Caciara, solo caciara

di Lo Otta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0. Compendio dei Capitoli ***
Capitolo 2: *** Cari mamma e papà ***
Capitolo 3: *** Con il cuore in mano ***
Capitolo 4: *** Come un fratello ***
Capitolo 5: *** Chi ricorda rivive ***
Capitolo 6: *** Catch illegale tra i vicoli ***
Capitolo 7: *** Contesa la donna, conteso il suo amòr ***
Capitolo 8: *** Chi troppo vuole, poco ciapa ***
Capitolo 9: *** Canta (come sei bella) ***
Capitolo 10: *** Conquistatore del Celebrità ***
Capitolo 11: *** Chi ha ucciso l'uomo e il ragazzo ***



Capitolo 1
*** 0. Compendio dei Capitoli ***


CHI RESTA E CHI VA
Lasciare la propria casa è difficile, e salutare famigliari e amici ancora di più.
Partecipante al contest “End of the Line” indetto da Found Serendipity
1. Cari mamma e papà
2. Con il cuore in mano
3. Come un fratello
4. Chi ricorda rivive

CRUCCI D'AMORE
Arrivati in una nuova città, soli e disorientati, anche la scintilla di un piccolo amore può divenire un braciere di passione.
Partecipante alla challenge “Mal d’amore challenge!” indetta da AcquaSaponePaperella
5. Catch illegale tra i vicoli
6. Contesa la donna, conteso il suo amòr
7. Chi troppo vuole, poco ciapa

CARNIVALE ETILICO
Confuso dall’amore, stordito dal paese, niente è meglio che rilassarsi dandosi alle pazze feste.
Partecipante al contest “Festa + Alcol = guai!” indetto da Hermit_
8. Canta (come sei bella)
9. Conquistatore del Celebrità
10. Chi ha ucciso l'uomo e il ragazzo

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Capitolo 2
*** Cari mamma e papà ***


CHI RESTA E CHI VA

Cari mamma e papà

 

  Cari mamma e papà,

  vi scrivo per avvisarvi che me ne vado. Come forse saprete, la compagnia per cui lavoravo è fallita, e ora mi trovo senza lavoro. Sono però riuscito a trovarmi un nuovo impiego. Il problema è che questo impiego è molto lontano, e non potrò tornare qua molto spesso.
  Ho già trovato un alloggio, quindi mamma non affannarti a vagliare tutti i siti di immobili e di affitti. Starò per un po’ dallo zio Bobbie, che dopo gli ultimi viaggi si è sistemato proprio vicino a dove ha sede il mio prossimo luogo di lavoro.
  So che vi siete lasciati in toni poco pacati l’ultima volta con lo zio, ma con me è gentile, mi piace come è e approvo il suo stile di vita.
  Non passo a salutarvi un ultima volta prima della partenza perché non credo di avere il tempo di fare ancora un salto a casa. Oramai ho lasciato il nido da parecchi anni, ma temo che se tornassi ancora la nostalgia mi attanaglierebbe e mi impedirebbe di partire. Ma non sarebbe la cosa giusta, e so che mi pentirei di una tale scelta. Vi chiedo di mandarmi, quando sarò arrivato là, qualche piccolo ricordo della mia vecchia stanza. Tutto il resto, se non potete proprio lasciare la stanza come è adesso, imballatelo in degli scatoloni e sistemate tutto nello sgabuzzino nella stanza, quello della porta dietro il divano. Ora lo so che è praticamente vuoto, l’unica volta da quando ho memoria in cui ho visto quella stanzetta riempita di cose e quando avevo deciso di diventare una rock-star, e con le confezioni da 40 delle uova avevo trasformato il ripostiglio in una improvvisata camera insonorizzata. Abbiamo mangiato uova, sbattute e fritte, per un mese per quella storia. Alla fine mollai quella strada da solista appena capì che per diventare un famoso musicista acclamato dalla folla non bastava avere degli abiti sgargianti e dei capelli dal ciuffo impossibile, ma bisognava almeno sapere quante erano le corde, e ha cosa servivano. La prima volta che le vidi pensai che i veri rocker avessero con se tutti quei fili per legarsi le scarpe nel caso i lacci si fossero rotti. Avevo una fantasia davvero fervida.
  Se volete svuotare la stanza vi conviene lasciare i poster sul muro in fondo, o almeno cambiarli con altri nuovi. Non ve l’ho mai detto, ma ora come ora credo sia arrivato il momento di svelare il mio piccolo misfatto. Ricordate quando a cinque anni venni preso dall’animo dell’artista, e iniziai a lasciare dipinti e paesaggi per tutta la casa, rappresentando nature morte nella cucina e un fantasma con un enorme cappellino di frutta sul caminetto dietro alla urna delle ceneri della prozia Betthany? Prima di quelle mie manifestazioni di un particolare senso dell’umorismo, mi ero dedicato nella scantinato a sviluppare le doti in un campo artistico più manuale. Ho scolpito il volto della mia maestra di quel periodo, la signora Hérmanez, proprio nel punto che ho poi coperto. Il vero misfatto fu che mentre finivo l’ultimo neo peloso sul naso della signora Hérmanez mi scivolò un colpo che una piccola tubatura. A quel punto sembrava che il naso gocciolasse. Tranquilli tranquilli, riparai subito il danno, ma non credo di aver compiuto un lavoro così certosino, perché è da quel momento che ricordo del flusso ingestibile della doccia del secondo piano, con l’acqua che non si settava mai alla giusta temperatura o alla giusta quantità.
  Ora forse capite perché poi insistetti tanto perché mi faceste dormire nello scantinato. Non era certo per un motivo di ribellione ispirato dai miei idoli, ipotesi che avanzaste allora e per cui sono ancora molto offeso, anche perché confondevate il punk con il rock. Io dovevo avere quella stanza per nascondere tutte le prove dei miei disastri. Se fossero venuti a galla, mi avreste messo in castigo per così tanto tempo che adesso starei scrivendo questa lettera ancora in punizione.
  Scusatemi quindi per tutti i disastri che ho combinato, per la storia delle scale, per le briciole lasciate ovunque e per i lavoretti che ho sempre cercato di evitare.
  E papà, volevo anche chiederti scusa per non aver passato abbastanza tempo con te. Lo so che hai cercato di rimediare nel tempo a tutto il tempo che non mi hai potuto dedicare prima, quando ero più piccolo, ma quell’infanzia vissuta da solo mi ha fatto crescere con un senso di indipendenza e capacità di fidarmi e affidarmi solo a me stesso, che mi rendeva difficile anche confidarmi con te. Ma era una cosa che avrei sempre voluto fare, quando tornavo dopo una giornata a scuola difficile, o quando finivo a fare a pugni e cercavo di nascondere i segni, oppure quando mi sentivo solo. Avrei voluto farmi confortare da te, ma tutti i ricordi dei pomeriggi da piccolo passati da solo in casa, senza nessuno, o quando dovevi andare in gita con qualche gruppo o scolaresca, che mi faceva invidiare quei bimbi, che potevano averti a differenza mia. Tutti quei momenti in cui tu non c’eri ma in cui ti avrei voluto accanto a me mi facevano esitare.
  Papà, io avrei volentieri costruito uno slittino con te, o collaudato la tua nuova barchetta nel lago, ma non avevo il coraggio. Il coraggio di dimenticare il passato e andare avanti.
  Ora ho dimenticato quei momenti tristi, e vado avanti sulla mia strada. Ora mi porta a questo nuovo lavoro in una città lontana, dopo chissà.

  Vi voglio bene,

Il vostro Tesoro


  P.S. ricordatevi di salutare il gatto e di dare da mangiare a mio fratello Benny. Cioè, volevo dire, date a mangiare al piccolo Tabby e salutatelo da parte mia. E già che ci siete, potete anche salutarmi Benny. Se avete tempo. Non è così importante. Anzi, quest’ultima cosa non fatela neanche.


~


  Nickname EFP: Angelo della Morte
  Nickname FFZ: Angelo della Morte.EFP
  Titolo storia: Chi resta e chi va
  Rating: Verde
  Genere: Comico
  Situazione scelta: 6. X deve andarsene per vari motivi (es. è ricercato/ha subito un cambiamento e ha paura di ferire la sua famiglia) e deve trovare il modo di dire loro addio
  Prompt scelto: 8. Tomba

Partecipante al contest “End of the Line” indetto da Found Serendipity

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Capitolo 3
*** Con il cuore in mano ***


CHI RESTA E CHI VA
Con il cuore in mano

  -Cara, ti devo parlare.
  -Cosa c’è, Tesoro? Cosa devi dirmi?
  -È difficile da dirlo ma, ci dobbiamo lasciare.
  -Cosa? Perché?
  -Lo sai, io ora sto per andarmene da questa città, e la nostra storia non potrebbe durare se siamo così distanti.
  -Non credi nella forza della nostra relazione? Neanche dopo tutti i bei momenti trascorsi? Stiamo insieme da più di sette anni ormai, abbiamo attraversato momenti di crisi sempre insieme e tu vuoi lasciarmi ora? Solo perché devi andartene?
  -Non è così semplice. Tu qui hai un tuo lavoro nella galleria d’arte, hai una famiglia a cui sei legata. A me invece qui non rimane niente. Il mio lavoro ora è laggiù, l’unico parente ancora in vita con cui non ho ancora litigato è laggiù. Cosa dovrei fare, rimanere qua solo per te?
  -Certo, cioè, potresti venire a lavorare con me alla galleria d’arte. Potrei trovarti un posto libero.
  -Ti ringrazio Cara, ma lo sai che io dell’arte che gestite voi non capisco niente.
  -Io veramente pensavo più ad un posto da inserviente.
  -Inserviente, davvero? La tua idea per non farmi partire sarebbe offrirmi un posto da inserviente? E poi come farei a mantenermi con uno stipendio così misero?
  -Io aggiungerei i miei guadagni. Poi al massimo potremmo chiedere un aiuto a mio padre.
  -Per litigare anche con lui? No grazie, non ci tengo.
  -Non partire. Troveremo un’altra soluzione. Vieni a stare da me finché non hai trovato un nuovo impiego.
  -L’alloggio che condividi con quelle due oche delle tue coinquiline è già abbastanza piccolo per voi tre, figurati se mi aggiungo anche io. Inoltre mi sembra di ricordare che più volte mi hanno esplicitamente detto, quando mi fermavo la notte da te, che quello si trattava di un appartamento per sole donne.
  -Non pensavi fossero tanto oche quando ti incantavi a fissarle appena uscivano dalla doccia con solo un asciugamano.
  -Il fatto che sono oche non implica che sono racchie. Vuol solo dire possono ambire al premio “eroe della deficienza mentale”. Ma se ora passiamo agli attacchi personali dimmelo, perché in tutti questi anni ho vissuto senza parlare di momenti in cui tu ti dimenticavi della nostra relazione, che ne ho da riempirci uno schedario.
  -Cosa dici, io sono sempre stata fedele alla nostra storia a differenza tua, dongiovanni casanova che non sei altro.
  -Davvero? Non ti ricordi di niente? Quattro anni e cinque mesi fa, parco acquatico “Tronchi Schizzi”. Un certo Carlos Ovèdez ti ha intrattenuta tutto il giorno, mostrandoti le maggiori attrazioni del parco, per poi portarti nel pomeriggio in una cabina a mostrarti le sue di attrazioni.
  -Tu, come osi tirare fuori questa storia! Avevamo deciso di non parlarne mai più!
  -Vedi, anche tu hai avuto dei momenti di cedimento, miss “cintura di castità che si apre solo al nostro amore”.
  -Non mescolare le carte in gioco. In quel parco acquatico non è successo quello che dici, e lo sai bene. Io, giovane e ingenua, ma dotata di una bellezza sincera che non poteva non abbagliare ogni essere abbastanza puro da comprendere il mio animo, mi sono lasciata avvicinare come una giovane cerbiatta che non conosce le crudeltà di cui sono capaci gli uomini. Ma quel ragazzo era come un cacciatore, non un gentile animaletto della foresta che voleva giocare con me.
  -O sì che lui voleva giocare con te!
  -Non è vero, lo sai! Quando mi ha portato nella sua trappola io sono fuggita e sono ritornato dal mio branco.
  -Ora le tue amiche sono un “branco”? Un branco di vacche, oserei dire.
  -Faceva parte della metafora, intendi il significato delle parole. Ma come vedi, io sono sempre stata corretta nei tuoi, nei nostri confronti.
  -Non è vero, potrei farti altri cento esempi in cui ti sei lasciata andare dal tuo amore monogamo duro e puro.
  -Davvero? Allora fammene almeno uno!
  -No, perché ognuno è troppo grave per fare una scelta!
  -Tu non ne sai neanche uno invece, ammettilo!
  -Sta zitta Sandra!
  -_ _ _
  -Anf anf.
  -_ _ ora mi chiami per nome? Non sono più “Splendore”, “Dolcezza” per te?
  -Scusami Sandra, non volevo urlarti contro. È che te ti sei impuntata sul volere che io rimanessi qui.
  -Io mi sono impuntata, IO? Tu sei quello che si è impuntato, sei testardo e infantile, lo sei sempre stato. Mi hai chiesto di uscire con te la prima volta solo perché assomigliavo a tua madre e avevo il suo stesso cognome. Dimmi se non è una cosa stupida!
  -Hai ragione, ma dopo mi sono innamorato di te per le tue vere qualità. Anche se forse stavi meglio con il taglio di capelli di allora…
  -Non ci provare neanche a dirlo. Certo che ti sei innamorato poi della vera me, ma tu non capisci i sacrifici che ho dovuto fare per fartela vedere, questa mia parte. Ad ogni minimo cambiamento rischiavo di non piacerti più e di perderti.
  -Ma siamo rimasti insieme. È questo che conta, giusto? Calmiamoci entrambi. Sono giornate stressanti per tutti, tra trasloco e pacchi e magagne.
  -Davvero pensi che la nostra storia non sopporterebbe la distanza?
  -Non lo so Dolcezza, non lo so.
  -Proviamoci.
  -Va bene.

