The sons of satan

di verystar02
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Come sono arrivata a tutto questo?
Ah ora ricordo...



Che cos'è l'insonnia se non la maniaca ostinazione della nostra mente a fabbricare pensieri, ragionamenti, sillogismi e definizioni tutte sue, il suo rifiuto di abdicare di fronte alla divina incoscienza degli occhi chiusi o alla saggia follia dei sogni?
Non riusciva a dormire, non quella notte, non dopo quello che le era successo.
Una notte senza luna.
La profondità oscura del cielo sembrava ingogliare a se le montagne che si stagliavano in lontananza.
Le persone camminavano sotto i tenui lampioni, e le colpe che nel profondo ognuno sa di possedere si mischiavano nelle ombre.
Quando mai sarebbe riuscita a riposare tranquillamente?
Quando avrebbe avuto il cuore e la mente calma?
Solo una cosa, o meglio, un nome avrebbe forse potuto risolvere i suoi dubbi e forse sciogliere così le sue paure placando infine il battere frenetico del suo cuore infranto nel petto.
Quel nome, allegato a un numero, era scritto sul foglietto di carta rosè che gli aveva consegnato la sua tutrice, Penelope, in lacrime, appena prima che le vennisse detto di andarsene dal collegio quello stesso pomeriggio.
"Andarsene" però non era la parola adatta.
Era stata infatti cacciata, senza un apparente motivo.
Certo...
Sapeva di avere un carattere turbolento e che spesso combinava guai, ma questa volta era più che sicura di non aver fatto nulla per meritarsi un tale gesto estremo.
Un'unica cosa le aveva detto Penelope riguardo al bigliettino prima di scappare da lei e tornare nel edificio era stata:
 «Chiamalo ti salverà... spero... il numero me l'ha dato uno del monastero qui accanto, addio.»
Nulla di più nulla di meno.
Gli occhi della ragazza erano totalmente chiusi, i piedi saldamente a terra e la bocca socchiusa, dalla quale uscivano solo alcuni sospiri leggeri.
Era seduta sul bordo del "suo" letto impolverato, totalmente vuoto, a riflettere rigirandosi tra le mani il foglietto.
La squallida camera del motel dove si trovava aveva toni chiari, una moquet beige visibilmente vecchia e rovinata e una puzza di muffa che le impregnava il naso schifandola.
Quello era l'alloggio improvvisato raggiunto appena le era stata data la notizia dell'imminente e sopratutto obbligatoria espulsione.
L'unico luogo che poteva permettersi con i suoi pochi risparmi guadagnati con gli estremi turni serali al bar Moneth nella parte nord della città.
Il collegio dove stava non era male paragonato allo schifo dove si trovava ora.
Li aveva delle amiche degli insegnanti, delle persone che le volevano bene e che si prendevano cura di lei.
Ora non aveva più nessuno era sola.
Ma esattamente cosa avrebbe dovuto fare adesso?
Era curiosa di sapere a chi apparteneva quel numero ma non se la sentiva di digitarlo sulla tastiera del proprio telefono.
Aveva paura, eccome se ne aveva.
Paura di quello che avrebbe potuto scoprire, paura di sentirsi dire che avrebbe dovuto stare in quello schifo per il resto della sua vita.
Scosse la testa cacciando indietro quei pensieri maligni che le stavano affiorando nella mente.
Rimase seduta in silenzio ancora  per alcuni minuti ad ascoltare i rumori che provenivano dalla finestra spalancata davanti a lei.
Pensando al da farsi.
Udiva prevalentemente auto, auto che sfrecciavano veloci lungo la tangenziale posta praticamente accanto al motel.
Aprì gli occhi castani e facendo pressione sulle gambe la ragazza abbandonò lo scomodo letto per dirigersi verso la finestra.
Guardò fuori appoggiando entrambe le braccia sul davanzale.
Le luci dei fanali creavano scie luminose sulla strada, il cielo era scuro, privo di stelle e privo di luna, in lontananza però, oltre ai colli si poteva intravedere un bagliore.
Una fiebile lucina che preannunciava l'alba.
Quante volte aveva visto l'alba dalla finestra del suo orfanatrofio... era il suo modo di iniziare la giornata, la rendeva speranzosa, le faceva credere che un giorno migliore sarebbe arrivato.
Ma di giorni migliori non se ne erano mai presentati.
Aveva superato l'età dell'adozione da ormai un paio d'anni, e sarebbe stata destinata a non avere mai famiglia.
Già... a sedici anni nessuno ti adotta più, quindi aveva ormai perso tutte le speranze.
Era stata in quel luogo da quando era nata, probabilmente la madre la prima volta che la tenne fra le braccia capì che essere genitore non faceva per lei e così l'abbandonò in quel triste rudere.
Una brezza rinfrescante le face muovere i lunghi capelli biondi riportandola alla realtà.
Una lacrima calda e veloce le sfuggì dall'occhio sinistro.
Non doveva piangere.
Lei era forte.
Non aveva bisogno di una famiglia.
Ne di una madre.
C'era lei e si bastava.
«Ho deciso» Sospirò a se stessa staccandosi dalla finestra e dirigendosi verso quel letto sporco, accucciandosi ed estraendone dal sotto una valigia color carbone.
L'aprì ed raccolse il proprio cellulare mentre reggeva il fogliettino rosè.
Nonostante fossero le cinque di mattina doveva tentare.
Stare anche solo un minuto di più in quel pattume l'avrebbe fatta impazzire e perdere la ragione.
Lei meritava di più e questo lo sapeva bene, se lo sentiva.
Iniziò a digitare sul display.
Numero dopo numero fino a completarlo per poi premere il tasto "chiama".
Lo appoggiò sulla moquette e ci si sedette accanto mettendolo in modalità vivavoce.
Quando iniziò a squillare la consapevolezza di poter aver fatto un buco nell'acqua la pervase.
Il rumore del dispositivo risuonava con forza in tutta la stanza e giungeva ovattato alle sue orecchie.
Il cuore le pulsava frenetico, impaziete, curioso.
 «Si pronto?» Rispose all'improviso una voce dall'altra parte della chiamata.
La ragazza sobbalzò sbalordita tuttavia non gli rispose e abbassó lo sguardo sul pavimento.
Cosa le prendeva? Non aveva più la forza? Non si era appena detta che era forte, e che poteva fare tutto quello che desiderava?!
 «Pronto, chi mi ha chiamato?» Insistette la voce.
Sospirò.
Una, due, tre volte, l'aria usciva calda e pesante dalla sua piccola bocca.
Afferrò tremante da terra il cellulare portandolo poi vicino alle labbra.
«S..sono Ryse... Ryse Miyoshi... mi hanno dato il tuo num...»
Non fece a tempo a terminare che venne interrotta.
«Ho capito. Dimmi dove sei che sto venendo a prenderti.»
Le disse a bruciapelo e con una certa urgenza nella voce.
«P...place Fayat 425-89 Kioto.» Rispose lei senza distogliere lo sguardo dal display.
«Ok scendi.» Concluse l'interlocutore terminando secco la chiamata.
Ryse titubante, piena di paura e con un nodo alla gola afferrò svelta la valigia carbone raccolse il cellulare e il bigliettino, si inserì con fretta il cappotto e poi uscì da quella merda di motel sbattendosi la potrta di legno dell'ingresso alle sue spalle.


