Under the clouds

di P h o e
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A new nightmare ***
Capitolo 2: *** The lights of destiny ***
Capitolo 3: *** The boy with green eyes ***
Capitolo 4: *** A small village ***
Capitolo 5: *** An unconditional friendship ***
Capitolo 6: *** Stoik the Vast ***
Capitolo 7: *** The girl that nobody knows ***
Capitolo 8: *** Desperateness ***
Capitolo 9: *** The first dragon trainer ***
Capitolo 10: *** Bow and arrows ***
Capitolo 11: *** Toothless ***
Capitolo 12: *** A difficult past ***
Capitolo 13: *** A complicated feeling ***
Capitolo 14: *** The last night ***
Capitolo 15: *** Next to you ***
Capitolo 16: *** This tragic goodbye ***
Capitolo 17: *** For the love of a mother ***
Capitolo 18: *** The last day ***
Capitolo 19: *** A cruel decision ***
Capitolo 20: *** I will fight for you ***
Capitolo 21: *** A new breath ***
Capitolo 22: *** The war is coming ***
Capitolo 23: *** United we stand ***
Capitolo 24: *** Blood and fire ***
Capitolo 25: *** Promises ***



Capitolo 1
*** A new nightmare ***


Under the clouds
Chapter I: A new nightmare.

 






 
Dumbrok
Per tutti un piccolo villaggio affiancato alla quiete del bosco e al rumore straziante delle cornamuse, per gli abitanti un piccolo cofanetto che racchiude secoli e millenni di leggende e storie raccontate attorno ad un fuoco.
I suoi abitanti? Per lo più tranquilli, dediti ai loro quotidiani affari, tradizionalisti come la storia dell'orso Mor'du che staccò di netto la gamba al Re Fergus, tutti al villaggio conoscevano quell'impavido racconto, narrato e tramandato da Merida, la principessa, nonché la figlia del Re.
Essa aveva assistito con i suoi occhi a quel leggendario scontro, dove nessuno ne era uscito vincitore, ma in cambio suo padre ci aveva rimesso la gamba.
L'unica vera vincitrice del racconto era stata Elinor, sua madre.
La Regina si portava dietro le spalle da ormai quattro anni la storia di come era riuscita a liberare lo spirito dal malvagio orso che lo intrappolava.
«...E si narra che se qualcuno trova il fuoco fatuo nel quale lo spirito ora vive in pace, questo ti concederà un desiderio» terminò Merida, abbassando misteriosamente la voce.
I bambini attorno a lei assunsero un'aria curiosa e sorpresa al contempo, formando dei piccoli ovali con le loro minuscole bocche.
Merida sogghignò divertita, d'altronde poteva vantarsene: era realmente l'unica ragazza in grado di raccontare le vicende dell'orso Mor'du e renderle inverosimili a suo piacimento.
I bambini per questo l'adoravano, addirittura alcune volte andavano loro a cercarla per farsi raccontare il seguito o anche solo una piccola aggiunta.
«E tu l'hai mai incontrato?» domandò la piccola Beth, stringendosi al fratello maggiore di soli due anni e al suo inseparabile orsetto di pezza.
Merida si alzò. «No» disse sottovoce, avvicinandosi ai bambini tanto da farli indietreggiare e cadere dai tronchi sui quali erano seduti «Ma se mai dovesse succedere... chiederò a Mor'du di tornare, per fargli assaggiare tutti i vostri piccoli piedini!»
Merida li attaccò e i bambini scapparono in tutte le direzioni, ridendo e divertedosi come succedeva ogni volta, d'altronde lei era fatta così: avrebbe preferito divertirsi tutta la vita che dipendere dalle scelte di un marito.
La principessa si fermò, osservando la posizione del sole e constatando che era mezzogiorno inoltrato già da un pezzo.
«Bene, ragazzi» esclamò salendo su un tronco caduto. «Per oggi mi ritiro nella mia tana, ma domani uscirò per finire di mangiarvi!»
I bambini risero e Merida, seguita dai suoi tre fratellini, prese le redini di Angus, diretta al castello.


Niente era cambiato in quei quattro anni, Merida ricordava tutto ancora molto bene e il castello non aveva assunto modificazioni di alcun genere, Elinor era diventata così paziente con la figlia che nella famiglia regnava la serenità ormai da molti anni.
Niente avrebbe potuto distruggere quel delicato equilibrio.
Merida incitò i fratellini ad andare a tavola, mentre lei passando per la cucina si infilò una mela in bocca. Quello sarebbe stato sufficiente come pranzo, era così impaziente di poter uscire con il suo nuovo arco, regalatole da suo padre, che non sentiva nemmeno la fame.
Quando salì le scale, si accorse della voce di sua madre, agitata ma comunque impeccabile come sempre, alternata con quella di Fergus che parlava di tanto in tanto.
E sbirciando si accorse che nel castello non erano soli.
«Mi scuso per la settimana di anticipo, sarei dovuto arrivare puntuale, ma ero impaziente di conoscere vostra figlia.»
Quello che aveva parlato aveva tutta l'aria di essere un nobile riccone, con la puzza sotto al naso e la pappa pronta, totalmente diverso dall'educazione che aveva assimilato suo padre, nonostante entrambi fossero di nobile sangue.
Suo padre, a confronto, assomigliava molto di più ad un... vichingo.
Nonostante questo però, era molto giovane, non doveva aver nemmeno due anni in più di Merida. Portava una lunga casacca di pelliccia, accostata ad una sottoveste lunga circa fino al ginocchio e abbinata ad un paio di calzoni aderenti. Nessuna armatura o elmo sulla testa.
«Oh, non preoccupatevi...» per un momento Merida scorse gli occhi di sua madre abbassarsi, cosa che non faceva mai. «Il fatto è che non ho ancora avvertito Merida su questa faccenda del mat-»
«Di cosa avresti dovuto avvertirmi, mamma?» domandò appunto il soggetto in questione, facendo quasi rizzare i lunghi capelli di Elinor e sputare il vino che suo padre stava bevendo.
Lo sguardo ceruleo della principessa passò da tutti, anche dall'ospite. E finalmente lo vide in volto, portava degli ordinati capelli biondo cenere tirati indietro, risaltando il naso a punta e le labbra sottili. A Merida non piacque il modo inquietante in cui il suo sorriso si era rivoltato, quando era entrata.
Non le diceva niente di buono.
«Merida» la principessa tornò a guardare sua madre, portava in volto un'espressione mortificata, mentre suo padre la incitava con dei brevi cenni della testa. «Devo parlarti.»


«Cosa?!»
Fu l'unica esclamazione possibile, in tali circostanze.
Elinor sospirò, esausta come mai sembrava esser stata. «Merida, è per il bene del Regno...»
Merida si voltò esterrefatta verso la madre, le sembrava tutto un incubo. La storia si stava ripetendo come un istancabile copione recitato da qualcuno che lassù doveva veramente volergli molto male.
Non poteva credere che sua madre, l'unica che conosceva quanto per lei fosse tragica la decisione di sposarsi, ora non fosse più dalla sua parte.
Non avrebbe mai accettato la mano di un uomo così... così...
«E tu credi davvero che se io mi sposerò con lui, le sue ricchezze saranno realmente in grado di rimettere in piedi un regno?!» urlò, contro tutto il suo buon senso «Non è vero, non è giusto!»
«Merida, cerca di guardare questo villaggio come lo dipinge la realtà e non come lo raccontano le leggende» disse Elinor, con calma. «Non vedi che il cibo scarseggia? Vuoi veramente ridurre alla fame tutti noi per un tuo capriccio?»
Merida sgranò gli occhi quasi grigi per la disperazione, stringendo l'arco tra le mani.
Non aveva mai visto tutto questo sotto una tale luce, quindi sua madre le stava dando dell'egoista? Perché il destino le aveva dunque regalato per tutti questi anni una felicità guadagnata con fatica ed ora gliela strappava di mano come un abile ladro?
Tentò di non ripensare allo sguardo carico di malizia che quell'uomo le aveva rivolto, non poteva accettare di sposarsi, tanto meno con una persona così.
Le passarono davanti agli occhi i fotogrammi di tutte le facce conosciute al villaggio, allegre, spensierate, subito dopo sostituite da volti ossuti, lasciati morire di fame e marciti e i sensi di colpa pervasero.
Per la seconda volta nella sua vita, scappò da quel crudele destino, seguita dalla voce di sua madre.








 

Nota autrice:
Beh, diciamo che è sempre difficile presentarsi su un nuovo fandom.
Anche se...tanto nuovo non è. Mi chiamo Alice, prima di tutto e seguo i Big four da un po' di tempo, ho tutti i DVD qui a casa e sinceramente è stato un po' complicato riuscire a decidere su quali di loro scrivere la fan fiction >//<
Non ho mai letto fan fiction qui, a parte alcune, per via della scuola, ma guardo molti video su di loro e le mie coppie preferite sono la Mericcup e la Hijack.
Ma nemmeno le altre mi dispiacciono :)
Questa è una Mericcup, spero che anche a qualcun altro piaccia, così posso avere anche il vostro parere.
Ps. Ho pubblicato la storia in questa sezione perché i protagonisti sono sia Merida che Hiccup, anche se all'inizio potrebbe sembrare Merida, non lo è. E poi la storia non sarà ambientata a Dumbrok.
Un bacione da Alice!


 
 

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Capitolo 2
*** The lights of destiny ***


Under the clouds
Chapter II: The lights of destiny.







 
 
N el momento stesso in cui Merida si accorse di essersi persa in un bosco che conosceva ormai come le sue tasche, per via delle lacrime che le offuscavano la visuale, si rese conto anche che Angus si stava agitando più del solito.
Nonostante ciò, continuò senza una meta precisa, aggrappandosi disperatamente al possente collo del suo fedele cavallo. 
Le nuvole sembravano essersi ammucchiate e niente avrebbe impedito al cielo di scagliare la sua funesta ira sulla terra di Dumbrok, il vento soffiava così forte che gli alberi erano scossi da tale scompiglio.
Un ultimo singhiozzo uscì dalle labbra di Merida, poco prima che Angus frenasse di colpo, facendole quasi sbattere la testa contro la sua criniera.
La principessa scese immediatamente, sfregando le mani sul suo collo nel tentativo di calmare il purosangue.
«Va tutto bene, Angus...» sussurrò Merida non del tutto convinta di quel che stava dicendo. «V-va tutto bene... c-ci sono qui io...»
I singhiozzi ruppero la sua voce e ben presto si accorse che in realtà nulla andava.
Tutto le sembrava un terribile incubo, ma questa volta senza via di fuga. Avrebbe potuto ripetere l'errore di chiedere aiuto alla magia, ma a che scopo? Per ripetere la storia dell'ultima volta?
Non ci sarebbe stato un finale felice, non questa volta per lo meno. 
Comprese solo in quel momento i sorrisi dei bambini e la sua passione nel raccontare la storia che si era faticosamente trasformata in una favola, che però lei aveva visto molto di più come un racconto di paura.
E il senso di colpa per aver preso tutto così alla leggera, le invase ogni pensiero, offuscandogli la ragione.
Lentamente scivolò a terra, senza curarsi di Angus e si prese il viso tra le mani, piangendo e piangendo come mai prima di allora aveva fatto.
Vuoi veramente ridurre alla fame tutti noi per un tuo capriccio?
La testa sembrò esplodere di fronte alle incontenibili parole di sua madre, mai prima di allora le aveva fatto pesare così una storia sentimentale. Ora la questione non riguardava solo lei, ma l'intera Dumbrok.
Che fare? Sposarsi e vedere gli altri felici sarebbe stato un gesto senz'altro nobile e tutti le avrebbero donato la loro eterna riconoscenza, o vivere nascosta per il resto della propria vita, guardando Dumbrok sbriciolarsi lentamente per mano sua?
Le mani si schiusero come in automatico e dalle dita, scorse il riflesso di qualcosa. Qualcosa di luminoso e blu.
«Un fuoco fatuo.»


I fuochi fatui l'avevano sempre condotta verso il suo destino, ma Merida credeva che in queste circostanze non ci fosse nessun destino, se non quello già tracciato. Nonostante questo, però, era rimasta nuovamente affascinata da quel piccolo bagliore celeste che le stava chiaramente indicando una strada.
Ad ogni suo passo i fuochi fatui si prolungavano fino a scomparire dalla visuale di Merida.
L'avrebbero sicuramente condotta in quella piccola casetta di legno e la storia si sarebbe ripetuta un'ennesima volta.
Ma Merida non era dell'umore per farsi prendere in giro da dei bagliori.
Contro ogni aspettativa, essi scomparvero proprio davanti ad un grande salice piagente, posizionato ai piedi di una notevole parete rocciosa che Merida non aveva mai avuto modo di scalare.
Fissò per qualche secondo l'imponente albero, dopo di che, spostò con una mano un ramo penzolante.
Ciò che si trovò davanti fu un piccolo passaggio attraverso la roccia, immerso nel buio più totale. Angus si tirò istintivamente indietro e Merida strinse il suo inseparabile arco tra le mani.
«Se i fuochi fatui mi hanno condotta qui, ci sarà un motivo» pensò, raccogliendo tutto il coraggio di cui disponeva e facendo un passo avanti.
Angus nitrì contrariato, facendo per tirarle la lunga veste e Merida si fermò, voltandosi verso il suo amico.
«Non preoccuparti Angus, voglio solo darci un'occhiata» lo rassicurò.
Un lungo respiro uscì dalla sua bocca, poco prima di fare quell'unico, irreparabile passo che la portò dentro la grotta.
Accolto il posto con sicurezza, Merida si preparò per il secondo passo, ma questa volta il terreno sotto i suoi piedi scomparve e la principessa scivolò lungo un buio tunnel, senza possibilità di riparare al suo errore.
Continuò la sua discesa per diversi minuti, le sembrò quasi di raggiugere il centro della terra, ma c'era effettivamente troppa umidità e troppo buio perché fosse già a quel punto. Le rocce sottostanti le graffiarono il vestito, strappandole via la stoffa e incidendo graffi e lividi sulla sua pelle.
Merida gridò, senza lasciare il suo arco e sentendo il nitrito di Angus sempre più lontano.
Il buio la confuse e la principessa chiuse gli occhi, poco prima che dei flebili raggi di luce invasero il buio.


Merida rotolò fuori dalla grotta, proprio quando i primi pensieri d'essere spacciata non sembravano poi così tanto assurdi.
Un lamento le uscì dalle labbra, quando nel tentativo di alzarsi, s'accorse che sulla sua caviglia era inciso un graffio abbastanza profondo da farla sanguinare.
Afferrò un bastone nelle vicinanze e lentamente si tirò su, accorgendosi anche che metà dello spallino del vestito e l'intera gonna a partire dal ginocchio, erano stati brutalmente strappati via dalla materia rocciosa tra la quale aveva fatto un bel viaggetto di sola andata.
Il suo primo pensiero fu: «E ora come risalgo?»
Non mise nemmeno in considerazione l'idea di risalirlo a piedi, era evidentemente impossibile, inoltre la sua caviglia non avrebbe fatto altro che intralciare quell'ormai irreparabile salita.
Si guardò attorno, era finita in un ennesimo bosco.
Anche se questo sembrava diverso, completamente differente da quello a cui era abituata a Dumbrok. Gli alberi si presentavano a file disordinate e imprecise, con tronchi di diverso tipo e arbusti che nemmeno lei conosceva, inoltre, se a Dumbrok c'erano alberi e spiazzi di prati verdeggianti, qui l'intero bosco era accompagnato da diversi tipi di roccia, da quelle piccole quanto un pugno a quelle grandi come un orso.
Merida tentò di orientarsi con esse, aggrappandosi al resistente bastone e camminando lentamente, la caviglia le pulsava veramente tanto e il dolore stava diventando insopportabile, probabilmente avrebbe dovuto procurarsi qualcosa, anche strapparsi un pezzo di vestito per fermare la fuoriuscita di sangue, ma il vestito era già in condizioni pietose anche senza che lei ci mettesse su le mani.
Un verso a Merida sconosciuto le fece gelare il sangue delle vene.
Un ringhio, un rantolo, mischiato ad un lamentoso guaito, era quello che le orecchie della principessa avevano udito. In un primo momento aveva pensato ad un orso, ma conosceva bene gli orsi e sicuramente questo... qualcosa era molto più che un semplice orso.
Soprattutto perché quello che uscì dalle rocce, non rappresentava nessun tipo di creatura a Merida conosciuta, bensì un enorme e nero drago, che la notò subito.








 

Nota autrice:
Bene, rieccomi con il secondo capitolo!
Sfortunatamente non è ancora entrato in scena Hiccup, però penso che possiate immaginare chi sia il drago alla fine della storia.
Mi dispiace non aver ricevuto recensioni nello scorso capitolo, ma cercherò di impegnarmi per avere un giudizio c:
Al prossimo capitolo allora!
Un bacione da Alice.

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Capitolo 3
*** The boy with green eyes ***


Under the clouds
Chapter III: The boy with green eyes.





 


Il tempo parve fermarsi in quello stesso istante.
Merida dischiuse lentamente la bocca, poiché in quel momento era tutto ciò che riuscisse a pensare di fare. Né un passo, né un urlo, si sentiva così spaventata che la paura la stava completamente paralizzando.
Aveva sentito diverse storie sui draghi, da bambina, favole dove quelle bestie giravano il ruolo dell'antagonista, storie dove il principe salva la principessa dal drago feroce, ma ormai aveva smesso di credere a quei racconti da un bel po' di tempo.
Ed ora trovarsene davanti uno, in squame ed ossa, era come vedere qualcosa che per tutta la vita non avresti nemmeno immaginato di vedere.
Tuttavia, non era grande e grosso come Merida si era sempre immaginata che fosse un drago, nella sua mente la parola "Drago" andava a braccetto con un mostro di tonnellate e tonnellate a non finire, ali grandi almeno come il suo castello e denti aguzzi come spade affilate.
Naturalmente però, non negava di aver paura.
La creatura spalancò i suoi grossi occhi neri, scrutando incuriosito la principessa.
Merida strinse l'arco, deglutendo e avvertendo il tremolio e l'insicurezza che mai le sue mani avevano conosciuto. In un primo momento pensò di stare ferma, se si fosse comportata come se niente fosse, probabilmente il drago se ne sarebbe andato senza dare troppo peso alla fanciulla, ma quando questo tentò di avvicinarsi, Merida ritirò ogni buon proposito.
Con la mano tremolate alzò l'arco, puntandolo vicino alla zampa del drago. Se non poteva correre, non l'avrebbe mangiata. Afferrò saldamente una freccia, posizionandola accanto all'arco.
Fissò per bene il punto dove avrebbe colpito e inspirò profondamente, nel tentativo di calmare i suoi battiti così acellerati da scuoterle tutto il corpo. Chiuse gli occhi e quando il drago emise l'ultimo rantolo, scoccò la freccia.
Niente.
Non si udì un rumore, un suono proveniente dal drago. Il che fece intendere a Merida di aver procurato alla creatura una morte non troppo dolorosa. 
Quando riaprì gli occhi però vide qualcosa che non avrebbe mai pensato di vedere: La freccia aveva mancato il bersaglio.
La zampa del drago era ancora lì, senza alcuna ferita, senza nemmeno un piccolo graffio e... la freccia conficcata nel terreno.
E quello rappresentava per Merida la sua condanna a morte. 
Il drago capendo le sue intenzioni, guardò prima la freccia a terra e poi la principessa, ruggendo qualcosa di molto poco amichevole nei suoi confronti. Con due balzi raggiunse Merida, la quale cadde all'indietro, urlando e cercando di raggiungere a fatica l'apertura della roccia.
Ma era effettivamente troppo lontana e con la caviglia in quelle condizioni non sarebbe mai riuscita a raggiungerla.
Cercò di indietreggiare come più poteva, con i piedi, ma il drago le era ormai sopra e la principessa riusciva a sentire il suo alito caldo addosso. Come chi vede la luce divina prima di morire.
Dunque era così che doveva finire? Morire per mano di un drago, che fino a poche ore fa non credeva nemmeno che esistesse, in un luogo lontano da casa sua e per di più con la consapevolezza di aver mancato il suo ultimo bersaglio.
Non avrebbe mai dovuto seguire quei fuochi fatui. Perché doveva sempre dare ascolto a quelle maledette luci?
Voltò gli occhi e si ritrovò l'intera bocca del drago sopra la faccia, era la fine.
Chiuse gli occhi e serrò la bocca, il cuore stava tamburellando così forte che probabilmente l'avrebbe uccisa ancora prima che il drago compisse una sola mossa.
Un ultimo respiro e...
«Sdentato!» una voce, umana. Era già morta? «Sdentato, no! Fermati!»
Ma chi diavolo era Sdentato?
Merida aprì lentamente un occhio, tutto il peso del drago era scomparso e la consistenza del suo alito sulla faccia si era dissolta come dal nulla. Aprì anche l'altro, era come se da un momento all'altro fosse tornata a respirare.
Ma non riuscì a muoversi, il cuore stava battendo così forte da bloccare ogni energia, non riuscì nemmeno a relazionare un pensiero, nemmeno la curiosità di quello che stava accadendo intorno sembrava scuoterla.
«Ehi, ehi!» la stessa voce di prima, ora al suo fianco, la stava chiamando, o forse no. «Ehi, stai bene?»
Merida voltò gli occhi e l'unica cosa che riuscì a scorgere furono lentiggini, tante lentiggini e due occhi verdi come gli spiazzi di prato rigoglioso che vedeva ogni giorno nella foresta di Dumbrok.
«I-il drago...» sussurrò Merida, così piano che il ragazzo dovette avvicinarsi per sentire. «I-il drago...»
Il ragazzo si voltò verso la creatura. «Oh sì, Sdentato è...»
Ma non riuscì a terminare la frase, che il drago prese il volo, offeso e indignato.
«...Volato via» terminò lasciando cadere la mano che si era portato dietro la nuca. «Fantastico, grazie tante amico.»
Ritornò a guardare Merida, che nel frattempo si era messa a sedere, senza riuscire però a togliersi quell'espressione spaventata che aveva avuto per tutto il tempo da quando Sdentato l'aveva attaccata. Non riusciva a credere che quel ragazzo avesse fermato la furia di quel drago, fino a pochi attimi prima il suo sguardo rappresentava morte e distruzione, la sola voce di quell'individuo era riuscita a placare un'ira così funesta.
Incredibile.
«Come... come hai fatto a... ?»
«Calmarlo?» il ragazzo sorrise. «Abbiamo stretti rapporti, ma ora pensiamo a te. Da dove vieni?»
Merida aprì la bocca, come per rispondere, ma poi le parole si bloccarono. Cos'avrebbe dovuto dire? Avrebbe dovuto raccontare quello che le era successo ad un completo estraneo? Probabilmente l'avrebbe aiutata a tornare a casa e quel punto, vestito da sposa, bouchet e viaggio di nozze con quel...
No, era fuori discussione.
Si sentì completamente egoista ed evidentemente stava causando problemi a Dumbrok ed anche a questo ragazzo, ma non se la setiva di tornare proprio ora, doveva pur esserci un'altra via d'uscita.
«Da molto lontano» raccontò lentamente per prendere tempo. «Ero diretta verso una mia cara amica, ma durante il viaggio ho incontrato una bufera di neve, il mio cavallo mi ha disarcionata e quindi mi sono persa.»
«E quella?» domandò rivolgendosi alla ferita.
Merida evitò di guardarlo negli occhi, non era così brava a mentire, non lo era mai stata e probabilmente anche un estraneo come lui se ne sarebbe accorto.
«Me la sono fatta cadendo dal mio cavallo» rispose.
Il ragazzo guardò per terra, come se stesse pensando a qualcosa e Merida pregò tutti i suoi antenati che fosse la stessa cosa che stava pensando anche lei in quel momento. «Senti... io abito in un villaggio qui vicino, se vuoi ti posso portare, sarebbe stato più semplice in groppa a Sdentato, ma a quanto pare dovremo farcela a piedi.»
Villaggio. Era questa la parola che Merida voleva sentire, la sua salvezza!
«Ce la fai a camminare?» domandò indicando la caviglia.
A quel punto anche Merida fissò il profondo taglio ancora sanguinante. No, che non ce la faceva. Si guardò attorno in cerca di qualcosa e notò un bastone poco distante da lei.
Si coricò, allungandosi per prenderlo e quando l'afferrò, si fece forza grazie a quello.
Lentamente si tirò su, posizionando tutto il peso del suo corpo sul piede sano, ma si accorse che quello ferito doleva ugualmente. Forse se non ci pensava il dolore sarebbe risultato minore.
Sorrise compiaciuta al ragazzo «visto? Ce l'ho fat-»
Ma si fermò a metà frase, accorgendosi che al ragazzo mancava un piede e la gamba artificiale partiva da metà polpaccio, proprio come suo padre.
Merida sapeva bene che per procurarsi un così profondo segno, probabilmente doveva essersi come minimo gettato tra le fiamme, perché suo padre aveva quasi visto la morte in faccia a causa di Mor'du, uno scontro così fatale pensava di non vederlo più, mentre ora si ritrovava a che fare con qualcuno vicinissimo a creature come i draghi.
«Andiamo?» domandò con meno entusiasmo, abbassando lo sguardo. Fissarlo in quel modo non doveva essere il massimo.
Il ragazzo si alzò, lasciando fare a lei il primo passo.
«Comunque io sono Merida.»
«Hiccup.»








 

Nota autrice:
Ebbene, il terzo capitolo c:
Qui finalmente entra in scena Hiccup e i due si incontrano.
Come si evolveranno le cose? Beh, lo vedrete nel prossimo capitolo.
Un bacione da Alice.








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Capitolo 4
*** A small village ***


Under the clouds
Chapter IV: A small village.









Il cammino verso Berk -il villaggio di Hiccup- fu terribilmente lungo e straziante, nessuno di loro avrebbe mai creduto che potesse distare così tanto.
Soprattutto Hiccup, che in groppa a Sdentato non si accorgeva minimamente della lontananza da casa.
Fortunatamente il ragazzo qualche volta tentava di conversare, ma per Merida era tutto completamente nuovo e molte volte non sapeva cosa rispondere, considerando che Hiccup faceva riferimenti a draghi e vichinghi, così lei si limitava ad annuire e andare avanti.
Da come gliela stava descrivendo, Berk era un luogo fantastico, dove umani e draghi convivevano in armonia.
Gli narrava di come suo padre fosse assolutamente contrario all'entrata di draghi a Berk, anzi, prima che lui incontrasse Sdentato, i draghi venivano messi in gabbia o nel peggiore dei casi uccisi.
«Dunque, se non ho capito male, è per merito tuo se ora draghi e umani convivono» ricapitolò Merida, guardandolo.
Non avrebbe mai creduto che un ragazzo come Hiccup potesse avere tutto questo coraggio, a prima vista le sembrava un ragazzo così timido e chiuso da non fare amicizia con nessuno, una di quelle persone che stanno bene nel loro piccolo angolo personale senza nessuno a disturbarle.
«No, non proprio» rispose, portandosi nuovamente la mano dietro la nuca. «Molte persone mi hanno appoggiato e sostenuto, naturalmente non subito! Ricordo ancora l'espressione di mio padre quando scoprì che avevo un drago come "animale da compagnia
Hiccup guardò verso il cielo, come per ricordare tutti i voli che aveva fatto in groppa a Sdentato, tutta la fatica spesa per ricostruirgli la coda artificiale di cui necessitava per volare. «Ma Sdentato è molto di più di un animale da compagnia, non potrei nemmeno definirlo animale. E' come un fratello.»
«Sembrate molto uniti» Merida sorrise.
«E' così.»
Una folata di vento gelido li travolse, come se da un momento all'altro dovesse arrivare la tempesta di neve mai vistasi in quelle terre.
Merida ebbe l'impulso di stringersi nelle braccia, ma si ricordò in tempo che senza il bastone sarebbe caduta come un sacco di frumento al suolo. 
Hiccup invece non ne sembrò particolarmente scosso, probabilmente grazie all'armatura che indossava il freddo non poteva raggiungere la pelle e Merida lo invidiò: non avrebbe mai creduto che un bosco pressapoco vicino a Dumbrok potesse avere climi così rigidi, nel suo Regno erano almeno sei mesi che la pioggia non cadeva, la siccità aumentava a vista d'occhio e il caldo torrido costringeva i suoi abitanti a vestirsi in modo leggero, qui invece era esattamente l'opposto.
«Ma si gela!» esclamò notando la nuvoletta di vapore che le uscì dalla bocca.
«Beh, con quei vestiti addosso non ti riscalderai di certo, soprattutto a Berk» disse Hiccup. «Appena arriveremo vedrò di procurarti degli abiti più pesanti.»
Merida annuì, avvertendo il freddo penetrarle la pelle sempre più violentemente.
«Eccoci, siamo arrivati» disse Hiccup accarezzando il tronco di un albero abbattuto, come se sopra ci fosse caduto un...drago.


Le case si presentavano a file disordinate e sparse, alcune posizionate più in basso di altre, che invece si ergevano a livelli più elevati, affiancate a piccoli greggi di pecore e corti ponti di legno per agevolare le salite.
Era piccolo, davvero piccolo come villaggio rispetto a Dumbrok, Berk poteva rappresentare solo un quarto del regno di Merida, ma nonostante le ridotte dimensioni, pullulava di persone.
Persone intente nei loro affari, in compagnia di...draghi.
Merida non poteva credere ai suoi occhi, era proprio come Hiccup gliel'aveva descritta: le persone convivevano in armonia con i draghi.
Era incredibile come queste creature si facessero coccolare come cavalli o cani dalle persone.
«Hiccup!» una voce femminile interruppe Merida dal suo filo di pensieri.
Era una ragazza, una ragazza bellissima, forse la più bella che Merida avesse mai visto, che scese dal suo drago con una leggerezza pari a quella di un gatto e si precipitò da Hiccup, abbracciandolo senza esitazione.
Accanto a lei, c'era un altro ragazzo, dalla corporatura abbastanza massiccia e robusta, il suo viso ospitava il ghigno più irritante che Merida avesse mai visto.
«Hiccup, ma dov'eri finito? Abbiamo visto tornare Sdentato senza di te così ci siamo preoccupati...» disse la ragazza bionda sciogliendosi dall'abbraccio.
Fu in quel momento che si accorsero di Merida. E dire che non passava di certo inosservata con tutti quei capelli, pensò subito la principessa, notando le facce allibite dei due ragazzi di cui non conosceva il nome.
Merida stava giusto per presentarsi, quando il ragazzo prese la parola prima di lei.
«Uh, Hiccup ha portato una ragazza al villaggio, scusa ma tu non eri quello che portava i draghi?» domandò con strafottenza. «Se fossi in te, Astrid, ne sarei gelosa.»
Lei gli mollò un pugno sul braccio, facendolo guaire dal dolore. «Non essere idiota» disse, poi avvicinandosi a Merida, le pose la mano «piacere di conoscerti, io sono Astrid, quello stupido lì invece è Moccicoso.»
«Grazie per la presentazione» bofonchiò Moccicoso ancora a terra.
Merida rise: «Piacere mio, io sono Merida.»
Merida si sentì terribilmente a disagio, se c'era una cosa che odiava erano proprio le presentazioni. Quando i pretendenti al trono si erano presentati per il suo matrimonio, quattro anni fa, lei avrebbe preferito di gran lunga sprofondare sotto terra.
Inoltre la bellezza incondizionata di quella ragazza la metteva in soggezione.
«Dove sono Testaditufo, Testabruta e Gambedipesce?» domandò Hiccup cercando con lo sguardo qualcuno.
«Mentre noi siamo rimasti qui, aspettando il tuo ritorno, loro sono andati a cercarti, ma dovrebbero tornare a breve» rispose Astrid.
«E Sdentato?»
«Oh beh, lui è sempre sul tetto di Skaracchio, probabilmente ti stava aspettando» questa volta fu Moccicoso a rispondere.
Merida si accorse solo in quel momento che qualche curioso passante li stava osservando, o più comunemente parlando, stavano osservando lei. Probabilmente Berk era così piccolo come villaggio che una notizia nuova si espande subito. La principessa abbassò lo sguardo, a disagio, con quel vestito strappato e quel graffio sulla caviglia non era esattamente presentabile.
«Se ritornano, ci pensate voi a dirgli che sono qui? Devo parlare con Skaracchio riguardo a Merida» Hiccup sembrava frettoloso.
Merida lo seguì, salutando con un cenno del capo Moccicoso e Astrid, ma prima che potessero allontanarsi, quest'ultima lo chiamò.
«Hiccup» lui si voltò e Merida notò la veloce occhiata che la ragazza gli lanciò. «Possiamo parlare più tardi?»
Hiccup esitò, capendo che probabilmente Astrid voleva sapere da dove proveniva la nuova arrivata, considerando che lei non era solita a fidarsi immediatamente delle persone e alla fine annuì, scomparendo insieme a Merida tra le piccole case di Berk.







 

Nota autrice:
Eccomi di nuovo, ciao a tutti c:
In questo capitolo finalmente Hiccup e Merida arrivano a Berk e conoscono anche Astrid e Moccicoso.
Riuscirà Merida a farsi accettare?
Beh, ci vediamo nel prossimo capitolo.
Un bacione da Alice!




 

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Capitolo 5
*** An unconditional friendship ***


Under the clouds
Chapter V: An unconditional friendship. 





 
La casa di Skaracchio non era un posto particolarmente luminoso, considerando che si contavano due candele posizionate ad intervalli regolari per stanza, tralasciando poi quelle presenti su una scrivania in legno dove Merida notò una quantità abbondante di fogli con sopra disegnati ogni genere e razza possibile di drago, lesse anche qualche nome collegati ad essi come: "Morte sussurrante" o "Gronchio" e poi notò anche gli innumerevoli disegni del drago di Hiccup.
Com'è che si chiamava... Sdentato?
Merida avrebbe voluto fermarsi per curiosare in giro, considerando che i draghi non erano i soli disegni che vedeva, si potevano notare anche i proggetti di armi come asce, cannoni dalla forma insolita e spade di ogni genere, probabilmente questo Skaracchio doveva essere un fabbro o qualcosa del genere.
Ma poi seguì Hiccup, sarebbe stato maleducato da parte sua se si fosse fatta gli affari suoi in casa d'altri.
Inoltre non capiva ancora cosa ci facevano lì, ma preferì rimanere zitta. Dopo l'ultimo incontro con gli amici di Hiccup, Merida non aveva più proferito parola, conosceva quel ragazzo da poco più di qualche ora e adesso stava recando disturbo e fastidio a lui e al villaggio, per cosa poi? 
Per un tuo capriccio, avrebbe detto sua madre.
«Attenta!» esclamò Hiccup fermando l'ascia, appoggiata al muro che le stava finendo addosso senza nemmeno che lei se ne accorgesse.
La rimise a suo posto, probabilmente nessuno la usava da anni, considerando tutta la polvere che alzò.
«Fai attenzione, la bottega di Skaracchio pullula di armi e chiodi di ogni genere» l'avvertì proseguendo.
Merida si accorse solo in quel momento che avevano cambiato stanza. Ora non vedeva più disegni e progetti appesi a muro, bensì strumenti per la lavorazione manuale di armi, evidentemente era lì che trasformavano le bozze in strumenti mortali.
Tra questi però, notò anche degli scudi in legno e perfino delle catapulte.
Il suo sguardo però si fermò su una parte di muro, dov'erano appesi archi in legno. Semplici, senza troppi fronzoli, proprio come piacevano a lei. Si avvicinò rapita e sfiorò l'impugnatura, come se non avesse mai tirato con l'arco.
Il materiale usato a prima vista non sembrava pesante, ma non poteva di certo tastarlo, non era roba sua. Anche se avrebbe volentieri rivoluto l'arco che suo padre gli aveva regalato dopo l'accaduto con l'orso Mor'du, sfortunatamente il drago di Hiccup l'aveva distrutto, perciò addio divertimento.
«Oh, Hic!» una simpatica voce distrasse Merida dalla sua attenta osservazione.
L'individuo che aveva parlato era un uomo abbastanza robusto, ma non con un'altezza esagerata, un dente che fuoriusciva dal labbro inferiore e con una gamba di legno, proprio come suo padre e... con un uncino che partiva dall'avambraccio, probabilmente aveva perso anche la mano.
Tuttavia sembrava abbastanza amichevole, considerando le simpatiche trecce appese ai suoi baffi.
«Ma guarda, hai portato una ragazza! Strano, di solito ti porti dietro solo la bava di Sdentato» disse poi, rigirandosi l'uncino sotto agli occhi.
«Sì, beh, grazie di avermelo ricordato» ribatté Hiccup sarcasticamente.
Merida sogghigò, si respirava dopotutto un bel clima, non c'era la solita tensione che sua madre imponeva nel castello. Qui era così diverso, Merida sentiva di appartenere a questo modo, dove ognuno era libero di girare tranquillamente per i boschi senza la paura di sporcarsi e dopo venire sgridati.
Probabilmente Hiccup viveva una vita completamente diversa dalla sua e Merida non poteva fare altro che invidiarlo.
Skaracchio battè amichevolmente una mano sulla spalla di Hiccup e questo per poco non cadde in avanti. «Allora che ti serve, ragazzo mio?»
«Sì, ecco...» Hiccup si voltò verso Merida. «Si è persa e le serve un posto dove stare.»
Skaracchio alzò un sopracciglio, perplesso. «E tu vuoi che io la ospiti?»
«No, beh... l'idea era che io dormivo qui e lei a casa mia» Hiccup si passò una mano nei capelli, lo faceva spesso, notò Merida.
Skaracchio osservò prima lui e poi Merida, sospirando. La principessa desiderò sprofondare sotto terra per la vergogna, lo sapeva, non avrebbe mai dovuto seguire quei fuochi fatui, non avrebbe mai dovuto accettare la proposta di Hiccup.
Era ovvio che fosse un peso.
La mano si staccò dall'arco che poco prima stava osservando come in automatico e, proprio sul punto di uscire scusandosi, Skaracchio parlò di nuovo: «Sapete, mi piacerebbe davvero aiutarvi, ma non possiedo altri letti se non il mio.» 
«Oh, andiamo! Non ne hai altri?» domandò Hiccup con voce strisciata.
«No» rispose tranquillamente. «Ma credo di poter riuscire a costruirne uno prima di stasera.»
Hiccup e Merida alzarono la testa all'unisono, come se qualche rumore avesse catturato il loro interesse. Hiccup si diede mentalmente dello stupido per non averci pensato, Skaracchio era il migliore in fatto di costruzioni e lavorazioni di armi.
«Oh, no, no!» si affrettò a dire Merida. «Non è necessario, non voglio recare alcun disturbo, anzi me ne vado subit-»
«Non essere sciocca! Dove pensi di andare? Una come te potrebbe venire attaccata da un drago senza nemmeno accorgersene» disse Skaracchio, poi puntando il dito sui vestiti di Merida aggiunse: «E a giudicare da quei graffi, scommetto l'altra gamba che è già successo!»
«Sì, ma io-»
«Niente ma, Hiccup però deve sostituirmi qui alla bottega, ci sono un paio di lavoretti da svolgere» sogghignò vedendo l'espressione contrariata del ragazzo. 
«Oh, andiamo! Non puoi chiudere per oggi? Devo ancora trovare Sdentato e parlare con Astrid.»
Ma Skaracchio era già uscito da quella porta troppo piccola per lui, con l'aria di chi non vuole essere contraddetto. Merida abbassò lo sguardo a terra, aveva creato un gran scompiglio alla vita di Hiccup, quando lui avrebbe probabilmente preferito farsi un giro sul suo drago.
Ripensò di nuovo alle parole di sua madre, l'aveva considerata una persona capricciosa e in quel momento sembrava proprio che fosse così. Erano stati tutti così gentili qui e lei se ne stava bellamente approfittando e come se non bastasse, più lei rimaneva lì, più Dumbrok cadeva nella fame.
Come poteva considerarsi una principessa se non meritava nemmeno quel titolo?
Osservò Hiccup voltato di spalle, cosa avrebbe dovuto fare? Ringraziarlo?
Stava giusto per farlo, quando lui si voltò, alzando le braccia, prima appoggiate lungo i fianchi e lasciandole ricadere.
«D'accordo, vorrà dire che Astrid aspetterà» sospirò. «Ma Sdentato viene prima di tutto!»
E detto ciò uscì dalla bottega, aspettando che Merida lo seguisse.


