Sintonia

di Sameko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Ricominciare ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: Vita ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: Sbagliato ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3: Togliere di mezzo lo sgradito incomodo ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4: Favola della buonanotte ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5: Nessuna fiducia ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6: Colazione da Grillby's ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7: L'attacco di Undyne! - Parte Uno ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8: L'attacco di Undyne! - Parte Due ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9: Nero e bianco ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10: Prove ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11: Tasto dolente ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12: Occupazioni mattutine ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13: Dove fa più male ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14: Il meglio per te ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15: Contatto ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16: Rivelazione ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17: Indipendenza ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18: Priorità ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19: Gioco - Parte Uno ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20: Gioco - Parte Due ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21: Bugiardo ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22: In pezzi ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23: Risalire ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24: Se vorrai ancora ascoltarmi ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25: Perché sono ciò che sono - Parte Uno ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26: Perché sono ciò che sono - Parte Due ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27: Perché sono ciò che sono - Parte Tre ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28: Riorganizzarsi ***



Capitolo 1
*** Prologo: Ricominciare ***


Sintonia 

 
 
 
Prologo: Ricominciare






*Sans is sparing you.


. . .
 


Sans la stava risparmiando… ancora.
Erano già arrivati a questo punto due tentativi prima… aveva creduto già allora di aver trovato la soluzione per cancellare questa sequenza temporale maledetta… credeva che, finalmente, avrebbe smesso di uccidere i suoi amici… ma si era orribilmente sbagliata. L’attacco a tradimento di Sans davanti alla sua pietà la aveva fatta ritornare al punto di partenza. E Chara si sarebbe stancata presto di prolungare questo scontro, soprattutto dopo tutte le volte che Frisk era già tornata indietro in seguito all’ennesimo tentativo fallito.
Sentiva la presenza dello spirito della ragazzina alle sue spalle, circondato dall’aura assetata di potere che lei stessa aveva alimentato dopo ogni uccisione, al punto che aveva preso la forma fisica di un mantello d’oscurità intorno all’essenza di Chara.
« Che cosa decidi di fare, amica mia? Sai già cosa succederà se ricambi la sua pietà. »
La voce di Chara era una cacofonia di suoni gravi e sgraziati, un insieme di bassi stridi che soltanto Frisk poteva udire.
« Ma noi ora abbiamo imparato che la pietà non aiuta a sopravvivere, vero? »
Frisk fece del suo meglio per nascondere l’espressione tesa sul suo volto. Era il suo momento di decidere, di tentare di nuovo… o sarebbe stata la fine per tutti se lei avesse perso la sua determinazione. Doveva però puntare su qualcosa di differente…
Non combattere, non risparmiare… agire.
« Mi stai davvero risparmiando? So già cosa succederà se… abbasserò la guardia. »
Dalla sua visuale, non riuscì a scorgere la reazione di Sans, il suo volto era adombrato dalle sagome scure delle colonne.
Pochi secondi di silenzio passarono prima che l’occhio sinistro del mostro tornasse a rifulgere di luce azzurra. Non un buon segno, ma immaginava che si sarebbe irritato e non poteva nemmeno biasimarlo. Lui le aveva detto di non far presente agli altri sé del suo rifiuto di resettare questa linea temporale ed era ormai palese che Frisk aveva ignorato persino quella semplice richiesta.
« Eh… suppongo che non siamo mai stati amici, dopotutto. Mi chiedo, allora… perché stai esitando? Cosa ti trattiene dal proseguire lo scontro? » Le rispose Sans, i suoi lineamenti parzialmente illuminati dalle volute di magia sprigionate dall’orbita sinistra.
Frisk soppresse un brivido lungo la schiena.
« È come ti avevo detto, Frisk. Loro non sono mai stati tuoi amici, nessuno di loro. Io sono la tua unica amica. »
Chara le si era avvicinata, i suoi sussurri le solleticavano il collo come brezze irrequiete di vento. Frisk non le rivolse uno sguardo, ma avrebbe visto solo un ghigno sfigurato dal compiacimento sul viso incorporeo dell’altra ragazzina nel caso lo avesse fatto.
Invece, notò che Sans aveva tolto la mano sinistra dalla tasca della felpa, come se si stesse preparando ad attaccare di nuovo. E questo non doveva succedere.
« Mi ascolteresti, se te lo chiedo per piacere? » Chiese frettolosa Frisk, riuscendo tuttavia a mantenere un tono di voce relativamente calmo.
Sans sembrò ponderare la sua proposta per qualche secondo, come se volesse leggerle dentro e scandagliare ogni suo pensiero.
Lo vide smorzare l’alone azzurro intorno alle dita scheletriche, ma il braccio restò comunque in allerta al suo fianco.
« Va bene. » Disse, chiudendo gli occhi, come se stesse trattenendo un sospiro tollerante… o, peggio, iracondo. « Sentiamo cos’hai da dire. »
Sentì l’aura nera di Chara tremolare in segno di incomprensione.
« Che stai facendo? » Le chiese lo spirito, con un ringhio che non era riuscita del tutto a sopprimere.
Frisk chiuse gli occhi e prese un lieve respiro prima di replicare.
“ Aspetta, Chara… tra poco… porrò fine a tutto. Devi solo aspettare. ” Le inviò quel pensiero, sperando di placare il malumore dell’altra ragazzina. Sembrò sufficiente per il momento, ma non sapeva per quanto avrebbe resistito, per quanto ancora avrebbe potuto prendere tempo. Doveva affrettarsi.
 

La rabbia ribolliva freddamente dentro di lui, era un incendio per ora contenuto, ma che attendeva solo il momento più opportuno per scatenare la sua forza distruttrice… e il suo autocontrollo era l’unico freno in grado di domarlo.
Ogni granello di polvere che volteggiava nell’aria poteva essere l’ultimo debole rimasuglio di un mostro innocente, spazzato violentemente via dalla disgrazia che aveva di fronte. Ognuno di quei granelli di polvere poteva essere… poteva essere suo fratello. Eppure, anche con questa dolorosa consapevolezza che pesava sulla sua anima, a Sans non interessava la vendetta, non gli interessava perché sapeva che non avrebbe mai potuto ottenerla, non da un essere tanto crudele e perverso, dotato di un potere con cui non poteva competere. Ma il motivo che aveva portato allo sterminio quasi completo della sua razza, oh, quello pretendeva di saperlo. Non gli importava se la giustificazione che avrebbe ricevuto sarebbe stata infantile e insensata, voleva solo sapere, così da non avere ripensamenti, qualunque cosa fosse successa in seguito… così da non esitare nel demolire psicologicamente quella mocciosa, nel ridurre a pezzi la sua determinazione, l’unica cosa che Sans aveva almeno una possibilità di distruggere.
« Grazie… per avermi permesso di parlare. »
Quando sembrò rendersi conto che Sans non avrebbe risposto al suo ringraziamento, continuò a parlare.
« Mi… m-mi dispiace… mi dispiace di aver causato tutto questo. » Mormorò infine la marmocchia e, nonostante la voce flebile, riuscì comunque ad udire quelle parole.
Sans aveva quasi voglia di riderle in faccia. Credeva davvero che delle semplici scuse potessero essere la soluzione per porre fine alla sofferenza che aveva disseminato? Non sarebbero mai state sufficienti, mai, non per lui, perché i ricordi di questa linea temporale sarebbero prima o poi riemersi dal suo subconscio, avrebbero sicuramente trovato uno sbocco da qualche parte per raggiungerlo… lo facevano sempre, in qualche modo. Gli altri potevano dimenticare, ma Sans non avrebbe mai dimenticato, neanche se lo avesse voluto. E in questa situazione non avrebbe tanto meno offerto il suo perdono con leggerezza.
« Che cosa speri di ottenere dopo avermi chiesto scusa? La mia comprensione? O vuoi semplicemente pulirti la coscienza? » Le rispose duramente Sans, inclinando un poco la testa con finta curiosità.
« Non spero di ottenere il tuo perdono… e nemmeno quello degli altri. » Replicò lei ed era evidente il suo sforzo nel dosare le parole, come se temesse di dire qualcosa di sbagliato… come se temesse di ferire. E Sans non riusciva a comprendere il perché avesse paura di ferire, dopo tutte le innumerevoli volte che lo aveva già fatto, non a parole, ma con la forza del coltello che stringeva in mano. Non aveva senso. « Voglio solo rimediare ai miei errori… ad ogni mio errore. »
Il sorriso di Sans si incrinò un poco. Vedeva una sincerità nascosta in quelle parole, la percepiva, era lì… Ma perché era lì? Perché vedeva la sincerità nel volto dell’assassina che aveva fatto fuori Papyrus? Perché?
La magia reagì in risposta all’intensificarsi delle sue emozioni, ma Sans represse tutta quell’energia per adesso inutile. Non era il momento, non ora.
« Sono un bel po’, te ne rendi conto? Non credo sia possibile contarli tutti, i tuoi errori. »
Ricevette solo un cenno d’assenso in risposta. Niente inganno, neanche questa volta. Cosa c’era che non andava in quella… in quella cosa. Non comprendeva questo cambio di atteggiamento. Stava, per caso, trascurando un dettaglio importante per completare il quadro d’insieme?
« So che non ci saranno mai parole adatte per giustificare quello che ho fatto, ma voglio davvero rimediare e… »
« Ho io ora una richiesta da farti. » La interruppe Sans. « Voglio una risposta. »
La aveva chiaramente presa in contropiede, ma badò poco all’espressione tesa sul volto della ragazzina. Proseguì e persino alle sue stesse orecchie la sua voce suonò mortalmente seria.
« Perché hai intrapreso questo cammino e non un altro? »
“ Perché scegliere di fare del male, quando puoi scegliere di fare del bene? ”
La risposta non arrivò immediatamente, Sans dovette attendere per parecchi secondi… ma aspettò comunque… in fondo, non aveva niente di meglio da fare, giusto?
« Perché… ero curiosa. »
Non era la verità. Sans ebbe il tempo di metabolizzare solo questo, prima che la sua avversaria partisse improvvisamente all’attacco.
Richiamò repentinamente una scarica di ossa e le scagliò contro la ragazzina non appena abbassò il braccio.
Vennero schivate quasi tutte, poche tagliate in due dalla lama del suo coltello, ancora meno riuscirono a colpirla.
Sembrava più decisa di prima… più determinata. Significava, forse, che la marmocchia non aveva ancora dato il meglio di sé?
Fu allora che avvenne l’imprevisto. Il coltello le cadde di mano e rimbalzò con un rumore metallico sul pavimento dorato… no, Sans dovette rapidamente correggersi: non le era caduto, lo aveva gettato via volontariamente.
Quattro metri scarsi erano adesso la distanza che li separava.
Ma perché aveva rinunciato alla sua unica arma?
Tre metri.
Perché? Non aveva senso!
Due.
Dovrebbe fermarla. Dovrebbe attaccarla subito.
Uno.
Il braccio non si muoveva. Non riusciva a muoverlo… o, forse, non voleva muoverlo.
. . .
Nessuna distanza, ora, che poteva separarli.
Gli si era aggrappata addosso con un gesto che Sans non avrebbe potuto definire in altro modo se non… disperato. La paura lo aveva paralizzato non appena quelle braccia si erano avvolte attorno alla sua vita. Aveva temuto che un’arma nascosta lo avrebbe pugnalato alle spalle subito dopo, aveva temuto di vedere un sorriso di derisione formarsi sul volto di quel demone una volta messo a segno l’unico colpo che avrebbe decretato la sua vittoria, aveva temuto di vedere il suo ventre colorarsi di rosso nel tempo di due respiri… nessuno di questi scenari si concretizzò.
E… Sans non riusciva a digerire il fatto che quello scherzo della natura non gli avesse fatto ancora del male, per l’ennesima volta. Perché… perché sarebbe stato giusto se, dopo aver esitato in modo così esponenziale, avesse finito col pagare cara la sua ingenuità… perché sarebbe stato scontato morire a causa di un solo tragico errore…
Ma questo. Questo era un qualcosa che Sans non avrebbe mai potuto prevedere.
 

Ce la aveva fatta… e, questa volta, per davvero.
Sans era lì, vicino a lei, lo aveva raggiunto finalmente. Avrebbe pianto senza mai finire le lacrime, perché l’incubo sarebbe finito alla fine e tutti i suoi amici sarebbero stati riportati indietro, vivi, con un solo semplice reset. Ma non poteva, non adesso, perché se la luce del risveglio poteva essere intravista, non significava necessariamente che sarebbe potuta arrivare a toccarla.
Chara era sempre lì, in silenziosa osservazione, sentiva il suo sgomento e la sua rabbia cominciare a crescere e ad addensarsi nell’aria e Frisk non poté evitare ad un brivido di correrle lungo la schiena. Doveva sbrigarsi, presto il tempo a sua disposizione sarebbe scaduto!
« Sans! Entra in sintonia con la mia anima! » Gridò la ragazzina, mossa dall’urgenza, dalla paura, guardando lo scheletro negli occhi, cercando di comunicargli quanto avesse bisogno del suo aiuto in quel momento, quanto fosse di vitale importanza che lui si fidasse, nonostante solo una manciata di segnali ben criptati potessero confermare che lei era stata sincera quando aveva dovuto esserlo.
Sans non si mosse, non le parlò, non fece assolutamente niente, come se volesse ritrarsi e le braccia di Frisk fossero l’unico ostacolo che gli impediva di allontanarsi.
« Che cosa stai facendo?! »
La voce di Chara rimbombò come un tuono intorno a lei, dentro di lei, e il cuore di Frisk perse un battito. Il panico le serpeggiò dovunque in tutto il corpo, le ginocchia le tremarono e cedettero all’improvviso. No, no, no! Non poteva permettere a Chara di sopraffarla, di prendere il controllo, ora che non avrebbe potuto combattere un tentativo di possessione! Non ce la avrebbe mai fatta da sola a scacciare via Chara!
Non seppe dove trovò la voce per parlare di nuovo e riuscì a malapena a mettere insieme una frase coerente.
« Non c’è più tempo! Ti prego, Sans! Ti prego! »
Strinse due lembi della felpa del mostro tra le mani, cercando di provocare in lui una reazione qualsiasi, una qualunque, tutto sarebbe stato meglio di quella fredda immobilità.
Un ruggito fece sobbalzare Frisk e uno sguardo di terrore le attraversò il volto vedendo Chara scagliarsi contro di lei. Gli occhi della prima umana erano diventati due abissi che lacrimavano nero, la sua aura era ovunque attorno a lei, scura e irrequieta, ribollente di rabbia pura.
« Maledetta traditrice! »
Frisk sbarrò gli occhi, neanche un urlo riuscì ad emettere, troppo terrorizzata e consapevole della fine ormai imminente. Aveva lottato, aveva tentato, ma non era stato sufficiente. E aveva fallito, alla fine. Troppi rimpianti, troppe colpe, troppo tempo sprecato… non era pronta a rinunciare ad ogni cosa che aveva amato!
“ Chara, no! F-fermati! ”
Per quanto sapesse con certezza che sarebbe stato inutile supplicare Chara, quel pensiero si era comunque formato nella sua testa. Rappresentava la sua ultima speranza, la sua ultima scintilla di determinazione. Se anche quell'ultima disperata azione non avesse funzionato… avrebbe potuto dire, con tutta sé stessa, di averci provato fino al suo ultimo respiro.
Qualcosa successe. Ma era un qualcosa in cui aveva cominciato a non sperare più.
Sans la strattonò all’indietro per un braccio, frapponendosi fra lei e Chara.
Frisk avvertì allora un’energia incredibile rinvigorire il suo essere, riempiendolo di forza e… luce. Luce azzurra e dorata, calma, bella, ma travolgente come una cascata. La sua anima rispose al tocco di quella luce, cercando di legarla a sé strettamente, ma dei viticci di oscurità la stavano irrimediabilmente crepando in diversi punti, indebolendola a dispetto dell’aiuto che stava ricevendo.
Frisk sentì per un istante la sua coscienza scivolare via, ma la presa sul suo braccio si intensificò, le diede il sostegno per non accasciarsi a terra e sprofondare nell’abisso del nulla.
Resta determinata!
Non era la solita voce che la aveva sempre rincuorata ogni qualvolta andava incontro al GAME OVER, era diversa, questo sì, ma Frisk non decise di ignorarla.
Restò determinata, così come le era stato detto, e la sua anima riuscì a sfiorare la luce quel poco che bastava per accoglierla e sfruttarne l'energia di cui era colma. Le crepe si risanarono e i viticci si dissolsero come sabbia.
Un grido irato e sofferente la scosse internamente e Frisk riaprì gli occhi per lo spavento.
Chara era scomparsa.
Il corridoio era silenzioso, gli uccellini cinguettavano come prima, le vetrate creavano i loro suggestivi disegni con la luce che filtrava attraverso la barriera.
Aveva… vinto?
No.  Questa non era una vittoria. Non poteva essere considerata una vittoria dopo tutte le persone che aveva fatto soffrire. Che fosse stata obbligata ad agire in quel modo non era di nessuna importanza, la colpa era comunque sua. Se non fosse stata così disperata, così stanca, così arrabbiata, se non avesse avuto quel singolo momento di debolezza…
Frisk crollò a terra, sfinita, singhiozzante, e Sans non la aveva trattenuta questa volta. Non aveva nemmeno il coraggio di guardarlo in faccia, per timore di cosa avrebbe visto ora nei suoi occhi… che lo scheletro restasse all’oscuro delle vere intenzioni che la aveva trasformata in una macchina di morte, o che invece venisse a sapere tutta la verità, non faceva davvero differenza. Se Sans la avesse uccisa qui ed ora, senza rivolgerle una parola, almeno avrebbe potuto costruirsi per sé l’illusione che quegli occhi sarebbero stati ripuliti da un altro reset, anche se sarebbe rimasta l’amara consapevolezza che nessun potere avrebbe mai potuto darle un perdono che non sentiva, in fondo, di meritare.
Un frusciare di vestiti la spinse a schiudere le dita con cui si stava coprendo gli occhi umidi.
Sans si era seduto a gambe incrociate, esattamente di fronte a lei. Non percepì ostilità nella sua postura. Ciononostante, quell’azione la lasciò confusa.
« Io… » Mormorò, ma non aveva idea di cosa dire.
« Frisk… giusto? È questo il tuo nome? » Le chiese Sans, con un tono innaturalmente calmo.
Frisk annuì lentamente, asciugandosi le lacrime con le nocche.
« Beh, Frisk… suppongo di non poterti addossare la colpa di questo casino… o, almeno, non tutta la colpa. D’altronde, nonostante il problema spinoso che ti è capitato tra le mani, sei riuscita comunque a mantenere i nervi saldi e a trovare una soluzione… in pochi sarebbero stati in grado di cavarsela come hai fatto tu. »
La ragazzina abbassò lo sguardo, fissandosi le ginocchia.
« Come… lo sai? »
Sans chiuse gli occhi con un vago sorriso accondiscendente.
« Quando due anime entrano in sintonia, è come se si specchiassero l’una nell’altra, rivelano la loro indole, il loro io più profondo… ho visto così la tua vera natura. Hai un cuore buono e gentile, lotti sempre per fare la cosa giusta, ami e soffri per tutti noi qua sotto... » Sans riaprì l’occhio destro, scrutandola. « Non è così? »
Frisk annuì ancora. Alzò esitante lo sguardo, un po’ incoraggiata dal fatto che quella si stava rivelando una semplice conversazione a tu per tu.
« L’accesso ai tuoi ricordi era bloccato. Se l’hai di fatto di proposito o meno non è importante adesso, sarebbe stato comunque irrispettoso da parte mia rovistare dove non devo. Vorrei, allora, che sia tu stessa a rispondere alla mia domanda di prima. Con la risposta sincera, ovviamente. »
Dare a Sans quello che voleva e che si meritava di sapere fu più difficile del previsto. Frisk restò in silenzio per qualche secondo, riflettendo sul suo comportamento, sui suoi sentimenti, sui suoi pensieri di adesso e quelli che la avevano fatta cadere nella trappola di Chara. Fu un confronto impegnativo, ma Frisk aveva capito che l’obiettivo di Sans era stato proprio questo: spingerla a guardare dentro il suo animo, per non sbagliare in futuro.
Alzò la testa, non evitò lo sguardo placido del mostro mentre replicava.
« Perché pensavo di fare la cosa giusta… per voi… » Si fermò… ma decise di non omettere l’ultima parte della sua risposta. « E… per me. »
Sans socchiuse le palpebre, rivolgendole un’occhiata contemplativa.
« L’importante è che tu sia onesta con te stessa… ma immagino che queste parole non siano nuove per te. »
Detto questo, Sans si rialzò in piedi. Frisk seguì il suo esempio, un po’ esitante, stringendo le maniche del maglione per il silenzio disagioso. In compenso, però, quel dialogo le aveva schiarito la mente. Si sentiva certamente meglio. Ma c’era qualcosa che ancora doveva essere detta, non da Sans, ma da lei.
« Grazie… per aver creduto in me… » Mormorò Frisk. « Grazie. »
Sans si strinse leggermente nelle spalle.
« Eh… non lasciare che questi sforzi vadano sprecati. » Disse. « D’accordo? »
Frisk fece un sorriso mesto.
« D’accordo. »
Il riso dello scheletro assunse una sfumatura più genuinamente ilare.
« Cerca di renderli felici, piccola… cerca di rendere felice Papyrus. »
Lei sorrise meno timidamente. Voleva il lieto fine ora, per tutti loro. Doveva solo ritornare al bivio che la aveva ingannata facendole prendere la strada sbagliata… e, da lì, ricominciare, senza dimenticare gli insegnamenti che il sentiero errato le aveva donato. Non sarebbe stato semplice, ma nulla si ottiene senza un po’ di sacrificio.
« Lo farò. » Affermò, con decisione, con determinazione.
Il lieto fine attendeva di essere conquistato ormai da troppo tempo.
« Ricorda una cosa, Frisk. La Sintonia che abbiamo stabilito ti proteggerà fino a che non cancellerai questa linea temporale. » La avvisò Sans, il suo sguardo si adombrò nuovamente e per l’umana fu quasi istintivo stringere leggermente i denti. « Fa quello che ritieni debba essere fatto. »
Frisk assentì con la testa. Certo… c’era ancora una faccenda in sospeso.
 

Faceva male… dappertutto, dovunque… faceva così male che nemmeno riusciva a piangere.
Si portò le mani contro il petto, rannicchiandosi debolmente, come un cucciolo spaventato e ferito a morte. E non era solo un modo di dire… stava morendo davvero, lentamente, pezzo per pezzo… e aveva paura.
Non voleva morire, non ci sarebbe stata una garanzia di ritorno… non questa volta.
Digrignò i denti con quanta forza aveva ancora in suo possesso, cercando di attingere all'odio e alla disperazione che le aveva impedito di morire per tutti questi anni, ma non li trovò, il dolore le stava offuscando i pensieri. Un lamento sofferente lasciò la sua bocca. Non voleva che finisse così... non voleva… non...
« A-aiu… to… » Bisbigliò, disperata. « As… riel… »
Ma Asriel non sarebbe mai venuto ad aiutarla. Anche se il principe avesse voluto raggiungerla, non avrebbe potuto, non qui. E non lo avrebbe fatto, non dopo tutto ciò di male che tra di loro era successo.
Ciò che restava della sua essenza si stava sgretolando come polvere… come la polvere che aveva tanto gioito nel vedere spargersi dovunque lei e Frisk passassero. Avrebbe presto condiviso lo stesso destino dei mostri del cui dolore si era solamente presa gioco e l’ironia di quella realizzazione la colpì come un macigno pesante tonnellate.
Come poteva il mondo essere così crudele? Non meritava anche lei di essere felice? Non… lo meritava…?
« Q-qualcuno… qual… c-cuno… »
Continuava a supplicare un soccorso, nonostante sapesse che nessuno avrebbe risposto. Nessuno avrebbe mai voluto aiutarla.
« Chara? »
… N-nessuno?
Due braccia la sollevarono delicatamente, con una gentilezza che le era ormai estranea dopo anni di buio e solitudine, ma di cui conservava ancora il ricordo nella sua memoria in frantumi.
« F-Frisk…? » Sussurrò, affaticata. Aveva riconosciuto la sua voce, dai toni dolci e levigati e Chara non poteva credere che la ragazzina fosse davvero lì, che la avesse cercata, che fosse tornata per lei.
« Stai tranquilla, Chara… andrà tutto bene, ti aiuterò io. »
Chara era senza parole.
« P-perché? Dopo tutto quello che ho f-fatto… Tu… v-vuoi aiutarmi? »
La replica di Frisk non si fece attendere.
« Sì… avrai anche tu il tuo lieto fine. Non ti lascerò indietro, se non sarai tu stessa a chiedermelo. »
Chara abbassò la testa, tremando per il dolore e per l’incomprensibilità di quella dichiarazione assurda.
« Non dovresti… comportarti così! » Gridò, scioccata. « Dovresti essere furiosa con m-me! Dovresti… ridere di me! Perché non ridi? P-perché?! »
Sentì Frisk sospirare sopra di lei.
« È vero. Forse, dovrei esserlo. Ma non ci riesco, non adesso che hai bisogno di aiuto… »
Una pausa, poi riprese a parlare.
« Voglio salvarti, Chara. Voglio offrirti il mio perdono… voglio che tu abbia la possibilità di redimerti. »
« M-ma… perché? » Balbettò lei, le lacrime che cominciavano ad affiorare.
« Perché tutti meritano di essere felici, se sono disposti a cambiare, a migliorare per gli altri. »
Chara riuscì finalmente a vedere il volto di Frisk. Le stava sorridendo con una sincerità devastante ed ebbe la sgradevole sensazione di essere indegna di ricevere un sorriso del genere, tanto buono e privo di malizia.
« Vuoi essere felice per me, Chara? Vuoi avere di nuovo degli amici? Vuoi ricominciare a vivere? »
Fissò Frisk con una flebile speranza negli occhi, ma subito ricacciò indietro quel sentimento, quasi con stizza. Non c’era speranza per lei e non voleva perdersi in una fantasia così dolce, che mai avrebbe potuto veder realizzata.
« Io non sono più… viva. Non ho un corpo, quel poco che resta della mia anima sta per essere… ridotto in pezzi… »
« Creerò un nuovo corpo per te, qui ed ora. La mia anima è ancora in sintonia con quella di Sans… posso usare la sua magia e la mia determinazione per farlo e rimettere in sesto la tua anima allo stesso modo. Non sarai più umana, ma potrai comunque tornare a vivere. » Le rispose Frisk, entusiasta. « Accetti, vero? »
Chara chinò il capo, cercando di nascondere a Frisk le lacrime che le stavano rigando le guance. Voleva riavere una vita di cui godersi ogni singolo istante, lo voleva con tutta sé stessa. E, questa volta, non vi avrebbe rinunciato tanto facilmente.
« Sì. »
Le braccia di Frisk la avvolsero più strettamente e Chara si abbandonò nell’abbraccio dell’altra, lasciandosi rassicurare e confortare dal calore dell’anima della sua nuova amica.
« Ricominciamo insieme, amica mia. »
Chara annuì debolmente.
« Non desidero altro. »
 


. . .
 


RESET?
 
YES          NO 



. . .





Sameko's side
Uhm... finalmente ho preso coraggio e mi sono decisa a postare questa storia che ho tenuto nel cantiere della mia testa per un casino di tempo a questa parte. ^^
Lo ammetto, l'inizio non è dei più originali e non ci sono differenze così importanti finché, ovviamente, non avviene la vera e propria divergenza causata dalla "rinascita" di Chara, che porterà un po' di interessanti... cambiamenti al canone di Undertale ( e non solo ). 
Per chi se lo stesse domandando, no, la Sintonia non è una cosa che mi sono inventata di sana pianta, non completamente almeno. In realtà, è un processo già presente nel videogioco in sé ( e, ve lo garantisco, non ci vogliono cheat particolari per assistervi ). Io gli ho solo dato un nome, l'ho reso un po' più complesso di come ce lo hanno presentato e, vabbé, tanti altri dettagli e roba tecnica che vi verranno rivelati a tempo debito. Se avete già identificato il corrispettivo della Sintonia nel videogioco, beh, congratulazioni a voi! Per chi non c'è ancora riuscito, non si preoccupi, lo capirà in seguito. ;)
Come avrete potuto intuire, i protagonisti principali di questa long saranno Frisk, Chara e Sans ( tutti e tre personaggi che rientrano nella schiera dei miei preferiti e che spero di riuscire a rendere al meglio nei prossimi capitoli ), con la presenza più o meno frequente del resto del cast di Undertale. 
Se ci sono o ci saranno perplessitudini di qualsiasi tipo, sarò ben contenta di chiarire i vostri dubbi!
Per coloro che sono arrivati fin qui, grazie per aver letto! Ci vedremo presto con il primo capitolo se la storia vi interessa!
Baci!

Sameko


 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1: Vita ***



Capitolo 1: Vita
 




A name was already been chosen.
 
. . .
 
No           Yes
 
. . .

 
 

Aprì gli occhi con un ansito strozzato, come se avesse appena liberato i polmoni da una stretta interna che li aveva messi fuori uso per anni.
Una luce dall’alto la accecò brevemente e fu costretta a schermarsi il volto con il braccio per non farsi lacrimare gli occhi. Foglie e petali le solleticavano la pelle anche al di sotto dei vestiti e comprese immediatamente di essere distesa su un prato di ranuncoli… dopotutto, Asgore aveva sempre avuto la sala del trono piena di quei fiori, era naturale che riuscisse a riconoscerli senza doverli necessariamente vedere.
« Chara, stai bene? »
Chara voltò la testa di lato, una ragazzina dai corti capelli castani e dal maglioncino blu e indaco era inginocchiata davanti a lei. Le rivolse uno sguardo confuso, prima che una serie di rapidi flash le permettessero di formare sulle labbra il nome della giovane.
« Frisk? »
Frisk annuì con un sorriso felice, allungando una mano verso di lei per aiutarla ad alzarsi. Temette che Chara avrebbe rifiutato vista l’indecisione che stava manifestando, ma si sentì immediatamente sollevata quando vide l’altra ragazzina posare la mano nella sua. Frisk gliela strinse con fermezza e la aiutò a rimettersi in piedi.
« Come ti senti? » Le chiese preoccupata, vedendo con quanta instabilità aveva piantato i piedi a terra.
Chara si tenne la testa con una mano, stringendo i denti per scacciare i capogiri che minacciavano di farle perdere l’equilibrio. Decisamente, non si sentiva bene.
« C’è qualcosa che non va… » Replicò, dopo essersi concessa qualche secondo per prendere confidenza con il terreno.
« Penso che la tua anima debba ancora abituarsi al nuovo corpo… » Rifletté ad alta voce Frisk e Chara non trovò sbagliato il suo ragionamento. Quello che avevano fatto violava forse un centinaio di leggi biologiche diverse ( sempre ammesso che esistessero delle leggi biologiche che riguardassero il trasferire un’anima umana all’interno di un corpo magico creato ‘artificialmente’ ). Era un fatto probabilmente senza precedenti, eppure Frisk lo aveva reso comunque possibile. E lo aveva fatto solo per lei, senza portarle rancore alcuno per tutto quello che era stata costretta a fare a causa sua. Ancora, Chara non poteva credere di poter respirare, di poter camminare, di poter sentirsi di nuovo viva. E doveva tutto a quella piccoletta troppo buona persino per portare risentimento a qualcuno.
Frisk le sfiorò leggermente il braccio, davvero impensierita dal suo stato di debolezza. Aveva paura di aver sbagliato qualcosa e di aver sì ridato la vita all'altra ragazzina, ma di aver così irrimediabilmente compromesso la sua salute futura.
Chara alzò la testa verso di lei e Frisk inarcò le sopracciglia in confusione osservandole il viso. Era indubbiamente un volto dalle fattezze umane quello di Chara, ma i suoi occhi… quelli non erano umani. La sclera completamente annerita e le iridi bianche come il latte e prive di pupilla non erano certamente proprie degli esseri umani.
« Che cosa succede? » Le domandò circospetta Chara.
« I tuoi occhi… uhm… sono neri e bianchi. Credo che sia una specie di effetto collaterale. » Spiegò impacciata Frisk. Ma, se meglio ci pensava, non poteva considerarlo un vero e proprio effetto collaterale. Aveva usato la magia di Sans per creare quel corpo, avrebbe dovuto immaginare che Chara avrebbe pur ereditato qualcosa dallo scheletro, che fosse una particolare abilità o un tratto fisico.
« … Capisco. » Disse lei, accettando quella notizia con una tranquillità quasi disarmante per Frisk. Ma a Chara non importava davvero di una cosa, a suo parere, così banale. Poteva tranquillamente accettare di vedere il riflesso di una persona un po’ diversa nello specchio, era solo questione di abitudine. « Cosa hai intenzione di fare ora, Frisk? »
Frisk chinò la testa, stringendosi nelle spalle. Aveva resettato la linea temporale, aveva riportato indietro tutti, era riuscita a salvare Chara… ma il problema iniziale, da cui tutto era partito… di quello, no, non se n’era affatto liberata.
« Non lo so… ma restando qui, non credo risolveremo qualcosa. Flowey mi starà probabilmente aspettando. » Rispose, rivolgendo uno sguardo verso il portale d’accesso alle rovine, sormontato dall’emblema della famiglia reale dell’Underground. Dubitava fortemente che, nonostante il terribile spavento che gli aveva procurato, Flowey avrebbe rinunciato a rivolgerle le solite e scoraggianti parole di scherno.
« Lo costringerò a smettere di importunarti. Con le buone, o con le cattive. » Le disse Chara, la sua rassicurazione ebbe però l’effetto opposto su Frisk.
« No… fargli del male è fuori discussione, Chara. » Decretò intransigente la più piccola. « Nessuno dovrà più morire… va bene? »
Chara arricciò un angolo della bocca in una smorfia.
« Va bene. »
“ Ma solo per questa volta… ” Aggiunse, pensando tra sé e sé.
Frisk le sorrise, ignara di quelle che erano le reali intenzioni della più grande, e le offrì il proprio braccio come sostegno per camminare. Avrebbero proseguito così per il momento, finché Chara non avesse acquistato piena padronanza del suo nuovo corpo; e Frisk, da parte sua non le avrebbe negato tutto l’appoggio di cui ora sembrava aver bisogno.
 

Aveva colto sui loro volti la confusione davanti alla sua mancata apparizione e sapeva di averle in qualche modo sorprese decidendo di non mostrarsi. Ciò che forse non sapevano, era che la sua scelta non era stata dettata da un semplice desiderio di prendersi gioco di loro, ma dal puro istinto di sopravvivenza. Il solo ripensare al ghigno sadicamente divertito che Chara gli aveva rivolto poco prima di entrare nel Judgement Hall gera sufficiente a fargli tremolare leggermente lo stelo. Lo aveva fatto sentire impotente, terrorizzato a morte, alla mercé di quella che aveva sempre considerato un’amica… e non una potenziale minaccia. Era stato uno dei momenti più terribili di tutta la sua vita e Flowey non intendeva lasciare che un episodio simile accadesse nuovamente.
Si era imposto di stare lontano dalla ragazzina per ora, certo che in questo modo avrebbe corso meno rischi. D’altronde, Chara era confinata dentro quell’umana, non ci sarebbe dovuto essere pericolo per lui finché si teneva a debita distanza. Ma quando aveva visto entrambe, insieme, contemporaneamente… non aveva potuto evitare al suo gambo di tremolare ancora. Non riusciva a spiegarsi come Chara potesse essere effettivamente lì, in carne ed ossa, con un corpo tutto suo, e tentare di scervellarsi sulla questione lo fece solamente uscire fuori dai gangheri.
Tuttavia, osservando meglio lo stato indebolito in cui sembrava versare il corpo di Chara, Flowey osò persino pensare di poterla sopraffare, se solo avesse saputo giocare d’astuzia.
Tuttavia, l’arrivo di Toriel mandò prematuramente in fumo qualsiasi suo piano d’attacco e il momento di toccante – patetica – riunione famigliare lo innervosì, più di quanto avesse voluto ammettere. Ironicamente, se avesse attaccato proprio ora, Toriel avrebbe difeso con i denti Chara e l’altra ragazzina, i veri nemici, le vere minacce in grado di cancellare ogni forma di vita esistente… lui compreso.
Domande dettate da qualcosa di simile alla gelosia erano poi sorte spontaneamente nella sua mente. Perché Chara doveva avere di nuovo la possibilità di abbracciare la vecchia capra? Perché, a lui, questo non era stato concesso?
Fu allora che si sentì improvvisamente osservato.
Il suo primo istinto fu quello di guardarsi alle spalle, ma non vide nessuno – e sapeva che non poteva esserci nessuno spione in quella sezione desolata delle rovine. C’erano solo lui, la giovane umana, Toriel… e Chara.
Chara… Era Chara che lo stava osservando.
Flowey si abbassò quasi a livello del terreno quando incontrò quello sguardo fisso, traboccante di un nero così denso che avrebbe potuto soffocare la sua fragile vita in un battito di ciglia. E poi… vide il rosso addensarsi in quegli occhi da incubo.
Avrebbe dovuto nascondersi meglio, avrebbe dovuto stare alla larga da quel posto, non dovrebbe dovuto appoggiare Chara sin dall’inizio, avrebbe dovuto fermarla finché non era ancora così potente, così spietata, così spaventosa… aveva commesso un terribile e-errore scegliendo di fidarsi di lei.
Preso dal panico più totale, Flowey sparì sottoterra e fuggì più veloce che poté. Doveva cercare aiuto, doveva aizzare contro Chara qualcuno che avrebbe potuto certamente fermarla… ma non c’era nessuno che fosse in grado di competere con lei. Per un folle istante, pensò di manipolare il sacco di spazzatura tutto sorrisi, ma scartò immediatamente quel piano di fin troppo lunga realizzazione, senza contare che il mucchio d’ossa non era così ingenuo come voleva far credere.
Una possibilità gli restava, un’ultima rischiosa possibilità, che non avrebbe mai preso in considerazione in circostanze normali… ma queste non erano circostanze normali , e Flowey era sufficientemente a corto di idee e dominato dall’irrazionalità del terrore per puntare su qualcosa di diverso.
Ma promise a sé stesso, a questa sua vita senza emozioni a cui nonostante tutto non voleva rinunciare, che non sarebbe mai più morto a causa di Chara. Mai più.







Sameko's side
Ed ecco qui il primo capitolo finalmente finito! ^^
Decisamente più corto del prologo, è vero, ma più avanti conto di riuscire a scriverne di molto più lunghi e densi. Questi primi capitoli saranno probabilmente un po' lenti, ma contengono comunque elementi importanti per il futuro svolgersi della trama. 
Non ho niente di particolare da aggiungere, scopriremo presto cosa ha in mente Flowey, nessuno spoiler perciò! ;)
Spero che la storia interessi effettivamente a qualcuno, mi farebbe piacere ricevere un commento anche piccolo, tempo permettendo per voi lettori ovviamente! :)
A presto, in ogni caso!
Baci!!

Sameko

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Capitolo 3
*** Capitolo 2: Sbagliato ***



Capitolo 2: Sbagliato
 





Avevano trascorso una mattinata intera a casa di Toriel, leggendo i libri che la dolce capra voleva mostrare loro e ascoltando con piacere i suoi simpatici aneddoti. Frisk non aveva mai visto Toriel così felice in nessuna delle linee temporali che aveva visitato, in cui l’ex regina non aveva mai perso l’occasione di mostrare un sorriso mite ma intriso di una malinconia vecchia e sfumata dagli anni. La presenza di Chara sembrava averla rigenerata e Frisk non poteva che essere contenta per loro, che si erano potute rincontrare dopo così tanto tempo.
In più, grazie ad un po’ di esercizio, Chara sembrava averci preso la mano con il suo nuovo corpo, abbastanza da potersi ora muovere liberamente senza dover più contare sull’aiuto suo, o di Toriel. Dopo tutto quello che era successo nella precedente linea temporale, entrambe avevano davvero bisogno di ricominciare nel migliore dei modi, senza ansie di alcun tipo.
Quella di preparare insieme la crostata alla cannella e al caramello era una richiesta che aveva posto già qualche volta a Toriel, i risultati che aveva ottenuto sino ad ora nella preparazione non erano stati dei migliori, ma ogni volta che sbagliava la dolce capra era sempre lì per correggerla, con un consiglio ed un caldo sorriso. Non aveva mai cucinato niente all’infuori di quella crostata e dei noodles, ma cucinare era un’attività per lei piacevole e aveva perciò cercato di imparare quanto poteva sia con Toriel che con Undyne – anche se le abilità culinarie di Undyne, doveva ammettere, erano… parecchio discutibili?
Lei e Toriel erano ormai in cucina da quasi mezz’ora, avevano già preparato la pasta e stavano per aggiungere la farcitura. Chara aveva deciso di non unirsi a loro e aveva declinato l’offerta di passare quel tempo assieme senza dare spiegazioni. Nonostante il dispiacere iniziale, Frisk non aveva insistito. Chara era probabilmente solo stanca e la più piccola non poteva davvero biasimarla.
Mentre stava stendendo la pasta dentro l’enorme teglia, Frisk sentì Toriel accarezzarla affettuosamente sulla testa.
« Sei molto brava, bambina mia. Hai già cucinato questo dolce prima? » Le chiese, supervisionando brevemente il suo lavoro, non mancando di darle un piccolo consiglio. « Stendila però un po’ di più ai bordi. »
La ragazzina seguì le sue indicazioni prima di rispondere.
« Sì, non è la prima volta… ma è divertente farlo con qualcuno. »
Toriel le sorrise con più calore di prima.
« Ti piace cucinare, vero? »
« Molto! » Replicò Frisk, senza esitazioni.
« Ti assicuro, allora, che imparerai molto velocemente qui con me. » Le disse Toriel, ma la sua espressione serena venne adombrata da una sfumatura nostalgica. « Sai… Chara non amava cucinare, non faceva proprio per lei. Era un autentico maschiaccio… ma non ha mai dato motivo di deludermi… era ed è ancora una brava bambina, lo sento. »
Frisk la ascoltò con attenzione con lo scopo di assimilare quelle informazioni riguardanti la sua nuova amica. E, più ascoltava, più avrebbe voluto chiedere qualcosa di più sul conto dell’altra ragazzina… Eppure, allo stesso tempo, non voleva intristire Toriel facendola rimaneggiare in ricordi vecchi, forse sgraditi, non ora che stavano condividendo questo momento assieme.
Fu l’ex regina dell’Underground a rompere il breve silenzio.
« Ti ringrazio dal profondo della mia anima per aver riportato indietro la mia piccola, Frisk. Non so come tu abbia fatto… o del perché tu l’abbia fatto, ma… hai tutta la mia gratitudine. »
Frisk sbatté le palpebre due volte, non avendo bene idea di come reagire a quelle parole piene di riconoscenza. Era senza parole, meravigliata… non si aspettava un ringraziamento così sincero, lei in fondo aveva solo fatto quello che era necessario: la cosa giusta. Non credeva di meritare di essere ringraziata per questo. Eppure, una forte emozione le nacque nel petto e la spinse ad abbracciare di getto Toriel, affondando il viso nella sua tunica violetta.
« Sono io che ti devo ringraziare, Toriel… grazie per essere così gentile con me. » Sussurrò, trattenendo a stento le lacrime di gioia che le avevano inumidito gli occhi.
Toriel dopo un primo momento di stupore la avvolse con le sue grandi e accoglienti braccia, la cullò dolcemente, facendola sentire protetta, amata, al sicuro. Da qualche parte, dentro di sé, Frisk non riuscì tuttavia a cancellare la sensazione che fosse indegna di tanto affetto, dopo le azioni orribili che aveva compiuto.
L’espressione piena di dolore di una Toriel morente le invase inavvertitamente gli occhi. Ma Toriel, quella che adesso era qui con lei e che le voleva già bene come fosse sua figlia, la strinse ancora più forte, facendo disperdere quell’immagine di atroce sofferenza.
Frisk chiuse gli occhi e si perse in quell’abbraccio confortante, consapevole che stava probabilmente facendo del male ad entrambe, perché sarebbe stato più difficile per lei lasciare Toriel e per Toriel rinunciare a loro dopo questi brevi, ma intensi momenti di felicità.
Non potevano rimanere, purtroppo, e con questo pensiero Frisk si costrinse a sciogliere l’abbraccio.
Non potevano rimanere… e la giovane non doveva dare a Toriel delle false illusioni prolungando ulteriormente quel gesto.
 

Questo… era tutto sbagliato
Toriel – sua mamma – non avrebbe dovuto essere così felice di vederla, non avrebbe dovuto rivolgerle uno di quei suoi sguardi dolci e apprensivi che lei ricordava perfettamente, non avrebbe dovuto abbracciarla e chiamarla ‘bambina mia’, non avrebbe dovuto lasciarsi trascinare in uno dei suoi abbracci insieme a Frisk…
Tutt’ora, Chara non riusciva a cancellare la sensazione di aver avuto, per un secondo, un corpo diverso da quello di Frisk premuto contro il suo, un corpo ancora più minuto di quello dell’altra giovane, più fragile, più morbido…
Si strofinò gli occhi con un movimento stanco. Non dovrebbero restare qui, dove tutto era troppo familiare e sereno, dove ogni cosa le ricordava, quasi con dispetto, che avrebbe cancellato tutto questo come si fa con un disegno malriuscito se non ci fosse stata Frisk a fermarla.
La porta della stanzetta si aprì lentamente, con un leggero scricchiolare.
Socchiuse gli occhi a causa della lama di luce proveniente dal corridoio, le sue orecchie captarono un basso sussurrare prima che la porta venisse richiusa.
Pochi lievi passi e Frisk era di fianco a lei, con una fetta di crostata alla cannella e al caramello in mano.
« Non stai dormendo? » Le chiese, incerta, la ragazzina dal maglioncino blu.
Chara sospirò sotto le coperte, cercando  con tutta sé stessa di ignorare il profumo invitante del dolce.
« Andiamocene, Frisk. »
Frisk si ammutolì.
« È… è successo qualcosa? »
« Per favore. »
Frisk abbassò tentennando lo sguardo, Chara la vide stringere con più forza il piattino fra le dita mentre un’espressione lievemente amareggiata faceva capolino sul suo viso, visibile nonostante la frangia che le occultava gli occhi ambrati.
« Sì... Andiamocene. »
Non fu necessario aggiungere altro, né da parte di Frisk, né da parte sua. Entrambe concordavano silenziosamente sul fatto che erano rimaste troppo a lungo.
 

La aveva trovata.
Finalmente, aveva trovato quella dannata porta.
Flowey rallentò solo ora la sua corsa sfrenata, ormai sfinito e ansimante. Non aveva fatto altro che scavare gallerie per ore intere col solo scopo di scovare quel particolare corridoio, nascosto agli occhi di chi non sapeva dove cercare né cosa cercare.
Si avvicinò alla porticina, ma si scoprì esitante una volta sulla soglia. Era davvero certo che questa soluzione lo avrebbe tolto dai guai? Forse… forse poteva farsi venire in mente qualcos’altro… magari…
Idiota. ” Si rimproverò. “ Sai benissimo che non esiste un’altra soluzione per questo disastro. Vuoi vivere, o morire? ”
La risposta era ovvia. Voleva vivere, e non avrebbe mai più optato per la seconda opzione, né avrebbe permesso a qualcun altro di privarlo di questa libertà di scelta. E, riflettendoci meglio, se Asriel non aveva mai avuto motivo di dubitare di lui, perché Flowey avrebbe dovuto ricevere un trattamento diverso?
Incoraggiato maggiormente da questa considerazione, girò la maniglia con una radice e sbirciò circospetto all’interno prima di entrare.
L’oscurità avvolgeva le pareti dell’unico corridoio percorribile e Flowey si sentì schiacciato dal peso delle tenebre e del silenzio. In tutto l’Underground non c’era un solo luogo privo di schiamazzi, o semplici rumori di sottofondo… la quiete che invece permeava quel luogo era a dir poco soffocante.
La tentazione di fare marcia indietro e dimenticare persino di aver mai varcato quella porta fece di nuovo desistere Flowey dal proseguire.
Una voce sgraziata si elevò, allora, dal fondo del corridoio.
«
☠⚐☠ 💣✋ 💧✌☼☜✋ 💣✌✋ ✌💧🏱☜❄❄✌❄⚐ 👎✋ ☼✋👍☜✞☜☼☜ ✞✋💧✋❄☜ 👎✌ ❄☜📪 ✌💧☼✋☜☹📬 »
Il non comprendere una sola parola di quello che gli era stato appena detto lo fece innervosire.
« Non ho capito un accidente, ti DISPIACEREBBE ripetere in una lingua che io conosco? »
Una risatina lo raggiunse subito dopo. Stava persino ridendo di lui adesso?!
Flowey si costrinse, però, a mantenere la calma. Non era lì per attaccar briga, aveva un disperato bisogno di aiuto e, se non lo avesse ottenuto qui, non lo avrebbe ottenuto da nessun’altra parte.
« Gaster, mi devi aiutare. Ho un enorme problema da risolvere e non ce la faccio da solo. »
Intravide una figura alta e nerovestita farsi avanti dalle ombre. Trattenne il respiro quando una mano bianca e scheletrica si mosse, eseguendo dei lenti movimenti circolari.
Vai avanti, sembrava volergli dire. O, almeno, fu così che interpretò quel gesto.
Flowey fece del suo meglio per non rilasciare un sospiro tremante.
« Chara vuole me. Vuole uccidermi… e lo farà sicuramente, se non trovo un modo per fermarla. » Spiegò, suonando più disperato di quanto avesse voluto, ma era ormai troppo tardi per nascondere la sua debolezza.
La figura avanzò, un volto cereo e deforme lo stava ora osservando con… curiosità? O, forse… compiacimento? Non poteva comprendere cosa passasse per la testa di quell’asino spilungone se, ovviamente, il suddetto asino spilungone non tentava nemmeno di farsi capire!
Altro movimento circolare.
Flowey si accigliò leggermente. Beh, almeno aveva la certezza di non aver gettato parole al vento.
« Mi aiuterai? »
Non ottenne risposta per parecchio tempo. Quando Flowey stava iniziando seriamente a spazientirsi, la figura fece un lieve cenno con la testa.
«
💧✋📬 💣✌ ☠⚐☠ ☠☜☹ 💣⚐👎⚐ ✋☠ 👍🕆✋ 👍☼☜👎✋📬 »
Massicci tentacoli si propagarono in ogni direzione, facendo sprofondare ogni cosa in un abisso di asfissiante nero, il corridoio e la porta vennero inghiottito dal buio e dal gelo e Flowey ebbe a malapena il tempo per registrare tutto ciò, figuriamoci per rendersi conto di essere appena caduto in una trappola.
Un cerchio di luce schiarì i contorni di un raccapricciante sorriso.
«
💣✋⚐ 👍✌☼⚐ 🏱☼✋☠👍✋🏱☜📪 ✈🕆✌☠👎⚐ ✋💣🏱✌☼☜☼✌✋ ✌ 💧👍☜☝☹✋☜☼☜ 👍⚐☠ ✌❄❄☜☠☪✋⚐☠☜ ☹☜ 🏱☜☼💧⚐☠☜ ✋☠ 👍🕆✋ ☼✋🏱⚐☼☼☜ ☹✌ ❄🕆✌ ☞✋👎🕆👍✋✌✍ »
 
 


Sameko's side
Buonasera e bentrovati in questo secondo capitolo! ^^
Spero di non aver fato attendere troppo e di aver portato un aggiornamento abbastanza soddisfacente sia a livello di sviluppo della trama che dei personaggi. 
Mentre sia Frisk che Chara lottano con i sensi di colpa ( non se ne libereranno tanto presto, purtroppo per loro ), Flowey combina come sempre i peggio casini e il suo giudizio lascia ancora una volta a desiderare. Mi auguro che non in troppi abbiano previsto questa svolta di eventi ( non che abbia lasciato particolari indizi nei precedenti due capitoli, credo ). 
Siccome so bene quanto possa essere pigro il popolo online e anche per facilitare coloro che sono dal cellulare lascio un'immagine qui sotto con i caratteri, di modo che possiate tradurre. Non ho idea di quanti conoscano a memoria il Wingdings, io di certo non faccio parte di questa categoria. ^^"

Buon divertimento! ;)
Baci e a presto con il terzo capitolo!!

Sameko



 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3: Togliere di mezzo lo sgradito incomodo ***



Capitolo 3: Togliere di mezzo lo sgradito incomodo
 





« Abbiate cura di voi, bambine mie. »
Quelle parole riecheggiavano ancora nella testa di Chara, rendendole difficile scacciare via il nodo che sentiva nel petto sin da quando avevano abbracciato per l’ultima volta Toriel. E quel che era peggio era che camminare spedita per uscire dalle catacombe, quasi trascinando Frisk con sé, non si stava rivelando minimamente d’aiuto per dimenticare la sottile malinconia di cui quelle parole erano state intrise. Perché non riusciva ad essere impassibile? Perché doveva sentire queste stupide emozioni di rimpianto?
« Chara. »
Chara si voltò. Lo sguardo che Frisk le stava rivolgendo le intimava solo di rallentare.
« Passeggiamo… sono stanca di correre. » Disse, facendo arricciare le labbra della maggiore in una smorfia, ma Chara non rifiutò di acconsentire a quella richiesta. Neanche per Frisk doveva essere stato semplice lasciare Toriel in una maniera tanto brusca, ma lei era stata troppo concentrata sul proprio malessere per pensare alla sua amica.
« Scusa. » Mormorò piano, quando ripresero a proseguire.
Frisk le sorrise serenamente, stringendole la mano, forse nel tentativo di confortarla.
« È tutto a posto. »
La rassicurazione dell’altra ragazzina le parve vuota e distante. Tuttavia, Chara non disse nulla in proposito, o la conversazione che ne sarebbe seguita avrebbe messo a disagio non solo Frisk, ma persino lei. Ci sono momenti in cui il silenzio è preferibile alla parola… questo era uno di quelli.
Arrivate in prossimità del portone d’uscita, spinsero insieme i pesanti battenti, venendo presto accolte dal gelo dell’inverno perenne della zona fuori dalle rovine. Si avvolsero attorno al collo le sciarpe che avevano preso nella stanzetta a casa di Toriel e si inoltrarono nelle fitte foreste di alberi di Snowdin.
Pochi secondi di camminata e un Crack! secco risuonò tetro nell’aria fredda.
Chara sbirciò dietro di sé, socchiudendo sospettosa gli occhi: il ramoscello che avevano appena sorpassato giaceva ora spezzato.
Notò che Frisk, al suo fianco, stava a malapena trattenendo un sorriso entusiasta. La guardò con una velata curiosità e la più piccola, in risposta, si posizionò scherzosamente un dito davanti alle proprie labbra, facendole evidentemente segno di mantenere il silenzio.
Udì dei passi veloci fra gli alberi e fu ora assolutamente certa che, rispetto alla precedente linea temporale, nulla era mutato. Non le fu necessario controllarsi le spalle questa volta: aveva già compreso l'identità del loro non tanto furtivo inseguitore.
Si accostò maggiormente a Frisk e fece in modo di avere la manica sinistra parzialmente nascosta dal maglione blu dell’altra ragazzina. La sua compagna di viaggio non sembrò accorgersi di quei movimenti, poiché Chara era stata accorta nell’evitare che ciò accadesse. E, se Frisk non li aveva notati, c’erano buone possibilità che neanche il loro stalker ne fosse stato in grado.
Arrivate in prossimità del ponticello di legno, si fermarono.
Chara aguzzò a quel punto i sensi, concentrandosi solo su quel rumore di passi, sempre più vicino ogni istante trascorso.
« U m a n e. »
Sentì Frisk trattenere un risolino.
« N o n s a p e t e c o m e s i s a l u t a u n n u o v o a m i c o? V o l t a t e v i e s t r i n g e t e m i l a m a n o. »
Si voltarono.
“ Eccoti qua, commediante. ”
Scostò Frisk con un braccio ed, estratto il coltello dalla manica, lo puntò in meno di mezzo secondo e con la rapidità di un serpente a sonagli contro il collo dello scheletro. Chara sorrise gelidamente vedendolo allargare gli occhi – e sperava che, occultato sotto il semplice stupore, ci fosse anche una traccia di paura. Il solo pensare a questa eventualità bastò enormemente a compiacerla.
« Cosa stai facendo, Chara?! » Urlò Frisk alle sue spalle.
Chara la ignorò.
« Fa un altro passo, mucchio d’ossa, e ti faccio fuori. » Sibilò, scoprendo i denti in un ringhio d’avvertimento. « È sufficiente un solo colpo, giusto? »
Le luci bianche erano sparite dalle orbite di Sans, il suo sorriso si era incrinato, diventando più simile ad un pericoloso ghigno.
« Non è la prima volta che ci incontriamo, vero marmocchia? »
Un guizzo di oro e azzurro brillò nell’orbita sinistra dello scheletro.
Chara piegò un angolo della bocca all’insù in risposta. Se era la sfida che quel mostro voleva, non avrebbe esitato a dargliela.
« Chara! »
Frisk si liberò dalla sua presa e la spintonò, mettendosi in mezzo fra lei e il suo bersaglio.
La più grande le stava già per ringhiare contro inviperita, ma la sua rabbia si raffreddò rapidamente vedendo l’espressione alterata dell’altra giovane.
« Posa quel coltello, Chara. »
Chara sgranò leggermente gli occhi.
« Frisk… »
Frisk stirò rigidamente le labbra.
« Posalo ORA. »
La più grande si ritrovò disorientata ed esitante di fronte a quella reazione. Non voleva assolutamente abbandonare l’unica arma decente che era riuscita a raccattare, ma gli occhi della sua amica non ammettevano repliche.
Lasciò cadere il coltello a terra solo dopo una lunga battaglia interiore. Il rumore dell’arma che cadeva contro il terreno fu un tonfo morbido nella neve, ma un colpo pesante nell’anima di Chara.
« Quando l’hai preso? »
Non rispose.
« Chara, ti sto parlando! »
Chara strinse i pugni e guardò di traverso prima Frisk e poi… quel dannato clown con un sorriso più falso di lui stampato in faccia. Perché lo stava difendendo? Aveva forse dimenticato di cosa era capace quel mostro? Era una potenziale minaccia che andava contenuta, meglio eliminata se possibile, perché Frisk allora si stava ostinando in quel modo così incosciente per proteggerlo?
« Stagli lontano. È troppo pericoloso, potrebbe… »
« Punta ancora contro qualcuno anche solo un bastone e te la vedrai con me, chiaro?! » La zittì Frisk, digrignando i denti.
Chara strinse le labbra, il pugno dove prima aveva stretto il coltello tremava contro il suo fianco.
Prima che potesse difendersi da quell’accusa ingiusta, un altro scheletro era sopraggiunto dal fondo del sentiero, correndo come un forsennato.
« Sans, dove ti sei cacciato, scansafatiche?! Stai mancando di assolvere ai tuoi doveri di nuovo? » Strepitò quello, pestando uno stivale a terra in un modo tanto infantile che Chara avrebbe riso di lui se non fosse stata così innervosita.
« Ehi, Paps. Come butta? » Lo salutò il comico da due soldi, con una naturalezza devastante che non si sarebbe aspettata da uno che era stato minacciato di morte appena un minuto prima. Non solo si era mantenuto calmo e composto con un coltello alla gola, ma ora stava pure fingendo davanti a quel reietto del fratello per evitare di creare il panico. Doveva riconoscere, anche se la cosa la infastidiva parecchio, che quel tipo era tutto tranne che uno sprovveduto. Ed era stato un errore grossolano sottovalutare sia lo scheletro, sia l’influenza che Frisk riusciva ad avere su di lei. E se le minacce non erano in grado di tenere a bada il commediante, cos’altro avrebbe potuto fare con Frisk intorno?
Papyrus si voltò e le osservò con uno sguardo stranito.
« Sans, cosa sono quelle cose lì con te? Sono…? »
Frisk prese l’iniziativa prima di chiunque altro lì presente.
« Siamo degli umani venuti qui per proporre una sfida al Grande Papyrus, super esperto di rompicapi e trabocchetti! » Annunciò, mettendo su un sorriso di sfida.
L’incredulità sul volto di Papyrus venne fulmineamente rimpiazzata da un’espressione orgogliosa e traboccante di entusiasmo.
Portò uno stivale avanti e, con tanto di sciarpa al vento, assunse quella che avrebbe dovuto essere la posa di un eroe d’altri tempi.
« Io, il Grande Papyrus, accetto senza esitazione la sfida, umani! Quali sono le vostre regole e condizioni? »
Frisk adottò una posizione simile e puntò un dito contro lo scheletro esaltato, persino la sciarpa della ragazzina era ora mossa da un vento dalla dubbia provenienza.
« Se riusciremo a superare tutti i tuoi rompicapi senza sbagliare neanche una volta, ci affronteremo in duello e, se vincerai, potrai condurci alla capitale dal tuo re! Invece, se falliremo nel risolverne anche solo uno, ci consegneremo immediatamente a te! » Dichiarò, incrociando poi le braccia in un finto atteggiamento di superiorità. « Qualcosa da ridire? »
Chara non aveva parole per descrivere la scena a cui stava assistendo. Che cosa diavolo era saltato in testa a Frisk?
« Assolutamente nulla! Corro a preparare i miei rompicapi! » Replicò Papyrus, fremente dall’entusiasmo. « Sans, vedi di non restare lì impalato! Raggiungimi subito! »
Detto questo, lo scheletro si volatilizzò, sparendo in fondo al sentiero con una scia di distanti NYE HEH HEH HEH!.
Frisk rilasciò un lieve sospiro e abbandonò, finalmente, quella posizione ridicola. Inutile dire che Chara aveva compreso meno della metà dell’accaduto.
« Improvvisazione carina, piccoletta. »
La maggiore strinse i denti al commento dello scheletro rimasto, evitando persino di dedicargli un misero sguardo.
« Grazie… » Rispose Frisk. Non fece fatica ad immaginare la presenza di un sorriso imbarazzato sul volto della ragazzina più piccola mentre rispondeva – e questo le provocò una punta di fastidio in più.
« Meglio che vada da mio fratello, prima che faccia qualche danno. » Disse lui e Chara avvertì lo sguardo di quelle orbite correrle lungo la schiena. « O prima che qualcun altro faccia qualche danno. In fondo, non si è mai abbastanza previdenti, vero? »
La stava prendendo in giro così sottilmente che Chara rimpianse di non avere quel dannato coltello di plastica ancora a portata di mano. Se prima le sue azioni erano state guidate da desideri protettivi e di autoconservazione, adesso era il suo lato vendicativo ad urlarle a gran voce perché togliesse di mezzo quello sgradito incomodo. Ma Frisk non le avrebbe più permesso di alzare un dito su di lui… e poi… non voleva perdere Frisk. Doveva trovare un’altra soluzione per sottomettere il mucchio d’ossa… e, con lui, chiunque altro si fosse mostrato avverso alla loro presenza nell’Underground.
Rialzò lo sguardo giusto in tempo per vedere Frisk gettare il coltello nello strapiombo sotto il ponticello con un debole calcio. Il braccio sinistro della più piccola era stato scosso da un lieve tremolio nel mentre, a cui però Chara non aveva prestato sufficientemente attenzione.
Erano di nuovo sole, avvolte da un silenzio che la maggiore trovò teso ed eccessivamente fastidioso.
« Sbrighiamoci. » Le disse Frisk, con un tono innaturalmente monocorde.
Le costò mettere da parte un po’ del suo orgoglio seguire Frisk ed ignorare il fatto di essere stata trattata come un cane molesto da portarsi dietro. Forse stava esagerando, forse non era stata intenzione di Frisk farla sentire in questo modo, ma era comunque troppo nervosa per rifletterci sopra con chiarezza. Nonostante tutto, ciò che al momento più le interessava, era non dare all'altra ragazzina un motivo – forse in più – per essere respinta e rifiutata. Frisk era la cosa più cara che aveva ora – e non vi avrebbe rinunciato facilmente.




Sameko's side
"Togliere di mezzo lo sgradito incomodo ( o quasi )" sarebbe stato un titolo molto più azzeccato per questo capitolo, ma credo avrei rovinato la suspense del momento. ;)
Comunque sia, a chi era mancata nei due scorsi capitoli la Chara con tendenze un po' meno pacifiste? Non potevo certo pretendere di redimerla senza farle fare prima uno scivolone, nevvero? Scivolone che Frisk, purtroppo, non è stata in grado di prevedere. ^^"
Per chi se lo stesse domandando, no, Sans in questa fanfiction non ricorda tutti gli eventi delle linee temporali precedenti, ma solamente alcuni. Col proseguire della storia, cercherò di spiegare meglio questo aspetto del suo personaggio. 
Se vi va, lasciate un commento. ^-^ Mi farebbe piacere conoscere le vostri opinioni su questo capitolo o sui precedenti! :)
Baci e buona ( tarda ) domenica a tutti!

Sameko


 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4: Favola della buonanotte ***



Capitolo 4: Favola della buonanotte
 





Il buio e la temperatura, quel giorno, erano calati velocemente sul paesaggio innevato di Snowdin e i mostri avevano abbandonato presto le loro attività per ritirarsi nelle loro case. Le strade della cittadina erano deserte, silenziose, le finestre gettavano strisce appannate di luce lungo la neve, lievi fiocchi cadevano turbinando nell’aria fredda.
Si era appostato sul lato destro della casa, tra il muro in legno e l’igloo che fungeva da collegamento da un’estremità all’altra della città. Papyrus non si sarebbe accorto della sua assenza, ci avrebbe messo un bel po’ a lavare i piatti della cena con quel lavello sopraelevato. Aveva, quindi, una discreta quantità di tempo a disposizione. 
« Non pensare che non abbia notato il modo in cui vi provocavate a vicenda. »
Questa era la voce della ragazzina dal maglioncino blu, riconoscibile dal tono soffice e solitamente posato, ma ora carico di una nota di rimprovero.
« Ha iniziato lui a fissarmi. Cosa dovevo fare, secondo te? »
Sans assottigliò gli occhi davanti a quella risposta. A parlare era stata l’altra ‘umana’ – era ovviamente improprio definirla tale ma, in mancanza di un termine migliore, si sarebbe adeguato. Aveva sibilato tra i denti nel rispondere, con una irritazione mal contenuta.
« Non fissarlo di rimando? »
« Mi stava provocando, Frisk. Avrei dovuto lasciar correre? »
« Gli hai puntato un coltello addosso e teme che tu possa far del male a Papyrus. Come ti aspetti che reagisca una persona? »
« Non è una persona. È un mostro, è pericoloso, hai visto cosa è in grado di fare, potrebbe attaccarti in ogni momento mentre sei disattent- »
« Sans non è una bestia feroce, Chara! Non mi ha mai fatto del male prima d’ora, in nessuna linea temporale! »
Sans strinse inconsapevolmente i pugni nelle tasche della felpa. Quella ragazzina – Frisk – aveva appena parlato di ‘linea temporale’? Questo era in grado di spiegare gli sprazzi di memorie e il senso di dejà vu che erano stati suoi compagni per tutto il pomeriggio appena trascorso, in cui non aveva perso di vista Papyrus un singolo istante quando era in compagnia delle due ragazzine. Non era stata quella più minuta e dall’aria gentile a preoccuparlo ovviamente, ma quell’altra, dall’espressione sempre glaciale e disinteressata. Non aveva nemmeno un ricordo che la riguardasse, solo una vaga sensazione che gli suggeriva di guardarsi bene le spalle da lei – e non solo le spalle, a quanto pare. Rappresentava una grave minaccia non solo per suo fratello, ma per ogni singolo mostro dell’Underground, non aveva dubbi a riguardo, perché essere iperprotettivi verso una persona in particolare può portarti all’ossessione e a commettere azioni di cui potresti pentirti. Eppure, nonostante ciò, Sans aveva scelto di restare paziente e limitarsi ad osservare lo svolgersi degli eventi. Se avessero lasciato Snowdin quello stesso pomeriggio, aveva continuato a ripetersi, Papyrus non avrebbe più corso alcun rischio e non sarebbe stato necessario un suo coinvolgimento diretto.
Non era andata esattamente come aveva previsto.
Papyrus le aveva invitate a casa loro senza nessun tipo di preavviso e Sans aveva fatto davvero del suo meglio per convincere suo fratello che, forse forse, quella era una cattiva idea, il tutto senza farlo insospettire. Non c’era stato, però, verso di dissuaderlo dal ritirare l’invito.
Avevano mangiato seduti allo stesso tavolo, con un silenzio disagioso e onnipresente a fare da padrone, che si scioglieva solo quando Papyrus, di ritorno dalla cucina con altro cibo, si sedeva nuovamente al suo posto – che Sans aveva avuto la premura di collocare lontano, lontanissimo, dalla marmocchia instabile.
Era sicuro di non aver mai avuto a che fare con una situazione simile in una precedente linea temporale, queste circostanze non gli erano per niente familiari e non sapeva se doveva sentirsi allarmato o meno dalla cosa. La ragazzina con il maglioncino verde doveva avere qualcosa a che fare con tutto questo, visto che pareva essere l’unica sfumatura che stonava in un quadro altrimenti armonico.
« ‘Scusa, vecchia signora. Per questo non faccio mai promesse.’ Ti ha attaccato subito dopo queste parole, ricordi? A cosa si riferiva? »
Sans tornò nuovamente a concentrarsi sulla conversazione udendo la domanda aggressiva di ‘Chara’. Era certo di essere ancora l’argomento principale della discussione, di conseguenza, doveva essere stato lui a pronunciare quelle parole. La vera domanda era: quando? Quale scenario avrebbe potuto spingerlo ad accennare a quella promessa, giustificando al contempo una sua successiva aggressione?
Un sorriso amaro attraversò il volto dello scheletro. Oh, sapeva perfettamente quale tipo di scenario avrebbe potuto provocare in lui tali reazioni. Inoltre, a giudicare dal tono della conversazione e dalla sua mancanza di ricordi chiari, il tutto doveva essere avvenuto poche linee temporali prima, o addirittura nella linea temporale immediatamente precedente a quella attuale.
« Non ne voglio parlare ora, Chara. »
« In tal caso, non mi pento di averlo minacciato. Non sei al sicuro con lui in giro, non posso lasciarlo vagare liberamente, capisci? »
Sentì il rumore di una suola che strisciava nervosamente contro la superficie degli scalini dell’ingresso.
« Chara… davvero… non ti devi preoccupare, io sto bene, ok? Fidati di me, non corro alcun pericolo. Io… io vorrei solo… »
« Cosa? »
« Vorrei solo… vorrei solo che tenessi fede alla nostra promessa. Basterebbe questo a rendermi felice. »
Silenzio. Dovette trascorrere qualche secondo prima che l’altra ragazzina rispondesse.
« Io… ci sto provando, Frisk. Ma non voglio che ti succeda qualcosa… »
Dal frusciare di vestiti che seguì, Sans intuì che dovevano essersi abbracciate.
« Lo so... per favore, Chara, cerca di rilassarti d’ora in poi. Nessuno qui mi farà del male perché ci prova gusto nel farlo. Credimi. »
Un secondo fruscio. Chara doveva aver ricambiato l’abbraccio.
« Voglio crederti, ma ho bisogno di… prove concrete. »
« Le avrai col tempo. »
Non si dissero nient’altro per un tempo molto lungo. Era ormai evidente che la conversazione era terminata e non era più indispensabile rimanere lì in ascolto. Si era già intromesso fin troppo in quella faccenda.
 

Non nascondeva di sentirsi decisamente più leggera ora. Le era tornato il buon umore e l’ottimismo, tutto era di nuovo come lei aveva sperato che fosse… o quasi. Ma Frisk era il tipo di persona che si accontentava anche di poco e il solo vedere Chara più distesa era già sufficiente. Doveva solo fare in modo che nient’altro andasse storto in questa linea temporale. Non sarebbe stato così complicato finché sarebbe rimasta determinata, giusto?
“ Certo che no. ” Replicò Frisk, in risposta al suo stesso pensiero. Nessuna ostilità la aveva obbligata ad arrendersi fino ad ora e, certamente, non sarebbe accaduto in futuro.
Papyrus entrò pimpante nella sua camera – che, per quella notte, avrebbe ospitato solo lei e Chara, in quanto ospiti –, interrompendo bruscamente il suo flusso di pensieri.
« Oh, no, Sans! La favola della buonanotte! Ti stavi quasi per dimenticare di raccontare a me, il Grande Papyrus, la favola della buonanotte! »
Frisk inclinò la testa vedendo lo scheletro avvicinarsi alla libreria e prendere un libricino per bambini da uno degli scaffali. Riuscì a leggere il titolo solo di sfuggita, ma un sorriso si formò comunque sulle sue labbra: era Peek-a-boo with fluffy bunny, il preferito di Papyrus.
Sans si affacciò oltre lo stipite della porta con un sorriso quasi di scuse. Frisk avvertì la tensione addensarsi inattesa nell’aria, ma scacciò immediatamente via quella sensazione. Confidava ciecamente che Chara non avrebbe fatto nulla per provocare, ora che si erano chiarite. Aveva fiducia in lei, doveva avere fiducia in lei.
« Hai ragione, Paps. Vieni di là e… »
« Ora, umani, assisterete ad una delle nostre più importanti tradizioni di famiglia! » Annunciò Papyrus, levando il libro in alto come fosse uno degli oggetti più affascinanti al mondo e interrompendo, al contempo, la replica del fratello. « La favola della buonanotte! »
« … Che? » Mormorò Chara alle spalle di Papyrus e Frisk trattenne a fatica un risolino.
« Esatto, umani! Ammirate questo magnifico tomo di saggezza, che verrà sapientemente letto da mio fratello di modo che possiate assaporare ogni parola e ogni colpo di scena! »
Sans, con un angolo della bocca più stirato del normale, non si era ancora mosso dalla sua precedente posizione.
« Andiamo, fra'. Stavano per andare a dormire. Non penso vogliano restare alzate ancora così a lungo. »
Frisk notò immediatamente il suo disagio. In verità, non era la prima volta quel giorno che aveva visto Sans improvvisare delle scuse davanti alle richieste di suo fratello. Era evidente quanto fosse preoccupato per l’incolumità di Papyrus e… ed era stata lei a metterlo, involontariamente, in questa situazione. Avrebbe dovuto rifiutare l’invito di Papyrus, così come avrebbe dovuto prevedere che c’erano buone probabilità che Chara avrebbe fatto un passo falso, a dispetto della promessa fatta. Non voleva più far soffrire le persone che amava per i suoi sbagli, perciò dare man forte a Sans pensava fosse il minimo che potesse fare.
« Papyrus… » Bisbigliò timidamente e fece per picchiettare con la mano sulla spalla dello scheletro più alto, ma lo scatto in avanti di quest’ultimo gli permise solo di sfiorarla con la punta delle dita.
Cavolo.
« Forza, pigrone! Non puoi negare alle nostre ospiti questo grande onore! » Esclamò Papyrus, agitando convulsamente un braccio verso di loro. « Che razza di padrone di casa sarei altrimenti?! »
Frisk si sentì tirata leggermente per la manica.
« Frisk! Non voglio prendere parte anche a questa pagliacciata! Fa qualcosa! » Le bisbigliò cautamente Chara nell’orecchio.
Frisk le rispose con un sorriso forzato, sperando che recepisse il messaggio di restare tranquilla e, nel caso, accettare di buon grado di accontentare Papyrus, se ciò fosse stato indispensabile.
Non sapeva quanto Sans fosse stato in grado di intendere del loro breve scambio di battute, ma Frisk fece comunque del suo meglio per rivolgergli un sorriso rassicurante, sperando che capisse che non c’era niente di cui si dovesse preoccupare. Fu dopo qualche secondo di indecisione che Sans lasciò la sua postazione sulla soglia della camera e allungò la mano per ricevere il libretto.
« Ok, Paps. Mi hai convinto. »
Sans era tutt’altro che convinto, chiunque avrebbe potuto facilmente intuirlo, ma che avesse scelto di non rifiutare era senz’altro positivo. Solo un ultimo sforzo per quella sera e, poi, lei e Chara avrebbero tolto il disturbo.
« Certo che ti ho convinto! Il Grande Papyrus non fallisce mai! » Affermò, raddrizzando orgogliosamente la schiena. Si voltò nuovamente verso di loro, la sciarpa perennemente mossa da un vento solenne nonostante, come le fece notare Chara, non ci fossero finestre aperte nei paraggi. « Prendete posto, umani! A breve, avrete l’incredibile onore di partecipare alla tradizionale cerimonia della favola della buonanotte! »
« Evviva… » Borbottò sarcasticamente Chara, levando gli occhi al cielo.
Frisk le tirò una lieve gomitata.
« Chara... »
« Va bene, ho capito. » Sbuffò, riuscendo miracolosamente a mantenere un certo grado di discrezione nel mentre.
Lei, Chara e Papyrus si sedettero sul tappeto dai bordi fiammeggianti che occupava gran parte del pavimento della stanza, Frisk strategicamente in mezzo ai due, così da ridurre al minimo battaglie di sguardi, frecciatine e occhiatacce varie. Uno spettacolo simile a quello dell’ora di cena non si sarebbe nuovamente verificato, se prendeva i giusti accorgimenti.
Sans prese posto sul letto di suo fratello minore, poggiando il libretto sul suo grembo e lasciando le gambe libere di penzolare oltre il bordo. Sotto incitazione di Papyrus, iniziò a leggere con voce pacata ma chiara, e Frisk si domandò quante volte avesse ormai raccontato quella storia per possedere una tale fluidità nella lettura. Troppe per essere contate probabilmente, e il pensiero le fece germogliare un dolce calore nel petto, perché era l’ennesima riprova di quanto Sans volesse davvero bene a Papyrus e di quanto, reciprocamente, Papyrus volesse davvero bene a Sans. Per questo, qualunque cosa facessero assieme, i due fratelli riuscivano sempre a rallegrarla. Si amavano così tanto che riuscivano a trasmetterle, forse inconsapevolmente, un po’ dell’amore che caratterizzava il loro rapporto.
Le parole scivolarono placidamente durante i minuti seguenti, come una ninna nanna che possedeva un ritmo tutto suo e che Frisk fu ben lieta di ascoltare, lasciandosi portare alla deriva dal suono della voce dello scheletro e, sperando, silenziosamente, che anche Chara stesse apprezzando almeno in minima parte quel momento.
Arrivati alla fine del libricino, Papyrus aveva ormai le lacrime agli occhi.
« Il finale mi prende sempre! » Disse, con un’espressione di totale adorazione.
« Mi ha fatto venire il latte alle ginocchia… » Si lamentò Chara al suo fianco, incrociando scocciata le braccia al petto.
Frisk le rivolse una breve occhiata di rimprovero. Come non detto.
Sans, benché avesse sentito quel commento annoiato, non si scompose minimamente.
« Troppo latte nelle ginocchia potrebbe slattare fuori*, sai? Sei sicura di volere un bis, Chara? »
« SANS! IL TUO UMORISMO PEGGIORA DI ORA IN ORA! » Sbraitò Papyrus, prendendosi la testa fra le mani.
Frisk si limitò a ridacchiare nervosamente. La minaccia implicita era proprio ciò che mancava all’appello.
Posò la propria mano sulla spalla di Chara, intimandole con quel gesto di non cercare lo scontro. Avrebbe dovuto aspettarsi lo scivolone finale, niente purtroppo è perfetto… ma non poteva farne motivo di lamentele. Quei pochi minuti di semplice ascolto erano stati meravigliosi e non voleva che venissero rovinati da una lite.
« Grazie davvero per la bellissima storia. » Sorrise sinceramente a Sans, prima di rivolgersi a Papyrus. « Capisco, ora, perché è la tua preferita, Papyrus. Merita di essere riletta più e più volte. »
Il volto osseo dello scheletro si illuminò di radiosa gioia e Frisk si ritrovò avvolta nell’abbraccio di quest’ultimo, stretta tra l’omero destro di Papyrus ed una recalcitrante Chara.
« Sapevo che eravate degli amanti della buona letteratura, umani! Il Grande Papyrus sarà lieto di offrirvi un tour della sua biblioteca privata il prima possibile! »
La ragazzina rise di cuore, riuscendo a coprire così i colpi di tosse seccati della sua amica. Avrebbe dovuto insegnare a Chara la virtù della pazienza.
« Purtroppo, dovrete attendere con trepidazione fino a domani! È ora di andare a dormire e la stanza di mio fratello è ancora un campo di battaglia! Urge il mio intervento al più presto possibile! »
Interrotto quell’abbraccio appassionato, Papyrus fece per uscire dalla stanza, ma non prima di aver rivolto loro un ultimo, affettuoso saluto.
« Buona notte, umani! »
Frisk, prevedibilmente, fu l’unica a sorridergli di rimando.
« Buona notte anche a te, Papyrus. »
E, con questa, quel faticoso primo giorno poteva dirsi concluso. Ma, a differenza di Papyrus, Sans non aveva ancora lasciato la camera, né si era alzato dal letto. Frisk gli rivolse uno sguardo interrogativo, ma l’espressione dello scheletro era, sfortunatamente per lei, illeggibile. Non capiva cosa gli stesse passando per la testa e nemmeno perché si trovasse ancora lì.
« È… è tutto a posto? » Osò chiedere, con voce insicura. Sentiva Chara incombere su di lei, come l’ombra che la aveva seguita durante la linea temporale più spaventosa che avesse mai vissuto, che la aveva intimorita, terrorizzata, costringendola a compiere gesti estremi e disumani. Adesso, invece, era diverso. Non era lei che Chara stava cercando di intimidire, ma Sans.
« Certo, piccola. » Disse lui. Poggiò i piedi a terra, attraversò la stanza passando accanto a lei e Chara e rimise il libro al suo posto, come se nulla fosse. « È tutto a posto. »
Frisk fece del suo meglio per non indietreggiare davanti allo sguardo vuoto di Sans. Le iridi erano ancora al loro posto nelle orbite, ma ciò non contribuiva a renderlo meno… minaccioso.
« M-meglio così. » Balbettò Frisk, in mancanza di altro da dire.
Il sorriso dello scheletro si fece più ampio ed era tutto fuorché un sorriso cordiale. La giovane si sentì disorientata da quegli atteggiamenti così inusuali per Sans. Perché si stava comportando in questo modo?
« Sans, sbrigati a venire ad aiutarmi! »
« Arrivo, Paps. » Rispose Sans, prima di tornare con lo sguardo su di loro. « Bene. Sarò qui fuori, se ci dovessero essere problemi. »
Le salutò con un occhiolino, prima di chiudere la porta dietro di sé e lasciarle sole.
Frisk rilassò le spalle e rilasciò un sospiro pesante. Nascose le mani nelle maniche del maglione, sperando così di occultare il lieve tremolio che non accennava ad andarsene.
Chara la sorpassò, aveva i pugni e le labbra contratte, gli occhi completamente neri e torvi. Non era mai un segno di buon auspicio quando accadeva la stessa cosa con Sans.
« Chara… »
Frisk fece per raggiungerla, ma la voce della sua compagna la bloccò.
« Ci terrà d’occhio. »
La ragazzina batté le palpebre, confusa.
« Cosa…? »
Chara la guardò da sotto la frangia, seria in volto.
« Se una di noi lascia la stanza, lui lo saprà. » Le spiegò. « Voleva dire questo. »
Frisk annuì, sconsolata. Terminare quel primo giorno con il sorriso era stata, purtroppo, una pretesa troppo alta. Ma non aveva intenzione di lasciarsi abbattere così. Domani, le cose sarebbero state migliori, perché avrebbe fatto il possibile per renderle migliori. Speranza, ottimismo, determinazione. Finché non avesse perso quegli importanti motori di volontà, tutto avrebbe potuto sempre avere una chance di risolversi per il meglio. Era sufficiente non arrendersi.
 
---
Note:
*Già, primo gioco di parole della fanfiction. È un'unione delle parole "slittare fuori" e "latte".



Sameko's side
Ehilà, capitolo 4 arrivato! ^^
Cose sistemate tra Frisk e Chara almeno per il momento ma, come è intuibile, la strada è ancora lunga su questo fronte. Devo dire, però, che raccontare della loro riconciliazione usando un punto di vista esterno ( quello di Sans ) è stato abbastanza stimolante. Una narrazione un po' diversa ci vuole ogni tanto. E, finalmente, abbiamo un primo POV di Sans dai tempi del prologo. :D

Chiedo umilmente venia per quel gioco di parole, merito colpa di un mio amico a cui ho chiesto gentilmente aiuto che ho pregato di venire in mio soccorso. Spero di non aver fatto fuggire nessuno. ^^" Contatore delle umiliazioni dell'autrice: 1
E per questo capitolo abbiamo finito! Il prossimo arriverà fra circa una settimana, come avrete ormai intuito dai ritmi di aggiornamento che sto cercando di tenere. :)
Baci!

Sameko


 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5: Nessuna fiducia ***



Capitolo 5: Nessuna fiducia





 
Nero. Ovunque, dappertutto.
Intangibile… freddo… onnipresente.
Non ricordava l’ultima volta in cui, quando la cappa di oscurità del sonno era calata sui suoi occhi stanchi, aveva solo trovato una sensazione di così piacevole vuoto ad accoglierlo.
Nessuna paura. Nessun dolore. Niente di niente, a parte quel nero senza inizio o fine, praticamente sconfinato.
Mosse pigramente un braccio, non curandosi nemmeno di comprendere se lo stava allungando verso l’alto, o se lo stava abbassando. Era come galleggiare in un liquido più consistente dell’acqua, ma che scivolava lungo il suo corpo con la stessa facilità. Era… curioso
… No. Non era curioso.
Questo nero... questo luogo… non gli erano estranei.
 Lui… non dovrebbe assolutamente trovarsi qui.
« Da quanto tempo, ragazzo mio. »
Le sue pupille guizzarono verso la fonte di quel miscuglio disarmonico di suoni. Ma non c’era una vera e propria fonte. Era intorno a lui, su di lui, dentro di lui, era una sensazione opprimente all’altezza del petto e della gola.
Sans serrò gli occhi, boccheggiando per dell’aria che in quel posto, semplicemente, non esisteva. Si costrinse, perciò, a placare quelle sensazioni che lo avrebbero solo posto in una condizione di svantaggio. Doveva mantenersi rilassato, come faceva sempre a dispetto di qualsiasi circostanza. Questa volta, non era diverso.
Sollevò le palpebre. Una sagoma informe, di una tonalità di nero appena più chiara, era in attesa di una risposta.
Sans gli rivolse un sorriso spiacevole. Quanto era passato dall’ultima volta che si erano visti? Eh... non ne aveva idea. I giorni erano diventati anni, forse decenni, a causa dei continui reset. Potevano essere ormai coetanei e Sans non ne sarebbe comunque stato consapevole. Aveva un corpo che non invecchiava, ma una mente che portava con sé il fardello confuso dei ricordi di una quantità incalcolabile di vite, a volte fin troppo simili per consentirgli di adoperare un criterio di distinzione. Beh, qualcosa che forse li accomunava c’era, dopotutto.
« Ti trovo bene, Gaster. Stanco di questo postaccio, per caso? »
La sagoma assunse dei contorni più nitidi, acquistando le sembianze di un corpo umanoide. Un volto simile ad una statuaria e sfigurata maschera stava ora ricambiando il suo sguardo.
« Noto che non hai ancora perso l’umorismo, giovanotto. Fino ad ora, perlomeno… »
Sans rispose con un’alzata di spalle.
« Ognuno ha i suoi punti di forza. C’è chi si consola con una risata… e chi, invece, si rode l’animo con i suoi stessi deliri di onnipotenza. Non siamo fatti tutti con lo stampino, fortunatamente. »
La figura ridacchiò.
« Hai detto bene. Ognuno ha i suoi punti di forza. E, proprio perché non siamo l’uno la copia dell’altro, ricaviamo soddisfazione da occupazioni differenti. » Due mani biancastre scivolarono fuori da quelle che ricordavano vagamente le lunghe maniche di un vestito, dita sottili si congiunsero pigramente in un gesto contemplativo. « Nondimeno, certe persone dovrebbero essere le ultime a concedersi il lusso di giudicare. »
« Ma alcune sono più adatte di altre. »
Gaster inclinò la testa, le estremità deturpate del suo sorriso divennero ancora più marcate.
« Come te, Sans? »
Sans abbassò le palpebre, celando sotto di esse l’irritazione verso cui quel discorso lo stava portando. Non si sarebbe lasciato manipolare come un ragazzino inesperto. Quei tempi erano finiti.
« Qual è il motivo di tutta questa farsa? »
« Un’offerta che già conosci perfettamente. »
Oh, già… l’offerta. Perché si era anche solo preso il disturbo di porre quella domanda?
« Fammi indovinare, questa è l’ultima volta che me lo chiedi gentilmente, vero? »
Un brivido di avvertimento gli aveva scosso le ossa. Gaster era ora su di lui, ne percepiva la presenza ravvicinata da qualche parte sopra di sé.
« Esattamente. »
La sua voce uscì come un basso e aspro sibilo. Scegli con cura le parole, sembrava volergli riferire.
Sans sollevò una palpebra, scrutando con attenzione nei baratri di nero che erano gli occhi di Gaster. L’ho già fatto tempo fa, adesso è il tuo turno, avrebbe risposto, se quella frase fosse anche solo stata pronunciata.
« Hai rimesso la testa a posto? » Gli domandò invece, con ancora più intensità nel proprio sguardo.
La sagoma si ritrasse e allargò lentamente le braccia.
« Potrei porti la stessa domanda, ragazzo. »
Sans si strinse nelle spalle. Non che avesse sperato in un cambiamento, affatto. Con certe cause smetti di lottare e ne sapeva abbastanza sull’argomento per autodefinirsi un veterano in quel campo.
« La mia risposta, allora, già la conosci. »
« No, quindi? » Lo interrogò nuovamente Gaster, come se volesse essere sicuro di non aver frainteso... o fargli invece intendere che dalla sua ostinazione non ne sarebbe venuto nulla di buono.
« No. » Ribadì inflessibilmente Sans, stringendo gli occhi.
Da quel volto bianco gesso non trapelò nulla, né la scintilla dell’irritazione, né della disperazione, né dell’impazienza.
« Come preferisci. » Disse, con l’aria di uno che avrebbe sospirato se ne avesse avuto la possibilità. « Tua la decisione… tue le conseguenze. »
« Non che tu possa fare qualcosa a riguardo. » Gli ricordò lui, con un sorriso sfrontato.
Gaster scosse adagio il capo.
« Totalmente inesatto, giovanotto. » Un luccichio bianco brillò nella sua orbita sinistra. « Ci sono stati dei recenti sviluppi che, disgraziatamente, ti sei perso. »
L’oscurità si addensò attorno alla forma di Gaster in un battito di ciglia.
Sans si mise immediatamente in allerta e sentì la magia concentrarsi nel suo occhio senza che fosse lui stesso a richiamarla.
FTSH!
Alle sue spalle.
Scartò di lato, una propaggine di oscurità gli sfiorò il fianco. Ne evitò un’altra diretta verso il retro del suo cranio e si teletrasportò l’istante dopo, per uscire dalla traiettoria di altri colpi. Focalizzare il punto in cui ricomparire non gli risultò semplice come nel mondo reale, la mancanza di punti di riferimento in quel nero privo di increspature non gli era per niente d’aiuto.
Gaster non lo aveva mai attaccato prima d’ora, tantomeno Sans aveva creduto possibile che corresse il rischio di essere ferito nel Void. L’ex scienziato non avrebbe dovuto essere in grado di infliggergli danni, figuriamoci arrivare a toccarlo. Ma il modo in cui quegli attacchi erano stati pericolosamente vicini a colpirlo, come se avessero davvero potuto trafiggere il suo corpo con una inquietante facilità, gli diceva che non avrebbe dovuto dare per scontata la cosa. Era a questo che Gaster si riferiva quando aveva parlato di ‘recenti sviluppi’?
FSSSSH!
Da che parte ora? Il rumore non sembrava provenire da nessuna direzione in particolare!
Le propaggini giunsero da ogni dove e Sans riuscì a fatica a distinguerle dal nero del Void. Effettuò una sequenza rapidissima di teletrasporti, sperando di ridurre a percentuali minime, se non nulle, le possibilità di venire colpito.
Evocò un Blaster e spazzò via quante di esse il suo occhio riuscì ad individuare. Le propaggini si fusero sotto il calore dell’energia che il cannone eruttò, si sciolsero come olio e si ritirarono nelle tenebre con un cupo gorgogliare. Si piegò verso il basso, eludendo l’ennesima che aveva mirato al suo petto e si dovette teletrasportare per schivare la successiva e… urtò con la schiena contro una superficie solida.
Trasalì.
Fu una vitale frazione di secondo quella che perse.
Una mano si chiuse brutalmente intorno al suo collo, issandolo verso l’alto come un’erbaccia appena strappata. Sans emise un verso strozzato, causato a metà dal dolore e dall’incredulità e, quando riaprì gli occhi, stava fissando il cerchio di luce fluttuante nell’orbita di Gaster, ora divenuta un violento squarcio lungo la metà sinistra del suo volto.
« Preso. » Sussurrò quest’ultimo, con voce incolore. « Non hai ancora imparato a sondare meglio il terreno di battaglia, ragazzo? »
Sans cercò strenuamente di allentare la presa d’acciaio che gli stava spremendo le ossa cervicali, ma ogni tentativo di far schiudere quelle dita risultò vano e persino accennare un sorriso fu, per lui, tremendamente faticoso.
« H-ho... ugh… imparato dal m-maestro… ah, ah… AH-! » Il suo ridacchiare venne stroncato all’istante da un massiccio aumento di pressione intorno al suo collo.
L’occhio di Gaster parve socchiudersi leggermente a quel punto.
« Non confidavo in un cambio d’atteggiamento, Sans… ma il tuo continuare a provocarmi? Piccolo sciocco, quella è stata la tua scelta più incosciente. »
Sans, a dispetto del dolore, alzò tremolando un angolo del suo sorriso, a dimostrargli quanto avrebbe continuato ad ostentare quell'atteggiamento provocatorio se solo gli fosse stato possibile. Eh… era divertente persino come nessuno dei due si fosse aspettato, sin dall’inizio, qualcosa di diverso dal rifiuto. Quando si parla di fiducia verso il prossimo.
« F-farnetica quant-to vuoi. Confinato q-qui, non sei più pericoloso di un moldsmal. » Bisbigliò quindi, stringendo i denti con un acre sdegno.
« Dietro ad un moldsmal, può celarsi un moldbygg, ragazzo. » Le estremità del sorriso di Gaster divennero affilate come lame di coltello. « La tua testardaggine, la mia condizione particolare… rendono solo le cose molto più interessanti. »
Lentamente, Gaster sollevò il braccio opposto. Pollice e medio schioccarono producendo un lieve eco ed enormi propaggini si aggrapparono immediatamente attorno alla vita di Sans.
Lo scheletro si irrigidì. La sua espressione, fino ad allora rimasta risoluta a dispetto del dolore, vacillò.
« Buona notte, Sans. »
Le propaggini si strinsero attorno al suo bacino con la forza di mille tenaglie e tirarono, tirarono, tirarono, schiacciandogli le ossa, riducendogliele in briciole mentre tiravano ancora, più forte, più ferocemente.
Si dimenò, scalciò, cercando di liberarsi quando aveva ancora lucidità a sufficienza per reagire, ma il dolore diventò straziante nel giro di pochi e meri secondi, ogni suo pensiero si cancellò, sostituito dal suono assordante delle ossa che continuavano a frantumarsi senza sosta, a macinare tra di loro come infernali grattugie, ogni scheggia e minuscolo frammento erano cascate di aghi che, dalle anche, si diramavano dovunque nel suo corpo.
Gridò, fino a non riconoscere più il suono della sua stessa voce, fino a non sentire più la sua stessa voce.
Il bacino si separò infine dalla sua colonna vertebrale con un’atroce schioccare di ossa spezzate.
Ogni cosa perse forma.
 

Fu con le proprie urla rimbombanti nel cranio che si svegliò di soprassalto, magia e adrenalina ancora in circolo nel suo corpo, il respiro corto e l’anima che doleva nella sua cassa toracica, come se avessero appena tentato di strappargliela dal petto con la forza.
Le volute di magia del suo occhio rischiararono i contorni dei primi gradini delle scale di una luce azzurra e opaca, insieme a buona parte del corridoio del piano superiore di casa sua.
Casa. Era a casa, al sicuro e ancora tutto d’un pezzo.
Rise piano alla sua stessa battuta, inspirando profondamente. Questa, doveva ammetterlo, era stata proprio terribile, ancora più che terribile se si considerava quanto non avesse apprezzato il regalino d’addio da parte del farabutto.
Sentì la porta della stanza di Papyrus scricchiolare.
Estinse velocemente le fiammelle di magia concentrate nella sua orbita e mise su il suo solito sorriso di facciata, il tutto nel tempo impiegato da quel suono per disperdersi nell'aria.
A sbirciare prima e muovere timidamente un passo fuori dalla camera dopo, fu la ragazzina più minuta –Frisk.
« È-è successo qualcosa? » Gli domandò, con sguardo apprensivo, i suoi occhi ambrati riflettevano con un lieve alone dorato la poca luce presente in quella parte della casa.
Sans sospirò internamente, la tensione che ancora gli irrigidiva le articolazioni si allentò. Era sollevato che, perlomeno, non era stato il pericolo pubblico a fare la sua comparsa in corridoio.
« No, piccola. Torna pure a dormire. » Le rispose, misurando cautamente il respiro ancora irregolare. Si sentiva come se gran parte delle energie che una buona dormita avrebbe dovuto dargli gli fossero state tolte improvvisamente. Era anche questa opera di Gaster? Per quanto la possibilità da sola fosse sufficiente a farlo preoccupare, era sfortunamente l’ipotesi più probabile che potesse formulare al momento.
« Ti ho sentito urlare e… sembri sfinito… sei sicuro? » Insistette lei, ma le parve restia dall’avvicinarsi per controllare il suo stato di salute.
Se lo aveva notato persino la ragazzina, doveva essere fin troppo evidente perché potesse mascherarlo. Quel maledetto doveva avergli fatto qualcosa, ma… sottrarre energia nel sonno? Era davvero possibile che avesse acquisito una tale capacità? O la aveva posseduta per un tempo ancora maggiore e, semplicemente, non ne aveva mai fatto uso fino ad allora?
La porta dal lato opposto del corridoio si aprì e fu il turno di suo fratello di venire a verificare.
« Sans, che cosa è stato? Hai avuto un altro incub- »
Papyrus si interruppe. A giudicare dal movimento della sua testa nella semioscurità, sembrava stesse spostando lo sguardo da lui alla piccola e viceversa.
« Perché sei seduto in mezzo al corridoio con l’umana? »
La sua anima ebbe un impercettibile sussulto nella sua cassa toracica. Farsi beccare da Papyrus mentre teneva sotto ferreo controllo le loro ‘ospiti’ era proprio in cima alla lista di cose che avrebbe assolutamente voluto evitare. Ma, del resto, nemmeno addormentarsi sul pavimento era stato fra i suoi programmi.
« Sono seduto in mezzo al corridoio con l’umana? » Chiese, con nonchalance.
« Esatto. »
« Davvero? »
« SÌ. »
« Cosa sto facendo? »
« Sei seduto in mezzo al corridoio con l’umana! »
« Davvero? »
« ARGH, SAAA…! »
Lo scheletro più alto si coprì la bocca con i guanti, bloccando il suo urlo adirato prima che raggiungesse un livello di decibel pari ad un martello pneumatico.
Sans stirò gli angoli della bocca in un sorriso sornione, a cui Papyrus rispose con un gemito ancora più esasperato. La ormai familiare sensazione di viltà si fece strada nella sua anima quando vide Papyrus scuotere rassegnato la testa, gesto che indicava ‘scampato pericolo’ ogni qualvolta tentava di sviare una conversazione troppo scomoda. Rispondere ad una domanda, avrebbe implicato rispondere ad altre domande e, per quanto non gli piacesse agire in questo modo con Papyrus, meno suo fratello sapeva e meno entrambi avrebbero avuto di che preoccuparsi. Papyrus non meritava di vivere un’esistenza travagliata come la sua, coinvolgerlo in problemi più grandi di lui e che non poteva sperare di risolvere avrebbe solo finito col demoralizzarlo – e Sans non voleva in alcun modo veder intaccata la spensieratezza del suo fratellino, né voleva essere la causa prima della sua infelicità.
« Beh, io torno al piano di sotto. » Annunciò, cogliendo la possibilità di concludere il diverbio senza far sorgere altri interrogativi. Si alzò in piedi, ignorando le fitte che dai fianchi arrivavano fino alle rotule e il suo tono apparentemente affabile lo aiutò a mascherare il tutto. « A più tard… uhhh… »
Le ginocchia non lo ressero e dovette allungare velocemente le braccia verso il muro per non cadere faccia a terra.
« Gh! »
Quelle che prima erano soltanto delle punture fastidiose, ora erano divenute un bruciore diffuso che gli stava intorpidendo le gambe. Sans strinse convulsamente i denti per trattenere una smorfia di dolore, ma dubitava che il suo sorriso non sarebbe apparso forzato a chiunque lo avesse guardato in volto. Sentì suo fratello accorrere subito al suo fianco non appena quel basso lamento lasciò la sua bocca, per aiutarlo a sorreggersi sulle proprie gambe senza usare la parete come sostegno.
« Sans, che cos’hai?! »
Riuscì a cancellare la sua smorfia di dolore in meno di mezzo secondo, guardando Papyrus con una naturalezza che un nonnulla sarebbe stato sufficiente a far crollare.
« N-niente, Paps. Mi sono… alzato all’improvviso e mi sono venute le vertigini. Eh eh… »
Papyrus, senza lasciargli il tempo di dire altro, lo sollevò da terra e lo prese in braccio.
« È evidente, invece, che hai bisogno delle speciali cure del tuo eccezionale fratello qui presente! »
Sans sorrise leggermente, ma non protestò. A questo punto, non era nemmeno sicuro di poter arrivare in soggiorno con le proprie gambe, meglio quindi lasciare che suo fratello lo trasportasse fino al divano. Lì, lo avrebbe tranquillizzato, avrebbe lasciato cadere la questione con una battutaccia delle sue e ogni cosa avrebbe cessato di sfuggirgli di mano.
« Umana, ho bisogno urgentemente del tuo aiuto! » Dichiarò Papyrus, puntando l’indice guantato contro la piccola, preoccupata quasi quanto lo era suo fratello per le sue condizioni. « Potresti dare un’occhiata a Sans mentre cerco il kit medico? »
« C-certo! » Replicò, prontamente, lei.
Ok, qui la cosa stava andando troppo oltre.
« Paps, davvero, sto bene… calmati… »
« No, fratello! Potrebbe essere stato un semplice capogiro, o persino qualcosa di più grave! » Gli rispose prontamente Papyrus, alzando un dito in modo autoritario mentre scendeva le scale con Frisk appresso. « È mio preciso dovere in qualità di fratello minore controllare che sia tutto in regola con te! »
Sans sospirò docilmente. Dove avrebbe trovato un fratellino migliore di Papyrus – possibile ne esistesse anche uno soltanto che potesse sperare di eguagliare la sua bontà d’animo?
Venne posato sul divanetto del soggiorno il tempo necessario a Papyrus per trovare il famigerato kit medico – a tal proposito, ne avevano mai avuto uno? –, quando la voce delicata della ragazzina lo distrasse dai rumori per niente rassicuranti provenienti dalla cucina.
« Sans… non era un capogiro, vero? »
Sans la scrutò con attenzione e lesse sincera preoccupazione in quegli occhi che lo guardavano innocentemente, quasi timorosi di chiedere.
« Non ti si può nascondere nulla, eh piccola? » Mormorò, ridacchiando rassegnato. « Sei una buona osservatrice. »
“ Un po’ troppo però, forse. ” Aggiunse, tra sé e sé.
Lei chinò il capo, giocherellando nervosamente con le maniche del suo maglione.
« Scusami… non volevo intromettermi. Io… avevo paura che ti fossi fatto male… » Confessò, serrando poi gli occhi come se avesse detto qualcosa di sgarbato. Inevitabilmente, non poté fare a meno di chiedersi come un’anima all’apparenza tanto candida potesse andare in giro con una calamità come quella al piano di sopra. Ma, detto questo, nemmeno lui e suo fratello potevano essere considerati un abbinamento funzionante dall'esterno, avendo caratteri diametralmente opposti.
« Ehi, non stare in pensiero per me, ok? » Le disse, inclinando un angolo del suo caratteristico sorriso verso l’alto.
« Non posso non preoccuparmi per gli altri... » Bisbigliò la ragazzina, strofinandosi leggermente l’avambraccio sinistro. Rialzò gli occhi dopo qualche secondo, come se in quel lasso di tempo avesse meditato su un pensiero in particolare, che adesso desiderava esprimergli ad alta voce. « Anche tuo fratello si preoccupa per te. Perché… non… »
« Piccola. » La interruppe fermamente Sans, prima che potesse proseguire. « Voglio essere schietto con te: questi non sono affari che ti riguardano. »
L’umana lo fissò ad occhi sgranati. Era evidente che non si era aspettata di ricevere un rimprovero così duro.
« M-mi… mi dispiace… » Mormorò, distogliendo vergognosamente lo sguardo, la frangia le scivolò davanti agli occhi.
Sans se ne dispiacque. Non intendeva rimproverarla in maniera tanto dura. Forse, aveva esagerato.
« Piccola, ehi, guardami. »
La ragazzina alzò la testa, guardandolo con occhi mortificati.
« Non prenderla troppo sul personale, va bene? » Tentò di rinfrancarla lo scheletro, sporgendosi leggermente in avanti per quanto le gambe doloranti gli consentivano. « Non è un male preoccuparsi per gli altri, se non si esagera. »
Ricevette un cenno d’assenso pochi momenti dopo, insieme ad un sorriso tremolante. Accidenti, magari avrebbe dovuto mostrarle un po’ più di empatia. Non che fino a quel momento si fosse sforzato più di tanto, s’intende – impegnarsi troppo non faceva esattamente parte del suo modus operandi –, ma riconosceva di non averle fatto una gran bella impressione. Probabilmente, lei non lo aveva nemmeno mai visto atteggiarsi in questa maniera e lo sconcerto a volte eccessivo sul suo viso poteva essere una prova a favore di questa tesi.
Batté gentilmente la mano sul divano, invitandola a sedersi.
La vide tentennare.
« Io… p-pensavo… » Farfugliò lei, incespicando nelle sue stesse parole.
« Sarebbe insansato considerarti mia nemica quando non me ne hai ancora dato motivo. » Le disse con fare rilassato, le palpebre socchiuse sulle orbite. Aveva gettato un osso. Vediamo se qualcosa sarebbe uscito dal nascondiglio per rosicchiarlo.
La piccola rise, ma con una significativa frazione di secondo di ritardo, nella quale lo scheletro percepì una evidente esitazione. Neanche lei era completamente innocente, a quanto pare.
Fece di quell'osservazione un rapido appunto mentale nel frattempo che la ragazzina saliva sul divano, sedendosi ad una distanza accettabile per entrambi.
« C’è qualcosa che posso fare per aiutare? » Gli domandò l’umana, un sorriso appena visibile sulle sue labbra.
« Mi faresti un grande favore se non dicessi nulla a Papyrus, per il momento. Per non farlo preoccupare troppo, ok? » Le disse, strizzandole l’occhio.
La giovane lo guardò con un'indecisione che, seppur appena visibile nei suoi occhi, Sans fu comunque in grado di vedere. Infatti, la ragazzina annuì in accordo solo a distanza di qualche secondo, rendendo la sua insicurezza sulla questione ancora più palese.
« Ok… »
Non era l’ok più convinto che avesse sentito in vita sua, ma era comunque sufficiente per il momento. Fino a che non avesse appreso di più sia su Frisk, che su Chara, sarebbe stata tutta questione di riporre la sua fiducia in quella ragazzina solo per apparire meno ostile, usando l’astuzia con lo scopo di ottenere le informazioni che gli servivano. Se si fosse verificato un altro reset, non aveva idea di quanto avrebbe ricordato di questa linea temporale, ma chiarire i suoi dubbi avrebbe sempre potuto tornargli utile in futuro.
 

Si era svegliata con la sensazione che mancava qualcosa di importante, qualcosa di cui aveva data per scontata la presenza, qualcosa che – era sicura – avrebbe dovuto esserci.
L’altro lato del materasso era vuoto e solo leggermente tiepido al tatto. Frisk doveva avere lasciato recentemente la stanza, ma abbastanza a lungo per permettere al letto di raffreddarsi.
Scivolò fuori dalla camera silenziosamente, muovendosi sicura nel buio come un predatore notturno. Contorni di pareti e oggetti le parvero molto più nitidi di quanto ricordasse mentre scendeva le scale in punta di piedi, ma sul momento non prestò troppa attenzione a quel dettaglio perché, fermatasi sul secondo gradino, aveva trovato ciò che nel sonno era venuto a mancarle.
Frisk era sul divanetto del soggiorno e lo stava condividendo con quel nano di uno scheletro e il suo fratello sciocco. Papyrus, con l’ausilio di un solo braccio, riusciva a circondare le spalle di Sans e poggiare contemporaneamente la mano sulla spalla minuta di Frisk, raggomitolata contro Sans, di sicuro il più disordinatamente stravaccato tra i tre. A terra, vi erano i rimasugli di un piatto di spaghetti*, la cui sola vista le fece contorcere lo stomaco, tanto era ancora fresco nella sua memoria il ricordo di quella colla, camuffata da pasta, che le si era appiccicata al palato dopo un singolo boccone.
Dormivano in appena un metro e mezzo di divano, eppure, ognuno sembrava star comodo a modo suo. E… e Chara sapeva perché. Verso sera, lei andava sempre a sedersi in salotto sulla grande poltrona vicino al camino, stanca e un po’ assonnata dopo una giornata di giochi sfrenati. E aveva sempre condiviso quella poltrona, non aveva importanza quanto alcune volte avesse desiderato uno spazio maggiore per potersi stiracchiare, mai aveva negato ad Asriel il posto che di diritto gli spettava.
Frisk aveva già un posto – e non era vicino a lei.
Si era stupidamente illusa di potersi sentire di nuovo parte di qualcosa. La razza di esseri immondi a cui apparteneva la aveva ripudiata come uno scarto malriuscito e solo i mostri avevano provato ad offrirle un appiglio, una costante su cui poter sempre contare… ma quella costante aveva finito con lo svanire, quello che prima era solido si era liquefatto come acqua, disperso nei rimasugli di una fiducia che un semplice No era stato in grado di spezzare. Frisk le aveva offerto una mano da afferrare, la seconda in tutta la sua vita, ma lei non si stava dimostrando capace di stringerla saldamente come… c-come, invece, avrebbe voluto essere in grado di fare.
La colpa non era di Frisk. Era sempre stata lei quella indesiderata, quella senza un luogo dove stare, quella sbagliata. Probabilmente, era per questo che non sarebbe mai esistito un posto adatto ad accoglierla, ad accettarla. Era un ingranaggio incompatibile, che non poteva trovare una collocazione perché non avrebbe dovuto essere creato fin dall’inizio.
Si girò e risalì le scale, una cupa lentezza che accompagnava i suoi movimenti. In quel frangente, la tensione prese a gravarle bruscamente sulle spalle, il mescolarsi della magia con l’aria mise in allerta i suoi sensi. Non era l’unica ad essere ancora sveglia.
Ma per Chara non faceva comunque differenza, perché non voleva avere più sotto gli occhi quella pacifica visione di serenità. Aveva già visto e compreso abbastanza.
 
---
Note:
*La parte della chiacchierata tra Frisk e Sans sarebbe dovuta proseguire, nei piani iniziali, con la riapparizione di Papyrus, accompagnato da un piatto di spaghetti che aveva riscaldato appositamente per tirare su Sans. Ho dovuto eliminarla perché sarebbe risultata ridondante, ma non ho voluto eliminare anche il riferimento agli spaghetti che troviamo nel successivo POV di Chara. Nel videogioco, la presenza di alcuni oggetti può suggerire alcune situazioni piuttosto che altre, perciò non ho ritenuto necessario evitare di descrivere questo particolare.

 
 


Sameko's side 
Howdy!
Capitolo più lungo fino ad ora, con più di 4000 parole. Ero impaziente di pubblicarlo perché, con questo aggiornamento, quello che definisco il "primo arco narrativo" della fanfiction è finalmente finito! La parte introduttiva è per così dire terminata e, da ora, si procederà senza esclusione di colpi. Confesso che il titolo questa volta mi ha dato parecchi problemi, ma alla fine sono riuscita a trovarne uno che adattarsi a tutte e tre le parti di cui è composto il capitolo. 
Chiacchierata interessante e soprattutto diplomatica tra Sans e Gaster, mh? Tutto perfettamente normale tra quei due, non temete (?). E, nel caso qualcuno si stesse domandando il perché della mancanza del Wing Ding, beh, Sans ha tradotto per noi in questo capitolo, vi ha risparmiato una bella seccatura. ;)
Piccola noticina per chi non ricorda cosa sono i Moldsmal e i Moldbygg: i Moldsmal sono i mostri gelatinosi che si incontrano nelle rovine, i Moldbygg si incontrano invece a Waterfall e fingono di essere dei Moldsmal, per intenderci ( la wiki di Undertale saprà essere ben più specifica di me). Riassumendo, quindi, questi due riferimenti: sotto cose piccole si celano cose grandi e le apparenze possono ingannare. Da tenere a mente.
E qui comincia ad emergere un'altra delle mie shipping preferite di Undertale insieme alla Chara/Frisk ( shipping mooolto innovativa la Frisk/Sans, nevvero? ). Voglio però precisare che in questa fanfiction non ci saranno vere e proprie coppie, ma solo relazioni di tenera amicizia, fatta esclusione per shipping canoniche come la Alphys/Undyne che, comunque, non avranno una particolare rilevanza a livello di trama. No romanticismo, quindi ( non è nemmeno tra i generi )! Ma questo non significa che saranno tutti amici amicissimi subito, eh! ^^
Oh, ehi, altro momento Angst per Chara, è ormai gara tra me e lei ( ma so già di avere la vittoria in tasca, perché le mie autoumiliazioni gratuite non avranno mai fine finché continuerò a mettere giochi di parole e freddure, nonostante sia consapevole delle mie inesistenti capacità nell’inventarli e/o inserirli al momento opportuno ).  
Ok, scleri messi da parte ( solo per ora probabilmente ), la prossima settimana per me sarà abbastanza impegnativa, quindi non ho idea se riuscirò ad aggiornare. Comunque vada, con il capitolo 6 inizierà il secondo arco narrativo e... vabbè, poi si vedrà. :)
Se lascerete un commentino anche piccolo, mi farete molto felice! :D
Baci e buona domenica a tutti!
 
Sameko

 
Ps: note d'autore troppo lunghe, chiedo perdono!
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6: Colazione da Grillby's ***



Capitolo 6: Colazione da Grillby’s
 





Solo quella mattina, quando aveva aperto gli occhi perché svegliata da quell’adorabile mattiniero di Papyrus, Frisk si era resa conto di essersi addormentata sul divano, stretta tra il bracciolo di quest’ultimo e un Sans completamente stravaccato contro ( e sopra ) di lei. I primi sintomi di una dormita in una scomoda posizione non avevano, sfortunatamente, tardato a farsi sentire una volta che si fu stiracchiata per bene. Come avesse fatto a dormire metà nottata in quel modo era rimasto un mistero per lei... ma almeno, appena alzata, aveva potuto assicurarsi di persona delle condizioni di salute dello scheletro, di nuovo pigro e sorridente come al solito.
Seduta a fissare la roccia di Sans che era stata ormai promossa a centrotavola, stava ora tentando di massaggiarsi il collo dolente, nel frattempo che Papyrus trafficava in cucina per preparare la colazione – nientedimeno che spaghetti ovviamente e, almeno per quanto la riguardava, non ne aveva fatto motivo di lamentele, vantando ormai una resistenza di ferro contro il loro sapore colloso.
Chara, seduta al suo fianco con le mani rigidamente in grembo e gli occhi fissi sul tavolo, le sembrava più silenziosa del solito. Era il tipo di persona che parlava solo se necessario, questa era anche vero, conversazioni normali tra loro due erano state infatti rare fino ad adesso – non che avessero passato tanto tempo assieme, ma non era un tratto caratteriale così difficile da desumere –, eppure quello strano mutismo la stava facendo impensierire. Credeva che, dopo la chiacchierata di ieri, le cose si fossero riaggiustate tra di loro, ma questa distanza… proprio adesso… Frisk non riusciva a spiegarsela. Quelle labbra piegate all’ingiù, quegli occhi pallidi e freddi… le stavano trasmettendo un senso di sconforto, di rassegnata malinconia, di arrendevolezza. Non le piacque per nulla l’espressione di Chara in quel momento.
« Chara… »
L’altra ragazzina voltò la testa in sua direzione, le ciocche castane della sua frangia ad oscurarle leggermente gli occhi.
« Sì? »
« C’è qualcosa che non va? »
La maggiore scosse lentamente il capo.
« No. Perché dovrebbe? »
Il tono era stato duro, significativamente più duro se paragonato al normale tono di voce della sua amica. Certamente qualcosa non andava.
« Possiamo parlarne, se vuoi. » Replicò lei, offrendole uno dei suoi migliori sorrisi comprensivi.
Vide Chara stringere leggermente i pugni sotto il tavolo mentre rispondeva a sua volta.
« Frisk, ti ho già detto che non… »
Ma la maggiore interruppe improvvisamente il suo ribadirsi.
Una mano si posò confortevolmente sulla sua spalla e Frisk si tese per la sorpresa del contatto, ma si rilassò quasi immediatamente riconoscendo il profilo delle falangi di Sans. In quel frangente, credette però di aver intravisto un luccichio rossastro fare capolino tra le ciocche della frangia di Chara, ma non si soffermò su quell’impressione per più dell’istante necessario a voltarsi verso il mostro; aveva notato già in precedenza come i capelli dell’altra ragazzina potessero assumere una sfumatura lievemente rossiccia a seconda del tipo di luce a cui venivano esposti, perciò si convinse che, sì, doveva essere stata solo una sua impressione.
« Ehi, piccola, vi va di passare da Grillby’s per fare colazione? »
Frisk sorrise immediatamente, pronta ad accettare entusiasta l’invito, ma i rumori provenienti dalla cucina le ricordarono che qualcuno stava già preparando loro la colazione con tanta dedizione e cura.
« Papyrus… non si offenderà? » Domandò, esitando.
Sans le rispose con una scrollata di spalle.
« Nah, ma se ti piace particolarmente la sua cucina, possiamo sempre mangiare d’asporto. »
L’occhiolino che le rivolse le trasmise un senso d’intesa che trovò da un lato imbarazzante, ma da un lato quasi rassicurante. Lui le stava offrendo una scappatoia oltre che una colazione più invitante, ma Frisk non se la sentiva di cogliere al volo la possibilità se, così facendo, avrebbe rischiato di ferire i sentimenti di Papyrus. Non metteva in dubbio che Sans, conoscendo l’altro scheletro meglio di lei, doveva sapere esattamente cosa lo avrebbe intristito o no, ma le sembrava comunque scortese uscire di casa con degli spaghetti che non avrebbero probabilmente mangiato.
Sans si stava già dirigendo in cucina quando Frisk era stata sul punto di chiedergli se potevano rimandare ad un altro giorno, ma la voce incolore di Chara la distrasse, impedendoglielo proprio a causa delle parole che le vennero rivolte.
« Frisk… Io non vengo. »
La minore aveva voltato la testa, guardando incredula l’altra ragazzina.
« Perché? » Le chiese, stupita.
Chara non sembrò intenzionata a darle una risposta, perché tempo pochi istanti e si era di nuovo rinchiusa nel mutismo inspiegabile di prima.
Frisk si alzò e si chinò su di lei, cercando di incontrare il suo sguardo puntato insistentemente altrove.
« È per Sans, vero? Chara, se solo ti sforzi di provare ad essergli amica, potreste andare d’accordo, davvero. »
« Non si tratta di questo. » Chiarì freddamente lei, guardandola in volto dopo quella che le parve un’eternità. Le emozioni sconsolanti che aveva dapprima osservato solo da lontano le si manifestarono, infine, proprio davanti agli occhi. Frisk sentì il gelo desolante delle iridi di Chara ghiacciarle l’anima: era la stessa espressione con cui aveva quasi visto l’altra ragazzina cadere a pezzi tra le sue braccia, una volta che era stata violentemente espulsa dal suo corpo e ridotta ad un guscio vuoto e strisciante.
Dalla cucina si era elevata per un attimo la voce squillante di Papyrus, intenta a borbottare chissà quali rimproveri al fratello, ma Frisk non vi aveva nemmeno prestato attenzione. Non poteva ignorare quell’espressione… non poteva.
« Chara, dimmelo, per favore. Cosa c’è che non va? »
Chara voltò la testa, nascondendole nuovamente quell’espressione sconfortante sotto la frangia castana.
« Nulla. »
Sans ritornò dalla cucina subito dopo e Frisk udì a malapena il suo annuncio riguardante la buona riuscita della loro ‘scappatella’, ma non era davvero il momento per una cosa del genere e desiderava dirlo a Sans prima che fosse troppo tardi… ma Chara la batté sul tempo.
« Andate solo voi due. »
L’immediato affilarsi del sorriso dello scheletro non la rassicurò minimamente e Frisk, d’istinto, si ritrovò costretta a distogliere lo sguardo dal suo volto, nonostante sapesse perfettamente che quel sorriso non era rivolto a lei.
« La mia offerta era diretta ad entrambe, Chara. » Specificò Sans, quasi pronunciando il nome della ragazzina a denti stretti.
Chara lo aveva immediatamente fissato con occhi di sufficienza mentre si accingeva a rispondergli.
« Ed io sono libera di rifiutare. Andate voi. »
Frisk passò lo sguardo dall’uno all’altra, sentendosi inevitabilmente schiacciata in mezzo ai due. La maniera più sbrigativa per risolvere quella situazione sarebbe stata non costringere Chara a venire se non era ciò che voleva, ma non era sicura di come avrebbe reagito Sans a tal proposito. In ogni caso, non poteva lasciare che si impuntassero ognuno sulle proprie decisioni. Uno dei due doveva cedere per forza terreno e, se nessuno si fosse fatto avanti di propria volontà, allora avrebbe scelto lei il fortunato.
« Come vuoi, Chara. Non è un problema, resta pure a riposare come mi hai detto. » Disse, sorridendo nel modo più convincente possibile alla sua amica, mentre prendeva sottobraccio Sans e lo trascinava verso la porta di casa. Utilizzò ogni più piccolo briciolo di autocontrollo per compiere quel gesto con quanta più naturalezza le fu possibile, ma si sentì comunque morire dentro dalla vergogna per non aver escogitato un metodo migliore per separarli. Doveva, evidentemente, affinare la tecnica in questo campo.
Sans, fortunatamente, non le oppose resistenza e Frisk era già stata pronta a tirare un sospiro di sollievo una volta sentito il metallo della maniglia sotto le dita.
« Se fai del male a Frisk, ricorda che tuo fratello è nella stanza qua a fianco, nano da giardino. »
A quel punto, la ragazzina non ebbe successo nel far smuovere il mostro di un millimetro in più.
“ Uh oh. ”
« Ti conviene non fare niente di sconveniente a priori mentre siamo via, mezza cartuccia. »
L’avvertimento secco dello scheletro aveva pericolosamente sfiorato il confine tra il suo normale tono di voce e quello che prometteva, invece, solo cattiva sorte ed esperienze poco piacevoli. Frisk aveva avvertito fin troppo distintamente come quel confine fosse diventato sottile nel giro di pochi secondi – e non ci teneva davvero a farlo assottigliare ulteriormente. Peggio ancora, dalla sua posizione poteva vedere solo l’espressione indispettita di Chara, non quella di Sans. Ma, se lo stringersi delle sue dita scheletriche in un pugno poteva essere considerato un forte segnale di allerta, allora Frisk non voleva assolutamente ignorarlo.
In silenzio, provò nuovamente a portare Sans fuori di casa, seppur con meno trasporto di prima. E, questa volta, lo scheletro la lasciò fare.
 

Grillby’s, con la sua atmosfera di calore e quiete, era stato in grado di scacciare via rapidamente il freddo che le aveva fatto venire la pelle d’oca durante il breve tragitto per arrivare al locale. Nella fretta di separare quei due, aveva scordato di prendere la sua sciarpa e si era, di conseguenza, già rassegnata al fatto che il suo mal di collo sarebbe peggiorato nel giro di poche ore.
Si tolse la neve dai vestiti mentre seguiva Sans verso i due consueti sgabelli vicino al bancone, lo scheletro suo amico come sempre salutato da ogni genere di cliente che frequentava la taverna a quell’ora del giorno.
Si sedettero e ordinarono una porzione di patatine ciascuno. Grillby, occupato in quel momento nella pulizia dei vari bicchieri da drink, prese però immediatamente le loro ordinazioni e si diresse verso la porta sul retro.
Frisk si appoggiò con i gomiti sul bancone, nascondendosi il viso tra le maniche del maglione per riscaldarsi le guance ancora gelide. Gettò, quindi, una rapida occhiata a Sans, trovandolo intento a… uh… pettinarsi i suoi metaforici capelli. Niente nel suo atteggiamento, comunque, suggeriva la pericolosa avversione che aveva visto nei minuti precedenti il loro arrivo al locale e da cui era rimasta profondamente intimorita. Nelle linee temporali passate non si era mai sentita in pericolo vicino allo scheletro, Sans non le aveva mai dato motivo di temere per la sua incolumità… eppure, ora, stava cominciando a dubitare della buona condotta di quello che prima aveva sempre considerato un amico. C’era come qualcosa di nascosto in lui, oscuro, che solo raramente si affacciava all’esterno, per una giusta motivazione o meno, e Frisk non aveva tutt’ora compreso cosa fosse.
La verità era che non conosceva Sans come voleva far credere a Chara e tutti questi cambiamenti nel modo di rapportarsi dello scheletro erano solo una prova di ciò. Ma, a conti fatti, quanti dei suoi amici aveva creduto di conoscere davvero? Presto o tardi, era giunta a scoprire gli aspetti più profondi e segreti di quasi tutti loro, intenzionalmente o meno: Alphys nascondeva il risultato disastroso dei suoi esperimenti sotto il pavimento della sua stessa casa e proprio in quel laboratorio sotterraneo era riuscita a comprendere il motivo che aveva portato Flowey – Asriel –  a giocare crudelmente con i sentimenti e le vite di tutti gli abitanti dell’Underground; il re Asgore si era reso responsabile della morte di chissà di quanti dei sei umani caduti prima di lei, ma era stato purtroppo costretto dalle circostanza ad agire così, a portarsi una simile colpa sulle spalle per poter liberare il suo popolo; Undyne le aveva fatto capire quanto potesse essere temibile se messa alle strette e quanto fosse stata fortunata, fino ad allora, a non aver innescato quella trasformazione tremenda durante i loro combattimenti… e Sans… Sans le aveva carbonizzato e trapassato il corpo con quelle ossa e quei cannoni per così tante volte che, se si soffermava troppo sul pensiero, il ricordo bastava a riportarle alla memoria il dolore e l’agonia, sempre presenti poco prima che la vita la abbandonasse per far misericordiosamente cessare tutta quella sofferenza fisica, anche se solo in via temporanea. Tra tutti coloro che era stata costretta ad affrontare, Sans la aveva messa in seria difficoltà come non era neanche una volta successo in nessun combattimento, nemmeno Undyne con la sua trasformazione la aveva costretta con le spalle al muro così. Ogni suo punto debole, che Chara le aveva suggerito di sfruttare per trarre un vantaggio anche minimo, sarebbe stato comunque fin troppo protetto perché lei ( se avesse davvero voluto sferrare l’unico colpo necessario a sconfiggerlo ) potesse farne uso. Già ad un’occhiata superficiale in quelle memorie, il presentimento che Sans sapesse esattamente cosa fare per destreggiarsi a dovere in uno scontro di quel tipo si rafforzò inevitabilmente in lei. Prima di allora, prima di quel combattimento infernale, solo una volta si era sentita inquietata dalla presenza di Sans, ma non aveva mai avuto modo di riflettere a dovere sulla cosa come forse, invece, avrebbe dovuto fare.
« Saresti morta dove sei. »
Quella che Sans nelle altre linee temporali aveva tentato di far passare come una battuta assunse improvvisamente i toni di una minaccia ai suoi occhi.
“ E se… e se Chara avesse ragione? ” Osò pensare, con un briciolo di sospetto. E se la promessa che Toriel gli aveva chiesto di mantenere la stesse seriamente proteggendo da un pericolo enorme? Non Undyne, non Mettaton, non Asgore e nemmeno Flowey, ma… Sans? Chara era per caso giunta a quelle stesse intuizioni prima di lei? Per questo gli era tanto ostile?
Abbassò lo sguardo quando lo scheletro si girò in sua direzione una volta che Grillby ebbe servito le loro ordinazioni. Probabilmente, Sans era consapevole di aver avuto i suoi occhi su di sé per tutto il tempo, ma aveva scelto di non dire nulla a riguardo.
Si stava probabilmente preoccupando troppo, doveva smetterla di guardarsi alle spalle come se qualcuno la stesse pedinando per pugnalarla a tradimento. Aveva resettato con l’intenzione di trovare una volta e per sempre un modo per infrangere la barriera, per far ammenda alle azioni orribili che era stata obbligata a compiere. Se i suoi amici avevano dovuto sfruttare ogni loro risorsa per ostacolarla la colpa era solo sua… altrimenti, se quella linea temporale non fosse mai esistita, non avrebbe scoperto nessuno di quei segreti che avrebbero dovuto restare celati, né avrebbe avuto alcun sospetto su uno dei suoi amici più cari.
« Vuoi un po’ di ketchup, piccola? » Le domandò Sans, poggiandole di fianco una bottiglia con un sorriso affabile.
« Volentieri, g-grazie. » Gli rispose Frisk, cercando nel frattempo di cancellare dalla sua mente quei brutti pensieri. Svitò il tappo della bottiglia e versò un po’ della salsina sulla sua porzione, prima di richiuderlo e lasciare il resto per lo scheletro da bere, evitando così che il ketchup le annacquasse le patatine. Aveva rovinato lo scherzetto di Sans, certo, ma almeno aveva trovato la giusta misura per entrambi – quella mattina aveva voglia di ketchup, ma non avrebbe lasciato che andasse sprecato in quel modo.
Sans la stava ora guardando con la testa leggermente inclinata, come intrigato dal suo gesto.
« Lo sapevi? »
« Ho visto che il tappo era svitato. » Mentì lei, mettendo su un sorriso imbarazzato. Non era la prima volta che Sans le faceva notare quanto il suo accorgimento avesse un che di curioso, soprattutto se si supponeva che quella fosse la sua prima volta da Grillby’s con lui. Ma, più che mostrarsi incuriosito, fino ad adesso Sans non si era mai spinto oltre.
« Quante volte ti ho portato qui a mangiare? »
Fino ad adesso.
Frisk batté le palpebre stupefatta e non fu in grado di nascondere la sua reazione in tempo. Il lampo di comprensione che scorse brevemente negli occhi del mostro parlò da sé: lui sapeva.
« Sei tu a possedere il potere di resettare questo mondo, o Chara? » Le domandò Sans, con una calma quasi sconvolgente per qualcuno che l’aveva appena colta con le mani nel sacco.
Frisk sospirò. Fingere non sarebbe stato corretto, a questo punto.
« No… io ho questo potere. »
Sans chiuse gli occhi e si fece silenzioso, come se stesse assimilando l’informazione che gli aveva appena fornito.
Prendendo coraggio, Frisk parlò a sua volta, non vedendolo intenzionato ad aggiungere altro.
« Volevi portarci qui per interrogarci? »
Lo scheletro aprì un occhio, il suo sorriso si rabbonì visibilmente.
« Non solo. Immaginavo che cena e colazione di seguito preparate da mio fratello fossero un po’… troppo, per voi. La tua amica non avrà la tua stessa fortuna, purtroppo. » Ridacchiò lui. « Mangia pure, prima che si raffreddi. »
Frisk non se lo fece ripetere una seconda volta e colse al volo l’opportunità di poter dar fondo alla sua vaschetta di patatine.
Fu quando notò lo sguardo scomodo di Sans che smise di masticare.
« Non avevo idea che stessi morendo di fame, piccola. » Scherzò quest'ultimo e Frisk abbassò la testa nel colletto del suo maglioncino per il crescente imbarazzo. Non si era accorta di essersi ingozzata proprio davanti a Sans.
« Scusami, non l’ho… fatto apposta. » Mormorò, le guance le bruciavano dalla vergogna. Appunto mentale: mai più mangiare in pubblico qualcosa di diverso dagli spaghetti di Papyrus.
« Eh eh eh… dai, non è successo niente, non nasconderti. » La rincuorò Sans, prendendo a sua volta la bottiglia di ketchup e trangugiandolo come se fosse acqua, qualche rivolo della salsa gli colò oscenamente oltre il mento. « Visto? Sei più elegante di questo pigro sacco d’ossa. »
Frisk si lasciò sfuggire un risolino mentre lo scheletro afferrava il panno dimenticato da Grillby sul bancone per ripulirsi. Aveva apprezzato il suo tentativo di rimetterla a suo agio e quasi si rammaricò di aver pensato quelle brutte cose di lui. Le stava sorridendo, la stava facendo ridere, ma perché tutto questo non era sufficiente a tranquillizzarla?
Sans attese che il suo imbarazzo sparisse prima di riprendere il discorso dove l’avevano interrotto.
« La tua amica non è umana, vero? »
Frisk sospirò leggermente. Non che avesse così tanto sperato in un cambio ad un argomento più piacevole, ma non se ne sarebbe certo lamentata se ciò fosse accaduto.  
« Lo è solo in parte… » Rispose, ma esitò, insicura se proseguire o meno. Come faceva a spiegare a Sans cosa aveva fatto senza farsi fraintendere?
« È un ibrido, eh? Ho sentito più di una volta la mia magia provenire dalla sua anima. » Concluse, per lei, lo scheletro. « Come è stato possibile? »
« Tu ed io abbiamo instaurato una Sintonia tra le nostre anime… recentemente… e ho ricreato così il suo corpo per consentirle di tornare a vivere… »
« È in grado di usare la mia magia, quindi? » Le chiese subito lui, con un’espressione ancora più severa.
« Non credo… » Replicò Frisk. Tuttavia, la sua era stata solo una risposta vaga. Occhi a parte, non aveva visto altri cambiamenti nell’aspetto fisico o nelle abilità della sua amica, ma era ancora troppo presto per affermarlo in via definitiva. Vedendo Sans farsi pensieroso, si affrettò ad aggiungere. « Chara non è cattiva. Può sembrare il contrario, ma non è così. Ieri, nella foresta, voleva solo proteggermi. »
Lo scheletro la fissò con la coda dell’occhio e Frisk comprese, dall’intensità del suo sguardo, che la stava studiando attentamente. Ma… aveva fatto sentire Sans così esposto quando lo aveva a sua volta osservato poco prima?
« Era stato assolutamente necessario instaurare quella Sintonia? »
Rimase molto perplessa dalla domanda, ma non per questo esitò a rispondergli.
« Sì… perché? » Chiese.
Il mostro sospirò pazientemente, voltandosi.
« Non sai molto a riguardo, vero? »
« No, in effetti… » Sussurrò, sincera, Frisk.
Sans si chinò per parlarle più da vicino.
« Quando due mostri instaurano una Sintonia, vengono uniti da un legame quasi indissolubile, ricordi e sentimenti vengono condivisi, le loro anime in un certo senso si specchiano l’una nell’altra. » Spiegò, a bassa voce. « Tuttavia, questa pratica è stata bandita dai reali molto tempo fa, quando la guerra tra le nostre due razze si è conclusa con la nostra sconfitta, come ben sai. »
Frisk aveva aggrottato leggermente le sopracciglia apprendendo ciò.
« Perché? »
La voce di Sans si ridusse ad un bisbiglio.
« Se il mostro in cui hai riposto la tua fiducia è mosso da cattive intenzioni… da amico, alleato, compagno, può diventare il tuo peggior carnefice. Potrebbe avere pieno controllo su ogni aspetto della tua esistenza, se tu non avessi remore nel mostrargli persino le parti più profonde del tuo essere. »
Lei boccheggiò silenziosamente, guardando con occhi larghi l’espressione grave sul volto del mostro.
« Capisci, ora, perché è un rischio considerevole instaurare una Sintonia tra due anime? »
Frisk annuì meccanicamente, intimorita dalla piega poco confortante che aveva preso quella conversazione. Aveva davvero rischiato così tanto chiedendo aiuto al Sans della linea temporale precedente? E perché, allora, quel Sans aveva accettato di instaurare il legame, pur conoscendo i rischi a cui andava incontro?
Lo scheletro si allontanò, il suo atteggiamento di nuovo posato e affabile, in contrasto con l’angoscia che aveva lasciato nell’animo della ragazzina.
« Ma ho fiducia nel mio buonsenso e nel fatto che non userai questa opportunità contro di me, piccola. »
Frisk rialzò la testa, sgranando ulteriormente gli occhi.
« Vuoi dire che la Sintonia… »
« Molto probabilmente sì. Per quanto ne so, è sufficiente che uno dei due ne abbia ricordo per mantenerla intatta. » Le rispose lo scheletro. Un angolo del suo sorriso si inclinò verso l’alto dopo qualche secondo. « Suppongo lo sapremo con certezza a tempo debito, se qualcosa prima o poi farà risvegliare il legame. »
La ragazzina abbassò lo sguardo. Non era il genere di risposta rassicurante che avrebbe voluto ricevere.
« Non c’è un metodo più efficace per… verificare? » Mormorò, cercando di apparire il meno turbata possibile. Non voleva dubitare di Sans, ma dopo le sue riflessioni di qualche minuto prima… aveva capito quanto poco lo conoscesse e quanto, invece, le veniva tenuto ancora nascosto. La Sintonia tra le loro anime era stata l’unica via di uscita sicura dal folle genocidio che, se non arrestato, avrebbe portato alla distruzione dell’intero Underground, e Frisk non si pentiva di aver usato quella risorsa quando era stato necessario. Ma, ora, le circostanza erano cambiate e molte cose che dava per scontate, beh, in realtà non lo erano mai state. Sans le aveva esplicitamente detto che si fidava di lei, ma lei… lei non poteva più dire lo stesso, non dopo quello che aveva visto. Sperava solamente di poter tenere nascosti a Sans questi suoi dubbi almeno per il momento, almeno finché non ne fosse venuta a capo da sola.
« Non qui. » Le rispose sottovoce lo scheletro, facendole intendere che avevano bisogno di uno spazio più appartato. E Grillby’s non era certamente il luogo adatto, con tutto quel via vai di mostri e Grillby stesso sempre presente dietro il bancone.
Un lieve rumoreggiare proveniente dal fondo del locale arrivò fino a loro e il nome di Undyne, in mezzo a quel fiume indistinguibile di parole, fu capace di catturare l’attenzione della ragazzina.
Quello che somigliava al grido di battaglia lanciato da un’amazzone a cavallo filtrò ovattato attraverso le pareti della taverna un istante più tardi.
Mossa dagli scenari più disastrosi che le vennero in mente nel giro di mezzo secondo, Frisk si catapultò giù dallo sgabello con un balzo e corse a rapide falcate verso l’uscita, senza aspettare Sans.
“ Ci mancava solo Undyne a Snowdin! ” Pensò esasperata e pregava fosse ancora in tempo per fermare qualsiasi scontro epocale fosse attualmente in atto nella casa dei due scheletri. Perché, se Undyne si trovava a Snowdin e non a Waterfall, voleva solamente dire che qualcosa la aveva attirata lì – e non erano certamente stati la buona compagnia o i cumuli di neve per strada.




Sameko's side 
Buonasera a voi! Già, strano da parte mia aggiornare di mercoledì, invece che nel weekend, ma non mi andava di far attendere due settimane per un capitolo, così aggiornamento sia ( e il titolo sembra un riferimento non intenzionale a Colazione da Tiffany ). ^^"
Non so, questo sesto capitolo è un tale mischione di riflessioni importanti ai fini della trama, nuove informazioni e buffonate che persino io mi stupisco di come un solo capitolo possa contenere tutte e tre le cose ( incrocio le dita che il ritmo di lettura non ne abbia risentito ). 
Mattina non iniziata nel migliore dei modi per Frisk e, se ci si aggiunge anche il buon sangue che scorre sin dall'alba del fandom tra Chara e Sans, beh, la ricetta per il disastro è completa. Confesso, stavo sghignazzando male in quella parte, perché quei due criticavano l'una l'altezza dell'altro ma, stando alle dimensioni dei loro sprite, Chara e Sans sono alti uguali ( ma sono troppo orgogliosi per accettare la cosa ). E Frisk, poverina in mezzo a loro, è leggermente più bassa di entrambi. ^^"
Se la mattinata non era iniziata piacevolmente, la colazione non è andata tanto meglio... ho inquietato qualcuno di voi come la nostra Frisk? Spero di no! ^0^
Nel prossimo capitolo, l'arrivo imminente di Undyne! Seguite quindi Frisk nella sua nuova avventura tra compagne di squadra indisponenti, scheletri comicamente inquietanti, altri scheletri dalle doti culinarie pericolosamente letali e pesci assassini! Se la strada di quest'anima sfortunata è sempre lastricata di buona sorte è solo merito mio, ovviamente. ;) 
Il prossimo capitolo verrà pubblicato non questo ma il prossimo weekend, se tutto va bene. :)
Baci baci! 

