I Doni delle Streghe

di GothicGaia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Il Signore degli Incubi ***
Capitolo 2: *** Una Verità Assoluta ***
Capitolo 3: *** 1 Due strane ragazze - parte 1 ***
Capitolo 4: *** 1 Due strane ragazze - parte 2 ***
Capitolo 5: *** 2 Il corvo Blu - Parte 1 ***
Capitolo 6: *** 2 Il corvo Blu - Parte 2 ***
Capitolo 7: *** 3 Mani Unite - Parte 1 ***
Capitolo 8: *** 3 Mani Unite - Parte 2 ***
Capitolo 9: *** 4 Il Demone in Casa - Parte 1 ***
Capitolo 10: *** 4 Il Demone in Casa - Parte 2 ***
Capitolo 11: *** 5 Il ragazzo scomparso - parte 1 ***
Capitolo 12: *** 5 Il ragazzo scomparso - parte 2 ***
Capitolo 13: *** 6 La Dimensione Incantata - parte 1 ***
Capitolo 14: *** 6 La Dimensione Incantata - parte 2 ***
Capitolo 15: *** 7 L'Attesa degli Apprendisti - Parte 1 ***
Capitolo 16: *** 7 L'Attesa degli Apprendisti - Parte 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo - Il Signore degli Incubi ***


Questa storia resterà incompiuta all’interno del sito.
 
A causa della mancanza di tempo necessaria per scrivere, e dell’atteggiamento scorretto di alcuni autori nei confronti di altri autori, sul sito, ho deciso di sospendere la pubblicazione della mia storia.
Questa storia rappresenta tutta la mia vita e non mi sta bene che la o lo stronzetto di turno si appropri delle mie idee. Non ho il tempo necessario per controllare tutte le sezioni del sito e tutte le storie degli altri siti, come watppad e cc, per verificare che nessuno mi copi.
 Mi dispiace davvero molto essermi fermata. Non credevo che fosse possibile fare copia e incolla. Se l’avessi saputo prima ci avrei pensato due volte, prima di pubblicare.
Se mai il sito dovesse trovare nuovi metodi per proteggere le nostre storie, forse tornerò e pubblicare i miei manoscritti.
Fino ad allora, pregate che il giorno della pubblicazione con una casa editrice arrivi presto.
Sono stata davvero felicissima di condividere una parte delle mie idee con voi.
Non mi sono mai sentita così apprezzata in tutta la mia vita.
Grazie.
GothicGaia.
 
Avvertenze: Anche se non pubblicherò più nulla continuerò a recensire le storie che ho in corso, e a leggere e recensire tutto quello che mi va, senza pretendere nulla in cambio.
Questa storia non è più valida per gli scambi di recensioni.
Chiunque verrà recensito da me e si presenterà con una “recensione di scambio” sappia che smetterò automaticamente di recensirlo pur essendo l’autore più bravo del sito.
Chiunque la recensirà chiedendomi una recensione in cambio sappia che sta sprecando il suo tempo.
Chiunque vorrà recensirla solo per il piacere di farlo, sappia che sarò ben felice di rispondergli. 

 

Prologo

 

Il signore degli Incubi



La piccola mano della bambina si posò sulla serratura del cancello in ferro arrugginito, e con un gesto  delicato spostò la pianta rampicante che l’avvolgeva.
Strappando via quell’intrico di robusti rami che si attorcigliavano lungo le sbarre, spinse con forza l’inferriata, che si aprì con un cigolio. Scavalcando un ramo si posizionò di profilo e tirando in dentro la pancia per farsi più sottile, oltrepassò il cancello.
Con passo lento si avviò per il lungo viale che conduceva alla villa. Da entrambi i lati s’innalzavano degli enormi alberi secolari, dalle cortecce così scure che apparivano quasi nere, ricoperte da uno spesso strato di muschio scuro, e grossi funghi che sorgevano sulle immense radici come balconi di un castello. I rami lunghissimi si estendevano, attorcigliandosi gli uni a gli altri, formando degli intrecci tanto fitti che impedivano al cielo di brillare sopra il viale, divenendo simili alla volta di un soffitto. I passi della bambina scricchiolarono al suono delle foglie calpestate, mentre una fila di topi le passò tra le caviglie. Il vento soffiava strappando via le poche foglie rimaste sulle cime degli alberi, facendole vorticare come in un ballo fatato lungo quel viale che appariva infinito per le gambe di una bambina.
“Roxanne! Roxanne!”
La bambina si bloccò di colpo, sentendo chiamare il suo nome. Una voce misteriosa, dalla tonalità scura e profonda, la stava invocando. Sollevando lo sguardò si voltò prima da un lato e poi dall’altro, nel tentavo di capire da dove venisse quella voce ultraterrena. Ma tra gli alberi frusciavano sole le foglie strappate dal vento.
“Roxanne! Roxanne!”
Guardando dritto davanti a sé capì che la voce proveniva dal fondo del viale.
Solo allora, la bambina prese a correre nella speranza di raggiungere la villa il più in fretta possibile.
“Roxanne! Roxanne!” la chiamò ancora la voce.
Di chi era? E perché la stava chiamando?
La distanza tra gli alberi del viale si fece sempre più larga, e poco dopo, in lontananza comparve un’apertura, tra due tronchi dai rami intrecciati che formando un arcata, sembrava quasi volessero incorniciare l’immagine della palazzina che sorgeva nel mezzo. Era una villa dalle pareti bianche, con alte finestre coperte da tende ricamate, e balconi dalle ringhiere in legno verniciato.
Una volta raggiunta la fine del viale emerse ai raggi del sole. Un sole grigio che si rifletteva nell’acqua della fontana che sorgeva al centro del cortile. La statua di un angelo si ergeva nel mezzo, con le ali aperte e le mani incrociate sul petto. Il suo volto era mite, i suoi occhi socchiusi.
La bambina fece il giro intorno al bordo della fontana e raggiunse l’ingresso della villa.
 Poggiò la mano sulla grande porta a doppio battente dei pesanti batocchi in ottone, che si aprì con un cigolio sinistro. L’ampio atrio immerso nel buio era completamente avvolto dalle piante e gli arbusti, che si arrampicavano lungo le pareti, il soffitto e le scale che conducevano ai piani superiori. Il tappeto in velluto rosso scuro era ricoperto di terra e polvere, mentre  dal lampadario d’argento, pendevano ragnatele talmente fitte che apparivano brandelli di veli stracciati. Fra le tele dei quadri si aprivano dei tagli netti, come se un bestia dai lunghi artigli avesse volontariamente stracciato  quei ritratti, di uomini e donne dall’aria severa, appartenenti a un antica epoca. Anche i vetri degli specchi erano rotti, e dai mobili era stata scrostata la vernice.  
Il vento fischiò, attraverso le crepe nel muro, sollevando la polvere da una porta laterale.
Quella era casa sua?
“Mamma?” chiamò la bambina, che ferma nello stesso punto, al centro dell’atrio, si guardò intorno, girando su se stessa, spaesata da ciò che si mostrava ai suoi occhi. “Papà?”
Tutto le era famigliare, eppure allo stesso tempo sconosciuto. Com’è era possibile che la sua casa fosse ridotta in quello stato?
Come aveva fatto a ridursi in quel modo? Quanto tempo era passato perché il tempo la riducesse a quel degrado?
Dov’erano tutti?
Gli inservienti, il cuoco, la governante, il maggiordomo?
Dov’era Linda, la sua tata?
Dov’erano i suoi genitori?
Cos’era successo?
E perché lei si trovava lì?
In quel momento un ombra catturò il suo sguardo. Voltandosi vide un enorme serpente nero, strisciare lungo il cornicione di una porta, per poi salire sulla parete, attraverso le piante rampicanti.
La bambina fece alcuni passi indietro, con lo sguardo pietrificato sul corpo del serpente, che si muoveva scivolando da un ramo all’altro, non osando perderlo di vista.
Un attimo dopo fu percossa da un brivido lungo la schiena, mentre qualcosa che sfiorò la nuca. Sollevando lo sguardo fece un balzo, nel rendersi conto che un enorme ragno dal corpo nero e bianco, e le zampe pelose, stava lentamente scendendo giù dal lampadario.
“Roxanne!” la chiamò ancora quella voce.
Il serpente saltò giù dai rovi atterrando davanti a lei, e sollevando il capo sibilò.
La bambina con un grido si mise a correre lungo le scale invase dai rovi, e raggiunse i piani di sopra.
“Roxanne! Roxanne!”
La bambina aprì tutte le porte, i lunghi atri, i salotti dagli alti camini e le camere da letto, erano invase dai ragni e dalle ragnatele.
Entrò nella sua stanza. L’enorme letto a baldacchino, dalle tende bianche era rotto, come se qualcuno avesse rotto una colonna della struttura. Le coperte sul letto erano sporche di sangue, incrostato misto a peli neri. Un’animale era salito sul suo letto?
Il baule ai pedi del letto era aperto e i suoi vestiti gettati fuori in mal modo. Le sue bambole giacevano al suolo distrutte, prese a morsi, e il suo cavallino a dondolo, bruciato.
“Roxanne! Roxanne!”
In quel momento la grande finestra si apri di colpo, con una folata di vento. Il bagliore di un lampo illuminò per un attimo l’enorme sagome di un leone, interamente nero, con gli occhi che lampeggiavano di una luce rossa.
Voltandosi all’istante, la bambina uscì dalla sua camera e richiuse la porta e prese a correre il più in fretta possibile nel corridoio.
Una volta raggiunto il fondo, aprì una porticina in legno e si precipitò lungo la scala a chiocciola che portava ai piani di sotto.
“Roxanne! Roxanne!”
Uscì da un corridoio direttamente nel giardino del retro della villa.
Il vento le scompigliò i lisci capelli rosso sangue e la gonna bianca che le arrivava alle caviglie.
Il giardino si estendeva per parecchi chilometri, fino alla riva del fiume verde. Anche lì la natura aveva preso il sopravvento. Le statue giacevano al suolo distrutte, private dei loro arti, e i tavoli, rovesciati, erano coperti da pesanti tovaglie candide che si sollevavano col vento. Sembrava ci fosse stata una grande festa. Tende, gazebi, e addobbi di ogni genere. Un palco per concerti e un serie di strumenti musicali, tra cui violini e violoncelli. Tutto era distrutto.
Riprendendo a correre superò l’ingresso del giardino, e oltrepassando un arcata di rose s’infilò nel labirinto di siepi, che conosceva fin troppo bene, avendoci giocato spesso con sua madre e sua sorella.
Raggiunse il centro, e poggiando le mani sulle ginocchia si fermò a riprendere fiato.
Solo alzando lo sguardo, sulla parete circolare del labirinto di siepi, si rese conto che al centro esatto, c’era una cosa che non c’era mai stata prima d’allora. Una cosa che non avrebbe mai dovuto esserci in un posto come quello.
Uno specchio.
Era uno pecchio dalla forma circolare, alto più di due metri. I margini erano circondati a una spessa cornice d’argento, finemente elaborata, raffigurava dei draghi, che si attorcigliavano fra di loro. La base era sorretta da due zampe di leone, che poggiavano sulla sommità di una rampa di gradini invasi dagli arbusti, mentre in alto, era raffigurato un diavolo, dalla bocca aperta da cui fuoriusciva la lunga lingua, e le braccia aperte a stringere la cornice.
“Liberami Roxanne!”
Era da lì che veniva la voce.
Dallo specchio.
Si avvicinò ad occhi spalancati, quasi non riuscisse a distogliere lo sguardo, e lentamente, un passo alla volta, si accinse a salire i gradini, per raggiungere il misterioso oggetto che mai avrebbe dovuto trovarsi in luogo come quello.
“Liberami!”
Sollevò la mano. La sinistra. Quella che usava istintivamente per fare ogni cosa, e con il palmo aperto, e le dita allargate, appoggiò i polpastrelli sulla superficie cristallizzata in cui si rifletteva la sua immagine.
Era una bambina dal viso ovale, la carnagione estremamente candida, le labbra leggermente rigonfie, già promettevano, che sarebbero diventate carnose. I lisci capelli rossi, come il sangue, le incorniciavano il viso, ricadendo sulle spalle, e gli occhi dal taglio lungo e sottile, erano di un viola chiarissimo, tendente al lilla.
“Liberami!”
La sua mano sfiorò appena la superficie, e nel farlo, la ritrasse all’istante. Era liquida, come se fosse fatta d’acqua.
“Roxanne!” Gridò ancora la voce.
La sua immagine riflessa tremolò per un istante, per poi cedere il posto a un nero assoluto, che si espanse dai margini dello specchiò, come un mare d’inchiostro rovesciato. Il proprio volto riflesso attraverso lo specchio venne lentamente investito da quella distesa nera, che prima si depositò sui suoi occhi, poi sul suo mento fino a raggiungere le labbra, e in breve oscurò l’intero vetro, impedendo di vedere qualsiasi cosa ci fosse riflesso prima.
La bambina si guardò a torno spaventata. In quel momento il nero oscuro di quello specchio si aprì al centro esatto, come uno squarcio rivelando un volto bianco, come il marmo, tanto scavato da renderlo simile a un teschio. Gli zigomi erano così incavati, così profondi da lasciare due scure ombre ai lati della mascella. Sottili labbra nere, sotto un naso aquilino. Il volto dell’uomo dai lineamenti estremamente sottili, che pareva quasi morto, aprì lentamente gli occhi.  La guardò con i suoi occhi unici al mondo, di un bianco argenteo pietrificandola. Le iridi argentee, simili all’acciaio, al vetro o a qualsiasi cosa ci si potesse riflettere dentro, erano contornate da un sottile bordo nero.
Nulla era in grado di fargli più paura di quello sguardo.
Lentamente cominciò a delinearsi la sua figura, in piedi oltre la superficie vitrea.
Era alto, molto alto. Ed era difficile distinguere qualsiasi altra cosa di lui, oltre il volto, poiché sia i suoi capelli che i sui indumenti erano dello stesso nero che avvolgeva lo specchio.
Lentamente sollevò le braccia bianche, ricoperte da fini vene che s’intrecciavano sotto la pelle sottile, mentre delle lunghe dita, si appoggiarono alla cornice, lasciando che dieci unghie, simili a degli artigli, uscissero oltre il vetro ondeggiante.
La bambina cominciò a fare alcuni passi indietro, scendendo un gradino alla volta, senza distogliere lo sguardo.
“Non devi avere paura di me Roxanne!” disse mentre uno dei suoi piedi, bianchi, dall’aspetto fragile, scavalcarono la cornice dello specchio.
La piccola prese a tremare, sebbene quelle parole fossero di natura confortevole, dal tono con cui erano state espresse, non lo sembravano affatto.
Un attimo dopo anche il suo viso superò la barriera dello specchio e il suo copro fu del tutto fuori da esso.
“Non voglio farti del male!” disse ancora, con la sua voce fredda e profonda, come se appartenesse a un passato lontano. Una lunga veste nera e lacera ondeggiava, avvolgendolo per intero, insieme a un manto dalle maniche larghe da cui uscivano le braccia lunghe e sottili dal colore estremamente pallido. Dal suo capo ora libero dallo sfondo dello sfondo tenebroso che lo copriva un attimo prima, era ben visibile una massa di lunghissimi capelli neri e lucidi che ondeggiarono come un groviglio contorto nell’aria, raggiungendo la lunghezza del mantello, fino ai fianchi.
Con eleganza si avvicinò a lei e le tese una mano.
Era lui. Era il Signore degli Incubi.
Non era facile spaventarla. Era una bambina coraggiosa. Ma lui sapeva come riuscirci. Era l’unico in grado di farlo. Non per il suo aspetto. Ma per il potere che aveva su di lei: uno strano potere, in grado di attrarla. Era il fascino che quell’essere esercitava su di lei, a spaventarla. Non lo spavento stesso.
“Vieni con me!” la incitò.
La bambina non rispose.
Il Signore degli Incubi si chinò con leggerezza su di lei. Appariva un imponente statua ai suoi occhi, essendo alto più del doppio di lei, e perfino una volta piegato su un ginocchio era in grado di sovrastarla.
“Vieni con me oltre lo specchio! E io ti insegnerò a usare i tuoi poteri!”
Le prese il viso tra le mani, infilando le lunghe dita gelide tra i suoi capelli lisci. I suoi occhi le fecero un effetto ipnotico, impedendole di guardare altrove. Persa in quegli occhi così innaturali, così fuori dal reale non ebbe nemmeno il coraggio di urlare. O di piangere, o di manifestare la sua paura in qualsiasi altro modo.
Ne aveva paura, e allo stesso tempo se ne sentiva attratta.  
“Allora?” le chiese gentilmente.
La bambina scosse il capo. “Poteri?” domandò. “Ma io non ho poteri!”
“Invece si Roxanne!” disse lui “Tu hai dei poteri magici! Degli enormi poteri magici! Puoi fare tante cose! Tantissime cose che la maggior parte dei comuni mortali nemmeno immaginano! Vieni con me, oltre il varco! Oltre lo specchio! Liberami, e io ti insegnerò ad usarli!”
“Non posso! Anche se volessi non posso! Io non ho poteri!”
“Invece si Roxanne! Ancora non lo sai, ma tu hai dei grandi poteri! Se vieni con me lo scoprirai, imparerai a conoscere la natura dei tuoi doni!” insistette lui.
La bambina rimase in silenzio. Un silenzio carico di aspettative, da parte del signore degli Incubi.
“Dedicati a me e dammi il tuo potere!”
“Io non capisco! Non capisco! Non ho un potere! Io non ho nessun potere!” rispose in un sussurro. L’uomo si avvicinò col viso per guardarla intensamente.
Le mise i pollici sulle guance quasi volesse carezzarle, e in un gesto apparentemente maldestro le scavò un taglio netto sullo zigomo, con l’unghia affilata.
Le lacrime che cominciarono e sgorgare bruciarono dolorosamente mescolandosi con il sangue della ferita.
“Bugiarda!” sussurrò lui. Si alzò in piedi di scatto, a con un agile salto rientrò nello specchio.
Nello stesso istante in cui il signore degli incubi rientrò nel suo dominio una miriade di pipistrelli neri fuoriuscirono.
La bambina si portò istintivamente le braccia al viso, nel tentativo di proteggersi, mentre le creature le volarono intorno avvolgendola per intero, graffiandola.
“I tuoi poteri saranno miei Roxanne!”
La voce del Signore degli Incubi riecheggiò nell’aria, un attimo prima che lei riaprisse gli occhi.  
 
 
La ragazzina si risvegliò con il fiatone. Il le guance bollenti, il viso madido di sudore. Il corpo che tremava. Era nella sua stanza. I raggi di luna che filtravano dalle tende illuminavano i volti delle sue bambole dai capelli biondi. L’orologio dorato che segnava le quattro del mattino. I mobili perfettamente in ordine. Il cavallino a dondolo perfettamente in mobile. Il suo orsacchiotto dal fiocco rosso, seduto ai piedi del comò.
Una figura femminile, con indosso una camicia di seta bianca e rossi capelli a boccoli che le ricadevano sulle spalle entrò lentamente. Reggendo una candela, si avvicinò al letto e la posò sul comodino.
“Hai avuto ancora quell’incubo?” le chiese sua madre. Si sedette sul bordo del letto e con una mano sulla spalla la spinse delicatamente, costringendola a distendersi.
“Non è solo un incubo!” disse la bambina. “E’ qualcosa di più! E’ come se fosse reale! Entro nel viale di casa. La nostra villa è tutta distrutta! Come se non ci abitasse più nessuno d’anni! E poi vado nel labirinto di siepi e lì c’è uno specchio!”
“Uno specchio?” domandò sua madre. Prese un fazzoletto di stoffa dal comodino e gli asciugò la fronte bagnata, con delicatezza.
“Si! Uno specchio!” continuò la bambina, mentre sua madre le rimboccava la coperta. “Uno specchio che conduce nel dominio dell’uomo più crudele che io abbia mai conosciuto! Il signore degli incubi!”
“E cosa fa il signore degli Incubi per renderti così spaventata?”
“Grida il mio nome, attraverso lo specchio e… dice, che vuole i miei… Poteri!”
A quelle parole il volto della madre divenne visibilmente preoccupato.
“Secondo te è normale che io faccia tutti questi incubi? Ho parlato con gli altri bambini a scuola, e loro mi hanno detto che non gli è mai capitato di fare un sogno simile al mio!”
Sua madre scosse la testa “No! Non lo è! Ma c’è un motivo per il quale non lo è!” si piegò su di lei e le baciò la fronte poi con un gesto delicato le tolse le coperte di dosso. “Vini con me!” disse “Voglio raccontarti una storia!”



 

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Capitolo 2
*** Una Verità Assoluta ***


Una verità Assoluta



Sua madre tenendola per mano, la condusse in cucina, e premendo il bottone bianco affianco alla porta d’ingresso accese la luce. La cucina dai mobili rossi era in perfetto ordine. Il frigo rosso ricoperto di calamiti, i fornelli al centro, con il forno incorporato, perfettamente puliti. La lavastoviglie e la lavatrice in perfetto silenzio. Rimase immobile in attesa che la vista si abituasse, mentre la madre faceva il giro intorno al tavolo rettangolare, al centro della cucina. Lei in tanto, una volta abituatasi alla luce, afferrò una sedia e si sedette, in attesa che la donna finisse di scaldare il latte. Rimase a fissare la tovaglia di limoni, finché sua madre non gli mise la sua tazzina viola fumante, di latte caldo sotto gli occhi. La ragazzina afferrando la tazzina con la mano sinistra, si mise a sorseggiare il latte. Sua madre, seduta difronte a lei la guardava con aria seria.
“è giunto il momento che tu conosca la verità su te stessa figlia mia!” disse. La sua voce era serissima, praticamente solenne. In quel momento sulla soglia della porta comparve sua sorella minore, che stropicciandosi gli occhi, si avvicinò, e sedendosi anche lei, sorseggiò il latte, nella tazza della sorella, che gliela aveva passata con naturale gentilezza.
“Anche tu Eveline dovrai ascoltare questa storia!” disse la madre, con tono molto serio. “è giunto il momento che anche tu sappia la verità su tua sorella!” fece una piccola pausa. “Come ben sapete io non sono incline a raccontarvi favole per darvi la buonanotte. Non lo ho mai fatto, e mai lo farò. E se questa vi sembrerà una favola, è solo perché la realtà va oltre l’immaginazione!” disse in tono deciso “Una notte, quando rimasi incinta di te…” cominciò rivolgendosi alla più grande. “venne da me una donna! Non era una donna come le altre! Era una donna bellissima! Comparve davanti alla finestra della mia camera, e con una bacchetta magica aprì le imposte e atterrò in piedi con leggerezza, come un angelo! Solo che non era un angelo!” fece una altra piccola pausa “Era una strega!” le due bambine guardarono la madre in silenzio, trattenendo il fiato. “E mi parlò di te! Non ero ancora andata a fare la radiografia, ma lei sapeva già, che tu eri una femmina. In base a quanto mi disse la Strega, tu non saresti stata come le altre bambine. Saresti stata diversa. Saresti stata speciale. Saresti stata molto bella! Più belle delle tue coetanee! Avresti avuto la pelle bianca come i raggi della luna. I capelli rossi come il sangue, lunghe ciglia nere come il manto della morte. E gli occhi viola come i Lillà! Avresti scritto con la mano sinistra, e non con la destra. Avresti avuto un carattere ribelle, e non ti saresti mai adeguata alla regole! Se non fosse che la bambina che mi ritrovo davanti, riflette l’immagine esatta di quella che la donna ha descritto, io non ci avrei mai creduto!” e come a testimoniare le sue parole indicò la tazzina viola, che la ragazzina teneva stretta nella mano sinistra. La ragazzina posò la tazza sul tavolo, quasi sentendosi accusata e la ripassò alla sorella. “Tu non avrai mai una vita come le altre bambine di questo mondo, figlia mia!” riprese il discorso sua madre “Sarai sempre infelice! Quello che alle altre persone posso apparire le gioie quotidiane della vita, per te risulteranno sempre una limitazione nel modo di esistere. Non riuscirai mai ad amare un uomo, come lo amano le altre, non perché tu non ne sia capace, ma perché non ti darà soddisfazione. Non sognerai mai di trovare il grande amore, e di avere una famiglia felice. Avrai un carattere ribelle, una lingua tagliente, e una sicurezza e consapevolezza di te stessa, che farà rabbrividire la gente comune, che si sente, sempre inferiore a qualcuno, e indegna di meriti. E più di tutto, vorrai essere potente. Come le altre donne non si sognerebbero mai di desiderare! Ma non è tutto! Le ultime parole della Strega furono per me, le più significative, quelle che mi fecero capire cosa stavo portando in grembo. E ora te le ripeto a parole mie!” poi fece un'altra piccola pausa “Il tuo nome è Roxanne, è sei una Strega!”
Roxanne la fissò in silenzio. Le sembrava di aver ricevuto un ondata d’acqua gelida.
“Quindi non sei tu che hai scelto questo nome per me?”
“No! Non ho scelto io di chiamarti Roxanne, ma la cosa non mi dispiace affatto! Perché Roxanne è la stella più splendente! E chiunque l’abbia scelto voleva che tu risplendessi!”
Sebbene la stesse vivendo come un’incredibile magia tratta da una favola, voluta dalle sue ingenue emozioni da bambina, sapeva che era la verità, perché sua madre non era in grado di raccontare favole. Non era il tipo di donna superstiziosa, che aveva paura di un gatto che le attraversa la strada, o di far cadere un po’ di sale sul tavolo. Non credeva nei fantasmi, o nei tarocchi. Era il tipo di donna che amava la realtà e le sue regole. E se sua madre parlava in tono serio, più serio del solito, era necessario crederle. Perfino se si trattava di un evento sovrannaturale. Perché lei non fantasticava mai. E non le aveva mai raccontato una favola, prima di andare a dormire. Tranne quella. Che non era stata raccontata prima di andare a dormire, con il sonno sereno. Ma solo al risveglio di un incubo orrendo.
“Ma cosa significano questi sogni? E perché qualcuno vuole i miei poteri?” domandò dopo aver superato lo shock.  Sua madre scosse la testa.
“Non né ho idea! Ma se c’è qualcuno che cerca i tuoi poteri, è perché tu né hai!”
“Io sono una strega!” disse Roxanne a se stessa in tono sognante. L’idea le sembrava meravigliosa. Oh si! Lei era una piccola strega speciale, diversa da tutte le altre bambine. Ecco quale sarebbe stato il prossimo gioco che avrebbero fatto lei ed Eveline l’indomani mattina, nella casa sull’Albero. Lei sarebbe stata la bella streghetta dagli occhi viola Lillà, e sua sorella la bella principessa Eveline!
Ma c’era ancora un punto interrogativo. “che significa essere una strega?” domandò Roxanne a sua madre.
“Questo io non posso dirtelo!” disse sua madre, in tono molto serio “Perché io non sono una strega! Io non sono come te, Roxanne! Sono tua madre, sono la donna che ti ha messo al mondo! Ma non sono una strega! Tu sei speciale figlia mia! Sei nata con un dono! Un dono che è stato dato solo a te, qui nella nostra famiglia!”
“E io mamma?” domandò Eveline, intervenendo nel discorso “non sono forse anche io una strega Mamma?”
“No, Eveline! Tu non sei una strega! Tu sei una bambina come le altre. Avrai una vita felice, degli amici, una famiglia, e tutto l’amore del mondo. Roxanne no! Roxanne è diversa. E il suo destino è quello di trovare se stessa, prima di qualsiasi altra gioia, che viene regalata a una ragazza normale. La sua vita sarà dura, e dovrà vedersela con le invidie delle altre donne, e con bramosie perverse degli uomini! Non vi sto raccontando questo perché voglio spaventarvi o illudervi di qualcosa che non esiste. Non è una favola, o un sogno! Questa è una verità assoluta! Voi lo sapete meglio di tutti, che io parlo solo di ciò che è reale! E la magia è reale!”
“Esiste la magia?” domandò Roxanne stupita “esiste davvero la magia?”
“ Si Roxanne! La magia esiste! E tu né sei la prova vivente!”
“Ma a parte il mio aspetto esteriore cosa c’è in me di magico?”
“Tanto! Molto più di quanto io possa dirti! Molto più di quanto tu possa immaginare! Ma per ora i tuoi poteri sono racchiusi nel tuo cuore! Quando avverrà il momento, a mezzanotte esatta del 31         Ottobre del tuo ventesimo anno di vita, si schiuderà un potente sigillo magico, che la bellissima strega ha imposto su di te. Da quel momento in poi la tua vita cambierà per sempre! Dovari intraprendere un viaggio! Un viaggio che ti condurrà in un altro mondo, lontano dal nostro! Un mondo dove tu dorai imparare a usare i tuoi poteri! Lì capirai cosa significa essere una strega! Ma fino ad allora tu dovrai vivere una vita normale come le altre ragazze! E cosa più importante, che non dovrai mai e poi mai, nella vecchia e nella nuova vita, dimenticare, e che tu sei una strega, e in quanto strega non dovrai mai svelare la tua vera natura a nessuno! E per questo che te lo sto dicendo ora! Per renderti consapevole di ciò che sei, e per renderti consapevole di ciò che non puoi svelare! Credi di essere in grado di mantenere questo grande segreto?” le domandò in fine, posandole una mano sulla sua, guardandola dritto negli occhi. Roxanne rimase un attimo a riflettere. Lei era una strega. Una piccola strega. Poi alzò lo sguardo verso sua madre. “Si!” rispose decisa.
Sua madre posò l’altra mano su quella di sua sorella, “e tu Eveline, sei in grado di mantenere il segreto della vera identità di tua sorella?”
“Si!” rispose Eveline convinta, ma meno decisa di Roxanne, a causa del dispiacere di non essere una strega anche lei!
“Ricorda Roxanne… a vent’anni, la tua vita cambierà per sempre!”
Questa era una verità assoluta.

 
Da parte dell'autrice.
Vorrei ringraziare Makil per avermi aiutato con le correzioni del capitolo, e per tutto il grnadissimo lavoro che sta facendo per me.