«Mi dici dove stiamo andando?» domadò per la quarta volta Merida, mentre faticava a camminare con l'aiuto del bastone.
Hiccup non rispose, si trovava a parecchi passi di distanza da lei e continuava a camminare, evitando le persone e passando attraverso le strette vie di quel piccolo villaggio ricoperto di brina.
Erano già diversi minuti che gli domandava dove fossero diretti, ma Hiccup continuava a tacere. O non lo faceva apposta o era così preso dalle ricerche da non sentire nemmeno un cannone sparare.
Merida si guardò attorno, sentendosi il bersaglio di diverse occhiate a causa del suo stato o probabilmente dei suoi capelli, ma cercò comunque di non farci troppo caso, era già abbastanza difficile tenere il passo di Hiccup con la caviglia in quelle condizioni, figurarsi se si distraeva.
Tuttavia Berk era senza dubbio un villaggio piccolo ma solido, come un unico grande clan, indistruttibile. Poteva immaginare che in un posto così ristretto ognuno si conoscesse e come aveva detto prima, una notizia vola e si espande nel giro di pochi minuti. Ma a Merida piacevano le cose semplici, sin da quando era bambina aveva sempre preferito le armi ai gioielli, la natura alle mura e la libertà all'amore.
Non era una persona dal cuore facile, per ora non desiderava sposarsi, né impegnarsi con alcun tipo di ragazzo, come invece sua madre credeva che volesse. Non tutte le principesse sognano il principe azzurro, lei sognava qualcosa di molto meno complesso: La libertà.
E l'avrebbe ottenuta, in qualche modo sarebbe riuscita a salvare il suo regno e ad impedire le nozze.
Finalmente Hiccup si fermò, erano giunti ad una casa dalle notevoli dimensioni, paragonata alle altre, ma comunque semplice e confortevole come si presentavano il resto delle case del villaggio.
Merida era curiosa di vedere l'interno, ma Hiccup non accennava minimamente a muoversi.
«Lo sapevo che ti avrei trovato qui» urlò rivolto verso il tetto, Merida pensò che fosse impazzito, ma poi guardando con più attenzione, vide spuntare dal lato di esso una... coda? «Sdentato, vieni qui!»
Un drago nero come la notte, non sconosciuto agli occhi della principessa, con un balzò scese dal tetto e atterrò proprio davanti ad Hiccup, ad un palmo dal suo naso. Merida cadde all'indietro per lo spavento, stava giusto per urlare ad Hiccup di sposarsi da lì, per paura che lo attaccasse, quando però si ricordò che i draghi da loro erano come animali da compagnia... sì, ma questo non sembrava così amichevole.
I respiri pesanti del drago creavano delle nuvolette di vapore, per via del contrasto col freddo che aleggiava nell'aria.
Gli occhi erano ridotti a due fessure, completamente diversi dallo sguardo che aveva rivolto a lei quando stava per attaccarla, ma comunque sia, molto poco tranquilli. Tuttavia Hiccup non sembrava intenzionato a spostarsi di un millimetro.
«Tu lo sai vero che per colpa tua mi sono dovuto fare un gran pezzo di strada a piedi per arrivare a Berk?» domandò Hiccup, come se il drago potesse rispondergli.
A sorpresa di Merida però, l'animale si voltò dalla parte opposta, come se avesse sentito le parole di Hiccup ed ora ne fosse offeso.
Incredibile.
«Ah, sì?» domandò il ragazzo e quel tono di voce non piacque affatto a Merida, era come se avesse pensato a qualcosa di molto poco intelligente ed ora fosse sul punto di sperimentarlo.
E fu proprio così.
Hiccup saltò in avanti, aggrappandosi alla schiena del drago, come se avesse la forza necessaria per batterlo e Merida si spaventò così tanto pensando a come avrebbe reagito il drago che l'unica cosa che fu in grado di dire o fare fu: «Oh, Dio...»
Ripensò alle unghie di quel rettile che l'avevano quasi infilzata senza nemmeno troppo sforzo, ripensò ai suoi occhi in cui aveva vista riflessa la sua morte, come solo Mor'du le aveva fatto provare e in un lampo di ricordi, vide anche Hiccup in pericolo.
Il drago cominciò a dimenarsi, agitandosi così tanto che la coda fece quasi per colpire Merida, la quale trattenne a stento un urlo, e in un attimo vide Hiccup sotto all'animale.
Stava giusto per pregare che non lo mangiasse lì, davanti ai suoi occhi, quando sentì la risata cristallina di Hiccup riecheggiare nelle sue orecchie. Quale umano sano di mente avrebbe mai riso davanti alla sua morte?
Ma spostandosi leggermente di lato si accorse che il drago lo stava completamente ricoprendo di saliva, leccandolo e facendogli le feste in ogni dove, mentre il ragazzo tentava invano di allontanarlo da sé per via della bava che gli stava cospargendo tutta l'armatura.
«Sdentato no, basta! Sdent-» cercava di dire, ma il drago non sembrava intenzionato a smettere.
Merida si calmò, lasciandosi sfuggire una risata.
Hiccup rotolò all'indietro, alzandosi e pulendosi dalla bava del drago. «Ogni volta è la stessa storia!» brontolò gocciolante.
Sdentato produsse un verso molto simile ad una risata, come se si stesse prendendo gioco di Hiccup.
Merida pensò a quanto affiatamento c'era tra loro due, nella sua vita non aveva mai visto un'animale ed una persona con un rapporto solido anche più dei legami famigliari. Lei e sua madre dopo la storia di Mor'du non avevano mai perso occasione per stare insieme, andare a cavallo tra i boschi di Dumbrok o anche solo per raccontarsi delle loro giornate ideali, ma quello che leggeva negli occhi di Hiccup in quel momento era molto più del rapporto che Merida condivideva con sua madre, era come se dentro ai suoi occhi, mentre osservava il drago, passasse amore fraterno, amore famigliare e amore tra amanti, si vedeva lontano un chilometro che era affezionato a quel drago e non poté fare a meno di pensare cosa sarebbe successo se quella freccia fosse andata a segno.
Sdentato, dopo aver smesso di fare le feste ad Hiccup, parve accorgersi di Merida e in un attimo si mise sulla difensiva, mostrando i denti e ringhiando.
Incredibile come riuscisse a mutare il suo umore in solo pochi secondi.
Merida indietreggiò, forse con Hiccup aveva un rapporto diverso, ma non poteva di certo dire lo stesso con lei.
«Calma Sdentato, calma» Hiccup lo accarezzò sul muso e sul collo, come per calmarlo. «E' ferita, vedi?»
Poi rivolgendosi a Merida disse: «Entra, gira a destra e vai sempre dritto, troverai la mia camera. In un vecchio baule dovrei avere i miei vecchi vestiti, vedi se ti stanno.»
E Merida non se lo fece ripetere due volte.


 



 

Nota autrice:
Prima di tutto ringrazio tutte quelle persone che stanno seguendo, recensendo o anche solo leggendo la mia storia :)
Ecco, qui siamo giunti alla parte dove finalmente rivediamo Sdentato!
Spero che vi sia piaciuto come sempre, aggiornerò presto.
Un bacione da Alice!

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Capitolo 6
*** Stoik the Vast ***


Under the clouds
Chapter VI: Stoik the Vast. 







 
Hiccup si assicurò che Merida fosse dentro casa per lasciar andare la presa su Sdentato.
Da quello che aveva capito tra di loro non correva buon sangue, non conosceva molto bene Merida, anzi si poteva tranquillamente dire che non la conosceva affatto, ma in compenso conosceva Sdentato e sapeva che il drago non attaccava mai senza un motivo preciso, probabilmente la ragazza doveva avergli fatto un torto.
Evidentemente Merida non aveva mai visto un drago, il che fece salire un sacco di domande ad Hiccup che avrebbe fatto meglio a trovarne risposta se voleva accontentare Astrid, ma se doveva essere sincero lui ne sapeva meno di lei.
Non poteva di certo andare da Merida e sommergerla di domande solo per la sicurezza di Berk, infondo era solo una ragazza e dallo stato in cui l'aveva trovata la sua storia sembrava molto più che sincera. Non aveva l'aria di essere una vichinga, quindi poteva escludere tranquillamente che fosse di quelle parti, ma se così fosse allora da dove veniva?
Poi il pensiero di suo padre lo rassicurò non poco: Il suo vecchio era un uomo abbastanza rude, come minimo appena sarebbe entrato in casa e avrebbe visto Merida, a quella povera ragazza non sarebbe bastata la migliore delle scuse per dileguarsi.
Suo padre avrebbe avuto le risposte che cercava e con un po' di fortuna Merida sarebbe riuscita a raggiungere la sua cara amica.
Nel frattempo però lui aveva del lavoro da svolgere e Skaracchio non era certamente la persona più paziente che Hiccup conosceva.
«Bene amico mio, io ora devo andare da Skaracchio» Hiccup strofinò le mani a conca sul muso di Sdentato e lui sembrò rilassarsi. «Non combinare guai mentre non ci sono, chiaro?»
In tutta risposta, il drago emise un grugnito poco convincente. Ma ormai Merida era in casa e Hiccup era abbastanza sicuro che non sarebbe uscita a curiosare senza la sua guida, aggiungendo poi il fatto che era ferita alla caviglia, il che le impediva grandi movimenti.
Si allontanò da Sdentato dopo qualche minuto di coccole e cominciò ad inoltrarsi fra le strette vie di Berk, affacciate a piccole case in legno di ogni genere e dimensione.
Non poté non pensare ad Astrid e a quello che aveva da dirgli. Merida non sembrava essere entrata a Berk con grandi festeggiamenti, soprattutto Sdentato non le aveva di certo dato il benvenuto, ma conosceva anche Astrid e sapeva che lei era l'ultima persona che si sarebbe fidata di un nuovo arrivato, non era mai stata molto dedita alle nuove conoscenze.
«Hic!» qualcuno lo chiamò dall'altro lato della casa che aveva appena superato, una voce famigliare.
«Astrid» rispose lui tornando indietro con l'aria sollevata. Non si aspettava di incontrarla, pensava che la loro discussione sarebbe stata rimandata a quella sera o addirittura a domani, forse aveva ancora qualche minuto.
«Sei libero?» domandò subito lei, senza troppi giri di parole. «Possiamo parlare?»
«Ho qualche minuto, poi devo correre da Skaracchio.»
Lei sorrise «Basteranno.»


Quando Merida varcò la soglia di casa, la prima cosa che le saltò negli occhi furono le piccole e strette porte in pietra, affiancate alle mura di legno e alle piccole candele appese a muro ad intervalli regolari, come nella bottega di Skaracchio.
La luce fioca le ricordava vagamente quella del suo castello ed anche le porte come il camino in pietra attaccato alla parete destra di quello che doveva probabilmente essere l'angolo studio o lettura.
Hiccup dopotutto aveva l'aria di una persona intelligente, non parlava molto e quando lo faceva si esprimeva in modo timido e abbastanza insicuro, infilandosi le mani tra i capelli ed Elinor aveva sempre detto che una persona silenziosa era una persona assorta nelle sue riflessioni. Hiccup rappresentava totalmente quella descrizione.
Merida si fermò ad osservare alcune stanze, tra quelle ne notò una con un letto così grande da farci entrare tranquillamente suo padre, e capì che quella non poteva di sicuro essere la stanza di Hiccup, considerando poi che non vedeva alcun baule.
Passò avanti ed alla fine la trovò, o per lo meno sperò che fosse quella. Non era particolarmente grande, non a quel tipo di grandezza a cui era abituata lei, ma sicuramente molto confortevole, le travi in legno sorreggevano il soffitto e al centro si apriva un grande camino per ora spento.
Poi notò un singolo letto, semplice in legno ed il baule ai suoi piedi.
Lo aprì e dentro vi ci trovò una lunga casacca verde in orbace divisa da una cintura che somigliava molto di più ad un pezzo di stoffa inserita lì a caso di colore giallo e per finire una lunga pelliccia marrone evidentemente consumata dagli anni.
Merida indossò tutto e trovò la casacca insieme alla pelliccia un abbinamento estremamente comodo e confortevole per il freddo con cui erano costretti a convivere gli abitanti di Berk. Evidentemente però, Hiccup doveva essere stato molto minuto, considerando che quei vestiti le entravano per un pelo e ringraziò tutti i suoi antenati che le braghe fossero elastiche.
Si osservò dall'alto verso il basso e poi l'occhio cadde sul suo amato vestito, appoggiato al letto di Hiccup, era strano: Prima di allora non aveva indossato altro che gonne o vestiti che sua madre le imponeva, infilarsi per la prima volta un paio di pantaloni la faceva sentire fuori posto, come se quella dentro a quel mucchio di stoffe non fosse lei. Rise al pensiero che se l'avesse vista sua madre, come minimo le avrebbe tolto di dosso tutto a costo di farla congelare dal freddo.
I pantaloni lasciali indossare agli uomini, diceva.
Ma quella frase le suonò così lontana che Merida non poté fare altro che lasciarsi cadere sul letto e ripensare a cosa diamine ne stava facendo della sua vita. Sarebbe dovuta essere là, nel suo castello, a sposare una persona con cui non aveva nemmeno parlato.
Ed invece stava addirittura ingannando delle altre persone con questa assurda storia dell'essersi persa.
Non meritava l'aiuto di nessuno, ma ancora non se la sentiva di tornare a Dumbrok. Sapeva che se fosse tornata nel suo castello e avesse sposato quell'uomo, non avrebbe avuto la forza nemmeno per dire quel fatidico "sì."
Era spregevole e codardo da parte sua, ma non riusciva nemmeno a pensarci senza che la nausea la buttasse giù.
«Hic?» una voce possente trapassò le pareti in legno della casa, non era la voce di Skaracchio.
Merida si alzò dal letto agitata e cominciò ad incamminarsi verso l'entrata, non sarebbe stata una gran sorpresa e doveva ricordarsi di far presente ad Hiccup che non era un granché ritrovarsi gente estranea nella propria casa, visto che poteva solo immaginare che quello che era appena entrato era il padre di Hiccup.
«Hiccup?» il grosso uomo all'entrata si portò le mani sui fianchi e sbuffò. «Quel ragazzo non c'è mai.»
Merida raggiunse l'entrata e in un attimo, come era finito, il silenzio piombò di nuovo tra le mura. La principessa contemplò la figura davanti a sé: Le ricordava vagamente suo padre in quanto a stazza fisica e altezza, entrambi sembravano delle montagne pronte a ridurre in cenere anche la più imponente delle montagne. Con una lunga barba che contraddistingueva l'uomo che aveva di fronte dal suo vecchio.
Gli occhi erano incredibilmente chiari, anche più di quelli di Hiccup, sembrava che dietro ad essi si celasse il paradiso e le trasmettevano quel senso di sollievo provato solo poche volte nella sua vita.
L'uomo si raddrizzò con la schiena e sbatté più volte le palpebre. 
«Strano, l'ultima volta ricordavo mio figlio più alto, con una caviglia artificiale e soprattutto senza tutti quei capelli rossi e ricci» disse in tutta calma.
Merida sorrise, sembrava amichevole «Posso spiegarle tutto.»


Astrid abbassò lo sguardo a terra, segno che stava pensando a qualcosa. 
«Dunque non sai da dove viene» concluse guardando Hiccup, speranzosa di una risposta alternativa.
«No, per ora so solo che non è una vichinga, o quanto meno posso immaginarlo» rispose lui alzando la testa verso il cielo cristallino, oggi non prometteva nulla di male. «E da quello che ho capito, non ha mai visto un drago prima di adesso.»
«Capisco.»
Hiccup spostò lo sguardo su Astrid, sembrava tutto fuoché convinta delle risposte date, ma infondo poteva capirla: Non le aveva fatto un gran resoconto della faccenda e la sua preoccupazione riusciva a raggiungerlo anche senza che lei parlasse.
Tutto ciò che sapeva di Merida, il fatto che il suo cavallo l'avesse disarcionata e che inizialmente fosse diretta da una sua cara amica, gliel'aveva raccontato anche se si rendeva conto che non era un granché.
Ripose di nuovo la sua fiducia nel padre affinché potesse assicurarsi che non fosse una bugiarda e che avesse raccontato a tutti la storia che a lui aveva raccontato. Ma vedendo l'espressione sul volto di Astrid capì che nemmeno lei sarebbe rimasta con le mani in mano, per lei la felicità di Berk e della gente che ci abitava era tutto, era il suo piccolo mondo ed Hiccup sapeva che avrebbe lottato con i denti e con le unghie per difenderlo.
«E dove dormirà?» domandò con schiettezza.
Hiccup quasi si strozzò con l'aria che inspirò in quel momento. Ecco la domanda che non si aspettava arrivasse.
«C-che vuol dire dove dormirà?» la sua voce lasciava trasparire tanto di quel nervosismo che Astrid si spaventò della risposta che Hiccup avrebbe potuto darle.
«Be', è semplice: Dorme da te, da Skaracchio, nel fienile con Sdentato...?»
«M-ma perché questa domanda inutile?»
«Hiccup.»
Hiccup si rilassò, guardandola negli occhi. Non poteva credere che Astrid le avesse posto una domanda del genere, sapeva dove voleva andare a parare e in tutta sincerità Hiccup si sorprese così tanto della domanda posta che gli venne quasi da ridere. Amava Astrid, lei è stata il suo primo ed unico amore, anni addietro era sempre rimasto in disparte a guardarla brillare, quando finalmente lui aveva avuto la possibilità di farsi notare da lei, per Hiccup fu come raggiungere il traguardo prestabilito.
Grazie all'aiuto di Sdentato era riuscito anche a conquistarla, erano ormai quattro anni che stavano assieme, ma per Hiccup ogni giorno era come il primo. E davanti a lui si prospettava un futuro con lei al suo fianco, nessun'altra.
«Dormirà da me» rispose semplicemente Hiccup, aspettandosi che Astrid volgesse lo sguardo altrove per non dare a vedere il fastidio nei suoi occhi.
E fu proprio così, ma Hiccup le prese la mano ancor prima che la sua contorta testa bionda potesse anche solo pensare al peggio e la strinse, sorridendole.
«Astrid, non penserai... Non lo farei mai, voglio dire, stiamo insieme da quattro anni, sarebbe strano solo pensarlo.»
Astrid lo guardò esterrefatta. Hiccup non era il tipo da confessioni, poche volte si scambiavano parole dolci o segni troppo smielati e molte volte aveva sentito Stoik dire al figlio di darsi una mossa, ma a lei Hiccup andava bene così com'era.
Non aveva mai preteso un amore dolce o con inutili moine da commedia, ma il gesto di Hiccup in quel momento la sorprese a tal punto che dimenticò tutti i pensieri cattivi. Si stava solo facendo delle paranoie assurde, che poi magari Merida era anche impegnata con qualcun'altro.
«Scusami, è davvero assurdo» rise, stringendo a sé la mano di Hiccup.
Per un momento si dimenticò di essere la persona dura che era di solito, quella che prendeva a pugni anche il suo povero ragazzo e si appoggiò alla spalla di Hiccup, chiudendo gli occhi e inspirando profondamente l'aria che quel clima offriva loro.
Poi però Hiccup si alzò con una tale fretta che Astrid rischiò di cadere per terra come un sacco di patate.
«Ma cos- HICCUP!» urlò rialzandosi.
«Mi dispiace, sono in ritardo, Skaracchio mi ammazzerà!» si giustificò, allontanandosi.
«Ti ammazzerò io se non torni qui subito!» continuò raggiungendolo a grandi falcate, mentre lui si fermava speranzoso che non se la prendesse con la sua povera spalla ormai torturata di pugni.
Astrid pensò proprio di fargliela pagare per averla spalmata a terra come della fresca mostarda di noci, ma poi le tornarono in mente le sue parole, il suo tono impacciato e in difficoltà le ammonì ogni buon proposito di suonargliele. Non poteva resistere alla tenerezza di Hiccup, non quando faceva così.
Così infilò il dito nella collottola dell'armatura e lo tirò a sé, baciandolo.
Gli trasmise tutto l'amore che a parole non era in grado di dichiarare ed Hiccup ricambiò.
«Credo che per oggi sia sufficiente» disse lui con un mezzo sorriso, staccandosi. «Però dovremmo parlare più spesso.»
Astrid rise, guardandolo allontanarsi.





 



 

Note autrice:
Ciao a tutti, sto aggiornando e creando one shot alla velocità della luce.
Mi sento una formichina lavoratrice xD
Va beh, spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, qui c'è u po' di Hiccstrid, ma non preoccupatevi che fra poco arriverà anche scene Mericcuppose *^*
Al prossimo capitolo quindi, un bacione da Alice!











 

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Capitolo 7
*** The girl that nobody knows ***


Under the clouds
Chapter VII: The girl that nobody knows. 







 
Merida riconobbe che il padre di Hiccup non era come a prima vista si era immaginata che fosse.
Tutt'altro, poteva apparire un uomo burbero e irascibile e a dirla tutta Merida non ci teneva a farlo arrabbiare, aveva tutta l'aria di uno che sarebbe stato pronto a sbriciolarti senza nemmeno il minimo sforzo, ma poi conoscendolo si era dovuta ricredere: si era mostrato gentile.
La principessa aveva divagato molto sulla storia che aveva raccontato al figlio stesso, non era mai stata brava a mentire e se in qualche modo Stoik -così si chiamava- se ne fosse accorto, per lei sarebbe stata la fine.
In compenso avevano parlato della sua permanenza lì e Merida aveva anche scoperto che Stoik era il capo villaggio, dettaglio di cui Hiccup si era dimenticato. Le aveva garantito tutto il tempo a lei necessario per rimettersi in sesto con la caviglia e Merida aveva accettato di buon grado.
Ma la principessa avrebbe preferito evitare brutte sorprese, così gli aveva raccontato che Skaracchio stava già costruendo un letto da inserire in casa e si era sentita così invadente, che non aveva potuto far altro che abbassare la testa imbarazzata dinanzi al silenzio dell'uomo.
Ma poi Stoik, contro ogni aspettativa, era scoppiato a ridere e l'aveva rassicurata assicurandole che non ci sarebbero stati problemi, ognuno era il benvenuto a Berk.
«Sai, i tuoi occhi mi ricordano tanto quelli di qualcuno... ma non riesco proprio a ricordare chi» bisbigliò Stoik tornando serio e guardando verso l'alto come per cercare di ricordare un dettaglio importante.
Merida si agitò. Scozzesi e vichinghi non erano mai andati d'amore e d'accordo, inoltre conosceva tutte le storie che suo padre le raccontava fin da quando era bambina e non poche volte aveva dovuto scontrarsi con dei guerrieri come quelli di Berk.
Probabilmente Stoik aveva combattuto contro suo padre, o più semplicemente le loro strade si erano incrociate e la questione non era stata solo un ricordo da seppellire per il capo villaggio di Berk.
Merida deglutì al pensiero di cosa sarebbe successo se avessero scoperto la sua vera identità, tentò invano di scacciare via quell'orribile pensiero.
«Dove vivi Merida?» domandò l'uomo tenendo le mani sulle ginocchia, il letto sul quale erano seduti sprofondava verso il suo lato.
«In una casetta, al confine col bosco, a nord» s'inventò su due piedi Merida, senza tralasciare nessun tremolio nella voce a causa della bugia appena raccontata.
«Oh!»
«Già» convenne Merida serrando le labbra fino a farle diventare una linea sottilissima.
Stoik si passò una mano dietro al collo, nello stesso identico modo di Hiccup e a Merida questo piccolo dettaglio non sfuggì, poiché la fece sorridere. «Mi dispiace, Hiccup potrebbe riportarti a casa, ma non possiamo entrare in territorio scozzese, potrebbe essere pericoloso.»
«Non si preoccupi, me ne andrò appena la caviglia starà meglio, avrò solo bisogno di un cavallo.» 
«Quello posso procurartelo!» esclamò Stoik.
Merida continuò a sorridere, ma in cuor suo desiderò piangere. Cos'avrebbe fatto una volta che la sua caviglia si sarebbe rimessa? Dove sarebbe andata a vivere? Tornare a Dumbrok sarebbe stato come gettarsi tra le fiamme e morire bruciata, una morte lenta e dolorosa che sua madre definiva più comunemente come "matrimonio". Ma non poteva nemmeno approfittare della generosità di Stoik e di tutto il villaggio, considerando che se avessero saputo che lei era la principessa, l'avrebbero legata ad un palo e lasciata bruciare o morire di fame.
Oltre al danno, c'era anche la bugia che pareva stesse portando avanti con orgoglio, che cos'era diventata?
Cos'avrebbe dovuto fare? Vivere come aveva appena descritto, in una casetta nel bosco, lontano da matrimoni e vichinghi per il resto della sua vita, sapendo di contare solo su se stessa?
Merida si sarebbe volentieri gettata da un burrone in quel momento, purché i suoi pensieri tacessero una volta per tutte.
Stoik si alzò dal letto facendo riemergere Merida dal suo mondo e liberando il letto dal suo massiccio peso.
«Si è fatto tardi e mio figlio non è ancora tornato» brontolò guardando la porta.
«Oh, no, no! Skaracchio aveva bisogno dell'aiuto di Hiccup per costruirmi un letto...» si affrettò a dire Merida, lasciando che la sua voce si perdesse con la fine della frase. Se n'era completamente dimenticata, avrebbe dovuto dirlo subito!
A quel punto Stoik sembrò rilassarsi. «Oh bene, in questo caso allora...» Merida seguì con lo sguardo la direzione che gli occhi del capo villaggio avevano preso e guardò fuori dalla finestra. Si era già fatto buio e lei non se n'era nemmeno accorta, a quest'ora probabilmente Skaracchio doveva aver già finito. «Sarà meglio riunirci per la cena, Skaracchio ed Hiccup ci raggiungeranno là.»
E Merida lo seguì, in effetti aveva un certo languorino.


Merida si guardò attorno, perdendosi nelle alte colonne di quel grande salone dove la gente di Berk si riuniva per ogni pasto. Si trattava di uno spazio al chiuso, illuminato solo dalla luce fioca delle candele e dalla luce lunare, ad intervalli regolari si ergevano alte e fiere delle colonne che sostenevano il tetto di quell'imponente struttura, mentre i tavoli erano posizionati al centro in grande numero.
Molti di questi erano già occupati, effettivamente Merida non aveva idea di che ora fosse o da quanto tempo era lì, ma a giudicare dall'oscurità della notte e dall'intensità della luna, ad occhio e croce doveva essere già sera inoltrata.
Stoik si sedette al tavolo con gente adulta, tutti uomini dalle muscolose braccia e segnati dalla guerra. 
Ma Merida preferì non intrufolarsi in un tavolo del genere, non si sarebbe sentita a suo agio, forse però avrebbe trovato Hiccup oppure qualcuno che aveva conosciuto quel giorno.
«Ehi, rossa!» urlò qualcuno, probabilmente riferito a lei. Quella voce e quel tono non risultarono estranei alle orecchie di Merida.
Ed infatti era proprio Moccicoso, il quale le stava facendo segno di unirsi al loro tavolo. Fra le persone conosciute, la principessa riconobbe il ragazzo che l'aveva chiamata ed Astrid, il resto del gruppo le era estraneo.
Merida alzò gli occhi al cielo, cercando di ignorare il modo in cui Moccicoso si era rivolto a lei e avanzò verso la tavolata.
Procedendo si accorse di un ragazzo dalla corporatura massiccia, le ricordava vagamente il giovane McGuffin, quel timido ragazzo che anni addietro si era presentato per la sua mano. Una ragazza dai lunghi capelli biondi, raccolti in due incomprensibili trecce ed un ragazzo molto simile a quest'ultima, probabilmente dovevano essere fratelli, o addirittura gemelli. Non sembravano molto amichevoli.
«Moccicoso non fare l'idiota, si chiama Merida!» lo riprese Astrid, una volta che la principessa raggiunse il tavolo.
Tra tutti quelli presenti al tavolo avrebbe preferito sedersi accanto ad Hiccup, poiché era l'unico che riusciva a non metterla in agitazione, ma visto che doveva ancora arrivare, optò per il giovane sosia di McGuffin.
«Scusa Astrid, ma i suoi capelli fanno più luce di una candela!» continuò Moccicoso, spingendo Merida a fissare solo il suo piatto.
In un altro momento avrebbe risposto a tono a quell'arrogante, ma non era ancora riuscita bene ad integrarsi e incitare una litigata era l'ultimo modo per piacere alle persone. Inoltre confidava nel fatto che fosse proprio Astrid a suonargliele.
«Ignoralo, è così da quando è nato» disse ad un tratto il ragazzo alla sua destra. 
Merida lo osservò, era proprio identico al giovane McGuffin, chissà se quei erano legati da una sottospecie di parentela. I suoi piccoli occhi infossati esprimevano alla principessa conforto, forse non erano fatti tutti come quell'idiota di Moccicoso.
«C-comunque piacere!» esclamò alzando la voce un po' troppo. Beh, almeno lui faceva dei discorsi sensati. «Io sono Gambedipesce»
«E loro sono Testaditufo e Testabruta» concluse Astrid indicando i due fratelli, i quali dedicarono a Merida un sorriso abbastanza grottesco che le fece accapponare la pelle. Di certo Hiccup non aveva amici comuni.
In compenso però ne aveva, Merida non aveva mai avuto tempo per degli amici. Una principessa non ha amici, le aveva sempre ripetuto sua madre prima dello spiacevole accaduto della trasformazione. Continuava a ricordarle che per mirare alla perfezione è necessario sgombrare la mente da tutti i pensieri e dedicarsi completamente a se stessi e Merida dopotutto non aveva mai cercato di farsene, l'unico amico che aveva sempre avuto accanto era Angus che, chissà dove si trovava in quel momento, come stava.
E vedendo come tutti scherzavano e ridevano tra di loro, la principessa si accorse di aver perso molti anni della sua vita per cercare di diventare qualcuno che in realtà non desiderava, di aver perso l'occasione di poter ridere in quel modo con qualcuno a te caro accanto.
Che cos'era l'amicizia, dopotutto? Lei poteva veramente conoscerne il significato?
«Qualcuno sa dov'è Hiccup?» domandò Astrid interrompendo la riflessione di Merida.
«Sono qui!» esclamò una voce alle loro spalle, mentre il rumore di un vassoio in legno irruppe tra le risate nel tavolo. «Scusate il ritardo, Skaracchio se l'è presa comoda.»
Hiccup si sedette accanto a Moccicoso, di fronte ad Astrid e Merida sentì il morale sollevarsi di almeno un metro: l'arrivo del ragazzo poteva significare soltanto che Skaracchio aveva terminato in tempo e la principessa non avrebbe più avuto da temere di dormire tra l'erba.
Inoltre era sollevata del fatto che Hiccup fosse riuscito a mangiare, si sarebbe sentita in colpa se fosse accaduto il contrario per colpa sua.
«Allora, dimmi Hiccup, intendi tenertele tutte e due o ne lasci qualcuna anche al tuo vecchio amico Moccicoso?» domandò il ragazzo seduto accanto ad Hiccup, passandogli un braccio attorno al collo.
Hiccup fissò prima Moccicoso e poi il suo piatto. «Hai ragione, non ho molta fame: tieni» constatò porgendo una coscia di pollo all'amico.
«Ma che cosa hai capito!» gridò l'altro restituendogliela. «Io parlavo della rossa e della bionda!»
«Di cosa?»
«Intendo... se ti sei stufato di Astrid puoi sempre cederla a-»
Moccicoso non ebbe nemmeno il tempo di terminare la frase che Astrid lo fece ribaltare dal tavolo con un pugno ben assestato sul viso, che non doveva essere esattamente la sensazione più piacevole al mondo, considerando che il soggetto colpito si rotolò a terra rantolando dal dolore, mentre Testaditufo se la rideva a crepapelle ed Hiccup continuava a mangiare tranquillo, probabilmente era abituato alle reazioni della fidanzata.
A parte i commenti di Moccicoso, aleggiava un bel clima, Merida sentiva di poter tornare a respirare.
«Un giorno di questi lo do in pasto a Tempestosa» sibilò Astrid tornando al suo posto e guardando Merida aggiunse: «Allora! Parlaci un pò di te, che fai di solito?»
Bingo! Hiccup osservò di sottecchi la sua ragazza, era chiaro come il sole che tentasse di scoprire qualcosa su Merida, ma evidentemente lei non se ne sarebbe mai accorta, non conosceva appieno Astrid da poter capire i suoi trucchetti.
Merida passò lo sguardo su tutti, forse qualcosa di lei avrebbe anche potuto raccontarlo: «So tirare con l'arco»
In quel momento Hiccup alzò lo sguardo, Gambedipesce si voltò verso di lei e Testabruta sorrise nello stesso modo grottesco di prima. Sembrava che nessuno di loro avesse mai sentito parlare di un arciere o comunque sia di qualcuno che tira con l'arco.
«Ma è fantastico!» esclamò Astrid battendo le mani. «Qui a Berk pochi sanno usare quegli affari e quei pochi non sono nemmeno così bravi, noi vichinghi ci specializziamo soprattutto sul combattimento corpo a corpo, un giorno di questi vorrei proprio vedere come fai, pensi di potermelo mostrare?»
Merida sorrise: «Sicuro, dovete solo... procurarmi un arco e delle frecce.»
«D'accordo!»


Stoik osservò il tavolo dove suo figlio era seduto. Non aveva fatto altro che osservare la nuova arrivata per capire chi fosse e soprattutto chi gli ricordasse, aveva un qualcosa di famigliare e di lontano che l'uomo non riusciva a ricordare con esattezza.
Se non si fosse trattato di una ragazza della stessa età di suo figlio, non l'avrebbe fatta entrare con tutta quella facilità nel villaggio, né soprattutto in casa sua, ma considerando la caviglia e lo stato in cui era arrivata...
«Cos'è che ti preoccupa?» domandò una voce molto famigliare alle spalle di Stoik. «E' tutta la sera che non parli»
Stoik continuò ad osservare quel tavolo, senza voltarsi verso Skaracchio, lui era sempre il primo ad accorgersi del suo stato. «Quella ragazza, chi è? Voglio dire... da dove viene? Sappiamo qualcosa di lei che non sia il nome?»
«Be', effettivamente è piombata qui dal nulla... ma penso si tratti solo di una coincidenza» osservò Skaracchio alzando le spalle. «Dopotutto è stato Hiccup a trovarla, non il contrario.»
«Tu dici?» nemmeno Stoik sembrava convinto delle parole dell'amico, eppure in altri momenti Skaracchio era sempre riuscito ad incoraggiarlo, non riusciva a comprendere per quale strana ragione quella ragazza gli ricordasse incredibilmente qualcuno che il suo cervello si rifiutasse di ricordare.
«Coraggio Stoik!» esclamò poderosamente Skaracchio stringendo la spalla dell'amico, in segno di conforto. «Cosa può mai fare una ragazzina del genere?»
«Non lo so, Skaracchio, non lo so.»








 

 
Nota autrice:
Benee, contro ogni aspettativa sono riuscita ad aggiornare!
Con questo capitolo vi auguro buon inizio scuola, anche se per questo motivo io ho la depressione addosso =w=
Va be', aggiornerò presto!
Un bacione da Alice.

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Capitolo 8
*** Desperateness ***


Under the clouds
Chapter VIII: Desperateness.







 
I tavoli cominciarono a liberarsi dopo parecchie ore dall'inizio della cena di Merida.
La principessa non riusciva a comprendere come facessero alcuni di quei vichinghi ad abbuffarsi dalle due alle tre ore, continuando senza sosta e finendo ogni razzia di cibo, quando lei aveva smesso di toccare la forchetta già da più di un'ora. Non che le dispiacesse mangiare, anzi, se gli avessero infilato sotto al naso una fumante crostata di mele se la sarebbe divorata tutta senza lasciarne nemmeno una fetta agli altri, ma considerando che tutto ciò che Merida vedeva da due ore era carne e... carne, poteva anche dire addio al suo delizioso dessert che stava assaporando solo con il pensiero.
In compenso però, era stata una bella serata. 
Gli amici di Hiccup erano delle persone particolari e abbastanza strane, per non dire grottesche, ma Merida era riuscita a ridere e scherzare come ormai non faceva più da tempo. Al castello era divertente fino a quando ti accorgi di essere sola, sola in una famiglia con tre fratelli più piccoli di te di almeno quattordic'anni.
Qui era tutto così diverso che la principessa, durante la serata, si era persa molte volte a pensare su come fosse avere degli amici, per lei era un'esperienza così nuova che probabilmente se qualcuno glielo avesse chiesto, lei non sarebbe riuscita ad esprimersi a dovere.
Mentre ad Hiccup risultava tutto così naturale, ignorare i commenti di Moccicoso, sorridere spontaneamente ad Astrid e non essere troppo invadente. Merida non avrebbe mai pensato ad Hiccup come una persona invadente, di tutto il gruppo era stato il ragazzo più silenzioso.
Gambedipesce, invece, si era dimostrato un ragazzo d'oro. Aveva parlato molto con lui, non sarebbe mai riuscita a conversare apertamente con tutti quanti, ma con quel ragazzo ci era riuscita.
Ed il fatto che sentisse addosso tutta la pressione del disagio di trovarsi in mezzo a persone a lei sconosciute, era già abbastanza sconvolgente senza che Moccicoso se ne uscisse con le solite battute, le quali venivano prontamente zittite da Astrid.
Ma non poteva dire di non essersi rilassata.
Quando però, Merida vide Stoik alzarsi dalla tavolata e salutare con una stretta possente l'amico Skaracchio, l'energia che si stava posciugando tutta su quel tavolo sembrò ritornare all'istante.
Era abbastanza stanca, lo era già da prima di sedersi a quel tavolo, inoltre la caviglia aveva perso diverso sangue e il tutto non aveva fatto altro che prosciugarla. Sentiva veramente di poter dormire per due giorni consecutivi.
Hiccup salutò tutti alzandosi con uno sbuffo di stanchezza ed Astrid gli diede la buona notte con un bacio sulla guancia. Merida non poté fare a meno di sorridere dietro l'indomabile cascata rossa dei suoi capelli, sembravano felici e la principessa si era sempre chiesta come fosse essere innamorati, non aveva la più pallida idea di come ci si sentisse. Molti associavano questo stato d'animo alle "farfalle nello stomaco" ma Merida non ne aveva mai capito il significato, non le era mai interessato più di tanto.
Eppure Hiccup ed Astrid erano una coppia così particolare che lei non poté fare a meno di incuriosirsene.
«Allora, andiamo?» domandò Stoik raggiungendo il figlio, il quale con passo strisciato si apprestò a raggiungere le porte per uscire.


