I Figli di Tanaros - Vol.I di Eleanor S MacNeil (/viewuser.php?uid=4019)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Cap. 1 ***
Capitolo 3: *** Cap. 2 ***
Capitolo 4: *** Cap. 3 ***
Capitolo 5: *** Cap. 4 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
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I
Figli di Tanaros - Trailer
Prologo
«Anticamente
i regni erano una terra unica, fertile e incontaminata dalla mano
dell'uomo. Cinquecento anni fa, un gruppo di coloni approdò
sulle coste di quello che oggi è il regno di Crùn.
Fuggivano dalla devastazione della loro terra natale, morte e guerra
avevano consumato la loro patria e, impauriti, avevano scelto di
solcare il mare per colonizzare e trovare la pace.» era la voce
della loro madre, quella nota calda e dolce che aiutava a chiudere
occhio. Adoravano la storia degli antichi, soprattutto quando era
Seraphi a narrarla. «L'antico impero era caduto e ai
sopravvissuti non era restato altro che la speranza in una vita
migliore su Dòchas. I coloni erano capitanati da quattro
nobili, rappresentanti le quattro principali famiglie che, fino a
quel momento, aveva fatto parte del consiglio della corona
dell'antico impero. Dòchas ospitava già da tempo un
piccolo gruppo di donne.»
«Erano
le sacerdotesse, madre?»
«Sì,
mia piccola Soraya, erano le sacerdotesse della dea Àrsaidh,
giunta molti secoli prima della colonizzazione per custodire in
queste terre i mistici segreti della dea, la custode del destino. I
quattro clan lasciarono loro l'isola di Coltas, già da tempo
loro tempio, e, ben presto, colonizzarono questa terra, dividendola
in cinque regioni e quattro regni, Crùn, Logh, Keyll, Talamh e
la regione di Clagh, le miniere dei regni.» Seraphi guardò
sua figlia Soraya negli occhi, accarezzandole i capelli neri. La
piccola di quasi cinque anni non voleva proprio saperne di dormire,
mentre Erik chiudeva ed apriva gli occhietti ogni volta che sentiva
la voce della gemella. «Ad est, oltre le montagne che
dividevano Dòchas, sorsero i regni di Keyll e Logh, la regione
dove risiede la saggezza delle sacerdotesse e dei sacerdoti e dove,
nella baia di Adhar, sorge la famosa e sacra isola di Coltas.»
«Il
regno dove sei nata?» stavolta fu Erik a porre la domanda, con
sguardo assonnato.
Seraphi
gli accarezzo i capelli biondi. «Sì piccolo mio. Poi ad
ovest, fu fondata la regione di Clagh ed i regni di Talamh e Crùn.
I quattro re si suddivisero i regni e Clagh, promettendosi pace e
trasparenza, alleanza e sostegno l'un l'altro. Dòchas non
doveva conoscere carestie o morte, tanto meno battaglie e sangue, ma
molti anni dopo, sul letto di morte, la regina di Logh, Aiyana
Nathair-sgiathach, pronunciò una profezia che ancora oggi
aleggia nell'aria di questa terra.»
«Cosa
dice la profezia, madre?» domandarono all'unisono i due
bambini.
«Quando
il tempo di cinque volte cento giungerà, l'ambizione ed il
potere porteranno la guerra e Dòchas verrà bagnata da
un'onda di sangue e morte. Una regina porterà la guerra,
un'altra porterà la morte, e dal mare antichi nemici
giungeranno per reclamare Dòchas. Quando i re cadranno nuovo
sangue regnerà.»
«Aiyana
era la tua antenata, madre?» Soraya spalancò i grandi
occhi blu, sorridendo alla madre.
Seraphi
le sorrise di rimando, scostandole una ciocca di capelli dalla fronte
e lasciandole un bacio per poi spostarsi e lasciarne uno ad Erik,
ormai mezzo addormentato. «Anche la vostra, piccoli miei.»
con fatica Seraphi si alzò dal letto, reggendosi il pancione
di nove mesi.
«Cosa
significa il tempo di cinque volte cento?»
«Non
lo so, ora dormi, Soraya!»
«Buona
notte, madre.»
«Buona
notte, miei piccoli scorpioni.»
...Tredici
anni dopo...
Sua
madre era morta sul finire della primavera, subito dopo aver dato
alla luce il piccolo Marek. Soraya guardò la statua
raffigurante Seraphi, ricordando quell'ultima volta in cui l'aveva
vista serena e in pace. Era spirata poco dopo il parto, tenendo i
suoi tre figli tra le braccia. Soraya non aveva più pianto da
quella notte, si era fatta forza, rifugiandosi nei ricordi e nelle
favole della sua nutrice, raccontando al fratello Marek chi fosse la
madre e quanto fosse dolce e protettiva. Lei ed Erik si erano presi
in carico l'educazione del giovane, cercando in ogni modo di non
fargli mancare la figura materna.
Dopo
il funerale suo padre, re Markos an Sgairp, sovrano di Crùn,
aveva fatto erigere un piccolo mausoleo nei giardini della Rocca, sul
lato sud, da dove si poteva ammirare la baia di Liath ed il porto.
Era un piccolo gazebo di marmo bianco circolare, con sette colonne,
ognuna a rappresentare una delle dee e, al centro, la statua
raffigurante l'amata regina Seraphi Nathair-sgiathach. Ogni notte il
re faceva accendere le candele ai suoi piedi, talmente tante da
illuminare quell'angolo del giardino e, attorno al gazebo, negli
anni, erano stati piantati gigli bianchi in ricordo della defunta.
Là, circondata dai fiori e gli alberi del giardino, sembrava
una dea.
«Era
così bella» sospirò Soraya, piegando la testa di
lato. Ricordava ancora i lunghi capelli biondi come il grano e gli
occhi blu di Seraphi. Da piccola si soffermava spesso a guardarla
mentre si pettinava o tesseva al telaio. A differenza di molti
matrimoni reali, suo padre l'aveva sposata per amore e non per
politica. Ora la nuova regina, Antee, figlia del re di Talamh, era
stata scelta per riempire un posto vacante e non per amare Markos.
Per sua fortuna, lei aveva sposato l'uomo amato, sebbene quella
scelta l'aveva portata a rompere un fidanzamento politico voluto dal
padre.
«Sapevo
di trovarti qui.»
La
giovane si voltò, osservando la figura massiccia del fratello
farsi avanti con passo pesante. Gli sorrise, riportando lo sguardo
sulla statua. «Sono così prevedibile, Erik?»
«No,
la tua arroganza supera la tua prevedibilità!» esclamò
lui, dandole un colpo con la spalla.
«E
così, la data delle nozze è stata decisa.»
«Quattro
settimane da oggi.» annuì Erik, contraendo i muscoli
della mandibola.
«Nostro
padre vuole vederti sposato prima del tuo diciottesimo compleanno.»
«Nostro,
dimentichi troppo spesso che siamo gemelli.»
«Non
me lo ricordare» sospirò lei, ridendo lievemente. «Ti
sopporto da fin troppo tempo.»
«Ed
io no?» Erik scoppiò a ridere, porgendole un braccio per
condurla verso la Rocca, il palazzo reale. «Io mi sposerò
tra quattro settimane e tu, tra pochi mesi, lascerai Crùn per
diventare regina di Logh.»
«Ti
mancherò, fratello?»
«Ricordi
cosa ci disse nostra madre, prima di morire?»
«Noi
siamo gemelli, due metà della stessa anima.»
«Esattamente.
Possiamo anche separarci, vivere in due regni distanti, ma saremo
sempre l'uno parte dell'altra, in eterno.»
«Ed
io che pensavo non ci fosse niente in quella testa da caprone che ti
ritrovi!»
Erik
rise, spintonandola leggermente. «Vedrai, anche se sentirai la
mancanza di casa nostra, non riuscirai a dimenticarti di tutto
questo» le disse, indicandole la città fuori dalle mura
della Rocca, dal punto alto del giardino potevano ammirarla in tutto
il suo splendore. Il fulcro nevralgico di Crùn, Rìoghachd,
si estendeva lungo il fiume Uisge che la attraversava. Era un insieme
caotico di case e piccoli edifici di pietra, dove i fabbri forgiavano
le armi migliori di tutta Dòchas e venivano addestrati veri e
propri guerrieri. Non solo gli uomini, ma anche le donne apprendevano
l'arte del combattimento, gli abitanti del regno o diventavano
soldati dell'esercito, oppure pescatori o fabbri.
Erik
aveva ragione, ma Soraya temeva di dimenticare il volto della madre,
se si fosse allontanata dal regno e dalla sua casa. Logh era così
lontano, oltre le montagne, a due settimane di marcia, ma questo la
rendeva più vicina alle sue origini e a quelle di sua madre
Seraphi.
Dopo
la sua morte la corona era passata a lei, in quanto unica discendente
della casata e, suo suo zio Calder, fratello minore della madre,
aveva giudiziosamente amministrato le terre di Logh in sua vece, ma
ora il suo diciottesimo compleanno si stava avvicinando e, con esso,
l'incoronazione.
Sovrana
di un regno che conosceva poco, era questo il suo destino. Un fato
che non voleva, ma necessario per evitare che altri avanzassero
diritti su Logh. Diversi nobili da anni avevano posato lo sguardo
sulle vaste terre del regno di sua madre, sui pascoli di pecore,
sulle risaie e sui campi d'orzo e lavanda, ma più di tutto
faceva gola il giacimento d'oro ai piedi della montagna di Òir,
nella miniera ritenuta sacra dai sacerdoti del dio Geamhradh, il
sovrano dei morti e degli inferi. Si diceva che la miniera fosse
l'entrata del suo regno.
Proteggere
Logh dagli sciacalli era il suo compito e doveva esserne la regina
per poter ottemperare a tale incarico. Non poteva lasciare che uomini
vanesi e avidi entrassero nella montagna sacra e rubassero al dio
senza occhi l'oro dei morti, come ormai era stato battezzato.
Mai
disturbare gli dei, diceva sempre Azar, la sua balia, si rischiava
d'incorrere nella loro ira e di vedersi portare via tutto ciò
che si amava.
Pronunce:
Dòchas
– Dochès la H aspirata
Logh
– Logh GH aspirata
Talamh
– Taloch CH aspirata
Keyll
– Chil
Clagh
– Clagh H aspirata
Crùn
– Crun, con la u chiusa
Coltas
– Colter
Adhar
- Aar
Àrsaidh
– Aarsid
Liath
– Lit
Nathair-sgiathach
– Naar-sghiea la TH è quasi assente nella pronuncia di
Nathair, non si sente, la H aspirata
an
Sgairp – en Sgheirp
Rìoghachd
– Riaach CH aspirata
Tuath
- Tua
Uisge
– Osghe O chiusa
Òir
- Or
Geamhradh
– Ghiamrad
Angolo
Autrice:
Questa
storia è la trasposizione originale della mia fan fiction Fire
and Blood, liberamente ispirata a Le Cronache del Ghiaccio e del
Fuoco di George R. R. Martin.
É
la mia prima fantasy, quindi se avete consigli, accorgimenti o
quant'altro, siete i benvenuti.
I
nomi dei luoghi ed i cognomi dei personaggi sono la traduzione in
gaelico scozzese di nomi comuni di cose e animali.
Per
qualsiasi cosa, critiche, accorgimenti, consigli, siete i benvenuti,
non si cresce solo con i complimenti, ma solo grazie a critiche
costruttive e ad una sana conversazione civile.
Avendo aggiunto un nuovo personaggio alla prima versione, sto revisionando i capitoli, aggiungendo e apportando modifiche varie alla trama. Quindi se troverete discrepanze tra un capitolo e l'altro è a causa di tale revisione in corso. Prevedo di riuscire a pubblicare i capitoli revisionati nel giro di una settimana, in caso...abbiate pazienza, a breve arriveranno anche gli altri.
Mappa
Dòchas
Ele.
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Capitolo 2 *** Cap. 1 ***
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I
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I
Figli di Tanaros – This is War
Soraya
an Sgairp – Broken Crown
Cap.
1
Crùn
In
piedi, sopra la scarpata, guardava la valle sotto di lei. Cadaveri e
sangue ornavano la terra, corvi neri dalle ampie ali banchettavano
sui corpi dei caduti, il canto dei lupi la travolse, nefasto e
terrificante. Un teatro di orrori e supremazia, quanto poteva essere
oscuro l'animo degli uomini.
Soraya
guardava quello scempio con occhi terrorizzati. Sentiva il cuore
batterle all'impazzata mentre scrutava tra i volti dei cadaveri,
cercando qualcuno di sua conoscenza.
All'improvviso
il cielo si fece terso e nuvole rosse oscurarono il sole, rendendo
quella visuale più cupa e tetra. La pioggia cominciò a
cadere, ma a bagnarle il volto non era acqua, ma sangue caldo e denso
che cominciò a sporcarle la veste bianca. Sentiva il sapore
ferreo nella bocca, la vista si offuscò e sentì il
terreno cedere sotto i suoi piedi, lasciandola cadere in mezzo ai
cadaveri. Si sollevò, cercando di tenersi in equilibrio tra
quei corpi e arti morti, ma era tutto inutile, sembrava che le sue
gambe fossero paralizzate. Poi, guardandosi attorno, scorse uno
stendardo sventolare su una lancia. Il blu marino con lo scorpione
nero degli an Sgairp era logoro e sporco, ma sembrava svettare in
mezzo a quel mare di morte e sangue.
«Devi
fermarlo.»
Soraya
si voltò di scatto, cercando la fonte di quella voce, ma
c'erano solo i corvi che volavano sopra la sua testa.
«Prima
che un'altra alba giunga.»
«Chi
sei?» urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni,
guardandosi attorno. «Cosa vuoi da me?»
«Sono
io, mio piccolo scorpione.» Occhi blu come il mare, capelli
biondi come il grano e una veste bianca che pareva non toccare terra,
ma sporca di sangue sul ventre. Sua madre la stava osservando con le
mani giunte, il volto pallido e lo sguardo vuoto di chi aveva perso
la vita.
«Madre.»
«Ogni
uomo combatterà la propria guerra, è inevitabile,
figlia mia. Il nostro è un mondo di cenere e morte e nessuno
vi può sfuggire.» Parole criptiche quelle di Seraphi,
tanto quanto quel campo di battaglia dove la carneficina aveva avuto
luogo.
Cercò
di muoversi, ma le sue gambe erano come bloccate, inghiottite dalla
terra sporca di sangue. Si divincolò nel tentativo di
liberarsi, ma più si muoveva, più sprofondava.
Paura,
ansia, rabbia. Poi il buio e tutto divenne ombra.
Soraya
spalancò gli occhi, alzandosi di scatto. Era nella sua stanza,
nel suo letto, a Rìoghachd. Si guardò attorno,
respirando affannosamente. Un altro sogno, un altro incubo.
Fuori
la notte regnava sulla capitale del regno di Crùn e il mare
s'infrangeva contro l'alta scogliera su cui sorgeva la Rocca.
D'istinto si alzò, uscendo sul balcone per osservare il mare
di Iar.
Il
castello sorgeva su uno dei corni che delimitavano la baia di Liath,
da lì poteva scorgere il faro e il porto. Alla sua destra il
mare, alla sua sinistra la baia e, dietro di lei, Clagh e le miniere.
Lasciò
che la brezza marina le sfiorasse il viso, muovendo i lunghi capelli
sciolti sulla schiena. Era così inebriante, restare ferma con
gli occhi chiusi ed il rumore delle onde ad animare i suoi pensieri.
Le navi ondeggiavano nel porto, il faro illuminava la baia conducendo
le imbarcazioni in acque sicure. Perfino le stelle, quella notte,
sembravano voler alleviare i suoi pensieri, risplendendo nel cielo
notturno. Solitamente, quando si svegliava da un incubo, Ragnar, suo
marito, la rassicurava, ma quella notte non era nel letto con lei.
Con il Re a Clagh metà della Guardia Corvina era con lui e
Ragnar ne faceva parte.
«Non
riesci a dormire?» domandò una voce maschile alle sue
spalle. Erik la stava guardando preoccupato, in piedi sulla porta.
«Tu
che ne dici?»
«Un
altro incubo?»
«A
volte ho paura ad addormentarmi» rispose Soraya, lasciando che
il gemello l'abbracciasse. Era molto più alto di lei, con
spalle larghe e fisico
prestante; un guerriero biondo scuro con occhi azzurri, una perfetta
combinazione tra il padre e la madre.
«Posso
restare con te, se vuoi» disse Erik, baciandole la testa e
cullandola nel suo abbraccio. «Come quando eravamo bambini.»
«Come
quando eravamo bambini» ripeté lei, lasciando che le
cure di Erik spazzassero via le immagini dell'incubo.
***
«Tre
settimane.» Andràs guardava lo stendardo della sua
casata dove un cervo dorato ed un lupo nero svettavano su uno sfondo
verde.
Mancavano
tre settimane alle nozze di sua sorella Dyani con il principe Erik ed
il pensiero non lo entusiasmava. Sapeva ben poco del principe,
conosceva solo alcune usanze del regno di Crùn, come quella
d'insegnare alle donne l'arte del combattimento, la stessa
principessa Soraya, gemella di Erik, sapeva usare la lancia.