Sameko



 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7: L'attacco di Undyne! - Parte Uno ***



Capitolo 7: L’attacco di Undyne! - Parte Uno
 





 
Quella mattina, aperti gli occhi in quella camera così silenziosa e in quel letto troppo grande per lei sola, aveva fatto un proposito, una promessa silenziosa a Frisk che non avrebbe più interferito con le sue amicizie, per nessuna ragione, egoistica o meno che fosse… e lo aveva fatto anche se sapeva fin troppo bene che il prezzo da pagare, per lei, sarebbe stato stringere i denti e guardare dall’altra parte molte, troppe volte, oltre che la ormai deprimente e familiare solitudine che le teneva compagnia da tutta una vita. Poteva illudersi di aver avuto periodi in cui la sensazione di sentirsi soli al mondo le aveva dato una breve tregua, consentendole di concentrarsi su altro che non fosse il monotono vuoto della sua stessa mente… ma, appunto, era stato solamente il triste illudersi di un istante fin troppo bello per durare a lungo. Perché, consumata la passeggera felicità, la solitudine tornava, lo faceva sempre, per restare chissà quanto tempo ancora prima di svanire di nuovo… e poi tornare… e svanire ancora... in un ciclo che sembrava destinato a non giungere mai ad una fine. O, forse, quel tornare e svanire era illusorio tanto quanto le sue altre illusioni, che continuavano a nutrire una speranza inutile e dura a morire come dice il detto. Chi poteva dirlo, in fondo?
Si infilò in bocca una patatina e la masticò con stizza, per scacciare via l’improvviso nervosismo che la aveva ora colta. Aveva trovato per puro miracolo quel pacchetto di patatine solitario frugando nel frigorifero alla ricerca di qualcosa di commestibile da mangiare. Le era parso vuoto ad una prima occhiata, ma appena lo aveva preso in mano e il frusciare delle poche patatine rimaste all’interno si era fatto sentire, l’appetito che credeva di aver definitivamente perso si era risvegliato contro ogni sua previsione. Dopo la cena della sera precedente, aveva temuto di dover passare la notte in bagno a vomitare quegli spaghetti, per fortuna il suo stomaco aveva retto, ma lo stesso non aveva potuto dire delle sue papille gustative martoriate. Riassaggiare del vero cibo fu come un’autentica benedizione – e mangiare sapendo che qualcuno non sarebbe stato molto contento di essersi fatto soffiare il cibo da sotto il suo inesistente naso, beh, lo era ancora di più. Lo scheletro ossessionato dagli spaghetti e dai pasti ‘salutari’, se davvero non era tipo da contraddirsi in modo tanto eclatante, non avrebbe mai mangiato qualcosa di così unto e pieno di grasso. Per esclusione, quindi, il sacchetto di patatine doveva appartenere al commediante e Chara sorrideva già divertita al pensiero di poterlo seriamente indispettire con quel gesto.
In ogni caso, aveva preso di sua iniziativa questa decisione sofferta, giurando per il bene di Frisk che non sarebbe più tornata indietro una volta fatto ciò. Ma perché, allora, si sentiva così gelosa? Gelosa che Frisk passasse il suo tempo con altri all’infuori di lei, gelosa delle volte in cui regalava sorrisi a chi non ne era meritevole, gelosa che lei non fosse il centro intorno a cui ruotava il mondo di quella ragazzina. Voleva lasciare andare Frisk, lo voleva davvero, ma questo sentimento di attaccamento glielo stava ostinatamente impedendo – e diavolo se avrebbe voluto sapere come liberarsene.
« …aaaaaaaaaa… »
Aggrottò le sopracciglia udendo quel suono e passò istintivamente in rassegna tutta la stanza con lo sguardo per tentare di individuarne la fonte. Se lo era immaginato? No, non poteva esserselo immaginato, era stato proprio un urlo.
Abbandonò il pacchetto di patatine ormai vuoto sul divano e si alzò per accostare l’orecchio alla porta d’ingresso. Era sicura fosse provenuto dall’esterno, così come era altrettanto sicura che non era stato lo scheletro rimasto in casa ad emettere un simile suono, o ne avrebbe certamente riconosciuto la voce.
« Sembra stia arrivando Undyne. Strano, non ci eravamo accordati per vederci a casa sua? » Udì proprio il suddetto scheletro riflettere ad alta voce, fino ad allora rimasto impegnato a polverizzare gli ingredienti per chissà quanti altri piatti di spaghetti.
« Che? » Fece appena in tempo ad esclamare lei, prima che l’urlo raggiungesse i picchi massimi di altezza vocale e un assordante risuonare metallico si aggiungesse improvvisamente ad accompagnarlo.
« …aaaAAAAAAAAAAAH! » 
“ Oh, porca-! ”
Fu solo per prontezza di riflessi che riuscì a scostarsi giusto un istante prima che la porta venisse letteralmente staccata dai cardini da un qualcosa che, a occhio e croce, doveva possedere la forza di un toro da corrida, o di un bue, o di un assurdo connubio di entrambi.
Una figura femminile in armatura si erse sopra il cadavere della porta d’ingresso, i capelli rossi mossi dal vento gelido di Snowdin e imperlati da bianchi cristalli di neve, un’enorme lancia magica brandita fieramente nella mano destra per completare il quadro.
« Papyrus! Dove sono gli umani?! » Urlò con non meno impetuosità di prima proprio quest’ultima, scansionando l’ambiente circostante con l’aria guardinga di un’aquila.
« Gli umani? » Domandò lo scheletro, affacciandosi dalla cucina, un’arcata sopraccigliare leggermente inarcata e Chara strabuzzò gli occhi vedendolo ricoperto dalla testa ai piedi di bucce e succo di pomodoro.
« So che tu e tuo fratello li state nascondendo qui! » Disse la guerriera, alzando stoicamente un pugno. « Alphys mi ha raccontato tutto, Papyrus! Qualunque cosa ti abbiano detto per ingannarti, non temere, gliela farò pagare cara per aver osato arrivare a tanto! »
Il fratello del burlone apparve smarrito in quel momento di fronte alle intenzioni della donna-pesce, sua probabile amica a giudicare dal tono confidenziale con cui si stavano rivolgendo l’un l’altra.
« Ma, Undyne! Loro sono nostre amiche! »
« Devono averti fatto il lavaggio del cervello come sospettavo. » Rifletté, ad alta voce, la tizia in armatura. « Troverò un modo per farti vedere la verità, ma prima… ho una faccenda da sistemare con quei vigliacchi! »
Chara, ancora spiaccicata contro la parete a fianco dello stipite, inarcò perplessa le sopracciglia di fronte alle assurdità che stava avendo la sfortuna di sentire, il suo cervello ormai davanti ad un punto morto nel cercare di comprendere cosa rendesse tutti gli abitanti della zona così fuori di testa. Prima quell’entrata da wrestler messicano, ora queste blatere insensate e ancora quella tipa non si era neppure resa conto di avere alle spalle proprio uno degli umani che stava cercando – e pensare che, osservando il combattimento che quella donna-pesce aveva disputato contro Frisk, aveva giurato si trattasse di una valente guerriera!
« Dov’è finito quel bradipo perdigiorno di tuo fratello? » Riprese nuovamente a domandare Undyne, con un’indignazione evidente nel tono di voce.
« Heeeya, Undyne. Come butta? » Salutò Sans, comparso sulla soglia di casa con Frisk al suo fianco, come se il solo sentirsi chiamato in causa lo avesse ‘magicamente’ teletrasportato sul posto.
Undyne si voltò e si accorse finalmente della presenza non solo di Chara, ma anche di Frisk. Strinse la lancia con un ringhio irritato, il solo movimento fece sprizzare scintille magiche nell’aria.
« Parli del diavolo! » Esclamò in direzione dello scheletro, il labbro superiore stizzosamente arricciato.
« Ed eccomi qui, al tuo servizio. » Replicò Sans, nascondendo un sogghigno ilare. « Anche se, a dire il vero, non è stato poi così difficile trovarti. Avrai svegliato tutto il vicinato come minimo. »
Undyne lo fissò con l’occhio buono socchiuso dal nervoso.
« Ti credi così spiritoso, Sans? Potrei farti arrestare seduta stante per averti sorpreso a far comunella con i nostri nemici naturali! » Lo avvertì, puntandogli contro la lancia. 
Sans, in tutta risposta, ne scostò la punta dal suo volto con l’indice, il suo sorriso che non aveva ancora perso la vena ironica di prima.
« Do per scontato che riaggiusterai la porta più tardi. » Disse, con nonchalance.
Undyne batté la palpebra dell’occhio buono, prima di aggiustare rudemente l’assetto della lancia e ripuntargliela contro.
« È tutto un gioco per te, vero? » Sibilò, scoprendo le file di denti acuminati. « Non ero venuta qui credendo di trovare dei complici, ma evidentemente mi sbagliavo! Spostati all’istante, Sans, o…! »
« Permesso, permesso! Voglio vedere anch’io Undyne fare a botte con i cattivi! »
Una vocina strepitò con insistenza alle spalle di Frisk e Sans, e la giovane seppe immediatamente che apparteneva a quel cucciolo sbadato che le aveva sempre tenuto compagnia percorrendo Waterfall.
« Permesso! » Strillò ancora una volta, prima di passare in mezzo alle gambe della ragazzina e inciampare come di consueto nelle sue stesse zampe.
Frisk si piegò immediatamente su di lui, preoccupata che avesse preso una brutta botta contro il pavimento – anche se sospettava che quel cucciolo doveva avere sbattuto la testa contro superfici di gran lunga peggiori di quella moquette, a giudicare dai lividi in prossimità dei suoi occhi vispi.
« Stai bene? » Gli chiese comunque premurosamente, aiutandolo nel frattempo ad alzarsi.
« Allontanati dal bambino. » Udì Undyne ordinarle ringhiando.
« Undyne… » Bisbigliò Papyrus, ma rimase completamente inascoltato dal Capitano della Guardia Reale.
Chara allargò gli occhi vedendo la donna-pesce avvicinarsi ancora a Frisk, con quell’espressione sfigurata dalla rabbia che avrebbe potuto impietrire un intero esercito. Avrebbe voluto pararsi davanti alla ragazzina più piccola per impedire a quella pazza di muovere un altro passo, ma era consapevole che quella lancia avrebbe potuto facilmente impalarla se avesse fatto movimenti troppo azzardati. E, dannazione, lei non aveva armi con sé per contrastarla!
« Allontanati! » Ripeté adirata Undyne, dall’alto della sua considerevole altezza.
Frisk la fissò tremando, incapace di muoversi o di difendersi a parole dall’assalto verbale della guerriera. E un’immagine diversa si sovrappose, in quel momento, nella sua mente annebbiata: quella di una Undyne più massiccia e più intimidatoria, custode di un potere talmente enorme da ferirle i polmoni semplicemente respirando l’aria carica di elettricità. Occhi vuoti di ogni pietà, una cuspide argentata che veniva sprigionata come un fulmine dall’orbita sinistra, l’armatura inscalfibile confronto al suo corpicino privo di qualsivoglia protezione, a parte quella del coltello di plastica che stringeva con mani deboli e tremolanti.
« N-no… » Balbettò Frisk, gli occhi spalancati a fissare lo sguardo acceso di fiero potere di Undyne, in piedi come una montagna incontrollabile dall’altro lato del ponte, l’aura di bianca e argentea magia che emanava era così spessa e indomabile che la ragazzina sentì persino la sua stessa anima tremarle miseramente nel petto.
E, come se a parlare non fosse solo Undyne ma milioni di voci unite da un obiettivo comune, la spavalda dichiarazione della guerriera si elevò in tutta quell’area di Waterfall e oltre, il grido della forza vitale che impregnava il mondo manifestata, in quel momento, nella sua vigorosa figura.
« Dovrai provare a sforzarti un po’ più di così! »
« No, per favore…! » Frisk si premette le mani contro il viso nel tentativo di cancellare dai suoi occhi quell’immagine, ma fu tutto inutile, perché Undyne era ancora lì al di sotto delle sue palpebre, pronta a scagliarsi contro di lei ancora e ancora, con l’inclemenza di chi aveva visto i propri amici sparire uno dopo l’altro per colpa di una sola, spregevole persona. Le ginocchia cedettero sotto il peso del suo corpo scosso da incontrollabili tremori, le faceva male la gola, il petto, non riusciva a respirare, non riusciva a muoversi, oh mio dio stava per morire stava per morire di nuovo basta dolorebastadoloreBASTA! « T-ti scongiuro, N-NO! »
Chara, in quel frangente, si sentì travolgere dalla furia forse più cieca che aveva mai provato in vita sua. Si interpose fra Frisk e Undyne con uno scatto, afferrando la lancia magica della guerriera con entrambe le mani per allontanarla da Frisk, spezzarla in mille infinitesimali pezzi e destinare la stessa fine persino alla sua proprietaria, se fosse stato necessario! La magia azzurrina perse istantaneamente consistenza sotto la pressione delle sue dita e l’arma si ruppe in una miriade di frammenti simili a schegge di vetro.
Undyne guardò esterrefatta i rimasugli della lancia dissolversi in polvere argentea, per poi tornare a concentrare la sua attenzione sulla mocciosa che le si era parata davanti, ora un concentrato di pura collera e ardente, indomito spirito combattivo.
« Un altro passo e sarai tu a finire in b r i c i o l e. »
E, nel momento stesso in cui quella minaccia ringhiata aveva lasciato la bocca dell’umana, Undyne fu certa di aver visto un bagliore d’oro e vermiglio luccicare nell’occhio destro di quest’ultima. Magia, le aveva suggerito la sua mente, ma tutto ciò cozzava incredibilmente con le informazioni che Alphys le aveva fornito fino ad allora. Gli umani non ospitavano magia nelle loro anime e tantomeno avrebbero dovuto essere in grado distruggere manifestazioni magiche come le sue lance, con un tocco delle dita per giunta!
« C-cosa…?! » Esclamò quindi, a metà tra l’incredulo e l’oltraggiato.
« Torna in un altro momento, se vuoi davvero affrontarci. » La interruppe Chara, la voce sul punto di diventare un basso e incontenuto rimbombare. Con la coda dell’occhio, vide lo scheletro sussurrare qualcosa a Frisk mentre la prendeva con sé, facendola alzare dal pavimento su cui era finita a singhiozzare. Finalmente il sacco d’ossa si stava rendendo utile, invece di essere un nullafacente buono soltanto a provocazioni e insulse battute. Non era infatti verso di lui che la sua attuale frustrazione era diretta, ma verso il moccioso imbranato che aveva deciso di piombare lì con il suo stupido fanatismo. Maledizione a lui.
Vide la donna-pesce stringere in risposta il pugno in cui prima aveva tenuto stretta la sua lancia, il guanto metallico da cui era coperto produsse dei lievi ma distinti stridii.
« Non osare darmi ordini, teppista! Attenderò mezz’ora e non un minuto di più all’ingresso di Waterfall! » Sbraitò, a pochi centimetri dal volto di Chara, la quale si costrinse a non battere ciglio di fronte all’impetuosità della guerriera. « Rifiutate di presentarvi e vi farò fare il giro dell’Underground a calci nel cu-! Sedere! »
Soffocata per un pelo l’imprecazione che stava per urlare di fronte ad un bambino, Undyne si voltò parzialmente verso Papyrus, abbassando il tono di voce a livelli più accettabili.
« Papyrus, cerca di far disperdere la folla qui fuori mentre accompagno questo combina-guai a casa. » Disse, prendendo in braccio un di nuovo squittente Monster Kid. « Dì loro che è stata solo un’esercitazione. »
« Certo! Lo f-farò in men che non si dica! » Rispose immediatamente lo scheletro mentre Undyne, istruzioni date, passava oltre Chara, ancora in piedi come uno scudo davanti a Frisk e Sans.
Un angolo della bocca della guerriera si increspò osservando quell’improbabile trio, ma non si trattenne a fissarli per più della durata di un mero secondo.
Solo i singhiozzi di Frisk e il Plic! Plic! della salsa di pomodoro che cadeva a terra furono gli unici rumori rimasti a spezzare il disagioso silenzio sceso in casa, mentre in lontananza un Non lo dirai ai miei genitori, vero? riuscì a distinguersi tra i mormorii esagitati degli abitanti di Snowdin.
Chara fece cadere le braccia contro i fianchi con uno sbuffo, il rogo dentro di lei ormai spento le lasciò una sensazione di irrigidimento lungo tutto il corpo, le braccia soprattutto. Non aveva ben compreso cosa fosse successo, ma al momento non era di suo interesse capirlo. Frisk aveva bisogno di essere calmata e non si fidava abbastanza – anzi, per niente – di quello scheletro per lasciargli un compito di così elevata importanza. Poteva anche aver scelto di non immischiarsi negli affari privati di Frisk ma, se la sua unica amica stava soffrendo, era suo dovere confortarla come poteva.
« Lasciala. » Ordinò quindi al mostro, voltandosi in sua direzione con i pugni premuti ai lati del corpo.
Sans assottigliò gli occhi, le estremità del suo sorriso si affilarono.
« Sei sicura di sapere come comportati con una persona in preda ad un attacco di panico, Chara? »
Le labbra di Chara si ridussero ad una linea sottile e si ritrovò purtroppo incapace di rispondere, perché il commediante aveva ragione e lei non poté far altro che riconoscere silenziosamente questo suo limite.
« Lo prenderò come un no. » Disse poi lui, alzando appena le spalle per non far involontariamente spaventare Frisk.
Papyrus si avvicinò a sua volta, con un’espressione mortificata in volto.
« Sans, se hai bisogno di una mano, il Grande Papyrus può dartene anche due, come ben sai. »
« Nah, fra’, fa quello che ti ha detto Undyne. Della piccola ci occuperemo noi due. » Lo tranquillizzò il maggiore, con una breve strizzata d’occhio.
Papyrus annuì, gonfiando il petto colante di salsa e pezzi di pomodoro.
« Hai ragione, fratello! Il Grande Papyrus deve pensare ad adempiere ai suoi nuovi incarichi come aspirante membro della Guardia Reale, ma si avvia tranquillo all’esterno perché sa che ci sono dei buoni amici a prendersi cura dell’umana! » Annunciò, marciando verso l’uscio con passo marziale. « Ci vediamo tra poco, nye he he he! »
Con Papyrus fuori casa, ormai non c’era più motivo di tener su la facciata dei ‘buoni amici’. Eppure, Chara lasciò che fosse Sans ad occuparsi di Frisk, con seppur un velo di amarezza che si costrinse ad ignorare.
Per quanto riguardava la donna-pesce, invece, il suo duello poteva anche scordarselo. La avrebbe affrontata da sola e, se avesse avuto da ridire, si sarebbe assicurata di farle capire chi poteva davvero permettersi di dettar legge lì intorno.
 

Il vento stava soffiando, portando con sé il gelo delle terre innevate dell’Underground. Il rumore dell’acqua scrociante poteva essere udito in lontananza. La battaglia territoriale tra umani e mostri stava per avere inizio, la tensione nell’aria era palpabile… ma non c’era nessuna eroina nei paraggi.
Chara incrociò snervata le braccia, alzando gli occhi verso il soffitto. Era stata pronta ad affrontare qualsiasi difficoltà con cui la donna-pesce avrebbe tentato di metterla in ginocchio mentre, armata di tutta la determinazione che la sua anima ancora ospitava, raggiungeva il luogo prescelto per lo scontro. Non aveva minimamente messo in conto che avrebbe dovuto persino aspettare per un combattimento che non era stata lei stessa a chiedere!
Stava cominciando ad avere la netta sensazione che, più si sforzava di mantenere un comportamento civile, più l’universo si accaniva contro di lei per spingerla a perdere le staffe. Oh, l’ironia della sua vita.
« Chara! »
Chara si voltò istantaneamente udendo il proprio nome ed inarcò un sopracciglio vedendo Frisk correrle incontro.
« Frisk! Come hai fatto ad arrivare così p-? »
Il suo occhio individuò la figura dell’odiato scheletro prima ancora che potesse chiuder bocca.
« Ah. Vedo. »
Ovvio, chi poteva essere stato a portarla qui così velocemente?
Frisk, notando il suo sguardo torvo, pensò bene di occupare il suo intero campo visivo, per riavere di nuovo la sua attenzione su di sé.
Chara comprese il suo intento e sospirò. Già, meglio lasciar perdere lo scheletro e concentrarsi su questioni più rilevanti.
« Perché sei qui? »
« Per aiutarti! » Le rispose, immediatamente, Frisk. « Volevi combattere da sola, per caso? »
Chara la fissò con occhio critico. Non che dubitasse delle capacità della sua amica, sia chiaro, ma non era sicura che lasciarla combattere dopo i recenti avvenimenti fosse una brillante idea. E perché diamine quello scheletro non la aveva trattenuta a casa, invece di portarla lì? Si era fatto corrompere da un paio di occhi dolci, forse?
« Ne sei sicura? » Le chiese quindi, con un leggero tono di apprensione.
La sorpresa rimpiazzò gradualmente l’entusiasmo sul viso di Frisk.
« Oh… certo, non preoccuparti. È stato solo un attimo, niente di grave. » Replicò lei, stringendo leggermente le maniche del maglione nel mentre.
“ Un attimo che è durato una decina di minuti e oltre. ” Pensò Chara, tra sé e sé. Inutile dire che non era completamente convinta, ma si astenne dal ribattere ulteriormente. Se le cose si fossero messe male, avrebbe tenuto Frisk il più lontano possibile dal campo di battaglia, anche a costo di dover fronteggiare quell’Undyne da sola.
« Come vuoi, allora. » Mormorò, volgendo il proprio sguardo altrove, trovandosi così inaspettatamente avvolta dalle braccia di Frisk. Chara si lasciò sfuggire un suono stupito, impreparata davanti all’abbraccio pieno di trasporto dell’amica.
« Sans mi ha raccontato cosa hai fatto prima. » Le sussurrò nell’orecchio la giovane, come se desiderasse mantenere private quelle parole. « Grazie. »
Chara strabuzzò gli occhi. Non si era aspettata quel gesto, né tantomeno il successivo ringraziamento. Era stato istintivo per lei sfidare quel mostro per Frisk… istintivo, forse, come il fronteggiare un nemico che minaccia qualcosa a cui tieni più dell’aria che respiri… tutto quello a cui aveva pensato, in quel momento, era che voleva proteggere Frisk e non avrebbe lasciato nemmeno una fanatica di wrestling passarle oltre. Meritava davvero di essere ringraziata per questo?
« Uh… prego. » Sussurrò a distanza di qualche secondo, impacciata come non ricordava di essere mai stata.
Frisk sciolse l’abbraccio e le regalò uno dei sorrisi più luminosi che aveva visto adonarle il viso fino a quel momento, dinnanzi a cui Chara distolse vergognosamente lo sguardo.
« U-uh… sai dove è finita quella sardina? Non ha avuto ancora la decenza di presentarsi. » Borbottò velocemente, tanto per cambiare argomento.
Frisk la guardò, sbattendo una volta le palpebre, l’espressione leggermente pensierosa.
« Undyne? No, non ne ho idea… Non è da lei ritardare… »
« EHI, TEPPISTE! VI SIETE PRESENTATE ALLA FINE! »
La voce tonante della guerriera si era espansa senza preavviso in tutta la caverna, facendo tremolare le stalattiti che pendevano dal soffitto, ma la sua proprietaria non era ancora visibile.
« Dov’è? » Sussurrò piano Frisk, ma Chara non poté darle risposta perché, esattamente come lei, non era stata ancora capace di individuare la posizione della guerriera.
« QUAGGIÙ! »
In piedi, sopra il blocco di ghiaccio che stava facendo il suo ingresso in quel momento via fiume, si ergeva Undyne in tutta la sua voluminosa armatura argentea, lancia alzata verso l’alto e coda di cavallo mossa da un vento solenne.
« Tutta questa attesa per una buffonata simile? » Brontolò, sommessamente, Chara. E non credeva che Undyne la avrebbe sentita da una simile distanza.
« TACI, MARMOCCHIA! L’ENTRATA SCENICA È ESSENZIALE SE SI VUOLE INTIMORIRE I PROPRI AVVERSARI! » Sbraitò, sbattendo l’asta della lancia contro il blocco, la superficie del ghiaccio si crepò con un distinto Crik!.
« Certo che sai sempre come rompere il ghiaccio, Undyne. » Disse Sans, facendole un occhiolino dalla sua posizione sulla riva, non troppo lontano da Frisk e Chara.
L’occhio buono di Undyne si contrasse vistosamente.
« Non mettere a dura prova la mia pazienza, Sans. Sono stata anche fin troppo caritatevole con te oggi! » Lo avvisò, sputando fuori ogni parola come fosse veleno.
Lo scheletro tirò fuori le mani dalle tasche della felpa, alzando le spalle.
« Ok, sarò muto come un pesce, se è questo ciò che vuoi. »
Frisk riuscì appena in tempo a soffocare le sue risatine. Chara, al contrario, non nascose minimamente il proprio fastidio di fronte all’ennesima battuta dello scheletro – e neanche si preoccupò di trattenersi dall’esternarlo ad alta voce, se per questo.
« Smettila di dargli degli spunti! » Sbottò infatti innervosita, in direzione di Undyne, e stava seriamente cominciando a compatire lo scheletro fissato con gli spaghetti per dover sopportare una simile piaga ogni giorno.
« Come osi…! » Esclamò indignata Undyne, picchiando la lancia ancora più forte contro il blocco di ghiaccio, nuove crepe si diramarono sotto di essa.
« Ohi, ohi, dovevamo combattere, o sbaglio? » Le interruppe rapida Frisk, preoccupata che Undyne potesse finire in acqua da un momento all’altro se continuava così – quei suoni scricchiolanti non erano certo un buon segno.
« Non interromperci, teppista! »
CRACK!
Il ghiaccio infine cedette ed Undyne finì sott’acqua in un battito di ciglia, sollevando una quantità inimmaginabile di schizzi. Trovandosi in prossimità della riva, Sans venne completamente sommerso dall’ondata di acqua e ghiaccio che sollevò, ogni via di scampo per lui preclusa.
Frisk si piegò in due dal ridere vedendo il sorriso palesemente forzato dello scheletro, fradicio e con l’acqua che colava persino dalle orbite prive di pupille. Sembrava molto più gracilino ora che la sua felpa si era ridotta di volume e – oh dio – aveva appena avuto un lampo di genio niente male!
« Ehi, Sans! Si direbbe proprio che sei stato… pfff… bagnato fino all’osso! » Ironizzò e, sorprendentemente, sentì anche Chara ridacchiare – o, meglio, sogghignare – in apprezzamento.
Sans rinfilò con disinvoltura le mani nelle tasche e si voltò verso di loro, le ciabatte zuppe produssero un lieve squish squish a contatto col terreno stagnante d’acqua. Stava sorridendo compiaciuto, con le palpebre calate parzialmente sugli occhi.
« Eh, buona questa, piccola. » Replicò, un’estremità del suo sorriso sollevata, per poi tornare ad osservare la superficie del corso d’acqua spumeggiante di bolle. « Non vi dispiace se mi faccio da parte per il momento, vero? Avete un pesce da prendere all’amo, dopotutto. »
Tempo un secondo e Undyne saltò fuori dal fiume, atterrando davanti alle due ragazzine con una serie di metallici Clang!. Grondava d’acqua dalla testa ai piedi e la sua coda di cavallo si era ormai disfatta, ma lo sguardo sul suo volto traboccava di pura determinazione.
« Credevate di esservi liberate di me così facilmente?! SBAGLIATO! La battaglia comincia ora e subito! »
Un’intera orda di lance si materializzò alle sue spalle, ognuna di esse vibrante di elettrica magia azzurrina. Con due movimenti fluidi del braccio, lanciò quindi loro una lancia ciascuno da utilizzare in combattimento e, una volta afferrata ognuna la propria ed essersi scambiate una breve occhiata d’intesa, le due ragazzine si posizionarono per cominciare.
Un ghigno competitivo non tardò ad allargarsi sul volto della guerriera.
« EN GUARDE!* »
 

- - -
*La frase è scritta ovviamente in modo errato, ma è un errore già presente nel videogioco e viene pronunciata all'inizio della sua Boss Fight in Neutral e Pacifist sempre da Undyne. 



Sameko's side
Ciao e ben ritrovati in questo nuovo capitolo! ^^
Scusate il lieve ritardo, questa volta le parole non mi hanno proprio assistito come si deve e ho dovuto rimandare ad oggi questo aggiornamento. Non sono ancora soddisfatta al cento per cento della stesura di questo capitolo, ma ormai l'ho riguardato talmente tante volte in questa settimana che non posso più sopportare di averlo sotto gli occhi ( ho dovuto persino dividerlo in due parti per l'eccessiva lunghezza ). Spero che sia comunque abbastanza soddisfacente e che l'attesa sia stata ripagata. ^^"
Vi farà piacere sapere che mi sono ricreduta alla fine, perché il mischione dello scorso capitolo non è nulla confronto alla montagna di roba che ho voluto inserire in questo. Che la terra mi ingoi.
Prima che qualcuno si faccia un'idea sbagliata, voglio assicurarvi che io adoro Undyne, è uno dei personaggi femminili più fighi attualmente esistenti secondo il mio parere, quindi se avete avuto la sensazione che le abbia affibbiato il ruolo di fredda antagonista secondaria in questo capitolo, beh, non era mia intenzione. v.v
Nel prossimo la battaglia fra le nostre umane preferite e l'eroina che non molla mai, sperando così di riuscire a portarvi un po' di piacevole azione. ;) 
Non ho idea se riuscirò a pubblicare l'ottavo per questo weekend, è più probabile che lo vediate online fra una settimana ancora, perché in termini di lunghezza sarà persino più lungo di questo. Comunque, penso che cambierò il ritmo di aggiornamento da sette giorni a dieci, perché i capitoli d'ora in poi si aggireranno sempre intorno alle 4000-4500 parole minimo e avrò bisogno di più tempo per scrivere e correggere. 
Ad ogni modo, buon inizio settimana a tutti! ;D
Un bacio!

Sameko


 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8: L'attacco di Undyne! - Parte Due ***



Capitolo 8: L’attacco di Undyne! - Parte Due
 





 
« EN GUARDE! »
La prima ondata di lance attaccò frontalmente le due ragazzine e non fu complicato parare nessuna di esse per loro, l’una un prodigio in questo genere di cose, l’altra ormai ben addestrata e pronta a tutto. Ma la vera sfida, ovviamente, doveva ancora cominciare ed era palese che Undyne stesse tenendo nascoste le sue carte vincenti.
Chara arricciò leggermente un labbro quando gli attacchi iniziarono ad arrivare da ogni direzione, nulla di impossibile da contrastare naturalmente, ma a lungo andare quel ritmo le avrebbe sfinite e non avrebbe consentito loro di terminare quel duello in tempi ragionevoli, come lei avrebbe invece voluto.
Non aveva idea di come Frisk fosse sempre riuscita a cavarsela contro questo colosso in armatura, ma certo era che questa tattica non sarebbe stata sufficiente a ridurre la durata dello scontro. Manovrare tutte quelle unità magiche non sembrava richiedere ad Undyne particolari sforzi fisici o mentali e le probabilità che venissero battute per mancanza di resistenza erano decisamente troppo alte per i suoi gusti.
« Frisk, appena la sua magia si ritira dalle nostre anime, io la attaccherò. Forniscimi copertura. » Bisbigliò, cauta che Undyne non sentisse la sua voce al di sopra del suono delle lance che tagliavano l’aria.
Frisk spalancò gli occhi udendo il piano dell’amica.
« Chara… no... non dobbiamo ferirla! » Replicò, voltandosi in sua direzione non appena ebbe un attimo di respiro.
La presa di magia verde sulle loro anime svanì in quell’istante.
Ora.
Chara scattò in avanti verso Undyne, lancia premuta contro il fianco e occhi fissi solo sul suo attuale bersaglio. Il movimento di ogni muscolo del suo corpo era fluido, preciso, privo di imperfezioni come lo ricordava, forse anche migliore di come lo ricordava, e questo non poté far altro che incoraggiarla e spingerla a correre sempre più rapidamente, mentre una piacevole eccitazione le riverberava dentro.
« Chara! »
Non si curò del richiamo di Frisk e proseguì nella sua corsa a zig zag verso la donna-pesce, sperando di rendere così i suoi movimenti successivi difficili da prevedere per la loro avversaria. Se tutto fosse andato come previsto, avrebbe potuto colpirla nel suo punto cieco e la battaglia si sarebbe conclusa senza che nessuno si facesse troppo male. Il pestare delle suole degli stivali alle sue spalle la rassicurava di avere le spalle ben protette da Frisk. Con lei a coprirle la schiena, perlomeno, non avrebbe dovuto preoccuparsi del suo punto cieco e si sarebbe potuta concentrare sulla sola offensiva.
Usò il ginocchio sinistro come perno e si lanciò all’attacco verso il fianco di Undyne, non protetto dalla lancia del Capitano della Guardia. Ma, al momento dello scatto, si sentì implodere su sé stessa, come se qualcosa dentro di lei fosse stato teso fin quasi al punto di rottura. Un urlo muto risalì la sua gola, la vista le sfarfallò pericolosamente e l’affondo di Undyne diretto al suo addome fu una macchia che vide a malapena. Ebbe solo il tempo di alzare la lancia e parare l’offensiva della sua avversaria, ma non riuscì a portarsi fuori dalla zona d’attacco della guerriera. La lancia le sfuggì dalle mani tremanti e l’asta di Undyne la colpì sotto lo sterno, il colpo le mozzò violentemente il fiato e la scaraventò via.
Ad occhi sgranati, Frisk aveva visto il corpo di Chara passarle davanti allo sguardo e impattare contro il terreno diversi metri più indietro, per poi non muoversi più, ad eccezione di occasionali e sofferti tremori. La sua anima perse un battito, una paura enorme si impossessò di lei mentre osservava il corpo tremante di dolore di Chara, accartocciata su un fianco e con le braccia premute contro il petto. Quella visione la fece a dir poco raggelare.
Se Chara era finita in quello stato, come avrebbe potuto sperare di cavarsela da sola? Non era forte quanto lei, neanche lontanamente, e Undyne non era mai stata potente a tal punto. Significava che… U-Undyne… Undyne stava per ricorrere a quella trasformazione? Da questo derivava quell’incremento di potere?
La sua mente cominciò lentamente a precipitare nel vortice del panico e persino muoversi per andare a soccorrere Chara le risultò impossibile, tanto si sentì impotente, scoperta, debole.
« È stato azzardato da parte sua tentare una simile mossa. Beh, metà del lavoro è già stato fatto. » Commentò Undyne, arrestando nel frattempo l’ondata di lance, un lieve ghigno le increspò le labbra. « Tra pochi secondi, resterà solo la TUA anima da prendere! »
Frisk si voltò e vide la nuova fila di lance che, presto, le sarebbero state scagliate contro. Strinse la sua fino a farsi sbiancare le nocche, cercando di calmare il suo respiro fin troppo erratico. No… quel combattimento doveva concludersi in una maniera soltanto – e non aveva intenzione di darsi per vinta.
“ Ragiona, Frisk. Ragiona. È la Undyne di sempre, non c’è nessuna trasformazione. ”
Un respiro.
Non c’è nessuna trasformazione. ”
Esatto. Nessuna trasformazione. Undyne non si stava muovendo più rapidamente del solito, le sue lance non la stavano assaltando ad un ritmo incessante e Chara doveva essersi solo lasciata cogliere impreparata. Non c’era spiegazione più plausibile.
E a farla tremare, questa volta, fu la determinazione. Poteva farcela da sola, e finché la sua anima sarebbe stata libera dalla magia di Undyne, doveva riadattare la sua strategia in vista di questo inaspettato cambio di eventi.
Parò due lance facendo roteare la propria, la magia che veniva annullata dal loro scontrarsi le faceva tremare il palmo e sentiva distintamente la sua determinazione rispondere, con un tremito, a tutte quelle scariche di magia che saturavano l’aria. Una lancia giallognola volteggiò repentina intorno a lei, fino a posizionarsi alle sue spalle. Frisk si piegò quasi a livello del terreno per schivarla, il distinto sfrigolare dei capelli che non aveva avuto la fortuna di ricadere immediatamente contro il suo collo le solleticò l’orecchio. La aveva evitata per un pelo. La lancia non arrestò la sua corsa e proseguì fino ad incontrare l’ostacolo di quella di Undyne una decina di metri più avanti, dissolvendosi in polvere dorata quando la guerriera la fece disgregare con una sferzata della propria.
In quel breve lasso di tempo, Frisk fu in grado di recuperare la lancia di Chara che si era conficcata nel terreno e scagliarla verso la fila che si stava dirigendo a grande velocità in direzione del corpo accasciato dell’altra ragazzina. Ping! Ping! Ping! e l’arma cadde vicino a Chara, senza dissolversi fortunatamente.
Il tremolare della sua anima indicava che i turni di libero movimento erano quasi giunti al termine.
Scattò all’indietro e si posizionò a fianco di Chara, lancia alzata con sicurezza e pronta a tutto pur di parare ogni singolo colpo. Aveva affrontato Undyne così tante volte che portare quell’arma, per quanto pericolosa potesse essere, non le recava più alcun fastidio o disagio. Anni di addestramento sarebbero occorsi ad una persona per padroneggiare una simile tecnica di combattimento, ma Frisk aveva ripetuto così tante, troppe volte quei pochi giorni di viaggio nell’Underground da aver imparato a padroneggiare le lance di Undyne come prolungamenti delle sue stesse braccia. Aveva avuto tempo a sufficienza per imparare da sé cosa volesse dire combattere.
Undyne le sorrise competitiva e vide un lampo di interesse attraversare il suo occhio buono.
« Tsk… disposta a perire pur di difendere la tua compagna d’arme, vedo. »
Frisk indurì lo sguardo e allargò leggermente le gambe, così da poter avere uno spazio di manovra accettabile per coprire ogni direzione.
« Quando vuoi. » Disse, in risposta.
Era piena di vibrante determinazione.
La velocità delle lance aumentò vertiginosamente, ognuna più rapida della precedente ed ebbe la netta impressione che Undyne volesse testare ad ogni costo fino a che punto si spingevano le sue abilità.
Un lamento soffocato lasciò le labbra di Chara in quel frangente e Frisk la vide puntellarsi sui gomiti per provare a rimettersi in piedi, senza purtroppo alcun risultato. E lei aveva davvero bisogno di supporto, poiché il ritmo di attacco e parata che Undyne le aveva imposto la stava iniziando a stancare.
« Chara! Passami la tua! » Gridò, cercando di superare con la propria voce il forte sibilare delle punte affilate delle lance.
La seconda lancia a loro disposizione incontrò la sua mano destra a mezz’aria.
Invertì velocemente la posizione delle mani sulle aste e le fece roteare entrambe tre volte come semplice prova. Non aveva mai dovuto utilizzarne due in contemporanea, ma se Undyne continuava a spingerla oltre il suo limite, doveva per forza allontanare la guerriera da quel limite ogni volta si trovava ad un passo dal superarlo.
Quando le lance ripresero ad arrivare, Frisk cominciò a far mulinare le sue, i fulminei movimenti circolari crearono l’illusione di due scudi azzurrognoli che sprizzavano scintille magiche ovunque; la protezione che riuscì ad ottenere, spostando solo di poco il busto, fu pressoché totale.
Chara, dalla sua posizione a terra, osservava meravigliata il modo in cui Frisk stava facendo l’impossibile per affrontare da sola un’avversaria tanto abile. Ad ogni lancia parata, si sentiva sempre più assurdamente impotente ed era stata la sua avventatezza a porre Frisk in una situazione tanto difficile. Aveva compreso solo frazioni di secondo prima che l’attacco di Undyne la tramortisse che quel suo nuovo corpo non era resistente come l’originale – e il non avere avuto occasioni sino ad allora di vedere una pecca tanto grave la aveva penalizzata considerevolmente. Al momento, non poteva fare davvero nulla di concreto se non guardare, poiché qualsiasi suo movimento avrebbe potuto ostacolare Frisk in maniera esponenziale e non voleva rischiare di distrarla.
Undyne fece bruscamente sparire tutte le lance con un brontolare appena udibile.
« Sei stata fenomenale fino ad ora, marmocchia. Noto che questo tipo di attacchi non ti creano tante difficoltà… »
Scoprì i denti affilati in un sorriso intimidatorio mentre, allo schiudersi delle dita della sua mano sinistra, le più temibili lance giallognole si allinearono sopra la sua testa, come un esercito pronto a partire alla carica.
Frisk si impegnò a non far trapelare la sua insicurezza, ma fu comunque troppo tardi: espressione impassibile o meno, Undyne aveva comunque già visto la sua incertezza.
« Ma queste… scommetto che ti causeranno non pochi problemi! »
Il nuovo assembramento di lance iniziò a muoversi con un solo, fluido movimento del braccio di Undyne.
Frisk provò a parare le prime con la tecnica che aveva adoperato fino ad allora, ma quella strategia si stava rivelando purtroppo inefficace perché, più lance arrivavano, più velocemente doveva individuare il punto in cui ciascuna di esse si sarebbe posizionata, e far roteare le sue richiedeva già una certa concentrazione. Dovette per forza tornare a pararle una ad una se voleva essere assolutamente certa che nessuna violasse la sua difesa e finisse col danneggiare lei, o Chara.
« Frisk! La prossima ne nasconde due! » Le gridò Chara improvvisamente.
Frisk seguì l’indicazione dell’amica e parò la prima, la seconda e… la terza era azzurra?!
La lancia proseguì velocissima la sua corsa e Frisk si scostò di lato per evitarla, la punta tagliente passò a bruciapelo vicino al suo fianco.
« A destra! »
L’urlo di Chara la avvisò dell’arrivo prossimo di un’altra lancia e Frisk sferzò l’aria con la sinistra, disgregandone la magia invece che farla semplicemente dissolvere contro l’asta della propria.
La lancia gialla successiva arrivò all’improvviso e Frisk era ancora ferma in una posizione offensiva quando ormai l’arma stava volteggiando intorno al suo fianco.
Alzò la destra nel tentativo di fermarla, ma la lancia nemica passò pochi centimetri sotto l’asta della sua e le ustionò il bicipite.
« G-AH! » Urlò e fu solo per il suo arretrare istintivo in risposta al dolore che evitò di venir ferita al petto, o persino all’altro braccio.
« Frisk, davanti! »   
Le sue orecchie percepirono il sibilo, ma il suo corpo non reagì rapidamente di fronte all’immediato avvicinarsi di quell’ultimo attacco, la sua mente ancora troppo focalizzata sul dolore della bruciatura per poter rispondere in maniera adeguata. Aveva il collo esposto e il suo braccio si era mosso troppo lentamente rispetto ai suoi riflessi. Non lo avrebbe parato in tempo.
« NO! »
Un oggetto più pesante e massiccio di una lancia le passò oltre la spalla, con la coda dell’occhio colse uno sprazzo di bianco e con l’udito il suono ruvido che emetteva schizzando attraverso l’aria.
I due attacchi si scontrarono violentemente, rilasciando polvere grigiastra e scintille scoppiettanti e Frisk rimase immobile, ad occhi sgranati, cercando di metabolizzare le troppe azioni che si erano susseguite in quell’intervallo di tempo insignificante.
Undyne emise un lungo ringhio frustrato e non perse tempo a cercare quello che, a parer suo, doveva essere l’ovvio colpevole.
« SANS! COME TI SEI ANCHE SOLO AZZARDATO AD INTERVENIRE?! »
Sans, a distanza di sicurezza dal ‘campo di battaglia’, alzò immediatamente le mani in segno pacificatorio.
« Ehi, ehi, non ho mosso un dito io qui, croce sull’anima. » Si discolpò lo scheletro, sorridendo con fare innocente.
« BUGIARDO! CHI DIAVOLO POSSIEDE QUEL TIPO DI MAGIA A PARTE TE E PAPYRUS, EH?! »
Approfittando del momento di stallo, Chara si rimise in piedi, ignorando il dolore fantasma che sentiva ancora all’altezza dello sterno. Dio, quella sardina gliela avrebbe pagata cara.
« Sei stata tu? » Le chiese bisbigliando Frisk, voltando parzialmente la testa.
Chara assentì col capo, abbassando la mano che aveva tenuto premuta contro la parte offesa fino a quel momento.
« C-come? »
« Non lo so. » Replicò. « Ma se ha spiazzato il pesce, allora, può darsi che abbiamo ancora una carta da giocare. »
Tutto quello che sapeva era che, quando quella lancia era stata sul punto di trapassare la gola di Frisk da parte a parte come un macabro spiedo, la stessa fiamma di più di una mezz’ora prima era divampata nel suo animo, il suo braccio si era alzato con il vano intento di prendere quel colpo per Frisk ( cosa che non avrebbe mai potuto fare a causa della distanza ), l’anima le si era mossa nel petto, piena di energia, forza, potere, e… e quell’osso era poi apparso e aveva fatto il suo dovere egregiamente.
« Stai bene? » Le domandò, ispezionando segretamente l’ustione dell’altra.
Frisk controllò rapidamente il suo braccio. Il tessuto era stato bruciacchiato e lo sentiva pizzicare fastidiosamente ai bordi della bruciatura. Era in grado di muoverlo, ma ciò non le garantiva di riuscire a manovrare la seconda lancia con la stessa efficienza, la ferita le faceva un discreto male.
« Sì. Non è grave. Ma… non credo di poter più fare affidamento su questo braccio, per adesso. »
« Lascia l’altra lancia. Ci sarà solo d’intralcio d’ora in poi. » Le ordinò Chara. Finché quella fiamma era ancora viva dentro di lei, non avrebbe usato altre armi proprio per prevenire uno stress fisico maggiore del necessario. Non poteva rischiare che accadesse di nuovo. Tutto quello che doveva fare, era attingere all’energia che aveva risvegliato, doveva immaginare un coltello senza manico, a cui sarebbe spettato a lei aggiungere quel manico. Se riusciva ad associare qualcosa di nuovo con qualcosa di conosciuto, arrivare al controllo completo – ne era certa – sarebbe stato molto più rapido, magari non immediato, ma per la situazione in cui si trovavano anche un controllo sugli attacchi più basilari poteva essere sufficiente. « Potrai muoverti tra pochi secondi. Attaccheremo insieme e subito. »
« Chara… »
« La costringeremo alla resa. Lo prometto. » Aggiunse poi, frettolosamente.
Frisk annuì e l’espressione concentrata e risoluta sostituì nuovamente la sua normale espressione mite.
Solo pochi istanti.
Undyne tornò a rivolgere loro l’attenzione che meritavano, ma il ringhio furioso non aveva abbandonato le sue labbra. Eppure, nonostante la rabbia non ancora placata, il suo sguardo era tattico, meditabondo. Stava cercando di prevedere le loro mosse successive, esattamente come stavano facendo lei e Frisk.
L’occhio destro di Chara brillò di luce vermiglia e poteva sentire l’aria vibrare a causa della magia – la sua magia – che si stava espandendo dalla sua anima verso l’esterno.
Sorrise.
Determinazione.
 

“ Non credevi che potesse usare la mia magia, uh? ” Pensò Sans con un leggero sarcasmo, esaminando attentamente la nuova piega che quello scontro stava prendendo.
Avevano ricominciato a combattere con più ardore di prima ed era ormai chiaro che l’obiettivo delle ragazzine era arrivare abbastanza vicino ad Undyne per ingaggiare un corpo a corpo. La piccola aveva abbandonato la seconda lancia e stava ora attaccando direttamente la guerriera, ma gli unici colpi che tentava di mettere a segno non prevedevano l’uso della punta acuminata della lancia. Almeno per adesso, Undyne si era comunque lasciata sfiorare solo da pochi di essi, poco convinta che quegli attacchi innocui non nascondessero, in realtà, un’aggressività abilmente camuffata. Lo scherzo della natura stava, invece, sfruttando largamente la sua magia, sempre dietro a Frisk con lo scopo di fornirle protezione e sbocchi nella difesa di Undyne per sferrare nuovi attacchi.
O la piccola gli aveva spudoratamente mentito, o era stata davvero inconsapevole delle reali capacità di Chara fino a quel momento, esattamente come lui. Ragioni che giustificassero la menzogna Sans poteva trovarne quante ne voleva, poiché non conosceva a sufficienza l’indole di quella ragazzina per poter scartare categoricamente una delle due ipotesi e i suoi ricordi di Frisk erano abbastanza vaghi, purtroppo. Ma, anche ammettendo che fossero stati perfettamente chiari, dubitava che non si sarebbe concesso il beneficio del dubbio.
Di una cosa poteva essere certo: la mezza cartuccia non era esperta nell’uso della sua magia, le ossa che scagliava contro Undyne avevano a volte una traiettoria un po’ imprecisa, altre volte non erano nemmeno ossa ma semplici schegge e l’affaticamento era ben intuibile nei suoi movimenti. Sulla base di queste osservazioni, era piuttosto portato a credere che, perlomeno, l’indicazione temporale fornitagli da Frisk sull’instaurarsi del legame era sufficientemente affidabile, ma restavano ancora un sacco di buchi nelle informazioni che possedeva, senza contare che quella faccenda della Sintonia lo impensieriva alquanto. Aveva creato un legame con una persona che non conosceva perfettamente e non aveva idea di cosa la ragazzina sapesse e di cosa, invece, le aveva tenuto nascosto. Il suo altro sé doveva aver avuto delle buone ragioni, ma Sans non era sfortunatamente immune a raggiri e inganni; non importava quanto fosse diventato esperto nel leggere nelle azioni degli altri, la possibilità di aver commesso un errore nei suoi giudizi non era da considerarsi inammissibile. Decise, pertanto, che un’altra conversazione in privato era d’obbligo. Meglio approfittare fintanto che poteva della disponibilità di Frisk, niente gli assicurava che avrebbe potuto farlo ancora a lungo. Sperava solo che, se la ragazzina avesse deciso di resettare, la sua mente avrebbe potuto conservare almeno qualche informazione di questa linea temporale importantissima.
Il rumore di passi esagitati alle sue spalle lo avvertì dell’imminente arrivo di suo fratello e, dagli strilli eccitati che li accompagnavano, dedusse che Papyrus doveva aver portato con sé il bambino di prima. Del resto, suo fratello adorava le piccole palle di pelo, scaglie, squame ( e via dicendo ) piene di energia come lui e dubitava che il piccolo aveva dovuto faticare molto per essere accontentato.
« Ehi, Paps. Dispersa la folla vicino casa nostra? »
« Ovvio che sì, Sans! Il Grande Papyrus ha svolto un lavoro perfetto come al solito! »
Sans sorrise, rallegrato dall’umore sempre alle stelle di Papyrus. Non ne avrebbe mai avuto abbastanza di vederlo saltellante e ricoperto di pomodoro come se qualcuno gli avesse tirato addosso una latta di vernice. Suppose che non doveva aver avuto il tempo di darsi una lavata a causa del compito che Undyne gli aveva affidato.
Papyrus tirò giù dalle sue spalle Monster Kid e lo mise a terra, con la raccomandazione di restare a debita distanza dalla zona dove il duello stava infuriando.
Il cucciolo, dopo avergli dato la sua parola, aveva cominciato a guardare lo scontro con occhi grandi come piattini. ‘Ohhh, Undyne è così figa!’ era stato il suo primo commento, a cui aveva visto suo fratello replicare con un sorriso non meno ammirato. Non importava quanto Papyrus fosse abile nell’uso della magia, o quanta forza possedesse grazie al suo continuo migliorarsi, suo fratello minore non avrebbe mai smesso di guardare i suoi amici con genuina ammirazione.
« Wowie, Sans! Non sapevo che gli umani potessero far uso della magia proprio come noi! » Commentò meravigliato, seguendo con entusiasmo il susseguirsi di parate, affondi e schivate di entrambe le parti.
« Eh… nemmeno io, Paps. »
E non avrebbero dovuto. Gli bastava uno sguardo per capire che, fra tutte le persone a cui la sua magia poteva essere data, Chara era davvero una pessima scelta. Il sorriso e il divertimento che Sans coglieva sul volto della ragazzina quando lei non gli stava dando le spalle faceva tremolare la sua anima in segno di avvertimento… e l’esperienza gli aveva insegnato che dare la giusta importanza alle reazioni del suo stesso corpo, oltre che a quello altrui, era sempre un bene.
 
« Ehi, Sans. Perché sei bagnato? »
« Lunga storia, fra’. »
 

Si era aspettata di combattere uno scontro onesto, di breve durata sicuramente, ma che lei avrebbe vinto senza sotterfugi e, soprattutto, con onore – per quanto potesse essere considerato onorevole combattere contro delle marmocchie s’intende, ma quello era il suo dovere e per nulla al mondo si sarebbe tirata indietro.
Quello che non si era aspettata era di venir letteralmente presa d’assalto dalle suddette marmocchie, al punto da essere costretta a riservare loro il livello di difficoltà che avrebbe riservato soltanto a dei soldati sotto addestramento. Le stavano dimostrando che non era l’unica lì a fare sul serio e Undyne non poteva che esserne piacevolmente sorpresa. Le stavano dando la sfida che non aveva sperato di ottenere ma che, in fondo, aveva desiderato sin da quando aveva sentito dell’arrivo di quelle due nuove umane nell’Underground.
Verificare sul campo che gli umani erano davvero un portento nelle lotte, esattamente come negli Anime che Alphys guardava, la stava davvero esaltando. Se già così giovani erano in grado di combattere tanto abilmente, non le riusciva difficile immaginarli brandire degli spadoni dieci volte la loro altezza da adulti. Mentre non si sarebbe mai aspettata una simile bravura da quella più minuta, da quella più agguerrita sarebbe rimasta invece delusa dal contrario. Restava un mistero come avesse fatto a romperle la lancia e come potesse lanciare attacchi magici se, come Alphys le aveva detto, le anime degli umani erano piene di determinazione, non di magia, ma poco comunque le importava al momento. Magari le avrebbe tenute in vita solo per far luce su quegli interrogativi, poi avrebbe preso le loro anime come le competeva – e ne avrebbe ottenuta una in più per giunta!
La prima marmocchia la caricò con un mezzo urlo e Undyne frenò fermamente la sua offensiva, facendo cozzare le loro lance all’altezza del suo petto e poco sopra la testa della ragazzina. Un osso scheggiato sfrecciò mirando alla sua spalla, ma finì con il disperdersi in un nugolo di polvere quando incontrò la superficie del suo palmo guantato, che aveva provveduto a rivestire di un sottile velo di magia per far disgregare l’osso. Con quello stesso braccio, diresse quattro lance contro la teppista con il maglione verde, sicura che la avrebbero tenuta impegnata per un po’, giusto il tempo necessario per far indietreggiare la marmocchia più piccola che la stava ancora contrastando tanto tenacemente.
L’occhio dell’umana si era acceso di nuovo di rosso e oro a causa delle volute di magia che sprigionava e un muro d’ossa piene di crepe si era elevato dal suolo non appena aveva alzato il braccio destro, movimento di cui Undyne aveva immediatamente riconosciuto la somiglianza con lo stile di combattimento proprio di Papyrus, ma di cui aveva potuto allo stesso tempo notare il differente modo di veicolare e rilasciare la magia.
Persa in quelle brevi osservazioni, non credeva che un altro osso sarebbe comparso vicino a lei con lo stesso tempismo.
Undyne si scansò leggermente di lato, senza però smettere di opporre resistenza alla lancia della prima mocciosa.
Nel momento in cui ritornò con lo sguardo su di lei, la sua piccola avversaria aveva fatto affondare la punta della lancia nel terreno, l’attrito tra le due aste aveva prodotto uno stridio metallico quasi assordante, e Undyne era rimasta confusa da quell’azione – ma non abbastanza confusa da restare impalata come un’allocca!
Allungò rapidamente la mano libera verso la mocciosa, con l’intenzione di acchiapparla una volta per tutte per il maglioncino. Se le avesse preso anche solo il braccio e la avesse sollevata senza farle toccare più terra, la avrebbe resa definitivamente inoffensiva e incapace di intervenire per aiutare la sua compagna. Eliminare poi l’altra sarebbe stato di gran lunga più semplice, anche con un braccio occupato.
Le sue dita afferrarono solamente l’aria e, nell’istante successivo, la marmocchia aveva usato la lancia come leva per spingere a piedi uniti contro il suo petto. Barcollò all’indietro, qualcosa la fece incespicare e perdere l’equilibrio, e il metallo dell’armatura la trascinò rovinosamente a terra di schiena.
Nel momento in cui fece per alzarsi, la mocciosa le era già piombata addosso con in mano una scheggia d’osso, che tenne puntata a pochi millimetri dalla sua gola, il respiro ansante, la pelle imperlata di sudore.
Undyne ribollì di sdegno e incredulità alla realizzazione che si era fatta pateticamente atterrare da una poppante frignona. Anni di duro addestramento e sudore e fallimenti e vittorie… per finire ridotta in questo stato?!
Guardò oltre il ginocchio della ragazzina, che le copriva gran parte della visuale a causa della sua posizione supina, e vide un osso spuntare obliquo dal terreno, proprio vicino alla lancia conficcata nella terra. Ecco lì spiegato quel salto da acrobata da circo e, oh, ecco lì anche il qualcosa che la aveva fatta inciampare: altre ossa. Maledisse con tutta sé stessa il momento in cui avrebbe potuto far fuori la mocciosa col maglione verde, ma non la aveva colpita abbastanza forte da ucciderla.
La ragazzina più piccola era ancora su di lei, la sua intera figura tremava dalla fatica, ma non accennava a volerle dare il colpo di grazia. Paura di ucciderla, forse? Beh, Undyne non aveva di certo simili scrupoli, doveva solo spedirle addosso una delle sue lance e la vittoria sarebbe stata sua.
Ma poi… quelle labbra si distesero in un sorriso candido, gli occhi ambrati della ragazzina si addolcirono, la temerarietà venne sostituita da una serena benevolenza.
Undyne rimase bloccata da un pesante senso di dejà vu, la tensione ancora in circolo nel suo corpo a causa dell’adrenalina scivolò via, la sua mente era diventata un subbuglio di immagini sfocate. Che cosa… che cosa le stava accadendo? Perché questa calma interiore proprio quando era a terra, sotto il nemico che la aveva appena atterrata?
La giovane si alzò e lasciò cadere a terra il pezzo d’osso.
« C-cos…? »
« Ti sto risparmiando. » Le disse l’umana, con una semplicità innaturale.
Undyne inarcò le sopracciglia in un’espressione attonita.
La ragazzina protese la sua mano verso di lei, dolcemente aperta in un’offerta di aiuto.
« Vuoi essere nostra amica? »
Undyne, riscossasi da quella trance, scoprì le zanne fino a mostrare le gengive. Amica… di un’umana? Che cos’era, UNO SCHERZO?!
Il suo orgoglio urlò per l’oltraggio, la sua fierezza di guerriera fu minata fino alle radici. Quella maledetta doveva aver provato a farle il lavaggio del cervello, solo così potevano essere spiegate le sensazioni assurde di poco prima. Ma lei era stata capace di resisterle, AH!
« MAI. »
E con quella risposta aspra, si rimise in piedi, affrettandosi a lasciare la scena finché faceva in tempo a non coprirsi ancora di ridicolo. Combattimento perso, anime andate e il suo orgoglio calpestato brutalmente come fosse pattume inutile!
“ Al diavolo questo schifo di giornata! ” Imprecò, pestando le suole degli stivali ferrati contro il terreno, che si faceva sempre più roccioso via via che ci si inoltrava nelle caverne di Waterfall, e la voce di Papyrus arrivò alle sue orecchie nonostante fosse già distante ( ma il suo caro amico non era esattamente il mostro più silenzioso dell’Underground, dopotutto ).
« Non temere, umana! Undyne può essere un po’ rude all’inizio, ma sono assolutamente certo che diventerete ottime amiche! »
Undyne serrò i pugni fino a farsi tremare i polsi a quel punto.
« Questo non accadrà mai! » Dichiarò, voltandosi, livida in volto come forse non lo era mai stata. « Avete vinto con i vostri trucchetti oggi ma, se soltanto metterete un piede fuori da Snowdin, io sarò sul posto a darvi le legnate che meritate! »
Riprese quindi a camminare a passo spedito con uno sbuffo, ignorando gli strilli eccitati del combina-guai di prima e le voci più lievi delle due umane. Come se fosse anche solo possibile che il Capitano della Guardia Reale, simbolo della giustizia dell’Underground, potesse fare amicizia con il nemico!
 




Sameko's side
Questo lo vedremo, Undyne... ih ih ih...
Parte Due arrivata in tempo, questa volta! ^^ 
Spero che abbiate apprezzato le scene movimentate di questo capitolo, ce l'ho messa davvero tutta per renderle al meglio senza sfociare nell'irreale ( come se due ragazzine che affrontano un pesce in armatura sia già uno scenario verosimile ), ma penso di aver ancora un bel po' da imparare su questo fronte. ^^" 
Non so voi, ma ho sempre adorato l'idea di una Frisk esperta nel maneggiare le lance di Undyne. In fin dei conti, se noi giocatori siamo in grado di battere Undyne ad occhi chiusi dopo un certo numero di tentativi, penso che Frisk potrebbe tranquillamente imparare a combattere armata di lancia in un contesto senza, appunto, il giocatore che ne guida i movimenti. E non temete per Chara, avrà anche lei i suoi momenti per brillare in futuro. ;)
Come potete notare, ora siamo passati dal rating giallo al rating arancione. Ci ho riflettuto a lungo e, alla fine, ho deciso che un cambio di rating sarebbe stato opportuno, in vista di capitoli futuri un po' meno spensierati. Poi magari, chissà, cambierò idea di nuovo e ritornerò al giallo, indecisa come sono per natura! ^^"
Il prossimo capitolo arriverà tra circa dieci giorni, prima non credo sarà possibile visti i miei impegni di questa settimana. Confermo, pertanto, che il ritmo di aggiornamento cambierà e si passerà ad un capitolo pubblicato ogni dieci giorni.
Buon inizio settimana a tutti voi e cerchiamo di tenere duro che il periodo delle festività è vicino!!
Baci!

Sameko

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9: Nero e bianco ***



Capitolo 9: Nero e Bianco
 





Nero. Ovunque, dappertutto.
Di nuovo.
Dire che aveva aspettato il calare della notte con impazienza per farsi una dormita degna di tale nome era solo un eufemismo, vista la pesante stanchezza che si era portato dietro durante tutto il giorno, e non c’era quindi da stupirsi se ‘svegliarsi’ in quel nero conosciuto, dopo neanche ventiquattro ore dalla sua ultima quanto involontaria visita, fece tremolare la sua anima dal nervoso. Niente meritato riposo anche per quella notte? E così sia.
« Ben tornato, ragazzo. Come è andata la tua giornata? »
La voce di Gaster, per sua sfortuna, non aveva tardato a farsi udire – sempre ammesso che ‘udire’ fosse il termine più adatto dato che nel Void il concetto di suono, così come quello di tempo e spazio, era abbastanza relativo.
« Una meraviglia… grazie, naturalmente, al tuo regalino di ieri. » Replicò lui, con il suo più acerbo tono sarcastico. La domanda era stata ovviamente retorica dal momento che il farabutto conosceva già perfettamente la risposta. Essere fatto a pezzi tra i flussi temporali e spaziali aveva vantaggi quali la completa onniscienza sul mondo reale, una capacità però a suo avviso totalmente inutile se sei confinato in un vuoto senza via d’uscita come lo era Gaster.
La forma leggermente incurvata dello scienziato assunse, a quel punto, la strana consistenza solida che la notte precedente Sans non era stato in grado di notare per tempo. Qualcosa era davvero cambiato, ma dubitava che Gaster avrebbe dato via informazioni che potessero aiutarlo a definire quel ‘qualcosa’.
« Lieto che sia stato ben accolto dal destinatario qui presente. » Sorrise sardonico Gaster e, mano poggiata contro il petto, l’ex scienziato si esibì nel breve accenno di quello che Sans indovinò essere un inchino canzonatorio. Diavolo spocchioso.
« Ma perché non rendere partecipi anche tuo fratello e i tuoi cosiddetti ‘amici’, mh? » Propose poi, nel tono di quello che sembrava un consiglio fatto con la più cordiale delle intenzioni. « O sei per caso geloso dei tuoi doni, giovanotto? »
Sans tenne d’occhio l’altro mostro mentre quest’ultimo si muoveva in circolo intorno a lui, come a volerlo chiudere in una morsa man mano che il cerchio invisibile che stava tracciando si stringeva inesorabilmente, ad accompagnare i suoi spostamenti non un suono di passi, ma un ovattato ribollire. Non rispose, non valeva la pena rispondere, perché Gaster stava solo cercando di provocarlo con quelle movenze da serpe e con quei suoi discorsi istigatori, ma era uno sciocco se pensava che fossero sufficienti stratagemmi tanto banali per farlo inciampare nelle sue stesse convinzioni.
« Ho notato che hai un debole per la piccoletta. » Continuò Gaster, incrollabile nonostante il trattamento silenzioso che gli era stato riservato fino ad allora. « Non posso fare a meno di chiedermi quando quella ragazzina riuscirà finalmente a distinguere tra falsità e sincerità. »
Sans strinse leggermente le palpebre e, come se lo avesse interpretato come un invito a proseguire, l’ex scienziato riprese a parlare.
« Ha così tanta fiducia nella bontà altrui che, a volte, il suo giudizio ne risulta offuscato. Simile a tuo fratello, certo, ma è evidente la sua maggior prudenza e perspicacia… e sai cosa significa questo, vero? »
Gaster si piegò su di lui con una pacata lentezza, il sorriso immobile e il nero all’interno delle sue orbite che pareva turbinare.
Sans mantenne immutato il suo sguardo accigliato, le estremità del suo sorriso piegate marcatamente all’ingiù. Non retrocedette di un singolo passo quando il volto amorfo di Gaster giunse a fiorargli l’osso del naso.
« Il tempo delle tue patetiche scuse sta per giungere al termine. » Concluse, quasi canticchiando sottovoce, un corvo che dall’alto del suo ramo preannuncia la più grande delle sventure.
« Con quale faccia tosta vieni a parlami di patetiche scuse, Gaster. » Sibilò tra i denti Sans, il proprio sorriso distorto in una smorfia adirata. « Io voglio solo proteggere chi amo, mentre tu… tu mentivi per tuo vantaggio personale e mai una volta ti ho visto pentito di ciò che hai fatto. O eri tanto bravo a nasconderlo, o ero io che mi illudevo di poter vedere qualcosa che non esisteva. »
Un’estremità del sorriso contorto di Gaster si sollevò brevemente, quasi a suggerirgli quanto quelle sue parole di disprezzo avessero tutt'altro che infastidito l'altro mostro.
« Oh, sì… proteggere i tuoi cari da me, dai nemici esterni, dal ‘male’ di questo mondo, capisco… sì… oppure… » L’occhio sinistro di Gaster si socchiuse leggermente, un tetro bagliore bianco brillò sotto di esso. « È da te stesso che stai cercando di proteggerli? » 
Sans strinse i denti, tentando di tenere a freno la sua metaforica lingua.
« Credi davvero che Papyrus ti guarderebbe allo stesso modo se soltanto sapesse? » Incalzò maggiormente Gaster, con una bassa risata ad accompagnare quell’insinuazione.
Lo scheletro serrò il pugno sinistro infilato nella tasca della felpa, accorto che il demonio non notasse assolutamente quel suo gesto.
« Io rappresento il male minore. » Affermò, con quanta più calma riuscì a raccogliere. « Non ha bisogno di sapere. »
« Perché è troppo buono, gentile e innocente per conoscere a fondo suo fratello, giusto? O la ragione è forse un’altra, Sans? » Le estremità del sorriso di Gaster divennero lame di coltello con le parole che pronunciò in seguito. « O forse perché non vuoi ammettere di essere umanamente egoista, talmente egoista da non voler rischiare di essere respinto dal fratello che ti ostini a credere di star proteggendo anche a costo della tua felicità? »
« Non è così che stanno le cose e io lo so. » Ribatté, fermamente, Sans. « Ho smesso di ascoltare le tue accuse tempo fa. Stai solo sprecando il fiato che non puoi vantarti di avere. »
Gaster ridacchiò sommessamente, a lasciare la sua bocca furono però degli stridii appena vagamente simili ad una vera risata.
« Beh, sono sicuro che saprò avere la tua attenzione con argomenti differenti. » Le dita scheletriche dell’ex scienziato si congiunsero, quindi, nel caratteristico gesto contemplativo tanto odiato da Sans a causa dei ricordi che riportava a galla. « Sto togliendo tempo prezioso al vero spettacolo, sai? »
In un vorticare abbagliante, il nero lasciò spazio al bianco più sfolgorante che gli avesse mai inondato gli occhi.
Sans se li schermò con le braccia, grugnendo impercettibilmente, l’inatteso cambio di illuminazione lo aveva quasi accecato.
Trascorso qualche secondo, abbassò lentamente le mani e attese che i suoi occhi si abituassero a tutto quel bizzarro chiarore.
Qualcosa di piccolo e luccicante volteggiò davanti alla sua visuale non appena lo fece.
Neve.
Lo scheletro osservò inquieto il volteggiare di quel singolo fiocco, fino al suo inevitabile posarsi sul manto bianco che copriva il terreno vicino ai suoi piedi.
Sollevò lesto lo sguardo.
Abeti dalle fronde imbiancate, la strada con la neve smossa a formare un sentiero, il fiume che scorreva pacifico alla sua sinistra… superato lo smarrimento iniziale, riconobbe istantaneamente il luogo: il tratto di strada appena fuori da Snowdin.
Il silenzio che appesantiva l’aria densa di fiocchi gli fece portare istintivamente una mano al petto, sotto al quale la sua anima batteva irrequieta e lenta, come se temesse di spezzare quella gravosa assenza di suoni con qualche battito più udibile degli altri.
Strinse inconsciamente il tessuto della sua maglia quando sentì un rumore di passi provenire dal fondo della stradina. I suoi occhi vennero inchiodati dal blu e dal lilla di un maglione e da un luccicare argentato che gli fece sbattere le palpebre un paio di volte prima di poter mettere a fuoco. Era… la lama di un coltello?
« Oh, chi potrebbe essere quella creatura laggiù? »
Gaster era appena emerso al suo fianco dal terreno e Sans non aveva potuto evitarsi di balzare leggermente all’indietro, troppo distratto perché potesse nascondere quanto quel riapparire inatteso lo avesse fatto trasalire.
Strinse gli occhi dall’irritazione vedendo la nota compiaciuta che il sorriso di Gaster aveva assunto.
« Che significa tutto questo? » Chiese, riacquistando il terreno che aveva perso per il suo spavento di poco prima. Mai sarebbe arretrato di un solo passo davanti a Gaster, mai.
L’ex scienziato reale inclinò la testa da un lato, socchiudendo l’occhio sinistro.
« Perché non lo scopri da te? È il tuo sogno, dopotutto. »
Sans strinse visibilmente i pugni, il rumore di passi si era fatto nel frattempo più udibile.
Tornò a concentrarsi sulla figura e i suoi timori vennero purtroppo confermati: era proprio la ragazzina, Frisk – come se avesse potuto esserci anche solo una possibilità che fosse in realtà un mostro a girare armato di coltello, o che qualcun altro a parte lei indossasse un maglione con quei colori.
I peggiori scenari che la sua mente potesse partorire erano, malauguratamente, quelli che potevano spiegare più verosimilmente il tipo di scena a cui stava assistendo. I suoi sogni erano il punto di collegamento capace di infrangere le barriere tra una linea temporale e l’altra, non era certo della percentuale di verità in essi contenuta, ma parecchie delle cose orribili che vedeva non potevano essere tutte frutto della sua mente ormai troppo condizionata. E questo sogno in particolare era decisamente anomalo: era la prima volta che vedeva Frisk in una situazione simile.
La ragazzina gli era ormai talmente vicina che avrebbe dovuto notare la sua presenza già da un pezzo, ma nulla nella sua camminata incedente era mutato.
Ciò che gli fece allargare gli occhi allarmato furono le tracce argentee sui suoi vestiti, polvere di mostro ad una prima esterrefatta occhiata. No… di mostri. Quanti ne aveva uccisi per essersi macchiata i vestiti a tal punto?
La osservò turbato mentre passava oltre sia lui che Gaster e proseguiva, inoltrandosi nella nebbia. L’apatia di quel volto, che nei suoi ricordi sfocati era invece gioioso, pieno di vita e sorridente, lo aveva lasciato profondamente inquietato e Sans non riuscì a scrollarsi di dosso il gelo che gli aveva scosso le ossa in quel frangente.
« Halt, umano! »
Sans spalancò gli occhi. Era… la voce di suo fratello quella?
Due passi in avanti, la neve che veniva schiacciata.
« Ehi, smettila di muoverti mentre ti sto parlando! Io, il Grande Papyrus, ho alcune cose da dire! »
Oh no… no… no
« Primo: sei un tipo dannatamente strano! Non solo non ti piacciono i puzzle, ma il modo in cui vaghi da un posto all’altro… »
Corse in mezzo alla nebbia, fino ad intravedere le sagome dell’umana e di suo fratello. Dio, perché Papyrus stava continuando a parlarle?! Non capiva che c’era qualcosa che non andava? No, suo fratello non era stupido, capiva di star rischiando la vita, ma era troppo fiducioso e pieno di coraggio per correre via come avrebbe fatto un mostro qualunque.
« … Il modo in cui le tue mani sono sempre coperte di polvere… sembra che la tua vita stia procedendo verso un sentiero pericoloso. Comunque! Io, Papyrus, vedo un grande potenziale in te! »
« N-no… Paps… » Bisbigliò, prima che qualsiasi parte razionale del suo animo potesse impedire a quelle parole di lasciare la sua bocca. Era un sogno, tutto questo era probabilmente già accaduto e non poteva nemmeno fare niente al momento per impedire che ciò che era già stato fatto si verificasse… ma, pur sapendo questo, la sua anima non pareva essere sul punto di accettarlo tanto presto e smettere quindi di agitarsi inquieta nel suo petto.
« Chiunque può essere una persona fantastica, se solo ci prova! »
“ Non è questo il caso, Paps. Non è questo il caso! ”
Se lo sentiva nelle ossa che non era quello il caso.
« Ti vedo agitato, Sans. Ti spaventa così tanto vederlo morire davanti ai tuoi occhi? » Gaster era nuovamente su di lui, la sua voce appena dietro il suo collo, e Sans si sentì quasi inghiottire dal nero di cui era composto il suo corpo, un lungo brivido gli scosse  la colonna, ma si rifiutò di imputarne la causa a qualcosa che non fosse il freddo di quello scenario onirico. « Dovresti esserci abituato. »
Sans digrignò leggermente i denti, sopprimendo duramente quel singolo, involontario tremore.
« Zitto. » Ringhiò, un guizzo azzurro e dorato baluginò nel suo occhio, la sua voce distorta dalla rabbia. Non si sarebbe mai potuto abituare ad una cosa del genere, nessun mostro con un minimo di sanità mentale avrebbe potuto abituarsi ad una cosa del genere. E Gaster lo sapeva, eccome se lo sapeva.
Gaster ghignò sottilmente, non una sbavatura nel suo sguardo che potesse indicargli quanto ottenere quel tipo di reazione non fosse ciò a cui aveva mirato sin dall’inizio.
« Come desideri. » Concesse con un gesto accondiscendente, dissolvendosi con uno Swush! ovattato, e rimase solo il bianco immacolato a far da padrone in quel luogo di silenziosa desolazione.
Gaster era tutt’altro che andato ovviamente, ma Sans si sentì comunque liberato dal peso di un macigno in meno sulle proprie spalle, non il più pesante purtroppo, ma grazie alla cui assenza poteva almeno fingere di essere solo in quell’atmosfera di profonda inquietudine, solo con la naturale apprensione che nutriva verso suo fratello e solo con le sue paure più recondite.
Muovere le gambe fu più difficile di quanto avesse previsto, ma sapeva che doveva farlo, che doveva vedere cosa stava succedendo al di là del banco di nebbia, per sé stesso e per Papyrus soprattutto.
Suo fratello aveva continuato a parlare e, a causa di Gaster, aveva perso gran parte del resto di quella conversazione a senso unico.
« Mi stai offrendo un abbraccio d’accettazione? Wowie! Le mie lezioni stanno già funzionando! »
Sans si fermò quando ormai pochi passi lo separavano dall’umana. La ragazzina era talmente vicina a Papyrus che i due potevano ormai guardarsi in volto senza l’ostacolo della nebbia, ma difficile era capire se Frisk stesse davvero prestando attenzione a suo fratello, il suo viso sfortunatamente celato dalle ciocche di capelli della frangia. Grazie alla vicinanza, fu allora che Sans notò il tremolare del braccio della piccola e apprese di quel dettaglio con una certa perplessità.
« I-io… »
Sbatté le palpebre. La aveva sentita parlare, o era stata solo la sua immaginazione? La voce di Frisk era stata talmente flebile che un alito di vento avrebbe potuto sovrastarla e, dopotutto, poteva persino essersi sbagliato. Si chiese se anche suo fratello fosse stato in grado di udire quel sussurro, non aveva visto mutamenti nell’espressione socievole eppure lievemente insicura dell’altro scheletro che potessero confermarlo. Ma il modo con cui Papyrus stava stringendo mascella e mandibola assieme era un chiaro segno di insicurezza che Sans non era abituato a vedere in suo fratello minore e quella vista da sola bastò a far pendere sulla sua testa un nuovo senso di minaccia. Perché, nascosta dietro alla fiducia e al coraggio incrollabile, negli occhi di Papyrus Sans vedeva una punta di quasi impercettibile paura agitarsi al loro interno.
« Io, Papyrus, ti accolgo a braccia aperte! »
E, per sottolineare ciò, Papyrus allargò calorosamente le braccia, le gote tese sotto uno dei suoi sorrisi più larghi e incoraggianti e il petto esposto a qualsiasi genere di attacco.
« N-no… »
Questa volta, la voce di Frisk era stata talmente chiara e udibile che Sans non poté pensare per un singolo istante di essersela immaginata. Appena udito quel suono, il suo sguardo si rispostò immediatamente sulla ragazzina. Le sue dita intorno al manico del coltello erano ancora più malferme di pochi secondi prima.
“ Piccola, per favore, fa la cosa giusta! ” Pensò, prendendo un respiro tremante come quella mano che, adesso, stava tenendo in pugno il destino di suo fratello. Sperava, forse invano, in un lieto fine per la situazione disastrosa a cui era costretto ad assistere completamente impotente. Era la stessa umana che aveva scherzato, riso, abbracciato suo fratello fino a poco prima che si fosse andato a coricare sul divano quella sera, la stessa umana che si era preoccupata per lui e che aveva risparmiato Undyne con un sorriso, pur avendo tutte le ragioni per fare invece il contrario. Una persona così non poteva aver ucciso suo fratello.
« No…! » Quasi urlò Frisk, sollevando la testa di scatto, suo fratello sussultò per quella reazione inattesa.
Lui non fu da meno. Sentiva che c’era qualcosa di innaturale, di profondamente sbagliato in quella scena, e suo malgrado non riusciva a comprendere cosa fosse. Aveva come la sensazione che la piccola stesse parlando con qualcun altro all’infuori di suo fratello, qualcuno di invisibile e inudibile, ma era una sensazione di per sé assurda. Era probabilmente solo suggestione la sua, ma neanche questo era positivo. Doveva restare il più lucido e razionale possibile se voleva cogliere il messaggio che quel sogno gli stava portando, non importava quanto gli avrebbe fatto male vedere ciò che sarebbe stato costretto a vedere.
Frisk fece un passo avanti e Papyrus fu rapido a ripristinare la sua precedente espressione gioviale.
« Umano? »
La presa di quelle dita sul manico non tradì più alcuna indecisione.
Sans voltò la testa e serrò gli occhi.
SHWIIING!
La sua anima perse un battito quando quel suono echeggiò nell’aria vuota di rumori. Si sentì scuotere da capo a piedi, come se quel rumore gli fosse penetrato dentro e gli stesse percuotendo il cuore che rappresentava la sua essenza più pura persino a distanza di parecchi secondi. Pregava che fosse finita, pregava che non avrebbe dovuto vedere più nient’altro, era una richiesta troppo pretenziosa la sua?
« B-beh, non era quello che mi aspettavo... »
Sans boccheggiò leggermente. Cosa stava… succedendo? Papyrus e-era ancora vivo?
Sollevò esitante una palpebra e l’orrore più dilaniante che avesse mai sperimentato gli trafisse l’anima.
Il corpo di suo fratello era fermamente in piedi davanti alla ragazzina, le braccia ancora allargate nell’offerta di un abbraccio, la sciarpa che si avvolgeva attorno ad un collo privo di testa.
Non riusciva a guardare, a concentrarsi su nient’altro, tanto era straziante la vista del torso decapitato di suo fratello che, sotto la forza del primo lieve alito di vento, divenne null’altro che polvere.
Perché, perché gli aveva fatto questo? Cosa aveva fatto di male Papyrus per meritarsi qualcosa di tanto atroce?!
« Ma… »
Sans riacquistò la propria capacità di movimento solo per abbassare il capo e vedere la testa di Papyrus emergere dal cumulo di neve sopra cui era caduta. Sorrideva ancora, suo fratello, nonostante l’ultimo essere che avrebbe visto sarebbe stato il suo stesso assassino… nonostante stesse ormai per morire.
« A… ancora! Io credo in te! Puoi fare un pochino meglio! Anche se non la pensi così! » Disse, imperterrito, e Sans poteva vedere la vita lasciare gli occhi di suo fratello ogni istante che trascorreva. « Io… Io lo prometto… »
Un mucchio di polvere e una promessa che si disperdeva nel vento fu ciò che rimase di Papyrus dopo che persino la sua voce squillante fu messa a tacere.
Sans restò immobile finché Frisk non ebbe superato il body da battaglia riempito di polvere e la sciarpa semisepolta dalla neve, diretta verso l’ingresso delle caverne di Waterfall. Non si voltò neanche una volta mentre si allontanava.
I bordi della sua visione vennero lentamente appannati dalle lacrime che non si era reso conto di aver cominciato a versare. Le ginocchia quasi cedettero sotto il peso del suo stesso corpo, solo per puro miracolo riuscì a non finire in ginocchio in quella neve maledetta, mentre un singhiozzo lasciava la sua bocca tremolante.
“ Sporca codarda! ” Urlò furiosamente nella sua testa, asciugandosi le lacrime con la manica della felpa. Come aveva potuto credere che quella mocciosa avrebbe anche solo… avrebbe risparmiato...
Suo fratello le aveva offerto tutta la sua comprensione e il suo amore e lei… lei cosa aveva fatto? Lei lo aveva attaccato in un momento di vulnerabilità, lo aveva ridotto in fin di vita e lasciato con l’illusione di poter ancora far qualcosa per aiutare, per rendersi utile, per sentirsi apprezzato, anche da una persona vile come lei!
Sporca, sporca codarda…
« Sembra che questa volta abbiamo il colpevole a portata di mano, mh? »
Gaster aveva ripreso forma al suo fianco, nero in netto contrasto col bianco del paesaggio onirico.
Sans abbassò stizzosamente il braccio, stringendo le dita in un pugno tremante.
« Tu… è tutto un trucco, vero? »
Perché faticava ancora a credere che quel sogno raccontasse di una realtà già accaduta e incancellabile? Perché una parte così flebile di lui voleva sperare in una menzogna, in un inganno ben intessuto dalle perverse mani di quel demonio? Non aveva senso, eppure quella domanda aveva già raggiunto Gaster da un pezzo.
Gaster esibì quello che assomigliava ad un velenoso sorriso a fior di labbra, mentre lo osservava con quell’aria di compiacimento che si portava sempre dietro.
« Vorresti lo fosse, eh ragazzo? » Disse, avanzando verso di lui, totalmente incurante dei poveri resti di suo fratello. « Non posso interferire con i tuoi sogni, questo va oltre le mie capacità… dovresti saperlo. »
Sans abbassò lo sguardo con un ringhio silenzioso quando riconobbe quel finto tono di rimprovero.
« Ciononostante, mi dispiace deluderti, ma non sei ancora al di fuori del mio raggio d’azione. »
Il bianco venne ringhiottito dal nero del Void una volta che Gaster evocò di nuovo le tenebre perenni di quel luogo.
Lo scheletro abbassò le palpebre, il ringhio che retrocedeva pian piano fino a lasciar spazio al sorriso disteso con cui era ben più familiare, la sua lotta interiore per ora messa da parte.
« Nah, non ti dispiace in realtà. Se devo proprio tirare ad indovinare, non stavi aspettando altro. » Ribatté, recuperata ormai la sua facciata affabile abbastanza per nascondere quanto quell’esperienza lo avesse sconvolto. Si era già mostrato debole a sufficienza per i suoi gusti.
Gaster batté lentamente le mani, il suo ghigno sfregiato sempre immutabile come una maschera.
« Complimenti per l’intuito. Si vede che mi conosci bene. »
« Purtroppo. » Bofonchiò lo scheletro, inasprendo il tono di voce. « Fa quel che devi fare. Sono stanco di starti a sentire. »
« Come siamo frettolosi, ragazzo. Non sei in vena di riposare, per caso? »
« Tutto il contrario, vecchio. Per questo voglio concludere il più in fretta possibile. »
Gaster abbassò le braccia, portandosele con fare calmo dietro la schiena. Inclinò la testa di qualche centimetro mentre avanzava verso di lui, col passo misurato di un predatore.
« Mi fa piacere sentirtelo dire… soprattutto se, d’ora in avanti, non ti sarà più possibile. » Sibilò, con un sogghigno cinicamente divertito.
Sans inarcò le creste sopraccigliari.
« Cosa…? »
« Mi hai sentito bene, Sans. Non ti lascerò riposare finché non cederai. » Disse, alzando un dito ossuto, ogni parola successiva fu scandita da un movimento meccanico di quest’ultimo. « Neanche.un.minuto. »
« Stai bluffando, non puoi influenzare la realtà a tal punto. » Ribatté Sans, cercando di nascondere quanto fosse davvero allarmato dalla prospettiva che Gaster gli aveva appena descritto. L’essere pigri o attivi non c’entrava niente in quel caso, tutti hanno bisogno di dormire e lui non faceva assolutamente eccezione. E se non stava bluffando come temeva, allora Gaster aveva trovato il sistema adatto per avere in pugno persino un tipo ostinato come lui. Ma perché proprio ora? Cosa diavolo era accaduto per far sì che quel pazzo acquisisse un controllo tanto elevato sul mondo reale?
Il sorriso di Gaster divenne uno squarcio frastagliato da zanne.
« Affatto. Ne sono perfettamente in grado, per tua sfortuna, e ti ho già dato prova di questo. Addormentati e io ti sottrarrò qualsiasi energia ti sia rimasta in questo patetico corpo che ti ritrovi… e sai, dopo, cosa succederà? » Un bianco e tetro bagliore illuminò l’orbita sinistra dell’ex scienziato nel momento in cui egli rispose alla sua stessa, cupa domanda. « Il tuo corpo sarà mio. »
Sans venne afferrato bruscamente per la spalla e cercò di astenersi dal sobbalzare o dall’emettere anche un singolo lamento, ignorando al contempo e con tutte le sue forze il progressivo arricciarsi delle estremità del sorriso di Gaster.
« Resta sveglio e le perderai comunque, ma l’agonia sarà lenta. » Continuò e la sua voce stridente si abbassò fino a ridursi ad un sussurro. « Conoscendoti, non dovrò attendere molto prima di vederti strisciare a terra, disperato e distrutto dalla mancanza di riposo. »
Sans lo fissò risoluto, rifiutandosi di mostrare ogni altra emozione da cui Gaster avrebbe potuto ricavare godimento.
« Contaci. Troverò un modo per… »
« Per rimediare a questo piccolo inconveniente? Oh, non metto in dubbio che lo troverai, ma sarà davvero così duraturo? » Lo interruppe Gaster, intensificando la stretta sulla sua spalla fino a zittirlo rudemente, il suo sorriso frastagliato si ampliò sino a sfiorare le orbite simili a lacerazioni. « Che te ne pare se cominciamo da ora questa nostra piccola sfida, mh? »
Sans tentò di liberarsi in ogni modo dalla presa della mano del suo aggressore, grande letteralmente quanto la sua spalla – dio, perché Gaster doveva essere così enorme e lui così ridicolmente piccolo? – ma da stretta divenne presto una morsa spietata e lo scheletro si ritrovò a stringere i denti fino a farli scricchiolare, tutto era preferibile all’urlare e dare così alla sua nemesi esattamente ciò che voleva.
La sua clavicola sinistra si spezzò a distanza di un solo secondo da quel pensiero e il dolore ebbe un’escalation lancinante e non abbastanza rapida per consentirgli di frenare il gemito che gli rimbombò in gola, soffocato praticamente a stento.
Gaster lo lasciò andare e Sans si piegò in avanti, stringendosi l’omero nel tentativo di contenere i lamenti che minacciavano di lasciare la sua bocca ansimante.
Alzò la testa, forzando un sorriso laddove c’era solo una smorfia contorta dal dolore.
« Niente affari striscianti q-questa volta? » Ironizzò, perché tanto valeva divertirsi a modo suo visto che, a quanto pareva, il ruolo di vittima impotente gli era stato affibbiato senza il suo consenso. Restare in silenzio quando aveva la spalla fratturata in più punti era, d’altronde, l’alternativa peggiore a cui potesse pensare.
Le braccia gli vennero afferrate brutalmente dalle massicce propaggini nere che Gaster evocò dalle ombre del Void. Un brivido gli scosse le vertebre della colonna, ma il suo sorriso non vacillò, a dispetto della spalla che veniva di nuovo sottoposta a pressione, a dispetto del timore che aveva ora di quelle cose. Poteva sopportare, doveva sopportare e lo avrebbe fatto. Gaster non poteva torturarlo in eterno poiché, nonostante i vincoli con il reale venissero recisi dal Void, garantendogli una resistenza maggiore rispetto alle sue reali capacità fisiche, il suo corpo era comunque destinato a cedere dopo una certa quantità di danni. Sperava solo che, per farlo uscire da questo incubo, non fosse necessaria una mutilazione come quella della notte precedente.
« Spezzarti con le mie mani è altrettanto soddisfacente… ma se insisti… » Un cerchio di luce bianca brillò cupamente nell’orbita sinistra di Gaster, un angolo del suo sorriso si piegò verso l’alto, da quel volto che avrebbe dovuto essere pressappoco inespressivo trasparì puro, sadico, divertimento. « … Non vedo perché non dovrei accontentarti. »
« Eheh… b-bastardo… » Mormorò Sans, l’espressione identica a quella del suo aguzzino, ma priva della nota perversa che caratterizzava la sua gemella.
« Quanto amore, Sans. » Ridacchiò, tetramente, Gaster. « Quanto… AMORE. »
Pollice e medio schioccarono.
« Buona notte, piccolo impertinente. »






Sameko's side
Oh, ehilà voi, come va? Passate bene le feste? ^^ Scusate per il ritardo, giuro che non era mia intenzione far uscire questo capitolo il 27, cause di forza maggiore si sono messe in mezzo purtroppo ( leggasi oh mio dio sto talmente male che non riesco a reggermi in piedi oh ehi ora sono in piedi ma ispirazione dove sei torna quiii ah eccoti cara amica mia complimenti per il tempismo perché è Natale dannazione! ). E, vabbé, non mi sembrava il caso postare un capitolo così depresso la Vigilia ah ah ah. Quindi ve lo beccate oggi, non siete contenti?? XD
Il prossimo cercherò di postarlo in tempi più accettabili, magari durante i primi giorni dell'anno se riesco! ^^ 
Eeee non ho molto da dire... scusate se sono proprio di poche parole, ascolterete i miei deliri un'altra volta. ;)
Buone festività a tutti, nel frattempo!! 
Bacioni!

Sameko
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10: Prove ***



Capitolo 10: Prove
 




All’inizio, era stata solo una debole sensazione di pericolo ai limiti della sua percezione a farla passare da uno stato di sonno profondo al dormiveglia, ma erano occorsi solo pochi, flebili secondi affinché quella sensazione diventasse una percezione fisica, un qualcosa a cui il suo cervello potesse rispondere con panico attivo una volta registrato.
La sua anima si agitò come se fosse sul punto di spezzarsi in due sotto il peso, la minaccia di qualcosa di irruento e invasivo che stava tentando di raggiungerla, per poi strappare violentemente via qualcosa dal suo petto.
Frisk aprì gli occhi, boccheggiò, in cerca dell’aria che le stava venendo a mancare. I capelli arruffati le scivolarono da un lato quando si mise a pancia in su, a fissare il soffitto della camera di Papyrus, ansimante e tremante. Ma, così come era arrivata, quella sensazione di dolore sparì, facendole quasi dubitare di averla percepita in primo luogo.
Rimase lì ferma in quella posizione per parecchi secondi prima di strofinarsi stancamente gli occhi, sospirando.
Gettò uno sguardo lievemente apprensivo verso Chara che, infilata sotto le coperte di fianco a lei, non sembrava però essersi svegliata, e il suono del respiro ancora regolare dell’altra ragazzina la rassicurò di questo. Era stata una giornata estenuante per entrambe, prima quello scontro, poi il fare amicizia con tutti i mostri che abitavano nell’area di Waterfall, le lezioni di cucina estrema a casa di Undyne e, infine, il viaggio di ritorno a casa dei due fratelli-scheletro. Sorrise di cuore ripensando al sorriso benevolo che Papyrus aveva rivolto loro nel vederle tornare come si erano accordati. Sembrava ormai convinto di averle ufficialmente adottate come sorelline più piccole, nonostante in questa linea temporale si conoscessero da appena due giorni, ma questo genere di comportamento non era estraneo alla normale natura fiduciosa e gioviale di Papyrus. Certe cose non cambiavano mai e Frisk era contenta di poter ancora contare su persone ( mostri ) come lui.
Si portò una mano in alto a tastarsi il petto, dove cuore e anima si univano in un unico e armonico battito. Alla sua anima non era successo nulla per fortuna, si rese conto con un sospiro sollevato. Non poteva però aver immaginato quel dolore, era stato troppo reale e vivido perché avesse potuto trattarsi di semplice immaginazione, eppure era stato velato da una distanza che la aveva in parte fatto scudo dalla pura forza di quella percezione.
Forse, quel dolore non era stato suo, ma… di qualcun altro?
Puntò lo sguardo verso la porta chiusa, realizzando pian piano cosa potesse essere accaduto.
Essere legati da una Sintonia significava questo? Sentire in una certa misura lo stesso dolore dell’altro?
Un momento.
Dolore?
Sans si era fatto male?! Gli era accaduta la stessa cosa di ieri? Ma non lo aveva sentito gridare e dalla stanza a fianco, ora occupata da Papyrus, nessun rumore poteva essere udito. Che non si fosse appostato in mezzo al corridoio come la notte precedente ma fosse rimasto in salotto a dormire? Sperava davvero fosse così, o dubitava che sarebbe riuscita ad accompagnarlo al piano di sotto da sola.
Si alzò più silenziosamente che poté, districando i piedi dalle coperte. Sfortuna voleva che fosse stata lei ad addormentarsi contro la parete e dovette quindi strisciare fino al bordo del letto e scendere dal lato corto, visto che il lato lungo era bloccato da Chara.
Si infilò il maglione dell’amica, che l’altra ragazzina le aveva offerto di indossare finché Papyrus non le avesse ricucito il suo, e fece attenzione a non creare frizione tra il tessuto e le bende che le fasciavano la bruciatura ancora fresca. Undyne si era già scusata con lei per quella ferita ovviamente, ma le aveva fatto promettere di non usare nessuna magia per curarla. I grandi guerrieri portano con onore le loro ferite di guerra, le aveva detto, con un tono che ricordava vagamente un vecchio generale in pensione. Non si reputava una grande guerriera, non una che potesse rispecchiarsi in quella frase piena di orgoglio, ma se questo faceva piacere ad Undyne, non vedeva dove fosse il problema, qualche giorno e la ferita sarebbe comunque guarita. Se non fosse stata in ansia per Sans, avrebbe sorriso al ricordo di come Undyne aveva esposto loro un programma di allenamento completo subito dopo quel discorso sulle cicatrici e sulle ferite di guerra ( e poco prima di trasformare la sua casa in un campo di battaglia ). Dovevano averla impressionata molto, perché persino per Frisk questo cosiddetto allenamento era una novità assoluta. Se Toriel lo avesse saputo, avrebbe probabilmente fatto una lavata di capo ad Undyne per il suo acconsentire a dei bambini di dedicarsi a simili attività – non che lei e Chara fossero delle bambine, sia chiaro, ma non potevano ancora lontanamente autodefinirsi delle adulte, vista la loro giovane età.
Messo il maglione, uscì dalla stanza, richiuse delicatamente la porta con un lieve click e scese cautamente le scale.
I due punti di luce bianca che colse nel buio, non appena raggiunse il pianterreno, indicavano che Sans era sveglio come aveva sospettato. 
« Sans… » Lo chiamò, giusto per essere sicura di avere la sua attenzione.
« Piccola. » Replicò lui, la sua voce distaccata e fredda. Sperava che non fosse scocciato di vederla come il suo tono lasciava presupporre.
Si mosse esitante verso il divano. Lo scheletro vi era sdraiato sopra e non fece nessun movimento per cambiare la sua attuale posizione. Ora che aveva una visuale migliore dell’espressione sul suo volto osseo, comprese di averci visto giusto. Sans sembrava davvero irritato dalla sua presenza e si domandò se andare a chiamare Papyrus non fosse la cosa migliore da fare. Non poté, tuttavia, fare a meno di chiedersi cosa avesse fatto di sbagliato per provocare in lui una simile reazione.
« È tutto a posto? »
Sans si sedette fiaccamente contro lo schienale del divano, senza risponderle.
Frisk provò di nuovo.
« Sans… »
« Torna in camera, Frisk. Sto bene. » Le rispose brusco lui, ad occhi chiusi.
La ragazzina rimase nuovamente perplessa. Sans non si era mai rivolto a lei usando il suo nome, un po’ perché nelle altre linee temporali non ne era venuto a conoscenza fino alla loro riunione nella sala del trono, un po’ perché probabilmente doveva essere più piccola di lui di qualche anno e ‘piccola’ doveva sembrargli un appellativo adatto per rivolgersi a lei.
« Ne sei certo? Sembri… stanco. »
Con confuso stupore, lo vide ridere a denti stretti. Non era una risata sincera.
« Tu che mi dici invece, Frisk? Mi sembra tutto perfetto dalle tue parti. » Disse, sollevando una palpebra, gli angoli del suo sorriso erano diventati spigoli.
La ragazzina allargò gli occhi. Che cosa gli era preso tutto a un tratto?
« Ehm… vado a chiamare Papyrus. Non stai… »
Sans le afferrò il polso destro, così velocemente che Frisk si era a malapena resa conto del movimento. Trasalì, il cuore le balzò in gola per lo spavento e il suo intero corpo si immobilizzò sotto la sensazione delle fredde falangi dello scheletro.
« No. Non ti avvicinare a lui. »
Si voltò, stupita.
Le pupille di Sans emettevano solo un bagliore fioco nella penombra del salotto e il nero delle sue orbite pareva essere intenzionato a prendere il sopravvento su quelle già deboli luci da un momento all’altro.
I battiti nel suo petto si fecero più frequenti, una sensazione di gelo le corse lungo la schiena e desiderò solo che quello sguardo si addolcisse e tornasse ad assomigliare a quello tanto socievole che la aveva sempre accolta nell’Underground, fuori dalle rovine e nelle foreste di Snowdin.
« Che cosa hai fatto. »
Non era una domanda.
« S-Sans? »
Lo sguardo dello scheletro si indurì inclementemente in risposta al suo balbettio. Le lasciò il polso dopo alcuni estenuanti secondi, ma la sua espressione non abbandonò quel velo di ostilità che Frisk riusciva ancora a scorgere, seppur vagamente.
« Siediti. ‘Ricaricare’ non ti servirà, non provarci nemmeno. » Le ordinò e ogni pensiero di disobbedire e tornarsene a dormire si rafforzò automaticamente in lei. Si era acceso un brutto presentimento nel suo animo, un qualcosa le stava suggerendo la causa di quel comportamento così innaturale, ma Frisk non voleva darle ascolto. Era seriamente intimorita da Sans per prestare attenzione ai suoi stessi pensieri e avrebbe preferito qualunque altra cosa al sedersi come le era stato detto.
Tuttavia, lo fece comunque, perché Sans era stato terribilmente serio nell’ordinarglielo e Frisk sapeva cosa avrebbe fatto pur di tenerla lì. Suo malgrado, tremò malamente al pensiero di risentire la sua magia blu intrappolarle l’anima e bloccarle il respiro. Non voleva rivivere quell’esperienza.
Scivolò contro lo schienale del divano, tenendo le mani raccolte in grembo. Tornò a guardare lo scheletro dopo qualche istante e Sans, interpretandolo probabilmente come un segnale di disponibilità, parlò di nuovo.
« Quante volte hai resettato? »
L’ostilità era sparita dai suoi occhi, ma Frisk sospettava che avesse solamente rialzato le barriere con cui spesso sembrava abituato a nascondere le sue vere emozioni.
« Non lo ricordo. »
Sans la guardò con una sfiducia evidente.
« Lo giuro, non lo ricordo. » Insistette, stringendo le ginocchia l’una contro l’altra.
“ Sans, per favore… non guardarmi così… ” Lo pregò silenziosamente, senza avere il coraggio di dar voce a quel pensiero che rimase, contro ogni sua speranza, inascoltato.
« Perché continui a resettare, allora? » Le domandò lo scheletro e aveva la sensazione che la calma che le stava ora mostrando fosse solo un’apparenza inconsistente.
« Perché voglio farvi uscire da qui… ma non ci riesco… ogni volta, sono costretta a resettare e a ricominciare da capo. »
« E perché? »
Frisk distolse lo sguardo. Era riuscita a guardarlo in volto fino ad allora, ma ad ogni domanda e risposta quegli occhi la stavano fissando con sempre più disappunto e… astio.
Le labbra presero a tremarle e sentiva che sarebbe stato difficile continuare quella conversazione – interrogatorio – se si sentiva così sotto pressione. Magari era proprio quello a cui Sans puntava, farla sentire sotto pressione, ma si rifiutava di credere che lo stesse facendo apposta. 
« P-per favore, sto parlando tranquillamente… p-potresti non guardarmi c-così…? »
L’espressione di Sans era divenuta di nuovo indecifrabile…
« Quanti peccati hai accumulato durante tutti questi reset? »
… ma ciò che non poteva vedere nei suoi occhi poteva udirlo nella sua voce. Ed era avversione, repulsione che le strinse impunemente la gola.
« S-Sans… »
« Quante volte ci hai uccisi uno per uno, mh? »
« T-ti prego n-non… »
« Rispondi. »
Frisk seppellì il volto fra le maniche del maglione di Chara, trattenendosi dal piangere, ma il petto le tremava ferocemente, abbassandosi e alzandosi ad un ritmo erratico.
« N-non volevo f-farlo… d-davvero, io non volevo! Volevo solo… »
La voce le morì in gola.
“ Volevo solo rendervi felici. ”
E il risultato era stato ben diverso da quello che si era aspettata di ottenere.
Lo aveva saputo fin dall’inizio che avrebbe potuto far dimenticare agli altri quello che aveva fatto, ma non a Sans. Non aveva scusanti dietro a cui rifugiarsi ed era stata solo una questione di tempo ricordarglielo.
« Provamelo e io ti crederò. » Le disse Sans, inflessibile.
Provarglielo…? Non riusciva nemmeno a rallentare il respiro, figuriamoci se poteva pensare a come fornirgli un qualche tipo di prova!
In quel momento, volle solo che ci fosse Chara lì con lei, che sapeva già tutto e che, nonostante ciò, non aveva mai fatto niente per ricordarle quanto i suoi pensieri potessero diventare scuri, quanto era capace di compiere azioni orribili se veniva portata al punto di rottura, se la sua infinita pazienza finiva con l’esaurirsi e qualcosa di più primordiale e orrendamente umano subentrava al suo posto. Non aveva bisogno di promemoria continui per qualcosa di cui era già venuta a conoscenza da sola, facendo del male agli amici che la avevano sempre supportata e aiutata come potevano, nonostante i dissapori iniziali con alcuni di loro. Non ne aveva bisogno, eppure era ciò che questa linea temporale le stava dando, in aggiunta a quello che aveva sempre amato e ammirato di questo piccolo mondo nascosto in una montagna… un mondo che lei aveva rischiato di distruggere per sempre.
Per un’azione cattiva, una conseguenza altrettanto cattiva. Per un numero incalcolabile di azioni cattive, un numero incalcolabile di conseguenze altrettanto cattive. Con i reset poteva anche lei fingere di dimenticare, di ripartire da zero, ma la realtà era ben diversa.
Niente si cancella, tutto rimane.
Niente si deve cancellare, tutto ha un motivo per rimanere.
« N-non so come fare. » Rispose, dopo che aveva lasciato Sans ad aspettare per quella che avrebbe potuto essere un’eternità.
Lo sentì sospirare.
« Ti sei svegliata perché ho urlato? O c’è un altro motivo? » Le chiese lo scheletro e il suo tono di voce si era fatto misericordiosamente più accondiscendente. Frisk notò immediatamente la differenza, ma non poté conoscere la ragione dietro a quell’atteggiamento più conciliante. Lo aveva impietosito, forse? No… fra tutte le ragioni che potevano esserci dietro, questa era la meno plausibile, perché aveva visto quanto Sans potesse essere senza pietà e insensibile se la situazione lo richiedeva. Aveva magari valutato tutte le sue reazioni e, messe momentaneamente da parte le ostilità, le aveva quindi usate come sbocco per intravedere i suoi presunti veri pensieri? Più plausibile, certo… ma questo poteva anche implicare che Sans aveva finto per due giorni interi di non aver memoria degli eventi che appartenevano a quella orrenda linea temporale e che qualcosa, quella notte, gli aveva improvvisamente fatto gettare la maschera per affrontarla a viso aperto.
Oppure, ancora, quel comportamento brusco di poco prima poteva essere stata solo una finta ben architettata per spingerla ad aprir bocca, giustificata non da ricordi ben precisi, ma semplicemente da sensazioni e osservazioni… un po’ come lei che, giusto quella mattina, si era persa in pensieri carichi di sospetto e diffidenza nel mezzo della loro uscita da Grillby’s. Non aveva modo, purtroppo, di sapere quale di quelle possibilità fosse quella corretta, perché non aveva mai tentato di avere una conferma definitiva sul conto di Sans e sulla sua conoscenza dei reset e dei salvataggi… non ne aveva mai avuto bisogno fino ad allora, dopotutto. 
Non ricordava quando era nato in lei il sospetto che Sans potesse essere in grado di ricordare avvenimenti appartenenti ad altre linee temporali. Alcuni dei suoi amici più stretti avevano, a volte, solo vaghe sensazioni di déjà vu e Asgore le era sempre parso l’unico a conoscenza dei reset. Sans, invece, non si era mai tradito più di tanto e quando quel suo sospetto aveva continuato a non trovare né una smentita, né una conferma, aveva smesso di darci peso. Ma, adesso, si stava pentendo di aver lasciato cadere quella questione con così tanta facilità. Non solo lui sapeva dei reset, ma le probabilità che ricordasse anche in una certa misura erano sufficientemente alte... e non aveva idea se l’essere all’oscuro di quella misura la tranquillizzasse o meno.
« A-avevo… sentito dolore… pensavo ti fossi ferito, o-o simili…»
Non senza esitazione, Frisk alzò la testa dal rifugio che aveva creato con le maniche del maglione di Chara.
Le luci bianche negli occhi del mostro sembravano essersi ravvivate, come se la tempesta di prima fosse stata solo una fase passeggera.
« Dammi la mano. » Le disse, allungando verso di lei la propria. « Devo controllare se la Sintonia è ancora stabilita. »
Frisk spostò lo sguardo dal palmo osseo al volto dello scheletro. Titubante, posò la mano in quella di Sans, agitandosi un poco quando lui gliela strinse fermamente tra le dita.
Non successe altro per una decina di secondi. Si stava giusto chiedendo quale conferma Sans sperasse di trovare nel contatto tra le loro mani, quando un brivido d’energia le percorse il braccio. Riconobbe quell’energia, la stessa che le aveva dato la forza di rialzarsi ed eliminare lo spirito di Chara dal suo corpo, la stessa che le aveva detto di restare determinata e di non arrendersi. Era la dimostrazione che quella mattina voleva e, sicuramente, anche quella che Sans stava cercando in quel momento.
« Se vuoi darmi prova di quello che mi hai detto, questa è la tua possibilità. » La informò lui, tornando a guardarla intensamente negli occhi.
« C-come posso fare? » Bisbigliò, approfittando per liberare discretamente la mano dalle dita dello scheletro.
Sans non sembrò badare al suo evidente disagio, o al modo in cui aveva voluto ristabilire le distanze appena era stato possibile.
« Attraverso la Sintonia, posso vedere i tuoi ricordi e sentire le emozioni che suscitano in te, ma solo se me lo permetti. »
Frisk abbassò di nuovo lo sguardo. No, per quanto avrebbe voluto dargli le spiegazioni che si meritava, non poteva fargli vedere. Se Sans non avesse fatto ricadere la colpa di ciò che era accaduto su di lei anche dopo quella condivisione di ricordi, allora, la avrebbe fatta ricadere su Chara. E non voleva che Chara venisse presa di mira da Sans ( come se i rapporti tra i due potessero già definirsi amichevoli, per giunta ).
« Non posso… » Mormorò, con un fil di voce.
« Devo supporre che hai qualcosa da nascondere, allora? » Insinuò lo scheletro e quel tono di voce era tornato.
« Non è quello che pensi. » Replicò Frisk, riuscendo a parlare senza balbettare. « Hai detto che ti fidavi di me. Se è vero, se non mi hai mentito, mi crederai sulla parola. »
« Ci sono cose che neanche io posso fare. Ognuno ha i suoi limiti e, questo, è uno dei miei. » Le rispose Sans, inspirando attraverso il naso a palpebre calate, come se stesse lottando come lei contro un’insorgente irritazione. « Prendere o lasciare, piccola. Questa è la prima e ultima occasione che sono disposto a offrirti. »
Frisk strinse le labbra. La stava mettendo alle strette, ora. Sans si era sempre comportato così ed era stata lei quella tanto ingenua da non notarlo, oppure era una novità di questa linea temporale? Le dispiaceva ammetterlo a sé stessa ma quell’atteggiamento, per quanto potesse essere giustamente motivato, cominciava a starle un po’ stretto.
« Che farai se quello che vedrai non ti piacerà? » Gli domandò, giusto per sondare il terreno e il suo attuale umore.
« Niente, com’è mia abitudine. » Rispose il mostro, scrollando le spalle. « Piuttosto, se sei davvero la brava persona che sostieni di essere, dovresti essere tu quella che deve far qualcosa per rimediare ai propri errori. »
« Non ho mai detto di essere una brava persona, né penso di esserlo. » Lo corresse Frisk, piccata. « Per quanto riguarda il ‘rimediare ai miei errori’, lo sto già facendo e mi sto sforzando più che posso, non è probabilmente abbastanza e lo so, ma…! »
Si fermò, prendendo un respiro per calmarsi. Non era da lei mostrarsi spazientita, ma la presunzione con cui Sans le si era appena rivolto la aveva un poco irritata.
Rialzò gli occhi. Sans la stava scrutando con un’espressione leggermente accigliata, ma niente di più per fortuna.
« Scusa, non volevo reagire così. » Mormorò, evitando ancora lo sguardo dello scheletro. « Solo… mi dispiace che non ti fidi di me. Sei sempre stato mio amico… m-ma… capisco di essermi spinta troppo oltre… »
Ci fu silenzio tra di loro per un bel po’.
« Preferisci tenermi all’oscuro, quindi? » Le domandò lui, fissandola con la coda dell’occhio, con quella che sembrava essere una evidente accusa.
« Non ho detto questo. Non sarebbe corretto da parte mia. » Soprattutto se Sans, almeno sul chiedere spiegazioni, aveva le sue ragioni. « Cosa… devo fare? »
« Devi solo darmi la mano come prima e lasciare libera la mente, permettendomi di guardare nei tuoi ricordi. » Le spiegò Sans, diretto come al solito. « Al resto penserò io. »
« Ti mostrerò solo quelli necessari. » Lo informò immediatamente lei, stringendo i pugni contro le ginocchia.
Sans annuì senza obiettare e Frisk notò una rigidità insolita in quel movimento. Gli faceva male il collo, per caso? Beh, non poteva biasimarlo, una notte su quel divano e anche lei aveva avuto il collo dolorante per buona parte della giornata, ma allontanò velocemente quel pensiero fuorviante. Aveva ben altre priorità al momento.
Sans allungò nuovamente la mano verso di lei.
« Altro da aggiungere? » Chiese lui, probabilmente a causa della sua esitazione nel fare lo stesso.
Sì, qualcosa da aggiungere c’era ancora.
« Voglio che… che tu tenga a mente una cosa. Chara può essere anche più forte di me fisicamente, ma il potere che ho mi rende di gran lunga superiore a lei. E… se devo combattere per coloro a cui voglio bene, non mi fermo davanti a niente, te incluso, Sans. Non darmi un motivo per combattere. È l’unico favore che ti chiedo. »
Sans la studiò con uno sguardo criptico, gli occhi leggermente socchiusi e il sorriso immobile. Era un’espressione praticamente illeggibile, ma a Frisk non importava. L’importante era che il messaggio gli fosse arrivato. Chara era ancora fin troppo confusa per decidere da sé che strada prendere e voleva risparmiare almeno a lei altri problemi, di qualunque natura essi fossero.
« Ho afferrato, piccola. » Disse, lentamente, e Frisk seppe che aveva capito, perché era certa che Sans avrebbe fatto lo stesso per Papyrus a ruoli invertiti.
Gli prese la mano con cautela, attendendo altre istruzioni da parte sua.
« Chiudi gli occhi, sarà più semplice per entrambi. » Le suggerì Sans.
Non nascondeva che era un po’ restia a seguire quell’indicazione. Preferiva non rendersi totalmente vulnerabile davanti a Sans, soprattutto dopo quello che si erano appena detti. Il non sentirsi al sicuro in presenza dello scheletro era un altro chiaro segno di quanto la sua fiducia in lui non fosse più forte come era sempre stata. Ed era un vero peccato, perché fino a poco tempo prima avrebbe messo la mano sul fuoco su qualunque cosa lo riguardasse.
Chiuse comunque gli occhi, volendo collaborare al meglio delle sue capacità. Svuotò la mente, cercando di rilassare i suoi pensieri turbolenti, ma con risultati purtroppo scarsi. Rendere note quelle memorie a Sans la metteva in ansia e sapere che, terminata quella connessione – o qualunque cosa fosse –, lo scheletro la avrebbe guardata non solo con astio, ma anche con rancore, non la stava aiutando a migliorare il suo stato emotivo.
« Resta concentrata. »
Frisk sussultò leggermente risentendo la voce di Sans.
« Ok. »
Distese le spalle e si sforzò di respirare in modo più controllato. Dentro e fuori. Dentro e fuori… dentro… fuori…
Doveva tranquillizzarsi abbastanza per permettere a Sans di fare ciò che doveva fare. Prima finivano, prima avrebbe potuto liberarsi dell’angoscia di dover far rivivere a qualcuno quelle atrocità.
Altri respiri.
Dentro…
Fuori…
Percepiva già da sé che stava andando verso la direzione giusta.
« Va bene. Continua così. »
La voce di Sans suonò stranamente lontana, come se si stesse distanziando fisicamente da lei, nonostante fossero seduti a neanche un metro l’una dall’altro.
E poi, improvvisamente, la sua voce aveva perso consistenza, diventando più simile ad un pensiero suggerito che ad un suono vero e proprio.
Visualizza il primo ricordo che devi mostrarmi. ” 
Frisk si strinse nelle spalle. Avrebbe potuto partire dalla sua caduta nella linea temporale precedente ma… no, doveva partire da dove tutto era iniziato purtroppo. Sarebbe stato difficile e doloroso rievocare tutti quei ricordi, anche quelli che contenevano i pensieri che più la facevano vergognare di sé stessa, ma doveva comunque farlo. Non avrebbe tenuto nascosto niente a Sans, perché sarebbe stato disonesto e Frisk si rifiutava di cadere così in basso. E, se non gli doveva le giuste spiegazioni per correttezza morale, gliele doveva almeno per averle dato fiducia quando ne aveva avuto più bisogno, quando nonostante avesse fatto del male a suo fratello Sans aveva messo da parte il suo rancore per aiutarla, prendendosi l’enorme rischio di cadere in un inganno.
Sarebbe stata completamente sincera con lui, con la speranza che un giorno non avrebbe più dovuto tentare di decifrare un puzzle troppo complicato ogni volta che lo guardava in volto, poiché non ce ne sarebbe stato più alcun bisogno. Solo allora, Frisk sarebbe stata certa che le cose erano finalmente tornate alla loro originale semplicità e spensieratezza, perdute entrambe a causa di scelte sbagliate ed errori imperdonabili, che avevano innescato una serie di eventi di cui tutt’ora aveva solamente una vaga comprensione. Ma, ancora, il tutto era partito da lei e spettava a lei sola il compito di rimettere ogni cosa al suo legittimo posto. E questo che stava per fare era solo uno dei tanti passi che il suo vecchio obiettivo, la conquista del sole per tutti i suoi amici, le richiedeva di compiere.






Sameko's side
Greetings, I am Chara Ups, ho sbagliato saluto. 
Ciao, comunque! Primo capitolo dell'anno, iniziamo bene questo 2017 con un po' di incomprensione e diffidenza tra Frisk e Sans! Molto più che incomprensione e diffidenza ma, oh beh, hanno entrambi le loro ragioni per comportarsi in questo modo. v.v
Tanti pensieri, dialoghi e... cavolo, non è successo granché in questo capitolo, non vogliatemene. ^^" 
Non ho più niente da aggiungere, mh... sembra che le vacanze non mi rendono incline agli sproloqui. 
Ci becchiamo per il prossimo capitolo, se tutto va bene e se la galassia lontana lontana mi fa il favore di non reclamare troppo la mia attenzione in questo particolare periodo. ;) 
Buon anno a tutti!
Baci! 

Sameko


 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11: Tasto dolente ***



Capitolo 11: Tasto dolente 
 




 
Il primo ricordo apparteneva a undici linee temporali prima e, più che un’immagine, era un’emozione quella che Frisk voleva trasmettere a Sans tramite quelle memorie. Flowey aveva vinto, aveva preso in ostaggio tutti i suoi amici più cari e le anime umane erano entrate di nuovo in suo possesso, ghermite dalle sue avide radici irte di spine. Il fiore si stava facendo beffe di lei ancora una volta, con quel suo sorriso derisorio, le sue risatine compiaciute e il modo di parlare volutamente bambinesco. Frisk aveva fissato con dilaniante onnipotenza il concretizzarsi di quello scenario a lei fin troppo e sfortunatamente familiare… e, al senso di inutilità di fronte al proprio destino incancellabile, al peso del fallimento che ricadeva nuovamente sulle sue spalle tremanti, si era aggiunta la rabbia, una rabbia così soffocante da stringerle i polmoni. Non aveva permesso a Flowey di deriderla persino per quella sua inconsueta reazione, non avrebbe potuto sopportare anche quello… e aveva resettato, come la prima volta, come le altre volte, come sempre.
Si era risvegliata nel letto di fiori, con il sole che filtrava dall’alto, i suoni della superficie a malapena udibili da là sotto e un’altra, estenuante linea temporale da vivere. La rabbia non si era per nulla dissipata in lei, anzi, aveva solo potuto crescere d’intensità davanti a quella vista, il sole le era parso talmente accecante da provocarle un forte senso di nausea. Non importava quante volte ci avesse provato, quanto avesse invano cercato di variare i suoi comportamenti con la speranza di causare un cambiamento rilevante nel suo destino, niente era stato mai sufficiente per impedire a quel maledetto fiore di intralciarla! In quel momento, aveva solamente voluto che quell’erbaccia sparisse, che smettesse di tormentarla e di fare tutto ciò che era in suo potere per non farli uscire da quel sotterraneo senza futuro. A che scopo, poi? A quale assurdo scopo?!
La sua non aveva potuto nemmeno più essere definita rabbia, ma vera e propria collera, feroce e violenta, che aveva fatto nascere dentro di lei l’odio per la prima volta. E l’odio, che non si era resa conto di aver provato, la aveva indebolita, resa vulnerabile, aveva accecato irreversibilmente il suo giudizio. E qualcuno non aveva esitato a sfruttare quel breve momento di debolezza a suo vantaggio.
Era stato in quel frangente che Chara le aveva parlato per la prima volta. Era solo uno spirito consumato dal tempo quando la maggiore si era presentata a lei, oltre il limitare del letto di fiori, dove il buio della caverna poteva restare intoccato dalla luce del sole.
« Capisco la tua rabbia. » Le aveva detto Chara, con un’espressione di profonda comprensione e dispiacere. « Ti senti impotente e, questo, ti irrita molto. Lascia che ti dica una cosa: esiste un modo per raggiungere il tuo obiettivo. »
Frisk era rimasta sorpresa da quella singolare apparizione che, purtroppo, non era stata frutto del caso. Era stato proprio il suo odio a far involontariamente svegliare Chara, a richiamarla dal sonno in cui aveva riposato per due decenni, ma come avrebbe potuto saperlo d'altronde, concentrata com'era su questioni di tutt'altra natura?
Frisk la aveva ascoltata parlare per un po’, interessata da ciò che quelle prime parole le avevano promesso. E, ancor prima che Chara si fosse presentata, il suo intuito si era già messo al lavoro per svelare l’identità della sua inusuale interlocutrice. Non si erano mai incontrate di persona ma, grazie alle tracce audio della voce della migliore amica di Asriel contenute nei nastri giù al laboratorio, collegare le due persone era stato semplice per lei. La voce di Chara le era parsa molto meno limpida rispetto alla sua controparte impressa nelle VHS, ma ciò non le era stato d’ostacolo nel consentirle di riconoscerla.
« Conosco Asriel... » Le aveva assicurato quest’ultima, gli occhi neri e vuoti limati da un sottile velo di nostalgia. « Può aver cambiato corpo e personalità, ma l’indole resta la stessa. Il mio fratellino acquisito è sempre stato un fifone e un piagnucolone, purtroppo… e questo gioca a tuo favore, Frisk. »
Frisk le aveva quindi chiesto cosa aveva in mente, più interessata di quanto aveva voluto ammettere.
« Puoi continuare a combatterlo inutilmente, come hai fatto fino ad ora… oppure, puoi dargli un motivo per starti lontana»
« Come? » Le aveva domandato Frisk, perplessa.
« Diventa più forte in questa linea temporale, Frisk. Fatti valere, fatti temere, mostragli che fai sul serio. Diventerai talmente potente che neanche Asriel oserà più ostacolarti per il terrore di quello che potresti fargli. »
Frisk non aveva creduto sin dal principio che fosse una buona idea, perché lei non voleva intimorire nessuno, figuriamoci terrorizzarlo al punto da diventare per lui uno scoglio di paura. Lo aveva riferito a Chara e l’altra ragazzina non aveva esitato un secondo nel risponderle.
« Lo comprendo. Ma tu, Frisk, dovresti sforzarti di capire che il terrore è l’arma più potente di tutte. Puoi avere in pugno ogni essere che respira, umano, mostro o animale, se solo diventi invincibile. »
Chara le aveva quindi offerto la sua più completa collaborazione, accompagnata da una spiegazione in dettaglio di quello che aveva in mente.
« Devi acquistare più forza e la forza, in questo mondo, si conquista raccogliendo quanto più LOVE possibile. Suppongo tu sia familiare con questo termine, no? Se ti offrirò i miei consigli, sarà anche fin troppo facile. »
Acquistare LOVE? Avere qualcuno… in pugno?
Frisk aveva distolto lo sguardo da quello dell’altra ragazzina, incapace per qualche motivo di guardarla un secondo di più. Non aveva mai fatto né avuto nessuna delle due cose, perché non era giusto abusare della propria forza e pretendere di controllare la volontà di un’altra persona. Era… sbagliato.
« Non… ne sono in grado. Non voglio far del male a nessuno… »
« Sarà solo per questa linea temporale, Frisk. Asriel capirà che deve starti lontano se vuole sopravvivere e, quando resetterai, potrai finalmente concentrarti sul dare ai tuoi amici il loro lieto fine. » Le aveva ricordato Chara. « Ma, se l’idea non ti piace, puoi sempre tornare ai tuoi vecchi metodi. Io ti aspetterò comunque qui e ti aiuterò nel caso cambierai opinione. »
Per una linea temporale soltanto… avrebbe potuto renderli felici con una sola linea di temporale di sacrifici… no, non poteva fare una cosa tanto spregevole alle spalle di tutti gli altri e a Flowey, non ne sarebbe stata mai capace.
« Mi serve… del tempo per pensarci. » Aveva replicato, strofinandosi nervosamente una spalla. Per pochi istanti, il pensiero la aveva stuzzicata, ma era stato il suo buonsenso a prevalere infine, come era giusto che fosse. Fare una cosa tanto radicale e ignobile era davvero l’unica soluzione che le era rimasta? Avrebbe potuto essercene un’altra rimasta a lei invisibile fino ad allora e, per questo, aveva rifiutato quell’offerta nel modo più cortese ma fermo possibile.
Chara aveva annuito pazientemente in risposta e, dopo averla salutata con un breve cenno del capo, il suo spirito si era dissolto, inghiottito dall’oro luccicante della luce e dal nero dell’ombra.
Il suo primo ricordo terminava qui.
Visualizza il successivo. ” La guidò nuovamente Sans, una volta che l’immagine del letto di fiori e dell’ingresso dell’antica capitale aveva perso forma.
Frisk non percepì un segno nelle emozioni dello scheletro che potesse suggerirle quali autoconsiderazioni stesse facendo per conto suo. Al momento, comunque, sapeva che sarebbe stato inutile tentare di farlo. Se Sans non voleva rendere noti i suoi pensieri, difficilmente si sarebbe tradito, e Frisk stava lentamente cominciando a capire la meccanica che regolava i comportamenti dello scheletro. Complessa, certo, ma poteva venirci a capo con un po’ di esercizio.
I ricordi seguenti coprivano le altre nove linee temporali. Aveva provato ancora, ancora e ancora a combattere Flowey con le sue sole forze, come aveva sempre fatto, ma il reset aveva continuato a rappresentare l’unica possibilità di azzerare il tutto e ricominciare da capo dopo l’ennesimo buco nell’acqua.
Alla decima e ultima prima della linea temporale corrente, infine, era rimasta sdraiata sopra il letto di ranuncoli per un bel po’, stanca, disillusa, le forze per alzarsi che si erano rifiutate di raggiungerla e dare la spinta alle sue gambe per farla rimettere in piedi.
Aveva allungato la mano verso l’alto, come a voler afferrare uno di quei caldi raggi che filtravano dal buco parecchi metri sopra la sua testa, sperando di poterlo conservare e poi portare in giro per l’Underground per mostrarlo a tutti i mostri che incontrava. Guardate, avrebbe detto, questo è un frammento di sole. Anche con un piccolo assaggio di quel calore avrebbe potuto portare un po’ di gioia persino a coloro che avevano perso ogni speranza, ne era stata praticamente certa.
Quel desiderio passeggero era stato solo frutto di una fantasia irrealizzabile, ma persino una cosa così impossibile le era parsa più probabile rispetto al trovare una soluzione per infrangere la barriera. Le era rimasto solo l’approccio che Chara le aveva suggerito e si era dolorosamente resa conto di ciò, di non avere più altre alternative a parte quella. Liberatasi dell’intralcio che Flowey aveva sempre rappresentato per lei, avrebbe almeno potuto trovare una soluzione per salvare i suoi amici in tutta calma e tranquillità. Una volta raggiunto il suo obiettivo, avrebbe tentato di instaurare un rapporto di almeno reciproca tolleranza con Flowey, sempre se il fiore fosse stato disposto a farlo. Ma, per adesso, si sarebbe concentrata sui suoi veri amici, quelli che avevano riportato la gioia nella sua vita e che voleva assolutamente rendere felici a sua volta. Lo doveva a tutti a loro, nessuno escluso.
« Chara. » La aveva chiamata, dopo aver preso un respiro profondo. Non avrebbe voluto arrivare a tanto, ma le opzioni si erano oramai esaurite da tempo, a dispetto del suo continuo ostinarsi nel credere che, prima o poi, una soluzione pacifica le si sarebbe palesata davanti agli occhi. 
“ Solo per questa linea temporale. ” Aveva pensato, nell'attesa che lo spirito si mostrasse. “ Sarà necessario solo per questa linea temporale. Non ricorderanno nulla e… ne sarà valsa la pena, se potranno così vedere la luce del sole. ”
La sua sé passata, purtroppo, non aveva ancora compreso a quei tempi il reale significato della parola ‘conseguenze’ e solo l’esperienza le avrebbe insegnato la dura lezione nel modo più spietato possibile.
Chara era apparsa di nuovo al limitare del letto di fiori, come la prima volta, e Frisk aveva potuto percepire la sua presenza anche senza aprire gli occhi.
« Sì? »
« Voglio… provarci. »
Si era alzata, per incontrare lo sguardo tinto leggermente di rosso dello spirito.
« Ne sei convinta? »
Frisk aveva annuito, la determinazione più rinvigorita che mai nella sua anima.
Lo spirito aveva in seguito allungato la mano verso di lei, i raggi del sole che trapassavano le dita aperte in un invito.
« Accetti di essere la mia partner? » Le aveva domandato Chara, con un sorriso falsamente benevolo. Solo con la prospettiva esterna che ora possedeva, Frisk fu in grado di vedere l’ipocrisia abilmente camuffata da gentilezza nei comportamenti dell'altra. E si rese conto, con una buona dose di amarezza, di come avrebbe potuto evitare di commettere l’errore più grossolano tra tutti, se solo avesse aguzzato meglio lo sguardo, oltre che l’ingegno.
« Potremmo essere molto di più... potremmo essere amiche, no? » Le aveva risposto allora, stringendole la mano, stranamente corporea rispetto a quanto aveva dapprima creduto.
Il sorriso di Chara si era allargato.
« È un’idea meravigliosa. »
Stringendo quella mano, aveva permesso al suo corpo di ospitare lo spirito e l’anima di Chara, entrambi talmente deboli che non avrebbero potuto controllarne uno con le loro sole forze.
Non le era piaciuto fin dal primo istante uccidere, aveva voluto gettare via sia il bastone che il coltello giocattolo per più di una volta per porre fine a quelle azioni che aveva sentito profondamente sbagliate dentro di lei.
Ogni volta che il coraggio di aggredire un Froggit o un Whimsum le era venuto a mancare, ogni volta che aveva visto la polvere arrivare a macchiarle i vestiti, ogni volta che aveva voluto rinunciare a quell’idea, Chara era sempre stata lì ad incoraggiarla, a consigliarla, a muovere la sua mano per lei se Frisk glielo permetteva e se si sentiva abbastanza in forze per farlo.
Quando l’anima di Toriel aveva tremolato davanti a suoi occhi inorriditi, per poi spezzarsi e ridursi in polvere così come il corpo caldo e materno di cui era stata il motore vitale, Frisk aveva compreso con soffocante orrore a cosa aveva acconsentito. Aveva intrapreso un sentiero tabù, un cammino che non aveva mai nemmeno osato pensare di scegliere di testa propria… ed era stato proprio quello a cui Chara aveva mirato. Non poteva più tornare indietro, il reset non era più un’opzione, perché l’altra ragazzina era ormai dentro il suo corpo e poteva prendere il controllo della sua mano quando voleva. Avere il controllo di anche una sola parte del suo essere, ti garantiva la possibilità di resettare. Se anche fosse riuscita a cancellare quella linea temporale, lo spirito di Chara sarebbe rimasto comunque dentro di lei, a recuperare le energie necessarie per manovrarla come un burattino e uccidere quando più le garbava. E, ad ogni vita spezzata, Frisk avrebbe perso via via il controllo sul suo stesso corpo in favore di Chara, il suo potere le sarebbe stato rubato definitivamente ed ogni mostro dell’Undeground sarebbe stato alla mercé dell’altra ragazzina. Doveva per forza andare avanti, cercando di obbedire a Chara e di non farla insospettire, mentre il suo cervello avrebbe lavorato freneticamente per trovare una soluzione.
Fu vedendo la sagoma del laboratorio di Alphys in lontananza che un’idea aveva cominciato a formarsi nella sua testa. In una delle precedenti linee temporali, aveva trovato delle carte e dei progetti nel laboratorio sotterraneo, rimasti non consultati chissà per quanto a giudicare dai segni di abbandono mostrati dalla carta. Molti di quei vecchi appunti erano scritti in una lingua per lei incomprensibile, composta da simboli che non credeva di aver mai visto prima in nessun alfabeto, ma altri, scritti fortunatamente in Inglese, era stata in grado di leggerli senza difficoltà. Alcuni, in particolare, parlavano del composto che Alphys aveva progettato, la Determinazione. Tuttavia, come quelle note attestavano, Alphys non si era inventata tutto di sana pianta e già di per sé quel dettaglio era stato capace di catturare il suo interesse. Una prova di ciò Frisk credeva di averla individuata nelle note aggiuntive presenti in lungo e in largo su quei fogli, a volte confuse, a volte che raccontavano di una sincera ammirazione che Alphys doveva aver nutrito in passato verso l’autore di quegli appunti. Altre note, molto meno prolisse, descrivevano invece l’esistenza di un legame che poteva essere instaurato tra due o più anime, difficile da scogliere una volta creato. Gli appunti si chiudevano poi bruscamente, senza altri dettagli o spiegazioni, lasciando aperta una questione che durante la sua prima esaminazione le aveva fatto aggrottare la fronte: poteva questo legame, questa Sintonia, essere usata come arma? Non aveva capito, in un primo momento, perché una cosa all'apparenza tanto bella avrebbe potuto essere usata come arma, ma la Frisk che era stata costretta a diventare un’assassina sarebbe stata colei che, in mancanza di alternative migliori, avrebbe verificato e, forse, risolto quell’interrogativo lasciato in sospeso. Nessuna arma sarebbe stata efficace contro Chara, nemmeno sacrificare sé stessa sarebbe stato sufficiente per fermarla… e, magari, un differente tipo di arma avrebbe potuto avere successo laddove mezzi più convenzionali avrebbero fallito. Aveva dovuto sperare che sarebbe stato abbastanza, che avrebbe funzionato, o la pena per l’insuccesso sarebbe stata la perdita del suo stesso corpo e la condanna dei suoi amici a qualcosa di gran lunga peggiore della morte.
Il piano, seppur disperato e con alte probabilità di non vedere mai la luce, era stato delineato. Mancava la seconda anima, ovviamente, ma in tutto l’Underground nessuno sarebbe mai stato disposto ad instaurare un legame, per giunta difficile da sciogliere, con un umano genocida – senza contare che, vista la mancanza di ulteriori informazioni sul suddetto legame nel resto del regno, c’era persino la possibilità che nessuno sapesse cosa fosse una Sintonia, o non ne avesse proprio mai sentito parlare.
Quando aveva rivisto Sans nel Judgment Hall, credeva di essere stata ad un passo dalla salvezza. Sans le aveva sempre dato l’impressione di sapere molte cose, più di quanto un mostro normale avrebbe dovuto saperne, e magari la Sintonia avrebbe potuto essere fra quelle. Tutto quello che avrebbe dovuto fare sarebbe stato parlargli con qualche codice criptato inventato al momento, instaurare il legame e, con le migliori speranze, sconfiggere Chara nel processo. Tutta quella stretta catena di azioni le era apparsa semplice da realizzare, nella sua testa. Non era stato così, nella realtà.
Era stata costretta a scendere in campo anche contro di lui e, mai, mai avrebbe sospettato di vedere Sans in uno stato di simile onnipotenza. Ogni suo tentativo di resistere ai suoi attacchi era risultato vano, nemmeno Undyne la aveva uccisa così tante volte e la cosa che aveva ancor più dell’incredibile era che non era mai riuscita a colpirlo una singola volta, in nessuno dei suoi turni. Chara aveva continuato a ripeterle che un solo colpo sarebbe stato sufficiente a metterlo fuorigioco, tanta era la forza che avevano accumulato, ma tutt'ora Frisk dubitava che, se si fosse davvero sforzata di attaccare, anziché impiegare tutte le sue energie nello schivare, sarebbe riuscita nell’impresa. Sans era troppo potente per lei e, una morte dopo l’altra, il timore che Chara si stancasse e decidesse di prendere le redini dello scontro non aveva fatto altro che rafforzarsi nel suo animo già sull’orlo del crollo. Se fosse morto anche Sans, Frisk non aveva idea se avrebbe potuto contare sull’aiuto di Asgore. Ma, per fortuna, questo ipotetico scenario non si era verificato. Era riuscita a far credere a Chara che il suo piano fosse raggirare Sans a parole, per poi colpirlo a tradimento quando meno se lo aspettava. Con Chara in un minore stato di allerta, aveva finalmente ottenuto il tempo necessario per attuare il vero piano. E, infine, la Sintonia era stata instaurata, Chara era stata espulsa dal suo corpo e questa linea temporale, unica nel suo genere, era potuta cominciare.
Non aveva più nulla da mostrare e Sans, probabilmente percependolo, le lasciò così la mano. Il legame si interruppe e Frisk ritornò consapevole del proprio corpo e dello spazio intorno a lei, la sensazione fu simile al ricevere una secchiata d'acqua gelida in pieno viso, che spense la potenza di tutte quelle emozioni, pensieri e percezioni appartenenti al passato.
Solo in quel momento, si rese conto che i suoi occhi erano più umidi del normale e lo stesso umido poteva sentirlo sotto le dita con cui si era appena sfiorata le guance.
Non si era accorta di aver pianto.
 

Si era preso i suoi rischi scegliendo di parlarle ora, con Papyrus in casa e Chara al piano di sopra, ma la vista della preoccupazione sul viso di Frisk, dopo ciò a cui aveva assistito, lo aveva enormemente adirato, perché non aveva non potuto pensare all’eventuale, subdola falsità di quella preoccupazione e impedire alla rabbia di imperversare dentro al suo animo. L'ira non gli aveva fatto sentire ragioni in quel momento, soprattutto se il ricordo delle volte in cui Frisk era stata vicina, tanto vicina a suo fratello che avrebbe potuto ucciderlo con la stessa facilità con cui si ingoia dell'acqua, si ripresentava fresco nella sua mente irritata dalla stanchezza.
Ma, ora, la sua opinione sulla ragazzina era cambiata di nuovo e drasticamente grazie a quelle memorie intrise di angoscia… un’angoscia a lui non sconosciuta.
Aveva finalmente compreso le motivazioni del sé stesso dell’altra linea temporale, la sua decisione di aiutare la piccola a dispetto di tutto quello che era successo e che era stato costretto a fare – scendere in campo, affrontarla ancora e ancora e ucciderla altrettante volte. Era grato a chissà quale dio che una volta soltanto gli stava sorridendo dall'alto e aveva fatto ritornare a lui le memorie di quel corridoio tramite Frisk... e non in altro modo, con sprazzi fugaci e disorientanti di ricordi, poche devastanti sensazioni e rombi e urla, che avrebbero rimbombato a lungo nel suo cranio, prima di trovare una angosciosa quanto inevitabile corrispondenza. Poteva farsene una ragione ora, poteva superarlo più facilmente che in passato, visto che non era accaduto l'irreparabile, non aveva ucciso la piccola definitivamente, il sé stesso della linea temporale non era stato chiaramente in grado di farle davvero del male nonostante tutto... e la aveva aiutata. Cosa migliore fra tutte, lui la aveva aiutata e lei stava, adesso, cercando di mantenere la parola data.
Gettare via il coltello al momento opportuno era stato un segnale potente abbastanza da far smuovere persino il Sans che, morto Papyrus, non aveva davvero più nulla da perdere e nessuno in cui credere, facendogli intuire che qualcosa non quadrava in tutta quella situazione. A volte, pochi gesti – un gesto – valgono più di mille parole, e possono rivelare molti più aspetti del carattere di una persona rispetto a quanto potrebbe fare una conversazione lunga ore. E Frisk, doveva ammetterlo, aveva avuto molto coraggio e nervi saldi per la sua età. Era stata scaltra al punto giusto da ingannare con successo Chara, facendo nascere al contempo in lui il sospetto che qualcosa stesse effettivamente sfuggendo al suo occhio: un messaggio tra le righe che avrebbero potuto cogliere solo in pochi.
Un'audacia davvero tanto ammirevole la sua, quella ragazzina era un modello da cui molti avrebbero potuto prendere spunto, se solo si ignorava il quadro d'insieme, ciò che aveva costretto quell'audacia a venir a tutti i costi fuori al suo massimo grado.
Lo sollevava incredibilmente il fatto di non doversi guardare le spalle anche dalla piccola, il problema che ora Gaster rappresentava era già di per sé allarmante e non aveva bisogno di altre grane di cui occuparsi. Se non si aggiungevano altri nemici alla sua lista, andava tutto a suo discreto vantaggio dopotutto. Per contro, non si era fatto tutt'ora un’idea chiara sulla condotta di Chara; se già in precedenza non aveva avuto una buona opinione su di lei, i ricordi di Frisk avevano solo potuto peggiorare quella già non rosea immagine. Ma, pur tenuto conto di questo, quella era una faccenda che a suo parere non lo riguardava, almeno finché non ci fossero stati altri comportamenti aggressivi da parte della marmocchia. Frisk sembrava avere fiducia in lei, era stata una decisione della piccola quella di darle una seconda possibilità e lui non aveva il diritto di intromettersi tra di loro.
Frisk, d’altra parte, gli era parsa una persona affidabile, degna di fiducia così come appariva, e la mancanza di buchi e di discrepanze nei ricordi della ragazzina, anche in quelli che avrebbero potuto metterla in cattiva luce, era una prova più che sufficiente per rassicurarlo di ciò.
Aveva persino rivisto suo fratello nel cruciale momento che era culminato con la sua morte… ma, questa volta, dall'angosciante prospettiva della ragazzina. La piccola non aveva voluto uccidere suo fratello in un modo così brutale, lo aveva fatto solo per non destare i sospetti di Chara, ed era stato tanto doloroso per lei compiere quell’atto di crudeltà quanto lo era stato assistere a quella tragedia per lui. Era legittimamente rimasto sorpreso da quanta forza d’animo aveva avuto Frisk per non esitare prima e mostrare il dolore che le aveva stretto le interiora subito dopo, una forza d’animo da cui Sans era stato quasi sopraffatto nel solo sentirla attraverso quei ricordi – una forza d'animo che non lui non poteva vantarsi, né mostrare di avere.
Quella strana impressione che lo aveva colto durante il suo sogno si era inoltre rivelata corretta, perché infatti non era con Papyrus che Frisk stava parlando, ma con Chara, lo spirito della figlia umana dei reali, un’anima che al momento dell’incontro con la ragazzina più piccola era stata piena di un odio tale da consumare persino la fonte che lo aveva generato. Se l’odio improvviso e fugace di Frisk verso il fiore poteva essere paragonato ad una irrisoria scintilla, quello di Chara doveva essere stato un incendio capace di ridurre in cenere qualunque cosa se non opportunamente domato. Non poteva fare a meno di chiedersi come Frisk fosse riuscita a perdonare un simile essere, era un’azione che aveva dell’incredibile ai suoi occhi. Come poteva una persona possedere un’indole così caritatevole, ad una così giovane età per giunta? Sperava che questa sua qualità non le si ritorcesse contro, un giorno o l’altro… a volte, avere così tanta fiducia nel prossimo poteva rivelarsi più dannoso che altro.
Un solo dettaglio nel quadro generale lo aveva lasciato, tuttavia, alquanto perplesso: il suo sogno, se la sua memoria non lo stava ingannando, sembrava seguire pari passo i ricordi di Frisk, solo da una prospettiva imparziale e, soprattutto, esterna. Più che un sogno, quindi, il suo pareva essere stato un film in cui aveva avuto la possibilità di muoversi, ma non interagire con i suoi protagonisti. Per logica, invece, avrebbe dovuto viverlo in prima persona, magari nascosto dalle fronde degli alberi nei dintorni, ma la parte che aveva tuttavia impersonato era stata quella di un fantasma invisibile, capace solo di osservare impotente lo scorrere inevitabile degli eventi. Il che era abbastanza insolito, in qualunque modo volesse vedere la cosa, e la sua incapacità di spiegare quella stranezza stava facendo nascere dentro di lui un senso di scomoda inadeguatezza.
Avrebbe necessariamente dovuto chiedere a Frisk maggiori informazioni, se voleva risolvere quelle sue perplessità.
Sollevò le palpebre, infine, solo per vedere la piccola posarsi una mano sulle guance, lucide di lacrime quanto i suoi occhi vuoti di luce.
Gli si strinse un po’ l’anima a vederla così e le sue necessità, come se dentro di lui fosse scattato un processo automatico, passarono in secondo piano. Aveva creduto, fino a poco prima, di dover fare i conti con un’assassina, un mostro di crudeltà, un demone sotto mentite spoglie… invece, quella che aveva davanti era solo una ragazzina che aveva sopportato troppo a causa della cattiveria degli altri.
« Piccola? Stai bene? »
Le pupille di Frisk si spostarono rapide su di lui, come se udendo la sua voce si fosse svegliata da una strana trance. La ragazzina abbassò velocemente lo sguardo, a strofinarsi gli occhi con la manica del maglione, in viso un sorriso abbozzato, visibile a stento nella semioscurità.
« S-sì… sto solo piangendo troppo spesso in questo periodo… » Gli rispose, la voce scossa da un leggero tremore… ma il suo sorriso si spezzò quasi subito. « Mi dispiace che… che tu abbia dovuto vedere tutto q-questo… »
« Credo sia niente confronto a viverlo di persona. » Considerò cautamente Sans, in risposta. Non sapeva quanti mostri sarebbero usciti con così poche ripercussioni da un’esperienza tanto traumatizzante – meno di quanti potesse quantificarne, certamente. E l’attacco di panico di quella mattina sembrava trovare una sua giustificata origine adesso che persino lui aveva vividamente impressa nella mente l’immagine della misteriosa, terrificante trasformazione di Undyne. « Scusami per prima. Credevo… mi ero fatto un’idea diversa su di te, ma sono contento di essermi sbagliato alla grande. »
Frisk lo fissò con un oh di sorpresa.
« Non capisco… pensavo ti saresti arrabbiato… n-non lo sei? »
Sans addolcì il suo sorriso, sperando di poter alleggerire la tensione che doveva essere incredibilmente pesante sulle spalle della ragazzina.
« Direi di no, come puoi vedere. Su, non c’è bisogno di piangere. »
Frisk gli sorrise leggermente, ma erano ancora lontani dalla sua normale espressione mite. Vedeva chiaramente quanto fosse stanca e mortificata e ipotizzò che, forse, l’approccio che stava usando non era ancora quello giusto.
« Frisk, ascolta… » Disse, con una lieve serietà atta solo ad avere l’attenzione della ragazzina. Frisk alzò lo sguardo, gli occhi un accenno più grandi del normale. Era agitata, Sans se n’era accorto anche se lei cercava di non darglielo a vedere, e ciò lo spinse ad ammorbidire quanto più gli era possibile il tono della propria voce. « Stai attraversando tante difficoltà persino ora e, da una parte, non è giusto che ti faccia carico di simili impegni alla tua età. Se continui in questo modo, rischi di essere sempre sotto forte pressione e questo ti influenzerà negativamente prima o poi. »
Fece una pausa, giusto per permettere a Frisk di metabolizzare ciò che voleva dirle, non perché non la ritenesse in grado, ma più che altro per farle capire che certi comportamenti autodistruttivi potevano ancora essere corretti.
« So che non ti senti a posto con te stessa, lo capisco, ma hai davvero pochi motivi per esserlo. Hai commesso un errore, questo è vero, tutti però commettono degli errori, è una delle cose più naturali del mondo... »
« Ma avete sofferto tutti voi a causa del mio errore…! I-i… i miei a-amici…! » Lo interruppe Frisk, la sua voce via via sempre più tremolante mentre parlava, fino a ridursi ad un flebile e a malapena udibile balbettio.
La giovane si rattrappì come un animaletto infreddolito nel maglione della sua amica, a piangere lacrime silenziose e celate dalle mani in cui aveva sepolto il proprio viso, mossa da una vergogna che lo scheletro aveva potuto cogliere con facilità in ogni singolo gesto. E si sentì rammaricato a causa del poco conforto che la sua presenza le aveva offerto fino ad allora. Doveva tentare qualcos’altro.
Si alzò e le si sedette accanto, circondandole le spalle con il braccio destro – maledizione a Gaster e il suo divertimento malato, che gli erano costati il sinistro e il collo quella sera. Non sapeva quanto si sarebbe tranquillizzata sentendolo così vicino, ma abbracci e contatto fisico in generale era quello a cui Papyrus principalmente ricorreva quando lui si sentiva giù di morale... e, prima ancora, ciò a cui lui stesso aveva sempre fatto ricorso quando Papyrus era ancora un bambino e, talvolta, il suo genuino sorriso veniva a mancare. Qualche bene dovevano pur farlo.
Frisk si era tesa in un primo momento sotto il suo tocco, ma la sentì rilassare le spalle pian piano, come se si stesse gradualmente abituando alla sua presenza. L’amara ironia voleva che gli unici ‘abbracci’ che la ragazzina avesse mai ricevuto da lui erano stati seguiti dall’immediato impalamento, non c’era da stupirsi se Frisk non aveva accolto sin da subito e con tranquillità la sua vicinanza.
I suoi singhiozzi si calmarono dopo qualche minuto e Sans riprese a parlare solamente quando fu sicuro che si fosse sfogata a sufficienza. Era un tasto dolente, lo capiva perfettamente, ma la piccola doveva per forza venirci a capo se voleva lasciarselo alle spalle.
« Sai qual è la cosa di cui devi andare fiera? »
« Qua… q-quale? » Mormorò lei, asciugandosi un occhio con le nocche.
« Non hai voluto arrenderti nemmeno per un secondo, nonostante quanto disperata fosse per te la situazione. Ti sei resa conto di aver sbagliato, hai fatto di tutto per rimediare e non hai esitato a farlo. Conosco mostri, anche molto più grandi di te, che non ne sarebbero stati capaci. Sono certo che anche tra voi umani sia così. Avere determinazione non significa, per forza, sapere come usarla. » Le rispose Sans, con tono placidamente sereno.
Un movimento lieve del capo fu tutto ciò che ottenne da Frisk, in quel momento con le spalle rigide, le mani strettamente tenute in grembo e lo sguardo basso… una postura troppo raccolta per non essere sintomo di un disagio che, seppur attenuato, era ancora visibilmente presente nell’animo della ragazzina.
« Piccola, guardami, su… » La incoraggiò nuovamente, scuotendola delicato per una spalla.
Frisk alzò la testa verso di lui, senza apparente esitazione questa volta. Stavano già facendo progressi.
« Potresti farmi una piccola promessa? »
« Sì… » Bisbigliò Frisk, titubante, le labbra leggermente schiuse.
« Cerca di prendere le cose più alla leggera, va bene? Fai quello che hai sempre fatto e, una volta finito, rilassati e pensa bene al tuo futuro. » Le disse Sans, con un sorriso paziente. « Me lo prometti? »
« Certo. » Gli sorrise timidamente Frisk, il suo viso che riacquistava un po’ più di colore. « Grazie per… avermi tirato su di morale. »
Sans le strofinò leggermente la spalla minuta, in un gesto di pacato affetto.
« Nessun problema, piccola. »
Il silenzio che seguì fu decisamente più confortevole degli altri che lo avevano preceduto e, percependo che le acque parevano essersi calmate a sufficienza, Sans ne approfittò per chiudere gli occhi e reclinare la testa contro lo schienale del divano, un sospiro silenzioso che svuotò lentamente la sua cassa toracica. Per sicurezza, non si sarebbe lasciato andare al sonno, ma una piccola e meritata pausa se la sarebbe concessa per adesso.
Fu dopo una manciata di secondi, o forse un minuto, che risentì la voce di nuovo morbida di Frisk.
« Penso dovrei tornare a letto. » Aveva mormorato lei alzando la testa, un accenno di premura nei suoi occhi ambrati. « Sei sicuro che sia tutto a posto? »
« Al cento per cento. » Le rispose Sans, facendo ricadere il braccio sullo schienale del divano. Però… c’era ancora una questione rimasta in sospeso per lui. « Piccola, devo chiederti un’ultima cosa. »
Frisk dischiuse le labbra sorpresa, ma un sorriso disponibile le fece ridistendere quasi immediatamente.
« Che cos’è? »
Sans diede un leggero sospiro, sperando di non fare un passo falso cercando di soddisfare quel suo dubbio proprio ora.
« Quando… quando hai incontrato Papyrus fuori città… » Ed evitò di entrare nei particolari, per il bene di entrambi. « Io ero lì presente? Sai, per caso, se ti stavo osservando? »
La giovane lo guardò tentennando, le mani che andarono subito a stropicciare ansiose le maniche del maglione di Chara. Non poté non chiedersi se Frisk reagisse abitualmente con quel gesto in situazioni di particolare nervosismo o stress, perché non era la prima volta che la vedeva in quello stato.
« Stai tranquilla, è solo per sapere. » Tentò di rassicurarla, ripoggiandole con delicatezza la mano sulla spalla. « Prendi dei bei respiri profondi come ti ho detto stamattina. Fallo ogni volta che ti serve, ok? »
Frisk assentì col capo e fece come le aveva consigliato. Respirò profondamente, una, due, tre volte, fino a che Sans non percepì più nessun tremore sotto le proprie dita.
« No… » Disse infine lei, abbassando le palpebre con un ultimo respiro, uscito fuori più come uno sbuffo dalle sue labbra. « Forse non ero abbastanza attenta o… non so… non ti ho visto… »
Sans abbassò le palpebre a sua volta, segretamente deluso da quella risposta, ma la colpa non era certo della piccola. Badare perfettamente ai propri dintorni, in circostanze in cui hai ben altro a cui pensare, sarebbe stato pretendere troppo persino da lui.
« Capisco. » Sussurrò. Frisk, a quanto pare, non poteva dirgli più di quanto gli avesse già riferito. Avrebbe dovuto cavarsela da solo ancora una volta, ma non era questo gran problema. Non sarebbe stata la prima, né l’ultima, in fondo…
Vedendola però stranamente immobile, le strofinò giocosamente le spalle.
« Tutto ok anche tu? »
Frisk gli sorrise, annuendo timidamente, per poi distogliere lo sguardo con un velo di imbarazzo.
« Volevo solo… ringraziarti per oggi, con Undyne… Chara mi ha detto che non è stata lei a farle lo… sgambetto? »
Sans ridacchiò, divertito dalla definizione fantasiosa usata dalla ragazzina e, ovviamente, non si negò la possibilità di poter ravvivare un po' l’atmosfera.
« Ricorda, piccola: con questa mano, riesco a far cadere ai miei piedi chiunque. » Scherzò, alzando con comico orgoglio il braccio destro. « È una questione di puro charme. »
Ma, contro ogni sua previsione, il riso della giovane vacillò miseramente invece di ravvivarsi. Sans notò all'istante quel cambio di espressione e non poté evitare di accigliarsi a sua volta. Non era certo dalla qualità sotto le righe della sua battuta che era derivato quel disagio intuibile negli occhi di lei, ma non poteva aver notato... non poteva essere così in gamba.
Frisk, come se si stesse togliendo dalla testa un pensiero forse sgradito, scosse brevemente il capo, per poi sorridergli con una dolce scrollata di spalle.
« Credevo utilizzassi prevalentemente il sinistro per i tuoi attacchi. » Spiegò, incuriosita. « Non riesco ancora a capire se sei mancino, o destroso. »
Sans sbatté le palpebre, un lieve senso di freddo gli scosse superficialmente le ossa. Lo aveva notato come temeva, allora.
Si finse cautamente perplesso dalla domanda, prima di rispondere con tono quanto più affabile possibile.
« Sono ambidestro. »
« Ah. Ho sempre pensato che tu fossi mancino. » Confessò con un debole risolino la ragazzina, confermandogli fortunatamente che il suo era stato un interesse dettato dalla semplice curiosità, innocuo e spontaneo quanto avrebbe potuto esserlo un sorriso.
Non poteva ovviamente dirle che le sue osservazioni corrispondevano a verità e che il suo braccio sinistro era momentaneamente fuori uso – e dio se gli faceva un male atroce muoverlo anche solo di poco. Se fosse riuscito a tenere nascoste le ferite invisibili che Gaster gli infliggeva, avrebbe evitato di attirare su di sé altre domande non volute. Frisk era, purtroppo, diversa da suo fratello. Non era solo disposta a consolare, era anche disposta – determinata – a sapere. E le parole di Gaster, così come la sua espressione sottilmente compiaciuta, gli tornarono improvvisamente alla mente, ridondanti come un rumoroso orologio.
« Il tempo delle tue patetiche scuse sta per giungere al termine. »
Sans si rifiutò di permettere a quell'avvertimento di incasinargli ulteriormente la testa. Non si sarebbe lasciato innervosire da Gaster, non avrebbe perso il controllo della sua vita per qualche sua malata macchinazione.
« Beh… buona notte, Sans. »
Lo scheletro si riscosse giusto in tempo per udire l'augurio della ragazzina, ora in piedi di fronte a lui con un tenue sorriso d’attesa, a cui Sans si forzò di ricambiare con quanta più naturalezza possibile.
« Buona notte anche a te, piccola. »
Frisk agitò dolcemente una mano in sua direzione, prima di salire silenziosa verso il piano di sopra, in punta di piedi così come era scesa.
L’espressione sul volto dello scheletro si rabbuiò, una volta che non poté più udire i passi leggeri della ragazzina.
Con lei, avrebbe dovuto essere molto più cauto.
Più cauto di quanto non era mai stato.
 