Il silenzio risuonava tra il vento gelido, attraverso le foglie e per fino tra quelle buie vie di Berk.
Hiccup cercava di reggersi in piedi e di tenere gli occhi aperti. Era completamente sfinito dal lavoro svolto oggi, non che facesse fatica a lavorare delle armi, ormai erano più di dieci anni che lo faceva, però Skaracchio aveva insistito per portare il letto di Merida a casa sua e la sua schiena ne risentiva ancora.
L'avevano sistemato in una piccola stanza dove Hiccup solitamente lavorava ai suoi progetti per Sdentato, la camera era rifornita solo di un piccolo camino e della scrivania in legno dove ancora erano appese le sue bozze.
Non era particolarmente calda, soprattutto perché era da molto che non vi ci entrava, spesso lavorava ai suoi progetti da Skaracchio, ma sarebbe bastato accendere quel piccolo camino per riscaldarla.
«Dunque è vero che tu e Astrid state insieme» esordì Merida.
Quell'affermazione -o qualsiasi cosa fosse- lo ridestò da ogni pensiero, la sua voce lasciava trapelare una punta di malizia. Come se non bastassero già di per sé le battutine spiritose di Moccicoso, ora doveva mettercisi pure lei con quel tono.
«Non sapevo tirassi con l'arco, non me l'hai detto» Hiccup tentò di sviare il discorso, nonostante tutto con molta disinvoltura.
«Ah-ah! Non cambiar argomento!» esclamò lei.
Hiccup sorrise, voltandosi nella sua direzione. Aveva le mani dietro alla schiena e camminava spensieratamente, in un palese tentativo di farlo parlare di qualcosa di cui non avrebbe parlato nemmeno in perfetta forma, figurarsi in quel momento.
Non amava parlare di relazioni sentimentali, non gli era mai piaciuto e con Astrid cercava sempre di ridurre al minimo le frasi dolci o le dichiarazioni, era più probabile che arrivasse il caldo tropicale a Berk che un'inaspettata dichiarazione da parte di Hiccup.
«Sì, stiamo insieme» rispose sempre sorridendo davanti all'incredibile curiosità di Merida. «Da un po'.»
«Ho capito» ricambiò il sorriso, erano rari i momenti in cui Hiccup riusciva a vederle il viso, di solito era sempre coperto da quella sovrabbondanza di riccioli rossi.
Merida rimase un minuto in silenzio, procedendo sempre attraverso le buie vie di quel piccolo villaggio. Stoik era avanti di parecchi passi, probabilmente né lei né Hiccup riuscivano a velocizzare più di così il passo, per via della stanchezza.
«Dev'essere bello, no?» domandò tutto ad un tratto, dopo aver ascoltato il respiro dei draghi che aleggiava intorno a Berk.
«Che cosa?»
«Innamorarsi» disse cristallina. «Sembrate così felici.»
Merida ripensò al sorriso di Astrid e le tornò in mente l'accaduto di qualche anno prima nel suo regno, cosa sarebbe successo se non avesse opposto resistenza e si fosse lasciata sposare da qualcuno che non amava? 
Da qualcuno che non avrebbe mai guardato nel modo in cui Hiccup ed Astrid si guardavano? Sarebbe stato orribile e sebbene tutt'ora non desiderasse innamorarsi come qualsiasi altra principessa che si rispetti, la curiosità non poteva essere frenata.
Infondo lei non ne sapeva nulla.
«Immagino di sì...» mormorò Hiccup assorto nei suoi pensieri.
Non poteva credere che quella ragazza non si fosse mai innamorata in vita sua, lui era innamorato di Astrid già da quattro anni e pochi mesi.
Non si era mai interessato più di tanto a questo argomento, l'unico suo pensiero era vivere serenamente insieme a Sdentato, Astrid e suo padre a Berk, come ne aveva sempre avuto memoria.
«Comunque sì» concluse con tono solenne.
«Sì cosa?» domandò Hiccup perplesso.
«Sì, so tirare con l'arco» e detto ciò entrò in casa, lasciando Hiccup basito per non essersi accorto che erano già arrivati.
Il ragazzo guardò in alto, sul tetto e vide una coda nera che si mischiava con il colore scuro della notte a penzoloni e sorrise. Sdentato era già nel mondo dei sogni ad ingozzarsi di pesce e rotolarsi nell'erba draga tutto il giorno.
«Buona notte Merida» sussurrò aprendo la porta che quest'ultima si era chiusa alle spalle senza aspettarlo. «Sogni d'oro Sdentato.»


Il re Fergus strisciò a fatica le pesati porte del castello, portandosi dietro la tempesta che ormai infuriava inarrestabile sui tetti di Dumbrok.
Una folata di vento irruppe nella stanza, facendo entrare foglie rinsecchite e piccoli ramoscelli del bosco.
«Fergus!» la regina Elinor, rimasta ad attendere fino a quel momento, si alzò dalla poltrona ricamata accanto alla finestra e raggiunse il marito, mezzo inzuppato d'acqua. «Fergus, l'avete trovata?»
Il re rispose con un breve e profondo segno del capo, mai fino ad allora Elinor l'aveva visto così preoccupato, riusciva a scorgere la stanchezza nei suoi occhi e la rassegnazione.
La regina scoppiò a piangere, cercando di non farsi vedere e abbracciando il marito.
«Dove può... dove può essere, ormai è già notte inoltrata» singhiozzò immersa nella lunga casacca di Fergus.
«Io... non lo so, Elinor, ma ti prometto che-»
«Re, regina!» una terza voce irruppe nella sala.
Elinor si staccò da Fergus e asciugandosi le lacrime, cercò di darsi un po' di contegno -nonostante il dolore- e Fergus guardò il ragazzo come per attendere la fatidica domanda che da oggi tormentava tutti.
«La principessa... l'avete trovata?» domandò.
«No, i miei uomini hanno controllato ovunque, ogni traccia è andata perduta a causa della pioggia.» 
«Capisco.» Norman sembrò dispiaciuto quasi come il re e la regina, probabilmente ci teneva a Merida. «Sentite, c'è tutto il tempo, potrei cotrollare anch'io, i miei uomini sono dei ricercatori eccezionali, se voi me ne lascerete l'opportunità.»
Il re e la regina si guardarono, entrambi leggevano riflessi negli occhi dell'altro nient'altro che preoccupazione e stanchezza, Fergus sarebbe andato in capo al mondo per sua figlia e per questo si sarebbe messo nelle mani di colui che sarebbe diventato il prossimo re di Dumbrok, anche a costo di superare il confine ed entrare in territorio nemico.
Elinor non avrebbe potuto fare altro che ringraziare quel giovane tanto disponibile che avrebbe avuto la loro eterna riconoscenza se fosse riuscito a trovare Merida.
«Quando cominciamo?» domandò Fergus con una nuova luce negli occhi.
Norman sorrise «Domani.»








 


Nota autrice:
Eccomi! Scusate il ritardo, purtroppo sono impegnata con mille cose anche la domenica e devo scrivere un pezzo di capitolo al giorno.
Beh, spero che vi piaccia anche questo capitolo c:
Un bacio e al prossimo capitolo!
Alice.

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Capitolo 9
*** The first dragon trainer ***


Under the clouds
Chapter IX: The first dragon trainer.








 
Flebili raggi di luce dorata irruppero nella piccola e fredda stanza di Merida.
L'aria che circondava il piccolo spazio debolmente abitato sapeva di legno e di clima promettente neve, quella che Merida vedeva raramente nel suo regno.
La principessa si rigirò nelle coperte, rannicchiandosi il più possibile in posizione fetale a causa del freddo che non aveva tardato ad insinuarsi per fino sotto le pesanti lenzuola di cui il suo letto era stato rifornito.
Non ricordava comunque di aver mai dormito così tanto e soprattutto così bene, sin da quando ne aveva memoria, sua madre l'aveva sempre educata ad alzarsi presto con un sorriso stampato in faccia e Merida si era sempre domandata come avesse fatto ad alzarsi con il sorriso se questo le veniva tolto nel momento stesso in cui veniva svegliata all'alba per provare alcuni versi di poesie ormai studiate a memoria o anche solo per ripassare le buone maniere.
Non poteva di certo dire di essere stata inserita in un letto comodo, considerando che tutto ciò che la divideva dal legno duro e freddo era un sottile strato di lana, però almeno avrebbe potuto dormire fino a tarda ora, senza l'ansia che qualcuno venisse a svegliarla per chinarle la testa sui libri.
Immerse la testa nel cuscino e fece per voltarsi dalla parte opposta, scoprendo sfortunatamente che non vi era nulla oltre al limite che aveva appena superato. Così cadde rovinosamente al suolo, spalmandosi a terra come burro di noci.
«Ohi, ohi» brontolò mettendosi a sedere e rabbrividendo al contatto gelido della sua pelle contro il suolo in legno. «E dire che stavo dormendo così bene...»
La principessa guardò la piccola finestra di cui la stanza era fornita, a giudicare dalla luce fuori doveva già essere mattina inoltrata, o forse anche ora di pranzo. Ma dopo la sera precedente, Merida giurò che non avrebbe più guardato di nuovo un pezzo di carne e a dire la verità non aveva poi così tanta fame.
Si affrettò quindi a vestirsi con gli stessi abiti che Hiccup le aveva prestato il giorno prima ed uscì.
L'aria fredda non mancò a riempirle i vestiti e ad infreddolirla, se non altro però la pelliccia copriva sicuramente di più del vecchio vestito ormai rotto e strappato dai rovi della galleria nella quale era caduta.
Gli stivali erano incredibilmente comodi e confortevoli, Merida non ricordava di aver mai camminato con così tanta disinvoltura nella sua vita. Le scarpe che doveva indossare una principessa -o che sua madre le imponeva di infilare- avevano la suola maledettamente scomoda e rigida e la pianta del piede di Merida veniva soffocata così tanto dal piccolo spazio presente all'interno, che la principessa doveva spesso immergere i piedi nell'acqua gelida per non sentire le vesciche pulsare così ardentemente.
Si guardò attorno entusiasta: Abitanti e draghi convivevano e condividevano insieme le loro giornate, come faceva lei con Angus. Qui era tutto così strano e libero che Merida non riuscì a contenersi. Con l'aiuto del suo bastone, nonostante il dolore si fosse leggermente affievolito, cominciò a girovagare per Berk senza una guida come quella di Stoik o Hiccup.
L'unico rumore presente nell'aria era il respiro pesante dei draghi e di tanto in tanto si faceva sentire anche qualche verso.
Continuando ad avanzare, Merida notò che nel cielo volteggiavano così tanti draghi che si domandò come avesse fatto a non notarli prima. Ne scorse almeno dieci differenti tipi di cui non conosceva né nome, né appartenenza, ma in compenso i colori che si alternavano in quell'infinita distesa blu che era il cielo.
Ogni vichingo guidava il proprio drago in una sintonia che Merida non avrebbe trovato nemmeno nel complicato intreccio dell'arazzo presente nel castello. Ogni coppia sembrava susseguirsi a vicenda come il delicato ciclo delle stagioni, non avrebbe saputo descrivere tale meraviglia se qualcuno glielo avesse chiesto.
Nonostante l'altezza, notò un enorme e maestoso drago celeste dalle particolari alternanze gialle sulla coda e sulle ali. Sopra di esso Merida riconobbe la complicata treccia di Astrid, seguita poi dalla sua stessa persona.
Il modo in cui si destreggiava con il suo drago esprimeva poesia.
Tra questi notò anche Moccicoso, con un inconfondibile drago rosso, dalle dimensioni mastodontiche che, comandato dal ragazzo, continuava a prendere quota e a salire sempre più nel cielo, come se volesse toccare con la mano le nuvole.
Il grosso drago continuava imperterrito la sua salita, cominciando a rallentare a causa della gravità e della posizione verticale difficile da gestire.
«Sono in cima al mondo!» urlò Moccicoso da quell'altezza, nonostante tutto Merida sentiva crescere dentro di sé la paura che cadesse. «Guardatemi!»
Dalle bianche e candide nuvole, poi, comparve la figura funesta e buia di un drago più piccolo rispetto a quello di Moccicoso, il quale venne superato di quota grazie ad un solo battito d'ali che lo portò a livelli elevatissimi nel cielo, al di sopra delle nuvole, come se questo mirasse al sole.
Merida non avrebbe potuto confonderlo nemmeno ad occhi chiusi, considerando che il giorno prima se l'era trovato a pochi centimetri dal suo viso, pronto a divorarsela in un boccone, o almeno così le era sembrato.
Il drago continuò a salire nel cielo, alternando il battito d'ali a qualche giravolta così rapida che Merida non riuscì nemmeno a scorgere Hiccup.
Tra tutti quelli presenti, Hiccup e Sdentato erano gli unici a prendere così tanta quota e padroneggiarla come se il cielo appartenesse a loro. Pareva quasi che conoscessero a memoria la posizione del vento ed ogni raffica veniva usata a loro favore.
Merida non si sbagliò sul loro rapporto, avrebbe potuto riconoscerlo anche dal modo in cui entrambi si rincorrevano nel volo ed ognuno gestisse l'altro, in modo da trovare l'equilibrio perfetto che fin ora non aveva visto né in Astrid né in Moccicoso.
Dopo svariate giravolte e qualche finta caduta, Sdentato si mosse in maniera più lenta e dolce. Erano abbastanza in alto da scambiare Moccicoso ed Astrid per delle formiche.
Merida non riuscì a vedere appieno ciò che accadeva in groppa al drago nero, ed il cuore le saltò in gola quando vide Hiccup scivolare via da Sdentato e precipitare da una quota probabilmente mai raggiunta nel cielo.
«Oh, Dio!» urlò portandosi entrambe le mani alla bocca e attirando l'attenzione di qualche passante che parevano prendere la cosa alla leggera, come se niente stesse accadendo.
Lo vide precipitare sempre più giù, con la testa rivolta verso Berk e le gambe all'aria, seguito da Sdentato e, senza attendere oltre, Merida si catapultò a cercare aiuto.
Non avrebbe avuto la forza di vederlo spalmato sulla terra, anzi no, ridotto in cenere dalla caduta. Avvertì i battiti sempre più irregolari per la paura che fosse troppo tardi e pregò tutti i suoi antenati che, quanto meno, precipitasse in acqua.
«Skaracchio!» gridò gettandosi sul bancone in legno e rovesciando qualche arma che sostava lì sopra. «Skaracchio, Hiccup è... Hiccup sta...»
«Oh, piano!» esclamò l'altro, approfittando del fiatone che si era trascinata dietro Merida. «Respira, parla e cerca di non rovesciarmi la bottega, la sto giusto risistemando.»
Merida ingoiò un abbondante quantità di saliva e infine parlò: «Hiccup è caduto!»
«Sì, Stoik se l'è lasciato scivolare di mano quando era ancora in fasce, credo sia per questo motivo che è così.»
«No, no, non hai capito!» gridò sporgendosi di più per farsi sentire, mentre il fabbro continuava a lucidare le sue amate armi e a riporre quelle vecchie e rotte in una cesta. «Hiccup è caduto da Sdentato, ora!»
«Impossibile» affermò convinto, continuando il suo lavoro ed ignorando il tono disperato di Merida. «Hiccup e quel lucertolone sono una cosa sola, quel ragazzo non cadrebbe nemmeno con un masso avvolto al busto.»
La principessa si passò una mano sulla fronte esasperata, cosa doveva fare per ottenere qualche attenzione? Era impressionante il modo in cui Skaracchio stava liquidando così in fretta la faccenda.
«Ti dico che è così, l'ho appena visto precipitare da Sdentato e po-»
Skaracchio sbuffò, poggiando l'arma sul bancone e serrando una mano attorno alla spalla di Merida. «Senti, Hiccup è stato il primo a cavalcare un drago. Lo conosco e so che non cadrebbe mai da Sdentato, chiaro?»
Merida abbassò lo sguardo dinanzi alla figura possente del fabbro e cercò di celare la sua preoccupazione, ma ancora sentiva la sensazione che qualcosa fosse andato storto.
Skaracchio le porse una cesta contenente delle armi vecchie e abbastanza rotte. 
«Ora, fammi la cortesia di gettarli, devo fare spazio a quelle nuove.»
Merida guardò il pesante cesto davanti a sé e quasi non urlò in faccia a Skaracchio per la poca fiducia che aveva avuto nei suoi confronti. E se avesse avuto ragione? Se Hiccup fosse davvero precipitato? Skaracchio non se ne sarebbe dimenticato facilmente.
Ma decise di non protestare, dopotutto Merida non sapeva cosa fosse successo realmente, magari quella caduta faceva parte del suo... numero.
Non appena si voltò per portare via la cesta, andò a sbattere contro qualcuno e tutte le armi finirono rovinosamente a terra, insieme alla principessa.
«Merida!» esclamò Hiccup portando la principessa ad alzare lo sguardo allibita, se si fosse trattato di qualcun'altro non avrebbe esitato a prendersela, ma in quel momento doveva ancora realizzare che lui fosse proprio davati a lei e non... nel cielo, a precipitare.
Lo vide chinarsi e raccogliere tutte le armi finite a terra, l'elmo sotto braccio e l'espressione concentrata su quello che stava facendo.
«M-ma... ma...» fu l'unica cosa che uscì dalle labbra della principessa. «Ma io ti ho visto... sì, insomma, cadere.»
A quel punto anche lui alzò lo sguardo e la fissò perplesso. «Cosa?»
«Tu... io ti ho visto cadere da Sdentato e avevo pensato...» la fine della frase si perse in un lieve sussurro che Hiccup sentì appena.
Non sapeva bene cosa le fosse preso, da sempre non si era mai tirata indietro di fronte a quel genere di situazioni, aveva sempre reagito nel migliore dei modi. Ma da quando era bambina, la sua mente era torturata da un pensiero costante e fisso come un chiodo: La paura di vedere qualcuno andarsene e non poter far nulla a proposito.
Ricordava ancora bene l'accaduto con Mor'du, ancora quando era poco più di una bambina. Era stata trascinata via da sua madre e portata in salvo, mentre suo padre combatteva contro quella bestia infernale.
E quel pensiero, quello che si formò nel momento in cui vide suo padre in condizioni pietose con metà gamba, non lo dimenticò mai.
Non le erano capitate molte occasioni come quella, con sua madre era riuscita in parte a salvarla, a fare qualcosa, mentre ora il problema si era ripresentato con Hiccup. Non riusciva a pensare di stare a guardare mentre qualcuno mette in pericolo la propria vita, era proprio un'etica che non avrebbe mai abbandonato.
«Tu pensavi che mi fossi buttato da Sdentato?» nonostante tutto Hiccup pronunciò quella domanda con un inclinazione divertita nel tono di voce e Merida diventò di tutti i colori perché si sentì punta sul vivo.
Stava deridendo la sua paura, lo stava facendo gratuitamente.
«Io le avevo detto di non preoccuparsi» s'intromise Skaracchio, appoggiato al bancone.
«E va bene, scusatemi se mi sono preoccupata di una persona che si getta da un'altezza nella quale potrebbe schiantarsi al suolo al primo errore!» esclamò gesticolando in tutte le direzioni e facendo rimbalzare boccoli ovunque, l'imbarazzo era il peggior modo per farla infuriare. «La prossima volta non succederà più, messaggio ricevuto!»
E detto ciò, Merida si alzò e reggendosi con il solito bastone in legno, si diresse di nuovo verso il luogo dal quale era uscita quella mattina. Aveva bisogno di sbollire l'imbarazzo e la rabbia, ma l'imbarazzo prima di tutto.
Skaracchio ed Hiccup la guardarono allontanarsi, Skaracchio con la tipica espressione da sapientone ed Hiccup rimase perplesso con ancora la cesta tra le mani.
«Ma cosa ho detto di male?» domandò girandosi verso il fidato fabbro.
Lui in tutta risposta alzò le spalle e le sopracciglia «Donne! O le capisci o non le capisci e parlando francamente... tu non le capisci.»
«Oh, grazie... questo sì che aiuta!» esclamò di rimando, in tono sarcastico.
Il vichingo abbassò lo sguardo verso la cesta, dentro vi erano armi sparse a caso e sovrapposte, alcune rotte altre sul punto di farlo. Poi notò un vecchio arco non ancora del tutto inagibile.
Lo prese e appoggiò la cesta al bancone.
«Sarà meglio che vada» disse Hiccup, correggendosi non appena vide l'espressione di Skaracchio. «A chiarire, intendo!»
«Sì, bravo, vai» lo incitò ironicamente, guardandolo allontanarsi. «Che tanto qui sono sempre e solo io a lavorare.»






 


Nota autrice:
Ehilà! Allora prima di tutto ringrazio le persone che stanno recensendo, seguendo o anche solo leggendo la mia storia, rispetto ai primi capitoli sono felice che ci sia più gente a cui piace la Mericcup, visto che io adoro questa coppia :)
Poi... beh, ora ci sono i famosi risvolti, eh eh!
Scusate se ho reso Merida permalosa, ma io un po' la vedo così, poi visto che negli scorsi capitoli l'ho resa molto chiusa che non parlava molto... beh, ho voluto riaccenderla!
Spero come sempre che vi piaccia e... al prossimo capitolo!
Alice.

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Capitolo 10
*** Bow and arrows ***


Under the clouds
Chapter X: Bow and arrows.








 
Hiccup percorse velocemente tutte le strette vie di Berk, senza risentire della sua gamba artificiale, ormai ne era abituato.
La convinzione che Merida fosse già arrivata a casa era ormai un chiodo fisso. Non aveva idea di cosa avesse potuto dire per offenderla così tanto, però in qualche modo avrebbe dovuto chiarire.
Non gli erano mai piaciuti i litigi, se poteva si teneva alla larga o li evitava. Molte volte era rimasto zitto dinanzi alle ormai lontane prese in giro dei suoi coetanei, specie quelle di Moccicoso, le quali molte volte venivano ignorate anche tutt'ora. Solo con suo padre, per la faccenda di Sdentato, non aveva potuto trattenersi.
Sdentato era tutto ciò che Hiccup considerava una famiglia, era il suo migliore amico, la sua casa e avrebbe lottato anche in fin di vita per lui.
Ma in quel momento Sdentato non c'entrava, la questione riguardava Merida.
Per quanto gli riguardava avrebbe anche potuto rimettersi il suo amato elmo e tornare al suo volo quotidiano, ma voleva capire perché avesse reagito in quel modo e soprattutto per quale motivo quella ragazza gli risultasse così estranea.
Non poteva di certo dire di conoscerla alla perfezione, però Hiccup più passava il tempo più la sentiva lontana, come se al posto di conoscerla, la vedesse allontanarsi.
La vide camminare proprio in direzione della sua dimora, faticando a reggersi in piedi con il bastone e facendo a tentoni dei piccoli passi, per poi concludere con un'immancabile caduta in stile principesco.
Hiccup si lasciò scappare un sorriso vedendola a terra, nel tentativo di rialzarsi e imprecare sul fatto che non ci riuscisse, mentre i riccioli si spostavano in tutte le direzioni perché le finivano sul viso.
Con calma si avvicinò e lei smise di provare ad alzarsi, guardandolo così storto che per un momento Hiccup pensò che se le avesse dato l'arco, probabilmente le avrebbe impiantato una freccia nella testa. Tuttavia le allungò la mano e lei corrugò ancora di più la fronte, facendo comparire sul suo candido viso una smorfia da bambina.
Tutto ciò fece intendere al vichingo che non avrebbe accettato alcun aiuto, infatti si voltò proprio dall'altra parte e continuò a provare, con scarsi risultati.
«Ti ho portato questo» disse allora Hiccup, con tono incerto, estraendo l'arco da dietro la schiena.
L'attenzione di Merida venne completamente catturata da quell'amata arma, che tanto le era mancata in questi giorni in cui non aveva scoccato nemmeno mezza freccia, ma non poteva accettarlo, non in quel momento. Guardò prima l'oggetto e poi Hiccup.
«E quindi?» domandò come se non avesse mai detto di averlo usato.
«Non ti piaceva tirare con l'arco?» tentò di nuovo, non era mai stato bravo a parole, gli costava un grande sforzo condurre in quel modo la conversazione. 
Merida mantenne la stessa espressione, non gliela avrebbe data vinta, se c'era una cosa che non sopportava era quando le persone deridevano le sue paure, perché lei combatteva ogni giorno per reprimerle, senza successo e demoralizzandosi per questo.
«Non più» rispose fredda.
A quel punto Hiccup lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, tutta la determinazione di poco fa era sparita. «Ho detto qualcosa di male?» domandò piano.
Merida a quel punto rilassò il viso e lo fissò, perdendosi nel tentativo di contare tutte le lentiggini che ospitavano le sue guance.
La principessa, vedendo la sua espressione, dedusse che probabilmente lui non doveva averlo fatto di proposito o comunque con cattive intenzioni, per quanto poco lo conoscesse, non riusciva a pensarlo come una cattiva persona, tutt'altro.
Forse la preoccupazione l'aveva stressata, forse avrebbe dovuto fin dall'inizio lasciar perdere come le aveva consigliato Skaracchio. Ma non ce l'aveva proprio fatta, la paura e la preoccupazione erano la sua rovina: riuscivano a controllarla alla prima occasione, alle volte però era lei a controllarla, ma solo quando poteva fare qualcosa per eliminarla. Nel caso di qualche minuto fa non avrebbe potuto controllarla, poiché non avrebbe potuto fare nulla per Hiccup, nel caso fosse caduto.
Quindi Merida si lasciò scappare un lungo sospiro di resa, era difficile per lei tenere il broncio a lungo.
«No, è che...» sussurrò piano, cercando di nascondere tutto il suo disagio «...Mi ero solo preoccupata e l'ansia deve avermi innervosito, mi dispiace.»
Hiccup rimase per qualche secondo fermo, per poi inchinarsi alla sua altezza e porgerle l'arco non esattamente nuovo di zecca, ma ancora agibile.
Infondo nessuno poteva definirsi colpevole di quello spiacevole equivoco, Merida si era semplicemente spaventata.
«Credo, credo che nessuno debba scusarsi» sussurrò piano Hiccup, e facendo poi nascere un confortevole sorriso disse: «Però se mi mostri come funziona questo aggeggio, posso perdonarti.»
Merida abbozzò a sua volta un sorriso enigmatico, facendo sparire ogni traccia di imbarazzo che quella questione le aveva provocato e, con lo stesso tono autoritario di Hiccup rispose: «Io devo farmi perdonare?»
Senza nemmeno dare al vichingo la possibilità di rispondere, si resse alla sua spalla, alzandosi e raggiungendo con il suo inseparabile bastone il muro della casa per trovare appoggio. Per quanto sforzasse quella caviglia, sentiva che giorno dopo giorno stava migliorando, quel dolore non poteva essere nemmeno paragonato a quello che aveva subito provato dopo la caduta.
E tutta la storia dell'arco sembrava averle dato la carica per scoccare quell'inarrestabile freccia che pensava non avrebbe più toccato.
Hiccup la raggiunse, mentre lei lasciava cadere a terra il bastone e afferrava saldamente l'arco tra le mani. Era molto diverso da quello che si era fatto fuori Sdentato, ovvero il suo vecchio e amato arco, l'impugnatura era instabile, come se da un momento all'altro si rompesse e la corda non la convinceva molto. Ma tutto questo, tutta l'ebbrezza di sentire il legno tra le sue mani e la freccia di fianco al viso, le erano mancati come l'aria, non avrebbe rinunciato nemmeno se le fosse stato dato un arco per bambini.
«Coraggio, scegli un bersaglio» disse Merida, posizionando la freccia all'interno del ventre dell'arco.
Hiccup la guardò spaesato, come se non avesse capito. «Io?» domandò puntandosi.
«E chi se no?» ribatté lei.
Il vichingo si guardò attorno. Probabilmente se si fossero trovati nel bosco, un bersaglio adatto l'avrebbe trovato sicuramente, ma al villaggio era difficile ed inoltre c'era anche il rischio di fare del male a qualcuno.
Si guardò attorno lentamente, cercando un bersaglio distante dagli altri e alla fine, guardando verso l'alto scorse tra il povero fogliame che abitava sugli alberi di Berk, una foglia quasi sul punto di cadere e la indicò col dito.
«La foglia, laggiù»
Hiccup si aspettò che Merida ribattesse sul fatto di aver scelto un bersaglio troppo difficile o comunque troppo lontano, considerando che si trovava ad almeno venti passi di distanza da loro. Ma la ragazza si limitò a tirare indietro la freccia, così indietro che il vichingo temette che la corda si spezzasse.
La coda di essa arrivò quasi a toccare il viso tondo della principessa, la quale prese con attenta cura la mira e respirò profondamente, come per scacciare ogni pensiero e lasciare spazio solo al bersaglio.
Era sempre stato così: Merida aveva l'abitudine di rilassarsi per visualizzare il bersaglio davanti ai suoi occhi ed avere maggiori probabilità di colpirlo.
Hiccup la osservò finché non lasciò andare la freccia. La concentrazione, l'impegno che leggeva sul suo volto gli ricordava parecchio il suo, anni addietro, quando combatteva per riuscire a guadagnarsi anche solo un piccolo volo con Sdentato.
In qualche modo, Hiccup riuscì a trovare qualcosa che li accomunava.
La freccia scivolò lungo l'impugnatura e fu come vivere una scena a rallentatore: Hiccup ne scorse ogni movimento, la precisione con cui raggiungeva il bersaglio prestabilito era quasi irreale.
Il vichingo sentì Merida respirare di nuovo una frazione di secondo prima che la freccia trapassasse il centro della foglia e la trascinasse con sé, fino a conficcarsi nel tronco dell'albero successivo.
Dopo attimi interminabili di silenzio, Merida si appoggiò al muro, voltando la testa verso Hiccup e sorridendo dinanzi alla sua espressione esterrefatta.
Quasi le scappò una risata, quando anche lui si voltò verso di lei.
«Sorpreso?» domandò calcando sul fatto che probabilmente la sottovalutasse.
«E' stato incredibile!» esclamò piano, senza riuscire ad alzare più di così la voce. «Come hai fatto?»
In tutta la sua vita Hiccup non aveva mai visto nessuno con una tale precisione e concentrazione. Lui poteva di certo considerarsi una persona lavorativa e instancabile, ma Merida possedeva un'attenzione pari a quella di un'animale all'erta. 
Merida alzò le spalle, continuando a sorridere compiaciuta. «Esperienza» disse semplicemente.
«Posso provare?» domandò quasi di getto il vichingo, cogliendola per la prima volta di sorpresa.
La principessa rimase per un attimo zitta, per poi riprendersi subito: «Certo... l'arco è tuo, quindi...»
Gli porse l'arco, cercando di posizionarsi in modo da lasciare lo spazio necessario ad Hiccup per tirare. Non aveva l'aria di qualcuno esperto in questo campo, anzi, solo dal modo in cui lo vide impugnare l'arma sorrise di fronte a tanta goffaggine.
Le braccia gli tremavano e le mani posizionavano la freccia nel ventre in modo insicuro, tanta instabilità non avrebbe portato ad un lancio proficuo.
Tirò indietro la freccia, senza raggiungere nemmeno il gomito destro e poco prima di scoccare la freccia si rivolse a Merida come per cercare un consenso nel suo viso.
La principessa non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire una piccola risata, avvicinandosi e portando le mani sotto il gomito sinistro del vichingo per raddrizzarglielo.
«Questo va steso in questo modo...» lo corresse con il tono comprensivo di una maestra.
Afferrò la corda e la tirò, facendo fare lo stesso movimento con le mani di Hiccup, le quali raggiunsero come nell'esibizione di Merida, le guance. «... E la corda va tirata al massimo.»
Fissò anche la mano stretta all'impugnatura e, vedendola incerta, ci strinse sopra le sue mani, in quel momento non si accorse di nulla, non ci pensò.
«La presa ben salda, come se stessi tenendo le redini di Sdentato, ecco così...»
Il deglutire imbarazzato di Hiccup risvegliò Merida da ogni pensiero dedicato alla postura corretta per tirare e lentamente si voltò verso di lui, realizzando solo in quel momento di essere veramente troppo vicini.
Merida si perse nell'incredibile moltitudine di lentiggini che rivestivano le guance del vichingo, le avrebbe riconosciute anche da lontano. Prima d'ora non si era mai permessa di invadere lo spazio personale delle persone, i contatti erano tutto ciò che la principessa odiava, ma Hiccup le era sembrato così inesperto che la sua insicurezza aveva portato Merida ad un gesto che con altri non avrebbe ripetuto.
E si maledisse mentalmente per non aver capito fin da subito che probabilmente per Hiccup rappresentava un fastidio.
Si scansò velocemente, come scottata e fissò la terra ai suoi piedi, immersa nel suo immancabile imbarazzo, date le circostanze.
«Ricordati di tener ben ferma la freccia» si raccomandò sottovoce, poco prima che Hiccup tornasse a concentrarsi su quelle che inizialmente erano le sue intenzioni.
Il vichingo cercò di guardare altrove, si sarebbe volentieri piantato la freccia nella testa pur di fuggire da quell'imbarazzante situazione, ma l'unica cosa che si limitò a fare fu prendere bene la mira e respirare a fondo, la tensione era palpabile.
Stava giusto per lasciar andare la presa sulla freccia, quando la voce di Astrid interruppe ogni buon proposito.
I due si voltarono in direzione della ragazza che correva a perdifiato verso di loro ed entrambi sembrarono svegliarsi da un profondo sonno, come se qualcuno li avesse riportati alla realtà in modo irruente.
«Hiccup!» esclamò raggiungendoli e lanciando una rapida occhiata a Merida.
«Astrid» sussurrò lui di rimando.
«Sei fuggito di corsa, che cosa è successo?» domandò capendo perfettamente la situazione, ma andandoci comunque a calcare sopra. Il fatto che Astrid non avesse ancora degnato Merida di uno sguardo che non fosse astioso, indusse la principessa ad allontanarsi in tutti sensi da Hiccup. 
Anche se lei non capiva il perché di ciò, non intendeva avere un ragazzo, né ora né mai, nemmeno uno come Hiccup, per il quale nutriva un grande senso di affetto e simpatia.
Hiccup invece si voltò verso Merida e poi tornò su Astrid. «Nulla, ero solo...»
«Non importa!» esclamò afferrandogli un polso e trascinandolo via da lì, intimando con lo sguardo a Merida di non seguirli. «Vorrei che mi mostrassi di nuovo quelle giravolte...»
E Merida li guardò allontanarsi, fino a perderli di vista.







 


Nota autrice:
Evviva! Probabilmente le fan Hiccstrid mi odieranno ora...
Eh, beh... volevo spiegare che ho reso così il personaggio perché mi sono messa nei suoi panni e penso che sia proprio così che reagirebbe Astrid.
In ogni caso spero che alle persone che stanno seguendo la mia storia, piaccia ugualmente c:
A presto!

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Capitolo 11
*** Toothless ***


Under the clouds
Chapter XI: Toothless.








 
Il continuo scalpitare dei cavalli, attraverso quella radura che si poteva estendere fino ai limiti dell'inimmaginabile, innervosì non poco il re Fergus che non riposava da due notti consecutive e la prova erano le due lunghe e scure occhiaie sotto agli occhi.
Erano ormai tre giorni che lui e gli uomini di Norman cercavano senza sosta qualche possibile traccia della principessa perduta, avevano girato in lungo e in largo, controllando anche nelle più remote zone di quel bosco che sembrava quasi infinito.
E, per quanto il re fosse provato fisicamente e mentalmente, non poté fare a meno di notare l'altrettanta determinazione in Norman attraverso questa ricerca e dovette riconoscere che probabilmente doveva tenere a Merida più di quanto avessero dimostrato altri possibili pretendenti, come ad esempio quelli che si erano presentati al castello qualche anno addietro.
E si ritrovò a sorridere tra sé e sé, al pensiero di lasciare Dumbrok in buone mani, come la figlia del resto.
Il solo pensiero di Merida chissà dove demolì di nuovo l'ormai distrutto morale del re, che ormai si sentiva vittima della sua stessa stanchezza.
Norman si avvicinò a questi, con accurata delicatezza. 
«Re, vogliate permettermi di condurre questa ricerca e lasciarvi tornare ai vostri doveri di sovrano e... ad un meritato riposo, se non oso troppo» parlò con tono incerto ma garbato.
Fergus guardò altrove, riflettendo sul da farsi, e alla fine ritornò a guardare il ragazzo con tanta dedizione. «Te ne sono grato, Norman» rispose senza troppe cerimonie. «Ma chi meglio di me conosce questi arbusti, questo luogo. Inoltre potrebbe essere peric-»
Ma la voce del re venne brutalmente interrotta da un nitrito sconosciuto tra quelli dei cavalli già presenti e Fergus lo conosceva bene.
Non si preoccupò nemmeno di legare il suo cavallo, scendendo alla volta di quello che stava correndo loro incontro. Era nero come la pece con le possenti zampe pelose e con la maestosità di un orso.
«Angus!» il re non ci mise molto a calmarlo, tenendo le redini strette intorno al polso e accarezzandogli il muso.
Il cavallo smise di agitarsi e guardò Fergus, come se guardasse la sua autentica padrona. Il re da parte sua, provò sollievo nel aver trovato almeno qualcosa, ma di Merida non c'era nemmeno l'ombra, nonostante lui continuasse a sperare che sarebbe sbucata fuori da una siepe da un momento all'altro.
Norman invece osservò con astuta attenzione la zona da dove avevano visto arrivare l'animale, non vedeva granché che potesse spingere una principessa a nascondersi così a lungo e rifletté sul fatto che se si fosse rifugiata nel bosco, sicuramente non sarebbe durata tutti quei giorni che avevano impiegato per cercarla. Doveva essere andata ben oltre, oltre il confine, là dove nessuno aveva mai osato avventurarsi per paura di scoprire cosa celasse il bosco.
Così il ragazzo parlò prima che il re osasse chiedere qualcosa al cavallo.
«Sire, ritengo che per oggi sia sufficiente» spiegò con calma rassicurante. «Ora che abbiamo trovato il cavallo, abbiamo maggiori possibilità di trovarla e penso che il tutto si possa compiere meglio dopo un meritato riposo.»
Il re osservò prima Norman e poi Angus, il quale continuava ad indietreggiare e avanzare spazientito. Avrebbe voluto cercare sua figlia, ora che avevano un nuovo barlume di speranza davanti, ma dopotutto Norman aveva ragione: non sarebbe mai riuscito a pensare chiaramente con quella stanchezza addosso ed inoltre rischiava di compromettere anche la sua salute.
«D'accordo, ricerche rimandate, ma solo per domani» chiarì autoritario. «Dopodomani riprenderemo.»
E Norman sorrise, direzionando lo sguardo verso la radura, più precisamente su un salice piangente che Angus ricordava molto bene.


