Mai più senza di te-Serie Legacy VOL.2

di Mary P_Stark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


1.
 
 
Aberdeen – 3 Luglio 1827
 
 
Seduto su una comoda poltrona di vimini, posta sulla terrazza della villa dove, più di tre anni addietro, si era trasferita la sorella, Andrew sorseggiò la sua limonata e inspirò pacifico la brezza salmastra.

Il mare era visibile anche da quella distanza, pur se vi era quasi un miglio, prima di poter giungere alla costa e alle sue spiagge.

Quel giorno, complice la bella giornata di sole e il cielo sgombro di nubi, quella linea blu e uniforme si scorgeva in tutta la sua solitaria bellezza.

Suo zio, da cui aveva preso il nome, era stato un grande amante del mare e delle avventure ma, contrariamente a quanto avevano tutti temuto, lui non ne aveva seguito le orme.

Piuttosto, la più avventurosa tra i due gemelli Spencer, era sempre stata Elizabeth e, anche grazie a un’avventura mozzafiato, aveva trovato l’amore della sua vita.

Alexander Chadwick, secondogenito del duca Barrett, scelse proprio quel momento per raggiungerlo sulla terrazza e, con un sorriso, gli si accomodò appresso.

Nel servirsi della limonata fresca, sorrise non appena le figure della moglie e della loro primogenita – Rose Amelia – comparvero nel giardino sottostante.

La piccola, di quasi tre anni, trotterellava nell’erba, seguita da un’attenta Elizabeth che, da poco meno di tre mesi, attendeva il loro secondogenito.

Rose era nata con un mese di anticipo, rispetto a quanto avrebbe dovuto, ma i medici si erano dichiarati ottimisti fin dall’inizio.

Nonostante le paure della madre e del padre, infatti, la piccola aveva accettato subito il latte e non aveva avuto problemi a prendere peso.

Era letteralmente sbocciata sotto i loro occhi, da piccola e indifesa come era loro sembrata all’inizio, divenendo forte e piena di vitalità nel breve decorrere di un paio di mesi.

Ad Alexander e Lizzie era parso spontaneo chiamarla come un fiore, visto quel cambiamento così rapido avvenuto sotto i loro occhi.

Il secondo nome, invece, era stato scelto dal maggiore dei figli di Clarisse, su espressa richiesta di Elizabeth.

I bambini erano parsi lietissimi di poter partecipare in prima persona a una scelta simile e, alla fine di lunghe discussioni, erano giunti al nome di Amelia, una loro prozia molto amata.

Ora Rose, con i suoi capelli neri mossi dalla brezza e le gambettine corte e paffute, stava tentando di compiere il suo nuovo record di corsa senza cadere.

“Come stanno, le tue signore?” domandò Andrew, sorridendo tranquillo al cognato.

“Oh, Rose è sempre più curiosa di sapere perché la mamma si sta allargando, e Lizzie è sempre più curiosa di sapere quanto si allargherà, viste le sue dimensioni già al terzo mese. Il dottore dice che è possibile che siano due gemelli, visto che lei è ella stessa una gemella. Inoltre, anche nella mia famiglia, ne abbiamo, perciò…” gli spiegò Alexander, lasciando scivolare fuori dalle labbra un leggero sospiro.

“Preoccupato?” domandò subito Andrew, guardandolo curiosamente.

“Non so che dirti, Andrew. Se guardo Lizzie, mi tranquillizzo, perché è serena e pacifica, e non è mai stata male. Né durante la prima gravidanza né, per ora, durante questa. Ma, non appena la perdo di vista per un qualsivoglia motivo, vado nel panico, e la mia mente galoppa.”

Sorridendo comprensivo, Andrew asserì: “La tua mente brillante ti sta dando dei grattacapi, allora.”

“Non infierire, cognato. Non è colpa mia se mi hanno incastrato per quel giro di conferenze su e giù per l’Inghilterra. Neanche pensavo che il mio libro potesse interessare a qualcuno” sospirò Alexander, scuotendo il capo.

Combination Acts: perché, dare maggior potere ai lavoratori, può essere solo un bene” citò Andrew, sorridendo al cognato. “Di certo, ti sei inimicato una parte considerevole del partito Tory, con questo libro ma, in compenso, i Whigs ti adorano.”

“Tu dici?” ironizzò Alexander, prima di sollevare una mano quando moglie e figlia li salutarono.

Andrew fece lo stesso e, nel levarsi in piedi, domandò: “Le raggiungiamo?”

“Solo se mi prometterai di non mettere in ansia tua sorella. Voglio che ti sappia sereno, quando partirai per il Grand Tour” sottolineò Alexander, fissandolo con intenzione.

Andrew distolse lo sguardo dagli occhi fin troppo indagatori del cognato e, con tono volutamente neutro, replicò: “Perché non dovrei essere tranquillo e sereno? Partirò per un bellissimo viaggio di tre mesi, assieme ai miei migliori amici. Conto di divertirmi un sacco, e tornare con un bagaglio di esperienze unico. Cosa potrei desiderare di più?”

“Non sarò certo io a dirtelo, cognato. Ma sappi che, come l’ho intuito io, anche Lizzie ha capito che qualcosa non va…  e con chi non va”  gli fece affettuosamente notare Alex.

Andrew impallidì leggermente, a quelle parole e, nel passarsi una mano sul viso – fattosi improvvisamente stanco e cereo – mormorò: “Come… come l’ha scoperto?”

“Andiamo, Andrew. E’ la tua gemella, e poi stiamo parlando di Lizzie. Non è esattamente l’ultima arrivata, ti pare? Inoltre, è una ficcanaso matricolata, e dovresti saperlo meglio di me” ironizzò il padrone di casa, dandogli una pacca sulla spalla.

“Sono un idiota, vero?”

“Io penso soltanto che tu sia una persona molto ligia ai propri precetti, con un grande amore per la tua famiglia e i legami familiari… ed è per questo che, ora come ora, non sei a Londra, a goderti la Stagione come un qualsiasi altro ventenne sano di corpo e di mente, ma qui da noi” gli sorrise Alexander. “Coraggio, andiamo da Lizzie. Ti salverò io dalle sue domande. Ho più o meno imparato come domarla, quando diventa troppo curiosa.”

“Più o meno?” ironizzò Andrew, facendo sorgere un sogghigno sul volto del cognato.

“Credo mi ci vorrà tutta la vita, per scoprire i mille e più segreti di tua sorella, ma sono a buon punto” ammise Alexander, avviandosi lungo un corridoio assieme all’amico e cognato.
 
***

I capelli castano dorati raccolti in una treccia e il viso illuminato dal sole, Elizabeth Spencer Chadwick sprizzava gioia e vitalità da tutti i pori.

Andrew l’aveva sempre amata, era sempre stata l’altra parte di sé e, dal giorno in cui si era sposata con il suo amore, aveva sentito come un vuoto aprirsi nell’animo.

Pur sapendo quanto fosse felice la sua Lizzie, aveva percepito questo senso di disequilibrio, dentro il cuore, e il tempo aveva mitigato solo in parte quel dolore.

Certo, lei e Alexander erano spesso in visita a Green Manor – amavano passare le festività natalizie a York, accompagnati da tutto il clan Chadwick – ma Andrew sentiva di aver perso un’amica, oltre che una sorella.

Il fatto di avere Max lo aiutava, ma il fratello era spesso assente per via della scuola, e questo contribuiva a farlo sentire solo.

Inoltre, da quando aveva scoperto dentro di sé sentimenti così dirompenti nei confronti della persona più sbagliata al mondo, vivere a Green Manor era diventato difficile, per non dire impossibile.

La possibilità di partire per il Grand Tour assieme agli amici – avevano rimandato di oltre un anno, a causa di una brutta caduta da cavallo occorsa a Keath, il suo migliore amico – era la via di fuga migliore che gli si potesse offrire.

La settimana seguente sarebbero partiti dal porto di Aberdeen con destinazione Calais e, da lì in poi, avrebbero deciso di volta in volta dove recarsi. Cosa visitare.

Forse, quella distanza immane avrebbe raffreddato i suoi sentimenti, permettendogli di tornare rinato, non più condizionato da quel pensiero traditore.

Stampandosi un sorriso sul viso, Andrew cercò quindi di scacciare quei pensieri per dedicare solo la parte migliore di sé, alla sorella.

Raggiuntala, le sfiorò la schiena con una carezza, lei si volse con un sorrisone ed esclamò lieta: “Oh, eccovi! Rose, fai vedere allo zio cos’hai imparato?”

La bimba, dai chiarissimi occhi di ghiaccio, al pari della madre, fissò lo zio con un sorriso sdentato e, da brava bambina, si esibì in una perfetta riverenza.

Peccato che, l’attimo dopo, mostrò la lingua ed emise un ‘bleah’ che fece scoppiare a ridere i due uomini, e sogghignare soddisfatta la madre.

“Ma cosa le insegni?” esalò Andrew, chinandosi per prendere in braccio la nipote.

Lei lo dispensò di tanti baci umidi, prima di chiamarlo con il suo nomignolo, ‘DyDy’.

La erre contenuta nel suo nome le causava ancora troppe difficoltà.

Nel sentire, però, la madre e il padre chiamare spesso lo zio con il nome di Andy, Rose aveva escogitato quello stratagemma, accorciando così il nome nel più semplice DyDy.

A lui stava benissimo, perché adorava tutto di quella bimbetta allegra e bellissima, che già recava sul suo viso i tratti più nobili di ambedue i genitori.

Da adulta, avrebbe fatto decine di vittime, tra gli uomini.

Ma, per quel momento così agghiacciante, c’era ancora un sacco di tempo, perciò non doveva neppure pensarci.

Con in braccio la nipotina, Andrew sorrise alla sorella e le domandò: “Posso partire tranquillo, o avrai voglie così assurde da costringere il tuo uomo a fuggire disperato?”

Elizabeth piazzò le manine sui fianchi e, leggermente accigliata, borbottò: “Cosa vorresti dire, fratello? Che sono troppo esigente?”

“Affatto. Chiedere castagne in giugno mi sembra qualcosa di normalissimo” ironizzò Andrew, dandole un affettuoso bacio sulla guancia.

Lei lo accettò con un sorrisino e, serafica, replicò: “Va detto che la nostra cuoca è stata così lungimirante da preparare, l’autunno precedente, dei buonissimi marron glacé, così ho potuto soddisfare la mia voglia senza far morire nessuno per l’esasperazione.”

“Una lode a Mrs Kenneth” declamò a mezza voce Alexander, guadagnandosi un’occhiataccia da parte della moglie, cui però lui non badò.

“Farò così, allora. Ti invierò dall’Europa tutti i prodotti fuori stagione che troverò, siano essi in forma di confettura, gelée o quant’altro, così saremo certi di poter coprire tutta la tua gravidanza” le promise Andrew, ghignando beffardo.

“Davvero molto spiritoso, fratello. Mi sto sbellicando dalle risate” celiò Lizzie, sollevando ironica un sopracciglio.

“Lo so, so essere molto spiritoso, quando voglio” chiosò lui, avviandosi verso una delle passeggiate del giardino assieme a Rose. “Andiamo, nipotina mia, prima che la mamma mi morda.”

“Mamma modde! Mamma modde!” ripeté Rose, tutta giuliva.

Esasperata, Elizabeth fece per seguire il fratello, ma Alexander la trattenne un attimo e la moglie, con un sospiro leggero, mormorò: “E’ ancora combattuto, vero?”

“Sapevo che te n’eri già accorta…” ironizzò lui, vedendola ghignare furba. “…ma vorrei che non ci pensassi troppo. Andrew mi sembra un tipo che se la sa cavare anche da solo.”

“Sì, mio fratello è ingamba, ma è anche maledettamente onorevole e ligio ai suoi mille e più paletti mentali. Ne ha più del Ton, credo” sospirò Elizabeth, scuotendo il capo. “Non mi piace vederlo soffrire, soprattutto per un problema che, di fatto, non esiste.”

“Esiste per lui, però e, credo, potrebbe esistere anche per la controparte interessata. Dopotutto, vi conoscete da una vita, e questo distruggerebbe degli equilibri decennali” sottolineò Alexander, offrendole il braccio per incamminarsi a loro volta.

“Sì, lo so, Alex, ma pensaci bene: cosa ci sarebbe di male?”

“Nulla. Io lo so, tu lo sai, ma Andrew si pone dei problemi immani, e non so nulla di ciò che pensa la lei del suo cuore, o la sua famiglia” sottolineò il giovane, sorridendo mesto alla moglie.

“Se è per questo, non lo so neppure io. Non ho mai voluto impicciarmi perché, in fondo, non sono affari mei, però… mi spiace vedere Andrew così demoralizzato.”

“Sono sicuro che questo viaggio lo aiuterà. Keath e Leonard lo terranno fuori dai guai e, quando tornerà, sarà più sereno, con le idee più chiare” la rassicurò lui, sollevandole una mano per baciarne il dorso.

“O sarà distrutto, se chi pensiamo noi accetterà di sposare qualcun altro, in sua assenza” sospirò Elizabeth, non proprio tranquilla.

“Se ciò avverrà, allora vorrà dire che doveva essere così fin dall’inizio, e tuo fratello se ne farà una ragione. Se tu non mi avessi voluto, io non ti avrei mai costretto a sposarmi” sottolineò Alexander, con un mezzo sorriso.

“Lo so” sorrise lei, levando il capo per ricevere un bacio dal marito.

Alexander aveva ragione; qualsiasi fosse stato il risultato di questa Stagione, loro avrebbero dovuto accettare ciò che ne sarebbe venuto.

Anche se questo avesse voluto dire veder soffrire Andrew.
 
***

Mano nella mano con Maximilian Leonard Spencer, Violet Cecelia Phillips sorrise nel portarsi in mezzo alla sala ballo del palazzo dei Greenwood, ospiti generosi di quella serata danzante.

Ammiccando alla sua ballerina, per quel reel, Max disse a mezza voce: “Ammettilo, che ti fa ancora male il piede… lord Wilmington sembrava avere un conto in sospeso con la tua scarpina destra.”

“Non me ne parlare! Credo mi verrà un livido, entro domattina… e temo che la scarpina sia irrimediabilmente rovinata” sospirò Violet, muovendosi leggiadra al fianco di Max.

L’amico fece del suo meglio per non scoppiare a ridere – questo avrebbe fatto voltare più di una testa indignata e offesa – e la ragazza, ammiccando, aggiunse: “Inoltre, ero quasi giunta a chiedergli di ricorrere alle mentine, prima di danzare con qualcun’altra.”

Ora Max rischiò di crollare, gli occhi colmi di lacrime d’ilarità, che trattenne stoicamente per non incorrere nel biasimo degli altri invitati.

Violet gli sorrise dolcemente, lei angelica nello spirito come nel corpo, con incantevoli capelli biondi che le incorniciavano il viso delicato e i profondi occhi azzurro cielo.

Era sempre stata così. Splendida, dolce, angelicamente eterea e nobile d’animo.

Forse, troppo delicata per il mondo in cui vivevano, complice anche il suo fisico slanciato e magrissimo, tale da renderla apparentemente ancora più fragile di quanto non fosse.

Fin da quando aveva memoria, Violet era sempre stata protetta e coccolata da tutti, e lui l’aveva sempre vista come una sorella da accudire e seguire fedelmente.

Con Violet aveva un genere di rapporto che, per certi versi, somigliava molto a quello che legava Andrew ed Elizabeth.

Come se fossero nati assieme, cullati dallo stesso grembo per nove mesi, e dividessero pensieri e sensazioni.

Per questo, andavano così d’accordo, e proprio per questo Max si era piegato a partecipare alla Stagione per due anni di fila.

Non se l’era sentita di lasciare Violet ad affrontare Londra da sola, visto quanto poco apprezzava la mondanità e il caos di quella città.

Lei aveva sempre preferito la calma composta dello Yorkshire, con le sue campagne immense, le piccole cittadine, le persone che conosceva da una vita intera.

Quel genere di vita tranquilla le permetteva di studiare – cosa che amava – con una particolare propensione per la nautica e l’ingegneria navale.

Il tempo che non spendeva studiando, lo passava con la madre e le sue amiche, dedicandosi ad attività filantropiche.

Nulla a che spartire con la capitale del Regno, in poche parole.

Londra era un suppurato di veleni, perdizione e doppiogiochismo. Niente che potesse piacere a un’anima candida come la sua.

“Sono sicuro che, durante il prossimo ballo, ti divertirai. Lord Finneghan è conosciuto per la sua bravura di ballerino, e sembra che sia anche piuttosto spigliato nel parlare. Non un idiota indefesso” la rincuorò Max, sorridendole nel farla volteggiare nel mezzo della sala.

“Lo spero proprio. Non voglio rischiare di sfiancarti, costringendoti a essere l’unica persona con cui posso parlare un po’” gli sorrise lei, allontanandosi per comporre la figura di rito, prima di tornare da Max.

Lui scosse il capo, replicando con calma: “Non potrà mai succedere. Sai che sono qui per te, e te sola, perciò usami come preferisci.”

“Ma come? Nessuna donzella ti ha rapito lo sguardo? Eppure, vedo che ci sono alcune fanciulle davvero carine” esalò sorpresa Violet, raggiungendo Max nel centro del salone per chiudere la danza.

Quando anche l’ultima nota si fu spenta, i ballerini si esibirono in un breve applauso e, infine, abbandonarono la sala l’uno al braccio della propria compagna.

Riaccompagnando Violet da Kathleen, che era la sua chaperon, Max asserì: “Mia cara Lettie, credimi quando ti dico che, prima di sposarmi, dovrà succedere il finimondo. Le ragazze che ho incontrato finora, sono l’equivalente faunistico di una qualche specie di volatile non proprio aggraziato che qui non nominerò.”

Violet rise dietro il suo ventaglio di corno e, ammiccando all’amico, esalò: “Oh, mio Dio, Max, ma che cattiveria!”

“No, mia cara, tutt’altro. Sono anche troppo generoso” sospirò il giovane, prima di sorridere alla madre, lasciare il braccio di Violet e accomodarsi al fianco di Kathleen, seduta su un’ottomana nei pressi di una veranda. “Ti siamo piaciuti, madre?”

“Ovviamente sì. Ballate entrambi benissimo, e state molto bene assieme” sorrise loro Kathleen, battendo poi leggermente il suo ventaglio chiuso sul braccio di Violet. “Lord Throknorton ti ha guardata assiduamente durante tutto il ballo con Max, perciò ti avverto fin d’ora. Se, durante il vostro minuetto, dovesse dirti delle cose a sproposito, avvisami subito, e io lo rimetterò in carreggiata.”

“Oh… non lo avevo affatto notato. Grazie di avermelo detto, Kathleen” esalò sorpresa Violet, sbattendo le palpebre con aria confusa. “Dovrò prestare più attenzione. Non mi ero resa affatto conto del suo interesse.”

“A questo penso io, tesoro. Il tuo unico compito è quello di divertirti e, a questo proposito… lord Finneghan, buonasera” disse gentilmente Kathleen, levandosi in piedi assieme a Violet.

“Lady Spencer, è sempre un piacere vedervi… lord Spencer…” esordì Roger Finneghan, scapolo d’oro di Londra, per quell’anno. “Miss Violet, come sempre siete stupenda. Avete danzato divinamente, prima, assieme a lord Spencer. Spero soltanto di poter reggere il confronto.”

Accettando la mano protesa, Violet replicò: “Da quel che mi è stato detto, lord Finneghan, non debbo temere di essere scontentata, in quanto vi reputano un ottimo ballerino.”

Nel dirlo, sorrise brevemente a Max e lord Finneghan, intercettato quello sguardo, tributò un cenno di ringraziamento al giovane prima di accompagnare Violet sulla pista.

Tornata a sedersi, Kathleen lanciò un’occhiata furtiva al figlio minore e mormorò: “Niente danze, a questo giro?”

“Mi sono concesso due turni di riposo. Certe fanciulle hanno la stessa eleganza nel danzare di un pony zoppo” sospirò Maximilian, passandosi una mano nella folta chioma bruna. “E poi, volevo controllare come se la cavava Samuel. Suo padre mi ha espressamente chiesto di tenerlo fuori dai guai. Dici che ha subodorato qualche disastro imminente?”

Gli occhi di Max, di un bel color nocciola caldo e misterioso, sondarono distrattamente la sala e la madre, sorridendo appena, asserì: “Può darsi di sì. So che si è visto alcune volte con certe damigelle non proprio …adatte a lui.

“Oh, capisco. Deve essermi sfuggita la cosa, mentre ero impegnato a quel comizio a Trafalgar Square.”

Kathleen sorrise con aria orgogliosa, di fronte a quell’accenno riguardante gli impegni sociali del suo ultimogenito.

Aveva sempre apprezzato la sua passione per la politica, e Christofer lo aveva sempre lasciato fare, concedendogli ampio spazio di manovra.

Per quella sera, però, erano altri gli argomenti che le stavano a cuore. Uno in particolare, per essere precisi.

“Se nessuna incorre nel tuo gusto, come mai sei rimasto per più di un mese a Londra? Avresti potuto unirti a tuo fratello, e partire a tua volta per il Grand Tour. Eton è finita anche per te.”

“Lascio quel viaggio ad Andrew. Non vorrei mai essergli d’impiccio. Noi due avremo altri momenti per stare insieme” si limitò a dire Max, ghignando.

“Sai benissimo che Andrew non penserebbe mai questo, di te. Ti vuole bene, e non sei mai stato un peso, per lui” sottolineò per contro Kathleen.

“Sì, lo so, madre, ma desidero che possa muoversi liberamente, senza il pensiero fisso di dover pensare a me. Sai che Andrew tende a essere un tantino protettivo” le fece notare lui, vedendola sorridere divertita in risposta.

A ben vedere, quando era giunta la notizia della nascita di Rose, il primogenito degli Spencer era partito col suo cavallo la notte stessa, senza attendere che la famiglia partisse con lui.

Era giunto ad Aberdeen con quasi un giorno di anticipo rispetto a loro e, quando erano entrati nella stanza di Lizzie, lo avevano trovato lì, ancora in abiti da cavaliere, a vegliare sulla sorella.

E quella era solo l’ultima, in ordine di tempo, tra le famose imprese eroiche, e forse un tantino eccessive, di Andrew.

Lui si era sempre prodigato perché i ‘piccoli di casa’ avessero tutto il necessario, e poco importava che, a quei bisogni, potessero pensare anche i relativi genitori.

Andrew era sempre stato così. Assai responsabile, oltre che molto, forse troppo serio e ligio al dovere.

“Abbiamo sempre temuto, per via del nome che gli demmo alla nascita, che potesse diventare scapestrato e irrefrenabile e invece, invero, la più birichina è sempre stata Lizzie” sorrise Kathleen. “Tu, invece, sei sempre stato la via di mezzo tra i due, una sorta di ponte, un trait d’union tra i gemelli. Ne sono felice, perché ho sempre temuto che, il loro rapporto così speciale, potesse pesarti.”

“Lizzie e Andy mi hanno sempre messo in mezzo. Non c’è mai stato il pericolo che potessi sentirmi solo” sorrise Max, volendo cancellare eventuali paure della madre. “Voglio loro molto bene anche per questo, ma so quando non devo far parte della partita. Devo essere qui, e ora, mentre Andrew deve partire per l’Europa.”

“E tornerà più sereno, secondo te?” gli domandò a sorpresa la madre.

Quindi, si era accorta anche lei che qualcosa turbava Andrew. Ma di che stupirsi, in fondo?

Era loro madre, dopotutto.

“Lo spero per lui. Anche perché, visto che non conosco il problema alla base di questa sua tristezza di fondo, non saprei come aiutarlo” sospirò Maximilian, stringendo le mani in grembo.

“Speravo che, almeno con te, si fosse confidato. A Christofer non ha detto nulla” asserì spiacente la madre, scuotendo il capo.

“Andrew è forte e, quando e se avrà bisogno di noi, ce lo dirà” si convinse Max, sorridendo alla madre.

“Speriamo… quanto a te, perché dici di dover trovarti qui e ora? Cosa mai devi fare?” gli domandò curiosa la madre.

“Devo fare un favore a un’amica” si limitò a dire Max, ammiccando all’indirizzo di Violet.

Kathleen sorrise fiera e, nello stringere brevemente una mano al figlio, sussurrò: “Sono molto orgogliosa dei miei pargoli.”

“Grazie, madre” replicò Mac, sorridendole. “Ma sii orgogliosa anche di papà… guarda con chi sta parlando?”

Non appena Kathleen ebbe inquadrato lord Mallory-Jones, sospirò e disse: “Povero caro. Chissà con cosa lo sta esasperando, stavolta? Ormai dovrebbe accettare come un fatto compiuto, i Combination Acts. Perché intavolare ancora una discussione su questo?”

“Non l’ha ancora accettato? Ma se sono passati tre anni?!” esalò Max, sorpreso.

“Certe persone sanno essere assai testarde, e tuo padre mi ha detto che, in sede di consiglio, continua a prendere la parola per far notare che sulle sue terre, da quando l’emendamento è passato, gli scioperi sono diventati quasi mensili.”

“Forse, dovrebbe chiedersi perché” ghignò Maximilian, facendo sorridere divertita la madre.

“Oh… non sarò mai io a dirlo. Credimi. Ci tengo ancora, alle mie orecchie” ironizzò Kathleen.

“Io, invece, penso che andrò a dire due parole a lord Throknorton. Sta puntando Violet come se fosse un mastino con una volpe. Meglio mettere in chiaro un paio di punti” sottolineò Max, levandosi in piedi con cupo cipiglio.

“Non vuoi che sia io a farlo?”

“Certe cose sono più incisive, se escono dalla bocca di un uomo” ironizzò il figlio, inchinandosi brevemente alla madre. “Inoltre, non vorrei mai tu usassi il gergo che, sicuramente, userò io contro di lui.”

In quel mentre, Christofer raggiunse la moglie e, nel vedere la figura del figlio sparire tra la folla, le domandò: “Dove sta andando? In guerra? Aveva uno sguardo…”

“Oh, sei qui!” esalò Kathleen, volgendosi verso di lui. “Si sta recando da lord Throknorton per mettere in chiaro un paio di questioni riguardanti Violet. Gli ho detto che vi avrei pensato io, ma ha ritenuto che la voce di un uomo avrebbe potuto essere più incisiva, in questo caso.”

“Mi domando cosa gli dirà…” ironizzò Christofer, accomodandosi accanto alla moglie. “Allora, come procedono le cose? Violet ha finalmente dichiarato di apprezzare qualcuno in particolare?”

“Direi di no. Anzi, è piuttosto distaccata come suo solito. Gentile fino allo sfinimento, mi viene da dire, ma assai lontana dall’essere colpita da qualcuno. Sembra che nessuno la interessi veramente, e si rilassa solo quando è con Max.”

“Due Stagioni, e nessuno le sfiora seppur minimamente l’animo? Gli uomini inglesi devono essere divenuti ben miseri, ultimamente” esalò sorpreso Christofer.

“Diamole tempo. In fondo, non è una questione così pressante. Compirà diciotto anni solo a settembre, perciò ha ancora tutto il tempo del mondo, per sposarsi” sorrise Kathleen, battendogli una mano sulla gamba.

“Anthony ne sarà contentissimo. Con Violet, non gli capiterà mai di ritrovarci con un fidanzamento tra capo e collo, come è capitato a noi” ironizzò Christofer, ammiccando alla moglie.

“Oh, no davvero. E, a proposito della nostra figliola sposata tra capo e collo, è giunta una lettera da Lizzie giusto stamattina, quando tu eri già uscito per raggiungere il Parlamento. Ci saluta tutti, e ci informa che Andrew si è fermato da loro per un paio di settimane, prima di partire dal porto di Aberdeen per raggiungere Calais” gli spiegò Kathleen.

“Quindi, non ha gozzovigliato assieme a Keath fino al giorno prima della partenza. Beh, per lo meno ha pensato bene di non partire da sbronzo” sorrise Christofer.

“E quando mai Andrew si è ubriacato in vita sua?”

“Potrebbe sempre succedere. Anzi, a volte me lo auguro. Quel ragazzo è fin troppo serioso. Gli ci vuole, un colpo di testa” dichiarò Harford, facendo sorridere maliziosa la moglie.

“Attento a quel che chiedi. Potrebbe tornare a casa maritato con una donna conosciuta chissà dove” lo minacciò bonariamente Kathleen.

“Chissà…” rise Christofer, e sua moglie con lei.

 


 
Note: Ed ecco che si riparte con una nuova avventura e, stavolta, avremo due storie assieme. Scopriremo i percorsi paralleli di Andrew e Violet, e le loro difficoltà in campo amoroso.
Per il momento non vi dico altro, ma vi preannuncio che faranno la loro entrata in scena un sacco di personaggi nuovi, dal prossimo capitolo. Alla prossima settimana, e grazie per esservi imbarcate/i nuovamente con me!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 
2.

 
Nei pressi di Calais – 7 Luglio 1827

 
Il clipper Invictus, su cui Andrew e amici si erano imbarcati la mattina precedente, aveva fatto scalo in diversi porti, prima di puntare verso Calais e la Francia.

Andrew, Keath e Leonard avevano avuto tutto il tempo per godersi il viaggio, il bel tempo, il profumo del mare e la compagnia di altri giovani presenti sul veliero.

Non erano i soli, infatti, a partire in quel periodo per un Grand Tour dell’Europa, anche se le destinazioni erano parse fin da subito molto differenti.

La meta più gettonata era la spumeggiante Parigi, con i suoi salotti ricchi di artisti e politici di ogni estrazione sociale e ideologica.

Lì, molti si sarebbero fermati anche più di un mese, invece di proseguire per Digione e Marsiglia come era già stato pianificato da diversi altri gentiluomini.

Altri ancora, avrebbero puntato a Sud, verso la bella Italia e la sua millenaria storia, visitando Roma, Napoli e la Sicilia.

Per chi, come loro, aveva a disposizione un pacchetto finanziario piuttosto cospicuo cui attingere, lo sguardo si sarebbe infine puntato sulla Grecia, e Atene, la culla stessa della civiltà.

Per quando fossero scesi dalla nave, il gruppo di Andrew si sarebbe accodato a un altro simpatico trio di giovani imbarcatisi a Edimburgo, anche loro diretti a Parigi.

Eli, Patrick e Solomon si erano dimostrati tre giovani dalle menti interessanti quanto brillanti, e sarebbe stato un piacere scambiare quattro chiacchiere con persone nuove.

Andrew, per lo meno, la pensò così quando discese dal clipper assieme alle sue valige e ai suoi inseparabili amici.

Contrariamente a quanto aveva temuto, il rollio della nave non gli aveva causato problemi.

Fino a quel momento, aveva viaggiato per mare solo sul clipper dei Phillips, ma non avevano mai affrontato mari agitati o correnti violente.

Oltrepassare la Manica, invece, era stata un’esperienza davvero unica e, nonostante tutto, aveva saputo affrontarla senza problemi.

Leonard, invece, dovette essere sorretto da Keath, per scendere, e neppure lui brillava per equilibrio, o stato di forma.

Le acque del Canale della Manica, assai più agitate del Mare del Nord, avevano infine fatto le loro vittime sacrificali.

Quando toccarono terra, Leonard si lasciò andare a un ben poco lusinghiero ‘Dio, ti ringrazio, quella bagnarola non è affondata’, cui Andrew rispose con un sorriso.

“Il fatto che rollasse, non vuol dire che fosse una bagnarola, Leo” sottolineò il giovane Spencer, dandogli una pacca sulla spalla.

Leonard lo fissò malissimo, verde in volto al pari di una zucchina e, senza avere la forza di replicare, corse verso il bordo del molo e diede di stomaco.

Keath lo seguì dopo un attimo.

I tre scozzesi, invece, risero di gusto, del tutto tranquilli e pacifici e, nel lanciare un’occhiata al sorridente Andrew, dichiararono: “Tu sei di altra pasta.”

“Devo aver preso qualcosa da mio zio. Era un eccellente navigatore, e combatté a Trafalgar” spiegò loro Andrew, con un mezzo sorriso.

“Oh, un eroe della patria, allora. Niente meno!” esalò Eli, annuendo compiaciuto. “Come figlio unico, mio padre non partecipò alla guerra, ma il padre di Solomon, qui, servì sulla Glory, l’ammiraglia di lord Nelson.”

“Un vero onore. Mio padre combatté a sua volta a Trafalgar, e mi disse che fu una battaglia orribile, durata ore e ore, con innumerevoli perdite su ambo i fronti. Fu lì che perdemmo mio zio” spiegò loro Andrew, controllando che i suoi due amici non ci stessero lasciando le penne.

Non del tutto, a ben vedere, ma avrebbero dovuto fare tappa in un bar, prima di ogni altra cosa, per farli rifocillare e riprendere da quella prima parte di viaggio.

“Mio padre aiutò il cerusico a curare lord Nelson, …sapeva un po’ di medicina per averla studiata in Italia, ma non vi fu nulla da fare. Perdemmo un grande condottiero, quel giorno” assentì Solomon, con tono orgoglioso.

“Come stiamo rischiando di perdere quei due?” ironizzò Patrick, ghignando divertito.

“Forse, per stavolta, si salveranno” celiò Andrew, accucciandosi accanto a Keath per domandargli: “Ehi! Non sapevo avessi mangiato così tanto!”

“Piantala, idiota” bofonchiò il giovane, risollevandosi e guardandolo con espressione torva. I suoi occhi erano iniettati di sangue e il viso era pallido, quasi cereo.

La folta chioma bionda, che portava quasi sempre legata in un codino, ora era sparsa attorno al suo viso piacente come una corona di paglia, rendendolo ancor più ridicolo.

Per lo meno, comunque, non rimetteva più.

Leonard, invece, andò avanti ancora un minuto buono, prima di rotolare su se stesso e stendersi sulla roccia dura e fredda del molo.

Un’autentica rarità, vista la mania dell’ordine e della pulizia del giovane.

Lo sguardo puntato sul cielo, riuscì infine a gracchiare: “Cavallo. Il mio regno per un cavallo. O una carrozza. Qualsiasi cosa, basta che non navighi sull’acqua.”

“Sta bene” dichiarò a quel punto Andrew, allungando una mano all’amico per aiutarlo a risollevarsi.

Eli, allora, prese in mano le redini della situazione e, poggiando le mani sui fianchi, dichiarò: “Molto bene. Voi dirigetevi pure verso la prima bettola disponibile per bervi un po’ di birra scadente e mangiare del cibo pessimo. E’ il sistema migliore per far passare il mal di mare. Io, nel frattempo, prenoterò un posto sulla diligenza di domani, diretta a Parigi.”

“Vengo con te. Keath, pensi tu a Leonard?”

“Non farò un passo di più, senza aver rimesso in sesto lo stomaco, perciò sì, vai pure e aiuta Eli a trovare una diligenza per tutti noi” assentì il giovane biondo, legandosi nuovamente i capelli in una coda di cavallo. “Dio! Che razza di inizio!”

Andrew sorrise divertito alla coppia di amici e, dopo aver lasciato i bagagli ai compagni di viaggio, con la raccomandazione di non giocare d’azzardo, si accodò a Eli.

L’alto e fulvo scozzese gli ricordava molto il padre di Alexander, con quelle spalle ampie e la pelle chiarissima.

Differiva unicamente per i capelli che, per Eli, erano di un rosso carminio dai riflessi dorati, in quel momento tagliati assai corti.

Un autentico guerriero celtico, fatto e finito.

“Sei sicuro che i tuoi amici reggeranno un intero Grand Tour? Andare in Grecia presuppone prendere un’altra nave. Così come per la Sicilia.”

“Per quel momento, si saranno dimenticati dei patimenti subiti, e non ci penseranno proprio” si limitò a dire Andrew, guardandosi intorno con espressione curiosa.

Era la prima volta in assoluto che si trovava realmente lontano dalla famiglia, oltre che dalla patria natia.

Per quanto sapesse di non avere problemi a livello economico – suo padre aveva inviato diverse lettere di credito in altrettanti istituti bancari, sparsi per mezza Europa – l’idea di dover fare tutto da solo lo mise in ansia.

Così come lo galvanizzò al tempo stesso.

Finalmente, avrebbe potuto dimostrare di essere veramente un uomo, e non soltanto l’erede di Christofer e Kathleen Spencer.

Per quanto gli piacesse quel titolo, voleva anche dichiarare al mondo la propria indipendenza, il proprio impegno nel voler diventare una persona di valore.

“Ho preferito muovermi subito perché, per domani, le diligenze saranno tutte impegnate, ed è meglio prenotarne una per tempo. Molti ragazzi si avventureranno qua e là, curiosi di scoprire come sono i postriboli francesi…” ammiccò Eli, facendo sorridere Andrew. “… ma a me non interessa. Meglio puntare a Parigi e ai suoi salotti, invece di rischiare di prendere qualche malattia venerea nel frattempo.”

“Sagge parole. Se non contiamo Keath, che ha intenzione di divertirsi un po’, io e Leonard siamo più interessati all’aspetto culturale e artistico, che ad altro” ironizzò Andrew, facendo ridere Eli.

“L’unico che mi preoccupa della mia combriccola è Patrick, perché lui vuole sperimentare tutto… e con tutto, intendo dire tutto. Ma, se ci impegneremo a tenerlo fuori dai guai, direi che conto di poterlo riportare da sua madre senza arti mancanti, o una moglie al seguito” sospirò Eli, scuotendo il capo per l’esasperazione.

Sgranando leggermente gli occhi, Andrew esalò: “Oh, beh… conta pure su di noi. Non sia mai che causiamo un dolore a una povera donna.”

“Lady MacTavish ti taglierebbe la gola con uno spadone se ti sentisse ma, quando c’è di mezzo il cucciolo della sua covata, diventa un pan di Spagna” ironizzò Eli.

“Donna determinata, mi par di capire. Ci sono abituato” dichiarò Andrew con un gran sorriso.

“Oh, ma come… i nobili del sud hanno dunque nerbo?” celiò Eli, sorridendo divertito.

Andrew rise, assentendo, e asserì: “Vorrei tu conoscessi mia madre e mia sorella. Sulle prime, potresti pensare che due donne così eleganti e leggiadre non possono che essere anche delicate e deboli… ma sbaglieresti. E di grosso.”

“Ora mi incuriosisci… spiegami, e colpiscimi” sorrise interessato Eli.

Così, Andrew gli narrò le gesta della sorella, e di come lei e il suo attuale marito salvarono più di trenta bambini da dei trafficanti di schiavi.

Eli rimase così colpito che, con un gran sorriso ammirato, dichiarò: “Solo per questo, avrei potuto decidere di sposare io, tua sorella, se non fosse stata già maritata. E tua madre è la sua ispiratrice?”

Andrew assentì e, durante la loro ricerca di una diligenza libera, gli narrò di sua madre, suo padre e della famiglia che aveva lasciato a York.

Per tutto il tempo, Eli ascoltò avido, intervallando il dire di Andrew con aneddoti della propria famiglia e, quando finalmente furono di ritorno dal loro giro, lo scozzese esalò: “Dovrò dire a mio padre che esistono nobili del sud assai interessanti. E lui che pensava che solo in Scozia potessero nascere grandi uomini!”

“Beh, mia sorella è diventata scozzese d’adozione, abitando ad Aberdeen.”

Eli fece tanto d’occhi, a quella notizia, ed esalò: “Quando tornerò, lo dirò a mia sorella. Lei abita nei pressi di Aberdeen, e si è appena sposata. Giusto tre mesi fa, dopo un fidanzamento a mio parere eterno ma, comunque, la sostanza è questa. Pensi potrebbe farle piacere conoscerla?”

“Le scriverò domani, accennandole la cosa. Magari si conoscono già, e noi non lo sappiamo” scrollò le spalle Andrew. “Il suo nome?”

“Shemain MacLaurie Donington. E’ la moglie di lord Floyd Donington” gli spiegò Eli. “Le scriverò a mia volta, così avranno vicendevolmente un motivo per cercarsi, caso mai capitasse l’occasione.”

Con quella prospettiva, Andrew e Eli si misero quindi alla ricerca dei loro amici, trovando Solomon sulla porta di un locale, La Belle Mer, intento a sgranocchiare un frutto.

Quando li vide, fece loro segno e, non appena furono appresso a lui, Solomon disse: “Bene. Eccovi. Leonard si sta esibendo in un autentico panegirico sui cavalli, a discapito dell’uso delle navi. Ci sono i marinai che non sanno più come fare per non ridere.”

Andrew scoppiò in una gaia risata, a quella notizia, ed Eli gracchiò: “E’ normale, per lui?”

“Chiacchierare per quattro? Sì. Specialmente quando non sta bene” assentì Andrew. “Andiamo a salvare quei poveri marinai, è meglio.”
 
***

 
Parigi – 27 Luglio 1827                     Cara Lizzie,
spero che tu e la tua famiglia stiate bene. Parigi è veramente
stupenda così come tutti dicono e, finora, ho incontrato persone
assai interessanti e sorprendenti. La città offre spunti davvero
incantevoli su cui discorrere, e la politica è così attiva, qui, che
si fanno le ore piccole senza accorgersene. Abbiamo incontrato
un gruppo di tre ragazzi scozzesi, a cui ci siamo aggregati e con
cui formiamo un sestetto assai affiatato. Se continuerà così,
penso che andremo insieme anche in Italia e in Grecia e, forse,
intraprenderemo il viaggio di ritorno direttamente da Atene,
prendendo lì un veliero che ci riporti a Calais. Di sicuro, questo
non lo diremo a Keath e Leonard, che hanno sofferto moltissimo
il viaggio di andata. Avresti dovuto vedere le loro reazioni, quando
siamo scesi sul molo a Calais. Pensavo li avrei persi prima ancora
di cominciare realmente il viaggio. Di sicuro, Violet avrebbe riso in
segreto di loro, visto il suo amore per la marineria. Lei, invero, avrebbe
potuto navigare per mesi senza risentirne, non come quei due, e guidare
di suo pugno il clipper, a dire il vero, se non ricordo male la sua bravura.
Tornando ai nostri tre nuovi amici scozzesi, volevo proporti una nuova conoscenza,
se non è già nel tuo carnet. Si tratta di lady Shemain Donington, moglie di lord Floyd Donington. E’ la sorella maggiore di Eli, e anche lei vive nei pressi di Aberdeen.
Sarebbe carino, se faceste amicizia come abbiamo fatto io ed Eli. Da quel poco che mi
ha spiegato,  i vostri due caratteri dovrebbero essere complementari, perciò non
 ti sto mandando tra le fauci di una donna che non troveresti interessante. Salutami
mio cognato e dai un bacio a Rose.                            Tuo Andrew
P.s. ti ho comprato della composta di rose. Sono sicuro che non l’hai
mai assaggiata, ma posso dirti che è molto buona.
 
Reclinando la lettera sulle gambe, Lizzie sorrise a Shemain e dichiarò: “Beh, direi che abbiamo battuto sul tempo i nostri fratelli. Però, sono contenta che si siano incontrati e abbiano fatto amicizia.”

“Che dici? Dovremmo tenerli all’oscuro del fatto che già ci conosciamo? O sarebbe davvero crudele, da parte nostra?” ironizzò Shemain, sorridendo divertita al marito, che stava scrutando il giardino assieme ad Alexander.

“Due menti femminili contro due maschili? Cielo! Quei poveretti non hanno scampo. La loro vacanza sarà rovinata dalle vostre chiacchiere vanesie!” celiò Floyd, vecchio amico di Alexander e, tra le altre cose, suo ex compagno di Eton.

“Oh, caro, non esagerare. Io voglio bene a Eli, e non vorrei mai vederlo infelice. Diremo che, grazie ai loro buoni uffici, abbiamo trovato l’una nell’altra un’ottima amica, così si sentiranno compiaciuti delle loro astute manovre, e noi li avremo resi felici senza aver combinato guai, per una volta” dichiarò Shemain, passandosi leziosa una mano tra i riccioli ramati.

“Avrai guadagnato un’arma in tuo possesso, che potrai usare contro tuo fratello alla prima occasione, ricordandogli che ti ha fornito un’informazione che avevi già, e che quindi tu eri riuscita, per l’ennesima volta, a fare una cosa senza il suo aiuto e prima di lui” sottolineò serafico Floyd, sogghignando all’indirizzo della moglie, che arrossì.

“Come puoi pensare questo di me, Floyd?” esalò la donna, fingendosi sconvolta.

“Perché ti conosco, donna, e so come ragioni. Per questo, ho impiegato tanto a sposarti. Volevo essere sicuro del guaio in cui stavo andando a cacciarmi” le sorrise lui, strizzando l’occhio per addolcire il piccolo rimbrotto.

Shemain scrollò le spalle, infischiandosene delle parole del marito e, rivolta a Lizzie, disse: “Faremo così, allora. Facciamo loro credere che, senza il loro prezioso aiuto, due nobildonne come noi non avrebbero mai potuto incontrarsi, in una cittadina piccola come Aberdeen.”

Elizabeth rise divertita e Alexander, sospirando, esalò: “Già tremo, quando tua moglie avrà un figlio. Cosa potranno insegnare ai nostri pargoli, una volta messe insieme?”

Floyd si passo una mano tra le onde castano dorate, fissò le due donne cicaleggianti e, impallidendo leggermente, gracchiò: “Non farmici pensare, Alexander. Per favore…”
 
***
 
Passeggiando per il salotto degli Spencer a Grosvenor Square, mentre leggeva la lunga lettera di Andrew, Violet sorrideva ogni tanto ai genitori e ai loro ospiti, mentre Max sistemava la scacchiera sul tavolo.

“A quanto pare, sembra si stiano divertendo molto…” commentò la ragazza a metà della lettura, mentre Myriam serviva della limonata al marito. “… qui, dice che Leonard ha acquistato una balalaica in un mercato rionale di Parigi, e sta prendendo ripetizioni da un musicista russo.”

“Oh, cielo! E perché mai?” esalò Kathleen, sorridendo divertita.

“A quanto pare, in uno dei tanti salotti di Parigi che stanno visitando in queste settimane, hanno assistito a un’esibizione di mirabile pregio, e Leonard è rimasto ammaliato da quello strumento” riferì Violet, scorrendo le tre pagine della lettera di Andrew.

“Il padre di Leonard, di questo passo, dovrà ingrandire il palazzo. La loro sala della musica non ha già eguali in tutta Inghilterra” ironizzò Anthony, sorseggiando la limonata.

Violet assentì, sorridendo.

“In effetti, padre, credo proprio che neppure le orchestre che si esibiscono di fronte al re, siano così fornite.”

“Dice altro, il nostro esploratore di salotti d’élite?” sorrise Christofer, ponendosi dinanzi a Max per la loro consueta partita di scacchi.

“Oh, sì. Ci annuncia che, per metà agosto, si dirigeranno a Marsiglia, e lì rimarranno per un paio di settimane, poi punteranno verso il Regno di Sardegna, soggiornando qualche giorno a Torino. In seguito, punteranno a Firenze e, infine, a Roma, nello Stato Pontificio” elencò la ragazza, poggiandosi contro il davanzale della finestra.

“Sono poi decisi ad andare anche in Grecia?” si informò Max, muovendo un pedone.

“Non lo dice. Penso che aspetteranno di vedere come si evolveranno le cose” scosse il capo Violet, sospirando. “In fondo, li invidio. Piacerebbe anche a me fare un viaggio. Mi manca andar per mare.”

“Possiamo organizzarci. Vuoi invitare qualcuno in particolare, così da fare il viaggio in compagnia?” si informò Anthony, con apparente casualità.