 



Sameko's side
Salve a tutti! Passata una bella settimana di rientro dalle vacanze? Oh no, non azzardatevi a chiederlo a me, o potrei seriamente scoppiare e voi rimarreste senza autrice a scrivere questa storia. XD Mi dispiace per il ritardo, il capitolo doveva essere pronto per Venerdì come da programma, ma tra mancanza di tempo e modifiche dell'ultimo secondo ho dovuto posticipare ad oggi ( e non doveva essere nemmeno così lungo, la prima stesura era di 4500 parole in totale, il prodotto finale invece è di più di 6000 parole gasp! ). Mi scuso se magari questo capitolo non è corretto alla perfezione, appena le cose saranno un po' più leggere per me prometto di tornarci e sistemare eventuali errori. ^^"
Ebbene, è così che Frisk e Chara si sono incontrate e quanto avete letto è ciò che, almeno in questa fanfiction, ha portato alla famosa genocide. Se qualcuno tra di voi non è convinto del passaggio così veloce di Sans dalla modalità "bad time" alla "buddy-pal-friend", non preoccupatevi, spiegherò all'incirca anche quello prima o poi. ;)
Tra l'altro, ho notato che il capitolo 10 ha avuto un'assurda impennata di visite rispetto al capitolo 9 e ciò mi ha portato a formulare due ipotesi: 
A) qualcuno mi ha incasinato il contatore
B) vi piace vedere Frisk e Sans litigare più di quanto non vi piace vederli andare d'amore e d'accordo. Bah, i gusti son gusti. XD
Se sopravvivo a questa settimana ancora più infernale, il nuovo capitolo dovrebbe arrivare come al solito fra una decina di giorni. 
Al prossimo aggiornamento! 
Baci!

Sameko


 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12: Occupazioni mattutine ***



Capitolo 12: Occupazioni mattutine
 

 
 
 
 
Aveva tirato un discreto sospiro di sollievo quando lei e Frisk, quella mattina, avevano lasciato Snowdin a bordo della barca del traghettatore, dirette a casa della donna-pesce per prendere parte al suo tanto decantato programma di allenamento. Era stanca di dover ingoiare fastidio e nervoso ogni qualvolta Frisk dedicava attenzioni a qualcun altro all’infuori di lei e sperava, quindi, che un po’ di ore lontane da qualsiasi fonte di disturbo avrebbero potuto domare l’incendio distruttivo che stava lentamente crescendo dentro il suo animo. Muovere il proprio corpo in armonia con l’arma che usava, che fosse una lama di qualunque genere o anche la sola forza dei pugni, la aveva sempre aiutata a scaricare tensione, rabbia, odio, e qualunque altra emozione negativa. Era un rude antistress, vero, ma sfogarsi contro un bersaglio inanimato era sempre stato meglio dello scaricare tutte le sue frustrazioni su qualcosa di, certamente, non-inanimato.
Se stava attenta a non sottoporre la sua anima a stress inutili ( il che voleva dire evitare sprechi insensati magia ) e all’incolumità della ragazzina più piccola, lei e Frisk avrebbero persino potuto divertirsi, nonostante le reali intenzioni di Undyne, probabilmente, prevedessero tutt’altro che il farle divertire durante quelle ore di sforzo.
Decise che, per il momento, andava tutto bene. Non avrebbe dovuto temere per Frisk, nulla le avrebbe fatto del male…
Andava tutto bene…
Andava tutto…
T-tutto…
No… per quante volte si fosse sforzata di ripetere quelle tre insignificanti parole, non riusciva a convincere sé stessa con una bugia così mal raccontata. Non andava tutto bene, non fin quando questa stretta soffocante di gelosia che aveva dentro non si fosse decisa a lasciarla. E il problema era che niente, sin da ieri, la aveva persuasa a farlo.
Propositi e promesse non erano sufficienti, non se la volontà di fare la cosa giusta era sempre più debole di qualsiasi altra forza interiore. Non riusciva a non pensare di volere Frisk tutta per sé, solo per sé. Se così fosse stato, non avrebbe permesso che le succedesse niente, la avrebbe protetta da ogni minaccia anche sacrificando il corpo purtroppo difettoso che ora possedeva, la avrebbe trattata come un'anima buona come lei davvero meritava. Ma si rendeva conto che questi pensieri erano sbagliati, non si può avere una persona tutta per sé, non poteva limitare la libertà individuale di Frisk solamente per i suoi desideri sciocchi ed egoistici. Eppure, nonostante fosse cosciente di questo, non riusciva comunque a far dileguare quei sentimenti possessivi che le inquinavano la mente soprattutto nei momenti meno opportuni. Voleva liberarsi di quei pensieri, costringerli a lasciarla in pace, cancellarli… ma non poteva… non ne era in grado.
Aveva… forse, aveva bisogno di aiuto. Ma nessuno la avrebbe aiutata a parte Frisk, a cui chiedendo un consiglio avrebbe finito solo col fare del male… era già successo in passato e la stessa storia si sarebbe potuta ripetere se non stava attenta. Eppure, a chi altro avrebbe potuto rivolgersi, se non a lei?
« BENE, TEPPISTE! PER IL TEMPO CHE RIMARRETE QUI, SEGUIRE QUESTO ADDESTRAMENTO SARÀ ASSOLUTAMENTE TASSATIVO PER VOI! A TAL PROPOSITO, LE REGOLE DELLE NOSTRE SESSIONI DI ALLENAMENTO SARANNO POCHE, SEMPLICI E SOPRATTUTTO CHIARE! NUMERO UNO! »
Undyne, labbro arricciato ed espressione esigente, le si parò davanti agli occhi facendola quasi sobbalzare.
« Si presta sempre attenzione a coloro che sono di grado superiore al tuo. » Disse la donna-pesce, facendole intendere che aveva notato da un pezzo la sua disattenzione.
Chara roteò gli occhi da un lato, tenendo le braccia fermamente incrociate contro il petto mentre tornava a fissare, senza battere ciglio, la sua aspirante maestra.
« È chiaro, Chara? » Le chiese lentamente Undyne, mettendo le mani sui fianchi.
« Sì. » Rispose lei, contraccambiando con la medesima intensità lo sguardo di Undyne.
La serietà sul volto della guerriera si sciolse prontamente in un sorriso soddisfatto sentendo la sua replica.
« Perfetto! Cominci a rigare dritto, marmocchia! »
Chara grugnì sottovoce, distogliendo seccatamente lo sguardo. Anche se quelle parole avevano avuto un non sapeva che di dispregiativo, il tono di Undyne le era parso sinceramente entusiasta, come se in un modo tutto suo la guerriera avesse voluto farle un complimento. E, le costava ammetterlo, si era sentita improvvisamente a disagio realizzando questo.
« REGOLA NUMERO DUE! » Riprese Undyne, alzando due dita verso l’alto. « L’allenamento non termina finché non sarò io personalmente a deciderlo! »
La donna-pesce prese dunque fiato, pronta ad elencare quella che Chara intuì sarebbe stata l’ultima regola.
« REGOLA NUMERO TRE! »
L’eroina si esibì in una di quelle che si ostinava tanto a chiamare ‘pause ad effetto’, prima di chinarsi davanti a Frisk questa volta.
Chara si irrigidì un poco nel timore che Undyne potesse fare qualcosa di spiacevole alla più piccola, ma si costrinse a rilassarsi quando intuì la mancanza di intenzioni ostili nel gesto della guerriera.
« Niente piagnistei. Odio i piagnistei. »
Frisk le rivolse un largo ed imbarazzato sorriso di scuse e ad Undyne sembrò bastare come risposta. Si rialzò e, petto in fuori e mani nuovamente sui fianchi, assunse la posizione di un orgoglioso sergente nei confronti delle sue nuove reclute.
« QUALCOSA DA AGGIUNGERE? »
Chara si limitò a scuotere la testa, non in vena di rispondere a parole in quel momento, e suppose che anche Frisk doveva aver fatto lo stesso, a giudicare dalla soddisfazione che vide comparire in seguito sul volto di Undyne.
La guerriera ruppe la sua posizione marziale e si voltò verso la lucertola in camice bianco che aveva assistito alla scena sin dall’inizio, ‘Alphys’, se non andava errato. Frisk, ovviamente, conosceva già il timido rettile che Asgore – suo padre – aveva nominato come nuovo scienziato reale, ma per Chara quello era il suo primo incontro ufficiale con la ricercatrice.
« Ehi, Alphys! Sto facendo un buon lavoro per essere la mia prima vera esperienza come istruttrice secondo te? » Domandò con un sorrisone euforico Undyne, rivolta a quella che, Chara ipotizzava, fosse una dei suoi amici più stretti all’infuori dello scheletro scatenato.
« E-eh… di-direi di s-sì, Undyne… ma n-non pensi che la seco-conda regola s-sia un po’ troppo… e-estrema? » Balbettò Alphys, aggiustandosi gli occhiali sul muso nel mentre, forse come gesto atto a nascondere la sua perenne e più che intuibile insicurezza. Dio, non aveva mai visto una persona ( o mostro ) con una balbuzie così tremenda.
« Bah, sciocchezze! » Replicò Undyne, con una alzata di spalle, e avviluppò sia lei che Frisk in un abbraccio così espansivo che Chara non si sarebbe sentita a suo agio nel ricevere nemmeno se fosse stato privo di quella forza massacrante che le aveva svuotato i polmoni. « Sono certa che è ottimo per iniziare! E poi, guardale! Non hanno avuto nulla da ridire quando ho chiesto! »
Alphys le sorrise nervosamente, distogliendo lo sguardo per sistemarsi di nuovo gli occhiali.
« S-sì… fo-forse, hai ragione… » Mormorò la scienziata.
Quando la guerriera le lasciò andare, Chara tirò un sospiro di sollievo soffocato, concedendosi due secondi di tempo per riprendersi dal modesto tentativo della donna-pesce di spezzarle il collo. Non si sarebbe mai più fatta coinvolgere in un abbraccio con quella, mai più.
Riacquistata una posizione eretta, si guardò attorno alla ricerca di Frisk, un po’ un’abitudine che stava prendendo, e la trovò poco più in là intenta a sussurrare qualcosa ad Alphys, con un atteggiamento abbastanza confabulatorio. Come la sua amica fosse riuscita a sopravvivere a quella stretta maciullante era per lei un mistero, ma supponeva fosse stato semplicemente merito della maggiore esperienza ( oltre che pazienza ) di Frisk nel sapersi rapportare con questi suoi cosiddetti amici, a prescindere dal carattere più o meno esuberante che contraddistingueva ognuno di loro. Lei conosceva uno per uno gli abitanti dell’Underground, ricordava tutti i loro nomi, i loro gusti, le loro aspirazioni… Chara, invece, non sapeva nulla di nessuno di loro… e non era neppure certa di voler davvero assimilare simili, vaste conoscenze in primis, se le persone che le andavano attualmente a genio si potevano contare sulle dita di una mano – e nemmeno su tutte le dita.
Vide Alphys arrossire vistosamente e coprirsi il volto con una zampa tremante non appena Frisk si scostò dal suo viso colmo di imbarazzo. La risposta immediata della sua amica per rassicurare la scienziata fu un’incoraggiante alzata di pollice, unita ad una gentile esortazione che lei non fu in grado di sentire.
Chara corrugò le sopracciglia, sporgendosi inconsapevolmente per leggere almeno un minimo di labiale se si fossero dette altro. Che cosa stavano combinando?
Frisk si allontanò quindi da Alphys e lasciò che il rettile muovesse due passi avanti verso una ancora ridente Undyne.
« E-ehm… Undyne? Po-posso dire u-una co-cosa prima che i-iniziate? » Domandò, picchiettando nervosamente le punte delle zampe tra loro, in attesa.
Undyne interruppe il suo rumoroso ridacchiare e rivolse ad Alphys un sorrisone irto di zanne.
« Tutto quello che vuoi, Alphys! »
Alphys deglutì visibilmente, aggiustandosi gli occhiali per l’ennesima volta in a malapena cinque minuti. Beh, era il momento della verità. Non aveva dovuto attendere molto, in fondo, per scoprire cosa Frisk avesse architettato.
« E-ecco, Undyne, ve-vedi… è d-da un po’ di te-tempo che c-ci conosciamo c-come sai e-e… »
Alphys si fermò, come se dovesse raccogliere dentro di sé un’altra bella dose di coraggio per finire la frase che aveva, chiaramente, lasciato in sospeso.  
« Possoormaiaffermareconcertezzachecipiaccionolestessecoseovverome! » Posa fascinosa e sguardo ammiccante, Alphys aveva pronunciato tutte quelle parole con la velocità di un treno in corsa, col risultato che nessuno dei presenti ( ad eccezione ovviamente di Frisk ) aveva inteso cosa avesse appena detto.
Il rettile, resasi molto probabilmente conto di questo, seppellì il viso rosso dalla vergogna fra le zampe, la traballante sicurezza di prima finita miseramente in frantumi.
Undyne aveva alzato stranita un sopracciglio, guardando perplessa la ricercatrice, chiaramente senza parole. Trascorso qualche secondo, si avvicinò alla scienziata e le batté amichevolmente una mano sulla spalla tremante, nel tentativo di tranquillizzare l’amica in difficoltà.
« Ma che sciocchezze vai dicendo, Alphys? Oltretutto, sarebbe meglio che tu ripetessi scandendo bene le parole, perché non ho capito un…! Aspetta un momento… »
Una realizzazione sembrò aver colpito Undyne solo allora, perché persino le guance scagliose della guerriera si colorarono lievemente di rosso di lì a poco.
« Stavi flirtando con ME? » Chiese, divenendo quasi paonazza.
Alphys mosse la testa su e giù due volte in risposta, non intenzionata a lasciare il nido protetto creato dalle sue mani se non, verosimilmente, tra un milione di anni.
Chara storse la bocca, allibita. Era di questo che si trattava? Un consiglio… per flirtare?
Voltò la testa verso Frisk a chiederle delle spiegazioni e la vide intenta a coprirsi la bocca per soffocare dei probabili risolini, ma il rossore sulle sue guance poteva facilmente rivaleggiare con quello presente sul muso di Alphys. Il rettile, supponeva, doveva aver seguito meno della metà delle istruzioni che le erano state date, finendo così col rovinare i progetti della ragazzina più piccola.
Undyne seguì il suo sguardo e, quando giunse ad identificare la fonte d’ispirazione che aveva influenzato le recenti azioni di Alphys, il suo occhio buono si contrasse pericolosamente.
E fu così che una nuova regola venne aggiunta alle tre che erano state elencate in precedenza: flirtare e/o dare consigli sul flirt durante le sessioni di allenamento è severamente PROIBITO.
 

« Spiegami cosa diavolo avevi in mente. » Fu la prima cosa che Chara disse a Frisk non appena, terminato l’allenamento con Undyne e messa un po’ di distanza tra loro e le due amiche, avevano cominciato a dirigersi verso l’attracco dove il barcaiolo incappucciato le attendeva. Chara era rimasta senza parole da allora, non solo per la reazione che la più piccola aveva saputo suscitare sia in Undyne, sia in Alphys, ma anche per l’azione in sé. Non credeva che Frisk fosse tipo da fare queste cose, era abituata a vederla come una persona timida ma solare, non come una… una… una qualcosa che non riusciva a definire, ecco.
Frisk si coprì la bocca, nascondendo il lieve risolino affioratole sulle labbra al ricordo del suo maldestro tentativo di far comprendere alle due ragazze i sentimenti che provavano l’una verso l’altra, con un metodo ovviamente tutto nuovo. Piaceva anche a lei sperimentare, qualche volta.
« Dovevo provare una cosa. » Rispose in tono vago, sorridendo alla maggiore.
Chara annuì, non desiderando comunque chiedere di più. Aveva ormai capito che Frisk era sempre pronta al gioco, allo scherzo, tutte le cose che avevano almeno una chance di rallegrare una persona a Frisk erano gradite… ma lo stesso concetto non poteva essere applicato a lei, che tollerava a stento qualsiasi forma di ilarità. Più tempo passava con Frisk, più Chara si rendeva conto dell’abisso che c’era fra di loro, il cui fondo stava divenendo un po’ difficile da vedere per la ragazzina più grande. Erano dannatamente diverse, quasi agli opposti sia come carattere che ideologia, e Chara si scoprì sempre più a disagio nel riconoscere la cosa.
Raggiunsero, dopo una breve camminata, la piccola gondola che le avrebbe riportate a Snowdin nel giro di pochi minuti. Il traghettatore le accolse benevolmente sulla sua imbarcazione, dando loro uno dei suoi soliti criptici consigli, prima di lasciarle accomodare all’interno del mezzo.
Frisk riprese a parlare soltanto quando la barca iniziò la sua veloce traversata sulle acque del fiume, decidendo che forse doveva aggiungere qualcosa per meglio spiegare le sue recenti ‘sperimentazioni’.
« Loro due… Undyne e Alphys… sono innamorate l’una dell’altra, senza rendersene conto. Mi sarebbe piaciuto farglielo capire oggi… »
Chara si era aspettata che la più piccola proseguisse ma, quando non giunsero ulteriori parole da parte della sua amica, colse così l’occasione per forzare la sua bocca ad esternare la richiesta forse più difficoltosa che aveva pronunciato in tutta la sua vita.
« Frisk, io ho bisogno di… discutere con te. »
Frisk, in piedi sulla barca per lasciarsi lisciare i capelli dal vento, voltò il capo per guardarla con un sopracciglio leggermente alzato.
« Di cosa si tratta? » Le chiese con una certa aspettativa, girandosi completamente. Sapeva che qualcosa stava turbando la sua amica da ieri e, siccome l’approccio del semplice chiedere non aveva funzionato, aveva preferito attendere che fosse Chara a scegliere il momento secondo lei più opportuno per parlarle. E così era fortunatamente accaduto.
« Conosci un posto tranquillo dove nessuno ci può disturbare? » Le domandò Chara, calcando bene con la voce su quella parola in particolare, giusto per sottolineare al meglio il concetto.
« Sì, stai tranquilla. Dobbiamo solo passare da casa per avvisare Papyrus che ce ne staremo un po’ per conto nostro. Poi, ci avvieremo. » Le rispose Frisk e Chara si trattenne dal muovere ogni singolo muscolo facciale e farlo così deturpare in una smorfia di fastidio. Le dava fastidio che dovessero passare dalla casa dei due fratelli dementi per avvisare, le dava fastidio che Frisk avesse usato ‘casa’ e non qualsiasi altro termine, ma non se ne lamentò a gran voce, né si impegnò a far intendere a Frisk che la cosa non le andava per nulla a genio. Era una condizione che doveva accettare se voleva parlare in tutta tranquillità con l’altra ragazzina, non aveva quindi senso polemizzare.
Una volta raggiunto l’attracco di Snowdin, cominciò il loro tragitto attraverso le strade della cittadina gremita di mostri, Frisk che salutava ognuno di loro con cortesia, Chara che non aveva intenzione di fare altrettanto. A volte, faticava a capire perché l’altra ragazzina fosse sempre così cortese con tutti, anche con coloro che in passato la avevano aggredita per prenderle la sua tanto preziosa anima, e trovava strano il suo atteggiamento sempre cordiale, poiché lei non avrebbe mai mostrato tanta gentilezza quasi a nessuno. Eppure, non voleva certo criticarla per questo. Se non fosse stata per quella gentilezza e cordialità che lei trovava così inusuali, non sarebbe certo stata lì a camminare al fianco di Frisk, prendendosi il lusso di fare quelle silenziose considerazioni.
Giunte all’ingresso dell’abitazione decorata con allegre lucine natalizie, bussarono alla porta, ma non udirono nessuna risposta giungere dall’interno.
« Non saranno in casa. » Commentò subito Chara, sperando così di far desistere Frisk dal verificare ulteriormente.
Frisk strinse leggermente le labbra. L’allenamento con Undyne si era protratto oltre l’ora di pranzo e si era, di conseguenza, aspettata di trovare i due fratelli già intenti a sparecchiare in attesa del loro ritorno, non di ricevere null’altro che silenzio dopo aver bussato.
Provò di nuovo, con più forza questa volta. Ancora nulla.
« Te lo avevo detto. » Disse Chara, incrociando le braccia.
Frisk, non ancora del tutto convinta, allungò la mano sulla maniglia e la abbassò, volendo assicurarsi che non avessero lasciato la casa aperta apposta per loro. La porta si aprì senza il familiare scricchiolare che era abituata a sentire ( Undyne aveva fatto davvero un ottimo lavoro con la riparazione ) e si stupì quando intravide solo buio all’interno.
« Oh… strano… sembra non esserci nessuno. » Constatò, circospetta.
« Vogliamo andare? » Chiese, adesso con una velata impazienza, Chara.
« Aspetta. Papyrus ci ha forse lasciato un biglietto o qualcosa, magari ha persino messo da parte degli spaghetti in più per noi. Non sarebbe carino non prenderli. » Replicò Frisk, spalancando un po’ di più la porta, per far entrare la poca luce che, riflessa dalla neve candida, filtrava dall’esterno. Non servì, purtroppo, a rischiarare completamente almeno il soggiorno.
« Ferma. C’è qualcosa che… »
Chara non poté terminare la frase, perché un sibilare metallico raggiunse improvvisamente le sue orecchie.
Si voltò molto prima di quanto fece Frisk, solo per venire sommersa e spinta all’indietro da uno sciame di corpicini metallici e urtare nel processo l’altra ragazzina.
Finirono entrambe sul pavimento in un groviglio di braccia e gambe metalliche e non e udì Frisk emettere un guaito di sorpresa quando le atterrò addosso senza volerlo.
Con un ringhio, Chara espanse la sua magia dall’anima verso l’esterno del suo corpo, il suo occhio si accese di oro e vermiglio e sprizzò scintille magiche in modo del tutto caotico. I loro piccoli aggressori vennero sbalzati via dal rilascio di magia e Chara li udì spargersi intorno a loro, resi inoffensivi grazie al suo scoppio di energia magica.
In quell’istante esatto, venne accecata dal più colorato e confuso insieme di luci a cui ricordava di essere mai stata esposta e una musica stucchevole subentrò, al posto del silenzio, con lo stesso impareggiabile tempismo.
Rimase a bocca aperta tale era la sua confusione, e si riscosse solo quando Frisk, ancora sotto di lei, emise dei lievi mugugni di dolore.
« Signori, signore e ragazzi dolci! Benvenuti all’inaugurazione del nuovo programma di MTT TV, il canale più seguito del regno, con il meglio dell’intrattenimento, dei contenuti, dell’azione, del romanticismo… ma, ancora più importante, con il meglio del meglio dei conduttori: Mettaton in persona! »
« Oh mio dio… » Mormorò Frisk, schermandosi gli occhi da tutti quei colori fin troppo vividi e in aperto contrasto con il buio a cui i suoi occhi si erano precedentemente abituati. Era stupefatta quanto Chara di trovare Mettaton qui, non le era capitato una singola volta di dover fare il suo primo incontro con la star dell’Underground nella casa dei due fratelli-scheletro. Questa cambiamento, davvero, non avrebbe mai potuto prevederlo.
Mettaton, nella sua grezza forma rettangolare, scese dall’alto illuminato dal riflettore più grande di tutti, microfono in mano e le luci a scacchi del suo schermo che passavano, frequentemente, dal rosso al giallo e viceversa.
« Permettetemi, ora, di presentarvi i protagonisti d’eccezione di questo nuovo attesissimo programma! » Un altro riflettore, comparso da chissà dove, illuminò le due ragazzine ancora stese a terra, mettendole al centro della stravagante scena in cui erano state catapultate a forza. « Gli umani! »
« Da dove diavolo viene tutta questa roba? » Borbottò Chara, riuscendo a mettersi in ginocchio e a liberare Frisk dal peso del suo corpo, cosa che le permise di rialzarsi a sua volta, seppur con qualche acciacco. Si assentava per due decenni e tutto ciò che trovava al suo risveglio era questo ammasso inconcludente di diavolerie e personaggi al limite dell’eccentrico? Seriamente?
« Prima di iniziare con il vero intrattenimento, permettetemi di ringraziare il fortunato proprietario della location in cui il meraviglioso sottoscritto ha deciso di girare l’episodio pilota dello show! » Annunciò il robot, voltandosi parzialmente in direzione della cucina, da cui notarono solo allora che Papyrus stava assistendo sin dall’inizio alla presentazione di Mettaton, trepidante di entusiasmo ma timoroso di rovinare la scena del suo idolo nel caso avesse preso l’iniziativa. « Coraggio, tesoro! Sorgi e brilla sotto le luci del palcoscenico! »
Papyrus, pieno di una rinnovata emozione, raggiunse la star al centro del riflettore che illuminava il salotto. Pochi secondi, però, e la sua espressione e postura riacquistarono la loro naturale sicurezza.
« È stato solo un favore di poco conto per il Grande Papyrus, Mettaton! Non potevo lasciare che decine di spettatori impazienti restassero delusi! » Dichiarò e, sotto l’enorme riflettore, la sua classica posa eroica assunse una sfumatura drammatica e solenne allo stesso tempo.
Le due ragazzine notarono, infine, anche la presenza della sentinella più pigra di tutto l’Underground che, appoggiata con i gomiti al corrimano del piano superiore, se la stava ridendo sotto i baffi per l’effetto tragicomico dell’intera situazione.
« Quel pezzente… deve essere stata una sua idea. » Sibilò, fra i denti, Chara.
« Chi lo sa… » Bisbigliò Frisk, con un leggero sorriso. Non le dispiaceva tutto quel movimento in fondo, solo che un po’ di preavviso sarebbe stato senz’altro gradito – ma, probabilmente, non c’era stato nemmeno tempo di fare un preavviso, Mettaton doveva essere piombato lì in fretta e furia non appena aveva saputo dell'arrivo di due esseri umani nell'Underground, organizzando ogni cosa a tempo di record e dando, per questo, poche possibilità ai due scheletri di opporsi alla sua decisione. Ma dubitava in ogni caso che lo avrebbero fatto, visto che per Papyrus la comparsata improvvisa di Mettaton doveva essere stata come la manna dal cielo.
Avvertì una vibrazione contro il fianco e la sua mano corse subito a tirare fuori l’ormai familiare cellulare che le era stato dato da Toriel.
Lesse il nome di Alphys sullo schermo e, accettando la chiamata, se lo portò all’orecchio.
« Pronto…? »
« N-non te-temete, v-voi due! Possiamo fe-fermare Mettaton insieme, g-grazie agli a-aggiornamenti che ho installato sul t-tuo telefono! » Rispose immediatamente Alphys, il tono deciso a dispetto del caratteristico tremolio che lo rendeva riconoscibile tra mille. « S-se premi il pulsante giallo, p-potrai…! »
La voce balbettante della scienziata venne bruscamente soppiantata da quella alta e tonante di Undyne.
« DÌ A METTATON DI INTERROMPERE IMMEDIATAMENTE QUESTA BAGGIANATA! »
Frisk fu costretta ad allontanare il telefono dal proprio orecchio in seguito alla protesta accorata del suo povero timpano e, in questo modo, anche Chara fu in grado di sentire ciò che Undyne stava loro dicendo.
« U-uh… è tutto a posto, Undyne. Non credo ci sia nulla di male se stiamo al gioco. » Replicò Frisk, riavvicinando il telefono all’orecchio con cautela.
Le urla dall’altra parte non si placarono minimamente per sua sfortuna. Di sottofondo, si fece risentire la voce di Alphys che chiedeva la restituzione del suo telefono, la quale rimase evidentemente inascoltata dalla guerriera vista la sua successiva reazione.
« NON POSSIAMO PERMETTERE CHE PROSEGUA! SE QUALCUNO VI RICONOSCE PER STRADA SIETE MORTE! »
Frisk si ritrovò davvero in difficoltà davanti alla risoluzione mostratele dalla guerriera. Sapeva fin troppo bene che quanto Undyne temeva non si sarebbe avverato, convinti com’erano gli spettatori di Mettaton che gli effetti speciali più sofisticati venissero utilizzati per consentire ad un umano di ‘partecipare’ al programma. Ma Undyne non poteva chiaramente essere a conoscenza di ciò e Frisk, d’altra parte, non poteva nemmeno permettersi di aggiungere più di una rassicurazione nel risponderle se non voleva rischiare di tradirsi.
« Che cosa intende con ‘se qualcuno vi riconosce’? » Le domandò Chara, con le sopracciglia aggrottate, all’oscuro del fatto che fossero attualmente in diretta tv.
In tutta risposta, l’obiettivo di un’enorme telecamera sorretta da cinque delle piccole copie robotiche di Mettaton venne loro puntata contro per meglio inquadrarle.
Chara, presa alla sprovvista, colpì di fretta e furia la telecamera non appena se la vide comparire davanti, più per reazione istintuale che di volontà propria. I robottini persero la macchina da presa che, se anche era stata in grado di sopravvivere ad un colpo del genere, non aveva potuto invece resistere ad un violento impatto contro il pavimento, che la mandò definitivamente in frantumi.
Frisk sollevò lentamente lo sguardo a guardare la sua amica, sbigottita.
« Ah… » Esclamò piano, in mancanza di altro da dire.
Chara scostò di lato la testa e incrociò nervosamente le braccia, sentendosi profondamente a disagio sotto l’occhiata della ragazzina più piccola.
« Non… mi piace venire fotografata, o ripresa… » Spiegò, mugugnando sottovoce.
La telecamera lanciò un lungo gemito prima di spegnersi, dopo il quale persino la musica vivace di Mettaton venne messa a tacere.
Mettaton emise uno stridio metallico, simile ad un sospiro esasperato.
« Potevi andarci un po’ più piano, tesoro. Hai interrotto lo spettacolo proprio prima della vera azione, del vero dramma, del vero massacro! »
Il tono di voce del robot sembrava voler imitare quello di un disperato lamento, ma la presenza melodrammatica della sua mano sulla sua metaforica fronte lo faceva perdere gran parte di credibilità.
Chara gli rivolse un’espressione truce, le labbra contorte in una smorfia e gli occhi neri stretti in due spigoli. Se poteva arrivare a sopportare tutto il resto della combriccola di scalmanati, non sarebbe mai arrivata a sopportare l’eccesso di egocentrismo di quella lattina, persone del genere le facevano venire i nervi a fior di pelle.
Si sentì sfiorare dolcemente il braccio e la sua irritazione si placò quel tanto che bastava per far ravvivare il bianco nei suoi occhi offuscati dal nero.
Frisk le rivolse un sorriso calmo, come per suggerirle di fare lo stesso: di sorridere e lasciar correre. Chara non riuscì a far comparire sul proprio volto il sorriso che Frisk, probabilmente, le aveva silenziosamente chiesto, ma si impegnò almeno a spegnere le braci d’ira dentro il suo animo. E, almeno in questo, ottenne il successo sperato.
« Non disperare, Mettaton! Questo servirà ad aumentare la trepidazione degli spettatori! » Implacabile come sempre nel suo ottimismo, Papyrus stava tentando nel frattempo di consolare l’amata star dell’Underground. « Gli ascolti saranno molto più alti quando il programma riandrà in onda! »
« Non credo proprio! » Si oppose tenacemente Undyne, ora in vivavoce e perfettamente udibile da tutti. « In qualità di Capitano della Guardia Reale, proibisco la rimessa in onda di questa ASSURDA pagliacciata! Mi dispiace, Papyrus, ma è troppo pericoloso per loro esporsi in questo modo. »
Papyrus stava probabilmente per risponderle che capiva la sua preoccupazione e che la sicurezza degli amici veniva prima di un semplice show televisivo, ma Mettaton lo batté sul tempo.
« Oh, che disgrazia, il nostro valente Capitano della Guardia Reale si è schierato dalla parte dei nemici dai quali protegge il suo stesso popolo! Mi chiedo cosa accadrà quando l’intero regno lo saprà! »
« Mi stai minacciando, PER CASO? » Replicò, con un ringhio irritato, Undyne.
« Sto solo esponendo la realtà dei fatti, tesoro. » Chiarì con nonchalance Mettaton, guadagnandosi un altro ringhio irritato dalla guerriera.
Frisk decise che era il momento di intervenire, prima che la situazione degenerasse in qualcosa di peggio di un litigio verbale.
« Non importa, Undyne. Non succederà nulla di male, né a me, né a Chara. Sono sicura che ci divertiremo! »
« Non dargli supporto, teppista! » La ammonì Undyne, ma Frisk non poteva davvero dargliela vinta e permettere che il programma venisse cancellato. Doveva far comprendere a Mettaton i suoi errori anche in questa linea temporale, soprattutto se voleva raggiungere, una volta per tutte, lo scopo che si era prefissata molto tempo addietro. Non poteva lasciare nessuna questione in sospeso se pianificava di non resettare mai più.
« Dai, Undyne, non farla tanta lunga. » Intervenne allora Sans, scendendo le scale per far sì che la sua voce fosse chiara e udibile dall’eroina. « Non fa male lasciarsi un po’ andare, di tanto in tanto. »
« SEI IMPAZZITO? Io mi preoccupo della loro incolumità e tu… TU consigli a ME di lasciarmi andare?! »
Ora sì che Undyne era davvero furibonda, ogni parola usciva come un ringhio rauco dal ricevitore del telefono, la voce di Alphys non era nemmeno più vagamente udibile, completamente coperta da quella del Capitano della Guardia Reale.
Frisk alzò lo sguardo verso Sans, stupita che si fosse messo in mezzo in quella discussione, quando in molte altre occasioni non lo aveva mai visto prendere spontaneamente l’iniziativa.
Sans sollevò un angolo del suo sorriso per una frazione di secondo, gesto che la ragazzina fu in grado di cogliere senza troppa difficoltà – e che non passò inosservato neanche a Chara.
Solo allora lo scheletro tornò a rivolgersi alla guerriera ancora in attesa dall’altra parte del telefono.
« Sono arrivate sane e salve fino a Snowdin senza incontrare pericoli – a parte te, s’intende. Questo cosa potrebbe significare, Undyne? »
Undyne rimase silente, aspettando forse che Sans proseguisse – ed, in tal caso, non rimase delusa.
« Esatto. Sono pochi i mostri che hanno anche solo una vaga idea di come sia l'aspetto di un essere umano e ti assicuro che non daranno loro particolari grane. » Concluse lo scheletro, rinfilandosi le mani in tasca, come era sua abitudine fare.
Frisk non aveva ben compreso in un primo momento il perché dell’intervento inaspettato di Sans, ma la risposta era stata più semplice di quanto credesse: Sans sapeva che lei aveva già vissuto queste situazioni in passato, anche se con dinamiche un po’ diverse, e le stava così facilitando il compito di rivivere quelle stesse esperienze, esattamente come lei desiderava.
Con il continuo resettare delle linee temporale, Frisk non si era resa conto di essersi involontariamente distanziata dai suoi amici. Certo, aveva continuato ad incontrarli, combatterli se necessario, farci amicizia, ascoltare i loro problemi e aiutarli a risolverli, ma la costanza con cui quei momenti venivano da lei rivissuti aveva quasi fatto ergere un muro invisibile tra lei e i suoi compagni. Erano suoi amici, lo erano sempre stati, ma il loro supporto era sempre potuto arrivare fino ad un certo punto. Aveva creduto, per lungo tempo, che nessuno di loro sarebbe mai stato in grado di vedere e comprendere il quadro completo, l’intero concetto dei reset era già di per sé complicato, e la reazione dei più nell'apprendere dell'esistenza di un potere tanto incredibile sarebbe stata di profondo scetticismo. Se anche avesse provato a spiegare loro ogni cosa per filo e per segno, assicurandosi di risolvere ogni dubbio o lacuna che avrebbe potuto portare a pericolosi fraintendimenti, con un altro reset le loro memorie sarebbero state irrimediabilmente cancellate e lei si sarebbe trovata di nuovo sola nel cercare una via di fuga dall’Undeground per ognuno di loro. Ed era bello – anzi, meraviglioso – sentirsi finalmente supportata da qualcuno che capiva.
In questa linea temporale, molte costanti stavano cambiando, nuove circostanze, sfaccettature, cambiamenti stavano avvenendo. E Frisk stava iniziando a vedere la causa del modificarsi così radicale del mondo che, fino ad allora, aveva creduto di conoscere. Introduci un elemento estraneo in un quadro già armonico e, come in un domino, si produrrà un effetto a catena. E, in questo caso, l’elemento estraneo doveva essere proprio Chara, a cui non poté evitarsi di dedicare un breve sguardo. Era incredibile quanto bene la sola presenza dell’altra ragazzina le avesse fatto fino ad allora, l’Underground stava diventando un posto diverso e probabilmente migliore grazie a lei. Sperava che, presto, anche Chara se ne sarebbe resa conto.
« Se succederà loro qualcosa, ti riterrò immediatamente responsabile insieme a Mettaton, Sans. » Lo avvisò Undyne, la voce aspra di rimprovero. Anche se doveva esserle costato molto, l’eroina aveva infine ceduto. Frisk si ripromise di farle una telefonata veloce più tardi quando le acque, da quelle parti, si fossero calmate. Si sentiva un po’ in torto verso di lei per esserle andata contro, soprattutto se considerava che la preoccupazione di Undyne era stata tutt’altro che ingiustificata, ma allo stesso tempo apprezzava ampiamente il sentimento protettivo sviluppato nei loro confronti dalla guerriera. Con basi solide come queste, aiutare Chara ad ambientarsi sarebbe stato decisamente più semplice.
« Non preoccuparti, Undyne! Se conosco Sans – e lo conosco davvero bene! – quando si impunta su una questione è sicuramente per una buona causa! » Giunse quindi a dare man forte anche Papyrus e Undyne, a quel punto, rilasciò un sospiro appena udibile.
« Mi fido di quello che dici, Papyrus. » Replicò. « Vi ripasso Alphys, voleva dire qualcosa alle teppiste, se non sbaglio. »
« Oh, a-ah, ecco… N-non c-credo di do-dover aggiungere n-nulla p-per ora, Undyne. C-chiamerò più t-tardi pe-per dare loro a-alcune istruzioni. » Rispose la scienziata, non lontana dal cellulare ma neanche troppo vicina, a giudicare dal suono ovattato della sua voce.
« Passo e chiudo da me e Alphys, allora! A presto! » Salutò Undyne, con un entusiasmo che Frisk percepì un po’ forzato nella voce della guerriera. La chiamata si interruppe con una serie di intermittenti Tu! Tu! Tu!.
La ragazzina fece per rimettere il cellulare in tasca, quando il telefono riprese nuovamente a vibrarle in mano e lo schermo illuminarsi con sopra il nome di Alphys. Si erano forse scordate di dire qualcosa?
Accettò la chiamata e rimise il vivavoce.
« E SE VENGO A SAPERE CHE HAI FATTO LORO QUALCOSA TI RIDUCO AD UN COLABRODO, METTATON! »
 
 

 
 
 
 
Sameko's side
Non riesco a crederci, finalmente sono riuscita a pubblicare questo capitolo, dire che è stato un parto è abbastanza riduttivo. Scusate per il ritardo, i miei ritmi di aggiornamento lasciano un po’ a desiderare in questo periodo! :(
Non so voi, ma secondo me Undyne vestirebbe i panni di un eccellente Sergente Hartman se le si presentasse la possibilità di addestrare un suo personale esercito ( cosa che, probabilmente, è costretta a fare nel suo finale neutral se vuole dichiarare guerra all’umanità ).
Per sistemare al più presto il canone di Undertale, ho pensato che sarebbe stato opportuno operare qualche modifica alla trama e tagliare ciò che poteva essere tagliato. Di conseguenza, Frisk e Chara non sono mai arrivate al laboratorio di Alphys durante il secondo giorno, hanno solo “completato” il livello di Waterfall e fatto amicizia con Undyne, per poi tornare indietro a Snowdin a fine giornata. La mattina seguente, quella del terzo giorno, sono andate a casa di Undyne per il suo allenamento ( come avete letto ), lì hanno conosciuto Alphys ( invitata fuori scena sempre da Undyne ) e, vabbè, il resto è storia nel capitolo. ^^”
Chara che non ama essere fotografata o ripresa è un mio personale headcanon, basato principalmente sul fatto che, nei ricordi di Asriel, la vediamo intenta a coprirsi il viso con dei ranuncoli ( mi piace pensare che abbia accettato di farsi fotografare per quello che suppongo sia un ritratto di famiglia solo a condizione che potesse nascondere il proprio volto ). Inoltre, in una delle registrazioni nel True Lab, da brava troll non avvisa nemmeno Asriel che la telecamera ha ancora il tappo sull'obiettivo. Se queste non sono prove evidenti. XD
Mi sembra di non avere più nulla da aggiungere. ^^”
Al prossimo aggiornamento!
Baci!
 
Sameko 


 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13: Dove fa più male ***



Capitolo 13: Dove fa più male
 




Echi lontani di sassolini e ghiaia smossa si ripetevano fievolmente tra le pareti rocciose, giungendo alle loro orecchie appena più percettibili di un sussurro ed immancabilmente sovrastati dal gorgogliare delle cascate... i passaggi scavati nella roccia dall’azione dell’acqua erano rischairati dalle gemme lucenti che ne punteggiavano qua e là la pietra... e il buio e la luce soffusa non consentivano di vedere il soffitto e ricordarti che no, quello non era un cielo notturno senza stelle, ma una scatola sotterranea, dove secoli prima un’intera razza era stata ingiustamente imprigionata; questi erano gli elementi che costituivano il paesaggio suggestivo di Waterfall, una delle grandi aree in cui era diviso il regno e che, attualmente, le due ragazzine stavano attraversando in perlopiù religioso – ma non per questo scomodo – silenzio.
Passarono sopra un ponticello di legno, sospeso a meno di mezzo metro di altezza dal placido fiume che scorreva al di sotto delle sue assi e, solo quando si fermarono nello spiazzo dall’altra parte, Chara si convinse a prendere parola e chiedere a Frisk se la loro destinazione fosse ancora tanto distante.
« No, siamo vicine. » Replicò la sua amica, gli occhi che vagavano sul terreno alla ricerca di qualcosa di probabilmente molto piccolo, a giudicare dal modo in cui prestava attenzione ad ogni passo fatto – Chara poteva osservare nitidamente i movimenti guizzanti delle sue pupille nella semioscurità, i suoi nuovi occhi capaci di scalfire facilmente persino la notte più profonda.
Frisk si inginocchiò a livello del terreno poco dopo, a raccogliere il qualcosa che stava in precedenza cercando. Chara, incuriosita, si sporse inconsapevolmente per vedere di cosa si trattasse; ciò che Frisk stava raccogliendo erano le sementi di alcune piante acquatiche.
Quando la ragazzina più piccola si rialzò, Chara le rivolse uno sguardo lievemente perplesso, a cui la minore rispose con un breve sorriso prima di dirigersi verso il tratto di fiume in fondo allo spiazzo, concentrata sul suo attuale compito. Depositò nell’acqua i semi, uno per uno, lasciando che la corrente li trasportasse. I semi, una volta allineatasi, sbocciarono in dei delicati fiori rosa che galleggiavano leggiadri sulla liscia superficie del fiumiciattolo.
« Adesso, dobbiamo solo attraversali. » Le spiegò Frisk, indicandoli brevemente con un gesto incoraggiante.
Chara, nonostante il cenno rassicurante di Frisk, preferì farsi da parte e lasciare che fosse l’altra ragazzina a passare per prima e fare strada, non avendo la benché minima idea di dove quel ponte improvvisato le avrebbe condotte ( o se il suddetto ponte improvvisato avrebbe potuto reggere il peso di entrambe, a dirla tutta ). Contrariamente a quanto si era aspettata, quel ponte era molto più robusto di quanto l’apparenza le aveva lasciato intendere in un primo momento, cosa che la stupì alquanto visto il suo iniziale scetticismo.
A piccoli balzi sopra ogni fiore, misero infine i piedi sopra le assicelle di un piccolo molo, celato a chi non sapeva aguzzare adeguatamente la vista. Percorso anche quello, Chara vide profilarsi davanti a loro una rientranza scavata nella roccia, che ospitava una panchina e un Fiore dell’Eco solitario, leggermente ingobbito sul suo stelo celestino.
« È questo il posto? » Chiese all’altra ragazzina, dopo aver mosso qualche passo incerto ed essersi guardata attorno con circospezione. Aveva tutta l’aria di un luogo di riflessione privato, lontano dai rumori e dal fermento senza sosta che caratterizzavano gran parte del regno. Onestamente, non avrebbe potuto pretendere posto migliore per una conversazione importante come quella che si prospettava e fu grata a Frisk per averla presa così seriamente in parola.
« Sì. » Le rispose la più piccola, con un lieve sorriso. Un silenzio d’attesa s’insinuò fra di loro in seguito a quella risposta, in cui Chara osservò il lento avvicinarsi della giovane al Fiore dell’Eco vicino alla panchina, il suo alzare timidamente il braccio e sfiorarne solo con la punta delle dita i petali carichi di una debole luminescenza.
L’intera corolla del fiore brillò di un celeste pallido, prima di ripetere la conversazione di passaggio che aveva raccolto.
« Non ero pronto per la responsabilità. »
Chara non fu in grado di riconoscere la voce impersonale che aveva lasciato al fiore quel messaggio e, a giudicare dalla nota di rassegnazione che caratterizzò l’abbassarsi del braccio dell’altra, nemmeno Frisk pareva esserci riuscita fino ad allora.
La vide scuotere lievemente la testa e, quando smise di darle le spalle, la ragazzina le stava di nuovo sorridendo gentilmente.
« Vogliamo sederci? » Le propose Frisk, sfiorando la panchina con una mano, quasi ad invogliarla ad accettare la proposta, ma senza essere scortese.
« Come preferisci. » Replicò lei, alzando appena le spalle, indifferente alla cosa.
Frisk assentì col capo e si sedette sulla panchina, battendo due volte la mano destra sullo spazio che aveva lasciato libero.
Chara non rifiutò di prendere posto di fianco a lei, tenendo le braccia rigidamente incrociate contro il petto, una gamba accavallata sopra l’altra per esprimere una disinvoltura che al momento non possedeva, ma l’atteggiamento era tutto in alcune situazioni. Mostrati debole quando devi, mostrati forte appena e quando puoi… l’importante è che sia sempre tu ad avere il controllo.
« Che cosa volevi dirmi, Chara? » Iniziò Frisk, rompendo lo spesso ghiaccio che le stava momentaneamente dividendo e Chara le fu grata per essersi presa il compito, forse gravoso, di avviare quella conversazione di estrema importanza.
Rilasciò un sospiro atto a distenderle i nervi, prima di guardare l’amica direttamente nei suoi occhi ambrati, luminosi seppur con la scarsa luce del Fiore dell’Eco che riuscivano a catturare.
« Frisk… non fraintendere ciò che ti sto per dire ma… trovo che sia arrivato il momento di andarcene da Snowdin… e proseguire. »
Frisk sbatté le palpebre, schiudendo le labbra come per dire qualcosa, ma le richiuse immediatamente e la risposta che Chara stava attendendo giunse con qualche significativo secondo di ritardo.
« Non possiamo… non posso. »
« Perché no? » Chiese lei, con un velo di irritazione nella voce non soppresso in tempo.
Frisk la osservò, stupita. Non pensava che avrebbe potuto irritare Chara con quella semplice replica… che ci fosse una buona ragione dietro quella considerazione?
A disagio sotto lo sguardo illeggibile dell’altra, si sentì come se il suo preciso dovere avrebbe dovuto essere quello di acconsentire passivamente alla richiesta di Chara, invece di opporsi in quel modo. Frisk lo avrebbe probabilmente fatto, non era nella sua natura restare sorda alle richieste dei suoi amici, ma finché Chara non le avesse fornito delle spiegazioni ragionevoli, la sua posizione sarebbe rimasta immutata. Non voleva allontanarsi da Snowdin, non se la sentiva proprio di lasciare la sicurezza che quel luogo le stava per ora offrendo, una promessa con un amico e con sé stessa da mantenere si aggiungeva a completare il tutto.
Eppure, quando aprì nuovamente bocca, non fu quello l’argomento che toccò.
« Perché c’è qualcosa fuori posto in questa linea temporale, Chara. Chiamala sensazione, o presentimento, ma sento che qualcosa non va come dovrebbe andare. » Rispose, cercando di spiegarsi al meglio delle sue capacità, i pugni stretti leggermente contro le ginocchia. All’inizio, era stato solo un pensiero volatile, fin troppo fugace per consentire alla sua stessa mente di imbrigliarlo e analizzarlo… ma, in soli tre giorni, quel pensiero si era rafforzato sempre di più, percezione dopo percezione, fino a quasi diventare una convinzione. E non parlava, ovviamente, dei cambiamenti che la presenza di Chara aveva causato, no. Parlava di qualcosa di talmente nascosto da poter passare inosservato ai sensi e non riusciva ancora a definire, con chiarezza, se si trattasse di un qualcosa di positivo, o di negativo.
Non era ciò che avrebbe voluto dire, ma qualcosa dentro di lei la aveva spinta a favorire quella dichiarazione meno personale all’altra decisamente più personale.
Chara strinse leggermente i denti. Certo che c’era qualcosa fuori posto – e quel qualcosa era lei. Non se la sentì, però, di pronunciare quel pensiero ad alta voce, di rendere noto a Frisk il suo sentirsi come una macchia di colore estranea su una tavolozza già completa. Non ancora, almeno.
« Non vuoi più tornare in superficie, quindi? » Le chiese, tornando ad un tono di voce più accondiscendente. Se era questa la nuova linea d’azione che Frisk voleva adottare, bastava dirlo e lei si sarebbe organizzata di conseguenza… non ci teneva in fondo a lasciare l’Underground che, rispetto alla superficie, rappresentava l’alternativa migliore, pur con i suoi ( parecchi ) lati negativi.
« Certo che lo voglio! M-ma… » Frisk sospirò pesantemente, prima di rivolgere a Chara uno sguardo affranto. « Ti ho in parte mentito poco fa. Quella… sensazione, non è l’unico motivo per cui non me la sento di proseguire. »
Chara sollevò un sopracciglio, chiedendole implicitamente di continuare. E così Frisk fece.
« Sono stanca, Chara. Non ce la faccio più a resettare, a cercare una soluzione, a f-fallire ogni volta… mi dispiace… n-non ce la faccio più… »
Chara allargò leggermente gli occhi, tanto era palpabile la profonda stanchezza ed esasperazione che Frisk lasciò trasparire dal suo tono di voce, dalla sua espressione, dalla luce naturale dei suoi occhi ora offuscata… era come se l’intero corpo della giovane avesse improvvisamente alzato un cartello di STOP, rimasto fino ad allora invisibile alla vista.
Spinta da un bisogno natole nell’animo, si avvicinò a lei, fece per poggiarle una mano sulla spalla, ma il suo braccio si fermò a mezz’aria. Avrebbe voluto toccare Frisk, consolarla in qualche modo, ma il suo corpo si rifiutava di accomodare questo suo semplice desiderio. Lo riabbassò lentamente, il tutto senza che Frisk si rendesse conto del gesto… se per fortuna, o per sfortuna, non poté dirlo con certezza.
« Non pensavo fossi così in difficoltà… non fino a questo punto. » Confessò comunque, fissando il pezzo di terreno delimitato dai suoi stivali, le braccia ora lasciate cadere mollemente nello spazio tra le sue ginocchia.
« Tu sembri esserlo molto più di me. » Affermò Frisk, cogliendo di sorpresa la sua amica. « Ho notato che non sei felice, che sei giù di morale e… e vorrei sapere perché, tutto qui. »
Chara strinse le mani in due pugni agitati, ma la sua espressione rimase freddamente impassibile, solo le iridi bianche poco meno luminose rispetto al normale tradivano le sue turbolente emozioni. Avrebbe dovuto aspettarsi che Frisk, prima o poi, le avrebbe chiesto con fermezza di portare alla luce i suoi turbamenti interiori. Non si sentiva pronta a mettersi a nudo, a far vedere a Frisk quanto fosse marcia dentro per natura, la natura che nei suoi simili odiava nel profondo… e che era, purtroppo, intrinseca persino nel suo animo.
Sentì la mano di Frisk poggiarsi sul dorso della sua, le dita delicate di lei sfiorarle le nocche ferocemente contratte.
Chara fissò sbigottita la mano dell’altra ragazzina, prima di alzare lo sguardo ad incontrare gli occhi di Frisk, pazienti nell’attendere una sua risposta.
« Qualunque difficoltà tu abbia, posso aiutarti a superarla. Fidati di me. »
Chara aprì le labbra, un groppo in gola che le stava opprimendo il respiro. Voleva, ma non poteva. Voleva… non poteva… o, forse… poteva, invece?
« I-io… »
La sua gola fu improvvisamente secca di ogni parola. Non riusciva a proseguire, non ci riusciva.
Le dita di Frisk, in quel momento, premettero dolcemente contro gli spazi fra le sue non più così serrate, per spingerla a schiudere il pugno implacabile in cui aveva stretto la sua mano.
Chiuse gli occhi, Chara, e permise alle dita di Frisk di formare un morbido intreccio con le sue, armonico ma resistente come una corda impossibile da sfilacciare. E quel gesto da solo fu capace di infonderle il coraggio di cui, in quel momento, aveva disperatamente bisogno.
« Mi… mi sento di troppo, Frisk. Come se non dovessi essere qui, ma da tutt’altra parte… »
« E… dove pensi che dovresti essere, allora? » Le domandò Frisk, con una perplessa quanto cauta curiosità.
Chara si strofinò la fronte e gli occhi con la mano libera, lasciandola infine a riposare sulle sue palpebre rassegnatamente abbassate.
« Da nessuna parte. Non c’è mai stato un posto dove potessi rimanere, d-dove potessi essere ciò che sono… non c’è… non ci sarà. »
Chara si chiuse nel silenzio dopo quell’ultima frase, un silenzio che fu solo Frisk ad interrompere.
« Con Asriel, Toriel e Asgore non ti trovavi bene? »
« No, mi trovavo bene… con loro. Sono stati la mia prima famiglia… ed io ho rovinato tutto quello che di buono mi avevano dato. No… non l’ho solo rovinato, l’ho distrutto e… e cancellato. »
Ora, il groppo che dapprima aveva avvertito solo in gola sembrava essersi espanso, arrivando a stringerle il petto e Chara si sentì dolere l’anima fin nel profondo, tantissimi ricordi del tempo trascorso con la famiglia reale che riemergevano e passavano davanti ai suoi occhi rigidamente chiusi, ricordi appannati dal tempo, dalla nostalgia, dal rimpianto.
Una lieve stretta delle dita di Frisk e quelle memorie fecero marcia indietro negli angoli più segreti della sua mente e Chara le fu tanto silenziosamente grata per averlo fatto.
« C’è… dell’altro? » Le chiese Frisk, senza mostrare impazienza o mancanza di tatto. L’altra ragazzina la stava ascoltando con ogni fibra del suo essere, tutta la sua attenzione e la sua premura catalizzata sulla sua persona e Chara era dolorosamente e felicemente consapevole di questo allo stesso tempo. Doveva continuare, doveva sforzarsi.
« Non riesco a tollerare che qualcuno si avvicini troppo a te, Frisk. È più forte di me, non riesco a controllarlo, e non mi piace la gelosia che sento in questi momenti… Vorrei averti per me, essere l’unica persona con cui trascorri il tuo tempo, ma è sbagliato, è tutto sbagliato e… e io odio questi miei pensieri, li odio! » Sbottò ed avvertì il labbro inferiore tremarle distintamente non appena richiuse la bocca, costringendosi ad abbassare la voce al suo normale tono più moderato. « Non riesco nemmeno a starti accanto, a proteggerti con intenzioni nobili che non siano frutto di una stupida possessività… »
« Non è vero. Hai cercato di proteggermi fino ad ora… e lo hai fatto bene, in qualunque modo tu la voglia pensare. » Ribatté Frisk, sorridendo in modo confortante, anche se ben sapeva che Chara, a testa bassa, non poteva chiaramente vederla. Nonostante non ci fosse mai stata una situazione di vero pericolo, Chara era rimasta sempre al suo fianco nei momenti in cui si era sentita in seria difficoltà e doveva farle comprendere che quanto aveva fatto fino ad adesso era stato da lei più che apprezzato.
« Non potrò farlo in futuro, comunque. Questa anima è… fragile, non sopporta gli sforzi fisici a cui vorrei sottoporla, non è più resistente, o determinata come un tempo. Hai visto anche tu cosa è successo con quella sardina! Ho usato involontariamente la magia per aumentare la mia velocità, l’anima mi si è quasi accartocciata nel petto per questo e mi sono lasciata battere con un solo, misero colpo! Risultato? Ti ho lasciata a combattere da sola e hai quasi fatto la fine di uno spiedino! »
Frisk strabuzzò gli occhi davanti a quella feroce rivelazione. Era per questo che Chara si era fatta tramortire da Undyne in quel modo? Perché la sua anima non aveva retto lo sforzo fisico a cui la aveva sottoposta?
« Non s-sapevo… s-scusami, Chara. Non pensavo che avresti avuto questi problemi quando… mi dispiace, è tutta c-colpa mia… » Mormorò, ma le parole le vennero presto meno mentre parlava. Non credeva che avrebbe causato simili problemi a Chara, problemi che forse si sarebbero potuti evitare se avesse…!
Chara alzò di scatto la testa, la vista dello sguardo indurito della maggiore spezzò quel suo pensiero prima che potesse completarlo.
« No. Non azzardarti a dirlo. Tu non c’entri nulla in questo, Frisk. Non c’era modo per te di sapere di queste complicazioni. Non hai colpa, va bene? »
Frisk la scrutò brevemente in quei suoi occhi severi, ma a modo loro attenti e premurosi. Annuì dopo qualche secondo, in accordo con quanto le era stato detto. Non poteva darle torto, in fondo, ma non era lei quella che doveva essere consolata. Si sporse verso l’altra giovane e avvolse le braccia attorno a lei, abbracciandola con tutta la forza che aveva in corpo. Si sarebbe impegnata al massimo delle sue possibilità per rasserenare l’animo della sua amica, per evitare ad ogni costo di farla sentire ancora così orribilmente disgustata da sé stessa quando non ce n’era motivo.
Chara si congelò sul posto non appena percepì il tocco delle braccia dell’altra, il respiro intrappolato nei polmoni rigidi dalle sue confessioni di poco prima.
« Risolveremo tutto questo assieme. Te lo prometto, Chara. Ho capito che non ti senti accettata e pensi che non potrai mai cambiare le cose… ma accettare te stessa, volerti bene e volere bene a qualcun altro sono traguardi perfettamente alla tua portata, davvero. Io ti ho già accettata, gli altri ti accetteranno anche, se solo ti mostri disponibile verso di loro. »
Chara espirò stancamente col naso. Erano belle parole, ma c’era una pecca considerevole nelle convinzioni di Frisk… una pecca che non poté evitarsi di farle notare.
« Ma io… io non riesco ad essere disponibile e gentile come te, Frisk. » Mormorò, abbassando lo sguardo a terra. Lei era quella schiva, riservata e arrabbiata col mondo, non quella solare, dolce e amata da tutti… cose come la disponibilità, la gentilezza, non erano per tipi come lei, ma la replica di Frisk arrivò immediata e puntuale nel far crollare la sua precedente affermazione.
« Non devi essere gentile e disponibile come me, ma gentile e disponibile a modo tuo. » La corresse Frisk, la sua stretta ancora più decisa e rasserenante insieme. « Se ti chiudi a riccio, però, difficilmente qualcuno potrà anche solo avvicinarsi a te e vedere la bella persona che sei davvero. »
« Non tutti siamo delle belle persone dentro, purtroppo. » Sussurrò immediatamente Chara, con tono di grave sfiducia.
Frisk sollevò la testa, allontanandosi per la distanza sufficiente ad agganciare le iridi bianco latte di Chara con le sue.
« Una volta, qualcuno mi ha detto che tutti possiamo essere delle brave persone, se solo ci proviamo. Pensi avesse torto? »
Chara strinse leggermente le labbra. Sapeva a chi l’altra ragazzina si stesse riferendo e, non essendo certa di potersi fidare del giudizio di quella persona, la sua risposta fu di conseguenza lo specchio di questa sua insicurezza.
« Non ne ho idea. » Rispose, onesta.
« Saresti disposta a verificarlo tu stessa, in tal caso? » Le domandò, dolcemente, Frisk.
Chara abbassò lentamente gli occhi nel risponderle, quel sorriso e quel tono di voce troppo buoni per consentirle di mantenere alto lo sguardo.
« Suppongo… di sì. »
Frisk cercò nuovamente i suoi occhi a quel punto e non fece fatica a ritrovarli ancora fissi nei suoi, a dispetto della evidente difficoltà di Chara nel compiere quel gesto.
« Puoi farcela, Chara. Io credo in te. E, presto, lo faranno anche gli altri. » La incoraggiò, cercando di trasmetterle la determinazione di cui la sua anima era, da sempre, stata colma. « Non dimenticare che non sei sola adesso e che, di qualunque cosa tu abbia bisogno, io ci sarò per te. »
Chara, in quel momento, si sentì travolta da così tante emozioni discordanti da non riuscire ad esternarne nemmeno una sul proprio volto immobile.
Frisk sembrò capire questo e la riaccolse ancora fra le sue braccia minute. E, questa volta, a stringere l’altra come se fosse la cosa più preziosa che aveva, fu Chara. Non era mai stata brava ad esprimere a parole sensazioni e sentimenti, ma le parole non sono l’unico, prezioso mezzo di comunicazione che gli esseri senzienti possiedono – e non è detto che sia, per forza, il più efficace.
Restarono così per qualche minuto, perché era di questo che Chara sentiva di aver bisogno: di vicinanza, di comprensione, di amore. E Frisk le stava dando tutto questo, perdonando ciò che le era stato fatto e cercando di offrirle un nuovo cammino da percorrere. La decisione di sfruttare questa possibilità al massimo, o lasciare che andasse sprecata, spettava solo a lei.
« Chara… » La chiamò la voce sofficemente discreta di Frisk.
« Sì? »
La minore alzò la testa e la guardò in viso con occhi pieni di dispiacere. C’era una domanda che le frullava nella testa da un po’… aveva timore di porla, ma meglio ora che più tardi, di modo che non avrebbero più dovuto fare discussioni tanto scomode.
« Hai scalato il Monte Ebott per… questo? Perché non ti sentivi amata dai tuoi genitori? Dalle persone che si prendevano cura di te? »
Chara inspirò profondamente col naso, prima di risponderle.
« In parte, sì… il mio obiettivo, però, era… un altro… Avevo perso la voglia di continuare, non avevo nulla per cui continuare… e appena vidi il buco da cui entrambe siamo cadute… ho solo voluto che le mie disgrazie finissero. » Si fermò, non volendo esprimere ad alta voce i pensieri che la avevano attraversata quel giorno di tanti anni prima, quando le sue gambe si erano mosse solamente con la speranza di non doversi muovere mai più, dopo un volo di chissà quanti metri. « I fiori mi salvarono… e a trovarmi ancora lì, distesa su quel letto di ranuncoli, fu Asriel… »
. . .
« Ehi, sei caduto da là sopra, vero? » Le aveva chiesto una voce cristallina e fanciullesca, simile al suono di un dolce campanellino. E non sapeva da dove quel paragone fosse venuto fuori, non sapeva che suono producevano dei campallini, ma quel pensiero era stato comunque il primo e il più adatto a venirle in mente per descrivere quella voce nuova e inudita prima di allora dalle sue orecchie.
Chara aveva sollevato la testa a fatica, ancora stordita dalla caduta, e il muso candido e bagnato dal sole di un capretto era stata la prima cosa su cui aveva fissato il proprio sguardo incerto. E aveva creduto di avere le allucinazioni quando, compreso che quella strana creatura le aveva appena rivolto la parola, era leggermente arretrata, gli occhi larghi dallo spavento e il cuore che aveva perso un battito. Gli animali... non potevano parlare, vero? Era... impossibile? 
« Stai bene? » Le aveva domandato ancora la creatura, con tono ancora più genuinamente preoccupato. 
Chara aveva abbassato lo sguardo, scuotendo leggermente la testa, il dorso di una mano alzato nel tentativo di asciugarsi le lacrime prima che quello sconosciuto avesse potuto vedere le tracce lucide che le imperlavano gli occhi e le guance.
Con la coda dell’occhio, aveva visto una zampa allungarsi verso di lei, piccola, fragile, ma dotata di una forza che Chara non aveva ancora potuto sentire sulla propria pelle.
« Su, alzati. » La aveva incoraggiata il capretto, con un sorriso così gentile da lasciarla disorientata, i dentini appuntiti che si erano intravisti appena da sotto il labbro superiore.
Chara aveva fissato a lungo quella zampa, il gesto conosciuto ma con così poche corrispondenze nella sua mente che si era trovata in seria difficoltà in merito al gesto con cui avrebbe dovuto rispondere. Alla fine, aveva scelto di allungare esitante la propria mano, la risposta più naturale che il suo animo era stato in grado di suggerirle. Appena le sue dita si erano posate sul palmo della creatura, questa gliele aveva gentilmente strette, pelo soffice contro le sue mani sporche e ferite di rosso; e la avevano sollevata, come un angelo salvatore, dal letto di morte che aveva scelto troppo prematuramente.
« Come ti chiami, umano? »
Quella singola domanda era stata sufficiente a rompere la trance in cui era caduta poco prima e farle ritornare le parole in bocca.
« Sono una femmina. » Aveva risposto duramente Chara, incurante del fatto se la piccola creatura bianca fosse familiare, o meno, con il concetto che aveva voluto esprimerle.
« Ma sei un essere umano, giusto? » Le aveva chiesto lui, senza abbandonare il sorriso.
Chara aveva semplicemente annuito in risposta, chiedendosi da cosa derivasse tutta quell’insistenza, e l’entusiasmo del piccoletto era istantaneamente cresciuto in seguito alla sua risposta affermativa, lasciandola di stucco.
« Wowie! Cavolo, non credevo che avrei mai potuto vedere uno di voi! Mamma e papà saranno sorpresi quanto me, o forse più di me, quando ti vedranno! »
Chara non aveva compreso, allora, l’entusiasmo della reazione di quello che sarebbe diventato il suo primo migliore amico, si era limitata a guardarlo con un sopracciglio leggermente alzato, finché non era stato lui stesso ad interrompere il suo monologo eccitato.
« Oh, ma non mi hai ancora detto il tuo nome! »
La piccola aveva strabuzzato gli occhi, presa in contropiede dal modo di fare così frizzante di quella creatura, praticamente un concentrato di energia formato palla di pelo. Era rimasta interdetta qualche secondo, restia a fornire il proprio nome a quel piccolo così gioioso e… normale. Ma, dopo aver valutato pro e contro, non era riuscita a trovare nessuna ragione per rifiutarsi e non dargli ciò che aveva chiesto.
« Chara. » Aveva mugugnato a bassa voce, ben evitando di guardare quegli occhi verdissimi e carichi di un’aspettativa per lei inconsueta. 
La creatura ci aveva rimuginato su qualche istante, come per valutare l’informazione da poco assimilata.
« Chara, eh? È un bel nome. » Aveva commentato, il sorriso ancora più largo. Aveva poi allungato di nuovo la zampa verso di lei, inclinando socievolmente la testa sormontata da un simpatico ciuffetto bianco. « Io mi chiamo Asriel, piacere! Spero diventeremo ottimi amici! »
Chara aveva spostato circospetta lo sguardo dalla zampa che le era stata ancora offerta al musetto di quel cucciolo, le dita della sua mano leggermente contratte contro il fianco nell’istinto di stringergli la zampa, ma qualcosa dentro di lei che stava impedendo loro di muoversi.
E Asriel, di sua iniziativa, gliela aveva stretta delicatamente un’altra volta, non perdendosi d’animo di fronte alla sua riluttanza, non lasciandosi impressionare dallo stato pessimo in cui era ridotta la sua mano.
« Forza, vieni con me! La mia mamma e il mio papà sapranno sicuramente come aiutarti! »
Come si fosse reso conto che lei aveva bisogno di aiuto, Chara non era riuscita a spiegarselo… nessuno lo aveva mai capito prima di allora. Era confusa, terribilmente confusa dal comportamento di quello strano cucciolo e non così entusiasta all’idea di seguirlo. Ma, per qualche strana ragione, quando aveva ripetuto il nome di quel capretto nella sua testa, un suono estraneo a quelli a cui era abituata, un suono nuovo e pulito, aveva sentito le proprie labbra contrarsi debolmente verso l’alto. Quel fatto da solo le aveva dato una sorta di spinta interiore, capace di farle muovere le gambe una volta di più per percorrere il cammino verso cui Asriel la stava conducendo. Era stato solamente molto più tardi che aveva compreso cosa fosse stato quel movimento strano che aveva percepito sul suo stesso viso: un semplice, spontaneo sorriso.
. . .
« Ho vissuto con loro per anni da allora… mi hanno dato tutto quello che avevo sempre inconsapevolmente voluto da una famiglia… volevo bene a tutti loro… »
E Chara lo pensava davvero e lo aveva detto a Frisk senza pentirsi di aver fatto quella confessione che la riguardava fin nel profondo, che la toccava lì dove nessuno era potuto arrivare.
« Cos’è… successo poi? » Le domandò Frisk, inarcando leggermente le sopracciglia. Da quello che le stava venendo raccontato, la felicità non era certo mancata a Chara durante il tempo che aveva trascorso con la famiglia reale dell’Underground e, alla luce di quelle nuove rivelazioni, la domanda più spinosa di tutte era tornata a ronzarle nella testa con una fastidiosa prepotenza: cosa aveva fatto nascere nell’altra il desiderio di distruzione che ancora Chara tardava a sopprimere? Ci doveva pur essere una ragione dietro tutto quell’odio e quella rabbia, giusto?
La maggiore si scostò un poco da lei, non per essere scortese, ma solo per farle intendere che aveva bisogno della distanza piuttosto che della vicinanza in quel delicato momento. E Frisk capì perfettamente, dandole oltre allo spazio anche il tempo di cui necessitava per riprendere il discorso.
« Mi sentivo comunque insoddisfatta… in debito con loro. » Proseguì Chara, con una nota di vecchio e nuovo dolore assieme. « Mi avevano accolto come una figlia e una sorella e sentivo che non avrei mai potuto ripagarli per tutto ciò che mi avevano dato. Odiavo l’umanità, odiavo ogni uomo presente sulla terra e, in quegli anni, finii con l’odiarli molto più di prima… era solo colpa loro, della mia razza, se la mia famiglia era destinata a non vedere mai la luce del sole, a non poter mai avere la ricompensa più grande per tutto ciò che avevano fatto per me. E fu così che ideai il piano perfetto per realizzare entrambi i miei obiettivi: distruggere la barriera, ripagando in questo modo i mostri per la loro gentilezza, e sterminare al contempo l’umanità intera, dando in questo modo l’opportunità ai mostri di ripopolare il pianeta senza guerre, o perdite inutili. Ero decisa a portare avanti il mio piano, così convinta a portarlo a termine e… e pensare che la mia morte, almeno, avrebbe avuto questa volta un qualche significato e avrebbe reso la vita di qualcun altro senz’altro migliore, aveva cancellato ogni mia ultima esitazione. »
Si scostò la frangia dalla fronte, appuntandosi alcune ciocche dietro l’orecchio sotto gli occhi leggermente sgranati di Frisk, l’accenno di un sorriso amaro che faceva capolino sulle sue labbra.
« Sembrava un piano così privo di imperfezioni nella mia testa… Asriel doveva solo assorbire la mia anima all’interno del suo corpo e cedermi il controllo, cosicché potessi recuperare indisturbata le anime umane che ci servivano… la barriera sarebbe stata distrutta ed io, con i poteri di un dio, avrei liberato la Terra dalla piaga degli esseri umani… » Disse, con quanto più rammarico avesse volutamente desiderato imprimere nel suo stesso tono di voce. « Avrebbe funzionato, se solo Asriel non si fosse messo in mezzo. Non appena ebbe compreso le mie intenzioni, lottò con tutto sé stesso per riprendersi il controllo del suo corpo. Gli umani ci attaccarono spietatamente in quei pochi istanti di esitazione, approfittando delle circostanze e- »
Chara si fermò, l’eco nella sua testa delle urla immonde degli umani mentre attaccavano spietatamente Asriel, la furia che aveva provato nel vedersi ostacolata dall’amico di cui si era ciecamente fidata, l’oscurità dentro di lei che cresceva e cresceva e la inondava di odio e Asriel, LASCIAMI! DANNATO CODARDO, LASCIAMI!
N-no! C-Chara, Chara non ce la faccio più, moriremo, moriremo se non ce ne andiamo, ragiona TI PREGO!
Stai zitto STAI ZITTO TRADITORE! Sei un infame, sei un maledetto INFAME
Profondamente turbata dalla sue stesse parole di quella notte, Chara riuscì a stento a ricacciare indietro quelle memorie, fatte di errori e incomprensioni e troppo dolore. Il solo immaginare come si fosse sentito Asriel in quei secondi di paura, agonia, orrore, in cui aveva dovuto trovare la forza necessaria sia per respingere lei che per trascinare il suo corpo massacrato lontano dalla calca di umani, le tolse il respiro e quel poco di freddo autocontrollo che le era rimasto.
Non seppe quanto rimase immobile, nel tentativo di calmare l’angoscia che le stava stringendo le viscere. Frisk, comunque, non la spronò a continuare, dandole tutto il tempo necessario per tranquillizzarsi a dovere. Fu solo quando fu certa di aver ben arginato quel rifluire di ricordi che Chara riprese a parlare, con voce tanto flebile da poter essere a malapena udita.
« Asriel riuscì a tornare a casa… e morì proprio nel giardino dei suoi genitori… Io no… rimasi bloccata in un limbo tra la vita e la morte, per non so quanto… né completamente morta, né completamente viva… »
« Come è stata possibile una cosa del genere? » Le domandò Frisk, tenendo le mani in grembo, le spalle tese e ogni parola misurata.
Chara si prese pochi secondi per rifletterci sopra, al termine dei quali la risposta le fu fin troppo chiara e inevitabile.
« Immagino sia stato l’odio ad impedire a ciò che restava della mia anima e della mia coscienza di sparire. Mi ero sentita tradita da Asriel, non potevo credere che quello che consideravo quasi un fratello si fosse rivoltato contro di me… senza che me ne accorgessi, era così iniziato un circolo vizioso che non sarei stata più capace di fermare. Mi chiedevo perché, tra tutti, proprio Asriel mi avesse fatto questo. Non trovai spiegazione, sapevo solo che mi aveva impedito di portare a compimento il mio piano, difendendo gli esseri che mi avevano fatta soffrire, ostacolando la mia vendetta… la conclusione a cui arrivai, dopo non so quanto tempo passato a pormi sempre quella sola unica domanda, fu incredibilmente spietata nella sua semplicità: se coloro che amo difendono i miei nemici, allora, anche loro sono sempre stati miei nemici. Non pensai alla profonda erroneità di quel pensiero, a quel tempo. Avevo talmente tanto odio dentro di me e solo quello ad impedirmi di morire, che finii col dirigere i miei rancori verso le persone sbagliate. Più disperata ero, più il mio odio aumentava e più mi rifiutavo di morire... »
Sotto il peso vergognoso di quei pensieri, Chara si coprì completamente il volto con le mani, incapace di guardare Frisk, incapace persino di sentire lo sguardo dell’altra su di sé.
« Avrei raso al suolo ogni cosa se fossi riuscita a prendermi la tua anima e il tuo corpo… e, mentre gli umani avrebbero avuto ciò che si meritavano, i mostri avrebbero solo ricevuto un’altra ingiusta punizione. M-mi rendo conto solo adesso di essere stata la causa di tutta questa sofferenza inutile! » Quell’ultima, rabbiosa dichiarazione uscì dalla sua bocca quasi come un urlo, le spalle le tremavano violentemente per i singhiozzi che avrebbe voluto esternare, ma piangere era decisamente l’ultima cosa che avrebbe fatto in presenza di qualcun altro, Frisk soprattutto, che non aveva bisogno di vedere altra tristezza e altro dolore.
Frisk le si avvicinò comunque e silenziosamente, sedendosi proprio accanto a lei, gamba contro gamba, sperando di poterla calmare con la sua sola presenza, che non voleva essere né troppo invasiva, né troppo distaccata. Avrebbe voluto fare di più, decisamente di più, ma Chara non sembrava il tipo da accettare gesti consolatori troppo espansivi in simili momenti di debolezza… a volte, troppa vicinanza e affetto non erano in grado di guarire certe ferite, tanto profonde da sembrare quasi impossibili da risanare.
Un minuto o due più tardi, Chara risollevò il viso dalla conca creata dalle sue mani e tirò un profondo sospiro, le sue emozioni sotto controllo quanto bastava.
« Scusa per questa vista deludente. » Disse, quasi mormorando.
Frisk le sorrise comprensiva, con purtroppo un velo di profonda amarezza.
« Non ti devi scusare. Sono io che dovrei scusarmi per averti costretta a rivivere questi brutti ricordi… »
« Mi è servito a far chiarezza. » Replicò sinceramente Chara, alzando gli occhi per riguardare in viso l’altra con sufficiente sicurezza. E non era una bugia… era da parecchio tempo che non sentiva una simile lucidità mentale, in cui i suoi pensieri potessero scorrere nitidi e chiari, quasi del tutto indisturbati da grovigli di emozioni negative e confuse. Se l’aprirsi verso gli altri poteva portare simili effetti positivi, una prossima volta la sua esitazione sarebbe stata significativamente più ridotta.
Tuttavia, la ragazzina più minuta distolse lentamente lo sguardo, fissandosi le dita intrecciate delle sue mani sulle cosce.
Chara notò l’ombra della distanza farsi strada nei suoi occhi, come se stesse anche lei spolverando vecchie memorie forse sgradite.
« A cosa stai pensando? » Le chiese, sbattendo involontariamente le palpebre per mostrare la sua prudente curiosità.
Frisk sospirò silenziosamente, ma Chara aveva la netta sensazione che, per un motivo a lei ignoto, si fosse astenuta dal sospirare con maggior vigore.
« Mi dispiace che tu abbia avuto così tante difficoltà… mi dispiace che ti sia sentita male per gran parte della tua vita… » Mormorò Frisk, ben sapendo che, dispiacere o meno, quelle cose erano già accadute e non c’era modo di cambiare quel passato.
« Intuisco, però, che non hai avuto una vita facile neanche tu. » Constatò Chara, ad alta voce.
« Rispetto ad altri bambini, suppongo di sì… » Rispose Frisk, insicura se proseguire.
Quando vide il cenno del capo da parte della ragazzina più grande, si decise a farlo. Chara si era scoperta completamente di fronte a lei e doveva in qualche modo ricambiare quella cortesia.
« Avevo otto anni quando morirono i miei genitori. Stavamo facendo un’escursione in montagna… ma… la parete franò e loro rimasero schiacciati dalle macerie… non avevo nessuno che si potesse prendere cura di me e le autorità mi mandarono in orfanotrofio. Ero completamente sola lì, non avevo nessun amico, nessuno… però, avevo un tetto sopra la testa e potevo dormire in un letto e… e l’ho considerata una fortuna per parecchio tempo… se vogliamo essere pignoli, il mio problema più grosso era non lasciare che mi rubassero il cibo da sotto il naso. » Frisk accennò un lieve sorriso a quel punto, atto a sdrammatizzare un po’, anche se sapeva sarebbe servito a ben poco. « La solitudine mi spinse a scappare. Non ne potevo più di restare sola, volevo degli amici, qualcuno con cui parlare, qualcuno che mi volesse bene… ma sapevo che, dovunque mi fossi diretta, mi avrebbero riportata in orfanotrofio. Sapevo che non c’era scampo per me… e fu così che decisi di scalare il Monte Ebott. Le storie raccontavano che, chiunque salisse su quella montagna, non sarebbe più tornato indietro. E tornare indietro era proprio l’unica cosa che non avevo intenzione di fare una volta scappata. Avevo, ovviamente, male interpretato alla grande la natura di quelle voci, ma mi era sembrata l’alternativa migliore che avevo a quei tempi... credo di essere un po’ ‘cresciuta’ da allora. Arrivata in prossimità del buco, beh… mi sporsi troppo e caddi giù, come una mela da un albero. » Concluse, con un pizzico di ironia nella voce, la storia di come completamente per caso avesse fatto la fine di Alice caduta nella tana del Bianconiglio. Ma, ciò che aveva trovato sul fondo di quella voragine, era stato un mondo ben più magnifico e meraviglioso del Paese delle Meraviglie, un mondo la cui bellezza non avrebbe potuto essere eguagliata da nessun universo di fantasia.  
« Ma… non sei arrabbiata con le persone che ti hanno spinta a fare una cosa tanto drastica? » Le domandò Chara, seriamente perplessa. Se già faticava a credere che una come Frisk potesse aver avuto un solo momento di solitudine in vita sua, figuriamoci se poteva accettare di non aver sentito alcun tipo di risentimento nella voce di Frisk durante il suo racconto.
« No… direi di no. » Le rispose la minore. « Non riesco a restare arrabbiata con qualcuno tanto a lungo. »
Chara, a quel punto, era esterrefatta, quasi fuori di sé dalla sorpresa.
« Ma ti hanno fatta soffrire! Non vorresti fargliela pagare?! »
La sua amica scosse due volte la testa, in segno di pacifico diniego.
« Se gli altri sono scortesi con me, non significa che anche io debba esserlo con loro. »
Chara digrignò leggermente i denti, stringendo i pugni fino a farsi sbiancare le nocche. Capiva il ragionamento di Frisk, che sapeva non essere nato da una particolare superbia da parte dell’amica, ma dal suo buon cuore e dalla sua innocenza, rimasta miracolosamente intatta nonostante le sventure che le erano capitate. Non poteva, però, affermare di condividere questo pensiero, in completa controtendenza con le sue personali convinzioni.
« Non so come fai… » Sibilò lei, tra i denti. « Io… io li odio tutti, quegli animali… »
« Odi anche me, allora? » Le chiese Frisk, con tono severo.
La più grande si sentì presa in contropiede da quella domanda.
« N-no, ovvio che no… » Bisbigliò, rendendosi conto che, con ciò che aveva detto, poteva aver offeso la sua fin troppo paziente amica.
Frisk annuì e non sembrava per nulla offesa da quello sfogo, solamente impressionata, forse per le parole forti che aveva usato.
« Sono la prova vivente che non tutti gli esseri umani sono malvagi. » Disse la minore, allargando le braccia con un sorriso ottimista. « Noi due abbiamo solo incontrato le persone sbagliate, ne sono convinta. »
Chara la guardò con sguardo incerto. Non ammise che non condivideva neppure ciò che la sua amica aveva appena detto… era, a suo parere, una questione di punti di vista e credeva che difficilmente una di loro avrebbe cambiato la propria opinione tanto presto.
« Vuoi restare ancora un po’ qui, o vuoi tornare a Snowdin? » Le chiese disponibile Frisk, nella quiete del silenzio disturbato dal lieve rumoreggiare dell’acqua che scorreva nelle vicinanze.
« No… torniamo indietro. » Rispose la maggiore, pensando che era ciò che l’amica probabilmente voleva. Non era comunque necessario rimanere in quel luogo ancora a lungo, se non avevano più nulla da dirsi.
Frisk sbatté le palpebre, sorpresa. Credeva francamente di ricevere una risposta diversa, ma non espresse il suo stupore a parole. In fondo, era positivo che l’altra non avesse preferito la solitudine di quell’anfratto all’ambiente della vivace cittadina. Non lo aveva fatto per desiderio di riavere la compagnia di qualcuno all’infuori di lei, Frisk lo sapeva, ma ai suoi occhi questo poteva già essere considerato un miglioramento.
Abbozzò un sorriso, prima di alzarsi e aspettare che Chara facesse lo stesso, ma la sua espressione sorridente vacillò man mano che i secondi passavano e la sua amica non aveva ancora accennato a muoversi.
« Chara…? »
« Ho un’ultima cosa da dirti. » Dichiarò, la serietà dei suoi lineamenti sottolineata dallo scavare delle ombre e della rada luce del fiore sul suo viso.
Frisk inclinò stupita la testa di lato, un invito per Chara a proseguire.
« Fai attenzione quando non sono con te, Frisk. Evita di esporti a rischi che potresti tranquillamente evitare. Se hai dei dubbi, o se non ti senti al sicuro anche solo per un secondo, scappa. » Parlò, il tono di voce reso duro dall’apprensione. « Non sempre la fuga può essere considerato un atto di codardia… a volte, è solo una saggia presa di coscienza dei propri limiti. »
Frisk richiuse le labbra, deglutendo nella maniera più discreta e silenziosa possibile. Non nascondeva che non aveva compreso fino in fondo le parole di Chara, ma supponeva ci fosse un motivo valido dietro a quelle raccomandazioni e a quei consigli.
« Ho… capito. » Sussurrò. Si scrollò di dosso la tensione che aveva inconsapevolmente accumulato e tese gentilmente la sua mano verso Chara. « Andiamo? »
L’espressione di Chara si ridistese e Frisk capì che non era stata intenzione dell'amica parlarle con un tono così severo. Tuttavia, era del parere che quel suo essere sempre così ansiosa e sul chi va là con chiunque doveva essere al più presto corretto. D’ora in poi, avrebbe fatto ogni cosa in suo potere per tranquillizzare l'altra ragazzina con maggiore insistenza; meno insicura nei confronti dei suoi potenziali amici si fosse sentita, più facile sarebbe stato farla integrare perfettamente con tutti gli altri. Frisk voleva offrirle per adesso questa prima possibilità di percorso, una linea guida che le consentisse di ritornare ad interagire con un mondo che aveva per anni abbandonato. E, se in un futuro prossimo o lontano, Chara avesse deciso di intraprendere una strada differente e a lei più consona, Frisk non le avrebbe negato il suo supporto nemmeno in quel caso.
Chara allungò la mano per incontrare quella della sua amica, in un gesto fluido e privo d’esitazione. Tanti anni prima, era stato difficile accettare il tocco di quella di Asriel. Ora, poteva non solo accettare il tocco di un’altra mano – quella di Frisk – ma anche restituirlo e… prendervi volontariamente parte. Era un cambiamento a cui doveva ancora abituarsi, vero, ma non la sfiorò minimamente il pensiero che quella novità avrebbe potuto portare a qualcosa di sgradevole, non con
 la sua anima che si muoveva così dolcemente nel suo petto, sussurrandole che quanto stava facendo era giusto e la avrebbe fatta stare bene.
Furono le sue labbra ad inclinarsi per prime in un sorriso, cosa che fu certa fu più che sufficiente a far meravigliare la sua amica.
« Sì. » Replicò, un angolo della bocca levato appena verso l’alto, nel suo più riuscito tentativo di rispondere al sorriso dedicatole da Frisk con un'espressione serena.
Potevano percepire entrambe e con chiarezza che qualcosa era cambiato in meglio tra di loro.






Sameko's side
Bene, lettori, tirate fuori maracas, trombe, tromboni quello che volete perché finalmente sono riuscita ad aggiornare regolarmente! ^^ 
Buona sera a voi comunque, spero che il capitolo vi sia piaciuto, nonostante la considerevole lunghezza ( ho una paura matta di aver allungato troppo il brodo ). Questo è un altro di quei capitoli che nella stesura iniziale contava poco meno di 5000 parole... e, magicamente, la stesura finale ne conta più di 7000 cavolo
Ebbene, questo è un capitolo di svolta per la relazione tra le nostre due ragazze preferite, in cui diamo un primo sguardo al loro passato e alle loro motivazioni di ieri e di oggi. Sì, lo so, qualcuno troverà scontate o un po' banali le loro backstory ma, onestamente, trovo che backstory molto più complesse sarebbero risultate superflue ai fini della trama. Ciò che quindi ho deciso di raccontare del loro passato è quanto mi basta per mandare avanti la storia e spero che questa mia scelta venga accettata, o magari condivisa, dai più che mi seguono. 
Pensavo di avere molte più cose da dire e, boh, invece il mio spazio autore termina qui. ^^"
Al prossimo capitolo!
Baci! <3

Sameko



 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14: Il meglio per te ***



Capitolo 14: Il meglio per te
 





Aveva immaginato che sarebbe stato impegnativo resistere ad una stanchezza che, se non colmata durante il giorno con i suoi frequenti sonnellini, non sarebbe stata eliminata in altro modo… ma non aveva immaginato che sarebbe stato così impegnativo, non dopo tutte le volte che lo aveva già fatto in passato, prima di tutto questo e prima dei reset.
Erano ormai due notti che non dormiva, né schiacciava un pisolino durante il giorno, un’abitudine che gli era sempre tornata utile in quei periodi dove chiudere occhio la notte gli risultava impossibile, ma a cui al momento non poteva ricorrere. Era, infatti, alle sue riserve di magia che stava dando fondo con quanta più parsimonia poteva, benché sapesse perfettamente che quella soluzione da sola non sarebbe bastata, non per sempre e nemmeno tanto a lungo, perché quelle riserve erano destinate ad esaurirsi presto nonostante fossero sempre state di un’ampiezza non indifferente. E non era di cibo che la sua anima aveva bisogno per produrre altra magia e mantenersi in forze, quello sostentava solo il corpo, non le anime. Era di assoluto riposo che, Sans sapeva, avrebbe avuto presto bisogno.
La mancanza di sonno stava tragicamente cominciando a farsi sentire e il suo organismo, di conseguenza, a lamentarsi perché gli venisse concessa una tregua. Le sue palpebre non avevano ancora iniziato una lenta discesa sui suoi occhi, non ancora, ma il pensiero di farlo… oh, quello stava cominciando a diventare insistente. E, quando diveniva sordo a qualunque altra cosa che non fosse quel pensiero, la voce di Gaster si sovrapponeva ad esso e tornava a sussurrargli maliziosamente nel cranio.
« Non ti lascerò riposare finché non cederai. »
Quelle parole erano sufficienti a fargli scacciar via ogni idea di rinunciare, nel mentre che la sua anima veniva invasa da una netta, radicale sensazione di rifiuto. Aveva ceduto in molte altre cose, ma con Gaster non era disposto a fare altrettanto – e non ne andava solo del suo orgoglio personale, ma anche della sicurezza di coloro a cui voleva bene. Gaster gli aveva apertamente dimostrato di essere diventato un perverso manipolatore senza più scrupolo alcuno e non osava immaginare cosa avrebbe potuto fare se messo nella condizione di poter nuocere a qualcuno. Tuttavia Sans, in cuor suo, aveva iniziato a maturare la convinzione che questa natura crudele e deviata era stata forse insita nell’animo dello scienziato fin dal principio. Non era diventato qualcosa, era sempre stato quel qualcosa… e lui, semplicemente, era stato fin troppo cieco per vederlo, traviato dall’inesperienza e dalla sua purtroppo ancora giovane età. Tutt’ora, non riusciva a perdonarsi l’errore di aver fatto il suo gioco per così tanti e lunghi anni, di essersi fidato e lasciato distruggere dentro a causa di qualche parola e gesto ben piazzato, atte ad assicurarsi da parte sua una fedeltà che sarebbe morta tempo prima senza di esse.
Un soffice e sommesso rumori di passi distolse la sua attenzione da quelle riflessioni e dai rimaneggiamenti di un passato che ricordava con tanto disprezzo. Il rumore era quello della suola di uno stivale, ma non pensò neanche per un secondo che potesse essere suo fratello – passi troppo frequenti e così attutiti dalla neve potevano solo indicare l’arrivo di qualcuno di gran lunga più minuto di Papyrus.
Quando vide Frisk entrare nel suo campo visivo, imbacuccata per bene nella sua sciarpa e leggermente ansimante per la camminata, gli angoli della sua bocca si incurvarono di volontà propria in un lieve sorriso.
« Buon giorno, Sans! » Lo salutò lei, sventolando una mano in sua direzione. Notò anche, quasi con piacere, che stava nuovamente indossando il suo caratteristico maglioncino a righe, segno che suo fratello doveva aver ultimato la ricucitura della manica rovinata. Decisamente, azzurro-blu e fucsia le si adattavano molto più di verde e giallo.
« Giorno, piccola. » Le rispose, con un cenno amichevole della testa. « Cosa ti porta così lontana da Snowdin? Non avrai fatto tutta questa strada solo per raggiungermi, spero. »
Ma, anche senza attendere risposta, Sans aveva la sensazione che doveva essere andata esattamente in quel modo. Se avesse saputo in anticipo quali erano le intenzioni di Frisk, beh, le avrebbe dato uno strappo lui stesso – uno dei vantaggi della piccola di essere fra i pochi a sapere delle sue ‘scorciatoie’.
« E se ti dicessi che ci hai visto giusto? » Replicò Frisk, avvicinandosi alla postazione in legno con uno sguardo d’intesa.
Sans ridacchiò davanti all’accenno di innocua complicità che traspariva dall’espressione della giovane.
« Non metto in dubbio che le passeggiate mattutine siano l’ideale per darsi una bella rinfriskata, ma affrontare il freddo da sola? Hai la pellaccia dura, piccola. »
Frisk esibì un largo sorriso, per mostrargli quanto le avesse fatto piacere sentire un gioco di parole con il suo nome.
« Papy mi ha detto una cosa simile prima che uscissi. » Rifletté ad alta voce. « Ah, mi ha detto di ricordarti di non dormire sul posto di lavoro come tuo solito. »
Sans si trattenne dal rilasciare persino il più flebile dei sospiri. Se suo fratello avesse saputo che, al momento, l’addormentarsi in generale era in cima alla lista di cose che si era vietato di fare – probabilmente per la prima volta in tutta la sua vita – era sicuro che avrebbe visto l’espressione più orgogliosa di sempre comparire sul volto di Papyrus, il quale sarebbe stato totalmente ignaro dei motivi dietro ad un’azione ai suoi occhi tanto ammirevole.
Un altro piccolo dettaglio, però, catturò la sua attenzione.
« Papy? » Ripeté con una divertita curiosità, alzando leggermente un’arcata sopraccigliare.
Frisk gli sorrise imbarazzata.
« Mi è uscito naturale questa mattina… è un semplice diminutivo, però Papyrus non ha protestato nemmeno quando l’ho ripetuto una seconda volta. » Spiegò, stropicciando le maniche del maglioncino. « Spero gli piaccia come mi ha fatto intendere… »
Sans osservò brevemente i movimenti nervosi delle sue mani, distogliendo poi rapido la sua attenzione da esse. Di nuovo, quel gesto di disagio aveva fatto la sua comparsa. Doveva essere un tic nervoso di qualche sorta, concluse fra sé e sé.
« Fidati, è sicuramente un buon segno. » La tranquillizzò lo scheletro, prima di sporgersi dalla sua postazione per scompigliarle giocosamente la frangia. E non era solo per dire, Papyrus era sempre stato generalmente riluttante su soprannomi vari e che avesse accettato il diminutivo datogli da Frisk, in silenzio e senza lamentela alcuna, era decisamente un buon segno. Come fosse riuscita ad ottenere una simile reazione così presto, però, restava un mistero per Sans. D’altronde, lui aveva dovuto faticare un bel po’ prima di ricevere l’approvazione di suo fratello con ‘Paps’. Solo alla fine, Papyrus aveva optato per la resa, comprendendo l’affettuosità malcelata dietro a quel soprannome; chiedere a lui di non utilizzare un nomignolo esclusivo e speciale per il suo fratellino, sarebbe stato come chiedergli di rinunciare al ketchup quando andava da Grillby’s. Tutti lo chiamavano ‘Papyrus’, ma solo lui lo chiamava ‘Paps’.
Frisk accettò il gesto sbarazzino con un piccolo sorriso, le sue mani che spuntavano dalle maniche del maglioncino tornarono immobili lungo i suoi fianchi, reazione che Sans aveva sperato di ottenere sin dall’inizio.
« Chara dov’è? Ha deciso di non venire? » Domandò quindi, notando non certo con dispiacere l’assenza di Chara al fianco della ragazzina più piccola.
« Mh mh. Non la entusiasmava l’idea di vederti. » Rispose lei, con un sorriso scusevole. In realtà, una ragione ben più personale aveva spinto la sua amica a restare indietro a Snowdin, ma non ritenne opportuno menzionarla a Sans. Dopotutto, erano confidenze private che, giustamente, meritavano di restare private, al massimo raccontate in generale e senza troppi dettagli.
« Non posso dire che il sentimento non sia reciproco. » Ammise Sans, con un’alzata indifferente di spalle. Non poteva certo fingere che la mancata presenza di Chara lo intristisse – tutto il contrario, per l’appunto. Quella ragazzina, talvolta, sapeva provocargli un tale senso di inquietudine che avrebbe dato via un femore per non averla attorno… e certo non aiutava il fatto che, ogni qualvolta la guardava in viso, era un gelido specchio dei propri occhi ciò che gli restituiva lo sguardo, un riflesso che trovava fin troppo familiare per non restarne quasi intimidito.
Si risedette nuovamente sulla panca, al riparo dalle brezze di vento gelido che a volte spiravano, e le fece cenno con la testa per invitarla ( sempre se lo desiderava ) ad unirsi a lui.
Frisk stirò ulteriormente le labbra in un sorriso, accettando l’invito implicito.
Fece il giro della postazione, aprì il cancelletto che permetteva l’accesso all’interno e si sedette comodamente vicino allo scheletro. Una serie di brividi, tuttavia, le raggelò la pelle lungo tutta la schiena non appena le sue gambe vennero a contatto con il legno freddo della panchina. Una prossima volta, si sarebbe certamente fatta prestare dei vestiti più pesanti da Papyrus, prima di uscire ancora ad affrontare l’inverno perenne di Snowdin. Non ricordava che le temperature si sarebbero abbassate così tanto in questa particolare giornata.
Il tremolare del corpo della ragazzina non era rimasto ignorato da Sans.
« Che cos’era quello? » Le chiese, un po’ impensierito dalla rigidità che aveva preso possesso della postura della giovane.
Frisk lo guardò senza capire, cosa che spinse lo scheletro a meglio specificare la sua domanda.
« Stavi tremando. Hai… freddo? »
Il lampo della comprensione attraversò d’improvviso gli occhi di lei.
« Ah… beh, un pochino, ma non è nulla di insopportabile. » Replicò la ragazzina, con un sorriso leggermente impacciato.
Sans sollevò appena un angolo del proprio in risposta, in grado ora di associare quella reazione a qualcosa di conosciuto. La maggior parte dei mostri poteva sentire e soffrire il freddo se erano dotati di pelle o qualsiasi altro rivestimento sensibile alle basse temperature. Per uno scheletro, quel problema ovviamente non si poneva, ma ritrovare un simile comportamento anche in Frisk, appartenente ad una specie diversa dalla sua, non gli aveva consentito in un primo momento di riconoscere le implicazioni di quel tremolio, nonostante fosse esposto a comportamenti affini quasi quotidianamente.
« Ti ho mai fatto questa domanda? » Le domandò in seguito, non appena il pensiero lo aveva toccato. Non aveva ricordo di un simile scambio di parole ma, ancora, la sua memoria sapeva essere davvero refrattaria quando si trattava di reset e linee temporali. Potendo controllare a proprio piacimento quell’abilità che pareva più una maledizione, avrebbe scelto di non ricordare assolutamente nulla, di vivere una vita di loop temporali apparentemente senza fine, ma nell’inconsapevolezza della loro esistenza. L’ignoranza poteva non essere il peggiore dei mali, a volte.
« Ogni tanto… ma non importa, mi piace quando sembri così interessato. » Confessò lei, con un apprezzamento soffuso nella voce.
Sans annuì brevemente al complimento, cercando di nascondere il lieve accenno di disillusione che aveva tentato di affiorare sul suo volto. Avrebbe dovuto aspettarsi una risposta del genere, ma il non mostrare mai segni di noia o fastidio di Frisk ogni qualvolta si parlavano lo metteva in seria difficoltà quando si trattava di discernere, con sicurezza, ciò che per la ragazzina era nuovo o era già accaduto in precedenza.
Mise tuttavia quei pensieri da parte, ora cosciente di dover dare alla piccola qualcosa di più che una semplice sciarpa, o c’era il rischio che si ammalasse. Infilò una mano in tasca, cercando tra la miriade di oggetti quelli che, al momento, erano di suo interesse. Dopo aver tastato il profilo di pacchetti di ketchup, cartacce di caramelle, un cuscino scorreggione, post-it accartocciati e carta di giornale che doveva essere appartenuta a qualche vecchio cruciverba, trovò finalmente il paio di guanti che si portava sempre dietro.
Li tirò fuori e li passò alla ragazzina.
« Non so quanto possano esserti utili, ma non ho di meglio da offrire, purtroppo. » Le disse il mostro, con un sorriso a mezze palpebre, ma non aveva davvero idea di quanto dovesse coprirsi un umano prima di smettere di patire il freddo. Nel caso, se la situazione non fosse migliorata, le avrebbe ceduto la sua felpa. « Prendili, su. »
Frisk occhieggiò con le labbra socchiuse prima lui poi i guanti, interdetta da quel gesto.
« Sicuro non ti servano? » Gli domandò, esitante.
« Eh, dimentichi che qui non c’è niente da proteggere dal freddo. » Le rispose Sans, muovendo in dimostrazione le dita della mano opposta, le giunture che incontrandosi producevano un duro Click! Clack!
Frisk gli sorrise riconoscente, accettando il paio di guanti con un Grazie mormorato. Se li infilò, soffiando poi ripetutamente contro il tessuto per riscaldarsi. Si sentiva già meglio rispetto a prima, sia per il beneficio che le sue dita gelate stavano avendo, sia per il gesto premuroso in sé.
Si accorse solo allora dello sguardo tra il posato e l’assente che Sans, come se la stesse osservando mentre era perso in altri pensieri, le stava rivolgendo.
Fu sufficiente che Frisk inclinasse di poco la testa in un gesto perplesso per far sparire quello sguardo dal volto del mostro. Nonostante le apparenze paressero dimostrare il contrario, Sans era sempre accorto nel notare il benché minimo mutamento nell’ambiente in cui entrava in contatto, anche una cosa così banale come quel breve movimento lo aveva rimesso immediatamente in allerta. Ma perché quella prudenza? C’era qualcosa che lo turbava?
« Sans, è tutto a posto? » Gli chiese, sperando in una riposta sincera questa volta.
« Certo, piccola. Perché non dovrebbe? »
Il mostro le rivolse un mezzo sorriso, senza esitazione apparente che potesse suggerire una risposta contraria a quella che le era stata data. Eppure, Frisk era certa di non essersi immaginata lo sguardo assente di poco prima, incredibilmente simile a quelli che, invece, Chara non si preoccupava di nasconderle quando qualcosa non andava… la differenza sostanziale era che Chara non si ostinava a farle credere che quegli sguardi fossero frutto della sua immaginazione. Per questo fondamentale motivo, Frisk si vide costretta ad insistere.
« Mi sembra che qualcosa ti stia preoccupando. »
Sans si limitò ad inclinare leggermente la testa, poggiata sul palmo sinistro della sua mano, come confuso dalla sua affermazione.
« Non credo di capire di cosa stai parlando, piccola. »
Frisk si trattenne dal mostrare il suo scetticismo, decisa in ogni caso a non demordere.
« Quello che voglio dire è che se… se c’è qualcosa che ti preoccupa, qualunque cosa, puoi parlarne con me, o con Papy, o comunque con una persona fidata. » Abbassò leggermente lo sguardo, le dita che andarono inconsciamente ad arricciare una ciocca di capelli. « Sai… penso che, a volte, sia meglio aprirsi e chiedere aiuto, invece di continuare a faticare da soli. »
Sans le rivolse un’occhiata analitica e Frisk si sentì quasi scandagliata dalle luci bianche che brillavano nelle sue orbite, ma ciò non le impedì di assicurarsi l’attenzione di quegli occhi quando riprese a parlare.
« Non c’è davvero niente che dovresti dirmi, allora? »
Il loro fissarsi insistentemente non si interruppe se non dopo una manciata di secondi, al termine dei quali aveva visto quelle luci restringersi brevemente, come se alla loro vista si fosse presentato qualcosa di strano o… orribile. Sans aveva chiuso gli occhi infine, spezzando l’incontrarsi dello sguardo di entrambi.
« Per ora, direi di no. » Replicò lui, con voce più ferma di quanto Frisk si sarebbe aspettata di sentirlo parlare.
Abbassò lo sguardo, un angolo delle labbra che non poté astenersi dallo stirare. Non aveva ottenuto il risultato sperato, ma era già qualcosa. Almeno, adesso sapeva con certezza che, a dispetto di quanto le era stato detto, qualcosa lo stava impensierendo. Capire cosa fosse sarebbe stato il passo successivo da compiere.
Sans, dal canto suo, aveva saputo sin dall’inizio che quella risposta non avrebbe soddisfatto completamente Frisk, ma aveva confidato nel fatto che sarebbe stata sufficiente a far cadere la conversazione senza scomodi rimandi. Si rendeva conto solo adesso di quante delle parole di Gaster raccontassero più verità che bugie: la sua facciata stava miseramente crollando, un pezzettino alla volta, e la mancanza di risposo stava solamente accelerando il preoccupante processo. Doveva sbrigarsi a trovare una soluzione davvero efficace per arginare questo problema, o temeva che la sua resa sarebbe venuta molto prima delle più rosee previsioni di Gaster.
Aveva ripreso a nevicare nel frattempo che quella conversazione era giunta ad un punto morto, piccoli fiocchi di neve si stavano posando sul terreno già ricoperto di neve, intoccata e bianca grazie alla mancanza di frequentatori di quei sentieri poco battuti. Gli alberi dal tronco alto e asciutto restavano silenti ai bordi della stradina, coi loro rami protesi in avanti a formare una tettoia che riusciva ad arrestare il volteggiare solo di pochi degli innumerevoli fiocchi che scendevano. La mancanza di raggi solari faceva brillare i cristalli di neve di una luce più opaca e quasi notturna, ma ugualmente magica e incantevole, non un filo di vento che avrebbe potuto deviare la discesa dei fiocchi stava spirando, rendendo la postazione di legno un riparo più che efficiente se ci si voleva fermare ad ammirare quello spettacolo, suggestivo nella sua semplicità.
« È… bellissimo. » Bisbigliò Frisk, non potendo fare a meno di tenere per sé quel commento.
Sans osservò con la coda dell’occhio come gli occhi della ragazzina parlavano di un apprezzamento difficilmente esprimibile a parole. E il suo sorriso si ridistese, persa ormai la vena forzata che aveva assunto poco prima e mitigato dall’atmosfera di placida calma che si era ristabilita. Gli piaceva, in un certo senso, vedere tutta quella genuina meraviglia sul viso di Frisk, una meraviglia pura e innocente, che era a suo parere il vero spettacolo da ammirare in quel luogo.
« Questa vista è una novità per te? » Le domandò, curioso.
« No, ho perso il conto di quante volte ho già visto questa nevicata. » Gli rispose la giovane, incontrando lo sguardo sorpreso del mostro, a cui ricambiò con un semplice sorriso. « Ma non credo che ogni volta sarà mai abbastanza. »
E Frisk lo pensava davvero, mentre i suoi occhi ammiravano la lenta danza di un particolare fiocco di neve, una stella di ghiaccio tra migliaia, che come quelle in cielo cadeva a terra senza produrre alcun suono.
Anche Frisk aveva già vissuto certe situazioni per così tante volte da aver cessato di tenere un conteggio. Eppure, ciò non sembrava aver ancora minato l’entusiasmo della piccola, fatto che Sans trovò inconsueto, quasi alieno, se paragonato al suo modo di vedere le cose, tendente al disilluso e al disinteressamento nel peggiore dei casi. Ma con personalità come Frisk… era diverso in qualche modo, c’era tanto che non sapeva, tanto che poteva imparare. Era dal suo interesse verso il potere posseduto dalla piccola che derivava questo essere attirato dalla sua persona? Oppure, era qualcosa di molto più naturale e sincero la causa di tutto? Era parecchio tempo che non si sentiva legato a qualcuno all’infuori di suo fratello o della signora dietro al portone in maniera tanto sincera e disinteressata… il sentimento era strano, ma certamente non sconosciuto, solo… non vi era abituato.
« Sans… »
Sospirò internamente, decidendo di lasciare andare quella questione, vista la posata discrezione con cui Frisk stava ora richiedendo la sua attenzione. Con molta probabilità, solo il tempo gli avrebbe detto se sentire interessamento verso qualcuno diverso da Papyrus, o dalla vivace signora, avrebbe potuto essere considerato un cambiamento positivo o negativo. E, come era ovvio che fosse, sperava nella prima piuttosto che nella seconda.
« Sì, piccola? »
Sotto i suoi occhi incuriositi, la ragazzina si portò una mano contro il petto minuto, sopra dove – indovinò – la sua anima si trovava, come a voler prestare un giuramento che richiedeva un certo grado di solennità.
« Non resetterò questa linea temporale, a meno che non sia assolutamente necessario. »
Lo scheletro sbatté le palpebre, sorpreso. Oh… questa, doveva essere onesto, non se la aspettava.
Gli occhi di lei si intenerirono, parvero sorridere di fronte al suo naturale stupore.
« È… una promessa anche questa. » Gli spiegò. « Non avere più paura di goderti la vita così com’è… per favore…? »
Sans piegò un angolo del proprio sorriso verso l’alto e le sfregò brevemente la testa con le nocche ossute.
« Grazie, piccola. Ci proverò. »
Molto probabilmente, Frisk aveva solo una vaga idea di quanto questo significasse per lui. Avere la sicurezza di non vedere il suo mondo riavvolgersi in continuazione era qualcosa che non aveva tanto sperato di riottenere, non dopo le incalcolabili volte in cui era già accaduto in passato. Forse, Frisk gli avrebbe finalmente ridato quella sicurezza, una costante diversa da suo fratello nella sua vita, di importanza leggermente minore, ma comunque rilevante.
Tuttavia, non poté pensare a quanto, in questo momento, avrebbe potuto essergli concretamente d’aiuto una simile sicurezza, quando il centro dei suoi problemi si era notevolmente spostato dai reset a Gaster. Nonostante questo, apprezzava davvero il gesto della ragazzina, che avrebbe potuto lasciare sottintesa quella sua decisione, ma aveva invece deciso di rendergliela nota nel modo più diretto possibile. Niente più reset, gli aveva detto Frisk. E Sans sentiva di poter confidare nel fatto che quella promessa sarebbe stata più che mantenuta, vista l’affidabilità della persona da cui era stata pronunciata.
Un rumore cigolante e stridente risuonò inaspettato nella foresta, fino a quel momento rimasta vuota di ogni suono escluse le loro voci, e Sans puntò immediatamente lo sguardo verso il lato del sentiero che conduceva alle rovine della vecchia capitale. Qualcuno… era appena uscito dal portone, giusto?
Frisk, al suo fianco, si alzò con un sorriso entusiasta per spazzare via i fiocchi che le avevano imperlato di neve i vestiti.
« Forza, Sans! C’è una sorpresa in arrivo per te! Renditi presentabile! »
« Cos…? » Sussurrò tentennante il mostro. Non intendeva mica…!
Un rumore di passi affrettati e di vesti che sbattevano contro le gambe del nuovo, incombente visitatore si fece sentire immediatamente dopo.
« Sistemati la felpa, su! » Lo incoraggiò nuovamente Frisk, procedendo poi a farlo lei stessa vista la lentezza di reazione di cui era attualmente vittima lo scheletro, cercando di lisciare alla bell’e meglio il tessuto stropicciato e togliere via quanto nevischio possibile. « Ecco! Sorridi come sempre e andrà più che bene! »
E, anche in questo caso, fu Frisk stessa a risollevare gli angoli del sorriso dello scheletro, dapprima piegati in una smorfia smarrita.
« Perfetto! » Sorrise la ragazzina, squadrando soddisfatta da capo a piedi il suo lavoro fatto a tempo di record.
Sans scosse leggermente la testa, ridacchiando. Che comportamento incredibilmente frizzante sapeva avere persino Frisk.
« Se è chi penso che sia, piccola, non credo siano necessarie tutte queste forma- »
« Bambina mia? »
Sans si zittì udendo l’inconfondibile voce calda e materna della vecchia signora – il pubblico migliore che avesse mai sognato di avere. Sbirciò brevemente oltre Frisk e lei era lì, trafelata dalla corsa e con un’espressione apprensiva e guardinga sul suo muso caprino. Non si stupì di trovare il volto di quella donna così familiare e conosciuto poiché, a giudicare dal comportamento di Frisk, il loro incontro doveva essere avvenuto già parecchie volte nelle linee temporali precedenti, sicuramente molte più di quante la sua memoria vagamente ne ricordasse. Conveniente per la sua testa dimenticare avvenimenti piacevoli e conservare la maggiore parte del tempo quelli più orrendi, uh? Non era riuscito ad estrapolare nemmeno il suo nome da esse
Frisk cercò intanto di fingersi sorpresa dall’arrivo di Toriel, come aveva fatto in precedenza altre volte. Aveva calcolato già tempo prima che l’ex regina dell’Underground usciva sempre più o meno a quell’ora del giorno dalle rovine, precisamente quando, in altre linee temporali, lei era impegnata ad attraversare il Core per giungere al cospetto di Asgore. Poteva affermare, con un pizzico di orgoglio personale, di aver fatto bene i propri calcoli.
« Toriel! » La chiamò quindi in risposta, con voce traboccante di una contentezza che non ebbe bisogno nemmeno di inscenare. Dopotutto, era sempre un piacere enorme vedere il muso amabile e paffuto della dolce guardiana.
Corse incontro a Toriel, fremendo nell’anticipazione di risentire le sue braccia sempre accoglienti stringerla e già sapeva per certo che questa sua aspettativa non sarebbe stata delusa. Persino a una così bassa temperatura l’abbraccio di Toriel era caldo e affettuoso come la carezza di un fuoco che non scotta al tatto e Frisk non esitò ad affondare il viso nel ventre dell’amorevole capra.
« Stai bene, piccola? Non hai nulla di rotto, vero? » Le chiese immediatamente Toriel, rompendo l’abbraccio solo per piegarsi e controllare di persona che la giovane non avesse ferite o contusioni. Fu inavvertitamente che l’ex regina passò le dita sulla scottatura che aveva rimediato durante lo scontro con Undyne. Frisk sobbalzò in reazione a quel contatto che, seppur fugace, le aveva fatto pulsare brevemente ma dolorosamente il braccio. Dallo sguardo perplesso di Toriel, la ragazzina intuì senza difficoltà che non sarebbe stata contenta di apprendere dell’esistenza di quella ferita – chi lo sarebbe stato, dopotutto?
« E questo cos’è? » Domandò infatti, alzandole la manica per rivelare i bendaggi attorno al suo braccio destro, la fronte ora profondamente corrugata.
Frisk si morse un labbro non appena l’aria gelida entrò a contatto con la sua pelle, ma il tono preoccupato di Toriel fu sufficiente a distrarla dal momentaneo pizzicare della bruciatura.
« Ah… non è nulla, è solo una scottatura. Non mi fa male. » Mentì, non volendo mancare di parola ad Undyne, a cui aveva assicurato che non avrebbe usato mezzi magici per guarire quella ferita. Essendo cresciuta col valore delle armi e del coraggio nell’animo, Undyne era chiaramente fiera di ogni segno che il suo corpo portava e lo stesso sentimento la guerriera lo riservava a chiunque altro conservava sulla propria pelle marchi del genere. Una volta, in una delle molteplici linee temporali passate, la aveva sentita tirare fuori quell’argomento… qualcosa come Le cicatrici sono la prova schiacciante che la vita non è riuscita ad avere la meglio su di te! aveva detto, se ben ricordava. L’insistenza di Undyne, se interpretata al di fuori del giusto contesto, sarebbe certamente risultata inopportuna. Tuttavia, tenendo conto di quella particolare linea di pensiero, la situazione cambiava notevolmente. Sarebbe stato ingiusto secondo l’opinione di Undyne cancellare una cicatrice, una prova evidente della propria forza interiore, per un qualcosa come l’estetica, e Frisk capiva in un certo senso perché la guerriera la pensasse in quel modo.
Toriel le rivolse comunque uno sguardo dubbioso, davanti a cui la sicurezza della sua precedente rassicurazione non poté purtroppo nulla.
« Va comunque curata, bambina mia. Se andiamo in un posto più riparato, ci metterò pochi secondi. » Sentenziò l’ex regina e Frisk sapeva che non avrebbe dovuto protestare quando Toriel metteva in campo quel tipo di sguardo e tono di voce. La capra sollevò poi lo sguardo e prese nota della presenza di Sans, ancora seduto all’interno della sua postazione da sentinella. « Quel ragazzo laggiù chi è, Frisk? È un tuo amico? »
Frisk le sorrise dal basso del suo modesto metro e mezzo, annuendo.
« Certo! Vuoi conoscerlo? »
« Sarebbe un vero piacere per me. » Replicò Toriel, egualmente entusiasta, prima di lasciarsi prendere per mano da Frisk e accompagnare all’interno dello spiazzo, verso la stazione in legno dove Sans le stava aspettando.
 

Sin da quando avevano lasciato le rovine, era stata totalmente impreparata davanti alla prospettiva di rivedere Toriel. Per questo, non appena quella mattina Frisk la aveva informata dell’imminente arrivo della guardiana, aveva fatto immediatamente marcia indietro ed era rimasta a casa dei due fratelli. Il solo pensare ad un loro successivo incontro non la aveva resa insicura… no, peggio, la aveva messa profondamente e pesantemente a disagio, sotto pressione.
 Credeva che avrebbe avuto più tempo dalla sua parte per riflettere sui suoi errori e cercare un modo per fare ammenda al dolore che aveva causato sia a Toriel che ad Asgore... invece, il tempo a sua disposizione era stato molto più ridotto di quanto, all'inizio, avesse positivamente sperato. Ma fuggire e rimandare quell’incontro? No, non se ne parlava proprio.
Ora infagottata completamente dalle braccia di Toriel, Chara stava solo cercando di escogitare un sistema per allontanare da sé l’ex regina senza offendere i suoi sentimenti malriposti. Non che non le piacessero gli abbracci di Toriel – i tempi in cui li aveva trovati troppo invasivi erano passati da un pezzo –, ma apprezzare quel gesto le risultava tremendamente difficile in questo momento, soprattutto se la voce fastidiosa nella sua testa continuava a ripeterle che non si meritava la vicinanza con quell’anima tanto sfregiata dalle azioni che aveva compiuto in passato. Stava cominciando ad avere dei ripensamenti persino sulla sua decisione di restare a casa dei due scheletri, invece di seguire Frisk nel gelo delle foreste di Snowdin, dove quell’abbraccio avrebbe magari avuto più possibilità di non essere visto da anima viva troppo impertinente. Per fortuna, forse accorgendosi del suo disagio, Toriel sciolse l’abbraccio, non prima però di averle accarezzato i capelli con affezionata adorazione. L’amore della guardiana nei suoi confronti non era mutato nel tempo, era rimasto intatto così come Chara lo ricordava nelle sue memorie migliori. E come doveva relazionarsi lei con un atteggiamento così… inaspettato? La confusione regnava sovrana per il momento nel suo animo e, ovviamente, la reazione con cui era divenuta più familiare in casi come questo fu proprio quella che il suo corpo adoperò automaticamente: ristabilire le distanze che riteneva più ottimali e, inconsapevolmente, accostarsi al fianco di Frisk.
« Wowie, non credevo che Asgore potesse avere un sosia così affettuoso! » Si fece in seguito sentire il commento di Papyrus, intento ad impastare la pasta che avrebbero mangiato a pranzo quel giorno.
Chara si dovette trattenere dallo scoccare allo scheletro un’occhiataccia, poiché sapeva che ciò le avrebbe solamente fatto guadagnare un nuovo, non voluto commento da parte di quest’ultimo.
Toriel, a differenza sua, ridacchiò tranquillamente davanti a quella considerazione, prima di notare la natura disastrosa dell’impasto che lo scheletro aveva tra le mani; gusci d’uovo e bucce di pomodoro furono solo due degli innumerevoli e strambi ingredienti che la lasciarono a quanto pare interdetta.
« Papyrus, giusto? Per curiosità, che cosa stai preparando, caro? » Gli chiese, nel tono più cordiale possibile.
Quasi come se fosse scattato in lui un riflesso automatico, Papyrus gonfiò orgogliosamente il petto, pronto ad illustrare nel modo più raffinato e prolisso immaginabile il suo piatto ancora in lavorazione.
« Mi sento molto onorato che lo abbia chiesto! Quello che vede è il bruco che diventerà farfalla quando le mie esperte mani finiranno di amalgamare gli ingredienti della nuovissima e favolosissima ricetta insegnatami dalla mia amica Undyne! Si tratta di nientepopodimeno che pasta fatta in casa, con ingredienti altrettanto casalinghi che gli esigenti palati delle nostre ospiti gradiranno sicuramente! E sarei ben lieto di avere anche lei, sosia di Asgore, seduto a tavola con noi, se lo desidererà! »
Chara aveva sentito il proprio stomaco spaccarsi nettamente in due mentre Papyrus parlava. Il cambio repentino di espressione sul suo viso doveva essere stato, inoltre, abbastanza evidente e il successivo commento di Papyrus glielo fece largamente intendere.
« Guardate, le nostre ospiti sono già entusiasmate dall’idea di assaggiare il mio fantastico manicaretto! »
La ragazzina non aveva idea di quale aspetto avesse l’espressione di Frisk in quel momento, ma di una cosa era assolutamente certa: la sua non poteva neanche lontanamente essere un’espressione tale da definirsi entusiasta. Diavolo, quello scheletro ci vedeva o cosa?
« Oh, ma in questo caso, lascia che ti aiuti a preparare! Dopo tutto il d’affare che ti avranno dato le mie due piccole, è giusto che ricambi il favore. » Intervenne Toriel e la maggiore si sentì come se la sua preghiera più recitata in quegli ultimi giorni fosse stata miracolosamente esaudita.
« Mi perdoni, sosia di Asgore, ma non permetterò che uno dei miei ospiti si sporchi le mani! Che padrone di casa sarei, altrimenti? » Replicò deciso Papyrus, allargando le braccia impastate di farina, la pastella che era stata lì per lì per cadere sul pavimento ma era stata riafferrata in tempo dalle stesse mani che la avevano quasi lasciata cadere. In un universo alternativo, probabilmente, quell’impasto doveva essersi spiaccicato a terra, tanto Papyrus ci era andato vicino.
« Non preoccuparti, Papyrus. Questa vecchia signora non ha niente di meglio da fare! » Gli rispose Toriel, con un occhiolino, mentre cominciava già ad alzarsi le maniche della tunica e raggiungerlo al tavolo. Poi, come se si fosse quasi dimenticata qualcosa di importante, si voltò verso le due ragazzine. « Potreste andare a comprare due cose per me, nel frattempo? »
« Certo! » Rispose per entrambe Frisk, con la solita disponibilità con cui tendeva a salvare Chara da situazioni più o meno imbarazzanti.
Toriel sorrise con approvazione mentre si accingeva a compilare una breve lista di ingredienti, per poi infilare una mano in una delle tasche della tunica e tirare fuori due barrette di cioccolato e alcuni spiccioli.
« Con quelli che rimangono, compratevene pure qualche altra. » Disse, porgendo a ciascuna delle due una barretta e dando le monete e la lista alla più piccola. « Assicurati che Chara non esageri, Frisk. » Aggiunse, con un dito scherzosamente alzato e una risata, a cui la ragazzina replicò con un vigoroso assentire del capo.
« Oh, mamma, non mettermi in imbarazzo così… » Brontolò la maggiore, arrossendo leggermente mentre distoglieva lo sguardo. Possibile che persino con Frisk sua madre dovesse complottare contro di lei?
Si accorse solo dopo qualche lento, denso istante di aver riusato quell’appellativo per la prima volta dopo tanti lunghissimi anni e non era stata esattamente consapevole di averlo fatto finché, appunto, non si era resa conto dell’errore: la aveva chiamata ‘mamma’… aveva chiamato Toriel ‘mamma’.
Alzò gli occhi in lieve allarme e scorse un velo di stupore sul volto della capra, che non tardò a sciogliersi in un vago e sereno sorriso di lì a poco.
« Fate un colpo di telefono a Sans prima di tornare, va bene? Così saremo tutti a tavola per l’ora di pranzo. » Disse, con voce più soffice e meno energica rispetto a qualche secondo prima.
Chara vide di sfuggita la lucidità che aveva velato fugacemente gli occhi della guardiana, davanti a cui non seppe come reagire, se sentirsi mortificata, se gioirne… non lo sapeva, dentro aveva solo un appiattirsi di emozioni e un rifiorire di altre ed era tutto talmente confuso e contrastante… come doveva comportarsi con tutti questi sentimenti che il suo essere aveva sepolto e schiacciato per così tanto tempo? Non… ne aveva idea
Per fortuna, fatte le ultime raccomandazioni, lei e Frisk uscirono finalmente in strada, dove la recente nevicata aveva aggiunto un nuovo strato di neve a quello sottostante.
Il suo turbamento interiore doveva essere ancora parecchio evidente, perché fu con una cura rara e speciale che Frisk si accinse ad avvolgerle le spalle con la sua sciarpa, coprendole il collo scoperto. E Chara aveva seguito i movimenti delle dita della ragazzina con un ipnotico interesse, dimentica durante quel lasso di tempo del travaglio che stava attualmente vivendo. Tutta quella dedizione, quella premura solo per lei… si sarebbe mai riabituata a ricevere un grado di considerazione tanto elevato?
Frisk sollevò lo sguardo in sua direzione una volta che ebbe finito, gli occhi sempre brillanti ogni volta che un sorriso le abbelliva le labbra.
Chara si ritrovò a distendere un angolo delle proprie, inclinarlo verso l’alto per lasciare che anche il suo viso potesse essere graziato dall’espressione che rendeva così vivi i volti di così tante persone intorno a lei. Sorrideva, era capace di sorridere anche lei, di apparire viva esattamente come loro… voleva apparire viva, sentirsi viva esattamente come loro. Lo doveva, in fondo, a chi aveva creduto in lei nel passato e a chi continuava a farlo nel presente. Aveva ormai capito che, qualunque cosa fosse successa, non avrebbe dovuto smettere di provare a sorridere.
« Ho la sensazione che oggi mangeremo da re. » Ammise poi Frisk una volta interrotto il contatto tra i loro occhi, coprendosi le labbra ridenti mentre si avvolgeva attorno al collo anche la propria sciarpa.
Chara scosse risolutamente la testa, ignorando con successo il groviglio di emozioni dentro il suo animo che, adesso, non sarebbe riuscita davvero a districare. Un altro momento, se ne sarebbe occupata in un altro momento in cui la sua mente sarebbe stata più predisposta alla riflessione.
« Era ora, direi. » Commentò in risposta, addentando la barretta di cioccolato che le era stata data e cercando di sopprimere l’impulso impellente di leccarsi le labbra. Il cioccolato era davvero una delle sue più grandi debolezze.
Seguendo il suo esempio, Frisk scartò anche la propria, mentre iniziavano ad incamminarsi verso l’umile negozietto di Snowdin.
« Pronta per oggi pomeriggio? » Le domandò giocosa la più piccola, appena dopo aver dato il primo morso alla sua barretta.
Un brontolare sommesso fu l’unica risposta che Chara ritenne di poterle dare. Ovvio che non era pronta ad incontrare ancora una volta quel chiassoso robot, avrebbe cento volte preferito un allenamento con la donna-pesce al posto della sicura buffonata che quel tipo aveva in serbo per loro, ma aveva giurato che si sarebbe impegnata a sopportare quella pagliacciata per Frisk, le fossero costati tutti i neuroni. Ancora quel pomeriggio che si prospettava assolutamente infernale e, poi, ci sarebbe stato un meritato periodo di pausa da tutto quel girare in lungo e in largo ( sempre ammesso che la sua pazienza non venisse spinta al di fuori dei limiti accettabili, causando l’inevitabile quanto ‘accidentale’ smantellamento di quella lattina, s’intende ).
 
                                                                      
« Frisk? Da dove vengono quei guanti, per curiosità? »
« Oh… meglio che tu non lo sappia. »
 

 
 



Sameko’s side
* schiaffa il capitolo in pagina prima che torni a non piacerle *
SÌ. CE L’HO FATTA. BASTA.
E sì, sono ancora qui, non me ne sono andata. ^^” Questo capitolo è stato una bestia da scrivere e ricontrollare con l’ispirazione altalenante che avevo ( la lunghezza improponibile non ha certamente aiutato ). Non mi convinceva nemmeno tanto in alcuni punti, probabilmente domani se lo rileggerò non mi convincerà più nemmeno, quindi meglio pubblicarlo fintanto che ne sono ancora soddisfatta. XD
Scusate per l’attesa e scusate se mi volatilizzo così velocemente oggi, ma sono proprio distrutta.
Buona serata e baci!
 
