The Hunter

di potterhead_slytherin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

 

 

 

Catherine
Quattordici anni prima

 

 

Era da poco tempo trascorso il giorno del suo terzo compleanno.
La piccola Amelia era sdraiata supina nel suo lettino ed ascoltava con attenzione la fiaba della buona notte che le stavo raccontando, prelevata dal libro dei fratelli Grimm che le avevo regalato.

- Si avvicinò al letto e scostò le cortine: la nonna era coricata con la cuffia abbassata sulla faccia, e aveva un aspetto strano. "Oh, nonna, che orecchie grandi!" - "Per sentirti meglio." - "Oh, nonna, che occhi grossi!" - "Per vederti meglio." - "Oh, nonna, che mani grandi!" - "Per afferrarti meglio." - "Ma, nonna, che bocca spaventosa!" - "Per divorarti meglio!" E come ebbe detto queste parole, il lupo balzò dal letto e ingoiò la povera Cappuccetto Rosso. - lessi il passo più famoso del racconto, prestando molta attenzione all'intonazione della voce per migliorare la narrazzione.

A quelle parole la bambina sussultò e raggomitolandosi tra le coperte azzurre, strinse con più forza l'orsacchiotto di pezza per proteggersi.

Le sorrisi. Era così carina con quel suo pigiamino rosa sbiadito, a causa dei troppi lavaggi in lavatrice, e quegli occhioni verdi vispi e curiosi che le illuminavano il viso.

- Mamma! Mamma! - squittì con la sua vocetta infantile - se l'è mangiata! Il lupo cattivo si è mangiato Cappuccetto Rosso. E anche la nonna! Non mi piace questa storia, è triste...-
- Aspetta, tesoro. Il racconto non è ancora finito - replicai - lo sai, si dice che non bisogna mai giudicare un libro dalla copertina. -
- E che vuol dire?-
- Significa che finchè non hai letto tutto il libro, non puoi dire se è bello oppure no. - spiegai.
- Ma io non so ancora leggere - protestò. Sul suo viso comparve un broncio adorabile.
Sorrisi - è per questo che ci sono qua io a leggere per te. Dai, ora vediamo di finire questo libro perchè sono curiosissima di sapere cosa succederà. Ci stai? - Annuì con convinzione.

- Poi, con la pancia bella piena, il lupo si rimise a letto, s'addormentò e incominciò a russare sonoramente.- Amelia ridacchiò in modo alquanto buffo e poi emise un piccolo sbadiglio. Mi sporsi sulla sedia per rimboccarle meglio le coperte, quindi ricominciai la lettura. - Proprio allora passò lì davanti il cacciatore e pensò fra sè: "Come russa la vecchia! devi darle un'occhiata se ha bisogno di qualcosa." Entrò nella stanza e avvicinandosi al letto vide il lupo che egli cercava da tempo. Stava per puntare lo schioppo quando gli venne in mente che forse il lupo aveva ingoiato la nonna e che poteva ancora salvarla. Così non sparò, ma prese un paio di forbici e aprì la pancia del lupo addormentato... - continuai a leggere ancora per un bel pò.

Amelia continuava ad ascoltarmi, ma si vedeva che la stanchezza stava iniziando ad avere il sopravvento sulla sua curiosità. Gli occhietti le si chiudevano spesso ma lei si sforzava di tenerli aperti, solo per sapere il finale della fiaba.

-Erano contenti tutti e tre: il cacciatore prese la pelle del lupo, la nonna mangiò la focaccia e bevve il vino che le aveva portato Cappuccetto Rosso; e Cappuccetto Rosso pensava fra sè: "Mai più correrai sola nel bosco, lontano dal sentiero, quando la mamma te lo ha proibito. -

Le palpebre le si erano abbassate non da molto tempo, quando conlcusi la lettura, trascinandola definitivamente nel mondo dei sogni. Quella bambina era, soprattutto quando dormiva, la personificazione della tenerezza.

Il viso arrotondato e dai lineamenti ancora infantili era decorato da una buona dose di lentiggini, concentrate soprattutto sugli zigomi paffuti. Aveva lunghi capelli neri che tendevo a raccoglierle in una o due trecce e una frangetta abbastanza fastidiosa, che le finiva davanti ai grandi occhi verdi.

Nonostante la sua giovane età era molto intelligente e spesso se ne usciva fuori con dei ragionamenti molto maturi per una bimba di soli tre anni. Inutile dire quanto questo rendesse orgogliosi me e mio marito Sergio.

Di lì a pochi giorni avrebbe iniziato la scuola materna e tutta la famiglia era entusiasta all'idea di vederle compiere questo grande passo. Amelia, dal canto suo, non vedeva l'ora di stringere amicizia con qualche bambina della sua età così da poterle mostrare la bellissima casa di Barbie super accessoriata con cui si divertiva a giocare.

Chiusi il libro delle fiabe con cura e lo appoggiai sulla scrivania quindi mi avvicinai alla mia piccolina e le posai un dolce bacio sulla fronte - sogni d'oro, cucciola - mormorai accarezzandole la guancia.

Mi beai ancora per qualche minuto della sua visione e poi iniziai a sistemare la sua cameretta. Raccattai i vari giocattoli lasciati in giro e rimisi al loro posto le bambole, negli appositi scatoloni.

Circa una ventina di minuti più tardi la stanza era ritornata al suo ordinario splendore e proprio quando stavo per uscire dalla porta per dirigermi in salotto a guardare un pò di televisione, Amelia iniziò ad agitarsi nel sonno.

Ben presto il suo respiro divenne irregolare ma io rimasi immobile, sulla soglia, incapace di muovere un muscolo. Ero come pietrificata, mentre una devastante consapevolezza si faceva strada dentro di me.

- No! - gridava la bambina disperata, nel buio della notte, nel tentativo di sottrarsi a quello che non era altro che il peggiore degli incubi. Le sue urla e richieste di aiuto mi sottrassero dal mio stato di trans e mi affrettai a raggiungerla ai piedi del letto.

Iniziai a scuotere il suo corpicino, per cercare di svegliarla, ma sapevo che sarebbe stato tutto inutile. Certe volte bisogna combattere le ombre del proprio passato da soli, ed Amelia doveva imparare a farlo.

La sua pelle si imperlò di sudore e agli angoli degli occhi ancora chiusi le si formarono delle lacrime. Vederla così terrorizzata, senza che potessi aiutarla in alcuna maniera, era una stretta al cuore. Per cercare di annullare un pò della sua, e mia, sofferenza la presi tra le braccia ed iniziai a mormorarle parole di conforto.