 

Angolo di Veronique

Ho fatto delle modifiche alla storia, corretto alcuni errori cambiato delle parti che stonavano, e finalmente la ripropongo a voi pubblico.
Ho deciso di non eliminarla per poi ripubblicarla ma solo di apportare delle modifiche sul testo già scritto.
Il raiting è orange ma potrà crescere nei prossimi capitoli.
E nulla spero con tutta me stessa che vi piaccia.
Ringrazio inoltre tutti coloro che mi hanno supportato e incitato a contiuarla.

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Capitolo 2
*** 2 ***


Davanti all'entrata non c'era però nessuno.
Ne macchine, ne persone, il vuoto assoluto.
Di fronte a lei e alla sua sinistra c'erano due strade, quella dinnanzi era deserta e procedeva lungo la sua destra fin dove il suo sguardo arrivava.
Oltre alla strada di dirimpetto c'era invece un parcheggio vuoto circondato da alberi e arbusti.
Il fatto che non ci fosse alcun suono era anormale.
Tutto questo silenzio la inquietava.
Nel frattempo, non vedendo arrivare nessuno Ryse decise di sedersi,  teneva entrambe le mani tra i capelli, e i denti a torturarsi il labbro inferiore facendo saettare lo sguardo da una parte all'altra della strada.
Dove può essere... si chiedeva mentre si arrotolava attorno a un dito una ciocca bionda.
Quando improvvisamente qualcosa attirò la sua attenzione; un uomo sulla quarantina iniziò a camminare verso di lei dalla parte opposta della strada, dove si trovava il parcheggio.
Ryse dovette currugiare lo sguardo per scrutarlo a dovere.
Era pelato, e barcollava pesatemente, aveva una camicia aperta e una bottiglia di vetro nella mano sinistra, ma la cosa che la scioccava di più era la sua errezione in bella vista essendo sprovvisto di mutande.
Spaventata la ragazza risalì subito in piedi raccogliendo la propria roba e indietreggiando, cercando di aprire la porta di legno dietro di lei, senza risultati.
Essa infatti era chiusa e si poteva aprire solo dall'interno o utilizzando una chiave che lei ovviamente, avendola lasciata alla reception prima di uscire, non possedeva.
Cercò di coprirsi la profonda scollatura della magietta chiara che indossava utilizzando la propria giacca, per fortuna quella mattina aveva deciso di indossare jeans lunghi nonostante la sotile brezzolina estiva e non la gonna che Penelope le aveva consigliato di mettere.
Ryse era paralizzata dalla paura non riusciva a pensare a nulla, avrebbe voluto solo scappare ma le gambe non glielo permettevano.
Si girò per vedere se l'uomo ci fosse ancora, ma quando lo intravise era solo a pochi metri da lei.
«Eddai bella ragazza, divertiamoci un pò, io e il mio amichetto abbiamo tanta voglia di "giocare" con te.» Parlò l'uomo e un conato di vomito salì in gola alla ragazza.
Si sentiva la puzza dell'alcol che aveva ingerito quello schifoso da lontano metri, alcol con cui probabilmente si era anche sporcato quella lurida camicia.
La bionda indietreggiò ancora di più stringendosi alla porta di legno, e pregando che qualcuno venisse ad aiutarla.
Poi udì la sgommata delle ruote di un auto e venne abagliata da dei potenti fanali che le fecero chiudere a forza gli occhi.
Quello che udì in seguito furono solo urla di dolore rumore di ossa frantumate e il suono degli schizzi di sangue che colpiscono fragorosamente la strada.
Quando poi il rumore secco cessò riaprì lentamente gli occhi e si dovette trattenere dall'urlare.
Era rimasta abbastanza sconvolta da ciò che era successo.
L'uomo che si era avvicinato con l'intento di stuprarla si trovava ora, con il cranio frantumato l'intestino schizzato fuori reversato sul cemento e con una pozza di abbondante sangue intorno, sotto le ruote di una lussuosissima limousine rosa.
Era sbalordita non sapeva che fare.
«Hai intenzione di entrare Ryse-chan o vuoi aspettare ancora molto e restare li con la bocca spalancata?» Esclamò una voce dall'interno della limousine.
La riconosceva era del numero che aveva chiamato pochi minuti prima al cellulare.
Velocemente con la valigia in mano si diresse verso la limousine cercando di non sporcarsi le scarpe con il sangue che imbrattava il marciapiede.
Prima ancora di afferare la maniglia della portiera quest'ultima si aprì da sola e lei ci si precipitò dentro di fretta richudendosela alle spalle.
«Quanta fretta.» La canzonò la voce roca dell'individuo che non aveva ancora notato all'interno della limousine.
«Ti supplico possiamo partire... non voglio più vedere questo posto.» Implorò Ryse senza guardarlo negli occhi ma tenedo lo sguardo fisso sul pessimo motel.
«Ogni suo desiderio è un ordine Ryse-chan.» Risponde lui ridendo e alzando le braccia come segno di resa.
La limousine partì e Ryse allora potè finalmente schiarirsi le idee e focalizzare ciò che era appena successo negli ultimi cinque minuri.
Un uomo ha tentato di stuprarla, lo stesso uomo poi è stato investito da una limousine su cui poi lei è entrata senza esitare.
"Molto sconsiderato da parte tua cara Ryse" si trovò a pensare per poi guardarsi in torno.
Era uno spazio accogliente, total black, con sedili in pelle e apposito minibar ben fornito, inoltre c'era anche una finestra sul tettuccio che lasciava intravedere il cielo scuro.
Poi dopo qualche secondo si ricordò anche del suo "salvatore" e si girò col volto a fissarlo.
Aveva un aspetto particolare e se ne stava li nell'ombra a guardarla curioso.
Era vestito esageratamente elegante, con smoking bianco e cravatta rosa.
Teneva sulle ginocchia un buffo cilindro bianco con un cinturino del colore della cravatta.
