Dead or Alive

di AmeliePrw
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il bacio ***
Capitolo 2: *** La morte ***



Capitolo 1
*** Il bacio ***


Username: Anonimo

Post del: 21 dicembre 2037

Oggetto: IL BACIO

 

...Il bacio dello speziale è apparso cinque anni prima che io nascessi, nel 2012, quando l’isterismo collettivo ha portato la gente a credere ad una profezia millenaria sul cui evidente decorso avrebbe potuto scommettere ad occhi chiusi persino un lombrico. Risultato? Quell’anno la Terra non è implosa ma intanto minimo due quarti della popolazione mondiale si è sparata la sua brava dose di bacio in endovena e la metà restante ci ha fatto un pensierino – si era sotto Natale; c’era chi considerava una sessione di iniezioni formato famiglia un’idea originale e moderna.

Oggi non c’è ragazzo o ragazza intorno ai vent’anni che non ricordi i terrificanti corsi di primo soccorso tenuti in quel periodo nelle scuole e negli asili dai rappresentanti delle principali case farmaceutiche. Io, sicuramente ne ho una memoria piuttosto vivida. Era il 21 dicembre 2022, avevo cinque anni e con una sola, piccola ed indolore siringa diventavo immortale.

Mi sono sempre chiesto che cosa volesse dire. Di fatto la gente intorno a me continuava a morire. La prima fu mia sorella in un incidente d'auto e sì che quella roba se l'era addirittura fumata ai tempi del liceo. Ci si poteva fare delle cose pazzesche...Bastava non farsi domande sulle sue componenti base e, fin tanto che il cuore reggeva e si aveva il buon senso di non sfracellarsi cadendo miseramente dalle scale, era possibile vivere in allegria convinti della propria lunga vita. Eppure ora mia madre ha una bara su cui piangere la sua primogenita…E aggiungerei, una bara piena. Pare che il nome derivi dai ben noti Romeo e Giuletta e dal siero fornito loro dallo speziale per simulare la morte della fanciulla; a differenza sua mia sorella non è tornata in vita.

Il bacio dello speziale venne ritirato dal mercato solo nel 2027 - e c’è chi ne ha fatto uso fino all’ultimo giorno-, quando ormai spararsi un colpo in testa in diretta sul proprio canale video era diventata una moda e la cremazione dei morti non era più solo un'opzione. Le borse sono precipitate e folle scioccate hanno preso d’assalto laboratori, asl, ospedali e farmacie alla ricerca di una cura. Ma c’era una cosa allora che ancora non avevamo capito…Ci eravamo tutti illusi che bastasse un vaccino, ma dalla morte non si può guarire; di morte si può solo morire.

Vita eterna...? Ma chi vogliamo prendere per il culo? Questa non è vita.

 

 

 

 

7 gennaio 2041

 

Anya

Il pullman prosegue a velocità sostenuta ignorando stoicamente dossi artificiali, buche e crepe nel logoro asfalto rurale. Ogni sobbalzo è una pugnalata alle articolazioni. Cerco di darmi un tono: la schiena dritta, le braccia allungate in grembo, le gambe saggiamente non accavallate sotto la gonna e gli spessi collant neri. Mi irrigidisco un po' di più nel cappotto di cotone e fiuto l'aria stantia all'interno del mezzo avendo cura di velare la manovra con una lenta sistemata ai capelli oltre l'orecchio sinistro. L’odore, riesco quasi ad immaginarlo, è dolciastro: sa di polvere e vecchie gomme da masticare e si mischia all'aroma fruttato del profumo che ho usato questa mattina. Sarà sufficientemente forte? Mi guardo attorno circospetta. Nello scomparto anteriore del veicolo ci sono poche altre persone: una signora di mezza età siede nel sedile dietro al mio. È pesantemente truccata; vedo il suo riflesso nel finestrino e lei può vedere il mio. Aguzzo le narici alla morbosa ricerca di rassicurazione, ma non sento niente e allora desisto cercando di spostare l'attenzione altrove. Ancora due fermate. Una cinquantina di metri. Respira con regolarità. Asseconda le spinte esterne. Tieni d’occhio la strada.

Le porte posteriori si aprono cozzando sordamente contro la fiancata del pullman. Aria gelida mista a neve mi accarezza le guance mentre osservo il fine pulviscolo bianco posarsi e poi sciogliersi sui miei stivali. Distendo le labbra in un cauto sorriso; la porta ad un passo, più spazio per allungare gli arti e posare le mie cose: ho selezionato bene il posto. Torno a guardare fuori, oltre il doppio vetro della soglia la steppa cisposa è ricoperta di brina e nei canali di scolo l’acqua è ghiacciata.

Questo fresco mette sonno e un po’ deve avere anche fatto la colazione abbondante. Ma avrò tempo per riposare più tardi. Devo restare concentrata. Devo vigilare sulla strada.