Il
re, suo padre, aveva usato una strana analogia per spiegare questa
tradizione. “Gli an Sgairp hanno il sangue dei
guerrieri. Uomini e donne devono essere un tutt'uno con la spada
come uno scorpione ha nella coda la sua arma.”
Andràs
si passò una mano tra i capelli castani, voltandosi poi per
rientrare nel castello. I preparativi erano ormai iniziati da giorni,
sua madre aveva riempito bauli di abiti e cianfrusaglie che
completavano il corredo nuziale di Dyani e le ancelle parlottavano
fra loro indecise su chi avrebbe seguito la giovane principessa nel
nuovo regno.
«Ansioso?»
Ivar, suo fratello, gli si parò davanti mentre entrava nella
sala principale. «Io lo sarei.»
Stessa
altezza, stessi capelli castani, solo in alcuni tratti i due fratelli
differivano. Se Andràs possedeva occhi grigi e lineamenti
marcati come il padre, Ivar li aveva verdi, come quelli della madre,
ed un volto dal mento appuntito e affilato. Avevano un anno di
differenza, ma a guardarli non si notava. Andràs era un
ventenne che si rifugiava nella foresta di Firth a cacciare con arco
e frecce, bravo con la spada e dal carattere fiero, un re in piena
regola. Ivar, al contrario, preferiva i libri e le donne dei bordelli
alla caccia e alla strategia militare. Non erano come gli an Sgairp,
un clan di guerrieri e pescatori, le cui donne sapevano combattere
come uomini.
«Credi
che Erik tratterà bene nostra sorella?» domandò
Andràs.
«Di
sicuro tratta con rispetto la sorella. Dicono che a volte dormano
perfino nello stesso letto.» Ivar scrollò le spalle,
avviandosi per i corridoi del castello insieme al fratello. «Sono
gemelli, i sacerdoti hanno credenze molto ferree a riguardo. In più
il loro regno ha usanze molto differenti dalle nostre, probabilmente
nessuno pensa che sia sconveniente, ma io...io ho seri dubbi che sia
solo affetto fraterno.»
Andràs
non riusciva a capire dove Ivar volesse arrivare con quel discorso.
Lo guardò curioso, aggrottando la fronte e guardandolo
dubbioso. «Pensi che abbiano una relazione?»
Ivar
alzò le mani in segno di resa. «Penso che sia strano che
una principessa sposi una guardia reale e, di tanto in tanto, divida
il letto con il fratello gemello.»
«Chi
divide il letto con il proprio fratello gemello?»
Ivar
e Andràs furono presi alla sprovvista quando sentirono la voce
della sorella. Dyani era arrivata alle loro spalle con passo leggero,
accompagnata dal fruscio dell'abito verde scuro in tinta con gli
occhi grandi e dolci. Le labbra carnose ed i capelli lunghi e castani
la facevano sembrare una statua di qualche bella ancella delle
antiche leggende. Erik stava per sposare la più bella
fanciulla di tutta Dòchas.
«Pettegolezzi,
cara sorella.» Ivar sorrise alla sorella, dando una gomitata
nelle costole ad Andràs invitandolo ad assecondarlo.
«Ivar
stava solo riportando un pettegolezzo udito alla taverna.»
«Non
dovremmo essere noi donne a raccontare pettegolezzi?» domandò
Dyani, sbattendo le lunghe ciglia. «Oppure state di nuovo
confabulando sul mio futuro sposo?»
«Siamo
solo preoccupati per te» affermò Andràs,
ricevendo un'occhiata torva da Ivar. «Vogliamo solo essere
sicuri che il principe Erik ti tratti come di dovere e non come...»
«Come
una fanciulla qualunque?»
«Esattamente,
Dyani. Vogliamo solo proteggerti.»
«E
questo vostro atteggiamento protettivo implica pettegolezzi
riguardanti un presunto incesto tra il principe Erik e la principessa
Soraya?»
«Esattamente!»
esclamò Ivar, annuendo animatamente. «Anche se il vostro
è un matrimonio combinato, resta pur sempre un matrimonio e
tradire la propria moglie con la sorella non mi pare consono.»
Dyani
sorrise, sebbene quel gesto sembrò più una smorfia di
rassegnazione. «Vi ringrazio per le vostre premure, ma ormai la
data delle nozze è stata fissata ed io devo rallegrarmi di
ciò, in fondo diventerò la futura regina di Crùn
e, se non dovessi riuscire ad amare il mio sposo, amerò i
nostri figli più di ogni altra cosa al mondo.»
Rassegnazione.
Ecco cosa videro negli occhi della sorella i due uomini. La
guardarono allontanarsi con il capo sollevato ed il mento alto,
ferma, regale, come solo una principessa poteva essere. Un portamento
aggraziato totalmente differente da quello grezzo e arrogante della
futura cognata.
***
«Io
sono Soraya an Sgairp, figlia di Markos an Sgairp e Seraphi
Nathair-sgiathach» urlò, cercando di convincere le
guardie a lasciarla passare, ma non ebbe successo. Accadeva sempre
quando cercava di raggiungere le stanze di suo padre e nei dintorni
c'era Antee. La regina e lei non andavano molto d'accordo, sin da
quando aveva memoria.
«É
inutile che lo ripeti, mia piccola principessa, loro rispondono solo
ai miei ordini.» Antee arrivò con passo flemmatico e il
portamento degno di una regina. Era la figlia minore di re Egor di
Talamh, una principessa di nascita, abituata al lusso e alla nobiltà,
non conosceva e non approvava gli usi meno sfarzosi di Crùn,
dove il metallo più pregiato era l'acciaio delle spade e non
l'oro dei gioielli. Una donna scaltra, viziata e troppo altezzosa che
non conosceva le armi o il sapore del sangue.
«Io
non sono la vostra piccola principessa, Antee!» disse a denti
stretti Soraya, guardandola in quegli occhi castano chiari che lei
disprezzava. Era bella, dal fisico asciutto, la pelle chiara e il
portamento regale. I lunghi capelli castano chiari raccolti in
un'elaborata acconciatura, gli orecchini d'oro pendevano dai lobi con
perline d'ambra e sul volto quel ghigno vittorioso che le mostrava
sempre.
Antee
le sorrise, sorpassandola, seguita dalle sue ancelle. «Soraya,
io sono la Regina, mentre tu sei solo...solo una piccola
principessa!»
Soraya
osservò la matrigna allontanarsi, quanto avrebbe voluto
prenderla per i capelli e gettarla in mare. Antee aveva sposato suo
padre due anni dopo la morte di Seraphi, un anno più tardi
aveva dato alla luce Sahen, un fanciullo fin troppo pieno di sé
incapace d'impugnare una spada. Il bambino ora aveva dieci anni, ma
non possedeva nulla di suo padre, a parte il nero dei capelli.
Con
passo spedito entrò nelle stanze di Markos, trovandolo seduto
allo scrittoio intento a firmare dei documenti reali. «Ancora
mi domando perché l'avete sposata!»
«Credimi,
è la stessa domanda che mi pongo da ben undici anni.»
Markos era un uomo muscoloso, imponente, con lo sguardo freddo e la
barba nera a coprirgli la bocca. Un guerriero, un capo, un leader, il
cui volto era sfregiato da una lunga cicatrice sul lato destro che
partiva dalla fronte ed arrivava al mento. «Ansiosa per le
nozze imminenti?»
Soraya
sorrise all'indirizzo del padre, piegando la testa di lato. «Io
mi sono sposata tre mesi or sono, quello ansioso dovrebbe essere
Erik, non io.»
«Tuo
fratello trascorre troppo tempo sul campo di addestramento e nei
bordelli per pensare al suo stato d'animo.»
«Ha
una relazione più intima con la sua spada che con una
qualunque prostituta.» Soraya ascoltò il padre esplodere
in una fragorosa risata. «Grazie agli dei sei tornato presto,
mi sei mancato.»
Markos
si alzò, avvicinandosi alla figlia, sovrastandola, le prese il
volto tra le mani, per gli dei, aveva gli occhi di sua madre, con
quella voglia di vivere che faceva invidia perfino al sole e alla
luna. Blu come il mare in tempesta, lo stesso mare che i loro avi
avevano solcato per fuggire dall'antico regno. Blu, come il vessillo
della famiglia.
«Mi
ricordi tua madre.»
«Lo
so» sussurrò Soraya, abbassando il volto.
«Sembri
stanca.» Come ogni volta che si sfiorava il discorso “Seraphi”,
Markos cambiava subito argomento. Erano trascorsi tredici anni, ma la
ferita ancora bruciava come fosse stata appena inferta. «Ancora
i tuoi sogni?»
Soraya
annuì, mentre suo padre si allontanava, avvicinandosi al
balcone, guardando l'esterno. «Ultimamente sono sempre più
frequenti.»
«Dovresti
provare a pensare meno alle storie che ti racconta Azar, sono quelle
che ti turbano.»
«Io
credo che siano altro» protestò lei. «Ricordi la
profezia di Aiyana?»
«Quella
favoletta che ti raccontava tua madre?» Markos si voltò,
odiava parlare di superstizioni e magia, non esisteva nulla del
genere, erano solo storie per far addormentare i bambini. «Non
è altro che un'invenzione.»
«Eppure
sento sempre una voce nei miei sogni, una donna che la ripete di
continuo, e poi il sangue e la devastazione. La terra di Dòchas
macchiata di rosso e la guerra.»
«Azar
dovrebbe smetterla di raccontarti le storie del passato, sei una
donna sposata, hai quasi diciotto anni, non hai bisogno di queste
fandonie!» urlò il re, voltandosi di scatto verso la
figlia. «Sei la principessa di Crùn, mia figlia, e non
accetto che ti lasci influenzare da certe favolette.»
«É
vero, ma sono pur sempre la futura regina di Logh e ben sai quanto
gli abitanti del regno siano superstiziosi e inclini a credere a
quelle che chiami favole della buona notte, padre!» Soraya non
ascoltò oltre, girò i tacchi ed uscì dalla
stanza. Discutere con suo padre dei sogni che faceva era totalmente
inutile. Lui li definiva solo sciocche fantasie, ma restava il fatto
che, al suo risveglio, Soraya aveva il terrore di riaddormentarsi.
Era
consapevole che, probabilmente, i suoi sogni non erano altro che lo
specchio delle sue paure, ma c'era una parte di lei che sentiva di
aver ragione riguardo ad Aiyana, l'antica regina di Logh il cui dono
della preveggenza era noto in tutti i regni. Non credeva di averlo
ereditato, ma c'era qualcosa in lei che la spingeva a pensare che
qualcuno volesse dirle qualcosa con quei sogni terrificanti.
Sconsolata
Soraya si lasciò andare contro la porta della sua stanza,
stringendosi le ginocchia al petto. Ormai doveva esserci abituata,
mai contestare suo padre quando si trattava di favole e leggende. Lui
era un uomo con i piedi ben piantati a terra e non poteva di certo
sperare che di punto in bianco cambiasse idea e le credesse su due
piedi. No, lui era quello che credeva solo se vedeva.
Sospirando
portò lo sguardo sul bracciale che portava al polso sinistro,
l'ultimo ricordo che aveva di sua madre. Una fascia rigida riportante
due serpenti uno d'argento ed uno d'oro, intrecciati tra loro, l'uno
mordeva la coda dell'altro, in modo che quel groviglio ordinato e
rotondo fosse infinito, era lo stemma della casata di sua madre, il
cui sangue scorreva nelle sue vene. L'ultima della discendenza e la
sola legittima erede al trono. Presto, nel giorno del suo
diciottesimo compleanno, come da tradizione, avrebbe giurato sul
Sangue delle Regine, l'antico codice di leggi di Logh, diventando a
tutti gli effetti regina.
Chissà
come sarebbe stato, vedere per la prima volta le terre di sua madre,
quelle distese verdi brulicanti di fiumi e laghi. Si diceva che il
castello della famiglia reale sorgeva sulle pendici della montagna,
proprio sopra un dirupo, raggiungibile solo tramite un ponte che
sovrastava il torrente. Davanti la valle, dietro la montagna e tutta
Logh ai piedi. Presto avrebbe lasciato le mura della Rocca,
abbandonando Rìoghachd per abbracciare la sua nuova vita, la
corona e il fardello che ne conseguiva.
Avrebbe
detto addio ad Antee ed al suo disprezzo, a Sahen e alla sua faccia
tosta. Perfino suo zio Slane, il fratello minore di suo padre, non le
sarebbe mancato. Voleva andarsene e lasciarsi alle spalle ogni
singolo dispiacere, ricordandosi solo le risate con suo padre, il
volto sorridente di sua madre, il primo incontro con Ragnar ed il
loro matrimonio. Eppure aveva paura di quel viaggio, di quel nuovo
ruolo al quale era stata predestina prima ancora di nascere. Essere
regina voleva dire sacrificio, prigionia e doveri ai quali lei voleva
sfuggire. Perché era nata con quel titolo? Quanto avrebbe
voluto essere semplicemente Soraya, la moglie di Ragnar.
«Gli
dei non tollerano vedervi piangere, mia signora.» Fu la voce di
Azar a riportarla alla realtà. Quegli occhi verdi la
scrutavano dolci e materni, come quelli di una madre.
«Non
stavo piangendo.»
«Stavate
per farlo.»
Saggia
Azar, quante volte l'aveva consolata, impedendole di piangere. Dalla
morte di Seraphi era stata la figura più vicina ad una madre
che lei aveva.
Soraya
si rialzò, sistemandosi l'abito blu scuro. «Gli dei
dovrebbero pensare a impedire che le bambine diventino orfane di
madre, piuttosto che alle mie lacrime.»
«Gli
dei, mia cara, hanno un piano per ogni cosa, basta solo saper
guardare oltre.»
«Sicura
di non essere una sacerdotessa dell'isola di Coltas?» a volte
Azar la sorprendeva con frasi sugli dei tipiche delle sacerdotesse
dell'isola sacra, ma poi la guardava negli occhi e capiva di
sbagliarsi. Le donne votate alla dea Àrsaidh possedevano gli
occhi ambrati tipici delle veggenti e capelli rossi come il fuoco,
Azar, al contrario, aveva iridi verde pallido e capelli ingrigiti
dall'età.
«Ne
sono sicura.»
«Mio
marito è tornato?» domandò, notando l'assenza
dell'armatura nera di Ragnar.
«Non
ancora, ma non siate così tesa, sono certa che la notizia lo
renderà molto felice.»
Soraya
aggrottò la fronte per poi aprire bocca per ribattere. «Cosa?»
Azar
le sorrise, avvicinandosi e posandole una mano sul ventre piatto.
«Dimenticate che ho fatto nascere voi ed i vostri fratelli. Io
so quando una donna porta in grembo una nuova vita e voi, mia dolce
Soraya, ne custodite una.»
«Non
sono incinta.»
«Ne
siete sicura?» Azar la guardò sorniona. «Molto
appetito, nausea persistente, stanchezza, seni doloranti ed è
ormai un mese che il vostro sangue mensile si è fermato.»
***
Tenendo
leggermente sollevate le gonne dell'abito imboccò il corridoio
che conduceva al cortile, ben presto cominciò a sentire
l'acciaio delle lame accozzare tra di loro ed i versi del fratellino
che cercava di battere il suo avversario.
Sorrise
quando, affacciandosi, vide Marek destreggiarsi abilmente con la
spada. Ser Riley Gaisgeach,
maestro d'armi e comandante della Guardia Corvina, lo stava sfidando
con spade d'acciaio senza filo, proprio per abituare il ragazzo al
peso dell'arma.
«Nostro
fratello migliora ogni giorno che passa.» Soraya affiancò
Erik, appoggiato ad una delle colonne, con le braccia conserte e lo
sguardo fisso sul giovane fratello di appena tredici anni. «Presto
potrà allenarsi nell'arena, ancora due anni e riceverà
il marchio.»
«Sei
sempre ottimista, vero sorellina?» Erik le sorrise con quel
ghigno strafottente che le rivolgeva ogni volta.
«Ti
ricordo che siamo gemelli, la differenza d'età tra noi si
misura in minuti.» Soraya odiava quando Erik la chiamava
sorellina. «Sei più grande di sette minuti, Erik, questo
non ti dà il diritto
di chiamarmi sorellina.»
Erik
sorrise, alzando le mani in segno di resa a guardandola negli occhi.
«Credo che mi mancherai.»
«Anche
tu mi mancherai.»
Il
gemello le sorrise, allargando il braccio destro per invitarla
accanto a sé, stringendola in un abbraccio forte.
«Hai
visto Ragnar?»
«Sta
informando i soldati della guardia degli ultimi accorgimenti per
l'arrivo dei Cù Allaidh.» Erik guardò la sorella
con un sorriso divertito e mascalzone. «Già vuoi
accoglierlo a gambe aperte?»
Soraya
non si sorprese della sua volgarità, vi era abituata. Avendo
avuto come unico riferimento femminile Azar, era stata cresciuta più
come un maschio che come una femmina. «Smettila con queste
volgarità, sai che odio quando fai battute oscene che mi
riguardano. Ho solo una notizia da dargli e vorrei farlo il prima
possibile.»