Dopo quelle che mi parvero ore, ma che avrebbero potuto benissimo essere solo una manciata di minuti, il battito del suo cuoricino, inizialmente iperattivo, si regolarizzò così come il suo respiro. Le sue palpebre si sollevarono, ed io le asciugai le lacrime con il pollice.

-Mamma?- mormorò. Aveva una voce così triste...
-Si tesoro, sono qui. Era solo un incubo, tranquilla. Ora è tutto finito.- -Voglio la mamma!Voglio la mamma!- incominciò a scalciare e a dimenarsi per essere accontentata.
-Sono qui, Amelia. Sono qui, io non ti lascio - ripetei.

Tentai di tranquillizzarla, anche se sapevo benissimo che sarebbe stato solo l'inizio di una serie infinita di momenti come quello.
Il suo destino era stato scritto e per quanto tentassi di negare la realtà dei fatti, non potevo fare nulla per cancellare o modificare il naturale corso delle cose.

Potevo solo rallentare il processo, con l'intenzione di posticipare una fine che l'avrebbe comunque accolta.
-Non voglio più andare in quel posto. - affermò dopo un pò -voglio restare qui con te.-
Sgranai gli occhi, sorpresa - di quale posto parli? -

L'avevo rimessa sotto le coperte e avevo incominciato a baciarle la fronte e ad accarezzarle il viso, raccontandole altre storie per cercare di distrarla. Sembrava che stesse funzionando, ma evidentemente mi sbagliavo. 
Non ottenni risposta alla domanda perchè si era già riaddormentata.

Tre anni prima avevo giurato che avrei fatto qualunque cosa per proteggerla, nascondendola il più a lungo possibile dalla verità. 
Era diventato il mio unico scopo nella vita, e avrei fatto di tutto per salvarla.
Qualunque cosa. Anche a discapito delle persone che amavo di più.


*n.d.a
La fiaba di Cappuccetto Rosso è stata estratta dalla raccolta dei fratelli Grimm. Quelli che avete letto sono alcuni dei passi più significativi.
Per chi avesse già letto la storia in precedenza, volevo scusarmi. So di essere scomparsa all'improvviso e di aver cancellato The Hunter senza alcun preavviso, ma non ero soddisfatta del mio lavoro. Ora, dopo diversi mesi, sono riuscita a concludere qualcosa e ad inserire nuovi personaggi e nuovi colpi di scena! Spero di non deludervi. Un bacio
Potterhead_slytherin Greta

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO
1

 

 

 

 

In una giornata ci sono ventiquattro ore ognuna delle quali è composta da sessanta minuti.
Eppure ci sono anche millequattrocentoquaranta minuti e ottantaseimilaquattrocento secondi.

È incredibile pensare che con un semplice calcolo matematico è possibile frammentare in questo modo ogni attimo, ogni istante di quegli ottantaseimilaquattrocento secondi, e che noi con i nostri mille impegni, ne sprechiamo una considerevole quantità in attività inutili che non ci porteranno da nessuna parte.

Fino a poco più di un anno fa, non avrei mai dato tanta importanza al tempo, eppure ora eccomi qui, alla ricerca disperata del più insignificante nanosecondo. La cosa più divertente è che per ridurmi in queste condizioni sono stati sufficienti pochi elementi: un trasferimento, uno spartito musicale ed una pioggia improvvisa che non ero riuscita a preventivare.

Mi piace pensare che, se allora non fosse andata in quel modo, probabilmente adesso sarei una persona diversa, con meno problemi e pensieri per la testa. Sarebbe sciocco da parte mia dire che non cambierei la mia situazione per nulla al mondo, perchè se così non fosse stato, sarei rimasta una ragazza qualunque, cresciuta in una cittadina qualunque e con amici qualunque, ma pur sempre certa della realtà del mondo circostante. Ora invece, sono sicuramente una persona più forte, e posso dire di aver vissuto l'amore, il dolore e il sacrificio, ma nella vita non ho più certezze.

Sono stata fortunata ad essere sopravvissuta quando altri non ce l'hanno fatta.
Anche se, a dir la verità, per esserci riuscita non ho lottato nè con le unghie, nè con i denti, e tanto meno ho utilizzato dei superpoteri. Semplicemente, quando è giunto il momento, mi sono messa a correre. E mentre correvo contavo i secondi.

Mi sono occorsi una manciata di minuti per capire quale fosse il suo gioco. A quale tipo di gara stesse partecipando. E sono state sufficienti poche settimane per farmi cadere nel suo tranello. Nel giro di un mese, aveva raccolto più informazioni sul mio conto di quante ne sapessi io stessa. Aveva giocato bene le sue carte, devo ammetterlo. Perchè lui era un cacciatore, addestrato a fare il segugio, a scovare indizi. Ed io beh, sono diventata la sua preda. Nient'altro che una fragile umana, vittima di un disegno più grande.

E questa volta per sempre.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2


 

Tutto iniziò circa un anno fa e da allora la mia vita subì un cambiamento radicale. Non posso dire che questa trasformazione fu immediata, perchè sarebbe come cercare di spiegare ad un cieco i colori o insegnare ad uno zoppo a correre. Nient'altro che un'illusione. Eppure, ogni attimo, ogni istante trascorso da quell'incontro mi segnò irrimediabilmente, rendendomi quella che sono oggi.

Ad ogni modo, quando accadde si era da poco concluso il mio primo giorno di scuola dell'ultimo anno di liceo. Una volta uscita dall'istituto e aver salutato tutti i miei compagni di classe che non vedevo da diversi mesi, mi ritrovai a girovagare per le strade di Londra, in quella giornata di fine estate, a cavallo della mia mountain-bike mezza scassata, nel disperato tentativo di posticipare il più possibile l'incombenza compiti o, come dicevano i miei insegnati, "il momento più importante dell'apprendimento". Che razza di professore sano di mente assegna venticinque pagine da studiare la prima settimana di scuola?

Borbottando tra me mille insulti rivolti a quella crapa pelata del mio prof di economia, svoltai in Piccadilly. Una volta entrata a Green Park, legai la bici ad un albero e proseguii il mio giretto turistico a piedi. Ben presto riuscii a scovare una panchina libera, e stremata da quella giornata infernale vissuta tra i banchi di scuola, mi ci accasciai sopra con un sospiro stanco.