A  incorniciare il suo look bizzarro si univano il pizzetto curato e i capelli, da cui spuntava un ciuffo come ad uncino in cima, entrambe viola.
Nonostante l'aspetto inusuale aveva un qualcosa che l'attraeva molto, forse quell'aria misteriosa o quegli occhi smeraldo, ma non poteva negare che aveva provato un brivido di piacere appena l'aveva visto.
«Te dovresti essere Mephisto-sawn giusto?» Domandò a quel punto Ryse incrociando le braccia al petto e fissandolo negli ipnotici occhi.
Lui udita la domanda le si accomodò accanto, rovesciando la testa indietro, contro lo schienale, e chiudendo gli occhi.
lo sguardo di Ryse vagava su di lui, apprezzando ogni suo minimo particolare: le ciglia, il profilo degli zigomi, la perfetta linea della mandibola… Le sue labbra catturarono l'attenzione della ragazza facendola non accorgere che il ragazzo aveva aperto gli occhi e che la stava osservando.
Il ragazzo le si avvicinò ulteriormente per poi infilare la testa nell'incavo del suo collo e inspirare forte il suo profumo.
«Esatto sono io» Gli sussurrò provocatorio all'orecchio non riuscendo a trattenersi dal leccargli il lobo provocandole un mugugno di piacere.
Si staccò desolato da lei solo dopo averglielo tormentato per una buona manciata di minuti.
"E' davvero lei quindi? E' lei che mi fa provare questo?! Le profezie non sbaglivano..."Pensava i ragazzo nella sua mente per poi rimettersi seduto composto e con lo sguardo perso nel vuoto.
Ryse era stordita quel semplice tocco le aveva mandato il cervello in pappa.
Ma a ricondurla con i piedi per terra fu il tonfo che si sentì sul tettuccio della limousine.
Visibilmente scossa fu compito di Mephisto tranquillizzarla.
«Tranquilla è solo mio fratello minore Amaimon che, come me, vuole fare la tua conoscenza» Gli disse calmo mentre apriva il finestrino sul soffitto dell'auto e faceva entrare uno strano individuo.
«Sei salato sulla mia auto in corsa?» Chiese Mephisto alla figura appena "salita" a bordo della limousine.
«Si. Perchè?» Rispose ingenuemente il ragazzo.
«Sei un pazzo! Spero tu non mi abbia strisciato l'auto» Lo rimproverò Mephisto iniziando una lite noiosissima per il nuovo arrivato.
Intanto mentre i due, a quanto pare, fratelli bisticciavano Ryse potè prendersi alcuni minuti per ammirare il nuovo ragazzo.
Ne osservo ogni particolare, dal colore tenue della carnagione al colore più evidente dei capelli verdi. Gli occhi erano azzurri, un bellissimo azzurro e parevano quasi surreali da quanto erano belli. Il suo abbigliamento come quello del fratello era discutibile.
Una cosa si notava particolarmente, era più giovane di Mephisto e come il fratello il suo fare misterioso l'attirava non poco.
Indossava una lunga camicia marrone che terminava con due  lunghe punte, un gilet beage, dei pantaloni anch'essi marroni ma con dei poins e una cravatta a righe bianche e gialle.
Era caduta in un circo?!
Era così distratta nei suoi pensieri che non si era accorta che i due avevano smesso con il breve litigio e che ora avevano entrambe gli occhi su di lei.
Lo sguardo del verde era curioso, come se non avesse mai visto un essere umano mentre quello del viola era più rilassato e tranquillo.
«E così lei e davvero Ryse?» Domandò all'improvviso il verde portandosi un lecca lecca alla bocca e facendo cessare il silenzio imbarazzante che si stava creando.
«Penso di si, non l'ho ancora testato, ma ha chiamato il mio numero chiedendo aiuto e dicendo che di chiamava Ryse Miyoshi, quindi non penso ci sia stato un errore.» Rispose Mephisto lisciandosi il pizzetto.
«Miyoshi? Che cognome ridicolo le hanno scelto in quel angusto luogo» Esclamò ridendo di gusto e battendo ripetutamente la mano sulla spalla del fratello che di rimando gli laciò uno sguardo truce.
Scelto?... Effettivamente i tutori dell'orfanatrofio le avevano comunicato che al suo arrivo aveva con se solo un bigliettino con il nome, non avevano accennato anche a un cognome, ma questo come facevano a saperlo?.
«Io...» Tentennò lei a corto di parole incontrando il suo sguardo incuriosito, il verde si aspetta davvero che lei dicesse qualcosa?
 Lui la osservò a lungo, le labbra che gli si schiusero e formarono un sorriso.
Ryse ricambiò imbarazzata indecisa sul da farsi quando a rompere il silenzio questa volta fu Mephisto.
«Per ora quello che devi sapere è che ti stiamo portando alla True cross, una città scuola di cui io sono il preside dove svolgerai i corsi; li resterai tuttavia sotto il nostro totale controllo perchè dobbiamo assicurarci la tua totale incolumità, questo vuol dire che io e Amaimon ci alterneremo nel venirti a prendere e nell'accompagnarti a lezione, potremmo anche decidere di venire direttamente con te o di controllarti tramite altri mezzi. Oltre a questo tu non potrai dormire in un dormitorio come fanno gli studenti normalmente, ma dovrai abitare con me e mio fratello nel mio castello, in cima alla true cross, fidati ti sentirai subito a casa. Se ti chiedi perchè facciamo tutto questo è per controllarti e proteggerti da gente di cui non possiamo ancora dirti il nome.»
«Io...non ho capito nulla, ma non importa a me basta che non mi facciate più tornare in quel posto orribile.» Ammette, inizialmente scherzando per poi incupirsi e abbassare lo sguardo sul pavimento dell'auto man mano che terminava la frase.
Questo cambio improvviso di umore fece sbalordire i due fratelli non noti alle emozioni umane.
«Nessuno ti farà più del male.» Sussurrò in modo pacato Amaimon sedendosi accanto a lei seguito poi da Mephisto che si sedette nel lato opposto sempre affianco alla ragazza che tra un sbadigio e un'altro si addormentò sulla spalla del minore.