Il mezzo pubblico oltrepassa uno, due, tre grossi cartelloni pubblicitari con ancora appiccicate le locandine di vent’anni fa e qualche vecchio annuncio funebre arricciato su se stesso. Rabbrividisco. Manca ancora qualche metro alla fermata. Devo aspettare e decidere con calma, penso sgranchendomi in un sol colpo le dita, troppo rapidamente per dare effettivamente nell’occhio. È un gesto come un altro, lo è anche allungare la mano screpolata verso la lunga custodia al mio fianco. La frenata inizia cauta sulle gomme a tenuta per poi slittare bruscamente sul ghiaccio. La manovra mi sospinge in avanti, ma mi reggo al bracciolo cercando di non puntare troppo il gomito sotto le mezze maniche del cardigan. È un punto delicato e sono diversi giorni che lo ritrovo illividito quando rientro. Lo massaggio con cura senza provare particolare dolore o sollievo, poi sposto lo sguardo, metto a fuoco. Prima ancora che il veicolo si fermi la vedo.

Di fianco alla pensilina un paio di persone scorrono con aria assorta gli annunci funebri appesi alla bacheca appannata; anche la signora alle mie spalle sposta lo sguardo, interessata. Irrequieta serro le ossa sul manico della mia arma dissimulata sotto l’astuccio di nylon.

La mia foto spicca a tinte appena sbiadite in mezzo alle altre, ben puntata e ancora fresca di affissione. Deve essere stata cambiata ieri sera o questa mattina presto. Scruto con rinnovato disagio la scritta a caratteri rossi stampata in cima alla breve colonna commemorativa: “DECEDUTA” e poi in piccolo la data, 30 dicembre 2040. La caccia è aperta da una settimana ormai. Che devo fare? Aspetto immobile che i primi passeggeri si scollino dalla vetrina mortuaria, un orecchio attento ai movimenti della donna alle mie spalle: abiti che frusciano, tintinnio di orecchini, saliva che ridiscende la gola. I posti al fondo si riempiono. Mi avranno riconosciuta? L’autista sbircia nello specchietto retrovisore affisso a metà pullman, lo sguardo cupo di chi non ha tempo e non desidera sprecarne su queste strade desolate. Ancora tre persone. La prima si siede in uno dei quattro posti comunicanti di fianco all’uscita. È un uomo. Indossa solidi stivali di pelle ed ha una sacca a tracolla. Con disinvoltura allenta i lacci che legano il lungo pastrano. La canna di una pistola riluce per un istante. Mentre sollevo il cappuccio di pelliccia sui riccioli gialli, valuto la situazione. Ancora due persone, registro ma con la coda dell’occhio vedo l’altro seguire le mie mosse. Cameratismo o caccia? Quando mi volto, mi sorride e capisco che quale sia il caso non ho più tempo!

Impugno con decisione la mazza e scavalco il corrimano che mi separa dall’uscita. L’impatto con gli scalini di gomma è secco, potenzialmente dannoso per i mie muscoli intorpiditi. Pronta a sfruttare lo sbilanciamento, ricordo all’ultimo l’ignaro pendolare in procinto di entrare ed è già troppo tardi.

-Zombie!- Grida qualcuno e mentre cado mi accorgo che quel qualcuno sono io.

 

 

Sasha

 

-Zombie?-

E la mia curiosità non va più in là di così perché poco dopo sto cadendo e l’unica cosa cui riesco a pensare è: lascia fare, forse aprendomi il cervello in due sull’asfalto ghiacciato non avrò bisogno di sfracellarmi volando miseramente giù dalle scale di casa. Chiudo gli occhi, tutto sommato sono sollevato e aspetto l’impatto con il suolo. Ma il colpo non arriva e, anzi, qualcosa mi impedisce di posare il capo a terra. Socchiudo le palpebre sorpreso e la vedo: la pelle madreperlacea e gli occhi rilucenti all’ombra del cappuccio di pelliccia. Un suo braccio sotto il capo, guardo verso il pullman ancora fermo in mezzo alla strada. Vedo volti ai finestrini ed un uomo alzarsi in piedi in mezzo alle due porte posteriori.

-Zombie!- Ripete lei ansando con una cadenza maldestramente troppo lenta. Sgrano gli occhi, incredulo. Perché la vita e la morte devono sempre essere così difficili?

Cerco di alzarmi, provando solo un vago formicolio dalle parti del fondoschiena. Cerco di dare un'occhiata ma lei mi solleva di peso con la mano buona e mi si para davanti, mentre il pullman riparte faticosamente sollevando sbuffi di fumo siderale dall'asfalto gelato.

-Quale che fosse il tuo piano...- inizio spolverando con solerzia i pantaloni. Guardo la strada vuota, poi lei: -...Non ha funzionato, credo-

-Ha funzionato-

Mi volto, lasciando perdere per un istante il contenuto della mia tracolla sparpagliato a terra, il suo sguardo vitreo sotto le lenti a contatto incrocia quasi meccanicamentee il mio.