Sameko

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15: Contatto ***


 
Capitolo 15: Contatto
 



 
Non sapeva cosa, sfuggevole come un sussurro, la aveva fatta svegliare nel cuore della notte. Un presentimento, forse. Una percezione, possibile anche quello. Tuttavia, nessuna di quelle supposizioni le permise di identificare la causa dietro al suo mancato riposo. Sapeva solo che, una volta sveglia, non importava quanto ci avesse provato, non era più riuscita a riaddormentarsi, a calmare la rigidità che le stava intirizzendo le braccia sin da quando il sonno le era venuto a mancare.
Fu dopo non aveva idea quanto che a quella rigidità si aggiunse una nuova sensazione di pesantezza a livello del suo petto, una pesantezza dentro di lei, eppure tanto distante, non sua. Non si agitò dapprima, qualcosa di simile lo aveva già sperimentato, ma fu l’implicazione che quella sensazione portava con sé che la fece agitare: forse… era Sans a non stare bene? Non era certo la sensazione di strappante panico e dolore che aveva percepito due sere prima, era qualcosa di più tenue, più arrancante, meno invasivo, ma questa evidente differenza non fu sufficiente a tranquillizzarla. Un malessere c’era comunque e lei non poteva ignorarne l'esistenza.
Un lieve, inaspettato tocco sulla schiena la costrinse a sollevare le palpebre e guardare oltre la propria spalla.
Le luci bianche che brillavano negli occhi di Chara la fissarono di rimando per un breve istante, prima di svanire nel momento in cui l’altra ragazzina aveva ritratto rapidamente la mano, in chiaro timore della sua reazione.
« Scusa… non volevo to- »
« Tranquilla. » Le sorrise leggermente Frisk, girandosi dal suo lato del letto per guardarla in viso. « Ero già sveglia. »
Nella penombra, scorse di sfuggita l’assottigliarsi degli occhi dell’amica mentre abbassava lo sguardo.
« Lo so… » Confessò Chara, in un lieve mormorare, un accenno di appena esile bianco riapparso sotto le sue ciglia. « Volevo solo assicurarmi che stessi… bene… »
Frisk sbatté lentamente le palpebre, prima di distendere le labbra in un morbido sorriso, piacevolmente sorpresa ed intenerita dalla preoccupazione dimostratele dall’amica.
« Grazie per il pensiero. Sto bene, però… » Si interruppe, ma la sua esitazione non fu di lunga durata. Era a Papyrus che Sans le aveva chiesto di non dire nulla, non a Chara. « Sans… credo abbia qualcosa che non va. »
« In che senso? » Le domandò la maggiore, alzando vagamente un sopracciglio.
« Non so spiegarlo di preciso… non so cosa sia… » Replicò Frisk e lo sguardo le cadde più o meno involontariamente sul proprio petto. « Lo sento… qui… »
Fece correre le dita sopra la maglia, sotto i polpastrelli percepiva l’eco dei battiti della sua anima, concitati e non quieti come era abituata a sentirli. Era l’ansia che li stava facendo susseguire ad un ritmo tanto sostenuto e, sovrappensiero, si chiese se persino Chara poteva sentirli pur senza posarle la mano sul petto.
« La Sintonia? » Le chiese la maggiore, dopo aver osservato pensierosa i suoi movimenti.
Frisk annuì, abbassando la mano contro il cuscino.
Quando rialzò la testa, vide gli occhi di Chara velarsi di una leggera apprensione.
« Ti fa male? »
La ragazzina scosse la testa, mettendosi gradualmente a sedere mentre Chara seguiva il suo esempio, scostando le lenzuola per ora ingombranti.
« No, non fa male… non è una mia sensazione, penso sia per questo che non ne sono influenzata negativamente… ma riesco a capire ciò che Sans sta provando e… mi preoccupa sentirlo così. » Rispose la più piccola, gettando una breve occhiata alla porta della camera. Doveva andare a rassicurarsi delle sue condizioni, o sarebbe verosimilmente rimasta in piedi tutta la notte per la preoccupazione che quelle percezioni continuavano a suscitarle. « Devo scendere da lui. »
« Io vengo con te. » Sentenziò prontamente Chara, in tono freddo e irremovibile.
Frisk, tuttavia, si vide costretta a scuotere piano la testa in risposta alla decisione dell’amica, una mano che stringeva nervosamente l’altra all’altezza del polso.
« Chara, mi dispiace, ma… non si comporterebbe con naturalezza se ci fossi anche tu… »
« Allora, ascolterò da qua sopra. » Replicò l’altra ragazzina, con tono non meno inflessibile, ma la durezza del suo sguardo venne meno con le parole che sussurrò in seguito. « Non vietarmi anche questo, Frisk... »
Frisk si sentì goffamente in difficoltà davanti alla richiesta quasi sconsolata dell’amica. Capiva quanto era ancora difficile per Chara accettare che non potevano sempre fare tutto assieme, vivendo quasi in simbiosi l’una con l’altra, ma capiva anche che la più grande si stava sforzando come poteva per migliorare questo aspetto del suo carattere e non voleva assolutamente far intendere a Chara che non apprezzava gli sforzi che, finora, aveva fatto ( tutto il contrario, in realtà ).
« Non ti voglio vietare nulla, sai che per me non ci sarebbe alcun problema… ma ho bisogno che si apra, ho bisogno di capire cosa non va e… non posso farlo se non siamo solo io e lui, ok? » Le spiegò la minore. « Se vuoi proprio ascoltare, per favore, sta attenta, non farti scoprire… »
« Starò attenta. Non si accorgerà di me. » Le assicurò la maggiore, stringendo leggermente gli occhi in profondo disappunto, come se una breve memoria fosse appena tornata a galla nella sua testa. « Una volta sola mi è già bastata… »
Frisk aggrottò le sopracciglia udendo quel sottile bisbiglio e Chara, accorgendosi della sua espressione stranita, scrollò leggermente il capo, come a chiederle implicitamente di tralasciare quell’ultimo pezzo di conversazione. E Frisk, seppur restia, lo fece comunque, perché voleva confidare nel giudizio e nella buona fede di Chara come aveva sempre fatto con chiunque altro voleva esserle amico – ed esattamente come Chara, anche senza darlo a vedere, stava facendo con lei.
Scesero entrambe dal letto-automobile di Papyrus, ma solo Frisk si diresse al piano di sotto, in salotto, lasciando Chara in ascolto dal corridoio del primo piano.
Il senso di déjà vu fu forte in lei quando vide che Sans era sveglio, esattamente come due notti prima e come lei aveva sospettato. Fu allora che pensò di star magari ingigantendo troppo la cosa, ma allontanò quasi immediatamente quei suoi dubbi. Era praticamente certa che qualcosa non quadrava con lui, quelle percezioni non la stavano ingannando.
Sans, voltata la testa in sua direzione, fu più rapido di lei a porre la fatidica domanda.
« Piccola… che ci fai sveglia a quest’ora? »
« Non riuscivo a dormire… Però, anche tu sei sveglio… » Rispose lei, lasciando sottinteso il suo voler rigirargli il medesimo interrogativo.
Lo stupore scomparve velocemente dal volto di Sans, mentre accennava un vago sorriso.
« Neanche io, piccola... »
Frisk gli sorrise brevemente, accettando per il momento quella risposta.
« Posso farti compagnia? » Gli chiese, cercando di sorridere nel modo più convincente possibile. Poteva ottenere la verità da Sans, doveva solo metterlo figurativamente all’angolo e spingerlo a dire una parola di troppo. Per il suo bene, lei doveva sapere, e se il semplice dialogo con lui non funzionava, allora non restava che provare con metodi alternativi, sicuramente meno ortodossi, ma che almeno sarebbero serviti al loro scopo. Non le piaceva comportarsi slealmente, né forzare qualcun altro a fare qualcosa che gli risultava sgradito, ma quelle sensazioni le stavano comunicando che Sans non stava bene e lei non poteva girarsi dall’altra parte solo perché lui avrebbe cercato di sminuire la cosa o, peggio, tentato di nasconderla.
Sans, all’insaputa di Frisk, aveva già notato la natura non così spontanea del sorriso della ragazzina, ma non vide ragioni per cui non avrebbe dovuto soddisfare quella richiesta. Era comunque fin troppo esausto per pensare ad una scusa valida per dirle di no, quando poteva percepire già da sé che ogni suo pensiero stava diventando sempre più nebuloso e fugace, ora dopo ora. Quanto avrebbe potuto resistere ancora con solo la sua magia, per quanto i suoi pensieri sarebbero rimasti coerenti? Un giorno? Due? Non oltre questa nottata? Non il genere di previsioni confortanti di cui, ora, aveva bisogno.
Acconsentì con un movimento fiacco della testa alla richiesta di Frisk, prima di tornare ad appoggiare il cranio contro lo schienale del divano, cercando di assumere una posizione adatta a rilassare almeno le articolazioni. Non voleva nemmeno pensare a quando, arrivata la mattina, si sarebbe dovuto per forza alzare per andare a lavorare. Davvero, non voleva pensarci.
Percepì lo strusciare dei vestiti e il lieve affondare del divano sotto il peso della piccola, in contemporanea con il lieve respiro che lasciò gli svuotasse la cassa toracica, in quel momento pesante come una gabbia intorno alla sua anima.
« Da quanto sei sveglio? » Gli venne chiesto con gentilezza a distanza di qualche secondo, forse proprio a causa di quel sospiro.
« Da un bel po’, c-credo... » Rispose lui, quasi strascicando le parole, ma sforzandosi con tutto sé stesso di suonare il meno svogliato possibile.
« Soffri d’insonnia? »
Sans socchiuse a quel punto un occhio, rivolgendole una breve ma intesa occhiata prima di riabbassare la palpebra.
« Abbastanza… sì. » Replicò, infine.      
Per un istante, aveva sentito un seme di irritazione germogliare nel suo animo, ma era stato per fortuna facile da sopprimere. Quella di Frisk era solo lecita curiosità, non aveva senso irritarsi. Colpa della stanchezza probabilmente, che avrebbe reso incline chiunque a perdere la calma per un nonnulla.
« Prendi qualcosa per… questo problema? » Venne la nuova domanda della piccola, a cui dovette ancora una volta rispondere con un Mai preso niente biascicato.
Da una parte, era grato che Frisk lo stesse inconsapevolmente aiutando a tenersi sveglio, ma dall’altra quelle domande stavano cominciando a stargli incredibilmente scomode. La conversazione sembrava, tuttavia, essere giunta davanti ad un punto morto, perché ulteriori interrogativi non si fecero sentire per una manciata di secondi.
« Potremmo chiedere a Toriel, allora. Sono sicura che lei saprà come aiutarti, non pensi anche tu? » Riprese tuttavia la ragazzina, imperterrita nel continuare a farlo parlare a quanto pareva.
« No, lei non potrà aiutarmi. »
« Perché non può aiutarti? »
Oh, andiamo
« Non… devo dormire. »
 « Perché non devi dormire? »
« Perché… »
Un secondo. Cosa… cosa aveva risposto alla domanda precedente?
. . .
Oh no.
Sbarrò gli occhi, un velo di sudore freddo gli ricoprì la fronte, le luci bianche che andarono istintivamente a puntarsi nelle iridi di Frisk. Non doveva essere riuscito a nascondere la sua espressione allarmata perché, nonostante la spossatezza, vide chiaramente in quegli occhi ambrati la scintilla vittoriosa di chi aveva appena ottenuto ciò che voleva: un’apertura in cui scavare.
Lei lo… aveva fatto apposta?
Passarono alcuni secondi in cui la mente del mostro andò completamente in bianco, svuotata di ogni pensiero davanti all’improvvisa realizzazione. Lei lo aveva fatto apposta – e lui era cascato dritto nella sua rete.
« Sans, cosa ti sta succedendo? È… è davvero così grave? »
Sans uscì da quella sua situazione di stallo mentale nell’istante in cui udì la voce della piccola. Non era tutto perduto, poteva ancora rimediare, rimodellare la sua precedente dichiarazione, correggersi, qualunque cosa.
« No, piccola, non preoccuparti, ho solo esagerato… » Tentò in questo modo di salvarsi, costringendo il suo solito sorriso di facciata a riprendere forma.
« Da quanto non dormi? D-da quanto? » Gli domandò Frisk, come sorda davanti alle sua recente rassicurazione, l’apprensione talmente palpabile nella sua voce che Sans si sentì male per quel suo tentativo di autosalvataggio.
« Solo poche ore, piccola, tranquilla… »
« Non mentire! » Quasi gridò Frisk, contenendo solo all’ultimo la forza dell’urlo irritato che le era salito in gola ( c’era chi stava dormendo al piano di sopra, dopotutto ). Ma il messaggio era, comunque, arrivato chiaro e tondo allo scheletro affaticato, che aveva allargato gli occhi con un lieve sussulto.
Frisk distolse lo sguardo dopo pochi secondi di teso fissarsi, il nervosismo di prima dissipato, sostituito nuovamente dalla pazienza di chiedere e accettare la risposta che sarebbe venuta.
« Scusami, non v-volevo… » Le mani le si strinsero in due pugni tremanti intorno ad un lembo del suo maglione, due pugni che si rilassarono solo quando tornò a guardare lo scheletro con sguardo implorante. « Sans, per favore, dimmelo… io posso aiutarti, davvero, te lo assicuro... »
Sans distolse gradualmente il suo, sopprimendo il proprio tremore con un breve sospiro.
« Più di due giorni... » Si arrese infine, quella confessione era scivolata fuori della sua bocca come una sussurrata dichiarazione di sconfitta.
Non intravide nessuna traccia di vittoria nemmeno negli occhi di Frisk, pieni di preoccupazione ben più di prima. Che cosa aveva fatto… perché non era stato più attento? Perché…?
Un frusciare rassegnato di capelli gli indicò che Frisk aveva spostato la testa di lato.
« Non mi dirai altro, vero? » Parlò lei, il sorriso triste sulle sue labbra largamente intuibile e una domanda a cui rispondere sarebbe risultato superfluo.
Sans non ebbe infatti idea di come replicare, tanto si sentiva desolato per la sua incapacità di continuare a tenere un profilo basso con quella piccola. C’era riuscito per tanti anni con Papyrus, ma lo scivolone lo aveva fatto con una ragazzina umana che conosceva da molto meno tempo di suo fratello. L’amara ironia, che aveva sempre giocato un ruolo fondamentale nella sua vita, gli stava ridendo in faccia un’altra volta, con il volto deturpato dal compiacimento e la voce stridente di Gaster.
Giù la prima maschera, ragazzo.
Non seppe quanto tempo ciascuno dei due trascorse immerso nei rispettivi, torbidi pensieri, e fu solo quando Frisk riprese parola che il loro silenzio sconfortato si spezzò.
« Posso… posso sapere almeno se è per cause naturali o no? » Gli domandò la piccola, con una cautela evidente nella voce.
Un altro sospiro da parte dello scheletro, più incerto di quello che lo aveva preceduto.
« Non è per cause naturali... » Come se confermarlo avrebbe potuto renderlo più lampante di prima.
La giovane annuì lentamente, la sua mente già all’opera nel tentare di costruire la spiegazione completa che Sans non sembrava, per ora, disposto a darle. Ma doveva sapere ancora una cosa di vitale importanza.
« Hai già trovato una soluzione? »
« No… » Mormorò lo scheletro, scuotendo leggermente la testa, le palpebre che erano rimaste chiuse per un secondo di troppo quando le aveva sbattute.
« Ma… se non dormi, come fai a recuperare le forze? Ti… ti farai del male a lungo andare… » Sussurrò lei, con una stretta al cuore.
Sans restò in silenzio. La risposta era abbastanza ovvia in fondo e Frisk si pentì di aver espresso quella riflessione ad alta voce. Anche Sans sapeva perfettamente che ciò che stava facendo non era per nulla salutare e lei aveva inopportunamente girato il coltello nella piaga con quell’affermazione.
Doveva aiutarlo. Anche se non aveva ben chiara in testa la situazione, doveva aiutarlo, non poteva sedersi con le mani in mano se lui stava così male.
Si mise a pensare febbrilmente ad una soluzione a quel problema così enorme, un’opzione alternativa al sonno che potesse rimetterlo in forze. Il cibo non sarebbe stato sufficiente, non era esperta di erbe o medicinali miracolosi e non era, certamente, una scienziata che poteva sfornare invenzioni rivoluzionarie come Alphys – e dubitava, in ogni caso, che Sans avrebbe acconsentito a coinvolgere anche lei. Forse, Chara avrebbe potuto aiutarla, con l’acutezza mentale che la sua amica possedeva arrivare a qualche risultato sarebbe stato più semplice… avrebbe insospettito Sans se fosse tornata al piano di sopra, il tempo per parlare con Chara, e poi riscendere giù da lui?
Si morse leggermente il labbro, concludendo che sarebbe risultato troppo sospetto da parte sua. Ma come sarebbe potuta arrivare ad una soluzione senza un aiuto esterno? Non aveva assolutamente nulla da cui partire… no… aspetta… se meglio ci pensava, qualcosa da cui partire lo aveva. Ed era stato quel singolo pensiero rivolto all’altra ragazzina a darle l’idea.
« Sans, la Sintonia può essere usata anche per trasferire qualcos’altro, oltre che ricordi? » Gli domandò, speranzosa in una conferma.
« Non… so di preciso… » Replicò lui, sbattendo le palpebre. « Cosa vorresti trasferire? »
« Tutto quello che potrebbe tenerti in forze, qualsiasi cosa ti serva. » Gli rispose Frisk, con uno dei suoi sguardi più risolutamente volenterosi.
Sans sospirò profondamente, strofinandosi un occhio, cercando di schiarirsi i pensieri sempre più nebulosi di minuto in minuto.
« Magia… la sto esaurendo, la mia anima ne ha bisogno di altra…  » Disse, le parole che cercò di mantenere quanto meno storpiate possibile. « Sto… diventando lentamente un fantoccio senza, eh… »
Frisk annuì, un tassello importante che andava ad unirsi agli altri che aveva già accumulato. Mancava poco, poteva inventarsi qualcosa.
« Ho già provato a fare una cosa simile… ti ricordi come ho fatto a salvare Chara? »
« Sì... avevi usato… la mia magia in quell’occasione… no? » Rispose Sans, con un accenno di perplessità. Cosa… c’entrava ora quello con tutto il resto? C’era qualcosa che gli sfuggiva…?
« Non solo. Avevo usato anche la mia Determinazione per rimettere insieme la sua anima e la tua magia per creare il suo corpo. La sua anima credo tragga la sua forza da Determinazione e magia assieme… » Frisk si prese due secondi per ricontrollare nuovamente il suo ragionamento e vedere se filava prima di proseguire. « Forse, anche la tua potrebbe riuscire a fare una cosa del genere…? »
Sans, alla luce di quanto Frisk era riuscita a mettere insieme, si fermò anche lui a riflettere. L’idea di Frisk non era male, era fantasiosa, certo, ma non irrealizzabile. Sapeva che era in qualche modo possibile trasferire magia e Determinazione assieme tramite la Sintonia, ma solo Determinazione? A quali rischi avrebbero potuto andare incontro?
« Non so, piccola… c’è il pericolo che la mia anima non riesca a sopportare il peso della tua Determinazione… o neanche riuscire a trarre energia da essa… le anime dei mostri… si comportano in modo differente da quelle umane… »
Una lieve sconsolazione si fece allora strada sul viso di Frisk.
« Pensi non funzionerà? »
« Potrebbe funzionare… » Ammise Sans. « Ma temo che, nel caso qualcosa andasse storto, non potremmo tornare indietro e disfare ciò che è stato fatto... la Determinazione e i suoi effetti sono difficili da cancellare… » Detto questo, tuttavia, Sans dovette riconoscere che rifiutare l’idea di Frisk sarebbe stato come gettarsi a braccia aperte nelle fauci di Gaster. Di alternative non ne aveva al momento e il suo tempo stava quasi per scadere. Anche se il pensiero non lo allettava particolarmente, doveva rischiare, andava fatto ad ogni costo. « Dobbiamo provarci comunque... »
Frisk lo aveva guardato con un accenno di nervosismo fino ad allora, resa probabilmente insicura dalle possibilità che lui le aveva indicato. Tuttavia, Sans vide una nascente positività negli occhi della piccola una volta che il suo benestare era stato dato, e quello sguardo fu in qualche modo capace di dargli il barlume di speranza di cui sentiva di aver bisogno. Doveva credere che avrebbe funzionato… altre opzioni che non prevedessero la resa non ne avrebbe avute.
« Ci proveremo subito! » Gli propose la giovane, nel chiaro tentativo di far sparire i suoi ultimi residui di riluttanza, di infondergli la sicurezza che rappresentava la chiave per aprire molte più porte di quante poteva chiuderne.
Un sorriso fece lentamente capolino sul suo volto stanco in risposta a quello di Frisk, naturale e spontaneo, così differente dai suoi soliti sorrisi plastici e forzati con cui aveva imparato a convivere. Come faceva quella piccola a sorridere in quel modo? Era quasi… disarmante per lui vedere una tale autenticità impressi in un viso con cui non era molto familiare.
« Qualche idea su come procedere, piccola? »
La ragazzina ci rimuginò sopra qualche secondo e il momento in cui Sans le aveva afferrato la mano e la aveva aiutata a scacciare Chara dal suo corpo spintonò tutti gli altri nel catturare la sua attenzione. Cogliendo lo spunto suggeritole dalla sua stessa mente, analizzò quel ricordo, ponendo la sua attenzione sui più minimi particolari… c’era stato contatto fisico tra di loro… e poi l’unirsi temporaneo delle loro anime… il resto era venuto da sé. Sì, doveva essere quello il modo giusto di procedere.
« Potremmo… ripetere le azioni con cui abbiamo instaurato il legame? » Gli chiese, sperando di essersi spiegata chiaramente.
« Intendi… come se dovessimo provare a ricrearlo, piccola? » Replicò con una domanda Sans, a cui la ragazzina annuì immediatamente. « Sarà abbastanza? »
« Credo di sì… possiamo farcela se ci sosteniamo a vicenda, no? » Replicò Frisk decisa… no, meglio, determinata – e non solo per sé stessa, ma per entrambi.
Con la determinazione potevano essere rese possibili molte cose, Sans lo sapeva bene… e chissà se la buona riuscita di quella trovata poteva essere fra quelle.
« Hai ragione, piccola… » Annuì lui, abbassando le palpebre, ben più convinto di prima. « Lascio a te le redini. »
Sfilata la propria mano dalla tasca della felpa, la estese verso Frisk, pronto a ricevere quella più piccola della ragazzina nella sua. Aveva sempre trovato strana la consistenza della pelle degli esseri umani, priva di scaglie o squame, non molle, ma non dura neanche. Ammise a sé stesso, però, che avrebbe potuto abituarsi a quella sensazione di morbido, liscio, calore se era accompagnata da una eguale sensazione di leggerezza con cui non sarebbe stata cosa da poco trovare una corrispondenza nei suoi ricordi che non coinvolgesse Papyrus.
Frisk gli prese la mano con quel cenno di timidezza che, normalmente, non si riservava di avere verso simili gesti; le piaceva stare vicino ad altre persone, avere un contatto con loro, di qualunque esso fosse… ma tutto quell’armonizzarsi con l’essenza di qualcun altro, ad un livello tanto profondo, era qualcosa di ancora fin troppo nuovo per lei per poter avere la giusta confidenza. In più, era a lei che toccava questa volta condurre entrambi e non sapeva se sarebbe stata all’altezza del compito, ma ciò non toglieva che avrebbe fatto ogni cosa in suo potere per esserlo.
Chiuse a sua volta gli occhi, liberando la mente grazie agli esercizi di respirazione e la procedura con cui stava pian piano familiarizzando.
Sentì la sua coscienza distanziarsi dal corpo, i collegamenti col reale cadere e c’era il nulla ora a farle compagnia, ma era un nulla sgradevole, freddo nel suo essere completamente vuoto e silenzioso. Qualcosa non stava andando come doveva.
Cercò di stringere con più fermezza la mano di Sans, riancorandosi per un attimo al reale, pensando che in questo modo qualche legame sarebbe divenuto visibile. Non ebbe successo neppure in questo modo e cominciò a chiedersi se non stessero sbagliando qualcosa – o, magari, se lei stesse sbagliando qualcosa.
« Non agitarti, piccola. Concentrati su ciò senti dentro di te… non su ciò che senti con i sensi. »
Frisk replicò con un cenno del capo all’indicazione di Sans. Fu in quel preciso istante che comprese: ogni volta che avevano fatto ricorso alla Sintonia, il contatto tra le mani era stato solo un punto di partenza, non un’asse portante dell’intero processo. La vera asse portante era il contatto tra anime ed essenze, molto più profondo e complicato del semplice contatto fisico. Altrimenti, se meglio ci rifletteva, la definizione ‘lo specchiarsi di due anime’ sarebbe stata priva di senso, se la Sintonia fosse stato un legame basato non sul contatto tra due anime, ma su altro genere di contatto. Aveva capito, finalmente.
Come se avesse atteso per tutto questo tempo che lei arrivasse a quella realizzazione, l’energia che la aveva salvata dall’assalto di Chara le si rimostrò, visibilmente indebolita rispetto alla controparte presente nei suoi ricordi. Frisk si rattristò nel rivederla in quello stato tanto fragile, priva della luminosità e della potenza che lei perfettamente ricordava, e desiderò solo poterle restituire la forza che le era stata data in quell’occasione e magari anche di più, tutto purché quell’energia tornasse allo splendore di ciano e oro così folgorante nella sua memoria.
L’energia crepitò brevemente e parve rimpicciolirsi, come se si fosse appena resa conto di avere un piccolo visitatore lì con lei. A Frisk fu sufficiente il suo stesso desiderio di offrirle aiuto per avvicinarla, ma si vide respinta da quell’energia quand’essa crepitò ancora, forse in allarme per la troppa vicinanza.
Frisk, prendendo atto di quella ritrosia, si fermò.
“ Voglio aiutarti. ”
L’energia si distese e ridistese due volte, scoppiettando ancora.
La ragazzina provò ancora a comunicare con lei.
“ So che potrà sembrarti difficile, ma ti chiedo di fidarti di me. Non ti farò del male, lo giuro. ”
Ricevette un basso fischio in risposta: era un’altra domanda a cui lei doveva rispondere.
“ Sì. È una… promessa anche questa. E farò il possibile per mantenerla. ”
L’energia fischiò due volte, evidentemente soddisfatta di quella replica, prima di avvicinarsi leggiadra, scoppiettante come un piccolo fuoco di acqua e luce.
Frisk la accolse benevolmente dentro di sé, con la raggiunta e serena consapevolezza di essere lei anche pura energia, che crepitava, scoppiettava e fischiava, una manifestazione di vita unica e irripetibile, uguale ma differente da milioni di altre.
Rosso, azzurro, giallo, si unirono a formare una danza di intrecci, che durò finché i fili di azzurro e giallo non arrivarono ad eguagliare quelli rossi. Quando si separarono, fu il turno di Frisk di venire accolta dall’altra energia, come in un abbraccio, lo stesso con cui prima la ragazzina le aveva permesso di fondersi con lei, lo stesso che ora le stava venendo offerto come dolce, sentito ringraziamento.
Lentamente, i legami con la realtà si ristabilirono, e mentre quell’immagine si offuscava e spariva, la giovane sentì svanire con essa anche il suo equilibrio.
Si lasciò cadere in avanti, incapace di allungare anche solo le mani per frenare la propria caduta. Le sembrò di precipitare per un tempo inverosimilmente lungo, prima che due braccia – Sans – la prendessero con delicatezza, sorreggendola.
« Piccola? Mi senti? »
Frisk, incapace di orientarsi a causa dei giramenti che le stavano assaltando il cranio, mosse solamente la testa, bisbigliando un appena percettibile.
Sans le fece appoggiare il capo contro il proprio braccio, restio ad adagiarla sul divano e rischiare così di farle perdere conoscenza. Stava tremando malamente, al contrario di lui che, invece, si sentiva già rinvigorito con tutta la magia e l’energia che la Determinazione stava provvedendo a fornirgli. Ma perché Frisk era in un così pessimo stato?
Proprio quando stava cominciando a temere il peggio, quei tremori si appianarono, sostituiti da una calma ed esausta immobilità.
« Come ti senti? » Le chiese, con un tono di voce più disteso e pacato, ora che non sentiva più il preoccupante tremolio dei primi secondi scuoterle il corpo. Era stata solo una fase momentanea, per fortuna.
« A-andrà bene. » Replicò Frisk, cercando di muovere la bocca impastata dalla sensazione di nausea che le nasceva all’altezza dello stomaco. Le girava la testa e si sentiva incredibilmente spossata, ma non voleva far preoccupare Sans più del dovuto informandolo di quelle cose. « H-ha funzionato? »
« Sì, piccola. Ce l’hai fatta, sei stata bravissima. » Le sorrise Sans, mentre sussurrava quei complimenti.
« Ce l’abbiamo f-fatta assieme… » Lo corresse la ragazzina, con il sorriso a fior di labbra. « G-grazie per esserti fidato di me… »
« Sono io che ti devo ringraziare, Frisk. » Replicò lui, stringendola brevemente contro il suo petto in un abbraccio colmo di sollievo. « Ti… ti devo un enorme favore. »
Frisk riuscì a posare con qualche sforzo un braccio sulla schiena dello scheletro, desiderando fargli capire che non voleva solo accettare, ma anche ricambiare quella sincera dimostrazione di gratitudine, ma era così debole adesso che persino quel semplice movimento rappresentava per lei un ostacolo.
Doveva dormire, o era sicura che avrebbe solamente peggiorato le cose restando sveglia più a lungo, ma un pensiero in particolare la stava astenendo dal farlo, un pensiero che doveva esprimere ad alta voce finché ancora poteva.
« Sans… »
« Sì, piccola? »
Cercando di muovere le labbra per un ultimo sforzo, Frisk proseguì.
« L’unico… f-favore che ti chiedo… appena ti sentirai pronto, non esitare a parlare con me, o con Papy… se hai un problema tanto grave, aspettare peggiorerà solamente le c-cose… »
Sans divenne immobile sotto le sue dita, non certo un buon segno, ma si sarebbe dovuto aspettare una richiesta simile da parte sua – e sperava di non dover attendere ancora per molto una risposta, perché mantenersi sveglia le stava costando una fatica insostenibile.
« Lo farò. » Le rispose lui e Frisk sorrise d’istinto, contenta di quel piccolo progresso.
Il sorriso non lasciò il suo viso nemmeno quando si addormentò lì, fra le braccia di Sans, sfinita dopo avergli passato quasi ogni grammo di Determinazione attualmente in suo possesso.
Sans, sentendo il respiro della piccola rallentare, sciolse l’abbraccio a distanza di qualche secondo e la adagiò delicatamente sul divano, di fianco a sé. Frisk mugugnò leggermente durante lo spostamento, ma non si svegliò, adattandosi inconsapevolmente alla sua nuova sistemazione.
Per precauzione, non la avrebbe riportata in camera di Papyrus, poiché la possibilità che qualche complicazione sopraggiungesse durante la notte non andava sottovalutata. Ciò non toglieva che la piccola avrebbe dovuto necessariamente imparare a calibrare la dose di Determinazione da cedere cosicché, se in futuro avessero dovuto ripetere quel processo, simili effetti disastrosi non sarebbero più capitati. E lui, da parte sua, avrebbe dovuto per forza recuperare i vecchi appunti di Gaster al più presto possibile; maggiori conoscenze avesse accumulato sulla Sintonia, meno rischi inutili avrebbero corso entrambi. Sperava, con tutto sé stesso, di riuscire ad estrapolare da quelle carte molte più informazioni di quante già ne possedesse, ma ben sapeva che non sarebbero state poi molte. Gaster era stato, dopotutto, parecchio frettoloso nel sospendere quelle ricerche, dato che non lo avrebbero certo aiutato a soddisfare le richieste che re Asgore, a quei tempi, gli aveva posto. E Sans, seppure la cosa lo seccava incredibilmente, concordava nel fatto che investire risorse ed energie in studi che non tenevano conto delle tue attuali priorità poteva rappresentare una perdita di tempo.
Sospirò frustrato, rendendosi conto che stava di nuovo pensando in modo fin troppo simile alla canaglia che lo aveva messo in una situazione tanto scomoda in primo luogo. Si costrinse, dunque, ad accantonare quei pensieri troppo divaganti per concentrarsi sull’ora.
Avrebbe potuto tirare avanti un altro giorno senza particolari intoppi grazie all’aiuto di Frisk, ma dopo un altro giorno ancora i primi segni di cedimento non avrebbero probabilmente tardato a rimostrarsi. Gaster lo aveva fregato per bene ma, con la brillante intuizione di Frisk, le carte in suo favore erano aumentate esponenzialmente. Trovare una soluzione permanente, adesso, sarebbe stato di gran lunga più semplice, se il tempo a sua disposizione poteva essere continuamente prolungato senza che nessuno dei due riportasse danni permanenti… ma questo, ovviamente, era ancora da accertare.
Distrattamente, sentì Frisk rannicchiarsi su sé stessa e contro la sua gamba. Dopo il primo attimo di incuriosita perplessità, non ci mise molto a capire che la piccola stava cercando di mantenere il suo corpo al caldo, esattamente come la aveva vista fare quello stesso pomeriggio alla sua stazione nei boschi, solamente con gesti un tantino differenti.
Si alzò e prese dal comodino a fianco del divano la coperta che Papyrus gli aveva dato ( un oggetto superfluo se sei uno scheletro e non puoi soffrire il freddo, ma di certo utile se sei un umano composto da pelle e organi, oltre che ossa ) e la usò per coprire l’intero corpicino di Frisk dopo essersi riseduto accanto a lei.
La piccola smorfia sul viso della giovane venne sostituita da un sorriso nuovamente sereno e Sans si rasserenò con lei, rilasciando un breve sospiro, al termine del quale la sua postura fino ad allora tesa poté finalmente rilassarsi. Aveva detto a Frisk che avrebbe parlato con lei o con Papyrus quando sarebbe stato pronto, ma osservando ora l’espressione distesa e le labbra dolcemente incurvate verso l’alto della piccola dormiente, si convinse con un certo rammarico che non avrebbe mai potuto soddisfare quella richiesta. Frisk era come suo fratello, innocente, piena di vita, solare e… e, come non voleva vedere la felicità di Papyrus rovinata a causa sua, non voleva nemmeno destinare la felicità di Frisk ad una sorte simile. Avrebbe cercato e trovato una soluzione per conto suo, chiedendole aiuto solo quando fosse stato estremamente indispensabile. Se l’era sempre cavata da solo fino ad ora… poteva farlo anche stavolta.
I suoi sensi scattarono immediatamente sull’attenti quando udì una delle porte del primo piano aprirsi e richiudersi, un lieve rumore di passi che percorrevano il corridoio seguì subito dopo.
Chara.
Non appena vide quelle luci bianche gemelle alle sue brillare nel buio, il suo corpo si mise istintivamente in allerta, il riverbero sottile nell’aria di una magia diversa ma familiare lo raggiunse, più o meno, nello stesso lasso di tempo.
Quando Chara giunse davanti a lui, a due passi dal divano, nessuno dei due si mosse. Ma, mentre i suoi occhi non stavano lasciando il viso della marmocchia, quelli della ragazzina erano fissati altrove.
« Che cosa le hai fatto? » Gli venne lentamente chiesto, quelle iridi improvvisamente inchiodate nelle sue, un luccichio di rosso che brillava leggermente sul fondo dell’orbita destra.
« Non le ho fatto niente. È scesa giù da sola e si è addormentata mentre parlavamo. » Replicò con naturalezza Sans, sostenendo senza fatica quello sguardo che voleva essere palesemente intimidatorio.
Chara assottigliò ostilmente gli occhi mentre gettava un nuovo, rapido sguardo in direzione di Frisk, lo scetticismo impresso chiaramente nei suoi lineamenti in penombra.
« Lei torna su con me. » Decretò, con il tono di chi non avrebbe ammesso obiezioni per nessuna ragione al mondo.
Oh, ma l’obiezione ci sarebbe stata eccome.
« Vuoi spostarla e rischiare così di svegliarla? Non è molto educato da parte tua. » Ribatté Sans, con un leggero sorriso impertinente. Forse, non era poi così saggio calcare tanto la mano con lei, ma se quella ragazzina avesse deciso di continuare a vivere lì con loro, avrebbe dovuto imparare a mollare l’osso quando doveva.
Le labbra di Chara divennero una linea dura e inclemente e l’incrociarsi delle sue braccia contro il petto rese persino più evidente la sua irritazione.
« Bene. Vado a prendermi una sedia in cucina. »
Sans non seppe davvero se ridere, o sospirare esasperato quando la vide marciare stizzita verso la stanza attigua. Voleva seriamente restare in piedi tutta la notte per controllarlo? Un po’ di iperprotettività in meno non avrebbe certo fatto male a quella. Meglio non attirarsene le ire solo perché le aveva fatto quel piccolo ‘torto’.
« Aspetta, marmocchia. » La chiamò, nel frattempo che si era alzato per raggiungerla a metà strada. « Siediti pure al posto mio, se vuoi. »
Chara lo squadrò con quell’aria di perenne e pungente diffidenza che rendeva caratteristici praticamente ogni sguardo, smorfia, o espressione che aveva mai visto solcarle il viso e non fu quindi una sorpresa per lui ricevere quell’ispezione visiva prima della vera risposta.
« Non pensare che ti ringrazierò, commediante. » Disse freddamente, ma gli fece comunque la cortesia di spostarsi per lasciarlo entrare in cucina.
Sans fece spallucce, oltrepassandola.
« Non l’ho pensato, infatti. »
Come avevano fatto Toriel ed Asgore ad accogliere in casa loro una bambina tanto scorbutica era per lui un enigma… ma, chissà, magari con loro la ragazzina aveva sempre avuto un atteggiamento diverso – senza dubbio più rispettoso.
Chara non gli dedicò una seconda occhiata mentre andava ad occupare il posto che, a quanto pareva, pensava di aver diritto di tenere lei soltanto vicino a Frisk.
Sans sospirò internamente, accingendosi a prendere una delle sedie della cucina per lo schienale e portarla in salotto.
Beh, buona notte a lui.
 

 



 
Sameko’s side
Ok, avrei dovuto intitolare questo capitolo “Guida su come farla felicemente in barba a Sans e fregargli persino il posto per dormire by Frisk & Chara” ma, ehi, per evitare spoiler si devono fare sacrifici. ^^”
Buona sera a voi lettori e scusate per questo ennesimo ritardo… ormai la puntualità non è più di casa da queste parti, mi spiace. <.<
Nonostante sia rimasta un po’ bloccata a lungo in certi punti, certe parti di questo capitolo non vedevo l’ora di mostrarle al pubblico, adoro far fare le furbastre alle mie due bambine e mettere in difficoltà Sans ( non immagino il mal di schiena che avrà l’indomani mattina, poveraccio lol ).
Spero di aver reso chiare le parti più tecniche, rispiegherò da capo volentieri nel caso ci sia un po’ di confusione da queste parti. ^^”
E, ora, passiamo alle note dolenti… come avrete già avuto modo di notare, non riesco più a mantenere i ritmi di aggiornamento che avevo prima, di conseguenza non ci sarà più una scadenza entro il quale posterò il nuovo capitolo ( non farò passare un mese tra un capitolo e l’altro, tranquilli ). Quindi, niente, aggiornerò quando aggiornerò d’ora in poi.
Non mi resta che augurare buona festa della donna a tutte le donne ( meglio tardi che mai anche qui ) e, buh, ci risentiremo con il prossimo aggiornamento. :D
Baci!
 

Sameko

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Capitolo 17
*** Capitolo 16: Rivelazione ***



Capitolo 16: Rivelazione
 
 



Al mattino appena sveglia, ciò che la aveva accolta appena aver aperto gli occhi ed essersi stiracchiata per bene, era stata la vista di un Sans che – per qualche ragione a lei non nota? – era scomodamente appollaiato su una delle sedie della cucina vicino al divano, invece che sul divano. Le bastò girare di poco la testa per accorgersi che ad occupare il posto di Sans vi era bensì Chara, appisolata con le braccia lungo i fianchi e la testa reclinata leggermente sulla spalla.
Ancora meno le era occorso – un breve sguardo tra lei e Sans a dirla tutta – per figurarsi la scena che doveva aver portato a quel cambio di sistemazione. Lo scheletro suo amico, tuttavia, non le era parso infastidito, solo un po’ assonnato e rigido per l’appoggio non proprio confortevole che quella sedia gli aveva offerto. A giudicare dalla mancanza di ostilità da lui dimostratele, le cose dovevano essersi risolte più o meno pacificamente, visto che nulla in salotto le era parso fuori posto.
Di lì a poco, era stato infine il turno di Chara di svegliarsi ed indirizzarla al piano di sopra per iniziare la routine mattiniera con cui entrambe stavano prendendo confidenza.
Aprendo la finestra della camera di Papyrus nel frattempo che Chara rifaceva il letto, ciò che avevano danzato davanti agli occhi di Frisk erano stati i tardivi fiocchi di una abbondante nevicata, che aveva portato con sé almeno trenta centimetri di neve quella notte.
Gli occhi le si erano illuminati di gioia al vederne così tanta ammucchiata sul davanzale, sul terreno, sui rami degli abeti scuri, che la vestivano come uno scialle soffice e fibroso.
Il suo primo pensiero era stato, ovviamente, quello di chiamare Chara per farle ammirare tutto il ben di Dio che c’era ad aspettarle una volta tornate dall’allenamento con Undyne… ma proprio Undyne, quella mattina, aveva deciso di assegnare loro un compito un tantino differente.
‘Siete di pattuglia a Waterfall oggi, teppiste! Se volete far parte di questa comunità, lavorare sodo è il primo lasciapassare!’ aveva infatti scritto loro la guerriera nell’sms che avevano ricevuto all’ora di colazione e che aveva decretato il loro drastico cambio di programma per quella giornata.  
Raggiungere Waterfall, cercando di destreggiarsi come potevano nella neve che arrivava loro fino al ginocchio, erano quello che stavano ora facendo appena fuori città, con alti e bassi soprattutto da parte di Chara.
« Seriamente, perché proprio noi? Non aveva nessun altro da spedire in capo al mondo in mezzo a questo pantano? » Brontolò di fatto quest’ultima, un po’ più indietro rispetto a Frisk mentre, impacciata, tentava di starle al passo; i suoi stivali affondavano nella neve con impietosa velocità, tanto che ad ogni falcata innervosita si doveva ancora una volta districare da quel mare bianco, pastoso e assolutamente disagevole da percorrere. Doveva proprio nevicare così tanto quella notte?
Non appena richiuse bocca, sentì il suo equilibrio venir pericolosamente meno. Già preparandosi mentalmente per la rotolata nel nevischio che sarebbe seguita, si stupì di sentirsi ritirata in piedi da Frisk, che la aveva prontamente afferrata per il maglione prima che ciò accadesse.
La minore sorrise in risposta al stupore che doveva essere comparso sul suo viso e Chara distolse lo sguardo, seccata dalla sua stessa goffaggine.
« Come riesci a camminare così disinvolta? » Domandò, dando voce alla domanda che le stava ronzando nel cranio praticamente da inizio camminata.
« Ci sono abituata, eh eh. » Ridacchiò la più piccola, piccole nuvolette di aria che uscivano dalla sua bocca ridente per disperdersi nel venticello invernale. « Persino le condizioni più impervie non possono fermarmi ora! E questi posti meravigliosi devono poter essere apprezzati sempre e comunque! »
Chara storse leggermente la bocca, non vedendo da parte sua tutta la bellezza di cui aveva appena parlato Frisk – solo una montagna di neve e degli stivali che, presto o tardi, sarebbero stati impossibili da asciugare per quanto erano bagnati –, ma la loro recente chiacchierata la spinse a tentare almeno una mediazione tra quei suoi pensieri di disagio e la positività che Frisk stava tentando di ispirarle per quel giorno. Doveva almeno provare ad adattarsi, a vivere la vita degli abitanti di quelle zone di periferia, ad essere la persona migliore che, Frisk le aveva detto, potrebbe diventare.
« Tieni duro ancora per un poco, le caverne sono davanti a noi. » La incoraggiò Frisk, notando il calo d’umore in atto in quel momento dalle parti di Chara.
Ricevette solo un cenno d’assenso non tanto convinto dall’amica, ma ripresero comunque a camminare dopo breve, mano nella mano, così che potessero supportarsi a vicenda qualora una delle due avesse avuto altre difficoltà.
Giunte davanti all’ingresso di Waterfall, il percorso si fece ovviamente meno accidentato in mancanza di neve che potesse ostacolare il loro cammino. L’umore della maggiore, di conseguenza, non poté che migliorare nettamente una volta che sentì il terreno pietroso e soprattutto stabile delle caverne scorrere sotto le suole.
Sole, senza nessuno a disturbare la quiete della loro compagnia reciproca ad eccezione dello scrosciare delle cascate in lontananza, Chara decise che era il momento adatto per discutere di quanto avevano scoperto sul conto dello scheletro.
« Frisk, senti… per ieri sera… »
« Hai sentito tutto, vero? » Le domandò immediatamente Frisk, volendo assicurarsi di non dover informare l’amica di qualche dettaglio che le era potuto sfuggire mentre era in ascolto.
Chara annuì, lasciando cadere la sua lieve insicurezza nel tirare fuori quell’argomento.
Allo stesso modo, anche il sorriso con cui Frisk la aveva pazientemente aiutata non molto prima a camminare nella neve abbandonò il suo viso, ora spento sotto un’apprensione e una perplessità che era sempre stata lì, nascosta sotto il suo sorriso socievole e gentile. Non aveva avuto così tanto tempo per riflettere su ciò che aveva appreso, su quante e quali parole dette da Sans avrebbe dovuto focalizzare la sua attenzione… l’ora tarda, certamente, aveva giocato a suo favore per spingerlo a rivelare più di quanto non avesse voluto intenzionalmente confessare, ma adesso era lei a trovarsi in una situazione svantaggiosa, vista la sua difficoltà nel riordinare correttamente la montagna di idee e supposizioni che la avevano attraversata in quei minuti.
« Tu cosa ne pensi? » Chiese alla maggiore, sperando di ricevere un parere da una mente probabilmente più fresca della sua.
Chara corrugò le sopracciglia severamente calate sui suoi occhi, le pupille lattee che guardavano il soffitto della caverna con fare pensoso.
« Che non è normale, questo è certo. » Replicò, con in verità la risposta più banale che poteva venirle in mente. Se Frisk era persa esattamente come ipotizzava che fosse, allora, lei non era certo da meno. Poco di quello che lo scheletro aveva rivelato si salvava dall’essere completamente privo di senso o di una ragione logica, i suoi pensieri a riguardo non erano perciò abbastanza definiti per il momento. « Soffre d’insonnia quindi, o no? »
« No, a quanto pare no… non in questo momento almeno... non ho idea di quali siano i suoi normali ritmi di sonno. » Chiarì Frisk, arricciando leggermente le labbra dall’incertezza. « Non può dormire, solo questo ha detto. »
Chara distolse dunque lo sguardo, ricordando bene quella parte della conversazione, in cui Frisk aveva sapientemente girato e raccolto le carte sul tavolo e nella sua mano per lasciar sfuggire allo scheletro quella breve, fondamentale dichiarazione – diavolo se aveva provato una discreta ammirazione verso di lei in quel particolare frangente, tuttavia il solo pensiero di renderlo noto a Frisk la imbarazzava alquanto.
« Le possibilità sono due: o qualcuno glielo sta impedendo… » Espose, alzando un dito per quella prima ipotesi espressa. « O, semplicemente, è lui che se lo impone. » Concluse, alzando un secondo dito.
Frisk stirò un po’ sconfortata le labbra. Nessuna di quelle possibilità la allettava particolarmente, date le implicazioni a cui ciascuna delle due poteva portare, ma riconosceva, purtroppo, che tesi alternative non avrebbero potuto spiegare in maniera esaustiva ciò che stava accadendo a Sans.
« Chi potrebbe volere una cosa così? E per quale motivo? » Disse, ponendosi fra sé e sé quegli interrogativi.
« Non credo ci sia dato sapere entrambi. » Rispose Chara, l’impulso di incrociare le braccia al petto malamente frenato dal suo tenere per mano l’altra ragazzina. « Onestamente, mi interessa di più sapere il come. Cosa si usa solitamente per impedire a qualcuno di dormire? »
« Uhm… caffè? Altre sostanze? » Ci pensò su la minore.
« Droghe? »
Frisk strabuzzò gli occhi di fronte all’esempio di Chara.
« Non… penso quaggiù ci sia roba del genere… spero… » Bofonchiò e non tentò nemmeno di nascondere quanto l’idea le apparisse profondamente estranea e disagevole. « Non avrebbero dovuto esserci altri sintomi, in… tal caso? »
Chara sospirò silenziosamente, stringendo la mano di Frisk nel tentativo di spazzare via quel brutto disagio dall’espressione dell’altra ragazzina. Forse, avrebbe dovuto essere più sensibile e attenta a quello che diceva, ora che le persone con cui doveva ogni giorno rapportarsi erano cambiate. Lo scheletro non le andava a genio, non le andava per nulla a genio, ma Frisk teneva a lui e Chara riconosceva che determinati argomenti dovevano essere toccati con una certa cautela, soprattutto in discorsi delicati come quello.
« Oppure, come ho già detto, forse è solo lui che si impone di non dormire. » Riprese il discorso la maggiore, dato che comunque la prima pista sembrava portare ad un punto morto, impaziente inoltre di distogliere l’attenzione di Frisk dalla sua supposizione azzardata.
« Forse… sembrerebbe così, infatti. » Concordò con lei la più piccola. « Però… perché dovrebbe? »
« Ha ancora paura di noi e si tiene sveglio per controllarci? » Ipotizzò nuovamente Chara, esponendo l’unica ragione a suo parere plausibile.
Frisk, tuttavia, non sembrava convinta neppure di quell’ultima tesi.
« Non credo… abbiamo parlato, io e lui… sembrava essersi tranquillizzato da allora… »
Non poteva essere quello il motivo dietro al comportamento così irragionevole di Sans, non poteva… giusto? Lui si fidava di lei e lei si fidava di lui, altrimenti la Sintonia della sera prima non si sarebbe mai verificata se una fiducia reciproca era proprio ciò che tra di loro mancava.
Quando tornò a rivolgere il proprio sguardo verso l’altra ragazzina, il nero degli occhi di Chara sembrava aver assunto una tonalità persino più acre del normale, in netto contrasto con la carnagione chiara dell’altra giovane.
« Sei sicura che non ti stesse ingannando? »
Frisk schiuse le labbra, scuotendo piano la testa, le parole momentaneamente incastrate in gola. No. Non era così, Sans non le aveva mentito, o… se ne sarebbe resa conto, vero?
« Sì. Sono sicura. » Affermò, facendo dissipare la tensione che aveva sentito pesarle su cuore e anima in seguito a quella dura domanda. Basta dubitare di Sans, basta dubitare dei suoi amici.
Chara la fissò in silenzio, stringendo appena gli occhi colmi di diffidenza… una diffidenza che la minore fu in grado di leggervi perfettamente.
« Chara, per favore, fidati di me… »
« È di lui che non mi fido, Frisk. » La interruppe brusca la più grande, il sospetto adesso persino più aspro nel suo sguardo. « Ci sono parecchie cose inspiegabili qui sotto e molte di queste riconducono a quello scheletro. Coincidenza? Non penso proprio. Magari entrambi i fratelli sono in combutta e se la ridono alle nostre sp- »
« Chara! » La interruppe Frisk, scandalizzata, prima di riabbassare la propria voce al solito tono più mansueto. « Hai ragione, ci sono fin troppe cose che ancora non riesco a spiegarmi persino dopo così tanto tempo trascorso qui. Ma… ma se c’è una cosa che ho imparato, è che il non avere fiducia verso gli altri a lungo andare danneggerà te e chi ti sta attorno, molto più di quanto potrebbe fare il suo opposto. »
« Aspetterai, dunque, che quello scheletro vuoti il sacco? » Le domandò prontamente Chara, come se fosse quasi in procinto di roteare gli occhi da un lato, ma si stesse astenendo più che poteva dal farlo.
La minore sospirò, annuendo.
« Sì. Mi ha detto che lo farà. Ha… forse, ha solo bisogno di tempo. »
« Tempo per cosa, esattamente? » La interrogò l’altra ragazzina, alzando scettica un sopracciglio.
Frisk si strinse leggermente nelle spalle. Rispondere a Chara senza mostrare le sue stesse insicurezze stava diventando, per lei, sempre più complicato.
« Non lo so. » Confessò, con una punta di amarezza. Nemmeno lei aveva la risposta a quella domanda. Sans era in difficoltà, era evidente che era in difficoltà e che aveva un problema ma, ogni qualvolta aveva provato a farlo aprire, lui si era chiuso sempre più in sé stesso, rimproverando, dissimulando, nascondendo. Perché quella riluttanza nell’accettare l’aiuto altrui? Cosa aveva da perderci?
« Deduco che, prima d’ora, non si sia mai comportato in questo modo. » Considerò ad alta voce Chara, cercando al contempo una conferma assoluta da parte della compagna.
« Sì… ma… » C’era un ma. « Su questioni troppo personali, è sempre stato abbastanza riservato. Da una parte, questo suo atteggiamento non è una vera e propria novità per me. È solo che… » Non poté impedire alle sue labbra di piegarsi tristemente all’ingiù. « … non credo di avervi mai dato il giusto peso... »
Ma perché proprio in questa linea temporale stavano venendo a galla tutti quei problemi? Aveva provato in passato a non resettare per più dei quattro giorni di cui generalmente necessitava per attraversare tutto l’Underground e Sans, in ciascuna di quelle linee temporali, era sempre stato il normale, divertente sé stesso che Frisk si stava rendendo conto di voler sempre più indietro ad ogni giorno trascorso.
« Sono convinta che quel tipo ci farebbe ammazzare tutti pur di non dir nulla. A certi glielo si legge in faccia. » Borbottò Chara con una smorfia irritata, nel frattempo che lei era persa in quelle ultime considerazioni e amari rimpianti. E sospirò, decidendo di lasciar correre invece di rimproverare ancora Chara, ma non poté non chiedersi come avrebbe fatto a far andare tutti d’accordo in quella casa, considerando anche che due elementi su quattro non volevano proprio saperne di andare d’accordo. Non poteva, purtroppo, cercare una sistemazione alternativa, non più, non con i recenti e preoccupanti avvenimenti. Di conseguenza, le alternative erano solamente due: o convivere pacificamente… o sopportarsi pacificamente ( scatenare un conflitto all’ultimo colpo di cannone magico per una parola di troppo non era, ovviamente, un’alternativa ammissibile ).
« Chara… e se fosse… Flowey? » Ipotizzò tutto ad un tratto, guardando l’altra ragazzina con occhi turbati.
Chara corrugò vistosamente la fronte, prima di scuotere piano il capo.
« No. Non è sicuramente lui. »
“ Non è possibile sia lui… ” Aggiunse nella sua testa con un flebile ma rammaricato pensiero, il labbro leggermente arricciato. “ Non oserebbe… non dopo… quello… ”
« Come fai ad esserne sicura? » Le domandò Frisk, con un margine di stupore misto a perplessità.
Chara allargò un poco gli occhi, prima di chiuderli con più forza di quanto avesse voluto, e fu rifuggendo ostinatamente lo sguardo dell'altra che rispose.
« L'ho... spaventato, alle rovine... non dovrebbe essere lui... credo lo scheletro ce lo direbbe in tal caso, non gli converrebbe tenercelo nascosto. » Mormorò dapprima, poi con voce rinnovata di sicurezza man mano che il fulcro del discorso si spostava nuovamente su Sans. « Non pensi? »
Aveva timore ora di alzare gli occhi e ricevere un'espressione di biasimo e duro rimprovero da parte di Frisk. Tuttavia, quando l'altra ragazzina le diede ragione, non riconobbe nessuna di quelle emozioni da lei temute nel suo tono.
« Lo penso... » Sussurrò la più piccola, annuendo vagamente, i suoi pensieri non impegnati nell’individuare il particolare momento in cui Chara poteva aver visto il fiore nelle rovine, ma nel cercare di trovare un’altra spiegazione, un’altra pista da seguire, anche un singolo indizio che potesse tornarle utile. Non riusciva a credere che potesse essere un abitante dell’Underground la causa di quanto stava accadendo a Sans, i mostri erano creature buone e gentili, dalla natura generalmente pacifica e accogliente, fare una cosa tanto spregevole ad un loro simile significava… significava andare contro natura, contro la natura mite della loro razza. Non dava ovviamente per scontato che non esistessero eccezioni, mostri che probabilmente erano meno scrupolosi di altri – molto meno scrupolosi di altri – e che tendevano ad avere comportamenti non proprio accettabili nei confronti dei loro simili, ma nel profondo delle loro anime erano sempre il bene e la giustizia ad avere il predominio sulla corruzione del male, nonostante le azioni potessero dimostrare tutt’altro. Crimini orribili come quelli che gli umani a volte commettevano nei confronti dei loro stessi fratelli non avrebbero mai potuto verificarsi in una comunità di soli mostri… anche ammettendo che la causa fosse una persona fisica, c’era davvero un mostro dietro a tutto? O… qualcosa di totalmente diverso da un mostro?
« -isk…? Ehiii… »
Con un piccolo scatto, voltò la testa in direzione di Chara, la cui voce era uscita dai denti serrati dell'altra ragazzina come un sibilo. Frisk comprese immediatamente il motivo di quel comportamento tanto innaturale e teso quando notò, con la coda dell’occhio, uno sprazzo di giallo non troppo lontano da loro.
La minore sorrise nel momento in cui, girandosi, vide il piccolo Monster Kid intento ad annusare un neonato Fiore dell’Eco appena germogliato dal terriccio, con le zampette piegate e il nasino a poca distanza dalla corolla luminescente.
« C’è il… coso, Frisk. » Le bisbigliò nuovamente vicino all’orecchio Chara, con un’urgenza e un’ansia quasi tragicomica.
« È un bambino, Chara. » Puntualizzò la minore con un sorriso sghembo, di fronte a cui la sua amica mise su un profondo cipiglio.
« Consolante... » Brontolò di disappunto la maggiore, stringendosi leggermente contro la spalla della più piccola, in un istintivo tentativo di nascondersi dal cucciolo nel caso si fosse reso conto della loro presenza. Se già i bambini non le andavano tanto a genio in generale, figuriamoci quando si trattava di quel bambino, il marmocchio a causa del quale Frisk aveva dovuto subire una bella aggressione verbale da parte della donna-pesce. Quando si dice che gli incontri migliori sono baciati dalla fortuna, o voluti dal destino – o qualche altro detto altrettanto stupido.
« Ti assicuro che è un amore di bimbo, se solo impari a conoscerlo. » Le bisbigliò scherzosamente Frisk, allargando il proprio sorriso quando Chara le rivolse un’occhiata titubante. Posò la mano sopra quella della maggiore e gliela strinse dolcemente, allontanandola dal suo avambraccio con un gesto incoraggiante. « Vedila in questo modo: i bambini fiutano la paura anche ad un miglio di distanza. Essere naturali è il modo migliore per rapportarsi con loro, sii te stessa e non avrai nulla da temere! »
La maggiore stirò un angolo della bocca in una smorfia, lasciando ricadere il proprio braccio lungo il fianco.
« Io… non ho paura… »
« Sei già un passo avanti, allora. » Si congratulò con lei l’amica, facendole muovere un passettino con una lieve e giocosa pacca sulla spalla. « Letteralmente. »
Chara si strofinò gli occhi con un mugugno rauco.
« Dovevi proprio, Frisk? » Le chiese, con seppur un sorriso accennato che non poté contenere. Era una battuta pessima, ma se pronunciata da una bocca amica era… diverso, in un certo senso… persino divertente, se voleva esagerare.
« Riuscirò a non farti rabbrividire prima o poi, contaci! » Replicò Frisk, alzando i pugni come per sottolineare la sua accanita e adorabile convinzione.
Chara sollevò un angolo del labbro dietro la mano che le stava coprendo parzialmente il viso… non poté farne a meno e chissà perché... forse, perché quella ragazzina era davvero troppo incredibile per essere reale. Eppure, non c’era stato niente di più reale di Frisk nel suo mondo in questi ultimi giorni, sin da quando si svegliava e la prima cosa che vedeva era lei, fino a quando si addormentava e l’ultima cosa che sentiva era la sua voce. Erano passati tanti anni da quando… quando aveva avuto un simile rapporto così stretto con qualcuno… o da quando aveva avuto un rapporto in generale. E aveva il timore tanto inconscio, tanto irrazionale, che tutto ciò che stava vivendo era solo un lungo sogno, un delirio che la sua stessa mente stava costruendo per lei nel buio della disperazione e dell’odio, che le si erano chiusi addosso nel momento in cui aveva percepito il frantumarsi dell’anima di Asriel… avrebbe voluto avere una conferma, che ogni cosa di cui stava facendo esperienza era reale e non un’amara illusione... ma, se lo avesse fatto, si sarebbe così svegliata, rovinandosi con le sue stesse mani?
Erano pensieri assolutamente insensati, ma la loro assurdità non poteva cancellare il freddo terrore che, così maligno, si insinuava nel suo animo ogni qualvolta concedeva loro un po’ di attenzione. Doveva imparare ad ignorarli, se andare finalmente avanti era ciò che davvero voleva.
« YO! Come andiamo voi laggiù? »
Chara sollevò la testa solamente per vedere il marmocchio zampettare verso di loro con un sorriso entusiasta. Sembrava davvero contento di vederle e... e non sapere come reagire correttamente ad una simile manifestazione di felicità la fece sentire turbata, confusa. Rispondere ad un saluto era una cosa normalissima, persino davanti ad incontri sgraditi le persone riuscivano quanto meno a forzare un sorriso sulle proprie labbra – ma lei non era ‘le persone’, lei non era gli altri, lei non era… loro. Lei non era capace di fingere, nemmeno per convenienza.
Fu Frisk ad intervenire al posto suo, piegandosi sul bambino per riceverlo in un abbraccio e salvarla così dal fare altrettanto.
« Stiamo benissimo, piccolino! » Gli rispose Frisk, quasi spupazzandoselo come se fosse un peluche morbidissimo. « Abbiamo in programma di controllare se a Waterfall è tutto in ordine, saremmo felicissime se ti unissi a noi! »
« Vuoi dire che farò un giro di ronda proprio come Papyrus?! » Domandò eccitato Monster Kid, quasi fremendo fra le braccia della ragazzina.
« Assolutamente sì. » Annuì Frisk, scostandosi per vedere il cucciolo aprire la bocca in una grande ‘O’ estasiata, i suoi occhioni luccicanti mentre pronunciava un enorme Woah. « E sai qual è il tuo primo incarico da sentinella? »
« Quale, quale? Qualunque compito sia, lo porterò a termine! » Domandò eccitatissimo il piccolo, con sguardo di piena determinazione.
« Dovrai far breccia nel muro di granito che è la nostra compagna qua di fianco. » Gli svelò Frisk, con un sorrisetto a malapena contenuto di fronte all’improvviso, sottile panico dell’amica. « Agisci bene e con cautela! »
Chara si sentì come tradita dalle parole di Frisk quando vide il marmocchio guardare lei soltanto con quegli occhi così grandi e ricolmi di innocente curiosità. In che cosa la aveva cacciata Frisk, proprio Frisk fra tutti, perché mio dio.
« Non temere, compagna! Se le caverne ti spaventano, ci sarò io ad indicarti la strada! » Dichiarò il piccolo, ritto sulle corte zampette, uno sguardo tanto spavaldo e coraggioso che la ragazzina più grande impegnò ogni briciolo della sua volontà per non roteare gli occhi, nonostante una parte dentro di lei ben sapesse quanto quella spavalderia e quel coraggio non fossero una mera facciata. « Rimani vicino a me e non ti accadrà niente! »
E, prima che Chara potesse fare qualunque cosa per mettere distanza tra lei e il cucciolo, Monster kid le aveva preso fra i denti un lembo della manica e la stava tirando per spingerla a riprendere il cammino.
Chara spalancò immediatamente gli occhi.
« F-fermo… » Sussurrò, impettita sui propri piedi, mentre veniva spostata di un passo dalla sua posizione congelata. No, non la manica, non la manica...!
Sentì la bocca seccarsi, i suoi occhi dilatarsi fino all’inverosimile, il tempo scorrere troppo lentamente e troppo velocemente nel medesimo momento, i suoi respiri sarebbero presto diventati ansiti, il resto del mondo sparito e solo l’inesorabile alzarsi della manica del suo maglione era rimasto e non riusciva a fissare altro, non doveva, non la sua manica!
« Fermo! » Gli ordinò, strattonando il braccio per liberarsi dalla presa del piccolo e portandoselo stretto contro il petto, raccogliendo tutto il suo corpo in protezione di quel singolo arto tanto tremante.
Smise di vedere qualunque cosa, come cieca di fronte a qualsiasi immagine, prima di sentire Frisk affiancarla e chiamarla per nome, facendo diradare almeno la patina di nebbia che le aveva messo fuori uso l’udito e la vista.
Non percepì il tocco dell’altra ragazzina finché non mise a fuoco il suo polso offeso completamente scoperto, la manica abbassata quasi all’altezza del gomito, la mano della più piccola che glielo stava sorreggendo davanti agli occhi con un’accorta, paziente prudenza.
« Chara, guarda, guarda, stai bene, non c’è nulla… »
Chara strizzò le palpebre, le spalle rigidamente raccolte le si ridistesero nel momento in cui espirò bruscamente, una, due volte.
« È tutto a posto, Chara. Sei qui… Guarda. »
Il sorriso rilassato, confortante di Frisk fu la prima cosa su cui si focalizzò, prima di recepire il significato delle parole che la sua amica aveva appena pronunciato: guarda, le era stato detto.
Lo sguardo le cadde con una lentezza meccanica sul suo polso, sulle dita delicate di Frisk, poi sulla sua pelle. E… non c’era nulla, lì. Era perfetto, era pulito, era… come nuovo.
Chara sospirò ad occhi socchiusi, deglutendo leggermente. Era il suo nuovo corpo questo, era un corpo da mostro, non un corpo umano, non il suo vecchio corpo. Non c’era niente da coprire, niente da nascondere, nessun ricordo da non associare, nessuna memoria tattile che bruciava come un coltello incandescente… lei era lì, era reale come le dita di Frisk chiuse delicatamente intorno al suo braccio, come l’odore di neve mescolato a quello dell’umido delle caverne, come il sollievo che stava ora sentendo. La sua mente non avrebbe mai potuto immaginare tutto questo, non avrebbe mai potuto rendere così vivo e vero un sorriso che non le era mai stato rivolto prima… Non aveva abbastanza fantasia per farlo.
Frisk schiuse le dita per lasciarle il polso e Chara procedette a riabbassare con discrezione la manica, non curandosi se il bordo non le copriva il braccio fino a quasi metà del palmo della mano. Doveva smetterla di credere che tutto ciò che ora aveva le sarebbe stato portato via senza che lei potesse far nulla per impedirlo, doveva convincersi che lei non era più dall’altra parte, ma qui, in mezzo a colori, suoni e sensazioni, non nel buio, non fra i sussurri della sua mente deviata, non nel silenzio in cui morivano le sue urla straziate, non… sola.
Incontrò lo sguardo di Frisk non appena ebbe sollevato il capo e l’altra ragazzina le rivolse un largo sorriso, i suoi occhi ambrati placidamente socchiusi.
« Hai una mappa per caso, Chara? Credo di essermi appena persa nei tuoi occhi. »
Chara sentì le sue stesse labbra contorcersi in una via di mezzo tra una smorfia e un cipiglio.
« Ci stai provando con me, Frisk? »
« Non ci sto provando. » Replicò la sua amica, portandosi una mano contro il petto, come a sottolineare la sua completa innocenza e incredulità di fronte alla sua ‘accusa’. « Sono solo particolarmente gentile con una persona particolarmente attraente! »
Alzò un sopracciglio davanti allo sguardo ammiccante di Frisk, prima di rivolgerle un piccolo sogghigno, l’atmosfera più tollerabilmente rilassata grazie all’intervento tempestivo della sua preziosa amica.
Tuttavia, il suo sogghignare ebbe vita breve, perché il ridivenire cosciente della presenza di Monster Kid ridusse le sue labbra alla normale linea sottile che era la sua espressione naturale. Il cucciolo, rannicchiato dietro la schiena di Frisk esattamente come lo era stata lei, la stava fissando con la testa sollevata in direzione del suo viso, lo smarrimento e la mortificazione nei suoi occhioni.
Dedicò un rapido sguardo a Frisk, al quale la più piccola replicò con un lieve cenno del mento.
Chara sospirò internamente. Va bene, lo avrebbe fatto.
« E-ehi… tuuu… » Coso, animaletto, nanerottolo...? « Piccoletto… non ti sarai spaventato per quello… vero? »
Monster Kid richiuse la bocca davanti alla sua domanda esitante, scuotendo vagamente la testa in segno di negazione.
Chara trasse un mezzo sospiro, cercando di darsi la sicurezza necessaria per proseguire. Era un bambino, era solo un bambino, poteva farcela.
« Ne ero sicura… sei… un ragazzo coraggioso. »
Più coraggioso di quanto lui stesso, forse, veramente credesse.
Il bambino inclinò la testina da un lato, staccandosi con una ragionevole gradualità dal fianco di Frisk. Dopo pochi secondi in cui Chara aveva nervosamente atteso da quel viso paffutello un segnale che, per grazia di dio, potesse confermarle che non aveva fatto qualcosa di sbagliato di nuovo, una ritrovata convinzione e fiducia ricomparve nello sguardo di Monster Kid.
« Grazie, signorina. Anche te sei molto coraggiosa. »
Chara schiuse leggermente le labbra, reprimendo l’impulso di portarsi una mano contro il petto per mettere silenziosamente in discussione, con quel gesto, quanto le era stato appena detto.
La sua lingua non aveva parole da formare, appiccicata com'era contro il palato, e annuire fu l’unica risposta che si sentì di poter dare a quel piccolo.
« Posso ancora essere la tua guida? » Le chiese il bambino, con occhi tremendamente simili a quelli di un cucciolo supplicante.
Chara abbassò le palpebre, ovviamente intrappolata in quella situazione senza vie di fuga, perché la risposta sarebbe dovuta essere una soltanto, o i suoi recenti progressi con quel bambino sarebbero stati miseramente vanificati.
« . »
Il cucciolo si mise all’istante a saltellare sul posto, la sua felicità talmente spontanea e genuina che la ragazzina ebbe difficoltà nel processare che quella gioia era nata proprio grazie alle sue azioni.
Guardò Frisk, sperando di trovare nell’espressione dell’altra giovane istruzioni, una spiegazione: sul viso di Frisk c’era uno splendido, orgogliosissimo sorriso, in cui Chara si sentì di poter quasi affogare dentro.
Sei stata fenomenale, Chara, pareva volesse dirle, congratulandosi con una gioiosa sincerità.
E la maggiore si ritrovò ad annuire impettita per la seconda volta in pochi secondi – ma non poté nascondere a sé stessa la soddisfazione, condita con un lieve ma non tanto spiacevole imbarazzo, che stava germogliando nel suo animo.
Sì… lei era qui, dove sarebbe rimasta a dispetto delle sue colpe, dove poteva ancora dare un senso alla sua esistenza… dove qualcuno la desiderava e la voleva così com’era.
 

« Ed eccoci qua. » Disse fra sé e sé Sans, non appena sentì i flussi temporali ristabilirsi e cessare di vorticare e distorcersi intorno alla sua figura.
Odore di chiuso e stantio, polvere a gogo, pareti in cui anche un respiro rimbombava come un urlo; sì, era tornato a casa, casa dolce casa, solo un po’ più tetra, deserta e maleodorante rispetto a quanto la ricordava.
Era passato davvero troppo tempo da quando aveva messo piede nell’una volta operativo laboratorio dell’Underground, che nei suoi tempi d’oro era stato pullulato dalle menti più brillanti che il regno aveva da offrire. Ora, invece, era solo un’ombra di quello che era stato il luogo in cui aveva trascorso gli anni della sua infanzia e adolescenza, tra scartoffie e ampolle che contenevano liquidi dall’aspetto bizzarro, tra il bianco asettico dei corridoi e l’odore di gesso e di inchiostro che impregnava l’aria.
Sospirò, infilandosi ben in tasca le mani e percorrendo corridoi che avrebbe potuto seguire ad occhi bendati, tanto gli erano familiari, il suono ovattato delle sue ciabatte contro le piastrelle era attutito dal silenzio assordante della solitudine, della sofferenza, della morte, che qualunque anima dotata di almeno uno stralcio di sensibilità avrebbe potuto avvertire. Per quanto si fosse sforzato di dimenticare quei capitoli della sua vita, per quanto ci avesse provato, alla fine era di nuovo qui, qui tra i sussurri di conversazioni rimaste scolpite solo nella sua memoria, qui dove immagini di volti inghiottiti dalle sabbie del tempo diventavano un miscuglio indistinto… un miscuglio da cui ne emergeva uno soltanto.
Digrignò i denti debolmente, sorpassando distratto un distributore automatico di sua conoscenza, cercando di non pensare. Era qui solo per consultare i vecchi appunti di Gaster, raccogliere nuove informazioni, rimetterli esattamente dove si trovavano e andarsene. Questo era tutto ciò su cui doveva concentrarsi…
Arrestò la sua camminata innaturalmente lesta solo per evitare di incappare in una delle creature che infestavano quel vecchio laboratorio, uniche abitanti di quei muri che un tempo avevano ospitato un intero team di scienziati, tra i più geniali che la loro razza avesse mai visto.
Alzò lo sguardo, solo per vedere torreggiare su di lui un'imponente massa di liquame, la cui sagoma ricordava appena vagamente quella di un enorme, paffuto cagnolone.
Il latrato infelice che i mostri disciolti emisero fece rabbrividire la sua anima dal dispiacere e… dalla colpa. Se avesse saputo cosa Alphys aveva in mente di fare… lui avrebbe potuto impedire che tutto questo accadesse, avrebbe potuto impedire a questi poveri mostri di vivere una vita del genere – sempre se poteva essere così chiamata un’esistenza tanto miserabile. Non aveva potuto salvare Alph, così come non aveva potuto salvare molti altri, così come aveva rinunciato a salvarne altri ancora durante i reset di quell’erbaccia maledetta… e persino prima, quando non era stato solo uno dei giocattoli più interessanti a cui quel fiore poteva avere accesso. Ma la consapevolezza che ogni sua azione non aveva mai portato a nulla di buono faceva morire troppo presto il rimpianto che avrebbe potuto provare verso la sua passata indifferenza… perché curarsi di certe cose, dare importanza ad altre, o anche solo preoccuparsi? Perché, se da una sua possibile presa di posizione non ne sarebbe venuto nulla di b-buono?
Con un'abbondante dose di auto rimprovero, si costrinse a zittire quella parte di lui – una delle tante, in verità – che in questi anni si era nutrita e rinforzata sempre più a causa di dispiaceri lontani e vicini, della sfiducia che per molto tempo era stata la sua compagna più prossima. Era vero, era completamente vero che non sarebbe bastato un libro per raccogliere tutti i suoi fallimenti, ma era anche vero che, finalmente, qualcuno stava cercando di far andare le cose per il verso giusto, riuscendo dove lui non era stato capace di giungere con le sue sole forze. E lui, da parte sua, avrebbe regolato vecchi conti in sospeso che lui soltanto poteva regolare. Era il minimo che potesse fare…
Si avvicinò all’Amalgamate, la mano tesa in avanti in un gesto di rassicurazione. Vedendo il cagnolone privo di ritrosia nei confronti del contatto che gli stava preannunciando, gli accarezzò quello che indovinò poteva essere il suo stomaco, le falangi che si destreggiavano con minima repulsione tra peluria e sostanze disciolte.
Il cagnolone guaì confortato in risposta alla sua carezza, reazione che fece contrarre impercettibilmente le estremità del suo sorriso.
« State tranquilli. La piccola arriverà prima di quanto possiate immaginare... lei saprà aiutarvi. » Mormorò, con voce calma, distesa, la mano che continuava ad accarezzare il manto liquefatto. « Solo un altro po’. » 
Frisk aveva già aiutato loro ed Alphys in passato e li avrebbe certamente aiutati anche in questa linea temporale. La sua presenza lì, in fondo, era inutile quanto quella di un calorifero piazzato nel bel mezzo di Hotland: assolutamente, indubbiamente inutile.
A malincuore, dovette arretrare dall’Amalgamate scodinzolante e proseguire per portare a termine il suo attuale compito, prima che si ritrovasse circondato da tutti gli altri abitanti del laboratorio. In gruppo non erano esattamente facili da gestire, meglio quindi sbrigarsi prima che si radunassero.
Seguendo le indicazioni che i ricordi di Frisk gli avevano fornito, raggiunse senza esitazione il locale adibito ad archivio, dove si augurava avrebbe trovato più risposte che domande ai suoi interrogativi. Gli appunti di Gaster sulla Sintonia erano esattamente dove si aspettava di trovarli, conservati insieme ai risultati di molte altre sue ricerche, ad alcune carte che mostravano la progettazione di particolari settori del Core, alle osservazioni e sperimentazioni sulle anime degli-
Oh, guarda un po’, i fogli erano già tutti in perfetto ordine, non era necessario cercare oltre.
. . .
Idiota, idiota che non riusciva nemmeno a controllare il filo dei suoi pensieri abbastanza da non finire con lo stilettarsi da solo e dolorosamente l’anima. Idiota
Si passò una mano sul volto, sospirando stancamente attraverso lo spazio tra le sue dita. Va bene, doveva restare concentrato, doveva imporselo, niente più distrazioni.
Con i fogli sottobraccio, si lasciò scivolare con la schiena contro una delle pareti, non curandosi del pavimento incrostato di impietosa polvere – non sarebbe stata la prima né l’ultima volta che avrebbe avuto i vestiti sporchi o macchiati, poteva tranquillamente convivere con le lamentele di Paps fino al prossimo giorno del bucato.
Inspirò leggermente e concentrò una parte della sua rinnovata magia all’interno della sua orbita, affinché essa potesse sprigionarsi e consentirgli di leggere senza difficoltà nella penombra. Luce soffusa, azzurra e dorata, illuminò in pochi istanti i simboli scritti a mano sui fogli, rischiarando al contempo anche il resto dell'ambiente.
Cominciò a leggere.
Le prime pagine di appunti furono quelle che, dopo averci buttato un occhio sopra, scartò immediatamente, in quanto contenevano nozioni davvero basilari sulla Sintonia e che persino la piccola aveva potuto leggere senza troppe difficoltà. Erano le parti rigorosamente in Wing Ding che gli premeva leggere al più presto, quelle che solo uno scheletro o, comunque, qualcuno familiare con quella forma di comunicazione poteva decifrare. Era una delle ricerche più nascoste e segrete che Gaster aveva condotto, era naturale che avesse voluto celare le informazioni più importanti agli occhi più indiscreti o non fidati. Anche negli appunti in Wing Ding ci sarebbero sicuramente state parti ridondanti, doveva perciò fare attenzione a non lasciarsi sfuggire nulla per disattenzione o fretta.
Nella sua mente, ogni rigo di scrittura scorreva perfetto e nitido, mentre cercava la conferma che lo avrebbe rassicurato sulla non pericolosità che un trasferimento di Determinazione tra due anime poteva porre. Dubitava avrebbe trovato informazioni precise, o informazioni in generale, ma se voleva evitare che Gaster si impossessasse del suo corpo come aveva detto di voler fare, allora, doveva almeno provare a cercarle. Per il bene di suo fratello, di Tori, ma anche di Frisk.
 
EX S REGISTRAZIONE 007: Occorrono due anime per formare una Sintonia, ma potrebbe essere possibile legarne in maggior numero contemporaneamente? Quanto potrebbe essere il limite e quale il procedimento? Testare su larga scala è la soluzione più adatta  Le risorse al momento in mio possesso non mi consentono di verificare oltre, un permesso dal re non sarà mai ottenibile.
 
Sans stirò leggermente un’estremità del suo sorriso. Come se avesse potuto esserci anche solo una remota possibilità che Asgore avrebbe accettato di rischiare l’incolumità di decine di mostri, o anche più, per delle vaghe supposizioni – Gaster e il suo disinteresse verso chiunque tranne che sé stesso e le sue folli macchinazioni. Ed ecco lì il punto morto che non aveva fatto proseguire quella ricerca, individuabile a giudicare dal modo in cui gli appunti proseguivano ancora a lungo dopo quella cancellatura. La mancata collaborazione di Asgore doveva essere probabilmente stato il punto fermo che aveva fatto desistere Gaster e abbandonare quegli studi, ma solo dopo averli condotti per un certo periodo di tempo.
Riprese a leggere.
 
EX S REGISTRAZIONE 008: Necessito urgentemente di soggetti su cui condurre i primi test, collaborativi e disposti ad essere tenuti sotto costante osservazione. Risultati concreti dovranno essere raggiunti al più presto e debitamente registrati.
Aggiornamento: nessun soggetto disponibile. Soluzioni drastiche dovranno essere impiegate.
 
Le volute della sua magia tremolarono inquiete dopo quell’ultimo rigo e Sans fu costretto ad interrompere momentaneamente la lettura per calmarle e tornare a farle sprigionare fluidamente dal suo occhio, l’azzurro che gli accarezzava l’osso dell’arcata sopraccigliare per poi sfumare e dissolversi nella nebbiolina. Erano solo parole nero su bianco, non c’era niente di cui dovesse preoccuparsi o da cui mettersi in guardia... ma da certi istinti, dopotutto, non ci si può mai separare.
 
EX S REGISTRAZIONE 009: Due soggetti disponibili, a cui d’ora in avanti mi riferirò con le denominazioni Soggetto 1 e Soggetto 2. Le sperimentazioni possono avere inizio come da programma.
Legame stabilito e nessuna complicazione durante i primi minuti successivi al legame. La prima fase è andata a buon fine. Nessun cambiamento visibile nello stato fisico e mentale di entrambi i soggetti. Maggiore tempo sarà necessario per verificare i cambiamenti che il legame porterà in un immediato, o lontano futuro.
 
EX S REGISTRAZIONE 010: Chiari segni dimostrano che il legame è in costante sviluppo persino quando le anime di Soggetto 1 e Soggetto 2 non sono in contatto. A distanza di pochi giorni, si è rafforzato incredibilmente lo scambio di percezioni emotive, sempre attivo da ambedue le parti.
Forti percezioni emotive negative sembra si trasmettono, per il momento, con maggior facilità rispetto a percezioni emotive positive. Forse, la carente sensibilità emotiva di Soggetto 2 non consente di fornire dati sufficientemente certi e oggettivi, dunque Soggetto 2 potrebbe essere in grado di meglio percepire solo ciò con cui è più familiare, ovvero percezioni emotive meno confortanti. Non è comunque da escludere che questa mia ipotesi potrebbe rivelarsi errata.
Lo scambio di percezioni emotive non sembra tuttavia migliorare o affliggere direttamente il benessere mentale dei soggetti. È come se entrambi i soggetti potessero ‘osservare’ le emozioni altrui, senza poter prendervi parte. Mi chiedo se questo scambio potrebbe portare ad un graduale fondersi delle loro percezioni emotive, al punto che una linea di demarcazione tra le emozioni di Soggetto 1 e Soggetto 2 si annullerebbe.
 
Si ritrovò a stirare leggermente un angolo della smorfia assorta con cui aveva fino ad allora letto quell’ultimo paragrafo. Tipico di quel megalomane trattare e catalogare le emozioni altrui come un esperimento in provetta, sottovalutandone l’estrema importanza e il danno che potevano recare, se maneggiate e distorte da qualcuno che non aveva il minimo scrupolo nel farlo, qualcuno di insensibile, cinico, carente in qualsiasi forma di empatia. Di certo, Gaster non ci aveva pensato due volte ad eliminare quella parola, mh?
 
EX S REGISTRAZIONE 011: Tentato il primo contatto tra anime dopo la formazione del legame. Soggetto 2 ha potuto accedere ai ricordi di Soggetto 1, ma solamente dopo aver ottenuto il consenso di Soggetto 1. Confermata l’ipotesi dell’esistenza di questo aspetto del legame, grazie a cui ho accertato l’attendibilità delle fonti da cui ho attinto fino ad ora le mie informazioni.
Ho notato, inoltre, che lo scambio di percezioni emotive è largamente più stabile ed efficace rispetto a quando i due soggetti sono ‘separati’, maggiori sfumature emotive possono essere colte se le due anime entrano in contatto.
 
EX S REGISTRAZIONE 015: Soggetto 2 ha tentato la modifica di ricordi basilari di Soggetto 1-
 
Che cosa intendeva adesso con ‘ricordi basilari’?
Con la sua anima nel petto scossa da un brivido di timore, Sans riprese immediatamente il filo per sapere cosa diavolo avesse ancora combinato quel pazzo.
 
…così da non rischiare un danno di grossa portata nella memoria di Soggetto 1. Per il momento, la memoria di Soggetto 1 non ha avuto ripercussioni visibili e il soggetto non dimostra di ricordare l’avvenuto modificarsi delle sue memorie, né tantomeno di poter ripristinare i ricordi modificati al loro stato originale.
Le mie sperimentazioni su questo aspetto del legame dovranno essere ridotte al minimo indispensabile per evitare lo sconvolgimento della memoria di Soggetto 1.
 
Sans rilasciò un sospiro innervosito. Nessun accenno a quali ricordi avesse modificato, nemmeno nel paragrafo successivo, ovviamente. Sembrava pensarle tutte in anticipo, com’era possibile?
 
EX S REGISTRAZIONE 017: A distanza di ventidue giorni dall’instaurarsi del legame, lo scambio di percezioni emotive è sempre più elevato. Soggetto 1 sembra mostrare ora segni di lieve sconforto di fronte alle percezioni emotive negative di Soggetto 2. Questo sviluppo va contro le mie precedenti previsioni e mi chiedo se sia possibile sospendere momentaneamente o permanentemente lo scambio di percezioni, o addirittura interromperlo all’occorrenza.
Sono ormai certo che i ricordi sono facilmente trasferibili. Potrebbe essere dunque possibile trasferire materiali di differente natura?
 
EX S REGISTRAZIONE 018: Tentato un trasferimento di sola magia dall’organismo di Soggetto 2 all’organismo di Soggetto 1. Soggetto 1 ha accolto adeguatamente la magia estranea offertagli, ma nessuna abilità è stata ereditata da Soggetto 1, poiché la magia che ha ricevuto ha costituito per lui semplice magia supplementare. La permanenza all’interno del suo organismo della magia supplementare ha, di conseguenza, avuto termine quando ne ha fatto direttamente uso.
Se si tentasse un trasferimento di magia direttamente nell’anima di Soggetto 1, Soggetto 1 potrebbe ereditare permanentemente abilità proprie di Soggetto 2? Funzionerebbe con qualsiasi mostro, indipendentemente dalla sua specie?
Sul piano emotivo, Soggetto 1 mostra visibile afflizione sconforto venendo di recente esposto con sempre maggiore frequenza alle percezioni emotive negative di Soggetto 2. Dovrò ricercare un metodo per arginare questo problema impellente.
 
EX S REGISTRAZIONE 022: Tentativo di trasferimento di magia dall’anima di Soggetto 2 all’anima di Soggetto 1 avvenuto con successo. Soggetto 1 ha acquisito abilità di Soggetto 2 non appena la sua anima si è adattata all’introduzione della magia estranea, il risultato che speravo di ottenere. Nessuna ripercussione al momento visibile.
 
Trasferimento di magia… nell’anima di…? Era così che...?
 
EX S REGISTRAZIONE 023: Soggetto 1 lamenta dolori persistenti a distanza di sole tre ore dal trasferimento. Ho provato a somministrargli qualche antidolorifico, ho fiducia nel fatto che la situazione si stabilizzerà a breve.
 
“ E invece, come da manuale… ” Pensò sarcasticamente Sans, roteando per un istante gli occhi.
 
EX S REGISTRAZIONE 024: Le condizioni di Soggetto 1 non migliorano a distanza di cinque ore dal trasferimento. Il suo malessere sembra peggiorare sta peggiorando. Il fatto che la magia di Soggetto 2 è contaminata da DT sta, forse, determinando questa reazione di rigetto da parte dell’anima di Soggetto 1?
Una cura deve essere trovata al più presto immediatamente.
Ho commesso un errore.
 
EX S REGISTRAZIONE 025: Cancellato dalla memoria di Soggetto 1 il ricordo dell’instaurarsi del legame e ogni ricordo direttamente o indirettamente collegato al legame.
Legame interrotto.
Le condizioni di Soggetto 1 si sono stabilizzate gradualmente, non essendo più la sua anima costantemente rifornita dalla magia contaminata di Soggetto 1 persino in assenza di contatto tra le due anime. La magia che ha ricevuto da Soggetto 2 persiste tuttavia all’interno della sua anima, così come le nuove abilità acquisite.
Sarebbe possibile un trasferimento di DT pura tramite il legame, ora che l’anima di Soggetto 1 sembra essersi adattata alla presenza della magia contaminata di DT di Soggetto 2? Non verificabile.
Mi serviranno nuovi soggetti su cui condurre ulteriori sperimentazioni, evitando fallimenti indesiderati.
 
Una leggera smorfia fece allora capolino sul volto di Sans. Bene, Gaster quantomeno aveva ipotizzato la possibilità di un trasferimento di Determinazione tramite la Sintonia prima di interrompere il legame, ma non aveva potuto verificare se fosse effettivamente possibile e quali conseguenze avrebbe potuto avere.
La cosa non lo consolava per nulla ma, basandosi su ciò che aveva letto, poteva tranquillamente arrivare a delle supposizioni da solo.
Nel caso del trasferimento di ‘magia contaminata da Determinazione’, Gaster aveva riportato il sorgere di complicazioni all’incirca tre ore dopo il trasferimento. Beh, lui aveva ricevuto solo Determinazione dalla piccola ed erano passate ben più di tre ore da allora. Inoltre, non sentiva di star ricevendo costantemente altre dosi di Determinazione dall’anima di Frisk persino ora che non stavano avendo un contatto, come gli appunti attestavano… forse, il fatto che le anime degli umani e le anime dei mostri erano differenti e non compatibili in circostanze normali, gli stava facendo da scudo da quell’effetto collaterale tanto dannoso, dovuto probabilmente ad un sovraccarico di Determinazione? O per quella ragione, o per un’altra non di sua conoscenza, non cambiava il fatto che stavano entrambi bene e che nessuno dei due aveva riportato alcun tipo di danno.
Trasse un sospiro di sollievo, rilassando un poco la sua postura nervosamente tesa. Se le sue supposizioni erano corrette, lui e la piccola non avrebbero corso alcun rischio ripetendo quell’operazione in futuro. Una preoccupazione in meno, per fortuna.
 
EX S REGISTRAZIONE 026: L’interruzione del legame sembra essere solo apparente. Soggetto 2 ne percepisce distintamente la sua ancora attiva presenza, dimostrando che il legame è davvero difficile da cancellare. Potrebbe, dunque, essere ristabilito in qualunque momento? Soggetto 2 potrebbe avere ancora qualche potere su Soggetto 1, sui suoi ricordi e percezioni emotive ? L’ipotesi non sembra essere al momento plausibile, tuttavia nemmeno scartabile date le circostanze sfavorevoli per confermarla appropriatamente.
 
EX S REGISTRAZIONE 029: Nessun soggetto ancora disponibile per nuove sperimentazioni. Nell’attesa di trovare altri volontari, ho formulato nuove teorie che attendono una conferma, o una smentita.
Ad esempio, quanti legami potrebbe intrattenere singolarmente con più individui un soggetto soltanto? C’è un limite effettivo? Due individui legati allo stesso soggetto potrebbero, a loro volta, avere un qualche genere di legame impercettibile proprio grazie al soggetto con cui hanno in comune il legame? Potrebbero influenzarsi a vicenda, pur non essendo direttamente legati?
 
Sans strizzò gli occhi, rileggendo quell’ultimo paragrafo con una fervente attenzione, prima di passare subito alla nota successiva, sperando con tutto sé stesso di ricevere una risposta a quegli interrogativi che Gaster si era posto.
 
EX S REGISTRAZIONE 030: Nessun potenziale e concreto utilizzo del legame per beneficiare il regno scoperto e/o verificato. Il legame non può costituire un mezzo per infrangere la barriera, né sembra possa essere utilizzato come risorsa in una futura guerra contro gli umani.
Ricerca interrotta.
 
Ricerca interrotta… come aveva dapprima temuto, gli appunti si concludevano lì.
Sbuffando leggermente attraverso il naso, placò le volute di magia che ancora stavano danzando all’interno della sua orbita sinistra, prima di strofinarsi quel lato del volto con una mano, cercando di riordinare tutte le nuove informazioni che aveva recuperato, di assimilarle il più possibile e pensare di conseguenza.
Avrebbe dovuto essere più cauto in futuro ogni qualvolta adoperava la Sintonia, c’erano aspetti di quel legame di cui non aveva mai saputo l’esistenza prima di leggere quegli appunti e altri possibili aspetti di cui nemmeno Gaster sapeva l’esistenza. Non c’era assolutamente da rischiare, anche un piccolo errore di valutazione avrebbe potuto essere fatale e quelle annotazioni glielo avevano fatto ben comprendere. Non doveva sottovalutare nulla, nemmeno il più piccolo accenno di anomalia.
Abbassò la mano dal proprio volto, lasciando vagare lo sguardo sui fogli che reggeva ancora in quella opposta. Doveva rimetterli nella loro collocazione originale, perché non aveva idea se Alphys sarebbe entrata in tempi recenti nell’archivio del laboratorio. Meglio non lasciare in giro tracce del suo passaggio, o la scienziata si sarebbe decisamente insospettita e non ci avrebbe impiegato più di qualche secondo per realizzare che qualcuno aveva rovistato tra quelle vecchie registrazioni.
Quando percepì tempo e spazio piegarsi e distorcersi intorno a lui e avvolgerlo, fu ben felice di imboccare la scorciatoia per casa e lasciarsi alle spalle il laboratorio sotterraneo.
Non doveva sottovalutare nulla d’ora in poi.
Nulla. 






Sameko's side
Qui Sameko che sgattaiola fuori dagli antri dell'inferno in cui si era rifugiata, passo! ^^"
Scusate tantissimo se sono sparita per un po', ho passato tutto lo scorso mese su questo capitolo soltanto, posso dire che fino ad ora è stato in assoluto il più difficile da scrivere di tutta la fanfiction... beh, c'erano sviluppi importanti in ambedue le parti in cui è diviso, quindi non potevo prendermela tanto comoda, in effetti. Per risolvere la mia situazione di stallo, ho chiesto infatti ad un mio amico di farmi cortesemente da beta reader e il suo aiuto è stato davvero fondamentale ( grazie senpai, sei sempre il migliore <3 ). Suo è anche il titolo di questo sedicesimo capitolo, perché ero in crisi persino lì. Tutti i crediti a lui perché, altrimenti, avrei dovuto spostare la data di pubblicazione ancora più in là. v.v
Con questo aggiornamento, posso infine annunciare la fine del secondo arco narrativo della storia. Alleluia, ragazzi, ce l'abbiamo fatta! Da parte mia, sono carichissima per iniziare il prossimo, spero quindi di riuscire a portarvi il capitolo 17 in tempi ragionevoli. :D
Buona serata a tutti voi!
Baci!!

Sameko 

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17: Indipendenza ***



Capitolo 17: Indipendenza
 
 



Non si era proprio alzata di buon umore quella mattina, Chara. E, diversamente da come spesso le accadeva, era di gran lunga consapevole di quale fosse la causa di questa scontentezza che si era infine concretizzata, dopo giorni, nel quieto nervosismo che le aveva intaccato occhi e labbra… e quella causa era la fatica con cui Frisk, ormai da qualche tempo a quella parte, si trascinava praticamente giù dal letto e per buona parte della mattinata solo per fare un piacere a lei. E ogni volta che accadeva, nonostante quanto palesemente stanca stesse diventando ogni giornata trascorsa, Frisk non mancava mai di sorriderle, darle il buongiorno, benché i suoi occhi ambrati tradissero la difficoltà che l’alzarsi a quell’ora del mattino ( la solita, oltretutto ) le stava ponendo davanti. E Chara evitava sempre di guardare quel sorriso un poco forzato, per non farle intendere quanto disappunto avesse dentro di sé, quanto con antipatia i suoi pensieri finissero per dirigersi sempre verso lo scheletro, quello scheletro odioso che era il solo colpevole di quanto Frisk stava passando.
Era solo colpa sua se la sua amica più sincera e leale stava faticando in questo modo, tra l’aiutare lui, tra il frequentare le persone a lei più care, tra gli impegni a cui non voleva comunque rinunciare, tra la vita che Frisk desiderava vivere con tutta sé stessa… la stessa vita con cui, adesso, stava chiaramente faticando a tenere il passo, perché se un mostro poteva facilmente recuperare la magia perduta in combattimento o in altro genere di attività, quando si trattava di umani e determinazione il discorso era ben diverso. La determinazione non era così semplice da recuperare se perduta, sottratta, o ceduta in quel modo, Frisk ne era più che consapevole, ma lo scheletro… lo scheletro ovviamente non ne era consapevole, non poteva saperlo visto che non era un essere umano, né mai lo era stato in passato e… e non si era mai preso il disturbo di chiedere in queste ultime tre lunghe settimane. E come poteva anche solo sospettare di star facendo solo danni che altro, se non era certo lui quello che doveva costringersi a svegliare Frisk la mattina, se non era lui quello che doveva vederla un poco più esausta ogni volta. Dovevano per forza arrivare al punto in cui Frisk sarebbe rimasta paralizzata a letto per un giorno o due affinché quel sacco d’ossa si accorgesse che qualcosa non andava?!
 Per i suoi problemi, per i suoi stupidi problemi di cui non voleva parlare, quel maledetto stava rovinando la sua amica, perché non le erano mai sfuggiti gli sguardi così pensierosi e così vuoti con cui l'altra ragazzina sembrava perdersi talvolta nelle sue riflessioni – e avrebbe scommesso il suo maglione che, a volte, quei pensieri dovevano essere diretti a lui.
Stava cominciando ad odiarlo un pezzetto in più ogni qualvolta ne incrociava il passo, ma tutto quello che faceva era sopprimere quel pezzetto di odio e sentirsi più frustrata di prima subito dopo. Non voleva assolutamente ricadere in quel circolo vizioso che aveva fatto venir fuori la parte più bassa di lei, non se lo sarebbe permesso – non ora, non proprio ora che stava cercando di uscirne. Dio se voleva quello scheletro fuori dalla sua vita e da quella di Frisk, ma Frisk si preoccupava per lui e non gli avrebbe mai rifiutato il suo aiuto e lui… lui, in cambio, ancora le diceva di non dir nulla, Frisk diceva ancora a lei di non dir nulla e di essere paziente e lei non diceva nulla perché glielo diceva Frisk. Un circo di menzogne in pratica, di cui non avrebbe mai voluto far parte, ma in cui era stata tirata dentro a forza dalle circostanze.
E quella mattina, dopo averle scosso gentilmente la spalla e aver visto Frisk girarsi dall’altra parte e farfugliare incomprensibilmente, Chara la aveva lasciata dormire. Non lo aveva considerato un problema, da Undyne per l’allenamento ci sarebbe andata da sola e le avrebbe spiegato il motivo dietro l’assenza di Frisk senza scendere troppo nei dettagli.
Aveva scarabocchiato due righe su un foglio per avvisare Frisk della sua decisione, lo aveva poi posato sopra il maglione piegato della sua amica e aveva silenziosamente richiuso la porta della loro camera.
Stava scendendo le scale, diretta in cucina per fare colazione con latte, cioccolato e qualunque altro cibo digeribile avrebbe trovato in frigo, quando a metà strada vide una delle componenti della colazione che aveva pianificato sparire dentro la bocca del maggiore dei fratelli-scheletro, stravaccato comodamente sul divano mentre guardava la tv.
Come se avesse messo erroneamente i piedi su del cemento, Chara si immobilizzò sul posto, con la bocca ridotta ad un’implacabile sottile linea. E, prima di dire qualunque cosa, tese le orecchie per assicurarsi che fossero solo lei, Frisk e quello scheletro in casa. Niente rumori dalla cucina, Papyrus doveva essere già uscito per il suo turno di pattuglia prima della lezione di cucina con sua madre: via libera ( e nessun motivo, di conseguenza, per mantenere intatta la facciata dei buoni amici ).
« Il MIO cioccolato. » Sibilò a denti stretti, che strinse ulteriormente quando vide lo scheletro voltare un poco la testa in sua direzione, con un angolo della bocca piegato verso l’alto. Oh no, non lo aveva.dannatamente.fatto.
« Buon giorno anche a te, mezza cartuccia. »
Ignorando il nomignolo irritante, si avvicinò di due passi al mostro, le mani chiuse in due pugni rigidi.
« Ti sei mangiato il MIO cioccolato. » Insisté, piegandosi finché non fu a pochi centimetri dal volto sorridente del nano fastidioso. Quanto avrebbe voluto far sparire quel perenne sorriso a forza di fargli ingoiare i denti a suon di mazzate, perché quel maledetto sacco d’ossa si era appena mangiato il suo cioccolato, e stava mettendo in difficoltà Frisk e stava facendo esaurire lei e quello era il suo cioccolato-
« Strano, credevo fosse di tutti, visto che non c’era il tuo nome sopra. » Commentò sarcasticamente lui, controllando sulla carta che era servita da copertura per il dolce, come per assicurarsi che davvero non ci fosse qualche nome scritto a caratteri cubitali che aveva oh così sbadatamente tralasciato. « No, nessun nome infatti. »
Chara strinse gli occhi.
« ‘No’ lo dico io, sacco d'ossa. Era MIO e stop. »
« Oh, non fare tante storie, Chara. Mi è rimasto ancora qualcosa per te. » Disse lo scheletro, aprendo completamente la carta del cioccolato per rivelare, al suo interno, la presenza di un ultimo quadratino.
« Che.cos’è.quello? » Ringhiò, tra i denti, Chara.
« Come non sai cos’è? È del cioccoangolo. » Rispose il mostro, con uno stupore palesemente falso in volto e una strizzatina d'occhio.
La ragazzina occhieggiò il cubettino superstite e notò, parecchio stizzita, che quello era davvero uno dei quadratini che aveva fatto da angolo all’ormai ex tavoletta di cioccolato.
E poi… cioccoangolo? Cioccoangolo? Seriamente?
« Mi stai prendendo in giro? »
« Nah, mai stato più serio. » Replicò il ladro farabutto, scrollando leggermente le spalle. Ovvio che la stava prendendo in giro, ovvio che la stava prendendo in giro, e lei doveva darsi una calmata perché era solo dello stupido cioccolato. E fu ciò che fece, socchiudendo brevemente le palpebre e sospirando molto internamente. Era calma, era calma
« Vuoi favorire? »
Ma lo scheletro non poteva non stare zitto e così non ricordarle che lui era ancora lì, in attesa con quel suo sorriso dispettosamente largo e gli scarti che aveva ben pensato di lasciare per lei.
« No. » Sbottò, dandogli le spalle per dirigersi in cucina a bersi almeno quel bicchiere di latte come aveva pianificato dall’inizio, cercando di lasciarsi alle spalle gli stralci di fumante nervosismo che quel dispetto le aveva lasciato addosso.
« Ah, una cosa, Chara. » La chiamò ancora lo scheletro, ricevendo in cambio un’occhiataccia di fuoco.
« Che vuoi ancora? »
Il sorriso che il buono a nulla le rivolse mentre parlava assomigliava più ad un sogghigno soddisfatto che ad un vero sorriso.
« Volevo solo avvisarti che, questo, era per le mie patatine. »
Chara aggrottò leggermente la fronte. Ma… quel tipo era dannatamente serio? Era per due patatine che aveva mangiato settimane prima che le aveva fatto un simile dispetto? Davvero?*
Sa che anche il tuo era stato un dispetto, gli sussurrò la sua stessa testa.
“ Certo, ma stavo anche morendo di fame per colpa di Papyrus. Ero più che giustificata. ” Pensò con un velo di irritazione, mentre si infilava in cucina. E ciò non cancellava il fatto che quella zucca vuota stava diventando sempre più ingestibile con i suoi scherzetti irritanti – e alcuni erano scherzi, ma altri erano palesi dispetti per lo più ingiustificati dal suo punto di vista, che lei non poteva assolutamente accettare passivamente. E non importava quanto Frisk avesse tentato di armonizzare le cose tra loro due, lei e quel sacco d’ossa non erano fatti per andare d’accordo, non ora, né tra un milione di anni. Oh, ma questo dispetto in particolare non sarebbe rimasto impunito. Nessuno mangiava il SUO cioccolato senza permesso e la passava liscia in maniera tanto eclatante.
“ Aspetta solo che arrivi alle tue scorte di ketchup o di qualunque disgustosa salsina ingurgiti, commediante. Vedremo chi riderà per ultimo allora-”
« Frisk sta ancora dormendo? »
Chara si fermò sull’uscio della cucina a quella domanda, posta con un tono che voleva e le sarebbe sembrato casuale, se solo non avesse percepito quella piccola inflessione che era chiaro segno di una celata preoccupazione. E non avrebbe potuto certo percepirla se fosse stata all’oscuro di tutto, tanto quello scheletro aveva ben modulato la voce per nascondergliela.
La sorpresa iniziale sul suo viso venne presto sostituita dal risentimento. Oh, solo adesso che era palese che Frisk non stava bene si interessava, mh?
Fu solo quando fu certa di aver represso quel nuovo germogliare di irritazione che si voltò a guardarlo. Aveva già percepito cosa c’era nella sua voce; adesso, invece, voleva vedere cosa c’era sul suo volto... e cosa poteva esserci, se non un sorriso che tradiva tutto tranne quello che era sicura di aver udito?
Chara non poté evitarsi di aggrottare le sopracciglia, perché quel tipo era… spiazzante. Persino ora che aveva saputo esattamente cosa aspettarsi era stata presa in contropiede... forse perché aveva sperato sotto sotto – ma davvero sotto – in qualcosa di diverso. Ma quell’inutile sacco d’ossa si era ancora una volta dimostrato la patetica, assurda faccia di bronzo che era davvero, abile nel nascondersi dietro a maschere che, una volta rivelate, erano solo cartapesta inconsistente. Ottimo lavoro come al solito.
« Sì. » Replicò infine, tra i denti. « E lasciala dormire. »
Che poteva anche essere interpretato nella sua mente come un ‘Non azzardarti ad entrare in camera nostra, o userò il tuo cranio come tazza per la colazione’. Ma lo scheletro non aveva bisogno di saperlo e, tutto sommato, era abbastanza intelligente per intuire da solo l'avvertimento implicito sotto le sue parole.
« Hai appena avvertito il mostro sbagliato, nanerottola. » Le replicò lui, con una mezza risata. « Chi meglio di me rispetta simili esigenze? »
Chara roteò apertamente gli occhi senza aggiungere altro, così da non ricevere un'altra risposta da quel bradipo pezzente e finire invischiata in una conversazione che non voleva portare avanti.
Meglio chiuderla lì finché era ancora in tempo.
 
 
« Bene, Papyrus, cosa ti piacerebbe cucinare oggi? »
Sorriso socievole e di una bontà equiparabile solamente a quella dei dolci che preparava, Toriel si era ripresentata anche quel giorno per dargli le sue sempre attese lezioni di cucina al posto di Undyne, impegnata in quell’ultimo periodo nell’addestramento delle piccole e nei suoi primi passi come fidanzata modello. Non che a Papyrus dispiacesse quella sana aria di novità, anzi, era stato così su di giri durante l’attesa della venuta di Toriel che era stato suo fratello a doversi sorbire tutto il suo incontenibile entusiasmo fino a poco prima di uscire di casa per il suo turno di lavoro ( chissà se avrebbe lavorato davvero, quel pigrone ). Ma era, in fondo, solo un modo di dire. Sapeva fin troppo bene quanto Sans adorasse vederlo così felice e quanto, allo stesso modo, lui stesso adorasse vedere suo fratello partecipe e interessato di tanto in tanto.
« Spaghetti ovviamente, signora del portone! » Rispose, aiutandola nel frattempo a sistemare gli ingredienti sul tavolo.
Il suo trafficare venne tuttavia interrotto dal ridacchiare intenerito di Toriel, a cui Papyrus guardò con un sorriso incerto.
« Certo, caro, ma io ho chiesto cosa piacerebbe cucinare a te, non cosa gli altri vorrebbero che tu cucinassi. »  Specificò l’ex regina, ricevendo una nuova occhiata perplessa dallo scheletro.
« A me piace cucinare ciò che so i miei amici gradirebbero mangiare… » Replicò, con una voce non intenzionalmente tendente al mormorare.
« E ai tuoi amici non piacerebbe mangiare ciò che sei felice di cucinare per loro? » Gli chiese Toriel, con un solidale, comprensivo incoraggiamento nel suo tono di voce. Sentirla parlare era come bere del latte caldo e zuccherino che riscaldava l’anima, e parole espresse con un simile riguardo meritavano di essere prese davvero in considerazione.
« Sicuramente, signora. »
« In tal caso, proviamo di nuovo. » Lo incitò lei, con un breve occhiolino. « Cosa ti piacerebbe cucinare oggi, Papyrus? »
Papyrus sorrise con rinnovato fervore ma, per rispondere alla domanda della sua mentore, dovette legittimamente rifletterci sopra qualche secondo. Doveva ammettere che il suo repertorio di ricette non era poi così vasto, ma se c’era un tipo di vivanda che aveva sempre adorato cucinare prima degli spaghetti, beh, quelle erano certamente le lasagne.
« Posso affermare, con una percentuale di insicurezza pari a zero, di voler preparare un buon piatto di lasagne, se lei non ha nulla in contrario! Nye heh! » Rispose, trovandosi nel frattempo in una silenziosa difficoltà nel cercare di ricordare l’ultima volta che le aveva preparate – certo non era stato recentemente, visto quanto la sua memoria lo stava miseramente tradendo.
L’intero muso caprino di Toriel si illuminò udendo la sua risposta allegra e spensierata.
« Ottimo! Mettiamoci all’opera, allora! »
L’esortazione così traboccante di sincero entusiasmo dell’ex regina gli scaldò immediatamente l’anima nella cassa toracica. Adesso, comprendeva alla perfezione perché suo fratello voleva così tanto bene a quella vivace signora, essere insieme a lei era come avere una madre senza età sempre nei paraggi e pronta ad ascoltare ogni tuo bisogno con uno sguardo perennemente appassionato. Non potevi praticamente fare a meno della sua compagnia una volta che la conoscevi!
Papyrus non riusciva nemmeno ad esprimere a parole quanto in questi ultimi giorni si sentisse felice e temeva che, a breve, avrebbero cominciato a fargli male gli zigomi a forza di sorridere così tanto! Da quando le loro ospiti erano entrate a far parte della sua fantastica seppure piccola famiglia composta solo da lui e suo fratello, casa loro non era mai stata più vuota. Tante cose memorabili erano accadute da allora: due fantastiche amiche si erano aggiunte alla sua cerchia di amicizie, aveva una nuova insegnante che non aveva nulla da invidiare ad Undyne, aveva persino incontrato Mettaton, il suo idolo, e Sans… Sans non era cambiato un granché a dire il vero, era rimasto sempre pigro e quasi impossibile da tollerare quando in modalità battutacce-a-raffica… ma, se meglio ci pensava, qualcosa era cambiato anche con suo fratello e non… tanto in positivo. Ultimamente, lo aveva visto molto più esausto del solito durante il giorno e, nonostante alcune mattine le sue condizioni sembravano avere un miglioramento, Papyrus credeva fermamente che quella stanchezza così a volte evidente sul volto di suo fratello derivasse da una mancanza di riposo. E quando Sans non dormiva, solitamente, qualcosa lo stava preoccupando. E avrebbe voluto con tutto sé stesso capire cosa fosse esattamente quel qualcosa, ma suo fratello era davvero difficile da far aprire, con la testa dura che dimostrava poi di avere a volte!
Quanto avrebbe tanto voluto prenderlo da parte in alcune occasioni, guardarlo negli occhi e dirgli chiaramente in faccia Non sono più un bambino, Sans!. Tuttavia, sapeva fin troppo bene che avrebbe ferito entrambi se lo avesse fatto, perché Sans voleva solo il suo bene, lo aveva sempre voluto… ma anche lui voleva e aveva sempre voluto il bene di suo fratello maggiore. E non poteva più lasciar correre su certe questioni, era ormai uno scheletro adulto a tutti gli effetti e doveva far sì che anche Sans vedesse e accettasse ciò, che capisse che poteva essergli davvero d’aiuto ora che sapeva finalmente badare a sé stesso.
Per il momento, comunque, chiedere consiglio a qualcuno gli sembrava la strada migliore da percorrere per un primo, vero confronto con suo fratello… e chi meglio della sua compagna di battute tanto pessime da far rizzare i capelli poteva aiutarlo? Se c’era qualcuno che conosceva suo fratello almeno la metà di quanto lo conosceva lui, quella era sicuramente la signora del portone!
« Signora, mi permette di scambiare due parole con lei? » Esordì, rivolgendosi a lei con tono perfettamente educato.
Toriel lo guardò divertita con la coda dell’occhio, tirandosi su le maniche della tunica come era sua abitudine fare, un gesto che assumeva agli occhi dello scheletro un’aria di ormai conosciuta ritualità.
« Caro, chiamami pure Toriel o Tori, se può aiutare a sentirti più a tuo agio. » Gli disse Toriel, intanto che deponeva sul tavolo della cucina gli ingredienti necessari per le loro lasagne, con il suo ben più che volenteroso aiuto. « Di cosa desideri parlare? »
Papyrus, contento della sua disponibilità, decise di optare per ‘Toriel’ nel momento in cui riprese parola.
« Mi servirebbe un consiglio da parte sua, Toriel. Vede, mio fratello è un po’ giù di corda di questi giorni e vorrei parlargli senza farlo mettere immediatamente sulla difensiva… » Si ritrovò a distogliere inconsapevolmente lo sguardo nell’aggiungere la frase successiva. « Se capisce cosa intendo… »
La sua insegnante inclinò un poco il capo, una delle orecchie che sfiorava la guancia ricoperta di soffice peluria bianca, l’altra che dondolava da un lato.
« Sans non si sente bene, Papyrus? »
« Non… proprio. » Replicò con un margine di riluttanza lui, non volendo spiegarle nel dettaglio ma, d’altro canto, rifiutandosi anche di mentirle. « È un po’ affaticato, questo sì. »
La preoccupazione sul muso di Toriel si sciolse in un tiepido sorriso impensierito.
« Le piccole vi stanno dando troppo da fare? »
« Tutto il contrario! Siamo felicissimi io e mio fratello di averle qua in casa! » Ribatté immediatamente Papyrus, con occhi raggianti. « Spero che siano felici anche loro di stare con noi, a tal proposito. »
« Oh, di questo non ti devi preoccupare, mi sembrano più che entusiaste della loro attuale sistemazione. » Lo rassicurò l’ex regina. « Frisk non potrebbe adorarvi più di così, Chara si sta ancora abituando a voi, ma… come dire, ha solamente bisogno di una spintarella bella decisa per partire in quarta. »
Papyrus assentì vigorosamente con il capo davanti al movimento del gomito della sua insegnante, atto chiaramente a sottolineare il concetto di ‘spinta’ di cui gli aveva appena accennato. Un suo obiettivo futuro sarebbe sicuramente stato far ambientare con quanta più naturalezza possibile la più grande delle due piccole e si sarebbe naturalmente impegnato al massimo delle sue capacità per avere successo.
« In ogni caso, Papyrus... per il tuo consiglio… » Proseguì Toriel, con un’espressione seria ma non al punto da metterlo sgraditamente sulle spine. « Il dialogo è ciò che sta alla base delle relazioni più sane ed equilibrate. Dunque, ti suggerisco di provare a parlargli con calma, scegliendo con cura il momento giusto per farlo. Assicurati di non forzare troppo la mano, ma non lasciarti nemmeno respingere, mi raccomando. Se c’è qualcosa che pensi non stia andando per il verso giusto, è meglio che tu ti tolga ogni dubbio. »
Papyrus le sorrise grato per quelle dritte, che poteva mettere in pratica facilmente e senza particolari grattacapi. Spesso, non servivano soluzioni così intricate per risolvere un problema, pochi semplici accorgimenti potevano essere di gran lunga sufficienti.
« Grazie molte, Toriel. »
« Di nulla, caro. » Rispose lei, strizzando un occhio. « Orsù, se non hai altre domande, è tempo di preparare queste deliziose lasagne! »
Papyrus ridacchiò a cuor decisamente più leggero, confidando nel fatto che grazie ai consigli della sua insegnante se la sarebbe cavata benissimo con suo fratello. Trovare il momento più opportuno per parlargli sarebbe stata, praticamente, la parte più difficile. Cosa poteva andare storto?
A quel punto, alzò energicamente verso l’alto uno dei due mattarelli che avevano a disposizione, preso come sempre da una smania incontenibile ogni qualvolta si metteva ai fornelli in compagnia di qualcun altro.
« Sono emozionato al solo pensiero di cominciare, mia preziosa mentore! »
 
 
C’era un obiettivo in particolare che Undyne si era prefissata di farle raggiungere appena dopo la prima settimana di allenamento, spesa principalmente nel perfezionare il suo controllo sulla magia dello scheletro e migliorare la sua resistenza fisica. E questo obiettivo consisteva, primariamente, nel padroneggiare i tratti caratteristici solo della sua magia, piuttosto che quelli che aveva ereditato dal commediante. Questo aveva implicato l’esclusione di tutti gli attacchi che comprendevano l’utilizzo di ossa e quant’altro, per bensì favorire quelli che Undyne chiamava i suoi ‘punti di forza’ ancora acerbi, che Chara aveva poi scoperto essere delle abilità solamente sue comparse in seguito all’adattarsi della magia dello scheletro alla sua anima. Nonostante quelle positive aggiunte e quel passo in più che aveva fatto nel meglio conoscere il suo nuovo corpo, aveva tuttavia scoperto che c’erano abilità che non aveva ereditato da Sans, come la magia blu ad esempio, ed altre invece che poteva utilizzare con la massima parsimonia, come quella specie di teletrasporto o i suoi cannoni.
Con l’aiuto di Undyne, non ci aveva impiegato molto ad individuare quelle sue nuove abilità caratteristiche, consistenti nell’assorbimento della magia dell’avversario, immagazzinamento della stessa ed espulsione nei modi che più preferiva, e a mettere a punto esercizi che la avrebbero aiutata a svilupparle.
Purtroppo, seppur con l’allenamento la sua resistenza in combattimento stava migliorando, il problema dell’instabilità della sua anima ancora persisteva e la costringeva ad interrompere i suoi esercizi nel momento in cui sentiva quel dolore pungente e familiare serpeggiarle dentro. Chara era ogni volta frustrata da quelle interruzioni, ma mai le era passato per la testa il pensiero di continuare e spingere il suo corpo oltre un limite che, per ora, non poteva prevaricare. Rischiare un collasso della sua anima per cinque minuti di esercizio in più non valeva certamente la pena.
« Assorbi ancora la magia dalla lancia, forza! » La incoraggiò per l’ennesima volta Undyne, seduta a gambe incrociate davanti a lei, mani sopra le ginocchia e guardo attento nell’osservare i passaggi che aveva ripetuto almeno dieci volte quella mattina dopo il loro solito riscaldamento.
Chara annuì e raccolse da terra la nuova lancia che la guerriera aveva materializzato per lei, inspirando ed espirando per ristabilizzare il respiro, così da facilitare la sua concentrazione.
Strinse l’asta tra le dita di entrambe le mani, focalizzando gran parte della sua magia nei polpastrelli, allo scopo di individuare la frequenza a cui scorreva quella di cui era composta la lancia. Una volta che l’ebbe correttamente identificata e adattato la sua magia a quella frequenza, iniziò la fase dell’assorbimento.
Il successivo pizzicore nei suoi polpastrelli le indicò che, per il momento, aveva eseguito ogni passaggio correttamente.
« Fatto… ci sono. » Dichiarò lei, quando percepì la magia che aveva assorbito agitarsi in modo ormai familiare all’interno delle sue mani, segno che ne aveva prelevata a sufficienza.
« Bene. Ora, rilasciala! » Le diede il segnale Undyne, stringendo energicamente un pugno.
Ricevuto il comando, Chara tornò nuovamente a concentrarsi sull’esercizio. Il passo seguente era incanalare nuovamente la sua magia e quella in aggiunta di Undyne nelle sue dita, per poi rilasciarla nella lancia. Affinché l’esercizio venisse completato con successo, la lancia avrebbe dovuto frantumarsi del tutto, come quando aveva fatto uso di questa abilità inavvertitamente per proteggere Frisk, quella volta durante il suo primo incontro con Undyne. In quell'occasione, era stato l'istinto a guidarla nell'utilizzo di quella risorsa, e Chara aveva presto scoperto che eseguire consapevolmente quella sequenza di azioni era, di gran lunga, più complicato. Non sempre, quindi, riusciva a portare a termine l’esercizio con un esito positivo e questo tentativo in particolare si rivelò un parziale insuccesso. La lancia, infatti, si sbriciolò in frammenti solo limitatamente e restò quasi del tutto integra fra le sue mani luminescenti di magia vermiglia.
Chara emise un gemito seccato davanti al risultato scadente che ottenne. Le doveva mancare la concentrazione necessaria oggi, oppure la giusta calma per manipolare efficacemente la magia, ma non intendeva per questo darsi per vinta.
« Riproviamoci. » Disse, sperando di vedere l’approvazione che desiderava nello sguardo di Undyne. Tuttavia, la guerriera sembrava essere di tutt’altro avviso in quel momento.
« Nah, basta così, teppista. È il momento di fare una pausa. » Le rispose Undyne, sgranchendosi le braccia e il collo mentre si alzava.
« Posso ancora continuare. » Affermò sicura, in un vano sforzo di convincere la sua maestra a non interrompere l’allenamento proprio adesso, ma Undyne fu irremovibile.
« Ripetimi la seconda regola che ho stabilito. »
Chara roteò leggermente gli occhi di fronte al modo con cui Undyne posizionò le mani sui fianchi.
« ‘L’allenamento non termina finché non sarà il coach a deciderlo personalmente’. »
« Esatto. » Confermò la guerriera. « Di conseguenza, se decido che è il momento di fare una pausa, allora, una pausa si farà. E NON si discute! »
« Sissignora... » Replicò la ragazzina, con tono monocorde.
Undyne sciolse quindi la sua postura imperiosa e, senza preavviso, le avvolse un braccio intorno al collo, stritolandola affettuosamente contro la sua anca. Chara sentì ogni traccia d’aria scomparire istantaneamente dai suoi polmoni.
« Non tenere il muso, pesciolina! È bene fare una pausa ogni tanto quando ci si allena, altrimenti si rischia di ottenere più fallimenti che successi! Parlo per esperienza! »
« U-UGH… U-Undyne… n-non respir… o… » Rantolò Chara, le dita strette intorno al polso della donna-pesce nel disperato tentativo di farle allentare la presa letale intorno al suo collo.
Tempo un secondo e si ritrovò col sedere a terra, frastornata come ogni volta dalle eccessive dimostrazioni di affetto della sua maestra. C’erano voluti giorni e stritolate su stritolate perché arrivasse a comprendere che quelle erano effettivamente dimostrazioni di affetto – e non tentati omicidi in piena regola come aveva pensato per pochi, folli secondi la prima volta che aveva subìto una di quelle strette massacranti –, ma dubitava si sarebbe abituata tanto presto ad un carattere così esuberante. Non che non ci stesse provando s’intende, Undyne le piaceva in fondo, era tosta, intraprendente, coraggiosa, e stare in sua compagnia era generalmente piacevole per lei. Tra tutti gli amici bizzarri di Frisk, Undyne era stata la prima ad andarle a genio, forse perché avevano in comune lo stesso amore per l'esercizio fisico, o forse perché le era parsa di tutt’altro livello rispetto a chiunque altro già alla prima occhiata, o per diverse altre ragioni ancora di cui non era a conoscenza. Nonostante non avesse tutt’ora ben chiara in mente la natura del loro attuale relazionarsi, né tantomeno se considerare quell’indomita guerriera un’alleata, una mentore, o un’amica, si rendeva conto che l’intesa che si stava costruendo tra di loro aveva le giuste potenzialità per divenire, un giorno, più di una semplice intesa.
Afferrò la mano che Undyne tese verso di lei e la sfruttò per rimettersi maldestramente in piedi.
« Sai, dovresti proprio migliorare il tuo equilibrio. » Considerò scherzosamente la guerriera, battendole una pacca sulla schiena, sorprendentemente leggera considerati i suoi standard.
Chara la fissò con un sopracciglio alzato.
« Già, il mio equilibrio. » Bofonchiò, facendo ridacchiare l’altra.
« Su, seguimi dentro, pesciolina. » La spronò Undyne, poggiandole una mano sulla spalla. « Ti offro da bere. »
Chara guardò il sorriso disponibile della sua maestra con una velata incertezza. Non che l’idea di entrare in casa di Undyne la mettesse a disagio ( lo aveva già fatto in passato, d'altronde ). A renderla insicura era, infatti, la mancanza dell’elemento che aveva contraddistinto tutte le sue passate visite: Frisk. Non aveva mai passato del tempo da sola con Undyne all’infuori degli allenamenti e temeva che avrebbe finito con il rovinare un qualsiasi tentativo di conversazione.
Il sorriso di Undyne si appianò lentamente in mancanza di una risposta da parte sua.
« Ehi, ho detto qualcosa di sbagliato? » Le domandò, inclinando la testa, la coda di cavallo sventolò leggermente alle sue spalle.
Chara fu lesta a scuotere il capo, per far sparire qualsiasi traccia di insicurezza dal suo viso.
« No… anzi, mi farebbe piacere bere qualcosa. »
Le zanne di Undyne tornarono in bella vista quando la guerriera le sorrise nuovamente.
« Ottimo! Non perdiamo tempo, allora! »
Una pacca sulla schiena e un altro lamento più tardi, Chara si lasciò accompagnare fino alla casa ora di nuovo abitabile di Undyne, sopravvissuta all’incendio culinario causato dalla loro prima e ultima lezione di cucina, risalente al loro secondo giorno di permanenza in quella linea temporale.
La padrona di casa la fece accomodare a tavola e, presa dal suo frigorifero una lattina, gliela passò, accingendosi poi a tirarne fuori un’altra per sé.
« Spero non ti dispiaccia bere roba confezionata… la mia speciale bibita energizzante al lime è ancora, purtroppo, un work in progress. » Le disse la donna-pesce, chiudendo l’anta del frigorifero e poggiandosi contro il bancone della cucina.
« La assaggerò solo quando sarai assolutamente certa che non sia cancerogena. » Rispose Chara, mentre sollevava la linguetta della lattina per aprirla.
Undyne ridacchiò della sua ‘battuta’ e la ragazzina si sentì incoraggiata da quella reazione nell’accennare, a sua volta, un vago sorriso.
« Abbi pazienza, non sono per nulla tagliata per la cucina! » Ribatté la sua maestra, portandosi la lattina già aperta alle labbra.
« So chi devo ringraziare ora per i… manicaretti- « E, qui, Chara sentì distintamente il suo stomaco contorcersi in nodi indistricabili. « -che Papyrus cucinava per noi. »
Undyne sputò inorridita da bocca e naso il sorso di bevanda che era stata sul punto di ingoiare.
« Voi… per quanto tempo avete mangiato quelle cose? » Domandò, la voce ridotta quasi ad un sussurro.
« Tre giorni, più o meno, ma sta migliorando notevolmente grazie a Toriel. » Replicò Chara, astenendosi dall’usare appellativi compromettenti in presenza di Undyne. In verità, non le risultava particolarmente difficile usare ‘Toriel’ invece di ‘mamma’ o ‘madre’ quando si trovava in pubblico, considerato che per molti anni Toriel non era stata ‘mamma’ nella sua testa, ma molte altre definizioni poco carine. Il difficile era stato, infatti, pronunciare nuovamente quegli appellativi nel privato senza che suonassero sbagliati alle sue stesse orecchie.
« Fiuuu, per fortuna. Mi sarei sentita molto in colpa se una di voi due fosse stata male a causa mia. » Sospirò Undyne, asciugandosi il sudore freddo dalla fronte e gli schizzi di bibita con esso. « A parte quel plantigrade di suo fratello, non credo ci sia nessuno in grado di resistere a lungo ai suoi spaghetti. Suppongo che la mancanza di organi abbia pur sempre i suoi vantaggi. »
Alla sola menzione di Sans, Chara piegò le labbra in una smorfia che non passò inosservata alla padrona di casa.
« C’è qualcosa che non va? » Le chiese Undyne.
« Sì… » Mormorò Chara, non volendo aggiungere altro, poiché si rendeva conto che confessare di essere di cattivo umore perché qualcuno aveva messo le mani sul tuo cibo preferito era un po’ infantile ( dettagli che, sul momento, aveva visto la cosa come un grave affronto al suo onore ). E non poteva certo rivelare l'altra ragione per cui nominare quel nome era quanto di più sgradito potesse esserci in quel momento per lei.
« C’entra Sans? Ti ha fatto qualche dispetto? » Le domandò Undyne, alzando il sopracciglio dell’occhio buono, interessata e allo stesso tempo comprensiva nel suo atteggiamento.
Chara annuì, ma questo non bastò a placare le domande della guerriera.
« Che ha combinato? »
« Nulla. »
« Non me la stai raccontando giusta. »
« No, davvero, non è importante… »
Undyne arricciò leggermente le labbra in una smorfia, messa ancora più in risalto dal contemporaneo incresparsi delle scaglie sul suo volto.
« Insisto per saperlo comunque. » Disse, prendendo un altro sorso dalla lattina.
Chara sospirò, arrendevole. Tanto valeva dirglielo, prima che la sua maestra decidesse di organizzare una gita a casa dei fratelli solo per cantargliene quattro al nullafacente. Non voleva fare la figura della bambina che andava a chiamare un adulto per risolvere i suoi problemi, o quello scheletro le avrebbe riso in faccia per tutta la vita.
« Si è mangiato il mio cioccolato… e solo perché sapeva che mi avrebbe infastidito. » Mormorò, rompendo il contatto visivo con Undyne subito dopo. Non voleva vedere lo scherno farsi strada nell’occhio dell’altra.
Nella voce rassicurante della guerriera, tuttavia, non avvertì non una traccia dello scherno che si era aspettata di udire.
« Mh. Penserò a qualcosa con cui tu possa ripagarlo con la stessa moneta. »
« Tranquilla. Non è necessario. » Replicò Chara, muovendo su e giù la linguetta della lattina, il mento appoggiato sopra il palmo della mano. « Mi arrangerò da sola. »
Undyne vuotò la lattina con un solo sorso, la schiacciò contemporaneamente dall’alto e dal basso con i palmi, per posarla infine sul bancone alle sue spalle.
« Ci penserò in ogni caso. » Disse, sedendosi dall’altra parte del tavolo, di fronte a lei. « Qualcuno deve pur vendicare le nostre povere orecchie e la tua cioccolata. »
Chara sorrise leggermente per quel pizzico di ironia nella voce di Undyne, prima di decidersi a finire finalmente anche la sua bibita.
Proprio mentre stava per mettere da parte la lattina ormai vuota, Undyne riprese a parlare.
« C’è una domanda che mi frulla da un pezzo in testa e, sarò onesta, riguarda te. » Confessò, passandosi una mano tra le ciocche del ciuffo che le copriva parzialmente la benda.
La ragazzina aggrottò le sopracciglia, chiedendosi cosa potesse mai voler sapere Undyne da lei – parecchie cose probabilmente e troppe perché Chara potesse selezionarne una in particolare.
« Anche io ho una domanda. » Dichiarò, incrociando le braccia sopra al tavolo.
« Perfetto! A turno ci porremo ognuna la propria domanda. » Sorrise il Capitano della Guardia, appoggiandosi contro lo schienale della schiena. « Comincio io? »
La giovane assentì col capo, non avendo nulla in contrario ad andare per seconda.
La pupilla stretta e nera di Undyne divenne ferma come quella di un serpente e, complice forse l’assenza dell’altro occhio, il suo sguardo sembrò raggiungere un grado d’intensità che Chara conosceva bene: prima, durante e dopo un combattimento, Undyne aveva sempre quel particolare tipo di sguardo, che raccontava la concentrazione e la determinazione di una combattente eterna come il fuoco della guerra che le scorreva nelle vene.
« Chi sei, esattamente? » Le venne chiesto, infine.
Chara, doveva ammetterlo, si trovò davanti ad una domanda abbastanza spinosa. Chi era lei? Lei era tante persone, lei era tanti pensieri, lei era due razze differenti mescolate in una. Non sapeva se avrebbe potuto darle una risposta soddisfacente.
« Sono… un’amica di Frisk, credo. » Rispose, non nascondendo la sua insicurezza nel dare quella risposta.
Undyne inclinò leggermente la testa da un lato, una scintilla di curiosità nello sguardo.
« È evidente che non hai le idee ben chiare e, onestamente, era quello che sospettavo. » Considerò, socchiudendo pensierosa l’occhio. « Ma, visto che l’hai nominata, allora Frisk può essere un punto importante da cui partire per avere le nostre risposte. »
« Che intendi dire? » Domandò, perplessa, Chara.
Undyne tornò a guardarla con le zanne scoperte in un lieve sorriso.
« Tra tutte le cose che potevi dirmi, hai scelto di dirmi che sei un’amica di una persona per te speciale. È una risposta già di per sé apprezzabile. Ho visto quanto le vuoi bene e quanto tu sei disposta a spingerti oltre ogni tuo limite per lei, anche rischiando la vita. » La guerriera distolse un poco lo sguardo dopo aver chiuso brevemente bocca, una luce strana, di riconoscimento forse, nel suo occhio. « Devo confessarlo, mi ricordi un po’ me stessa. »
In quel momento, a Chara parve di rivedere davanti a sé la Undyne in fin di vita della linea temporale precedente, quella che aveva urlato al mondo la sua determinazione, il suo rifiuto di morire e la sua volontà di mettere in salvo l’Underground dalle grinfie dell’umano che stava devastando la loro razza. Per il suo popolo, per i suoi amici, Undyne in quell’occasione aveva dato tutta sé stessa e anche oltre, una cosa che Chara si stava rendendo conto di ammirare forse più delle doti combattive della guerriera. In quella nobiltà, in quella forza, in quella determinazione, anche la giovane pareva quasi di riconoscere sé stessa.
« Stai dicendo che… io e te siamo più simili di quanto crediamo? » Azzardò.
« In un certo senso. » Rispose Undyne. « Vedila così: io, come ben sai, sono la paladina e la protettrice del regno e tu, come me ma su scala più ridotta, sei la paladina e la protettrice della piccola girina. Potrebbe essere questa la risposta che cerchiamo. »
Chara annuì lentamente.
« Sì… potrebbe. » Sussurrò. L’idea non le dispiaceva, in fondo, e combaciava perfettamente con i suoi pensieri, sentimenti e obiettivi attuali. In un certo senso, era quella l’immagine mentale di sé che si era creata inconsciamente da quando Frisk le aveva offerto la redenzione e la possibilità di essere di nuovo felice. Non aveva fatto altro che proteggerla da allora, a volte sbagliando, a volte no, ma l’intenzione era sempre stata una: non permettere che niente le facesse del male. E sì… forse, era davvero la ‘paladina e la protettrice della piccola girina', per quanto stucchevole suonasse quel titolo. « Grazie, Undyne. »
« Prego, pesciolina. È importante sapere chi siamo ora, per sapere chi vorremo essere in futuro. Soprattutto per te, che sei ancora così giovane. » Le rispose la guerriera, strizzandole l’occhio. « È il tuo turno, mi sembra. Sotto con la tua domanda! »
Chara strabuzzò leggermente gli occhi, non aspettandosi che il momento di soddisfare i suoi interrogativi sarebbe arrivato tanto presto. In realtà, non aveva una, ma ben due domande da porle, ma la seconda era destinata a non vedere mai la luce, a causa della natura stessa della domanda: chiedere di una trasformazione avvenuta in una situazione pressoché disperata, di cui l’interessata stessa poteva non essere a conoscenza, sarebbe stata una mossa francamente stupida.
« Volevo sapere… come hai perso il tuo occhio. » Disse, dopo aver scelto con cura le parole più adatte e dirette, curandosi nel frattempo di valutare ogni reazione, anche se minuscola, da parte della sua maestra.
Undyne restò in silenzio per un secondo denso di evidenti pensieri, prima di far intravedere le zanne in un sorriso mesto.
« È stato molti anni fa, quando ero ancora una pesciolina molto più piccola di te. Un altro umano come Frisk era caduto quaggiù e, beh, diciamo che la voce si era sparsa abbastanza velocemente in tutto il regno, fino ad arrivare a me. » Il sorriso della guerriera assunse, allora, una sfumatura imbarazzata. « Ero una vera testa calda a quei tempi, la più forte della mia classe e, forse, anche dell’intera scuola. Andavo fiera di questa mia qualità, già allora avevo deciso che la avrei usata per fare del bene una volta divenuta adulta. L’arrivo di quell’umano mi offrì un’occasione perfetta per dimostrare il mio valore e il mio coraggio. Mi convinsi che, se fossi riuscita a sconfiggerlo da sola, avrei avuto un posto assicurato nella Guardia Reale appena raggiunta la maggiore età. »
« Mi misi immediatamente sulle sue tracce e le mie ricerche diedero i frutti sperati. Davanti a me, avevo uno degli esseri che erano stati in grado di rinchiuderci per sempre qui, pronto a tutto esattamente come lo ero! » Undyne a quel punto si fermò e l’enfasi nel suo tono sparì quando riprese a parlare. « Ma, ripensandoci, forse l’unica ad essere pronta a tutto ero io. Non sapevo nemmeno che fosse un bambino esattamente come me, probabilmente impaurito e sotto shock. Lo attaccai senza pensarci, senza sapere che quella che si portava dietro fosse un’arma e… BANG! » Esclamò la guerriera, mimando con le dita la canna di una pistola. « Ricordo ancora quel rumore come se fosse ieri. Ci fu buio e dolore da lì in poi, finché non mi svegliai qualche ora più tardi. Avevo perso l’occhio ormai, nemmeno una magia curativa aveva potuto rimediare ad un danno tanto grave… ma, insomma, ero già stata fortunata a sopravvivere per raccontarlo, non potevo certo lamentarmi più di tanto. »
Chara rimuginò qualche secondo sul racconto che aveva appena ascoltato. Non era stupita dal fatto che Undyne non avesse riconosciuto una pistola per quello che era, i mostri erano rimasti per così tanto tempo isolati dagli umani che era comprensibile non avessero conoscenza di armi che sulla superficie, invece, erano diventate sfortunatamente parte di un distorto concetto di normalità. Il dettaglio che invece non le quadrava era un altro.
« Come hai fatto a sopravvivere? Qualcuno ti ha aiutata? » Chiese, alzando un sopracciglio. Per quanto i mostri fossero fisicamente più resistenti degli esseri umani, era abbastanza certa che neppure loro potevano sopravvivere ad un proiettile sparato direttamente nel cranio.
La guerriera annuì, come se si aspettasse una domanda del genere.
« Sì, qualcuno mi ha aiutata… non ti so dire di più però, non ricordo neppure che faccia avesse! » Rise di gola Undyne, spezzando l’aria tesa che si era venuta a creare durante il suo racconto. « Ma, chiunque fosse, gli sono comunque immensamente grata. Senza il suo aiuto, questa conversazione non sarebbe nemmeno mai avvenuta. »
Lo sguardo di Undyne assunse una sfumatura nostalgica a malapena percepibile e, nonostante non avesse immediatamente identificato quell’emozione, Chara era stata comunque in grado di intravederla nell’occhio della sua maestra.
« Quindi… è per questo che hai cominciato ad aiutare Asgore a raccogliere le anime umane? Per… il tuo occhio? » Domandò, cautamente.
« Beh… non proprio direi. » Replicò Undyne, passandosi con un lieve nervosismo una mano dietro al collo. « Occuparsi di dare la caccia agli umani è solo un compito secondario che mi compete… non se ne vedevano da un bel po’ e tu e la girina siete stati i primi che ho avuto occasione di affrontare in un vero combattimento, in verità. L’avversione che ho avuto dopo quell’incidente nei confronti degli esseri umani non è ciò che mi ha spinta a diventare Capitano della Guardia Reale. »
« Ma… Asgore non può averle recuperate tutte da solo, no? » Ribatté a quel punto Chara, stringendo inconsapevolmente i pugni contro la superficie del tavolo. « Deve essere stato aiutato… e se non sei stata tu… »
« Uhm… a quanto ne so, qualcuno di simile c’è stato alcuni anni fa. » Replicò la guerriera, portandosi una mano contro il mento, le unghie che grattavano leggermente la pelle squamosa. « Si parlava in giro di una specie di cacciatore di umani… ma, onestamente, non ho mai visto di persona questo fantomatico personaggio. Ai tempi in cui sono diventata Capitano della Guardia Reale, dare la caccia agli umani era già divenuto parte integrante dei doveri a cui dovevo assolvere. Magari era solo una diceria messa in giro da qualche fanatico. »
Chara annuì, con più rigidità nel collo di quanto volesse ammettere. Un cacciatore di umani, mh? Avrebbe dovuto immaginare l’esistenza di un mostro simile, suo padre in fondo non sarebbe stato capace di uccidere ben sei umani dopo aver allevato lei come una figlia… o, almeno, non da solo.
Fu Undyne a rompere il silenzio e a distrarla da quei suoi ragionamenti.
« Toglimi una curiosità, pesciolina. Sei un umano, o una nuova specie di mostro? »
Chara sospirò internamente. Immaginava che qualcuno le avrebbe fatto quella domanda prima o poi e, nel caso questa evenienza si fosse manifestata, aveva preventivamente deciso che si sarebbe tenuta per sé la verità, per tutelare sé stessa e Frisk. Tuttavia, con Undyne si sentiva abbastanza tranquilla per dar via qualche accenno di informazione.
« Ero umana ma, ora, suppongo di essere un misto di tutti e due. » Replicò, mostrandosi non intenzionata ad aggiungere altri particolari che avrebbero solamente portato a domande a cui non intendeva dar risposta.
« Fammi indovinare… è una storia che mi racconterai un’altra volta? » Disse Undyne, alzando genuinamente divertita un angolo delle labbra.
Chara annuì, ma non voleva prometterle nulla. Troppo rischioso raccontare cose che appartenevano al passato e che era meglio restassero segrete.
« Grazie comunque per aver chiarito la cosa. Alphys stava uscendo pazza in questi giorni per capire se tu fossi un caso di mutazione naturale, o qualche strano essere creato artificialmente! »
« Metti in chiaro con lei che non le farò da cavia né ora, né mai. » Replicò la ragazzina, volendo evitare di essere il prossimo caso di Amalgamate chiuso in un vecchio laboratorio sotterraneo. Dio se aveva brutti ricordi di quei… ‘cosi’?
« Sarà fatto. » Le assicurò Undyne, ridacchiando. « Beh, se abbiamo finito, io riprenderei l’allenamento, adesso. » Suggerì poi, schiacciando anche la lattina di Chara fra le mani e rialzando lo sguardo verso la giovane, con un sorriso fiducioso. « Se ti impegnerai a dovere – e sono sicura che lo farai – potrebbe esserci una sorpresa per te quando finiremo. »
Chara le rivolse uno sguardo interrogativo.
« Ovvero? »
« Lo vedrai. » Le rispose con aria misteriosa la sua maestra, circondandole amichevolmente le spalle con un braccio muscoloso. « E sono pronta a scommettere che ti piacerà! »
 
 
Fu verso mezzogiorno che terminò la sua sessione di allenamento con Undyne e, grazie al barcaiolo giù al fiume, era per fortuna riuscita a tornare in tempo per il pranzo a Snowdin, i cui abitanti si erano abituati velocemente alla presenza sua e di Frisk. Come fosse possibile che nessuno di loro le avesse ancora riconosciute come esseri umani restava inspiegabile, ma certo era che venivano ormai trattate come membri integranti di una comunità solidale e non come estranei, o forestieri. Nemmeno nei suoi sogni più irrealistici Chara si sarebbe mai immaginata di ricevere e dover ricambiare saluti mentre camminava per strada, figuriamoci di essere benvoluta da così tante – troppe – persone. Ma era rinfrescante per lei vedere per una volta espressioni socievoli, invece di sguardi sospettosi e diffidenti. Il rimorso di aver pensato un tempo di cancellare queste creature così gentili tornava a volte a tormentarla e dubitava che se ne sarebbe andato via tanto presto, ma ad esso si aggiungeva ora anche il sollievo che nulla di tutto questo era sparito per mano sua. No, questo luogo di pace era rimasto intatto, intoccato, e aveva potuto offrirle una ragione di vita. Le era occorso un po’ di tempo per trovarla, oltre che una lista infinita di errori vergognosi… ma, alla fine, Chara sentiva di aver finalmente trovato il suo posto in un mondo che pareva accettarla.
Entrò in casa – la sua casa – annunciando il suo ritorno con un Sono tornata, a cui gli altri occupanti dell’abitazione risposero con saluti più o meno entusiasti.
Frisk, con l’aria di una che si era alzata da poco a giudicare dai capelli spettinati e dallo sguardo un poco disattento, era seduta a tavola con Sans, ad attendere l’arrivo del pranzo cucinato come sempre da Papyrus.
Chara si sedette al suo solito posto di fianco a Frisk e davanti a Sans e non le sfuggì l’assenza quasi completa di rumori provenienti dalla cucina. Sua madre stava davvero facendo un lavoro miracoloso con Papyrus.
« Come è andata? » Le domandò Frisk, non appena si fu seduta.
« Bene. Non posso lamentarmi. » Rispose, accennando un sorriso.
Frisk annuì, contenta per lei, prima di abbassare leggermente lo sguardo.
« Mi dispiace di non essere venuta con te… »
Chara sentì, in quel momento, una lieve irritazione premere insistentemente agli angoli delle sue labbra – e non per causa di Frisk, mai per Frisk, ma a causa dell’ormai noto e vero responsabile di tutto – ma il fatto che la sua amica si sia sentita in dovere di scusarsi per lei, per una cosa su cui non aveva controllo, le fu utile per scacciare via quell’improvvisa irritazione e sostituirla con della genuina premura.
« Non fa nulla. Era giusto lasciarti dormire un po’ di più se ti sentivi stanca. » Disse e vide la sua amica rilassarsi visibilmente contro lo schienale della sedia. Spostò poi lo sguardo su quel burlone di uno scheletro, fin troppo tranquillo e quieto per i suoi gusti. Sembrava toccare a lei il compito di dare una smossa alla sua esistenza priva di stimoli e atta solamente a causare danni. « Commediante. Ho una comunicazione per te da Undyne. »
Lo scheletro alzò un’arcata sopraccigliare, voltando il capo in sua direzione.
« Mh? »
Interpretando quel suono svogliato come uno spunto per continuare, Chara infilò una mano nella tasca dei pantaloni, estraendo il foglio piegato in quattro che Undyne le aveva consegnato ad allenamento terminato. Per la prima volta, la ragazzina si ritrovò a dover contenere un sorriso, invece di uno sbuffo o una smorfia.
Lo distese sul tavolo, alzandolo poi per mostrarlo allo scheletro.
« Che cos’è? » Chiese Frisk, sporgendosi di lato per guardare, nel frattempo che l’espressione di Sans si faceva sempre più accigliata.
« È una disposizione ufficiale da parte del Capitano della Guardia Reale. » Le spiegò la maggiore. « In seguito alla sua recente mancanza di serietà durante i suoi turni di lavoro, Undyne ha deciso che Sans dovrà coprire tutti i turni in qualità di sentinella e pattuglia della giornata di domani, dal mattino presto fino all’orario di cena. » Si girò di nuovo verso il commediante, con un sorrisetto a malapena contenuto. « Inoltre, mi ha detto di comunicarti che non accetta proteste di alcun tipo. »
Sans spostò lentamente lo sguardo dal foglio, facendo capolino da dietro il documento con un sorriso a mezze palpebre.
« Bello scherzo, mostriciattola. Ammetto di esserci quasi cascato. » Disse, con una breve ma pungente risata.
Chara alzò un angolo delle labbra, oltre che entrambe le sopracciglia, in un’espressione tanto, davvero tanto compiaciuta.
« Esamina pure il foglio, se non mi credi. E, se anche allora sarai ancora convinto che sia uno scherzo, sei libero di bighellonare come al solito, ma a tuo rischio e pericolo. »
« Accetto la sfida, Chara. » Replicò lui, poggiando la testa sopra il palmo della mano sinistra. « Permettimi, però, di chiamare in causa un esperto per l’esaminazione del tuo presunto documento. »
La ragazzina appoggiò la schiena contro lo schienale della sedia, incrociando con nonchalance le braccia.
« Fai pure. »
Lo scheletro credeva di essere furbo, di dover sempre avere lui l’ultima parola su scherzi e battute, ed era una convinzione probabilmente fondata… ma non avrebbe avuto l’ultima parola in questo particolare caso, dove lo scherzo non c’era fin dall’inizio.
Papyrus venne richiamato dalla cucina dal fratello maggiore e, quando gli fu consegnato fra le mani guantate il documento, si mise immediatamente all’opera per trovare il minimo segno di contraffazione.
Dopo due minuti di silenzio, Papyrus diede il suo responso.
« Beh, Sans, non puoi dire che non ti avevo avvertito. Il Grande Papyrus ha perso il conto di quante volte ti aveva spronato a fare del tuo meglio sul lavoro. Ora, è bene che tu affronti le conseguenze della tua pigrizia! »
« Mi stai dicendo che è autentico? » Domandò attonito Sans, il suo sorriso si sfaldò come neve al sole.
« Precisamente e assolutamente! » Rispose Papyrus, alzando solenne un dito.
Fu con un sorrisetto soddisfatto che Chara assaporò lo sguardo sbigottito di Sans, crogiolandosi in una nuova sensazione di completezza. Non avrebbe mai pensato che incastrare per bene quello scheletro sarebbe stato così appagante – e dire che non era nemmeno stata lei ad insistere per portare a termine quel piano fin dal principio, ma proprio Undyne. Doveva ammetterlo, l’essere allievi del Capitano della Guardia Reale aveva i suoi cospicui vantaggi, dopotutto.
« Non ti sembra un tantino esagerato? » Le bisbigliò sottovoce Frisk, accostandosi al suo orecchio.
« Non molto. Impegnarsi seriamente per una volta gli farà bene, testuali parole di Undyne. » Replicò Chara, cercando nel mentre di rendere meno evidente il suo compiacimento. Undyne sarebbe stata contenta di conoscere tutti i dettagli della scena quando, l’indomani, si sarebbero riviste.
In quel momento, Papyrus si schiarì la voce per richiamare l’attenzione di tutti i presenti.
« Caro fratello e care ospiti, quest’oggi ho il piacere di presentarvi una mia nuova e speciale creazione! » Annunciò e il suo sorriso era una vera esplosione di entusiasmo. « Riprendete posto a tavola e preparatevi a rifarvi gli occhi! »
Appena Papyrus si fu allontanato per ritornare in cucina, Chara lasciò che un aperto sogghigno affiorasse sulle sue labbra, mentre Sans era colui che, per una volta, le stava scoccando un’occhiataccia seccata. Doveva prendere l’abitudine di essere un po’ lei quella ad avere il coltello dalla parte del manico in quella guerra di passiva aggressione, se le soddisfazioni che derivavano da una momentanea vittoria erano così memorabili.
Papyrus tornò dalla cucina dopo qualche secondo e depose al centro del tavolo apparecchiato un vassoio sormontato da un coperchio a cupola.
Chara, come forse chiunque altro, si preparò mentalmente e fisicamente per qualunque piatto le sarebbe stato presto presentato davanti, probabilmente una variante dei suoi famosi spaghetti se doveva tirare ad indovinare.
Creando una suspence che sarebbe stata ben accompagnata da un rullo di tamburi, Papyrus sollevò il coperchio dal vassoio.
E Chara alzò un sopracciglio.
« Lasagne? »
Il minore dei fratelli-scheletro annuì felicemente.
« Esatto! Toriel mi ha spronato a dare una seconda chance a questa favolosa tipologia di pasta, apportando alcune significative modifiche nella ricetta! » Chiarì, allargando un braccio come se fosse l’orgoglioso testimonial di una campagna pubblicitaria. Il suo sorriso, però, si abbassò di tono a distanza di pochi secondi. « Ma, se non sono di vostro gradimento, sarò ben lieto di tornare alle vecchie tradizioni! »
« Siamo contenti di vedere che stai imparando tante cose nuove invece, Papy. » Intervenne Frisk, con un sorriso positivamente entusiasta in viso. « Non vediamo l’ora di assaggiarle! »
« Lo penso anch’io... » Concordò spontaneamente Chara, guadagnandosi così l’attenzione di Papyrus, intento a guardarla come se cercasse di ricevere del sincero apprezzamento persino da lei. La ragazzina si stupì di ciò, ma decise che rivolgergli un sorriso pieno per una volta, invece che mezzi sorrisi smorti, non poteva far troppo male a quello scheletro iperattivo.
E capì di averlo sorpreso con quel gesto quando vide una meraviglia piena e vivace inondare i suoi occhietti neri. E non si pentì di aver rivolto quel tipo di sorriso anche a Papyrus, invece di riservare quel privilegio solo a Frisk.
« Se posso dire la mia, manca sempre quel tocco di ketchup che lo renderebbe ancora più speciale. » Si fece infine sentire il commento di Sans, che pareva essersi ripreso per ora dal trauma che gli aveva causato.
Meraviglia ed entusiasmo vennero immediatamente soppiantati da irritazione e indignazione sul volto di Papyrus.
« URGH, sei sempre il solito, Sans! » Si lamentò lo scheletro più alto, mettendosi le mani tra i suoi metaforici capelli, suscitando in tal modo il riso di entrambe le ragazzine.
Era questa la quotidianità a cui Chara si sentiva oramai legata e a cui per nulla al mondo avrebbe mai rinunciato. Perché vivere non è solo sentire dolore; vivere è anche sentirsi bene insieme agli altri, nonostante i loro e i tuoi difetti.
 

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Note: 
* "Importante avvenimento" risalente al capitolo 7. Dubito seriamente che qualcuno se lo ricordi a questo punto della storia.




Sameko's side
Ciao a tutti ed eccoci qui, come al solito, in questo piccolo spazietto dopo un capitolo pressocché interminabile vi prego, ditemi che avete fatto una pausa durante la lettura, o continuerò a sentirmi in colpa. Oh, ribadisco anche qui che tra il capitolo 16 e il capitolo 17 c'è un salto avanti nel tempo di più di due settimane, nel caso a qualcuno fosse sfuggito! ^^
Personalmente, ho adorato scrivere questo capitolo e mostrare finalmente a voi qualche concreto miglioramento con Chara ( oltre che qualche peggioramento in altri settori, eh ) e uno spaccato della sua nascente amicizia con Undyne. :) 
Piccola curiosità, il POV di Papyrus era originariamente inserito nello scorso capitolo, ma per questioni di lunghezza ho preferito spostarlo in questo aggiornamento ( ed è stato un serio caso di ora, o mai più XD ). 
Infine, ho una notizia non tanto piacevole da dare: causa impegni scolastici, non aggiornerò la fanfiction se non dopo la fine della scuola. Vi chiedo quindi di avere pazienza, purtroppo non riesco proprio ad aggiornare regolarmente in questo periodo. Faccio inoltre i miei migliori auguri a chi, studente come me, si trova nella mia stessa situazione. :) 
Devo scappare ora!!
Alla prossima e baci!