Violet, però, non ci cascò affatto e, serafica, replicò: “Nessuno, padre. Perché, semplicemente, non prendiamo la goletta che teniamo alla fonda a Gravesend e risaliamo la costa a est, affrontando il Mare del Nord?”

“Non sarebbe una cattiva idea. Potremmo raggiungere Aberdeen, così andremo a trovare Lizzie, Rose e Alexander.”

Poi, addolcendo lo sguardo nel rivolgersi alla figlia maggiore, aggiunse: “Tanto, mi pare di capire che, neppure quest’anno, dovrò irritarmi dinanzi a un giovane che chieda la tua mano. O sbaglio?”

“Non è errato, padre. Scusa” ammise la ragazza, scrutando pensierosa la lettera di Andrew. “Penso, comunque, che sarebbe più giusto attendere la fine delle sessioni in Parlamento, così che tu e Christofer non vi perdiate niente.”

Harford mosse uno dei suoi pedoni prima di volgersi a mezzo, sorridere alla ragazza e replicare: “Fuggirei da Londra oggi stesso, pur di evitarmi un’altra sessione in Parlamento, con il gruppo Tory che strepita in coro come un’aquila spennata. Lord Canning ha più stomaco di me, nel sopportare la sua stessa coalizione.”

“Da quando Lord Liverpool ha dovuto cedere lo scettro del comando al suo braccio destro, i Tories sono divisi in due, e fanno a gara a chi urla di più” sospirò Anthony, assentendo con tono livido.

“Quel poveretto ci rimetterà la salute, di questo passo. Farà la stessa fine di Liverpool, che si è ammalato di governite acuta” ironizzò Max, fissando torvo la scacchiera.

“Non hai tutti i torti, ragazzo. La paralisi di lord Liverpool può essere stata causata tranquillamente dalle troppe irritazioni, così come dai troppi stati d’ansia cui è stato sottoposto in questi anni” assentì Anthony, levandosi in piedi per meglio osservare la partita.

Prendendo il posto del padre accanto alla madre, Violet riprese la lettura e disse: “Andrew dice che prevede di portarci da Firenze molti gioielli dell’oreficeria italiana. Pensi ci riuscirà, o finiranno prima i soldi?”

Myriam sorrise divertita alla figlia, e replicò: “Non saprei. I giovani sanno essere così indisciplinati, quando vogliono.”

“A cosa alludi, mia cara?” ironizzò Anthony, lanciandole uno sguardo da sopra la spalla.

“Oh, nulla, nulla” sorrise per contro la donna, ammiccando maliziosa al marito. Kathleen e Violet si scambiarono un’occhiata complice e Myriam, presagendo future domande, si levò in piedi e, guardate figlia e amica, disse: “Andiamo a vedere se quelle pesti dei miei figli minori hanno esasperato a sufficienza Mr Thomasson. Credo che due ore di tempo siano sufficienti, da passare in cucina a preparare dolci.”

“Credo di sì” assentì Kathleen, seguendo Myriam e Violet fuori dal salottino.

Rimasti soli, gli uomini rimasero in silenzio solo per mezzo minuto, finché Max non levò lo sguardo a fissare Anthony, e chiedere: “Cosa intendeva dire, prima, Myriam?”

“Se ho capito la sua occhiata, si riferisce a quando Violet è stata concepita. Diciamo che avevo un po’ fretta di rivederla, quel giorno, dopo tanti mesi passati per mare a cercare la mia ex moglie” sorrise divertito Anthony, facendo ridere sia Max che Christofer.

“Povera Myriam! L’hai sopraffatta?” esalò Harford, facendo tanto d’occhi.

“Peggio. Piombai a casa dei Barnes, la sollevai tra le braccia e la portai direttamente in camera sua, da vero bifolco quale ero in quel momento. Il fatto che non fossimo sposati, all’epoca, non mi turbò minimamente. Nemmeno a lei, per la verità, ma tant’è. Non fui affatto un gentiluomo, quel giorno” ammise Anthony, arrossendo leggermente.

“Mera formalità. Myriam aveva già detto di sì alla tua proposta” sottolineò Christofer.

“Ugualmente, non avrei dovuto catapultarmi là come un ossesso, in pieno giorno, rapendola praticamente sotto gli occhi di sua suocera. Temo di aver sconvolto a morte Georgiana, quel giorno” asserì per contro Anthony, facendo ridere Max.

“La nonna, probabilmente, ti avrà guardato come se tu fossi stato un drago, o qualcosa del genere.”

“Onestamente, non lo ricordo ma, per giorni, faticò a guardarmi senza arrossire e ridere” dichiarò Anthony, ridendo a sua volta.

“Dopo tutto quello che ha passato, vedere un uomo spinto dall’amore, e non dall’odio, deve essere stata una bella novità, per lei” gli rammentò Christofer, sorridendo benevolo.

“Anche questo è vero. Di buono c’è da dire che ci sposammo dopo un mese, e Violet nacque con tempistiche non troppo sospette, evitando così uno scandalo bello e buono” chiosò Thornton, scrollando le spalle. “Christofer, ti sei accorto che tuo figlio ti sta stracciando?”

“Ho notato, ho notato” assentì torvo Harford, massaggiandosi pensoso il mento.

Max si limitò a sogghignare, mormorando soltanto: “Tutta classe.”








Note: Andrew è partito con i suoi amici e, a sorpresa, ha incontrato un gruppetto di scozzesi con cui condividere l'avventura del viaggio in Europa. A quanto pare, uno dei ragazzi è anche il fratello di una delle nuove amiche di Lizzie e, entrambe, sembrano trovare divertente l'interessamento dei rispettivi fratelli perché si conoscano reciprocamente.
Nel frattempo, Violet sembra divertita - e anche un po' invidiosa - delle avventure di Andrew e decide di chiedere alla sua famiglia di intraprendere un viaggio verso nord. Che dite? E' solo la noia di Londra, a spingerla a prendere il mare?
E cosa combineranno i nostri sei eroi, visto soprattutto come è stato questo primo tratto di viaggio?

Come sempre, i nomi in grassetto sono di personaggi realmente esistiti.


Il gruppo di ragazzi scozzesi comparirà nel prossimo capitolo. Promesso!


 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 
3.
 
 
 
Marsiglia – 29 luglio 1827
 
Passeggiare lungo rue Canebière, dopo aver trascorso gran parte del pomeriggio in compagnia di vecchi pescatori al vieux port, era piacevole nonostante la calura.

La brezza proveniente dal mare mitigava il sole del meriggio che, così potente sul Mar Mediterraneo, sembrava volerli mettere alla prova con la sua forza.

Per genti del nord come erano Andrew e i suoi amici, quella calura giornaliera era quasi soffocante, ma era stato gradevole ascoltare i vecchi ricordi dei pescatori.

I salotti potevano essere interessanti – e molti dei loro incontri erano stati davvero gradite sorprese – ma la conoscenza di un luogo passava innanzitutto dai suoi abitanti.

E come conoscere un luogo di mare, se non dalle persone che lo vivevano quotidianamente, e nel modo più diretto?

Sulle prime, i pescatori erano parsi divertiti dalle loro domande ma, quando avevano compreso la sincera curiosità di quei turisti inglesi e altolocati, avevano ceduto fino a raccontare loro storie di mare e di miti ancestrali.

Avevano detto loro di come, nei pressi delle coste della Corsica, si fossero salvati da una tempesta grazie alle indicazioni di una sirena.

O di come, in un giorno di bonaccia, fossero stati accostati da un gruppo di delfini festanti e giocosi.

Mentre le loro mani incrostate dal sale e dal tempo continuavano nel loro lavoro sulle reti, le loro voci roche e profonde avevano accompagnato il gruppo in un mondo per loro quasi estraneo.

Gli unici a intendersi un poco di navi erano Solomon e Andrew, grazie ai padri che erano stati in marina ma, visti gli screzi passati con la Francia, nessuno dei due aveva fatto menzione della guerra.

Naturalmente, tutti si erano astenuti dal far notare la tragica esperienza di Keath e Leonard con le navi e la navigazione.

Con tutta probabilità, i pescatori ne avrebbero riso fino alla fine dei loro giorni.

Nel rientrare verso il loro albergo dopo quelle splendide ore di pacifica serenità, Andrew si sentiva decisamente più rilassato.

Apprezzava da sempre il confronto umano, e quel viaggio si stava rivelando migliore del previsto, soprattutto da quel punto di vista.

Per quanto riguardava il suo altro problema, però, non era ancora venuto a capo di nulla e, quando uno svolazzare di chiome bionde attirò la sua attenzione, sospirò e seppe di essere ancora in alto mare.

A ben vedere, non si era concentrato molto sull’argomento Violet, prediligendo perdersi con i suoi amici in divertimenti e ricevimenti vari.

La sola idea di pensare alla donna che costellava i suoi sogni era, al tempo stesso, un cruccio insormontabile e un desiderio quasi insopprimibile.

“E’ inutile che guardi quella signorina come se volessi divorarla… e non so bene se in senso positivo o negativo…” intervenne in un sussurro Keath, avvolgendo le spalle di Andrew con un braccio, distogliendo così la sua attenzione dalla bellezza francese che il giovane Spencer stava ammirando. “… devi capire cosa vuoi, o passerai metà del tuo viaggio a struggerti per la tua bella.”

“Quando ti innamorerai di qualcuna, ti rinfaccerò queste parole facendotele ingoiare una a una, amico mio” brontolò per contro Andrew, pur sapendo che aveva ragione.

Keath, infatti, non se la prese minimamente e replicò: “Caro Andrew, ma io amo tutte le creature che il buon Dio ha messo su questa terra, perciò il problema non si pone!”

“Certo, basta che abbiano due seni strepitosi e lunghi capelli fluenti in cui infilare le mani, vero?” gli ritorse contro Andrew, ghignando.

“Molto vero, non posso negarlo” assentì senza alcun ritegno Keath, prima di lanciare un cenno d’intesa con Patrick.

Preoccupandosi un poco, Andrew borbottò: “Cos’avete intenzione di fare, voi due? Già mi mettete ansia sapendo che i vostri gusti sono molto simili, se poi vi scambiate simili occhiate, allora non so che pensare, a parte chiudervi a chiave nelle vostre stanze.”

“Tu e gli altri siete fin troppo timorati di Dio, e vi state perdendo le bellezze umane dei luoghi che stiamo visitando” gli fece notare Keath, lasciandolo andare per prendere sottobraccio Leonard, che lo fissò curioso. “Prendiamo per esempio questo baldo ed elegante giovane…”

“Ma che stai dicendo?” esalò Leonard, fissando Keath con espressione confusa, mentre Eli e Solomon li guardavano curiosi e Patrick rideva sommessamente.

“Stavo dicendo…” riprese a dire Keath, imperturbabile. “…che il nostro stimatissimo Leonard Buckanhan, futuro lord Walsingham, per esempio, è il tipico damerino a modo e dall’eleganza sopraffina…non si sognerebbe mai di infangare il proprio nome con donne non all’altezza del suo altisonante lignaggio, così da poter giungere puro al matrimonio.”

Tutti sorrisero divertiti, persino Leonard, che era preso di mira dalle burle dell’amico.

“Io e Patrick, invece, che siamo figli cadetti, non abbiamo di che preoccuparci, mio caro Andrew e concedimelo, tu sei forse messo peggio di Leonard, visto che ti ritrovi con due genitori che ti amano e che tu non vorresti mai deludere.”

Nel dirlo, diede una stretta sulla spalla dell’amico, ben sapendo quanto, quello in particolare, fosse un argomento spinoso, per Leonard.

Era risaputo, tra di loro, quanto lord Walsingham non amasse il primogenito, essendo interamente concentrato sulla figliolanza avuta in seconde nozze.

La madre di Leonard, era infatti morta nel darlo alla luce e, forse complice questo fatto, il padre non lo aveva mai amato.

Andrew era più che certo che, gran parte dell’autocontrollo dell’amico, derivasse proprio dal desiderio di apparire sempre perfetto agli occhi dell’uomo che, più di tutti, lui voleva conquistare.

“Solomon… tu come sei messo?” si informò a quel punto Keath, volgendo lo sguardo sul biondo ragazzone di origini scandinave.

“Primogenito anche io, Keath. Devo evitare di lasciare figlioli in giro per il paese… o il continente, se posso” ironizzò il giovane, passandosi una mano tra la bionda chioma ondulata, ammiccando coi chiari occhi azzurri.

“Oh, un altro povero ragazzo sfortunato, che la vita ha segnato con l’infausto compito di portare avanti il nome di famiglia…”sospirò falsamente affranto Keath, scuotendo mesto il capo.

“Sei un caso senza speranza, Keath… lasciatelo dire” celiò Leonard, dandogli un colpetto di gomito nel fianco.

“Dipende a quale speranza ti riferisci, mio caro Leo. Se parli della speranza che io perda il mio affascinante sorriso allora sì, non c’è speranza alcuna che io venga meno di tale dono” ironizzò allora il giovane terzogenito dei Carmichael.

Andrew rise divertito ed Eli, nell’ammiccare al suo indirizzo, chiosò: “E’ sempre stato così?”

“Anche peggio, quando andavamo a Eton. Taluni professori avrebbero pagato oro, per farlo tacere. Il punto è che ha sempre primeggiato in tutte le materie, perciò non potevano neppure punirlo” celiò Andrew, mentre Keath continuava nella sua filippica, a cui si era nel frattempo aggiunto anche Patrick.

Eli allora scosse il capo, sinceramente sorpreso, ed esalò: “Di sicuro, non potremo sperare in un suo crollo energetico. Sembra inesauribile.”

“Togli pure il ‘sembra’…” lo mise in guardi Andrew, ben sapendo come fosse Keath.

Con tutta probabilità, avrebbe smesso di parlare solo quando qualcuno avesse messo dinanzi a lui del cibo.
L’unica altra cosa, a parte le donne, che potesse dettare legge nella sua vita.
 
***

Londra – 31 luglio 1827
 
Passeggiando lungo la promenade di Hyde Park in sella alla sua giumenta Wind,  accompagnata da Max e da sua madre Kathleen, Violet sospirò all’ennesimo sorriso raffazzonato in tutta fretta.

Non era decisamente dell’umore, quel giorno, per stare in mezzo alla gente, ma neppure sotto tortura sarebbe stata meno che cortese col prossimo.

Volesse il cielo che, almeno una volta nella vita, le riuscisse di esserlo!

Forse, si sarebbe risparmiata un sacco di chiacchiere vuote e noiose e gli sguardi interessati di molti nobiluomini che, a lei, non facevano né caldo né freddo.

Invece, era più forte di lei. Sorrideva, salutava e scambiava qualche battuta educata con tutti, nessuno escluso.

Anche con chi avrebbe voluto veder sotterrato sotto qualche metro di terra… pur se il solo pensiero la inorridiva, così come la allettava.

Se Londra faceva sorgere in lei simili pensieri vendicativi, era davvero una consolazione sapere che, entro pochissimi giorni, si sarebbero messi in viaggio.

Le sessioni in Parlamento si stavano esaurendo, al pari della pazienza dei suoi membri, temeva Violet.

Sia suo padre che Christofer, nelle due ultime settimane, erano rientrati a casa stanchi e nervosi e, per bocca stessa di Kathleen, il marito era parso irritato quanto contrariato.

Suo padre era stato ermetico, in tal senso – una rarità, visto che dialogava volentieri con lei, Randolf e la mamma di ciò che succedeva in Parlamento – segno che le cose non stavano andando molto bene.

Una pausa avrebbe giovato a tutti, rendendo loro possibile un graduale ritorno a ritmi di vita più blandi e salutari.

E, forse, a lei non sarebbe venuto l’istinto di piangere e picchiare i pugni sul tavolo a ogni piè sospinto. Con grazia, ma l’avrebbe fatto più che volentieri.

“Violet… guarda chi c’è laggiù…” si intromise Max, strappandola ai suoi pensieri errabondi.

Seguendo l’indicazione dell’amico, la ragazza sorrise spontaneamente nel notare lady Charlotte Mallory-Jones, in dolce compagnia con il suo sposo, Raymond.

“Che ne dite? Andiamo a salutarli?” propose loro Kathleen, sorridendo a sua volta.

I due giovani assentirono e, nel dare un colpetto sul fianco delle loro cavalcature, il trio si avvicinò alla coppia, seduta all’ombra di una quercia nei pressi di uno dei laghetti del parco.

Quand’anche la giovane Charlotte si rese conto dell’avvicinarsi del trio, sollevò festosa una mano e Raymond, levandosi in piedi, esordì dicendo: “I miei sentiti omaggi, lady Harford. E’ un piacere vedervi, Maximilian. Miss Violet, siete come sempre splendente.”

Maximilian fu il primo a scendere da cavallo e, mentre Raymond aiutava Kathleen a discendere, il giovane Spencer si occupò di Violet.

Ciò fatto, strinse la mano di Raymond e replicò: “Il piacere è tutto mio, Raymond. Come state? E voi, Charlotte? Noto con piacere che state per diventare nuovamente mamma.”

Charlotte si levò in piedi a fatica, massaggiandosi contemporaneamente schiena e ventre prominente e, annuendo, dichiarò: “Abbiamo deciso di rimanere a Londra nonostante l’afa e il caldo perché, ormai, sono a termine, e non avrebbe senso rischiare di rientrare a Bath, col rischio di partorire per strada.”

“Scelta oculata” assentì Kathleen, baciandola delicatamente sulle guance.

“Avete notizie fresche di Lizzie? La sua ultima lettera è giunta a Londra un mese addietro e, per il momento, non ho più sue nuove” si informò a quel punto Charlotte, salutando Violet con un bacetto e un abbraccio.

“Oh, sarà ben difficile che vi scriva ora, Charlotte…” ironizzò Max. “… visto che, da quel che ci ha riferito nel suo ultimo scritto, è in viaggio con Alexander per una serie di conferenze nelle Highlands. Sarà così impegnata, da non aver tempo per nulla, oltre la sua Rose e il marito.”

Lady Mallory-Jones sorrise divertita e asserì: “Lizzie non si è calmata neppure dopo essersi sposata, e aver concepito una bambina. Pur essendo a sua volta incinta, si è spinta lo stesso in viaggio?”

“Da quello che ci ha scritto, si trattava di un viaggio di tre settimane e, poiché aveva ricevuto il benestare del medico, non si è tirata indietro” le spiegò Kathleen, sorridendo comprensiva.

“Vostra figlia ha sempre dimostrato una tempra d’acciaio” assentì Raymond, sorridendo complice alla moglie.

“E il piccolo Raphael dov’è?” si informò a quel punto Violet, guardandosi intorno. Del primogenito dei Mallory-Jones, non v’era traccia.

“Oh, è a spasso con il nonno paterno” ironizzò Charlotte, sorprendendo un po’ tutti.

Non era segreto per nessuno di loro, come fossero andate le cose, tra Raymond e il padre.

Raymond si era praticamente diseredato con le sue stesse mani, mettendosi contro Thaddeus Mallory-Jones, pur conservando ciò che l’uomo gli aveva intestato prima della loro lite.

Per circa due anni, non si erano più parlati ma, quando infine il piccolo Raphael Raymond Michael Mallory-Jones era nato, Charlotte aveva preso in mano le redini della situazione, interpellando il suocero.

Con un cipiglio degno della regina Elizabeth I, aveva inviato una lettera alla coppia di neo-nonni, avvertendoli della nascita del nipote e pregandoli di venirlo a conoscere.

Erano occorsi otto mesi, prima che i coniugi Mallory-Jones si presentassero a Bath, ma era infine successo e, quando Charlotte aveva messo tra le braccia del suocero il piccolo, il viso crucciato dell’uomo si era trasformato.

Ovviamente, ancora non parlava con il figlio – se non tramite la madre – ma Thaddeus amava incondizionatamente il nipote, e sfruttava tutte le occasioni per stare con lui.

I genitori di Charlotte, essendo vicini di tenuta della figlia e del genero, non avevano problemi a cedere ogni tanto il nipotino agli altri nonni, visto quanto spesso potevano stare con lui.

Quando erano a Londra, perciò, Thaddeus e Sarabeth passavano almeno tre pomeriggi la settimana con il piccolo, che ormai aveva imparato ad amarli al pari degli altri nonni.

Sinceramente stupita dal racconto esposto da Charlotte, Kathleen esalò: “Questa, davvero non me l’aspettavo.”

“Ha superato tutte le mie aspettative. Neppure sapevo se avrebbe dato seguito alla mia prima lettera” ironizzò Charlotte, stringendo per un momento la mano del marito.

Imperturbabile, Raymond aggiunse: “E’ un percorso che dovrà compiere da solo, e non certo con il mio aiuto. Ho speso fin troppo, per quell’uomo.”

“Ho conosciuto a mie spese uomini simili, Raymond, e so quanto possa essere difficile sopportarne il carattere ma, visto quanto ama vostro figlio, io spererei in qualcosa di buono, credetemi” gli sorrise Kathleen, battendogli affettuosamente una mano sulla spalla.

Con un leggero cenno del capo, il giovane la ringraziò e Charlotte, rivolgendosi a Max, domandò: “E voi, non avete ancora messo gli occhi su nessuna donzella? O pensate di sposare Violet?”

Prima ancora che Kathleen potesse sgranare gli occhi di fronte a quell’ipotesi, Max scoppiò in una grassa risata, subito seguito da Violet, sebbene con tono più discreto.

Dopo alcuni attimi, il giovane Spencer si asciugò lacrime di ilarità ed esalò: “Io… e Violet? Sarebbe come chiedermi di sposare Lizzie. Le voglio molto bene, ma non mi sposerei mai con lei. Inoltre, prima che una donna mi veda in ginocchio di fronte a lei, dovrà scorrere ancora molta acqua, lungo il corso del Tamigi.”

Ridendo sommessamente, Charlotte guardò un’esasperata Kathleen e motteggiò: “Uno scapolo incallito, lady Harford?”

Due scapoli. Anche Andrew pare restio a prendere moglie, e ora è in giro per l’Europa con un gruppo di ragazzi a fare solo Dio sa cosa” sospirò la donna, scuotendo il capo. “Per ora, l’unica soddisfazione in questo ambito, mi arriva da Lizzie.”

“Grazie infinite, madre” sottolineò Maximilian, facendo sorridere i presenti.

“Non è colpa mia se è vero. Tu e Andrew sembrate terrorizzati alla sola idea di mettere su famiglia, mentre Lizzie si è praticamente buttata tra le braccia del marito dopo poco più di un mese dacché si sono conosciuti” replicò con una certa ironia Kathleen.

“Devo ricordarti che papà è stato mogio per mesi, dopo il loro fidanzamento ufficiale?”

“Solo perché era la femmina di casa. Christofer sarebbe felicissimo, se portaste a casa una fanciulla da maritare” fece spallucce Kathleen.

Maximilian, allora, si guardò intorno, individuò una ragazza particolarmente sgradevole alla madre e, sorridendo furbo, dichiarò: “Sento l’improvviso stimolo di sposare miss Penny Grandwood. Ti va bene se vado a chiederle la mano, madre?”

Kathleen afferrò il braccio del figlio prima ancora che egli muovesse un passo e, mentre Charlotte e Raymond ridevano, Violet chiosò: “Sei stato davvero perfido, Max.”

“Volevo solo ricordare a mamma quanto sia pericoloso uscirsene con simili speranze… non si sa mai cosa potrebbe succedere” ironizzò Max, sorridendo alla madre che, con un mezzo sorriso, ritirò la mano.

“Chissà che Andrew non dimostri maggiore discernimento. Potrebbe tornare a casa con una nobildonna francese” celiò a quel punto Charlotte, senza notare il leggero irrigidimento di Violet a quelle parole.

“Non fatemici pensare, Charlotte. Se lo facesse, Christofer darebbe in escandescenze. Il ricordo della guerra contro i francesi è ancora fresco, in lui, e non credo che approverebbe” esalò Kathleen, facendo tanto d’occhi.

Max rise al solo pensiero ma non Violet che, stringendo leggermente le mani a pugno tra le falde dell’abito, si chiese turbata cosa le fosse preso, per reagire a quel modo.

Era mai possibile che, il semplice concepire un simile pensiero – peraltro, niente affatto lontano dalla realtà – l’avesse irritata così tanto?

Aveva dunque toccato tali vette di egoismo?

Molte ore dopo, nell’isolamento della sua stanza, abbracciata solo dalla tiepida luce di una candela mentre, tra le mani, reggeva un testo di astronomia, Violet tornò col pensiero alle parole di Charlotte.

Era naturale, per non dire scontato, che si pensasse a una futura moglie per Andrew, perciò perché irritarsi tanto?

Non doveva comportarsi in quel modo e, soprattutto, non doveva prendersela per una cosa su cui non aveva alcun controllo.

Lei non poteva accampare nessun diritto sull’amico d’infanzia e, in ultima istanza, non era da lei sperare che Andrew rimanesse da solo ancora a lungo.

Se anche fosse successo, cosa ne avrebbe ricavato?

Stava davvero augurando la solitudine al suo caro amico, al giovane che l’aveva sempre fatta sentire protetta e amata, a colui che, pur non sapendolo, gli aveva rubato il cuore?

Chiudendo il tomo sulle gambe rannicchiate sulla poltrona, Violet reclinò le palpebre sugli occhi umidi di lacrime e, ribelli, due perle umide rotolarono sulle sue gote fino a scivolarle lungo la gola.

Con un gesto stizzito, lei le spazzò via e, risoluta, si levò dalla poltrona per andare alla sua scrivania.

Lì, prese penna e calamaio, un paio di fogli immacolati e, lasciando che la sua fantasia si librasse leggera, iniziò a tratteggiare alcune lunghe linee arcuate e altre diritte.

Schizzò un abbozzo di goletta con mano ferma e competente mentre, con righello e squadre, le dava forma e sostanza ma, ugualmente, le lacrime non si fermarono.

Quando queste finirono con l’inzuppare irrimediabilmente il progetto, dilavando l’inchiostro in cupe macchie sulla carta, Violet desistette.

Lasciò che il pianto terminasse con i suoi tempi, in silenzio e, quand’esso ebbe svolto il suo ingrato compito, Lettie gettò lo schizzo e spense la candela.

Era del tutto inutile pensare ad Andrew.

Avrebbe sposato una nobildonna che non era lei, poiché per lui sarebbe rimasta, sempre e comunque, la piccola Lettie, la bambina da salvare dal mondo intero.

Non avrebbe mai visto nient’altro, nella sua figura, pur se gli anni l’avevano cambiata, mutandola in una donna.

Il punto era un altro, alla fine: lei si sentiva cambiata, o aveva ancora quell’innata e tremenda paura di fallire, nel caso in cui si fosse trovata da sola?

Avanzando al buio verso il letto, ne scostò le coltri e, infilandovisi sotto, mormorò tra sé: “Certo che ho paura… altrimenti, avrei già detto ogni cosa.”

Solo molto più tardi, riuscì a prendere sonno, ma il riposo non venne, se non quando ella fu così stremata da non resistere più.

Come sempre, da un anno a questa parte.

 
 
 
 

 
Note: Il viaggio di Andrew continua e, tra momenti di sconforto e altri di grandi risate, l'amicizia tra i protagonisti del Grand Tour si va intensificando.
Quanto a Violet, i suoi problemi di cuore sembrano chiarirsi, o meglio, sembra sempre essere più chiaro alla ragazza perché  soffra a quel modo, e non sa darsi pace al pensiero di quello che potrebbe succedere nel prossimo futuro.
Che dite, avrà ragione nel ritenersi non abbastanza coraggiosa per affrontare i suoi stessi sentimenti?


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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


 
 
 
4.
 
 
 
 
Roma – 19 Agosto 1827
 
Il buon vino italiano era una gioia per le papille gustative, ma aveva anche un piccolo difetto secondario, e di non poco conto.

Ubriacarsi con quei sapori corposi e pieni era quanto mai semplice, ma recuperare una parvenza di dignità, e sanità mentale, era assai più difficile.

Ne sapevano qualcosa Andrew e i suoi amici che, dopo un’allegra serata passata a Piazza di Spagna per ammirare dei musici gitani, si erano attardati in una locanda per bere.

Il risultato era stato inevitabile, quanto prevedibile.

Troppo stanchi – e ubriachi – per tornare al loro albergo, avevano dormito direttamente in loco, scivolando su letti deplorevolmente duri come se fossero stati confezionati con le piume.

L’essere ubriachi aiutava a soprassedere su un sacco di cose.

Il giorno seguente, però, risvegliarsi e accorgersi di dove fossero finiti, era stato meno piacevole.

Aprire le imposte delle semplici stanze della locanda doveva avevano dormito, ancor peggio.

Il sole si era dimostrato dannatamente forte, quella mattina, o forse i loro occhi erano stati più sensibili del solito.

A ogni buon conto, quando erano usciti dalla locanda Da Renato, erano riusciti a raggiungere l’albergo solo molto tempo dopo.

E dopo diversi errori di percorso.

Gli addetti dell’albergo non dissero nulla, nel vederli tornare a tarda mattina, e si limitarono a chiedere loro se desiderassero pranzare o meno in camera.

Al loro assenso collettivo, un valletto si avviò silenzioso verso le cucine, mentre loro salivano stancamente verso le camere.

Una volta raggiunte, trovarono al loro interno le vasche in rame per il bagno.

“Dio ti ringrazio” sussurrò Andrew, suonando il campanello per chiamare la servitù con l’acqua.

Ricordava poco della sera precedente, tranne alcuni particolari che, anche a distanza di ore, gli fecero battere forte il cuore.

Quella gitana dalla chioma bruna e gli occhi neri lo aveva fatto infiammare, con il suo flamenco danzato in maniera magnificente.

Per un attimo, era stato tentato di chiederle i suoi programmi per la serata ma, alla fine, aveva desistito.

Come sempre, del resto.

Era mai possibile che fosse così idiota da non riuscire a togliersi dalla testa Violet?

Già. Violet.

La dolce, gentile, generosa, delicata Violet.

In qualsiasi modo rigirasse la situazione, si finiva sempre con lui nella parte del cattivo, e lei in quella della vittima inconsapevole.

Lui era suo amico, l’aveva vista nascere, in nome di Dio! Le loro famiglie erano praticamente l’una la continuazione dell’altra, molto più che semplici amici.

Il fratellastro di Violet, poi, era suo cugino di primo grado!

Ma tu la ami come donna, non come sorella, gli disse una vocetta nella testa, mandandolo in bestia.

Andrew imprecò tra i denti, mentre recuperava abiti a caso con cui cambiarsi. Keath, che era suo compagno di stanza, si accorse subito del suo malumore.

“Ehi, amico… tutto bene?” domandò subito il giovane, rivolgendo un’occhiata preoccupata ad Andrew.

Il giovane Spencer si volse a mezzo, colse la preoccupazione nello sguardo ceruleo dell’amico e, con un sospiro, asserì: “Sempre il solito problema.”

“Oh. E dire che, per un attimo, avevo pensato che tu e quella ballerina avreste combinato qualcosa, finalmente” sospirò a sua volta Keath, togliendosi calzoni e camicia.

Andrew scosse il capo, si denudò a sua volta e si infilò nella vasca, asserendo: “Per un istante ho desiderato farlo, ma poi…”

“… poi è comparsa Violet, giusto?”

Keath era l’unico a conoscenza del suo segreto. Neppure Leonard sapeva i motivi che lo tenevano lontano dalle donne, così come dai loro caldi segreti.

Forse, un giorno si sarebbe sbilanciato anche con Leonard ma, per il momento, già averlo detto a Keath era umiliazione sufficiente.

Inoltre, non voleva angustiare Leonard con simili problemi, visto che l’amico ne aveva già a sufficienza – e ben più pressanti – a casa.

Non gli piaceva fare la parte del malato d’amore, pur se lo era incontestabilmente.

Chi era che rifiutava una donna bella come la ballerina della sera precedente, e solo per rispettare una ragazza che neppure conosceva i suoi sentimenti?

Solo un folle malato d’amore, per l’appunto.

E dire che non si era neppure accorto di essersi messo da solo, e con grande efficienza, il cappio al collo.

Era successo semplicemente, come lo scorrere del tempo muta le foglie sugli alberi, e lui si era ritrovato a osservare Violet con occhi sempre meno fraterni, e sempre più passionali.

Era abituato da una vita a stare in sua compagnia.

Andrew aveva sempre accompagnato le loro rispettive madri in giro per orfanotrofi per dare una mano, e Lettie si era sempre unita a loro, desiderosa di aiutare.

Violet aveva dimostrato un’indole filantropica fin da piccola, e non aveva mai pensato all’incolumità personale, anteponendo sempre i bisogni degli altri ai propri.

Era da sempre stata convinta di doverlo fare per ripagare il mondo per ciò che aveva, e lui le si era sempre accodato per darle una mano, proteggerla, sorreggerla in caso di bisogno.

Soprattutto, Violet aveva avuto la certezza che, facendo del bene a tutti, il mondo sarebbe divenuto un luogo più bello in cui vivere.

Avesse voluto il cielo che più persone l’avessero pensata come lei, ma Andrew sapeva bene che così non era.

Le loro vicende familiari parlavano da sole.

Suo padre era stato vittima, in primis di un padre violento e fratelli senza cuore e, in seguito, della guerra, che quasi gli aveva portato via una gamba.

Suo zio Andrew, di cui portava il nome, era invece morto nella stessa guerra che aveva graziato suo padre, ma non altri uomini, morti per il loro re e per la patria.

Per la terra.

Per mero interesse politico.

Tantissime persone erano perite, davvero troppe per poter pensare che il semplice gesto singolo di Violet potesse fare la differenza.

Ma sarebbe stato ingiusto sminuire la sua determinazione e il suo impegno e, come lui, anche la famiglia l’aveva sempre lasciata fare, appoggiandola e intervenendo ogni volta che lo avevano ritenuto necessario.

Violet, così generosa d’animo, andava preservata dal male e dal mondo ostile che la circondava, per quanto possibile.

“Non credi che dovresti dirglielo, a questo punto? Rovinarti la vita perché vuoi stoicamente rimanere in silenzio, non mi pare la scelta più ovvia. O sposi una donna e cerchi di dimenticarla, o dovrai affrontare il problema, prima o poi.”

“E come? Suo padre mi staccherà la testa nel momento stesso in cui aprirò bocca, e darò un dolore immane a mio padre. Dovrei vederla come una sorella!” sbottò Andrew, passandosi una mano tra i capelli castani, gli occhi verde-oro che brillavano di rabbia e rassegnazione.

“E perché mai, di grazia? Non è tua sorella, neppure tua parente, se proprio vogliamo spaccare il capello in quattro. Ma, se anche fosse stata tua cugina, sai quanti matrimoni vi sono stati, tra consanguinei, negli anni passati? Potrei citartene a centinaia” sottolineò Keath, passandosi la spugna sul torace.

Andrew affondò nella vasca, rimanendo fuori dall’acqua solo col capo e, con tono più tranquillo, affermò: “Lo so che, in teoria, avresti ragione. Quando sono ottimista, me lo dico da solo, ma…”

“Ma tu sei un pessimista matricolato. E vedi solo il tuo ruolo di protettore, non quello di uomo o, Dio non voglia, futuro marito di Violet” sospirò Keath, già conoscendo il problema.

Andrew, nonostante tutto, emise un risolino e, annuendo, borbottò: “Ti ho detto un po’ troppe cose, se finisci le frasi per me.”

“E’ che ti voglio bene, oltra a conoscerti bene, amico mio. E dovresti parlarne anche con Leo, credimi. Ti capirebbe, e saprebbe tirarti su di morale come io, invece, non riesco” gli fece notare Keath, sorridendogli da dietro il bordo della vasca.

“Ci penserò su” mormorò Andrew, affondando de tutto nell’acqua, tentando invano di dilavare il suo senso di disagio con il semplice passaggio di quel liquido morbido e tiepido.
 
***


Mare del Nord – 10 Agosto 1827
 
La goletta volava spedita sul pelo dell’acqua, slanciandosi in avanti spinta da venti favorevoli di tribordo.

Il cielo terso, di un azzurro così intenso da rivaleggiare con gli occhi di Violet, era spezzato all’orizzonte da esili cirri, oltre che da qualche veleggiante gabbiano.

Il loro viaggio di risalita verso il nord, iniziato il giorno addietro, nel tardo pomeriggio, sarebbe terminato il dì seguente, se le condizioni del mare si fossero mantenute stabili.

Per certi versi, Violet avrebbe preferito durasse un poco di più, ma non voleva costringere nessuno a sopportare i suoi capricci.

Già visitare Aberdeen e il ridente clan Chadwick, sarebbe stata soddisfazione sufficiente.

Inoltre, le mancava Rose, e il pensiero di rivederla era di per sé stimolo sufficiente per farle gradire l’arrivo in tempi brevi.

Ergo, perché continuava a sentire il desiderio impellente di non scendere dalla goletta, prendere il mare aperto e continuare la navigazione?

Il comandante in seconda, in piedi al suo fianco, le sorrise benevolo e, nel passarle le carte nautiche che teneva in mano, mormorò: “Ebbene, miss Violet? Dove attracchereste, ora?”

Tornando al loro argomento iniziale, lei sorrise e, con competenza, studiò un istante la carta prima di asserire con sicurezza: “Senza alcun dubbio qui, capitano Williamson. Lo scafo non avrebbe alcun problema a reggere il mare, anche con queste secche nei pressi della costa. Saremmo al sicuro fino a questo punto. Oltre, non andrei davvero, neppure se fossi inseguita dai pirati.”

L’uomo, poco più che trentenne e dal sorriso contagioso, assentì orgoglioso e, nel ripiegare la carta, intrecciò le mani dietro la schiena e sospirò contrariato: “Volesse il cielo che permettessero a donne come voi di studiare nautica, mia cara. Sareste un capitano di vascello davvero temibile, in battaglia.”

Violet rise spontaneamente, sapendo quanto ci era voluto perché, negli anni, gli uomini della goletta di suo padre la accontentassero nei suoi desideri.

Aveva iniziato con domande semplici, quasi casuali e, poco per volta, si era guadagnata la loro fiducia, cambiando il loro iniziale riserbo nei confronti delle donne.

Nel corso degli anni, aveva persino convinto il capitano a farle tenere il timone della goletta, dimostrando di saperla guidare con competenza.

Naturalmente, non sotto gli occhi di suo padre. Se lo avesse saputo, probabilmente avrebbe avuto qualcosa da ridire… prima di svenire, naturalmente.

Era stato un segreto suo e dell’equipaggio, che ormai l’adorava.

Chiedere che le venisse spiegata la teoria alla base della navigazione, però, non aveva disturbato suo padre, perciò quelle lezioni aveva potuto sostenerle alla luce del sole, nel vero senso della parola.

Le mancava, però, non tenere le mani sul timone come aveva provato quella notte di un anno prima, di ritorno dall’Isola di White.

Con un sospiro, Violet si guardò attorno e sorrise lieta nel vedere Paul rincorrere Sarah e Lorainne, mentre Max controllava attento la situazione.

Amava le sue sorelle e il suo tenero fratellino di nove anni, eppure, le sembrava di essere estranea a tutti, di non percepire più un contatto diretto con nessuno di loro.

Quando lo sguardo le cadde sui genitori, impegnati in una ridente chiacchierata con i loro amici, gli Spencer, quel senso di vuoto si accentuò, unito a un vago senso di contrizione.

Volgendo in fretta gli occhi, Violet si aggrappò al parapetto, reclinò il viso a scrutare le fiancate slanciate della goletta e l’acqua che la urtava con violenza.

Per un attimo, desiderò piangere.

Sarebbe stato sciocco, ma ne sentiva l’esigenza.

Perché sapeva benissimo a cos’era dovuto quel senso di vuoto, e non poteva colmarlo con niente e nessuno.

O meglio, quel qualcuno in grado di riempirlo esisteva, ma non era sulla goletta e, se anche si fosse trovato lì, nulla sarebbe cambiato, per lei.

“Che ne dite se vi mostro le carte nautiche delle Antille, miss Violet?” le domandò a quel punto il comandante in seconda, vedendola così giù di corda.

Lei lo ringraziò con un sorriso ma scosse il capo così l’uomo, scusandosi con lei, la lasciò sola ai suoi pensieri.

L’abbraccio improvviso quanto irruento di Sarah, però, le impedì di piangersi addosso e Violet, nel sorridere alla sorellina di tredici anni, disse: “Ehi, ciao! Allora, come sta andando l’inseguimento?”

“Abbastanza bene. Paul ha preso Lorainne ma non me, che ora sono in zona franca” sorrise Sarah, illuminando il viso tutto fossette, e circondando da morbidi boccoli bruni.

“Oh… io sarei la zona franca?” esalò divertita Violet, avvolgendo le spalle della sorella con un braccio.

“Esatto. Max ha decretato che, qualora ci fossimo stancati di correre, avremmo potuto ricorrere a una zona franca in cui riposare… tu, per l’appunto” le spiegò Sarah, scrollando le spalle.

“Ho capito. E lo scopo di questa rincorsa, ha un nome, o che?”

“Oh, sì. Stavolta si chiama ‘se mi prendi, ti ho un dolce’. Ma, per ora, Paul ha agguantato Lorry solo una volta, e zero me. Avrà vita magra, stasera” ironizzò Sarah, ammiccando con i suoi caldi occhi color cioccolato.

“Uhm. Un dolcetto andrebbe anche a me. La zona franca non ottiene niente, per caso?” si interessò a quel punto Violet, ben decisa a scacciare la tristezza.

“Ci devo pensare. Non lo abbiamo stabilito” ammise Sarah, volgendosi a scrutare il loro giudice prima di urlare in modo ben poco signorile: “Max! La zona franca può ricevere un premio?!”

Diversi marinai sorrisero benevoli, mentre Anthony scoppiava a ridere, esalando: “Gesù, tesoro! Un po’ di contegno!”

Sarah si coprì la bocca per nascondere una risata che, però, coinvolse tutte le persone presenti sul ponte e Violet, nel lasciarsi andare a sua volta, abbracciò la sorella e mormorò: “Ti voglio tanto bene, Sarah!”

“Anch’io, se è per questo” replicò la sorellina, stringendola a sua volta. “Anche se stai ridendo della mia ennesima gaffe. Prima o poi diventerò come te, ma mi ci vorrà ancora un pochino.”

“Rimani te stessa, tesoro, e mi renderai la sorella più orgogliosa al mondo” asserì onestamente Violet, scuotendo il capo. “Una persona remissiva, in famiglia, è più che sufficiente.”

Sbattendo le palpebre per la sorpresa, Sarah mormorò confusa: “Remissiva? Perché ti definisci così?”

“Non lo sono, forse? Non ho il coraggio di Lizzie, o la tua esuberanza, o ancora la bravura sopraffina di Lorainne per la musica, che si esibirebbe anche dinanzi al re senza morire d’imbarazzo… cosa che capiterebbe a me, se succedesse. Sono assai ordinaria, e per nulla coraggiosa” si lagnò bonariamente Violet, sorridendole.

Sarah, allora, la fissò divertita e asserì: “Forse, perché sei molto dura con te stessa. Se tu mi hai detto di rimanere come sono, perché ti paragoni ad altre persone, lagnandoti di ciò che sei?”

Touché” ammise la sorella maggiore. “Soltanto, credo di essere ben poco interessante.”

“E perché mai dovresti crederlo? Io ti ammiro molto, e anche Lorry… o Paul. Ma lui non lo ammetterà mai, perché è un maschio” disse Sarah, scrollando una mano nell’accennare al fratello. “Inoltre, pensi che una persona ordinaria saprebbe incantare un intero vascello come fai tu?”

Violet sorrise divertita, e la sorella aggiunse con singolare maturità: “Sei buona nel senso più puro del termine, e ti prodighi per chi ne ha bisogno. In questo, somigli a Lizzie, ma il modo in cui lo fa lei è più… irruento?”

“Può essere” assentì Violet, ripensando al giorno in cui Elizabeth e Alexander erano scappati nella notte per salvare dei bambini rapiti.

Lei non avrebbe mai potuto compiere un gesto simile, pur volendolo. Non ne avrebbe mai avuto la forza, e questo la faceva sentire davvero un’inetta.

“Forse non sparerai come un uomo, o non salterai gli ostacoli come fa Max con Spartan, ma nessuno sa disegnare navi come fai tu. E poi, sei una sorella maggiore bravissima” sottolineò Sarah, tutta sorridente.

“Oh, grazie” ammiccò Violet.

“Capisci tutto quello che dice papà, quando parla di quel che succede a Londra, mentre io mi perdo alla grande” sospirò a quel punto Sarah, scuotendo il capo.

“Imparerai col tempo” la rincuorò la sorella, sfiorandole il viso con una mano.

“Ecco, vedi? L’hai rifatto.”

“Cosa?”

“Confortarmi, anche per una piccolezza come quella che ti ho appena detto. Il solo pensiero che qualcuno possa soffrire, ti spinge ad agire, dando tutto l’amore che hai da offrire” le spiegò Sarah, intrecciando le mani dietro la schiena nel guardarla con affetto. “Ci fai sentire protetti, ed è una sensazione molto bella.”

“Anche papà, mamma e Randolf lo fanno.”

“Sì, lo so… ma, conoscendo come vanno le cose nelle altre famiglie, ti stupisci che il tuo comportamento ci faccia piacere?” le domandò con ironia Sarah, ammiccando.

Violet comprese bene cosa intendeva dire. Non era insolito che, nelle famiglie numerose, i figli più piccoli venissero bistrattati dai più grandi.

Anche tra le famiglie nobili… anzi, soprattutto.

Conosceva personalmente svariati casi in cui questo avveniva, e anche il padre e lo zio di Max erano stati a loro volta vessati dai parenti, per cui, di che stupirsi del pensiero di Sarah?

“Beh, da me non dovrete mai temere nulla” le sorrise Violet. “E ora, andiamo a giocare con gli altri. Ho voglia di correre un po’ anch’io.”

Con uno strillo ben poco elegante, Sarah la afferrò alla mano e la trascinò con sé in una corsa sfrenata, facendo ridere sia Paul che Lorainne, e sorridere Max.

Lasciandosi coinvolgere da quell’irrefrenabile gioia, Violet sollevò appena l’orlo della gonna per meglio correre e, quando raggiunse il fratellino, lo afferrò alla vita e lo abbracciò stretto.

Lui si contorse per scivolare via – non amava essere abbracciato in pubblico – e Violet, ridendo, gli stampò un bacio sulla guancia prima di lasciarlo andare e scappare via.

Paul, tra le risa e l’imbarazzo, si mise a rincorrerla e, finalmente, Violet riuscì a liberarsi per qualche istante dei suoi crucci.

Era così fortunata ad avere una famiglia così unita ma, a volte, era così difficile convivere con essa!
 
***

Tracciando l’ultima riga sul suo schizzo, che ritraeva i Fori Imperiali in tutto il loro splendore, Andrew si disse soddisfatto e, nel riporre il foglio nella carpetta, sorrise a Eli e disse: “Io ho terminato. Tu come sei messo?”

“Se Patrick fosse un po’ più serio, nel suo ruolo di centurione, sarebbe più semplice finire questo schizzo preliminare” ironizzò Eli, lanciando un’occhiata ai loro quattro amici, in posa poco innanzi a loro.

Pur se abbigliati elegantemente, come si conveniva alla loro levatura sociale, Eli li stava schizzando con toghe o divise militari dell’epoca romana.

Con grande sorpresa da parte di Andrew, che apprezzava molto le arti, aveva scoperto in Eli un eccellente ritrattista, oltre che un buon paesaggista.

Nel corso delle settimane, insieme avevano schizzato un sacco di paesaggi, prendendo poi appunti sulle tonalità di colore e sulla luce.

