace» balbettò a disagio. Avrebbe davvero voluto passare la serata con Dean, ma Gabriel e Michael sapevano essere davvero convincenti e stressanti, alla fine aveva dovuto accettare per farli tacere. Non avrebbe mai voluto dare buca a Dean, e un po’ si sentiva in colpa, notando il suo sguardo triste.
«Non mi dire, la festa in maschera della confraternita dalle strane lettere greche?» domandò, ostentando sicurezza.
«Sì» rispose con un sospiro «Volevo davvero passare la serata con te» specificò, ma Dean davvero si sentiva un po’ deluso, lui aveva detto di no a suo fratello, che aveva persino nominato la torta, aveva rinunciato ad una festa con lui, di passare del tempo con suo fratello che non vedeva mai, per Castiel, e lui aveva detto di sì ai coinquilini perché evidentemente non aveva poi tanta voglia di passare la serata con lui. Avrebbe dovuto prevederlo, no? Avrebbe dovuto prevedere che una cosa simile potesse accadere a lui, dopotutto, sapeva di non essere il massimo e di non meritare occasioni simili, perché stavolta sarebbe dovuto essere diverso?
«Potremmo… sai, andarci insieme, se ti va» disse improvvisamente l’altro. Cosa? «Poi ce ne andiamo prima e… guardiamo qualche film fino all’alba come avevamo deciso» aggiunse. Dean lo guardò stupito.
«Non devi sentirti obbligato, in fondo anche Sam voleva che andassi a questa festa…» disse, sapeva che lo stesse dicendo per circostanza, per non fargli capire che volesse dargli buca, ma Dean non sopportava la pietà.
«No, no!» esclamò «Ti sto chiedendo se vuoi… accompagnarmi e passare comunque la serata con me» disse piano, alzando lo sguardo verso quello dell’altro, che gliene restituiva uno totalmente confuso e smarrito. Cosa sta succedendo?
«Mi stai invitando a venire alla festa con te?» chiese allora Dean, cioè sul serio, lo stava invitando? Lui?
«Se hai problemi, io…» balbettò, poi si riscosse «Sì, ti sto invitando a venire con me, Dean, voglio davvero passare del tempo con te» disse risoluto «So che non avrei dovuto dire di sì a quei due, ma sanno essere così stressanti e-» si bloccò, prese un momento di respiro e lo guardò ancora «Ti prego, so che sembra patetico, ma ti prego, accetta di venire con me, mi sento già abbastanza uno schifo, perché non avrei mai dovuto dire di sì a loro» gli disse con un sospiro. Dean dovette ricredersi. Perché pensava sempre male, prima di ascoltare? Perché dava per scontato che le persone non volessero avere a che fare con lui? Aveva questa dannata, bruttissima abitudine di fasciarsi la testa, ancor prima di cadere. Glielo dicevano tutti che sbagliava, che non si sarebbe mai trovato bene, eppure lui compiva sempre lo stesso errore. Era sempre un suo errore, in fondo, lui era l’errore, anche se Cas non se ne era ancora accorto. Decise che avrebbe aspettato il momento in cui se ne sarebbe accorto, e poi sarebbe sparito, come accadeva di solito a lui.
«Mi farebbe molto piacere» gli rispose, poi la reazione di Castiel, prima imbarazzata, poi euforica, lo fece sorridere spontaneamente. Quel ragazzo era così genuino e spontaneo, che trasmetteva queste qualità anche a Dean «Ma… dovremmo travestirci?» chiese, stavolta serio, non era mica un idiota che si travestiva per una festa.
«Non saprei… forse? La festa è in maschera… e… non so» balbettò il moro «Non sono mai stato ad una festa in maschera a dire la verità» borbottò al limite dell’imbarazzo.
«Io una volta, quando Sam aveva dodici anni, ma non usai nessun costume, infatti mi guardarono tutti molto male» raccontò ridacchiando, coinvolgendo anche l’altro «Forse, potremmo ideare qualcosa, senza sembrare degli scemi».
«Sono tutto orecchie».
Dopo un po’ di riflessione, il biondo ebbe il lampo di genio. L’idea di Dean consisteva nell’essere semplicemente loro stessi, lui avrebbe indossato abiti comuni, magari una giacca di pelle e dei jeans stretti e forse, se ne aveva voglia, avrebbe indossato un cappellino in stile in Indiana Jones, doveva essere una sorta di cacciatore del paranormale o qualcosa del genere a detta sua, e Castiel avrebbe potuto travestirsi da angelo, tenendo il suo trench e dicendo che avesse le ali nascoste perché avrebbero potuto bruciare gli occhi dei presenti. Era una festa di Halloween, mica di Carnevale, alla fine. E ovviamente, quest’idea piacque al moro, che non avrebbe dovuto cambiare look per la sera, certo, era arrossito al tu potresti essere un angelo, insomma, guardati, lo sembri davvero di Dean, come avrebbe potuto fare altrimenti? Dean gli faceva capire in ogni momento quanto fosse interessato a lui, ma lui non aveva il coraggio di dirgli nulla, troppo spaventato dal giudizio che altre persone avrebbero potuto dare a una loro relazione. Castiel non aveva ancora fatto ufficialmente coming out, oltre ai suoi familiari, solo i suoi coinquilini sapevano della sua tendenza sessuale, perché di loro si fidava ciecamente, in fondo, li conosceva da anni, e anche se erano un po’ stronzi a volte, sapeva che non agissero con cattiveria. Quando Dean comunicò al fratello il cambio di programma, Sam fu davvero felice di sapere che il fratello sarebbe andato alla festa, e ringrazia Castiel da parte mia, aveva detto, guadagnandosi un affettuoso insulto dal maggiore. Michael e Gabriel avevano approfittato della presenza di Dean per scroccare un passaggio sia all’andata che al ritorno, quando sarebbero stati sicuramente troppo ubriachi per guidare.
Arrivarono alla festa tutti e quattro, Dean osservò la sala, era interamente addobbata a tema, c’erano scheletri attaccati ovunque, ragnatele di plastica, ragni, teschi e luci che suggerivano che quella fosse proprio una festa di Halloween. Non appena individuò il fratello – con un paio di corna da alce sulla testa, fortuna che era lui quello che odiava i travestimenti – lo raggiunse e lo abbracciò, il minore si sentì un po’ in imbarazzo, ma alla fine ricambiò, perché lo vedeva così poco che un po’ gli mancava – ma lui non avrebbe mai dovuto saperlo – gli presentò alcuni dei suoi compagni di confraternita, tra cui un certo Garth, un tipo un po’ strano, e fin troppo affettuoso, e Kevin, una matricola del primo anno, dall’aria innocente e, a detta di Sam, mostruosamente intelligente. Poi c’erano altri, ma Dean non li calcolò minimamente, però era felice che suo fratello si trovasse così bene, al punto da entrare in una confraternita – non credeva che il piccolo Sammy fosse tipo da confraternita, l’aveva sempre visto come un topo da biblioteca – e soprattutto che fosse sereno e in pace. Lo prese giocosamente in giro, per le corna da alce e gli diede una pacca sulla spalla, stranamente divertito dalla situazione. A distanza di un mese quella era la seconda festa a cui veniva trascinato.
«Ehi Dean» gli disse, prima di separarsi da lui per raggiungere una ragazza che gli faceva gli occhi dolci «Non sprecare l’occasione, quel Castiel sembra davvero carino» gli consigliò sorridendo raggiante. Poi lo vide sparire tra la folla, e raggiunse Castiel, a cui un ragazzo un po’ troppo esuberante offriva una birra. Non seppe perché, ma si sentì un po’ geloso a quella vista, e quando Castiel accettò la birra, e ne bevve, incerto, qualche sorso – santo cielo, doveva essere illegale guardare il moro fare qualsiasi attività con la bocca – Dean si sentì un po’ invaso nel suo territorio e geloso, si disse perché sentiva uno strano senso di protezione verso Cas e non voleva che nessuno gli facesse del male; poi sorprendentemente, lo vide congedarsi da quel tizio, avvicinarsi a lui con rapide falcate e lo vide sorridere, vicinissimo. Santo cielo, di nuovo…
«Posso offrirti da bere, Dean?» chiese con una voce troppo suadente, per essere quella di Castiel. L’alcool lo rendeva decisamente troppo disinibito, e se solo qualche sorso di birra lo rendeva così, cosa sarebbe successo a fine serata? Cercò categoricamente di eliminare dalla sua mente il pensiero di Castiel che lo sbatteva contro un muro, perché, insomma, non ne sarebbe mai stato capace nemmeno da sobrio, forse, e no, no, lui è troppo puro per questo genere di pensieri – si disse, ma quando guardava Cas gli era impossibile pensare razionalmente.
«S-Sì» boccheggiò il biondo. Forse era davvero astemio, ma quella birra gli aveva dato coraggio, e Dean apprezzava molto questa versione coraggiosa e intraprendente di Castiel. Era eccitante, e no, non doveva pensarlo, no. Castiel era la persona più pura e innocente del pianeta, non doveva finire nei suoi pensieri sconci. No. Presero entrambi una bibita da una di quelle bacinelle enormi piene di bottiglie e ghiaccio, brindarono alla serata e bevvero velocemente. Le gote di Castiel si erano arrossate a causa dell’alcool, ingerito poco prima, e Dean lo trovò ancora più attraente. Doveva smetterla, sul serio, o non avrebbe risposto delle sue azioni. Mangiarono anche qualche rustico e dei dolci, in fondo, Sam gli aveva detto della torta e, siccome si trovava lì, chi era lui per rinunciare a una buona fetta di torta?
La serata trascorse nella più totale spensieratezza e allegria, c’era buona musica, persone divertenti, Castiel, Sam, e anche quei due idioti dei coinquilini di Cas, e Dean non riuscì a pentirsi di essere andato lì. Improvvisamente, la musica cessò, e saltarono fuori – Dean non capì esattamente da dove – dei ragazzi vestiti da zombie che iniziarono ad imitare quelli di The Walking Dead, e ad inseguire gli invitati, trasformando la festa in un vero e proprio set da telefilm sovrannaturale. Bastò uno sguardo con Sam, e anche loro si lanciarono nella mischia; Dean si divertì più di quanto avrebbe immaginato, e si calò nella parte del cacciatore del paranormale insieme a Sam, ed entrambi usando delle finte armi cercavano di combattere i vari zombie. Spuntarono anche ragazzi travestiti da vampiri, da fantasmi, e persino da licantropi, rendendo la festa un vero spasso per ognuno, c’era chi correva terrorizzato, chi come Sam e Dean si divertiva ad uccidere mostri e poi c’era Castiel, beh Castiel alla seconda birra – quella che il suo intelligente coinquilino Gabriel gli aveva offerto – era già andato, e si era attaccato al braccio di Dean parlando a vanvera e dicendo cose assurde su quanto Dean fosse bello e angelico, poi l’aveva definito anche coraggioso, quando un finto vampiro lo aveva quasi morso sul collo e l’altro eroicamente l’aveva salvato. Il biondo non aveva saputo interpretare quelle parole, ma aveva preferito credere che fossero dettate solo dall’alcool e non da altro, non potevano. Insomma, Castiel non aveva mai dato segnali di nessun genere, a parte quel quasi bacio che Dean aveva cercato di rimuovere dalla sua mente. Ma no, Cas non aveva mai fatto capire di provare interesse, era solo ubriaco e parlava a vanvera. Dean smise di pensare alle sue parole, e continuò con suo fratello a divertirsi. Cielo, erano anni che non si divertiva così, si era sentito, seppur per poche ore, un normale studente del college. Lui e Sam furono gli unici due a non essere toccati dai ragazzi travestiti da mostri.
Quando la festa terminò, ormai erano le quattro del mattino, Castiel era in stato comatoso su un divanetto, così come i suoi coinquilini. Dean, dopo aver salutato il fratello, ed averlo ringraziato per aver condiviso con lui quel delirio da cacciatori del paranormale, promettendogli che avrebbe partecipato a più feste così, caricò nella sua auto i tre ubriaconi e li riportò a casa. Michael e Gabriel, dopo aver delirato un po’, quando il biondo parcheggiò, esattamente sotto lo stabile, uscirono dall’auto e raggiunsero il portone a tentoni. Dean fu tentato di raggiungerli per aiutarli, ma Castiel era rimasto in auto e lo bloccò sul posto. Aveva gli occhi lucidi, le guance arrossate e i capelli gli ricadevano sul volto. Era irresistibile, se non fosse stato sobrio, probabilmente lo avrebbe baciato… e non si sarebbe limitato a una pomiciata; no, no, no, doveva smetterla, Castiel era puro, e Dean non doveva pensare a lui sessualmente.
«Dean» lo chiamò in un sussurro roco, un brivido percorse tutta la spina dorsale del ragazzo, facendolo trasalire.
«Dimmi, Cas» disse a corto di fiato.
Castiel non disse nulla, semplicemente allungò una mano verso la guancia dell’altro, accarezzandola lentamente, Dean trattenne il fiato per qualche istante, provò a chiedergli cosa stesse succedendo, ma il moro si limitò a sporgersi verso di lui, lasciandogli un leggero bacio a stampo sulle labbra. Restarono a labbra incollate per diversi istanti, il cuore di Dean sembrava impazzito e lui di sicuro arrossito, fino a che il moro non si staccò bruscamente dall’altro come scottato, forse rendendosi conto solo in quel momento di ciò che stava facendo ed uscì dall’auto in fretta, raggiungendo gli altri due, che erano riusciti ad aprire il portone; poi sparì all’interno del palazzo in cui viveva, lasciandosi alle spalle un Dean con l’espressione più confusa che avesse mai avuto e un accenno di sorriso sulle labbra. Forse, poteva interpretare quelle parole che gli aveva detto, non solamente dettate dall’alcool. Forse, in qualche modo assurdo, l’altro provava davvero interesse per lui.

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Hola people, come si va?
Non è carino Dean si auto-convince che non prova niente per Cas? E Cas che cerca di fare lo stesso? Ma si piacciono, è evidente - perchè tutti sanno che sono fatti l'uno per l'altro - e Sam li shippa già.
Piccola nota: la felpa STAR laboratories è un gadget della serie tv The Flash (ed è bellissima e comodissima) mentre la battuta infelice sulla statura da Hobbit è dal Signore degli Anelli (io sono un hobbit, non Cas, comunque) e niente. 
Non ho molto da dire, solo che i guai torneranno presto - no, non nel prossimo capitolo, Dean avrà ancora qualche gioia - e tanti dubbi esistenziali. 
Spero non ci siano errori e che vi sia piaciuto questo capitolo! Se ne avete voglia fatemi sapere che ne pensate, del capitolo o della storia in generale! Ringrazio, come sempre, chiunque segua, preferisca e ricordi la storia, e un grazie speciale alle mie commentatrici abituali! Grazie del sostegno! 
Ci si becca la settimana prossima, sempre su questi canali! 
A presto, people! 

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Capitolo 7
*** VI Parte ***


DESCLAIMER: La storia è scritta senza fini di lucro, i personaggi non mi appartengono in nessun modo e non intendo offendere nessuno. Giuro.
PS. C'è l'avviso che i personaggi sono molto OOC e attenzione alle carie, perché ad un certo punto, tra incomprensioni e chiarimenti, c'è un sacco di fluff.
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Novembre 2015
With you I fall.
It's like I'm leaving all my past
in silhouettes upon the wall.
 
Dopo quell’innocente bacio a stampo da ubriaco, Castiel non aveva avuto più il coraggio di parlare con Dean e per tutto il giorno seguente era letteralmente svanito nel nulla, e anche se il biondo gli scriveva numerosi messaggi, chiedendogli che fine avesse fatto, perché non gli parlasse da Halloween, e se avesse fatto qualcosa di male, il moro si sentiva davvero in imbarazzo al riguardo e anche in colpa, e non aveva il coraggio di rispondergli. Come aveva potuto baciarlo? Non gli era dispiaciuto, aveva ancora il sapore delle labbra di Dean sulle sue, ma… cosa gli era saltato in mente, esattamente? Aveva davvero baciato Dean? Aveva davvero paura della sua reazione, Dean gli aveva sempre fatto capire velatamente di essere gay, ed essere abbastanza interessato a lui, ma da qui a baciarlo… santo cielo, con quale faccia poteva parlargli di nuovo? Non era uscito dalla sua stanza, per tenersi a distanza da lui e da qualsiasi luogo in comune tra di loro, ed evitava di rispondere alle sue telefonate e ai suoi messaggi, sapeva di essere un codardo, ma da quando si era risvegliato, la mattina del primo novembre con un gran mal di testa, e il ricordo di quel bacio, era andato in paranoia. E se Dean non fosse stato realmente interessato a lui? E se Dean gli avesse dato dello sfigato? Non poteva rischiare di incontrarlo dopo quel bacio imbarazzante, non voleva essere rifiutato – perché, insomma, uno come Dean avrebbe potuto avere tutto il campus ai suoi piedi se avesse voluto, perché doveva interessarsi a uno come lui? – per questo decise che era meglio per lui tenersi lontano dal biondo, fino a che quell’assurda cotta che aveva preso per lui non fosse passata o almeno fino a che Dean non avesse dimenticato tutto, perché era certo che l’altro ricordasse ogni cosa, ogni dettaglio, poiché non l’aveva visto toccare una singola goccia di alcool. Il Winchester, da parte sua, non era molto intenzionato a lasciar correre, e cercava in tutti i modi di contattarlo, anche per capire se lo stava evitando per il bacio o per altro. Il dubbio lo divorava, e non riusciva a capire se fosse colpa sua o Castiel fosse sul serio impegnato con lo studio, come dicevano i suoi amici, sul serio, chi sano di mente studierebbe dopo aver fatto l’alba ad una festa ed esserne uscito anche ubriaco? La sua scusa non aveva senso, ne aveva parlato con Sam, il quale gli diceva che, sebbene fosse troppo paranoico, avrebbe dovuto parlare con Castiel, per chiarire se si fosse trattato di un bacio puramente da ubriaco o altro, non  poteva essere una coincidenza il fatto che fosse sparito immediatamente il giorno dopo la festa e quell’innocente bacio a stampo. No, di certo, se Castiel lo stava evitando era per via di quel bacio, ne era certo.
Non sapeva se dipendesse da lui, o meno, e questo lo logorava dentro, perché non capiva. Il fatto che fosse sparito subito dopo averlo baciato, era una prova lampante che il problema fosse lui, ma come diceva suo fratello doveva gestire bene la faccenda, in fondo era passato relativamente poco tempo, e Castiel, essendo astemio, poteva aver avuto un brutto post-sbronza, e vergognarsene; ma Dean credeva fondamentalmente che fosse per colpa sua.
Correva nuovamente, l’anniversario della morte di sua madre, e come ogni anno, all’inizio del mese di novembre, lui diveniva più cupo, e semplicemente la questione Castiel e bacio passarono in secondo piano, per quella giornata. Quell’anno, il due novembre, andò al cimitero con Sam, che insistette per accompagnarlo, senza dargli la possibilità di ribattere, volente o nolente sarebbe andato con lui, anche se non l’aveva mai conosciuta, Sam custodiva gelosamente la fotografia che Dean gli aveva regalato quando lui aveva dodici anni, quella in cui Mary lo stringeva tra le braccia appena nato. Dean l’aveva trafugata quando era piccolo, quando Bobby tornò a casa Winchester per prendere tutte le loro cose, portò a casa sua anche dei vecchi album e, prima che finissero dimenticati in soffitta, Dean riuscì a prendere alcune foto tra cui una sua e della sua mamma, una di Sammy con la mamma e alcune che ritraevano lui e suo fratello, insieme sul tappeto a giocare come due bambini spensierati. Le aveva sempre custodite gelosamente in un cassetto del suo comodino e continuava a farlo, era certo che non si sarebbe mai separato da quelle foto, probabilmente erano le uniche foto in cui gli si vedeva un sorriso sul volto.
Durante la mattinata al cimitero, Sam non disse molto, si limitò a dire che gli sarebbe piaciuto conoscerla, ovviamente il maggiore non riuscì a far altro che incolparsi di nuovo. Se non fosse stato per lui, Sam l’avrebbe conosciuta, se non fosse stato per lui, quella notte John non le avrebbe fatto del male, e suo fratello sarebbe cresciuto con una madre, se non fosse stato per lui, nessuna delle cose orribili accadute alla sua famiglia, sarebbe accaduta. Abbassò il capo, e si morse con forza le labbra, doveva cercare di scacciare quei pensieri dalla sua mente, perché Sam non meritava di vederlo di nuovo in quello stato.
«Dean?» lo chiamò con aria preoccupata.
«Non è niente, Sammy» mentì spudoratamente, scuotendo la testa.
«Non mentire» lo ammonì il minore, comprensivo, Dean sbuffò leggermente, scuotendo la testa «Non hai sofferto abbastanza, Dean?» gli chiese il fratello, quasi leggendogli nella mente.
«Non sarà mai abbastanza, Sammy, guardaci…» mormorò «Per colpa mia, la mamma è morta; tu hai tentato il suicidio… e…» balbettò un po’ a disagio. Non sapeva come facesse suo fratello a capire e a fargli dire qualunque cosa gli passasse nella mente, forse era anche grazie a quella promessa che gli aveva fatto qualche anno prima, dopo la riabilitazione.
«Dean, so che è difficile per te crederlo, ma sai che non è colpa tua, vero?» domandò, cercando di guardare il fratello negli occhi, per fargli capire che lui fosse lì, che lui avrebbe condiviso con lui il suo dolore, e l’avrebbe reso comune, se solo Dean gliel’avesse permesso, perché un dolore così grande non poteva essere portato da una sola persona.
«Mi sto abituando a pensarlo, sì, ma… a volte mi sento così…in colpa» confessò. Si sentiva mortalmente in colpa, se pensava per un attimo di non essere colpevole, ecco che il senso di colpa lo schiaffeggiava con forza, ripiombando su di lui con tutta la sua forza distruttiva.
Sam sospirò e passò un braccio attorno alle spalle del fratello, stringendolo poi contro di sé, lo sovrastava di almeno una decina di centimetri ed era buffo, visto che lui era il minore «Non farlo, okay?» gli chiese premurosamente «Non sentirti colpevole, e quando succede, quando senti il senso di colpa, chiama me. Condividiamo questa cosa. Te lo sei tenuto per te per troppo tempo». Il maggiore alzò lo sguardo sul minore, con un velo d’orgoglio negli occhi verdi, era così fiero di lui, di come era cresciuto, di come era maturato. Sarebbe stato sicuramente un uomo migliore di lui, ne era certo. Mamma, saresti così orgogliosa di Sammy! – pensò Dean, rivolto alla tomba della defunta Mary.
«Te lo prometto, Sammy» disse semplicemente, poi restarono in silenzio qualche istante, fino a che il senso di colpa di Dean si affievolì un po’, e il minore si sentì sollevato per essere riuscito ad aiutarlo.
«E Dean?» lo chiamò Sam, dopo qualche istante, con mezzo sorriso sul volto, senza lasciare la presa su di lui.
«Sì, Sam?»
«Fammi un favore, non lasciarti scappare questo Castiel. Sembri un po’ più sereno da quando lo conosci. Sei persino venuto ad una festa in maschera con lui!» affermò con sicurezza «Insomma, ti ho visto ridere! Dean, non ti vedevo ridere da secoli!» esclamò ancora «Dovresti chiarire la situazione imbarazzante che si è creata tra di voi, so che non vuoi fare il primo passo e tutte le stronzate che ti dici da solo, ma, davvero, vai da lui e chiedigli perché ti ha baciato. Se fa lo stronzo, ci penso io a lui» promise. Il maggiore restò in silenzio qualche minuto, riflettendo sulle parole appena dette dal fratello, constando che avesse ragione. Da quando conosceva Cas si sentiva diverso, gli faceva un bell’effetto, e sì, doveva chiarire con lui la situazione che si era creata tra di loro, chiaramente c’era dell’imbarazzo dovuto alle circostanze. Si ritrovò a ridacchiare, alla minaccia del fratello. «Cosa c’è da ridere, ora?»
«Onestamente, Sammy, tu sei grande e grosso, ma non faresti male ad una mosca» rise ancora, battendogli una mano sulla spalla, Sam gli regalò un’occhiataccia offesa «Ma sai che ti dico?» domandò al fratello retoricamente, lui lo guardò con aria interrogativa come per dire cosa? «Hai ragione, andrò da lui domani. Ora che ne dici di andare a prendere qualcosa da bere?» domandò.
«Sono d’accordo» disse il minore, sorridendo. Prima di andare via, entrambi baciarono la foto della madre e con un mesto «Ciao mamma» detto da entrambi, uscirono dal cimitero fianco a fianco. Probabilmente, se lei fosse stata con loro, sarebbe fiera del rapporto che i due avevano instaurato, o almeno a loro piaceva pensarla così.
 
La mattina del tre novembre, sapendo che il martedì era uno dei giorni liberi di Castiel, Dean decise di andare a casa sua, e non impiegò molto a raggiungere l’appartamento, ormai conosceva bene quel luogo, dopo le tante volte in cui era stato lì con Cas, per chiedere spiegazioni. Sam aveva ragione, per una volta poteva fare un azzardo, per una volta poteva rischiare, nonostante tutte le cose che gli erano successe, secondo suo fratello meritava un po’ di serenità, e per la prima volta in tanti anni decise di credergli. Suonò insistentemente al campanello, sperando che nessuno dei suoi coinquilini fosse in casa, restando ovviamente deluso quando la porta fu aperta dal più basso degli amici dell’amico, Gabriel. Sarebbe stato troppo fortunato a beccare prima Castiel e potergli subito parlare.
 «Ciao Dean» lo salutò Gabriel allegramente, aprendo la porta «Cerchi Cassie?»
«Già, non mi risponde da qualche giorno e sono preoccupato» disse in modo sbrigativo, cercando all’interno della stanza segni della sua presenza, ma nulla. Castiel faceva il prezioso e non si faceva trovare facilmente.
«Sta studiando in camera sua, vai pure!» esclamò il ragazzo facendolo entrare. Dean lo ringraziò e raggiunse la stanza di Castiel quasi in punta di piedi, si sentiva un po’ agitato e non aveva la più pallida idea del motivo. La porta era socchiusa e il ragazzo approfittò per osservarlo, in silenzio. Era alla scrivania, le spalle curve, e i capelli spettinati, scriveva in modo confuso su un foglio, indossava la sua felpa – quella che gli aveva prestato qualche giorno prima ad Halloween, quella che il moro si era accidentalmente dimenticato di restituirgli – e aveva l’espressione triste. Cosa era successo? Non voleva vedere nessun’espressione così mesta su quel bel volto.
«Ciao Cas» lo salutò entrando nella stanza, l’altro sobbalzò e alzò gli occhi verso di lui, colpevole e imbarazzato.
«Ciao Dean» disse semplicemente, scuotendo la testa «Sto… sto studiando».
«Già, lo vedo» mormorò sarcasticamente, era ovvio che avesse la mente altrove e non stesse studiando, Castiel era davvero un pessimo attore, doveva ammetterlo «E di grazia, perché mi eviti neanche avessi la peste?»
«I-io non ti evito!» esclamò subito l’altro sulla difensiva «Sono… sono molto impegnato!»
«Certo, come no» ironizzò «Sei impegnato a smaltire i postumi della sbronza? Perché credimi, la scusa dello studio, il giorno dopo la festa di Halloween è una delle peggiori che abbia mai sentito» commentò cercando di restare ironico, poi però i dubbi bussarono alla sua mente e «Ho fatto qualcosa di male, Cas? Ti ho offeso in qualche modo?» gli chiese. Sperava davvero che la risposta fosse negativa, aveva bisogno di sapere che almeno quella volta non era colpa sua. «Per favore, Cas, parlami».
«Non hai fatto niente, Dean» rispose Castiel, senza alzare lo sguardo su di lui «Per favore, io… niente. Non è niente» borbottò imbarazzato «Sono io, il problema, Dean, io non…» iniziò, ma Dean non lo fece continuare e scosse la testa, lasciandosi scappare una risata sarcastica. Era ovvio quello che era successo, si era accorto di che nullità fosse e non aveva più voluto avere a che fare con lui; come aveva fatto ad essere così stupido a credere di interessargli? Era così evidente, come aveva fatto a non farci caso? Come aveva potuto dar ragione a Sam invece che a se stesso quella volta? Come aveva potuto credere che nella sua inutile vita da errore, potesse accadere qualcosa di bello? Davvero, dopo tutti i suoi anni di esperienza, aveva fatto un errore così stupido? Ovviamente, Castiel conosceva persone migliori e più stimolanti di lui, persone che avevano commesso meno errori di lui, ma Dean fino a quel momento aveva preferito ignorare la cosa, perché Castiel lo faceva stare bene e per un po’ aveva accantonato i suoi problemi, non che fossero svaniti nel nulla, no, ma in sua compagnia riusciva a non pensarci continuamente, perché il moro aveva il superpotere di trasmettere calma interiore a chi gli stava vicino con un solo sguardo o un sorriso rassicurante. Sperava che la sua espressione non fosse troppo atterrita, per non sembrare un povero disperato all’altro, certo, ci era rimasto male, ma non era mica così patetico da mostrarsi debole davanti a qualcuno che lo aveva appena rifiutato, dopo averlo illuso che potesse importare nella sua vita (anche se non era colpa di Castiel, era lui ad essersi fatto troppe illusioni sul loro rapporto, dopo quel bacio). Aveva già giurato a se stesso che l’unico a distruggerlo sarebbe rimasto John, e non avrebbe permesso a nessun altro di farlo star male in quel modo, anche se aveva l’aspetto di un angelo «Non preoccuparti» disse, la voce ferma, gelida, inespressiva «Non ti disturberò più», voltò le spalle e fece un passo verso la porta; Castiel lo osservò qualche istante, e ripensò a quanto era successo tra di loro, a come si era sentito felice con lui in quel poco tempo, a come Dean avesse accettato senza esitazione lui e le sue stranezze, e vide quell’alone di solitudine e tristezza attraversare i suoi occhi. Si sentì mortalmente in colpa, perché lui era solo un idiota e Dean era una persona troppo bella, non meritava affatto un trattamento simile, e senza ragionare ulteriormente, perché il biondo era così vicino ad andare via, ad uscire da quella porta, dalla sua vita prima ancora di farne parte, un attimo prima che la varcasse, lo bloccò afferrandolo per un braccio, e costringendolo a voltarsi verso di lui. Dio, quando incrociò il suo sguardo, si rese conto dell’errore che aveva fatto, sebbene il biondo fosse uno che non esternava i suoi sentimenti, in quel momento il suo sguardo era così trasparente da far sentire Castiel piccolo come una formica, perché sì, era stato uno stupido a tenerlo lontano; non voleva ferirlo.
«Non mi hai fatto finire» disse senza fiato, Dean lo guardò con uno sguardo indecifrabile, stava nascondendo dentro di sé qualcosa di molto più profondo rispetto a ciò che diceva, Castiel lo sapeva, era sempre stato bravo a leggere le persone, ma non voleva essere invadente. «Io ti ho baciato, Dean» disse lentamente, l’altro annuì.
«C’ero anche io, Cas» si lasciò scappare, a quel commento il moro si ritrovò a sorridere, perché santo cielo cosa si stava lasciando scappare? L’espressione di Dean non mutava, però sembrava in attesa.
«Cerca di capirmi» borbottò «Non sapevo come avresti reagito e… ero così in imbarazzo» disse ancora, velocemente, senza lasciare il braccio dell’altro spaventato dal fatto che potesse sparire da un momento all’altro. Stranamente, però, in quel momento non avvertiva imbarazzo, aveva solo paura di perdere Dean, non poterlo vedere mai più, il suo atteggiamento era stato così stupido e infantile che se ne pentiva, si vedeva che avesse ferito in qualche modo l’altro, anche se non voleva darlo a vedere, Dean era un tipo davvero tanto orgoglioso.
«Non hai pensato che… non so, poteva essermi piaciuto?» domandò l’altro, ammorbidendo l’espressione. Castiel deglutì, sentendo le sue parole, e così, istintivamente, senza ragionare ulteriormente si alzò sulle punte, chiudendo gli occhi, e lo baciò sulle labbra, senza fretta. Dean restò un momento immobile, tanto che Castiel pensò di essersi sbagliato, di aver frainteso, di non interessare all’altro… ma poi sentì Dean rilassarsi a quel contatto, sentì distintamente un sorriso distendersi contro le sue labbra, e poi lo sentì ricambiare con la stessa lentezza e dolcezza il bacio, mentre portava le mani sui suoi fianchi, per reggerlo meglio e avvicinarlo di più a sé. Castiel emise un sospiro di sollievo, e allacciò le braccia attorno al collo del più alto, sorridendo anche lui contro la sua bocca; e poi il bacio divenne più caotico, più desiderato, meno casto. Baciare Dean era una delle cose più belle del mondo, le sue labbra, sebbene leggermente secche, erano morbide e sapevano di caffè, date le quantità eccessive che il biondo assumeva. Per Dean invece era come assaggiare il paradiso, le labbra di Castiel erano soffici, sebbene screpolate, e avevano un vago sapore di cannella e cioccolato, buonissimo, ringraziò mentalmente Sam per averlo spinto a fare quel passo, e baciò Castiel con tutta la passione che aveva dentro di sé. Non baciava in questo modo da anni, o forse non lo aveva mai fatto.
Quando si separarono, Dean appoggiò la fronte contro quella del ragazzo, e sorrise ad occhi ancora chiusi, come se non riuscisse a realizzare cosa fosse accaduto. Castiel lo aveva preso alla sprovvista, lo aveva bloccato, si era a modo suo scusato e l’aveva baciato, e un po’ Dean temeva che sparisse come la prima volta che aveva fatto una cosa del genere. Era stato un primo bacio davvero strano, non era stato come gli altri che aveva dato, era stato impacciato all’inizio, colmo di imbarazzo da entrambe le parti, un po’ confuso; però le labbra di Castiel avevano davvero un buon sapore e Dean le avrebbe sempre baciate, ne era certo. Se solo l’altro non fosse sparito di nuovo.
«E questo cosa… significa?» gli chiese Dean, un po’ su di giri per il bacio.
«Scusa, sono un idiota?» chiese arrossendo e abbassando il capo, Dean si lasciò scappare un sorriso e gli prese il mento con due dita, alzandogli il volto verso il suo, guardandolo dritto negli occhi.
«Mi sta bene» ridacchiò, accarezzandogli con un dito la guancia «E anche stavolta sparirai?»
«No…» rispose l’altro in un sussurro, accennando un sorriso «A meno che…» Dean scosse la testa, intenzionato a non fargli aggiungere nulla a quell’a meno che.
«A meno che, niente» esordì, la voce stranamente ferma, avvicinò il proprio volto a quello di Castiel e premette le proprie labbra sulle sue, in modo che si zittisse e non andasse avanti con quell’a meno che, non ci sarebbe stato niente del genere. Castiel arrossì di botto totalmente imbarazzato, Dean lo notò non appena si separò da lui, e gli mise le mani sulle guance, guardandolo dolcemente, il suo umore era letteralmente mutato, grazie a un solo bacio, iniziava davvero a sospettare che Cas avesse dei poteri paranormali, perché non si spiegava diversamente il suo cambiamento repentino d’umore «Potremmo… frequentarci, che ne dici? Non so, andare al cinema, a cena fuori, cose così».
«Noi ci frequentiamo già» gli fece notare Castiel, loro quelle cose le facevano spesso, soprattutto nel tempo libero di Dean, il quale borbottò qualcosa e scosse la testa con le gote arrossate, intenerendo il moro «Questo è il tuo modo per chiedermi se voglio una relazione con te, Dean?» chiese allora.
«Mmh, forse? Sempre se tu vuoi, eh» borbottò, con lo sguardo leggermente basso. Santo cielo, sei Dean Winchester, non comportarti come una ragazzina! – gli fece presente una vocina nella sua testa, spaventosamente simile a quella di Benny quando gli faceva notare quanto fosse un idiota.
«Mi farebbe piacere» sussurrò Castiel, con la voce incerta, e un po’ si rabbuiò cosa che fece subito comprendere a Dean che nelle sue parole vi fosse sottinteso un ma. Dean cercò di trattenere il fluire dei suoi pensieri negativi, prima di trarre qualsiasi conclusione negativa, cosa assai difficile per lui, che tendeva subito a trarre conclusioni affrettate.
«Ma?» domandò, cercando di non apparire troppo desideroso di sapere dove fosse il problema.
«Io… ecco, Dean» balbettò «So che… sembra strano e-e patetico, visto che ti ho baciato io, ma… io…» era davvero a disagio, ma il biondo non capiva dove fosse il problema, che diavolo stava succedendo? Erano felici esattamente due secondi prima, aveva sbagliato a chiedergli di uscire? Aveva sbagliato a fargli capire di volere una relazione con lui?
«Cas, ti prego, respira, mi stai facendo venire l’ansia» e non era una bugia, si sentiva strano e ansioso improvvisamente.
«So che ti può sembrare strano» disse ancora, più agitato di prima, riprendendo il filo del discorso, sempre più a disagio, perché vedeva Dean inespressivo «Io sono gay» confessò – su quello non avevo dubbi, eh… «Ma… ecco, non pubblicamente, cioè no, non voglio dire che sono etero pubblicamente, ma… ecco, ho sempre questo timore… e-» continuò balbettando, totalmente in imbarazzo e terrorizzato «Non è che mi nascondo, voglio dire, la mia famiglia sa di me, e mi accettano, ma… » balbettò ancora, Dean restò confuso qualche istante. Non capiva dove volesse andare a parare con quel discorso, cosa stava farneticando? «Ho difficoltà a… sai, i nostri coetanei sanno essere crudeli e…» balbettò ancora, respirando affannosamente, senza riuscire a spiegarsi, ma Dean, finalmente, capì, e sorrise.
«Cas, ehi, ehi» mormorò Dean, prendendogli di nuovo il volto tra le mani. Okay, non era un problema, era solo un ragazzo che, anche se accettava la sua sessualità, aveva paura del giudizio altrui «Va bene. È okay. Respira» lo rassicurò, accarezzandogli una gota arrossata con i polpastrelli «Poi mi spiegherai perché ci hai provato pubblicamente con me» scherzò, Castiel si accigliò e abbassò la testa in imbarazzo «… ma va bene. Non ti giudico per questo» aggiunse Dean, guardandolo di nuovo negli occhi, sorridendogli gentilmente. Cas parve rilassarsi alle sue parole.
«Beh, era una sfida dei miei amici… una specie di scommessa, ecco» balbettò ancora un po’ in imbarazzo per la sua confessione «Gabe e Mike sanno tutto, e ogni tanto… beh, si divertono a punzecchiarmi, per aiutarmi a… non aver paura, ma diciamo che hanno dei modi un po’ strani».
«D’accordo… quindi, abbiamo una relazione nascosta?» chiese Dean «Sempre se vuoi, eh».
«Tu… cosa? Vuoi comunque una relazione con me?»
Meno male che sono io quello con i problemi… - pensò divertito il biondo, scuotendo la testa: «No, guarda, voglio una relazione con la tua bellissima scrivania piena di quaderni» ironizzò, ridacchiando. Castiel si morse le labbra sorridendo a sua volta, conscio che quello fosse il giorno più bello della sua vita. Poi, senza aggiungere altro, baciò di nuovo Dean, solo un tocco di labbra leggero, la cosa più casta che entrambi avessero mai dato. Una muta risposta positiva. Il mondo parve fermarsi in quell’istante, e Dean stranamente si sentì invaso da una sensazione di calore e felicità.
«Lo prendo per un sì?» il sorriso che gli rispedì Castiel fu una più che sufficiente risposta e , sussurrò a voce bassissima, prima di baciarlo ancora. E Dean ebbe la conferma, per un attimo, che tutto stesse andando davvero per il verso giusto. E un po’ ne ebbe paura, ma le labbra di Castiel sulle sue, il suo sorriso premuto contro la sua bocca, piegata anch’essa in un sorriso, spedirono quella paura via, come una folata di vento su un mucchio di foglie autunnali.
 