Erik
corrugò la fronte, guardandola curioso. «Non sarai
incinta?»
Soraya
non rispose, il rumore delle ovazioni del padre verso Marek li
distrasse da quella conversazione, ma ormai Erik aveva già
capito di aver ragione.
Con
un colpo deciso, il fratellino era riuscito a far arretrare il suo
avversario, sebbene Riley fosse nettamente superiore sia in astuzia
che in preparazione.
Soraya
guardò prima il padre, sulla balconata superiore, riportando
subito dopo lo sguardo sul fratello, notando il suo solito
errore. Lasciava sempre scoperto il fianco destro e questo non sfuggì
a Riley che lo disarmò e colpì proprio nel punto non
protetto. Per fortuna l'imbottitura dell'armatura attutì il
colpo, ma non impedì a Marek di cadere a terra come un sacco
di patate sotto le risate divertite del padre e dei fratelli.
«Ben
fatto figliolo!» esclamò Markos, battendo le mani e
osservando il figlio con orgoglio. «Ma ricorda, una battaglia
persa non fa di te un debole. Riconosci i tuoi errori e migliorali,
solo così diventerai un grande guerriero.»
«Un
giorno diventerai un ottimo soldato, caro fratello.» Soraya si
avvicinò a Marek, aiutandolo a rialzarsi.
«E
potrò sfidarvi in un incontro amichevole.»
«Sicuro
di voler rischiare?» domandò Erik, arruffandogli i
capelli neri.
«Ho
alcune possibilità.» Marek rise, scacciando la mano del
fratello. Era ricoperto di sabbia e polvere, sporco in volto e con un
labbro gonfio.
«Vi
consiglio di aspettare a sfidare i vostri fratelli, giovane
principe.» Riley gli sorrise, affiancando Soraya. «Prestate
troppo il fianco quando attaccate e vostra sorella usa la lancia,
arma che le permetterebbe di ferirvi mortalmente prima ancora che voi
possiate avere l'opportunità di portare a termine l'attacco,
mentre vostro fratello è tanto astuto quando forte e si
accorgerebbe all'istante di ogni vostro minimo vacillamento.»
Marek
annuì, ringraziando il cavaliere mentre si allontanava. Riley
aveva combattuto con il re nella guerra contro Talamh e l'aveva
salvato quando il generale di re Egor aveva prima ucciso re Morven,
fratello maggiore di Markos, e poi infierito su di lui, causandogli
la ferita al volto e costringendolo a terra. Se non fosse stato per
Riley, probabilmente sul trono sarebbe salito Slane e non Markos.
«Sentito,
fratellino?» Erik aveva sempre quel tono strafottente e
sarcastico, con tutti, specialmente con i suoi fratelli. Guardò
Marek negli occhi azzurri come i suoi, lasciandogli un buffetto sulla
spalla.
Soraya
alzò un sopracciglio, sbuffando. «Abbandonerai mai i
tuoi modi superbi e presuntuosi?»
«Solo
quando la farai anche tu, Soraya» ribatté il gemello.
«Sappiamo tutti quanto sei meravigliosamente
arrogante.»
I
tre scoppiarono a ridere, ma delle voci concitate dal terrazzo sopra
di loro li distrassero. Riconobbero
all'istante Antee e Markos, discutere animatamente.
«Non
puoi pretendere che combatta, Markos, è solo un bambino!»
«É
un an Sgairp, deve saper impugnare la spada.»
Capirono
immediatamente che i due sovrani stavano discutendo a proposito di
Sahen. Il bambino non aveva ancora appreso l'arte della spada, la
madre lo teneva perennemente ancorato alle sue gonne, impedendo a
Markos d'imporgli la tradizione di famiglia.
«É
un principe, non un guerriero!»
«Anche
Erik, Soraya e Marek sono principi, eppure hanno appreso l'arte del
combattimento molto
prima di Sahen. Seraphi non si è mai opposta a tale
tradizione.»
«Seraphi,
sempre Seraphi, quella donna è cenere e ancora tormenta le
nostre vite!»
Sentirono
un colpo secco, il suono di una mano che colpiva una guancia. Antee
se l'era cercata, pensò Soraya, stringendo il pugno. Mai
insultare la memoria di Seraphi.
«Non
osare mai più insultare mia moglie, Antee, ricordatelo.
Seraphi era una donna straordinaria, una madre e una regina migliore
di te e non accetto di sentire la tua bocca velenosa pronunciare il
suo nome.» Markos sembrava infuriato, molto più di
quando vedeva qualcuno fallire. «Ti ho sposata solo per
impedire che tuo padre mi dichiarasse guerra di nuovo, quindi
ricordati bene il tuo posto. Avrai una corona, ma non sei una
regina!»
I
passi pesanti del re si allontanarono, ma non sentirono altro. Soraya
alzò gli occhi, guardando
la balconata da dove venivano le voci, scorgendo la figura di Antee
avvicinarsi e sporgersi. Aveva una guancia arrossata e gli occhi
infuriati. Per un attimo i loro sguardi s'incontrarono e, Soraya,
vide in essi puro odio e desiderio di vendetta.
Pronunce:
Iar
- Ir
Firth
- Fart
Feandan
- Fendan
Gaisgeach
–
Ghesghich CH aspirata
Cù
Allaidh
– Chiu Ali
Angolo
autrice:
I
nomi propri dei personaggi non sono stati scelti per preferenze
personali, come i nomi comuni dei luoghi o quelli delle divinità
presenti, bensì hanno uno scopo ben preciso. Sono
stati scelti per i loro significati che ricalcano per alcuni il
carattere dei personaggi, per altri il loro ruolo all'interno della
trama.
Per
esempio, Riley significa “valente”, Erik “capo,
comandante”, Andràs “coraggioso”. Insomma,
non ho lasciato nulla al caso, se pensate che il significato di
Àrsaidh è “antico” e Dòchas
significa “speranza”, potete ben immaginare cosa vi
aspetti. Gli stessi cognomi sono nomi comuni di animali e vegetali.
An Sgairp significa proprio “scorpione”.
Bene,
dopo questa, spero di non avervi tediato con queste lunghe
spiegazioni, per qualsiasi
cosa chiedete, sono a vostra disposizione.
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Capitolo 3 *** Cap. 2 ***
Video
I
Figli di Tanaros – Trailer
I
Figli di Tanaros – This is War
Soraya
an Sgairp – Broken Crown
Cap.
2
Ragione
Dòchas
era una penisola a sud del vecchio continente, una piccola appendice
bagnata dal mare su tre lati, il solo collegato con la terra ferma,
oltre il quale vi era deserto, era quello a nord, un confine
delimitato da una catena montuosa aspra e ripida. A volte si era
soffermata a guardare verso nord, domandandosi cosa vi fosse oltre
quel deserto. I sacerdoti che venivano in pellegrinaggio al tempio
del dio Sealgair, il dio del sole e del giorno, sposo della dea
Àrsaidh, dicevano che non esisteva più nulla, la sabbia
aveva divorato ogni edificio o paesaggio delle terre da cui venivano,
il più grande impero della storia era sparito per sempre. Ciò
che restava della civiltà si era rifugiata su quel fazzoletto
di terra chiamato Dòchas, ancora di salvezza di un popolo
disperato e senza più dimora che, cinquecento anni prima,
aveva scelto di abbandonare la patria natale per cercare la speranza.
Dyani
guardò oltre il finestrino della carrozza, mentre
attraversavano il passo di Feadan, unica apertura presente nella
catena montuosa che divideva Dòchas. Era il solo modo per
raggiungere i regni di Crùn e Talamh per via terra. L'altro
era via mare, ma era un viaggio più lungo e meno faticoso
della traversata a cavallo.
Le
alte montagne sembravano così minacciose viste dal basso.
Sentiva l'eco degli zoccoli e dei carri infrangersi sulle ripide
pareti rocciose. Ogni tanto poteva scorgere qualche piccolo sasso
rotolare lungo la scarpata. In primavera era pericoloso, come aveva
detto suo padre, i ghiacci invernali si scioglievano e questo poteva
provocare delle frane.
Il
corteo reale procedeva per quell'angusto spazio con estrema cautela.
Gli uomini erano scesi da cavallo per poter controllare meglio la
carrozza sulla quale lei, sua madre Acantha e suo fratello minore
Safford viaggiavano, mentre Andràs, Ivar ed il padre Derek
procedevano a cavallo, in testa alla carovana.
Nessuno
parlava, per paura di provocare qualche danno. Si vedeva negli occhi
dei presenti che quella traversata era pericolosa, ma negli anni i
punti critici erano stati messi in sicurezza e gli incidenti si erano
dimezzati. I mercanti ormai utilizzavano quel passaggio molto più
frequentemente e Dyani non aveva alcuna intenzione di perdersi nessun
paesaggio che Dòchas aveva da offrirle.
Avevano
lasciato Gorm, la capitale di Keyll, da ormai dieci giorni, mancava
poco per raggiungere le assolate terre di Crùn e la chiassosa
capitale ricca di mercanti, fabbri e pescatori.
Lanciò
un ultimo sguardo al crocevia che si erano lasciati alle spalle, la
piccola biforcazione che conduceva in due sole direzioni: Keyll o
Logh. Chiuse gli occhi per rivedere nella sua mente il fiume che
fungeva da confine tra i due regni. Oltre la sua sponda c'erano le
terre di Logh, da cui proveniva sua madre, con i pascoli di pecore, i
templi degli dei Ceart e Geamhradh e delle dee Sgàile e Ùir,
il lago Lauchlan, la capitale Abahinn ed il castello della casata
dei Nathair-sgiathach. Logh era famosa proprio per essere la regione
dove risiedeva la fede ed i sacerdoti venivano istruiti. Il regno era
importante non solo per i pascoli di pecore che fornivano la lana a
tutti i regni, ma anche per la presenza della baia di Adhar, al
centro della quale sorgeva la famigerata isola di Coltas, il sacro
luogo dove le sacerdotesse veneravano la più importante
divinità del loro pantheon, la dea Àrsaidh.
Keyll,
invece, era più fredda. La reggia nella quale era nata e
cresciuta sorgeva in cima ad una collina che sovrastava la valle,
alle sue spalle la foresta di Firth e la catena montuosa. Una delle
reggie più antiche e grezze di Dòchas. A differenza
della Rocca era ricoperta di muschi ed edera, tanto da essere
chiamata la Reggia Verde. Era stata costruita vent'anni dopo
l'approdo degli antenati su Dòchas, edificata attorno ad una
pietra che nessuno fu mai stato in grado di spostare. Quel masso era
diventato il trono dei re di Keyll, intagliato e lavorato perché
fosse il seggio e il centro del potere del regno. Era circondata da
mura di pietra alte, al di fuori delle quali si diramava la città
di Gorm; l'aria, sapeva di bosco e terra in primavera estate e
autunno, ma d'inverno era la neve a governarla.. Si diramavano
torrenti, fiumi, pascoli erbosi e boschi in cui cacciare. Gli inverni
a Keyll erano rigidi e nevosi, il sole sorgeva dal mare e tramontava
dietro le montagne, ma non era mai abbastanza caldo da riscaldare la
terra. Difatti l'unico alimento coltivabile erano le patate, il regno
era popolare per la selvaggina e l'allevamento di bovini, il
commercio con Talamh era il mezzo di sostentamento della regione.
Già
le mancava la sua casa, la sua terra. A stento trattenne una lacrima,
raccolta dalla paziente mano di sua madre. «Hai sedici anni,
figlia mia, piangere non ti aiuterà di certo.»
«Piango
per la nostalgia, non per la tristezza.»
«Ivar
dice che a Crùn non piangono» s'intromise Safford,
guardando la sorella con occhi curiosi. Povero piccolo, aveva dieci
anni, doveva ancora scoprire molte cose del mondo.
Acantha
sorrise dolcemente, accarezzando il viso del figlio. «Regno
diverso, usanze diverse, ricorda piccolo mio.»
«Certo
madre!»
Dyani,
Safford e Ivar avevano ereditato dalla madre gli occhi verdi, Andràs
somigliava molto più al padre.
Acantha
aveva trentasei anni, Derek quarantaquattro, la stessa età di
re Markos, forse per questo motivo erano buoni amici, oppure perché
entrambi erano saliti al trono dopo la morte dei rispettivi
predecessori avvenuta durante la battaglia finale della guerra civile
contro Talamh.
***
Finalmente
la sera giunse presto, Soraya non vedeva l'ora di abbracciare il
marito e dargli la bella notizia, erano giorni che continuava a
rimandare a causa dei preparativi per l'arrivo dei cù Allaidh,
ma era ormai stufa di tenere quel piccolo segreto che, sapeva,
avrebbe fatto felice Ragnar. Ancora non credeva di essere incinta,
dopo solo tre mesi di matrimonio.
Camminava
avanti e indietro per la camera, torturandosi le mani nervosamente.
Voleva abbracciare Ragnar, baciarlo, sentire il suo corpo stringerla,
le sue labbra sfiorarle il viso. In quei giorni si erano visti
talmente poco, quando lui rientrava in camera lei ormai dormiva e
quando Soraya si svegliava la mattina lui ormai era già
uscito. Per gli dei, quell'uomo la faceva impazzire.
Poi
la porta di aprì ed il marito entrò sorridendole. Gli
occhi azzurro-grigio, i capelli biondo scuri, le spalle larghe ed il corpo
muscoloso di un guerriero. Bello e micidiale come uno scorpione.
Gli
corse in contro, saltandogli addosso, cingendogli la vita con le
gambe. Sentì le mani grandi di Ragnar tenerle i fianchi mentre
la baciava con urgenza, passione, amore.
«Odio
questi giorni di distacco.»
«Ed
io odio stare lontano dal tuo corpo.» aveva la voce profonda e
roca, così calda e seducente.
Con
un colpo del piede Ragnar chiuse la porta, conducendo la moglie verso
il letto. Si stese sopra di lei, continuando a baciarla mentre la
spogliava.
«Non
vuoi sapere cosa ho da dirti?» domandò Soraya,
spogliando il marito a sua volta.
«Dopo,
prima voglio farti mia.»
«Non
vuoi nemmeno sapere se ci sono delle novità?»
Ragnar
la guardò negli occhi per qualche secondo. «Dopo.»
Soraya
sentiva il sesso del marito premerle contro la coscia. Sapeva che non
poteva fermarlo, nemmeno se avesse insistito, così si lasciò
andare ai suoi baci, alle sue carezze. Inarcò la schiena
quando lo sentì entrare in lei. Ansimò mentre facevano
l'amore con urgenza, desiderio. Aveva desiderato sposare Ragnar sin
dal primo istante in cui si erano conosciuti ed ora erano sposati ed
in procinto di avere un figlio.
Con
un colpo di reni invertì la posizione, ritrovandosi a
cavalcioni sopra di lui, dettando le il ritmo di quella danza
carnale.
Le
mani di Ragnar si spostarono dai fianchi sui seni. «Mi sembrano
più grandi, oppure sono stato troppo tempo lontano dal tuo
corpo!»
«Non
hai detto di voler parlare dopo?»
Ragnar
non rispose, si mise seduto, spingendola contro il suo petto. Adorava
vedere il volto di Soraya contrarsi di piacere ogni volta che la
prendeva. Ed anche quella sera vide il suo sguardo di puro godimento
mentre raggiungeva l'orgasmo e lui poco dopo lei.
Si
accasciarono sul letto, ascoltando i loro respiri affannosi.
Soraya
lo abbracciò poggiando il volto sul petto di Ragnar,
intrecciando le gambe con quelle possenti del marito. «Ora vuoi
sapere la novità?»
Ragnar
la guardò, baciandole le labbra. «Dimmi pure, moglie.»
la guardò sorridergli, sfiorando quella piccola cicatrice sul
sopracciglio destro, scendendo con il dito fino alle labbra,
baciandole con dolcezza.
«Aspetto
un figlio.»
Ragnar
rimase immobile per qualche secondo, sentendo il cuore battere
all'impazzata come se avesse appena terminato una corsa attorno al
regno. «Un figlio?»
Soraya
annuì, tenendo il mento poggiato sul petto. Poi Ragnar si
sollevò, sdraiandosi sul fianco e lei si mise sulla schiena,
prendendogli la mano destra e portandosela al ventre. «Un
figlio.»
***
A
quindici anni avevano affrontato il rito di passaggio, il battesimo
di sangue che li aveva visti uscire vittoriosi e guerrieri a tutti
gli effetti, la prova era impressa nella loro carne, con inchiostro e
sangue.