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Capitolo 4
*** Come un fratello ***


CHI RESTA E CHI VA
Come un fratello


  Conoscevo Darren da una vita. Siamo migliori amici da quando abbiamo iniziato a parlare, ma penso che già prima tra noi due ci fosse un legame speciale. Lui mi ha sempre aiutato nei momenti bui, e io ho sempre aiutato lui. Quando fuggivo di casa due volte su tre perché i miei genitori mi sgridavano per qualche mio disastro, scappavo da lui, e trovavo riparo nella sua cameretta. I suoi genitori, due splendide persone, portavano una cena che io e lui mangiavamo nella stanzetta. I signori Forrester chiamavano poi i miei genitori, che entravano nella camera fingendosi disperati per la mia scomparsa. Io e Darren, quando sentivamo che arrivava qualcuno, ci nascondevamo sotto il letto, ma appena vedevo la finta tristezza per la mia scomparsa dei miei genitori, gli correvo incontro per non farli preoccupare. Sono figli di due astutissimi geni.
  Quando ho lasciato casa perché ormai troppo alle corde con i miei, tornai di nuovo da lui. Allora stava in un appartamentino sopra una rivendita di tacos e hamburger, e le pareti avevano un odore che ricordava una friggitoria di un pessimo vicoletto in un pessimo sobborgo di un pessimo paesino facente parte di una pessima nazione di questo pessimo mondo. Noi adoriamo ancora ora quella fragranza stagionata di muri di cartone e olio bollente, accompagnato da un’orchestra di friggitrici semiautomatiche, nel senso che noi sospettavamo che quell’olio fosse talmente malsano da dare vita alle patate che preferivano mettere fine ai loro supplizi, vedendo dove si trovavano.
  Avevamo pure organizzato una ricorrenza, dopo esserci trasferiti nel nuovo appartamento, chiamata “Il fritto misto del frutto”, che festeggiavamo ogni terzo e quinto mercoledì del mese.
  Finita cena quel terzo mercoledì, ci sedemmo come di consuetudine, in attesa di smaltire tutta la frittura. Darren si corica come sempre sul divano, mentre io prendo la vecchia poltrona. Sfrutto anche qualche scatolone già imballato per la mia partenza per appoggiare i piedi.
  Comodamente seduti, inizia ad insinuarsi in noi il demone dell’abbiocco. Darren è già quasi suo succube, e io da buon amico non posso lasciarlo cadere nelle sue grinfie.
  -Ehi Darren, giochiamo a “E se”?- era il gioco che facevamo sempre quando volevamo passare una notte senza dormire, o non avevamo niente da fare.
  -Va bene. Comincia pure tu.- sono riuscito a svegliarlo dal suo stato di catarsi, bene. Ora devo solo convincerlo a parlare prima che collassi completamente.
  -E se fossimo in un mondo di scimmie, e noi fossimo gli unici sopravvissuti, e io non so chi sei te e te non sai chi sono io, e al nostro primo incontro ci scambiassimo vicendevolmente per delle strane scimmie spelacchiate, te cosa faresti?
  -Diventeremmo lo stesso amici e fonderemmo una colonia in cui sopravvivere. Ho sempre pensato che eri un po’ scimmia te.- ride. Questo gioco riesce sempre a risvegliarlo e ridargli il buonumore. Ci abbiamo giocato anche al funerale di sua zia Tessy, quando non aveva neanche più lacrime per piangere. Alla domanda “E se Tessy fosse ancora qui, cosa le diresti?” mi raccontò tutti i bei momenti passati con lei. Credo sia allora che ho capito che la nostra era più di semplice amicizia.
  -Bella risposta. Ora tocca a te. “E se” cosa propone lo chef oggi?
  -Lo chef Darrén le propone un “E se dove tutti sono a testa in giù, ma lei è a testa in su e tutti la pensano uno strano che non ha la testa a posto”, con un contorno di “cosa farebbe lei?”.
  -Non ascolterei il giudizio degli altri. Io non sono uno che guarda la gente dall’alto verso il basso.
  Ride ancora, e felice di questo momento di solo noi due, come ai vecchi tempi -Di sicuro, non hai la puzza sotto il naso. Ma non farti mettere i piedi in testa.
  È il momento di sganciare la bomba -E se… io andassi via e non tornassi mai più, tu cosa faresti?- ordigno rilasciato. Retrocedere, retrocedere.
  -Di sicuro non ti bloccherei. Se vuoi andare via di qui, non avrei motivi validi per trattenerti.
  -Lo apprezzo davvero ma, accetti la cosa così tranquillamente? Non ne abbiamo mai parlato, perciò quando hai iniziato ad aiutarmi con gli scatoloni pensavo ti andasse bene. Ma ora sto iniziando a credere che la storia sia un’altra. Cerchi sempre di svicolare da questo discorso. Cosa pensi veramente di questa situazione?
  Darren non parla, lo ho messo con le spalle al muro. Ora non può più scappare.
  -Mi mancheresti. Se te ne andassi mi mancheresti. Ma non volevo farti pesare la cosa. Non volevo che tu rimanessi qui solo per me, è poi in un futuro avresti rimpianto di non essere partito.
  -Ma non avrebbe sbilanciato le mie scelte. Senti Darren, per me sei importante, sei il fratello che non ho mai avuto. Se ti dispiace che me ne vada, dimmelo. Il tuo apparente ignorare la mia partenza mi aveva fatto pensare che non mi volessi più bene.
  -Non potrei, lo sai. Abbraccio imbarazzato?- protende le braccia verso di me.
  -Abbraccio fraterno.- ricambio il suo gesto, stringendolo in un caldo abbraccio.
  Siamo in piedi in mezzo alla stanza, quando il fritto come sempre torna a farsi sentire, e tra noi parte una corsa senza regole per il bagno. Fratellanza e tante care cose, ma l’arrivare primo o secondo fa la differenza tra una sana fuoriuscita e un paio di pantaloni da buttare.

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Capitolo 5
*** Chi ricorda rivive ***


CHI RESTA E CHI VA
Chi ricorda rivive


  Chiara come la gabbia materiale in cui si rifugiano le anime che non vogliono abbandonare questo mondo, la nebbia mattutina pervade il cimitero facendo passare un brivido gelido lungo le schiene dei visitatori. Pochi visitatori, di cui solo qualche anziana signora e il guardiano-gestore di quel luogo di raccolta di spoglie mortali. Saluto gentilmente le vedove di mariti, figli e nipoti, mentre mi dirigo a fare visita al mio interessato.
  È in mezzo al grande camposanto, poco distante da dove era stata tumulata la sua consorte. Quando arrivo lo saluto, e iniziò a parlargli senza remore.
  -Ciao nonno, come va? Spero tu stia bene. Sono venuto a farti un’ultima visita prima di partire. Sai, vado via domani. Ma non volevo andarmene senza averti visto ancora una volta.
  L’altro è fermo, immobile ad ascoltare le parole del nipote.
  -Spero che qua ti trovi bene. La zona è al sole, ma non fa troppo caldo. Il guardiano passa a bagnare i fiori due volte al giorno, e poi immagino che anche un sacco di altra gente venga a farti visita oltre a me. Non i tuoi vecchi amici forse, loro ti hanno già tutti raggiunto, neppure forse il papà e la mamma, voi vi siete lasciati non molto gentilmente. Ma chissà quante vecchie avventure che hai vissuto ti hanno trovato delle nuove amanti, chissà quante saranno passate a trovarti e a ricordarsi delle vostre focose passioni. Forse il trovarti vicino a tua moglie può averle intimorite, ma in fondo lei era già morta quando tu facevi nuove conquiste, no?
  Una anziana signora si avvicina -Vedi nonno. Un’altra delle tue fiamme e passata a porgerti i saluti.
  -Io con il signor Marvin non ho avuto ne ho niente da spartire. Sono passata a fare visita alla povera Eloise, che ha dovuto sopportare un marito così degenere. Pace all’anima sua.- si avvicina alla tomba adiacente, poi guarda i fiori e, dopo una veloce analisi, li prende e li porta con se, diretta alla fontana degli innaffiatoi.
  -Bhe, nonno, forse non era lei uno dei tuoi amori perduti. Ma ci saranno state donne che saranno passate a trovarti, non dubito il contrario.
  L’anziano padre di mio padre rimane impassibile, non interrompendomi nel discorso.
  -Ma forse avrai capito che non sono qui per ascoltare i tuoi racconti di gioventù. Non che non mi piacciano, anzi. Fin dal primo racconto che mi narrasti rimasi incantato da quei tuoi romanzi a parole, dove realtà e incredibile si mischiavano. Poco importava se non si trattava della tua vera storia, per me erano reali, e mi hanno aiutato a costruire la figura del mio mito, Tu.
  -Non devo perdermi in chiacchiere, altrimenti perderò il concetto che volevo dirti. Da quando non ti vedo più spesso come prima, sento che ci sono sempre meno cose che mi tengono ancorate a questa regione. Non sono mai voluto andare via per non abbandonare la terra che tu hai coltivato per poter costruire una casa a te e a tua moglie. Ma ora che tu per prima l’hai lasciata, anche io posso farlo. Per questo ho accettato l’offerta quel lavoro, offerta che mi chiedeva da tempo e mi offriva ottime condizioni. Ora posso acchiapparla prima che scappi, e ricominciare lontano da qui.
Io figlio di suo figlio guardo il nonno e mi metto a piangere, piangere grosse lacrime di tristezza trattenute troppo a lungo.
  -Mi manchi nonno. Da quando la malattia ti ha strappato da noi mi manchi tantissimo. Perché quelle dannate macchine non ti hanno tenuto in vita ancora per un po’? Avremmo potuto festeggiare il tuo centesimo compleanno, e io come regalo ti avrei fatto uscire dall’ospedale e ti avrei portato a vedere qualsiasi posto tu volevi. Saremmo potuti andare sulle rive di un lago, o potevamo attraversare uno splendido parco in fiore. Perché non sei rimasto con me? Avevo ancora tanto da imparare da te. Mi avresti potuto raccontare delle guerre, e poi come fare il tuo burro speciale. Ora nessuno saprà più fare il burro speciale!- oramai le lacrime non mi lasciano neanche più parlare, e devo prendere grossi respiri e calmarmi per riuscire di nuovo a parlare.
  -Quando ti hanno seppellito è venuta pochissima gente. Per portare papà e mamma ho dovuto insistere a lungo, e loro non hanno pianto una sola lacrima. Nessuno a pianto una sola lacrima. Solo il cielo mi ha accompagnato nel mio pianto silenzioso, con una pioggia che a coperto le mie lacrime. Mi dispiace che tu abbia dovuto dare l’ultimo saluto in una così terribile modo.
  Oramai ho quasi finito tutte le mie lacrime. Asciugatomi gli occhi arrossati, accarezzo la lapide di pietra e mi avvio all’uscita.
  Pochi passi prima del portone, un tiepido tepore mi abbraccia scacciando il brivido dello sconforto. Mi giro verso il letto del nonno e gli sorrido. Ha voluto salutarmi dicendo che andava tutto bene.
 


MARVIN GROSSONBERG
Uscito vincitore da molte guerre,
ha perso nella battaglia più dura, quella contro il Tempo”

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Capitolo 6
*** Catch illegale tra i vicoli ***


Nei capitoli precedenti:
  Il protagonista lascia una famiglia problematica, una ragazza con un rapporto a distanza ed il suo migliore amico per trasferirsi in una nuova città, dove ha un nuovo lavoro.