Merida rimase tutto il giorno in casa, nella sua solitudine.
In un altro momento sarebbe andata da Skaracchio per domandargli se gli servisse aiuto alla bottega oppure con Hiccup per vedere meglio come si muoveva in volo, ma l'occhiata intimidatoria che Astrid le aveva lanciato era bastata.
Non che temesse la ragazza, questo no, però sentì una profonda colpa invaderle tutto l'addome e non se ne spiegò il motivo. Non provava che una semplice amicizia verso Hiccup, le suscitava simpatia quel ragazzo e non di più, eppure Astrid era riuscita a convincerla del contrario.
L'aveva fatta sentire come se lei ed Hiccup fossero fidanzati e lui stesse tradendo la sua attuale ragazza, e Merida non capì mai se questa storia la facesse ridere o meno. A lei non interessavano i ragazzi, non dopo tutto quello che era successo con sua madre qualche anno prima e che attualmente stava succedendo.
Caricarsi di altri problemi non avrebbe fatto altro che stressarla ed effettivamente litigare con la vichinga non era di certo un buon modo per rilassarsi.
Merida osservò l'arco che Hiccup le aveva lasciato e con profondo imbarazzo ricordò quella spiacevole scena che per colpa dell'entusiasmo non era riuscita a frenare, se Astrid fosse arrivata in quel momento, si disse, probabilmente nemmeno Hiccup sarebbe stato in grado di tenerla a bada.
Non che avesse fatto nulla di male e Merida ritenne opportuno sottolineare questo particolare, ma probabilmente Astrid non l'aveva mai considerata la persona innocente che invece lei si riteneva di essere per il semplice fatto che Hiccup lo conosceva appena.
Decise comunque che avrebbe evitato per un po' il ragazzo, parlandogli solo in caso di stretto bisogno, per non turbare ulteriormente la fidanzata.
«In che trappola mi sono cacciata?» si domandò scivolando sul letto non troppo soffice e fissando il soffitto, prestando attenzione alle piccole incrinature nel legno.
Ma quel noioso gioco durò ben poco, perché appena la ragazza sentì la porta all'entrata chiudersi su sé stessa, si alzò di scatto.
«Sono a casa!» la voce di Hiccup la raggiunse fino in camera. «C'è nessuno? Papà? Merida?»
La principessa si voltò verso la finestra e, aprendola, la scavalcò. Ringraziò il cielo che la casa si trovasse al piano terra e non a metri di altezza come invece la sua camera, nel castello.
Nonostante la ridotta altezza del davanzale, però, inciampò ugualmente sui suoi stessi passi per poi rialzarsi e correre in direzione del bosco come se fosse inseguita da chissà quale animale pericoloso.
Il fatto era che non se la sentiva di parlare con Hiccup di ciò che era successo, non voleva affrontare quella conversazione e magari sentire le scuse da parte sua per Astrid. Era un argomento che avrebbe volentieri evitato.
Così, accompagnata dal suo nuovo arco non del tutto affidabile, corse in direzione di un posto dove nessuno l'avrebbe disturbata, senza però accorgersi che due occhi grandi e neri la stavano fissando dal tetto della casa dalla quale era appena fuggita.


La principessa osservò il sole calare all'orizzonte, immersa tra la fitta vegetazione di quel bosco e riconobbe di essersi spinta forse troppo in là.
Il freddo iniziò a penetrarle i vestiti, nonostante tutto pesanti, che Hiccup le aveva prestato. Non era esattamente il clima di Dumbrok e Merida lo capì quando respirando, una nuvoletta di vapore le uscì dalle labbra.
Scoccò un'ultima freccia in direzione dello stesso albero che aveva puntato per quel mezzo pomeriggio e infine le recuperò, cominciando a sentire il freddo anche attraverso le sottili mani.
Iniziò ad avviarsi proprio quando il cielo si fece via via più scuro e tetro. 
Merida non temeva questo sinistro lato del bosco, il buio non l'aveva mai infastidita, altre erano le paure che la tormentavano. Ma cercò ugualmente di accelerare il passo, considerando che se si fosse imbattuta in un drago non avrebbe saputo come difendersi e probabilmente Stoik ed Hiccup si stavano chiedendo dove fosse.
Inciampando sui suoi stessi passi a causa delle imponenti radici degli arbusti che ormai vedeva a fatica, non aveva nemmeno tempo per accendersi un fuoco...
Imprecò un'ultima volta, poco prima che un respiro pesante la fece arrestare sui suoi stessi passi. Immobile come una statua, si guardò attorno temendo il peggio. Se avesse cominciato a correre probabilmente quel qualsiasi cosa che aveva sentito, l'avrebbe attaccata e nel peggiore dei casi mangiata.
Non notò nulla che non fosse l'incontaminata natura selvaggia.
Il cuore sembrò calmarsi, ma fu solo per un momento, poiché questa volta avvertì un verso quasi strozzato da destra.
Merida cercò di afferrare il suo arco, ma le tremava la mano in maniera inconcepibile per un'arciere come lei. Ma prima che potesse anche solo pensare di posizionare la freccia in modo da tirare, un drago nero come la notte si mostrò sotto l'ormai debole luce lunare.
Merida cadde, indietreggiando fino alla roccia più vicina, mentre il drago avanzava inoffensivo.
Inoffensivo per il fatto che si trattava proprio di Sdentato e se Merida avesse avuto la giusta lucidità, l'avrebbe riconosciuto all'istante, ma in quel momento era troppo spaventata per ragionare.
Il drago le arrivò ad un palmo dal naso, continuando a sbuffare, diversamente dalla prima volta che si erano incontrati e la osservò mentre lei si portava entrambe le mani al viso, come se quel gesto avesse potuto calmare una Furia Buia.
Questa volta non c'era Hiccup, non c'era nessuno e lei non conosceva nessun modo per vedersela con un drago ed uscirne vittoriosa.
Sdentato però, dopo averla annusata e indignata con veloci sbuffi, fece qualcosa che avrebbe sorpreso chiunque: L'afferrò per la collottola, senza usufruire della sua innumerevole quantità di denti e la sollevò da terra, alzandosi anch'esso in volo.
Merida si ritrovò a volare a gambe all'aria e la spiacevole sensazione di cadere non la lasciava in pace. Se Sdentato avesse lasciato la presa sicuramente lei sarebbe...
Merida si sforzò di pensare ad altro, il che era alquanto difficile, considerando le circostanze. Ma presto si accorse dei focolari che illuminavano Berk e capì che le intenzioni del drago erano di riportarla a "casa".
Merida rimase zitta fino al momento in cui Sdentato non lasciò la presa, appoggiandola con impensabile delicatezza al suolo. La principessa non aveva mai avuto modo di interagire con un drago, l'unica volta che era successo era successo qualche giorno prima ed era accaduto perché lui voleva mangiarsela, ma ora dovette ricredersi sulle sue possibili intenzioni che lei aveva temuto fin ora.
Una volta coi piedi per terra, la principessa vide il drago scomparire nell'oscurità della notte, consapevole del fatto che sarebbe tornato per assopirsi sul suo amato tetto.






 


Nota autrice:
Eccoci qui, di nuovo c:
In questo capitolo non ho inserito Hiccup e mi è costata tanta fatica (io lo adoro quel ragazzo!)
Comunque ci vediamo nel prossimo capitolo, sperando che anche questo capitolo vi sia piaciuto!
Alla prossima.

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Capitolo 12
*** A difficult past ***


Under the clouds
Chapter XII: A difficult past.


 







 
Quella mattina Merida si alzò di buon'ora, decisa a girovagare nuovamente per il bosco.
Non se n'era mai spiegato il motivo, ma per la principessa il bosco era una specie di rifugio solitario nel momento in cui i problemi si facevano vivi. Se ne avesse avuto la possibilità sarebbe volentieri andata a vivere in un'umile casetta di legno nel bel mezzo di un bosco, con il suo fidato arco in caso di pericolo.
Non si era mai sentita una principessa, nonostante sua madre tutt'ora continuasse a farglielo presente era come se qualcosa in quel ruolo non le appartenesse, avrebbe volentieri vissuto in libertà da matrimoni e fidanzamenti di ogni genere.
Forse un po' sognava la vita selvaggia di un vichingo, cavalcare il proprio drago con la brezza tra i capelli, toccare le nuvole con un dito o andare in guerra per proteggere il proprio territorio.
Ormai si era affezionata a Berk, anche se non avrebbe dovuto, considerando il fatto che prima o poi l'avrebbe dovuta lasciare. Infondo Dumbrok non avrebbe resistito ancora a lungo.
Resasi conto di aver attraversato già una buona parte di bosco, estrasse l'arco ed una freccia, avvicinandosi sempre di più ad un ruscello che la sera prima non aveva notato. 
L'acqua era limpida e pura come quella di una sorgente e la principessa vide attraverso essa alcuni pesci, che non avrebbero sicuramente recato nessun disturbo se li avesse portati al villaggio per cucinarli.
Con una calma disarmante, puntò la freccia sul pesce che aveva mirato e, precedendolo di qualche secondo, scoccò il colpo mortale. Merida si protese per afferrare la freccia, ma un verso alle sue spalle la spaventò e lei finì immancabilmente in acqua.
Grazie al cielo la profondità era minima e la corrente tranquilla, peccato che alla principessa vennero i brividi appena realizzò la gelida temperatura che le stava penetrando prepotentemente i vestiti che Hiccup le aveva prestato. Adocchiò malamente il drago davanti a sé, altri non poteva essere se non Sdentato.
Merida sbuffò, togliendosi qualche ricciolo che le era finito in faccia per colpa dell'acqua e contò fino a dieci, ricordandosi che quello che aveva di fronte era un drago e non una povera vittima che in altre circostanze avrebbe fatto una brutta fine. 
Sdentato fissò prima lei e poi il pesce infilzato nella freccia e la principessa intuì la sua possibile richiesta.
«Tieni» sbuffò lanciandoglielo sulle zampe, era troppo stanca per star lì a replicare o a pensare di litigare con un drago.
Ma tutto sommato era un modo alternativo per ringraziarlo di averla condotta al villaggio, quando si era fatto troppo buio perché lei potesse perdersi.
Lui in tutta risposta agitò la coda allegramente e fece per muoversi verso il pesce, quando un rumore alle sue spalle lo destò da ogni pasto, Merida indirizzò lo sguardo verso i cespugli e Sdentato cominciò a ringhiare ferocemente.
La principessa afferrò il suo arco, posizionandolo verso quella zona di natura e lentamente tirò indietro la corda, portandosi la freccia alla guancia, com'era di consuetudine fare.
Ma ciò che uscì dallo spazio nascosto non era niente di pericoloso, tutt'altro. La figura rimase incastrata in un ramoscello e nel liberarsi, cadde a terra mugugnando qualcosa di poco amichevole.
«Hiccup!» esclamò Merida ancora in acqua, abbassando l'arco. Beh, si poteva tranquillamente dire che in fatto di equilibrio nessuno dei due era molto pratico.
Lui si rialzò, guardando prima Sdentato e poi lei, e alzando un sopracciglio per quest'ultima. «Stavi facendo il bagno?» domandò richiudendo la cesta piena di pesci che si era portato dietro.
Merida, come risvegliatasi da un lungo bagno rilassante -che sicuramente non era-, si alzò strizzandosi i vestiti. Come se Hiccup non avesse visto che erano completamente inzuppati.
«N-no...» cercò una possibile giustificazione, ma anche questa volta venne salvata da Sdentato che piombò addosso al ragazzo, ricoprendolo di ogni possibile coccola e facendo il bagno anche a lui.
Merida si lasciò sfuggire una risata, strizzandosi i capelli, che continuavano ugualmente a gocciolare incessantemente. Quel bagno le avrebbe sicuramente causato un brutto raffreddore.
Hiccup cercò di liberarsi dalle grinfie del drago e con un'incredibile fortuna, riuscì nell'intento.
«Ahh!» mugugnò guardandosi disgustato l'armatura completamente fradicia. «Sdentato guarda che hai fatto!»
Ma il drago si era già avventato sul cesto, divorando metà del contenuto. Hiccup rivolse a Merida uno sguardo esasperato e lei in tutta risposta alzò le spalle, sorridendogli.


«Che ci facevi qui, da sola?» domandò Hiccup seduto sull'ampia distesa di prato, dalla quale si potevano intravedere alcune cime importanti note nel territorio di Berk. Le leggende narravano che Odino le avesse scalate e dominate, in una notte di tempesta indomabile.
Hiccup si disse che ogni vichingo con l'aiuto del proprio drago avrebbe potuto raggiungerle, ora come ora, ma a lui non erano mai interessate le competizioni o i traguardi, preferiva vivere l'attimo.
«Curiosavo» rispose semplicemente Merida, rivolgendo la sua attenzione al sole, che si ergeva fiero in cielo. Probabilmente doveva essere ora di pranzo.
Hiccup si sdraiò sull'erba, portandosi le mani dietro alla nuca e inspirando profondamente il profumo dell'erba draga, quella in cui Sdentato amava rotolarvici.
Lo faceva spesso, quell'ambiente in cui aveva conosciuto il suo migliore amico, gli donava pace e serenità. Nessuno l'avrebbe mai disturbato e alle volte rimaneva a fissare il cielo e i suoi contorni.
«La gamba ti fa ancora male?» continuò, i suoi occhi si coloravano di un verde sorprendentemente chiaro alla luce del sole, quasi come la foresta in piena primavera.
Merida scosse il capo, continuando ad osservare l'orizzonte, i vestiti si stavano lentamente asciugando, ma il freddo era ugualmente insopportabile.
«E' migliorata parecchio negli ultimi giorni» rispose, sovrappensiero per la prossima domanda. «Sai... anche mio padre l'ha perso, il piede intendo...»
Hiccup serrò le labbra, assottigliandole leggermente, come se i raggi del sole gli avessero ferito gli occhi e Merida si maledì mentalmente, forse era stata troppo indiscreta, forse Hiccup non prendeva la faccenda così allegramente come invece faceva suo padre.
Senza tralasciare poi il fatto che aveva citato il suo genitore, nonché re di Dumbrok. Non avrebbe dovuto osare così.
Velocemente rivolse lo sguardo ancora più lontano, vergognandosi incredibilmente di ciò che aveva appena detto e mormorò uno: «Scusa.»
Il silenzio regnò ugualmente per qualche istante e la tensione salì così in alto che Merida temette che Hiccup non le avrebbe più rivolto la parola. Lei era abituata a suo padre che si vantava di ciò che aveva perso, non avrebbe mai immaginato che Hiccup la prendesse così seriamente e solo in quel momento capì la gravità della situazione.
Ma la curiosità non poté fare a meno di torturarla: Che cos'aveva potuto aver mai fatto un giovane vichingo per meritarsi un simile segno?
La principessa preferì non indugiare oltre, un'altra situazione imbarazzante con lui aveva preso il via, sembrava che fosse destino. Prima con Astrid ed ora con la faccenda della gamba.
Ma allo stesso tempo Merida si trovava bene in sua compagnia, c'era qualcosa in Hiccup che riusciva a farle dimenticare completamente i suoi doveri di principessa e a ricordarle che nella vita lei aveva il completo controllo del suo destino, che aveva la completa libertà di prendere le sue scelte.
Anche quando ormai sembrava tutto perso.
«La mia gamba è stato il pegno da pagare per la salvezza di tutti» sussurrò, mentre le sue parole si perdevano nella gentile brezza invernale.
Merida non poté fare a meno di voltarsi verso di lui, sebbene fosse sdraiato. «Che vuoi dire?»
Hiccup sospirò, mettendosi a sedere. 
«I draghi un tempo non erano approvati nel nostro villaggio, anzi, c'erano continui attacchi da parte loro e nascevano spesso delle guerre. Mio padre era deciso a distruggere il loro nido, fu in quel periodo che conobbi Sdentato, a primo impatto non ci fu gran simpatia e fu solo grazie a lui che mi risparmiò se ora sono qui a raccontare questa storia. Lo ritrovai pochi giorni dopo in condizioni di non poter volare a causa di una brutta ferita -che io stesso gli avevo procurato- e capì che non avrei potuto lasciarlo lì, così gli costruì un marchingegno per poter volare e da lì nacque il primo volo tra vichingo e drago» Merida ascoltava ogni parola, sembrava quasi che non respirasse per l'emozione, Hiccup invece fissava Sdentato che si rotolava tra l'erba draga. «Poi le cose andarono sempre peggiorando, durante una prova, Sdentato si mostrò all'intero villaggio e mio padre lo catturò, tenendolo in ostaggio per arrivare all'isola del draghi. Fu grazie ad Astrid e agli altri se riuscì a ritrovare me stesso e la forza necessaria per salvare il mio migliore amico. Sfortunatamente però, mio padre non mi ascoltò quando dissi che quel nido funzionava come un grande alveare, ovvero che i draghi portavano le loro razioni di cibo alla Morte Rossa, fu a causa di quella bestia che persi la mia gamba.»
Merida intuì che Hiccup avesse finito e fece per parlare, quando lui proseguì: «Ma sarei disposto a perdere anche l'altra per Sdentato, lui c'è sempre stato, anche quando tutti mi voltavano le spalle, mio padre compreso.»
«Anche Astrid?» domandò la principessa senza riuscire a trattenersi. Non capì il motivo per cui si interessasse particolarmente a quella ragazza.
Hiccup rise. «Soprattutto Astrid!»
«L'amore è strano forte» ribatté lei storgendo il naso.
Hiccup rivide davanti a sé tutti i fotogrammi della sua storia, gli sembravano lontani anni luce, quando invece si trattava poco più di quattro anni. Lo Sdentato di un tempo, quello che aveva liberato e che poi aveva visto riflesso nei suoi occhi la morte, ora era il suo migliore amico e l'Astrid che l'aveva indignato per tutti quegli anni, era diventata la sua ragazza.
Ogni giorno, ogni prova, ogni fatica si era rivoltata a suo favore ed ora tutto ciò che desiderava era al suo fianco.
«Se con strano intendi che io e lei siamo completamente diversi, allora sì: è strano!» 
Merida rise, ricordando improvvisamente che lei non avrebbe avuto una vita come quella di Hiccup, nessuno in quel momento avrebbe potuto rovinargliela, mentre la sua stava lentamente precipitando giù.
E questo pensiero non poté fare a meno di farle abbassare lo sguardo. «Sei fortunato, non tutti cambiano in questo modo il loro destino.»
Ed Hiccup non disse niente, il suo sguardo si rivolse semplicemente su di lei, cercando di decifrarla e scoprendo che forse sarebbe stato più difficile di quanto credeva.







 


Nota autrice:
Yuup! Rieccomi!
Beh, non ci sono proprio tante scene Mericcuppose come magari voi speravate, ma comunque sono tornati a parlarsi e questo è già qualcosa.
Il resto verrà dopo, ora devo procedere piano piano, questo è un momento delicato, di solito quando faccio prendere confidenza ai protagonisti ci metto sempre un po' perché per me è abbastanza difficile, ho paura di andare troppo di fretta.
Coomunque! Spero sempre che vi piaccia e vi assicuro che aggiornerò quanto prima!
Alla prossima quindi cc:

 

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Capitolo 13
*** A complicated feeling ***


Under the clouds
Chapter XIII: A complicated feeling.







 
Il sole calò all'orizzonte insieme al tiepido caldo che accompagnava Dumbrok ormai da anni.
Le ricerche non erano state interrotte nemmeno per un minuto, dopo quella piccola pausa, Fergus si ostinava a girovagare e ispezionare la zona insieme ai suoi uomini e a quelli di Norman, anche se una parte di lui si stava ormai arrendendo a quella dura realtà.
Cos'avrebbe dovuto dire ad Elinor? Che Merida non era stata trovata e che lui aveva fatto del suo meglio? No, un re non avrebbe mai permesso tutto ciò, soprattutto se quel "tutto" era sua figlia.
Si diedero il cambio per tutto il giorno, setacciando la zona nord, est, ovest e perfino sud, il bosco sembrava un groviglio di rovi e alberi che con i loro rami sembravano voler afferrare il re in una stretta mortale. 
Gli cominciò a girare forte la testa, come se la febbre l'avesse assalito da un momento all'altro e per un momento temette di cadere da cavallo, se non ci fosse stato Norman a soccorrerlo.
«Sire, state bene?» domandò premuroso scendendo da cavallo, ma senza interrompere le ricerche.
Gli occhi del re ruotarono in tutte le direzioni possibili, lo stomaco girava peggio di una ruota. «Non mi sento molto bene, ma le ricerche dev-»
«Con tutto il rispetto, vostra maestà, ma non mi sembrate in forma per proseguire queste ricerche» lo interruppe Norman, in tono basso e rispettoso. «Permettetemi di continuare insieme ai miei uomini, mentre voi vi riposate, la vostra salute non può essere compromessa.»
Fergus non parve molto convinto delle parole del giovane, si fidava di quel ragazzo, ma c'era di mezzo sua figlia ed ogni giorno che passava vedeva l'immagine di Merida sbiadirsi sempre di più.
Norman notando la sua espressione si affrettò ad aggiungere: «E' per il bene del regno, Sire, vi giuro solennemente di riportare vostra figlia a casa, se non dovesse succedere che possa il castello sfoggiare la mia testa sulle mura.»
Fergus guardò l'espressione determinata e la postura corretta di quel ragazzo e poi disse: «D'accordo, hai a disposizione dieci giorni, dopodiché provvederemo.»
E Norman annuì soddisfatto, dieci giorni sarebbero stati anche troppi.


Una volta giunti a casa, Merida si precipitò nella "sua" camera ad asciugare i vestiti ancora umidi, sicuramente un raffreddore non glielo avrebbe tolto nessuno, considerando che durante tutto il tragitto di ritorno non aveva fatto altro che starnutire.
Si svestì, indossando solo la sottoveste verde e accese come megliò poté un fuocherello nel piccolo camino in pietra. Mise ad asciugare pantaloni e casacca, probabilmente non ci avrebbero messo troppo. Si avvicinò come meglio poté al fuoco e cominciò a sentire il calore che esso emanava, desiderò indossare le pesanti coperte, ma così facendo i vestiti non si sarebbero mai asciugati.
Ripensò alla storia di Hiccup, al coraggio che aveva dimostrato e alla pace che aveva portato per delle persone che in altre occasioni non sarebbero mai state disposte ad aiutarlo. Gli raccontò della sua storia con Astrid e lei non era riuscita a dire più nulla, cos'avrebbe dovuto dire? Lei non aveva solo una vaga idea di cosa fosse l'amore, ma a grandi linee, l'unico ragazzo con cui si trovava bene era Hiccup, ma il loro rapporto era tutt'altra storia.
Fuori dalla casa sentì qualcuno urlare, una voce femminile, una voce che Merida conosceva.
Per un momento si dimenticò di rimanere ad asciugarsi e si affacciò alla finestra, senza sporgersi troppo, invogliata da una curiosità irrefrenabile. Sapeva che Hiccup era rimasto fuori per rimanere un po' con Sdentato, ma di certo il drago non parlava e soprattutto non gridava istericamente come invece stava facendo Astrid.
«Si può sapere dove sei stato tutto il giorno?! Skaracchio ti ha cercato e non trovandoti ha mandato me, ma nemmeno io sono riuscita a capire dove fossi!»
Hiccup indietreggiò di un passo quando la fidanzata gli spinse l'indice sul petto e lo guardò in cagnesco negli occhi. Merida non poté vederlo, poiché era girato di spalle, ma ci avrebbe scommesso l'arco che si trovava in difficoltà.
Si sentì in colpa, in un certo senso lei si era allontanata e Sdentato l'aveva seguita, provocando così un catastrofico effetto a catena. Ma che cosa avrebbe dovuto fare? Uscire e prendersi la responsabilità? Merida non era il tipo da scenate di gelosia o smancerie tutto il giorno per tutti i giorni.
Inoltre avrebbe solo peggiorato le cose.
«Sdentato se n'era andato e così-» 
«Sdentato!» esclamò ironicamente lei. «Raccontane un'altra Haddock, Sdentato non si sarebbe mai allontanato per così tanto tempo, anzi sono sicura che se lo avessi chiamato lui sarebbe volato da te!»
A quel punto anche Hiccup cominciò ad alterarsi, si scrollò di dosso il dito accusatore della vichinga con un gesto secco e la fronteggiò senza timore, sovrastandola in altezza. «Sei liberissima di non credermi, fai come vuoi, ma ti ricordo che Sdentato non è un oggetto che si muove a comando delle persone ed io non sono la tua casacca di pelliccia, non capisco tutta questa ossessione nei miei confronti!»
Merida intravide attraverso la finestra appannata, l'espressione sconcertata di Astrid che sembrava non credere al modo in cui Hiccup le stava parlando ed effettivamente la conversazione si stava alterando parecchio.
Sperò che quella discussione finisse lì.
«Perché? Tu credi che io sia sempre stata così?! E' così che mi vedi, una persona ossessiva? Ti sei mai domandato il motivo, te lo sei mai chiesto?» gli urlò addosso, questa volta senza sfiorarlo, se non con lo sguardo che in quel momento sembrava più congelato dei ghiacciai.
Merida si staccò di qualche centimetro dal davanzale, sentendosi presa in causa, sebbene Astrid non avesse fatto alcun tipo di riferimento né nome. Avvertì la colpa attraverso le prime parole di quella frase e sentì che probabilmente da quando era arrivata lì, la vichinga teneva più ad Hiccup che a qualsiasi altra cosa e ciò la rendeva agli occhi del ragazzo ossessiva.
Ma non lo avrebbe permesso, non avrebbe permesso che un legame così solito si frantumasse per causa sua. Così si staccò dalla finestra, indossando la pesante coperta di pelliccia ed uscì fuori al freddo e al gelo.
Nel momento in cui la porta sbatté su se stessa, sia Hiccup che Astrid si voltarono verso di lei, entrambi con una rispettiva espressione differente, ma ciò non intimorì la principessa.
«E' colpa mia» parlò a gran voce, come se i due vichinghi fossero a chilometri di distanza. «Sono stata io a portare Sdentato nel bosco, Hiccup non centra.»
Hiccup osservò incredulo prima lei, come per capire per quale motivo si fosse intromessa, non avrebbe mai pensato di arrivare a simili situazioni. Sapeva che la sua vita era un completo macello, ne aveva passate tante per Sdentato anni addietro, ma arrivare ad un'autentica scenata di gelosia gli sembrava assurdo.
«Ah, ecco!» esclamò Astrid tanto soddisfatta quanto ironica. «Allora è così che stanno le cose, eri con lei! Come ho fatto a non immaginarlo!»
Merida rimase immobile, sapeva che non sarebbe mai dovuta uscire ed intromettersi o che probabilmente avrebbe solo complicato la faccenda, ma in questo modo avrebbe ottenuto ciò che voleva, ovvero che la colpa ricadesse su di lei.
Hiccup avvertì la tempesta irrefrenabile che da lì a poco si sarebbe scatenata, la sua ragazza non era mai stata una persona troppo riflessiva, ed in simili circostanze il vichingo sapeva che avrebbe reagito d'impulso.
«Astrid ascolta-» tentò di parlare, ma le sue intenzioni vennero prontamente interrotte.
«IO L'AMMAZZO!» urlò la vichinga, cercando di superare Hiccup per dirigersi verso Merida e scaricare tutta la sua ira su di lei, sembrava quasi una rabbia esplosa per troppo trattenuta.
Ma il ragazzo l'afferrò prontamente per le braccia, tenendola ferma ed intimando a Merida di entrare. La principessa, che in altre circostanze avrebbe sicuramente cercato di chiarire civilmente, si ritrovò ad indietreggiare spaventata di fronte ad un ira così funesta, per poi obbedire ed ascoltarlo.
Astrid continuò a dimenarsi, ormai con gli occhi lucidi e le forze che da lì a poco sarebbero venute meno e quando accadde, Hiccup l'abbracciò di slancio, trovando quella situazione incredibilmente strana e pensando che in quel momento tutto sarebbe potuto succedere, se era arrivato per fino ad un gesto simile, che in altre circostanze non avrebbe nemmeno pensato di compiere.
La tenne stretta fino a quando il sole non calò completamente anche a Berk ed Astrid rimase immobile, lasciandoglielo fare.
Merida nel frattempo osservava tutto dalla finestra, avvertendo una spiacevole sensazione partire dallo stomaco che la costrinse a voltare la testa di lato, come se gli ultimi raggi del sole le ferissero gli occhi.








 


Nota autrice:
Beneeeee, sono di pessimo umore perché avevo scritto il capitolo e poi mi si era cancellato = w =
Lasciamo perdere và, comunque sono abbastanza sicura che dopo questo capitolo le fan della Hiccstrid e della Mericcup mi odieranno, ed io non avrò più lettrici çwç
No, a parte la botta di questo capitolo spero che vi piaccia ugualmente, aggiornerò presto come sempre!
Baci c:

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Capitolo 14
*** The last night ***


Under the clouds
Chapter XIV: The last night.







 
Il vento gelido soffiava impetuoso sulle case addormentate di quel piccolo villaggio in cui Merida avrebbe voluto vivere per sempre, se la sua vita non fosse già programmata come se si trattasse di un importante cena tra sovrani.
La principessa piegò ordinatamente le pesanti coperte che Stoik ed Hiccup le avevano fornito durante il suo soggiorno a Berk e si disturbò anche ad aggiustare il cuscino ed eventuali disordini in quella piccola camera non troppo calda. Ascoltò il silenzio aldilà delle mura in legno ed ebbe la conferma che ormai tutti stessero dormendo profondamente.
Non sarebbe rimasta a Berk, non dopo ciò che era successo quella sera, lo scompiglio tra Hiccup ed Astrid era nato a causa sua e ne avrebbe posto rimedio, Astrid avrebbe ricominciato a vivere serenamente ed Hiccup non si sarebbe più dovuto preoccupare di farle da balia.
Tornare a Dumbrok rappresentava per Merida come una pugnalata al petto ed una parte di lei confidava ancora nel fatto che, vedendola tornare, i suoi genitori le avrebbero concesso la scelta di sposarsi o meno. Ma niente sarebbe stato più come prima, si era affezionata a Berk, ormai conosceva la maggior parte degli abitanti che ogni giorno ridevano e scherzavano in compagnia dei loro draghi.
Le sarebbe mancato il grande e possente Stoik, che con i suoi modi un po' rudi le ricordava vagamente suo padre.
Le sarebbe mancato il clima che aleggiava intorno agli amici con i quali passava le sue serate a mangiare il solito vecchio pezzo di carne.
E le sarebbe mancato Hiccup, che solo il suo nome le provocava delle fitte incredibili all'addome, la sensazione di andarsene senza nemmeno salutarlo le faceva così male che se avesse continuato a pensarlo, sicuramente non sarebbe riuscita a muoversi per il dolore.
Era suo amico, era l'unico amico che aveva sempre avuto, eppure c'era qualcosa dietro alla loro amicizia che non riuscì a spiegarsi, non sarebbe riuscita a spiegarlo a parole. Gli voleva bene, avrebbe voluto vederlo felice, così come per tutte le persone a lei care, felice sì... ma non insieme ad un'altra persona, ed era una sensazione tremenda perché nemmeno lei riusciva a dare un nome a tutto ciò.
Silenziosamente uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle e passò lungo il corridoio senza fare il minimo rumore, non poteva andarsene così di punto in bianco senza nemmeno una spiegazione, così la cosa migliore da fare era proprio non dare una spiegazione e fare come se niente fosse successo.
Ma... era veramente la cosa migliore da fare?
Cercò un punto d'appoggio in mezzo al buio totale, facendo attenzione a non urtare nulla e un raggio di luce lunare la guidò fino alle scale. Merida fu quasi sul punto di fare il primo gradino, quando alla sua destra scorse la camera di Hiccup, i deboli raggi lunari illuminavano quel poco che serviva alla principessa per vederlo dormire.
Era girato su un fianco e le braccia gli sfioravano quasi il viso rilassato, dormiva serenamente, il respiro appena percettibile e la calma che quella visione le trasmetteva era incredibile.
La principessa ebbe l'impulso di andare là per sistemargli le ciocche castane che, disordinate, gli coprivano i lineamenti, ma alla fine si promise di uscire al più presto da quella casa. E così fece.
L'aria fuori la investì come una bufera invernale e la principessa si strinse nelle pesanti vesti, le quali portavano ancora -seppur in modo lieve- il profumo di Hiccup. La principessa alzò il capo verso il tetto e sorrise malinconica vedendo la coda di Sdentato dondolare tranquillamente.
Le sarebbe mancato anche lui, anche se prima non l'avrebbe mai detto.
Quando arrivò al confine del villaggio, si voltò un'ultima volta indietro, consapevole del fatto di star lasciando il paradiso per ritornare all'inferno.
E alla fine si mosse verso il bosco.


Il sole non tardò ad illuminare con il suo debole bagliore il territorio ormai innevato di Berk.
Hiccup si rigirò nel letto, mugugnando qualcosa con tono infastidito e alla fine, non riuscendo più a prendere sonno, si mise a sedere. Avrebbe voluto dormire di più considerando che la notte precedente aveva fatto fatica ad addormentarsi, era strano che avesse pensato così a lungo al litigio con Astrid e a quell'abbraccio... era così strano il fatto che l'avesse abbracciata?
Beh, sì... Prima di allora non era mai successo. 
Ma prima di allora Merida non c'era al villaggio e forse la sua notte insonne era dovuta proprio a lei. Sapeva che lei non aveva la colpa di ciò che era successo, ma non era comunque riuscito a parlarle, sapeva che avrebbe solo creato una situazione imbarazzante come al solito.
Si passò una mano tra i capelli, sistemando ogni ciuffo fuori posto e sì alzò definitivamente dal letto, deciso a parlare con Merida.
«Merida?» bussò alla porta della sua camera. «Stai dormendo? Posso entrare?»
Non ricevendo alcuna risposta, il vichingo indugiò qualche istante, mettendo la mano sulla maniglia. «Allora io entro...»
La porta si aprì, ma Hiccup ci mise un momento a capire che Merida non era in casa, poiché la camera era davvero piccola e ci impiegò un'istante ad esplorarla con gli occhi. Dove poteva essere andata?
Avvicinandosi trovò l'arco che gli aveva regalato, ma il letto era totalmente ordinato, niente fuori posto, come se... non ci fosse mai stato nessuno.
Alla fine il vichingo uscì di casa, probabilmente era tornata di nuovo nel bosco, anche se non si spiegava perché avesse lasciato a casa l'arco. Girandosi di lato notò il bersaglio che gli aveva procurato lui stesso, alcune frecce fuoriuscivano dalla tela nel senso opposto, se qualcuno ci fosse finito su si sarebbe sicuramente fatto molto male.
Hiccup avvertì improvvisamente il respiro di Sdentato dietro di sé, il quale gli strofinò il muso sulla schiena e lui sorrise, voltandosi e facendogli degli energici grattini sul muso e sul collo. Sdentato lo adorava.
«Ehi...» sussurrò piano, la presenza del suo drago lo rilassava sempre. «Buon giorno, bello.»
Continuò ad accarezzarlo, il suo corpo agiva in un modo, ma i suoi pensieri si fissavano tutti sulle freccie infilzate nel bersaglio, gli ricordavano terribilmente qualcuno, qualcuno che in quel momento stava provocando al vichingo una brutta sensazione.
Hiccup passò l'intera giornata a far visita a Skaracchio per sapere se avesse del lavoro per lui, ma alla fine il fabbro lo congedava sempre in tono seccato. Provò qualche volo in compagnia di Sdentato, ma non incontrò Astrid, non avrebbe voluto tornare sull'argomento, era già tutto troppo complicato e non pensarci lo era ancora di più.
Quando intravide tra le alte montagne il tramonto, decise di tornare a casa, aveva passato troppe ore a volare, sia con Sdentato che con la fantasia, ci mancava solo un'ennesima litigata con Astrid.
Scese proprio sul punto in cui suo padre stava camminando verso il salone da pasto. 
«Hiccup!» esclamò mentre il vento provocato dalle grandi ali di Sdentato gli fece quasi volare via l'elmo. «Alla buon ora! Dove sei stato?»
Il ragazzo scese dal drago, posandogli una mano sul muso. «Hm... In giro, stai andando a mangiare?»
«Sì, Merida è con te?» domandò l'omone guardandosi intorno e constatando che effettivamente di lei non c'era traccia.
Hiccup cambiò espressione. «Pensavo fosse già a mangiare» ammise, avvertendo quella brutta sensazione dilatarsi sempre di più, aveva cercato di non pensarci, ma ora sentiva crescere la preoccupazione.
Di solito usciva per un lasso di tempo determinato, che fosse giorno o sera, non si allontanava mai per più di qualche ora.
«No, è tutt'oggi che non la vedo» rifletté Stoik, accarezzandosi la barba. «Forse è tornata a casa...»
«No, non può essere, ci avrebbe quanto meno salutati» Hiccup cominciò a cambiare tono, non riuscì a capire per quale motivo si alterasse in quel modo. Era assurdo, non poteva pensare che Merida se ne fosse andata senza dir nulla, ma in qualche modo poteva essere l'unica spiegazione logica.
Hiccup a quel punto salì velocemente su Sdentato. «Non importa, vado a cercarla!»
E il drago si alzò in cielo, senza dare nemmeno il tempo a Stoik di parlare.