Certo, non sarebbe stato come dipingere dal vero ma, se avessero dovuto impegnarsi in tal senso, non sarebbero mai riusciti a partecipare a tutti gli eventi che avevano poi visto.

Quello, era un buon compromesso per avere un ricordo dei loro viaggi, oltre che per non perdere la mano su ciò che amavano fare.

Quando si ritenne soddisfatto, Eli mise giù il carboncino, ritirò il foglio e cominciò a smontare il cavalletto.

A quel punto, Patrick e gli altri si sgranchirono le braccia e Keath, ammiccando, si passò una mano sullo stomaco e disse: “Ora, però, desidero una ricompensa.”

“Solo Dio sa come tu possa mangiare tanto, e mantenere una linea invidiabile” ironizzò Leonard, dandogli una pacca sulla spalla.

Solomon e Patrick risero divertiti e Andrew, nel raggiungerli assieme a Eli, disse: “Sono sicuro che molto di quel che mangia finisce in energia spesa assieme a gentili donzelle. O sbaglio?”

“Non posso rispondere negativamente, visto che affermi il vero” sorrise divertito Keath, passandosi svogliatamente le unghie sul bavero della giacca.

I ragazzi risero nell’uscire dai Fori Imperiali e, con calma, si avviarono alla ricerca di un locale dove poter rifocillare l’affamato Keath.

La settimana seguente sarebbero scesi al Sud, in Puglia e, da lì, avrebbero preso un clipper che li avrebbe condotti fino ad Atene, dove si sarebbe chiuso il loro viaggio.

Lì, avrebbero soggiornato per un mese, visitando salotti, scoprendo le meraviglie artistiche della città e facendo conoscenza con le personalità del posto.

E forse, in tutto quel divagare, Andrew si sarebbe finalmente messo il cuore in pace.

Non vi credeva molto, ma tutto era possibile, a questo mondo.

Inoltre, era ingiusto sospirare per amore, quando era in compagnia dei suoi amici.

Avrebbe rischiato di farsi notare, e rovinare così quei bellissimi momenti vissuti assieme.

Dopo quel Grand Tour, sarebbe stato difficile mantenere i contatti con tutti loro, visto che le loro dimore erano sparse per tutta la Gran Bretagna, e gli impegni si facevano sempre più pressanti.

Doveva sfruttare al meglio quel tempo, e lasciare per un secondo momento i suoi tristi pensieri e le sue beghe amorose.

Alla fine del Grand Tour, Keath sarebbe tornato al nord, a Carlisle, mentre Leonard avrebbe iniziato a darsi da fare per imparare a gestire il suo ruolo di primogenito, oltre che di futuro duca Walsingham.

Birmingham lo attendeva a braccia aperte, quindi, così come Edimburgo attendeva il ritorno di Eli, Patrick e Solomon.

Le occasioni per vedersi si sarebbero ridotte ai meri impegni politici da tenersi a Londra, o a rare feste organizzate a casa dell’uno piuttosto che dell’altro.

Una nuova via si apriva per ognuno di loro, in un angolo diverso del regno, perciò  avrebbero dovuto fare del loro meglio per essere degni del nome che portavano.

Questo, dopotutto, non lo spaventava come, invece, lo terrorizzava pensare a un eventuale fidanzamento di Violet.

Mamma e papà non ne avevano fatto alcun accenno, nella loro lettera, ma tutto poteva essere successo, visto che era passato più di un mese dalle ultime notizie ricevute.

Come avrebbe reagito a un suo eventuale fidanzamento?

Davvero non lo sapeva ma, quando incrociò lo sguardo con Keath, si costrinse a sorridere e, non appena entrarono in una locanda ricca di vita e musica, lasciò da parte tutto, per stare liberamente con gli amici.

Lontano da casa, non poteva fare nulla. Tanto valeva godersi ogni attimo senza brutti pensieri a corollario.







Note: i nostri due eroi continuano, l'uno lontano dall'altra, a pensare al loro problema apparentemente irrisolvibile, non sapendo quanto si siano rispettivamente ingannando sui rispettivi sentimenti.
Che dite, se ne accorgeranno prima che uno dei due commetta un errore irrimediabile? Lo scopriremo, pur se non ora.


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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


 
5.
 
 
 
 
Lizzie era stata gentile a organizzare una festa per il loro arrivo ad Aberdeen e, a tutti gli effetti, a Violet piaceva l’idea di danzare senza badare troppo all’etichetta.

Lì in campagna, dove tutto era vissuto con maggiore libertà, le convenzioni di Londra sembravano lontane mille miglia.

La villa di Alexander era stata aperta a tutta la nobiltà del luogo, così che gli ospiti potessero godere di maggiore compagnia possibile.

Libagioni di gran pregio erano state preparate per il desinare, e i migliori musici erano stati assoldati per quella serata danzante.

In tutto quel marasma di persone, Violet si ritrovò a danzare più e più volte, senza quasi mai concedersi un attimo di pausa.

I colori, le voci, la musica, i profumi, tutto contribuì a distrarla, a farla ridere, a portarla a divertirsi come da tempo ormai non era più in grado di fare.

Quando, infine, si scusò con il suo ultimo ballerino per concedersi un attimo di requie, le venne spontaneo sedersi su un divanetto e sospirare soddisfatta.

Le facevano male i piedi ed era accaldata, ma poteva giurare di non essersi mai divertita tanto, negli ultimi anni.

“Una limonata per dissetarsi dopo tanto danzare?” le propose Lucius Bradbury, uno dei cugini che Alexander le aveva presentato quella sera.

Se non ricordava male, era il secondo cugino di Maxwell Chadwick.

“Grazie infinite, Lucius. Ne ho davvero bisogno” sorrise Violet, accettando il bicchiere.

Come aveva scoperto in breve tempo, nella famiglia Chadwick le formalità erano qualcosa di sconosciuto. Tutti erano spigliati, diretti e per nulla preoccupati di apparire irrispettosi.

A Violet piaceva quel modo di fare, così lontano dai toni raffinati e altezzosi del Ton.

Ugualmente, voleva essere sicura di non mettere in imbarazzo la sua famiglia, così lanciò uno sguardo curioso in direzione di Kathleen.

Nel vederla annuire senza problemi, Violet si sentì quindi in diritto di offrire a Lucius il posto libero sul divanetto.

“Controllata a vista anche qui al nord, Violet?” le domandò ironico Lucius, allentandosi un po’ il plastron per il gran caldo.

“Molto meno che a Londra. Ma non desidero dare scandalo, od offendere la mia cara amica che ci ospita” sorrise tranquilla la ragazza, sorseggiando la bevanda fresca.

Lucius rise brevemente, annuendo con fare spavaldo.

“E’ per questo che evito caldamente Londra e i suoi salotti. Non mi piace tenere a freno a lingua, e tutto quel fingere di essere una persona che non sono, non fa per me.”

“Londra può essere assai soffocante, in effetti, ma ha anche dei pregi. I teatri che può vantare sono ineguagliabili, così come i suoi musei, dove si possono trovare reperti di ogni epoca e ogni luogo” disse per contro Violet, bloccandosi quando vide Lucius sorridere divertito. “Non vi piace l’arte, devo dedurre?”

“Diciamo che non sono un esperto in materia. Non saprei distinguere un geroglifico da un cuneiforme” replicò il giovane, facendola sorridere.

“Sapete cosa sono, però.”

“Non chiedetemi altro, Violet, perché potrei farvi fuggire terrorizzata… o disgustata dalla mia ignoranza” ironizzò Lucius, facendo una smorfia mefistofelica.

Violet si coprì la bocca con una mano per contenere una risata argentina e, ammiccando, esalò: “Orsù, non potete essere così ignorante come vi dipingete!”

“Se mi parlate di arte, ammetto senza remore di saperne poco ma, se volete conoscere cosa apprezzo, ve lo dirò. Promettete, però, di non ridere?” le propose lui, tornando mortalmente serio.

Violet assentì, intrecciando le mani in grembo e volgendosi un poco verso di lui per meglio guardarlo in viso.

A quel punto, Lucius ammise: “Se mio padre me lo consentirà, partirò per le Americhe, per stabilirmi laggiù e aprire un cantiere navale.”

Sgranando gli occhi per la sorpresa, Violet esalò: “Oh…e come mai proprio le Americhe? Già di per sé, far nascere e crescere un cantiere navale è un’impresa assai ardua, da mettere in pratica, visti gli altissimi costi di gestione.”

“Sono affascinato da quelle terre, e dalle mille opportunità che esse offrono. Inoltre, la mia famiglia possiede già diversi cantieri, in giro per il regno, e sarebbe interessante allargare il giro, per così dire. Ma, per farlo, ho bisogno di sovvenzioni, non essendo io che un semplice cadetto, perciò devo rimettermi alla parola di mio padre.”

Il tono accorato di Lucius la colpì, così come la luce impressa in quegli occhi adamantini.

Sorridendo con calore, Violet mormorò: “Sono più che sicura che vostro padre accetterà di darvi una mano, poiché nei vostri occhi si legge con quanta passione intendete affrontare questo impegno.”

Sorridendole grato, Lucius asserì: “Volesse il cielo che bastasse solo la mia passione! Mio padre, però, vorrebbe vedere anche altro, da parte mia. Cioè, un maggiore interesse dal punto di vista economico e, mio malgrado, ammetto di non essere molto bravo nel far di conto.”

“Lo dite solo perché non vi siete mai impegnato in qualcosa che apprezzavate davvero. La matematica può essere molto noiosa, se finalizzata a se stessa. Ma se, per esempio, volessi commissionarvi la costruzione di un clipper a tre alberi, quanto costerebbe?” gli ritorse gentilmente contro Violet.

Ridendo divertito, Lucius si lanciò in un’accurata descrizione della nave, di come si costruisse, di quali legnami servissero, e di quanto costasse l’intero progetto.

Fu a quel punto che, notando il sorrisino della ragazza, lui si bloccò, rise leggermente ed esalò: “Stavo parlando come un imprenditore serio, o sbagliano le mie orecchie?”

“No. Eravate molto serio, credetemi.”

Lucius accentuò il suo sorriso, afferrò entrambe le mani di Violet e, sollevatele dinanzi a sé, le baciò rapidamente prima di esclamare: “Grazie infinite, mia cara. Siete un tesoro!”

Ciò detto, balzò in piedi e corse via, lasciando un’attonita Violet seduta sul divanetto e Kathleen già sul piede di guerra.

Raggiunta in fretta la sua pupilla, la donna esalò: “Ma che gli è preso?! Non sa che non avrebbe neppure dovuto sfiorarti?!”

Sobbalzando nel rendersi conto della presenza di Kathleen, Violet arrossì leggermente ed esalò: “Ah… oh… credo che, in quel momento, Lucius stesse pensando a tutt’altro.”

Sospirando esasperata, Kathleen borbottò: “D’accordo che non siamo a Londra ma insomma, un po’ di contegno, per Diana!”

Violet rise leggermente nel sentirla imprecare a quel modo e, invitatala a sedersi accanto a lei, la ragazza disse: “Stava spiegandomi il suo grande sogno e, forse, devo aver detto qualcosa che gli ha fatto piacere. Penso che un tipo come Lucius Bradbury non sia persona dalle mezze misure e che, quindi, il suo gesto non sia da interpretare come una mancanza di rispetto.”

“No, direi proprio di no. Il fatto stesso di avere sangue dei Chadwick nelle vene, lo rende un personaggio assai bislacco” ironizzò suo malgrado Kathleen, rabbonendosi. “Non ti ha turbata, comunque?”

“No, davvero, Kathleen. Sto bene. Mi ha sorpresa, ma nulla di più” la tranquillizzò Violet, sorridendole.

“Molto bene. Questo deve essere un soggiorno tranquillo, e niente deve turbarti” sottolineò Kathleen, lapidaria.

“E perché mai, scusa?”

Sorridendole gentilmente, la donna ammise: “Perché abbiamo notato che hai l’aria un po’ triste, ultimamente, e vorremmo che ti divertissi. Credo che Londra non ti sia piaciuta molto, vero?”

“Non tutto, ma alcune cose mi interessavano davvero” asserì Violet, chiedendosi quanto la donna, o i suoi familiari, avessero realmente capito del suo malessere.

“Forse, potremmo dire a tuo padre di cercare qualcuno per te, ma che non faccia parte del bel mondo di Londra. Ho idea che quei damerini non ti piacciano troppo” le propose con gentilezza Kathleen, ammiccando.

Violet si limitò a sorridere, sapendo bene cosa, l’amica di famiglia, non le stesse dicendo.

Avrebbe compiuto a breve diciotto anni e, per la figlia di un duca quale era lei, la sua condizione di nubile sarebbe presto divenuta uno scandalo.

Il suo nome sarebbe stato chiacchierato con ben poca simpatia nei salotti bene della nobiltà inglese, e sarebbero state sollevate illazioni di qualsiasi genere.

Tutto ciò la irritava più di quanto non volesse – o riuscisse – ad ammettere, e sapeva bene di stare dando un pensiero non da poco ai suoi genitori.

Ma come mettere a voce la verità, senza rischiare un disagio ancora maggiore?

“Forse…” iniziò col dire Violet, sentendosi male al solo pensiero di proferire simili parole. “… forse potrei chiedere a Lizzie. Lei conosce molto meglio di noi la nobiltà scozzese. Chissà che, puntando al nord, non si riesca a trovare un giovane per me? Forse, addirittura, uno dei nuovi amici di Andrew. Se piacciono a lui, non potranno che essere dei gentiluomini.”

E io potrò avere requie ancora per qualche mese, pensò poi tra sé Violet.

Kathleen assentì lieta e, sfiorando una spalla della giovane con espressione soddisfatta, dichiarò: “Hai avuto una splendida idea. Chi può essere miglior giudice, se non una persona che tiene tanto a te? Attenderemo il suo ritorno, e poi ne faremo menzione anche con lui.”

“Molto bene, Kathleen” annuì composta Violet.

Sospirando, la donna aggiunse: “Mi spiace metterti pressione, ma purtroppo non viviamo in un mondo in cui possiamo dire la nostra. Se tu volessi, potresti anche rimanere sola. L’appannaggio che ti spetta ti renderebbe possibile una vita del genere, ma non credo che tu lo voglia.”

“No. L’idea di rimanere da sola mi atterrisce” ammise Violet, rabbrividendo al solo pensiero.

Il punto era un altro. Desiderava un uomo che non era interessato a lei in quel modo.

Ma, soprattutto, il loro eventuale coinvolgimento emotivo avrebbe creato una spaccatura in seno alla famiglia.

“Risolveremo tutto, tesoro. Te lo prometto” le sorrise Kathleen, sollevandosi in piedi per dirigersi verso i coniugi Phillips.

Con un leggero sospiro, Violet si levò a sua volta, si diresse verso i giardini e, dopo aver superato le porte-finestre, iniziò a passeggiare nella calda notte d’agosto.

Lì all’esterno, tutto era estremamente tranquillo, niente sembrava turbare la pace della notte e, per un istante, Violet desiderò quella pace per se stessa.

L’attimo seguente, però, si diede della sciocca.

Chi poteva desiderare una vita piatta e uniforme come può essere la notte con i suoi imperituri silenzi?

No, forse lei non agognava alle avventure di Lizzie o di Sarah, ma non voleva neppure un’esistenza piatta e monocromatica.

Sfiorando il petalo setoso di una rosa, sospirò impercettibilmente, ripensando a quando, l’anno precedente, l’oggetto del suo desiderio le aveva regalato una rosa simile a quella.

Certo, lui l’aveva fatto per semplice gentilezza, sapendo quanto lei apprezzasse quei fiori, ma ancora ne conservava i petali all’interno delle pagine del suo libro preferito.

“Davvero deprimente” mormorò tra sé Violet, denigrando se stessa per la sua viltà.

Avrebbe tanto desiderato un po’ di coraggio in più, specialmente in quel momento.

Lo scalpiccio delle scarpe di qualcuno la portarono a volgersi immediatamente ma, nello scorgere solo Lizzie, sospirò di sollievo e asserì: “Scappi dalla tua stessa festa?”

“A che pro rimanere, se l’ospite d’onore si trova qui, immersa nei profumi della notte?” le sorrise Elizabeth, raggiungendola.

Ora, la gravidanza si era fatta più evidente, sul suo corpo esile e Violet, nell’avvolgerle la vita con un braccio, le domandò: “Il bambino ti dà noia?”

“Oserei dire che sono due… oppure, questo birbante ha tre piedi” rise sommessamente la giovane donna, facendo sorridere l’amica.

“Non sarebbe una cosa poi tanto strana. Tu sei una gemella e, nella famiglia di Alexander, ci sono stati casi anche recenti di parti gemellari” annuì pensierosa Violet.

“Non dirlo ad Alex, o darà di matto. E’ già preoccupato così, figurarsi se le sue peggiori paure venissero messe a voce. Ha già spergiurato che non mi toccherà mai più, per evitare che io soffra in qualche modo” ridacchiò Lizzie, facendo arrossire un poco l’amica.

“E’ premuroso” sottolineò Violet.

“E del tutto irrealistico. Sappiamo bene entrambi che siamo una coppia affiatata anche a letto, e non potrà mai avvenire che io lo lasci stare troppo tempo lontano da me” ironizzò Elizabeth. “Ma sono scortese, e parlo di cose che non dovrei neppure accennare con una damigella nubile.”

“Non ti scusare, Lizzie. Mi fa piacere sapere che il tuo matrimonio funziona così bene. E’ la realizzazione dei miei sogni” scosse il capo Violet, sorridendole.

“E perché sogni me, invece di sognare te, al mio posto? Non con Alexander, è ovvio, ma con il lui dei tuoi sogni” sorrise Elizabeth, dandole una carezza al fianco mentre proseguivano nella loro passeggiata per i giardini.

Il sospiro che scaturì dalle labbra di Violet sorse spontaneo quanto impossibile da frenare e, nell’avvedersene, Lizzie mormorò: “Cosa ti turba, tesoro?”

“Niente che possa dirti senza scatenare in te un dolore, e così anche nella mia famiglia” ammise lei, lanciandole uno sguardo dolente.

Vagamente sorpresa, Lizzie si fermò per afferrare Violet alle spalle e, fissandola in quegli occhi ai limiti del pianto, mormorò: “Tesoro, tu puoi dirmi tutto.”

“Ma non questo!” esalò la ragazza, reclinando colpevole il capo.

“Non ti obbligherò a parlare, se non vuoi, ma ricorda questo, Lettie. Io sono tua amica e ti ascolterò sempre, qualsiasi cosa tu voglia dirmi. Ovvio, se tu volessi ammettere di essere perdutamente innamorata di Alexander, dovrei toglierti l’amicizia, ma ti capirei. Alex farebbe innamorare chiunque” replicò Lizzie, facendola scoppiare a ridere.

Abbracciandola con calore, Violet asserì: “Quando me la sentirò, te ne parlerò, ma ti chiederò anche il riserbo più assoluto. Troppe vite rischiano di soffrire, a causa del mio cuore egoista.”

“Sei sempre stata un po’ melodrammatica, ma accetterò le tue condizioni, a patto che tu sia assolutamente sincera con me” dichiarò solenne Elizabeth, poggiandosi una mano sul cuore.

“Va bene. Accetto” assentì Violet.

“Molto bene, cara. E ora, torniamo dentro. Lucius ti stava cercando per proposti di ascoltare qualche cosa riguardante bompressi e vele da giardinetto, credo. Non me ne intendo molto, ma pare che fosse entusiasta al solo pensiero” le confidò Elizabeth, prendendola sottobraccio per ricondurla nella villa.

Violet sorrise spontaneamente e, annuendo, disse: “Mi ha confidato i suoi programmi per il futuro, e penso voglia sapere cosa ne penso della progettazione dei suoi clipper.”

“D’accordo, tu ne sai più di me. Io distinguo a malapena un clipper da una goletta” rise Lizzie. “Mi piace di più viaggiarci sopra, che pensare a come sono fatti. Ma so che tu ami molto l’architettura navale, vero? Gli ultimi schizzi che avevo visto, erano splendidi.”

“Oh, sì, amo molto tutto ciò che riguarda la nautica. Se solo fosse possibile, per una donna, progettare navi, sarebbe bellissimo disegnarne qualcuna per farla costruire” assentì con entusiasmo Violet.

“Beh, puoi chiedere a Lucius se è interessato ai tuoi progetti. Magari, ti dirà di sì” ammiccò Elizabeth, facendo ridere l’amica.

“Non illudermi, Lizzie! E’ davvero crudele” esalò la ragazza, trattenendosi a stento dal ridere. Quella sì che era un’idea folle!

Con fare divertito, Lizzie le batté una mano sul braccio, replicando: “Hai poca fiducia in te stessa, cara. Io glielo direi. Alla peggio, firmerebbe lui i disegni, ma sapresti che la tua opera è apprezzata.”

Violet la guardò con sincero interesse, e Lizzie sostenne il suo sguardo con estrema serietà.

“Lo pensi davvero, giusto?”

“Ricordati, Lettie; esisteranno sempre uomini gretti e dalla mentalità ristretta, ma anche altrettanti che, non solo riconosceranno in te dei pregi, ma sapranno appianarti la strada perché tu possa esprimere queste tue qualità” le rammentò Elizabeth, con tono posato e molto serio.

“Grazie, Lizzie. Davvero” assentì Violet, sorridendole grata.

Elizabeth si limitò a una scrollatina di spalle e, quando infine trovarono Lucius, lei lasciò l’amica al cugino, sperando di non aver commesso un errore irreparabile.

Subito affiancata dal marito, Lizzie sospirò e disse sommessamente: “Spero soltanto di non aver danneggiato mio fratello, a questo modo. Ma Violet non può precludersi la possibilità di scegliere, e di essere felice, a causa della ritrosia di Andrew.”

“Pensi che il loro sia affetto corrisposto?” le domandò Alexander, prendendola sottobraccio.

“Come saperlo? Lettie si rifiuta di parlarmi del suo cuore dolente, ma è chiaro che qualcuno la turba. Stando alle parole di mia madre, a Londra non ha incontrato nessuno che le abbia fatto battere il cuore, e lei mi ha appena detto che, ciò che risiede nel suo cuore egoista – il che è già assurdo da pensare – potrebbe far soffrire le nostre famiglie. Due più due fa ancora quattro, no?”

Alexander le sorrise divertito, e assentì.

“Pensi che, se i genitori di ambo le parti sapessero la verità, scoppierebbe un putiferio?”

“Di per sé, conosco un sacco di persone che si sono sposate con i relativi cugini, e qui non esiste neppure questo cruccio. Ma che dire… siamo cresciuti assieme come se fossimo tutti fratelli e sorelle, e forse questo potrebbe creare dei disagi di fondo. Come capire se il loro è reale amore, o se è solo l’abitudine a vedersi? Sarebbe un dramma, se scoprissero di non amarsi davvero” sospirò Lizzie, scuotendo il capo.

“In effetti, a parte voi della famiglia, Violet non ha mai avuto altri contatti e, a quanto pare, i gentiluomini di Londra non l’hanno colpita. Questo pericolo esiste” sospirò Alexander, scostando se stesso e la moglie quando una dama passò di corsa per sfuggire alle attenzioni del proprio chaperon.

Ghignando divertita, Lizzie ne seguì la fuga e mormorò: “Prima di domattina, Claire si caccerà nei guai. Sua zia Margareth le tirerà le orecchie per ore, se la pescherà a sbaciucchiarsi con qualcuno.”

“Se Claire sarà così sciocca da farlo, ci sarà ben poco di cui arrabbiarsi. Purtroppo, contro la stupidità esistono poche difese” sospirò Alexander.

“E’ un po’ superficiale, te lo concedo, ma non è sciocca” protestò debolmente Lizzie.

“Si è appartata con il figlio di lord Brady il giorno di Calendimaggio e, solo per pura fortuna, non ne è nato uno scandalo” la mise al corrente lui, facendole sgranare gli occhi.

“E tu come lo sai?!” esalò lei, sgomenta.

“Perché sono stato io a beccarli, e ho taciuto con entrambi i genitori degli scapestrati ragazzi. Ho preteso da loro maggior discernimento, ma non so per quanto tempo Claire si ricorderà della lezione” precisò Alexander, afferrando due bicchieri di limonata da un vassoio.

“Che sciocchina” brontolò Elizabeth.

“Eh, già. Chi ha troppa verve, e chi dovrebbe accumularla” sentenziò il giovane, sorridendo alla moglie.

“Se intendi Violet, cadranno le stelle prima che lei faccia qualcosa del genere.”

“Non pretendo tanto, ma deve convincersi che può farcela anche da sola, senza attendere l’arrivo della cavalleria. Andrew è sempre stato troppo protettivo nei suoi confronti, così come voi della famiglia – se mi è concesso dirlo senza che tu mi morda – e lei si è abituata a questo dato di fatto.”

“Già, forse hai ragione. Ora che deve decidere da sola, si sente spaesata. Vorrei darle una mano, però…” sospirò Lizzie, scuotendo il capo.

“Sei tra due fuochi, lo so, mia cara Silfide. Sei combattuta tra il desiderio di stare dalla parte di tuo fratello, e da quella della tua amica.”

“A volte, fare la Silfide è faticoso” brontolò Elizabeth, prima di toccarsi la pancia e aggiungere: “Specialmente quando ti usano da palla.”

“Sta scalciando?” domandò subito lui, sorridendo.

La sua mano gentile coprì il ventre della moglie e, quando il suo sorriso si allargò, Lizzie seppe che aveva sentito quel calcetto leggero.

“E’ forte” mormorò lui, con tono affettuoso.

“O pestifero. Vedremo” ironizzò lei.

“Sei sicura di voler organizzare le feste di Natale qui, col bambino in arrivo?” le domandò a quel punto lui, ansioso.

“Non ci rinuncerò per nulla al mondo e, visto che non potrò viaggiare, tanto vale farla qui” sottolineò lei, pratica.

“Tutto quello che vuoi, basta che tu non ti stanchi troppo” assentì Alexander.

“Vedrò come sfruttare al meglio questa tua affermazione” dichiarò lei, ammiccando maliziosa.

“Sono sempre al tuo servizio” replicò lui, prima di fare un cenno di risposta al padre. “Te la senti di rimanere senza di me per un po’?”

“Corri da tuo padre, prima che venga qui a caricarti su una spalla” rise sommessamente Lizzie. “Io andrò a fare un po’ di chiacchiere con mia madre, tua madre e Myriam.”

“A dopo” sussurrò lui, dandole un bacio veloce alla mano prima di scappare via.
 
***

La pelle era tenera sotto le sue labbra e, mentre percorreva quel corpo deplorevolmente seducente, il suo cuore batteva così forte da rischiare di scivolargli dal petto.

A ogni bacio, il suo sussurro lo incendiava sempre di più, spingendolo più vicino all’abisso, al punto di non ritorno.

Quando infine lei gorgogliò il suo nome, lui affondò nel suo corpo tenero e…

… e fu a quel punto che si risvegliò, dolente nel corpo e nella mente, con il viso ricoperto da un lieve strato di sudore.

Il suo fiato corto era indice di quanto quel sogno lo avesse turbato e, nel ritrovarsi nella cuccetta del clipper che avevano preso da Bari, Andrew mormorò sgomento: “Sta davvero peggiorando…”

Non aveva mai sognato Violet in quella particolare situazione, e il fatto che gli fosse capitato quando era più distante da lei, non aiutava a renderlo più tranquillo.

Passandosi una mano sul viso madido, si sollevò dalla cuccetta in tutta fretta, ben deciso a non svegliare i ragazzi e, dopo essersi vestito, uscì sul ponte.

Lì, l’alba era a malapena visibile a est, un tratto rosso cupo nella notte ancora dilagante.

Pochi marinai stavano muovendosi per il ponte, chi controllando il sartiame, chi tenendo d’occhio l’orizzonte con sguardo competente e addestrato.

Il timoniere seguiva la rotta con attenzione, mantenendo un’andatura costante grazie al vento di bolina, mentre il capitano se ne stava ritto a poppa, nei pressi del coronamento.

Non sapendo che altro fare, il sonno ormai del tutto perso, Andrew si diresse verso Alfiero Torregiani, comandante della Splendida, e lo salutò garbatamente.

Il suo italiano non era ottimale, ma riusciva a farsi capire abbastanza bene.

L’uomo, che torreggiava grazie alle sue ampie spalle e la stazza non indifferente, lo salutò con un cenno, le mani strette dietro la schiena e lo sguardo rivolto all’orizzonte.

“Nottata travagliata, milord?” gli domandò Torregiani, sorridendo appena.

“Alquanto. Fatico a dormire” ammise Andrew.

“Di solito, se un uomo non dorme, i casi sono due: o ha mangiato troppo…” ironizzò l’uomo, facendo sogghignare Andrew. “… o ha una pena d’amore da scontare. E, visto che so cosa si mangia a bordo, escludo la prima.”

“Ipotesi corretta. Ma, non avendo risposte al mio dilemma, temo dormirò male ancora per molto.”

“L’uomo che si lascia divorare dai dubbi, vivrà sempre male. Ricordatevelo, milord” motteggiò il comandante, scrollando leggermente le spalle.

“Siete sposato, comandante?”

“Con il mare e la mia nave” sorrise furbo Torregiani, facendolo ridere.

“Ottima scelta” assentì Andrew, ringraziandolo per la chiacchierata prima di allontanarsi per una passeggiata lungo il bordo di dritta.

La prima falce di sole sgorgò dall’orizzonte in quell’istante, infrangendosi contro il suo viso e Andrew, nel sollevare il braccio a proteggersi gli occhi, pensò a quanto sarebbe stato bello dividere tutto questo con Violet.

Sapeva quanto le piacessero le navi e quanto amasse dipingere di esse, o anche progettarle.

Invero, aveva visto certi suoi progetti, e ne era rimasto affascinato quanto colpito.

Aveva una mente analitica, che tralasciava i fronzoli per lasciarli ai disegni paesaggistici, e puntava direttamente alla migliore linea possibile.

Alcuni suoi progetti sarebbero potuti divenire splendide imbarcazioni, se mai un giorno qualcuno avesse avuto il coraggio di renderli reali.

Ma, essendo donna, tutto ciò non sarebbe mai avvenuto, e questo lo faceva irritare.

Era così ingiusto che a Violet, come a qualsiasi altra donna dotata di genio personale, non fosse permesso svilupparlo e renderlo noto a tutti.

Avrebbe voluto offrirle il mondo, ma non poteva e, prima o poi, avrebbe anche dovuto accettare che qualcuno la proteggesse, e amasse, al posto suo.

Poggiando le mani sul parabordo di dritta, all’altezza del mascone, Andrew si piegò in avanti, scrutò le acque scure e ribollenti sotto di lui e, con un mezzo sorriso, borbottò: “E’ proprio vero. L’uomo divorato dal dubbio, non potrà vivere serenamente.”

Una mano sulla spalla lo portò a scostarsi dal parapetto e, a sorpresa, Andrew trovò Leonard al suo fianco, preoccupato e comprensivo al tempo stesso.

Andrew gli sorrise e, senza attendere oltre, gli parlò di Violet, di come avesse scoperto di amarla, e di come quel suo sentimento lo stesse lentamente facendo collassare.

Leonard ascoltò ogni parola in silenzio, annuendo ogni tanto finché, a monologo ultimato, disse: “Capisco le tue ritrosie. Ti fanno onore, ma hai tutto il diritto di amarla, amico mio. Devi però capire se quel che provi è amore vero, o se la tua è  semplice abitudine a passare la tua vita con lei.”

“Cosa intendi dire?” asserì Andrew, vagamente sorpreso.

“Non voglio dire che Violet non meriti il tuo amore. E’ adorabile e dolce come un pandispagna, ma pensaci bene, amico. Tu sei sempre stato con lei, l’hai vista crescere, ti sei preso cura di lei… è normale affezionarsi. Anche molto profondamente. Ma l’amore è una cosa diversa” sottolineò Leonard.

Andrew desiderò negare con veemenza ma si trattenne. Comprendeva perfettamente il ragionamento di Leonard, e dissentire era più difficile di quanto non pensasse.

Era tutto vero, in effetti.

Lui e Violet avevano sempre avuto un rapporto speciale, fin da quando erano piccoli e, stando quasi sempre in sua compagnia, aveva imparato ad apprezzare tutto, di lei.

Quanto, però, di quell’apprezzamento, era dovuto al semplice affetto, e quanto all’amore?

Non era possibile stabilire una linea di demarcazione, in effetti.

“Pensaci su. Non devi darmi una risposta, perché è una cosa che riguarda te stesso. Ma io ci ragionerei sopra” gli sorrise Leonard, aggiungendo subito dopo. “Ehi, guarda. Il Pireo.”

Volgendosi, Andrew sorrise spontaneamente alla vista del famoso porto greco.

Bianca e splendente sotto la luce nascente del sole, la cittadina sorta intorno al porto militarizzato, si inerpicava verso la collina e la più grande Atene, su cui svettava l’enorme Partenone.

Pur se appena visibile in lontananza, quella struttura a colonnati dominava sull’antica città, culla della cultura classica e loro ultima destinazione per quel viaggio iniziatico.

“Chissà che gli antichi pensatori non ti aiutino a trovare una risposta alle tue domande” ironizzò Leonard.

“Tutto è possibile, amico mio” sorrise suo malgrado Andrew.

Avrebbe cercato delle risposte e, se possibile, le avrebbe fatte sue.









Note: Facciamo finalmente la conoscenza con Lucius, un nuovo amico di Violet che, per quanto riguarda il percorso personale della ragazza, avrà un grande rilievo.
Per quel che riguarda Andrew, invece, finalmente riesce ad aprirsi anche a Leonard, e quest'ultimo gli fa notare una cosa più che sensata, e che costringerà il nostro eroe a pensare bene a ciò che prova. E' sicuro di amare Violet, o è solo l'abitudine ad averla intorno, che lo guida?
Pensieri a cui dovrà prestare molta attenzione, il nostro Andrew.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


 
6.
 
 
Atene – 27 agosto 1827
 
 
Era stupefacente camminare tra le rovine dell’Acropoli, mentre la città si estendeva sotto di loro nella nebbiolina del mattino.

Quella sgambata antelucana era costata a tutti una levataccia, ma quale spettacolo poteva offrire ai loro occhi, tanto sforzo?

L’alba scorta da quel punto privilegiato della città era qualcosa di impagabile, qualcosa che in Inghilterra non avrebbero mai potuto provare.

Poco importava se si erano sfiancati nell’arrampicarsi lungo i sentieri ghiaiosi, rischiando di perdere Keath per il troppo sonno.

Avevano dovuto assicurarsi ogni minuto che il loro amico non si fermasse lungo la via, approfittando della frescura mattutina, per schiacciare un pisolino su un masso sporgente.

Alla fine, però, erano riusciti a raggiungere la vetta e, quando il sole era scivolato sulle bianche colonne marmoree, ogni fatica era svanita, soppiantata dalla meraviglia.

“D’accordo, lo ammetto, ne è valsa la pena” dichiarò a un certo punto Keath, dando fondo al suo sandwich, confezionato nelle cucine del loro albergo proprio in previsione di quella scampagnata.

“Meno male che lo ammetti” gli replicò Leonard, strimpellando alcune note con il suo violino. Non era insolito che suonasse per loro, quando l’occasione era propizia.

“Il nostro Keath non è un camminatore?” domandò Patrick, arrampicandosi agilmente su alcune colonne cadute per meglio ammirare la città e il panorama.

“Solo dopo le undici del mattino. Prima, per me, il mondo non esiste” sottolineò Keath, spazzolandosi i pantaloni prima di issarsi in piedi e raggiungere Patrick. “Bello… non c’è niente da dire. Londra non apparirebbe così carina, se si potesse vedere dall’alto.”

“Troppo fumo da carbone” assentì Patrick. “Ci sono andato solo una volta, ma mi è bastata. Preferisco le campagne scozzesi.”

Ghignando, Keath lanciò un’occhiata ad Andrew e ciangottò: “Lui ti direbbe che niente può battere le colline di York.”

Punto sul vivo, il giovane Spencer mugugnò: “Piantala, Keath. Non è colpa mia se abiti in un luogo piatto e umido come Carlisle. E poi, le colline di York sono veramente belle.

Patrik e Keath risero nello scendere dalla colonna e il giovane scozzese, nell’avvicinarsi ad Andrew, domandò: “Quanto, di questa bellezza, è dovuto alla tua innamorata, e quanto all’effettiva meraviglia dei luoghi?”

Era stato catartico parlare loro di Violet, dopo essersi aperto con Leonard, ma ora doveva subire l’assalto quasi quotidiano dei suoi amici sull’argomento.

Non che non fosse utile: lo aiutava a ragionare con coscienza su quell’annoso problema, anche se si sentiva un idiota a doverne parlare a voce alta con loro.

Storcendo la bocca, Andrew allora disse: “Green Manor, dove sono nato, sorge su un’altura arrotondata e circondata da un bosco di latifoglie. Tutt’attorno si estendono i nostri terreni, che sono composti da dolci declivi in ogni direzione si possa perdere lo sguardo. York dista mezz’ora a cavallo, perciò penso possa essere visto come un buon luogo, dove crescere.”

“Detta così, suona bene. E a me piacciono le colline” assentì Patrick. “Ci si cavalca che è una meraviglia.”

“La tua testa è monotematica. O pensi alle donne, o ai cavalli” lo prese in giro Solomon, dandogli una pacca sulla spalla con ironia.

“Sono una persona semplice, Sol. E i cavalli ti amano senza restrizioni, e senza doppiogiochismi. Cosa che non si può dire di molte persone” replicò Patrick, con un mezzo sorriso.

“Amen” assentirono in toto i ragazzi.

“Resta la mia domanda, però. La bella Violet ti fa amare di più la tua terra natia?” insisté comunque Patrick, accomodandosi al fianco dell’amico.

“Saperlo sarebbe d’aiuto ma no, credo che amerei comunque la mia terra, indipendentemente da Violet.”

“E ameresti Violet indipendentemente da dove ti trovassi?” gli ritorse contro Patrick con un sogghigno furbo.

“Cosa vuoi…?” iniziò col dire Andrew, prima di bloccarsi a metà di una frase.

Keath e Leonard assentirono compiaciuti, come se quella domanda l’avessero fatta loro stessi e Andrew, nel rendersi conto dell’assoluta serietà di Patrick, a dispetto del ghigno, rimuginò attentamente sulla risposta da dare.

Pur se la questione era stata posta con ironia, aveva degli strascichi assai più profondi.

Si era innamorato di lei perché faceva parte del suo ambiente quotidiano o, indipendentemente da tutto, avrebbe fatto breccia nel suo cuore, anche se non fosse cresciuta con lui?

Senza dare una risposta all’amico, Andrew si levò in piedi per passeggiare nella quiete dell’acropoli ed Eli, nel dare una pacca sulla spalla a Patrick, mormorò: “E bravo Pat. Hai colto nel segno.”

“Si stava scervellando troppo, ed era il caso di scrollarlo un po’. Si vede che ho azzeccato le parole giuste, nel momento giusto” scrollò le spalle Patrick.

“O venivano dalla persona giusta” soggiunse Leonard. “Noi siamo suoi amici da una vita e, forse, da noi si aspetta un certo genere di ragionamenti. Dette da te, che lo conosci da meno tempo, forse le tue parole hanno avuto maggior peso.”

Keath assentì e Sol, pensieroso, domandò loro: “Ma non è che, dopo, si confonderà ancora di più? Dopotutto, la sua bella non è qui, e non può testare con mano le teorie cui arriverà dopo tutto questo gran scervellarsi.”

“Che ci vuoi fare, Sol. Il mondo non è perfetto, sennò il nostro ragazzo, qui, sarebbe ad Aberdeen a fare la corte alla sua bella” sospirò Eli, osservando spiacente Andrew mentre, come un’anima in pena, passeggiava per l’acropoli.

“Ragazzi… dovesse capitare a me, sparatemi. Chissà che non rinsavisca per il male” chiosò a un certo punto Keath. “Non voglio ridurmi così per una donna.”

Tutti risero di quel commento ma Andrew, lontano da loro, neppure se ne accorse, troppo concentrato sulle parole di Patrick per udirli.

Keath e Leonard gliel’avevano detto un sacco di volte, con parole diverse, ma la sostanza era sempre stata la stessa.

Lui amava Violet perché erano cresciuti assieme, o perché amava lei in quanto tale?

Patrick, però, aveva allargato il tiro, mettendolo di fronte alla realtà pura e semplice.

Violet non era solo la donna che amava, ma c’era di mezzo anche il contesto in cui l’aveva conosciuta.

Un luogo ameno, due famiglie cresciute assieme, l’amicizia radicata negli anni; ogni cosa aveva cospirato contro di lui, o tutto ciò era stato ininfluente, ai fini del suo amore?

Forse, non ininfluente ma, nel ripensare alle tante occasioni passate con Violet, non poté che sorridere.

No, non importava che fossero cresciuti assieme. Anzi, era stato solo un privilegio.

Ma se anche l’avesse incontrata a Londra come Alexander aveva fatto con Lizzie, sarebbe ugualmente scattata la scintilla.

Lui sapeva bene di avere un istinto di protezione ben radicato dentro di sé, perciò avrebbe comunque provato l’impellente bisogno di proteggerla.

Veniva naturale, con lei, come veniva naturale ascoltarla, poiché l’intelligenza di Lettie era molteplice e variegata, e lui ne era affascinato.

Forse, sarebbe stato solo più difficile farla affiorare, visto quanto Violet era timida con gli sconosciuti, ma essa sarebbe giunta a galla, e lui si sarebbe perso nell’ascoltare la sua voce.

Sì, si sarebbe comunque innamorato di lei, di tutta quanta lei, la persona delicata e compassionevole, così come la donna volitiva che voleva solcare i mari per dimostrare al mondo di esserne in grado.

Ridendo tra sé, pensò a quanto fosse assurdo, il destino.

Tutti si erano preoccupati che lui, portando il nome del suo defunto zio, avrebbe potuto sviluppare l’amore per il mare che tanto aveva stregato Andrew Campbell.

Alla fine, invece, era capitato a Lettie.

Grazie allo zio Andrew, comunque.

Mamma era stata la fautrice prima di questo amore, avendo regalato a Violet uno dei libri preferiti del fratello alla ragazza.

Il resto, era venuto da sé, e Andrew ne era stato il testimone silenzioso e assorto.

Ricordava ogni attimo di quei momenti, in cui una sempre più eccitata Violet gli aveva spiegato tutto ciò che quel libro le aveva insegnato.

E a quello ne erano seguiti altri, che Randolf le aveva donato dalla sua collezione personale, appartenuta un tempo al padre scomparso.

Il fratello si era divertito un mondo nel vedere la sorella appassionarsi tanto all’argomento, e Andrew si era prestato volentieri ad ascoltarla.

Non ne capiva granché, ma ascoltare lei gli era sempre piaciuto.

Perché? Perché, quando c’era di mezzo l’amore, niente era difficile.

Bloccandosi a metà di un passo, Andrew tornò dai suoi amici e, con un rinnovato sorriso, disse loro: “Devo andare in missione.”

“E cioè?” esalò Eli, confuso e sorpreso.

“Devo scovare dei libri per Violet. O delle pergamene… poco importa. Ma tutto ciò che può renderla felice, dovrà tornare con me in Inghilterra” dichiarò Andrew con decisione.

I ragazzi sorrisero compiaciuti e, annuendo all’unisono, esclamarono: “Si va a caccia, allora!”

“Dove puntiamo?” domandò poi Keath, mettendosi in cammino assieme al gruppo per tornare ad Atene.

“Biblioteche, il porto de Il Pireo… ovunque io possa trovare qualcosa sul mare e le navi” spiegò Andrew, spinto da quel rinnovato sentimento di fiducia.

“Già mi piace” assentì Solomon.

“E pensi che le piaceranno più di sete e smeraldi?” gli domandò retorico Keath.

“Io la conosco, Keath. So chi è, e la amo per questo.”

“Amen!” esclamarono allora i suoi amici, aumentando l’andatura lungo il sentiero.

***

Aberdeen – 29 agosto 1827
 
Le teste chine sul tavolo del salottino, mentre Elizabeth era impegnata a ricamare un cuscino, Violet mormorò pensierosa: “E se noi ampliassimo il ponte di almeno una decina di piedi? Raggiungere le impavesate sarebbe più comodo per i marinai, non impediti dalla presenza delle gomene sulla coperta.”

“Ottima osservazione, Violet. Potremmo comunque usufruire della forma slanciata dello scafo, ma otterremmo più superficie calpestabile e maggiore fruibilità della coperta. Sì, direi che potrebbe funzionare” mormorò a sua volta Lucius, afferrando pennino e righello per apportare le modifiche appena accennate.

Violet si stiracchiò soddisfatta, ammirando il progetto dell’amico prendere forma sotto i suoi occhi e Lizzie, nel levare gli occhi dal ricamo, disse: “Se potete fermarvi un attimo, farei portare della limonata e dei pasticcini. Vi vanno?”

“Molto volentieri, cugina. E poi, non vorrei annoiare troppo Violet con questi progetti. E’ già anche troppo generosa nell’offrirmi il suo parere competente, senza doverla tenere chiusa in casa tutto il giorno a fissare un foglio di carta a causa mia” sorrise Lucius, levandosi in piedi per stiracchiarsi a sua volta.

Sgranando gli occhi, Violet replicò: “Oh, ma… ma io non sto facendo niente, Lucius. Sareste arrivato alle mie stesse considerazioni anche senza il mio apporto.”

Lucius le rise beatamente in faccia, asserendo: “Siete uno strano miscuglio di ingenuità e intelligenza, Violet. Perché dovete denigrare così il vostro genio? Lo avete, perciò mostratelo con orgoglio.”

Elizabeth sorrise tra sé, a quelle parole, trovandosi più che d’accordo con il cugino, ma Lettie non fu di quell’avviso.

“Voi vi prendete gioco di me, Lucius. Non sono così geniale come volete farmi apparire” sussurrò vergognosa la ragazza. “Inoltre, nessun nuovo troverebbe affascinante sentire una donna parlare di impavesate, vele di trinchetto o quant’altro.”

Lucius la fissò scettico, replicando: “L’uomo che non trovasse il vostro conversare più che affascinante, sarebbe un uomo stolto e vanesio, perciò non avreste perso nulla, Violet.”

La padrona di casa suonò il campanellino sul tavolino al suo fianco e, mentre attendeva l’arrivo della cameriera, aggiunse all’invettiva di Lucius: “E’ anche colpa nostra, se non si fida di se stessa. Le siamo stati troppo addosso, quand’era piccola, e ora è timorosa.”

Violet arrossì a quel commento, ma Lucius non si scompose e replicò: “Oh, beh, sempre meglio questo, rispetto a mio padre che insisteva con mia sorella Sabine perché mostrasse sempre il meglio di sé, e in ogni situazione. La poveretta arrivò a maledirlo, e solo allora mio padre capì di avere esagerato, con lei. Fortunatamente, ora vanno d’amore e d’accordo, ma non dimenticherò mai quel litigio.”

“Mi spiace molto” mormorò sorpresa Violet.

“Non dovete. Ora è tutto appianato ma, visto che non dovete avere timore di incontrare il biasimo di nessuno, perché non esprimere ciò che avete dentro? Si vede benissimo che siete un’eccellente progettatrice e, anche se non ne ho mai conosciute del vostro sesso, ciò non significa che voi non possiate essere la prima” le ricordò Lucius, mentre la cameriera entrava nel salotto.