Estrassi il mio nuovo libro dallo zaino ed iniziai a leggere, curiosa di scoprirne di più su quel misterioso personaggio. Ero immersissima nel racconto e stavo per venire a conoscenza del segreto soprannaturale del protagonista quando una goccia d'acqua cadde sulla pagina, impedendomi la lettura di una parola.

Rivolsi gli occhi al cielo e notai che si stava annuvolando, perciò mi affrettai a chiudere il libro e ad alzarmi di scatto, prima che iniziasse il temporale. Corsi verso dove avevo lasciato la bicicletta, ma non la trovai. Nel dubbio, mi guardai intorno. Daltronde, il parco era davvero grande e avrei potuto benissimo sbagliare l'albero.

Nel frattempo, quella che era iniziata come una lieve pioggerella, ora si era tramutata in un vero e proprio acquazzone. Milioni di pozzanghere si formarono, rendendo il terreno erboso un unico pantano di terra, acqua piovana ed escrementi di scoiattolo.

Accidentaccio a me e alle scarpe nuove che avevo deciso di indossare quella mattina.

Del mio mezzo di trasporto non c'era nessuna traccia, e a malincuore stabilii che dovevo essere stata derubata.
-Grandioso!- borbottai senza un minimo di entusiasmo. Iniziai a marciare verso l'uscita del parco, tentando inutilmente di coprirmi i capelli alla meno peggio (ovviamente quel giorno mi ero dimenticata di prendere l'ombrello) e bighellonai, imprecando come uno scaricatore di porto, sotto tutti i portici che incontravo nel mio cammino.

Tra un insulto e l'altro, mi ritrovai davanti ad un bar. Era poco frequentato e proprio per la tranquillità che garantiva, spesso mi ci rifugiavo per evadere dal chaos della capitale. Dopo essermi pulita i piedi sul piccolo zerbino, per evitare di lasciare impronte fangose ovunque, entrai al Christal. Un susseguirsi di din annunciò il mio ingresso nel locale, seguito dal dolce profumo di biscotti appena sfornati. Aspirai a pieni polmoni quel delizioso odore che mi stuzzicava il palato, permettendogli di invadermi le narici.

-Hei, Amy! Qual buon vento, come sono andate le vacanze?- mi salutò la barista, con un sorriso stampato in volto, non appena mi vide.
-Ciao Nadine. Tutto bene, grazie. E tu?- ricambiai, tentando di ridare un pò di forma ai capelli appiattiti dalla pioggia.

Nadine tutto sommato era una bella donna, nonostante avesse superato ormai la sessantina. Il viso era incorniciato da capelli chiari tendenti al grigio che le arrivavano poco sopra le spalle. Era un metro e sessantacinque portato da un corpo leggermente formoso di pura simpatia, gentilezza e pazienza. Un piccolo paio di occhiali alla Harry Potter posava sul suo nasino. Aveva guance paffute rigate dai primi segni dell'età. Sembrava la versione inglese della moglie di Babbo Natale.

Iniziò a pulire il bancone con uno straccio consumato- Diciamo che si tira avanti, dai. - poi, osservandomi, consatò -Oh povera cara, ma sei bagnata fradicia. Hai dimenticato di nuovo l'ombrello? Tua madre dovrebbe metterti un bel post-it sulla fronte per ricordartelo. È sempre la stessa storia - rise -dai, vatti a sedere, non stare lì impalata sulla porta. Io nel frattempo ti preparo una bella cioccolata. Non vorrai mica ammalarti la prima settimana di scuola, no?- La ringraziai, pensando che pur di saltare un giorno di scuola mi sarei presa anche la peste bubbonica, accomodandomi al mio solito tavolo.

Frequentavo il Christal da più o meno tutta la vita. Mia madre ci veniva da ragazza, insieme alla sua compagnia di amici, e poi aveva iniziato a portare me. Da quello che mi aveva raccontato, ai suoi tempi era il punto di ritrovo di tutti i giovani che spesso ci passavano intere serate. Ora aveva perso l'attrattiva, soprattutto a causa dell'avanzamento di età della proprietaria, ma Nadine persisteva nel volerlo tenere aperto, troppo legata ai milioni di ricordi che aveva creato e ai sacrifici fatti nel corso degli anni. Io l'appoggiavo su tutta la linea.

Adoravo quel bar che, per quanto fosse rimasto legato ai principi originari, aveva saputo anche adattarsi ai tempi. A fianco del vecchio Juke Box, ora si trovava uno stereo di ultima generazione, capace di leggere anche le chiavette usb. Inoltre, infondo alla sala, proprio di fianco al mio tavolo abituale (dove mi ero appena accomodata), era stato montato un piccolo palco. Di tanto in tanto venivano delle band di periferia a suonare e in quelle serate gli incassi aumentavano in maniera considerevole.

-Ecco a te - mi ero così distratta a guardare gli strumenti, che non mi ero accorta dell'arrivo del mio ordine.
Tant'è che a sentire la voce della cameriera, per poco non sobbalzai.
-Grazie, Liz - le dissi. Elizabeth, o Liz per gli amici, aveva tre anni più di me.
Quel giorno, portava i capelli biondi legati in una coda alta ed indossava la solita divisa nera del locale.
Mi sorrise -Questo weekend pensi di suonare?- mi chiese.
-Non so, sinceramente. Non ho preparato nessun nuovo pezzo durante l'estate. Ho una specie di blocco dello scrittore, credo.- rivelai mortificata.
-Oh non preoccuparti, capita a tutti! Comunque tu pensaci, poi fammi sapere. Per quel che ne so, potrebbe andar bene anche una cover o un vecchio brano -
- Okay, vedrò che posso fare. Sai, tra la scuola e tutto il resto...-
-Tranquilla. Non devi certo giustificarti.- rise -Ora è il caso che mi rimetta al lavoro! Ci si vede!-

Feci un cenno di saluto a Liz e inizai a sorseggiare la mia pannosa cioccolata pucciandoci di tanto in tanto dei biscotti al burro. Ad un certo punto, una piccola testolina spuntò nel posto di fronte al mio. Era talmente bassa che non arrivava all'altezza del tavolo. -Ameeeliaaaaa- squittì la bambina, correndomi incontro e strapazzandomi in un tenero abbraccio.