 

Angolino di Veronique

Ecco il secondo capitolo ho portato modifiche anche a esso ma in modo minore rispetto al precedente capitolo.
Già si capiscono alcune cose in più sulla cara Ryse.
Chissà che legame ha con i nostri due cari fratellini demoni?
Chiedo perdono per aver creato un Amaimon troppo occ e la setssa cosa con Mephisto.
Continuate a leggere, vi adoro.

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Capitolo 3
*** 3 ***


Venne svegliata da un piccolo brusio giunto ovattato alle sue orecchie.
«Ne avevi mai visto uno dormire?» Sospirò una voce calma e roca.
«No... è così strano, sembra quasi un morto; e di quelli ne o visti parecchi...ha delle labbra così belle...vorrei...» Rispose non terminando la frase una seconda sommessamente e in modo più acuto mentre con un polpastrello delineava il contorno delle labbra morbide di Ryse.
Nell'udire tali parole le guance della ragazza iniziarono a imporporarsi timidamente.
L'auto si era fermata.
Non ricordava con esattezza quanto fosse durato il viaggio avendo preso sonno, ma una cosa che rammendava perfettamente erano gli occhioni che al suo risveglio la fissavano curiosi.
Due paia di splendidi occhi provenienti dalle due testoline una verde e l'altra viola che la scrutavano dall'alto.
A-aspetta...Dall'alto? Solo in quel momento si accorse di essere sdraiata.
La testa appoggiava infatti sulle gambe del verde mentre le gambe della ragazza erano accavallate sopra quelle di Mephisto.
Il sedere poggiava fortunatamente sul morbido sedile di pelle nera, almeno parte della figura imbarazzante se l'era riuscita a risparmiare.
Quando si rese conto della posizione in qui si tovava si alzò d'impeto cercando di mettersi seduta compostra sbattendo però, nell'issare il busto, la testa conto quella del povero Amaimon che iniziò dolente a massaggiarsi la botta appena ricevuta sulla fronte.
Ryse allarmata e indecisa sul da farsi eseguì la prima cosa che le venne in mente.
 Si alzò e gli si posiziono in braccio per poi allargare le sue braccia e stringerlo imbarazzatissima al petto rantolando qualche supplica, lasciando il ragazzo basito così come il fratello che osservava la scena divertito lisciandosi il pizzetto in piedi alla sua destra.
«Oddio scusami tantissimo, mi dispiace, perdonami non avevo intenzione di colpirti!!!» Iniziò a cinguettare stringendolo goffamente di più al prosperoso seno, evidentemente scoperto dal profondo scollo della maglia, e appoggiando la fronte contro la sua.
Nel frattempo l'alba prannunciava finalmente l'arrivo di un nuovo giorno, scacciando la notte scura.
L' alba era l' inizio e la fine di ogni cosa.
Da li cominciava la giornata.
Da li finiva la notte.
Da li sorgeva il sole che illuminava ogni cosa.
Una piacevole sensazione si annediava nel petto e nel basso ventre del verde.
Era forse eccitato? Improbabile, non erano sensazioni da re dei demoni.
 Però... il viso tra i suoi seni, caldi, morbidi e che emanavano un dolce aroma di vaniglia, gli facevano girare sottosopra lo stomaco.
Sodi, a pochi millimetri dalla sua bocca, fremeva dalla voglia di assaggiarli, di mordicchiarli, di profanare quella sua pelle pallida lasciandole un vivido succhiotto, un suo marchio.
"E questo il suo potere?! Così forte da controllare un re demone come me?"
"Sto forse impazzendo?" Si disse strabuzzando gli occhi, per poi lasciarsi andare e allungare le braccia stringendola a se facendola aderire quasi completamente al proprio corpo.
Lunghi brividi sulla figura della ragazza derivavarono da quel gesto piacevolmente inaspettato, brividi che lui avvertiva e che comportavano ad aumentare soltanto di più la sua voglia di spaccare il vetro sul tettuccio e portarsela via nelle prime luci dell'alba.