 


Nota autrice:
Scusate il ritardo >w< Scusatemi davvero!
Ho un mucchio di cose da fare, spero che arrivi presto l'estate perché la scuola è snervante!
Va beh, comuque spero che anche questo capitolo vi piaccia, aggiornerò presto e dal prossimo capitolo inizieranno i giochi!
Un bacio, alla prossima!

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Capitolo 15
*** Next to you ***


Under the clouds
Chapter XV: Next to you.








 
Il bosco sembrava volesse nascondere la vegetazione dove le radici di quegli alti arbusti si appartavano.
La notte aveva portato con sé una fredda e gelida temperatura, risparmiando di accanirsi su Berk sotto forma di bufera. In tal caso Hiccup sarebbe sicuramente stato travolto, ma non poté comunque gioire quando, ai primi raggi dell'alba, cominciò a sentire davvero freddo anche sotto la pesante armatura.
Un brivido quasi strozzato gli uscì dai denti, ma non si demoralizzò: L'energia di passare una notte in bianco era dovuta alla preoccupazione di dove potesse trovarsi ora Merida.
Non sentiva il benché minimo bisogno di fermarsi e riposare, anzi, sentiva aumentare ogni minuto che passava la sensazione che quella ragazza si fosse cacciata nei guai o che nel peggiore dei casi si fosse trovata faccia a faccia con un drago.
Il vichingo passò una mano sul collo squamoso di Sdentato come per incoraggiarlo, infondo non si era fermato nemmeno un momento e tutto ciò che in quel momento poteva fare Hiccup era ringraziarlo. 
«Coraggio, bello, un ultimo giro» mormorò speranzoso, controllando ogni zona. Dentro di sé sapeva che non l'avrebbe più ritrovata, ma nutriva ancora in profondità un barlume di speranza.
Il drago planò più in basso, come per concedere ad Hiccup una buona probabilità di vederla.
E così accadde. Il vichingo scorse tra la verdeggiante natura un'inconfondibile chioma rossa accovacciata ai piedi di un albero, che si teneva saldamente le gambe tra le braccia, forse nel tentativo di riscaldarsi.
«Eccola!» esclamò indicando il punto esatto, mentre Sdentato -il quale sembrava averla già notata- si preparava all'atterraggio.
Una volta fermatosi, Hiccup scese velocemente e si diresse verso Merida, cercando di capire se si fosse assopita oppure congelata per il freddo della notte precedente. Aveva la testa immersa nelle braccia e una cascata di ricci infuocati le finivano ribelli su tutta la lunghezza del fianco.
Hiccup la scosse piano ma, sfiorandole la mano, avvertì dei terribili brividi invadergli tutto il braccio. Era gelida.
«Merida...» la chiamò piano, non ottenendo risposta, a quel punto cominciò ad agitarsi. «Merida!»
La principessa alzò di scatto la testa, così velocemente che andò a sbatterla contro il tronco retrostante e sputando subito fuori un'esclamazione di dolore, per poi essere subito sostituita con un'esclamazione di sorpresa, alla vista del ragazzo.
Di certo non si aspettava di trovarselo di fronte, specie dopo aver avuto la certezza di essere ben nascosta da qualsiasi occhi, la vegetazione e l'albero sotto al quale si era accomodata, di notte avrebbero nascosto per fino un falò.
Ma non appena s'accorse delle prime luci dell'alba, un'ennesimo suono fuoriuscì dalle sue labbra. Era già mattina.
Merida si osservò attorno e anche i vestiti, per essere sicura che nessuna bestia glieli avesse squarciati e per finire indirizzò il suo sguardo su Hiccup e accorgendosi solo in quel momento che era così vicino che avrebbe potuto contargli le innumerevoli sfumature negli occhi, le quali sembravano aver rubato i loro colori al bosco.
La principessa si raddrizzò con la schiena, senza riuscire a dire una parola, mentre Hiccup si lasciava cadere all'indietro, portandosi una mano tra i capelli, come se fino a quel momento l'avesse creduta morta.
«Grazie a Odino...» sussurrò assente, per poi tornare immediatamente a guardarla. «Spiegami una cosa: Sparisci da Berk di punto in bianco, non saluti nemmeno e ti porti dietro anche i miei vestiti?»
Merida assunse un'espressione tra il mortificato e l'offeso. «Mi dispiace, volevo solo non creare altri problemi e per i vestiti... beh, i miei li ho dovuti buttare, erano tutti strappati.»
«Ma... perché?» domandò il vichingo senza riuscire a contenere la sua incredulità, nonostante sapesse bene che Merida aveva sperimentato l'idea di fuggire, una parte di lui aveva sperato fino in ultimo che non fosse così.
«Perché... perché sì!» esclamò la principessa, in difficoltà. Che cos'altro avrebbe dovuto dire, la verità? Beh, forse non sarebbe stata una cattiva idea, dopotutto... «Perché la mia gamba è guarita e non voglio recare più disturbo.»
Hiccup sembrò non credere alle proprie orecchie, dunque per tutto il tempo che era rimasta lì, aveva pensato di essere un peso? 
Non gli sembrava che qualcuno l'avesse fatta sentire in quel modo, per lui non era un problema e suo padre sembrava del tutto indifferente. Hiccup fece quasi per replicare, ma Merida continuò.
«Inoltre credo che la tua ragazza non riesca a digerirmi, quindi tolgo il disturb-»
«Beh, se non ti fossi intromessa...» gli fece notare Hiccup con calma, non pentendosi di ciò che aveva appena detto, effettivamente se non si fosse messa in mezzo sicuramente Astrid se la sarebbe presa soltanto con lui.
«Scusami?» domandò lei incredula, con una punta di ironia nella voce. «Guarda che io cercavo solamente di farvi smettere!»
«A me sembrava che andasse tutto a gonfie vele» ribatté Hiccup in tutta tranquillità, a differenza della principessa che invece si era alzata di scatto con quell'espressione che fino ad allora aveva sfoggiato solo con sua madre.
«Sì, d'accordo» ammise sarcasticamente, voltandosi per ripartire. «Beh, se tutto ciò che vuoi sentire è uno "scusa" allora scusa, spero che d'ora in poi continui ad andare a gonfie vele, tanti saluti!»
E, con i riccioli che rimbalzavano e si scontravano tra di loro, Merida continuò per la sua strada. Ma non ebbe il tempo di farne molta, poiché Hiccup le si parò di nuovo davanti. In un altro momento e in altre circostanza avrebbe lasciato perdere, avrebbe dovuto detestarla per il ben servito che quella ragazza gli stava sbattendo in faccia, ma non riuscì ad agire in nessun'altro modo se non quello di tentare a parlarle.
Voleva capire, voleva conoscerla meglio di quanto già non la conoscesse.
Merida dal canto suo, gli lanciò un'occhiataccia, cercando di aprirsi un varco per quella che era la via di casa. Se ne voleva andare al più presto, perché più guardava Hiccup, più sentiva di volergli bene e più sentiva crescere in sé il desiderio di raccontargli la verità, tutta la verità.
Ma sapeva bene che così facendo l'avrebbe solo perso.
«Mi vuoi lasciar in pace?» domandò secca, nel tentativo di superarlo.
«Prima voglio sapere perché fai così» quello suonò proprio come un ricatto, ma Hiccup non sarebbe mai stato in grado di ricattare le persone.
«Te l'ho già spiegato!»
«Quella non era una spiegazione»
Merida a quel punto si fermò, incrociando le braccia al petto e assumendo un espressione la quale fece intendere ad Hiccup che non avrebbe parlato oltre, ma prima che il vichingo potesse tentare nuovamente di dissuaderla dai suoi tentativi di fuga, Sdentato le arrivò da dietro così velocemente e così inaspettatamente, che la principessa si ribaltò all'indietro, finendo proprio sulla groppa del drago ed aggrappandosi in tempo al collo per evitare di finire a gambe all'aria.
Un'altra scossa da parte dell'animale e Merida ebbe veramente l'impressione di cadere, considerando che Sdentato le aveva già fatto provare l'ebrezza del primo volo e in tutta sincerità non le sarebbe piaciuto ripeterlo.
Ma quando la principessa alzò la testa per riprendere il controllo della situazione, a pochi centimetri riuscì a vedere solamente Hiccup nella sua stessa posizione, che tentava inutilmente di mettersi a sedere comodamente, visto che entrambi si ritrovarono a pancia in giù sulla groppa del drago.
«Sdentato, ma che fai?» domandò il vichingo, riuscendo finalmente a mettersi dritto. A quel punto però fu troppo tardi.
Il drago spiegò le ali e si alzò in cielo così velocemente, che ad Hiccup servì un miracolo per riuscire ad assumere una postura corretta, senza pericolo di cadere e Merida, che in questo tipo di volo si trovò completamente impreparata, tutto ciò che riuscì a fare fu aggrapparsi ad Hiccup e pregare che il ragazzo non perdesse il controllo alla guida.
Il vichingo continuò a chiamare Sdentato per nome, alzando il tono così tanto che Merida -nonostante la paura e il vento contro al quale stavano andando- riuscì a sentire ogni singola parola.
Ma il drago non lo ascoltò, continuo imperterrito il suo volo, come se fossero anni che non sperimentasse tale emozione.
Tutto sommato però Hiccup si sorprese della delicatezza con la quale Sdentato stava volando, ricordava ogni particolare del primo volo con Astrid ed effettivamente non fu uno dei migliori nemmeno per lui, finché non si era calmato e aveva cominciato ad usare un'altro andamento, proprio come stava facendo ora.
Ma Merida non volle accennare il minimo segno di calmarsi, anzi si strinse ancora di più alla vita di Hiccup e cercò di non guardare in basso.
Era una sensazione particolare, come se fosse sul punto di cadere, ma dall'altra parte il vento tra i capelli e la sicurezza di avere Hiccup anziché essere sola, le trasmetteva una sensazione di benessere.
Era come se avvertisse il pericolo di essere sospesa in aria, in contrasto con la consapevolezza di poter toccare le nuvole con un dito.
Infondo non era un volo spericolato come quello che aveva eseguito Hiccup, qualche giorno prima.
«Ehi, va tutto bene» la voce del vichingo le sembrò estremamente calma e rassicurante. «Ora puoi aprire gli occhi»
E la principessa obbedì, lentamente aprì prima un'occhio e poi l'altro, riuscendo finalmente a trovare il coraggio di guardare giù. Il panorama che le si parò davanti le mozzò il fiato, un'intera distesa d'alberi ricoperta di brina, la quale precedeva le alte montagne innevate di Berk.
Il villaggio le parve una macchia in quel dipinto che sembrava quasi disegnato a matita. I primi raggi dell'alba, donavano al cielo una tenue tonalità rossiccia rispetto al paesaggio bianco e candido.
Alzando gli occhi, infine, notò le nuvole proprio sopra le loro teste e in quel momento capì per quale motivo Hiccup amava così tanto volare insieme a Sdentato.
«E' così...» Merida cercò un aggettivo che si adattasse a ciò che stava provando in quel momento.
«Strano?» la precedette Hiccup.
«No, è quasi magico» sussurrò appoggiandosi alla schiena di Hiccup e sentendo attraverso quella, i battiti del suo cuore.
Sarebbe rimasta così per sempre, in quel piccolo villaggio a nord, sotto le nuvole e in compagnia di Hiccup e Sdentato. Avrebbe voluto provare ciò che stava provando in quel momento per tutta la vita e, nonostante i problemi del suo regno, in quel momento tutto il resto le sembrò così lontano tanto da darle l'impressione di essere libera, libera come non era mai stata.
Cercò di di ripetersi ad alta voce che tutto ciò che stava facendo era sbagliato, specie dopo la litigata alla quale aveva assistito tra Hiccup ed Astrid, ma anche quella voce le arrivò lontana e ovattata.
Era come se in quel momento tutto si annullasse, ogni suo problema sparisse.
Sdentato nel frattempo atterrò lentamente, arrivando a sfiorare con la coda la superficie di un piccolo lago, si erano allontanati parecchio.
Hiccup si rilassò, era parecchio tempo che non provava quel senso di tranquillità e pace. Inaspettatamente, però, il drago si burlò di entrambi, lasciandosi cadere nel piccolo lago e trascinando con sé Hiccup e Merida.
Ci fu un momento di stupore, nel quale la principessa cercò di riemergere e quando riprese finalmente fiato, cercò con lo sguardo il vichingo che ancora non era riemerso.
«Hiccup?» cercò di chiamarlo inutilmente, sapendo bene che sott'acqua non avrebbe potuto sentirla.
Ebbe solo il tempo di vedere Sdentato uscire con la testa dall'acqua, che qualcosa la trascinò sotto, così velocemente che non ebbe nemmeno il tempo di urlare per lo stupore.
Cercò di dimenarsi, ma quel qualsiasi cosa fosse l'aveva già lasciata andare e la principessa non perse tempo a nuotare verso la superficie, trovando inaspettatamente Hiccup che se la rideva di gusto. E in un attimo capì.
La principessa non perse tempo e in un attimo si vendicò, schizzandogli l'acqua addosso e costringendolo a chiudere gli occhi.
Quel gioco proseguì per quasi tutta la mattina, fino a quando entrambi, stremati come mai prima di allora, decisero di ritornare a riva per riposare un po'.


Si stesero sull'erba a ridere e a cercare di intravedere il cielo, dietro a quell'infinita distesa di alberi.
Merida cercò di ricordarsi quando era stata così bene prima di allora, si era dimenticata ogni cosa, per fino del fatto che fino a poco prima aveva tentato di fuggire.
Era così estraneo l'effetto che Hiccup le faceva, sentiva di provare insieme a lui quella sensazione di benessere che aveva provato quando sua madre le aveva garantito che non si sarebbe più parlato di matrimoni, ma lui era come se si trovasse in uno scalino più elevato rispetto a tutta la gioia provata fino ad allora. Merida non riuscì a dare un nome a tutto ciò.
Sentì solo il bisogno di rimanere così, così per sempre.
Hiccup si portò una mano dietro la nuca e l'altra all'altezza dello stomaco, chiudendo gli occhi e inspirando quell'aria famigliare che aleggiava a Berk sin da quando ne aveva memoria.
Non disse nulla, ma qualche ricciolo di Merida gli stava solleticando il braccio e lei non se n'era accorta, ma quel piccolo dettaglio non poté che farlo sorridere ancora di più. Si sentì sollevato di essere riuscito a trovarla, non avrebbe sopportato l'idea di un addio mai detto, anzi nel profondo sentiva di non poter sopportare un addio, detto o no. Almeno non da parte sua.
Non poteva farne a meno: c'era qualcosa in lei che lo attirava peggio di una colla, era qualcosa che nessuno, nemmeno Astrid gli aveva mai trasmesso. O forse qualcuno c'era, Sdentato.
Avvertiva quella sensazione di somiglianza, come se anche lei in quel momento vivesse dei problemi di cui non voleva parlare, proprio come aveva agito lui subito dopo l'incontro con Sdentato. Ed Hiccup sentì il bisogno di chiedere, di capirla, ma non disse o fece nulla, si limitò solo al solito vecchio silenzio.
Ad un tratto, però, Merida si mise a sedere, come se avesse visto qualcuno. Effettivamente anche Sdentato era sull'attenti.
«Che succede?» domandò Hiccup mettendosi di fianco, con la testa appoggiata alla mano destra.
Lei a quel punto le sorrise. «Nulla, credo di aver visto qualcosa là dietro, forse è una delle frecce che ho dimenticato di recuperare, vado a controllare, tu resta qui.»
E in un lampo sparì, sotto lo sguardo perplesso di Hiccup, il quale era del tutto incosciente del fatto che due occhi ben noti a Merida li stavano fissando rabbiosi.










 


Nota autrice:
Oh, ce l'ho fatta!
Non so come ho fatto, ma ci sono riuscita, okkei qui si entra nel vivo della storia.
Spero vi piaccia, aggiornerò presto c:
Un bacio e alla prossima!

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Capitolo 16
*** This tragic goodbye ***


Under the clouds
Chapter XVI: This tragic goodbye.








 
Merida riuscì ad inoltrarsi tra la fitta vegetazione, assicurandosi di essere per bene nascosta.
Fu grata al cielo che Hiccup non avesse notato chi lei aveva invece notato e in parte fu grata anche a quella persona di non essere uscita allo scoperto, forse una chiacchierata avrebbe risolto ogni equivoco, considerando che da come li aveva visti, lei ed Hiccup potevano risultare molto equivoci.
Lo afferrò per un braccio, inoltrandosi ancora di più nel bosco per non essere né visti né scoperti e quando si fu assicurata di essere a debita distanza, si fermò davanti al ragazzo che aveva di fronte.
Lo squadrò bene, non se lo ricordava granché -considerando che l'aveva visto solo una volta-, ma abbastanza da riconoscerlo e in quel momento la sua aria arrogante non era sicuramente d'aiuto per il suo autocontrollo.
«Che cosa ci fai qui? Come sei arrivato?» domandò andando dritta al sodo, dopotutto loro due non avevano granché da spartire.
Cercò di rimanere calma, ma con Norman lì c'era il rischio che Hiccup venisse a sapere chi era lei realmente e questo le mise un'agitazione che nemmeno uno stato d'animo controllato come il suo avrebbe retto a lungo.
Senza rendersene conto, infatti, cominciò a stropicciarsi i vestiti, l'aroma di Hiccup in quel momento era l'unica cosa che avrebbe potuto tranquillizzarla.
Norman, le buttò un occhio addosso, guardandola con sdegno, per poi tornare al suo solito sorrisetto enigmatico.
«Spero che tu ti sia divertendo» si augurò con malcelata ironia, senza badare troppo alla domanda di Merida.
La principessa lo fulminò. «Senti io...»
«Sì, tu non pensi mai a nessuno, vero?» domandò alzando di poco il tono di voce e facendo sobbalzare Merida, che in cuor suo temette di essere scoperta, nonostante la distanza e la vegetazione che li separavano dal vichingo.
«Cosa?» domandò assottigliando lo sguardo.
Norman rise nervosamente, c'era qualcosa in lui che non le piaceva affatto, non le era piaciuto quando l'aveva incontrato e non le piaceva nemmeno adesso. «Ti prego, risparmiami la commedia» poi lanciando uno sguardo verso il punto da cui si era allontanata, continuò: «Sei caduta così in basso che potrei considerare l'idea di non prenderti in moglie...»
Merida, per quanto in quel momento sentì l'agitazione crescere come mai prima di allora e la rabbia nei confronti del ragazzo che le stava di fronte, non poté che sussultare a quell'affermazione. Una brava principessa preoccupata per l'incolumità del proprio regno, lo avrebbe quantomeno supplicato in ginocchio di riconsiderare le nozze, ma Merida in quel momento riuscì soltanto a sentire un peso affievolirsi e scomparire quasi del tutto, come se qualcuno le avesse spostato il masso che portava sulle spalle.
Era preoccupata per Dumbrok e non era nemmeno del tutto sicura di riuscire a rimetterlo in piedi, ma credeva nelle sue capacità e forse sua madre sarebbe riuscita a trovare degli accordi.
Ma poi, la leggerezza provata un istante prima, svanì insieme alla frase di Norman. 
«...Ma non lo farò» sorrise ammiccante, facendo quasi rodere la principessa, che nel frattempo era partita già con mille pensieri. «Dumbrok è un regno molto potente, che potrebbe brillare più del sole se curato e governato da un re giusto, inoltre tu sei bellissima e meriti di più di tutto... questo
Pronunciando le ultime parole, si avvicinò spaventosamente a Merida e le sfiorò lo guancia. Quel tocco le fece accapponare la pelle e quelle parole sembravano tutto fuorché sane. 
Cercò di immaginarsi il suo futuro a Berk, insieme ad Hiccup e a tutte le meravigliose persone che aveva conosciuto, in contrapposizione con la possibilità di sposare Norman e vivere il resto dei suoi giorni nello sconforto e nell'angoscia.
Si sarebbero dovuti sposare per poi generare degli eredi, proprio come voleva la tradizione, ma solo il pensiero di essere ingravidata da lui le provocò un conato di vomito così potente che lei stessa si chiese come avesse fatto a trattenerlo.
Senza esitazione lo spinse via e si allontanò. «Non sono obbligata a sposarti!» e in quel momento si dimenticò di tenere il tono di voce basso, si dimenticò di ogni cosa e non ci vide più, «Appena tornerò al castello parlerò con mia madre a proposito delle nozze e di te, questo matrimonio non avverrà, rimetterò in piedi io stessa Dumbrok.»
Norman la schernì con una risata trattenuta a stento. «Davvero? E come pensi di fare?»
Merida lo guardò, senza dargli la soddisfazione di vederla cedere, perché in quel momento proprio non le veniva nessuna idea di come avrebbe potuto rimettere in piedi un regno da sola, ma l'importante era dimostrargli che lui non aveva nessuna importanza di fronte a Dumbrok.
«Questo non è affar tuo, non più» ribatté lei, con rabbia nei suoi confronti, sentiva di poter vincere contro quel matrimonio.
L'espressione di Norman, che fino a quel momento si era mostrata fiera e insormontabile, s'indurì di colpo e in attimo Merida se lo trovò davanti, sentendosi afferrare il braccio con una forza che non sarebbe riuscita a placare, non lei, non da sola.
In un attimo capì la vera natura di quel giovane che in apparenza le era sembrato soltanto un figlio di papà, incapace di arrangiarsi, e una parte di lei si spaventò, ma l'altra parte le ricordò che era ancora libera e che avrebbe potuto cacciarlo da Dumbrok.
«Non puoi costringermi, una volta arrivati parlerò e a quel punto ti toccherà fare le valigie» ora era Merida a prendersi gioco di lui, irritandolo ancora di più di quanto non lo fosse già.
Ma ad un tratto, contro ogni aspettativa, Norman lasciò il polso della principessa e si avvicinò di nuovo al suo viso, sorridendole come se avesse appena scoperto che in tutto questo il sovrano era lui, come se fosse tutto nelle sue mani.
Merida cambiò immediatamente espressione e si domandò cosa ci trovasse di divertente nel fatto che le nozze da lui tanto pretese non si sarebbero più celebrate.
«Sai...» iniziò con finta innocenza nel tono di voce. «Berk è un bel villaggio, nonostante la gente rozza che lo popola, sarebbe un peccato se gli succedesse qualcosa.»
Il nobile lasciò volutamente la frase in sospeso, per lasciar intendere a Merida le sue intenzioni e lei capì perfettamente. Sgranò gli occhi, ritrovandosi con la bocca aperta per lo stupore, di fronte a quello che suonava veramente come un ricatto.
Merida non riuscì a credere di essere veramente sotto costrizione, la terra sembrò mancarle sotto ai piedi dinanzi all'immagine di Berk rasa al suolo.
Sapeva che non sarebbe più riuscita a prendere sonno, sapendo che Norman conosceva il luogo esatto dove si trovava il villaggio di Hiccup e che avrebbe potuto distruggerlo con i suoi uomini e il suo esercito.
Conosceva il potere che quel ragazzo esercitava nel suo regno e lei stessa si ritrovò ad ammettere che Dumbrok, se mai avesse subito un attacco da parte sua, avrebbe avuto la peggio e... beh, sarebbe stato distrutto. Quindi non osò immaginare Berk, il quale era un quarto di Dumbrok e non poteva niente contro le armate di Norman.
E quei pochi attimi in cui avevano discusso servirono a Merida per capire che sarebbe veramente stato in grado di farlo e non volle rischiare, non poteva mettere in pericolo tutte quelle persone che l'avevano accolta senza esitazione per un suo capriccio.
Doveva e soprattutto voleva proteggere quel villaggio ed Hiccup, anche se questo comportava perderlo, forse per sempre.
«Non dirai nulla di questa storia a mio padre e a mia madre...» sussurrò la principessa, del tutto distrutta, per paura che anche loro si mettessero in testa di attaccare Berk.
«Sarà il nostro piccolo segreto» Norman le strizzò l'occhio, conducendola verso dove era arrivato.
Merida ricacciò indietro le lacrime. Eccolo, quello era il suo destino. 
Sposarsi con una persona meschina e crudele per puro ricatto e vivere il resto dei suoi giorni con dei figli che probabilmente non avrebbe amato come una vera madre, per poi morire tranquillamente come se a questo giro fosse andata male e si sarebbe rifatta nella prossima vita.
Ma non era così che andava, però non aveva scelta.
Doveva dire addio a tutto così, proprio quando era stata sul punto di ripensarci.
«Coraggio, andiamo» la esortò Norman, cingendole le spalle e spingendola lentamente.
La principessa però, non ebbe nemmeno il tempo di fare un passo che la vegetazione alle loro spalle emise un fruscio, simile a quando lei stessa si era inoltrata fra i rovi pungenti, ormai sembrava tutto spoglio e secco.
Il ruggito di Sdentato fu preceduto dall'esclamazione sorpresa di Hiccup.
Merida si voltò, ormai aveva gli occhi così colmi di lacrime che non sarebbe riuscita a trattenere il pianto ancora a lungo. Sarebbe voluta correre da lui e supplicarlo di portarla dove non sarebbe più stata costretta ad essere una principessa, dove avrebbe potuto vivere libera come un vichingo, lontano da matrimoni ed eredi, ma in quel momento le venne in mente solo la possibilità che Hiccup avrebbe scoperto da un momento all'altro chi era realmente.
«Oh, ma bene!» esclamò Norman aprendo le braccia e fallendo nel tentativo di apparire amichevole. «Vedo che ci siamo tutti!»
Sdentato ringhiò contro al giovane, che si ritrasse di poco alla vista dell'animale. Di certo non si aspettava che anche il drago li raggiungesse e dalla sua espressione, Merida intuì che ne fosse spaventato.
Infatti una parte della sua sicurezza venne meno.
«Merida, che succede?» Hiccup invece si mostrò soltanto stupefatto. 
La principessa riuscì appena a guardarlo, come aveva fatto fino ad allora a fingere? Come era riuscita ad ingannarlo senza essere sopraffatta dai sensi di colpa? 
Il peggio era che non poteva nemmeno difendersi dai ricatti di Norman, perché sapeva che se l'avesse raccontato a suo padre o a sua madre, loro avrebbero attaccato Berk per assicurarsi che nessun vichingo oltrepassasse i confini e questo non doveva succedere.
Era inevitabilmente in trappola e questa volta non c'erano né i fuochi fatui, né magiche streghe a concederle una via di fuga.
Vedendo la sua espressione, Hiccup fece per avvicinarsi, ma Norman fu più veloce e cinse le spalle di Merida, continuando a fissare lui come per intimargli di stare al suo posto.
Merida sapeva quanto Norman disprezzasse i vichinghi, glielo aveva fatto intendere dalle occhiate che lanciava di tanto in tanto verso la zona dalla quale proveniva Hiccup, ma sapeva anche che l'unica persona da guardare con scherno in quel momento era solo lui.
«Oh, ma quindi non gliene hai ancora parlato!» esclamò allegro come se stesse partecipando ad un banchetto organizzato dal re stesso.
Hiccup assunse un espressione contrariata. «Che cosa avrebbe dovuto dirmi?»
«Che strano, avrei giurato che tra di voi ormai non ci fossero più segreti» la mano di Norman strinse convulsamente una manciata di ricci della principessa ed Hiccup fulminò quella mano, «Dunque non gli hai ancora detto di essere la principessa.»
Merida strinse i pugni e serrò i denti, non osò guardare Hiccup negli occhi e non poté fare nulla per spiegargli la situazione, altrimenti Norman si sarebbe ritorto contro Berk. Indirizzò mentalmente le peggiori maledizioni al ragazzo di fianco a lei, sentendo che ormai le lacrime erano sul punto di esplodere.
Non poteva fare nulla, era in trappola e questa volta in tutti i sensi.
Il silenzio non fece altro che aumentare la tensione e Merida desiderò che qualcuno lo colmasse, che Hiccup dicesse qualcosa, qualsiasi cosa sarebbe andata bene.
«La principessa?» domandò lui confuso, non sapendo bene cosa pensare o cosa dire.
Norman rise nuovamente, era l'unico che sembrava trovare quella situazione divertente. «Ma certo!» esclamò, «la principessa di Dumbrok, anzi forse dovrei dire la regina, considerando che sta per sposarsi, dico bene?»
Hiccup cercò di spiegarsi tutta quella situazione, ma effettivamente non riuscì a concludere granché. L'idea di Merida come principessa era assurda, perché non avrebbe dovuto parlargliene? E soprattutto perché -se era realmente quello che Norman affermava che fosse- era arrivata lì a Berk?
Le idee cominciarono a mischiarsi tra di loro e qualcosa negli occhi di Merida stava cominciando a fargli credere che tutta quella storia fosse vera e che probabilmente la persona con cui si doveva sposare era proprio quel tipo.
Avrebbe voluto delle spiegazioni proprio da lei, ma solo il fatto che non lo guardasse nemmeno, gli fece capire che non avrebbe avuto nemmeno un piccolo dettaglio.
«Merida, è vero?» domandò sottovoce, come se qualcuno potesse sentirli, oltre ai grossi pini che abitavano quel bosco.
La principessa non alzò lo sguardo, cercò di soffocare ogni sentimento e di rispondere in modo da non mettere in pericolo Berk e soprattutto lui, che -ne era abbastanza sicura- non avrebbe più rivisto.
Non dopo la frase che seguì.
«Hiccup... vattene» mormorò con la voce così rotta che lei stessa temette di essere proprio al limite del pianto.
Hiccup sgranò gli occhi e la fissò per un lungo minuto, un minuto che sembrava racchiudere l'eternità. Dunque era tutto vero e lei glielo aveva tenuto nascosto, rischiando di iniziare una guerra inutile fra il villaggio e il regno.
Anche se in quel momento era proprio ciò per cui Merida lottava, per la salvezza di Berk e Dumbrok.
Ma Hiccup questo non poteva saperlo e lei non glielo avrebbe potuto spiegare. Così il vichingo salì su Sdentato ad una velocità così incredibile che il drago stesso si sorprese, dopodiché lo incitò e insieme si alzarono in volo, allontanandosi.
E Merida a quel punto scoppiò a piangere.









 


Nota autrice:
ORA SI CHE MI AMMAZZERETE!
No, vi prego, vi prometto che troveremo una soluzione a questo madornale addio >w<
Grazie per le scorse recensioni, per tutte le persone che stanno recensendo, seguendo o anche solo leggendo silenziosamente la mia storia.
Alla prossima allora!

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Capitolo 17
*** For the love of a mother ***


Under the clouds
Chapter XVII: For the love of a mother.







 
Per tutto il viaggio di ritorno Merida non osò fiatare.
Norman camminava davanti a lei e di tanto in tanto Merida lo vedeva di riflesso voltarsi con quell'insopportabile espressione soddisfatta che non voleva proprio togliersi di dosso.
Avrebbe veramente voluto prendere la prima cosa che le capitava sotto tiro e rompergliela in testa, ma la depressione e lo sconforto continuavano a crescere dentro di lei, così tanto da darle a malapena la forza di proseguire.
Aveva perso tutto: La sua libertà, i suoi diritti, il suo regno e Hiccup. Quest'ultimo prima di tutti era il motivo del suo bisogno a sfogarsi in un nuovo pianto liberatorio, ma era come se avesse appena esaurito le lacrime a sua disposizione e soprattutto le forze.
Giunsero a Dumbrok in sera inoltrata, Merida lo riconobbe dalle fiaccole posizionate ad intervalli regolari in paletti di legno.
Era tutto come lo aveva lasciato e si stupì del fatto di aver pensato che qualcosa fosse cambiato, come poteva essere cambiato qualcosa?
Nessuno diede loro il benvenuto, le luci erano spente e in quello che una volta era il suo regno -ma che fra poco non lo sarebbe più stato- sembrava tutto morto. Si strinse nelle pesanti vesti di Hiccup, poteva sentire ancora il suo profumo.
Norman aprì il portone e un'aria nuova ma non sconosciuta, invase le narici di Merida. Era l'aria di casa.
Dovette ammettere che nonostante tutto le era mancata, sarebbe stato un ritrovo allegro e gioioso se solo non avesse appena abbandonato l'unica persona che in quell'avventura l'aveva aiutata e non l'aveva lasciata morire di freddo e per quanto si sforzasse di dimenticarlo, Hiccup ruotava violentemente nella testa della principessa che ormai sembrava in preda alla nausea.
Con un grande sforzo di volontà si trascinò dentro e non appena le porte vennero chiuse, qualcuno dall'altra parte dell'ampio salone pronunciò il nome di Merida così forte che il rimbombo attraversò perfino le mura di pietra. Era una voce a lei famigliare, che da tempo non sentiva, ma la udì quasi ovattata per i pensieri contrastanti che combatteva nella sua testa.
Alzò lentamente lo sguardo ceruleo incrociando immediatamente la figura di sua madre, che in quel momento di regale non aveva nulla.
Portava i capelli raccolti come al solito, ma li trovò più spettinati, quasi trascurati e gli occhi gonfi probabilmente per i pianti che le aveva causato. Si sentì immediatamente stringere il petto e una parte di lei le sarebbe volentieri corsa incontro abbracciandola e raccontandole ogni particolare di quella sua avventura a Berk, glielo avrebbe sicuramente raccontato con il sorriso sulle labbra, se le circostanze fossero state diverse, ma si rese conto che purtroppo non era così e si rassegnò anche solo all'idea di provarci.
Si sforzò quanto meno di accennare un sorriso, non sapendo bene cosa fosse saltato fuori. «Ciao mamma...» sussurrò appena.
La regina sospirò, poco prima di alzare le pesanti gonne per correrle incontro.
L'abbracciò amorevolmente, baciandole il capo e toccandole le guance, come per verificare che fosse veramente lì in quel momento. Sorrise più e più volte ancora, portando Merida a pensare che quantomeno qualcuno aveva reso felice -oltre che Norman- con tutta questa storia.
Cercò conforto in quei pensieri, quel tipo conforto che non avrebbe mai trovato.
«Oh, santo cielo!» sospirò guardando la figlia in viso, ancora con quell'espressione stupita negli occhi.
Il tossire imbarazzato di Norman ricordò alla regina che avrebbe dovuto darsi un contegno, ma ciò che volle dire fu altro.
«Vi lascio sole, così avrete modo di parlare» le informò, lanciando un'eloquente occhiata a Merida, la quale però non ricambiò per la mancanza di forze che quell'addio le aveva lasciato. «Con permesso...»
E detto ciò sparì tra le imponenti colonne.
Elinor condusse la figlia in un posto dove avrebbero potuto sedersi e parlare tranquillamente e la principessa si ritrovò ad deglutire a vuoto, cercando di mettere insieme una scusa credibile che avrebbe tenuto sua madre lontano da Berk.
Non poteva di certo parlargliene, se avesse anche solo accennato che lì a qualche giorno di marcia c'era un villaggio vichingo, sarebbe stata la fine. Certo, lei sarebbe stata libera di non sposarsi più con Norman, ma a che prezzo? Non avrebbe mai messo in pericolo Hiccup e il suo villaggio.
«Immagino che tu abbia molto da raccontarmi» esortò sua madre, sedendosi sulla sedia con un'immenso sforzo che portò Merida a pensare quanto fosse invecchiata da lì a qualche anno addietro.
Non sai quanto, pensò rigirandosi i pollici e guardando verso il pavimento, ma non posso.
«In realtà...» si perse nei suoi innumerevoli pensieri, «...Non ho granché da dire.»
La regina sembrò stupirsi, poiché batté più volte le palpebre, quasi sconvolta. «Sei stata via tutto questo tempo, qualcosa devi aver pur fatto... dove sei stata?» parlò severamente, abbandonando il tono dolce di poco prima.
Merida si strinse nelle spalle, «sono stata in una capanna abbandonata» s'inventò su due piedi, maledicendosi subito dopo per l'orribile scusa che aveva tirato fuori.
Elinor storse il naso, quasi infastidita -o forse più semplicemente non ci credeva- e scrutò la figlia da capo a piedi, sembrava notare solo in quel momento il cambio d'abiti di Merida.
«E quei vestiti?» domandò.
«Li ho...» arricciò il naso, sperando di non doverlo davvero dire «li ho trovati dentro alla capanna, i miei erano strappati dunque...»
Merida non osò alzare lo sguardo dopo quella dichiarazione, si rendeva conto che per una principessa un gesto del genere era inaccettabile, ma forse non avrebbe calcato molto su questa piccola bugia se davvero fosse stata felice di vederla e in cuor suo spero lo fosse veramente.
«E' inaccettabile per una principessa» ecco, appunto. «...Però credo che tutti l'avrebbero fatto, pur non sentire freddo.»
Merida alzò di scatto la testa, guardando sua madre come se le avesse appena rivelato di essere una vichinga, lei le stava sorridendo come quando l'aveva abbracciata, ma in quello sguardo c'era una nuova luce, qualcosa che si avvicinava alla comprensione e la principessa fu così sollevata da quello sguardo che rimase ferma ad osservarla per qualche minuto, le era veramente mancata, le erano mancati tutti.
Avrebbe voluto dirgli tutta la verità, non avrebbe voluto mentire in quel modo a sua madre, ma Berk aveva la precedenza su tutto, anche sulla sua felicità poiché era stato Hiccup a donargli quel pizzico di gioia quando tutto il resto le stava precipitando addosso.
E non trovò la faccenda come una questione da ripagare, voleva seriamente che Hiccup non avesse problemi a causa sua e la parte -forse- più matura di lei le suggeriva di agire in quel modo.
Non s'accorse che le mani della regina erano arrivate alle sue e le stavano stringendo.
Merida alzò lo sguardo, incontrando gli occhi della madre, così diversi e così simili ai suoi.
«Merida...» iniziò Elinor, in tono incerto. «Io ci ho pensato e ammetto di aver sbagliato ogni cosa e di nuovo, ti chiedo scusa dal profondo. Se vuoi questo matrimonio può essere annullato...»
Il cuore della principessa sussultò per un momento di gioia, ma poi si spense nuovamente ripensando alle condizioni che gli aveva imposto Norman.
Avrebbe potuto accettare l'annullamento e vivere come aveva sempre desiderato, ma sapeva che Norman avrebbe potuto distruggere Berk anche senza le armate di Dumbrok e lei non poteva di certo chiedere aiuto a suo padre per questa guerra, si sarebbe sicuramente alleato con Norman e a quel punto per il villaggio sarebbe stata la fine.
E la faccenda che più la spaventava era il dubbio che una volta sposatasi, Norman avrebbe mandato ugualmente i suoi eserciti a Berk e lei non avrebbe potuto muovere un dito per fermarli, quest'incubo la stava assalendo, senza permetterle un pensiero razionale.
Si sforzò di sorridere a sua madre per recitare la parte della ragazza innamorata, ma in cuor suo si sarebbe volentieri messa ad urlare piangendo.
«Credo che Dumbrok necessiti di questo matrimonio per rimettersi in piedi...» lo sconforto l'assalì prima del necessario e ci mancò veramente poco che la sua voce si spezzasse ancora prima di terminare la frase. «Sposerò Norman».