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Capitolo 3
*** 1 Due strane ragazze - parte 1 ***


1

Due strane Ragazze

 
Erano le sette e mezza del mattino, e una  giovane donna guardava fuori dal finestrino del autobus il monotono mondo che la circondava. Il traffico di auto che suonavano i claxon a tutto andare. I semafori che cambiavano, da rosso a verde. La gente sui marciapiedi, che camminava a passo svelto, per andare a lavoro, o per portare i cani a passeggio, i ragazzi, con gli i-phon in mano, o le madri, che tenendo stretti i bambini per mano, li accompagnavano a scuola. Ormai la ragazza aveva superato quell’età in cui si era costretti a stare chiusi a scuola. E come tutto il resto della sua vita, era un passato che andava dimenticato. La maggior parte delle cose che la circondavano e che avrebbero potuto coinvolgerla, non le interessavano. C’erano delle piccole cose a cui teneva, ma per il resto, era sempre stata disinteressata al mondo, e tutto quello che aveva fatto, l’aveva sempre fatto perché si doveva fare. Come studiare e prendere un diploma liceale. O come vedere i parenti quando venivano a trovarla da lontano. O trovare degli amici, con cui uscire qualche sera, giusto per non far sembrare agli altri di essere troppo diversi da loro. A quell’età solitamente una ragazza, avrebbe dovuto provare interesse per la vita, che gli si offriva. Interesse per i ragazzi. Per le possibilità di avere un lavoro, o di fare una famiglia. E lei più di qualunque altra ragazza, avrebbe potuto avere tutto ciò che voleva, perché la maggior parte degli uomini e dei giovani ragazzi della sua età uscivano pazzi per lei, e la desideravano a tutti costi. E molti la corteggiavano. E per questo non aveva mai avuto dei veri amici. I ragazzi, si fingevano suoi amici, per poi dichiarare di voler qualcosa di più da lei. Ma lei non aveva mai provato un vero interesse per un ragazzo in vita sua, e per questo li aveva sempre respinti tutti. Non le piacevano. E di amiche, neanche una. L’avevano sempre odiata, per il fatto che piacesse di più di loro. E anche un po’ per il fatto che fosse molto chiusa, e che se ne stava sempre sulle sue. Anche quando andava a scuola, durante l’intervallo, non amava mettersi in gruppo, e parlare di feste e droghe. Alcol o sesso. Preferiva isolarsi in un angolo e disegnare, con la musica nelle orecchie, e chiudersi in se stessa. A volte aveva fatto un po’ di amicizia quando lo riteneva necessario. Con un ragazzo in particolare. Arnold Henderson. Lui era forse stato il suo unico amico. Questo era successo solo perché era stato il padre, che conosceva la famiglia del ragazzo da anni, a chiederle di stringere amicizia, e su consiglio della madre, che l’aveva invitata a non dare mai troppo nell’occhio la sua personalità insolita, di fronte a suo padre. Suo padre essendosi separato da sua madre, non era mai venuto a conoscenza del suo segreto. E lei sinceramente, anche se avesse potuto non gliel’avrebbe mai svelato, conoscendo il carattere rigido e freddo dell’uomo, non temeva, era praticamente certa, che non l’avrebbe capita. Ma questo dipendeva anche dal suo carattere chiuso e distaccato dal mondo, che la portava sempre a isolarsi un po’. Questo dipendeva dal fatto che lei era una strega. Tutto dipendeva dal fatto che lei era una strega. Quando sua madre gli svelò quella tremenda verità, da piccola, le era parsa la cosa più magica della sua vita. Crescendo era convinta che avrebbe smesso di crederci, se non fosse stato che era proprio vero tutto quello che le aveva detto sua madre. Era vero che crescendo era diventata una bella donna. Poteva vederlo anche in quel momento, attraverso la sua immagine, proiettata nel vetro del finestrino dell’autobus. Gli occhi, con l’età avevano preso una bella forma allungata, incorniciati da folte ciglia nere, su cui adorava mettere un abbondante quantità di mascara, che le conferivano uno sguardo magnetico in contrasto con il viola chiaro delle iridi. Il viso aveva formato dei lineamenti ben proporzionati, con il naso dritto e sottile, gli zigomo alti, sopra il mento triangolare, e la bocca carnosa. Era alta, snella, e allo stesso tempo formosa, con la vita notevolmente stretta, le spalle dritte, il seno rotondo, abbondante, e i fianchi ricurvi, che modellavano le gambe lunghe e snelle. In più aveva dei lunghi capelli rosso scuro, che ricadevano lisci fino alla vita, lasciando la fronte scoperta. Qualunque cosa facesse con i suoi capelli stava sempre bene. Trecce, code, crocchie, la facevano apparire sempre bellissima.  E questo la faceva apparire desiderabile difronte agli uomini e odiosa alle donne. Ma c’erano anche altri fatti, molto strani. Come quando il padre all’inizio del percorso liceale l’aveva iscritta al prestigioso college femminile, dove le insegnanti avevano tanto insistito per correggerle la mano sinistra, che ritenevano fosse inadeguata per scrivere. Le avevano legato la mano alla sedia. E anche se lei aveva provato a scrivere con la destra per un intera mattinata, alla fine, la penna era magicamente volata nella mano sinistra, alle sue spalle. Ovviamente la professoressa che non sapeva nulla del suo segreto, non era stata in grado di spiegarsi lo strano fenomeno sovrannaturale avvenuto sotto i suoi occhi. Ma, in quel momento lei aveva avuto una autentica prova, della magia, che c’era in se stessa. E per questo aveva fatto una dura lotta contro le regole del college, tanto che l’avevano espulsa, per continuare a usare la mano sinistra per scrivere, e con più passione, per disegnare. Soprattutto tutte le creature che facevano parte dei suoi incubi, stranamente spariti all’età di dieci  anni. La stessa notte in cui sua madre le aveva detto che lei era una strega. Era come se quella nuova consapevolezza li avesse fermati. L’odioso suono dell’ambulanza che passava facendo fermare tutte le macchine, incluso l’autobus fece interrompere i suoi pensieri. Portava un anellino d’argento, al dito medio della mano destra, che si rifletté nel vetro. Sembrava un anellino di fidanzamento. Non era magico, ma rimaneva comunque un ottimo talismano per molti uomini, che altrimenti le sarebbero venuti dietro. Indossava una felpa nera con la zip semi aperta che lasciava intravedere la canotta bianca sotto, e un paio di jeans grigi infilati negli scaldamuscoli intonati alla felpa, e gli scarponcini marroni. Con sé portava lo zaino rosso, con il suo album da disegno, il cellulare, il portafoglio, le auricolari e altre cose pratiche. Mentre si toglieva lo zaino dalle spalle per controllare se avesse preso le chiavi di casa, il suo sguardo si posò sulla ragazza, in piedi difronte a lei. Era la sua vicinia di casa. Si era trasferita da poco, nella periferia di Londra, con i genitori, e ora che ci faceva caso, non l’aveva neanche mai salutata. Non che avesse avuto molte occasioni per farlo, ma per la verità non sapeva neanche come si chiamasse. Era una ragazza come molte, o per lo meno a lei era sempre apparsa così. Tranne che per i capelli, che partivano bruni alla base, e diventavano dorati sulle punte, ricadendo a onde sulle spalle. Chiunque avrebbe pesato che quello fosse una tintura. Ma Roxanne voleva credere che non fosse così. Per il resto i lineamenti erano pressoché normali. Un viso ovale, un naso piccolo, e una bocca carnosa. Non era molto alta, anzi, era più bassa di lei, e sebbene fosse formosa, era difficile da vedere, con  il tipo di abiti che portava indosso, fatti per nasconderlo. Una giacca verde mimetico le ricopriva le spalle, con un golf di lana marrone, sopra una camicia nera, e un jeans, infilato negli scarponcini identici a quelli che indossava lei. Non si accorse del suo sguardo, perché stava leggendo. In quel momento l’autobus passò sotto una galleria e tutto intorno cadde il buio. La ragazza avrebbe certamente distolto lo sguardo dalla sua vicina di casa, se non fosse stato per il fatto che la ragazza continuò a leggere come se nulla fosse. Come se non la infastidisse il fatto che fosse buio. Fu allora, che nell’oscurità la ragazza dai capelli castani sollevò lo sguardo su di lei, e i suoi occhi brillarono di un oro acceso, che spezzarono l’oscurità. Quando la galleria fu finita, e la luce del giorno poté nuovamente illuminare il mondo, gli occhi della ragazza erano ancora dorati. E la fissavano incuriosita. Anche la sua vicina di casa aveva notato qualcosa di strano in lei.
Le due ragazze si fissarono l’un l’altra come se vedessero il mondo per la prima volta.
“Cosa stai leggendo?” chiese Roxanne alla sua vicina di casa, cercando di rompere il ghiaccio.
“Un romanzo… Fantasy!”
“Davvero? Anche a te piace il fantasy?” chiese Roxanne incuriosita. “Come si chiama?”
“Il mondo dell’impossibile!” spiegò la ragazza “Parla di una ragazza che anche se finge di essere una persona normale, in realtà è una strega, e all’età di vent’anni viene condotta in un altro mondo dove deve imparare a usare i suoi poteri!”
“Non ne ho mai sentito parlare!” disse Roxanne che in qualche modo le fece pensare a lei e al fatto che dovesse nascondere la sua vera natura.
“Per forza!” spiegò la ragazza “L’autrice è misteriosamente scomparsa una settimana dopo aver pubblicato il libro! E molte copie vendute sono misteriosamente andate a fuoco!”
“Wow! Questo si che è interessante!” Sempre più convinta che si trattasse di un evento sovrannaturale. Una giovane autrice parla di magia in un libro, e poi scompare misteriosamente. Un’altra prova sovrannaturale, che le confermava l’esistenza della magia.
“Io comunque sono Ginevra!” disse la sua vicina di casa “Ma tutti mi chiamano Gwen!”
“Non ti dispiace se io invece ti chiamo Ginevra? Sarà anche più lungo ma vale la pane di sprecare qualche istante in più del proprio tempo, per pronunciare un nome così bello!”
La ragazza arrossi al suo complimento.
“Grazie… se preferisci… fai pure!”
“Io sono Roxanne! E anche se in molti mi chiamano Roxy vorrei che tu non lo facessi!” disse lei presentandosi.
“D’accordo, Roxanne… sembra perfetto per la protagonista di un romanzo Fantasy non ti pare?”
“Si lo penso  anch’io!”
In quel momento Roxanne sentì il suo telefono squillare, e si ricordò che stava andando da suo padre. Prese lo zaino e infilò la mano sinistra nella tasca. Guardando la foto sul telefono riconobbe il volto di Arnold Henderson. Probabilmente voleva chiederle di uscire con lui e i suoi amici, quella sera. Si portò il telefono all’orecchio e sentì la voce del giovane; “Ciao Roxanne! visto che questa sera sono libero, stavo pensando se ti facesse piacere andare in giro da qualche parte!” disse “Magari viene anche Eveline con Jason!”
“Ne riparliamo dopo!” disse Roxanne “Io comunque sto venendo lì! Devo parlare con mio padre!” e senza aggiungere altro chiuse la chiamata, nascondendo il cellulare nello zaino, non volendo più vederlo per un paio d’ore. Forse era l’unica persona al mondo ad odiare i telefoni.
“Tu dove stai andando?” domandò Roxanne a Ginevra.
“A prendere la mia liquidazione! Sai lavoravo per il signor Stanford Oswald della ditta di Telefoni! Ma adesso devo partire! Devo andare a studiare all’estero!” Roxanne si raggelò. “Allora ti auguro buona fortuna!” Ginevra aggrottò le sopracciglia.
“Tu sei sua figlia vero?”
“Si! purtroppo il Signor Stanford Oswald è mio padre!” Anche lei stava andando lì e per una strana coincidenza, anche lei doveva chiedere dei soldi per studiare all’estero. O per lo meno questo era quello che avrebbe raccontato al padre. Lui non sapeva nulla della sua vera identità. Sua madre l’aveva sempre raccomandata di tenersi il segreto per sé, e così aveva fatto. E ora che stava per verificarsi la attesissima notte del 31 Ottobre del suo ventesimo anno di vita, e che presto sarebbe andata via, doveva trovare una buona scusa per non farsi più cercare. Perché in una cosa era stata molto chiara sua madre. Qualunque sia il posto dove sarebbe andata, non avrebbe più potuto avere contatti con li padre.
 L’autobus si fermò, davanti a un alto grattacielo di vetro. Entrambe erano arrivate. Insieme scesero sul marciapiede e attesero qualche minuto davanti al semaforo prima di attraversare le strisce pedonali. Tra il rumore dei claxon e degli autisti nervosi diretti verso il loro posto di lavoro, le due entrarono nel grade edificio. Lì c’erano soprattutto uomini, vestiti in giacca e cravatta, che salivano e scendevano dagli ascensori, con arie tese, impegnati al telefono o su qualche I-phon. Le due nuove amiche salirono insieme nell’ascensore. Roxanne premette il testo dieci, e dopo qualche minuto la porta si riaprì  al settimo piano, dove c’erano varie postazioni di lavoro, con gente sempre impegnata al telefono, o al computer, o a mandare messaggi, ma sempre sul telefono. Suo padre uscì da una porta sulla destra. Vestito di grigio.  Con aria storta. Era di cattivo umore. Il ché non era esattamente una novità.
“Arnold mi ha detto che stavi arrivando!” disse “Si può sapere chi ti autorizza a venire qui quando ti gira?”
“Il semplice fatto di essere tua figlia, mi autorizza a venire quando mi pare!”
“Stai diventando proprio un insolente lo sai?” poi si rivolse a Ginevra “Tu vai nel mio ufficio! E tu vai a casa!” disse in fine puntando la penna metallica verso di lei.
“No! Io non vado proprio da nessuna parte finché non avrò parlato con te! Se sono qui c’è una ragione, non ti pare?”
Suo padre sbuffò. “D’accordo aspettami qui!” e così dicendo tornò verso il suo ufficio, seguito da Ginevra. Roxanne gli fece una strizzata d’occhio e la incitò ad andare, mentre Ginevra, con la testa girata di spalle, le lanciò un occhiata perplessa, prima di scomparire nell’ufficio di suo padre. Roxanne stava quasi per avvicinarsi alla porta, con l’intenzione di origliare, quando un giovane sui venticinque anni la raggiunse.
“Ehi Roxanne!” la salutò Arnold. Indossava un completo nero, con cravatta abbinata, e camicia bianca. Un viso semplice, con occhi scuri e corti capelli castani, che si intonavano e una lieve barba sul mento. Lo conosceva ormai da parecchio, lavorava per suo padre, ed erano sempre stati buoni amici. Lui non aveva mai preteso più di una semplice amicizia. Almeno per ora… Anche se spesso la gente pensava il contrario, dato che lei portava sempre l’anellino di puro argento che le aveva regalato per il suo diciottesimo compleanno. Sembrava strano, ma a lei faceva perfino piacere che la gente lo pensasse. Perché non le importava cosa provasse veramente lei nei confronti di quel ragazzo. Ciò che le importava era nascondere la verità. Ma ora, doveva assolutamente trovare le parole per dirgli che presto sarebbe andata via, e che forse non si sarebbero più visti. Ma per ora aveva qualcosa altro da dirgli…
“Ma insomma!” tuonò ad alta voce girandosi di scatto verso di lui, tanto velocemente che lo fece sussultare “Dovevi proprio dire a mio padre che stavo venendo qui eh!?”
L’intera postazione di lavoro si voltò verso di lei. La gente le lanciò delle occhiate storte tanto per farle notare la sua maleducazione.
“M… Mi dispiace!” si scusò Arnold. “Pensavo che tuo padre lo sapesse! Non credevo che gli volessi fare una sorpresa!”
“La sorpresa se mai dovrebbe farla lui a me visto che oggi c’è la mia festa!”
“La tua festa? Di che festa stai parlando?” Domandò non capendo.
“Della festa che terrò questa sera a casa mia! L’ha organizzata mia madre!”
“E io che ho preso una pausa da lavoro per venire a parlare con te e chiederti se questa sera volevi uscire con me!”
 “Non c’è bisogno di uscire! Vieni tu, da noi!” disse Roxanne. “Tanto siamo solo in famiglia!” Sua madre aveva organizzato un pranzo, con la scusa che lei presto sarebbe partita per il college, per farle salutare tutti i famigliari e gli amici più intimi.
“Come desideri!”
“Dopo pranzo decidiamo cosa fare stasera!” Roxanne in realtà aveva paura di fare troppo tardi, perché a mezzanotte si sarebbe schiuso il sigillo, e non sapendo minimamente cosa sarebbe successo, voleva stare da sola.
“D’accordo!” rispose Arnold che si avviò verso la sua postazione. Roxanne né approfittò per andare nell’ufficio di suo padre.
“Ma io lì devo avere qui tremila euro!” protestò Ginevra in tono poco convinto “La prego cerchi di capire! Gli accordi dopo tutto erano questi!”
“Si ma io non ho intenzione di darti tremila euro!” 
Roxanne spalancò la porta senza bussare.
“Ma insomma!” tuonò suo padre “Ti sembra il modo di entrare? Da quando non si bussa più alle porte?”
Ginevra si voltò verso di lei con aria preoccupata.
“Anche io devo avere dei soldi per il college papà! Facciamo trentamila!” disse Roxanne.
“Trentamila? Ma sei uscita pazza? non se né parla neanche! Non mi hai ancora detto dove vai!” ruggì suo padre, con una vena pulsante di rabbia sopra la tempia.
“Allora  trentamila a me e trentamila alla tua segretaria?”
“Ma cos’è questa storia?” ruggì lui “Niente soldi a nessuno!”
“Vogliamo fare quarantamila? Tanto me li prendo lo stesso dal tuo conto bancario! Lo sai benissimo che Herbie ha un debole per me, e fa tutto ciò che gli chiedo!”
“E va bene!” ruggì lui, battendo un pungo sulla scrivania. “Tremila a te e tremila a quest’incapace sciagurata, che ringraziando dio se né va! Non sa neanche premere un testo verde per rispondere al telefono!”
“Grazie papà! Ti voglio tanto bene!” disse Roxanne con un ghigno beffardo sul volto, di chi alla fine ce l’ha sempre vinta. Afferrò Ginevra per un polso e costringendola ad alzarsi, la trascinò fuori dall’ufficio di suo padre. Rientrando nell’ascensore premette il tasto 0 per far richiudere le porte.
Ginevra scoppiò in lacrime “Oh grazie! Grazie!” disse gettandole le braccia al collo, per stringerla. “Non ce l’avrei mai fatta senza di te!”
“Figurati!” disse Roxanne ricambiando l’abbraccio. “Io sono abituata ad avere a che fare con lui, da quando ero piccola!” rimasero abbracciate finché  l’ascensore si aprì. Davanti a loro comparve Bob Brown, un dipendente di suo padre, intento ad essergli fedele come un bravo cane da guardia. Nel vederle abbracciate lanciò ad entrambe un occhiata divertita. “Ciao Roxanne! Ciao Ginevra! Non credevo che foste così intime! Ho interrotto qualcosa di romantico?” le salutò con un ghigno malevolo sul volto. Roxanne afferrò Ginevra per il polso e tirando spallate a tutta la gente che doveva entrare, uscì dall’ascensore. Uscirono in gran fretta fuori dall’edificio e raggiunsero la fermata del autobus. “Grazie per il tuo sostegno!” disse Ginevra sincera “Adesso sarà meglio che vado a casa, devo fare le valige, mi aspetta un lungo viaggio!”
“Anche io devo partire! Che coincidenza!” le fece notare Roxanne. Ma Ginevra non rispose. Le due ragazze si salutarono e Ginevra salì sull’autobus. Roxanne rimase a guardarla sparire nel traffico.
Riattraversò la strada e una volta entrata salì nell’ascensore e raggiunse l’ufficio di suo padre a grandi falcate, mettendoci tutto l’impegno possibile per fare in modo che i suoi passi si sentissero anche da lontano. Sprangò la porta e fece irruzione gridando: “Perché non avevi intenzione di pagare Ginevra come gli era stato promesso? Eh?”
“Hai ancora la faccia tosta di presentarti qui davanti a me? Dopo la figuraccia che mi hai fatto fare!?” tuonò lui furibondo. “Dichiarare di poter prelevare i soldi dal mio conto quando ti pare! Da quando tua madre si è trovata quel solleva pesi non fai altro che contestare la mia autorità!” si infuriò alzando la voce, riferendosi subito all’uomo che la sua ex moglie aveva rimpiazzato al suo posto, dopo il divorzio.
“Quella ragazza non è stata in grado di svolgere il lavoro come io volevo. Era troppo lenta a rispondere al telefono! E con i clienti era timida!”
“Ah! Quindi era questo il problema! Era timida con i clienti! Sai papà non bastano mica due mesi per abituarsi a te e alle tue esigenze! Ci vogliono almeno  vent’anni! E di questo mi vanto perché sono l’unica che riesce a contestarti!” il padre ruggì di rabbia e si alzò dalla sedia di scatto, tanto che quella ricadde all’indietro con un tonfo.
In quel momento entrò Bob. “C’è qualcosa che non va, Stanford?” domandò preoccupato.
“Tornatene a lavoro!” gridò furibondo. Poi si rivolse a Roxanne. “Esci subito di qui, se non vuoi diventare tu la mia prossima segretaria! Almeno faresti qualcosa di utile una volta tanto nella vita!”
“Piuttosto che farti da segretaria preferirei andare a lavare i vetri delle auto davanti ai semafori! Tra l’altro tu non mi pagheresti!”
“Ma se già hai il mantenimento!”
“Appunto! Non vedo proprio alcun motivo per il quale dovrei lavorare per qualcuno che mi da soldi gratis!” e così dicendo uscì dall’ufficio sbattendo la porta, mentre suo padre indiavolato, le bestemmiò dietro, buttando giù alcuni oggetti dalla scrivania. 

Vorrei occupare quest'angolino per ringraziare Makil, per lo splendido lavoro che sta facendo, alutandomi a correggere tutti gli errori.
E poi ovviamente, infinitamente grazie ai Morgengabe, Old Fashioned, Black Daleko, e Vanessa1995.

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Capitolo 4
*** 1 Due strane ragazze - parte 2 ***


Ringraziamenti: Vorrei profondamente ringraziare Makil, per l'ottima revisione dei capitoli, e tutti gli altri recensori, tra cui i Morgengabe, Old Fashioned, Black Daleko, Vanessa1995  e Matitasanguigna.



Era passata mezza giornata, quando, Roxanne, dopo aver trascorso la mattinata in una grade libreria salì sul treno insieme a suo padre, per tornare a casa. Si trovava nella periferia di Londra. Sua madre l’aveva comparata dopo il divorzio per poter vivere insieme a lei ed Eveline. Roxanne sorrise pienamente soddisfatta, con la consapevolezza che quella mattina aveva avuto la meglio su suo padre,  a cui non mancava mai la voglia di strozzarla. Si trovava seduto lì, difronte a lei, con il mento poggiato su una mano. Fissava il paesaggio fuori dal finestrino e non si accorse subito che lei lo stava guardando, fiera di avergli spillato i soldi. Ma quando spostò gli occhi grigi, le rivolse un’occhiata gelida. Roxanne scorse una traccia di cattiveria notevole, in quegli occhi grigi, pronti a vendicarsi. In fine decise di tirare fuori il suo quaderno dei disegni, e di completare l’ultimo disegno. Prese il carboncino e con la mano sinistra si mise a ricalcare gli occhi di un’arpia. Era un volume molto spesso, dalla copertina rilegata in pelle, e le pagine in carta doppia. Era un oggetto particolare. Lo aveva trovato da piccola, in un negozio di antiquariato. Era sempre stata affascinata da tutto ciò che appartenesse al passato. Forse anche quello era un gusto tipico del carattere di una strega.
“Allora Roxanne, non mi hai ancora detto dove stai andando a studiare!” Esclamò improvvisamente suo padre.
Roxanne si aspettava quella domanda. “Andrò a studiare alle Galapagos, le specie marine! Sai ho deciso che voglio fare la biologa marina!” mentì. Era una buona scusa. Lei e sua madre l’avevano preparata insieme. Anche se non era esattamente sicura che il padre ci credesse…
“Tu vuoi fare la biologa marina alle Galapagos?” infatti dal  suo tono di voce si capiva che non era molto convinto “Ma se hai preso un diploma liceale in una ridicola scuola d’arte!”
“Si! Infatti ho studiato tutta l’estate, e ho fatto un esame d’ammissione via internet, con un email e mi hanno presa! Solo che mi servono i soldi per il biglietto aereo!”
 Sfogliando un altro paio di foglio arrivò alla pagina dove aveva disegnato lui. Il signore degli Incubi. Un primo piano, del suo volto pallido e scavato. I lunghi capelli neri riempivano quasi tutto il foglio. Nella pagina accanto, invece, era raffigurato un uomo alato, con i lunghi capelli scuri, le corna sulla fronte e una coda che si attorcigliava sulla sua stessa gamba nuda. Era completamente nudo. Suo padre, dando un occhiata al disegno, gli strappò il quaderno di mano. Il suo volto era disgustato difronte all’immagine dell’uomo nudo.
 “D’accordo mi hai convito!” disse in fine “Visto che l’arte non è cosa utile per nessuno deduco che questo non ti serva più!” e con quelle parole sollevò il braccio e gettò il quaderno fuori dal finestrino.
“No!” Gridò Roxanne. si sollevò in piedi, per seguire il volo del quaderno. Finì oltre una barriera di siepi, che divideva i binari del treno, dal grande parco di fronte. Lì c’era anche un alto campanile. Erano vicini casa. “Perché lo hai fatto? Che ti importava?”
“Non provare mai più a farmi fare una figuraccia davanti ai miei dipendenti!”
Roxanne allora  capì. Si era vendicato. Aveva avuto la sua rivincita!
“Non ti preoccupare! Tanto non ci rivedremo più fino a l’anno prossimo!” gridò. La gente che si trovava nel treno si voltò verso di loro, infastidita dal chiasso. Roxanne di una cosa era certa. Non sapeva quale sarebbe stata la sua vita nei giorni futuri, ma non le sarebbe di certo mancato suo padre.
Poco dopo scesero dal treno, e lei stava già per avviarsi alla fermata dell’autobus, quando suo padre chiamò un taxi. A volte dimenticava che un autobus era troppo scomodo per un uomo come il Signor Stanford Oswald.
Arrivarono a casa in pochi minuti. Era una zona residenziale, di cottage in mattoni scuri, con vialetti curati e case con piccoli giardinetti, dove poter fare il barbecue in estate. Il Taxi si fermò all’incrocio all’inizio del viale, e Roxanne scese attraversando il marciapiede. Da entrambi i lati, c’erano degli alberi dalle foglie rosse, dell’autunno davanti alla case, che si estendevano per parecchi chilometri. In mezzo, la strada che serviva a far passare le auto era riservata solo ai residenti. Infondo, si aprivano i cancelli del parco, dove il padre le aveva gettato il diario giù dal finestrino del treno. La ragazza superò le prime cinque case sulla fila sinistra, e si fermò davanti alla sesta. Era più o meno come tutte le altre, con i muri di mattoni rossi, e i bordi che circondavano le finestre in legno, verniciati di bianco, con alti comignoli, e un tetto scuro, ma a differenza delle altre, la sua aveva dei rampicanti che salivano lungo il garage, piantati con tanto amore, da sua madre. Come ogni casa del parco, era cinta da uno steccato in legno scuro, e una barriera di siepi verdi. Roxanne prese le chiavi dallo zaino e aprì il cancello. Attraversò il piccolo sentiero di lastricato in pietra bianca, che conduceva fino alla porta, sopraelevata da tre gradini. Sulla destra, il giardinetto era occupato da un tavolo in legno rotondo con cinque sedie abbinate, un barbecue sotto la finestra, con una pompa per l’acqua, un paio di innaffiatoi e vasi di piante. Dal lato opposto, c’era una panchina a dondolo sotto un albero di ghiande. Roxanne attese che suo padre la raggiungesse, e bussò al campanello. La porta venne aperta da un uomo alto e robusto, con i capelli scuri, la pelle olivastra e gli occhi di un marrone scurissimo, quasi nero. Indossava un semplice pantalone da tuta nero e una canotta bianca.
“Buongiorno Roxanne!” la salutò Richard che si scostò appena un po’, per farla entrare, ma posò subito una mano sul cornicione della soglia, per intrattenere Oswald.
“Quasi mi rammarico nel vederti!” disse Richard a Stanford “Questo significa che dovrò trattenermi dal picchiarti, questo pomeriggio!”
Il Signor Oswald gli lanciò un’occhiataccia “Non crederai veramente di farmi paura!”
Richard gli fece un sorrisino beffardo. Roxanne non aveva voglia di vedere i due uomini litigare, e voltandosi vide qualcosa che le fece venire il sorriso. Ginevra, che abitava affianco a lei, era appena entrata in casa. Attraversò il viale camminando lungo il marciapiede, raggiunse la casa della sua vicina. Il cancello era semi aperto. Roxanne bussò. Ma Ginevra non gli rispose. Rimase ferma qualche istante, incerta su cosa fare, e in fine varcò la soglia, attraversando il vialetto. Una volta raggiunta la porta, posando la mano sulla maniglia, si accorse che anche quella, era rimasta aperta. Entrò furtivamente come una ladra. La casa era simile alla sua,  a parte per i mobili, blu e verdi. Chiamò l’amica per nome, ma anche questa volta Ginevra non rispose. Così Roxanne salì la rampa addossata alla parete, dirigendosi al piano di sopra. Lì c’erano solo due stanze e un bagno, insieme a una sala più grande dove qualcuno teneva delle tele per dipingere e dei cavalletti. In una porta sulla sinistra, Roxanne intravide attraverso la soglia socchiusa, la sua vicina. Si sporse appena gettando l’occhio, e rimase a bocca aperta nel vedere che, per la prima volta nella sua vita, aveva trovato qualcuno come lei.
Ginevra in piedi in mezzo a quella che doveva essere la sua camera da letto, stava spostando gli oggetti con lo sguardo. I libri, e le riviste si sollevavano da terra da soli, mentre lei spostava gli occhi verso gli scaffali in alto. Mentre camicette e pullover si ripiegavano da sole, infilandosi tra gli scaffali delle ante aperte. Le penne sulla scrivania si sollevarono in piedi e saltarono nel loro secchiello. Alcuni vestiti invece, uscirono dall’armadio e insieme a un paio di libri s’infilarono da soli in una bella valigia verde a rotelle.  
Roxanne entrò richiudendo la porta con un botto. “E’ davvero incredibile quello che sai fare!”
Tutte le cose sospese a mezz’aria caddero sul pavimento con un tonfo. Ginevra si voltò pallida in volto. “fa… fa… fare cosa? Io non… non stavo facendo proprio niente…” abbassò la testa e si appoggiò con la schiena contro gli scaffali di libri.
“Si invece!” disse Roxanne con un bel sorriso “Stavi spostando gli oggetti con gli occhi! Come ci riesci?” si avvicinò a lei con passo lento e gli prese il mento tra le mani, costringendola a guardarla. “A me puoi dirlo! Io non lo dirò a nessuno!”
“lo prometti?” domandò la ragazza scettica “Prometti che la cosa rimarrà tra me e te?” Roxanne fece un cenno con la testa e gli porse la mano “Hai la mia parola!”
Ginevra si piegò a raccogliere alcune cose cadute a terra, e Roxanne fece altrettanto, ma poi l’amica cambiò idea e facendo spazio sul parquet e si sedette in ginocchio sul pavimento. “È da quando ero piccola che sono in grado di farlo!” disse tutto d’un fiato. Roxanne che si era inginocchiata accanto a lei rimase strabiliata. “Non so come esattamente, ma mi basta fissare un oggetto per alcuni secondi e poi portarlo con lo sguardo dove voglio, per far si che si metta a posto! È per questo che ho sempre fatto lavori come fare le pulizie nelle case, o cose del genere. Appena gli altri si voltano io lancio un’occhiata agli oggetti e li metto in ordine!”
“Wow!” fece Roxanne. “È  strabiliante! Che altro riesci a fare?”
“Beh… non molto! So vedere al buio, e guardare la luce del sole senza accecarmi!”
“E tu lo chiami poco! Ecco perché oggi mi sembrava che stessi leggendo al buio!” si avvicinò appena un po’ di più afferrandole il viso con la mano. “Ora tocca a me, svelarti un segreto!” disse Roxanne, incurante del fatto che era la prima persona a cui lo stesse dicendo nella sua vita “Sono una strega!”
Ginevra la guardò ad occhi sgranati. E in quello sguardo Roxanne trovò la verità. “Anche tu...!” disse l’amica “Dicevo io che c’era qualcosa di speciale in te!” “Ginevra…” cominciò Roxanne in tono molto serio “Dove stai andando?”
Ginevra abbassò la testa sospirando con aria sconfortata “Non lo so!” ammise “So solo che devo andare via!”
“Dove esattamente!”
“Via dal mondo!” affermò Ginevra. “E tutto quello che so! Ma ho come l’impressione che in quel libro, che apparentemente sembri uno dei tanti stupidi fantasy per adolescenti si celi qualche cosa…” e indicò il libro caduto a terra, lì accanto. Roxanne non poté fare a meno di notare un castello sospeso nel cielo, sulla quarta di copertina. Allungò la mano per prenderlo, e nel farlo, il libro prese immediatamente fuoco. Roxanne lo lasciò cadere all’istante, più per istinto che per il dolore, che non aveva sentito. Entrambe arretrarono all’istante, mentre l’oggetto prendeva fuoco davanti a loro. Il libro continuò a bruciare, sotto i loro occhi spalancati.
“Allora avevi ragione!” esclamò Roxanne. Le due ragazze si guardarono incredule. Roxanne spostò di nuovo lo sguardo verso il libro, raddrizzandosi in avanti allungò la mano e lo afferrò.
“Roxanne ma che fai sei impazzita?” le chiese Ginevra. Roxanne, che per afferrare il dorso del libro aveva infilato la mano tra le fiamme, lo sollevò da terra. Il fuoco si spense e il libro interamente nero, cominciò a sbriciolarsi nella sua mano. Roxanne lo lasciò cadere, per evitare che finisse in mille pezzi.
“Rox… Roxanne… la tua mano…” balbettò Ginevra. Roxanne si guardò la mano sinistra, rigirandola. La pelle bianca era perfettamente intatta. Non si era bruciata. Non una minima traccia di lesione o ustione. Come se il fuoco fosse stato un semplice calore avvolgente. Le due ragazze si lanciarono un'altra occhiata sconvolta, e poi ritornarono a guardare il rettangolo nero, completamente bruciato che fino a pochi attimi prima era un libro.
“Questo era davvero inquietante” disse Ginevra in un sussurro.
“Puoi dirlo forte!” disse Roxanne, non smettendo di guardare il libro come se potesse succedere qualcosa altro da un momento all’altro. E infatti, l’oggetto si alzò da terra da solo, cominciando a sgretolarsi. Tutti gli oggetti si sollevarono da terra.
In quel momento la porta della stanza si aprì. Entrambe le ragazze gridarono per l’improvviso spavento, e tutti gli oggetti caddero a terra ancora una volta. Una figura femminile fece il suo ingresso nella stanza. “Ma che succede? Cos’è quest’urlo esagerato?”
Alzando lo sguardo verso la porta, Roxanne vide una donna bruna simile a Ginevra, che la guardava con aria interrogativa.
“Ginevra non sapevo che avessi un’amica!” disse con un bel sorriso sul volto. Ginevra spostando gli occhi da lei alla donna sembrò volesse comunicarle qualcosa con lo sguardo. “ehm… sai mamma… magia…!” disse incerta.
“Ah! Oh capito! E lei sa mantenere il segreto?”
“Anche lei è una strega!”
Roxanne rimase sbalordita dal modo esplicito in cui Ginevra pronunciò la parola ‘strega’.
 La ragazza la presentò a sua madre e Roxanne la salutò con un cenno della mano sentendosi imbarazzata. Ginevra si alzò in piedi e si mise a raccogliere le sue cose, mettendole a posto nel modo più normale possibile. Roxanne fece altrettanto per aiutarla. In quel momento il suo I-phon squillò e aprendolo trovò un messaggio di Arnold in cui chiedeva delle informazioni sulla festa. Ginevra buttò l’occhio per sbirciare.  “Cosa festeggiate?” chiese incuriosita.
“La mia partenza! Sai com’è devo andare via, e mia madre ne ha approfittato per invitare tutta la famiglia!” affermò Roxanne che riteneva fosse la più grande rottura di scatole del mondo.
“Auguri allora!” disse Ginevra “Buon divertimento!”
“Si come no!” concluse Roxanne sistemando i trucchi sul comò. “Con quelle smorfiose delle mie cuginette!”
“Arnold è il tuo ragazzo?” domandò Ginevra incuriosita.
“Si, gli piacerebbe!” rispose Roxanne “Ma per me resta solo un buon amico a cui chiedere un passaggio in auto, quando c’è bisogno!”
“Mi sembra carino! Con me si è sempre comportato in modo gentile!”
“Può darsi!” rispose Roxanne in tono vago, rievocando il volto di Arnold nella sua mente, per trovare qualcosa che le potesse risultare particolarmente attraente. Ma non ci riuscì.
“Come vi siete conosciuti? Dai racconta!” disse Ginevra che dopo aver messo tutto a posto si sedette sul letto.
“Beh… non è che proprio ci siamo conosciuti… i suoi genitori sono amici di mio padre e quindi è come se lo conoscessi da sempre! Come hai visto tu stessa lavora per lui!”
“Siete fidanzati?” Ginevra indicò l’anello d’argento, che Roxanne portava alla mano.
Roxanne scosse la testa. “E’ solo una facciata! Lui me l’ha regalato per lo scorso compleanno, e io lo indosso sempre per far credere alla gente, che sono già impegnata! Anche perché altrimenti sai quanti mi starebbero dietro! Ma in realtà non abbiamo mai fatto nulla! Non gli ho neanche mai dato un bacio!”
“E non ti piacerebbe dargliene almeno uno piccolino, piccolino?” e avvicinò il pollice e l’indice per indicare la misura.
Roxanne arricciò il naso e  tirando fuori la lingua in una sgradevole smorfia esclamò: “No!”
“Beh da come ti sei comportata oggi davanti a tuo padre, credevo che fossi una che amasse usare il suo Dono della Seduzione!”
“Dono della seduzione? È da dov’è uscito fuori questo superpotere?”
“Dal libro che si è appena bruciato!” affermò Ginevra. “La maggior parte delle streghe ha questo potere sugli uomini! Alcune in cui prevale il lato stregonesco, godono nello sfruttare tale potere per utilizzare gli uomini a loro piacimento, e per godersi rapporti sessuali incredibili o atroci vendette di cui i criminali non sono nemmeno in grado di immaginare. Alcune in cui prevale il lato umano temono di usarlo -come me ad esempio- perché non vogliono che la gente diventi delle bambole nelle loro mani!”
“beh allora io sto in una via di mezzo!” disse Roxanne “Insomma non voglio sedurre gli uomini per fargli perdere la ragione portandoli al suicidio o cose del genere, giusto per godere del mio potere magico! Mi basta fargli qualche occhiata dolce, o qualche bel sorrisino, giusto per ottenere qualche piccolo favore!”
“Allora sei in una via di mezzo, tra l’essere Strega e l’essere Umana!”
“E dimenticando un po’ le faccende stregonesche, dimmi un po’ di te! Non hai un ragazzo?”
“No!” disse molto convinta “Non ne ho mai avuto uno. Insomma hai visto cosa sono in grado di fare! Non è facile da tenere segreto per sempre a una persona! Per me dire le cose dopo molto tempo è come mentire! O dici tutto e subito o non le dici proprio e mantieni il segreto!”
“Magari ci fosse più gente sincera come te, Ginevra!” disse Roxanne con un sorriso “Ma non hai mai provato a evitare di utilizzare questi i tuoi poteri! Visto che sei convinta di non doverli usare per sedurre gli uomini con il tuo fascino stregonesco forse preferiresti non usarli proprio!”
“Si! Ma non so come spiegartelo… hai presente quando sai che dovevi fare i compiti, ma non avevi nessuna voglia di farli...”
“Ah! Eccome se ce l’ho presente! Io mi sono diplomata per miracolo, sempre grazie al -sempre che sia vero, “Dono della Seduzione” sono riuscita ad andare bene all’ultimo.”
“Complimenti! Io invece ho raggiunto a stento la sufficienza! Lo studio non è mai stato il mio forte!”
“Si è fatto tardi! Temo di dover andare! Vorrei poterti invitare, ma c’è mio padre, e quindi non credo che sia una buona idea dopo quello che è successo stamattina!”
“Hai assolutamente ragione!” confermò Ginevra.
Ginevra alzandosi in piedi, accompagnò Roxanne giù per le scale.
“Ciao cara!” disse la madre di Ginevra, rivolgendosi a lei
“Oh! Finalmente Ginevra ti sei trovata un amica!” disse il padre con aria entusiasta. Era un uomo sui cinquant’anni con grossi baffi scuri e una corporatura tarchiata.
Roxanne li salutò scusandosi per la fretta con cui doveva andare via, e si fece aprire la porta per uscire.
Ginevra rimase a guardarla per alcuni momenti. Roxanne stava per avviarsi quando la ragazza disse: “Buon viaggio!”
A quel punto Roxanne si voltò “Anche a te!”
“Ci rivedremo ancora vero?”
“Certo! È una promessa!”
Riattraversando il marciapiede, si rese conto di non essere mai stata così felice in tutta la sua vita.
Perché finalmente aveva trovato una ragazza come lei.
Finalmente aveva trovato un’altra Strega. 