Erik
si guardò l'avambraccio sinistro, toccandosi lo scorpione
tatuato, per i membri della famiglia reale simboleggiava l'ingresso
nell'età adulta, la fine della fanciullezza e l'inizio della
maturità. Tutti i membri della famiglia reale di Crùn
dovevano sottoporsi al battesimo una volta raggiunta l'età,
erano pochi quelli che, nel corso dei secoli, non erano riusciti a
superare la prova, perdere comportava la morte o, nel caso di
sconfitta e sopravvivenza, si veniva esiliati. Il principe Bergen,
figlio di re Steinar e della regina Tayb era morto durante il
battesimo di sangue, ucciso dalla lama del padre. Fu la principessa
Aliyah, la figlia maggiore, a succedere al trono di Crùn,
diventando la prima regina an Sgairp. Lo stesso Slane aveva rischiato
la morte, se l'era cavata solo grazie ad un inganno ben riuscito. Era
sempre il re l'avversario da sconfiggere, poiché solo il
migliore dei guerrieri poteva ambire al trono.
Anche
Soraya aveva affrontato Markos ed era sopravvissuta al battesimo di
sangue. Lo scorpione le era stato tatuato tra le scapole, insieme al
serpente che le circondava il polpaccio sinistro, il simbolo che solo
l'erede al trono di Logh poteva portare.
Erik
bevve un altro sorso di birra, guardando verso la sua sinistra, poco
distante scorse il balcone della stanza di Soraya e Ragnar, le luci
erano spente, probabilmente si erano dati alla pazza gioia.
Sbuffò,
non era molto felice di dover sposare una fanciulla sconosciuta solo
per rafforzare un'alleanza, ma era il futuro re di Crùn, non
poteva tirarsi indietro come aveva fatto Soraya quando, sei mesi
prima, aveva scelto di sposare una guardia corvina.
Era
stata promessa in sposa ad Andràs quando aveva solo cinque
anni, eppure si era innamorata di Ragnar ed aveva lottato con le
unghie e con i denti per ottenere ciò che voleva. In autunno
quell'amore nato due anni prima era sfociato in qualcosa
d'incontrollabile che Soraya non aveva più potuto nascondere
al padre ed aveva supplicato il sovrano di lasciarla libera da quel
fidanzamento imposto.
Markos
aveva acconsentito ma ad una condizione, Ragnar non poteva pretendere
titoli nobiliari o altre cariche prestigiose, era e sarebbe restato
una guardia corvina senza privilegi alcuni rispetto ai suoi compagni.
Questo non aveva turbato il guerriero, lui voleva solo Soraya,
nient'altro. Non aveva mai avuto brame politiche o nobiliari. Il
fatto che Soraya fosse una principessa era una semplice nota a piè
di pagina, nulla di più.
C'erano
voluti tre mesi perché Markos accordasse alla figlia il
permesso di sposare un uomo normale, un guerriero, un soldato, ma
Ragnar aveva dimostrato forza e coraggio, amore e dedizione che
avevano convinto il sovrano a rompere il fidanzamento.
A
causa di questa scelta lui ora doveva sposare Dyani. Ma non gli
importava. Voleva vedere sua sorella felice e se questo voleva dire
sposare una perfetta sconosciuta, allora non vi erano problemi. Era
pur sempre una femmina nel suo letto, l'importante era che non fosse
una di quelle che parlava senza sosta di merletti e canzoni.
***
Man
mano che la carovana reale avanzava verso la Rocca, Erik cercava di
trattenere la nausea provocata dal troppo bere della sera precedente.
Lui e Ragnar erano andati alla taverna, ma mentre il cognato era
rientrato abbastanza sobrio e lucido, lui aveva ingurgitato talmente
tanta birra da non reggersi in piedi.
«Devi
smetterla di ridurti in questo stato» lo rimproverò
sottovoce Soraya, mentre stavano in piedi nel cortile principale del
palazzo insieme al resto della famiglia reale e della Guardia Corvina
al completo.
«Non
sono affari che ti riguardano, sorella.»
«Lo
diventano quando costringi mio marito a seguirti ogni sera alla
taverna.»
«Non
lo costringo, lui viene di sua spontanea volontà.» Erik
sbuffò. «Cerca di stare tranquilla, sei gravida, devi
rilassarti.»
«Sei
sempre il solito, finirai per farti del male.»
«Sto
per sposare una fanciulla a me sconosciuta solo perché tu non
hai voluto sposare suo fratello, infrangendo un fidanzamento
prestabilito da molti anni e sposando una guardia corvina per amore,
dovresti solo ringraziarmi, invece di rimproverarmi.» Erik si
pentì all'istante del tono accusatorio utilizzato. Non voleva
ferire in alcun modo la sorella. «Mi dispiace, io non...»
Soraya
deglutì, abbassando il capo. Le sue azioni avevano portato a
quel momento. «Ho capito, e so cosa stai passando in questo
momento. Mi sono innamorata di un uomo, sono andata contro il volere
di nostro padre, ho rotto un fidanzamento per poter seguire il mio
cuore, ma non pensavo che sposare Ragnar causasse tutto questo»
bisbigliò lei.
Erik
cercò di scusarsi nuovamente, ma le trombe suonarono e re Derk
entrò dai cancelli in sella al suo baio nero, seguito dai
figli maggiori, Andràs e Ivar.
«Re
Derek, benvenuto!» esclamò Markos, andando in contro al
vecchio amico, abbracciandolo come un fratello.
Ragnar
scrutò attentamente ogni membro della famiglia reale di Keyll.
Da dietro l'elmo nero vedeva i principi Andràs e Ivar salutare
prima Erik e poi Soraya con un baciamano. L'erede al trono di Keyll
aveva lanciato uno sguardo strano alla principessa, troppo allusivo
per i suoi gusti, ma si dovette trattenere. Lui e Markos avevano
stretto un patto quando aveva sposato Soraya: ogni volta che
indossava l'armatura nera lui era semplicemente una guardia corvina,
doveva proteggere la famiglia reale e salvaguardarla, poteva
comportarsi da marito solo quando svestiva i panni della guardia. Non
aveva preteso titoli nobiliari o terre, aveva solo chiesto di poter
sposare una fanciulla che per lui non era altri che una giovane donna
nel fiore dei suoi anni. Non una principessa o una futura regina,
solo Soraya. Il loro matrimonio non aveva destato molti scandali
all'interno del regno, una serva poteva sposare un nobile, o
viceversa, senza problemi; era accaduto fuori dai confini di Crùn
il vero dissenso. Doveva ancora scoprire cosa pensavano a riguardo
gli abitanti di Logh, ma data la successione e la gerarchia a stampo
matriarcale, non doveva essere un vero e proprio problema la sua
provenienza non nobile.
Pian
piano anche Acantha e gli altri figli scesero dalla carrozza,
avvicinandosi. Dyani era di una bellezza candida e dolce, con lunghi
capelli castani lasciati sciolti sulle spalle ed occhi grandi da
cerbiatta. Safford era più piccolo, solo dieci anni, ma si
vedeva la sua voglia di diventare adulto, se ne stava in piedi con il
petto gonfio nel tentativo di imitare i fratelli maggiori.
Soraya
notò lo strano sguardo che Acantha lanciava agli avambracci di
Markos, o meglio, ai suoi tatuaggi. Il regno di Keyll non conosceva
l'usanza di marchiare il corpo con disegni rituali, solo Crùn
e Logh vantavano tale tradizione. I tatuaggi erano un segno
distintivo del rango a cui si apparteneva, nobile o popolano quale
fosse.
Ivar,
intanto, guardava incuriosito le figure massicce dei dodici guerrieri
che svettavano alle spalle della famiglia an Sgairp. L'armatura nera
non sembrava pesante, era fatta principalmente in cuoio trattato e
qualche placca di metallo nei punti vulnerabili. Dietro gli elmi si
scorgevano solo occhi, naso e bocca, non abbastanza per dare loro un
volto ben definito.
Li
chiamavano “la guardia corvina”, erano un corpo speciale
dell'esercito di Crùn, una specie di confraternita, addestrati
per proteggere e combattere al fianco dei reali. Erano i migliori di
tutto il regno, allenati sin da bambini e cresciuti con l'unico scopo
di servire il re e la casata an Sgairp. Il loro nome derivava dai
mantelli e dalle armature nere che portavano, per nascondere il
sangue delle loro vittime. Non toglievano mai l'elmo, nessuno poteva
vederli in volto, solo il re egli altri membri della famiglia reale.
La
guardia contava dodici guerrieri da quando il primo re di Crùn,
Erik I, aveva fondato quel corpo speciale. Quando ne moriva uno,
veniva sostituito da un altro. A differenza degli altri soldati
vivevano all'interno della Rocca e non nella caserma, erano figli di
Guardie Corvine, scelti dal sovrano e addestrati per diventarlo a
loro volta. Ragnar, difatti, era figlio e nipote di un ex Guardia,
morto per proteggere re Morven durante la guerra civile contro
Talamh.
Il
loro comandate, si diceva, era il migliore tra tutti, secondo solo a
re Markos. Riley Gaisgeach
era il suo nome, la sua fama era ben nota a tutti i regni; primo
guerriero di Crùn, si era distinto in battaglia salvando
Markos da morte certa, il suo coraggio l'aveva portato a diventare il
comandante della Guardia Corvina.
Riley
non era solo una guardia, un guerriero, ma per anni si era occupato
dell'addestramento dei principi Erik, Soraya e Marek, sotto ordine
del re. Non spettava ad un membro della guardia addestrare i figli
reali, ma Markos si fidava a tal punto di Riley da affidargli questo
compito. Era anche l'unico dei dodici a poter stare senza elmo.
Ivar
si accostò ad Andràs, sussurrandogli all'orecchio.
«Chissà chi è la guardia che ti ha sottratto la
futura sposa.» rise sommessamente, sentendo il corpo del
fratello irrigidirsi.
Andràs
non aveva preso di buon grado l'annullamento del fidanzamento,
soprattutto perché era stato infranto a causa di un guerriero,
un semplice soldato e non un nobile.
Il
fastidio e la curiosità dei principi non sfuggì ad
Erik, il quale non perse tempo ad avvicinarsi ai due. «Curioso,
vero?» domandò, una volta affiancati i due. «Se
fossi un bandito o un mercenario non mi metterei mai sulla strada di
uno di loro. Sono più letali di uno scorpione.»
Andràs
corrugò la fronte. «Sono così pericolosi?»
«Sono
assassini addestrati ad uccidere chiunque minacci un membro della
famiglia reale. Non provano pietà, non fanno domande, non
vogliono sapere perché, loro uccidono e basta.»
Andràs
guardò Erik allontanarsi con passo spavaldo. Non gli piaceva
per niente, troppo sicuro di sé, troppo arrogante, senza
tralasciare gli sguardi lascivi che lanciava a Dyani. No, Erik an
Sgairp non era un principe, ma un guerriero nato e cresciuto nel
sangue e nella sabbia di un'arena da combattimento.
***
Non
si era mai preoccupata della sua bellezza, solitamente lasciava che
fosse Azar ad acconciarla come meglio voleva. Aveva sempre portato le
sue attenzioni e le sue cure alla lotta, alla lancia e al tiro con
l'arco. Non le interessava superare Antee o le altre dame con
l'aspetto fisico, si preoccupava di essere una formidabile guerriera.
Ma ora, in mezzo ad Acantha e Dyani si sentiva in soggezione. Donne
algide e bellissime.
Sola
nella sua stanza si guardò allo specchio, scoprendosi le
spalle e il seno. I capelli neri erano ondulati e abbastanza morbidi,
merito degli impacchi di olii e erbe a cui Azar li sottoponeva una
volta alla settimana, se fosse dipeso da lei non si sarebbe mai
sognata di curarli così tanto. La pelle aveva qualche segno,
lividi procurati durante gli addestramenti e la cicatrice sulla
scapola sinistra, un ricordo del battesimo di sangue. Osservò
i suoi tatuaggi, un serpente che si arrampicata attorno al polpaccio
sinistro, dalla caviglia al ginocchio e lo scorpione tra le scapole.
Gli
occhi, la parte del suo corpo alla quale prestava molta attenzione,
dal taglio orientale di un blu intenso che ricordava il mare in
tempesta. Il volto ovale, dagli zigomi alti, il naso lievemente
storto, merito di un serpente che aveva fatto imbizzarrire il suo
cavallo, disarcionandola e facendole sbattere la faccia su una radice
sorgente, e la bocca dalle labbra asimmetriche, con il labbro
superiore più sottile, rispetto a quello inferiore.
Soraya
sospirò, lasciandosi andare contro lo schienale della sedia,
senza staccare lo sguardo dal suo riflesso. «Non sono bella
come la mamma.»
«Voi
avete una bellezza diversa, principessa.»
Soraya
si voltò, scorgendo Azar in piedi, sulla porta. «Da
quanto sei lì?»
«Abbastanza»
rispose la nutrice, avanzando verso la principessa. «Possedete
uno sguardo magnetico, capace di attirare gli uomini come solo il
mare sa fare.»
«Il
mare è magnetico?» sorrise Soraya, lasciando che Azar le
spazzolasse i capelli.
«Gli
uomini sono da sempre attratti dal mare, dalle sue vastità.
Sognano di solcarlo, di esplorare le sue profondità. Il mare
non è come la terra, è acqua e l'acqua non può
essere lavorata o manipolata. L'acqua è un elemento forte,
indomabile, riesce a farsi strada nella terra, a corrodere la pietra,
a spegnere il fuoco. E voi siete proprio così, voi avete una
tempesta marina negli occhi, la più potente che esiste al
mondo.»
«É
questa la mia bellezza?»
«Ci
sarà un motivo per cui vi sottopongo ad ore di torture, come
le chiamate voi» disse Azar, mettendosi le mani sui fianchi e
guardando il riflesso di Soraya. «Voi non fate mai caso al
vostro aspetto fisico, se in questi anni non ci fossi stata io,
probabilmente sareste più simile ad una selvaggia che ad una
principessa. Io vi faccio quegli impacchi ai capelli, al corpo e al
viso non per divertimento personale, ma per rendervi bella e
desiderabile.»
«Oh,
quindi la mia bellezza sarebbe merito tuo, Azar?» domandò
con sarcasmo Soraya, ridendo e osservando il volto segnato dal tempo
della donna.
«Voi
avete la bellezza di vostra madre, ma spesso la nascondete sotto
tonnellate di polvere e sabbia, solo per il divertimento di vedere
degli uomini cadere sotto i colpi di una donna. Io vi aiuto a tirarla
fuori.»
«Non
vedo cosa ci sia di male a mettere al tappeto degli uomini. Sono di
Crùn e sanno tutti che nel regno le donne imparano a
combattere per potersi difendere quando non ci sono gli uomini.»
«Meglio
essere come te, che come le donne là fuori!»esclamò
una voce maschile.
Soraya
rimase spiazzata, voltandosi verso Erik. Era entrato senza bussare,
raggiungendo il letto a grandi passi e gettandocisi sopra. «Hai
per caso lasciato l'educazione nell'arena?»
«Ascoltami
bene, Soraya, non diventare come quelle oche starnazzanti là
fuori.»
Soraya
alzò gli occhi al cielo, suo fratello non la stava minimamente
ascoltando. «Che hanno le donne di Keyll?»
«Non
ho fatto un solo passo, da stamane, senza avere i loro occhi puntati
addosso» rispose Erik. «Va bene, sono attraente, bello,
affascinante, ma quando vi parlo fingete almeno di sapere cosa sto
dicendo. Vi racconto dei combattimenti e degli addestramenti e voi
restate lì senza nemmeno commentare.»
«Le
donne di Keyll non hanno a che fare con la guerra, gli uomini le
sposano per la loro bellezza, non per il loro valore in
combattimento.»
«Dovrebbero
imparare a difendersi, invece di aspettare che venga un uomo a
salvarle!»
Soraya
si alzò, avvicinandosi al fratello e sedendosi accanto a lui.
Lo guardò sdraiato sul letto, con gli occhi fissi sul soffitto
e le mani intrecciate sull'addome. «Prima, nel cortile, le tue
parole mi hanno profondamente ferita, Erik.»
Erik
corrugò la fronte, sollevandosi e puntandosi sui gomiti. «Sai
che non pensavo quello che ho detto. Ero solo stanco e...e con i
postumi di una sbornia. Non volevo ferirti né, tanto meno,
darti la colpa di queste nozze.» Erik le prese la mano,
accarezzandole il dorso. «Purtroppo non possiamo scegliere di
chi innamorarci, giusto?»
Soraya
annuì, poggiando la fronte contro quella del fratello. «Un
giorno sarai un ottimo re.»
«E
tu un'ottima regina. Avrai il trono di nostra madre, il suo regno, la
sua eredità.»
Presto,
pensò, al compimento dei suoi diciotto anni sarebbe stata
incoronata regina di Logh e, sulle sue spalle, sarebbe pesato il
destino di un regno che non aveva mai visto o conosciuto.
***
La
sera giunse presto e, con lei, anche il banchetto in onore degli
ospiti. A cinque giorni dalle nozze quel convivio era un modo per
mettere tutti a proprio agio e riposarsi prima del grande evento.
Dyani
aveva tentato in ogni modo di avvicinare Erik, anche solo per
scambiare qualche parola, ma ogni volta che provava a muovere un solo
passo verso di lui, egli sfuggiva al suo sguardo. Eppure si
circondava di belle donne, fanciulle del seguito di Acantha che non
avevano mai visto un uomo di Crùn in vita loro. Con quelle
ochette senza ritegno parlava, con lei invece sembrava volesse
evitarla come la peggiore delle malattie.