-Mi serviva una via di fuga ed un diversivo- Fa per chinarsi, ma la prevengo:

-E quello sarei io...- Con prudente avversione le allungo l'avambraccio raccolto in mezzo alle mie cose, lo esamino un istante poi alzo gli occhi -...Zombie?-

Lei arriccia le labbra in una smorfia mal riuscita, poi si riappropria dell'arto e voltandosi con improbabile pudicizia, lo riattacca al suo posto testando poi la resistenza del gomito tumefatto. La fisso incredulo cercando di decifrare i suoi rochi commenti a mezza voce. Qualsiasi altro vivo che ragionevolmente ci tiene a restare tale trovandosi nella mia situazione se la sarebbe già battuta, ma io non faccio lo schizzinoso.

-Da quanto?- Chiedo, occhieggiando incuriosito la lunga sacca che si sta appuntando sulla spalla destra.

-Una settimana- risponde con voce atona.

-Come?- Aggiungo senza riuscire a frenare la lingua. Lei sembra soppesare per un istante il mio volto, la mia gola.

-Il mio ragazzo si vedeva con un'altra- stringe saldamente le dita ossute attorno la custodia scura poi la apre e mi mostra il contenuto. È una mazza da hokey, lucida e dall'aria costosa. Sembra essere scheggiata solo in punta, dove il manico s'incurva.

-Mi ha stordita e fracassato lo sterno con questa- Macchie di sangue sono seccate sulla lacca bianca e azzurra del bastone.

-Poi mi ha lasciata nella neve, sono morta assiderata-

Ora mi fissa apertamente: -Gli avevo detto di non essere stata vaccinata...- La guardo in attesa, ma lei tace.

-Ma non è così- constato un po' a disagio -Hai preso il bacio anche tu- Annuisce assente, poi mi dà le spalle.

-E ora?- Domando ancora. Forse la caduta mi ha fatto più male di quanto superficialmente avessi immaginato dato che sono fermo in mezzo al nulla ad interrogare lo zombie che mi ha aggredito. La cosa non mi disturba, a dirla tutta…Non che le ragazze non mi si appiccichino addosso ogni giorno come lana sul velcro, sia chiaro!

Lei si volta, i capelli chiari un po’ cotonati per effetto degli spifferi e dell’umidità, e dilata le labbra in un asettico sorriso da cadavere.

-Ora vado a riprendermelo!-

-Oh- faccio io, rivedendo rapidamente le mie priorità. Guardo lei, la sua mazza da hokey poi la strada vuota. La ragazza zombie si è già girata e ora staziona in posa vagamente artritica a bordo asfalto, un pollice rigidamente sollevato in segno di chiamata.

- Una volta che hai finito con il tuo uomo…- abbozzo. Si volta meccanicamente con smorfia statica, non un battito di ciglia -…Me lo faresti un favore?- E visto che non si muove, sono io ad avvicinarmi. I suoi occhi grandi e finti come quelli di una bambola mi fissano con uguale sorpresa. Contraee impercettibilmente le labbra e allora mi sento autorizzato a chiedere:

-Mi fracasseresti il cervello con quella?- Sposta con attonito scetticismo, ed un principio di strabismo, lo sguardo sulla propria tracolla, poi sembra voler deglutire, ma si blocca. Sorride – questa volta apertamente – ed un rivoletto di sangue le si secca sulle labbra colando giù dal naso. La guardo con attenzione: i denti curati, le guance cadaveriche secche ed arrossate per il freddo e la decomposizione, gli occhi accesi di quell’unica scintilla vitale data dal bacio e la cascata di capelli lanosi. Ricambio il sorriso, grattandomi il collo un po’ imbarazzato: -Allora, ehm…- cerco le parole adatte, non è una cosa che si chiede tutti i giorni, no?

-L’uccellino è vivo o morto?- Riduco subito il mezzo sorriso, sentendomi un completo idiota. Accetterà o no di aiutarmi con il mio trapasso? Cavolo, è più difficile che portarsela a letto! Ma poi lei lentamente ruota il braccio e mi porge il pugno chiuso in quella che è ancora una parodia di auto-stop. Sbircio accigliato la mano incartapecorita;

-Morto!- risponde allegra. Accordo siglato, realizzo con sollievo.

-Anya- aggiunge lei e mentre suggello il patto con una delicata stretta di mano mi chiedo se sia veramente il caso di presentarmi: Anya piacendo, sarò morto prima che la sua mente drogata dal bacio abbia la capacità di memorizzare il mio nome.

-Sasha-

 

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Capitolo 2
*** La morte ***


Username: Anonimo

Post del: 6 gennaio 2041

Oggetto: La morte

 

...Ho scelto l'anonimato per un motivo ben preciso. La gente mi spaventa, e lo fa molto di più da quando sono morto. È successo due anni fa, nell'ufficio in cui lavoravo. Adesso ho un altro lavoro, ma allora ero un impiegato del tutto comune, con una camicia comune e degli occhiali comuni. Avevo compiti comuni e standard professionali non molto diversi, ma mi aspettavo qualcosa dalla vita, qualcosa da quel lavoro brutalmente monotono ed alienante. Siete liberi di biasimarmi. Non sono il tipo che se la prende.