Fortunatamente, prima che perdesse completamente la ragione, venne bloccato dalla voce del fratello, che probabilmente aveva udito i suoi pensieri.
«Direi che adesso puoi anche lasciarlo Ryse-Chan, non penso che si sia fatto male, ha la testaccia più che dura, vero Ama-sawn?» Le disse ridendo sommessamente, lanciando un occhiolino complice al fratello che, nel frattempo, udendo il suo ammonimento, aveva sciolto la stretta dal fisico di Ryse fissando il maggiore con sguardo visibilmente seccato.
«Oh... si, scusami ancora.» Disse imbarazzatissima la bionda alzandosi impacciatamente per poi compiere un piccolo inchino verso il verde e rivolgersi incerta al maggiore.
«Co-comunque siamo già arrivati?» Chiese titubante torturandosi una ciocca di capelli biondi e guardandolo negli immensi occhi verdi.
«Certo cara Ryse, scendiamo pure.» Replicò sorridendole, cosa che lei ricambiò.
Prese valigia e giacca e con movimenti agrazziati scese dalla lussuosissima auto lasciando farsi fare strada dai due individui.
Quello che vide l'adolescente  davanti a se appena smontata dalla limousine la fece sospirare sbalordita.
Al maggiore scappò un lieve sorriso dalla sua reazione.
«Ti piace?» Domandò curioso Mephisto mentre allentava il nodo della propria cravatta fino a scioglielo completamente infine levandosela.
 Lei girò appena la testa, quel tanto che bastava per poterlo guardare nel volto.
Si stagliava davanti loro l'immensa costruzione del palazzo che aveva citato il viola durante il viaggio.
Circondato per tre lati dal puro cielo, l'enorme edificio alto circa una settantina di metri e con il tetto e le varie torri che terminavano con buffe punte, faceva da corona a tutta la True cross.
Colori vivaci come il rosa e li giallo facevano capolineo nei vari muri esterni, insieme a finestre dal contorno dorato e vessilli con il simbolo dell'istituto, tutto l'insieme era una meraviglia.
«Si...» Rispose lei con un filo di voce.
«Sono entusiasta che la mia umile dimora ti aggradi.» Confidò Mephisto facendo una riverenza e prendendo una mano della ragazza per poi baciarla dolcemente, sotto gli occhi innervositi di Amaimon.
Gesto che la fece arrossire non poco, tanto da farle perdere un battito.
«Secondo me continua ad essere troppo pacchiano fratellone.» Esclamò Amaimon inserendosi le mani in tansca e muovendosi poi verso l'entrata, spalancandola con un "non molto gentile" calcio scocciato.
«Non badare a lui e al suo comportamento infantile.» Gli consiglio il maggiore alzando gli occhi al cielo beccandosi di rimando uno sguardo d'odio da quest'ultimo.
«Vieni, entriamo ti mostro le stanze fondamentali e poi devo scappare tra poco dovrò iniziare a lavorare.» La incitò indicandole la dimora e facendole cenno di seguirlo.
L'interno era senza dubbio mille volte migliore della parte esterna.
Enormi candelari dorati pendevano dal soffitto illuminando il pavimento di marmo bianco e le splendide pareti decorate da vetrate e drappeggi.
Dopo una buona mezz'ora di visita guidata tra salotti, cucine e altre stanze finalmente Ryse fu condotta al luogo dove avrebbe dovuto dormire.
Un enorme camera alla fine di uno degli infiniti corridoi del palazzo.
«Fa come se fossi a casa tua, io devo andare se ci fosse bisogno di qualcosa chiedi ad Amaimon, sono sicuro che sarà più che disponibile.» Sibilò tra i denti il viola rivolgendosi più al fratello che a Ryse, detto questo scomparve dietro un angolo del corridoio.
"Bene bene, adesso che il guastafeste è andato via potrò finalmente farti mia, Ryse...e' tempo di mostrarti finalmente la tua terra. Chissà quando gli altri verranno a "farti visita"...Devo stare attento."
Pensò una testolina verde leccandosi il labbro superiore, sparendo anch'esso e lasciando la ragazza sola nella stanza.