«Non
pressarlo, lascia che sia lui a venire da te.»
Dyani
scattò sul posto, udendo alle sue spalle la voce di Soraya. Si
portò una mano al petto, prendendo un respiro profondo.
«Principessa, mi avete spaventata!»
«In
primo luogo ti consiglio di smettere di darmi del voi, abbandonalo,
non sopporto quando si rivolgono a me con tanta riverenza. Chiamami
semplicemente Soraya ed io ti chiamerò Dyani.»
«Come
volete, scusami, come vuoi.»
«Così
va meglio.» Soraya sorrise, porgendole una coppa di vino. «In
secondo luogo...mio fratello è un donnaiolo, non sopporta le
donne troppo appiccicose e pressanti, devi lasciare che sia lui a
volerti avvicinare.»
«Non
mi ha ancora rivolto la parola.»
«Oltre
che donnaiolo è un completo idiota, devi tenerlo a mente se
vuoi riuscire a far breccia nel suo cuore.»
Dyani
annuì. Guardò attentamente la giovane che aveva
davanti. Aveva i capelli neri raccolti in trecce attorno al capo, il
collo corto scoperto, come le spalle e le braccia, ed il vestito blu
e nero le scendeva sul corpo morbido, solo i seni erano fasciati,
stretti da una striscia di stoffa nera ma, benché l'abito
fosse leggermente largo, riusciva a scorgere fianchi larghi e vita
stretta. Era poco più alta di lei, snella, con lacci di pelle
nera legati alle braccia. Non indossava gioielli, all'infuori di una
bracciale argento e oro raffigurante due serpenti.
Aveva
l'aspetto di una guerriera nonostante l'abito femminile ed il viso
sorridente.
«Altri
consigli?» domandò Dyani, sorseggiando il vino offerto.
«Evita
di parlare di pizzi e merletti o di canzoni e danze. Prova a fargli
domande riguardo agli addestramenti o alle armi. Erik è
narcisista, adora parlare di sé.»
«E
tu, Soraya? Che tipo sei?»
«Io
sono quella che odia le domande e preferisce i fatti alle parole.»
Intanto
Ivar e Andràs avevano scoperto chi era Ragnar, il famoso
soldato che aveva provocato la rottura del fidanzamento tra Soraya e
l'erede al trono di Keyll. I due lo trovarono seduto con Riley,
entrambi senza armatura. Era stato loro concesso di partecipare alla
festa come membri della famiglia e non come guardie.
«Ragnar
Gaisgeach,
giusto?» domandò Andràs,
sedendosi sulla panca accanto a lui.
Ragnar
lo guardò di striscio. «Piacere di conoscervi, vostra
altezza.»
Il
sarcasmo usato dall'uomo non piacque particolarmente ai giovani
principi, ma sorvolarono sul tono, dopotutto avevano a che fare con
un assassino addestrato, non con un semplice soldato.
Ragnar
aveva ventotto anni, era figlio di Rohan Gaisgeach,
fratello maggiore di Riley ed ex membro della guardia corvina
deceduto quando lui era solo un bambino, era stato lo zio a
crescerlo. Della madre non si sapeva molto a parte il fatto che era
una sacerdotessa di Coltas.
«Ero
curioso di conoscere l'uomo che aveva rubato il cuore della
principessa Soraya causando la rottura del nostro fidanzamento.»
Andràs era ubriaco e questo non era passato inosservato a
Ragnar, il quale si limitò ad annuire, continuando a bere la
sua birra.
Riley
alzò un sopracciglio, sorridendo dietro i baffi scuri. Suo
nipote si stava trattenendo dal prendere a pugni i due principi che
stavano cercando di provocare in lui una reazione rabbiosa. «Ragnar,
credo che tu debba andare a controllare la principessa Soraya.»
«Giusto,
Soraya, la principessa che ha sposato un semplice soldato.»
Andràs stava riversando in quelle parole tutta la rabbia
provata mesi prima. Aveva desiderato Soraya, nonostante il loro fosse
stato un fidanzamento politico, e si era sentito umiliato quando lei
aveva preferito un uomo qualunque a lui.
Ragnar
si passò una mano su barba e baffi, alzandosi dalla panca,
imitato dal principe ormai brillo. «Vorrei ricordarvi,
principe, che a Crùn non ci sono soldati, bensì
guerrieri.» Era nettamente più alto di Andràs, di
almeno una spanna e mezza, ed anche più grosso, ma questo non
fermò di certo il principe, il quale cercò di sferrare
un pugno al volto di Ragnar. Il colpo andò a vuoto, causando
la caduta del giovane e le risate de presenti.
«E
ancora vi chiedete perché lei abbia preferito me a voi»
sospirò Ragnar, osservando Andràs cercare di rimettersi
in piedi, sorretto dal fratello. «Con permesso.»
Riley
rise di quella scena. Non aveva mosso un solo muscolo, era rimasto
seduto a bere la sua birra e ad osservare il nipote umiliare
involontariamente sua altezza reale il principe Andràs
cù Allaidh, l'erede al trono di Keyll che ora guardava
paonazzo i presenti, consapevole di essersela cercata. Grazie agli
dei non si era mai innamorato.
Ma
quella scena così disastrosa venne subito dimenticata quando
re Markos si alzò attirando l'attenzione dei presenti. Il
silenzio calò all'istante mentre Soraya e Ragnar lo
raggiungevano, mettendosi alle sue spalle.
«Vorrei
approfittare di questo gaudio banchetto per condividere con voi,
amici e alleati, una notizia che giorni fa mia figlia, la principessa
Soraya, mi ha comunicato.» Markos sorrise alla figlia e al
genero. «Quest'estate, tra meno di quattro mesi, la vedremo
incoronata come regina di Logh, ma in autunno potremo ammirarla nel
ruolo di madre, poiché aspetta un figlio che, speriamo sia una
femmina!»
I
presenti proruppero in un applauso generale, accompagnato da grida di
gioia e risate.
Ragnar
sorrise alla moglie, lasciandole un lieve bacio sulle labbra. Forse
non possedeva una bellezza algida e abbagliante, ma era diversa dalle
altre donne. Lei era fiera, caparbia, aveva un sorriso contagioso e
quando la guardava negli occhi era come immergersi nelle profondità
marine, in quelle acque sferzate dalla tempesta estiva capace di
sradicare alberi e affondare perfino la nave più robusta.
Questo
per lui era Soraya, una tempesta capace di rinfrescare e distruggere
al tempo stesso.
Pronunce
Ceart
- Chersht
Sgàile
- Sgale
Ùir
– Uir, U chiusa
Sealgair
- Scialacal
Lauchlan
– Lichlan, CH aspirati
Abahinn
- Apein
Firth
– Farsh, H aspirata
Gorm
- Gor
Angolo
Autrice
Iniziamo
a conoscere meglio le tradizioni dei vari popoli, la storia, i
personaggi. Siamo venuti a sapere di un precedente fidanzamento
rotto.
Abbiamo
fatto un salto nelle tradizioni di Crùn, l'uso dei tatuaggi,
il battesimo di sangue, lo stesso vale per Logh, regno che
approfondiremo più avanti. Per non parlare della religione,
che avrà un ruolo quasi cruciale nella trama.
Lo
so, in questi capitoli sto dando molta importanza a Soraya, ma
abbiate pazienza, presto anche gli altri personaggi avranno un loro
siparietto.
Spero
che non abbiate sbadigliato leggendo questo capitolo!
Buona
lettura.
Ele
|
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Capitolo 4 *** Cap. 3 ***
Video
I
Figli di Tanaros – Trailer
I
Figli di Tanaros – This is War
Soraya
an Sgairp – Broken Crown
Cap.
3
Onore
La
religione di Dòchas non contemplava divinità con un
volto. Ogni singolo dio o dea era percepito e visto come spirito
abitante negli alberi, negli animali o nelle montagne. Erano la
natura stessa e tutti dovevano portarle rispetto.
Nel
corso dei secoli, da quando la penisola era stata colonizzata, erano
stati costruiti diversi templi in onore di ogni divinità, dove
le persone portavano offerte, pregavano, cercavano risposte dai
sacerdoti e dalle sacerdotesse, ma erano gli stessi rappresentanti
degli dei a invogliare la gente a pregare in mezzo alla natura, a
cercare il divino in ogni singolo sasso o insetto. Del resto gli dei
venivano rappresentati tramite simboli o animali. Si pensava che
quando un pavone si posava sulla soglia di una casa, la coppia che
l'abitava avrebbe avuto un matrimonio lungo e felice, in quanto
quell'animali rappresentava la dea Bethia, la protettrice dei
matrimoni e delle donne.
Se
un serpente veniva visto su un campo non ancora seminato, i contadini
si prodigavano subito a preparare la terra per la semina, perché
la dea Ùir, la signora del raccolto e dei campi, aveva appena
benedetto quel fazzoletto di terra con la sua presenza in forma di
serpente. Ogni luogo e città era impregnato di fede e credo,
si portava rispetto anche verso gli animali da macello, pregando e
ringraziando lo spirito dell'esemplare quando veniva ucciso.
Quindi
Soraya non si sorprese quando Dyani le raccontò che i
cacciatori abbassavano le armi di fronte alla quercia sacra, l'albero
che il primo re di Keyll aveva piantato al centro della foresta di
Firth e, ai piedi del quale, ogni re veniva incoronato. Un albero
vecchio di cinquecento anni, alcuni cacciatori andavano dicendo che
il dio Sealgair, il padre di tutti gli dei, l'aveva scelto come sua
dimora, altri pensavano fosse solo un albero vecchio al quale
bisognava portare rispetto. Non c'era una sola versione, ma tutti gli
abitati di Keyll, quando vi passavano accanto, vi porgevano i propri
omaggi o lasciavano offerte.
Per
Soraya era strano trascorrere del tempo con un'altra fanciulla, era
abituata ai maschi, agli allenamenti, l'unica donna con cui parlava
era Azar.
E
per Dyani? Lei cercava di abituarsi a quelle nuove usanze, alle donne
poco inclini alla danza e più favorevoli alla guerra. Soraya
le aveva mostrato ogni singolo angolo della Rocca, dalle mura interne
che custodivano il palazzo ed i giardini, alle mure esterne dentro le
quali sorgevano la caserma dove alloggiavano i soldati con le loro
famiglie e l'arena dove le Guardie Corvine e i membri della famiglia
reale, eccetto i più giovani, si allenavano.
Quella
mattina, invece, l'aveva condotta tra le vie di Rìoghachd,
portandola a visitare il mercato, il porto, la spiaggia. La
baia di Bearg, dove lei era solerte recarsi con la madre, era
diversa, con sabbia rossa scura e scogli neri ricoperti di alghe. Le
acque avevano una tonalità di rosso che ricordava il sangue ed
i pesci che vi nuotavano si scorgevano a fatica, non
era come la baia di Liath o la costa di Crùn. Le spiagge erano
formate da sabbia e scogli bianchi come latte, talmente forte da
abbagliare. Le acque della baia erano limpide, cristalline, di un
verde-azzurro talmente chiaro da poterci scorgere i pesci blu che
nuotavano in essa.
Alla
spiaggia erano state raggiunte da Erik e, per lei, era stata una vera
e propria sorpresa. Era rimasta ancora più sbalordita quando
lui le aveva rivolto la parola, chiedendole cosa pensasse dell'arco
sotto il quale si sarebbero sposati. Dyani stava iniziando a sperare
in un matrimonio felice, ma era ben lontana dal realizzarlo, prima
doveva conquistare la fiducia e l'affetto del futuro marito, ma non
doveva aspettarsi nient'altro che amicizia, ben pochi erano i
matrimoni combinati che poi si trasformavano in vere e proprie storie
d'amore.
***
«Quando
hai capito di amare Soraya?»
Ragnar
corrugò la fronte. «Perchè me lo chiedete,
principe?» domandò con affanno, piegandosi sulle
ginocchia.
Erik
aveva l'abitudine di allenarsi anche al tramonto. Fino a qualche
settimana prima anche Soraya si univa a loro, ma con la gravidanza
aveva ridotto le ore di addestramento, concentrandole nella prima
mattinata.
Erik
sbuffò, asciugandosi il sudore con la camicia che poco prima
si era tolto. «Smettila con queste formalità, sei mio
cognato.»
«In
questo momento sono una Guardia Corvina che vi sta aiutando negli
allenamenti, non vostro cognato.»
«Allora
smetti di esserlo e comportati come mio cognato.»
Ragnar
annuì bevendo l'acqua dal mestolo di legno. «Come
preferisci, Erik.»
«Grazie.
Come e quando hai capito di amare mia sorella?»
«Credo
di averla amata da subito, dal primo momento in cui la vidi.»
Ragnar si fermò, guardando le proprie mani. Erano ruvide,
sporche di terra e sabbia, le mani di un guerriero. «Non so
spiegare come e perché, lei aveva quello sguardo perso di chi
non ha la minima idea di cosa vuole fare, aveva gli occhi lucidi ma
senza lacrime e se ne stava seduta ai piedi della statua della
regina. Era il mio primo giorno nella guardia, avevo da poco ricevuto
la spada da vostro padre, e Riley mi aveva mandato a cercarla, quando
la vidi rimasi immobile, fino a quel momento avevo solo sentito
parlare di lei e della sua straordinaria tenacia e arroganza, ma
quando la vidi quel giorno non era forte, tanto meno arrogante
era...era fragile e triste.»
Ragnar
non parlava mai dei propri sentimenti o di quello che aveva vissuto
con Soraya, non si apriva mai. Era considerato un uomo freddo e
distaccato, ligio ai suoi doveri e ferreo nei modi di fare. Il suo
volto non mostrava mai nulla se non una maschera di marmo senza
espressioni. Le Guardie Corvine erano assassini, eppure si era
innamorato di Soraya e con lei aveva sorriso. Si era perfino lasciato
andare ad un bacio in pubblico, cosa che non era da lui.
«Vorrei
poter provare qualcosa per Dyani, ma non credo accadrà mai.»
Erik si mise seduto sulle scalinate dell'arena, sentendo il sudore
bagnargli il petto nudo. «Vorrei renderla felice, ma non ne
sono capace.»
«Il
matrimonio non è facile» disse Ragnar, sedendosi accanto
al cognato. «Nemmeno quando a tenerlo in piedi c'è
l'amore. Il matrimonio è fatto di compromessi e litigi. Di
passione e complicità. Inizia con il cercare di dare a Dyani
ciò di cui ha più bisogno, poi verrà il resto.»
«Sembra
facile.»
«Ma
non lo è» disse Ragnar, passandosi una mano sul volto.
«Le donne danno la vita ed è solo da loro che noi
veniamo, senza saremmo persi.»
«Siamo
tutti nati dal ventre e dal sangue di una donna» sospirò
Erik, ricordando una frase di sua madre. «Mia madre me lo
ripeteva sempre quando insinuavo che gli uomini erano superiori alle
donne.»
Ragnar
annuì. «Aveva ragione.»
Era
strano per Erik parlare di sua madre, non lo faceva quasi mai,
nemmeno con Soraya, ma in quel momento ne sentì la necessità,
soprattutto con il matrimonio alle porte e l'incoronazione di Soraya
sempre più vicina.
«Allora,
qualcuno ha portato della birra?» Erik urlò a
squarciagola, cambiando immediatamente discorso, subito sentito da
alcune serve. «Voglio quella di Logh, non la finta birra che
distillano a Talamh!»
Il
disprezzo per Talamh non era per nulla velato. Erik non sopportava re
Egor, un uomo ambizioso e privo di etica. Il sentimento era
condiviso, anche suo padre cercava di stare il più lontano
possibile da Egor, ma il re di Crùn ne aveva sposato la
figlia, consapevole di portare nel suo regno una vera e propria spina
nel fianco. Antee era la secondogenita, il primogenito era morto in
un incidente di caccia, lasciando il diritto di successione al terzo
figlio, Ecbert.
La
famiglia reale di Talamh, gli an Leòghann, avrebbero
partecipato al matrimonio, compresa Agar, l'ultima figlia di Egor, da
poco diventata vedova. Si prospettava un giorno al quanto movimentato
per loro.
***
Ancora
tre giorni e il matrimonio più atteso di Crùn si
sarebbe svolto sulla spiaggia come da tradizione, accompagnati dal
rumore delle onde che s'infrangeva sugli scogli, dall'odore salmastro
e dal venticello lieve che faceva ondeggiare le campanelle dell'arco
nuziale, sotto il quale gli sposi si giuravano amore eterno.
I
sonagli servivano a richiamare gli dei, perché benedissero
l'unione e lei ci credeva, pensava veramente che quel suono potesse
invocare le loro divinità.
Si
chiedeva cosa stesse passando Dyani, doveva essere tesa, piena di
dubbi e, ormai, rassegnata, ma aveva visto in lei qualcosa quella
mattina, un tentativo di avvicinamento ed Erik. Le donne erano più
inclini ai sentimenti, rispetto agli uomini, forse lei cercava di
rendere quel matrimonio forzato meno teso.
