Everybody hurts

di SaintPotter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo capitolo ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo ***
Capitolo 3: *** Terzo capitolo ***
Capitolo 4: *** Quarto capitolo ***
Capitolo 5: *** Quinto capitolo ***
Capitolo 6: *** Sesto capitolo ***
Capitolo 7: *** Settimo capitolo ***



Capitolo 1
*** Primo capitolo ***


 
 
 
Everybody hurts

SaintPotter
 
 
 
 
 


1
 


 
Lo scarlatto scoppiettio delle fiamme era ciò che di più vivo albergasse nel maniero. Il fuoco, alimentato dalla legna del caminetto, sembrava ardere, producendo quei brevi rumori ripetuti, ma non bruciava veramente. Era estate ed in quella stagione qualcuno si disturbava a lanciare l’Incantesimo Freddafiamma al focolare. Le fiamme non avevano il fine ultimo di riscaldare le pelli diafane degli abitanti del maniero, ma i loro cuori. Sempre che qualcuno, lì, avesse un cuore.
«Mi ha chiamato, signore?» domandò una voce acuta. L’elfo domestico si Materializzò nel salotto del maniero non appena venne richiesta la sua presenza. Era magrolino, il volto intrinseco di rughe, e indosso portava solo uno straccio, simbolo della servitù. I suoi occhi brillavano di paura, benché qualcuno, in quella dimora, sperava si trattasse soltanto di devozione. Prese a torturarsi le mani, in attesa che il padrone gli rivelasse il motivo della sua chiamata.
«Mio padre è in casa?» domandò Scorpius Malfoy, distogliendo un momento lo sguardo stanco da alcune carte per posarlo, poco più giù, sul volto dell’elfo.
«No, signore.» Continuò a torturarsi le mani, ora più che in precedenza, ché l’elfo si sentì colpevole nel dare una spiacevole notizia al ragazzo. Dovette scusarsi. «È al Ministero. Mi scusi.»
«Non devi chiedermi scusa, Irvin.»
«Va bene, signore, mi scusi» continuò l’elfo, insicuro, che di smettere di torturarsi le mani pareva non volesse saperne. Scorpius sbuffò una risata, che d’allegria eppure fu priva, e andò a posare gli occhi grigi sulle carte che ancora teneva tra le mani.
«Puoi andare, grazie» disse all’elfo, prima che questo abbassasse il capo con fare servizievole e, ancora con gli occhi illuminati dal timore, sparisse in fretta. Il ragazzo trovò ridicolo che il padre si fosse dimenticato un’altra volta di pagare la sua retta universitaria. La facoltà di Medimagia gli aveva già spedito tre lettere e Draco Malfoy non s’era sprecato neppure a guardare il francobollo che stava su queste. Stronzo, gli venne da pensare.
Scorpius si piegò un momento in avanti e lasciò le carte sul tavolino rotondo che, più in basso, stava dinnanzi al camino acceso eppure gelido del salotto. Guardò le fiamme divampare e si chiese quanto tempo ancora avrebbe dovuto aspettare perché suo padre si decidesse a pagargli l’università. Si chiese, anzi, per quanto tempo ancora si sarebbe illuso che suo padre, prima o poi, avrebbe iniziato ad interessarsi a lui. Forse doveva pensarci da solo all’università. Forse doveva pensarci da solo alla sua vita. Pose nuovamente gli occhi sulle lettere che aveva poggiato sul tavolo, insieme ad altre carte che, naturalmente, Draco Malfoy non aveva avuto il tempo o la voglia di leggere, e controllò che nessuna fosse stata spedita dal San Mungo. Fu sollevato di non trovarne alcuna col timbro dell’ospedale, ché almeno era sicuro non fosse arrivata nessuna brutta notizia. In un certo senso, fu contento che la situazione non fosse cambiata d’una virgola, per quanto sperasse da ormai mesi in un miglioramento della paziente che lì da due anni era in cura, grave, per colpa d’un diavolo.
Lo scarlatto scoppiettio delle fiamme continuava ad essere ciò che di più vivo albergasse nel maniero, sino a quando uno stupido orologio a cucù iniziò a suonare, avvisando il maniero che fossero scattate le undici del mattino. Se non fosse che Astoria Greengrass in Malfoy adorasse quell’orologio in legno, dipinto a mano con diverse tonalità di blu, questo avrebbe già fatto una fine dolorosa; probabilmente sarebbe stato gettato tra le fiamme, ma fiamme che bruciavano, non fiamme fredde, come il resto della casa nella stagione più calda dell’anno.
Durò un minuto intero, quello strazio, e finalmente l’orologio smise di suonare, ch’erano diventate le undici del mattino ed un minuto. Scorpius era stato zitto per tutto il tempo e dopo non osò rompere il silenzio che finalmente aveva fatto capolino in quel salotto dei Malfoy, dove nessun odore profumava l’ambiente, illuminato dalle fiamme e dai raggi solari che filtravano dalle enormi e numerose finestre che riempivano le pareti. Già, anche il ragazzo s’era sempre chiesto come mai non facesse caldo, lì, nonostante il sole tra un po’ si trasferisse direttamente in casa sua, in tutta la sua grandezza.
Poggiò un gomito sullo schienale di una delle grosse poltrone color pece che fronteggiavano il camino e così rimase, immobile, per forse tre minuti interi, a fissare le lettere che l’università gli aveva mandato. Dopo, quando ne ebbe abbastanza, chiamò una nuova volta l’elfo e questo apparì nella stanza giusto un istante dopo.
«Mi serve la chiave della mia camera blindata.»
«Subito, signore» rispose l’altro, scomparendo in fretta per poi riapparire con una chiave d’oro tra le mani, che porse al padrone. Scorpius lo ringraziò con un cenno del capo, prima ancora di afferrare l’oggetto, quindi l’elfo sparì un’altra volta. Il ragazzo osservò la chiave, la serratura che sarebbe potuta appartenere a qualsiasi camera e invece no, poteva aprire solo quella blindata della banca, la sua. La ripose nella tasca.
«Io esco» disse, come a voler avvisare qualcuno. Non c’era però nessuno in casa, Irvin a parte, e Scorpius lo sapeva. Non badò a ciò, al fatto che nessuno gli rispose, se non lo scoppiettio delle fiamme, invece s’assicurò d’avere la bacchetta con sé e si Smaterializzò.
Un secondo dopo era nella zona Nord di Diagon Alley, in piedi, la schiena dritta, di fronte alla vetrina di Wiseacre's, dove erano esposti i soliti globi lunari dorati e, di fianco, v’erano i cartellini con su scritto il prezzo. Tredici galeoni. Sempre uguale. Non volle perdere tempo a mirare una vetrina che da dieci lungi anni non era mai mutata. Certo, qualche volta veniva esposto un nuovo articolo, senza neppure il cartellino col prezzo, ché almeno la clientela era costretta ad entrare nell’emporio per conoscerlo, ma solitamente questa novità restava in esposizione per una settimana o due, dopodiché i protagonisti della vetrina tornavano ad essere i globi lunari. Scorpius non si chiese il perché e mai se l’era chiesto, in effetti, poiché il suo interesse era riservato sempre ad altro.
Camminò lontano da Wiseacre's, sotto il sole londinese non troppo rovente che lo stesso bruciava la sua pelle diafana, tentando di non urtare neanche per sbaglio le persone che riempivano Diagon Alley. Non trovò strano che questa brulicasse di maghi e streghe, in particolare giovani, ché era metà Agosto e in molti già avevano deciso di non ridursi come al solito all’ultimo minuto e avevano intenzione di comprare il materiale scolastico. Un uomo piuttosto sudaticcio su ogni centimetro della sua pelle scoperta fu l’unico ad urtarlo, senza neppure scusarsi con Scorpius, ma quest’ultimo finse di non essersene neppure accorto, ché neanche volendo avrebbe potuto dirgliene quattro, poiché l’uomo era già scappato ed infilatosi dentro lo Speziale, il negozio che vendeva ingredienti per pozioni. Sembrava avere una gran fretta. Scorpius non si fece domande, a questo riservò ancor meno interesse della vetrina coi globi lunari. Con passo sicuro, invece, continuò a marciare e finalmente raggiunse la Gringott.
Una volta dentro l’enorme atrio, dovette rimanere in fila per un paio di minuti, il tempo necessario per analizzare l’ambiente, come al solito. Scorpius era un abile osservatore, amante della tranquillità, del sacro silenzio, e viveva in un caos, un caos un po’ troppo spesso privo di rumore. Guardò ogni goblin, ogni moneta con cui questi avessero a che fare, ogni impronta che vi fosse sugli occhiali di chi li portava. Sembravano serie, le loro espressioni. E loro sembravano spaventosi. Esseri scaltri, ecco cos’erano i goblin. Gli avevano sempre incusso un certo timore, ma non per questo, in quel momento, decise di darsela a gambe, ché aveva da prendere un po’ di soldi per pagare la retta universitaria. Se non fosse stato che avesse da sbrigare da solo ogni suo affare, per rabbia avrebbe preso i soldi di suo padre e non i propri. Solo per fargli un torto. Quello, comunque, impegnato com’era a non far caso a suo figlio, non se ne sarebbe mai accorto. Che gusto c’era allora a farlo?
Quando arrivò il suo turno, Scorpius andò a ritirare una somma di denaro abbastanza grande per pagare la retta universitaria e finalmente uscì da quel covo di goblin, in tasca la bacchetta, la chiave d’oro ed il sacchetto coi galeoni. Camminò pochi passi prima di decidersi a Materializzarsi un’altra volta e tornare a casa, giusto per sentire per un minuto soltanto i rumori della strada, rumori differenti dallo scoppiettio delle fiamme fredde del suo salotto, rumori di vita. Rumori che non si erano mai sentiti nel maniero dei Malfoy. Camminò quei pochi passi e stavolta fu quasi investito da un mago. Lo stesso con la fronte sudaticcia e le mani sudaticce e… e sudaticcia ogni altra parte del suo corpo. Forse per la corsa, forse per il caldo, forse per l’ansia. O forse sudava così di suo sempre, chi lo sapeva. Il mago ora si voltò verso Scorpius giusto un istante per scusarsi e poi corse via, in fretta. Lo guardò andarsene, i muscoli ad ogni secondo sempre meno rilassati, la fronte aggrottata, un sopracciglio inarcato e le labbra ridotte ad una linea retta prima, poi leggermente digrignate ed infine dischiuse.
Scorpius aveva già visto quell’uomo e ora ricordava dove. L’aveva già visto all’ospedale San Mungo.






 


Angolo autrice.
Ehy, bbys! Era da tanto che aspettavo di pubblicare una storia per dirvi il seguente: mannaggia ai virus! Sì, perché per colpa di un virus al computer ho perso tutti i files, che fossero le mie amate foto del liceo o le mie storie, e di conseguenza ho perso anche i capitoli che avevo scritto per le altre storie da me pubblicate. So che sono incomplete da un sacco, ma sto cercando un programma per recuperare tutto ciò che ho perso e solo quando l'avrò trovato pubblicherò il prossimo capitolo della Jaminique, della Scorose, dell'altra Scorily e della mia storia originale fantasy! Ve lo dico perché 1) se avete letto le altre mie storie, allora mi scuso, e soprattutto 2) magari non volete leggere questa storia perché pensate "eh, ma se non aggiorna le altre e lascia tutto a metà, col cavolo che leggo questa!" Però niente, è tutta colpa del mio computer che mi ha fatto perdere tutto, mesi fa. Se fra ancora qualche mese non avrò trovato niente, credo che le continuerò scrivendo di nuovo qualcosa, anche se mi dispiace perché non sarà lo stesso che avevo scritto, sigh! Vabbé, intanto sto scrivendo quest'altra Scorily e spero vi piaccia. Chiedo scusa se per ora i due piccioncini ancora non si sono incontrati, ma abbiate pazienza, in qualcosa come il... quinto capitolo (esatto! Scusate) si incontrano finalmente. Anche se... insomma, mica tanto "finalmente"! Vi parlo da brava persona che ha già scritto i primi quattro capitoli e sta soffrendo per quello che ha scritto e che ha in mente, capitemi. Ci sarà tanto angst. E mi sto sentendo un po' stupida a scrivere tutto ciò perché io non scrivo mai nessuno commento come autrice, pubblico storie e basta, aiuto. Comunque, ripeto, spero vi piaccia (e se allora mi recensite la storia non mi arrabbio, eh), altrimenti... boh, ditemelo, ché le critiche costruttive fanno sempre bene. Plus: questo commento lo sto scrivendo in fretta perché la cena (... il mio yogurt alla ciliegia) mi aspetta, chissà quante cavolate ho sparato.
SMUACK! 
SaintPotter.