-Hei piccola!-
-Non sono piccola- si lamentò -Ho sei anni. Sono già una donna. Vero mamma?- disse rivolgendosi alla donna che era comparsa alle sue spalle.
-Assolutamente si, hai ragione. - replicò lei con un sospiro stanco.
-Allora, com'è andato il primo giorno di scuola?- domandai con entusiasmo.
-Bene! La maestra ci ha spiegato le addizioni!!-
-Wow! E le hai capite?- Sulla sua faccina paffuta comparve una smorfia piuttosto buffa.
-A questo proposito Amelia...- intervenne la madre -pensavo che magari potresti aiutare la picco..ehm...Lucy con i compiti oggi. E magari farle da baby sitter questo weekend...sempre che tu non abbia altri impegni, ovvio.-
-Nessun impegno signora Stwart, mi farebbe molto piacere passare un pò di tempo con lei. Sono libera anche in questo momento se vuole -

-Oh tesoro, che brava ragazza che sei. Grazie mille! Ecco tieni - si mise a trafficare all'interno della sua borsetta, tirandone fuori una banconota da cinquanta sterline -Nel frattempo tieni questi, poi se te ne dovessero servire altri fammi sapere!-

Alla vista di tutti quei soldi, rimasi con la bocca spalancata -Signora sono troppi, davvero. Non posso accettarli. Avrei lavorato
tranquillamente gratis...-

-Oh, suvvia cara. Non essere modesta. Tieniti questi, sei sempre così gentile con la nostra famiglia... e Lucy ti adora-
-Ehm...la ringrazio- sussurrai ancora sconvolta.

Fu così che mi ritrovai ad aiutare Non-sono-piccola-Lucy con i compiti mentre, ne sono assoluatamente certa, sua madre tornava a casa pronta a stappare lo Champagne e a festeggiare con le amiche ultraquarantenni qualche ora di libertà.

Se c'è una cosa che mi fa paura, sono le donne di mezza età, convinte di essere ancora nel fiore degli anni nonostante le prime avvisaglie della menopausa. Assolutamente raccapricciante.

Mi riscossi dai miei pensieri e riportai l'attenzione sulla bambina. Mi fissava, con i suoi grandi occhioni, la testa inclinata di lato. Con quella pelle candida e quello sguardo fisso nel mio, sembrava una bambola assassina. Le trecce bionde completavano il pacchetto. Oddio. Dovevo assolutamente smetterla di guardarmi tutti quei film horror la sera tardi.

Lucy tirò fuori il quaderno ed io, munendomi di tutta la pazienza di questo mondo, iniziai a spiegarle in tutti i modi umanamente possibili che 2+2 = 4 non "un pesce" come le aveva detto suo fratello maggiore, non che mio migliore amico da una vita e per un breve, brevissimo, periodo mio ragazzo. La nostra "relazione" risaliva ai tempi della prima media e Dio solo sa quanto quelle tre ore furono imbarazzanti. Durò solo tre ore perchè, fortunatamente, entrambi capimmo quasi da subito che eravamo meglio come amici che come coppia. Fu a lui che diedi il mio primo bacio. A stampo. Viscido. Umidiccio. Nel bagno delle ragazze con me seduta sul gabinetto e lui con l'apparecchio ai denti che gli tratteneva tutta la saliva in bocca. Quando ci avvicinammo, nessuno dei due sapeva che per baciare una persona bisogna inclinare un minimo la testa. Ci tirammo una zuccata.

Un momento memorabile, davvero.
Accidenti, come ero finita a pensare a Jake?

Due ore e trentasette minuti dopo ero pronta a strapparmi tutti i capelli uno a uno. Lucy era una capra in matematica, non c'era altro da dire. Per quanto potesse essere adorabile, in quel momento le avrei volentieri sbattuto il quaderno in faccia. Poi, come per magia, mi ricordai del bigliettone da cinquanta sterline e tutto divenne più bello ai miei occhi.

- Uffa – sbuffò – è difficile! La matematica non va per me -
- "Fa" - Praticamente vidi il punto di domanda formarsi nel suo cervello. - Si dice "non FA per me" non "va" – spiegai. Ci mancavano solo le ripetizioni di grammatica.
- Okay -
- Dai, ripetimi tutto per l'ultima volta e poi... - le parole mi morirono sulle labbra non appena udii una dolce e soave melodia proveniente...oh, ma chi voglio prendere in giro? Continuavo a distrarmi per tre motivi: primo, non ero per niente adatta a fare l'insegnante. Adoravo i bambini, ma il fatto che impiegassero un'era a capire un concetto semplicissimo era snervante. Secondo, un ragazzo strafigo, che subito battezzai come Mr Tenebroso, era appena salito sul palco. Terzo, il ragazzo in questione si era avvicinato al pianoforte con passo deciso e sicuro di sè. Oh mio Dio.

Se questo è un sogno, vi prego non svegliatemi.

Dicono che il principe azzurro esiste solo nelle favole, eppure in quel momento mi sembrò di averlo trovato. Non era di stirpe reale e sicuramente non aveva un cavallo bianco. Eppure aveva il suo fascino. Un fascino proibito che una persona sana di mente avrebbe evitato, ma con scarsi risultati.

Aveva l'aria del classico ragazzo dallo sguardo penetrante e il sorriso malizioso, che fa cadere le ragazze ai suoi piedi semplicemente respirando. Il tipo di persona che pensa che tutto gli sia dovuto, abituato ad ottenere ciò che desidera. Era colui che interpreta la parte del cattivo in ogni favola che si rispetti, per il quale la classica ragazza casa scuola e chiesa si prende la più grande delle sbandate. Perfettamente a conoscenza dell'effetto che faceva al genere femminile, dalle più giovani a quelle più avanti con gli anni, era tanto bello da far male.

Eppure non avrei mai detto che un tipo all'apparenza così perfetto e maledettamente attraente, potesse avere tutto quel talento in campo musicale.

Mi guardai intorno, improvvisamente nervosa all'idea di assistere alla sua performance. Eravamo rimasti davvero in pochi al Christal. C'eravamo solo io, Lucy, Liz, Nadine, una coppietta di anziani e ovviamente, Mr Tenebroso. Il ragazzo lanciò uno sguardo fugace al suo pubblico, poi le sue mani presero a muoversi sui tasti.

Il salone iniziò a riempirsi di una composizione meravigliosa ed incredibilmente complicata, tanto che fui costretta a domandarmi come fosse possibile che un solo paio di mani potesse creare una melodia tanto perfetta.

Ed in quel momento capii di essermi sbagliata in maniera sconsiderata sull'opinione che mi ero fatta su di lui, perchè una persona così superficiale, come l'avevo etichettato, non sarebbe mai stata capace di fare una cosa del genere. Di creare un accordo di rispetto così profondo e sviscerato insieme allo strumento.