Sameko
 
 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18: Priorità ***



Capitolo 18: Priorità




 
Per quanto ci avesse provato e stesse continuando a provarci, non riusciva a ricordare l’ultima volta in cui si era sentito così demotivato e distrutto ancora prima di uscire di casa; e il suo tentare di ricordare quell’ultima volta era davvero di poca importanza se niente – assolutamente niente – avrebbe potuto evitargli di dover passare un intero giorno a sgobbare come un mulo ( tutto grazie all’improbabile alleanza instauratasi tra la marmocchia e Undyne ). Avrebbe finito con lo strisciare a terra entro fine giornata, ne era certo, e avrebbe dovuto chiedere a Frisk di rimetterlo in sesto se voleva continuare a tirare avanti e non destare sospetti. Sperava di riuscire ad incontrare la piccola a casa di Undyne almeno per l’ora di pranzo, magari per farsi dare una sistemata abbastanza per reggere fino a sera...
Appena quel pensiero gli aveva sfiorato la mente, Sans non perse tempo a scacciarlo via con veemenza. No, doveva sforzarsi di cavarsela da solo, non poteva sempre accollare a Frisk una simile responsabilità – non gli piaceva doverlo fare quando era necessario, figuriamoci quando poteva risparmiarselo.
Sbuffando per la fatica, si appoggiò con l’avanbraccio contro il muro esterno della sua casa, che aveva finalmente raggiunto dopo un’ora e passa di camminata nella neve, dal portone a Snowdin. Di usare le scorciatoie non se ne parlava, richiedevano un enorme dispendio di energie da parte sua, energie che al momento non poteva spendere e nemmeno recuperare con un sonnellino... e poi, Undyne lo aveva esplicitamente avvertito che avrebbe controllato i nastri delle telecamere a fine giornata.  Avrebbe sempre potuto corrompere Alphys e fare il lavativo come al solito, ma… ecco... era un po’ a corto di collezioni deluxe di qualche anime che sarebbe potuto piacere ad Alphys e la discarica ne era attualmente sprovvista ( era già andato a controllare personalmente per assicurarsene ).
“ Grazie tante, nanerottola. ” Pensò rivolto a Chara, con un ultimo sbuffo. “ Mille grazie.
Oltre ad essere a corto di praticamente qualunque cosa, era anche disperatamente a corto di respiro.
Tirò su la schiena, alzando la testa e inspirando profondamente. Per ora, avrebbe continuato. Ce la poteva fare, poteva sopravvivere ancora tre quarti di giornata in queste condizioni. Non poteva essere così difficile.
« Stai di nuovo oziando durante il tuo turno di lavoro, Sans? »
Non gli occorse voltarsi per sapere che suo fratello gli aveva posto quella domanda con la sua classica posa a braccia severamente conserte, ma l’accenno di esasperato divertimento nella sua voce lo rassicurò del fatto che Papyrus, per fortuna, non era di umore intransigente.
Fu rapido Sans a sostituire la sua smorfia affaticata con il suo altrettanto classico sorriso, mentre si voltava per salutare l’altro scheletro, sforzandosi di tenere sotto controllo il suo stesso respiro.
« Ok, mi hai beccato, Paps. » Si arrese scherzosamente, abbassando una palpebra e allargando le braccia. « Non farai la spia con il tuo fratellone, vero? »
Papyrus scosse la testa con palese rimprovero.
« Te la sei cavata solo per questa volta, fratello. » Replicò fermamente, ma non passò molto tempo prima che la sua espressione inflessibile cominciasse ad addolcirsi. « E, proprio per evitare che Undyne ti impartisca una lezione ancora più dura, ho deciso che ti accompagnerò personalmente durante i tuoi turni, assicurandomi che tu svolga con diligenza il tuo lavoro! »
Sans si sentì gelare un poco all’altezza delle scapole nell’udire le intenzioni dell'altro scheletro.
« Ma, Paps, e i rompicapi? Li hai già tutti ricalibrati? » Domandò quindi, sperando in una risposta negativa. Normalmente, non gli sarebbe dispiaciuto trascorrere con suo fratello così tanto tempo assieme ma, con le circostanze attuali, avrebbe preferito scontare quella sottospecie di punizione da solo, piuttosto che in compagnia.
« Certamente, Sans! Tutti ricalibrati, i tuoi compresi! L’unico impegno rimasto nella mia agenda personale è salvaguardare il mio fratello maggiore dai richiami insistenti della pigrizia! » Rispose Papyrus, le mani poggiate orgogliosamente sui fianchi. « E, te lo giuro sulla nostra parentela, il Grande Papyrus non le permetterà di avere la meglio su di te! »
Sospirò internamente Sans, consapevole che trovare una scappatoia dall’entusiasmo di suo fratello sarebbe stato pressoché impossibile senza farlo insospettire, non quando Papyrus si atteggiava in quel modo.
Rinfilò le mani in tasca per darsi un’aria rilassata, stirando il suo sorriso più che poté per trasmettere tutto tranne che il suo disagio corrente.
« So già che non avrò nulla di cui preoccuparmi con te, Paps. »
Papyrus gli sorrise, gli angoli dei suoi occhi si raggrinzirono leggermente, e  a Sans dispiacque aver dovuto forzare un sorriso, quando invece avrebbe voluto rivolgergliene uno altrettanto sincero. Ma era stanco, era davvero stanco dentro e fuori e non poteva fare di più purtroppo… neanche per suo fratello.
« E sarà esattamente così! » Gli rispose Papyrus, incitandolo a mettersi in marcia verso Waterfall, poggiandogli una mano guantata sulla spalla.
Durante il tragitto, l’esuberanza di suo fratello servì poco per allontanare i suoi pensieri densi di silenziose scuse. Gli dispiaceva vedere Papyrus così pieno di vita come sempre mentre lui, al contrario, si ritrovava incapace di apprezzare quei momenti che avrebbero dovuto essere spensierati per entrambi, non per uno soltanto di loro due. E si rendeva conto che stava praticamente regalando a Gaster un potere assurdamente enorme ogni volta che quei pensieri lo toccavano, permettendo che le azioni di quel diabolico essere arrivassero a condizionare così tanti aspetti della sua vita. Non poteva fare nulla per impedirlo ora, ma presto… presto avrebbe trovato una soluzione, doveva solo continuare a provare.
Sperava che almeno Papyrus stesse godendo della vista che le caverne di Waterfall offrivano – dal modo in cui camminava e parlava con il suo solito trasporto, aveva pochi dubbi a riguardo. Tuttavia, le sue certezze vennero meno quando, nella zona delle paludi dove i Fiori dell’Eco crescevano più rigogliosi che mai e le acque rilucevano d’azzurro, Papyrus gli pose una domanda che non lo aveva più sentito esprimere da molto tempo.
« Sans, possiamo parlare? »
Sans, a quel punto, aveva fissato la schiena di suo fratello con una lieve costernazione, che era estremamente consapevole di aver lasciato comparire sul suo volto.
Ogni traccia di quell’emozione sparì dai suoi lineamenti non appena suo fratello minore si voltò in sua direzione, con un’espressione impensierita, di rara serietà.
Sans non capiva. Fino a pochi minuti prima, gli era sembrato così felice, così normale… di punto in bianco ora, questa domanda e questo lieve cipiglio avevano sostituito l’euforia e il sorriso spontaneo che erano propri di suo fratello.
« Certo, Paps. Sai benissimo che puoi parlarmi di qualunque cosa tu voglia in qualunque momento. »
« Anche di te, per esempio? » Gli domandò immediatamente Papyrus, come se avesse saputo fin dall’inizio che sarebbe stata quella la sua risposta.
Sans scacciò via quella sensazione e fece del suo meglio per nascondere la sua impreparazione di fronte a quella nuova domanda.
« Sì… anche di me. » Rispose, col tono più disponibile del suo repertorio, accennando poi un vago sorriso di scuse. « Ho lasciato qualche altro calzino in giro, vero? »
Si era aspettato di vedere almeno una lieve irritazione serpeggiare negli occhi di suo fratello, ma le sue aspettative non corrisposero a realtà.
« No, niente calzini, Sans. Il perenne disordine in cui lasci casa nostra, persino in presenza delle nostre ospiti, non sarà oggetto di nessuna discussione oggi. » Sospirò Papyrus, abbassando le palpebre.
E Sans, anche se solo per un breve infinitesimale secondo, aveva voluto credere che sarebbe stato di nuovo ripreso da suo fratello per il suo disordine, invece che sentire ciò che gli venne in seguito riferito.
« Sans, sai che anche tu con me puoi parlare di qualunque cosa tu voglia in qualunque momento, giusto? »
« Certo. » Replicò, sicuro, convincente. « Perché questa domanda? »
In realtà, Sans aveva già una vaga idea della direzione che avrebbe potuto prendere quel discorso, ma questa previsione non lo stava per nulla aiutando a pianificare le sue successive risposte.
« Volevo assicurarmi che anche tu sapessi di avere un fratello sempre disponibile all’ascolto e al dialogo. » Rispose l’altro scheletro, con un sorriso orgoglioso. « La comunicazione è alla base di molte relazioni salde e durature, dopotutto! »
« Beh, wow, hai proprio preso la questione di petto, Paps. » Commentò, con un sorriso sornione, Sans.
Papyrus riaprì gli occhi, passando lo sguardo rispettivamente da lui alla propria mano, che aveva inconsapevolmente poggiato sopra al petto come era di sua abitudine fare per darsi un’aria di importanza. Ma la sua reazione a quella battuta non furono le lamentele a cui Sans era abituato, solo un sospiro pesante.
« Sans, fratello… » Mormorò Papyrus e l'altro scheletro si ritrovò spiazzato dall'intristirsi del suo tono di voce. « Quello che sto cercando di dirti è che sono preoccupato per te… enormemente preoccupato per te. Sono giorni che non ti vedo schiacciare un pisolino, sembri sempre stanco e sciupato, ho la sensazione che… tu mi stia evitando… »
Quando Papyrus alzò lo sguardo per guardarlo negli occhi, Sans temette di non essere riuscito a nascondere il suo turbamento, la sua colpa, vedendo la triste supplica scritta in quelli del suo fratellino.
« Voglio sapere cosa ti sta succedendo… v-voglio esserti d’aiuto, Sans. Mi capisci? »
« Papyrus… » Sussurrò ed era ormai troppo tardi per impedire a quel nome di sfuggire al suo controllo. Credeva di essere stato cauto, credeva di non aver fatto sorgere sospetti in nessun altro a parte Frisk… e, invece… come aveva potuto farsi beccare così in flagrante?
« Sono… anni che mi nascondi molte cose, e non posso più sopportare di vederti di tanto in tanto così malinconico, o nervoso, o infelice… so che mi vuoi bene e non vuoi farmi preoccupare... ma, forse, ti sentiresti meglio se condividessi le tue preoccupazioni con me. » Continuò Papyrus, accennando un sorriso mesto, ma che conservava un  marcato accenno di fiducia. « Potrei davvero fare la differenza, non pensi? »
« P-Paps… è complicato… » Mormorò lui, distogliendo lo sguardo, i pugni stretti leggermente nelle tasche della felpa. Era stato così colto alla sprovvista che, ora, non era in grado né di inventarsi una scusa, né di replicare con una risposta sincera.
« Può diventare un po’ più semplice, se provi a confidarti con il tuo fratello qui presente. » Tentò di convincerlo ancora una volta Papyrus, indicandosi con i pollici guantati. « Ti prometto che mi impegnerò al massimo delle mie capacità per offrirti tutto l’appoggio di cui hai bisogno! »
Sans lo guardò seriamente in difficoltà. Non sapeva cosa dire, cosa fare, come reagire… ma doveva dire qualcosa, o suo fratello avrebbe potuto interpretare il suo silenzio nel modo sbagliato.
« Paps… io… »
Le parole gli morirono in gola.
Dietro Papyrus, vi era ora un sorriso di sfregi e due cerchi di luce bianca che lo stavano freddamente fissando, soddisfatti, vittoriosi, crudeli.
« S a n s? C h e c o s ’ h a i? »
La domanda di suo fratello giunse come un eco lontano e attutito nella sua testa.
Non si fermò a chiedersi il come, il quando, il perché. Tutto ciò che seppe di dover fare, in quel preciso istante, era afferrare Papyrus e usare le sue scorciatoie per filare via, il più lontano possibile da lì. Non gli importava se sarebbe crollato a terra subito dopo per la mancanza di forze, portare in salvo sia Papyrus che sé stesso era la priorità assoluta!
Allungò rapidamente la mano per afferrare il braccio di suo fratello, ma le sue dita si chiusero solo intorno alla stoffa della sua sciarpa, perché Papyrus era già stato sbattuto contro la parete della caverna e lontano da lui da un’enorme appendice nera.
Sans sentì la sua anima tremargli nella cassa toracica e le ossa raggelarsi quando udì il lamento strozzato di suo fratello, rimbombante come qualunque altro suono stesse raggiungendo i suoi sensi in quei secondi che parevano minuti. La sciarpa di Papyrus si posò poco dopo a terra, in un mucchio scomposto, sfuggita alle sue falangi tremanti.
« Non lascerò che ve ne andiate così presto, giovanotto. »
Lo scheletro voltò lentamente la testa, con l’orrore e la paura scavati in volto. Gaster, mani intrecciate dietro la schiena, lo stava scrutando a palpebre perfidamente socchiuse, l’accenno di un sorriso a far incurvare la bocca irta di zanne.
« Non abbiamo nemmeno cominciato. »
 
 
La mattinata era iniziata meravigliosamente bene oggi per lei: si era alzata completamente riposata, pronta ad affrontare persino un bue se le si fosse parato davanti, ed era riuscita a prepararsi in orario perfetto per prendere parte agli allenamenti quotidiani di Undyne, recuperando così persino le ore di esercizio perse il giorno prima. Certo, da quando Toriel era venuta a conoscenza di questo loro passatempo, Undyne era stata costretta a rallentare i ritmi di lavoro ferrati che aveva loro imposto all’inizio, ma ciò non aveva costituito un ostacolo per il loro costante apprendimento, di cui Undyne si mostrava apertamente fiera. Fare attività fisica non le era mai dispiaciuto, passare del tempo in compagnia di persone amiche neppure, perciò era stata sollevata nel sapere che Toriel aveva deciso di non negare loro quei momenti di svago, a maggior ragione se Chara aveva bisogno di quei preziosi insegnamenti per imparare a conoscere meglio il suo nuovo corpo, la sua anima e, in misura ancora maggiore, sé stessa. Dove il suo sostegno non era potuto arrivare, quello di Undyne era intervenuto al momento opportuno per colmare quella mancanza e i cambiamenti che aveva innescato nell’animo dell’altra ragazzina erano innegabili. Lo leggeva negli occhi di Chara, più sereni e attenti rispetto al loro primo incontro, che le cose per lei stavano cominciando a volgersi per il meglio.
Stava chiacchierando con la sua migliore amica e la sua insegnante preferita nella casa di quest’ultima, quando un senso di opprimente costrizione si era fatto largo a livello del suo petto e della gola, sensazioni che in quel frangente non aveva potuto giustificare, non in un’atmosfera così rilassata e piacevole.
Paura, orrore e impotenza stavano ora bersagliando la sua anima con un’ostinazione così angosciante che Frisk fu costretta a chiudere gli occhi qualche secondo per resistere al loro imponente assalto ed evitare che la travolgessero. Che cosa stava succedendo tutto ad un tratto?
Quando li riaprì, il suo primo istinto fu quello di voltare la testa per controllarsi le spalle, con un lieve ma percepibile senso di minaccia.
“ Sans? ” Pensò spontaneamente, preoccupata.
Era di nuovo la Sintonia a permettere a quelle emozioni di raggiungerla, giusto? Significava che… che Sans era in pericolo?
La sola possibilità bastò a farle tremare le gambe sotto il tavolo. Perché dovrebbe trovarsi in pericolo, cosa lo stava minacciando?! Era forse… era forse il responsabile di quanto Sans non si era ancora deciso a rivelarle la causa di tutto…? Ma non importava adesso, basta ipotizzare, doveva muoversi ora e andare in suo soccorso ovunque si trovasse!
Non ci mise molto ad incontrare lo sguardo sottilmente accigliato di Chara, che doveva essere stata rapida a notare la sua inusuale agitazione.
Frisk le fece un lieve cenno col capo, a cui l’altra ragazzina rispose con il medesimo gesto. Bene, ora aveva la certezza che Chara le avrebbe dato il supporto di cui aveva bisogno. Non poteva andare da Sans da sola, se il pericolo a cui stava per andare incontro era davvero così imponente come credeva, allora la scelta più incosciente che potesse prendere era decidere di avventurarsi nelle caverne in solitario. Ora, le serviva qualcosa con cui difendersi. Era dai tempi del suo arrivo nell’Underground che girava completamente disarmata così da non dare una prima cattiva immagine di sé ( aveva imparato che un’apparenza non ostile rendeva ovviamente i mostri più inclini ad offrirle la loro amicizia ). Nonostante questo, lo sentiva dentro di sé che avrebbe dovuto rompere quel proposito e prepararsi adeguatamente per una possibile battaglia. Meglio essere previdenti che impreparati.
« Undyne, scusa, potresti creare una lancia per me? » Chiese alla donna-pesce, in quel momento completamente assorbita nelle sue stesse risa per qualche aneddoto che aveva appena finito di raccontare e che lei, chiaramente, non aveva potuto sentire.
Undyne la guardò sbattendo perplessa l’occhio e fermando la sua risata sguaiata.
« Uh, sì, certo. » Replicò, accingendosi a condensare la magia della sua anima in una lancia azzurrina. Gliela passò attraverso la stanza con un lancio elegante e Frisk la afferrò prontamente con il braccio sinistro, che piegò poi contro il fianco per prepararsi a salutare Undyne con il minor numero di preamboli possibile. « Non capisco a che ti… »
« Grazie, Undyne! Dobbiamo andare! » Annunciò Frisk velocemente, correndo verso la porta, afferrando nel mentre la sua preziosa borsa a tracolla e precipitandosi all’esterno, sicura che Chara avrebbe fatto lo stesso.
« EHI! Dove state scappando voi due?! »
La giovane si morse leggermente il labbro mentre correva verso il crocevia con il cuore all’impazzata e le urla della guerriera alle sue spalle.
« Chara, le scorciatoie! Dobbiamo trovare Sans! »
« Sì! »
Non appena le loro mani si sfiorarono, i flussi temporali scompattarono immediatamente i loro corpi, facendole sparire dalla vista della guerriera.
Undyne avrebbe tagliato loro la testa più tardi.
 
 
« C-come… come h-hai…? »
« Come è possibile che mi trovi qui, mi stai chiedendo? » Terminò per lui Gaster, gli angoli del suo sorriso si arricciarono su sé stessi come quelli di un grottesco clown. « Molto basilare, in realtà. Sto semplicemente ‘prendendo in prestito’ del materiale da una mia vecchia conoscenza. » La testa dell’ex scienziato si piegò quindi in un angolo talmente innaturale che Sans trasalì internamente sentendone il successivo scrocchiare, simile al creparsi di un tronco d’albero. « A tempo debito, verrà tutto restituito, non temere. »
Sans fece del suo meglio per non sussultare quando udì dei suoni gorgoglianti lasciare le spaccature della bocca dell’ex scienziato, pallide imitazioni di una risata compiaciuta, ma senz’altro più nitide e minacciose rispetto alla loro controparte del Void. Non poteva più pensare, sperare, che quella fosse un’allucinazione troppo realistica per i suoi gusti. Gaster aveva preso il corpo di qualcuno, era lì, era reale ed abbastanza corporeo per mettere in pericolo coloro che gli stavano a cuore. Da quando era in grado di uscire dal Void, come aveva fatto a prendere quel corpo, come era possibile-
« S-Sans… d… ah… »
I farfugli di Papyrus arrivarono come dolorose stilettate alla sua anima, ma Sans non osò muovere un osso per timore di quella che sarebbe potuta essere la reazione del loro assalitore. Fare mosse azzardate ora sarebbe stato come decretare un’automatica disfatta in un immediato dopo. Doveva restare lucido, doveva restare controllato, se voleva trovare una via di fuga, ma era incredibilmente difficile farlo se le sue ossa non volevano smettere di sferragliare l’una contro l’altra, se la sua anima si stava praticamente ritraendo nel retro della sua gabbia toracica, se ad ogni respiro inalato era come se stesse ingoiando cotone. Cotone spesso, strisciante, che occludeva fastidiosamente la gola. Era Gaster, era la sua presenza, che si propagava ovunque, intorno e vicino alla figura dell’ex scienziato reale. Ed era impossibile da ignorare, ora che non vi erano barriere e dimensioni su dimensioni a confinarla dove non potesse diffondersi.
Gaster seguì il suo sguardo, assottigliando con divertimento gli occhi, ora muniti di bianche e permanenti pupille.
« Cosa succede, Sans? » Sibilò, con voce di velenoso velluto. « Non corri ad aiutare il tuo fratellino? »
Sans non rispose. Strinse i pugni, cercando di contenere il loro costante tremore, cercando di stare calmo, di cacciare indietro la paura, di non lasciarsi sopraffare da essa.
« Suppongo sia un no. » Sospirò Gaster, a palpebre abbassate. « E suppongo, anche, che non ti dispiacerà se giocherò un po’ con lui nel Void al posto tuo, non è così? Chissà quanto resisterà… »
Quelle parole fecero scattare dentro di lui qualcosa di talmente forte e potente da farlo uscire dal silenzio terrorizzato in cui era caduto.
« Non osare! » Sbottò, in uno scatto di rabbia mista a paura per l’incolumità di suo fratello e totale, orribile impotenza. Perché se poteva rispondere alle minacce di Gaster, non poteva comunque far nulla per ostacolarlo, non con la debolezza che gli stava appesantendo le spalle ad ogni secondo – e gli pesò ancora di più ricordarsi che nemmeno se fosse stato al massimo delle sue forze avrebbe potuto averla vinta su quel demonio.
Gaster lo studiò con la coda dell’occhio e un ghigno a fior di labbra, ignorando platealmente il suo avvertimento, fin troppo poco credibile per instillare una sola traccia di timore nell’altro mostro.
« Temi che gli faccia del male, Sans? Oppure, temi che faccia del male a te? »
Sostò proprio davanti a suo fratello, tenuto bloccato contro la parete dall’appendice che lo aveva sbattuto violentemente contro di essa in primo luogo. Sans vide il volto di Papyrus sfigurarsi dall’angoscia e dalla confusione.
« C-chi… sei? Perché s-stai facendo questo? » Sussurrò flebilmente quest’ultimo, con occhi che si sforzavano di non sembrare intimoriti.
Gaster si limitò a guardarlo dall’alto, con la stessa insistenza di un serpente che punta la preda che si è avvicinata incautamente al suo rifugio nella roccia. Lo sguardo di suo fratello minore si fissò poi su di lui, con la stessa taciuta domanda che aveva rivolto poco prima a Gaster.
Non ricevendo alcuna risposta, Papyrus provò nuovamente a parlare con il suo assalitore, cercando una soluzione quanto più diplomatica possibile persino in una situazione come quella.
« S-signore, prometto che se ci lascia andare ora, io e mio fratello Sans c-ci dimenticheremo immediatamente di quanto è accaduto! Chiunque può essere una brava persona sAAGH-! »
Con un gesto noncurante della mano di Gaster, l'appendice che stava bloccando Papyrus si era serrata improvvisamente intorno al collo di quest'ultimo, strappandogli quel lamento torturato.
Il solo vedere il dolore e la paura praticamente colare dagli occhi di Papyrus fu sufficiente a stabilizzare le emozioni e il battito incessante dell'anima di Sans quanto bastava per farlo concentrare. Doveva mostrarsi forte per Papyrus, doveva essere forte per Papyrus, come al solito, come sempre.
« Allontanati. » Disse, questa volta con fermezza, il tremore nella sua voce soppresso con la sola forza di volontà.
Gaster girò parzialmente la testa verso di lui, il sorriso deturpato era ora una sottile linea di nero.
« Altrimenti? » Lo sfidò il farabutto, con tono di derisoria minaccia.
Un imponente fascio di bruciante energia magica investì allora l’ex scienziato reale, non lasciandogli nemmeno il tempo necessario per un lamento.
L’istante successivo, Sans era già scattato in avanti verso Papyrus, con la mano sollevata per incontrare quella di suo fratello a mezz’aria, cercando di vincere il capogiro che aveva minacciato di fargli perdere l’equilibrio quando aveva fatto fuoco con il Blaster. Aveva energie sufficienti per a malapena una scorciatoia, doveva correre, doveva muoversi!
Tre, due, un millimetro.
E, l’istante dopo ancora, la mano di suo fratello non c’era più. L’appendice si era fulmineamente riavviluppata intorno al collo dello scheletro più alto e lo aveva trascinato parecchi metri più in là, accanto ad un Gaster di nuovo in salute, come se la potenza di fuoco del Gaster Blaster fosse bastata a procurargli appena una scottatura.
Sans boccheggiò dall’orrore, notando a malapena l’appendice che cercò invece di serrarsi attorno alla sua vita, approfittando della sua disattenzione. Scartò di lato e la evitò, riuscendo per miracolo a non perdere l’equilibrio mentre barcollava, tanto era stato impreparato in vista di quell’attacco a sorpresa.
Gaster lo guardò con un sorriso vagamente impressionato, prima di far cadere quel ghigno sottile dal suo volto cereo.
« Mossa futile, ragazzo. »
L’appendice aumentò per un breve secondo la pressione sull’osso cervicale di Papyrus, come se avesse risposto ad un’impennata improvvisa di rabbia. Suo fratello emise un urlo strozzato, portando le mani in alto per allentare la morsa che lo stava spietatamente soffocando.
L’anima gli tremò violentemente nel petto quando quel suono gli penetrò dentro come la peggiore delle accuse. Non sei stato abbastanza rapido, non sei stato preparato… hai FALLITO.
« Mossa incredibilmente futile, oltre che stupida. » Gaster sembrò essere sul punto di rilasciare un sospiro rassegnato, ma il distendersi delle sue spalle gli indicò il suo finale astenersi dal compiere quell’azione. « Ma non posso proprio biasimarti per qualcosa che non puoi controllare. D’altronde… » Un altro aumento di pressione e le dita guantate di suo fratello scavarono disperate nell’appendice intorno al suo collo, il suo tentare di liberarsi ancora una volta vano. Il sorriso di Gaster si caricò di una pungente nota di derisione vedendo il suo successivo sobbalzo. « Alla stupidità non c’è rimedio. »
Sans si sentì scuotere da brividi di paralizzante angoscia udendo gli ansimi sempre più rauchi di Papyrus. Non poteva vederlo e sentirlo in agonia, doveva fare qualcosa, qualunque cosa!
« Gaster, per favore, f-fermo! » Lo supplicò, la disperazione che cominciava ad insinuarsi malignamente nella sua stessa voce. « Papyrus non ha fatto nulla! L-lui non c’entra niente… Pap… »
Gaster piegò il capo con un pigro interesse, avanzando verso di lui, un piccolo scheletro ridotto ad un mucchio di ossa tremolanti. Poteva praticamente leggerlo sul volto ora di nuovo espressivo dell’ex scienziato che era questa l’immagine che gli stava dando di lui. E... forse, non era mai stato nulla di diverso da quello.
Gaster si piegò quasi a livello dei suoi occhi, ma non rinunciando a mantenere quei pochi centimetri d’altezza che gli consentivano di poterlo ancora guardare dall'alto in basso.
« Prosegui pure, Sans. » Lo incoraggiò e Sans si sforzò di sostenere in ogni modo il suo sguardo, senza vacillare ogni qualvolta un rantolo soffocato più forte dei precedenti lasciava la bocca di suo fratello.
Doveva parlare, doveva parlare, doveva salvare suo fratello ad ogni costo.
« Lascialo fuori da questa faccenda. N-non fargli altro male, n-no… » Mormorò, chinando inesorabilmente la testa, in segno di completa sottomissione, la debolezza nella sua voce messa in mostra senza riguardo, perché era quello il genere di atteggiamento che, sapeva, avrebbe compiaciuto quelli come Gaster, rendendolo ben più incline a soddisfare la sua richiesta. « Ti prego. »
Trascorse qualche secondo prima che Gaster tornasse a farsi sentire, la sua voce melliflua pochi centimetri sopra di lui.
« Credo si possa fare. »
Due dita ruvide come rami lo costrinsero a risollevare il capo e fissare le luci bianche degli occhi dell’ex scienziato. Non si oppose minimamente ad esse, temendo di causare una reazione indesiderata da parte del loro assalitore, mentre cercava di ingoiare il suo assillante orgoglio che, adesso più che mai, non lo avrebbe portato da nessuna parte.
« Non è stato poi così arduo rinunciare, vero? È stato sufficiente coinvolgere il tuo fratellino per renderti completamente inoffensivo. » Sussurrò e Sans non trattenne la smorfia amara che cancellò il suo sorriso. Inutile nascondersi dietro a maschere di risolutezza, se le tue debolezze sono già venute a galla. « Spero sarai di umore meno arrendevole, quando farò ciò che ti ho promesso qualche tempo fa. »
Gaster sfilò fortunatamente le dita da sotto il suo mento, dandogli le spalle.
« E chissà se riuscirò a strappare al tuo controllo, per l’ultima volta, l’appellativo che giustamente mi compete. » Disse, con un tono talmente impersonale da non lasciar trasparire nessuna emozione che Sans potesse identificare. Ma cosa si era aspettato di poter sentire, in fondo…? Perché illudersi così?
Le apprendici che erano parti integranti del corpo rubato dallo scienziato gli si arrampicarono addosso come le spire di un serpente affamato, ma neanche ad esse si ribellò, nemmeno quando andarono a stritolargli l’anima dopo che l’ebbe lasciata priva della difesa magica che la proteggeva naturalmente. Il respiro gli venne a mancare per qualche secondo nel momento in cui sentì il netto tranciarsi di gran parte dei flussi di magia che sostenevano il suo corpo e che avrebbero potuto consentirgli di fuggire, almeno fino a pochi attimi prima… ma non c’era stato motivo per lui di fuggire pochi attimi prima, non con suo fratello in pericolo nelle grinfie di quel pazzo. E con quel poco di magia che riusciva ancora ad accedere, ora, avrebbe potuto a malapena muoversi, figuriamoci usare una scorciatoia. Era in trappola, si era lasciato mettere in trappola, ma era questo il prezzo da pagare, era quanto doveva sacrificare perché potesse salvare suo fratello, perché potesse risparmiargli le sofferenze che sarebbero invece toccate a lui. Gaster poteva prendergli tutto il resto, ma non poteva prendergli Papyrus, quello avrebbe frantumato la sua anima in cocci che niente e nessuno avrebbe mai potuto rimettere insieme.
« Piuttosto, stavo pensando… perché non tenervi entrambi, invece? »
La sua mente non fu in grado di processare quei suoni per un lungo, interminabile secondo, ma quando la realtà di quelle parole lo colpì, l’orrore divampò come una verace fiamma sul suo volto, tanto che non riuscì a contenere l’urlo affranto che lo scosse fin nel profondo.
« No no no! Tu…! A-avevamo…! »
« Un patto? » Concluse per lui Gaster, con un’espressione di cruda estasi in volto, visibile nonostante l’angolazione sfavorevole da cui lo scheletro tremante lo stava fissando. « Certo, Sans… ma… dividere due fratelli così inseparabili? Sarebbe un vero atto di crudeltà, quello. Ci divertiremo tutti assieme in alternativa, proprio come ai vecchi tempi. »
« M-ma… a cosa ti serve lui?! »
« Non ci arrivi, giovanotto? » Lo derise Gaster, sghignazzando leggermente. « Prova a pensarci… forse, ti verrà in mente qualcosa. »
L’angosciante disperazione cominciò a divorarlo a morsi dall’interno a quel punto.
N-no no no, non poteva lasciare che prendesse Papyrus, non poteva lasciare che gli facesse del male, n-non poteva! Doveva farsi venire uno stralcio di idea, ci doveva pur essere ancora qualcosa che poteva fare in quella situazione senza nessuna, misera via d’uscita!
… e si rese conto, con una sensazione di arrampicante freddo, che qualcosa… q-qualcosa c’era, che poteva ancora tentare di fare… e doveva prendere una decisione, scegliere e ordinare le sue priorità… ma non aveva bisogno di ordinarle, perché erano sempre state in ordine sin da quando ne aveva memoria.
In quel tragico, infinitesimale momento, fece una scelta, la scelta più sofferta, inevitabile, dolorosa che aveva mai dovuto prendere in tutta la sua vita.
Con ogni briciolo di volontà ancora in suo possesso – doveva farlo, doveva riuscirci per lui! – richiamò la sua magia perché si facesse largo a spintoni dalla sua anima imprigionata verso l’esterno, materializzandosi in un osso appena più grande di una lama vicino a Papyrus.
Suo fratello fece a malapena in tempo a dedicargli uno sguardo angosciato, confuso, gli occhi larghi e sfocati, a cui Sans non fu in grado di guardare nell’istante in cui fece schizzare l’osso in direzione del petto di Papyrus, sfruttando tutta la magia a cui riuscì ad aver accesso per non mancare, non esitare, per non essere presente e, soprattutto, cosciente quando sarebbe accaduto l’inevitabile. E, per fare questo, aveva consumato ogni frammento di energia magica disponibile per quell’attacco, costringendo così il suo corpo ad un completo blackout.
Prima che la sua mente si spegnesse, prima di cadere in un vuoto che nemmeno il barlume di un pensiero avrebbe potuto rischiarare, aveva sentito i suoi occhi inumidirsi di lacrime.
 
 
Erano vicine, talmente vicine che sentiva il torrente delle emozioni di Sans occluderle la gola e i polmoni – e nessuna di esse poteva neanche lontanamente definirsi positiva. Faticava a concentrarsi sulla corsa, a muovere le gambe per fare un'altra falcata a causa dello spingere incessante di quelle sensazioni, ma non aveva intenzione di arrendersi ad esso.
Con la coda dell’occhio Frisk notò, di sfuggita, il bagliore dorato di un punto di salvataggio.
Arrestò la corsa per raggiungerlo ma, poco prima di toccarlo, la sua mano esitò. Non seppe nemmeno lei perché lo fece, era solo una percezione che non poteva identificare a farla momentaneamente desistere e restare lì impalata. Forse… doveva darle retta… e...?
« Frisk! Sbrigati! Se quell’imbecille è davvero nei guai, non possiamo fermarci ancora a lungo! » La chiamò con urgenza Chara, che la aveva ormai sorpassata di qualche metro nella foga della corsa.
Frisk si riscosse e decise, comunque, di fissare un punto di salvataggio. Salvare prima di un punto critico era sempre stata una precauzione che la aveva aiutata parecchie volte in passato. Perché, dopotutto, non doveva esserlo anche ora?
 
 
Nell’istante in cui aveva affannosamente schiuso gli occhi, lottando contro la gelatina di pensieri che gli stava infestando il cranio, la risata di spilli di Gaster era stato il primo suono che aveva udito. Non sapeva quanto tempo fosse trascorso da quando aveva perso i sensi, non aveva padronanza del suo corpo, e non riusciva a sentire altro che quella risata velenosamente allettata, che faceva agitare qualcosa dentro di lui con un consistente, primordiale timore.
Percepì vagamente lo spostamento a cui venne sottoposto, così come le appendici che ancora lo tenevano intrappolato. Era come se la sua coscienza non fosse davvero lì, separata dal tangibile da una bolla d’aria, attraverso cui ogni sensazione giungeva terribilmente ovattata, tanto da provocargli lente ma costanti fitte di nausea.
Riconobbe la mano di Gaster mentre la sua testa veniva sollevata dalla posizione ciondolante in cui la aveva lasciata ricadere contro lo sterno, così come la presenza dell’altro mostro tanto, troppo ravvicinata, che fece rabbrividire le sue ossa pur senza che potesse coscientemente muoverle.
« Sveglia, ragazzo. »
L’intensa scarica di energia che lo inondò dopo quel sussurro gli mozzò il fiato, le sue palpebre schizzarono verso l’alto e il suo corpo venne percorso da un lungo, estenuante spasmo, mentre una piccola parte della magia forzata a restare nella sua anima si stava precipitando fuori di getto.
Cercò di sottrarsi alla stretta di Gaster non appena sentì quell’energia magica ridargli quel poco di vigore sufficiente a divincolarsi, ma la mano che gli stava reggendo il volto lo costrinse malamente all’immobilità, obbligandolo a guardare un punto appena sopra di sé.
E fu in quel preciso momento che vide gli occhi morenti e opachi di Papyrus incontrare i suoi, sbarrati, inghiottiti dall’orrore più dilaniante che avesse mai sperimentato. No, non era p-possibile, aveva perso conoscenza solo per pochi secondi, non avrebbe dovuto essere cosciente per vedere q-questo, non avrebbe dovuto vedere suo fratello in un simile stato, non per causa sua, non per causa solo sua!
Strattonò la testa, divincolandosi, cercando di non vedere, di non pensare, di non aver marchiata a fuoco nella memoria quell’immagine che lo avrebbe perseguitato persino nell’aldilà. Gaster, tuttavia, non gli permise di distogliere lo sguardo.
« Ammira bene il tuo operato, Sans. »
Sans si paralizzò, la cassa toracica improvvisamente compressa da un oppressivo quanto accecante shock, i battiti impazziti della sua anima che gli stavano rimbombando dolorosamente nel cranio.
Operato… operato?! Aveva pugnalato a morte suo fratello, il suo Paps sempre sorridente e appassionato in ogni cosa che faceva, il fratellino che amava con tutto sé stesso, tutto per salvarlo da un destino di gran lunga peggiore, e non aveva nemmeno il diritto di risparmiarsi l’agonia di vederlo morire davanti ai suoi occhi?! Non voleva guardare, non ci riusciva, ma non poteva fissare nient’altro che Papyrus, così come le sue orbite ricolme di una mescolanza di emozioni troppo devastante per lui da tollerare. Colpa, incomprensione, dolore, amarezza, costernazione, e Sans poté persino vedere tra queste quanto suo fratello stesse furiosamente cercando di razionalizzare ciò che era accaduto e stava accadendo, combattendo l’incombente sgretolarsi del suo corpo.
E Sans non poté impedirsi di sgolarsi a forza di urlare, tentare in ogni modo di dirgli che la colpa era solo sua, solamente sua, che tutto questo lo aveva fatto per il suo bene, che Frisk lo avrebbe riportato indietro, che lui sarebbe stato al sicuro! Ma niente stava uscendo dalla sua bocca… né una parola… né un suono… né un singhiozzo… era muto, completamente ridotto al silenzio, la stretta di Gaster intorno alla sua anima stava inibendo la sua capacità di parola. Si sentiva morire dentro, tanto era il dolore che non riusciva ad esternare, tanto stava lottando per poter dire a Papyrus tutto quanto, dimenandosi, scalciando, piangendo per la sensazione di costrizione e soffocamento che lo stava lacerando dall’interno. E Gaster glielo stava facendo fare, lo stava lasciando dimenarsi miserevolmente nella sua presa, senza far nulla per impedire il contrario.
Quando Sans vide le palpebre calare sulle orbite vitree di Papyrus, il suo ribellarsi si arrestò, la sua mente entrò in uno stato di dolorosa e torbida trance, che lo isolò da qualunque cosa che non fosse l'afflosciarsi del corpo di suo fratello, il ricadere molle delle mani lungo i suoi fianchi, lo sbriciolarsi delle ossa angosciosamente immobili.
Il body da battaglia di Papyrus cadde a terra con un sordo Clung!, tra la polvere che nel fango nero risaltava come sangue su una maglia bianca. Fu allora che Sans chiuse tremando gli occhi, singhiozzando nel silenzio asfissiante, oppressivo, di cui non poteva spezzare le dolorose catene. Papyrus sarebbe tornato indietro, come ogni volta… ma lui… lui non sarebbe tornato indietro. Il suo destino era ormai segnato e il pensiero di non aver potuto giustificare le sue azioni davanti a suo fratello, di non aver mai potuto dirgli una parola di addio, di aver persino provato ad evitare di dover fare entrambe le cose, lo stava facendo morire a poco a poco ad ogni istante trascorso. I ricordi delle spiegazioni che avrebbe dovuto dargli non sarebbero stati di alcuna utilità a Papyrus, perché avrebbe dimenticato, per fortuna avrebbe dimenticato ciò che gli aveva fatto… era infatti a lui che sarebbero dovuti servire, per non avere un altro rimpianto e un’altra colpa a stringergli le viscere del suo animo prima della fine. Nessuna consolazione, nessuna consolazione, non per lui, mai per lui… ed era un egoista, il più egoista di tutti per desiderare in questo momento qualcosa per sé stesso, invece di pensare a come Papyrus si era dovuto sentire vedendosi ucciso dal suo stesso fratello. Aveva capito che lo aveva fatto per lui, se n’era reso conto per pietà di d-dio?
Sans non lo avrebbe mai saputo.
Nel momento in cui il supporto della mano di Gaster venne a mancare, la sua testa tornò a ciondolare senza vita contro il suo sterno.
« Povero, ingenuo Sans… tanto ingenuo da non realizzare che la scelta era sempre stata tra me e te. » La voce di Gaster fu un sibilo arido, crudo, davanti a cui Sans non poté mantenere qualsiasi suo proposito di provare ad ignorare le parole dell’ex scienziato. « Se non lo avessi ucciso tu, lo avrei fatto io… ma speravo, in fondo, che avresti preso l’iniziativa... ti ho dato la possibilità di giustiziarlo in mia vece e tu l’hai colta al volo. »
Le lacrime ripresero a pungergli dolorosamente all’interno delle orbite, premendo per uscire e vincere quella volontà senza origine che stava impedendo loro di cadere. Poteva sentire il sorriso raggelante dell’ex scienziato bruciargli dietro il cranio e il suo, invece, tremolare come una foglia secca in balia della tormenta. Se solo avesse aspettato, se non avesse preso l’iniziativa, non si sarebbe mai macchiato di un crimine tanto atroce, non avrebbe deluso questo Papyrus, non avrebbe riavuto indietro questo conosciuto e schiacciante senso di repulsione verso nessun altro che sé stesso.
E avresti lasciato che fosse Gaster a dargli il colpo di grazia quando più gli aggradava?
Sans rimase in silenzio davanti a quel pensiero disgustato. Non c’erano risposte, non c’erano risposte adatte né scenari migliori di questo, perché il fare nulla, il permettere a Gaster di avere l’ultima parola sul destino di suo fratello, sarebbe stata una sconfitta orrenda quanto o magari più di questa. E l’unica cosa che accomunava tutti questi scenari, era che non c’erano state possibilità di fuga o di vincita sin dall’inizio, Gaster gliele aveva precluse tutte e lui… lui non era stato abbastanza attento nel notare di quante di esse era stato effettivamente privato.
« Papyrus sarebbe stato solo uno scomodo peso… tuttavia, permettergli di andarsene indenne era proprio fuori discussione. Non potevo lasciare in vita testimoni, no? » Proseguì Gaster, con il tono di chi non esige una risposta perché ama ascoltare solo il suono della propria arrogante voce. « E farti credere che potevate avere una possibilità di cavarvela, con il tuo tentativo fallimentare di salvataggio e il tuo sacrificio… oh, non ho potuto seriamente resistere, perdona questo mio piccolo screzio. »
Sans strinse le palpebre, cercando di bloccare la voce di Gaster fuori dalla sua testa. Non doveva parlargli con quel tono così orribilmente costruito per sembrare naturale e rilassato, quel tono che ricordava praticamente a stento – ma che ricordava, eccome se ricordava – e non doveva, non d-doveva, perché non stava zitto?!
L’altro mostro, prendendo atto della sua reazione, continuò, sempre più insistente nel fargli ripercorrere gli eventi di quegli ultimi minuti. E il suo tono era ancora una volta quello analitico, sempre sottilmente compiaciuto e gelido.
« Sono piacevolmente sorpreso che non hai perso il tuo ‘sangue freddo’ in questi anni… un’esecuzione a dir poco impeccabile, se non fosse per il deludente piagnisteo che è seguito… ma immagino possa giustificare la tua reazione. » Sans si ritrasse, ruotò il collo di lato quando percepì il volto di Gaster in prossimità del suo, le spalle che gli stavano tremando per il pianto e per quella vicinanza disgustosa che lui non voleva avere con questo essere, lo stesso essere che stava nutrendo senza pietà la colpa e il disgusto che gli stavano avvinghiando il petto. « È nuova per te la sensazione di uccidere tuo fratello… ma non è una sensazione che ti è completamente estranea… e io lo so bene. Quanta autocommiserazione stai sentendo? Quanto brucia avere questo crimine marchiato nella tua memoria? »
Sans serrò nuovamente le palpebre, cercando di porre quante più barriere possibili tra lui e Gaster ma, così facendo, visi che non voleva vedere, visi tra cui ora si era aggiunto anche quello di Papyrus, si materializzavano senza pietà nel buio in cui aveva sperato di potersi rifugiare. E, se avesse aperto gli occhi, ad attenderlo ci sarebbe stata comunque la vista del volto di Gaster ad attenderlo. E ascoltarlo pronunciare con così tanto malsano divertimento quelle parole intrise di una curiosità falsa e derisoria era già come, o peggio, che ingoiare veleno tutto d'un fiato. E bruciava, bruciava da morire.
L’ex scienziato si allontanò dal suo volto, con un ultimo e quasi impercettibile sogghigno.
« Comunque sia, il tempo è quasi terminato. » Disse, sussurrando. « Ti devo fare i miei più sentiti ringraziamenti per aver gelosamente conservato ogni informazione che mi riguarda. Con la mia presenza in questo mondo eradicata dalla storia e la tua ostinazione nel volertela cavare con le tue sole forze, nessuno saprà mai che cosa ne sia stato di te. Nemmeno Papyrus, quando verrà riportato in vita da quella ragazzina, ricorderà nulla di quanto è avvenuto. E tutto… solo grazie a te. »
Una risata tagliente lasciò la bocca ghignante di Gaster, mentre cominciava ad avviarsi verso una destinazione sconosciuta a Sans, ma che lo scheletro poteva comunque ben intuire: un ingresso per il Void nascosto chissà dove. Sans provò inutilmente a divincolarsi nelle restrizioni, ma le sue erano lotte portate avanti solo da un istinto che lo stava praticamente pregando di non cedere. Ma lui, da parte sua, non aveva più un grammo di forza in corpo da utilizzare.
La risata di Gaster era andata infine scemando, ridotta ad un mormorato quanto compiaciuto sibilare.
« Solo… grazie a… »
Una fila di alte e massicce ossa blu si profilò davanti e alle spalle all’ex scienziato reale, che fu costretto ad indietreggiare bruscamente per non far subire danni ad entrambi.
Sans fissò costernato quella barriera impenetrabile, prima di provare in ogni modo a guardarsi attorno, per quanto le appendici che lo stavano intrappolando gli consentivano. Fermò i suoi sforzi solo quando una voce conosciuta si elevò da qualche parte dietro di lui.
« Lascia libero lo scheletro, concime da giardino. »







Sameko's side
... ihihih, chi è che pensava che questo sarebbe stato un altro capitolo tranquillo? Spero di avervi cullato in un bel senso di tranquillità con gli aggiornamenti precedenti, giusto per aumentare il fattore sorpresa ( se a qualcuno cominciava a "mancare" Gaster, siete stati accontentati, ma la prossima volta state attenti a ciò che desiderate ). ^^" Se qualcuno se lo sta chiedendo, no, direi che non mi pento di nulla di ciò che ho scritto, spezzare la finta armonia che io stessa avevo costruito mi è piaciuto anche troppo XD. Forse, è solo il titolo che credo lasci un po' a desiderare e che, ancora una volta, non mi soddisfa pienamente, ma dovevo evitare di anticipare il contenuto del capitolo già in partenza, quindi... o titolo decente, o effetto sorpresa ( e ho ovviamente scelto la seconda ). 
A parte questo, l'estate è iniziata! Gioite tutti quanti insieme a me, perché finalmente l'autrice qui presente, così come probabilmente molti altri autori, potrà concedersi molte più ore di scrittura ( e, magari, dedicarsi anche ad alcune piccole fanfiction che ha in programma da mesi di pubblicare sempre qui su Undertale ). 
Bene, per stasera ho finito. 
Al prossimo capitolo e baci! :)

Sameko 

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 19: Gioco - Parte Uno ***



Capitolo 19: Gioco - Parte Uno





Dio mio, Frisk non scherzava quando diceva che era qualcosa di serio! ” Pensò Chara, studiando esterrefatta una delle creature più raccapriccianti che le fosse mai capitato di incontrare nell’Underground. Era enorme, di un nero denso e lucido come quello di una pozza di petrolio, un sogghigno di zanne ne solcava il volto cereo e sfigurato, adornato da una corolla di petali di un bianco cadaverico, afflosciata su spalle larghe ed imponenti. Il lungo fusto era spesso quanto un tronco d’albero ed era ancorato al suolo per mezzo di quei… cosa diamine erano, prima di tutto? Radici? Tentacoli? Entrambi? Vista la loro superficie ruvida e la presenza di una corolla attorno alla testa di quel coso, Chara era più propensa ad optare per la prima opzione, ma non se la sentiva nemmeno di escludere la terza se per questo. Che fosse un abominio di pianta questo era sicuro, e che fosse molto più viva, pericolosa e dotata di intelligenza rispetto ad una normale pianta, beh, lo era decisamente di più. Ma, a farla preoccupare persino più dell’aspetto tutt’altro che rassicurante di quella creatura, era stata la vista del mucchio d’ossa alla mercé completa di quest’ultima, in lacrime e col fantasma del terrore persistente sul suo volto. Qualunque cosa avesse fatto quell’abominio per ridurre uno dei mostri più potenti in circolazione ad un simile spettacolo di debolezza, Chara sospettava che doveva essere stato qualcosa di infinitamente spietato.
« C-Chara, che cos’è? H-hai mai visto un m-mostro simile prima d’ora? » Le domandò Frisk bisbigliando, la voce le tremava considerevolmente, nonostante il chiaro sforzo della ragazzina più minuta di mascherarne il tremolio.
« No, mai. » Rispose a denti stretti lei, non permettendo alla sua attuale insicurezza di trapelare. Non esistevano specie di mostro che avevano dalla loro parte una simile imponenza… o, almeno, non certo specie di mostro con chiare sembianze vegetali, le più indebolite da un habitat sotterraneo e privato della luce del sole, il quale impediva loro di raggiungere una stazza paragonabile a quella del loro sconosciuto avversario. Quella pianta era un’anomalia a tutti gli effetti e le scarse conoscenze in loro possesso non avrebbero reso semplice vincere un più che probabile scontro.
Quando si rese conto di star dubitando delle sue stesse capacità, Chara strinse i denti per l’irritazione, cercando di scacciare via quei pensieri. Non le importava se quella creatura era un colosso brulicante di radici, non le importava se persino quell’inutile scheletro era stato battuto, non le importava di un accidente in quel momento, se non di mostrarsi sicura di sé, spavalda se possibile, e infondere quella stessa sicurezza a Frisk – non le piaceva l’impugnatura instabile con cui l’altra ragazzina stava reggendo la lancia, decisamente non le piaceva.
« Resta calma e concentrata, Frisk. Non lascerò che quell’obbrobrio vada da nessuna parte, te lo garantisco. Tu pensa solo ad attaccare al momento opportuno. »
Frisk le rispose con un cenno del capo, molto più concentrata rispetto a prima che la maggiore le rivolgesse quelle istruzioni.
La creatura smise di dare loro le spalle e le fissò dall’alto della sua considerevole altezza, inclinando la testa decorata di petali marci e strappati.
« Oh, g🕆arda 👍hi è giu☠to in tuo so👍corso, Sans. Sembra siano molti più di quanti ne meri❄i coloro che tengono a☹☹a tua incolumità. » Commentò con un leggero ghignare, guardando con la coda dell’occhio lo scheletro, come per sbeffeggiarlo con lo sguardo più di quanto non stesse già facendo a parole. « La💧ci che siano 👎ue bambine a batte☼si per te, mh? Abbastan☪a conveniente, lo a💣💣etto. »
« Conveniente come il farsi beffe di qualcuno che non può chiaramente difendersi. » Ribatté Chara, stringendo gli occhi snervata e riportando così l’attenzione della pianta su di loro. Per qualche ragione a lei sconosciuta, la voce di quell’essere era a tratti uscita fuori dalle sue fauci come un sibilo disturbato, che aveva reso incomprensibile qualche vocale o consonante. Era una piccolezza abbastanza insolita, ma sempre di una piccolezza si trattava ed era certamente trascurabile in quel momento.
La pianta la fissò con un sorriso sardonico, la bocca seghettata leggermente schiusa.
« 💣i fa piacere sent✋re queste amabili par⚐le da una vera e💧perta del sett⚐re, Chara. » L’abominio ignorò il suo trasalire alla menzione del suo nome per fissare lo sguardo su Frisk, stupita quanto lei. « Mi sorprende ch☜ tu sia così silenziosa. So☹itamente, non è la tu✌ amica qui presente ad esse☼e di poche parole, Frisk? »
Chara vide l’amica boccheggiare silenziosamente, gesto che le confermò ulteriormente di non essere la sola ad essere all’oscuro dell’identità di quel tizio.
« Come conosci i nostri nomi? » Gli domandò circospetta. Una domanda fin troppo banale, che non avrebbe probabilmente ricevuto una risposta soddisfacente, ma chiedere non le costava nulla – e, ancora meglio, le avrebbe fatto guadagnare tempo prezioso per rinforzare la fila di ossa di cui stava cospargendo il terreno sottostante al loro nemico per impedirgli di scavarsi una via di fuga.
Le estremità del sorriso della pianta si arricciarono beffarde.
« Doman👎e tanto insigni☞icanti non ti sara☠☠o d’aiuto, ragazzina. » Disse, prima che i suoi occhi abissali andassero ad esaminare con diligenza il terreno, gesto che la creatura non tentò nemmeno di far sembrare casuale. Come temeva, quell’erbaccia aveva già intuito tutto. Ma, se così stavano le cose, perché non la stava intralciando?
« Che ne dici, allora, di dirci chi sei tu? » Ribatté Chara, imprimendo un’irritazione ben costruita nel suo tono di voce. Doveva per forza continuare a tenerlo impegnato, non aveva alternative migliori al momento. E, purtroppo, stava già ansimando lievemente, a causa del suo continuare a prevenire un’eventuale fuga del loro avversario, del teletrasporto che aveva utilizzato per risparmiare a lei e Frisk l’ultimo tratto di strada e della considerevole quantità di magia utilizzata per materializzare la barriera di ossa che aveva precedentemente eretto. Tuttavia, non aveva intenzione di lasciarsi sopraffare dal suo corpo dannatamente limitato, non in una situazione di estrema pericolosità come quella.
Neanche in questo caso, il loro misterioso nemico si degnò di concederle una risposta chiara.
« Perché, piu❄❄osto, non provate a scoprirlo da so☹e? Con il vostro spiccato in☝egno e spirito di osservazione, sono c☜rto che scoprirete prima o poi l’✋dentità con cui ero conosciuto in questo 💣ondo così irrisorio. Peccato c☟e sarà troppo tardi per tutti voi, una ✞olta che arriverete alle risp⚐ste che desiderate. » Propose canzonatoria la creatura, una breve risata di spilli lasciò quella bocca irta di zanne. Contro ogni suo rifiuto di riconoscere quella reazione per ciò che era, Chara sentì una serie di brividi percorrerle la schiena, ma sospettava sarebbe stato difficile persino per Undyne restare impassibile davanti a quella risata, così snervatamente innaturale. « Gradirei, qui☠di, che lasciaste libero il pass✌ggio per noi. »
Chara indurì lo sguardo con una smorfia, un pugno serrato lungo il fianco.
« Ti avevo detto di lasciare libero il mentecatto… ma, visto che non hai nessuna intenzione di obbedire, sono pronta a farti pagare care le conseguenze. »
La creatura piegò la testa da un lato, le luci bianche sotto le palpebre che emanavano un bagliore intimidatorio. Chara fissò senza battere ciglio i cerchi di luce della creatura, occhi che non erano per nulla simili ai suoi, dal taglio affilato e generalmente distaccati, e nemmeno lontanamente simili a quelli dello scheletro, arrotondati ed amichevoli ad una prima occhiata. Erano sterili, fissi, così immobili che la ragazzina dubitò per un lungo attimo che potessero appartenere a qualcosa di vivo.
« Sarebbe da✞✞ero, davvero interessante v☜dervi tentare e fal☹ire miseramente, ma temo di dover posti👍ipare questo incontro. » La denigrò l’essere, allargando le braccia e scuotendo il capo in un derisorio gesto di scuse. « Sono terribilmente s🏱✋acente. »
Chara sostenne quello sguardo con quanta più fermezza riuscì a raccogliere, la magia che avrebbe preso forma nel suo occhio destro di lì a poco. A dispetto di quanto stesse cercando di negarlo, quelle istigazioni stavano cominciando a starle strette. Non aveva ceduto ad esse fino ad ora per guadagnare tempo, ma adesso ne stava avendo davvero abbastanza.
Con un non indifferente sollievo, la sua ultima ispezione sotto il terreno le confermò la buona riuscita del blocco dell’unica via di fuga ancora disponibile, le ossa che aveva precedentemente materializzato tutte al loro posto. Provocazioni o meno, era arrivato il momento di passare all’attacco.
« Frisk, ora! »
La sua compagna, per quanto potesse essere stata preda dello sconcerto fino ad allora, fortunatamente non esitò a partire alla carica verso il loro enorme avversario appena le venne dato il segnale.
Chara lasciò che la magia si sprigionasse dal suo occhio in una serie di fiammelle vermiglie e affiancò Frisk nella loro prima offensiva.
La pianta sogghignò brevemente in loro direzione, prima di inarcarsi in un’onda ruggente di nero, rilasciando un turbine di radici che aveva abilmente celato sottoterra, uno stridio assordante fece tremare l’aria.
Chara vide Frisk scansarsi di lato e non esitò a copiarne il movimento, perché così facendo fu in grado di evitare di essere mandata a gambe all’aria – o peggio – da un’appendice che era balzata fuori dal terreno. Tuttavia, neanche un secondo dopo, fu il suo turno di scansarsi verso la direzione opposta per evitarne una seconda e riaffiancarsi nuovamente a Frisk.
Un ammasso di brulicante nero minacciò di abbattersi su entrambe con la forza di una slavina ma, al sollevarsi del braccio destro di Chara, gran parte di quel vorticare di radici venne sfoltito da tre sequenze di ossa, che lei scagliò in parallelo una dietro l’altra.
Furono in due le propaggini che tentarono quindi di raggiungerla, ma Frisk fu rapida a pararle con il bastone della lancia, che sfrigolò pesantemente contro la loro superficie legnosa eppure estremamente malleabile.
Chara si voltò di scatto dopo aver sentito i suoi sensi amplificati dalla magia praticamente urlarle di guardarsi le spalle. Levando le mani in alto, artigliò con le dita la terza che si sarebbe quasi certamente abbattuta sulla sua testa, con buone probabilità di frantumarle il cranio. Scoprì a sue spese che la forza di cui era dotata una sola di quelle cose era davvero devastante, per questo cercò immediatamente di assorbire la magia intrinseca nell’appendice che aveva afferrato. L’unico imprevisto che incontrò fu proprio la completa mancanza di magia in un corpo che, in teoria, avrebbe dovuto essere una fabbrica vivente di magia. Incredula e furente, Chara digrignò intestardita i denti, alla disperata ricerca di un flusso magico da sottrarre al loro avversario per rimpolpare un po’ le sue riserve in rapido esaurimento. Doveva procurarsi altra magia, doveva se non voleva finire K.O. a metà scontro!
« Chara, abbassati! »
Udì a stento l’avvertimento di Frisk, prima di venire trascinata a terra dall’altra ragazzina e fatta rotolare nella melma nera e appiccicaticcia della palude.
Alzò lo sguardo solo per vedere la successiva parata della più piccola che, seppur fu sufficiente a bloccare l’assalto tanto tempestivo di un’altra radice, non poté essere mantenuta stabile a lungo da Frisk, che venne sbalzata all’indietro appena lo ebbe respinto.
La ragazzina le atterrò di fianco con un lamento strozzato e Chara non perse tempo a raggiungerla e ad issarla in piedi con tutte le sue forze.
« Frisk, perché diavolo non l’hai infilzata?! Non saresti finita a terra se tu lo avessi fatto! »
Frisk tossì, un poco piegata su un fianco che doveva aver preso una bella botta a giudicare dalla mano con cui lo stava premendo. La ragazzina alzò quindi gli occhi, una lieve agitazione si era raccolta nelle sue iridi ambrate.
« Io non… Chara… »
Il mormorare incerto della minore venne interrotto da nientedimeno che il loro attuale nemico.
« ☜satto, piccola… qual è il pro👌lema? Hai deciso che la salve☪☪a del tuo deludente amico ☠on vale il prezzo della tua m⚐ralità perduta? » La canzonò la creatura con un sorriso di lame, scuotendo impunemente Sans come fosse un burattino rovinato da mostrare ad un bimbo.
Chara non seppe dire se il sorgere dell’angoscia più cupa sul volto di Frisk era stato causato dalla vista dello scheletro divincolarsi per il dolore, o da ciò a cui quelle parole alludevano.
« Frisk… »
La ragazzina più minuta rilasciò un sospiro tremante, asciugandosi una guancia sporca con il retro della mano.
« È-è vero… n-non… voglio ferire più nessuno… non voglio più far del male a qualcuno, Chara. Non posso… non posso farlo! » Confessò la sua amica e l’alzarsi improvviso della sua voce normalmente soffice la rese ancora più disperata ai suoi occhi.
Ma la maggiore sostituì presto la desolazione sul suo viso con l’indignazione.
« Bene. Se è questo ciò che vuoi, allora, fa come ti pare. »
Frisk la guardò attonita.
« C-Chara… »
« Se non riesci a valutare da te che questo non è il momento per fare i moralisti, mi sei solo d’intralcio. » Le rispose duramente Chara, digrignando leggermente i denti con lo sguardo più severo che avesse mai rivolto all’altra ragazzina. « Se vuoi renderti un minimo utile, limitati a coprirmi le spalle, mentre tento di raggiungere quell'idiota del tuo amico. »
Con un grugnito, si lanciò nuovamente nella mischia di appendici, ignorando il tentativo di Frisk di richiamarla a sé. Schivò la prima radice poggiando il peso su un ginocchio e scartando di lato, alzando svelta il palmo per intercettarne una che stava mirando al suo collo e che riuscì a respingere sprigionando una singola frazione della sua magia vermiglia, giusto in tempo per pararne un’altra con l’avambraccio sinistro e scagliare una fila di ossa verso il suo lato destro scoperto.
Un’appendice la caricò frontalmente ma, prima che potesse alzare il braccio per pararla, vide Frisk passarle davanti con un balzo e placcare il fusto della propagazione con l’asta della lancia, allontanandola poi con una successiva spinta.
« Ti avevo detto di coprirmi le spalle! » La rimproverò sdegnata Chara, fissando stizzita la schiena dell’amica.
« Hai bisogno di me qui davanti, non là dietro! » Le ribatté risolutamente Frisk, portandosi rapidamente vicino a lei, lancia contro il fianco con la punta affilata che sfiorava il terreno, i suoi occhi ambrati fissi con un alone di supplica nei suoi, ruvidamente aggrottati. « Posso anche essere inutile nell’attacco, ma posso farti facilmente da scudo. »
Due appendici saettarono fulminee da due direzioni opposte e le due ragazzine furono costrette a bloccarne una ciascuno, Frisk con l’impugnatura della lancia e Chara con un osso acuminato, che aveva fatto materializzare con uno schiocco di dita fra le sue mani.
« Ma che scudo, Frisk! Queste cose continueranno a moltiplicarsi se le pari e basta! » Ribatté la più grande, serrando meglio la presa attorno alla sua spada improvvisata, le mani coperte da un velo di sudore.
Si sentì afferrare per il braccio dalla campagna, la quale le diede lo slancio necessario per lanciarsi contro l’appendice che Frisk aveva precedentemente fermato e infilzarla così nel terreno con l’osso, mentre la sua amica si era già preoccupata di sistemare l’altra sfruttando la stessa spinta generata dal loro scambio di posizione.
« Io posso occuparmi della difesa e tu dell’attacco! » Propose a quel punto Frisk, gesticolando con il braccio libero, cercando palesemente di mantenere un tono accomodante a dispetto della lieve irritazione che Chara sentì insinuarsi nella sua voce. « Perché non lo capisci? »
« Perché con la sola difesa non risolvi nulla! Finiresti col farti del male! » Replicò esasperata la maggiore, non notando la macchia nera, serpeggiante e in rapido avvicinamento, a lato della sua visione.
« Chara, dietro! » Gridò Frisk, ma fu comunque troppo tardi per permettere alla ragazzina più grande di sfuggire alla radice che le imprigionò le caviglie e la sbatté contro il terreno, stordendola in malo modo. « No! »
Frisk si accovacciò velocemente di fianco a Chara, cercando di allentare le radici serrate intorno alle caviglie della compagna, ma fece a malapena in tempo a poggiarvi le mani sopra che il fischiare di un’altra propagazione la avvertì dell’arrivo di un attacco imminente.
Rotolò su un fianco, allontanandosi di pochi metri da Chara, ma non appena si mise in piedi ripiombò a terra sotto l’abbassarsi di una pesante radice, che si scontrò con un duro scrocchiare contro l’asta della sua lancia.
Chara riaprì gli occhi pochi istanti dopo, cercando di scuotere via la nausea che le era salita in gola, di ignorare il pulsare sul retro del suo capo, che non aveva potuto proteggere nel momento in cui si era sentita sbattere a terra. Fu a quel punto che vide Frisk, non tanto lontana da dove si trovava lei, cercare di non essere spinta a terra da un’appendice che le pendeva appena sopra la testa. Il viso della sua amica era contorto dalla fatica, arrossato, le braccia le tremolavano per lo sforzo che stava sopportando. Era evidente che avrebbe retto ancora per poco.
« Frisk! T-tagliala, veloce! » Fece appena in tempo a gridarle, prima di sentirsi trascinata all’indietro dalle radici che le imprigionavano le caviglie. Materializzò un osso fra i palmi della mano e lo conficcò nel terreno, il suo corpo si tese brevemente a mezz’aria sotto lo strattonare di due forze opposte, abbastanza a lungo per strapparle un lamento di dolore.
« M✌i sentito dire che, durante una 👌attaglia, la disarmonia è ciò che causa una sicura 👎isfatta? » Udì la creatura domandare loro e la nota di scherno contenuta nella sua voce era stata altroché percepibile dalle orecchie della ragazzina più grande.
Chara strinse i denti quando sentì le appendici riprendere a tirare con più vigore di prima, ed era snervatamente consapevole che quella creatura le stava praticamente concedendo di resistere alla cattura. A giudicare dalla forza di cui era dotata una sola delle sue appendici, sarebbe stato uno scherzo farle mollare la presa su quell’osso e romperle qualche tendine nel processo.
Erano davanti ad un punto morto ora e la colpa era tutta del loro fin troppo scaltro opponente… o per la maggior parte almeno, poiché Chara non negò a sé stessa di aver giocato a sua volta un ruolo di primo piano rivolgendosi in malo modo alla sua amica. E dovette riconoscere, purtroppo, che non c’era modo di risolvere questa situazione con le carte che avevano tutt’ora in mano. Dovevano ricominciare da capo.
« Frisk! » Sussurrò tra i denti, cosicché quell’abominio non potesse, con le migliori speranze, sentirle. « ‘Ricarica il punto di salvataggio’. Ci riproveremo senza distrazioni! »
« Temo 👍he questa opzione non sia al 💣omento disponibile per voi. » Si intromise la pianta, mandando in frantumi le sue precedenti migliori speranze. « Se ☹o farete, la vittoria sarà indi💧cutibilmente mia. »
« C-che significa? » Esclamò Frisk, alzando di scatto la testa, che aveva mantenuto china fino ad allora per poter meglio opporsi all’incessante spingere dell’appendice.
La creatura abbassò le palpebre con un atteggiamento di superba ovvietà.
« Esattamente 👍iò che ho detto. ‘Pun❄i di salvataggio’, ‘reset’… s⚐no totalmente inef☞icaci nel mio caso e il medesimo 👎iscorso vale per i miei moment✌nei passeggeri. Non avete alcun potere s🕆 di me. »
Ora sì che Chara era davvero perplessa, oltre che seriamente preoccupata, ma la sua razionalità le intimò immediatamente di non lasciarsi abbindolare da parole così piene di insidie.
« Stai mentendo! » Lo accusò, non disposta a credere per un secondo a quelle fandonie. Sì, il demonio sapeva dei ‘punti di salvataggio’ e dei ‘reset’, ma non era detto che ne fosse immune come aveva affermato.
« Anche amme💧💧o che io stia mentendo, non 👍☼edo che la tua compagna sia dis🏱osta quanto te a mettermi alla p☼ova. » Le replicò la creatura, il riso sul suo volto sfregiato era largamente percepibile nel suo tono di voce.
Chara piegò le labbra in una smorfia irritata, un rivolo di sudore freddo le scivolò fastidiosamente lungo una tempia. Quel farabutto, doveva sfortunatamente ammettere, aveva ragione. Frisk non avrebbe mai rischiato la vita di quel patetico scheletro sapendo quello che c’era in gioco e lei non poteva, né se la sentiva, di obbligarla a fare altrimenti. Se ci fosse stato qualcuno a cui lei teneva personalmente al posto del commediante, il suo atteggiamento non sarebbe stato diverso da quello della sua amica.
« Sta… s-sta solo giocando con noi… »
Il mormorio sconcertato di Frisk le fece intendere che non era l’unica ad essere giunta a quelle stesse conclusioni. Qualunque fosse la natura e l’identità del loro avversario, una cosa era parsa ormai certa a Chara: le loro possibilità di vincere questa presa in giro ben costruita erano davvero minime. E, ai suoi occhi, divenne così tragicamente verosimile come il sacco d’ossa avesse potuto lasciarsi catturare da un simile mostro che, oltre ad avere una forza smisurata, aveva dalla sua anche un’astuzia da non sottovalutare.
L’improvviso urlo che Frisk cacciò la costrinse a riportare lo sguardo sull’altra ragazzina, giusto in tempo per vederla abbandonare ogni resistenza contro la propagazione che la aveva assaltata. La minore scartò prontamente di lato, la propaggine le sfiorò di poco il fianco, ma la giovane fu comunque in grado di schivarla con successo. Sollevò quindi la lancia sopra la sua testa e la fece affondare con la punta dentro l’appendice, tagliandola da parte a parte con un grido di sforzo, il nero schizzò ovunque come pioggia sui vestiti della ragazzina e sul terreno fangoso.
Chara spalancò gli occhi stupefatta quando Frisk le passò di fianco a tutta velocità, falciando con precisione le appendici che le stavano trattenendo le caviglie e acquistando una posizione pronta all’offensiva nell’attesa che lei si rimettesse in piedi.
Chara non perse tempo a rialzarsi nonostante gli acciacchi che aveva rimediato e assunse una posizione simile a quella di Frisk, flettendo leggermente le ginocchia per preparare uno scatto.
« Hai… cambiato idea. » Osservò piacevolmente stupita, gettando un breve sguardo in direzione dell’altra giovane, un lieve sorriso non visto ad incresparle un labbro.
Frisk rilasciò un veloce sospiro, rompendo per poco la sua espressione nuovamente risoluta e pronta alla battaglia e far così emergere una amara serietà.
« Lui aveva ragione, non stavo dando il giusto valore alla salvezza dei miei amici. Mi stavo comportando da egoista. Non succederà più. »
« ⚐pporsi ai propri ideali e convin☪ioni… non una presa di posizio☠e che si verifica frequentem☜☠te. » Commentò la creatura, incedendo verso di loro con uno sguardo intensamente contemplativo, estraneo alle espressioni perfide di cui aveva fatto sfoggio fino ad allora. Entrambe le ragazzine si tesero, preparandosi per una possibile offensiva, esattamente come Undyne aveva loro insegnato. Il sorriso infido tornò però onnipresente su quel volto cereo non appena quell’espressione contemplativa gli lasciò reclamare il posto che gli spettava. « Ma è un sacri☞icio del tutto immeritato da 🏱arte del vostro buon amico qui present. »
« Non è vero. » Protestò Frisk, con uno scatto di contenuta indignazione. « Cosa ne sai tu, come ti permetti di giudicare gli altri in questo modo? »
La creatura ridacchiò canzonatoria alla sua replica, portandosi una mano scheletrica sul petto ansante.
« Tut❄⚐ questo mi suona estremamente fami☹iare… Non fa forse parte della natura d☜l tuo fallimentare mentore il giu👎icare, il valutare gli altri bas✌ndosi su mere supposizioni, Fris😐? »
« Lo fa solo in buona fede. » Ribatté la ragazzina, con voce sicura.
Il loro avversario inclinò elegantemente la testa decorata di petali lacerati, rivolgendo loro uno sguardo a mezze palpebre di finto compatimento.
« Mh mh… » Canticchiò a bassa voce la creatura, fissando le pupille biancastre sullo scheletro suo prigioniero, un lieve ghigno che lasciava intravedere le fila di zanne all’interno della sua bocca. « Cosa ne pen💧i, Sans? Credi che la signorina sare👌👌e ancora così volenterosa di parlare in ❄ua difesa, se solo ti conoscesse a fondo 👍ome ti conosco io? »
Sans sgranò visibilmente gli occhi, scuotendo appena la testa in un gesto che avrebbe probabilmente dovuto restare non visto, ma che fu comunque fin troppo visibile da entrambe le ragazzine.
Chara lanciò una breve occhiata in direzione di Frisk e la tenue confusione che notò sul viso dell’altra giovane non la rassicurò minimamente. Tornò a fissare lo sguardo sul volto schiamazzante della creatura, le sue labbra ora una linea sottile.
« Spiegati. » Disse, quasi in tono di comando. Aveva avuto sospetti fin dall’inizio sulla buona condotta del sacco d’ossa e pareva fosse giunta finalmente l’ora di mettere a tacere i suoi dubbi. Che il maniaco avesse rivelato loro qualcosa, o che fossero riuscite a salvare lo scheletro buono a nulla per farsi dare le spiegazioni che dannatamente meritavano, Chara si sarebbe comunque assicurata di ottenere la storia in dettaglio di tutta la faccenda.
« ❄emo che ci sia poco da aggiungere da parte mia 🏱☜r il momento… perché togliere a voi gio✞ani e avide menti il piacere della scoperta, qu✌ndo possedete chiaramente le capacità ne👍essarie per giungere alle r✋sposte senza aiuti esterni? » Rispose l’abominio, con una scrollata noncurante di spalle. « Non co💣💣etterei mai simili crudeltà. »
« Ma sei più che disposto a commettere crudeltà di ben altro genere. » Sibilò cupamente tra i denti Chara, indurendo inclementemente il proprio sguardo, la sua magia vermiglia si agitò in risposta a quel picco di indignazione.
La creatura le rivolse un sorriso di bieca intesa, la pupille brillarono spettralmente sotto le sue palpebre durante quell’intimidatorio scrutare.
« Come te, C☟ara? »
Chara sussultò internamente dalla durezza, dal gelo, dalla perfida accusa di cui quelle due semplici parole erano state intrise. E si ritrovò incapace di formulare una qualunque risposta convincente, che facesse intendere alla creatura che quella replica non la aveva minimamente colta impreparata, né tantomeno la aveva colpita dove nessuno avrebbe dovuto osare colpirla. Quale razza di maniaco poteva conoscerle al punto da saper toccare i tasti giusti per farle sentire deboli ed incapaci? Prima con Frisk, ora con lei e la stessa sorte doveva essere molto probabilmente toccata allo scheletro. Contro chi diavolo si erano incoscientemente messe contro?
« Smettila! » Sbottò Frisk, alzando la voce di solito posata ben oltre i limiti del suo normale tono, facendo legittimamente trasalire Chara. « Rinfacciandoci i nostri errori e giocando con i nostri sentimenti non avrai mai la meglio su di noi. Ci riprenderemo Sans ad ogni costo, non importa cosa tu dica per farci cedere! »
La creatura studiò la sua amica con una curiosità malcelata, come se non avesse del tutto previsto una reazione simile da Frisk.
Chara sbatté lentamente le palpebre, fissando con insistenza la schiena della più piccola, meravigliata dalla fermezza con cui aveva zittito quel farabutto. Era sempre esistito questo lato di Frisk, o era solo emerso recentemente? Non la aveva mai vista dare sfoggio di una simile tenacia, non a parole almeno, probabilmente perché non si erano mai presentate fino ad allora situazioni adatte a far emergere questa temerarietà. In entrambi i casi, sentì comunque una sensazione di cieca fierezza e ammirazione riverberarle nel petto. Dove una falliva e cadeva, l’altra era sempre pronta ad affiancarla e aiutarla per rimettersi in piedi, a dispetto di ogni avversità. Forse, era anche questa una delle loro doti che Undyne aveva segretamente cercato di rafforzare durante le loro sessioni di allenamento: la capacità di fare lavoro di squadra, importante su un campo di battaglia come nella vita di tutti i giorni.
Ecco perché Frisk aveva risposto in quel modo alla creatura: non c’era possibilità che il loro avversario potesse avere la meglio su entrambe, non finché si fossero supportate l'un l’altra.
L’essere, terminato il suo insistente scrutare, abbassò le palpebre con un sospiro.
« Ave✞o deciso di concedervi 🕆n po’ di gentile tregua con quest⚐ nostro discorrere ama👌ilmente. » Disse, con un lieve ghigno a fior di labbra. « Ma, da quanto 🏱osso osservare, pare che non ne abbia❄e particolare biso☝no. »
Il tono di voce del loro avversario fu abbastanza eloquente nell’anticipare loro l’immediata ripresa dello scontro.
Il terreno tremò sotto i loro piedi e Frisk fu la prima a scansarsi leggermente di lato per evitare l’attacco a sorpresa di una radice spuntata dal terreno. Chara la placcò con entrambe le mani, strisciando indietro con le suole degli stivali a causa della spinta dell’appendice, ma fu in grado di frenarne l’avanzata grazie alla magia con cui incrementò momentaneamente la resistenza del suo corpo.
Intervenuta in soccorso della sua compagna, Frisk fece mulinare la lancia per tagliare la radice direttamente alla base, liquido nero schizzò in dose ancora più abbondante a causa dello spessore di quell’ultima.
Una serie di radici le circondò e si riversò su di loro, chiudendole in una sorta di cupola brulicante, ma appena Frisk ne sbrindellò il ‘tetto’ con un movimento arcuato della lancia, Chara fece emergere dal terreno una fila di ossa sufficiente a trasportare a malapena entrambe, che le portò fuori dalla portata di attacchi provenienti da sotto il suolo.
Una fitta simile ad un lungo ed estenuante gemito si diramò allora dalla sua anima in tutto il suo corpo, facendole sfarfallare la vista e perdere il controllo sulla magia che stava tutt’ora utilizzando, oltre che sfuggire un lamento soffocato dalle labbra ferocemente stirate. Non era possibile, era arrivata al suo limite proprio ora?!
Un’altra fitta seguì la prima e Chara si ritrovò ad accasciarsi, a stringersi il petto con le dita che scavavano nel maglione sudicio di nero, la mano rimasta libera restò testardamente alzata per mantenere in piedi la sua struttura di ossa improvvisata. Abbassarla avrebbe solamente portato al rovinoso cadere sia suo, che della sua amica, e l’altezza era francamente troppo considerevole per poter sperare in un atterraggio morbido.
Le fiammelle all’interno del suo occhio si estinsero, lasciandola con una sensazione di vuoto laddove, invece, avrebbe dovuto esserci l’adrenalina della battaglia e la concentrazione per tenere strette le redini della sua magia. E il dolore all’interno del suo petto divenne persino più intenso di prima.
« Chara! » La chiamò Frisk, facendo per accorrere al suo fianco.
« Usa il jetpack, Frisk! VAI! » Le urlò lei, stremando la sua voce per far sì che non si tramutasse in un nuovo rantolo sofferente.
Frisk si distaccò immediatamente da lei per recuperare il suo cellulare. La mano della ragazzina riemerse rapida dalla borsa con il telefono stretto fra le dita e, con la medesima rapidità, Frisk la riaffiancò, sul punto di posare momentaneamente la lancia ed azionare in questo modo il jetpack.
Il sibilare simile ad un’enorme frusta precedette il demolirsi delle ossa che tenevano in piedi la struttura instabile e Chara si sentì presto mancare il terreno da sotto i piedi, lo stomaco le si strinse sotto la morsa di una paura prettamente istintiva. E realizzò, come pure forse la sua amica in quegli istanti, che la ragazzina più piccola non avrebbe potuto azionare il jetpack e afferrare lei allo stesso tempo: con una mano Frisk stava reggendo il telefono, mentre l’altra la lancia di Undyne, arma indispensabile senza cui sarebbe rimasta indifesa.
Una di loro sarebbe dovuta cadere per forza – e quella non sarebbe stata Frisk.
Prima che la più piccola potesse decidere di lasciare la lancia, Chara schiacciò per lei il bottone per attivare il jetpack e si preparò all’impatto imminente col suolo, sperando che la sua compagna non si sarebbe fermata per aiutarla, che avrebbe proseguito e avrebbe tratto in salvo quello scheletro anche a costo di una perdita.
Il dolore fu istantaneo ed esplose in più punti del suo corpo, ma l’incoscienza giunse presto a lenirlo, a farlo sparire quando le palpebre si chiusero su un mondo rumoroso e ormai troppo sfocato per poter essere stancamente osservato.
Il telefono, appena Chara aveva pigiato il pulsante, si riassemblò efficientemente nel prezioso marchingegno che Frisk aveva già adoperato parecchie volte durante il programma di Mettaton. Il jetpack si allacciò automaticamente intorno alle sue spalle e i motori si attivarono tempestivi per arrestare la caduta della giovane ad un metro scarso dal terreno.
Lo sguardo di Frisk si inchiodò immediatamente sul corpo inerme della sua migliore amica, priva di conoscenza a terra e semisepolta da ossa e fango, i vestiti strappati in più punti e più abrasioni di prima a costellarle gambe e braccia. La sua anima perse un agonizzante battito alla vista di tutte quelle ferite che sanguinavano polvere, ma furono proprio gli occhi di Chara, lo sguardo che la maggiore le aveva rivolto pochi istanti prima di precipitare nel vuoto, a costringerla a distogliere la sua attenzione da quella visione.
Continua, le aveva quasi intimato. Devi continuare.
Frisk strinse un poco la lancia fra le dita, il peso familiare dell’arma la rassicurò un poco, abbastanza per forzarla a voltare la testa in direzione della creatura, in direzione di Sans, le luci che brillavano fioche nelle sue orbite non la avevano lasciata un istante durante tutto lo scontro.
Sì, doveva continuare a combattere, non doveva arrendersi finché non avesse dato il tutto per tutto. E questa volta, questa volta in particolare, doveva farlo con persino più determinazione di sempre, perché c’era troppo in gioco, troppo che poteva perdere in caso di fallimento.
Strinse le labbra, assentendo col capo, in una risposta silenziosa diretta sia a Chara, sia a Sans.
Era piena di determinazione.
 





 
Sameko’s side
Buuuona sera miei fedeli lettori, l’estate è meravigliosa fuori, gli uccellini cinguettano alle quattro di mattina e non mi fanno chiudere occhio, i fiori sbocciano e per me il polline è sinonimo di guai e… niente, spero vi siate goduti un capitolo denso di azione, a maggior ragione dopo tanto che non se ne vedeva nemmeno l’ombra. XD Spero di non essermi arrugginita a tal proposito.
E questa è solo la prima parte, perché la sottoscritta non riesce più a regolarsi col contatore di Word… che stavolta segnava un bel 10 000 e oltre IT’S OVER NINETHOUSAND. Quasi mi vergognavo a pubblicare un colosso del genere, quindi ho deciso di spezzare il capitolo in due parti per sentirmi più tranquilla. C’è chi si preoccupa di aver postato aggiornamenti troppo corti, c’è chi invece si preoccupa del contrario, che ci dobbiamo fare.
Per i più smanettoni, non ricopiate le lettere in Wingdings con la speranza di scovare chissà quale messaggio nascosto, perché mi duole informarvi che non troverete nulla, visto che le ho inserite in ordine del tutto casuale! Avevo preso in considerazione l’idea in verità, ma ci ho rinunciato quando dopo le prime due battute di Gaster hanno iniziato a sorgere le prime grandi difficoltà… e poi avrei scritto qualcosa di semplice come “Oh ciao a te che stai decifrando”, quindi non ne valeva proprio la pena. XD
Giusto per curiosità, confesso che secondo le mie prime bozze mentali sarei dovuta arrivare a questo punto della trama intorno al capitolo 10 o 11… ripensandoci ora, non riesco nemmeno a capacitarmi di quanta roba non era presente nei miei programmi iniziali… e non riesco neanche a ricordare quali fatti o avvenimenti si sono aggiunti dopo, durante la fase di scrittura vera e propria. Ma, onestamente, la migliore versione di questa fanfiction è quella finale, quella che rimarrà sul sito e che negli anni a venire avrò timore di rileggere da capo. X)
E termino qui, prima che le mie chiacchiere comincino a diventare noiose. ^^”
Oh, per la seconda parte dovrete attendere qualche giorno! ;)
A presto e baci!
 
Sameko
 

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Capitolo 21
*** Capitolo 20: Gioco - Parte Due ***



Capitolo 20: Gioco – Parte Due
 
 
 


Era piena di determinazione.
Senza indugiare un secondo di più, Frisk spinse in avanti i comandi del jetpack, sfrecciando con la lancia davanti a sé, come un cavaliere che si sta preparando per la sua ultima offensiva.
Due appendici saettarono veloci per attorcigliarsi attorno al suo corpo, solo per fallire nell’intento grazie al breve avvitamento che la ragazzina eseguì praticamente a stento, ma che le evitò comunque la cattura.
Non appena tornò in posizione verticale, un muro di propagazioni le si parò davanti, arrestando l’avanzata che aveva cercato di far procedere il più rapidamente possibile.
A denti stretti, Frisk impugnò la lancia con entrambe le mani e la fece affondare pesantemente contro la muraglia che le stava impedendo il passaggio. Brandelli di fibre e schizzi di nero piovvero ovunque e fu alla cieca che la sua mano raggiunse di nuovo i comandi per far scattare in avanti il jetpack.
Asciugati gli occhi con una manica, Frisk notò appena in tempo il sopraggiungere del suo nuovo e massiccio ostacolo, che si frappose esattamente come i precedenti fra lei e Sans: il fusto, spesso e massiccio, della creatura stessa.
« D⚐ve pensi di a☠dare, ragazzina? » Le domandò, sogghignandole apertamente in viso, come a voler deridere il suo ultimo tentativo di opporsi al rinnovarsi di attacchi che le veniva scagliato contro.
Frisk assottigliò gli occhi, stirando rigidamente un labbro mentre ignorava quel commento canzonatorio ed opponeva a quello sguardo provocatorio una quanto più solida fermezza. Oh no, non si sarebbe lasciata fermare proprio ora!
Invece di arrestare il suo sfrecciare nell’aria, procedette spedita incontro al corpo principale della creatura, preparandosi a lacerarne il possente fusto con ogni briciola d’energia e determinazione che poteva radunare.
Un mezzo grido sfuggì dalle sue labbra e caricò a tutta forza verso il suo bersaglio, i muscoli delle braccia protestarono all’unisono non appena la punta della lancia incontrò il primo, legnoso strato del corpo della creatura, ma di lì in poi il fendente tagliò facilmente nell’interno molliccio. Il forte grugnire dell’essere le rimbombò nelle orecchie in un rumoroso gorgogliare mentre trapassava l’interno del fusto, come se questa volta il suo avversario avesse sentito e stesse sentendo dolore, a differenza di quando lo aveva privato di parti anche considerevoli delle sue propagazioni.
Quando sbucò dall’altra parte in un turbinare di liquame nero, fibre e schegge le danzarono pericolosamente vicino al viso, che Frisk fece del suo meglio per coprire con le maniche del maglione ormai quasi completamente fradicio.
Sentì il rumore del fusto della pianta mentre si inarcava come una frusta nell’aria, uno stridore assurdo ne lasciò le fauci spalancate e la giovane fu ormai certa che quella era una inconfondibile dimostrazione di dolore, davanti a cui la sua anima non poté non stringersi debolmente, o anche evitarsi di provare un accenno di incancellabile compassione… ma non era questo il luogo, né il momento per assecondare queste emozioni, soprattutto se dirette verso qualcuno da cui lei sapeva non avrebbe ricevuto gli stessi riguardi. Ciò che contava, era che il suo avversario era temporaneamente distratto e che un’altra occasione per trarre in salvo Sans non sarebbe certamente ricapitata.
Puntò dritta verso il suo amico, vicinissimo finalmente e a portata ottimale della sua lancia, e tranciò di netto con un ultimo mulinare le appendici che lo imprigionavano. Afferrato goffamente Sans e, superato l’agitarsi convulso ed erratico di un paio di appendici, si posizionò il più lontano possibile dalla creatura, restando sospesa a mezz’aria per aiutare Sans a liberarsi dalle costrizioni che ancora lo imprigionavano in una morsa.
Non appena le sue mani le allentarono come meglio potevano, un alone di magia bianco-azzurra circondò la figura dello scheletro, per poi sprizzare verso l’esterno e lacerare le appendici che ancora non avevano abbandonato la loro presa su di lui. Frisk percepì la magia riverberarle su ogni centimetro di pelle esposto e farle agitare le dita, che mantenne comunque il più possibile salde attorno alla vita di Sans e all’asta della lancia. Quell’espandersi improvviso di energia magica non la aveva ferita, ma il suo intenso vibrare non le aveva reso tanto semplice il compito di sorreggere l’amico – fortuna che Sans era solo ossa e vestiti, o dubitava seriamente che avrebbe potuto reggerlo in quel modo se fosse stato umano.
Lo scheletro si piegò un poco su sé stesso, rilasciando in un'unica espirazione l’aria che Frisk non credeva avesse trattenuto, una mano alzata ad asciugarsi il volto umido, l’altra che stringeva tremante il tessuto della maglia, all’altezza del suo petto, all’altezza della sua anima.
« Sans…? »
« T-tutto ok, tutto ok, piccola. Sto b-bene… » Le replicò lui, abbassando il braccio con cui si era strofinato le guance, la voce un pelo roca ma tornata fortunatamente indietro al suo legittimo posto. Qualunque cosa gli avesse fino ad allora impedito di parlare, adesso se n’era andata, con suo enorme sollievo.
Ora, dovevano recuperare Chara e andarsene via di lì subito!
« Dobbiamo prendere Chara, Sans! Prima che…! » Frisk si interruppe bruscamente, cercando con sguardo frenetico il corpo martoriato dell’amica, che aveva lasciato incosciente poco meno di un minuto prima nel punto che stava ora fissando ad occhi spalancati. « D-dov’è? »
A rispondere alla sua domanda, scossa da un primo ma tutt’altro che mascherato tremolare, non fu Sans, bensì la voce sgradevole e a tratti fastidiosamente acuta della creatura.
« Oh, proprio quan👎o credevo ti fossi dimentic✌ta di lei. »
La sola pronuncia di quelle parole con così tanto derisorio compiacimento fu sufficiente a farle gelare il sangue nelle vene.
E, alzando lo sguardo, vide esattamente ciò che ebbe paura di dover vedere: la creatura stava tenendo in ostaggio Chara, ancora priva di sensi e quindi completamente impossibilitata almeno ad opporsi al loro avversario, come Frisk era sicura la sua amica avrebbe fatto, se solo non avesse subìto quella brutta caduta per aiutare lei.
« Non si può pr☜tendere che ogni cosa vada seco☠do i propri piani… e questo vale persino per il sottoscri❄to. » Commentò in un falso sospirare l’essere, scuotendo elegantemente la testa contornata di petali, le braccia allargate in un gesto di accondiscendente accettazione. « Ma ce ne andremo entra💣bi con il premio di consol✌zione, giusto Frisk? »
« NO! » Urlò la ragazzina, l’orrore che raggiunse il suo picco dentro di lei non appena ebbe assimilato il senso di quelle parole tremende. Non Chara, n-non Chara, per favore, non doveva prendersi Chara! Non la sua migliore amica, non l’amica che non aveva mai esitato a mettersi in pericolo per lei. Non. Chara!
« Oh . » La beffeggiò la creatura, scoprendo un poco le zanne, gli occhi che erano due abissi di nero, ridotti a fessure di acre compiacimento. « Goditi il pre💣io per la tua pazienza e gen❄ilezza, ragazzina. » E le pupille inquietantemente bianche della pianta si spostarono altrove, su Sans, di cui Frisk non poté vedere l’espressione, ma di cui poté ben percepire il nervoso tendersi delle ossa sotto le proprie dita. « Co💧ì, vedrai quanto è stata genuinamente ri👍ambiata. »
Frisk boccheggiò, qualcosa a cui non riusciva a dare ora un nome dentro il suo animo si era incrinato, e qualcos’altro che aveva invece preso il sopravvento al suo posto, come un incendio bruciante e distruttivo: disperazione. Solo disperazione.
« No, no, non p-portamela via, non farlo-! »
Lo scattare del braccio di Sans e l’addensarsi della sua magia nell’aria tagliò a metà la sequela di suppliche che Frisk non aveva potuto impedirsi di pronunciare, tutto per far appello ad una pietà di cui non aveva data per scontata l’esistenza.
Le appendici che reggevano Chara vennero agitate da una lieve scossa, come se fossero state raggiunte da una forza invisibile all’occhio, e nel palmo dello scheletro, alzato e rivolto verso la creatura, si raccolsero distintamente alcune volute di magia, di un azzurro ben più scuro rispetto al normale colore che caratterizzava la magia del mostro. Frisk la riconobbe all’istante: magia blu, quella era magia blu, la magia con cui Sans e Papyrus riuscivano ad alterare la gravità terrestre a loro piacimento.
« Non pregarlo, Frisk. Non saremo noi ad andarcene a mani vuote. » Frisk alzò lo sguardo verso Sans, gli occhi ancora larghi per la paura della perdita che aveva rischiato di subire, ma che si stavano tuttavia caricando di una prima nota di speranza, per lei impossibile da esprimere a parole in quel momento. Le dita scheletriche del suo amico si piegarono leggermente, iniziando ad attirare l’anima e, per estensione, l’intero corpo di Chara verso di loro.
La creatura strattonò indietro la ragazzina, con un accennato sogghignare, le mani che scivolarono dietro la sua schiena in un probabile intrecciarsi.
« ✞uoi giocare, Sa☠s? »
Sans ristabilì la sua presa sull’anima di Chara e la attirò ancora, guadagnando terreno.
« Al tiro alla fune? Tutti i giorni, maledetto demone. »
Un altro strattone da parte del loro avversario e vennero trascinati anche loro in avanti dalla forza disumana di quell’essere, la gravità che aveva spinto contro di loro invece che agire su Chara.
Frisk strinse immediatamente le braccia attorno alla vita e alle costole di Sans per una presa migliore, digrignando i denti mentre lo tirava indietro e così consentirgli di ridirigere ed intensificare la forza di gravità che stava premendo orizzontalmente sull’anima di Chara. Il jetpack aveva avuto un considerevole sobbalzo alle spalle della giovane, ma non aveva perso fortunatamente quota.
« Frisk, facci arretrare gradualmente! » Le disse Sans, tornando ad estendere il braccio in avanti, accompagnando il movimento con l'altro per focalizzare nuovamente il flusso magico.
« S-sì! »
Tastando ancora una volta i comandi alla cieca, la giovane manovrò il jetpack così da iniziare una faticosa retromarcia contro cui i motori immediatamente protestarono. Ad ogni metro conquistato, Frisk li sentiva vibrare sempre di più contro la schiena mentre, allo stesso tempo, persino tirare indietro Sans e vincere la resistenza di quelle radici stava mettendo a dura prova la sua di resistenza.
Uno strattone da parte della pianta e persero ben tre metri e Frisk sussultò pesantemente quando sentì la mano di Sans afferrarle il braccio, nel tentativo di avere un appiglio per arrestare la loro rovinosa perdita di terreno. Per lo spavento, la lancia le sfuggì di mano e si ridusse in frantumi prima di toccare il terreno, polvere argentata che svanì dopo meno di un secondo nell’aria.
« Di più, Frisk! C-coraggio! »
La ragazzina non rispose se non con un gemito di sforzo, concentrandosi unicamente sul tirare indietro lo scheletro al massimo delle sue forze, nonostante il pericoloso accelerarsi del suo respiro e il bruciore che stava cominciando a farle formicolare le braccia. Quando subivano gli strattoni del loro avversario, la gravità finiva con l’esercitare una pressione spaventosa su lei e Sans, a cui Frisk non sentiva che avrebbe potuto resistere a lungo se la creatura insisteva a tirarli in quel modo tanto brusco e violento.
Uno strattone ancora e persero un altro metro, una breve risata distorta lasciò le fauci del loro allettato avversario. Un gemito preoccupante venne emesso dai motori e quella nuova spinta non le fece per poco scivolare le mani dalle costole di Sans.
« S-Sans, no-non ce la f-faccio più...! » Urlò, il suo respiro che stava cominciando a divenire rauco, affaticato, e la felpa di Sans che premeva come un muro contro il suo corpo le stava impedendo di recuperare l’ossigeno necessario a sostenere un simile sforzo fisico.
Il sibilo di una propagazione le fece tendere i nervi lungo la schiena e, prima che avesse il tempo di muovere un braccio, Sans aveva già mosso il proprio, quello con cui la aveva precedentemente afferrata, per far materializzare un osso che potesse frenare la discesa di quell’appendice su di loro.
Frisk udì Sans emettere un lamento al momento dell’impatto, a cui lo scheletro dovette resistere con l’energia magica che aveva velocemente convogliato dal braccio sinistro al destro, il primo del quale tutt’ora impegnato nel tentativo ormai disperato di liberare Chara.
A questo punto, Sans stava severamente ansimando, e Frisk poteva percepire ogni osso del suo corpo tremolare per l’estremo sforzo a cui stava venendo sottoposto. Sotto le sue mani, sentiva la fatica con cui persino Sans stava cercando di respirare e di resistere quanto più poteva, la sua cassa toracica si allargava e si restringeva senza sosta e gli stava consentendo a malapena quei respiri strascicati che facevano crescere l’agitazione della ragazzina. Persino lui si stava affaticando velocemente.
« S-spostati…! » Bisbigliò rivolto a lei e la giovane, preparandosi tanto mentalmente alla tremenda pressione e gravità a cui sarebbero stati sottoposti i muscoli di una sola delle sue braccia, aprì una mano e la spostò più rapidamente che poté verso i comandi. Fece così scattare lateralmente il jetpack, il rumore dei motori che venivano ravvivati si mescolò al forte dolore che, partendo dal suo braccio, le si diramò lungo la spalla e il collo, come se avesse un fuoco incontrollato ad espandersi sotto pelle.
E, sopra i propri suoni addolorati, udì un urlo elevarsi così all’improvviso da farle dimenticare momentaneamente persino il proprio di dolore. Era stata Chara, era la sua voce!
Ruotando fino allo stremo il collo, riuscì ad intravedere la propria amica, sveglia, cosciente, agonizzante a causa di una ferita che la ragazzina più piccola non poteva vedere oltre la schiena di Sans. Ma quell’urlo, quel singolo urlo, bastò a farla soffocare dall’apprensione.
« S-Sans, C-Chara, Chara..! »
Non riusciva nemmeno a formare una frase coerente a causa del dolore che le stava infiammando il braccio, dalla paura di vedere la sua amica così sofferente senza saperne nemmeno il motivo, la sua mente era un pulsare di confusione, divisa tra sensazioni fisiche ed emotive entrambe devastanti.
E Sans, mentre sentiva il disorientante quanto traballante stato emotivo di Frisk venirgli trasmesso dalla Sintonia, si accorse solo in quel momento di aver piegato troppo incautamente le dita, finendo con lo stringere l’anima di Chara e causarle il dolore che si era concretizzato in quell’urlo.
Ridistese immediatamente le falangi, mortificato, inorridito da quanto aveva appena fatto. Aveva fatto del male ad una ragazzina, ad una bambina, che cosa aveva fatto?!
Uno strattone ancora e furono sette i metri che persero, con Frisk che lo stava oramai reggendo con un solo braccio tremante e lui che, distraendosi, aveva lasciato che la gravità trascinasse via loro, invece che attirare Chara.
Sans fu costretto a ripiegare le dita per riavere indietro il controllo della sua magia, ma questo strappò alla povera Chara un grido più forte e penetrante del precedente, che gli fece tremolare l’anima dall’angoscia nel petto. L’intensificarsi dell’apprensione e il risorgere della paura di Frisk per la sorte dell’amica lo disorientarono completamente, togliendogli il respiro.
Non ce la faceva più, non ce la facevano più entrambi, e questo avrebbe significato solo una cosa: fallimento, un altro fallimento a cui nessuno avrebbe più potuto rimediare.
Strinse allarmato i denti, sentendo la magia scivolargli via dalle falangi e abbandonarlo, la presa di Frisk sempre più debole attorno alla sua vita. Non poteva finire di nuovo nelle mani di Gaster, non doveva finir preda di quel demone, non dopo tutto questo! Ma non poteva lasciare Chara, non poteva lasciare che fosse un altro innocente a pagare per i suoi errori!
In quell’istante, i suoi occhi si fissarono sul volto di Gaster, che li aveva ormai in pugno, che avrebbe potuto far schiantare lui e la piccola in meno di un istante, che avrebbe potuto reclamare la sua vittoria in qualunque momento… fissando quegli occhi, i suoi vennero come calamitati dal socchiudersi delle palpebre sulle orbite di un turbolento nero, dall’inclinarsi di quella bocca affilata in un sorriso più innaturale del solito, inconsueto, che poté notare lui soltanto.
Sans aveva a malapena sentito una sensazione di freddo smarrimento iniziare a stabilirsi nel suo animo, quando aveva intravisto degli sprazzi di azzurro e scintille elettrizzare l’aria nei pressi di Chara. Prima che potesse anche solo accorgersi del lacerarsi delle radici che avevano tenuto in ostaggio la ragazzina, sentì l’intera forza di impatto del corpo di Chara piombargli dolorosamente sulle costole, a causa della magia blu che non aveva avuto il tempo di lasciar dissipare.
Frisk perse il controllo del jetpack quando ciò avvenne e il rovinoso precipitare di tutti e tre fu inevitabile. Tuttavia, non fu il terreno fangoso a far terminare la loro caduta, ma le acque della palude, da cui vennero velocemente sommersi senza scampo.
Sans riaprì subito gli occhi quando sentì il braccio di Frisk abbandonarlo. Aveva perso di vista la piccola ed era all’oscuro di dove fosse Chara nel mare di bolle che avevano sollevato, in cui non riusciva a distinguere nemmeno la propria mano. Il suo cranio si riempì immediatamente d’acqua e il suo intero corpo affondò ancora di più, nonostante stesse cercando di agitare le braccia e tornare a galla, lottando contro il serpeggiare di dolori lungo la sua cassa toracica; un lottare di cui, se fosse stato un po’ più lucido, ne avrebbe visto l’inutilità, considerato che purtroppo le ossa non galleggiano.
Il suo agitarsi si interruppe quando si sentì afferrato da sotto le braccia e tirato in superficie da un salvatore sconosciuto. L’acqua che ancora si agitava dentro il suo cranio e che stava fuoriuscendo faticosamente dalle sue orbite non gli permise di identificare chi fosse. Certamente, non poteva essere né Frisk, né Chara, perché l’individuo stava chiaramente camminando sul fondale e, se lui non era riuscito a rimanere con la testa fuori, neanche le due ragazzine avrebbero potuto farlo.
Non appena si sentì depositato sulla riva, si accasciò a terra con un gemito sofferente. Respirare faceva tremendamente male in quella posizione e l’acqua che gli invadeva il cranio gli rendeva difficile pensare, o anche solo coordinarsi.
Fu capace di sollevarsi sui gomiti ed alzare il torso da terra per alleviare almeno un poco i dolori lungo la sua cassa toracica e riprendere a respirare quanto più regolarmente possibile. Qualcuno gli cinse i fianchi e lo aiutò a sollevarsi completamente, facendolo poi sdraiare e reclinare la testa all’indietro per far uscire l’acqua dal retro del suo cranio.
« Ci sei, Sans? Dammi un segnale se mi senti. »
Sans sbatté le palpebre, richiamando fiaccamente la sua magia affinché le luci delle sue pupille si manifestassero di nuovo. Quando il buio si dissipò, non gli dispiacque vedere il volto squamoso di Undyne riempire la sua visione.
« Heya, dolce sirenetta. S-sei stata tu a salvarmi dal naufragio? Grazie, avevo giusto i p-pensieri un po’ annacquati. »
L’espressione impensierita di Undyne si tramutò all’istante in un duro cipiglio.
« Direi che sei più in te del previsto, spiritosone. »
Sans provò a ridacchiare, ma un nuovo serpeggiare di dolori nella zona della gabbia toracica spezzò le sue deboli risa, trasformandole in flebili gemiti di dolore.
« Ah, ahi- costole f-fratturate, a quanto sembra. » Farfugliò, limitandosi questa volta ad un breve sorriso forzato, fiacco.
« Un motivo in più per startene buono e non urtare la sensibilità delle nostre orecchie. » Disse Undyne, emettendo in seguito un lieve sospiro ben più paziente. « Potrebbero essercene una o due fratturate, le altre forse sono solamente incrinate, visto che non mi sembra hai troppe difficoltà a respirare. »
« Com’è che se l’è cavata con solo qualche costola andata lui? »
A poca distanza, Sans notò quindi la presenza di Chara, seduta a gambe incrociate nel fango della riva, la mano sinistra alzata a premere contro la spalla opposta, di cui il mostro poté notare il gonfiore persino con il maglione sgualcito di mezzo. La parte destra del suo viso sembrava persino in uno stato ancora più pessimo, gonfia e livida, con la palpebra dell’occhio tendente al viola e a malapena socchiusa.
Non riuscì a trovare dentro di sé la forza di guardarla più a lungo di così, e il suo sguardo si spostò dunque su Frisk, seduta vicino a lei ed intenta a coprirsi la metà inferiore del viso con una mano, sotto cui lo scheletro poté intravedere del liquido rosso gocciolare a terra. Lo aveva già visto prima e… e, solitamente, non era un buon segno quando fuoriusciva dal corpo degli umani.
Entrambe erano in pessima forma in conclusione, i loro vestiti sudici e strappati, e una generale stanchezza che Sans fu in grado di leggere nelle loro posture ed espressioni a completare il suo resoconto visivo.
« Cosa avete rimediato voi? » Chiese, in tono d’apprensione, le orbite larghe nel riosservare le loro ferite. Poteva dire con certezza che Chara aveva una spalla fratturata, ma non riusciva a comprendere quale fosse l’entità dei danni che avevano riportato, viste le sue conoscenze più che basilari sul funzionamento del corpo di un essere umano, o di un organismo simile ad esso nel caso di Chara.
« Spalla fuori uso, occhio gonfio e faccio fatica a parlare. Frisk ha probabilmente qualche stiramento al braccio sinistro e, inoltre, le hai anche rotto il naso. »  Riassunse freddamente Chara, quasi a mo’ di elenco della spesa.
« Davvero…? » Domandò un poco stupito alla ragazzina più piccola. Comprendeva quale fosse l’origine di tutta la serie di ferite che Chara aveva rimediato ( le sue costole potevano testimoniare ), ma non ricordava di aver urtato anche la piccola così forte da provocarle un simile danno... un danno che, comunque, non avrebbe continuato a persistere, come la sua mente ci tenne a ricordargli con gelida, inflessibile razionalità, tinta da un’inclemente accusa. Perché sapeva che questa linea temporale non avrebbe potuto continuare a procedere in questo modo, non… non senza lui, non senza suo fratello… lo stesso fratello a cui lui stesso aveva fatto del male, a cui aveva regalato una salvezza che aveva avuto il retrogusto amaro e vergognoso del tradimento.
Udì parecchio distrattamente la voce di Frisk e, allo stesso modo, i suoi occhi non furono in grado di soffermarsi sul sorriso di rassicurazione che la ragazzina gli rivolse da sotto la mano macchiata, l’azione in sé che gli parve prosciugata da qualunque emozione Frisk vi aveva sicuramente impresso.
« Quando Chara ci è venuta addosso, ho sbattuto contro una delle vertebre della tua schiena. Ma è stato un semplice infortunio, non preoccuparti. » Gli venne riferito con voce nasale. « In mia difesa, posso dire che non credevo fossi così tanto duro. »
« È un mattone che cammina, Frisk. Abbiamo rimediato più danni sbattendo contro di lui che combattendo contro quel coso. » Borbottò sottovoce Chara, il tono che lasciava presagire che avrebbe più che volentieri continuato a brontolare, se Undyne non avesse raggiunto il suo fianco per zittirla.
« Calma anche te, pesciolina. Evita di parlare e peggiorare le cose. » Le consigliò severamente la guerriera, cercando di ispezionarle con cura la parte offesa del viso, per proseguire in seguito con la spalla. « La frittata la avete già fatta e ben cotta. »
« Se tu non avessi tagliato quelle cose così all’improvviso e se qualcuno avesse richiamato la sua magia in tempo, saremmo ancora tutti interi. » Bofonchiò ciononostante Chara tra le dita squamate di Undyne, rivolgendo un’occhiataccia al qualcuno di cui voleva avere l’attenzione in quel momento, ma che invece non ottenne.
Sans aveva abbassato la testa e il suo progressivo silenzio non era rimasto ignorato da Frisk.
Mentre Undyne e Chara continuavano a parlare, l’una insistendo sull’ottima tempistica con cui li aveva tirati fuori dai pasticci e messo in fuga quell'essere, l’altra sulla maggiore accortezza che la guerriera avrebbe potuto avere, Frisk gli si avvicinò un poco di più, preoccupata dal suo incupirsi.
« Sans? » Lo chiamò per nome, restando tuttavia inascoltata. Sembrava si sentisse… in colpa. La giovane si rendeva conto che il termine era abbastanza riduttivo, ma non aveva sostituti adatti a descrivere l’atteggiamento che Sans le stava mostrando. Erano state le dure parole di Chara a farlo sentire così? Non ne era proprio sicura, ma decise comunque di provare a rimediare in vece della sua amica. « Sans, non fa niente, gli incidenti capitano, l’importante è che siamo ancora tutti qui- »
« Non P-Papyrus. » La interruppe bruscamente Sans, alzando di scatto il capo. Il tono era stato aspro, più basso del normale, tendente ad una silenziosa ma suggerita ferocia, tremendamente simile al tono da cui Frisk aveva imparato a guardarsi bene.
Le orbite dello scheletro erano state private della luce bianca che normalmente le rischiarava, le estremità taglienti del suo sorriso erano una stretta smorfia di dolore, puro dolore emotivo, non fisico.
Quell’espressione vuota, quel tono di voce, quelle parole, la fecero irrigidire come se un pezzo di ghiaccio fosse stato messo a contatto con la sua schiena.
Lo sventolare di una striscia d’arancione discretamente distante da loro intrappolò il suo sguardo. In quell’istante, fu come se il suo cuore avesse saltato battiti su battiti, forzato a restare paralizzato a causa dell’inorridito sconcerto che le strinse l’animo. N-no
« Che avete voi due? » Alzò la testa Undyne, inarcando visibilmente un sopracciglio mentre passava gli occhi dalla ragazzina allo scheletro.
Frisk allontanò tremolando la propria mano dal viso, un dito che gocciolava rosso andò ad indicare un punto oltre Sans.
E Undyne, così come Chara, vide fare capolino dal nero e dalla grigia polvere un body da battaglia e una sciarpa, i cui lembi sgualciti venivano mossi silenziosamente dalla rada aria che spirava nelle caverne.
« No... » Bisbigliò la guerriera, un bisbigliare appena percettibile persino da chi era a portata d’orecchio per sentire.
« Frisk, ‘ricarica’. » Le disse Sans, in tono di vuota, esausta supplica. « Ho resistito fino ad o-ora… non ce la faccio più, per favore… »
Frisk annuì, deglutendo forse troppo rumorosamente per tentare di calmarsi e raccogliere la concentrazione necessaria per ricaricare. Non aveva bisogno di ulteriori spiegazioni per figurare ciò che era accaduto in loro assenza e si sbrigò a cancellare dalla sua testa gli scenari più orribili che poteva immaginare.
Avevano ritardato troppo… se solo fossero arrivate prima, Papyrus… No, non doveva pensarci. L’importante, ora, era ricaricare il suo ultimo salvataggio, che aveva fissato quella mattina appena uscita di casa per andare agli allenamenti di Undyne con Chara e… e-e… il suo ultimo salvataggio e-era…
Un primo brivido di freddo le scosse la schiena e ruppe completamente la sua nascente concentrazione. No, non era stato quello il suo ultimo salvataggio, non era quello. Il suo ultimo salvataggio risaliva a… aOh no.
« S-Sans, io… prima di venire qui… » Si interruppe, il respiro che le venne momentaneamente a mancare le impedì di proseguire. Fu con voce tremante che terminò quella frase lasciata dolorosamente in sospeso. « Io ho s-salvato. »
Le orbite di Sans divennero due pozzi di nero, la sua espressione una solida ed impenetrabile maschera, come se troppo si stesse agitando dentro di lui, e niente alla fine fosse in grado di prevalere ed uscire allo scoperto.
« Che cosa… state dicendo? » Mormorò Undyne, uno spiraglio di perplessità a spezzare il suo forte turbamento e sconcerto. « Salvare, ricaricare, ma cosa…? »
« Un attimo, Undyne. Da loro un secondo. » Le disse Chara, cercando il viso di Frisk per tentare di comprendere cosa stesse passando per la testa della sua amica. I suoi occhi erano spalancati e le sue iridi ambrate ed immobili non fissavano altro che le orbite vuote dello scheletro: era la prima volta che vedeva Frisk in un simile stato di smarrimento completo, come se nella testa della ragazzina più piccola fosse subentrato un nulla che stava offuscando la mente sempre in moto della sua amica. Non le piacque per nulla.
« ‘Resetta’. » Sussurrò dapprima Sans, a stento udibile persino dalla ragazzina più piccola, per poi in seguito forzare visibilmente la propria voce. « Resetta, Frisk. Se lui non c’è quando ricarichi, r-resetta. »
Frisk assentì, il collo che pareva esserle divenuto di granito.
Non esitò oltre e serrò le palpebre, bloccando colori, suoni e odori fuori dalle sue percezioni con un sospiro frammentato.
Fu non sapeva dopo quanto che le ridistese, e dopo altro tempo ancora che le risollevò, incontrando il nero del ‘limbo’, il luogo in cui le era sempre stato possibile far uso dei suoi poteri.
Due mani le si posarono confortanti sulle spalle, invitandola a sedersi, a lasciarsi offrire un po’ di sincera consolazione. Frisk le seguì, si lasciò guidare da esse, perché sapeva che non potevano appartenere a nessun altro che Chara, unica sua compagna in quel luogo accessibile solo a loro, esseri che ospitavano Determinazione nelle proprie anime. E, per fortuna, nessuna ferita fisica poteva continuare ad affliggerle lì, dando loro un po’ di tregua dagli acciacchi e dagli infortuni che avevano rimediato durante lo scontro appena disastrosamente concluso.
La ragazzina più minuta alzò una manica ad asciugarsi gli occhi umidi, lasciandola poi ricadere nello spazio creato dalle sue gambe, ora rigidamente incrociate.
« Ho combinato un disastro, Chara. » Disse, la voce non le tremolò per miracolo. « N-non avrei dovuto ‘salvare’… è stato uno sbaglio orribile… ora Papyrus, a causa mia... senza reset, rimarrà… »
La giovane si interruppe sotto la stretta di un singhiozzo che le era risalito lungo la gola e fermarsi fu l’unica soluzione che le permise di ricacciarlo giù e di non scoppiare definitivamente in lacrime. Era difficile mostrarsi più forte di quanto in realtà non fosse, tanto difficile a volte per lei. Tuttavia, era stanca di mostrarsi come nient’altro che una bambina debole e incapace e quei gesti di repressione stavano pericolosamente diventando una norma per lei. E il peggio era che non poteva farci niente, non poteva evitarsi di mettere in atto simili atteggiamenti di distacco, perché il potere che possedeva era troppo potente, pericoloso, estremamente soggetto alle scelte del suo possessore per essere usato da una persona troppo impulsiva e preda delle sue stesse emozioni. Una sua decisione, in passato, aveva quasi portato ad una catastrofe; una sua decisione, ora, era invece costata la perdita di un fratello ad uno dei suoi più cari amici. E questo… questo cosa poteva significare? Che era quel genere di persona, quella a cui non doveva essere affidato un potere così inarrestabile? Forse, era così che stavano le cose
Chara strinse un poco le labbra, tristemente, il silenzio tormentato dell’altra ragazzina le fece distintamente stringere l’anima nel petto. Non poteva vederla in quello stato, non Frisk.
Strofinò una delle proprie mani sulla spalla della minore, interrompendo le sue probabili autocommiserazioni nella maniera meno brusca che conosceva, dimenticata e poi riassimilata in quelle tre settimane di, all’apparenza, pacifica quotidianità.
Frisk sussultò leggermente, non aspettandosi quel gesto che, proprio perché era stato inatteso, non poté purtroppo far allentare la postura tesa delle sue spalle. Ma Chara non si ritrasse, decisa a calmare la sua amica con ogni mezzo disponibile.
« Frisk… » Sussurrò, adottando il tono più dolce che riuscì a produrre. « Non potevi saperlo, va bene? Non è colpa tua. La colpa è solo di quel demonio di pianta. »
E di qualcun altro che, sentiva, non era proprio il caso di nominare in quel momento.
« Però… » Replicò l’altra, ma Chara fu rapida a zittirla.
« Niente ‘però’. È così che stanno le cose e ci devi credere anche tu, Frisk. Non devi sempre addossarti la colpa di ogni disastro, piccolo o grande che sia. Oltretutto, è solo grazie a te che possiamo rimediare, non a causa tua che dobbiamo rimediare. » Le disse Chara, indurendo la voce quanto bastava perché il messaggio arrivasse chiaro e, soprattutto, veritiero alla minore. « Capito? »
Frisk rimase in silenzio per un tempo non così eccessivamente lungo come, invece, Chara si era aspettata che facesse.
La più piccola sospirò, rilassando in gran parte la postura tesa delle spalle e di quasi il suo intero corpo. Chara aveva ragione e, con poche e dirette parole, aveva fatto sì che anche lei vedesse la verità presente in quel discorso.
« Sì... ho capito. » Disse, rialzando la testa, ruotandola di lato per guardare la ragazzina più grande in viso.
Chara, vedendo ciò, distese inconsapevolmente le labbra in un lieve sorriso. Lo vide negli occhi ambrati della sua amica, un po’ più carichi di decisione, che Frisk aveva capito.
« Meglio così. » Sussurrò, ritraendo lentamente le mani dalle spalle minute della giovane. « Adesso, dobbiamo solo ‘ricaricare il salvataggio’. »
Una nota di leggero allarme si insinuò nello sguardo dell’altra ragazzina.
« E se finissimo col riportare indietro anche quell’essere? Se… se fosse davvero troppo tardi per noi per salvare Papyrus…? »
« Non importa, Frisk. Possiamo resettare e rimediare al danno. In più, questa volta conosceremo in anticipo quando quel maledetto farà la sua mossa e ci prepareremo di conseguenza. E, meglio ancora, non daremo ascolto alle sue istigazioni. » Le rispose Chara, opponendo decisione e determinazione alla momentanea ansia e preoccupazione della sua coetanea. « Non ti devi preoccupare, andrà tutto bene. »
E lei, da parte sua, si sarebbe assicurata personalmente di ciò.
Frisk la fissò per qualche secondo, con quelle iridi di un intenso color ambrato, simile all’oro a tal punto da fare da magnete per le sue, bianche come neve purificata dalle macchie che la avevano a lungo deturpata. Al termine di quel lasso di tempo, la più piccola espirò profondamente con il naso, in segno di accordo.
« Ok. Proviamoci. » Accettò, preparandosi a ricaricare il salvataggio e ad affrontare qualsiasi scenario le avrebbe riaccolte quando fossero rientrate nella linea temporale. « Sei… pronta? »
« Solo se sei pronta tu. » Rispose Chara, affiancandola risoluta, il suo sguardo non tradiva nemmeno il più piccolo segno di insicurezza.
Frisk assentì due volte col capo, serrando leggermente un pugno contro il fianco, un ultimo gesto per darsi la forza e la determinazione di cui aveva sempre avuto necessità e di cui, adesso, aveva un’estrema necessità.
« Lo sono. » Affermò, con la convinzione di cui era stata sprovvista fino ad un attimo prima, e Chara fu più che contenta di risentire quella prodezza nella voce dell’amica.
L’altra giovane abbassò quindi le palpebre, schiarendo la testa da qualsiasi pensiero che potesse costituire una distrazione, concentrandosi unicamente sul richiamare il potere e manovrarlo con le corde della sua determinazione.
Si ricominciava.
 
 

 
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Waterfall – Crystal
 
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Sameko's side
E la seconda parte è qui, così finalmente questo scontro lunghissimo giunge al termine Undyne saved the day lol! ^^
È stata senz'altro molto più semplice da editare rispetto alla prima, con Gaster che era fortunatamente meno in vena di chiacchiere... ma già mi sto mettendo le mani tra i capelli al solo pensare a cosa mi aspetta più avanti, perché è tremendamente noioso inserire tutti quei simboli a casaccio, sappiatelo. 
Ebbene, vi rivelo che questi due capitoli ( che come ben sapete erano in origine uno solo ) sono stati pesantemente modificati più o meno all'ultimo secondo, un po' di cose sarebbero dovute andare diversamente, altre invece sono state aggiunte in seguito, Frisk che utilizza il jetpack era una di queste per fare un esempio, ma sono stati tutti cambiamenti per il meglio secondo il mio parere, nonostante abbia dovuto rinunciare ad alcuni dialoghi e dettagli a cui tenevo particolarmente ma che avrebbero solo allungato il brodo e quel jetpack scusatemi è troppo figo, un peccato che nel videogioco si possa farne uso solamente una volta.
Reset o Continua, cosa riporterà indietro Papyrus? Lo scoprirete nel prossimo capitolo. ;) Mi dileguo ora, ho un appuntamento con l'amichevole Spider Man di quartiere ed i suoi lontani colleghi francesi Ladybug e Chat Noir.
Baci e alla prossima! 

Sameko

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 21: Bugiardo ***



Capitolo 21: Bugiardo

 



Come se il mondo avesse avuto un improvviso spasmo, Sans si ritrovò a sbattere le palpebre davanti ad una scena che fece fatica a riconoscere e, soprattutto, a collocare all’interno della sua memoria.
Quello spasmo, quel sobbalzo nel normale scorrere del tempo, doveva essere stato provocato dal potere di Frisk, di questo ne era certo.
Negli istanti immediatamente successivi, la sua mente gli fornì i tasselli mancanti che la rendevano così confusa e priva di un qualcosa che, all’inizio, non era stato in grado di determinare. I ricordi dell’apparizione di Gaster, delle sue parole, dell’angoscioso destino che era toccato a suo fratello, ogni immagine che riguardasse quel farabutto, era rimasta impressa nella sua memoria come un marchio incancellabile, contro cui persino i poteri di Frisk non avevano potuto nulla. Gaster era oramai un’entità al di fuori del tempo, che non poteva essere soggetta alle sue influenze, ed esattamente come i suoi incontri notturni con l’ex scienziato, anche le memorie di questi minuti dovevano essere rimaste impresse nella sua mente per il medesimo motivo.
Sbatté le palpebre, mettendo finalmente a fuoco le paludi di Waterfall, i segni della precedente battaglia spariti, il rumore quieto dell’acqua era un mormorare di timide voci che attutiva un poco il silenzio. I suoi occhi si spalancarono quando vide il corpo di Papyrus riverso a terra, a faccia in giù contro il terreno, immobile.
Corse immediatamente al fianco dell’altro scheletro e, con mani tremanti, lo sollevò per il busto con tutta la forza che riuscì a raccogliere per vincere la stanchezza che si stava portando dietro già da molte ore.
« P-Papyrus… Paps… mi senti? » Sussurrò, scuotendolo leggermente per una spalla, sperando davvero nella sua anima che Frisk non avesse fissato quel maledetto salvataggio al momento sbagliato. Avrebbe voluto evitare di vivere un altro reset, i ricordi che aveva acquisito in questa linea temporale erano troppo importanti perché potesse permettersi di perderli… ma suo fratello… suo fratello veniva prima di tutto questo, sarebbe sempre venuto prima di qualunque altra cosa. E se… e se non si fosse risvegliato a breve, Sans non era disposto a vivere senza di lui solo per una manciata di ricordi, di misero valore se confrontati alla vita di suo fratello.
« P-Pap… »
Aveva pronunciato di nuovo quel nome con più tremore di quanto ne fosse stato consapevole.
Ancora nulla… poteva essere… non poteva essere troppo tardi, vero…?
La testa di suo fratello si reclinò all’indietro, rivelando la presenza di incrinature tanto estese lungo il suo collo che Sans boccheggiò di riflesso. Il riavvolgersi del tempo aveva cancellato Gaster e la sua presenza dalla storia… ma non aveva potuto cancellare le ferite che aveva lasciato al suo passaggio.
Papyrus, in quel momento, strinse debolmente le palpebre, prima di sollevarle e puntare le proprie orbite in quelle del suo frastornato fratello maggiore, che lo stava fissando con occhi colmi di sollievo.
« Sans? » Sussurrò il minore e il solo sentire il suo nome pronunciato da quella voce diede come nuova vita all’anima di Sans.
« Paps, sono qui, ci sono. » Replicò immediatamente lui, rapido nel risollevare gli angoli del sorriso che era quasi divenuto una desolante smorfia. Le sue mani si avvolsero brevemente attorno al torace dell’altro scheletro, tenendolo stretto a sé per qualche istante, concedendosi quei pochi attimi necessari ad appacificarsi con l’idea che quanto era successo non aveva avuto ripercussioni su una delle persone a cui teneva di più al mondo.
Papyrus rispose altrettanto con un sorriso, incerto e un po’ tremolante, prima di tirarsi a sedere con le sue sole forze, costringendo l’altro ad arretrare per permettergli il movimento.
« Sans, che mi è successo? Mi sento… disorientato? » Domandò, prima che di portarsi una mano guantata dietro al cranio, a sfiorarsi le crepe che rendevano ruvida ed irregolare la superficie del suo collo.
D’istinto, Sans gli prese il polso prima che le dita di Papyrus potessero tastare ulteriormente il punto incriminato e ci mise solo l’istante successivo a comprendere che il tremolio che aveva sentito era provenuto dal suo di polso – e non da quello di suo fratello. Poteva provare a spiegare a sé stesso che aveva solo temuto che Papyrus si facesse inavvertitamente del male… ma la ragione era, bensì, un’altra: un brivido freddo ed estenuante gli aveva percorso la colonna vertebrale al ricordo di quanto, con una semplice e facile pressione, quel collo si sarebbe potuto facilmente rompere, stroncando la vita del suo fratellino in un battito di palpebre. Ma non era stata una pressione eccessiva ad uccidere Papyrus… era stato… era stato il suo stesso fratello, il fratello che avrebbe dovuto essere responsabile e forte abbastanza da proteggerlo, a commettere uno dei peccati più tremendi che potessero esistere.
E Sans aveva ora paura di quella fragilità di cui era stato immancabilmente testimone, una fragilità a lui troppo nota perché potesse ignorare persino quel gesto innocente.
« S-Sans…? »
Al sentirsi chiamato, lo scheletro ritirò la mano, infilandola nella tasca della sua felpa, dove era giusto che stesse.
« Ti era caduta addosso una stalattite. » Disse immediatamente, senza guardare in volto Papyrus, senza avere la giusta dose di coraggio per guardare in volto Papyrus. « Pensavo… non ti saresti più svegliato. »
Una bugia per mascherare la realtà, una verità per distogliere l’attenzione da essa. Come al solito. Come sempre. Ma la crepa portatagli dai ricordi di quello che era veramente accaduto aveva urlato per un lungo secondo contro quella bugia e contro quella subdola verità. E Sans, per ora, scelse di ignorare quella protesta che veniva da dentro, perché se ne sarebbe occupato in un secondo momento, scacciandola e mettendola momentaneamente a tacere con un secco ‘È solo per il suo bene, lo sto facendo per il suo bene’.
L’espressione sbigottita di Papyrus si sciolse in un nuovo sorriso traboccante di conforto, luminoso come era sempre rimasto scolpito nella memoria di Sans.
« Sciocchino di un fratello maggiore, dovresti sapere che ci vuole ben altro per mettere K.O. il Grande Papyrus! » Replicò energicamente il minore, con quella superiorità che era solo la maniera più diretta che Papyrus conosceva per ispirare fiducia nel prossimo – a suo fratello maggiore, soprattutto. « Non preoccuparti così per me, Sans! Posso assicurarti, con una percentuale di errore assolutamente minima, che le mie ossa sono dure come l’acciaio! »
Quelle parole, invece di far placare i suoi demoni interiori, fecero scattare qualcosa dentro di lui, qualcosa di tanto doloroso che Sans sentì il suo sorriso cedere come cartapesta sotto la verità che quelle parole tanto innocenti nascondevano. Non poteva contraddirlo, non poteva dirgli quanto in realtà le sue ossa fossero fragili quanto le sue, quanto la sua vita potesse arrivare vicina al capolinea da un giorno all’altro… e, proprio oggi, Sans aveva visto personalmente quel capolinea terribile, che solo per fortuna o per una casualità non doveva essere ricorretto con un reset.
Ma il suo sorriso non cedette, non cedette perché Sans non lo avrebbe permesso, non adesso, non quando sapeva che non avrebbe potuto rimetterlo insieme tanto facilmente.
Sentì le braccia di suo fratello circondarlo, esitanti dapprima, ma con una rasserenante sicurezza poi. Sans si lasciò confortare da esse, quei pensieri cupi si dissiparono non appena percepì il peso familiare delle mani di Papyrus posarsi sulla sua schiena. Sarebbero ritornati presto, lo sapeva con la matematica certezza di una familiare rassegnazione… ma ora… ora voleva restare vicino al suo prezioso Paps, cercando nel conforto di quelle braccia la forza per mettere da parte almeno per un po’ quei pensieri di tormento. Una piccola parte dentro di lui gli stava ancora sussurrando nel cranio la sua indegnità di fronte a gesti che avrebbero potuto essere destinati a qualcun altro, ma che invece era lui, l’immeritevole lui, a ricevere in questo momento… ma non aveva le forze, né la voglia di prestarle attenzione.
« Va tutto bene, Sans. » Sentì Papyrus sussurrare, il tono di voce era quello soffice e calmante di una ninna nanna. « Va tutto bene. »
Nonostante avesse fatto del suo meglio per occultare il dolore che aveva dentro, suo fratello doveva aver comunque intuito il tipo di malessere che aveva quasi fatto sbriciolare il suo sorriso. L’altro scheletro non poteva sapere con esattezza cosa lo aveva originato, ma per Sans era abbastanza sentire la presenza del suo fraellino, sentire che Papyrus c’era per lui anche senza pretendere nulla in cambio.
Sì… per ora, solo per ora, andava tutto bene.
 
 
« Lo scheletro ci deve delle spiegazioni. »
Al solo sentire la voce dell’altra ragazzina spezzare il loro rimuginante silenzio, Frisk alzò la testa a fissare la schiena di Chara, rivolta come lo era stata lei fino a pochi secondi prima a guardare i due fratelli abbracciarsi. Aveva visto le reazioni di Sans alla vista di Papyrus, il suo nervosismo, la sua preoccupazione, tutti segnali che potevano indicare solo una cosa: lui ricordava. Per qualche ragione a lei sconosciuta, lui questa volta ricordava gli eventi che lei aveva cancellato dalla linea temporale, e Frisk si scoprì disagiosamente incapace di spiegare come ciò fosse possibile.
« Già… » Mormorò in risposta, strofinandosi leggermente il braccio sinistro per l’incertezza di come avrebbero potuto motivare ad Undyne la loro precipitosa fuga, ora che non c’era chiaramente nessuna creatura pericolosa nei dintorni. I recenti avvenimenti sarebbero potuti passare tranquillamente per un sogno, se entrambe non fossero state più che certe che corrispondessero a realtà.
« Sarà meglio per lui che non faccia l’ignaro, perché questa volta non ha scusanti dietro cui nascondersi. » Sibilò a denti stretti Chara e la più piccola poté ben figurarsi la smorfia irritata che stava facendo arricciare le labbra dell’altra. E Frisk… Frisk non poteva proprio biasimare il comportamento della sua amica, perché anche lei non desiderava, ma voleva delle risposte chiare. Il pericolo c’era, lo avevano visto, ed era più di quanto sia lei che Chara potessero sperare di fronteggiare con un sicuro successo… ed era più di quanto anche Sans doveva rendersi conto di non poter fronteggiare da solo.
Sentì la maggiore sbuffare sonoramente, dando le spalle ai due scheletri.
« Per adesso, sarà meglio pensare ad una scusa convincente da rifilare ad Undyne. » Disse, con un cipiglio che assomigliava più ad un broncio. « Mi sembra di aver già il suo fiato sul collo. »
Frisk assentì silenziosamente, senza aggiungere parola.
Si tirò giù le maniche, coprendosi le mani fino alle nocche per sopprimere i brividi che la avevano momentaneamente scossa. Per un lungo attimo, aveva avuto la sgradevole sensazione che tutto quel sudicio e viscoso nero le stesse ancora impregnando i vestiti e le braccia; fortunatamente, quella sensazione la aveva già abbandonata, lasciando indietro solo un fantasma che le aveva fatto venire la pelle d’oca ed accelerare il respiro un pelo appena più del normale.
« Andiamo, prima che si accorgano di noi. » Le disse la sua amica e Frisk la osservò con la coda dell’occhio mentre veniva da lei sorpassata.
« Sì… » Mormorò, facendo per raggiungerla ed affiancarla nella camminata di ritorno verso casa di Undyne.
Se anche aveva notato quella sua reazione inconsueta, Chara non lo mostrò, né le fece domande a riguardo.
 
 
Non aveva dovuto faticare molto per convincere suo fratello a tornare indietro a Snowdin, rinunciare a fare quei giri di ronda e terminare con un Ci inventeremo qualcosa per spiegare ad Undyne il suo mancato impegno. Al momento, Undyne era davvero un problema insignificante confronto al suo altro problema ben più enorme e privo ancora di soluzioni concrete che potessero risolverlo. Non bastava che Gaster lo tenesse sotto torchio impedendogli persino di riposare, ora doveva anche avere un corpo che poteva usare a suo piacimento per entrare ed uscire dal Void! Tuttavia, Sans era stato rapido a scoprire il più rilevante punto debole di quel corpo: un limite di tempo ben preciso in cui poteva essere utilizzato.
Il liquido nerastro che era fuoriuscito dal corpo di Gaster durante la battaglia era rimasto a bagnare il terreno anche dopo il ricaricamento, ma avrebbe potuto facilmente passare per del fango un po’ più torbido del normale ad occhi inconsapevoli. Con la massima prudenza, era riuscito a prelevare una minuscola quantità di quel liquido nerastro e lo aveva infilato alla bell’e meglio dentro un ritaglio di cruciverba, tutto mentre Papyrus non gli stava prestando attenzione. Si era sentito male, a fare qualcosa del genere sotto il naso di suo fratello, ma aveva dovuto farlo: doveva analizzare quella sostanza, se voleva comprendere meglio la natura del corpo che faceva da contenitore al suo temibile nemico e scoprirne eventuali debolezze.
Durante il viaggio di ritorno, aveva sentito quella strana sostanza agitarsi debolmente contro il tessuto della sua tasca, ma tempo pochi minuti ogni movimento era cessato. Al sicuro in casa sua, con l’abitazione tutta per lui e Papyrus che era uscito per il suo solito giro di ronda, Sans era stato finalmente libero di osservare i comportamenti del suo bizzarro oggetto di studio, infilato in una fiala sterilizzata per evitare l’azione di agenti contaminanti.
Aveva notato, ad un certo punto, come la sostanza aveva cominciato a sparire o, meglio, evaporare in maniera del tutto spontanea, dissolvendosi nel minuscolo spazio d’aria della fiala. Era un fenomeno che non si aspettava di poter osservare… ma, detto questo, all’inizio non si aspettava nemmeno che quel liquido fosse capace di movimento proprio, anche se estremamente minimo. Era stato allora che l’intuizione era arrivata: se quel liquido nerastro rappresentava l’essenza più pura di Gaster e quel corpo era solo un semplice contenitore, allora non era difficile intuire che Gaster poteva uscire dal Void per un periodo di tempo limitato. Pochi minuti, e la sostanza aveva smesso di muoversi; poche ore, e la sostanza era evaporata del tutto. Seppure Gaster si trovava al di fuori del tempo, questo non significava che il tempo stesso non si sarebbe adoperato per correggere l'errore che una sua improvvisa comparsa poteva rappresentare; Gaster era un essere che la storia di questa dimensione aveva ormai dimenticato e dimenticato sarebbe dovuto restare, se si volevano evitare squilibri nel continuum spazio-temporale.
Solo il leggero cigolio della porta di casa fu in grado di distrarlo dai suoi studi.
Sorriso cordiale al proprio posto, Sans aveva velocemente nascosto i suoi appunti in una delle maniche della sua felpa, prima di voltarsi e salutare benevolmente l’arrivo di suo fratello… ritrovandosi invece faccia a faccia con Chara e Frisk. Il suo sorriso non si incrinò per miracolo quando si accorse dello sbaglio.
Chara lo stava fissando con occhi che definire glaciali sarebbe stato un eufemismo e Frisk… Frisk, con le mani che formavano un nervoso intreccio all’altezza del suo ventre, non lo stava nemmeno guardando.
« Spiega dal principio, se non ti dispiace. » Parlò la ragazzina più grande, un tono di aspro comando che non ammetteva altro che obbedienza. Lo scheletro era più che familiare con quel tipo di tono, ma non per questo era rimasto meno allibito dal risentirlo in bocca proprio a Chara.
« Scusami? » Esclamò piano, alzando leggermente un’arcata sopraccigliare.
« Mi hai capito fin troppo bene, menzognere. » Replicò tra i denti Chara, calcando la voce su quell’appellativo pronunciato con un freddo disprezzo. « Non farmi ripetere una seconda volta. »
Sans lasciò momentaneamente gli occhi della maggiore per concentrarsi invece su Frisk, in disparte dietro la sua amica. Cercò il suo sguardo, un po’ per abitudine, un po’ con la speranza che gli venisse spiegato cosa stava succedendo, ma Frisk non cercò tuttavia il suo. Stava guardando altrove, come fosse consapevole di avere i suoi occhi su di sé, ma si stesse volutamente rifiutando di dargli il contatto visivo che lui desiderava. Il fatto lo lasciò… stupito – e non in modo piacevole.
« Allora? » Incalzò Chara, riappropriandosi rudemente della sua attenzione.
Sans indurì lo sguardo non appena incrociò nuovamente quello della ragazzina più grande, ogni traccia di cordialità quasi del tutto sparita dal suo volto.
« Non hai bisogno di sapere nulla tu. » Rispose lo scheletro, con la medesima impassibilità.
« Come non ha bisogno di sapere nulla nemmeno Frisk o tuo fratello, ho ragione? » Insinuò prontamente lei, assottigliando innervosita gli occhi. « Ormai ho capito come funziona la tua testa d’osso riempita di segatura. Nessuno ha bisogno di sapere nulla, vero? Nessuno ha bisogno di sapere nulla, nemmeno che un dannato scherzo della natura sta scorrazzando libero per queste caverne da… quanto? Giorni? Settimane? E tu… tu liquidi la cosa come se si trattasse di un criceto scappato dalla gabbia! »
« Non ho liquidato niente, conosco la gravità del problema. » Si difese Sans, cercando di trattenersi dall’alzarsi in piedi, gesto che avrebbe solo reso evidente la sua prematura impazienza. Per quanto ne sapeva, per quanto ne aveva sempre saputo, Gaster non era mai stato in grado di uscire dal Void e per questo si era più che convinto di essere al sicuro almeno da sveglio, ma poi… poi lo aveva visto in quel corpo rubato e ogni cosa non aveva fatto che peggiorare da quel momento – e stava tutt’ora peggiorando. E non poteva spiegarlo a Chara.
« E queste sono le parole dell’idiota che, proprio perché conosceva la gravità del problema, è riuscito a cacciarsi nei guai in maniera magistrale. Complimenti per la tua attenta valutazione, mucchio d’ossa. » Commentò Chara, con la più alta e cruda dose di sarcasmo di cui Sans la avesse mai sentita far uso. « Davvero, davvero brillante. »
Lo scheletro strinse leggermente i denti, con la rabbia, il dolore che erano sorti nel suo animo al solo sentir menzionare in modo così irrispettoso l’incidente in cui suo fratello aveva quasi perso la vita. Fu costretto a sopprimere con tutto sé stesso quelle emozioni, perché non doveva mostrarsi alterato, perché lui era perfettamente in grado di parlare con Chara e metterla a tacere… esattamente come faceva tutte le volte in cui erano, invece, le proteste provenienti dalla sua stessa anima a metterlo in difficoltà.
« È stato un errore. Non avevo previsto che potesse accadere una cosa del genere. »
« Come fai ad essere tanto meravigliato che tutta la situazione ti sia platealmente sfuggita di mano? » Gli domandò ironica Chara, con una pungente sufficienza, le braccia incrociate al petto. I suoi occhi, così simili ai suoi ma allo stesso tempo così diversi, stavano diventando fessure sempre più strette ad ogni domanda e risposta che si stavano scambiando.
« Avevo le cose sotto controllo, stavo- »
« No, tu non avevi un bel niente sotto controllo e abbiamo già avuto prove su prove di questo, signor faccio-tutto-da-solo. »
Sans sbatté le palpebre davanti al dito accusatorio che gli venne impunemente puntato contro.
« Stavo cercando una soluzione. » Proseguì comunque, serrando rigidamente un pugno nella tasca della sua felpa, dove confidava che quel gesto sarebbe rimasto non visto.
« Certo, comportandoti nel frattempo da sanguisuga con Frisk, senza spiegarle per quale assurdo motivo doveva cederti continuamente la sua Determinazione. E, giusto per fartelo sapere, per un umano è tremendamente più difficile da recuperare rispetto alla magia per un mostro. Ma non hai mai pensato di informarti a riguardo, vero? » Controbatté lei e Sans non poté impedire ai propri occhi di spalancarsi leggermente, dettaglio che non era passato inosservato a Chara, viste le sue parole successive. « Oh sì, Sans. So abbastanza, per tua sfortuna probabilmente. Frisk, a differenza di qualcuno, sa valutare le situazioni abbastanza da capire che certe cose non devono essere tenute segrete. »
Sans distolse brevemente lo sguardo, cercando di non far trapelare ancora una volta il suo sbigottimento. Aveva già messo in conto sin dal loro primo contatto che Frisk avrebbe raccontato qualcosa a Chara di quello che stavano facendo – erano amiche dopotutto e stavano sempre insieme – ma raccontarle ogni cosa? E Frisk… Frisk aveva faticato ogni volta per recuperare la Determinazione che non aveva mai esitato a donare a lui? Per tutto questo tempo
“ Avrebbe dovuto restare tra di noi. ” Non poté evitarsi di pensare con una punta di gelido nervosismo, le mani gli stavano tremando impercettibilmente all’interno delle tasche. Perché la piccola non gli aveva detto nulla, perché lui aveva definitivamente notato che qualcosa non andava solo ieri? Perché… perché lui, in primo luogo, non le aveva chiesto nulla…?
Uno strano silenzio seguì quel suo pensiero… un silenzio scomodo.
Sans rialzò la testa e notò immediatamente quanto l’espressione già di per sé alterata di Chara si fosse riempita di collera, tanto che pareva essere sul punto di scoppiare dalla furia. E, dietro di lei, Frisk lo stava guardando con un sottile velo di mortificazione ad adombrarle gli occhi.
No… aveva parlato ad alta voce senza rendersene conto?!
« TUO fratello è stato ammazzato proprio perché TU non hai detto una sola parola né a lui, né a Frisk, né a chiunque altro! » Il grido di Chara lo fece legittimamente sussultare, sia per la violenza con cui gli si era rivolta, sia per il fatto stesso che la ragazzina gli stava davvero urlando contro. « ‘Avrebbe dovuto restare tra di noi’, ‘Avrei dovuto tenere la bocca chiusa’, giusto? Perché è così che risolvi i tuoi problemi, sottovalutandoli, non facendone parola ad anima viva e lasciando che diventino un problema non solo tuo, ma di tutti quelli che ti stanno attorno! E tuo fratello ne ha quasi pagato le conseguenze a causa tua! »
Questa volta, Sans si alzò in piedi, la sua sopportazione giunta ormai al limite, gli angoli della sua bocca erano contratti in una maschera di rabbia, in risposta ad un dolore ancora fin troppo recente per poter essere lenito dalla razionalità, un dolore che aveva cercato di ignorare fino ad allora, ma che adesso invece stava cominciando a strabordare fuori dal suo animo.
« Non parlare di quello che è successo a Papyrus con tanta leggerezza! »
« Non sono io che sto prendendo le cose alla leggera, incosciente! » Ribatté ferocemente Chara, gesticolando stizzita. « E ti dirò di più! Ho capito che le mie parole non ti toccano minimamente, perché sei vittima del potere di Frisk più di quanto tu stesso credi e non hai imparato uno schifo di nulla da ciò che è accaduto oggi, visto come ti stai comportando! ‘Oh, mio fratello è morto, ma tanto sto sereno perché c’è Frisk che sistema tutto, persino i miei di errori’. È così che ragioni, scommetto! »
Sans allargò gli occhi dall’incredulità davanti alla cruda imitazione con cui Chara aveva risposto al suo avvertimento. La ragazzina era oramai livida in viso, il suo occhio destro quasi sul punto di rilasciare la magia vermiglia che brillava furiosamente al suo interno.
“ Non ha quasi il minimo controllo sulla sua magia… “ Gli fece notare una voce dentro di lui, ma la sua testa era ormai da tutt’altra parte per prestare il dovuto ascolto a quel mormorare interiore.
« Sapevo fin dall’inizio che c’era qualcosa che non quadrava in te, in quella tua facciata da simpatico amicone e in tutte le tue coperture e quel tuo stupido sorriso… lo sapevo… ma non avrei mai osato pensare che fossi una testa bacata fino a questo punto! » Un pugno serrato contro un fianco e un sussurro ringhiato aveva lasciato le labbra della giovane, un sussurro che Sans aveva potuto udire fin troppo bene. « E chissà che altro nascondi… »
« Cosa…? » Mormorò sottovoce lui, la sensazione di avere improvvisamente le spalle contro il muro gli si rovesciò addosso come una cascata che non poteva controllare.
« Ma toglimi una curiosità, commediante… » Parlò Chara, con voce carica di un aggressivo quanto provocatorio interesse. « Hai mai pensato a cosa succederebbe se non ci fosse Frisk a sistemare tutto? Oppure, dai per scontato persino questo, che ci sarà sempre lei o chiunque altro a prendersi sulle spalle il peso delle tue responsabilità, eh? »
Sans restò in silenzio, i suoi pensieri che saltavano freneticamente da una parte all’altra del suo cranio, dalla domanda di Chara, al susseguirsi di timori e nere angosce che si stavano risvegliando dentro di lui senza alcun freno.
« EH?! »
« So cosa succederebbe, te lo garantisco! » Replicò, quasi sull’orlo dell’esasperazione mentre cercava di far rallentare i battiti troppo veloci e assordanti della sua anima. Fuori non andava bene, non andava per nulla bene, ma dentro… dentro di lui era persino peggio. Doveva calmarsi, doveva calmarsi, lei non sapeva, non sapeva, non poteva sapere.
Chara lo fissò per parecchi secondi con i canini lievemente in mostra da sotto le labbra, prima che la sua espressione e postura abbandonassero gradualmente la loro ferocia e ritornassero alla loro consueta freddezza, una mera apparenza confronto alle emozioni che, in realtà, quella ragazzina sapeva celare dentro di sé.
« Non ti dispiacerà se ti rinfresco la memoria, suppongo. » Disse lei, con tono relativamente disteso, quasi di disinteressata diplomazia. « I morti resterebbero morti… e nessun rimpianto, nessuna lacrima, potrebbe mai riportarli indietro da te. »
La giovane aveva poi voltato la testa di lato, con un cipiglio disgustato.
« Ma cosa ne puoi sapere tu. »
Dopo aver pressappoco sputato quelle parole dalla bocca, avvelenandole di percepibile disprezzo, Chara gli voltò lentamente le spalle, dirigendosi verso la soglia di casa con un Io me ne vado borbottato sotto il proprio respiro. Sbatté la porta dietro di sé e nell’abitazione rimase solo il silenzio a fare da testimone della furiosa battaglia verbale che si era combattuta tra quelle mura.
Sans tentò di riscuotersi meglio che poteva, di scacciare via la fastidiosa sensazione di irretimento lungo la sua spina dorsale, di restare calmo e concentrato, perché la scomodità di quel nuovo silenzio chiedeva di essere dissipata molto più del suo attuale disagio.
Frisk stava tenendo gli occhi di nuovo puntati altrove, come prima che quel pensiero fosse scivolato inavvertitamente fuori dalla sua bocca. Gli dispiaceva aver detto quelle cose mentre era sovrappensiero, gli dispiaceva che Frisk si stesse ancora rifiutando di guardarlo in volto.
« Piccola… »
« Ha ragione, Sans. » Parlò lei, con una freddezza che sfigurava confronto al normale alter ego che era la sua voce gentile. « Condivido tutto quello che Chara ti ha detto. »
Sans inclinò inconsapevolmente il capo davanti a quell’interruzione, interdetto dalla reazione della ragazzina.
« Tutto? »
La giovane sospirò ad occhi chiusi, strofinandosi con aria distratta un braccio.
« Cosa ti aspettavi da me? Che ti… appoggiassi? »
Lo scheletro non replicò. In verità, non sapeva nemmeno lui cosa si fosse aspettato da Frisk, forse non appoggio – la piccola gli aveva fatto presente più di una volta che non accettava il suo essere tanto riservato su certe questioni – ma almeno un intervento, uno scambio di sguardi, che gli facesse intendere che non le aveva fatto un torto così irreparabile da non meritarsi neanche un’occhiata.
« Piccola, non so cosa dire… »
Il sospiro tremante che Frisk rilasciò lo costrinse a zittirsi immediatamente.
« Sans, non ti rendi seriamente conto della gravità di quello che è successo? » Gli domandò la piccola, con un’incredulità davanti a cui Sans non seppe assolutamente come reagire. « H-hai… hai lasciato che quella creatura facesse del male ai tuoi amici, a Papyrus, a t-te… per cosa, p-poi? P-perché? Cosa ti costava dirlo a qualcuno? »
« Piccola, io davvero non avevo idea che… che potesse… »
Perché non riusciva più a parlare, perché non riusciva più a spiegarsi?
« Io adesso n-non so come aiutarti, non so nulla, non so nemmeno come scusare questo tuo c-comportamento. Non ci riesco… » Al di sotto della frangia, vide le labbra della giovane contrarsi, come per contenere un singhiozzo frustrato. « Non riesco ad aiutarti se t-tutto ciò che fai è r-respingermi e rifiutarti di vedere che hai bisogno di aiuto! »
Sans si ammutolì in quel momento, la realtà di quelle parole lo colpì come uno schiaffo in pieno volto, un quieto, strisciante orrore gli serpeggiò lungo la spina dorsale. No, non lo aveva fatto, non poteva essersi comportato c-com… n-no… lui era diverso, erano diversi, non era marcio a tal punto dentro, vero?! V-vero…?
« Volevo proteggervi, volevo solo proteggervi… » Sussurrò, il castello delle sue convinzioni che crollava e crollava e non sapeva se sarebbe rimasto in piedi. « Non volevo farvi del male, non avrei mai permesso che accadesse, s-se solo avessi potuto fare q-qualcosa la avrei f-fatta… »
Fu come se quella replica avesse ammutolito Frisk e il suono degli stivali della giovane che incontravano la moquette gli parve quasi assordante nel silenzio. Quando si arrestò, la piccola era davanti a lui, con le labbra piegate in una smorfia triste, lo sguardo puntato ostinatamente verso il pavimento.
« Sans, la verità, per favore. » Gli chiese una volta di più, per quella che Sans sentiva sarebbe stata l’ultima. Le dita di una delle mani della ragazzina si schiusero, quasi come a protendersi in avanti per incontrare le sue. « Ti prego… »
Lo scheletro conosceva il significato di quel gesto appena accennato, soprattutto se la persona a farne uso era Frisk.
E fu con il tormento che si insinuò nella sua stessa voce che dovette rifiutare quella mano e tutto ciò che essa rappresentava… perché non poteva accettare… e forse non avrebbe mai potuto.
« P-piccola… non posso… n-non capisci… »
Le labbra di lei ebbero un micro spasmo che, nonostante fosse stato quasi impossibile da notare, fu comunque sufficiente a far incrinare qualcosa dentro di lui. Le dita si ritrassero e la mano della ragazzina si abbassò con una avvilita lentezza.
« Io mi ero fidata di te e del tuo giudizio. » Mormorò Frisk, alzando solo allora la testa. Quegli occhi non gli vennero più negati, ma solo amara delusione fu capace di leggere in essi. E Sans seppe sin dall’istante in cui la piccola riaprì bocca che ciò che avrebbe sentito non gli avrebbe fatto alcun piacere. « Ti a-avevo chiesto più di una volta se c’era qualcosa che non andava, ti avevo chiesto di parlarne con m-me o con Papyrus prima che succedesse qualcosa di brutto… mi avevi assicurato c-che lo avresti fatto… io ti avevo creduto. Ma tu mi avevi mentito, continuavi solo a mentirmi ogni volta! »
Sans si sentì penosamente in difficoltà davanti a Frisk, la stessa difficoltà che solo quella mattina suo fratello gli aveva fatto provare durante quella conversazione inattesa. Quel parallelismo lo spaventò e, proprio come una reazione istintuale al pericolo, non riuscì minimamente a controllare la sua successiva risposta a quello sfogo.
« Piccola, te lo avrei detto, te lo avrei detto prima o poi, cred- »
« BUGIARDO! »
Pugni premuti contro i fianchi e spalle tremanti, Frisk gli aveva urlato addosso con una rabbia tale che Sans aveva sentito la propria anima balzargli in gola, ogni parola che avrebbe potuto dire era stata messa in fuga da quel singolo appellativo. Non poté far altro che fissare la giovane nei suoi occhi ambrati, lucidi, colmi di rabbia, ma anche di una nota di tradimento troppo dolorosa. Tanto dolorosa, che Sans si sentì tremare.
Non aveva mai voluto che Papyrus pagasse per i suoi errori, non aveva mai voluto mettere in pericolo Frisk, non aveva mai voluto distruggere le speranze di qualcun altro, fargli provare ciò che lui conosceva dolorosamente bene. Lui… non aveva mai voluto nulla di tutto questo
« Bugiardo… » La udì bisbigliare ancora, una manica del maglione sollevata per strofinarsi gli occhi due, tre volte. Perché lei ormai sapeva, sapeva che quella sua replica supplichevole sarebbe stata solamente un’altra vuota rassicurazione, parole che raccontavano il triste destino di una richiesta che non sarebbe stata mai mantenuta.
Parlane con me o con Papyrus, gli era stato detto, quando Frisk gli aveva affidato la sua fiducia più completa. E la sua risposta era stato un no, un no camuffato da subdolo sì, che ora si era rivelato per ciò che era stato e solamente era: un inganno.
E infine, persino Frisk gli voltò le spalle per andarsene.
Preso da una fitta di disperato bisogno, le afferrò il polso, come per pregarla di fermarsi, di restare, di n-non fare così.
« L-lasciami… » Disse lei, sguardo puntato verso l’ingresso.
Le dita che aveva stretto intorno al polso della ragazzina tremolarono udendo quella flebile parola. Non poteva chiedergli questo, non poteva.
« F-Frisk… »
Frisk chinò impercettibilmente il capo e Sans osò sperare che avesse capito, che non doveva lasciarlo, che anche dopo quanto era stato detto lui aveva ancora bisogno di lei.
« Lasciami, ti ho detto. »
E, questa volta, il suo era stato un ordine, non una richiesta.
Le lasciò il polso con una sofferente difficoltà – e solo dopo essersi obbligato a farlo, spinto dall’ingiustizia che sarebbe stata quella di trattenerla lì contro la sua volontà.
Quando la porta di casa si richiuse, Sans non mosse un osso per parecchi minuti, la sua mente incapace di rispondere al nuovo silenzio in cui era sprofondata l’abitazione.
Si sentiva vuoto.
Si sentiva abbandonato.
 