Sorridendo a Bernadette, Elizabeth le chiese di portare loro il necessario per una merenda frugale e, dopo averla vista uscire, asserì: “Lucius ha ragione, Violet. I tempi cambiano e, anche se forse non sarai tu ad avere la prima firma su un progetto, non necessariamente vuol dire che tu non debba dimostrare le tue capacità. Non solo con noi, insomma.”

“Lizzie…” esalò timorosa Violet.

“Non occorre che tu rimanga sempre entro la nostra ombra, tesoro. E noi l’abbiamo davvero estesa un po’ troppo, attorno a te” dichiarò spiacente Elizabeth. “Noi ci saremo comunque, anche se tu camminerai al di fuori di questa ombra senza la nostra presenza al fianco.”

“E ci sarò io con voi, in ogni caso, a ricordarvi che potete farlo” la incoraggiò Lucius, sorridendole speranzoso.

Violet sorrise appena, annuendo, e mormorò: “Quindi, dite che… che potremmo firmarlo assieme?”

“Io direi che dovreste pretenderlo. Assolutamente” asserì convinto Lucius.

Quando, una decina di minuti dopo, giunse la merenda richiesta, i due giovani stavano ancora discutendo di linee di flusso e archi ed Elizabeth, nel servire loro la limonata, li osservò con attenzione.

Erano diversi giorni che Lucius, in quei caldi pomeriggi di agosto, si recava presso di loro per venire in visita a Violet, e la cosa era piaciuta molto ai genitori di lei.

Quando erano infine ripartiti per tornare a York, Myriam si era quasi convinta che, entro la fine dell’estate, avrebbero potuto festeggiare un fidanzamento tra i due.

Con Elizabeth, Myriam si era raccomandata di stare attenta alla situazione, e lei a questo si stava attenendo.

Pur se con le dovute modifiche rispetto al piano originale pensato da lady Thornton.

Certo, avrebbe pensato a controllare che tra i due non succedesse niente di scandaloso, ma al tempo stesso avrebbe anche controllato le reazioni di Violet.

Sapeva per sua bocca dell’affetto profondo che la legava ad Andrew – alla fine lo aveva ammesso – perciò era vitale, per lei, capire se la presenza di Lucius stesse cambiando questi sentimenti.

Non voleva per suo fratello un matrimonio meno che felice e, se si fosse accorta che, nel cuore di Violet, le cose erano cambiate, lo avrebbe messo in guardia, pregandolo di desistere con lei.

Da quello che poteva vedere, però, sembravano in tutto e per tutto molto affiatati e presi dai loro progetti… ma in modo del tutto amichevole.

Le sarebbe spiaciuto per Lucius, se lui si fosse innamorato, non corrisposto. Ma altrettanto le sarebbe spiaciuto se fosse successo il contrario.

Dopotutto, era stata lei a caldeggiare quell’amicizia, sapendo quanto entrambi quei giovani amassero il mare.

Alexander si era un po’ arrabbiato per questo suo azzardo ma, alla fine, aveva convenuto che i due sembravano andare davvero molto d’accordo.

Già, ma quanto?

Quando si avvicinò con i bicchieri di limonata, entrambi si voltarono per riceverli e ringraziarla, e questo rincuorò un poco Elizabeth.

Non erano così presi l’uno dall’altra da non accorgersi di lei. E quegli sguardi erano complici, ma non carichi di tensione amorosa.

Forse, dopotutto, non ho combinato un pasticcio, Andrew, pensò tra sé Elizabeth, andando alla finestra per osservare il panorama.

Il tempo splendido e soleggiato prometteva di durare per tutto il giorno così, ben decisa ad approfittarne, si volse a mezzo e domandò: “Mi accompagnereste per una passeggiata in calesse?”

I due giovani si guardarono vicendevolmente e, annuendo, Lucius si levò in piedi per dire: “Corro a far preparare il phaeton. Va bene, Lizzie?”

“Certo, Lucius. Noi ti aspettiamo qui” assentì Elizabeth, vedendolo correre via spensierato.

Rimasta sola con la cugina, lady Chadwick si avvicinò a Lettie e domandò: “Ti disturba che vi abbia interrotti?”

“Oh, no, anzi. E’ bello passare del tempo fuori, osservando il mare all’orizzonte” sorrise Violet, scrollando le spalle.

“E dimmi… vorresti vivere per sempre in un luogo col mare sull’orizzonte?”

La cugina la fissò per alcuni attimi, senza capire, prima di aprirsi in una risatina imbarazzata ed esalare: “Oh, cara, Lizzie! Sei preoccupata per me e per Lucius?”

“Dipende da quello che sta succedendo.”

“Mamma ti ha detto di spingermi verso di lui, per caso?” le domandò a quel punto Violet, curiosa.

“Spingere è una parola grossa. Diciamo che non dispiacerebbe a nessuno dei tuoi familiari. Hanno visto quanto andate d’accordo, ed è un ragazzo di buona famiglia, con la testa sulle spalle. Un po’ esuberante, ma questo non guasta” scrollò le spalle Elizabeth, lasciando volutamente il tono leggero e divertito.

Violet, però, non ci cascò, e replicò: “Quindi, lui andrebbe bene, come partito. Ma non Andrew.”

“Tesoro mio, devi chiederlo a loro. Anzi, forse, prima dovresti chiederlo ad Andrew, e poi ai tuoi genitori. Io non avrei problemi, e anzi, mi farebbe molto piacere ma, se temi il loro giudizio, devi primariamente metterli alla prova, non pensare a priori che ti diranno di no” sostenne Elizabeth, non sapendo quanto dire alla cugina.

Dopotutto, aveva promesso il dono del silenzio, al gemello.

Sospirando, Violet passeggiò per il salottino con aria combattuta, asserendo: “Dirlo a Andrew! Lui mi considera come una sorellina, Lizzie! Sarebbe scioccato da questo mio sentimento, e rovinerei per sempre la mia amicizia con lui!”

“Tacere sarebbe meglio, Lettie? Sai che le bugie divorano l’animo” sottolineò lady Chadwick, avvicinandola.

“Sì, lo so, e infatti il mio è ridotto a brandelli” assentì fiacca la giovane, crollando a sedere su una poltroncina.

“E allora ascolta il consiglio di Lucius e accetta ciò che hai dentro. Mostralo. Senza paura alcuna” mormorò con veemenza Elizabeth, chinandosi su di lei per stringerle le mani con forza.

“Se mi dicesse di no?” sussurrò spaventata Violet.

“Anche se non lo credi, so che saresti abbastanza forte per sopportarlo. Quello che ti sta uccidendo non è un’eventuale risposta negativa, ma il dubbio portato dal silenzio. Devi dirglielo.”

Annuendo stancamente, Lettie mormorò: “Quando tornerà, cercherò di farlo.”

“Cercare non basta. Dovrai mostrare tutta la tua forza, e farlo.”

“E io possiedo questa forza?” ironizzò Lettie, levandosi in piedi.

Elizabeth la abbracciò e, nel batterle le mani sulla schiena, sussurrò: “Le acque chete distruggono i ponti, amica mia.”

Violet rise sommessamente, a quel commento e, quando Lucius tornò, si scusò un momento per raggiungere le sue stanze e recuperare un cappellino.

Lucius ne approfittò per domandare alla cugina: “Aveva gli occhi lucidi. E’ successo qualcosa?”

“Comincia a credere di potercela fare” si limitò a dire Elizabeth.

“Mi sembra ovvio che possa farcela” dichiarò semplicemente Lucius. “A fare cosa, nello specifico?”

“Problemi di cuore verso una persona che non hai ancora conosciuto.”

“Oh, allora avevo visto giusto” sorrise compiaciuto Lucius, sorprendendo un poco la cugina. “Mi era parso che fosse in pensiero per qualcosa, e che quel qualcosa fosse un uomo. Temevo fossi io, ma mi rincuora sapere che non c’entro.”

“Non trovi la mia amica una compagna degna di tale nome?” esalò Elizabeth, un po’ piccata.

Scoppiando a ridere, Lucius negò e replicò: “Affatto. Sarebbe una moglie splendida, sotto molti punti di vista. Semplicemente, le voglio bene come ne voglio a Sabine, e sarebbe stato terribile se lei si fosse innamorata di me, visto che non potrei ricambiarla.”

“Beh… se mi dici che anche tu non hai problemi, con questo argomento, sto meglio” sospirò sollevata Lizzie, e Lucius sospirò di sollievo a sua volta, sorridendole.

“Cospirare è difficile, quando ci sono di mezzo i sentimenti, vero?” ironizzò dopo qualche attimo il cugino, vedendo sogghignare la donna.

“Non so di cosa tu stia parlando, Lucius caro” mormorò soltanto Lizzie.

“Certamente, Elizabeth. Tu non sai nulla… e io farò finta che sia così, perché ti apprezzo molto.”

“Troppo buono” sorrise la donna, mentre Violet tornava verso di loro. “E… una cosa…”

“Dimmi pure.”

“Continua a spronarla. Sembra che a te dia ascolto.”

“Non sarà un problema. Desidero davvero che Violet primeggi. E' una perla rara, e merita di essere incastonata in una montatura perfetta.”

Quando infine Lettie li ebbe raggiunti, Lucius offrì il braccio a Elizabeth e, assieme, si avviarono verso il cortile antistante la villa, dove il phaeton li attendeva.

Nel raggiungerlo, a Lettie sembrò che il sole brillasse in modo diverso, con più forza.

O forse, semplicemente, era lei a provare quella rinnovata fiducia in se stessa.
 
 
 

 

Note: Eliminato alla radice il problema "triangoli amorosi", che non amo proprio, il più sarà vedere se: 1, Andrew scoprirà la totale estraneità di Lucius da qualsiasi approccio romantico nei confronti di Violet, prima che lui gli spacchi la faccia, 2, Violet riuscirà a dire tutto ad Andrew prima che lui travisi, 3, non intervengano prima i genitori di entrambi, creando ancor più confusione. ^_^
Finalmente, comunque, Andrew ha fatto chiarezza nei propri sentimenti e, grazie all'aiuto dei suoi amici, ora tenterà di mostrare in ogni modo possibile quanto tenga a Violet, a tutta quanta lei.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


 
7.
 
 
 
Aberdeen – 26 ottobre 1827
 
 
Carissima Lizzie, qui a Madera la situazione è stazionaria. Spero che questa lettera possa giungere tra le tue mani poiché, per il momento, quasi tutte le navi sono ancorate in porto, e non sembra vogliano ripartire per il continente. Le tempeste infuriano da giorni sull’oceano e, solo per qualche ora, abbiamo potuto rivedere il sole. Sappiamo che alcune navi hanno tentato di prendere il largo, fra cui il cargo postale su cui viaggia questa mia, ma in molti non hanno voluto tentare la traversata per la Spagna. Attendiamo perciò fiduciosi, e preghiamo ogni giorno perché il tempo si aggiusti. Forse, avremmo dovuto rifare il viaggio via terra come all’andata, ma abbiamo voluto tentare la sorte, e abbiamo perso. A ogni modo, qui stiamo bene, la gente del posto è gradevole e l’albergo ti piacerebbe molto. Forse, potresti convincere Alexander a portartici, quando i bambini saranno più grandi. E, a proposito di bambini, ti pregherei di attendere il mio arrivo, per partorire, in quanto vorrei essere presente. Naturalmente, ti sommergerò di regali, così mi scuserò in maniera adeguata per il mio ritardo.              Tuo Andrew
 
“Ed ecco spiegato il perché del ritardo” mormorò Elizabeth, reclinando la lettera e fissando sollevata Violet, seduta dinanzi a lei nel salottino della lettura.

Sospirando di sollievo, Lettie si portò le mani al cuore ed esalò: “Non avere sue notizie per più di un mese mi aveva preoccupata davvero. Dovremmo richiedere un premio per i coraggiosi navigatori che hanno sfidato il mare, pur di far giungere le missive a terra.”

Sorridendo all’amica, assentì comprensiva e replicò: “Credo che farebbe loro piacere, il tuo pensiero. Ora come ora, però, chissà dove saranno. Siamo quasi alla fine di ottobre, mentre questa missiva è datata tre settembre. Potrebbero essere ancora bloccati a Madera, o in viaggio.”

“Dobbiamo solo pregare, e sperare. Confido che, gli stessi comandanti che hanno deciso di fermarsi per la sicurezza della nave, sappiano anche quando riaffrontare il mare” sospirò Violet, prima di volgersi quando udì bussare alla porta.

A un assenso di Lizzie, il maggiordomo entrò e si inchinò leggermente, avvertendo le loro signorie della presenza di lord Lucius Bradbury alla porta.

“Fallo pure accomodare, e facci portare del tè e altri pasticcini alla marmellata. Ho ancora fame” sorrise Lizzie, notando con piacere il sorriso sul volto del maggiordomo.

“Tutto ciò che può servirvi, milady. Faccio accomodare lord Bradbury, nel frattempo” asserì l’uomo, scomparendo l’attimo dopo.

Sorridendo, Violet disse: “Ti vogliono tutti bene. E’ evidente.”

“Cerco di non far ammattire nessuno” si sminuì Lizzie, prima di sorridere nel veder entrare il cugino acquisito. “Lucius! Benvenuto!”

Nel notare, poi, tutti gli incartamenti sotto il suo braccio e l’aria vagamente eccitata, esalò subito dopo: “Oibò, e tutta quella roba?”

“Buongiorno, Elizabeth… Violet” disse in fretta il giovane, depositando il tutto sopra a una delle scrivanie presenti nel salottino. “Sono tutti i progetti che ho messo insieme negli anni e, come promesso, li ho portati perché Violet potesse visionarli.”

L’amicizia tra Violet e Lucius procedeva a vele spiegate e, nel corso di quei mesi, le incertezze della ragazza in merito alle proprie possibilità, si erano via via deteriorate.

Inoltre, Lettie non aveva mai potuto affrontare in maniera così diretta l’argomento che tanto le stava a cuore, e la cosa l’aveva resa più felice di quanto non avrebbe mai potuto pensare.

Confrontarsi con Lucius, inoltre, l’aveva messa di fronte all’annoso problema che sempre l’aveva afflitta; la sua insicurezza.

Tutti l’avevano sempre protetta, in un modo o nell’altro, e lei si era sempre sentita sicura e tranquilla, in quel mondo ovattato e sereno che era la sua famiglia.

Suo malgrado, si era abituata a lasciare che gli altri pensassero sempre ai suoi bisogni, aiutandola non appena lei ne aveva avuto bisogno.

Questo le aveva ovviamente permesso di sviluppare i suoi interessi, ma le aveva anche concesso di crogiolarsi nella certezza che qualcuno sarebbe sempre stato lì per lei.

Ora, quindi, non sempre sapeva bene come comportarsi con quel giovane che pareva apprezzare la sua compagnia e sì, la sua opinione, e aveva timore di sbagliare a ogni parola.

Fortunatamente, avere al suo fianco Lizzie la aiutava in qualche modo, pur se l’amica non aveva mai espresso nessun parere in tal senso.

A conti fatti, lasciava sempre che lei pensasse con la propria testa, e Lucius la invogliava ogni volta a esprimere ogni suo pensiero.

Certo, con il giovane Bradbury non affrontava proprio tutti gli argomenti che le stavano a cuore.

Solo Lizzie sapeva del suo affetto profondo per Andrew, ma Elizabeth non si era espressa in alcun modo, dicendole semplicemente di pensarci sopra.

E di agire come le avrebbe suggerito il cuore.

Non aveva ancora ben capito in che modo ascoltare i dettami del suo animo, ma le piaceva passare i pomeriggi in compagnia di Lucius.

Affrontare i suoi progetti e ascoltare i suoi programmi sul futuro, la facevano sentire parte di qualcosa in prima persona.

Non più la spettatrice silenziosa, ma la protagonista di qualcosa che stava costruendo interamente con le sue mani.

Inoltre, stare in compagnia di Lucius le offriva la possibilità di parlare di ciò che le piaceva senza sentirsi sciocca.

Per ciò che non conosceva, lui le veniva incontro, spiegandole quello di cui non era al corrente, e Lucius ascoltava attento tutti i suoi commenti, anche quelli goffi.

A ogni sua parola, però, avrebbe tanto voluto discorrerne anche con Andrew, conoscere i suoi pareri, confrontarsi con lui per sapere se avrebbe apprezzato a sua volta la sua opinione.

Lui era sempre stato più che disponibile, fin da quando lei era piccola ma, a quel punto, il dubbio che Andrew l’avesse fatto solo per compiacerla, era prepotente nel suo cuore.

Doveva sapere.

Ma, per scoprire cosa voleva, doveva prima comprendere cosa volesse dire avere a che fare con una persona che non fosse Andrew.

Sperò soltanto che, quel suo comportamento, non minasse per sempre la sua amicizia con Lucius.
 
***
Madera - 28 settembre 1827

Pioggia, vento gelido e nubi purulente e gonfie.

Andrew avrebbe detto che quelle nuvole nere e ribollenti ce l’avessero con lui, per come si accanivano sull’isola di Madera.

Il loro cargo, come molti altri, era partito da Atene per fare scalo nelle isole spagnole delle Baleari per poi puntare verso l’oceano e dirigesti verso Madera.

Da lì, secondo i programmi, avrebbe puntato verso Lisbona, permettendo ai passeggeri di prendere una goletta diretta verso Calais.

Se tutto fosse andato secondo i piani, ovviamente.

Il mal tempo d’autunno, però, era giunto con largo anticipo, bloccandoli a Madera per quasi un mese e, ormai, Andrew era tentato di provare la traversata a nuoto.

Non che Madera non meritasse di essere visitata anche con il maltempo.

Il luogo era decisamente splendido, esotico e, pur con il cattivo tempo, la temperatura era sempre rimasta gradevole.

Adatta per lunghe dissertazioni nei salotti bene della capitale, o per ascoltare le piccole orchestre da pochi elementi che si esibivano nelle ville dei dignitari locali.

Per non lasciare al caso e alla noia quei giorni di forzata immobilità, Andrew era anche sceso più volte al porto, per parlare con barcaioli e marinai.

Atene, invero, era stata il viatico per una risposta definitiva sui suoi sentimenti, pur se non vi aveva sperato fino in fondo.

Come Leonard gli aveva saggiamente consigliato, aveva sondato a fondo nel suo cuore, tentando di comprendere cosa veramente lo legasse a Violet.

Camminando tra le rovine dell’acropoli, sotto il sole raggiante della Grecia, era tornato agli anni in cui lui e Violet erano cresciuti assieme, coltivando le rispettive identità.

Da sempre delicata come un fiore, Violet era stata coccolata da tutti, Andrew compreso.

Neppure con Sarah e Lorainne era stato così coinvolto, forse perché le sorelle minori di Violet non gli erano mai sembrate bisognose di simili attenzioni.

Violet, al contrario, così esile e dall’aspetto celestiale, oltre che dall’animo nobile e ingenuo, gli aveva dato l’idea di avere necessità di essere aiutata e protetta più degli altri.

Questo lo aveva spinto, nel corso degli anni, a essere più solerte di quanto, forse, non sarebbe stato necessario.

E, a ben pensare, forse era stato davvero stupido da parte sua, oltre che inutile.

Certo, Violet era una creatura tenera e gentile e, non a caso, aveva sempre cercato di prendersi cura di tutti coloro che avevano anche solo lontanamente avuto bisogno di aiuto.

Animali o persone, non aveva mai fatto alcuna differenza.

Come dimenticare le volte in cui era tornata a casa da una passeggiata, in compagnia di un coniglio azzoppato, o di un uccellino caduto da un nido?

Poco le era importato di essersi sporcata nel farlo; l’importante era stato salvare quella creatura indifesa.

Raggiunta un’età più adulta, le sue cure si erano spostate sulle persone, e Andrew aveva smesso di contare da tempo le sue visite agli orfanotrofi o alle fabbriche dello Yorkshire.

Cosa potevano aver visto quegli occhi sensibili?

Più di quanto lui stesso poteva immaginare ma, ogni volta, non aveva fatto caso a questo quanto, piuttosto, a proteggerla da chiunque potesse turbarla.

Peccato che, forse, questo era già avvenuto nei luoghi da lei visitati. Eppure, nulla era mai trapelato da quel viso tenero e gentile.

Quante emozioni scatenate da quelle brutture, aveva sempre nascosto a tutti?

Quanta forza era stata intrappolata in quel corpo esile come un giunco, e solo apparentemente debole?

E quanto si era illuso, lui, di esserle indispensabile per camminare in mezzo agli altri?

No, Violet non aveva mai avuto realmente bisogno della sua presenza.

Era sempre riuscita a fare tutto da sola, e soltanto la sua apparente fragilità li aveva spinti a proteggerla. Non una sua reale necessità.

Questa consapevolezza l’aveva infine spinto a pensare agli interessi di Violet, a ciò che veramente le interessava.

Era inutile fissarsi sui propri errori, ma su ciò che conosceva davvero di lei per capire se, alla fine, poteva dire di conoscerla.

A quel punto, erano tornati alla sua memoria i ricordi degli studi della ragazza, dei sui disegni, delle sue interminabili dissertazioni.

Con un sorriso soddisfatto e il cuore finalmente leggero, si era così spinto al Pireo e, da quel momento, non aveva smesso di interessarsi a ciò che piaceva a Violet.

Perché? Non soltanto per compiacerla, poiché sarebbe stato sciocco e l’avrebbe sminuita come persona.

Sopra a ogni cosa, aveva amato ascoltarla parlare di ciò che lei amava, e voleva essere in grado di poterle offrire un pubblico competente.

Non soltanto lo sciocco ragazzo che si era infatuato di lei.

Uno sciocco che aveva pensato, a torto, di limitarsi a proteggerla come un cavaliere, senza badare a cosa lei volesse realmente.

Partire da Atene era stato quasi un sollievo, con il suo bagaglio intellettuale – e non – carico di nuove esperienze e di una documentazione particolareggiata da donare a lei.

Poi, le tempeste erano giunte.

Quello stop obbligato, quanto fastidioso, alla fine gli era servito per chiarire a se stesso come comportarsi una volta tornato a casa.

Violet era la donna del suo cuore e, indipendentemente da quello che avrebbero detto tutti, lui si sarebbe aperto a lei.

Sarebbe spettato a lei sola, accettarlo o meno, ma non avrebbe più taciuto.

Il silenzio lo aveva portato sull’orlo del baratro, finendo quasi per renderlo l’ombra di se stesso e mai, per nulla al mondo, avrebbe permesso che ciò si ripetesse.

Se poi lei, invece, non avesse provato i suoi stessi sentimenti, se ne sarebbe fatto una ragione, ma almeno avrebbe potuto dire di aver tentato.

Non si sarebbe più nascosto dietro la paura di ferire i loro genitori.

Tacendo, aveva ferito se stesso e ingannato Violet.

No, il silenzio non aveva aiutato nessuno.

Fu così che Eli lo trovò, sommerso tra carte nautiche, modellini su carta di imbarcazioni e con il vecchio proprietario della libreria dove era entrato, in divertita contemplazione del suo assiduo acquirente.

Sorridendo divertito, Eli salutò il commerciante, entrò nello stanzino dove si era rifugiato Andrew e, poggiandosi contro lo stipite della porta, dichiarò: “Giuro su Dio, amico mio, che non ho mai visto una persona tanto decisa a imparare a tempo di record un argomento così complesso come la nautica.”

Levato il capo di scatto, Andrew scostò con un gesto secco una ciocca dei capelli castani – ormai, avrebbe dovuto farli accorciare, così come la barba – e, con un mezzo sorriso, dichiarò: “Se sapessi a che punto è Violet, inorridiresti per la tua ignoranza.”

“Sono sempre più curioso di conoscerla, a questo punto” sorrise Eli, afferrando una sedia per sedervisi a cavalcioni. “Ma non credi di esagerare? Anche se lei è così avanti nell’istruzione, non è necessario che tu sia al suo stesso livello. Anzi, sarebbe carino che tu ti facessi istruire da lei.”

Il doppio senso contenuto in quelle parole fece storcere il naso ad Andrew, da sempre abituato a proteggere in tutti i modi possibili la sua Violet.

Ligio però al suo nuovo imperativo – non essere così assillante e protettivo – prese solo un gran respiro e asserì: “Non capirebbe neppure il tuo doppio senso, amico mio. Violet è un’anima candida.”

“Keath continua a dirlo, e Leonard è convinto che sia stata mandata direttamente dagli angeli. Puoi spiegarmene il motivo?” domandò a quel punto Eli, facendo sorridere divertito Andrew.

Poggiando sulla scrivania l’ultimo scritto che aveva preso sottomano, il giovane Spencer disse: “Di sicuro, ne ha l’aspetto. Ha biondi capelli e occhi di un azzurro limpido come l’acqua di un ruscello. Ma è soprattutto il suo carattere altruista e genuinamente empatico, a renderla tale. Ha sempre una parola buona per tutti, cerca di trovare il lato positivo in qualsiasi situazione, e non si tira mai indietro, se si deve aiutare – o curare – qualcuno.”

Scrollando una mano, Andrew aggiunse: “Keath la venera letteralmente perché quando si ruppe la gamba, l’anno addietro, fu l’unica in grado di calmarlo. Keath ha una certa tendenza ad andare fuori di matto, alla vista del sangue, ma Lettie seppe blandirlo solo a parole.”

Eli sollevò sorpreso le sopracciglia rossicce, esalando: “Era presente… all’incidente di Keath?”

Naturalmente, sia Eli che gli altri ragazzi avevano visto la brutta cicatrice che sfregiava la gamba di Keath, poco sotto il ginocchio.

L’anno passato, durante una galoppata per le colline, il cavallo di Keath era finito con una zampa in una buca, ed era caduto rovinosamente a terra.

Nella caduta, le ossa della gamba destra di Keath si erano spezzate, lacerando anche la carne e, a quel punto, il giovane aveva cominciato a urlare come un ossesso.

Sorridendo a quel ricordo, Andrew mormorò: “Lettie fu la prima a scendere da cavallo e, con la prontezza di spirito degna di un generale, diresse noi tutti come se fossimo stati sul campo di battaglia. Spedì Leonard a York per cercare un dottore, e mio cugino Julian a Green Manor perché venissero a prenderci con un carro, così da poter caricare Keath agevolmente.”

“Davvero impeccabile” sussurrò colpito Eli.

“E’ anche ripensando a episodi come questo, che mi sono reso conto di non averle mai reso giustizia. L’ho sempre trattata come un oggetto di cristallo, delicato e bisognoso di attenzioni continue, mentre sapeva cavarsela egregiamente anche da sola.”

“Va detto che, se ami qualcuno, hai sempre una certa tendenza a volerlo proteggere” gli sorrise Eli, scrollando le spalle.

“Certo, ma bisogna anche capire quando fermarsi, e spero di averlo compreso abbastanza da non ricadere nell’errore di sottovalutarla.”

Eli indicò la marea di carte su cui era appoggiato Andrew e, ridendo sommessamente, esalò: “Beh, direi che ti ci sei messo d’impegno.”

“Per Violet, leggerei tutte le biblioteche del mondo, se servisse” rise suo malgrado Andrew.

L’arrivo in tutta fretta di Solomon, con la sua bionda e lunga chioma rilasciata attorno al bel viso abbronzato, li fece volgere entrambi e, nel vederlo tutto sorridente, sperarono subito in una bella notizia.

“Ragazzi, raccogliete armi e bagagli. Si è aperto il cielo e, stando a quello che dicono i marinai, ci sarà tempo bello per tutta la prossima settimana. Potremo approcciarci alla penisola iberica. Alla peggio, potremo proseguire nell’entroterra” li informò il giovane, sorridendo quasi da un orecchio all’altro.

“Molto bene!” esclamò Eli, balzando subito in piedi. “Hai già trovato Patrick? O è ancora disperso in qualche locanda?”

“Ci stanno pensando Keath e Leonard” gli spiegò Solomon, passandosi una mano tra la folta chioma bionda. I suoi occhi azzurri luccicarono divertiti, al pensiero dell’amico.

Eli colse immediatamente quello sguardo e, sospirando, borbottò: “Andrà ancora bene se, tra nove mesi, qualche fulgida ispanica non si presenterà alla porta dei McTavish con un bambino in braccio.”

Solomon e Andrew risero di gusto, a quel commento e quest’ultimo, nel raccogliere le carte che avrebbe comprato per Violet, asserì: “Beh, se non altro sappiamo che non si è sposato, finora. Almeno un traguardo lo abbiamo raggiunto.”

“Non siamo ancora tornati in Scozia. Può sempre combinare qualche guaio, da qui a là” sospirò nuovamente Eli, a metà tra il divertito e l’esasperato.

Nel consegnare i suoi acquisti al libraio, Andrew replicò: “Non essere così pessimista, Eli, e considera questo. Sarà stato così impegnato a divertirsi, che non avrà avuto occasione di trovare un prete.”

“Speriamo” borbottò Eli, uscendo con Solomon e Andrew, quando tutti gli incartamenti vennero sistemati e impacchettati in carta oleata.

A passo lesto, attraversarono le vie lustre e profumate di ginestra di Funchal, oltrepassando archi a tutto tondo e stretti viottoli, fino a raggiungere il loro albergo.

Come annunciato da Solomon, il cielo si era aperto e, anche in lontananza, era possibile librarsi per centinaia di miglia senza scorgere altro se non oceano.

Tutto sembrava promettere tempo buono e, forse, così sarebbe stato fino al raggiungimento della terra ferma.
Non appena misero piede nella hall, l’addetto alla reception li salutò cordialmente, avvisandoli della presenza dei loro amici nelle camere.

Evidentemente, Patrick era stato recuperato, ovunque egli fosse finito.

Fatte le scale a due a due, Andrew salutò Eli e Solomon per raggiungere la sua stanza e, una volta aperta la porta, trovò Leonard impegnato a sistemare le ultime cose nei suoi bagagli.

Quello che lo colpì, però, non fu il fatto che l’amico li avesse quasi terminati, quanto, piuttosto, il brutto livido all’altezza dello zigomo sinistro, evidente sulla sua pelle naturalmente chiara.

“Ma che è successo?” esalò Andrew, afferrando le sue valige per prepararle in fretta e furia.

“Chiedilo a Patrick. Ha pensato bene di recriminare su un certo servizio fatto da una non proprio gentile signorina, e io ci sono finito nel mezzo” borbottò Leonard, chiudendo la cinghia della sua ultima sacca.

Bloccandosi per un momento per fissare basito l’amico, Andrew sbatté confuso le palpebre per poi domandare dubbioso: “Che servizio? E perché hanno colpito te?”

“Ha colpito” sottolineò Leonard. “Una donna mi ha colpito con un destro micidiale, e tutto perché Patrick si è lamentato del fatto che, la notte precedente, i massaggi che lei aveva fatto non erano stati abbastanza decorosi, visto il pagamento che aveva richiesto per tale servizio.”

“Cosa?!” gracchiò Andrew, ora del tutto sconcertato.

Afferrando anche le cose di Andrew, visto che lui sembrava troppo impegnato a fissarlo come un pesce lesso, Leonard cominciò anche le sue valige e aggiunse: “Sì. Hai capito bene. Patrick si è fatto fare un massaggio di qualche tipo da una tizia orientale… indiana, credo,… e, alla fine del servizio, si è addormentato come un allocco. La mattina seguente, si è risvegliato con miriadi di acciacchi, che lui ha attribuito ai massaggi ricevuti, non al fatto che avesse dormito su un’asse di legno, così la donna ha dimostrato cosa ne pensava del commento ricevuto.”

“E ha colpito te” borbottò Andrew, aiutando l’amico a infilare i suoi abiti nella valigia. “Scusa, ma non capisco perché sia successo.”

“Stavo cercando di blandire la signora in questione, dando nel frattempo dell’idiota al nostro amico. Così, a fare da mediatore, ho rimediato un pugno… e un massaggio gratis.”

A quell’ultimo commento, Andrew esplose in una grassa risata e Leonard, strizzandogli l’occhio buono, asserì: “Ehi, è stata gentile. Si è scusata per tutto il tempo, mentre mi massaggiava in modo eccellente, tra l’altro. E’ solo Patrick che riesce a cacciarsi nei guai più colossali che io conosca, e senza grosso sforzo, tra l’altro. Pensavo che Keath fosse un attira guai, ma anche Patrick non scherza.”

“Abbiamo passato troppo tempo su quest’isola. E’ il caso che ce ne andiamo alla svelta” sentenziò Andrew, scuotendo divertito il capo.

“Concordo appieno. Quei due finiranno con l’andare a letto con la donna sbagliata, magari una deliziosa isolana maritata con un marcantonio, e noi finiremo sgozzati per errore dall’infuriato marito.”

“Meglio evitarlo” esalò Andrew, impallidendo leggermente.

Già pronti per discendere e pagare il conto dell’albergo, Patrick si presentò sulla soglia della camera e, ancora ghignante, fissò divertito Leonard per poi dire: “Noi siamo pronti. Qui, tutto bene?”

“Una massaggiatrice, Patrick?” disse soltanto Andrew, stentando a non ridere.

“Ehi, amico, sei solo tu che fai vita monacale… e Leonard, scusa. O anche Eli. Non ho ben capito, in effetti, ma ero troppo impegnato a fare altro, per controllare se vi steste divertendo o meno in tal senso” ironizzò l’amico dalla corta capigliatura biondo cenere, afferrando una delle loro borse per portarla fuori. “Comunque, è stato solo un massaggio, nient’altro. E ho capito dopo il perché degli acciacchi. Stavo per dirlo anche alla massaggiatrice, ma la gentile signora aveva già colpito Leo, nel frattempo, e allora...”

“Tu non stai bene” sentenziò Leonard, oltrepassandolo a passo lesto.

Andrew sorrise divertito a Patrick, e dandogli un colpetto con la spalla, disse a mezza voce: “Sarà meglio che trovi un sistema per scusarti. Credo che quel pugno gli faccia più male all’animo, che alla faccia.”

“Lo credo! Steso da una donna!” rise ghignante Patrick, facendo sorridere Andrew.

Nello scendere le scale assieme a Andrew, Patrick riuscì anche a trovare il tempo di domandargli, tra una sghignazzata e l’altra: “Hai trovato tutto quello che cercavi, tra le altre cose?”

“Spero di sì, comunque penso di aver raccolto una buona collezione. A Violet dovrebbero piacere.”

“Solomon ha un cugino che lavora a Edimburgo come armatore. Ha detto che non ci saranno problemi, se Violet vorrà visitare i cantieri” lo informò Patrick, tutto sorridente all’idea di aver portato una potenziale buona notizia all’amico.

“Grazie davvero. A buon rendere.”

“Ringrazia Sol… o forse no, non so se dovresti ringraziarlo. Ha detto che, grazie alle descrizioni che gli hai fatto di Violet, potrebbe pensare di farle una corte spietata” lo mise bonariamente in guardia Patrick, strizzandogli l’occhio.

“Beh, troverà pane per i suoi denti, poco ma sicuro” ghignò Andrew, risoluto.

“Bravo, così si parla” assentì l’amico, dandogli una pacca sulla spalla. “Ci piace un Andrew combattivo, e non solo remissivo.”

Non si sarebbe tirato indietro, di fronte all’eventuale sfida di conquistare il cuore di Violet, se quest’ultimo fosse stato ancora libero.

E, se avesse dovuto combattere contro Solomon, l’avrebbe fatto. 







Note: Sembra che persino il tempo stia congiurando contro Andrew e amici, ma riusciranno in qualche modo a riprendere la via del mare. Solo, non si sa se Andrew arriverà prima della nascita dei gemelli.
Lo scopriremo presto visto che, per non lasciarvi senza novità, vi posterò altri due capitoli aggiuntivi (parto per le ferie, perciò niente PC al seguito... )
Ci rivendiamo ad agosto! Buone ferie per chi va, e anche per chi resta!

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


 
 
 
8.
 
 
Aberdeen – 7 novembre 1827
 
 
Non fecero in tempo.

Il temporale li colse sulla via del ritorno e quando Lucius, Violet e la sua dama di compagnia, Sybil, rientrarono a casa, erano ormai bagnati fradici.

Sybil non perse tempo in convenevoli e, accompagnata la padrona al piano superiore, ordinò per lei un bagno caldo e abiti puliti, dopodiché fuggì nella sua stanza con un risolino.

A Violet non restò altro che entrare in camera sua, denudarsi grazie all’aiuto della sua cameriera e, con un sospiro, infilarsi nella tinozza d’acqua bollente, preparata a tale scopo nell’adiacente spogliatoio.

Rilassandosi all’interno di quell’invitante conchiglia liquida e calda, Violet si concesse il lusso di chiudere gli occhi e, svogliata, si passò la spugna sul corpo raffreddato dalla pioggia.

Da quando aveva conosciuto Lucius, non aveva più passato giorno chiusa in casa e, assieme a lui e a Sybil, o Lizzie, erano spesso usciti per lunghe passeggiate a cavallo o in calesse.

Abitando nelle vicinanze, Lucius non aveva avuto problemi nel passare a trovarla giornalmente, con sempre progetti nuovi da mostrarle.

La sua frizzante simpatia, unita a un’elevata capacità tecnica di base, l’avevano davvero colpita favorevolmente.

Lucius sarebbe diventato un armatore coi fiocchi, se solo avesse veicolato nel verso giusto tutta la sua grinta e la sua passione.

Per il momento, a Violet sembrava che stesse navigando più veloce delle sue possibilità liquide iniziali, ma sarebbe bastato poco per riportarlo sulla retta via.

Sorrise spontaneamente nel ritrovarsi a pensare come un marinaio e, tra sé, rise all’idea di parlare a quel modo nei salotti bene di Londra.

Metà dei presenti sarebbero svenuti di sicuro, e l’altra metà l’avrebbero ritenuta folle.

Ma lei amava il mare, tutto ciò che riguardava la nautica e, soprattutto, amava creare strutture che potessero contrastarne la forza, sfruttando a proprio vantaggio vento e acqua.

Randolf l’aveva sempre presa bonariamente in giro, dicendole che lei, e non lui, aveva preso dal suo defunto padre.

Ovviamente, ciò era impossibile, poiché non v’era consanguineità per parte di padre, tra lei e Randolf, ma la divertiva l’idea di aver preso su di sé il retaggio di quell’uomo che non aveva avuto la possibilità di conoscere.

Ne aveva sentito parlare tramite i racconti di suo padre Anthony, o dalla madre, che lo ricordava con amore e, nel corso degli anni, si era fatta una sua idea su Andrew Campbell.

Kathleen le aveva confermato tante sue ipotesi, aggiungendo svariati particolari su di lui.

A distanza di anni, comunque, poteva sostenere che galeotto era stato il libro che Kathleen le aveva regalato sulla nautica, appartenuto un tempo a suo fratello Andrew.

Dopo averla vista così interessata a conoscere il padre di Randolf, la donna si era convinta che, donandole uno dei libri da lui tanto amati, avrebbe potuto capirlo meglio.

E così era stato.

Suo fratello, poi, le aveva mostrato alcuni diari tenuti dal padre – e di cui nonna Georgiana gli aveva fatto dono – e così, per Violet, era iniziato un percorso di scoperta durato anni.

Tutti si erano accorti del suo interesse sempre più profondo per la nautica ma, forse, l’avevano sottovalutata perché lei stessa non si era mai spinta a chiedere altro.

Si era fatta una cultura personale assai approfondita, ma non aveva mai avuto il coraggio di chiedere al padre, o a chiunque altro, di farle vedere cosa volesse dire sul serio.

Certo, probabilmente l’avrebbero dissuasa dall’interessarsi oltre; una donna non si occupava di cose simili.

C’erano ancora marinai che facevano gli scongiuri, di fronte a una donna a bordo di un veliero.

Figurarsi di una che voleva costruirli!

Lei, da brava codarda quale era sempre stata, si era limitata a innamorarsi di una cosa senza mai afferrarla veramente.

Sembrava il leit-motiv della sua vita, in effetti.

Essere vicino a ciò che brami, senza avere mai la forza di afferrarlo saldamente.

Ora, però, parlando con Lucius e trovando in lui non solo un ascoltatore attento, ma anche un giovane che l’accettava come persona e come donna, aveva compreso di potercela fare.

Di poter dare voce alle sue idee senza timore di apparire sciocca.

Non avrebbe mai potuto fare lo stesso mestiere a cui puntava Lucius, questo lo sapeva benissimo.

Non era il tempo, né il luogo.

Ma adesso era in grado aggrapparsi al suo sogno e, in qualche modo, di renderlo reale.

Forse, grazie a questa nuova forza, avrebbe potuto aggrapparsi anche a qualcos’altro… a qualcun altro.

“Qualcuno è nel mondo dei sogni?” ironizzò una voce, all’interno dello spogliatoio.

Violet strillò di sorpresa e paura, sciabordando l’acqua con le braccia e rischiando di farla debordare dall’orlo.

Lizzie, allora, rise di gusto e, nel sedersi su una vicina panca, poggiò le mani sul ventre prominente e disse: “Hai una faccia squisita, in questo momento, Lettie.”

“Se non fosse che sei incinta e vicina al parto, ti picchierei. Sono quasi morta di paura” esalò Violet, raggelandola con il suo sguardo ceruleo.

O, per lo meno, ci provò. Non era mai riuscita a spaventare nessuno, neppure quando era furiosa.

Figurarsi spaventare Lizzie, che era alla stregua di una dea guerriera, ai suoi occhi.

Addolcendo il suo sguardo, Elizabeth si massaggiò distrattamente la schiena con una mano, asserendo: “Ho visto passare Lucius, diretto nella camera degli ospiti, bagnato come un pulcino. Ne deduco che non siete rientrati in tempo.”

“Già. E spero davvero che Sybil non si ammali. Potresti farle mandare qualcosa di caldo?” le domandò Violet, sentendosi tremendamente in colpa.

“Avevo già spedito un paio di garzoni ad attizzare il fuoco nella sua stanza, così come avevo fatto per la tua, quando ho visto iniziare a piovere, e le farò mandare del brodo caldo e del pane appena sfornato. L’ideale per scaldarsi le viscere” sorrise Lizzie, annuendo. “Dove siete andati, stavolta?”

“Abbiamo passeggiato lungo la battigia con i cavalli, ammirando da lontano le linee dei clipper che stavano partendo dal porto. Discutevamo sulla lunghezza dei bompressi e l’angolatura dello scafo” le spiegò Violet.

Ormai aveva imparato che, a Lizzie, poteva dire qualsiasi cosa senza apparire pazza. Anche se lei non capiva nulla di quanto stava dicendo, la ascoltava sempre.

Era bello non avere più paura di apparire strani, o di temere di far preoccupare l’eventuale interlocutore.

Non aveva mai parlato così apertamente con nessuno, ed era stupendo poterlo fare con una delle sue migliori amiche.

“Dunque, …il bompresso è l’albero orizzontale, giusto?”

“Esatto, quello che si estende verso il mare, dalla prua” assentì Lettie, affondando un attimo per bagnarsi anche i capelli.

Quando riemerse, si ritrovò gli occhi gentili dell’amica puntati addosso e Violet, sorridendo, le domandò: “Cosa vuoi domandarmi, Lizzie?”

“Io? Nulla. Tu, piuttosto, vuoi dirmi qualcosa?” replicò la donna, massaggiandosi con più insistenza il fianco. “Giuro che mi sembra di avere un plotone, dentro la pancia.”

“I bambini ti danno noia?” domandò subito la giovane, afferrando i bordi della tinozza per uscire.

Il dottore, ormai, dava per scontato che fossero due gemelli, visto che aveva potuto sentire con mano tre calci nello stesso momento, durante una visita.

Elizabeth la bloccò con un gesto della mano e, sorridendo divertita, replicò: “Non balzare fuori per soccorrermi. Sto bene, anche se spingono come cavalli imbizzarriti.”

“Beh… se ne senti il bisogno, chiedimi aiuto. Salterò fuori anche se sono bagnata fradicia e nuda come un verme” ironizzò allora Violet, tornando a pulirsi la chioma.

“Oh, credo proprio che alcune persone, in casa, apprezzerebbero molto vederti scorrazzare come lady Godiva” sorrise Lizzie, facendo arrossire l’amica.

“Anche quanto, troverei il tempo per afferrare una vestaglia, prima di portarti in camera tua” bofonchiò Lettie, pur sorridendo divertita.

Chissà cosa avrebbero pensato, i suoi genitori, se si fosse esibita a quel modo?

Probabilmente, non ci sarebbe mai riuscita… sarebbe morta d’imbarazzo molto tempo prima.

Lizzie, invece, forse l’avrebbe fatto davvero, se la necessità lo avesse imposto. Era molto più coraggiosa di lei.
“Cosa sta confabulando la tua mente?”

“Si vede tanto, che sto pensando?”

“Ti esce il fumo dalle orecchie” ghignò Lizzie.

Violet rise e, nel sollevarsi stillante dalla tinozza, afferrò il telo che Elizabeth le offrì e vi si avvolse dentro, uscendo dall’acqua ormai tiepida per avvicinarsi al camino acceso.

“Pensavo che tu, forse, potresti esibirti come lady Godiva, ma io non potrei mai. Non ne avrei il coraggio” ammise Violet, sorridendole.

Elizabeth scrollò le spalle, replicando: “E’ solo pudore, il tuo, non mancanza di coraggio. Ne hai sempre dimostrato più di me, fin da quando iniziasti ad aiutare mia madre e la tua, da bambina, nell’orfanotrofio di York.”

Sorpresa da quell’ammissione, Violet smise per un attimo di asciugarsi ed esalò: “Che c’entra quello?”

“C’entra eccome, tesoro. Io ho sempre guardato a te, per imparare a dominare le mie paure. Tu sapevi stare assieme a quei bambini come io non ero in grado, perché mi sentivo troppo goffa e inadatta, per trattare con loro.”

Ora del tutto sbalordita, Violet si sedette sulla panca nei pressi del camino e, lasciando che il fuoco le scaldasse le chiome rilasciate sulle spalle, mormorò: “Perché mai pensavi questo?”

“Perché a te veniva naturale come respirare, mentre io ero terrorizzata anche solo di toccarli, per paura di far loro del male” ammise Lizzie. “In seguito, compresi quanto fossero state sciocche, le mie ansie ma, per diverso tempo, mi sentii inadeguata.”

Violet, allora, le sorrise con calore e asserì: “Anch’io avevo paura di sbagliare, perciò osservavo spesso tua madre, o la mia. Ma volevo riuscire con tutta me stessa, perché sentivo di volerlo fare, per dimostrare a me stessa che ero in grado di poter fare almeno quello. Vedevo te, così brava in tutto, così esplosiva e vitale in tutto quello che facevi, mentre io riuscivo a essere solo la tua ombra pallida, così mi imposi di essere brava almeno con gli altri, visto che con me stessa riuscivo a combinare ben poco.”

“Perché non te l’hanno mai permesso” sottolineò Elizabeth con aria vagamente contrita.

“Ancora con questa storia?”

“Oh, andiamo, Lettie… nessuno ti lasciava muovere un filo d’erba, senza il terrore che potessi tagliarti. Erano tutti iperprotettivi con te, mio fratello compreso. L’unico che ti abbia mai lasciato respirare un po’, è sempre stato Max. E’ ovvio che tu abbia sempre pensato di non essere in grado di fare determinate cose. Non ti hanno mai lasciato tentare!” brontolò Lizzie, scuotendo con enfasi una mano.

Violet sorrise, annuendo, ma aggiunse: “Io, però, gliel’ho permesso. Non mi sono mai imposta come hai sempre fatto tu.”

“Io sono testarda per natura, e ho una lingua che graffia” rise di se stessa Elizabeth. “Ma ho imparato una cosa. Cercare di somigliare agli altri è sbagliato, bisogna essere se stessi e vedo che, stando con Lucius, mi sembra che questo stia succedendo.”