Circa due settimane dopo
Avere una relazione semi-nascosta – sì, perché Gabriel, Michael e Sam sapevano di loro – era una delle cose più assurde ed eccitanti che Dean avesse mai vissuto; e gli aveva fatto apprezzare ancor di più le biblioteche e le aree con i libri più noiosi, quelli che tutti odiavano, e Castiel di sicuro amava. Lì, quando riuscivano a sgattaiolare senza farsi vedere, riuscivano a rilassarsi e baciarsi per quelle che a loro sempre sembravano ore. Sembravano due adolescenti che si imboscavano a pomiciare nei ripostigli delle scope del liceo, e beh, non erano molto diversi da loro. Contro quegli scaffali avvenivano le magie che Cas sapeva fare con la bocca, e purtroppo per Dean, non era un doppio senso, perché le uniche effusioni che si concedevano erano baci, a volte poco casti e intensi, ma pur sempre baci. Dean non avrebbe mai immaginato che fosse un così bravo baciatore, e davvero, spesso avrebbe voluto spingersi oltre, ma doveva trattenersi, perché santo cielo, il moro era ancora vergine. A ventidue anni. Neanche Sam a ventuno era vergine, dannazione. Voleva che quando e se fosse avvenuta con lui, la prima volta di Cas fosse speciale per lui, tuttavia non aveva esperienze con prime volte, la sua era stata caotica, confusionaria, e guidata dall’alcool e probabilmente anche dalla droga. Con gli anni si era pentito di aver perso la verginità in quel modo, ma non poteva tornare indietro; quindi voleva che per il più piccolo fosse diverso. E sì, forse era stupido da pensare, ma sentiva di star iniziando a provare qualcosa per il ragazzo, per quel timido ragazzo col trench e con le magliette da nerd che aveva paura di avere una relazione alla luce del sole, ma che riusciva a sconvolgergli una giornata con un solo ciao Dean. E Sam non avrebbe mai dovuto sapere quest’ultima cosa, altrimenti lo avrebbe preso in giro a vita. Ma era vero, un solo sorriso di Castiel, bastava ad illuminare la sua giornata, e lui non poteva esserne più felice, anche se si sentiva una maledetta ragazzina alla prima cotta.
Andò a prenderlo sul tardi, quella sera. Erano le undici, lui aveva appena smontato dal bar da un turno davvero assurdo, aveva iniziato alle undici del mattino, e aveva fatto dodici ore filate di lavoro, senza sosta. Era distrutto, sfinito, ma desiderava da morire vedere Castiel, aveva in programma di portarlo con sé al Clinton State Park, uno dei suoi posti preferiti in assoluto, anche se non lo aveva mai detto a nessuno. Aveva pensato a tutto, prima di andare al lavoro quella mattina, aveva messo due teli da spiaggia e delle coperte nel cofano dell’auto, e dopo il turno sarebbe passato al fast-food a prendere del cibo d’asporto, anche se già immaginava le polemiche del suo ragazzo – wow, era davvero strano definirlo così – sul poco salutare cibo del fast-food. Gli era sembrata una cosa carina da fare, portarlo lì, sulla riva del Clinton Lake, mangiare qualcosa con lui, sdraiarsi sotto le stelle con lui e semplicemente abbracciarsi. Non aveva mai fatto niente da coppia  con qualcuno, e con Castiel sembrava valere la pena comportarsi così, era Cas, d’altra parte. Così dopo il lavoro era saltato in auto, gli aveva scritto un criptico messaggio preparati, sto venendo a prenderti ed aveva messo in azione il suo piano. Dopo il fast-food impiegò pochi minuti a raggiungere lo stabile in cui viveva il ragazzo, e quando arrivò lo trovò già ad aspettarlo sotto al palazzo. Era adorabile, la serata era leggermente fredda e lui indossava una felpa pesante, con lo stemma di Superman – lui trovava davvero singolare il suo modo di vestire, così simile a quello di suo fratello, ma non poteva far altro che apprezzarlo e adorarlo – e dei jeans che sembravano aver visto giorni migliori, niente trench beige. Un sorriso spuntò sul suo volto, alla vista del ragazzo, fermò l’auto poco prima di lui, e si affacciò al finestrino.
«Posso darti uno strappo, bel ragazzo?» chiese divertito, vedendo il volto dell’altro diventare di mille colori. Cas aveva l’aria strana, pensierosa, e Dean si chiese subito cosa ci fosse che non andava, uno strano senso di disagio si fece largo in lui, ma cercò di non fasciarsi la testa ancor prima di cadere, perché forse aveva solo avuto una giornata no.
«N-Non sei divertente, Dean» borbottò stranito. Il biondo avrebbe voluto baciare quel broncio immediatamente, ma sapeva di dover aspettare di essere lontani e totalmente da soli, perché altrimenti Castiel avrebbe dato di matto, guardandosi intorno con aria smarrita e atterrita. Aveva fatto quell’errore una sola volta, per sbaglio quando l’aveva riaccompagnato a casa e gli aveva stampato un bacio sulle labbra sotto al portico – stupido idiota romantico – e Castiel aveva spalancato gli occhi in quel modo assurdo e si era rifugiato all’interno del palazzo, temendo di essere stato visto. Dean si era sentito in colpa per quella reazione e un po’, non mentiva a se stesso, aveva pensato che il ragazzo si vergognasse di lui. Ma andava bene, fino a che Castiel non lo avesse mandato via – come si aspettava.
«Non riesco a resisterti quando arrossisci. Dai, salta su, sweetie» disse un po’ provocatorio, ignorando il turbine di pensieri negativi su se stesso, si ripeteva che il suo ragazzo aveva avuto una giornata storta e forse era solo un po’ nervoso, ma non riusciva a non pensare di aver fatto qualcosa che avesse in qualche modo potuto ferirlo.
«E non chiamarmi come River chiama il Dottore» borbottò di nuovo, aprendo la portiera dell’auto e prendendo posto accanto a lui. Dean si limitò a sorridergli e a rubargli un veloce bacio sulla guancia. Vide l’ombra di un sorriso comparire sul suo volto, e si sentì in pace con il mondo, ma poi vide quel sorriso svanire, inghiottito dal timore che pervadeva l’altro, glielo leggeva sul viso che c’era qualcosa che non andava e non sapeva se chiedere o fingere di non essersene accorto. Da cosa dipendeva? Aveva fatto qualcosa di male? Era quasi sicuro di non aver fatto niente di male, almeno quella volta, quindi perché Cas aveva quell’espressione? Era successo qualcosa durante la sua assenza? – si chiese nuovamente, totalmente confuso.
«Brontolo» lo prese in giro, cercando di essere divertente, per distrarlo, magari così avrebbe abbandonato quell’espressione di tristezza perenne «Mi sei mancato oggi» gli confessò con sincerità.
«Anche tu, Dean» rispose l’altro, lasciandosi andare in un sorriso, sostituito di nuovo da quell’espressione vacua e triste. Santo cielo, perché non parlava? Perché non gli diceva il problema? «Dove mi porti?»
«Sorpresa» soffiò, mettendo in moto l’auto. Con la coda dell’occhio, vide Castiel allacciarsi la cintura di sicurezza e sorrise spontaneamente, era un dannato perfettino, il suo perfettino. Sperava davvero che non avesse niente di male, che fosse tutto okay. Forse aveva avuto solo una brutta giornata e aspettava di rilassarsi con lui, come me d’altra parte. Eppure quel senso di disagio e di stranezza non abbandonò il volto del moro, anzi. Man mano che Dean guidava si faceva più evidente, e il ragazzo non sapeva proprio cosa fare in quel momento.
«Non farà freddo dove andiamo, vero? Ho solo questa felpa…» disse, sentendosi un po’ a disagio. Dean si stupì del suo tono, non era mai a disagio con lui, neanche quando scherzavano tra di loro, Cas era sempre più strano, ma cercò di non dar peso alla cosa e gli mise una mano sul ginocchio e lo strinse con gentilezza, ma Castiel si irrigidì e Dean la scostò quasi scottato. Era decisamente lui il problema, e Castiel non lo nascondeva più, aveva decisamente fatto qualcosa di male, e non ne era a conoscenza. Sentì tutti gli insulti di John ripiombare su di lui, e per un attimo, solo un attimo, fu tentato di spegnere il motore o invertire l’auto, poi la voce rassicurante di Sammy fece capolino nella sua mente – non trarre conclusioni affrettate. Chiedi prima di fasciarti la testa. Fu solo un attimo, ma Dean riuscì a riprendere il controllo di se stesso, senza farne accorgere all’altro. Doveva ancora lavorare su questo, decisamente, ma doveva ammettere di essere migliorato.
«Tranquillo» soffiò, la voce un po’ incrinata, stringendo il volante dell’auto, cercando di controllarsi «E poi se avrai freddo, ti darò il mio giubbotto» gli disse in modo rassicurante, o almeno ci provò. Castiel continuava ad essere teso come una corda di violino e a guardare davanti a sé con aria seria, preoccupata e triste. Davvero, Dean non sapeva più a cosa pensare. Cosa poteva aver fatto?
«D’accordo…» mormorò guardandosi intorno «Hai preso anche la cena?» domandò con la voce tremante. Dean non capiva perché fosse così agitato, erano già usciti altre volte di notte, e non si era mai comportato così. Era teso, e il biondo non riusciva a capirne il motivo, era successo qualcosa e non voleva parlargliene? Cosa gli nascondeva?
«Cas?»
«Sì?»
«Perché sei nervoso?»
«Io…» iniziò, ma poi si bloccò. Dean dovette fare forza su se stesso per non insultarsi e odiarsi ancora di più di quanto facesse, perché Castiel era più importante di qualunque complesso interiore, e doveva capire cosa fosse accaduto, e porvi rimedio, doveva capire perché fosse così turbato, e perché il suo turbamento fosse proprio con lui, lo aveva sentito, quando lo aveva sfiorato, che c’era qualcosa che non andava, perché Castiel si era irrigidito e quasi sottratto alla sua carezza. Accostò l’auto lungo la strada e si fermò, voltandosi verso di lui con lo sguardo preoccupato e ansioso.
«Che ho fatto?» chiese agitato anche lui, sentendo però dentro mille emozioni contrastanti.
«Niente, Dean» rispose scuotendo la testa «Davvero, è una sciocchezza…»
«E io voglio saperla, perché ti fa stare male. Non ti vedo da ieri, e so che oggi sono stato poco presente, ma avevo da fare al lavoro, è stata una giornata pesante e sfiancante, ma sono qui con te. Perché voglio passare del tempo con te, e non mi va che tu sia così agitato». Castiel lo guardò negli occhi, e vide solo determinazione, Dean non si sarebbe arreso fino a che lui non avesse parlato e gli avesse spiegato ogni cosa. Doveva farlo per forza, a quel punto.
«Ho discusso con Michael e Gabriel» sospirò «Loro… sono molto protettivi verso di me» borbottò «Da quando hanno scoperto che ci frequentiamo, hanno… fatto qualche ricerca» Dean si accigliò, oh no «Hanno scoperto che tu… beh, che tu frequentavi molte persone sbagliate… e sei stato in riabilitazione» spiegò il moro, a disagio «Loro credono… che tu possa farmi del male». Dean si irrigidì a quelle parole, qualcuno, anzi gli amici di Cas avevano scoperto quel periodo oscuro della sua vita, e ne avevano parlato con Cas? Avevano sconvolto Cas con quelle storie? Lui aveva sconvolto Castiel, il suo passato aveva sconvolto Castiel. Oh no… non gli avrebbe mai fatto del male, chi era l’idiota che poteva pensare una cosa del genere? Come avrebbe mai potuto far del male ad una persona pura come Cas? Strinse gli occhi con forza, e prese un respiro profondo per non permettere all’angoscia e al senso di colpa, seppellite dentro di lui, di venire a galla e rovinargli la serata. Deglutì e poi guardò Cas, rammaricato, colpevole. Non poteva negare, non poteva dirgli semplicemente che erano calunnie, perché era tutto vero, e lui aveva sconvolto Castiel.
«Cas, ascoltami bene» esordì, cercando di mascherare il tumulto interiore che aveva dentro di sé «Non posso negare che in un periodo della mia vita, mi sia lasciato un po’ andare tra cose e persone sbagliate» sospirò, ricordare quel periodo era doloroso e sapere che Castiel sapesse una parte di quel passato che lui voleva a tutti i costi eliminare dalla sua memoria era davvero una doccia gelata sulla realtà, avrebbe voluto che quel periodo rimasse nascosto nell’ombra del suo passato, e invece eccolo, a seminare il dubbio in Cas «Ma stavo attraversando un brutto periodo, davvero orribile, e quella era una valvola di sfogo, credevo che l’alcool e la droga fossero l’unica via di fuga» spiegò ancora, mordendosi le labbra di tanto in tanto, nervoso «Non ne vado fiero, e non mi sto affatto giustificando, so di aver fatto molti errori, tanti errori, ma sono cambiato e sto cercando di rimediare a tutti gli errori che ho fatto, sono pulito da quattro anni e non ho più quelle necessità, non soffro nemmeno più di crisi di astinenza, giuro» confessò, mordendosi le labbra, tremando appena, non si era nemmeno accorto di aver cominciato a tremare, il solo pensiero che Castiel sapesse e potesse giudicare, lo terrorizzava «Credimi, Cas, non potrei mai, mai farti del male. Te lo giuro». Non era mai stato tanto sicuro di se stesso in vita sua come in quel momento, e voleva che Cas capisse che no, non gli avrebbe mai fatto del male, e mai avrebbe fatto qualcosa contro di lui. Santo cielo, avrebbe preso quei due a pugni solo per aver turbato in quel modo Castiel. «Te ne avrei parlato io, ma… non volevo scaricarti addosso tutto subito» borbottò, e lo pensava sul serio. Forse un giorno ne avrebbe parlato con lui, solo che non si aspettava di farlo così presto, quando frequentava il ragazzo da appena due settimane. Era tutto sbagliato, lui era sbagliato, si aspettava che Castiel lo mandasse a quel paese in quel momento, gli ordinasse di riportarlo a casa e non farsi vedere mai più, perché lui era l’errore, lui era quello sbagliato, lui era il codardo, il colpevole, lui…
«Ti credo» soffiò Castiel, sorprendendo il biondo; il peso sul cuore di Dean, che non si era accorto di avere, si alleggerì di colpo «Scusa il mio atteggiamento, è che… so che avrei dovuto parlarne con te, ma-»
«Ma mi consideri solo un ex-tossicodipendente nullafacente?» chiese  il biondo interrompendolo; il moro scosse la testa e l’abbassò, imbarazzato. Avrebbe dovuto parlare con lui, non essere così stupido da credere alle parole dei suoi amici, traendo conclusioni affrettate, ferendo così Dean.
«No, Dean, sei lontano dall’essere un ex-tossicodipendente nullafacente» disse, Dean si sentì tirare un sospiro di sollievo, che non sapeva di aver trattenuto «Mi dispiace per il mio atteggiamento».
«Non preoccuparti, Cas. Va bene. Sappi solo che mai ti forzerei a fare qualcosa che non vuoi. Mai, chiaro?»
«Chiaro» mormorò un po’ incerto il moro. Poi si sporse verso Dean e gli baciò la guancia, sussurrandogli un dolcissimo: «Scusami». Dean si sentì un attimo invaso dalla pace dei sensi, e un brivido d’emozione – amore? – lo attraversò da capo a piedi. Non capiva da cosa dipendesse, sapeva solo che era Castiel a fargli quell’effetto, ed era bello.
«Dean?»
«Sì?»
«Se vorrai parlarne, sarò qui per te» promise. Dean non rispose, ma gli fece capire di aver afferrato il messaggio.
Dopo essersi accertato che il suo ragazzo stesse bene, Dean rimise in moto, e guidò fino al parco dove aveva intenzione di passare qualche ora, voleva solo stare sdraiato sotto le stelle in sua compagnia e magari stringergli la mano, sì, era patetico e sdolcinato; no, non se ne pentiva, per Cas ne valeva la pena. Voleva solo che Castiel in sua compagnia fosse felice, e desiderava esserlo a sua volta. Sam diceva che lui meritava di essere felice, Bobby e Jody dicevano lo stesso, persino Benny gli ricordava che con tutto quello che aveva passato, la meritava; e Cas lo rendeva felice, anche se ancora non lo sapeva. E forse, un po’ credeva alle loro parole, altrimenti non sarebbe mai andato lì. Solo che quello che aveva detto prima Cas risuonava ancora nella sua mente, e non sapeva come sentirsi al riguardo, Cas era rimasto sconvolto da lui, dal suo passato, poteva restargli ancora accanto? Poi semplicemente, Castiel lo guardò con dolcezza, con quel blu dei suoi occhi così innaturale e meraviglioso, delicatamente gli prese la mano che teneva sul cambio delle marce, intrecciando le loro dita per qualche istante, e la bufera dentro di sé si placò.
Parcheggiò l’auto, prese tutto il necessario e condusse Castiel all’interno del parco, camminarono per qualche metro, giungendo in una piccolo spiazzo con pochi alberi, non molto lontano dal lago. Castiel era in silenzio, ma stupefatto, e si guardava intorno, cercando di capire cosa avesse in mente Dean. Poi lo vide stendere due teli per terra, prendere le buste del fast-food, sedersi sul prato e invitarlo a fare lo stesso. Lui in silenzio lo imitò, guardandolo curioso e confuso.
«Sto organizzando questa cosa da una settimana… e tu non dici niente?» esordì Dean, tagliando il silenzio imbarazzante sceso tra di loro. Castiel strabuzzò gli occhi, una settimana? Per lui?
«Io non ho parole…» mormorò «Davvero, è troppo, per uno come me» disse in imbarazzo.
«Non è nemmeno la metà di quello che meriti, Cas» e sì, forse suonava troppo smielato o stupidamente romantico, ma aveva bisogno di far capire a Castiel che era importante per lui, perché da quando lui era entrato nella sua vita, si era accesa una luce di speranza nel suo cuore, che lui non vedeva fin da quando aveva avuto quattro anni. Castiel scacciava via i suoi demoni, come un forte vento scacciava via le nuvole dopo una tempesta.
«Io…» mormorò, senza trovare altre parole, si limitò a dire semplicemente: «Grazie» con un sorriso timido e imbarazzato sul volto, e non aveva idea di quanto Dean avesse voglia di baciare quel sorriso, ancora, ancora e ancora, fino a rendere quelle labbra solo sue. E lo fece, si sporse verso di lui e lo baciò con dolcezza, portandogli una mano sulla guancia, accarezzandogliela piano, con sua grande sorpresa, Castiel si sbilanciò verso di lui, gli buttò le braccia attorno al collo e si strinse forte a lui, ricambiando con intensità il bacio, affondò le mani nei morbidi capelli biondi di Dean, e saggiò le sue labbra come se fossero una cosa nuova, tutta da scoprire, come se le baciasse per la prima volta. Quando smisero di baciarsi con intensità e passione, si separarono entrambi a corto di fiato, ma con il sorriso stampato sul volto. Consumarono la loro cena, ormai fredda, guardandosi negli occhi, senza smettere un attimo di essere persi l’uno nell’altro e poi si sdraiarono sotto le stelle, così come aveva immaginato Dean. Castiel appoggiò la testa sul suo petto, e lasciò che l’altro, dopo avergli passato un braccio attorno alle spalle, gli accarezzasse delicatamente i capelli e il volto, mentre lui gli spiegava che quelle stelle che vedevano, in realtà erano lontane anni luce, e cercava di elencare alcuni dei loro nomi. Si coccolarono a lungo, cullati dal fruscio del vento, stretti nei teli e nei plaid che Dean aveva portato, e si scambiarono languidi baci, alcuni casti, altri meno casti, e poi con le mani intrecciate, appoggiati l’uno all’altro, si addormentarono lì, cullati unicamente dal battito un po’ accelerato dei loro cuori.


______
Hola people! 
Come ogni sabato, eccoci all'appuntamento rituale con questi due bambini. Sono stati buona visto? Nessuno si è pentito di nulla, solo che Cas aveva un po' di fifa dopo il bacio. Ma nessuno è stato male.
Non tirate i pomodori a Michael e Gabriel, sono protettivi verso Cas, a causa di cose che gli sono successe che Dean non sa ancora e hanno paura che possa fargli del male. E poi Dean doveva sbottonarsi un po' con Cas e fargli sapere qualcosa del suo passato. Dean non lo avrebbe mai fatto di sua volontà, anche se è convinto di sì, gli ci voleva una spinta. Supportive!Sammy è il mio preferito. 
Io sono così felice di vedere che vi stia piacendo sempre di più, quando ho iniziato a scriverla, non credevo che una trama del genere potesse piacere a qualcuno ma sono contenta di essermi sbagliata.
Non abituatevi troppo al fluff eh, il passato di Dean purtroppo tornerà a bussare presto, ma non prestissimo. (tradotto ci sarà un altro capitolo fluffoso e poi l'angst tornerà a regnare). E che dire? Nient'altro.
Come ogni settimana, rinnovo i ringraziamenti a chi segue, preferisce e ricorda la storia, a chi spende un click anche solo incuriosito dal titolo e soprattutto alle mie commentatrici abituali, che non mancano mai. Thank you so much!
Ci si becca sempre su questi canali la prossima settimana! 

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Capitolo 8
*** VII Parte ***


DESCLAIMER: La storia è scritta senza fini di lucro, i personaggi non mi appartengono in nessun modo e non intendo offendere nessuno. Giuro. 
PS. C'è l'avviso che i personaggi sono molto OOC, questo è un capitolo lunghissimo, ma non mi dispiace. Attenzione alle carie, perché ho dato il peggio di me a livello di fluff e romanticismo (con cui spero di farmi perdonare (spoiler) per i capitoli successivi... OPS)


Dicembre 2015
 
You and I,
We're like fireworks and
symphonies exploding in the sky.
 
Dean era felice, una felicità che mai aveva sperimentato prima di quel momento, una felicità tale da smuoverlo dentro e fargli dare il meglio di sé, in qualunque campo. A lavoro, sebbene fosse stato già bravo, era diventato un portento, veloce, sorridente, accomodante con i clienti e mai lamentoso, sosteneva turni davvero assurdi – soprattutto da quando Adam, uno stupido nullafacente, si era fatto licenziare perché il lavoro era troppo stressante per lui – e non era mai giù di morale, o lamentoso; al college aveva iniziato a studiare di più e a sostenere diversi esami nelle date straordinarie, per chi, come lui, era fuori corso. Castiel tirava fuori il meglio di lui, e nemmeno se ne rendeva conto.
Spesso il ragazzo andava al bar, soprattutto quando Dean aveva dei turni che gli impedivano di vederlo quanto voleva, e quando accadeva, quando Castiel varcava la soglia del piccolo bar, Dean si illuminava. Benny, a cui aveva detto della relazione con Castiel, solo dopo che quest’ultimo gli aveva dato il via libera per farlo, lo prendeva in giro, diceva che sembrava di vederlo volare sulle nuvole, o quasi ad un palmo da terra, e che era patetico. Ma a Dean non importava, Dean per la prima volta sentiva la felicità scorrergli nelle vene e non avrebbe mai smesso di ringraziare a sufficienza Sammy per averlo spinto tra le braccia di Castiel. Si sentiva davvero bene e in pace con se stesso e con il mondo, mai aveva sperimentato qualcosa di simile, e la felicità scorse in lui ancor di più quando, mentre accompagnava Castiel verso il dipartimento di teologia – aveva un dannatissimo esame sulle religioni del mondo – per prendere dei libri, il ragazzo aveva lasciato scivolare la propria mano verso la sua, e le loro dita si erano sfiorate, poi Castiel le aveva intrecciate tra di loro, e gli aveva preso la mano in pubblico e Dean si era sentito esplodere letteralmente di gioia, anche se Cas l’aveva lasciata quasi subito come scottato, non poteva esserne più felice, perché significava che Cas stesse cercando di venire a patti con la sua paura. Wow. Stavano insieme da poco più di un mese, e già Dean si sentiva innamorato come mai nella sua vita. Sapeva che Castiel fosse speciale, lo aveva saputo fin dal primo istante e non poteva credere di essere stato così fortunato ad incontrarlo, a volte gli sembrava di vivere in una dimensione onirica, un’idilliaca illusione e davvero non aveva voglia di svegliarsi.
Avevano continuato a guardare Doctor Who insieme, e Castiel lo aveva introdotto anche ad altre serie tv, ma per Dean non importavano molto quelle cose, la cosa importante era stare in compagnia di Castiel. Avevano iniziato a guardare delle serie tv fantasy e horror, e Dean adorava quando, mentre guardavano gli horror, il moro infossava il volto nel suo collo, spaventato e si stringeva a lui. Era stupido, Dean lo sapeva, ma non poteva fare a meno di quei piccoli momenti, durante i quali per un po’ sembrava che tutte le cose negative che aveva vissuto prima di Castiel svanissero. Esse restavano presenti come virus dormienti, ma con Castiel il mondo sembrava migliore, e Dean iniziava ad apprezzare questa cosa.
«Quando ci presenterai questo famoso Castiel?» domandò Jody, facendolo riemergere dai suoi pensieri, un sabato mattina, mentre gli versava una tazza di caffè, Dean che stava mangiando un toast, quasi si strozzò nell’ingoiare, cosa? Incontrare Castiel? Presentargli la sua famiglia? Così presto? Ma erano pazzi o cosa?
«In che senso?» domandò tossendo «Non credo che… sia il caso, siamo amici».
«Dean» iniziò la donna, senza smettere di sorridergli in modo dolce «Tuo fratello non sa stare zitto, sappiamo che avete una relazione, e sai fin dai tuoi quattordici anni che sia io che Bobby ti accettiamo così come sei» spiegò con la sua solita gentilezza «E siamo felici che tu finalmente sia sereno, quindi saremo felici di conoscere la persona che ti fa essere così». Dean boccheggiò con la tazza di caffè ferma a mezz’aria e restò in completo silenzio, non si aspettava una cosa simile, e nemmeno che a casa sapessero di Castiel. Come lo avrebbe spiegato a lui? «D’accordo» concesse lei, accogliendo il suo silenzio come un segnale di completo disagio «Pensaci e poi facci sapere, va bene?» il ragazzo annuì, ancora leggermente assente, cercando di mettere insieme le idee. C’era la possibilità che Castiel conoscesse la sua famiglia, sempre che lui fosse stato d’accordo, e quindi questo… cosa avrebbe significato per lui e per Cas? Non sapeva nemmeno se potesse durare… come poteva fare un passo del genere, dopo un mese? Perché Sam non teneva la sua boccaccia chiusa? E come ne avrebbe parlato con Castiel? Lui temeva persino di dargli un bacio sulla guancia in pubblico. Avvertiva un certo sentore di nausea, ma cercò di scacciarlo dalla mente. Una cosa era certa, Sam l’avrebbe pagata. Santo cielo, era imbarazzante, lui e Castiel stavano insieme dall’inizio del mese di novembre e suo fratello già sbandierava la sua storia a Bobby e Jody?
Ringraziò Jody, bevve in fretta il suo caffè e le baciò la guancia, prima di afferrare il proprio giubbotto. Doveva andare a prendere Cas, quella mattina. Era un freddo sabato mattina di inizio dicembre, non c’erano lezioni e Dean stranamente era libero dal lavoro, quindi avevano deciso che sarebbero andati insieme al centro commerciale perché Cas aveva bisogno di comprare dei dvd e dei libri, e gli aveva chiesto un passaggio, ovviamente il biondo aveva preso quella richiesta come un’occasione per passare del tempo insieme, si sapeva, la loro relazione era un po’ complicata, perché in pubblico – Dean sospettava che avesse avuto problemi con degli omofobi in passato – Cas aveva ancora delle reticenze. Certo, una volta gli aveva preso la mano, ma Dean vedeva quell’ombra di paura e di terrore che lo attraversavano quando qualcuno lanciava loro qualche sguardo carico di pregiudizi. Dean aveva vissuto sulla sua pelle cosa significasse avere a che fare con qualcuno che non accettava la propria natura e non voleva che Castiel vivesse su di lui il disagio e la vergogna, per questo non si lamentava quando, durante le loro uscite, il ragazzo rimaneva dietro di lui, o manteneva le distanze.
Mise in moto la sua auto e si diresse verso la casa del suo ragazzo, pervaso da mille dubbi, aveva tante domande senza risposta, ma aveva bisogno di vedere Castiel, così che il tumulto interiore che aveva, si placasse. Vi arrivò in pochi minuti e gli scrisse un frettoloso messaggio, dicendogli che era arrivato; lo vide arrivare dopo dieci minuti, avvolto in un giubbotto troppo grande per lui – peccato che il suo immancabile trench beige fosse troppo leggero per quel periodo – probabilmente sotto aveva uno di quei maglioni enormi, che gli stavano eccessivamente larghi, un cappellino con lo stemma di Batman e una sciarpa a righe nere e gialle, ovviamente, Tassorosso, Dean era diventato bravo a riconoscere quelle cose, doveva ammetterlo. Sorrise spontaneamente vedendolo arrivare, il ragazzo si avvicinò all’auto sorridendo sornione.
«Buongiorno, Dean» gli disse, aprendo la portiera ed entrando in auto, prendendo posto accanto a lui «Come stai?»
«’Giorno Cas» lo salutò a sua volta, sorridendo, tentato di sporsi verso di lui e baciargli le labbra «Sto bene, tu?»
«Sono felice di passare questa giornata con te» confessò con sincerità richiudendo la portiera e sfregandosi le mani le une contro le altre, cercando di scaldarsi «Ma tu? Sicuro che vada tutto bene? Hai un’espressione strana» disse guardandolo in faccia. Santo cielo, come faceva a leggerlo così bene?
«Niente…» sospirò, scuotendo la testa, Castiel inclinò la testa, con fare interrogativo, come per dirgli andiamo, lo so che stai mentendo, Dean sbuffò e «Senti è successa una cosa imbarazzante a casa, tutto qui» tagliò corto.
«Va bene… non ne vuoi parlare» gli concesse il moro «Sono qui quando ne vuoi parlare» disse, appoggiandogli una mano sul ginocchio e stringendoglielo con fare rassicurante. Dean adorava quel suo modo di fare, così dolce e puro, come lui era, in grado di calmarlo e rilassarlo come null’altro.
«Grazie» soffiò Dean, tirando un sospiro di sollievo «Allora, andiamo al centro commerciale?»
«Oh sì, ci sono delle offerte incredibili» esclamò il ragazzo felice «E poi, se vuoi, beh, Gabe e Mike non ci sono, magari puoi venire da me… guardiamo un film, ordiniamo una pizza…» buttò lì il ragazzo. Dean si sorprendeva sempre quando lo vedeva pervaso dall’imbarazzo, anche solo per invitarlo a cena. Cas era davvero adorabile.
«Mi farebbe davvero piacere, Cas» gli disse sorridendo «Non essere sempre così agitato quando mi inviti, sai che adoro passare il tempo con te» gli disse sorridendo, mentre rimetteva l’auto in moto alla volta del centro commerciale.
«Lo so, è che ancora non mi capacito che… sto con un ragazzo come te» confessò il moro, la dolcezza con cui pronunciò quelle parole, gli scaldò il cuore e lo fece arrossire un po’ «Cioè, tu. Guardati, Dean».
Dean rise, guardando le proprie mani sul volante,  e scosse la testa, sì, lui, uno scherzo della natura, un ragazzo nato per errore che non aveva salvato la madre e aveva quasi ucciso il fratello… cosa ci trovava Cas in lui?
«Sei meraviglioso. Sei bellissimo, voglio dire, fisicamente e… sei una persona meravigliosa. Potresti avere tutti i ragazzi di questo mondo e invece perdi tempo con uno sfigato che ha paura di far vedere quanto è innamorato, come me» disse interrompendo il flusso dei pensieri negativi del ragazzo accanto a lui «Non so cosa ci trovi in me. Ma ti sono grato per aver scelto me» disse, si guardò intorno circospetto e poi si sporse verso di lui, lasciandogli un bacio delicato sulla guancia. Dean sorrise istintivamente e per una frazione di secondo, voltò la testa verso di lui, stampandogli un bacio a stampo, prima di tornare a fissare la strada. Non vide Castiel arrossire come una ragazzina e non si accorse di essere, di nuovo, arrossito anche lui a quelle parole. Sapere che Castiel pensava quelle cose così positive di lui, gli riempiva il cuore di luce, scacciando per un momento le ombre che lo avevano appena avvolto di nuovo, non sapeva quale superpotere, sul serio, avesse quel ragazzo, ma era incredibile.
La mattinata al centro commerciale fu davvero divertente, per entrambi. Non appena giunsero all’ingresso, Castiel corse nel primo negozio di dvd che vide con entusiasmo, saltellando da uno scaffale all’altro, e chiedendo a Dean se avesse visto o no questo o quell’altro film. Si divertirono tanto, soprattutto quando Cas propose di comprare gli ingredienti per fare una torta. Erano entrati nel supermercato del centro commerciale e Dean aveva iniziato a correre con il carrello per le corsie, inseguito da Castiel che teneva i prodotti tra le braccia, nel vano tentativo di riporli proprio nel carrello. Santo cielo, sembravano due bambini e non ne avevano alcun timore, Castiel lo inseguiva, urlando il suo nome, e Dean sfrecciava nei corridoi ridendo, come un idiota. Finirono a baciarsi nel reparto surgelati, Dean con le mani sui fianchi di Castiel, e quest’ultimo con le braccia intrecciate intorno al collo del più alto, perché in quel momento era deserto e poi lo fecero ancora in quello dei prodotti per animali, dimenticandosi per un momento di tutto il mondo che li circondava, c’erano solo loro, e il mondo sembrava un posto migliore. La conversazione imbarazzante di quella mattina, divenne un lontano ricordo, e non ritenne necessario parlarne.
Verso ora di pranzo, andarono in una tavola calda, Castiel prese la sua solita insalata poco condita con del pollo arrostito e Dean prese due cheeseburger e delle patatine fritte, non avrebbero potuto essere più diversi, ma si completavano, in un certo senso. Castiel guardava Dean quasi in adorazione, anche se mentre mangiava il biondo sembrava un vichingo che non vedeva il cibo da settimane. Era semplicemente magnetico in ogni cosa che faceva.
«Cosa?» domandò Dean, alzando lo sguardo sul moro, sentendosi osservato.
«Sei rude» disse divertito Castiel «Ma riesci ad essere attraente anche così». I complimenti di Castiel lo scuotevano davvero nel profondo, diceva le cose con tale semplicità che Dean non riusciva a capacitarsi che esistesse una persona così, insomma, chi lo avrebbe trovato attraente mentre mangiava? Dean sapeva di essere leggermente disgustoso, erano anni che suo fratello glielo ripeteva, ma non avrebbe dato la soddisfazione all’altro di ammetterlo.
«Tu saresti elegante?» domandò Dean, pulendosi le labbra con un tovagliolo, Cas si sorprese che non avesse usato il dorso della mano, come un vero cavernicolo.
«Beh, di certo non mangio come se non mangiassi da anni» precisò il ragazzo, indicando lui e le sue mani completamente sporche di una qualche salsa e i residui di cibo sulle sue labbra. «Sembri un bambino».
«Credimi, se avessi assaggiato questa meraviglia, saresti anche tu in questa situazione».
«Non sono un vichingo, io» asserì serio, scuotendo la testa e ridacchiando.
Dean si illuminò, prese uno dei suoi cheeseburger e lo porse al moro, con aria di sfida: «Provalo» disse «Poi vediamo».
Castiel si accigliò, e lo guardò senza capire: «Dovrei assaggiare questo cheeseburger?»
«Sì, fammi vedere quanto Mr. Castiel non sono un vichingo Novak sia elegante e composto con un panino del genere».
Al moro scappò una risata, credendo che Dean stesse scherzando, poi notò che fosse maledettamente serio e si arrese. Prese tra le mani il cheeseburger e alzò lo guardo su Dean, accettando in silenzio la sua sfida, e poi lo addentò. Dean rimase immobile, con l’altro hamburger, quello che stava divorando due secondi prima, a mezz’aria, mentre fissava – in modo davvero vergognoso – Castiel, non lo aveva mai fatto prima, non in quel modo, e si sentì un adolescente con una crisi ormonale. Non poteva essere vero quello che stava accadendo davanti ai suoi occhi. Castiel era… illegale mentre mangiava, forse non ne era consapevole, ma Dean sì. Dean ne era consapevole eccome. Gli occhi socchiusi, le labbra che lentamente si incontravano tra loro, i capelli che gli cadevano davanti agli occhi, e lui arricciava il naso ogni volta che essi cadevano, e con un gesto della testa, li rimandava indietro. Poi addentava il nuovo il panino con lentezza, e chiudeva le labbra, masticava lentamente, riuscendo sorprendentemente a non sporcarsi. Dean percorse il suo profilo mentre lo fissava, i gomiti appoggiati al tavolo, le mani vicine per mantenere il panino, e quell’accenno di barba sul mento. Dean riuscì a disincantarsi da quei pensieri solo quando si rese conto di avere i pantaloni troppo stretti, e allora si costrinse a distogliere l’attenzione da Castiel e a mangiare il suo hamburger; abbassando lo sguardo sui suoi pantaloni, vide il cavallo dei pantaloni gonfio. Tirò un profondo sospiro, non era la prima volta che si eccitava in presenza del suo ragazzo – ed era dannatamente bravo a nasconderlo – ma non avrebbe mai pensato di essere attratto anche dai semplici gesti innocenti di Castiel, o lui era una puttana, o il moro era fuori da ogni schema.
Quando Castiel riappoggiò il cheeseburger nella confezione di fronte a Dean, e deglutì gli ultimi residui di cibo, notò che Dean avesse uno sguardo davvero devastato.
«Dean?» domandò pulendosi le labbra con un tovagliolo «Visto? Anche se è buono, sono stato civile» disse con tranquillità, ignorando il fatto che il suo ragazzo avesse l’espressione colma di desiderio represso.
«Cas, tu sei illegale» si lasciò sfuggire il ragazzo, facendo ridacchiare e arrossire l’altro ragazzo, che non capiva assolutamente cosa avesse fatto di illegale, ma l’espressione di Dean era davvero… strana. Preferì non chiedere in che senso, ma non smise di chiederselo per il resto del pranzo. Tra loro scese un imbarazzante silenzio, che fu in fretta spezzato da Dean che gli chiedeva quale tipo di torta avrebbero preparato quella sera. Castiel si illuminò e gli rivelò che avrebbero preparato la sua preferita, la apple pie, e gli occhi di Dean si illuminarono a loro volta, quel ragazzo stava iniziando a conoscerlo un po’ troppo a fondo. E se iniziava a scoprire i suoi punti deboli, allora lui era davvero nei guai.
Il loro pranzo alla tavola calda finì presto, dopo aver pagato – ognuno per sé, perché Dean, non puoi pagare sempre per entrambi, non sono una ragazzina da conquistare – ritornano all’auto di Dean con le buste contenenti i dvd e i libri di Cas e quelle con gli ingredienti per fare la torta. Arrivarono all’appartamento di Castiel verso l’ora di cena, avevano deciso di passare il resto del pomeriggio al parco comunale, dove il moro aveva iniziato a leggere uno dei romanzi che aveva acquistato, mentre Dean si era rilassato seduto su una panchina ad ascoltare musica, condividendo un auricolare con Castiel, non aveva mai fatto prima una cosa simile e si sentiva davvero stupido ogni volta che pensava che con l’altro stava vivendo delle prime volte anche lui e non sapeva come ringraziare Cas per tutto quello;  i due coinquilini di Castiel erano già usciti al loro ritorno, così il giovane, quando chiusero la porta, ne approfittò per baciare il suo ragazzo e stringersi a lui, come avrebbe voluto fare fin da quando si erano visti quella mattina. Odiava la sua debolezza e il suo volersi nascondere, ma aveva davvero paura che qualcuno, qualche omofobo, potesse far del male a lui o a Dean, come in passato. E non voleva che quest’ultimo andasse a bussare alla porta della sua memoria, tuttavia non poteva evitare che accadesse. Dean era troppo importante, per questo scacciò quei brutti pensieri e si concentrò sulle labbra dolci e invitanti del suo partner. Si strinse a lui con forza, affondando le dita nei suoi capelli e spingendosi un po’ verso di lui per colmare i pochi centimetri che li separavano, Dean rispose con entusiasmo al bacio, afferrandolo per i fianchi e stringendolo contro il proprio corpo.
Il biondo fu pervaso da un brivido lungo la schiena, quando Castiel lasciò vagare le mani sulla sua schiena e in un movimento casuale fece scontrare i loro bacini. Si morse con forza le labbra, allontanando un po’ Cas da sé, non voleva che pensasse di dover fare necessariamente qualcosa con lui.
«Dean? Va tutto bene?» domandò con esitazione.
«Sì, tutto bene» confermò lui, con un po’ di fiatone «Ma tu… non ti accorgi dell’effetto che mi fai, e io… potrei perdere il controllo» mormorò «Non voglio che tu faccia qualcosa che non vuoi».
«Chi ha detto che non voglio?» chiese Castiel con un sorriso timido sul volto.
«Cas, è la tua prima volta…» mormorò il biondo, sentendosi un po’ a disagio. Certo, aveva pensato di fare sesso con Castiel, e lo aveva anche immaginato diverse volte, ma sapeva che l’altro era vergine – Michael era stato piuttosto chiaro quando lo aveva preso da parte, quando lui e Castiel avevano iniziato ad uscire, e gli aveva detto con tono minaccioso di stare attento con lui, perché Castiel era fragile, altrimenti lui lo avrebbe fatto fuori nel sonno – e non voleva affatto forzarlo, non per paura del coinquilino, ma perché voleva che Castiel si sentisse a suo agio a fare determinate cose con una persona, con lui. Non avrebbe mai creduto di sentirsi a disagio di fronte ad un ragazzo con cui aveva intenzione di fare sesso, non si riconosceva più.
«E io voglio che sia con te, Dean» disse sicuro, zittendo le sue ulteriori proteste con un altro bacio, stavolta spingendolo con gentilezza verso la propria camera da letto. Cas era impacciato, ma pieno di passione, tanto che travolse Dean, il quale lo spinse delicatamente sul letto, prima di mettersi a cavalcioni su di lui, sovrastandolo leggermente. Voleva che la prima volta di Castiel fosse speciale, in modo da non ripetere il suo personale errore. Il moro cercò di tirarlo a sé, per riprendere a baciarlo, ma Dean lo bloccò.
«Piano, tigre» disse sorridendo, sfiorandogli il mento con le labbra «Rilassati, abbiamo tutto il tempo del mondo» mormorò accarezzandolo languidamente, sfiorando la sua pelle con delicatezza, prima di sfilargli gli occhiali dal naso, guardandolo negli occhi, sorridendo come un idiota «Sei bellissimo, Cas» gli sussurrò, Castiel arrossì e un adorabile sorriso gli contornò le labbra, mentre espertamente passava a sfilargli contemporaneamente il maglione e la maglia che portava sotto, lasciandolo a petto nudo. Dean iniziò pian piano a baciargli l’addome poco sviluppato, scendendo sulla pancia, fino all’attaccatura dei pantaloni, Castiel, sotto di lui, fremeva d’eccitazione, agitandosi leggermente. Non aveva mai provato niente di simile, e poi Dean era dannatamente bravo. «La tua prima volta deve essere speciale, Cas» gli sussurrò, sbottonandogli i pantaloni, facendoli scivolare fino alle caviglie, permettendo all’altro di allontanarli con un calcio, ogni Cas che sussurrava, era un brivido lungo la schiena del suo partner. Dovette trattenere il fiato per un attimo, perché Castiel era davvero bellissimo, Dean non aveva mai visto niente di più bello di quel ragazzo. Si abbassò di nuovo su di lui, coinvolgendolo in un altro bacio mozzafiato. Baciare Castiel era il vero paradiso.
«Dean, tutto con te è speciale» confessò il moro contro le sue labbra, sorridendo lievemente. Dean si sentì avvampare, Castiel non si rendeva conto di quanto fosse dolce in determinate occasioni e nemmeno di dire con naturalezza cose così coinvolgenti. Timidamente, Castiel allungò le mani verso il torace dell’altro, sfilandogli la maglietta, il biondo lo lasciò fare, restando completamente immobile, scivolando accanto a lui, sapeva che l’altro avesse bisogno di prendere familiarità con la situazione e il suo corpo, lo accarezzò e lo baciò con dolcezza, mentre si stendeva lasciandogli campo libero. Castiel lo guardava con quello sguardo limpido – forse in quel momento opacizzato dalla passione – e lo sfiorava con delicatezza, saggiando la sua pelle, scoprendo il suo corpo man mano, in un modo che faceva sentire l’altro apprezzato, faceva scivolare ogni cosa brutta via dal suo corpo, sono qui e ti salvo, non sei solo, Dean diceva.
Per la prima volta, entrambi fecero l’amore, perdendosi l’uno nell’altro, consapevoli che tra di loro, le cose fossero più serie che mai. Dean si prese cura di Castiel, fu paziente, aspettò i suoi tempi e pian piano lo portò all’apice del piacere, godendosi anche lui quell’esperienza come una prima volta. Era la prima volta, in effetti, che si sentiva innamorato.
Restarono in silenzio per diversi minuti, intenti ad ascoltare l’uno il respiro dell’altro, Castiel aveva il capo poggiato sul torace di Dean, e ascoltava in religioso silenzio i battiti del suo cuore, probabilmente era la sensazione più bella che avesse mai provato. Il biondo lo strinse un po’ più forte, passandogli un braccio attorno alle spalle, lasciandogli un dolce bacio tra i capelli arruffati; si sentiva davvero in paradiso, in pace con se stesso e pieno di gioia.
«Ehi…» sussurrò il ragazzo all’orecchio dell’amante «Tutto okay?»
Il moro annuì, strusciando un po’ il volto contro il suo addome: «Mi sento… in paradiso» rispose con un sorriso ebete sulle labbra, stringendosi di più a lui, sperando, con quel contatto, di unirsi maggiormente al suo ragazzo «Tu?»
«Uguale. Non so cosa tu mi abbia fatto» mormorò il giovane, accarezzandogli una spalla nuda «Ma sospetto che tu abbia dei poteri paranormali, Cas» ammise, arrossendo leggermente.
«In che senso?»
«Non so… con te, ogni cosa è più bella e… mi fai sentire in pace con me stesso. Sono felice con te» mormorò «Grazie di essere entrato nella mia vita ed averla scombussolata… in positivo». Castiel lo guardò stralunato, restò in silenzio solo perché si sentiva dannatamente emozionato, ma l’altro fraintese il suo silenzio e «Scusa, sono stato inopportuno… ho rovinato tutto e-» balbettò a disagio, sentendosi un vero idiota per aver esternato tutte quelle cose.
Il moro si sporse verso di lui e lo baciò sulle labbra per zittire un altro dei suoi sproloqui «No, è tutto perfetto» sorrise contro le sue labbra, in un modo così dolce, che il cuore di Dean fece una capriola «Ti amo anch’io, Dean» confessò tranquillamente, strofinando il naso contro la spalla del biondo.
Dean deglutì, e si sentì invadere da una sensazione di caldo e di pace incredibile, ma alcuni dubbi iniziarono a tormentarlo, come era possibile che Castiel amasse lui? Così pieno di difetti? Così insicuro? Come era possibile che dicesse di amare un errore, uno scherzo della natura come lui? Forse era perché non conosceva tutta la verità…
«C-Cas…» mormorò, lui stava solo cercando di ringraziarlo per aver riportato la luce nella sua vita, e Castiel lo amava?
«Dean, so che stiamo insieme da poco» disse sorridendo, come non aveva mai fatto prima, accarezzando il volto di Dean, con delicatezza e dolcezza «Ma non c’è bisogno di aspettare per dirlo. Mi sono innamorato di te a prima vista. Mi hai subito colpito tra la folla, tra tutti quei ragazzi, il mio sguardo si è posato su di te… ho capito subito che tu fossi una persona speciale, e difficilmente mi sbaglio sulle persone» sussurrò, con fare quasi solenne, Dean sentiva solo il battito accelerato del suo cuore, un turbine di emozioni nuove espandersi in lui, tutte riconducibili alla felicità «Tu» disse a bassa voce, prendendogli il volto tra le mani «Non ti rendi conto di quanto tu sia speciale» sorrise guardandolo dritto negli occhi «Sono io che devo ringraziare te, per essere entrato nella mia vita».
Dean non sapeva cosa rispondere, Castiel riusciva a sorprenderlo sempre, in qualsiasi contesto e situazione; semplicemente si sporse verso di lui e premette le proprie labbra contro quelle del giovane accanto a sé, ringraziandolo per quello che aveva fatto per lui, ringraziandolo per averlo salvato, ringraziandolo per le sue parole. Dannazione, avrebbe pianto di gioia se non avesse promesso a se stesso di non piangere mai. Gli accarezzò il volto, mentre lo baciava, saggiandone i lineamenti e sentendo sotto i polpastrelli la sua barba appena accennata, le piccole rughe che si creavano agli angoli dei suoi occhi, segno che stesse sorridendo, e assaporando poco alla volta il suo dolce sapore. Santo cielo, sono fottuto. Non cucinarono niente, decisero di restare a letto a recuperare gli ultimi episodi di Game of Thrones – pudico com’era Cas, Dean si sorprese quando scoprì che seguiva quella serie – e di mangiare schifezze recuperate dalla credenza – fortuna che Gabriel avesse sempre una scorta di dolciumi nascosta da qualche parte. Restarono lì a coccolarsi, fino a che non scivolarono placidamente nel sonno, stretti l’uno all’altro, ascoltando ognuno il battito cardiaco dell’altro, come se fosse stato il suono più bello di tutto l’universo.
Quando la mattina seguente Dean si ridestò, nell’aria c’era un dolce profumo, Castiel non era più al suo fianco, il suo posto era freddo, come se si fosse alzato da ore. Si alzò anche lui dal letto, si guardò intorno nella stanza e vide su una sedia i suoi abiti del giorno prima, accuratamente ripiegati e un biglietto in cima – forse Cas era uscito? Strano non gli aveva detto nulla il giorno prima – si avvicinò con calma e lo prese delicatamente tra le dita, scacciando dalla mente il flash del solito ragazzo che gli lasciava il numero dopo una notte di sesso sfrenato, perché quello era Cas e loro avevano fatto l’amore: Mike e Gabe sono rientrati tardi, e dormono profondamente. Ho riordinato un po’ e preparato la colazione, appena leggi vieni in cucina. Cas. Perché lasciargli un biglietto, se era ancora in casa? Dean non vi badò, era Cas dopotutto, così si rivestì lentamente, notando che mancava la t-shirt nera che di solito portava sotto alla felpa, e guardando le lenzuola ancora sfatte del letto, ricordò la serata meravigliosa che avevano passato, già forse Cas non l’aveva ritrovata dopo il disastro che avevano creato lì dentro. Sorrise tra sé e sé, prima di uscire dalla camera e dirigersi in cucina.
«Cas?» lo chiamò, incerto. Sperava che i suoi coinquilini non lo sentissero, non aveva un buon rapporto con Michael, che sembrava essere il più protettivo nei confronti di Cas e che non vedeva di buon occhio Dean, per il suo passato.
«Buongiorno, bello addormentato!» esclamò il moro, mentre rigirava un pancake in una padella. Dean notò che avesse addosso la sua maglietta nera – ecco che fine aveva fatto – e un pantalone di tuta larghissimo, non riuscì a trattenere un sorriso e di pensare a quanto fosse bello «Dormito bene?» chiese voltandosi verso di lui e sorridendo.
«Ho dormito a meraviglia » rispose sorridendo e «’Giorno, sunshine » lo salutò avvicinandosi a lui e stampandogli un bacio sulle labbra «Hai fatto i pancake?» chiese poi, notando che il suo ragazzo fosse ancora impegnato a cucinare.
«Sì» annuì l’altro «In realtà, ho fatto anche la torta che avremmo dovuto fare ieri, e i french toast, mi sono svegliato allegro e… quando sono allegro cucino» disse allegramente, ponendo il pancake ormai cotto in un piatto. Versò subito altro impasto nella padella «Ma non ti aspettare che accada ogni giorno, eh!» precisò, mentre cuoceva anche del bacon in un’altra padella e contemporaneamente terminava di preparare i french toast, wow, sono così fortunato.
«Posso accontentarmi di vederti così felice ogni giorno e fare a meno dei pancake» confessò  dandogli un tenero bacio tra i capelli, dopo averlo abbracciato da dietro, poggiando le mani sui suoi fianchi magri. Castiel sorrise tra sé e sé, senza essere visto e reclinò la testa verso l’altro, appoggiandola nell’incavo tra la sua spalla e il suo collo, guardandolo dritto negli occhi. Dannazione, che occhi… - pensò perdendosi nello sguardo del suo ragazzo.
«Sono felice con te».
Dean stava per abbassarsi e baciarlo di nuovo sulle labbra – adorava quei pochi centimetri d’altezza che li separavano, soprattutto in quelle situazioni – quando improvvisamente qualcuno si palesò alle loro spalle. Beffardamente, Gabriel, che stava assistendo alla loro patetica e smielata scenetta mattutina, dopo aver emesso un finto colpo di tosse, attraversò la cucina esclamando un sonoro Buongiorno! – facendo sobbalzare i due, che si allontanarono immediatamente, come scottati. Castiel, per ovviare l’imbarazzo, si avvicinò al forno tirando fuori la torta, ormai pronta, riponendola su un piano della cucina.
«Oh no, non fate così! Eravate così teneri, vero Micky?» domandò, rivolgendosi all’altro arrivato, che come lui li aveva visti in quelle tenere effusioni mattutine. Michael sbuffò irritato, e non rispose, dirigendosi alla macchietta del caffè per versarsi una generosa tazza di liquido scuro, guardando Dean in modo severo.
«Scusali» mormorò Castiel, imbarazzato «Di solito dormono di più».
«Non importa, Cas» sorrise Dean, raggiungendolo di nuovo e stampandogli comunque un bacio sulle labbra «Hai cucinato per un esercito. Faremo colazione tutti insieme».
La colazione procedette tranquilla, anche se le battute di Gabriel rendevano tutto molto imbarazzante, Castiel tendeva ad arrossire un po’ troppo mentre Dean cercava di evitare di rispondere, per non imbarazzare il suo ragazzo. Cas era un fantastico cuoco, ogni cosa che aveva preparato quella mattina era deliziosa, e tutti i presenti convennero, quando Dean lo fece presente.
Stava aiutando il ragazzo a lavare i piatti, quando Michael lo raggiunse, l’aria burbera e imbronciata, e una finta minaccia sul volto. Dean sapeva che era solo segno di guai, ma gli sorrise cordiale e gli chiese cosa non andasse.
«Ti ho sottovalutato, Winchester» disse, Castiel non appena lo sentì parlare con Dean si paralizzò «Cassie è davvero felice con te, e ne sono davvero contento» a giudicare dalla tua faccia non si direbbe – pensò Dean, avendo l’intelligenza di non dirlo ad alta voce, iniziava a sospettare che Michael fosse in qualche modo innamorato di Castiel e fosse geloso del loro rapporto «Non lo vedevo così felice e rilassato da tanto tempo, da quando è successo quell’… incidente. E poi, Castiel che si alza all’alba per cucinare? Santo cielo, non lo vedevo così dai tempi del liceo!» esclamò, sbottonandosi in un sorriso. Cas tirò un sospiro di sollievo sentendo l’amico così rilassato, e Dean iniziò a capire che nel passato di Cas doveva essere successo qualcosa di veramente brutto, che aveva fatto diventare il suo amico molto protettivo nei suoi confronti e probabilmente il fatto che Michael avesse scoperto il suo passato, lo rendeva sospettoso nei suoi riguardi, lo sarebbe stato anche lui, in fondo «Stai tirando fuori di nuovo il Cassie che conoscevo una volta, quello solare, divertente e fissato con la cucina. Grazie» disse battendogli una mano sulla spalla «Ma… azzardati solo a farlo soffrire e io…» iniziò a dire, nuovamente serio. Il biondo capì l’antifona, non aveva bisogno di sapere altro per capire che qualcosa avesse turbato il suo Cas, e di certo non aveva intenzione di rinunciare a lui, proprio ora che tutto era perfetto.
«Non andare avanti» lo interruppe Dean «Non ho intenzione di fargli del male o ferirlo in alcun modo. Anche lui tira fuori la mia parte migliore» confessò sorridendo, e allontana tutti i demoni del mio passato – aggiunse mentalmente, cercando di essere più convincente possibile «Tengo davvero a lui» precisò, e vide Michael fargli un sorriso accennato.
«Mi fa piacere sentirtelo dire, allora, alla prossima» comunicò facendogli un cenno con la mano, stava per andare via, e sparire dietro la porta, quando rivolse a Castiel lo sguardo carico di qualcosa di indistinto affetto fraterno? Amore? Michael era innamorato di Castiel? – si domandò ancora, confuso. La cosa… lo faceva sentire strano, a disagio, geloso. Il ragazzo restò spiazzato, senza sapere cosa pensare. Davvero, stava sentendo qualcosa nascere dentro di lui, una gelosia che mai aveva provato prima, una sensazione così spiacevole da lasciargli l’amaro in bocca e la mente piena di domande senza risposta.
«Ma è innamorato di te per caso?» domandò Dean, appena l’amico di Cas uscì, cercando di non far trapelare quel poco di gelosia che aveva scoperto di provare «No perché, altrimenti non mi spiego cosa lo spinga a trattarmi così di merda».
«Michael è protettivo» si affrettò a dire Castiel, scosso dall’ansia «Non devi essere geloso di lui, è interessato alle ragazze» Dean non diede a vedere di aver tirato un forte sospiro di sollievo «Si comporta così per delle cose…»
«C’entra qualcosa l’incidente a cui ha accennato prima?» chiese, il moro annuì a disagio e Dean capì che sì, era successo qualcosa e no, non avrebbe avuto più risposte sul passato di Cas, non in quel momento almeno. Cosa gli era successo? Perché nessuno gliene parlava? Qualcuno gli aveva fatto del male? Capì che quello non era il momento giusto per parlarne, e per questo si limitò ad avvicinarsi a Cas, abbracciarlo forte e sussurrargli all’orecchio: «Non ti farò mai del male, te lo giuro». Castiel ricambiò la stretta, stringendosi a lui con forza, lo ringraziò, poi si alzò sulle punte e lo baciò a stampo «E non permetterò a nessuno di fartene» promise. «E Cas?» lo chiamò, l’altro alzò gli occhi verso i suoi, e il biondo sorrise comprensivo «Qualunque cosa sia successa…» sussurrò «Con me ne puoi parlare quando vuoi».
Castiel deglutì e annuì, infossando il volto tra il collo e la spalla di Dean, lasciando che l’altro continuasse ad abbracciarlo, senza aggiungere nulla. Restarono insieme tutta la mattinata, in fondo, era domenica e potevano starsene un po’ tranquilli a casa. Michael e Gabriel erano usciti, Dean era rimasto con lui, dopo aver avvisato la sua famiglia che sarebbe rimasto fuori tutto il giorno. Erano insieme sul divano, guardavano un film comico, che avrebbe dovuto far ridere, ma che in realtà era stupido quanto una delle peggiori sitcom esistenti, quando Castiel guardò il suo ragazzo negli occhi e decise che sì, quello era il momento opportuno per parlargli, per dirgli tutto ciò che ancora non sapeva di sé. Prese un forte respiro e si decise a scoprirsi del tutto di fronte a lui, in fondo, gli doveva una spiegazione per il suo atteggiamento.
«Dean?»
«Sì, Cas?»
«Sai che… ho paura di effusioni pubbliche, coming out e… simili» disse esitante, il biondo annuì senza dire niente «So che… il mio atteggiamento a volte sembra strano e… patetico» Dean avrebbe voluto dirgli che no, non era affatto così, che gli andava bene, ma Castiel sembrava sul punto di dirgli qualcosa di veramente importante e decise di tacere «Dean, ti prego… non pensare che io mi vergogni di te, e di quello che abbiamo» mormorò, abbassando lievemente lo sguardo per non incontrare quello dell’altro «Ma ecco, io…» mormorò in difficoltà, poi decise che stava solo confondendo l’altro ragazzo e di dover parlare chiaramente, ma era difficile «Stamattina, Michael ha accennato ad un incidente, beh…» iniziò, a disagio, Dean lo guardò, alzandogli il volto verso il proprio, incoraggiandolo a parlare con un lieve sorriso comprensivo «Quando… quando ero al liceo, al terzo anno… io avevo… questo ragazzo» borbottò «E stavamo bene, ci piacevamo, ci frequentavamo, e… avevo fatto coming out con la mia famiglia da poco, mi avevano accettato, ero così sicuro che lo feci anche a scuola» spiegò, tremava e Dean si affrettò a prendergli la mano per stringergliela e fargli capire che lui era lì, accanto a lui «Poi… un giorno, mentre eravamo in giro, ci tenevamo solo la mano, niente di esagerato, solo la mano… un gruppo di ragazzi più grandi si avvicinò a noi e… iniziarono ad insultarci, a me non importava molto, e decisi di ignorarli, e siccome gli insulti non bastarono… loro ci picchiarono» Dean strinse un pugno con forza, trattenendo la rabbia verso quelle specie di animali che picchiavano gli omosessuali, come John «Passammo un brutto quarto d’ora, io me la cavai con un braccio rotto, mentre lui finì in ospedale con una commozione cerebrale» agli angoli dei suoi occhi erano già comparse delle lacrime e Dean era tentato di eliminarle «Mi lasciò qualche giorno dopo essere stato dimesso, dandomi la colpa per quello che era successo, perché se non avessi fatto coming out… non sarebbe successo» mormorò la voce spezzata «Ne uscii distrutto, Michael e Gabriel mi restarono accanto, e Michael, beh diede una lezione a quei ragazzi per difendermi... ma non ho frequentato nessun altro, prima di te…» mormorò fissandolo dritto negli occhi. La naturalezza con cui Castiel si era aperto con lui lo lasciò totalmente spiazzato, lui non si sarebbe mai sognato di aprirsi così con una persona, lui tendeva a tenere tutto dentro.
«Tranquillo, Cas» mormorò, dandogli un bacio tra i capelli «Con me sei al sicuro. Non permetterò a nessuno di farti del male e non te ne farò nemmeno io» gli disse con sincerità «E non potrei darti la colpa di nulla» - in realtà, se ti accadesse qualcosa, darei la colpa solo ed unicamente a me – aggiunse mentalmente, senza dar voce ai suoi pensieri.
«La relazione che ho con te… è la cosa migliore che mi sia mai capitata e… avevo così paura che qualcuno potesse farci qualcosa di simile, che potessero fare qualcosa a te, che ho preferito nascondere tutto, ma…» mormorò scuotendo la testa, tenendo gli occhi chiusi «Non voglio nascondermi, non voglio avere paura» disse con la voce spezzata «Lo vedo che tu sei triste quando devi starmi lontano e… non voglio renderti triste» lente lacrime iniziarono a scorrere sul suo viso, e a Dean si strinse il cuore vedendolo così «Mi dispiace così tanto, Dean».
«Ehi, ehi» sussurrò sporgendosi verso di lui, prendendolo tra le sue braccia «Non piangere, Cas» gli disse in un orecchio «Non è colpa tua» sussurrò «Calmo, piccolo, va tutto bene» cercò di tranquillizzarlo accarezzandogli la schiena «Senti, so cosa significa quando non vieni accettato per chi sei in realtà» disse, aprendosi un po’ anche lui «Posso aiutarti, vuoi?» Cas contro il suo petto annuì piano «Andrà tutto bene, ci sono io con te».
«Promesso?» sussurrò il moro contro di lui.
«Promesso, e se qualche omofobo si permette di alzare un solo dito su di te, gli farò passare il peggior quarto d’ora della sua vita» promise. Castiel si strinse a lui, sentendosi al sicuro tra le sue braccia, calmandosi pian piano, promettendogli a sua volta che si sarebbe impegnato a non aver paura di mostrare quanto fosse innamorato di lui.
E lo fece, con l’aiuto di Dean, Castiel non ebbe più paura di tenere la mano in pubblico al suo ragazzo.
 