 

Angolo di Veronique

Eccoci al terzo capitolo.
Chissà cosa ha in mente Amaimon...
Spero vi piaccia!!!

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Capitolo 4
*** 4 ***


Attorno a se nessun rumore.
Pace.
Vuoto.
Il suo respiro regolare.
Dopo che il verde si era chiuso la porta alle spalle, lasciandola sola, il silenzio era stato il suo unico compagno.
Solo allora Ryse potè elaborare il tutto.
Avrebbe dovuto coinvivere con due individui bizzarri per il resto della sua vita?
Perchè gli sembravano così familiari?
Perchè si era buttata a capofitto in quell'assurda situazione?
Perchè si fidava di loro?
Mille mila pensieri le frullavano per la testa, provocandole spiacevole nausea e male umore al bassovente.
Erano le otto e un quarto di mattina, o almeno così poteva notare leggendo l'ora dall'orologio posto a fianco della porta della sua nuova stanza.
Era un maestoso orologio alto un pò più di lei, uno di quelli a pendolo, di quelli antichi, intarsiati in legno pregiato con virtuosismi artistici che facevano invidia alle decorazioni del resto del palazzo.
Se ne stava li, a far ondeggiare il suo lucente pendolo, dietro una porta di vetro, con nobile distacco, sprecandosi solo una volta ogni ora per rintoccare con la sua voce austera.
Sembrava saggio e pieno di storie, con delle parole in lingua estranea incise sopra il disco delle ore, ormai sbiadite e invecchiate.
Ora che ci fece caso si ricordò che ne aveva già visto uno identico a quello nel suo passato.
Rammendava e rammendava, portandosi entrambe le mani alla testa per il dolore che tali pensieri stranamente le provocavano, senza giungere però a una conclusione.
Non aveva grandi ricordi del suo trascorso.
Il vecchio orfanatrofio femminile era la sua unica certezza.
Non aveva famiglia, nessuno che avrebbe pianto la sua morte...
Con quel idea in testa mosse i primi passi nella spaziosa camera donatagi da quei buffi personaggi.
Passo dopo passo vagava ed esplorava quel luogo nuovo camminando sulla candida moquette indaco.
Ogni oggetto le ricordava qualcosa, ma non riusciva a mettere a fuoco cosa.
Scostò le pesanti tende ricamate che oscuravano la luce di una finestra trovandosi piacevolmente sorpresa nell'imbattersi invece in una porta di vetro, che conduceva a un enorme balcone esterno che non aveva notato prima.
Uscì e rimase sbalordita.
Cielo limpido.
Solo questo, per centinaia e centinaia di chilometri.
E sotto di lei il nulla più totale.
La sua stanza probabilmente si tovava nella parte posteriore del palazzo e ciò significava che una caduta da quel livello sarebbe stata certamente fatale per qualunque essere vivente.
La vista sul balcone era bellissima, mentre fissava il cielo blu dinnanzi a lei, mischiato col bagliore del sole mattutino che ha il compito di svegliare la vita assopita, iniziò a ripensare alla sua vita.
«Non voglio tornare indietro qui' sono gentili è mi trattano bene , mi sento bene con loro, certo, ancora non li conosco ancora, ma non sembra abbiano cattive intenzioni. Mi hanno accolto nella propria dimora senza esitare e senza chiedere nulla... nessuno mi ha mai trattato con tanto riguardo, nel luogo in cui mi trovavo prima ero sempre l'ultima a venir scelta dalle altre ragazze, l'ultima a ricevere il pasto, l'ultima a venir avvisata di un fatto...»
Si disse con una vena di tristezza appoggiandosi al cornicione del balcone, lasciando che i suoi capelli si librassero nel vento.
Poi un concetto.
Allora li capì.
Lì capì il motivo per cui non aveva avuto da ridire alle parole dei due ragazzi.