CRUCCI D’AMORE
Catch illegale tra i vicoli


  Credo che la prima cosa che ho notato di diverso quando sono arrivato qui sia stato il verde. Lungo tutta il tragitto, da quando ho lasciato l’ultima metropoli per raggiungere questo piccolo insediamento di cinquemila persone, l’enorme quantità di alberi è stata la cosa che più mi ha fatto compagnia. Pini, abete, querce o alberi da frutto, erano tutti verdi e rigogliosi, orgogliosi di mettere in mostra le folte chiome. Il verde abbonda anche dentro la città, continuando a correre ai bordi delle strade in un piccolo corridoio a lui adibito. I parcheggi sono ben mimetizzati da siepi e altri alberi, potati a dovere.
  Prima di ora, non mi era mai capitato di poter stare in così tanto verde. Solo una volta durante l’infanzia avevo quasi vissuto altrettanto, quando con i miei andai a passare una settimana in montagna per sciare. Quell’anno però non aveva ancora nevicato, e i prati erano ancora rigogliosi grazie ad una buona temperatura. I grandi impiegarono un’intera giornata per farsi rimborsare, e io ebbi tutto quel tempo per correre e rotolarmi nell’erba. Feci anche amicizia con una ragazzina del posto. Quando mi portarono via, le regalai una collanina con una moneta bucata come ciondolo, per non far sì che si dimenticasse di me. Buffo, perché sono io che mi sono dimenticato di lei. Chissà ora cosa starà facendo.
  Ora però non è il momento dei ricordi. Sono appena arrivato in questa cittadina dal nome impronunciabile, e devo andare dallo zio Bobbie, in modo da potergli lasciare tutti i bagagli. Ma prima voglio passare a prendere qualcosa da mettere sotto i denti.
  Entro in un negozietto chiamato M-Mall, e dentro prendo qualche biscotto confezionato da portare via. Vado alla cassa e chiedo anche un caffè lungo. Il commesso inizia a prepararlo, dandomi il tempo di osservarlo. Sembra un ragazzo attorno alla maggiore età, non particolarmente in forma ma che non si è lasciato andare. Sulla targhetta c’è scritto “Randall”, e il cappellino del negozio copre in parte i capelli bruni, che scendono lunghi dal lato destro. Si muove con aria disinteressata, e quando a finito il caffè si rivolge a me apatico -Cinque e cinquanta.
  Dopo aver pagato faccio per uscire, prendendo il telefono per mandare un messaggio a Sandra. Prima che partissi avevamo deciso di non lasciarci, provando a mantenere la nostra relazione anche con la distanza. Le avevo promesso che appena arrivato le avrei scritto, e così iniziai a digitare, mentre mi avviavo fuori dal negozio.
  Uscito presi senza guardare un vicolo. Concentrato come ero sullo schermo non mi guardai intorno, non notando che la strada imboccata era stretta e buia. Arrivato circa a metà, due ragazzi escono fuori dalle ombre e mi fermano. Il biondo, tozzo e robusto, mi parla -Bene bene, un nuovo visitatore è arrivato in città. Ma sembra che non abbia ancora pagato la tassa alla Banda.
  Io sono confuso. Non mi era stata menzionata nessuna tassa da pagare, e certamente non penso di dover dare dei soldi a degli adolescenti
  -Sentite, forse vi siete confusi con qualcun altro. Io non ho nessuna tassa…
  -Zitto!- il biondo tarchiato mi assesta un sinistro sulla guancia che mi fa girare. Io sono una persona pacifica e tutto, ma se qualcuno mi picchia io mi difendo. Fermatomi quindi dallo slancio del colpo carico verso il mio assalitore, ma in mezzo si mette l’altro ragazzo, più giovane del primo, che incassa il mio colpo nello stomaco.
  Mi fermo per vedere se ho fatto del male al ragazzo, in fondo lui non mi aveva fatto niente, ma mentre mi piego verso di lui l’altro mi colpisce sul collo, facendomi finire a terra.
  -Bene. Randon, prendigli tutto.- vedo il ragazzo che ho colpito avvicinarsi a me steso e frugarmi nelle tasche, mentre si tiene la pancia dove l’ho colpito. Riesco appena ad alzare il collo per vedere i due ragazzi fuggire con il mio portafogli, i miei documenti e il mio telefono.
  Steso guardando il cielo penso a come si è rovinata la giornata, solo perché ho preso una strada senza guardare. Mentre mi recrimino, sento dei passi. Saranno i ragazzi di prima che vogliono finire il lavoro che hanno iniziato. Facciano pure.
  -Accidenti, ti hanno proprio conciato male.- non è la voce di uno dei miei due assalitori, è una voce femminile, dolce e gentile. -Ce la fai ad alzarti?- La mia soccorritrice mi si avvicina, e così ho la possibilità di vederle il viso da disteso. I capelli lisci scendono verso di me, mentre gli occhi allegri rimangono incorniciati in un viso chiaro e rotondo.
  Io faccio cenno di sì e cerco di tirarmi su facendo leva sulle braccia, ma crollo dopo pochi tentativi.
  -Aspetta, ti aiuto.- lei mi prende per le spalle ed inizia ad alzarmi. Con il suo aiuto presto riesco a raggiungere la posizione verticale. Risistemati gli assi e le ascisse, riesco finalmente ad avere un quadro completo della mia salvatrice. Ora i suoi capelli biondi scendono oltre le spalle che sono sorrette da un corpo delicato ma tonico, una sottile ma robusta molla pronta a scattare.
  Forse gli occhi dorati, o la pelle diafana o capelli che profumavano di fresco, o forse un unione di tutti quegli elementi, ma in quel momento la ragazza mi sembra la Bellezza scesa in terra. Mentre rimango fisso a contemplarla, una il Sole la illumina da dietro elevando ancora di più la sua bellezza.
  -Sei stato sfortunato a fare subito la conoscenza della banda di Morgan, straniero. Quella non è bella gente da frequentare. Dimmi, ti hanno preso qualcosa di importante o… Ehi, mi ascolti?- inizia a scuotermi la mano davanti agli occhi, dissipando l’incantesimo che non mi faceva smettere di guardarla. Ora penserà che sono un rimbambito. Spero di aver iniziato a sbavare.
  -Scusa, cosa hai detto?
  -Ti hanno rubato qualcosa? Vuoi che ti accompagni a sporgere denuncia?
  -Sì grazie.- perfetto, ho la possibilità di stare ancora con questa splendida ragazza. Devo fare in modo che si dimentichi della mia figuraccia di prima.
  -Comunque ho visto che anche tu hai un bel colpo. Devi aver lasciato il segno a Randon.- un bel colpo? Cosa intende? Vuole dire… Non avrà mica…
  -Senti, da quant’è che sei qui?- devo capire cosa ha visto.
  -Grossomodo direi da quando Randon e Bult ti hanno accerchiato.- Accidenti accidenti accidenti, mi ha visto cadere come un sacco di patate.
  -Vorrei solo puntualizzare che non sono caduto subito perché mi ha steso. È che avevo mangiato pesante, stavo digerendo e poi, e poi, oggi ho i bioritmi sballati.- mi sono salvato in extremis.
  -Certo, i bioritmi.- non saprei perché ma il tono non mi sembra molto convinto.
  -Comunque signor Strani Bioritmi io sono Cloe.- mi porge la mano.
  -Io sono Charl.- la prendo con entrambe e stringo entusiasta. Senza più appoggi, crollo a terra portandomi giù anche lei.
  -Senti Cloe, facciamo che dimentichi questa scena e mi porti alla centrale, va bene?

  La polizia era poco distante, situata su una piazza due incroci dopo il M-Mall. Anche se ero già di nuovo capace di camminare da solo feci tutta la strada attaccato al braccio di Cloe inebriandomi della fragranza dei suoi capelli, che avevo identificato in un misto tra pesca e vaniglia.
  All’interno la centrale non è particolarmente grande, una sola scrivania è presente dietro ad un banco di accoglienza. Sulla sedia girevole con i piedi sulla scrivania c’è un agente magro ed alto, mezzo assopito e con la divisa mezza fuori.
  -Billsen, svegliati.- Cloe urla all’uomo in divisa, che trasale e cade a terra.
  Sistemandosi il cappello caduto sugli occhi l’agente si alza -Ciao Cloe, non ti avevo vista. Stavo meditando su alcuni casi importanti.- prese alcuni fascicoli per cercare di sorreggere il suo alibi.
  -Stavi meditando molto profondamente, ho visto. Senti, questo foresto è stato derubato ed è venuto qui per fare denuncia.
  -Che fatto disdicevole. Questo potrebbe nuocere all’attrattiva turistica della città. Bene, ora mi dica cosa le è successo.
  -Allora, ero in un vicolo e sono stato aggredito da due ragazzi che poi mi hanno preso tutto ciò che avevo nelle tasche.
  -Dei ragazzi? E probabilmente non saprà riconoscerli vero? Che disdetta, temo che questo caso rimarrà proprio irrisolto.- mentre parlava digitava la mia deposizione su un computerino presente al banco di ingresso.
  Cloe non lasciò finire il poliziotto che disse la sua -Era Randon e Bult!
  -Intende gli amici del giovane Morgan? Quei Randon e Bult?
  -Proprio loro due.
  -Ma non possiamo esserne sicuri. Il derubato potrebbe essersi confuso ed aver visto qualcun altro.
  -Billsen, non fare il tonto con me. Gli ho visti con i miei occhi, e saprei riconoscere quei due membri della banda tra tutti gli adolescenti della città. Ora chiamali e falli venire qui.
  Stava iniziando a sudare e la mascella si muoveva su e giù tremante -No non so se se.
  -Ora li chiami e li fai venire qui! Capito?
  Sotto l’ordine perentorio di quella splendida ragazza che mi stava accanto l’agente Billsen prese la cornetta e con mani tremolanti compose il numero dei due giovanotti ricercati.

  In neanche venti minuti, fummo raggiunti dai miei due aggressori.
  Con voce balbettante, Billsen cominciò quando fummo tutti seduti -Ragazzi, vi ho chiamati qui perché siete sospettati per una rapina.
  -Accusati Billsen, accusati.- puntualizzò Cloe in mia difesa.
  -Sì certo. Siete accusati della rapina attuata ai danni della qui presente vittima, il signor Charl.
  Il turno balzò a Bult, il ragazzo tarchiato -Sa caro signor agente, prima che ci chiamasse dovevamo andare a villa Morgan.
  -Non facciamo di sicuro aspettare degli ospiti dei signori Morgan. Rispondete e potremo finire tutto velocemente: avete fatto la rapina?
  -Certo.- dopo aver confessato il colpo, Bult buttò la roba che mi aveva rubato sul bancone.
  -Perfetto. Abbiamo ritrovato tutta la refurtiva. Si può dire che il caso sia chiuso qui.
  Cloe urlò arrabbiata -Cosa?! Loro confessano il crimine e lei li lascia andare così? Ma che razza di tutore della legge è?
  -Bhe bhe, non è presente una denuncia e così possiamo mandarli a fare le loro commissioni. Credo siano molto più importanti di stare qui.- finito il balbetto di Billsen, Bult fece cenno di sì insieme ad un sorriso beffardo.
  -Come non c’è denuncia? Come?! Perché pensa che abbia accompagnato Charl qui, per fare due chiacchiere?- Cloe continuava a strillare esasperata dall’agente che sembrava fare tutto se non il suo dovere.
  Lei si alzò avvicinandosi alla sedia da ufficio di Billsen, che si faceva sempre più piccolo mentre si avvicinava -Non mi sembra il caso di aprire un fascicolo per queste ragazzate.
  -Solo ragazzate? Quando avverrà un accoltellamento liquiderà tutto con “un macellaio che non ha sfondato nella vita”? Mi senta, deve prendere questi due e metterli al fresco, perché non è possibile che con le conoscenze qui…- il discorso venne troncato dal suono della campana, salvando Billsen dalla ramanzina.
  -Cara Cloe, sembra che il mio turno sia finito qui. Se vuole discutere ancora, aspetti il mio collega.
  Cloe infuriata torna al suo posto -Dannazione, sei una vergogna di agente Billsen. Se non dovessi tornare a casa starei qua tutta la notte.
  Bult e Randon, ormai scagionati dalle accuse, si alzarono e salutarono gli altri -Allora noi andiamo. Cloe, punching-ball, Billscem.
  Attese che i due furono usciti, poi Cloe prese la sua maglia e si avviò anch’essa -Che rabbia mi fanno quei due. Charl, io ora devo proprio andare.
  Rimasto solo con il poliziotto nella stazione di polizia, me ne andai anch’io. In realtà ero entrato principalmente per Cloe, quello splendore umano. Da quando l’avevo vista, ne ero rimasto infatuato. Salutai l’agente, che mi rispose con “Buona giornata anche a lei. E benvenuto a Niohome.”. Bella giornata proprio.

  Fuori dall’edificio, seduta su un grosso vaso di cemento posto in cerchio insieme a molti altri per dividere il centro della piazza dal suo perimetro di edifici, Cloe attendeva con lo sguardo perso nel cielo. Mi avvicinai cautamente a lei, sedendole accanto. Rimasi incantato a fissare i suoi capelli biondi dorati che le scendevano lungo il corpo, e la sua pelle quasi trasparente ora imporporata dal sole al suo tramonto.
  Rimanemmo in quella situazione di estasi finché non mi scivolò dalle mani inermi il portafoglio svuotato che avevo recuperato. Toccando terra tintinnarono con suono cristallino le chiavi al suo interno, svegliandoci dai nostri apparenti stati di beatitudine. A quel punto Cloe notò la mia estrema vicinanza a lei del corpo e delle mani, che nel mio stato di apatia erano scivolate verso di lei.
  -Oh, pensavo fossi ancora intento nella tua denuncia la dentro.- esclamò lei, ritraendosi leggermente da me.
  -Non desideravo certo ripetere tutto il percorso giudiziario per quei soldi che avevo.- cercai di buttare sul ridere la questione, al fine di riempire il vuoto che si era formato tra noi.
  Lei fece una breve risata cristallina, e poi si liberò di quel tono distante che aveva preso appena risvegliata -Presumo che abbia un posto dove passare questa notte, giusto?
  Io gli risposi sinceramente alla sua domanda forse un poco troppo personale, ma che mi appassionava dicendomi indirettamente di un suo interesse alla mia persona -Ho l’intenzione di passare questa sera e molte altre a venire ospite di mio zio. Cioè, lui non è proprio mio zio, in realtà è il figlio del cognato dello zio di mia madre.
  Lei si lasciò andare ad un’altra delle sue splendide risate, e tutto ciò mi riempiva di calore il cuore. Tutto quello che in quel momento desideravo era rimanere così per sempre, solo io e lei, intenti in un’allegra chiacchierata.
  Dietro al vaso a cui eravamo appoggiati si fermò frenando bruscamente un macchinone nero. Dalla portiera del guidatore scese un ragazzo abbronzato, con un paio di occhiali da sole. La canottiera bianca, unico suo indumento superiore, aderiva e risaltava i muscoli marmorei del tipo.
  Il suo arrivo blocco il nostro parlare, e solo questo sarebbe già bastato per farmi provare odio per quello scamiciato che avrà avuto cinque o sei anni in meno di me. Ma il mio odio aumento non appena si avvicinò a Cloe e la strinse a se, come a voler rimarcare un suo possesso.
  -Ciao tesoro.- la salutò con un bacio che mi fece ribollire di gelosia -Cosa succede, questo strambo ti importuna?- la sua domanda, oltre che calunniosa, offese anche il mio senso estetico. Nella mia condizione, con i vestiti impolverati e stropicciati, al massimo mi si sarebbe potuto affibbiare un “malconcio”. Ma “strambo” no. Offendeva me e tutto il mio guardaroba.
  -Per niente amore. Mi stava raccontando del figlio del cognato della nonna che al mercato suo padre comprò.- la terza sua dolce risata la concluse, bloccando ogni mio istinto a correggerla. Una tale bellezza poteva permettersi fino a tre errori senza correzione.
  -Allora possiamo andarcene.- il bellimbusto si avviò verso la macchina e la portò con lui, cingendola con un braccio attorno alla vita.
  -Aspetta, devo fare ancora una cosa.- si liberò dalla sua stretta e corse verso di me, dandomi un leggero bacio sulla guancia. Poi risalì in auto e i due andarono via.
  Quel saluto inaspettato ma così apprezzato mi fece finire su una nuvola per tutto il tragitto fino alla macchina parcheggiata, e da lì fino a quando raggiunsi la casa dello zio Bobbie fuori dal paese. Quando girai la chiave la nebbia di felicità che mi appannava la mente si era in parte diradata, ed io entrai nell’edificio.
  Raggiunto il salotto d’entrata, temetti che quel bacio inatteso aleggiasse ancora davanti ai miei occhi, creando miraggi seducenti. Da una porta immersa nel vapore era uscita il divino essere che turbava la mia anima da una mezza giornata. Cloe era avvolta in un asciugamano che fasciava il suo tronco prominente, e un turbante dello stesso materiale della veste cingeva la testa.
  Solo quando entrò lo zio scoprii che quella davanti a me non era una visione, e feci anche un’altra scoperta ancora più sorprendente.
  -Charl caro, sei arrivato. Vedo che hai già incontrato la mia piccola.
  Credo che sia quello il momento esatto quando la mia passione ardente si gelò in un blocco unico, spaccandosi in mille schegge che mi trafissero da dentro con mia enorme sofferenza.