Natale 2015
Se Dean aveva pensato di aver dimenticato l’invito a pranzo dalla sua famiglia per il suo ragazzo, Jody e Bobby non erano dello stesso avviso, così una settimana prima di Natale a cena, avevano tirato fuori l’argomento, e avevano riproposto l’invito per il giorno di Natale. Dean era andato in paranoia, ma quei due sapevano essere davvero insistenti, e si era ritrovato a doverne parlare con Castiel, pochi giorni prima del fatidico giorno. Era stato difficile chiedere a Cas di andare a pranzo a casa sua, difficile e imbarazzante. La conversazione era stata più o meno così: Cas, la mia famiglia vorrebbe… conoscerti, Sam non sa tenere la boccaccia chiusa e… santo cielo, che disastro, non voglio costringerti  e Castiel aveva sorriso tranquillo, gli aveva preso il volto tra le mani e con la sua tipica dolcezza gli aveva sussurrato sarebbe un onore conoscere la tua famiglia, Dean. Castiel aveva letteralmente stravolto la sua vita, in così poco tempo, e tutti lo avevano notato, era stato una ventata d’aria fresca nella sua oscura e travagliata vita, e ogni giorno illuminava le sue giornate con un sorriso, una parola dolce e un turbine di emozioni nuove e positive, e forse era per questo che la sua famiglia voleva conoscerlo, non si aspettava così presto, ma in fondo li capiva. Lui stesso non si rendeva conto di cosa fosse successo in quel poco tempo, ne era felice, ma stentava ancora a crederci.
Quando gli aveva comunicato che lo avessero invitato al pranzo di Natale, Cas aveva sorriso spontaneamente e aveva accettato di buon grado il suo invito, gli disse che la sua famiglia quell’anno era andata in vacanza all’estero e lui aveva declinato il loro invito a causa dello studio, probabilmente avrebbe passato il Natale da solo nel suo appartamento se Dean non lo avesse invitato. Si era sorpreso, aveva immaginato che dirgli una cosa simile potesse metterlo in imbarazzo, invece no, non sapeva se esserne felice o turbato. Da quel giorno di inizio dicembre, la loro relazione aveva avuto un brusco cambiamento, tutto era diventato tremendamente serio e coinvolgente, Dean ancora non poteva credere a una cosa simile. Il 25 dicembre non tardò ad arrivare, e Dean si svegliò presto – non dormì proprio, si sentiva agitato, perché presentare ufficialmente Cas alla sua famiglia era importante e gli metteva agitazione – e dopo aver ingurgitato una quantità improbabile di caffè a stomaco vuoto, già di prima mattina, si guardò intorno sospirando. Sam dormiva nel suo letto dall’altra parte della stanza che condividevano da anni – tranne quando Sam era al campus e Dean poteva fingere di avere una stanza totalmente propria – e non si accorse minimamente del fratello che cercava degli abiti da indossare. Doveva andare da Cas, avevano programmato di vedersi presto, volevano fare un giro e scambiarsi i regali di Natale prima di recarsi a casa di Dean e pranzare con la sua famiglia. Il ragazzo sorrise rigirandosi tra le mani il pacchetto che lui stesso aveva confezionato per il suo ragazzo, e sapeva che avrebbe adorato il regalo. Come erano cambiate le cose per lui in così poco tempo, fino a pochi mesi prima non credeva nemmeno di meritare di essere così felice – forse ancora lo pensava, ma cercava di scacciare quelle convinzioni – e adesso si ritrovava a prepararsi per andare a casa del suo ragazzo, che quel giorno sarebbe andato a pranzo a casa sua, per conoscere la sua famiglia. Cielo.
Indossò velocemente dei jeans, la solita t-shirt nera e una felpa pesante, e si guardò allo specchio, aveva un sorriso ebete stampato sul volto e stava bene, stava bene come mai lo era stato in vita sua e…
«Quando hai intenzione di chiedere al tuo riflesso di uscire?» gli chiese con tono canzonatorio il fratello alle sue spalle, con la voce di chi si era appena destato dal sonno e già voleva iniziare a scherzare e a dar fastidio.
«Idiota» borbottò il biondo, sentendo il volto andare in fiamme «Devo uscire con Cas, prima di portarlo qui a pranzo».
«Ah già, oggi è il grande giorno!» esclamò il ragazzo sorridendo, mettendosi seduto sul letto «Quello è il mio regalo?» chiese riferendosi al pacchetto che il fratello aveva ancora tra le mani. Dean sbuffò sonoramente e lanciò con poca grazia il regalo di Cas in una busta, prendendone un’altra da sotto il letto.
«No, questo è il tuo» disse avvicinandosi a lui. Sam prese la busta tra le mani e ne estrasse un pacchetto quadrato, ne sfiorò la superficie e constatò che si trattasse di un libro «L’ho scelto con Cas, lui è nerd quasi quanto te, ne capisce di queste cose» spiegò. Andare a far compere di Natale con Cas era stato uno spasso, perché il moro restava paralizzato davanti alle vetrine, guardando questo o quell’articolo constatando che il prezzo fosse troppo alto o che non rientrasse esattamente nei loro standard e cose del genere. Avevano impiegato più di quattro ore a scegliere i regali per i due coinquilini di Cas, per Sam, anche per Benny perché Dean, è il tuo migliore amico, non puoi non fargli un regalo! – aveva detto e Dean aveva ceduto. Quello per Cas era stato maledettamente facile da scegliere perché mentre giravano per il centro commerciale, il ragazzo si era fermato davanti ad una vetrina, aveva osservato con ammirazione una felpa particolare con un simbolo celtico sul petto e aveva scosso la testa, dicendo che era troppo costosa per lui. Dopo qualche minuto, Dean con la scusa di aver visto una cosa che doveva assolutamente vedere, aveva fatto una corsa verso quel negozio e aveva acquistato la felpa per Cas, ed era tornato da lui con una busta tra le mani e gli aveva detto che avesse visto un articolo da cucina adatto a Jody. Cas gli aveva creduto, anche perché aveva chiesto al commesso di mettergli la felpa in una busta anonima, in modo da non destare sospetti.
Dean guardò Sam che studiava il pacchetto, senza scartarlo, con esitazione. Forse non gli era piaciuta l’idea? Perché non si decideva ad aprirlo? Forse un libro non era stato una buona idea?
«Lo aprirò quando arriverà anche Cas» esordì il minore «Così se non mi piacerà, saprò con chi prendermela!» scherzò.
«Sei un idiota, Sam» lo canzonò Dean, afferrando la busta con il regalo di Cas «Ci vediamo dopo».
«A dopo, Dean».
Il maggiore regalò un sorriso al fratello, prima di sparire oltre la porta, augurare il buon Natale a Bobby e Jody che erano in cucina a fare colazione ed uscire dalla porta di casa, quasi saltellando dalla felicità. Chi era lui? Che ne aveva fatto del vecchio Dean Winchester? Forse era ancora lì, ma seppellito sotto l’amore e la felicità, faticava a venir fuori.
Pimpante arrivò a casa del suo ragazzo, salì le scale e quando il moro gli aprì la porta, Dean gli augurò il buon Natale con un lungo e profondo bacio. Si sentiva un ragazzino che scopriva l’amore, e forse era proprio così.
«Buongiorno a te, Dean» disse il più basso, sorridendo «E buon Natale» gli augurò, facendolo entrare in casa «Ho preparato una torta al cioccolato per il pranzo… pensi che possa andare bene?» chiese preoccupato.
«Ma certo, andrà benissimo» lo rassicurò. Fecero colazione insieme, come avevano programmato e si scambiarono i regali, la faccia di Castiel quando vide la felpa fu sbigottita, e Dean giurò di aver visto delle lacrime di gioia sul suo volto. Cas gettò le braccia attorno al collo del suo ragazzo e lo ringraziò di cuore, scusandosi per non avergli fatto un regalo tanto meraviglioso – ma il mio regalo sei tu – aggiunse mentalmente il biondo, senza dirlo ad alta voce, perché gli sembrava un po’ troppo smielato. Cas invece gli aveva regalato un piccolo pupazzetto a forma di angelo uno di quelli da mettere sotto lo specchietto dell’auto dicendogli che in quel modo avrebbe pensato sempre a lui quando guidava e sarebbe stato attento. Da quando Dean aveva confessato di aver preso parte a delle corse clandestine in passato, Castiel si preoccupava molto quando guidava senza di lui in auto – sapeva che con lui non avrebbe fatto niente di sconsiderato, ma da solo? Non poteva esserne certo ed era spaventato – sì, era adorabilmente dolce, soprattutto quando si preoccupava in quel modo.
Dean iniziò ad entrare in paranoia verso ora di pranzo, quando l’ora X si avvicinava sempre di più, temeva l’incontro con la sua famiglia, non per Cas, ma per quello che avrebbe significato. Significava accettare che , era felice finalmente, che no, non avrebbe permesso a nessuno di interrompere quella bolla magica in cui era caduto e ancora che , era tutto vero e non solo nella sua immaginazione. Ma se non lo avessero accettato?
L’ansia, il terrore e la paranoia passarono quasi subito, quando Jody vide Cas, sorrise gioiosa e lo abbracciò forte, ringraziandolo per quello che aveva fatto per Dean, Cas non capì esattamente il motivo per cui lo stesse ringraziando, ma tenne per sé le domande. Conobbe Bobby e gli strinse la mano presentandosi, e poi incontrò Sam con il quale fortunatamente non vi fu bisogno di presentazioni; Dean si sentì un po’ più tranquillo. Il pranzo trascorse tranquillo, Cas era adorato da tutti – come poteva non essere così? – e Dean si ritrovò a guardarlo sorridente, mentre spiegava a Jody la sua ricetta per la torta di mele. Santo cielo, sembrava che Cas facesse parte della sua vita e della sua famiglia da sempre, il ragazzo si ritrovò anche a parlare di letteratura con Bobby e di roba nerd con Sam, sapeva spaziare da un argomento all’altro senza imbarazzo o esitazione. Vedere Castiel così a suo agio con la sua famiglia per Dean era davvero importante, perché voleva dire che era tutto vero e lui meritava ciò che gli stava accadendo. Fu felice di sentire i commenti positivi di Jody sulla torta al cioccolato che Cas aveva preparato per il pranzo, fu felice di sentirlo chiacchierare con Sam su una nuova serie tv che doveva assolutamente guardare e con Bobby di un nuovo saggio letterario brillante e davvero interessante di un autore che Dean proprio non conosceva. Era tutto perfetto, e Dean si rese conto, ad un certo punto, che fosse troppo perfetto, e una lampadina si accese nel suo cervello, e deglutì con forza; non doveva essere così, perché succedeva sempre nella sua vita, appena accadeva una cosa bella, subito dopo ne succedeva una che annullava quella bella precedente. Si ritrovò improvvisamente a corto di fiato e dovette correre via, usando una scusa banale, rifugiarsi nella sua stanza per mettere insieme le idee, perché doveva trovare un modo di non rovinare tutto quella volta, era troppo importante. Restò sul suo letto tenendosi il volto tra le mani, scuotendo la testa e ripetendosi nella sua mente che avrebbe dovuto proteggere Cas da se stesso, prima che fosse troppo tardi, non avrebbe mai dovuto farlo entrare nella sua vita, e trascinarlo con sé, fino a che non sentì bussare alla porta, stava per dire Sam non rompere il cazzo, torno tra poco, quando la voce del suo ragazzo giunse alle sue orecchie.
«Dean?» lo chiamò Castiel da fuori alla stanza «So che sei in camera tua, posso entrare?»
«D’accordo…» mormorò il ragazzo, stringendo forte i pugni, per trattenere il nervosismo. Castiel entrò richiudendosi subito la porta alle spalle. Si sedette accanto a lui sul letto e gli appoggiò una mano sul ginocchio, per confortarlo.
«Dean» lo chiamò ancora «Qualcosa non va?»
«No, sto bene» mentì. Castiel inclinò la testa, scuotendo la testa, con un piccolo sbuffo, il moro lo guardò con più intensità, come se avesse capito che qualcosa in realtà non andava «Cosa? Sto bene, Cas».
«No, non stai bene» affermò con sicurezza, prendendogli il volto tra le mani, guardandolo dritto negli occhi «Dimmi cosa c’è che non va» e stavolta, Dean si rese conto che non era una domanda e Castiel non si sarebbe accontentato di un non voglio parlarne, così prese un respiro profondo, ricambiando lo sguardo del suo ragazzo, che era determinato a sapere cosa gli prendesse, e Dean stavolta voleva condividere con lui i suoi dubbi, perché era giusto così. Senza alzare lo sguardo sull’altro, prese un respiro profondo e iniziò a parlare.
«Ogni volta… ogni volta che succede qualcosa di bello nella mia vita, poi tutto va a puttane, e non… non voglio che accada con te, Cas…» mormorò appoggiando la mano sulla sua, intrecciando le loro dita «Non voglio perderti».
«Non mi perderai, te lo prometto» disse Castiel, facendogli alzare il viso con la mano libera, proiettando di nuovo i suoi occhi incredibilmente azzurri nei suoi «Dean, te lo prometto, mi impegnerò con te per non far andare tutto a puttane».
«Ho paura, Cas» disse guardandolo negli occhi, era la prima volta che si mostrava fragile davanti a Castiel, non aveva mai voluto esternare tutti i suoi sentimenti per ovvi motivi, ma con lui sapeva di poterlo fare, perché non avrebbe usato le sue emozioni contro di lui «Sono terrorizzato all’idea che tutto possa andare male, come sempre» non voleva scendere nei particolari, ma improvvisamente le immagini di ciò che era accaduto nel suo passato, quando si era sentito felice e poi tutto era precipitato tornarono violente alla sua mente. Non meritava tutta quella felicità, non meritava Castiel «Non merito tutto ciò…» disse infatti. Castiel gli accarezzò una guancia con dolcezza, senza smettere di guardarlo negli occhi. Sapeva che ci fosse qualcosa che andava più a fondo di ciò che il biondo diceva, ma sapeva che se e quando ne avesse voluto parlare, lui lo avrebbe ascoltato. Non era quello il momento.
«Dean, tu meriti di essere felice» asserì con sicurezza «Guarda che le cose belle accadono» gli disse «E non necessariamente sono seguite da catastrofi, okay? Io sono qui, sarò qui con te, non andrò da nessuna parte, e ti giuro che qualsiasi cosa accadrà, qualsiasi catastrofe si abbatterà su di noi, come credi tu, l’affronteremo insieme, non ti abbandonerò».
Dean si sentì sul punto delle lacrime in quel momento, Castiel stava toccando le corde più intime del suo cuore con quelle parole, e niente, niente era più prezioso e importante di quel discorso che gli aveva appena fatto. Non aveva parole per rispondergli o per ribattere, avrebbe voluto dire che nella sua esperienza mai qualcosa era andata così, mai le cose belle erano arrivate senza portare catastrofi, ma sapere che Castiel, quella volta gli sarebbe stato accanto, lo tranquillizzava, lo rendeva meno terrorizzato e forse un po’ più fiducioso.
«Grazie Cas» sussurrò, avvicinando il volto al suo «Non so chi ringraziare per averti messo sulla mia strada, ma sono felice, lo sono davvero». Gli sussurrò, quasi sulle labbra, un ti amo appena udibile, un mormorio appena sussurrato che si spense sulle labbra di Castiel, prima che Dean lo baciasse con delicatezza e passione. Cas era lì, non sarebbe andato da nessuna parte. E sì, un giorno gli avrebbe raccontato tutta la storia della sua vita, perché sapeva che non lo avrebbe perso.
Quando tornarono in sala dagli altri, Sam lo guardò immediatamente con preoccupazione, ma lo sguardo che gli rinviò Dean lo tranquillizzò, ci aveva pensato Cas a farlo stare bene e Sam sorrise, guardando Castiel con riconoscenza. Senza ulteriori intoppi la giornata trascorse fino alla fine della festa, poi il moro tornò a casa salutando i familiari del suo ragazzo e promettendo a Jody che un giorno avrebbero cucinato insieme. Dean non poteva essere più felice di ciò, e forse iniziò a credere che , Cas aveva ragione e le cose belle accadevano a tutti, persino un ragazzo danneggiato come lui.


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Hola people!
Buon sabato a tutti, e come ogni sabato che si rispetti, rieccomi con il nuovo capitolo.
Ammetto che questo è uno dei miei preferiti, ed è anche il più lungo di tutta la storia, non potevo dividerlo, perché come vedete se nella prima parte Cas si apre con Dean, nella seconda Dean si apre un po' con Cas ed erano due cose che dovevano andare per forza insieme, per vedere quanto il loro rapporto si stia rafforzando. E ricordate bene la promessa di Cas, servirà nei prossimi capitoli. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, come a me è piaciuto scriverlo. 
Rinnovo i ringraziamenti a chi segue la storia, chi la inserisce tra le preferite e le ricordate, a chi spende anche solo un click per leggere questa cosetta, e alle mie commentatrici abituali! Come direbbe il nostro Dean, you are awesome!! 
Ci si becca sabato prossimo, sempre su questi canali! 
A presto, people!

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Capitolo 9
*** VIII Parte ***


DESCLAIMER: La storia è scritta senza fini di lucro, i personaggi non mi appartengono in nessun modo e non intendo offendere nessuno. Giuro. 
PS. C'è l'avviso che i personaggi sono molto OOC, non odiatemi per ciò che succede alla fine, please!! E sorry (not sorry) per la lunghezza, ma non erano così quando ho iniziato a scriverla, le parole si moltiplicano da sole! In questo c'è un piccolo riferimento al canon.
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Circa un anno dopo, gennaio 2017
Without you,
I've got no hand to hold.
 
Le cose da quel Natale non erano peggiorate, anzi erano migliorate, sia per Dean che per Castiel, i due erano esattamente opposti, ma in qualche modo si completavano, ed insieme erano felici, qualcosa che non era quantificabile a parole, si stavano salvando a vicenda, Dean stava aiutando l’altro consapevolmente, Cas invece lo faceva inconsapevolmente, ed erano davvero molto, molto innamorati, in un modo che Dean, in altri tempi, avrebbe definito imbarazzante e vomitevole, ma che ora definiva solamente meraviglioso, mai in vita sua si era sentito così, e pian piano il suo passato era slittato in secondo piano, e Dean aveva finto di dimenticarlo, soprattutto quando cercava di parlare con Cas. Preferiva evitare il discorso sul passato e concentrarsi sul presente, del resto gli bastava suo fratello a ricordargli che tutte quelle cose accadute non fossero colpa sua, e gli bastava la parola di Sam, con Castiel si sentiva felice e necessitava solo di quello, la maggior parte delle volte che erano insieme, passavano il tempo libero insieme a guardare film o serie tv – ormai Dean poteva dire di essere diventato nerd quasi quanto suo fratello, visto che ormai con Castiel, seguiva assiduamente qualsiasi tipo di saga cinematografica e di serie tv – erano molto affiatati e in un certo senso romantici, anche se lui non poteva definirsi la metà romantica della coppia, Dean non era mai stato il tipo romantico, dolce, che faceva grandi gesti, la cosa, a detta sua, più romantica che aveva fatto nei confronti del suo ragazzo, era stata farsi trovare nudo, coperto di petali di rose, steso sul letto il giorno del loro primo anniversario, mentre Castiel era il suo esatto opposto, a lui piacevano le cose romantiche: come quando al suo compleanno, l’anno precedente, a mezzanotte in punto gli aveva scritto un messaggio d’auguri meraviglioso e aveva suonato il campanello di casa sua, presentandosi con un muffin al cioccolato – fatto da lui – con una candelina sopra, e tanti auguri, amore mio! – aveva esclamato, quasi facendosi uccidere da Bobby per averlo svegliato a quell’ora, Dean ricordava vagamente che fosse stato il miglior compleanno della sua vita, quello. Castiel era così calato nella parte di metà romantica della coppia che spesso aveva organizzato per loro nel suo appartamento romantiche cene a lume di candela – scacciando anche in malo modo i suoi coinquilini, Gabriel si era lamentato giusto un paio di volte (cioè quasi sempre) dell’atteggiamento del coinquilino quando organizzava qualcosa per lui. Come aveva fatto quando, qualche settimana dopo il loro primo anniversario, aveva chiesto a Dean, se, dopo la laurea, avesse voluto andare a vivere con lui. A Dean era letteralmente esploso il cuore nel petto, era così diverso dal Cas che aveva conosciuto un anno prima, quello non poteva essere lo stesso Cas che un anno prima aveva paura che gli omofobi potessero far loro del male, quello era una versione migliorata di quel Cas, non era nemmeno lo stesso che pochi mesi prima aveva pianto tra le sue braccia la sera prima dell’incontro con i suoi genitori, perché temeva che loro non apprezzassero Dean e la loro relazione, questo era decisamente sicuro di sé e della loro relazione. Dean ricordava bene quella notte di metà ottobre, quella prima dell’incontro con i suoi suoceri, quando aveva preso un Cas preoccupato e singhiozzante tra le sue braccia, lo aveva consolato, coccolato e poi aveva mangiato della torta con lui mentre guardavano un film della Disney, tranquillizzandolo che il giorno dopo sarebbe stato tutto perfetto, perché in fondo loro due lo erano. Inutile dire che il giorno dopo era andato tutto per il verso giusto, certo, i genitori di Castiel erano stati un po’ freddi all’inizio – dopotutto, Dean non poteva biasimarli, era il loro unico figlio quello che lui stava portando via, metaforicamente, dal tetto familiare – ma poi avevano accolto Dean, con entusiasmo, soprattutto quando Mr. Novak aveva scoperto che lui era un appassionato di motori ed entrambi gli avevano detto che era il benvenuto in famiglia. In quel momento, Dean aveva giurato di aver visto il sorriso più bello e rilassato che Cas avesse mai fatto. Forse, il cambiamento di Cas, era avvenuto proprio dopo quella presentazione, forse si era sentito più sicuro della loro relazione con l’approvazione dei suoi genitori e aveva deciso che sì, poteva fare quel passo con lui e andare a vivere insieme dopo la laurea. Dopotutto erano entrambi prossimi alla laurea, a Dean mancava solo la tesi, mentre Cas doveva sostenere gli ultimi esami e poi la tesi, tutti e due avrebbero finito sicuramente entro la fine di quel semestre, poi avrebbero pensato unicamente alla loro vita insieme – per la quale entrambi avevano iniziato a mettere risparmi da parte. Castiel aveva anche trovato lavoro presso un mini-market come cassiere e magari, dopo la laurea di Sam, Cas si sarebbe unito a quel loro progetto di un viaggio a caccia di avventure attraverso l’America sull’auto di Dean. Lui e Sam avevano ancora intenzione di farlo, prima di decidere di farsi una vita tutta loro.
Certo, avere una relazione stabile era difficile, ma non la cosa più complicata che Dean avesse fatto nella sua vita. Tra alti e bassi, lui e Castiel si erano sempre trovati sulla stessa lunghezza d’onda, avevano avuto poche discussioni pesanti, ma si erano sempre risolte per il meglio. Quando accadeva era sempre Dean a fare il primo passo, a chiedere perdono per le varie incomprensioni, perché tra i due era il più impulsivo e più permaloso. Tranne quella volta, Castiel era stato davvero intrattabile perché era prossimo ad un esame – a sua discolpa, Dean non ne aveva la più pallida idea – e  aveva fatto una scenata di gelosia per una ragazzina che, al bar, ci aveva provato pesantemente con Dean, e gli aveva persino lasciato il numero di telefono su un fazzoletto, lui invece di respingerla aveva finto di assecondarla per divertirsi e Castiel aveva dato letteralmente di matto. Avevano litigato, Castiel aveva urlato in modo davvero fuori dal normale per uno come lui che era sempre pacato e tranquillo, non sei più un ragazzino, stronzo, perché vuoi tradirmi? Cosa ha lei che io non ho? Perché mi fai questo? Non rivolgermi più la parola, ed era letteralmente scappato via dal bar. Non si erano parlati per sette giorni di fila, perché erano due idioti orgogliosi e Dean si sentiva davvero ferito al pensiero che il suo ragazzo pensasse che sul serio volesse tradirlo, fino a che, una settimana dopo, Castiel, dopo aver sostenuto l’esame ed averlo superato, si era reso conto di essere stato un vero idiota – e forse anche un po’ troppo paranoico ad aver tratto conclusioni così affrettate – così quella sera, un nuvoloso e piovoso giorno di gennaio, si era recato da lui inzuppato dalla testa ai piedi, tremante per il freddo e aveva mormorato dispiaciuto ho esagerato, scusa. Dean non gli aveva tenuto il broncio e tra loro tutto era tornato normale, lo aveva fatto entrare e gli aveva tolto i vestiti bagnati, gli aveva dato una felpa e un pantalone di tuta – che sarebbero andati persi, come tutti gli abiti che aveva prestato a Castiel in quell’anno – e poi lo aveva avvolto in una coperta calda, prima di abbracciarlo forte, dopotutto faceva molto freddo e lui necessitava di calore, e Dean non poteva immaginare solo un altro secondo lontano da lui, quei giorni senza di lui erano stati un vero inferno. Lo strinse forte contro di sé e lo accarezzò con delicatezza, come se Castiel fosse fatto di fragile cristallo. Castiel si era accoccolato contro il suo petto e si era assopito, cullato dal battito del suo cuore, conscio che niente avrebbe potuto tranquillizzarlo più di quel contatto. Si stesero sul letto di Dean, Castiel con la schiena contro il petto dell’altro che lo stringeva a sé dai fianchi e gli accarezzava la pancia.
«Scusa davvero» mormorò spiaccicato contro di lui «Ma c’era quest’esame difficile avevo paura di non superarlo, e i turni al lavoro sono stati stressanti, ho dato di matto, ma ero, anzi sono così geloso, cazzo… so di essere troppo geloso a volte, ma…» biascicò dispiaciuto «Mi dispiace davvero, Dean… non avrei dovuto urlarti contro».
«Non importa, Cas» sussurrò strofinando il naso contro la sua nuca «Sei geloso. Non c’è niente di male» disse, continuando ad accarezzarlo dolcemente «Scusa tu, ho esagerato, non avrei dovuto lasciare che quella ci provasse con me» si scusò sorridendo «Non avevo capito che fossero giorni di merda per te, mi dispiace, sono stato uno stronzo» avevano così tanti progetti, che litigare per una cosa tanto stupida e futile sembrava solo inutile e senza senso, soprattutto in quel momento, dopo essersi chiariti. Avrebbero potuto farlo prima, ma non lo avevano fatto per orgoglio.
«Siamo due idioti, vero?» domandò ironicamente il moro, cercando di fondersi con il corpo dell’altro.
«Oh sì, lo siamo eccome» ridacchiò Dean, stringendolo ancora con forza «Per questo siamo perfetti l’uno per l’altro».
Alle parole del ragazzo, Castiel sorrise leggermente, sentendosi invadere da una piacevole sensazione di pace e serenità, mista ad una di calore e amore. Era raro che Dean dicesse cose dolci e ogni volta che accadeva, il suo cuore faceva una capriola e si ritrovava a sorridere come un idiota con il viso arrossato e il cuore che batteva troppo forte.
«Adoro quando dici cose del genere, perché tu non le dici mai» mormorò, appoggiando le mani su quelle del biondo. Dean sorrise perché Castiel aveva ragione, lui non era esattamente il tipo che mostrava le proprie emozioni o faceva dichiarazioni romantiche, anzi, era l’esatto opposto. «Posso dormire qui, così?» domandò incerto, senza sapere nemmeno il motivo di quell’incertezza. Forse era ancora un po’ scosso dal litigio e dall’essere stato lontano da lui.
Dean lo avvicinò di più a sé, come se non lo fosse abbastanza, e lo strinse con maggiore forza, per sottolineare il fatto che non lo avrebbe lasciato andare quella notte e sussurrò contro il suo orecchio: «Ma certo, non ti avrei fatto andare da nessuna parte, comunque». Castiel sentì un brivido d’emozione rotolare lungo la sua spina dorsale e si rigirò nell’abbraccio, trovandosi faccia a faccia con Dean, gli fece un sorriso e lo baciò a stampo, premendo le proprie labbra contro quelle del suo amante, lasciando che l’altro assaporasse le proprie e continuasse stringerlo contro il proprio corpo con più forza. «Scusa se non ti dimostro spesso ciò che provo per te» sussurrò, accarezzandolo «Ma io ti amo, Cas».
«Lo so» rispose il moro, guardandolo negli occhi «Lo so, non c’è bisogno che tu me lo dica, mi basta guardarti negli occhi per sapere che è vero». Castiel era in grado di lasciarlo di stucco ogni volta che apriva bocca, e anche se stavano insieme da più di un anno, Dean ancora non si capacitava del potere sovrannaturale che aveva. Sam gli diceva spesso che quando c’era Cas nei paraggi il suo sguardo mutava completamente – hai letteralmente gli occhi a forma di cuore, Dean, davvero, sei patetico, fratello – e sapere che per Cas bastasse quello e non le parole – che per Dean erano più difficili di un esame di matematica avanzata – gli faceva capire sempre di più di aver trovato la persona giusta per lui. Si addormentarono entrambi, stretti l’uno all’altro, in un letto forse un po’ piccolo per due, ma che bastava a sufficienza per farli stare vicini come necessitavano, cullati dai loro respiri pacati.
L’indomani, alla vigilia del compleanno di Dean, il coinquilino di Castiel, Michael, si sarebbe laureato e loro non potevano mancare alla festa, che il giovane aveva deciso di fare ad Overland Park, che distava da Lawrence circa 35 – 40 miglia. Castiel non aveva fatto altro che ricordarglielo insistentemente per tutto il mese, e Dean aveva dovuto accettare, quasi costretto dal suo ragazzo e dal broncio che gli avrebbe tenuto per sempre.  
 