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Capitolo 2
*** Secondo capitolo ***


 
 
 
Everybody hurts

SaintPotter
 
 
 
 
 


2
 


 
In Casa Potter vi erano troppi odori. Un azzardo sarebbe dire che nella sola cucina ce ne fossero almeno una decina. C’era il profumo del caffè appena pronto, quello che ogni mattina Albus Potter si sgolava per riuscire a stare sveglio tutto il giorno, ora che era nel pieno della sessione estiva degli esami della facoltà di Pozioni Avanzate. Non era amaro per niente, quel caffè. A lui piaceva dolcissimo, ci metteva dentro almeno cinque cucchiaini di zucchero. E c’era il profumo dello zucchero, anche se era lieve e per sentirlo bisognava avvicinare il naso alla tazzina col caffè. C’era l’odore del bacon e delle uova, che Lily Potter si era divertita a sistemare nel suo piatto in maniera tale da disegnare una faccina sorridente. Un po’ le dispiaceva mangiare, avrebbe rovinato la sua allegra opera d’arte. Conoscendo la ragazza, tuttavia, bè, il senso di colpa sarebbe svanito nell’istante in cui questa avrebbe assaporato la sua colazione. C’era il profumo delle brioches, che Ginny Weasley in Potter aveva comprato da un fornaio londinese non troppo lontano dalla loro dimora giusto perché avevano un ospite e quell’ospite era Fred Weasley, suo nipote. C’era il profumo delle pagine del giornale che era appena arrivato in Casa Potter e su cui Fred aveva poggiato un gomito, probabilmente ignorando la sua esistenza ed il fatto che ci avesse già fatto cadere sopra qualche mollica della sua brioche e qualche granello di zucchero. C’era il profumo del succo alla pesca che Lily si era versata in un bicchiere già due volte e c’era il profumo del latte, che a breve sarebbe scaduto, che James Potter, in silenzio, si era versato invece una sola volta in un bicchiere. Di solito ci metteva dentro anche il cacao, ma questa volta aveva deciso di berlo così come sarebbe uscito dal cartone, nudo. James non era mai silenzioso, Albus gli lanciò un’occhiata incerta quando comprese che qualcosa non andasse, mentre richiuse il frigo, da cui per un istante uscirono più di cento odori, per prendere uno yogurt alla ciliegia. Adesso, una volta aperto, c’era anche il profumo dello yogurt alla ciliegia. C’era già prima il profumo di ciliegia e proveniva dai capelli di Ginny, sua madre. Era una settimana che aveva cambiato shampoo e smesso di usare quello alla camomilla. C’era odore di legno, anche se finto, quello del tavolo. C’era l’odore del detersivo che era nel lavandino e con cui ora da sole, per magia, si pulivano alcune stoviglie, con tanto di spazzole, spugne e stracci. Ad Albus faceva schifo, a sua sorella piaceva. C’era anche un odore indistinto, quello del profumo che Lily si era spruzzata più volte prima di uscire dal bagno, quella mattina, e c’era anche puzza di cacca. Fred ne aveva sparata una e poi non si era nemmeno scusato. Nessuno rise o lo rimproverò, ché ormai ci erano abituati.
«Io vado al lavoro» annunciò Ginny Potter, lanciando un’occhiata al lavandino per controllare che il lavoro proseguisse senza intoppi. Poi guardò uno alla volta i suoi figli e suo nipote e su questo in particolare si soffermò per qualche secondo di più, per ammonirlo di non far danni come al suo solito. Si sarebbe soffermata per altrettanti secondi su James, ma lui aveva lo sguardo assente e fisso sul suo bicchiere di latte ormai svuotato, anche se un po’ forzatamente, poiché senza cacao gli faceva schifo, e sembrava essere più di là che di qua. Ginny finse di non accorgersene.
«Vostro padre tornerà domani e per favore, stavolta se avete bisogno di qualche stupidaggine non chiamatelo mentre è al lavoro.» Sospirò, ricordando l’ultima volta, quando Lily non era riuscita a trovare i biscotti allo zenzero che si era fatta comprare e che si era nascosta per non farli mangiare agli altri, così aveva chiamato suo padre e neanche dieci minuti dopo lo stesso Harry Potter era stato disturbato dal maggiore dei suoi figli, James, perché non sapeva come si accendesse la lavatrice. Però quando l’aveva fatta quasi scoppiare non lo aveva mica avvisato!
«Tranquilla, ma’» rispose Albus. E Ginny fu tranquilla soltanto per quanto riguardasse lui, ma per gli altri… Sospirò nuovamente, dicendosi che dovesse essere positiva ed i suoi figli e suo nipote non avrebbero fatto danni. Cavolo, ormai erano adulti! La più piccola era al primo anno universitario!
«Okay» disse e fu più un “lo spero”. «Per qualsiasi cosa, disturbate me. Qualcosa di serio, intendo.»
Ci provò di nuovo a lanciare un’occhiataccia a James, ma quello ancora fu fisso sul suo bicchiere non più di latte. “Vabbè”, si disse, “lasciamo stare”.
«Quando avete finito di mangiare, mettete la roba del lavandino.» Dopo tale richiesta, Ginny si Smaterializzò e sparì di fronte a quell’unico ragazzo, cioè Albus, che le aveva risposto annuendo nella sua direzione. Fu lui, infatti, il primo a mettere la tazza, che in fretta aveva svuotato dal caffè, nel lavandino. E fu anche lui il primo a parlare.
«Allora», batté un paio di volte le mani, «come è andato il party, ieri sera?»
Guardò per primo suo fratello, ma questo non rispose. Lo fece suo cugino.
«Alla grande! Mi sono spaccato di canne e ho rimorchiato una!»
«Ma va’, sicuramente la poverella era ubriaca!» lo derise Lily.
«Boh, tanto lo ero anche io, quindi chi se ne frega!»
«Quando mai tu non ti ubriachi?»
«Stai zitta, secondo me eri ubriaca pure tu!»
Lily arrossì leggermente e si mise in bocca l’ultimo pezzo di bacon che le era rimasto nel piatto, così da non poter parlare.
«Ti sei ubriacata?» domandò Albus, sorpreso e leggermente contrariato.
«Ma lasciala fare, mica è una bambina ora!» prese le sue parti Fred, ma venne ignorato da tutti. Albus non tolse gli occhi da sua sorella, ad ogni secondo sempre più spalancati.
«Lily!» insisté il Potter. Aveva i suoi motivi per reagire così.
«Non lo so!» fu costretta a rispondere, perché ormai il bacon l’aveva ingoiato. «Non ricordo niente di ieri sera!»
«Che vuol dire che non ricordi niente? Che ne so, non…»
«E basta un po’!» lo interruppe Fred, agitando una mano facendo un cenno di noncuranza. Quel discorso già lo annoiava. «Non mi chiedete piuttosto come era fatta la bella bionda con cui ho passato la serata?»
«Era bionda e bella, mi basta» concluse Albus, a cui non fregava niente di quella povera ragazza che chissà quanto doveva aver bevuto per trascorrere la sera con Fred Weasley. Questo sbuffò.
«Siete due palle.»
Gli altri non ribatterono.
«Piuttosto» continuò lui, «James, diglielo, quante te ne sei fatte?»
James trovò finalmente la forza di lasciar perdere il suo bicchiere e di spostare l’attenzione sul cugino, che guardò malissimo, neanche volesse ucciderlo.
«Dai, non ci hai raccontato niente!» continuò, esortandolo a dir loro tutto della serata precedente. In effetti, non sapeva niente.
«Vattene a fanculo» disse severamente a quello che era pure il suo migliore amico, quindi si alzò dalla sedia, non preoccupandosi di non far rumore spostandola, e marciò via, probabilmente verso la sua stanza. Tutti e tre rimasero interdetti e nessuno seppe esattamente cosa dire. James non si comportava mai così, qualcosa non andava di certo.
«Ecco...» blaterò Albus, a cui tuttavia le parole morirono in gola. Guardò la porta che il fratello aveva appena superato e non seppe se sperare che tornasse indietro o meno, non seppe niente e basta. Nemmeno ebbe il coraggio di muoversi per andare a buttare nel cestino la scatola dello yogurt. Lily muoveva frenetica gli occhi da Albus a Fred, sperando forse che uno dei due facesse qualcosa, ma quello che Fred fece fu scrollare le spalle e mangiarsi anche la brioche che James non aveva toccato, imbrattando ancora di più il numero di quella mattina della Gazzetta del Profeta che teneva sotto al gomito.
«Ma vaffanculo tu» disse, anche se il cugino e migliore amico non poteva più sentirlo, ormai lontano. Ci mise un secondo a dimenticare questa scena, pensò che dovesse aver bevuto una strana Pozione ed ora il ciclo, come sua sorella Roxanne, ce l’aveva pure lui. Albus fu ancora un po’ stordito, ma sospirò e finalmente si mosse per andare a buttare la scatola vuota di yogurt alla ciliegia. Passando accanto al cugino, gli diede uno schiaffo sulla nuca, perché quella era già la quarta brioche che mangiava. Nemmeno lui ci fece caso al giornale. Nessuno ci aveva fatto caso, chissà quali notizie riportasse stavolta.
Lily continuava a guardare entrambi i ragazzi, incerta e spaventata. Lei era sicura che qualcosa non andasse. Ne era sicura perché la notte aveva sentito James vomitare forse l’alcool, forse l’intera sua anima, e quando lei era andata in bagno per vedere come stesse, lui l’aveva spintonata via con le mani un po’ puzzolenti di alcool e di vomito e le aveva detto di non parlargli. Sembrava arrabbiato, triste, ferito, deluso. Da sé.
Quella mattina James Potter non aveva parlato con nessuno, neppure con sua madre. Lily si sentiva male, si sentiva come se lui avesse parlato con tutti tranne che con lei. E sentiva che presto avrebbe ricominciato a vivere allegramente la sua vita del cazzo, ma non avrebbe ripreso a parlare con lei. E non capiva perché. Lei non gli aveva fatto niente. Lei era la sua adorata sorellina e lui il suo fratello preferito. Lei l’aveva sempre ammirato e non aveva mai fatto nulla che potesse dispiacere a James.
Peccato. Non aveva la minima idea che fosse stato James a fare qualcosa a lei. Non aveva la minima idea che James non riuscisse a perdonarselo. Non aveva la minima idea di cosa fosse successo la sera precedente, a quel party organizzato nella casa, pochi isolati più in là, di uno di quegli amici babbani che i Potter ed i Weasley si erano fatti senza destare sospetti riguardo la magia. Peccato.
«Fanculo» disse anche Albus, uscendo dalla cucina per raggiungere il fratello, di sopra. Fred non si scompose, nemmeno Lily.
«Dov’è la bambina?» chiese lui, annoiato.
«Da nonna Molly.» Lily sospirò, improvvisamente stanca; tutto ad un tratto il suo volto non pareva così giovane, aveva qualche piccola ruga. «Vado a prenderla tra un paio di ore.»




 


Angolo autrice.
Ehy, bbys! Di nuovo, mi scuso se Scorpius e Lily non si sono ancora incontrati, ma vi prego di avere un po' di pazienza! Attenzione, presto comincerete a capire come vanno (male) le cose! Io già piango.
Avevo dimenticato di dire una cosa: nella descrizione potete vedere che le coppie sono Lily/Scorpius e James/Dominique!, ebbene... la Jaminique è una coppia secondaria, ma sì, troverete anche quella e pure quella sarà piena di angst perché sono una brutta persona (ed una roleplayer che ha mosso il personaggio di James Sirius Potter per oltre quattro anni e ruolato per altrettanti anni una dolorosa Jaminique! Sigh!)
Spero che questo capitolo non vi faccia troppo schifo! Adesso pubblico il terzo e tra un po' anche il quarto, tanto sono già pronti! 
SMUACK! 
SaintPotter.