Immersa
fino al collo nell'acqua calda, Soraya si portò una mano al
ventre piatto. Il giorno in cui aveva sposato Ragnar era stato il più
bello della sua vita. Vederlo sotto quell'arco, con la casacca bianca
ed il volto sereno l'aveva fatta sentire ancora più al sicuro.
Con l'abito di sua madre e sotto il braccio di suo padre, l'aveva
raggiunto e, intrecciando le mani, avevano giurato di amarsi per
sempre, di proteggersi a vicenda e di essere l'uno l'ancora
dell'altra.
«Hai
intenzione di diventare un pesce?»
Era
rimasta talmente immersa nei suoi pensieri da non aver sentito Erik
entrare di straforo senza nemmeno ascoltare le repliche di Azar. Il
fratello la stava fissando impaziente, come se volesse dirle qualcosa
di urgente.
«Magari
sì!»
Erik
alzò un sopracciglio, per poi sollevare entrambe le mani,
aveva con sé una brocca di terracotta e due coppe. «Ho
portato la birra.»
«Allora
esco!» esclamò lei, uscendo dalla vasca. Non aveva
vergogna di mostrare al fratello il
suo corpo nudo, avevano condiviso l'utero della madre, erano
cresciuti insieme facendo il bagno
nudi nel mare quando erano piccoli. Non c'era nulla di cui
vergognarsi, era il suo gemello.
«Ragnar?»
«Turno
di notte» sospirò Soraya, avvolgendosi nella vestaglia e
seguendo il fratello fuori dalla camera da bagno che confinava con la
sua stanza di letto. «Dyani?»
«Pudica.»
Soraya
sorrise, sedendosi sul letto con le gambe incrociate. «Non era
questo che intendevo.»
«Lo
so.» Erik le porse un boccale di birra, facendole l'occhiolino.
«Nonostante abbia caldo continua ad indossare abiti pesanti e
che mostrano ben poco del corpo.»
«Le
donne di Keyll sono pudiche, ho sentito dire che il solo mostrare una
caviglia le faccia sentire nude agli occhi degli uomini.»
«Tu
non hai difficoltà a farti vedere da me senza abiti.»
«Sei
mio fratello ed io ti ho visto nudo chissà quante volte!»
«Per
noi è normale, per loro no.»
«Tante
cose per noi sono normali e per loro non lo sono. Pensa ai
combattimenti, alle donne che prendono in mano la spada invece di un
arcolaio.»
Erik
annuì, sedendosi sul pavimento, con la schiena poggiata al
letto della sorella mentre lei si sdraiava tenendo la testa contro la
sua, sentiva i suoi capelli toccargli la spalla. «É
comunque poco consono per una donna mostrarsi senza abiti ad un uomo
che non sia suo marito, anche se quest'uomo è il fratello
gemello con il quale ha nuotato nuda fino a pochi giorni prima.»
Soraya
rise fragorosamente, portandosi una mano al volto. «E da quando
c'importa del pensiero degli altri?»
«Da
quando le voci corrono più veloci delle tempeste.»
«Intendi
i pettegolezzi riguardanti una nostra relazione carnale?»
domandò Soraya in tono sarcastico, sfiorandosi il ventre
piatto. «Sono solo voci, nulla di più.»
«E
secondo te chi le ha messe in circolazione?»
«Antee?»
Soraya ormai aveva una vera e propria avversione verso la matrigna.
Non perché aveva preso il posto di sua madre sul trono di
Crùn, ma per il modo in cui trattava sia lei che i suoi
fratelli.
«Domani
pomeriggio arriverà la famiglia reale di Talamh al completo.»
Erik si alzò, guardando la sorella dall'alto. «Ci
conviene prepararci.»
Soraya
annuì, mettendosi seduta e volgendo lo sguardo alla sinistra
del letto. Proprio accanto al lato su cui dormiva, c'era la sua
lancia, la sua arma per eccellenza. Si alzò, prendendola tra
le mani. L'asta in legno intagliato, di colore nero, la punta di
acciaio era stata lavorata fino a farle ottenere una colorazione
bluastra cangiante con uno scorpione nero in rilievo. Proprio sotto
la lama, la giuntura, che saldava l'acciaio all'asta, aveva la forma
di due serpenti che s'intrecciavano tra loro. Due nastri, uno blu ed
uno viola, pendevano da essa, a ricordare i colori delle casate a cui
apparteneva.
Suo
padre l'aveva fatta forgiare per i suoi quindici anni, subito dopo
aver ricevuto il battesimo di sangue.
Certo,
non era come Lasair, la spada di Markos, arma tramandata di
generazione in generazione, la spada degli scorpioni, come la
chiamava Slane. Un'arma di pregiata fattura, forgiata nei tempi
antichi, quando il loro popolo ancora abitava nell'antico impero.
Lasair era destinata al re di Crùn, al legittimo successore,
di conseguenza, un giorno sarebbe stato Erik ad impugnarla.
«Per
questo Ragnar sta facendo il turno di notte. Lui e Riley stanno
controllando i passaggi segreti della Rocca.»
«Anche
quelli sconosciuti ad Antee?»
«Tutti.»
***
La
mattina giunse presto e, con lei, gli allenamenti. Quella mattina
avevano combattuto tra loro, sotto gli sguardi curiosi degli ospiti
di Keyll, compresi i principi e la principessa Dyani. Nessuno di loro
aveva mai assistito agli addestramenti del loro popolo. O meglio, non
avevano mai visto una donna combattere.
Lo
stesso re Derek si era fermato con Markos ad osservare i due principi
all'opera, sorridendo quando vide Erik chiedere una pausa solo per
bere un boccale di birra. Quel ragazzo era una forza della natura,
molto simile al padre in gioventù.
Soraya
ed Erik prendevano parte agli allenamenti della Guardia Corvina, ben
più cruenti e duri rispetto a quelli dei soldati comuni, ma
necessari se si voleva temprare una generazione di sovrani forti e
consci dei loro limiti.
Nonostante
la gravidanza Soraya non aveva rinunciato ai combattimenti, li aveva
solo ridotti sotto consiglio di Ragnar. Era freddo e distaccato, ma
quando si trattava della moglie mutava diventando protettivo.
Dopo
due ore di corse, sollevamento di secchi d'acqua, combattimenti con
le proprie armi e lotta, la colazione era d'obbligo. Nessuno dei due
principi andò a cambiarsi, si presentarono nella sala dei
banchetti sporchi di fango e sudati, sedendosi al tavolo con entrambe
le famiglie reali.
Acantha
aveva squadrato Soraya, storcendo il naso alla vista degli abiti
sporchi e del suo aspetto rozzo. Per non parlare dei modi da
troglodita di Erik che tracannava birra come fosse acqua.
Atteggiamenti
ben lontani da quelli del fratello minore di Markos, Slane, e del
piccolo Sahen. Lo stesso Marek aveva assorbito i modi diretti dei
fratelli maggiori, a volte allungava la mano e rubava la birra dalla
caraffa di Erik. Perfino il re beveva alcolici a colazione e non
latte di capra o acqua come il resto degli uomini, giustificandosi
con frasi del tipo «L'acqua è per le femminucce, la
birra per gli uomini!»
La
regina di Keyll sembrava quasi schifata, i suoi occhi verdi
saettavano da Markos a Derek come se volesse far notare al marito
quanto diverso fosse dall'amico. I due re erano in ottimi rapporti da
quando erano giovani, ormai si conoscevano a tal punto da non vedere
più le loro diversità caratteriali e comportamentali.
Re Derek era un uomo taciturno, sempre con lo sguardo severo, gli
occhi grigi che facevano rabbrividire, mentre Markos era un tipo
rumoroso e imprevedibile, bastava poco per farlo infuriare e
altrettanto per farlo calmare.
Uno
riflessivo, l'altro impulsivo.
«Ho
saputo che sapete combattere con la lancia.» fu la prima frase
che Acantha rivolse a Soraya dal suo arrivo. Sembrava cordiale,
sebbene si sentisse quanto quel tentativo di conversazione fosse
tirato.
Soraya
annuì, sorridendo alla sovrana, cercò di essere il più
femminile possibile. «La lancia è solo una delle armi
con cui ho appreso il combattimento, ma la sola con cui mi sento
un'unica persona.»
«Un'unica
persona?» stavolta fu Dyani a rivolgere la domanda, sbattendo
le folte ciglia.
«Per
combattere un guerriero deve essere un tutt'uno con la propria arma.
Saper maneggiare una spada non fa di un uomo un guerriero, ciò
che lo renderebbe tale è la consapevolezza che quell'arma è
parte di lui come un braccio o una gamba.»
«E
non sapete fare altro? Intendo, oltre combattere.» Acantha ora
sembrava volerla mettere alla prova.
Soraya
non abbandonò il sorriso, con la coda dell'occhio le parve di
vedere suo padre sogghignare da dietro il boccale di birra, mentre
Erik aveva perfino smesso di masticare. «In verità, sono
stata istruita sulle proprietà curative delle erbe, potrei
recitarle a memoria l'intero statuto di Crùn ed anche quello
di Logh. So pescare e comandare una nave, nuoto e cavalco da quando
avevo un anno.»
Acantha
strinse gli occhi, sentendosi presa in giro dalla principessa. Troppo
volgare, maschile e rozza per poter essere una regina aggraziata e
ben educata.
«Inoltre,
vostra altezza, riconosco quando sono poco voluta ed è quello
che voi state cercando di farmi capire.»
Ivar
scoppiò a ridere, battendo una mano sul tavolo e guardando
prima la madre e poi Soraya. «Finalmente qualcuno capace di
zittire mia madre!»
Ma
Acantha non era dello stesso parere. Guardò Soraya come un
leone pronto a sbranare la sua preda, ma la principessa non vi fece
caso, troppo impegnata a battere la mano sulla schiena di Erik che,
cercando di non ridere, si stava strozzando con il cibo.
«E
voi, principe Erik?» domandò Acantha, rivolgendosi al
principe, sorvolando sulla conversazione appena avvenuta.
«Io
cosa?»
«Voi
sapete fare altro oltre che combattere?»
«Pescare,
mia regina, cavalcare, cacciare...»
«Ubriacarsi,
andare per bordelli» intervenne Marek, causando la risata
fragorosa del padre.
Ma
quella battuta non fu ben vista da Acantha, la quale lanciò
uno sguardo raggelante prima a Marek e poi ad Erik.
«Girano
voci, riguardo al legame che unisce voi due.» Acantha indicò
Erik e Soraya. «Si vocifera che sia troppo morboso.»
«Morboso?»
domandò Soraya. «Ah, intendete quelle calunnie
riguardanti un rapporto incestuoso.»
Erik
quasi si strozzò nuovamente con un pezzo di pane.
Soraya
non vi fece caso. «E di sicuro vi starete chiedendo se il
figlio che porto in grembo è di mio marito o di mio fratello.»
Stavolta
fu Markos a rischiare l'asfissia da strangolamento.
Ma
Soraya non si fermò. «La risposta a tutti questi quesiti
è no. Io e mio fratello abbiamo un legame speciale che si
ferma al semplice attaccamento, l'unico uomo che conosce il mio corpo
e mi soddisfa in camera da letto è mio marito e, mi creda mia
regina, mi soddisfa ogni notte. A volte anche a metà giornata,
e non solo in camera da letto.»
Era
ufficiale, Soraya non piaceva ad Acantha, ma nemmeno la sovrana
rientrava nelle simpatie della principessa.
Per
fortuna suo padre cambiò immediatamente discorso, rivolgendosi
al piccolo Sahen, seduto accanto ad Antee. «Sahen, oggi ti
addestrerai con Marek, Riley ha già pronta un'imbottitura per
te.»
«Addestrare?»
la sua vocetta era più bassa di quella degli altri bambini,
sembrava quasi un sussurro. Guardò impaurito la madre, come a
chiederle di intervenire al suo posto.
«Credevo
ne avessimo discusso, Sahen è troppo piccolo.» difatti
Antee non tardò a nascondere il figlio sotto le sue sottane,
metaforicamente parlando. Non faceva altro da quando era nato. «Non
può addestrarsi!»
«Erik,
quanti anni avevi quando iniziasti ad allenarti con Riley?»
domandò Markos.
«Cinque.»
«E
tu Soraya?»
«Cinque.»
«Marek?»
«Cinque.»
Markos
rivolse uno sguardo fermo e furioso alla moglie, facendole un cenno
con la mano. «Cinque anni. Sahen ne ha dieci, è
abbastanza grande. Ho lasciato correre, ti ho dato tempo, ora decido
io. Se vuoi che il bambino sopravviva alla suo battesimo di sangue,
tra cinque anni, ti conviene smetterla con i tuoi soliti piagnistei
da donnina di Talamh e fare quello che ti dico, hai capito?»
Ma
Antee non rispose, strinse i denti, sentendosi umiliata di fronte a
tutti, un conto era litigare sulla questione in privato, un altro era
trattarla come una serva davanti ai sovrani di Keyll e alla loro
prole. Per non parlare della presenza di Soraya, Erik, Marek e Slane.
«Hai
capito, donna?» stavolta Markos mise così tanto
disprezzo chiamandola donna, che Antee si sentì avvampare.
«Siete
voi il re, marito» sibilò lei a denti stretti, alzandosi
e prendendo Sahen per mano. Fece per lasciare la sala, ma Markos la
fermò.
«Sahen
resta qui!» esclamò, afferrando Sahen per il braccio e
strascinandolo accanto a sé. Mai far infuriare Markos an
Sgairp, si finiva sempre per perdere qualcosa.
***
Subito
dopo la colazione, Soraya si era cambiata, indossando vesti più
femminili e, insieme ad Erik, aveva deciso di assistere al primo
allenamento di Sahen.
Slane
era già sulla balconata che dava sullo spiazzo ad osservare i
giovani principi dall'alto. Da lì potevano sia vedere che
sentire tutto.
«Oh,
i miei nipoti preferiti» li accolse Slane, con quella sua
solita esuberanza. A volte sembrava che lo facesse di proposito.
«Caro
zio.»
«Zio
Slane.» Erik si fidava poco dello zio paterno, di rado lo si
vedeva combattere ma, del resto, nemmeno Markos si allenava con un
pubblico.
Soraya,
invece, cercava solo di comprendere quei suoi atteggiamenti troppo
marcati. Forse era la somiglianza con il padre, oppure quei tentativi
di approccio con lei, ma non se la sentiva di detestarlo come faceva
Erik. Secondo lui non era un bravo guerriero, tutti sapevano che il
suo rito di passaggio l'aveva quasi ucciso, era riuscito a superarlo
per puro miracolo, guadagnandosi diverse ferite sulla schiena e sulle
gambe. Sebbene avesse un fisico prestante Slane non era più
stato in grado di combattere contro una delle guardie corvine senza
rischiare grosso, a stento riusciva a battere un normale soldato.
«Assistete
agli allenamenti?» Soraya si rivolgeva allo zio con formalità,
rispetto al padre.
«Volevo
vedere come se la cavano i due» precisò Slane. «Marek
sembra a suo agio.»
«Sahen
pare impacciato.» Erik si appoggiò alla balaustra,
piegandosi in avanti per appoggiare il mento sugli avambracci
incrociati, sentendo la mano della sorella posarsi sulla sua schiena.
«A volte mi chiedo se sia veramente nostro fratello.»
«Che
intendi dire?» Slane aggrottò la fronte, studiando il
nipote.
«Guardalo,
non ha spina dorsale, è pelle e ossa e non ha il minimo senso
della precisione» rispose lui, indicando il fratellastro
cercare di tenere in mano una spada. «Non ha l'aspetto di molti
altri guerrieri della nostra casata, si diverte di più a
torturare gattini e infastidire i piccioni nei giardini.»
«Quanta
arroganza, caro nipote, ma vorrei ricordarti che anch'io, da giovane,
ero a dir poco impacciato nel combattimento. Magrolino, cagionevole,
sempre preso di mira dagli altri ragazzi più grossi di me.»
«E
poi, che è successo?» domandò Soraya, studiando
lo zio. Quegli occhi azzurri come quelli di Markos la facevano
sentire a disagio.
«Sono
cresciuto, ho imparato che a volte non serve una spada per vincere
una guerra, serve anche l'ingegno e l'astuzia. Così sono
diventato più furbo di molti altri.»
«Certo,
raccontalo alla guardia corvina che stava per ucciderti durante il
tuo battesimo di sangue. Sappiamo tutti che ti sei salvato solo
perché zio Morven intervenne.» Erik lo guardò con
sdegno, sollevandosi e lanciandogli sguardi di sfida.
Non
era ben voluto e Slane lo capì. «Con permesso»
disse, chinandosi lievemente e allontanandosi dai nipoti.
Soraya
attese che lo zio fosse abbastanza lontano e fuori dalla loro portata
prima di dare un colpo secco alla nuca del fratello. «Sei
davvero così stupido?»
«Sarà
pure nostro zio, ma non mi fido di lui.»
«E
per quale motivo?»
«Lo
stesso per cui tu non ti fidi di Antee.»
Soraya
strinse la mascella, sbuffando dal naso. «Non mi fido di Antee
perché è figlia di re Egor, e abbiamo sentito tutti le
voci che circolano sulla famiglia reale di Talamh.»