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Capitolo 5
*** 2 Il corvo Blu - Parte 1 ***


2

Il Corvo Blu

Roxanne stava per bussare alla porta, quando ci ripensò, scommettendo su se stessa che sua madre stesse litigando con suo padre per convincerlo del fatto che lei sarebbe andata a studiare alle Galapagos le specie marine, e decise di fare il giro, intorno alla casa. Superò il garage, dove c’era la machina di sua madre, per passare dalla porta sul retro, del giardino. Lo attraversò per intero e prese le chiavi che stavano nel vaso di rose per aprire il cancelletto dello steccato. Entrò strisciando contro gli armadietti del sotto scala.
“Non potevi venire un po’ più tardi!” stava dicendo sua madre, a suo padre. “Devo ancora finire di preparare la torta!”
“Roxanne vuole improvvisamente andare alle Galapagos, e tu ti preoccupi di fargli la torta? Ha già festeggiato i vent’anni se non erro!”
“Si ma questa festa è diversa! È il suo addio! Dobbiamo salutarla come si deve e farle capire che le abbiamo voluto tanto bene!”
“E che diamine, Rosaline! Non andrà mica via per sempre!”
Suo padre non sapeva che anche se non fosse per sempre era per un periodo molto lungo. Si aggrappò alla ringhiera  arrampicandosi su di esa, si appiattì al muro e come un ratto fugace cominciò a salire le scale. Al piano di sopra c’erano tre camere da letto che davano sulla facciata, un bagno, l’ufficio di sua madre, e una scala che portava in soffitta. La prima camera era quella di Richard e sua madre, poi quella di sua sorella Eveline, e l’ultima la sua, che si trovava difronte al bagno, e affianco alla scala a chiocciola che saliva nella soffitta. Entrò e si richiuse la porta alle spalle. Posò lo zaino sul letto, che si trovava addossato alla parete sulla sinistra, incastonato nell’armadio in legno, e accese il computer, che si trovava nell’amgolo tra il mobile e la finestra difronte. Guardò la libreria, che occupata l’intera parete, difronte al letto, ricolma di romanzi e saghe fantasy che non aveva nessuna intenzione di buttar via, anche se suo padre gli aveva continuamente ripetuto che fossero libri inutili. Impugnando il mouse del computer con la mano sinistra andò su internet e aprendo Youtube fece partire The Crow, the Howl and the Dove dei Nightwish. Si stese sul letto e si immerse nei suoi pensieri. Poco dopo però sua madre la chiamò da giù e fu costretta a spegnere per andare al pianò di sotto.
Roxanne entrò in cucina e trovò sua madre impegnata a fare la torta con la panna e le fragole che formavano un semicerchio lungo il bordo. “Buongiorno mia cara!” disse nel vederla. Sua madre, Rosaline Abram, era una donna molto in gamba, che teneva molto alle sue figlie, e non mancava mai di occuparsi di una di loro. Non era particolarmente alta, ma nemmeno bassa. Portava i capelli castani sfumati di rosso, legati in una crocchia, lasciando in bella mostra un grazioso viso ovale, gli occhi marrone scuro, brillavano di dolcezza, e il naso con la punta all’insù, la faceva apparire ancora più bella. Indossava una camicia blu scuro, sotto un pullover nero, abbinato a una gonna a vita alta, che le arrivava alle ginocchia, e alle scarpe con il tacco a spillo. Non sapeva perché ma sua madre le aveva sempre dato l’impressione che anche lei fosse una strega. Le sembra una donna di un'altra epoca. A parte il fatto che gli piacesse molto cucinare, passava quasi sempre il suo tempo a leggere libri, che si trovavano dietro il tavolo da pranzo lì nel salotto. Lei amava molto lo studio e la cultura. Era una storica. E aveva spesso lavorato con archeologi e studiosi delle civiltà passate. Aveva anche scritto dei libri sulla storia medievale. E da quando si era fidanzata con Richard, era diventata certamente più felice. Anche se Richard aveva due anni in meno di lei, la cosa non si notava, e quando stavano insieme, sembravano due perfetti coetanei. Ormai erano quindici anni che stavano insieme. Sua madre si era separata molto presto da suo padre. Subito dopo la nascita di Eveline, che adesso aveva diciott’ anni. Per lei, così come per sua sorella, Richard era stato un vero padre. Era sempre stato presente nei momenti più importanti, come il primo giorno di scuola, o alle visite mediche, e in più aveva sempre organizzato delle bellissime vacanze, al mare in estate e in montagna sulla neve, d’inverno. Lui era un giocatore di Rugby. Un tipo atletico, che amava la vita sportiva. In più aveva sempre saputo fargli regali bellissimi. Bicilette, playstation, barbie. Solo che c’era un piccolo problema… Roxanne non era troppo sicura del fatto che lui sapesse e meno della sua vera identità. Forse l’uomo che l’aveva trattata come una figlia per tutti quegli anni, non sapeva di aver cresciuto una strega.
In quel momento il cellullare di suo padre squillò, e l’uomo  senza dire nulla si alzò dal divano, e si avviò verso la porta vicino alla scala, che dava sul giardino, mentre Richard gli fece una smorfia alle spalle, con l’intento di farla ridere. Non appena l’ebbe chiusa la porta, Richard e sua madre si scambiarono uno sguardo d’intesa.
“Abbiamo un regalo per te, Roxanne!” disse Richard, con un sorriso. Ma Roxanne, prima che la madre le prendesse il regalo le fece cenno di seguirla in cucina. Una volta che furono entrate, Roxanne si chiuse la porta alle spalle, per evitare che anche uno solo dei due uomini, le sentissero.
“Ho conosciuto una altra strega stamattina!” disse alla madre, appoggiandosi alla porta in tinta con la cucina rossa.
“Davvero?” chiese la madre a metà tra il preoccupato e il sorpreso “E com’era?”
“Una ragazza come me! Anche lei deve partire!”
“Magari andrete via insieme!” ipotizzò la madre e poi: “Credi che ti mancherà la tua vita?”
“Si, forse…” disse Roxanne guardando fuori dalla finestra. Un ragazzo molto alto e magro, dal jeans chiaro, e dalla felpa grigioblu, stava passeggiando dal lato opposto della strada, con il cappuccio calato sulla testa, proprio come facevano molti ragazzi, per non mostrare gli occhi arrossati, a causa delle droghe potenti di cui facevano abuso. “Se con vita, intendi voi che siete la mia famiglia, allora si! Se intendi il mondo e come sta continuando ad andare avanti, allora no!”
“E Arnold?” le chiese sua madre “Cche ti mancherà?”
“Non lo so!” ammise Roxanne. Per lei era un buon amico, e doveva ammettere che si erano divertiti insieme, al cinema, ai campi da tennis, e al Bowling insieme a Eveline e Jason. Ma se non lo avesse rivisto per tanto tempo avrebbe veramente sentito la sua mancanza?
“Forse più che lui ti mancherà il fatto di farne tutto ciò che vuoi di lui!” affermò sua madre. Roxanne sussultò girandosi per guardarla negli occhi. “E con Richard come mi devo comportare?” chiese Roxanne per cambiare discorso “Lui lo sa o non lo sa che sono una strega?”
Sua madre le fece un lieve sorriso, spostandola con la mano, dalla porta le fece cenno di entrare in salotto. “Perché non glielo chiedi tu?” disse. Roxanne guardò dalla porta, suo padre che stava ancora parlando al telefono. Si sedette sul divano e osservò Richard, con aria imbarazzata non sapendo da che parte cominciare.
“Richard…” tentò di dire in un sussurro.
“Tranquilla!” disse lui “Lo so che sei una strega!” Roxanne sussultò
“Tu… lo sapevi…” guardò un attimo sua madre, intuendo che gliel’avesse spiegato lei “Sapevi che sono una strega, e non ti sei mai interessato a saperne di più?”
“Non posso certo pretendere di sapere più di quello che sai tu! Quando tornerai mi farai vedere che tipo di strega sei!” e le fece una strizzata d’occhio. Rosaline si piegò per aprire un armadietto del sotto scala e con un fruscio tirò fuori un grosso pacco avvolto in della carta marrone scuro, legata con lo spago. Roxanne guardò il pacco con aria curiosa. Non era mai andata pazza per i regali, specie quelli a sorpresa. Ma ora che la sua vita stava per cambiare, sentiva che quel regalo poteva significare molto. Sua madre glielo porse, e si sedette accanto a Richard. Roxanne con il palmo della mano sinistra tastò la carta, riciclata, impregnato di un odore che lei conosceva fin troppo bene: umido e muffa. Proveniva dalla cantina che si trovava sotto casa. E dall’intensità si poteva dire che stava lì da parecchio. Forse da anni. Roxanne lo aprì staccando lo spago con le dita, e stracciò la carta. Rimase senza fiato, difronte alla bellezza del suo regalo. Era una valigia vintage. Rettangolare, in cuoio marrone scuro, con i bordi in metallo dorato, annerito dal tempo. Un manico di metallo con l’imbottitura intorno e oltre ad avere due lucchetti dorati ai lati, e due cinghie che la circondavano per intero. Ma la cosa che la incuriosì, fu che le due cinghie, vicino ai lucchetti, formavano dei cerchi, rivestiti da due anelli in metallo, come se fosse fatta per essere appesa a un bastone, o a un sbarra. Sopra erano attaccati dei francobolli,  fatti con una carta che pareva fosse proprio pergamena, con dei luoghi che Roxanne non aveva mai visto da nessuna altra parte. E stranamente uno di questi portava l’immagine schizzata a carboncino, di un castello sospeso nel cielo, molto diverso, da quello della copertina che aveva visto sul libro che si era bruciato a casa di Ginevra. Ma la cosa sembrava esser collegata.
“E’ bellissima! Grazie!” disse, riconoscente, sapendo che quello era il simbolo più significativo del viaggio che stava per compiere. E dall’odore della cantina, Roxanne capì che quella valigetta era stata preparata da molto tempo per quel viaggio.
“Ho convinto tuo padre che andrai a studiare alle Galapagos!” disse sua madre. Parlando del diavolo spuntarono le corna dalla porta sul retro. “Grazie mamma! Mi sarà molto utile questa valigetta per il viaggio!” E lanciando un occhiata gelida a suo padre salì le scale, per andare a posare la valigetta in camera sua. Si avvicinò alla camera centrale e gettò un occhiata all’interno. Sua sorella stava ancora studiando, china sulla scrivania circondata da un mucchio di fogli. Si avviò verso la sua stanza e chiudendosi la porta alle spalle mise la valigetta sul letto. Per un attimo fu tentata dall’aprirla, ma un rumore di claxon la indusse ad affacciarsi alla finestra. Una macchia rossa dal tetto scoperchiabile si era fermata parcheggiandosi davanti al loro cancello. Era arrivato Sean, il figlio di Richard. Roxanne uscì dalla sua camera e scese di sotto. Sua madre al citofono aprì la porta e il cancelletto. In quel momento entrò attraversando il vialetto, un giovane, dai capelli scuri, simile al padre, con degli occhiali da sole sul naso, una camicia scozzese rossa e i jeans stracciati, reggendo la giacca di pelle in spalla. Nel vederla si tirò gli occhiali scuri sulla testa, scoprendo gli occhi marroni.
“Ma come è cresciuta la mia sorellastra preferita!” disse allargando le braccia per stringerla. Roxanne scese i gradini del pianerottolo e lo strinse. Dopo un lungo istante si separarono. “Allora che stai facendo di bello?” le domandò sorridendo.
“Niente!” rispose Roxanne schietta.
“Meglio! Più tempo per divertirsi non ti pare?” cingendole le spalle con un braccio, entrarono insieme in casa.
“E Caroline?” domandò Roxanne riferendosi alla fidanzata del fratellastro.
“Ci siamo lasciati!” affermò come se nulla fosse, senza mostrare un minimo di risentimento. Sean aveva l’abitudine di cambiare fidanzata molto spesso.
“Ma è mai possibile che te né trovi una più bella dell’altra e le lasci sempre tutte?” domandò Roxanne nel tentativo di farlo sentire un po’ in colpa.
“Saranno anche state una più bella dell’altra, ma nessuna è stata più bella di te!” e le fece una strizzata d’occhio. L’occhiata gli fu ricambiata da Stanford, che gli rivolse uno sguardo carico di antipatia.
“Ehi! c’è nessuno in casa!” gridò la voce di un bambino. Roxanne si diresse alla porta per andare ad aprire il cancelletto. Erano Mike, Eddie ed Emily, i suoi cugini che entrarono nel vialetto con aria entusiasta. I due ragazzini indossavano la stessa camicia a quadri rossa e blu, con le magliette di Batman e Superman. Da un grosso furgoncino blu, scesero un uomo e una donna dalla corporatura robusta, di chi apprezza la buona cucina.
“Ciao cara!” la salutò zia Margareth con un enorme sorriso sul faccione grosso, abbracciandola in una stretta che le mozzò il respiro. “Come sei diventata grande!” disse dandole un forte bacio sulla guancia. Margareth era la sorella di Rosaline, e anche se aveva gli stessi capelli, tagliati corti, e gli stessi occhi, era molto più bassa e grassa di sua madre, perché era una che non solo amava cucinare, ma anche mangiare, ciò che cucinava. Indossava una camicia rossa con le foglie di palma verdi, una gonna nera, e una collana di perle finte.
“Ehi nipotina!” disse lo zio Bernard con il suo solito tono esageratamente paterno, di chi è perennemente abituato ad avere a che fare con i bambini. Anche lui era ben in carne. Vestiva in maniera semplice, con una maglia blu e un pantalone beige.  Mentre lui reggeva tra le braccia robuste un grosso pacco rosso con un fiocco verde, la zia cominciò a scaricare una grande borsa termica rossa, e una scatola di plastica bianca, in cui Roxanne fu sicura di aver visto una serie di uova.
“Tanti auguri Roxanne!” disse la vocina di Emily, la più piccola dei tre cugini. Roxanne abbassò la testa per guardarla. Aveva i capelli castano scuro legati in due codini e un vestitino viola di lana, con le calze bianche e le scarpette abbinate.
“Questo è il mio regalo speciale!” disse con la sua vocina innocente, da bambina di cinque anni. Roxanne rimase immobile, sentendo una serie di emozioni contrastanti, dentro di se, crescere difronte al regalo della cuginetta. La bambina con il braccio sollevato, reggeva una Barbie, con il cappello a punta nero da strega, sulla testa, e la bacchetta magica con la stellina di brillantini legata alla mano. “Grazie Emily!” disse con dolcezza. Roxanne la prese delicatamente tra le mani, come se fosse il tesoro più prezioso del mondo.
“Ci tenevo tanto!” disse la bambina “L’ho fatto perché ti voglio bene! Sai, quando sarò grande voglio diventare bella come te!” Roxanne rimase imbambolata a guardare la barbie, chiedendosi se la bambina lo sapesse. Se sapesse che fosse una strega. O se in cuor suo lo avesse solo pensato, vedendola con l’immaginazione sotto forma di strega, inconsapevole che la sua immaginazione corrispondesse alla realtà. In un caso o in un altro, Emily forse la vedeva veramente per ciò che era. Rientrando in casa salì le scale ed entrò nella sua camera. Posò la bambola sullo scaffale sopra il computer, pensando che sarebbe sta bene là. Pochi minuti dopo un altro rumore di auto in arrivo costrinse Roxanne ad aprire le porta e a ritrovarsi le ultime persone che avrebbe voluto vedere in vita sua.


NOTA Quando scrissi questa storia, una delle prime cose che inventai fu la valigetta, pensando che se la mia protagonista dovesse andare a una scuola di magia avrebbe potuto preferire qualcosa di più piccolo e pratico dove poter mettere tutto dentro, anziché un baule, come quello di Harry. Quando poi ho scoperto che la mia valigetta era molto simile a quella di Animali fantastici e dove trovarli, mi sono sentita molto commossa, come se la mia immaginazione si fosse in qualche modo avvicinata maggiormente a quella della Rowling.

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Capitolo 6
*** 2 Il corvo Blu - Parte 2 ***