Poi è arrivato quel ragazzo, era uno nuovo, più giovane di me di almeno dieci anni e l'ho inquadrato subito. Io, quel giorno due anni fa, ho capito. Aveva quello sguardo attento e complice che sembrava offrire una sicura via di fuga, ma non ha saputo crearsi la sua alla fine.

Quel giorno, due anni fa, io ero un impiegato del tutto comune, con una camicia comune e degli occhiali comuni. Anche la mia vita lo era e proprio per questo ero stato vaccinato, e credevo veramente sarebbe bastato. Ma sono morto. Quel giorno sono morto ed è stato quello nuovo.

Come ho detto, la gente mi spaventa. Quel tipo era folle, ossessionato dal bacio, ma chi non lo è dopo il 2012?

Ma lui...Lui aveva quello sguardo attento e complice, faceva strane domande sul bacio ed aveva una pistola. E alla fine tutto questo lo ha tradito. E dopo avermi freddato, si è sparato a sua volta.

Forse non sapeva, o non ricordava che entrambi ci saremmo risvegliati da lì a qualche minuto...

 

 

7 gennaio 2041

Anya

 

Passano dieci minuti, venti, trenta. Quel che non sembra passare mai invece è una sola, piccola macchina. Abbasso lentamente il braccio, facendo più fatica con il pollice congelato. Sasha, fermo a poca distanza, guarda al nulla da mezz’ora e non sembra affatto annoiato. Stretto nel suo cappottino leggero, non sembra neppure sentire freddo per quanto l'occasionale sbuffo o contrazione muscolare suggerisca il contrario.

Dove era diretto in pullman il giorno della vigilia? Mi chiedo osservandolo. Se non fosse stato per quel cacciatore, io sarei arrivata a destinazione nel giro di due fermate. E lui? Se non fosse stato per me, dove sarebbe lui? Per un istante la curiosità è tale e tanta che le labbra si dilatano sfidando boccaie e taglietti interni. Poi pero desisto. Da quando ho riaperto gli occhi una settimana fa la mia soglia d’attenzione si è drammaticamente abbassata. Solo il bacio mi tiene vigile. E le mie ossa, già provate dalle mazzate e dal freddo, avranno bisogno di una bella ripassata dopo la ginnastica di questa mattina. O tuttalpiù, immagino pregustando la cosa, di un buon pasto. Alzo gli occhi, distratta. Ho lo sguardo annebbiato, forse le lenti...

-Oh, caz...- l'imprecazione del ragazzo si spegne in uno spasmo che lo costringe a piegare bruscamente il collo all’indietro. In punta di piedi, studio rapita le sfumature grigio-rosate della pelle sotto il suo mento. -Che cosa c’e?- domanda in vibrato, mentre mette mezzo passo di distanza tra noi. Da sotto le lenti appannate, il suo corpo mi appare come una chiazza scura allungata.

-Aspetta- dice, sospirando. Il suo braccio è una linea tozza in movimento. Indietreggio per istinto, la presa più salda sull'impugnatura della mazza. Anche la chiazza si ritrae.

-Ehi, tranquilla! Volevo solo…- Esala Sasha in difficoltà. Tento di sorridere ma il movimento mi riesce disarticolato. Non importa. Capirà, decido gettando via le lenti usate.

-Questa cosa del suicidio assistito,- interloquisco poi, seria -vuoi che lo faccia subito, oppure...?-

-Beh...Sì, cioè...No- La sua voce sembra ancora un po’ alterata. Fletto le ciglia inconsapevolmente. -Voglio dire, a te sta bene così?- Continua Sasha -Non hai bisogno di una mano per...-

-Uccidere- suggerisco io serena.

-Già…- le mani intrecciate dietro la nuca, sogghigna tra sé e sé, ma lo sguardo è privo di luce.

-Beh,- aggiunge cauto massaggiandosi il collo -ho pensato che forse potrei venire con te.- Volta appena il mento senza incrociare il mio sguardo.

È un bel movimento, rifletto; -lo davo per scontato, in realtà- Casuale, aggraziato… -Ti stavo solo mettendo alla prova.- Confido sicura. Ma nel tentativo di imitarlo, quello messo alla prova è il mio scheletro.

-Vovvamo avvave viv un vovvo vima-

Sasha si gira, sorpreso. Io gli regalo uno dei miei migliori sorrisi disinvolti.

-La tua bocca...Ehm...-

Mentre risistemo il danno, sento qualcosa bruciare dolorosamente nei vasi, riscaldarmi le guance. L’umiliazione? Mi piace pensarlo, ma no. È il Bacio. Eppure quando ero viva il mio viso era carino. Quando ero viva, il mio ragazzo mi sollevava il mento senza paura che gli rimanesse in mano. Ci baciavamo. Lui profumava dell'altra.

Una quindicina di minuti dopo stiamo percorrendo la statale deserta in direzione Levinburgo. Il cielo è bianco e sembra rispecchiarsi nella terra. Poetico, no? No, è solo neve. Ha ripreso a nevicare e le nostre impronte si moltiplicano lente e costanti. Tengo d’occhio lo spartitraffico alberato. Borse di plastica sventolano impigliate ai rami secchi e lattine vuote sbatacchiano al loro interno. Camminiamo in mezzo alla strada, una corsia a testa, il guardrail deformato sulla destra e carcasse d’auto annerite sulla sinistra. Sasha procede a piccoli, goffi tentativi, specialmente dove il ghiaccio è più spesso, ma ha quell’innocente scioltezza che a me manca. Dopo una settimana una cosa del genere riesce ancora a turbarmi.