Violet sorrise spontaneamente, annuendo e, nell’afferrare una spazzola dal vicino tavolo da toeletta, asserì: “E’ un caro amico, ormai, per me, e ha fiducia nei miei mezzi. Inoltre, mi ha detto che, se mai costruirà barche e navi, alla prima darà il mio nome.”

“E’ carino, da parte sua” dichiarò piana Elizabeth.

Letty ammiccò, e aggiunse: “E utilizzerà i miei disegni, per la nave che intitolerà a me.”

“E a te sta bene? Darli a lui perché li firmi?”

“Conosco i limiti che le donne hanno al giorno d’oggi, e non penso che le cose cambieranno molto presto. Se una mia creazione potrà prendere vita grazie alle mani di una persona che stimo, sarò già felice così” ammise Violet, con sincerità.

“Mi spiace che tu debba passare attraverso un’altra persona, per veder realizzato il tuo sogno” sospirò l’amica, massaggiandosi il ventre.

“Si cerca di ottenere il meglio dalla vita, no?” replicò a quel punto Violet, distogliendo lo sguardo per non farle capire cosa volesse, oltre a una nave col suo nome stampigliato sopra.

“E immagino che stare con Lucius, e creare navi assieme, non sia il tuo meglio…” ironizzò dolcemente Lizzie, facendole volgere sorpresa lo sguardo.

“E’ così lampante?” esalò Violet, impallidendo leggermente.

“Per chi sa cosa leggere, e sa cosa cercare, sì. Ma sei brava a tenerlo nascosto, anche se pensavo che, stando tanto tempo con Lucius, le cose potessero essere cambiate” ammise Elizabeth. “Invece, sono solo peggiorate, vero?”

Reclinando il capo, Lettie poggiò i gomiti sulle ginocchia e si coprì il viso con le mani, esalando: “Lucius sarebbe un marito perfetto, lo so. Amiamo le stesse cose, e lui mi ascolta, lascia che sia io a guidare la conversazione, non mi sottovaluta mai. Eppure…”

“… eppure, non vuoi lui. E Lucius lo sa.”

Annuendo, Violet asserì: “Mi premurari di chiarire ogni cosa, quando mi ponesti questa stessa domanda, mesi fa, perché non volevo illudere nessuno e, anche se stare con lui mi ha riempito di soddisfazione e di una sicurezza che non avrei mai pensato di provare, so che non potrei mai amarlo. Non come amo Andrew. In ogni momento, ho sempre voluto averlo al fianco per sentire i suoi pareri in merito a ciò che io e Lucius dicevamo. Direi che spiega molte cose, no?”

“D’accordo… ma lui cosa ne pensa?”

“Siamo solo amici. Davvero. Sta bene a entrambi” asserì Violet, massaggiandosi le tempie. “Il problema rimane sempre e solo uno. Andrew. E, finché non torna, tutto rimarrà in sospeso.”

“Amen” borbottò Lizzie, annuendo.
 
***

La risalita dalle coste del Portogallo fino a Calais, era stato qualcosa di entusiasmante e terrificante al tempo stesso.

Il tempo aveva alternato momenti di tranquillità ad autentiche bufere di vento che, solo grazie al favore di Eolo, l’abile timoniere aveva potuto sfruttare a suo vantaggio.

Quando infine avevano raggiunto il porto francese per imbarcarsi per la Scozia, il mal di mare era venuto a tutti.

Si poteva sopportare quasi tutto, nella vita, ma un oceano simile avrebbe steso anche il più robusto marinaio.

E loro non li erano.

Fortunatamente, da Calais ad Aberdeen, il viaggio si era mantenuto su toni più tranquilli.

Quando infine Leonard, Keath e Andrew erano scesi sul molo, tutti avevano segretamente ringraziato Dio all’idea di non dover più viaggiare per mare, almeno per un po’.

A sorpresa, a loro si era unito anche Eli, desideroso di visitare la sorella, che abitava poco fuori la cittadina costiera.

Solomon e Patrick, invece, erano discesi al piccolo porto di Stonhaven per raggiungere il fratello maggiore di Sol, che viveva lì.

Si erano separati con la promessa di rivedersi per Natale a Aberdeen, se i Chadwick li avessero annoverati tra i loro ospiti.

Conoscendoli, Andrew non aveva alcun dubbio in merito.

Al porto, quindi, avevano preso una carrozza per quell’ultimo tratto di viaggio, e l’avevano stivata con tutti i loro bagagli e i molteplici acquisti, costringendo i quattro ragazzi a pigiarsi sui sedili.

Questo, però, non aveva preoccupato affatto Andrew, unicamente desideroso di raggiungere la casa della sorella.

Nel vederla finalmente in lontananza, circondata dal familiare boschetto di conifere e latifoglie mescolate assieme, Andrew sorrise spontaneamente.

A quel punto, però, Leonard disse: “Credo che, almeno per oggi, noi non dovremmo disturbare.”

Volgendosi a mezzo, Andrew fissò l’amico e replicò: “Ma che dici?! Lizzie sarà felicissima di vedervi!”

Keath intervenne a sua volta e asserì: “Leo ha ragione. Sono mesi che non vedi tua sorella e, ormai, sarà così vicina al parto che troppa confusione attorno non le piacerà di sicuro. Staremo con Eli per qualche giorno, e tu ci farai sapere se Lizzie gradisce o meno ricevere visite.”

Scrutando Eli, Andrew lo vide assentire.

“Ne abbiamo discusso prima di arrivare, e io sono d’accordo con loro. Shemain non avrà problemi a ospitarci ed è giusto che, prima di tutto, tu pensi alla salute di tua sorella. Noi siamo adulti e possiamo cavarcela da soli. Resteremo tranquillamente in disparte. E poi, immagino vorrai aprirti un po’ con lei anche per quell’altra questione.”

Andrew sorrise ai suoi amici, asserendo: “Continuo a dire che non ci sarebbero problemi, se anche vi fermaste… ma grazie per la vostra delicatezza. Sono sicuro che Lizzie apprezzerà.”

“Facci sapere come sta, e se possiamo venire a trovarla. Quanto al resto, …”

“Attenderò il momento giusto” terminò per loro Andrew, scuotendo le spalle.

Le vacanze di Natale sarebbero giunte in fretta, e lui avrebbe sfruttato quel tempo per capire come comportarsi al meglio con Violet.

L’aiuto di Lizzie sarebbe stato basilare, visto che loro due erano molto amiche, … e l’approccio di una donna era sicuramente migliore di quello di un uomo innamorato e dalle idee confuse.

Sorridendo suo malgrado, Andrew asserì: “Spero solo che non mi stacchino la testa, alla fine dell’opera.”

“Se dirai tutto a tua sorella, ci penserà lei a difenderti” ironizzò Keath.

“Non vedo l’ora di conoscerla” dichiarò Eli, tutto sorridente. “Ma aspetterò, promesso… tu, cerca solo di essere chiaro, e non perderti nei tuoi mille dubbi.”

“Ormai ho imparato la lezione. Devo aver maggiore fiducia nei miei sentimenti, e non pensare che lei non possa sopportarli” annuì Andrew, mentre la carrozza rallentava la sua corsa.

I suoi tre amici assentirono e, quando finalmente Andrew mise piede a terra, sentì di poter affrontare qualsiasi cosa.

Forse, anche il fatto che Violet, durante la sua assenza, avesse trovato un potenziale marito.

Ora che sapeva con chiarezza che cosa provava per lei, e non era più impaurito e confuso dai suoi stessi sentimenti, poteva porsi di fronte alla prova finale a testa alta.

Dirlo a lei, alla ragione prima e ultima dei suoi pensieri.

Quando il cocchiere ebbe scaricato tutti i suoi bagagli, Andrew salutò gli amici e, nell’osservare per qualche istante la carrozza allontanarsi, sorrise tra sé al pensiero di rivedere la sorella.

Guardandosi intorno, notò i segni di una pioggia recente, forse del giorno precedente.

Lizzie doveva aver trovato la cosa assai fastidiosa, visto quanto odiava la pioggia, quando non si sentiva bene.

Dandosi una mossa e lasciando perdere quei pensieri, Andrew suonò la campanella d’ingresso e, quando venne ad aprire il capo maggiordomo, il giovane sorrise spontaneamente.

“Mr Thaddeus! Che piacere rivedervi!” esclamò il giovane, allungando una mano al sorpreso domestico.

“Lord Spencer! Bentornato! Sua Signoria non si aspetta di sicuro una vostra visita!” esalò l’uomo, sorridendogli nel farlo accomodare in casa. “Carl, Harold, ritirate i bagagli di Sua Signoria e portateli nelle sue stanze.”

Sorridendo distrattamente ai due garzoni, Andrew si guardò intorno con affetto, tornò a familiarizzare con quella costruzione dai colori tenui e solari, dalle linee classiche, e sospirò.

“Dio, quanto mi è mancato questo posto! Mia sorella sta bene?”

“Tutto procede benissimo, anche se il dottore pensa che i bambini possano nascere a breve” lo informò Jordan Thaddeus, notando subito lo stupore dipingersi sul viso del giovane. “Oh… Sua Signoria non vi aveva informato, temo.”

“Dubito ci sarebbe riuscita… il nostro rientro da Atene è stato assai travagliato” asserì Andrew, sorridendo in maniera forse un po’ sciocca. “Dio… due gemelli?”

“E’ molto probabile, sì. Miss Violet si è fermata qui fin da agosto inoltrato, per rimanere accanto a lady Chadwick per aiutarla durante il parto.”

“Violet è qui?” ripeté confuso Andrew, facendo tanto d’occhi.

“Oh, sì. E’ stata di grande conforto a Sua Signoria, nei momenti in cui non si è sentita particolarmente bene. Credo che ora si trovi nella serra al primo piano, con i suoi disegni nautici” lo informò l’uomo, illuminandosi in viso. “Miss Violet mi ha fatto l’onore di mostrarmene uno e, giusto cielo, non penso di aver mai visto un progetto più bello in vita mia. Non me ne intendo molto, ma credo sia venuto molto bene.”

Sorridendo con orgoglio, Andrew assentì. “Violet è naturalmente portata per questo.”

“Un vero peccato che alle donne non sia concesso diventare ingegneri navali… Sua Grazia ne avrebbe le doti” sospirò il maggiordomo, prima di scusarsi per tornare alle sue incombenze.

Salendo le scale a due a due, trattenendo a stento l’istinto di mettersi a correre, Andrew si domandò fuggevolmente se fosse preferibile evitare quell’incontro, almeno per qualche ora.

Forse, sarebbe stato meglio parlare prima con sua sorella, chiederle lumi e, soprattutto, indicazioni su come comportarsi.

In fondo, lui non si era mai dichiarato a una donna, e non aveva la più pallida idea di cosa potesse piacere a una ragazza, in un caso simile.

Certo, sua sorella si era dichiarata nel bel mezzo di un capannone, durante una colluttazione con dei briganti, ma quello non faceva testo.

Sì, forse sarebbe stato meglio…

La voce trillante di Violet mandò in tilt il suo cervello, cancellando come un colpo di spugna tutti i suoi potenziali piani per non sbagliare e, ovviamente, sbagliò.

Si mosse come su una carreggiata diritta e senza sbocchi, diretto verso la serra del primo e lì, senza bussare né altro, entrò… e vide.

Non seppe dire bene cosa gli si presentò innanzi, tanta era la sua confusione, ma riconobbe la sua Violet stretta tra le braccia di un giovane bruno che non conosceva.

E, fra loro, v’era fin troppa intimità.

Avrebbe accettato anche un eventuale fidanzato, eh?

Tutte chiacchiere.

La semplice vista di quell’abbraccio gli fece sorgere in corpo una rabbia cieca, rabbia che veicolò immediatamente contro l’oggetto del suo istinto omicida.

Con un ringhio cupo e feroce, Andrew si mosse verso la coppia e, complice quel suono, i due si separarono sorpresi e sgomenti, fissandolo con simili sguardi sgranati.

Se il giovane, sconvolto, levò le mani per difendersi, Violet urlò un ‘fermo!’ che lo fece bloccare sui piedi, ma che non fece scemare di una virgola la sua ira.

Le mani levate a fermarlo, Violet si interpose tra la furia di Andrew e Lucius, l’inerme vittima del suo livore e, con voce a stento controllata, esalò: “No, Andrew! Non devi colpirlo! Non fare del male a Lucius!”

Sentirle dire il nome di uomo che non fosse lui, e con tono così accorato, gli fece capire un sacco di cose.

Era arrivato tardi, e Violet aveva donato il suo cuore a quel giovane dall’aspetto piacevole e che, molto volentieri, avrebbe voluto riempire di pugni.

Preso un gran respiro, Andrew si impose di reclinare i pugni e, fissando lo sguardo in quegli occhi di cielo che tanto amava, mormorò spiacente: “Mille scuse, Violet. Pensavo foste in pericolo… non immaginavo di trovarvi col vostro fidanzato. Vi lascio soli.”

Ciò detto, si volse per uscire, e i richiami di Violet non raggiunsero mai le sue orecchie, tanto il dolore lo accecava.

Era tardi.

Era tardi per tutto.
 
***

La felicità per le notizie portate da Lucius, erano state surclassate in un attimo da quel ringhio.

Quella voce.

I mesi non gliel’avevano fatta dimenticare come aveva temuto e, anzi, l’aver udito quel suono familiare l’aveva rinvigorita subito.

Come l’aveva spaventata l’attimo seguente, quando aveva scorto l’ira funesta di Andrew abbattersi sull’incolpevole Lucius.

Quando, però, lei lo aveva fermato, pregandolo di non colpirlo, lui aveva male interpretato la sua richiesta e ora, fermo nei suoi propositi, si stava allontanando.

Da lei, dal suo cuore, dal suo desiderio frustrato da mille silenzi.

“Oh, cielo… ma che è successo?” esalò Lucius, prendendo un gran respiro.

“Era Andrew… il fratello di Lizzie” riuscì a dire Violet, tenendosi una mano stretta al petto, dove il cuore stava andando in mille pezzi.

Lucius la fissò confuso per un attimo, prima di spalancare lentamente gli occhi, fissare l’entrata della serra ormai vuota ed esalare. “Violet… è lui l’uomo che amate, vero?”

Lei non ebbe il coraggio di parlare, limitandosi ad annuire e Lucius, portandosi le mani ai capelli, esalò: “Oddio! E io vi ho abbracciato come uno sciocco… e dire che mia madre mi ha urlato per anni che, la mia intraprendenza, mi avrebbe cacciato nei guai.”

“Non poteva sapere che il vostro modo di comportarvi è solo un po’ esuberante, e che non v’erano secondi fini” replicò gentilmente Violet, tentando di sorridergli.

“Sempre a proteggere tutti, eh, Violet?” le sorrise di rimando lui, poggiando una mano sulla sua spalla. “Ma è giusto che mi prenda le mie colpe. Devo imparare a darmi un contengo, anche quando sono felice come una Pasqua.”

Suo padre gli avrebbe permesso di partire, di aprire il suo cantiere navale, e sarebbe stato al suo fianco per avviarlo.

Sì, aveva tutte le ragioni per essere felice, e felice di esternarlo, ma…

“Andrò da lui e mi spiegherò. Risolverò tutto, Violet” gli propose lui, annuendo con fiducia.

Lei fece per assentire, ma si bloccò.

Sarebbe stato troppo facile cadere nei vecchi cliché, in cui tutti la aiutavano, le evitavano i compiti più difficili per risparmiarle il dolore o la fatica.

No, lei non voleva più essere soltanto una ragazzina coccolata, ma una donna in grado di prendere in mano le redini della sua vita. E sbagliare e farsi male, se necessario.

Perciò scosse il capo, sorrise all’amico e, nel carezzargli una guancia, asserì: “No, è compito mio spiegarmi. Lo farò io. Ora, sono in grado di farlo, anche grazie a voi.”

“Ne siete sicura?”

“Sicurissima, Lucius… e, congratulazioni, tra le altre cose. Non ero riuscita a dirvelo.”

“Ne parleremo più tardi. Adesso, pensate al vostro cuore” le sorrise lui, sospingendola fuori dalla serra.

Sì, era tempo di pensare al suo cuore.








Note: Diciamo che Andrew ha predicato bene e razzolato male e, proprio perché è innamorato cotto, non ha sentito un'acca di quello che stava dicendo Violet ^_^
Ma ci penserà lei, stavolta, a risolvere la situazione... per lui, Violet sa tirare fuori le unghie.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


 
 
9.
 
 
 
 
E dire che si era ripromesso di essere più maturo di così, di prendere per buone le decisioni di Violet… qualsiasi fosse stata la sua scelta di vita.

Invece, cosa faceva?

Aggrediva il suo futuro marito al pari di un qualsiasi troglodita, dimostrando una volta di più di essere un ben misero uomo.

In primis, lo era stato sottovalutando sempre e comunque le capacità di Violet, ritenendo che lei non fosse in grado di cavarsela, senza il suo aiuto.

In seconda istanza, non accettando de facto ciò che il cuore le aveva detto di fare.

Era così che si comportava un vero uomo? Un vero amico? No di certo.

Suo padre si sarebbe sicuramente vergognato di lui.

Uscendo sulla terrazza, il vento gelido gli schiaffeggiò il viso, risvegliandolo almeno in parte da quei cupi pensieri e, torvo, osservò l’orizzonte plumbeo e ribollente.

Entro sera, si sarebbe scatenata una tempesta coi fiocchi, a giudicare da quelle nubi pigiate sul mare, pronte solo a scatenarsi al minimo accenno.

Ormai era diventato un esperto, nel leggere i segnali del cielo.

Peccato fosse ancora inesperto – e decisamente stupido – per quel che riguardava i fatti di cuore.

Sospirando sconfortato, Andrew prese dei gran respiri a pieni polmoni per darsi una calmata, così da rendersi presentabile per la sorella.

In seguito, si sarebbe scusato con Violet per il suo comportamento irriguardoso, e avrebbe fatto i suoi più sinceri auguri al suo futuro marito.

Beh, forse sinceri proprio no, ma sentiti sicuramente.

Desirava solo la più piena felicità, per Violet, e il sorriso sincero che le aveva scorto sul viso, gli era parso assai lieto.

“Andrew…” mormorò una voce alle sue spalle, a lui fin troppo familiare.

Non ora, non ora, Violet, pensò tra sé, stringendo convulsamente le mani sul parapetto di pietra nel tentativo di calmarsi.

Dei passi titubanti e, nuovamente, quella voce delicata come le ali di una farfalla.

“Andrew, ti prego, guardami…”

Lui infine si volse, cercò di stamparsi in viso un’espressione neutra ma, quando vide quegli occhi di cielo ricoperti da un velo di lacrime, si odiò con tutto se stesso.

E perse la battaglia contro il suo autocontrollo.

Reclinò colpevole il capo, sospirò e infine disse roco: “Ti chiedo umile perdono, Violet, per ciò che hai visto. Non avrei mai dovuto comportarmi a quel modo con il tuo futuro marito. Spero che, in cuor tuo, troverai il modo di perdonarmi.”

Violet scosse il capo, si terse gli occhi per impedire alle lacrime di scendere e, con tono più sicuro, replicò: “Lucius non è il mio futuro marito. Davvero.”

“Come?” esalò a quel punto Andrew, levando nuovamente il capo a fissarla con espressione stordita.

Accennando appena un sorriso, lei si strinse le braccia attorno al corpo, rabbrividendo e, subito, Andrew fece per ricondurla all’interno.

A metà di un passo, però, si bloccò, la fissò dubbioso e le domandò: “Se hai freddo, possiamo tornare dentro. O preferisci rimanere qui?”

Lei sorrise maggiormente, di fronte a quella domanda.

Era stato chiaro dal suo primo impulso, quale fosse la sua intenzione. Prendere l’iniziativa e trascinarla dentro per non farle prendere freddo.

Ma si era bloccato, si era imposto di non prendere alcuna decisione totalitaria e aveva chiesto a lei cosa ne pensasse.

Decisamente non da Andrew, che aveva sempre preso iniziative del genere, pur di proteggerla da qualsiasi cosa.

“Rientriamo pure. Ho già rischiato ieri, di buscarmi un’infreddatura, e non voglio fare il bis, oggi” lo informò lei, incuriosendolo.

“Come mai?”

“Io e Lucius siamo tornati tardi da una passeggiata a cavallo sulla spiaggia, e ci siamo bagnati fino all’osso…” cominciò a spiegargli, subito notando il suo cipiglio contrariato. “… e, prima che tu corri dabbasso per chiedere vendetta, sappi questo; eravamo lì assieme alla mia dama di compagnia… e guardavamo le navi.”

A quel punto, Andrew fece tanto d’occhi e Violet, sapendo di averlo chetato almeno in parte, proseguì dicendo: “Lucius vuole diventare armatore e, in questi mesi, siamo diventati molto amici. Abbiamo parlato spesso del mio interesse per l’ingegneria navale, e lui si è dimostrato molto interessato a vedere i miei disegni.”

Andrew assentì torvo, limitandosi a stringere al petto le grandi braccia e Violet, per un momento, si chiese cosa volesse dire farsi stringere da esse con passione.

Era abituata da una vita, agli abbracci di Andrew, ma erano sempre stati teneri e protettivi… mai dettati dal desiderio fisico.

Lappandosi nervosamente le labbra, dovette chiedere con tutta se stessa al proprio cuore di chetarsi, per non gettarsi contro di lui per baciarlo.

Sarebbe stato oltremodo sciocco, e prima voleva chiarirsi col suo migliore amico. Non voleva vi fossero dubbi, tra loro.

In seguito, avrebbe avuto tutto il tempo di rendersi stupida di fronte a lui.

“Desidera partire per le Americhe, e costruire lì il suo primo veliero. Proprio oggi, quando ci hai visti, mi ha riferito che suo padre ha acconsentito ad aiutarlo ad aprire il suo cantiere navale. Eravamo molto eccitati.”

“E vi siete abbracciati… amichevolmente…” brontolò Andrew, non sapendo bene che pensare.

Violet, a quel punto, rise divertita e asserì: “Lucius è molto fisico, te lo concedo. Non è esattamente quel che si definirebbe un gentiluomo ligio al Ton, ma posso assicurarti che lo fa con spontaneità, e non con secondi fini.”

“Ma tu ti trovi molto bene con lui, da quel che mi pare di capire…” sottolineò Andrew, ribollendo dentro a ogni parola. “… perché, quindi, non prenderlo come marito?”

Violet sospirò, di fronte a quella domanda e, lanciato uno sguardo all’esterno, oltre i vetri ora rigati di pioggia della finestra, mormorò: “Perché lo vedo solo come un amico.”

“E lui? Forse, a lui andrebbe bene comunque” indagò ulteriormente Andrew, preferendo non lasciarsi andare prematuramente alla speranza.

Un’amicizia poteva ben essere il fondamento di un matrimonio sano e felice, perciò perché rinunciarvi?

Lei tornò a guardarlo, quelle iridi di cielo percorse da una forza che, raramente, Andrew aveva scorto e, con voce solo un poco esitante, Violet mormorò: “Lucius non mi ama… non come potrebbe amare una moglie, per lo meno. Mi ha detto che avrebbe voluto una persona come me come sorella, che potesse capirlo come sembro fare io.”

“Tu sei sempre stata una brava ascoltatrice, e un’ottima amica, ma ribadisco… perché non provare? Partire da un’amicizia salda come, mi sembra, sia la vostra, potrebbe portare a un … un matrimonio felice.”

Andrew avrebbe voluto gettarsi dalla terrazza, mentre diceva quelle parole, ma si era imposto di pensare prima a lei, ai suoi desideri, prima che ai propri, e a questo si sarebbe attenuto.

Le avrebbe detto la verità, ma non si sarebbe imposto. Mai.

Violet storse la bocca sottile, a quelle parole e, con un mugugno, borbottò: “Vuoi che io lo sposi?”

Andrew imprecò, infischiandosene bellamente dell’etichetta, o del fatto che Violet non avrebbe mai dovuto sentire parole simili e, passandosi una mano tra i capelli, sbottò.

“No che non voglio! Ma ho sempre deciso io per te, anche quando avresti potuto tranquillamente cavartela con la tua sola testa. Te l’ho sempre impedito perché, da bravo maschio quale sono, ho sempre pensato che avessi bisogno di me, quando sei intelligente a sufficienza per prendere decisioni autonome e, sicuramente, per guidare anche un idiota come me verso un buco in cui sotterrarsi.”

“Come, prego? Perché dovresti sotterrarti?!” esalò lei, comprendendo sì e no la metà di quello che lui disse.

Le faceva piacere pensare che lui la ritenesse una persona in grado di agire consapevolmente anche da sola, ma non pensava che lui fosse un idiota, o un maschio dominante.

O meglio, forse un po’ lo era stato, un maschio dominante, ma non era mai stato un problema, per lei.

Non fino a quando aveva compreso di voler prendere da sola certe decisioni, e di sbagliare, se necessario.

“Dovrò farlo, perché non sopporterò di vederti con un uomo… con un uomo che non sia io! Ma mai più, nella vita, imporrò le mie scelte su di te, soprattutto una come questa!” ammise con veemenza Andrew, facendole sgranare gli occhi per la sorpresa.

Ormai senza freni, Andrew aggiunse roco: “Ti amo, e non negherò più questo sentimento, che mi ha divorato le viscere per anni, ma neanche ti obbligherò ad accettarlo, o apprezzarlo. Devi essere libera da qualsiasi vincolo, perché la tua felicità va oltre ogni mio desiderio, ogni desiderio di chi ti vuole bene. Tu sola puoi decidere per te stessa, e io…”

Violet non lo lasciò finire.

Allungò le mani per afferrargli il viso e, serrando gli occhi, lo attirò a sé per baciarlo.

Furono solo labbra contro labbra, premute le une sulle altre, ma fu tutto.

Andrew lanciò alle ortiche ogni pensiero coerente e la strinse a sé, quasi sollevandola da terra e Violet gli avvolse un braccio attorno al collo per premere con più forza sulla sua bocca.

Durò pochi attimi, o un’eternità, nessuno dei due avrebbe saputo dirlo con certezza ma, all’improvviso, Andrew si scostò da lei, la fissò sgomento ed esalò: “Lettie, ma cosa…”

Ansando senza forse, il cuore che minacciava di balzarle dal petto, lei gorgogliò: “Perché ti sei fermato?!”

“Perché… mi sono fermato?! E me lo chiedi anche?!” sbottò lui, appoggiando una mano al davanzale della finestra per sorreggersi. Le gambe lo tenevano in piedi a stento.

Violet non seppe se ridere o prenderlo a schiaffi.

Optò per la prima soluzione, perché mai si sarebbe permessa di fare del male a una creatura vivente, figurarsi ad Andrew e, ridendogli in faccia, esclamò: “Cosa, in quel bacio, non ti era chiaro?”

Andrew non le rispose e, afferratale una mano, la attirò a sé per un secondo bacio, stavolta più delicato e studiato e, come sperò, lei si sciolse letteralmente contro il suo petto.

Violet era alta, per essere una donna, ed era sottile come un giunco, dalle linee delicate e appena accennate.

Si era sempre lagnata di non aver sviluppato un corpo morbido come quello della madre, o di Lizzie ma, per lui, era voluttuosa e intrigante come una sirena.

E stava rischiando di farlo impazzire, mentre gli carezzava con dita lievi il collo e la nuca.

Si scostò da lei, la fissò in quegli occhi di cielo ora resi torbidi dalla passione appena risvegliata e, roco, mormorò: “Che stiamo facendo, Lettie?”

“Mi sembra ovvio. Stiamo esprimendo ciò che pensiamo e, quasi sicuramente, i nostri familiari impazziranno. Ma sono stanca di mentire” replicò lei, poggiando il capo contro la sua spalla, senza alcuna difficoltà.

Andrew la avvolse con le braccia, sentendola giusta e perfetta per lui e, con un sospiro, asserì: “Non stiamo facendo nulla di male, Lettie… dovranno capirlo.”

“Se prima non ti ammazzano…” ironizzò lei, scostandosi quel poco per sorridergli. “… mi stavo giusto chiedendo cosa si provasse a farsi abbracciare da te.”

“Ti ho abbracciata un sacco di volte” le ricordò lui.

Non così” sottolineò per contro la ragazza, avvolgendogli la vita con le braccia.

Lui inspirò con forza, avvertendo in ogni parte del suo corpo quel lento, gentile sfregamento e, poggiando il capo contro la sua spalla, mormorò: “Ti prego, non farlo. In questo momento, il mio autocontrollo è pari a zero.”

Violet, allora, si scostò gentilmente, gli sorrise con un calore che quasi lo sciolse e, inclinando il capo, mormorò: “Ti amo anche perché pensi sempre a proteggermi… anche a costo di farti del male.”

Lui rise nonostante tutto, pronto a toccare il cielo con un dito, se vi fosse riuscito e, passandosi una mano sul viso, gracchiò: “Credimi, ora sento molto male… moltissimo.”

Lei avvampò a quel chiaro, lampante riferimento ma, prima ancora di dire qualsiasi cosa, i passi concitati di qualcuno bloccarono qualsiasi sua parola.

Sul bordo delle scale, trafelato e pallido, fece la sua comparsa Lucius e, nel vederli, sospirò di sollievo, esclamando: “Elizabeth ha le doglie! Vi sta cercando!”

Violet sbiancò in viso, annuendo in tutta fretta e, dopo un ultimo sguardo ad Andrew – che ora era cinereo – corse via, sollevando appena le gonne per procedere più agevolmente.

Con un ‘grazie’ sussurrato nel passare accanto a Lucius, Violet scomparve giù per le scale e, ai due giovani, non rimase che presentarsi.

Avvicinandosi, Andrew allungò una mano e disse: “Non vi avevo mai visto prima… eppure pensavo di conoscere tutti i cugini di Alexander.”

“Sono stato per lunghi anni in Francia, per studiare le tecniche di costruzione navale, per questo non mi avete mai visto qui. Molto piacere, Andrew. Sono Lucius Bradbury” asserì il giovane, stringendo la mano protesa. “Mi devo scusare per l’increscioso incidente. Non volevo in alcun modo offendere voi o Violet, prima…”

“Mi ha già chiarito tutto e, onestamente, non avevo alcun diritto di comportarmi come invece ho fatto, perciò sono io a dovervi fare delle scuse” asserì per contro Andrew, avviandosi verso le scale assieme al giovane.

“Avete parlato al passato? Le cose si sono sistemate, quindi?” sorrise speranzoso Lucius, sorprendendo un poco Andrew.

“La cosa vi starebbe bene?”

Ridendo sommessamente, Lucius disse: “Violet sarebbe una moglie che tutti potrebbero apprezzare… o meglio, tutti gli uomini dotati di cervello, ma io la vedo come una sorella. Una sorella assai intelligente e paziente, tra l’altro, a cui dedicherò la mia prima goletta… se la cosa non vi offende.”

Sorpreso, Andrew mormorò: “Perché lo fareste?”

“Innanzitutto, perché ha acconsentito a cedermi i suoi progetti, così che io possa svilupparli. Secondariamente, perché le voglio bene, e mi sembra un modo carino per dimostrarglielo. Sempre se la cosa non vi offende” sottolineò di nuovo Lucius, scansandosi quando vide passare un paio di domestici di corsa.

“Le avete concesso una fiducia che noi tutti avremmo dovuto darle anni fa, e una sicurezza che non le avevo mai visto prima. Non solo non mi offende, ma mi rende vostro debitore a vita” replicò Andrew, sorridendogli grato. “Il più, sarà convincere i suoi genitori della bontà dei nostri sentimenti.”

Lucius assentì serioso, mormorando: “Sì, ho notato quanto siano stretti i rapporti fra le vostre due famiglie. Pensate che possano vederla come una sorta di offesa personale?”

“Tutto è possibile… non so davvero come potrebbero prenderla, ma ho rischiato la pazzia, per aver taciuto tanto tempo, e ora non me la sento più di mentire.”

Dandogli una pacca sulla spalla, Lucius gli sorrise e disse: “Per quel che vale, perorerò la vostra causa. Era chiaro quanto Violet non vedesse l’ora di rivedervi.”

Andrew sorrise appena, grato per quell’insperato appoggio ma, quando vide correre per le scale l’ennesimo domestico, mormorò teso: “E ora, che facciamo?”

“Andiamo a tenere compagnia ad Alexander. Temo che sarà messo peggio di vostra sorella” sospirò il giovane, perdendo parte del suo smalto.

Già, non aveva alcun dubbio in merito.
 
***

“Sei sicura di non volere che chiami Alexander?” domandò per l’ennesima volta Violet, tergendo il viso di Lizzie dal sudore.

“E rischiare che uccida il medico? No di sicuro!” gracchiò la giovane, soffiando come una fornace.

La giovane la fissò senza capire e il dottore, sorridendole divertito, le indicò una vecchia cicatrice sull’arco sopraccigliare e asserì: “Alexander si agitò molto, durante la nascita di Rose, così finimmo per avere un lieve… scontro.”

“Andò fuori di testa, siate onesto, Barnard…” brontolò Elizabeth, ringhiando subito dopo quando una contrazione le fece quasi perdere il controllo. “… e vi colpì senza ragione. Per questo, non può stare qui.”

“Poveretto… diventerà matto, lì fuori” asserì comprensiva Letty, sorridendo.

“Ci sono Lucius e Andrew, no? Se la… caverà…” borbottò Lizzie, prima di sorridere e dire: “E’ tornato… e appena in tempo.”

“Te l’aveva detto, no? Voleva esserci.”

“E l’ha fatto…” mormorò lei, tergendosi una lacrima di commozione prima di imprecare vistosamente. “Ditemi che posso spingere o, quant’è vero Iddio, il pugno ve lo darò io, stavolta!”

“Famiglia pericolosa, quella dei Chadwick” ironizzò il medico, controllando la situazione. “Spingete, cara, ma abbiate la forza di farlo quando ve lo dico io.”

“Quello che volete, ma fatemi spingere…” sbottò Lizzie, urlando con forza quando gli venne dato il benestare.

All’esterno, ritti nel corridoio e pallidi come cenci, i tre uomini si bloccarono nel sentire urlare Lizzie e Alexander, afferrando il braccio del cognato, gracchiò: “Dio, non ce la posso fare…”

“Oh, lo farai eccome, visto che metà del guaio là dentro è causa tua” cercò di ironizzare Andrew, pur non sentendosi meglio di Alexander.

Lucius si passò un fazzoletto sulla fronte, sbuffando nervosamente, e asserì: “Mia madre dice spesso che, ciò che può sopportare una donna, un uomo non potrebbe mai, per cui…”

“Lucius, hai visto mia moglie?” brontolò per contro Alexander.

“Certo che sì, cugino. Ci conosciamo da tempo, no?” borbottò il giovane, fissandolo dubbioso. Dove voleva andare a parare?

“E in tutto questo tempo, non hai mai notato quanto lei sia piccola e magra?”

“Ah… beh, sì, certo. Elizabeth ha un corpo spettacolare, con tutto il rispetto parlando, ma …oh, sì, capisco cosa intendi dire” balbettò Lucius, impallidendo leggermente.

“Appunto” sbottò lapidario Alexander. “Quindi, con tutto il rispetto, ma non stiamo parlando di tua madre, o tua sorella, che hanno una corporatura giunonica, ma della mia Lizzie, che…”

Un secondo grido, e Alexander si azzittì, caracollando all’indietro fino a urtare il muro.

“Non la toccherò mai più…”

“Sì, vallo a raccontare a qualcun altro” ironizzò ancora Andrew.

“Tu non puoi parlare, visto che non sei nella mia stessa situazione” brontolò accigliato Alexander.

“Verissimo, ma so cosa vuol dire bramare una donna, e posso assicurarti che tu non smetterai di volere mia sorella… anche dopo questo inferno” dichiarò Andrew, sorridendogli comprensivo.

“Violet come l’ha presa?” gli domandò Alexander, preferendo parlare d’altro. Chissà che non riuscisse a non svenire, cambiando argomento?

Andrew, suo malgrado, arrossì leggermente e Alexander, con un ghigno furbo, dichiarò: “Ah, non ho bisogno di sentire nulla, a questo punto. Questo rossore dice tutto.”

“Aspetta a brindare al mio successo… dobbiamo ancora dirlo ai nostri genitori, e la cosa mi terrorizza più di quanto voglia ammettere con lei” brontolò il giovane Spencer, rabbrividendo quando udì la sorella urlare per la terza volta… e lanciare un’imprecazione degna di tale nome.

Lucius e Andrew fissarono Alexander che, con una semplice scrollata di spalle, replicò: “Ehi, amici, non è colpa mia. E’ tutta farina del suo sacco. L’ho presa in moglie che già conosceva certe parole.”

“Però…” fischiò ammirato Lucius, mentre Andrew scuoteva il capo.

“Se nostro padre la sentisse…”

“Ora come ora, sverrebbe e basta, non gli interesserebbe nulla del suo vocabolario” borbottò Alexander, allontanandosi dal cognato per passeggiare avanti e indietro lungo il corridoio.

“Credo anch’io” ammise Andrew, cominciando a chiedersi come avesse fatto, Alexander, a sopportare il parto di Rose. Lui stava già per alzare bandiera bianca.

Al quarto urlo, tutti raggelarono, perché parve durare un’eternità ma, alla fine, si spense con un pianto furioso quanto forte, che fece tirare un corale respiro di sollievo a tutti.

Un secondo pianto seguì il primo, pochi attimi dopo e Alexander, lasciandosi scivolare contro il muro, si sedette a terra per poi passarsi le mani sugli occhi umidi.

Andrew e Lucius gli batterono le mani sulle spalle, congratulandosi con lui e, in quel mentre, accaldata ma sorridente, Violet mise fuori la testa dalla stanza per dire: “Alexander, vieni… ora hai il permesso di entrare.”

“Lizzie come sta? E i bambini?” esalò lui, balzando in piedi come una molla, lo sguardo stralunato e intimorito.

Violet si limitò ad abbracciarlo per poi baciarlo sulle guance, asserendo: “Stanno tutti bene. Congratulazioni, caro… e ora, vai da tua moglie e dal tuo erede.”

“Erede? C’è un maschio?” gracchiò Alexander, sorridendo sghembo.

“Vai” si limitò a dire Violet, rimanendo fuori dalla stanza.

Quando la porta fu chiusa alle spalle del padrone di casa, Violet scoppiò in un pianto silenzioso e tranquillo e, subito, Andrew fu da lei per abbracciarla.

Lei lo accolse con gioia, addossandosi a lui per attingerne le forze ma, al tempo stesso, allungò una mano per chiamare a sé anche Lucius.

Quella gioia andava condivisa il più possibile e Andrew, nel sorridere al giovane, lo invitò ad avvicinarsi.

Senza dire nulla, allora, Lucius afferrò la mano protesa di Violet, se la appoggiò al petto e, con gentilezza, le massaggiò la schiena, mentre la giovane teneva il capo contro il torace di Andrew.

“Direi che è stata una prova dura anche per voi…” chiosò Lucius, sorridendole.

Lei assentì, mormorando: “E’ stato tremendo vederla soffrire tanto, ma Lizzie ha una tempra d’acciaio e, invece di lagnarsi per il dolore, non faceva che dire assurdità per tranquillizzare tutti. Alla fine, il dottore l’ha pregata di smetterla di dire sciocchezze, perché non riusciva a concentrarsi.”

Andrew rise in maniera un po’ sgangherata, la paura per la sorella non ancora del tutto scemata e, con un’alzata di spalle, ammise: “In effetti, Lizzie non era mai seria neppure quando si ammalava. Cercava sempre di sminuire i propri mali, per non turbare i nostri genitori.”

A quel punto, lui e Violet si guardarono e, all’unisono, esalarono: “Non abbiamo mandato nessun messaggero a York!”

Lucius scoppiò a ridere di fronte al loro sgomento e, con un elegante inchino, si accomiatò da loro, rassicurandoli che avrebbe mandato di suo pugno quell’ambasciata.

Rimasti infine soli, Violet sfiorò il viso di Andrew con una carezza e, dopo aver preso la mano dell’amato, mormorò: “Andiamo a trovare i tuoi nipoti?”

“Pensi che Lizzie mi vorrà, lì dentro?”

“Non vedeva l’ora di riabbracciarti” lo tranquillizzò lei.

Avrebbero pensato in un secondo momento ai loro genitori, ai potenziali problemi che, il loro amore, avrebbe potuto scatenare in famiglia.

Ora, dovevano pensare ai nuovi nati.


 





Note: E con questo capitolo, termino il trittico estivo... i prossimi capitoli verrano postati in agosto.
Penso, se non altro, di avervi lasciato con qualche certezza in più, anche se non è ancora avvenuto il confronto con i genitori di entrambi. Ma per quello ci sarà tempo al mio ritorno. Rinnovo le mie buone vacanze a voi, e a presto!

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


 
10.
 
 
 

Arthur Benjamin, erede di Alexander, stava placidamente dormendo tra le braccia dello zio Andrew, mentre Serenity Theresa, la gemella, ciangottava in braccio al padre.

Alexander sembrava essere in trance, ma lo era ormai da un giorno buono, a giudicare da quanto aveva visto Andrew in quelle ultime ventiquattro ore.

Maxwell e Madaleine, fieri e orgogliosi nonni, si stavano complimentando con Elizabeth, seduta su una sedia a dondolo e tutta intenta a scartare regali per i neonati.

Wilford e Clarisse, assieme ai Quattro Cavalieri dell’Apocalisse – come continuava a chiamarli simpaticamente Alexander – sarebbero giunti in serata, e avrebbero portato con loro doni per i bambini e la neomamma.

Rose, infine, curiosa e ammaliata, se ne stava accanto alla madre, sbirciando di tanto in tanto i fratellini, in attesa che venisse il suo turno per coccolarli.

Per i neonati, sarebbe stata organizzata una festa di lì a una settimana, il tempo necessario per far giungere ad Aberdeen le famiglie più strettamente legate ai rami materni e paterni.

Vista la vicinanza con il Natale, poi, con tutta probabilità, molti degli invitati sarebbero rimasti in zona per festeggiare assieme l’arrivo del nuovo anno.

Lizzie non vedeva l’ora di mostrare i suoi bambini ai genitori, ma sapeva anche che il loro arrivo avrebbe coinciso con un problema di non poco conto.

Era stata felice di constatare quanto Andrew e Violet stessero bene assieme – non che avesse avuto dubbi, in merito, ma vedere le cose in prima persona, era meglio.

Il punto era un altro.

I fortissimi legami familiari che intrecciavano le loro due famiglie, avrebbero probabilmente creato degli screzi non indifferenti.

Se per Lizzie, Violet e i suoi fratelli erano stati come un prolungamento della sua stessa famiglia, così non lo era stato per Andrew, o non del tutto, per lo meno.

Lui aveva sviluppato un sentimento fortissimo nei confronti di Lettie, che lei aveva più che corrisposto, nel corso degli anni.

Solo il profondo rispetto nei confronti dei rispettivi genitori, li aveva ammutoliti nel loro percorso di crescita ma, ormai, il Vaso di Pandora era stato scoperchiato.

L’amore era più che evidente nei loro occhi, e neppure un cieco avrebbe potuto non notarlo.

Lizzie temeva proprio questo; che non vi fosse il tempo necessario per spiegare con calma la realtà dei fatti ai genitori di entrambi.

Probabilmente, avrebbero dovuto prendere in separata sede Anthony e suo padre, spiegando loro come stessero le cose, ma Lizzie dubitava sarebbe bastato.

Forse, dopotutto, il vero scoglio sarebbe stato Randolf.

Aveva il forte sospetto che, il solo vedere la sorella tra le braccia di Andrew, lo avrebbe mandato fuori dai gangheri.

“Mamma… posso giocare con mia sorella?” la interpellò a un certo punto Rose, tirandole la manica della vestaglia.

Lizzie le sorrise e, nel darle un buffetto sul naso, disse: “Vai a sistemarti sul lettone, così che il papà possa appoggiarla tra i cuscini, ma sii delicata. E’ appena nata, ed è come un fine oggetto di cristallo.”

“Va bene. Sarò buonissima” assentì con estrema serietà la bimba, correndo verso il letto per poi gettare a terra le pianelle e arrampicarsi sui gradini per raggiungere il materasso.

Madaleine sorrise e andò a darle una mano, mentre Maxwell rimaneva seduto accanto alla neomamma, battendole affettuosamente una mano sul braccio.

Elizabeth gli sorrise, provando per il suocero un incontenibile affetto.

Poteva apparire come un burbero orso, per via della sua stazza e delle sue spalle enormi, ma era buono come il pane, e lei lo adorava.

“Hai fatto davvero un bel lavoro, bimba mia… sono due capolavori. E, con i vostri colori, diventeranno due splendidi ragazzi.”

Alexander li raggiunse dopo aver sistemato Serenity e, dato un bacio sulla fronte alla moglie, asserì: “E’ ancora presto per sapere se manterranno i capelli di quel colore, papà… lo sai. Così come per gli occhi. Potrebbero cambiare altre mille volte, prima di compiere un anno.”

“Rimarranno così. Parola mia!” borbottò l’uomo, lanciando un’occhiata alle due teste bionde dei gemelli.

Se tutto fosse andato come lui sperava, avrebbero preso dal ramo dei Chadwick, divenendo biondi e statuari come lui e Wilford.

A ben pensare, però, se anche Serenity fosse diventata come loro, avrebbero avuto qualche problema a trovarle marito, ma Maxwell si rilassò subito dopo aver concepito quel pensiero.

Sicuramente, la piccolina, al pari di Rose, avrebbe preso dalla mamma. Ne era certissimo.

Sarebbe cresciuta bellissima e minuta, un autentico splendore formato fanciulla.

Più tranquillo, Maxwell si dedicò perciò all’altro suo nipotino e, a quel punto, Andrew decise di uscire per parlare con Violet.

Era tempo di chiarire un po’ di cose.
 
***

Il tempo era stato clemente, in quei giorni e, tra ansie e speranze, Violet e Andrew avevano potuto affrontare con maggiore calma ciò che era accaduto tra di loro.

Quel bacio improvviso aveva sparigliato le carte, ma l’arrivo dei gemelli non aveva concesso a nessuno dei due giovani di approfondire l’argomento.

O pensare a un’eventuale misura preventiva da adottare coi rispettivi genitori.

L’unica cosa certa, per Andrew e Violet, era la ritrosia più che certa delle famiglie ad accettare il loro dolce sentimento.

Phillips e Spencer erano sempre state due famiglie assai unite, e i loro figli erano cresciuti assieme come un’enorme, unica entità priva di separazioni nette.

Certo, era stato bello, e si erano formati tra loro legami assai potenti, ma aveva anche permesso a Violet e Andrew di sviluppare qualcos’altro.

L’amore.

Come farlo capire a entrambi i ceppi familiari, senza far sembrare Andrew il classico defraudatore dell’innocenza di una giovane?

A maggior ragione trattandosi di Violet, che tutti reputavano essere troppo fragile e delicata per quel mondo così ricco di storture e di doppiogiochismi.

L’avrebbero creduta sicuramente incapace di dire di no a Andrew, troppo legata a lui da affetto e amicizia, per ferirlo con un rifiuto.

Dopo aver accompagnato Violet in giardino, dove ormai i cespugli erano stati coperti con teli di juta e tutto appariva brullo e spento, Andrew sospirò e disse: “Sarebbe stato più bello se, attorno a noi, vi fossero stati bei prati fioriti e il profumo della primavera.”

“Va bene anche quest’aria frizzante, e che promette neve” sorrise per contro la ragazza, stringendosi nel suo mantello di lana bordato di pelliccia.