La festa di Michael si rivelò una vera tortura per Dean. Castiel lo aveva abbandonato su un divanetto ed era andato a confabulare con alcuni suoi amici e altri studenti, lasciandolo lì con una bibita e la consapevolezza che avrebbe dovuto aspettare la fine della festa per rivederlo. Castiel era bellissimo quella sera, indossava un completo blu scuro, elegante, e sotto alla giacca portava una camicia bianca, lasciata leggermente aperta su cui svettava una cravatta blu, che faceva risaltare in modo incredibile i suoi occhi blu – stava d’incanto, quando Dean lo aveva visto, poche ore prima quasi non aveva creduto ai suoi occhi; perché sì, Castiel era bello, ma quando non indossava quelle magliette e felpe eccessivamente larghe, lasciava uscire il meglio di sé. Inoltre era raggiante, uno dei suoi migliori amici aveva appena concluso il suo percorso di studi – Dean si era sentito esattamente così, quando Benny si era laureato, molti anni prima di lui – ed era giusto che si divertisse. Lo aveva visto parlare e ridere con un paio di tizi – finiti subito sulla sua lista nera – si era sentito un po’ geloso quando lo aveva ignorato per loro, ma non importava, sapeva esattamente dove sarebbe andato Cas quella sera, dopo la festa: dritto nel suo letto, e finalmente gli avrebbe tolto quel completo che gli aveva fatto stringere i pantaloni quando lo aveva visto, era stato davvero imbarazzante, si era sentito un ragazzino con problemi di erezioni, aveva dovuto accavallare le gambe per evitare che il moro se ne accorgesse e, ovviamente, aveva miseramente fallito. Però Cas sapeva essere davvero subdolo a volte, e gli aveva detto, con nonchalance, che quella notte sarebbe stato tutto suo e avrebbe potuto anche strappargli di dosso quell’ingombrante completo. Dean aveva preso le sue parole come una richiesta, una richiesta che non vedeva l’ora di soddisfare; e così avrebbe festeggiato il suo compleanno tra le braccia del suo sexy ragazzo. Da lontano, Cas gli sorrideva, e Dean era tentato di avvicinarsi a lui e spingerlo contro il primo muro e baciarlo con passione, per far capire a quegli idioti che gli facevano gli occhi dolci che quel ragazzo così attraente era impegnato con lui, ma aveva promesso a Cas che sarebbe stato buono e non avrebbe fatto niente di imbarazzante, per questo se ne stava su un divanetto a sorseggiare una bibita analcolica, a guardarlo – solo per accertarsi che nessuno gli facesse del male – mentre il suo ragazzo lo ignorava.
Di lì a qualche settimana, anche lui avrebbe terminato il suo percorso di studi, e se ci pensava, stentava a crederlo, non avrebbe mai immaginato di portare a termine qualcosa, non dopo il terribile periodo che aveva passato nemmeno troppi anni prima. Castiel aveva detto che lui e Sam avevano delle idee grandiose per la sua laurea e ne era davvero spaventato, perché il suo ragazzo e suo fratello erano diventati amici al punto da confabulare alle sue spalle, e anche se ne era assolutamente spaventato, non riusciva a non sorridere pensandoci; assurdo. L’ arrivo di Cas nella sua vita era stato una ventata d’aria fresca nella sua triste esistenza, gli aveva fatto ritrovare il sorriso quando lui credeva di averlo perso per sempre, e aveva, in qualche modo, spazzato via il vecchio Dean, ancora seppellito da qualche parte dentro di lui, e lo aveva reso migliore. Era come se, quando era caduto nel suo inferno personale, Castiel fosse arrivato come un angelo, lo avesse stretto forte e tirato fuori da quell’incubo. Castiel sapeva che c’era sempre qualcosa che Dean gli nascondeva, il ragazzo lo sentiva nella sua voce, a volte esitante, che volesse parlargli di qualcosa, ma non lo faceva, e Castiel non chiedeva mai. Lui era paziente e sapeva aspettare, avrebbe aspettato tutta la vita, probabilmente. Dean si fidava di lui, gli avrebbe affidato la sua stessa vita, ma se poi, dopo aver sentito tutta la storia avesse deciso di lasciarlo? Se avesse deciso che non valeva la pena restare con uno scherzo della natura come lui? Accantonava sempre quel tipo di pensieri e non pensava più al passato, dopotutto era meglio così.
Se ne stava tutto solo, a sorseggiare la sua bibita analcolica, quando un ragazzo, forse un parente di Michael, si avvicinò a lui, sedendosi accanto e guardandolo in modo suadente. Riprova, caro, sono già impegnato. Era anche carino, forse troppo giovane con quel viso da matricola del primo anni, gli occhi chiari e i capelli biondissimi.
«Ciao, sono Samandriel, il cugino di Michael, ma puoi chiamarmi Sam» si presentò sorridendo «Tu sei…?»
«Dean, piacere» sorrise. Samandriel – che razza di nome, poi – ricambiò il sorriso.
«Posso offrirti da bere?» gli chiese, Dean si accigliò e sorrise divertito, quel ragazzino ci stava provando o cosa?
«Sono a posto, grazie» rispose indicando la sua bibita. Samandriel non si diede per vinto e iniziò a parlare con lui del più e del meno, facendogli domande a caso sulla festa, su cosa ne pensasse degli invitati e chiese anche qualcosa sull’università, mentre Castiel sembrava non accorgersi di nulla, e parlava con altri suoi amici, Dean continuò a sorseggiare la sua bibita, ignaro dello sguardo di fuoco che il suo ragazzo stava lanciando al biondino che continuava a parlare con lui. Davvero, Dean non stava facendo niente di male, non gli interessava il ragazzino, lui aveva occhi solo per una persona, la stessa persona che si stava avvicinando senza che lui se ne accorgesse.
«Ehi!» esclamò il moro raggiungendolo improvvisamente, Samandriel sobbalzò sentendo un’altra voce e si zittì immediatamente «Scusa, ti sto trascurando» mormorò Castiel, sedendosi sulle sue ginocchia e allacciandogli le braccia attorno al collo «Mi faccio perdonare a casa?» domandò lascivo, avvicinando il volto a quello di Dean. Okay, dov’era il suo ragazzo? Quello che non facciamo cose imbarazzanti in pubblico, Dean? «Non mi presenti il tuo amico?» chiese, poi si voltò verso l’altro ragazzo e sorrise sornione «Oh ma tu sei il cugino di Michael! Ciao! Sono Castiel, il migliore amico di Michael, ti ricordi?» chiese, senza lasciare la presa sulle spalle di Dean «E sono anche il ragazzo di Dean».
Dean avrebbe voluto ridere davanti a quella scena, perché sul serio, a meno che non avesse bevuto, non si spiegava il suo atteggiamento in quel momento. Non poteva essere dettato solo dalla gelosia, no?
«Cas, hai bevuto?» gli chiese stupito, dimenticando che accanto a loro ci fosse effettivamente un ragazzo, che adesso stava avvampando per non aver capito prima che lui fosse impegnato. Dean si morse le labbra, trattenendo un sorriso.
«Devo essere ubriaco per abbracciare il mio ragazzo in pubblico?» domandò divertito – non mi stai abbracciando, stai marcando il territorio, ed è molto diverso – avrebbe voluto dire «E poi volevo far sapere al tuo nuovo amico che sei impegnato» sussurrò, dandogli un bacio dietro l’orecchio, facendolo fremere d’eccitazione «Perché sono certo che tu non lo abbia detto». Santo cielo, Castiel da geloso era davvero irresistibile, forse, forse, Dean lo aveva fatto di proposito a non dire a Samandriel di essere impegnato, solo per far ingelosire Cas e farlo avvicinare.
«Penso che abbia afferrato il concetto» ridacchiò, stringendolo contro il proprio corpo, mentre l’altro ragazzo, imbarazzato a morte, si alzava e cambiava zona, andando a prendersi qualcosa da bere, Dean non riuscì a trattenere una risata divertita, e «Mi dispiace, ma da geloso sei troppo divertente» disse. Castiel si imbronciò un po’, ma poi gli diede un delicato bacio a stampo. Dean non protestò e si lasciò baciare, non si era ancora abituato a Cas che dimostrava affetto in pubblico, per lui era stato difficile capire che con Dean accanto nessuno avrebbe fatto loro del male.
«Ti perdono solo perché sei carino, Winchester» scherzò.
Gabriel li raggiunse pochi istanti dopo, con dei pasticcini che dovevano assolutamente assaggiare perché erano fantastici e si ritrovarono a scambiare opinioni sulla festa insieme all’amico di Castiel, che aveva adorato quel posto; Dean si rese conto che Castiel non si fosse alzato dalle sue ginocchia e stesse parlando con l’amico tranquillamente appoggiato contro il suo petto, e semplicemente non riuscì a trattenersi dal sorridere felice.
«Quando andiamo via, Cas?» chiese al suo ragazzo, quando Gabriel li lasciò soli.
«Presto, penso che sia quasi finita» gli comunicò il ragazzo, alzandosi dalle sue gambe e sorridendogli in modo dolce.
La festa si concluse poche ore dopo, erano circa le due di notte, le strade erano quasi ghiacciate – le temperature erano precipitate sotto lo zero – e c’era una fitta nebbia che invadeva la strada e impediva la visuale. Dean e Castiel decisero saggiamente di non mettersi in viaggio con quel tempaccio e aspettare che almeno la nebbia di diradasse. Presero una camera in un motel economico lì nei paraggi, e decisero che vi avrebbero passato la notte, in modo da partire il giorno seguente, sperando che il tempo migliorasse. Dopo essere stati scambiati per una coppia di neo-sposi dalla receptionist che li aveva accolti, erano andati nella stanza loro assegnata e, sebbene la stanza fosse un po’ inospitale, con qualche spiffero qua e là, tutto sommato era abbastanza calda. I due giovani, dopo essersi svestiti ed aver sistemato gli abiti su una sedia, scivolarono tra le coperte calde del letto a una piazza e mezza, immaginando che fosse un comodo letto matrimoniale, magari quello della loro casa futura, quella che avrebbero condiviso e che segretamente Dean stava già cercando, poi si strinsero forte guardandosi con gli occhi pieni d’amore.
Castiel sorrise e affondò immediatamente il capo contro il suo petto, accoccolandosi contro di lui, in cerca di calore, Dean non disse niente, si limitò ad accarezzargli la schiena, sfiorandogli anche la nuca, per farlo rilassare, stringendolo di più contro di sé. Non avevano bisogno di eccessive parole, si capivano perfettamente con uno sguardo o un gesto.
«Dean» mormorò contro il suo orecchio, dopo aver lanciato uno sguardo all’orologio «Buon compleanno».
Il biondo sorrise e lo baciò piano, a stampo, senza fretta: «Grazie, Cas» mormorò contro la sua bocca, sorridendo. Il moro si spalmò contro di lui e gli lasciò una scia di baci delicati lungo il collo, scendendo lentamente sul petto, Dean gli passò una mano dietro alla schiena accarezzandolo lentamente, sorridendo delle sue attenzioni, lasciandosi scappare dei leggeri ansiti di piacere, aveva sempre avuto ragione, Cas con le labbra sapeva fare vere e proprie magie. Si fermò dopo un po’, per guardarlo dritto negli occhi, con un sorriso furbo sul volto. Piccolo subdolo.
«Dean» lo chiamò Castiel, con la voce lasciva «Visto che siamo qui, domani facciamo un giro per la città, prima di ripartire?» chiese sbattendo le palpebre, continuando ad accarezzarlo lentamente.
«Certo, Cas, possiamo fare qualunque cosa tu voglia» rispose, soggiogato dalle sue attenzioni. Il ragazzo scosse la testa e sorrise istintivamente, mentre l’altro lo stringeva, Dean doveva smetterla di accontentarlo e dirgli sempre di sì per ogni cosa, ma Cas lo guardava con gli occhi pieni d’amore e con quel blu intenso capace di renderlo vulnerabile, e non riusciva a dirgli di no, perché vedeva quel blu brillare di più, e niente, niente, era meglio di quello.
«Sei fantastico» borbottò strofinando il naso contro il suo collo, inspirando il suo dolce profumo. Dean annuì mormorando un lo so, gli stampò un dolce bacio a stampo e gli augurò la buonanotte, coccolandolo ancora. Si trovava in una sorta di bolla di felicità allo stato puro, impenetrabile e perfetta, che era certo nessuno avrebbe forato, nemmeno per sbaglio, certo, a volte si chiedeva se meritasse tutto quello che stava vivendo, si chiedeva se meritasse una persona come Cas nella sua vita, ma ora sapeva che gli bastava chiamare il fratello, che gli ricordava che , lo meritava. Forse un giorno ne avrebbe parlato anche con il moro, ma temeva sempre quel tipo di confronto, era un disastro, ma con Castiel lo era un po’ di meno. 
«A cosa pensi?» chiese il moro, sentendolo improvvisamente teso e ansioso. Come faceva a capire ogni suo cambiamento d’umore? Non era possibile che lo conoscesse così bene.
«A noi» mormorò «A te, più che altro. A volte mi chiedo se merito una benedizione come te nella mia vita e di essere così maledettamente felice con te».
«Tutti meritiamo la felicità, Dean» gli disse sollevandosi sulle braccia e guardandolo negli occhi «Non importa quanto il nostro passato sia oscuro. Alla fine del tunnel c’è la luce per tutti» gli disse sorridendo «E sono davvero contento che tu sia felice con me, come io lo sono con te».
Dean infossò la testa nel cuscino, sentendo un sorriso comparire sul suo volto, perché Castiel, senza sapere il motivo dei suoi dubbi e delle sue incertezze, colpiva il punto giusto, facendolo sentire meno sbagliato. Non sapeva quale fosse il suo straordinario potere, ma ci riusciva sempre.
«Grazie» sussurrò ti prometto che un giorno saprai tutto di me – promise con un solo pensiero, a cui era certo di mantenere fede «Sei il mio filosofo preferito». Castiel lo spinse scherzosamente lontano da sé e rise.
«Idiota». Dean rise a sua volta, con il cuore leggero.
Quella notte si rivelò essere una delle più divertenti della loro vita, non fecero niente di eclatante, restarono lì a rotolarsi tra le lenzuola, a prendersi velatamente in giro, a farsi il solletico e a dirsi degli affettuosi insulti, a baciarsi ogni volta che si ritrovavano alla distanza giusta. Si addormentarono quando ormai albeggiava, felici e appagati, stretti l’uno nell’abbraccio caldo dell’altro, la loro era una bolla di felicità, che avrebbero voluto preservare per tutta la vita.
Come la notte fu indimenticabile, lo fu anche la gita ad Overland Park. Si svegliarono davvero presto, ognuno dei due con poche ore di sonno addosso, ed uscirono dal motel per esplorare una città che nessuno dei due aveva mai visto. Si comportarono come due ragazzini emozionati ed eccitati per una cosa nuova, girarono le strade della città, stretti nei loro giacconi pesanti, guardandosi intorno stupiti. Entrarono persino in una cabina per le foto istantanee e ne fecero diverse, alcune in cui si guardavano semplicemente, altre dove si baciavano, altre dove facevano facce buffe. Mangiarono hot dog sporcandosi le mani, con somma irritazione di Castiel, acquistarono delle buffe calamite per la casa nuova e visitarono il giardino e arboreto botanico della città, e il Nerman Museum of Contemporary art, perché Cas era un secchione e a lui piaceva vedere quelle cose. Dean non poteva far altro che accettare in silenzio e seguirlo, perché il sorriso che vedeva spuntare sul suo viso, valeva ogni singolo minuto passato in quel museo di arte contemporanea o nel giardino botanico, ed era il miglior regalo di compleanno che potesse mai ricevere, sul serio. Anche se faceva freddo, e avevano ancora gli abiti della festa del giorno prima – non era previsto che restassero, dopotutto – e non avevano programmato assolutamente nulla, si divertirono più di quanto avessero immaginato, e Dean si rese conto, ancora una volta, che Castiel gli teneva la mano per strada senza alcuna paura, non si sarebbe mai abituato a quella sensazione, forse perché il suo ragazzo aveva impiegato davvero tanto ad esternare la loro relazione. Ad un certo punto, Cas entrò in una pasticceria, ordinandogli di restare fuori, e ne uscì con un tortino al cioccolato – scusa, non avevano la crostata di mele – su cui aveva fatto posizionare ed accendere una candelina e: «Esprimi un desiderio, amore». Dean chiuse gli occhi e desiderò che tutto quello non finisse mai. Divisero il tortino su una panchina, sotto gli sguardi curiosi dei passanti, ridacchiando tra di loro. Forse un po’ poteva ringraziare Michael per aver deciso di festeggiare in quella città, proprio il giorno prima del suo compleanno. Decisamente quello era stato il miglior compleanno della sua vita.
 
Le cose precipitarono in un baratro oscuro e profondo, quando si rimisero in auto per tornare a casa verso le sette di sera. Dean era sempre stato un guidatore attento e scrupoloso, soprattutto dopo la sua pessima esperienza con le corse clandestine, guardava attentamente prima di svoltare, prendeva bene le curve e non correva mai troppo, soprattutto quando aveva qualcuno in auto di cui non voleva rischiare l’incolumità. La nebbia si era diradata un po’, c’era una lieve foschia, niente che gli abbaglianti dell’auto non potessero illuminare – altrimenti si sarebbe fermato come la sera precedente – ma improvvisamente aveva iniziato a piovere, una fastidiosa, torrenziale, scrosciante e pericolosa pioggia. Castiel aveva notato il repentino cambiamento d’umore del ragazzo, e non aveva detto nulla, per non iniziare una discussione inutile, non aveva idea di come fosse accaduto, ma Dean all’improvviso aveva contratto la mascella e stretto le mani sul volante, fortemente innervosito. Castiel sperava di non aver fatto nulla per farlo stare così.
«Michael doveva per forza fare la festa in culo al mondo, eh Cas?» domandò irritato, mentre fissava i tergicristalli spostare la pioggia che si posava sul parabrezza dell’auto. Odiava la pioggia e la sensazione di pericolo che avvertiva.
«Non è colpa sua se piove, Dean» borbottò Castiel, cercando di scaldarsi le mani dal calorifero dell’auto, cercando di evitare che si innervosisse maggiormente.
«Lo so» mormorò stizzito, sbuffando appena «Forse dovevamo restare un'altra notte nel motel» disse. Castiel tacque, perché sapeva che qualunque cosa avesse detto, Dean si sarebbe innervosito di più. «Dannazione!» imprecò.
Il moro sbuffò alzando gli occhi al cielo, perché Dean non la smetteva di lamentarsi e non pensava che avessero passato una giornata divertente insieme? No, doveva lamentarsi di Michael, perché semplicemente stava aspettando una cosa simile da almeno un giorno intero; si concentrò per mantenere la calma, ci mancava solo il litigio in autostrada.
«Dean, dai, tra poco saremo a casa, magari vieni da me e ci rilassiamo a letto, insieme» disse, cercando di mantenere un certo autocontrollo, ma gli era difficile con l’irritazione crescente per il suo atteggiamento. Alcune volte Dean era così intrattabile che finivano per litigare anche per stupidaggini, e Cas voleva assolutamente evitarlo, dopo la meravigliosa giornata trascorsa in giro per una città nuova, stringeva nella tasca, gelosamente le foto che avevano scattato, desideroso di aggiungerle alla scatola in cui conservava ogni ricordo bello. La maggior parte erano con Dean o legati a lui.
«Oh certo, proponimi sempre del sesso quando sono nervoso» sputò acidamente il biondo. Castiel si accigliò e guardò accanto a sé, odiava vedere quel lato di Dean, quando era così nervoso da non rendersi conto di trattarlo come un estraneo. Cosa era successo? Quella mattina si erano divertiti come matti, Dean gli sorrideva in continuazione e lo guardava in quel modo che gli diceva sono tuo e sono innamorato di te, cosa aveva spezzato la magia? La pioggia?
«Non… Dean, non ti stavo proponendo…» balbettò incerto, torturandosi le mani, scosse la testa, senza dire altro, il suo ragazzo era solo nervoso, lo sapeva, doveva trovare un modo per farlo rilassare mentre erano in auto e tornavano a casa, dopotutto la strada era deserta, anche se pioveva. Dean stava per ribattere, ancora innervosito, poi si voltò verso Castiel, e vide il suo sguardo ferito, cosa aveva appena detto? Santo cielo, non si riconosceva nemmeno quando era nervoso. Tacque e strinse le mani sul volante, cercando di rilassare i nervi. Castiel allungò una mano verso lo stereo dell’auto e lasciò che la musica invadesse l’abitacolo, con delicatezza appoggiò una mano sul suo ginocchio e lo strinse leggermente, per fargli capire che andava tutto bene, e Dean parve più tranquillo.
«Scusa» borbottò «Lo sai, il brutto tempo mi mette di cattivo umore» confessò.
«Lo so…» sussurrò. Tra loro scese il silenzio, Castiel non voleva irritare Dean ancora di più, che sembrava aver trovato la calma, lo conosceva bene, sapeva che il pessimo tempo lo faceva andare in ansia, e non poteva biasimarlo, sapeva che fosse anche colpa sua perché aveva insistito per tornare, ma di certo non credeva che piovesse di nuovo così forte. Poi alla radio partì una canzone un po’ vecchia, e quando vide Dean tendere le labbra in un sorriso e ondeggiare la testa a ritmo di musica, si rese conto che, sì, era un po’ più calmo, ne ebbe la certezza quando si lasciò andare e iniziò a cantare, tirò istintivamente un sospiro di sollievo, e sorrise anche lui.
«Baby you're all that I want 
When you're lyin' here in my arms 
I'm findin' it hard to believe 
We're in heaven 
And love is all that I need 
And I found it there in your heart 
It isn't too hard to see 
We're in heaven» canticchiò, guardando Castiel al suo fianco, sorridendo rilassato, mentre indirettamente gli dedicava quella canzone d’amore che un po’ sembrava parlare di loro. Castiel si unì a lui, lasciandosi scappare una risata leggera, per fortuna sembrava tutto risolto, e il suo ragazzo non sembrava più sul punto di perdere la testa per un po’ di pioggia, si rilassò anche lui, la discussione totalmente dimenticata. Dean era comunque vigile sulla strada, ma cantava e guardava di tanto in tanto il suo ragazzo, il quale sapeva che fosse il suo modo per scusarsi con lui per quel momento di nervosismo e per le risposte odiose che gli aveva dato. Sembravano ritornati a quella mattina, di nuovo spensierati e felici, poi tutto precipitò di nuovo nell’oblio e nel caos, quando un camion enorme spuntò davanti alla loro auto, e Dean fu costretto a sterzare e a frenare bruscamente, inutilmente. Ci furono diversi istanti di panico e di confusione, il ragazzo non capì niente, cercò di mantenere il controllo dell’auto, fino a che non si schiantarono contro il guard rail, distruggendolo in parte, finendo quasi fuori strada e il camion sfiorò appena l’auto nella sua folle corsa. L’impatto fu inevitabile e fortissimo, e Dean non ebbe il tempo di rendersi conto di aver fatto un incidente stradale, aveva battuto la testa da qualche parte nell’auto, forse di fronte a sé, dove c’era un rivolo di sangue, si voltò immediatamente verso Castiel e lo vide privo di sensi, cercò di allungare una mano verso di lui, mormorando un Cas appena udibile, ma non ebbe il tempo di realizzare nulla, perché pochi istanti dopo perse i sensi anche lui.
 
Quando si risvegliò, aveva un fastidioso rumore ad intermittenza nelle orecchie, dolori ovunque e la testa pesante, come se avesse appena preso una delle peggiori sbronze della sua vita. Aprì lentamente gli occhi, mettendo a fuoco la camera in cui si trovava, non riconoscendola. Cercò di ricostruire cosa fosse accaduto, e si guardò intorno, si sentiva confuso e spaesato, ma avvertiva un senso di disagio enorme dentro di sé, cosa diavolo era successo? Vide Sam, seduto su una sedia, la testa reclinata a lato come se dormisse e il volto di chi aveva visto giorni migliori.
«S-Sam» lo chiamò, il minore fu subito sull’attenti e guardò il fratello con l’espressione sollevata e meno preoccupata.
«Dean, siamo morti di paura! Quando ci hanno chiamato e detto che tu e Cas avevate avuto un incidente in auto, ho temuto il peggio!» esclamò allarmato, accertandosi con lo sguardo che il fratello stesse bene e fosse di nuovo vigile.
Dean si sentì investire da un’ondata gelida, la consapevolezza che no, non era una sbronza la sua, e che sì, lui e Cas avevano avuto un incidente in auto, in mezzo alla pioggia e alla nebbia, ed era tutta colpa sua.
«C-Cas?» chiese a mezza voce, timoroso della risposta. Temeva di aver perso Cas, e questo era certo di non poterlo perdonare a se stesso, come avrebbe potuto? Se aveva ucciso Cas, era esattamente come...
«Sta bene, tranquillo, okay?» lo rassicurò Sam, interrompendo il suo orribile pensiero «Sta bene, c’è Gabriel con lui, e i suoi genitori stanno arrivando» spiegò il minore «Cas sta bene, Dean, sei riuscito ad evitare che quel camion uccidesse entrambi» spiegò «Siete quasi finiti fuori strada, la macchina è parzialmente rotta, ma voi state bene, ed è questo che conta» disse il minore, ma Dean non lo stava ascoltando. Avrebbe potuto perdere Castiel…
Al solo pensiero di perdere Castiel, Dean rabbrividì. Come un’ondata gelida, la festa di Michael, il tempo pessimo, la giornata ad Overland Park, il quasi litigio sulla strada del ritorno, lo sguardo ferito di Cas, la canzone, il camion e poi il caos piombarono su di lui con violenza. Come aveva fatto a distrarsi così tanto? Aveva solo reso reale il suo incubo. Cercò di alzarsi, di raggiungere Castiel, per chiedergli scusa di essere stato disattento, per avergli fatto del male, santo cielo, Cas aveva rischiato la vita per colpa sua. Vani furono i tentativi di Sam di bloccarlo, si strappò la flebo e si alzò in piedi, sentendo giusto un attimo la testa vorticare e un leggero dolore percorrergli la spina dorsale. Uscì a piedi nudi nel corridoio, chiedendo di Castiel, tuttavia nessuno gli dava risposte. Un infermiere di quel piano, udendo le sue urla cercò di tranquillizzarlo e di dirgli di stare calmo, ma Dean non voleva stare calmo, voleva notizie di Cas e le avrebbe avute con le buone o con le cattive, sebbene si sentisse debolissimo, avrebbe trovato la forza di avere notizie di Cas. Afferrò l’infermiere per il camice e lo minacciò in malo modo, doveva sapere dove fosse il suo ragazzo, e vedere con i suoi occhi che stesse bene. Quello gli disse che era in terapia intensiva perché aveva subito un brusco, ma non grave o letale, trauma cranico, e Dean lo lasciò andare, sentendo il mondo crollare sotto i suoi piedi. No. Sam aveva detto che Cas stava bene e che era con Gabriel, ma Cas era solo e non stava bene, perché aveva mentito? Cercò di riprendere autocontrollo, avviandosi verso un punto imprecisato dell’ospedale, quando fu colto da un improvviso capogiro che lo costrinse in ginocchio sul pavimento. Sentiva gli occhi pungere e le maledette lacrime che volevano uscire fuori dai suoi occhi, ma no, non avrebbe pianto. Quel ragazzo gli fu subito accanto e compreso il suo stato di shock – vittima di un incidente stradale, il compagno in terapia intensiva – lo aiutò ad alzarsi e chiese ad una collega una sedia a rotelle. L’infermiere, che si era rivelato molto gentile, spinse Dean verso la terapia intensiva, e appena arrivarono lì, il biondo si affacciò alla stanza, il mondo smise di muoversi e lui quasi svenne.
«Cas…» mormorò senza voce, davanti a lui, oltre quella porta, c’era Castiel, steso su un letto d’ospedale, privo di sensi, con delle bende attorno alla testa, attaccato a delle macchine «Posso…?» chiese all’infermiere.
«Solo due minuti, okay? Devo riportarti nella tua stanza» gli disse, a Dean sarebbero bastati due minuti, si fece spingere verso Cas e gli prese piano la mano, e trattenne un singhiozzo dandogli un leggero bacio sul dorso. Lo guardò per un attimo, aveva il viso contratto in una maschera di dolore, solo il suo battito costante, dettato dall’elettrocardiogramma, gli faceva capire che non era morto. Dean si sentì sul punto di vomitare, non avrebbe mai voluto accadesse qualcosa di simile a Cas. Vederlo in quello stato strinse il suo cuore in una morsa stretta. Si sentiva male, avrebbe voluto urlare e farsi del male. Avrebbe dovuto essere lui lì al posto di Cas.
«Mi dispiace, Cas» sussurrò, tenendogli stretta la mano, sperando che l’altro lo sentisse «Mi dispiace così tanto…»
«Non è grave come sembra» si intromise l’infermiere, Dean faticò a credergli «Le sue condizioni sono stabili, tra stasera e domani uscirà dalla terapia intensiva, poi dovrà restare sotto controllo per qualche giorno, ma è giovane e forte, sta rispondendo bene alle cure quindi si rimetterà totalmente» gli comunicò, ma nella mente di Dean era già comparso quel tarlo, fin dal suo risveglio, quel pensiero terribile che lui aveva messo da parte, o almeno ci aveva provato in quell’anno, aveva quasi ucciso Castiel, ed era tutta colpa sua, era esattamente come John. Se non si fosse innervosito, se non avesse iniziato quella stupida discussione con Castiel, e se non si fosse messo a cantare, perché Cas lo aveva tranquillizzato, sarebbe stato più attento, e non avrebbero fatto nessun incidente; se fossero restati un’altra notte a Overland Park, niente sarebbe accaduto. Avrebbe dovuto insistere di più quando Castiel aveva decretato di partire quella sera, avrebbe dovuto fare qualcosa di più per proteggerlo, e di nuovo aveva fallito. Castiel era in terapia intensiva, in uno stupido ospedale per colpa sua. Così come non aveva protetto sua madre tanti anni prima quando suo padre l’aveva uccisa; così come non aveva protetto Sam, quando era stato vittima di bullismo e aveva tentato il suicidio, questa volta non aveva protetto Castiel e per colpa sua era in ospedale. Aveva rovinato anche la vita del ragazzo che amava, e questo non se lo sarebbe mai perdonato. Perdonami almeno tu, Cas.
Quando l’infermiere lo costrinse a tornare in camera, e gli sistemò di nuovo la flebo, Dean sapeva esattamente cosa fare, doveva sparire dalla circolazione e doveva evitare che Castiel o altri lo cercassero.
«Non è colpa tua, Dean» gli disse suo fratello, intuendo i suoi pensieri; ma Dean non gli credette, gli aveva già mentito prima riguardo Cas, cosa gli assicurava che ora dicesse la verità? No, Sam mentiva solo per farlo sentire meglio. Dean sapeva esattamente cosa fare, sarebbe dovuto sparire dalla vita di Castiel, in modo che lui avesse una vita migliore con qualcuno che lo meritava, non qualcuno che rischiava di ucciderlo e di fargli del male, si sentiva alla stregua di John, che aveva ucciso la donna che diceva di amare, e no, non avrebbe fatto di nuovo del male a Castiel, perché lui lo amava sul serio. Uno scherzo della natura come lui non meritava di essere felice, si era illuso che potesse essere così, ma era ora di tornare nella realtà e affrontare la verità, lui non poteva essere felice, doveva stare lontano anni luce dalle persone che amava per non macchiarle, per non romperle. Mandò via Sam, dicendogli di voler restare solo e fissò il soffitto per quelle che parvero ore, poi si riscosse e si fece procurare della carta e una penna dall’infermiere gentile, e quando sentì le forze per poterlo fare, iniziò a scrivere.
Il compleanno peggiore della sua vita.
 
Quando si svegliò e vide Gabriel accanto a sé, con gli occhi pieni di lacrime non versate e sua madre accanto a lui che gli teneva la mano, Castiel credette di essere entrato in una sorta di limbo, non ricordava cosa fosse successo esattamente. L’ultimo ricordo che aveva era un litigio con Dean a causa della festa di Michael e al luogo in cui era avvenuta, poi ricordava che tutto si fosse calmato tra di loro e avessero persino iniziato a cantare, un po’ stonati, sulle note di quella canzone che stavano passando in radio e poi… il nulla, solo caos e la voce di Dean che lo chiamava, nient’altro. Castiel sentiva la testa pesante e si sentiva davvero strano, aveva dei tubicini nel naso che gli facilitavano la respirazione, e aveva un unico pensiero nella testa, Dean. Non riusciva a parlare, si sentiva un po’ intontito, ma Gabriel accanto a lui sorrideva felice di vederlo vivo, che era successo? Dov’era Dean? Perché non era con lui?
«Mi hai fatto morire di paura» biascicò, la voce stanca come se non dormisse da giorni «Ho dovuto dire ai medici di essere tuo fratello, ti rendi conto?» domandò retoricamente, scuotendo la testa «Tu e quell’idiota di Winchester mi farete prendere un colpo» disse ancora, e Cas temette che davvero fosse successo qualcosa a Dean «Non affaticarti, ti sei appena risvegliato da un coma farmacologico, sei stato in terapia intensiva e sei uscito da poche ore» spiegò, rispondendo alle mute domande dell’amico «Dean ha salvato la vita ad entrambi con quella sterzata, quel camion vi avrebbe travolto in pieno, invece vi ha urtato di striscio» disse ancora, Castiel non riusciva a chiederlo, ma sperava che Gabriel gli dicesse dov’era Dean, se stava bene «Dean è stato dimesso stamattina, tu, bello addormentato, hai dormito per quasi cinque giorni» disse scherzando lievemente per strappare un sorriso all’amico «Ovviamente, è stato da te prima di andare via. Sembrava molto scosso, e non ha voluto svegliarti. Ha detto che sarebbe venuto all’orario di visite». Castiel ci restò un po’ male, credeva che rimanesse almeno fino al suo risveglio, ma forse aveva pensato che con Gabriel e sua madre lì fosse in buone mani, o forse si sentiva debole e non poteva restare, ed ecco perché non era rimasto, non sapeva nemmeno quanto gravi fossero state le sue ferite, non sapeva niente e voleva solo sapere se il suo ragazzo stesse bene. Socchiuse di nuovo gli occhi, stanco, forse erano i farmaci in circolo nel suo sangue e avrebbe decisamente fatto bene a restare sveglio, per aspettare Dean, ma non riuscì a tenerli aperti per molto tempo. Sonnecchiò per qualche ora, aspettando che il suo ragazzo andasse da lui e lo abbracciasse, e gli dicesse di stare bene, che tutto sarebbe andato bene, che sarebbero stati bene entrambi, ma non accadde. Stava iniziando a ricordare a sprazzi l’incidente, ricordava la sterzata forte di Dean, il camion che si avvicinava sempre di più, la voce di Dean… e poi il buio. Si era risvegliato, smarrito in una sala d’ospedale e non aveva visto il suo ragazzo. Michael fu il primo ad andare a trovarlo, quel pomeriggio – anche se gli disse che era stato da lui spesso quando era privo di sensi – e gli portò del gelato, Castiel amava mangiare il gelato quando stava male. Alcuni suoi compagni di corso andarono a trovarlo, alcuni portandogli fiori altri cioccolatini, ma non vide arrivare Dean, non lo vide arrivare per tutta la giornata e anche quella successiva. I medici volevano tenerlo sotto osservazione per altro tempo, perché aveva subito un trauma cranico e non volevano rischiare complicazioni, anche se lui stava rispondendo bene alle terapie. Castiel non capiva, aveva dei buchi di memoria, il medico aveva detto che era normale, e non capiva cosa avesse spinto Dean a non andare da lui quel giorno; dovette trattenere le lacrime quando la sera del terzo giorno dal suo risveglio, vide entrare Sam al posto di Dean, Sam che si scusava per il comportamento del fratello, ma apparentemente era sparito dal giorno precedente e non accennava a tornare, non rispondeva al telefono, e nemmeno era raggiungibile in altro modo. Sam era preoccupato, nemmeno lui sapeva dove fosse Dean, ma cercò di tranquillizzare Castiel, dicendogli che prima o poi sarebbe tornato, perché lui tornava sempre, ma il moro abbassò lo sguardo, sentendosi deluso e ferito. Avrebbe solo voluto Dean, in quel momento, non le parole di conforto del fratello. Rispetto al giorno del risveglio, iniziava a sentirsi meglio, era riuscito a parlare con sua madre e aveva mangiato tantissimo gelato, ma sentiva un enorme vuoto all’altezza del petto, perché Dean non era lì. Perché non era andato? Cosa lo aveva tenuto lontano da lui? Stava bene? Le sue ferite quanto erano state gravi?
«Mi ha dato questa» aveva detto Sam prima di andare via «Ha detto che gli dispiace e ti chiede di perdonarlo». Castiel non aveva capito le parole del ragazzo, non le aveva nemmeno ascoltate e nemmeno ci aveva provato, perché quando Sam gli aveva consegnato quella che sembrava essere una lettera, capì, tutto si bloccò, e lui iniziò a capire che forse qualcosa era andato storto e si era rotto. Sam era andato via con le spalle curve e un mesto Riprenditi, Cas, stringendo tra le mani il telefono e il frenetico movimento delle dita suggerì che forse stava cercando Dean, ma Cas non poteva saperlo.
Quando era rimasto solo – Gabriel era al bar a prendere una cioccolata calda e sua madre era fuori a parlare con i medici – Castiel con le mani tremanti aveva aperto la lettera, ed aveva inghiottito a vuoto. L’aveva aperta con lentezza, quasi per paura che questa potesse colpirlo con forza e fargli male, molto male. Poi iniziò a leggere.
 
Cas, mi dispiace.
Sono un disastro e nella mia vita non ho mai combinato niente di buono. So che adesso vorresti che fossi accanto a te, a stringerti e a consolarti, ma non posso. Distruggo tutto ciò che tocco, tutto ciò a cui tengo viene distrutto a causa mia e non posso permettere che ti accada niente di male, te l’ho promesso, ricordi? Ti ho promesso che non ti avrei mai fatto del male, ed è esattamente ciò che ho fatto la sera dell’incidente.
So che è colpa mia questa situazione e non avrei dovuto essere tanto egoista da tenerti vincolato a me. Il periodo che ho trascorso con te, è stato il più bello della mia vita, ma non posso, non posso continuare a rendere un inferno la tua vita, non posso trascinare te a fondo con me. Quest’incidente è solo la punta dell’iceberg, te l’avevo detto, dopotutto, no? Ogni volta che accade qualcosa di positivo nella mia vita, ecco che improvvisamente accadono le catastrofi. Se non fosse stato per me, non saresti in ospedale, saresti a casa, felice con i tuoi coinquilini a ridere della stupida festa di Michael, o a guardare episodi su episodi di qualsiasi serie tv, tu le conosci tutte in fondo. Mi sono risvegliato da poco, ho chiesto subito di te, e quando ti ho visto su quel letto, privo di sensi, per colpa mia, mi è crollato il mondo addosso. Avrei dovuto esserci io su quel dannato letto, non tu. Tu non meriti niente di male, tu sei speciale, sei così puro, e meriti solo il meglio dalla vita e ho capito che non sono io. Non potevo continuare a trascinarti nel mio inferno personale. Credimi, Cas, sento un vuoto dentro che neanche puoi immaginare, tu sei stato la mia ancora di salvezza, la parte migliore della mia vita di merda, ma non posso continuare ad essere egoista e a rovinarti la vita. Mi sono sentito morire dentro quando mi hanno detto che avevi un trauma cranico, ed è tutta colpa mia. Forse dovevamo restare ancora lì, ma non lo abbiamo fatto. 
Mi dispiace, Cas, mi dispiace con ogni fibra del mio cuore. Vorrei poterti evitare altre sofferenze, ecco perché ho deciso di sparire dalla tua vita. Non cercarmi, ti prego.
Ti ho amato fin dal primo istante, ed è perché ti amo che non posso rovinarti la vita con la mia presenza, non posso rischiare di macchiarti e farti del male. Mi dispiace così tanto, credimi.
Ti prego, cerca di perdonarmi, almeno tu, perché io non posso perdonarmi per ciò che ti ho fatto.
Sto solo cercando di proteggerti da me stesso, cerca di capire, ti prego.
Dean.
 
Castiel guardò ancora quel foglio, lesse quelle parole, con la consapevolezza che Dean lo avesse appena lasciato con una dannatissima lettera, e sentì un enorme vuoto dentro di sé, nel petto, all’altezza del cuore. Strinse la lettera contro il suo sterno e scoppiò in lacrime amare, perché sapeva che sarebbe accaduto, sapeva che prima o poi sarebbe finita, ma non credeva così presto, non quando tutto andava bene, non quando avevano così tanti progetti da portare a termine insieme. Si sentì sprofondare in un vero e proprio inferno, in quel momento e non c’era Dean a tirarlo fuori, perché era stato Dean a spedirlo lì. Si addormentò, sfinito a causa del pianto, con la lettera ancora stretta al petto, immaginando di poter stringere il suo (ex) ragazzo in quel modo, e potersi sentire al sicuro. La verità era che si sentiva indifeso, impaurito e distrutto, come non avrebbe mai più voluto sentirsi in vita sua.

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Hola people!
Vi starete chiedendo perché non pubblico sabato... ebbene, ho saputo in settimana che sabato lavorerò tutta la giornata e non avrei avuto tempo di aggiornare, avevo così deciso di aggiornare domani. Ma ehi, la sfiga mi perseguita e domani mia madre ha organizzato una cena e starò tutto il giorno impegnata in cucina. Ergo o vi lasciavo senza capitolo fino a martedì ( lavoro anche domenica e lunedì, che gioia!) o pubblicavo oggi. Non volevo lasciarvi troppo tempo senza capitolo, quindi... eccomi qui!
Lo so, temevate tutti questo capitolo, ma ci siamo, l'angst è tornaaaato! Io sono molto happy, perché questi sono proprio i capitoli che ho scritto con più enfasi. Questo lo definirei più flust (fluff+angst) ma ci siamo. Nessuno è morto, per fortuna, ma Dean si sente una merda e allora ha deciso di fare l'unica cosa che sa fare, scappare e lasciare Cas (Sì, Michael sta già organizzando l'omicidio di Dean). Sam sta già cercando il fratello, ma stavolta sarà più difficile delle altre volte, perché ora pensa di essere come John, anche se non si rende conto che le circostanze sono diverse. Ma vabeh. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e non ci siano errori! La canzone che ascoltano è Heaven di Bryan Adams e se non la conoscete cliccate sul titolo e andatela ad ascoltare ora! Come sempre rinnovo i ringraziamenti a tutti coloro che seguono, leggono, preferiscono e recensiscono la storia, vi ringrazio davvero, sono contenta che vi piaccia ancora la storia! 
Ci si becca la settimana prossima, sempre su questi canali! 
A presto, people!

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Capitolo 10
*** IX Parte ***


DESCLAIMER: La storia è scritta senza fini di lucro, i personaggi non mi appartengono in nessun modo e non intendo offendere nessuno. Giuro. 
PS. C'è l'avviso che i personaggi sono molto OOC, e ci sono piccoli riferimenti al canon, ma riadattati al fine della trama. 

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Without you, I feel broke.
Like I'm half of a whole.
 