-Dio, odio le feste!- Proclama lui stiracchiandosi platealmente.

Annuisco, fiutando inutilmente l’aria. L’unico dei miei sensi che ancora funziona a dovere è l’udito.

-Domani avrei dovuto lavorare…-

Ma la campagna è stranamente silenziosa.

-Il capo si è quasi messo a piangere quando gli ho detto che l’8 il turno l’avrei coperto io…-

Solo quella però! L’occhiata che lancio a Sasha vorrebbe essere in tralice, ma è solo strabica. E resta pure ignorata.

-Guarda è un lavoro proprio di merda, infatti avevo una mezza idea di piantarlo prima di…- Rassegnata, sollevo brevemente lo sguardo al cielo. Registro di sfuggita la presenza di una grossa insegna stradale non ancora dismessa. 2 chilometri.

-Tu invece?- Chiede Sasha. Aguzzo l’udito, immobilizzandomi -Che piani hai…vevi?-

-Schermo al plasma!-

-Uuhmpf, magari in tv ci fosse ancoooraaAHHH… Ansando gli sono addosso e lo spingo via. Ruzzoliamo a terra. L’insegna si stacca, precipita e si schianta di striscio ad un centimetro dal punto in cui si trovava Sasha qualche istante fa. Pochi altri e sarebbero state le sue cervella a volarmi in faccia, medito atterrita mentre lui continua ad urlare. E invece sono schegge di catrame ghiacciato spesse come punteruoli a sollevarsi e schizzare ovunque. Le respingo con la mazza.

Con la coda dell’occhio sbircio verso l’alto. C’è qualcuno sull’impalcatura!

-…nya?-

Un uomo...

-…Anya?!-

Imbraccia qualcos… -Anyaaaaaa?!

-Non è il momento di imbambolarsi, dann…- un rombo si mangia le parole del ragazzo mentre il pannello, ancora in bilico, ondeggia e si piega verso di noi. Sasha mi afferra per il polso, strattonandomi bruscamente. In un riflesso incondizionato, impugno la mazza e lo colpisco. Due volte. Lui crolla a terra.

Dura tutto un istante. L’impatto, la neve che turbina, la nube di polvere ed i proiettili che sembra rigurgitare. Rendendomi vagamente conto della gravità di ciò che ho fatto, afferro Sasha e me lo carico in spalla. Proprio allora una pallottola mi colpisce al fianco. Un’altra, deviata dalla mazza, centra la tracolla del ragazzo. Protettiva, metto al sicuro la mia arma. Inizio a correre.

Mentre scivolo sul mio stesso sangue, però, ciò che mi fa stare peggio è vedere il cardigan nuovo rovinato, i collant smagliati. Irritata, scarto a destra verso il raccordo suburbano. Mi fermo solo quando, voltandomi, non riesco più a vedere il cavalcavia. Più in alto, di fronte a me, i vecchi grattacieli fanno capolino da dietro il ponte sopraelevato. Palazzoni marroni. Schiere di serrande abbassate. Surreale

E comunque non c’è nessuno alle nostre calcagna. Forse era lo stesso del pullman. Forse no. Forse ha creduto io fossi una cacciatrice. Piego rigidamente il collo verso il viso di Sasha ciondolante contro il mio. Impietosita, gli riassetto pigramente i capelli chiari macchiati di sangue.

-Scusa-

 

 

Sasha

 

-…Scusa?!-

-Guarda quanto sangue!-

-Lo vedo-

-Non sembro nemmeno essere in salute!-

-È perché sei morta!-

-Non posso andare da lui conciata così-

-Perché no? È così che ti ha lasciato.-

-Ma...

-E se ascolti me, non torni neppure da quel...-

-Alexiev-

-Stavo per dire bastardo, ma... Perché tornare là?! È un assassino, ti farà solo altro male!-

-No-

-No?!-

-No-

-Ok comunque collant e vestitino d’assalto te li compri da sola. Io non ci perdo la faccia-

Trambusto nelle vicinanze.

-O chiedi a Sasha. Lui sembra un ragazzo a modino...-

Ma che...?! Mi sveglio di soprassalto, il respiro spezzato e le orecchie che pulsano. Sento ancora le voci, ma ora sono meno distanti. Allora mi costringo a riaprire le palpebre, anche se ormai l’orizzontalità ed il vuoto iniziavano ad adattarsi bene alla mia persona. Invece qui c’è luce. Ahh, troppa luce! La vista torna ad appannarsi mentre lotto per non richiudere gli occhi. Mi sento pesante. Da disteso provo a muovere la testa, ma al massimo riesco a ciondolarla sul posto. Al secondo tentativo la rotazione è completa ed io ho tutto il tempo di rimpiangere la cosa.