N.d.A.
  Questo capitolo si pone (evidentemente, me scemo) come prosecutore delle vicissitudini dei personaggi precedentemente citati. Ma ne mantiene anche le distanze, potendo venir letto senza sapere dei capitoli precedenti. Questo è fatto per una mia malsana idea, cioè creare una storia che si basa sui vari contest e challenge presenti sul forum, che io rielaboro e cerco di unire qui. Infatti i primi quattro capitoli vengono dal contest "End of the Line" di Found Serendipity, mentre questo e i due prossimi sono costruiti sulla base della challenge "Mal d'Amore" di AcquaSaponePaperella. Ogni capitolo o gruppi di capitoli provenienti da un contest/challenge avranno un titolo proprio ("Chi resta e chi va" dal primo al quarto, "Crucci d'Amore" riguardo questo arco narrativo).
  Riguardo ogni quanto avverrà la pubblicazione. Quando inizierò un nuovo arco pubblicherò un capitolo alla settimana fino alla sua conclusione. Invece riguardo alla frequenza di pubblicazione dei vari archi dipenderà da ciò che trovo sul forum. Ora ho già visto altri due o tre contest, ma successivamente sarà da vedere. Perciò se la storia vi interessa molto (ma non credo) create nuove sfide sul forum accettando anche Originali Comico. Se volete propormele io sarò ben accetto a valutarle se inseribili nella storia (sono di bocca buona, basta che non ci siano troppe limitazioni e accetto praticamente tutto. Per darvi un'idea e una piccola anticipazione, in un prossimo tempo appariranno insieme una tenda militare, una bottiglia polverosa e una sfera di cristallo).
  Finisco qui il mio breve angolo e chiudo
~Lo Otta

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Capitolo 7
*** Contesa la donna, conteso il suo amòr ***


CRUCCI D’AMORE
Contesa la donna, conteso il suo amòr


  -Charl caro, sei arrivato. Vedo che hai già incontrato la mia piccola.- lo zio Bobbie disse quelle parole senza esitazione, senza sapere della mia infatuazione per la sua piccola, Cloe. Piccola che stava nella nostra stessa stanza coperta da solo un asciugamano che nascondeva a malapena le parti private di una donna come lei. Quella scoperta seppelliva però il mio recente amore in una bara sotto strati di dubbi e pregiudizi di retta moralità.
  Mentre ero bloccato dalle mille domande che mi ponevo, una donna simile a Cloe, ma con corti capelli beige a caschetto ci raggiunse dalla stessa direzione da dove era arrivato lo zio.
  -Sii preciso amore, altrimenti lo confondi solo. Tu devi essere Charl giusto? Io sono Flossie e lei è mia figlia Cloe, concepita durante il mio primo matrimonio. Mi sono risposata con Bobbie alcuni anni fa. Spero andremo d’accordo.- i modi della donna erano calmi e gentili, come quelli di una dolce zia, e mi aspettavo solo che da un momento all’altro mi prendesse una guancia per sprimacciarmela tutta. Lei non poteva saperlo, ma quello che aveva appena detto mi aveva salvato dalla peggiore delusione d’amore che avessi mai provato. Un conto è essere innamorato della figlia della seconda moglie del proprio zio, un altro è amare una cugina. Tutto quello che mi avevano insegnato era contrario a ciò.
  Felice, la abbracciai di getto. Profumava di caramello e un pizzico di cannella.
  -Lo prendo come un sì.- Flossie sorrise mentre la abbracciavo.
  Lo zio Bobbie commentò con il suo solito tono comico, che mi divertiva tanto da piccolo -Spero tu non sia venuto fino a qui per rubarmi la sposa. Perché in quel caso dovrai lottare con le unghie e con i denti per strapparmela.- la tirò a se facendole fare una piroetta, e poi loro due si fermarono in posa, come una vecchia coppia di ballerini esperti. -Devi ancora mangiare?
  Io feci cenno di no con la testa. Dopo tutto il trambusto non avevo voglia di ingurgitare niente, anzi ero solo fortunato ad avere lo stomaco vuoto, altrimenti avrei rischiato di buttare fuori tutto ciò che tenevo.
  -Ok.- zio e sua moglie rientrarono a passo di danza nella stanza da dove erano arrivato, che avevo identificato come la cucina.
  Nel salottino restavamo solo io e Cloe, ancora fradicia e avvolta nei pochi panni che teneva. Lei non faceva molto per coprirsi, e l’unica barriera tra la mia vista e il suo petto era quell’asciugamano che si teneva insieme per qualche forza adesiva a me sconosciuta.
  Cercavo di distogliere lo sguardo da quel lembo di pelle, ma una parte di me aveva preso il controllo delle mie pupille, zoomando su quell’area, e io internamente pregavo che lei non si accorgesse dove stavo puntando da quando era entrata nella sala.
  -Allora, tutto bene con il tuo amico?- provai a chiederle, cercando di distrarre il me peccaminoso che dirigeva il mio sguardo, ma quello oramai aveva spento tutti i sensi tranne la vista.
  -Benissimo. Taso è un fidanzato fantastico.- la parola mi colpì come una sfilettata al petto, scalfendo profondamente le catene del mio mostro verde di gelosia.
  -Fantastico. E dimmi, conosci qualche bel posto dove posso divertirmi ‘sta sera? Voglio dimenticarmi tutti i casini di oggi.
  -Vieni con noi. Avevo un appuntamento con Taso, ma se vieni anche tu ci divertiremo ancora di più!- Dopo avermi invitato si girò e si avviò per salire le scale, facendo svolazzare di poco l’asciugamano e mandando in estasi tutto in me, fino al mostro verde.
  Anche io mi avviai lungo le scale, ma al piano superiore Cloe mi aspettava davanti alla prima porta del corridoio. Mi avvicinai, ma lei mi fermò.
  -Alt, tu non entri qui. Hai avuto già una dose sufficiente di me per rifarti gli occhi oggi.- Con un sorrisino mi sbatté la porta in faccia, per poi socchiudere la porta e sporgere un braccio nudo, mollando l’asciugamano davanti all’entrata.
  Io rimasi lì fermo in quel corridoio, abbandonato prima che mi dicessero dove era la mia stanza.

  Dopo riuscì a trovare la mia camera, in fondo a sinistra davanti al bagno. Sulla porta avevano appeso un cartello con su scritto “Carlone Cuginone”, e decorato con faccine sorridenti e colori sgargianti. Mi annotai mentalmente di dargli una sistemata. Mi buttai sul letto stremato, per riprendermi e darmi una cambiata. Mi cambiai i jeans, ormai strappati alle ginocchia, belli sì, ma poi con quei tagli entrava tutto il freddo. Indossai una camicia blu, e poi presi telefono e portafoglio, riempito ad un bancomat mentre venivo lì. Misi anche una giacca nera di pelle. Se dovevo fare un’uscita con dei giovani, mi dovevo vestire come i giovani.
  Pronto per uscire, scesi e mi piazzai sul divano davanti alla TV, con il telecomando in mano pronto a riprendere uno sport che non praticavo dai tempi del college: zapping agonistico. Saltando da un canale all’altro prendevo pizzichi di frase qua e là, formando nuove frasi, nuove storie e nuove notizie. Dopo qualche sessione di riscaldamento, avevo scoperto:
-Brutold ha una tresca con / il Presidente / che ha un / cane / giroscopico e / un pianeta / persi nel tifone / blu;
-Un gattone ha mangiato / un uomo che / ha visto dei / cerchi / blu / nel pollo;
-Voglio vedere quello / che non / avete ancora / alieni / tornatevene a casa vostra;
-La macchina / del capitano Pizzichizzi / balla la samba con noi / in una grotta sotterranea distante / tanto tempo fa / dove / cera d’api.
-Sono andati dove / sono andati dove / sono andati dove / sono andati dove / sono andati dove (questa fu la volta quando il televisore si blocco sullo stesso blocco per due minuti buoni).
  A quel punto spensi la televisione. Non c’erano più i buoni programmi di una volta. Ricordava ancora quella volta che vide “un gatto albino sopra al letto del vicino Brutold Sr.³¹ cadde a terra e si ruppe il cervelletto”. O come dimenticare la strappalacrime scena finale di “Come ho incontrato Il buono, Alienis & Co.”. Il giallo che vendeva gli ombrelli era stato infettato da un virus terribile, e si appoggiava al suo amico di lunga data e coinquilino Jonh Wait, raccontandogli in fin di vita di come si erano incontrati i genitori dei suoi genitori dei suoi genitori. Ma Jonh aveva un mezzogiorno al dente e doveva correre, per il Grande Nettuno (soffriva infatti di raffreddore ed aveva il naso chiuso). Tutto questo mentre un satellite naturale con una faccia molto terrificante si avvicinava inesorabilmente verso di loro e verso tutto il loro pianeta.
  Cloe scese le scale lentamente, come una diva, sfoggiando una camicetta leggera e degli short di jeans. Decisamente troppo corti, a parer mio. Il sorriso radioso che fece quando la vidi mi negò di contestare. Non volevo certo passare da vecchiardo che va a letto con le galline.
  Uscimmo subito, il suo ragazzo già stava aspettando fuori. Non si aspettava che ci fossi anch’io. Bene, un punto per me. Io indossai il mio miglior sorriso di cortesia e salì sul macchinone nel sedile del passeggero. Fosse mai che nel viaggio provasse ad allungare le mani verso Cloe.
  Il tragitto fu abbastanza silenzioso. Quel Taso appena provava ad aprire bocca la richiudeva, notandomi accanto a lui. Voleva dire che lo mettevo a disagio. Se non poteva parlare, aveva poche possibilità con la bella Cloe. Io invece non avevo grossi blocchi vocali, ma a parte qualche battuta sui palestrati decelebrati (per mettere in cattiva luce il ragazzo e i suoi muscoli), non sparai troppe cartucce. Era meglio non scendere subito con tutto l’arsenale.
  Ma non avevo comunque ottenuto brutti risultati da quel trasferimento. Quando scendemmo Taso digrignava i denti, e Cloe rideva appena aprivo bocca. E non era per il mio aspetto.
  La macchina aveva parcheggiato nella piazza dove aveva recuperato Cloe quel pomeriggio stesso, ma era completamente diversa da come appariva prima che calasse il sole. Ora le insegne dei negozi erano state accese e tutti i ragazzi del paese si erano dati appuntamento lì, vagando tra bar, panchine e negozietti h24.
  La media d’età delle persone in quella piazza si sarà aggirata sui venti anni, anche contando un vecchietto addormentato su una panchina vuota. Ma forse non stava dormendo. Il fatto che i piccioni becchettassero la sua carne invece che le granaglie nella busta che teneva tra le mani mi faceva propendere per questa seconda ipotesi.
  Io, oramai oltrepassato il traguardo dei trenta, non ero quindi facilmente amalgamabile con quei giovani, che quasi potevano essere figli miei. Ma non mi feci prendere dallo sconforto. Avevo in corso una partita a scacchi contro quel “ragazzone tutto muscoli” per il possesso della regina, ed io mi trovavo in posizione di vantaggio. Ma forse era meglio non pensare metafore simili, mi avrebbero fatto passare per un barboso anzianaccio. Diciamo che c’era una sfida a rime rappose, e avevo chiuso quello sgarzullo di Big-T con una combo troppo bombastica di “Cuore” e “Amore”. Così era abbastanza g-g-giovane.
  Cloe e Taso si erano intanto diretti ad un bar, chiamandomi (lei) per chiedermi cosa bevessi. Io quando gli raggiunsi chiesi un’analcolica.
  Cloe commentò subito la mia scelta -Anche la mamma beveva sempre le analcoliche, quando mi aspettava.- Il suo ragazzo seduto alla sua sinistra non si trattenne a lanciarmi un sorriso sornione. D’accordo, avevi recuperato un po’ di terreno.
  Bevuto io la mia birra da donne incinte, e loro due cocktail alcolici dalla miscela segreta ma dai colori sgargianti, uscimmo dal locale. Cloe si mise a ballare con dei ragazzini appena entrati nella pubertà, che giravano con una cassa a tutto volume. Io e Taso ci sedemmo su una panca di fronte alla nostra ballerina e ai suoi paggetti, ovviamente senza degnarci di una parola. Lui prese subito il cellulare, iniziando a scrollare le varie bacheche. Io rimasi a guardare Cloe invece, mentre si agitava e si dimenava al ritmo della musica.
  Lei ci vide e ci porse la mano, ma solo io la raccolsi e mi unì a ballare con quella stramba compagnia, lasciandomi muovere dalle note.
  Continuammo a ballare fino a che i ragazzini non vennero chiamati a fare ritorno a casa, da madri che avevano passato la serata nella loro calma domestica, tra una stirata e una soap alla televisione, quiete raggiunta dopo essersi accasate e non essere più costrette ad uscire per trovare un compagno con cui condividere la vita e procreare, per portare avanti la specie.
  Carichi di adrenalina io e Cloe ci risedemmo sulla panchina, dove Taso non aveva ancora staccato gli occhi dal suo telefono intelligente. Peggio per lui, perché si era perso un’occasione splendida per vedere la sua ragazza nella sua bellezza naturale, libera da costrizioni sociali e solo spinta dalla musica. Decidemmo di fare un giro per il centro, facendomi conoscere un po’ i luoghi. Togliemmo il cellulare al terzo occupante della panca, e ci avviammo.
  Camminammo per un buon lasso di tempo, e quando tornammo nella piazza era già cambiato il giorno da almeno un’ora. Gli avventori di quel ritrovo pubblico si erano diradati, e alcuni locali avevano abbassato le serrande. Oramai la rivalità tra me e Taso era giunta alla corda, e Cloe si mostrava ambigua, apparendo fedele al suo ragazzo, ma non risparmiando atteggiamenti quantomeno equivoci con quello che chiamava il suo cuginone. Quella lunga giornata mi aveva distrutto, ma non potevo arrendermi e lasciare la mia piccola tra le braccia di quel tipo. Chissà quali pensieri perversi gli passavano per la mente. Dovevo andare avanti finché lui non avesse ceduto per primo. Ma le palpebre si stavano facendo sempre più pesanti, e il bar era così caldo. Chissà se il bancone era morbido come un cuscino.
  Non caddi addormentato solo perché Taso il grosso richiamo l’attenzione dei pochi clienti nella saletta saltando sulla sedia.
  -Oh no, non posso essermene dimenticato. Devo subito tornare a casa.- Prese la giacca appoggiata alla sedia in tutta fretta.
  -Ma dove vai?- Cloe mise una punta di tristezza nella sua domanda.
  -Devo andare tesoro, ho una partita con degli amici e sono già in ritardo.- lasciò i soldi sul tavolo e salutò la sua ragazza con un bacio a stampo.
  -Ma, ci devi riaccompagnare…- lui era già uscito, diretto al suo mezzo.
  Ero stanco, ma non così tanto da non capire la vantaggiosissima situazione in cui mi trovavo. La ragazza che mi piace sola alle due di notte in un bar, abbandonata dal suo ragazzo. Occasione più ghiotta non c’era. -Senti Cloe, ci avviamo verso casa, che ne dici?
  Lei non parlò, e con lo sguardo basso pagò il suo e uscì. Io diedi i soldi per il mio e la seguì fuori.