«Certo,
fratelli che uccidono fratelli, mariti che uccidono mogli, una vera e
propria famiglia felice, ma non era questo che intendevo dire.»
Erik prese la sorella per le spalle. «Tu ed io ci fidiamo del
nostro istinto più di qualsiasi altra cosa ed il mio mi dice
che Slane non è una persona in cui confidare.»
Soraya
guardò il fratello negli occhi, aveva ragione. Come il suo
istinto le diceva di non fidarsi di Antee, quello di Erik gli diceva
di fare lo stesso con Slane. Quegli occhi azzurri e quei modi zelanti
nascondevano qualcosa e il giovane erede al trono l'aveva capito da
molto tempo.
***
«Non
ti piace, vero?»
Acantha
aveva sentito il marito arrivarle alla spalle, ma non si era voltata,
restando ferma ad osservare la vita scorrere fuori da quella
finestra.
«La
trovo troppo arrogante e volgare.»
«É
una fanciulla di Crùn, le loro femmine impugnano le spade, le
nostre ago e filo.»
«Ed
Erik? Veramente vuoi che sposi nostra figlia?»
«Acantha...»
Acantha
si voltò, mettendo le mani sul petto del marito. «Lo so,
il primo matrimonio politico prestabilito doveva essere tra Soraya e
Andràs e, grazie agli dei il loro fidanzamento è
naufragato, ma veramente vuoi lasciare la tua unica figlia, la perla
preziosa di Keyll qui, nelle mani di un troglodita che tracanna birra
dal mattino alla sera?»
«Penso
proprio che questo matrimonio porterà molti vantaggi sia per
noi che per gli altri regni» disse il re, lasciando un bacio
sulla tempia della moglie. «In più nostra figlia
diventerà cognata di colei che fra cinque mesi sarà
sovrana di Logh ed anche la tua regina.»
«Io
sono la regina» sorrise Acantha, ben sapendo a cosa si riferiva
il marito.
«Tua
madre era una lady di Logh, mia cara, per metà appartieni a
quelle terre.» Derek le mise le mani sulle spalle. «E, in
merito a nostra figlia, qui starà benissimo, non esiste luogo
più sicuro di Rìoghachd, qui sarà protetta e,
con il tempo, amata. Dai solo una possibilità a queste nozze,
come hai fatto con me.»
La
donna non sembrava tanto convinta, ma il modo in cui Soraya le aveva
risposto l'aveva colpita. Nessuna principessa o lady di Keyll aveva
mai osato sfidare apertamente la regina, eppure lei l'aveva fatto e,
questo, la rendeva una fanciulla o troppo stupida o coraggiosa
abbastanza da difendere le proprie idee e convinzioni da chiunque
cercasse di dirle che sbagliava. In più Derek aveva ragione.
Lei gli aveva dato una possibilità il giorno in cui l'aveva
sposato, forse poteva anche darla ad un donnaiolo arrogante come
Erik.
Pronunce:
Bethia
– Beia, TH mute
Ùir
- Oir
an
Leòghann
– en Lioan
Lasair
– Losar
Bearg
– Bir
Angolo
Autrice:
Ed
ecco il nuovo capitolo. Abbiamo scoperto qualcosa di più della
religione, per la quale mi sono ispirata agli antichi culti praticati
dai celti, greci e pagani.
Lentamente
apprendiamo la storia delle famiglie reali, i nomi, le loro usanze.
Credetemi, i capitoli noiosi e di conoscenza stanno per finire, nel
prossimo ci sarà il matrimonio e vedremo per la prima volta re
Egor, scoprendo alcuni piccoli tasselli riguardanti la sua ascesa al
trono ed i suoi figli.
Erik
ha accennato alle morti di fratelli e mogli, ne scopriremo di più
nel prossimo capitolo.
Intanto
vi lascio a questo e vi auguro una buona serata. Per qualsiasi cosa,
se notate errori,
o volete darmi dei consigli, accorgimenti, dite pure, non mi offendo!
Ele
|
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Capitolo 5 *** Cap. 4 ***
Attenzione!
I
primi capitoli sono stati revisionati a causa dell'inserimento di un
nuovo personaggio, perciò, se non li avete ancora letti, vi
consiglio di farlo, altrimenti la lettura di questo capitolo vi farà
sorgere molti dubbi, in quanto la trama stessa ha subito una notevole
variazione!
Video
I
Figli di Tanaros – Trailer
I
Figli di Tanaros – This is War
Soraya
an Sgairp – Broken Crown
Cap.
4
Sangue
e Mare
Acantha
intrecciava i capelli della figlia. Aveva la mente altrove, immersa
in pensieri lontani e poco felici. Non era un mistero che le nozze
tra Dyani ed Erik non fossero ben viste da lei, tanto meno il futuro
sposo, ma aveva deciso di dare al giovane una possibilità. Se
sua figlia aveva scelto di sposarlo senza troppe remore, cercando sin
dal loro primo incontro d'instaurare un qualche approccio, qualcosa
di buono doveva pur venir fuori.
Sorrise
al riflesso di Dyani nello specchio. Quei suoi occhi verdi da
cerbiatta le ricordavano lei alla sua età, quando, ancora
fanciulla, attendeva il giorno delle sue nozze con Derek.
Lei
ed il marito erano stati promessi sin dalla nascita, fidanzati senza
essere innamorati. La prima volta che lo vide fu il giorno prima
delle nozze. Lui era così attraente, dal fisico mascolino e
forte. Lei aveva appena sedici anni, lui era già un uomo di
ventiquattro. L'aveva amato sin dal primo momento, ma sapeva
perfettamente di non essere ricambiata. Derek era un frequentatore di
bordelli, amava le donne e non era un uomo da matrimonio. Sapeva che
l'aveva sposata per volere del padre, re Akin, ma non si era data per
vinta.
Con
la nascita di Andràs, dieci mesi dopo le nozze, aveva giurato
a sé stessa di rendere il suo matrimonio felice e tenuto saldo
dall'amore. C'era riuscita, aveva fatto capitolare un donnaiolo come
Derek ed aveva reso la loro unione felice e basata sulla fedeltà.
Erano
trascorsi ormai vent'anni dalle loro nozze e, da allora, non erano
state celebrate altre unioni reali, solo il funerale di re Akin,
avvenuto diciannove anni prima, quando il regno di Talamh o, per
meglio dire, re Egor, si era sollevato contro gli altri regni,
pretendendo il dominio sulle montagne che dividevano Talamh da Logh.
La questione era da secoli incerta, alcuni dicevano che la montagna
di Òir rientrasse nei confini di Logh, altri in quelli di
Talamh, ma al termine di quella guerra civile, Egor aveva dichiarato
la resa, lasciando al regno di Seraphi la catena montuosa e, di
conseguenza, il monte e le miniere dei Morti, ma in quella diatriba
due re avevano perso la vita e due nuovi sovrani erano ascesi al
trono. Suo marito era divenuto re di Keyll e Markos era succeduto al
fratello maggiore Morven.
Le
campane la distolsero dai suoi pensieri, riportandola alla realtà.
Re Egor stava per fare il suo ingresso nella Rocca. Le nozze si
sarebbero tenute l'indomani, al tramonto, e il sovrano di Talamh
aveva deciso di pernottare il meno possibile a Rìoghachd e
questo a lei non dispiaceva.
Silenziosamente
e con grazia, si diresse verso il cortile, Dyani la seguiva senza
proferire parola. Controllò attentamente che i figli fossero
in ordine, prima di affiancare il marito e re Markos.
Erik
era in piedi alla destra del padre, accanto a lui Soraya e Marek.
Vide lo sguardo fin troppo teso dell'erede al trono di Crùn,
sembrava volesse saltare al collo di Egor da un momento all'altro.
Intemperante
e impulsivo, troppo per un futuro sovrano, pensò Acantha,
sistemandosi l'abito e riportando gli occhi verdi sul re di Talamh.
Era un uomo di cinquantacinque anni, dai capelli di un castano chiaro
quasi biondo ed occhi castani.
Si
diceva che per salire al trono avesse ucciso i suoi quattro fratelli.
Stessa cosa per il figlio Ecbert, suo erede al trono, il quale aveva
tolto la vita al primogenito del padre, Efrem, alla tenera età
di quindici anni. Ma erano solo dicerie, forse messe in giro per
demolire il sovrano, ma le morti sospette in quella famiglia non si
fermavano ai fratelli, perfino la prima moglie di Egor, sterile, morì
cadendo dalle scale, la seconda, madre di Antee ed Ecbert, ed anche
ex moglie di uno dei fratelli deceduti del re, era morta dando alla
luce un figlio morto, dopo ben tre aborti. La terza, ed ultima
moglie, era morta annegata nella vasca da bagno, tre mesi dopo aver
dato alla luce una figlia, Agar. Per non parlare del marito di
quest'ultima, morto anche lui in seguito ad una strana febbre.
Una
famiglia davvero singolare. Markos aveva sposato Antee per
salvaguardare la pace con Talamh, ma doveva ben guardarsi dalla
famiglia reale, se le voci erano vere, si era portato alla corte la
figlia di un assassino.
I
tre sovrani si strinsero la mano prima che Egor potesse rivolgere il
suo sguardo alla futura regina di Logh. La guardò con una
strana smorfia sul volto, come se si aspettasse chissà quale
fanciulla.
Porse
a Soraya un lieve inchino, per poi baciarle il dorso della mano.
«Finalmente ho l'onore d'incontravi, principessa Soraya.»
Ma
Soraya non rispose, sentendo il fratello accanto a lei irrigidirsi.
Erik lo detestava, l'aveva incontrato un paio di volte durante i
viaggi a Talamh che compiva con il padre, e mai, in nessuna di quelle
occasioni, aveva avuto modo di cambiare opinione su quell'uomo dallo
sguardo d'avvoltoio.
Non
ci fu il tempo di porgere altri ossequi, qualcosa in lontananza si
stava avvicinando alla Rocca. Si udivano canti e tamburi, suoni dolci
e insieme forti. Re Egor si voltò di scatto, scostando il
mantello di pregiato velluto rosso, facendo attenzione a non
sbilanciarsi troppo, per non rischiare di far cadere la pesante
corona d'oro che portava sulla testa. Qualcuno stava interrompendo il
suo ingresso nella capitale e questo non era di suo gradimento.
Man
mano quel suono divenne un canto distinto accompagnato da tamburi. Le
campane cominciarono a suonare, preannunciando l'ingresso delle
sacerdotesse di Coltas. I loro capelli rossi sembravano fiamme
ardenti alla luce del sole mattutino ed i loro occhi ricordavano
l'ambra degli alberi della foresta di Firth.
Marek
osservava quelle donne camminare a passo moderato verso di loro, la
loro somma sacerdotessa doveva avere l'età di Azar, ma i suoi
capelli non avevano assunto il tipico colore argentato della
vecchiaia, c'erano solo alcuni ciuffi grigi, ma nulla di più.
Quando
poi i tamburi cessarono di suonare e con loro le campane, calò
un silenzio spettrale nel cortile del castello, ed il giovane
principe si sentì sopraffatto dall'ansia.
Si
avvicinò ad Erik, tirandolo per la manica. «É
vero che le sacerdotesse di Coltas sono le sole persone ad essere
immuni al veleno degli scorpioni, poiché si pensa che siano
nate proprio da esso?»
Erik
fece spallucce, sbuffando lievemente dal naso. «Nascono da un
uomo e una donna esattamente come tutti gli altri esseri umani.»
«Sì,
ma si pensa che la prima sacerdotessa della dea Àrsaidh sia
nata dal veleno di uno scorpione e che il suo sangue fosse
incendiario.»
«Sono
donne, Marek. Semplici donne con il dono della preveggenza, nulla di
più!»
La
leggenda della prima sacerdotessa, narrava che una donna gravida era
stata punta da uno scorpione nero, proprio mentre implorava la dea
Àrsaidh di lavare via la sua sofferenza causata dall'uomo che
l'aveva abbandonata con un figlio in grembo. Pochi mesi dopo la donna
aveva dato alla luce una bambina i cui capelli erano rossi come il
fuoco e gli occhi ambrati come il tramonto. La piccola era nata
proprio sull'isola di Coltas, dove la madre era stata mandata in
esilio a causa della gravidanza indesiderata.
Quella
bambina era poi cresciuta e, dopo la morte della madre, aveva deciso
di dedicare la sua vita alla dea da cui aveva ereditato il dono della
preveggenza, fondando un tempio in suo onore sull'isola di Coltas.
Era poi tornata nell'antico regno, dove la madre era nata,
raccogliendo intorno a sé altre fanciulle con lo stesso dono,
portandole a Coltas per istruirle nel nome della dea. Erano solo
leggende, poco chiare e con svariate lacune, ma erano proprio i
misteri che le circondavano a rendere quelle storie così
attraenti.
Erik
e Soraya erano cresciuti ascoltando quei miti, ma mentre la sorella
vi credeva fermamente, lui era rimasto scettico proprio come il
padre. Non credeva alle storie mitologiche di donne nate dal sangue
degli scorpioni o di uomini il cui corpo era fatto di legno e
corteccia. No, credeva nella volontà degli uomini e nelle
leggi della guerra.
***
Non
visitava mai quel luogo, ma quella notte era speciale. Markos chiuse
gli occhi, riportando alla mente il volto di Seraphi, i suoi lunghi
capelli biondi, gli occhi blu come il mare. Una donna dalla bellezza
eterea e algida. Quanto gli mancava il dolce suono dei campanelli che
tintinnavano ad ogni suo passo, Seraphi portava sempre quelle
cavigliere tintinnanti e di rado indossava calzature. Soraya aveva
ereditato quell'abitudine, ma i campanelli alle sue caviglie non
producevano lo stesso suono poiché aveva un'andatura diversa
da quella della madre.
Quanto
avrebbe voluto riaverla al suo fianco, sentire la sua voce, il suo
profumo. Lei era la regina di due regni, forte e indomita, caparbia e
giusta. In sua assenza sapeva dominare gli animi ardenti dei soldati
di Crùn, nonostante provenisse da un regno do poeti, pastori e
bardi. Ogni suo consiglio era più prezioso dell'oro per lui.
«Padre.»
«Dovresti
riposare, Soraya.» Markos non si voltò, rimase fermo,
ascoltando i passi della figlia avvicinarsi, quei campanelli lo
fecero sorridere. «Uscire di notte non è sicuro.»
«Temi
per la mia sicurezza?»
«Temo
per la sicurezza di chi potrebbe cercare di farti del male.»
Soraya
sorrise, affiancando il padre, osservando la statua raffigurante
Seraphi. Le candele accese attorno al piedistallo la illuminavano
abbastanza e la luna, quasi piena, la rischiarava. Il piccolo
tempietto circolare di marmo bianco era circondato da gigli del
medesimo colore, ma uno blu era stato messo ai piedi della statua.
Solo a Logh crescevano gigli blu, solo nei giardini del palazzo
reale.
«Oggi
è l'anniversario del nostro fidanzamento.» Era raro che
Markos nominasse Seraphi, non era avvezzo ai ricordi, era un
guerriero che non mostrava mai i suoi sentimenti.
«Mi
manca. Mi manca la sua voce, il suo sorriso, mi mancano le sue
carezze, la sua dolcezza.»
«A
me no.» Markos voltò lo sguardo verso la figlia,
guardandola dritta negli occhi. La luna piena brillava abbastanza da
illuminare quella notte. «Ogni volta che ti guardo negli occhi
rivedo tua madre, la sua forza, il suo coraggio. Ogni volta che ti
guardo rivedo lei e il senso di mancanza svanisce.»
Soraya
annuì, poggiando il capo contro la spalla di Markos,
respirando l'aria fredda della notte. «E pensare che zio Slane
dice che somiglio molto più a te.»
Markos
rise, allargando il braccio per poter stringere le spalle di Soraya.
«Caratterialmente parlando, tu sei più simile a me, ma
nei tuoi occhi...nei tuoi occhi c'è la fierezza di Seraphi e
la tempesta marina che ha accompagnato la tua nascita.»
Soraya
sapeva a cosa si stava riferendo. Era la storia della sua vita, la
storia della sua nascita, delle circostanze in cui lei ed Erik erano
venuti al mondo.
«La
notte in cui tu ed Erik siete nati arrivò una tempesta dal
mare, i tuoni vibravano nell'aria, le saette cadevano dal cielo e il
vento soffiava talmente forte da sradicare gli alberi» disse
Markos, guardando la statua della moglie. «Nulla è più
forte e devastante di una tempesta marina, tranne te. Sei rumorosa e
spavalda e questo mi spaventa perché ti tuffi nel pericolo
senza pensare, senza riflettere, ed io vorrei solo proteggerti da
quel rischio che tu cerchi.»
La
giovane sorrise, stringendosi di più al corpo del padre. Era
così rilassante chiacchierare con lui, parlare di tutto e
restare ferma ad ascoltare la sua voce profonda che la cullava come
le braccia di sua madre.