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Capitolo 3
*** Terzo capitolo ***


 
 
 
Everybody hurts

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3
 


 
Scorpius Malfoy detestava l’odore degli ospedali. Odore che, tanto, avrebbe sentito probabilmente per il resto della sua vita, poiché tra pochi anni avrebbe terminato l’università e da allora avrebbe indossato anche lui il tipico camice verde lime dei Guaritori. Un po’ sapeva di disinfettante. Per la maggioranza sapeva di sangue e di morte. Un odore del cazzo.
Non c’era più lo scoppiettio delle fiamme, aveva deviato per il San Mungo e soltanto qualche ora dopo avrebbe pagato la retta e infine sarebbe tornato a casa, dove nessuno v’era ad aspettarlo.
Salì al quarto piano, al Reparto Lesioni da Incantesimo, cercando di non far caso ai Guaritori che, frettolosi, correvano per i corridoi. Tentò di posare l’attenzione soltanto sui numeri che vi erano sulle porte, benché non avesse bisogno di leggerli. Scorpius sapeva perfettamente dove si trovasse la porta che stava cercando e sapeva percorrere la strada che lo portava ad essa, poiché per essa passava ogni settimana. Però volle leggerli comunque, quei numeri. Doveva essere il suo modo per placare l’ansia che voleva farsi sempre più grande e scuotere il suo petto sino a distruggere la sua gabbia toracica. Alcuni numeri se li perse, dato che alcune porte venivano aperte e da esse correvano via Guaritori che tentavano un’ultima volta un salvataggio o da ospiti che, di solito con le lacrime agli occhi, erano andati a trovare i pazienti, loro cari.
Arrivò dinnanzi all’ultima porta del corridoio. Questa era stata chiusa appena in quel momento, ne era uscita una giovane donna che Scorpius conosceva molto bene. Jessica Strout era stata assunta al San Mungo nonostante sua zia, Miriam, avesse permesso ad alcuni Mangiamorte di assassinare Broderick Bode, negli anni Novanta.
«Salve, signor Malfoy» lo salutò con un sorriso educato sul volto. «Come sta?»
Nonostante Scorpius non solesse essere maleducato con lei, che sempre si mostrava gentile e disponibile nei suoi confronti, ignorò i suoi modi educati e si limitò a salutarla con un cenno del capo. Voleva anche sorriderle e pensava pure di averlo fatto, ma non ci era riuscito.
«È successo qualcosa?» domandò preoccupato.
«Niente di nuovo.»
«Non mi menta» insistette lui.
La Guaritrice tirò un sospiro e lanciò un’occhiata dietro di lei  alla porta che si era chiusa alle spalle. Probabilmente sperò che nessuno l’aprisse ora che il figlio di Astoria Malfoy fosse lì.
«Vede, signor Malfoy» cominciò questa, cercando le parole giuste da dirgli. «È grave, è sempre stata grave. Noi stiamo facendo del nostro meglio, ma è difficile. Per ora vive, ma alcuni ingredienti per la pozione sono introvabili e parecchio costosi, l’ospedale…» L’ospedale non poteva permetterseli. Non per quella pozione.
Per ora è viva. Per ora. Queste parole lo avevano scioccato. Che cazzo voleva dire, si chiedeva, che per ora fosse viva? Non era arrabbiato. Era disperato. Lo era a tal punto, tuttavia, da non riuscire a fare niente. Era immobile a guardare la Strout che altro non riusciva a fare che guardarlo con aria desolata. Non era neppure riuscita a terminare la sua frase!
«Mi dispiace» però riuscì ad aggiungere lei.
Scorpius nemmeno sbatteva le palpebre. La guardava, ma non la guardava veramente. Altre immagini aveva per la mente. Tutte orribili. Tutte insopportabili. L’ultima non riguardava la paziente. L’ultima riguardava suo padre e lui, Scorpius gli lanciava contro quanti più Schiantesimi riuscisse, sembrava così disperato da non preoccuparsi se l’altro fosse capace di venire ammazzato dal suo stesso figlio o meno.
Scorpius era fragile, vedete. Più di quanto apparisse. Riuscì a trattenere le lacrime, riuscì a trattenersi dall’urlare con tutto il fiato che avesse nei polmoni, riuscì ad avere solo un’espressione dura in volto, mentre mosse un passo in avanti. In tutta risposta, la Guaritrice lo mosse indietro e mise pure una mano sulla porta per impedirgli di entrare.
«Non è l’orario di visite, Scorpius» disse stancamente. Stavolta lo chiamò per nome. Lui nemmeno le notò, le grosse borse che la donna aveva sotto agli occhi. Non importava. Lui aveva occhiaie più grosse e tante rughe, nonostante fosse solo un ragazzo, alla fine. Aveva raggiunto i ventuno da un paio di mesi, anche se ultimamente sembrava più vecchio di almeno dieci anni. Per la stanchezza.
«Mi dispiace» aggiunse nuovamente. Le dispiaceva davvero. Era difficile comportarsi così, ma non poteva lasciarlo entrare. Non perché non fosse l’orario delle visite, bensì perché la situazione fosse critica. E questo non sapeva come dirglielo. Presto la donna avrebbe iniziato a sudare. Come ancora sudava l’uomo che aveva urtato prima e poi quasi travolto Scorpius a Diagon Alley e che ora era dietro quella porta ad attendere che un Pozionista terminasse di preparare la pozione per Astoria Malfoy. Astoria Malfoy che anche quest’oggi aveva avuto la fortuna di avere la pozione salvavita a disposizione, per quanto altro tempo ancora? Astoria Malfoy che ogni giorno sembrava sul punto di morire. Astoria Malfoy che ogni giorno moriva sempre più. Ogni ora, ogni minuto, ogni secondo.
Anche lei detestava l’odore degli ospedali. Quando Scorpius le disse che sarebbe divenuto un Guaritore, lei arricciò il naso e gli disse che non sarebbe mai andata a trovarlo al lavoro, perché odiava stare in quel posto. Dopo rise e gli disse che fosse molto fiera di lui, che Scorpius sarebbe diventato uno dei migliori Guaritori del San Mungo e che lo avrebbero reclamato tutti, all’estero. E che sarebbe finito ad essere il responsabile di un qualche reparto nel giro di due settimane, ne era sicura. Forse sarebbe accaduto veramente, forse no. In ogni caso, lei non lo avrebbe mai saputo. Non lo avrebbe mai saputo, perché per le sue condizioni sarebbe potuta morire nel giro di qualche giorno. Si sperava di no. Scorpius lo sperava, più di tutti. Scorpius piangeva quasi ogni notte, come un bambino e segretamente. L’unico che sapesse dei suoi pianti era Albus Potter, il suo migliore amico. Lo sapeva perché una notte si era Materializzato nel maniero dei Malfoy perché si stava rompendo il cazzo, questa era stata la sua scusa, e si sentiva James russare dalla stanza affianco. E l’aveva visto. L’aveva visto e l’aveva abbracciato, ma non come si abbracciavano i maschi. Non gli aveva dato qualche pacca sulla spalla dicendogli che sarebbe andato tutto bene. Forse non aveva detto ciò perché non era sicuro che sarebbe andato tutto bene e non voleva mentirgli. No, Albus era stato in silenzio e semplicemente gli aveva fatto comprendere che lui c’era e che per lui ci sarebbe sempre stato, l’aveva stretto a sé così forte che avrebbe quasi potuto fargli male, gli aveva accarezzato anche la schiena in quella stretta, neanche fosse la sua sorellina, e Scorpius aveva spalmato il suo volto sul petto dell’amico e si era lasciato abbracciare, aveva continuato a piangere e gli aveva bagnato la maglietta con le lacrime. Ma ad Albus non era importato, aveva continuato ad essere lì con lui ed a stringerlo. Albus Potter era il fratello che Scorpius Malfoy non aveva mai avuto, era più lui la sua famiglia che Draco Malfoy. Era tutto, o quasi. Perché c’era qualcun altro. O meglio, c’era stato, ma poi era successo un disastro. Uno di quei disastri che parevano irrisolvibili. Un disastro gigante. E così Lily Potter si era ritrovata a quasi diciassette anni incinta della figlia di Scorpius Malfoy ed ora, due anni ed un mese dopo, i due nemmeno si parlavano.
Jessica Strout si guardò intorno quasi ad assicurarsi che nessuno fosse nei paraggi, dopo tentò un sorriso e si rivolse a Scorpius. «Prometto che avviserò non appena avremo notizie.»
Lui non aveva un bel niente per cui sorridere, ma comunque le fu grato, anche se gliene sarebbe stato di più se l’avesse lasciato entrare, e si arrese al più piccolo sorriso che gli potesse venire fuori, privo di felicità. «Grazie» rispose solo. Fece per andarsene, già si era voltato per incamminarsi verso l’uscita, quando… «Mio padre è già venuto? A trovarla in questi giorni…»
La Guaritrice prese a torturarsi le mani come soleva fare l’elfo domestico della famiglia del ragazzo quando non sapeva come dare una qualche brutta notizia. Cercò le parole ed esitò, prima di rispondere cautamente. «In realtà… non vedo il signor Malfoy da… dal mese scorso.»
Ti pareva. Scorpius si irrigidì. Quando mai a Draco Malfoy importava qualcosa di qualcuno? Di sua moglie che tra un po’ moriva? Desiderò strangolarlo con le sue stesse mani. Ma lui ovviamente era a lavoro, certo! Stronzo, pensò di suo padre solo per la seconda volta in quella giornata.
«Va bene, grazie lo stesso.»
Lei l’aveva capito che ci fosse rimasto malissimo, che fosse deluso dall’uomo. Un po’ le dispiaceva, le faceva pena. E non si capacitava di come un uomo potesse non far visita alla moglie grave da almeno un mese. Lei in realtà non capiva proprio gli uomini, però, infatti a trent’anni ancora non s’era sposata e non voleva saperne nulla di fidanzati.
Gli rispose mestamente con un sorriso e Scorpius sparì dalla sua vista. Poco dopo fu nel salotto del maniero, troppo arrabbiato, triste, ferito e deluso. Da Draco Malfoy. Wow, chissà chi stava peggio tra lui e James Potter!  Tirò un calcio al tavolino dove stavano ancora tutte quelle carte. Non lo ruppe, ma il suo calcio fu abbastanza forte da farlo traballare e qualche carta cadde sul pavimento. Non le rialzò, decise che le avrebbe lasciate lì. Per un attimo volle bruciare tutto, ma la carta non avrebbe mai preso fuoco: le fiamme erano ancora fredde. E lì si moriva di caldo, improvvisamente.
Decise anche che sarebbe andato più tardi a pagare l’università, ché ora non ne aveva la forza. Aveva soltanto la forza di stare male, forse voleva stare male, voleva che il padre se ne accorgesse, ma Dio!, Draco Malfoy non c’era e non ci sarebbe stato, per lui. Non pianse. Volle fare l’uomo. L’uomo arrabbiato. Appellò il suo cellulare, l’unico oggetto babbano che possedesse e che non avrebbe mai potuto non avere, ché quell’essere petulante di Albus Potter a diciassette anni l’aveva pregato di comprarsene uno per poter parlare più in fretta via quello. I mezzi di comunicazione babbani sono molto più veloci di quelli magici, gli ricordava sempre, ed alla fine aveva regalato al migliore amico un iPhone bianco. Scorpius non sapeva neppure quale, ce n’erano troppi. Sinceramente, quale fosse, se Uno, Due, Tre e così via, nemmeno gli importava. Ci mise qualche secondo a trovare il contatto banalmente salvato come “Albus Potter”, ma alla fine riuscì a chiamarlo. E attese.