Mentre ci pensavo la musica si velocizzò, trasformandosi in qualcosa che conteneva ugualmente una grande morbidezza. La stanza si riempì di una dolcezza insostenibile.
Chiusi gli occhi.

Iniziai a sorridere. Sorrisi perchè mi ero commossa come mai prima d'ora, perchè una persona che nemmeno conoscevo era riuscita a farmi provare delle sensazioni tali da farmi rimanere senza parole. E questo era un maledettissimo, grandissimo problema.

- Amy perchè piangi? - era stata la piccola Lucy a parlare, anche lei rapita dalla bravura del musicista.
- Cosa? - farfugliai, appoggiando una mano sulla guancia e trovandola, effettivamente, rigata dalle lacrime. Mi affrettai ad asciugare quel breve momento di debolezza con la felpa. – deve essermi finito qualcosa nell'occhio, non è niente -

Poi lanciai un'occhiata verso il palco.
Il ragazzo si era alzato, per ringraziare i presenti dell'attenzione che gli avevamo riservato, gli occhi chiarissimi che puntavano verso di me.

No. Non fissarmi. Non guardarmi.
Incubi. Ombre. Antiche paure.
È sbagliato. Sei sbagliato.

Ritrassi in fretta lo sguardo da lui ed agguantai lo zainetto di Peppa Pig.
- Lucy è ora di tornare a casa, prepara le tue cose – ordinai. Non so perchè, ma sentivo che se non me ne fossi andata subito da quel posto, da quel ragazzo, ne avrei pagato le conseguenze.

Ma la bambina doveva avere altri piani, perchè saltò giù dalla panca e sgambettò fino a raggiungere l'oggetto del mio dissidio interiore.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

 

 

Ci sono persone che credono nel fato, altre nel destino. 
Alcuni si affidano ad un Dio, ritrovando in ogni avvenimento un simbolo della misericordia.
Altri ancora credono nelle stelle, negli oroscopi o nei quiz sulle riviste.
Poi ci sono quelli più anticonformisti, che fanno della loro vita un grandissimo Carpe Diem.

Personalmente, preferisco chiamarla botta di culo.

Sta di fatto che quel giorno di settembre la botta di culo non arrivò.
Ma la sfiga si. E la mia aveva un nome, un paio di occhi azzurri spettacolari ed un fisico da altleta che decisamente non poteva passare inosservato.
Nel complesso si potrebbe pensare che io stessi delirando, perchè ammettiamolo, quale persona sana di mente riterrebbe un incontro come il mio un biglietto di sola andata per Sfortunalandia?
Ad ogni modo, quando mi alzai da quella maledetta panchina compresi finalmente il senso del detto "mai giudicare un libro dalla copertina".

- Penso che tu abbia perso qualcosa – esordì il ragazzo. La sua voce era l'espressione dell'apatia avanzata. Profonda si, ma comunque piatta e priva di intonazione. Non scaturiva alcuna emozione. Il mio primo pensiero fu che avrei donato un braccio o una gamba pur di vedere cosa si nascondeva sotto quella maglietta attillata che, decisamente, non lasciava nulla all'immaginazione.
- Come scusa? - farfugliai. Stavo facendo la figura dell'idiota. Grandioso. Ottimo. Meraviglioso.

Con un cenno infastidito del capo, indicò la piccola Lucy aggrappata al suo polpaccio in stile scimmietta. A quel punto mi costrinsi a ragionare con il cervello, piuttosto che con gli ormoni, e a malincuore stabilii che si stava comportando da stronzo. Ed io odiavo gli stronzi.
- Tesoro, vieni qui – chiamai la bambina con dolcezza, tentando invano di nascondere la mia irritazione nei confronti di quel ragazzo tanto bello quanto imbecille.
In tutta risposta, Lucy iniziò a tirare la maglietta del ragazzo, riluttante all'idea di scollarsi da lui.
Mica scema, la ragazza.
Mr Gentilezza, spazientito, se la scrollò di dosso afferrandola per il braccio con un gesto brusco. Mi accovacciai, per essere alla stessa altezza della bambina, e feci per metterle il giubbotto. Il mio sguardo cadde automaticamente sul polso arrossato e sui suoi occhietti lucidi.
Mi alzai di scatto, puntandogli il dito contro – chiedile scusa. Ora -
Mi fissò come se stessi parlando arabo.
- Solo perchè hai i muscoli non significa che tu debba testarli sui bambini, deficiente. Le hai fatto male, perciò chiedile scusa. -
- Non ti hanno insegnato le buone maniere, ragazzina? - rispose lui – ti sembra il tono da utilizzare con una persona che nemmeno conosci? -
- Da che pulpito arriva la predica! - sbuffai. Poi però mi resi conto che se avessi continuato in quella direzione non avrei concluso nulla. – ora se perfavore potessi chiederle scusa, ti sarei immensamente grata. È stata una giornata parecchio difficile, ed ho un disperato bisogno di tornare a casa – sorrisi in maniera palesemente forzata. Sbattei le lunga ciglia macchiate dal mascara per tre volte.
- Scusami – disse a denti stretti, rivolgendosi alla diretta interessata.
- Perfetto. Lucy, andiamo? -
La bambina aveva assistito a tutta la scena con un'espressione strana in volto. La presi per mano e la condussi verso l'uscita, trattenendomi dal mandare a quel paese Mr Gentilezza.
- La prossima volta, ti consiglio vivamente di stare attenta a dove lasci le tue cose -
L'aveva chiamata di nuovo "cosa". Eh no, una volta passi, ma ora basta.
- E chi saresti tu, mio padre? - sbottai.
Una scintilla che non seppi identificare gli attraversò lo sguardo, prima che mi decidessi ad uscire dal locale sbattendo la porta alle mie spalle.

****

Riaccompagnai a casa Lucy autocostringendomi a non mettermi ad urlare per il nervoso, consapevole del fatto che ne sarebbero uscite solo un centinaio di parole poco piacevoli.
Quella giornata era iniziata decisamente con il piede sbagliato.
A quanto pare essere vittima di un furto non era sufficiente. Certo che no, ci si doveva mettere anche quel damerino sputasentenze con il suo fare altezzoso e quegli occhi da favola a peggiorare il mio umore. Il viaggio fu incredibilmente tranquillo. Quando parcheggiai davanti alla villa, vidi il mio migliore amico intento a sistemare alcuni cavi della sua auto. Un classico.