Quando torno a sbirciare una chiazza rossa danza rassicurante di fronte al mio volto. Capita spesso, devo solo lasciare passare l’offuscamento. Ma quando metto a fuoco la macchia colorata è ancora lì, più larga, più vivida. Ha occhi e denti e…-Oh sant’iddio!!!!!- mi sento gridare mentre gocce di sangue mi rigano le guance. Preso dal panico, mi ribalto giù dal freddo piano su cui sono steso. Pessima idea! Cado su un fianco, perdendo d’un colpo la poca sensibilità che mi restava. Mi contorco miseramente sul pavimento.

-Anya!- Rimprovera una voce. Sembra la stessa che mi ha riportato indietro.

-E va bene, vado a lavarmi i denti- risponde sfibrata una seconda.

-Anya?- Chiamo, mentre la sento allontanarsi. Cerco di seguirla con lo sguardo, ma il collo è poco collaborativo oggi.

-Fermo dove sei- ordina ‘a modino’.

E chi riesce a… CRIC, CRAC!

Rilascio il fiato in un singhiozzo di sorpresa. Il pulsare distante all’osso del collo sembra suggerire che una qualche forma di torsione ha avuto luogo da quelle parti, ma non ho provato fastidio. Forse solo un po’ di prurito; -Che cosa è stato?- Domando, fregandomi la nuca.

-Una semplice frizione- risponde ‘a modino’ apatico, aiutandomi a sedere. Lo guardo: una trentina d'anni, stempiato, secco secco. Indossa dei piccoli occhiali squadrati che nascondono per intero il suo sguardo.

-Lei è un osteopata?- Indago diffidente, cercando di sondare il suo volto al di sotto delle lenti.

a modino’ se le aggiusta sul naso con stizza, -Io?- Ridacchia ansimando piano, ma quando si calma torna ad essere mortalmente rigido. -Anya deve averti colpito l’emisfero buono- delibera scostante, poi si allontana bofonchiando tra sé.

Spaesato scuoto il capo cercando di schiarirmi le idee. Dove sono? Per alzarmi, faccio presa sulla maniglia del mobiletto cui ero appoggiato. Al suo interno tintinnano oggetti di latta e metallo. Forse pentole, valuto osservando l'esposizione di coltelli e forbici da cucina ordinatamente allineati sul piano alle mie spalle. Oltre al tavolino metallico su cui ero sdraiato noto un profondo ed ampio lavabo di marmo, un paio di carrelli a ruote, un lungo armadio a cassettoni, e sulla destra una grossa cella frigorifera. Sorrido sollevato e mi avvicino per investigare più accuratamente cosa offre la casa, ma granuli ghiacciati coprono quasi totalmente le scure forme conservate all'interno della vetrina. Allungo un braccio.

-Sasha-. Anya fa capolino sulla soglia. Sembra a pezzi. Più a pezzi del solito; -Il gomito…- Spiega prima che io possa fare domande agitando significativamente il moncherino che ha al posto del braccio sinistro. La fisso, preoccupato: la maglietta bianca in cui si è cambiata è sporca di sangue. Quando si muove, il tessuto si gonfia, vagamente sformato, ma ricadendo lascia comunque scoperta buona parte del suo corpo.

-Che cosciahehm!- Inspiro a fondo -Cosa...è successo?-

Lei si volta con assorta indifferenza, -potresti…?- Accenna indicando il frigo dietro di me.

-Oh, ma certo!- Mi prodigo io, felice per una volta di darle le spalle; -che cosa vuoi?- Frugo un po’ alla cieca nel congelatore, -succo di pomodoro, fegato, cerve…?- Getto a terra la sacca sconcertato. Guardo Anya: sorride di un sorriso talmente ampio da sembrare una slogatura o una presa per il culo, ma non sono sicuro gli zombie siano dotati di senso dell'umorismo.

-Solo il mio braccio. Grazie- Delibera educatamente, poi allunga la mano buona, risparmiando ad entrambi ulteriori sofferenze.

-Un obitorio- commento debolmente qualche minuto più tardi aiutandola a lavarsi i capelli. Lei annuisce svogliatamente, il collo appoggiato al bordo del lavabo ed i grandi occhi da bambola fissi al soffitto scrostato.

-Avresti potuto dirmelo prima,- recrimino scrutando il rubinetto con astio -prepararmi all’idea- L'acqua scorre invariabilmente fredda da entrambi gli erogatori. Ne lascio scivolare un po' nelle mani chiuse a coppa poi vi immergo i boccoli giallo-rossastri di Anya. Lavoro per un po' in silenzio, interrotto soltanto dall'andirivieni del custode. Si aggira per la stanza con ansiosa determinazione, volta, si direbbe, a non fare caso a noi. E dal momento che ha con sé un archetto da traforo sporco di sangue, la cosa non riesce ad offendermi.

-Parlami di lui- Chiedo quando l'uomo è di nuovo fuori portata d'orecchio.