 

 

 
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Capitolo 4
*** Quarto capitolo ***


 
 
 
Everybody hurts

SaintPotter
 
 
 
 
 


4
 


 
Albus era di fronte alla porta della stanza di James quando sentì, nella stanza accanto, il suo cellulare suonare. Che tempismo! Sospirò, quindi lasciò stare il fratello ed andò a vedere chi volesse rompergli i boccini a quell’ora di mattina (saranno state le undici e mezza, oppure mezzogiorno, ma per lui era comunque troppo presto). Quando fu nella propria stanza, sentì più chiaramente Jingle Bells suonare e… sì, va bene, Albus Potter era l’unico essere sulla faccia della Terra ad avere come suoneria per il cellulare una canzoncina natalizia. In sua difesa, adorava il Natale e almeno anche in estate ne avrebbe avuto un po’! Quel ragionamento non faceva una piega. Quando lesse sul display il nome del migliore amico, si affrettò a rispondere.
«Ehy, Scorp!»
«Ciao» gli rispose quello dall’altra parte. Dal suo tono di voce non sembrava molto… contento. Albus se ne accorse subito.
«Tutto okay?»
«Mio padre è uno stronzo e all’ospedale non mi vogliono dare notizie. E mio padre è uno stronzo» disse di nuovo, il che fece preoccupare Albus. «Quindi no.»
«Hai detto due volte stronzo in una stessa frase» fece preoccupato.
«Veramente sono due frasi diverse» lo corresse l’altro. Stava per dire che fossero anche due periodi diversi, l’intelligentone e precisino, ma l’altro lo bloccò.
«Vabbè. Racconta!»
«Puoi venire qui?»
«Adesso?»
«È un problema?»
«Più o meno» ammise, pensando che dovesse ancora andare a scoprire cosa non andasse col fratello di sangue. Alzò le spalle e concluse tra sé e sé che ci avrebbe pensato dopo. Tanto si trattava di James, si sarebbe sicuramente trattato di una cazzata. «No, anzi, non fa niente, se è importante vengo.»
«Lo è» confermò Scorpius, che comunque non poteva immaginare la situazione familiare dell’altro. E in ogni caso avrebbe insistito per farlo venire a casa sua.
«Un attimo e sono da te» concluse allora Albus, prima di attaccare la chiamata. Forse un po’ più di un attimo, dato che doveva andarsi a vestire. Menomale che si era già lavato prima di fare colazione!
Dopo aver infilato le scarpe, pensò di scendere di sotto e raccomandarsi con Lily e Fred di non combinare guai, soprattutto dal momento che era stato lui a garantirlo alla madre, poco prima. Ci pensò e realizzò che tanto i guai, quei due, li avrebbero combinati lo stesso, quindi lasciò il cellulare sul comodino, invece prese la bacchetta ed alla svelta si Materializzò nel maniero dei Malfoy.
Peccato. Non aveva idea che quella fosse l’unica possibilità di parlare con James e che, comunque, fosse meglio farlo subito perché era davvero importante, non una delle solite cazzate che lo riguardavano. O meglio, era importante per essere una delle cazzate fatte da James Potter. Non aveva idea che cinque minuti dopo il fratello sarebbe sparito e nessuno avrebbe avuto idee su dove potesse trovarsi, sul fatto che i genitori, preoccupati, avrebbero chiamato il giorno successivo persino la polizia babbana. Peccato.
«Ma dove si è cacciato?» si domandò Scorpius, guardando l’orologio a cucù che aveva sopra la testa: era quasi mezzogiorno ed era passato più di un attimo. Ormai, dopo quella attesa, la sua rabbia verso Draco e San Mungo s’era enormemente alleviata. Ad Albus, comunque, gliene avrebbe dette quattro. Quello fece il suo ingresso nel salotto dei Malfoy due minuti dopo.
«Scusa» si giustificò, «per sbaglio mi sono Materializzato nella tua cucina. Ed Irvin ha insistito tanto perché io mangiassi qualcosa!»
«Per sbaglio?» Di certo non se l’era bevuta. «Non avrai svuotato di nuovo mezzo frigo?»
«No, tranquillo, avevo già fatto colazione!» Sì, con del caffè e dello yogurt! Troppo poco! Aveva bisogno di energie, appena dopo pranzo avrebbe ripreso a studiare per il prossimo esame universitario! «Solo un quarto. Comprate sempre ottima roba.» Ed era vero: tutto era di gran lunga più gustoso (e costoso e di classe) rispetto a quello che comprava sua madre. Ma insomma, suo padre aveva salvato il mondo e nemmeno gli permettevano di avere una colazione da re? Era ingiusto.
Scorpius gli rispose sbuffando. Albus decise di lasciar perdere e per primo si accomodò su una poltrona. L’altro si accomodò di fronte a lui.
«Allora, che succede?» Tornò subito serio.
«Stamattina sono andato a Diagon Alley per ritirare dei soldi per pagare l’università.»
«Tuo padre…?»
«No.»
Ah.
«E ho visto un Guaritore affrettarsi per comprare chissà quale ingrediente per una pozione» continuò Scorpius.
«Okay che studio Pozioni, ma non sono un detective, non vorrai farmi scoprire di cosa si tratta?» domandò l’amico arrivando a conclusioni affrettate.
«No, no» rispose Scorpius, prendendo a gesticolare. Non gli serviva scoprire nulla del genere, non credeva importante conoscere quale pozione dessero alla madre. «Credo che mia madre stia peggio del solito.»
Un sopracciglio corvino si inarcò sulla fronte del Potter, che iniziava a preoccuparsi.
«Perché lo dici?»
«Al…» riprese Scorpius, non sapendo bene cosa dire. Perché in realtà aveva troppo da dire. E urlare. Invece ora era calmo, non così freddo solo perché stava parlando col suo migliore amico. «La Strout ha detto che per ora è viva. E che è grave. E lo so che sta sempre peggio e… e io… » Io… Abbassò lo sguardo grigiastro sui propri piedi. Non era sicuro che avrebbe retto quello del ragazzo. Perché, di nuovo, Scorpius Malfoy era molto più fragile di quanto sembrasse. Anche se a volte era rigido e ti trattava con una più o meno educata freddezza, anche se a volte invece era uno stronzo che ti prendeva per il culo e rideva amaramente di te. Anche se a volte era semplicemente buono. Ma era umano. E perciò era fragile. «Non credo che ce la farà.»
In realtà, non credeva che la madre potesse farcela da parecchio tempo, ma adesso improvvisamente la situazione, grave, sembrava più reale, più crudele, più… bè, difficile da reggere.
Questo era uno di quei momenti in cui Albus si sarebbe limitato ad abbracciarlo, invece lo guardò con una rigidezza che nascondeva un affetto gigantesco e disse soltanto: «andiamo da Alex.» Doveva farlo stare meglio.
Scorpius alzò in fretta gli occhi e lo guardò sorpreso in un primo istante, poi gli rise in faccia, una risata amara, scuotendo la testa senza troppa vivacità. Anche le sue parole furono amare.
«Lei non vuole.»
«Certo che vuole» insisté severamente Albus, giusto perché sapeva di avere ragione e voleva solo che il suo amico stesse bene.
«Non parlo di Alex.» Rise amaramente mentre l’altro fu in silenzio. Albus aveva capito, ora, a chi si riferiva e forse Scorpius aveva ragione. Ma sapete cosa? Non gliene fregava niente.
«Chissene.» Stette zitto ad attendere una risposta, ma questa non arrivò, allora continuò lui a parlare. «Hai bisogno di distrarti!»
Questa volta Scorpius alzò il tono di voce, più brusco. «Non ho bisogno di distrarmi! Non voglio distrarmi, lo capisci?»
Albus sospirò.
«Senti, Al, ho cose più importanti a cui pensare. Mia madre, mio padre che non la va a trovare da un mese…»
«Un mese?» gli fece eco, Albus, sconvolto. Che merda. Scorpius annuì. Ecco perché lui gli aveva dato dello stronzo.
«Adesso non ho tempo per pensare ad Alexandra.»
Da una parte aveva ragione, poiché si trattava di una questione di vita o di morte, anzi forse più di morte, perché molto probabilmente Astoria non ce l’avrebbe fatta,  ma dall’altra…
«Non puoi permetterti di non avere tempo per tua figlia.»
Tua figlia. Era così strano. Lui aveva solo ventuno anni ed era pure single, perché la madre di sua figlia non voleva saperne niente di lui. Ragionevolmente…  Scorpius sospirò.
«Tanto non la vedo già mai, dato che quella stronza di…»
«Non chiamarla così» lo rimproverò Albus, poiché Lily era pur sempre sua sorella. Scorpius non si scusò, ma si corresse e forse lo fece anche perché non la considerava davvero una stronza. Lui l’amava ancora.
«Dato che Lily non vuole farmi fare il padre.»
Questa frase suonò così triste alle orecchie di entrambi. Albus si fregò di ciò che Scorpius disse e mise una mano sulla sua spalla. Un istante dopo, questo sentì la nausea, più che altro per la sorpresa del viaggio improvviso, ed un istante dopo ancora furono alla Tana. Sia lodata la Materializzazione congiunta!, pensò Albus. Sia maledetta!, pensò invece l’altro. Poi Scorpius la vide. Alex. Era seduta sulle ginocchia di Molly Weasley, sul divano in salotto, e rideva gioiosamente. Ed era bellissima.






 


Angolo autrice.
Questo è l'ultimo capitolo corto della storia. Giuro. Gli altri dovrebbero essere di una lunghezza... normale? Tranquilli! E boh, non avevo niente di particolare da dire, giusto questo! Perciò... pace e amore e buon Albus Potter a tutti!
SaintPotter.

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Capitolo 5
*** Quinto capitolo ***


 
 
 
Everybody hurts

SaintPotter
 
 
 
 
 