Dean si sentiva vuoto, distrutto, a terra, senza la voglia di vivere. Dopo essere stato dimesso dall’ospedale, cinque giorni dopo l’incidente, aveva fatto l’unica cosa che credeva giusta: era scappato, e si era rifugiato in un motel poco fuori città. Non voleva sapere niente di nessuno, anche se continuava a ricevere messaggi di Sam, che gli dicevano che non era colpa sua ciò che era successo, non era colpa sua se erano accadute quelle cose, non era colpa sua e basta, Dean non gli rispondeva e non gli credeva. Era colpa sua. Le sole volte in cui era uscito dalla stanza erano state quelle in cui si era assicurato che Cas stesse bene e si fosse ripreso completamente, non voleva sparire senza sapere che lui stesse bene. Dean si era assicurato, da lontano, che Castiel fosse tornato a casa, si era sentito un po’ uno stalker, ma non aveva voluto farsi vedere; quando Cas era ancora in ospedale, era entrato di nascosto durante la notte, per assicurarsi che fosse vivo, si era seduto accanto a lui per un po’, era rimasto lì a sentire i battiti del suo cuore e poi era andato via prima che lui si svegliasse o che arrivasse qualcuno; e anche se lo avevano quasi scoperto non importava, lui voleva solo sapere che Cas stesse bene, e non farlo sapere a nessuno; poi, quando aveva saputo che sarebbe stato dimesso a breve, lo aveva osservato dall’auto, parcheggiata abbastanza lontano dall’abitazione del ragazzo e lo aveva visto rientrare a casa, con l’espressione vuota e gli occhi gonfi – è colpa mia se soffre così, che sto facendo? – dopo quasi due settimane dall’incidente. Era colpa sua se doveva affrontare quella situazione, era colpa sua se stava male, e non se lo sarebbe mai perdonato. Non voleva che soffrisse a causa sua, eppure sembrava farlo quasi consapevolmente. Poi Cas, dopo una settimana dalle sue dimissioni dall’ospedale, aveva iniziato a scrivergli anche lui dei messaggi, e Dean non riusciva ad impedirsi di leggerli, in ognuno di essi diceva cose come: “cosa ti ho fatto?” “perché fai così?” “ti prego, parliamone” “Dean, non ignorarmi, ti prego” e simili; Cas lo supplicava di parlargli, ma come poteva? Dean si sentiva un mostro, e se pensava di aver ferito Cas, lasciandolo con quella lettera, al solo pensiero che lui soffrisse per colpa sua, sentiva lo stomaco contrarsi in una morsa di dolore, perché avrebbe voluto solo asciugare le sue lacrime, non fargliele versare, ma escludeva categoricamente di ritornare da lui, perché avrebbe significato trascinarlo nei suoi casini e rovinargli la vita, lo aveva quasi ucciso e la cosa faceva male. Avrebbe dovuto essere lui sul letto d’ospedale, non Castiel. Ogni volta che ci pensava, sentiva un groppo enorme formarsi nella sua gola e il respiro corto, come aveva potuto fare una cosa del genere a Castiel, dopo che gli aveva promesso che non gli avrebbe mai fatto del male? Si sentiva male se solo pensava a tutto ciò che aveva perso, perché aveva ritrovato la stabilità che aveva da sempre cercato, ma aveva messo Cas in pericolo e questo non sarebbe mai dovuto accadere.
Era da quando si era lasciato tutto alle spalle, la sua famiglia, la sua storia d’amore, e si era rifugiato lì, in quella camera di motel, che era tormentato dagli incubi, incubi in cui vedeva se stesso come una sorta di mostro che torturava la povera anima di Castiel, si vedeva mentre lo picchiava a sangue e quasi lo uccideva con un pugnale. Avrebbe solo voluto scacciare quegli incubi e non sentirsi così immensamente in colpa, ma non poteva evitarlo, per colpa sua Castiel era finito in ospedale, perché lui non aveva saputo aspettare un’altra notte per tornare a casa, o non aveva saputo insistere abbastanza, non aveva evitato il camion e, cosa peggiore, prima dell’incidente stava avendo una discussione con lui. Non aveva saputo proteggerlo, lo aveva ferito, come sarebbe potuto tornare da lui? Semplicemente non poteva. Cas lo odiava, ne era certo.
Il suo cellulare vibrò di nuovo, un nuovo messaggio. Dean lo aprì e sperò con tutto il cuore che non fosse di Cas, ma anche quella volta si sbagliava: “Non abbandonarmi, ti prego, Dean. Parliamone, non è colpa tua, sarebbe successo comunque. Ti prego”. Dean avrebbe voluto picchiarsi e farsi davvero del male in quel momento, perché Cas non meritava di soffrire così a causa sua. Perché continuava a scrivergli? Come poteva una persona essere tanto masochista? Dean lo aveva lasciato, e lui sapeva che non gli avrebbe risposto, perché scrivergli ancora? Non poteva sparire dalla sua vita e basta? Sapeva che se gli avesse parlato, se lui lo avesse guardato negli occhi, non sarebbe riuscito ad uscire dalla sua vita, non sarebbe riuscito a lasciarlo, perché sapeva di aver bisogno di lui, ma non poteva essere egoista. Anche Sam gli aveva scritto diversi messaggi e altrettanti ne aveva lasciati in segreteria, ma Dean non rispondeva. Dean si nascondeva in quella stanza di motel, nell’attesa che tutto il dolore passasse. Dean si sentiva patetico e colpevole e non voleva vedere nessuno, perché sapeva che se si fosse fatto vedere, tutti gli avrebbero detto le stesse cose, che continuavano a ripetergli per messaggio: non era colpa sua, era una cosa che sarebbe accaduta comunque, ma Dean proprio non riusciva a non pensare il contrario, Dean sapeva che mentissero, mentivano sempre, perché lui era colpevole, lui aveva fatto tutte quelle cose. Sentiva di nuovo quella voce nella sua testa, così simile a quella di John che gli ripeteva quanto fosse inutile, codardo, colpevole, sbagliato. Non poteva credere alle loro parole, perché improvvisamente tutte le cose sbagliate e negative che erano successe nella sua vita, stavano ritornando violentemente alla sua memoria, e non voleva ricadere in quel tunnel, non come anni prima, ma ci stava ricadendo. Il fatto che Castiel continuasse a scrivergli dei messaggi, in cui gli chiedeva – lo supplicava – di non buttare tutto all’aria, di incontrarlo, di vedersi per parlarsi, gli faceva più male di quanto immaginasse. Forse doveva scrivergli di non amarlo, di dimenticarlo perché lui era sbagliato… eppure non ne aveva il coraggio, forse per paura di ferire maggiormente l’altro o per puro egoismo, ma non voleva dirgli una bugia così grande, Castiel non lo meritava. E se c’era una cosa di cui era certo, era l’amore che provava per Castiel, perché lui era sbagliato, ma l’amore per Cas no, quello era l’unica cosa positiva della sua vita, e non voleva che l’altro pensasse che per lui non era contato niente quel periodo, perché quello era stato tutto.
Si era rifugiato in quella camera di motel, in modo che nessuno potesse contattarlo o trovarlo, per evitare di rovinare ancora le vite delle persone che lo circondavano, quelle che lui amava. Non voleva essere trovato, voleva solo restare da solo e sperare che Sam si arrendesse e Castiel si dimenticasse di lui, se solo pensava a quanto era stato felice e quanti progetti aveva avuto con l’altro, sentiva un pugno forte colpirlo nel petto e lasciarlo tramortito. Sapeva che se avesse fatto lo sbaglio di cedere a quei messaggi e avesse incontrato l’altro ragazzo, avrebbe ceduto e tutto sarebbe venuto fuori, sperava che Cas si arrendesse e capisse che non potevano tornare insieme, sperava che smettesse di scrivergli e trovasse qualcuno che meritava il suo amore, non come lui. Non poteva tornare nella sua vita e macchiare la sua anima in quel modo, Cas era la cosa più pura che avesse mai incontrato sul suo cammino; sentiva l’irrefrenabile desiderio di picchiare se stesso, farsi del male o anche solo piangere, e disperarsi per quello che aveva fatto, quello che aveva perso e che continuava a perdere. Nell’ultimo anno aveva pensato poche volte al senso di colpa, e a tutto ciò che aveva segnato la sua vita, perché Cas semplicemente scacciava via i suoi demoni, sì, lo aveva paragonato più volte ad un angelo, perché come un angelo vegliava su di lui e lo proteggeva, come un angelo era portatore di luce nella sua oscura vita, come un angelo lo aveva salvato da se stesso, semplicemente quando sotto le luci psichedeliche del locale, aveva camminato verso di lui e gli aveva sorriso presentandosi. Sapeva che non avrebbe mai dovuto lasciarsi coinvolgere, perché tutte le cose belle della sua vita tendevano a sparire, ma quando Cas gli aveva promesso che sarebbero stati sempre insieme, nonostante tutto, Dean, non tenendo in considerazione che l’altro potesse rischiare la vita, gli aveva creduto e si era illuso. L’illusione lo aveva accompagnato, fino a quando aveva quasi ucciso Castiel.
Cercò di dormire, sperando di non avere incubi, ma ogni volta che chiudeva gli occhi, e sprofondava nel sonno, vedeva se stesso armato con un’ascia dare la caccia a Sam e a Castiel in un bunker, aveva gli occhi neri e inespressivi, un sorriso sadico sul volto e cercava di uccidere le due persone più importanti della sua vita; così come anni prima aveva scatenato il tentato suicidio di Sam, e pochi giorni prima aveva quasi ucciso Cas, nel suo sogno era lui stesso che aveva un’arma e cercava di ucciderli.
Si rigirò nel letto, agitato, e il sogno cambiò.
C’erano lui, sua madre e suo fratello, lui stava giocando con le costruzioni davanti alla tv, mentre Sam giocava con i sonaglini nel suo box, tutto sembrava essere come avrebbe dovuto sempre essere: tranquillo, spensierato; poi la porta si spalancò e vide se stesso da adulto entrare come una furia, ubriaco, forse drogato, ed era così uguale a John, così identico a lui, che il se stesso bambino si spaventò a morte e si gettò su Sam per proteggerlo, poi si voltò verso sua madre, ma al suo posto non c’era più lei, c’era Cas. Il se stesso adulto afferrò Cas per il bavero del trench e gli tirò un pugno in faccia e uno nello stomaco, il moro gemette di dolore e si piegò su se stesso, e Dean mormorò, ma il se stesso adulto ignorò quel lamento e continuò a picchiare Castiel, con forza, e lo colpì ripetutamente, fino a che il suo volto non divenne una maschera informe di sangue, Dean continuava a chiamare, ma lui non ascoltava. Il se stesso bambino cercò di spingerlo via, di salvare Mary-Cas, ma era impossibile John-Dean adulto era troppo forte, spinse via anche il se stesso bambino, e infine si vide prendere un coltello da cucina, puntarlo al cuore di Castiel e… No, no, no, non di nuovo…
Si risvegliò di soprassalto, con il cuore in gola e il fiatone, stava per uccidere di nuovo Cas in uno dei suoi incubi e stavolta aveva quasi pugnalato il suo cuore, come presumeva di aver fatto con la lettera che gli aveva scritto; era consapevole di averlo ferito, di averlo distrutto, ma non poteva continuare a stargli accanto con il pericolo di fargli altro male, se ne sarebbe fatto una ragione prima o poi e avrebbe trovato qualcuno che guarisse quelle ferite da lui inferte.
Il suo telefono segnava le quattro di notte, c’erano altri messaggi non letti, tutti provenienti da Castiel e da Sam, e Dean avrebbe solo voluto eliminare dalla sua mente quei sogni in cui realizzava il suo peggiore incubo, essere l’artefice della morte di Sam e di Castiel, sapeva che alla fine del sogno, se non si fosse svegliato, il se stesso di quel sogno, quello identico a John, avrebbe ucciso entrambi.
Aveva il volto imperlato di sudore, aveva bisogno di lavarsi il viso e di un caffè forte, perché doveva restare sveglio, non poteva permettere a quei sogni di tormentarlo, preferiva non dormire piuttosto che vedersi fare quelle cose, anche se sapeva che fossero solo incubi e niente di reale, tutta produzione del suo subconscio, Dean si sentiva sprofondare in quell’abisso senza via di fuga. Andò nell’angusto bagno e si lavò il viso, alzò lo sguardo verso il piccolo specchio e si vide, e un po’ ebbe ribrezzo per se stesso. Aveva delle profonde occhiaie, il volto una maschera di dolore e gli occhi inespressivi, quasi come quelli del sogno. Che cosa stava diventando? Si stava davvero trasformando in John? Avvertita di nuovo la voglia di affogare il dolore e la disperazione in alcool e droga, poteva fermarsi? O sarebbe uscito da quella stanza di motel e avrebbe cercato il primo bar o il primo spacciatore nei dintorni? Cercò di calmarsi e di riprendere il controllo di se stesso, anche se sentiva le mani tremare e la mente affollata da negatività.
Chiuse gli occhi e li riaprì, sperando di essere in un altro incubo e svegliarsi accanto a Castiel, che lo tranquillizzava, gli diceva che era solo un sogno, che loro erano insieme, e tutto sarebbe andato bene; senza che niente di tutto quello fosse accaduto, senza incidenti, senza sensi di colpa, tutto perfetto com’era fin da quando lui era entrato nella sua vita, non era molto, quello che chiedeva, no? Voleva solo ritrovarsi accanto a Castiel, senza errori, per una volta, avrebbe voluto non aver fatto nessun errore, non aver mandato in malora qualcosa della sua vita. Sfortunatamente, anche quella volta, la vita con lui fu crudele.
Riaprì gli occhi, e quello che vide nello specchio al posto del suo riflesso, fu solo il volto di sua madre, quella notte, quando spirava l’ultimo respiro davanti ai suoi occhi e gli chiedeva perché non hai fatto niente? Perché non lo hai fermato? – Dean voleva piangere, voleva disperarsi e scacciare dalla mente quell’immagine, ma quando ci provò, chiudendo e riaprendo gli occhi, vide il volto vitreo del fratello, quando a sedici anni aveva tentato il suicidio e gli diceva è solo colpa tua, Dean, è colpa tua! La mia vita senza di te sarebbe migliore! – scosse la testa, cercando di scacciare quelle immagini dalla sua mente e infine, quando riaprì per la terza volta gli occhi, vide Castiel che lo guardava in modo sofferente, con le lacrime agli occhi, e il volto insanguinato a causa di una ferita sulla testa e quasi gli chiedeva perché mi hai fatto questo? Perché mi hai rovinato la vita? – Dean non resse a quella visione, aver fatto del male a Castiel era l’ultima cosa che avrebbe voluto fare. Con tutta la forza che aveva in corpo, colpì il vetro dello specchio, distruggendolo in mille pezzi, alcune schegge trapassarono anche le nocche delle sue mani, e fu colpito da un moto d’ira profondo verso se stesso, verso il mondo intero, così iniziò a distruggere qualsiasi cosa trovasse a portata di mano, urlando per il dolore e la rabbia, cercando di scacciare quelle orribili sensazioni che stavano montando dentro di lui, procurandosi anche ferite fisiche. Non trovava sollievo nemmeno nel distruggere ogni cosa, il dolore stava esplodendo come mai prima di allora, e per la prima volta in sei anni, provò l’irrefrenabile voglia di assumere droghe o alcool, solo per poter essere ancora capace di scacciare quel lancinante senso di colpa che gli attanagliava le viscere; gli tremavano le mani, come in una delle peggiori crisi d’astinenza che aveva avuto e voleva solo che tutto quel dolore smettesse di assillargli la mente, che smettesse di stringergli il cuore in quella morsa ferrea e dolorosa, che smettesse di fare così dannatamente male, e soprattutto che lo lasciasse in pace. Si ritrovò in ginocchio al centro della stanza con il fiatone e il dolore sia fisico che psicologico che risaliva veloce fino al suo cervello e lo schiacciava con forza, quasi non riusciva a respirare regolarmente, voleva solo continuare a distruggere tutto ciò che lo circondava e se stesso fino a che non fosse rimasto nemmeno un brandello della sua anima già martoriata. L’unica cosa razionale che riuscì a fare in quel momento, non appena riuscì a tornare leggermente lucido, anche se erano le quattro e mezza del mattino, fu scrivere a suo fratello, dicendogli che stava troppo male, che era ad un passo dal prendere alcool e droga per stare meglio, e da solo non riusciva ad uscirne. Lo aveva promesso a Sam, quando era uscito dalla riabilitazione, ne avrebbe parlato con lui prima di fare qualunque atto sconsiderato o stupido, e almeno quella volta non voleva fare altri errori. Sam rispose tempestivamente, chiedendogli dove fosse finito, da quando Dean era sparito non dormiva, aspettando sue notizie o una sua risposta, e il maggiore gli disse il nome del motel. Il fratello non tardò ad arrivare, impiegò una mezz’ora a raggiungerlo e immediatamente, quando entrò nella stanza, e si rese conto delle condizioni di quella e del fratello, impallidì. Fuori quasi albeggiava, e Sam si ritrovava davanti a suo fratello, suo fratello maggiore, quello forte, quello che non crollava mai, la roccia stabile che aveva sempre avuto accanto, più distrutto delle altre volte, era devastato, una maschera di dolore e sentimenti repressi. Doveva assolutamente fare qualcosa, Dean stava sprofondando di nuovo, e lui non poteva permetterlo quella volta.
«Dean…» lo chiamò a bassa voce preoccupato, ma anche sollevato dal fatto di averlo trovato.
«Sammy…» disse a bassa voce, la voce rotta dal dolore «Mi dispiace… io…»
«No, va bene» disse muovendo alcuni passi verso di lui «Va tutto bene, Dean, è tutto okay» lo rassicurò avvicinandosi a lui completamente e avvolgendolo tra le sue braccia, in un caldo abbraccio fraterno. Dean si aggrappò al fratello, come se lui fosse lì per non farlo crollare, e Sam lo strinse con forza, sollevato dal fatto che il maggiore avesse chiamato lui prima di qualsiasi atto incosciente, a parte il distruggere totalmente una camera – davvero nessuno si era accorto del baccano che aveva dovuto fare distruggendo tutto?
«Mi dispiace… mi dispiace…» continuò a mormorare in una litania «Sono così sbagliato, tutto quello che tocco, diventa marcio e Cas… mio dio, hai visto Cas? Hai visto cosa gli ho fatto?» chiese, la voce sempre più rotta e i singhiozzi ancora repressi sul fondo della gola. «Gli incubi non vanno via, Sam, sogno che vi uccido, che vi faccio del male… non voglio farvi del male» disse con la voce spezzata «Non voglio essere come lui».
«Sono solo sogni, Dean, tu non sei come John» gli disse cercando di tranquillizzarlo «Non è colpa tua, Dean» disse Sam, la voce ferma e sicura «Si è trattato di un incidente, non è colpa tua. L’unica cosa che sta distruggendo Castiel, adesso, è il fatto che tu sei sparito con una lettera» gli disse, Dean scosse la testa perché non era vero, Castiel lo odiava, perché lo aveva quasi ucciso, si allontanò dal minore spostandosi dall’altro lato della stanza, e Sam notò del sangue sulle nocche delle sue mani.
«Tu non capisci... lui era lì… accanto a me, privo di sensi e io… non ho fatto niente per aiutarlo» disse, agitato «Sono un mostro, guarda cosa gli ho fatto… e-e» Sam provo ad interromperlo «Dovevo salvarlo, io… dovevo fare qualcosa per lui… come dovevo fare qualcosa per te, e per la mamma…» Sam scosse la testa e andò a prendere il kit del pronto soccorso nel bagno del motel – notando che avesse distrutto anche quello – e prese del disinfettante e delle bende, poi si avvicinò al fratello, deciso a farlo ragionare, l’incidente aveva riportato a galla ogni brutta cosa accaduta, e lui non avrebbe permesso a suo fratello di autodistruggersi così, non di nuovo.
«Dean, ascoltami, ti prego» gli disse, raggiungendolo di nuovo, Dean non alzò lo sguardo, ma provò ad ascoltarlo «Lo so che nella nostra vita sono successe cose orribili e noi eravamo troppo piccoli, tu eri troppo piccolo» disse con serietà, una serietà che Dean non gli aveva mai visto sul volto, iniziando a pulire e disinfettare le ferite che si era auto-inflitto «Ma devi smetterla di reputarti responsabile, okay? Non sei stato tu. La mamma non è morta per colpa tua, è stato quel bastardo di John ad ucciderla, tu avevi solo quattro anni, Dean, quattro, eri un bambino, non avresti potuto impedirlo» affermò, avvolgendo la mano del maggiore in una garza, l'altro avrebbe voluto ribattere ma non ne aveva la forza in quel momento «Ti sei preso cura di me, mi hai sempre protetto, ti ricordi quando mi hai insegnato ad andare in bici?» domandò, Dean annuì «Se non fosse stato per te, che reggevi la bici, non avrei mai imparato, avevo il terrore di cadere, ma sapevo che non mi avresti fatto cadere, perché mi sono sempre sentito al sicuro con te» Dean non lo aveva mai sentito parlare in quel modo, era… diverso dal Sammy che conosceva «Mi sei sempre stato vicino, e mi hai insegnato così tante cose, e so che hai rinunciato tu a tante cose per me» disse ancora, Dean non capiva dove volesse andare a parare «Santo cielo, ti sei fatto pestare da John affinché non mi toccasse, Dean, ti rendi conto?» domandò retoricamente, memore di quel pomeriggio infernale, in cui Dean aveva messo lui davanti a se stesso senza battere ciglio «Mi hai sempre protetto, e io non te ne sarò mai grato abbastanza» disse ancora, Dean stava per ribattere ancora, ma Sam non glielo permise, continuando a parlare senza sosta «Dean, quello che voglio dire, è che tu sei stato il miglior fratello maggiore che un bambino potesse desiderare, e non è colpa tua se ho fatto quella stronzata quella notte», il maggiore fu sul punto di ribattere a quell’affermazione, ma il minore lo interruppe ancora «Quella è stata una mia scelta, so di averti detto che era colpa tua, ma ero stupido e non capivo, non è mai stata colpa tua» continuò, senza permettergli di intervenire, terminando la medicazione alla sua mano, constatando che a parte qualche piccolo graffio superficiale non si era procurato altre ferite profonde «E non è nemmeno colpa tua quello che è successo a Castiel, è stato un autista ubriaco a venirvi addosso, tu hai sterzato in tempo e hai evitato l’impatto fatale. Lui non ce l’ha con te, credimi, è preoccupato a morte perché non gli rispondi e non ti fai sentire. Ma non ti odia» Dean prese un respiro pronto a rispondere, ma Sam lo precedette ancora «Tu non sei la causa di qualunque male, è ora che inizi a mettertelo in testa, perché io non ti lascerò cadere di nuovo nell’autodistruzione». Era stravolto, Dean non sapeva come sentirsi, suo fratello non gli aveva mai detto tutte quelle cose, nemmeno dopo o durante la riabilitazione, e ora… non sapeva come reagire, come comportarsi. Lo stava dicendo solo per farlo stare meglio o lo pensava davvero? Lo sguardo che gli rivolgeva Sam era così carico d’affetto e di determinazione, e non vi vide l’ombra di bugie o pietà nel suo sguardo.
«Sammy…» riuscì a dire, ma il fratello gli fece un sorriso caldo, uno di quelli che davvero erano in grado di far tornare il buon umore alla persona più angustiata del pianeta, e poi gli porse la mano, senza permettergli di continuare a gettarsi fango addosso da solo.
«Ti sei sempre preso cura di me, Dean, adesso permettimi di fare lo stesso con te» il maggiore non aveva nemmeno la forza di parlare o di ribattere alle sue parole; era sfinito, distrutto, travolto da tutto quello che era capitato, si ritrovò ad annuire ad afferrare la mano del minore, come ancora di salvezza «Andiamo a casa, Dean».
 
Dopo la convalescenza in ospedale, ed essere ritornato a casa, Castiel aveva deciso di non ascoltare le parole della lettera di Dean e di cercarlo, ma dopo una settimana di totale assenza di risposte da parte del suo (ex) ragazzo, non sapeva cosa fare, non capiva, eppure non si dava pace; cercava in tutti i modi di contattare Dean. In un primo momento, quando era rimasto solo in ospedale, con l’illusione che lui sarebbe arrivato, e poi Sam gli aveva portato quella lettera con cui il ragazzo lo lasciava, aveva sentito il mondo crollare e tutti i loro progetti evaporare come una goccia d’acqua sotto al sole. Aveva pianto – non lo nascondeva – e una volta uscito dall’ospedale, aveva deciso di bruciare qualunque cosa appartenente a Dean che era in suo possesso, persino i vari abiti che gli aveva rubato durante la loro relazione. Poi Gabriel gli aveva ridato le cose che aveva con sé la notte dell’incidente e tra esse, un po’ stropicciate, c’erano le fotografie che lui e Dean avevano scattato nella cabina a Overland Park, le guardò qualche istante, indeciso se gettarle o meno, poi si soffermò su un particolare delle foto: lo sguardo che aveva Dean quando lo guardava, nessuno lo aveva mai guardato in quel modo, sembrava dirgli ti amo, sei la luce della mia vita, ed era assurdo che lo avesse lasciato. Come aveva potuto lasciarlo? Come aveva potuto mandare al diavolo quello che avevano? Tutti i loro progetti? Perché gli aveva scritto quella lettera? In che senso era colpa sua? Perché doveva lasciarlo anche se lo amava? C’era qualcosa di fondamentalmente sbagliato in tutta quella storia, e lui voleva venirne a capo, perché se Dean lo amava, non poteva mandare tutto all’aria per un incidente. L’avrebbero superato insieme come gli aveva promesso, ma perché non si era fidato di lui in quel momento? Perché aveva preferito allontanarlo e affrontare tutto da solo?
Aveva passato giorni a crogiolarsi nel dolore, a parlarne con Gabriel, per provare a capire, a chiedersi perché lo avesse lasciato, cosa avesse sbagliato con lui; aveva passato giorni a fissare le loro fotografie, i vari biglietti del cinema che conservava in una scatola sotto il letto, dove raccoglieva tutti i ricordi più preziosi che aveva con lui. Aveva persino uno degli scontrini che Dean gli aveva stampato al bar all’inizio della loro relazione, sul retro Dean aveva scarabocchiato “solo ai ragazzi carini come te, oggi offre la casa”, le sue iniziali e una faccina sorridente. Erano tutte cose all’apparenza stupide, come i dépliant degli hotel in cui avrebbero soggiornato durante il loro viaggio post-laurea, ma per lui erano veri e propri pezzi da collezione, come piccoli mattoni che avevano avvicinato lui e Dean, e così costruito la loro storia. Anche quello stupido cappello da cowboy che Dean aveva vinto un giorno al luna park – di cui era andato fiero per giorni – era stato con cura custodito dal ragazzo e sul suo letto svettava ancora l’enorme peluche a forma di orso polare che l’altro aveva vinto, sempre quel giorno, nel tiro al bersaglio, era stata una delle giornate più belle della sua vita, una delle loro prime uscite ufficiali da coppia, lui aveva il terrore degli omofobi, ma Dean no, Dean era così forte e sicuro che gli aveva trasmesso sicurezza per tutto il tempo, e lui pian piano aveva lasciato andare la paura, divertendosi spensierato, soprattutto alla fine della giornata, Dean aveva il terrore delle montagne russe e delle ruote panoramiche – soffriva di vertigini – ma era salito lo stesso sulla ruota panoramica perché mi hai detto che ti avrebbe reso felice farlo al tramonto, e baciarmi mentre siamo in cima. Ma non permetterti di lasciarmi la mano, okay? – e si erano scattati una foto con il cellulare, mentre si baciavano, al tramonto sulla ruota panoramica, Dean era il ragazzo perfetto, Cas lo sapeva. E più ripensava a loro insieme, più si diceva che era assurdo che Dean lo avesse lasciato. Aveva più volte riletto la lettera, cercando in quella un indizio, che gli suggerisse qualcosa, che gli suggerisse una motivazione valida. Non riusciva a capire, gli aveva scritto diversi messaggi, anche patetici, ma Dean non gli rispondeva, perché? Cosa gli stava succedendo? Perché non poteva perdonarsi?
Castiel non poteva lasciare che Dean interrompesse la loro storia, gettando al vento quella relazione che pian piano entrambi avevano costruito, senza prima parlargli, chiarire, e capire il motivo per cui lo stava lasciando e stava mettendo fine a tutti i loro progetti. Erano in due in quella storia, Dean non poteva decidere di punto in bianco di lasciarlo senza motivo, il sentirsi in colpa per l’incidente, per Castiel, non valeva come motivo valido.
Aveva sempre saputo che c’era qualcosa che Dean non gli diceva, qualcosa di profondo che lo logorava, ma non aveva mai insistito per sapere, conoscendo il biondo sapeva che se avesse insistito, lui si sarebbe chiuso sempre di più in se stesso, come un riccio, e non ne avrebbe mai più parlato, così aveva atteso che decidesse lui di parlargli. Forse aveva sbagliato a non domandare mai, a non insistere, forse era stato questo il suo errore, in quel momento però non aveva tempo per capire quali errori avesse fatto, ci avrebbe pensato dopo aver aiutato Dean; doveva fare qualcosa, doveva aiutarlo, anche se lui non ne voleva sapere di essere aiutato.
Aveva litigato con Michael al riguardo, il suo amico premeva affinché interrompesse qualunque rapporto con lui, che lo dimenticasse e cercasse qualcuno di migliore, ma Castiel non voleva qualcuno di migliore, lui voleva Dean e non poteva lasciare niente di intentato, e quando aveva detto all’altro di voler cercare il biondo per parlargli e cercare di chiarire la loro situazione, lui si era innervosito, e aveva dato a Castiel del cretino, perché non capiva mai dai suoi errori. A Michael, Dean non era mai piaciuto, fin da quando aveva scoperto dei suoi problemi di alcool e droga di anni prima, Castiel invece aveva sempre guardato oltre, una persona non veniva definita dal suo passato, ognuno aveva periodi orribili, e ognuno poteva fare le scelte sbagliate, bastava solo rimediare in ogni modo possibile ed era certo che Dean lo avesse fatto, poiché poteva percepire che avesse fatto di tutto per farsi perdonare, lo vedeva nell’atteggiamento che Sam aveva nei suoi confronti, o il suo modo di parlare del fratello maggiore sempre con quella palese ammirazione e fierezza, lo vedeva nel modo in cui Dean si approcciava agli altri, o nella premura che aveva nei suoi confronti; sapeva che era una persona totalmente diversa, perché il Dean di cui si era innamorato era migliore di quello che descriveva Michael, era migliore di quello che lo aveva lasciato con una lettera. Il Dean di cui si era innamorato era quello che aveva guardato mille volte Star Wars, il Signore degli Anelli e Harry Potter con lui senza lamentarsi, era quello che lo aveva portato a mangiare le crepes di notte e aveva riso con lui quando si erano sporcati di nutella come due bambini piccoli, era quello che, per passare anche solo cinque minuti con lui, si accontentava di brevi attimi dopo il lavoro. Il Dean di cui si era innamorato era quello che gli aveva regalato le giornate migliori della sua vita con un solo abbraccio, o con una semplice uscita al cinema – quando erano andati a vedere uno stupido film d’amore, e Dean aveva passato tutto il tempo a fare battute stupide sui protagonisti, guadagnandosi gli insulti di tutti i presenti in sala, e Castiel aveva riso così tanto, che erano stati cacciati in malo modo dalla security, come due adolescenti stupidi – o anche solo trascorrendo la serata insieme, accoccolati sul divano a guardare serie tv. Il Dean di cui si era innamorato era quello che una sera piovosa di aprile, aveva guardato Notting Hill con lui, avvolti in un plaid, perché la temperatura era assurdamente bassa, si era commosso alla fine del film e aveva schiacciato il viso contro la sua spalla per non farlo notare, era quello che si commuoveva in generale per i film, soprattutto quelli Disney, anche se cercava di mascherarlo con la sua ostentata sicurezza. Il Dean di cui si era innamorato era quello che lo aveva consolato la sera prima dell’incontro con i suoi genitori, aveva guardato un film della Disney insieme a lui e aveva diviso con lui una fetta di torta, poi lo aveva coccolato fino a che non si era tranquillizzato. Il Dean di cui si era innamorato era quello che gli aveva dato sicurezza quando aveva paura, era quello che lo aveva compreso e lo aveva aiutato a superare tutte le sue paure, era quello che gli aveva confessato di aver paura che tra loro potesse accadere qualcosa, e potesse perderlo. E Castiel era quello che gli aveva promesso che qualunque catastrofe si fosse abbattuta su di loro, l’avrebbero affrontata insieme. Se non era quella che stavano vivendo in quel momento, una catastrofe, cos’altro poteva esserlo? Sapeva cosa fare, per arrivare a Dean doveva trovare Sam e parlare prima con lui. Aveva provato a contattare il maggiore dei Winchester tante volte in quei giorni, ma lui aveva ignorato i suoi messaggi e le sue telefonate, e se Castiel fosse stato un’altra persona, avrebbe lasciato perdere; ma lui non era un’altra persona. Dean aveva bisogno di lui, non poteva prendersi la responsabilità di una cosa che non aveva fatto, il camionista che li aveva quasi travolti era in stato confusionale, forse a causa di sostanze stupefacenti o alcool, sinceramente Castiel non aveva prestato attenzione a questo dettaglio, quando gli avevano spiegato la dinamica dell’incidente, sapeva solo che non era colpa di Dean, lui era quello che aveva impedito la loro morte certa. Come avrebbe potuto prevedere quell’incidente? Anche se pioveva e c’era un po’ di nebbia, la strada era deserta, l’altro ragazzo non avrebbe mai potuto prevedere che un camion, che in teoria avrebbe dovuto essere nell’altra corsia, quasi si schiantasse su di loro. Castiel non sapeva spiegarsi perché Dean credesse che fosse colpa sua, e si sentiva frustrato all’idea di non poterglielo dire.
Prese il cellulare e compose il numero di Sam, se Dean non gli rispondeva, lo avrebbe fatto suo fratello, aveva il diritto di parlare con lui, di chiarire la situazione e di discutere con l’altro riguardo ciò che era accaduto, Dean non poteva buttare all’aria tutto ciò che li aveva uniti in quel periodo, non poteva annullare un anno di storia con una lettera, e Castiel era intenzionato a farglielo capire, volente o nolente, avrebbe trovato Dean e gli avrebbe spiegato il suo punto di vista.
«Castiel?» chiese Sam, rispondendo al telefono con il tono confuso, di chi non si aspettava una simile telefonata.
«Ciao Sam» lo salutò Castiel, sentendosi un po’ agitato «Volevo… volevo sapere se avevi notizie di Dean» disse tutto d’un fiato, attendendo con ansia che gli dicesse di sapere almeno dove fosse.
«Sì, è qui con me» disse, il cuore di Castiel fece una capriola e lui si sentì un po’ più sollevato, almeno era con Sam.
«Sta bene?» chiese ansiosamente.
«Non proprio, senti Cas, so che sei preoccupato per Dean, ha avuto un brutto crollo emotivo, dopo l’incidente» il cuore di Castiel quasi si fermò, cosa era successo a Dean? Cosa lo aveva sconvolto a tal punto? Come mai si era sentito così male? Perché non aveva voluto essere aiutato da lui? Perché lo escludeva dalla sua vita? Come poteva aiutarlo? «Ti giuro che appena starà meglio lo manderò a calci da te, perché non so come, ma tu riesci a farlo stare bene» continuò Sam «Ma Dean, adesso…»
«Voglio aiutarlo, dimmi come posso fare, ti prego, Sam» lo interruppe Castiel, quando l’altro stava per aggiungere qualcosa, se qualcosa, qualsiasi cosa, era successa e Dean non ne aveva parlato con lui, si capiva fosse qualcosa di importante, non lo avrebbe forzato a parlarne, ma santo cielo, era il suo ragazzo e non poteva abbandonarlo a se stesso, doveva fare qualcosa, qualsiasi cosa per far in modo che l’altro stesse bene e loro tornassero ad essere felici, stavolta senza alcun segreto tra di loro. Dean meritava che le persone più importanti per lui gli stessero vicino, e Castiel sperava di essere ancora tra di esse, sperava di poter fare qualcosa per aiutarlo.
«Dean ha bisogno di stare un po’ da solo e di riflettere, Cas» gli disse Sam, e lui sospirò frustrato, voleva solo aiutarlo «Mi terrò in contatto con te, te lo prometto, Cas» disse ancora l’altro ragazzo «E troveremo un modo per aiutarlo, insieme».
«Sì, Sam, grazie» disse a bassa voce, non capiva perché l’altro Winchester gli dicesse così, ma forse Dean aveva bisogno dei suoi spazi e lui poteva accettarlo, se poi avesse potuto aiutarlo. Se Dean aveva bisogno d’aiuto, lui sarebbe stato in prima fila per dargli il suo supporto in ogni occasione «Digli che mi manca» sussurrò «E che lo amo, nonostante tutto».
«Lo farò» promise il minore dei Winchester.
«Grazie, Sam» disse ancora, un po’ sollevato dal fatto che ora avesse la possibilità di aiutare Dean.
«Grazie a te per non esserti arreso».
«Dean ne vale la pena» affermò il ragazzo con sincerità, stringendo il telefono con la mano, come per trovare un appoggio. Il Dean di cui si era innamorato non lo avrebbe mai lasciato in quel modo, doveva trovare la maniera di riportare quel Dean a galla e parlare con lui. Non poteva arrendersi. Il Dean di cui si era innamorato ne valeva la pena.
 
Dopo qualche giorno dalla conversazione con Sam, Castiel fu costretto a tornare al lavoro, perché il periodo di malattia era terminato, ma a parte qualche messaggio e telefonata con Sam, di Dean non aveva ancora notizie. I giorni passavano inesorabili e lui si sentiva sempre più frustrato. Sì, sapeva grazie al fratello che stesse meglio, che avesse in qualche modo superato il crollo emotivo – e Castiel si sentiva in colpa, perché avrebbe voluto essere accanto a lui in quel momento, sostenerlo, stringerlo e dirgli che tutto sarebbe andato bene – ma non si era ancora degnato di fargli una telefonata o rispondere a uno dei suoi messaggi, in cui, pateticamente, lo supplicava di andare da lui e parlargli. Era davvero confuso, non sapeva che pensare, se da una parte Sam gli diceva che prima o poi Dean sarebbe andato da lui, dall’altra iniziava a pensare di non essere mai stato così importante per lui, perché se avesse tenuto a lui, si sarebbe fatto vivo, quantomeno per sapere come si sentisse dopo l’incidente. Dean invece era sparito, letteralmente, nel nulla e non aveva dato più notizie di sé. E nel frattempo, il tempo passava e lui si sentiva escluso dalla vita del (suo) ragazzo, certo, avrebbe potuto piombare a casa sua e imporsi, ma Sam gli continuava a dire che aveva bisogno dei suoi spazi, e che prima o poi sarebbe andato da lui, quando si sarebbe sentito pronto per affrontare la situazione.
Intanto, era passato un mese. Un fottutissimo mese da quando Dean lo aveva lasciato e non si era fatto vivo, una settimana da quando aveva parlato con Sam, ma niente si era ancora risolto. Aveva chiesto più volte a Sam di poter essere più presente, ma il minore dei Winchester gli ripeteva che Dean avesse bisogno dei suoi spazi, e tutte quelle cazzate che Sam Winchester continua a propinarmi lo stavano facendo impazzire. Forse avevano ragione i suoi amici, doveva darci un taglio con lui, ma Castiel non riusciva ad evitare di chiedere di Dean, e sì, forse era masochista, ma non riusciva ad evitare di pensare a lui, a come stesse. Era patetico, ma non riusciva a pensare a nient’altro, lavorava per inerzia ed era riluttante all’idea di studiare, ogni volta che provava a studiare, si sentiva uno stupido ignorante e non capiva la metà delle cose che leggeva. Aveva appena imbustato la spesa di una signora anziana, una cliente abituale del minimarket, che lo guardava sempre con quell’espressione di pietà e misericordia sul volto e che Castiel preferiva evitare, quando si preparò ad accogliere con il sorriso sulle labbra – il più finto di tutti – il cliente successivo, non alzò lo sguardo su di lui, preparando già la busta per mettere i prodotti. Non aveva per niente voglia di trovarsi lì, era lì solo per dovere, avrebbe voluto solo chiamare Sam e urlargli contro che era un assoluto bugiardo come suo fratello, perché Dean ancora non si era fatto vivo e lui, oltre a morire di preoccupazione, si sentiva di nuovo vulnerabile.
«Ciao Cas» disse l’altro cliente appoggiando sul bancone una busta di patatine, una lattina di coca cola e una barretta di cioccolato fondente. Castiel alzò lo sguardo incredulo, quello non poteva essere lui, quella non poteva essere la sua voce, aveva sperato tanto di risentirla ed era davvero strano riavere a che fare con lui, dopo quelle settimane che erano sembrate anni. Tutte le cose negative che aveva pensato – tra cui chiedere a Michael di cercare Dean e parlare con lui – scivolarono via, svanirono come spazzati via dal vento. Dean era lì, di fronte a lui, con l’espressione triste e rammaricata, qualcosa che mai gli aveva visto sul viso. Aveva il volto un po’ sciupato, come se non mangiasse da settimane, segnato da profonde occhiaie, come se non dormisse da giorni e l’espressione vuota e triste, non lo aveva mai visto così, e quella visione gli fece male al cuore. Dean era distrutto e lui non capiva ancora il perché.
«Dean…» sussurrò, quasi dimenticando come fare il suo lavoro, fortuna che non c’era molta gente «Cosa ci fai qui?»
«Io…» si guardò in imbarazzo le mani e indicò i suoi acquisti «Avevo bisogno di fare… la spesa?»
«Questo sarebbe il tuo modo di dire che ti dispiace?» chiese Castiel, risultando forse un po’ freddo, imbustando i prodotti presi dal (suo) ragazzo. Non sapeva come comportarsi, eppure con l’altro non aveva mai avuto questi problemi.
Dean scosse la testa, prendendo delle banconote «Io… non so come… Sam dice che è importante che io e te parliamo» disse, Castiel non si rese conto delle sue parole, cosa voleva dire? Che significava? «Penso, penso che… abbia ragione» continuò, Castiel era sempre più confuso e se da una parte voleva riempire quel bellissimo viso di schiaffi, dall’altra voleva solo prendere suddetto viso tra le mani e baciarlo fino a perdere il fiato, sì, era una contraddizione vivente, ma era comunque ferito, tuttavia non aveva mai visto Dean così fragile come in quel momento, sembrava che da un momento all’altro potesse cadere a terra e spaccarsi all’istante «E immagino di doverti delle spiegazioni e delle scuse» continuò, ancora a disagio, Cas restò in silenzio e annuì «Magari… magari ci vediamo? In questi giorni? Sempre se ne hai voglia» chiese in evidente imbarazzo. Castiel sentì il proprio cuore stringersi davanti a quell’immagine di Dean, del ragazzo forte e sicuro che più volte lo aveva stretto tra le braccia e lo aveva fatto sentire al sicuro.
«Va bene…» disse a bassa voce, risultando ancora freddo e santo cielo non avrebbe mai voluto esserlo, perché sapeva che Dean avesse passato un periodo davvero orribile e non voleva inferire. Vide l’altro annuire, l’espressione ancora assente, poi prese meccanicamente le banconote, gli diede il resto e gli consegnò la busta con i suoi acquisti. Dean prese il sacchetto, guardò il moro ancora per quelli che parvero lunghissimi istanti – qualcosa come venti secondi – e Castiel si ritrovò a fissarlo anche lui e a chiedersi cosa diavolo sto facendo? Perché lo tratto di merda?
«Allora ciao» disse mestamente, andandosene.
Castiel si rese conto di star facendo l’errore peggiore della sua vita, quando lo vide uscire con le spalle curve dalla porta scorrevole, realizzò solo in quel momento che non doveva permettere a nient’altro di allontanarlo ancora di più da Dean, non poteva permettere che soffrisse o che si autodistruggesse ancora. Non era giusto, non lo meritava. Se ne infischiò dei clienti, afferrò una confezione con una torta già pronta, mise alla rinfusa delle banconote nella cassa, e disse ad un suo collega che il cliente appena andato via l’avesse dimenticata – come se lui non avesse affatto riconosciuto Dean – e gli chiese di sostituirlo e in men che non si dica, raggiunse l’auto di Dean, il ragazzo era appena entrato, stava per mettere in moto. Castiel bussò sul vetro dell’auto, con fare un po’ indeciso e l’espressione rammaricata, l’altro abbassò il finestrino, guardandolo con l’espressione confusa e interrogativa.
«Hai dimenticato questa» disse in imbarazzo, porgendogli la torta attraverso il finestrino, Dean la prese con l’espressione un po’ confusa «Santo cielo, mi uccideranno per essere corso qui» scherzò, un leggero fiatone e un mezzo sorriso a contornargli le labbra «Ci vediamo quando finisco il turno?» chiese «Passo da te?»
«Va bene, Cas…» mormorò. Il cuore di Castiel riprese a battere nel momento in cui vide un accenno di sorriso comparire sul volto addolorato di Dean. «Se vuoi, passo a prenderti io».
«Alle sei» si ritrovò a dire con naturalezza e ignorò il lo so di Dean, perché sapeva che l’altro conosceva i suoi orari a memoria «Allora a dopo» disse alzando la mano a mo’ di saluto.
«A dopo, Cas» salutò l’altro, alzando la mano, senza smettere di guardarlo «Grazie, suppongo» mormorò. Castiel gli sorrise annuendo e poi Dean mise in moto l’auto e andò via, lasciando Castiel lì, con il sorriso sulle labbra e la consapevolezza che non tutto fosse finito, c’era ancora speranza per loro.
Dean, nella sua auto, mentre guidava verso casa, si lasciò andare in un sospiro sollevato.


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Hola people!
Sì, oggi non è sabato e io aggiorno. Perché sono sfigata e sabato ho di nuovo il turno massacrante della settimana scorsa, e idem venerdì. Sono gli ultimi giorni di contratto, poi torno ad essere disoccupata per un po', per poi iniziare una nuova avventura. (Ew, a voi non importa nulla, anyway). Ma eccoci di nuovo qui, con i nostri amati Dean e Cas.
Dean è crollato, non ce l'ha fatta, ormai è un ammasso di dolore che cammina perché ha ferito l'unica persona che ama, e non vuole fargli del male, e crede di essere come John. Sam sa che Dean ha bisogno di Cas, ma vuole che prima stia bene. Cas ama Dean e vuole prenderlo a schiaffi e ha ragione, ma non sa ancora tutto. But, riuscirà Dean ad aprirsi totalmente con Cas? O farà qualche stronzata? Eh, lo scoprirete nella prossima puntata! Che tornerà ad essere sabato, perché tornerà ad essere il mio giorno di nullafacenza in attesa di tornare a lavorare. 
Come sempre, ringrazio dal profondo del mio cuore chi segue, preferisce, ricorda, legge e recensisce la storia, e anche chi spende un solo click per leggerla. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e non vi siano erroracci, ci tengo sempre a rileggerlo almeno una decina di volte prima di pubblicare (forse è per questo che le parole lievitano improvvisamente) ma qualche errore scappa sempre!
A sabato prossimo, people! 

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Capitolo 11
*** X Parte ***


DESCLAIMER: La storia è scritta senza fini di lucro, i personaggi non mi appartengono in nessun modo e non intendo offendere nessuno. Giuro. 
PS. C'è l'avviso che i personaggi sono molto OOC, arrivate alla fine prima di lanciarmi i pomodori, please.

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With you, I'm alive
Like all the missing pieces of my heart,
they finally collide.
 
Dean, tornato a casa, dopo l’incontro con Castiel, si sentiva un po’ scombussolato. Aveva ascoltato Sam, che da giorni gli suggeriva – ordinava – di andare a parlare con il suo ex. Era strano pensare a Castiel come ex, ma era ciò che era. Lo aveva lasciato lui stesso con una lettera un mese prima, era buffo come la sua vita in poco più di trenta giorni fosse cambiata totalmente, si era sentito così felice, così pieno di vita in quell’anno, tanto da non riconoscersi affatto, e poi in una sola notte era stato rispedito all’inferno. Si era lasciato convincere da Sam, il quale, dopo averlo salvato dal suo crollo psicologico, aveva insistito affinché loro parlassero, perché Castiel meritava di sapere tutto, perché Castiel è l’unica persona che ti ha fatto stare bene, quindi tira fuori le palle e vai a chiedergli scusa, e Dean dopo diversi giorni di insistenza, aveva ascoltato il fratello ed era andato dal moro. Si era sentito davvero a disagio davanti alla sua freddezza e alla sua espressione seria e triste, e non poteva biasimarlo per quell’atteggiamento, quasi aveva pensato che non volesse più avere a che fare con lui, che non fosse intenzionato a chiarire, che volesse mandarlo a quel paese senza voler ascoltare altro, lo aveva pensato fino a un attimo dopo essere uscito dal market, poi Castiel in un lampo lo aveva raggiunto con una torta tra le mani, aveva fatto quel piccolo sorriso, ed aveva illuminato ogni cosa intorno a loro, quel piccolo gesto per Dean aveva significato più di mille parole e quando gli aveva chiesto se volesse vederlo dopo il turno di lavoro, lui si era sentito esplodere dentro, e un piccolo turbine di emozioni positive aveva preso a scorrere di nuovo dentro di lui; ma era ancora oscurato da tutto, il ragazzo avrebbe dovuto scoprire tutto di lui, e probabilmente dopo aver saputo quelle cose che lui gli aveva sempre nascosto, non avrebbe voluto più avere nulla a che fare con lui, era una realtà con la quale doveva convivere, perché sapeva di aver sbagliato a nascondere quella parte del suo passato a Cas, ma aveva sempre avuto paura che lui non capisse, o lo giudicasse un mostro e aveva preferito farlo cadere nel dimenticatoio e fingere che non fosse mai accaduto, continuando con la sua vita e ad essere felice al fianco di Castiel; aveva avuto l’intenzione di parlare con l’altro, ma ogni volta che ci era andato vicino, aveva fatto un passo indietro, spaventato. Adesso, Sam lo aveva convinto, non doveva più fare passi indietro, doveva fidarsi ciecamente di Castiel – più di prima – perché lui meritava di sapere ogni cosa, secondo il minore, sicuramente avrebbe capito, gliel’aveva assicurato, il (suo-ex) ragazzo avrebbe capito e lo avrebbe aiutato a venire a capo dei suoi problemi. Dean aveva creduto alle parole di Sam, motivato dal breve dialogo avuto con Cas, e ci aveva creduto fino a che non aveva iniziato a pensare di aver lasciato Cas dopo quell’incidente, di aver ferito Cas con quella lettera, di avergli spezzato il cuore, e  aveva iniziato a sentirsi strano, fuori posto, sbagliato. Come avrebbe potuto raccontargli tutto? Cas gli avrebbe dato sicuramente del bugiardo per avergli nascosto una parte così grande della sua vita, o peggio lo avrebbe giudicato a causa delle cose che non aveva fatto. Come poteva tornare da lui? Non riusciva a calmarsi, e sebbene anche Bobby gli avesse detto che sarebbe andato tutto bene, Dean continuava a sentirsi lo stesso agitato e a disagio, e più si avvicinava l’incontro con Cas, più aveva voglia di scappare e di non farsi trovare, di nuovo. Come avrebbe potuto spiegare al ragazzo che amava, che aveva visto suo padre uccidere sua madre? Come avrebbe potuto spiegargli che suo padre gli aveva reso la vita un inferno? Come poteva spiegargli di aver quasi ucciso Sam? Come poteva spiegargli di essere un errore vivente? Come poteva spiegargli che si sentiva in colpa per averlo quasi ucciso e di sentirsi esattamente come John? Era difficile da accettare, anche se Sam gli diceva che non era così. Dalla notte del suo crollo, quando aveva distrutto la camera del motel, suo fratello ci aveva provato in ogni modo a fermare il suo senso di colpa, ma con scarsi risultati, il ragazzo continuava a ritenersi responsabile per quanto accaduto, anche se non lo diceva apertamente. Dean passò diverse ore a contemplare il vuoto, cercando di trovare le parole giuste per parlare con Cas, aveva chiesto a Sam di lasciarlo in pace, da solo, perché aveva bisogno di riflettere sul da farsi. Si era sentito davvero smarrito quando aveva incontrato Castiel, quando aveva incontrato il suo sguardo ferito, ma vi aveva letto comunque perdono, oltrepassando la sua freddezza, sotto quello sguardo c’era perdono, e Dean sapeva di non esserne degno. Era tutto inutile, più pensava alla situazione con Castiel, più aveva voglia di scappare. Il turno del ragazzo sarebbe finito alle sei, erano ancora le due del pomeriggio e il tempo sembrava non passare mai.
Restare o scappare? Si chiedeva. Per Castiel valeva la pena restare, ma per lui? Poteva restare per se stesso? Valeva la pena restare e infettare anche Castiel? Non riusciva a smettere di pensare a quell’incidente, alla visione di Castiel nel letto d’ospedale in terapia intensiva privo di sensi, e la visione di Castiel, quella dei suoi incubi, con il volto tumefatto e distrutto dalla sua violenza. Si guardò le mani, nei suoi sogni era uguale a John, cosa gli avrebbe impedito di uccidere Castiel, così come John aveva ucciso sua madre? Quel pensiero lo fece inorridire, al punto che si sentì sul punto di vomitare, non poteva neanche immaginare di ferire Castiel con le parole, come avrebbe potuto fargli sul serio del male fisico? No, non poteva rischiare, non poteva rischiare di diventare come lui e uccidere la persona che diceva di amare. Sarebbe dovuto sparire dalla faccia della terra, forse sarebbe dovuto morire quella notte, di vent’anni prima, forse avrebbe dovuto comportarsi diversamente nel corso della sua vita. Non poteva restare e rovinare le vite altrui.
Avrebbe smesso di rovinare la vita di suo fratello e della sua famiglia.
Avrebbe smesso di rovinare la vita di Castiel.
«Dean?» lo chiamò Sam, entrando nella sua camera «Tutto okay?»
«Sì, Sam» mentì, la voce inespressiva, gli occhi fissi sulle chiavi dell’auto nella sua mano «Devo… devo andare a prendere Castiel» no, che non era tutto okay, stava cadendo di nuovo in quell’incubo e non sapeva come uscirne, stavolta. Voleva solo mettere più distanza possibile tra sé e le persone che amava, loro meritavano qualcuno migliore di un rifiuto come lui.
«Dean, se stai pensando di nuovo che tu sia responsabile…» accennò Sam. Dean si accorse del tono preoccupato del fratello, e subito gli sorrise, in modo davvero falso, era davvero convinto di ingannarlo in quel modo, e scosse la testa.
«No, vado da Cas. Gli racconto tutto e… poi deciderà lui se vale la pena stare con uno come me» parlava, ma nemmeno lui credeva alle sue stesse parole, come poteva sperare che Sam gli credesse? Guardò il fratello, sapeva che non gli avesse creduto, Sam lo conosceva troppo bene, in fondo.
«Dean, non mentire» disse. Dean non ci vide più, strinse nel pugno della mano le chiavi della sua auto e superò il fratello in fretta e furia, uscendo dalla stanza, spingendolo lontano da sé quando l’altro cercò di fermarlo. Doveva andare via. Via, via, via, non vi rovinerò ancora la vita. «Dean!»  lo chiamò, il biondo si voltò verso di lui e si rese conto di averlo spinto, e che avrebbe potuto fargli del male… e il solo pensiero che come John aveva fatto del male a lui, lui potesse farne al minore, lo colpì come uno schiaffo feroce e violento. No. Non sarebbe stato di nuovo l’artefice della rovina di Sammy, doveva andare via. Lontano.
«Piantala di starmi addosso! Sto bene, okay?!» disse a voce fin troppo alta per una persona calma « Ciao Sam».
«Dean» tentò ancora l’altro, invano.
«Ciao!» urlò di nuovo, raggiungendo la porta, e senza dare la possibilità al minore di aiutarlo in qualche modo, uscì in fretta di casa e si diresse alla sua auto. La mise in moto e iniziò a guidare senza una meta precisa, doveva mettere quanti più chilometri possibili tra lui e le persone che amava, non avrebbe fatto gli stessi errori di John, li avrebbe lasciati in pace e non avrebbe mai fatto loro del male per il puro gusto di farlo. Li avrebbe protetti da se stesso con tutte le sue forze. Tirò un sospiro di sollievo, quando, dopo aver macinato molti chilometri ad una velocità folle, e molte ore di auto, lesse il cartello con la scritta KANSAS sbarrata. Uno stato di distanza tra loro non li avrebbe protetti, per questo premette il piede sull’acceleratore e continuò a viaggiare, senza sosta, macinando altri chilometri.
 