Il tempo sembrava essere il solito di sempre e anche Berk sembrava essere mossa nemmeno da un soffio di vento.
Allora perché Hiccup sentiva dentro di sé una vorticosa tempesta indomabile?
Si strinse alle redini di Sdentato, non riuscendo a vedere oltre l'ultima espressione che Merida gli aveva concesso. Era sempre stato considerato da tutti un vichingo intelligente, considerando che ai vichinghi non occorreva l'intelligenza, quanto la forza bruta, eppure in quel momento la sua mente non riusciva a collegare la parola principessa con Merida.
Solo a sentire quelle due parole vicine un uragano si scatenò nuovamente in lui.
Si portò una mano nei capelli, credendo di essere impazzito improvvisamente. Non avrebbe dovuto sentirsi così: Aveva Berk, aveva suo padre, aveva Astrid -forse proprio per quel motivo non avrebbe dovuto sentirsi così-, aveva il suo migliore amico -il quale era certo che non l'avrebbe mai abbandonato-, eppure c'era qualcosa che mancava all'appello. O qualcuno.
Sdentato probabilmente avvertì il suo umore e cercò di dirgli qualcosa attraverso un lieve ruggito, il quale fece appena sorridere Hiccup.
Forse in quel momento Sdentato era l'unica compagnia che il vichingo avrebbe voluto avere accanto.
«Va tutto bene, Sdentato...» gli batté amichevolmente due pacche sul collo. Ma in realtà non andava bene per niente.
Atterrarono esattamente vicino a casa. Una buona dormita l'avrebbe aiutato a dimenticare Merida e ciò che era successo nelle ultime settimane, anche se in realtà sapeva perfettamente che tutto ciò non sarebbe accaduto.
Ma qualcuno lo stava -probabilmente- aspettando.
«Astrid» il tono di voce che uscì dal vichingo fu tutto fuorché allegro di vedere la propria ragazza.
Lei accennò un sorriso, guardandosi attorno, forse per cercare qualcuno che in quel momento non c'era e che non ci sarebbe più stato. Poi tornò a guardare Hiccup sorridente.
«Ehi, ti vedo un po' giù, è successo qualcosa?» domandò apprensiva.
«Scusami» sussurrò lui con la testa china, per poi superarla ed incamminarsi verso la porta in legno d'abete, «Oggi non me la sento di uscire, ci... ci vediamo domani!»
«Hiccup aspet-»
Astrid tentò di fermarlo, ma la porta si era già chiusa alle sue spalle senza nemmeno dare alla vichinga il tempo di chiamarlo.
Hiccup strinse la maniglia con la mano che la teneva e respirò profondamente, respingere Astrid? Era assurdo, l'unica volta che era successo, era accaduto perché suo padre gli aveva spudoratamente portato via Sdentato.
Che cos'era quella sensazione di vuoto che lo divorò non appena alzando lo sguardo non vide la solita cascata di ricci rossi che sbucava dal solito, vecchio angolo?
Merida non poteva sul serio essere una principessa. E soprattutto non poteva seriamente essere una principessa sul punto di sposarsi.
Perché gli aveva mentito su tutto? Perché una persona avrebbe dovuto fare una cosa del genere?
Questa volta si portò entrambe le mani ai capelli, scoprendo la fronte che solitamente era coperta dal ciuffo. Stava impazzendo, si stava torturando mentalmente.
Perché l'aveva portata con sé a Berk? Perché?
Si sdraiò sul suo letto duro e freddo, continuando a riempirsi la testa di perché, finché il sonno non lo avvolse tra le sue braccia, donandogli un po' di pace.
Se la meritava dopotutto.








 


Nota autrice:
Potete picchiarmi.
Potete davvero farlo e vi do il permesso, non schiverò nessun pomodoro, mi merito tutti gli insulti del mondo e tutte le bandierine arancioni per il ritardo mostruoso che ho fatto.
Vi chiedo perdono, d'ora in avanti cercherò di essere più puntuale e di seguire il ritmo di prima ;w;
Spero che il capitolo vi sia piaciuto come sempre e mi scuso ancora per il ritardo, davvero.
Un bacio e alla prossima!

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Capitolo 18
*** The last day ***


Under the clouds
Chapter XVIII: The last day.







 
Quando il sole penetrò nella stanza della principessa, fu come se la notte non fosse mai passata.
Era rimasta sveglia, senza riuscire a prendere sonno e solo lei poteva capirlo. Si domandò se anche Hiccup non fosse riuscito a dormire, probabilmente se gliene fosse importato ancora qualcosa di lei dopo ciò che gli aveva detto sarebbe sicuramente rimasto anche lui a rimuginare.
Fissò il soffitto così tanto da vederlo cambiar colore più e più volte ancora, mentre sentiva dei passi rimbombare in corridoio. Forse avrebbe dovuto fingere di dormire, si disse.
Ma tutto ciò che riuscì a fare fu voltarsi in direzione della porta, era abbastanza sicura che fosse sua madre.
Per tutta la mattina aveva sentito dei rumori al piano inferiore, nel grande salone -forse-, ma non si era azzardata a muoversi di lì, era ancora abbastanza scossa e vedere il viso orgoglioso di sua madre o il ghigno soddisfatto di Norman le avrebbe fatto rigettare ciò che da ieri non aveva mangiato.
Voleva evitare ogni contatto.
La porta si aprì lentamente e da essa sbucarono dei lunghi capelli castani che ormai non venivano più legati e un paio di occhi nocciola, molto diversi da quelli di Merida.
«Mamma...» si accorse di aver parlato così piano che probabilmente la regina non l'aveva nemmeno sentita.
La osservò mentre si avvicinava, il portamento elegante di sempre sembrava essere ritornato dopo ieri sera e una parte di lei ne fu sollevata. Le dispiacque per il dolore che le aveva causato, ma non poteva dire di essere stata male a Berk. Non poteva proprio dirlo.
Elinor si sedette sul materasso, la schiena eretta mentre osservava la figlia con un espressione compassionevole e quella era l'ultima cosa di cui Merida aveva bisogno. Le portò una mano sulla guancia, arrivando fin sotto al mento.
«Stai facendo la cosa giusta» le sorrise, un sorriso rassicurante. «I preparativi termineranno a breve, domani potrete sposarvi»
Il forzato sorriso che la principessa si era imposta di fare svanì in meno di un istante, di un battito di ciglia. Improvvisamente le crollò il mondo addosso.
Domani? Si sforzò di dare un senso a quella parola e collegarla al suo futuro, ma non ci riuscì, era come se non riuscisse a capire il significato di ciò che sua madre le stava dicendo, eppure era stata così chiara.
Pensava di avere più tempo, pensava che l'avrebbero fatta respirare una volta tornata a casa dopo così tanto tempo che era stata via.
Sentì l'angoscia crescere sempre di più ed un senso di vertigini come se stesse volando la prima volta su Sdentato. Si portò automaticamente le mani allo stomaco e cominciò a fissare il vuoto, in stato di confusione.
«Domani...?» ripeté in un sussurro.
Merida non scorse l'espressione di Elinor, ma avvertì la sua mano sulla spalla che però non riuscì a destarla da quell'incubo orrendo.
Si rese conto in quel momento di star recitando male la sua parte, probabilmente sarebbe dovuta saltare al collo della regina e esultare gioiosa, per poi piangere in un secondo momento quando sarebbe rimasta da sola.
Invece le venne solo da piangere, nessuna esultanza.
«Pensavo fossi d'accordo...» mormorò la regina cambiando tono e facendosi sempre più confusa, «Norman ci ha assicurato che non ci sarebbero stati problemi e che tu-»
Merida abbassò lo sguardo incupendosi ancora di più. Era stato Norman, dunque, a far girare la voce che lei fosse d'accordo del fatto di sposarsi domani stesso. Ma cosa voleva? Ormai era chiaro che avesse vinto, aveva dovuto rinunciare ad Hiccup per colpa di quel damerino e ancora ne stava soffrendo silenziosamente senza nemmeno recargli disturbo per paura che lui si rivoltasse su Berk.
Avvertì la rabbia ardere con maggiore intensità e senza controllarsi si lasciò sfuggire un piccolo pugno che indirizzò al materasso sotto di sé. Per fortuna sua madre non se ne accorse.
L'impotenza era una brutta, bruttissima sensazione.
«Va bene» disse seccamente interrompendo Elinor mentre parlava, in un altro momento non si sarebbe mai azzardata, ma la rabbia la stava divorando. «D'accordo, domani andrà benissimo, puoi... puoi lasciarmi sola, per favore?»
La regina esitò qualche istante, fissando la figlia tra il meravigliato e il severo, forse quest'ultimo risultava un po' meno accennato. Si alzò a mani unite, probabilmente ora pensava che avesse cambiato idea sul matrimonio e questo la preoccupò, ma non si azzardò a domandare nulla, comprese silenziosamente l'angoscia della figlia e le augurò buona giornata, dileguandosi un'istante dopo.
Non appena la porta si richiuse su se stessa, Merida si fiondò giù dal letto -e quasi non vi inciampò, nell'intendo di uscire dall'ammasso di coperte- dirigendosi a grandi falcate verso il salone e senza nemmeno preoccuparsi di essere in camicia da notte.
Percorse le scale come una furia e saltando anche doppi gradini, per poi giungere nel grande salone che pullulava di domestici, i quali si voltarono tutti nella sua direzione con un espressione tra il meravigliato e l'oltraggiato, quando entrò.
Non se ne curò nemmeno e proseguì dritta dritta verso il soggetto in questione.
«Norman!» lo chiamò a gran voce, portandolo a voltarsi e interrompendo ciò che stava facendo. Voleva dare una dimostrazione di quanto valesse, aiutando per il matrimonio? Be', ai suoi occhi stava solo perdendo punti.
Lui si voltò, ma non ebbe nemmeno il tempo di riconoscere Merida, che quest'ultima lo strattonò per un braccio, conducendolo dove avrebbero potuto parlare da soli.
Aveva da dirgliene così tante che la metà sarebbe bastata per fargli abbassare la cresta, sentiva di dover scoccare quella dannata freccia che avrebbe dovuto impiantargli nella testa nel momento in cui l'aveva visto nel bosco, ma sfortunatamente il suo arco era rimasto al piano superiore.
Si fermò dietro l'angolo di uno stretto corridoio, così dimenticato che ormai nemmeno le domestiche provvedevano a scostare le tende dalle finestre per illuminare la zona.
Lo lasciò andare, guardandolo dritto negli occhi e cercando di trasmettergli tutto l'odio che a parole probabilmente non avrebbe saputo esprimere.
«Perché l'hai fatto?» sibilò, cercando un contegno e scoprendo che non l'avrebbe trovato.
«Fatto cosa?» domandò fingendosi innocente e alzando un lato della bocca, due fattori contrastanti a detto della principessa.
«Lo sai. Perché hai deciso il giorno delle nozze -che per di più è domani- senza il mio consenso, pensavo che-» era più infuriata di quanto pensasse, ma Norman la interruppe prontamente, portandole un dito alle labbra.
«No, tu non devi pensare, tu non dovresti nemmeno rivolgerti in questo modo a me, non hai il benché minimo potere su ciò che io decido o deciderò di fare. Certo, ti verrà data la possibilità di esprimerti, ma le tue decisioni saranno sempre superflue ed insignificanti, nonché inutili.»
Ascoltò le sue parole con un espressione più ardente che meravigliata. Di cosa avrebbe dovuto meravigliarsi? Norman era un verme e lo sarebbe sempre stato. Ma in quel momento fu come se si sentisse esplodere riguardo a tutto ciò che era avvenuto in quei giorni, in pochissimi giorni era riuscito a ribaltare la situazione a suo vantaggio ed ora governava il gioco, erano tutti delle sue pedine.
Ma lei non voleva essere il burattino di nessuno, non l'avrebbe usata solamente come trofeo per il regno o come macchina per generare eredi. Non poteva pensare di avere dei bambini da parte sua, si sentì quasi male al solo pensiero.
Doveva pensare ad Hiccup, a Berk e alla salvezza di tutte quelle persone che l'avevano accolta gentilmente, nonostante fossero vichinghi.
Cercò di distrarsi, ma tutto ciò che riuscì a fare fu guardarlo con odio e avvicinarsi pericolosamente.
«Tu, brutto...»
Non ebbe nemmeno il tempo di fare un ulteriore passo che Norman l'afferrò per il collo, stringendolo esageratamente tanto da toglierle l'aria ed incollandola al muro, quasi come se stesse appendendo un manifesto.
Merida provò a respirare, ma si accorse che non circolava un filo d'aria sotto quella morsa ed automaticamente si ritrovò a scalciare ma senza successo, poiché Norman le era praticamente addosso.
Il ragazzo si avvicinò al suo orecchio, scostandole qualche riccio. 
«Ascoltami bene, non mi è mai piaciuto prendere ordini e non sarà di certo una principessa prepotente a farmi cambiare idea. Quindi se non vuoi che a quegli scarti di feci succeda qualcosa, ti conviene stare al tuo posto, d'accordo?»
Merida si sforzò di annuire, in quel momento tutto ciò che desiderò fu respirare di nuovo, considerando che cominciava a vedere tutto scuro per la mancanza di ossigeno in circolazione.
Norman la lasciò improvvisamente e lei si ritrovò a scivolare lungo la parete, tossendo e respirando affannosamente come mai le era capitato prima d'ora.
Si portò una mano sul collo, riusciva a sentire ancora il tocco prepotente di Norman sulla sua pelle, probabilmente le avrebbe lasciato il segno.
Cercò di fermarlo, mentre lui se ne andava, ma ancora non aveva smesso di tossire. Perciò continuò finché non fu necessario.
Era davvero quello il suo destino? 


Il sole calò nuovamente su Berk, mentre le giornate sembravano susseguirsi in un eterno e crudele ciclo.
L'ultimo raggio di sole si perse nella penombra della camera di Hiccup, il quale non intendeva uscirci se non per assicurarsi che Sdentato stesse bene. Se c'era qualcuno che voleva vedere in un momento come quello, era proprio il suo migliore amico, solo lui.
Seduto contro la parete fredda, appoggiò la testa contro il legno retrostante del letto. Stava diventando un vegetale, erano giorni che non andava oltre il confine della sua dimora e più volte aveva sentito la voce di Astrid chiamarlo, ma lui si era finto addormentato.
Quello non era proprio un buon momento per guardare negli occhi la sua ragazza e immaginarsi che quell'azzurro appartenesse invece a Merida.
Gli era capitato più volte di sognarla, o forse avrebbe dovuto etichettare quelle visioni come incubi, considerando che non sapeva nemmeno più se odiarla o meno per ciò che aveva fatto e per avergli riempito la testa di dubbi e perché.
Passerà, si era detto un giorno con un'improvvisa forza di volontà che poi però l'aveva abbandonato non appena aveva provato ad uscire dalla sua stanza.
Era difficile passare per quelle mura vuote senza vederla sbucare da qualche angolo.
Ma si ridestò da quella tortura proprio quando qualcuno fece irruzione in camera. In un primo momento pensò che Astrid avesse sfondato la porta a colpi d'ascia, ma poi realizzò di non aver sentito nessun rumore di cardini saltar via.
«Ciao papà» lo riconobbe Hic, nonostante tenesse gli occhi sulla parete davanti a sé, non gli bastò una conferma per capire a chi appartenessero quei passi pesanti.
L'omone si sedette sul letto, senza dire una parola ma sospirando nel forzato movimento di piegare le gambe.
Nessuno parlò per qualche minuto, Stoik teneva lo sguardo verso il soffitto e Hiccup verso la parete, ma entrambi sapevano bene quale sarebbe stato l'epicentro del discorso ed Hiccup era abbastanza sicuro di volerlo liquidare al primo accenno.
«Bella giornata oggi, non trovi?» incalzò Stoik per primo, portando il figlio a stringere un lembo della maglia, ormai erano giorni che l'armatura giaceva in un angolo indefinito della camera.
«Già.»
«Dovresti essere fuori con Sdentato» continuò portando le mani sulle ginocchia e piegandosi lentamente da un lato.
«Già, dovrei.» Non aveva la minima voglia di parlare, ma si sforzò quantomeno di non rispondere malamente a suo padre.
«Astrid è preoccupata per te.»
«Lo so.» E come poteva non saperlo? Probabilmente lo sapeva tutto il villaggio. Che stupido, stava con una delle vichinghe più belle di Berk e...
«E tu giustamente stai pensando a Merida» ci mancò veramente poco che Hiccup non cadesse di lato per la sorpresa che quella frase gli aveva procurato. Stoik si spostò in una frazione di secondo, quasi meravigliando il figlio e gli batté una mano sulla spalla. «E bravo il mio ragazzo! Per un momento ho pensato che non ti saresti mai dato una mossa con le donne e ora guarda un po', addirittura due!»
Stoik scoppiò in una fragorosa risata, mentre Hiccup rischiava di morire di vergogna proprio lì, ai piedi del suo letto. Ma che cosa pensava che fosse? Era nello stato più confusionale in cui fosse mai entrato e suo padre cosa faceva? Se la rideva di gusto.
«Papà per favore!» esclamò ponendo fine al divertimento dell'omone. «E' una cosa seria.»
«Oh.» fu tutto ciò che riuscì a dire, «Quindi Merida a te...»
«Possiamo smetterla di parlare di lei?» domandò alquanto innervosito, «Sto cercando di dimenticarla»
«Dimenticarla? E perché?» chiese confuso.
Hiccup esitò qualche istante, confessargli che era una principessa sarebbe stato confusionale per lui e soprattutto avrebbe riportato in vita tutta la malinconia che in quei giorni si era trascinato a fatica, cercando di lasciarsela alle spalle.
«Perché mi ha mentito, ha mentito a tutti noi e se n'è andata.» in quel momento voleva solamente stare da solo con i suoi pensieri, come i giorni addietro.
Stoik non parlò per una buona manciata di minuti e questo portò Hiccup a pensare che da un momento all'altro si sarebbe alzato e avrebbe preso la via più semplice per uscire, come tutte le volte in cui avevano una discussione e lui non sapeva che dire.
Ma non sentì nessun cigolio del letto, era come se avesse deciso di rimanere lì con lui, nonostante il silenzio imbarazzante che aleggiasse.
«Tu lo sai perché ti portai via Sdentato?» domandò così di punto in bianco.
Hiccup roteò gli occhi, sbuffando. «E questo cosa centra con quell-»
«Lo sai?» parlò a gran voce, pretendendo un'immediata risposta.
Il giovane vichingo sospirò rassegnato, tanto valeva rispondergli. «Perché odiavi i draghi?»
«Sbagliato.» lo corresse, «Perché mi sono sentito tradito.»
«Papà, questa conversazion-»
«Tradito dalla persona più cara che avevo, da una persona che amavo.»
Hiccup si zittì di colpo, suo padre non poteva vederlo poiché era girato di spalle, però lui stesso giurò di aver sussultato di poco quando Stoik aveva pronunciato quelle parole. Lo sapeva, era ovvio, per questo gli aveva tenuto segreto Sdentato così a lungo, per non ferirlo e non farlo sentire tradito, ma il tradimento era l'ultima cosa che Hiccup aveva pensato, anni addietro. Non intendeva assolutamente tradire suo padre.
Ma quella frase lo aiutò a riflettere, sebbene fosse tutto così ovvio, tutto andava a ricollegarsi a Merida e questo non poté far altro che stupirlo.
«...E tu conosci le conseguenze del mio gesto, della scelta che presi anni fa quando conobbi la verità» automaticamente entrambi guardarono la protesi di ferro. «Dunque mi auguro che tu conosca il motivo per il quale se n'è andata e del perché l'hai lasciata andare, altrimenti ti consiglio di provvedere prima che sia troppo tardi e tu sai a cosa mi riferisco.»
Hiccup sbatté le palpebre più e più volte ancora. Era come se all'improvviso si fosse svegliato dal suo stato di confusione, quando in realtà non aveva trovato un perché alle sue domande, ma l'immagine di Merida quasi sull'orlo delle lacrime che lo implorava di andarsene bastò per chiarirgli le idee.
Probabilmente si sbagliava e sicuramente non sarebbe venuto a capo di niente, ma c'era un perché che spiegava il motivo per il quale da un momento all'altro era cambiata tanto da pregarlo di andarsene e lui avrebbe trovato quel perché.
Si alzò dal pavimento, dirigendosi verso la sua armatura e allacciandosela.
«So cosa fare, grazie papà!» urlò già dall'altra parte della casa.









 


Nota autrice:
Bene, dai, questa volta sono riuscita ad aggiornare con un po' meno ritardo, lasciatemi mettermi in pari con tutto :c
Be', spero vi sia piaciuto come sempre, alla prossima allora, tra qualche capitolo ci sarà da ridere.
Un abbraccio a tutti!

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Capitolo 19
*** A cruel decision ***


Under the clouds
Chapter XIX: A cruel decision.









Le prime luci dell'alba arrivarono insieme ad un freddo venticello che però non apparteneva affatto all'aria gelida di Berk.
Questo portò Hiccup a pensare che probabilmente dovevano essersi allontanati parecchio dalla sera scorsa, ma il suo istinto non era completamente sicuro e in alcune situazioni era arrivato perfino a pensare che si fossero persi.
Aveva passato la sera prima immerso tra i vecchi libri e cartine impolverate per trovare una strada che lo portasse a Dumbrok -o almeno così ricordava che si chiamasse- ma aveva trovato poco e niente. Probabilmente i rispettivi clan non hanno mai indagato sull'esistenza reciproca e questo portò alla conclusione che fosse Merida la prima principessa scozzese ad entrare in territorio vichingo.
Hiccup storse il naso, pensando che detto così non prometteva niente di buono, ma dopotutto si era messo in viaggio proprio per scoprire il motivo del perché Merida se n'era andata, non per capire chi fosse. Quello ormai lo sapeva già, anche se l'aveva scoperto nel peggiore dei modi.
Estrasse una delle tante cartine che si era portato per il viaggio e alzò gli occhi di tanto in tanto per capire se fossero quantomeno usciti dal loro territorio.
Tutto ciò che vide, però, non furono altro che nubi e nebbia a non finire, per non parlare del buio che ancora non si era messo in ginocchio di fronte ai flebili raggi dell'alba.
Imprecò a bassa voce, sentendo ormai gli occhi chiudersi per la notte passata in bianco e Sdentato sotto di lui, emise un rantolo assonnato. Non avrebbe dovuto affaticarlo così e fu quasi tentato di fermarsi per una sosta, cosa poteva cambiare un'ora di ritardo? Ormai era una notte che erano in viaggio e non avevano scorto nemmeno un castello.
Le speranze furono quasi sul punto di andar a farsi benedire, quando la luce del sole sfiorò il viso di Hiccup, costringendolo a chiudere gli occhi per il fastidio. Ma non ci diede troppo peso, perché un rumore lontano e ovattato lo destò completamente.
Assomigliava vagamente al rumore di un corno, non che fosse nuovo alle orecchie del vichingo, ma questo poteva solo significare che a qualcosa erano arrivati e nonostante sarebbe potuta essere la strada sbagliata, Hiccup volle comunque accertarsi che quel rumore non appartenesse al Regno che invece sperava aver trovato.
«Coraggio, bello!» batté animatamente due pacche sul collo di Sdentato, ringraziandolo mentalmente per il suo fondamentale aiuto, mentre con un colpo d'ali il drago si avvicinava sempre di più al rumore di quel corno. «Forse siamo arrivati».
Ci sperava.


«E' troppo stretto!»
Era tutto ciò che la mente assonnata e depressa di Merida riuscisse a produrre. Avvertì sua madre da dietro stringerle esageratamente -a detto suo- i lacci del corsetto fino a quasi toglierle l'aria. Trattenne il fiato, aggrappandosi e stringendo sotto le sue mani il legno del letto.
Strinse i denti, con un espressione di sofferenza dipinta sul volto, mentre sognava in cuor suo che tutto quello fosse un solo incubo, che da un momento all'altro si sarebbe svegliata nel suo letto e sua madre le avrebbe dato il buon giorno, dimenticandosi di tutti.
Dimenticandosi del matrimonio, di Norman e di... Hiccup. 
No, non sarebbe mai riuscita a dimenticarlo, anche con tutta la buona volontà di cui disponeva. In fondo lui in tutto questo non aveva colpa, era stata lei a gettarsi nel fuoco ed ora ne pagava le conseguenze.
Elinor fece voltare la figlia per poterle allacciare l'abito -anche quello esageratamente stretto- e anche in quell'occasione i capelli vennero nascosti dalla parte superiore del vestito, che però risaltava il diadema posizionato a livello della fronte, lo stesso a cui si sarebbe allacciato il lungo velo.
La regina si assicurò che nessun ricciolo ribelle fuoriuscisse e infine sistemò il velo, senza lasciare che nemmeno una minuscola piega rovinasse l'immagine che da quella mattina si era impegnata a realizzare.
Accarezzò un'ultima volta le stoffe per lisciarle e infine si allontanò dalla figlia, per lasciare che si guardasse allo specchio.
Merida respirò profondamente -anche se dentro a quell'ammasso di stoffe le era quasi impossibile- poco prima di voltarsi. Non sapeva nemmeno se ce l'avrebbe fatta a reggere fino all'altare, probabilmente sarebbe scoppiata in lacrime prima e i presenti l'avrebbero guardata con compassione, pensando che fosse solo troppo felice e lei sarebbe dovuta rimanere in silenzio, cercando di soffocare i singhiozzi per procedere con le nozze.
Forse rompere quello specchio su cui si rifletteva ora la sua immagine e piantarsi un vetro nel petto l'avrebbe risvegliata da quell'incubo, ma non poteva lasciare Dumbrok nelle mani di Norman e nemmeno che lui distruggesse Berk.
La via era una e doveva stringere i denti per accettarla.
«Sei bellissima» sussurrò la regina Elinor, osservando commossa la figlia.
"Bellissima" non era esattamente l'aggettivo che avrebbe usato Merida su se stessa. Si sentiva stanca e provata da tutta quella situazione e pensare che da lì a poche ore sarebbe dovuta appartenere a colui che per sposarla si era dovuto abbassare ad un ricatto e che aveva quasi cercato di strangolarla, le fece rivoltare lo stomaco da sopra a sotto e per un momento desiderò di rigettare tutto, per rovinare quel vestito e rimandare le nozze, ma la verità era che le mancava per fino la forza di farlo.
Sospirò, abbassando le braccia stancamente e fissando la sua immagine riflessa nello specchio.
«Già...» sussurrò con un respiro appena percettibile.
Elinor cambiò espressione, probabilmente Merida non l'avrebbe mai notato, ma sotto ai suoi occhi si estendevano due ampie ombre scure, segno che quella notte non aveva chiuso occhio.
Congiunse le mani e si avvicinò con cautela alla figlia.
«Siamo tutti così fieri di te» cercò di consolarla come meglio poté e Merida per la prima volta da quando era arrivata, accennò un sorriso, uno vero.
Aveva tolto ogni pericolo -o quasi- da Berk e dal suo regno, perché fingersi contenta doveva essere così difficile?
Si domandò se sua madre avesse davvero voluto -dopo la sua fuga- che sposasse Norman. Si era sentita sollevata quando le aveva detto che avrebbero potuto annullare le nozze, ma la domanda sorgeva spontanea: Voleva davvero che si sposasse con Norman?
In ogni caso non avrebbe fatto alcuna differenza, non era certo sua madre a governare quel gioco e solo il ricordo le bastò per fa sì che non perdessero tempo.
«Credo sia ora di andare» mormorò voltando per l'ultima volta gli occhi verso lo specchio e sentendo che le vertigini avrebbero avuto la meglio, mentre Elinor la conduceva fuori dalla porta.
Doveva resistere, per forza.


Il matrimonio si sarebbe svolto all'aperto, perché le persone avessero miglior visione delle nozze della futura regina.
Vi presero parte molti cittadini, dopotutto nessun invito era stato spedito, chi voleva poteva accedere all'ampio spiazzo di prato, dove vi erano state sistemate più di cinquecento sedie -che per di più vennero tutte occupate- e dove finiva con un raffinato quanto regale gazebo, sotto al quale il prete attendeva all'altare.
Il cielo era limpido e non vi era una sola nuvola che potesse minacciare quel matrimonio.
Sembrava tutto così perfetto, ma era solo un'apparenza, in realtà quella poteva benissimo essere l'inzio della fine. Il problema era che nessuno se ne sarebbe mai reso conto, al di fuori di Merida.
I presenti avevano già preso posto sulle sedie e Norman era all'altare, agghindato a dovere. Era elegante, non esageratamente vistoso e il portamento era fiero, peccato che anche quella -come il resto delle nozze- era solo un'apparenza.
Merida si strinse nelle spalle, diventando più piccola di quanto non avrebbe mai immaginato. Si sforzò di ricacciare indietro le lacrime, ma sentiva davvero di non potercela fare. Si stava impegnando in qualcosa che era più grande di lei e quel qualcosa la stava uccidendo.
Chiuse gli occhi e l'immagine di Hiccup le passò davanti più velocemente di quanto avesse potuto fare la luce.
Era arrivata fino all'altare -o quasi- rendendosi conto solo in quel momento che quel peso sullo stomaco non era dovuto al fatto di aver abbandonato Hiccup, o meglio, forse una parte di lei ancora ne soffriva, ma il vero motivo era un altro e non lo avrebbe mai ammesso, però solo un pensiero che si collegasse a lui le faceva accelerare il battito cardiaco e una sensazione stranissima la smosse da dentro, come se si fosse appena risvegliata dopo due giorni di pesante e insostenibile agonia.
Sorrise tra sé e sé, pensando in contemporanea che di tutta quella situazione non c'era assolutamente nulla di cui esserne felice, ma in quei pochi minuti che la separavano dal fatidico "sì, lo voglio", si rese conto di come fosse amare qualcuno.
«Sei pronta?» sussurrò Fergus, arrivandole di fianco e prendendola a braccetto.
Merida sussultò un momento, risvegliandosi e tornando sulla terra ferma. Guardò suo padre che mai le era sembrato più elegante.
«Come stai oggi?» deviò il discorso, non era affatto pronta.
«Ho qualche acciacco, ma questo re è una roccia!» si battè la mano libera sul petto, tossendo un istante dopo.
Merida alzò gli occhi al cielo, venendo praticamente trascinata dal padre che non perse tempo a fare il primo passo verso il gazebo.
Merida deglutì, quando furono in vista, tutti gli invitati si voltarono verso di loro, alzandosi in piedi e seguendoli con lo sguardo in una maniera così inquietante che per un attimo la principessa si sentì tremare.
Cercò di tenere gli occhi fissi sull'altare -evitando lo sguardo compiaciuto e falso di Norman- e accennando un sorriso, o almeno ci provò.
Grazie al cielo il lungo abito le copriva interamente le gambe, altrimenti tutti gli sguardi si sarebbero subito spostati verso la parte tremante nascosta.
Udì alcuni invitati sussurrare dei complimenti e lei si ritrovò assolutamente in disaccordo con tutti quegli apprezzamenti, niente di ciò che stava mostrando era realmente la vera Merida, era tutta una maschera. Lo stava facendo per il bene del Regno.
Arrivò all'altare ancor prima di accorgersene e Norman la guardò sorridendo. Trattenne a stento l'impulso di sputargli sul vestito.
Il prete allargò le braccia come se volesse accogliere tutti e gli invitati alle spalle degli sposi, si sedettero.
«Cari amati, siamo qui riuniti in presenza di Dio, per unire quest'uomo e questa donna nel vincolo del Sacro Matrimonio...» incalzò.
Merida fissò un punto indefinito davanti a sé, come in uno stato di incoscienza. Probabilmente Norman la stava guardando, o forse stava ascoltando il prete, ma più di tanto non poteva importargliene.
Un piccolo moto d'angoscia le sussurrò che quello era davvero il capolinea. Si sforzò di pensare a Berk, a com'era stata felice in cui giorni in cui era fuggita dal suo destino, a come si era sentita bene in compagnia di Hiccup, che probabilmente non avrebbe più rivisto e lui sarebbe davvero stato felice di mettere su famiglia con Astrid.
Respirò pesantemente, stringendosi le mani.
E' giusto così, coraggio Merida.
«Lo voglio» esordì Norman, facendole saltare il cuore in gola.
Il prete si voltò verso di lei, sorridendo dietro la montatura dei rotondi occhiali. «E tu, Merida Dumbrok, vuoi prendere questo uomo come tuo marito per amarlo, onorarlo ed essergli fedele finché morte non vi separi?»
«C-come scusi?» sussurrò Merida assente.
Norman alzò gli occhi al cielo stufo ed impaziente. «Devi dire "lo voglio"».
No, che non lo voleva. Non lo voleva affatto, com'era arrivata fin lì? Sarebbe dovuta rimanere al castello -nonostante non rimpiangesse per nulla al mondo di aver conosciuto Hiccup- e rifiutare la proposta di Norman, così che lui non potesse ricattarla.
Si spaventò, tremando e torturandosi le mani. Che cosa avrebbe potuto fare?
Nulla, Merida, accetta e basta- Le stava suggerendo una vocina lontana nella sua testa, sentendosi però combattuta con l'amore che provava per qualcun altro.
«Sua Altezza...?» la incitò il prete
«E-ecco io...» strinse gli occhi, non riuscendo nemmeno a pronunciare quelle due parole.
Ma non fece nemmeno in tempo a formulare quel pensiero, che un fulmine colpì in pieno lo spiazzo di prato dove vi erano tutti i presenti, i quali saltarono come molle. Per un momento Merida pensò che qualche Dio lassù le avesse concesso la grazia divina, ma alzando gli occhi, mentre tutto il resto degli invitati andava nel panico, si accorse che non era stato un fulmine a colpire la terra, bensì una vorticosa palla infuocata che buttò all'aria parecchie sedie.
E Merida lo sapeva bene che quella palla infuocata non poteva assolutamente essere un meteorite.
«Ma quello è...» sussurrò il prete angosciato e sconvolto, mentre Norman afferrava una spada alla sua sinistra.
«Un drago!» ringhiò suo padre affiancandosi a Norman ed impugnando a sua volta l'elsa di una spada parecchio affilata. Peccato che da quell'altezza avrebbero potuto colpirlo solo frecce, che però lei non aveva alcuna intenzione di usare su Sdentato.
«Che Dio ci benedica!» urlò qualcuno della follia in delirio.
Il sorriso di Merida si allargò sproporzionatamente e si sentì incredibilmente leggera, una sensazione di sollievo le si sprigionò dentro come una tempesta irrefrenabile. Ringraziò mentalmente Sdentato, intuendo che il drago non poteva essere venuto da solo.
Cercò con lo sguardo Hiccup, che non sembrava essere sulla groppa del drago, ma Norman l'afferrò per un braccio, strattonandola.
«Non provare a muoverti di qui, altrimenti oltre alla testa del drago, farò imbalsamare anche quella del tuo amichetto!» ringhiò fuori di sé.
Merida cambiò immediatamente espressione. No, se aveva la possibilità di spiegare ad Hiccup quell'orribile malinteso, non si sarebbe fatta sfuggire l'occasione di farlo.
«Non sono di tua proprietà, non darmi ordini!» gli urlò in faccia, pestandogli un piede con il tacco della scarpa e facendolo gemere di dolore.
Approfittò del momento per allontanarsi e perdersi tra la folla, sentendo Norman urlare il suo nome. Guardò su ancora un momento e confermò il fatto che sulla groppa di Sdentato, Hiccup non c'era.
Assottigliò lo sguardo e, sentendo la voce di Norman alle sue spalle farsi sempre più vicina, si allontanò, dirigendosi in un punto della boscaglia dove avrebbe avuto la possibilità di cercare Hic in tutta tranquillità.
Non appena girò intorno al tronco di un albero, qualcuno l'afferrò per un polso e la trascinò dietro, senza nemmeno darle il tempo di capire chi fosse stato.
«Non urlare, per favore»
E quella voce le fece battere il cuore più velocemente di quanto avesse potuto fare una lunga ed estenuante corsa.






 


Nota autrice:
Ohyee sono ancora in ritardo -.-"
Guardate, vi do il permesso di lanciarmi i pomodori *consegna pomodori a tutte*
Ok, qui siamo arrivati alla svolta della storia! Spero come sempre che vi piaccia, risponderò a breve alle vostre recensioni, intanto vi dico GRAZIE per l'importante supporto che tutti mi state dando :)
Alla prossima!

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Capitolo 20
*** I will fight for you ***


Under the clouds
Chapter XX: I will fight for you.