La bambina corse incontro al fratello, che la prese in braccio facendola volare in aria ruotando su se stesso. Lucy rise, gli occhietti chiusi e la bocca spalancata. Appena i suoi piedi toccarono di nuovo il terreno, mi corse incontro, abbracciandomi le gambe. Mi guardò dal basso all'alto, con un'espressione da cucciolo in volto. Era così adorabile.
- Ti va di vedere la mia casa delle Barbie nuova? - mi domandò.
-Hey gnoma – se ne spuntò fuori Jake, accorgendosi solo in quel momento della mia presenza. Si asciugò le mani unte d'olio sui pantaloni e mi fece l'occhiolino.
Sorrisi – Ciao Jake – Incredibile come due semplici parole gli bastassero per farmi tornare il buonuomore.
-Dovresti proprio vederla la casa di Barbie. Ha anche la piscina. Quella biondina e Ken se la spassano alla grande... -
- Jake! - lo ammonii scoppiando a ridere. - Inizia ad entrare Lucy, io ti raggiungo tra un momento – dissi poi alla bambina. Quest'ultima corse tutta contenta in casa.
Nel frattempo il fratello si era rimesso a trafficare con la macchina.
- Che combini? - indagai avvicinandomi a lui.
- Sto facendo una super modifica al motore! Vedrai gnoma, questa bellezza tornerà a correre come una meraviglia! - esclamò entusiasta.
- Lo spero bene... - dissi – potrebbe tornare utile. -
Mi guardò alzando il sopracciglio. Alzai gli occhi al cielo – Mi hanno fregato la bici. L'ho legata ad un albero a Green Park, ma quando sono tornata a prenderla era scomparsa. Non è che domani mattina potresti darmi un passaggio a scuola? - implorai sbattendo le ciglia.
- Niente da fare gnoma – rispose.
- Okay spara, che cosa vuoi? -
- Cinquanta bigliettoni -
Scoppiai a ridere, sarcastica- te lo scordi! Dieci sterline, non di più-
- Andata, ma voglio il numero della tua amica cameriera -
- Liz? Non hai speranze, è già impegnata – mentii spudoratamente. Ero quasi sicura che Elizabeth avesse un debole per il mio amico, ma le volevo troppo bene per regalarle un destino simile. Può sembrare un controsenso lo so, ma conoscevo Jake come le mie tasche e sapevo perfettamente quale fosse il suo intento. Non era esattamente il tipo da storia seria e non c'era una ragazza della scuola con cui non fosse andato a letto. A parte me, s'intende. Liz, al contrario, era troppo buona e gentile, ed io non avevo alcuna intenzione di vederla soffrire per uno stronzo. Come ho già detto, io odiavo gli stronzi e per quanto mi dispiacesse ammetterlo, in campo sentimentale Jake era uno di loro.
- Questo perchè non ha ancora visto il mio fascino – replicò fingendo un tono provocante e mettendo in motra i bicipiti.
Scossi la testa, risoluta – Non se ne parla -
Jake sbuffò – E va bene gnoma, come preferisci. Ma sappi che sei in debito con me -
- Oh...che paura! -lo schernii ridendo – me la faccio sotto dal terrore! -
Feci qualche passo indietro e sorrisi mostrandogli la linguaccia.
In tutta risposta il biondo mi raggiunse in due falcate. Io però fui più veloce ed iniziai a correre per il giardino più forte che potevo, mentre Jake cercava di acciuffarmi.
-É inutile che scappi gnoma, non hai speranze! -
-Prima però devi riuscire a prendermi – gli feci il verso. Entrai in casa come una furia.
Iniziammo ad inseguirci intorno al tavolo, spostando le sedie e facendo un gran trambusto.
Tentai di rifugiarmi in salotto, ma inciampai nel tappeto dando a Jake un breve vantaggio che gli permise di afferrarmi per i fianchi. Crollammo sul divano, il respiro affannoso per la corsa.
- Ti ho presa! - sussurrò vicino al mio orecchio. Avevo la schiena appoggiata sul suo petto e le sue braccia a stritolarmi in una morsa togli respiro.
- No, mai! - gridai leccandogli il braccio. La sua presa si allentò immediatamente ed io riuscii a liberarmi.
- Bleah che schifo, gnoma! - si lamentò pulendosi con gesti frenetici la bava che gli avevo lasciato sulla pelle.
In piedi davanti a lui, feci il segno di vittoria con le dita e poi gli dissi – Portami a scuola, gratis e senza strani ricatti – stabilii cercando di risultare seria.
Sbuffò – ti odio -
Sorrisi – bugiardo. Ora alzati, abbiamo una casa di Barbie da arredare.-

NDA
Sono tornata!
Questo era un breve capitolo di passaggio per
presentare dei nuovi personaggi, spero vi sia piaciuto.
Fatemi sapere cosa ne pensate nei commenti!
Alla prossima
Potterhead_slytherin
Greta

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO

4

 

Le sento. Sono nell'aria, sul pavimento, strisciano come vipere, nere più della notte che mi avvolge.
Lambiscono la pelle, lambiscono il mio cuore che freme dal terrore.
Mi sussurranno all'orecchio, tentano di circuirmi con belle parole e false speranze.

Eppure sono solo ombre.

So che non devo lasciarmi incantare. Non sono sicura di cosa accadrebbe se cedessi, per questo non posso concedermi il lusso di scoprirlo. Se mi lasciassi andare mi prenderebbero, ed é l'ultima cosa che voglio perciò devo scappare.

Fuggire.
Come una gazzella fugge dal leone.

Ascolto il mio respiro affannoso, l'unico suono a spezzare il silenzio di questa perenne notte senza stelle. E poi c'è il cuore. Lo sento battere ovunque. Nel petto. Nei polsi. Nella mente. Un tamburo sempre più rapido che si schianta con il rumore sordo prodotto dai miei passi.

Non so da quanto sto correndo. Non so dove sto andando. Forse non importa neanche.
Ma so per certo che fermarsi non é un'opzione che si possa prendere in considerazione e tanto basta per convincermi a continuare a mettere un piede davanti all'altro.

E quindi vado avanti. Percorro questa strada di arbusti. Sento le spine dei fiori appassiti che mi si conficcano nella carne. La mia pelle si riempie di ferite. Ma il dolore che mi provocano non è minimamente paragonabile alla paura che mi attanaglia lo stomaco.

E poi, non so ne come ne perchè, mi si parano davanti tre porte. Appaiono tanto confortanti quanto inquietanti. La prima è interamente coperta da rose rosse. A seguire ve ne è una di legno. Ed infine una grigio scuro.