 
. . .
Perfetto… neanche se avesse letteralmente avuto tra le mani i fili dei suoi burattini avrebbe potuto fare lui stesso un lavoro migliore… era semplicemente esilarante questa prevedibilità, questo srotolarsi di eventi così strettamente concatenati, così irresistibilmente scontati… una vera gioia per gli occhi, i suoi occhi, che finalmente potevano tornare a vedere uno spettacolo degno di tale nome.
Una risata di gola non poté non sfuggire piacevolmente al suo controllo.
Le cose stavano procedendo molto bene.  
 





 
Sameko’s side
In diretta dal treno che mi sta portando in vacanza ( perché sì lettori, questo aggiornamento è stato gentilmente offerto dal 3g del mio cellulare ) abbiamo DRAMMA, imbrogli a danni di Undyne e altro DRAMMA! :D
Non ve lo nascondo, scrivere questo capitolo non è stato semplice, visto il considerevole scisma che è avvenuto tra i nostri protagonisti… e, dal mio punto di vista, era un po’ inevitabile. Di pazienza Chara non ne ha tantissima e anche per Frisk arriva un momento in cui l’unica cosa che se la sente di dire è Basta, soprattutto dopo molte volte che ci tenti per evitare casini e i casini finiscono per piombarti addosso comunque. XD Mi dispiace Sans, ma te la sei un po’ cercata.
Parlando d’altro, qualche giorno fa ho avuto la brillante idea di andare a rileggiucchiarmi il prologo così per sfizio… e lo stile di scrittura è… boh? Non mi è sembrato poi tanto malaccio, devo essere sincera, ma è oggettivamente datato se messo a confronto col mio stile attuale. Non che lo ritenga un male, anzi, mi ha fatto piacere scoprire di aver acquisito un po’ più di esperienza e di essere migliorata grazie a questa storia. ^^
E anche per questo capitolo ci lasciamo, ci becchiamo nel prossimo! ;)
Baci!
 
 
Sameko
 
 
 

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Capitolo 23
*** Capitolo 22: In pezzi ***



Capitolo 22: In pezzi
 




 
Quando il terreno tornò stabile sotto i loro piedi, la modesta abitazione del casato reale dell’Underground si profilava davanti ai loro occhi, una vista di duro e quasi marmoreo grigio, intoccato all’esterno da altri colori.
Chara si accasciò leggermente al fianco di Frisk mentre cercava di respirare e far così disperdere la fitta di dolore che le aveva trapassato l’anima.
L’altra ragazzina non aveva esitato a chinarsi per sostenerla in quel compito tutt’altro che semplice. Anche la sua amica ormai sapeva che il problema stava di nuovo nella sua anima instabile e nel fatto che il teletrasporto, per lei, era un’abilità che doveva essere usata con cautela, a causa dell’enorme dispendio di energia magica che il suo utilizzo richiedeva.
« Non dovresti sforzarti in questo modo… » Sentì la più piccola mormorare, una volta che i muscoli ebbero cessato di contrarsi e tremolarle.
Chara, rilasciando un ultimo respiro sbuffato, si raddrizzò e si rimise in piedi, mantenendo gli occhi chiusi per qualche istante. Quando li riaprì, fissò il soffitto in attesa che la vista smettesse di sfarfallare e distorcere il profilo dei pietroni che lo componevano. Il suo sguardo, a quel punto, agganciò immediatamente quello di Frisk, sempre preoccupata per le sue condizioni ogni qualvolta si sottoponeva a sforzi del genere.
« Lo so, ma preferisco questo al rischiare di incappare ancora in quella cosa facendo il giro lungo. » Rispose, cercando di mantenere l’irritazione ben fuori dal suo tono di voce – sospettò di non esserci riuscita completamente, visto il lieve rabbuiarsi dell’espressione di Frisk. « Non ti preoccupare. »
La più piccola abbassò gli occhi, evitando momentaneamente di guardarla in viso. Annuì solamente in risposta, mormorando un Ok moscio e poco convinto. E Chara non poté non sentirsi rammaricata per lei e per quello che era recentemente successo. Tutta quella situazione era solo una grande seccatura dal suo punto di vista, ma per Frisk… per Frisk era qualcosa di molto più personale.
Quando la minore le prese la mano, quasi come se non avesse nemmeno riflettuto troppo sul gesto, Chara comprese all’istante cosa la sua amica desiderava: vicinanza, sentire la sua presenza distintamente e senza barriere di mezzo. Il solo camminare fianco a fianco, probabilmente, non lo riteneva abbastanza.
La maggiore ricambiò immediatamente il gesto, prendendosi poi il difficile compito di condurre entrambe all’interno dell’abitazione.
L’intera casa era immersa nel silenzio, segno che forse nessuno si trovava al suo interno. Chara, in ogni caso, non intendeva andare a cercare suo padre per annunciare il loro arrivo; aveva portato lì Frisk per una ragione soltanto e se ne sarebbero andate una volta soddisfatto il motivo della loro venuta.
Camminare per i corridoi di quella casa, punteggiati qua e là dal giallo sfumato dall’oro dei ranuncoli, la inondò di una sensazione di antica familiarità, di una pace che aveva il retrogusto amaro della malinconia, e la giovane tentò in ogni modo di non associare a ciò che vedeva un ricordo, una memoria felice, una particolare frase custodita ancora nella sua mente. Era come spolverare un libro di ritagli e fotografie rimasto per troppo tempo sullo scaffale che gli era destinato. Questa impressione… questa impressione non le piacque per nulla, le fece contorcere leggermente lo stomaco da uno sconforto che si sforzò di tenere per sé.
Sulla porta della sua vecchia camera, della camera di entrambi, esitò solo un istante, un lungo istante in cui la voglia di deglutire era divenuta insostenibile. Ma entrò comunque, perché Asriel non c’era più, perché adesso aveva Frisk e aveva il dovere di proteggere lei sola.
La camera era esattamente come la ricordava e non un dettaglio fuori posto pareva indicare il suo mancato utilizzo nel corso degli anni: le coperte sembravano fresche e recentemente lavate, il pavimento era pulito, c’era persino quel suo vecchio ( oltre che orrendo ) disegno appeso sopra quello che era stato il suo letto. Lo scorrere del tempo sembrava essersi fermato a quel giorno maledetto in quel piccolo spazio dell’Underground, per non riprendere più il suo naturale corso. Non le fu semplice ignorare i dintorni, le richiese infatti un immenso sforzo di volontà concentrarsi solamente su ciò che doveva fare.
Lasciò quasi con riluttanza la mano di Frisk e si chinò per guardare sotto il suo letto, scostando le coperte che pendevano oltre il bordo e rivelare così la presenza di una scatola, chiusa accuratamente da un fiocco di un rosso sgargiante.
La tirò fuori e vi soffiò sul coperchio, facendo disperdere nell’aria la polvere che la ricopriva.
Capì dallo sguardo distaccato di Frisk che l’altra ragazzina doveva avere già un’idea precisa di quello che poteva essere il contenuto… e, per questo, Chara fu accorta nel sollevare il coperchio con la giusta calma e prendere l’arma al suo interno, senza tuttavia impugnarla; quell’arma era naturalmente il suo vecchio pugnale, consumato dopo anni di mancata manutenzione, ma di cui Chara non metteva in dubbio la ancora presente efficienza.
« Frisk… » Disse, costringendo la minore a guardare il suo viso – e non il coltello. « Ti… chiedo di prenderlo. »
Frisk allargò poco alla volta gli occhi, quasi atterrita da quella richiesta.
« Chara… non p-posso… » La ragazzina arretrò leggermente, la voce se possibile ridotta ad un sussurro. « Non posso. »
Chara la osservò con un lieve dispiacere nello sguardo. Rimise il pugnale all’interno della scatola, prima di poggiarla sul letto e voltarsi di nuovo verso l’amica, visibilmente meno tesa ora che l’arma era sparita dalla sua vista.
Si avvicinò, poggiandole saldamente le mani sulle spalle minute, fissandola direttamente in quei suoi bei occhi ambrati, uno spiacevole timore si dimenava ancora al loro interno. Per Chara fu tanto desolante da osservare, a maggior ragione sapendo che era stata lei la causa principale che lo aveva originato, ma si sforzò comunque di non indugiare troppo in quelle emozioni di rincrescimento.
« Frisk… so cosa ti sta passando per la testa in questo momento. » Disse, cercando di suonare il più comprensiva possibile, di imprimere un po’ di emozione nel suo tono di voce spesso e volentieri monotono. « Lo so benissimo… ma non permetterò che tu vada in giro disarmata d’ora in poi. Voglio che tu abbia la possibilità di difenderti… e vorrei che tu non esitassi a farlo, se fosse necessario. »
Frisk strinse nervosamente le labbra, palesemente tentata dal desiderio di guardare altrove.
« Chara… n-non posso davvero… i-io… »
« Frisk, te lo chiedo come amica. » Insisté, scuotendo delicatamente la più piccola per le spalle. Avrebbe voluto evitare di ricorrere ad un simile stratagemma per convincerla, ma riconobbe anche che non aveva altre carte in suo possesso da giocare. O questo, o lasciare la sua migliore amica indifesa in un possibile momento di pericolo. « Non voglio assolutamente che tu ti faccia del male. Non me lo perdonerei… »
Frisk la fissò con indecisione, la bocca socchiusa nel tentativo di dire qualcosa, ma tutto ciò che in questo momento avrebbe pronunciato sarebbe stato un altro rifiuto di fronte alla richiesta dell’amica. Il solo avere sotto gli occhi quell’arma faceva nascere in lei una sensazione di intimorita repulsione, di consistente e turbolento disagio. Il pensiero di far stare in ansia Chara le parve tuttavia più insopportabile di qualunque altro e fu in grado di prevalere, per ora, sull’angoscia dell’accettare un contatto troppo ravvicinato e costante con un oggetto che evocava orribili ricordi.
Tutto ciò a cui la maggiore teneva era la sua sicurezza e Frisk non se la sentiva di andarle contro.
« Ok… lo f-farò. » Bisbigliò, evitando senza volerlo di incontrare le iridi lattee dell’altra, troppo somiglianti agli unici occhi che non avrebbe voluto vedere in quel momento. Era riuscita a guardarla in viso fino ad adesso, ma ora non ne poteva più, e non trovò nemmeno il coraggio di rendere presente alla maggiore tutto questo.
Chara fece ricadere le braccia lungo i fianchi, un lieve sospiro confortato lasciò le sue labbra di nuovo distese.
« Grazie. »
Era sollevata di essere riuscita a convincere Frisk almeno a portarsi dietro un’arma, sperando in cuor suo che la minore ne avrebbe fatto veramente uso in caso di bisogno. Ci ripensò comunque due volte prima di mostrarle di nuovo il pugnale, perché aveva visto molto più di un normale disagio attraversare gli occhi della più piccola durante i secondi precedenti; tenerlo per ora nella sua collocazione originaria le era senz’altro preferibile al vedere Frisk cadere, di nuovo, in quello stato di profonda angoscia.
« Chara… » Udì la più piccola sussurrare esitando il suo nome. « Mi dispiace per quello che è successo… prima. »
Chara sentì le sue stesse spalle tendersi al solo ricordo della rabbia e dell’incredulità che le risposte di quell’idiota avevano suscitato in lei. Tutt’ora non si capacitava di come una persona, mostro, o chicchessia, potesse ragionare in un modo a suo parere tanto superficiale, immaturo e, soprattutto, contorto – un tipo di contorto con cui lei aveva, a malincuore, una certa familiarità.
« Tu non c’entri nulla, Frisk. È solo quell’ingrato che si dovrebbe fare uno stupido esame di coscienza. » Replicò a denti stretti, forzandosi a distendere le spalle tese e, di conseguenza, ad innervosirsi meno del dovuto. Quel mentecatto non valeva il suo nervosismo, non lo valeva assolutamente.
« Sono… sono delusa quanto te… » Mormorò l’altra ragazzina e la maggiore poteva quasi vederla, nella sua testa, con il capo chino e la frangia calata a nasconderle gli occhi.
« E fai bene. » Disse lei, il tono freddo che combaciava con l’impassibilità dei suoi occhi, di un bianco arido. « Ho paura che, seppur odi l’idea di mettere in pratica i consigli di quella canaglia, l’unica cosa che davvero ci resta da fare è ricavare le informazioni di cui abbiam bisogno da sole. E Undyne dovrà essere informata di tutto quello che sta accadendo. Non possiamo sapere se la pianta deciderà di prendere in ostaggio qualcuno solo per organizzare uno scambio. »
Frisk assentì in risposta, non aggiungendo altro perché condivideva ogni parola pronunciata dalla sua amica… però… c’era un però. Potevano davvero mettere da parte così Sans? Era giusto riservargli questo genere di trattamento che lei stessa difficilmente avrebbe riservato ad un nemico?
Sul momento, la rabbia aveva sì preso il sopravvento nel suo animo, scavalcando la pazienza e la fiducia che era solita nutrire nel prossimo… ma, a mente ora più lucida, si rendeva conto che escluderlo da qualsiasi loro piano d’azione futuro non sarebbe stato corretto. Per adesso, non se la sentiva di vedere Sans, né tanto meno di parlarci, ma non aveva intenzione di chiudere i rapporti con lui. Le persone non devono essere lasciate sole – lei lo sapeva bene. E voleva esprimere queste sue idee a Chara, cercare di insegnarle non solo a tollerare, ma anche ad essere più comprensiva.
« Forse, dopo quella discussione, Sans potrebbe… »
« Ne dubito. I tipi come lui sono testardi, devono sbattere la testa contro il muro parecchie volte prima di decidersi a mollare. » La interruppe Chara, ancor prima che lei potesse finire di parlare. « Una cosa positiva alcune volte, altre decisamente negativa. »
L’ultima affermazione della maggiore era suonata più come una concessione che una critica, un riconoscere con una certa fatica una qualità che, forse, la sua amica trovava… trovava apprezzabile a seconda dei casi? Non le sembrava una supposizione così assurda, Chara le aveva dimostrato più volte in passato che persino in persone che trovava detestabili era in grado di apprezzare una qualità in particolare, o anche più di una. Era su questa base che l’altra ragazzina sembrava costruire le sue relazioni, soffermandosi dapprima su una sola parte, per poi arrivare a vedere tutto l’insieme. Era un pensiero su cui Frisk avrebbe voluto volentieri riflettere ed indugiare, ma una faccenda a lei esterna e di grande importanza la stava attendendo. Malgrado l’interruzione, infatti, la più piccola non era disposta a chiudere la conversazione in quel modo tanto insoddisfacente, non quando non aveva ancora avuto l’occasione di esprimere alla sua compagna qualcosa che, per lei, possedeva un valore inestimabile.
« Chara, io… io non voglio lasciarlo solo, o abbandonarlo. Ha sbagliato, forse gli occorrerà un po’ di tempo per comprenderlo, ma non smetterò di essergli amica per questo… spero tu capisca... » 
La più grande sospirò brevemente, cercando di frenare la smorfia che tentò di intaccarle le labbra. Smise comunque di dare le spalle a Frisk, per non farle pensare nemmeno per un istante che la sua irritazione era dovuta a qualcosa che lei aveva detto.
« Lo capisco. »  Le disse. E Chara lo capiva davvero, nonostante i suoi sentimenti di indignazione; senza quel desiderio così intrinseco nella sua anima di essere sempre benevola verso chiunque, Frisk la avrebbe lasciata ad agonizzare e a pregare per un aiuto che non le sarebbe mai stato dato, sconfitta, sola e disperata nell’oscurità che era stato il suo tormento per decenni. « Puoi fare quello che vuoi con chi vuoi, Frisk. Non hai bisogno della mia approvazione... »
« Non... intendevo questo... » Obiettò a bassa voce la più piccola e Chara sbatté a quel punto le palpebre, non avendo proprio preso in considerazione l’idea di un fraintendimento tra di loro. « Spero tu capisca che… che ognuno di noi merita di avere più di una sola possibilità, una terza o una quarta persino, se è disposto a cambiare in meglio. Non ci sarebbe più amore, se tutti cominciassimo a voltarci le spalle al primo sbaglio. » 
Chara la fissò intensamente con la coda dell’occhio, le labbra appena un po’ strette dalla titubanza. Quelle parole la avevano colpita, la avevano colpita fin nel profondo, perché esprimevano un concetto innegabilmente somigliante alla motivazione che aveva spinto Frisk a salvarla, ad incoraggiarla a raccogliere i cocci della sua esistenza per ridare loro una forma nuova, più bella e dotata questa volta di vero valore.
« Tutti meritano di essere felici, se sono disposti a cambiare, a migliorare per gli altri. »
Messaggio identico, ma espresso in maniera differente: tutti meritano di avere una seconda possibilità, una terza, persino una quarta, se sono disposti a cambiare e migliorare per gli altri. Ma Chara trovava tutt’ora difficile capire la logica dietro a quel ragionamento. Perché dare anche solo una seconda possibilità a qualcuno che ti ha ferito, a qualcuno che ti ha fatto del male? Non riusciva a capirlo.
Per questa ragione, Chara si astenne dal risponderle. Frisk stava probabilmente sperando in vano, non per quanto riguardava lo scheletro – forse –, ma certamente su di lei, sul fatto che potesse imparare ad essere più compassionevole. Avevano ideologie opposte su certe questioni… e, questa, era una di quelle questioni. Chara non aveva mai creduto nel buono delle persone, non era a sperare nel genere di cose in cui sperava Frisk che era stata a lungo abituata. Era nell’indifferenza della gente che era stata abituata a sperare, perché era stata per tanto tempo l’alternativa migliore che avesse… e, quando qualcosa è così tanto radicato in te, si sa che è difficile cambiarlo.
Si diresse quindi verso l’altro letto presente nella stanzetta, vi poggiò sopra la scatola del suo pugnale e si chinò sotto di esso per controllare se fosse presente un’altra scatola. Aveva l’impellente bisogno di distrarsi da quelle riflessioni e quest’ultimo compito avrebbe potuto facilitarle lo scopo.
« Cosa stai cercando? » Le chiese Frisk, piegandosi leggermente sulle ginocchia per controllare i movimenti della sua amica.
Chara, messasi a pancia in giù sul pavimento per poter raggiungere il fondo del letto, poté nel frattempo scorgere ciò che stava cercando.
Si rialzò, pulendosi maglione e pantaloni con una mano, mentre con l’altra reggeva l’oggetto della sua ricerca: una scatola, molto simile a quella che conteneva il suo pugnale.
« Questa. » Replicò, pur sapendo che la curiosità della sua amica non sarebbe stata saziata con una risposta tanto vaga.
Nel momento in cui poggiò la mano sopra quel contenitore, le sue dita indugiarono qualche istante sul coperchio, quasi a spingerla a ponderare meglio le sue azioni attuali. Ma le aveva già ponderate abbastanza a suo parere… e, in ogni caso, avrebbe dovuto fare tutto questo molto prima.
Aprì infine la scatola, rivelando il medaglione che brillava debolmente sul fondo: il medaglione di Asriel.
Le fitte di nostalgia e autobiasimo tornarono più pressanti di prima, ma Chara le scacciò via con la medesima insistenza. Il passato era passato, il presente era presente – ed era ciò su cui doveva sforzarsi di concentrarsi.
« È il tuo, giusto? » Le domandò innocentemente Frisk, occhieggiandolo dalla sua posizione. Non era probabilmente la prima volta che la ragazzina più piccola vedeva quell’oggetto, ma la minore non poteva conoscere la storia che si celava dietro. Solo lei la conosceva
« Sì… e no… » Disse, tirandolo fuori dalla scatola dalla cordicella per farglielo vedere. Il medaglione ruotò leggermente su sé stesso nell’aria, i bagliori sulla sua superficie lucida si inseguirono l’un l’altro durante quel placido roteare. « Io e Asriel, quel giorno, avevamo fatto a cambio. Io avevo preso il suo, lui aveva preso il mio. Era stato una specie di… di augurio, un rito di passaggio per qualcosa che, sapevamo, avrebbe cambiato le nostre vite per sempre. »
Lo fissò qualche secondo in contemplazione, lo fissò come in una sorta di stato di venerazione, perché quel medaglione rappresentava ciò che la aveva legata ed Asriel per anni… ed era un qualcosa che Chara non rimpiangeva di aver condiviso con il suo primo amico… adesso, rimpiangeva solo di non aver avuto la saggezza necessaria per proteggere il loro legame e continuare a farlo prosperare nel tempo a venire – era lei la più grande, lei avrebbe dovuto prendersi cura di Asriel ed insegnargli il buon senso, non il contrario. Se lo avesse fatto, se solamente lo avesse fatto, a quest’ora sarebbero stati entrambi adulti responsabili e giudiziosi, pronti ad indossare la corona e regnare sull’Underground con la stessa benevolenza dei loro genitori. E sarebbero stati ancora una famiglia, una famiglia felice ed unita, nel bene e nel male della vita.
Sospirò internamente Chara, riconoscendo da sé che perdendosi in quelle fantasie non avrebbe potuto riavere indietro quei tempi lontani… e ben sapeva chi non avrebbe avuto se uno qualsiasi di quegli scenari si fosse mai realizzato.
Si mise il medaglione al collo e preferì allargare il colletto del suo maglione e farlo scivolare all’interno invece che lasciarlo in vista. Il passato era passato, andava seppellito se si voleva guardare al futuro… ma non doveva essere, per questo, dimenticato.
Una volta che ebbe sentito attraverso il dolcevita che indossava il peso familiare del medaglione, si accinse a terminare di spiegare alla sua amica ancora in attesa.
« Asriel pensava che, avendo l’uno il medaglione dell’altra, saremmo stati sempre assieme, anche se il futuro ci avesse portato ad allontanarci. »
Ironia della sorte, fu esattamente ciò che successe. Il futuro li aveva separati forse irrimediabilmente e Asriel non poteva sapere, ai tempi, di aver in un certo senso previsto la tragedia che sarebbe a breve accaduta… la tragedia che aveva rivelato al mondo le vere nature dei due principi dell’Underground, una natura vendicativa ed inclemente da una parte, ed una natura buona e misericordiosa dall’altra. E queste due nature tanto opposte si erano ferocemente scontrate, ma nessuna delle due aveva prevalso… avevano entrambe perso – e avevano perso ogni cosa.
« L’altro medaglione… quello che prima apparteneva a te… Sai dov’è? » Le domandò Frisk, con un’accorta cautela, perché ben sapeva quanto questo genere di conversazioni necessitavano di un'attenta delicatezza. Erano pezzi di vita che erano spiacevoli da ricordare per la sua amica e meritavano di essere trattati con riguardo e poca intromissione.
Chara si riscosse dal rinvangare di quei pensieri, almeno per rispondere a quella nuova domanda.
« Non ne ho idea. Sarà andato perduto da qualche parte. » Replicò distrattamente, mentre riponeva la scatola sotto il letto di Asriel per riprendere con sé quella contenente il suo pugnale. Stava cercando di proposito di chiudere quella scomoda conversazione ora, prima che potessero avventurarsi in territori che lei non se la sentiva di percorrere – e sapeva che Frisk avrebbe colto senza difficoltà il messaggio. « Possiamo andare. Non c’è altro da fare qui. »
Frisk fece a malapena in tempo ad assentire che due voci, provenienti dall’altra parte della casa, filtrarono udibili attraverso le pareti. Una parlava con una modesta urgenza, esitando tuttavia a causa dell’altra voce, glaciale e tendente ad una silenziosa aggressività.
« Che succede? » Domandò rivolgendo uno sguardo a Chara, accigliata quanto lei. « Sembrano… Toriel… Asgore? »
La più grande allargò un poco gli occhi, avendo riconosciuto le voci dei due reali nel momento stesso in cui la sua amica li aveva nominati.
Senza attendere oltre, uscì nel corridoio, dirigendosi verso la fonte di quello che pareva essere un battibecco in corso. Non poteva credere che stessero litigando di nuovo in così poco tempo – cavolo, tre settimane ed era già la quarta volta come minimo! E, nonostante sua madre si fosse sforzata di mascherare i postumi di quelle litigate con il suo normale buonumore, sia lei che Frisk erano sempre state più che in grado di vedere attraverso quella maschera non così perfetta ed intuire quando era avvenuto uno di quei litigi. Oh, ma questa volta le cose sarebbero andate diversamente.
« Chara, aspettami! » La rincorse Frisk, non comprendendo appieno il motivo che aveva spinto la sua migliore amica a reagire in modo tanto impulsivo.
Fu sufficiente lasciare la stanza per permettere loro di distinguere parti sempre più estese del discorso.
« Sono qui solo per prendere alcune cose per le bambine, Asgore. Non per discutere con te, tra tutti i mostri del regno poi. »
« Toriel, ti chiedo solamente un minuto della tua attenzione… solamente un minuto… »
« Asgore, no. Non dovresti aver nulla da dirmi, esattamente come io non ho nulla dirti. Non voglio ci sia più niente tra di noi. »
« Tori, per favore... »
E, proprio quando raggiunsero il salotto e rivolsero lo sguardo verso l’angolo in cui era posizionata la libreria, videro Toriel spingere via un implorante Asgore con un gesto veemente del braccio e un mezzo ringhio sul suo muso caprino, che le ragazzine erano tanto abituate a veder invece contornato da un socievole sorriso… di quel sorriso, adesso, non vi era traccia.
« Non chiamarmi così, Dreemurr! »
Per tre secondi netti, l’unico suono presente nel locale furono i respiri adirati di Toriel e l’ansimo di sorpresa che Asgore rilasciò… e, quando si accorsero della loro presenza, i loro volti sbiancarono dallo smarrimento e all’unisono. Fu chiaro ad entrambe che non avrebbero dovuto trovarsi lì, che nessuno si aspettava fossero lì, e tantomeno che avrebbero dovuto indagare in partenza sulla natura di quel litigio.
Toriel fu la prima a mettere su uno dei suoi sorrisi più calmi e, soprattutto, abbandonare per il momento le sue ostilità con l’ex marito.
 « Mi dispiace che abbiate dovuto assistere ad uno spettacolo tanto degradante. Non sapevamo foste… »
Chara non le permise di finire.
« Asriel non avrebbe mai voluto questo da voi. »
La tensione, il disagio che quelle poche parole generarono, fece raggelare l’aria, le espressioni dei due reali e le loro rispettive anime.
Asgore abbassò il capo, in un gesto che di dignitoso non aveva nulla, assolutamente nulla – suo padre era un’ombra del re che ricordava, solo un’ombra in mezze alle tante altre del suo passato in frantumi.
Gli occhi di sua madre erano divenuti umidi, opachi. Erano occhi feriti, che avevano impiegato tanto per guarire, ma che ora erano stati di nuovo attaccati dal dolore.
« Chara… bambina mia… »
La ragazzina strinse il pugno della mano libera, il labbro inferiore prese a tremarle nel momento in cui vide quella sofferenza sul muso dell'amorevole capra. Ne aveva abbastanza di questa giornata in cui non una singola cosa voleva saperne di stare al suo posto, dove troppo del suo passato stava continuando a bussare alle porte della sua sempre presente colpevolezza, premendo per tornare a risiedere nel suo cuore, che pretendeva solo un po’ di pace e cecità. Si stava sforzando più che poteva per costruirsi una vita migliore, per onorare la decisione di Frisk di darle un’altra chance, per non lasciare che l’autocommiserazione arrivasse a condizionare di nuovo e gravemente i suoi pensieri … e, ora… o-ora questo?
Era venuta lì per farli smettere di litigare, ma tutto ciò che aveva fatto era stato ferire ed addolorare.
Arretrò di fronte alle braccia aperte di Toriel, arretrò fino a che non sentì il muro sfiorarle le spalle, quasi inorridita dalle sue stesse azioni. A quel punto, imboccò il corridoio, intenzionata solamente a raggiungere la porta di casa e ad uscire di lì.
Frisk aveva osservato con una fitta di intenso dispiacere quell’ultima, avvilente scena, lo sguardo rattristato dell’ex regina, l’indietreggiare della sua amica davanti a quell’abbraccio implorante, il suo lasciare il locale in modo tanto frenetico. Nel momento in cui Toriel, dopo aver lasciato ricadere le braccia lungo i fianchi, sembrò cercare in lei una spiegazione, un qualcosa che potesse risanare almeno marginalmente la ferita che Chara aveva riaperto, la giovane non trovò parole che potessero spiegarle il delicato stato emotivo in cui Chara si trovava, né tantomeno parole che potessero rinfrancare l’anima dell’ex regina. O, almeno, non parole che non suonassero ridondanti e vuote della consolazione che avrebbero bensì voluto portare.
Persino lei, a quel punto, sentì l’impulso di lasciare l’abitazione dei reali al più presto possibile.
« Scusateci… n-non volevamo intrometterci. » Bofonchiò, sperando che nessuno le impedisse di seguire l’esempio di Chara – una seconda volta, nello stesso giorno, non sarebbe stata capace di sopportarla.
Con suo immenso sollievo, né Toriel, né Asgore fecero nulla di tutto ciò.
Si strinse sconsolata nelle spalle quando svoltò l’angolo e fu al di fuori del loro campo visivo, il cuore che prese a dolerle leggermente nel petto, a farle piegare le labbra in una smorfia triste e amareggiata.
Una giornata che era iniziata nel più normale dei modi si era, invece, trasformata in… in questo, questo spettacolo di desolazione, dove ogni cosa sembrava essere destinata a sfasciarsi e a cadere miseramente in pezzi. Era come se i precedenti giorni di pace fossero stati solamente un campanello d’allarme, un segnale, che avrebbe dovuto essere monito di quanto tutta quell’apparente spensieratezza non sarebbe durata ancora a lungo. Frisk, in fondo, ne era stata consapevole fin dall’inizio… ma, pur avendo questa consapevolezza, la ragazzina non riuscì a scacciare via l’amarezza di aver visto quel periodo di tranquillità finire così, in questo modo, troppo presto e troppo bruscamente.
Chara le stava dando le spalle quando raggiunse il cortile, il suo intero corpo percorso da visibili tremolii si era raccolto attorno alla scatola del pugnale, che stava ora premendo contro il suo petto fino a farsi sbiancare le nocche delle mani.
Frisk si sentì male, tanto male per lei e per quello che Chara, nonostante i suoi ammirabili sforzi, stava ancora passando. Non poteva vederla in un simile stato… aveva già sopportato tanto e aveva già sofferto tanto… e non era giusto che continuasse a soffrire così.
Non poté astenersi dall’allungare le braccia verso di lei, per abbracciarla da dietro con tutta la dolcezza che potevi imprimere in un simile gesto. Voleva ricordarle che non era sola in questo dolore, che erano in due a condividere almeno in minima parte quel dolore, e che per questo dovevano restare insieme.
La maggiore non sussultò sotto il suo tocco – non più come durante i primi giorni – e accettò silenziosamente quell’abbraccio consolatorio, di cui forse aveva avuto bisogno sin dall’inizio, ma che purtroppo non era stata capace di chiedere.
Frisk, poggiata con la guancia contro la schiena dell’altra, ne percepì i tremori del corpo calmarsi pian piano, fino a sparire del tutto. Ciò che sentì sotto il proprio orecchio, a quel punto, fu solo l’anima di Chara, un battito che seguiva dolcemente l’altro, senza rincorrere stremato il successivo.
Le dita dell’altra ragazzina salirono timidamente a sfiorarle il polso, come a voler cercare un contatto con lei. Frisk non esitò a darglielo. Le loro mani si strinsero, dandosi forza l’un l’altra, completandosi l’un l’altra, delicatezza e decisione assieme, due determinazioni diverse eppure tanto simili.
« G-grazie, Frisk. »
Era stato un sussurro da parte di Chara, basso, roco dai singhiozzi che la maggiore aveva continuato a reprimere, ma la riconoscenza di cui era stato carico non le sarebbe mai potuta passare inosservata. Si avvicinò maggiormente a Chara, facendole comprendere che aveva capito, che aveva sentito, ancora prima di risponderle con un sussurro non meno basso.
« Io ci sono, Chara… ci sarò ogni volta che avrai bisogno… »
E non era necessario aggiungere altro. Perché ulteriori parole, dopotutto, sarebbero potute risultare superflue, se confrontate al silenzio confortevole in cui avevano scelto di rimanere e di cui avevano imparato a conoscerne il linguaggio. Perché le parole, a volte, esprimono solo una minima parte di ciò che siamo, di ciò che vorremmo essere; entrambe lo avevano ormai compreso.
 
 
Aveva combinato un disastro, questa volta.
Se era stato in grado di far alterare persino Frisk, che aveva tentato sempre di aiutarlo, che aveva sempre tentato di sostenerlo, che non aveva mai alzato la voce con lui una singola volta senza scusarsi immediatamente, allora aveva combinato un vero disastro. E credeva di averlo saputo fin dall’inizio di aver commesso un errore madornale sottovalutando Gaster e le sue capacità, ma ciò che forse non aveva realizzato era quanto madornale fosse stato realmente il suo errore. Tanto madornale che, senza l’intervento di Frisk e Chara, sarebbe stato ora nelle grinfie di Gaster. Tanto madornale, che suo fratello aveva finito col pagarne le conseguenze al posto suo. Aveva dovuto ucciderlo, aveva dovuto ucciderlo con le sue s-stesse mani per salvarlo… aveva ucciso suo fratello, e non avrebbe mai smesso di tormentarsi per questo, sapeva che la sua testa non avrebbe mai smesso di tormentarlo per questo.
E non pensava che tutta quella situazione non fosse colpa sua, tutt’altro. Il problema era che la causa primaria non era stata un suo errore di valutazione, come aveva continuato ad insistere lui, e le due ragazzine avevano strenuamente tentato di fargli vedere la vera causa, scavalcando con fatica il muro impenetrabile che erano le sue convinzioni. Lui non aveva ascoltato fino all’ultimo, quando quella parola era stata una scheggia di ghiaccio fredda e ustionante assieme nel momento in cui, violenta, era penetrata nella sua anima.
Bugiardo.
Bugiardo, come suo padre.
Bugiardo, come Gaster.
Le sue bugie erano state la causa di tutto… solo le sue bugie. Senza di esse, forse quell’errore di valutazione e molti altri, che avevano radici più lontane nel tempo, avrebbero potuto essere evitati. Perché non era stato soltanto durante quelle settimane che aveva continuato a dire menzogne, lo aveva fatto per quasi tutta una vita, nascondendo a suo fratello verità che credeva scomode, al solo scopo di proteggerlo e mantenerlo sereno… o, almeno, era questo che si era sempre raccontato, persino quelle volte in cui l’unica persona che aveva tentato di proteggere era sé stesso, l’indegno e deludente sé stesso. Credeva di non avere mai avuto un particolare interesse a mostrare un’immagine di sé piacevole e, soprattutto, diversa da ciò che era veramente – un mostro pigro, lavativo, dall’umorismo pessimo quasi quanto la sua abituale scelta d’abito. Ma, evidentemente, si era sbagliato anche su questo. Quale persona che si ritiene disinteressata alle apparenze mentirebbe sia a coloro a cui vuole bene, sia al suo stesso cuore, per preservare la già noiosa immagine di un completo buono a nulla? Un bugiardo, appunto, che sapeva di avere lati di sé persino più indegni che doveva nascondere, per i quali temeva di venir rifiutato dal suo stesso fratello, oltre che dal mondo intero. E, ancora peggio, un egoista, che non era disposto a dire la verità perché non avrebbe potuto sopportare l’abbandono dell’unica persona che non si era mai persa d’animo con lui fino ad allora.
Gli altri non lo conoscevano veramente… e nemmeno lui, a quanto pareva, aveva mai conosciuto veramente sé stesso, ogni volta che scopriva lati sempre più bassi e disgustosi del suo essere se ne convinceva sempre di più, sempre più inesorabilmente.
Non aveva raccontato a Papyrus di alcune ricerche che lui e Gaster avevano condotto, del motivo per cui solo il suo fratello maggiore si prendeva cura di lui, della ragione per cui certe notti si svegliava urlando, pregando disperatamente perché urla più forti delle sue riecheggianti all’infinito nei suoi sogni si placassero. Non gli aveva raccontato dei reset, del suo rinunciare al sogno della superficie e del suo ignorare qualunque occupazione ritenesse inutile e priva di senso se non fosse sopravvissuta ad un reset… e di quante, terribili volte aveva ritrovato la sua sciarpa e il suo body immersi nella neve e nella polvere. Non gli aveva raccontato nulla di tutto questo e altro ancora.
È per il suo bene, si era continuato a ripetere. Ma quante volte era stato davvero così? Quante volte era stato per il bene di suo fratello – e non per evitare discorsi e rivelazioni scomode che lo avrebbero messo in cattiva luce? Non lo sapeva più. Non lo aveva mai saputo.
Tutte le occasioni in cui aveva visto Papyrus guardarlo con un’espressione impensierita, impensierita per lui, gli si stavano parando davanti agli occhi, come per ricordargli quante volte doveva averlo fatto stare in ansia, quante volte doveva averlo lasciato con l’amaro in bocca, quante volte doveva averlo fatto sentire inutile quando, invece di ammettere qualsiasi cosa, aveva preferito mentire. E suo fratello era la persona più in gamba che conosceva, che non avrebbe mai dovuto sentirsi sfiduciata o inapprezzata una sola volta nella sua vita, figuriamoci a causa sua, a causa di uno come l-lui
Un guaito, proveniente dai piedi del suo letto, interruppe inaspettatamente lo scorrere di quei pensieri di sola autocommiserazione.
Gettò uno sguardo assente al piccolo cane bianco seduto vicino al suo vecchio materasso, il quale lo guardò con la testa leggermente inclinata, come a chiedergli perché se ne stava tutto solo nella sua stanza, come un recluso.
Perché, quindi? Forse, perché si meritava di stare lontano dagli altri, di essere allontanato da tutti gli altri.
Il cagnolino non si perse d’animo di fronte alla sua mancanza di reazioni. Salì con le zampe anteriori sul suo letto e prese tra i dentini la manica della sua felpa per tirargliela insistentemente.
Sans aggrottò un poco le arcate sopraccigliari, cosa che spinse il cane ad emettere un nuovo, ostinato guaito.
« E-ehi… cosa c’è, bello? » Si decise a chiedergli, voltandosi col resto del corpo verso l’animaletto.
Questo spinse il cagnolino a lasciargli la manica e trotterellare verso il suo comò, i suoi piccoli occhietti neri lo fissarono carichi di aspettativa.
Lo scheletro emise un sospiro pesante mentre si alzava dal materasso per volere esclusivo di quel cane e lo affiancava vicino alla cassettiera.
« Cosa c’è qui? » Ripeté, cercando in quello sguardo sveglio un altro suggerimento.
Il cagnolino puntò immediatamente il muso verso l’alto, tornando poi a guardarlo con la medesima attesa.
Sans lasciò gli occhietti del cane per controllare l’oggetto che gli era stato indicato di prendere: il suo cellulare.
Un’ultima occhiata in direzione del cucciolo, un’ultima occhiata che gli servì da conferma, e prese finalmente il telefono in mano. Sul display comparvero solo gli avvisi delle chiamate di Toriel, che già in precedenza aveva scelto di ignorare. Non ce la avrebbe fatta a conversare normalmente con lei, non dopo che aveva mancato più imperdonabili volte in poche ore alla promessa fattale anni prima. Non era stato in grado di proteggere né Frisk, né sua figlia, non ne era stato minimamente in grado… e, come se ciò non bastasse, aveva deluso la piccola, la aveva tanto delusa, al punto da spingerla ad andarsene via
E si maledisse Sans, perché una parte di lui aveva persino osato sperare di trovare, fra quelle chiamate, anche una da parte di Frisk.
Riappoggiò il telefono sopra la cassettiera, facendo fatica a contenere il tremare delle sue spalle. Non se la meritava una chiamata da lei e ne era dannatamente consapevole… ma non poteva impedirsi di sentirsi male per questo, più male del dovuto.
« Cagnaccio impiccione! Come sei entrato ancora in casa nostra?! »
La voce di suo fratello gli fece alzare la testa di scatto, a fissare ad orbite sgranate la porta spalancata della sua camera.
Papyrus era lì, fermo sulla soglia con un’espressione di rara irritazione in volto, e non fece nemmeno in tempo a tentarne la cattura che il cagnolino era già bello che schizzato verso l’uscita, passandogli come un fulmine tra le gambe divaricate.
Suo fratello emise un verso seccato, prima di incontrare i suoi occhi ancora leggermente più larghi del normale a causa dell’apparizione dell’altro scheletro. Sans, in quel momento, non provò nemmeno ad ostentare il sorriso quasi plastico che lo contraddistingueva, perché farlo – sapeva – lo avrebbe fatto sentire persino peggio.
« Sans, va tutto bene? » Gli chiese prevedibilmente il minore, ogni traccia della sua irritazione sparita sotto un primo sorgere di apprensione nelle sue.
Sans abbassò esitando lo sguardo, voltando la testa da un lato, le dita gli tremavano leggermente lungo i fianchi.
« Paps… non preoccuparti… »
Si sentì immediatamente studiato da suo fratello con uno straripante scetticismo.
« Stai scherzando, fratello? Come faccio a non preoccuparmi per te, se quando esco di casa sei in un modo e quando torno a casa sembra sei appena stato ad un funerale? »
Il maggiore abbassò le palpebre, cercando di impedirsi di vedere qualunque traccia della figura di suo fratello persino con la coda dell’occhio. Non ce la faceva neanche a guardare come il linguaggio del corpo di Papyrus continuava ad irradiare preoccupazione ad ogni piccolo gesto.
« È successo qualcosa mentre ero via? » Lo udì domandare, non più così duro come era suonato in precedenza.
Sans scosse appena il capo, in una risposta quasi distratta.
« Sans… »
Dispiacere, nella sua voce – dispiacere che lui non voleva sentire.
« Non ti devi preoccupare, Paps. Va tutto bene… » Ribadì, prima che suo fratello potesse chiedere altro, prima che suo fratello potesse rendere le cose ancora più difficili.
Si diresse verso la porta della sua camera, sperando con un po’ di fortuna di riuscire a lasciare incolume il locale esattamente come il cagnolino.
I suoi piani andarono già in fumo quando due braccia si poggiarono sulle sue spalle, fermandolo efficacemente sul posto. Sans si paralizzò per un lungo istante, il suo corpo ebbe la reazione sbagliata in risposta a quel tocco.
Credeva… aveva creduto che fosse… la sua mente lo costrinse a razionalizzare, a riconoscere quello che era il profilo ammorbidito dai guanti delle falangi di Papyrus, così come la sua presenza alle sue spalle completamente priva dell’aura oppressiva che avrebbe dovuto accompagnare quel gesto, se solo fosse stato qualcun altro a compierlo. Non aiutava, tuttavia, il fatto che suo fratello fosse ormai cresciuto in statura e che l’inclinazione con cui le sue mani gli raggiungevano le clavicole stesse ormai divenendo immancabilmente simile alla sua. Ma quello era suo fratello, sapeva che era solo suo fratello, non doveva scambiare il suo fratellino per nessun altro.
« Non va tutto bene… vero? » Gli domandò Papyrus, la voce di solito squillante stemperata da un malinconico sconforto.
Sans percepì il suo stesso sorriso tremolare. Non ci riuscì, non riuscì a mentire di nuovo, a ripetere ancora la stessa azione che aveva rischiato di portargli via suo fratello solo quella mattina – era stato difficile la prima volta, ma adesso gli era praticamente impossibile.
Si coprì il volto con mani tremanti, facendo appello a tutta la sua volontà per ricacciare indietro le lacrime che erano affiorate nelle sue orbite. Perché doveva essere un tale bugiardo, al punto da negare persino l’evidenza finché non veniva messo all’angolo? Perché loro dovevano essere così simili, perché non poteva essere una persona diversa da lui?!
Tanto più tentava di impedirlo, tanto più i suoi occhi si stavano inesorabilmente inumidendo. Non aveva più controllo, non aveva più un misero briciolo di autocontrollo.
Le braccia di suo fratello lo raccolsero in un abbraccio che voleva essere per lui rassicurante, amorevole… un abbraccio di cui lui era assolutamente immeritevole.
« Sans… sfogati, se ne hai bisogno… ci siamo solo tu ed io. » Gli disse Papyrus, attirandolo a sé, contro il proprio petto, permettendogli di lasciar cadere le lacrime più gelide che avesse mai versato, perché da esse non riusciva a trarre alcun conforto. Sapeva che non era nemmeno degno di ricevere nessun tipo di conforto, non era degno di essere abbracciato, non era degno di stare nella stessa stanza con suo fratello. E la lista continuava, continuava, continuava
Eppure, nonostante quella consapevolezza, il conforto non gli era ancora venuto a mancare, non aveva ancora lasciato quella stanza, non aveva ancora smesso di abbracciare Papyrus. Anche se sapeva di non essere all’altezza di quelle cose, le stava comunque ricevendo – e senza fare nulla per rifiutarle.
Era un egoista.
« P-Papyrus, scusami s-se sono un fratello orribile, s-scu-scusami... »
La voce lo abbandonò dopo solo quelle poche parole, tramutandosi in un susseguirsi di singhiozzi. Era un fratello orribile, e tutto quello che aveva da offrire erano soltanto patetiche scuse e pianti.
« Shhhh… non è vero, Sans… non è assolutamente vero… calmo... » Gli sussurrò Papyrus, la mano guantata dell’altro sulla schiena era un peso che voleva essere confortante, ma che si stava sfortunatamente rivelando tutto l’opposto… eppure, Sans non voleva rinunciare nemmeno a quello, alla sensazione del tessuto familiare di quei guanti che tentavano di alleviare il suo dolore.
E non poteva non chiedersi perché suo fratello continuava a stargli vicino, perché ancora si ostinava a volerlo tranquillizzare, a dispetto di tutte le bugie che gli aveva detto. Perché lo stava facendo? Doveva lasciarlo in pace, doveva stargli lontano, perché tutto questo allora?!
Perché lui non sapeva, gli suggerì giustamente la sua mente e Sans non ebbe il potere di contraddirla.
Non aveva mai saputo niente, suo fratello. Altrimenti, si comporterebbe come Chara. Altrimenti, si comporterebbe come Frisk.
Bugiardo, gli aveva detto – gridato.
Ed era tutto ciò che era sempre stato… solo un bugiardo






Sameko's side
Dovevi chiamarla tu baka, non aspettare di essere chiamato.

Questo capitolo è talmente depresso che, boh, chiedo tanto venia, ma tutta questa depressione era assolutamente necessaria. ^^" 
Mentirei se dicessi che ne sono completamente soddisfatta ma, ad essere sincera, l'ho letto così tante volte che posso recitarlo a memoria
– e ogni volta non mi sembrava mai abbastanza. Rimandando l'aggiornamento avrei tenuto fermo questo capitolo ancora una settimana e non mi sembrava il caso. :/
Parlando del capitolo in sé, ero parecchio indecisa se inserire questa piccola sottotrama con i Dreemurr, ma riflettendo ho realizzato che più avanti non avrei avuto il tempo materiale tra una vicenda e l'altra di farlo. Siccome ci tenevo a rispondere ad una domanda che qualcuno probabilmente si sarà posto, ovvero come si organizzeranno Toriel ed Asgore ora che è Chara è di nuovo in vita?, ho optato per inserire la loro sottotrama in questo capitolo e continuare a svilupparla nei prossimi, senza staccare troppo con la trama principale ed ecco spiegato il motivo di tutto questo dramma XD.
Vi anticipo già che il prossimo non sarà un aggiornamento lampo, poiché mi trovo in difficoltà tutt'ora sul come far procedere alcuni punti in maniera soddisfacente e, soprattutto, funzionale al proseguire della vicenda. Il capitolo arriverà comunque il prima possibile, abbiate pazienza! ^^
Buona serata e baci!


Sameko

 

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Capitolo 24
*** Capitolo 23: Risalire ***



Capitolo 23: Risalire
 



 
Nel momento della fine, quando il cerchio si chiude e ciò che resta sono solo i ricordi nella memoria di chi li ha amati, non è raro che i genitori lascino ai propri figli un dono particolare, che sia un oggetto a loro caro, o un ultimo prezioso insegnamento. Sua madre non aveva fatto eccezione ed era una frase ciò che le aveva lasciato, una frase che doveva essere stata ripetuta più volte di quante se ne poteva contare nel corso dei secoli e che sua madre non aveva mai mancato di ripeterle forse altrettante volte:
‘È dai momenti difficili che riusciamo a tirar fuori il meglio di noi stessi.’
Questa era quella frase, di cui ne aveva sempre compreso il significato, ma di cui non ne aveva mai vissuto appieno il messaggio, non mentre viveva ancora con i suoi genitori. E come avrebbe potuto a quei tempi, con i pochi anni che aveva alle spalle e le vere difficoltà che non erano ancora subentrate nella sua vita? Forse, era destino che quella frase venisse ripetuta così tante volte proprio a lei e non a qualunque altra bambina… forse, perché quelle parole avrebbero potuto tornargli utili in futuro.
Per come stavano le cose, Frisk era sicura non avrebbe mai trovato una risposta ad una simile domanda, una di quelle che si rivolgevano ad un mondo di cui nessuno era mai riuscito a capirne appieno il misterioso funzionamento. Era una domanda come cos’è il bene?, o una domanda come cos’è il male?. Nessuno, appunto, era in grado di rispondere correttamente ad entrambe, visto che bene e male si presentavano sotto svariate forme, e nessuna di queste era mai composta da assoluto bene, o assoluto male. Niente è fatto di assoluti, niente è determinato da una sola qualità o un solo difetto – se così fosse, essa non sarebbe parte di questo mondo.
Quando mancavano le parole a riempire il silenzio, quando mancava la volontà di rendere quel silenzio uno stato come un altro per esprimere confidenza, Frisk lasciava vagare la mente verso questi lidi di riflessione. E credeva di aver ormai trascorso troppi anni da sola a riflettere su determinati argomenti, un po’ prematuramente rispetto ad altri bambini, credeva che il suo animo ne avesse ormai avuto abbastanza di questi pensieri… ma ci si ricrede più spesso di quanto si desidera in vita.
Sospirando internamente, la giovane staccò gli occhi dal proprio piatto e li lasciò avventurarsi lungo il tavolo della cena e i suoi occupanti. Chara, seduta al suo solito posto, stava fissando più intensamente il suo cibo di quanto non avesse fatto lei fino a poco prima – ed era certa che, se gli sguardi potessero procurar danni, quel piatto si sarebbe certamente crepato al solo essere fissato in quel modo. La ragione di quell’ostinato fissare poteva essere ricercata in chi occupava il lato del tavolo opposto a quello di Chara. Sans non aveva aperto bocca durante tutta la durata della cena, non una parola, non una risata soffocata, nulla di nulla… era come se non volesse farsi sentire, come se fosse convinto di poter divenire invisibile semplicemente mantenendo quel silenzio.
Frisk stirò leggermente la bocca in una smorfia triste, a tanto così dal deglutire rumorosamente e rendere palese il suo attuale disagio – come se non potesse essere ancora più palese. Preferì, quindi, soffocare quell’istinto nascondendo il viso dietro il bicchiere da cui si stava accingendo a bere.
Facile come bere un bicchiere d’acqua… ugh… mai detto le sembrò più opinabile in quel momento, con l’acqua che stava scorrendo a fatica nella sua gola e che rappresentava un fastidio più che un piacere.
Con suo enorme sollievo, dalla cucina giunse Papyrus a salvare la situazione, o quel poco che ne restava. Papyrus era solito fare avanti indietro per portare cibarie e ritirare i piatti, nonostante fossero solo in tre più lo chef a mangiare, ma era difficile costringere all’immobilità una personalità come la sua. Stasera, ancora più di altre volte, Frisk avrebbe desiderato la sua presenza costante a tavola. Sans non parlava e lei non riusciva nemmeno a trovare qualcosa da dirgli ( o il coraggio per iniziare una conversazione, se per questo ) e Chara era di poche parole già di suo, figuriamoci in questa particolare cena. A tutto questo, si aggiungeva anche la pressione che l’andirivieni del minore dei fratelli-scheletro le stava mettendo addosso, perché chiunque avrebbe potuto intuire che tra loro tre era successo qualcosa – e Papyrus non faceva certo eccezione. C’era una domanda sospesa nell’aria da parte sua… una domanda che, Frisk sapeva, il loro cuoco di fiducia non avrebbe espresso ad alta voce per motivi di educazione, ma di cui lei poteva ben percepirne il peso silenzioso sulle spalle.
« È stato tutto di vostro gradimento? » Chiese proprio Papyrus, passando lo sguardo da un lato all’altro del tavolo, in attesa di un responso.
La ragazzina gli sorrise, a metà tra il sincero e il forzato, perché la cena era stata sì di suo gradimento, ma non le era risultato semplice sorridergli a quel modo.
Chara rispose con un lieve mugugno, Sans rivolse a suo fratello un mezzo sorriso stirato. Frisk, per la seconda volta, si ritrovò a reprimere un impulso – quello di strofinarsi nervosamente un braccio – che sarebbe stato fin troppo rivelativo del suo attuale umore.
Papyrus annuì concitato una volta ricevute le loro risposte, ma la giovane fu in grado di vedere l’ombra dello sconforto addensarsi nelle orbite dello scheletro. Le dispiacque per Papyrus, le dispiacque davvero tanto, perché lui non aveva probabilmente la minima idea di quello che stava accadendo… e vedere tutti i tuoi coinquilini così ostili o distaccati gli uni con gli altri, così improvvisamente, non avrebbe fatto piacere a nessuno.
Si sarebbe offerta di aiutare Papyrus a portare i piatti in cucina, ma il pensiero di lasciare Chara da sola con Sans, di offrire loro un pretesto per iniziare a litigare, la faceva desistere da quel proposito. E fu desolante ed affliggente per lei avere questo genere di preoccupazione, una preoccupazione che non aveva più sentito da giorni. E realizzò, in quel momento, fino a che punto stavano pericolosamente regredendo e tornando passo per passo alla situazione di forzata convivenza dei primi tempi.
E non doveva esserci questa distanza tra di loro, dovevano restare uniti in questo momento di crisi, perché separarsi avrebbe potuto significare sconfitta, o cose persino peggiori.
Non potevano continuare così… le fu chiarissimo che non potevano continuare così… respirare quest’atmosfera di disagio per un altro giorno sarebbe stato per lei insopportabile.
Appena aveva visto Sans alzarsi da tavola e dirigersi al piano di sopra, Frisk si era alzata a sua volta – Chara con lei, come se solo un movimento da parte sua aveva potuto infine rompere la sua taciuta irritazione.
« Sans. »
Lo scheletro si fermò, la testa leggermente alzata, come se avesse sentito a fatica il suo richiamo. Credendo fosse quello il caso, la ragazzina ripeté subito il suo nome. L’esitazione, tuttavia, non poté non trapelare nella sua voce durante questa seconda volta.
« S-Sans… »
 
Ignorala.
 
Il mostro, dopo quel breve margine di immobilità, riprese la sua strada, cosa a cui Frisk guardò con una discreta… confusione. Era certa si sarebbe voltato, come quel lieve alzarsi del capo le aveva preannunciato, ma invece
« Sans! »
L’elevarsi improvviso della voce di Papyrus la fece desistere dall’allungare il proprio braccio come ultima risorsa. La giovane si ritrasse istintivamente quando il bonario scheletro la superò e riuscì nell’intento di ottenere l’attenzione del fratello, al contrario di lei. In quel frangente, si sentì come se compiere quel gesto fosse stato un azzardo che non doveva fare e che meritava, quindi, di essere lasciato a metà. Perché c’era questo agitarsi di lieve colpevolezza dentro di lei? Non… non stava facendo nulla di sbagliato… voleva solo parlare con un amico che aveva bisogno di aiuto… perché avrebbe dovuto essere sbagliato…?
« Sans, che ne dici di fare a cambio questa notte? Così, dormirai in camera tua come è giusto che sia. » Propose Papyrus, una volta fatto voltare Sans. Il maggiore lo guardò sbattendo le palpebre con un movimento lento e confuso, come se fosse stato in un nebuloso dormiveglia fino a quasi un secondo prima.
Frisk aggrottò la fronte notando quello smarrimento, mentre un senso di disagio si faceva discretamente strada lungo la sua schiena. Era… era una sensazione strana, era la sensazione che hai quando senti che c’è qualcosa fuori posto, ma non sei in grado di capire cosa sia quel qualcosa, o se la sensazione stessa sia fondata. E, suo malgrado, si ritrovò a riconoscere questo tipo di sensazione, perché non le era del tutto sconosciuta, perché la aveva già avvertita prima. Ma perché sentirla ora? Perché non in un altro momento?
« Paps… sei sicuro? Il nostro divano non è il massimo della comodità… » Replicò Sans, non così volenteroso a quanto pareva di accettare quella proposta.
Papyrus restò, tuttavia, irremovibile.
« Proprio per questo insisto, Sans! » Disse, una mano guantata che andò a poggiarsi sulla spalla dello scheletro più basso, come un tacito segnale d’intesa. Per qualche motivo, quel gesto sembrò far incupire ulteriormente Sans, e non doveva essere stata quella la reazione che Papyrus aveva desiderato ottenere, vista la rapidità con cui il minore ritirò la mano incriminata. « Dormi comodo per stanotte, ne hai bisogno. »  
Sans si mosse quasi a disagio sotto lo sguardo di suo fratello, come se cercasse una via di fuga da quella situazione. La ragazzina giunse quasi a pensare che era a causa della presenza sua e di Chara che lo scheletro stava mostrando una simile riluttanza e fu, pertanto, tentata di ritirarsi in cucina con l’amica nel modo più furtivo possibile, così da togliere il disturbo… ma la risposta che Papyrus ricevette la fece desistere da quel pensiero.
« Se questo può farti piacere, Paps… »
« Spero farà piacere a te tanto quanto fa piacere a me, fratello. » Gli rispose Papyrus, indirizzando lo scheletro più piccolo verso il piano di sopra con un colpetto d’incoraggiamento.
Sans non si attardò oltre, né dedicò a suo fratello più di un altro sorriso forzato. Frisk osservò sconfortata il modo con cui le luci nelle sue orbite si affievolirono, prima che riprendesse a salire le scale e sparisse dietro il muro del corridoio di sopra. Neanche Papyrus pareva essere in grado di fare notevoli progressi con lui… e Papyrus era, per il suo amico, la persona più preziosa al mondo, così preziosa che in passato Sans lo aveva sempre considerato al di sopra di tutto il resto… lei lo sapeva perfettamente e questo rese ai suoi occhi quello scambio tra i due fratelli ancora più triste, insapore, come se mancasse persino tra di loro quel particolare pizzico di vitalità, ora che le cose non stavano andando per il verso giusto.
« Frisk, Chara, vi andrebbe di aiutarmi a rassettare la cucina? »
La ragazzina distolse lo sguardo dalla cima delle scale per posarlo sul volto contornato da un leggero sorriso di Papyrus. Era un sorriso anormale quello dell’altro scheletro, un sorriso non completamente pieno e stirato un poco da un lato, dettagli talmente infimi che, Frisk era certa, non avrebbe notato settimane prima, quando accorgersi di simili e quasi invisibili particolari sul viso altrui non rappresentava ancora un requisito per lei fondamentale. Forse, era questo senso di intromissione che Sans provava nel vedere troppo, nel vedere più di quanto una persona normale dovrebbe notare… e a fingere, di conseguenza, che quelle piccolezze gli erano almeno in parte sfuggite, per non far sentire l’altro come un libro disagiosamente aperto.
« Certo, Papy. Non devi nemmeno chiedere. » Rispose, per sé e per Chara, mentre un’espressione grata andava a sfumare la mestizia sul volto di Papyrus che lei aveva silenziosamente compatito.
« Vi ringrazio comunque per la vostra disponibilità. Siete le migliori umane che il regno abbia mai visto! »
Frisk si sentì tutto fuorché lusingata da quel complimento, troppo genuino e semplice per essere da lei tollerato. E avrebbe voluto abbracciare Papyrus e confidargli che non doveva dire quelle cose per essere cortese, soprattutto se sospettava della loro ovvia compartecipazione in quello che era il clima di disarmonia che regnava in casa. Ma non poteva dirgli questo… c’era quella richiesta che Sans le aveva fatto a fermarla, quella richiesta che lei aveva deciso di soddisfare con riluttanza all’inizio e che, adesso, la stava intralciando più che mai: non dire niente a Papyrus.
Papyrus era il fratello di Sans, il suo unico parente per quanto ne sapeva… ed era al corrente meno di loro di quello che stava accadendo. E Frisk non voleva credere che era questo il genere di rapporto che Sans voleva continuare ad avere con il suo stesso fratello, Sans non poteva seriamente pensare che simili atteggiamenti potessero ancora costituire una normalità! Perché non lo era, tutto questo non era normale e lei ne era profondamente convinta.
Gli avrebbe parlato in qualche modo, non poteva aspettare oltre e lasciare che le cose divenissero persino più inaccettabili.
Nel momento in cui Papyrus si diresse verso la cucina e Frisk fece per imitarlo, sentì una leggera gomitata contro il fianco; Chara, poco dietro di lei, la stava fissando con le sopracciglia aggrottate, in una muta domanda che la minore fu in grado di cogliere. Le rispose così con un lieve cenno del capo, puntando più esplicitamente che poté la cima delle scale.
Il rabbuiarsi dell’espressione della sua amica ed il suo roteare insofferentemente gli occhi le comunicarono che il suo messaggio era stato inteso: avrebbero aspettato lo scendere del silenzio per andare da Sans, parlargli con una rinnovata pazienza, convincerlo a cambiare le cose. E, anche se Chara non era disposta a seguirla fino in fondo, Frisk non avrebbe demorso davanti alla carenza di supporto… aveva troppo da risolvere e troppo da dimostrare – e sospettava che, se avesse permesso a tutti quanti di rinunciare ora, non avrebbero potuto uscirne vittoriosi dalle vere difficoltà che dovevano ancora sbarrare loro il cammino.
 
 
Era tutto inutile... era di nuovo tutto… inutile… e sempre lo sarebbe stato, se ogni volta che interveniva, se ogni volta che prendeva una decisione, qualcuno a cui teneva finiva col soffrire a causa sua. Perché continuava a succedere? E perché… perché lui, a dispetto di tutto ciò, aveva ancora un pallido spettro di volontà, che gli stava chiedendo di non ascoltare la voce che amava decantargli la sua deludente inutilità?
Sdraiato sul materasso della sua camera, stava fissando con aria assente il soffitto, una manica della felpa che ancora gli avvolgeva il braccio, l’altra che giaceva abbandonata sulle coperte sin da quando aveva rinunciato a sfilarsela; e quel soffitto anonimo era la fedele e sconfortante replica dell'opacità dei suoi pensieri, della profonda tristezza che gli irretiva l'animo e che lo rendeva così sensibile al dolore, così indifeso allo stesso tempo contro di esso.
 
… Perché curarsi del dolore? 
 
Perché non poteva fare altrimenti… perché era deludente, era affliggente, e faceva male sapere che, dopo gli sforzi di una vita che superava i confini del normale spazio-tempo, tutte le sue lotte non erano valse a nulla. Non era la persona che avrebbe desiderato intensamente essere, ci aveva provato e riprovato, e non aveva mai cessato di porre quanti più mattoni possibili tra sé stesso, Gaster, e tutto ciò che lo scienziato rappresentava – oppressione, indifferenza, inganno. E tutto questo non era servito, perché era già stato indirizzato verso una strada a cui non poteva sperare di volgere le spalle, perché quelle stesse azioni che avrebbero dovuto fargli risalire il sentiero lo avrebbero, invece, fatto scivolare ancora di più nell’abisso.
Forse, non era nemmeno quello il motivo del suo fallimento… forse, il motivo risiedeva nel semplice fatto che un’indole ammirevole e onesta era qualcosa di inconciliabile con il suo naturale essere. Non c’era probabilmente mai stato un tempo di purezza per la sua anima… quella era la favola che chi non ha luce da far splendere continua a raccontarsi, nella speranza di scacciare un’oscurità che ha sempre disprezzato come il peggiore dei mali… e che, a conti fatti, resterà sempre tutto ciò che alla fine potrà possedere.
 
L’oscurità è tua amica, è quanto ti permette di restare fedele a te stesso… lo sapevi… adesso, ne hai l’assoluta certezza
 
Era come se una mano si stesse protendendo verso di lui, chiamandolo affezionata e promettendogli la serenità di un’accettazione amica.
 
Vieni. Vieni, nel luogo a cui appartieni… torna, dove sarai ben accolto…
 
Sans sospirò, un sospiro grave che gli vuotò la gabbia toracica.
Magari, era davvero l’assenza di luce il suo posto legittimo… ed era stanco, dopo anni di dolore passati a rincorrerla e ad essere sempre ad un soffio dal lasciarsela sfuggire…
 
Vieni… non c’è fatica, né dolore qui, con me… abbraccia il tuo vero essere. Non c’è niente per te dove sei ora…
 
Le palpebre si abbassarono sui suoi occhi, quella mano si agganciò alla sua come una dolce catena, tirando, incoraggiandolo a raggiungere il buio. Non vi fu opposizione da parte sua, non adesso che vi era questa tenebra così familiare, quasi… rassicurante...
Braccia incorporee parvero avvolgerlo, portandolo sempre più giù, sempre più in basso.
 
Saremo di nuovo insieme… ancora un poco…
 
Poco… solo… poco… e, poi…
 
Poi, ci sarà solo… pace… credi in me… voglio solo il tuo bene
 
Non era facile dubitare di quelle parole… non quando c’era così tanta quiete, dovunque era ora… quiete… quando la quiete era stata così silenziosa, così vuota di tutto…?

Non lo era mai stata.
“ SANS! ”
Apprensione, agitazione che lo strattonò indietro, via da quelle braccia, cercando di strapparlo alla stretta in cui si stava quasi per lasciar cullare. La sua anima tremò in risposta a quelle emozioni e fu la prima sensazione in un’apatia che gli aveva irretito la mente e i pensieri, rendendoli remissivi, irrevocabilmente obbedienti.
“ T-TORNA… INDIETRO! SANS! ”
Quelle braccia incorporee divennero una morsa man mano che riacquistava lucidità e aveva finalmente compreso da dove venisse quell’intensa preoccupazione: da Frisk, proveniva dall’essenza della ragazzina, che stava tentando di riportarlo indietro.
Ma lui… lui dov’era?
C’era nero ovunque, nero impenetrabile ed inviolabile come il più profondo degli abissi… il Void… quello era il Void, il vuoto tra le dimensioni!
Preso dallo sconcerto, si divincolò senza pensare da entrambe le forze che lo stavano strattonando, col risultato che nessuna delle due riuscì a portarlo dalla propria parte.
“ S-SANS! ”
« Frisk! » La chiamò, incespicando in avanti per riagganciarsi a lei, alla sua essenza rossastra che stava scivolando via, senza di lui.
Sans si immobilizzò lì dove si trovava, il respiro gli venne a mancare quando anche l’ultimo bagliore di rosso scomparì nelle tenebre.
Perché era nel Void? Come aveva fatto ad arrivare lì?!
Un frusciare che era più simile ad un attutito ribollire si fece allora udire alle sue spalle.
Gli si raggelò la schiena quando vide Gaster steso a terra con solo il busto sollevato, una rara espressività sul suo volto che lasciava intravedere quanto sbigottito era l’ex scienziato.
E Sans comprese, comprese con ancora più sconcerto di prima.
« Tu… eri tu… mi hai trascinato qui! »
Lo sbigottimento rimase ad aleggiare brevemente nelle orbite di Gaster, prima che il velo di un incuriosito compiacimento facesse tornare il ghigno su quella bocca orrenda.
« Oh… ti avevo ormai in pugno, Sans. E avevo preparato tutto così meticolosamente… » Disse quest’ultimo in tono fintamente melodrammatico, mentre si rialzava e lisciava le sue vesti di tenebra e le lunghe maniche sgualcite. Quando il cerchio di smorta luce nell’orbita di Gaster tornò su di lui, si era caricato di una punta di turbinoso rancore. « Ma la stessa mocciosa che ti ha reso vulnerabile è ritornata da te proprio nel momento in cui la vittoria sarebbe dovuta essere mia. »
L’ex scienziato strinse un pugno al proprio fianco, le sue falangi avrebbero probabilmente graffiato le ossa del palmo, se vi fosse stato ancora qualcosa di abbastanza corporeo da poter danneggiare.
Lo scheletro fissò in soggezione tutta quella gestualità che trasudava palese irritazione, nel frattempo che la sua mente stava cercando di sbrogliare nodi su nodi nel difficile compito di fargli digerire quanto aveva dolorosamente realizzato.
« Tutto quello c-che è successo oggi… o-ogni c-cosa… sei stato t-tu a far in modo che accadesse, per portarmi qui, p-per avere…! » E alcuni pezzi del puzzle sembrarono incastrarsi perfettamente, nel mentre che cercava il termine adatto per completare quel ragionamento. « Controllo… su di me… »
Il comparire di Gaster a Waterfall, il suo metterlo alle strette per costringerlo ad uccidere Papyrus, il permettere a Frisk e Chara di ‘vincere’ quello scontro, la loro disastrosa discussione… era stato tutto organizzato, ogni comportamento che era stato tassello essenziale per causare un’altra reazione
« Corretto. » Venne la conferma deliziata di Gaster, davanti a cui Sans alzò il capo, non meno allibito nell’udire quella risposta tanto temuta dal diretto responsabile. « Qualunque altra via avessi scelto di intraprendere, le possibilità di commettere un errore sarebbero state sempre maggiori… in quello scenario avrei potuto essere fermato prima di raggiungere i miei scopi, in quell’altro c’erano troppe variabili da tenere in conto. E dunque… » Un ghigno orrendo si allargò da parte a parte, un taglio netto di nero sul bianco cereo del volto di Gaster. « Ho optato per questa linea d’azione: attaccarti dove sapevo ti saresti spezzato… il resto è venuto splendidamente da sé, ed è stata sufficiente una parolina di troppo da parte di quella ragazzina per farti cadere definitivamente… i tuoi pensieri erano stati semplici da modellare a quel punto, influenzare a mio piacimento… e più li distorcevo, più il mio controllo su di te aumentava. »
Lo scheletro distolse lo sguardo, stringendo un poco i denti l’uno contro l’altro, mentre nozioni vecchie di anni risorgevano come un fiume in piena dalla sua memoria.
« L-la Sintonia… » Non poté non sfuggirgli quel mormorare, appena più udibile di una brezza di vento.
Una presenza asfissiante incombette allora su di lui, schiacciandogli le ossa sotto un potere che gli era incomprensibile, quasi insopportabile da sostenere. Gaster stava diventando più forte e certo quel recente fallimento non lo aveva lasciato così indifferente; ora, quelle emozioni oscure minacciavano di riversarsi su di lui, di provare a soffocarlo come avevano già tentato di fare in precedenza.
« Già… » Sussurrò cupamente l’ex scienziato, il suo sorriso si arricchì di una nuova nota di superbia. « È quasi impossibile cancellare ogni traccia del legame… a maggior ragione, se vi è una parentela di mezzo. E sai bene quanto può rivelarsi per me utile, date le mie attuali circostanze.»
Gaster sogghignò prontamente di fronte all’allargarsi dei suoi occhi ed al suo successivo arretrare.
« È per questo che puoi contattare solo me, è per questo che vuoi solo me, vero?! »
Prima che potesse accorgersene, le sue mani avevano sfiorato i contorni di un oggetto solido, una parete che pareva essersi eretta in quel punto ed in quel preciso istante al solo scopo di frenare il suo indietreggiare.
Gli angoli del sorriso di Gaster si estesero brevemente, il movimento fugace ma intriso di profondo scherno.
« Sei quanto di più compatibile è rimasto per me sul piano della realtà, il contenitore che è in grado di sopportare la mia presenza più a lungo di qualunque altro… certo, riavere indietro il mio corpo grazie al tuo sarebbe stato senz’altro gradito, ma i miei piani non sono stati portati a compimento purtroppo. »
« Perché m-mi stai dicendo tutto questo? » Gli domandò con agitata circospezione Sans, mentre le sue mani stavano percorrendo frenetiche il muro invisibile alle sue spalle, in cerca di una via di fuga. « Perché rivelarmi informazioni c-che potresti tenere per te? »
Una pungente risatina seguì quella sua domanda.
« Per rendere le cose un po’ più movimentate la prossima volta, Sans… perché, altrimenti? » Gli rispose quasi con sufficienza Gaster, allargando un poco le braccia in un gesto di beffa. « Non che ti saranno di alcun aiuto nel momento in cui giungerà qualcos’altro ad indebolire la tua mente… e sono state sufficienti le accuse di due marmocchie a metterti in ginocchio, ci tengo a sottolinearlo. »
Una seconda risata rese ancora più velenosa la derisione di cui era stato intriso il sibilo dell’ex scienziato, davanti a cui Sans si sentì inevitabilmente esposto, quasi inerme, perché Gaster aveva visto tutto e sentito tutto, e sapeva perfettamente quanto quelle semplici accuse non erano state recepite come tali dal suo animo traballante e timoroso.
Quello che Sans indovinò essere un sospiro venne rilasciato dalla bocca dell’altro mostro, una volta che quel largo sorriso si era appiattito e ridotto ad una linea incurvata verso l’alto.
« Questo round va comunque a te, i miei sinceri complimenti per la vittoria... tuttavia… »
Fu una macchia nera quasi indistinta quella che Sans vide danzare davanti ai suoi occhi. I suoi riflessi si mossero subito e furono preparati a schivare la mano che aveva tentato di afferrarlo per una spalla, ma che aveva finito solamente con lo sfiorargli l’osso della clavicola… non era stato altrettanto fortunato con la seconda mano.
Quelle dita gli artigliarono il braccio sinistro e lo sollevarono da terra con uno strattone che lo stordì per tre lunghi ed infernali secondi, in cui la sua cognizione dello spazio si era persa in una caotica sfocatura.
Ricacciata indietro la fitta di nausea che gli aveva fatto tremolare le ossa, si ritrovò a fissare con occhi larghi le orbite vuote di luce di Gaster, che lo fissavano come se da sole avessero potuto scrutargli dentro, senza l’ausilio di parole o sotterfugi.
« Un aiuto esterno è intervenuto per darti man forte. E, questo, conta come barare. » La stretta intorno al suo braccio si intensificò e Sans sentì un urlo di dolore rimbombargli in gola, ma non trovare uno spazio per fuoriuscire dalla sua bocca, poiché era riuscito per miracolo a trattenerlo. « Una punizione è d’obbligo, non credi? »
Lo scheletro strizzò le palpebre, respirando a sbuffi attraverso i propri denti digrignati, la mano libera che stringeva il polso del suo aggressore nel tentativo di allentare la pressione che gli stava triturando il braccio.
« F-fa quello che v-vuoi! » Strillò, esasperato. « N-non mi interessa, ci sono a-abituato! »
Venne strattonato nuovamente verso l’alto ed un urlo simile ad un guaito gli venne strappato a forza. Era come se Gaster avesse voluto zittirlo con quel gesto – e non metteva in dubbio che fosse stata quella l’intenzione iniziale.
« Perché infliggerti una punizione che non percepiresti come tale, quando posso fare di peggio? Ad esempio… potrei privarti delle tue preziose scorciatoie, su cui fai troppo affidamento, mh? »
Quel volto cadaverico si arricchì di morboso divertimento nel momento in cui lo scheletro boccheggiò allarmato, le luci dei suoi occhi divennero punte di spillo.
« N-no, non puoi! » Gridò, cercando di forzare quelle dita a lasciargli andare il braccio, mentre si dimenava come un forsennato.
Il polso dell’arto ancora libero gli venne stretto e tirato verso l’alto, ogni sua ribellione venne così soppressa con la stessa facilità di un batter di palpebra. Si sentì come un insettino a cui erano state catturate le ali sotto lo sguardo allettato di Gaster, impotente come era stato ormai troppe volte in un solo giorno. La sensazione da sola lo fece tremare impercettibilmente.
« Io ti ho insegnato a sfruttare questa abilità… ed io posso togliertela quando mi aggrada. » Sussurrò con un debole ridacchiare l’enorme mostro, la voce stonata e persino più graffiante se abbassata di tono. E fu un sussurro lento, penetrante, come se l’ex scienziato avesse voluto ricordargli quanto non sarebbe riuscito a fare di tasca sua, se fosse stato da solo con le capacità che aveva sviluppato in proprio.
Ed erano poche, davvero infime, se confrontate a tutti gli insegnamenti che Gaster gli aveva passato nei più disparati campi. Era niente, era davvero niente senza le conoscenze ed abilità che aveva ereditato da quel farabutto… e quelle stesse conoscenze ed abilità potevano essergli tolte in ogni momento.
« Non ho intenzione di privartene del tutto, non temere. » Gli parlò con malsana rassicurazione Gaster, intuendo ovviamente qual era la sua paura, quella che gli stava a stento consentendo di guardarlo in volto. « Riceverai solo una piccola limitazione: dieci metri sarà la distanza massima che potrai coprire ad ogni utilizzo, d’ora in avanti. »
« C-cosa-? » Esclamò immediatamente Sans, sgranando sconvolto gli occhi.
Gaster socchiuse compiaciuto le palpebre nel momento in cui tornò ad ergersi sopra di lui, non mancando di sfruttare il vantaggio che era la sua notevole statura.
« Sono certo che saprai cavartela pur con questa penalità. »
Le ultime parole dell’ex scienziato avevano a malapena avuto il tempo di disperdersi nel Void, che una propagazione era affondata nel suo petto, frantumando le ossa al suo passaggio per raggiungere la sua anima e strappare via ciò che le era di interesse. Furono secondi in cui la mente dello scheletro andò in bianco, incapace di processare quella vetta di dolore vertiginosa e, soprattutto, inattesa.
Solo quando l’appendice si ritirò con violenza dalla sua cassa toracica, Sans fu libero di esternare in un grido il dolore che gli aveva assaltato i sensi per interi secondi.
La presa sulle sue braccia venne meno e cadde scompostamente a terra, ai piedi di Gaster, stringendosi il petto che era un pulsare di ossa rotte e penzolanti. Faceva male, era un male atroce, ed erano poco più di lamenti agonizzati a lasciare la sua bocca, per quanto acuto ed accecante era quel dolore che si stava diramando in tutto il suo corpo tremulo.
Si accorse a malapena di come l’ex scienziato si era piegato su un ginocchio, a guardare con insano interesse il suo debole contorcersi, reso ancora più miserevole dai rantoli torturati che stava emettendo.
« Manda i miei ossequi a tuo fratello e alle vostre graziose ospiti, Sans. » Lo udì mormorare sopra di lui, e non aveva idea di quanto potesse essergli vicino, i suoi sensi erano in fiamme ed il suo petto era un altalenare di fitte e bruciori. « Ci rivedremo molto presto. »
Il nero del Void si dissolse sotto una nuvola di bianco vapore – e Gaster, la sua espressione disturbante ed il dolore che gli aveva causato, con esso.
Aprì con un ansito gli occhi, i suoi veri occhi.
Sveglio.
« Frisk, Frisk! Che cos'hai?! »
La voce quasi stridula di Chara lo fece trasalire pesantemente. Quel movimento tanto improvviso gli provocò un nauseante capogiro, che formò un’accoppiata decisamente poco piacevole con il dolore fantasma che avvertiva all’altezza della sua anima. Era ancora intero, si sentiva intero, ma quel dolore era la chiara prova che Gaster aveva saputo tener fede alla sua parola ancora una volta.
Sans sgranò gli occhi quando, a poca distanza dal suo materasso, vide Chara inginocchiata al fianco di Frisk, distesa a terra e all’apparenza priva di sensi. Le mani della più grande la stavano scuotendo delicatamente, ma i continui richiami con cui Chara stava cercando di svegliarla lo fecero raggelare.
« Che è successo? » Domandò allarmato, scostando via freneticamente il marasma di coperte in cui era rimasto ingarbugliato.
Non poteva esserle accaduto qualcosa, non se lo sarebbe mai perdonato se le fosse accaduto qualcosa!
Chara, appena lo vide sopraggiungere con la coda dell’occhio, si raccolse fulmineamente attorno a Frisk, scoprendo i denti da sotto il labbro.
« Stalle lontano. » Sibilò, le braccia che circondavano protettive il torso della ragazzina più piccola, come per farle scudo da lui.
Sans si bloccò con una mano a mezz’aria, mortificato da quell'atteggiamento di avversione.
« C-Chara, voglio solo... »
« Sto seriamente cercando di non prenderti a ceffoni in questo momento. » Ringhiò sommessamente quest’ultima, fissandolo con uno sguardo di gelido avvertimento. « Non dire più una parola se vuoi facilitarmi il compito! »
« Sono preoccupato per lei quanto te! » Replicò a quel punto lo scheletro, cercando tuttavia di non suonare troppo sdegnato. La ragazzina lo fissò in cagnesco, gli occhi erano ridotti a due fessure nere, il bianco della pupilla quasi soffocato dalle tenebre dell’ostilità. Sans cercò quindi di non… di non combattere l'ostilità con altra ostilità. Lei aveva ragione, aveva ragione a dubitare di lui, e non poteva biasimarla per questo.
Spostò lo sguardo su Frisk, sul suo petto e sulla sua bocca dischiusa. Respirava ancora, almeno quello poteva sincerarselo con una semplice occhiata.
« Per favore, Chara...  » Mormorò di nuovo, tornando a guardare la più grande delle due in viso. « Voglio solo aiutare... »
Chara fece schioccare la bocca in un verso stizzito e Sans credeva avrebbe sbattuto contro un altro muro di antagonismo... ma aveva creduto erroneamente, per fortuna.
« Mi aveva detto che ti aveva sentito sparire... non so cosa intendesse, ma siamo venute comunque qui da te. Ti ha preso la mano, ha usato la Sintonia, ed è finita in questo stato appena il legame si è interrotto. Che altro vuoi sapere? »
« Niente, va… bene così... » Sussurrò lui, stringendo le estremità della bocca in una smorfia sconsolata, di leggera vergogna. Era solo colpa sua, colpa sua se si era quasi lasciato prendere da Gaster, e Frisk non aveva esitato nemmeno un secondo, nemmeno questa volta, per aiutarlo. Era un pessimo amico, un pessimo guardiano, una persona pessima... ma voleva aiutare adesso, lo voleva davvero.
Gli bastò muovere un piccolo passo in direzione di Frisk per riportare su di lui la maldisposta attenzione di Chara.
« Che cosa vuoi fare? »
« Devo mettermi in contatto con lei, dobbiamo sapere se sta bene. » Le rispose Sans, cercando di rendere udibile la sua apprensione, di farle capire che avevano un obiettivo in comune in questo momento, e che continuando a dibattere non avrebbero mai saputo quali erano le attuali condizioni di Frisk.
« Così la riduci a PEGGIO di come sta adesso?! » Insinuò ferocemente Chara, una fiammella vermiglia si sovrappose brevemente al fievole bianco nel suo occhio destro.
Recependo il messaggio di quel segnale, lo scheletro si tenne a debita distanza prima di tentare altro – e sapeva che doveva per forza tentare altro. Perché da qualche parte, nella sua anima, anche lui possedeva Determinazione… e, se hai Determinazione, arriverà prima o poi un momento in cui non potrai rifiutarne la chiamata.
Abbassò le palpebre, richiamando con un sussurro interiore la magia di cui la sua anima era pregna. Dal suo essere, gli rispose un mormorare di energia magica, il preannuncio delle volute auree che si sarebbero formate di lì a poco nella sua orbita sinistra.
Quando sollevò lo sguardo, lasciandole così libere di scivolare fuori dal suo occhio magico, i lineamenti di Chara parevano aver perso gran parte della loro originaria ferocia. La ragazzina lo stava scrutando con le labbra leggermente dischiuse, immersa in un silenzio di soggezione di fronte al volteggiare mansueto della sua magia, che illuminava di un placido alone dorato le loro figure in penombra.
La giovane aveva socchiuso le palpebre dopo solo pochi secondi di muto scrutare. Una fiammella dorata si era accesa nell’occhio di lei, debole dapprima, ma che crebbe velocemente d’intensità e vigore… e stava danzando adesso, librandosi nell’aria percorsa da deboli vibrazioni. Quel giallo, quel giallo che tendeva all’oro, era il colore della giustizia. Lui poteva essere Pazienza, lei poteva essere Determinazione, ma nessuno dei due poteva negare l’evidenza: erano entrambi Giustizia.
Vide la stretta delle braccia di Chara allentarsi gradualmente, abbastanza per consentirgli di sedersi al fianco di Frisk. Prese quella mano minuta e inerte nella sua e la Sintonia venne stabilita dopo pochi istanti che ebbe chiuso gli occhi; la piccola doveva averlo pazientemente aspettato fino ad allora, vista la notevole velocità con cui si erano uniti. Sans non ebbe il tempo di reagire propriamente di fronte a quella realizzazione, perché non appena si sentì connesso a lei, un’angoscia non sua gli investì l'anima come un’onda.
“ Sans, per favore, non litigate più per me! ”
Lo scheletro rimase per qualche attimo disorientato da quello scroscio di emozioni, prima di adocchiare l’essenza rossastra di Frisk, il suo volteggiare e scoppiettare inquieto. E si rese conto che non poteva permettersi di restare disorientato ancora a lungo, se lei era rimasta così tanto angustiata nel sentirli… litigare, andarsi contro l’un l’altra ancora.
“ N-non stiamo litigando, t-te lo assicuro, piccola… non ci sarà più nessun litigio. ” Era una garanzia vera quella… e, poiché si sarebbe impegnato per renderla vera, le permise di percepire la sua sincerità, il suo proposito di assecondare ogni desiderio di Chara nel momento in cui avrebbero interrotto il legame. “ S-sono qui per… per chiederti come stai… ”
Non era disinvolto come Frisk era abituato a vederlo ed era consapevole di questa enorme esitanza che gli impediva di relazionarsi come preferiva con lei. Temeva che sarebbe stato respinto un’altra volta, se non fosse stato abbastanza prudente… se avessero avuto la possibilità di guardarsi l’uno negli occhi dell’altra in questo momento, lui non si sarebbe sentito all’altezza di incontrare i suoi; avrebbe tenuto lo sguardo basso, avrebbe persino subìto uno ad uno gli schiaffi di Chara, pur di non fare qualcosa che si sarebbe potuta rivoltare contro di lui… di nuovo… come sempre.
L’essenza piccola e debole di Frisk lo avvicinò, anche lei come in una sorta di condivisa riluttanza.
“ Sto bene, sono solo tanto spossata… 
Sans non ne era completamente convinto.
“ Ne sei sicura? Non riesci a muoverti… ”
In risposta ai suoi dubbi, l’essenza della ragazzina si ravvivò un poco, come per dimostrargli quanta energia ancora possedeva, nonostante la sua momentanea indisposizione.
“ … è come le altre volte, solo più pesante… ce la farò. ”
La sicurezza che Frisk aveva cercato di infondergli ebbe però vita breve nel momento in cui percepì, da parte di lei, un nuovo velo di riluttanza.
“ Sans, quella figura… chi era? Cosa voleva da teTi ha fatto male? ”
Fu quasi tentato di ritrarsi, di interrompere così il legame… ma non sarebbe stata la cosa giusta da fare.
“ Lui… 
Forza
“ Lui… ”
Si fermò. Perché… si era fermato? Frisk era preoccupata, doveva risponderle, avanti!
“ L-lui… ”
A-avanti…

Non poteva risponderle.
Quel blocco era di nuovo tornato ad impedirgli di parlare. E non era l’operato di Gaster questo, no, questo era solo lui… lui, che non era in grado di obbligarsi a parlare nemmeno quando era necessario, perché aveva paura, era così tanto spaventato persino adesso e la piccola lo stava probabilmente sentendo, ma senza poterne capire il motivo – se lo avesse capito, avrebbe ricevuto tutto tranne che questa preoccupazione da lei.
“ P-piccola… mi dispiace… sono solo un opportunista senza un b-briciolo di riconoscenza… non c’è altro in me che abbia un qualche valore… per favorenon insistere più, non hai a-altro da vedere… la mia parte migliore te l’ho già mostrata ”
Frisk, nonostante quei suoi sentimenti di dolorosa rassegnazione, non si ritrasse come ebbe all’inizio creduto.
“ Sans… non parlare così, te lo chiedo io come favore… tu non sei solo questa brutta immagine che hai di te stesso, sei molto altro… ” E ci fu gentilezza ed amore da parte di lei, contrapposti alla colpa, al suo dolore, al suo tormento. “ Se vuoi essere perdonato, devi prima cominciare a perdonare te stesso… ”
Sans si sentì come sull’orlo del pianto. Perché Frisk stava facendo questo, perché gli stava offrendo tutta quella positività e quell’affetto? Gli stava probabilmente mentendo, non poteva spiegarsi in altro modo un simile atteggiamento.
“ F-Frisk… non lo p-penserai sul serio… 
E lei, a differenza sua, a differenza di Gaster, non stava mentendo.
“ Lo penso sul serio, invece… ” Gli replicò la piccola, con la giusta dose di decisione. “ Non è tardi per cambiare in meglio, puoi farcela. E… se avrai bisogno di aiuto, ricorda che tu non sei solo
Si sentì sfiorato dall’essenza di Frisk, in quella che interpretò essere una carezza di conforto, atta a rincuorarlo.
Fu subito sbigottito davanti a quanto la piccola aveva fatto, non aspettandosi un contatto del genere, uno così buono e rassicurante nonostante il suo essere tanto sfuggevole. Io ci sono, pareva volergli comunicare… e non solo: c’erano anche altri per lui, altri che, come quel contatto gli stava sussurrando, sarebbero rimasti a qualunque costo.
“ Io…”
Si fermò, ma non a lungo questa volta… e, soprattutto, non definitivamente.
“ Non lo dimenticherò… ”
Glielo doveva… le doveva almeno quello.
Fiducia, qualcosa che aveva seriamente temuto di non poter più ricevere, fu ciò che la sua essenza raccolse da quella rossastra della ragazzina. Era un piccolo assaggio da parte di Frisk, un incentivo che lo fece inevitabilmente sperare… sperare di avere ancora uno spiraglio aperto in un muro che era stato lui stesso ad innalzare.
“ Rassicura Chara per me… ” Gli chiese lei. “ Dille che sto bene, che mi riprenderò presto… ho solo bisogno di dormire… ”
Sans assentì di fronte alla sua richiesta, ma aveva la sensazione che non era la sola che la piccola voleva fargli.
 Per favore… resta al sicuro stanotte… non voglio perderti… ”
Non poté non rammaricarsi per lei, che ci teneva davvero così tanto, troppo a lui... e tutto questo perché Frisk lo vedeva tutt’ora come un amico, un amico a cui voler bene. Ed erano qui adesso, a dispetto di quelle che erano state le sue sfiduciate aspettative, e nulla stava costringendo Frisk a restare, se non quella genuina apprensione che la ragazzina continuava a nutrire nei suoi confronti – e non poteva, certo, lasciarla andare a letto con un simile pensiero ad assillarle la mente.
 N-non… non mi perderai… non accadrà. 
Non poteva più essere condizionato da Gaster, non ora che il suo inganno era venuto alla luce, non ora che aveva recuperato quel poco di forza di volontà a lui necessaria per continuare, senza fermarsi o retrocedere. Lui era così indegno, ma gli era stato chiesto comunque di non mollare, perché qualcuno lo reputava ancora capace di fare… qualcosa… qualcosa di importante, forse…
Mentre era perso nei suoi pensieri, si sentì come stretto delicatamente da quella piccola essenza rossastra, un poco smorta certo, ma che conservava ancora un riflesso della sua normale vivacità.
“ Grazie, Sans… ”
Si perse così tanto in quel contatto che ogni intento di risponderle non fu capace di sfiorargli la mente. Le loro essenze non si stavano nemmeno fondendo, ciononostante quel tocco soltanto lo stava calmando come poco altro, tra persone e cose, poteva fare. Questa non era la quiete piena di inquietudine in cui Gaster lo aveva quasi trascinato, era… una quiete soffice ed inoffensiva, che si stava davvero sforzando di comprendere le sue ansie al solo scopo di acquietarle, non di sopprimerle.
Le emozioni miti e rasserenate di Frisk rimasero ad aleggiare nella sua anima persino dopo che il legame venne interrotto, riempiendola di piacevole tepore laddove vi era stato un gelo sconfortante a far da padrone.
Non appena risollevò le palpebre, vi furono gli occhi indagatori di Chara a riaccoglierlo alla realtà, due luci bianche che lo fissavano con insistenza nella penombra.
« Allora? »
Sans ricambiò la sua occhiata, ma quel fissarsi ebbe rapida fine nel momento in cui notò le pupille della ragazzina puntare verso il basso. Fece scivolare via la mano da quella di Frisk quando vide quel bianco restringersi e quasi sparire fra due cortine di nero. Le distanze… già…
« Non corre alcun pericolo… » Mormorò, riportando gli occhi di Chara su di sé. « Voleva farti sapere che non è nulla di grave e che doveva solo riposare. Starà presto bene… »
Un lieve aggrottamento della fronte gli indicò quanto dubbiosa era la sua interlocutrice a riguardo.
« Ne sei sicuro? »
Lo scheletro assentì prontamente con il capo, sperando che lei gli avrebbe creduto sulla parola, perché non aveva nient’altro che quella da offrire.
Un lieve calare delle sopracciglia fu l’unico mutamento visibile nell’espressione di Chara – altro segno di diffidenza, che non fu tuttavia seguito da altre domande dal tono inquisitorio. La ragazzina proruppe quindi in un sospiro seccato, una smorfia le fece arricciare le labbra in una dimostrazione di disgusto.
« Aiutami a portarla in camera, prima che tuo fratello ritorni. Non riesco a farlo da sola… » Gli era stato quindi detto, a metà tra una richiesta ed un comando ( e con l’ultima dichiarazione praticamente sussurrata ), ma Sans non vi diede comunque peso. A giudicare dall’accennata urgenza nel tono di lei, poteva supporre Papyrus sarebbe tornato presto dalla sua solita sessione di jogging notturno – e loro non dovevano ovviamente farsi trovar in piedi a quell’ora. Ciò che davvero contava, era che Chara avesse accettato il suo resoconto, seppur con palese controvoglia – un traguardo modesto, ma verso cui poteva provare almeno un briciolo di soddisfazione.
Trasportarono insieme Frisk nella camera a fianco, accorti entrambi nel renderle lo spostamento quanto più comodo possibile. Portato a termine quel compito, fu immediata l’acidità che riprese possesso dell’espressione della ragazzina più grande, chiaro segnale che la sua presenza era stata anche fin troppo tollerata.
Aveva esitato in modo evidente una volta sulla soglia della loro camera, perché non aveva potuto fare a meno di guardare la sagoma del corpo immobile di Frisk sotto le coperte. Avrebbe voluto restare… ma si era invece costretto ad andarsene. C’era chi era più capace di lui ora a vegliare sulla piccola, qualcuno che aveva già dimostrato di essere disposto a sacrificare anima e corpo per lei… non poteva nemmeno pensare di arrogarsi quello stesso diritto, non dopo che si era dimostrato palesemente inadatto a ricoprire un simile ruolo.
Una volta nella sua camera, si era lasciato scivolare in posizione seduta sul proprio letto, a meditare su ciò che la piccola gli aveva comunicato, a meditare su ciò che Gaster era stato sul punto di fargli… e si sentiva uno sciocco per essere caduto in una trappola del genere, e si sentiva ferito persino a distanza di anni, perché aveva provato una parvenza di rassicurazione e di conforto in presenza di quel demonio, sensazioni di cui avrebbe sentito la tremenda erroneità se solo fosse stato cosciente di sé. Perché aveva provato sentimenti del genere verso qualcuno di così orribile, di così senz’anima? Era uno stupido, stupido il suo corpo per aver conservato sensazioni che non avrebbero più dovuto esistere, ma che invece erano riemerse, offrendo terreno fertile a Gaster da contaminare e sfruttare per irretirlo, renderlo obbediente… obbediente come Gaster lo aveva sempre voluto.
Tra tutti quei pensieri fu sia grato che pieno di vergogna nel trovare quello delle chiamate di Toriel di quel pomeriggio. Non aveva badato a nessuna di esse, le aveva ignorate, finendo così per dimenticarsene completamente fino ad allora.
Si portò una mano contro il viso, sospirandoci dentro. Era un pessimo amico... però… forse, se le inviava un messaggio, avrebbe potuto trovarla ancora sveglia e rimediare almeno in parte a quella sua mancanza.
Prese il cellulare dalla cassettiera e si sbrigò a scriverle un sms.
Dovette attendere a malapena un minuto per ricevere una risposta.

Toriel:- Sans, stai bene, caro?
 
Ahia… se già questo primo messaggio lo aveva percepito come una stilettata nell’anima, allora partivano davvero male. La sua bocca divenne una smorfia ancora più pronunciata di prima, al pensiero che Toriel era stata in pensiero per tutto questo tempo, mentre lui… lui era stato troppo invischiato con le sue cose per dare retta a lei… era davvero un pessimo amico.
 
Sans:- Sì, Tori. Sto bene, non preoccuparti. Volevo sapere se tu stavi bene. Sai, le chiamate.
 
Passarono pochi secondi, che lo scheletro percepì come un’eternità, prima che potesse vedere un nuovo messaggio comparire sullo schermo.
 
Toriel:- Non sto bene.
Toriel:- Mi dispiace essere così schietta, mi dispiace, ma sono davvero in difficoltà adesso.
Toriel:- Ho bisogno di parlare con qualcuno.
Sans:- Vuoi che ci sentiamo per telefonata?
 
Glielo aveva proposto senza pensarci tanto perché, se ci avesse riflettuto più del dovuto, pensieri contrari a quella proposta si sarebbero immediatamente fatti sentire per costringerlo a desistere. E questo non doveva succedere; nonostante lui stesso non si sentisse tanto a suo agio davanti a quella prospettiva, voleva offrire del supporto concreto a Toriel, in un momento che pareva essere tanto difficile per lei.
 
Toriel:- Sarebbe meglio per entrambi non farlo.
Toriel:- Non voglio che tu mi senta, ti rattristeresti.

 
Sans sospirò, premendosi una mano contro la fronte mentre fissava con sguardo assente lo schermo. Era già rattristato e disgustato da quello che era stato il suo comportamento quel pomeriggio, aveva pensato che una telefonata non avrebbe potuto peggiorare più di tanto le cose… ma Tori si era pronunciata contro quella proposta e Sans, malgrado volesse assecondarla in quel desiderio che avrebbe messo anche lui a suo agio, si impensierì comunque ricevendo quella replica.

Sans:- Come preferisci, Tori.
Toriel:- Grazie, Sans.
Toriel:- Leggere tutto questo mi fa già sentire più rassicurata.
Sans:- Allora…
Sans:- Cosa è successo?
 
Dovette attendere circa due minuti per il messaggio successivo e comprese il motivo dell’attesa quando poté verificare la lunghezza di quest’ultimo.
 
Toriel:- Sono andata a palazzo oggi, dovevo prendere alcune cose per le piccole, vestiti e varie. Non potevo ovviamente sperare di evitare Asgore. Voleva parlarmi e lo stava chiedendo insistentemente, ma lo sai come la penso a riguardo. Stavamo litigando e, proprio allora, le piccole sono comparse in salotto. Non so che cosa ci facessero lì, neanche Asgore sembrava saperlo. Erano sconvolte ed io avevo provato subito a rimediare. Chara non ha voluto nemmeno che l’abbracciassi, ha indietreggiato davanti a me. “Asriel non avrebbe mai voluto questo da voi”, ci ha detto così prima di andarsene. E neanche Frisk, nemmeno lei è rimasta più a lungo di Chara, ed era così a disagio. Non so cosa fare, Sans. Io le amo entrambe, desidero solo il loro bene, non voglio che mi considerino un cattivo esempio!

Terminato di leggere il messaggio, Sans non poté evitarsi di strofinarsi la fronte in un gesto sconsolato, rilasciando un altro sospiro triste. Nessuno di loro era uscito indenne da quella giornata, c’era chi aveva guadagnato nuove ferite, chi ne aveva riaperte di vecchie… e, in mezzo a tutto questo, c’erano state Frisk e Chara, ad affrontare troppe situazioni problematiche in poche ore e a doverne per forza uscire insieme, in un modo o nell’altro. La loro sì che era un’amicizia forte, un’amicizia che si faceva valere persino nei momenti più difficili. Ed erano… loro erano così giovani, così ancora troppo piccole per tutto questo…
Si sentì male, per l’ennesima volta quel giorno, ma cercò comunque di concentrarsi sulla conversazione che stava avendo con Toriel. Se già non era stato evidente con i messaggi precedenti, quest’ultimo era lampante segno di quanto l’ex regina necessitasse di genuina solidarietà.
E si dannò Sans, per essere stato così indifferente, così distrutto da non riuscire nemmeno ad esserci per lei, per Tori, a cui lui era tanto affezionato. Perché la aveva ignorata, p-perché?
 
Sans:- Mi dispiace, Tori. Mi dispiace davvero tanto.
Sans:- Per favore, non disperare, possiamo trovare una soluzione.
Toriel:- Sono aperta a qualunque consiglio, uno qualunque.
Lo scheletro si mordicchiò la parte inferiore della bocca, battendo distrattamente la punta della falange a lato del cellulare. Sapeva in quali rapporti erano Toriel ed Asgore, rapporti non ottimali ovviamente, sia in pubblico che nel privato… e la soluzione migliore che poteva offrirle era scontata, ma non per questo poteva essere considerata la più semplice di tutte.

Sans:- Parlare con le piccole è la cosa migliore da fare. Mantenere una situazione di distacco tra di voi peggiorerà solamente le cose.

Esattamente come le aveva peggiorate tra lui, Frisk, suo fratello, chiunque altrogli ricordò prontamente la sua mente, priva di clemenza quando si trattava di menzionare i suoi errori, passati e recenti.
 
Toriel:- Lo so, ma quello che ha detto Chara… Sans, io non posso prendere in considerazione quell’idea… non posso. Non possono pensare questo.
Sans:- Sono sicuro che le loro reazioni siano state causate dalla foga del momento. Non ti chiederebbero mai di fare una cosa del genere, sanno che non è possibile per te ed Asgore tornare ad essere come prima. Però...
 
Il suo digitare giunse ad una battuta d’arresto. Non aveva idea di come Toriel la avrebbe presa se avesse continuato a scrivere. Era il benessere di ben quattro persone di cui si stava occupando in questo momento e non poteva favorirne una sull’altra, indipendentemente dai rapporti che aveva con ognuno di loro. Era così difficile… ma optò comunque per riprendere a digitare ed inviare così l’ultima parte della sua risposta.

Sans:- Le piccole vogliono bene sia a te, che ad Asgore. Vedere due persone a cui vuoi bene litigare non è un gran bello spettacolo.

E, ironia della sorte, le righe che stava scrivendo a Toriel lo stavano riportando indietro continuamente ai ricordi di quel giorno appena trascorso, di quando lui e Chara si erano attaccati verbalmente e Frisk aveva dovuto vedere tutto questo, di come il suo Paps aveva dovuto sopportare il silenzio di una tavola in cui era stato sempre e solo lui ad iniziare una conversazione… che brutto spettacolo, il loro. E poteva anche essere stata in parte colpa di Gaster, che li aveva voluti separati e divisi per attuare al meglio il suo piano, ma ciò non toglieva che quanto era emerso – incomprensioni, ansie, rancori – non era stato istigato da Gaster, c’era sempre stato, ed era solamente rimasto in attesa della miccia che lo facesse esplodere. C’era un problema di fondo che l’ex scienziato era stato in grado di sfruttare… e Sans, con una fitta di autorimprovero, fu costretto a mettere a fuoco quel problema ormai noto e che doveva essere risolto… a malincuore riconosceva, adesso, che doveva essere risolto.

Toriel:- Sans.
Toriel:- Intendi…?
Sans:- Almeno in loro presenza, dovreste provare a mettere da parte le vostre ostilità. Per il loro bene, ma anche per il tuo e per quello di Asgore. Mantenere un atteggiamento passivo-aggressivo l’una in presenza dell’altro sarebbe stancante per chiunque.

Ci furono secondi di silenzio dall’altra parte, in cui lo scheletro attese pazientemente il responso di Toriel. Lo schermo del telefono fece a malapena in tempo ad abbassare la propria luminosità, poiché un nuovo messaggio lo aveva rischiarito.

Toriel:- Hai ragione, qui non si tratta più solo di me. Sono stata un po’ sciocchina a pensarlo…

“ Lo siamo stati in due, Tori… ” Pensò lui, mentre i suoi occhi scorrevano nella lettura.

Toriel:- Devo assolutamente parlare con loro al più presto. Pensi domani pomeriggio sia un po’ troppo presto?
Sans:- Penso sia meglio togliersi subito il peso.
Sans:- Te le farò trovare a casa, ok?
Toriel:- Grazie mille, Sans. Non sai quanto significhi per me averti come amico.
Sans:- Nessun problema, Tori. Ti considero anch’io un’amica tanto preziosa.
Toriel:- Che carino che sei. :)

Sans scostò brevemente lo sguardo dalla chat, sogghignando un poco tra sé e sé. Ma cosa mai diceva Toriel, a volte…

Sans:- Devi avere qualcun altro in mente a cui hai sovrapposto la mia faccia. -.-“
Toriel:- Ah davvero? :’)

Gli sfuggì un risolino dopo aver letto quell’ultimo sms e un tepore, molto simile a quello che gli aveva donato Frisk tramite la Sintonia, gli scaldò ancora e dolcemente l’anima. Magari, era così che si avvertiva la felicità, dopo che hai toccato il fondo e stai… forse, lo stai pian piano risalendo

Toriel:- Grazie ancora, caro.
Toriel:- Rimarrei volentieri, ma la vecchiaia comincia a farsi sentire.
Sans:- Non serve spiegare, so cosa vuol dire sentirsi proprio stanchi morti.
Toriel:- Ahahah, scemotto. XD
Sans:- ;P
Sans:- Notte, Tori.
Toriel:- Buona notte, Sans.

Fu espirando col naso che spense il cellulare, facendo ripiombare la sua stanzetta in una soffice penombra. Toriel se la sarebbe cavata alla grande, lei sì che era in grado di prendere qualunque situazione in mano – e non con una mano qualunque, ma una mano forte e ferma. E anche lui avrebbe dovuto seguire il suo esempio, prima che fosse davvero troppo tardi, prima che questo alone di positività nel suo animo scomparisse.
Era spaventato, era sempre stato spaventato, ma in ballo non c’era mai stato altro che lui stesso, la sua immagine, il rispetto altrui che gli sarebbe inevitabilmente venuto a mancare… ora, invece, c’era anche in ballo la sicurezza di coloro a cui voleva bene e loro… loro erano più importanti di qualunque altra cosa.
Gaster non avrebbe più potuto sfruttare queste sue paure, perché le avrebbe finalmente affrontate e messe alla luce. Non poteva continuare a nascondere quel lato di sé stesso, quel lato fatto di azioni imperdonabili e mancanze di giudizio… non poteva più.
Si distese mollemente sul letto, a fissare il soffitto ad occhi socchiusi, per quella che sarebbe stata un’altra notte priva di riposo.
Domani sarebbe stato il giorno decisivo…
La sua anima tremò sotto il primo sorgere di un’angoscia vecchia, ma che mai era stata meno soffocante nel corso del tempo.
Era troppo tardi, tuttavia, per rimandare ancora.
L’indomani, le cose sarebbero cambiate… forse in peggio, forse in meglio… ma sarebbero cambiate.







Sameko's side
Buona sera lettori! Se siete giunti fino a qui anche questa volta, significa che la lunghezza di questo aggiornamento non vi ha atterrito abbastanza. ^^" Sempre più cose si sono purtroppo aggiunte durante la fase di scrittura, cose che hanno fatto conseguentemente dilatare i tempi di editing e, sigh, ho dovuto persino fare alcune rinunce ( avrei tanto voluto inserire, ad esempio, un pov finale di Chara sdraiata a letto insieme ad una sonnecchiante Frisk agh son troppo tenere le mie bimbe, ma per fortuna potrò rifarmi con lei nel prossimo capitolo, quindi non è stata una gran perdita ).
Colgo l'occasione per celebrare con parecchio ritardo il secondo anniversario di Undertale e ringraziare Toby Fox per questa meraviglia videoludica, che è riuscita ad unire ed appassionare persone da ogni parte del globo ( me ovviamente inclusa ). Grazie Toby per il tuo impegno e lavoro. ♥
E fra due giorni ci sarà un altro importante anniversario... cheee non avrò il tempo materiale di festeggiare a dovere. ^^" Fatico a credere che sia già trascorso un anno da quando ho iniziato la pubblicazione di questa storia, il tempo vola quando ci si diverte. XD
Per questo aggiornamento è tutto, vi devo proprio salutare perché mi sto addormentando sulla tastiera.
Baci!

Sameko

 

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Capitolo 25
*** Capitolo 24: Se vorrai ancora ascoltarmi ***



Capitolo 24: Se vorrai ancora ascoltarmi
 





Perché, tra tutti gli abitanti di quella sconfinata caverna sotto una stramaledetta montagna, il peggio doveva sempre e solo capitare a loro? Perché ogni volta lei, o Frisk, o entrambe, e non qualcun altro? Il fatto di provenire dalla superficie le rendeva delle calamite attira-guai per caso?!
Gettò via con disgusto l’ennesimo cumulo di inutile spazzatura e di nuovo a ravanare con le mani in mezzo agli scarti provenienti dal mondo di sopra, alla ricerca di qualcosa di utile che potesse aggiungere ad un arsenale di armi ancora in costruzione.
Ma perché anche solo porsi quelle domande, se tanto la risposta era ovvia? Certo che non potevano essere lasciate in pace neanche per un mese, certo che dovevano avere continuamente grattacapi, certo che dovevano far fronte ad una minaccia sconosciuta a chiunque tranne che loro. E, chissà per quale assurdo motivo, tutto si riconduceva sempre a quello scheletro, buono a nulla, mentecatto, idiota, ed altri tremila insulti che ormai da una ventina di minuti continuavano a ripetersi nella sua testa, unica distrazione dall’odore dei rifiuti e dall’umido dell’acqua che le aveva inzuppato gli stivali.
Aveva scelto di venire alla discarica da sola, declinando irremovibilmente tutte le offerte di Frisk di accompagnarla nella sua spedizione in quel mare maleodorante di pattume. Non era sicuro per la sua migliore amica venire lì con lei, nel bel mezzo di Waterfall, col rischio di incappare in quella creatura una seconda volta e non essere tanto fortunate da riuscire a tornare indietro entrambe.
Gettò via altre scatole di spazzatura, riuscendo così a scovare la presenza di un taglierino ben nascosto tra tutte le cianfrusaglie senza valore che si trovavano laggiù. Non esattamente ciò che sperava di trovare, ma avrebbe potuto far comodo se infilato in uno stivale, o in qualsiasi altro punto del corpo ben nascosto dai vestiti e facilmente raggiungibile.
Scese cautamente dalla pila di rifiuti sopra cui si era arrampicata e raggiunse la borsa a tracolla che si era portata dietro, appoggiata su un altro cumulo nelle vicinanze. Infilò dentro il taglierino, per poi richiuderne la cinghia con uno sbuffo.
Cosa non avrebbe dato per trovare un qualcosa come una mazza da baseball, quella che sarebbe stata utile, sia come arma, sia da tirare in testa a qualcuno di sua sfortunata conoscenza. Magari così avrebbe ben riassestato il cranio sulle spalle a quel verme spara-boiate, altro che paroline dolci e comprensione.
“ E guarda un po’ tu cosa mi tocca fare a causa tua, signor asino demente… ” Pensò, stirando le labbra in una smorfia innervosita, mentre si strofinava le mani sporche di fango.
Se in precedenza non era riuscita né a comprendere, né tantomeno condividere i metodi di Frisk con lui, ora era quasi tentata di dirle in faccia di mandarlo a quel paese e lasciar perdere. E Chara era consapevole che, se lo avesse fatto, una vocina nella sua testa le avrebbe ricordato che lei stessa sarebbe stata lasciata al suo destino senza l’enorme bontà d’animo che caratterizzava la sua migliore amica e che lei stava adesso indirettamente criticando. Ma – ed era un ‘ma’ colossale – c’era una differenza sostanziale tra la sua passata situazione e quella dello scheletro: lei non aveva mai tentato di giustificare le azioni imperdonabili che aveva compiuto, non aveva mai inscenato la parte della povera vittima che veniva presa di mira ingiustamente, non si era mai, mai permessa di sottovalutare la portata dei suoi peccati, e il fatto che qualcuno là fuori osava prendersi tutti questi lussi la faceva semplicemente imbestialire… ma non la faceva imbestialire abbastanza, non con lo stesso accanimento del giorno prima, perché l’immagine di fiammelle e volute dorate che si consumavano silenziose nella penombra si faceva avanti per distrarla ed ammansire la sua rabbia.
Quando gli si era scagliata contro a parole, vomitando addosso a quello scheletro tutta l’indignazione che lei covava nei suoi confronti, era stata quella l’unica emozione dominante… e, invece, ora… sentiva come uno strano senso di… empatia… di somiglianza… non aveva idea di come definirlo altrimenti. Certamente, non aveva mai pensato di provare sensazioni simili verso di lui, figuriamoci se lo avrebbe voluto in questo momento, quando la sua antipatia e il suo disprezzo per tutto ciò che lo riguardava erano ancora fin troppo elevati. Nonostante non comprendesse i motivi dietro alle sue azioni, nonostante non li comprendesse tutt’ora, quando aveva visto il suo stesso oro espandersi dal corpo che era la fonte originaria della sua magia… lì c’era stata una sorta di comprensione profonda, che la aveva come rasserenata, che le aveva assicurato che nulla di male sarebbe accaduto a Frisk se lo avesse fatto avvicinare.
Un riverbero di magia scoppiettò sul fondo del suo occhio destro, come a volersi manifestare imitando gli eventi di quei ricordi. Una sensazione di scomodità le irrigidì il petto fin dentro l’anima… conflitto, ecco cos’era… si sentiva in conflitto, per un buono a nulla del genere… perché…?
. . .
Non poteva rispondere a questa domanda.
Sospirò, sperando che il gesto avrebbe alleviato il ricordo di quelle sensazioni, ma servì purtroppo a ben poco. Riprese comunque il suo precedente lavoro di ricerca, perché a breve si sarebbe dovuta ricongiungere a Frisk all’anfratto con la panchina e il Fiore dell’Eco; avevano convenuto che quello sarebbe stato il posto ideale per ridurre lo sforzo fisico richiestole dal teletrasporto ed evitare, al contempo, che Frisk si inoltrasse troppo dentro Waterfall. Il passo successivo sarebbe stato, ovviamente, darsi una ripulita prima che qualcuno a parte la sua amica la vedesse in questo stato pietoso ( buttandosi direttamente nel fiume, perché i suoi vestiti avevano un aspetto rivoltante ).
Udì in lontananza degli spruzzi d’acqua e i suoi sensi si misero immediatamente in allerta: qualcuno aveva disceso gli scalini che portavano alla discarica e aveva appena affondato i piedi nel liquame.
Chara si sporse leggermente per controllare il nuovo quanto inatteso arrivato e si stupì di scoprire che era Undyne. Ignorava il motivo per cui la guerriera si trovasse lì, ma ben sapeva che sarebbe stato inutile tentare di recuperare la borsa da dove la aveva lasciata senza farsi scoprire. Per ora, sarebbe dovuta uscire per forza allo scoperto, scambiare poche parole con lei e lasciare la discarica come da programma. Per la borsa sarebbe dovuta tornare in un secondo momento.
Come se stesse casualmente passando di lì, Chara lasciò il suo momentaneo nascondiglio e finse di star ancora cercando qualcosa nella spazzatura.
Non alzò lo sguardo finché, tempo un secondo più tardi, Undyne la salutò.
« Ehi, pesciolina, che sorpresa trovarti qui! »
Finse di accorgersi della presenza dell’altra senza sembrare troppo allarmata e mise su un appena percettibile sorriso quando incontrò lo sguardo della guerriera.
« Oh… ciao, Undyne. » Salutò, come a far intendere che fosse stupita dal suo arrivo, ma che non lo avesse trovato sgradito. Sperava che un atteggiamento del genere non avrebbe fatto sorgere nella donna-pesce il sospetto che stesse facendo qualcosa di… losco, in un certo senso. « La… sorpresa è reciproca. »
« E come mai? Sai benissimo che questo posto è fantastico per incontrare ragazze carine! » Replicò Undyne, ridendo alla grossa con un lieve rossore a colorarle le guance scagliose.
« Devi incontrare Alphys? » Domandò lei, alzando leggermente un sopracciglio. « Non un luogo ideale per un appuntamento questo. »
Undyne ridacchiò leggermente, i denti affilati che si intravedevano appena.
« Non hai tutti i torti, pesciolina. Ma, in fin dei conti, se si sta bene assieme il luogo conta ben poco! » Replicò la guerriera, poggiando le mani sui fianchi. « Ma, ehi, che ci fai tu qui senza la girina? »
Chara resistette all’impulso di sospirare. Sapeva che una domanda del genere sarebbe presto o tardi arrivata. Beh, fortuna che aveva pensato ad una scusa nel frattempo.
« Ho perso una cosa stamattina… Mi è scivolata nel lavandino e sono qui per cercarla. »
Vago, certo, ma non abbastanza da risultare sospetto, perché rispondere che aveva perso uno spazzolino o qualunque altra bazzecola sarebbe risultato ancora più sospetto.
« Mi spiace informarti che hai cercato invano. Queste sono solo le ‘fogne degli umani’, per così dire. Le nostre sono da tutt’altra parte. » Le rispose Undyne con un sorriso desolato, avvicinandosi per tirarle una pacca sulla spalla. « E non ti consiglio di andarci a ravanare, non sai mai cosa potresti trovare là sotto! »
Chara annuì, cercando di contenere la smorfia sul suo viso a causa dell’eccessiva forza impressa da Undyne in quella sua dimostrazione d’affetto. Se doveva essere onesta, non aveva mai saputo fino ad ora che ci fosse una differenza tra le due fogne, ma aveva senso da un certo punto di vista. Se in questa discarica si fossero ammucchiati sia i rifiuti dei mostri, sia degli umani, dubitava ci sarebbe stato anche il più piccolo spazio per camminare.
« Non te l’ha gettato ‘per sbaglio’ il bradipo qualunque cosa fosse, vero? » Le chiese dunque la guerriera, con un sopracciglio alzato in segno di intesa.
Chara cercò di astenersi dal mostrare una qualsiasi reazione fisica alla menzione di Sans.
« No, direi di no. » Rispose, scostandosi dalla donna-pesce, ora più desiderosa di prima di andarsene. « Ho solo sprecato il mio tempo qui. »
Possibile che Undyne volesse trattenerla lì fino all’arrivo di Alphys? Voleva solo tornare da Frisk dove sapeva che quell’accidenti di mostro non sarebbe stato nominato neanche per sbaglio, e che diamine!
« Chara, va tutto bene? »
Chara allargò gli occhi e ringraziò mentalmente di star dando le spalle ad Undyne, o alla sua insegnante non sarebbe sicuramente sfuggito il suo cambio repentino di espressione.
« Perché me lo chiedi? » Domandò, invece di rispondere in modo veritiero. No, non c’era niente che andava bene, ma per qualche assurdo motivo non sentiva di poterlo confessare apertamente ad Undyne ( come invece avrebbe voluto fare ).
Decise di voltarsi lentamente, cercando di mantenere uno sguardo più vuoto possibile di qualunque emozione. Evitare di guardarla in volto, d’altronde, sarebbe stato un segno fin troppo palese di disagio.
Undyne la stava guardando con la testa inclinata da un lato, le sopracciglia lievemente aggrottate dalla preoccupazione.
« Beh… magari è solo una mia sensazione, ma non mi sembra che le cose stiano andando bene dalle tue parti… » Provò a spiegare la donna-pesce, alzando gli occhi come se stesse cercando le parole adatte per esprimersi, le braccia incrociate al petto. « Voglio dire, mi sembrate un po’ tutti giù di morale all’improvviso… ho ragione, o no? »
Chara distolse brevemente lo sguardo. Immaginava che sarebbe stata solo una questione di tempo prima che qualcuno notasse l’atmosfera un po’ tesa e sconsolante che si respirava da Snowdin in giù e che qualcuno che era particolarmente vicino a loro cominciasse a farsi due lecite domande… qualcuno come Undyne.
« Hai ragione. » Replicò, optando per la sincerità per due principali ragioni: primo, non voleva mentire ad Undyne più di quanto fosse necessario; secondo, la sua bugia sarebbe risultata fin troppo palese.
« E… posso conoscerne il motivo? » Proseguì la guerriera, con una cautela percepibile nella voce.
Chara si ritrovò a stringere impercettibilmente le labbra. Avrebbe dovuto sapere che la domanda successiva di Undyne non avrebbe potuto essere altro che quella. Certo che poteva conoscerne il motivo, doveva conoscerne il motivo, perché ne andava della sicurezza di tutti loro e Undyne era la più adatta e valente ed esperta per questo genere di emergenze tra coloro che conosceva… ma… si scoprì incapace di confessarlo… perché Frisk e le sue parole le ritornavano alla mente, cucendole le labbra ogni qualvolta tentava di aprirle.
« Ognuno di noi merita di avere più di una sola possibilità, una terza o una quarta persino, se è disposto a cambiare in meglio. »
Tante possibilità per una sola vita… era davvero possibile una cosa del genere? Poteva davvero quel mucchio d’ossa testardo capire che aveva sbagliato, che avevano un disperato bisogno di sapere, e che senza il suo aiuto cavarsela da sole sarebbe stato tremendamente complicato?
Lei non ci credeva… faticava a crederci… ma la sua migliore amica restava ancora di tutt’altro avviso. E lei, in quella ragazzina dal sorriso sempre tanto buono, credeva più fermamente che in qualunque altra cosa.
“ Spero tu abbia ragione, Frisk. ” Pensò, con una speranza tenue, ma vera pur nella sua non eccessiva intensità. “ Non sbagliare proprio questa volta… ”
Rilassò la mano destra che aveva inconsapevolmente stretto in un pugno e si accinse a rispondere ad Undyne.
« Sì… ma… non ora… mi dispiace… »
Avrebbe aspettato solo fino alla fine di quella giornata, per un cambiamento, per un segno, per una prova, che fino ad allora tutto ciò in cui aveva creduto era sempre stato frutto del dolore e della disillusione che il mondo le aveva offerto invece del calore e dell’affetto prima di incontrare Asriel… prima di incontrare Frisk.
Attendere oltre sarebbe stato un azzardo enorme ed era certa che persino Frisk era fin troppo consapevole della cosa. O Sans avrebbe parlato oggi, evitando loro di far presente ad Undyne la sua mancata collaborazione, o mai più. Lo sperava con tutto il cuore, lo sperava per Frisk e per… per Papyrus, anche. Perché lei ed Asriel avevano sempre cercato di dirsi tutto, di avere un rapporto aperto e di fiducia reciproca, anche nei casi in cui erano i suoi pensieri di odio a costituire una rabbiosa confessione.
“ Dimostrami che tutte le persone possono cambiare… imparare… sfruttare il buono che c’è dentro di loro. Dimostramelo, Frisk… ti prego. ”
Appena quel pensiero sfumò lontano nella sua mente, sentì la mano squamosa di Undyne posarsi di nuovo su una delle sue spalle.
« Non preoccuparti, pesciolina. Potrai correre da me in ogni momento quando ti sentirai pronta, va bene? »
Chara assentì piano con la testa.
« Lo so… » E frenò un altro sospiro, l’ennesimo quel giorno. « Lo farò. »
Lo avrebbe fatto, sia che Sans avesse messo la testa a posto oppure no.
 