Lui le sorrise, sfiorandole una guancia arrossata dal freddo con il tocco leggero delle nocche di una mano.

“Hai avuto tempo di guardare quello che ti ho portato? Spero di aver scelto le cose giuste… non ero sicuro che…” cominciò col dire Andrew, impappinandosi un po’ nelle parole.

Era mai possibile che, con lei, non riuscisse ad avere mezze misure?

O era dispotico – e le imponeva le sue idee senza farla parlare – oppure era imbranato come un fanciullo alle prime armi.

Violet sorrise subito, a quell’accenno e, assentendo con vigore, esclamò: “Oh, è tutto bellissimo, Andrew! Grazie! Hai avuto un pensiero davvero gentile!”

Poi, ridendo sommessamente, aggiunse: “Forse, qualsiasi altra ragazza troverebbe assurdo eccitarsi per delle carte nautiche o dei progetti di antiche piroghe, e avrebbe preferito pizzi e merletti in dono, ma a me piacciono tantissimo.”

Sorridendo più tranquillo, lui ammise: “Ho riflettuto molto su di te, e sul legame che mi legava a te, in questi mesi…”

Lei assentì, desiderando conoscere il suo pensiero in merito.

“Per tantissimo tempo ho pensato che, a parlare, fosse soltanto l’età. Insomma, tu sei bellissima…” e Violet arrossì per diretta conseguenza. “… e io dovrei essere morto da almeno dieci anni, per non accorgermene, perciò temevo che…”

“… che le tue fossero… pulsioni maschili?” ipotizzò lei, notando subito il suo sgomento. “Di che ti stupisci? Tua sorella è la mia migliore amica, e lei non ha peli sulla lingua, quando parla.”

“Temevo davvero che, col matrimonio, non avrebbe più avuto freni inibitori. E Alexander la vizia tremendamente, concedendole praticamente tutto ciò che vuole… parlantina compresa” sospirò esasperato Andrew, scuotendo il capo.

Violet ridacchiò, a quel commento, e replicò gentile: “Perché? Tu non fai lo stesso?”

Touché” ammiccò lui, arrossendo un poco. “Con te, poi, ho esagerato in modo più che imbarazzante, ritenendoti a torto troppo delicata per poter sopportare il peso di un mondo che, de facto, non è per le donne. Ho sempre preferito essere io a fare tutto al posto tuo, … cosa sbagliatissima, tra l’altro.”

Ciò detto, le sollevò le mani esili, scrutandola con un’espressione tra l’ansioso e l’ammirato.

Sì, Violet era alta, esile come un giunco e dalle fattezze angeliche, nessuno avrebbe potuto negarlo e, proprio per questo, molti – Andrew compreso – si erano ingannati sulla sua reale forza di volontà.

Ma ormai sapeva che tutto ciò era solo un ingannevole pensiero, oltre che ingiusto e non meritato.

Lei gli sorrise, illuminando quel viso privo di imperfezioni e, con tono sommesso, mormorò: “Io ho le mie colpe. Era molto facile appoggiarmi a voi, ogni qualvolta io ne avevo bisogno. Sapevo di trovarvi, e non ho mai esitato a cercarvi, anche quando avrei potuto cavarmela da sola.”

“I difetti dell’amore” ironizzò Andrew, scrollando le spalle.

“Quindi, il tuo viaggio è stato catartico?” gli domandò a quel punto Violet.

Lui assentì, dicendo: “Ho scoperto che mi ingannavo su molte cose, riguardo a te, e che avrei dovuto allentare la presa per permetterti di sbocciare come il fiore tenace che sei, ma che non ho mai voluto ammettere di aver visto. Mi spaventava l’idea che tu non avessi più bisogno di me.”

Violet rise di quel commento, e asserì: “Tu? Spaventato?”

“Ebbene sì. Poco virile da ammettere, ma sì. Inoltre, temevo che non sarei stato in grado di accettare un uomo che non fossi io, al tuo fianco e, pur essendomi imposto un tale ordine di idee, abbiamo visto quanto a poco è valso.”

Rise, e aggiunse contrito: “Povero Lucius! Devo averlo terrorizzato a morte, con quel mio comportamento da troglodita!”

Violet rise con lui, scuotendo il capo. “Oh, no. Non temere. Aveva più o meno capito che il mio cuore era impegnato, solo non sapeva da chi. Ma, quando ti ha visto, e ha visto me, ha compreso subito.”

“Ugualmente, è stato scorretto nei tuoi confronti comportarmi così perché, se anche Lucius fosse stato la tua scelta, io avrei dovuto accettarla, fidarmi del tuo giudizio, non cercare di imporre il mio… come sempre.

Il tono contrito del giovane spinse Violet a carezzargli con dolcezza un braccio.

“No, Andrew. Non pensare mai questo. Io non lo penso, né mai l’ho pensato. Non ho mai ritenuto che il tuo comportamento fosse prevaricante nei miei confronti.”

“Ma ammetterai che ho sempre tentato di evitarti determinate cose, pur se sapevo che, occupandoti di malati e feriti, avevi già sperimentato una buona parte di brutture.”

“Beh, diciamo che tendevi a essere un tantino protettivo, a volte, persino più di mio padre o di Randolf” ironizzò Violet, ammiccando. “Però, lo consideravo solo come un segno del tuo affetto.”

“E quando… quando hai…”

Ancora quello sciocco balbettio! Ma era davvero così insicuro di se stesso, ora che aveva ammesso la verità con lei?!

Violet gli sorrise gentile, forse comprendendo i suoi timori e dubbi e, nell’indicargli una panchina, si accomodò e domandò: “Vuoi sapere quando ho capito di amarti?”

“Esatto. E mi scuso per la mia goffaggine. Oggi mi comporto veramente da sciocco” brontolò Andrew.

Lei, però, sorrise e scosse il capo. “Sei agitato, sì, ma in senso buono. Se ho compreso bene le tue emozioni, sei ansioso di conoscere come stanno le cose tra di noi. E questo è bello.”

“Perché, tu, allora, sei così calma?” protestò amabilmente Andrew, storcendo la bocca.

“Perché, al momento, sono troppo euforica all’idea di averti tutto per me, per essere nervosa. Quando arriveranno i miei genitori, tornerà tutta l’ansia, non temere, e potrai vedermi tremare di paura fin che vuoi” gli sorrise lei, afferrandogli una mano con un certo vigore.

“Tutto… per te?” ironizzò allora lui, ammiccando.

Lei arrossì appena, ma non retrocesse dalle sue parole.

“Ho capito di amarti quando, l’anno addietro, ho partecipato al mio primo ballo, a Londra” gli spiegò lei, sorprendendolo.

“Oh, e come mai proprio in quel momento?” gli chiese lui, curioso.

“Ho continuato tutta la sera a paragonare i vari ballerini a te, pensando: ‘Andrew lo troverebbe odioso’, oppure: ‘Andrew gli avrebbe già dato un pugno’. Tutte cose del genere. Li paragonavo a te, e nessuno reggeva il confronto. Tentavo ogni volta di capire cosa ne avresti pensato tu. Insomma, qualcosa non andava, ti pare?”

“Avresti potuto vederla come una prova del nove da parte di un amico” ironizzò lui.

“Non quando pensi a cose come il tocco delle tue mani, o la sensazione di essere accanto a una persona” aggiunse lei, arrossendo.

“Oh. D’accordo. Questo è più personale” ammise Andrew, prima di rabbuiarsi appena e aggiungere: “Scusa, ma con chi hai sperimentato tali… sfioramenti?”

Violet allora rise e, per Andrew, fu come toccare il cielo con un dito. Come aveva anche soltanto potuto immaginare di poter vivere senza di lei?

No, sarebbe stato come smettere di respirare.

“Come hai potuto notare, Lucius è un tipo fisico, no?”

“Ti ha abbracciata spesso?” domandò Andrew, cercando di non apparire troppo geloso, nel dirlo. Doveva calmarsi, o avrebbe staccato la testa a qualcuno prima di sera.

“Tende a farlo, così come prenderti per mano, darti delle pacche sulle spalle, o cose simili. Si esprime con l’azione e, spesso e volentieri, dimentica l’etichetta, ma lo fa in un modo così sincero e privo di malizia, che non puoi arrabbiarti, o anche solo sentirti offesa” gli spiegò lei, scrollando le spalle. “All’inizio, mi ha un po’ stupita ma, in seguito, non ci ho più fatto caso. E poi, avevo Max.”

“Max? Mio fratello? Che ha mai combinato?” esalò Andrew, facendo tanto d’occhi.

Certo, lui e Violet erano come fratello e sorella e, se mai fosse stato possibile, poteva dire che si comportavano come due gemelli. Erano quasi simbionti, per certe cose.

Più di una volta avevano terminato l’uno le frasi dell’altra, e avevano gusti simili su un sacco di cose.

Erano sempre andati d’amore e d’accordo, ma mai avrebbe pensato che…

Interrompendo sul nascere i pensieri maldestri di Andrew, Violet disse lesta: “Non ho detto che ha tentato un approccio con me. Gli chiesi di accompagnarmi a tutte le feste, perché volevo avere con me qualcuno che mi fosse veramente amico, e lui lo fece. Volente o nolente, siamo stati molto vicini, anche sul piano fisico ma, anche in questo caso, non ho avvertito niente. Solo calore umano, ma nient’altro.”

Sfiorando il braccio di Andrew con il tocco lieve di una mano, lei poi aggiunse roca: “Con te, invece, sentivo qualcosa qui…”

Ciò detto, si sfiorò il petto all’altezza del cuore. “Tutto diventava sfocato attorno a me, quando c’eri tu, e il mio cuore rischiava di impazzire ogni volta che ti avvicinavi.”

“Conosco la sensazione” ammise Andrew, preferendo evitare di dirle dei suoi sogni non proprio casti. Lui non aveva la lingua lunga come sua sorella.

Violet gli sorrise appena, assentendo, e proseguì nel suo racconto.

“Mi sentivo spaesata, confusa, impaurita all’idea di essermi innamorata dell’uomo più sbagliato che potesse esservi. Sapevo che avrei ferito i miei genitori, o Randolf che, di fatto, è tuo cugino di primo grado e quasi un fratello, ma non potevo impedirmi di sentire questo sentimento crescere dentro di me.”

Sospirando, Andrew assentì, dichiarando: “Sono gli stessi motivi che hanno ferocemente chiuso la mia bocca fino all’altro giorno. Temevo le stesse cose che temevi tu, però…”

“… però, sai che non può essere che così, vero?”

“Esatto” annuì lui, reclinando il viso per baciarla. A un passo dalle sue labbra, sussurrò: “Non puoi essere che tu. Solo tu.”

Lei annullò la distanza che li separava, afferrandogli la nuca per attirarlo a sé e, nel toccare quelle labbra tanto desiderate, seppe di aver chiuso definitivamente la porta a qualsiasi altro futuro.

Per lei, ci sarebbe stato solo Andrew. O l’oblio.
 
***

Era stato sconvolgente ricevere la lettera inviata da Lucius Bradbury, da Aberdeen, in cui li avvisava della nascita – avvenuta con successo – dei gemelli di Elizabeth e Alexander.

Green Manor era quasi impazzita di gioia, alla notizia e, nel giro di un paio d’ore, tutti i bagagli per il viaggio erano stati approntati, e i messaggi ai famigliari più stretti spediti.

La carrozza con gli Spencer era stata messa in strada non appena ogni cosa era stata sistemata sui carri e, assieme ai Phillips, erano partiti alla volta di Aberdeen.

Di comune accordo, nessuno aveva desiderato fermarsi, limitandosi a brevi soste per far dissetare i cavalli.

L’ansia di raggiungere la loro destinazione aveva messo loro le ali ai piedi e quando, dopo quasi tre giorni di viaggio, avevano infine scorto le forme familiari della villa, avevano esultato.

Christofer e Kathleen salirono immediatamente al piano superiore per vedere la figlia e i nipotini.

La famiglia di Wendell e quella di Anthony, invece, rimasero per un po’ al piano inferiore, parlando coi domestici e venendo così a conoscenza dell’arrivo di Andrew dal suo viaggio.

“Beh, allora il ragazzo ce l’ha fatta come aveva promesso” sorrise Anthony, avvolgendo le spalle della moglie. “E mia figlia, dov’è adesso?”

“Oh, miss Violet e lord Andrew stanno passeggiando all’esterno. Sono stati giorni un po’ concitati per tutti, e penso volessero un momento di pausa per rilassarsi” lo mise al corrente il maggiordomo, guardandosene bene dall’aggiungere altro.

Non erano certo affari suoi, quel che succedeva tra gli ospiti di quella magione, e non voleva inavvertitamente far scoppiare un putiferio in casa.

Randolf allora disse: “Vado a recuperarli io, così mi farò spiegare da Andrew com’è andato il viaggio. Voi, intanto, andate a felicitarvi con Lizzie e Alex. Vi raggiungeremo subito.”

Ciò detto, si avventurò lungo uno dei corridoi del palazzo, indirizzato dal maggiordomo, mentre il resto degli ospiti si spostava al piano superiore per raggiungere i neogenitori e i bambini.

Di buon passo, Randolf raggiunse infine le ampie porte-finestre che conducevano al giardino sul retro ma, non appena vi mise piede, il mondo si fermò.

O, almeno, a lui parve così. Perché, diversamente, non avrebbe potuto spiegarsi la sensazione di oppressione che avvertì prepotente al petto.

Prepotente come il desiderio di uccidere il giovane che, fino a qualche attimo prima, era stato per lui uno dei suoi amici più fidati.

Una rabbia cieca si impadronì di lui, impedendogli qualsiasi pensiero logico e, in pochi passi, fu da Andrew e Violet, impegnati in un bacio che nulla aveva di amichevole.

Abbrancandolo al bavero della giacca, Randolf tirò indietro Andrew con violenza e, con altrettanta violenza, scaricò un pugno sul suo viso sorpreso, scaraventandolo a terra.

Violet si levò in piedi terrorizzata, urlando al fratellastro di fermarsi, ma tutto fu vano.

Randolf si gettò su Andrew, ancora stordito da quell’attacco proditorio e, tenendolo a terra con le mani puntate sulle sue spalle, gli gridò: “Come ti sei permesso di toccarla?! COME?!”

“Randolf, smettila, ti prego!” gli gridò ancora Violet, afferrandolo a un braccio e tirando indietro con tutta la sua forza.

“Come puoi chiedermelo?! Ti stava baciando!” sbraitò allora Randolf, volgendosi un attimo verso la sorella.

“E io lo volevo!” sbottò allora lei, raggelandolo.

Andrew ne approfittò per liberarsi dalla sua stretta e, nel rimettersi in piedi, si spazzolò gli abiti e ringhiò furioso e ferito: “Ne ho tutto il diritto. Noi ci amiamo.”

Randolf scosse il capo al solo sentire quelle parole e, fissando livido l’amico e cugino, inveì contro di lui con violenza.

“Io mi fidavo di te! Pensavo… speravo che le tue attenzioni verso di lei fossero oneste! E invece volevi solo irretirla!”

“Ma che stai dicendo?!” ringhiò per contro Andrew, irritato dalle parole di Randolf. “Denigri me e tua sorella, pensando questo!”

“Lei è troppo ingenua, per sapere come può essere oscura la mente di un uomo mosso solo dal proprio bisogno” lo accusò furioso Randolf, mentre Violet sbiancava di fronte a quelle parole.

“Lei è tutto fuorché ingenua! E’ una donna con i propri desideri e i propri pensieri!” sbottò per contro Andrew, sbracciandosi con veemenza.

“Non ti permetterò mai più di toccarla… poco ma sicuro” sentenziò Randolf, afferrando la sorella a un braccio per trascinarla via.

“Randolf, smettila!” gli urlò contro Violet, inascoltata.

Simile a un toro alla carica, il giovane barone Barnes non recepì affatto le parole della sorella e, seguiti da un furioso Andrew, risalirono le scale per raggiungere le loro famiglie.

Lì, avrebbe messo sotto gli occhi di tutti il tradimento, e avrebbe potuto porvi rimedio una volta per tutte.

Fu con la furia a fargli da apripista, che quasi divelse le porte delle stanze di Elizabeth, dove si trovavano tutti, e ringhiò furente: “Abbiamo un bel problema, a quanto pare.”

Lizzie e Alex si guardarono vicendevolmente, i gemelli tra le loro braccia e, sentitamente, esalarono: “Oh-oh.”

Anthony e Myriam osservarono i due figli maggiori, letteralmente infuriati e ai limiti della rissa e, dubbioso, il capofamiglia domandò: “Ma che succede, ragazzi?”

In quel mentre entrò Andrew, col volto palesemente tumefatto e gli abiti stazzonati e Randolf, indicandolo con fare inquisitorio, sibilò: “Andrew stava baciando Violet.”

Bastarono quattro semplici parole per azzittire tutte le persone presenti… per un secondo, per lo meno.

L’attimo seguente, infatti, la rabbia di Anthony si levò come un maroso, investendo Andrew che, impassibile, ascoltò i suoi insulti senza colpo ferire.

Christofer e Kathleen apparivano troppo sconvolti per riuscire a parlare, ma pensò Violet a riportare il silenzio, urlando a gran voce: “ADESSO BASTA!”

Si svincolò dalla stretta di Randolf e, raggiunto Andrew, gli avvolse saldamente un braccio col proprio e sibilò: “Ci. Stavamo. Baciando. E il primo che mi viene a dire che lui mi ha circuita, ha usato la nostra amicizia per approfittarsi di me, o altre fesserie simili, finirà nella mia lista nera per sempre! Andrew non è un uomo del genere, e dovreste saperlo!”

Myriam cercò di chiamarla a sé, sollevando una mano per chetarla, ma Violet si irritò ancora di più, aggiungendo: “Non trattatemi come una sciocca o peggio, come una ingenua ragazzina che non sa nulla degli uomini, o di come va il mondo…”

“Ma è quello che sei, se non capisci la nostra giusta rabbia” le ritorse contro Randolf, fissandola incredulo.

“Smettila di darle della sciocca!” gli ringhiò contro Andrew, trattenuto a stento da Violet.

“Sentite, urlare non è mai servito a nulla, ed è chiaro che qui c’è un immenso, macroscopico problema, che va gestito con calma e in separata sede…” cominciò col dire Anthony, tentando in tutti i modi di non fissare malamente i suoi amici di una vita. “… perciò, ora lasciamo in pace la povera Lizzie che, di certo, non ha bisogno di tutta questa confusione, e ce ne andiamo nelle nostre camere per parlare con calma.”

“Non c’è nessun problema e, prima ve ne accorgerete, meglio sarà…” brontolò Violet. “… ma avete ragione. E’ inutile sbraitare qui dentro come ossessi, quando ci sono dei bambini piccoli che non hanno bisogno di simili energie negative.”

Ciò detto, la ragazza si scostò da Andrew e fissò in cagnesco il fratello maggiore, intimandogli di starle alla larga, prima di uscire a passo di carica dalla stanza.

Anthony, Myriam e Randolf fecero lo stesso, seguiti a ruota dai figli più piccoli – basiti e senza parole – e da Savannah, che non sapeva se ridere o piangere.

Quando i Phillips e i Campbell furono usciti, Max – rimasto in un silenzio attonito fino a quel momento – si avvicinò al fratello, lo afferrò a un braccio e lo trascinò fuori, borbottando: “Io e te dobbiamo parlare.”

Andrew non replicò e uscì con il fratello sotto gli occhi turbati dei genitori, oltre a quelli basiti di Lizzie e Alex.

“Mamma… cosa c’è?” domandò Rose, spezzando di fatto quell’atmosfera di tensione fin lì accumulatasi come un veleno.

Christofer fissò la figlia e il genero e, poggiando le mani sui fianchi, dichiarò: “Sì, mammina… cosa c’è che non sappiamo?”

“Un po’ di pietà per una neomamma che ha partorito da pochi giorni dei gemelli?” ironizzò Lizzie, non trovando alcun sostegno da parte dei genitori.

Alexander allungò una mano alla figlia maggiore, sorrise spiacente alla moglie e disse: “Vieni, Rose. Andiamo nella nursery.”

Poi, rivolto a Lizzie, disse: “Dammi pure Arthur. Lo porto io di là.”

“Fifone” sbuffò la moglie, pur lasciandogli il figlio.

Alexander le diede un bacetto sulla guancia e, affiancato dalla figlioletta, uscì dalla stanza, lasciando i suoceri con Lizzie.

Rimasti finalmente soli, Kathleen esalò: “Ebbene? A cosa abbiamo assistito in questi ultimi due minuti di follia?”

“Beh, ecco… è una faccenda un po’ lunga da spiegare, ma si riduce a poche parole. Andrew ama Violet, e viceversa” dichiarò senza mezzi termini Elizabeth.

Christofer sospirò afflitto, letteralmente crollando su una delle poltrone e Kathleen, non meno affranta del marito, si lasciò andare a sedere sul letto della figlia, mormorando: “Dio del cielo… ma ne sei sicura?”

“Come due più due fa quattro, mamma. Il guaio è un altro, e mi è parso evidente; qualcuno crede che lui l’abbia solo turlupinata perché ‘Violet è troppo ingenua per saperne di uomini’” ciangottò Elizabeth, mimando le virgolette e fissando il vuoto con aria scontrosa.

“Maledizione, Lizzie, sii gentile. E’ una faccenda maledettamente seria, questa” brontolò il padre, passandosi una mano tra i capelli.

“Certo che lo è, se nessuno è in grado di vedere l’ovvio. Nessuno si è mai chiesto perché Andrew fosse così di malumore, negli ultimi due anni? O perché Violet fosse mogia come una persona a cui è morto il gatto, e si sia rifiutata per due Stagioni di trovare un marito?” protestò Lizzie, accigliandosi.

“Sono cresciuti insieme… non può essere che stiano confondendo l’affetto con qualcosa di più profondo?” replicò Kathleen, fissando dubbiosa la figlia.

“Mi pare che abbiano le idee chiare, invece. Avete mai visto Violet inveire come ha fatto prima? Non parlo di Andrew, perché lui l’ha sempre difesa… ma Lettie? Se ne avesse avuto la forza, avrebbe preso a pugni Randolf. E forse lo farà comunque, se lui continuerà a insultare Andrew… o lei” sottolineò Lizzie, sedendosi a sua volta sul letto.

“E Andrew… lui ha…” tentennò Christofer, non sapendo quanto chiedere.

“Padre, ti fidi così poco di tuo figlio?” sorrise appena Elizabeth. “So che ora stai pensando a ciò che facesti tu, ma le condizioni sono ben diverse, credimi. Tu agisti spinto dall’odio verso tuo padre e i tuoi fratelli, avvelenato da anni di soprusi, ma Andrew non ha queste motivazioni, a spingerlo. Lui è amato da tutti noi, e proprio per questo si è arrovellato tanto, chiedendosi seriamente se sentisse davvero ciò che provava per Violet.”

Lizzie si rialzò, raggiunse il padre e, dopo essersi accucciata accanto a lui, poggiò il capo sulla sua gamba come era solita fare da piccola e aggiunse: “Si sono solo baciati, padre. Non sono andati oltre, credimi. E, prima di arrivarci, entrambi hanno avuto il proprio percorso catartico. Non sono degli sprovveduti, davvero, e non temete che Violet possa essere spinta dal desiderio di accondiscendere ai sentimenti di Andrew. Lo amava già da prima di sentirlo dalla bocca di mio fratello.”

“Ne ha parlato con te?” domandò Kathleen, vedendola annuire.

“Per tutto il periodo in qui è rimasta qui, avendo anche modo di confrontarsi con Lucius, un uomo che io ritengo un santo fatto e finito, per come l’ha trattata, Lettie non ha avuto pensieri che per Andrew. Certo, stava bene con Lucius, e lui le ha dato la sicurezza di credere nelle proprie capacità, ma non è scattata la scintilla in nessuno dei due.”

“Dici che avrebbe potuto essere un buon partito, per lei?” le domandò ancora Kathleen, sorridendo appena.

“Lucius? Madre, Lucius si è dichiarato entusiasta dei suoi lavori, le ha mostrato i suoi progetti e si è fatto consigliare su come migliorarli e, tra le altre cose, le ha promesso che la prima nave che avrebbe costruito nel suo cantiere, sarebbe stata fatta sui disegni di Lettie, e avrebbe preso il suo nome” sorrise divertita Lizzie. “Le ha servito su un piatto d’argento il suo più grande desiderio ma, nonostante questo, lei non ha ceduto. Il suo cuore era di Andrew già da tempo.”

“E sei sicura che Lucius non ne abbia sofferto?”

“Stando a quello che ho saputo da entrambi, no. Anzi, lui è felice che Violet abbia scoperto che il suo uomo la ama… oddio, forse, se avesse visto questa scena, sarebbe stato meno felice” asserì a quel punto Lizzie, grattandosi una guancia con fare pensoso.

“Direi che non è stata una cosa molto edificante da vedere… e io non ho neppure avuto la possibilità di parlare con Andrew, visto che Max me l’ha requisito subito. Mi sento un po’ defraudato del mio ruolo di padre” cercò di ironizzare Christofer, carezzando la chioma della figlia.

“Accontentati di fare il terzo grado a me” gli sorrise Lizzie, battendogli una mano sul braccio. “E poi, immagino che Max voglia portare a termine il suo ruolo di amico per la pelle di Violet. Deve essere spiacevole, per lui, doverlo fare col proprio fratello, ma alla fine capirà, ne sono certa.”

“Spero solo che tutto si risolva… non voglio vedere scontento nessuno. C’è già stato troppo dolore in passato, perché io voglia ritrovarmelo anche in quest’epoca” brontolò Christofer.

“Non succederà” dichiarò Lizzie, pur non sentendosi del tutto tranquilla.

Lei poteva anche pensarla così, ma Anthony e la sua famiglia?







Note: eccomi di ritorno con il capitolo che tutte stavate aspettando con trepidazione! Il segreto è stato svelato, e nel modo peggiore possibile, oserei dire. L'ira di Randolf è scaturita manifesta (si capirà più tardi perché proprio lui è esploso tanto) e ora vige il caos più totale. Violet, però, non si è fatta mettere piedi in testa dalla famiglia e ha difeso a spada tratta il suo amore per Andrew. Scopriremo quanto nel prossimo capitolo! Per ora, grazie per avermi aspettata, e alla prossima!

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


 
11.
 
 
 
 
Passeggiando nervosamente in lungo e in largo, le braccia che sbattevano lungo i fianchi per scaricare la tensione, Violet si fermò quando raggiunse Randolf e, piantandosi dinanzi a lui, ringhiò: “Dillo un’altra volta, e giuro che non risponderò più di me stessa!”

“Non sei neppure più tu a parlare… mi sembra di vedere Lizzie, ecco come appari. Ti hanno fatto il lavaggio del cervello, in questi mesi?” protestò Randolf, livido in viso.

“Non ci posso credere! E dire che tu apprezzi Lizzie!” sbottò Violet per contro.

“Certo che la apprezzo, ma non mi piace che tu la imiti per mascherare il fatto che non sai cosa stai facendo!”

Anthony levò le mani per chetarli e, più pacato dei due giovani, asserì: “Ragazzi, state calmi. Sbraitare non serve a nulla. Ora, per l’ultima volta, Violet. Cos’è successo? E… Randolf, niente interruzioni, stavolta.”

La minaccia verbale fu seguita da una lunga occhiata raggelante e, suo malgrado, il giovane barone venne messo al silenzio.

Sospirando, Violet si portò alla finestra, si poggiò contro il davanzale e, con voce ormai roca per il troppo urlare, disse: “Sono già due anni che penso a Andrew come a un uomo, e non come a un amico di famiglia. Solo, ci ho messo un po’ per chiarirmi le idee. Avevo difficoltà a farlo, perché temevo fosse solo un’infatuazione passeggera. Inoltre, non avevo fiducia nei miei sentimenti e…”

Si interruppe un attimo, sbatté nuovamente le braccia e mormorò: “… e non sapevo come comportarmi, perché ho sempre avuto qualcuno accanto ad aiutarmi, anche per le piccole cose. Dovevo essere sola, per capirlo.”

“Non mi sembra che tu, qui, sia da sola” sottolineò Randolf, azzittito subito da un’occhiataccia di Violet e una, ancor più livida, di Anthony.

“Lizzie non mi ha mai detto nulla, ha solo ascoltato. E’ stato Lucius a farmi capire che valevo qualcosa, …anche da sola.”

“Ma certo che tu vali, tesoro” esalò Myriam, sgomenta.

“Ora lo so, madre, ma ho sempre vissuto per anni nella convinzione che, se anche non mi impegnavo a fondo, ciò in cui non riuscivo io, qualcun altro l’avrebbe fatto al posto mio. Mi siete sempre stati tutti vicino, e io vi ringrazio ma, a questo modo, non ho mai potuto mettermi alla prova, o sapere quali fossero i miei limiti.”

Anthony assentì con un sospiro e, con un cenno della mano, lasciò che la figlia proseguisse.

“Vi amo sinceramente, e so che l’avete fatto per me, ma adesso non potete aiutarmi, né dovete tentare di impormi il vostro pensiero, poiché la pensate diversamente da me. Devo fare le mie scelte… e sbagliare, se è il caso” dichiarò con veemenza Violet.

“Ma in questo caso, se sbagli, renderai infelice te stessa, e anche Andrew e la sua famiglia” sottolineò gentilmente Anthony. “Dio… vorrei che tutto fosse più semplice di così. Non mi va di pensare che quel ragazzo si sia approfittato di te, ma…”

“Da uomo, e da padre, il pensiero ti accarezza” intuì la figlia, assentendo suo malgrado.

Non poteva impedire loro di pensarlo, ma poteva tentare di spiegare quali fossero i suoi sentimenti, cercando al tempo stesso di ricordare loro che uomo fosse Andrew.

Levatosi in piedi, Randolf si passò una mano tra i capelli, fissò addolorato Violet e asserì: “Mi spiace, ma non riesco a non pensare che tu stia semplicemente assecondando Andrew.”

“Posso solo dirti di dormirci sopra. Domani, la penserò alla stessa maniera, ma tu potrai aver cambiato idea” sospirò la sorella, reclinando il viso per non dover ulteriormente affrontarlo.

“E’ da questo che capisco che non sei tu a parlare. Quando mai sei stata così testarda?” le ritorse contro il fratello maggiore.

Allibita dalle sue parole, Violet non ce la fece più e, annullando la distanza che li separava, assottigliò le palpebre e sibilò: “Sai cosa ti dico, Randolf? Sono stanca di sembrarti una persona che non sono.”

Ciò detto, lo schiaffeggiò a sorpresa e aggiunse: “Questo è per il pugno che hai dato ad Andrew. Buonanotte.”

Senza dire altro, uscì dalla stanza, stando però ben attenta a non sbatterla. D’accordo che era furiosa, ma non era il caso di prendersela con la casa di Lizzie e Alexander.

Savannah fissò il marito con un ghigno sul volto, gli tastò la guancia dolorante e asserì: “Te la sei proprio cercata, Randy caro.”

“Savannah! Ti ci metti anche tu?” esalò lui, facendo tanto d’occhi.

“Sono stata zitta perché è tua sorella, e so cosa tu possa pensare di tutta questa storia. Sei un uomo orgoglioso e tenace, che vuole tenere al sicuro il proprio gregge, ma in questo caso non c’è nessun lupo, alla porta. Parliamo di Andrew!” protestò Savannah, guardando alternativamente il marito e i suoceri. “Siete troppo coinvolti per vedere la verità, e ci può stare, ma nessuno dei due ha fatto nulla di male. Neppure sono parenti!”

Randolf fece per replicare, ma Savannah lo prese per mano, salutò i suoceri e condusse fuori dalla stanza il marito.

Era davvero troppo tardi, per continuare quella discussione. Erano stanchi e provati dal viaggio, perciò avevano bisogno di riposare.

A mente fredda, avrebbero riaffrontato l’intera faccenda con occhi meno velati dall’ansia.

Myriam sfiorò il braccio del marito, che rabbrividì un istante prima di mormorare: “Non so davvero cosa dire. Non ho mai pensato… a lui.”

“Neppure io. Ma non vi sarebbe nulla di male. Savannah ha ragione. Noi lo abbiamo sempre visto come un figlio, perché le nostre due famiglie sono cresciute assieme… ma non lo è. E la parentela v’è solo tra Randolf e Andrew, ma non con Violet. Sarebbe un’unione perfettamente lecita” ammise Myriam, scortando il marito verso l’ampio letto.

Passandosi le mani sul viso, Anthony si sedette sul bordo del letto, lanciò un’occhiata alle fiamme ardenti nel camino e sospirò: “Credo che il vero problema sia un altro. E’ agghiacciante pensare a mia figlia che vuole un uomo. Soprattutto, un uomo che conosco così bene, e a cui voglio così bene.”

Myriam, a quel punto, sorrise, gli baciò le labbra e, sospingendolo verso le coltri, asserì: “Avrebbe potuto andarci peggio, no? Almeno, sappiamo che Andrew è un bravo ragazzo, e farà solo del bene, alla nostra Violet.”

“Spiegalo tu, a Randolf. Pareva desiderasse squartarlo e, in parte, lo capisco. Se li avessi visti io, a baciarsi, forse non avrei saputo reagire diversamente” sospirò Anthony.

“Oh, lo so quanto puoi essere focoso, nei tuoi atteggiamenti” mormorò Myriam, slacciandogli il plastron con lentezza esasperante.

“Che stai facendo, Myriam? Vuoi farmi pensare ad altro?”

“Kathleen mi ha detto che funziona. Vogliamo provare?” ironizzò la moglie. “Dovresti aiutarmi con l’abito, però. Non ho voglia di chiamare Lucinda.”

“Al diavolo il vestito. Ne hai finché vuoi” ghignò Anthony, ribaltando la situazione.

Myriam rise, lo baciò e disse: “Pensiamoci domani. Tanto, una notte di sonno non ha mai creato danni, e Violet ha ragione. Dobbiamo riparlarne a mente fredda, e da riposati.”
 
***

Sdraiato sul letto assieme al fratello minore, Andrew gli sorrise a mezzo, asserendo: “A volte, penso che tu avresti dovuto nascere per primo. Sei molto più saggio di me.”

Max ridacchiò, replicando: “E’ solo perché tu sei in un guaio, e io no.”

“Può darsi” assentì il fratello maggiore, intrecciando le mani dietro la nuca al pari di Max.

“Io penso non ci siano problemi. Non siete parenti, neppure lontanamente, e Violet ha dimostrato ampiamente quanto poco le interessassero gli uomini, a Londra mentre, da quel che ho visto, tu le interessi, e anche molto” mormorò Max, pensieroso. “Mai vista lottare a spada tratta come ha fatto per te. Finalmente ha potuto sfoderare i suoi artigli.”

“Già. Ci ho messo un po’, per scoprire che anche lei li aveva” ammise Andrew, sorridendo suo malgrado.

“Perché abbiamo sempre pensato che lei fosse troppo debole e delicata, ma ci sa fare. E’ una tosta, anche se non alla maniera di Lizzie” ammiccò Max, facendo ridere Andrew.

“Lizzie è unica al mondo. E meno male, sennò sai che danni potrebbe fare?” ironizzò Andrew, e Max assentì con vigore.

Tornando serio, Max aggiunse: “Sono felice che ti ami, e che tu ami lei, perché so che la tratterai bene. Ho sempre voluto per lei un uomo come te.”

“Lei è la tua Lizzie, eh?”

“Già. La mia gemella separata alla nascita” assentì divertito Max. “Perciò, abbine cura.”

“Ammesso e non concesso che Randolf mi lasci la testa sul collo, e Anthony mi dia il permesso di sposarla.”

“Quando si saranno calmati, vedranno le cose dal punto di vista giusto. Il viaggio è stato pesante per tutti, e credo che una batosta del genere non se l’aspettasse nessuno. A mente fredda, vedranno la verità per quella che è, e accetteranno il fatto che Violet avrà un marito. Tu.

“Ti userò da scudo, se non la penseranno così” ironizzò a quel punto Andrew, facendolo ridere.

“Fifone… stai per deflorare la loro bambina… che vuoi che pensino?” gli ritorse contro Max.

“Vista così, è terrificante.”

“Ma è la sola cosa che, al momento, vedono loro. Solo il brutto e il perfido ma, quando si saranno dati il tempo di pensarci a mentre fredda, vedranno la gioia di Violet, e ricorderanno che stiamo parlando di te. Allora, tutto si appianerà” gli ricordò Max, scostandosi per dargli un pacca sul braccio. “Dai loro un po’ di tempo.”

“Spero davvero tu abbia ragione. Non vorrei essere costretto a rapirla per andare a Gretna Green e sposarmi contro la loro volontà.”

“Non dirlo nemmeno, fratello” brontolò Max, levandosi in piedi per andarsene nella sua stanza. “Dormici sopra anche tu. Ti farà bene.”

Andrew assentì e, quando vide il fratello raggiungere la porta, mormorò: “Ehi, Max.”

“Dimmi…”

“Grazie. Di tutto.”

“Siamo fratelli, no?” ironizzò il ragazzo, uscendo fischiettando.

Andrew non avrebbe potuto desiderare fratello migliore.
 
***

L’orologio a pendolo nell’atrio del palazzo segnò le cinque del mattino, e lei ancora non aveva preso sonno.

Era stata una nottata orribile, e il giorno che stava sorgendo non sarebbe di certo andato meglio.

Randolf non riusciva a capire le sue ragioni; era come parlare con un muro, tanto era testardo.

E poi, diamine, se neppure suo padre era così restio a comprenderla, perché doveva essere suo fratello a metterle i bastoni tra le ruote?

Sì, forse lui vedeva Andrew solo come un cugino – un parente stretto, troppo stretto, per i suoi gusti – e perciò considerava la situazione alla stregua di un tradimento tra fratelli, o quasi.

Ma non lo era affatto!

“Beh, se non ascolta me, lo farà con i suoi amici” sbottò a quel punto Violet, afferrando il suo mantello con decisione.

Andrew le aveva detto che i suoi amici si trovavano ospiti alla villa di Shemain, la sorella di Eli, il suo nuovo amico.

Questa, distava solo poche miglia da lì. Sarebbe stato facile raggiungerla col favore della notte, visto che c’era già stata un paio di volte.

Con questa convinzione, uscì di soppiatto dalla sua stanza, facendo ben attenzione a non passare nelle vicinanze dei corridoi della servitù.

Loro, infatti, erano quasi sicuramente già svegli, e avrebbero potuto vederla, smascherandola.

Scivolando silenziosa lungo la scalinata centrale dell’atrio, Violet represse a stento un grido di puro panico quando udì i passi leggeri di qualcuno.

In fretta, si nascose dietro uno dei pilastri della scala e, tappandosi la bocca con le mani per non farsi sentire, osservò nella semioscurità il passaggio lesto di uno dei garzoni.

Quando fu certa che fosse abbastanza lontano da lei, Violet curiosò fuori dal suo nascondiglio e, con il cuore in gola, si avviò verso la porta d’ingresso.

Lì, ringraziò tutti i santi del paradiso per i battenti perfettamente oliati e, lentamente, aprì la porta per sgattaiolare fuori.

Il freddo la investì in pieno non appena mise piede all’esterno della villa, facendola rattrappire nel suo mantello.

Tutto era cupo e oscuro, attorno a lei, e l’alba era ancora lontana dall’essere alle porte.

Deglutendo a fatica, Violet si chiese se sarebbe realmente riuscita a fare quanto ripromessosi e, con passi esitanti, cominciò a discendere le scale per raggiungere le stalle.

Oltrepassato l’angolo a est della villa, la luce della luna piena le diede un po’ di conforto, ma non fu sufficiente per farle passare il tremore che la squassava da capo a piedi.

“Non so come abbia fatto Lizzie, a suo tempo” mormorò terrorizzata Violet, stringendosi le mani al petto, nascoste dal mantello in lana pesante.

Andava anche detto che Elizabeth, ai tempi, era uscita di casa grazie all’appoggio di Alexander, ma la faccenda rimaneva: se anche fosse uscita da sola, Lizzie non avrebbe tremato tanto.

Ugualmente, Violet non si diede per vinta – c’era in gioco il suo rapporto con Andrew – e, dopo aver controllato che non vi fossero stallieri in giro, entrò.

Alcuni dei cavalli erano già desti, e la fissarono curiosi da oltre il bordo dei loro box.

Lei sperò ardentemente che non si mettessero a nitrire, scatenando così la curiosità dei domestici, ma nulla avvenne, a parte qualche sbuffo incuriosito.

Fu con autentico sollievo che, quando raggiunse il box della sua giumenta, la trovò già desta, pur se accucciata sulla paglia fresca.

Nel vederla, Wind si levò sulle possenti zampe bianche e si avvicinò al bordo del box, facendo sporgere il muso per accogliere una sua carezza.

Violet si sentì subito meglio, nel saperla al suo fianco. Voleva bene a quella cavalla docile e mansueta, e sapeva che lei l’avrebbe servita bene.

“Dobbiamo fare una cosa in gran segreto, Wind…” mormorò la ragazza, liberandola dal box con mosse tranquille, prima di prendere la sua sella da amazzone. “… perciò, per favore, non nitrire.”

Wind reclinò il muso verso di lei, le colpì appena la spalla e rimase ferma durante tutta la preparazione per il viaggio.

Che avesse compreso le sue parole, o avvertito la sua ansia repressa, Violet non seppe dirlo ma, di sicuro, fu grata alla sua cavalla per quel trattamento di favore.

Di solito, il morso non le piaceva, e gli stallieri faticavano a metterglielo ma, con lei, fu docile come un cagnolino.

Afferrato uno sgabello, si issò per salire sulla sella – doveva essere creata da un uomo molto crudele, altrimenti non se ne comprendeva la scomodità – e, dopo aver sistemato la gonna-pantalone, sussurrò all’orecchio di Wind: “Andiamo al passo, per ora.”

Gli altri cavalli li guardarono con curiosità e, quando Violet aprì il portone per uscire, sperò ardentemente di non trovarsi davanti nessuno stalliere.

Non voleva obbligare alcuno a coprire le sue manovre, perché sarebbe stato oltremodo ingiusto mettere nei guai qualcuno a causa dei suoi piani.

Nessun trovando, però, si concesse il lusso di tirare un sospiro di sollievo e, nell’uscire lentamente dalla proprietà dei Chadwick, si chiese se non sarebbe morta di paura prima di raggiungere la casa di Shemain.

Le possibilità c’erano tutte.
 
***

Perché? Perché diamine non era stata più attenta, quando si erano recate in carrozza a casa di Shemain?

Ora, non avrebbe dovuto girare a vuoto di fronte al bivio che le si poneva innanzi, con la paura folle di essere raggiunta da qualche losco figuro o, peggio, da un assassino matricolato.

“Quanto sono stata stupida!” mugolò tra sé, mentre Wind rigirava su se stessa, messa in agitazione dall’ansia della padrona.

Un nitrito dubbioso le sorse dalla bocca e Violet, nel rendersi conto di ciò che stava facendo, diede una pacca sul collo alla sua giumenta e, tirando le redini, la bloccò sul posto.

Era inutile far venire un esaurimento nervoso a cavallo, e solo perché lei era stata così sciocca da non studiarsi meglio il piano di fuga.

Chiuse perciò gli occhi, fece mente locale del viaggio che avevano fatto lei, Lizzie e Alexander e, finalmente, raccolse idee necessarie per capire dove fosse.

Doveva proseguire diritto e, solo al secondo svincolo, avrebbe dovuto girare, tenendo in direzione di Kingwells.

Con quella rinnovata sicurezza, spronò quindi Wind al galoppo – era meglio non procrastinare oltre – e, con la sola luce fornita dalla luna, avanzò verso la sua destinazione.

Sicuramente, avrebbe scatenato il putiferio, sia a casa di Lizzie che a casa di Shemain, ma era necessario che gli amici di Andrew parlassero in sua difesa, visto che la sua famiglia non credeva alle sue parole.

Dovevano capire che Andrew era l’uomo di valore che avevano sempre creduto, e che era l’unica persona che lei voleva come marito.

Il solo pensiero la scaldò tutta, facendole scorrere rinnovato coraggio nelle vene.

Sì, ce la poteva fare. Per Andrew, per loro due, per un futuro insieme.

Quelle sei miglia le parvero durare un’eternità ma, quando infine giunse a casa di Shemain, l’alba non era ancora sorta e il palazzo era immerso nel sonno.

Il solo fatto di trovarsi lì le tolse un enorme peso dal cuore ma, quando discese da cavallo, quasi crollò a terra, tanto le gambe le tremavano.

No, non aveva il coraggio di Lizzie, e non avrebbe mai più fatto una cosa del genere, neppure sotto tortura ma, questa volta, le esigenze lo imponevano.

Tenendosi alla sella di Wind, si avviò verso la porta di servizio e lì, preso un gran respiro, bussò un paio di volte, sperando di trovare qualcuno all’altro capo.

Non occorse più di un minuto prima che la porta venisse aperta con una certa diffidenza.

Diffidenza che presto si trasformò in completo sconcerto quando, dinanzi agli occhi della cuoca, fece capolino la figura ammantellata di Violet.

“Oh, povera piccina… ma cosa ci fate, fuori al freddo, poco prima dell’alba? Da dove venite?” esalò la donna, non avendola riconosciuta.

“Sono Violet Phillips, figlia di lord Thornton di York, e sono un’amica di lady Shemain Donington e di lady Elizabeth Chadwick. Mi scuso immensamente per l’ora antelucana, ma un motivo pressante mi ha spinta ha raggiungere questa casa e i suoi abitanti” asserì in fretta Violet, stringendo con forza le redini del cavallo.

La domestica fece tanto d’occhi, a quei nomi – pur non avendola vista, sapeva che era stata ospite in quel palazzo – e, allungando una mano verso di lei, la attirò all’interno ed esalò: “Oh, cielo, miss Phillips! Avrebbe potuto capitarvi di tutto, lì fuori! Cos’è mai successo per costringervi a un tale viaggio nel cuore della notte?”

Poi, impallidendo visibilmente, aggiunse: “Non sarà per caso successo qualcosa a lord Chadwick e alla sua cara moglie? O ai bambini, Dio non voglia?”

“No, niente di tutto questo ma… avrei davvero urgente bisogno di parlare con lady Donington e con i suoi ospiti, a dire la verità” la rassicurò subito Violet, prima di lanciare la bomba che lasciò interdetta la cuoca.

“Il signorino Eli e i suoi amici? Li conoscete, mia cara?”

“Alcuni di loro, sì, e necessito del loro immediato aiuto” assentì con vigore la ragazza.

La cuoca soppesò con attenzione le sue parole, la spinse ad accomodarsi accanto al focolare già acceso perché si riscaldasse e, dopo averle offerto latte e biscotti, uscì borbottando dalla cucina.

Violet non poté esimersi dal sorridere, pensando alle mille e più macchinazioni che la povera donna stava elucubrando in quel momento.

Quante altre volte poteva esserle capitato di ricevere, prima ancora dell’alba, la figlia di un lord con simili richieste?

Mai, credeva.

Passarono circa venti minuti, dal suo proditorio arrivo a palazzo ma, quando Violet vide giungere praticamente di corsa Keath e Leonard, oltre a un giovane che non conosceva, non poté che lasciarsi andare a un pianto di gratitudine.

La cuoca giunse a sua volta e, mentre dava pacche consolatorie alla giovane, mormorò: “Ho pensato che, prima di svegliare la mia signora, avreste preferito parlare con questi giovanotti. Naturalmente, starò qui per preservare la vostra nomea, miss Phillips… e spero ardentemente di non dover sentire nulla di disdicevole.”