5
 


 
Alexandra Potter era una bambina di due anni dai (tanti, troppi) capelli biondo fragola che portava lunghi già sino alle spalle, lisci quanto la sua candida pelle, chiara poiché gli inglesi non si smentivano mai, e dagli espressivi occhi grigi. Non era un grigio spento, quello dei suoi occhi. Era un grigio luminoso. Un grigio che avrebbe potuto colorare un mondo privo di colori. Un grigio pieno di vita. Lo stesso grigio che colorava le iridi di Scorpius Malfoy nei suoi tempi migliori (leggasi “quando lui e Lily si amavano alla follia”). Dalla madre, Alexandra avrebbe presto ereditato le lentiggini, ma per quelle bisognava aspettare i cinque o sei anni. Nel frattempo, da lei, che l’educava insieme alla famiglia che soleva darle una mano, aveva preso la curiosità, il carattere gioioso, l’allegria sempre presente nello sguardo persino nei terribili due anni, il periodo più temibile per i genitori in quanto era praticamente come se i figli avessero il ciclo costantemente. Era una bambina dolce, ma era anche abbastanza scalmanata e con lei i capricci erano all’ordine del giorno. Nonostante tutto, era adorabile e persino Lord Voldemort non sarebbe riuscito a resistere alla sua tenerezza. (O alle sue grida acute, Merlino!)
Alexandra Potter, chiamata da tutti soltanto Alex, in realtà era una Malfoy. Legalmente, c’era stata una lotta già prima della sua nascita per farla essere una Potter, poiché Scorpius non avrebbe fatto il padre, così tutti avevano vinto, tranne lui. Persino e soprattutto Draco Malfoy aveva vinto contro il figlio. Era stato semplice per gli altri vincere: i due nemmeno erano sposati, non bastava il fatto che fosse stato “convinto” il biondastro a non riconoscere la bambina come sua. Anche se tutti, ovviamente, sapevano che Scorpius era suo padre, e lo sapeva la stessa Alex. Per quanto una bambina di due anni potesse capire.
Non solo era una Malfoy, ma avrebbe dovuto chiamarsi Lyra Astoria secondo uno Scorpius estremamente dolce, probabilmente grazie ad un drink alcolico al gusto di fragola, lo stesso sapore delle labbra di Lily, che a diciassette anni e mezzo se ne era uscito dicendo che la loro figlia, un giorno, avrebbe preso quel nome. Lily aveva ribattuto dicendo che quel nome facesse davvero schifo e che per sua figlia, un giorno, avrebbe scelto un nome più normale. Scorpius si era ribellato dicendo che fosse tradizione per i Malfoy (o così sembrava) avere almeno un nome di una costellazione, anche se lei gli aveva riso in faccia. Allora aveva aggiunto che non importava, ma che volesse il nome di sua madre per la bambina. Anche Lily quindi, dopo aver gonfiato le guance come una bambina, aveva improvvisamente deciso che il secondo nome di sua figlia sarebbe stato Ginevra, quello di sua madre. Alla fine si erano arresi concludendo che magari avrebbero avuto un maschio. Oppure non avrebbero avuto mai figli. Chi lo sapeva, loro quella volta erano brilli e non volevano davvero dei figli. Erano solo ragazzi che si divertivano a pensare al futuro.
Buffo, comunque, che ebbero davvero una figlia insieme, anche se per sbaglio. Buffo che Scorpius Malfoy finì proprio a fare sesso con Lily Potter. Quando avevano rispettivamente sedici e quattordici anni, non sembravano molto propensi a ciò.
«E ora che cazzo vuoi?» aveva sbottato lei, stanca delle prese in giro dell’amico di suo fratello. Le sue braccia erano incrociate sul petto ed aveva appena soffiato con rabbia contro una ciocca di capelli che era andata a coprirle il viso. Scorpius aveva ancora il suo grosso dito puntato contro il petto di lei, era scioccato. Ovviamente, era tutta teatralità.
«Che hai qua?»
«Non ci casco, Malfoy» aveva risposto Lily, credendo che lui le avrebbe fatto chissà quale scherzo infantile su una macchia che in realtà non aveva sulla sua maglietta. E ci era cascata comunque, infatti aveva abbassato gli occhi. Lui finalmente aveva parlato.
«Niente! Neanche l’ombra di un paio di tette.»
Lei nemmeno l’aveva vista la sua espressione scioccata per finta, a cui sarebbe seguito un ghigno divertito, ché in un secondo quella era già sparita, la Potter aveva dato un pugno in faccia al ragazzo. E poi, ovviamente, gli aveva urlato qualcosa come «vaffanculo, stronzo!»
Perciò… già, Lily e Scorpius si amavano alla follia. E da loro era nata questo mix perfetto che era Alex, nessun secondo nome, né Ginevra, né Astoria. Né alcuna costellazione da Malfoy con la puzza sotto al naso. Anche se, con gli anni, Lily aveva imparato che la puzza sotto al naso non ce l’aveva davvero, Scorpius. Lui era migliore di quanto lei stessa pensava. E lo amava. E ora del loro amore non sembrava essere rimasto niente, se non una bambina.
Scorpius era alla Tana da ormai un’ora. In un primo istante, Molly Weasley l’aveva guardato male, ma in quello dopo era stato Albus a guardarla male e lei si era arresa ad un sorriso. Aveva lasciato la bambina al padre e questo si era messo ad interagire finalmente con lei, lasciandosi trascinare da questa in giardino. Lo zio e la bisnonna si erano alla fine rintanati in cucina, perché che Albus Potter avesse costantemente lo stomaco vuoto lo sapevano tutti, così come tutti sapevano che con le nonne ci fosse sempre troppo cibo in giro. E lei continuava ad offrire al nipote dolci e nemmeno il mal di pancia lo fermò dal chiederne o accettarne altri.
«Papà! Papà, il fiolellino!» esclamò con gioia la piccola, piegandosi goffamente per raccogliere una margherita dal terreno. Scorpius le sorrise e la fermò in tempo, piegandosi sulle ginocchia pure egli.
«No, Alex» le disse dolcemente, «non staccare il fiorellino! Lasciamolo vivere!»
La bambina lo guardò incerta, così il padre decise di spiegarsi, un misero «i fiorellini muoiono se li stacchi dal terreno!», ma poi decise di sorridere anche lei, che sembrò capire, allontanando la manina dalla margherita e posandola sulle proprie labbra.
Scorpius afferrò con delicatezza quella mano minuscola con le proprie dita prima che la piccola potesse infilarsela in bocca. Cosa che faceva spesso con qualsiasi oggetto, ma si sa!, i bambini nella fase orale si mettevano in bocca di tutto! Alex strinse con la poca forza che aveva le dita del padre e lo usò come ancora, dopodiché, tenendosi in equilibrio grazie a lui, iniziò a saltellare. La sua attenzione in un attimo non fu più sul fiore, anche se si sarebbe potuta ribellare, poiché la madre non le diceva mai di non coglierlo, anzi lo coglieva o lo posava trai capelli biondo fragola della figlia, o insieme facevano “m’ama, non m’ama”, ma per Alex riusciva sempre a far finire i petali con “m’ama”, dicendole che lei, la mamma, l’amasse tanto. Continuò a saltellare e Scorpius dovette tirarsi su per stare meglio in equilibrio, poi lei lo trascinò in giro per il giardino e lui, giusto un tantino curvo, la seguì senza opporsi. Si lasciò trascinare di qua e di là con un sorriso sulle labbra che nessuno avrebbe saputo se definirlo “felice” o “nostalgico”. Lei lo chiamò tante volte “papà” ed il suo cuore, intenerito, poté soltanto fare tanti salti di gioia, energici come i saltelli della piccola.
Questa smise di dire “papà” solo quando, ad occhi sgranati, lasciò la sua mano sicura e corse in avanti esclamando, sempre con gioia, “mamma!”
Lily era arrivata con un’ora di anticipo.
Scorpius sentì qualcosa rompersi, dentro di lui. Forse, semplicemente, il cuore aveva fatto un salto troppo rischioso ed ora era caduto, s’era ferito. Però aveva ricominciato a battere velocemente in fretta, s’era ripreso o ciò era quello che voleva far sembrare. Non s’era ripreso sul serio. Batteva non perché fosse divenuto più forte. Batteva perché se non l’avesse fatto, se avesse smesso, forse non avrebbe ripreso a farlo più.
Il suo sorriso si spense, le labbra furono dischiuse per un attimo per la sorpresa di vederla e l’imbarazzo. Loro non dovevano vedersi. Loro si odiavano. O meglio, lei odiava lui e lui spesso fingeva di odiare lei. Non era però un odio di quelli tra ragazzini, sapete, quando tutti dicevano “ah ah!, guardate che chi si odia si ama!”, no! Quello era un odio che era nato dalla delusione, dopo tanti anni di amore. Respirò forte ma senza far rumore, guardando la piccola che ora saltava in braccio alla mamma. Lily non sembrava scioccata, forse lei lo era stata già qualche attimo prima e lui neppure si era accorto della sua presenza. Perché ne era sicuro: anche lei doveva aver perso  un battito nel vedere Scorpius alla Tana. Sì, ne era sicuro. Completamente. Forse non per amore, ma per rabbia. Perché Lily Potter era rimasta così delusa da lui, così piena di ira, che aveva smesso di amarlo.