Appena finito il turno di lavoro, Castiel uscì dal minimarket con la speranza di vedere Dean, e restò deluso quando si rese conto che non c’era, lo aspettò per più di mezz’ora, poi intuì che avesse cambiato idea. Fu quasi tentato di gettare la spugna con Dean, perché al diavolo, era stato Dean a lasciarlo, lui non aveva mai voluto farlo. Ed era stato sempre Dean a tornare e a chiedergli di vedersi, e lo stesso Dean si era tirato indietro, ancora una volta. Si sentiva confuso e anche preso un po’ in giro, non sapeva più a cosa credere e a cosa no. Era umano anche lui dopotutto, e i suoi sentimenti erano stati calpestati più volte. Ma davvero, poteva gettare la spugna in quel modo? O avrebbe dovuto provare a chiamarlo per capire cosa fosse accaduto? Fissò il telefono, sperando di ricevere una telefonata, un messaggio, qualcosa che gli facesse capire perché Dean si fosse comportato il quel modo, ma dovette rimetterlo in tasca con profonda irritazione, quando l’oggetto restò muto. Senza una risposta, sconsolato e di nuovo col morale per terra, tornò al suo appartamento; e, dopo averci riflettuto molto bene mentre camminava verso casa, decise di mettere da parte l’orgoglio, provò a telefonare al ragazzo, ma dopo qualche squillo, fu risposto dalla segreteria telefonica, quasi gli venne l’impulso di gettare il telefono per aria, per distruggerlo in mille pezzi. Gabriel, notato il suo malumore, gli chiese cosa non andasse, e lui tagliò corto dicendo che aveva avuto problemi al lavoro, sul serio, se avesse detto all’amico che Dean gli aveva dato buca, probabilmente Michael l’avrebbe saputo e avrebbe davvero picchiato il ragazzo, come aveva desiderato fare fin da quando Castiel gli aveva detto della lettera. Era meglio evitare l’argomento, almeno fino a quando non avesse avuto delle risposte. Prima che potesse distruggere il telefono, esso vibrò, era un messaggio di Sam, che diceva: “Ti prego, dimmi che Dean è con te”.
Castiel rispose in pochi secondi “No, non si è presentato”; e “Vediamoci, dobbiamo parlare. Penso che Dean voglia fare qualche stronzata”; “Dove posso raggiungerti?”, Sam gli rispose che sarebbe andato lui a prenderlo perché dovevano trovare un modo per trovare Dean. Castiel aveva impiegato davvero pochi secondi a cambiare umore, da arrabbiato con il mondo, era diventato preoccupatissimo e non sapeva cosa pensare, se Dean avesse fatto qualche atto improprio? Se si fosse fatto del male? Ma perché non lo aveva chiamato prima di fare qualunque cosa? Perché non voleva essere aiutato da nessuno? Cosa gli stava succedendo?
Sam arrivò da lui pochi minuti dopo, aveva l’espressione di chi non dormiva da giorni e si notava la sua preoccupazione. Castiel non riusciva nemmeno ad immaginare quanto potesse star male in quel momento.
«Ciao Sam» disse entrando nell’auto del ragazzo. «Cosa è successo?» chiese immediatamente, allarmato.
«Ciao Cas» lo salutò con un sorriso tirato «Dean è scappato, di nuovo» sospirò «Ha detto che veniva da te, ma erano quasi le tre quando è uscito. Ero davvero convinto fosse con te, ma non ha chiamato, e non mi risponde. Non so dove sia finito» Castiel spalancò gli occhi, Dean era scappato di nuovo? Stava male di nuovo? E se avesse reagito in quel modo per la sua reazione fredda? «Come ti è sembrato Dean quando è venuto da te oggi?» chiese.
«Sembrava… distrutto» mormorò «Aveva detto che sarebbe venuto a prendermi alle sei, pensavo… venisse. Quando sono uscito, l’ho aspettato, ma non è venuto» spiegò il ragazzo, guardandosi le mani «Forse sono stato freddo con lui e ha pensato che non volessi avere a che fare con lui, mi dispiace… ma ero pietrificato, non lo vedevo da settimane e-» cercò di giustificarsi, senza motivazioni per farlo.
«Cas, no» disse Sam «Non mi devi alcuna spiegazione, non è colpa tua» sospirò scuotendo la testa «Dean è un casino in questo periodo, non lo vedevo stare così male da anni» spiegò mestamente «Ho paura faccia qualche stronzata».
«Ma che ha? Non lo capisco, non si è mai comportato così…» poi lo guardò «Che tipo di stronzata? Di nuovo la droga?» chiese. Sam si accigliò, Castiel sapeva di quel periodo di Dean? Cosa?
«Tu sai… di quel periodo?»
«Per sommi capi, Dean mi ha raccontato di aver passato un periodo davvero terribile, non mi ha mai detto il perché, ma so della droga, dell’alcool e delle corse. Ha accennato qualcosa una volta, ha detto che è stato un periodo davvero orribile per lui» spiegò. Sam restò sorpreso. Questa non se l’aspettava, allora Dean aveva provato ad aprirsi con Cas, non aveva taciuto su tutto. Forse, forse… Cas poteva fare qualcosa per lui, ora ne era certo. «Ma cosa gli sta succedendo ora?» chiese il moro preoccupato.
«Castiel, senti non sono la persona giusta per dirti queste cose, e se Dean vorrà dirtele, sarà lui a farlo. Quello che posso dirti è che sono successe... cose nella nostra vita che lo hanno turbato, più di una volta» spiegò «Dean non le ha mai superate, e ora pensa di essere il male che cammina» disse Sam, sospirando «Non so perché fa così, pensavamo che avesse superato tutto, ma da quando c’è stato l’incidente, è tornato in quel tunnel e sono così preoccupato…»
Castiel lo guardò restando diversi istanti senza parole, Sam aveva davvero il volto distrutto, stanco e sconvolto dalla preoccupazione. E se fosse successo qualcosa a Dean, mentre erano lì a parlare di lui? Sam aveva ragione, dovevano trovarlo, sapeva che Dean non gli aveva detto una fetta importante della sua vita, e questa lo stava allontanando da lui, non poteva perderlo, non poteva lasciare che si autodistruggesse.
«Sam, lo troveremo» disse con sicurezza «E lo riporteremo a casa» Sam alzò lo sguardo verso di lui e si lasciò sfuggire un sorriso. Castiel era davvero innamorato di suo fratello, e Dean era davvero fortunato ad averlo incontrato, sicuramente gli avrebbe fatto una ramanzina lunga quanto il Mississippi, dopo averlo trovato, per essersi lasciato scappare un ragazzo così.
«Dean è proprio fortunato ad aver trovato te, grazie Cas» disse con sincerità.
«Penso di essere stato più fortunato io a trovare lui» disse con sincerità «E poi, non devi ringraziarmi, te l’ho già detto, per Dean vale la pena» affermò con sicurezza «Dovremmo solo trovarlo» Sam annuì, pensieroso «Il suo amico? Benny? Non potrebbe sapere dov’è?» chiese il moro; l’altro scosse la testa.
«Ho già chiamato Benny, e non sente Dean da giorni» sospirò «Mio fratello quando non vuole farsi trovare, sa nascondersi» disse Sam affranto, si vedeva che avesse fatto di tutto per cercarlo, a quel punto Castiel iniziò a ragionare, come si trovava una persona che non voleva farsi trovare?
«E se lo rintracciassimo con il telefono?» chiese il moro «Prima ho provato a chiamarlo, non ha risposto, ma era raggiungibile, magari… siamo fortunati e non lo ha spento ancora» Sam si illuminò, non aveva pensato di rintracciarlo tramite il GPS del cellulare, come aveva fatto a non pensarci prima? Forse era così preoccupato per il maggiore da non aver ragionato lucidamente.
«Sei un genio, Cas!» esclamò «Come ho fatto a non pensarci?» si chiese scuotendo la testa «Conosco la persona giusta» disse Sam «Una ragazza, Charlie, è la persona giusta se vuoi rintracciare un telefono» disse all’altro. Castiel tirò un sospiro di sollievo, perché lui non aveva assolutamente idea di come rintracciare un telefono e cose del genere.
Sam in poco si mise in contatto con Charlie, una giovane studentessa di informatica, che lui aveva conosciuto ad un raduno di fan di Star Wars, con cui aveva stretto amicizia qualche anno prima. Le chiese aiuto per trovare Dean e lei gli disse di raggiungerla a casa sua, dove insieme avrebbero localizzato il telefono di Dean, sperando che lui non lo avesse già spento. Arrivarono da lei una mezz’ora dopo, e la ragazza in pochissimo tempo riuscì a localizzare il telefono di Dean, prima che lo spegnesse. Era in un motel a Sioux Falls, in South Dakota, si era stabilito lì da poco. Era un viaggio decisamente lungo, quello. Sam disse che sarebbe partito subito, ma Castiel insistette per andare lui, aveva bisogno di vedere Dean, e magari, disse a Sam, vedere una sola persona lo avrebbe aiutato ad aprirsi. Sam accettò, perché in fondo sapeva che il fratello avesse bisogno di Castiel e forse la paura di essere giudicato da lui lo aveva spinto ad allontanarsi da loro. Castiel comprò un biglietto dell’autobus e, alle nove di sera si mise in viaggio per raggiungere il South Dakota e Dean. Aveva l’indirizzo del motel segnato su un foglio di carta, e le coordinate da raggiungere, Sam l’aveva supplicato di chiamarlo non appena lo avesse trovato, e Castiel aveva ovviamente accettato di farlo. Sperava solo che Dean non lo respingesse, che non cercasse di nuovo di chiudere i rapporti, non totalmente almeno. Aveva un po’ di timore, ma era determinato ad aiutare l’altro ragazzo, anche se non fossero tornati insieme, voleva aiutare Dean a sconfiggere i suoi demoni e le sue preoccupazioni. Gli aveva promesso che non lo avrebbe mai lasciato solo e lo stava raggiungendo dall’altra parte dello stato solo per poterlo aiutare. Aveva bisogno di vederlo, anche solo per assicurarsi che fosse ancora vivo, dalle parole di Sam, aveva timore che Dean avesse potuto fare qualche sconsiderato gesto; aveva così tanti sentimenti repressi che probabilmente si erano riversati fuori da lui come un fiume, dopo l’incidente. Ma perché? Perché era così turbato? Stavano bene entrambi, nessuno si era fatto eccessivamente male, perché Dean reagiva così? Quali cose erano accadute nella sua vita? Perché non gliene aveva mai parlato? Non si fidava di lui? Non voleva condividere le cose con lui? Perché si era allontanato tanto? Questi erano i pensieri che nelle ore di viaggio, tormentarono la sua  mente, fino a che non arrivò nella città in cui Dean si stava nascondendo. Poi chiese in giro, e dopo aver preso un taxi, ed aver dato l’indirizzo da raggiungere all’autista, arrivò fuori al motel dove alloggiava Dean, era davvero prestissimo e il sole stava appena sorgendo forse Dean dormiva, ma non importava. Aveva appena fatto un viaggio di diverse ore solo per poterlo vedere, e poter parlare con lui.
Ma come avrebbe reagito alla sua visita?
 
Cosa lo aveva spinto a scappare in quel modo? Aveva agito d’impulso, non si era nemmeno accorto di aver guidato per così tanti chilometri, si era fermato solo due volte, per riempire il serbatoio dell’auto, ma non si era fermato, fino a che non si era trovato in South Dakota, aveva agito d’impulso ed era scappato di nuovo, ma stavolta con l’intenzione di proteggere le persone che amava da se stesso, e aveva deciso di prendere una camera di motel, sperando che nessuno lo trovasse o decidesse di andare a cercarlo. Prese il cellulare con l’intenzione di spegnerlo, e non riuscì a non soffermarsi a fissare la foto di sfondo del suo cellulare, quella che aveva scattato Sam a tradimento, e Cas aveva impostato come sfondo perché è tenero che ci siamo noi due, Dean, anche io ho una nostra foto come sfondo! – aveva detto Cas, e che lui non aveva avuto il coraggio di togliere, nemmeno dopo aver lasciato il moro; si ritrovò a sorridere leggermente al ricordo di com’era stata scattata quella foto, quando Sam, un sabato mattina, di ritorno dal college, li aveva beccati addormentati sul letto di Dean, e aveva scattato loro la foto, che poi gli aveva inviato per messaggio. Erano sul letto, dormivano, Castiel aveva il volto nascosto contro il petto di Dean e quest’ultimo il naso nei suoi capelli e con un braccio lo teneva stretto a sé; Dean ricacciò indietro le lacrime e controllò le telefonate e i messaggi, prima di spegnere il cellulare e gettarlo in un angolo della camera, non sapeva se aspettarsi qualche messaggio preoccupato di suo fratello o qualche insulto da parte di Castiel; trovò un paio di chiamate perse da Castiel e dei messaggi preoccupati di Sam, ovviamente. Riconosceva che il suo atteggiamento non era stato dei migliori, e nemmeno il più onesto, davvero, era scappato e aveva messo più di uno stato di distanza tra sé e le persone a cui teneva, una volta John gli avrebbe dato del vigliacco, ma lui per la prima volta credeva di aver fatto una cosa giusta. Non voleva nuocere ulteriormente alla sua famiglia, fuggire gli era sembrata la soluzione più semplice, magari avrebbe cercato di ricominciare in una nuova città o di cambiare totalmente la sua vita, cercando di migliorarla. Non sapeva come, sapeva solo che dovesse farlo per il bene di suo fratello e di tutti gli altri, soprattutto di Cas. Doveva cercare di non distruggere niente stavolta, aveva già distrutto una camera di motel e aveva dovuto pagare un’ingente somma di denaro, non navigava ancora nell’oro, e aveva usato parte degli ultimi risparmi per pagarsi quella che aveva preso lì. Aveva passato la notte insonne, con la mente tormentata dai dubbi e dal senso di colpa, dandosi del vigliacco e del codardo, immaginando già quanti insulti gli stava rivolgendo Castiel dall’altra parte dello stato. Non chiuse occhio anche per paura che gli incubi che lo avevano tormentato poco tempo prima ritornassero, e non si accorse del sole che fuori dalla finestra iniziava a sorgere. Si ritrovò seduto sul letto a contemplare l’alba, immaginando di essere lì con Castiel. Santo cielo, gli mancava davvero tanto quel ragazzo, gli mancavano i suoi occhioni blu, il suo sorriso sempre un po’ accennato, ma sincero, quel suo modo di fare da perenne ragazzino alle prime esperienze, il modo in cui lo faceva sentire quando lo guardava… quanto gli aveva fatto male sparendo di nuovo in quel modo? Era certo che non lo avrebbe mai perdonato stavolta, e lui meritava esattamente questo. Non doveva essere perdonato da nessuno, le persone della sua vita dovevano odiarlo, non era degno di essere amato né di essere aiutato. Sapeva che aver ferito di nuovo Castiel era uno degli errori peggiori che avesse mai potuto fare, ma non poteva restare lì a rovinare la sua vita, sarebbe stato un atto davvero egoistico; si convinse che con la sua assenza la sua vita sarebbe stata migliore, sarebbe stato felice, e avrebbe trovato qualcuno che meritasse realmente il suo amore, perché quello era la cosa più preziosa che una persona potesse avere.
Credette di aver sognato, quando udì qualcuno bussare alla porta della sua stanza. Chi poteva essere? Era certo di non aver fatto nulla, non aveva emesso un rumore. Forse c’era qualche problema? La persona bussò ancora una volta, Dean fu tentato di fingere di non essere in camera, o di dormire, ma se era qualcosa di urgente? Se era qualcuno che aveva bisogno d’aiuto? Forse era Sam che lo aveva trovato? Ma come avrebbe potuto trovarlo?
Si avvicinò cauto alla porta e, davvero, restò paralizzato quando, aperta la porta, si rese conto che a bussare alla stanza del motel, alle cinque del mattino, era Castiel.  I suoi occhi blu lo investirono come un fiume in piena, e il suo sguardo sempre un po’ confuso fu su di lui in un momento, lo vide chiaramente tirare un sospiro di sollievo. Nei suoi occhi, puntati dritti nei suoi, assonnati e semi chiusi, scoprì il perdono e la comprensione, e no, no, no, Dean sapeva di non meritarlo, Castiel non poteva essere lì, non poteva averlo raggiunto, non poteva averlo perdonato. Cosa stava accadendo? Perché era lì? Era finito in uno dei suoi incubi in cui faceva del male a Castiel o cosa?
«Ciao Dean» gli disse, superandolo ed entrando automaticamente nella stanza, come se lui lo avesse invitato a farlo.
«Castiel… cosa, cosa ci fai qui?» chiese intontito, guardandolo in modo confuso ed interrogativo, chiudendo la porta.
«Se non sbaglio, dovevamo parlare, io e te» rispose con sicurezza «Parliamo».
Dean lo guardò, e si rese conto di non essere affatto in un sogno, era tutto reale, si rese conto che nonostante lui avesse cercato di allontanarlo da sé, Castiel lo aveva raggiunto, nonostante lo avesse lasciato e gli avesse dato buca, Castiel aveva attraversato diversi stati e lo aveva raggiunto in South Dakota. Nonostante tutto, Castiel non lo aveva abbandonato, anzi lo aveva addirittura perdonato – sebbene non lo avesse detto esplicitamente – e un timido sorriso nacque sulle sue labbra. Castiel era lì, era davvero lì. Come poteva essere lì con lui?
«Cas…» mormorò, cercando una giustificazione al suo atteggiamento, ma Castiel non gli diede il tempo di parlare.
«Dean, non so cosa ti stia prendendo in queste settimane, e Sam dice che tu hai tante cose represse da dire. Non mi importa se non vorrai tornare con me. Voglio aiutarti a stare bene, sono qui per ascoltarti, se mai vorrai parlare, altrimenti fisseremo il muro insieme. Ma io da qui non vado via» affermò con sicurezza «Ho ascoltato tuo fratello, che mi diceva che avessi bisogno di tempo per superare il crollo emotivo, e ti sono stato lontano, anche se tu mi avevi lasciato, volevo venire da te e abbracciarti e dirti che sarebbe andato tutto bene; ma avevi bisogno dei tuoi spazi» disse tutto d’un fiato «Ora, anche se hai bisogno dei tuoi spazi, ti starò accanto, perché tu devi sapere che io ci sono, anche se…» deglutì «… anche se non mi vorrai come compagno, io ti starò accanto, perché te l’ho promesso, Dean, ti ho promesso che qualunque catastrofe si fosse abbattuta su di te, su di noi, l’avremmo affrontata insieme» continuò, lasciando l’altro senza parole «Questa mi sembra decisamente una catastrofe» terminò risoluto, con una sicurezza in se stesso che il biondo mai gli aveva visto. Dean fu investito dalle sue parole, come da un fiume in piena, e si ritrovò a doversi appoggiare con le spalle alla porta, per trovare un sostegno. Castiel era lì, ed era intenzionato a non lasciarlo affondare. Dean lo guardò stupefatto, come se lo stesse vedendo per la prima volta, non aveva mai visto tanta determinazione e sicurezza in lui, Castiel sembrava quel ragazzo un po’ indifeso, impacciato e pasticcione, ma in realtà dentro di sé era una forza della natura, e così si stava rivelando a Dean, in quel momento era una delle persone più forti e determinate che avesse mai conosciuto. Si portò una mano nei capelli, gettandoli indietro, in un gesto di pura rassegnazione, e abbassò lo sguardo per terra, mentre si sentiva vinto dalle parole del ragazzo, che adesso lo stava fissando, in attesa di una risposta.
«Io… vorrei averti come compagno» sussurrò Dean, dopo lunghi istanti di silenzio, Castiel sentì il proprio cuore più leggero «Ma non posso».
Il moro sbuffò, scuotendo la testa: «Perché?» chiese, cercando il suo sguardo.
«Tu non vuoi sapere tutto» disse in un sussurro, sfuggendo di nuovo al suo sguardo, ogni volta che lo incontrava, sembrava che Cas riuscisse a leggergli dentro ogni singola cosa brutta e bruciava.
«Invece sì, voglio sapere cosa ti turba e mi piacerebbe aiutarti» ribatté ancora una volta Castiel, determinato.
«No, Cas, non puoi aiutarmi, credimi. Io sono…sbagliato» mormorò, con lo sguardo basso, sentiva gli occhi pungere, ma non avrebbe pianto, non davanti a Cas, non si sarebbe mai mostrato così fragile «Per favore, lascia… lascia che sparisca dalla tua vita» disse di nuovo, tenendo lo sguardo puntato per terra.
«Dean» lo chiamò dolcemente avvicinandosi a lui, fronteggiandolo, il ragazzo non alzò lo sguardo su di lui, sebbene sentisse la sua presenza ad un palmo da sé «Guardami, Dean» sussurrò Castiel, prendendogli gentilmente il viso tra le mani; il biondo alzò lo sguardo sull’altro, rassegnato, perché il moro riusciva a fargli fare ogni cosa «Io ti amo, tu non ti rendi conto, vero? Ti amo in un modo che non riesco a definire, tu mi hai reso migliore, Dean, e a costo di suonare egoista, non voglio che tu sparisca dalla mia vita» confessò «Voglio realizzare con te ogni nostro progetto, anche quello di costruire una staccionata e dipingerla insieme. Voglio tinteggiare casa nostra, e piantare fiori in un giardino che tu sicuramente lascerai a me perché preferisci i motori alle piante, e anche adottare con te un cane e un gatto» Dean boccheggiò davanti alle sue parole, ma non disse niente «Voglio davvero, davvero, Dean, condividere tutto con te, ma non posso se tu continui a scappare e a chiuderti in te stesso, hai eretto un muro enorme tra te e me» disse, senza staccare lo sguardo dall’altro «Ti prego, lascia cadere il muro» disse, senza battere ciglio «Lascia che ti aiuti a stare bene».
Dean vacillò, si sentì debole e vinto. Fu in quel momento, davanti a quello sguardo carico d’amore, determinazione e premura che la diga che Dean aveva eretto tra sé e il mondo intero, crollò in mille pezzi e tutte le emozioni che aveva celato dentro di sé in quei lunghissimi anni, si riversarono all’esterno del suo corpo.
«Cas…» mormorò, Castiel lo guardò negli occhi e lo incitò a parlare «Le cose che ho fatto… Il senso di colpa non se ne va» disse a bassa voce, mordendosi le labbra «Non va mai via, è sempre qui…» disse indicando il proprio petto.
«Quale senso di colpa?» chiese «Se è per l’incidente…» cercò di dire, ma vide Dean scuotere la testa «Cosa è successo?» Dean sospirò, prese un altro profondo respiro, per trovare il coraggio di iniziare a parlare, avrebbe voluto essere più forte, riuscire a tenersi tutto dentro, come aveva sempre fatto, ma con Castiel di fronte a sé, così determinato a sapere tutto, ad aiutarlo, sembrava più difficile nascondere tutto, ed evitare di parlare. Con quegli occhi azzurri stava già trapassando la sua anima, come se già sapesse tutto, ma aspettasse di sentirlo dire da lui.
«Ho fatto così tanti errori…» sussurrò, Castiel lo incitò ad andare avanti «Tu… tu sai che Bobby e Jody non sono i miei genitori naturali, vero?» chiese, l’altro annuì «Ecco, loro… hanno cresciuto me e Sam, dopo quella notte…» sussurrò, Castiel gli rivolse uno sguardo comprensivo, incitandolo a raccontargli tutto dal principio «La notte del due novembre, quando avevo quattro anni… ci fu un brutto litigio tra mia madre e John, John è mio padre, ma… beh, io non l’ho mai considerato tale» iniziò a raccontare «Io… vidi John darle uno schiaffo, era ubriaco fradicio, ma io non lo capivo, sapevo di dover chiamare aiuto, ma… poi non lo so, sembrava tutto passato e corsi in camera mia, aspettando che mia madre venisse a salutarmi prima di andare a letto come sempre, quando tornava dal lavoro… ma poi sentii un altro litigio e… quando uscii dalla mia stanza, mamma era caduta giù dalle scale, John l’aveva spinta…» trattenne un singhiozzo, ma non pianse «Mia madre morì quella notte e mi chiese di prendermi cura di Sammy» spiegò, gli occhi bruciavano come l’inferno, ma non avrebbe pianto «Non ho fatto nulla per salvarla quella notte, avevo così tanta paura… dovevo salvarla, io… dovevo, ma non lo feci, perché ero…sono un codardo» mormorò, con la voce tremante.
Castiel lo guardò e «Eri solo un bambino, Dean» gli disse, ma Dean scosse la testa, tenendo lo sguardo basso, così si limitò a condurlo verso il letto e a sedersi con lui, incitandolo a continuare, sapeva che Dean avesse bisogno di parlare «Lui… è stato in prigione dieci anni, la notte della morte di mia madre, Bobby venne a casa e portò via me e Sam» raccontò «Ci ha cresciuto lui, insieme a Jody, mi sono sempre sentito in colpa per quello che accadde. Quando John uscì dalla prigione, io andavo al liceo, stavo da poco scoprendo la mia sessualità e… sembrava, sai, una persona diversa e Bobby aveva questa idea delle seconde chance…» mormorò, la voce ancora rotta, ma zero lacrime «Sia io che Sammy ci provammo, ma io ero un adolescente, e lo odiavo, ma mi stavo abituando, per Sam, che aveva sempre voluto conoscere John, e tutto sembrava andare bene… e poi non so forse mi sentivo sereno e tranquillo, così feci coming out con tutti loro, ma John decise che non andavo bene per lui… un pomeriggio ero solo a casa e lui venne a spiegarmi come essere un vero uomo» Castiel lo strinse forte, lasciando che lui continuasse a parlare, senza interromperlo, Dean aveva bisogno di raccontare ogni cosa, lo sapeva «Mi fece così male, Cas… mi ripeteva che ero un errore, che ero un codardo, che non ero in grado di far nulla... non dissi niente a nessuno, inventai una scusa perché avevo paura di lui, così tanta e lo fece ancora, altre volte… ogni volta che ero solo e-e non volevo mai restare solo a casa, perché avevo paura… come un codardo» continuò, la voce ancora tremante, i pugni stretti «E-E una volta, un pomeriggio… c’eravamo solo io e Sam, lui voleva fargli male e… non lo so cosa mi spinse a reagire, ma dovevo proteggere Sam… mi picchiò così forte, Cas, così forte… e Sam vide tutto, Cas, Sam vide tutto e dovetti raccontargli ogni cosa, anche che John avesse ucciso la mamma…» raccontò ancora, trattenendo i singhiozzi, cercando ancora di trattenere le lacrime che premevano per uscire «John finì per fortuna in carcere, e sinceramente non mi importa dove sia ora, mi ha rovinato la vita, ho pensato per così tanto tempo di essere sbagliato, per anni, Cas, anni perché non ero un vero uomo e-e le sue parole si ripetevano sempre nella mia testa, a volte le sento ancora» confessò scuotendo la testa, Castiel gli prese la mano e gliel’accarezzò con gentilezza, un semplice tocco che gli fece capire che lui c’era, che lui non giudicava «Sembrava… sai, andare tutto bene, sia io che Sam stavamo bene, per qualche anno siamo stati davvero bene, ma poi ho rovinato tutto di nuovo, quando ho quasi ucciso Sam» spiegò, sotto lo sguardo confuso di Castiel «Ho spinto mio fratello al suicidio, è stata tutta colpa mia, perché lui aveva problemi a scuola, sai aveva sedici anni, e… c’erano questi stronzi e io… mi sentii in dovere di intervenire, picchiai due di loro, ma le cose per Sam peggiorarono e…» deglutì, strinse gli occhi con forza «Santo cielo, una sera ingoiò tutte quelle pillole e… io ero immobile mentre mio fratello moriva…» Dean tremava mentre raccontava, Castiel sentiva gli occhi pungere perché non avrebbe mai immaginato che il passato del ragazzo di cui era innamorato fosse così straziante «Ho quasi ucciso mio fratello e… sapevo che era colpa mia, Sam lo aveva detto prima di cercare di uccidersi, mi odiava così tanto…» disse ancora, la voce incrinata «Ero così distrutto che… non lo so, non avevo più nulla da perdere, e per sfogare il dolore e il senso di colpa, usavo droghe e alcool, santo cielo, ero un disastro, ma mi aiutavano a stare bene, e poi le corse, cielo, le corse clandestine, e il sesso, tutti quei tizi sconosciuti…» stava scoprendo la parte più intima di se stesso, lì davanti a Castiel, che non accennava a lasciarlo andare «Era tutto sbagliato, tutto, poi… sono finito in ospedale, perché avevo cercato di proteggere un moccioso» raccontò ancora, amaramente, del ragazzino, dei tizi che avevano sfasciato la sua auto e l’avevano picchiato fino a fargli perdere i sensi «Poi finii in riabilitazione, e uscito dalla clinica, credevo di stare bene, non era esattamente così ma ci provavo, sai, io e Sam andavamo d’accordo, avevo ripreso a studiare, lavoravo, ma c’era sempre qualcosa che non andava…» disse piano «Poi sei arrivato tu, Cas, hai spazzato tutto via, hai riempito quel vuoto ed ero così felice, così felice» …» fu in quel momento, quando raccontò dell’incontro con lui, che tutte le emozioni represse, finalmente, sgorgarono fuori dai suoi occhi, sotto la forma di calde e lente lacrime amare, si allontanò dal moro, lasciandogli la mano, solo per cercare di recuperare fiato «Tu sei arrivato così all’improvviso e mi sono innamorato di te così facilmente che ne ho avuto paura…» confessò tremando «Ma tu hai spazzato via anche la paura, e… hai lasciato solo la felicità e io…» deglutì e scosse la testa «Ma dovevo saperlo, prima o poi le cose belle della mia vita spariscono…» singhiozzò, Castiel avrebbe voluto dire sono qui, non sono sparito, ma restò in silenzio per non interromperlo «Credevo, credevo che tutto sarebbe andato bene finalmente, ma io non lo merito, Cas, non merito niente» disse la voce spezzata da altri singhiozzi, Castiel sentiva lo stomaco contratto dal dolore, stava sentendo le brutte sensazioni di Dean su di sé ed era così sbagliato che una persona bella come lui avesse sofferto così tanto «E quella notte, quando eravamo in auto, ho quasi ucciso anche te…» continuò, frasi sconnesse, lui scosso dai brividi e dai singhiozzi «Non ti merito, non merito che tu sia qui… non volevo scappare, ma non volevo essere come lui e farti del male» ecco, perché lo aveva lasciato; Dean cercava di respingere Castiel che si era alzato e cercava di avvicinarsi a lui per confortarlo, ma non lo meritava «Ti ho quasi ucciso quella sera… Cas, eri su quel letto d’ospedale, privo di sensi… e io… io dovevo esserci io… dovevo esserci io…» ormai piangeva a dirotto, senza riuscire a fermarsi, le lacrime scivolavano veloci sul suo volto «Dovevo cadere io dalle scale, dovevo ingoiare io le pillole, dovevo esserci io su quel letto d’ospedale… non voi, non voi…» singhiozzò senza fiato «Mi dispiace, Cas, mi dispiace così tanto…» scosse la testa, quando vide Castiel che cercava ancora di avvicinarsi a lui per dirgli che sarebbe andato tutto bene «Non volevo rovinare la tua vita, vai prima che sia troppo tardi, ti prego… vai via, e trova qualcuno che meriti il tuo amore…» mormorò di nuovo tra le lacrime, prendendosi il volto tra le mani. Castiel lo raggiunse, lo bloccò e lo abbracciò forte senza lasciarlo andare, fu in quel momento che Dean Winchester crollò definitivamente, si aggrappò alle spalle dell’altro, e diede sfogo a tutto ciò che aveva dentro. Quella notte, Dean crollò tra le braccia del ragazzo che amava, il quale lo strinse con forza, sussurrandogli che andava tutto bene, che c’era lui, che tutto sarebbe andato bene. «Non sono come John, non farò del male alle persone che amo…» singhiozzò ancora, il volto pressato contro la spalla del ragazzo e le lacrime che a fiumi continuavano a riversarsi fuori dai suoi occhi. «Ti amo, ti prego, perdonami…» disse in un sussurro disperato. Castiel lo cullò tra le sue braccia, mentre cercava di consolarlo, riportandolo verso il letto.
«Shhh» sussurrava «Va tutto bene, Dean, va tutto bene, ci sono io con te» diceva piano «Sono qui, non sono andato via, sono qui con te» lo rassicurava «Sfogati, sfogati con me, tranquillo, va tutto bene» mormorava, mentre Dean, ormai privo di forze e difese, si aggrappava alle sue spalle, e lasciava che lui lo stringesse e gli accarezzasse la schiena «Supereremo tutto insieme, non sei più solo, te lo prometto» diceva ancora, e Dean mormorava parole indistinte contro il suo collo, singhiozzava, continuava a scusarsi e tirava fuori ogni singola cosa che aveva represso in quegli anni. Erano anni che non esternava un’emozione, erano anni che si teneva tutto dentro, e finalmente qualcuno era riuscito a tirargli fuori ogni cosa. Dean ripeteva che gli dispiaceva, che era tutta colpa sua, che il senso di colpa l’aveva sempre perseguitato e continuava a perseguitarlo, gli confessò di avere paura di perderlo, di fargli del male, così come John aveva fatto del male a sua madre, che si sentiva responsabile per ogni cosa negativa accaduta nella sua famiglia e in tutta la sua vita. Castiel non lo lasciò nemmeno un secondo, lo tenne stretto contro il proprio corpo, senza lasciarlo andare, lo lasciò sfogare e continuò a dirgli che sarebbe andato tutto bene, che gli sarebbe stato accanto, che era al sicuro. Dean si aggrappò alle sue parole, come ultima speranza di salvezza, perché se Castiel era lì, voleva dire che credeva che ne valesse la pena, e magari era ora che iniziasse a pensarlo anche lui. Si calmò diverse ore dopo, passò buona parte della mattinata a parlare di sé, a sfogare ogni singola emozione repressa, ogni più piccolo dettaglio, e poi, quando fu più tranquillo, stanco e provato, si addormentò tra le braccia di Castiel, in un sonno prima scosso dai tremiti del suo corpo e dai singhiozzi, poi pian piano il suo respiro si tranquillizzò, e scivolò in un sonno senza sogni.
Castiel si assicurò che dormisse tranquillo, senza lasciarlo un secondo prima di chiamare Sam, per avvisarlo di aver trovato Dean. Santo cielo, ne aveva passate così tante… poteva capire perché non ne avesse parlato prima, ma doveva assolutamente fargli capire che con lui potesse parlare di qualunque cosa senza temere di essere giudicato. Afferrò il telefono e finalmente chiamò Sam, che sicuramente, in Kansas, stava morendo di preoccupazione.
«Castiel!» rispose agitato dopo pochissimi squilli «Lo hai trovato? Come sta?»
«Dean è con me» disse Castiel, accarezzandogli teneramente uno zigomo ed eliminandogli i residui di lacrime «Starà bene, Sam» gli promise «Ti prometto che starà bene» mormorò passando, adesso la mano tra i suoi capelli chiari, sentendolo contrarsi appena sotto il suo tocco «Adesso è al sicuro con me, non soffrirà più» promise ancora.
Sam dall’altra parte del telefono comprese le parole dell’amico, tirò un sospiro di sollievo, sorrise, e «Grazie, Cas» disse con sincerità «Prenditi cura di lui».
«Lo farò, non preoccuparti» promise di nuovo, guardando Dean sorridendo appena. Ora che sapeva ogni cosa di lui, non lo avrebbe abbandonato a se stesso, gli sarebbe stato accanto, fino a che non avesse superato ogni piccolo trauma del suo passato. Dean meritava di essere felice, e Castiel era lì per renderlo tale. Dopo aver parlato con Sam, ed averlo rassicurato ancora una volta che il maggiore sarebbe stato bene, il ragazzo si stese accanto all’altro e lo abbracciò forte.
«Ti amo, Dean» sussurrò contro il suo orecchio «Te lo prometto non soffrirai più». Dean si rigirò nel letto e si strinse contro di lui, in una risposta muta, Castiel non sapeva se lo avesse sentito o meno, ma sperava di sì. Quella era una promessa, non lo avrebbe mai lasciato solo, gli sarebbe sempre stato accanto. Si addormentò anche lui, senza allontanarsi di un singolo millimetro dal corpo dell’altro, che fortunatamente ora riposava tranquillo.
Quando si risvegliarono, era pomeriggio inoltrato, Dean si sentiva stranamente sollevato, a pezzi, distrutto, ma con un peso in meno sul cuore, e quando guardò Castiel, accanto a sé, che lo sosteneva come una roccia, si rese conto di aver trovato la persona giusta, quella persona speciale da non lasciarsi mai scappare, quella persona che nonostante tutto, nonostante gli errori e le incomprensioni, non lo avrebbe mai lasciato, la persona giusta con cui passare il resto della sua vita, l’unica persona che lo faceva sentire in pace con se stesso e con il mondo intero, l’unica persona che era riuscita a conoscerlo fino in fondo, il ragazzo che non si era arreso nemmeno quando lui aveva cercato di allontanarlo, il ragazzo che si era messo in un autobus e lo aveva raggiunto dall’altra parte dello stato, nonostante lui lo avesse lasciato, solo per poterlo salvare da se stesso, per mantenere la promessa che gli aveva fatto un anno prima; così lo baciò, cercando con quel bacio di trasmettergli ogni singola parte dell’amore e della gratitudine che provava per lui.
«Ti amo, Cas» sussurrò contro la sua bocca, e quando l’altro gli ripeté le stesse parole, come aveva fatto poche ore prima, baciandolo ancora, con lentezza e dolcezza, ogni pezzo del suo mondo, tornò esattamente al proprio posto in quel preciso istante, come se mai si fossero lasciati. Era pronto per lasciarsi tutto alle spalle ed essere felice. Stavolta sapeva che, in fondo, ne valeva la pena.


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Hola people!
Buona sera a tutti! Yep, aggiorno con un giorno d'anticipo perché sono una persona buona - e oggi è stata una giornata davvero soft. Finalmente Dean è riuscito a confessare tutta la storia della sua vita! Cas è l'angelo di cui aveva bisogno per stare bene ed è anche santo per aver avuto così tanta pazienza con Dean. Sam va fatto santo, perché io avrei dato di matto se mia sorella mi avesse fatto morire di preoccupazione così. E io sono molto triste perché mancano solo un capitolo e l'epilogo alla fine di questa storia. Prometto che il prossimo sarà ricco di fluff, perché se lo meritano tutti e due.
Io vi ringrazio con tutto il mio cuore, ringrazio chi segue, commenta, preferisce, ricorda e chi spende un singolo click per leggere! Ci si becca settimana prossima, con il nuovo capitolo! Stay tuned!

 

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Capitolo 12
*** XI Parte ***


DESCLAIMER: La storia è scritta senza fini di lucro, i personaggi non mi appartengono in nessun modo e non intendo offendere nessuno. Giuro. 
PS. C'è l'avviso che i personaggi sono molto OOC.

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3 anni dopo, novembre 2020

You're my favourite part of me,
With you standing next to me,
I've got nothing to fear.
 