Scoppiando a ridere nonostante tutto, Violet si asciugò calde lacrime di ilarità e Keath, nel sedersi su una panca di legno dinanzi alla giovane, si rivolse alla cuoca e disse: “Se c’è una cosa che so, di Violet, è il suo candore, Mrs Cook. Non potrebbe mai aver fatto qualcosa di disdicevole, anche se vederla qui potrebbe far pensare al contrario.”

“Confermo e sottoscrivo” assentì Leonard, sistemandosi meglio la vestaglia prima di rivolgersi a Violet. “Cos’è successo per costringervi a uscire in piena notte, Violet? Elizabeth e i bambini stanno bene, vero?”

Violet assentì, lagnandosi con se stessa al pensiero di averli messi tutti in ansia.

Ma avrebbe fatto ammenda più tardi. Ora, era il momento di agire.
“Innanzitutto, mi scuso per la levataccia e…” iniziò col dire la ragazza, sorridendo poi al ragazzo sconosciuto. “… spero mi vorrete perdonare il modo così barbaro in cui ci siamo conosciuti. Io sono Violet Phillips. Immagino che voi siate il fratello di Shemain. Eli.”

Interpellato, il giovane si esibì in un inchino formale prima di sorriderle e, sedendosi al fianco di Keath, replicò: “Amo le sorprese, miss Phillips, e questa le batte tutte di sicuro. In cosa possiamo esservi utili? Mrs Cook sembrava piuttosto in ansia, quando è venuta a bussare alla porta.”

“Ho bisogno che voi parliate in favore di Andrew” mormorò con veemenza la giovane, sorprendendo tutti i presenti.

“Oh… ne deduco che il ragazzo si sia dichiarato, e la cosa sia più che corrisposta. Almeno da voi” asserì Keath, sorridendo a mezzo.

“Ebbene sì, e mi rende felice sapere che voi siete a conoscenza di tutto, perché questo mi semplificherà le cose” sospirò di sollievo Violet, poggiandosi una mano sul cuore in tumulto. “Come immaginerete, vista la mia presenza qui, qualcosa è andato storto.”

“Immagino che in famiglia si sia scatenato il putiferio. Sappiamo che Andrew temeva soprattutto questo… oltre al fatto di non sapere cosa ne pensavate voi, riguardo a lui” intervenne Leonard, sorridendole comprensivo.

Violet scrollò una mano come se il problema circa i suoi sentimenti non esistesse. “Eravamo troppo ligi alle regole, per accorgerci di quanto ci stavamo ingannando ma… beh, questo dilemma non esiste più, soppiantato dall’ira di mio fratello Randolf. Ha picchiato Andrew, e temo lo rifarà, se torneremo in argomento.”

Sorpreso, Eli guardò i suoi amici e infine domandò: “Spero di aver compreso bene… è vostro fratello, a essersi infuriato? Non vostro padre?”

“Mio fratello maggiore è figlio di mia madre, e del fratello della madre di Andrew. Sono cugini di primo grado. In seguito, suo padre morì in guerra, e mia madre si risposò con mio padre, lord Thornton. Immagino che Randolf veda Andrew come un fratello, e che quindi consideri questa situazione come un tradimento, o qualcosa di simile. Le nostre famiglie sono cresciute assieme, e i legami che ci legano sono molto potenti.”

“Quindi, Randolf è dato di matto con Andrew” sintetizzò Keath, fischiando per la sorpresa. “Beh, sapevo che Randolf aveva un certo caratterino, ma non pensavo arrivasse a malmenare il cugino.”

“Ci ha visti mentre… ci baciavamo in giardino. Dopo un viaggio ininterrotto di quasi tre giorni. Forse, non la condizione ideale, per scoprirlo” sospirò Violet, reclinando colpevole il capo.

“Oh” esalarono in coro i tre giovani, mentre la cuoca offriva anche a loro latte e biscotti.

“E i vostri genitori che dicono, Violet?” le domandò a quel punto Leonard.

“Per la verità, sembravano piuttosto confusi, ma non realmente irritati. Il più irritato era Randolf. Temo che la sua rabbia nasca tutta dal loro rapporto così stretto e profondo” ammise Violet, scrollando impotente le spalle.

“D’accordo… quindi, noi a cosa vi serviremmo, Violet?” le chiese Keath, poggiando i gomiti sul tavolo per poi portarsi un biscotto alla bocca.

“Dovreste dire – o meglio, ricordare – a tutti quanto Andrew sia una brava persona. A quanto pare, se lo dico io, tutto viene preso come una bugia, perché sembra non sia in grado di ragionare” brontolò Violet, alterandosi leggermente. “Sono troppo ingenua per non capire la differenza tra affetto e amore e, soprattutto, troppo docile per dire di no a una persona a cui tengo.”

“Oh… qualcuno ci è andato pesante, con gli insulti” borbottò Eli.

“Già” sibilò irritata la ragazza.

“Beh, direi che il problema non si pone nemmeno. Certo che vi aiuteremo, Violet, ma non sbandiereremo i meriti di Andrew” sentenziò Keath, sorprendendola.

“Ma come? Io pensavo che…”

Sollevando una mano per azzittirla gentilmente, il giovane aggiunse: “In questo momento, anche le nostre parole potrebbero apparire come forzature, visto che siamo suoi amici. Ma possiamo parlare per voi, dire ciò che stiamo vedendo ora, e cioè una donna volitiva, non una fanciulla inerme, che lotta per il suo amore, e lo fa in spregio del pericolo personale. Niente affatto le azioni di una ragazzina senza nerbo, o che non sa dire di no, vi pare?”

Violet si aprì in un sorriso pieno di gratitudine e, sollevandosi dalla panca, guardò un istante la cuoca e mormorò: “Posso?”

La donna si asciugò una lacrima di commozione e, assentendo, esclamò: “Oh, ma certo che potete, miss Violet!”

Grata, la ragazza oltrepassò il tavolo e abbracciò tutti i ragazzi per un attimo, mormorando subito dopo: “Ve ne sarò grata per sempre. Davvero.”

“Nessun debito, davvero, Violet. Vogliamo bene ad Andrew e, dopo questo gesto, adoreremo per sempre voi” le sorrise Leonard.

“Oh, eccome. E così capisco anche perché Andrew vi stimi tanto. Ne ha tutte le ragioni” aggiunse Eli, facendola arrossire.

“Bene, signori, ora di nuovo a nanna. Fatemi accompagnare questa signorina in una camera perché riposi un poco. A quanto pare, con il levar del sole, avrete una missione molto importante da compiere, e avrete bisogno di tutte le forze” intervenne a quel punto la cuoca, battendo le mani per richiamarli all’ordine.

I tre ragazzi si misero sull’attenti e, nel salutare le due donne, fuggirono ai piani superiori.

Violet, in compenso, abbracciò anche la cuoca, che le batté sonore pacche sulla schiena, e disse: “Grazie anche a voi, Mrs Cook. Di tutto.”

“Tesorino, dopo quello che ho sentito, potrei venire io stessa, per perorare la causa. Ma ora andiamo, avete bisogno di riposare un po’. Sembrate davvero stremata.”

“Grazie…e, la mia giumenta?”

“Ci penseremo noi” la rincuorò la donna, consegnandola nelle mani di un paio di ragazze, che la accompagnarono in una camera libera perché potesse riposare.

Violet non perse neppure tempo a spogliarsi. Non appena vide il letto, crollò su di esso e, finalmente, prese sonno.

Ce l’aveva fatta, e non era morta di paura. Una bella prima volta, per lei.

E, sperò con tutto il cuore, anche l’ultima.







Note: Direi che, tutto sommato, poteva anche andare peggio, se non si tiene conto del fatto che, tra poco, Violet e Randolf si affronteranno a duello... ;-)
Comunque, la ragazza non ci sta a essere vista ancora come il fragile fiorellino di un tempo e, in barba al terrore che prova, tenta il tutto e per tutto per risolvere quell'impasse.
Voi che ne pensate? Tornerà in tempo per non farsi scoprire, o a casa daranno di matto, quando scopriranno che è sparita senza neppure lasciare un messaggio?

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


 
12.

 
 
 
Il cuore gli balzò in gola subitaneo, mentre gli occhi si aprivano di colpo e il terrore più genuino lo afferrava per le braccia, destandolo di colpo.

“Violet è qui?! Dimmi che è qui, ti prego!” sbraitò Randolf, entrando come un toro infuriato nella stanza di Andrew.

Il giovane lo fissò con occhi confusi e assonnati, comprendendo sì e no metà di quello che il cugino gli stava urlando come un ossesso.

Quando, però, lo vide fiondarsi verso di lui a passo di carica, Andrew si svegliò del tutto e ruzzolò fuori dalla parte opposta del letto, preferendo evitare di essere pestato una seconda volta.

Randolf aveva pugni che facevano davvero male.

Lui, però, non lo degnò neppure di mezzo sguardo e, quando non parve soddisfatto di ciò che vide, sospirò affranto e si appoggiò al letto, deprivato di ogni forza.

A quel punto, Andrew si avvicinò cauto alla sua vestaglia, la indossò senza perderlo di vista e domandò: “Ma che succede? Cosa stavi cercando, qui?”

Chi, piuttosto. Speravo di trovare Violet” ammise con tono roco Randolf, sgomentando non poco il cugino.

“Come, scusa? Chi pensavi di trovare?!” gracchiò Andrew, ora del tutto confuso e sì, anche un tantino infuriato.

Ma se, la sera precedente, gli aveva quasi staccato la testa a morsi? Era forse impazzito? O si era sognato tutto?

Lo zigomo gridò per protesta, ricordandogli che no, non se l’era sognato, e sì, Randolf lo aveva picchiato di brutto.

Perciò, che razza di affermazione era questa?

Passandosi le mani sul viso contratto dall’ansia, Randolf ansò: “Ho combinato un autentico disastro.”

Andrew rimase a qualche passo di distanza dal cugino e domandò torvo: “Chiarisciti, perché ti stai comportando come un folle.”

“Violet è sparita” asserì a quel punto il giovane Barnes, lasciando senza parole Andrew. “L’abbiamo cercata in tutta casa finché, Dio perdonami, non ho pensato di venire da te, sperando nonostante tutto che avesse passato la notte qui con te, così da rendere la cosa un fatto compiuto, e perciò irrisolvibile.”

A quel punto, Andrew non ci vide più.

Tutto quel livore trattenuto, quella rabbia repressa, quel dolore nascosto per anni… per poi sentirsi etichettare come un defloratore di vergini?!

Senza più pensarsi, scaricò addosso a Randolf un pugno tale da coglierlo di sorpresa, e mandarlo lungo riverso sul letto.

Ciò fatto, sbraitò: “Ma per chi mi hai preso?! E dire che dovresti conoscermi, cugino! Pensi davvero che disonorerei me stesso, la mia famiglia e Violet, comportandomi a questo modo?!”

Randolf si rimise diritto, assentì lentamente e, in un borbottio sommesso, ammise: “Hai ragione. E il pugno me lo meritavo tutto. Diamo pure la colpa al fatto che ieri ero stanco per il lungo viaggio, e ansioso per le condizioni di Lizzie e dei neonati. Vederti baciare mia sorella mi ha azzerato qualsiasi capacità cognitiva, ma… beh, non dovevo pensare questo, di te.”

“Bene” sbuffò Andrew, intrecciando le braccia sul petto. “E ora, spiegami tutto. Perché dici che Violet è sparita?”

“Mamma è andata da lei, stamattina, per vedere come stava. Io, tra l’altro, ho passato una notte d’inferno, visto che Savannah mi ha sgridato per gran parte del tempo, accusandomi di essere un uomo delle caverne” ammise contrariato Randolf, scatenando un mezzo sorriso sul viso di Andrew.

“Avete provato a vedere se è nella serra? Le piace molto passeggiarvi dentro” domandò a quel punto il giovane, iniziando a vestirsi.

Dubitava che Violet si fosse cacciata in qualche guaio – era troppo assennata, per farlo – ma, se veramente non era in casa, dove poteva essere?

“Ci stanno andando tua madre e la mia. Mio padre e il tuo, invece, stanno controllando fuori, nel giardino” lo mise al corrente Randolf, passeggiando nervosamente in lungo e in largo. “Io mi dovevo occupare dei piani delle camere da letto e del pian terreno. Lizzie, Savannah e Alex, invece, si stanno occupando dei bambini.”

“Toglimi una curiosità? Ma che ore sono?” si domandò a quel punto Andrew.

Randolf gli sorrise a mezzo, chiosando: “Hai dormito parecchio, a quanto pare. E’ quasi mezzogiorno.”

Andrew si passò una mano tra i capelli, disgustato. Doveva essere stato più stremato del previsto, se aveva dormito così tanto.

Infilatosi gli stivali, il giovane diede una pacca sulla spalla a Randolf e, uscendo dalla stanza, disse risoluto: “Coraggio, andiamo a dare un’occhiata alle stalle. A questo punto, potrebbe aver fatto qualsiasi cosa.”

“Ehi, Andrew…” lo richiamò il cugino, facendolo bloccare a metà di un passo.

“Che c’è?”

“Scusa, se ho dubitato di te. Ho solo pensato a te che ti approfittavi del suo buon cuore, quando avrei dovuto sapere che mai nella vita l’avresti fatto.”

“Sono due anni che penso a come risolvere la cosa, proprio per evitare che voi tutti pensaste questo. L’amo, Randolf. Ne sono sicuro. Non è il fatto di essere cresciuti assieme. Amo ogni cosa, di lei… come donna, non come sorella” ammise con lui Andrew, cominciando a discendere le scale.

Randolf si limitò ad assentire ma, quando vide rientrare in villa sia il padre che Christofer, trafelati e pallidi in viso, il momentaneo sollievo si trasformò in panico.

Affrettandosi, i due giovani corsero dabbasso e Andrew, rivolgendosi al padre, domandò roco: “L’avete trovata?”

“Ha preso la sua giumenta. Manca dal box, assieme alla sua sella e ai finimenti” gli spiegò Christofer, poggiandogli una mano sulla spalla.

Il giovane trattenne il fiato per l’ansia, domandandosi freneticamente dove mai avrebbe potuto andare quando, dal piano superiore, comparvero Kathleen e Myriam.

Raggiuntili, domandarono spiegazioni e, nel sentire le ultime notizie, le due donne impallidirono similmente.

Torcendosi le mani per l’ansia, Myriam ansò: “Violet non sarebbe mai fuggita a questo modo, se le aveste lasciato la possibilità di parlare!”

“Madre, lo so benissimo, ma…” iniziò col dire Randolf, venendo però azzittito da una sua occhiata ferale.

“Oh, tranquillo, ne ho anche per tuo padre, mio caro. Credi che non lo abbia sentito lamentarsi tutta la notte, dicendo che era stato un errore crescere i nostri figli in maniera così promiscua? Come se non ricordasse affatto cosa faceva lui, da giovane, o io!”

Randolf sgranò leggermente gli occhi per la sorpresa e Myriam, senza pietà, aggiunse: “Non fare tanto il santarellino, Randolf. Tua madre galoppava per i boschi assieme a questi due signori, quando aveva dodici anni, ed è capitato spesso che facessimo il bagno nei torrenti tutti assieme.”

Sia Anthony che Christofer non dissero nulla, ma il sorriso divertito sul volto di quest’ultimo, confermò a Randolf che la madre stava dicendo la verità.

“Oh, d’accordo, d’accordo, Myriam. Ho esagerato nel pensare il peggio e basta, di questa situazione, ma dammi tregua” sospirò a quel punto Anthony. “Non mi sembra che tu sia corsa ad abbracciare Andrew, o sbaglio?”

Arrossendo leggermente, Myriam assentì e borbottò: “Ero sconvolta, oltre che stanca morta e ben poco lucida. Chi se lo aspettava che si fossero innamorati?”

Andrew le sorrise comprensivo e la donna, carezzandogli gentilmente lo zigomo tumefatto, mormorò contrita: “Abbiamo tutti reagito male, dando per scontato solo le cose peggiori, senza pensare minimamente che stavamo parlando di voi due.”

“Va detto che ieri è stato un giorno caotico per tutti. Forse, in circostanze diverse, e avendovi parlato prima di ciò che sentivo per Violet, niente di tutto questo sarebbe successo” asserì Andrew, scrollando le spalle. “La amo davvero, Myriam. Non è solo l’affetto che potrei provare per un’amica che conosco da una vita.”

“Beh, credo che il colpo di testa di Violet dimostri ampiamente che anche lei tiene moltissimo a te, al punto da lanciare alle ortiche ogni prudenza…” intervenne a sorpresa Elizabeth, scendendo le scale piuttosto celermente, seguita da Alex. “… per andare da Shemain a combinare non so cosa.”

“Che cosa?” esalarono in coro tutti i presenti.

“Lo scoprirete tra poco” li mise al corrente lei, avviandosi verso la porta. “Li ho scorti dal balcone del secondo piano. Un’intera comitiva di cavalieri – più un’amazzone – seguiti dalla carrozza dei Donington.”

Il gruppo si mosse lesto per raggiungere la giovane che, aperta la porta per portarsi sulla terrazza d’ingresso, poggiò le mani sui fianchi e dichiarò: “Et voilà. Ecco a voi il comitato in difesa dell’accusato.”

“Che intendi dire?” le domandò Andrew, confuso.

Fissandolo con aria esasperata, come se stesse rivolgendosi a uno sciocco, Lizzie sottolineò: “Per quale altro motivo Violet sarebbe andata da Shemain, sapendo che i tuoi amici erano lì, se non per farsi aiutare a convincere i più recalcitranti tra noi che non sei poi tanto male, come partito?”

“Le hai dato un pessimo esempio, in gioventù” borbottò Anthony, guadagnandosi un ghigno beffardo dalla diretta interessata.

“Io ero accompagnata dal mio futuro marito” sottolineò Lizzie, sorridendo ad Alexander, che ammiccò in risposta.

“Lei non ha sparato a nessuno, e non si è infilata in un covo di malfattori” replicò per contro Anthony, abbozzando a quel punto un sorrisino.

“Che tu sappia” ironizzò Elizabeth, tornando a scrutare i cavalieri in arrivo. “Immagino che il giovane che non riconosco sia Eli. E’ giusto?”

“Esattamente” assentì Andrew, sollevando un braccio per salutarli.

“Carino” ammiccò Lizzie.

Andrew le sorrise complice e la sorella, dandogli di gomito, asserì: “Sono sicura che Violet lo ha già conquistato.”

“Probabile” ammise il giovane, scendendo poi lungo le scale per aiutare Lettie a scendere dalla cavalcatura.

Lei lo accolse a braccia aperte, stringendosi poi a lui quando i piedi toccarono terra e, trafelata, esalò: “Oh, dio, scusami! Non volevo che ti preoccupassi per me, ma abbiamo fatto tardi, e così…”

Lui le sorrise, sistemandole una ciocca dei biondi capelli e, nello scostarsi appena, mormorò: “Non temere. Vederti qui, sana e salva, appiana qualsiasi ansia. Ma perché sei uscita in piena notte per andare da Shemain?”

“Per perorare la nostra causa” lo mise al corrente lei e Lizzie, dalle scale, trillò tutta soddisfatta.

Andrew non poté che omaggiarla con un cenno del capo e Keath, nel raggiungerli assieme al resto del gruppo, disse determinato: “Ci pensiamo noi, amico, non temere.”

“Dopo averci ascoltato, non potranno che darvi il benestare” rincarò la dose Leonard, sorridendo lieto.

Eli assentì e, nel dare la mano alla sorella, dichiarò: “Parleremo fino a sgolarci, ma li convinceremo.”

“Poco ma sicuro” assentì a sua volta Shemain.

“Non ce ne sarà bisogno” dichiarò a quel punto Anthony, sorprendendoli tutti. “Davvero. Sappiamo di avere sbagliato. Su ogni cosa.”

Keath lo fissò ai limiti del pianto e, portandosi le mani ai biondi capelli, esalò sgomentò: “Non è possibile! Abbiamo passato ore a provare i nostri discorsi. Non potete liquidarci con un ‘non ce ne sarà bisogno’. Voi DOVETE ascoltarci!”

Quell’affermazione così accorata quanto disperata fece scoppiare a ridere tutti, tranne il povero Keath che, ancora accigliato, continuò a brontolare come una pentola di fagioli.

Randolf, raggiungendoli nel cortile, sorrise spiacente alla sorella e le domandò: “Potrai perdonarmi per essermi comportato come un idiota presuntuoso?”

Notando il livido sul suo viso, Violet assentì e replicò: “Visto che, in parte, hai già pagato, direi di sì. Ma ascolterai le loro dissertazioni assieme a papà. Sarebbe davvero scortese non farlo, dopo averli scomodati di prima mattina per avere il loro aiuto.”

“Ah, Violet… siete una santa donna” mormorò ammirato Keath, tributandole un’occhiata da cagnolone fedele.

Lei gli sorrise grata e Anthony, nel raggiungerli a sua volta, assentì alla figlia e disse: “Ce lo meritiamo, perciò io e Randolf ascolteremo ogni parola. Ma spero vorrete farlo all’interno, nella comodità di un salotto riscaldato. L’aria è fin troppo frizzante, per i miei gusti.”

Tutti si dichiararono d’accordo e Violet, ancora al fianco di Andrew, risalì le scale con un sorriso radioso sul volto.

Nel porsi al suo fianco, Lizzie le fece l’occhiolino e, a bassa voce, sussurrò: “Davvero impressionante, Lettie. Da inserire negli annali della nostra famiglia.”

“Ero terrorizzata dal primo all’ultimo minuto. Non lo rifarò mai più” ammise lei, facendo sorridere indulgenti i due gemelli.

“Credo che Andrew ti renderà le cose talmente facili da non far più nascere una simile necessità” sentenziò Lizzie, già pronta a raggiungere Savannah, e i ragazzi, al piano superiore.

Proprio in quel momento, intento a risalire le scale per entrare in casa Chadwick, Eli si batté una mano sulla fronte ed esalò: “Ho dimenticato una cosa!”

Tutti lo guardarono dubbiosi, Lizzie compresa – la mano ferma sulla maniglia della porta – e il giovane, grattandosi colpevole la nuca, asserì: “Temo che non dovrete ascoltare soltanto noi, ma anche altri.”

Andrew scoppiò a ridere di gusto, a quelle parole e, asciugandosi una lacrima d’ilarità, gli domandò: “Hai mandato a chiamare anche Patrick e Solomon?”

“Temo proprio di sì. Visto che miss Violet era così in ansia per le sorti della nostra missione, mi è parso il caso di scomodare anche loro, perciò, sul fare del mattino, ho inviato una missiva a entrambi a Ellon, visto che si trovano entrambi dal fratello maggiore di Sol.”

Violet gli sorrise con autentica ilarità, prima di lanciare un’occhiata al fratello maggiore e chiosare: “Questo ti insegnerà a pensare, prima di accusarmi di essere un’ingenua.”

“Ingenua? No, tu sei peggio di Lizzie…” brontolò Randolf, guadagnandosi una gomitata al fianco dalla diretta interessata.

Nello stringersi lo scialle sulle spalle, la padrona di casa borbottò: “Questa non te la perdono, Randolf. Parlare così di tua cugina!”

Randolf scosse il capo, si massaggiò il fianco dolente e mugugnò: “Donne…”
 
***

Accoccolata accanto al fuoco, le gambe raccolte sopra un cuscino color malva e lo sguardo perso in un libro scritto in greco antico, Violet levò il capo, quando udì la porta della biblioteca aprirsi.

Accigliandosi leggermente quando vide la madre, la giovane poggiò il libro – dono di Andrew – sulle ginocchia e, preso un bel respiro, mormorò: “Ebbene?”

“Tuo padre sta decidendo se fingersi morto o buttarsi direttamente dalla finestra, mentre Randolf è quasi ai limiti del pianto per l’esasperazione. E sta ancora parlando Keath. Leonard ed Eli devono ancora prendere parola” sorrise benevola Myriam, accomodandosi su un divanetto.

Violet si lasciò sfuggire un sorriso ma, quando vide lo sguardo addolorato della madre, tornò subito seria.

“Cosa succede?”

“Perché non ce l’hai detto?” domandò soltanto la donna, intrecciando le mani in grembo.

“Mi pare evidente dalle reazioni di Randolf e papà” sottolineò Violet. “Inoltre, quando iniziai a provare qualcosa per Andrew, ero molto insicura, e pensavo in prima istanza di non essere adatta a lui e, secondariamente, che i miei sentimenti avrebbero minato gli equilibri di casa. E, in qualche modo, è successo.”

Myriam assentì silenziosa, permettendo alla figlia di proseguire.

“Vi amo dal profondo del cuore, e so che voi me ne volete altrettanto, ma la vostra sollecitudine, nel corso degli anni, mi ha indebolita” mormorò spiacente la ragazza. “Io me ne prendo in parte la colpa, perché era più facile affrontare ogni cosa, sapendo che sareste intervenuti prima che io soffrissi, però…”

“… però, ti abbiamo sempre impedito di farti commettere errori, così non hai potuto imparare da essi. E non hai potuto acquisire quel coraggio che si ottiene dal gestire le situazioni di propria mano” terminò per lei Myriam, vedendo la figlia assentire.

“Sarah e Lorainne non hanno avuto bisogno di tante sollecitudini, perché sono sempre state iperattive… più energiche di me. Io, invece…”

“…eri, sei dolce, sei talmente generosa che viene spontaneo proteggerti, lo so” mormorò ancora Myriam, reclinando il capo.

“Lucius non ha conosciuto quella parte di me, mi ha vista solo come la ragazza adulta, come la fanciulla a cui piacciono le navi al pari suo, e mi ha fatto capire che, dopotutto, non avevo bisogno degli altri per avere una mia opinione e, magari, di sbagliare a giudicare gli eventi, se volevo” sorrise a quel punto Violet. “E’ davvero un buon amico, per me.”

“E Andrew?”

Violet, a quel punto, arrossì di puro piacere e asserì: “Lui è stato il mio cavaliere fin da quando è stato abbastanza grande per portare i calzoni, mi ha protetta in tutti i modi possibili, sbagliando nel credermi debole perché io gliel’ho lasciato credere. Ha combattuto contro i suoi sentimenti per non ferire voi, perché tiene alla mia famiglia come se fosse la sua.”

“Siamo sempre stati troppo fusi in un’unica entità” mormorò Myriam, scuotendo il capo.

“Non è stato un difetto, credimi. Mi ha permesso di crescere insieme all’uomo migliore al mondo, che ho imparato ad amare con i suoi pregi e i suoi difetti. Quali altre donne possono vantare questo privilegio? Forse, solo tu, mamma.”

Myriam, a quel punto, sorrise e rammentò la sua infanzia, quando galoppava libera per i prati assieme a Christofer, Anthony e Andrew, in barba alle convenzioni del Ton.

Sì, lei era stata una privilegiata, e aveva voluto per i figli gli stessi privilegi.

Perché stupirsi se, alla fine, una delle sue figlie si era innamorata di uno dei figli dei suoi migliori amici?

Lei si era innamorata di due uomini stupendi, ed era cresciuta con entrambi loro.

“Ora, so come si sentirono mia madre e mio padre, quando dissi loro che avrei sposato Andrew a qualsiasi costo” ironizzò suo malgrado Myriam, facendo ridere la figlia. “E’ difficile trovarsi da questa parte della barricata.”

“Fu dura?”

“Tua nonna pianse per giorni, pensando che sarebbe stato un autentico disastro, visto che sapevo di Andrew cose che mai avrei dovuto sapere di un uomo. Tuo nonno, invece, mi accusò di aver fatto cose inenarrabili proprio a causa del mio comportamento disinibito – che lui aveva caldeggiato, tengo a precisare – e che quella fosse la mia risposta a una gravidanza inattesa.”

Violet arrossì leggermente, a quelle parole, e Myriam rise. “Insomma, non andò esattamente benissimo, e Andrew dovette discutere con mio padre per settimane, perché accettasse il fidanzamento.”

“Insomma, è un’usanza di famiglia, quella di sbraitare contro i futuri mariti delle proprie figlie” celiò Violet.

“Pare di sì. Va detto che Randolf, se fosse stato meno stanco e preoccupato per Lizzie e i gemelli, non avrebbe reagito così. Forse” replicò bonaria Myriam.

“Perché Randolf, però? Papà mi è parso più propenso ad ascoltarmi, rispetto a lui, anche se non è stato brillantissimo neppure lui, quanto a pensiero cognitivo” sottolineò a quel punto Violet, curiosa.

“Oh, tesoro, perché non ricordi il tuo primo mese di vita, ecco perché” le sorrise Myriam, comprensiva.

Violet la fissò confusa e la donna, levandosi dal divano, si accoccolò al suo fianco, vicino al camino, e mormorò: “Non è un caso se tutti noi, fin dall’inizio, siamo sempre stati così solerti verso di te.”

“Cosa vuoi dire, mamma?”

Carezzando la chioma bionda della figlia, Myriam sospirò leggermente e disse: “Il dottore non era sicuro che saresti sopravvissuta, perché eri molto piccola e non prendevi il latte. Cercammo in ogni modo di farti mangiare, chiamammo anche una balia, per provare con un latte diverso dal mio, ma niente funzionò. Randolf era terrorizzato, poverino.”

Violet sgranò gli occhi sgomenta, non avendo mai saputo nulla di quella storia.

“Dormiva con te per sentirti respirare, la notte, e ti faceva succhiare il latte di capra dalle sue dita” le raccontò Myriam, giocherellando con le dita della figlia. “Ha sempre voluto far parte di coloro che si prendevano cura di te. Non ha mai voluto essere tagliato fuori, nonostante fosse ancora così piccolo. Anthony gliel’ha permesso, finendo con il vegliare su entrambi ed è anche grazie a questo se, tra loro due, c’è questo affiatamento. Aveva perso il suo papà senza poterlo aiutare… non voleva perdere anche la sua sorellina quando, forse, avrebbe potuto fare la differenza.”

Una lacrima solitaria scivolò lungo la gota pallida di Violet, ma Myriam scosse il capo, replicando: “No, non piangere, tesoro. Hai fatto bene a dargli quello schiaffo. Non è vero che sei ingenua solo perché, i soli uomini che conosci, appartengono alla tua famiglia… o quasi.”

“Però lui…”

“Gli concedo l’attenuante della stanchezza, perché il viaggio che abbiamo intrapreso per giungere qui è stato veramente snervante… altrimenti, lo avrei schiaffeggiato io, per averti parlato in quel modo” la rassicurò Myriam, dandole una pacca sul dorso della mano destra.

“Perché non mi avete mai raccontato nulla, di questa storia?”

“Tutto era finito bene e, onestamente, non pensavamo di starti assillando come invece abbiamo fatto tutti, creando così dei problemi differenti” sorrise contrita Myriam. “Ma sono contenta che sia Andrew, davvero, anche se i fatti ci hanno in parte smentiti.”

“Anch’io sono contenta che sia Andrew” sorrise a quel punto Violet.

“E’ un suo regalo?” le domandò Myriam, lanciando un’occhiata al libro che riposava accanto a loro, sul pavimento.

“Sì, viene dalla Grecia” sorrise la ragazza, prendendolo tra le mani. “Mi ha detto che lo ha letto tutto, prima, per essere sicuro che il linguaggio fosse adatto… e sai bene quanto lui odi il greco antico.”

Myriam assentì, rammentando bene gli anni di Eton, in cui Andrew tornava a casa sconsolato, lagnandosi dei suoi insegnanti di greco.

“E’ un modo diverso di proteggermi… più dolce e meno dispotico” scrollò le spalle Violet.

“Anche Randolf imparerà a farlo” motteggiò Myriam.

“E papà, che dice?”

“Lui? Lui piangerà in silenzio contro la mia spalla, visto che non può usare quella di Christofer – che è il padre dello sposo e, perciò, parte del problema – e, con calma, verrà a patti con la realtà dei fatti. Ma farà il bravo, lo ha promesso” chiosò la donna, facendo arrossire la figlia fino alle orecchie. “Da brava spia quale è sempre stato, sa mascherarsi molto bene,… molto meglio di Randolf, quanto meno.”

“E’ ancora così strano pensarci…” mormorò Violet, immaginandosi suo malgrado in abito bianco, camminare lungo la navata di una chiesa, per raggiungere Andrew.

“Oh, credimi, è strano per tutti!” asserì Myriam. “Sarah e Lorainne mi subissano di domande da ore, chiedendomi se adesso, loro, devono dividersi Max perché tu ti sposi con Andrew. Naturalmente, il poveretto ha già detto che non ne vuole sapere e, per bella posta, quelle due pesti lo rincorrono per casa per baciarlo.”

“Che discole!” rise Violet.

“Già” assentì Myriam, prima di tornare seria e stringere con forza la mano della figlia. “Lettie, ascoltami…”

“Sì, mamma…”

“Sono più che sicura che Andrew sarà un bravo marito, per te ma, se dovesse per qualche motivo esserci un problema, anche piccolo, tu verrai da me e me lo dirai, va bene?”

Violet le sorrise con dolcezza, si allungò verso di lei e la baciò sulla guancia, mormorando: “Ho avuto diciotto anni per capire come fosse Andrew, e lui altrettanti per capire come fossi io. Direi che, se non ci siamo capiti – e piaciuti – dopo così tanto tempo, meriteremmo tutti i disagi possibili. Ma non accadrà nulla, non temere.”

“Non ti ho mai vista così sicura di te, davvero” sorrise a quel punto Myriam, ora più tranquilla.

“Perché ho trovato il mio centro. Io e Andrew abbiamo trovato il nostro equilibrio, e ora va tutto bene. Posso condurre la nave dove voglio, adesso” sorrise sicura di sé la fanciulla.

Myriam sorrise e mormorò: “Il mio Andrew sarebbe stato orgoglioso di conoscerti, e forse sarebbe stato impossibile tenervi lontani dal mare!”

Violet rise con la madre, assentì e tutta la tensione che aveva accumulato in quei giorni, quei mesi, scivolò via con le lacrime leggere che rotolarono sulle sue guance.

Fu catartico, per lei, poter parlare apertamente con la madre di ciò che sentiva nel cuore, e ascoltare ciò che lei aveva sentito dentro di sé alla sua età, quando si era a sua volta innamorata di Andrew e di Anthony.

Quella, era una parte del passato che sua madre le aveva sempre taciuto, forse perché non la riteneva ancora in grado di comprendere ciò che le era successo.

Ora, da donna innamorata, per Violet non fu difficile comprenderne le paure, le indecisioni, i dubbi, i rimpianti e sì, gli scatti d’ira nati dalla decisione di Andrew di partire per il fronte.

Probabilmente, se il suo Andrew fosse partito per una guerra, Violet avrebbe reagito esattamente come la madre, pur se non sapeva se avrebbe avuto la forza di sopravvivere, a una sua eventuale scomparsa.

Il solo pensarci la fece rabbrividire, ma Myriam fu lesta a scansare da lei quelle paure.

Nessuna guerra sarebbe giunta, e nessuno le avrebbe strappato il suo Andrew.






Note: Direi che si è più o meno risolto tutto, anche se ho ancora qualcosina da dire, sui nostri due eroi - e poi, ricordiamoci che Sol e Patrick devono ancora 'deporre'.

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


 
13.
 
 
 
 
Lettie e Andrew stavano scrutando il panorama dalla terrazza deal secondo piano, infagottati nei loro mantelli pesanti, quando un paggio giunse con la notizia dell’arrivo di lord Lucius Bradbury.

Era passata una settimana dall’increscioso incidente che aveva visto protagonisti lei e Andrew e, pur se un po’ a fatica, le cose erano tornate alla normalità.

Come predetto da Eli, anche Patrick e Solomon erano giunti in soccorso dell’amico e, la sera precedente, avevano tenuto alzati fino all’alba sia Anthony che Randolf, con le loro accorate difese.

Questo aveva fatto sorridere non poco Savannah che, dopo aver salutato il marito con affetto, si era rifugiata nelle sue stanze per dormire, e i figli le si erano accodati.

Informato della strana combriccola di stanza a casa del figlio minore, anche Barrett si era voluto unire alla partita per pura curiosità, e aveva riso per tutto il tempo, di fronte a quelle strenue difese.

Evidentemente, aveva trovato assurdo che si dovesse giungere a simili estreme conseguenze, visto che riteneva Andrew più che papabile, come partito, per qualsiasi donna.

Come tutti avevano supposto, si era complimentato con Violet per il coraggio dimostrato ma, quando aveva proposto di insegnare anche a lei l’arte della boxe, la ragazza aveva caldamente rifiutato.

Maxwell ci era rimasto un po’ male, ma Elizabeth era intervenuta alla svelta, chiedendo al suocero di coccolare Arthur.

L’uomo si era ringalluzzito subito all’idea, e il progetto di trasformare Violet in una provetta boxeur era scemato.

Volgendosi sorpresa verso il paggio, quando udì il nome dell’amico, Violet tornò coi pensieri al presente e disse: “Curioso che sia giunto così presto.”

“Forse, ha altre notizie interessanti da riferirti” ipotizzò Andrew, sorridendole.

“Goodrich, fatelo pure accomodare nel salottino verde. Lo raggiungerò subito” disse a quel punto la ragazza, congedando il paggio.

“Io andrò a dare una mano a Lizzie coi piccoli. Stamattina, Alexander è partito presto per raggiungere Dundee, e rimarrà là per qualche giorno, per cui ne approfitto per fare il bravo zio.”

“Oh, ma… non è necessario, sai? Puoi rimanere anche tu” si premurò di dire Violet, non volendo certo escludere Andrew dalle sue chiacchierate con Lucius.

Andrew le sorrise, si chinò per darle un bacetto e mormorò: “Sono così ignorante in materia che, pur con tutto quello che ho studiato in questi mesi, impiegherò anni a essere al tuo livello, o a quello di Lucius. Chiacchierate finché volete, Lettie, davvero… a tempo debito, tu mi darai ripetizioni in privato così, un giorno, potrò rimanere anch’io e capire cosa dite dalla A alla Z.”

Il solo pensiero di dargli lezioni private – e tutto quello che sottintendeva – fece avvampare in viso Violet e Andrew, ritenendosi soddisfatto, se ne andò con un saluto e un ghigno furbo.

Sapeva di potersi fidare di entrambi, visto che era più che certo dell’amore di Lettie, e dell’amicizia di Lucius, perciò sarebbe stato da veri idioti fare il geloso con loro due.

E poi, era vero che capiva sì e no la metà di quello che si dicevano, quando parlavano della complessa struttura delle navi che Lucius intendeva costruire.

Perché fare la figura dell’idiota, se poteva evitarlo?
 
***

Tutto intento a fare il solletico al pancino di Serenity, mentre la bambinaia e Lizzie si occupavano di Arthur, un colpetto alla porta della nursery li avvisò dell’arrivo di qualcuno.

Andrew levò il capo, certo di veder comparire i genitori ma, quando scorse solo Lucius, si accigliò leggermente.

Perché aveva quello sguardo affranto? E che ci faceva, da solo, lì alla nursery?

“Buongiorno, Lucius. Non sapevo fossi già arrivato” esordì Elizabeth, sorridendogli.

“Cugina… buongiorno a te” riuscì a biascicare il giovane, prima di avvicinarsi contrito a Andrew.

Sollevando tra le braccia Serenity, Andrew gli domandò: “Che succede? Non eravate insieme a Violet?”

“Ecco, proprio di questo vorrei parlarvi, se posso.”

Aggrottando un po’ la fronte, Andrew fu lesto a consegnare Serenity alla bambinaia dopodiché, uscito dalla nursery assieme al giovane, si chiese cosa fosse mai successo.

Si era del tutto sbagliato, e Lucius si era accorto di provare qualcosa di più profondo per Violet, e ora voleva interrompere la loro amicizia?

Le aveva detto – o fatto – qualcosa che l’aveva turbata al punto di cacciarlo?

Che diamine era successo? Era mai possibile che, l’unica volta che non aveva controllato a vista Lettie, fosse stata l’unica volta in cui avrebbe dovuto esserci?

“Temo di averla sconvolta” borbottò Lucius, sempre più contrito. “Ho sbadatamente accennato a mio padre dei lavori di Violet, e lui ha voluto vederne alcuni, e così…”

Vagamente confuso, Andrew esalò: “Vostro… padre? Che c’entra lui?”

Qualcosa gli sfuggiva, e anche alla grande. Che c’entrava il padre di Lucius, con un eventuale disagio di Violet?

“Beh, per farvela breve, mio padre, Cornelius, ha così apprezzato i suoi lavori da volerla conoscere di persona, e così sono venuto qui per dirlo a Violet ma… pare che la cosa l’abbia sgomentata.”

Rilassandosi gradatamente, Andrew tornò a sorridere e, nel dare una pacca sulla spalla a Lucius, disse a mo’ di spiegazione: “Lettie non ha mai amato farsi pubblicità, per così dire. Finché, a conoscere i suoi lavori, sono persone della famiglia – o amici, come voi – allora va tutto bene. Ma, quando sono degli estranei a scoprire le sue doti, allora va nel pallone. Letteralmente.”

“Oh, capisco… ma non deve temere nulla, da mio padre. Certo, è un po’ burbero, ma solo perché vuole il meglio da noi tutti, ma non è mai stato sgarbato o ingiusto e, se ha detto di volerla conoscere, non è certo per criticarla.”

“Andiamo da lei. Vedrete che, in breve, si convincerà da sola, di potercela fare” lo rassicurò Andrew, avviandosi lungo il corridoio assieme a Lucius.

“Non volevo proprio metterla in ansia. E so che avrei dovuto mantenere il segreto, perché lei me l’aveva chiesto, ma non ci ho proprio pensato, e così… ho aperto bocca quando non dovevo” si lagnò il giovane Bradbury.

Andrew trovò divertente il fatto che Lucius si angustiasse tanto e per una cosa, di per sé, più che risolvibile.

In questo, somigliava molto a Lettie. Erano due anime molto altruiste e, forse proprio per questo, andavano così d’accordo, e lui trovava Lucius naturalmente simpatico.

Quando infine raggiunsero il salottino verde, Andrew fu il primo a entrare e, quando vide Violet in piedi, accanto alla finestra, il suo primo istinto fu quello di abbracciarla.

Subito, però, si fermò, si limitò ad avvicinarla e, sfiorandole solo una spalla con la mano, rese nota la sua presenza.

Non doveva trattarla come una bambina da accudire, ma come una donna da ascoltare.

La sua donna.

Violet sobbalzò leggermente a quel tocco e, nel volgersi a guardarlo, sospirò afflitta.

L’attimo seguente, si piegò verso Andrew come per farsi abbracciare ma, a sua volta, si bloccò e, scuotendo il capo, mormorò: “No, non sono più una bambina.”

Andrew le sorrise, compiaciuto che avessero pensato entrambi la stessa cosa.

“Lucius mi ha detto che cosa è successo, ma non vedo alcun problema in ciò che mi ha riferito. Perché sei così spaventata, Lettie?” le domandò lui, limitandosi a una carezza su una guancia.

Quegli occhi di cielo che tanto amava si inumidirono di lacrime ma, ancora, lei scacciò quella debolezza, preferendo trattare l’argomento senza sciogliersi in un pianto.

Era troppo facile tornare ai soliti schemi, in cui lei piangeva disperata e Andrew le risolveva i problemi.

Non voleva essere più così. Desiderava affrontare di petto i propri dubbi, le proprie insicurezze, e decidere da sola se aver bisogno o meno di un aiuto.

“Andrew, forse non sai che Cornelius Bradbury è uno dei più grandi armatori del regno, e conta una flotta di navi tra le migliori che si possano trovare per mare” sottolineò Violet con tono accorato.

“Ebbene?” la incitò lui, poggiando un gomito sul bordo del camino, lo sguardo sempre fisso su di lei.

“Come, ebbene?” protestò la ragazza, accalorandosi un poco. “I miei lavori sono semplicemente dozzinali, se paragonati ai suoi, e non posso certo presentarmi dinanzi a un autentico genio quale è lord Bradbury, millantando conoscenze che non ho!”

“Vi sembrano lavori dozzinali, i suoi?” replicò Andrew, lanciando un’occhiata a un silenzioso Lucius.

“Affatto. Li trovo davvero ingegnosi” mormorò il giovane, assentendo con vigore.

Lettie lo fulminò con lo sguardo, borbottato: “Lo dite soltanto perché siete mio amico.”

Andrew, allora, sorrise indulgente e asserì: “Anch’io sono tuo amico… pensi che menta anch’io, quando ti dico che sei brava?”

“Oh, beh, non penso necessariamente che voi due mentiate, ma che lo diciate per farmi contenta. Tu, per esempio, lo hai sempre fatto” gli ritorse contro Violet, storcendo appena il naso.

Il giovane Spencer rise, annuendo, e mormorò: “Touché, mia cara. Ma posso dirti che io ero accondiscendente, ma non per questo falso. Lucius, voi siete falso?”

“Spero proprio di no” sorrise a quel punto il ragazzo, scuotendo il capo.

“Bene, Lettie, hai dinanzi a te due persone che ti vogliono bene, che non sono false ma, magari, un po’ accondiscendenti. Io più di Lucius, lo ammetto candidamente…” dichiarò Andrew, sorridendo sornione. “…e che, dinanzi ai tuoi lavori, hanno espresso pareri entusiastici. Più competenti quelli di Lucius, più all’acqua di rose i miei, visto che so a malapena come fai a concepire simili splendori…”

“Oh, smettila Andrew” brontolò Violet, arrossendo leggermente.

Lui la ignorò e aggiunse: “Concludendo questa disamina della situazione, non vedo alcun ostacolo a che tu ti presenti – dove, Lucius?...”

“Ai cantieri navali di mio padre” sottolineò il giovane.

“Ah, ecco, ai cantieri navali Bradbury per conoscere il tuo mito in terra, se non rammento male …lord Cornelius Bradbury.”

“Come?” esalò sorpreso Lucius, fissando senza parole l’amica.

Violet, a quel punto, avvampò in viso e sbuffò. “Io e le volte che ti ho parlato di ciò che mi piace. E dire che pensavo non mi ascoltassi.”

“Sbagli, cara. Io ti ho sempre ascoltato. Magari, a volte, non capivo un accidente di ciò che mi dicevi, ma ti ho sempre ascoltato” le sorrise Andrew, dandole un buffetto sul naso.

“Se l’avessi saputo, ve l’avrei sicuramente presentato prima!” esclamò Lucius, aprendosi in un grande sorriso.

“Mi sarei vergognata a morte. Sapete che la nostra goletta è stato costruita nel suo cantiere?” ammise Violet, sospirando.

“Non ne avevo idea” scosse il capo Lucius, sempre più eccitato.

“Molto bene, Lucius. Organizzate un incontro, e io verrò con voi, giusto per evitare che Violet svenga per la troppa ansia, o scappi dalla portiera della carrozza” ironizzò Andrew, ritrovandosi contro gli occhi incendiati dell’amata.

“Andrew, non oserai, vero?!”

“Oh, ho già osato, cara. Lucius, ci pensate voi?”

“Ma certo. Non appena mio padre saprà di avere un’ammiratrice così carina, andrà in brodo di giuggiole” sorrise il giovane, accomiatandosi con un frettoloso inchino prima di sparire.

Rimasti soli, i due giovani si guardarono vicendevolmente, sornione l’uno, accigliata l’altra finché, dopo alcuni attimi di tensione, entrambi non sfociarono in una risata.

“Sei stato cattivo, sai?” asserì Violet, asciugandosi una lacrima d’ilarità.