 
Sin da quando aveva pochi anni, non le era mai piaciuta la solitudine. Aveva sempre preferito la compagnia, la sensazione di condividere un ambiente con qualcuno, il sentire un’altra voce riempire il silenzio, o persino il rumore di un respiro al di sopra del suo… qualsiasi cosa, pur di non sentire il vuoto disagioso che la solitudine – triste sinonimo di emarginazione nella sua testa – le aveva sempre portato. E questa sua… antipatia, se così poteva essere definita, non aveva potuto che intensificarsi con gli anni, perché a suo discapito era stata costretta ad imparare a sopportare la solitudine, a conviverci, perché non aveva potuto fare altrimenti. Alla fine, non era riuscita a fare nessuna delle due cose – e i risultati si erano ben visti. Aveva scalato una montagna considerata maledetta, era caduta in una voragine nel terreno e aveva stretto amicizia con un'intera razza, diversa dalla sua certo, ma a primo impatto così stranamente familiare e... accogliente; ritrovare dopo tanto tempo un qualcuno che aveva ormai dato per perduto, era questa la sensazione che la aveva accompagnata durante la sua primissima linea temporale, in cui si era fatta tanti cari amici in un tempo sorprendentemente ridotto. E una persona che aveva stretto un numero spropositato di amicizie non avrebbe mai potuto avere occasioni per starsene un po’ da sola, giusto?
Eppure, eccola lì, in quell’anfratto così tanto solitario di Waterfall, sola come non lo era stata in settimane, incapace di riflettere su sé stessa – non voleva riflettere su sé stessa –, troppo giù di morale per riflettere sui suoi amici, che aveva deluso in un modo o nell’altro, che aveva ferito in un modo o nell’altro.
Per quanta delusione, amarezza, rabbia avesse sentito il giorno prima, non avrebbe dovuto andarsene quando Toriel ed Asgore si erano rivolti a lei per una spiegazione, per un aiuto… non avrebbe dovuto evitare almeno di accennare a Papyrus che la faida creatasi nella sua stessa casa aveva un’origine precisa… non avrebbe dovuto coinvolgere Chara in un qualcosa in cui lei non voleva essere coinvolta e per cui si era adirata come mai Frisk la aveva vista adirarsi… ed in cima a tutto questo… non avrebbe dovuto gridare contro Sans, urlargli contro assolutamente alterata e priva di freno. Nessuno vorrebbe sentirsi dire cose simili in generale, senza contare che Sans era certamente più grande di lei – per quanto giovane potesse essere e sembrare, lui era comunque un adulto… e lei si era permessa di mancargli di rispetto. E cosa era accaduto proprio a causa di ciò? Sans stava quasi per farsi uccidere da quella creatura, quell’essere senza forma e senza essenza, che poteva entrare dentro di lui così come poteva farlo lei tramite la Sintonia. L’ansia e la paura le avevano inondato e stretto l’animo quando aveva percepito la vita dello scheletro affievolirsi sempre di più, come una candela esposta ai venti, ed era stato quasi troppo tardi per salvarlo. Stava per perderlo, faticava ad accettare tutt’ora che quel pensiero corrispondeva a realtà, e non poteva non sentirsi almeno in parte responsabile… perché non era riuscita a rendersi affidabile abbastanza agli occhi di Sans quando ancora ne aveva avuto il tempo, perché il suo amico non aveva visto in lei qualcuno in grado di aiutare… era stato un pensiero sciocco, perché mai avrebbe dovuto in fondo, lei era più piccola di lui, lei aveva commesso un errore madornale ed imperdonabile una volta
Si costrinse a trarre un sospiro, cercando di impedire ai suoi pensieri di portarla , dove non aveva voluto andare sin da quando si era unita a Sans con la Sintonia, per la prima di molte occasioni successive. E ricordò ciò che Chara le aveva detto, che non poteva sempre addossarsi la colpa per ogni fattaccio o guaio che accadeva… ma come poteva non sentirsi responsabile in questo particolare caso, con quello che aveva rischiato di perdere per un altro errore, per altra impulsività?
A volte, si domandava se la sua caduta nell’Underground avesse portato più fastidi che gioie ai suoi abitanti… era un pensiero fugace, certo, ma le stava ormai pungolando insistentemente la testa da un po’ e non aveva ancora trovato una risposta che potesse metterlo a tacere.
Ed era stanca adesso di riflettere, di trascorrere del tempo da sola con sé stessa, perché questo tipo di pensieri insorgevano in modo particolare in simili momenti di solitudine, la solitudine che disprezzava con tutta sé stessa.
Si alzò con un movimento un poco stizzito dalla panchina vicino al Fiore dell’Eco – quel fiore di cui non era ancora riuscita a riconoscere la voce intrappolata nei suoi petali – e si avvicinò al fiume, sperando che la vista dell’acqua potesse rasserenarla. Era limpida come un innaturale specchio quel giorno, scorreva senza quasi emettere un rumore, i sassolini immobili sul fondo non producevano scricchiolio alcuno.
Vedendo quella distesa così indisturbata e liscia, invece, desiderò solo interromperne il pacifico fluire, magari gettando via il pugnale di Chara, grave fonte di turbamento per lei, e lasciare che quelle acque lo ingoiassero. Avrebbe potuto farlo, il pugnale sedeva silenzioso sulla panchina alle sue spalle, l'altra ragazzina non sarebbe stata capace di recuperarlo, perché Chara non sapeva nuotare esattamente come lei… ma non doveva. Aveva detto a Chara che se lo sarebbe portato sempre con sé, e per questo lo avrebbe fatto, seppur a volte il leggero tintinnare dell’arma nella sua solita borsa la facesse trasalire impercettibilmente.
Espirando attraverso il naso, si sedette vicino al bordo del fiumiciattolo, ad osservare il fondale e le ombre dei piccoli pesci che si proiettavano sui sassolini del fondo. Se la vita fosse stata semplice e priva di increspature come quell’acqua, non metteva in dubbio che molti dei suoi problemi avrebbero già trovato una loro soluzione, o non sarebbero esistiti sin dal principio. Ma una vita del genere, senza scosse, senza increspature, sarebbe stata priva non solo di problemi, ma anche della complessità di sentimenti, relazioni, pensieri, emozioni, dei significati nascosti dietro ad uno sguardo o un sorriso, della ragione per cui le anime sono tanto preziose per ogni essere vivente. Una vita del genere non valeva la pena di essere vissuta, in fondo... il suo era stato solo un pensiero davvero infantile. Ma poteva permettersi di avere pensieri infantili ogni tanto, perché non era adulta, era ancora nell’età di mezzo tra l’infanzia e la maturità… ed era facile scordarselo, quando per lei erano passate ben più di quelle tre settimane adesso, quei quattro giorni la prima volta, una settimana lì, un mese là, per chissà quanto tempo… e quando il potere di cui era custode la faceva sentire come ‘in carica’ di tutte le cose che succedevano intorno a lei e responsabile di farle funzionare al meglio.
Toc. Toc.
Frisk sbatté sorpresa le palpebre ed alzò la testa.
Fu un po’ stupita di vedere uno scheletro di sua conoscenza sostare sul ponticello in legno, il dorso della mano ancora poggiato contro la roccia della parete. Non si era resa conto di non essere più sola.
« Toc, toc. » Ripeté a voce lui, con un sorriso appena accennato, velato da un raro cenno di timidezza.
L’espressione sorpresa della ragazzina si sciolse in un altrettanto leggero sorriso.
« Accomodati pure. » Replicò, senza pensarci.
« Uh… ah… mi hai rovinato la battuta, piccola. » Disse imbarazzato Sans, strofinandosi una mano dietro al cranio.
Frisk ridacchiò piano, accorgendosi solo adesso dell’errore.
« Scusa. Non ero pronta. » Mormorò, coprendosi leggermente le labbra curvate verso l’alto. Non era stata pronta in tutti i sensi in verità, non solo riguardo a quella battuta. Non si era aspettata di essere raggiunta lì da nessun altro che non fosse Chara, figuriamoci da Sans. Era seguendo la profonda amarezza lasciata dalla scia dei suoi recenti pensieri che lui era stato in grado di trovarla? Non poteva affermarlo con certezza, e il silenzio che era sceso su di loro si era fatto velocemente scomodo, troppo velocemente per essere interrotto da una domanda simile.
« Posso… restare? » Le chiese con evidente esitazione Sans, un’esitazione che le fece strano sentire per una volta nella voce dell’altro.
« Certo… non devi chiedermi il permesso. » Rispose, distogliendo lo sguardo nel mentre.
Il fatto che Sans lo avesse invece ritenuto necessario la aveva messa un poco a disagio, ma ammetterlo ad alta voce non sarebbe stata una buona cosa.
Lo sentì sederle accanto dopo qualche secondo e Frisk si trovò in difficoltà nell’intavolare una conversazione che avrebbe tenuto lontano quel silenzio tanto disagioso. Non aveva idea di cosa dire… e le venne il dubbio che, forse, non era l’unica ad avere questo problema.
« È da molto che hai scoperto questo posto? » Le domandò Sans, con una confidenza che le parve solo un’apparenza – che era solo un’apparenza. Non ricordava il momento esatto in cui aveva iniziato a cogliere quelle piccole sfumature che, se notate, potevano suggerire i veri stati d’animo del suo amico; si era semplicemente resa conto un giorno di questo cambiamento e, da allora, era stato sempre così. E non poteva non pensare con amarezza che, se magari avesse notato prima queste piccolezze, ora le cose sarebbero state diverse. Non era davvero una buona osservatrice come Sans stesso le aveva detto una volta.
« Direi di no… vieni qui spesso, per caso? » Replicò, con l’unica domanda di cui le interessasse conoscere la risposta. O, aggiunse tra sé e sé, Sans la aveva davvero trovata grazie alla Sintonia e la aveva raggiunta per un motivo specifico?
« Abbastanza… » Confermò lui – e non era tutta la verità. « È tranquillo… e i pensieri scivolano via velocemente. »
Non era tutta la verità, c’era altro nella sua voce che la spingeva a credere che la sua supposizione non espressa fosse corretta, ma Frisk scelse di restare in silenzio sulla questione.
« Già… è vero. » Bisbigliò, in mancanza di altro che potesse dirgli. Quando mai era stato così difficile parlare con Sans? Non si sentiva offesa o delusa dal suo comportamento, lo era stata, certo, ma questo era nel passato ormai.
Forse, il problema non era la presenza di Sans in sé, ma quel suo senso di colpa che le aleggiava dentro l’anima da quando si erano parlati la sera precedente. Chara le aveva detto di smetterla di sentirsi sempre responsabile per ogni cosa che accadeva, si ricordò di nuovo, ma chiedere a lei di fare questo sarebbe stato come chiedere ad un uccellino di spostarsi zampettando invece che volare. Non impossibile, ma neanche così semplice da modificare come comportamento.
Percepì allora lo sguardo di Sans su di sé, quasi insistente nel cercare un contatto visivo con lei, e poteva quasi vedere nella sua testa il brillare speranzoso delle luci nelle sue orbite.
Alzò il capo, scostandosi nel frattempo la frangia dagli occhi, non capace di negarglieli come aveva fatto durante quella discussione, in cui lo aveva visto così perso, smarrito, addolorato, che il solo ripensarci le faceva annodare leggermente lo stomaco.
L’unica parola che ritenne adatta a descrivere l’emozione nello sguardo di Sans fu ‘affranto’, tanto affranto.
« Piccola… scusami… sono tanto dispiaciuto per ciò che è successo. Credimi, per... p-per favore. »
Frisk si dovette trattenere dal farsi venire gli occhi lucidi davanti a lui. La aveva pregata, come se fosse convinto che da lei non avrebbe più ricevuto un solo grammo di fiducia, ma lei glielo aveva già concesso la sera prima e lui lo aveva sentito, era certa che lui lo aveva sentito, eppure… eppure era stata comunque p-pregata
Sospirò, un sospiro che si sforzò di non buttare fuori del tutto, perché si sarebbe spezzato a metà strada se lo avesse fatto. Sperò di riuscire a mantenere una voce abbastanza ferma nel momento in cui aprì bocca – e già era stato difficile persino schiudere le labbra.
« Hai prima perdonato te stesso? »
Sans abbassò brevemente lo sguardo, passandosi una mano sul capo. Nervoso… lui era nervoso.
« Suppongo di sì… all’incirca… u-uhm... »
Non si accorse di aver preso a fissarlo finché non vide quel poco di sicurezza che lo scheletro aveva cadere di fronte ai suoi occhi.
« Non proprio... » Confessò lui, e Frisk si pentì di averlo inconsapevolmente costretto a fare quell’ammissione. Non aveva potuto impedirselo e tanto meno accorgersene in tempo, perché le era stato evidente sin dal primo secondo che non c’era sincerità in quella risposta e lo aveva… aveva messo su quello sguardo severo senza proprio rendersene conto. Per sua fortuna, Sans proseguì, forse perché lui sapeva leggere gli altri meglio di lei e doveva aver intuito che non era stata sua intenzione guardarlo in quel modo. « Ma ho impiegato comunque troppo tempo per arrivare a… a chiederti scusa… avrei dovuto farlo subito. »
Frisk allargò un poco gli occhi a quel punto.
« Chiedermi… scusa? » Ripeté, inclinando in confusione la testa. « Io… io non pensavo… io ti ho urlato contro, me ne sono andata nonostante tu volessi che restassi… e mi dispiace… ero arrabbiata, ma non avrei dovuto fare così… » Si bloccò e fu davvero complicato per lei riprendere. « Dovrei essere la prima a scusarmi e... e non l'ho fatto, non lo sto facendo… »
E non gli aveva chiesto ancora scusa nemmeno per non essere stata abbastanza di conforto per lui, per non aver reso la sua presenza un qualcosa che lui poteva solo associare con rassicurazione, gentilezza ed accettazione
« Io ti ho fatto un torto per primo, Frisk… » La contraddisse Sans e la ragazzina lo guardò attonita per quell’interruzione inattesa. « E il tuo… il tuo non è stato nemmeno un torto, è stata una reazione normale e giustificata. »
E Sans, con sua sorpresa, continuò.
« L’unico che si deve scusare qui sono io, perché… perché hai sempre cercato di aiutarmi, di consigliarmi la cosa più giusta e sicura da fare, non solo per me, ma anche per… per Papyrus. Ma, durante tutto questo tempo, è come se mi fossi approfittato di te, come se ti avessi sfruttato. Non ti ho dato la fiducia che meritavi di ricevere, ti avevo assicurato cose che non avevo mai avuto intenzione di darti… nonostante sapessi, dentro di me, che quello che stavo facendo era sbagliato… e ti ho messo in pericolo, e ho messo in pericolo molti altri perché ero sicuro di quello che stavo facendo, perché non ho mai pensato per un solo secondo di mettermi in discussione… e mi dispiace tanto, piccola, sono davvero dispiaciuto, ero così spaventato dall’idea di parlare con te, non volevo che mi facessi domande a cui non p-potevo rispondere, non volevo che ti facessi domande pericolose su di me… mi d-dispiace… »
Più le parole di Sans le arrivavano dentro intrise di forte amarezza e rimpianto, più Frisk si stava ritrovando impossibilitata a mantenere la distanza che, seppur infima, la stava separando da lui – non riusciva ad ascoltarlo senza sentire la propria anima creparsi.
Gli si avvicinò, poggiò discretamente la testa contro la sua spalla, e lo abbracciò più forte che poté, cercando di fargli capire che non era più arrabbiata con lui, che non lo riteneva indegno della sua fiducia, che gli voleva bene a dispetto di tutto.
Sans era trasalito un poco sotto le sue dita.
« P-piccola… cosa…? »
« Ti avevo già perdonato quello stesso pomeriggio. Sai che non riesco a restare arrabbiata a lungo con gli altri… non importa quanto grande sia il torto nei miei confronti… » E aveva sussurrato l’ultima frase a bassa voce, al punto da farla suonare come una constatazione diretta a sé stessa più che a lui. « Ieri sera volevo solamente farti capire che… non doveva essere la fine di tutto, solo perché credevi di aver commesso troppi errori per meritarti il perdono… stavi penalizzando te stesso in un modo orribile e non volevo che tu arrivassi ad odiare chi sei, l’amico che mi ha sempre fatta ridere, che nonostante tutto non ha mai smesso di volere la felicità degli altri, che è capace di lottare e di fare la differenza, anche se non pensa di esserne in grado… »
Sentì Sans sempre più immobile, sempre più congelato fra le sue braccia, come se volesse fare qualcosa, ma si stesse obbligando a restare fermo. Frisk cercò di incoraggiarlo a ricambiare il suo abbraccio, e l’unico risultato che ottenne fu il poggiarsi esitante della mano dello scheletro sui suoi capelli, timorosa anche solo di sfiorarli. Alzò allora la testa per incontrare il suo palmo, avendo ormai più che compreso la natura di quell’esitazione. Non era una bambola di porcellana, non si sarebbe rotta per un tocco, Sans doveva capirlo.
« Pensi queste cose di me… persino ora…? » Lo udì sussurrare dopo qualche secondo, con un’incredulità stanca, sospirata. « Perché? »
Frisk si dispiacque nell’udire così tanto ma esausto stupore nella voce dell’altro. Gli passò la propria mano dietro la schiena con un movimento rotatorio, lento, cercando di appianare la tensione della sua postura mentre gli rispondeva. 
« I tuoi lati negativi sono solo una parte di te, una delle tante, non sono tutto ciò che sei… e non sono scolpiti nella pietra, puoi correggerli, puoi farlo davvero se lo vuoi… non sei una cattiva persona, Sans… non devi pensarlo, perché non lo sei… »
Si strinse ancora di più contro di lui, cercando di incoraggiarlo ad avere un contatto, di fargli comprendere quanto liberatorio avrebbe potuto essere se solo lo avesse fatto. Non doveva vergognarsi di abbracciarla, lei non desiderava nient’altro che quello in questo momento, un abbraccio da lui, ma il suo amico era così insicuro
Lo sentì sobbalzare impercettibilmente in risposta al suo gesto e temette di aver sbagliato ad essere così insistente… per fortuna, fu solo una reazione momentanea. Passata l’incertezza iniziale, Sans accolse il suo abbraccio con un sospiro così pesante, così tremante, che Frisk sentì la sua cassa toracica abbassarsi improvvisamente sotto la guancia che vi aveva posato sopra. E venne stretta forte, tanto forte a lui, come se Sans non volesse lasciarla mai più, come se avesse paura di lasciarla andare.
Cercò subito la sua mano dopo aver letto in quell’azione un altro chiaro segno di insicurezza. La strinse nella propria quando la trovò e la Sintonia venne stabilita nell’istante stesso in cui le loro dita si intrecciarono.
Mi dispiace così tanto, questo Sans le stava comunicando con profonda tristezza, vergogna, la quale seppur attenuata non accennava ancora a sparire.
Lo so, gli rispose lei, con l’affetto infrangibile che nutriva nei suoi confronti, ti ho perdonato, ti voglio bene, non è cambiato nulla. Percepì l’anima di Sans rasserenarsi pian piano a contatto con i sentimenti positivi che lei stava cercando di trasmettergli, per ridare nuova sicurezza alla loro amicizia, ristabilire un equilibrio nelle emozioni di entrambi.
Non seppe quanto tempo rimasero così, un’ora, un minuto, un secondo avrebbero potuto avere la stessa durata – e non avrebbe avuto, comunque, nessuna importanza. Nel momento in cui aveva sentito i suoi capelli venire accarezzati con un affetto e una sicurezza che le era mancata, il legame della Sintonia aveva cominciato ad affievolirsi poco a poco, fino a scomparire silenziosamente. Nessuno dei due fece ancora un movimento per separarsi dall’altro, né sembrava intenzionato a farlo tanto presto.
« Grazie, piccola. » Udì Sans mormorare. « Ti ringraziodal… profondo della mia anima. »
Frisk sollevò la testa e il sorriso in parte restaurato dello scheletro, naturale nell’inclinazione delle sue estremità, contagiò anche lei.
« Sono contenta che ti senti meglio. »
E, cosa ancora più evidente, era che anche le luci bianche dei suoi occhi parevano sorriderle, finalmente non più escluse dal mostrarle una serenità che, per una volta, non era finzione.
« Eh… starò persino meglio quando terrò fede a ciò che ti avevo detto. » Affermò lui. « Voglio farti sapere come stanno le cose… e voglio partire dall’inizio. »
 « Davvero? » Esclamò Frisk a bassa voce, strabuzzando un poco gli occhi. Lei… non poteva credere, si era finalmente deciso a…?
Sans annuì, distendendo ulteriormente il suo sorriso.
« Sì… davvero. » Confermò, abbassando brevemente gli occhi. « Sempre se vorrai ancora ascoltarmi… »
Lei gli sorrise gentilmente, parecchio sollevata che avesse cambiato idea e fosse ora disposto a metterla al corrente di ciò che stava accadendo, di ciò che era già accaduto, forse anche a costo di dover raccontare avvenimenti della propria vita non esattamente piacevoli.
« Certo che voglio ascoltarti. Lo vorrò sempre. » Lo rassicurò, inclinando un poco il capo, non potendo fare a meno di tenere a freno tutta la curiosità che malgrado sentiva.
Sans inclinò a sua volta la propria, dedicandole un’ultima carezza affettuosa sui capelli e scompigliandole leggermente le ciocche castane nel processo.
« Cosa mai ho fatto per meritarti, piccola? »
« Non sapevo fosse necessario aver fatto qualcosa di memorabile per conquistarsi la mia compagnia. » Rispose lei, a metà tra lo stupore ma la voglia di scherzare e così ravvivare un po’ l’atmosfera. La sua risposta ebbe l’effetto desiderato, perché un ridacchiare tranquillo provenne dallo scheletro.
« O, semplicemente, ti sottovaluti troppo. » Le disse, strizzandole un occhio mentre ridacchiava, e lei con lui, seppur con un cenno di imbarazzo – tutt’altro che sgradito, ovviamente.
« Forse, e-eh. »
E, forse, era perché Sans aveva bisogno di essere un po’ giocoso che era stata al gioco, perché vi era una tensione distinguibile per lei nel resto del corpo dell’altro. Lui aveva davvero temuto tanto e stavo ancora temendo questo momento, e non si sarebbe rifiutata di accomodarlo nemmeno tra un milione di anni. Aveva percepito la sua paura ieri, era stata una paura intensa e vecchia, che lui doveva essersi trascinato dietro a lungo… e quella paura la aveva avvertita e la stava avvertendo, avvertendo che le ragioni dietro all’evasività del suo amico erano assolutamente fondate. E lui… lui doveva aver paura di perderla come amica, se aveva cercato di celare quante più cose possibili su di sé.
Sentì la propria mano venire stretta con una leggera decisione ed intuì che quella di Sans non sarebbe stata una spiegazione a parole, bensì una condivisione di ricordi, come la avevano già avuta in precedenza.
Nonostante quello stringere così sicuro, l’espressione sul volto del suo amico non poteva vantare il medesimo grado di sicurezza.
« Piccola, adesso… qualunque cosa vedrai, voglio che tu sappia… non ti potrei mai fare del m-m… male, ok? So che l’ho fatto in passato anche se non lo ricordo personalmente, il reset me lo ha fatto dimenticare, ma ora… non oserei alzare un dito su di te, non potrei, n-non ci riuscirei… e se cambierai opinione su di me, se non vorrai più avere un rapporto con me… sappi che capirò… e ti lascerò andare… »
La mano di Sans tremò fra le sue dita e fu istintivo per lei poggiare la propria sul dorso di quella dello scheletro, cercando di placare quei desolanti e probabilmente giustificati tremori. E quella fu la conferma, perché lui aveva davvero paura di essere allontanato, di essere temuto… e Frisk non capiva perché lei avrebbe dovuto temerlo, quando Sans non le aveva mai dato motivo per avere simili ansie. C’era stato solo un caso, in cui Sans aveva usato la violenza su di lei… e lo aveva fatto perché era stato inevitabile e necessario.
« Sono stata io a costringerti a farmi del male quella volta, non potevi fare altrimenti… e, se tu non lo avessi fatto, nessun altro avrebbe potuto salvare me e salvare tutti quanti… » Fu il suo turno, ora, di cercare gli occhi dello scheletro, per assicurarsi che vedesse la verità nelle sue parole e che la assorbisse, sperando che col tempo la avrebbe poi accettata. « È grazie a te che posso abbracciare ogni giorno la mia migliore amica, che posso ancora vedere i miei altri amici, che sono ancora qui… ancora prima che io credessi in te, sei stato tu a credere per primo in me e io… io me ne sono dimenticata. »
Scosse brevemente la testa, cercando di mettere da parte quei ricordi che stavano di nuovo riemergendo per torcerle l’anima. Era su Sans che doveva concentrarsi adesso, non su sé stessa.
« Ma non accadrà più, non dimenticherò la fiducia che mi desti in quell’occasione. » Proseguì, con un sorriso nuovamente traboccante di serenità. « Non devi temere il mio giudizio, non potrò mai aver paura di te. Qualunque cosa tu abbia fatto, per quanto grave fosse, so per certo che hai almeno provato a rimediare. Lo fai sempre, devi solo imparare a riconoscertene il merito. »
Sans la fissò per parecchi secondi, le luci nei suoi occhi tremolanti di un miscuglio di emozioni difficilmente scindibili. E poi… lui rise, rise tanto fragorosamente che Frisk si sentì quasi stranita da quell’alzarsi di tono nella voce di Sans, sempre bassa e profonda, ma che adesso aveva raggiunto come minimo un’ottava in più. Era surreale, particolare sentirlo ridere così immensamente di gusto, però… non era un suono per nulla spiacevole, anzi, tutto il contrario.
« Dovrai spiegarmi un giorno dove sta il trucco… dove trovate tu e Papyrus la forza e la convinzione per guardare laddove nessuno oserebbe, per… per credere, che c’è sempre del buono in ognuno. »
Frisk increspò le labbra in un sorriso quieto, disteso, una copia molto vicina all’originale tanto bello ma tuttavia inimitabile che le stava di fronte.
« Credere che tutti noi abbiamo il potenziale per essere il nostro miglior noi stessi possibile... solo questo. » Gli rispose, con voce sofficemente ispirata. « È stato Papyrus ad insegnarmelo. »
Sans allargò momentaneamente gli occhi, prima di distogliere lo sguardo dal suo. Le luci nelle sue orbite erano un accenno sfocate, come se stesse riflettendo su qualcosa, qualcosa forse di sfuggevole, o forse tanto intenso da rubare la sua concentrazione per pochi ma sentiti secondi.
« Mi… riesce difficile crederlo, piccola. » Le confessò, un sospiro rassegnato largamente intuibile in quella sua ammissione, che aveva il retrogusto sofferto di una delusione a cui Frisk non seppe assegnare una chiara origine. Forse, lo avrebbe scoperto solo guardando nei ricordi di Sans, perché solo lui poteva spiegarle, lui soltanto.
« Neppure Chara ci riesce, Sans. » Gli disse, cercando di fargli capire che non era lui quello sbagliato, che anche se non era capace lui non poteva essere biasimato per ciò. « È… comprensibile se… se nessuno te ne ha mai dato prova. Non penso si possa conoscere e credere in qualcosa di cui hai ignorato per tanti anni l'esistenza. Non è colpa vostra. »
Si rattristava sempre pensando a quanto Chara doveva aver sofferto in passato per divenire l’anima sfregiata che era all’inizio, piena di un dolore tanto incolmabile e che aveva iniziato a consumarla, a sgranocchiare e strappare ogni pezzo di lei, fino a cancellare quasi del tutto ‘Chara’ e lasciare nient’altro che vuoto, paura, poi rabbia, poi odio… e, infine, profonda, dilaniante sofferenza. Non poteva immaginare una vita così tormentata che neppure Chara stessa era disposta a rivelarle più di quanto non avesse già fatto. Ciò di cui già era al corrente, tuttavia, le era stato più che sufficiente per intuire dove doveva procedere a tentoni con Chara, dove poteva inoltrarsi liberamente e dove, purtroppo, era costretta a fare un passo indietro.
E Sans? C’era stato qualcosa che lo aveva reso tanto sfiduciato, così duro ed implacabile con sé stesso… quel qualcosa che, dietro la maggior parte dei suoi sorrisi, Frisk aveva visto talvolta agitarsi con un’impetuosità vecchia, stanca, sciupata?
« Forse, non lo è… » Udì Sans mormorare e rilasciare il sospiro che la giovane aveva solo precedentemente intuito nel suo tono di voce. « Ma non puoi saperlo per adesso e… non ti mostrerò tutto, ci sono alcune cose che… che non posso farti vedere, per il tuo bene. Capisci, vero? »
Frisk schiuse un poco le labbra, prima di annuire prontamente in risposta.
« Sì, lo capisco... » Mormorò, stringendogli comunque la mano, perché lei era pronta e nessun avvertimento la avrebbe fatta desistere, non ora che era così vicina a conoscere la verità. « Farò del mio meglio, Sans. Cercherò di seguirti ovunque vorrai portarmi. »
Non aveva dubbi sul fatto che Sans avesse visto la determinazione nei suoi occhi. E Frisk seppe cogliere nel suo sguardo che anche lui, pur con tutte le sue insicurezze e paure, era pronto.
La Sintonia si stabilì e la portò indietro, indietro di molti anni, indietro ad un tempo in cui lei non era nemmeno ancora nata.
 

 
 
 
 

Sameko’s side
Ok, ok, per favore, non scannatemi per questo ritardo, vi giuro che l’intenzione era quella di pubblicare per la fine di Ottobre, o al massimo i primi giorni di Novembre, ma ho avuto ( e sto attraversando tutt’ora ) una piccola fase di blocco dello scrittore e non potete capire la fatica e il senso di colpa. ^^”
Parlando della storia in sé ( che sicuramente vi interessa di più ), faremo un salto indietro nel tempo a partire dal prossimo aggiornamento per un po’ di sana backstory so già che qualcuno di voi aspettava da tanto questo momento, non faccio nomi. ;) A proposito di questo, ho una buona notizia e due brutte notizie: la notizia buona è che stavo scrivendo già da tempo l’intera backstory di Sans, mi mancano ancora alcune scene, ma la prima stesura è quasi vicina al suo completamento. I prossimi due o tre capitoli ( vedrò come suddividere in base al conteggio finale delle parole ) saranno dedicati a questo e ad un breve ritorno al tempo presente per chiudere il tutto.
La prima cattiva notizia è che mi trovo davvero in difficoltà sulla decisione del tempo verbale da utilizzare in prevalenza. Sì, sembra una cosa da niente detta così, ma mi sono resa conto che leggere interi capitoli con il trapassato prossimo ( prendete ad esempio la prima metà del capitolo 11 ) potrebbe risultare davvero pesante per il lettore e distaccherebbe troppo da quelli che sono gli eventi che sto descrivendo. Ma, d’altra parte, sento che il passato remoto non renderebbe appieno la sensazione di flashback che vorrei trasmettere. La situazione a grandi linee è questa, e se proprio non riesco a prendere una decisione, sappiate che vi chiamerò a raccolta con un capitolo avviso per fare una votazione. ^^”
La seconda cattiva notizia è che mi riesce davvero tanto difficile buttare giù qualcosa di nuovo in questo periodo e sono qui a chiedervi timidamente un po’ di incoraggiamento in più. ^^" Fate come preferite ( e se avete piacere e tempo di farlo ovviamente ), l’importante è che mi sproniate a darmi una mossa, perché voglio davvero mandare avanti questa storia, ma se faccio fatica a scrivere capite che mi casca tutta la baracca. XD Spero comunque di ritrovare in tempi ragionevoli la giusta ispirazione, se ci sarà un'altra assenza prolungata da parte mia, almeno saprete a cosa è dovuta.
Per questo angolo autore ho finito, ci si sente per il prossimo capitolo!
Baci!
 
Sameko

 

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Capitolo 26
*** Capitolo 25: Perché sono ciò che sono - Parte Uno ***



Capitolo 25: Perché sono ciò che sono - Parte Uno





Il suo primo ricordo, vivido abbastanza da poter essere rievocato, risaliva ai tempi in cui lui era ancora un bimbo. Non aveva idea di quanti anni potesse avere, ma doveva essere ancora molto piccolo, perché il mondo che quella memoria gli stava descrivendo era enorme e spazioso, gli oggetti sembravano tutti molto più grandi di quanto li ricordava… solo un bambino di pochi anni avrebbe potuto avere una percezione tanto distorta dell’ambiente in cui si stava muovendo, in cui stava correndo, per sfuggire ad un misterioso inseguitore. Il bimbo si era nascosto dietro al divano del soggiorno – il soggiorno dell’appartamento nella capitale, la sua vecchia casa –, e si era raggomitolato su sé stesso, cercando di sfruttare al meglio lo spazio offertogli dal suo nascondiglio.
Una voce sfumata dal tempo era percepibile come un eco di sottofondo nel ricordo, così tanto invecchiata e sgranata dagli anni che non fu possibile né a lui, né a Frisk distinguere le parole che essa stava pronunciando... ma Sans riusciva a percepire nello spettro delle emozioni della ragazzina il barlume del riconoscimento, la sensazione di aver già udito quella voce da qualche parte, la sensazione di avere la risposta proprio sulla punta della lingua
Lo scheletro scelse di restare in silenzio, di non fornirle la soluzione che lei stava cercando; la piccola avrebbe fatto il collegamento da sola presto o tardi, rendendo un suo prematuro intervento completamente innecessario. Il pensiero di questa inevitabilità lo rese malinconico, come se… se desiderasse non vedere mai la scintilla della realizzazione accendersi nell’animo di lei – ma sapeva che non gli sarebbe stato possibile impedirlo, lo aveva saputo sin da quando le aveva preso la mano e dato inizio al loro legame.
La voce si fece più vicina e la tensione divampò come un fuoco nella giovane anima del bambino che un tempo era stato.
Due mani afferrarono quel piccolino per la vita e lo sollevarono in aria, una breve e profonda risata si elevò alle spalle della sua versione in miniatura. Il piccolo Sans si mise immediatamente a scalciare, tentando di sfuggire per un’ultima volta alla cattura, ma la sua continua resistenza non portò ovviamente ad alcun risultato, perché lui era ancora minuscolo in questo ricordo e le mani che lo stavano reggendo erano grandi, forti, decisamente troppo forti per potercisi ribellare contro.
« Preso! » Esultò con ridente soddisfazione la voce, il cui echeggiare era ora decisamente più attenuato rispetto ai secondi precedenti. E il piccolo Sans mise su un broncio infastidito, mentre l’ultima delle sue ribellioni veniva dolcemente sedata dalle mani che stavano avvolgendo con facilità il suo corpicino.
« Non è giusto che vinci sempre tu, papà! » Procedette a protestare a gran voce lo scheletrino, suscitando in tal modo il divertimento di Frisk, che stava guardando intenerita a questa scena, che avrebbe tanto voluto vedere quel broncio infantile se solo una visuale esterna avesse potuto consentirglielo, che era certa sarebbe stato adorabile sul suo faccino tondo da bimbo…
Sans non aveva il cuore di interromperla, nonostante la sua corrente amarezza, la sua malinconia… non aveva il coraggio di rovinare il suo entusiasmo proprio ora, quando ancora erano all’inizio e tutto era intriso di positività, gioia priva delle ombre che avrebbero contaminato i suoi anni futuri… non ne aveva il coraggio, e si tenne per sé quelle sue emozioni, lasciando il ricordo libero di fluire come era necessario che dovesse.
Il piccolo Sans venne posato con amorevole cura sul divano, prima di ricevere una carezza sulla testa dalla figura senza nome che aveva appena chiamato ‘papà’, un gesto atto a riappacificare i due dopo la sconfitta che il bimbo aveva appena subìto.
Solo allora, quando la figura si era abbassata al livello degli occhi dello scheletrino, fu in grado di mostrare a Frisk le fattezze di uno scheletro adulto, un individuo di cui la sua piccola notò con facilità l’evidente somiglianza con lui e Papyrus. Sans sarebbe stato stupito del contrario, ma non poté impedire alla sua anima di stringersi un poco davanti all’estrema, disarmante velocità con cui la ragazzina fu in grado di vedere tutte le varie corrispondenze e di elencarle come per gioco: le orbite erano due larghi ovali nel cui nero spiccavano pupille bianche e luminose – lui –, il volto era allungato e gli zigomi erano sporgenti – Papyrus –, il sorriso si inclinava da un lato piuttosto che dall’altro – di nuovo lui –, la sua altezza era davvero non indifferente – di nuovo Papyrus… e Frisk era felice di adocchiare ciascuno di questi tratti fisici, e Frisk era felice di vedere l’espressione affezionata che suo… c-che lui, quello scheletro, quello scheletro che il piccolo Sans aveva chiamato ‘papà’, stava riservando al suo figlioletto…
Era da parecchio tempo che non usava, né pensava a quella parola, ed era stato quasi sul punto di rompere quello che era divenuto un tabù per la sua mente e per la sua bocca.
Fu in quel frangente che Frisk si rese conto del suo turbamento e la preoccupazione della piccola non tardò di conseguenza a raggiungerlo. Sans, tuttavia, non indugiò nella sensazione e nella volontà della ragazzina di offrirgli un aiuto – non voleva essere fonte di distrazione per la giovane, era importante che lei guardasse quel bambino e quel genitore mentre stavano giocando, era necessario che lei riservasse tutta la sua concentrazione a quella scena.
« Crescerai presto, Sans. Crescerai prima di quanto credi. » Disse lo scheletro adulto, picchiettandogli affettuosamente il nasino e riuscendo nell’intento di spezzare il broncio del piccolino. « E, quando sarà ora, sono sicurissimo che batterai facilmente il tuo papà. »
Il bimbo alzò lo sguardo, allargando gli occhioni in cerca di un’ulteriore conferma da parte del genitore.
« Davvero? »
Il suo papà annuì.
« Davvero. » Confermò, sorridendo allo scheletrino, sorridendo con convinzione e sincerità… e Sans sapeva che parole simili non sarebbero mai corrisposte a realtà, perché non era mai stato in grado di batterlo in combattimento neanche una volta. Sempre a terra era finito e sempre a terra continuava a finire. « Via quel muso lungo ora, o sarò costretto a farlo sparire io stesso! »
Istantaneamente, gli occhi dello scheletrino si erano sgranati in allarme vedendo le mani del suo papà sollevarsi minacciosamente, il sorriso di quest’ultimo aveva assunto una sfumatura a dir poco diabolica.
« Nooo, papà! Il solletico NO! »
Il bimbo venne atterrato facilmente mentre tentava di darsela a gambe, e suo padre prese a strofinare febbrilmente le falangi lungo tutto il suo corpicino inerme; occorsero solo pochi secondi per farlo finire a contorcersi dal ridere sul divano sotto quell’assalto incessante.
« Pa’, baAH AH AH stAH AH! Non ce la ah ah faccio piah ah ah! » Strillò e rise allo stesso tempo il piccolo, cercando di schermarsi il corpo con le manine, difesa che fu del tutto inefficace di fronte ai movimenti esperti del suo assalitore. Fu solamente per miracolosa clemenza del suo papà che quella dolce tortura ebbe fine, e il bimbo venne stretto in un delicato abbraccio appena ebbe recuperato fiato, il gesto non meno amorevole rispetto alle attenzioni che gli erano già state dedicate.
« Ti voglio un mondo di bene, figlio mio. Ricordatelo sempre. »
Il piccolo Sans allungò le proprie manine per abbracciare il collo del suo papà e tuffare il visino in una delle sue larghe spalle, godendo del nido d’amore che quelle braccia potevano offrirgli… braccia che, fino ad allora, non lo avevano mai toccato con l’intento di fargli del male.
« Sì, papà. »
 
I contorni di quell’immagine sfumarono, il calore che da quel ricordo aveva provato invano a filtrare nella sua anima svanì anch’esso. Avrebbe dovuto essere una memoria felice, piena di serenità, ma ciò che lui stava ora provando era solamente triste, rancorosa freddezza – e si rifiutò categoricamente di riconoscere quel lieve tirare dentro di lui come rimpianto.
Frisk era adesso libera di raggiungerlo e di sfiorarlo, per cercare un contatto, una risposta che potesse spiegarle il netto contrasto fra le sue emozioni attuali e la felicità di quella memoria…
Sans… stai bene?
Sans sospirò internamente, mettendo un poco da parte il suo rancore per rassicurarla.
Sì, piccola… sto bene, non preoccuparti… ora riprendiamo… ”
Ci sarebbe stato di peggio più avanti, cose da cui avrebbe dovuto proteggere Frisk al meglio delle sue capacità, e non poteva lasciarsi traviare da un ricordo così innocente eppure inverosimilmente… affliggente. Non poté fare a meno di pensare che, se solo quel bimbo avesse potuto avere una vaga idea di quello che sarebbe stato il futuro rapporto con suo padre, non si sarebbe lasciato avvicinare così facilmente, né si sarebbe sentito a suo agio nel ricevere quei gesti d’affetto e quei suoi abbracci… e non poté fare a meno di chiedersi se c’era davvero stato qualcosa di sincero e reale a legarli in questo distante periodo della sua vita...
 
Nel ricordo successivo, contorni e colori erano più vividi e nitidi del suo predecessore. Doveva essere trascorso qualche annetto dal primo, perché Sans si sentiva cresciuto, non eccessivamente certo, ma non era più un bimbetto che non arrivava nemmeno alle ginocchia del suo unico genitore.
« Sans, guarda qui. » Disse il suo papà, in ginocchio sulla moquette di quello stesso salotto. Fra le sue braccia, vi era un piccolo fagottino di un vivace color arancione. « Sai chi è questo piccolino? »
Sans si sporse ad osservare il bebè ospitato fra le braccia dello scheletro più grande, un’arcata sopraccigliare alzata in palese perplessità. Era uno scheletrino minuscolo, persino più piccolo di lui, il visino era delicato e morbido nei suoi tratti estremamente infantili, le ossicine tanto tenere che sospettava persino un debole colpo avrebbe potuto creparle.
« No…? » Rispose il bambino, dopo averci pensato un po’ su. « Da dove viene? Dove l’hai preso? »
Il suo papà ridacchiò di cuore.
« Beh, è il tuo fratellino, Sans. » Gli spiegò, con un sorriso intenerito. « Non mi dicevi, fino a qualche tempo fa, di volere tanto un fratellino? »
Il viso di Sans, una volta assimilata quella risposta, si accese di profondo e meravigliato stupore.
« È davvero il mio fratellino? » Domandò entusiasta, passando gli occhi dal volto del suo papà a quello dolcissimo del bebè appena arrivato nella loro famiglia di soli due membri. « Come si chiama? »
« Io avevo pensato a Papyrus… » Gli rispose suo padre, al che Sans non poté contenere la perplessità che affiorò sul suo visino.
« Perché Papyrus? »
La bocca del suo genitore si distese in un caldo sorriso davanti alla curiosità che aveva mostrato.
« Perché ha proprio l’aria di un tipetto che pretenderà molte attenzioni. » Replicò, dando un buffetto sulla testa del figlioletto in fasce quando quest’ultimo – Papyrus – lo aveva accarezzato sulla gota ossuta con la manina. « Ma, se non ti piace, possiamo sempre sceglierne un altro assieme. »
« Mi piace tanto, invece! » Non esitò a ribattere Sans. Tutto il contrario, lui aveva adorato quel nome dalla prima all’ultima sillaba pronunciata da suo padre, perché a sua volta aveva trovato quel suono incredibilmente adatto a quel fagottino arancione.
E Sans si sentiva meglio al solo rievocare questo ricordo, viverlo quasi come se fosse ancora bambino, con le emozioni di allora intatte e spontanee ed innocenti – e fu sollevato che, percependo tutto questo, anche la preoccupazione di Frisk si smorzò un poco. Non gli piaceva vederla o sentirla in pensiero per lui, lo sguardo della sua piccola assumeva sempre un alone triste quando accadeva…
« Dovrai prenderti cura di lui al massimo delle tue capacità, lo sai? Un fratellino non è mica uno di quei cucciolotti della Guardia Reale. » Si raccomandò, con tono di ironia, il suo papà. « Avrà bisogno sia di me che di te mentre crescerà. »
Il piccolo Sans assentì con la testa, perché sapeva che un fratellino andava curato, fatto giocare ed aiutato, era stato perfettamente consapevole delle responsabilità che si sarebbe dovuto prendere se solo fosse stato accontentato.
« Lo so, papà. Giuro che lo farò sentire sempre a casa. Sarò il miglior fratello maggiore della storia. » Gli assicurò prontamente, stringendo i pugnetti con sincera decisione. « È una promessa. »
Il suo genitore lo guardò con un sorriso a fior di labbra, evidentemente divertito dall’entusiasmo che aveva sin da subito manifestato una volta appresa la notizia.
Il loro parlottare venne interrotto dal lieve piagnucolio che Papyrus emise, come se avesse voluto comunicare loro che il chiacchiericcio che sentiva non gli era molto gradito. Il bebè strizzò gli occhietti con una leggera smorfia, prima di riaprirli e puntarli ora in quelli di suo fratello, per la prima volta di tante che sarebbero seguite negli anni a venire: erano occhi curiosi e vispi, che avevano scaldato la sua anima da fanciullo come mai era successo prima di allora nella sua ancora breve vita.
Papyrus allungò la manina a toccare il viso del maggiore, con uno spiccato barlume di interesse negli occhi. Sans non si scostò, anzi, assecondò con un sorriso raggiante quel tocco goffo ed incerto. Non trascorsero che pochi secondi quando Papyrus, decidendo forse che quel buffo piccolo scheletro gli andava a genio, si mise a ridere allegro, le guance sfumate da un adorabile color rosato.
Sans sbatté le palpebre meravigliato, prima di unirsi a quella risata, troppo felice di aver ricevuto un dono così grande e prezioso… un dono che avrebbe protetto anche a costo di sacrificare sé stesso.
« Una promessa è per sempre, giovanotto. » Disse il suo papà, carezzando orgoglioso sulla testa entrambi i suoi figli. « Sono certo che saprai mantenerla. »
Inutile dirlo, era stato determinato a mantenerla sin dal momento in cui la aveva espressa con la sua voce che conteneva a stento una traccia della tonalità più bassa che avrebbe acquistato da ragazzo… sin dal momento in cui aveva amato la risata del suo fratellino come aveva amato solamente suo padre fino ad allora.
 
I ricordi successivi erano intrisi di altrettanti e pacifici momenti familiari, di divertimento, di tanto affetto e calore che avevano accompagnato la prima fase di crescita sua e di Papyrus, un periodo che era stato da parte una benedizione per entrambi, ma una maledizione in seguito, perché… perché era sempre stato il metro di paragone tra il prima ed il dopo, il continuo rimando che c’era stato qualcosa di migliore una volta… e che, per chissà quale motivo, ad un certo punto aveva cessato di esistere.
Se avesse dovuto scegliere un momento, un avvenimento in particolare che aveva segnato l’inizio di tutto, Sans ben sapeva purtroppo dove doveva andare e portare anche Frisk con sé.
Doveva aver avuto otto anni, forse si avviava già verso i nove, quando aveva richiamato per la prima volta il suo occhio magico – o, almeno, quella era la prima volta che la sua memoria potesse ricordare.
Stava dormendo quando aveva percepito qualcosa di estremamente insolito, disagioso, uno spostamento innaturale della sua magia che lo aveva allarmato e fatto svegliare di soprassalto.
Non aveva compreso cosa fosse successo allora, l’orbita sinistra gli pizzicava leggermente ma fastidiosamente, la magia all’interno si era condensata in una forma strana, quasi ingombrante se confrontata alla leggerezza dell’energia magica che componeva solitamente le sue pupille.
Si era alzato di getto, barcollando un poco verso il bagno a causa del movimento repentino, e aveva tastato agitato in giro per trovare la maniglia – non riusciva a vedere bene, i contorni delle cose erano terribilmente sfocati.
Una volta davanti allo specchio appeso sopra al lavandino, poté finalmente vedere quella strana concentrazione di magia nel riflesso spossato del suo viso: era un occhio di magia spessa, intensa, di una strana sfumatura azzurra e sfavillante. Era… strano, bizzarro per essere più precisi, non aveva mai visto la magia di nessun mostro prima di allora assumere una simile forma… ma non gli sembrava pericoloso, non ad una prima occhiata almeno.
Si rese conto esaminando più attentamente il suo riflesso di una fievole pupilla bianca nella sua orbita destra, il familiare punto di luce che avrebbe dovuto brillare anche in quella sinistra, ora invece occupata da quel grosso occhio tondeggiante.
Sans provò a spegnere quella debole luce, convogliandone la magia che la componeva nell’orbita opposta. La sua vista migliorò notevolmente quando ebbe finito, l’occhio si era caricato di nuova brillantezza, di un riflesso di giallo tendente al dorato. E il bambino rimase a bocca aperta a quel punto mentre fissava nello specchio il mischiarsi e il leggero turbinare di quei colori tanto vivaci, ogni traccia di sonnolenza sparita.
« Woah… » Sussurrò, un angolo del suo sorriso si spostò spontaneamente verso l’alto. Quella… era davvero una figata
Un’ondata di incuriosito entusiasmo lo inondò dopo quel pensiero. Non vi era più timore da parte sua verso quella novità e nacque così in lui il desiderio irrefrenabile di rendere partecipe qualcuno della sua scoperta. Dimentico dell’orario da folli in cui si era dovuto svegliare, dimentico del fatto che suo fratello e suo padre stavano tutt’ora dormendo, si precipitò in camera del suo genitore e lo chiamò quasi strillando – azione inverosimile da parte sua, visto che era sempre stato un bambino generalmente poco rumoroso.
« Papà, papà! Non crederai mai a cosa mi è successo, guarda, il mio occhio sta brillando, gua- »
« Shhh! » La testa di suo padre emerse con un cipiglio assonnato dalle coperte che stavano avvolgendo lui e il piccolo Papyrus, le sue orbite erano due spicchi in cui facevano a malapena capolino le luci delle pupille. « Sans, fai piano, Papyrus sta dormendo! »
Quel sussurro di rimprovero lo fece subito ammutolire e mettere su un sorriso profondamente scusevole – oltre che un poco imbarazzato.
« Scusa, papà. » Sussurrò a sua volta, avvicinandosi quietamente al lato del letto matrimoniale dove dormiva il suo genitore, quasi in punta di piedi per rimediare al fracasso che aveva fatto in precedenza. « Non l’ho fatto apposta. »
L’altro scheletro si portò un dito davanti alla bocca e Sans impiegò solo l'istante successivo a comprendere il motivo di quel gesto: Papyrus si stava svegliando, il suo viso infantile era contorto in una leggera smorfia, i suoi occhietti pericolosamente strizzati dal fastidio.
Suo padre non perse tempo ad avvolgere maggiormente il suo fratellino con un braccio, accostandolo contro il suo fianco mentre gli accarezzava dolcemente la testa per farlo riaddormentare prima che si svegliasse del tutto.
Papyrus, dopo qualche secondo di rassicuranti carezze, si raggomitolò come un gattino accanto a loro padre, allungando un braccino fino a posarlo sul petto dello scheletro più grande, alla ricerca di un contatto con lui prima di scivolare nuovamente sereno nel sonno.
Suo padre si concesse un sospiro di palese sollievo, strofinandosi stancamente una mano contro il volto nel frattempo che lanciava una breve occhiata alla sveglia posta sul comodino. Sans seguì la direzione di quegli occhi e fu anche lui in grado di leggere l’ora segnata in numeri cubitali e luminescenti: 5:11 am.
Il grugnito esausto del suo papà fu praticamente inevitabile, così come il divertimento che la sua piccola provò nei confronti di tutta quella situazione.
 
Fatico a credere che tu sia passato dalle cinque del mattino all’una del pomeriggio.
Suo malgrado, Sans venne contagiato dalla genuina allegria della ragazzina e si astenne anche in questo caso dal correggerla, chiarire che questa occasione era stato solo un evento isolato ed irripetuto… Frisk stava soltanto cercando di rendergli meno pesante quello che per lui era un duro sforzo emotivo, non voleva che lei fraintendesse e pensasse che le sue accortezze gli erano sgradite.
Eh… non posso dire di non essere sorpreso anch’io dallo sbalzo… ” Replicò, prima che una voce proveniente da quel ricordo li interrompesse.
 
« Sans… sono le cinque del mattino, torna a dormire… »
« Ma… ma il mio occhio, papà… » Gli ricordò Sans, indicandosi eccitato l’oggetto in questione. « Sta brillando, visto? »
Suo padre abbassò la mano dal proprio volto stanco, soffermandosi con lo sguardo sul suo occhio magico, l’alone a tratti azzurro e a tratti dorato che emanava gettava una lieve luce colorata sui lineamenti del suo genitore.
« Lo vedo… ed è stupendo, Sans. » Rispose, l’accenno di un sorriso fece inclinare la bocca dentellata dello scheletro più grande verso l’alto… era un sorriso stanco e pieno di ombre, che il suo sé bambino non era stato in grado di notare – ed erano ombre di cui tutt’ora Sans non riuscì a coglierne la natura esatta. « Lo hai acceso da solo? »
« Sì! Stavo dormendo e quando mi sono svegliato era già così! All’inizio non riuscivo nemmeno a vedere, ho fatto fatica persino a trovare il bagno! » Raccontò con trasporto il bambino, mantenendo comunque un tono di voce contenuto per non disturbare il sonno non ancora profondo del piccolo Papyrus. Il suo entusiasmo subì una battuta d’arresto quando si rese conto di un piccolissimo dettaglio: non aveva idea di come farlo dissipare. « Però… ora come lo spengo? »
Un angolo della bocca di suo padre si sollevò ulteriormente in un movimento divertito, le ombre nel suo sguardo momentaneamente nascoste.
« Devi solo chiudere gli occhi in questo modo. » Lo istruì quest’ultimo, procedendo a chiudere i propri per dargli una immediata dimostrazione. « Inspira profondamente… e poi espira» Un respiro fece alzare ed abbassare gradualmente la cassa toracica del suo genitore. « … lascia la magia libera di disperdersi. »
Sans assentì dopo aver ascoltato attentamente la spiegazione del suo papà. Seguì passo passo quel semplice processo e, quando permise alla magia che si era condensata nella sua orbita di fluire, l’occhio si dissolse e le normali luci bianche che erano le sue pupille tornarono a brillare al loro legittimo posto.
« Bravo, figlio mio. Ce l’hai fatta. » Quel complimento fece caricare di orgoglio infantile il sorriso che rivolse allo scheletro adulto, sorriso che venne in parte ricambiato dal suo genitore, almeno finché lo sguardo sul volto del suo papà non acquistò una sfumatura severa. « Ma sarebbe meglio non mostrarlo in pubblico… questa cosa deve restare solo tra di noi. »
« Perché? » Domandò subito Sans, confuso. Era una cosa bella, era una cosa stupenda, giusto? Se lo era, perché allora avrebbe dovuto nasconderla così come gli stava venendo detto? Non era una richiesta molto sensata secondo il suo modesto ragionamento.
« Perché è una cosa che solo noi scheletri possiamo fare- » Bugia, ringhiò lui contro la dichiarazione di quel ricordo, un ringhio di cui era sicuro che persino la sua piccola aveva percepito l’implacabile rancore. « -e non è saggio condividerla con mostri appartenenti ad una specie diversa dalla nostra. »
Il bambino annuì, accettando senza obiezioni la spiegazione fornitagli da suo padre, ed un nuovo pensiero eccitato sorse nella sua mente.
« Può farlo anche Papyrus, allora? » Chiese, già tremendamente curioso circa il possibile colore con cui l’occhio magico del suo fratellino avrebbe potuto manifestarsi
Il suo papà scosse la testa, interrompendo troppo prematuramente quelle sue fantasie.
« No, lui non potrà farlo… per questo non dovrai mostrarlo nemmeno a lui… tuo fratello potrebbe restarci male. »
La delusione calò velocemente sull’espressione del piccolo scheletro, che aveva così tanto sperato invece nelle risposta contraria, perché sarebbe potuto essere un segreto che avrebbe condiviso volentieri con suo fratello minore… ma un’altra idea non tardò a ravvivare il suo precedente entusiasmo.
« E tu, papà? Tu puoi farlo? »
Il suo genitore lo osservò per qualche istante con uno sguardo assorto, pensoso… come se stesse riflettendo su qualcosa che non gli era stato concesso sapere a quei tempi, che non gli era concesso sapere nemmeno adesso.
Al termine di quello scrutare, le palpebre di suo padre si abbassarono, fremettero a contatto con il bordo inferiore delle sue orbite, prima che sottili fila di magia viola iniziassero a sfuggire come serpentelli da sotto di esse.
« . »
Sans non poté fare a meno di ammirare rapito gli occhi magici del suo papà quando gli vennero mostrati nel buio di quella stanza. Erano di un viola vibrante, magnetico, e le volute di magia che rilasciavano ondeggiavano disegnando archi ipnotici nell’aria, con la grazia di una fiamma e la fluidità che dovrebbe essere propria solo dell’acqua.
« Ne hai due. » Fu il suo unico commento, mentre il suo sorriso si allargava costantemente man mano che i suoi secondi di silenziosa osservazione si protraevano. Erano due, ed erano bellissimi, e l’altro scheletro parve intuire l’apprezzamento che aveva mentalmente espresso, perché le estremità della bocca di suo padre si distesero in un sorriso rilassato.
« Questo sarà il nostro segreto, va bene? » Si raccomandò ancora una volta e Sans annuì contento – contento di avere la possibilità di condividere una cosa tanto bella almeno con suo padre… quanto era stato ingenuo a dargli ascolto, a rispondergli con un fiero e complice Sì, papà, per poi tornare a letto con la sensazione di aver rinforzato il loro legame padre e figlio… quando, invece, era accaduto esattamente il contrario.
Piccolezze erano state allora, quando non era ancora in grado di badare a sé stesso – figuriamoci a Papyrus –, ma col tempo erano divenute molto più che semplici piccolezze… come, ad esempio, suo padre che era rientrato a casa con qualche minuto di ritardo, con mezz’ore di ritardo, con ore di ritardo… fino a che lui e suo fratello erano giunti al punto di non vederlo per uno, o due giorni di fila. E alla fine Sans, sulla soglia dell’età adolescenziale, si era ritrovato a costituire per Papyrus l’unico punto fermo del suo mondo. Non ne aveva fatta una colpa a suo padre, non subito, perché aveva sempre cercato di razionalizzare, di convincersi che uno scienziato di grande fama come lui aveva i suoi impegni, le sue responsabilità, e che quello era solo un periodaccio per tutti loro come famiglia... ma persino le figure più importanti dell’Underground – il re e la loro regina ormai scomparsa – avevano trovato il modo di adempiere ai loro doveri ed impegni e, contemporaneamente, prendersi cura dei loro figli… perché loro padre, al contrario, non poteva fare altrettanto?
Quando aveva all’incirca l’età di Frisk, aveva lasciato la scuola con l’intenzione di lavorare con suo padre giù al laboratorio in qualità di suo assistente ufficiale. Gli erano sempre piaciute le scienze, le sperimentazioni e i progetti lasciati a volte in giro per casa da suo padre, che sin da bambino aveva letto affascinato seppur con le sue limitate capacità linguistiche – e, tra questi, gli erano capitati in mano un giorno gli appunti riguardanti un legame chiamato ‘Sintonia’, ma gli erano stati purtroppo sottratti prima che avesse potuto leggerli del tutto. Il lavoro del suo genitore come scienziato reale aveva solo potuto favorire queste sue particolari inclinazioni e le sue visite al laboratorio erano divenute talmente frequenti che era riuscito a farsi amici da un bel pezzo i collaboratori di suo padre, il famoso e brillante Dottor Wing Ding Gaster, stimato in tutto l’Underground per la ben riuscita costruzione del Core, inesauribile centrale d'energia per i mostri.
Nello stesso periodo in cui aveva messo su il suo primo camice – ne avrebbe persi in giro in quantità industriali negli anni a venire –, una giovane ragazzina-mostro aveva umilmente chiesto di poter essere presa per qualche mese come stagista. Quella ragazzina-mostro, dagli occhiali grandi e tondi e persino più impacciata di lui nel suo camice troppo largo, era proprio una giovanissima ma già brillante Alphys, con cui Sans non aveva faticato sin da subito ad andare d’accordo.
Quando iniziò il suo incarico come assistente, i primi mesi trascorsero in relativa pace, lui svolgeva le mansioni che gli venivano assegnate, apprendeva ciò che c’era da apprendere sotto la guida di suo padre e dei suoi colleghi, tornava a casa e si occupava diligentemente di suo fratello… e si era così concesso il lusso di pensare, sperare, che il periodo difficile sarebbe presto finito e che nel loro appartamento si sarebbe potuta respirare un’atmosfera familiare più armoniosa, perché trascorrendo del tempo con il suo genitore aveva almeno potuto fargli implicitamente presente che avevano bisogno di lui a casa… finché giunse il giorno in cui suo padre gli chiese di aiutarlo in un differente tipo di ricerca.
« Sans, sei l’unico dei miei collaboratori verso cui nutra abbastanza fiducia per assistermi in questo compito. » Gli disse Gaster, il tono di voce era quello di una confessione che era stata espressa con difficoltà, che alle spalle sembrava nascondere ore di intensa riflessione.
Sans gli rivolse uno sguardo stranito, sorpreso da quanto stranamente bisognosa era suonata quella dichiarazione, che stonava incredibilmente con l’atteggiamento sempre controllato di suo padre.
« Quale compito, pa’? » Domandò, con cauta perplessità.
Lo scheletro adulto abbassò le palpebre e sospirò sommessamente.
« Le nostre telecamere hanno intercettato poco fa un umano nella zona di Waterfall… pensiamo sia penetrato nell’Underground durante la notte e la sicurezza non è stata accorta nel notarlo in tempo. »
Sans deglutì piano e silenziosamente, esterrefatto dalla notizia ma mancante del coraggio per interrompere – a giudicare da quanto grave si era fatto il tono dello scienziato, pensò che ascoltare sarebbe stata la cosa più ragionevole da fare.
« Fino ad ora, mi sono sempre occupato io per conto del re di queste… visite sgradite. Ma gli umani non sono creature facili da sconfiggere e un mostro da solo può difficilmente abbatterne uno. Ciò di cui avrei bisogno, dunque, è un compagno che possa assistermi se si dovessero verificare altri casi simili. »
Il giovane scheletro comprese, dopo quell’ultima precisazione, la ragione dietro cui suo padre gli stava chiedendo di collaborare con lui sia adesso che probabilmente in futuro ( il cercare di svolgere quel compito affidatogli dal re stesso con maggiore sicurezza ed efficienza ). D’altronde, era risaputo che gli umani erano esseri potenti e temibili, suo padre gli aveva persino rivelato cosa li aveva resi tanto pericolosi e inarrestabili, cosa aveva consentito loro di rubare il sole ad un’intera razza. Concordava sul fatto che non era per nulla saggio imbarcarsi in un’impresa simile da soli… ma c’era una domanda che stava continuando a sbattere negli angoli della sua mente, una domanda che non poteva evitarsi di esternare.
« Perché io, papà? Ci sono mostri molto più forti di me, io sono debole confronto a loro… »
« Sans… » Lo interruppe Gaster con un leggero ammonimento, abbassandosi a livello dei suoi occhi. « Non potrei fare affidamento su nessun altro che te. Sei mio figlio, ho istruito te e tuo fratello sin da quando eravate piccoli per consentirvi di utilizzare al meglio la vostra magia… e non importa se non ti ritieni abbastanza forte per aiutarmi, perché io la penso diversamente. Hai un potenziale enorme dentro di te, che se sviluppato a dovere ti renderà più potente di quanto tu possa mai immaginare. Io te lo mostrerò… io ti insegnerò ad utilizzarlo. » 
Sans ascoltò ad occhi sempre più larghi suo padre, non avendogli sentito pronunciare un simile numero di parole incoraggianti da… non ricordava nemmeno quanto. E seppe, prima ancora di rispondere, che non avrebbe potuto rifiutarsi, non con quel tono di voce, nemmeno se non si sentiva all’altezza del compito… nemmeno se l’idea di affrontare un umano a viso aperto lo intimoriva non poco.
« Ok… ti… aiuterò, papà. Lo farò… » Disse e vide un’espressione visibilmente più distesa comparire sul volto dell’altro scheletro.
« Grazie, Sans. Ti devo un enorme favore. » Lo ringraziò lo scienziato, ma Sans scosse prontamente la testa in risposta.
« Papà, non mi devi nulla… l’unica cosa che vorrei è… » Prendendo coraggio, Sans fu finalmente in grado di porgli la richiesta che per mesi era stata uno dei suoi chiodi fissi. Ora, sembrava un buon momento per renderla nota a suo padre. « Per favore, dopo che abbiamo finito con questo, puoi prenderti la giornata libera e stare con me e Papyrus a casa? Lui… lui vuole vederti così tanto »
Il suo papà lo aveva ascoltato con un accenno di dispiacere nelle orbite, che era stato in grado di convincerlo della consapevolezza di Gaster in merito alle sue mancanze come genitore… ma lui non era più quel Sans, e fu con irritazione e scetticismo che osservò l’espressione di quel demone… quasi non si rese conto del quieto strisciare d’ansia che cominciò ad insinuarsi nell’animo di Frisk – e come poteva biasimare quell’emozione, se la piccola aveva appena sentito quel padre e quel figlio pianificare tanto tranquillamente di uccidere uno dei suoi simili e barattare il successo di un tale atto per una cosa così frivola, se paragonata alla perdita di una vita.
« Certamente, Sans. Te lo prometto, chiederò al re e ai suoi funzionari un permesso… non sarà tutta la giornata probabilmente, ma almeno per una metà si potrà fare qualcosa. » Gli assicurò Gaster, inclinando leggermente gli angoli della bocca dentellata verso l’alto… Sans non poté sopprimere la stilettata di dolore che gli trafisse l’anima quando Frisk notò distrattamente quanto il suo modo di sorridere fosse indubbiamente somigliante a quello dello scienziato reale. Sapeva che a causa della loro parentela era condannato ad avere su di sé alcuni dei tratti somatici di quel demonio, ma la consapevolezza di ciò non lo aveva mai aiutato ad accettare quell'inevitabile somiglianza.
Dopo quella conversazione, si erano recati senza attendere oltre sul luogo dell’ultimo avvistamento dell’umano. Strada facendo, Gaster gli spiegò per filo e per segno cosa avrebbero dovuto fare, quale sarebbe stato il suo ruolo e molte altre direttive che avrebbe dovuto seguire ciecamente per la buona riuscita dell’incarico. Sans ascoltò suo padre mentre raccontava di come gli fosse stato possibile sconfiggere ben due umani grazie alle informazioni che aveva raccolto grazie alla sua personale esperienza in battaglia e a quella del re, il quale aveva recuperato solamente la prima delle tre anime in loro possesso – l’anima della sua figlia umana era andata purtroppo perduta anni prima, in seguito della fuga della regina dal Palazzo Reale. Le sue sperimentazioni durante le battaglie e sulle anime sia di Chara, che degli altri umani, avevano consentito a Gaster di scoprire il cruciale punto debole di ogni essere umano: la perdita della loro stessa determinazione. La DT, la misteriosa sostanza che consentiva di alimentare la determinazione, sarebbe comunque rimasta ad impregnare le loro anime, ma sarebbe stata resa completamente inutilizzabile una volta fatto ciò. Senza il collaborare tra le due, gli umani non potevano più accedere ai poteri temporali di cui disponevano e la loro eliminazione diveniva così accessibile a qualunque mostro… ma non tutti i mostri possedevano le capacità, lo spirito d’osservazione e la tempra necessarie per distruggere emotivamente un essere umano e fargli così perdere il controllo sulla sua DT.
Gaster, abile sia nel suo lavoro di scienziato quanto sul campo di battaglia, era stato l’unico all’infuori di Asgore dotato di simili conoscenze e capacità all’epoca, che aveva poi passato a lui, al figlio che era ancora un ragazzino troppo piccolo per portare il peso che simili informazioni comportavano.
L’umano che avrebbero dovuto affrontare li incrociò nel bel mezzo di quella spiegazione; era una bambina, di dieci anni o poco meno, con un tutù rosa, le scarpine da ballo sporche del fango della palude, e l’espressione tanto smarrita per il suo vagare senza meta in quelle caverne buie…
 
E Sans interruppe bruscamente il ricordo, perché non era necessario proseguire, perché sarebbe stato insensibile e crudele nei confronti della sua piccola mostrarle qualcosa di tanto barbaro – qualcosa che sarebbe uno spietato promemoria di ciò che era avvenuto troppe volte in quel corridoio.
 “ Sans? ” Chiamò immediatamente Frisk, quasi spaventata dal suo intervento tempestivo.
“ Non hai bisogno di vedere oltre, piccola. ” Le spiegò perentorio, al punto che non avrebbe accettato nemmeno una replica a riguardo – questa era una di quelle cose che non le avrebbe mai fatto vedere, MAI.
Dalla parte della ragazzina non gli giunse nessuna emozione per parecchi secondi… e poi… percepì con una fitta di rimorso l’emergere di una sconsolata consapevolezza… non vi era nemmeno un barlume di speranza che la sua piccola stesse riservando verso la sorte di quella bambina.
“ Avevo trovato le sue scarpette e il suo tutù durante una delle mie prime linee temporali… ” Gli rivelò Frisk, confermandogli – come purtroppo temeva – che c’era una ragione ben più precisa del numero delle anime in loro attuale possesso a renderla così rassegnata e incapace di sperare. “ Mi… mi sono sempre chiesta di chi fossero, perché fossero stati abbandonati…
Sans non seppe risponderle in alcun modo – non c’erano risposte adatte da dare, e c’era troppa colpa dentro di lui, troppo rimpianto, rimorso e il familiare disgusto verso sé stesso. E, alla sua vecchia colpa, si aggiunse anche quella di aver permesso alla sua piccola di ritrovare i vestiti che erano appartenuti ad una bambina morta – la bambina che lui aveva contribuito ad uccidere.
I ricordi risalenti a quella stessa giornata furono quasi fastidiosi per lui da rivivere dopo quella breve interruzione.
 
Come era stato loro promesso, i due fratelli-scheletro trascorsero l’intero pomeriggio con il loro papà, passeggiando per le vie di New Home ad osservare locali e negozietti e, verso sera, preparando le lasagne della cena tutti assieme, disastri e ingredienti discutibili annessi. Giunta l’ora di andare a dormire, un euforico Papyrus chiese innocentemente a Gaster di leggere loro la favola della buonanotte, Peak-a-boo-with-fluffy-bunny, che quando erano bambini aveva sempre rappresentato un must per loro, senza cui il sonno non sarebbe giunto tanto facilmente. La risposta dello scienziato fu un commento affettuosamente divertito sul fatto che fossero ormai entrambi troppo cresciuti per questo genere di cose, ma non per questo si rifiutò di accontentare il minore dei suoi figli. Terminato anche quel rituale vecchio di anni, quella giornata arrivò alla sua conclusione. E Sans sorrise guardando Papyrus crogiolarsi nell’ultimo abbraccio con cui loro padre gli diede una serena buona notte… l’entusiasta Ti voglio bene papà di suo fratello, tuttavia, fu solo un rumore di sottofondo confronto all’eco dell’urlo agghiacciante che lo fece in quel momento rabbrividire, un urlo che era risuonato solo nella sua testa e che rimase inudito da chiunque eccetto lui.
L’indomani, i ricordi di ciò che era accaduto con quell’umano, immagini che danzavano come fantasmi maligni nel suo cranio, gli stavano impedendo di concentrarsi come doveva sul suo lavoro. I fogli pieni zeppi di dati di archiviare giacevano come foglie morte sulla scrivania di suo padre, le parole divenivano una foschia grigia ogni volta che si distanziava dal suo compito e rivedeva… rosso, così tanto rosso come non ne aveva mai visto, e risentiva il riecheggiare di suoni che avrebbero dovuto essere parte di un incubo, non di un vissuto reale
E Gaster se ne rese ovviamente conto, notò il suo essere con la testa altrove, molto altrove, di nuovo nelle caverne di Waterfall e con l’umido delle cascate fastidioso come sudore sulle sue ossa.
« Sans. »
Sans alzò il capo e raddrizzò la schiena contro lo schienale della sedia, un po’ allarmato dal sentire una certa severità nel tono dell’altro scheletro.
« Sì, papà…? »
Gaster lo studiò intensamente una volta che i loro sguardi si incrociarono – lo intuì dall’aggrottarsi delle sue arcate sopraccigliari che suo padre lo stava studiando –, per poi mitigare leggermente la sua espressione, come se non avesse voluto rivolgersi a lui con tanta durezza.
« Sei distratto. » Constatò e Sans non provò nemmeno a negarlo, perché sapeva che l’altro mostro non avrebbe apprezzato di essere contraddetto. Annuì in risposta, e un angolo della bocca di suo padre si strinse leggermente in seguito a quella conferma. Gaster si allontanò dalla bocca la sigaretta che stava fumando, soffiando via una discreta quantità di fumo prima di parlare nuovamente. « Su cosa stai riflettendo? »
Il giovane distolse di proposito lo sguardo, stringendo leggermente i denti del suo sorriso. Non… non sapeva se a suo padre avrebbe fatto piacere udire i pensieri che dal giorno precedente continuavano a presentarsi non voluti nella sua testa, a restare in agguato ai margini della sua coscienza ogni volta che tentava di ignorarli. Sarebbe stato visto di malocchio se avesse detto… sarebbe stato rimproverato se avesse osato esprimersi…?
« I-io… » Prese coraggio con un sospiro e riuscì così a proseguire. « Papà… ciò che abbiamo fatto ieri… ciò c-che… era d-davvero la cosa giusta da fare? »
« Perché me lo stai chiedendo, Sans? »
Non poteva vedere il volto di suo padre in questo momento, il solo pensiero di farlo lo faceva deglutire malamente, perché il solo pensiero lo intimoriva un poco… forse, più di un poco, soprattutto se la fredda indifferenza con cui Gaster aveva ucciso quell’umano si ripresentava molesta alle porte della sua memoria. L’umano era piegato in ginocchio, aveva pregato per la sua vita, e suo padre ne aveva comunque trafitto il fragile corpicino con un osso, che era stato violento come la lama di una spada nel trapassare tessuti di ogni genere in un susseguirsi di assordanti strappi. Un gemito che era stato un gorgogliare di rosso – rosso scuro e viscido e maleodorante – era stato emesso da quell’umano prima che spirasse senza nemmeno più lottare. Ha già lottato in altre linee temporali, gli aveva spiegato suo padre, mentre si accingeva a recuperare l’anima che avevano raccolto – Blu, il colore dell’Integrità – e a rimuovere quel corpo ormai senza vita dalla picca ossea che lo aveva impalato. Ma si è arreso, perché ha capito che non avrebbe avuto possibilità contro di noi. Abbiamo fatto un ottimo lavoro.
E Sans aveva guardato a quegli avvenimenti turbato, con una quieta sensazione di disagio, di disgusto, di t-timore… timore come ne aveva adesso.
« Quell’umano e-era… era così… piccolo… sono tutti così p-piccoli? » E indifesi, e così facili da infilzare con una delle loro ossa, e così miserevoli quando piangono e quando soffrono? Erano diversi da lui, erano diversi da suo fratello e da suo padre, erano diversi se comparati a qualunque altro mostro, m-ma… quell’umano aveva pianto, aveva pianto come qualunque altro mostro avrebbe pianto se fatto spaventare o ferito… non potevano essere così diversi dai mostri, se piangevano e provavano dolore esattamente come loro… « E-era… aveva cattive intenzioni, giusto? »
Solo silenzio giunse dalle parti di suo padre, un silenzio da cui Sans non si sentì molto rassicurato, che si protrasse finché non udì la carta bruciata della sigaretta venir schiacciata quasi con forza contro il portacenere sulla scrivania.
Alzò il capo non appena sentì quel rumore e fu così in grado di notare l’assottigliarsi graduale degli occhi dell’altro mostro.
« Non dovresti pormi una domanda del genere, Sans. » Gli disse lo scienziato, il tono che sfiorava la durezza di un minaccioso avvertimento. « Sai benissimo di cosa sono capaci gli esseri umani, cosa ci hanno fatto secoli fa per avidità e superbia. E ora… » Lo scheletro più alto strizzò le palpebre, come se stesse tenendo a freno un divampare di irritazione e Sans ne fu sbalordito, e quasi intimorito quando vide suo padre incedere bruscamente verso di lui. « Ora… ora sei qui, qui che cerchi di applicare la moralità di un mostro su un umano, su quelli che sono i tuoi nemici naturali? »
Sans schiuse un poco la bocca, rimasto di stucco davanti a quella reazione, ma non per questo disposto a demordere.
« Ma non sappiamo perché era qui, non abbiamo nemmeno provato a parlare! » Replicò, cercando di ignorare quella parte di lui che lo stava avvertendo, che gli stava intimando di non rispondere e starsene zitto.
« Bene, Sans. » Disse lentamente suo padre, con un ringhio così palesemente soppresso nella voce. « La prossima volta non interverrò quando un umano tenterà di ucciderti, vi lascerò parlare, e non interverrò nemmeno quando ti mozzerà il collo- » L’indice di suo padre tagliò l’aria vicino al suo osso cervicale, facendolo malamente sobbalzare. « O quando ti trapasserà l’anima con una lama. »
Il picchiettare brusco di quello stesso indice contro la sua cassa toracica, nell’esatto punto in cui si trovava la sua anima, fece trasalire il giovane scheletro, un brivido freddo, gelato, gli percorse angosciosamente la colonna.
« S-smettila! » Gridò, allontanando incattivito e spaventato quella mano da sé, e si ritrasse contro lo schienale della sedia quando suo padre si chinò con uno scatto su di lui.
« Pensi che un essere umano la smetterebbe se glielo dicessi?! »
Sans spalancò gli occhi vedendo gli angoli di quella bocca dentata che fremevano dalla rabbia, mentre quelle orbite ridotte a spigoli lo stavano fissando con una punta di oh così percepibile disprezzo. Gli fece male vedere una simile emozione nello sguardo di suo padre, lo fece sentire inadatto, sbagliato, e dispiaciuto di aver detto qualcosa degna di essere trattata con rancore e disgusto.
« I-io- mi dispiace, n-non v-volevo- »
« No, non ti dispiace abbastanza, Sans. » Lo interruppe e contraddisse Gaster. « E sai perché non ti dispiace abbastanza? »
Il giovane scheletro scosse la testa con brevi scatti frenetici, le mani premute contro il suo stesso petto, ansante e improvvisamente quanto fastidiosamente compresso – quando se le era portate lì in alto, come a difesa di uno dei punti più delicati del suo corpo?
« Perché ciò che hai detto non avrà conseguenze, perché ai tempi in cui re Asgore aveva ufficialmente riaperto le ostilità con gli umani queste esatte parole ti sarebbero valse un paio di manette ai polsi e chissà quante tribolazioni da parte mia per convincere la Guardia Reale a rilasciarti, a convincerli della mia buona fede. Persino io non potevo azzardarmi ad essere in disaccordo con Asgore, pensi forse che l’essere figlio dello scienziato reale e i tuoi miseri quindici anni ti avrebbero evitato ripercussioni?! »
Sans si ritrasse ancora di più contro lo schienale, schermandosi il viso dallo shock, dalla vergogna di vedere suo padre così furioso con lui e di essersi volutamente attirato addosso le sue ire, e paura, paura dello scenario che gli stava venendo descritto e che si sarebbe certamente realizzato se solo fosse nato molto, molto prima e… e-e pianse, pianse per tutto questo insieme di dolorose emozioni, pianse come quell’umano, che si era inginocchiato davanti a suo padre accettando la sua morte prossima, e pianse per quell’umano e per la fine per nulla caritatevole a cui era andato incontro, e non riusciva a smettere ora che aveva iniziato.
« M-m-mi d-dispiace, m-mi dispiace, scu-scusami, s-scusami, h-hai ragione p-papà, scusam-mi »
Non sapeva come esprimere con più convinzione di così il suo dispiacere, quanto male si sentisse, quanto volesse non aver detto nulla e quanto volesse suo padre lontano e più calmo, più composto, più sé stesso, perché suo padre non gli aveva mai inveito contro prima d’ora, non lo aveva mai fatto!
Due braccia lo raccolsero, lo attirarono contro un petto largo e tremolante, lo circondarono completamente e facilmente lo abbracciarono. Sans ne riconobbe il loro contatto, il peso particolare di quelle ossa sulle sue, il profumo di pulito che i camici di suo padre sempre emanavano, perché suo padre amava avere le proprie cose pulite ed in ordine e-e… ed era suo padre che lo stava abbracciando ora, che lo stava abbracciando forte, persino dopo che Sans aveva visto il disprezzo nei suoi occhi ed udito la rabbia nella sua voce.
« Mi dispiace… » Fu tutto ciò che gli venne detto, col tono di una confessione torturata, mentre quelle braccia lo stringevano, mentre lui piangeva ancora per troppe ragioni in una sola volta e la testa e la sua anima erano in subbuglio e le ossa gli tremavano. Allungò le sue, abbassò e affondò il viso contro il petto dello scienziato, per ritagliarsi un angolo nel corpo premuto contro il suo che potesse celare le sue lacrime – mai in tutta la sua vita aveva provato l’impulso di nasconderle al mondo, di nasconderle come qualcosa di riprovevole e sciocco.
L’argomento non saltò più fuori da quella volta, divenne un tabù inespresso tra di loro, un territorio che non poteva essere esplorato senza gravi incidenti, senza rischiare di sbagliare e ferire.
Tre anni dopo, loro padre era divenuto più distante che mai e Sans non poté far altro che accettare la situazione così com’era, cogliere gli aspetti positivi e non badare a quelli negativi perché, se non si fosse dimostrato forte lui per Papyrus, chi lo avrebbe fatto?
Fra le domande più scomode che suo fratello gli aveva posto negli anni, una delle peggiori giunse inattesa proprio in quel periodo.
« Sans… papà non mi vuole più bene, v-vero? » Gli chiese Papyrus, la sua voce insicura lo aveva raggiunto mentre era di spalle, impegnato a lavare i piatti del pranzo nel lavello. Sans si voltò, momentaneamente preso in contropiede da quell’interrogativo che assomigliava più ad un’amareggiata affermazione. La delusione che poté scorgere nello sguardo del minore venne rimpiazzata in un attimo dalla forza d’animo che il suo fratellino aveva sempre posseduto e che non aveva mai mancato di farlo sentire nettamente inferiore a lui. « Non ti devi più preoccupare per me, fratellone. Ci sono arrivato da solo, finalmente. »
Sans rimase immobile per qualche secondo, in mancanza di qualcosa da dire che non suonasse come una palese bugia… ed il suo primo istinto fu quello di abbracciare suo fratello, non seppe se per consolare più sé stesso che Paps… forse, per consolare entrambi, perché se Papyrus era infelice, Sans lo era ancora di più.
« Paps, non è così che stanno le cose, ok? Solo perché è lontano, n-non significa che non ti voglia bene » Gli disse, tentando di rassicurarlo con le parole più credibili che aveva a sua disposizione – e temette, temette così tanto di non esserci riuscito, perché era anche lui deluso e scoraggiato dal comportamento ingiustificabile di loro padre. Come potevi in fondo rassicurare un ragazzino, specie se era tuo fratello, sulla buona fede di una persona che diventava sempre più lontana ogni giorno che passava? Nemmeno lui poteva riempire quella sedia che restava vuota ad ogni pasto, nemmeno lui poteva ignorare la presenza di una porta nel corridoio che era quasi sempre chiusa… non poteva cancellare quei segni che provavano quanto falsa fosse stata la consolazione che aveva offerto a suo fratello.
Papyrus si lasciò coccolare a lungo dalle sue braccia, bisognoso dell’affetto familiare che nessun altro a parte suo fratello maggiore poteva oramai offrirgli. E Sans notò distrattamente quanto il suo fratellino stesse crescendo, quanto lo sentisse meno piccolo nella sua stretta. Paps lo aveva quasi raggiunto in altezza ed erano ben cinque gli anni che li separavano…
« Ti sei alzato molto questo mese, Paps… » Sussurrò, dopo essersi scostato un poco dal minore, sicuro che quella constatazione avrebbe fatto piacere allo scheletro più giovane… e sperando, allo stesso tempo, che sarebbe servita ad allontanare l’argomento spiacevole che loro padre rappresentava. « Sapevo che non saresti rimasto un tappo come me. »
Papyrus sghignazzò un poco, l’ilarità che aveva impresso in quel commento era servita fortunatamente allo scopo, quello di rallegrare il raggio di sole che era suo fratello per lui.
« Se ti ingozzi di ketchup e patatine, è normale che resti tappo, Sans. Quel distributore giù al laboratorio sarà la tua rovina. » Gli rispose il minore, inarcando le arcate sopraccigliari in un’espressione di finto rimprovero. « Una sana alimentazione dovrebbe venire prima di tutto il resto! »
Sans mise su un sorriso scusevole, che già da solo fu capace di comunicare la prevedibile risposta che avrebbe fornito.
« Troppo pigro per questo genere di cose, Paps. »
Era solo quando si trattava di Papyrus che si rimboccava le maniche e si dava da fare, quando si trattava di sé stesso perdeva automaticamente la voglia di fare qualunque cosa, persino la più semplice o la meno impegnativa.
Suo fratello roteò gli occhi come di solito faceva quando gli replicava in quel modo e pensò di essere riuscito a distogliere con successo l’attenzione del più piccolo dall’argomento iniziale… si era sbagliato alla grande purtroppo.
« Grazie per avermi rassicurato, Sans. Non dubiterò mai più di papà, lo giuro! » Proclamò Papyrus e una fiducia incrollabile come una montagna tornò a rifiorire nelle sue orbite, un’emozione a cui Sans guardò con un sincero orgoglio ma silenziosa tristezza. Un lampo impensierito si fece tuttavia largo sul viso di suo fratello. « Ma… se io ho avuto dubbi… significa che anche papà potrebbe avere pensieri simili su di me, magari in questo preciso momento! »
Sans sbatté le palpebre, perplesso inizialmente dal ragionamento di Papyrus, ma non poté evitarsi di ridacchiare davanti alle straordinarie capacità del suo fratellino di affrontare a testa alta qualunque dispiacere o difficoltà. Non era il più giovane dei due quello che necessitava di tante consolazioni, dopotutto.
« Oh no, Sans! Devo fargli assolutamente sapere che io gli voglio ancora bene! Ma come posso fare?! » Esclamò Papyrus, quasi sudando freddo.
« Oh… uhm… che ne dici di un bel disegno, eh? » Propose Sans, passandosi più volte e nervosamente una mano sul retro del cranio. « È da un po’ che non gliene fai uno, no? »
L’espressione del ragazzino si accese istantaneamente di gioia, sollievo e mille altre emozioni diverse udendo il suo suggerimento.
« Sì, è perfetto, Sans! Grazie per l’idea! » Lo ringraziò il suo fratellino, abbracciandolo forte fin quasi a togliergli il respiro e strofinando leggermente i dentini sulla sua guancia in un dolce buffetto.
Sans rise di cuore di fronte all’esuberanza senza fine del minore, il vero fratello maggiore tra i due, perché riusciva sempre in qualche modo a rincuorarlo e a tirarlo su di morale ogni qualvolta, tornato a casa, trovava un appartamento che sarebbe stato vuoto e privo di colori senza la presenza fondamentale del suo adorato Paps.
Papyrus non perse un secondo di più e, carta e colori alla mano, cominciò a disegnare, concentrandosi per una serata intera unicamente sull’importante missione di recapitare quel messaggio.
Il giorno seguente, Sans consegnò come da programma a Gaster il disegno a cui il suo fratellino aveva dedicato tante ore e tanto entusiasmo: un ritratto della loro famiglia, unita come lo era stata un tempo, loro padre al centro e lui e Papyrus intorno alla sua figura svettante, ognuno di loro rispettivamente colorato di nero, blu e arancione. Due parole, scritte a caratteri cubitali, campeggiavano sul lato destro del foglio, di modo che chiunque vi avesse posato gli occhi sopra avrebbe potuto notarle: ‘Don’t Forget’. Non Dimenticare.
Sans, con suo enorme stupore, vide un angolo della bocca di suo padre incurvarsi verso l’alto in un raro sorriso, che lo lasciò interdetto… durante gli anni, il volto del suo genitore si era indurito, erano meno frequenti le risate, più normali i cipigli di qualunque altra espressione… vedere un leggero sorriso graziare i lineamenti dell’altro scheletro fu una vera sorpresa per lui.
« Riferisci a Papyrus che ho apprezzato il suo piccolo dono, Sans. Mi raccomando. » Disse Gaster, mettendo da parte il foglio sulla scrivania. Più tardi quel giorno, lo avrebbe notato appeso sulla bacheca di suo padre e permanentemente vi sarebbe rimasto per le settimane a seguire. Non mancò, ovviamente, di riferire a suo fratello quelle parole – inutile descrivere quanto contento fu Papyrus di apprendere della buona riuscita del suo piano.
Un mese dopo, un umano venne avvistato nell’Underground e Sans fu ancora una volta costretto ad aiutare suo padre nella caccia del nuovo intruso… un altro bambino che, agli occhi sconcertati, inorriditi dello scheletro adolescente, avrebbe potuto avere la stessa età del suo prezioso fratellino.
Consegnata anche la quinta anima umana ad Asgore, Sans fu libero di congedarsi dai suoi incarichi quel giorno… ma le disgrazie non erano purtroppo finite per lui.
« Sans. » Lo chiamò suo padre, quando era stato sul punto di salutarlo e fare ritorno a casa da Papyrus.
Sans si voltò con un’occhiata interrogativa quando vide Gaster allungare verso di lui un pezzo di carta ripiegato più volte su sé stesso.
« Riprenditelo, per favore. » Gli disse, anzi, quasi gli ordinò, e il giovane lo guardò profondamente accigliato per il gesto e per quell’inflessione così rigida.
Si fece consegnare tra le mani quel foglio, che non esitò ad aprire immediatamente per verificare il contenuto.
Non fu meno scoraggiante e deludente per lui rivivere questa scena e riguardare con gli occhi sconcertati del suo sé passato il disegno a cui Papyrus aveva dedicato tanta cura e amore, quello che aveva fatto ritornare il sorriso sul viso vivace del giovane scheletro, quello in cui Sans aveva riposto la sua ultima speranza di veder suo padre, un giorno, tornare ad essere il papà amorevole che ancora aveva un posto di primo piano nei suoi ricordi.
Una fitta di amareggiata tristezza provenne dall’animo di Frisk, che aveva anche lei avuto delle aspettative, tante e positive aspettative esattamente come quel giovane Papyrus e quel Sans adolescente… ed erano state tutte tradite e mandate in frantumi da un singolo gesto.
« Papà… » Bisbigliò esterrefatto il giovane, sollevando gli occhi per cercare una spiegazione in quelli dell’altro scheletro, ma lo scienziato gli aveva già dato le spalle, un vero e proprio muro troppo imponente per essere buttato giù, troppo alto per essere scavalcato.
« Non mi è più di alcuna utilità, Sans. Liberatene per me. »
Quelle parole malmenarono l’anima di Sans come solo avrebbero fatto delle aste di ferro… ma la sua smorfia allibita e rattristata si trasformò presto in una colma di collera, di indignazione, di odio. Strinse con forza quel foglio fra le sue dita tremanti fino a quando, resosi conto che avrebbe finito col rovinare il disegno di suo fratello, si costrinse a reprimere momentaneamente quegli oscuri sentimenti.
Ripiegò il foglio con una calma che era solo una facciata e lo infilò con un gesto irritato nella tasca della sua felpa.
« Sarà fatto. » Replicò aridamente prima di andarsene, l’ira cocente contenuta a stento nel suo tono di voce.
Fu allora che decise di fare qualcosa di veramente concreto, di prendere l’iniziativa, di tentare di riavere indietro il padre affettuoso la cui immagine aveva continuato ancora a perseguitarlo, sempre, e non aveva mai smesso di farlo.
Suo padre sarebbe andato in bestia se solo avesse saputo cosa stava per fare… in verità, non pensava nemmeno che esistesse un termine adatto per definire quella che sarebbe stata la spaventosa reazione del suo genitore, ma avrebbe affrontato dopo le conseguenze. In quel momento, no, c’era ben altro che doveva fare.







Sameko's side
Prima che qualcuno mi faccia la fatidica domanda, vi precederò io qui con la risposta: , ragazzi, anche quello all’inizio è Gaster, non è nessun sosia di qualche tipo o simili ( e un’ulteriore conferma potrete averla ricontrollando il capitolo 5, dove scoverete un interessante parallelismo se non sarete eccessivamente distratti dal mio stile di scrittura troppo vintage ). XD
Non vi mentirò, questo capitolo è stato una vera e propria sfacchinata, non solo perché lunghissimo da correggere ( fortuna che era per la maggior parte già tutto scritto grazie me di qualche mese fa ) ma anche perché ho dovuto togliere un po' di descrizioni qua e là per rendere il tutto più lineare... se avete trovato lo stile meno descrittivo del solito, chiedo venia, ho fatto del mio meglio per inserire i dettagli che ritenevo più importanti, dilungarsi troppo credo non avrebbe giovato granché. <.< A proposito, fatemi sapere se avete avuto difficoltà a leggere qualche pezzo, cercherò di rimediare dove posso!
Parlando a livello più personale, ci terrei a ringraziare quelle persone che nello scorso capitolo mi hanno scritto delle belle parole di incoraggiamento. Grazie per il supporto, mi avete spinto a rimettermi un po' in carreggiata! :)
Tornando invece alla storia, ho deciso alla fine di suddividere questi capitoli di backstory in tre parti ( scusate, non sono riuscita a stringere purtroppo! ). Per il resto, vi faccio gli auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo! ^^
Baci!

Sameko

 

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Capitolo 27
*** Capitolo 26: Perché sono ciò che sono - Parte Due ***



Capitolo 26: Perché sono ciò che sono - Parte Due




 
Aveva incontrato il re nel suo giardino privato, ritenuti da molti uno degli scorci più incantevoli dell’Underground grazie alla cura che i reali vi avevano sempre dedicato. Era stato solo grazie ai rapporti che suo padre consegnava mensilmente al sovrano che aveva potuto fare la conoscenza di Asgore, a detta di molti il re più buono, mansueto ma giusto fra quelli che si erano succeduti dopo la fine della guerra, capace di continuare a guidare i mostri nonostante gli anni di crisi a cui il crescente sovrappopolamento e la scarsità di risorse stavano portando.
Asgore sembrava sorpreso di vederlo, ma quella sorpresa mista ad una percettibile confusione non minò la natura accogliente del regnante, che si rivelò altro che contento di ricevere una visita tanto inaspettata da lui. Non aveva idea il re che, oltre ad inaspettata, non sarebbe stata piacevole.
« Non sono qui per una visita di cortesia purtroppo, Asgore. » Interruppe così Sans il loro cordiale scambio di saluti, cercando di sbrigare la faccenda velocemente e, soprattutto, senza fare errori. « Mio padre vi presenterà la sua lettera di dimissioni domani e ha mandato me ad avvisarvi della decisione presa. »
Gli occhi di Asgore lo scrutarono stupiti, l’annaffiatoio con cui stava annaffiando i suoi fiori cessò di emettere acqua dai fori del beccuccio. Un silenzio sbigottito calò fra di loro e Sans deglutì internamente, sforzandosi di guardare il re con quanta più fermezza fu capace di radunare mentre il regnante lo fissava smarrito.
« Oh… non credevo tuo padre avesse simili piani in mente, ragazzo. Non me ne ha mai fatto cenno prima d’ora. » Replicò quest’ultimo, con aria mortificata. « Da cosa è dipeso questa sua decisione? »
Lo scheletro saggiò per l’ennesima volta la risposta che avrebbe fornito nel caso quella domanda gli fosse stata posta. Doveva essere convincente, sicuro, forte. Se solo fosse riuscito ad essere impenetrabile, qualunque parola da lui espressa sarebbe suonata veritiera – suo padre glielo aveva sempre detto e ripetuto fino allo stremo
« Io e mio fratello. Noi. » Rispose, provando uno strano orgoglio nel constatare che la sua voce non aveva tremato nemmeno per un istante. « È questa la ragione. »
Asgore lo osservò a lungo, i suoi occhi verdi sotto la luce del sole erano un caleidoscopio di emozioni che si susseguivano tutte chiare e facili da identificare: prima sorpresa, stupore, poi perplessità, confusione e… e tristezza, alla fine.
Sans sentì la propria espressione sfaldarsi sotto quello sguardo, che sembrava comprendere, che sembrava capire, che era quanto di più vicino avrebbe voluto vedere negli occhi del genitore che, adesso, stava tentando con tutto sé stesso di riportare indietro.
« Non posso aiutarti, Sans. Mi dispiace tanto, davvero tanto… se potessi fare qualcosa per la vostra situazione, ti assicuro che non esiterei. »
Il giovane si sentì impietrire di fronte a quelle parole. Il re aveva visto attraverso la sua farsa, aveva… gli aveva anche detto che non poteva fare nulla?!
Gettata via la maschera che si era forzatamente imposto di mantenere, il suo volto si accese di indignazione, di irritazione, di incredulità.
« Vostra Maestà, Asgore, p-perché? Perché non potete?! »
Le labbra del re si piegarono in una smorfia mesta, piena di un’empatia troppo dolorosa per Sans da osservare.
« Non dipende da me, purtroppo… i miei funzionari non acconsentirebbero un vuoto di potere simile, non… adesso. » Rispose affranto Asgore, lo sguardo del mansueto mostro distolto, basso nel fissare senza particolare attenzione i ranuncoli che rivestivano il terreno. « L’Underground è retto da pochi, ma importanti pilastri… uno di questi sono io, il re… un altro, è lo scienziato reale, ruolo che il Dottor Wing Ding Gaster al momento ricopre... e l'ultimo, è quello del Capitano della Guardia Reale. È sufficiente la mancanza di uno di essi per causare squilibrio… loro lo sanno bene… come lo so bene io. Tuo padre è uno dei più valenti scienziati che il regno abbia mai avuto e questa è la ragione per cui… »
« Non è giusto. » Sussurrò tra i denti Sans, incapace di ascoltare una parola di più con la frustrazione che stava cominciando a montare dentro di lui. Era perché non si dedicava ad altro nella vita all’infuori delle sue ricerche che suo padre era ‘il più valente scienziato che il regno avesse mai visto’, avrebbe voluto rispondere inacidito. Era nel suo egoismo, nella sua noncuranza, che risiedeva il segreto della sua tanto decantata genialità, e Sans si sentì sempre più sdegnato man mano che quel pensiero si sedimentava nel suo animo.
Dunque era destinato a vivere ancora così, in questo modo, a raccontare storielle, a coprire gli occhi di Papyrus mentre i suoi restavano inesorabilmente aperti, a soffocare ancora questa incolmabile delusione e rabbia? No… no. Non doveva essere questa la sua vita, non poteva continuare a ricoprire ruoli che non gli competevano, non ne era in grado, non era un adulto! Lui era… era poco più che un ragazzo
La zampa del re si posò consolante sulla sua spalla, calda confronto al freddo che gli stava imperversando dentro, e il giovane quasi trasalì in risposta a quel contatto.
« Sans, so perfettamente quanto può essere difficile accettare una cosa del genere… ma è l’unico modo per andare avanti… » Gli disse Asgore, con la voce tanto calma e placida, come i bracieri quieti di un caminetto. « Farà male a lungo, ma passerà prima o poi… »
Fu allora che Sans sentì le lacrime pizzicargli gli occhi, raccogliersi fastidiose e brucianti nelle sue orbite, nate dalla frustrazione e dall’amarezza.
« Q-quando…? » Sussurrò, con voce debole, stanca.
Aveva percepito il piegarsi del re, ma solo alzando lo sguardo si accorse anche del suo abbassarsi al livello dei suoi occhi, solo per potergli parlare faccia a faccia, da pari a pari.
« Dipende da te, Sans. Ognuno di noi vive il dolore in modo diverso, lo affronta in modo diverso… quando arriverà il momento, riuscirai a lasciarlo andare. »
E Sans, in quel momento, avrebbe solo voluto chiedergli se lui aveva lasciato andare il suo di dolore, quello che a volte poteva leggere nei suoi occhi gentili quando si recava a palazzo con suo padre, quello che lo aveva spinto a dichiarare guerra agli esseri umani, quello che gli aveva fatto perdere la sua di famiglia
Ma non disse, né chiese nulla, si limitò ad accettare quella risposta con un cenno del capo, distogliendo lo sguardo da quello di Asgore, troppo a disagio per continuare a sostenerlo.
Il dolore se ne sarebbe andato prima o poi, a detta del re… ma il non sapere né come, né quando ciò sarebbe accaduto gettò un velo d’ansia nella sua anima. Era solo un’incertezza in un mare di deludenti e quotidiane certezze, una metafora triste di una vita che, seppur giovane, era già stata disillusa parecchie volte.
« Sans, ti prometto che farò il possibile per far ammorbidire tuo padre. Non so se te lo ha mai detto, ma noi siamo amici stretti, c'è una certa confidenza tra me e lui. » Gli promise Asgore, poggiandogli una delle sue zampe paffute sulla spalla… come aveva sempre usato fare suo padre quando Sans credeva di valere ancora qualcosa come figlio, quando suo padre era stato ancora apertamente orgoglioso di lui, quando suo padre gli aveva chiesto di commettere uno dei crimini più atroci di cui ci si potesse macchiare e per cui la sua coscienza non gli avrebbe mai dato pace.
E chiuse gli occhi, perché non ce la faceva ad angustiarsi ancora, perché volle solamente quei ricordi fuori dalla sua testa.
« Grazie… per il favore, Asgore... » Si forzò a rispondere, sperando che tornando a concentrarsi sul re e non sui suoi stessi e sconsolati pensieri potesse aiutare.
Il pollice del sovrano strofinò rassicurante contro la sua clavicola, con l’intento evidente di offrirgli un barlume di rassicurazione.
« Se avrai mai bisogno di un aiuto, un consiglio, o anche solo di goderti una tazza di tè con qualcuno, la mia casa sarà sempre aperta per te e Papyrus. Vi farò conoscere qualcuno di nuovo se ci sarà occasione, così farete nuove amicizie, sarebbe positivo per entrambi di voi»
Per pochi secondi soltanto, mentre le parole di Asgore divenivano una nebbia di suoni indistinti, volle fingere che quella fosse la mano di suo padre, volle perdersi nell’illusione che trasformò il pelo morbido in ossa lisce e conosciute, per riappropriarsi un po’ di quell’affetto che non era più riuscito ad avere né per sé, né per il suo fratellino…
Quando non udì più il vociare ai margini della sua percezione della voce di Asgore, si ricordò che avrebbe almeno dovuto rispondere.
« Me ne ricorderò… » Mormorò, mentre la zampa del re scivolava via dalla sua spalla, la sua anima già sentiva il desolante vuoto di una spiacevole mancanza. « Grazie… »
« Di nulla, Sans. »
Il tono di voce di Asgore, ben più corale e profondo rispetto a quello di Gaster, fece disperdere gli ultimi frammenti dell'illusione che si era così troppo impegnato per costruirsi… e, alla fine, era durata troppo poco
 
Il giorno seguente, si era presentato al laboratorio, facendo del suo meglio per non riportare eccessivi minuti di ritardo – Gaster odiava vedere uno dei suoi dipendenti in ritardo, lui soprattutto, visto che riusciva a presentarsi dopo tutti gli altri persino sfruttando le sue scorciatoie.
Quella volta, tuttavia, lo scienziato non aveva alzato il capo dai fogli che stava compilando per rimproverarlo.
Pensò allora che il suo saluto non fosse stato udito e stava già per andarsene con una leggera smorfia amareggiata. Fu la voce di suo padre a farlo fermare sul posto, a metà strada tra l’ingresso del suo ufficio e la scrivania.
« Sans. » Il suo nome, pronunciato con un’inflessione tendente ad una calcata durezza. « Vieni qui un momento, per favore. »
Il giovane scheletro si voltò, internamente stupito da quel tono di voce, ma fece come gli era stato detto.
Si avvicinò alla scrivania di suo padre, chiedendosi cosa avesse spinto lo scienziato a rivolgerglisi in quel modo un po’ più brusco del solito. Avendo adesso possibilità di osservarlo più da vicino, sembrava davvero di pessimo umore.
Quando il suo genitore mise da parte i progetti delle sue ricerche, il suo atteggiamento possedeva ancora una parvenza di calma. Quando aprì un cassetto e tirò fuori il foglio al suo interno, quella calma era caduta in pezzi, come se uno specchio fosse stato buttato a terra e ridotto ad mucchio di schegge proprio davanti ai suoi occhi… e lo stesso destino lo subì la sua di calma quando quel foglio gli fu quasi sbattuto in faccia – e anche se così suo padre non avesse fatto, Sans sarebbe stato capace di riconoscere quel pezzo di carta anche ad un miglio di distanza.
« Ti dispiacerebbe spiegarmi cosa.è.questo? »
Si sentì mancare ogni parola di bocca in quel frangente, si sentì sbiancare anche se il concetto in sé era assolutamente ironico per uno scheletro, poteva solo fissare raggelato la lettera di licenziamento che aveva trascorso così tanto tempo a falsificare con la calligrafia di suo padre. E quella lettera non avrebbe dovuto essere nelle mani dello scienziato, lui non la aveva lasciata in un posto che Gaster era solito frequentare, lui la aveva nascosta a… a casa.
« Allora? » La domanda inquisitoria del suo genitore fece tremolare per un istante la sua smorfia sconcertata.
« C-come…? »
Lo strisciare rumoroso della sedia quando suo padre si alzò lo fece sobbalzare.
« Come ho fatto a trovarla? » Sussurrò quest’ultimo con un suggerito ringhio, la mano con cui stava stringendo quella lettera falsificata era un pugno tremante di rabbia. « Naturale fare determinate scoperte, se il re mi viene a riferire delle cose che trami alle mie spalle. »
E Sans a stento era in grado di capacitarsi di quanto stava succedendo, non poteva credere che suo padre fosse tornato a casa solo per rovistare tra le sue cose!
L’incredulità e l’indignazione che stava provando doveva essere trasparita sul suo volto, perché l’espressione di Gaster si rabbuiò considerevolmente mentre faceva il giro della scrivania e avanzava verso di lui.
« Sono curioso, tuttavia… cosa avevi intenzione di fare dopo avermi rovinato con successo la carriera, Sans? Qual era il tuo piano completo, mh? » Chiese quest’ultimo, la lettera ridotta ormai ad un grumo di carta informe. Il giovane non riuscì a mantenere intatta la sua espressione sdegnata, non quando aveva inavvertitamente preso ad indietreggiare in risposta all’avvicinarsi del genitore. Un sorriso piatto e innaturale si delineò sul volto di Gaster, un sorriso che non raggiunse le sue orbite, perché quelle erano ferocemente assottigliate e ricolme di un’ira contenuta a malapena. « Ebbene? Dove è andata a finire tutta la tua sagacia, giovanotto? Nulla da dire? »
« Io, io » Balbettò lui, cercando di non lasciarsi intimidire, di reggere quello sguardo senza vacillare – ma stava già vacillando tanto, le mani gli stavano tremando lungo i fianchi. « Volevo solo che tutto tornasse come prima--! »
Lo schiaffo che gli fece voltare la testa da un lato fu una batosta per la sua anima, lo fece rimanere per un attimo immobile, a fissare il muro ad occhi spalancati con la guancia percossa da un sordo pizzicore.
« Non mi interessano le tue scuse. La mia domanda era un’altra. »
Sans strinse i denti del suo sorriso, resistendo all’impulso di massaggiarsi il punto colpito per far acquietare il dolore.
« Non… non c’era altro. E-era tutto lì il mio piano... » Fu in grado di dire, abbassando le spalle tese in un gesto di sconfitta. Il ridursi del sorriso di suo padre in una linea arida, consapevole, lo fece sentire preso in giro, umiliato solo per il gusto di farlo.
« Come sospettavo. » Commentò con tono incolore lo scienziato, dandogli spietata conferma di quello che era stato il volere del suo genitore di fargli ammettere apertamente quanto le sue pianificazioni fossero state incoscienti e superficiali. « Lascia che ti dica una cosa, ragazzo: i problemi si risolvono sfruttando le nostre stesse doti e capacità, non andando ad elemosinare aiuto dagli altri. Meno debiti contrai con altra gente, meglio ti troverai in futuro. Chiaro il concetto? »
Sans annuì, non fidandosi in questo momento della sua stessa voce.
Gaster lo afferrò per una spalla, forzandolo ad incontrare lo scrutare inacidito dei suoi occhi, e lui si sentì scoperto nel momento in cui li incontrò, perché non c’era modo che avesse potuto nascondere in tempo la ferita emotiva che quello schiaffo gli aveva lasciato… erano anni che suo padre non gli tirava nemmeno una piccola sberla, e anche quelle erano state rare quando era bambino, perché aveva sempre cercato di essere ubbidiente e di comportarsi bene… era come se stesse venendo trattato di nuovo come tale.
« Che non si verifichi mai più una cosa del genere, se soltanto vengo a sapere che sei venuto ad importunare il re un’altra volta, ci saranno conseguenze, Sans. »
Aveva annuito anche in risposta a quelle ultime parole, dando silenziosa garanzia a suo padre che non avrebbe più anche solo pensato di compiere simili azioni… ma, di nascosto, aveva continuato a fare visita ad Asgore, a lasciargli qualche volta Papyrus cosicché suo fratello non dovesse trascorrere un pomeriggio intero da solo quando gli orari giù al laboratorio non gli consentivano di rientrare a casa prima di cena. Non era certo la supervisione di un adulto ciò che mancava a Paps, era ormai un teenager ai tempi… era la compagnia ciò che Sans non aveva voluto fargli mancare, e quando aveva sentito Papyrus nominare Undyne e raccontare di lei e degli allenamenti che la ragazza stava tenendo insieme ad Asgore per la prima di tante volte successive, sempre con entusiasmo, sempre con ammirazione, si era sentito ripagato per i rischi che continuava a prendersi. Aveva sempre saputo di non poter essere un modello da seguire per Papyrus ed era stato grato allora ed era grato tutt’oggi che il destino avesse affidato quel ruolo a qualcuno di più... meritevole.
 
E tu, Sans…? “ Gli chiese Frisk, tanto quietamente che ci mancò poco che non si accorgesse dell’intervento della piccola. “ Tu hai mai avuto qualcuno… un modello a cui ispirarti?
Io…? ” Domandò lo scheletro, sinceramente preso in contropiedi da quell’interrogativo che sembrava, tuttavia, avere una certa importanza per la giovane.
Sì, sai… qualcuno come un amico, un conoscente, qualcuno come… tua… madre…? ” Qualcosa di molto chiassoso parve scattare nei pensieri di Frisk. “ Sans… tu, fino ad ora… non ho ancora visto la tua mamma… ”
Sans restò per un istante perplesso dal rammarico della ragazzina, non intuendo inizialmente da cosa fosse stato originato, ma si accinse subito a risponderle prima che potesse rattristarsi per la perdita di una persona che, fondamentalmente, non era mai esistita nella sua vita.
Non angosciarti, piccola. Io e Papyrus non abbiamo mai avuto una mamma, solo… solo lui.
Il rammarico di Frisk si placò in parte, sostituito invece da una crescente confusione.
Ma… aspetta… vorresti dirmi che gli scheletri non hanno bisogno di una compagna per avere dei figli…?
Direi di no… non più ormai. ” Percependo tuttavia il mancato appianarsi della confusione della ragazzina, si convinse a darle qualche altra nozione per spiegarle qualcosa che per lei, ovviamente, appariva estraneo, se non addirittura bizzarro. “ Non è stato sempre così. Prima della guerra, funzionavamo biologicamente come qualunque altra specie, ma quando i mostri sono stati rinchiusi qua sotto… beh… la nostra specie era destinata all’estinzione senza più nessuna femmina rimasta in vita. Gli scheletri producono naturalmente grandi quantità di magia, magia molto più versatile rispetto a quella di molte altre specie di mostro, e i nostri antenati si sono dovuti arrangiare con quella per avere dei discendenti.
Trascorsero pochi momenti di silenziosa riflessione prima che potesse tornare a sentire Frisk.
Quindi, un solo scheletro ne può generare altri? ” Suppose lei e Sans annuì immediatamente, contento che non avesse avuto poi tante difficoltà ad afferrare quel concetto. “ E non è mai nata una femmina?
Boys only. ” Replicò lo scheletro, con un velo di nonchalance che suscitò una leggera ilarità da parte della ragazzina.
Voi scheletri siete delle amebe in pratica... ” Commentò quest’ultima… e nessuno dei due fu in grado di trattenere una lieve risata nasale. Quanto ingegnosa era a volte la sua piccola, lei era… era davvero una persona fuori dal comune, per riuscire ad assecondarlo persino dopo quanto le aveva mostrato.
Era difficile, così difficile tirar fuori dal suo bagaglio mentale tutti quei ricordi, che quanto più prossimi diventavano al suo presente tanto più si ingrigivano, ma lei stava cercando di aiutarlo dove poteva, quando poteva e quando lui glielo consentiva… lasciando anche in sospeso quelle domande che possedevano una risposta intuibile, ma non per questo meno desolante: il suo modello di riferimento era sempre stato Gaster, aveva voluto diventare come lui sin da quando ne aveva memoria… ironico quanto, adesso, il solo pensiero lo disgustasse.
 
Nel momento della venuta del sesto umano, l’ultimo prima della caduta di Frisk, Gaster lo aveva spedito in solitario ad occuparsi della faccenda, perché impegnato in qualche assurda ricerca o esperimento dei suoi, che considerava sicuramente più importante del dedicare almeno una misera ora al giorno ai suoi due figli.
« Sono più che certo che riuscirai ad occupartene da solo. Portamelo una volta che hai finito. » Gli disse il maledetto da sopra una spalla, mentre armeggiava chinato sul suo tavolo da lavoro, tono vuoto di qualunque simpatia, come se avesse voluto mandare in fumo velocemente qualunque possibilità di protesta. Se era stato quello l’intento, beh, Gaster non lo aveva raggiunto, perché non era riuscito a rimanere in silenzio, ad essere obbediente esattamente come gli veniva sempre richiesto di fare.
« Pa’, per favore, non p-posso andare da solo… » Balbettò, ad occhi sgranati.
Non poteva chiedere a lui di fare una cosa simile, di farsi carico dell’intera, lacerante colpa che lo avrebbe piegato dopo, non riusciva nemmeno a dormire la notte tra poco, non quando si svegliava urlando come un disperato ed era suo fratello ogni volta a farsi carico della sua paura e provare a calmarlo, pur non sapendo di cosa trattassero i suoi incubi, perché Sans non gliene aveva mai parlato, nemmeno accennato.
« Ancora terrorizzato alla tua età da un paio di umani, Sans? » Lo interrogò Gaster, insinuando, disprezzandolo con la sola voce.
Ed era vero, lui era terrorizzato, ma non per il motivo che lo scienziato aveva toccato: lui aveva paura per loro, aveva paura per l'umano che avrebbe affrontato, aveva paura che sarebbe stato un bambino il suo avversario, aveva paura di quello che le sue capacità gli permettevano di fare ad un innocente, lui e-era… non poteva parlare adesso, la sua voce sembrava essere sparita, non riusciva a richiamare la magia per tramutare il pensiero in suono.
Le palpebre di Gaster si abbassarono sempre più inesorabilmente sulle luci torve dei suoi occhi, mentre lui abbassava i suoi, smarrito, pieno di vergogna. Non poteva f-farlo, n-no, no…!
« Questo è un test per te, Sans. E lo devi passare, ci siamo capiti? »
« I-io… » Balbettò il giovane scheletro, prima di essere ridotto al silenzio con un gesto snervato della mano di Gaster.
« Basta repliche. Tu farai come ti dico. » Sentenziò definitivo, con l’emergere di una palese ed irritata impazienza nella voce, cattivo segnale che lui non doveva assolutamente ignorare. « Osa tornare senza quell'umano e puoi considerarti licenziato. »
Sans deglutì, le mani avevano preso a tremargli ai lati del corpo, i suoi arti erano divenuti stecchi di legno. Non poteva fare q-questo, non p-poteva, non ne era in grado! M-ma suo padre lo avrebbe licenziato, lo avrebbe licenziato e tolto dal suo incarico se non lo faceva… ed era lo stesso padre a cui non sembrava interessare che suo figlio, non un mostro qualunque, ma proprio suo figlio stesse tremando dalla paura davanti a lui – non dava segno che gliene importasse minimamente.
Strinse con forza le palpebre, con così tanta forza che le ossa al di sotto delle sue orbite si raggrinzirono, ingoiando a fatica le sottili lacrime che si erano accumulate all’interno dei suoi occhi.
« S-sì… »
La scorciatoia in cui sparì dall’aura opprimente del suo genitore lo portò nel bel mezzo di Waterfall, fra i sussurri delle cascate, fra la penombra e il chiarore dei Fiori dell’Eco. Tutta quella calma rese ancora più assordante il tremolio delle sue ossa, i battiti della sua anima che parevano forti singhiozzi
Si portò le mani contro il volto, respirando attraverso le falangi, cercando di calmarsi, stava iperventilando e la testa gli girava.
Si costrinse a prendere respiri lenti, a respirare fino a riempire d’aria la sua cassa toracica, concentrandosi solo sull’allargarsi e restringersi delle sue stesse costole.
Dentro e fuori dentro e fuori, dentro e fuori, dentro e fuori, dentro, fuori… dentro, fuori… dentro… f-fuori
Cercò disperatamente di razionalizzare con sé stesso, convincersi che nessuna quantità di ansia, nessuna quantità di angoscia avrebbe potuto evitargli questo… era una cosa che doveva fare, che gli era stata ordinata di fare… o suo padre non gli avrebbe lasciato tenere il lavoro, e quella era una delle poche cose che potevano distrarlo, che potevano distogliere la sua attenzione almeno per qualche ora dalla colpa che aveva dentro quando non c’era Papyrus c-con lui… e magari era meglio così per quell’umano, perché suo padre era spietato, Sans aveva visto personalmente quanto potesse essere violento e incapace di compassione quando si trattava di dare la caccia agli umani, e magari lui… lui sarebbe stato meno spietato, lui sarebbe stato un avversario più caritatevole
Si strofinò con forza le mani contro il volto, ricacciando ancora indietro le lacrime, il groppo nella sua gola che era soffocante quanto un sasso. Doveva andare, doveva iniziare a cercare quell’umano, o questo incubo non sarebbe mai finito – e sapeva che nemmeno così avrebbe risolto qualcosa, perché gli incubi reali potevano finire, ma quelli nella sua testa, quelli che lo tenevano sveglio la notte e che lo tormentavano di giorno… quelli non se ne sarebbero mai andati completamente.
Quando incontrò il bambino, quando finalmente lo vide, ogni suo proposito di mantenere la calma finì quasi per crollare. Quel piccolo aveva un viso paffuto, due occhi curiosi che lo osservavano dalle lenti di un paio di occhiali, reggeva sotto mano un notebook dalla copertina leggermente logora.
« Ehi, sei un mostro anche tu, vero? » Lo sentì chiedergli, tono analitico ma velato da una leggera sorpresa. « Non ho incontrato specie simili alla tua fino ad ora, sei il primo scheletro che vedo. »
Il giovane scheletro lo fissò tremando, a stento in grado di astenersi dall’ansimare. Era troppo innocente, troppo, troppo curioso, troppo p-piccolo… O-oh dio
Le mani ai lati del suo corpo così inverosimilmente rigido divennero pugni agitati. Non p-poteva farlo, non poteva fargli del male, era un bambino, era solo un bambino troppo curioso per il suo stesso bene, perché non era potuto venire suo padre insieme a lui, non ce la poteva fare d-da solo
Ma suo padre si era detto certo che lui se la sarebbe potuta cavare da solo. E-e… e se c’era una cosa che aveva ormai inchiodata nel cranio, era che raramente Gaster faceva errori di alcun genere.
« Va tutto bene lì? »
Il risentire la voce del bambino fu un campanello nella sua testa, un promemoria per ricordargli dov’era e in che posizione si trovava… ed infine un segnale, per la sua mente, che qualcosa di conosciuto e incredibilmente temuto si stava di nuovo per ripetere.
Come se si fosse alzata una barriera impenetrabile intorno alla sua anima, estrema angoscia, ansia, pensieri di incapacità e di nervosismo vennero bloccati, lasciati ad agitarsi in un angolo buio di cui sapeva che, in quel momento, non avrebbe dovuto preoccuparsi.
Quando risollevò le palpebre, aveva un sordo vuoto dentro di sé, intorno a sé, un vuoto che lui accolse con benevolenza, con lo spettro di una tranquillità innaturale e piatta… era una promessa di lucidità e di controllo di cui aveva avuto disperatamente bisogno. Gaster gli avrebbe detto, in seguito, che quel vuoto che aveva sentito era il LOVE, quello che aveva accumulato quando lo scienziato aveva lasciato a lui il ‘privilegio’ di uccidere il secondo umano che avevano affrontato assieme… e più ne avrebbe accumulato, più sarebbe stato semplice per lui compiere le azioni che era tanto terrorizzato alla sola idea di portare a termine.
Alzò un braccio, il muoversi delle ossa, delle giunture e lo spostarsi del tessuto della felpa fu un insieme di sensazioni nebulose e distanti.
Il Blaster si materializzò, l’ombra enorme del teschio oscurò l’area di terreno intorno a lui, il suo avversario guardò con occhi sbigottiti ad una simile apparizione, Frisk stava faticando a mantenersi concentrata abbastanza su quella scena e lui non poteva proprio biasimarla
Il cannone fece fuoco con un ruggire di magia rovente come magma, ma l’umano fu in grado di schivarlo finendo carponi a terra, i suoi occhiali scivolati via da qualche parte quando si era mosso per evitare il fascio d’energia.
Eh… si era reso conto che quel cannone non era un giocattolo…
 
Lo sbigottimento di Frisk di fronte alla fredda ilarità del suo sé passato lo addolorò, ma il dolore non superò la vergogna di essere stato lui, e non qualcun altro, a pensare una cosa del genere. Era un pensiero espresso troppo a cuor leggero, stonato, carico di un sottile cinismo, e lui se ne vergognava profondamente. Avrebbe tanto voluto tralasciare alcuni pezzi della sua vita, ma si era tuttavia ripromesso di mostrarle ogni cosa, ogni suo lato per quanto riprovevole fosse, e non voleva rimangiarsi la parola, non più… Frisk, d’altronde, non gli aveva nascosto nulla quando le parti erano state invertite – e anche lei si era vergognata di sé stessa più volte di quante Sans fosse stato capace di contare.
E, proprio per questo motivo, non permise a quel ricordo di interrompersi
 
« Sei più intelligente di quanto credessi, piccolo. L’umano prima di te non lo aveva intuito in tempo, eh eh. » Si sentì commentare, con un sorriso sottilmente snervante in volto. Quella considerazione scanzonata fece disperdere ogni colore sul viso dell’umano, che scelse di correre via invece che affrontarlo – scelta saggia quella di non consentire alla curiosità di provare ad ucciderti un’altra volta. Lo perse di vista per pochi secondi a quel punto, ma gli fu fin troppo semplice rintracciarlo nuovamente per mezzo delle scorciatoie.
Da lì in poi, fu solo una questione di capacità d’osservazione, di attenzione nel cogliere un breve sguardo consapevole, un movimento arrestato prematuramente, un cambio di strategia insolito, il ‘singhiozzare’ dell’ambiente intorno a lui, tutti particolari che suo padre gli aveva insegnato a riconoscere e che, se notati, erano la chiara indicazione che l’umano aveva ricaricato in precedenza in quel medesimo punto e che lui, da parte sua, avrebbe dovuto rendersi imprevedibile al momento opportuno.
E Sans impedì a Frisk di vedere anche il trascinarsi di questa battaglia, quella che aveva costituito l’ultimo, disperato tentativo del bambino di opporsi a lui e che, proprio per questo, era l’unico che la sua memoria aveva stabilmente memorizzato. E le risparmiò, anche, la vista di quello sfortunato piccolino crollare sulle proprie ginocchia a fine scontro, piangente e ferito, supplicandolo di fermarsi, di avere pietà, di non ucciderlo più.
Lo portò al laboratorio subito dopo per darlo in consegna a suo padre, già in attesa all’ingresso con le braccia incrociate contro il petto.
Sans evitò il suo sguardo per quelli che avrebbero potuto essere minuti, mentre al suo fianco l’umano stava malamente tremolando sotto la mano che gli aveva poggiato sopra la spalla, in un segno di rassicurazione vuoto, falso ed ignobile – esattamente come si sentiva lui in quel preciso momento.
« Ottimo lavoro, Sans. » Udì Gaster complimentarsi, il tono impersonale permise allo stato apatico del giovane scheletro di durare ancora, di non spezzarsi sotto lodi genuine rivoltegli per azioni tanto imperdonabili. « Puoi andare. »
Percepì l’umano tendersi al di sotto delle sue falangi, ma ignorò quel movimento, ed ignorò persino il lieve serrarsi di quella mano ferita attorno alla sua felpa quando suo padre prese il piccolo per un braccio per condurlo via.
Fu sul punto di imboccare la scorciatoia per casa, quando sentì la voce di quell’umano raggiungerlo in un sussurro colmo di disperazione e terrore.
« A-aiutami… »
Un angolo del suo sorriso si tese fino allo stremo, mentre uno stralcio di pentimento e angoscia tornò ad affliggerlo. L’umano si era rivolto a lui per un soccorso, per un aiuto, allo stesso essere che gli aveva fatto passare le pene dell’inferno prima di concedergli una pietà che era stata, in realtà, una condanna definitiva, come se avesse compreso che solo con lui avrebbe potuto avere una speranza di salvezza, mentre con suo padre avrebbe trovato unicamente la morte.
Non appena quel briciolo di emozioni riaffiorò, la sua mente lo represse per lui, forzandolo a restare inalterato, totalmente incurante verso il destino di quell’umano. Il lavoro era stato portato a termine. Poteva tornare a casa, solo questo contava.
Quando uscì dalla scorciatoia, davanti ai suoi occhi insensibili si aprì la vista familiare dell’appartamento suo e di Papyrus.
« Paps, sei in casa? » Chiamò, il suo tono di voce reso allegro dall’abitudine, ma troppo palesemente forzato per i suoi gusti – si augurava, almeno, che non sarebbe suonato forzato a suo fratello.
Non ci fu risposta. Papyrus era ancora a scuola e sarebbe tornato solo a distanze di ore. Se n'era momentaneamente dimenticato.
Appena quella considerazione venne elaborata dalla sua mente, le ginocchia gli cedettero e il suo sorriso plastico si trasformò in un urlo lancinante, tutto l’orrore represso tornato indietro con la violenza di una martellata sulle costole, e solamente per riversarsi in quel suono disumano che scosse ogni osso del suo corpo – nemmeno riconobbe quella voce come propria, troppo acuta, inorridita, per essere la sua voce.
Quando le ginocchia toccarono terra, si piegò su sé stesso, le dita delle sue mani andarono a scavare nei suoi avambracci, tirando, graffiando spietatamente il tessuto della felpa, mentre il suo urlare sempre più roco veniva consumato dal pavimento. Aveva ripetutamente ammazzato un bambino, doveva aver fatto tutto quello che di orrendo Gaster gli aveva insegnato avrebbe dovuto fare, perché solo le cose orribili spezzano le persone in quel modo, non lo aveva nemmeno aiutato quando gli aveva chiesto aiuto, si era voltato, voltato, VOLTATO, lo aveva i-ignorato
Era davvero una bestia anche lui – una bestia che si pentiva di tutte le azioni mostruose che aveva compiuto.
Non c’era nient’altro che lacerante, dolorosa agonia nella sua anima, al punto che pensò si sarebbe spezzata in due di lì a breve e lui con lei – e sperò sarebbe accaduto, così quell’inferno sarebbe stato finalmente costretto a lasciarlo andare. Ma non successe, la sua anima rimase insopportabilmente intera, un pezzo di terra nella sua gabbia toracica, e le sue urla si ridussero infine a ruvido ed ansimante pianto.
Sollevò lentamente la fronte dal pavimento, le sue mani lasciarono il tessuto della sua felpa con la rigidità di un paio di artigli e finirono a ciondolare lungo i suoi fianchi, a sfiorare leggermente la moquette.
Sbatté le palpebre, nel tentativo di schiarire la propria vista annebbiata, due righe di lacrime lasciarono le sue orbite scavate dal tanto piangere. La testa gli pulsava lungo tutto il lobo frontale, stava ancora tremando come una foglia umida e strappata, e si sentiva orrendamente stanco, ed era stanco, esausto
Appena i suoi occhi si posarono sul divano del salotto, non tanto lontano da dove si trovava, si mise indolentemente a carponi e lo raggiunse quasi strisciando durante l’ultimo tratto.
Alzò una mano oltre il bordo di un bracciolo per prendere un cuscino, le sue falangi si chiusero con più forza del necessario intorno alla trama di uno di essi e lo tirò a terra. Vi lasciò cadere sopra la testa, stringendolo debolmente con un braccio, raccogliendosi in posizione fetale sul pavimento e singhiozzando nella sua stessa miseria.
Volle solo dormire più profondamente che poteva… senza incubi… senza paure… e svegliarsi, ma solo nel momento in cui il suo orologio biologico lo avrebbe avvisato dell’arrivo prossimo del suo fratellino. Aveva bisogno di pace, di silenzio… per favore, ne aveva perdutamente bisogno, solo per queste ore
La stanchezza ebbe la meglio su di lui dopo un tempo interminabile, trascinandolo in un sonno privo di sogni, come un cielo che aveva perduto le sue stelle.
La sua situazione non migliorò nei giorni seguenti, era come se con quell’urlo avesse espulso qualunque energia, volontà, sincera emozione… era confinato a letto, senza l’intenzione di alzarsi se non per poche, essenziali ragioni... e aveva ignorato qualunque chiamata o messaggio sul suo cellulare che non appartenesse ad Alphys, l’unica amica che potesse davvero considerare tale. Ma non importava quante volte lei avesse cercato di convincerlo, fargli coraggio, supportarlo, rimproverarlo con un tono tendente al remissivo, non era riuscita a farlo tornare al lavoro… a questo punto, non gli importava più di nulla, nemmeno di quello stupido impiego, il motore che aveva innescato la serie di eventi per i quali si trovava adesso in uno stato pressoché larvale.
A completare il quadro sconsolante della sua condizione, la preoccupazione di Papyrus nei suoi confronti stava diventando difficile da ignorare.
« Sans! È tardissimo, devi andare al lavoro! Cosa ci fai ancora a letto?! » Strepitò il ragazzino sulla porta della sua camera, la sua ombra snella oscurava la maggior parte della luce che si era riversata nella stanza.
Sans spostò leggermente la testa in direzione del minore, le luci nei suoi occhi nemmeno formate – non voleva vedere niente, voleva solo mantenere intatta quell’oscurità in cui si stava ormai abituando a giacere… lì, almeno, poteva provare una parvenza di sicurezza, rassicurazione, per quanto flebili e volatili fossero. Si rimise sotto le coperte con un sospiro inespresso; prevedibilmente, i richiami di Papyrus si fecero più insistenti quando non ricevette risposta.
« SANS! »
Quel gridare lo fece rintanare maggiormente nel suo bozzolo.
« Non ci vado oggi, Paps… » Disse, la sua voce roca per il mancato utilizzo degli ultimi giorni. « Va' a scuola, da bravo… »
« No, Sans! Mi avevi detto che oggi ti saresti alzato, me l’hai detto ieri sera! » Lo sentì avvicinarsi, lo sentì prendergli le coperte e cercare di togliergliele. « Fratello, avanti, so che ce la puoi fare! Alzati, fatti una doccia, mettiti le prime cose che vedi, so che può essere difficile, ma ce la puoi fare »
Il maggiore allungò una mano, afferrò con un’accennata ostinazione il lembo di coperta di cui era stato privato.
« No… tu non lo sai… » Sussurrò, rifiutandosi ancora di guardare in faccia lo scheletro più giovane, un germoglio di irritazione si stava pericolosamente facendo strada nella sua anima. Era stanco di dovergli necessariamente rispondere, perché suo fratello non afferrava il messaggio?
Pochi secondi di silenzio, solo per pochi secondi Papyrus era rimasto tranquillo… ed eccolo che stava cercando di nuovo di togliergli quella dannata coperta di dosso.
« Sans, non è vero, io lo so, io lo vedo, io- »
« Papyrus. » Ringhiò quietamente, emergendo con un mezzo scatto dall’ammasso di trapunte accatastate sul suo corpo, le luci si accesero con uno scoppiettio morente nei suoi occhi torvi. « Basta. »
E si stupì lui stesso di quanta fredda irritazione e scocciatura avesse impresso in quella richie
… Ma… ma era davvero stata una richiesta? Non la aveva percepita come tale quando la aveva espressa così all’improvviso…? Quel dubbio si concretizzò definitivamente quando notò l’immobilità di Papyrus, il suo mutismo, la pozza di mortificazione in cui la sua insistenza si era sciolta… qualunque briciolo di irritazione potesse essergli rimasta si dissolse nell’istante in cui incontrò lo sguardo smarrito di suo fratello, venato da un primo sorgere di vergogna per essere stato rimproverato da lui, e un barlume di risentimento nei suoi confronti per quella reazione così severa, così ingiustificata, se si considerava che il suo fratellino era lì soltanto per aiutarlo… non poté sopportare di identificare nessuna di quelle emozioni sul viso del più piccolo, non poté sopportare il pensiero che Papyrus ce la avesse con lui.
« P… ap… » Bisbigliò e si sentì come se dovesse piangere. Allungò le mani, circondò la vita di suo fratello, sperando che non lo respingesse, sperando che non lo rifiutasse. « Mi dispiace… p-per favore, non o-odiarmi »
Non odiarmi come io odio lui, avrebbe voluto dire in realtà, ma era un codardo, soltanto un codardo… e un egoista per chiedere questo, sapeva che nello stato miserevole in cui si trovava avrebbe impietosito facilmente suo fratello, coercizzandolo nel respingere quei sentimenti che avrebbe invece potuto – dovuto – riservargli… e non lo stava facendo coscientemente, voleva solamente non essere odiato, non essere disprezzato…!
Le braccia di Papyrus risposero subito al suo debole abbraccio, lo riadagiarono sul cuscino con serenità, una serenità che gli fece piangere ancora di più il cuore per aver avuto un simile scatto di rabbia.
« Non ti odio, Sans… cerca di non pensare a queste brutte cose… » Gli rispose il minore, tono calmo, quasi paragonabile a quello di un sussurro. Suo fratello si sdraiò poi accanto a lui, tenendolo stretto al proprio petto, senza dar segno che avrebbe sciolto quel gesto d’affetto tanto presto. « Ti voglio bene, fratello… »
Sans percepì i suoi stessi occhi inumidirsi.
« Ti… ti voglio bene anch’io, P-Paps… » Mormorò, premendo il volto contro la spalla del suo fratellino. Avrebbe voluto continuare ad essere stretto così da Papyrus, per sempre se solo ce ne fosse stata la possibilità… era l’unico, egoistico desiderio che davvero possedeva… e, proprio per questo, era irrealizzabile. « Non puoi stare q-quiDevi andare a scuola… ti farò arrivare in r-ritardo »
Chissà quanti minuti preziosi aveva già perso per un buono a nulla come lui…
Papyrus scosse piano la testa e lo riattirò dolcemente a sé nel momento in cui lui aveva, a malincuore, cercato di interrompere il loro abbracciarsi.
« Per un giorno posso anche saltare le lezioni. Recupererò facilmente. » Gli disse sicuro il ragazzino. « Voglio stare con te oggi... »
 
E suo fratello era rimasto esattamente come gli aveva detto, nonostante si fosse sempre proclamato nemico dell’immobilità e dell’eccessivo sonnecchiare… un barlume di felicità gli aveva fatto inclinare le estremità del suo debole sorriso verso l’alto, mentre… mentre l’espressione di suo fratello era stata adornata da un sorriso triste… e lui, all’epoca, non era stato in grado di cogliere quella sfumatura amara sul viso del minore.
Erano più di quante ne ricordasse le occasioni in cui aveva deluso Papyrus con le medesime dinamiche, o con altre ancora… e c’erano pezzi qua e là, dettagli che gli erano sfuggiti, espressioni che la sua memoria aveva reso meno affrante di quanto in realtà non fossero state… tutto a causa di quel demone, delle azioni che lui aveva compiuto… e anche a causa della sua ingenuità. Solo uno sciocco avrebbe potuto seguire una canaglia del genere… e lui era stato esattamente quello sciocco, quello di cui Gaster aveva avuto bisogno...
Un calmo disaccordo fu a lui diretto dalla piccola, che stava cercando di raggiungerlo ormai da un po’, sin da quando aveva visto quel suo sé passato crollare a terra, urlante e piangente per qualcosa che lui stesso aveva fatto. E Sans non capiva, non capiva come potesse Frisk volerlo avvicinare. Era rimasta chiaramente atterrita di fronte al destino che quel bambino aveva subìto, avrebbe dovuto provare un netto disgusto nei suoi confronti… perché, invece, questa calma e questo disaccordo?
 “ Sei stato manipolato, Sans… ” La piccola lo stava giustificando. “ Era tuo padre, non potevi pensare che…
E Sans non poté tollerare che lei proseguisse ancora.
Avrei potuto rifiutarmi, l’hai visto anche tu che avrei potuto se solo… se solo avessi avuto il coraggio di rivoltarmi contro di lui… non mi ha costretto nessuno, ho fatto tutto d-da solo e… e non sai quante volte mi sono ripetuto parole simili in questi anni… erano il mio alibi, le mie scuse, per sentirmi meno in colpa… “ E nessuna di esse aveva avuto un effetto duraturo, se persino a distanza di anni quei peccati gli pesavano ancora sull’anima, schiacciandola, rischiando di soffocarla ogni volta che i suoi pensieri vagavano per quei lidi maledetti. “ Sono stato un i-ingenuo, non ho mai avuto nessuna vera giustificazione…
Il suo amaro e intenso dissenso non fu sufficiente a cancellare i sentimenti di conforto di Frisk, la comprensione che gli stava riservando.
Ho visto un padre fare leva sull’adorazione e sul rispetto che suo figlio aveva per lui… sapeva che, se solo lo avesse fatto, tu non ti saresti potuto rifiutare… eri piccolo, Sans, e non eri in grado di distinguere facilmente ciò che era bene da ciò che era male, lui te l’ha reso difficile, perché… perché ha fatto in modo che tu avessi paura di loro, che tu non vedessi che erano solo dei bambini, che tu non potessi accorgerti che anche se non erano mostri erano comunque delle vite innocenti… te ne sei accorto da solo e avresti potuto non accorgertene nemmeno… e io non sarei stata qui con te, a quest’ora…
Sans era sempre più stupito, quasi vicino allo scioccato. Come poteva lei…? Come…? Pensava che dopo questo, che dopo averlo visto combattere da solo quel bambino, che dopo averlo visto trattare male Papyrus, lei non avrebbe più voluto saperne di continuare, o persino di stargli vicino.
Frisk, come f-fai… come riesci ad essere…?
Sei mio amico, Sans… non ti lascerò, te lo avevo detto. ” Lo interruppe Frisk, la sua determinazione viva e palpitante come una fiamma, la sensazione che gli lasciò addosso non dissimile da quella che la vista della magia di Chara gli aveva fatto provare… e non trovava strano un simile paragone, parte della determinazione che Chara possedeva la doveva a Frisk, esattamente come doveva a lui la magia che era in grado di sprigionare.  “ Ora, sono ancora più decisa di prima a mantenere la parola data. Se la tua paura è quella di diventare come lui, allora allontanarti da me è fuori questione la considereresti la prova schiacciante che i tuoi timori erano sempre stati esatti, che se le persone ti allontanano è perché tra te e Gaster non c’è più niente che vi separa… non è vero? ”
Rimase momentaneamente in silenzio dopo quanto la ragazzina gli aveva detto, perché combaciava perfettamente con quello che era il suo consueto modo di pensare e non… non gli fu semplice ammetterlo apertamente.
Sì… è così… ma… ” Frisk non era disposta a demordere, percepiva la decisione con cui lei stava cercando di fargli vedere il proprio punto di vista… ma neanche lui era disposto ad arrendersi in questo caso. “ Piccola, non hai nessun obbligo, non devi rapportarti con me perché senti che non puoi fare altrimenti… io… io h-ho fatto del male a dei tuoi s-simili
E l’ho fatto anch’io. ” Non esitò a ricordargli la giovane, con un velo di mesta colpevolezza. “ Lo sai perfettamente, i miei ricordi li hai visti… magari, è per questo che in quell’occasione hai cercato di farmi sentire meno in colpa… perché ti sei rivisto in me… non ero riuscita a spiegarmi allora cosa ti avesse spinto a mostrarmi tanta comprensione, ma adesso… molti dei tuoi atteggiamenti mi sono più chiari.
Sans, suo malgrado, si ritrasse un pochino dall’essenza di lei. Non si aspettava che Frisk giungesse a quella conclusione, non così tanto presto almeno… era come essere un… libro aperto vivente. Questo tipo di sensazione lo aveva sempre fatto sentire con le spalle al muro, era sinonimo di mancanza di difesa e pericolo e non poteva fare a meno di provare tutto questo persino adesso, con Frisk, che sapeva non avrebbe mai sfruttato la sua debolezza per tornaconto personale… lei non lo aveva mai fatto fino ad ora. Era solo la sua mente ad essere troppo condizionata per accettare questa verità.
Ti senti… offesa per quella volta…? ” Le chiese, esitando in modo evidente quando la piccola fece per cancellare la breve distanza che lui aveva cercato di porre fra di loro, non attaccando, non infierendo, solo… solo per sfiorarlo delicatamente con la sua essenza rossastra, il contatto simile a quello di una mano che gli toccava il braccio.
No. Volevo solo dirti che anche tu avresti delle buone ragioni per tenermi lontana da te e dalla tua famiglia, ma ciò che invece hai fatto è stato accettare me e Chara nella tua casa. ” Gli spiegò la ragazzina, con animo sereno. “ E vorrei assicurarti che… che io ti starò accanto… voglio aiutarti, perché voglio che tu stia meglio in futuro… ti sei sentito male troppo a lungo.
L’affetto che lo avvolse come in un abbraccio era così genuino che Sans si sentì per un attimo immeritevole di essere colui verso cui quell’emozione era diretta… e non credette che essa potesse intensificarsi ulteriormente, come in disaccordo con le convinzioni generate dalla sua bassa autostima. Tu non vali meno di me, era questo il messaggio esplicito della piccola. Frisk era davvero più disinteressata di lui quando si trattava delle persone a lei care… poneva il benessere di chiunque al di sopra del suo, si faceva in quattro ogni volta che c’era bisogno, e non stava mancando di farlo nemmeno ora. Lei era speciale, irripetibile come suo fratello
Grazie, piccola… tu sei… davvero incredibile
Non aveva mai fatto nulla per impedire ai suoi stessi pensieri di criticarlo e sminuirlo… non quando era stato solo a dover affrontare la maggior parte delle sue responsabilità e dei suoi peccati, senza mai riuscire a risolvere il nodo di accuse, vergogne e rimproveri che, se non fossero stati originati dalla sua stessa mente, immaginava sarebbero usciti dalle bocche di coloro che gli erano vicini… e il giudizio inclemente del suo adorato fratellino, così diverso e così buono se confrontato a lui, era sempre stata una delle sue paure più recondite. Ma ora… forse, avrebbe potuto cominciare finalmente a lasciarsi questi pensieri alle spalle... ci sarebbe voluto lavoro certo, ma…
Ma da qualche parte si deve pur iniziare, no? ” Completò per lui la ragazzina, la sua positività non mancò di contagiarlo.
Già. ”
Probabilmente, aveva rimandato anche fin troppo fino ad adesso quel ‘iniziare da qualche parte’.
 
Era stato solo qualche giorno più tardi che si era ripresentato in laboratorio, con il suo sorriso plastico al proprio posto e le solite occhiaie di cui – era certo – non si sarebbe più liberato negli anni a venire.
Suo padre, come da manuale, era intento a trafficare sul suo personale banco da lavoro, così concentrato su qualunque cosa stesse facendo che non notò nemmeno il suo arrivo. Sans non se ne sorprese, era solo l’ennesima di centinaia di altre volte… e ormai ci aveva fatto l’abitudine, come a tutto il resto che riguardava Gaster d’altronde.
« Buon giorno, pa’. Come stai? Bella mattinata oggi, vero? Gli uccellini cinguettano, i fiori sbocciano e altre belle cose. » Salutò, con voce che gocciolava acido sarcasmo. Il suo genitore non levò nemmeno la testa per riconoscere la sua presenza. Sans continuò imperterrito.
« Mi sento proprio riposato oggi, ho dormito benissimo, grazie! » Aveva dormito da schifo – e neanche questa era una novità. « Perché me lo chiedi? Ah, è molto carino da parte tua preoccuparti per la mia salute. Cosa c’è da fare oggi? Esperimenti in provetta, o la soluzione per il buco nell’ozono? In entrambi i casi, io farò sempre il minimo indispensabile, come ben s-- »
« Vuoi stare zitto per un solo minuto, Sans?! » Urlò Gaster, alzandosi dopo aver sbattuto le mani contro il proprio banco da lavoro, i recipienti che vi erano poggiati sopra avevano suonato un concerto di violenti tintinni.
Sans emise un suono scocciato. Come se non stesse già zitto abbastanza durante ogni minuto che trascorreva in malaugurata compagnia di quell’irresponsabile di suo padre.
« Felice di vederti di buon umore come al solito, pa’. » Replicò noncurante, sistemando la borsa con i suoi appunti sul primo bancone libero. Anche se… doveva ammetterlo, aveva percepito qualcosa di alieno nel tono di suo padre – ed era sicuro non fosse nervosismo, o la consueta irritazione che era divenuta la prima risposta dello scheletro più anziano verso qualsiasi ‘fonte di disturbo’… se fosse stato quello il caso, sarebbe stato in grado di identificarlo alla perfezione.
Mentre ci stava rimuginando sopra, il Plic… Plic di una sostanza che gocciolava su una superficie attrasse la sua attenzione. D’istinto, si guardò attorno, domandosi se qualcuno degli altri ricercatori avesse lasciato aperto qualcosa la sera precedente – forse un rubinetto? –, quando i suoi occhi individuarono una macchia estranea di bianco sul bancone di suo padre. Un brivido senza origine gli percorse la colonna.
« Pa’…? »
Le spalle di suo padre si irrigidirono visibilmente.
« Non avvicinarti, Sans. Non farlo. » Gli ordinò lo scienziato, una mano ancora poggiata contro la scrivania, l’altra premuta contro il volto.
Il giovane alzò un’arcata sopraccigliare, seriamente perplesso.
« Ma che stai combinando? »
« Esci di qui, Sans! Ora! » Gridò Gaster, sbattendo nuovamente un pugno contro il tavolo, le ampolle tintinnarono una seconda volta.
Sans aveva sobbalzato leggermente di fronte a quella reazione spropositata, ma non per questo pensò per un singolo istante di dare ascolto a suo padre. C’era qualcosa di strano, c’era qualcosa di davvero strano nel suo atteggiamento, non poteva lasciar correre così.
Si avvicinò velocemente allo scienziato, il suo genitore non ebbe il tempo materiale di reagire, lo fece voltare con la medesima rapidità
Il giovane scheletro mosse un mezzo passo all’indietro, scioccato, ma del tutto incapace di distogliere lo sguardo dalla vista che gli si parò davanti: il volto di Gaster si stava liquefacendo lentamente e inesorabilmente, il suo occhio destro pareva essere destinato a sparire sotto l’incedere delle ossa ormai sciolte del cranio, un lungo squarcio si stava estendendo sotto l’orbita sinistra e sarebbe giunto presto a toccare il mento, e c’erano grossi rivoli di bianco che gocciolavano ovunque, come colla semiliquida e disgustosa al solo vederla.
Sentendo qualcosa di pastoso impregnargli le dita, Sans ritrasse spaventato la mano dal polso di suo padre. Le sue ginocchia divennero molli, un principio di nausea gli fece tremare le ossa quando si rese conto che quella stessa roba – bianca, dello stesso bianco delle ossa di suo padre – stava colando dalle sue falangi tremanti.
 
La realizzazione colpì Frisk con un inorridito stupore, in concomitanza ad un forte diniego, così forte che Sans poteva percepire il suo dubitare, il suo non voler quasi credere a ciò a cui stava assistendo. E, incredibilmente, lui non riusciva a darle la conferma definitiva che avrebbe spazzato via qualunque suo dubbio, non aveva il coraggio di dirle che il bastardo che lo aveva torturato più di una volta, che gli aveva sussurrato in così tante occasioni nei suoi sogni gli orrori provenienti da linee temporali perdute e fantasie in cui raccontava si sarebbe volentieri dilettato al suo inevitabile ritorno, era esattamente chi lei pensava che fosse… ma la spaccatura sopra l’occhio destro e lo squarcio sotto il sinistro stavano già fornendo alla piccola quella sofferta conferma… nessuno in tutto l’Underground portava segni lontanamente simili in volto.
 
« Cosa ti sta succedendo?! » Domandò allarmato il giovane scheletro, la sua stessa mente che lo stava pregando di distogliere lo sguardo da quella vista terrificante, ma senza successo, perché Sans non riuscì a concentrarsi su nient’altro in quel momento che il volto disturbante di suo padre.
Gaster si voltò immediatamente dopo averlo sentito esprimere quella domanda atterrita, cosa che lo fece innervosire e preoccupare enormemente allo stesso tempo.
Rapido, sottrasse a suo padre una delle siringhe che stava tentando di spostare in un posto al riparo dai suoi occhi.
« Sans! » Lo richiamò oltraggiato lo scienziato, facendo per tirarlo a sé, ma Sans entrò in una scorciatoia che lo portò fuori dalla portata dell’altro scheletro.
Soppesò fra le dita la siringa sottratta, agitando leggermente il liquido all’interno per cercare di determinare la sostanza in essa contenuta.
« Sans, ridammela subito. » Gli ordinò Gaster, ringhiando fra i denti, ma l’avvertimento insito nel tono del suo genitore non ebbe alcun effetto su di lui, non adesso che aveva compreso cosa diavolo ci fosse dentro quelle siringhe – e non era stato per nulla difficile per lui scoprirlo.
« DT, pa’? Quanta te ne sei iniettato stavolta?! »
Era basito, non poteva credere che nonostante fosse praticamente imbottito di DT suo padre avesse pensato bene di immetterne ancora nel suo organismo. Che cosa diavolo aveva nella testa per continuare ad iniettarsi qualcosa di tanto potente e pericoloso?! Era forse a causa della DT se ora le sue ossa si erano trasformate in una grottesca cascata di colla?!
Tempo un secondo, l’altro scheletro gli fu addosso e si riprese la siringa con un gesto stizzito, allontanandolo nel frattempo dal suo bancone.
« Non sono affari che ti riguardano, ragazzo. » Gli rispose freddamente suo padre, l’orbita sinistra assottigliata minacciosamente. Non una parola di più, gli stava ordinando quello sguardo. E Sans decise molto sprezzantemente di ignorarlo.
« Ti stai letteralmente sciogliendo, pa’! Come accidenti pensi di arrestare la cosa? Iniettandotene altra, forse?! » Ribatté, fermando ancora il braccio di suo padre nel portar via quella particolare siringa, cercando di non pensare alla sensazione di molle che aveva sotto le dita, persino adesso che aveva accuratamente evitato di afferrare qualunque parte non coperta dai vestiti. Aveva lasciato correre su molte altre bizzarrie e scemenze che suo padre aveva fatto negli anni, ma su questa… cosa si aspettava che facesse? Che accettasse di buon grado di vedere il volto del suo stesso genitore sciogliersi come cera?!
« Come ti ho già detto… » Digrignò i denti Gaster, allontanandolo definitivamente da sé con una spinta del gomito. « Questi non sono affari che ti riguardano. E per oggi sei congedato, Sans. Non osare tornare qui. Se le telecamere ti inquadreranno mentre tenti di varcare i confini di questo edificio durante l’arco della giornata, non esiterò a prendere provvedimenti. Intesi? »
Sans rimase sconvolto da quella minaccia.
« M-ma… ma t-tu non… »
« Fuori di qui seduta stante, ragazzo. Non farmi ripetere. »
Il giovane strinse convulsamente i pugni lungo i fianchi, fissando la schiena di suo padre con tanto, troppo risentimento. Aveva solo voluto aiutare, era stato solo preoccupato per suo padre, accidenti! Non gli era più concesso nemmeno quello…?
. . .
Ma perché preoccuparsene, in fondo? Gaster aveva già smesso anni prima di interessarsi di qualunque cosa riguardasse lui e suo fratello… non c’era stato quando lui aveva passato le notti a piangere fino a farsi male agli occhi e all’anima, non c’era stato per aiutarlo a crescere Papyrus e a congratularsi per i successi del suo fratellino, non c’era stato mai una volta in quegli anni… era ora che anche lui iniziasse a seguire l’esempio.
« Sai che ti dico? V a' a l d i a v o l o. »
Accortosi di avere lo sguardo di suo padre su di sé dopo quell’offesa, Sans non perse l’occasione per rendere ormai ufficiale il suo rifiuto, la sua rabbia, il suo disgusto verso quel dannato essere di suo padre.
Si tolse il badge dal camice, gettandolo sul tavolo lì vicino e fissando poi lo scheletro più anziano in segno di palese sfida. Forza, perdi le staffe come prima, gli stava comunicando, stringendo tetro gli occhi.
« Che cosa stai facendo? » Gli chiese lentamente Gaster, una mano sollevata a coprirsi la parte destra del volto, quella che si trovava in uno stato ben peggiore. Sorprendentemente, non percepì l’irritazione che si era aspettato di udire nel suo tono, ma non poteva ormai fregargli di meno di quei dettagli.
« Mi licenzio, vecchio. Trovati un altro assistente, non ho bisogno di questo stupido lavoro. »
Tolto anche il suo camice, se ne andò con la ferma intenzione di non rimettere più piede in quel maledetto posto. Suo padre non lo chiamò il giorno dopo minacciandolo di detrargli qualcosa dalla paga per il suo ritardo e la mancata presenza… evidentemente, aveva avuto almeno la decenza di capire che era stato serio a riguardo, che quanto aveva fatto era stato definitivo… o forse si era disciolto del tutto e i suoi colleghi avevano trovato solo una pozzanghera bianca a testimoniare che Wing Ding Gaster avesse commesso l’errore che gli era costato la vita.
 