  Casa nostra non era vicina alla piazza dove eravamo noi, e così il ritorno si preannunciava abbastanza lungo. Sotto un terso cielo di stelle, camminavamo sul bordo della strada, attraversando le pozze di luce dei lampioni, alcuni fulminati e alcuni no.
  Cloe tremava nella sua mise leggera. Io mi tolsi la giacca e gliela misi addosso. Da dietro di lei il mio viso era attaccato al suo. Le labbra tremavano e gli occhi luccicavano. Potevo baciarla ora, e averla mia.
  Le strofinai le mani lungo le braccia, per scaldarla. Ero stanco. Avrei avuto un’altra occasione per conquistarla.

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Capitolo 8
*** Chi troppo vuole, poco ciapa ***


CRUCCI D’AMORE
Chi troppo vuole, poco ciapa


Caldo. Quando mi risvegliai faceva caldo per la stagione in cui eravamo. L’inverno non era ancora andato via, continuando a mandare i suoi ultimi aliti di vento dal nord. Ma io, ancora con gli occhi chiusi e la bocca impastata, mi trovavo in un bozzolo ben riscaldato, dove la coperta di lana mi pizzicava la pelle nuda, e dall’altro lato sentivo il contatto con altra pelle.
  Aprii gli occhi, e nella semi-cecità distinsi una chiazza dorata nella distesa arancione della coperta, che piano piano si concretizzò in lunghi capelli biondi, attaccati alla testa di Cloe!
  Balzai in piedi, e mi ritrovai a petto nudo in mezzo alla sala, con i miei ed i suoi vestiti gettati per terra. La sua camicetta, la mia giacca,la sua gonna, la mia camicia, il suo reggiseno… Il suo reggiseno! Questo voleva dire che Cloe, in quel momento coricata sul divano coperta da quel pezzo di lana colorata aveva le sue due libere. E mi sembrava anche di scorgere sotto un cuscino le sue mutande. Cosa avevamo fatto, accidenti? Non mi ricordavo niente. Perché non mi ricordavo niente? Se dovevo proprio rovinarmi così volevo almeno dei ricordi da tenere.
  Dovevo fare in fretta. Il sole stava appena filtrando dalle finestre, magari lo zio Bob e sua moglie non erano ancora scesi.
  Svegliai la bella addormentata dal suo letargo. Lei si alzò intontita, stiracchiandosi gli occhi. Le strinsi bene addosso la coperta, le mollai i suoi vestiti e poi la mandai in camera sua. Dovevo solo sperare che non ricadesse addormentata nel tragitto. Dopo poteva anche venire rapita da una trota aliena per quanto mi importasse in quel momento. Volevo solo che tutto ciò sparisse senza lasciare nessuna traccia. Presi i miei vestiti, mi misi la camicia abbottonandola alla bella e meglio e buttai tutto il resto nella cesta dei capi da lavare. Uscendo dal bagno del primo piano tirai un sospiro di sollievo, e mi buttai sul divano ancora tutto disfatto dopo il nostro uso improprio.
  -Siete svegli, finalmente.- lo zio Bobbie uscì dalla cucina con una tazza fumante in mano. Aveva visto qualcosa, dunque?
  -Non è come pensi, zio, posso spiegare.
  -Cosa c’è da spiegare? Siete tornati tardi l’altra notte, e ormai distrutti dal sonno vi siete gettati a dormire sul divano. Sai quante volte io e la mia Flossie lo abbiamo fatto.- la sua ricostruzione aveva senso. Potevamo anche esserci solamente addormentati.
  Alzai il tono dei miei pensieri senza accorgermene, sussurrando appena -Quindi lo zio non ha visto l’intimo di Cloe per terra?
  -Cosa?- domandò lui tra il confuso e il non aver udito. Notai che avevo espresso i miei ultimi dubbi, così cercai di negare tutto agitando le mani e dicendo “No, no, niente!”, per poi gettarmi come una scheggia nella cucina.
  Benché arrivato da più di un giorno, non ero ancora entrato in questa stanza che era il fulcro di tutta la casa. Le pareti erano ricoperte di mattonelle di ceramica decorate di fiori dai mille colori, e le pareti lasciate libere mostravano una faccia di delicato giallo, come il chiaro di un uovo. Decine di mensole e scaffali si ergevano sui bordi della stanza, a muro difensivo, mentre il tavolo centrale ricoperto di impasti e ciotole e sacchetti era il cortile gremito di cortigiani. Il forno solitario si ergeva solido, compiendo il suo lavoro come una fucina instancabile. Tutti questi possedimenti facevano parte del regno culinario della zia Flossie.
  Lei stava dando gli ultimi ordini ad un plotone di granelli di zucchero ed un reparto speciale di uova, pronti a sacrificarsi in una battaglia suicida in un cratere di farina contro orde di acqua e lievito. Quando finì lo scontro, la zia uscì come unica vincitrice dal nuvolone sollevatosi.
  -La colazione sarà pronta tra qualche minuto. Tu intanto puoi andare a chiamare la mia piccola Cloe?- mentre parlava si passava una mano sulla fronte lasciandosi segni di farina.
  -Ma veramente…- non potevo ripresentarmi di nuovo da Cloe senza neanche avere la certezza di quello che avevo fatto. Avevo semplicemente dormito?
  -Mentre vai a svegliare quella pelandrona, la torta la preferisci con le gocce di cioccolato o con la panna?- sorda alle mie rimostranze, girava di mensola in mensola prendendo gli ingredienti, per poi porre davanti a me i due gusti tra cui scegliere.
  Porsi la mano verso il barattolo con le gocce e pronunciai solo con un fiato -Cioccolata.
  -Proprio come tuo zio.- mi lasciò uno dei suoi sorrisi e si mise a lavorare di gran lena tornando sul campo di battaglia, sganciando a grappoli le gocce sull’impasto.
  Rimasi lì, ancora insicuro riguardo all’andare in quella stanza. Flossie si girò verso di me, e con le sue mani imbiancate mi abbottono bene i primi bottoni della camicia -Non bisogna certo presentarsi nella camera di una signorina vestiti male. Ora vai, su su.- con un mestolo mi indirizzò verso le scale, esortandomi ad andare.
  Io salì le scale come fosse un supplizio, contando i gradini uno per uno. 21. Un bel numero. Il prodotto di 7x3, due altri numeri che mi piacevano. Non erano mica come il 2, che se la tirava solo perché era la base di ogni numero pari. Doveva imparare un po’ dall’1. Lui viveva la sua vita tranquillo, alla base di ogni numero intero, ma non per questo si dava arie di superiorità. Anzi, avrebbe dovuto farsi notare di più, perché timido com’era non lo avevano neanche accettato nel gruppo dei numeri primi, lui che era il Primo dei primi. E quando gli si chiedeva se ci era rimasto male perché non veniva invitato, lui diceva di no, ma si sapeva che sotto sotto era il suo desiderio far parte di quel gruppo.
  Preso da queste elucubrazioni sulla timidezza dell’1, forse dovuta ad anni di prese in giro a causa della sua incapacità a moltiplicare qualsiasi numero dando prodotto diverso dal numero iniziale, raggiunsi la stanza senza accorgermene, e mi risvegliai completamente dopo che avevo già bussato una volta. Mi svegliai perché mi accorsi che al mio bussare non c’era risposta. Bussai di nuovo, e la terza volta entrai.
  La stanza era calata nel buio più totale, e aprendo la porta feci entrare una lama di luce che trafisse l’oscurità fino al letto di Cloe, dove uno strano bozzolo arancione si dibatteva, come ferito dalla luce.
  Mi presi un cuscino in faccia, lanciato da una mano che usciva da sotto quell’accatastamento di roba. Fu la conferma che lì dentro c’era Cloe e non qualche opossum che aveva nidificato dentro un orsacchiottone di un metro e mezzo.
  Chiusi la porta e accesi la luce nella stanza, dando il colpo di grazia alla bestia nel nido. Da sotto la coperta fece capolino il volto imbronciato di Cloe, che chiaramente non sapeva l’avessi appena salvato da un infestazione di didelfidi particolarmente invasivi. Ma io magnanimo non glielo feci notare, e l’informai solo della chiamata a tavola della direttrice generale universale della casa.
  Lei si alzò stirandosi braccia e gambe, lasciando scivolare la coperta. Fortunatamente mi ricordai in tempo del vestiario (nullo) che aveva sotto quella lana, bloccandola in tempo. Insistendo per farla vestire, riuscì a strapparle la condizione che indossasse una maglietta lunga, ma non riuscendo a farle mollare quella coperta.
  Così fummo pronti per andare a colazione.

  La colazione andò meglio di come mi aspettassi, non finendo mai sulla questione della nostra branda momentanea. Conclusa il primo pasto della giornata, fatto di latte, tè, o caffè, e accompagnato da dolci appena sfornati, andai in camera mia per cambiarmi dagli abiti della sera prima e svegliarmi completamente. Misi in carica il cellulare, ormai defunto, e mi diressi in bagno per farmi una doccia chiarificatrice.
  Quando tornai bello pulito accesi il telefono e mi ritrovai inondato di chiamate da un numero. Dannate agenzie telefoniche. Ma anche la mia fidanzata mi aveva scritto e provato a chiamare molte volte. Solo allora mi ricordai. Ci eravamo promessi che ci saremmo sentiti ogni giorno, di pomeriggio, di mattina e di sera, ma io era da quando ero arrivato che non l’avevo ancora chiamata. La rapina e l’uscita serale me lo avevano fatto passare completamente di testa.
  Schiacciai il tasto richiama, allontanando il telefono dall’orecchio prospettando un urlo belluino, ma la sua voce non era più alta di quella che teneva normalmente in una chiamata, simile a quella di un esserino di marsmallow ripieno di zucchero e dolcezza. Era molto brava a recitare.
  -Sandra?- azzardai, avvicinando l’apparecchio al timpano. Potevo anche aver sbagliato numero, o magari lei era stata ipnotizzata, oppure un suo clone privo di emozioni e memoria l’aveva rimpiazzata.
  -Charl, tesoro, finalmente ti sento di nuovo. Ti ho provato a chiamare e a chiamare, ma non risultavi raggiungibile.- l’ipotesi uno era saltata, ma restavano le altre due. Perché altrimenti non mi era ancora saltata al collo (per strozzarlo, ovviamente)?
  -Si, scusa cara, e che tra un problema e l’altro la batteria mi è crollata prima che riuscissi a contattarti.
  -Io lo sapevo che avevi qualche spiegazione, non poteva essere come diceva mio padre che mi avevi già abbandonata, e che ti trovavi già a dormire con un’altra ragazza. Aha, aha, ahahaa.- era proprio lei. Quella risata mi suonava abbastanza folle, come se avesse veramente creduto a quelle storie. Come me.
  -Tesoro, lo sai che io ti amo e non farei mai una cosa simile.- dicendo così vidi la mia coscienza interna guardarmi storto. Ma quando la invitai a prendere la cornetta e dire tutta la verità a Sandra si volatilizzò con la coda tra le gambe.
  -Quello che dici mi rincuora molto. Lo sai che non potrei vivere senza di te.- in quel frattanto passò dalla mia porta Cloe pienamente sveglia che, curiosa come la donna, che è curiosa di natura, entrò interessata alla mia telefonata.
  Cominciò un acceso dialogo muto tra me e lei, in cui si comunicava solamente a gesti. “Con chi parli?” “Affari miei” “Voglio saperlo” “ No vattene” “Ti prego dimmelo” “No te l’ho già detto”.
  Intanto Sandra dall’altro capo del telefono, forse attirata dal mio silenzio o dal rumore dei gesti, chiese -Amore, tutto bene?
  Prima che riuscissi a rispondere, Cloe mi prese di mano il telefono -Ciao chi sei?
  -Io sono Sandra, la fidanzata di Charl.- cercavo di riprendermi il telefono, ma Cloe riusciva a bloccarmi con un’incredibile forza per una ragazza delle sue dimensioni.
  -Sei la sua ragazza? Fantastico. È bellissimo dormire con lui, è caldissimo e poi il contatto con la sua pelle nuda fa un tale effetto.
  Io urlai con tutta la mia forza -Cloe cosa cavolo dici?- dal telefono sentii, anche se non posso giurarlo, un rumore come di piatti che si infrangono. Spero non fosse il servizio buono della nonna, quello mi piaceva molto.
  Mi gettai su Cloe e riuscì a strapparle di mano il telefono, finendo entrambi coricati per terra, uno sopra l’altro. Ma la posizione non aveva importanza, era semplicemente una telefonata. -Cara ascolta è tutto un equivoco, posso spiegare.
  -Da sotto di me Cloe commentò -Capisco che indosso solo un asciugamano, ma non è una scusa valida per mettermi le mani addosso.- io non abbassai neanche lo sguardo, strinsi la mano su cui mi appoggiavo ed il terreno si era fatto improvvisamente più morbido. Provai a giustificarmi ancora con Sandra ma la chiamata era terminata.
  Con tutto me stesso urlai al cielo -Perché sono finito in uno stupido fumetto adolescenziale asiatico!