Tirò un sospiro, quindi si avvicinò alla ragazza, che aveva già tra le braccia Alex.
«Ciao, Lily» le disse con una fredda cordialità. Non solo. C’era anche speranza nelle sue parole, era evidente.
«Malfoy» rispose ancora più distante lei, ma al tempo stesso ridendo contro il viso della figlia a cui era rivolta la sua totale attenzione.
Fantastico, nemmeno il saluto!
Lily prese a fare il solletico alla bambina, la sua fronte posata contro quella di lei ed i nasi che si sfioravano un attimo prima; l’attimo dopo la sua faccia era contro la pancia della bambina e faceva una pernacchia per farle ancor più solletico. Alexandra rideva. Dopo un minuto, si ribellò e volle scendere.
Lily si piegò e raccolse una margherita, che fece per mettere trai capelli della figlia.
«No, mamma!» ribatté lei, mettendo su un broncio per rimproverarla. «Papà ha detto no! Cotì muore!»
Alex prese il fiore e lo adagiò sul terreno, come se così potesse nuovamente tornare in vita. Lily posò per la prima volta (da quanto ne sapesse Scorpius, almeno) lo sguardo sull’ex, ma giusto per inarcare un sopracciglio e guardarlo con incertezza, prima di ridere.
«Ah, così dai ascolto a tuo padre!» Doveva essere una frase scherzosa, ma le uscì dalle labbra con amarezza. Alex non ci badò.
«Hai uccito il fiolellino!» fu la risposta della bambina, che incrociò prepotentemente le braccia. Questo intenerì Lily, che stava per ribattere dicendo che sui suoi capelli il fiore stava molto meglio, ma alla fine fu Scorpius a parlare.
«Perché non vai a regalare quel fiorellino alla nonna?» Che in realtà era bisnonna, ma la chiamavano “nonna” lo stesso.
Alex era confusa. Prima le diceva di non raccoglierlo e poi di farlo? Aggrottò la fronte, ma si piegò ancora goffamente per prendere la margherita e fare come le aveva detto il suo papà, quindi camminò più o meno stabilmente e raggiunse l’entrata della casa, urlando “noooonnaaaaa! Nooooonnaaaaaa!”
Molly Weasley la sentì subito e rispose con un «che c’è, piccola? Sono qua!», per poi raggiungerla per evitare che questa cadesse prima di arrivare alla meta.
Prima che Scorpius potesse rivolgerle la parola, Lily marciò verso la casa anche lei. Lui non le afferrò alcun polso, nessuna scena drammatica da film romantico. Gli bastò parlare. Gli bastò dire «aspetta!»
Lei si bloccò all’istante e si voltò a guardarlo, ma non voleva aspettare per nessun motivo al mondo e parlare con lui. Lo guardò con rabbia, ora che sua figlia non era nei paraggi, e gli disse un chiaro «non voglio stare ad ascoltarti» e raggiunse la figlia.
Ah, che furba! “Non voglio stare ad ascoltarti” anziché “non ho nulla da dirti!”
Scorpius serrò i pugni e prese un bel respiro, quindi entrò in casa anche lui. Erano tutti in cucina, così si fermò al fianco di Albus, le mani poggiate sullo schienale di una sedia. Alex stava cercando di mettere la margherita trai capelli della bisnonna. Lily le guardava, così non poteva guardare Scorpius. Lui sbuffò, cercando di ignorare la faccenda. Invece, si concentrò sul volto pallido dell’amico. Non che fosse tanto semplice…
«Tutto okay?»
«James non risponde.»
«Non gli sarà arrivata la lettera.»
«Neanche al telefono» disse il Potter, accennando a quello che il nonno babbanofilo aveva comprato una vita fa.
«Sarà spento» tentò l’amico.
«Non lo so» ammise Albus, preoccupato. «Stamattina era un po’ strano.»
«Non vuole parlare con te?»
«Con nessuno, credo. Infatti non risponde a nessuno.» E tirò un sospiro. A questo punto ne tirò uno anche Lily, che aveva spostato su di loro l’attenzione solo per James, non per Scorpius. E comunque non voleva concentrarsi su Scorpius.
«Da quanto tempo non risponde?» osò il biondastro.
«Bè… solo un’ora, va bene, ma…»
«Un’ora, che vuoi che sia!»
Anche Molly smise di sorridere, seppure stesse giocando con la nipote. Aveva appena terminato quella conversazione con Albus e ora questa era ripresa e lei continuava ad essere preoccupata.
«Lo so, ma James non si dà mai per disperso ed ora sembra non essere da nessuna parte.»
Scorpius gli batté una pacca sulla spalla, ma aggiunse: «capisco. Però se è passata solo un’ora non puoi neanche chiamare una squadra di Auror. Dai, scommetto che in un paio d’ore si farà vivo!»
Nessuno dei tre familiari di James ci credeva troppo (e Scorpius in realtà non capiva), ma si limitarono tutti ad annuire.
Calò il silenzio tra gli adulti, solo le risate di Alex ravvivano la stanza, e questo silenzio fu interrotto solo dieci minuti dopo da Molly.
«Poveri Granger» fece improvvisamente.
«Di che parli, nonna?» chiese Albus.
«Vostro nonno li sta tormentando da stamattina. Spero almeno abbia avuto la decenza di non autoinvitarsi a pranzo da loro, oggi.»
Albus rise. Il nonno era fissato coi Babbani, si sarebbe sicuramente trattenuto a lungo dai genitori di Hermione.
«Sarà il caso che io vada a prenderlo» constatò lei, lasciando una carezza sul volto della bambina e facendola scendere dal tavolo su cui era stata seduta per tutto il tempo. Alex corse dalle gambe di Scorpius. Lui le posò delicatamente una mano sulla schiena, lasciandola che abbracciasse le sue gambe e trattenendo un sorriso. «Voi che fate?» continuò la donna.
«Non preoccuparti, nonna» rispose Lily. «Adesso ce ne andiamo.»
L’anziana dai capelli rossi annuì, salutò i presenti con un bacio sulle guance (tranne il biondo, che lasciò con un sorriso educato) e la bambina con ben due baci, infine si Smaterializzò.
«Okay» batté le mani Albus. «Io vado da Dominique. Magari lei sa qualcosa di James. Ci vediamo!»
Scorpius aprì la bocca per ribattere, ma l’altro sparì all’istante. Alex salutò lo zio muovendo una mano nella sua direzione, ma neanche lei fece in tempo, ché di quello non c’era più ombra. Tornò a dedicarsi al padre, su cui ora cercò di arrampicarsi. Scorpius sorrise, arrendendosi troppi secondi dopo e prendendola in braccio.
«Adesso andiamo anche noi, va bene, Alex?»
Lily non voleva una risposta. Loro due se ne sarebbero andate, punto.
«No!!!!»
La madre fu senza parole per qualche istante, il suo volto si colorò di rosso. «Sì, invece.»
«Voglio stale con papà!!!!!»
Ovviamente, la loro discussione proseguì per cinque buoni minuti senza che Scorpius dicesse nulla ed alla fine vinse la bambina, che guardò la mamma con la lingua da fuori per farle una smorfia e poi il padre con aria soddisfatta. E spiaccicò il suo volto nel suo petto. Scorpius le accarezzò ancora la schiena, stringendola a sé. Le accarezzò anche i capelli, così morbidi, quei capelli che non erano né biondi come i propri, né rossi come quelli della madre, ma biondo fragola, un misto, ed erano così belli. Poi guardò Lily anche lui con aria trionfante e pure un po’ troppo da Serpeverde, a cui questa rispose con una smorfia.
«Al gialdino!!!» ordinò la bambina, alzando un braccio in aria come ad imitare la posa di un supereroe, così il padre dovette uscire di casa e la madre seguì entrambi. Due minuti dopo, Alex stava osservando un bellissimo bruco (veramente era un verme schifoso), mentre i genitori stavano qualche passo dietro di lei ad osservarla. Poi Scorpius osò.
«Dovresti insegnarle a non toccare certi insetti schifosi.»
«Non lo sta toccando, infatti» rispose prontamente lei, convinta. Ed in effetti per ora il vermiciattolo non era tra le grinfia di Alex.
«Di solito le ragazze non hanno paura degli insetti?»
«Stai cercando di insultare tua figlia?»
«Sto cercando di insultare te.» Non era vero. Voleva parlarle. Non litigare. Voleva solo…
Lily sbuffò.
«Tu e i tuoi stereotipi! Non tutte le ragazze hanno paura degli insetti!»
«No, infatti tu vai matta per i vermi lunghi.»
SCIAFF!
Uno schiaffo colpì una guancia del biondastro. Naturalmente, la bambina non aveva ascoltato la loro conversazione (e comunque non avrebbe potuto cogliere il doppio senso detto dal padre), ma il rumore della mano posata per niente delicatamente della madre sul viso del padre l’aveva sentito eccome e questo l’aveva fatta voltare.
«MAMMA! NON TI PICCHIA PAPÀ!» Che ovviamente era un “non si picchia”, non un “non ti picchia”, ma i bambini parlano così, si sa!
Lily guardò la figlia che ora la rimproverava mentre Scorpius se la rideva. Ah ah ah!
«Uffa», le scappò, «ma perché devi essere il suo preferito?» “Anche se vive con me?” era inteso. Questa cosa la faceva imbestialire. Scorpius rise di nuovo e dischiuse le labbra per rispondere, ma la bambina lo precedette.
«Pecché papà è bello.»
«Oooh oooh!», ridacchiò il “bel papà”, guardando la ex con aria di sfida. Un punto per Scorpius!
Alex aveva ragione. Papà era bello. Papà era bellissimo. Ed ormai non era più suo. L’aveva deciso lei stessa, tempo fa. Lily tirò un sospiro, prima di prendere per mano la bambina e Smaterializzarsi via con lei.