Il suo problema più pressante era stato mettere al corrente suo fratello dei recenti sviluppi senza farlo rattristare… senza farlo impensierire. Perlomeno, i soldi non sarebbero stati motivo di preoccupazione per lungo tempo, la paga che aveva al laboratorio era sempre stata alta e non aveva mai ricevuto avvisi di mancato pagamento per le spese del loro appartamento; a quelle, doveva aver continuato a far fronte suo padre, era l’unica spiegazione che aveva – non certo quella che lo disgustasse meno, ma a conti fatti il non dover pagare le bollette gli aveva consentito di mettere da parte una cospicua somma di denaro.
In quel periodo della sua vita, dove niente aveva rappresentato più una certezza e i giorni sembravano sogni tutti troppo lenti, grigi e identici, si era ritrovato sempre più spesso a cercare la solitudine dove sapeva che avrebbe potuto trovarla, in giro per la varie aree dell’Underground. Era così che aveva cominciato a trascorrere il suo tempo negli orari in cui avrebbe dovuto essere impegnato col lavoro ( o, meglio, se avesse avuto ancora un lavoro ). Stare a casa non avrebbe avuto alcun senso, non senza Papyrus, che aveva la scuola da frequentare e le lezioni non sarebbero terminate prima dell’ora di pranzo solitamente.
Ma impegnare le sue giornate in quel modo, standosene con le mani in mano, a rimuginare su pensieri su cui non voleva rimuginare, sapeva che lo avrebbe lentamente distrutto e… consumato. Aveva accettato il primo posto di lavoro che era riuscito a trovare ed era stato così che si era ritrovato a pattugliare le foreste di Snowdin in qualità di sentinella, per uno stipendio significativamente inferiore rispetto al precedente… ma tutto ciò era di poca importanza… l’importante era stato trovare qualcosa da fare, qualcosa che non fosse stare sdraiato su un divano a fissare il vuoto e che, soprattutto, non richiedesse troppo impegno da parte sua. Se fosse stato abbastanza fortunato, magari un altro essere umano sarebbe passato di lì e gli insegnamenti del vecchio sarebbero finalmente serviti a fargli guadagnare un qualche tipo di ricompensa, invece che continuare a farlo sentire più marcio dentro ogni giorno che passava.
Nelle foreste di Snowdin, non aveva potuto fare a meno di notare la presenza di un vecchio portone solitario, probabilmente l’unica via d’accesso rimasta per giungere all’antica capitale del regno, oramai solo un cumolo di rovine disabitate. Più per tenersi compagnia che altro, aveva iniziato a fare pratica con alcune delle sue battute, servendosi di quel portone come interlocutore inanimato… non avendo niente di meglio per passare il tempo, si era dovuto adeguare.
Poi, un giorno, qualcuno gli aveva risposto dall’altro lato: la voce di una donna, dolce, calma, pronta al gioco e alla risata, bisognosa forse come lui di un po’ di luce in più nella propria vita. La sua amicizia con Toriel era iniziata così, in una giornata che si era prospettata monotona e uguale a tutte quelle che la avevano preceduta, ma che si era invece rivelata un punto di svolta più grande di quanto a quei tempi avesse creduto… perché, un altro giorno ancora, Toriel gli aveva chiesto di fare una cosa, una di quelle azioni che non aveva compiuto da un’eternità, perché si era scoperto totalmente incapace di portare a termine.
« Se un umano passerà mai attraverso questa porta… potresti per favore, per favore promettermi una cosa? Veglia su di lui… e-e proteggilo… lo farai, vero…? » Gli chiese la donna dietro al portone, la voce tremula, come se stesse cercando di trattenere dei singhiozzi pesanti e stremati.
E il sorriso tranquillo di Sans si ridusse ad una smorfia di disagio, una smorfia triste, intrisa di una profonda, pungente vergogna. Seppe sin dal primo istante di non poter accettare, perché… perché come avrebbe potuto lui, che aveva contribuito ad uccidere ben tre dei sei innocenti esseri umani che erano passati attraverso quella porta, che aveva pianificato di fare altrettanto con un quarto, promettere una cosa del genere? Tra tutti i mostri che potevano assumersi tale compito, era sicuramente il meno adatto per un impegno tanto grande… perché proprio lui che, fino ad allora, aveva fatto tutto tranne che tentare di proteggere uno solo di quegli umani? Il destino era ingiusto, era dannatamente ingiusto, perché doveva continuare a torturarlo così, con impegni che non poteva prendersi, con difficoltà e giornate colme di rammarico e colpa?
… E… f-forse… forse, era per questo che doveva accettare, che doveva promettere… per poter fare ammenda a ciò che aveva fatto in passato, per risparmiare almeno ad una vita quel destino crudele… anche a costo di dover nascondere quell’umano a suo padre, più potente e abile di lui sotto ogni punto di vista, e che avrebbe sicuramente tentato di recuperare l’ultima delle sette anime che occorrevano per rompere la barriera. Era un rischio che poteva prendersi, era un rischio che poteva correre… era una promessa di poco conto giurare un futuro per una vita, se paragonata a tutto ciò che lui aveva tolto ad altre tre vite.
« Sì… te lo prometto. »
Udì la sua misteriosa amica sospirare di sollievo dall’altro lato del portone, come se solo grazie a lui fosse stata finalmente capace di togliersi un peso enorme dalle spalle… era il peso di chi aveva tentato più volte di fermare la forte curiosità umana e che in altrettante aveva miseramente fallito.
« Ti ringrazio… grazie i-infinitamente. »
Sans si sentì felice per lei, per essersi reso utile per la prima volta in settimane, ma non poté restare a condividere quella felicità, perché ebbe l’urgente bisogno di iniziare a pensare seriamente al suo futuro… alle decisioni che avrebbe dovuto prendere da lì in avanti.
Dopo quella chiacchierata, invece di utilizzare le sue scorciatoie per tornare a casa, preferì percorrere i sentieri innevati di Snowdin con le proprie gambe per una volta, giusto per riflettere sui nuovi cambiamenti che avrebbe dovuto apportare alla sua vita e a quella di Papyrus. Primo fra tutti, avrebbe accettato a tempo indeterminato quel posto come sentinella. Secondo, avrebbe cercato una casa lì vicino in cui lui e Papyrus si sarebbero potuti trasferire senza più dover vivere all’ombra di loro padre. E terzo… avrebbe tenuto fede a quella promessa, fatta ad una persona di cui non conosceva nemmeno il nome, ma in cui risiedeva la sua unica possibilità di far qualcosa di concreto per rimediare ai suoi errori… qualcosa che non fosse supplicare continuamente il perdono di chi non era più in vita per concederglielo.
 





Sameko's side

Giuro che avevo intenzione di ricomparire prima, ma durante l'ultima revisione di questo capitolo avevo improvvisamente deciso che quanto avevo scritto era quasi tutto da buttare. Onde evitare di combinare pasticci, ho posticipato l'aggiornamento e ultimato l'ultima revisione solo questa settimana e che settimana infernale ragazzi. Ormai dovreste sapere che finché non raggiungo ai miei occhi un risultato almeno accettabile io preferisco non aggiornare. ^^"
Ho avuto in effetti  un rapporto di amore e odio con questo capitolo, ci sono punti che adoro e altri che ritengo solo passabili, ma devo ammettere che tutto sommato non ho tanto di cui lamentarmi.

Qualcuno di voi probabilmente avrà storto il naso quando avrà letto della mia fantasiosa spiegazione in merito all'assenza di una figura materna per Sans e Papyrus, magari qualcun altro avrà invece apprezzato i miei stratagemmi per a) evitare di inserire un OC a cui, se introdotto, dovrei dedicare davvero tanto lavoro ( personalmente, non ho mai apprezzato quei fancomic dove è presente una versione fanon della mamma dei fratelli ) e b) avere ad ogni costo un Gaster padre single e degenere XD. Per fortuna il canon non smentisce nulla di quanto ho scritto e sono immune persino alle contraddizioni di carattere scientifico visto che, AH!, si tratta di magia. Se qualcosa non vi è chiaro, non esitate come sempre a chiedere! :)
Questo capitolo mi ha inoltre ricordato che DOVREI scrivere una storia dedicata interamente agli skelebros, ma fino ad ora non ho mai avuto un'idea decente purtroppo. T_T Garantito che in futuro lo farò, sarà la mia missione personale.
Sperando di non far trascorrere ancora troppo tempo prima di postare la terza parte, vi saluto tutta eccitata perché anche quest'anno andrò a fare la compratrice compulsiva al festival del fumetto gadget di Undertale sarete miei.
Baci!

Sameko


 

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Capitolo 28
*** Capitolo 27: Perché sono ciò che sono - Parte Tre ***



Capitolo 27: Perché sono ciò che sono - Parte Tre
 





Un passo dopo l’altro nella neve soffice e con la penombra che andava sempre più trasformandosi nel buio della sera, cominciarono a profilarsi davanti ai suoi occhi le prime luci di Snowdin, una tranquilla cittadina di periferia che, ad un primo sguardo, sarebbe stata perfetta come nuova casa per lui e Paps. Magari gli affitti non erano neanche tanto cari da quelle parti e avrebbero potuto permettersi una casa confortevole facendo solo qualche piccolo sacrificio – per tagliare i ponti col passato, ricominciare da zero avrebbe potuto essere un primo passo ideale. Accompagnato dall’alone di positività che gli aveva donato la signora del portone, passeggiò con una piacevole calma lungo la via principale, godendosi l'atmosfera accogliente che traspirava da ogni modesto edificio sopra cui i suoi occhi si posavano. Che aria casalinga si respirava lì, del ritmo frenetico che animava la vita su a New Home sembrava non ce ne fosse proprio traccia a Snowdin.
Un sorriso sereno fece capolino sul suo volto mentre canticchiava sottovoce, sempre più convinto che lui e Paps non avrebbero avuto problemi ad ambientarsi se queste sue prime impressioni corrispondevano a verità... e toh, là c'era anche un locale – Grillby's citava l'insegna luminescente – e locale significava luogo di ritrovo e luogo di ritrovo significava più amicizie per il suo socievolissimo fratellino. Non si sarebbero davvero fatti mancare niente in questo posto.
Mentre era felicemente perso in quei pensieri, fu con un paralizzante sgomento che rivide suo padre dopo settimane dal loro litigio, intento ad aggirarsi con aria guardinga nei pressi di una costruzione in legno. I suoi sensi si misero istantaneamente in allarme e corse ai ripari dietro al muro di quella che sembrava essere la biblioteca locale, il nascondiglio a lui più vicino in quel frangente. Non era stato visto per suo grande sollievo e, da quella posizione riparata, poté tenere d’occhio l’altro scheletro finché non lo vide entrare in una scorciatoia, il bianco inconfondibile del suo camice inghiottito in un battito di ciglia dai flussi spazio-temporali. In un primo momento, Sans credette avesse lasciato il posto, ma quell’idea cozzò immediatamente con un razionale disaccordo: suo padre non era solito frequentare la zona di Snowdin, teletrasportarsi lì senza apparente motivo e sparire subito dopo era decisamente troppo sospetto.
Perlustrò quindi costruzione e dintorni, col risultato che l’unico elemento fuori dell’ordinario che individuò era quella porta collocata sul lato destro della casa, rinforzata e molto probabilmente difficile da aprire senza una chiave. Suo padre avrebbe potuto essere lì dentro, a fare chissà cosa all’oscuro di chiunque altro – ed era per questo che lui doveva entrare.
Cercando di trovare la traccia lasciata nello spazio-tempo dalla recente scorciatoia dallo scienziato, Sans poté oltrepassare quella porta e teletrasportarsi all’interno di quello che pareva essere uno scantinato adibito a laboratorio… e suo padre non poteva essere che , chino su un tavolo da lavoro, a controllare progetti e qualche altra delle sue diavolerie. Bingo.
Ciò che si impadronì di tutta l’attenzione del giovane scheletro fu, bensì, il macchinario posto sul fondo di quel laboratorio, un congegno a lui sconosciuto e che pareva essere in fase di riscaldamento, il leggero ronzio degli ingranaggi appena udibile sopra il frusciare dei fogli che Gaster stava spostando.
« Sans? »
Sans ridiresse la proprio attenzione su suo padre, il cui tono era stato carico di una leggera nota allarmata. Il suo volto, qualunque soluzione avesse trovato per arrestare il processo di scioglimento, era rimasto segnato da lunghe e profonde crepe, i suoi palmi resi cavi da buchi impressionanti, che il suo genitore stava palesemente cercando di nascondere indossando un camice dalle maniche più larghe del solito… un’altra cosa di suo padre con cui, oramai, aveva perso qualunque familiarità. Tutto per le sue ricerche, tutto per le sue stupide ricerche.
« Che cosa… come…? » Sussurrò lo scienziato, che aveva scritto in faccia a caratteri cubitali il suo non aspettarsi e, soprattutto, non volere intorno visitatori indigesti – visitatori indigesti come lui. Fu il ringhiare mal contenuto che emise ad arrestare le domande di suo padre.
« Non sei tu quello che dovrebbe pretendere delle risposte qui. Da quanto tempo hai il tuo bel laboratorio segreto personale, mh? »
“ Come se non ne avesse già uno di cui era despota indiscusso. ” Aggiunse tra sé e sé, ma mantenendo cautamente segreto quel pensiero.
« Non parlarmi con questo tono, ragazzo. » Lo avvertì lo scienziato e Sans si sentì seriamente ribollire dal nervoso dopo l’ammonizione di suo padre, che lo aveva prontamente ripreso come si fa con un bambino troppo capriccioso.
« Spiega che cosa sono tutte queste cianfrusaglie, o giuro che questo posto non rimarrà segreto un minuto di più. »
E Gaster lo conosceva abbastanza per sapere che la sua era una minaccia più che concreta, che se fosse stata messa in atto avrebbe rischiato di compromettere la fiducia di Asgore nei confronti di suo padre, oltre che quella del suo staff di collaboratori.
Lo scheletro più anziano sospirò seccato, massaggiandosi l’osso nasale con le dita per parecchi secondi. Già solo il verificarsi di quelle movenze gli fece intuire che lo aveva messo all’angolo con successo – per una volta, finalmente.
« Vuoi le tue risposte, Sans? » Gli venne chiesto con fare snervato e Sans strinse leggermente gli occhi, come per fargli presente che non avrebbe apprezzato stalli di alcun genere. Gaster gli fece quindi cenno di avvicinarsi. « Avrai le tue risposte, se è questo ciò che vuoi. »
Non avrebbe voluto obbedire a quel richiamo, una parte di lui si sentiva esitante nel farlo, ma comprese che solo assecondando l’altro scheletro avrebbe ottenuto una qualche spiegazione.
Solo Sans quando fu al suo fianco, lo scienziato si accinse a spiegare col tono di una sottile resa.
« Asgore, dopo la morte dei suoi due figli, mi affidò in prevalenza due incarichi da svolgere… uno, era cercare un sistema per infrangere la barriera che ci tieni imprigionati… come ben sai, non fui in grado di trovare una soluzione alternativa al raccogliere le anime degli esseri umani, fino ad oggi non sappiamo se sia almeno possibile crearne una artificialmente… l’altro incarico fu, dunque, quello su cui concentrai ogni mia prerogativa. Dovevo mettere a punto un metodo efficace e alla portata di qualunque mostro per uccidere un essere umano… e, per far questo, il primo passo era scoprire cosa li rendeva troppo potenti per noi e neutralizzarlo al meglio. Asgore era deciso a dichiarare guerra agli umani al tempo, né i tentativi di persuasione della regina né i miei furono in grado di dissuaderlo dall’idea… era divenuto quasi irriconoscibile, quasi impossibile da averci a che fare, e… io non potei far altro che accettare le sue direttive e mettermi al lavoro. »
Per un istante, Sans notò il vuoto farsi strada nell’occhio sinistro di suo padre – l’altro era socchiuso e molto probabilmente cieco, a giudicare da quanto a stento la pupilla bianca del suo genitore vi brillava all’interno. Era stato soltanto un attimo, come una perdita di equilibrio troppo misera per causare uno scivolone… e quel vuoto, così come si era palesato, si era velocemente dileguato.
« Consultai gli archivi storici e la biblioteca reale, raccolsi testimonianze da veterani di guerra… qualunque cosa, qualsiasi cosa che avesse potuto fornirmi qualche informazione in più sugli esseri umani, o su un qualche tipo di arma da usare contro di loro, io la volevo trovare e fare mia. Fu deludente per me venire a sapere che la nostra razza stava brancolando nel buio a distanza di secoli dalla nostra sconfitta… e nessuno era stato ancora in grado di determinarne in primo luogo le cause. Un vero scempio. »
Le mani di suo padre si erano strette in due pugni spazientiti e vagamente tremanti nel pronunciare quelle parole disgustate.
« Ormai snervato per la mancanza di risultati concreti, chiesi un permesso ad Asgore per analizzare l’anima della sua figlia umana; fortunatamente, le mie ricerche poterono così avviarsi. Capii finalmente cosa rendeva le anime umane tanto diverse e molto più resistenti delle nostre, un solo elemento che aveva avuto l’ultima parola su chi aveva dovuto rivestire il ruolo di dominatore e dominato, un composto chimico che potevo estrarre e analizzare in laboratorio e che chiamai Determinazione, con DT come relativa sigla. In mancanza di cavie da usare, sperimentai se me stesso gli effetti della DT, iniettandomela regolarmente e a dosi controllate. Fu grazie alla DT della figlia di Asgore che fui in grado di creare i Gaster Blaster. Tu e Papyrus li avete poi ereditati quando siete nati. »
E qui, Sans trovò la prima incongruenza con le informazioni che lui possedeva.
« Credevo fossero una tecnica d’attacco caratteristica solo di noi scheletri. » Considerò, dando voce alla sua attuale perplessità, oltre che stupore.
« No, decisamente no. » Negò immediatamente suo padre. « Furono una mia personale creazione, che non esitai a mostrare al re una volta opportunamente testata. Sua moglie, apprendendo dell’utilizzo che stavo facendo dell’anima di sua figlia, non fu ovviamente entusiasta. Quando la regina fuggì da palazzo, portò via sia il corpo della principessa che l’unica anima umana in nostro possesso. Nessuno l’ha più vista da allora. Tu, Sans, sei nato proprio in quel periodo… quando pensavo che le mie ricerche non sarebbero più proseguite in mancanza di materiale e che avrei potuto… concentrarmi anche su altro. »
Lo sguardo inflessibile di Sans si era leggermente mitigato udendo quelle ultime parole. Lui non riusciva… faceva fatica ad assimilare ciò che stava sentendo, l’implicazione che quel semplice altro poteva celare… suo padre non si comportava in maniera tanto emotiva da troppo, troppo tempo, a malapena ricordava l’aspetto che assumeva quel volto sotto l’influenza di tutte le emozioni che Gaster sembrava aver gettato via negli anni. Quelle riflessioni furono, tuttavia, solo un breve attimo di ‘debolezza’ che Sans si era concesso di avere, perché la sua precedente durezza era tornata a fare da padrona nel suo animo una volta che le ebbe scacciate.
« E poi? Che è successo? » Spronò, cercando di non suonare troppo impaziente.
« Altri due umani comparvero nel regno a distanza di pochi anni l’uno dall’altro. Fu re Asgore ad occuparsi del primo, ma quel compito venne in seguito assegnato a me… fui io ad occuparmi del secondo, del terzo, e di tutti gli altri a venire. Le mie ricerche ripresero e con loro i miei esperimenti sulla DT. Avendola ormai in corpo e unita alla mia magia, pensai che forse sarebbe stato possibile trasferirla anche a qualcuno che avrebbe potuto trarne qualche giovamento. Pensai a te a quel punto, credendo fermamente che avrei potuto aiutarti. Avevi sempre avuto un corpo fragile sin da quando eri bambino e volevo rimediare a quella che poteva essere stata una mia… mancanza… mancare di farti nascere con un organismo sano e forte come quello di tuo fratello. »
« Che… che cosa mi hai fatto? » Domandò quietamente Sans, tornando un poco sulla difensiva. Altra incongruenza.
« Niente di male, Sans. Non c’è motivo di preoccuparsi. » Tentò di tranquillizzarlo Gaster, facendo per poggiargli una mano sulla spalla, ma il giovane si scostò prima che potesse anche solo venir sfiorato. Quella mano restò sospesa nell’aria per un istante, prima di ritrarsi a lato del corpo di suo padre e fermarsi a ciondolare lungo il suo fianco. « Non volevo, infatti, che ti facessi del male… così, adoperai il metodo più sicuro tra quelli che avevo opzionato: stabilii con te una Sintonia e riuscii dunque a passarti parte della mia magia, della mia resistenza, e con esse alcune delle recenti abilità che ero riuscito a sviluppare… è per questa ragione che sei in grado di usare le ‘scorciatoie’ esattamente come me, che riesci ad incanalare la tua magia sfruttando il tuo occhio... » “ E incongruenza numero tre. ” Pensò il giovane con silenziosa irritazione, mentre lo scienziato proseguiva. « Un simile risultato lo avevo considerato un enorme successo ai tempi, ero entusiasta alla sola idea di scoprire se ce ne sarebbero stati altri persino più importanti… ma, purtroppo, non ci furono ulteriori risultati visibili. In seguito, ho ritenuto opportuno interrompere il legame e cancellare ogni ricordo ad esso relativo dalla tua mente. Per questo non ne hai memoria… non volevo che venissi continuamente bersagliato dalle mie emozioni quando eri ancora così piccolo. »
 
Siamo a quattro. ” Contò mentalmente e Frisk si mostrò subito perplessa di fronte alla sua dichiarazione, perché in quei ricordi non c’era ovviamente segno di una quarta incongruenza. Il suo sé passato, in fin dei conti, non poteva sapere di quell’ultima falla nelle informazioni che Gaster gli aveva sempre fornito – perché il suo sé passato aveva ancora una conoscenza parziale degli appunti di Gaster sulla Sintonia, non poteva sapere che se la loro Sintonia non fosse stata interrotta, lui e quell’incosciente sarebbero morti l’uno per sovraccarico di magia e l’altro per mancanza della suddetta.
Percepì un lieve brivido farsi strada nell’anima di Frisk quando le passò quei ricordi ben più recenti, risalenti al quinto giorno della linea temporale attuale. L’inquietudine della piccola si intensificò ulteriormente quando si ricordò dell’età in cui lui aveva scoperto dell’esistenza del suo occhio magico… otto anni… otto anni – e magari persino meno, visto che quegli appunti non riportavano date che potessero indicargli quando precisamente era stato stabilito quel legame – era una troppo giovane età per rischiare di perdere la propria vita. E Gaster gli aveva mentito anche su questo, sul pericolo che gli aveva fatto correre in quelle circostanze di cui lui non serbava più alcun ricordo.
 
« E me lo dici soltanto adesso? » Sbottò il giovane scheletro, strabuzzando gli occhi.
« Esattamente. » Rispose suo padre, pizzicandosi leggermente l’osso del naso mentre tornava alla sua spiegazione, ma gettando così un nuovo seme di irritazione nell’anima di Sans. « Compreso, per tuo indiretto merito, che la DT poteva essere trasferita senza che si verificassero effetti collaterali come avveniva tramite iniezione, cercai un metodo alternativo che potesse essere usato su larga scala, che potesse consentirmi di trasferire dosi pure in totale sicurezza. Non lo trovai all’epoca, perché l’arrivo del terzo umano nel regno mi aveva fatto scoprire una realtà sconcertante, la vera causa della nostra sconfitta durante la guerra: i ‘reset’ e i ‘ricaricamenti’, che solo gli umani parevano essere in grado di utilizzare avendo in loro possesso la DT. Per questo non smisi di iniettarmela almeno fino a qualche tempo fa… volevo ottenere quel potere a tutti i costi e pensavo che sarebbe stato possibile solo se avessi avuto abbastanza DT dentro di me. Solo recentemente, ho compreso il motivo per cui tutto quello che aveva ottenuto e continuavo ad ottenere erano soltanto potenziamenti della mia magia o l’irrobustimento del mio organismo: se avessi voluto possedere quel potere, avrei dovuto legare la DT alla mia anima artificialmente, invece di continuare ad iniettarmela nel corpo e attendere che il processo si verificasse in maniera spontanea. Per questo ho affittato questa casa… volevo proseguire con le mie ricerche, ma in privato, lontano da persone non fidate. Era una scoperta troppo grande questa per permettere che qualcuno se ne impadronisse. »
Percependo che la conversazione era quasi giunta ad un punto morto, Sans distolse lo sguardo da quello di suo padre per posarlo sul macchinario alle spalle di quest’ultimo: un aggeggio bizzarro, costituito principalmente da una console di comando e un enorme corpo cilindrico che svettava verso il soffitto… ed era proprio su quell’aggeggio che, ora, voleva saperne di più.
« Quindi, quello serve a…? »
« Legare la DT alla mia anima, o a quella di ogni altro mostro, sì. » Confermò quasi frettolosamente lo scienziato. « È un congegno che è da poco in fase di costruzione, lo sto ancora collaudando. »
Sans annuì leggermente in risposta, muovendo un passo con l’intenzione di esaminarlo più da vicino, ma si fermò quando udì nuovamente la voce di Gaster.
« Non avvicinarti troppo, Sans. Può rappresentare un pericolo se non si prendono le giuste precauzioni. »
Il suo genitore cessò quindi di prestargli attenzione e tornò a riordinare i progetti sparsi sul suo tavolo da lavoro, rigorosamente scritti in Wing Ding per nasconderne il contenuto ad occhi indiscreti.
« Ti chiederei di andartene, ragazzo. » Gli venne detto dopo un po’. « Devo continuare a collaudarlo e non posso farlo se non metto in sicurezza il laboratorio. »
« Mi stai sbattendo fuori di nuovo? » Domandò Sans, gli occhi di nuovo assottigliati in segno di sfida.
« Sans, non ho più tempo per i tuoi giochetti ora. Vai, per favore. » Lo ammonì con sguardo torvo lo scienziato, mentre infilava nei cassetti alcune carte e ne tirava fuori altre.
Sans, a quel punto, strinse i pugni e incassò la testa fra le spalle dal forte disappunto.
« Giochetti? È così che chiami tutto ciò che riguarda me, o Papyrus? Giochetti? »
Gaster sbuffò leggermente in risposta – e chi era il bambino adesso? Lui, o quello che aveva appena sbuffato senza nemmeno guardarlo negli occhi?
« Non ho voglia di discutere, giovanotto. »
« Ma ho voglia io. » Ringhiò il giovane, guardandolo con un’espressione che si stava sempre più incupendo. « È per tutte queste tue dannate ricerche che ci hai ignorato per anni, che non torni più a casa nemmeno per dormire! Cosa ti costava fare un salto ogni tanto, passare a dire un semplice Ciao, trascorrere qualche minuto con noi? Ti ricordi almeno quanti anni ha Papyrus? »
« Tredici, Sans. » Rispose l’altro scheletro, roteando gli occhi da un lato. « Sei soddisfatto, ora? »
Sans smise di vederci dalla rabbia.
« Ne ha quindici, porca miseria! QUINDICI! »
Gaster sbatté le palpebre, la sua bocca ridotta ad una linea perplessa.
« Io… pensavo… » Provò ad articolare, ma lo scheletro più giovane non gli lasciò nemmeno il tempo materiale di finire.
« Dovresti pensare a quale genitore non si ricorda neanche quanti anni hanno i suoi figli, piuttosto… » E rise, ma era stata la risata più amara della sua intera vita. « Ah ah… assurdo, davvero. »
Un silenzio di tomba seguì quelle sue ultime parole amareggiate, interrotto solo dal rumore degli ingranaggi del macchinario ancora in fase di preparazione.
« Sans, mi dispiace. » Gli disse improvvisamente suo padre, costringendolo a sollevare sorpreso la testa, la sua anima era stata percossa da una scossa di impreparazione: erano… erano parole di scuse quelle che stava forse sentendo? « Non posso più badare a voi due. Dovrete cavarvela da soli, purtroppo. »
« E cosa pensi abbiamo fatto fino ad ora? » Gli domandò con acido sarcasmo Sans, i pugni di nuovo stretti e tremanti. « Chi pensi abbia cresciuto Papyrus al posto tuo, EH?! »
« Non io, certamente. » Replicò lo scienziato, passandosi desolato una mano sulla fronte. « Per questo lo ammetto. Ti passerò l’atto di proprietà dell’appartamento e parte del mio stipendio andrà sul tuo conto ogni mese, così avrai meno di cui preoccuparti. Non mi farò più vedere se è ciò che desideri, va bene? »
Sans rimase legittimamente stupito da come suo padre era stato in grado di intuire velocemente i pensieri che lo avevano accompagnato durante la sua recente passeggiata nella neve. Avrebbe accettato quella proposta di buon grado, se solo gli fosse stata posta prima di entrare in quello scantinato… ma ora, dopo ciò che aveva visto e sentito, non c’era stato più, non era voluto più starci.
« Non è quello che voglio io, questo è quello che vuoi tu. Quello che voglio io è che tu cominci a prenderti le tue responsabilità e fare il padre come si deve per una buona volta! » 
« Non posso interrompere le mie ricerche, Sans. » Rispose all’istante Gaster, senza nemmeno tentare di negare che quella non fosse la verità dei suoi attuali pensieri. « Ho impiegato tanto tempo per giungere fino a questo punto, è troppo importante per me- »
« Noi dovremmo essere più importanti per te! » Gridò il giovane, più ferito che arrabbiato dalle parole che suo padre aveva espresso con così tanta noncuranza, e Frisk aveva sobbalzato internamente sentendo quel miscuglio di emozioni così doloroso farsi strada dentro l’animo del suo sé passato, ormai troppo simile nell’aspetto e nei pensieri alla persona che era diventato… ed era un segno evidente che quella lunga storia si stava ormai avviando verso la sua conclusione.
« E lo siete infatti, dovr- »
« Stai mentendo! Quando mai ci hai dimostrato affetto in questi anni? Quando?! »
Stava praticamente tremando dalla rabbia e dal dolore e voleva sentire, sentire cosa quel maledetto avesse da dire per discolparsi come al solito, per giustificarsi e sollevarsi dalle responsabilità avrebbe dovuto prendersi in quanto genitore di due figli che avevano ancora bisogno di lui.
Gaster non gli rispose, si limitò a fissarlo con un’espressione indecifrabile, come se non avesse più niente di concreto con cui controbattere – ma lui voleva sentire qualcosa, qualunque cosa adesso che per una volta era lui ad averlo messo con le spalle al muro, non quel dannato silenzio, perché a lui non era mai stato concesso il silenzio quando non aveva avuto parole con cui replicare.
L’unico risultato che ottenne fu il distogliersi, lento e silenzioso, di quello sguardo impenetrabile. Non aveva davvero più nulla da dirgli, allora.
Gaster si voltò una volta fatto ciò, tornò a riordinare i suoi progetti e negargli ancora l’attenzione che avrebbe voluto più di ogni altra cosa al mondo in questo momento – e Sans digrignò i denti fino a farseli scricchiolare vedendosi ignorato. Traboccante di furia, gli tolse prepotentemente di mano gli appunti, alcuni fogli caddero a terra e si sparsero disordinatamente sul pavimento.
Suo padre gli rivolse un’occhiataccia stizzita prima di allungare una mano per farseli ridare.
« Restituiscimeli, Sans. »
Il giovane assottigliò sprezzante le palpebre, stringendo più saldamente quei fogli tra le proprie mani, gli occhi dell’altro scheletro vennero attraversati da un intenso lampo di fastidio – Gaster odiava avere i propri progetti pieni di pieghe, soprattutto se avevano bisogno di ulteriori modifiche e correzioni.
« NO. »
Che si mettesse pure a pregare per riavere indietro quella carta straccia che, in qualche modo, valeva più di lui e Papyrus messi assieme.
La stizza negli occhi di suo padre mutò in irritazione udendo la sua risposta.
« Restituiscimeli, ho detto. »
« Te li restituirò solo quando comincerai a fare l’adulto che dovresti essere. » Replicò Sans, ponendo i progetti fuori dalla portata di Gaster quando quest’ultimo tentò di riprenderseli.
Fallito quell’unico tentativo, non ne seguirono altri, perché suo padre si mise a fissarlo a braccia conserte, con una severità snervata che Sans trovò solamente irritante, tanto quanto il suo insistere a torreggiare su di lui con la sua considerevole altezza.
« Sans, è l’ultima volta che te lo ripeto. Restituiscimeli, non costringermi a riprendermeli da me. » Lo avvertì Gaster, i denti ormai stretti tra loro e l’occhio sinistro ridotto ad una spigolosa fessura. Lo stava facendo arrabbiare sul serio questa volta, Sans ovviamente se ne accorse, ma scelse volontariamente di continuare a provocarlo; voleva ottenere una reazione diversa dalla sua solita, sconfortante, esasperante indifferenza. Era stanco di quell’espressione calcolatrice e fredda, STANCO di dover sempre essere remissivo nei confronti di quel tiranno ipocrita!
« Costringimi, avanti. Fammi vedere cosa sai fare. »
Fece appena in tempo ad esternare quelle parole di sfida che la sua anima venne costretta e intrappolata dalla magia blu di suo padre. L’istante successivo, era stato buttato pesantemente a terra da un improvviso quanto schiacciante aumento di gravità, un respiro incredulo e strozzato lasciò la sua bocca spalancata, l’ultimo che fu in grado di prendere per parecchi secondi di intenso sconcerto. Non aveva mai avuto un corpo resistente e persino un urto nel posto sbagliato avrebbe potuto causargli danni permanenti… eppure, pur sapendo perfettamente questo, suo padre lo aveva atterrato usando la sua magia, aveva davvero usato la forza con lui, e Sans lo aveva creduto incapace fino a quel momento di farlo, non aveva minimamente previsto che potesse arrivare a tanto.
Impossibilitato ad alzarsi a causa della sua anima ancora bloccata, Gaster fu libero di girargli attorno e forzarlo ad aprire le falangi per riprendersi i progetti.
« Abbiamo finito con queste sciocchezze da bambini ora? » Gli domandò lo scienziato, una volta in piedi di fianco a lui, in volto uno degli sguardi più arcigni che gli fosse mai stato dedicato… e, casualmente, la maggior parte gli erano stati sempre dedicati da quel farabutto.
Sans perse le staffe davanti a quel pensiero, il controllo della magia di suo padre venne momentaneamente meno e approfittò di questa occasione per spedirlo contro il muro opposto al bancone con un rapido movimento del braccio. La magia blu svanì dalla sua anima e fu in grado di rialzarsi con successo seppur traballando un pochino, la sua mano puntata in direzione dello scienziato per tenerlo ferocamente bloccato.
« Non sono più un bambino per colpa tua! » Gli rispose scoprendo furente i denti, nel mentre che suo padre stava cercando a sua volta di rimettersi in piedi, i suoi sforzi inutili fintanto che continuava a mantenerlo sotto tiro della sua magia. « Siete stati tu e le tue fandonie a rovinarmi! »
« Fandonie, ragazzo? » Controbatté Gaster, calmo nonostante le circostanze fossero chiaramente a suo sfavore, un accenno di sdegnata incredulità nella voce. « Rovinarti? Ti ho solo insegnato tutto ciò che sapevo nel migliore dei modi, quanti mostri nel regno pensi possano vantare un livello di conoscenze come il tuo? »
Sans, ormai perso qualsiasi stralcio di calma, lo risbatté nuovamente contro il muro, facendolo crollare a terra con un tonfo sgraziato. Nel suo occhio sinistro, percepì le prime, colleriche volute di magia sprigionarsi in una fisica dimostrazione dell’ostilità che gli stava bruciando dentro.
« Tutto ciò che ti sei mai preoccupato di insegnarmi è stato come uccidere dei bambini innocenti! Tu non puoi capire, n-non puoi capire cosa significhi sentirli gridare di notte, così f-forte che nemmeno la voce di tuo fratello riesce a sovrastare le loro e non puoi dormire, non ci riesci, perché ogni volta, ogni volta che ti addormenti, li rivedi supplicare davanti a T-TE! » Urlò, spingendo ancora una volta suo padre contro quella dannata parete, le lacrime a stento trattenute, un groppo in gola contro cui stava lottando rabbiosamente per far uscire la sua stessa voce. « E li avrò sulla coscienza per tutta la vita a causa t-tua! »
La magia blu di Gaster tornò ad intrappolargli l’anima e si ritrovò a picchiare la schiena contro il bancone dall’altro lato della stanza, a tentare di sopprimere il successivo lamento che minacciò di sfuggirgli. No, no, si era disconcentrato, si era distratto!
Suo padre fu libero di alzarsi, lisciarsi le pieghe sul suo camice con una tranquillità disarmante sotto i suoi occhi sdegnati. Solo fatto ciò, Gaster tornò a dedicarsi a lui, avvicinandolo passo dopo passo, la mano sollevata e luminescente di magia.
« È così che vuoi metterla, dunque? » Disse, una domanda lenta e atona. Sans tentò in ogni modo di muoversi e richiamare di nuovo la sua magia blu, ma la forza magica dell’altro scheletro era di gran lunga più potente della sua e lo stava tenendo spietatamente intrappolato contro il bancone, la gravità fin troppo pressante sulla sua anima per consentirgli altro che quel patetico contorcersi che stava portando avanti. « Sai, avresti potuto rifiutarti in qualsiasi momento di fare una qualunque di queste cose, ma hai scelto di continuare, forse per compiacermi, forse perché non hai mai avuto il coraggio di contraddirmi… o forse per qualche altra ragione a me sconosciuta. Solo le personalità deboli fanno ciò che viene loro detto senza riflettere, senza un criterio di giudizio, per poi addossare le loro colpe su coloro che sono indubbiamente più forti al momento opportuno. » Il suo genitore si abbassò sulle proprie ginocchia, guardandolo a livello dei suoi occhi per la prima volta in anni. E si era deciso a farlo proprio ora, quando un gesto simile aveva ormai perso importanza e non era più desiderato dal suo figlio maggiore. « E tu, Sans? Stai solo cercando di giustificare le tue azioni indicando me come la causa determinante, il fattore scatenante. Non ricordo di averti mai impartito insegnamenti così immaturi, sono sorpreso di sentirti parlare in questo modo… credevo, sinceramente, di averti cresciuto meglio di così. Stento quasi a credere che sei mio figlio. »
Sans allargò sconcertato gli occhi, la sua testa vuota di ogni pensiero in meno di mezzo secondo.
Quel giorno, qualcosa dentro di lui si era irrimediabilmente crepato, qualcosa che a dispetto di tutto quello che era accaduto fino ad allora era comunque riuscito a sopravvivere, ma che non aveva infine resistito a quell’ultima, fatale batosta. E niente, niente negli anni seguenti sarebbe stato in grado di riempire quella dolorosa crepa, che solo poche mirate parole erano state sufficienti ad infliggere al suo animo.
Trattenere le lacrime divenne quasi impossibile per lui ora.
« E tu non sei mai stato mio padre, s-se per questo. » Replicò, scuro in volto, sputando quelle parole come fossero veleno da una bocca che tremava come se stesse esalando i suoi ultimi respiri.
« … Prego? »
« Mi hai sentito, Gaster. » Ribatté lui, alzando sfrontatamente gli occhi – che vedesse pure cosa aveva fatto, quanto male lo stesse facendo e lo aveva sempre fatto sentire. « Non fingere di non aver capito. »
Non ebbe intenzione di rimangiarsi quelle parole, assolutamente no, ma la collera a malapena contenuta che vide affiorare sul volto di fronte a lui lo fece sentire disorientato, le spalle gli si raccolsero istintivamente, così come fecero le sue mani quando le premette contro il suo stesso petto.
Gaster lo afferrò per il bavero della sua maglia, lo fece rialzare da terra con un violento strattone e Sans sentì l’anima balzargli in gola quando il terreno gli venne a mancare da sotto i piedi, un guaito spaventato gli riverberò nella cassa toracica ansante.
« Sei proprio un ingrato, piagnucoloso, bambino viziato, lo sai Sans? » Gli sibilò in faccia lo scienziato, livido in volto dall’ira, nella più aggressiva dimostrazione di rabbia di cui il giovane lo avesse visto dar prova. « Credi che il mondo debba sempre girare esattamente come vuoi tu, che tutto quello che non va per il verso giusto sia sempre colpa degli altri. E quando inevitabilmente qualcosa non va secondo i tuoi piani, ti metti a frignare in un angolo senza fare nulla per cambiare le cose, sperando che qualcuno venga a dirti esattamente ciò che vuoi sentirti dire, mai il suo contrario. Sei patetico, solamente PATETICO. »
Sans lo fissò costernato pronunciare tutta quella sfilza di rimproveri, critiche, insulti, rifilategli nudi e crudi così com’erano uno dietro l’altro. Quelle parole – ingrato, piagnucoloso, viziato, patetico – avevano fatto male, tanto male, ma non più del sentirsi dire dal proprio genitore che a stento veniva riconosciuto come figlio. Quello… q-quello era stato ben più doloroso.
E fu allora che si rese conto dell’indebolirsi della magia di Gaster intorno alla sua anima, le sue emozioni invece di aumentare il controllo sulla sua magia lo stavano bensì affievolendo, e il giovane scheletro approfittò dell’occasione che gli si era presentata per ribaltare di nuovo le posizioni e rispedirlo lì dove era giusto che stesse, contro quel muro che si stava oramai crepando.
« Sei tu l’unico ingrato qui, l’unico che ha manie di controllo ed è egocentrico fino al midollo! Io ti ho dato tutto quello che avevo, ho sempre cercato di aiutarti quando a-avevi bisogno di me, quando non ti rendevi conto di aver bisogno di aiutoe tu, in cambio, mi hai sempre fatto pesare qualunque c-cosa! »
Un’altra emozione subentrò definitivamente nel suo animo in quel frangente, l’emozione forse più terribile e autodistruttiva di tutte, che porta solo dolore e mai sollievo quando prende il sopravvento, e la piccola lo seppe sin dal primo istante quali parole sarebbero seguite e tentò per questo di impedire al suo sé passato di pronunciarle… ma non aveva voce in capitolo lei lì, quelle cose erano già accadute, in un tempo su cui la ragazzina non aveva potere, e Sans si rammaricò per lei, per quel breve istante in cui Frisk aveva seriamente creduto di poter fare qualcosa per cambiare l’epilogo di quella che era stata la sua relazione con… con il mostro che lo aveva messo al mondo.
Quel litigio, violento e tremendo, raggiunse infine il suo culmine quando il suo sé passato non era stato più capace di astenersi dal gridare in faccia alla causa che aveva generato quelle emozioni distruttive, che le aveva continuamente alimentate fino a portarlo al suo punto di rottura.
« Io ti o-odio, ti odio da morire, non smetterò mai un singolo giorno della mia vita di ODIARTI! »
E, per un lunghissimo secondo denso di silenzio, non successe nulla.
L’espressione del giovane scheletro si stemperò leggermente sotto una prima fitta di… di rimpianto. Non poteva… non poteva aver detto una cosa simile, no, lui era… e-era ancora suo padre, perché lo aveva f-fatto
Il braccio di Gaster schizzò repentinamente di lato e Sans con esso verso la direzione in cui era stato puntato, la sua anima trascinata e strattonata da una gravità così brutale che fu capace di strappargli un grido stridulo.
Il suo mondo andò in bianco – bianco, dal dolore perforante che gli aveva percosso il retro della nuca come la lama di un’accetta – per precipitare l’istante seguente nel nero e nel silenzio, un forte rumore di ossa che impattavano contro metallo e vetro precedette la sua perdita di conoscenza.
Per molto tempo, ci fu solo desolante nero da osservare per entrambi di loro, e dovettero pazientare molto prima di percepire il disorientante risveglio di quel giovane Sans sul pavimento del laboratorio nei pressi del macchinario ormai spento, scombussolato e dolorante dalla botta che aveva ricevuto… e suo padre, il centro del suo primo pensiero da quando si era svegliato, non c’era più. Era sparito, si era volatilizzato e, come aveva in seguito appreso, non solo da quello scantinato, ma anche dalla memoria di tutte le persone che lo avevano conosciuto, meno che dalla sua. Era come se la terra lo avesse ingoiato, come se la storia stessa lo avesse ingoiato, cancellato con lo sforzo richiesto da un battito di palpebre – e per lungo tempo avrebbe continuato a domandarsi perché, tra tutti, proprio a lui era toccato portare il peso di quei ricordi, fino a che… fino a che non aveva realizzato la connessione ancora presente tra di loro, traccia reduce del legame che avevano condiviso ma mai del tutto cancellato, che Gaster stava tutt’ora sfruttando per mettersi in contatto con lui, e che… che lo aveva condannato a non dimenticare.
Ai tempi, aveva concluso che l’incidente – lo aveva così definito in mancanza di altri termini – doveva aver avuto luogo mentre aveva perso i sensi… ma cosa comprendeva quel ‘tutto’ precisamente? L’avviso del macchinario che il processo per cui era stato progettato era venuto a compimento e delle schegge d’osso sul pavimento erano gli unici indizi che aveva rinvenuto, troppo ridotti per consentirgli di ricostruire gli avvenimenti che, in quel lasso di tempo, avevano portato alla misteriosa sparizione di suo padre. Ad una prima occhiata, avrebbe ipotizzato che qualcosa in quel macchinario non aveva funzionato come avrebbe dovuto e Gaster era rimasto sfortunatamente coinvolto nel malfunzionamento, ma… ma perché lui si era risvegliato sul pavimento? Possibile che fosse stato volontariamente lasciato lì, privo di coscienza com’era? Suo padre… suo padre era rimasto davvero così tanto arrabbiato dalle sue parole che lo aveva abbandonato lì e aveva continuato a… a lavorare sulle sue cose come se niente fosse?
Si interrogò su quella domanda per giorni, cercando di capire, di avere una spiegazione… e, alla fine, rinunciò ad indagare oltre. Qualunque fosse stato lo sfortunato destino dello scienziato, con lui aveva chiuso. Aveva avuto la medesima intenzione già prima di entrare in quello scantinato, di ignorare completamente l’esistenza di un genitore che non c’era stato a lungo e che per tutto il resto della sua vita avrebbe continuato a non esserci… adesso, sarebbe certamente stato ben più semplice senza nessuno che potesse ricordarglielo anche solo per sbaglio.
Soppressa persino l’ultima, superstite briciola di apprensione verso suo padre, Sans era andato avanti, un capitolo della sua vita concluso, un altro che stava per cominciare, e qualsiasi cosa riguardasse Gaster seppellita e dimenticata; il disegno di suo fratello, che lui non aveva avuto cuore di buttare, giaceva da allora dimenticato in un cassetto di quello scantinato insieme al suo badge da assistente – un pezzo della vita precedente di Papyrus, un pezzo della sua… abbastanza equo, dopotutto.
Aveva deciso di seguire il piano originale e lui e Papyrus si erano trasferiti a Snowdin, nella casa che Gaster aveva usato come copertura per il suo più fallimentare esperimento. Aveva scoperto, a metà tra il piacevolmente sorpreso e la dura indignazione, che l’affitto dell’abitazione era stato già pagato in anticipo per i successivi mesi, segno inequivocabile che Gaster aveva pianificato di continuare ancora per molto a condurre le sue sperimentazioni in quello scantinato. Ma, fortunatamente per loro, tutto ciò li aveva solo facilitati durante il trasferimento e Sans era stato contento di avere almeno un pensiero in meno per la testa, visto che aveva avuto tante altre cose da sistemare e da mettere in regola una volta lì a Snowdin… prima fra tutte, consentire finalmente all’affittuario di identificare il misterioso figuro che aveva affittato quella casa in totale segretezza – lui non era ovviamente Gaster ma, ehi, nessuno sarebbe venuto a denunciarlo di furto d’identità o simili, no?
Quando ormai aveva creduto che tutto sarebbe andato per il verso giusto e che, dopo tanti travagli, avrebbe potuto godersi un po’ la vita con suo fratello, Gaster era riapparso una notte nei suoi sogni… e il suo nuovo aspetto, più massiccio, più minaccioso, irradiava un potere che aveva decantato alla sua anima rabbrividente la presenza di un pericolo vero e temibile… lo scienziato aveva da sempre emanato una simile aura soffocante, ma durante la sua permanenza nel Void sembrava essersi intensificata esponenzialmente, al punto che Sans aveva avuto la netta sensazione di avere davanti una persona diversa, che possedeva ancora i tratti fisici di Gaster, ma che era cambiata… cambiata in un modo che la sua mente non era riuscita ad identificare.
Aveva così appreso di come Gaster, a causa del macchinario che aveva lui stesso progettato, era stato fatto a pezzi coscienza, anima e corpo attraverso lo spazio-tempo e che, solo dopo aver riacquistato almeno la prima di queste, era riuscito a trovare un piano dell’esistenza in cui tornare ad esistere; quel piano era il Void, il cosiddetto ‘vuoto tra le dimensioni’, dove tempo e spazio non esistevano, dove nessuna delle leggi applicabili al piano della realtà lì poteva vigere. Gaster lo aveva già studiato in passato quando lui era ancora un ragazzino e Alphys era stata la migliore stagista ospitata al laboratorio – e ricordava, oh come ricordava bene l’interesse dimostrato del suo genitore nei confronti di quella dimensione… ironico come, alla fine, quel luogo di fascino fosse divenuta la sua prigione.
E la prima delle cose che lo aveva disturbato oltre ogni limite durante quel primo contatto con Gaster, era stato l’apprendere di come quel demone fosse riuscito miracolosamente a tornare.
« È stato molto più semplice di quanto tu creda. » Esordì l’ex scienziato, con un gesto noncurante della mano, l’orgoglio personale nella sua voce non era mai stato così lampante. « Sono stati i miei fedeli collaboratori a fornirmi i mezzi necessari per il mio ritorno… al caro prezzo, purtroppo, di sparire dai ricordi di tutti, esattamente come me. »
Sans si dimostrò subito scettico riguardo a quella spiegazione – sarebbe stato scettico nei confronti di qualunque parola l’ex scienziato avrebbe pronunciato negli anni a venire, perché la sua fiducia era stata orribilmente compressa prima e ridotta in frantumi in un tempo persino più minore.
« E in che modo? Solo io so che tu sei anche solo mai esistito, come avrebbero potuto fare? » Lo mise immediatamente in discussione il giovane, pensando in assoluta sicurezza di aver scoperto un’enorme falla in quella spiegazione.
Gaster inclinò la testa davanti alla sua replica, le estremità del suo sorriso ben più marcate rispetto a quanto lo erano state fino ad un solo secondo prima, come se si fosse aspettato un simile ribattere – anzi, che avesse in un certo senso sperato in una reazione del genere da parte sua.
« La risposta è anche qui molto semplice: non l’hanno fatto volontariamente. » E fu evidente il forte indugiare di Gaster nell’osservare, con una compiaciuta soddisfazione, l’espressione in quel momento sgomenta del giovane scheletro. « Devi sapere che in realtà, nonostante avessi perduto ogni parte del mio essere, neanche allora cessai di vivere… un istinto di sopravvivenza che oserei definire animalesco mi ha consentito di continuare ad esistere, di restare attaccato alla vita… ma esso bramava fortemente di riunirsi alla coscienza  da cui era stato brutalmente separato… per fare ciò, necessitava come di uno schema, di molteplici schemi, manuali da utilizzare come riferimento per raccogliere e ricomporre i pezzi in cui la mia mente era stata scinta. Ma cose simili potevano essere rintracciate e prelevate solo dal piano collocato più in alto di tutti gli altri, la nostra realtà… ragion per cui quell’istinto ha pazientato a lungo per ottenere ciò che bramava… ma è stato, alla fine, ricompensato come si deve. »
Sans allargò leggermente gli occhi, un pensiero fin troppo macabro aveva cominciato a farsi strada nella sua testa con un’insistenza disarmante.
« Vuoi dire… c-che li hai…? »
Non ebbe il coraggio di terminare quella frase e nemmeno ce ne fu alcun bisogno, perché ci pensò con molto piacere Gaster a giudicare dal breve estendersi del suo sorriso.
« Mi sono servito dei miei ex collaboratori, sì… li ho sostanzialmente divorati, da un certo punto di vista. Ipotizzo che quel poco che è rimasto di loro sia ancora rintracciabile da qualche parte nel piano della realtà… tuttavia, dubito che potrebbero ancora essere considerati creature viventi. » Il sorriso fino a quel momento immobile di Gaster si allargò, si caricò di una sfumatura deviata e malata che gli fece rabbrividire l’anima nel petto, lo sconcerto affiorò senza più filtri sul suo volto. « Hai mai sentito una fame tanto ferale, tanto insopportabile, che il tuo intero essere urla per avere anche solo un poco di nutrimento? E persino quando lo ottieni non ne hai abbastanza, non sei soddisfatto, e ne vuoi altro, e altro ancora è inutile fare una faccia tanto scioccata, avresti fatto lo stesso, se soltanto avessi provato ciò che ho sentito, se non avessi avuto altro a cui appigliarti per vivere. »
Sans distolse rapido lo sguardo da quello dell’ex scienziato, i pugni tremolanti dall’orrore con cui tentava di metabolizzare un fatto tanto raccapricciante comunicato così boriosamente.
E Gaster non gliene lasciò nemmeno il tempo, trattando la cosa con una superficialità che lo prese seriamente in contropiede.
« Comunque sia, ragazzo… se hai finito con le domande, veniamo dunque al motivo principale di questa mia visita, sì? Suppongo ti interessi conoscerlo, visto che riguarda anche te in prima persona. »
« M-me? » Fu a malapena in grado di balbettare Sans, incapace di guardare quel volto, così statico e freddo da sembrare una grottesca maschera – non poteva essere il volto di una persona che dichiarava di essere appena tornata alla vita.
« Corretto. » Annuì brevemente Gaster, qualcosa di simile alla soddisfazione si insinuò nel tono di voce dell’ex scienziato. « C’è un compito che dovresti gentilmente svolgere per me… dovresti solo apportare qualche modifica al mio macchinario per consentirmi di riavere indietro la mia anima e il mio corpo, credo sia abbastanza alla tua portata. Se seguirai le mie indicazioni alla lettera, io potrò tornare ad esistere anche nel mondo reale e nei ricordi di tutti. Una volta fatto ciò, vorrei avere la tua speciale collaborazione per un certo progetto su cui ho avuto modo di riflettere a lungo durante la mia permanenza qui. »
« E cosa ti fa pensare che ti darò anche solo ascolto, dopo tutto quello che hai fatto? » Replicò a denti stretti il giovane, con sguardo risentito, infastidito dalla sicurezza con cui l’altro scheletro pensava evidentemente che avrebbe accettato.
La risposta di Gaster non tardò ad arrivare.
« Perché ti permetterò di realizzare i tuoi desideri, le tue aspirazioni, i tuoi sogni, anche quelli più nascosti nel tuo animo. E, fra questi, so che ce n’è uno particolarmente irrealizzabile… » Gaster gli rivolse quindi un breve sguardo calcolatore, che fece vacillare impercettibilmente il suo. « Dimmi, Sans, quanti anni avevi quando mi dicesti che avresti tanto voluto far vedere la superficie a Papyrus? »
Sans non rispose, reso titubante dalla direzione incerta che quel discorso stava prendendo.
Gaster alzò leggermente un angolo del suo sorriso, più ora simile ad un lungo e stirato ghigno, una scintilla vittoriosa insita all’interno delle sue orbite vuote di luce.
« Come immaginavo, alcuni di essi non sono per nulla mutati nel tempo. »
« E questo in particolare resterà inesaudito per sempre. » Ribatté Sans, stringendo astiosamente le palpebre per quanto palese era stato l’intento per nulla innocente di quella domanda, atta solo a rendere visibili a Gaster le sue debolezze più profonde. « Noi mostri non rivedremo mai più la superficie e neanche il sole, perché non ne vale la pena se per farlo bisogna sacrificare la vita di qualcun altro. Senza né me, né te a fare piazza pulita di qualunque essere umano venga avvistato, nessuno dovrà più morire. E io non ti riporterò mai indietro se le tue intenzioni sono ancora così vergognose! »
« Non ho mai specificato che fossero queste le mie intenzioni… » Puntualizzò Gaster, con un velo di indignazione in quelle orbite nere, tanto sottile da rendere dubbia la sua effettiva presenza agli occhi di Sans. « No, le mie intenzioni, i miei piani, non si limitano alla fin troppo facile distruzione della barriera… ciò a cui miro, è riappropriarmi della superficie che ci è stata tolta da quelle creature tanto rozze e primitive, se paragonate al potenziale della nostra razza e a quello della nostra famiglia. »
« Vuoi dichiarare guerra agli umani? » Gli domandò sconcertato Sans. « Sai benissimo che noi mostri non abbiamo una possibilità contro di loro, immagina quanto si saranno moltiplicati durante la nostra assenza, moriremmo tu-! »
« Dimentichi il dettaglio più importante, Sans. » Lo interruppe l’ex scienziato, con una sfumatura leggermente più ilare nel proprio sorriso. « Le cose sono diverse da come lo sono state durante la guerra, perché ora potremo combatterli ad armi pari… anzi… saremo persino più potenti di loro, con magia e Determinazione dalla nostra parte. Produrre su vasta scala macchinari simili al mio sarà, ironicamente, la parte più difficile… per contro, schiavizzare gli esseri umani diventerà anche fin troppo facile, quando il nostro intero popolo avrà ottenuto il potere che ci ha segregati sotto quella montagna per secoli… e quando sarà, ovviamente, nominato un sovrano più capace di Asgore per guidarci. »
« Sei fuori di testa se pensi che trascinerò la nostra razza in una guerra solo per qualche tuo schema delirante! » Gridò Sans, traboccante di indignazione. Gli era parso di ascoltare i vaneggiamenti di un pazzo, non di una persona che aveva fatto della scienza e della razionalità la sua vera ragione di vita, e il giovane rimase davvero disorientato oltre che nauseato da quel radicale cambio di atteggiamento.
« Oh, Sans, non giocare a fare la parte dell’eroe… so benissimo che a te non interessa il benessere della nostra razza e l’unico mostro a cui tieni è Papyrus, che potrebbe sfortunatamente restare coinvolto nel conflitto. » Ribatté l’ex scienziato con una risatina e Sans strinse duramente i denti udendo quel suono molesto e l’accusa che gli stava venendo rivolta contro… non era un eroe, né aveva mai voluto diventarlo, ma da qui ad essere l’egoista e il codardo che Gaster lo stava accusando di essere ne passava di acqua sotto i ponti. « Ma non ti devi preoccupare, voi due occupate un posto importante nei miei cosiddetti ‘schemi deliranti’. Secondo i miei calcoli, vinceremo la guerra nel giro di un decennio o due, al cui termine i mostri ripopoleranno di nuovo il pianeta, soprattutto se ci sarò io al comando del nostro popolo. » Un luccicare bianco fece capolino nel nero nell’orbita di Gaster, a cui Sans guardò con espressione turbatamente corrugata. « A tal proposito… come ti suona diventare il principe della nostra razza insieme a tuo fratello, ragazzo? Abbastanza allettante, non trovi? Senza contare che, finalmente, saremo la famiglia unita che, se non sbaglio, mi avevi detto di volere. »
« Non mi sembra che nel pacchetto avessi incluso anche la voce ‘sterminio e/o asservimento di un’intera razza’, sai? » Rispose Sans con aggressivo sarcasmo, il suo precedente turbamento cancellato in fretta e furia. « Te lo puoi scordare, davvero, te lo puoi assolutamente scordare di ricevere aiuto da me. Non prenderò mai parte a simili barbarie, né ora, né mai. »
E non riusciva a capire quale fosse l’obiettivo di Gaster in tutto questo, quello di persuaderlo ad accettare la sua offerta, o quello di mettersi i bastoni tra le ruote da solo continuando a nemmeno mascherare le sue vere intenzioni? Non aveva senso un simile comportamento, a meno che… a meno che lo scienziato non avesse veramente voluto averlo dalla sua parte fin dall’inizio…. a meno che l’altro non avesse voluto crearsi un nemico per il semplice gusto di farlo. La possibilità più che concreta che fosse proprio quella la spiegazione che stava cercando gli fece correre un brivido su e giù lungo la spina dorsale.
Una delle estremità del sorriso di Gaster si piegò pericolosamente verso l’alto, come se avesse osservato intrigato quel rabbrividire che lo aveva scosso.
« Questo lo vedremo, caro giovanotto. » Commentò deliziato, lo sguardo di sufficienza in quelle orbite nere pungeva e faceva sgorgare solo indignazione dal suo animo. « Mi domando come ti comporterai se un settimo umano farà la sua comparsa nel regno e comincerà ad uccidere coloro che ami. Ti rifiuterai ancora di compiere quelle che tu ora definisci ‘barbarie’, oppure scenderai in campo a combattere? O, forse, chiederai il mio aiuto solo per non avere un’altra anima sulla coscienza? »
Sans arretrò, digrignando i denti nello ristabilire una distanza appropriata tra loro due. Non era stato per un desiderio tanto egoistico come quello a cui Gaster aveva alluso che aveva deciso di fare quella solenne promessa alla signora dietro al portone. No, lo aveva fatto perché uccidere degli innocenti era sbagliato a prescindere, ancor più se si trattava di bambini, e perché l’unico modo che aveva di rimediare a quei suoi tragici errori era giurare di non commetterli mai più.
« Tutti gli umani che sono stati fino ad ora uccisi erano solo dei bambini innocenti, certo non le terribili minacce su cui hai sempre speso così tante belle parole… lo scenario che mi hai descritto è talmente assurdo che non avrei preso sul serio nemmeno Papyrus se fosse stato lui a parlarmene. »
« Ma la sola possibilità che possa realizzarsi ti spaventa, non è così? » Gli domandòidomandòdo Gaster, socchiudendo leggermente l’orbita sinistra, dietro cui Sans fu in grado di intravedere il brillare fioco quanto inquietante di un cerchio di luce bianca brillare – il bagliore che, dapprima, aveva solamente intravisto. « E accadrà, Sans. È un dato certo che accadrà e ti pentirai di non avermi dato retta. »
« E su quali prove si baserebbe questa tua predizione, mh? » Gli chiese scetticamente il giovane scheletro.
Una risata arida lasciò la bocca seghettata dell’ex scienziato.
« Ci sono molte cose che non sai sul Void, giovanotto… cose di cui nemmeno io ero a conoscenza. Potrò anche aver cessato di esistere sul piano della realtà, ma ora posso vedere ogni cosa, ascoltare ogni cosa, conoscere ogni cosa… e questo mi conferisce in una certa misura anche abilità di chiaroveggenza. Conosco parte del tuo futuro… e succederanno cose spiacevoli che non potrai sperare di affrontare da solo. » Gli rispose Gaster, allungando una mano verso il suo petto, ad indicare la sua anima all’interno con l’indice. « E questa, te lo garantisco, non resisterà a lungo. »
Sans arretrò nuovamente di fronte a cosa quel gesto pareva implicare – contatto, contatto che lui non voleva più avere con un essere tanto orrendo e depravato.
« Allontanati. NON.TOCCARMI. »
Gaster abbassò il braccio, il suo sorriso immobile durante l’intera esecuzione di quel gesto. Non sembrava ferito dall’avversione che gli aveva appena mostrato, era come se il suo rifiuto non lo avesse neanche sfiorato.
« Non potrei nemmeno volendo, ragazzo. Non possiedo una forma fisica qui nel Void, sono solamente un insieme di pensieri e riflessioni che si susseguono in questo spazio infinito. » Dichiarò, tornando ad elevarsi sopra di lui dall’alto della sua imponente statura – troppo imponente. « Siamo un po’ irruenti, o sbaglio? »
Sans digrignò leggermente i denti dall’irritazione che quel commento arrogante gli aveva provocato.
« Oh, beh, perdona la mia maleducazione, ma ho appena scoperto che il farabutto che mi ha messo al mondo è sempre stato un megalomane, egoista pieno di sé che non ha un briciolo di coscienza in testa, e la cosa potrebbe forse forse avermi un po’ sconvolto, non credi? » Replicò, piccato. « Sii onesto, mi hai mai raccontato qualcosa di vero, o erano tutte menzogne? »
Gaster si portò una mano sotto il mento, fingendo palesemente di riflettere sopra la sua domanda soltanto per farsi beffe di lui.
« Chi lo sa… ti ho raccontato così tante cose in questi anni che sarebbe difficile operare un criterio di distinzione. »
Il giovane strinse gli occhi udendo quella risposta noncurante. Era stato tutto un gioco per Gaster, sempre e soltanto un perfido gioco a cui lui stesso aveva preso inconsapevolmente parte per troppo tempo. Era stato davvero uno stupido, un grande stupido, persino quando aveva creduto di aver visto qualcosa in quegli occhi era stata solo una farsa, solo un’illusione.
« Devo dedurre, dunque, che non accetterai la mia proposta? » Constatò proprio il simpaticone oggetto dei suoi pensieri, interrompendo il suo silenzio denso di indignazione e rabbia.
« Esatto, così come non credo ad una sola parola delle tue favolette apocalittiche. » Rispose lui, stringendo i pugni nella tasche della propria felpa e sperando che non sarebbe stato un gesto troppo vistoso. « Buona permanenza nel Void, Gaster, perché ci resterai finché la tua testa non comincerà a ragionare per il verso giusto. »
Il che significava PER SEMPRE, con la piega che avevano preso le cose.
L’ex scienziato rise di gola davanti alla sua intransigenza, assottigliando le orbite fino a ridurle a due sottili e abissali fessure, il suo sguardo così snervantemente fisso nel suo.
« Come desideri. Tue le decisioni, tue le conseguenze. Ma vorrei che tu tenessi a mente una cosa… » Un attimo prima, Sans aveva giurato di avere Gaster in piedi proprio davanti a sé. Un attimo dopo, sentì la presenza dell’altro mostro alle proprie spalle, la sua voce ad un soffio dal suo collo… e Sans, per quanto avrebbe voluto farlo, non fu capace di scostarsi, era come paralizzato da un’aura opprimente e invisibile che lo stava tenendo strettamente vincolato a Gaster e alle sue parole cantilenanti. « Quando uscirò dal Void – e lo farò, anche senza il tuo aiuto – i primi che verrò a cercare sarete tu e Papyrus. E, te lo assicuro sulla precaria vita di tuo fratello, rimpiangerai amaramente di non aver accettato la mia proposta quando eri ancora in tempo. »
Sans serrò per un istante gli occhi, cercando di sopprimere il brivido involontario che gli aveva scosso la colonna. Per poco, solo per poco, un senso di soffocante e irrazionale paura lo aveva scosso dall’interno – e, per quanto fugace fosse stato, era stato comunque sufficiente a far accelerare i battiti della sua anima durante i secondi successivi. Non era riuscito a restare completamente fermo, ma sperava di non aver quantomeno fatto affiorare quella paura inspiegabile sul suo stesso volto.
« Le tue sono solo minacce a vuoto. » Ribatté in tono piatto – e solo una volta che fu sicuro di poter parlare celando quella sua recente reazione corporea.
Lo udì ridacchiare tranquillo alle sue spalle, ma poteva arduamente essere definita una risata quel mescolarsi di suoni striscianti, vibranti come una registrazione piena di interferenze.
« Ho mai fatto minacce a vuoto, Sans? » Gli domandò Gaster e Sans, pur non vedendolo, riuscì a cogliere la sfumatura malsana che il ghigno dello scienziato doveva aver assunto. « Riflettici sopra, quando ti sveglierai… il tempo, di certo, non ti mancherà. »
Non aveva compreso all’inizio il significato non così tanto nascosto dietro a quelle parole… ci avrebbe pensato il destino incombente ad aprirgli gli occhi sulla questione, perché era passata appena qualche settimana dal suo incontro con Gaster quando… quando i reset erano cominciati. La prima volta che aveva udito Papyrus pronunciare la stessa identica frase che gli aveva sentito pronunciare in uno dei suoi sogni, pensava si fosse trattata di una coincidenza; dopo una seconda, una terza, una quarta, una quinta, una sesta volta… era stato ormai mortalmente certo che qualcosa stava disturbando il normale scorrere del tempo, con nessuna costante che potesse prendere in analisi per prevedere quando sarebbe avvenuto il reset successivo.
In qualche modo, lui era stato ed era tutt’ora il solo a possedere la sventurata capacità di ricordare in sogno gli eventi accaduti in altre linee temporali, a volte solo in parte, a volte con una presenza angosciante di particolari… e la maggior parte erano eventi che non potevano essere neanche lontanamente definiti felici e che, di conseguenza, non poteva mostrare a Frisk, perché erano… alcuni erano troppo disturbanti persino per lui da ricordare, figuriamoci quanto disturbante sarebbe stato per lei se glieli avesse passati.
Gli erano occorsi un numero incalcolabile di reset per scoprire il responsabile di tutta quella pazzia, rintracciare in quel sadico di un fiore l’anomalia che li stava generando... e che, nonostante non possedesse più il potere di resettare, stava continuando a metterli nei casini tutt’ora, visto che ormai credeva fermamente che il corpo che Gaster aveva rubato doveva essere il suo – tutti gli indizi raccolti fino ad ora portavano a questa conclusione, dopotutto.
Un picco di ansia e orrore provenne dall’anima di Frisk, entrambi così intensi da lasciarlo spiazzato.
Piccola, è tutto ok…?
Lo shock della ragazzina non diminuì nel momento in cui lei si accinse a spiegargli.
Io e Chara eravamo in pensiero per lui, non… non sapevamo dove fosse andato a finire.
Quella spiegazione, tuttavia, non gli motivava fino in fondo quella reazione. Poteva capire se si sforzava parecchio la preoccupazione di Frisk nei confronti del fiore nonostante l’erbaccia la avesse sempre intralciata – era in linea con la personalità della piccola in fin dei conti –, ma Chara che diamine c’entrava in tutto questo? Gli stava decisamente sfuggendo qualcosa.
Chara conosce l’erbaccia per caso…? ” Chiese, perplesso.
L’esitazione di Frisk nel rispondergli gli suggerì la gravità delle parole che gli sarebbero presto state rivolte.
Lui è… lui è Asriel, Sans…
Quell’Asriel? Il figlio di Toriel e Asgore? ” Quando la piccola glielo confermò un’altra volta, il suo smarrimento prese letteralmente il volo. “ Come accidenti è possibile?
È stata Alphys… lo ha riportato per sbaglio in vita iniettando la DT in uno dei fiori del giardino reale… ” Fu probabilmente perché lui era sempre più turbato dalla notizia, dalla realizzazione di aver avuto fino ad allora a che fare con il principe, dai ricordi sinistri in cui Flowey – Asriel – figurava, che Frisk cercò di radunare le parole adatte per spiegargli qualcosa che aveva l’aria di non essere tanto semplice da esporre, o digerire. “ Non ha più un’anima da quando è tornato in vita in questa forma… non può sentire emozioni come l’amore, la gioia, l’affetto, non può provare dispiacere o… o pentimento… ha sofferto tanto, tanto a lungo per questo...
Sans annuì distrattamente di fronte a quelle nuove informazioni. Aveva senso, aveva tutto senso, nessuna anima significava nessuna emozione e nessuna empatia, e non voleva provare ad immaginare come doveva essere sentire solo… solo un sordo vuoto dentro di sé, nessun battito nel proprio petto, nemmeno il fervore che portavano con loro certe emozioni… ma non poteva… non… non era giustificabile la sofferenza del passato con una scusa del genere. Frisk stava chiaramente cercando di fargli vedere quello che era il punto di vista del principe e fin qui lui poteva arrivarci con le sue sole forze, ma provare pietà per Asriel? Non ne era in grado, nemmeno se ripeteva a sé stesso che quel capretto era solo un ragazzino morto in circostanze sfortunate riusciva a realizzare l’impossibile – ed era semplicemente agghiacciante come ora anche gli atteggiamenti spesso e volentieri infantili di Flowey trovassero una loro valida origine.
Non posso giustificare le sue azioni, piccola… è davvero… troppo per me… ” Le confessò, affranto di aver magari deluso le aspettative della ragazzina… ma il suo timore si rivelò inesatto.
Non le giustifico neanche io, Sans… sarebbe troppo anche per me, ma… ma se ce ne sarà occasione, anche una piccola in futuro per salvarlo, per cambiare le cose con lui… io e Chara la sfrutteremo. ” Una pausa seguì quella dichiarazione, come se Frisk si stesse aspettando una reazione di rifiuto da parte sua, un dissentire, qualcosa… ma non aveva nulla da ribattere a riguardo, lei e Chara potevano fare quello che volevano con quel fiore finché nessuno si fosse fatto male – in tal caso, un suo intervento sarebbe stato decisamente d’obbligo. “ Quanto ci avevi messo a capire che il potere era passato a me?
Curiosità e un accenno di colpa erano insiti nella domanda della piccola, che Sans provvide subito e a soddisfare ed alleviare rispettivamente.
Ne ho avuto la conferma solo in questa linea temporale. Non ho mai avuto ricordi chiari che ti riguardassero, solo… sprazzi confusi qua e là. ” L’unico ricordo vivido e incredibilmente dettagliato che aveva di Frisk era quello del suo scontro con Papyrus, quello che aveva visto la sfortunata fine di suo fratello… ma non era necessario, opportuno menzionarlo. “ Lo hai sempre usato a fin di bene, piccola. Mi hai persino assicurato che non resetterai mai più a meno che non sia assolutamente indispensabile, non ho davvero niente da rimproverarti.
Altro che rimproverare, aveva solo… solo gratitudine nel profondo del suo animo nei confronti della piccola, per la pazienza che gli aveva dimostrato, per la comprensione, il supporto… era stato un ripercorrere lungo e sofferto ed era grato di aver avuto una presenza costante come quella di Frisk a dargli coraggio. Gli ultimi ricordi erano quelli risalenti alle tre settimane che avevano preceduto questo momento, un’ultima piccola fatica prima della conclusione… e poi… poi chissà cosa sarebbe successo.
Grazie, Sans. ” Gli disse Frisk, la sua essenza rossastra che lo stava sfiorando delicatamente, in segno di riconoscenza. “ Riesci a farmi stare sempre un po’ meglio.
Per la prima volta dall’inizio di quel contatto, Sans si sentì a suo agio abbastanza da ricambiare, toccare e stringere un lembo dell’essenza della ragazzina… come se si stessero tenendo per mano.
Come tu riesci a fare lo stesso con me. ” Poté praticamente sentire la contentezza della piccola irradiarsi piena di luce dopo quella sua confidenza. Lei… lei era davvero felice di essere riuscita ad arrivare da qualche parte con lui, felice che desiderasse avere un contatto così prossimo dopo tutta l’esitazione e l’insicurezza che aveva avuto per gran parte del legame e Sans si compiacque di essere stato colui che la aveva originata. “ Ultimo sforzo?
Frisk annuì decisa, stringendolo di rimando.
.
E, compiuto quello, avrebbe potuto davvero mettere la parola fine a quello sfiancante viaggio nelle sue memorie.
 
 
Quando la Sintonia si affievolì pian piano, ricordi ed emozioni che retrocedevano nelle rispettive anime, Sans fu il primo a riaprire gli occhi, ad attendere che anche Frisk tornasse in sé. Le era sempre occorso molto più tempo di lui per ritornare completamente consapevole di sé stessa alla fine di un legame, complice magari la minore età di lei, ma in questo caso doveva risultarle persino più faticoso e disorientante del solito – non si erano mai mantenuti connessi così a lungo dopotutto.
Quando notò la pesantezza con cui la giovane aveva risollevato le palpebre, la difficoltà con cui lei stava cercando di mettere a fuoco il suo volto, il principio di una lieve preoccupazione si stabilì nel suo animo.
« Piccola, tutto ok? » Le domandò, chinandosi leggermente col collo per cercare il suo sguardo.
Frisk alzò la testa verso di lui e sbatté due, tre volte le palpebre. Un sorriso era poi affiorato sul suo viso, il colore ambrato dei suoi occhi si era come illuminato di tante screziature dorate, messe in risalto dalla penombra e dai lievi riflessi creati dall’acqua sulle pareti. Sans non aveva mai visto il sole, aveva solo sentito parlare dell’oro accecante dei suoi raggi… se avesse mai avuto occasione di vederlo un giorno, avrebbe detto a chiunque che aveva torto… il vero sole, non accecante, ma caldo e gentile, era in realtà in quegli occhi, quegli occhi così belli e così espressivi.
« Tutto ok. » Gli rispose Frisk, le labbra curvate verso l’alto. « Tu? »
« Idem. » Le sorrise lui, alzando un angolo del proprio sorriso, la preoccupazione lasciò il suo animo come acqua che scorreva via. Era tutto a posto anche questa volta, per fortuna. « È stata una dura sfacchinata, eh? »
Il suo tentativo di ironizzare fu accolto dalla ragazzina con un piccolo cenno del capo.
« Abbastanza. » Concordò lei, ma non con lo stesso tono leggero con cui lo scheletro le si era rivolto. « Posso… posso farti una domanda? »
Sans intuì facilmente la possibile causa dietro alla comparsa di quell’esitazione: Frisk voleva probabilmente porgli uno di quei quesiti delicati che si rivelavano sempre essere poco piacevoli per coloro a cui vengono diretti, e lei temeva… temeva di poterlo far intristire, glielo leggeva chiaramente in quell’atteggiamento un poco evitante… ma non voleva che la piccola si facesse simili problemi, lui aveva accettato volontariamente di condividere il suo passato – chiarire eventuali dubbi faceva solo parte di questa sua scelta.
« Tutto quello che vuoi, piccola. Non avere paura, sono qui apposta. »
Frisk assentì, le sue sopracciglia si aggrottarono visibilmente, come se stesse… come se stesse riflettendo su qualcosa di particolarmente problematico. Il sospiro improvviso che la giovane rilasciò gli comunicò che era pronta a parlare.
« C’è una cosa che non… non riesco a capire… » La sentì dapprima mormorare – sembrava stesse cercando di radunare le parole adatte con cui esprimersi. « Voglio dire, non ti sei mai chiesto perché… perché Gaster sia cambiato così? Sembrava… sembrava normale prima, cosa gli è successo...? »
Sans notò l’accortezza con cui Frisk aveva evitato di menzionare la loro parentela, e quell’attenzione scrupolosa gli avrebbe fatto senz’altro piacere se non avesse sentito a sua volta il bisogno di sospirare, per liberarsi il petto da un nuovo e mortificante peso. Dopo tanto tempo passato assieme a Gaster, certe domande sorgono spontanee quando si tratta di figure che avrebbero dovuto essere delle colonne importanti nella tua vita… e lui, che aveva sempre desiderato capire perché fosse stato così messo da parte, così respinto e disprezzato, non faceva certo eccezione.
« Sì… a… a volte mi chiedo se… se sia sempre stato così e avesse solo aspettato il momento opportuno per rivelarsi per quello che era… » Le rispose, con un pizzico di amarezza che non era stato in grado di sopprimere… l’amarezza del ragazzino a cui gli venivano gridate contro parole che non meritava di sentire… l’amarezza del ragazzo che faticava a sopportare i suoi attanaglianti sensi di colpa… l’amarezza del tempo presente, dove lo stesso genitore che lo aveva tanto coccolato quando era un bimbo gli stava ora facendo passare le pene dell’inferno per divertimento… malsano, crudele divertimento. « Non credo di averlo mai conosciuto davvero… e sono portato a credere che nessuno l’abbia mai conosciuto davvero. »
« Non… non pensi che sia perché neanche lui ha più anima che… forse, non riesce a capire che quello che sta facendo è… orrendo. » Gli replicò Frisk ma Sans, suo malgrado, non poté trovarsi più in disaccordo con lei di così – e non poté nemmeno astenersi dal celarlo.
« Ha sempre fatto cose così orrende contro chi considerava suo nemico, lui sa che ci sta facendo del male e sceglie comunque di continuare a farlo. »
Gli occhi della giovane si erano un poco allargati, forse a causa del pungente astio con cui le aveva risposto. Era rimasta in silenzio da allora, un silenzio che Sans non aveva idea di come interpretare… magari, era stato troppo… duro?
« Scusami, piccola… non ce l’avevo con te- »
« Lo so, Sans. Lo avevo capito, non preoccuparti. » Lo rassicurò subito lei, prima ancora che potesse finire di scusarsi, il suo sguardo comprensivo, ma di nuovo pensieroso. A cosa stava pensando adesso?
« Devi chiedermi qualcos’altro, piccola? » Le chiese in tono d’incoraggiamento, sperando che la sua risposta secca di prima non la avesse resa insicura – dannazione, non era davvero in grado di mantenere la calma quando si parlava di quell’essere.
« Ho solo una… richiesta più che una domanda, per ora… te la feci già tempo fa… » Rispose lei, lasciando volutamente sottinteso di quale richiesta si trattasse… e quell’atteggiamento da solo fu sufficiente a farglielo intendere.
« Devo raccontare tutto a Paps, vero? » Domandò giusto per sicurezza, mentre percepiva l’allungarsi di un sorriso amaro sul suo stesso volto. Sapeva che avrebbe dovuto farlo, che era sbagliato continuare a tenere suo fratello all’oscuro di tutto… ma era riluttante, tremendamente riluttante all’idea, una quieta ansia si insinuava nel suo petto al solo pensarci.
Frisk gli posò una mano sulla spalla per riavere la sua attenzione e Sans fu gentilmente costretto a rincontrare lo sguardo della giovane, benevolo ma severo, praticamente una calamita per il suo, ora incredibilmente esitante e minato dall’incertezza.
« Sans, devi farlo. Papyrus è ormai cresciuto ed è abbastanza maturo per conoscere la verità… non credo sia più necessario continuare a proteggerlo da determinate cose… » Gli disse, stringendo impercettibilmente le labbra una contro l’altra, come se sapesse che non gli stava chiedendo una cosa da poco, ma ricordandogli allo stesso tempo che lui non poteva ancora rimandare.
« Lo so, piccola… lo so… m-ma… » La voce gli si spezzò irrimediabilmente e gli costò uno sforzo enorme rimetterla insieme per riprendere a parlare. « I-io ho fatto… io ho fatto cose imperdonabili… »
« Sans… » Si sentì chiamare, pazientemente, dolcemente, e non poté far altro che assecondare di nuovo la voce di Frisk e tornare a guardarla in viso. « Io sono praticamente un’estranea per te, eppure sono ancora qui, anche dopo tutto quello che ho visto. Se non me ne sono andata io, perché dovrebbe farlo tuo fratello? Lui è tutta la tua famiglia e vuole solo aiutarti… come l’ho voluto e lo voglio io tutt’ora… se sapesse, penso si sentirebbe meno… »
« Inutile? » Finì per lei Sans, quasi a livello istintuale.
Frisk sussultò leggermente per l’interruzione, ma annuì, seppure il movimento era stato carico di un percettibile disagio.
« Sì… era più o meno quello che volevo dire… »
Sans le strofinò con delicatezza la testa, cercando di far sparire quella traccia di scomodità dai lineamenti di lei.
« Non preoccuparti, piccola. So che non ti saresti espressa in questo modo… ma è esattamente così che ho fatto sentire mio fratello e non credo sia necessario dirlo con mezzi termini… ora, ne sono più che consapevole. »
Non sarebbe stato semplice parlarne con Papyrus, lo aveva sempre saputo e per questo aveva sempre rimandato, rimandato e rimandato di nuovo… ma era la cosa giusta da fare, e non si sarebbe più tirato indietro, né avrebbe procrastinato ulteriormente, perché Papyrus meritava di sapere, meritava di essere trattato come un adulto e non più come un bambino. Avrebbe affrontato a testa alta le conseguenze derivate da quella sua presa di coraggio, positive o negative che fossero state… e avrebbe lasciato decidere a suo fratello del futuro del loro rapporto, se continuare a vivere assieme o… o prendere ognuno la propria strada.
Sentì le braccia di Frisk avvolgerlo ancora, tanto piccole, eppure sempre così grandi e aperte per chiunque avesse bisogno di aiuto. Doveva averlo visto di nuovo distante con i propri pensieri, pensò in un primo momento. Le parole che la giovane pronunciò, tuttavia, gli rivelarono che quello non doveva essere stato l’unico motivo dietro a quel gesto.
« Resta calmo e andrà tutto bene, ok? » Sussurrò Frisk, incoraggiante in quel modo così naturale che lei possedeva. « Papyrus ti adora, esattamente come lo adori tu… e questo non è mai cambiato. »
Sans si stupì di come fosse stata capace di intuire le sue riflessioni attuali e scegliere le parole giuste per rincuorarlo di conseguenza. E non si sentì spaventato da ciò, solo… rassicurato, sollevato, e… capito.
« Sì… » Bisbigliò, ricambiando il suo abbraccio, senza più nessuna esitazione dentro di sé ad impedirglielo. « Grazie di tutto, piccola... »
Avrebbe fatto tesoro di quelle parole, così come avrebbe fatto tesoro di ogni altro insegnamento che quella ragazzina così speciale era riuscita a trasmettergli nonostante la sua giovane età.
Sentì Frisk sorridere contro la sua spalla, sorriso che contagiò anche il suo, non più da lui percepito come un qualcosa di stirato sul suo volto, ma come una parte di sé vera e utile, esattamente come la sua anima, battiti che dolcemente si susseguivano nel suo petto, in armonia, in sintonia con quelli della sua piccola.
« Prego, Sans. Vedrai, sistemeremo tutto d’ora in poi. »
Non seppe quanto tempo passò da quando aveva udito quella risposta bisbigliata, ma nel momento in cui Frisk si separò lentamente da lui, lo scheletro notò con la coda dell’occhio una macchia di verde ai lati della sua visione.
Voltò la testa e si stupì di vedere Chara in piedi vicino all’ingresso dell’anfratto, come lo era stato lui chissà quanti minuti prima, i suoi vestiti bagnati e sporchi come se avesse appena rovistato in una discarica.
L’espressione sul viso dell’altra ragazzina era gelida, gli occhi erano di un nero abissale in mezzo a cui spiccavano le deboli luce bianche delle pupille, le labbra lievemente contratte tradivano l’irritazione che stava palesemente cercando di contenere… e Sans non se la sentiva nemmeno di poterla biasimare per l’ostilità che lei stava nutrendo nei suoi confronti. Non doveva essere piacevole andarsene per un po’ e trovare la causa delle tue attuali difficoltà vicino alla tua migliore amica.
Sentì la mano di Frisk toccargli leggermente la spalla, come se lo stesse gentilmente spronando ad andare anche da lei... come se gli stesse dicendo che, finché fosse stato sincero con sé stesso e con gli altri, non avrebbe avuto nulla da temere. E Sans sapeva che anche Chara, come Frisk, meritava un qualche tipo di scusa da parte sua, dopo tutto quello che le aveva fatto passare.
Seguendo l’incoraggiamento della piccola, si alzò, puntando gli occhi in quelli della ragazzina più grande, praticamente gemelli ai suoi con quelle iridi bianchissime e fisse. Si trovò in difficoltà a scegliere il modo giusto di atteggiarsi con lei, ma sentendo su di sé i secondi passare sempre più veloci, decise di provare solo ad essere naturale e vedere se sarebbe stato sufficiente.
« Ti chiedo scusa, Chara. Spero tu possa perdonare il mio comportamento di questi ultimi tempi… Frisk ti spiegherà tutto ciò che hai bisogno di sapere… » Disse, dapprima con una leggera esitazione, ma poi con le parole che uscivano sempre più fluidamente dalla sua bocca. « E… e grazie, per aver provato a farmi capire che stavo sbagliando. »
L’espressione di Chara si fece meno dura man mano che parlava, addolcita da una sincera sorpresa.
« Sei serio? » Gli venne domandato, come se per lei fosse tanto difficile credere a ciò che aveva appena visto e sentito, il suo sguardo che si spostava prima su Frisk poi su di lui, le sue sopracciglia sempre più inarcate.
« Al cento per cento. » Le rispose Sans, riuscendo con successo ad interrompere l’osservare disorientato della ragazzina.
Chara rimase in silenzio per qualche secondo, fissandolo intensamente, forse per riuscire a cogliere la traccia della beffa o della disonestà… fu poi il suo di turno di restare sorpreso quando vide un leggero sorriso fare capolino sulle labbra della giovane.
« Onestamente, credevo che non avresti mai rimesso la testa a posto. Non avevo così tanta fiducia in te, lo confesso… » Ammise lei, distogliendo brevemente lo sguardo, un angolo della bocca sollevato con ironia verso l’alto. « Ma, da una parte, sono felice di essermi sbagliata sul tuo conto. »
Sans le sorrise leggermente a sua volta, comprendendo che quello doveva essere il suo modo di comunicargli che stava accettando le sue scuse. Che ragazzina particolare che era anche Chara
« Eh… anch’io sono felice di essermi sbagliato… su me stesso… » Replicò schietto, per poi allungare una mano verso di lei, in un gesto che sperava la ragazzina avrebbe interpretato amichevolmente. « Sei disposta a darmi un’altra possibilità? »
« Non stai cercando di farmi uno scherzo, vero? » Gli domandò sospettosa Chara, studiando attentamente la sua mano aperta per scovare un inganno che certo non c’era.
Sans sogghignò davanti al suo scetticismo, più che giustificato se si considerava la quantità di scherzi di cui la aveva resa vittima nell’arco delle settimane precedenti.
« Nah. Sei al sicuro per adesso. » Rispose, con una strizzata d’occhio. « Niente cuscini scorreggioni, hai la mia parola. »
Chara alzò un sopracciglio, lo scetticismo ancora presente nel suo sguardo, ma assato quel breve momento di sfiducia si decise ad allungare a sua volta la propria.
« Credo si possa fare allora. » Disse, stringendogli la mano in accordo. « Anche se… ora mi stai facendo sentire in colpa per aver pensato di tirarti una mazza da baseball in testa… »
« Chara! » Non esitò a rimproverarla scherzosamente Frisk e Sans si ritrovò a sbattere comicamente le palpebre con una risata nasale, ma sperando nel frattempo che Chara non avesse seriamente pensato di concretizzare quel pensiero – a giudicare dal suo tono di voce, doveva essere stato uno di quei pensieri che ti attraversano il cranio quando sei particolarmente nervoso.
Per la prima volta da quando la conosceva, vide il sorriso di Chara farsi leggermente sghembo, come diviso tra imbarazzo e ilarità.
« È stato solo per un secondo, te lo assicuro, Frisk. Ero con l’acqua alle caviglie da mezz’ora in mezzo a quei rifiuti e dovevo pur prendermela con qualcuno. »
Frisk rise sentendo la risposta dell’amica e neanche Sans poté trattenersi dal ridacchiare, divertito dalla loro semplicità e spontaneità, desiderando al contempo potervi entrare a far parte.
« Ecco perché sento odore di sushi e noodles avariati. » Commentò, con un sorriso impertinente che contava avrebbe indispettito Chara proprio al punto giusto.
« Sushi perché ho incontrato Undyne, testa d’osso… e parla quello che sa sempre di fast food e olio di frittura. » Replicò piccata la ragazzina, non dando però l’impressione di essere stata particolarmente infastidita dal suo commento, e per questo si sentì abbastanza audace da prolungare quell’atmosfera scherzosa.
« Non dimenticare ketchup e hot dog. »
L’alzata d’occhi di Chara venne prematuramente interrotta da un altro commento impertinente 
– non suo questa volta, ma di Frisk.
« E di hot cat quando finiscono gli hot dog. »
La risatina con cui la ragazzina accompagnò quell’intervento fece magicamente sciogliere l’espressione imbronciata della sua amica in un sorriso lieto – e neanche lui poté astenersi dall'allargare il suo di sorriso, sentendo così tanta gioia dentro di sé tutto ad un tratto e… e speranza… vera, autentica speranza, il tipo di sentimento che gli avrebbe dato il giusto slancio per confrontare suo fratello una volta per tutte prima che la paura e l’insicurezza tornassero alla carica dentro di lui.
Finalmente, era pronto a farlo, era pronto ad essere coraggioso… era pronto ad essere una persona migliore.
 






Sameko's side
WOOHOOO HO FINITO, FINITO, SIII!! VOI NON POTETE CAPIRE, NON CE LA FACEVO PIÙ AH AH AH ISTERIA DELL'UNA DI NOTTE PORTAMI VIA, DOVREI ESSERE A LETTO GIÀ DA UN PEZZO.
Ma comunque, seriamente, abbiamo finito con i capitoli backstory e sono felicissima per questo traguardo ( finito per modo di dire, perché manca ancora il vitale punto di vista di Gaster T.T ), così possiamo tornare a sviluppare la trama principale e io posso tornare a scrivere pagine e pagine di introspezione e descrizioni che ho dovuto tanto sacrificare per questi capitoli. Me felice anche perché sono riuscita a far interagire per la prima volta questi tre disagiati senza nessuna qualsivoglia ostilità di mezzo ( quando, dopo mesi di plotting, dai finalmente un po' di spazio alla OT3 platonica che nessuno apprezza nel fandom a parte te quanto è solitario il mio mondo lol ).
Se riesco a regolarmi bene, col prossimo aggiornamento il terzo arco narrativo avrà termine e partiremo di gran carriera con il quarto e... e penso dovrei cominciare con l'inserire l'avvertimento Violenza visto quanto prospetto di fare ( sarà forse il segmento di trama più serio di tutta la fanfiction, non vorrei cogliere nessuno impreparato ^^" ).
Vi avviso che potreste dover attendere un po' per il prossimo aggiornamento, dopo questo tour de force sento proprio il bisogno di prendermi una pausa e rilassarmi. ^^"
Nel frattempo, vi lascio con questa gif che avrò guardato almeno una ventina di volte negli ultimi giorni perché è perfetta, perché non avrei potuto chiedere di meglio e perché per me condividerla qui è diventato un dovere morale ( se riesco, magari in questi giorni proverò ad inserirla direttamente qua in pagina ): 
https://rekkobi.tumblr.com/post/166377997072/weirotale
Alla prossima dunque!
Baci!


Sameko

 

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Capitolo 29
*** Capitolo 28: Riorganizzarsi ***


 
Capitolo 28: Riorganizzarsi 





Gli erano occorsi minuti fatti di pause sofferte, incoraggiamenti, tante, tante domande, ma… ma ce l’aveva fatta. Aveva raccontato ogni cosa a suo fratello, riempiendo di chiarimenti i silenzi che gli aveva rivolto il più delle volte al posto di risposte concrete e, soprattutto, dovute. Papyrus era stato al suo fianco per tutto il tempo, seduto pazientemente sul divano, a volte con aria tesa, a volte con aria confusa, senza dare tuttavia mai segno di volersi alzare e non lasciarlo finire di parlare – la sua paura più grande in questo momento, quella di essere abbandonato a metà discorso o peggio ora che si era finalmente deciso ad aprirsi.
Quando anche l’ultima sillaba dell’ultima frase aveva lasciato la sua bocca, Sans si era chiuso in un silenzio ansioso, attendendo la reazione di Papyrus, di suo fratello… qualunque essa sarebbe stata, si sarebbe sforzato di accettarla, sopportarla se fosse stato necessario. Era una libertà che non aveva avuto il coraggio di dargli fino ad ora, quella di permettergli di valutare da sé se vivere con lui era la cosa migliore per il suo avvenire. Sans aveva sempre creduto fosse così, ma adesso al suo fratellino – cresciuto e dotato di capacità di giudizio – doveva essere data la possibilità di scegliere.
« Sans… »
Il maggiore alzò la testa e lo guardò negli occhi, in quei suoi occhi sempre così vivaci, ma che ora erano invece così tristi.
« Paps…? »
Una fitta si diramò nel suo petto, sommandosi alla già presente ansia che aveva reso quell’appellativo vicino ad un mormorio.
« Pensavi davvero che… che ti avrei respinto? » Gli domandò Papyrus, la mandibola stretta in una smorfia amara.
Sans distolse lentamente lo sguardo, a fissare un punto indefinito davanti a sé, piuttosto che le proprie ginocchia come aveva fatto fino ad allora. Solo la verità – era così difficile tenerlo a mente, eppure doveva impegnarsi.
« L’ho pensato per molto tempo… » Confessò intrecciando le dita in grembo, un tentativo da parte sua di contenere la tensione. « Avevo paura… paura di perderti, di essere lasciato solo… t-ti volevo troppo bene per rinunciare a te, per mostrarti che cosa ero davvero, e ho preferito lasciarti vivere fino ad adesso senza… senza che tu sapessi un accidenti di me. »
« Ma perché? » Gli chiese Papyrus, con tono di voce quasi allibito – quasi, perché per suo fratello non doveva essere una gran sorpresa sentirlo parlare così; non era la prima volta che si sminuiva di fronte a lui, era soltanto una delle rare che si era permesso di avere negli anni. « Sai benissimo che ti voglio bene, che non ti lascerei per nulla al mondo… Perché? Io non lo capisco… »
Sans rilasciò un sospiro. Non rispose subito, perché prima doveva riordinare tutti questi pensieri pesantemente aggrovigliati nella sua testa, cosa che non gli risultò affatto semplice – erano rimasti in questo stato pietoso per anni dopotutto.
« Perché tu sei così buono, Paps, che pensavo ti avrebbe disgustato avere uno come me come fratello… che tu, che non faresti mai del male ad una mosca, non avresti mai accettato di vivere con un… un assassino… un falso… come me… »
Era stato tremendamente complicato e doloroso esternare quelle parole, tanto forti eppure così esplicative che Sans dubitava ne avrebbe trovate di più leggere, perché non voleva più indorare la pillola ad altri che sé stesso e finire col sottovalutare un’altra volta cose che non dovevano essere sottovalutate. Era essenziale che iniziasse ad imparare dai suoi errori, non ricascarci.
Il braccio di suo fratello gli circondò confortante le spalle e Sans si sentì tratto più vicino al fianco dell’altro scheletro, il profilo del body da battaglia contro la sua spalla fu capace di rilassare almeno in parte l’arco rigido della sua schiena.
« Sans, perché sono la persona che sono, secondo te? »
Lo scheletro più piccolo si ritrovò a corto di parole per rispondere. Fu a distanza di qualche secondo che lasciò i suoi pensieri liberi di scivolare fuori dalla sua bocca, intrisi da una forte rassegnazione e una… bizzarra accettazione.
« Perché alcune persone nascono in questo modo, belle e perfette… altre, invece, nascono impure e brutte… è solo la natura delle cose. »
La scienza diceva questo, lui diceva questo—
« Fortunatamente per te, è la risposta sbagliata. »
Sans sollevò la testa in direzione di suo fratello, a studiare con sguardo interrogativo la sua espressione serena. Venir contraddetto in modo così eclatante da Papyrus lo fece sentire come se avesse fornito la risposta più errata di tutte – e, forse, era davvero così: non se ne era reso conto sul momento, ma quell’interruzione gli fece realizzare che aveva inconsciamente pensato a Gaster mentre rispondeva, riversando nelle sue parole una parte del modo di pensare di quel farabutto. Ma allora… quale sarebbe stata la sua vera opinione su questo argomento, se non ci fosse stato qualcun altro ad inculcargli certe idee in testa? Sans non lo sapeva, per questo si stava adesso rivolgendo a suo fratello per una guida.
La compassione del sorriso di Papyrus gli preannunciò che non sarebbe stato lasciato a vagare da solo, col rischio di imbattersi nelle risposte sbagliate come gli era già successo.
« Sono la persona che sono grazie a te, Sans. Sei tu che mi hai cresciuto in questo modo, che mi hai insegnato l’importanza della bontà e della gentilezza. Hai sempre cercato di costruire un ambiente felice in cui potevo crescere, nonostante le difficoltà che tutto questo comportava e alle cose a cui hai dovuto rinunciare per me… »
« P-Paps… » Mormorò interdetto Sans e a malapena osava respirare udendo quelle parole, figuriamoci accontentare quella parte di lui che voleva interrompere e protestare, convinta che lui non avesse fatto nulla degno di lode o di particolari riconoscimenti… ma, in questo momento, non le stava venendo data l’attenzione che aveva sempre preteso, poteva solo agitarsi inutilmente e stare a guardare come il castello che aveva costruito stesse venendo colpito alle fondamenta.
Papyrus gli sorrise dolcemente, gli angoli della sua bocca inclinati verso l’alto, a mostrare ancora di più i denti già naturalmente sporgenti.
« Gli altri possono dire quello che vogliono, ma per me, per me sei il miglior fratello del mondo. Farò il possibile affinché tu mi dia ragione un giorno. » E, con un sorriso speranzoso, aggiunse. « Non sarò l’unico a permetterti di vivere ancora nel passato. Sei svantaggiato rispetto a me, ma il fatto che tu ricordi tutto non rappresenterà più un ostacolo, faremo in modo che non lo sia. Abbiamo un futuro adesso a cui pensare. »
Sans lo guardò ammutolito, incapace di parlare, incapace di pensare o di dar retta alle sue insicurezze… e sentì i suoi occhi farsi lucidi in fretta.
Si costrinse ad abbassare lo sguardo per strofinarseli a dovere, non dedicando altro che un sorriso riconoscente al suo meraviglioso, stupendo fratellino quando rialzò il capo, perché quelle parole significavano tutto per lui, il pezzo di redenzione che ancora gli mancava e che non pensava avrebbe ricevuto.
« Grazie, Papyrus. Non immagini q-quanto… sentirti parlare in questo modo mi renda felice. » Disse, con una commozione tanto profonda che temette che la sua anima avrebbe potuto scoppiare.
Papyrus gli sorrise con ancora più dolcezza, i suoi occhi colmi in un attimo dell’affetto e del bene che suo fratello minore nutriva nei suoi confronti… lo stesso affetto e lo stesso bene in cui Frisk gli aveva detto di non smettere mai di credere con tutto sé stesso.
Si abbracciarono quasi nello stesso istante, come se dentro di loro fosse scattato un istinto che chiedeva null’altro se non la vicinanza e l’amore che erano sempre stati alla base del loro legame fraterno, la causa di grandi o piccoli errori, ma anche il motore della pazienza o del sacrificio per il benestare dell’altro.
« Ti voglio tanto bene, fratellone. » Udì Papyrus sussurrare, un sussurro che parlava direttamente alla sua anima.
Sans, il volto seppellito nel petto di suo fratello, si accoccolò meglio tra le sue braccia, un dolce calore era germogliato dentro di lui grazie a quelle bellissime parole.
« Ti voglio tanto bene anch’io, fratellino. Davvero tanto… » Era ormai a corto di voce dall’emozione. « Mi dispiace solo… non essere riuscito a raccontarti tutto di mia volontà… ero così dannatamente spaventato… »
Una delle mani guantate di suo fratello gli strofinò confortante una spalla nel momento in cui lui si era fatto piccolo e timoroso contro il corpo dell’altro scheletro. La tensione che aveva ripreso possesso per un attimo delle sue articolazioni si dissipò gradualmente con quel gesto.
« Non fa nulla… dispiace a me, di averci messo così tanto a crescere, di non esserci stato quando… quando avevi bisogno… » Gli occhi di Papyrus si fecero un accenno avviliti e rimproverevoli. Non erano occhi che stavano rimproverando lui, ma occhi con cui il suo fratellino stava rimproverando sé stesso. « Ho sempre saputo in un certo senso che stavi faticando tanto per me, ma non… non sono stato all’altezza per tanto tempo di farmi carico di un po’ della tua fatica. »
« Paps… » Lo chiamò e non fu difficile per Sans avere di nuovo l’attenzione di quegli occhi. « Mi bastava vederti sorridere per sentirmi meglio, lo dico davvero… e non… non mi importa di ciò che avrei potuto avere ma che non ho avuto, non finché so che proprio grazie a quello a cui ho rinunciato tu hai potuto vivere l’infanzia che meritavi di avere. Tu c’eri, ci sei sempre stato a modo tuo, e… e ci sei ancora, e sei niente di meno di ciò che desideravo tu diventassi. »
Guardò come un lento, imbarazzato sorriso si diffuse sul volto di Papyrus, di cui intuì l’impreparazione nel ricevere parole tanto ispirate e ammirate da lui, più profonde di un breve complimento.
Sans si interruppe, giusto il tempo per strofinarsi rapidamente un occhio ed essere sicuro di non far tremolare la propria voce.
« Forse, è tempo di lasciarci queste cose alle spalle e… smettere di pensarci. »
Ricevendo un cenno di consenso dal minore.
« Solo se sei disposto a renderla una promessa. »
Sans ridacchiò. Non poteva rifiutare di stringere una promessa con suo fratello, scaltro di un Papyrus.
« Andata. » Replicò e Papyrus divenne istantaneamente raggiante.
« Qua la mano allora! »
E Sans gliela diede la mano – letteralmente, visto che fece in modo che si staccasse dal suo polso con un POP! quando l’altro scheletro la afferrò.
Il minore gli rivolse uno sguardo di intensa stizza.
« Che c’è? » L’orbita di Papyrus si contrasse pericolosamente e fu un’impresa per lui non mettersi a ridere proprio ora. « Non avevi detto- »
« So cosa ho detto, Sans. » Lo interruppe lo scheletro più alto, denti serrati tra loro. Un sospiro fece tuttavia perdere via via tensione a mascella e mandibola di quest’ultimo, un sospiro colmo di pazienza, molta pazienza a giudicare da quanto forzato gli era suonato. « E sai un’altra cosa? Non mi interessa, sono troppo contento per quanto hai fatto oggi per lasciarmi angustiare da questioni tanto triviali! »
« Aw, Paps… » Gli sorrise lui, mentre Papyrus gli riavvicinava la mano al polso di modo che la magia potesse riagganciare tra loro le ossa. C’era un leggero sorriso pure sulla bocca del suo fratellino quando i loro occhi si incontrarono nuovamente.
« Dovrò ringraziare le ragazze al più presto per quanto hanno contribuito a fare. » Aggiunse, annuendo tra sé e sé in approvazione. « Magari con un bel piattone di spaghetti formato famiglia! Nye eh! »
Sans non poté evitarsi di ridacchiare leggermente, decidendo che sarebbe stato d’obbligo per lui correre in soccorso di Frisk e Chara, risparmiando loro un’altra sessione di tortura culinaria. Perché, nonostante Toriel stesse indirizzando Papyrus verso la strada del cuoco provetto, i suoi spaghetti erano rimasti gli stessi di sempre, collosi e bruciacchiati al punto giusto.
« Io punterei sulle lasagne invece, Paps. Hai visto quanto ne erano rimaste entusiaste l’altro giorno. »
« Hai ragione, fratello. Quella è ormai roba superata, all’antica! » Concordò Papyrus – salvataggio riuscito. « Or dunque, è tempo di mettersi all’opera per la cena di stasera! »
« Alle quattro del pomeriggio, fra’? » Domandò divertito Sans, un’arcata sopraccigliare alzata in direzione del volto solenne dello scheletro più giovane, che non si scompose minimamente di fronte alla sua considerazione.
« Sì! Undyne ha richiesto la mia presenza ad un meeting di estrema, estremissima importanza, sarà radunata gran parte della Guardia Reale e penso si protrarrà fino a dopo l’orario di cena. Pertanto, è meglio che mi metta subito al lavoro. Non fatico ad immaginare quale sarà l’argomento principale della riunione, le ragazze non devono aver perso tempo ad avvisarla. »
« Hanno fatto bene, Paps. Si sono comportate nel modo migliore. » Gli disse Sans, con un lieve sorriso spento sotto un’altra punta di amarezza. Ironico che fosse toccato alle più giovani della casa fare qualcosa di veramente concreto per capovolgere la situazione.
Suo fratello minore gli posò una mano sulla spalla.
« Siamo davvero fortunati ad averle in casa con noi. » Affermò, il tono ricco di un orgoglio genuino, che Sans condivideva appieno. Rimase tuttavia interdetto nel notare un’esitazione nascosta nelle orbite dell’altro scheletro.
« Sans, posso chiederti ancora una cosa? »
Sans sbatté una volta le palpebre davanti al caricarsi di aspettativa del volto di Papyrus.
« Ovvio che sì, Paps. »
Non sarebbe stato necessario per lui indagare su quell’esitazione… molto probabilmente, ci avrebbe pensato lo stesso Papyrus a spiegargli il motivo dietro quel cambio di atteggiamento.
« Vorrei che, quando risolveremo tutto, tu… tu dedicassi un po’ più di tempo a te stesso, alle tue passioni, a ciò che ti fa stare bene, ecco. Quegli scarabocchi che facevi, quei calcoli e quei progetti tanto assurdi… ricordo ti piacevano molto… però, ad un certo punto, hai smesso di interessartene. » Papyrus distolse quindi lo sguardo. « Sempre se ti piacciono ancora queste cose, s’intende. »
Sans comprese la natura della timida richiesta di suo fratello. Papyrus non voleva un fratello che pensasse solamente a lui… Papyrus voleva un fratello più attento ai bisogni non solo della sua famiglia, ma anche ai suoi stessi bisogni, un fratello maggiore che era in grado di apprezzare davvero le sue qualità tanto quanto apprezzava le qualità altrui.
« Cercherò di… di fare il possibile. » Gli assicurò, con un lieve accenno di difficoltà nella voce. Sarebbe stato strano dedicarsi tutto a un tratto a qualcos’altro che non riguardasse il suo lavoro come sentinella, le sue dormite o le linee temporali… ma se Papyrus lo desiderava, beh, Sans non si sarebbe tirato indietro. « Sai, stavo pensando di provare ad insegnare alle piccole il Wingdings. Frisk soprattutto sembrava interessata… pensi che sia una buona idea per… iniziare? »
Era una cosa che lui e Frisk si erano già accordati avrebbero fatto, un po’ per curiosità da parte della piccola, un po’ per spronarlo a ritornare sui libri come faceva una volta… e, infine, per costruire un rapporto anche con Chara. Che coincidenza fortuita che suo fratello gli avesse adesso proposto una cosa simile.
Papyrus annuì con uno dei suoi sorrisi elettrizzati, segno che un qualche genere di complimento era in arrivo.
« Trovo che sia un’ottima idea, fratello. Ti avrei fatto io una proposta simile se non mi avessi preceduto! Fa imparare loro qualcosa questo pomeriggio, mi raccomando! »
« Ci proverò, Paps. » Lo rassicurò con un risolino Sans. « Ci proverò. »
 
 
« 👍🕆💧👍✋☠⚐. »
« Credo ci sia una C all’inizio e, uhm… forse una R da qualche parte…? »
« La C c’è, ma della R neanche l’ombra. »
« Oh… potresti ripetere ancora allora? »
« Certo che sì, piccola. »
Chara trattenne lo sbuffo che avrebbe volentieri fatto a meno di contenere in altre circostanze… ma, siccome sapeva comportarsi da persona civile, optò invece per una lieve smorfia infastidita, senz’altro più discreta della prima alternativa. Quella smorfia mutò in un’espressione tendente al rassegnato nel momento in cui suoni che Sans stava ripetendo per l’ennesima volta – la quindicesima, ventesima, forse? – andavano a coprire con precisione matematica la battuta pronunciata da Mettaton nel suo nuovo film televisivo. Si fosse almeno trattato di suoni piacevoli da ascoltare, ma nooo, la sua solita fortuna voleva che fossero più stridenti di un paio di artigli che grattavano su una lavagna – e lei ne sapeva qualcosa, visto che a volte Asriel si era divertito a farlo per indispettirla.
Sentendo Sans parlare per un po’ in Wingdings, aveva deciso di chiamarsi fuori da quell’attività, perché primo non aveva intenzione di imparare ad emettere suoni tanto sgraziati ( con Sans come insegnante oltretutto ), e secondo… l’alfabeto era, per mancanza di altri termini, un autentico bordello, simboli piazzati a caso e che, oltre a non richiamare neanche lontanamente la lettera che rappresentavano, erano anche difficili da riprodurre. Per una come lei, che aveva zero capacità artistiche, la cosa si faceva troppo ostica.
Era ormai straconvinta che sarebbe stato molto più semplice imparare il Morse che il Wingdings, eppure Frisk non aveva ancora abbandonato l’impresa – anzi, ogni qualvolta buttava un occhio dall’altra parte del divano, dove la sua amica e lo scheletro si erano accomodati, Frisk sembrava fosse sempre molto attenta alla spiegazione.
« Mh… credo di essere ancora ferma alla C. » Ridacchiò proprio quest’ultima, dopo alcuni secondi di apparente riflessione. Sans ridacchiò anch’esso.
« Sei proprio sicura di non volere neanche un piccolo piccolo suggerimento? »
Frisk scosse la testa.
« Un momento, sento che mi sto avvicinando. »
Al che, Chara decise di intervenire per il bene delle proprie orecchie.
« No, te ne prego, fatti dire la soluzione. »
Non ne poteva davvero più di sentire lo stesso miscuglio di suoni, che passassero ad un’altra parola perlomeno.
« Un pochino di pazienza in più, Chara. Vedrai, ce la farò. » Le rispose la più piccola e Chara non poté evitare ad una seconda smorfia di affiorarle in viso, lo specchio della sofferenza che sentiva dentro.
« Ma si può sapere che parola è? » Sbottò dall’irritazione e quando notò con la coda dell’occhio che Sans le stava indicando all’insaputa di Frisk uno dei cuscini del divano, la sua pazienza si esaurì definitivamente. « Cuscino? Hai ripetuto per mezz’ora CUSCINO?! »
E lei che pensava stesse dicendo chissà… chissà cosa!
… Fu solo udendo il gemito sconsolato dell’altra ragazzina e la risata maldestramente repressa di Sans che si rese conto del suo errore.
« Ah… scusa, Frisk. »
« Non importa. » Sospirò la minore, cancellando nel frattempo i segni in matita scribacchiati su uno dei suoi post it – appunti, che Chara fu in grado di leggere brevemente prima che la gomma potesse eliminarli; e pensare che a lei era occorso un singolo istante per vanificare i suoi sforzi. Un sorriso confidente fece comunque distendere il cipiglio di Frisk. « Mi andrà sicuramente meglio con la prossima. »
La più grande la guardò con un accennato sorriso di scuse, prima che la sua attenzione venisse catturata dai fogli pieni zeppi di simboli accatastati un po’ dappertutto dal loro lato del divano, fatto che non trovò così sorprendente se si teneva conto che l’insegnante era Sans e che a Frisk non era mai dispiaciuto più di tanto il disordine.
« State facendo progressi, vedo… »
Nonostante lo stato non ottimale della loro area di lavoro, era rimasta comunque meravigliata dalla quantità di fogli che avevano accumulato quando dapprima si erano concentrati sulla scrittura, mentre lei… lei, ecco, si era messa a sonnecchiare su un bracciolo, troppo annoiata per seguire dall’inizio alla fine il film di Mettaton e non sufficientemente volenterosa di continuare con la ‘lezione’. Adesso si sentiva un pochino… imbarazzata, sì, imbarazzata per aver fatto un pisolino mentre loro lavoravano assiduamente – che stringere la mano a Sans la avesse infettata con un po’ della sua pigrizia...?
Gli occhi ambrati della sua amica si accesero di entusiasmo in risposta alla sua osservazione.
« Oh sì! Ho quasi imparato tutto l’alfabeto! »
Frisk le passò subito tutta eccitata quello che, Chara supponeva, doveva essere stato il migliore tentativo della ragazzina di replicare i simboli del Wing Ding. Doveva aver riempito molti fogli prima di giungere al risultato che le stava venendo mostrato e la più grande stava guardando con un impressionato interesse alla tenacia con cui la più piccola si stava applicando. O imparare il Wingdings le interessava molto, o doveva rivalutare le doti da insegnante di Sans.
Gettò istintivamente uno sguardo in direzione dell’interessato… e no, non c’era modo che la seconda opzione potesse essere quella corretta.
Intuendo probabilmente i pensieri che le stavano attraversando il cranio, lo scheletro fece spallucce.
« Non sono un professore, ma stiamo procedendo molto bene. » E qui rivolse un breve sorriso e un occhiolino alla sua amica. « Frisk è parecchio dotata. »
« Adesso non esagerare. » Replicò quest’ultima, con un sorriso un poco più vispo del normale, quasi sul punto di divenire un risolino. « Non me la sto cavando tanto bene adesso, non riesco a riconoscere le lettere dal solo suono… »
Un’espressione di disaccordo fece tendere i lineamenti di Sans.
« Ehi, non è affatto semplice, ci vorrà ben più di una lezione per imparare. Come è giusto che sia, dopotutto. »
Frisk annuì convinta.
« Mh mh. Hai ragione. » Il sorriso incoraggiante che la minore diresse poi dalle sue parti le fece sbattere brevemente le palpebre. « Chara, perché non ti riunisci a noi? Io non posso riprodurre questi suoni, ma tu che hai la magia potresti riuscirci! »
La maggiore si ritrovò colta di sorpresa da quella proposta – e ulteriormente in imbarazzo per il semplice fatto che l’altra giovane stesse cercando di reincluderla mentre lei… lei non era tanto interessata alla cosa come lo era Frisk.
« Non credo faccia per me… » Rispose con un mormorio, sperando che la più piccola non ci sarebbe rimasta male. Accadeva di rado che Frisk avesse questo genere di reazioni, perché tentava sempre di essere rispettosa dei limiti altrui, ma non si poteva essere mai sicuri abbastanza. « Preferisco guardare questo. »
Gli occhi dell’altra ragazzina si spostarono verso lo schermo della televisione dopo la sua cauta aggiunta.
« Che film è? »
« Non ricordo il titolo… » Confessò, passando quindi a spiegarne a grandi linee la trama per compensare la sua lacuna. « La protagonista è una ballerina di classica molto famosa che si ritrova a dover far coppia con un altro ballerino per la realizzazione di un’opera. È palese che finiranno con l’innamorarsi. »
« Hai indovinato. » Le confermò Sans, che doveva per forza rendersi insopportabile, altrimenti non poteva sentirsi realizzato in altro modo.
« GRAZIE per lo spoiler. »
Il mostro indossò un sorriso da innocentino, uno di quelli che era maestro nel mettere in mostra quando faceva qualcosa di intenzionalmente dispettoso.
« Ma non avevi forse detto che era palese? »
Chara sbuffò a denti leggermente stretti e si stupì di vedere Frisk sospirare a sua volta, come in accordo con la sua attuale stizza.
« Ti capisco. A me-- » Il tono calcato di quelle due parole fu accompagnato da uno sguardo scherzosamente risentito dedicato allo scheletro dalla sua migliore amica. « -- aveva spoilerato il finale di Shining Cure - Friendship Max. »
« OH. » Esclamò Chara, rifilando subito un’occhiataccia allo scheletro sghignazzante dall’altra parte del divano. Ecco perché, giunte all’ultimo episodio della serie, lei ed Undyne erano praticamente sulle spine davanti al televisore vedendo le due amiche protagoniste sconfiggere il boss finale, Alphys era fierissima di vedere un simile trasporto da parte loro, mentre Frisk… Frisk non le era parsa infervorata quanto loro, ma aveva pensato fosse soltanto una sua impressione allora.
« Quello non era stato intenzionale, lo giuro. » Si difese Sans alzando le mani in segno pacificatorio, gesto che non servì a placare efficacemente la sua di irritazione – e come accidenti faceva Sans a conoscere il finale di Shining Cure - Friendship Max? Che Alphys lo avesse fatto vedere anche a lui in passato?
« Guastafeste come al solito, persino quando non sei presente di persona. » E prese il telecomando dal bracciolo per spegnere il televisore – non aveva più senso continuare a seguire un film di cui già conosceva il finale. « Mi stavo per addormentare di nuovo comunque. »
Non voleva certo rendere evidente l’interesse che, a dispetto della trama scontata, aveva nutrito verso quel film. Ora, non poteva nemmeno avere la soddisfazione di vedere le sue previsioni rivelarsi esatte, dannazione a lui.
« Non parlare di sonno, Chara. Sono troppo sensibile all’argomento… »
Il sospiro di Sans le fece intendere che, nonostante il tono volutamente melodrammatico, era davvero esausto come sembrava.
Chara mugugnò leggermente, non prestando del tutto attenzione al suo commento in un primo istante… questo, finché un senso di vuoto non cominciò ad appesantirle lo stomaco.
Si girò verso Sans, occhi un poco più larghi del normale.
« Da quanto è che non dormi? »
Frisk le aveva detto che Sans non poteva assolutamente chiudere occhio, ma non poteva essere davvero così, giusto? Tutti hanno bisogno di dormire, o sia fisico che mente potrebbero cominciare a deteriorarsi per quanto ne sapeva…? E Sans, in quanto scheletro, aveva solo la sua anima come elemento in grado di deteriorarsi
« Fra pochi giorni saranno tre settimane esatte… » Le rispose Frisk al posto di Sans, il quale sembrava essersi fatto improvvisamente silenzioso.
La giovane registrò con una certa distrazione la risposta della ragazzina più piccola, troppo concentrata sul suo attuale susseguirsi di pensieri. Se l’anima di Sans avesse cominciato a deteriorarsi, a non funzionare più correttamente… lui sarebbe potuto
Scacciò via quel pensiero. No, doveva prima assicurarsi della cosa con il diretto interessato, non saltare a conclusioni che potevano rivelarsi errate.
« Non potresti… non potresti effettivamente morire, vero…? » Domandò, con quanta più disagiosa incertezza avesse desiderato imprimere nel suo tono di voce. Avrebbe voluto atteggiarsi tranquillamente esprimendo quella domanda, ma… ma, in fin dei conti, come si può restare calmi di fronte ad una prospettiva del genere se riguarda una persona di tua conoscenza?
Vide gli occhi di Frisk allargarsi un poco – la sua amica non aveva preso in considerazione una simile possibilità prima di adesso?
Per contro, il silenzio di Sans divenne pesante, come se avesse in un certo senso previsto che lei sarebbe giunta a fare questo ragionamento sin da quando… sin da quando lui aveva smesso di aprire bocca. Frisk non scherzava quando diceva che questo sacco d’ossa, in qualche modo, era molto più sveglio di quanto le apparenze lasciassero intendere… e quante di queste apparenze erano reali e altre solo farse? Come faceva Frisk a godere della sua compagnia senza impazzire dietro a queste sottigliezze così snervanti una volta messe alla luce?
E la sua amica adesso non stava più fissando lei con quello sguardo smarrito, ma Sans. Il silenzio di quest’ultimo si era infittito sotto una colpevolezza che, se poteva essere percepita da lei, figuriamoci da Frisk.
Oh… dunque, lui non aveva mai fatto cenno a questa possibilità con la sua amica.
« Ci vorrà del tempo prima che ciò accada… » Disse, e Chara non capì se la sua fosse stata più un’affermazione, o una rassicurazione non così ben riuscita. « Ne risentirà prima Frisk di me da tutte queste… trasmissioni di DT… »
Frisk le sembrò subito molto più inquieta dopo quelle ultime parole.
« M-ma… ma io sto bene, non sono… »
« Non è vero, piccola… » La interruppe Sans, alzando gli occhi per la prima volta dopo parecchio tempo, e per un istante quelle luci bianche incontrarono anche i suoi prima di tornare in quelli di Frisk. « Chara l’ha notato… e lo ha fatto notare anche a me… cominci ad essere più stanca del solito. »
La sua amica non ribatté, né negò la realtà di quelle parole, segno che si era resa conto del mutamento in peggio che il suo corpo stava subendo, ma non aveva voluto confessare la cosa per timore di farli preoccupare – tipico di Frisk cercare di non divenire fonte di preoccupazione per nessuno
« Non hai ancora pensato ad una soluzione permanente, Sans? » Domandò dunque lei, sperando di sentire qualcosa che l’altra giovane non le avesse già riferito… lo scuotersi della testa del mostro fece morire prematuramente le sue speranze.
« È quello che ho cercato di fare fino ad adesso… non ne ho ancora trovata una e non posso… impedirgli di raggiungermi mentre dormo… ci sono troppe cose che io non so sul Void, sulla Sintonia… posso solo fare ipotesi, ma le ipotesi da sole mi portano davanti a sempre più punti morti… non so cosa darei anche solo per intravedere una pista decente… »
Chara strinse inconsciamente i pugni contro le sue stesse cosce. Questo rispondeva praticamente a tutti gli interrogativi pressanti che le erano sorti mentre Frisk la metteva al corrente di tutto ciò per cui doveva essere messa al corrente ( salvo i dettagli più personali che non avrebbe certo preteso di sapere, visto che lei non avrebbe voluto dover rivelare determinate cose del suo passato a parti invertite ). Tutti gli interrogativi comunque, meno che uno.
« Almeno Papyrus non è vulnerabile a Gaster? La sua magia è anche la vostra magia dato che siete suoi discendenti, potrebbe arrivare anche a lui in tal caso- »
« No, Papyrus è al sicuro… non importa che sia stato lui a generarci, noi siamo entità differenti da Gaster, non suoi prolungamenti… » Chara ebbe per un attimo la sensazione che Sans stesse allo stesso tempo cercando di convincere sé stesso mentre divulgava quelle informazioni. « Io sono… come dire… una lanterna che può seguire al momento opportuno solo per quel frammento della sua magia che vive ancora dentro di me, che mi rende il contenitore più compatibile che può sperare di ottenere. »
La giovane rilasciò uno sbuffo che era, però, a metà un sospiro sollevato. Almeno una buona notizia c’era… per quanto una buona notizia potesse essere consolante in mezzo ad un mare di cattive notizie.
Sia Chara che Sans si erano chiusi ormai da parecchi secondi in un silenzioso fitto, pensieroso, che a tratti stava cominciando a pesare sull'animo di Frisk. Aveva lasciato i due liberi di parlare e confrontarsi, ma adesso che l'argomento serio della conversazione li aveva lasciati con una sconsolazione evidente… lei sentiva che doveva far qualcosa per far rialzare il loro morale: intristirsi per una faccenda che non aveva momentaneamente soluzione era, a suo parere, controproducente.
« Troveremo quella pista decente, sono sicura ce ne sia una… Sans- » Lo scheletro alzò la testa, a guardarla con un velo di sorpresa, forse per il tono deciso con cui aveva pronunciato il suo nome. « -Gaster ti ha sempre lasciato aperta una via di fuga da ogni situazione difficile in cui ti poneva. Questa volta non sarà certo diverso. »
Doveva non essere diverso, non sarebbe altrimenti stato un gioco se non ci fosse stata una concreta possibilità per il loro team di vincere.
Vedendosi oggetto della completa attenzione di entrambi i suoi amici, colse l’occasione per tentare di ironizzare e fare il primo passo per ripristinare un’atmosfera più agiata.
« E poi, credo siamo di comune accordo sul fatto che dobbiamo risolvere, prima che la faccia di Sans diventi cinquanta per cento occhiaie. Stanno davvero peggiorando. »
Chara lanciò un’occhiata in direzione di Sans in contemporanea alla sua battuta, come se avesse voluto controllare che ciò che stesse dicendo non fosse vero. Le labbra della ragazzina più grande formarono una linea leggermente sbilenca quando tornarono su di lei.
« Direi che siamo già ad un buon… trenta per cento… » Commentò, cosa che stupì piacevolmente Frisk; non la avrebbe creduta intenzionata a cogliere la palla al balzo prima di Sans, specialmente di fronte a quest’ultimo. Sans le guardò entrambe con un leggero smarrimento, prima di sorridere in finto imbarazzo.
« Aw, ragazze… non rientro più nei vostri standard di bellezza ideale? »
« Chi ha detto che hai mai fatto parte dei miei? » Ribatté prontamente Chara a braccia conserte, con un tono a metà tra il piccato e l’ironico, davanti a cui gli occhi dello scheletro si intristirono in maniera disarmante – troppo disarmante per indicare che fosse rimasto realmente offeso dalla cosa.
Frisk rise sommessamente nonostante la sfumatura compassionevole che si insinuò nella sua anima nel vedere le pupille di Sans così adorabilmente brillanti, come se fosse in procinto di lasciarsi andare a dei grossi lacrimoni. Cavolo, quell'espressione era così stucchevole e sopra le righe da risultare in uno strano modo toccante.
« E io non ho detto questo, bambinone. » Affermò lei scherzosamente, come se stesse rimproverando il fratello che non aveva mai avuto occasione di avere. Magari, era così che aveva sempre inconsapevolmente visto il suo rapporto con Sans… chissà lui come la pensava in proposito – a giudicare dal suo sorriso sornione, quel nomignolo espansivo doveva essergli stato tutt'altro che dispiaciuto.
Un inatteso bussare alla porta di casa costrinse Sans ad alzarsi per andare ad accogliere il visitatore, molto probabilmente quello che lei e Chara erano state pronte ad incontrare per buona parte del pomeriggio.
« Toc! Toc! C’è qualcuno in casa? »
Il suono di quella voce oltre il legno della porta confermò definitivamente l’identità del visitatore. Sans, tuttavia, si fermò nei pressi dell’uscio per voltarsi verso di loro, il suo sorriso che aveva perso un poco di vivacità.
« Tutto ok lì, piccole? » Chiese in tono apprensivo, le luci nelle sue orbite si spostarono da lei a Chara e viceversa. « Siete pronte? »
Frisk si prese un istante per ponderare la domanda di Sans. Da parte sua, era esitante all’idea di incontrare Toriel dopo quello che era successo il giorno precedente, dove non aveva solo dato le spalle ad uno dei suoi migliori amici, ma aveva anche dato le spalle alla persona che più di ogni altra negli ultimi anni aveva rappresentato per lei una figura materna. Si sentiva in colpa per quel suo gesto dettato più dall’impulso che dalla ragione, che la aveva costretta ad ignorare i bisogni di coloro a cui teneva. Nello sguardo di Chara leggeva in questo momento un’insicurezza simile alla sua, quasi gemella… così come vedeva il loro comune concordare sul fatto che rimandare questo inevitabile confronto non avrebbe fatto loro alcun bene.
La più grande le fece un cenno col mento, come per darle silenzioso permesso di parlare per tutte e due; e così lei fece.
« Sì. Apri pure, Sans. »
Lo scheletro annuì, abbozzando comunque un sorriso di rassicurazione.
« Andrà tutto liscio, sapete come è fatta Toriel. »
Chara fece schioccare le labbra.
« È di mia madre che stiamo parlando, credo di conoscerla abbastanza-- »
Frisk punzecchiò il fianco dell’altra giovane prima che potesse aggiungere altro, facendola zittire immediatamente. Sans stava solo cercando di comportarsi in maniera gentile con entrambe, riconoscere lo sforzo ed essere almeno un pochino meno acida non le avrebbe fatto male.
Sans scrollò le spalle senza dare l'impressione di essere rimasto offeso, ma la ragazzina più piccola ritenne comunque doveroso rivolgergli un sorriso di scuse. Per fortuna, lui si dimostrava significativamente più tollerante di quanto Chara non fosse a parti invertite.
Aperta la porta e accolta Toriel in casa, Sans salì senza troppi preamboli al piano di sopra per lasciare a tutte e tre un po’ di privacy.
Un silenzio teso scese nel salotto in seguito alla sua uscita di scena… eppure, Frisk ebbe la sensazione quasi disarmante che la maggior parte della tensione provenisse dalle parti dell’ex regina invece che dalle loro, perché Chara almeno apparentemente sembrava rilassata quanto lei.
A prendere parola, dopo un minuto o poco meno, fu una profondamente mortificata Toriel, che aveva preso una sedia dal tavolo del pranzo per sedersi di fronte a loro.
« Chara, Frisk, bambine mie… vorrei scusarmi con voi per il mio-- il nostro comportamento di ieri… » Gli occhi dell’ex regina si tinsero di severo rimpianto, un respiro pareva essere in procinto di lasciare le sue labbra. « Non avremmo dovuto… »
« Non sapevate fossimo in casa, mamma. È tutto a posto. » La interruppe Chara, che stava evidentemente cercando di consolare Toriel, di far sparire quel dolore dai suoi occhi vermigli, che già ne avevano visto troppo in passato per meritarne altro nel presente e in futuro. Nonostante il dispiacere che le avevano suscitato le parole dell’ex regina, Frisk si ritrovò ad essere silenziosamente orgogliosa della crescita che la più grande aveva attraversato e stavo continuando a portare avanti – non aveva esitato nell’intervenire per alleviare il rammarico di sua madre, la Chara dei primi tempi non sarebbe stata tanto rapida, forse nemmeno lo avrebbe fatto.
Toriel scosse inflessibile la testa.
« No, Chara. So che non è tutto a posto e proprio per questo sono venuta qui per parlare con voi… per tranquillizzarvi. » Disse, con una rudezza non rivolta alla ragazzina maggiore, ma verso sé stessa. « Non avreste dovuto assistere ad una scena simile. Ora che il danno è fatto, è il caso di cercare di rimediare. »
La capra si fermò, inspirando leggermente col naso, le narici fremettero forse nel contenere un possibile nervosismo.
« Asgore ed io abbiamo deciso di… tentare una soluzione pacifica, se così può essere definita. » Riprese, guardando prima lei poi Chara. « Cercheremo di instaurare un rapporto civile per il tempo a venire, di modo che certi spettacoli degradanti non accadano mai più, soprattutto in vostra presenza. »
Frisk, seppur esitante nel parlare, alzò lo sguardo dall’intreccio delle proprie dita sulle sue ginocchia, le parole che avevano faticato a lasciare le sue labbra. La direzione che quella conversazione stava prendendo non la stava mettendo del tutto a suo agio.
« Non dovete farlo per noi, Toriel… » Si interruppe solo per gettare un breve sguardo a Chara e assicurarsi che lei fosse d’accordo con ciò che stava cercando di esprimere. Vedendo sottile approvazione negli occhi dell’altra, proseguì. « Alcuni rapporti non possono più funzionare come un tempo per vari motivi… non dovete sentirvi obbligati a farlo. »
Sarebbe stato ingiusto spingere i due regnanti a tanto… non voleva costringerli a ricordare un tempo perduto in cui la loro famiglia era stata unita, Frisk aveva notato come gli sguardi di Toriel ed Asgore a volte si distanziassero in presenza sua e di Chara, come se al suo posto vedessero accanto alla sua migliore amica qualcun altro. Non poteva fare loro questo, non sarebbe stato corretto nei loro confronti, tanto quanto non lo sarebbe stato nei suoi confronti… lei non voleva essere una sbiadita sostituzione, prendere il posto di una persona che non aveva cessato del tutto esistere, non ancora, perché in qualche modo dovevano recuperare Asriel, sia dalle grinfie di Gaster, sia dalle grinfie di Flowey. Ogni membro della famiglia reale dell’underground era ancora qui, in questo mondo, soltanto divisi l’uno dall’altro da barriere che potevano – o forse non potevano – essere scavalcate.
Un sorriso mite si fece spazio sul muso incorniciato da candido pelo bianco di Toriel.
« Avete ragione, bambine mie. Ma se siete infelici voi, siamo infelici anche noi. Il benessere dei più giovani viene prima di tutto il resto. »
« Ne… siete convinti? » Domandò Frisk, sbattendo sorpresa le palpebre. Chara, al suo fianco, si era sporta leggermente in direzione della dolce capra, come se stesse faticando a comprendere il significato delle parole che stava udendo.
« Certamente, Frisk. Non dovrete preoccuparvi di nulla, penserò a tutto io. » Le rispose con un caldo sorriso l’ex regina. « Pensate solo a divertirvi con i vostri amici, a godervi tutto ciò che questi posti meravigliosi hanno da offrirvi. Dopotutto, si è giovani una volta sola. »
Il simpatico occhiolino che seguì quell’ultimo incoraggiamento sembrò sciogliere via persino gli ultimi rimasugli di tensione rimasti nell’aria, adesso rasserenata da un’atmosfera più semplice e familiare.
« Ora, chi vuole un bell’abbraccio da questa sciocca, vecchia signora? » Scherzò Toriel, alzandosi in piedi con le braccia aperte ad accogliere entrambe le ragazzine.
Frisk non se lo fece ripetere due volte.
« Io! » Replicò mentre afferrava la sua perennemente recalcitrante amica per spronarla a partecipare a quel tenero momento familiare, invece di restare sul divano e sentirsi così tagliata fuori a causa della propria timidezza.
L’abbracciò di Toriel avvolse sia l’una che l’altra in una stretta di ineguagliabile calore, il senso di pace che quel gesto d’affetto le lasciò nell’anima quando si separarono sarebbe probabilmente rimasto ad aleggiare dentro di lei per parecchio tempo, per tenerle compagnia anche quando Toriel non sarebbe stata lì fisicamente. Era come se le anime della specie di Toriel avessero questo magico effetto su quelle altrui, intuizione che Frisk non se la sentì di scartare o respingere, visto quanto ancora poco riteneva di sapere sul popolo dei mostri nonostante tutte le linee temporali vissute.
Quando non vi fu più la veste dell’ex regina ad occultarne il rossore più grande che le avesse mai sfiorato le guance, Chara si coprì con un braccio il viso.
« Mi mettete sempre in imbarazzo, tutte e due… » Mugugnò a bassa voce, ma già mentre la maggiore parlava Frisk notò il sorriso che era affiorato spontaneamente sulle sue labbra, davanti a cui sia lei che Toriel risero. L’effetto benevolo che quell’abbraccio aveva avuto su di lei doveva averlo avuto anche su Chara, al punto che la sua amica non era propriamente in grado di nasconderlo.
L’ex regina lanciò dunque un’occhiata verso il piano di sopra, un leggero sogghigno le fece arricciare gradualmente le labbra.
« Meglio che non vi trattenga oltre, o il vostro professore potrebbe mandarmi una nota disciplinare a casa. »
« Non sarà mai severo quanto te, mamma. » Commentò subito Chara, con un labbro leggermente all’insù.
La dolce capra rise di gusto, la zampa posata sul petto che enfatizzava il suo attuale divertimento.
« Ci sarà tempo più avanti per farvi studiare come si deve. Sei al sicuro per ora, bambina mia. » La tranquillizzò scherzosamente Toriel, dopo che le sue risa si furono definitivamente placate. « Temo sia giunto il momento per me di avviarmi, piccole. »
« Così presto? » Non poté trattenersi dal sussurrare Frisk. Sperava che Toriel sarebbe rimasta con loro più a lungo, magari per una merenda veloce… tuttavia, il discorso era sempre lo stesso: ognuno aveva i propri impegni, e non potevano trattenerla se aveva delle faccende da sbrigare.
Toriel la guardò intenerita, prima di poggiarle una zampa sulla testa ad accarezzarle dolcemente i capelli.
« Ci vedremo presto, Frisk. Magari per un tè e una delle crostate che vi piacciono tanto, va bene? »
La ragazzina annuì sorridente, contenta quando simili gesti di affetto le venivano riservati – era andata avanti per lungo tempo senza di essi, ora non poteva fare a meno di sentirsi estremamente grata di riceverli, ogni volta senza eccezione.
Fu poi il turno di Chara di avere quello stesso trattamento, a cui la più grande reagì con uno sbuffo che servì a malapena a celare la serenità che quel gesto doveva averle donato.
« Mamma, non sono più una bambina. » La udì protestare debolmente mentre si riavviava con dita tese e frenetiche la frangia.
« Ai miei occhi lo sarai sempre, Chara. » Le rispose con velato pizzico di nostalgia Toriel, che comunque non bastò ad intaccare il suo amorevole tono gioviale. « La mia bambina sempre speciale e determinata. »
La sua amica arrossì un poco, stirando stizzita un labbro ed evitando di guardare in faccia sia sua madre che lei. Come sempre, Frisk si ritrovava a chiedersi cosa di queste situazioni la imbarazzasse tanto – sapeva per esperienza che una madre che si rispetti era incline a rapportarsi in questo modo con i propri figli... era così che la sua di mamma si era sempre comportata con lei d’altronde.
Salutate loro, l’ex regina salutò anche Sans, il quale scese dal piano di sopra per offrirsi di aprirle in maniera scherzosamente galante la porta di casa.
Il gesto con cui Toriel lo ringraziò della gentilezza fu un’affettuosa carezza sulla spalla, a cui lo scheletro rispose con un imbarazzato sghignazzare – sghignazzi che comunque terminarono quando Toriel lo ‘riprese’ per la confusione di post it e fogli per appunti che regnava sul povero divano di casa.
L’espressione truce che Frisk vide apparire sul viso di Chara quando la porta si richiuse raggelò la stanza peggio di una tormenta.
« Oh NO. Non con mia madre, tu brutto…! »
« Calma, peste dai bollenti spiriti. Non c’è nulla per cui ti debba preoccupare, o per cui tu debba demolire il soggiorno. » La frenò Sans, alzando una mano in segno di resa, un sorriso a metà tra il nervoso e l’incredibilmente divertito. « Siamo solo amici. »
Chara lo fissò con gli occhi ridotti a due fessure di nero, un palese Ti tengo d’occhio che persino lo spettatore più disattento avrebbe potuto leggere nel suo sguardo.
A tempesta evitata, Frisk inarcò perplessa le sopracciglia in direzione del suo amico scheletro.
« Davvero? Per tutto questo tempo, io sospettavo il contrario. »
Sans scoppiò a ridere, nel medesimo istante in cui le parve di avvertire una ricaduta di umore dalle parti di Chara. Le venne il dubbio che, forse, avrebbe dovuto filtrare cautamente il messaggio, visto quanto suscettibile si stava dimostrando l’altra giovane.
« Oh, andiamo, perché tutti questi film mentali con me? Non pensavo di essere al centro di questo genere di attenzione! »
Frisk non poté far altro che soffocare un risolino imbarazzato per il grosso abbaglio che aveva preso, a cui non tardò a seguire uno sbuffo da parte di Chara.
« Devi solo provarci a fare coppia con mia madre. » Parlò quest’ultima, e la più piccola si trovò in difficoltà a determinare se quello fosse un tono scherzoso o meno. « Devi solo provarci. »
La punta di agitazione che aveva stirato il sorriso di Sans le comunicò che lo scheletro era arrivato ad una conclusione ben prima di lei.
 
 
Interessante… davvero interessante come, per quanti legni e pietre stesse continuando a gettare nel medesimo specchio d’acqua, le onde che venivano generate finivano tutte col placarsi contro un unico potente argine.
Aveva sperimentato col corpo del principe per giorni, testandone i limiti, la tempra, i tempi entro i quali quel contenitore tangibile e materiale avrebbe potuto sopportare di essere riempito con un qualcosa di immateriale e refrattario come la sua essenza… o, per precisione, ciò che di essa era rimasto. Sapeva ora quanto quel corpo temporaneo poteva sopportare se completamente a riposo, se compiva questo o quel movimento, se danneggiato superficialmente o irrimediabilmente... ogni calcolo compiuto nelle settimane precedenti era stato condotto con la minuziosità con cui avrebbe assemblato un macchinario… il risultato era stata una padronanza assoluta sulle potenzialità del suo attuale contenitore e una conoscenza ai limiti del maniacale in merito al lasso di tempo in cui avrebbe potuto agire fuori dal Void. Non avrebbe potuto pretendere risultati meno soddisfacenti dalle sue sperimentazioni...
Non era stato solo il corpo del principe a risultargli incredibilmente utile… la DT di cui era stato intriso, che aveva dapprima riportato in vita l’erede dei Dreemurr, era stata persino in grado di donare a lui il potere necessario per far scendere Sans – suo figlio – dal deludente piedistallo che credeva di essersi costruito per sé, oh così troppo sicuro e arrogante per dare ascolto alle sue parole, per restare vigile e tentare di tenersi fuori dalle spire che stavano strisciando fuori dal Void per propagarsi nel suo mondo… povero, patetico, innocente Sans, che aveva dapprima creduto di essere al sicuro nei suoi sogni, al riparo dal suo tocco durante il loro primo rincontrarsi dopo un periodo di lunghissimo silenzio… quando quella prima certezza era venuta meno, aveva fatto in modo che qualunque altra sua sicurezza facesse la stessa sfortunata fine… vederlo così in difficoltà nell’indossare, togliere, portare con sé le sue maschere sempre più fragili gli aveva fatto provare una soddisfazione piena, una soddisfazione che non aveva sentito da molto tempo… e poi… quella meravigliosa impotenza irradiata dalle espressioni di entrambi i suoi figli, i suoni morenti del suo secondogenito che riempivano la sua mente affamata di rumori, tutte le urla e i pianti soffocati del suo primogenito, la sua anima che batteva e batteva incessante per liberarsi dalla sua presa… inebriante.
Avrebbe potuto continuare ancora, risentire quelle sensazioni e le emozioni che avevano risvegliato in lui, sperimentarne di nuove… se solo quella ragazzina, con la sua aura di buonismo e gentilezza, non avesse fatto delle sue trame un groviglio… se solo non avesse raccolto attorno a sé un folto gruppo di valenti alleati. Se solo quella ragazzina avesse avuto meno determinazione, un folto gruppo di alleati non ci sarebbe stato fin dal principio. Se solo quella ragazzina avesse avuto meno determinazione, non sarebbe riuscita a risollevare nemmeno sé stessa dal fango dell’autocommiserazione, figuriamoci suo figlio, Chara, o qualunque altro mostro
Vedersi ostacolato in questo modo da quella singola variante da lui non pienamente considerata gli aveva permesso non solo di identificare il vero primo ostacolo di cui doveva occuparsi, ma lo stava elettrizzando quel tanto che bastava per solleticare gradevolmente la sua mente e spingerla a considerare nuove, mai viste variabili. Altre linee d’azione, altre pianificazioni, altri scenari… le possibilità erano quasi infinite… e lui poteva sceglierne solo una da realizzare... uno spreco… uno spreco necessario, purtroppo.
« Vogliamo guardarci un film tutti assieme questa volta? » Propose Frisk, il suo sorriso uno che era consapevole del fatto che i suoi due interlocutori avrebbero senz’altro accettato fintanto fosse stata lei a muovere quella proposta – che manipolazione sottile la sua, ammirevole.
« A patto che Sans non spoileri nulla se lo ha già visto. »
Suo figlio mise su un sorriso arricchito da una punta di sfacciataggine.
« Non posso promettere niente in tal caso-- »
« Farai del tuo meglio, visto che neanche a me piacciono gli spoiler. »
Chara sghignazzò silenziosamente vedendo il sorriso di Sans farsi molto meno sfacciato; la raccomandazione giocosa ma, allo stesso tempo, parecchio esplicita di Frisk aveva sortito l'effetto sperato.
Ridacchiò anche lui osservando quello scambio. Quanta spensieratezza… così semplice da rovinare, sfasciare irrimediabilmente… le cose considerate belle sono sempre tanto facili da rompere… le cose considerate già rotte sono sempre tanto difficili da rimettere insieme.
Beh… era tempo di prepararsi a gettare altri legni e altre pietre in quello specchio d’acqua, per creare altre onde, onde di mareggiata… e spezzare quell’argine una volta e per sempre. Chissà quali animi avrebbe potuto spezzare dopo, quali pedine mettere l’una contro l’altra, quali discordie creare, prima di assaporare il momento in cui avrebbe riavuto indietro la sua anima e il suo corpo intatti, nonostante le aspettative ottimiste dei suoi avversari.
Avrebbe aspettato per ora che il suo contenitore guarisse completamente dai danni e dalle ferite subìte durante la quasi riuscita del suo precedente piano… nell’attesa, avrebbe osservato lo svolgersi degli eventi, il tentare dei suoi oppositori di renderlo inoffensivo, il loro sorridere incuranti di ciò che sarebbe accaduto… e avrebbe aspettato il momento di debolezza che, se sfruttato, avrebbe giocato a suo favore, consentendogli di colpire a fondo e con letale precisione…
Sorrise tra sé e sé.
La sfida era ben lungi dall'essere terminata.
 






Sameko's side
Ehilà, era da un po’ che non ci si vedeva! Vero, è passato un bel po’ dall’ultimo aggiornamento, ma almeno avevo avvisato che i tempi d’attesa sarebbero stati più lunghi del solito ( molto più lunghi di quanto anche io avessi programmato in verità ). Avevo bisogno di una pausa come avevo già detto. ^^
Mi scuso tuttavia per la confusione che è questo capitolo, mi rendo conto che ho cercato di far venire al pettine troppi nodi in una volta sola… ma, siccome questo era il tassello mancante per completare questo arco narrativo, ho preferito chiudere finalmente il tutto servendomi soltanto di un aggiornamento. Ho paura che anche il prossimo capitolo avrà un po’ questa sensazione di “ammassamento”, scusate quindi in anticipo se sarà così. Dopo i mesi in cui sono stata assente, trovo comunque sia meglio andare più spediti dove posso cavarmela con un ‘passabile’.
Piccola nota prima di concludere! Shining Cure - Friendship Max è un titolo parodia delle Pretty Cure che mi sono inventata di sana pianta ( molto cringe, già ). D'altronde, se ad Alphys piace la parodia delle Tokyo Mew Mew, non vedo perché non dovrebbe piacerle anche quella delle Pretty Cure, visto che queste due serie fanno parte dello stesso genere! ^^
Sperando che ci siano ancora abbastanza lettori qui a seguirmi, ci vediamo col prossimo capitolo. :)
Baci!
 
Sameko
 

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