“Affatto. Ho cominciato a capire come trattare la Violet adulta, e sto tentando di lasciare da parte i miei ricordi della Violet bambina” le chiarì lui, facendo spallucce.

Tornando seria, lei mormorò: “Anch’io sto cercando di comportarmi come la donna che desidero essere… anche se un abbraccio lo vorrei ugualmente.”

“Non devi neppure chiederlo” sussurrò lui, stringendola a sé e sfiorandole la fronte con un bacio. “Il mio primo pensiero è stato quello di raggiungerti, abbracciarti e lasciare che ti sfogassi, ma era il modo sbagliato. O meglio, non era più il modo giusto, per noi due.”

“No, infatti. Ho preferito questo. Il confronto con te, mi piace… ma anche l’abbraccio, mi piace.”

“Una cosa non esclude l’altra, ma la completa” sussurrò lui, chinandosi per darle un bacio sulle labbra.

Violet si lasciò andare contro di lui per un attimo, e assaporò la dolcezza di quella bocca prima di avvertire un tremore in tutto il corpo.

Quel tremore si trasformò in un’autentica fiammata di desiderio e, sgomenta, si scostò da Andrew per esalare sgomenta: “Oh, cielo!”

“E con questo, si chiudono i nostri baci” dichiarò roco Andrew, allontanandosi di un passo.

“Che intendi dire?” protestò lei, pur sentendo il cuore scoppiarle nel petto. Ma che le prendeva?!

Lui le sorrise malizioso e, nel poggiarsi una mano sul petto, che stava alzandosi e abbassandosi come se avesse corso per miglia, mormorò: “Mia cara, se reagiamo così a un bacio, cosa ci ostacolerà dall’andare oltre?”

“Oh” ansò lei, avvampando e crollando su una poltrona, del tutto spiazzata da quelle parole.

“Non l’avevi mai provato prima, vero?” si informò Andrew.

“Non… non così” scosse il capo Violet, ancora un po’ scossa.

“Beh, io non sono la persona adatta a parlartene. Devi chiedere a tua madre e, finché non avremo deciso la data del matrimonio, e ci saremo sposati, è meglio se io e te non rimaniamo da soli” la mise in guardia Andrew.

“Oh, ma non è necessario! Davvero!” si lagnò Violet, sentendosi defraudata di un diritto inviolabile.

“Credimi, è necessario. Tu sarai anche in grado di trattenerti, ma io non sono così forte, Lettie” le sorrise dolente, avviandosi verso la porta del salottino.

“Aspetta, Andrew! Non andartene!”

“Farò una passeggiata fuori, per schiarirmi le idee… non temere, va tutto bene, cara” dichiarò il giovane, uscendo un attimo dopo, come se avesse avuto il fuoco alle calcagna.

Rimasta sola, Violet fissò senza parole la porta ormai chiusa, prima di tornare a guardare se stessa, le sue mani ancora tremanti e il corpo che le stava urlando segnali contrastanti.

Si sentiva felice come poche altre volte e, al tempo stesso, derubata di qualcosa che desiderava con tutta se stessa.

Storcendo il naso, picchiò i pugni contro le sue cosce e borbottò: “Corpo traditore. Lo hai spaventato, ecco cosa.”
 
***

Alla fine della spiegazione alla madre, Violet non seppe se mettersi a urlare, o abbandonare la donna nella sua stanza, mentre questa si calmava per il troppo ridere.

Myriam, infatti, aveva le lacrime agli occhi per il gran ridere, e non riusciva assolutamente a calmarsi.

Già sul punto di alzarsi, Violet venne bloccata dalla mano della madre che, prendendo un gran respiro, le disse: “No, scusa, scusa. Hai ragione, non è giusto che io reagisca così, però… però…”

“Però, la cosa ti riempie di enorme ilarità, e non capisco perché” sottolineò la figlia, accigliandosi.

“Tesoro, non rido di te, ma dell’immagine che mi sono fatta della scena, con te seduta a richiedere le attenzioni di Andrew, mentre il poveretto fugge da te come se lo avessi ferito a morte” sorrise Myriam, asciugandosi una lacrima.

“Non è andata esattamente così, comunque il risultato è stato lo stesso, e ancora mi chiedo perché non è potuto rimanere” brontolò Violet. “Mi sentivo in maniera così strana che, per un momento, ho avuto paura di svenire.”

“Lettie, sarà il caso che affrontiamo una cosa che, ormai, è necessario trattare, visto che presto o tardi tu e Andrew vi ritroverete insieme sul talamo nuziale” disse infine Myriam, tornando seria.

“Come?” gracchiò la giovane, avvampando.

“Andrew è fuggito a gambe levate perché, evidentemente, non solo tu ti sei sentita travolgere dal desiderio, ma anche lui e, per gli uomini, è quasi un imperativo a… a…”

Tentennando, Myriam arrossì e sussurrò: “… a congiungersi con una donna.”

“Con… congiungersi?” ripeté in un balbettio Violet, arrossendo ancora di più.

“Esatto. E devo dire che Andrew ha dimostrato una volta di più di rispettarti moltissimo, visto che non ha approfittato della situazione” le sorrise Myriam, compiaciuta.

Violet non riuscì a parlare, e la madre le spiegò cosa avrebbe dovuto aspettarsi, la prima notte di nozze.

Preferendo non mentirle, si lanciò in una descrizione particolareggiata dell’atto – era inutile essere pudiche, rischiando che quella notte le apparisse come un incubo – e di come le sarebbe sembrato, alla fine.

Non lesinò sulle parti più critiche, ma descrisse anche ciò che le sarebbe potuto piacere, se Andrew fosse stato un partner premuroso.

Alla fine, Myriam le carezzò una guancia e disse: “Più di tutto, ricorda che l’ami. Servirà più di qualsiasi altra cosa io ti abbia spiegato oggi.”

“Grazie, mamma” sussurrò Violet, ancora abbastanza imbarazzata, ma più tranquilla.

“Quanto al resto, Andrew ha ragione. Devi presentarti da lord Bradbury a testa alta. Se lui ti ha voluto vedere, devi esserne solo orgogliosa.”

“D’accordo. Saprò a chi dare la colpa, se l’incontro sarà un fiasco” le sorrise Violet, accomiatandosi.

Quando fu sola, Myriam sorrise sorniona e mormorò: “Coraggio, vieni fuori da quell’armadio, Anthony. Pensi che non mi sia accorta che eri in camera, quando sono entrata?”

L’uomo uscì dopo un istante, borbottando: “Mi sto arrugginendo, se mi hai scoperto.”

“Sei mio marito, caro, e ho un certo fiuto, nello scovarti” gli sorrise lei, guardandolo avvicinarsi.

“Ne sono lieto” sussurrò lui, baciandole la fronte.

“Ebbene, che ne pensi?”

“Che dovrò ringraziare una volta di più la buona stella che ha voluto Andrew, sulla sua strada. Quanti altri giovani si sarebbero trattenuti?” sospirò l’uomo, sedendosi sul bordo del divanetto.

“Tu non ti sei trattenuto, ma va detto che non avresti trovato una donna illibata nel tuo letto” sorrise divertita Myriam, vedendo il marito sorridere serafico.

“A volte, il desiderio è una brutta bestia” si limitò a dire Anthony, facendo spallucce. “Ma… e l’incontro con lord Bradbury? Chissà perché vorrà vederla…”

“Forse, Lucius non ha sviluppato questo suo carattere delizioso tutto da solo” sorrise Myriam, levandosi in piedi per avvicinare il marito. “Andiamo a vedere i gemellini?”

“Immagino che troveremo lì anche i nostri figli. Non si vedono da nessuna parte” ironizzò Anthony, levandosi in piedi per offrirle un braccio.

“La nursery è un po’ affollata, in effetti, ultimamente” assentì Myriam, prima di mormorare: “Andrew sarà carino con lei, vero?”

“Se si è allontanato così di fretta, direi che non sarà indelicato, quando il momento lo richiederà” la rassicurò il marito, conducendola fuori dalla stanza.

“Vorrei solo che le rimanesse un bel ricordo” sospirò la moglie.

Anthony le sorrise, la baciò a una tempia e mormorò: “Andrew fu gentile con te?”

“Sì” disse solo Myriam.

“Non avevo dubbi, ma è bello saperlo. Vedrai che l’Andrew di nostra figlia sarà ugualmente gentile” asserì Anthony prima di aggiungere: “E ora, cambiamo argomento, prima che io decida di evirarlo.”

Myriam scoppiò a ridere e condusse ai piani superiori il marito, prima che iniziasse a cercare un falcetto nel locale attrezzi.

 
 




Note: Tutto sembra andare per il meglio, per i nostri innamorati - pur se Andrew ha qualche problemino a contenere le sue 'pulsioni' - ma, per Violet, non sono ancora finite le prove.
Oltre a dover capire come non far cadere Andrew in tentazione (se vuole arrivare illibata al matrimonio ^_^), dovrà affrontare il suo autentico mito in terra. Ce la farà, o cadrà preda delle sue antiche paure? Lo scopriremo presto.
Per ora, grazie a tutti/e per avermi seguita fino a qui.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


 
 
 
14.
 
 
 
 
Sistemandosi il cappellino sulle ventitré, mentre la sua cameriera le preparava il mantello da indossare, qualcuno bussò alla porta della sua stanza.

Violet levò il capo sorpresa e, quando la voce di Randolf si fece udire oltre il battente, lo stupore della ragazza aumentò.

Andando ad aprire, fissò con il dubbio nello sguardo l’alto fratello che, impettito e vagamente dubbioso, le domandò: “Senti, Violet, Andrew mi ha detto che stamattina andrai ai cantieri navali Bradbury con lui e Lucius. Non è che potrei venire anch’io?”

Sobbalzando leggermente, Violet mise il naso fuori dalla porta, scrutò il corridoio e infine chiese: “E papà? Vuole venire anche lui?”

“Ce la siamo giocata ai dadi” ammise lui, facendo sorridere la sorella.

“Oh, bene… vedo che siete ancora restii a fare mosse false. Temete qualche altro mio colpo basso?” ironizzò Violet, divertita da quello strano, nuovo potere che aveva acquisito sui maschi della sua famiglia.

In qualche modo, questo la faceva sentire assai bene, pur se una parte di lei si stava autoflagellando per la troppa soddisfazione provata.

Era dura quando, per natura, si era propensi a cedere sempre il passo agli altri.

“Diciamo che, per ora, stiamo valutando l’idea di lasciarti fare come vuoi” dichiarò con un mezzo sorriso Randolf. “Ovvio che, se tu decidessi di partire per il mare, ti gambizzerei seduta stante… con tutto il mio affetto, s’intende…”

A quel punto, Violet scoppiò a ridere e, nell’abbracciarlo, mormorò contro il suo petto: “Sei un testone senza speranza, ma ti voglio bene, fratellone.”

“Meno male… il voler bene, non il testone” sussurrò lui, stringendola a sé con un braccio prima di domandarle: “Allora? Cosa mi dici?”

“Che puoi venire, è ovvio. Solo, lord Bradbury troverà strano che io abbia una scorta di tal genere, per una visita di cortesia.”

Chiesto a Ester il mantello, che la donna le drappeggiò sulle spalle, Violet accettò il braccio del fratello e, assieme a lui, discese le scale per raggiungere l’ingresso della villa.

Lì, trovarono ad attenderli Andrew e Max, già abbigliato a sua volta per uscire.

Con un mezzo sorriso, Violet scrutò ironica il suo migliore amico e disse: “Lasciami indovinare; verrai anche tu.”

“E’ ovvio. Vuoi che mi perda il tuo successo?”

“Successo? Che intendi dire?” esalò Violet, confusa.

Max poggiò le mani sui fianchi, la guardò come se fosse tarda di mente e aggiunse: “Scusa, ma questo invito non è un riconoscimento della tua bravura come progettatrice?”

Violet arrossì suo malgrado e Andrew, nel dare di gomito al fratello, disse: “Così la metti solo in imbarazzo, Max. Lasciala stare, tappati la bocca e monta in carrozza.”

“Solo perché sei il suo fidanzato, non puoi ficcare il naso nel mio rapporto con Lettie. E a lei dico tutto quello che penso” brontolò per contro Max, fissando torvo il fratello maggiore.

Violet sorrise di fronte a quello scherzoso battibecco e, nel prendere sottobraccio Max, disse: “Come posso non essere la donna più fortunata del mondo? Ho attorno a me gli uomini migliori che si possano sognare.”

Ringalluzziti da quelle parole, Andrew, Max e Randolf sorrisero alla fanciulla al centro dei loro pensieri – pur se per motivi diversi – e Violet si disse che, dopotutto, non le dispiacevano le loro attenzioni.

Finché fosse stata lei a decidere quando averne bisogno, tutto sarebbe andato benissimo, e quel nuovo equilibrio appena raggiunto le piaceva moltissimo.

Lucius sarebbe sicuramente scoppiato a ridere, nel vederli giungere in quattro, ma avrebbe capito.
 
***

La carrozza venne fermata dinanzi agli alti cancelli dei cantieri navali di Aberdeen, dove erano già al lavoro diverse squadre di uomini, in svariati punti dei bacini di carenaggio.

Lì, Lucius si avvicinò per scortarli all’interno e, come previsto da Violet, la vista di Andrew, Max e Randolf lo fece ridere di puro gusto.

Ironicamente, dichiarò che suo padre avrebbe riso per mesi, al pensiero di aver richiesto una simile scorta, per un semplice invito di cortesia.

I tre uomini non ci fecero neppure caso e Violet, al braccio di Andrew, si avviò all’interno del cantiere, osservando con aria rapita lo scafo in costruzione di una goletta.

Pur se le temperature stavano diventando proibitive, gli uomini lavoravano ancora all’esterno degli enormi capannoni presenti in loco, e i loro movimenti sembravano coordinati da un direttore d’orchestra.

Non faceva specie che le imbarcazioni della Bradbury Inc. fossero le migliori su piazza.

Indirizzandoli verso una casamatta a un piano, Lucius disse: “Papà ha ritenuto fosse meglio vedervi qui, Violet, visto che tutta la documentazione sui suoi progetti la tiene in loco. Pensava potesse interessarvi.”

“Oh, ma non doveva scomodarsi così per me!” esalò Violet, arrossendo suo malgrado.

“Credetemi, Violet, è ben difficile che mio padre si scomodi, se non è interessato a qualcosa” le sorrise fiducioso Lucius, bussando un paio di volte alla porta prima di entrare nell’ufficio.

L’interno, caldo e accogliente come un qualsiasi salotto d’alta classe, appariva come la cabina di comando di un comandante di flotta.

Le pareti erano ricoperte di arazzi a sfondo marinaro, con la battaglia di Trafalgar cucita da sapienti e abili mani.

Sestanti di oro brillante svettavano in cristallerie del settecento, e un timone in noce era appeso sopra il camino scoppiettante, da cui proveniva il tepore avvertito all’entrata.

Un uomo alto, imponente e dai capelli sale e pepe si levò dalla scrivania dietro cui era assiso e, avvicinandosi con il suo passo imperioso, si piantò dinanzi ai nuovi arrivati, intrecciando le mani dietro la schiena.

A Violet sembrò in tutto e per tutto un cupo capitano di vascello, pronto per la battaglia.

I suoi tratti aquilini erano importanti e la sua pelle, dorata dal sole, indicava un’inclinazione a stare all’aria aperta.

Non sembrava niente affatto uno dei lord azzimati e senza nervo che Violet aveva conosciuto a Londra.

“Lucius… e così, questa signorina è l’ideatrice dei progetti che mi hai mostrato?” esordì l’uomo, continuando a fissare con intenzione Violet e ignorando bellamente tutti gli altri.

“Sì, padre. Lei è lady Violet Phillips, figlia del duca Thornton di York, e loro sono…”

Interrompendo il figlio, Cornelius Bradbury fissò a quel punto i tre giovani, quasi volesse trapassarli con il suo sguardo d’aquila, e borbottò: “La sua guardia d’onore, forse? Avevate timore a presentarvi al mio cospetto, madamigella?”

“Beh, ecco…” tentennò lei, non sapendo bene come rispondere.

Fu Andrew a rispondere per Violet.

“E’ colpa nostra, lord Bradbury. Siamo tre inguaribili cavalier serventi, e volevamo dare man forte a Violet, quando evidentemente non ne ha bisogno.”

Cornelius si esibì in un mezzo sorriso, e disse: “Una donna che tratteggia simili progetti ha bisogno di un pennino nuovo, non di tre galletti al seguito. Lucius, mostra il cantiere ai nostri valenti condottieri, mentre io parlo un po’ con la nostra ospite.”

“Signorsì” disse subito il figlio, ben sapendo che qualsiasi ‘ma’ sarebbe stato visto come malissimo, dal padre.
Andrew sorrise convincente a Violet, che lo fissò ai limiti del panico e, assieme ai suoi compagni di viaggio, uscì assieme a Lucius per visitare il cantiere.

Pur se stava tremando come una foglia, doveva dare piena fiducia a Violet e a lord Bradbury.

Ce l’avrebbe fatta, a conquistarlo, ne era più che sicuro.

Rimasta sola con Cornelius, Violet sentì le proprie gote avvampare e, dandosi mentalmente della sciocca, si disse di piantarla con quegli infantilismi inutili.

Lord Bradbury non voleva mangiarla, né gettarla dal pennone di maestra, perciò doveva darsi una calmata.

Doveva credere in se stessa e nei suoi mezzi.

Senza dirle nulla, Cornelius tornò alla scrivania e lì, aperto un enorme foglio, lo fissò ai quattro angoli con dei fermacarte di legno e infine disse: “Venite a vedere, lady Phillips.”

“Violet, per favore” riuscì a dire lei, affrettandosi ad avvicinarsi alla scrivania.

Cornelius assentì e si fece da parte per mostrarle il progetto su cui stava lavorando e la ragazza, sgranando gli occhi, esalò: “Oh, ma è… è splendido. Il modo in cui avete tratteggiato la sagoma della chiglia, e il particolare delle bocche da fuoco… è una commessa per la Marina?”

Lord Bradbury le sorrise compiaciuto e assentì.

“Anche se siamo in tempo di pace, dobbiamo rimpinguare le nostre navi, ogni tanto, e moltissime le perdemmo a Trafalgar, oltre che nel corso degli altri anni di guerra contro Napoleone.”

“Ne so a sufficienza, avendo come padre un’ex spia del Governo” sorrise Violet, sentendosi un poco più a suo agio.

“Trovate che sia un buon progetto, miss Violet?”

“Lo chiedete a me? Certo che è…” iniziò col dire lei, prima di venire azzittita da un’occhiata torva dell’uomo.

“Mai dare per scontato nulla, fanciulla, neppure se a disegnare questo progetto sono stato io. Chiunque può commettere errori” motteggiò Cornelius, tornando a scrutare il disegno.

Violet, allora, ne imitò il gesto e lo soppesò con lo sguardo poi, senza neanche pensarci, prese una delle squadre sistemate sulla scrivania e prese qualche misura, accigliandosi sempre di più.

Non visto, Cornelius assentì soddisfatto, intrecciando nuovamente le mani dietro la schiena e, per più di venti minuti, rimase in religioso silenzio mentre la ragazza studiava il suo lavoro.

Alla fine, Violet tornò a scrutare il suo ospite e disse: “Confermo ciò che ho detto; il progetto è perfetto.”

“Molto bene, Violet. Avete studiato sul manuale di Verbinsky, vero?” le domandò lui, sorprendendola.

“Beh, sì, tra le altre cose” ammise la giovane, sorpresa da quella affermazione. “Come lo sapete?”

Allontanandosi dalla scrivania per prendere il mantello, la scortò verso l’uscita e disse: “Il modo in cui avete usato le squadre per fare i vostri calcoli. E’ un ottimo manuale, ma non l’unico. Ve ne presterò altri, se lo desiderate.”

Arrossendo di puro piacere, Violet assentì e Cornelius, nell’indirizzarla verso uno dei bacini di carenaggio, le disse: “Non vi stupite che io vi abbia invitata qui, anche se siete una donna e, in teoria, le donne non dovrebbero conoscere questa materia.”

“La cosa mi ha sorpresa, in effetti” ammise la giovane, accettando il braccio offertole da lord Bradbury. “Vostra moglie si interessa per caso di ingegneria marittima?”

L’uomo ridacchiò divertito e scosse il capo, replicando: “Mia moglie ha tante buone qualità, ma non saprebbe distinguere una gomena da un paterazzo. Però, ha un occhio estetico davvero sopraffino, e mi concede di guardare i progetti finiti, per sapere se la linea è adeguata.”

“E serve?” domandò sorpresa Violet.

“Qualsiasi commento serve, anche dai non addetti ai lavori” assentì l’uomo. “Chi non è un esperto, nota cose che noi non noteremmo mai, perché siamo abituati a vedere le navi nel suo insieme, ma non come particelle a sé stanti. Una volta, mia moglie mi fece notare che i gradini interni di un panfilo erano troppo alti, se visti con gli occhi di una donna.”

Violet fece tanto d’occhi, non avendo mai pensato a un particolare simile. In effetti, con l’impiccio dato dalle gonne, alle volte era difficile salire e scendere le scale di una nave.

Ma non della goletta.

“Vostra moglie ha avuto a che fare con la progettazione della goletta che ha acquistato la nostra famiglia?” gli domandò Violet, sorridendo appena.

Accigliandosi leggermente, Cornelius le chiese: “Il nome della goletta?”

“Starlight.”

A quel punto l’uomo sorrise, assentendo. “Oh, sì …ne siete soddisfatti?”

“Moltissimo. L’ho anche condotta per un po’…” ammise lei, prima di aggiungere contrita: “… ma mio padre e mio fratello non lo sanno.”

Cornerlius allora sogghignò, dichiarando: “Rimarrà un nostro segreto. Vostro fratello è uno dei giovani presenti oggi?”

“Quello bruno con il mantello nero” assentì Violet.

“E fra di loro vi è anche il vostro promesso?”

Violet assentì ancora, arrossendo, e sussurrò: “Il giovane coi capelli castani e il mantello verde scuro. L’erede di lord Christofer Spencer, conte Harford.”

“E lui vi apprezza? Vi ascolta?”

“Oh, sì, molto” annuì la giovane.

Cornelius sorrise compiaciuto, asserendo poi con una certa ironia: “Mio figlio mi ha parlato molto di voi, in questi mesi, e vi devo un ringraziamento sentito per avergli dato le giuste motivazioni, quando io non ne sono stato in grado. A volte, pecco un po’ di alterigia, e spero che i miei figli capiscano tutto senza che io dica loro le cose.”

“Lucius rispetta moltissimo la vostra opinione.”

“E io mi concedo troppo poco, lo so. Ma sono lieto che voi gli siate stata accanto come amica… perché so che lui vede solo questo, in voi. Sarei stato felice di scoprire in lui un interesse per voi, specialmente dopo aver visto quanto siete dotata, ma è chiaro che il ragazzo vi vuole bene come ne vuole a sua sorella Jillian” aggiunse l’uomo, con una sorta di rammarico nella voce.

“Non so che dire…” mormorò lei, sorpresa dal suo dire.

“Non crediate che al mondo esistano solo uomini ottusi, che pensano alla donna solo come a un mero trofeo, Violet. Siamo la minoranza ma, grazie al cielo, siamo una minoranza molto attiva, e teniamo all’opinione delle donne che ci circondano” dichiarò lord Bradbury, indicandole una nave quasi ultimata. “Quella, sarà la nave con cui Lucius partirà per raggiungere le Americhe. Sarà una buona pubblicità, non vi pare?”

“Decisamente sì. E’ un tre alberi davvero magnificente” annuì Violet.

“Questo mi porta al mio invito a voi, ragazza. Visto che il mio Lucius porterà la sua mente brillante, e a volte un po’ troppo eccentrica, verso nuovi lidi, mi servirà qualcuno che mi pungoli con nuove idee, altrimenti finirò per diventare vecchio e noioso.”

“Come, prego?” esalò lei, bloccando i suoi passi.

“I miei figli maggiori, Martin e Pardick, sono dei bravi progettisti, ma non hanno la verve artistica che ha Lucius e credo che, a lungo andare, i suoi commenti arguti mi mancheranno. Volete essere voi, il mio Lucius, d’ora in poi?”

Sbattendo le palpebre per lo stupore, l’orgoglio pronto a gonfiarsi dentro di lei ma ancora restio a crederci, Violet riuscì a domandargli: “E… e chi sarà il lord Bradbury della situazione, per Lucius?”

Sorridendo, lord Bradbury asserì: “Oh, Lucius non andrà da solo allo sbaraglio. Sarà affiancato dal mio miglior capomastro, l’unico di cui mi fidi per lasciare che il mio ultimogenito se ne vada in America a fare fortuna.”

“Allora… allora, penso che potrei essere il vostro Lucius” sorrise commossa Violet, scacciando una lacrima con un gesto secco della mano. “Ne sarei davvero onorata.”

“Molto, molto bene” mormorò l’uomo, riprendendo la passeggiata.

Violet si accodò a lui e, nell’ammirare quelle splendide creazioni, non poté che sentirsi orgogliosa di poter dire che, prima o poi, vi avrebbe preso parte in qualche modo.
 
***

Acciambellata su un cuscino di fronte al camino acceso, Violet gesticolava frenetica, nello spiegare al suo auditorium come fosse andata la giornata.

Essendo ancora presenti gli amici di Andrew, il salottino verde era praticamente gremito, e tutti ascoltavano Violet in assorto silenzio.

Fin da quando era tornata a casa, la ragazza non aveva smesso di sorridere, e aveva dispensato abbracci a tutti coloro che aveva incontrato lungo il cammino.

A cena, aveva infine dichiarato che avrebbe parlato dei risultati della giornata in salotto e, quando tutti avevano terminato di mangiare, si erano spostati in blocco per ascoltarla.

“… sulle prime, ero davvero terrorizzata, perché lord Bradbury sembra uno di quei capitani di vascello di cui si legge nei romanzi. Alto, scuro in viso, accigliato e un po’ burbero, ma parlandoci ho scoperto che è una persona buona e generosa.”

Anthony le sorrise, asserendo: “Non conosco molto lord Bradbury ma, da quanto mi dici, è un grand’uomo.”
“Oh, padre, lo troveresti davvero affascinante, credimi!” assentì giocosa Violet. “E tiene molto all’opinione di ogni persona che lavora per lui. L’ho sentito discorrere con i suoi operai, mentre passeggiavamo per il cantiere, e aveva una parola per tutti. Ridendo, mi ha detto che trova sciocco che certi nobili disprezzino coloro che si sono lanciati nel campo dell’imprenditoria. Dice che è stupido starsene semplicemente con le mani in mano, perché gli altri lavorano per te.”

Anthony e Christofer si sorrisero divertiti, e quest’ultimo disse: “Alla Camera dei Lord, troverebbe pane per i suoi denti. Credo di non dire sciocchezze, nell’affermare che certi nostri stimati colleghi non abbiano mai neppure cambiato il ferro di uno dei loro cavalli.”

“Assolutamente. Anzi, posso dirti, a confutazione della tua affermazione, che lord Colin Chester si vanta di non essersi mai sbarbato da solo” aggiunse Anthony, facendo sogghignare i presenti.

“Ciò detto, tesoro, desideri che io imbracci una vanga, domani?” domandò poi Anthony, rivolgendosi alla figlia.

Scoppiando a ridere, Violet scosse il capo e replicò: “No di certo, padre. So che non sei uno svogliato damerino di città, credimi.”

“Buono a sapersi. Ho l’approvazione di mia figlia” sogghignò a quel punto Anthony, prima di lanciare un’occhiata al resto dei suoi figli. “E voi? Che ne dite?”

Paul, Sarah e Lorainne ridacchiarono divertiti mentre Randolf, pensandoci un po’ su, dichiarò: “Potresti metterti a fare il mastro sellaio, padre. Sei molto bravo a lucidare.”

Detto ciò, ghignò, lasciando intendere ben altro.

Anthony si finse offeso, replicando: “Intendi dire che sto… lustrando mia figlia per averne i favori?”

“Qualcosa del genere” celiò Randolf, guadagnandosi una pacca sullo stomaco dalla moglie.

Tutti risero e Andrew, nell’osservare la sua famiglia così allegra, i suoi amici riuniti in quell’unica stanza, comprese cosa aveva rischiato di perdere, innamorandosi di Violet.

Ogni cosa avrebbe potuto andare a catafascio, se non fossero state le persone che erano ma, per Violet, avrebbe rischiato anche di rimanere da solo.

Gli sarebbe spiaciuto, il suo cuore avrebbe pianto ma, per quella donna, avrebbe compiuto anche questo sacrificio.

Naturalmente, ciò non era avvenuto perché, proprio poiché di mezzo c’era Violet, l’armonia non poteva che tornare sempre e comunque.

Lettie creava equilibrio anche laddove non c’era, e univa i cuori di tutti, con la sua generosità d’animo.

Andrew si ritrovò a sorridere un po’ scioccamente, di fronte all’idea di averla per sempre al suo fianco ma, quando i suoi occhi si posarono su di lei, notò un certo turbamento.

Anche gli altri se ne accorsero e, subito, le risate si spensero come erano venute.

Violet, nel rendersene conto, si morse il labbro inferiore e mormorò: “Ho dimenticato di dire una cosa… anche se, prima di accettare, forse avrei dovuto discuterne con te, Andrew.”

“Che cosa?” esalò lui, più che mai confuso.

Tutti lo squadrarono come se avesse fatto del male a Lettie e Andrew, nonostante tutto quel livore nei suoi confronti, fu lieto che continuassero a preoccuparsi per Violet.

Certo, ora era tutto un po’ diverso, lasciavano che fosse lei a stabilire se fosse il caso o meno di snudare i denti… ma i difensori restavano.

Erano stati solo addomesticati.

“Beh, ecco… lord Bradbury mi ha detto che, per le mie consulenze, intende pagarmi come se fossi uno qualsiasi dei suoi dipendenti. Lì per lì, la cosa mi ha divertita, e gli ho detto di sì, ma sarai tu il capofamiglia, quando saremo sposati…” e, a quelle parole, avvampò. “… perciò, avrei dovuto chiedere a te, se posso avere una rendita tutta mia.”

Andrew arrossì a sua volta – sposarla era il suo desiderio più grande, ma faticava ancora a crederci – e, grattandosi nervosamente la nuca, esalò: “Eh? Oh, ma certo che puoi avere una rendita tutta tua. Ovviamente, avresti anche quella che ti darei io ma, se lord Bradbury vuole pagarti, non ci sono problemi. Davvero.”

Tutti tirarono un sospiro di sollievo e Violet, in barba a tutto e a tutti, si levò in piedi dal cuscino, lo raggiunse e lo abbracciò con foga, scatenando le risate degli amici.

Anthony e Randolf ebbero un brivido, ma si astennero dal fare commenti mentre Savannah e Myriam sorridevano compiaciute.

Andrew strinse debolmente a sé Violet per un istante, prima di scostarla con gentilezza e, quando si ritrovò a fissare il suo sorriso radioso, fu certo di una cosa.

Il matrimonio non sarebbe mai arrivato abbastanza velocemente.
 
***

Il vento era gelido, ma serviva sicuramente allo scopo.

Schiarirsi le idee era davvero necessario, dopo quell’intensa giornata.

Era stato contento di accompagnare Lettie al cantiere, così come di scoprire quanta fiducia riponesse lord Bradbury nella sua amata.

Ma questo gli aveva fatto comprendere quanto, negli anni, l’avesse data per scontata.

Certo, il suo amore aveva cambiato ogni cosa, e tutto gli era parso più chiaro, ma gli restava il dubbio di non aver fatto abbastanza, per meritarsi l’amore di Violet.

“Pensieri profondi, Andrew?” domandò Anthony, a poca distanza da lui.

Andrew si volse a mezzo e, a sorpresa, vide avvicinarsi sia Anthony che Christofer.

Entrambi sorridevano e, quando lo raggiunsero accanto al parapetto, vi si appoggiarono con gli avambracci.

In lontananza, sul mare, era in corso un temporale violento, e sottili fulmini saettavano tra le nubi scure mentre, sopra di loro, la luna ancora resisteva, pallida e fredda.

Entro mezzanotte, a giudicare dalla direzione del vento, quel temporale si sarebbe abbattuto anche sulla costa, ma non in quel momento.

“Qualcosa ti turba, ragazzo?” domandò ancora Anthony, lanciandogli un’occhiata di straforo.

“Temo di non essere degno di Violet” ammise con sincerità Andrew, e i due uomini ridacchiarono, a quel commento.

“Sta a indicare che capisci perfettamente a quale donna speciale tu stia finendo in mano” sottolineò Christofer, battendogli una mano sulla spalla. “Come ben sai, io ho impiegato parecchio, prima di capirlo e, nel mezzo, ho commesso molti errori.”

“E io…” intervenne Anthony, ghignando. “… sono stato pavido, non concedendo a Myriam il diritto di scegliere con onestà, raccontandole una bugia perché non la ritenevo all’altezza di accettare il mio ruolo di spia. Tu, invece, hai dimostrato di avere molto a cuore la mia Violet, oltre ai rapporti familiari che ci uniscono. Ti sei comportato con estrema maturità.”

Arrossendo suo malgrado, Andrew reclinò vergognoso il capo e Christofer, con tono più serio, mormorò: “E’ normale che tu abbia dei dubbi, figliolo. Saresti sciocco a non averne. Pur se vi conoscete da sempre, non sapete cosa voglia dire vivere come una coppia sposata. Gli equilibri cambieranno ancora, nel corso della vita, e voi vi ci adatterete, ma pensa a questo; saresti stato disposto a perdere tutto questo, per lei, vero?”

“Sì, anche se avrei sofferto moltissimo” assentì con veemenza il giovane.

“Allora, sei abbastanza forte per affrontare qualsiasi cosa, ragazzo” lo incoraggiò Anthony, dandogli a sua volta una pacca sulla spalla.

“Grazie… a entrambi” sussurrò Andrew, con voce roca.

“Va da sé, ragazzo che, se la farai soffrire, non esisteranno mura sufficientemente alte e robuste, per proteggerti dalla mia vendetta” terminò di dire Anthony, facendo ridere sia Andrew che Christofer.

“Ho afferrato il messaggio.”

“Bene… e ora, vediamo di rientrare, prima di buscare tutti una polmonite” dichiarò Christofer, sospingendo all’interno il figlio.







Note: L'intesa tra lord Bradbury e Violet è immediata... e come non aspettarselo, visto che parlano la stessa lingua?
In ogni caso, Violet non solo si ritrova a confrontarsi con un uomo che accetta senza problemi la sua passione ma che, tra le altre cose, è così colpito da lei da volerla come apprendista e consigliera.
Non male, per lei, vi pare?
Ormai siamo al capolinea, per questa coppia, di cui ci rimane solo l'epilogo, poi passeremo a Maximilian.
A presto!

 

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Capitolo 15
*** Epilogo ***


 
 
Epilogo.
 
 
 
24 Dicembre 1827 – Aberdeen
 
 
“Sei un caso disperato, fratello…” brontolò Elizabeth, sistemandogli per la centesima volta il plastron di seta color perla. “… e dire che ti credevo più integro, a livello nervoso.”

“Io? E quando mai ti ho dato questa idea?” ironizzò Andrew, fissandosi nervosamente allo specchio.

“Magari, perché hai resistito tre anni, nel tenere per te il tuo amore per Lettie? Una persona così, dimostra nervi d’acciaio” dichiarò Lizzie, dandogli una pacca sulla spalla, prima di girargli attorno. “E poi ammettiamolo. La più esagitata sono sempre stata io.”

Il frac color antracite gli cadeva alla perfezione e, su un fisico slanciato come quello del gemello, faceva la sua figura, pensò poi tra sé Lizzie, approvando.

“Peccato che, da quando ho parlato, tutto il mio fantomatico autocontrollo è andato a farsi benedire” le ricordò lui, rammentando la sbronza colossale presa due giorni addietro, una delle pochissime di tutta la sua vita, a ben vedere.

Era sempre stato contegnoso in tutti i suoi atteggiamenti, ligio all’idea di voler essere degno del suo nome e dei suoi genitori.

Inoltre, negli ultimi tre anni, aveva evitato caldamente qualsiasi sbandamento per non correre il rischio di parlare di Violet, una volta sbronzo.

Ora che tutto questo era venuto meno – il segreto su Lettie, più che altro – parte delle sue reticenze a divertirsi erano scemate, e i suoi amici ne avevano approfittato.

Wendell e il padre erano giunti in taverna a recuperarli, dopo che uno degli avventori del locale era salito alla villa dei Chadwick per avvisarli delle loro misere condizioni.

Ciò che Lizzie e sua madre gli avevano detto il giorno seguente, si perdeva in oscure reminiscenze di cui non aveva ancora recuperato tutte le sequenze.

Lettie, invece, si era limitata a ridere e, con un bacetto, gli aveva augurato di stare bene al più presto.

Era stato a quel punto che la data speciale a cui si stavano avvicinando – la Vigilia di Natale – gli era balenata nella mente, rammentandogli un evento assai più importante.

In barba a tutte le convenzioni, Violet aveva voluto che il loro matrimonio si svolgesse per la vigilia, niente affatto intenzionata ad attendere l’anno nuovo, per sposarlo.

Certo, a Londra qualcuno avrebbe chiacchierato, ma erano così distanti dal Ton e da tutte le loro fissazioni, che ad Andrew poco importava.

Che parlassero. Loro conoscevano la verità, e tanto gli bastava.

“Se non fosse che mi odieresti a vita, ti darei un po’ di belletto per nascondere le occhiaie, fratello” intervenne Lizzie, strappandolo ai suoi pensieri.

Andrew la fissò malissimo ma, prima ancora di poter parlare, Christofer fece la sua entrata e disse: “I ragazzi sono riusciti a tornare con il pastore, nonostante la nevicata storica. Dovremo dare loro un regalo extra.”

“Basterà aprire la cantina di mio suocero…” ironizzò Elizabeth, facendo sorridere i due uomini. “… e vedrete quanto saranno felici. Maxwell conserva un autentico tesoro, sotto i nostri piedi.”

Visto il numero ingente di invitati al matrimonio, i Chadwick avevano messo a disposizione il loro palazzo e ora, nell’enorme atrio si stava finendo di allestire il tutto per la cerimonia.

Gli altri saloni – da pranzo e da ballo – erano gremiti di tavolate e sedie, il tutto allestito per la sfarzosa festa che Lizzie, Myriam, Kathleen e Madaleine avevano imbastito.

Clarisse, Savannah e Julianne, invece, avevano tentato di mettere un freno alle altre, viste le idee a volte stravaganti di Elizabeht e Madaleine.

Gli uomini si erano tenuti a distanza di sicurezza, discorrendo su quanto potessero essere pericolose, le donne, se messe insieme per progettare un matrimonio.

Ora, comunque, tutto era pronto.

Andrew avrebbe sposato la sua Lettie e, se fosse riuscito a sopravvivere fino alla fine dei festeggiamenti, avrebbe iniziato una nuova vita con lei.

Se il cuore non gli si fosse fermato prima per la troppa ansia, ovviamente.

Lizzie gli sorrise, gli diede un bacetto sulla guancia e mormorò: “Sei splendido, fratello, e ti auguro il meglio, ma ora devo correre dai gemelli, o il seno mi esploderà.”

Andrew e Christofer scoppiarono a ridere di fronte alla sua sfrontatezza e la giovane, correndo fuori, lasciò entrare Alexander al suo posto, giusto proprio in quel momento.

Il giovane Spencer gli sorrise – Alex era uno dei suoi innumerevoli testimoni di nozze – e, quando il cognato lo raggiunse, dichiarò: “Bene, vedo che non sei ancora svenuto. Un po’ di coraggio in formato liquido?”

“Volentieri” sospirò Andrew, accogliendo di buon grado un po’ di spumante.

“Solo uno, o non ti godrai nulla, dopo” lo mise in guardia Christofer.

“Ho appena visto la sposa e posso dirti che, se il tuo cuore non è abbastanza forte, avrai un infarto” lo ammonì bonariamente Alexander.

“Come… hai visto la sposa? E’ già pronta?!” gracchiò Andrew, quasi strozzandosi col vino.

“Per la verità, voleva scappare via a cavallo per sposarsi con Solomon a Gretna Green…” iniziò col dire Alexander, prima di scoppiare a ridere di fronte al pallore di Andrew. “… ma dai, scherzo! Figurati se Lettie farebbe una cosa del genere, dopo aver mandato al diavolo anni di impostata eduzione femminile per trovare una soluzione al vostro problemino.”

“Alexander, ti voglio bene, ma certi scherzi tienili per te” ringhiò Andrew, riprendendo colore.

Christofer sorrise sornione e, nell’accomiatarsi, discese le scale per raggiungere l’atrio.

Rimasto solo con lo sposo, Alexander tornò serio e disse: “Senti, i tuoi amici sono qua fuori e vorrebbero entrare per un saluto. Ti senti dell’umore adatto per vederli?”

“Sì, certo. Perché non sono entrati e basta?” esalò sorpreso Andrew.

“Credo temano che il matrimonio si possa attaccare come una malattia” ridacchiò Alexander, aprendo la porta per far entrare il manipolo di testimoni di Andrew.

Uno dopo l’altro, i giovani entrarono nella stanza e Andrew, nel vederli tutti lì con lui, sorrise con autentica gioia e mormorò: “Siamo alla fine di questa avventura, mi sa…”

“Tu ne comincerai una nuova” replicò Keath, sorridendo fin quasi a farsi male, ma senza riuscire a nascondere gli occhi lucidi.

Nessuno riuscì a dire altro e, spontaneo quanto sentito, scaturì un abbraccio di gruppo che, per poco, non mandò a monte gli sforzi di Elizabeth di rendere perfetto l’abito del gemello.

Non c’era bisogno di usare le parole, tra di loro.

La loro amicizia sarebbe rimasta salda anche negli anni a venire, in barba alla distanza, ai nuovi doveri di ognuno.

Fu per questo che, senza dire nulla, si avviarono tutti verso l’uscita, verso quel nuovo inizio, verso quella nuova avventura.

Ultimo tra tutti, Alexander chiuse la porta alle sue spalle con un sorriso e, con passo tranquillo, seguì la comitiva di ragazzi, diretti verso l’atrio del palazzo.

Sì, sarebbe stata una Vigilia di Natale davvero splendida.
 
***

L’ansia la rimordeva e, mentre lanciava occhiate alternate al suo abito bianco disteso sul divanetto, e alla porta che la divideva dalla stanza di Andrew, Violet non sapeva come calmarsi.

La cerimonia era stata splendida, così come Andrew le era parso splendido, quando lo aveva trovato accanto al pastore, mentre i suoi amici gli guardavano le spalle, fidi amici di entrambi loro.

Ricordava sì e no ciò che si erano detti in quei momenti magici, troppo persa in contemplazione degli occhi verde-oro di Andrew, in cui si era lasciata annegare, colma d’amore.

Il bacio che aveva suggellato la loro promessa aveva scatenato il plauso di tutti gli invitati e, quando si erano recati nella sala da pranzo, Lettie era rimasta strabiliata nello scoprire cosa avessero messo in piedi in un mese di tempo.

Tutto le era parso perfetto, così come ogni ballo le era sembrato dipinto dalla mano degli angeli.

Andrew era sempre stato un bravo ballerino e, con lui, Lettie aveva sempre ballato come sospesa su una nuvola ma, quella sera, tutto era stato più speciale del solito.

Come se la piccola fede d’oro che solleticava il suo dito rendesse ogni cosa più bella, più limpida, più vivida ai suoi occhi.

Con l’avvicinarsi della mezzanotte, il timore per ciò che sarebbe seguito, però, aveva cominciato a serpeggiare nel suo animo e, pur se la madre l’aveva istruita in tal senso, un conto erano le parole, e un altro i fatti.

Andrew si sarebbe dimostrato l’uomo che lei sperava che fosse?

Sarebbe stato gentile, o l’avrebbe fatta soffrire?

Avrebbe…

Quando udì la porta aprirsi, Violet perse di vista ogni altro pensiero e, non appena Andrew entrò nella stanza in veste da camera, si dimenticò per un attimo di respirare.

Appariva spaurito, quasi timido e, quando si chiuse il battente alle spalle, Lettie notò che la sua mano stava tremando.

Questo la portò a sollevarsi dalla poltroncina per raggiungerlo in poche, rapide falcate e, strettasi a lui, sussurrò contro il suo torace in tumulto: “Ho paura di essere un disastro, ai tuoi occhi.”

Andrew rise, le baciò i biondi capelli sciolti sulle spalle, e che ora raggiungevano il fondoschiena e, nel carezzarli delicatamente, lui mormorò: “Allora, siamo in due.”

“Quindi, cosa facciamo, se siamo tutti e due impauriti?” gli domandò lei, sollevando il capo a guardarlo dubbiosa.

“Che ne dici se impariamo insieme ciò che può renderci meno pavidi?” le propose lui, chinandosi per baciarla.

Lei sorrise, annuendo compiaciuta poiché aveva sentito la mancanza di quei baci, da quando Andrew si era rifiutata di toccarla in quel modo, da un mese a questa parte.

Subito, un calore benefico si irradiò nel suo corpo, riscaldandola quando non si era resa conto di averne un bisogno disperato.

Le sue mani corsero spontanee al collo del giovane, carezzandolo prima di scivolare sul suo torace ansante.

Andrew, con dolcezza, le carezzò la schiena inarcata, i fianchi delicati e morbidi e, attirandola a sé, mormorò: “Ti desidero con tutta l’anima, Lettie, ma non voglio che tu ti spaventi. E potresti, ora come ora.”

Sorridendo, la giovane si scostò da lui per un istante e, sollevandosi in punta di piedi, gli disse un paio di parole riguardo a ciò che le aveva detto sua madre.

A quel punto, Andrew la scostò da sé, la fissò leggermente imbarazzato ed esalò: “Oh… è… stata piuttosto… esplicita.”

“Anche Lizzie, per la verità, mi ha detto qualcosa.”

Andrew preferì soprassedere su quell’ultimo punto – non voleva sapere quanto potesse essere estroversa, sua sorella, quando ci si metteva – e, nel carezzarle il viso, le domandò: “Sei sicura, allora?”

Per tutta risposta, Lettie mise mano all’orlo della vestaglia di Andrew e, aiutata dalle mani del giovane marito, lo denudò poco alla volta.

Si era aspettata perfezione e bellezza ma mai, nei suoi sogni più reconditi, aveva immaginato un simile splendore.

Pur se il suo viso andò in fiamme, Violet non smise di guardarlo e Andrew, nell’attirarla a sé, sussurrò al suo orecchio: “Ora ti mostrerò cosa voleva dire tua madre, dicendoti ciò che ti ha confidato.”

Andrew fu di parola.

Le mostrò cosa volesse dire essere amata, non posseduta, e lo fece per tutta la notte, conducendola per mano alla mattina di Natale nel modo più dolce possibile.

Violet, però, non si preoccupò di scoprire che regali le avessero fatto, quell’anno. Aveva appena ricevuto il dono più bello di tutti da Andrew, e lo avrebbe avuto per sé per tutta la vita.







Note: E qui si conclude, per ora, l'avventura dei nostri eroi, che comunque ritroveremo anche nella storia dedicata a Max, che posterò dalla settimana prossima.
Visto che molte di voi hanno apprezzato il personaggio di Lucius Bradbury, ci tengo a farvi sapere che mi ingegnerò per creare uno spin-off tutto su di lui, ma vi avvertò che ci vorrà qualche mese, visto che non ho pronto ancora nulla, se non qualche idea vagante.
Per ora, grazie per avermi seguita fino a qui!

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