Mi avvicino a quella situata all'estrema sinistra. I petali dei fiori sono iniettati di sangue, mentre le spine, le foglie ed i gambi incorniciano il serramento che si staglia innanzi a me. Il desiderio di toccarle, anche solo per un istante, mi attanaglia le viscere, perciò mi avvicino per esaudire il mio sogno proibito. Sono bellissime e nonostante sappia meglio di chiunque altro che le apparenze ingannano, non riesco a fare a meno che rimanerne affascinata.

I miei polpastrelli sfiorano la morbidezza dei petali di rosa, accarezzandoli con delicatezza.
Decido che questa è la porta giusta, ma non appena la mia mano entra in contatto con la maniglia, questa mi si sgretola tra le dita.

Il mio respiro si interrompe per un attimo interminabile e a questo punto mi rendo conto che non sempre seguire l'istinto è la scelta migliore, per quanto sia la via più facile.

Perciò punto l'attenzione alla mia destra.
La porta, interamente in legno scuro, è evidentemente danneggiata.
Nella sua parte più bassa sono presenti innumerevoli solchi.
Osservandoli attentamente, noto una cosa che mi fa gelare il sangue nelle vene.
Artigli. Quattro lunghi artigli affilati delineano ciascuna insenatura, distendendosi in striature irregolari e talvolta sovrapposte.
Con il cuore in gola e dita tremanti, mi avvicino alla maniglia.
La abbasso, ma di nuovo questa si tramuta in polvere non appena viene a contatto con la mia mano.

Non mi resta altro che fare un altro tentativo.
La mia ultima speranza ha la consistenza forte e duratura del ferro battuto.
Sono presenti diverse ammaccature e senza alcun dubbio non mancano le croste di ruggine sulle varie giunture e negli angoli. In alto vi è una piccola finestrella, simile ad una grata, dalla quale non si intravede altro che oscurità. Le sbarre in ferro che la compongono la rendono simile ai cancelli di una prigione.

Tutto ciò non fa altro che farmi sentire ancora più in trappola di quanto io non sia già.
E questo non mi piace, proprio per niente.
Ma la vita non è fatta solo di cose belle, e bisogna imparare ad accettarlo.
Così come bisogna rassegnarsi al fatto che non esistono le mezze misure.
Felicità e tristezza, gioia e dolore, giusto o sbagliato. Bene contro male.
Posso solo sperare in un intervento divino.

Abbasso la maniglia, composta da bulloni scassati assemblati alla meglio, mentre le mie labbra ringhiano per il terrore e l'agitazione. Il tempo sta per scadere, devo sbrigarmi. Un cigolio stridulo annuncia l'apertura di quella porta che potrebbe essere la mia salvezza come la mia disgrazia.

Non ho tempo per pensare ad altro.
Mi ci butto dentro, richiudendo il serramento alle mie spalle con un tonfo sordo.
Ma il sospiro di sollievo non fa in tempo a sfuggirmi dalle labbra, che vengo assalita dalle ombre.



NDA
A voi l'onore di commentare.
Ah, dimenticavo, tutti gli incubi verranno raccontati al presente.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5
 

Mi svegliai di soprassalto. Il cuore mi martellava nel petto come un picchio mentre cerca di costruirsi una casa dentro ad un albero. Il mio corpo era scosso da brividi di paura ed avevo la sensazione che il sangue mi si stesse gelando nelle vene. Sentivo le goccioline di sudore scivolarmi sul viso e lungo la schiena, inumidendo la logora maglietta grigia che utilizzavo come pigiama.

All'improvviso due braccia mi avvolsero ed io mi abbandonai a quel contatto così caldo e rassicurante. Il profumo di bucato mi penetrò le narici.

«Mamma?» domandai in un sussurro.

«Si Amy, sono qui. È tutto finito adesso, respira. Stai bene?» mi chiese misurandomi la fronte «Stavo guardando la televisione quando ti sei messa ad urlare. Oh tesoro, era solo un incubo, stai tranquilla. Non è vero niente, niente hai capito?» mormorò con dolcezza, cercando di consolarmi.

«Sembrava così...così vero ammisi.» Lacrime salate e fastidiose mi rigavano il volto stanco.

«Lo so tesoro, lo so. Ora è tutto finito. Avanti, cerca di dormire. Pensi di riuscirci?» disse accarezzandomi i capelli teneramente. «Se ti serve qualcosa chiamami, okay? Io sarò al piano di sotto ancora per un po'» Mi limitai ad annuire, poco convinta. Mia madre uscì dalla stanza, lasciando che la porta rimanesse leggermente socchiusa alle sue spalle

Okay, respira Amelia. Inspira. Espira. Era solo un incubo. Un incubo orribile che sembrava incredibilmente vero. Mi infilai sotto le coperte e chiusi gli occhi, imponendomi di riacquistare la calma e dormire.

Ero appena riuscita a tranquillizzarmi quando sentii un improvviso rumore metallico ed un fruscio, molto simile al suono sommesso prodotto dai vestiti o dalle foglie mosse dal vento.

Cos'è stato? Domandai a me stessa spalancando le palpebre. Prima che potessi fare un pensiero razionale, mi fiondai giù dal letto. Guardai sotto la scrivania. Niente. Nell'armadio. Vuoto. Anche il letto era deserto, a parte per un paio di calzini abbandonati in quel posto da chissà quanto tempo. Tuttavia, non feci in tempo a tirare un sospiro di sollievo che intravidi un'ombra vicino alla finestra, grazie al riflesso dello specchio accanto alla scrivania. Per lo spavento inciampai nella cartella che avevo lanciato in mezzo alla stanza e che lì era rimasta.

Mi imposi di alzarmi dal pavimento. Con cautela, muovendomi il meno possibile, afferrai la chitarra. L'avrei usata come arma. In un'altra situazione non mi sarei permessa di usare uno strumento musicale come se fosse una mazza da baseball, ma ero troppo spaventata è l'istinto di sopravvivenza sembrava avere la meglio e superare ogni cosa.

Iniziai a camminare nella minuscola cameretta che mi ritrovavo, tentando di combattere il freddo che mi faceva venire la pelle d'oca sulle braccia e accapponare la pelle. In tre passi ero arrivata all'altro capo della stanza, e mentre iniziavo a pensare che mi stavo comportando proprio da stupida e che avrei fatto meglio a mettermi a dormire, udii di nuovo quel suono metallico ed il simbiotico fruscio.

Impietrita, cercai di respirare.