Castiel lo aveva letteralmente salvato, Dean ne era consapevole e lo avrebbe ringraziato ogni giorno della sua vita per ciò che aveva fatto per lui, lo aveva preso tra le sue braccia, lo aveva ascoltato, consolato ed era rimasto accanto a lui. Dopo quella notte in South Dakota, erano passati tre anni, Castiel lo aveva aiutato con pazienza a superare ogni più piccolo problema, era stato accanto a lui la notte quando non riusciva a dormire a causa degli incubi, era stato accanto a lui quando aveva creduto di non farcela, era stato sveglio con lui quando non riusciva a dormire. Lo aveva supportato in ogni modo possibile, e lo aveva anche convinto ad andare da uno specialista, perché ciò che gli era accaduto era così radicato in lui, che da soli non potevano farcela. E gli era stato accanto anche quando andava dal terapista, lo accompagnava sempre e lo aspettava fuori dallo studio, pronto ad abbracciarlo e a rassicurarlo che tutto sarebbe andato bene; lo aveva aiutato in ogni modo concepibile, e Dean non gliene sarebbe stato mai abbastanza grato. D
opo che Dean si era completamente aperto con Castiel, le cose avevano preso un’altra strada, stavolta in salita; perché Castiel non gli aveva più permesso di andare a fondo. Alla fine, entrambi si erano laureati l’anno successivo, ma erano felici e soddisfatti. Dean non avrebbe mai dimenticato lo sguardo fiero di Sam su di lui e quello orgoglioso e pieno d’amore di Cas il giorno della sua laurea, che era stato uno dei giorni più belli della sua vita, Cas, Sam e Benny gli avevano organizzato una festa a sorpresa, durante la quale si era divertito come mai in vita sua. Invece il suo compagno si era laureato esattamente una settimana dopo di lui, e Dean non aveva idea dove avesse trovato il tempo di studiare, ma era fiero di lui e lo amava sempre di più, in realtà entrambi si amavano ogni giorno di più, alla fine l’unico viaggio che avevano fatto, era stato andare a New York per due settimane, da soli, perché Sam era stato troppo impegnato con gli esami finali, i vari stage e le specializzazioni per diventare avvocato e aveva detto loro di fare come se lui ci fosse stato, in realtà Sam sapeva che con loro due avrebbe solamente recitato la parte del terzo incomodo. Dopo la laurea, erano davvero andati a vivere insieme, avevano trovato un piccolo appartamento in affitto poco distante dalla vecchia casa di Dean; avevano cambiato ogni cosa nella loro vita, in meglio però.
L’unica nota stonata in quel periodo era la distanza. Castiel, che aveva fatto domanda in diverse scuole, dopo quasi un anno di convivenza, era stato assunto come maestro d’asilo in una scuola del Wisconsin a Milwaukee, mentre Dean era bloccato in Kansas perché aveva mantenuto il suo posto come barista, sarebbe stato un azzardo lasciarlo senza aver prima trovato un altro lavoro; santo cielo, odiava la situazione che si era creata, vedeva il suo compagno solo il weekend e si sentivano relativamente poco, spesso la sera si sentivano tramite Skype, ed era bello vedere il volto stanco, ma soddisfatto di Castiel, che gli raccontava la giornata e gli parlava dei piccoli bambini con cui passava la maggior parte delle mattinate. Gli mancava immensamente, ma sapeva che era solo una situazione temporanea, anche se era difficile avere una relazione a distanza stabile, quando i messaggi e le telefonate non bastavano e avrebbe solo voluto affondare le dita tra i suoi setosi capelli scuri o baciare le sue labbra; poteva resistere qualche anno in quel modo, se questo significava passare il resto della sua vita con Castiel.
Dean sapeva di non essere la persona più romantica o la persona più accomodante – quello era il suo compagno – ma sapeva sorprendere le persone quando meno se lo aspettavano. Aveva preso alcuni giorni di permesso dal lavoro, per poter fare una sorpresa a Castiel. Il loro quarto anniversario si avvicinava e lui voleva solo passare qualche giorno con lui, che non fossero quei furtivi fine settimana durante i quali Cas arrivava a casa il venerdì notte o il sabato all’alba e la domenica partiva nel primo pomeriggio per tornare a Milwaukee. Voleva passare con lui qualche salutare giorno insieme, per poter fare le stesse cose che erano soliti fare quando andavano ancora al college e che avevano fatto in quell’anno di convivenza. Aveva avvisato Sam che non sarebbe stato a casa per qualche giorno e si era messo in auto con il bel tempo dalla sua; per essere l’inizio novembre, le giornate erano ancora soleggiate, anche se erano comunque fredde. Partì all’alba del tre novembre, si mise in viaggio, spegnendo il cellulare per non farsi scoprire da Castiel. Se avesse sospettato qualcosa, probabilmente lo avrebbe dissuaso dal fare un viaggio tanto lungo, a Dean non avevano mai fatto paura le lunghe distanze, anzi, guidare gli era sempre piaciuto e guidare per raggiungere lui, era ancora meglio. Sperava di arrivare intorno alle tre del pomeriggio a Milwaukee giusto in tempo per la fine della giornata lavorativa di Cas e sperava di poter passare con lui il resto della giornata e magari della settimana, assaporare un po’ della vita che avevano deciso di vivere insieme, perché l’avevano avuta per relativamente poco tempo, prima che Castiel fosse assunto lontano da lui. Era davvero difficile avere una relazione a distanza, la lontananza si faceva sentire ed entrambi sentivano di poter impazzire, ma resistevano in nome del loro amore. Dean sorrise, guardando l’angelo di pezza che Castiel gli aveva regalato per il primo Natale che avevano passato come coppia, Dean non lo aveva mai tolto da lì, ogni volta che aveva riparato l’auto, quello era tornato al suo posto, e anche se era un po’ consumato e un po’ strappato – soprattutto da dopo l’incidente di tre anni prima – Dean lo aveva tenuto con sé, perché gli ricordava un po’ se stesso con Castiel, che lo aveva voluto nella sua vita, anche dopo aver scoperto tutto il suo passato.
Dean fece giusto un paio di pause per prendersi un caffè durante il viaggio, ma tenne un’andatura rapida, non vedeva l’ora di arrivare da Cas e passare con lui il loro anniversario. Erano quattro anni che stavano insieme, ad esclusione di quel mese terribile in cui aveva fatto la stronzata di lasciare Cas, ed erano passati quasi tre anni da quando Cas l’aveva trovato distrutto e lo aveva salvato da se stesso, quattro anni che tra di loro le cose andavano per il verso giusto.
Arrivò a Milwaukee alle tre del pomeriggio, come si era prefissato – anche se aveva trovato un incidente sulla strada che l’aveva costretto a cambiare strada e aveva dovuto prendere una strada alternativa – e non impiegò molto a trovare la scuola dove insegnava Cas, ricordava di aver letto l’indirizzo sul contratto di ammissione di Cas e l’aveva annotato nel caso avesse deciso di andare da lui qualche volta. I bambini stavano uscendo in quel momento, urlando e riversandosi nel cortile, per correre dai propri genitori. Dean si ritrovò a sorridere, perché ricordava bene quando Sam alla loro età, uscendo da scuola, correva verso Bobby e gli stringeva le gambe iniziando a raccontargli la sua giornata; ricordava vagamente anche se stesso correre verso la madre, prima di quella notte. Scacciò immediatamente quei pensieri dalla mente e si concentrò sul bel maestro che usciva e sgridava un bambino che aveva rubato la bambola ad una bambina più piccola, e immediatamente sorrise. Castiel era bellissimo nelle vesti di maestro, sempre avvolto nel suo inseparabile trench beige; aveva i capelli arruffati, il volto un po’ stanco, ma persino da lontano, Dean poteva vedere i suoi occhi blu brillare, tant’erano luminosi. Non resisteva più, voleva avvicinarsi a lui e stringerlo tra le sue braccia, perché gli era mancato troppo. Non si vedevano da due settimane, il weekend precedente Castiel aveva avuto uno stupido corso d’aggiornamento e non era potuto andare a Lawrence, dove Dean stava facendo i doppi turni per poter prendere quella settimana di vacanza per il loro anniversario. Uscì dall’auto velocemente e chiuse la portiera, Cas non si era accorto di lui, stava parlando con una giovane donna, sua coetanea, dai lunghi capelli scuri che gli sorrideva in modo ebete, e lo guardava in modo adorante, certo, come biasimarla, Castiel era un bellissimo uomo, ma non solo, era anche gentile, simpatico, dolce con i bambini, e affascinante, ma pft, scusa tesoro, il bel maestro è impegnato – si ritrovò a pensare mentre si avvicinava a lui, e dimezzava la loro distanza. Lei ridacchiava, mentre Castiel le raccontava una marachella di un bambino della sua classe, quella ragazza pendeva dalle labbra del suo Cas, forse aveva una cotta per lui, o qualcosa del genere, pft, povera illusa.
«Salve» salutò sorridendo «Sto cercando il maestro Novak».
Castiel si irrigidì sentendo la sua voce, e si voltò immediatamente, con gli occhi spalancati e pieni di sorpresa e, scioccato, mormorò: «Lo hai trovato…»
«Ciao Cas» disse, stavolta lui con il sorriso ebete sul volto.
«Dean!» esclamò Castiel immediatamente, ripresosi dallo shock iniziale, annullando la loro distanza in pochissimi secondi «Cosa ci fai qui?» chiese, a metà tra l’emozionato e il divertito. Non si aspettava che andasse lì, non si aspettava di vederlo, era stata una piacevole sorpresa per lui.
«Sorpresa» sussurrò al suo orecchio, sentendolo piacevolmente rabbrividire d’emozione contro di sé «Non mi presenti la tua amica che ti fa gli occhi dolci?» ridacchiò. Castiel lo colpì scherzosamente sul braccio, e si scostò da lui.
«Giusto» annuì «Hannah, lui è Dean, il mio compagno» disse con il sorriso sulle labbra «Dean, lei è Hannah, una mia collega» spiegò il moro, spiaccicandosi contro il fianco di Dean.
«C-Compagno?» balbettò lei, stupita.
«Già» confermò Dean, mettendo un braccio attorno ai fianchi stretti del moro, stringendolo di più a sé «Dean Winchester, piacere!» esclamò sorridendo sornione porgendole la mano.
«Piacere mio» mormorò stringendogli la mano «Non sapevo che Castiel avesse una relazione…»
«Con un uomo?» chiese Dean, alzando un sopracciglio con fare interrogativo, temendo già qualche commento di cattivo gusto da quella donna «Beh, in effetti, sì. È impegnato con me, oggi sono quattro anni che stiamo insieme» sottolineò con fare possessivo. Castiel spalancò ancora di più gli occhi, Dean aveva ricordato il loro anniversario? Dean aveva ricordato il loro anniversario ed aveva viaggiato per raggiungerlo? Quella era una delle cose più romantiche che avesse fatto per il loro anniversario, e quasi stentava a riconoscere il suo compagno.
«Castiel è così riservato» commentò lei, sorridendo, poi esclamò «Congratulazioni!» e «A quando le nozze?» chiese, l’imbarazzo ormai svanito. Dean si accigliò, e sbatté le palpebre, nozze? Matrimonio? Loro due? Oh cielo. Non era pronto ad una domanda del genere, cosa doveva rispondere?
«Beh vedremo» intervenne Castiel «Non ci abbiamo ancora pensato, perché viviamo lontano l’uno dall’altro» spiegò. Hannah sorrise e annuì, si congratulò ancora con loro e poi si congedò educatamente dalla coppia. Castiel si assicurò che ogni bambino fosse ritornato dai propri genitori, prima di allontanarsi da lì con Dean. Ancora non credeva che lui fosse andato fin lì per passare insieme il loro anniversario. Dean non era il tipo da fare gesti del genere, anzi, era decisamente il tipo che dimenticava anniversari, compleanni e ricorrenze varie, a parte l’anniversario della morte di sua madre, doveva esserci qualcosa sotto.
«Devi farti perdonare qualcosa?» chiese quando si trovarono in auto.
«No… perché lo pensi?»
«Beh, sei venuto fin qui e…» biascicò, Dean lo interruppe, sporgendosi verso di lui e premendo le sue labbra contro quelle di Castiel, esattamente come aveva pensato di fare, fin da quando lo aveva visto uscire da quella scuola.
«Sono venuto perché è il nostro anniversario, e non potevo pensare che tu lo passassi da solo qui, lontano da me» soffiò a pochi centimetri dalle sue labbra, sorridendo. Castiel si sciolse letteralmente sentendo quelle parole, non poteva negare che in cuor suo aveva sperato di poter vedere Dean per il loro anniversario, ma non lo aveva esternato ad alta voce, perché sapeva che Dean lavorasse tutti i giorni, e per lui fosse difficile prendere giorni di festa. L’appartamento di Castiel non era molto lontano dalla scuola, vi arrivarono in pochissimi minuti, Dean parcheggiò esattamente di fronte allo stabile, poi insieme a Castiel scese dall’auto e il moro lo portò nel suo piccolo appartamento, un po’ più piccolo della loro casa a Lawrence. Era un monolocale economico, con una piccola cucina, un bagno e una camera da letto.
«Dean, ma come hai fatto con il lavoro?»
«Sai, i giorni scorsi? Quando ho lavorato il fine settimana, notte e giorno? Senza nemmeno un giorno di pausa?» Castiel annuì, confuso «Beh, ho fatto dei turni extra, per poter prendere questa settimana di ferie, diciamo» disse, il moro spalancò gli occhi portandosi una mano davanti alla bocca «Volevo passare un po’ di tempo con te, Cas, e anche se dovrò aspettare che torni dal lavoro, non importa. Sarò qui con te questa settimana».
«Oh Dean!» esclamò buttandogli le braccia attorno al collo, in un gesto che lasciò totalmente stupito Dean, che sorrise stringendolo forte contro il proprio corpo. Inspirò l’odore dei suoi capelli, inebriandosi di esso, wow, meraviglioso – pensò «Grazie, Dean, questo è il regalo più bello che tu potessi farmi…» sussurrò con un singhiozzo intrappolato nella gola. Calde e lente lacrime di gioia bagnarono la maglietta di Dean, che strinse forte il più basso, dandogli piccoli e delicati baci tra i capelli «Mi manchi così tanto, tu non hai idea…» singhiozzò «Ogni giorno mi manchi come l’aria…»
«Ehi, non piangere, Cas…» sussurrò con il volto ancora tra i suoi capelli «Sono qui ora, sono qui…» disse piano rassicurandolo «Non andrò da nessuna parte» promise. Dean fingeva di non capire quando Cas si lamentava della distanza, faceva battute idiote e cercava di sdrammatizzare, ma sapeva perfettamente quanto soffrisse il ragazzo, lui stesso soffriva in modo indicibile, ma si diceva fosse una situazione temporanea, prima o poi sarebbero stati insieme.
«Grazie» sussurrò tra i singhiozzi, lasciandosi stringere dall’altro, Dean gli prese il volto tra le mani e lo baciò delicatamente a stampo. «Ti preparerò qualcosa di buono per stasera» disse, adesso sorridendo tra le lacrime «Sono così felice che tu sia qui, Dean, davvero», dopo aver detto queste parole, Castiel si fiondò sulle labbra di Dean, baciandolo con trasporto, prendendogli il volto tra le mani e stringendosi contro il suo corpo con forza. «Ti amo» mormorò contro la sua bocca, mentre Dean ricambiava il bacio con lo stesso trasporto e con i polpastrelli gli eliminava le lacrime dal volto. Santo cielo, quanto gli era mancato stringerlo così tra le braccia, due settimane senza vedersi erano troppe come il bisogno che avevano l’uno dell’altro tanto, quando Castiel si separò da lui, Dean emise un grugnito contrariato, il moro si rifugiò contro il suo petto e si lasciò cullare dal suo abbraccio, fino a che non si calmò del tutto. Quando Dean fece per baciarlo ancora, Castiel gli mise un dito sulle labbra e «Rilassati, abbiamo tutto il giorno, ti va di vedere la casa?» chiese sorridendo, l’altro emise un gemito di frustrazione e dannazione, Cas sapeva come farlo soffrire e torturarlo in modo dolce. Si ritrovò ad annuire e l’altro gli prese la mano, mostrandogli il piccolo appartamento che momentaneamente occupava; quando lo condusse nella sua camera, Dean spalancò gli occhi, l’aveva sempre vista dalla prospettiva di Cas, quando era seduto sul letto, e non l’aveva mai notato, ma sui muri Castiel aveva messo con dei piccoli chiodi tutte le loro fotografie. Era meraviglioso. Si ritrovò a scuotere la testa e a spingere con gentilezza Castiel verso il letto, facendolo cadere sopra. Lo baciò ancora con dolcezza e trasporto e lo strinse forte contro il suo corpo, non voleva altro, voleva solo tenerlo tra le braccia e inspirare il suo dolce profumo, Castiel intuì i suoi desideri, perché si lasciò stringere e coccolare, ne aveva davvero bisogno anche lui.
«Come stai, Dean?» gli chiese il moro, appoggiandosi al suo petto, accarezzandolo gentilmente.
«Sto bene, Cas» rispose «Cioè, mi manchi da morire, e mentirei se dicessi che è tutto meraviglioso come quando tu eri con me» spiegò «Ma sto bene, c’è sempre quella rottura di coglioni di mio fratello che mi ronza intorno».
«Tuo fratello è una persona fantastica, non saremo qui se non fosse stato per lui» gli ricordò il moro, sorridendo in modo dolce, dandogli un bacio sul mento, poi lo guardò negli occhi «Non ci credo ancora che tu sia qui».
«Già, volevo fare qualcosa di bello per te» disse semplicemente «Ho sbagliato?» chiese preoccupato. Che Cas non avesse apprezzato la visita? Che preferisse altro? Magari qualche bel libro inviato per posta?
«No, ma cosa dici?» chiese stupito «Non avrei voluto nient’altro che te al nostro anniversario, ed eccoti qui» lo rassicurò accarezzandolo «Solo non me lo aspettavo, a dire il vero, l’unica volta che mi hai fatto una sorpresa era il nostro primo anniversario ed eri totalmente nudo sul letto, con delle rose, ed è stato abbastanza imbarazzante» ricordò Castiel con il sorriso sulle labbra.
«Ho superato me stesso quella volta, ammettilo».
Castiel scoppiò a ridere e premette le proprie labbra contro quelle di Dean, sorridendo contro la sua bocca: «Onestamente, sono molto più felice ora, hai fatto un viaggio di tanti chilometri solo per me» mormorò a bassa voce, lasciandogli un bacio sul mento «Meriteresti un premio» disse suadente, stringendosi contro di lui «Ma più tardi».
«Sei sempre il solito» borbottò Dean divertito. Passarono il tempo su quel letto, a coccolarsi, a raccontarsi gli ultimi avvenimenti e tenendosi stretti l’uno all’altro, come se non volessero lasciarsi andare. Poi Castiel decise che era ora di cucinare e si alzò sorridendo al suo ragazzo e sparì oltre la porta della camera, dirigendosi in cucina.
Dean avrebbe passato ore ad osservare Castiel cucinare, il modo in cui scivolava tra i fornelli, il modo in cui canticchiava mentre preparava qualcosa e muoveva la spatola, il modo in cui sorrideva appena mentre sistemava le pietanze nei piatti. E poi cucinava divinamente – non lo diceva solo perché era il suo compagno, no – Dean non aveva mai mangiato niente di più buono delle pietanze cucinate da Cas – ricordava ancora il battibecco che aveva avuto con Jody quando le aveva detto che Cas era un ottimo cuoco, e che come preparava lui delle cose, le cose verdi non le preparava nessuno e lei si era infuriata, perché aveva passato anni a cercare di convincerlo e poi arriva Cas e lui mangia le verdure, le chiamavi cose verdi quando eri piccolo! – si sentiva letteralmente in paradiso, ogni volta che prendeva un boccone. Lo raggiunse e lo abbracciò da dietro, dandogli un bacio sulla nuca, Castiel borbottò qualcosa sul fatto che lo stesse distraendo, ma Dean fu più rapido, lo fece voltare verso di sé e catturò le sue proteste in un lungo e appassionato bacio. Cenarono insieme sulla piccola penisola nella cucina di Cas, guardandosi l’un l’altro con ardore e amore. Entrambi sapevano che avrebbero fatto poco, oltre a stare in quella casa, ad amarsi e a recuperare il tempo perso, avrebbero festeggiato il loro quarto anniversario in modo completamente anticonvenzionale. Dean non avrebbe potuto chiedere nulla di meglio che quello.
Quella sera dopo cena guardarono un film sul tablet di Castiel, distesi sul letto, con le gambe intrecciate, stretti l’uno all’altro, il moro aveva la testa appoggiata tra il collo e la scapola del suo compagno, il quale manteneva con una mano il tablet e con l’altra lo stringeva contro di sé, lasciandogli di tanto in tanto dei baci tra i capelli, tra i quali teneva infossato il naso; ad un tratto, Dean posò il tablet e iniziò a baciare lentamente il collo del suo compagno, lo fece distendere sul letto, baciandolo piano e dolcemente, iniziando pian piano a togliergli la felpa pesante e la t-shirt che portava sotto, gli baciò con calma il petto e il collo, senza fretta. Scese con gentilezza tra le sue gambe, sbottonandogli i pantaloni e glieli tolse con un solo gesto rapido, perché non poteva più aspettare, aveva desiderato troppo averlo di nuovo tra le braccia, stringerlo forte contro di sé, e fare l’amore con lui, che non riusciva a più resistere. Poi Castiel decise che anche lui ne aveva abbastanza di perdere tempo, e iniziò a spogliare a sua volta Dean. I loro gesti, dettati dalla passione e dalla voglia di appartenersi di nuovo, divennero confusionari e continuarono a baciarsi con passione.
«Cas» riuscì a dire Dean, nel turbine della passione, una cosa era chiara nella sua mente.
«Dean» gemette l’altro sorridendo. Il più alto si lasciò scivolare sotto il suo compagno e lo guardò negli occhi, a Castiel bastò quello per capire cosa volesse fare Dean, e sorrise dolcemente «Dean, ne sei sicuro?» chiese apprensivo accarezzandogli il volto con dei gesti gentili e affettuosi.
«Mai stato più sicuro» disse sorridendo «Sono tuo».
«Mi prenderò cura di te» promise in un sussurro Castiel, dandogli un bacio sul petto all’altezza del cuore.
«Lo fai sempre» sussurrò Dean; l’altro gli sorrise e il mondo in quel preciso istante parve fermarsi. Fecero l’amore, come se fosse stata la loro prima volta, tra le coperte fresche di Castiel, stringendosi forte, senza volersi mai più lasciare andare, lasciando scorrere l’amore profondo che provavano tra di loro come un fiume in piena; poteva sembrare un atto insignificante quello, soprattutto in una coppia stabile e duratura come la loro, ma per Dean aveva un significato più profondo, in quel modo, si stava concedendo completamente alla sua persona, e mai in vita sua l’aveva fatto. Con Castiel, semplicemente si sentiva sicuro di ogni cosa, con Castiel poteva affrontare tutto, e ora che sembrava che i suoi problemi fossero stati accantonati, per permettergli di vivere una nuova vita, era pronto a darsi totalmente a lui, senza alcuna remora. Dopo quel periodo orribile, della droga e dell’alcool e del sesso frenato, aveva promesso a se stesso che se si fosse concesso a qualcuno, lo avrebbe fatto solo per puro amore. Non aveva mai creduto di meritarlo, fino a che non aveva incontrato Castiel e aveva rimesso a posto ogni piccolo pezzo distrutto della sua anima.
«Ti amo» confessò ansimando, dopo che entrambi ebbero raggiunto l’apice del piacere, sebbene facesse freddo erano sudati e accaldati, e quando sentì l’altro tremare appena per l’emozione e un po’ per il freddo che provava, lo strinse forte, facendo combaciare i loro petti «Ti amo, Cas».
Il moro sorrise e alzò lo sguardo verso l’altro, i suoi occhi erano limpidi, azzurri come il mare, sembravano leggergli l’anima e Dean poteva specchiarsi in essi, tant’erano puri: «Ti amo anch’io, Dean», sussurrò sulle sue labbra, dandogli un delicato bacio a stampo, si coccolarono a lungo e Cas si addormentò con il volto premuto contro il petto di Dean, stringendogli un braccio attorno ai fianchi, come se temesse che il suo compagno potesse sparire da un momento all’altro.
 
La settimana era passata troppo in fretta, e Dean aveva già ricevuto mille telefonate dal suo datore di lavoro, che gli ricordava ciò che c’era da fare nei giorni seguenti e il ragazzo avrebbe solo voluto restare ancora una notte tra le braccia del suo compagno, dopo aver fatto l’amore. Era andato a prenderlo al lavoro ogni giorno, aveva fatto amicizia con alcuni dei suoi colleghi – dei quali era profondamente geloso, , anche delle donne – e si era dimostrato la persona più attenta e dolce che una persona potesse immaginare di conoscere. Spesso aveva fatto trovare la cena pronta a Cas anche se tra i due non era lui quello bravo in cucina, altre lo aveva portato a cena fuori. Era stato così bene, da desiderare di non voler mai più andare via da lì, e se non fosse stato per il lavoro, sarebbe davvero rimasto con lui.
Era l’ultima notte, Dean sarebbe dovuto partire all’alba del giorno seguente, ma non riusciva a dormire, voleva osservare Cas ancora, imprimere bene nella sua mente l’immagine del suo volto rilassato e del suo petto che si alzava e abbassava lentamente.
«Dean» mormorò voltandosi verso di lui, trovandosi faccia a faccia con lui, percepiva che ci fosse qualcosa che non andava, lo conosceva fin troppo bene «Che succede?» chiese accarezzandogli il volto con delicatezza.
«Niente, Cas, è che non voglio partire» disse, guardandolo negli occhi, lesse lo stesso desiderio negli occhi del compagno. Neanche lui voleva separarsi di nuovo, era qualcosa che faceva male ad entrambi.
«Lo so, Dean» disse senza smettere di accarezzargli il volto «Ho fatto richiesta per il trasferimento, sai… potrebbero mandarmi in qualche asilo a Lawrence, quando ci sarà la possibilità» gli occhi di Dean si illuminarono e non credeva alle sue orecchie, c’era la possibilità che Cas tornasse da lui?
«Non ne abbiamo mai parlato» disse Dean guardandolo «Ma potrei cercare qualcosa qui. Qualcuno avrà bisogno di un bravo meccanico» scherzò, Castiel lo guardò male e contrariato, sapeva quanto Dean tenesse alla sua famiglia, e un possibile allontanamento da loro avrebbe potuto farlo star male, e non voleva.
«Dean, non voglio che tu faccia sacrifici per me» disse seriamente «Se poi un giorno ti pentissi e odiassi me per averti costretto ad una scelta del genere, come allontanarti dai tuoi familiari?» chiese, andando leggermente in paranoia «Se un giorno litigassimo e mi rinfacciassi questo? Non voglio…» mormorò scuotendo la testa.
«Cas, calmati» lo rassicurò il ragazzo, prendendogli il volto tra le mani, di nuovo «Non potrei mai odiarti e rinunciare a un odioso posto di merda per venire da te, sarebbe il massimo per me. E lo sai, Sam sarebbe felice se io fossi felice al tuo fianco, non fa che ripetermi quanto sia un idiota a starti ancora lontano. So che ho detto spesso che era un azzardo lasciare il posto in cui lavoro da anni, ma… per te, lo farei. Per te, farei un salto nel vuoto. So che ci ho messo davvero tanto a capirlo, ma lo sai, a volte…» Castiel lo interruppe, baciandolo con trasporto, perché quando Dean apriva il suo cuore in quel modo, tutto il mondo di Castiel si illuminava e prendeva una forma diversa e armoniosa. Lo rendeva la persona più felice del pianeta solo con quelle poche parole o piccoli gesti.
«Questo bacio significa che vuoi che venga qui?» chiese.
«Significa che voglio vivere insieme a te, ma non rischieremo con salti nel nulla, okay, Dean?» gli chiese «Andrà tutto bene, riusciremo ad essere felici, insieme, come vogliamo, ma dobbiamo valutare bene ogni cosa».
«Riesci sempre a dire le cose giuste» disse, sorridendo e affondando il volto contro il suo collo, soffiando leggermente contro la sua pelle ancora accaldata dalla passione travolgente che li aveva coinvolti poco prima, strofinò il naso contro la sua spalla, lasciandoci un leggero bacio sopra. Castiel gli accarezzò i capelli con dolcezza e sorrise anche lui, Dean non sapeva come Castiel riuscisse sempre a dire la cosa giusta per farlo stare bene, la cosa giusta per farlo ragionare, l’importante era che lo facesse ragionare, sempre per il verso giusto «Faremo come dici tu».
«Fa male anche a me, Dean» confessò Castiel «Ma dobbiamo essere più forti noi».
«Immagino tu abbia ragione» soffiò, ammettendo che si stava lasciando trasportare dal momento, aveva assaporato per la prima volta la vita di coppia che avevano progettato lui e Cas e per una settimana intera non aveva avuto alcun problema se non dover andare a prendere Cas e dover aspettare minuti interi che finisse di raccomandarsi con i bambini, o che commentasse determinate cose con i suoi colleghi, o che sorridesse in quel modo che era solo suo a quegli idioti che gli ronzavano intorno, la gelosia, forse era stato il suo unico problema, ma ci stava lavorando.
«Io ho sempre ragione, Winchester» scherzò lui, ridacchiando, baciandolo ancora una volta. Poi si lasciò scivolare accanto al suo compagno, e lo strinse in un abbraccio confortevole, che sapeva di casa e amore e disse: «Saremo felici come meritiamo, Dean, perché, ascolta me, noi, io e te, lo meritiamo, entrambi». Dean sapeva perché avesse sottolineato più volte noi, io e te, perché non voleva che lui pensasse di non meritarlo, solo perché avevano avuto quel piccolo inconveniente della distanza, non avrebbero mai potuto immaginare un risvolto simile. Dean però annuì e sorrise, perché sapeva che Cas avesse ragione, perché sapeva, in fondo, un po’ di meritarlo. Anche Sam glielo diceva spesso, meritava di essere felice dopo tutti i disastri e i traumi che aveva avuto. Dopo tantissimi anni, Dean aveva capito di meritarlo anche lui, che non era poi così sbagliato essere felici. Si rigirò nel letto accanto a Castiel, e lo strinse forte, anche se ormai erano le tre del mattino e lui in poche ore sarebbe dovuto ripartire. Con il capo appoggiato sul suo sterno, cullato dai suoi respiri e battiti del cuore, Castiel scivolò placidamente nel sonno, dopo aver baciato ancora una volta Dean, che, dopo un momento di riflessione e di insicurezza, rise, guardando il soffitto, rendendosi conto che quello, nonostante tutti i problemi e le sventure, nonostante gli stati che li dividevano e la distanza fisica, era esattamente ciò che aveva sempre desiderato. Si addormentò anche lui, stretto al corpo del suo compagno, facendogli la muta promessa, che presto sarebbero stati di nuovo uniti e non si sarebbero dovuti separare più.
Dean partì quattro ore dopo, alle sette in punto, dopo aver fatto colazione con il suo compagno, che la sera prima gli aveva preparato il pranzo per il viaggio e che per l’occasione gli aveva rubato due maglie e una felpa, perché così posso sentire il tuo profumo quando non ci sei – Dean aveva perso il conto di quanti indumenti gli avesse rubato Cas.
Castiel lo salutò con un lungo bacio e una singola lacrima scivolò fuori dai suoi occhi, lacrima che fu prontamente bloccata da Dean, che l’asciugò con le labbra, e la promessa che sarebbe tornato presto. Il moro si aggrappò al suo collo, sperando che non andasse via, che non partisse, che restasse lì con lui ancora un po’, perché sapeva che gli sarebbe mancato troppo e le sole telefonate non sarebbero bastate per un’intera settimana.
«Non piangere, Cas» sussurrò «Tra poco ci saranno le vacanze natalizie, no?»
Castiel annuì, e si strinse maggiormente al più grande, affondando il volto contro la sua spalla, ci sarebbero state le vacanze di Natale e loro sarebbero stati impegnati con i loro familiari, avrebbero passato molto tempo insieme, nel loro appartamento, forse avrebbero anche preparato i biscotti e dolci vari come piaceva a lui, mentre Dean rubava l’impasto o faceva disastri per tutta la cucina con la farina e il burro. Si ritrovò a sorridere contro la spalla del più alto.
Si scambiarono un altro dolce bacio, prima di salutarsi definitivamente, prima che Dean entrasse in auto e mettesse in moto. Castiel si sporse verso il finestrino, con l’aria di chi aveva qualcosa da dire, e il biondo abbassò il finestrino guardandolo dritto negli occhi, Castiel non gli fece domandare nulla, premette le labbra contro le sue e: «Chiama appena arrivi» disse preoccupato.
«Sì, mammina» promise. Poi mise in moto l’auto e si mise in viaggio verso casa, allontanandosi da Castiel, sentendo che in tutto quello c’era qualcosa di profondamente sbagliato.
Presto – si disse Dean – presto vivremo insieme come sogniamo, amore mio.
 
Sei mesi dopo, maggio 2020
Quella mattina di maggio, Castiel avrebbe solo voluto distruggere tutto ciò che trovava sulla sua strada, perché non era possibile che gli avessero rifiutato di nuovo il trasferimento, Riprovi tra un anno, Novak – gli aveva detto quella stronza della direttrice, perché al momento non possiamo autorizzare nessun trasferimento. Non lo aveva detto a Dean, perché non voleva che si preoccupasse o qualcosa del genere, ma era di pessimo umore e davvero aveva solo voglia di gettarsi tra le braccia del suo compagno e calmarsi, ma ovviamente non poteva, perché erano distanti infiniti chilometri e lo erano da troppo tempo, e lui era uno che di pazienza ne aveva fin troppa, ma quel giorno no. Era di pessimo umore, e se ne accorsero anche i bambini della sua classe, che per tutto il tempo non fiatarono ed eseguirono tutte le attività come bravi alunni, solo una bambina, verso metà giornata, si avvicinò a lui con un disegno che ritraeva un sole enorme che sorrideva, e «Maestro, sei tu!» aveva detto. Quel piccolo gesto aveva disteso un po’ i nervi di Castiel, che l’aveva ringraziata e aveva attaccato il disegno alla parete della classe con del nastro adesivo. Il suo umore era migliorato ancora di più quando la sua collega, Hannah, lo aveva preso da parte e gli aveva detto di aspettare un bambino, che lei e il suo fidanzato si sarebbero sposati quell’estate e che sarebbe stata felice se lui e Dean avessero partecipato alla festa. Castiel le sorrise in modo dolce, e le promise che ne avrebbe parlato con il suo compagno. Quando era tornato a casa, si era gettato sul letto, stanco, e aveva fissato le foto sue e di Dean, erano quattro anni e mezzo che stavano insieme, e si chiese come sarebbe stata una vita insieme a lui, come sarebbe stato sposarsi e mettere su famiglia. Non ne avevano parlato ancora perché avevano l’enorme problema della distanza che li divideva, ed era qualcosa che nessuno dei due riusciva a sopportare, soprattutto lui. Forse poteva usare come pretesto il futuro matrimonio di Hannah, per parlare del loro futuro, non gli avrebbe mai chiesto di stravolgere la sua vita per lui, ma a volte, egoisticamente, sperava che Dean si presentasse fuori casa sua con la valigia e gli dicesse che non sarebbe più andato via. Controllò l’orario e si disse che Dean era libero a quell’ora del pomeriggio, così gli telefonò sperando che gli facesse passare del tutto il malumore.
«Ehi Cas!» rispose dopo qualche squillo, Castiel sentì immediatamente il cuore più leggero, ogni volta che parlava con Dean e sentiva la sua voce era così, Dean era in grado di calmarlo come nessun altro.
«Ehi Dean» lo salutò con il tono triste «Come stai?»
«Io sto bene, ma tu? Che hai? Sei triste? Perché sei giù di morale?» chiese a ripetizione, senza respirare tra una domanda e l’altra, preoccupato a causa del suo tono. Castiel sorrise timidamente, perché era dolce che Dean si preoccupasse per lui ogni volta che sentiva il suo tono giù di morale. Era assurdo come si capissero bene loro.
«Al lavoro è stata una giornata un po’ stressante» disse restando vago «Sono solo molto stanco» mentì, perché dirgli del trasferimento mancato sarebbe stato peggio «Volevo solo sentire la tua voce».
«Oh Cas, che romantico» mormorò con la voce sognante «Ti va di parlarmene?» chiese.
«No, davvero, sono stupidaggini, pensa che una bambina mi ha regalato un disegno con un sole sorridente e ha detto che quello rappresentava me, mi ha fatto sentire un po’ meglio».
«La tua alunna è davvero tenera! Sicuro di non volerne parlare? Sono qui se vuoi» insistette, Castiel gli disse ancora una volta di stare bene, e che gli sarebbe passato presto «Va bene, Cas, come vuoi» gli concesse.
«Ti ho chiamato per dirti un’altra cosa, in realtà» disse «Ti ricordi di Hannah? La mia collega?» chiese.
«Quella che ti faceva gli occhi dolci? Certo che me la ricordo, ci ha provato con te?»
«Sei un idiota» borbottò, sorridendo leggermente, la gelosia di Dean era divertente «Guarda che lei è felicemente fidanzata e aspetta un bambino» spiegò «Ci ha invitati al suo matrimonio, in realtà».
«Ah. Wow, e io che ero geloso di lei» ridacchiò «E tu vuoi andare a questo matrimonio?»
«In realtà, sì. Vorrei davvero andarci, Dean».
«Okay, verrò con te. Dopo aver sopportato la festa di laurea di Michael e quella di Gabriel posso sopportare tutto» disse divertito, Castiel emise anche lui una leggera risata. Dean era così accomodante con lui, non gli diceva mai di no.
«Grazie, Dean» disse sollevato «Ti rendi conto? Mettono su famiglia… immagini quanto sarebbe bello?» chiese.
«Per noi?»
«Beh… non ci pensi mai? Sposarci, avere dei figli…»
«No. Castiel, no». Lo aveva chiamato Castiel, Dean non lo chiamava mai con il nome intero, a meno che non si trattasse di qualcosa di estremamente serio.
«Dean, era solo un’ipotesi, stiamo insieme da quattro anni e mezzo e pensavo…»
«No. Andiamo, no! È assurdo! Non ci sposeremo, Castiel! Stiamo bene così, no? Siamo felici lo stesso, perché dobbiamo complicare tutto con il matrimonio?» okay, Dean stava alzando la voce e quella telefonata stava prendendo una piega decisamente sbagliata, e non sapeva dove avesse sbagliato, inoltre sentiva il suo cuore schiacciato da un macigno. In fondo, lui e Dean avevano progettato per un anno di andare a vivere insieme, di convivere, la convivenza non portava al matrimonio e alla famiglia? Castiel pensava di sì, Dean evidentemente no. Cosa stava succedendo?
«Dean…»
«No, non insistere, Castiel, non ci sposeremo e non metteremo su famiglia, si era parlato di cani e gatti, non di bambini!» esclamò arrabbiato. Il moro stringeva il telefono nella mano tremante, perché era stata una giornataccia e Dean non faceva che peggiorare la situazione, senza rendersene conto. Smettila, ti prego, smettila…
«Dean, io non volevo farti arrabbiare, io…» balbettò con il cuore in gola.
«Non ci sposeremo mai, chiaro? Mai. Fine della discussione». Castiel deglutì e trattenne un singhiozzo, perché pensava che sentire Dean potesse farlo sentire meglio, invece stava solo peggiorando la situazione, e non capiva perché l’altro fosse così arrabbiato e gli stesse vomitando contro tutte quelle cattiverie, gli stava spezzando il cuore e non se ne rendeva nemmeno conto. Sentiva gli occhi pungere, perché sentire la persona con cui avrebbe voluto vivere felice per il resto della sua vita, e mettere su famiglia, dirgli categoricamente no, faceva male, davvero troppo.
«Sei un fottutissimo stronzo, Dean Winchester!» esclamò, incollerito anche lui, chiudendogli il telefono in faccia. Si morse le labbra nervosamente, scuotendo la testa, perché odiava litigare con Dean, soprattutto quando le sue giornate erano davvero pessime. Si lasciò scivolare nel letto e chiuse gli occhi, lasciando scorrere le lacrime sul volto. Non si sentiva così male e deluso da quando Dean lo aveva lasciato con una lettera anni prima. Perché era sempre Dean a ferirlo così nel profondo?
 
Era primavera inoltrata, ma Dean sentiva l’inverno dentro di sé. Il brusco litigio telefonico con Castiel, riguardo il loro futuro e la loro famiglia, lo aveva destabilizzato, sapeva di essere un idiota, ma quando Cas aveva detto che sarebbe stato bello mettere su famiglia, Dean era andato letteralmente nel panico, e aveva detto all’altro che non lo avrebbero mai fatto. Non ne avevano mai parlato esplicitamente, perché Dean sapeva che lui non sarebbe stato mai un buon padre, nonostante tutto, aveva gli stessi geni di John, e temeva che se mai avesse avuto un figlio gli avrebbe fatto del male. Dean era entrato in modalità paranoia e aveva discusso pesantemente con Cas, l’aveva sentito trattenere un singhiozzo e gli dispiaceva, ma ciò non lo aveva fermato dall’arrabbiarsi e urlare attraverso il telefono; sapeva che il suo atteggiamento fosse stupido e insensato, ma quelle non erano cose facili da affrontare per lui, soprattutto per telefono; ma non avevano altro modo per farlo, vista la loro distanza. Castiel gli aveva chiuso il telefono in faccia, dopo averlo insultato e non si era fatto più sentire. Non lo sentì per diversi giorni, durante i quali interrogò Bobby, che gli disse di smetterla di fare l’idiota, Sam che avallò il padre adottivo, e poi ne parlò con Jody, sperando che, lei forse da donna, potesse consigliargli qualcosa di migliore, ma la donna confermò le parole degli altri due, dicendogli di smetterla di avere paura e vivere la sua vita. Se voleva rendere felice Castiel, niente avrebbe dovuto fermarlo, e doveva smetterla di avere paura di se stesso. Così Dean fece l’unica cosa sensata che gli venne in mente, si mise in auto e guidò fino al cimitero di Lawrence, non aveva mai perso l’abitudine di andare lì, prima di prendere una decisione importante. E lì mentre calpestava l’erba davanti alla tomba di sua madre, e cambiava i fiori secchi, si rese conto che la sua famiglia avesse ragione, doveva smetterla di essere un idiota e comportarsi da uomo.
Cosa desiderava lui? Rendere felice Castiel.
E Castiel cosa desiderava? Avere una famiglia, probabilmente con lui.
Ne sarebbe stato in grado? Forse, ma nessuno era perfetto, dopo qualche istante di riflessione si ritrovò a sorridere pensando a un bambino con gli stessi occhi di Castiel o i suoi capelli scuri e morbidi, sorrise al pensiero di vederlo correre per la casa, combinare guai, e sì, lui sarebbe stato il padre che lo avrebbe viziato e probabilmente gli avrebbe dato man forte per rendere la vita dell’altro padre impossibile, mentre Castiel sarebbe stato quello più severo, ma dolce. Riusciva a vedere già Castiel in piedi davanti ad una culla con un libro tra le mani che leggeva favole al presunto bambino, e loro due che tinteggiavano la sua cameretta d’azzurro con le nuvole bianche. Aveva davvero litigato con Castiel per questo? Era semplicemente la cosa più bella che potesse immaginare, o anche sognare. Immaginava anche Sam che portava il bambino in libreria, suo fratello e Castiel che gli insegnavano quali film guardare, e lui che gli faceva ascoltare buona musica e già lo immaginava a diciotto anni con la sua auto. No, forse la sua auto non gliel’avrebbe concessa prima dei trent’anni. Se fosse stata una bambina, allora sarebbe stato il papà protettivo e geloso, le avrebbe insegnato ogni cosa, avrebbe chiesto aiuto a Jody per aiutarla, e sapeva che maschio o femmina, avrebbe voluto bene al loro bambino. Immaginò se stesso e Castiel, anziani, sul portico di una casa a due piani, Castiel faceva le parole crociate, mentre lui lo prendeva in giro come suo solito e ridevano insieme, come due ragazzini. Come aveva potuto litigare con Castiel, senza figurarsi questo nella mente? Sì, sapeva essere un vero idiota a volte. Poi la sua mente tornò a quando aveva quattro anni e John uccise sua madre, e si disse che no, non avrebbe mai fatto del male a Castiel, o a un loro bambino, perché lui non era quel tipo di uomo, lui non era John, Sam gliel’aveva detto tantissime volte, ma non vi aveva mai creduto, quando lo realizzò, un sorriso enorme spuntò sulle sue labbra. Sicuramente avrebbe fatto degli errori, sicuramente non sarebbe stato sempre tutto perfetto, ma era umano, erano cose di comune amministrazione per gli umani. Sorrise guardando la tomba di sua madre e annuì, sicuro, quella forse era la decisione più difficile, ma anche la migliore che avesse mai dovuto prendere. Sentì il cuore leggero, non appena realizzò a cosa sarebbe andato incontro e no, non sarò mai come John, non farò i suoi errori e non farò del male a Cas o ai miei figli – si disse nuovamente. Non avrebbe permesso a quel mostro di fargli ancora del male, non dopo così tanti anni e dopo tutto il lavoro che la sua famiglia e Cas avevano fatto con lui, e non avrebbe permesso nemmeno al seme del dubbio di minare ciò che aveva costruito con Castiel.
«Ti prego, mamma, aiutami a non essere come lui» pregò a bassa voce, quando improvvisamente sentì un leggero vento solleticargli la nuca, gli sembrò di sentirla accanto a sé, sorrise e «Grazie mamma» disse, accarezzando la foto, lasciandole un delicato bacio sopra, come se lei fosse stata lì e gli avesse detto che poteva farlo, poteva essere felice, perché, in fondo, lo meritava. Poi uscì dal cimitero, chiamò Sam e gli disse urgentemente di raggiungerlo più in fretta possibile, perché avevano una missione da compiere: trovare l’anello perfetto per Cas. Voleva rendere quella visione della sua mente reale, voleva realizzare tutto in fretta. Prima che lui e Cas litigassero a causa della sua testa di cazzo, aveva pianificato di fargli una sorpresa, aveva parlato con Bobby, qualche settimana prima, il quale gli aveva dato l’autorizzazione di aprire un’officina a Milwaukee e trasferirsi da lui lì, ma poi aveva rovinato tutto quando si era arrabbiato in quel modo. A volte credeva di avere dei seri problemi. Castiel non aveva più parlato di quel trasferimento, ed era certo che in qualche modo lo avevano rifiutato o non lo avevano ancora preso in considerazione, perché altrimenti Cas gliel’avrebbe detto. E se Cas non tornava a Lawrence, beh, Dean poteva trasferirsi a Milwaukee da lui. Quando Sam lo raggiunse e gli chiese: «Ti sei deciso?» Dean annuì sorridendo, e insieme al fratello, dopo aver scritto un messaggio di scuse a Castiel – perché non voleva che fosse arrabbiato ancora con lui – girò per tutte le gioiellerie della città, alla ricerca dell’anello perfetto, fino a che non lo trovò, era una semplice fedina d’argento, sottile, semplice e pura come il suo Cas. Sorrise a suo fratello, complice, perché stava per fare un grande passo. E ne era felice da un lato, e terrorizzato dall’altro.
«Dean» lo chiamò il minore, sorridendo, erano in auto, Dean aveva da poco parcheggiato sotto casa, e Sam lo guardava con lo sguardo carico d’orgoglio e fierezza.
«Sì, Sammy?»
«La smetterai mai di chiamarmi così?» chiese esasperato.
«Mai, tu sarai sempre Sammy per me» rispose il maggiore con un sorriso «Dai dimmi».
Sam ridacchiò, scuotendo la testa, , suo fratello stava decisamente bene e poi: «Sono fiero di avere te come fratello» confessò, spiazzando il fratello. Dean sorrise leggermente e poi di slancio abbracciò il fratello, ringraziandolo, perché sì, avevano delle incomprensioni, spesso litigavano, ma sapevano che ci sarebbero sempre stati l’uno per l’altro, costantemente, senza remore, senza timori, anche se fossero stati lontani chilometri – Sam si era laureato da qualche settimana con il massimo dei voti e stava per volare in uno studio legale di Los Angeles, presso cui aveva vinto uno stage, stracciando la concorrenza. Dean non sarebbe potuto essere più orgoglioso di lui e dell’uomo che era diventato,  non era più il ragazzino spaventato e triste, o il bambino che aveva bisogno del maggiore per imparare le cose. No, Sam si apprestava a diventare un avvocato, aveva fatto delle sue esperienze negative il suo punto di forza, ed era diventato una persona che Dean stimava, ammirava e a cui voleva davvero un bene infinito, ma non gliel’avrebbe detto a voce.
«Io sono fiero di te, Sammy» gli disse battendogli una mano sulla schiena, strappando un sorriso al minore, che affondò il volto contro la spalla del maggiore. Si abbracciarono a lungo, poi Sam fece una battutaccia sul fatto che Dean stesse per mettere su famiglia e su come avrebbe educato i suoi nipoti, e semplicemente Dean gli colpì una spalla, insultandolo velatamente. Sam rise, non sarebbero cambiati mai, questo era certo.
 