Da una grande macchina nera scese un autista che aprì la portiera per far scendere il Signor Reginald Oswald, con la moglie, Sophie Oswald, i suoi nonni, che si avviarono verso il viottolo con aria altezzosa, indossando abiti firmati. Sua nonna che portava un cappello rosa sopra i capelli bianchi da donna anziana, reggeva tra le mani, un grosso scatolo bianco, con un nastro rosa chiuso da un grosso fiocco. Roxanne si voltò dentro casa e lanciò a suo padre un occhiata fulminante.
“Non mi avevi detto che ti eri preso il disturbo di fare gli inviti per la mia festa!” ruggì, ma subito fu costretta a voltarsi, perché si ritrovò sua nonna alle spalle. “ciao cara!” disse con voce gracchiante “Come sei diventata grande!” Roxanne ebbe la strana sensazione di aver già sentito quella frase non molto tempo prima, ma in tono più allegro. Possibile che i parenti dicessero tutti le stesse identiche cose?
“Tua madre sta ancora con quel buon’annulla?” domandò sua nonna posandogli il grosso scatolo tra le mani. Roxanne gli lanciò un occhiata storta e andò a mettere sul tavolo da pranzo. Ci fu una confusione generale, in cui tutti i parenti si salutarono. In quel momento Eveline scese le scale e salutò educatamente tutti gli ospiti. Roxanne osservò inorridita la scena, non potendo credere di aver dato il consenso a finché si realizzasse quell’incubo, quando un altro rumore di macchina, la riscosse. Costringendosi a ritornare in se, si affacciò alla finestra, rendendosi conto che la situazione andava peggiorando. Da una machina bianca, scese una donna alta e magra dai capelli biondi, con un vestito grigio e nero, molto attillato. La zia Adele Oswald, e lo zio Harvey Roswell, un uomo lungo e secco, vestito come la moglie, si avviarono verso l’ingresso di casa, seguiti dalle loro due figlie, Bonnie e Carrie, una quattordicenne e una sedicenne, entrambe dai capelli biondi appena trattati dal parrucchiere e i vestiti neri e rosa, con dei sandali dai tacchi a spillo notevolmente alti. Sembravano più intenzionate ad andare al matrimonio di una celebrità, che non a una festa in famiglia. Mentre le due sorelle si bisticciavano per chi fosse la più bella, Roxanne andò ad aprire la porta. Dietro di lei, Richard guardava la scena con aria divertita.
“Oh mio Dio!” commentò la zia Adele abbassandosi gli occhiali da sole sul naso, puntando lo sguardo su Richard. “E quel pezzo d’uomo sarebbe il fidanzato della ex moglie di mio fratello? Non lo avevo ancora visto!” commentò rivolgendosi al marito che annui con un borbottio. Al commento, Roxanne sentì Richard che tratteneva le risate con una mano sulla bocca. Le due sorelle una volta arrivate davanti alla porta la guardarono dall’alto in basso, come se fosse una pazza appena uscita da un manicomio. Bonnie, la maggiore, sollevò uno scatolo rivestito da una carta lilla e un fiocco bianco.
“Tieni! Da parte di mamma e papà. Sei la solita sfigata Roxanne!” commentò Bonnie, mentre Carrie scoppiava in una risatina stridula. Roxanne lo prese e come l’altro lo accatastò sul tavolo. I due Zii le strinsero la mano, e le fecero i loro auguri con il loro solito tono gelido da gente che si crede di essere molto superiore alla norma.
“Per quale motivo si tiene questa festa?” le domandò la zia Adele.
“E’ una festa d’addio in onore della mia partenza!” gli rispose Roxanne “Vado a studiare all’estero e mia madre ha pensato che a voi avreste fatto piacere salutarmi!”
La zia Adele le rivolse un espressione del tutto disinteressata, non importandogliene nulla della questione. Era lì solo perché glielo aveva chiesto Stanford.
Roxanne ancora non riusciva a crederci. Suo padre ormai non viveva più con loro, o meglio loro non vivevano più con lui, da quando Rosaline aveva comprato un'altra casa, eppure aveva ancora il potere di decidere delle loro vite, e di fare tutto quello che voleva, come se fossero una loro proprietà.  Un attimo dopo, Roxanne vide un ragazzo dai bruno, con un paio di occhiali da vista sul naso, e un giubbotto blu, sopra la maglia a righe intonata ai jeans, che camminava sul marciapiede a passo spedito. Era arrivato, anche Jason, il fidanzato di Eveline. Una volta raggiunto il cancello attraversò il vialetto.
“Auguri Roxanne!” il ragazzo le rivolse un sorriso amichevole, dandole un pacchetto con la carta argentata. “Spero che ti piaccia! Mi sono fatto consigliare da Eveline, non conoscendo bene i tuoi gusti!” lei lo ringraziò e gli fece cenno di accomodarsi in casa. Stava per richiudere la porta sperando che non avrebbe più dovuto riaprirla, quando un macchina blu si parcheggiò dal lato opposto e scese un giovane dai capelli castani tagliati corti, con un jeans e una camicia bianca, che reggeva un pacco rosso, con una rosa finta sopra. Era arrivato anche Arnold. Nel vederla fece un bel sorriso porgendole il pacchetto.
“Tanti auguri!” disse. “Anche se non indossi nulla di particolarmente vistoso sei sempre bellissima!”
Roxanne non rispose al complimento, per evitare di dargli false speranze. Lo fece entrare e posò i due pacchi insieme agli altri. Gli invitati si salutarono e in breve cominciarono a darsi da fare per i preparativi. Sua madre in cucina, stava mettendo la torta nel forno, mentre Eveline e Jason l’aiutavano a preparare il buffè sul tavolo della cucina. Sean e i suoi due cuginetti di undici e dodici anni, aprirono la porta accanto alla scala e sistemarono il tavolo del giardino, portando più sedie possibili fuori, e Richard e Bernard, sollevando il barbecue, lo portò attraverso il salotto e lo mise in giardino per fare la carne alla brace. Stanford e Reginald, come ci si poteva immaginare, stavano ancora discutendo d’affari del tutto disinteressati alla festa. Zia Adele invece, che non era una abituata a lavorare in cucina, avendo sempre avuto l’appoggio dei domestici, guardava sua madre incerta se aiutarla, o restare seduta sul divano, e attendere che qualcuno gli portasse un drink come fosse giusto fare nei confronti di una signora come lei. E infatti, il gentilissimo Arnold gli chiese se aveva sete e subito gli portò un picchiere di spumante.
“E tu saresti il fidanzato di Roxanne?” domandò lei prontamente
Arnold arrossi, “Beh non proprio, siamo amici…”
“Ho finalmente!” commentò la nonna Sophie “Era ora che si decidesse a uscire con qualcuno!” come se non avesse affatto udito le parole del giovane.
Carrie e Bonnie invece, stavano parlando sotto voce, convinte che lei non le potesse sentire.
“Tu credi che quella sgualdrina ci sia già andata a letto? Oppure ho qualche speranza?” domandò Bonnie
“Ma ovvio che non ci hai speranze! Quella sgualdrina se li piglia tutti lei! Non fa un lampada per apparire, eppure appare lo stesso più di tutte le altre! Come la detesto!”” rispose Carrie.
“Tu credo che si sia fatta pure il giocatore di rugby e il figlio surfista?”
Roxanne senza dire niente a nessuno uscì di casa in gran fretta, e superando il giardino si incamminò lungo il marciapiede, sperando che Arnold le corresse dietro. Doveva assolutamente parlare con lui. Spiegargli che doveva partire. Anche se non sapeva esattamente come avrebbe preso il ragazzo quest’ultima novità.  
“Roxanne aspetta!” disse una voce alle sue spalle. E infatti Arnold la seguì. Roxanne voltandosi gli lanciò un bel sorriso, invitante. “Dove stai andando?” le domandò lui.
“Da nessuna parte in particolare, speravo solo ti poter prendere un po’ d’aria! Volevo parlare con te!” ad Arnold brillarono gli occhi, e lei intuì che era molto emozionato, per quello che si era appena sentito dire. Roxanne gli fece un cenno di seguirla e insieme, si avviarono sul marciapiede diretti verso i giardini.
“Posso prenderti la mano?” le chiese Arnold d’un tratto. Lei gli fece un cenno d’assenso. E mentre camminavano mano nella mano, come una perfetta coppia di fidanzati, Roxanne pensava a come dire al ragazzo che presto sarebbe partita e che non si sarebbero più visti per un bel po’.
“Sei molto bella lo sai?” disse lui interrompendo i suoi pensieri.
“Si lo so! Me lo dicono tutti!” disse Roxanne.
“Però è la verità! Non si può non dirtelo! Sei una bomba!”
“Hai perfettamente ragione Arnold! Sono una bomba che esplode quando si arrabbia!” scherzò lei mostrando il suo sorrisino beffardo.
“E dai smettila! Ok lo ammetto ho detto una cazzata!” Raggiunsero i cancelli chiusi del parco, e Roxanne pensò al suo diario che suo padre gli aveva gettato via.
“Ti devo dire una cosa importante!” disse senza distogliere lo sguardo dagli alberi oltre l’inferriata. Poi si voltò per guardarlo dritto negli occhi marroni.
“Anche io ti volevo dire una cosa importante!” Arnold gli prese il viso con una mano costringendola a guardarlo. “Roxanne… vuoi essere la mia ragazza?”  si avvicinò con il viso verso di lei.
“Arnold non posso!” rispose Roxanne gelida. “Devo partire!”
Il ragazzo sbiancò allontanandosi da lei di colpo. “Partire?” domandò lui incredulo “Per dove?”
“Per il college! Vado a studiare alle Galapagos le specie marine in via di estinzione!”
“Ma… ma… perché non me lo hai detto prima?” domandò lui balbettando.
“Perché ho fatto un test e ho ricevuto la risposta da poco!”
“Ma questo non significa nulla!” continuò lui “Ci vedremmo a Natale e durante le vacanze estive!”
“Non sarebbe meglio per te trovarti un'altra ragazza?” gli propose Roxanne “Una con cui…”
“Ma io non voglio un'altra ragazza! io voglio te!” l’afferrò per il braccio e la tirò a se. Le punte dei loro nasi si sfiorarono. In quel momento Roxanne con la coda dell’occhio vide uno strano luccichio, proveniente da un aiuola. Una strana scintilla che si mosse come una scia. Spostando lo sguardo vide un uccello che si posò sul ramo di un albero del giardino della casa lì affianco. Roxanne si voltò cozzando con la testa contro il naso di Arnold. “ahia!” fece lui portandosi d’impulso le mani al naso.
Roxanne osservò l’uccello e riconobbe la specie. Ma non il colore, che non poteva essere parte di quella razza di uccelli. Era un corvo. Blu.
Un corvo blu. Come poteva un corvo essere blu?
Roxanne si scostò da Arnold e si avvicinò allo steccato della casa. Il corvo dall’improbabile colore reclinò la testa di lato e la guardò con degli occhi color ambra. Poi di scatto volò via, gracchiando.
“L’hai visto anche tu?” domandò ad Arnold, sperando di no.
“Che cosa?” domandò lui posandogli una mano sulla spalla.
“Lulla! Lascia perdere!” disse Roxanne sospirando per il sollievo. “Andiamo!” disse “Riprenderemo il discorso dopo il pranzo!”
Si avviarono sulla strada che avevano appena percorso e tornarono in casa. Gli altri avevano già fatto tutto e preparato la tavola. Roxanne aiutò sua madre e sua sorella con le ultime cose, e poi le lasciarono un po’ di tempo per prepararsi. Ma Roxanne anche se non aveva nessuna intenzione di perdere tempo per cambiarsi, salì ugualmente nella sua camera per guardare la valigetta che le aveva regalato la madre. Doveva sicuramente trattarsi di un oggetto magico. “Roxanne sei pronta?” le domandò la voce di sua madre, riportandola alla realtà. In quel momento un fruscio di foglie la indusse a spostare lo sguardo verso la finestra. Lo strano corvo blu era sul ramo davanti alla sua camera. Roxanne si precipitò ad aprirla, ma nel farlo, il corvo blu si alzò in volo scomparendo dal suo campo visivo. Sua madre la chiamò ancora una volta e Roxanne si decise a scendere.
Rimasero tutti stupiti nel vedere che non si era cambiata affatto. Tra la confusione generale di chi si doveva mettere vicino a chi, sua madre le afferrò un polso.
“Hai parlato con Arnold?” le chiese in un sussurro.
“Si! voleva fidanzarsi con me, ma gli ho detto che non posso!” disse Roxanne in tono deciso. Sua madre tirò un sospiro di sollievo, e circondandole le spalle con un braccio raggiunsero il tavolo. Roxanne si sedette al centro del lungo tavolo, con Richard alla sua destra e Eveline alla sua sinistra.
“A Roxanne!” disse sua madre a capo tavola, tra Richard e Sean, che sollevò il bicchiere di carta colmo di vino bianco. “Che la scelta di questi studi possano aprirle un grande futuro!”
Fu così che iniziarono il pranzo. Mangiarono le tipiche cose che si potevano mangiare a una festa di compleanno. Bevvero Sprite e Coca-cola con Patate fritte, hamburger nel panino unti di Catchup e Maionese, Pizza al trancio e Hot-dog. Richard e Bernard fecero gli spiedini e le salsicce con i peperoni, sul barbecue. Mentre Zia Margareth tirò fuori il suo polpettone fatto in casa, con le uova il prosciutto il salame e le patate dentro. Non contando un paio di uova di contorno avanzate mentre cucinava, insieme a una salsa fatta con la carne. Dopo di ché sua madre portò la torta: una classica torta di panna bianca con su scritto il suo nome al cioccolato e una serie di roselline di zucchero tutte intorno. Si fecero le foto, e Roxanne sorrise come meglio poté dimostrando di essere molto felice, in modo da lasciare quel ricordo a tutti loro che forse non avrebbe più rivisto per parecchio tempo. Dopo aver tagliato a pezzi la torta, e distribuito le fette mangiarono lentamente gustandosela. Mentre si rigirava la forchettina di plastica tra le dita guardando la lettera O che si trovava sulla sua fetta di trota. Non aveva più fame. Dopo la torta però alcuni vollero anche il caffè o il gelato. A quel punto sua madre e sua sorella si alzarono e portarono tutti regali sul tavolo costringendola a spacchettarli. Per il suo compleanno non erano riusciti a fargliene e così avevano pensato tutti di rimediare a quella festa. Anche se a Roxanne di ricevere dei regali non gliene importava poi molto.
“Vogliamo vederli anche noi!” disse nonna Sophie. Roxanne aprì per primo quello dei Signori Oswald, tirando fuori un accappatoio rosa. Poi quelli degli zii, sempre Oswald, che né uscì un profumo di marca, per dimostrare che erano talmente ricchi da poter spendere anche per una persona a cui non tenevano veramente. Jason invece, gli regalò una sciarpa di lana blu, e Eveline delle auricolari con le stelle. Zia Margareth e zio Bernard avevano portato il regalo più grande. Un intero set per il mini golf.  
“E tu papà cosa mi hai regalato?” domandò Roxanne lanciandogli un frecciatina.
“Il mio tempo in questa serata, che altrimenti avrei sfruttato per lavorare!” disse. Gli altri scoppiarono a ridere. Roxanne non né era sorpresa, ma gli piaceva fargli notare che non sapeva neanche cosa regalargli perché non conosceva minimamente sua figlia.  In fine si misero a chiacchierare come se si volessero veramente tanto bene. Rosaline raccontò di come si fossero conosciuti lei e Richard durante le vacanze estive, quando si era appena separata da Stanford. E in fine si arrivò a parlare di studi e lavoro. Eveline affermò che in quel periodo stava studiando molto, per l’esame di stato, e che non aveva più una vita, tanto che era assorbita della matematica. Ma gli andava bene così, pur di far felice il padre, molto orgoglio del fatto che avrebbe studiato medicina l’anno prossimo. Anche Jason che stava al quarto anno, raccontò che dopo avrebbe fatto legge per diventare avvocato. Mike, Eddie ed Emily che si stavano annoiando convinsero Richard e Bernard a giocare con il mini golf. Così Richard e lo Zio Bernard aprirono la scatola del mini golf e montandolo con estrema pazienza fecero giocare i bambini. Emily essendo ancora molto piccola, e incapace di usare una mazza da golf nella maniera più perfetta, proprio come Richard e Bernard, si arrampicò sulla casa sull’albero e si mise seduta nella casetta.
“Roxanne ti va di uscire?” le chiese a un tratto Eveline sotto voce.
“Io veramente preferirei restare a casa, non so cosa mi accadrà questa notte!” disse, con la voce più bassa possibile per non farsi udire da nessun’altro.
“Si lo so! Ma ti prego! Questa è l’ultima volta che possiamo stare un po’ insieme!”
“D’accordo!” disse Roxanne non potendo dire di no, alla sorella che evidentemente oltre a voler passare l’ultima serata con lei aveva bisogno di distrarsi un po’ dallo studio che l’assorbiva.
“Bene! È stato un piacere gente! Io e Eveline andiamo a divertirci come due vere giovani studentesse, pronte per ubbriacarsi e drogarsi!” disse in tono divertito.
“Cercate di non esagerare!” disse suo padre che le lanciò un occhiata come pochi dei suoi dipendenti avevano la sfortuna di ricevere. Roxanne non gli badò e spostando lo sguardo verso Arnold disse: “Mi raccomando Eveline, vestiti bene! Altrimenti non lo troverai mai un vero ragazzo con cui divertirti!”
Jason trasalì lanciandogli un occhiata per ricordargli che Eveline era fidanzata con lui.
“Arnold vai con loro e tienile d’occhio!” disse suo padre come se fosse un imperatore che ordina alla sua giardia reale di proteggere la preziosissima principessa in pericolo.  
“Si! Forse sarà meglio che vada con loro…” rispose alzandosi dalla sedia. Eveline e Roxanne si alzarono ed entrando in casa, cominciarono a salire le scale.
“Roxanne ma che ti passa per la testa si può sapere?” le chiese sua sorella “Tu vuoi che nostro padre ci uccida?”
“Non credo che mi potrà uccidere tanto facilmente, visto che sto per partire per le Galapagos!” disse in tono ironico, riferendosi alla grossa balla inventata da sua madre.
“Si, allora vorrà dire che ucciderà me!”
“Jason non ha la macchina! Abbiamo bisogno del potere del motore di Arnold per arrivare in centro non ti pare?” Sua sorella sbuffò.
“E’ davvero incredibile! Non so proprio tu come faccia ad avere la capacità di sfruttare la gente come ti pare!”
“Sono una strega! E questo il bello dopo tutto no?”
“Si ma potresti evitare di dire certe cose, io ho anche un fidanzato!”
“Ma io non so proprio cosa ci trovi di speciale in questo Jason!” disse Roxanne, che riusciva a stento a ricordare qualcosa di particolare nel suo volto, che lo potesse distinguere dalla maggior parte degli altri ragazzi.
“Io sono innamorata di lui! Per questo lo trovo speciale! Tu cosa ci trovi di speciale in Arnold?” le domandò. Roxanne la guardò dritto negli occhi “Nulla!” disse in tono serio.
“Allora non puoi capire che cosa si rovi ad essere innamorati!” Eveline si chiuse in camera per prepararsi. Roxanne andò in camera sua chiudendosi la porta alle spalle. Forse era vero. Forse Roxanne non avrebbe mai capito che cosa significasse essere innamorati. Ma la cosa strana, era che il solo pensiero di amare qualcuno le dava la nausea. Ma anche l’idea di andare a letto con qualcuno a cui non teneva veramente, le sembrava piuttosto ripugnante. La verità era che provava piacere nel scandalizzare la gente con battute squallide, che fossero in grado di evocare pensieri sconvolgenti. E soprattutto si divertiva troppo a sfidare suo padre. Aprì l’armadio e pensò a cosa potesse mai indossare. Si disse che forse era ora di mettersi in ghingheri e abbigliarsi da vera donna. Un bel top scollato, una bella minigonna aderente, e scarpe con tacchi. Trucco e gioielli. Aveva tutto quello che gli serviva nell’armadio, per essere una vera donna. Ma proprio tutto. Ma c’erano dei piccoli inconveniente. Non sapeva truccarsi, e non sapeva camminare sui tacchi. Perché non lo aveva mai fatto. E non gli sembrava esattamente il momento più opportuno per fare delle prove di femminilità.
Siccome la sua pigrizia aumentava notevolmente quando si trattava di cambiarsi inutilmente i vestiti, prese semplicemente, una giacca jeans. Prendendo una borsetta a tracolla nera, infilò il cellulare, le chiavi di casa e il portafoglio. Uscì dalla camera in fretta e scese giù dove Carrie e Bonnie blateravano come due papere sul divano, mentre sua madre gettava le carte dei regali in un grosso sacco dell’immondizia.
“Ma non ti sei messa nulla di un po’ più decente sfigata?” le domandarono in coro Carrie e Bonnie.
“Io sono uno schianto così! Non vedo proprio cosa mi manchi! Tanto alla fine è quello che c’è sotto i vestiti che conta veramente!” le due ragazzine trasalirono al sentirsi quella risposta, mentre Roxanne con un dito puntava i loro petti, che a differenza del suo erano completamente piatti, rimasti quelli di due bambine acerbe.
Sua madre l’afferrò per un braccio e la trascinò in cucina, chiudendo la porta.
“Cercate di non fare troppo tardi!” disse. “Non so cosa ti potrà accadere a mezzanotte, ma voglio restarti vicino!”
“E se invece fossi io a non volerti stare vicino per evitare di farti del male? Da come lo dici, sembra che sia piuttosto pericoloso!”
“O Piuttosto sorprendente!” convenne sua madre “Se è da sola che preferisci rimanere, allora fa come meglio credi! Infondo la strega sei tu, e tu meglio sai come gestire i tuoi poteri! Ma evita di farlo davanti a qualcuno!”
“Ho visto un corvo!” oggi disse Roxanne “Un corvo blu! Tu né hai mai visti?” sua madre la guardò sorpresa, scuotendo la testa con aria seria.
“Se per caso lo dovessi rivedere mentre siamo in giro, prova a scoprire qualcosa!” disse lei.
“Roxanne!” la chiamò sua sorella. Roxanne uscì dalla cucina. Anche Eveline alla fine non si era cambiata. Indossava una semplice maglietta a righe nere e rosa, sotto una giacca jeans, intonata ai pantaloni e le scarpe da tennis bianche. Anche se forse non era bella come lei, Roxanne l’aveva sempre trovava molto graziosa. Aveva i capelli rossi come i suoi, legati che ricadevano lisci sulle spalle, con la riga centrale. Gli occhi azzurri erano molto grandi, e si adeguavano perfettamente al viso ovale. Era più bassa di lei, di almeno dieci centimetri, e molto probabilmente, data l’età non l’avrebbe mai raggiunta.
In quel momento arrivò Stanford. Non sapendo quando sarebbe andata via, anche se la presenza dello strano corvo, gli diceva che lo avrebbe fatto molto presto pensò che forse era il caso di salutare il padre.
“Buona serata papà!” lo salutò stringendogli la mano, in un gesto poco affettuoso, proprio come piaceva a lui, che odiava ogni sorta di rapporto affettivo.
“Fammi sapere quando parti!” disse lui
“Certamente!” mentì lei. Anche Eveline lo salutò con un gesto del capo.
Eveline e Roxanne aprendo la porta uscirono dal viale e raggiunsero Arnold e Jason che le attendevano discutendo di Football.  
 I due ragazzi si misero avanti, mentre Eveline e Roxanne passarono sui posti di dietro. Arnold mettendosi al posto di guida girò le chiavi e mise in moto.
“Dove andiamo?” le chiese cominciando a fare manovra.
“A Londra! In centro!” rispose Eveline.
In quel momento Ginevra si era affacciata dalla finestra. La salutò con la mano, e Roxanne ricambiò il saluto. La machina girò e Ginevra scomparve dalla sua vista.
“Non dimentichiamoci che è Halloween!” Disse Roxanne, non potendo fare a meno di chiedersi se quella data centrasse qualcosa con il sigillo.

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Capitolo 7
*** 3 Mani Unite - Parte 1 ***


3

Mani unite

Roxanne guardava fuori dal finestrino della macchina di Arnold, chiedendosi se fosse veramente felice di andare via,  se cambiando vita, avrebbe veramente potuto dire di non aver apprezzato quella che stava conducendo in quel momento. L’era sempre parso tutto così noioso. Anche la sera. Il mondo cambiava solo in apparenza. Non avrebbe mai smesso di odiare i fanali delle macchine, che lampeggiavano, le luci a neon sulle insegne dei negozi e dei locali. Gli adolescenti che ridevano e scherzavano in giro per le strade, accontentandosi della banalità che gli veniva offerta dalla vita. Gli adulti che si recavano nei bar per prendere gli aperitivi. Le discoteche, con tutta la gente che ballava con un odiosa e assordante musica nella testa, che le impediva di pensare. E piuttosto che uscire tutte le sere, come facevano la maggior parte delle ragazze della sua età preferiva rimanere a casa, a immaginare e fantasticare sul mondo che l’attendeva. Ma ora che l’attesa stava per finire, si chiese se anche quel mondo stesse attendendo lei così fortemente. Lì ovunque fosse, o si trovasse, avrebbe veramente trovato il suo posto? O avrebbe desiderato fuggire via, e tornare indietro a condurre la vita che aveva sempre condotto, con la nuova consapevolezza che in fondo non era poi così terribile? In quel momento una mano si posò sulla sua. Roxanne si voltò lentamente verso sua sorella.
“Ehi!” disse Eveline dandole una carezza “Non ci pensare!”
“D’accordo!” disse Roxanne con un sorriso. Forse Eveline aveva ragione. Qualunque fosse la vita che l’attendeva, era più che giusto divertirsi quella sera, per prendersi qualche piccola soddisfazione…
Arnold si diresse verso un garage, dove poter lasciare l’auto.
Una volta entrati il parcheggiatore gli fece cenno con le mani di posteggiare in mezzo a due auto grigie.
“Dove volete andare ragazzi?” domandò Arnold con aria allegra, una volta parcheggiata l’auto.
“Noi proponiamo il Bowling!” disse Eveline in tono euforico. Lei adorava il Bowling, una passione che condivideva con il suo ragazzo.  
Gli altri acconsentirono mentre si mescolavano alla gente che girava per il centro di Londra.
In giro c’era un gran casino. Giovani coppie di fidanzati, e gruppi di adolescenti che compravano zucchero filato, ciambelle o frittelle dai venditori ambulanti, mentre i marocchini e cinesi li intralciavano tutti quanti, con le loro collanine e inutili paccottiglie di gomma da vendere a tutti i costi.
Incamminandosi in una via piena di locali fast-food e sale giochi arrivarono davanti al Bowling dove campeggiava la scritta dalle luci lampeggianti, in viola e arancione. Facendosi largo tra gli adolescenti e le famiglie con i bambini piccoli, pagarono una pista, e oltrepassarono il cancelletto. Posarono le borse sul tavolino davanti alla pista, e si sedettero sulle panchine sorseggiando le coca-cole, offertegli da Arnold. Una volta che le palle da Bowling furono salite sul macchinario poterono cominciare la partita.
Il primo a cominciare fu Arnold che fece un bello strike. Poi toccò ad Eveline, che prese dieci punti.
“Si!” gridò Jason eccitato. “Vai così Eveline!”
Roxanne prendendo una palla da ben dieci chili la lanciò con tutta la che forza aveva nel braccio, buttando all’aria tutti i birilli. “Si!” gridò per se, guadagnando il ponteggio più alto, avuto fin ora, fra tutti loro.
“Accidenti, sei proprio brava!” commentò Jason, quando fu il suo turno.
Roxanne si sedette sulla panchina, ed Eveline si mise accanto a lei.
“Mi dispiace per quello che è successo prima! Non volevo dirti quelle cose!” si scusò.
“Non fa niente non ti preoccupare!” gli rispose lei “Neanche io stavo dicendo sul serio!”
“E solo che… mi mancherai Roxanne…” confessò Eveline. “Soprattutto perché sei l’unica in grado di tenere testa a nostro padre! A volte vorrei essere come te! vorrei avere il coraggio di ribellarmi… invece… non so perché e come se avessi sempre paura di deludere mamma e papà… come se la mia vita dipendesse dalla loro approvazione!”
“E’ naturale che sia così Eveline! Tutte le ragazze voglio rendere i loro genitori orgogliosi! A volte invece vorrei essere io come te!  Amare qualcuno, scoprire un lavoro che mi piace magari… ed essere felice! Invece… La verità e che io non lo ho voluto fare fin ora perché, e come se dentro di me sentissi che il mio destino è un altro!”
 Eveline le sorrise. “E’ così Roxanne! È così!”
“Devo ancora finire di parlare con Arnold! Vuole fidanzarsi con me! Non avrei mai voluto che finisse così tra noi!        Ma non mi lascia altra scelta!” disse Roxanne guardando il ragazzo che in quel momento si voltò e le lanciò uno sguardo colmo di fascino nei suoi confronti. Chiunque avrebbe capito che era pazzo di lei.
“Credevo che voi stesse già insieme!” Roxanne si voltò verso Eveline. Sua sorella teneva l’indice puntato sull’anellino d’argento.
“No!” disse “Non mi sognerei mai di prendermi giocò dei suoi sentimenti! Almeno non fino a questo punto!”
“Ma quindi tu sei ancora vergine?” le chiese la sorella imbarazzata.
“Ma certo! Perché tu no?” dal viso arrossato di sua sorella Roxanne, capì “Non mi dire… tu e Jason…”
“Si! Non lo dire a Papà!” la pregò lei.
“Anche se volessi, dubito che ne avrei l’occasione!” poi si voltò verso Arnold, il ragazzo si era girato, per guardare il punteggio ottenuto. “Devo chiudere la questione con lui!” e alzandosi prese la sua borsa, e gli fece cenno di seguirla poco lontano dalle piste del Bowling. Il ragazzo la raggiunse, e lei afferrandolo per un polso, tanto fortemente che forse gli stava perfino fermando la circolazione sanguinea, lo condusse in bagno.
“Roxanne non partire, ti prego!” il suo sguardo era implorante.
“Devo farlo!” gli rispose Roxanne in tono duro, come un soldato che va a combattere. Questa era la verità. Arnold l’afferrò per le spalle. “Ma perché? Non mi avevi mai detto di avere un interesse per le specie marine alle Galapagos! Lì fa caldo! È tu odi il sole! Ogni volta che ti si propone di andare a mare, in estate, lamenti che ti si brucia la pelle!”
“E’ naturale! Guarda un po’ che pelle bianca che mi è capitata!” con i pollici e i mignoli si indicò la faccia.
“La tua pelle è meravigliosa!” disse “Io ti amo Roxanne!”
A Roxanne non piacque affatto quell’ultima affermazione. Si era dichiarato. E la sua dichiarazione era l’ultima cosa che avrebbe voluto sentire in quel momento.
“Ti prego resta!” la implorò lui “Non c’è bisogno che tu lavori! Tanto io guadagno abbastanza da potermi permettere di mantenere tutti e due! Tuo padre apprezzerà molto il nostro fidanzamento! E non ti dirà più che sei inutile!”
“Arnold adesso basta! Tu non decidi per me!” gli intimò lei “Ti consiglio di trovarti un'altra ragazza! Non avrebbe senso stare insieme se tu poi andassi a letto con un'altra!”
“E così è questo il punto! Hai paura che se parti io vada a letto con un'altra?”
“Non ho detto che io ho paura che tu vada a letto con un'altra! Ho detto che ho paura che tu non riesca a resistere senza andare a letto con un'altra! C’è una differenza sai!”
“Allora facciamolo!” e la sospinse contro lo parete. “Ora! Qui non ci vedrà nessuno!”
“Arnold…!” Roxanne alzando lo sguardo gli lanciò un occhiata gelida “Se avessi voluto fare una cosa del genere con te, lo avrei già fatto! Non avrai mica creduto davvero che io sia una timida?” e con un gesto brusco allontanò il suo braccio per poter passare. Ma il ragazzo l’afferrò di nuovo per un polso. Roxanne si voltò verso di lui.
“Allora perché hai portato il mio anello per tutto questo tempo, se non avevi intenzione di fidanzarti con me?”
Roxanne era incerta su cosa dirgli. Non poteva dicerto spiegargli che quell’anello anche se non era magico, era stato un ottimo talismano per la maggior parte degli uomini che venivano attratti da lei, grazie al Dono della Seduzione.
“Per evitare che altri soggetti indesiderati credessero che io fossi una ragazza disponibile!” semplificò, tirando via il polso dalla sua presa. Aprendo la porta del bagno, una palla da Bowling rotolò lentamente davanti ai suoi piedi. Roxanne si piegò a raccoglierla, quando davanti a lei comparvero un paio di piedi che calzavano dei sandaletti neri. Sollevando lo sguardo Roxanne si ritrovò davanti a Charlotte Coleen, una sua ex compagna del college femminile.
“Ma guarda un po’ chi si rivede!” disse lei con il suo immutabile tono odioso. “Roxanne Oswald!”
Roxanne si alzò in piedi, chiedendosi cosa ci facesse una ragazza come Charlotte Coleen in un posto come il Bowling. Una ricca ragazza di buona famiglia come lei, di solito non amava frequentare certi posti da gente semplice.
“Ho saputo che era il tuo compleanno e volevo passare a farti i miei più sinceri auguri, visto che presto partirai! Ma solo perché mi trovavo da queste parti! Di certo non mi sarei mai sprecata a venire fin qui se non fossi stata invitata a una vera festa, che si tiene proprio qui vicino! Ciao Arnold!”  
“Beh! Potevi risparmiarti ugualmente! Io non provo alcun interesse nell’essere presa in considerazione da una persona come te Charlotte!” gli rispose Roxanne.
Charlotte era una bella ragazza, alta, bionda, con gli occhi azzurri, e una frangetta in stile barbie che gli ricadeva dritta sulla fronte. Avrebbe potuto fare la fotomodella, se non fosse stato per un piccolo incidente… al naso che gli aveva lasciato una bella cicatrice orizzontale proprio sotto gli occhi. Era successo proprio quando lei aveva appena fatto il suo ingresso nel college. Charlotte invidiosa com’era l’aveva subito presa di mira, scrivendo nei bagni che suo padre l’aveva messa in quella scuola non perché lei fosse brava a studiare, ma solo per tenerla lontana dai ragazzi, a cui altrimenti si sarebbe concessa con facilità a ognuno di loro. Roxanne non aveva proprio sopportato una cosa del genere. E durante l’intervallo, Roxanne si era accantonata sotto un albero nel giardino della scuola, a fissare Charlotte che si dondolava sull’altalena con aria soddisfatta, con una tale rabbia, che a un certo punto l’altalena si era sollevata in alto di parecchi centimetri. Solo per poi lanciarsi in avanti a una velocità sovrannaturale. Roxanne se non avesse saputo che c’era della magia in se stessa, non ci avrebbe mai creduto. Charlotte era volata a tre metri di distanza, finendo con la faccia contro il muro del secondo piano della scuola, per poi scivolare lungo la parete come un sacco floscio. Eh si quella era stata una vera vendetta. Anche se inizialmente era rimasta scioccata come tutte le altre ragazze della scuola.
“Non ho la minima idea di cosa tu veda in lei Arnold!” disse Charlotte.
 Roxanne in quel momento vide qualcosa che non si sarebbe mai aspettata di vedere.
Oltre il vetro dell’edificio del Bowling c’era un ragazzo bellissimo, che la stava fissando con aria incuriosita. Era molto alto, e magro,  con dei lunghi capelli argentei, che brillavano di luce propria, ricadendo lisci, sulle spalle dritte. Roxanne lasciò cadere la palla da Bowling, su un piede di Charlotte che cadde a terra gridando per il dolore. Arnold si chinò per aiutarla. Nel rendersi conto di esser stato scoperto a spiare, il ragazzo si sollevò i capelli lunghi, legandoli in una coda e si infilò la testa nel cappuccio grigioblu. Anche se aveva un giacca jeans azzurra, intonata ai pantaloni, Roxanne lo riconobbe. Era il ragazzo che passeggiava ogni tanto davanti casa sua. Mentre Arnold teneva fra le braccia una piagnucolosa Charlotte, Roxanne camminando a grandi falcate, si diresse verso l’uscita, del Bowling, all’inseguimento dello strano ragazzo. Superando l’uscio d’ingresso, si mise a correre in mezzo alla marea di gente che affluiva nella strada. Non era difficile da perdere di vista. La sua altezza superava la maggior parte delle persone, composta soprattutto da ragazzini di quindici e sedici anni. E i suoi vestiti chiari erano ben visibili tra gli abiti scuri che la gente usava più comunemente di notte. All’improvviso la figura del giovane divenne luminosissima, emanando una luce bianca, pura e perfetta facendo brillare anche alcune ciocche dei suoi capelli argentei, sfuggite dal cappuccio, che ondeggiarono nell’aria. Roxanne non poté capire il perché, ma il cuore cominciò a batterle fortissimo, e una sensazione di calore immenso le salì lungo tutto il corpo. Improvvisamente accadde qualcosa d’inspiegabile. Tutto intorno a lei, divenne completamente nero, la gente scomparve della sua vista, mentre un immensa oscurità l’avvolse, cancellando perfino le loro voci. Il ragazzo rimase l’unica cosa visibile ai suoi occhi, che brillava come una stelle incandescente, sprigionando una luce immensa dal proprio corpo. Quella luce divenne così forte che Roxanne fu costretta a sollevare il braccio per non esserne abbagliata. Chiuse gli occhi, e rimase così per alcuni secondi.  Ma subito si costrinse a riaprili per non perdere di vista il giovane. La luce era scomparsa, il chiasso delle voci era tornato, e il mondo era perfettamente come prima.
Cos’era successo?
Roxanne non aveva tempo per porsi certe domande proprio in quel momento, dato che aveva tutte le buone intenzioni di restare dietro al giovane. Una volta ripresa la corsa, vide il ragazzo dai capelli argentei, poco più avanti di lei, che camminava a passo svelto nel tentativo di seminarla. Senza perdere tempo, si mise correre tra la folla in gran fretta, mentre frotte di adolescenti gli bestemmiarono dietro di tutto e di più, senza alcuna misura nello scegliere le parolacce. Ma Roxanne non gli badò e seguendo il ragazzo, raggiunse i margini di una piazza, standogli dietro, anche se lui non si accorse di lei. Superando l’inferriata che la circondava, Roxanne vide, dietro l’arcata, di un grande palazzo, un uomo appostato nell’ombra che appena vide il ragazzo imbucare una strada secondaria lo seguì furtivo. Il ragazzo allora si mise un cappello di lana scuro e si infilò il cappuccio grigioblu sulla testa. Ora Roxanne doveva stare attenta anche a quella nuova comparsa, per non farsi notare, e aumentò ancora di più le distanze. Perse di vista il ragazzo e rimase in parte visibile dietro l’uomo, dall’aria minacciosa. Dalla sua corporatura massiccia, si poteva intuire che quell’uomo fosse fisicamente molto allenato. L’inseguimento la condusse giù per una rampa di scale molto lunga che portava sotto un ponte.
A quel punto accadde qualcosa d’inspiegabile.
L’uomo che aveva quasi raggiunto il giovane, prima che potesse passare sotto il ponte, si trasformò in una nuvola di denso fumo nero, abbandonando gli abiti che si afflosciarono al suolo svuotati. Roxanne gettandosi con il corpo dietro un muro sollevò la testa osservando lo spettacolo con gli occhi sbarrati. Il fumo nero si sollevò in alto nel cielo, condensandosi. Lentamente prese forma una strana creatura dalla corporatura simile a quella di un essere umano. Le braccia nere si allungarono in delle mani artigliate, come quelle delle dita dei piedi. La testa si sollevò formando delle corna ritorte e delle lunghe ali nere simili a quelle di un pipistrello si spiegarono, mentre una coda uncinata si agitò dietro l’intera figura.
Roxanne lo aveva già visto più di una volta, in uno dei suoi incubi.
La creatura planò velocemente verso il basso, atterrando con maestria, dinanzi al giovane, poggiando una mano a terra e una davanti a lui con il palmo aperto.
“E’ inutile che ti nascondi Morgonten!” disse con una voce scura “Svelati e mostrami i tuoi poteri!”
Allora Roxanne non esitò più. Prendendo la rincorsa raggiunse il giovane.
“Vieni via!” gridò, afferrandogli il polso.
Dalla mano della creatura uscì una potente luce rossa, così forte che abbagliò i loro occhi.
Nello stesso istante in cui la mano di Roxanne toccò quella del giovane, un’altra luce, si accese dalle mani di entrambi. Roxanne quasi non se né accorse e voltando le spalle alla creatura prese a corre a perdi fiato, trascinandosi il giovane confuso.
La luce rossa che alleggiava nel palmo proteso della creatura settò in una serie di lampi nella loro direzione.
“A terra!” gridò al giovane, nel tentativo di circondandogli la spalla, per gettarlo al suolo. Ma in quel momento la luce bianca che brillava tra le loro mani unite divenne così potente che non videro più nulla per alcuni secondi. Roxanne percepì qualcosa che non aveva mai provato prima. Una potentissima energia che aprì dal suo cuore, calda come il fuoco si divulgò per tutto il suo corpo, raggiungendo la mano che stringeva quella del giovane. La luce bianca si intensificò e si espanse in ogni direzione, come una onda d’energia pura, rigettando i lampi di luce rossa verso la creatura che li aveva evocati.
L’orrido mostro gridò con una voce agghiacciante mentre la luce bianca lo investì. Si sollevò in aria, come se fosse stato leggerissimo e ritornando un indistinto fumo nero scomparve nel cielo della notte.
La luce bianca si affievolì e scomparve del tutto dalle loro mani, ancora unite. Il buio calò su di loro.
Entrambi stesi al suolo, si guardarono per un lungo istante.
Roxanne guardò il ragazzo dai capelli argentei. Era davvero bellissimo. Anche lui la stava guardando con degli intensi occhi di un azzurro chiarissimo che parevano acqua. Aveva un viso particolare, diverso da quello di qualsiasi altro giovane uomo: Sottile ed elegante, più simile a quello di una creatura immaginaria. Dai suoi capelli argentei si sprigionò ancora una volta quella luce incredibile, e su di loro calò un buio assoluto, innaturale. Roxanne non sapeva perché, ma non riusciva a distogliere gli occhi dal giovane. Era come se né fosse calamitata. Rimasero per alcuni lunghi istanti a guardarsi, rapiti l’uno dall’altro. Allungando la mano, gli spostò una sottile ciocca che gli ricadeva sul profilo del naso.
Le sue dita scivolarono sugli zigomi, accarezzandogli il profilo della mascella.
“immagino che devo ringraziarti per questo?” disse lui.
“Soltanto se vuoi!” gli rispose Roxanne “L’importante e che non lo dimentichi!”
Entrambi si voltarono istintivamente alle loro spalle per guardare il punto in cui era svanito il fumo.
“Non ho mai visto una cosa del genere in tutta la mia vita! Ma cos’era?”
“Non lo so!” Ammise Roxanne. “La luce che è scaturita dalla tua mano… Come hai fatto ad evocarla?”
Il ragazzo la guardò confuso. “Non  ho mai visto una roba del genere fino ad ora! È tutto così strano! Ma che sta succedendo?” Domandò il ragazzo.
A quella frase Roxanne si demoralizzò. Quel ragazzo le apparve improvvisamente per ciò che era realmente. Un ragazzo come tutti gli altri.
Per un attimo si era convinta che fosse stato lui a evocare quella luce bianca. Che fosse una persona speciale dotata di poteri magici anche lui. Ma era stata solo un illusone. Quella luce…  Era stata lei a vocarla. Ma come era possibile? Il sigillo non si era ancora schiuso.
O si? Era già passata mezzanotte? O era forse quello il sigillo? Si era schiuso in quel momento salvando la vita di entrambi. Ma allora come era possibile che quel ragazzo aveva emanato quella strana luce, prima?
O forse era lei ad aver visto la luce introno a lui.
Forse perché si trovava in pericolo?
Anche quella era una qualità dei suoi poteri? Individuare la gente in pericolo?
Perché su questo non c’erano dubbi. Quel ragazzo aveva corso un serio pericolo.
Alzandosi in piedi cercò di aiutare il giovane a rialzarsi, ma lui ricadde a terra in ginocchio.
A quel punto Roxanne s’inginocchiò a terra difronte a lui e si rese conto che il labbro inferiore andava gonfiandosi velocemente. Probabilmente aveva sbattuto il viso, mentre lei lo costringeva a gettarsi al suolo. Prendendogli il viso tra le mani osservò il labbro spaccato. Non era così grave. Almeno non come gli era parso un attimo prima.
“Sto bene!” disse il giovane abbassando lo sguardo, imbarazzato. Roxanne invece tenne gli occhi fissi su di lui, e lo guardò decisa.
“Io comunque, mi chiamo Roxanne, se mai volessi ringraziarmi!” allungò inconsapevolmente la mano sinistra, non come era abituata a fare di solito, che porgeva la destra. Ma il ragazzo era talmente preso da lei che non le rispose, e le porse la mano destra. Dato che una mano destra non riesce facilmente e chiudere una sinistra, e vice versa le loro mani inconsapevolmente si alzarono, e nel tentativo di toccarsi unirono i polpastrelli e i palami. Roxanne sentì qualcosa che cominciava ad agitarsi dentro di lei, come una corrente fortissima, un energia che non aveva mai sentito prima. Guardando la sua mano sinistra congiunta alla destra del giovane si accorse che brillava di una strana luce viola. Anche lui, che irradiava nuovamente quella strana luce, si voltò versò il basso guardando le mani unite. Le allontanarono appena un po’ mantenendo sempre le stessa posizione. In mezzo alle due mani che si erano aperte, brillava una luce bianca, come una piccola stella, tenuta da una scia di luce viola che proveniva dalla mano di Roxanne e da un'altra blu, che proveniva dalla mano del ragazzo. Entrambi guardarono stupiti, il fenomeno sovrannaturale. Poi si scambiarono un occhiata interrogativa. Improvvisamente il ragazzo smise di brillare, e il buio intorno a loro scomparve. Il cellulare di Roxanne squillò e lei tentò di prenderlo maldestramente con la mano destra. Ma dalla luce che proveniva dalla mani di entrambi saettò un fulmine blu che colpì in pieno il cellulare.
“Ahia!” gemette Roxanne che tirò via anche la mani sinistra spezzando quella magia misteriosa. Si portò la mano sinistra alla destra, massaggiandosela. Il cellulare fumava. Era letteralmente andato. Partito. Nel vero senso della parola, fulminato. Roxanne ne fu perfino felice, almeno non lo avrebbe più sentito nelle orecchie per un po’. Poi portò lo sguardo verso il ragazzo.
“Ma che cos’è successo?”
“Mi farebbe piacere saperlo anche a me!” gli rispose lui
Roxanne sollevandosi in piedi, gli allungò entrambe le mani e lo aiutò a rialzarsi.
“Io comunque sono Andris!” disse una volta che si fu rimesso in piedi.
I due si voltarono all’unisono portando gli sguardi verso i vestiti flosci abbandonati al suolo.
Roxanne si avvicinò lentamente. Chinandosi, tastò la giacca di pelle nere con la punta delle dita. Erano dei normali vestiti da uomo.
“Io ancora non ci credo!” disse Andris “Non prendo sostanze! Ma se lo facessi attribuirei quello che ho visto all’effetto di qualche droga! Diamine ma chi l’ha mai vista una roba del genere? Ti rendi conto che si è volatilizzato nel nulla?”
Roxanne non rispose. Dalle parole del giovane ebbe la conferma che non gli stava mentendo. Lui non aveva niente a che vedere con una come lei.
Sollevando uno dei grossi scarponi non poté fare a mano di chiedersi a cosa alludesse quel mostro, con le sue frasi. Tra le sue parole ne aveva udita una che non aveva mai sentito fino ad allora.
Morgonten.
Cosa significava Morgonten?