  Provai a richiamarla e a scrivere più volte quella serata, ma senza risposta. Magari le era successo come a me, che era uscita con un ragazzo che le piaceva e le si era scaricato il cellulare e poi era finita a dormire quasi nuda con lui. No, non le era successo questo. Non volevo non volevo non volevo. Continuai a provare a contattarla fino ad ora. Ormai esausto, finisco di dettare l’ultima parte e poi vado a dormire, con le notifiche a massimo volume su tutti i suoi numeri e i gruppi-chat che ho con lei: “Scusa”, “Perdonami”, “Perdonami perdonami”, “Perdonami x2”, “Mi inginocchio sulla ghiaia per te”.”
  Charl lasciò il registratore sul tavolo, finendo di dettare le sue ultime vicende della giornata. Entrò nella stanza senza bussare Cloe, ma oramai quella sua abitudine era diventata normalità anche per l’ultimo arrivato.
  -Cosa stai facendo?
  -Sto facendo il riepilogo della mia giornata, registrando tutto.
  -Stai tenendo un diario, quindi?
  -No, un diario è una cosa da ragazzini timidi e brufolosi. Io sto facendo un riepilogo, è ben diverso.
  -Allora posso riepilogare qualcosa anche io?- senza aspettare risposta Cloe prese il registratore dalle mani del suo cuginone e premette il tasto “registra” -Charl è un ragazzone fantastico ed è molto simpatico.
  Lui sorrise a quei complimenti, oramai dimentico di lei come causa dei suoi turbamenti, e lei gli sorrise di risposta, gentile e dolce.



Angolo dell'Autore:
  Ho finito questo capitolo (come gli altri) di fretta, quindi è possibile la presenza di errori. Segnalatemeli per favore.
  Finalmente si è risolto il mistero del dialogo in prima persona. Era chiaramente una scelta stilistica evidenziata dalla presenza iniziale degli apostrofi a inizio cap. 5. Non si tratta di una pezza messa grossolanamente per aggiustare un incoerenza di forma tra i primi capitoli. Ditemi quindi se preferite uno stile all'altro, per dirmi quale continuare (tanto ormai ho già cambiato 30 volte, cambiamo 31).
  Sono di fretta quindi finisco qui.
Chiudo,
~Lo Otta

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Capitolo 9
*** Canta (come sei bella) ***


Nei capitoli precedenti:
  Charl lascia la sua terra natale per un lavoro, situato sull’altra costa del continente. Qui viene picchiato e derubato, per poi innamorarsi di una ragazza che scoprirà abitare nella sua stessa casa. Per una serie di incidenti con questa bellezza, la sua fidanzata rompe la loro relazione a distanza.

 

CARNIVALE ETILICO
Canta (come sei bella)


Charl era gettato sulla scrivania della sua stanza, in pigiama. Non aveva fatto niente tutto il giorno, ma almeno non si era buttato dal balcone per depressione. Cioè, voleva farlo, ma era troppo depresso per farlo.
  Una splendida mano aprì la porta della sua stanza, annunciando l’apparizione dello splendido corpo ad esso legato. Il giovane corpo femminile era racchiuso in un vestito a tubicino scuro, che nella sua esigua dimensione abbracciava i generosi doni che la Natura aveva fatto a Cloe.
  -Cuginone? Tutto bene?- la ragazza ottenne come risposta un grugnito. Significava che sta bene. Appena iniziata la depressione Charl le aveva dato una lista con i significati dei suoi vari suoni. Un grugnito significava sì, due no, una serie prolungata voleva dire che stava cercando di colmare il vuoto lasciato dalla perdita del suo amore con mezzi propri.
  -Senti cuginone, stasera c’è una festa enorme e mi fai davvero pena così abbattuto, quindi se vuoi puoi venire con noi.
  Charl girò la testa dal tavolo, poggiandola sull’orecchio sinistro. Da lì aveva completa visione della porta. Impastò la bocca due o tre volte, per cercare di darsi un tono almeno presentabile, e non far capire di aver pianto per mezzo pomeriggio. Con tutto l’odio represso che aveva dentro, sputò parole al veleno -Io, te, e quell’armadio del tuo ragazzo che mi detesta? Grazie per l’offerta, ma passo.
  Incurante dell’accidia della risposta, Cloe disse gentile -Per tua informazione, il mio ragazzo è partito stamattina con la sua squadra. Lo sapresti, se mi avessi ascoltato invece di gettarti via come spazzatura. Per noi intendevo io e la mia amica Tessa. Allora, ci vieni?
  -Com’è?
  -Chi?
  -La tua amica. Com’è?
  -Lei… è dotata di talento, molto simpatica ed ha, un gran corpo diciamo.
  -Mi stai dicendo che è brutta come la fame. Ma almeno questo gran corpo, quanti mesi ci vogliono a circumnavigarlo?
  -Sei cattivo. Non sai neanche come è e già la insulti. Io non sono brava nelle descrizioni. Vieni con noi e scopri tu di persona.- Charl aveva di nuovo rivoltato la faccia contro il tavolo, e rispose con due sordi grugniti. -Va bene, fai come vuoi. Ma dovresti farti una nuova vita. Ho dato un’occhiata ai profili della tua ex-ragazza e lei sembra spassarsela.
  Lui prese il suo smartphone e tirò la testa indietro, facendo sporgere gli occhi dal tavolo. Aprì velocemente le pagine social della sua fu fidanzata, e le trovò piene di nuove foto, dove lei si divertiva: lei al mare, lei che nuotava, lei che riemergeva dal fondo, lei sulle nevi, lei a un cenone. E c’era un vecchio uomo vicino a lei, con baffi grigi e occhiali scuri, spesso troppo vicino a lei.
  La maglia del pigiama era mezza dentro e mezza fuori i pantaloni, e dei calzini uno era dato per disperso e cercato dal suo compagno di vita, ma quell’aspetto trasandato non sfigurarò sull’aspetto barbino di Charl quando si alzò e accettò l’invito.
  -Perfetto, Charlone. Ora devi cambiarti, sistemarti i capelli, farti la barba e spruzzarti del profumo, che la fragranza “morto da poche ore” non va più quest’anno. Partiamo tra cinque minuti.
  Come punto da mille demoni di gelosia, Charl si fiondò in bagno sotto la doccia mentre accendeva il rasoio per togliersi i peli che gli accampavano sul viso. Il risultato di quella pessima equazione fu una scossa elettrica al primo contatto tra l’acqua e il filo esposto dell’elettrico depilatore, ce ebbe come unico beneficio di bruciare tutti i peli, ma proprio tutti. La pelle abbrustolita andò via con un doppio passaggio di spugna, rendendo Charl uno dei primi maculati a girare per quel paese. Non si sarebbero notati, se avesse mantenuto i vestiti addosso per tutta la serata. Cosa che non sperava proprio.
  Con solo più due minuti e sette secondi di tempo andò ad occuparsi del vestiario, inzaccherando tutto il tragitto tra il bagno e la sua stanza. Tirò fuori dalle valigie ancora chiuse nell’armadio una camicia bianca e dei pantaloni scuri, più dei mocassini di pelle che non metteva dal college. Con soli più ventinove secondi e la camicia mezza abbottonata, corse fuori dalla porta con le scarpe in mano. Scivolò sulla pozza bagnata e facendosi tutte le scale sul fondoschiena, rimbalzando di scalino in scalino. Si fermò nell’atrio, mentre la bella Cloe stava seduta al tavolo in cucina bevendosi una tazza di tè, davanti alla madre che guardava Charl preoccupata.
  Non fece in tempo a dare dell’amore materno al suo ospite che Charl era già in piedi, sordo al dolore che aveva dovuto provare. Appena in tempo per aprire la porta al primo squillo del campanello d’ingresso.
  La scarna illuminazione esterna rese ancora più grottesca la visione. Davanti a Charl era presente una creatura pelosa e informe, dall’enorme stazza e il muso scimmiesco. Solo quando spostò quel gigantesco peluche, riuscì a vedere finalmente l’amica di Cloe. Aveva un corpo molto mmmhhh… e le gambe era iiiiiihhhhh… Per non parlare del viso che era au auuuuuhhh.
  Quando smise di comportarsi come ogni membro dell’albero evolutivo precedente a lui, Charl chiamò Cloe, che tranquillamente si alzò dal tavolo, per venire presa fino ad arrivare faccia a faccia col ragazzo -Cloe cara, mi puoi spiegare una cosa? Sarebbe lei la tua amica “grossa”?
  La domanda con voce melliflua a lei posta ebbe subito risposta -Sì, e proprio lei. Cuginone, eccoti Tessa.- Si alzò dalla posizione ingobbita a cui era stata costretta, facendo un ampio gesto con la mano per presentare l’amica.
  Immediatamente Charl la riportò nella loro posizione confabulatoria -E sarebbe grossa? L’aggettivo più simile che mi viene per descriverla è “tanta”.
  -Scusate se mi intrometto, ma adoro quando le persone parlano a bassa voce.- sopra al braccio di Charl che teneva piegata Cloe si erano intromessi due volti: la ragazza e il pupazzo mostruoso. Naturalmente vicino a Charl c’era il pupazzo.
  Oramai scoperto, mollò la spalla di Cloe e tutti e tre (più il pupazzo) si rimisero in posizione verticale. La nuova ragazza lasciò il pupazzo nelle mani di Charl, che si trovò spiazzato.
  -Mi hanno detto che ti piacciono i peluche. Tieni, per la tua gentilezza.
  -Mi piacciono i peluche? Chi avrebbe messo in giro una voce simile?- lo sguardo cadde su Cloe, che fece un mezzo sorriso colpevole.
  -Vabbe’, per questa volta lascio correre. Allora come andiamo?
  -Non dovevi portarci tu?- l’innocente domanda della nuova arrivata fu seguita da degli ampi gesti con le mani dell’altra, che si sbracciava per farla tacere.
  -Hai per caso qualcos’altro da dirmi, piccola Cloe?
  -Dovresti portarci alla festa…- Charl iniziava a capire. L’invito non era dovuto ad un momento di gentilezza di Cloe, che nel vederlo depressa si era impietosita, ma piuttosto dovuto alla necessità di un guidatore -...con la tua macchina.- oltre alla beffa il danno. Oramai era stato incastrato in quella storia, ma doveva andare avanti. Magari sarebbe riuscito a concludere qualcosa con la ragazza nuova, che non sembrava il massimo dell’acume. E pubblicando qualche sua foto mentre si divertiva con delle belle ragazze, avrebbe potuto far ingelosire la sua ex.
  A testa bassa prese la giacca con le chiavi ed uscì verso la macchina parcheggiata sul vialetto, tenendo le scarpe nell’altra mano. Almeno quando calpestava la ghiaia sapeva cosa aspettarsi.

  Messe le scarpe i tre partirono, Charl al volante e le due ragazze dietro. Lo scimpanzè di pezza sul sedile del navigatore. Non che Charl lo volesse, ma Tessa aveva molto insistito, dicendo che era un portafortuna per il viaggio, e nonostante ci avesse provato nel vano portaoggetti non ci entrava. Durante il tragitto le due amiche chiacchieravano e Charl si lasciava a qualche fugace guardata delle due attraverso lo specchietto retrovisore. Quando smetteva intravedeva lo sguardo dello scimmiotto che con i suoi occhi neri lo fissava accusatore, dicendo “so cosa stai facendo, mascalzone!”. Una roba simile avrebbero dovuto metterla negli studi degli psicanalisti, ti entrava dentro e ti faceva pentire di qualsiasi cosa stessi facendo, anche solo bere un caffè.
  Quando furono abbastanza vicini alla sede della festa iniziarono a vedere le luci e i fari colorati che uscivano dalla casa. Urla e schiamazzi si sentivano sempre più, mentre la musica continuava imperterrita a suonare note spaccatimpani.
  I tre lasciarono la macchina poco distante, e quando furono fuori inserirono l’allarme. Charl tornò dentro e fece scendere di poco il finestrino del passeggero. Se la scimmia fosse soffocata, Tessa se la sarebbe potuta prendere.