«Sei
indomabile e forte proprio come la tempesta che si abbatté su
Crùn quella notte. A volte credo che ti sia entrata dentro,
che quella forza della natura risieda nel tuo cuore. Come risiede nel
mio, ecco perché siamo uguali, mio piccolo scorpione.»
Markos guardò la figlia per un breve istante. Quegli occhi
blu, profondi come il mare, erano lo specchio di un animo ribelle.
«Hai il mio carattere, ma somigli a tua madre molto più
di quanto pensi. Il giorno delle nostre nozze fuggì in groppa
al suo cavallo e dovetti correrle dietro per poterla riportare a
palazzo. Seraphi era una forza della natura, era una guerriera ed una
regina, sebbene non adoperasse la lancia come te, figlia mia, lei era
comunque una combattente, sapeva quando era tempo di riflettere e
quando bisognava agire. Crùn non avrà mai una regina
come lei, purtroppo, ma Logh sì!»
Soraya
annuì, cercando di sembrare convinta, ma più ci
pensava, più sentiva di non essere adatta a regnare. Lei
voleva la battaglia, il sangue, la gloria, non la corona e la
responsabilità di un popolo.
«Tu
sei figlia della tempesta, non dimenticarlo mai!» esclamò
Markos, come se i pensieri di Soraya fossero arrivati a lui. Voleva
infonderle coraggio, forza. Quanto avrebbe voluto tenere quella
fanciulla sotto una teca di cristallo per sempre, proteggerla dalle
avversità di un mondo di sangue e morte, dove gli uomini erano
avidi e superbi, quanto avrebbe voluto, ma non poteva.
L'aveva
cresciuta forte e determinata, aveva fatto del suo meglio per darle
tutto ciò di cui aveva bisogno, ora doveva solo lasciarla
andare e vedere quanto aveva imparato.
Soraya
non era più la bambina che gli rubava la spada per giocarci,
la piccola che correva per i corridoi della Rocca con un elmo troppo
grande in testa, che urlava rincorrendo il gatto di Antee. No, sua
figlia non era più quella bambina. Giorno dopo giorno si era
trasformata in una giovane donna intraprendente e caparbia, forse
anche troppo, ma era comunque la sua bambina, sua figlia.
Da
bambina era diventata fanciulla, da fanciulla guerriera, da guerriera
donna, da donna moglie e, presto, madre, regina. E che regina. Sì,
ne era certo, sua figlia aveva i requisiti adatti per essere una
sovrana, doveva solo trovare la sicurezza e il coraggio di accettare
la corona e adempiere al suo destino.
***
Dyani
se ne stava seduta davanti allo specchio, il sole era ormai sorto da
ore ed il giorno delle nozze era giunto fin troppo velocemente. Non
aveva avuto modo di parlare con Erik per più di due minuti,
ogni volta lo vedeva allontanarsi con una qualche scusa ridicola e
lei, sconsolata, si ritrovava a chiedersi che cosa avesse di
sbagliato.
Sussultò
quando sentì bussare alla porta. Con flemma aprì
trovandosi di fronte il soggetto dei suoi pensieri.
«Voglio
mostrarti una cosa» disse semplicemente Erik, invitandola a
seguirlo. Non era stato brusco, tanto meno scortese, solo frettoloso
e sbrigativo.
Lo
seguì lungo i corridoi della Rocca, fino nei giardini dove
aveva passeggiato spesso con sua madre. Da lì imboccarono una
piccola scalinata di pietra che li portò in un giardino
superiore che, fino a quel momento, non aveva mai visto. Là,
proprio a ridosso della scogliera, tra piante di azalee rosa e
glicine, gigli e fiori di ciliegio, un piccolo tempietto circolare di
marmo bianco spiccava tra il verde ed i colori viola e rosa dei
fiori. La primavera era giunta e poteva inebriarsi del dolce profumo
dei fiori e l'odore salmastro del mare sotto la scogliera.
Erik
si fermò di fronte al tempio e lì Dyani vide per la
prima volta il volto di Seraphi, la regina di Logh e Crùn
dall'incomparabile bellezza.
«Dyani
lei è mia madre.» Erik indicò la statua facendo
un piccolo cenno di riverenza con il capo. «Mio padre fece
costruire questo piccolo tempio poco dopo la sua morte e, nonostante
abbia sposato Antee, non ha mai smesso di amarla.»
«Perché
mi avete portata qui?»
«Innanzitutto
non sopporto il tono formale, tanto meno il voi» specificò
Erik, ricordando a Dyani la prima conversazione avuta con Soraya. «In
secondo luogo, ho deciso di portarti qui perché non voglio un
matrimonio politico come quello tra mio padre e Antee.»
Dyani
annuì, forse tutti i suoi tentativi ed i consigli avuti sia
dalla madre che da Soraya avevano sortito il loro effetto?
«Stasera
io ti giurerò rispetto e devozione, ma sappi che dovrai avere
molta pazienza con me. Non sono sicuro di essere tagliato per fare il
marito, ma ti chiedo di sopportare i miei modi rudi e distaccati. Non
sono avvezzo alle effusioni o alle dimostrazioni di affetto, non
posso prometterti di essere un marito amorevole e presente, ma
proverò a non ignorarti e darti quel poco di affetto che
riuscirò ad esternare.» Erik si piegò verso di
lei, lasciandole un bacio sulla guancia.
Dyani
sentì il tocco delle sue labbra calde, accompagnate
dall'ispido della barbetta bionda. Un piccolo passo era stato fatto,
almeno non si sarebbe sentita ignorata e poco voluta.
***
Agar
an Leòghann
non aveva il volto tipico di una vedova. Suo marito era morto da meno
di due mesi e lei non accennava ad alcun segno di costernazione o
lutto, anzi, vestiva abiti dalle tonalità chiare e portava i
capelli castani sciolti lungo la schiena. Nessun velo, nessuna
treccia, nessun abito scuro.
Il
suo defunto marito era un nobile di Talamh, un Lord molto più
vecchio di lei e alquanto insignificante. Per tre anni l'aveva
sopportato, ma due mesi prima era stato colpito da una febbre
contratta a causa di una ferita infetta che l'aveva ucciso nel giro
di quattro giorni dopo atroci sofferenze.
Non
aveva avuto figli e, di certo, non ne voleva. Alcune dame
vociferavano che avesse fatto di tutto pur di non partorirne. Il suo
istinto materno era pari a quello di un sasso, se si voleva ascoltare
il parere di Azar.
Camminava
per i corridoi della Rocca con passo deciso e spavaldo, con il mento
alto e la schiena dritta, sempre al fianco del padre, come per
mostrare al mondo che era lei la figlia prediletta e non Antee, la
regina di Crùn.
«Sei
arrivata solo ieri e già ti metti su un piedistallo?»
Agar
si voltò verso la sorella. «Stavo giusto cercando te,
sorella.»
«Ebbene,
eccomi qui.»
«Nostro
padre vuole vederti.»
«Ed
ha mandato la sua piccola prediletta a chiamarmi. Scommetto che
dietro a quel falso sorriso si cela il ghigno divertito di una
vipera.» Antee non amava la sorella minore, nata da Netia
Coineanach, una lady di Talamh, che aveva fatto carte false per
entrare nel letto di suo padre quando era ancora sposato con Alasia
an Tarbh, sua madre.
Ma
Agar non disse niente, si limitò a sorridere, sorpassando la
sorella per invitarla a seguirla.
Antee
fece il suo gioco, Agar era una donna subdola, calcolatrice, proprio
come sua madre, e non si era sorpresa quando la notizia della morte
di suo cognato era giunta a Crùn. Probabilmente l'aveva ucciso
lei, o aveva chiesto a Ecbert di farlo, oppure a qualche suo amante.
Ormai la conosceva, non faceva mai niente per nulla. Ogni sua azione
era mossa da un desiderio, ogni suo minimo gesto era ben calcolato
per ottenere una conseguenza a lungo termine. Chissà cosa le
passava in quella testolina.
Quando
entrò nella stanza di Egor, vide che era presente anche
Ecbert, seduto allo scrittoio con un taglia carte in mano. Un altro
figlio nato con il desiderio di potere nella mente e nel cuore.
«Sorella!»
esclamò Ecbert, alzandosi e abbracciandola, per poi
sussurrarle all'orecchio. «Vedo che ancora continui a fallire.»
Antee
fece un finto sorriso, ricambiando l'abbraccio e sussurrando a sua
volta. «Vedo che continui ad essere la seconda scelta di nostro
padre.»
Nonostante
i palesi insulti, i due non abbandonarono quel finto sorriso di
cortesia quando si staccarono, rivolgendo poi i loro sguardi al
padre, intento a guardare la sua immagine allo specchio.
«Sei
riuscita nel tuo intento?»
«Non
ancora, padre» rispose Antee, avanzando di qualche passo.
«Soraya aspetta un figlio e Azar controlla tutto quello che
mangia e beve.»
«Non
importa, i piani stanno cambiando.» Egor si voltò,
guardando i figli. «Uccidere Seraphi ci ha portati più
vicini a Logh di quanto pensassimo, ora dobbiamo solo trovare la
soluzione al problema Soraya.»
«Posso
pensarci io, padre.» Agar avanzò verso il padre, ma lui
scosse il capo.
«No,
Agar, per il momento deve restare viva, ma non il figlio che porta in
grembo.»
«Ci
vorrà del tempo» affermò Antee.
Agar
però non era della stessa opinione, ansiosa di compiacere il
padre. «No se la lasciate a me, padre. Stasera al banchetto
posso...»
«Non
adesso, non con questa confusione in atto, desterebbe troppi sospetti
su di noi.» Egor fece cenno a Ecbert di alzarsi, per potersi
sedere dietro allo scrittoio. «Accadrà poco prima della
sua partenza per Logh, per poter rimandare l'incoronazione.»
«Ed
Erik?» domandò Ecbert, fissando il padre negli occhi
gemelli.
«Lui?
Il futuro re morirà quando prenderemo Crùn e non
prima.»
«A
tal proposito, ho un piano da proporvi, padre, ed un perfetto capro
espiatorio.» Antee, si avvicinò a Egor, piegandosi per
sussurrargli qualcosa all'orecchio.
Ecbert
e Agar cercarono di ascoltare, ma la voce della sorella era troppo
bassa e loro troppo lontani per riuscire a sentire, ma dal ghigno
compiaciuto di Egor capirono che la regina aveva ideato qualcosa di
talmente malvagio da soddisfare le brame di potere del padre.
***
Il
tramonto aveva colorato il cielo con tinte calde, le fiaccole lungo
la scalinata esterna, che dalla Rocca scendeva fino alla spiaggia
lungo la parete della scogliera, erano state accese ed i campanelli
dell'arco suonavano leggeri mossi dal lieve venticello.
Dyani
avanzava lenta sulla spiaggia, sotto al braccio del padre, mentre gli
invitati la osservavano rapiti. Per la prima volta aveva vestito un
abito più leggero, dalle maniche lunghe di un tessuto quasi
trasparente, bianco come imponeva la tradizione di Keyll. I capelli
adornati di nastri e fiori, raccolti in trecce, lasciavano scoperto
il collo sottile e lungo.
Erik
era vestito con i colori della sua casata, la casacca blu faceva
risaltare il colore dei suoi occhi, i pantaloni neri e la cintura del
medesimo colore sembravano fuori luogo per un matrimonio, ma per gli
an Sgairp era il colore del loro stendardo.
Dyani
si sentiva come attratta da quel giovane di fronte a lei. Era
magnetico, bello, forte, carismatico, ben diverso dagli uomini di
Keyll, molto lontano dall'idea che si era fatta di lui. Quando suo
padre mise la sua mano in quella di Erik, lasciandola definitivamente
alla sua protezione, sentì una strana scossa attraversarle il
braccio, ma non vi fece caso, troppo concentrata sul suo futuro
sposo.
Sentiva
in lontananza le parole del sacerdote del sio Ceart e della
sacerdotessa della dea Bethia, come un'antica favola trasportata dal
vento, un lieve canto dolce e significativo. Lasciò che
legassero la sua mano sinistra a quella di Erik con una corda formata
da nastri colorati. Li guardò attentamente, notando per la
prima volta che ogni corda nuziale era diversa, poiché era
formata dai colori delle casate dei due sposi, nel loro caso vide il
blu ed il nero degli an Sgairp unito al verde, argento e oro dei cù
Allaidh.
«Nel
nome della dea Bethia io ti giuro eterno amore. Nel nome del dio
Ceart io ti giuro eterna fedeltà. Da questo momento, fino alla
fine dei miei giorni, ogni mio respiro sarà per te, ogni mio
sguardo sarà per te, ogni mio battito sarà per te. Nel
nome degli dei, io ti dono il mio cuore e la mia anima, per sempre»
dissero Erik e Dyani all'unisono, quando ormai la cerimonia si stava
concludendo.
Ecco,
da quel momento lei non era più Dyani cù Allaidh,
principessa di Keyll, in quell'istante divenne Dyani an Sgairp,
principessa e futura regina di Crùn.
***
«Niente
pugni mancati stasera?»
Ragnar
credeva di poter sopportare tutto, ma quei banchetti erano un vero e
proprio tormento. Caotici, pieni di persone ubriache e falsi sorrisi.
Preferiva ancora il chiasso della taverna ai convivi reali.
Soraya
l'aveva affiancato, trovandolo in piedi appoggiato con la spalla alla
colonna. «Niente pugni?»
«Stasera
il tuo precedente pretendente ha deciso di corteggiare le dame.»
Ragnar indicò Andràs, intento a fare gli occhi dolci ad
una delle giovani lady accorse alla Rocca per il matrimonio.
Probabilmente non aveva ancora capito di che pasta erano fatte le
donne di Crùn. Difatti, proprio in quel momento, la fanciulla
gli rovesciò addosso il calice di vino che teneva tra le mani.
«Per
fortuna ho sposato te.» Soraya lo guardò negli occhi,
ricevendo in cambio un bacio sulla tempia. «Ho scelto e
sceglierò sempre te.»
«Lo
so.»
«A
proposito di matrimoni combinati, sai chi vuole accordare un
fidanzamento tra nostro figlio, non ancora nato, e il primogenito di
Ecbert?»
Ragnar
fece una smorfia di disgusto, mettendosi dritto. «Re Egor»
disse tra i denti.
«Già
si pensa ad un matrimonio tra la nostra prima figlia femmina, quindi
l'erede al trono di Logh, con il primogenito maschio di Ecbert.»
«Nostra
figlia non sposerà mai un uomo di Talamh, chiunque egli sia.»
Ragnar era molto chiaro a riguardo. Odiava i matrimoni combinati e,
in particolare modo, le brame di potere di Egor e del suo erede.
«Non
preoccuparti, nostra figlia si sposerà per amore, ne sono
convinta.»
Ragnar
sorrise, sfiorandole il ventre. «Oppure non si sposerà
affatto.»
«Sei
ancora convinto di poterla rinchiudere in una torre per sempre?»
«No...la
rinchiuderò nelle sue stanze, la torre mi pare troppo drastica
come soluzione.»
I
due risero insieme, beandosi di quel piccolo siparietto familiare
così tranquillo. Si erano ritrovati spesso a pensare al futuro
di quel figlio non ancora nato. Ragnar era totalmente convinto che si
trattasse di una femmina, Soraya sperava solo che fosse sano. Forse
dare alla luce una femmina come primogenita l'avrebbe aiutata a
guadagnarsi la fiducia ed il rispetto dei Lord e delle Lady di Logh,
dandole una spinta in più, come sperava suo padre, ma cercava
di non dare alla questione molta importanza, preferiva concentrarsi
sulla gravidanza e sull'incoronazione ormai alle porte.
Si
lasciò abbracciare da dietro, osservando Erik ridere con altri
uomini. Sentì un nodo alla gola al pensiero di doverlo
lasciare, di doversi separare dall'altra metà della sua anima.
«Come
farete l'uno senza l'altra?» le domandò Ragnar,
interpretando quello sguardo. Ormai aveva compreso il loro rapporto,
quello stretto legame che li univa e li portava a quei comportamenti
a volte male interpretabili.
Soraya
sospirò. «Sopravvivremo, sebbene non riesca ad
immaginare una vita senza lui al mio fianco.»
«Devo
ingelosirmi?»
«No»
rispose Soraya. «Io e lui siamo gemelli, secondo i sacerdoti
siamo due metà della stessa anima mentre tu...tu sei l'altra
parte del mio cuore.» Soraya poggiò la testa contro il
petto del marito, sentendo il suo fiato caldo sfiorarle il viso.
«Nulla potrà mai separare me ed Erik, e poi, abbiamo
giurato sugli dei che moriremo insieme, l'uno tra le braccia
dell'altra.»
Pronunce:
Coineanach
– Coenach, la CH aspirate
an
Tarbh –
an taref
Angolo
Autrice:
ed
eccoci al matrimonio. Egor ha rivelato la sua faccia da cospiratore,
abbiamo appreso che la morte di Seraphi non è stata naturale,
ma intenzionale. Ma chi della famiglia di Talamh ha compiuto il gesto
e, soprattutto, come?
Vedrete
più avanti, già dal prossimo capitolo scopriremo un
piccolo tassello del puzzle.
Al
prossimo capitolo!
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