NOTA: Complimenti a chi ha avuto il coraggio di arrivare fino al fondo del capitolo. Non potendo dividere la vicenda, ho pubblicato la parte più lunga in questo. La seconda parte del Terzo capitolo sarà certamente più breve. (ma non troppo)
Se avete notato degli errori di battitura o cose che vi hanno fatto storcere il naso, non esitate a commentare. 

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Capitolo 8
*** 3 Mani Unite - Parte 2 ***


RINGRAZIAMENTI: Vorrei prendere due piccole righe dedicate a Black Daleko per aver recensito con costanza ogni singolo capitolo, e ringraziarla con tutto il cuore per l’impegno preso.
NOTA: Per chi fosse interessato alle informazioni, aggiornamenti e sviluppi della storia può visitare la mia pagina Facebook. 

GothicGaia o il mio blog su Tumblr Il Nido di fuco di Gaya-Ingves
E come sempre… se trovare errori di battitura o robacce varie, non esitate a segnalarmeli, e provvederò a correggerli.
 
 
*
In tanto Arnold ai margini della piazza che costeggiava la strada del Bowling, si era appena fatto salvare dall’ambulanza. Se non fosse arrivata in tempo sarebbe stato costretto ad uscire con Charlotte, che si era dimostrata davvero insistente nei suoi confronti. Arnold non aveva ben capito quest’ultima mossa di Roxanne. Perché di una cosa era certo, si era trattato di una mossa strategica. Dopo che la ragazza dagli ineguagliabili occhi viola lilla aveva inspiegabilmente gettato una palla da bowling di ben quindici chili sul piede di Charlotte Coleen, andandosene senza dire nulla, si era sentito in dovere di soccorrere la povera vittima. La ragazza si era fratturata il pollice, e così Arnold aveva chiamato l’ambulanza. Arnold, Evline e Jason avevano aspettato sulle panchine, che l’ambulanza arrivasse. Nel frattempo Cherlotte  si era fatta avanti, in modo audace, confessandogli che lui le piaceva. E stranamente, Eveline, gli aveva perfino fatto l’occhiolino, per fargli capire che avrebbe fatto bene ad accettare il suo invito. Possibile che la sorella di Roxanne fosse d’accordo con una perfetta estranea?  Quando finalmente l’ambulanza era arrivata e aveva controllato la sua caviglia, Arnold, Eveline e Jason l’avevano salutata e uscendo dal Bowling, si erano diretti nella piazza in cerca di Roxanne. ma non trovandola avevano deciso di tirare fuori gli I-phon per chiamarla. Ora il cellullare di Arnold squillava mentre lui camminava sul marciapiede avanti a indietro. Poi improvvisamente la linea si bloccò, come se il cellulare fosse stato spento di colpo.
“Niente da fare! Non risponde! Ora la linea è anche staccata! Accidenti!” e batté un piade sulla pietra che lastricava la piazza.
“Non le dare retta!” disse Eveline. “Mia sorella è fatta così!”
“Ma perché si è comportata in quel modo assurdo?” domandò Arnold, gridando, tanto che molti passanti si voltarono per guardarlo infastiditi.
“Sarai anche uscito con lei molto spesso e forse ti piace considerarti un suo amico, ma tu non la conosci Roxanne!” gli rispose la ragazza.
Arnold la guardò con aria confusa. Proprio non capiva. “Cosa mi vorresti dire con questo?”
“Quella ragazza quando andavano insieme al college l’ha stuzzicata, in modo da litigarci. E Roxanne non è un tipo che perdona facilmente una persona che tenta di prevalere su di lei. E ora se vuoi un mio consiglio, trovati un'altra ragazza, e non pensarci più, perché con la scorza dura di cui è ricoperta, potrebbe spaccarti i denti!”
Quello di Eveline era un modo alternativo per dire che Roxanne non era pane per i suoi denti?
Arnold non era troppo convinto di aver capito.
 
 
In tanto Andris e Roxanne si erano avviati insieme verso la stazione dei treni, correndo.
“Dobbiamo far presto!” disse Andris “O perderemo l’ultimo treno!” fecero in fretta i biglietti alla biglietteria, mentre il tabellone annunciava la chiusura della stazione,
“il treno partirà fra due minuti!” stava ripetendo la voce della radio.
Roxanne di bloccò di colpo sotto l’orario del tabellone. Erano le undici e mezza. Non era ancora passata mezzanotte.
Il sigillo non si era ancora schiuso.
Allora come aveva fatto a utilizzare i suoi poteri? Cos’era successo mezz’ora prima?
Il giovane che fino a un momento prima stava correndo le venne vicino scuotendole un braccio.
“Ehi! Va tutto bene?” domandò “Sei diventata improvvisamente pallidissima!”
Roxanne si riscosse. E guardando il suo bel viso si ricordò che aveva preso un brutto colpo. “Si va tutto bene!” si affrettò a dire, dirigendosi verso il treno. Deviò di colpo la strada e svoltò verso il bar, che stava mettendo giù la grata.
“Dove stai andando?” gli gridò Andris. Roxanne si precipitò davanti al barista e gli chiese una bottiglina d’acqua con un sacchetto di ghiacciò. Prese un paio di fazzoletti dal ripiano di marmo e raggiunse il giovane. Il treno stava iniziando a scorrere sui binari.
Insieme ansimarono correndo, per raggiungerlo. Andris si aggrappò con un braccio alla sbarra e saltò a bordo. Allungando l’altro braccio rimasto libero, afferrò Roxanne per mano e la tirò su.
A quell’ora nel treno non c’era quasi nessuno, e camminando tra i vagoni, ne trovarono uno completamente vuoto dove decisero di accomodarsi.
“Ma non c’era bisogno di comprare dell’acqua!” disse il ragazzo.
“Non fare complimenti!” gli rispose lei.
Roxanne sedendosi dal lato del finestrino stappò la bottiglina d’acqua e la versò sul fazzoletto inumidendolo. Afferrò il mento del ragazzo e con delicatezza gli pulì il labbro su cui s’era formata una piccola crosta rappresa. Osservandolo ancora una volta non poté fare mane di pensare che fosse molto bello. Aveva un viso triangolare, con il mento appuntito, e dei lineamenti sottili, così come gli zigomi e le sopracciglia, ben disegnate su quegli occhi chiarissimi. La bocca carnosa, unita alle sue ciglia molto lunghe per i canoni di un viso maschile, gli conferivano un aspetto leggermente androgino. Andris che la stava osservando a sua volta, con uno sguardo incredibilmente dolce, arrossi vistosamente. Sentendosi un po’ imbarazzata Roxanne, gli sollevò la maglietta per guardare il colpo che aveva preso allo stomaco, durante la caduta. Un piccolo livido si stava velocemente formando sugli addominali. Non tutti l’avrebbero detto ma aveva un bel fisico, tonificato. Era magro e snello, con i fianchi stretti, e le gambe lunghe.
Prendendo il sacchetto di ghiaccio glielo posò delicatamente sul livido, mentre il giovane si riabbassò la maglietta.
“Perché mi stavi spiando?” gli chiese dopo un istante, superando ogni timidezza.
“Devo ammettere che non saprei darti una risposta precisa!” confesso Andris in tono schietto. “Insomma io non sono un tipo che ama molto corteggiare le ragazze! Ma non so perché tu mi hai incuriosito! Cioè non di aspetto… cioè si anche… con questo non voglio dire che non sei carina… Però non pensare che lo ho fatto per provarci con te! Insomma…”
Roxanne gli posò delicatamente una dito sulle labbra. “Ho capito tu non sei molto bravo a esprimerti con le parole!”
“E perché non sono abituato a rapportarmi in modo così confidenziale con una ragazza!” dichiarò lui.
Roxane rimase in silenzio. Non sapeva più che pensare. Era convinta che il sigillo si fosse infranto. Era convinta di aver fatto tutto da sola. Invece non era così. Cosa era successo veramente? Cosa era accaduto quando le loro mani si erano incontrate? Non sapeva più che pensare di quel giovane. Era chiaro dal suo tono ingenuo, che non le stava mentendo.
Ma questo non significava che fosse un comune mortale come tutti gli altri. Anche lui aveva sicuramente dei poteri speciali, di questo ne era certa.
“Chi sei veramente?” domandò a se stessa in un sussurro.
“Chi sono veramente?” domandò lui incerto. Roxanne si voltò per guardarlo in viso. Non si era resa conto di aver espresso il pensiero ad alta voce.
“Andris Waylon!” continuò lui “Un ragazzo di ventidue anni che ha finito il liceo già da un po’ e non ha ancora preso in considerazione l’idea di iscriversi all’università. Di tanto in tanto trova qualche lavoretto part-time per aiutare i genitori a mantenerlo!”
“Non era esattamente quella la mia domanda, comunque grazie!” si affrettò a rispondere,  “Io credo che tu non sia una persona comune! Quando le nostre mani si sono unite, è successo qualcosa di speciale!”
“Più che speciale io lo definirei strano!”
“Andris, non volevo dirtelo subito, per non spaventarti. Quando ti ho visto, e ho iniziato e seguirti, tu hai incominciato a brillare. Era luminoso come una stella nel cielo!”
Alle sue parole il giovane impallidì. Dal suo sguardo si capiva che ne sapeva qualcosa.
“Andris, tu non sei un ragazzo come gli altri!” ripeté Roxanne in tono molto serio. Non riusciva a capire se le stesse nascondendo qualcosa per mantenere un segreto proprio come stava facendo lei o se veramente non sapesse nulla di se stesso.
“Non ti è mai capitato di fare cose strane? Di spostare gli oggetti con lo sguardo, e di vendicarti in qualche modo sovrannaturale con una persona che lo meritasse?”
Il ragazzo scosse il capo. “Non ho mai fatto nulla del genere. E vero, lo ammetto, spesso i miei capelli emanano luce propria. Mi è successo altre volte! Ma non così. Erano solo i miei capelli che brillavano e potevo facilmente nasconderli sotto un cappuccio. Questa volta è stato diverso, era l’intero corpo che brillava e non sapevo che fare, per questo sono fuggito. Avevo paura che qualcuno se ne accorgesse! Non immaginavo che ci fosse qualcuno pronto ad aggredirmi!”
“Quindi tu sapevi chi era quella creatura?”
“No! Roxanne se pensi che io ti stia nascondendo qualcosa ti sbagli! Non ho la minima idea di chi e cosa fosse, e spero sinceramente di rivederlo mai più!”
“E quindi non sai minimamente cosa volesse dire con Morgonten?”
Il ragazzo scosse ancora una volta il capo. Roxanne si demoralizzò.
“E possibile che volesse te! Io così almeno pensavo, fino a questo momento. Infondo sei tu che mi hai salvato! E sei tu che ti sei dimostrata più sicura in questa situazione! Credo che dovrei essere io farti le domande! Roxanne, chi sei?”
“ma non hai notato che a un certo punto è diventato tutto buio?”
“si, era come se ci fossimo solo noi due! Riuscivo a vedere solo te, nella folla!”
“forse gli altri allora non si saranno accorti che tu sembravi una stella scesa dal cielo!”
“lo spero proprio!” commentò Andris in tono cupo. Roxanne capì che quel ragazzo era veramente diverso dagli altri. Ma non lo sapeva. Qualunque cosa fosse, era all’oscuro della sua vera natura.
“Cosa pensi che ci sia successo quando le nostre mani si sono unite?” domandò Roxanne dopo un attimo di riflessione.
Il giovane la guardò per un lungo istante. “Non né ho idea!”
“Voglio riprovarci!” affermò Roxanne con sicurezza.
Il ragazzo la guardò ad occhi sgranati. “Ma sei pazza! Dopo che ti si è anche fulminato il telefono tu vuoi anche riprovarci?”
“Ah il telefono! Non era importante!” insistette.
“Magari potranno anche non piacerti i telefoni, ma sono comunque oggetti che hanno un costo!”
“La cosa non mi preoccupa! Mio padre mi comprerà un nuovo modello!”
“Mi fa piacere per te! i miei riescono a stento a pagare le bollette della luce!”
“Con uno come te in casa, si preoccupano anche di pagare la luce?” disse Roxanne.
Andris si voltò abbassando lo sguardo. Era chiaro che quella battuta non lo faceva ridere. “Tu sarai anche una ragazza molto sicura di se, ma io sono un tipo molto timido! Quindi per favore non scherzare! Lo so che sono noioso. Infatti non ho mai avuto molti amici!”
“Beh avere degli amici non è una fortuna concessa a tutti! Anche io sono sempre stata abbastanza sola!”
“Però dall’anello che porti la cosa mi dice che sei fidanzata!”
Roxanne si guardò l’anello d’argento che portava al indice. Rimase in silenzio per alcuni istanti “Lo ho lasciato!” disse “Anzi in realtà non siamo mai stati veramente insieme! Lui mi ha fatto la sua dichiarazione proprio mentre gli stavo per dire che devo partire!”
“Dove devi andare?”
“A studiare all’estero!” non gli andava di mentirgli fino in fondo, ma aveva capito che per lui, la verità sarebbe stata troppa.”
Il ragazzo divenne visibilmente triste, al sentire quelle parole “Ma quindi… non ci rivedremo per un po’!”
“voglio essere sincera con te” disse Roxanne capendo il suo stato d’animo “Non so se tronerò!”
“Quando partirai?” le domandò lui ansioso.
“Ancora non lo so!” gli rispose lei “Ma sicuramente molto presto!”
“Potremmo vederci ancora, non è vero?”
“Non lo so Andris! Non lo so!” con quelle parole il discorso fu chiuso. Aprendo il suo giubbotto il ragazzo, tirò fuori delle auricolari e il cellulare. Lo accese, inserì la spina delle cuffie al suo interno. Le offrì una cuffia, e lei accettò.
Con una cuffia nell’orecchio di Roxanne e una nell’orecchio di Andris, i due si misero a scegliere cosa ascoltare insieme. Scoprirono di avere lo stesso gusto musicale e non fu difficile trovare una canzone che andasse di sentire ad entrambi. Roxanne appoggiò la testa sulla spalla del ragazzo, e lui il mento sulla sua nuca. Rimasero così per parecchi minuti, con la musica nelle orecchie. Lentamente Roxanne afferrò la mano del ragazzo intrecciando le dita tra le sue. Ma non accadde nulla. “Vuoi forse che ci fulminiamo il cervello?” le domandò lui a bassa voce, ritraendo la mano. Si tolse la cuffia dall’orecchio e staccò l’altra dal suo. Togliendosi il sacchetto di ghiaccio dal ventre si mise di lato e allargò la mano. Roxanne fece lo stesso e intrecciando le dita introno a quelle di lui la chiuse. Ma non accadde nulla.
“No! non avevamo fatto così!” disse Andris. Provarono a stendere le mani, tenendo i palmi appoggiati. Ma ugualmente non accadde nulla. Infine si tennero uniti solo per i polpastrelli delle dita.
“non so più che fare…” mormorò Andris sconfortato.
 Vedendo che non succedeva nulla, Roxanne stava per ritrarre la mano, quando involontariamente spinse lievemente il palmo contro quello di Andris.
“aspetta…” sussurrò Roxanne. tra le loro mani si creò nuovamente la sfera di luce bianca, legata da una scia azzurra e una viola. Entrambi guardarono sbalorditi lo strano fenomeno che si era creato tra loro.
“L’avevo detto io che eri speciale!” sussurrò Roxanne a se stessa, sentendosi riappacificata con i suoi dubbi.
In quel momento dalla sfera di luce saettò un fulmine che colpì il condotto d’areazione del treno. Le luci si fulminarono, i motori si spensero, e il treno si fermò. Calò il buio totale.
“Mi sa che abbiamo combinato un bel pasticcio, sai Roxanne!”
Si alzarono in piedi e percorrendo il treno per intero raggiunsero il macchinista e le poche persone a bordo. Il macchinista disse che il treno si era guastato per chissà quale motivo. E loro non dissero nulla, ben sapendo che era meglio non farlo. Li fece scendere sui binari, e guardando le case che li circondarono, si resero conto di essere molto vicini alla fermata.
“Per fortuna abitiamo vicini! Anche se ovviamente tu non mi hai mai visto, perché cammino sempre con il cappuccio sulla testa, per non farmi notare i capelli!”
 “Ah! Si invece ti ho visto più di una volta. Anche questa mattina! Pensavo fossi un drogato!”
“Grazie per il complimento!”
“Ma come fai poi a lavorare?”
“Oh! Io faccio il baby-sitter! Ai bambini mica li prendono sul serio, se dicono alla madre che mi brillano i capelli!” Superando i binari raggiunsero una strada principale e mentre camminavano uno scroscio d’acqua cominciò a cadere. I due bestemmiando si misero a correre il più velocemente possibile, tenendosi per mano. Una volta raggiunto il parco residenziale, nella fretta di rientrare ognuno a casa propria scivolarono entrambi sul marciapiede.
“Porca miseria!” bestemmiò Roxanne “Vorrei sapere chi ha tirato chi!”
“Temo che siamo caduti insieme!” disse Andris che si trovava ancora per metà sotto di lei. Roxanne si alzò con lentezza, cercando di stare molto attenta. Era completamente fradicia. Non appena si fu rimesso in piedi anche Andris si rimisero a camminare molto lentamente con i vestiti incollati addosso. Quando furono arrivati davanti alle loro case, Roxanne si voltò verso il ragazzo e lo salutò. Andris rispose al saluto spostandogli una ciocca di capelli bagnati dalla fronte.
“Visto che forse non ti rivedrò più, ti confesso che sei la prima ragazza che mi piace, Roxanne!”
Roxanne avvampò sentendosi imbarazzata. “Vorrei tanto poterti dire che mi farebbe piacere passare questi ultimi momenti con te! Ma ho una cosa molto importante da fare!”
“A quest’ora della notte?” domandò lui incredulo.
“Non chiedermi di cosa si tratta!” e con quelle parole si avviò verso casa sua. Roxanne aprendo la porta, rimase inorridita, nel trovare Carrie e Bonnie sul suo divano, che dormivano come se fossero a casa loro. Avrebbe tanto voluto sollevarle di peso e buttarle fuori sotto la pioggia, ma non lo fece, e con i vestiti che sgocciolavano salì le scale ed entrò in camera sua. Cominciò a spogliarsi in gran fretta. si tolse il reggiseno e si mise una canotta di cotone nero aderente. Rimase stesa sul letto a fissare il soffitto. Temeva quello che sarebbe successo. Il sigillo si sarebbe infranto. Si girò di lato, e guardando in direzione della finestra, scorse il corvo blu, che volò via in gran fretta per non farsi notare. Sarebbe rimasta giusto qualche altro momento. Per qualche stana ragione, aveva un sonno terribile. Ma il suo cuore le diceva che non era il momento di addormentarsi. Doveva andare via di lì. Eppure il sonno ebbe la maglio, e si lasciò andare. Avrebbe dormito giusto un po’.
*
 In quel momento Richard uscendo dal bagno si accorse che la camera di Roxanne era socchiusa. Appoggiandosi alla porta gettò un occhiata, per guardarla stesa di lato, rivolta verso la finestra, con le coperte arrotolate sotto il ventre, e le lunghe gambe bianche che brillavano ai raggi della luna, fino ai fianchi, e la canotta arrotolata che rivelava una parte della sua schiena. Le sarebbe mancata ora che sarebbe andata via. Eccome se le sarebbe mancata. Si allontanò quasi di corsa e rientrò in camera sua.
*
Una figura incappucciata di nero, attendeva nel giardino delle ragazze Oswald, che anche l’ultima luce, fosse spenta. Rimase lì a fissarle la facciata scura, dalle cornici delle finestre bianche che brillavano ai raggi dell’unica luna di quel mondo, chiedendosi se avesse trovato ciò che andava cercando. Accanto a lui un'altra figura più piccola, scalpitava impaziente di fare il suo lavoro.
“Buono Ragadoll!” disse. La piccola figura rossa, piegata sulle ginocchia, con le mani dai lunghi artigli era intenta a rigirarsi tra le dita qualcosa trovato a terra. Gli rispose con un occhiata beffarda degli occhi gialli. Quando ebbe presupposto che ormai fossero tutti addormentati si avviò verso la porta con la creatura al seguito, e sfoderando la sua bacchetta magica da sotto il mantello nero pronunciò un incantesimo. “Hexilirth!”
Dalla punta della bacchetta su cui era incastonata una gemma viola, brillò una luce dorata che aprì la serratura. Entrò nel salotto e guardò le due giovani prive di poteri magici che dormivano sul divano. Afferrò velocemente la creatura per la collottola, fermandola in tempo, prima che le potesse aggredire. Era un diavoletto del sangue. Una creatura, in grado di entrare e uscire negli oggetti materiali, per cercare cose nascoste al loro interno. Si guardò intorno in cerca di uno specchio. Era lì il primo posto deve lo avrebbe fatto entrare il diavoletto del sangue.
Ma apparentemente non sembrava ci fossero specchi. Sopra ai due divani ne vide uno strano, tutto nero, in cui ci si poteva specchiare ben poco, dalla forma rettangolare. ‘Che strano…’ Pensò ‘Usano degli specchi neri… Che abbiano paura della propria immagine?’ Salì le scale e guardò le tre porte delle camere da letto, poi si diresse verso l’ultima. Era il bagno. Lì c’era quello che gli serviva. Uno specchio normale, non nero, abbastanza grande. Quello sarebbe stato il luogo ideale, dove poter mandare un diavoletto. Abbassò lo sguardo e lo incrociò con quello della creatura. “vai!” gli ordinò. La creatura cacciò fuori la lingua lunga e leccò la superficie, increspandola. Lo specchio ondeggiò come se fosse fatto d’acqua, e con un balzo verso l’alto, la creatura ci si tuffò dentro. Il mago guardò il proprio riflesso. Era davvero orrendo. Più del mostro che lo accompagnava. Sorrise a se stesso, mentre il suo riflesso si unificava a quello della creatura al suo interno. Avrebbe fatto il suo lavoro. Uscendo dal bagno, percepì un potere, che proveniva dalla camera di fronte, socchiusa. Della magia. Una grande Magia. Un magia potente. Sapeva che correva un grosso rischio ma decise ugualmente di entrare. Sulla sinistra, una ragazza dalla pelle estremamente bianca, e i lunghi capelli rosso sangue, dormiva voltata verso il muro, quasi completamente nuda. Avvicinandosi, il potere magico si intensificò. Era lei. L’aveva trovata! Dopo tanti anni! In quel momento ebbe la follia della sua mente perversa prese il sopravvento, e sfoderò la sua bacchetta che cominciò a brillare di una luce viola. Forse avrebbe dovuto farlo. Avrebbe dovuto ucciderla subito. In quel momento. In quel istante. Ma il gracchiare di corvo gli fece ritornare il senno, e costringere a guardare fuori dalla finestra. Il corvo blu, era posato sul cornicione e lo fissava minaccioso. Lo avevano scoperto. Ormai era troppo tardi! Non c’era più nulla che potesse fare! Con estrema cautela, senza fare rumore, uscì dalla camera della ragazza mentre il mantello frusciava sul pavimento.
Doveva trovare il Libro. 

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Capitolo 9
*** 4 Il Demone in Casa - Parte 1 ***


RINGRAZIAMENTI: Voglio profondamente ringraziare i miei nuovi lettori tra cui Old Fashioned, MatitaSanguigna, Vanessa1995 e Morgengabe, che spero arriveranno fin qui, per leggere il messaggio. 
NOTA: E come sempre se c'è quanche errore di battitura non esitate a farmelo notare. 