-Di Andrej?- fa Anya, cercando di sollevarsi. La trattengo gentilmente per lo scalpo, i ricci che si afflosciano umidi tra le mie dita. -Che cosa fa qui dentro di preciso?-

-Aiuta i Risvegliati in difficoltà- Mi blocco, prestando attenzione con interesse –Arrivano molti corpi qui. La maggior parte non sono stati vaccinati, ma alcuni sì e solitamente si tratta di risvegliati da morte violenta. Gente senza famiglia che non ha lasciato disposizioni-

È sicuramente il discorso più lungo che abbia fatto nel giro di dieci ore. La cosa deve starle a cuore.

-Gente con cose da sistemare?- Suggerisco, iniziando a capire. Mentre parlo, mi guardo rapidamente attorno nella stanza. Eccola lì, nell’angolo vicino ai cartelli: la sacca contenente la mazza di Anya.

-E persone da trovare- aggiunge lei pratica, spostando di colpo lo sguardo in avanti seppure il suo capo sia ancora reclinato. Riesco a vedere il bianco dei suoi occhi. Rabbrividisco a disagio.

-È così che lo hai conosciuto?- Chiedo, concentrando poi la mia attenzione su un grumo di sangue rappreso più caparbio degli altri; -ma quanto ne hai perso?- Brontolo assorto a mezza voce. Anya allunga inaspettatamente un braccio e si strappa senza esitazioni la ciocca in questione.

-Questo è tuo, Sasha.-

-Cosa?!-

-Conosci le disposizioni: cremazione per tutti- continua lei, riallacciandosi sognante al suo personale filo di pensieri. Un filo piuttosto labile si direbbe. Lascio momentaneamente sfumare il mio turbamento.

-Ai non baciati un arto in più o uno in meno non cambia di certo la vita-

-Ma ai risvegliati sì- completo io, sorridendo a disagio. Quanta disperazione, quanto orrore ci ha lasciato il 2012! Restiamo in silenzio, forse persi in simili considerazioni.

-Lui è uno di noi- confida improvvisamente Anya a mezza voce. La guardo senza capire. –Andrej!- rincara lei decisa. Sciacquo assorto il sapone dal suo capo. La cosa non mi impressiona più di tanto. L’avevo sospettato. Però deve essergli andata meglio di Anya, visto l’aspetto salutare ed il lavoro che fa.

-Non è sempre stato qui- continua la ragazza sistemandosi più comoda –prima lavorava in qualche noioso ufficio- Ha un che di comune infatti, rifletto io, rassicurante…

-E poi?-

-E poi sono morto.- completa l'interessato, posando con malgarbo un coltellaccio nel lavabo. Anya non si muove di un millimetro, continuando a sorridere. Immagino che se non dia fastidio a lei...

-Come?- Mi lascio sfuggire -Se posso chiederlo?- Aggiungo subito, sbirciando di sottecchi la ragazza zombie; rigidamente, faticosamente, Anya sta puntando una pistola immaginaria contro la propria tempia. Il custode si gira mentre la pietosa farsa è ancora in piena fase di conclusione. Distolgo lo sguardo sperando di liberarmi dell'imbarazzante senso di colpa.

-Come dice lei- esala lapidario Andrej, sparendo poi di nuovo. Questa volta ha preso ago e filo.

-Si è sparato?- Riprendo subito io da perfetta comare.

-Gli hanno sparato- precisa Anya. Annuisco solo vagamente turbato; -in ufficio- cose come questa non riescono più a turbarmi; -non è mai andato a cercare il suo negromante.- Non possono più turbarmi...Aspetta, necromante? Non sono sicuro di aver capito bene. Voglio dire, il ragazzo di Anya ed il tipo che ha ucciso Andrej sono…assassini, solo assassini! Non è che li hanno ammazzati sperando nel loro risveglio. Perché indorare la pillola?

-Perché avrei dovuto?- Sobbalzo per l'ennesima volta. Andrej si ferma ad un passo da noi, il capo reclinato sopra quello di Anya. I due si fissano significativamente per un po'. Ritengo più opportuno lasciarli fare in pace. Chissà che cosa si staranno comunicando silenziosamente da ben un minuto? Allo scoccare del settantesimo secondo, comunque, mi sembra più realistica la possibilità che siano rimasti entrambi con i colli bloccati. Per riflesso allungo un braccio a massaggiarmi il mio. Quando si riprende, Andrej mi osserva con uno strano luccichio clinico sulle lenti appannate: -Nessuno dovrebbe sentire il bisogno di fare una cosa simile- delibera seccamente. Abbasso il polso, incerto

-Nessuno!- Torna a fissare Anya con uguale determinazione, -Ma il bacio è una vera e propria maledizione. Ci ha tolto anche l’amor proprio e neanche ce ne rendiamo conto!-

Però Anya sta andando dal suo uomo per vendicarsi. Sta andando là per ucciderlo! O no?