  Le finestre dell’edificio mostravano lampi di ciò che accadeva all’interno. Al primo piano lluci psichedeliche e note stonate uscivano, insieme ai corpi ubriachi dei ballerini che capitombolavano dalle finestre. Al piano superiore alcune coppiette si davano ai loro istinti animali, immersi in una luce soffusa. Al terzo piano era in corso una lezione di bricolage.
  Charl seguì le due ragazze, che camminavano sicure tra ubriachi riversi a terra in pozzanghere del loro vomito e gattini squartati in simpatici cerchi e stelle. Davanti alla porta un uomo enorme bloccava le persone. Con una gentile richiesta e una veloce allentata alla parte superiore del vestito, Cloe e Tessa entrarono senza problemi. Anche Charl non ebbe problemi facendo la stessa sequenza, perché l’energumeno si piegò in due rigurgitando. Chiedendosi la causa, guardò dentro la camicia e trovò un pezzo di pelle e peli abbrustoliti, dalla bizzarra forma di un’anziana grinzosa nuda. Al pensiero vomitò anche lui, e poi buttò dietro di se quella pelle.
  Dentro la stanza c’era un enorme casino, e Charl non riuscì più a trovare le due. Vagò tra la folla scalmanata prendendosi dietro vari improperi riguardanti lui e buona parte della sua genia futura, fino a riuscire a raggiungere il bancone del bar, trovando un posto tra un ragazzino con gli occhiali scuri e un uomo di mezz’età intento a bere da un bicchiere con la cannuccia.
  -Senti ragazzino, hai visto per caso due ragazze molto belle? Una bionda in un tubicino scuro, l’altra con un corpo che è tutto un repertorio di versi animali?
  -Vuoi qualcosa? Coca, crack, una meridiana?- il ragazzino mostrò l’interno della sua giacca, piena di oggettaglia e polveri e sieri che potevano passare attraverso ogni orifizio del corpo.
  -Non voglio niente. Cercavo solo quelle due ragazze, le hai viste?
  -Senti, ti faccio un buon prezzo. Solo per te ogni due oggetti di contrabbando avrai un nano che suona la mazurka in vero finto peltro.- Charl prese il bicchiere mezzo pieno lasciato sul banco davanti a lui e se ne andò, conscio che non avrebbe ottenuto nessun aiuto da quel ragazzo. E poi quel nano ce lo aveva già.
  L’uomo di mezza età prese il suo posto -Piccolo, sai dove si tiene il corso di bricolage?
  -Vuoi qualcosa?
  -Mi servirebbe della colla, grazie. Sai, sto provando a fare una cornice in cartapesta per mia moglie.
  -La sniffi o te la inietti?

  Charl tornò in mezzo alla calca e buttò giù tutto in un sorso il bicchiere. Gli occhi si offuscarono per un attimo, ma poi gli venne una splendida idea per ritrovarle. Si diresse senza remore verso Il palco, sbandando ogni tanto.
  Raggiunto il piano rialzato si avvicinò alla console del DJ, un uomo alto con in testa due ridicoli cappellini con la visiera e una maglietta di molte taglie più grande. Charl confuso dalla strana bevanda decise di prendere il microfono, e il modo più veloce per farlo era bloccare il DJ.
  Da dietro Charl lo strinse con le sue grosse braccia attorno alla vita e lo alzò di peso. A quel punto il problema era diventato come usare il microfono, avendo le mani bloccate per bloccare il DJ. Ma in quel suo apice di confusa genialità, o lucida pazzia, Charl trovò immediatamente un’altra soluzione brillante. Masticando le parole, si rivolse al suo ostaggio -Senti amico, mi terresti il microfono per un attimo?
  Urlando troppo per le già sofferenti orecchie di Charl, Il DJ rispose -Ma sei scemo? Mettimi subito giù idiota! Mi hanno chiamato per animare una festa qui, e queste bravate di voi coglioni mi fanno solo perdere tempo! Non voglio rimetterci parte dell’ingaggio perché un imbranato come te non mi lascia fare il mio lavoro! E se provi solo a sfiorare l’attrezzatura ti rompo il culo hai capito?
  Charl era un po’ confuso ma aveva sentito alcune delle parole di quel tipo, e non gli piacevano proprio. Se aveva imparato qualcosa dalla mamma, era che chi usava brutte parole era una brutta persona. Dandosi slancio sulla schiena gettò indietro il DJ, che andò a finire sopra ad una coppietta sopra un divanetto sopra un’altra coppietta. La mamma ha sempre ragione.
  Rimasto solo sul palco mise le mani sulla console alla ricerca del microfono, e per sbaglio fece gracchiare due volte le casse prima di trovarlo.
  Lo prese in mano e guardò la folla di giovani davanti a lui, che avevano smesso di ballare quando si era spenta la musica e lo guardavano.
  Provò ad accenderlo, e chiese, sempre stentando le parole -Allora, qualcuno di voi ha visto due tipe, cioè due ragazze? Molto belle, molto molto?
  Dalla folla partirono degli urli, ma invece che risposte alla sua domanda ricevette altre frasi:
  -Vogliamo la musica!
  -Vattene dal palco, tonto!
  -Fenomeno, canta qualcosa!
  L’ultimo consiglio accese qualcosa in Charl, che lasciò completamente stare la ricerca delle sue due compagne e decise di darsi al karaoke.
  Prese ben saldo il microfono con le due mani e tirò fuori tutta la voce che aveva dentro, iniziando a cantare.
  Canta (come se quella)
  Lasciami fare
  Forse stanotte
  Fammi provare se ora si va

  Non lo so, se credere ancora alle tue paure
  Ma però, non riesco a dirmi di uscire
  Perché sei, o-oppure sette,

  Io credo che vorrò-òò
  Ma adesso è già ieri già

  Uohohohoo
  Prima del secondo Uohohoo si scatenò un tafferuglio tra la gente, al bordo della sala. Iniziarono a volare parole e oggetti. Un posacenere colpì la fronte di Charl che stramazzò a terra. La mamma gli diceva sempre che il fumo gli avrebbe fatto male. E la mamma ha sempre ragione.

 

Angolo dell’Autore:

  Ho ben poco da dire. La serie riprende ora con tre capitoli, tutti dedicati al contest “Festa + Alcol = guai!” di Hermit fatto sul forum di EFP.
  Qui abbiamo Charl che si da alle feste, anche se non è ha più l’età (voi che età gli dareste?).
  Fine

~Lo Otta

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Capitolo 10
*** Conquistatore del Celebrità ***


CARNIVALE ETILICO
Conquistatore del Celebrità


  -Credimi amico, sarà una festa fantastica. Vieni.
  -Ti credo, Darren, ma abbiamo solo dodici anni. E non siamo neanche stati invitati.- Il giovane Charl cercava di convincere l’amico di quanto fosse irrealizzabile la sua idea, ma sul volto di Darren si formò uno sguardo triste, che purtroppo Charl conosceva molto bene.
  -Da quando è morta mia zia Tessy io ho una tristezza dentro, e pensavo che magari andando a questa festa avrei potuto riempirla.- iniziò a singhiozzare sempre più forte, in una escalation di frequenza.
  -Va bene, va bene. Smettila. Verrò a questa stupida festa con te.- Darren ritornò al suo solito sorriso, mezzo dolce e mezzo malandrino. -Dovresti superarlo questo trauma però, sono tre anni che continui ad avere questo vuoto.

  I genitori di Charl non gli avrebbero mai permesso di andare ad una festa per grandi, così aveva detto loro che stava a dormire a casa di Darren. Lui non aveva avuto problemi con i suoi genitori. Erano via, gli avevano detto che rimanevano a dormire a casa di Charl.
  In una grossa borsa sportiva Charl si era portato vestiti e tutto l’occorrente per una festa da ragazzi grandi. Aveva solo avuto qualche problema con le protezioni, non riusciva bene a far entrare il casco.
  Appena Darren gli aprì la porta di casa, gettò la borsa sul divano e si sedette per riprendere fiato. Aveva corso da quando aveva superato la casa della vecchia gattara, la vicina di Darren. Lui e Charl andavano sempre a stuzzicare i suoi gatti, e dopo qualche volta lo avevano preso in antipatia. Per fortuna era riuscito a seminarli, quei gattacci zoppi.
  Sul davanzale della finestra della cucina c’era un gatto acciambellato. Charl pensò subito che uno di quei mostri lo avessero anticipato. Prima che gli saltasse addosso, ci pensò lui a sistemarlo, spingendolo oltre il davanzale. Pulendosi le mani, Charl parlò -Non devi ringraziarmi Darren, ci ho pensato io a quella bestiaccia.
  -Cosa hai fatto? Era il gatto di quelli che abitano sotto di noi!
  -Ehm… Magari si è salvato.- i due ragazzi guardarono sotto la finestra, vedendo il gatto che si trascinava sulle zampe anteriori. -Tutto bene, se lo prenderà la gattara.
  -Ma non possiamo lasciarglielo così, non è il mio gatto.
  -Senti, hai insistito così tanto per farmi andare a questa festa. Preferisci passare tutta la serata a cercare di riprendere un gatto che ti odierà per sempre?- Darren sospirò, e poi si diresse in camera sua.
  Sul letto c’erano i suoi vestiti, e Darren iniziò a togliersi la maglietta che indossava. Charl tirò fuori i suoi abiti. Le pailettes erano belle, forse un po’ troppo disco, ma certamente non erano la cosa peggiore. Darren rimase con gli occhi sbarrati alla vista dei colori sgargianti. Il viola e il verde, che accostamento terribile. Con il petto nudo e glabro di peli si diresse all’armadio e tirò fuori una camicia e dei jeans strappati, per darli a Charl.
  -Grazie Darren, ma io ho già dei vestiti. Non li vedi?
  -Senti, se vogliamo imbucarci nella festa dobbiamo evitare di farci notare. E con quei vestiti puoi fare tutto tranne non farti notare. Ora mettiti questa che poi andiamo.
  Charl iniziò a spogliarsi, rimanendo entrambi solo in mutande. -Sarebbe davvero buffo se ora, mezzi nudi, scoprissimo di provare attrazione l’uno per l’altro.- Gli sguardi dei due ragazzi si fissarono, in un imbarazzato silenzio.
  -Sono proprio belle le tette.- disse Darren.
  -Sì, proprio.- rispose Charl. Dopo aver cercato di riaffermare la loro virilità, i due non parlarono finché non furono di nuovo completamente vestiti. Charl indossava la camicia bianca ed i jeans che gli aveva prestano Darren, mentre lui aveva un cappotto nero di pelle prestatogli dal cugino, una maglietta e dei jeans, con delle sneakers grigie sotto tutto. Si sentivano due grandi vestendosi come loro, e speravano che così non avrebbero notato che erano più piccoli.
  Uscirono tutti baldanzosi, diretti alla festa. Persero la boria solo fuori dalla porta, dove i gatti aspettavano Charl.

  Quando furono nei pressi della festa, Charl e Darren si fermarono per sistemarsi, essendo riusciti a mollarsi indietro quelle bestiacce infernali. Si rimisero a posto le maglie, e Darren alzò il colletto della camicia all’amico, come un vero uomo. Entrarono dalla porta principale, arrivando in una stanza piena di luci stroboscopiche e ballerini. Le ragazze ballavano nella calca, a gruppetti o da sole, lasciandosi trascinare dalla musica. Quelle sole erano le prime ad essere preda dei ragazzi, che si avvicinavano a loro e le ballavano attorno. Lo facevano anche con i gruppi, ma quando un ragazzo provava ad abbordare una tipa, di solito si prendeva una sberla da tutte le altre. Ad un lato della stanza c’era il buffet e delle sedie. Lì attorno stavano i più timidi, o quelli che gli altri definivano “sfigati”. Ce n’era sempre almeno uno, e nessuno sapeva perché, forse invitati per errore, o per far sembrare gli altri più belli. Poi si potevano individuare le coppiette. Erano quegli agglomerati che si rigiravano sui divanetti. Coppie solide, inossidabili, o coppie che sarebbero scoppiate come una bolla di sapone. In fondo c’erano i fighi, o ganzi, o manzi o tranzulli. Tra di loro c’era il padrone di casa e altri due o tre, attorniati da ragazze, spesso con un Q.I.S. (Quoziente Intelletivo Somma) minore di una banana. Tutte cose che Charl non sapeva allora, ma avrebbe scoperto crescendo, passando attraverso tutte le categorie, tranne quelle femminili, anche se quella volta che si sbagliò e finì a “Gli amici del Trapano”…
  Darren andò dritto verso il gruppo dei belli, cercando una testa rossa. La trovò, mentre stava con la mano aiutando una simpatica biondina a scoprire come erano le sue mutandine.
  -Ehi cugino, hai visto che sono qua?
  Il ragazzo lasciò la biondina, alzando la voce contro Darren -Cosa ci fai qui, bamboccio?
  -Ma, sei tu ad avermi detto di venire alla festa.
  -No. Ti ho detto che io andavo alla festa. Tu non saresti mai dovuto venire. Ora smamma che mi distrai la troietta.
  Il ragazzo tornò a provarci con la biondina, mentre Darren si allontanò sconsolato. Charl lo trovò seduto al tavolo del buffet, con le gambe raccolte. -Senti Darren, qui è tutto così strano. Già due ragazzi mi hanno chiesto di andarmi a stendere con loro. Ho rifiutato, mica ho sonno.- si avvicinò, dando una scossa con la mano all’amico -Tutto bene?
  Darren scattò giù dalla sedia, tirando con il naso per ricacciare indietro due lacrime che volevano uscire -Tutto bene. Ora gliela farò che non posso stare qua. Vieni Charl, andiamo a ballare.
  Mentre Darren lo trascinava in mezzo alla pista, Charl provò a staccarsi -Ballare? Non mi avevi detto che dovevamo ballare. Io non so ballare.
  Darren lo guardò negli occhi con tutta la sua determinazione, era pronto a dimostrare che non era più un bambino -Tutti sanno ballare. Forza, va bene qualsiasi cosa.
  -Be’, qualche passo lo conosco anche io.
  Alla zona dei più fighi arrivò un gorilla per parlare con il padrone della baracca -Ehi Karmoz, sulla pista ci sono due ragazzini che ballano la macarena.