4

Il Demone in Casa



Roxanne guardandosi intorno si rese conto di trovarsi nel giardino dell'antica villa Oswald.
Un ampio prato, invaso dagli arbusti, era l'unica cosa che divideva lei dall'arco di rose che conduceva nel labirinto.
Cosa ci faceva lì?
Era passato tanto tempo da quando lei abitava alla villa Oswald. Da quando i suoi genitori si erano separati, suo padre aveva cercato un appartamento altrove, vicino al suo posto di lavoro. E i suoi nonni, che preferivano la casa di città, la utilizzavano solo per le vacanze.
Raramente Roxanne si era recata lì, negli ultimi anni.
Prese a camminare con passo estremamente lento. Il vento le accarezzava la pelle facendola rabbrividire, e poi capì perché, gettando un occhiata bassa al proprio corpo.
Era nuda.
Continuò a camminare tra gli stretti sentieri di siepi ormai selvagge, scavalcando rovi e spine, che s'erano insediate in ogni angolo, fino a raggiungere il centro del labirinto.
Lo specchio era di nuovo lì.
Una porta che attendeva solo di essere aperta.
Roxanne!”
Un sussurro quasi privo di tonalità la raggiunse, così basso da apparire quasi un soffio.
Questo però non bastò a confondere la mente di Roxanne.
Era la sua voce.
Il suono del richiamo del signore degli Incubi.
Roxanne questa volta non esitò. Prese a salire un gradino alla volta fino a raggiungere il grande vetro in cui si riflesse la sua immagine nuda.
Osservandosi attraverso lo specchio, Roxanne vide il corpo di una donna matura, troppo diversa dalla bambina che s'era riflessa l'ultima volta.
Roxanne!” la chiamò ancora la voce del signore degli Incubi.
Roxanne allargando la mano poggiò il palmo sulla superficie del vetro.
Accadde qualcosa che non si era aspettata.
L'aria fu invasa da un improvviso freddo, tanto potente da far tremare perfino gli animali. Una serie di stelle di ghiaccio caddero dall'alto posandosi sulla sua pelle nuda, dandole l'impressione di essere sfiorata da una piccola lama. In un attimo il paesaggio fu invaso da un manto bianco, e lo specchio da cui pendevano lunghe stalagmiti, si spaccò sotto il palmo della sua mano.
Roxanne tolse istintivamente la mano, non appena vide le crepe allargarsi dalle punte delle sue dita. Lentamente le sottile linee delle increspature raggiunsero la cornice dello specchio, fino a formare un reticolato fittissimo, dove l'immagine del suo corpo si riflesse sdoppiandosi in molti punti.
Con un solo dito sfiorò un increspatura e l'intera composizione di vetri che si reggevano a stento si infranse al suolo con un suono agghiacciante.
Da oltre la cornice comparve il signore gli incubi, che con le sue labbra nere e sottili le rivolse un sorriso macabro, che la fece rabbrividire più del freddo stesso.
Incrociò le braccia sul seno, per coprirsi ai suoi occhi.
“Il tempo è giunto Roxanne!” disse con la sua inconfondibile voce scura e profonda “Non c'è più tempo! Devi fare una scelta!” Oltrepassò il cornicione dello specchio e avvicinandosi a lei la squadrò per intero.
“Perché dovrei fare una scelta?” gli domandò.
“Devi venire via con me! Prima che sia troppo tardi! Il sigillo presto si schiuderà!”
Solo allora le venne in mente il sigillo.
“E dunque?” domandò Roxanne “Cosa succederà quando il sigillo si schiuderà!”
“Sono molti i maghi e le streghe che verranno a cercarti Roxanne! Molti ambiranno ai tuoi poteri, ma nessuno di questi sarà in grado d'insegnarti a usarli come potrei fare io!”
“Perché mai dovrei convincermi che tu sia migliore degli altri?”
“Perché io conosco la vera natura dei tuoi poteri! So come insegnarti ad usarli! Loro no! Roxanne ascoltami, io sono il meglio per te!”
Roxanne non né era convinta.
Il signore degli incubi, si tolse il mantello dalle spalle e in un gesto elegante tentò di depositarlo sulle sue, ma lei si scansò bruscamente in tempo.
“Fidati della mia parola! Diventa la mia strega!”
In quel momento un suono proveniente da proprio petto, la fece sobbalzare. Come il rintocco di una campana le fece battere il cuore tanto forte da farle vibrare l'intero corpo.
In quel momento un uccello si sollevò da oltre un muro di siepi, lasciando una lieve scia di luce argentea dietro la coda piumata.
“Il corvo blu!” disse, rivolgendosi a se stessa.
Lo sguardo del signore degli Incubi si fece improvvisamente cupo. “No!” disse mal celando una voce irrequieta. “Il corvo blu! Lei è già qui!”
Il corvo blu sembrò avvicinarsi a loro con gran velocità.
Strillò puntando il becco in direzione del signore degli Incubi.
L'uomo rimettendosi il manto sulle spalle si voltò di scatto, saltando oltre la cornice dello specchio. I pezzi di vetro al suolo si sollevarono mentre Roxanne si coprì il volto con le braccia per non farsi graffiare.
I frammenti rientrarono tutti all'interno della cornice e velocemente si riunirono riformando il vetro.
Come se non si fosse mai rotto.
Sappi che anche se entrerai nel mondo della magia io non smetterò di cercarti Roxanne! Avrò i tuoi poteri!”
 
 
 
 
 
 
Roxanne si svegliò di soprassalto. Seduta sul letto, il corpo sudato, la fronte madida. La canotta nera incollata al seno fradicio. Respirò affannosamente. Non avrebbe mai dovuto addormentarsi. Guardando l’orologio si rese conto che mancava poco a mezzanotte. Circa trequarti d’ora. Presto si sarebbe infranto il sigillo! Doveva assolutamente andare via. Doveva allontanarsi da casa. Quel pensiero le fece venire in mente il suo diario, doveva aveva lasciato tutti i suoi disegni. Doveva assolutamente andare a prenderlo. Qualcosa picchiò alla sua finestra. Roxanne guardando in quella direzione vide il corvo che aveva visto quel pomeriggio, illuminato ai riflessi della luna, apparve ancora una volta di quello stano colore blu. Con un unico gesto si tolse la coperta di dosso e si sfilò la canotta, gettandola a terra. Si infilò velocemente i vestiti che aveva gettato sulla sedia. Credeva che tutto ciò che l’aveva tormentata di piccola fosse finito. Ma non era così. Il signore degli Incubi era tornato. Ora che il momento era giunto. Era tornato da lei, più feroce e selvaggio di quanto non lo fosse mai stato. Si allacciò gli scarponi in cuoio, e si mise la felpa nera, avvolgendosi una sciarpa dello stesso colore, introno al collo. Mettendosi lo zaino in spalla fu pronta per andare via. Avrebbe voluto portare con se, anche la valigia che le aveva regalato sua madre. Ma per qualche strana ragione, non riuscì ad aprirla. E lei non aveva tempo da perdere. Aprì la finestra e salì in piedi sul bordo. Il corvo volò in alto nel cielo. Si aggrappò al ramo dell’albero lì di fronte e scese giù dal tronco con dei movimenti veloci. Una volta atterrata sull’erba umida della notte, Roxanne si guardò intorno, preoccupata che qualcuno le scoprisse. Ma per sua fortuna l’intera casa era in balia del sonno. Stava già per uscire dal cancelletto, quando gli venne in mente che al parco c’era il guardiano, con il suo cane. Si voltò e facendo il giro della casa intorno al giardino, entrò dalla porta sull’retro della cucina. Erano avanzati ancora alcuni hamburger dalla festa. Prese un sacchetto di plastica, e ne infilo un paio dentro. Guardò l’orologio che segnava le undici e quaranta. Stava per aprire la porta, quando una voce famigliare la fermò.
“Stai andando via?” le chiese in tono serio, sua madre.
“Si!” ammise Roxanne, tenendo lo sguardo basso, non osando voltarsi.
“Eveline mi ha raccontato cos’è successo, al Bowling!” continuò sua madre. Ci fu un altro rumore di passi provenienti dalle scale.
“Roxanne!” la chiamò Eveline. “Perché lo hai fatto?” chiese, quasi stesse per scoppiare a piangere.
A quell’ultima domanda Roxanne si voltò e guardò sua sorella dritto negli occhi lucidi. “Perché sapevo che non avrei avuto modo di chiedergli perdono!” poi uscì richiudendo la porta. Si mise il sacchetto nello zaino, e uscì nel giardino sul retro. S’incamminò a passo svelto, lungo il viale di alberi, potandosi la sciarpa sul naso, e calandosi il cappuccio sulla testa. Attraversò il viale stando attenta a non  farsi notare e raggiunse i cancelli, del parco. Lì il pastore tedesco gli abbaiò, correndogli incontro. Roxanne si accovacciò davanti a lui.
“Ssst!” gli fece accarezzandogli la testa. Il grosso pastore tedesco scodinzolò e si avvicinò col muso. La luce di una torcia comparve a pochi metri da lei.
“Chi è Tony?” domandò la voce del vecchio guardiano del parco. Roxanne si alzò di scatto e gettò il sacchetto alle sue spalle, parecchi metri più indietro. Prima che il guardiano, con il suo passo estremamente lento li raggiungesse, andò a nascondersi dietro un albero.
“Cosa hai trovato?” domandò il padrone al cane che si era messo a correre, e con il grosso muso preparato a  frugare nel sacchetto. In tanto che il padrone seguiva il cane, Roxanne uscì allo scoperto e con tutta la velocità che le sue gambe le permisero corse e raggiunse il cancello. Si arrampicò sull’inferriata nera, salendo fin in cima e con la gamba destra, passò dall’altra parte. Con un agile salto atterrò in piedi e prese accorrere lungo il pendio.
 
 
In tanto nel silenzio mortale della sua camere, il corvo blu volò attraverso la finestra, e superando la porta della stanza si infilò in bagno posandosi sul lavandino e guardò attraverso lo specchio. Una figura rossa dalle lunghe ali simili a quelle di un pipistrello e a la coda, si muoveva velocemente verso la superficie, volteggiando come fosse stata una sostanza tossica, nell’acqua. Una volta raggiunta la superficie dello specchio la creatura cominciò a prendere forma propria. Mise lentamente una mano dalle lunghe dita artigliate, aggrappandosi alla cornice dello specchio, poi un'altra. Dopo di ché cominciò a spuntare anche la testa. Una testa munita di corna ritorte. La creatura tirò fuori anche il resto del copro dalle gambe sottili e il busto ricoperto di simboli magici.
Il corvo blu volò fuori dalla finestra, mentre la creatura buttava giù la porta con un tonfo. Dalla bocca ghignante emersero dei denti affilati e un lunga lingua viola, pronta per la cena. Si addentrò nel corridoio e cominciò a scendere le scale, dove sentì  un invitante odore di carne. Umana.
In tanto sul divano due ragazze si sedettero per spettegolare.
“Che merda di festa! Non le sopporto proprio più queste serate in famiglia! Ma quando potremmo andare in una vera discoteca?” disse Bonnie
“Già e non abbiamo acchiappato nessuno con cui uscire!” commentò Carrie
“Hai visto il giocatore Rugby? Si vedeva lontano un miglio che se la voleva scopare a quella troietta di nostra cugina!” continuò Bonnie
“Perfino papà la guardava con la bava alla bocca!” disse Carrie
“Ma che avrà di così speciale? A parte le tette!”
“La odio a morte! Avrà anche degli occhi speciali ma resta comunque una troia!”
“Io ho fame non ho mangiato quasi nulla per rimanere dentro a questo dannato vestito che non ha neanche fatto colpo sul surfista!” concluse in fine Carrie
Si alzarono dal divano e ed entrarono in cucina chiudendo la porta.
In quel momento un tonfo sordo e la porta della cucina che si spaccava le fece alzare di colpo in pedi per voltarsi. Una spaventosa creatura scura dalle lunghe ali rosse e le corna ritorta fece il suo ingresso a testa rovesciata, reggendosi al soffitto con le unghie.
Un grido agghiacciante uscì dalle bocche di entrambe.
.
 
Roxanne con il cappuccio calato sulla testa si aggirava tra i sentieri del parco. Si bloccò per alcuni istanti e si guardò intorno. Poi si diresse verso il lato sinistro e cominciò a correre sulla superfice del laghetto, sperando che il diario non fosse caduto al centro. Il corvo blu ora volava sopra di lei. Roxanne camminò per alcuni minuti, poi nell’oscurità della notte, intravide una figura rettangola semi nascosta dai fiori, che spuntava per metà. Corse verso di essa e s’inginocchio a raccoglierla. L’aprì e cominciò a sfogliarle le pagine. Alcune erano completamente infradiciate. Altre erano salve. Sfogliandole con delicatezza, trovò il signore degli Incubi. Il suo volto per metà bagnato e disfatto, e ancora in grado di rendere il suo fascino oscuro. Sfogliando altre pagine, Roxanne ne trovò una perfettamente intatta, che raffigurava una creatura dalla palle rossa, le corna ritorte le ali da pipistrello. Quella ceratura azzannava le sue vittime succhiandogli il sangue, come un vampiro. Richiuse il diario e si alzò in piedi rimettendosi a correre. Doveva essere quasi mezzanotte. Il momento tanto atteso stava arrivando. Cosa le sarebbe successo? E come un risposta, senza voce, le arrivò una grossa fitta al cuore, che le procurò un intenso dolore, diverso da qualsiasi altro dolore avesse mai provato in vita sua. Guardò il campanile e vide sotto le luci che illuminavano la grande campana, che mancavano due minuti esatti allo scoccare della mezzanotte. I suoi poteri si stavano risvegliando, e un avvertimento gli arrivò dall’più profondo del suo essere. Un orribile immagine della sua famiglia divorata dalla creatura indemoniata, che aggredì prima Eveline e poi sua madre, gli si aprì nella menta, chiara e nitida. Erano in pericolo. Il suo istinto magico glielo diceva. Il corvo blu sopra la sua testa, cominciò a gracchiare in modo innaturale. Allora Roxanne prese a correre ancora più velocemente, per seminarlo. Non aveva idea di cosa le volesse dire, ma il modo in cui si comportava non le piaceva affatto. S’era un corvo magico avrebbe fatto bene a imparare a parlare, perché di certo lei non lo capiva.
Guardò l’orologio del campanile.
Mancava un minuto alla mezzanotte.
Roxanne corse e attraversando una piccolo sentiero raggiunse la strada sterrata dove c’era la fontana centrale del parco. Il corvo gracchiò ancora una volta, sopra la sua testa. In quel momento lo sentì. Sentì il suo potere scorrere, come un fiume, dentro il suo copro. Il cuore cominciò a batterle all’impazzata. Un formicolio le salì lungo le caviglie e un calore improvviso si diffuse dentro il suo petto espandendosi per tutto il corpo. Allora divenne ansiosa di raggiungere presto casa.
“Roxanne!”
La voce che echeggiò nella sua testa, la paralizzò. Era il signore degli Incubi.
La sua voce ora la sentiva dentro di sé.
Mancavano pochi secondi allo scoccare della mezzanotte.
“Roxanne!”
Roxanne scoprì di esser rimasta paralizzata. Il potere che si stava risvegliando era diventato così potente da impedirle perfino di muoversi.
“Roxanne!”
Mancava un secondo alla mezzanotte. Roxanne si strinse al suo diario e s’inginocchiò a terra. Per un attimo temette che il cuore le cedesse. Il formicolio si era trasformato in un tremore. Il suo corpo cominciò a vibrare mentre dalla pelle chiara affiorava una luce viola che l’avvolse. Forse era troppo grande per lei. Quel potere l’avrebbe uccisa.
La mezzanotte scoccò. Le campane risuonarono nelle sue orecchie, assillandole i timpani.
Il dolore divenne insopportabile. Roxanne urlò mentre un alone di luce viola esplose dal suo corpo, facendo tremare perfino la terra. Si allargò disperdendosi, mentre gli alberi intorno frusciarono come se fossero stati investiti dal vento. Un istante dopo dal cielo grigio piovve un tuono blu, a pochi centimetri da lei, e una figura ammantata di blu comparve dal nulla. Allungò il braccio e il corvo blu si posò sulla mano chiara di una figura femminile. Roxanne si sentì come non s’era mai sentita in vita sua. Era morta. E allo stesso tempo rinata. Il corpo leggerissimo, le sue gambe fortissime. Il diario fra le sue braccia le parve un leggero foglio di carta. Si alzò senza perdere tempo a guardare la figura comparsa davanti a lei e riprese a correre. Corse come non aveva mai fatto in vita sua. Quasi non toccava terra. Ora riusciva a vedere nel buio, quasi fosse stato giorno. E ogni minimo rumore era amplificato. Sentiva gli scarponi sotti i suoi piedi che battevano come tamburi, sul terreno bagnato. Ogni rumore era più forte. Il fruscio del vanto nei rami degli alberi. Sentì gli insetti che divoravano i tronchi, i vermi nella terra che scavano. Il respiro di un ghiro, il russare di un tasso. Ora capiva cosa significava essere una strega. Ed era fantastico. Anche la corsa ora era più veloce, e saltò sopra il cancello, quasi volando, senza provare alcuna fatica. Il guardiano che si trovava lì accanto neanche la vide.
C’era, una nuova energia, dentro di lei. Un energia magica, che le diede alla testa, rendendola euforica. 

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Capitolo 10
*** 4 Il Demone in Casa - Parte 2 ***


RINGRAZIAMENTI: I primi ringraziamenti (colorati) vanno ai Morgengabe(blu come il mare) che non solo hanno recensito tutti i miei primi capitoli più in fretta di quanto mi aspettassi, ma mi hanno anche aiutato con i loro consigli e le loro osservazioni.
Ma di certo non mi dimentico di ringraziare anche Old Fashioned, (eh ninete, se vuole sapere la scelta di questo rosso dovrà chiedermelo in un messaggio privato) Vanessa1995, (c'è bisogno di una risposta?)
 Black Daleko (il viola le dona)e MatitaSanguigna. (rosso perché è romantico)
E un grazie speciale va a Princess_of_Erebor (oro come le chiome di un certo nano) che mi ha aggiunta agli autori preferiti, con una grande promessa. Avvertenza! Al momento sto riscrivendo il capitolo, modificando la morte delle due sorelle, che presto pubblicherò come storia a parte.
 
 
Nella soffitta della casa delle ragazze Oswald, la gobba figura incappucciata di nero si aggirava silenziosamente tra gli scatoloni di roba appartenente all’intera famiglia. Lì c’era proprio di tutto. Libri di una geografia a lui sconosciuta. Mantelli stranamente imbottiti di piume, scarpe con una punta rotonda, di un insolito materiale morbido, e bianco. Oggetti sferici dallo strana sostanza molle, con delle stelle disegnate sopra. Uno di questi chissà per quale motivo era schiacciato. Nulla di quello che c’era li dentro aveva qualcosa di vagamente simile al mondo da cui veniva. Né tanto meno il libro. Aveva scombussolato tutto. Aperto tutto. E gettato tutto nel caos. Aveva fatto incantesimi evocatori, per richiamarlo. Aveva fatto svanire tutto il resto per farlo riapparire. Ma niente. Non c’era traccia del libro. Non era tra quelle cose. Non era in quella casa. Eppure, ora che si era arreso alla ricerca, e che aveva messo da parte la sua concentrazione sul libro, percepì qualcosa. Qualcosa di molto potente. Non era la ragazza, che aveva visto andar via poco fa. No, era qualcosa di diverso. Di terribilmente pericoloso per lui. qualcosa come non lo aveva mai sentito prima. Di cosa si trattava…
Scendendo dalle scale, rientrò nella stanza della ragazza, dai poteri magici e con un balzo uscì dalla finestra. La magia veniva dalla casa di fronte. Sfoderando la lunga bacchetta nera, contorta come un sottile, ramo e pronunciò: “Haseth ether!”
Il suo corpo divenne invisibile, per chiunque, a parte lui stesso, e nessuno in quel momento lo avrebbe visto attraversare la strada.  Arrivato davanti alla casa di fronte, si rese conto di quanto risultasse strana la situazione. Tre magici nello stesso posto in una dimensione che non era la loro. Era una coincidenza alquanto bizzarra secondo le sue considerazioni. Si avviò verso la casa. Lì c’era qualcosa di interessante. Né era sicuro. Guardò la facciata e con un balzo saltò sulla finestra da cui aveva percepito l’ondata di energia. Da oltre il vetro, in un letto appoggiato alla parete sulla sinistra, vide un ragazzo che dormiva. La testa pendeva fuori dal letto, insieme a una cascata di capelli biondissimi che brillavano di luce propria. La figura incappucciata tirò furi una mano dai lunghi artigli. Rivoltò il palmo verso l’alto, e tenendola a meno di un centimetro dal cornicione della finestra, la sollevò lentamente di pochi centimetri. Da oltre il vetro, la maniglia si girò e la finestra si aprì. Entrò all’interno della stanza con un movimento silenzioso e si avvicinò al letto. Poggiò una mano artigliata sul suo petto, per percepire il suo potere. Trasalì mentre quel immenso potere, respingeva il suo, nemico per natura. Non era possibile! Non poteva essere! Il suo padrone lo aveva cercato per anni e anni, e in fine aveva perfino dato per scontato che una persona con un tale potere non esistesse più. E ora lui lo aveva trovato! Doveva assolutamente portarlo via con sé! Il padrone lo avrebbe premiato! Sollevò lentamente la testa del ragazzo per non svegliarlo, sistemandola sul cuscino, e gli allargò le braccia, distendendole. Tolse bruscamente le coperte che avvolgevano il suo corpo, coperto solo da una canotta bianca e un paio di mutande. A quel punto si rese visibile, e sfoderando la bacchetta evocò una sfera di luce viola che illuminò l’intera stanza. L’afferrò nell’altra mano, e con forza la spinse all’interno del petto del ragazzo, che si sollevò per un attimo con una piccola convulsione. Questo sarebbe servito a tenerlo addormentato. Evocò un'altra sfera di luce, questa volta bianca, e passando la mano sotto alla schiena del ragazzo, aspettò che la magia si realizzasse. Il corpo del ragazzo si sollevò dal letto, di parecchi centimetri, la testa reclinata all’indietro, mentre lui continuava a tenere le mano sotto le scapole. Una sfera di luce bianca, si allargò superando il suo corpo e in breve il avvolse entrambi, isolandoli dal resto di quel mondo squallido. Allora la figura incappucciata aprì il suo mantello, e portando la mano libera alla cintura rinfoderò la bacchetta e velocemente fece scattare il coperchio di un contenitore che si aprì. Un fulmine saettò nella sua mano, uscendo dal contenitore. Allargò la sfera ancora un po’ e poi con un braccio continuò a sorreggere il ragazzo sospeso nel vuoto dal suo incantesimo, e sollevando l’altro, tenne il fulmino stretto nel pungo. Con tutta la forza che aveva lo scagliò verso il pavimento. Il lampo accecante lo avvolse insieme al suo prigioniero. Per un attimo ci fu solo la luce bianca.
Nella stanza ci fu un esplosione che fece rompere i vetri della finestra, e saltare in aria il tetto.
Tra le pareti annerite, non c’era altro che mobili bruciati.
 
 
Eveline si svegliò con delle grida agghiaccianti che le invasero le orecchie. Credendo che si trattasse solo di un incubo, si mise a sedere sul letto e con molta calma si stropicciò gli occhi. La pioggia aveva cominciato a battere sulle finestre. Non poteva credere che Roxanne se ne fosse andata via, in quel modo. Nel cuore della notte! Senza un abbraccio, senza un bacio. Senza nessun segno d’affetto! Era questo che significava, essere una strega? Era questo che sua sorella in realtà era? I suoi pensieri furono interrotti da uno strano rumore. Qualcosa frusciava lungo le parti. Pensando che fosse solo un impressione, si lasciò cadere sul letto, ripensando a quanto ancora doveva studiare, e se fosse riuscita a farlo, ora che sua sorella non c’era più. Dove sarebbe andata Roxanne? Avrebbe sentito la sua mancanza?
Un rumore di porta che veniva infranta, la fece risollevare di colpo, e alzare dal letto. Con un tonfo al cuore non poté fare a meno di chiedersi se ci fosse un intruso in casa. Un ladro? Forse. Ma era difficile. In quella zona non venivano spesso. Roxanne era tronata? Improbabile. La conosceva troppo bene! Era specializzata nel muoversi senza fare alcun rumore. Con molta cautela aprì la porta e cominciò a camminare lentamente lungo il corridoio. Improvvisamente le si accapponò la palle. La scala che conduceva in soffitta, era stata spaccata, e alcuni pezzi giaceva sul parquet. Un brivido la percosse lungo la schiena. Senza fare rumore, si appiattì contro il muro e cominciò a scendere lungo le scale. E mentre scendeva si rese conto di sentir un forte odore che la sconvolse. Odore di sangue. Un senso di nausea e disgusto la pervase. Quando fu del tutto scesa voltò a destra, e trovò la porta della cucina che aveva fatto la stessa fine della scala della soffitta. A pezzi. Ma oltre quello, vide una serie di chiazze rosse, che macchiavano il pavimento. Sporgendosi appena verso l’interno, vide una serie si impronte di mani fatte di sangue, e mettendosi completamente in esposizione sulla soglia, trovò i corpi di Carrie e Bonnie, ricoperte di morsi, accasciate al suolo con la pelle livida. Un urlo agghiacciante le uscì dalla gola.
 
Roxanne fu raggiunta dall’agghiacciante urlo di Eveline, che le gelò il sangue. Non avrebbe mai dovuto allontanarsi. Non dopo il mostro che aveva attaccato lei e il giovane Andris. Non aveva ancora raggiunto il  numero 15 di Little Garden, eppure aveva percepito il grido, e ne era sicura,  qualcosa dentro di se le diceva che quell’urlo proveniva da casa sua. Vide il cancello, e raggiungendolo senza fare alcuno sforzo, camminò lungo l’inferriata e atterrò dal lato opposto. Riconobbe la sua casa tra le altre, nella notte, e corse,  in pochi istanti raggiunse il vialetto e aprì la porta d’ingresso. Eveline le piombò addosso. Era sconvolta. Il suo viso contratto dalla paura. Il suo corpo tremava.
“Roxanne scappa!” riuscì a dire in un sussurro. “c’è… c’è qualcosa in casa… un mostro! Ho… l’ho visto… si aggira ai piani di sopra!”
Roxanne non sapeva cosa fare di preciso. Ma qualcosa doveva fare. Afferrò sua sorella per un braccio, e la trascinò verso la cucina. Si fermò di colpo, raggelata, quando vide i copri delle sue cugine accasciati al suolo prive di vita. Una sola creatura poteva fare quel macello. Una che apparteneva ai suoi incubi. Roxanne uscì di scatto dalla cucina stringendo il polso di Eveline, e frugano dalla casetta delle chiavi dietro la porta ne perese una d’acciaio, aprendo armadio sotto scala. Si avviò verso il sotto scala e aprì un anta. Lì c’era una porticina blindata. Roxanne ci infilò la chiave dentro, e fece segno a sua sorella di infilarsi dentro. Lei era più minuta di lei e ci passò facilmente, scivolando di sotto. Roxanne non sapeva se sarebbe passata altrettanto facilmente quanto sua sorella. Infilò la testa e gettò il diario giù. Poi cambiando posizione si infilò con i piedi e allungandosi si lasciò cadere giù. Atterrò qualche metro più giù nella polvere. Ora anche al buio riusciva a vedere sua sorella accanto a lei, che respirava affannosamente con il sudore sulla fronte. Le si gettò addosso e l’abbraccio fortemente.
“Grazie alle mie preghiere! Sei tornata!” disse scoppiando a piangere. Roxanne costringendola a separarsi le fece cenno di tacere. Non le piaceva guardarla piangere. Prese il diario, e alzandosi in piedi tirò un calcio con lo scarpone buttando  giù anche la seconda porta facendo irruzione nella cantina. Eveline tremava da capo a piedi, e Roxanne dovette accarezzarle le spalle per un paio di minuti, prima che si tranquillizzasse. La costrinse a sedersi a terra e a spiegargli quanto era appena accaduto.
“Sono corsa di sopra e… l’ho visto che si aggirava nella soffitta, allora stavo per uscire quando tu sei entrata…” concluse. “Ma Roxanne… perché sei tronata?”
“Il mio istinto mi diceva di tornare. Ma prima sono andata e recuperare questo!” disse in tono molto deciso, mostrandogli il suo diario. “Che aspetto aveva il mostro?”
Quando Eveline gli descrisse la creatura, Roxanne ebbe un brutto presentimento.
“Era per caso come questo?” e aprendo le pagine del diario mostrò a Eveline il mostro la creatura demoniaca, dalla pelle rossa ricoperta di tatuagi.
“Si è proprio quello! Ma tu come fai ad averlo già visto?”
“In uno dei miei incubi! Ma ormai non credo più che siano stati semplici sogni, Eveline!”
“Roxanne… ma che sta succedendo?”
“E’ quello che vorrei sapere anche io! E per questo che intendo scoprirlo!”
“ma come?”
“Non lo so! Credevo che sarei andata io in un altro mondo, non che un altro mondo sarebbe venuto interamente da me! E apparsa un'altra strega, mentre mi si è infranto il sigillo!”
Eveline fece un espressione sbalordita. “E com’era!”
“Sembra deludente, o per lo meno per me, ma era come una strega di Halloween!”
Un rumore tamburellante sopra il soffitto gli fece alzare lo sguardo. La creatura si stava muovendo lentamente al piano di sopra.
“Sta andando verso le nostre stanze!” disse Roxanne “Dobbiamo salvare mamma, e Richard!”   Si alzò in piedi di scatto, e si diresse verso un'altra porta, che conduceva al garage.
“Aspetta Roxanne!” disse Eveline, “Io non vedo nulla!”
Roxanne si era completamente dimenticata che lei ora vedeva al buio e gli altri no. Togliendosi lo zaino dalle spalle, prese la sua amatissima torci, che ormai non gli sarebbe più servita e l’accese passandola a sua sorella. Poi si poggiò contro una vecchia asse di legno marcia, e si squarciò il braccio, contro un chiodo sporgente.
“Roxanne ma sei impazzita?!” esclamò sua sorella inorridita.
“Probabilmente lo sono sempre stata!” disse in tono sarcastico, e senza aggiungere altro aprì la porta e percorse le scale di corsa. Uscì nel garage dove c’era la panda di Rosaline e la volvo di Richard, e uscì in giardino. Si arrampicò sul albero e aiutò Eveline a salire. Saltò giù dal cornicione e prendendo sua sorella per mano, le diede il diario. Si affacciò nel corridoi. La porta della soffitta era stata distrutta. Roxanne senza fermarsi si diresse verso l’ingresso  della camera di Richard e sua madre. L’aprì e si precipitò dentro.
La creatura si trovava appesa a testa in giù, sopra il soffitto, con la lingua che si dimenava. Sollevò il braccio, stringendo il pugno, lasciando che il sangue sgorgasse. Alcune gocce di sangue caddero sul pavimento.
“Lasciali stare!” disse e fece alcuni passi indietro, mentre con la mano libra, spinse Eveline che gli era venuta dietro “Non sono loro che ti interessano! Lo so!” la creatura si  voltò verso di lei, guardandola con gli occhi gialli, e con un balzo scese dal soffitto, atterrando sul pavimento. In quel momento entrambi i dormienti si svegliarono sollevandosi a sedere di scatto.
I loro volti, inorriditi da quanto stavano guardando. Roxanne quando fu sicura di essere del tutto fuori dalla camera si voltò e cominciò a camminare all’indietro, per controllare che la creatura non attaccasse. “Vai nello studio di mamma! E chiudi dentro!” disse alla sorella in un sussurro.
“No! Non ti lascio sola!” gli rispose Eveline.
La creatura era molto vicina a loro. Roxanne avrebbe voluto gridare a sua sorella quanto fosse stupida.
Con un schiocco della bocca, il demone spuzzò un acido giallastro, che le finì sulla mano ferita. Roxanne gridò, sentendo un dolore bruciante.
“Eveline! Corri!” gridò quando fu sicura che la creatura fosse abbastanza lontana dalla portata dei suoi genitori, prendendo a correre verso il corridoio da cui era venuta. Sua sorella le fu subito dietro. Si voltò e vide il mostro alle sue spalle che la inseguiva. Doveva portarlo via di lì. Doveva farlo uscire di casa. Non sapeva come affrontarlo, ma doveva evitare che facesse loro del male, e soprattutto doveva evitare che uccidesse ancora altre persone. Il braccio ferito le doleva. Si fermò un istante, giusto il tempo di lasciare a Eveline la possibilità di superarla, ma con suo grande orrore, si rese conto che anche la creatura aveva aumentato la corso nell’inseguimento. Era chiaro che aveva preso di mira la più piccola.
Si voltò verso la creatura che stava venendo loro incontro. La guardò mentre si avvicinava, muovendosi sulle quattro zampe, a una velocita sorprendente.
La creatura si mise in posizione pronta per attaccare e con un balzo si lanciò in aria.
“Eveline!”
 Roxanne istintivamente afferrò le spalle di sua sorella, gettandola a terra, e gli si parò davanti. Eveline ricambio l’abbraccio, spaventata.
In uno gesto spontaneo, Roxanne, girando la testa da un lato per evitare di guardare il mostro, sollevò il braccio sinistro, allungandolo con il palmo aperto e le dita allargate, per proteggersi. Un’energia potentissima partì dal suo petto e per scorrere attraverso il suo corpo fluendo dentro il braccio esteso, raggiungendo le dita. Roxanne percepì un forte calore, cresce lungo le punte delle mani, e voltandosi per vedere cosa le stesse accadendo, vide che dalle sue unghie, che brillavano di una luce dorata, scorrevano filamenti di luce che avevano formato una barriera davanti a lei ed Eveline, per proteggerle. La creatura ci rimbalzò contro con un violento urto. Ma il colpo non bastò per farle abbassare la mano, e rimase lì, stupita dal proprio potere, a guardare il mostro che tornava alla carica, oltre la barriera di luce. Ci rimbalzò contro un'altra volta, e ricadde ancora.  
In quel momento un altro tuono colpì il marciapiede alle sue spalle, di una  luce blu, così forte che perfino il cielo brillò. Saettò oltre la barriera magica  scaturita dalle sua mano, verso la creatura e la colpì facendola volare in aria.
Il demone cadde parecchi metri indietro. Roxanne si voltò abbassando la mano, e la barriera scompare. Vide una ragazza giovane, più o meno, della sua età, con lunghi capelli neri ondulati, interamente vestita di blu.
Reggeva un bastone d’argento, con una pietra sopra, da cui usciva un incredibile luce azzurra.
“Tornate da dove sei venuto demone!” disse rivolgendosi alla creatura. Dal bastone esplosero un altro paio di fulmini che colpirono la creatura. Questa volta non volò in aria. Urlò contorcendosi su se stesso, mentre la ragazza continuava a colpirlo, con il suo potente bastone magico. La creatura esplose, lasciando una macchia nera di bruciato insieme a un lieve fumo nero.
Eveline e Roxanne rimasero qualche istante a fissare il vuoto dove era svanita la creatura poi si voltarono verso la ragazza.
Qualcosa, nel cuore di Roxanne le diceva che era lì per lei.
Era venuta a prenderla per portarla via.
 “Mi chiamo Némyra Meleghlith, e sono una Strega!”