 


Angolo autrice.
ED ECCO CHE LILY E SCORPIUS SI SONO INCONTRATI FINALMENTE!
Non so che cavolate ho scritto, in realtà,  ma vabbé. Non ho avuto internet per parecchio tempo ed intanto ho scritto alcuni capitoli, magari li pubblico tutti assieme! Però ditemi cosa ne pensate, altrimenti mi fermo pensando che sia uno schifo completo, hahaha!
SaintPotter.

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Capitolo 6
*** Sesto capitolo ***


 
 
 
Everybody hurts

SaintPotter
 
 
 
 
 


6
 


 
A Scorpius toccò chiudere la Tana, anche se con la magia, poiché non aveva le chiavi. Quella non era casa sua.
Non se la prese con Albus per averlo lasciato solo con la sorella. Non se la prese neppure con la nonna di questi. Se la prese solo con Lily, che gli aveva portato via la bambina, che poi era quello che faceva sempre, quello che aveva sempre fatto, quello che aveva già deciso avrebbe fatto prima ancora della nascita della piccola Alex. E quello che magari avrebbe continuato a fare per il resto dei suoi giorni. Se la prese con Lily, ma non restò arrabbiato a lungo, perché, come al solito, finì per rassegnarsi. Non all’idea che sarebbe stato sempre così, però. Si rassegnò all’idea che quello non fosse il giorno in cui gli sarebbe venuto in mente un piano geniale per cambiare le cose. Perché Scorpius avrebbe cambiato le cose, anche se per ora non sapeva come fare. Presto gli sarebbe venuta in mente un’idea tanto stupida (il termine esatto era infantile, ma suvvia, ora non mettiamoci a fare spoiler!) quanto geniale, però non era questo il momento.
Stavolta, mogiamente e nemmeno più arrabbiato per via dei genitori, tornò a casa. Sempre via Materializzazione, nessuna chiave andò rigorosamente a tentennare contro la serratura, aprendo la porta del maniero silenzioso dei Malfoy. Le uniche chiavi che si mossero per aprire una porta, facendo parecchio rumore, giusto perché l’abitazione era stata chiusa a chiave e questa doveva fare almeno tre giri, furono quelle di un appartamento londinese non troppo lontano dalla redazione del Settimanale delle Streghe. Un appartamento casualmente abitato solo da streghe, tutte sulla ventina, e tutte alte minimo un metro e settantacinque, snelle e belle da far paura. Beccarne qualcuna all’atrio era sempre un piacere.
Albus Potter doveva voler essere molto stupido, oppure molto impaziente, perché nonostante sapesse già che in quel momento sua cugina gli stesse aprendo, continuò a bussare al campanello.
Dominique si disse che l’avrebbe ucciso, una volta avuta davanti ai suoi occhi la faccia da cerbiatto eppure da cazzo di suo cugino.
«Finalmente!» si annunciò questo quando ebbe la Weasley di fronte. Dominique aveva qualche mese in più ad Albus, ma era così bella ed il suo viso pareva così perfetto che sembrava più giovane, nonostante la maturità. Aveva una bella fronte alta e su essa non ricadeva alcun ciuffo disordinato, i suoi capelli biondissimi erano perfettamente in ordine in uno chignon alto. Indossava un abito leggero, uno di quelli che metti giusto in quella settimana estiva in cui si muore dal caldo anche se sei in Inghilterra e poi lo butti via, corto e bianco, anzi quasi trasparente, che lasciava intravedere, sotto, la biancheria chiara di pizzo. Le sue gambe lunghe erano quasi del tutto scoperte e terminavano con due piedi perfetti che calzavano tacchi alti, neri come gli orecchini che pendevano, leggeri, giù dalle orecchie minute della ragazza. Albus non le chiese perché indossasse quelle scarpe scomode in casa, ma se l’avesse fatto, lei gli avrebbe risposto che non trovava alcun problema a camminare con quelle indosso e che comunque la ragazza al piano di sotto le stava piuttosto antipatica. “Lauren del piano di sotto”, chi non aveva mai sentito le lamentele di Dominique Weasley al riguardo? Strano, ché solitamente uno si lamenta di chi vive sopra.
«Ci hai messo anni ad aprirmi!» continuò Albus, che nonostante il broncio non era per niente minaccioso quanto Dominique quando aveva quell’espressione annoiata dipinta sul volto. «Posso entrare?» Ma ovviamente si era già autoinvitato dentro.
«Molto gentile da parte tua chiedermelo» ironizzò lei, costretta a lasciarlo fare, richiudendo la porta dinnanzi a sé. Lo seguì in salotto e l’affiancò sul proprio divanetto, su cui Albus si era già seduto, anzi dove si era proprio buttato giù di peso, sbuffando, come se in queste poche ore avesse corso una maratona e si fosse stancato tanto. Lei ironizzò anche su questa cosa, chiedendo: «anche tu hai deciso di fare una corsetta mattutina, oggi?»
Lui la guardò malissimo. Albus Potter e lo sport erano due cose troppo diverse, non sarebbero andate d’accordo neanche tra un milione di anni. A meno che lo sport non fosse scacchi. Magici, ovviamente, perché persino muovere delle pedine era troppo faticoso per lui. Chissà come faceva ad essere tanto magro nonostante non si muovesse mai e mangiasse come un maiale. O peggio, come suo zio Ron.
«Scherzi?» chiese ad occhi sgranati, per poi scuotere la testa. «Non ho idea di come tu faccia a correre ogni mattina.»
«Alle otto» volle specificare lei, soddisfatta, ma lui nemmeno volle badare a questo spaventoso dettaglio e continuò.
«Chissà dove la trovi la forza per alzarti e pensare “ed anche oggi si corre”.»
«Di solito non lo penso, infatti: corro e basta.»
Anche stavolta, ovviamente, Albus la ignorò.
«Io mi suiciderei la sera prima anche solo per non dover trascorrere la nottata a pensare a questo. Ma non dormi male?»
Stavolta Dominique non gli rispose, tanto sapeva già che le sue parole al riguardo non sarebbero state ascoltate. Comunque non gli interessava cosa ne pensasse lui dei suoi allenamenti: lei li faceva perché faceva bene alla sua salute, ma era un problema del Potter se non volesse correre e mantenersi in forma. Alzò gli occhi al cielo.
«Allora, Albus, perché sei qui?» gli chiese solo. Lui rispose in principio con una smorfia, perché non gli piaceva quando qualcuno lo chiamava per nome intero, peggio ancora se a farlo era un membro della sua famiglia: questo lo considerava alto tradimento. Non disse niente, tuttavia, invece andò a spiegarle il motivo della sua visita. Anzi, andò dritto al punto.
«Hai visto James?»
«Troppe volte.»
«Ultimamente?»
«Dipende.»
«Nelle ultime ventiquattro ore.»
«Di preciso?»
«Stamattina.»
Dominique raddrizzò la schiena per stare più composta, mentre il cugino continuava a stare malamente sdraiato sul suo divano, nonostante poi non si sentisse rilassato per niente, in realtà. Alzò un sopracciglio, studiò il volto di Albus e poi nella maniera più severa possibile gli rispose con un secco “no”. Lui non volle crederle, ma non volle crederle non perché non fosse credibile, bensì solo perché se lei non sapeva nulla del fratello, allora non lo sapeva nessuno. Alla fine si concesse di tirare un sospiro e Dominique prese di nuovo la parola.
«Perché me lo chiedi?»
«È disperso» sbuffò l’altro. «Stamattina aveva una pessima cera, è stato zitto tutto il tempo tranne quando ha mandato a fanculo Fred perché lo ha interpellato per sapere quante ragazze si fosse fatto al party di ieri», e qui non notò quanto la bionda si fosse irrigidita, «e poi è scomparso.»
Improvvisamente a Dominique passò la voglia di parlare di James, sembrò. O forse semplicemente Dominique aveva sempre un volto così severo.
«Be’, io non ne so niente. E comunque se non lo trovi nelle ultime ore non puoi dire già che sia disperso.»
«Sì, ma si tratta di James… voglio dire, è così strano…»
«Appunto, si tratta di James.» James Potter ne faceva, di cazzate! Sul serio il ragazzo si preoccupava tanto? Sì, infatti non fu convinto dalle parole della bionda. Lei dovette rassicurarlo, anche se non con un tono esattamente rassicurante. «Se so qualcosa, te lo faccio sapere» commentò appunto con la stessa freddezza di un istante prima, ma solo adesso Albus, che non aveva fatto altro che fissare la televisione spenta davanti a sé per tutto il tempo, se ne accorse, puntando gli occhi verdi in quelli azzurrissimi di lei.
«Tutto bene?» le chiese, corrugando la fronte.
«Sì» fece questa allo stesso modo.
Lui tentò di studiarla meglio, ma smise nell’istante in cui Dominique gli riservò un’occhiataccia che sembrò dire “smettila di tentare di psicanalizzarmi o sei un mago morto”. Il moro, così, si arrese e sbuffò, scrollando le spalle ed alzandosi dal divano. Non si mosse, però, invece restò fermo lì, mentre lei rimase seduta composta.
«Va bene, va bene. Quindi… dimmelo se sai qualcosa. Anche perché l’ultima volta che vi siete visti lui era perfettamente normale, no?»
«Il solito coglione che sembra fatto di ecstasy.»
«Okay.» Però non era okay per niente, ad Albus glielo diceva il suo sesto senso. Aprì la bocca, forse volle chiederle quando lei e James avessero scopato l’ultima volta, ché ormai tutti i cugini sapevano quale tipo di rapporto questi avessero, ma decise che fosse meglio lasciar stare. Per la sua sopravvivenza. Invece… «Posso restare a pranzo?»
A quanto pare Albus Potter di sopravvivenza non sapeva niente.
Dominique impallidì e decise finalmente di alzarsi. Posò le mani sulle spalle del cugino e lo indirizzò verso la porta di ingresso, ma lui fece per opporsi.
«Avanti, c’è un odorino!»
«Sì» ci tenne a dire lei, «ho cucinato per me! Non c’è abbastanza cibo anche per te, sono desolata!»
«Usiamo la Maledizione Gemini!»
«Ma sei deficiente?» lo rimbeccò con aria disgusta. A quanto pare aveva passato in ventuno anni di vita troppo tempo con James per essersi ridotta a dire la parola “deficiente”, troppo poco fine per una come lei.
«… d’accordo, scherzavo! Ma…»
Ma un corno, Dominique aprì la porta e lo spinse fuori, salutandolo con un «magari la prossima volta!», quindi gli sbatté la porta in faccia. Albus rimase dinnanzi ad essa con la bocca ancora aperta, ma non riuscì a dire nulla.
«Okay» rispose dopo un po’ alla porta, sbattendo confuso le palpebre. Insomma, non le aveva mica chiesto la luna, solo di restare a pranzo con lei! Okay che a Dominique non piaceva quando lui si autoinvitava da qualche parte (a nessun in realtà piaceva), ma gli sarebbe bastato anche un minuscolo piatto di qualunque fosse quella saporita pietanza di cui aveva già sentito l’odore. (Non era vero, un minuscolo piatto non gli sarebbe mai bastato e lo sapevano entrambi!)
Scrollò le spalle, quindi decise di Smaterializzarsi. In quel momento, però, sentì dei passi avvicinarsi.
«Ciao, dolcezza!», fece il cascamorto.
La vicina di Dominique lo guardò malissimo dal suo metro e novanta e lui nemmeno si sentì inferiore davanti a quella meraviglia coi ricci castani e gli occhi color… veramente non lo sapeva, non ci fece neppure caso, arrivava con gli occhi circa al suo seno. Volle non far caso nemmeno alla smorfia di puro disgusto che questa gli riservò dall’alto, prima di sparire borbottando un sonoro ed acidissimo «ci manca solo la terza Potter e siamo invasi!»
Qualche istante dopo, Albus tornò a casa. Per l’esattezza, in cucina. E sperò di aver sbagliato abitazione, gli occhi sgranati.
«CHE CAZZO È SUCCESSO QUI?»
Fred Weasley.
Ringhiò, i pugni già serrati, prima di urlare il nome di suo cugino. Quello, ovviamente, non c’era più, ché se ne era andato più o meno quando Lily era uscita per andare alla Tana da Alex.
L’incantesimo di Ginny Potter continuava a funzionare, solo che adesso puliva ogni santo oggetto che capitasse a tiro e dopo lo gettava sul pavimento. A terra vi erano già una decina di piatti rotti. Come se non bastasse, vi erano acqua e sapone ovunque. Anche la marmellata era ovunque, il barattolo che ovviamente il cugino aveva tirato fuori perché affamato durante la sua assenza. E… ed era semplicemente tutto un casino, il peggio era che ci fossero piume ovunque. E non sembravano piume di un cuscino, ma quelle di un gufo. Fred doveva aver lottato con Edvige II per un pezzo di pane con la marmellata. Perché sì, quella civetta bianca del cazzo mangiava qualsiasi cosa. Non faceva altro: mangiava e portava lettere. Tipo quella che se ne stava sul pavimento, tutta imbrattata, accanto al numero della Gazzetta del Profeta che nessuno si era ancora disturbato a leggere. Albus pensò che sua madre li avrebbe ammazzati, una mano a coprirsi la faccia, e che neanche dieci Gratta e Netta sarebbero bastati.
«È successo qualcos… oh, wow!»
Lily fece il suo ingresso in cucina. Da quando era tornata, era rimasta tutto il tempo in camera sua con la bambina, che ora finalmente si era addormentata nel suo lettino. Si guardò intorno e tutto ciò che riuscì a dire fu «cazzo».
I fratelli, dopo aver disperatamente guardato lo stato orrendo in cui si trovasse la loro cucina, si lanciarono un’occhiata preoccupata. Entrambi dissero a denti stretti «Fred» col tono di chi quel giorno avrebbe compiuto un omicidio, ma nessuno osò chiamarlo per fargli pulire il disastro che aveva combinato. Invece decisero di mettersi all’opera per ripulire quel disastro, usando sia la magia, sia metodi babbani.
Che rottura di coglioni.
Il giornale e la lettera furono parte degli oggetti messi a posto con la magia, quindi né Albus, né Lily se ne accorse.
Il telefono di casa, uno dei tanti oggetti babbani che Harry Potter si era deciso a comprare sotto le molestie dei suoi figli, prese a squillare.
«Rispondo, prima che Alex si sveglia!»
«Mh mh» disse solo l’altro, continuando a staccare le piume di Edvige II da dentro il frullatore. Ed uscendosene poi con un: «un giorno uccido quell’uccello e faccio passare l’omicidio per un suicidio. È credibile per un essere costretto a vivere con noi. Papà ci crederebbe!»
«Pronto?» fece Lily qualche istante dopo al telefono. «Oh, ciao Rosie! Eh? No, non ho letto ancora niente! Sì, dopo lo faccio, tranquilla! Fidati! No, suvv… ah, certo, vai, vai! Non ti preoccupare! Ma sono ancora in terapia di coppia, eh? Uwh, quello era un vetro rotto? Accidenti! Vai, vai! Un bacio!»
«Zio Ron ed Hermione?» domandò Albus, senza spostare lo sguardo sulla sorella.
«Zio Ron ed Hermione» confermò lei, sospirando. «Per caso hai visto il nuovo numero della Gazzetta del Profeta?»
«Non mi sembra» rispose il fratello, continuando quel lavoraccio con le piume. Lei annuì, pensando che ci avrebbe pensato più tardi, quindi tornò ad aiutare il ragazzo a mettere in ordine la cucina.
Ahi ahi ahi, ragazzi! Ogni cosa a suo tempo e… quello era il momento di leggere l’articolo!
Passò un’ora e finalmente il lavoro fu finito. Un grosso rumore uscì dallo stomaco di Albus. Abbassò su questo gli occhi, desolato.
«Credo sia ora di pranzare, la mia pancia sta piangendo.»
Strano, dato che aveva mangiato quasi quanto al cenone di Natale.
Gli occhi di Lily corsero sull’orologio e quando vide che furono le due passate sgranò gli occhi, trillando: «ma è tardi! Devo far mangiare Alex!», così sparì al piano di sopra.
Albus ci rimase malissimo. A quanto pare neanche alla sorella interessava di pranzare con lui.
«… ma… » piagnucolò, «… io ho fame. Perché nessuno vuole mangiare con me?!»
Avrebbe chiesto “perché nessuno mi vuole cucinare qualcosa?”, ma se lo risparmiò, perché conosceva già le probabili risposte che la sorella gli avrebbe dato e queste non gli piacevano perché a) lui non era un granché ai fornelli, dovendo aver preso da sua madre, nonostante con le pozioni fosse un genio, b) era stanco dei soliti surgelati che si faceva da solo, c) la cameriera sexy l’avrebbe chiesta di sicuro, ma non era lui a non volerla. Né tantomeno James. Oh, James, James, James! Chissà dov’era in quel momento. Sospirò, andando a prendersi il secondo yogurt alla ciliegia della giornata. E pensare che avrebbe studiato tutto il giorno ed aveva bisogno di energia!
All’improvviso, sentì dal piano di sopra Alex iniziare a piangere. Wow, che gran giornata di merda!