  La musica si spense, proprio quando doveva iniziare il pezzo preferito di Charl: quando si mettevano le mani sulla persona davanti a se. Era una sua variante, ma gli sarebbe piaciuto provarla su una tipa in top e pantaloni attillati davanti a lui. La folla si aprì e davanti a Darren e Charl arrivarono due grossi gorilla in giacca e cravatta, un uomo con la valigetta che si dimenava e mangiava le pulci dei due gorilla ed il padrone di casa, seguito dai suoi amici ganzi.
  -Che ci fate qua, mocciosetti?
  Darren si fece avanti, mostrandosi sicuro di sé -Non siamo dei bambini. Siamo della vostra stessa età, amico. Solo che abbiamo disturbi d’altezza.
  Rise forte il padrone. Anche gli altri risero, dopo di lui -E voi due tappetti vorreste farmi credere che sareste diciottenni. Siete gli unici qua dentro a non avere neanche un pelo in faccia.
  Darren non si fece scoraggiare, e provò a salvarsi trovando un compagno rasato nella festa -Anche quel tipo non ha peli sul viso.
  Karmoz ringhiò -Quella è la mia ragazza.
  -Splendida.
  -Mi avete stufato voi due. Sgnarl, buttali fuori di qui. Epicurzio, Ottomannio, fate ripartire la festa.
  Mentre l’uomo con solo la valigetta li prendeva schiumando, Darren cercò l’aiuto del cugino -Elton, digli qualcosa. Non farci buttare fuori.
  Il padrone di casa si voltò verso il ragazzo -Elton, sei veramente il cugino di questo moccioso?
  -Big K, non so chi sia.
  -Ma cuginone, sei tu ad avermi detto di venire qui.
  -Mai visto questo bambino in vita mia.
  -Abbiamo trascorso tanti momenti insieme. Ho anche le foto: la gita al mare, sulla neve, la recita delle principesse…
  -Fai sparire subito quelle foto.- Elton si gettò sul cugino per strapparle, ma le foto volarono via e si sparpagliarono per la stanza. Tutti i ragazzi e le ragazze videro le foto di quello che fino al giorno prima era uno dei più popolari della scuola, ora ridicolizzato per un costumino da principessina e degli scatti di lui rachitico.
  Si nascondeva il volto per la vergogna. Il padrone lo prese per una spalla e lo girò verso di sé -Madamigella, questo luogo è troppo rozzo per lei. Dovrebbe andare fuori a schiarirsi le idee.- prendendolo in giro lo buttò fuori di casa con un calcione, faccia a terra. Lo seguirono Charl e Darren, mentre da dentro risuonavano ancora le voci e la festa ripartiva.
  Si rialzò e si sedette sulla sua moto -Tutta colpa vostra bambocci. Ora mi prenderanno tutti in giro per l’eternità. Ma questa te la faccio pagare cuginetto. Vedrai appena racconterò tutto agli zii.- e sgommò via, lasciando i due in una nube del suo smog.
  A Darren e Charl non restava che ritornare a casa, nel buio della notte.

  Erano riusciti ad attraversare tutta la città fino ad arrivare incolumi sul vialetto di casa. Vedevano già la luce dell’androne. Qualcosa si agitò nei cespugli, e mille occhi rossi iniziarono a risplendere. I due iniziarono a correre, ma i gatti balzarono fuori dall’agguato e li rincorsero. Charl cadde a terra. Mise le mani davanti a sé, per proteggersi dai micidiali artigli dei mici. Gli erano quasi addosso, il suo viso madido di sudore, come se gli avessero tirato dell’acqua addosso.
  Gli avevano tirato dell’acqua addosso. Charl era grande, ormai, ed era alla festa, steso a terra dopo aver perso i sensi. Alcune persone erano piegate su di lui.
  -Tutto bene?

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Capitolo 11
*** Chi ha ucciso l'uomo e il ragazzo ***


CARNIVALE ETILICO
Chi ha ucciso l’uomo e il ragazzo

  -Come ti senti, stai bene?- attorno alla massiccia figura di Charl riversa a terra si era creato un capannello di persone. Alcuni (molti) semplicemente curiosi, altri (pochi) veramente interessati alla salute dell’omone.
  Si rialzò lentamente, cercando di focalizzarsi su due o tre volti delle decine che lo attorniavano. Soprattutto giovani, ma anche anziani e cani. Cercando di ritrovare una faccia amica, spostava gli occhi tra tutta la miriade. Nessun conoscente, ma solamente una faccia gentile fermò Charl.
  Il ragazzo guardava l’uomo riverso a terra. Aveva ripreso i sensi, muoveva gli occhi, ma era ancora disteso. Fermò la girandola degli occhi sopra i suoi, iniziando a fissarlo. Il ragazzo iniziò a sentirsi a disagio. Quegli occhi fissi su di lui lo scrutavano dentro, fino a leggergli la mente.
  Charl rimaneva fermo su quei due occhi verdi, in cui scrutava solo una cosa -“Torno subito”?
  Aveva parlato. Quindi sapeva farlo. Il ragazzo pensava di aver fatto un errore come nel suo film preferito “I Muti!”. Una commedia di gangster e poliziotti. “I Muti” era il nome della banda di banditi. Non erano chiamati così per la loro fedeltà. Quattro furfanti che alla fine escono immacolati per non aver mai cantato. Anche sotto tortura, non un fiato. Fiatò un riso, ripensando alla scena dell’irruzione degli agenti nel covo. Non aveva ancora capito dove avevano trovato un tutù di quelle dimensioni per lo squalo.
  Charl mise tutta la sua forza spingendo sulle braccia, ma cadde di nuovo a terra. Due ragazzi robusti lo presero dai fianchi e lo alzarono. Uno lo aveva già visto che lavorava sotto un lampione della strada mentre in macchina andava alla festa. Un giovinotto così bello, con un buon lavoro da elettricista. Un ottimo partito.
  Finalmente rimesso in verticale, il ragazzo poteva vedere l’omone senza peggiorare la sua gobba. In piedi veniva superato di parecchi centimetri, ma anche se lo sovrastava di una testa l’uomo continuava a fissarlo con i suoi occhi, ancora appannati dal risveglio.
  Anche da alzato, Charl non riusciva a distogliersi da quel viso. Gli splendidi occhi smeraldini rimanevano dentro a due lunghe cascate fluenti, di scuri capelli. Non parlava, zittito da tutta quella bellezza.
  -Stai bene ora? Riesci a stare dritto?- il ragazzo cercava di estorcere qualche risposta. Anche se imbambolato l’uomo diede cenno di assenso. La folla iniziò a scemare, e il ragazzo si andò a sedere su un divanetto con l’altro, per controllare che stesse veramente bene.
  Charl leggeva quel volto, scoprendo ogni volta un nuovo delizioso particolare: un capello dietro l’orecchio, un piccolo neo, oppure segni di una giovinezza non ancora finita. Seduti sul sofà, mentre gli si parlava lui fissava le labbra senza ascoltare, solamente incantato dal ritmico ondeggiare delle guance di rosso tinte.
  -...Io sono Chris, un amico del padrone di casa, ma lui non poteva gestire la festa perché è sopra con una ragazza a mostrarle il suo lavoro. Non so se lo conosci, ma fa il venditore di materassi sui canali satellitari. È per questo che mi sono dovuto occupare di te, non lo voglio mettere nei casini. Capisci?- l’altro annuì non subito, certamente non sapeva ciò che gli avevano detto. Ma a lui non importava. Doveva solo accertarsi che fosse vivo, se non vegeto non importava. Fece per alzarsi ma l’uomo lo trattenne per un braccio.
  Charl si era ripreso dalla sua visione quando si alzò. Prese un suo braccio e la tirò a se, poggiando le sue labbra sulle altre. Staccatosi, sussurrò solo -Sei bellissima.
  Lo aveva baciato! Quell’uomo lo aveva baciato! Chris era sconvolto. Non aveva mai avuto dei pregiudizi su quel tipo di gente, ma non si sentiva come loro. Voleva urlare, ma con la musica che aveva ripreso a pompare potente non lo avrebbero mai sentito. E aveva paura di quel tipo. Stava ancora stringendo il suo polso. Non stringeva forte, però era molto più grosso di lui. Poteva bloccarlo facilmente.
  Quando venne liberato da quel bacio indesiderato, sentì -Sei bellissima.- e connetté. I suoi capelli lunghi lo avevano ingannato, e i suoi lineamenti gentili avevano fatto il resto. Decise di provare con quella strada, in caso contrario avrebbe scoperto cosa provano le ragazze la prima volta.
  -Signore, io sono un maschio.- Chris provò a dirlo a bassa voce, in modo tale che solo lui e Charl potessero sentirlo. Non che nella baraonda delle danze fosse necessario, ma non si sapeva mai in quelle foste dove potessero essere finiti gli ubriachi. Quando si puliva dopo sotto il tappeto ce ne erano sempre un sacco.
  Charl stava già allungando le mani quando Chris gli diede la rivelazione. Spostando la mano da dietro a davanti trovò un pacco invece di una cassetta. Aveva fatto l’errore del postino. Lei non era una lei, ma un lui. Con un sedere bello sodo, ma sempre un lui. Charl saltò subito giù dal divanetto, raggomitolandosi sulle ginocchia. Iniziò a piangere, sconvolto dall’errore madornale commesso.
  Chris si alzò e provò ad avvicinarsi per consolarlo. Era vero che ci aveva provato con lui, ma lo aveva fatto considerandolo una ragazza. Ed anche una bella ragazza, dal modo in cui ci provava. Lui gli aveva infranto il sogno, togliendo la maschera a quella bella sconosciuta dagli occhi verdi, e mostrando solo un ragazzo che non riesce neanche a farsi crescere due peletti sotto il naso. Impacciato diede due pacche sulla spalla a Charl, sperando che almeno smettesse di piangere. Per quanto casino ci fosse, quelli attorno si giravano a guardare quel tipo grande e grosso mentre frignava. A feste di quel genere c’era gente che collassava per terra, che si addormentava nel cesso o si risvegliava il mattino dopo senza un rene, ma un piagnone era abbastanza inusuale.
  -Che ne dici se ti offro qualcosa da bere, signore?
  Tirò su con il naso -Charl.
  -Come?
  -Mi chiamo Charl. Non sono un signore, mi fa sentire vecchio. Come quegli anziani che vanno con i uahaaahh.- riprese a piangere disperato.
  -Va bene Charl. Ora ci alziamo e andiamo a stenderci sul bancone. Così ti calmi e smetti di piangere.- tenendolo da una spalla, lo trascinò fino al bancone, dove lo gettò sul primo sgabello libero.
  -Jeff, facci due Pina Colada.- il barman si girò a prendere tutto l’occorrente, lasciando Chris e Charl da soli seduti.
  -Ti sei calmato ora?- Chris provava a placarlo. Charl non stava più quasi piangendo, e tirava solo qualche volta il naso.
  -Sì.
  -E allora vuoi spiegarmi perché sei salito sul palco, hai buttato giù il DJ e ti sei messo a stonare?
  La pressione che Charl si sentiva addosso era molto forte. Sentiva che sarebbe potuto svenire da un momento all’altro -Bhe, ero venuto con due amiche ma poi le ho perse di vista. Pensavo che magari chiamandole al microfono le avrei ritrovate.
  -Va bene, questo lo posso capire. Ma allora se volevi solo questo perché non hai semplicemente chiamato quelle due ma ti sei messo a cantare?
  -Io non lo so, ero confuso, mi girava la testa. Non capivo bene ciò che facevo.- tutto quel cercare di ricordare confondeva Charl. Appena il barista arrivò con i due drink Charl bevve in un solo sorso tutto il suo.
  Chris bevette il suo per metà, poi si fermò -Jeff, hai messo qualcosa in questo drink? Non è come il solito.
  -Ci ho aggiunto il mio ingrediente speciale. Il borotalco di zia Carmela. Una bomba.
  -Cosa? No!- le esclamazioni di Chris furono prese dall’euforia di Charl, che si era completamente risvegliato e nella sua stazza enorme prese Chris.
  -Lo bevi questo?- senza aspettare risposta si scolò il mezzo bicchiere rimasto di drink corretto. In preda a quella gioia febbrile, iniziò a correre per tutta la sala, tirandosi dietro Chris come un pupazzo.
  Chris stava sempre perdendo più lucidità. Quel mezzo bicchiere era sufficiente, e lentamente si stava diffondendo per tutto il corpo, facendogli venire una voglia pazzesca di saltare. Liberatosi dalla debole presa di Charl, lo sorpassò a lunghi salti.
  Charl non si fece lasciare indietro, ed entrambi corsero fino al giardino esterno. Caddero uno sopra l’altro e si misero a ridere convulsamente, senza ragione alcuna.
  -Sei mio amico?- Charl prese il viso di Chris tra le mani, stringendolo forte forte.
  -Sei mio amico?- Chris prese nello stesso modo Charl.
  -Sono tuo amico se tu sei mio amico!
  -Ed io sono tuo amico se sei mio amico!
  -Io sono tuo amico!
  -Sì, amici!
  -Ehi, amico. Andiamo a divertirci in giro?
  -Sì!
  I due corsero fino alla macchina di Charl. Si frugò nelle tasche -Non ho le chiavi!
  -Sono lì dentro!- le chiavi d’accensione erano sul cruscotto -Ma come le prendiamo?
  -So io cosa fare!- Charl si attaccò al vetro -Brutto scimpanzé impagliato, aprici la portiera!- Charl si rivolse al peluche dal lato del navigatore.

  La mattina successiva Charl e Chris si ritrovarono al fondo di una scarpata, con una gonna a portafoglio il primo e uno strano bikini il secondo.
  Qualche mese dopo arrivò una lettera che avvisava della decurtazione di molti punti dalla patente. Allo scimmiotto l’avviso non fece né caldo né freddo, dato che da tempo si era già spostato verso climi più a lui confacenti.

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