 
NOTA: Il nome della nuova comparsa e di mia pura invenzione, così come molte altre cose che si presenteranno più avanti.

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Capitolo 11
*** 5 Il ragazzo scomparso - parte 1 ***


Ringraziamenti: Come al solito vorrei ringraziare i Morgengabe, Old Fashioned, (che tra l'altro mi ha fatto notare che c'erano degli errori. Spero di averli corretti bene) Black Daleko, Vanessa1995, Matitasanguigna, Princess_of_Erebor e Spettro94 se vorrà aggiungersi ai lettori. (il perché ho scelto un font così grande è una cosa che riguarda un nostro discorso e non fate domande al riguardo)
 

5

Il ragazzo scomparso



 
Roxanne, che stringeva ancora Eveline fra le braccia, si voltò per osservare la misteriosa figura femminile comparsa alle sue spalle. Avrebbe soffermato il suo sguardo un attimo di più, se non si fosse accorta che dalla casa di fronte si innalzava un innaturale fumo nero, che partiva da una stanza completamente distrutta, saltata in aria. Quella era la casa di Andris. Roxanne ebbe un brutto presentimento.
“Roxanne…”
“Eveline torna subito dentro!” disse lei in tono deciso, votandosi per guardarla dritto negli occhi. Eveline annui con un ceno del capo. Era ancora molto scossa. Roxanne una volta in piedi l’aiutò a rialzarsi e lasciò che attraversasse la strada nel buio della notte.
 Quando fu sicura che Eveline fosse all’sicuro, dentro le mura di casa si voltò verso colei che aveva salvato entrambe. Rimase sbalordita nel rendersi conto che si trattava di una giovane strega all’incirca della sua età. Dal modo in cui era abbigliata si poteva dire che fosse chiaramente ciò che aveva affermato di essere. Benché non presentasse nessuna particolarità agli occhi o ai capelli, aveva un insolito modo di abbigliarsi. Indossava un vestito blu, con dei nastri bianchi, allacciati sul petto, una cintura, da cui pendevano degli oggetti magici, e un paio di calze a righe bianche e azzurre. Anche gli stivaletti dal tacco a spillo, e  il capello, erano di quello stesso blu. Un cappello da strega per l’esattezza.
La ragazza stava per avvicinarsi a lei. I lunghi capelli, ondeggiarono neri fino ad arrivare alla vita formosa, e gli occhi azzurri brillarono alla luce del suo scettro.
Roxanne si scostò bruscamente prima che la nuova arrivata la potesse toccare, e scavalcando lo steccato in legno si avviò a gradi falcate verso la casa di Andris. La porta era bloccata. Arrampicandosi sulla veranda ruppe il vetro con una violenta gomitata. Posando il piede su una mensola ingombra di foto di famiglia e candeline a forma di frutta saltò al suo interno. Ora che poteva vedere al buio, ispezionò l’ambiente con lo sguardo. Un tavolo rotondo, circondato da quattro sedie, un angolo cottura, un divano e un televisore. L’intero piano, in un'unica stanza fungeva sia da cucina che da salotto. Ma nulla era in disordine. Sembrava non ci fosse stato nessuno. In quel momento da una rampa di scale comparve un uomo, alto e biondo, dalla corporatura massiccia, con un pigiama a righe bianche e blu.
“Chi sei tu?” chiese in tono minaccioso reggendo un i-phon con la torcia accesa, nella sinistra e una mazza da baseball nella destra.
“Sono un amica di Andris, non voglio farvi nulla di male!” rispose sollevando le mani. Non temeva la mazza da baseball, ma voleva evitare di farsi nemica il padre del suo nuovo migliore amico. L’uomo abbassò lentamente la mazza. “Cosa hai sul braccio?” gli chiese indicandola. Roxanne si guardò la ferita al braccio sinistro. La pelle era diventa nera, sul polso, mentre un liquido viola sgorgava lentamente mescolato al sangue.
“Non lo so!” ammise sorpresa quanto lui. Non poteva di certo spiegargli tutto. Non gli sembrava il caso.
“Cos’è successo?” domandò dopo un istante.
“Andris è scomparso!” affermò l’uomo.
Roxanne ebbe un tonfo al cuore. Non gli era mai importato di nessuno al mondo, tranne che della sua famiglia, e ora sentiva che c’era qualcuno che poteva diventare importante per lei, ed era scomparso.
“Com’è possibile?” chiese in un sussurro rauco.
“La risposta è la stessa che mi hai dato tu, per quanto riguarda quella starna ferita!” con un cenno della mazza da baseball le fece segno di seguirlo al piano di sopra.
Lo seguì e una volta raggiunto il piano superiore vide una porta fatta a pezzi. Al suo interno una donna con una vestaglia, era inginocchiata difronte a un materasso nero, completamente bruciato. Anche la parete era completamente nera, avvolta da un fumo innaturale.
“Mia moglie, Sharleen si è messa a urlare e l’ho trovata qui che piangeva, accanto al letto!” disse l’uomo. Roxanne si avvicinò alla parete annerita. Allungò la mano e la toccò. Sembrava cenere, ma era così compatta che non si attaccò alla sua mano. Una goccia dello strano liquido che usciva dalla sua ferita cadde sul materasso annerito, facendo uscire una scia di fumo.
“Quella ferita va subito curata!” disse una voce femminile alle sue spalle. Roxanne si voltò di scatto, e vide la ragazza con il cappello a punta. Si avvicinò a lei e prima che potesse sottrarsi, le afferrò il polso ferito, con una mano coperta da un guanto. Estrasse dalla sua cintura un’oggetto in legno scuro con decorazioni d’argento, e una piccola pietra azzurra sulla sommità, e pronunciò delle parole incomprensibili. Dalla pietra azzurra uscì una luce dello stesso colore che le penetrò nel braccio.
Il liquido si assorbì e la pelle divenne di nuovo chiara, mentre il taglio sanguinante si richiuse.
“Dobbiamo andare!” disse la strega afferrandola per un braccio. Ma Roxanne rimase salda con i piedi ancorati al suolo, impedendole di farsi trascinare. “Io non vado via senza aver ritrovato il mio amico!” disse in tono deciso, guardandola dritta negli occhi. La ragazza ricambiò lo sguardo incredula, come se non si aspettasse di essere contradetta.
“Dobbiamo chiamare la polizia!” disse il padre di Andris. Dopo tutto quello che le era successo dall’inizio di quella serata, Roxanne dubitava che la polizia potesse risolvere eventi sovrannaturali, cosa di cui lei era assolutamente sicura, si trattava di magia.
“Non servirà a nulla!” fu Némyra a parlare.
Roxanne si voltò e le lanciò un occhiata scettica. “Tu ne sai qualcosa?” le domandò.
“No! Non sapevo nemmeno che vicino a te abitasse un mago!”
 “Mago?” domandarono i due genitori scioccati. “è uno scherzo di cattivo gusto sapete?”
“Questo è frutto di un Viaggiafulmine! Un oggetto magico che serve per spostarsi da un luogo all’altro in gran fretta, e solo un mago ha il potere di usarlo! Ora non ho il tempo di spiegarvi, bene cosa sia!” dopo un attimo aggiunse “Devo parlare con tua madre Roxanne!” e con quelle parole uscì dalla finestra atterrando leggermente sul erba, come se il suo corpo non avesse avuto peso. Attraversando la strada entrò nella sua casa.
“Io sono Vincent Waylon!” disse l’uomo mentre sollevava la moglie da terra. Insieme uscirono dalla stanza e Roxanne li seguì scendendo al piano di sotto. Sharleen si sedette al tavolo mentre, Vincent aprì il frigorifero. Prese un bottiglia d’acqua e due bicchieri mettendoli a tavola. La donna ora non singhiozzava più ma aveva ancora le lacrime agli occhi. “Dammi qualcosa di più forte!” disse mentre il marito le porgeva l’acqua. Roxanne guardò fuori dalla finestra, la sua casa, chiedendosi cosa si stessero dicendo sua madre e la maga dal nome impronunciabile. Per un attimo aveva pensato che fosse lei, la grande strega potente di cui aveva tanto sentito parlare. Ma poi aveva scartato l’idea. Doveva essere bellissima. E la sua salvatrice anche se molto carina, non era di certo bellissima. Altrimenti sua madre non lo avrebbe mai detto.
“Non sapevo che mio figlio avesse un’amica!” disse Sharleen, interrompendo i suoi pensieri. Roxanne si voltò verso di lei e si sedette li accanto. “Ci siamo incontrati per caso questa sera! Non crede avesse avuto il tempo di dirvelo!”
“Mi stupisce che abbia fatto amicizia con qualcuno!” disse asciugandosi le lacrime con fazzoletto di carta. “Andris è sempre stato un ragazzo un po’ diverso dagli altri! Non so se tu lo possa capire!”
“Si invece! Credo proprio di capire!” disse Roxanne in tono molto dolce allungando la mano, per stringere quella della donna. Sharleen alzò lo sguardo verso di lei. Roxanne le fece un sorrisino “Potete fidarmi di me! Non conosco vostro figlio da molto, ma mi ci sono affezionata, e intendo ritrovarlo!”
“Mio figlio non ha mai avuto molti amici!” cominciò la donna “è sempre stato molto chiuso al mondo, e a volte aveva perfino paura di farsi vedere in giro! A scuola veniva sempre preso di mira dai compagni, perché preferiva indossare in cappello, o un cappuccio! Sai sembrerà strano, ma gli brillavano i capelli! Per questo non voleva mai farli vedere a nessuno! Con le ragazze poi… aveva il terrore che lo guardassero!”
“Diamine ma è mai possibile che la polizia non risponda!” disse Vincent impegnato al telefono. Roxanne si alzò in piedi. Doveva andare a casa, per vedere cosa stesse succedendo, ma prima doveva dare un occhiata alla camera di Andris. “Non vi dispiace se salgo in camera di vostro figli per vedere se trovo qualcosa?” domandò. La donna scuote la testa. Roxanne salì le scale ed entrò nella camera del ragazzo. Osservando il letto annerito, si rese conto che sul parquet c’erano delle strane incisioni, per lei visibili anche nel buio. Come i caratteri di parole appartenenti ad  una lingua antica. Ma stavano lentamente svanendo. S’era stato rapito mentre dormiva, probabilmente non aveva i vestiti addosso. Doveva prendergli qualcosa da portargli. Aprì il suo armadio e frugando tra le maglie, ne prese una insieme a un jeans nero, una giacca di pelle e degli scarponi. Lì mise in una sacca di stoffa che trovò lì in giro e scese di sotto. I genitori del ragazzo che stavano parlano si voltarono verso di lei.
“Vi prometto che lo ritroverò! Ovunque lo abbiano portato!”
“Se tu sai cosa fare… ti prego… riportami mio figlio!”  
In quel momento, guardando i due, ebbe una strana sensazione, come se non fossero veramente i genitori del ragazzo che aveva conosciuto quella notte. Entrambi avevano i capelli biondi, ma nessuno dei due, di quel biondo così lumino. Lui era troppo massiccio, e più basso, rispetto al figlio, con un viso squadrato. E lei troppo piccola, con gli occhi verdi.
La donna la guardò dritto negli occhi
“Non so cosa fare con esattezza!” disse Roxanne dopo un momento “Ma quella ragazza si! E che gli vada o meno la costringerò a fare come dico io!”  uscì in strada avviandosi verso casa.
Sua madre le corse in contro abbracciandola. “Stai bene tesoro?” le chiese.
“Ma che diavolo…?” borbotto mentre sua madre la lasciava da una stretta di ferro.
“Ti sei dimenticata la tua valigia!” disse lei.
Roxanne rientrando in casa vide i corpi di Carrie e Bonnie, che le fecero venire un conato di nausea. Si trovavano in due bare fatte a misura per loro. Sembravano due bambole perfette nelle loro scatole. Le bare si sollevarono, e dirigendosi verso l’armadio sotto scala, si rimpicciolirono per passare attraverso la strettoia.
“Ecco fatto! Ora non avranno neanche bisogno topopsia! Sono pronte per il funerale!” Disse Némyra. Roxanne che per alcuni momenti aveva pensato che quella ragazza avesse fatto una vita come la sua, si rese conto che molto probabilmente non era mai stata lì. Perché non esisteva la topopsia. Si voltò verso di lei lanciandogli un occhiata di fuoco “Sono morte delle persone, e tu dici ‘che non devono fare l’autopsia!?” gridò “Hai idea di quello che sia appena successo?”
“Roxanne!” la rimproverò sua madre. “Non è stata colpa sua!” Roxanne la ignorò.
“Devi andare via con lei!” aggiunse, dopo un attimo di pausa, indicando Némyra. Roxanne la guardò accigliata “No! Qui si va dove dico io!” In quel momento Richard le si avvicinò e le cinse le spalle. “Roxanne cerca di calmarti!” disse in tono tranquillo. Ma Roxanne si divincolò, fingendo che non esistesse.
“Farai bene ad ascoltare tua madre Roxanne!” gli rispose Némyra in tono duro, per rimproverarla. “Devi subito preparare i tuoi bagagli!”
Roxanne non aveva mai sopportato di essere sgridata da persone più grandi di lei. Ma di essere sgridata da una ragazza della sua età era proprio inconcepibile. C’era una sola cosa da fare. “No! io non vado da nessuna parte se prima non avrò trovato Andris!”
“Chi è Andris?” le domandò sua madre, ma Roxanne la ignorò ancora una volta, e continuò il discorso con Némyra “Sono assolutamente convita che sia stato qualcuno come te a portarlo via!”
“Può essere che sia andato via di sua volontà, non è detto che sia stato rapito!”
“E avrebbe sfasciato tutta la sua camera senza neanche avvertire i genitori? No! Io non credo! Lui non sapeva di essere un mago, o qualsiasi altra cosa fosse! Fidati lo ho conosciuto!” disse Roxanne incrociando le braccia “E’ stato rapito!” gridò “E tu mi aiuterai a trovarlo! O io non verrò da nessuna parte con te!”
Ora la ragazza dai grandi occhi azzurri sembrava visibilmente preoccupata. “Come vuoi! Ma potrebbe essere molto pericoloso! Ora per favore, vai a preparare i tuoi bagagli!”
“Non c’è n’è bisogno!” affermò subito Roxanne “Lì farò dopo aver riportato qui Andris!”
“No! Non puoi tornare qui! Qualcuno si occuperà di riportare il tuo amico a casa, ma tu devi venire via con me! Lo sai che non puoi tornare!”
“Benissimo!” gli rispose Roxanne incurante della frase: ‘potrebbe essere molto pericoloso’ “vado a preparare i miei bagagli!” e si avviò verso le scale.
“La tua valigia è già pronta, devi solo richiuderla!” disse la ragazza.
Roxanne raggiunse la sua stanza, e si chiuse dentro. Per un attimo rimase al buio, per riflettere. Aveva fatto di tutto per andare via nel modo più freddo possibile. Per non dover guardare i suoi genitori piangere. Si chiese dove fosse Andris. Cosa stava per fare? L’avrebbe ritrovato?
Premette il pulsante per accendere la luce e rimase paralizzata nel vedere la valigetta aperta sul letto. Era piena. Si avvicinò e tra ciò che la riempiva non riconobbe i suoi vestiti. C’era una camicia da notte, lunga, bianca, con il merletto a volant, e uno stranissimo vestito notevolmente elaborato, con un corpetto verde muschio, e una gonna a volant rosso porpora, abbinata a un paio di calze a righe e degli stivali col tacco e la punta, e un cappello dello stesso verde del corpetto. Erano dei vestiti da strega. Prese il suo diario e avvolgendolo accuratamente in una coperta di lana lo mise dentro, richiudendola. Decise però di mettere uno dei suoi pigiami più pratici, insieme a dei vestiti. Una felpa con la zip verde, una maglietta viola, e un jeans, nello zaino, e le nuove auricolari che le aveva regalato Eveline. Si cambiò i vestiti, mettendosi una maglietta a righe viola e una felpa nera.
Si mise lo zaino in spalla, prese la valigetta e uscì dalla sua camera. Raggiunse Némyra, Richard sua madre e sua sorella. Erano tutti in piedi, davanti alla soglia della porta.
“E’ tempo di salutarsi!” disse Némyra, con il corvo blu, posato sulla sua mano.
“Devi lasciare qui tutti gli apparecchi tecnologici! Potrebbero fulminarsi dove andiamo noi, e in ogni caso, la linea non prende!”
Roxanne si tolse il cellulare, ormai già fulminato, dalla tasca dello zaino, insieme al caricatore posandoli sul tavolo. Sua madre le andò vicino lanciando un occhiata preoccupata a Némyra, come se volesse capire se fosse in grado di sentirle da quella distanza. Poi avvicinò le labbra al suo orecchio.
“Roxanne, questo è il mio ultimo avviso sulla strada che stai per intraprendere!” disse a voce bassissima “Lì dove andrai scoprirai delle verità che non ti ho ancora svelato!”
Poi l’abbraccio, stringendola fortemente a sé.
“Perché?” chiese Roxanne con la valigia in mano, ricambiando l’abbraccio.
“Per proteggerti!” disse sua madre. “Trova te stessa! Questo non è il tuo posto!”
Sciogliendo l’abbraccio le strinse fortemente le mani.
 Roxanne capì che quelle erano le sue ultime parole.
 Le lasciò le mani, e guardò Eveline, poi abbraccio anche lei, per alcuni momenti. Infine strinse Richard che le diede una pacca sulla schiena. “Pensa a me qualche volta!” disse, prima di liberala dalla presa ferrea della sue braccia.
Ancora una volta guardò sua madre.
“Buon viaggio Roxanne!” disse Rosaline.
“Roxanne! Adesso dobbiamo proprio andare!” disse invece Némyra, che si trovava davanti al cancelletto. Roxanne sollevò la valigetta e la raggiunse. Insieme si avviarono lungo il viale.
“Roxanne!” la chiamò la voce di Eveline.
Roxanne a metà strada si voltò per guardare la sua famiglia sulla soglia, che la fissavano con aria triste.
“Promettimi che tornerai!” tra loro ci fu uno sguardo d’intesa che fermò il tempo.
“Lo prometto!” Disse dopo un lungo istante.
Infine si voltò, guardando avanti. La sua vita da strega era cominciata.
E la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata trovare Andris. 

 

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Capitolo 12
*** 5 Il ragazzo scomparso - parte 2 ***


Ringraziamenti: come al solito non smetterò mai di ringraziare i miei adoratissimi Morgengabe (che non smettono mai di darmi consigli utili) Old Fashioned, Black Daleko, Vanessa1995, MatitaSanguigna, Princess_of_Erebor, Spettro94 (che sta recensendo altrove ma non fa niente lo ringrazio qui) e il nuovo arrivato Makil_ che spero di non deludere.
In più voglio dare un ringraziamento speciale a Ridley Jones Stark, per la bellissima Fanart.
Io adoro le fanart!
 


 
Le due streghe si avviarono nuovamente verso la casa dei Waylon. Una volta raggiunta l’inferriata, Nemyra, si sollevò in aria e raggiunse la stanza devastata. Roxanne invece fu costretta ad arrampicarsi sull’edificio.
La maga, sollevò il braccio, appoggiandolo sulla parete annerita, e pronunciando ancora una volta delle parole incomprensibili, fece una magia.
“Si!” disse come se stesse parlando a se stessa “So dove trovarlo!”
“Dove stiamo andando?”
“Alla stazione dei treni!”
“E’ chiusa a quest’ora!” gli fece notare Roxanne. E poi pensò che forse la maga non lo sapeva.
“Non importa!” gli rispose infatti Némyra dopo alcuni istanti.
Uscirono dalla zona residenziale e attraversando la rotonda, si diressero verso la stazione, camminando su un lungo marciapiede.
“Non mi hai ancora detto dove stiamo andando ‘con precisione’! Ehi tu! Stronzetta! Guarda che sto parlando con te, non con il tuo abbondante fondoschiena!”
La ragazza si bloccò di colpo e si voltò verso di lei visibilmente offesa.
“Piuttosto volgari le parole che usi, nei confronti di una persona che ti ha appena salvato la vita! Non ti pare?”
“Io mi esprimo come mi pare!”
“L’ho notato!”
Roxanne le lanciò un occhiata di sfida. “E per l’esattezza mi sono salvata da sola!” sussurrò in un ringhio minaccioso.
“Saresti durata poco! Se non fossi intervenuta io!” disse.
Ma Roxanne non si diede per vinta. Stava per spuntare l’alba. Il cielo stava cominciando a schiarirsi sulle loro teste.
Raggiunsero la stazione ferroviaria, e Némyra con un colpo della sua bacchetta, spalancò le porte. Entrarono furtivamente, la stazione immersa nel silenzio della notte. Si incamminarono tra i treni fermi, con i motori freddi. Némyra li esaminò uno ad uno e infine si soffermò davanti a uno ad alta velocità.
“Questo andrà bene!” disse.  Sollevando entrambe le mani lanciò delle scie dorate che penetrarono tra le pareti metalliche del macchinario. Il treno si accese e i motori cominciarono a vibrare. Una porta si aprì e Némyra salì i gradini, seguita da Roxanne.
Poco dopo il treno partì, da solo, mentre loro passavo fra tutti i vagoni. In fine si sedettero comodamente una difronte all’altra, davanti a un finestrino. Roxanne posò la valigetta vintage sul tavolino.
“Allora Roxanne! Se vuoi salvare il tuo amico, dovrai imparare a fare un incantesimo di protezione, per erigere una barriera. Non ti sarà difficile dato che l’hai già fatto con mio grande stupore per salvarti dal Demone divoratore! E con mio grande stupore, devo ammettere che sei stata grandiosa!”
“Come faccio?” domandò prontamente Roxanne.
“Quello che hai fatto tu era solo un muro, per dividere! E di solito è una cosa che fai in modo naturale, per proteggerti! La magia sa riconosce i pericoli, in base al tuo movimento! Ma io ti insegnerò a creare una sfera, che ti possa proteggere per intero, in modo tale che se ci dovessero essere dei pericoli, tu potrai rimanere protetta all’interno della sfera, anche con una persona vicino a te. In questo caso il tuo amico!”
“Si ma non mi hai ancora detto come fare!” puntualizzò.
“E quello che sto per spiegarti se mi dai un attimo di tempo per farlo! Come prima cosa mi devi dire che mano usi normalmente!”
“La sinistra!” disse Roxanne.
“Già la sinistra!” Affermò Némyra per nulla sorpresa, ma con l’aria di chi avesse voluto sentirsi un'altra risposta. “Dunque! La magia scaturisce dalla mano che ti è più congegnale, e una volta emersa fuori dal tuo corpo puoi controllarla anche con l’altra! Guarda ti faccio vedere!”
Némyra portò le braccia sul tavolino e rovesciò i palmi delle mani aperte verso l’alto.
“Hanakulth!”
Dal palmo della sua mano sinistra scaturì una luce dorata e un istante dopo accadde lo stesso, anche alla destra, che cominciò ad illuminarsi di luce propria. Un attimo dopo dal centro delle mani comparve una piccola sfera che lentamente cominciò ad allargarsi sempre più, fino ad avvolgerle per intero.
“Visto!” disse Némyra. “Non è difficile!” chiuse le mani a pugno e la sfera si dissolse. Roxanne guardò la maga con aria meravigliata.
“Ora prova tu! Devi pronunciare bene l’incantesimo Hanakulth!
Roxanne appoggiò le braccia sul tavolo, e rivoltò i palmi verso l’alto. Pronunciò l’incantesimo, e attese qualche istante. Le punte delle dita della mano sinistra s’illuminarono di luce propria. Alcuni istanti dopo anche dalle dita della mano destra scaturì la luce. Ma oltre una luce dorata che alleggiava in mezzo alle due mani non accadde nient’altro.
Roxanne rimase a guardare con aria interrogativa, quella luce che non si allargava, rimando una semplice sfera che alleggiava sospesa a mezz’aria.
“Non si estende!” disse dopo un attimo con aria preoccupata.
Anche Némyra sembrava preoccupata. “è la prima volta che lo fai! È normale che sia così! Riprova fra poco!”
Roxanne allargò la distanza tra le mani e la sfera di luce scomparve.
“Perché i miei poteri erano sigillati?” disse un attimo dopo.
“Il sigillo che ti è stato imposto alla nascita, serviva per non dare troppi sospetti ai Rinneganti, che non devono assolutamente scoprire la nostra esistenza!”
“Chi sono i Rinneganti?” Domandò mentre la sua mente si affollava di idee, presupponendo che si trattasse di una società di maghi che le davano la caccia.
Ma Némyra dissolse subito le sue fantasie “Tutti quelli senza poteri magici sono Rinneganti!”
“Quindi anche i miei genitori! Perché li chiamate Rinneganti?”
“E’ lunga da spiegare! Ma arriverà anche il momento per spiegarti quello!”
 “Dove stiamo andando?” domandò Roxanne.
“Ai cancelli Infradimensionali! Dove potremmo entrare nella dimensione Incantata!”
“Dimensione Incantata?” domandò Roxanne, facendogli notare che voleva qualche spiegazione un po’ più precisa.
“si! è li che viviamo noi persone con poteri Magici!”
Roxanne capì che non avrebbe saputo altro almeno per il momento. Ma non le importava. Era troppo preoccupata per Andris. Aveva aspettato tutta la vita quel momento. E ora che finalmente aveva la possibilità di porre tutte le domande che aveva dovuto tenere prigioniere dentro di sé, era assillata dall’idea che fosse successo qualcosa di terribile a un ragazzo che aveva appena conosciuto. Non sapeva perché, Andris in qualche modo aveva fatto breccia nel suo cuore.
Intuendo che ci volesse ancora parecchio tempo prima di arrivare a destinazione, Roxanne, poggiò nuovamente le mani sul tavolo, e riprese ad esercitarsi nel tentativo di erigere una sfera protettiva.
“Hanakulth!”
Riprovò e riprovò, per tutto il tempo. Ma la sfera rimaneva ferma e immobile nella sua mano, piccola, come una pallina da tennis.
“Roxanne, non sforzarti troppo!” Disse a un tratto Némyra. “Conserva l’energia per il momento opportuno. Andris molto probabilmente sarà privo di sensi, e tu dovrai erigere una barriera tenendolo fra le braccia!”
Roxanne la guardò spalancando gli occhi. “Tenerlo fra le braccia? Ma hai idea di quanto pesa un ragazzo?”
“Molto probabilmente sarà vittima di un incantesimo che lo tiene privo di coscienza. E in più chi l’ha portato via, avrà anche pensato a fargli un incantesimo che serve per annullare il peso che lo collega alla gravità, quindi non dovrebbe pesare più di una piuma! In più con l’Hanakulth il corpo dovrebbe alleggerirsi comunque, per permettere al mago di portare via ciò che deve proteggere senza fare un’ulteriore sforzo oltre quello che già sta facendo per erigere la sfera!”
Roxanne ignorando il consiglio di Némyra riprese ad esercitarsi, ma con scarsi successi, perché la sfera non accennava a prendere una vera a propria forma.
“lo possiamo salvare, ma dopo non potrai più vederlo! Lui è una persona comune!” disse Némyra, quasi avesse intuito i suoi pensieri.
“E invece no!” disse Roxanne. “Ti ho già detto che anche lui ha dei poteri magici!”
La ragazza si accigliò “Ma fino a poco fa hai detto che non è in grado di fare quello che faccio io!”
“Si, ma questo non significa che sia come gli altri! Emanava luce da tutto il corpo!”
“Davvero?” Domandò Némyra che si portò una mano sotto il mento, e guardò fuori dal finestrino con aria pensierosa. “E’ strano che il consiglio Supremo non sapesse nulla di questo giovane uomo!”
Némyra non disse nulla dopo quelle ultime parole, e nemmeno Roxanne ebbe più voglia d’interrogarla. Era troppo preoccupata. Il treno viaggiò per un paio d’ore, e Roxanne non lasciò che il tempo andasse via inutilmente.
Passò ogni istante con i palmi aperti uno affianco all’altro, nel tentativo di erigere una sfera protettiva.
“Hanakulth!”
Ma nulla. Più ci provava e più la piccola sfera che alleggiava tra le sue mani perdeva d’intensità luminosa. Sembrava che più si sforzasse e più le usciva difficile.
“Non ci riesco!” Disse in fine con aria sconfortata.
“Vedrai che al momento giusto saprai farlo!” disse Némyra.
“E se non dovessi riuscirci? Se la barriera non si dovesse allargare?” Domando, trattenendo a stento la rabbia.
Némyra non rispose.
Presto raggiunsero una zona verde di colline, boschetti, dove si delineava un ampia vallata.
“Siamo arrivate!” disse Nemyra, improvvisamente, fermando il treno, con un colpo secco del suo scettro, sul tappeto di gomma. Scesero dalle scalette e saltarono sul binario. Intorno non c’era nulla, se non erbacce e piante che crescevano selvatiche ovunque. Nemyra scese giù dalla sporgenza di calce dei binari e si incamminò attraverso la grande distesa d’erba.
“A proposito di oggetti magici… quello è uno scettro magico per caso?”
“E me lo chiedi pure? È ovvio! E c’è anche una bacchetta magica! Ne avrai una anche tu ora che entrerai nella dimensione Incantata!”  
Roxanne non stava più nella pelle al idea di avere anche lei una bacchetta magica. Ma la sua euforia si affievolì, e rimase inorridita, nel vedere che la maga si stava avviando verso un colle, sul quale sorgeva un vecchio rudero: due pareti di pietra grigia con una finestra ad arco, nel mezzo e una colonna affianco, con una serie di macerie ammucchiate lì per circondarli, ricoperti da muschio ed erbacce. Quello era un luogo magico?
Si avvicinò alle macerie e ci camminò attraverso, osservando le pietre corrose, e il muschio che ci cresceva sopra. Mentre attraversava l’arcata, si accorse che in cima, nascosto sotto un ciuffo di pianta rampicante, c’era una specie di basso rilievo, che raffigurava un uomo e una donna, entrambi dai cappelli a punta, con due mani unite, e due impegnate a sollevare le bacchette magiche. Némyra fece un colpetto di tosse per richiamare la sua attenzione. “Ti dispiacerebbe venire qui dove mi trovo io?” Roxanne la raggiunse, scendendo dalla collina.
“Ragamond enhor atenod!” disse colpendo il terreno con lo scettro. Dalla base del bastone si sprigionò una luce dorata, allargandosi in un cerchio che raggiunse le pietre consumante.  Il rudero prese in fretta la forma di una casa in legno decadente, con alcune imposte e vetri rotti, circondata da un muretto di basse pietre, con all’interno un piccolo orto, uno spaventapasseri dalla testa forma di zucca e un vecchio pozzo in pietra. Sulla cima della porta, lo stesso bassorilievo, sgretolato, ora risplendeva in oro massiccio. Roxanne ebbe un ondata di eccitazione alla vista di quanto era appena accaduto sotto i suoi occhi.
“Puoi anche urlare sei vuoi!” disse Némyra con un sorriso sul volto, nel guardarla. “Qui non ci sente nessuno!” Roxanne lanciò un urlo, e gli uccelli nascosti negli alberi si alzarono in volo spaventati. In quel momento una donna anziana aprì la porta.
“Mi fa piacere sapere che voi siate così entusiaste!” disse ad alta voce “Ma non c’è bisogno di urlare in quel modo!”
“E meno male che avevi detto che non ci sentiva nessuno!” disse Roxanne quasi ridendo. Si tupì, nel rendersi conto, che per un attimo il suo umore le aveva concesso un sorriso.
Scavalcarono il muretto di pietra e salirono il pendio erboso.
“Némyra Meleglith? Non credevo venissi tu!” disse la donna “Aspettavo Roothfer!”  L’anziana signora era la persona più strana che Roxanne avesse mai visto. Il volto pallido, ricoperto di nei, e gli occhi di un azzurro quasi bianco. Portava i capelli bianchi raccolti in una crocchia, sotto un alto cappello a punta nero, intonato a un lungo vestito dalla gonna lacera, e delle unghie lunghissime.  “Fate in fretta!”
Le due ragazze entrarono nella casa e la donna richiuse la porta.
All’interno della casa, c’era una quantità di gatti notevoli. Erano acciambellati sulle poltrone di velluto, sui mobili, sugli scaffali e sulle credenze. Il parquet in legno nero era marcio e le assi scricchiolavano a ogni loro passo. Sulle destra una scala saliva ai piani superiori -probabilmente la camera da letto- e sulla sinistra la cucina da cui proveniva un forte odore di stufato.
Non c’erano dubbi. Quella era proprio la casa di una strega.
“Dobbiamo andare via subito!” disse Nemyra “C’è un persona in percolo!”
La strega annuì con un cenno del capo. “Seguitemi!” disse, avviandosi verso una porta che si trovava sotto le scale. L’aprì e fece spazio alle due ragazza. Scesero una rampa di scale scricchiolanti, immerse nel buio, e si ritrovarono in un vecchio ripostiglio dalla roba accumulata. La strega anziana con il piede spostò un grosso tappeto sgualcito, rivelando una botola che si apriva tra le assi di legno. Con un mazzo di chiavi l’aprì scoprendo un passaggio sotterraneo. “Più avanti troverete la porta!” disse. Roxanne si sporse, e vide che c’erano almeno tre metri di distanza da terra. Némyra con un salto si calò giù atterrando in piedi. Roxanne la seguì saltando anche lei.
“Buona fortune Roxanne!” disse la signora anziana richiudendo la botola. Roxanne si guardò in torno osservando alcune pale e rastrelli accatastati contro una parete di mattoni, alle sue spalle. Davanti a loro si apriva una lunga galleria, simile a un tunnel minerario, con il soffitto di mattoni a volta. La maga si avviò nell’oscurità, evocando un globo di luce dorata, che gli galleggiava sulla mano destra. Roxanne prese una lampada a olio e con una scatola di fiammiferi appoggiati lì affianco, l’accese. Raggiunse la ragazza, e mentre procedevano fu pronta per la prossima domanda.
“Sai già dove trovare Andris?”
 “Si! Non ti preoccupare!” disse Némyra in tono rassicurante.
Il tunnel terminò in una galleria rocciosa, che scendeva verso il basso. Scesero il pendio stando attente a non scivolare. Poco dopo il terreno tornò piatto. Continuarono a procedere nella galleria rocciosa ancora per un paio di minuti, poi improvvisamente, la volta del soffitto si fece sempre più stretta, riducendosi in un piccolo passaggio troppo breve, che si chiudeva completamente. La galleria era chiusa. Non conduceva da nessuna parte. Roxanne che ormai si stava abituando ai fenomeni magici rimase in attesa. La ragazza allungò il braccio, verso la chiusura della grotta, e pronunciò ancora una volta delle parole magiche.“Ravenetur Exavark!”
La parete rocciosa cominciò a creparsi, e un pezzo che si trovava alla base, si staccò seguito da tutti gli altri che vennero inghiottiti, in un oscurità totale. La lampada a olio che reggeva Roxanne tra le mani si aprì e il fuoco al suo interno venne inghiottito, da quel vortice nero di tenebre. Ora solo la luce che si trovava tra le mani di Némyra era in grado di illuminarle. Roxanne non poté credere ai suoi occhi, mentre fissava affascinata e allo stesso tempo spaventata, quella specie di buco nero.
“Al mio tre, saltiamo! D’accordo?”
Roxanne fece un lieve cenno del capo.
“Uno… Due… Tre!” fece un salto e si gettò nell’oscurità. Roxanne saltò anche lei e venne risucchiata da quell’oscurità avvolgente urlando. Dietro di loro il corvo blu si lanciò velocissimo, superandole. I massi e le rocce che si trovavano sospesi come meteore nello spazio, ritornarono al loro posto ricomponendo la volta della grotta alle loro spalle. Cominciarono a cadere nell’ oscurità fittissimo.
Roxanne riusciva a vedere solo Némyra, unica fonte di luce in quella sostanza nera, grazie al globo luminoso nella sua mano. In quel momento qualcosa esplose nel suo zaino. “Accidenti! Le mie nuove cuffie no!” gridò.
“Non l’avresti potuta più ascoltare la musica come una Rinnegante!”
“Per quanto staremo così?”  Pensò di domandare Roxanne che si sentì una foglia trascinata dal vento.
“Non ci vorrà molto te lo posso assicurare!” garantì Némyra. Al buio totale cedette un esplosione. Una miriade di scintille bianche, sopra un vortice di colori  sfumati in vari tipi di viola diverso, che formavano un paesaggio immenso simile a un cielo stellato, visto dall’ infinita vastità dell’universo. Roxanne non avrebbe mai immaginato che una strega potesse viaggiare nello spazio. Poco dopo comparvero anche un’infinta quantità di oggetti. Libri, soprattutto, e lettere, fogli scritti e penne d’oca. Bocchette d’inchiostro e timbri da cera. Ma c’erano anche candele, accese e spente, cappelli a punta, stivali col tacco, e mantelli. Ampolle e fiale con liquidi dal colore verde smeraldo, e rosso rubino.
“Cos’è tutta questa roba?” domandò Roxanne, che ebbe l’impressione di cominciare a cadere.
“Sono le cose che i maghi e le streghe smarriscono durante l’attraversamento del varco Infradimensionale!”
Passarono ancora un paio di minuti, poi improvvisamente, comparvero delle enormi immense sfere cristalline, che raffigurava al loro interno dei luoghi sconosciuti.
“Cos’è tutta questa roba?” domandò.
“Dove sono questi posti? Se mai era quella la tua domanda! Sono i vari luoghi in cui andiamo! Ora vedi quel varco la giù? Dobbiamo lasciare i bagagli la! E poi ci dirigiamo direttamente dove si trova il tuo amico!” All’interno della sfera c’era un luogo devastato come un villaggio in rovina. Némyra allungò la bacchetta e pronunciò un incantesimo. Dalla bacchetta fuoriuscì una serie di scintille, che formarono una sfera di stelle incandescenti “Metti la tua valigia qui!”
Roxanne infilò la valigia e lo zaino all’interno della sfera di luce bianca, e subito quella sfrecciò verso l’altra sfera con il villaggio diroccato attraversandola.
Vagarono in quell’immenso vuoto sospese, ancora per un paio d’istanti e poi si avvicinarono verso una sfera, che raffigurava una serie di rocce che sorgevano da un lago avvolto dalla nebbia. Quando furono vicinissime, Roxanne tentò di toccarla, ma venne rischiata al suo interno, e una volta che ebbe attraversato quella barriera simile all’acqua, ma che non lasciava il corpo bagnato, si ritrovò a cadere in un immensa luce bianca. 