Non aveva più nulla da perdere, questo era, tanto valeva quindi provare a ricominciare.
Un potente soffio di vento l'obbligò a chiudere gli occhi, mentre con i palmi si teneva ancorata alla ringhiera cercando di non sbilanciarsi per via della folata.
Rimase immobile per alcuni secondi finchè il tutto non cessò.
Poi aprì gli occhi.
A quel punto scostandosi un ciuffo di capelli dal viso dovette indietreggiare spaventata, fino alla porta finestra, di fronte a ciò che i suoi occhi scuri videro.
Stante innanzi lei un ragazzo, o almeno così sembrava a prima vista, l'abbigliamento bizzarro che indossava, un completo di pelle nera, pantaloni, stivali e felpa con bizzarre corna il tutto con vari accessori e catene metalliche, lo metteva allo stesso livello di stranezza degli altri due individui già conosciuti.
Se ne stava in piedi sul cornicione e la guardava dall'alto con i suoi occhi rossi come il sangue mentre i suoi capelli bianchi, con quache sfumatura rosa, si muovevano leggeri accompagnati dal vento.
La cosa che a primo impatto l'aveva spaventata però era un'altra, ossia l'enorme pitone bianco insieme a lui con gli occhi del medesimo colore del ragazzo.
Il cuore le pulsava a mille il respiro accelerava sempre di più, le mani iniziarono a sudare freddo.
Cosa voleva questo adesso da lei?
Possibile che non avesse un secondo di pace?
«Chi sei tu? Come hai fatto ad arrivare qui?» Domandò impavida alzando la testa così da vederlo in volto, aspettandosi un'espressione dura, ma quella che trovò era giusto l'opposto.
Un sorriso malinconico.
Uno sguardo perso nei ricordi.
«Come puoi esserti lasciata glaciare i ricordi così ancora non lo comprendo... Comunque sono Zagabriel, ripiacere.» Rispose placcidamente lasciandosi sfuggire un sorrisetto di sfida da dove si intravedevano due affilati canini.
La ragazza era visibilmente spaesata, continuava a spostare lo sguardo dal pitone al viso del ragazzo quasi pensando a quale dei due dovesse fare più attenzione.
Zagabriel scosse la testa, facendo un sorriso amaro. «È assurdo.»
«Che cosa è assurdo?» Domandò Ryse prendendo coraggio, non sapendo a cosa lui si stesse riferendo.
Zagabriel rimase in silenzio per qualche istante, poi fece un cenno con il mento.
«Questo» Disse solamente.
«Io e te, qua. Dopo quasi tremila anni... sei rimasta lontana troppo a lungo...torniamo a casa?» Sussurrò tristemente scendendo dal cornicione e andando verso di lei tendendole una mano pallida.
Calò il silenzio.
Tremila anni...casa... Cosa significava?
Chi era realmente lui e cosa voleva da lei?
Non fece tempo a dire nulla che un enorme tonfo di fronte a lei la fece impallidire obbligandola a schiacciarsi ancor di più conto il muro.
Per terra davanti a lei c'era sdaiato il ragazzo dai capelli bianchi insieme al suo compagno pitone, sotto il peso di un'altro ragazzo a lei conosciuto.
Amaimon.
«Bene bene le cose si fanno interessanti... fratellino.» Sussurrò Zagabriel prima di rialzarsi senza problemi scostando da se il verde che malamente cadde a terra.


 

Angolo di Veronique

Non ho idea da quanto tempo fosse pronto questo capitolo, ma boh fatalità oggi ci ho messo le mani e dopo qualche piccola modifica ho deciso di pubblicarlo.
Questo vuol dire che continuerò la fic almeno per un'pò (per vostra felicità)
Iniziano a entrare nuovi personaggi misteriosi.
Che ruolo avranno?
Chi sono?
Tutte domande senza risposta per il momento.
Se volete scoprirlo continuate a leggereeee!!!

Lui è Zagabriel.