-In ogni caso...questa non è una beauty-farm!- Ci rimprovera con voce smorzata, passandomi bruscamente un grembiule da macellaio sforacchiato. Lo seguo con lo sguardo mentre torna a rovistare tra i suoi arnesi da tortura. Starà ricucendo uno zombie di là? Mi domando nervoso, mentre aiuto Anya a risollevare le spalle. Lascio che sia lei ad asciugarsi i capelli con il panno inamidato, e per la domanda successiva non aspetto neppure che Andrej si allontani. -Però, non è rischioso?- Saranno pure morti, ma hanno un udito spettacolare! È inutile barare; -Questo centro...medico è piccolo e periferico, ma lui è un Risvegliato ed i vivi...- Mi blocco, una mano alzata e la bocca socchiusa. Andrej mi sta guardando, e si è tolto pure gli occhiali. Sotto ha iridi catarifrangenti del tutto trasparenti, più sbiadite persino di quelle di Anya che pure sono di un celeste pallido piuttosto sconvolgente.

-Qui. non ci sono. vivi.- sillaba mortalmente serio. Ci metto un istante a decidere che non è il caso di contraddirlo.

Ora è notte. L'obitorio ha un abbaino affacciato sul marciapiede e da lì non filtra che il riflesso azzurro dell'insegna al neon. Dai giochi psichedelici che crea sulla superficie delle celle mortuarie si direbbe un affare piuttosto pacchiano. Osservo la luce scivolare all'interno del mio cubicolo metallico da qualche piccola fessura arrugginita.

-Non penso sia igienico, comunque- recrimino, trattenendo a stento il tremito nella mia voce.

-Dormi, Sasha!- Risponde Anya dal cassettone a fianco -L'ho fatto un sacco di volte- la sua voce limpida come se non ci fosse una parete di freddo acciaio a separarci.

-Questo posto è del tutto sicuro-

Certo, penso con lugubre sarcasmo, più sicuro di così si muore! Ma alla fine di cosa mi lamento? Ho un piano. Finalmente ho un piano e lo sforzo da parte mia sarà davvero minimo. Se tutto va bene, entro domani sera non avrò più da preoccuparmi del bacio, della cosiddetta vita eterna e di tutti gli stramaledetti coglioni che prendono questa cosa del post 2012 come un gioco. Cacciatori...Penso amaramente sentendo la mia voce sibilare irata anche nel pensiero. Pagliacci esaltati con troppa tv alle spalle. La tirano per le lunghe, giocando a fare gli eroi, prolungando l'agonia di persone - come me ed Anya - costrette per forza di cose a pensare alla morte prima dopo e durante. Un giorno moriranno anche loro e allora vedremo se una lamiera 2m x 1 tagliente come un rasoio non sembrerà davvero allettante!

-E quindi mi hai colpito…- Butto lì, impensierito -Due volte!- Rivedo il cartello piegarsi con un rombo terrificante, la mia mano che stringe quella di Anya e poi, più o meno basta.

-Gridavi come se non ci fosse più un domani- risponde lei dopo qualche tempo. Sorrido mio malgrado. Non è quello, lo so, ma lascio scorrere. Dopo quello che le ha fatto il suo uomo, un po’ di sana diffidenza verso il genere maschile è il minimo!

-Mi dispiace- aggiunge poi.

-Oh. Va beh- mi affretto a rispondere -Almeno siamo vivin salute- e già mentre aggiusto il colpo, sento un certo, rassicurante tepore risalirmi la bocca dello stomaco.

-Anya?-

-Uuh?-

-L'uccellino è vivo o morto?-

Un attimo di silenzio. Mi sento ancora più stupido della prima volta, ma devo essere sicuro della sua effettiva partecipazione. Alcuni Zombie, ho sentito, hanno una memoria a brevissimo termine.

-Morto- giunge soffusa la risposta dalla cella a fianco. Mi chiedo se stia già dormendo. I morti possono dormire? E se lo fanno, cosa sognano?

 

* * * * * * *

 

Sta nevicando. Guardo i fiocchi cadere oltre la cortina di buio.

Li vedo ad occhi chiusi.

Scivolano sul mio viso. Sulle mie labbra. Sul mio vestito ed il ghiaccio si ritrae arrossendo.

Li vedo tra le lacrime.

Ed il pianto diventa un lago freddissimo. Una lastra spezzata, alla deriva come il mio corpo.

Li vedo oltre il sangue.

Che qualcuno già copre, raschiando aspramente tra le ossa ed il suolo.

Sei mai stata baciata? Chiede la sua voce ancora ed ancora…No. Rispondo.

Ed il sangue si allarga sulla neve. E la neve diventa fuoco. Prendo fiato, un peso soffocante in petto…un alito caldo sul viso.

Spalanco gli occhi.

Sta nevicando. Guardo i fiocchi cadere oltre la cortina di luce. Solo che non è neve. È cenere!

Le porte del forno crematorio si spalancano, una nuvola incandescente dardeggia furiosa nella mia direzione. Alle mie spalle, qualcuno grida.

-Anya, NOOO!




Nota: è una storia che ho iniziato un po' di tempo fa. Spero che rivisitandola e con il vostro aiuto ed i vostri pareri riuscirò a finirla. Per ora, grazie per aver letto e lasciate pure dei commenti. A presto con la continuazione!

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