 


Angolo autrice.
Scusate l'assenza, sono stata impegnata col trasloco e l'inizio dell'università che TRA L'ALTRO adoro! Dipartimento di Arte, Musica e Spettacolo, raga, che roba figa. Coomunque, adesso rileggo un attimo le cavolate che ho scritto e magari pubblico anche il settimo capitolo! E poi basta perché gli altri devo scriverli ancora, ahahaha, anche se mi si è preso un colpo perché ricordavo di aver scritto fino al nono capitolo e quando ho visto di essere arrivata al settimo ho pensato "oddio? Mi si è cancellato tutto il resto? Voglio morire? Aiuto????" e okaaay. Boh, niente, siete carinissimi quando aggiungete la storia a preferite, seguite o ricordate, vi bacio uno per uno! SMUACK!
SaintPotter.

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Capitolo 7
*** Settimo capitolo ***


 
 
 
Everybody hurts

SaintPotter
 
 
 
 
 


7
 


 
Scorpius Malfoy, al contrario del suo migliore amico, aveva pranzato in orario, era andato a pagare il suo nuovo anno di studi universitari e un po’ per il sonno, un po’ per essere sicuro di non cominciare a pensare ai suoi genitori, decise di farsi un pisolino. Alle quattro del pomeriggio era di nuovo in piedi e stava sfogliando un libro di Pozioni. Per la seconda volta nella giornata, avrebbe potuto chiedere aiuto ad Albus, invece decise di fare il lavoro sporco e mettersi a cercare una pozione che avrebbe fatto al caso suo. Quella che più gli si avvicinava era l’Amortentia, ma non avrebbe mai potuto rifilarne una a Lily Potter, non era mica cretino!, quindi lasciò perdere. Dopo mezz’ora decise che aveva fatto abbastanza e che avrebbe continuato più tardi. Stava per andare ad annoiarsi in camera sua quando…
«Signor Malfoy?» lo disturbò il suo elfo domestico.
«Sì, Irvin?»
«Ecco… ecco…» balbettò quello, torturandosi come al suo solito le mani. Non che avesse una cattiva notizia da dargli, almeno questa volta. O meglio, dipendeva dai punti di vista. Draco Malfoy, per esempio, non avrebbe gradito quella visita. «Ha… ha ospiti! La signorina Weasley l’attende alla porta.»
«Quale Weasley?» osò chiedere, avviandosi verso l’ingresso.
«Quella carina» rispose, per poi correggersi. «Coi capelli rossi e ricci, le lentiggini sul viso e…»
«Va bene, va bene, ho capito.»
L’elfo sparì, quindi Scorpius andò ad aprire la porta a Rose Weasley, “quella carina”, gentile un po’ troppo con gli elfi domestici, come c’era da aspettarsi con una madre come Hermione Granger che già durante i suoi anni a scuola s’era messa a creare quella che Scorpius non ricordava se si chiamasse “C.R.E.P.A.” o “M.U.O.R.I.M.A.L.E.”, ma vabbè, insomma, quella!
«Weasley», la salutò, spostandosi per farla entrare.
«Ciao, Malfoy» rispose quella, entrando nel maniero con un educato «con permesso».
Si accomodarono nel salotto del maniero su due poltrone diverse e che si fronteggiavano.
«Carino l’incantesimo» disse lei in riferimento al fuoco freddo che bruciava nel caminetto. Solo lei avrebbe potuto far caso ad un particolare del genere. Lui rispose con un mezzo sorriso. «Come stai?» gli chiese poi.
«Non c’è male» mentì lui, anche se certamente non stava così male come quella mattina. Scrollò le spalle. «E tu?»
«Bene, grazie! Credo di aver trovato un lavoro fisso!» Effettivamente, questo era il motivo della sua visita.
«Credi?» domandò incerto, non comprendendo se lei fosse esattamente felice o no per quella novità di cui lo stava informando.
«Sì, be’… per questo sono qui, speravo tu potessi confermarmelo.»
«Da quando Rose Weasley fa o non fa qualcosa perché glielo dico io?»
Lei sorrise furbescamente, ma non ribatté in alcun modo ironico. Avevano smesso di punzecchiarsi al terzo anno, quando erano finalmente diventati amici e lei lo sapeva che lui non parlasse più con amarezza quando si rivolgeva a lei.
«Non sono sicura se accettare. È un lavoro a casa Nott!»
Nott? I Nott suoi parenti? Scorpius inarcò un sopracciglio, intimandola così a continuare.
«Tuo zio ha bisogno di una maestra privata per il figlio più piccolo, Cyrus» spiegò lei. «Vogliono dargli un’educazione da Purosangue e farlo studiare a casa anziché mandarlo alle elementari. Tra l’altro… come hai fatto anche tu, dico bene?»
«Sì» rispose Scorpius, che stava cominciando a capire. «E così hanno chiesto a te.» Non volle informarsi di come lei avesse avuto i contatti eccetera eccetera, ma una domanda gli sorse spontanea. «E l’insegnante privato che c’è stato fino ad ora?»
«Mi pare abbiano litigato, ma non ho voluto chiedere i dettagli.»
Scorpius annuì e lei fece lo stesso, prima di alzare ed abbassare le spalle. Portò le mani sulle proprie cosce, coperte da una gonna bordeaux che stava da Dio sotto quella canotta bianca e su quelle ballerine dello stesso colore, e prese a girarsi i pollici.
«Perciò…» riprese lei, incerta su come continuare, ché voleva solo chiedergli se dovesse accettare o meno.
«Ti hanno chiesto anche di fargli le lezioni di pianoforte?» la interruppe però Scorpius, ricordando che il cuginetto dovesse anche continuare a suonare lo strumento e che l’amica lo suonasse. Da quanto ne sapeva, le aveva insegnato a farlo sua madre, ma poi aveva preso anche lezioni private in estate tra il suo terzo e sesto anno. Lei gli diede conferma con un cenno della testa.
«Cyrus mi pare abbia otto anni, quindi… a che età si impara a leggere e scrivere?»
Rose rise, dicendo che il signor Nott l’avesse già informata che suo figlio sapesse già leggere e scrivere e su cosa dovesse fare lei. «E comunque ne ha nove» volle anche correggerlo, alla fine. Scorpius annuì di nuovo.
«Be’, è fantastico!» concluse lui, battendo le mani e raddrizzandosi sulla poltrona.
«Sì» gli venne incontro lei, «ma non è questo il problema. Lavorerei ogni giorno tranne il week-end e lo sai che il maniero è lontano e…»
«E tu hai paura di Materializzarti troppo!», rise.
La ragazza lo guardò male, assottigliando lo sguardo. Be’, a quanto pare nessuno era perfetto: Hermione Granger non se la cavava con la Divinazione e non era la migliore nel Volo e sua figlia faceva abbastanza schifo (inaspettatamente) in Antiche Rune ed aveva passato per miracolo l’esame di Materializzazione e Smaterializzazione, spaventata com’era dall’idea di potersi Spezzare.
«Non prendermi in giro!» tentò di zittirlo e ci riuscì, minacciosa com’era quando si imbronciava. Era anche adorabile, però – Scorpius doveva ammetterlo.
«Allora suppongo che dobbiamo trovare una soluzione al problema.»
«Il problema» ci tenne a precisare, «è che il signor Nott ha già trovato una soluzione.»
«E non è grandioso» ricorse lui, «perché…»
«Perché dovrei dormire al maniero.»
Ci fu un lunghissimo istante di silenzio in cui i giovani si guardarono, lei sconcertata e lui sconvolto, poi Scorpius iniziò a ridere fragorosamente. Lei rispose sbuffando.
«Quindi tu e Ryan diventerete ottimi amici!» convenne con ironia. Lei, se possibile, lo guardò peggio di prima.
Ryan Nott, un coglione di prima categoria, uno dei pochi studenti di Hogwarts che Rose Weasley, ai tempi, non fosse mai riuscita a sopportare. Ed aveva buone ragioni per farlo!
Ryan Nott era… oh, ma non parliamo di lui, adesso! Non si parla alle spalle della gente... con Ryan lo si fa proprio davanti e gli si sputa pure in faccia.
«Smettila di ridere!» lo rimproverò lei, perciò Scorpius dovette sforzarsi per fare come gli era stato ordinato.
«Scusa» disse, anche se la risata era proprio inevitabile. «Ricapitoliamo, tu sei qui per chiedermi se sia fattibile lavorare per i miei zii vivendo cinque giorni su sette nello stesso territorio di Ryan Nott?»
Sembrava una barzelletta. Dovette trattenersi dal riderle di nuovo in faccia. Alla fine Scorpius si limitò a sorriderle divertito ed annuire.
«Be’, ti pagherebbero oro. Letteralmente. Fossi in te accetterei!»
«Credi non vorrò suicidarmi al secondo giorno?»
«Speriamo di no!» asserì lui, piegandosi un po’ in avanti, la schiena curva, giusto per diminuire un po’ le distanze trai due. «Puoi farcela, Weasley!»
Rose tirò un gran sospirò, quindi annuì una nuova volta e confermò. «Posso farcela.» Anche se non ne era troppo sicura.
«Quando inizieresti?»
«Tra due settimane. Ma Nott mi ha chiesto di andare lì già un po’ prima per ambientarmi e cercare di farmi subito simpatica a Cyrus. Cioè, non simpatica simpatica, simpatica severa ma giusta
«Gentile da parte sua.»
Gentilissimo.
La settimana successiva Rose Weasley avrebbe iniziato a vivere il suo incubo e chissà se avrebbe presto preso per davvero in considerazione l’idea del suicidio. Comunque, non che non fosse già un inferno anche a casa sua, dato che i suoi genitori non facevano altro che litigare da mesi, ormai. Hermione e Ronald Weasley erano diventati cane e gatto (Grattastinchi La Vendetta in confronto non era niente) ed ogni giorno Hugo e Rose rischiavano la vita, prendendosi in testa magari un elettrodomestico babbano, magari un incantesimo…
Proprio in quel momento, infatti, gli adulti di casa Weasley-Granger si lanciavano insulti, oggetti e Schiantesimi, ad un certo punto anche il gatto. Solo Merlino sapeva come Grattastinchi La Vendetta potesse ancora essere vivo. Quei due stavano facendo più casino di quanto ne avesse fatto Fred Weasley in Casa Potter, quella mattina. Fred Weasley che ovviamente adesso era in casa propria a sfottere sua sorella perché avesse il ciclo. Roxanne naturalmente già meditava un piano per far diventare suo fratello una ragazza per un mese e fargli subire le pene degli inferi che ai maschi non erano concesse.
Nel frattempo, in Casa Potter, il disastro non c’era più e non volava anzi neanche una mosca. Alex si era addormentata di nuovo e Lily ne aveva approfittato per riposarsi anche lei, mentre Albus era in salotto con la tv babbana accesa ed alcuni libri di Pozioni Avanzate sulle gambe. Non riusciva a studiare e non per il volume di quel programma stupido che stava guardando che era troppo alto, bensì perché non riusciva a non pensare a che diavolo di fine avesse fatto suo fratello. (Quello era il suo programma preferito! Che tristezza! James, torna a casa!) Ormai non erano passate solo poche ore, ormai ne erano passate troppe (almeno per lui) ed aveva disturbato ogni santo essere vivente di cui avesse il numero di telefono per lasciargli almeno venti messaggi, tutti più o meno uguali, in cui chiedeva “hai visto quel coglione di James?”. Aveva anche spedito alcune lettere ai suoi amici Purosangue o comunque troppo stupidi per avere un cellulare, ma niente, la metà della gente non aveva visto James e l’altra metà o non gli rispondeva o lo faceva mandandolo a fanculo e chiedendo di smetterla di essere così molesto.
Alla fine, decise di inviare un messaggio a sua madre.
“Ciao, mammina cara” scrisse, ma lo cancellò perché Ginny si sarebbe certamente preoccupata troppo al solo leggere queste parole diabetiche del cazzo.
“Mamma, c’è un problema. Non è morto nessuno e la casa non è ancora stata incendiata, puoi stare tranquilla”, poi decise di cancellare quel “ancora”, quindi continuò. “Però, anche se nessuno si preoccupa, personalmente credo che la situazione sia abbastanza grave. James è scomparso. Da stamattina non risponde e nessuno ha idea di dove sia e cosa faccia, né se sia vivo. Sai, non sembrava stare troppo bene ed ho paura che sia nei guai…
Albus.”
E spedì. Poi se ne pentì perché la madre l’avrebbe ucciso. Ma... James era più importante!
Tentò di concentrarsi sul suo studio nell’attesa di una risposta che, tanto, sapeva non sarebbe arrivata presto, impegnata com’era sua madre a fare l’eccellente giornalista sportiva – di Quidditch, per l’esattezza. Tentò, sì, ma non ci riuscì. Tanto che prese a guardare il soffitto, come se lì in alto ci fosse una qualche sorta di dio, e prese a piagnucolare come quando da piccolo si comportava male pochi giorni prima di Natale ed aveva paura che Babbo Natale non gli volesse più portare nessun regalo.
«Ehy, Grande Capo Indiano! No, no, non indiano! Scusa! Non lo so se sei indiano, inglese, italiano, americano o… lasciamo stare! Ti prometto che la smetterò di distrarre Anya Patil durante le lezioni di Pozioni! E sarò uno zio migliore di tutti gli altri Weasley per Alex! E lo so che a scacchi con Scorpius imbroglio sempre e vinco Confondendolo, ma ti giuro che non lo farò più! Non prenderò più per il culo James perché è un pezzo di merda, anche se… in realtà è lui che prende per il culo me... ed è un pezzo di merda, ma andiaaaamo, Grande Capo! Fallo tornare, per favoooore! Lo so che manca anche a te, dai, daaaai!»
Sì, lui aveva superato i vent’anni.
Mentre questa patetica scenetta, forse anche un po’ tenera, andava avanti… volete sapere che fine aveva fatto James Potter?
«Che gran pezzo di merda» sbuffò James, pensando a come il fratello avrebbe potuto rovinare il suo piano. Piano che era più o meno quello di sparire dalla faccia della Terra per pensare a quello che aveva fatto e cercare di accettarlo, alla fine, rassegnato, e dimenticarlo, o convincersi che non l’aveva fatto di proposito, che non era colpa sua, che era solo colpa dell’alcool, e Lily… oh, Lily! Si sentiva un gran pezzo di merda. Lo era. James Potter aveva fatto un errore madornale e se la sorella fosse stata sobria ed avesse ricordato, chissà!, forse non avrebbe più voluto parlargli per il resto della sua vita, spaventata e disgustata da lui. Nemmeno lui effettivamente avrebbe voluto parlarsi. Era stato un gran pezzo di merda, solo un gran pezzo di merda. (Stava esagerando? Boh, che ne sapeva, Lily per lui era la persona più importante sulla faccia della Terra, non voleva ferirla neanche nel modo più insulso!) Stesso modo in cui aveva definito il fratello.
«Albus è solo preoccupato per te, lo sai.»
Sì, in fondo James lo sapeva. E gli voleva bene. Però restava il fatto che quello doveva solo stargli lontano, perché non era pronto a parlare civilmente con lui, non era pronto a sfogarsi, non era pronto a…
Scrollò le spalle, borbottando un distratto «lo so».
«Ma?»
«… “ma”?» ripeté lui.
«So che c’è un “ma”.»
James annuì.
«Ma adesso voglio stare da solo.»
Anche se non era del tutto solo. C’era lei.
«Grazie per l’ospitalità, Dominique.»
Si sporse in avanti per baciare le labbra di quella che non sapeva bene se definire o meno la sua ragazza, ma che certamente era la sua cugina preferita e l’unica ragazza che avesse mai amato, che ancora amava, anche se non glielo diceva mai. Lei si tirò indietro, qualcosa le impedì di rispondere a quel bacio, ma per non farlo preoccupare ci tenne a sorridergli teneramente.
Forse a Dominique non andava giù il fatto che al party lui avesse davvero potuto averci provato con chissà quante ragazze. Insomma, era tipico di James. E questo a lei faceva male. Perché no, non stavano insieme e lei, al contrario di lui, sapeva che lui non fosse il suo fidanzato, che la loro fosse una sorta di relazione aperta e che lo fosse per non far prendere a William, suo padre, l’ennesimo colpo, ché già tre anni prima, quando avevano fatto coming out, per la rabbia ed il disgusto dovuti al fatto che fossero cugini e si amassero, per poco non sbranava suo nipote. Che cosa immonda due cugini che si amavano, no? Forse Dominique era gelosa e non voleva dimostrarlo, soffriva in silenzio. Forse…
«Vado a preparare due caffè» disse, lasciandogli un bacio sulla fronte, perché oggi di baciare quelle labbra non se la sentiva. «Io ne ho bisogno, devo tenermi sveglia: più tardi ho un articolo da scrivere.»
James annuì, a lei grato, comprensivo, ma anche innamorato, ed anche distrutto e… sì, provava troppe cose assieme e per lui era una cosa nuova, ingestibile. Le permise di sparire in cucina e si sdraiò sul letto della cugina, intento a fissare il soffitto e pensare. Pensare al party della sera prima. Quel party maledetto.
Dominique, di là, si mise a preparare i caffè come aveva detto. Tremava un po’, ma si disse che dopotutto andava tutto bene, che non aveva motivo di stare male. Lei non era fragile. Non doveva esserlo. Lei era forte e non piangeva. Così non pianse, tenne gli occhi chiusi per alcuni secondi e decise di tenere dentro l’ennesimo problema, l’ennesimo dolore.
«Tutti soffrono» si disse piano alla fine. «Tutti soffrono, Dominique. C’è chi soffre più di te.»
Così, l’amaro in bocca, riuscì a mettere su il più tirato dei sorrisi ed in tempo evitò di sporcare il tavolo col caffè che rischiava di rovesciarsi. Per la precisione, su tavolo e giornale. Lei aveva già letto l’ultimo numero della Gazzetta del Profeta.


 




 

 

 
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