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Capitolo 5
*** 5 ***


Il palazzo era freddo e l’aria era pesante.
Ogni respiro sembrava faticoso per la povera Ryse.
Tutto ciò che vedeva le sembrava impossibile.
Era avvenuto nel giro di pochi secondi.
Sconvolta non sapeva cosa pensare o fare.
Zagabriel aveva chiamato Amaimon "fratellino" cosa significava...
 E come avevano raggiunto un altezza simile?
Come era riuscito a salire fino alla sua finestra Zagabriel?
Da dove era arrivato Amaimon?
Ma soprattutto come mai tra i due c'era tale senso di sfida?
«Co-Cosa succede...?»
Bisbigliò Ryse più a se stessa che ai due ragazzi posti l'uno in piedi di fronte all'altro, facendosi piccola piccola conto la porta, impaurita.
Nessuno se ne accorse tanto fu flebile la sua voce.
Sentiva il respiro affannoso mentre sentimenti  confusi e contrastanti si facevano largo nella sua testa.
Tentò di rientrare in camera attraverso la porta finestra, tremolante e cercando di non farsi notare.
La situazione era toppo strana.
Troppe emozioni tutte nello stesso giorno.
Non era abbituata, la sua vità calma e piatta del collegio non le aveva permesso di provare sulla sua pelle le emozioni di cui, fin ora, aveva solo potuto leggere nei libri.
«Credo sia scontato da dire ma lei non andrà proprio da nessun parte, soprattutto con te.»
Ringhiò Amaimon rialzandosi da terra e lisciandosi la giacca stropicciata con la mano.
A quelle parole, Zagabriel ridacchiò, attirandosi addosso lo sguardo confuso di Ryse che nel frattempo, sentendo la voce del verde, si era fermata.
«Suvvia, ti sembra questo il modo di accogliere tuo fratello maggiore?»
Iniziò il ragazzo facendo scorrere lo sguardo divertito dal verde alla ragazza.
«Infondo sono quasi duecento anni che non ci vediamo, come sta il "vecchio" Meph? Gioca ancora a fare l'amico degli umani in questa squallida accademia a quanto pare.»
Continuò con un tono di sarcasmo nella voce.
L'enorme pitone bianco sul collo sibilò stizzito facendo sobbalzzare la bionda mentre Amaimon strinse forte i pugni guardandolo in cagnesco.
«Quindi sono già tutti a conoscenza del suo arrivo?»
Rispose il verde calmandosi, ignorando le provocazioni dell'altro e posizionandosi tra la bionda e il fratello.
«Non saprei, probabilmente no dato che qua oltre a te e Mephisto per il momento ci sono solo io, ma anche se così non fosse le notizie corrono veloci come il vento, soprattutto se importanti ed attese.»
Esclamò con tono calmo spostando il pitone dalle spalle al cornicione del balcone per poi stiracchiarsi.
«Sai, sinceramente credevo che il primo a saperlo sarebbe stato Lucifer, oppure Mal’akh.
Ammetto quindi che sono stato piacevolmente sorpreso quando, dopo che quel ghoul informatore mi è venuto a riportare la grandiosa notizia, mi sono presentato qui senza imbattermi in nessuno di loro.»
Terminò appoggiandosi anch'esso con la schiena al cornicione e osservando l'amico animale mentre annusava curioso l'aria.
La brezza del mattino portava con se l'aspro odore della salsedine pizzicando giocosamente il naso e scompigliando i capelli a tutti.
Nel mentre che i due bisticciavano la bionda aveva trovato il coraggio di abbandonare la maniglia della portafinestra e staccarsene definitivamente, muovendo qualche passo verso il verde.
Erano circa ad un mentro di distanza ma questo non le impediva di percepire tutta la sua tensione.
La presenza dell'altro soggetto doveva averlo turbato non poco, tuttavia era sbalordita dalla calma con cui riusciva a gestire la situazione senza far trapelare alcun emozione.
«Ottimo probabilmente dovrò avvisare Meph di preparare qualche stanza degli ospiti per te e per i nostri cari fratelli che ci allieteranno con la loro presenza di qui a poco, sai gia dirmi quanto hai intenzione di rimanere a infastidirci?»
Zagabriel sogghignò alle parole del ragazzo riportando lo sguardo fisso su di lui.
«Non gli avete detto ancora nulla vero?
Glielo leggo in faccia, si sente così confusa poverina deve essere frustante non poter ricordare nulla.»
Chiese al verde ignorando un altra volta le sue domande e indicando Ryse alle sue spalle costringendolo così a girarsi.
Una nota di malinconia tornò chiara nella sua voce e la bionda si sentì stringere il cuore.
«Non è questo il momento.»
Chiuse il discorso velocemente l'altro ragazzo tornando a guardare il fratello.
«Se non ora quando?
Quando anche l'Ordine sapra di lei(?) sempre se non ne sono già a conoscenza...»
«Calmati, ho detto che non è il momento.» Lo interruppe Amaimon.
«Adesso entra, prima che qualcuno ti veda qui fuori facendoci finire nei guai, continueremo dopo questa conversazione, quando si unirà a noi anche Mephisto.»
Terminò con tono glaciale, girandosi e aprendo la portafinestra.
Osservò con la coda dell'occhio Ryse terrorizzata prima di entrare, come ad intimarla di seguirlo all'intero che stava andando tutto bene e non doveva preoccuparsi.
Lei lo seguì tentennando, un forte dolore le premeva in testa, e quando Zagabriel si richiuse la porta alle spalle, con al seguito il pitone, e tirò la tenda finalmente parlò per la pima volta dall'arrivo del verde.
«Io non credo di sentirmi bene...»
Un sussurro appena udibile, non ebbe il tempo di finire la frase che crollò svenuta sulla candida moquette indaco della sua stanza.

 




Angolino di Veronique

Dopo anni aggiorno, mi sembra impossibile, chissà se ancora qualcuno segue la storia.
Sono relativamete felice di aver deciso di riprenderla in mano dato che ormai non ricordo per filo e per segno l'idea iniziale, ma era un peccato abbandonarla così.



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