Castiel arrivò il fine settimana successivo – perché ho dei corsi d’aggiornamento, Dean – ma il biondo sapeva che fosse arrabbiato con lui ancora per la discussione che avevano avuto e non volesse incontrarlo. Seppe aspettare, perché aveva organizzato tutto e non voleva fallire quella volta. Doveva prima di tutto far pace con Castiel, dopo il messaggio che gli aveva inviato, si erano sentiti, ma il suo compagno era rimasto molto freddo e distaccato nei suoi confronti, e Dean non poteva biasimarlo, non sapeva cosa avesse in mente. Come al solito andò a prenderlo alla stazione ferroviaria di Lawrence, Cas si era sempre rifiutato di prendere la patente perché diceva di essere troppo ansioso per guidare, e non voleva rischiare che le persone lo odiassero perché si fermava ad ogni incrocio e faceva passare tutti. Dean aveva riso tantissimo la prima volta che lo aveva visto al volante – una sola volta aveva sfidato Cas a provare a guidare, e solo il mettere in moto era stato traumatico per il moro, e Dean, Dean ti prego, non voglio! – aveva esclamato quando, dopo aver girato la chiave, quasi si era andato a schiantare con il muro dietro all’auto, perché aveva messo la retromarcia invece della prima marcia.
Aspettò al solito binario che il treno arrivasse in stazione, e quando lo vide scendere con la sua ventiquattr’ore, il solito trench che ondeggiava ai suoi piedi, e l’aria perennemente smarrita, sentì il cuore leggero come se lo vedesse per la prima volta. Si avvicinò a Castiel che si guardava intorno, alla ricerca del suo compagno.
«Ehi, straniero!» lo chiamò Dean, a qualche metro da lui, Castiel alzò lo sguardo e gli corse incontro, saltandogli al collo e abbracciandolo forte «Mi sei mancato anche tu, Cas» gli disse, stringendolo contro di sé.
«Sono stato intrattabile ultimamente» gli disse Castiel sospirando, Dean stava per interromperlo e dirgli che non fosse colpa sua, ma Castiel continuò a scusarsi «Ma il lavoro è stato stressante, volevo solo tornare da te, ma mi hanno trattenuto, e poi quando abbiamo litigato, mi avevano rifiutato il trasferimento e-e ero arrabbiato con il mondo, non volevo arrabbiarmi con te» disse, abbassando la testa contro la spalla del biondo, che lo strinse un po’ di più. Cercò di confortarlo come poteva, perché non poteva ancora dirgli che non era necessario il suo trasferimento, perché la sua intenzione era trasferirsi da lui, aveva già organizzato tutto, doveva solo… fare quel piccolo passo in avanti, solo quel piccolo tuffo nel vuoto e cominciare una nuova vita, ma non aveva paura stavolta, stavolta era sicuro di sé e di quello che voleva.
«Sta tranquillo, Cas, si risolverà tutto» gli disse sorridendo, dandogli un leggero bacio sulla guancia «Andiamo, voglio portarti in un posto» continuò, togliendogli la valigia dalle mani, prendendola lui. Cas sorrise a quella premura, e lasciò la sua mano scivolare lungo il braccio di Dean, fino ad arrivare alla sua e intrecciare le dita con quelle del compagno.
«Okay, andiamo» accettò l’altro, stringendogli la mano. Lo condusse verso la sua auto, senza smettere di sorridere, era certo di sorprendere Cas, di farlo felice, quella volta ne era certo, voleva solo renderlo felice, come lo aveva reso lui, fin da quando si erano incontrati. Entrarono insieme in auto e Dean si mise alla guida, portandolo verso il cimitero di Lawrence, Castiel capì che c’era qualcosa di importante in ballo, perché Dean in tanti anni, non aveva mai voluto condividere con lui quel luogo, ci erano andati una sola volta insieme, due anni prima, ad un anniversario della morte della madre di Dean, ma Castiel aveva dovuto aspettare fuori, e aveva rispettato i desideri dell’altro; quindi se lo stava portando lì era per condividere qualcosa di importante con lui? Qual era il motivo per cui lo portava lì? In completo silenzio uscirono dall’auto e Dean lo guidò fino alla tomba di sua madre, restando ancora in completo silenzio. Dean, come se fosse un gesto automatico, prese un fiore da una pianta e lo pose sulla lapide della madre, facendo un mezzo sorriso. Castiel lo guardò assorto per qualche istante, poi gli strinse forte la mano, in un muto gesto di conforto, sapeva quanto fosse doloroso per lui andare in quel luogo.
«Ti somiglia molto» disse Castiel, osservando la foto della madre di Dean, l’altro arrossì di botto, annuendo «Era davvero molto bella, Dean» mormorò, guardandolo con un tenero sorriso, lui si sciolse davanti a quel sorriso e si disse che era giunto il momento, così gli strinse forte la mano, in cerca di un po’ di coraggio, era arrivato fin lì, perché ora si sentiva roso dalla paura? O forse era solo ansia da prestazione?
«Cas» esordì, in difficoltà «So che non è il luogo più romantico questo, ma… per me è importante» disse lentamente, scostandosi leggermente da lui «Sono sempre venuto qui per cose negative, quando John uccise mia madre venivo qui per cercare di eliminare il senso di colpa, quando John mi picchiava venivo qui per scappare, quando Sam si è quasi ucciso venivo qui a pregarla di aiutarmi ad essere migliore» continuò «Quando abbiamo litigato, sono venuto qui, per chiederle aiuto a risolvere le cose, e diciamo che mi ha aiutato» Castiel non parlava, quasi in contemplazione delle parole che il suo compagno gli stava dicendo, sembrava qualcosa di importante «Quindi oggi voglio fare qui per la prima volta una cosa positiva» disse, alzando lo sguardo sul moro «Cas, io so di non essere perfetto, ho tanti di quei difetti che sono difficili da elencare, e ho tante incertezze» sospirò, «E l’unica certezza che ho, sei tu, so che con te accanto non devo avere paura di nulla»  mise una mano in tasca, sentendo la scatolina di velluto sotto le dita, rilassandosi appena «Abbiamo litigato, due settimane fa, perché… beh, avevo paura di fare un certo passo, perché avevo il terrore di essere come John» disse ancora «Ma ho finalmente realizzato che non potrei mai esserlo, perché non farei mai vivere a nessuno ciò che lui ha fatto vivere a me» confessò, poi finalmente si inginocchiò «Cas, tu sei stato come un faro nell’oscurità per me, mi hai salvato da me stesso quando stavo andando alla deriva, e io continuo a ferirti senza motivo» disse, guardandolo, non aveva mai aperto il suo cuore in quel modo e la cosa lo faceva sentire strano «Ho capito che l’unica cosa che desidero nella mia vita, è renderti felice» spiegò, mentre il suo compagno spalancava gli occhi stupito «Ho intenzione di iniziare a farlo fin da adesso, se tu vorrai». Aveva scelto quel luogo simbolico per lui, perché voleva che in qualche modo anche sua madre vedesse quanto era felice e quanto era diverso dal ragazzino che si incolpava di tutto, Castiel lo aveva reso una persona migliore, e voleva dimostrarglielo lì, in quel momento, davanti alla tomba di sua madre, forse si sarebbe sentito sempre un po’ in colpa, ma in fondo sapeva che gli sarebbe bastato parlarne con Cas e tutto si sarebbe risolto «Castiel Novak, vuoi sposarmi?» chiese, quasi solenne, prendendo l’anello dalla tasca della giacca. Castiel aveva gli occhi spalancati, le lacrime agli occhi e si copriva la bocca, spalancata in un’espressione completamente di puro stupore, con le mani, senza riuscire a reagire. Dean glielo aveva chiesto davvero? «So che non è il luogo più consono per chiederlo, ma…» Castiel si lasciò cadere sulle ginocchia, davanti a Dean, e gli mise le braccia attorno al collo, sorridendo in modo travolgente, guardandolo dritto negli occhi.
«Invece è perfetto» disse, baciandolo con trasporto. Dean ricambiò il bacio stringendolo forte contro di sé, sorridendo contro la sua bocca, sperando che sua madre, dovunque fosse, fosse orgogliosa di lui.
«Lo prendo come un sì?»
«Sarebbe un onore per me, essere tuo marito, Dean Winchester» rispose Cas sulle sue labbra, prima di baciarlo ancora. Dean giurò a se stesso di star per esplodere di felicità. Poteva esistere una sensazione migliore? Poi vide Cas diventare dubbioso, e il suo sguardo felice si spense immediatamente, perché? «Ma… come faremo? Viviamo ancora lontani… e mi hanno rifiutato il trasferimento…» borbottò intristito, puntando lo sguardo oltre la sua spalla. Dean non resisteva più, non poteva più guardare Cas con quell’espressione triste per nemmeno un secondo in più.
«Cas?»  lo chiamò trattenendo un sorriso beffardo.
«Mmh?» Cas puntò lo sguardo in quello di Dean, scorgendo una certa punta di furbizia che lo contraddistingueva quando voleva fargli qualche sorpresa, o dirgli qualsiasi cosa bella per loro.
«Mi trasferisco da te a Milwaukee» disse prendendogli il viso tra le mani, appoggiando la fronte contro la sua, guardandolo dritto negli occhi «Aprirò un’officina tutta mia, una, diciamo, filiale di quella di Bobby e lavorerò lì. Ho già trovato il locale da affittare». Castiel quasi urlò di gioia, ridendo e piangendo dall’emozione, baciando ancora Dean senza riuscire a smettere. Santo cielo stava provando una sensazione meravigliosa, che mai aveva provato, era quella la vera felicità? Probabilmente sì, perché quando guardò Castiel negli occhi, e vide i suoi occhi brillare più del sole, mentre gli faceva indossare l’anello, si disse che non poteva esserci sensazione più bella di quella. Diede un fugace sguardo alla lapide della madre, e sorrise ringraziandola per aver messo Cas sulla sua strada ed averlo fatto innamorare di lui.
Finalmente era felice e aveva qualcuno accanto che si sarebbe sempre preso cura di lui, stavolta sapeva che le catastrofi e i disastri sarebbero stati solo un lontano ricordo, perché accanto a sé aveva la persona perfetta per affrontare qualsiasi cosa.

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Buona notte a tutti, people!
In teoria avrei dovuto pubblicare come di norma, sabato, ma ehi, la real life a volte si intromette in queste questioni, ormai è sempre così. E noi siamo arrivati all'ultimo capitolo. Manca ancora l'epilogo della storia, ma questo è quanto. Dean finalmente ha trovato pace e tranquillità con Cas, ci sono dei litigi e fa il cretino, ma lo ama da morire e vuole renderlo felice. Non ho molto da dire, perché mi sento un po' giù di morale, mi ero affezionata a questi Dean e Cas. Ma rimandiamo le cose tristi alla settimana prossima che manca ancora l'epilogo! Spero che il capitolo vi sia piaciuto e di non avervi deluso in qualche modo. Come ogni settimana, ringrazio tutte le persone che con pazienza leggono, seguono, preferiscono, ricordano e recensiscono la storia, se non fosse stato per voi, non avrei continuato la pubblicazione, grazie mille a tutti! Ci si becca settimana prossima con l'ultimo appuntamento di questa fanfiction! 
A presto, buonanotte a tutti! 

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Capitolo 13
*** Epilogo. ***


DESCLAIMER: La storia è scritta senza fini di lucro, i personaggi non mi appartengono in nessun modo e non intendo offendere nessuno. Giuro. 
PS. C'è l'avviso che i personaggi sono molto OOC. Siamo giunti all'epilogo e la vostra autrice è molto triste, però arrivate alle noticine finali, grazie a tutti per essere arrivati fin qui! 

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8 anni dopo, Milwaukee, Wisconsin.
You're the perfect melody,
The only harmony
I wanna hear.
 
Il sole era alto nel cielo, quella domenica di maggio, i bambini giocavano, e correvano nel parco, divertendosi tra di loro, come se non ci fosse stato un domani, si divertivano e scherzavano felici, senza alcun pensiero e Dean era lì seduto su una panchina, e li guardava, cercando con lo sguardo il suo bambino, non aveva mai visto creatura più bella di lui, con i suoi occhioni blu come quelli di Cas, era identico al padre, praticamente la sua fotocopia; un sorriso spontaneo nacque sulle sue labbra, quando finalmente lo trovò con lo sguardo. Se qualche anno prima, qualcuno gli avesse detto che lui sarebbe riuscito a crescere una simile creatura, probabilmente gli avrebbe riso in faccia, perché lui non aveva mai creduto di essere in grado di crescere qualcuno, ma Cas gli aveva fatto cambiare idea. Quando otto anni prima lui e Castiel erano convolati a nozze, nei loro completi blu – Cas – e nero – Dean – e avevano giurato di amarsi, in un parco della loro città natale, all’ombra di un bellissimo tramonto di metà giugno, sotto gli sguardi fieri delle loro famiglie e amici, davanti ai loro testimoni – Sam e Benny per Dean, Gabriel e Michael per Castiel – credevano che non avrebbero mai vissuto giorno più felice. Era stato tutto perfetto, fin dal loro arrivo sulle note di Take my breath away e il primo ballo su quelle di Heaven, con Dean che sussurrava nell’orecchio del moro le parole della canzone, facendolo tremare d’emozione e di gioia. Era stata una giornata magica, e i due quasi non avevano creduto fosse reale.
Durante il primo anno di nozze si erano stabiliti bene a Milwaukee, Cas aveva continuato a lavorare nella scuola materna e Dean aveva aperto la sua officina, che poi era diventata una delle più frequentate della città. Dopo qualche mese, il piccolo monolocale di Cas era diventato troppo stretto per due persone e si erano messi alla ricerca di una casa più grande, avevano cercato a lungo, senza trovare nulla di interessante e poi, per caso, erano passati fuori ad una villetta, a pochi chilometri dal centro, in vendita, ed era stato amore a prima vista. Quando l’avevano vista all’interno, dopo aver contattato l’agenzia immobiliare che si occupava della vendita di quella, avevano capito che quella fosse la casa perfetta per loro, perché c’era un piccolo giardino – come desiderava Castiel – un garage adatto all’auto di Dean e all’interno oltre ad una cucina spaziosa, c’erano tre camere da letto – e Dean si vergognò a primo impatto di dire che avesse pensato di vedere bene una culletta in una di esse – un salone e due bagni, tutto diviso su due piani. Pochi giorni dopo avevano firmato il contratto d’acquisto e avevano istituito un mutuo, si erano sentiti le persone più felici e realizzate del pianeta, avevano trovato la loro casa, quella che avevano desiderato di avere fin dai tempi del college. La prima sera che si erano trasferiti lì, avevano cenato seduti sul pavimento su due enormi teli, con due cartoni di pizza, circondati dalle mille scatole che avrebbero dovuto svuotare nei giorni seguenti, alla luce delle candele perché non gli avevano ancora attaccato la luce elettrica. Era stato romantico – e scomodo – passare la prima notte sul materassino nel salotto, stretti l’uno all’altro, perché la ditta di traslochi aveva lasciato il letto nel garage invece di portarlo al piano di sopra – entrambi avevano avuto una lunga discussione con loro in merito – avevano tinteggiato la casa nei giorni liberi o durante i weekend, e sistemato ogni mobile, si erano divertiti come ragazzini, anche quando Cas aveva iniziato a curare il giardino, soprattutto quando i fiori iniziarono a fiorire e Dean per prenderlo in giro ne raccoglieva alcuni e glieli faceva mettere dietro l’orecchio e poi gli scattava delle foto, facendolo imbarazzare e arrossire – e sì, Dean si era sentito un po’ stupido, ma era così felice che non importava sentirsi stupidi. Poi dopo qualche settimana, Dean aveva confessato a Castiel che quella stanza, quella che potrebbe essere un bellissimo studio, Cas in realtà, per lui, somigliava di più una bellissima cameretta per un loro probabile bambino. Castiel aveva pianto dalla gioia tra le braccia di Dean perché non si sarebbe mai aspettato che desiderassero entrambi le stesse cose, e diversi mesi dopo, grazie a Sam – che viveva in California, lavorava per uno studio legale di Los Angeles, e aspettava solo di aprire il proprio – si erano messi in contatto con un’agenzia di madri surrogate e Dean aveva espresso il desiderio che il donatore fosse Cas, perché rappresentava tutto ciò che c’era di positivo nella sua vita e anche nel mondo, a suo parere, e quello era il suo modo di dimostrargli il suo amore. Avevano ospitato la donna, Sally, che portava in grembo il loro bambino a casa loro, in quella che sarebbe diventata la camera del bambino, per occuparsi di lui momento dopo momento e non far mancare nulla alla donna che li stava aiutando ad avere un figlio, inoltre Dean aveva sofferto delle voglie, ogni volta che ne aveva una tornava a casa con dolci e cose simili, sostenendo che il bambino ne avesse voglia, e non importava quanto Cas gli dicesse che non era possibile che lui lo sapesse, visto che non era lui la persona in stato di gravidanza. Dean borbottava contrariato e Sally rideva, dando ragione a Dean, il bambino ne aveva decisamente voglia. Nove mesi dopo era nato un piccolo delinquente, identico a Castiel, Andrew Novak-Winchester, e Dean aveva letteralmente perso la testa, inizialmente era stato assalito dai dubbi, ma poi con l’aiuto di Cas aveva capito che ce l’avrebbe fatta, entrambi ce l’avrebbero fatta. I due papà non avevano voluto sapere il sesso del figlio fino alla nascita, e quando si erano ritrovati con quella piccola creatura tra le braccia, entrambi avevano pianto di gioia – Dean non aveva mai creduto di poter piangere di gioia, e invece quando era nato Andrew, lo aveva fatto – e l’avevano stretto tra le braccia come la cosa più preziosa sul pianeta, quasi timorosi che potesse rompersi, Dean quella notte giurò che non avrebbe mai permesso a nessuno di far del male a quel piccolo angelo. Sam per i primi mesi di vita del bambino aveva preso delle ferie arretrate ed era rimasto con loro – anche lui aveva perso la testa per il nipote – ed aveva collaborato a decorare la cameretta – se per collaborato si poteva intendere che avesse deciso di rendere il suo bambino nerd fin dalla nascita – usando dei simpaticissimi adesivi di vari film di fantascienza, fantasy e persino della Disney. Mentre Bobby e Jody erano piombati a casa loro, con l’intento di dare una mano ai neo-papà a gestire la situazione, persino i genitori di Castiel erano andati da loro, ed erano rimasti qualche settimana con loro. Castiel non aveva mai dato di matto come in quel periodo, ma tutto sommato, si era sentito felice e completo. Dean ricordava bene le prime notti di Andrew a casa, lui e Cas facevano i turni per chi dovesse alzarsi e addormentarlo quando si svegliava nel cuore della notte reclamando attenzioni; poi decisero che era meglio farlo dormire con loro nel letto, perché non solo nonni e zio accorrevano e facevano un baccano infernale, ma il bambino solo quando si trovava tra i due papà, si calmava e dormiva profondamente. Dean non avrebbe mai dimenticato le prime volte, quando ancora imparavano a tenerlo in braccio e sia lui che Cas avevano serie difficoltà, non lo avrebbe mai dimenticato perché Sam aveva pensato bene di fare una serie di filmini, e ogni volta che ne riguardavano uno si divertivano come matti. Quando Andrew, a quasi un anno, seduto nel seggiolone, aveva detto per la prima volta papà, guardando Castiel con il suo adorabile sorriso a due denti, Dean aveva visto suo marito, che gli stava dando del passato di verdure, portarsi le mani alla bocca e piangere dalla felicità, mentre lasciava tutto e lo prendeva in braccio dicendogli che era stato bravissimo e gli baciava le paffute guanciotte rosee. Dean si sentì così profondamente orgoglioso di lui, come mai lo era stato prima. Per non parlare di quando era cresciuto abbastanza da poter dormire da solo, e la prima notte che l’avevano lasciato solo aveva trovato Cas immobile sotto la porta della sua cameretta, a fissarlo con quella sua aria tipica e Sto vegliando su di lui, Dean gli aveva detto quando aveva cercato di portarlo a letto; Andrew dormiva placidamente nel suo lettino, stretto all’orso di peluche che zio Sam gli aveva regalato qualche giorno prima, Dean aveva dovuto letteralmente trascinare in camera da letto il marito quella notte, ma anche lui sarebbe rimasto lì a vegliare su di lui. Ogni istante vissuto con quel bambino, era un piccolo ricordo che si aggiungeva alle mille cose positive successe nella sua vita, da quando aveva incontrato Castiel.
«Papà, papà!» lo chiamò a gran voce il marmocchio, stava giocando a calcio con alcuni dei suoi amici di scuola, indossava un adorabile completino con la maglietta blu con lo stemma di Superman e dei pantaloncini rossi – un altro regalo di zio Sam – ed era adorabile. Come tutti i bambini, Andrew adorava giocare a calcio e soprattutto vincere «Ho fatto goal, papà!» Dean sorrise orgoglioso e alzò i pollici in segno di vittoria. Era così fiero di lui che avrebbe pianto dalla gioia ogni volta che lo vedeva trionfare nelle sue piccole sfide.
«Vai così, scricciolo!» lo incitò in risposta «Sei il campione di papà!» gridò poi ridendo «Mi raccomando sta attento!» si raccomandò un po’ ansioso; il bambino portò le manine alla bocca, ridendo, un gesto che ricordava tantissimo Castiel che si copriva la bocca per non farsi vedere mentre rideva e poi riprese a giocare, sotto lo sguardo vigile di Dean. Se solo un altro bambino si azzardava a spingerlo, lui era lì pronto a fulminarlo con lo sguardo e fargli una ramanzina lunga dal Wisconsin al Kansas.
Passarono il pomeriggio al parco, e poi verso le sei, quando il sole stava tramontando, Dean lo chiamò per tornare a casa. Andrew era un po’ contrariato e si lamentò molto perché si stava divertendo con i suoi amici, ma ubbidì e raggiunse il padre prendendogli la mano, iniziando a raccontargli quanto si fosse divertito con i suoi amici, che ovviamente lui aveva fatto vincere la sua squadra, e che un suo amico, Ricky, l’aveva invitato il giorno successivo a casa sua a far merenda e giocare insieme alla playstation. Dean gli disse che ci avrebbe pensato e decise che ne avrebbe parlato prima con Cas, e poi gli avrebbe dato una risposta definitiva. Arrivarono a casa in pochi minuti, e Andrew, non appena varcò il cancelletto, corse dall’altro padre, che era intento a potare le piante del giardino, saltandogli totalmente in braccio. Dean sorrise a quella scena, dopo tutti quegli anni, sentiva ancora una piacevole sensazione di benessere invadere il suo petto, ogni volta che vedeva Cas con il loro bambino si sentiva così.
«Papà, papà!» esclamò, arrampicandosi su di lui come una piccola scimmietta «La mia squadra ha vinto la partita!»
«Sei un piccolo campione!» esclamò Castiel, sorridendo, il sorriso che rivolgeva al bambino era uno dei più belli che Cas avesse, e Dean lo amava profondamente. Li lasciò soli, andando in casa a posare la borsa con tutte le cose di Andrew – Cas ci teneva che ogni volta che andavano al parco, avessero il kit del pronto soccorso, perché Dean, potrebbe cadere e sbucciarsi un ginocchio, un completino di ricambio, nel caso fosse caduto nel fango e sporcato, lo faceva spesso e soprattutto se il giorno prima c’era stato un temporale, le salviette umide, perché se si sporca, non è bello che cammini tutto sporco nel parco, e ovviamente dell’acqua e degli spuntini, rigorosamente fatti in casa. , Dean portava letteralmente tutta la casa dietro ogni volta che usciva con Andrew, e lo stesso faceva suo marito. Forse erano un po’ ansiosi, ma poco importava, la salute del bambino prima di tutto. Poi tornò in giardino, e li guardò, santo cielo, erano la cosa più bella dell’intero pianeta, e lui era la persona più felice.
«Sei buffo» disse il bambino togliendo una foglia dai capelli del padre «Sei pieno di foglie!»
«Stavo potando le piante» gli spiegò Castiel, sorridendo e baciandogli la fronte «La tua piccola orchidea cresce bene, lo sai?» chiese il padre, vedendo poi il bimbo sorridere felice e spensierato. Già qualche settimana prima Castiel e il bambino avevano deciso che avrebbero fatto giardinaggio insieme e Andrew aveva scelto di coltivare insieme al padre un’orchidea, Cas aveva questa idea di far venire su suo figlio come un ragazzo dalla mente aperta, pieno di interessi perché no Dean, non puoi dirgli di amare solo i motori – lo aveva rimproverato il marito, e anche lui era della stessa opinione, anche se non lo ammetteva con Cas. Certo, avrebbe preferito che ad Andrew piacessero più le auto che le piante, ma in fondo i geni erano quelli dei Novak e lui avrebbe amato suo figlio anche se avesse deciso che gli piacevano le bambole o cose del genere, era suo figlio dopotutto e lui aveva giurato, la notte che era nato, che lo avrebbe amato, indistintamente, qualunque cosa avesse deciso.
«Evviva!» urlò felice, poi si fece rimettere a terra dal padre e corse a vedere come stesse il suo fiore preferito, per Andrew era diventata una cosa importante, e quando Castiel glielo diceva, innaffiava la pianta e se ne prendeva cura perché era giusto che imparasse a prendersi cura di qualcosa già così piccolo, secondo Castiel, in questo modo non sarebbe cresciuto come uno zotico senza responsabilità. Dean guardò il marito e gli si avvicinò mormorando ciao e stampandogli un morbido bacio sulle labbra, lo strinse gentilmente per i fianchi, tenendolo contro di sé, sorridendo contro le sue labbra. Era assurdo sentirsi ancora così innamorati, anche dopo dodici anni insieme.
«Bleah! Papà!» esclamò il bambino tornando da loro, portandosi teatralmente una mano sugli occhi «Non fate le smancerie!» esclamò divertito, fingendosi disgustato dalla scena.
«Perché? Vuoi un bacino anche tu?» chiese Dean scherzando, i due genitori si scambiarono un’occhiata d’intesa e si avvicinarono al bambino, che cercò di scappare dal bacio. Lo afferrarono entrambi e lo baciarono uno a destra e l’altro a sinistra mentre lui si lamentava e diceva che i baci erano cose da femmine.
«Santo cielo, è identico a te» si lamentò Castiel, sconsolato «Questo è un tipico atteggiamento da Dean Winchester».
«Certo» borbottò  Dean contrariato «Come al solito, se fa qualcosa che non ti piace è come me, vero?» ridacchiò, mentre Cas annuiva, perché ogni volta che Andrew faceva qualcosa di positivo era identico a Cas, al contrario era identico a lui. Scosse la testa divertito, e all'improvviso quel momento spensierato e divertente tra di loro, fu rotto dal cancelletto che si apriva di nuovo e da una voce che urlava: «Zio Sam è tornato, Andrew!», Dean e Castiel si voltarono in sincrono pentendosi di avergli lasciato le chiavi di casa, mentre il bambino, approfittando della loro distrazione, finalmente, sfuggiva alla loro presa e correva dallo zio e gli saltava in braccio ridendo, ed esclamando: «Zio Sammy! Salvami da quei due!» mentre i genitori borbottavano qualcosa come ingrato e poi «Cosa mi hai portato dalla California?» chiese; Sam rise, portando il bambino dentro, per dargli i regali che gli aveva portato – ogni volta che andava a trovarli, si ritrovavano con mille giocattoli nuovi, sfortunatamente Andrew era anche un bambino molto disordinato e vane erano le ramanzine di Castiel, lasciava in giro ogni cosa, proprio come Dean – lasciando nel giardino un’enorme valigia, che Dean portò nella stanza degli ospiti, che ormai era la stanza di Sam, perché andava da loro quasi ogni weekend, mentre Cas, con un enorme sorriso sulle labbra, tornava a potare e innaffiare il suo giardino, quello che aveva messo su con tanto amore fin da quando erano andati a vivere lì.
«Ehi! Non si salutano più i fratelli adesso?» domandò ironicamente, raggiungendo figlio e fratello nel salotto, mentre il minore alzava lo sguardo su di lui, scuotendo la testa.
«Dean, ciao» sospirò ridendo, si avvicinò al fratello e lo abbracciò con forza «Come stai?»
«Alla grande, Sammy» disse stringendo a sua volta il fratello, era felice di vederlo di tanto in tanto, da quando si era stabilito a Los Angeles, prima per uno stage e poi per aprire il suo studio legale – che si occupava principalmente di casi di abusi su minori e violenza domestica – si vedevano solo nei fine settimana in cui Sam riusciva ad andare da loro, ma era davvero orgoglioso di lui.
«Papà, posso andare sull’altalena mentre parli con zio Sam?» chiese, interrompendoli, Andrew, con gli occhioni brillanti, stringendo nella mano un nuovissimo peluche di Bugs Bunny.
«Certo!» esclamò il padre, sorrise al ricordo di quando, qualche anno prima, aveva costruito lui stesso l’altalena in giardino al figlio per farlo divertire anche in casa ed evitare che bruciasse i suoi neuroni con telefoni e playstation, lui e Cas erano d’accordo sull’evitare che il bambino usasse troppa tecnologia prima dei quindici o sedici anni.
«Vieni ti offro qualcosa da bere, tea freddo o succo di frutta?» chiese conducendolo nella cucina. Sam prese del tea freddo al limone, mentre Dean un bicchiere di succo di frutta alla pera, il maggiore gli offrì anche una fetta di torta di mele fatta da Castiel quel giorno, perché ne vale la pena, Sammy; poi si sedettero al tavolo, iniziando a chiacchierare del più e del meno, Dean raccontò a Sam alcune cose che erano successe ultimamente, il lavoro che procedeva bene, Bobby che andava a trovarli spesso per vedere suo nipote – d’altra parte Andrew lo chiamava nonno, da sempre – e che ancora stentava a credere che quel vecchio brontolone fosse così felice di essere chiamato nonno, lui che non aveva mai voluto essere chiamato papà dai due ragazzi; anche Jody adorava Andrew e adorava viziarlo, ogni volta che lo vedeva gli portava torte e biscotti vari fatti in casa «A te come vanno le cose in California?» chiese guardandolo «Ti vedo molto abbronzato, sicuro che lavori ancora in un ufficio polveroso?»
«Lo sai che sono sempre in ufficio, ma ultimamente sto godendo del piacere di vivere in California e spesso quando finisco presto vado sulla spiaggia, ecco» spiegò divertito «E poi voi siete sempre i benvenuti, se quest’estate volete portare Andrew in vacanza, casa mia è a vostra disposizione, sai che vivo a pochi chilometri da Venice Beach e morirei di gioia ad ospitarvi, ho da sempre pronta una stanza per voi e una per Andrew» propose Sam. Lo proponeva ogni anno, ma Dean aveva quell’assurda paura di volare, e rifiutava sempre, dicendo che un viaggio in auto fin lì sarebbe stato troppo stressante per il bambino, che invece insisteva sempre per andare a casa di zio Sam, visto che stravedeva per lui. Il maggiore alzò lo sguardo al cielo teatralmente e borbottò un ci penseremo, liquidando la proposta del minore, che alzò gli occhi al cielo e sbuffò leggermente. Poi Cas comparve alle loro spalle, prese anche lui un bicchiere di succo di frutta, accomodandosi vicino al marito e ammiccò verso Sam, lui sapeva il motivo di quell’improvvisata, e voleva essere presente quando Sam avrebbe parlato con Dean. Sam era così agitato che un paio di settimane prima aveva chiamato il cognato, pregandolo di aiutarlo in quella decisione, perché temeva di parlarne con il maggiore, non perché temesse il suo giudizio o la sua reazione, ma perché era suo fratello e si sentiva in imbarazzo a parlare di cose così serie con lui, l’essere un idiota deve essere una prerogativa di voi Winchester, perché credimi, Sam, Dean vuole solo che tu sia felice – gli aveva detto Cas per convincerlo a parlare finalmente con Dean.
«Dean, devo dirti una cosa» disse improvvisamente Sam, guardando il fratello «Ricordi... che, ti dissi qualche tempo fa… che stavo frequentando qualcuno?» domandò, Dean annuì senza rispondere «Ho deciso di chiederle di sposarmi».
«Sammy, ma è fantastico!» esclamò, alzandosi e abbracciandolo «Quando me la presenterai?»
Sam sorrise sollevato e ricambiò la stretta dell’altro: «Presto, magari il prossimo fine settimana?» chiese in risposta.
«Ovvio, puoi farla venire anche subito! Vero, Cas?» chiese Dean con il sorriso sulle labbra.
«Ovviamente, la futura signora Winchester è la benvenuta qui, Sam» confermò il moro sorridendo.
«Va bene allora» disse sentendosi sollevato «E grazie, Cas» aggiunse sorridendogli in modo caloroso.
«Figurati, aiutare voi Winchester è il mio hobby preferito» ridacchiò, Dean lo guardò e comprese che Sam avesse chiesto consiglio a lui, per trovare il modo di dirgli questo. Amava Cas anche per questo, sempre disponibile ad aiutare gli altri, senza alcun secondo fine. Sorrise emozionato, perché Sam finalmente aveva messo la testa a posto, e lui si sentiva ancora più fiero di lui.
«Il mio fratellino diventa grande, eh?» chiese con una punta d’emozione nella voce.
«Adesso, smetterai di chiamarmi Sammy?»
«Eh? Cosa? Pft, mai! Sarai sempre il piccolo Sammy per me» affermò sicuro.
«Sono più alto di te di almeno dieci centimetri» ribatté l’altro, con finta serietà e il sorriso sulle labbra. Dean mise il broncio, pronto a ribattere che lui era comunque il più vecchio, e Castiel si diede uno schiaffo sulla fronte, scuotendo la testa, suo marito a volte era più infantile di Andrew, soprattutto quando parlava con Sam, ma andava bene così, lo amava anche per questo suo aspetto.
«Taci!» esclamò, facendo scoppiare suo marito e suo fratello in una fragorosa risata «Comunque, congratulazioni, Sammy» gli disse con quel velo d’orgoglio nello sguardo che aveva da sempre nei suoi confronti. Se non fosse stato per la caparbietà e l’insistenza di suo fratello, non sarebbe stato tanto felice, in quel momento.
«Perché ridete tutti?» domandò Andrew entrando nella cucina, arrampicandosi sulle gambe dello zio.
«Perché tuo padre è basso» rispose divertito Sam, prendendolo in braccio e versando anche a lui del tea al limone.
«No, zio, papà non è basso, è un Hobbit!» esclamò il bambino.
Il minore dei Winchester guardò Castiel, con intesa e poi «Ottimo lavoro, amico, vanno istruiti fin da piccoli» scherzò, risero tutti, spensierati mentre Sam batteva il cinque con Castiel e proponeva a suo nipote di guardare un film insieme, accompagnato dagli sbuffi e dai lamenti di Dean, che ormai si era arreso al fatto che sia suo fratello che suo marito avessero condizionato il bambino con le loro saghe preferite. Prima però, Sam prese il cellulare e fece una videochiamata alla sua ragazza in California, presentandole finalmente suo fratello maggiore, il famoso Dean aveva commentato, e Dean si era chiesto cosa avesse esattamente raccontato suo fratello alla donna, ma poco importava, gli bastava vedere quel sorriso da idiota sul volto di suo fratello – terribilmente simile al suo quando parlava di Cas – per capire quanto fosse felice e innamorato di lei. Dean quasi non credeva che davvero, finalmente, sia lui che suo fratello avessero trovato la felicità, e «Benvenuta in famiglia!» le disse con un sorriso sincero sulle labbra. Poi Andrew trascinò tutti in salotto sul divano, per guardare per l’ennesima volta un film degli X-Men, e quella domenica sera si concluse con loro quattro davanti alla tv, con Castiel che richiamava Sam perché dava troppe patatine al bambino, e con Dean che sghignazzava senza ritegno.
 
Sam si fermò da loro per un paio di giorni, perché, a detta sua, vedeva il nipote troppo poco, ma Dean sapeva che c’era qualcosa che nascondeva, e non tardò a capirlo. Era in officina quando Sam andò a trovarlo, mentre Cas era al lavoro e Andrew a scuola. E iniziò a parlare, dicendo che quella sera avrebbe portato Andrew a fare una passeggiata perché lui e Castiel dovevano parlare, che loro si erano sentiti e le argomentazioni di Cas erano valide e che dovevano assolutamente parlare tra di loro. Dean andò in paranoia, iniziando a farsi milioni di domande, perché Castiel aveva parlato con Sam? Perché aveva parlato con un avvocato? Voleva il divorzio o cosa? Non era felice con lui? Che diavolo stava succedendo? Sam gli disse di non preoccuparsi, ma lui era già in paranoia, e aspettava solo la sera per poter parlare con Cas, mentre lavorava si chiedeva cosa fosse andato storto nel loro matrimonio, cosa potesse spingere Castiel a chiedere il divorzio, si chiese se avesse fatto qualcosa di sbagliato, se avesse fatto qualche errore di cui non si era accorto. E se avesse portato via Andrew? Come avrebbe fatto senza il suo piccolo raggio di sole? Come avrebbe fatto senza di lui che di prima mattina saltava sul suo letto perché dovevano assolutamente guardare insieme un episodio dei suoi cartoni animati preferiti? Come avrebbe fatto senza di lui che lo guardava con i suoi occhioni enormi quando voleva qualcosa a cui Cas aveva detto di no? Non avrebbe mai potuto insegnargli a guidare e a prendersi cura della sua auto, non avrebbe più potuto insegnargli a provarci con le ragazze – o i ragazzi – non avrebbe più potuto vederlo ogni giorno correre per la casa… e già faceva male. Già si immaginava a dormire in un sacco a pelo dentro all’officina, mentre Cas avrebbe tenuto la loro casa e lui sarebbe rimasto per strada, da solo, al freddo e al gelo. No, qualsiasi cosa avesse fatto, avrebbe rimediato, perché non poteva perdere la sua famiglia in quel modo.
Quando tornò a casa, un po’ sporco di grasso e stanco, portò al suo adorato marito un mazzo di fiori, presi dal fioraio a pochi metri dall’officina, Cas amava ricevere fiori da Dean, quando le cose tra di loro andavano male o quando litigavano, anche se accadeva davvero raramente. Sam aveva già portato Andrew fuori e Cas era in cucina ai fornelli, in casa si sentiva un invitante profumo di cibo, ma Dean sentiva lo stomaco contratto, non riusciva a smettere di pensare al fatto che Cas volesse il divorzio, e a chiedersi il motivo, okay, Sam non aveva detto espressamente questo, ma dovevano parlare, Castiel aveva parlato con lui, da soli, e Sam era un avvocato. Di cosa si poteva parlare con un avvocato? E poi perché Sam aveva deciso di prendere le difese di Castiel e non le sue che era suo fratello?
«Dean?» lo chiamò voltandosi, sorrise notando il mazzo di fiori tra le sue mani «Ho dimenticato qualche ricorrenza?» chiese dolcemente avvicinandosi a lui, gli prese il volto tra le mani e lo guardò negli occhi, con quello sguardo che da sempre riusciva a penetrargli l’anima e a capire i suoi turbamenti «Che succede?» domandò. Dean appoggiò i fiori sul tavolo, e guardò il marito negli occhi, perché voleva lasciarlo? Perché si stava comportando così? Cosa gli aveva fatto? Notò che non portava la fede al dito, e andò ancor di più in paranoia, dimenticando che Cas la toglieva sempre quando cucinava altrimenti si rovinava. Perché aveva tolto la fede? Perché voleva cacciarlo via dalla sua vita?
«Cas…» mormorò appoggiando la fronte contro la sua «Non lasciarmi, ti prego» disse con la voce rotta, non si era accorto di averla presa così male «Non andare via, non portarmi via Andrew, non potrei sopportare di vivere senza di voi» confessò, senza smettere di guardare gli occhi blu del marito, che gli restituirono uno sguardo confuso «Qualsiasi errore abbia fatto, ti prego… vedrò di risolvere tutto, lo giuro» disse in un sussurro.
«Ma cosa…?» Castiel sbatté le palpebre e si allontanò da lui scioccato «Come ti vengono in mente certe idee?»
«Sam ha detto che hai parlato con lui, e che io e te dovevamo parlare assolutamente» spiegò il biondo, sentiva gli occhi pungere, e il mondo che pian piano aveva costruito crollare come un castello di carte «E tu hai tolto la fede. Io non voglio divorziare, Cas» disse serio «Dimmi dove ho sbagliato e io-» iniziò a dire, ma fu interrotto.
«Divorziare?» chiese il moro, scuotendo la testa, poi scoppiò a ridere, perché Dean non sarebbe mai cambiato e subito pensava al peggio «Santo cielo, la tua fantasia lavora davvero bene» scherzò avvicinandosi di nuovo a lui «Okay, ho parlato con Sam, ma per un’altra cosa, opposta al divorzio, e sai che non porto la fede quando cucino, perché altrimenti l’acqua potrebbe rovinarla» disse ancora, scuotendo la testa, mentre Dean iniziava a darsi dell’idiota «Non te l’ho detto prima perché volevo che fosse una sorpresa, ho aspettato che Sam venisse qui perché volevo che fosse tutto sicuro, prima di chiedertelo» spiegò «Certo che tuo fratello è uno stronzo a farti credere che voglia il divorzio» commentò ad alta voce, strappando un sorriso al marito che si sentì un po’ più sollevato; così gli prese le mani e lo fece sedere su una sedia, poi si inginocchiò di fronte a lui, sorridendo. Alzò lo sguardo verso il suo e Dean vi lesse un amore infinito, quello che li aveva uniti fin da quando si erano conosciuti, come aveva potuto pensare che Castiel volesse il divorzio? «Dean, vuoi essere il padre del nostro prossimo figlio?» chiese con gli occhi lucidi d’emozione, come se fosse una proposta di matrimonio. Dean boccheggiò, allora era questo ciò di cui dovevano parlare, strinse le mani del marito tra le proprie, senza riuscire a dire mezza parola, mentre una lacrima di gioia sfuggiva al suo autocontrollo, Castiel voleva un altro figlio con lui, stavolta voleva che fosse suo.
E lui che aveva pensato al peggio, a volte era un vero idiota.
«Cas…» lo chiamò, il marito lo guardò ancora, senza distogliere lo sguardo dal suo, sorridendo «Ma sei sicuro?» chiese preoccupato «E se poi viene come me?» domandò ancora.
«Sarà un piacere avere un mini te che corre per la casa» rispose con ovvietà «Dean, sei un padre fantastico. Davvero, Andrew è un bambino felice e sereno per merito tuo». Dean sorrise guardando il marito negli occhi, Castiel desiderava avere un figlio da lui, così come lui sette anni prima aveva desiderato avere un figlio da Cas. Come poteva dire no a quegli occhioni che ancora, nonostante i tanti anni di relazione e di matrimonio, continuavano a scuotergli l’anima e ad ammaliarlo?
«Okay, sì» rispose finalmente alla domanda del marito, tenendo ancora le loro mani intrecciate, lasciandogli un delicato bacio sulle nocche, sorridendo contro di esse «Voglio essere il padre del nostro prossimo figlio», Castiel immediatamente si alzò in piedi e lo baciò con dolcezza, sorridendo contro le sue labbra, Dean ricambiò, stringendosi il più basso contro il proprio corpo, sorridendo a sua volta.
Quando Sam riportò Andrew a casa, vide i coniugi sorridere felici, e capì che tutto era andato per il verso giusto, anche se lui aveva di proposito fatto andare in paranoia il maggiore.
«Andrew?» lo chiamò Dean, il bambino lo guardò con il cipiglio alzato, tipico dei Novak – santo cielo quanto somigliava a Cas «Vorresti un fratellino o una sorellina?» chiese. I suoi occhi si illuminarono, saltò al collo del padre urlando di gioia, e ridendo.
«Solo se poi siamo come te e zio Sammy!» esclamò lui, e Dean si commosse un po’, perché non credeva che il suo rapporto con il fratello, potesse suscitare tanta aspettativa nel figlio. Guardò il minore e un tenero sorriso gli nacque sulle labbra. Lui e Sam ne avevano affrontate tante, nel corso degli anni, eppure erano ancora lì, più uniti che mai, e il suo fratellino stava addirittura per sposarsi, non credeva di poter assistere a tutto quello.
«Sai Andrew» disse prendendo il bambino in braccio «Io e zio Sammy andiamo tanto d’accordo perché ci siamo sempre presi cura l’uno dell’altro» Andrew sorrise e abbracciò forte il padre «Tu ti prenderai cura di lui o lei?»
«Te lo prometto, papà!»
Anche se quella promessa, somigliava a quella che lui troppi anni prima aveva fatto alla madre, stavolta le circostanze erano diverse, e aveva la consapevolezza che sia lui che Cas avrebbero aiutato loro figlio a prendere le decisioni giuste e a non fare scelte azzardate. Loro sarebbero stati la sua guida per tutta la vita.
 
Quando circa un anno dopo, la piccola Claire Novak-Winchester – una bellissima bimba con gli occhi verdi e i capelli biondissimi, la fotocopia di Dean da neonato in pratica – nacque, Andrew, sotto lo sguardo fiero dei suoi genitori, prese la sorellina in braccio, guardò Dean, poi posò lo sguardo sulla neonata e: «Ciao Claire, sono tuo fratello Andrew» disse sorridendo, senza smettere di guardarla, mentre Dean sentiva gli occhi pungere e le lacrime di gioia che minacciavano di uscire dai suoi occhi, e Castiel gli stringeva un braccio attorno ai fianchi, sorridendo a sua volta «Ti prometto che sarò un bravo fratello maggiore per te, come papà lo è stato per zio Sammy, e mi prenderò sempre cura di te».
 
Take me over the walls below
Fly forever, don't let me go
I need a savior to heal my pain
When I become my worst enemy, the enemy.
Take me high and I'll sing
You make everything okay
We are one in the same
You take all of the pain away.
(My demons)
The end.


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Hola people!
Wow, oggi è sabato e io sto pubblicando nel giorno giusto. Mi sento un po’ triste in questo momento, perché questi Dean e Cas mi hanno accompagnato durante l’estate più lunga e triste della mia vita. Vi confesso che quando quel lontano 29 luglio pubblicai il prologo, ero in piena crisi d’ansia per un colloquio di lavoro che avrei dovuto avere il lunedì successivo, e posso dire che questa storia mi abbia portato fortuna, perché proprio questa settimana ho saputo di essere stata presa! Tornando alla storia, sono così triste per la sua fine, appena ho cliccato completa, mi si è stretto il cuore, vi confesso di averla cambiata, quando ne ho scritto la trama, prima ancora di iniziare a scriverla – penso fosse intorno alla fine di giugno/inizio luglio – era completamente diversa, ma sono soddisfatta di come sia venuta alla fine, e lascio in questa storia un pezzo della mia anima. Questi Dean e Cas mi mancheranno tantissimo, e mi mancherà in generale questa storia. Quando ho finito di scriverla, aveva un conteggio di 50.000 parole, parola più, parola meno, e ora sono quasi 90.000, non so come siano lievitate tanto, ma ne sono davvero soddisfatta. Ho adorato il mio Dean con problemi esistenziali, pieno di sensi di colpa, amo il Santo Sam che fa di tutto per il fratello, e l’adorabile Cas che farebbe di tutto per Dean.
Ma più di tutto, mi mancherete voi, che avete seguito questa storia, coloro che l’hanno seguita fin dal primo capitolo, coloro che hanno letto in silenzio, quelli che hanno speso un click per leggere. Io non so davvero come ringraziarvi, attraversavo davvero un brutto periodo quando ho iniziato a scrivere questa storia, e ci ho gettato dentro ogni cosa negativa e all’inizio nemmeno volevo pubblicarla, perché sono un’idiota fondamentalmente. Vi ringrazio dal profondo del mio cuore per essere arrivati qui, per non aver lasciato la storia anche quando era diventata troppo angst, e per aver seguito i miei Dean e Cas fino alla fine. Davvero, a chiunque abbia letto, seguito, ricordato o preferito la storia, grazie. A voi che avete letto, fin qui, grazie. E soprattutto a voi, che mi avete sempre fatto sapere cosa pensavate di ogni capitolo, invogliandomi a pubblicare, grazie di cuore, davvero. Ringrazio anche chi vorrà farmi sapere cosa pensa della storia adesso, anche se è conclusa, eh!
Spero che il finale sia di vostro gradimento, e scusate per le note autrice lunghe, ma dovevo farlo. Spero che questi Dean e Cas vi abbiano lasciato qualcosa e io come autrice vi abbia lasciato qualcosa con questa storia. Non dico che pubblicherò una volta a settimana, perché non ne avrei il tempo, ma sto lavorando a dei progetti, sempre Destiel per il momento – ho anche una Cockles in cantiere, ma non so se mai vedrà la fine lol – e spero di riuscire a farveli leggere presto, se vorrete ancora seguirmi come autrice!
Ho scritto un papiro, ma andava fatto. Vi rinnovo i miei ringraziamenti, e vi sono grata per avermi seguito. Grazie di vero cuore a tutti voi, che siete arrivati fin qui. Per citare il nostro amato Dean Winchester, you are awesome! E per citare Cas, I love all of you – anche se lo sappiamo che ha detto prima I love you a Dean, pftttt. Grazie davvero a tutti per il supporto, e per la fiducia, soprattutto chi segue la storia dagli albori. 
See you soon, people! 

P.s Questa è la canzone "Sad Song" che ha ispirato tutta la storia, e queste "Heaven" e "Take my breath away" sono le colonne sonore del matrimonio dei Destiel! Thank you!

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