 
«Non urlare, per favore».
Il cuore di Merida in quel momento non si preoccupò nemmeno di battere regolarmente e questo era rischioso, considerando che l'aria stava cominciando a scarseggiare e le serviva chiaramente che l'ossigeno tornasse a circolare come fino a quel momento aveva desiderato, invece che cessare.
Ma se fosse stata lì ad elencare tutti gli "invece" che da pochi minuti avevano stravolto completamente la sua vita, non ne sarebbe più venuta a capo.
Avvertì alle sue spalle il rumore ovattato degli invitati al suo inconcluso matrimonio che urlavano e si agitavano dinanzi agli attacchi che Sdentato continuava a lanciare per difendersi.
Avrebbe dovuto girare i tacchi e correre in aiuto di suo padre, del suo Regno. Ma sapeva che in tutta questa storia il drago le stava solo facendo un grande favore, forse -se ne avesse avuto l'occasione- l'avrebbe ringraziato.
Ma in quel momento -nonostante alle sue spalle il fuoco cominciasse ad divampare e nonostante sentisse ancora la voce di Norman poco più lontano- non riuscì proprio a voltarsi, forse era già fortunata che riuscisse a respirare.
Avvertì una sorta di dolore allo stomaco, un dolore di sollievo, due emozioni aggressivamente in guerra tra loro, dove però prevaleva quella positiva.
E stando lì, di fronte ad Hiccup, sentì il peso di ogni suo dovere sparire. Non riuscì a spiegarsi come facesse a procurargli una simile tempesta interiore, l'unico suo pensiero fu la necessità di spiegargli tutto e alla svelta, se non voleva che Norman li trovasse.
«...Hic» le parole le morirono in gola e in un momento di debolezza si sentì crollare, era ormai troppo tempo che non sfogava ciò che aveva dentro. «...Sei qui».
Era reale, non era un'allucinazione. Due visibili occhiaie nere gli sbucavano da sotto agli occhi, segno che quella notte probabilmente non aveva dormito e Merida sentì l'inarrestabile desiderio di abbracciarlo crescere a dismisura.
Proabilmente non era venuto nemmeno lì per scusarla, anzi non si sarebbe nemmeno dovuta illudere che ciò accadesse, ma una piccola luce in quegli ancora luminosi occhi verdi le suggerì che voleva conoscere la verità e lei non gliel'avrebbe negata, non questa volta.
«Merida, voglio sapere tutto e con tutto intendo davvero tutto» sussurrò impercettibilmente, avvicinandosi per farsi sentire. I rumori aldilà del tronco creavano una sorta di scudo ad ogni loro parola, non li avrebbero sicuramente sentiti ed in ogni caso erano tutti troppo concentrati su Sdentato per preoccuparsi della fuga della principessa.
Merida respirò pesantemente, prima di parlare. Ancora non riusciva a realizzare che Hiccup era davvero venuto per ascoltarla, per ascoltare la sua storia. Peccato che avessero poco tempo.
«Ti spiegherò ogni cosa, ma tu devi prestare la massima attenzione, il tempo non mi permetterà di entrare nei particolari» si guardò attorno ansiosa, temeva che Norman sarebbe sbucato alle loro spalle e avrebbe ferito Hiccup. Questo pensiero la stava uccidendo, ma non si perse d'animo. «Ricordi quando mi trovasti nel bosco?»
Hiccup annuì lentamente, entrambi i respiri erano corti a causa dell'ansia che stava divorando entrambi.
«Ebbene, quello fu uno dei giorni peggiori della mia vita» Hiccup storse il naso con disappunto, proprio come Merida si era aspettata che facesse. «Ma non è niente a che fare con te, te l'assicuro. Vedi, il mio Regno è in gravi condizioni economiche e l'unica soluzione in grado di rimettere in piedi un Regno è proprio l'unione di un matrimonio.»
Il vichingo fece per dire qualcosa, ma Merida alzò una mano in segno di silenzio. Dalla sua espressione, la principessa intuì che non era assolutamente d'accordo con ciò che aveva appena detto e questo in parte la rassicurò.
«Fammi finire, per favore» prese un bel respiro per continuare. «Non sono mai stata d'accordo su questo tipo di tradizione, mi sono sempre ribellata quando mia madre insisteva per farmi conoscere nuovi pretendenti, ma nel momento in cui ho capito che questa volta non ci sarebbero state via di fuga, io... sono fuggita da tutto e così ho trovato te».
Non aveva ancora finito, ma la parte che sarebbe seguita era complicata per fino per lei. Lei, che non era mai stata brava con i ringraziamenti, trovò il coraggio per esprimere ciò che provava a parole.
«Lo sai cos'hai fatto, vero?» domandò vedendolo parecchio in difficoltà. «Mi hai cambiato, mi hai mostrato cose che non avrei mai avuto modo di vedere se non avessi incontrato te e per questo ti ringrazio ma... Io sono riuscita solo a mentire, ho mentito su ogni cosa. Ho mentito sulla mia identità, ho mentito a tuo padre, ho mentito al villaggio e ho mentito a te».
Mantenne lo sguardo fisso nei suoi occhi, con un irrefrenabile voglia di abbassarlo e di scappare tra le alte fiamme che stavano quasi devastando il giardino, se l'avesse fatto, quella sarebbe stata l'ultima volta che si sarebbe voltata indietro, verso il suo passato.
Non si aspettava certo che lui la perdonasse, ma da quando si erano separati lei sentiva il rimorso di non avergli raccontato nulla divorarla ed ora che finalmente aveva avuto tra le mani l'opportunità di chiarire, si sentiva più che soddisfatta, anche se il vuoto e l'angoscia continuavano a crescere e ad impedirle di pensare razionalmente.
Perché continuava ad indugiare, in attesa che lui dicesse qualcosa? Se avesse voluto farlo, l'avrebbe già fatto. Eppure era come se si trovasse vittima di un potente incantesimo che le impediva di schiodare i piedi da terra.
Le tremarono le mani e fu quasi sul punto di chiamarlo, quando lui parlò per primo, rischiando quasi di far scontrare le loro due voci che insieme avevano deciso di farsi sentire.
«Merid-»
Ma l'ennesimo rumore interruppe la voce del vichingo, un lieve fruscio alle loro spalle destò entrambi.
Merida -la quale fino a quel momento aveva creduto di essere intrappolata nelle sabbie mobili- balzò verso Hiccup e guardò verso l'arbusto, dietro al quale sbucò la figura divertita di Norman.
Hiccup sgranò gli occhi, mentre Merida si sentì tremare quando notò la spada che ancora impugnava nella mano destra. Questa volta sentiva che non si sarebbe limitato solo alle parole.
«Ma che piacere!» esclamò rivolgendosi ad Hiccup e celando male una nota di follia nella voce «Non mi è parso di aver lasciato qualche invito a Berk».
«Norman» Merida parlò con una calma spaventosa, portandolo a guardarla, mentre si posizionava davanti ad Hiccup per evitare spiacevoli incidenti. «Non è successo nulla... E' venuto qui solo per parlare, ma ti assicuro che non è-»
«Non è successo nulla?!» urlò con -probabilmente- tutto il fiato che aveva in corpo, agitando la spada in aria e costringendo Hiccup ad indietreggiare, portando Merida con sé, ma quel gesto avrebbe risolto ben poco «Questo tu lo chiami nulla?!»
La principessa guardò aldilà dell'arbusto e ciò che vide effettivamente non poteva essere classificato come nulla. Il gazebo allestito con precisione e cura dalle domestiche era stato completamente incenerito, le sedie giacevano in angoli separati ed indefiniti del giardino e quest'ultimo ospitava ad intervalli quasi regolari ampi solchi generati dal fuoco.
Se si fosse messa a sorridere e a tendere le mani al cielo per ringraziare Sdentato, Norman avrebbe affettato entrambi senza pensarci due volte e forse non avrebbe nemmeno dovuto formulare simili pensieri, considerando che il suo matrimonio era appena andato a monte, ma la vera Merida desiderava proprio che tutto ciò accadesse e, sfortunatamente, l'angolo della sua piccola bocca si distese in un sorrisetto compiaciuto.
E Norman lo notò. Per questo motivo alzò la spada, posizionandola all'altezza della gola della principessa, fino ad arrivare a sfiorarla quasi.
Hiccup sussultò di poco, stringendo il braccio di Merida come per sentire che non l'avesse veramente infilzata, mantenendo lo sguardo su Norman per ogni possibile passo falso, avrebbe veramente voluto tirarla fuori da quella situazione, ma se avesse anche solo fatto uscire un fiato in più di bocca, Norman avrebbe potuto nuocere alla salute di Merida.
Quest'ultima cambiò immediatamente espressione, deglutendo a vuoto, mentre l'unico pensiero che riuscì a formulare fu: E' completamente pazzo.
«Adesso dillo!» ordinò sfiorando con la punta della spada il collo candido di Merida, la quale si sentì sudare. «Dì che vuoi prendermi in matrimonio e chiudiamo questa faccenda, DILLO!»
Il rumore assordante di un travolgente impatto, li costrinse a gettarsi a terra per non essere spazzati via dalla nube che incenerì qualche albero lì attorno.
Merida si portò le mani al viso, voltandosi dalla parte opposta e vedendo Hiccup alzarsi velocemente, mentre sentiva il respiro pesante di qualcuno a pochi centimetri dal viso.
«Sdentato!» esclamò sorridendogli e sentendo che forse la situazione di pericolo sarebbe finita lì.
Ma non fu così. Norman si alzò velocemente, non appena realizzò di essere stato interrotto dallo stesso drago che aveva raso al suolo il suo matrimonio. Probabilmente ora che ne aveva la possibilità, avrebbe fatto di Hiccup e Sdentato due spiedini, ma il vichingo a quel punto l'aveva già costretta ad alzarsi.
«Coraggio, sali!» fece per trascinarla verso di sé, in quel momento fuggire poteva essere l'unica soluzione, ma la spada di Norman fendette l'aria prima ancora che qualcuno potesse anche solo pensare di accorgersene e strisciò contro il fianco di Merida, dal quale venne strappato via l'angolo di vestito e la pelle venne ferita così velocemente che la principessa avvertì il dolore solo qualche minuto dopo.
Un lieve sospiro le uscì di bocca quando -nel tentativo di capire la fonte del dolore- si toccò forse con troppa enfasi il punto ferito e, ritraendo la mano, notò il palmo completamente vermiglio. Forse era più profondo e più serio di un semplice taglietto- come stava quasi per definire.
Guardò Hiccup con preoccupazione, cercando di nascondere la mano, ma lui ormai aveva già visto tutto.
Senza pensarci, quindi, la sollevò per le braccia -cercando di non avvicinarsi all'emorragia- e la costrinse a sedersi sulla groppa del drago, mentre lui imitava il gesto più velocemente per evitare che Norman si avvicinasse.
Anche se gli parve alquanto complicato, considerando che Sdentato glielo stava esattamente impedendo, ruggendo e scagliando palle infuocate nella sua direzione.
Mentre il drago si alzava in volo, Merida avvertì la testa pesante come un masso di almeno due tonnellate. Stava perdendo troppo sangue dal fianco e se non avesse fatto al più presto qualcosa, la situazione sarebbe degenerata ancor di più di quando già non lo fosse.
Si strappò un pezzo della gonna vicino ai piedi e se la avvolse attorno alla vita, stringendo fino al limite e trattenendo a stento un gemito di dolore soffocato.
L'aria cominciò a scompigliare i capelli di entrambi, ma lei non capì granché di ciò che succedeva intorno, la testa girava come una trottola e l'unico movimento che riuscì a compiere fu quello di appoggiarsi ad Hiccup e di chiudere gli occhi.
Il resto, poi, fu tutto buio.






 


Nota autrice:
Olèè, sempre più in ritardo!
No, non sto nemmeno qui a chiedervi scusa perché ormai servirebbe a poco e a niente.
Dico solo che, anche se molte volte sono in ritardo per mancanza d'ispirazione, in ogni caso non intendo abbandonare questa storia, MAI.
Beh... come sempre spero che vi piaccia, non posso dire che siamo esattamente alla fine, ma ormai metà della storia è già stata scritta, diciamo che siamo a tre quarti c:
Alla prossima allora!

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Capitolo 21
*** A new breath ***


Under the clouds
Chapter XXI: A new breath.
 







L'ennesimo sassolino rimbalzò contro lo stesso tronco, che da lì a qualche ora stava subendo gli sbuffi impazienti di Hiccup.
La piccola pietra roteò su se stessa per pochi secondi e terminò le sue piroette in un minuscolo solco nel terreno, circondato da fili d'erba. Il vichingo rimase a fissare quel punto quasi assente, ormai erano ore che attendeva fuori da quella porta e trovava ingiusto il fatto di non poter entrare per controllare le condizioni di Merida, considerando che era stato lui a riportarla indietro.
Il viaggio di ritorno fu un inferno, per quanto ne ricordava. Merida era svenuta pochi minuti dopo aver preso quota e lui -oltre ad indicare la strada a Sdentato- aveva dovuto fare in modo che la principessa non cadesse.
Il sangue che non aveva smesso un attimo di sgorgare dal suo fianco, aveva sporcato per fino l'armatura di Hic e rovinato completamente il vestito che lei stessa indossava.
Quando poi era giunto a Berk, la prima persona che aveva trovato era stato suo padre -il quale sembrava che lo stesse aspettando- e il fatto che avesse preso sotto la sua ala Merida, ancor prima di chiedergli spiegazioni, poteva significare soltanto che si sarebbe aspettato un simile risvolto.
Si ritrovò ad alzare lo sguardo verso il cielo, ricordando per un momento lo sguardo del medico del villaggio quando in piena notte erano giunti a casa sua con una principessa sanguinante. Ed ora era quasi l'alba.
Probabilmente fu il destino quel giorno a decidere le loro sorti, a farli incontrare e Hiccup avrebbe dovuto rimpiangere quel momento. Se solo non si fosse allontanato troppo dal villaggio niente di tutto ciò sarebbe mai accaduto.
Ma per quanto si sforzasse di pensarlo, riconobbe che una buona percentuale di sé stesso non rimpiangesse affatto quel giorno, poiché la mancanza di Merida l'aveva spinto perfino fuori dal suo territorio dove, probabilmente, avrebbe potuto non fare più ritorno.
Forse poteva convincersi che desiderasse solo conoscere la verità sul suo conto, ma allora perché l'aveva riportata indietro a Berk?
Perché doveva essere ovunque?
Si strinse nelle spalle, scivolando lungo la parete di quella casa e appoggiò la testa contro di essa. 
Si fece forza, perché quello non era proprio il momento di pensare a tutto quel vortice di sensazioni che lo stavano scuotendo. 
Voltò di poco la testa scorgendo la figura di suo padre avvicinarsi con un pezzo di pane nero e del latte di yak tra le mani. Hiccup sembrò accorgersi solo in quel momento degli impressionanti segnali d'appetito che il suo stomaco gli stava lanciando.
Stoik si sedette accanto al figlio con fare goffo e gli porse il tutto.
Il silenzio che seguì poi fu spezzato solo dal rumore di Hiccup che sorseggiava il latte fresco, mentre il capo villaggio si massaggiava esasperato un ginocchio.
Avrebbe dovuto quantomeno dire qualcosa per rassicurarlo, per ricordargli che niente era perso e che probabilmente il medico sarebbe uscito da lì a poco con buone notizie, ma la verità era che nemmeno lui ne era sicuro. Non sapeva cosa stava succedendo lì dentro e infondere false speranze era l'ultima cosa da fare dopo eventi del genere.
«Secondo te... si riprenderà?» domandò Hic con un filo di voce, voltando lo sguardo verso il padre.
Stoik si passò una mano sulla fronte, facendo scivolare l'elmo all'indietro, ma fermandolo in tempo perché non cadesse, «Io veramente-»
Il cigolio fastidioso della porta destò entrambi, facendoli sussultare, mentre si rimettevano in piedi per scoprire cosa avrebbe detto loro il medico.
L'espressione seria invogliò Hic ad avvicinarsi, non sembrava portare buone notizie.
«Allora?» domandò, nonostante tutto, Stoik per primo, «come sta la ragazza?»
«Ha perso molto sangue e la ferita sembrava molto più profonda di quando immaginassi, ma fortunatamente siamo riusciti a bloccare l'emorragia» spiegò concludendo il discorso con un sorriso, che Hic intravide tra la folta barba lunga raccolta in alcune trecce disordinate, «dovrebbe rimettersi a breve, si sveglierà presto».
Hiccup avvertì il masso che portava sullo stomaco sollevarsi e sparire completamente, non si rese nemmeno conto di star sorridendo.
Sdentato si avvicinò al trio ed il vichingo gli accarezzò energicamente il collo, tenendolo tra le mani, mentre gioiva contento e il drago agitava la coda, come se avesse compreso che era tutto a posto.
«Hai sentito, amico mio? Sta bene!» gli fece qualche coccola sulla testa, «ed è merito tuo... grazie».
Per la prima volta dopo giorni, Hiccup sentì di poter finalmente tirare un sospiro di sollievo. Sapeva che niente si era realmente risolto, ma per lo meno Merida stava bene e questo per il momento bastava.
Il medico diede varie indicazioni per la salute di Merida e insieme riuscirono a trasportarla fino a casa. Sarebbe probabilmente stato più prudente lasciarla lì dov'era finché non si fosse ripresa, ma sfortunatamente non c'era alcun letto dove potesse riposare.
Nessuno sapeva bene quando di preciso la principessa si sarebbe svegliata, ma Hic sapeva che era sicuramente più al sicuro a Berk che a Dumbrok. Non sapeva cosa potesse passare per la testa di Norman, ma se era arrivato a questo probabilmente si sarebbe spinto fino all'inimmaginabile.
Sdentato, affianco a Stoik che portava Merida tra le braccia, di tanto in tanto avvicinava il muso al vestito della ragazza ed emetteva flebili versi come per svegliarla dolcemente ed Hic non poté non sorridere di fronte a quella scena.
Doveva davvero molto al suo amico.
Una volta giunti a casa, adagiarono Merida sul solito letto -ancora ordinato da qualche giorno- e Stoik si dileguò. Ormai era mattina, anche quella notte Hiccup non era riuscito a dormire e si disse che, probabilmente, un po' di sonno non gli avrebbe fatto male.
Eppure non riuscì a non sedersi affianco al letto dove riposava Merida e ad osservarla silenziosamente.
Una piccola voce interiore gli stava suggerendo che da lì a poco sarebbe accaduto qualcosa di spiacevole e forse conosceva già la risposta a questa voce: Norman. Ora che Merida era a Berk cosa poteva fermarlo dall'attaccare?
E, sfortunatamente, il pensiero di poter perdere cominciava a prendere forma nella sua testa. Per quanti draghi avessero, i soldati di Norman avrebbero potuto avere le catapulte e questo lo preoccupava.
Ma dopotutto si trovava in un vicolo cieco: Riportare indietro Merida sarebbe stato un rischio e poi nessuno gli garantiva che una volta riportata nel suo regno, Norman non avrebbe più attaccato Berk. Mettere in pericolo la sua gente era l'ultimo dei suoi pensieri, ma ormai Merida faceva già parte della sua gente, non poteva lasciarla in balia del suo destino, non se era così crudele.
Appoggiò la testa su uno spazio ridotto del materasso, affianco al braccio steso di Merida e chiuse lentamente gli occhi, addormentandosi finalmente dopo giorni.


La figura di Norman vagava per il giardino semi distrutto del castello Dumbrok.
I solchi per terra gli inclinavano ogni movimento, rendendo la sua figura instabile. Osservò assottigliando le labbra il gazebo completamente a brandelli e le sedie -quasi tutte ormai scomparse o bruciate- che giacevano a terra come un villaggio raso al suolo dalla guerra.
Alcune ceneri svolazzarono nella sua direzione e fu quasi sul punto di alzare la mano per raccoglierle, per stringerle, esattamente come aveva fatto con il collo di Merida pochi giorni prima.
I suoi occhi vuoti pulsavano di vendetta ed erano accecati da un odio impronunciabile nei confronti di quella popolazione di selvaggi - come lui stesso definiva.
Le persone sgusciarono fuori dai loro nascondigli a poco a poco, finché Norman non notò la figura di Fergus che teneva per le spalle la Regina Elinor in lacrime.
 «E' distrutto... è tutto in fiamme!» continuava a singhiozzare, mentre Fergus cercava di consolarla. «Com'è potuto succedere?»
Norman si intromise, anche se probabilmente la Regina parlava più con sé stessa che con chiunque altro. «Vogliate perdonarmi, sua maestà, ma credo di conoscere il nemico e di sapere esattamente la sua posizione».
Il Re Fergus lo guardò, mentre Elinor sembrava aver smesso di piangere per ascoltarlo. Ma prima la donna non poté fare a meno di guardarsi intorno e domandare: «Aspettate un momento, dov'è Merida?»
L'espressione sconvolta che fino a poco fa aveva incorniciato il viso di Norman, sparì completamente, facendo spazio ad uno di quei sorrisi poco rassicuranti di cui perfino i bambini ne avrebbero avuto paura.
«Posso spiegare ogni cosa».






 


Nota autrice:
Nuovo aggiornamento! 
Ho fatto una fatica incredibile ad aggiornare, mi sembra quasi di invecchiare capitolo dopo capitolo (?)
Bene, come sempre spero che vi piaccia, grazie per tutte le recensioni che mi lasciate, mi ricordano che a qualcuno piace ciò che scrivo <3
Alla prossima!

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Capitolo 22
*** The war is coming ***


Under the clouds
Chapter XXII: The war is coming.

 






 
L'accogliente tepore che il caminetto emanava, riscaldando l'aria circostante in quella piccola stanza, bastò alla principessa per farla sentire al caldo.
Ormai riposava da quella stessa notte, in cui era svenuta e Hiccup l'aveva riportata a Berk, perché fosse abbastanza al sicuro da ciò che aveva visto in poche ore nelle quali era stato a Dumbrok. Si trovava ancora in parte fuori da quella storia, andare nel suo regno per delle spiegazioni aveva impedito un evento catastrofico, che Merida aveva cercato di evitare in tutti i modi, perfino scappando.
Ma una parte di Hiccup sapeva bene quanto la principessa fosse forzata da tutta questa storia, che gli era stata raccontata a grandi linee.
Merida aprì lentamente un occhio, cominciando a mettere a fuoco, ormai era pomeriggio inoltrato e, anzi, il cielo cominciava a scurirsi e minacciava un bel temporale. Sbatté più volte le palpebre e tentò di spostarsi, un lancinante dolore al fianco sembrava che volesse costringerla a stare sdraiata. 
Cosa giusta, probabilmente.
Ma vi era qualcos altro che portò la principessa e non muoversi.
La mano di Hiccup era stretta appoggiata al suo polso e lui stava riposando beatamente, seduto, con la testa appoggiata al letto. Aveva ancora l'armatura addosso e Merida pensò che fosse veramente scomoda per potersi piegare.
Ma non si mosse, non aveva intenzione di svegliarlo. Rimase semplicemente a fissare i suoi tratti delicati, quasi sconosciuti alle sue origini, distesi serenamente in quello che aveva tutta l'aria di essere un bel sogno.
Lo contemplò per qualche istante, indecisa se allungare la mano per accarezzargli i capelli, in quel momento le sembrarono così morbidi che reprimere quell'istinto fu impossibile.
Lasciò, quindi, scivolare le dita attraverso quei ciuffi castani e setosi, come nemmeno la più pregiata delle stoffe poteva essere.
Gli sfiorò una treccina e si fermò, quando la mano quasi non incontrò la sua guancia. Avrebbe sicuramente rischiato di svegliarlo, se solo lui non si fosse già - effettivamente svegliato - e non la stesse osservando con un occhio aperto e uno chiuso.
Il viso di Merida assunse un colorito quasi pari a quello dei suoi capelli, solo con una tonalità tendente al viola e fu quasi sul punto di ritirare la mano, dopotutto non erano così in confidenza - anche se lei riusciva a riporre gran parte della sua fiducia in lui -, ed Hiccup non fece nulla per impedire che la rimuovesse, non la forzò, però la frase che gli uscì suonò molto come un supplica.
«Continua».
E Merida si ritrovò a chiudere gli occhi, assottigliando le labbra, come se si stesse trattenendo.
Era così felice di essere a Berk e non nel suo letto a Dumbrok, sapendo che da un momento all'altro sarebbe dovuta tornare all'altare. O almeno ciò che ne restava. 
Era tutto così diverso, pensò mentre osservava Hiccup e lo metteva a confronto con Norman;
Norman era come una catastrofe, una disgrazia capitata a lei e al suo regno che non si sarebbe levata di torno tanto facilmente, mentre Hiccup era... Be', Hiccup era il suo eroe, lo era sempre stato. Era come se lo conoscesse da una vita, poiché riusciva a fidarsi di lui ciecamente.
Si sedette con la schiena dritta contro la testiera in legno del letto e voltò lo sguardo, non riuscendo a soddisfare la richiesta di Hiccup che l'aveva pregata di continuare. Benché conoscesse perfettamente ciò che appesantiva il suo cuore, ciò che provava per lui, non poteva permettere che quel sentimento germogliasse, loro erano... Diversi.
O meglio, le loro tradizioni lo erano. Non poteva funzionare.
«Grazie...» mormorò, voltandosi verso di lui quando sentii il materasso abbassarsi sotto il peso di Hiccup che si sedeva, «Se non fossi arrivato tu a quest'ora io sarei... Be', lo sai.»
Hiccup abbassò lo sguardo verso il lenzuolo, mordendosi un labbro nervosamente. Merida gli aveva spiegato i motivi del suo abbandono, ma ancora non gli erano chiare alcune questioni.
«Hiccup» la sua voce lo costrinse e destarsi dai suoi pensieri, Merida lo fissava con uno sguardo supplichevole e una punta di disperazione nel tono di voce fece trasparire quanto fosse preoccupata, «Io devo tornare nel mio regno»
Quelle parole colpirono il vichingo più di quanto non avesse fatto un fendente di spada. Tutto si aspettava che dicesse, ma non di riportarla in quella specie di inferno e / nonostante fosse chiaro come il sole che non era ciò che lei voleva / non poté fare a meno di esserne stupito.
Merida lo fissò, trattenendo a stento le lacrime e tirando indentro la bocca. Non era stata per nulla convincente, ma non poteva spiegargli che lui e tutto il suo villaggio, tutti gli abitanti di Berk avrebbero fatto meglio a rimanere fuori da quella storia. 
Lei non se ne sarebbe mai resa conto, ma sua madre sì. Le avrebbe sicuramente fatto i complimenti per quanto era maturata, ora pensava come una regina: Pensava al popolo prima di sé stessa e questo era un pensiero che le faceva onore.
Ma non tutti erano disponibili a sacrificare la "regina".
«No» sentenziò Hiccup, secco e gelido.
Merida sussultò leggermente, non aspettandosi quella risposta da parte sua, «Scusa?»
«Mi hai sentito, non posso lasciartelo fare» ripeté, scatenando / se possibile / ancor di più l'incredulità di Merida. Sembrava molto più inflessibile di quanto non fosse mai stata sua madre, nelle occasioni in cui le impediva di svagarsi troppo dai suoi studi.
Ma Merida non era disposta a vedere Berk in fiamme, a vedere il popolo di Hiccup messo in ginocchio.
«Non dormi che anche tu adesso mi tieni in ostaggio, io devo tornare a Dumbrok!» marcò bene il suo dovere e si rese conto di quanto il suo tono di voce fosse cambiato, ora entrambi erano quasi sul punto di urlarsi contro.
Hiccup si alzò, portandosi una mano tra i capelli e sbuffando, come se tutta quella faccenda lo stesse esasperando e Merida si sentii enormemente responsabile di tutto quello che stava succedendo. Se solo quel giorno non fosse scappata...
«Mi stai ascoltando? Se non hai intenzione di riportarmi là, me la caverò da sola, avrò solo bisogno di una barca e» 
«Non importa come ci andrai, non ti lascerò tornare da quel pazzo!» la interruppe Hiccup, iniziando a gesticolare come faceva quando era agitato.
Se fosse stato per lui, avrebbe risolto la questione provando a  parlarne, ma da quanto aveva visto non c'era modo di parlare con uno come Norman. Vedere il terrore negli occhi di Merida, mentre gliene parlava, aveva capito a cosa sarebbe arrivato a fare pur di ottenere ciò che voleva. Ma non voleva Merida / probabilmente la voleva morta / voleva Dumbrok e avrebbe fatto piazza pulita pur di regnare.
Non voleva arrivare ad una guerra, specie se era coinvolta Berk, ma non voleva nemmeno lasciare che Merida sposasse una persona del genere.
«Non puoi dirmi cosa fare, non sei mia madre!» contrattaccò Merida, non riuscendo ancora ad alzarsi a causa del dolore al fianco.
«Ma hai visto cosa ti ha fatto?! Credi di sopravvivere cinque minuti di fianco a lui?»
«Sono affari miei!»
Hiccup sbuffò, non volendo mandar giù il fatto che lei non volesse farsi aiutare. Si vedeva lontano un miglio che non era ciò che voleva e / anche se nessuno poteva avere ciò che voleva nella vita / lei non poteva lasciarsi andare ad un simile destino, anche se l'avesse fatto per il suo regno.
«Perché non vuoi che ti aiuti?!»
«Perché non posso lasciare che ti succeda qualcosa!» Merida urlò, sfogando tutte le lacrime represse da molto tempo. Quell'urlo zittii Hiccup, non tanto per il tono di voce che lei aveva usato, ma per ciò che aveva detto.
Non aveva usato il plurale, riferendosi a Berk, si era riferita solo a lui e questo portò Hiccup ad un sacco di conclusioni. Ora compredeva tutti i comportamenti di Merida nei suoi confronti.
Se fosse stato un codardo, probabilmente l'avrebbe lasciata in balia del suo destino / come inizialmente credeva che si meritasse / ma lui combatteva esattamente per la stessa ragione ed ora che sapeva che Merida faceva lo stesso, pensò che avrebbe rischiato tutto per lei.
E si rese conto di quanto fosse distante Astrid in quel momento, vedeva solo Merida. I ruoli si erano invertiti, quella che prima considerava come una sorella era diventata... Be', la persona per cui combattere.
I lati della bocca di Hiccup si distesero, subito dopo il silenzio che piombò nella stanza, Merida teneva lo sguardo fisso nei suoi occhi. L'azzurro si mischiava col verde, come a diventare un unico colore.
«Stiamo discutendo sulle stesse ragioni per cui combattiamo» le spiegò Hiccup, questa volta con un tono più tranquillo e rilassato, «Tu lo fai per me, io lo faccio per te».
Il viso di Merida si contrasse in un'espressione disperata, per tutto quello che stava succedendo, pensava davvero che a breve avrebbe mollato tutto perché non avrebbe sopportato il peso di una guerra dove i loro popoli si massacravano. Era come vedere lei che combatteva contro Hiccup.
La sua voce si spezzò e tentò di asciugarsi le lacrime che scendevano ormai copiose sulle guance rotonde della principessa.
«Io non voglio portarmi questo peso sulla coscienza» sussurrò, quasi a corto di energie, «Ti prego...»
Potevano metterci giorni o settimane a giungere a Berk, ma in ogni caso sarebbe scoppiata una guerra.
Hiccup inclinò il capo, «Ci credi così deboli? Ricorda che noi abbiamo i draghi» allungò una mano verso Merida e le sorrise sinceramente, in quel modo in cui Norman non avrebbe mai potuto fare.
Quella era la loro alleanza, pensò mentre avvicinava il suo palmo a quello di Hiccup.
Prima che, però, potesse stringergli la mano, qualcuno bussò alla finestra con insistenza, interrompendoli.
Hiccup guardò Merida, che alzò le spalle come a dire: "Aspetti qualcuno?" ma lui in tutta risposta scosse il capo, avvicinandosi alla finestra e aprendola.
Era Gambe di Pesce che / tutto affannato / saltellava agitato, come se dovesse correre urgentemente in bagno.
«Hiccup! Oh, per tutti i draghi!» sbottò affannato, aggrappandosi al davanzale in legno e avvicinando il faccione a quello di Hiccup.
«Ehy, calmati... Che succede?» 
Gambe di pesce riprese fiato, sembrava che avesse corso per tutta Berk per dieci volte e tutti sapevano che Gambe di Pesce non era proprio il tipo da corse. 
«Loro... Noi... Qui»
«Puoi per favore cercare di spiegarti meglio? Così non si capisce niente!» domandò Hiccup esasperato, protendendo le mani in avanti come a sottolineare la richiesta.
Gambe di pesce deglutii e parlò dopo qualche secondo, «Una famiglia di tagliaboschi si è spostata e sono andato a controllare, visto che sapevo perfettamente che il loro nido era lì da un pezzo e... Ho visto un esercito avanzare, stanno venendo qui, Hiccup!»
Hiccup respirò a fondo, come per mantenere la calma e voltò lentamente la testa verso Merida, che aveva sentito tutto, fin troppo bene.




 
 

Nota autrice:
E' quasi un anno che non aggiorno e chiedere scusa probabilmente non farebber altro che aumentare tutti i pomodori che mi merito addosso.
Mi dispiace sul serio, proverò ad essere più equilibrata con gli aggiornamenti ora che è estate.
Grazie mille per tutti quelli che recensiranno e che hanno recensito, siamo quasi alla fine della fan fiction.
Bye!




 

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Capitolo 23
*** United we stand ***


Under the clouds
Chapter XXIII: United we stand.




 
Merida boccheggiò, senza riuscire a proferire parola.
Tutti e tre, Gambedipesce, Hiccup e lei si scambiavano sguardi preoccupati e ansiosi e l'unica principessa in stanza si lasciò cadere sul letto sospirando consapevole che prima o poi sarebbe giunta quella sorte a Berk. Sentiva la testa rimbombargli di rimorsi di quel maledetto giorno in cui era fuggita da quel destino crudele /e per cosa poi?/ per concedersi un'altra occasione e avere la possibilità di essere felice.
Ma Hiccup che stava intuendo ciò che torturava Merida, la fulminò, consapevole che tutto ciò per cui lei si incolpava era in realtà opera di un uomo meschino che mirava al potere.
Guardò Gambedipesce pensieroso e poi gli chiese semplicemente di andare a radunare i draghi, rassicurandolo che avrebbe parlato lui al suo popolo. L'altro obbedì e muovendosi con una corsa pesante e affannata, sparì dalla vista di Hiccup.
Quest'ultimo voltò lo sguardo verso Merida e lei si aspettò /come forse era giusto che doveva succedere/ di essere cacciata con l'ordine di far tornare indietro il suo esercito, che forse suo non era più.
Ma non fu così, perché Hiccup le si avvicinò e le loro iridi si mescolarono, diventando tutt'uno. Avevano sempre avuto quell'intesa, quel legame che il castano sapeva di non aver mai avuto con Astrid, sebbene conoscesse Merida da molto meno.
E Merida poteva leggere fiducia cieca nei suoi occhi.

«Hiccup io...» iniziò lei rammaricandosi.
«Non c'è più tempo» disse Hiccup con aria inquieta, appoggiando una mano sulla sua spalla e bloccando il corso dei suoi pensieri, «Norman sta arrivando qui e non ho tempo per pensare ad una strategia.»
Merida si asserì, rilassando le sopracciglia: avrebbe voluto rassicurarlo che lei era dalla sua parte e che avrebbe fatto di tutto per impedire che non ci fossero morti a Berk, anche se forse era una promessa un po' affrettata.
«Se sono ancora vicini al nido di quei Tagliaboschi, sono abbastanza certo che passeranno tra le due pareti di roccia nel mezzo di un burrone» spiegò calmo e ingegnoso, ma Merida deglutì all'idea di ciò che avrebbe seguito quella spiegazione, così Hiccup si affrettò a continuare.
«Lo so che tra quei cavalieri c'è tuo padre e molte persone a te care, non intendo far franare le pareti, voglio solo precederli e bloccare loro la strada così da avere un vantaggio»
Merida sembrò calmarsi e annuì, alzandosi seguita da un rantolo di dolore che emise a causa della ferita che ancora non era completamente guarita, anzi si stagliava sul suo fianco leso. Hiccup seguì con lo sguardo la mano di Merida e la pregò di riposare, almeno quanto poteva — sempre se rimaneva ancora tempo.
Si allacciò alla svelta quelle cinghie dell'armatura che aveva lasciato aperte, inconsapevole di dover prendere parte ad una guerra così imminente e guardò fuori, contrastato dalla luce del sole che ancora dardeggiava fuori.
Avrebbero potuto volare, spostarsi e lui avrebbe potuto proteggere Merida senza che nessuno dei suoi rischiasse la vita o perdesse qualche arto, ma stavano giungendo al villaggio e il prezzo da pagare era troppo alto, lui non se la sentiva di chiedere a suo padre di abbandonare Berk, era casa loro.
Mosse qualche passo per uscire e Merida lo seguì fuori, contro il volere del ragazzo che aveva insistito affinché lei riposasse.
Una volta fuori dall'abitazione in pietra, Sdentato balzò giocoso davanti a loro, probabilmente felice di vedere che Merida stava bene. Ma la sua aria spensierata durò ben poco nel vedere l'espressione sul volto del padrone. Era incredibilmente intelligente, pensò Merida, appoggiandosi alla gamba di Hiccup e fissandolo mentre già sedeva sull'amico fidato.
«Stai attento alle frecce» lo avvertì, preoccupata di doverlo lasciar andare, infatti le sue dita si chiusero attorno alla stoffa dei pantaloni di Hiccup, rovinata e verde bottiglia.
Hiccup annuì, ma lei non lasciò la presa.
«So a cosa stai pensando e penso che ti sbagli» disse Hiccup, alzandosi appena l'elmo per poterla guardare negli occhi, «Nessuno dovrebbe abbandonarsi ad un destino così»
«Torna» rispose semplicemente Merida, il suo tono tradiva una nota di disperazione e Hiccup si riabbassò l'elmo, mentre lei si allontanava e lui prendeva il volo, sempre più in alto, alzandosi nel cielo con Sdentato che si muoveva rapido come una libellula.
In meno di pochi istanti la macchiolina nera era svanita, ma Merida rimase lì ad oltranza. Ora sapeva cosa fare.