La ragione mi diceva che quella cosa, "quella" qualunque cosa fosse, non poteva farmi del male. A spaventarmi, in quel momento, era più che altro l'idea di sentirmi in trappola nella mia stessa stanza. La consapevolezza di non avere vie di scampo, proprio come nell'incubo dal quale mi ero appena svegliata, mi faceva sentire come un uccellino in gabbia che prova a sbattere freneticamente le ali contro le pareti della sua prigione, accecato dall'illusoria ostinazione di poter trovare un'uscita.

Forse fu proprio per questo motivo che nella mia mente si creò un'immagine che tutt'ora fatico a dimenticare, talmente sembrava reale. Ero quasi tentata di convincermene, poichè un'agghiacciante consapevolezza mi avvolse in una nube umida e fredda. La mia mente ci impiegò un po' per dare un senso a quello che vedeva. Strane forme sul pavimento. Lunghe aste pallide. Una sfera avente una superficie bombata, seguita da due cavità equidistanti. Al centro, leggermente più in basso, un terzo buco incredibilmente simile al residuo di un naso. Gli arti erano piegati all'altezza delle articolazioni e posti in una posizione innaturale. Pelle coriacea e i residui del tessuto connettivo tenevano insieme il corpo, ormai in decomposizione. Quest'ultimo rappresentava tutto ciò che rimaneva di una vita. La mia vita. Era come se mi si fosse aperta una finestrella nel cervello e io ci stessi guardando attraverso. Stavo guardando il mio destino. Il mio futuro.

Imprigionai un grido in gola e chiusi gli occhi, strizzando forte le palpebre. Quando li riaprii l'allucinazione scomparve. «Chi và là?» dissi ugualmente, cercando di mantenere ferma la voce. Nessuna risposta. Forse, anzi sicuramente, era stato solo il frutto della mia immaginazione. Seppellii nel più profondo recesso del mio inconscio l'immagine del corpo senza vita e mi morsi il labbro per impedirgli di tremare. Poi cercai di non pensare più alla morte.

Non c'era nessuno, grazie a Dio. Nessun sereal killer, ombra o ladro era affacciato fuori dalla finestra della mia camera, pronto ad uccidermi.

Calmati Amelia, sei solo stanca. Torna a dormire prima di impazzire sul serio.

Stavo per chiudere la finestra, decisamente più tranquilla, ma mi soffermai a guardare la luna. Era piena, brillava di luce propria, quasi volesse augurarmi la buona notte.

Sorrisi, il mondo là fuori era addormentato, cullato dal verso dei gufi e delle cicale.

L'unico segno di vita erano le ali nere di un uccello che si vibrava nel cielo, allontanandosi nell'oscurità della notte.

**

Mi alzai per andare a scuola con due occhiaie impossibili da nascondere persino con del trucco pesante, perciò evitai di peggiorare la situazione "effetto panda" infilando i miei occhiali quadrati neri al posto delle solite lenti. Kimberly, la mia migliore amica, diceva che con quei cosi addosso avevo l'aria di una nerd, cosa che in un certo senso ero, ma che se ci abbinavo una gonna e il paio di scarpe giuste potevo passare benissimo per una "professoressa sexy".

Dopo aver stabilito che quel giorno non ero per niente in vena di attirare l'attenzione su di me, indossai una camicia verde militare a quadri, jeans neri, anfibi.

 

Al diavolo Miss Insegnate Sexy annunciai rivolta allo specchio della mia camera oggi mi sento di più una brutta imitazione delle barbone della metropolitana. Vada per la nerd assonnata.

Lanciai un'ultima occhiataccia assassina al mio riflesso dall'aria sgualcita e andai in cucina. Quindi, dopo aver finito di fare colazione ed essermi preparata, uscii di casa. Era una tipica giornata londinese. Il vento mi scompigliava i capelli. Mi strinsi nel cappotto per ripararmi dal freddo e scesi i gradini di legno della piccola veranda. Jake era già lì ad aspettarmi, con un berretto da baseball avente la visiera rivolta al contrario, il classico sorriso strafottente stampato in faccia.

«Hei gnoma!» mi salutò «Pronta per un'altra noiosissima giornata tra i banchi di scuola?»

Per la prima volta, quella mattina, gli angoli della mia bocca si sollevarono. Era incredibile come trovassi confortante e consolatoria la sua presenza. «Uhm...non vedo l'ora» replicai con finto entusiasmo. Salii in macchina, sprofondai sul sedile di pelle, e mi concessi un sonorissimo sbadiglio.

«Wow! Qualcuno ha fatto le ore piccole esta noche» consatò, inserendo un bruttissimo accento spagnolo nelle ultime parole «che hai combinato, gnoma?» Il suo tono si fece lievemente malizioso. Sollevò il sopracciglio. Scoppiai a ridere e sbadigliai un'altra volta.

«Ti piacerebbe!» esclamai. Accesi la radio e la sintonizzai su alcuni vecchi successi di musica rock.

Jake inserì la retromarcia e, per avere piena visuale sulla strada, appoggiò il braccio sul sedile del passeggero, voltandosi per assicurarsi che non passassero altre macchine «Mai negato il contrario.»

Risi di nuovo, questa volta amaramente «Mi dispiace deluderti, ma non è stato niente di quello che pensi tu. Anzi, se proprio vuoi saperlo, per un attimo ho pensato che ci fosse qualcuno fuori dalla mia finestra questa notte...ma alla fine era solo uno stupido uccello.»

«Ne sei sicura? Perchè ti giuro Amy che se scopro che c'è un fottuto maniaco a spiarti, io lo uccido.»

«Ne sono sicura» affermai con convinzione «ora zitto, perchè amo questa canzone!» ed iniziai ad ondeggiare la testa a ritmo di musica.

«Che Dio mi aiuti!» imprecò quando mi misi a cantare a squarciagola, tenendo la mano a pugno come se fosse un microfono.

«Hey mama, look at me. I'm on my way to the promised land, whoo! I'm on the highway to hell! » intonai, coinvolgendo anche il mio migliore amico.

La musica era altissima e rimbombava all'esterno della macchina. Per quanto mi importava, potevano benissimo denunciarci per disturbo della quiete pubblica. Ero nella mia bolla felice insieme a Jake e non pensavo a niente se non alla voce di Brian Johnson e al mitico assolo di chitarra. Niente più incubi, niente porte e ombre inquietanti, nessun oscuro spettatore ad attendermi fuori dalla finestra.

«I'm on the highway to hell!»

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