Dinanzi alla notizia di Gambedipesce, totalmente incapace di avvertire di un pericolo senza dare nell'occhio o scatenare il panico, Stoick dovette combattere duramente per ottenere qualche istante di silenzio. La folla lo accerchiava: Uomini, ragazzi, ragazze, mamme con i loro bambini, e Stoick passava il suo sguardo su ciascuno di loro con aria solenne, perché era questo che un capo doveva fare anche quando le cose si mettevano male: doveva infondere sicurezza.
Gambedipesce era in piedi tremante, affianco al capovillaggio che tentava di riportare quel poco che Hiccup gli aveva detto, ma più che informarlo, sembrava esasperarlo e di fronte all'agitazione palpabile di Stoick la folla non poteva che bisbigliare opinioni contrastanti.
Stava diventando una vera osteria, fino a quando una gonna candida non frusciò contro il terreno, aprendosi un varco tra le persone, le quali si zittirono al suo passaggio. Una chioma di capelli ricci e rossi come le fiamme fluttuavano a mezz'aria, arrivando davanti a Stoick e prostrandosi in un umile inchino. 
Quest'ultimo guardò la ragazza che poche ore prima ancora riposava e cercò con lo sguardo il figlio, ma lei anticipando la sua domanda si voltò verso la folla, in modo da rivolgersi anche agli abitanti di Berk.
«So cosa vi state domandando» iniziò, senza alcun tremolio nella voce a differenza di Gambedipesce, «Perché a voi? E me lo domando anch'io, perché un popolo così rispettabile e fiero che cavalca creature considerate leggendarie si ritrova nel mezzo di una guerra?»
Emise un lungo respiro mentre la folla l'ascoltava con il fiato sospeso.
«Io lo so, è colpa mia» a quel punto da destra a sinistra si sollevarono brusii incomprensibili e contrariati da cui Merida captò varie esclamazioni, ma li lasciò sussurrare, sapendo bene di meritarselo in parte. Poi, però, Stoick alzò una mano e mise a tacere tutti con la sua voce possente.
«Io non mi ero persa come ho fatto credere a tutti, io ho mentito per scappare ad un matrimonio di convenienza. Non volevo accettare l'idea di sposare l'uomo che ora è in sella ad un cavallo in prima fila e guida l'esercito del mio popolo qui a Berk, ma vi prego di non farne una colpa a loro, fatela a lui, o fatela a me» disse con coraggio, pronta ad affrontare qualsiasi pregiudizio, «Ma l'uomo che sta arrivando qui è spietato e io ho potuto conoscerne la faccia, la sua vera faccia, non quella che utilizza per ingannare mio pare e mia madre. So che non si fermerà di fronte a nessuno, vuole il mio regno, vuole regnare e probabilmente dopo cercherà di avere altre mogli, cercherà altri regni da soggiogare con le sue maschere, finché non diventerà invincibile e magari arriverà anche qui e io... io lo so che non avrò più la vostra fiducia, so che nessuno vorrà più affidarsi a me /lo capirei/ ma voglio evitare che tutto questo finisca in una coltre di fumo, preceduto dalle fiamme, perché è questo che farà: Brucerà tutto ciò che intralcerà il suo cammino e io, Merida Dunbroch e figlia del re Fergus delle Highlands voglio combattere al vostro fianco!»
Le persone, i vichinghi la guardavano senza fiato, nessuno aveva più bisbigliato o distolto lo sguardo, così approfittando del silenzio che aleggiava attorno si voltò velocemente verso Stoick e si inchinò, stavolta piegandosi sulle ginocchia e chinando il capo così profondamente che se si fosse abbassata ancora avrebbe toccato la terra con il naso.
«Perdonatemi» aggiunse, seguita da momenti di silenzio. Non aveva menzionato Hiccup, non aveva detto a nessuno che lui era partito per guadagnare del tempo, sapeva di dover contare solo sulle sue forze e che quelle parole le facevano onore, ma non sapeva se Stoick sarebbe stato clemente.
Nonostante il dolore al fianco rimase inchinata ad estirpare le sue colpe e ad aspettarsi qualsiasi tipo di trattamento, non voleva doversi riparare ancora dietro le spalle di Hiccup e non le interessava più la propria sorte, ora le sue priorità erano altre.
E le sue priorità non erano di certo combattere nella menzogna.
Ma a destarla dai propri pensieri fu una lama di ferro a posarsi sulla sua spalla e lei si voltò d'istinto a guardarla: Era una spada.
A primo impatto pensò che Stoick intendesse giustiziarla, ma poi le sue parole le alleggerirono l'anima: «Alzati, principessa Merida di Dunbroch e guidaci»
E fu lì che Berk applaudì.


 


 

Nota autrice:
Mi crogiolavo nei miei pensieri, nei miei sensi di colpa per non aver aggiornato per oltre due anni e poi boom! Mi sono messa a scrivere il capitoloin una sera.
No, seriamente... Dire che mi dispiace è troppo poco, quindi vi do il permesso di insultarmi ammesso che ancora qualcuno stia seguendo questa storia sigh 


 

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Capitolo 24
*** Blood and fire ***


Under the clouds
Chapter XXIV: Blood and fire
 






Combattere una guerra non era mai stato insolito per loro.
Erano popoli combattivi, disposti a proteggere le proprie terre con il fuoco e il sangue. Vi erano stati temibili invasori che avevano seminato morte e distruzione tra uomini, donne e perfino bambini, e quando nemmeno i cavalieri più coraggiosi sono in grado di fronteggiare simili minacce, tocca al Re guidare i suoi uomini e difendere il regno. 
Ora toccava a lei, una principessa che non trovava insolito combattere, ma questa volta era diverso: Combattere per proteggere due popoli e due regni, fronteggiare un nemico che avanzava e che portava con sé in prima linea suo padre, il Re Fergus, di Dunbroch.
Colui che lo guidava era ossessionato dal potere ed era in grado di soggiogare chiunque, così come era successo ai suoi genitori. E sapeva che non si sarebbe fermato di fronte a niente per ottenere il potere che spettava a lei e a lei soltanto.
Il sole stava sorgendo a est e illuminava il mare sopra al quale si ergeva Berk, era stata una notte inquieta e bianca: Non vi era stato tempo per riposare, la battaglia era imminente e lei era turbata al pensiero di Hiccup.
Mille domande turbinavano nella sua testa, ma ciò che la torturava di più era l'idea che fosse solo, sebbene ci fosse Sdentato insieme a lui. E se fosse incappato in una delle tante trappole di Norman? Il pensiero che lui avesse potuto ideare un piano migliore del loro la stava logorando. 
Si guardò allo specchio con espressione impassibile: Indossava un'armatura da guerriera in ferro e portava al fianco la stoffa raffigurante i colori del suo Regno. 
Lo accarezzò lentamente e lo lasciò ricadere sulla coscia, era pronta. 
Il sole era ormai sorto quando lei uscì dalla capanna di Hiccup, dirigendosi verso i cavalieri di Berk, i quali affrontavano a testa alta le pieghe di un cielo aranciato e azzurro, pronto alla guerra in sella ai draghi. Erano maestosi, pensò mentre passava tra le linee per fiancheggiare Stoick.
Non vi era stato alcun riposo quella notte, nessuno aveva chiuso occhio in attesa della guerra, ma nessuno sembrava battere ciglio per questo. Combattere per ciò che ami e sacrificarti era un buon motivo per farlo e Merida sapeva esattamente perché lo faceva. 
Non aveva mai avuto nessuno al suo fianco, mai qualcuno che le avesse fatto dimenticare le sue abitudini di tiro con l'arco e si rendeva conto solo in quel momento, solo mentre aspettava di gettarsi nella guerra per qualcuno che amava e per un popolo che le aveva donato una casa per qualche mese, di quanto fosse maturata.
«Se le cose dovessero mettersi male... Affronterò io Norman, è il mio destino» proclamò al fianco di Stoick, che era il triplo di lei, eppure la guardò con ammirazione.
«Vi proteggeremo, principessa».
Quelle parole la rincuorarono, ma non ebbe il tempo di esplicare quasi la sua gratitudine, che una macchia nera all'orizzonte che si intravedeva appena stava volando nella loro direzione: Non c'erano dubbi sul fatto che quello fosse Sdentato.
Il cuore di Merida saltò un battito e per il sollievo si portò una mano al petto. Dalle linee posteriori di sollevò un urlo entusiasta che Hiccup avesse fatto ritorno. 
Ma vi era ben poco di cui essere entusiasti: Ben presto si resero conto che a cavallo di Sdentato non vi era Hiccup, ma una figura che Merida conosceva bene.
«E' NORMAN!» urlò mentre tutti si zittivano, terrificati da quella visione. Una sola domanda aleggiava nell'aria, nonostante nessuno lo chiedesse: Dov'era Hiccup?
Merida sfilò una freccia dalla faretra e si fece avanti, posizionandola tra la corda e l'impugnatura, ben tesa. Si avvicinò mentre Norman atterrava e scoppiava a ridere, era una risata maligna che stava facendo abbassare lo sguardo perfino a Sdentato.
La paura si stava impossessando così tanto di lei che sentiva le mani tremare di qualcosa che era un misto tra terrore e rabbia.
«Dov'è Hiccup?» domandò tagliente puntandogli la freccia sotto il naso, «E dov'è il mio popolo?»
«Il tuo popolo?» ripetè quello, portandosi una mano sul ventre e ridendo di gusto per prendersi gioco di lei, come se già tutto gli spettasse e gli appartenesse, «Niente di tutto ciò che vedi qui è più tuo ormai, la nostra vittoria è inevitabile e imminente»
Merida lo fissava con astio, così tanto rancore che aveva represso per tutto il male che era arrivato al suo seguito. Lei non lo avrebbe mai dimenticato.
«Dov'è Hiccup» sussurrò tra i denti, con le lacrime agli occhi.
Lui le scostò la freccia e si avvicinò a lei così tanto che Stoick sfoderò la sua spada, pronto ad attaccare, ma Norman sapeva ciò che stava facendo, molto più di tutti loro messi insieme e il dubbio che avesse avuto un piano migliore del loro era ormai certezza.
«Consegnatemi i draghi e il vostro futuro capo non si farà male» ordinò gelido come un vento nordico, guardando Merida ma riferendosi a tutti loro, «Consegnatemeli!»
Merida si voltò a guardare il popolo di Berk rammaricata. Dovevano consegnare i draghi o probabilmente la vita di Hiccup ne sarebbe andata di mezzo e nessuno lì poteva sopportare una perdita del genere, lei per prima. 
Lentamente ogni drago fu liberato dal peso del proprio cavaliere e spinto a raggiungere il cospetto di Norman. A Merida tremavano le mani dalla rabbia, lanciava sguardi carichi di omicidio rivolti a colui che aveva rovinato tutto ciò che di bello c'era in due popolazioni. 
Norman ghignava soddisfatto di quella vittoria che probabilmente nemmeno progettava nei suoi piani di conquista delle Highlands. Ma ora con un esercito di draghi poteva considerarsi invincibile. 
«Oh, sì» sussurrò facendo un piccolo gesto con la mano che portò tutta Berk a voltarsi, «Venite pure col ragazzo».
Dalle ultime linee sbucarono un centinaio di uomini. Cavalieri dalle brillanti armature di ferro come quella di Merida e il simbolo del Regno che apparteneva ancora a Fergus. Quest'ultimo guidava gli uomini che si facevano largo tra i loro avversari. 
Vederlo al seguito di qualcuno che non meritava altro che morire, qualcuno di così spietato come Norman, creava una profonda lacerazione nel cuore di Merida. Ma ciò che faceva più male era la vista delle catenere che teneva tra le mani: Una corda di pesanti anelli di metallo che tenevano imprigionato Hiccup.
Fergus si era creato un varco tra le persone grazie a quella visione, mentre tutti lo fissavano angosciati. Ora era Norman che aveva al suo cospetto i draghi e il popolo di suo padre, era riuscito ad ottenere tutto con l'inganno.
Mentre veniva trascinato, lo sguardo di Hiccup si posò su Merida e lei ricambiò inquieta.
«Adesso liberalo, hai i draghi» sibilò Merida, stringendo i pugni mentre suo padre e l'esercito fiancheggiava Norman.
La tensione era così palpabile che nessuno di Berk osava fiatare con la vita di Hiccup che vacillava tra le mani di quel tiranno. 
«Che potere hai per darmi ordini, principessa?» ghignò, scimmiottandola come se la sua presenza non avesse alcun potere su di lui. Così Merida si rivolse al padre che teneva tra le mani le catene.
«Padre...» cercò la comprensione in lui, ma non vi leggeva altro che apatia nel suo sguardo.
«Dunbroch sarà in buone mani con Norman, ma tu questo non vuoi capirlo, non sei in grado di prenderti le tue responsabilità, figlia»
Gli occhi di Merida si riempirono di lacrime: Era mai possibile che quel maledetto avesse avuto il potere di soggiogare chiunque? Era stato perfino in grado mettergli contro il suo stesso padre, il suo stesso sangue e lei ne aveva abbastanza di tutto quanto.
Tese di nuovo le braccia che poco prima erano state abbassate insieme all'arco e puntò la freccia alla gola di Norman, era così vicina che ci avrebbe messo meno di un secondo a trafiggerlo, così poco e tutto sarebbe finito. 
La tentazione era così alta che le sue mani fremevano di rabbia e desiderio. 
«LIBERATELO! SUBITO!» urlò con così tanta rabbia da stupire perfino Stoick L'immenso.
Norman non si mosse, nel suo sguardo non si leggeva paura, ma l'insopportabile sguardo di chi sapeva di aver vinto, di chi sapeva di avere tutto dalla propria parte. 
Così si avvicinò alla freccia in segno di sfida e si premette con la gola contro la punta d'acciaio, era gelida e a Merida sarebbe bastato così poco per finirla, così poco.
«Fallo» la sfidò, sorridendo mentre tutta Berk tratteneva il fiato.
Merida sentiva gli occhi di tutti puntati contro, quelli preoccupati della sorte di Hiccup, quelli di chi non capiva come una figlia potesse ribellarsi al suo destino e gli occhi di Hiccup che la fissavano carichi di dispiacere di non averle potuto dire quanto l'amava, gli occhi di chi sapeva che ormai era troppo tardi e che qualcosa di brutto si stava per compiere, molto presto.
«Fallo, così tutti vedranno fino a che punto puoi spingerti per il potere» continuò lui.
«Non lo farò» disse Merida, con gli occhi colmi di lacrime e la voce che tremava di rabbia, «Io non sono come te, non ho interesse nella conquista di un regno per arrivare al potere, io ho persone che amo e la mia famiglia e tu non porterai via niente di tutto questo!»
E senza alcuna attendere oltre, cambiò repentinamente direzione, scoccando la freccia la quale andò dritta a conficcarsi nella mano di Fergus. Quest'utimo si ritrovò con il palmo passato da parte a parte dalla freccia e ululò di dolore, lasciando immediatamente le catene per cadere sulle ginocchie e tenersi la mano ferita.
Accadde tutto così velocemente che Merida ebbe appena il tempo di realizzare: Nell'esatto istante in cui le catene caddero a terra, Stoick innalzò la spada al cielo e urlò per incalzare i propri cavalieri di draghi a combattere. Berk era nettamente svantaggiato numericamente, ma avevano i draghi e in men che non si dica il villaggio diventò campo di battaglia. Tutti i cavalieri di Berk erano saliti sui propri draghi e stavano attaccando dall'alto, volteggiando tra le capanne, ma era un vero e proprio atto di masochismo combattere via aerea, perché i cavalieri di Norman si nascondevano dietro le abitazioni  per proteggersi e scagliare il fuoco contro le abitazioni significava radere al suolo Berk e questo limitava ogni mossa.
Presto furono costretti a cessare gli attacchi dall'alto e contrastarli via terra, ma erano nettamente in svantaggio. Ci fu un vero e proprio scontro tra Berkiani e i cavalieri di Norman, i fendenti squarciavano l'aria e andavano ad abbattersi contro le spade avversarie.
Il villaggio si trasformò presto in un campo da battaglia, dove corpi e arti cadevano a terra inermi. 
Il fuoco dei draghi aveva creato una vera e propria nuvola di polvere che costrinse Merida a chiudere gli occhi. Tenne comunque le orecchie ben tese, girando su sé stessa per captare ogni minimo movimento e intercettarlo. Non sapeva dove fosse Hiccup, né che fine avesse fatto Norman.
Poi, d'improvviso, sentì un dolore lancinante alla testa che la fece rotolare a terra, su un fianco, proprio sul ciglio della scogliera dove si affacciava Berk e sotto la quale si infrangevano le onde contro le rocce. Rantolò di dolore, toccandosi il punto leso e appurando che stava sanguinando.
Ma non ebbe nemmeno il tempo di riprendersi che una mano l'afferrò per i capelli e la tirò su di forza, facendola gemere di dolore, con un braccio avvolto attorno al proprio collo. Sentiva la propria schiena appoggiata al petto di qualcuno e quando questo le sussurrò all'orecchio, capì perfettamente di chi si trattava. 
«Guarda cos'hai fatto» sibilò Norman come un serpente, costringendola a guardare. 
Berk era diventata un vero e proprio cimitero, il sangue si allargava sul terreno e gli uomini cadevano come manichini senza vita. Merida guardò agghiacciata quello spettacolo e socchiuse gli occhi per il dolore alla testa. Poi, ad un tratto, distinse suo padre, un uomo corpulento e alto il doppio di un cavaliere, in mezzo alle spade che tagliavano l'aria e i loro occhi si scambiarono per brevi istanti in cui  le loro menti, tra padre e figlia, si lessero a vicenda. 
Per un solo breve istante Fergus scorse ciò che Norman ne stava facendo di sua figlia e abbassò la spada, abbassò la guardia. Questo bastò per consentire a Norman di fare un breve cenno del capo all'arciere alle spalle del re e in quell'istante il tempo si fermò.
L'urlo raccapricciante di Merida squarciò il cielo un secondo prima che la freccia scoccasse e si conficcasse nella schiena del padre, passandolo da parte a parte. 
Il tonfo che ne seguì fu sordo e rallentato, come se il tempo si fosse veramente fermato. Tutti smisero di combattere, nessuno che si scambiava più un solo fendente e Merida che tremava tra le braccia di Norman osservava la macchia di sangue sotto il corpo del padre allargarsi a macchia d'olio.
Era morto con il viso rivolto verso Merida, con gli occhi aperti e lo stesso sguardo d'intesa che si erano scambiati un attimo prima della tragedia. 
«Il re è morto!» urlò a gran voce Norman, gettando Merida ai propri piedi, mentre quest'ultima stringeva la terra con le mani, fino a conficcarsela nelle unghie per la rabbia, «Il vostro egoismo ha portato alla morte del sovrano di Dunbroch, ora io prenderò il suo posto e chi si opporrà a me verrà sterminato!»
L'unico rumore che si sentiva erano le lacrime di Merida che tintinnavano sul terreno, nessuno osava fiatare, nemmeno Stoick. 
«Non sei il re!» poi come un fulmine, una macchia nera sfrecciò tra Merida e Norman e si fermò poco più distante. 
Hiccup scese da Sdentato, le catene erano sparite e ora reggeva nella mano la sua spada di fuoco. Fece qualche passo avanti per fronteggiare Norman, senza paura.
«Non sei il re e non sarai mai il re che Fergus era, non ti spetta nessun diritto di sovranità, Merida è la legittima proprietaria di Dunbroch» parlò a gran voce. 
«Sta zitto» sibilò l'altro, estraendo silenziosamente la spada.
«Per cosa combattete?» continuò invece Hiccup, risoluto, rivolgendosi ai cavalieri che portavano lo stemma di Dunbroch, «Un tiranno avido che non vuole altro che il potere è intenzionato a conquistare le Highlands e ha soggiogato Fergus per iniziare il suo piano di conquista. Per cosa state dando la vita? La vostra principessa combatte con noi, ed è la vostra unica salvezza. Per cosa combattete, allora?»
Ci fu un silenzio generale dopo le parole che Hiccup aveva rivolto ai cavalieri, ma soprattutto a Merida, per confortarla e darle la forza della quale ora era stata prosciugata a causa di quella perdita. Qualcuno lasciò cadere la spada e fece qualche passo indietro, la resa era arrivata.
«Non c'è più nessuna guerra» disse Hiccup, rivolgendosi a Norman, «E' finita»
Quello sorrise, «No, non è ancora finita»
E si gettò verso Hiccup, con la spada alzata al cielo e l'espressione dentro la quale si leggeva vendetta, odio e molta, molta rabbia. Era intenzionato a ucciderlo e non vi era niente a frapporsi tra loro.
Niente se non Merida. Probabilmente Norman l'aveva data per scontata, considerato lo stato in cui era, ma le parole di Hiccup l'avevano rassicurata, le avevano dato la forza di alzarsi e di gettarsi su Norman per spingerlo dal lato opposto, sul ciglio della scogliera.
Gli abbracciò il petto e si mosse dal lato opposto, urlando per lo sforzo e il dolore che si portava dentro: «NON SARAI MAI IL RE DI DUNBROCH!» 
E poi entrambi caddero dalla scogliera.








 

Nota autrice
Sono in ritardo di quasi un anno ma finalmente posso annunciare il penultimo capitolo di questa storia, il prossimo sarà quello conclusivo per la vostra immensa gioia, sono felice di aver portato a termine questa storia, anche se con i miei lunghi tempi.
Spero vi piaccia! Fatemi sapere.

 

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Capitolo 25
*** Promises ***


Under the clouds
Chapter XXV: Promises
[ Epilogo ]









Merida era consapevole di non essere mai stata la principessa diligente che sua madre avrebbe sempre voluto che fosse.
Disobbediva, infrangeva ogni regola le venisse propinata, si ribellava. Eppure era consapevole di essere sempre stata una delusione per sua madre, anni addietro l'aveva quasi persa per i suoi capricci, ora che era cresciuta, dopo un paio di anni si rendeva conto del proprio egoismo.
Una brava principessa segue un insegnamento signorile, erano le parole che sua madre ripeteva ogni singolo giorno. E lei stessa aveva sperimentato sulla propria pelle quanto fosse difficoltoso seguirlo regola per regola.
In quel momento rivedeva sua madre, rimembrava quell'infanzia malinconica che le era stata strappata con la crescita, Elinor che costituiva per lei una fonte di sicurezza, come una torre inarrivabile e indistruttibile agli attacchi esterni. 
Rivedeva suo padre, l'uomo che le era sempre stato accanto, che l'aveva sempre appoggiata con quelle che sua madre chiamava le sue "stranezze", che in realtà non erano altro che le passioni che coltivava ogni giorno. Era stato suo padre a regalarle il suo primo arco e lei ricordava ancora il calore che quel regalo le 
aveva infuso nel petto, Merida sapeva che se fosse morta, non avrebbe comunque mai dimenticato che re buono e che padre gentile era stato Fergus per lei.
E poi c'era lui. 
Merida avrebbe voluto trovare una definizione esaustiva per come si sentiva quando quegli occhi verdi che assumevano delle sfumature ambrate se si guardava da vicino, si posavano su di lei. Non si era mai interessata all'amore, ma credeva che quello che provava per Hiccup fosse molto vicino a quel sentimento che cresceva nel suo stomaco nel vederlo, nel sentirlo. Merida sapeva che le sue parole costituivano una fonte di forza per sé stessa, ormai si rendeva conto di non poter fare a meno di lui.
Non era mai stata una principessa responsabile, ma in quel momento, mentre precipitava per metri e metri dalla scogliera, comprendeva quanto stesse sacrificando per tutti coloro che amava e per Hiccup in particolare.
Il vento le scompigliava i capelli, ricordandole quando cavalcava i boschi e le brughiere di Dunbroch, libera e selvaggia. Volle pensare a quello mentre l'acqua si faceva sempre più vicina.
Ma poi, ad un tratto, sentì un verso famigliare poco sopra di lei e aprendo gli occhi si rese conto che Sdentato sfrecciava come una scheggia in picchiata verso la sua direzione, Hiccup sulla sua groppa si protendeva con la mano per afferrarla.  Erano sempre più vicini, Merida vide chiaramente le iridi di Hiccup specchiarsi nelle proprie e anch'essa protese la propria mano, continuando a precipitare. 
«Prendi la mia mano!» le urlò Hiccup, ormai sportosi dalla groppa. 
E Merida lo ascoltò, sfiorò le sue dita quasi sul punto di afferrarle e ad un tratto, tutto divenne sordo.
Aveva sfondato la superficie dell'acqua e tutto si era improvvisamente zittito. Non più un suono, o le urla concitate di Hiccup. 
Si poteva udire solo il rumore della corrente, così forte da sbalzarla avanti e indietro, tenendola sott'acqua. Merida lottava, teneva la mano alzata verso la superficie e si sporgeva, poi la forza del mare la trascinò di nuovo sotto. Non sapeva se Hiccup l'avesse vista, ma si affidò a lui, affidò la sua vita a lui e a lui soltanto, come aveva sempre fatto. 
L'aria iniziò a scarseggiare dopo circa trenta secondi, mentre lei lottava invano dentro a quel turbine d'acqua che aveva tutta l'aria di essere un uragano 
nel pieno della sua potenza. Non aveva più la forza di muoversi, così lentamente socchiuse gli occhi e l'ultima cosa che vide fu il volto di Hiccup, i suoi occhi verdi e quelle lentiggini che costellavano il suo viso.
Fu proprio lui a trovarla. L'afferrò saldamente per la vita prima che perdesse i sensi e la trascinò fuori dall'acqua grazie alla forza che possedeva Sdentato nelle ali, sicuramente più di quella con cui la principessa aveva lottato.
La issò sulla groppa del proprio drago e la tenne tra le braccia mentre ordinava a Sdentato di risalire. Di Norman non vi era alcuna traccia, era completamente sparito nel mare burrascoso, molto probabilmente senza lasciare alcuna traccia era annegato.
Hiccup aveva sempre considerato di arrivare ad un dialogo prima di uno scontro, ma aveva appurato anche che con certe persone era impossibile parlare, erano così ossessionate dal potere da uccidere per i propri interessi. Non si preoccupò di cercarlo e riportò Merida sulla scogliera. 
Durante la risalita la principessa aprì gli occhi e si appoggiò a lui, priva di forze, tossendo fuori un po' d'acqua.
«E' finita?» sussurrò lievemente.
Hiccup la guardò e sorrise in modo rassicurante, «Sì, è finita».
Ad accoglierli sulla terra ferma vi erano due popoli i quali, vedendoli risalire sani e salvi, scoppiarono in un boato di gioia. In meno di pochi secondi si ritrovarono tutti e tre circondati da urla e incoraggianti pacche sulle spalle gratificanti, rivolte maggiormente alla povera schiena di Hiccup che si portò una mano tra i capelli, sorridendo appena. Entrambi erano bagnati come due pulcini. 
Stoick si fece largo tra le persone, gli occhi pieni di orgoglio per il coraggio di entrambi, ma soprattutto per il figlio e per dimostrarglielo, posò una mano sulla sua spalla, mentre Hiccup sorrideva. 
«Ben fatto» disse sollevato.
Merida nel vederli si ricordò di un avvenimento che le provocò una fitta al petto lancinante e mentre tutti festeggiavano e si congratulavano con Hiccup, i suoi occhi corsero sul corpo inerme di Fergus.
Rimase ferma per qualche istante e poi si fece largo fra tutti quanti, Hiccup se ne accorse subito.
«Permesso» sussurrò, giungendo dinanzi al corpo del padre e fissandolo. 
Sapeva di dover ancora metabolizzare, erano successe troppe cose ed era ancora troppo sconvolta per comprendere appieno la gravità di quella perdita. In cuor suo sapeva che non sarebbe stato facile superarla, sapeva che non avrebbe mai regnato come aveva regnato Fergus e che in qualche modo avrebbe dovuto dirlo a sua madre. Come? Come poteva tornare a Dunbroch in quelle condizioni e con una notizia così angosciante?
Una mano si appoggiò improvvisamente sulla sua spalla, destandola da ogni preoccupazione. Non le serviva girarsi per capire che era Hiccup, anche bagnato aveva quel profumo di freschezza e muschio che lo contraddistingueva, profumava di libertà.
Si asciugò una lacrima velocemente con la manica e lasciandosi consolare si appoggiò piano a lui.
«Non sarò mai pronta per prendere il suo posto» disse amareggiata. 
Hiccup abbassò lo sguardo su di lei, era così forte, eppure in quel momento così fragile che provò tenerezza nel guardarla, non potè quindi trattenersi dallo stringerla maggiormente. 
«Non dovrai essere come tuo padre, infatti» replicò «dovrai essere solo te stessa e andrai benissimo»
Merida esitò, anche se era poco convinta, quelle parole avevano un loro significato e l'avevano incoraggiata abbastanza da tirarsi su moralmente.
Non aggiunse altro, rimase solo tra le braccia di Hiccup, mentre il corpo di Fergus veniva coperto e messo su una barca, avrebbe raggiunto il Valhalla come tutti quei valorosi cavalieri che avevano perso la vita in quella battaglia. 

I giorni che seguirono non furono facili. 
Dopo un meritato riposo, Merida si era offerta di aiutare insieme ai restanti dell'esercito di Dunbroch a rimettere in sesto Berk. Fu un lavoro duro ed estenuante, che nonostante la schiena dolorante, l'aiutava a tenere lontani i pensieri dalla perdita del padre.
Ogni cavaliere contribuiva ad un lavoro specifico, rimettere in sesto le capanne, i carri e perfino gli abbeveratoi per i draghi, che in tutto quello avevano avuto un ruolo fondamentale per la sconfitta di Norman. 
Tutta quella fatica, fu comunque ripagata. Tutti constatarono che nonostante i precedenti scontri nel corso degli anni da parte di entrambe le parti, scandinavi e scozzesi potevano lavorare insieme e mettere da parte precedenti disguidi e costruire insieme una nuova alleanza. 
I giorni trascorsero velocemente, né Hiccup né Merida vollero parlare del giorno in cui si sarebbero dovuti separare. Merida sapeva di non poter lasciare il proprio popolo dopo la morte del padre e il futuro capo di Berk nemmeno.
Decisero entrambi di godersi quei giorni, seppur faticosi, per trascorrere più tempo possibile insieme. Merida lavorava insieme ad alcune donne per contribuire con i lavori meno faticosi fisicamente e di tanto in tanto aiutava Hiccup, passandogli ciò che serviva, fu lui a ricostruire le strutture più complicate. 
«No, non è quella la vite che mi serve» la correggeva Hiccup, in tono divertito di tanto in tanto quando Merida sbagliava qualcosa.
Lei allora gonfiava le guance e arrossiva, ma poi gli concedeva un sorriso e lui pensava quanto gli sarebbe mancato quel sorriso nei giorni, nei mesi e negli anni a venire. 
L'ultimo giorno lavorativo arrivò senza troppo indugio, conclusero con un giorno di anticipo rispetto alla tabella di marcia. Berk era stata rimessa a nuovo. 


Era ormai sera inoltrata quando tutti si diressero verso la Sala Grande per i festeggiamenti. Quest'ultima fu preparata dalle donne il pomeriggio stesso, sotto consiglio di Scaracchio che aveva proposto di festeggiare prima che gli stranieri se ne fossero andati.
Stoick aveva dunque acconsentito ed entrando, tutti poterono constatare quanto fosse stata tirata a lucido. Erano state disposte grandi fiaccole lungo la navata principale che conduceva alla fine, lo stemma di Berk era stato posizionato in alto e alcuni pesanti tendaggi erano stati sostituiti con altri, grezzi, ma sicuramente più adatti ad una festa. Due grandi tavolate lunghe fino alla fine della sala erano imbandite dalle più prelibate squisitezze. Naturalmente non mancavano gli alcolici, Merida sapeva 
quanto fossero festaoioli i vichinghi. Infatti la musica era già partita ancor prima che potessero mettere piede in sala. 
Notò alcuni vichinghi sbattere i boccali allegramente sul tavolo, parlottando a voce così alta che quasi urlavano, probabilmente vantandosi di come avevano lavorato in quei giorni e a Merida venne da sorridere. 
Per l'occasione aveva indossato il suo solito abito scuro lungo fino ai piedi e aveva intrecciato i propri capelli in una complicata treccia che aveva imparato grazie al meticoloso aiuto di Hiccup, e alla sua pazienza, quegli intrecci non erano facili. 
Si guardò attorno per individuare Hiccup e intravide Stoick e Scaracchio impegnati in una conversazione animata con i suoi compari, era bello vedere i propri uomini conversare così allegramente con i vichinghi, non si respirava un'atmosfera così rilasatta da molto tempo. 
Poi, d'un tratto, lo vide: Era in disparte e indossava la sua maglietta verde intrecciata sullo scollo e un paio di pantaloni marrone scuro, rivestiti ai lati di cuoio. Nonostante nessuno dei due fosse propriamente agghindato per una cerimonia, quando i loro sguardi si incrociarono, fu come se nella sala ci fossero solo loro.
Fu Hiccup il primo a distogliere lo sguardo, poiché Testa di Tufo aveva attirato la sua attenzione, toccandogli la spalla. Lo vide tornare a parlare mentre si scompigliava i capelli dietro la nuca, quei filamenti castani così morbidi al tatto che Merida aveva sfiorato qualche volta la stavano invitando ad essere toccati nuovamente, ma si trattenne e rimase a distanza.
Era incredibile come potesse essere strano quel sentimento: Erano giorni che scherzavano e si scambiavano battute piene di complicità, ma in quel momento, un calore ben diverso attraversava il petto di Merida. Non si trattava solo di scherzare con lui o scambiarsi qualche battuta nell'intento di evitare discorsi più imbarazzanti, sapeva bene che se non gli avesse parlato ora, l'avrebbe fatto fra molto tempo. Forse mai più.
Hiccup dal canto suo esaminò bene la situazione, mentre Tufo gli parlava e scosse la testa quando lui stesso gli chiese se aveva capito la battuta appena raccontata.
Lo guardò e poi si alzò, liquidando l'amico. Ora o mai più.
Nello stesso istante in cui si voltò, trovò Merida, che aveva percorso quel piccolo tratto che li separava, così vicina a sé che ora i loro corpi non lasciavano passare nemmeno un filo d'aria. Entrambi sbarrarono gli occhi, provocando risatine di sottofondo da parte degli amici di Hiccup.
«Oh io— stavo—» cominciò Merida, un po' incerta, visibilmente rossa.
«Sì anch'io ti stavo, sì insomma...» continuò Hiccup, tossicchiando e guardando appena dietro di sé, «Forse è meglio spostarsi da qui».
E Merida non poté che essere più d'accordo.


«Cosa farai dopo, sì insomma, dopo tutto questo?» domandò la principessa, seduta con le gambe distese sul porticato della casa di Hiccup, lontano dalla folla.
Da lontano si potevano ancora scorgere le luci dalla Sala Grande, i festeggiamenti duravano da ore e Hiccup la rassicurò che sarebbero durati ad oltranza. 
Lui, intanto, restava disteso affianco a lei con un braccio dietro la nuca e gli occhi luminosi su cui si riflettevano le stelle di quel cielo limpido. 
Ci pensò su prima di rispondere, in realtà Merida voleva andare a parare in un punto preciso.
«Cercherò di distrarmi» rispose, alla principessa piacque quella risposta, tant'è che sorrise tra sé e sé.
«Ti vedo» sorrise anch'esso a sua volta.
I loro sguardi si incrociarono ancora, Merida adorava guardarlo, era come un magnete: I suoi occhi non riuscivano a scollarsi da lui, si sentiva compresa, libera e felice accanto a quel vichingo. Mai nessuno l'aveva fatta sentire così, doveva dirglielo, ora o mai più.
«Mi mancherai» incalzò lei, facendogli spostare lo sguardo sui ricci rossi come filamenti di fuoco che le coprivano la schiena.
Per un momento il silenzio si diffuse religiosamente tra loro, poi Hiccup si alzò muovendo qualche passo in avanti e facendo rumore con la protesi. Merida compì lo stesso movimento, rimanendo però sul posto. Poi Hiccup disse qualcosa che la sbalordì.
«Vieni via con me» sussurrò, voltandosi e piantando quegli occhi chiari nei suoi. Se la guardava in quel modo come poteva dirgli di no?
Rimase immobile a fissarlo, incapace di rispondere. Quella proposta la faceva sentire libera e selvaggia come aveva sempre amato essere e lui era l'unico che la spingesse a sentirsi di nuovo in quel modo, di nuovo la vecchia Merida che lui amava. 
Le girò attorno sorridendo e sfiorandole la mano al passaggio.
«Scappiamo insieme» ripetè più vicino di prima.
La principessa avvertì dei chiari brividi solcarle la schiena, impazziti. Sorrise e chinò appena il capo dinanzi a quella proposta così allettante: «E dove andiamo?»
«Dovunque vorrai» le sussurrò tremendamente vicino, con le labbra accanto al suo orecchio, come per tentarla e lei lo era, lo era eccome. Infatti si girò in prossimità del suo viso e sentì il suo respiro sulle proprie labbra. 
«Ma i nostri popoli hanno bisogno di noi...» sussurrò amareggiata, sfiorando le dita grandi di Hiccup, intrecciate alle proprie così sottili a confronto.
Hiccup parve soffermarsi dinanzi a quella risposta. Lo sapeva, ci aveva pensato anche lui e Merida aveva quella luce negli occhi che gli suggeriva quanto fosse tentata dalle sue parole, ma ancora una volta aveva agito in modo altruista e lui pensò di non poterla amare più di così.
Che grande bugia aveva raccontato a sé stesso convincendosi che si sarebbe distratto una volta che lei se ne sarebbe andata, l'avrebbe pensata ogni istante. Quel viso tondo e dolce, le labbra a cuore e delicate, rosee. Quegli occhi così chiari e cristallini che ci avrebbe potuto leggere ogni suo segreto e i capelli come fiamme di un fuoco divampante. 
Si avvicinò di colpo, passando una mano dietro la sua schiena e avvicinandola a sé.
Merida aveva intuito bene cosa sarebbe successo a breve e infilò in tutta risposta una mano tra i suoi capelli, accarezzando le treccine in modo desideroso. 
I loro corpi aderivano perfettamente l'uno con l'altro, senza far passare un solo filo d'aria, uno strano calore li avvolse, scaldandoli. 
«Allora prometti che mi aspetterai, finché non verrò a prenderti» chiese Hiccup come ultimo desiderio.
Merida annuì e rispose: «Sempre».
E la loro promessa fu suggellata da un bacio così bramato da trasformarsi in qualcosa di più. Le labbra aderirono completamente e le loro lingue si sfiorarono per un breve istante, assaporandone il gusto che sapeva di proibito.
Le mani di Hiccup accarezzarono la schiena di Merida, scendendo lentamente sui fianchi e facendola sussultare sulle sue labbra. Sentiva che non sarebbe più appartenuta a nessun'altro dopo quelle carezze.
Il vichingo sorrise e la principessa gli prese il viso tra le dita sottili, andando a mordere il suo labbro in modo smanioso: «Ti mangio», ringhiò.
Poi, senza smettere di baciarsi, aprirono la porta di casa ed entrarono.
Quella notte seppero che le loro promesse sarebbero rimaste sigillate fino al loro nuovo incontro, i loro corpi e le loro anime si appartenevano ormai. Nessuno dei due avrebbe mai dimenticato la notte in cui si addormentarono a tarda ora con le loro mani intrecciate, nudi nel letto di Hiccup.
Nei loro pensieri un'unica parola riecchieggiava: Ti amo.










 

Nota autrice: 
Siamo giunti alla conclusione. Credo che scriverò un po' su queste note, perché probabilmente sarà l'ultima volta. 
Avevo una mezza idea di concludere con un capitolo extra, ma poi ho pensato che avrei potuto scriverci una one shot a parte e l'idea mi sembrava già più ragionevole.
Dunque! Mi viene da piangere, ho iniziato questa storia nel 2013 e sono arrivata al 2018 per concluderla, un po' tanto per 25 capitoli, ma sono ugualmente felice perché comunque è una storia in cui ho messo anima e corpo e onestamente vedendo quante persone l'hanno seguita, recensita o anche messa tra le ricordate, mi riempie di gioia.
Ci ho messo davvero tutta me stessa e mi auguro che anche chi l'ha letta ne sia rimasto soddisfatto, anche del finale naturalmente. 
Sono davvero davvero decisa a scrivere un capitolo extra, quindi non sarà propriamente l'ultimo di questa storia, ma questo è l'epilogo e siamo giunti alla conclusione. 
Ringrazio davvero tutti quelli che hanno anche solo dedicato del tempo per leggerla e spero che... mah chissà, rimanga impressa. 
Ovviamente ho già in programma la prossima storia Mericcup! 
Grazie davvero a tutti, siete preziosi. 

P h o e.

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