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Capitolo 13
*** 6 La Dimensione Incantata - parte 1 ***


Come al solito non mi dimentico mai di ringraziare i miei adorati recensori, tra cui i Morgengabe, Old Fashioned, Vanessa1995, Black Daleko, Makil, Princess_of_Erebor Ridley Jones Stark Oscar the Dark 
Quest'ultimo non si vede ma c'è, so che sta leggendo. 

 

6

 

Nella Dimensione Incantata




Roxanne stava ancora cadendo, come in un sogno, avvolta da quell’abbagliante luce bianca, quando sotto di lei comparve un immenso aspirale di fumo grigio, che si apriva come un tunnel.
“Tieniti pronta! Ci siamo!” disse Nemyra “Afferra la mai mano!”
Roxanne, che teneva i polsi incrociati davanti al viso, allungò un braccio, per afferrare la mano protesa di Nemyra.
Il corvo fu il primo, a svanire nella nube, giusto qualche istante prima che l’attraversassero anche loro. Il suo corpo percepì il freddo, che arrivò così improvvisamente, da farla sentire immersa nell’acqua.
Nemyra la stringeva a sé cingendole la vita. Lentamente i loro corpi fluttuarono verso il basso, in direzione di una roccia. Il paesaggio sottostante era un immenso lago d’acqua verde scuro, su cui alleggiava un’alta coltre di densa nebbia, da cui sorgevano di tanto in tanto, alcuni alberi con poche foglie, massi e rocce. Il cielo scuro sulle loro teste, era invaso da nuvole nere, che si ammassavano lasciando intravedere due lune, a spicchi, una più grande, che brillava bianca, e una più piccola, dal colore rosso sangue.
La loro caduta rallentò e Nemyra, che stringeva ancora il braccio introno alla sua vita, atterrò con delicatezza sul suolo roccioso.
Roxanne che teneva le gambe piegate sospese a mezz’aria la guardò confusa.
“Su, avanti! Appoggia i piedi per terra!” disse la maga.
Lentamente allungò i piedi, come se si trovasse nell’acqua, e con le punte degli scarponcini toccò il masso melmoso. Un attimo dopo Nemyra le liberò la vita, e Roxanne per poco non cadde rovinosamente con il sedere al suolo, sentendosi improvvisamente pesantissima. Barcollando ritrovò il suo equilibrio, per poi guardarsi a torno con aria spaesata. Nulla di quel luogo le diceva che ci fosse vita. Tutto era immobile.
“Dove siamo?” domandò alla sua amica, rendendosi conto solo in quel momento, che i massi e le rocce, si muovevano, lentamente, sulla superficie dall’acqua.
“Alla laguna delle Rocce Vaganti!” spiegò che nel frattempo si era chinata ad allacciare delle cinghie intorno alle caviglie. Un paio di cinghie che fino a un attimo prima non facevano parte dei suoi abiti.
Roxanne spostando lo sguardo verso il basso rimase sbalordita, mentre la sua amica stringeva le fibbie degli stivali, a cui erano attaccate delle ali ricoperte di piume blu, simili a quelle del suo corvo.
Una volta terminata l’operazione sguainò la bacchetta, a avvicinandosi ai margini della sporgenza rocciosa si piegò in avanti, e tirando indietro le braccia si sollevò in aria, volando.
“Aspetta!” gridò Roxanne “Come fai a sapere dove stai andando?”
“Vieni Roxanne!”  Le ali ai lati degli stivaletti si muovevano velocissime, mentre lei, a un pelo dall’acqua si dirigeva verso un’altra roccia “So dove trovare Andris! E’ più vicino di quanto credi!”
Puntando la bacchetta verso un masso, e poi verso un altro, li colpì uno ad uno, e in breve li radunò formando un sentiero che sorgeva sull’acqua. Roxanne cominciò a saltellare il più in fretta che poté, per stare dietro alla maga. Poco dopo Nemyra evocò un globo di luce azzurra che schizzò dalla punta della bacchetta e prese ad alleggiare sul sentiero. A quel punto la maga che di tanto in tanto toccava distrattamente con le punte degli stivali, la superficie dell’acqua, si sollevò in alto, e aumentando la potenza del suo volo, superò un isolotto. Presto la sua sagoma si perse nella nebbia, e Roxanne rimase indietro, con il globo di luce che la guidava, e un corvo blu gracchiante che volava a zigzag sulla sua testa.
I massi si avvicinavano uno ad uno, mentre lei ci saltava sopra superandoli un po’ per volta. Poco dopo rivide la figura di Nemyra, immobile, che si teneva sopraelevata di qualche metro, con una gamba piegata in avanti. In quel momento, da un isolotto che s’intravedeva appena oltre la coltre di nebbia, un boato come di un esplosione, e una potente luce rossa raggiunsero il suo sguardo.
“E’ lì!” disse Nemyra indicando il luogo con la punta della bacchetta sfavillante. “Riesco a vedere il suo rapitore! Vieni!”
Roxanne che si era fermata per riprendere fiato, cominciò nuovamente a saltellare sui massi, e poco dopo raggiunse un’alta parete rocciosa, che s’innalzava dritta sopra la sua testa. Nemyra, in alto, colpì un arbusto, e lentamente un ramo verde, si allungò verso il basso, poi scomparve oltre il boschetto di cui era ricoperto l’isolotto. Lentamente il lungo ramo la raggiunse. Roxanne salì in piedi sull’arbusto e reggendosi forte con entrambe le mani, attese che la pianta la portasse in alto. Non appena vide uno spazio d’erba che si apriva nel mezzo della selva, saltò a poco meno di un metro dal suolo e si inoltrò dentro la vegetazione. Gli alberi erano piuttosto distanti gli uni dagli altri, e non fu difficile individuare Nemyra, che si era inginocchiata dietro un tronco caduto. Piegandosi al suolo, continuò a procedere carponi, raggiungendo la maga. Oltre i margini dell’isolotto dove si trovavano ora loro due, in piedi su  un’alta roccia che sorgeva come una colonna affusolata, una figura incappucciata di nero, con una grossa gobba dietro la schiena, teneva le braccia sollevate, con delle dita dai lunghi artigli, e pronunciava delle parole in un’antica lingua.
“Ci ha viste!” disse Nemyra.
“Ti ha vista vorrai dire, dato che sei tu quella che vola!” ribatté prontamente lei.
Dai lunghi artigli della figura cominciarono a fuoriuscire dei fulmini viola. Roxanne notò solo allora, su un’altra roccia alla loro sinistra, una stranissima pianta nera interamente fatta di rami, che si attorcigliavano tra di loro verso l’alto, avvolgendo il copro privo di sensi di un ragazzo. Era Andris. I suoi lunghi capelli argentei si muovevano nel vento, risplendendo di luce propria, illuminandolo per intero.
In quel momento i fulmini saettarono nella loro direzione, ma Nemyra sfoderò la sua bacchetta e invocò una barriera blu, che fece rimbalzare l’incantesimo d’attacco. La barriera scomparve, e la maga sollevandosi in volo pronunciando alcune parole lanciò un incantesimo che fece sprigionare dalla punta della bacchetta una grande scia di luce dorata, che si divise in mille scintille. Piovvero come fiamme sulla figura, incappucciata. Roxanne doveva assolutamente trovare il modo di raggiungere Andris.
Un’alta roccia vagante si stava avvicinando a quella dove si trovava il ragazzo privo di sensi. Ma era ancora troppo lontana, e forse ci avrebbe messo troppo tempo per arrivare lì. Sollevandosi in piedi superò il tronco e raggiunse il margine della sporgenza. Si sporse oltre il precipizio. Sotto mancavano cinque metri all’incirca dalla superficie dell’acqua. Una luce viola schizzò nella sua direzione ed esplose, a pochi centimetri da lei. Se fosse caduta da lì, avrebbe impiegato troppo tempo per risalire. Non poteva aspettare. Non poteva…
Si voltò. Nemyra teneva impegnata la figura incappucciata, lanciando una serie di incantesimi, con la bacchetta nella mano destra, e una barriera che la divideva con la mano sinistra. Roxanne voltandosi tornò verso l’interno, e togliendosi la giacca, che volò via col vento, prese la ricorsa.
“Roxanne no!” Gridò Nemyra.
Roxanne si lanciò nel vuoto, con tutta la forza che aveva. Rimase sospesa in aria, grazie alla forza della spinta, per alcuni secondi e poi afferrando con forza la parete rocciosa, e si aggrappò. In quel momento la figura incappucciata, con la propria bacchetta, colpì in basso, verso la roccia vacante, che si spaccò in mille pezzi. Uno di questi schizzò verso la maga, che fu costretta velocemente a spostarsi.
“Nemyra!” gridò Roxanne ancora attaccata alla parete rocciosa, temendo per la sua amica.
Nemyra si trovava sospesa in aria, all’interno di una sfera trasparente, che la proteggeva. Una roccia gigantesca staccatasi durante l’esplosione schizzava velocissima nella sua direzione. Roxanne voltandosi cominciò a salire sulla roccia, con tutta la forza che aveva e una volta raggiunta la cima si tirò su, con le ginocchia. Ma non rimase in ginocchiata a lungo, e si sollevò subito in piedi. Corse verso la strana pianta nera, fatta di tanti rami simili a tentacoli. Ne tocco uno, e ne rimase disgustata, dalla consistenza viscida. Ma non ci badò e mentre i tentacoli si muovevano frenetici, lei cominciò a salirci sopra, arrampicandosi. La respinsero e la fecero cadere giù. Rimase qualche istante stordita, con la schiena dolente a fissarli, incurante del fatto, che la sua testa penzolava nel vuoto. Si sollevò con i gomiti rimettendosi in piedi, mentre un tentacolo tentava di afferrarle le caviglie. Si spostò di lato e prendendo la rincorsa balzò e afferrò un grosso ramo, triandosi in piedi. Saltò velocissima sopra ognuno di loro, e raggiunse Andris. I tentacoli dalle varie dimensioni gli avevano intrappolato quasi tutto il corpo, e alcuni sottilissimi salivano lungo il collo fino al mento. Prese a respingere i rami con tutta l’energia possibile, mentre questi tentavano di acchiapparla, e cominciò a strappare via anche quelli dal corpo di Andris. Ma subito si aizzavano e lo avvolgevano nuovamente, ancora più strettamente, ancora più ferocemente. A quel punto Roxanne presa dalla rabbia,  li strappò via con più forza, e velocemente circondò con entrambe le braccia il corpo del ragazzo inerme, per attirarlo a sé.
Strappò via i ramoscelli più sottili, che si intricavano sulle sue guance, e con delicatezza gli accarezzò il viso. Ma un attimo dopo i tentacoli le avvolsero le gambe, imprigionandola insieme a lui.
Dietro di lei, lo scontro i due maghi infuriava senza che nessuno vincesse.
“Andris!” tentò di chiamarlo Roxanne, per farlo rinvenire. Ma le radici la soffocavano. “Andirs!” Gli occhi del ragazzo, vicini ai suoi si aprirono. Le iridi non erano quelle che Roxanne aveva visto quella sera. Brillavano di un intensa luce dorata.
Subito si richiusero.
Roxanne spostando le braccia, si accorse che dietro la schiena del ragazzo c’era qualcosa. Come una specie di frutto. Tentò di afferrarlo, ma i rami lo allontanarono verso il basso, Roxanne allora scostandosi vide una fiore viola, chiuso a bocciolo, con delle grosse foglie verde scuro. Allungò la mano nel tentativo di afferrarlo. Le piante tentarono di tirarlo via, ma lei lo stappò via con forza. Avrebbe sperato che si trattasse solo di una sua impressione, ma sapeva che non era così. La strana pianta lanciò un ruggito. In quel momento il corpo di Andris sprigionò un’immensa luce dorata, così forte che Roxanne fu costretta a coprirsi gli occhi con il dorso della mano, mentre dal fiore viola cominciò a colare un liquido nero che le bagnò il braccio.
“No!” gridò la voce della figura incappucciata “No!”
La pianta si contorse gridando e si abbassò lentamente. La luce scompare, e Roxanne si ritrovò in ginocchio, con un braccio che sorreggeva il ragazzo inerme e con l’altro lo strano fiore. Adagiò delicatamente Andris al suolo e si rimise in piedi. Il liquido nero penetrò nel suo braccio sinistro, e Roxanne sentì una stana energia scorrergli dentro. La mano che reggeva il fiore si illuminò di luce rossa. Roxanne ebbe un intuizione. La figura incappucciata si trova rannicchiata sull’alta roccia, gridando. Lasciando cadere lo strano fiore puntato il palmo della mano aperta nella direzione del rapitore. Il suo braccio formicolò e una forte vibrazione che raggiunse le punte delle dita diede vita a una violente scarica di luce rossa, che colpì la figura facendola volare in aria con una serie di capriole. Gridò disperatamente volteggiando nell’aria. Una macchia nera si aprì sotto di lui come uno squarcio, e una serie di figure fatte di fumo nero fuoriuscirono, afferrandolo. Dallo squarcio nero comparve un'altra figura nera, alta e dritta. Roxanne ad occhi sgranati osservò il nuovo arrivato, anche egli avvolto da un mantello e un cappuccio nero.
“Roxanne! Roxanne!” la voce del richiamo di Nemyra la riscosse come da un incubo, e si diresse di corsa verso Andris. Si inginocchiò accanto a lui e gli sollevò la testa.
“Roxanne ora!” gridò Nemyra con la bacchetta pronta. “Ascoltami! E’ giunto il momento di sollevare la sfera!”
Roxanne venne improvvisamente presa dalla paura. Se non ci fosse riuscita sarebbe stata la fine, per entrambi. Il nuovo arrivato sollevò una mano puntando la bacchetta nella loro direzione.
Roxanne mise una mano sotto la schiena di Andris e un'altra sotto le ginocchi.
“Hanakulth! Hanakulth! Hanakulth!”  lo ripeté per tre volte, alzando sempre di più la voce, mentre provava a sollevarlo. Sentì un energia scorrergli lungo il corpo, fino alle mani che lo sorreggevano, che fuoriuscì come un forte vento, sollevandole i capelli. Dal petto del ragazzo risplendé una luce bianca, mentre si allargava una sfera di luce trasparente. Il suo corpo divenne leggerissimi, mentre la sfera li avvolgeva entrambi, divenendo sempre più grande, fino ad isolarli completamente.
“Helith Alatthin!” pronunciò Nemyra. Affianco a lei si aprì uno squarcio di luce blu, che rivelò all’interno un altro luogo. E allo stesso tempo il copro di Roxanne si staccò da terra insieme a quello del ragazzo e con tutta la sfera che li avvolgeva vennero trascinati velocemente verso Nemyra oltre lo squarcio. La ragazza lo attraversò davanti a loro, e quando lo squarcio si richiuse cadde un silenzio innaturale. Roxanne che sorreggeva un ragazzo leggero come un ramo, si trovò a scendere lentamente nella notte, buia, e scura, sulle loro teste. Un cielo costellato di stelle luminose come la ragazza non né aveva mai viste in vita sua, insieme e due grandi lune a falce, che risplendevano nel cielo. Sotto di loro la terra era invasa da una foresta di chiome scure, e un villaggio dall’aspetto antico, di pietra grigia che sorgeva nel mezzo dalla boscaglia. “Lascialo andare!” disse Nemyra.
“Come?” chiese Roxanne.
“la sfera regge anche senza di te non c’è pericolo!” Roxanne lascò il ragazzo, e mentre lui rimase rigido all’interno della bolla, lei cadde giù velocemente. Nemyra allungo la mano verso di lei e Roxanne l’afferrò. Man mano che si avvicinavano alla terra, dirette verso una radura che si apriva al limitare di un muro ricoperto di rovi, la loro caduta acquisì velocità.
Ma all’ultimo momento la maga allungò la bacchetta e con una pioggia di scintille fece comparire un enorme materasso a righe, insieme a un innumerevole quantità di cuscini. Le due ragazze caddero sul materasso, mentre il ragazzo rimase nella sfera, a pochi centimetri sopra le loro teste. Nemyra rimase distesa in mezzo ai grossi cuscini, Roxanne invece rimbalzò sul materasso e cadde con le ginocchia sul erba. Lì davanti a lei, erano posti il suo zaino, e la sua valigia. Guardandosi le mani si rese conto che non c’era più l’anello che le aveva regalato Arnold. Era andato perso nel passaggio. Si alzò subito in piedi, per osservare la radura che si apriva davanti all’ingresso del villaggio dall’aspetto medievale, cinto da mura in pietra, e grosse piante rampicanti che crescevano tutte intorno a esso. Ai lati dell’ingresso, costituito da un arco rotondo, c’erano due colonne, a cui erano sistemate delle pietre blu, che lo illuminavano.
“Adoro fare gli atterraggi su qualcosa di morbido!” disse Nemyra entusiasta. “Sono molto più divertenti! Qui adesso è mezzanotte!” Aggiunse
Roxanne la guardò confusa, rendendosi conto che avrebbe dovuto abituarsi al fuso orario.
“Hai visto? Sei stata fantastica!” gridò improvvisamente Nemyra gettandole le braccia al collo per stringerla “Ci sei riuscita! Sapevo che saresti stata in grado di creare una sfera protettiva!”
Roxanne si divincolò dalle braccia della maga
“Benvenuta nella dimensione Incantata Roxanne!” disse Nemyra tenendole le mani.
Lei bofonchiò un semplice grazie, sentendosi leggermente imbarazzata dal tono caloroso con cui la maga aveva espresso quelle parole. 
Nemyra con un colpo della  sua bacchetta fece scomparire il materasso e i cuscini. Il corvo blu planò su di loro e si posò sulla punta ricurva del cappello della sua padrona. Allungò la mano verso di lei, e Roxanne l’afferrò. Insieme oltrepassarono l’arcata del villaggio, la sfera viaggiava sospesa in aria alle loro spalle. La ragazza guardandosi intorno vide un mucchio di case grigie, dall’aspetto decadente. La maggior parte erano del tutto a pezzi, senza porte e finestre, con i tetti e le pareti crollate. Le pietre della strada sconnesse formavano dei sentieri contorti. Le statue e le colonne giacevano al suolo distrutte. La natura aveva preso il sopravento, lasciando cresce piante ed erbacce ovunque. Era vuoto, completamente disabitato.
Era un villaggio diroccato.
“Ma che posto è questo?” chiese Roxanne, non potendo impedire a un brivido di salirle lungo la schiena.
“Questa, mia cara giovane strega, è Ghost Valley!” disse Nemyra. “E passeremo qui la notte, prima di andare all’Accademia!”
“Vuoi forse prendermi in giro proprio ora?” le domandò lei non potendo credere a quello che aveva appena udito. Ma la sua amica scosse la testa in senso di diniego.
Roxanne non poteva immaginare se il nome andasse preso alla lettera, ma le parve piuttosto adatto, visto l’aspetto. Attraversarono un gruppo di case affastellate, con torrette dalla punta contorta, e sbucarono in una piazza con un pozzo al centro. Alle loro destra, un edificio in pietra grigia non molto diverso dagli altri, riportava un insegna con su scritto “Ghost Hotel”
“Non sarà mica lì che dobbiamo dormire?” domandò Roxanne scettica.
Nemyra le rivolse un bel sorriso “proprio si! Vedrai sarà fantasmastico!”
Roxanne prese il termine Fantasmastico, come un Fantasma Fantastico, anche se di certo non poteva esserne certa. Nemyra posò la mano sulla maniglia d’ottone e la ruotò. Parì la porta e le fece spazio per farla entrare. Roxanne guardando all’internò si rese conto che era diverso da come appariva all’esterno. Sebbene fosse di un buio quasi totale, non c’era traccia di maceri, né di piante selvatiche. Entrò dentro, e con passo esitante si guardò intorno. Era completamente fatto in legno nero. Davanti a lei si apriva un lungo bancone, con alle spalle una parete ricolma, di chiavi d’argento, mentre sulla sinistra si apriva una lunga scala che portava ai piani superiori. Tutto intorno era circondato da tavoli neri, e sedie dal sedile in paglia grigia. Al centro di ogni tavolo, era riposta una candela con una fiammella bianca, mentre alle pareti erano appesi lampadari d’argento ricolmi di ragnatele, così fitte da sembrare le chiome di una persona molto anziana. In cima a tutto dei ragni neri e pelosi, grossi come le sue mani puntarono i loro occhi rossi verso di loro. Nemyra richiuse la porta alle loro spalle e si avviò verso il bancone. Poggiò i gomiti sul legno e fece un colpetto di tosse. Dalle assi di legno sotto il bancone comparve una figura evanescente completamente bianca. Roxanne lo guardò sgranando gli occhi. Era proprio il caso di prendere il termine “Ghost Valley” alla lettera.
“Buona Fantasera signorina Meleghlith!” disse il fantasma. Era un uomo alto e magrissimo, con dei capelli lunghissimi, che fluttuavano nell’aria, davanti alle chiavi d’argento.
“Buona Fantasera anche a lei, signor Vanish!” disse Nemyra “Vorremo due stanze comunicanti, e una a parte!”
“Ma certamente!” disse il fantasma con un bel sorriso macabro stampato sul volto evanescente. Si voltò e prese un paio di chiavi dalla parete. “Prendete la camera dei separati in casa che si sono uccisi l’uno con l’altro perché non sopportavano più di stare insieme! E quella di fronte della piccola impiccata!” e con le mani divise le due chiavi, porgendone una a Nemyra e l’altra a Roxanne. “Sempre felici di ospitare i nuovi arrivati nella Dimensione Incantata! Benvenuta, benvenuta signorina…?”
“Adesso dobbiamo proprio andare a farci un bel sono Signor Vanish!” s’intromise Nemyra.
“Desiderate entrambe qualcosa da mangiare?”
“Magari domani mattina!” disse Nemyra che gli diede la buona notte, con un soluto, e afferrando Roxanne per un polso la trascinò su per le scale, che scricchiolarono in maniera sinistra a ogni loro passo. 
Raggiunsero il piano superiore, e svoltando nel corridoio, Nemyra infilò le chiavi in una porta sulla sinistra, una volta aperta con un gesto della bacchetta fece spazio per far passare il corpo disteso di Andris, che si fermò sopra il letto a baldacchino. Nemyra lo colpì con la bacchetta, la sfera scomparve, e le pesanti coperte sul letto si aprirono. Il corpo del ragazzo si abbassò lentamente, fino ad adagiarsi con delicatezza sulle lenzuola.
Roxanne non poté fare a mano di avvicinarsi a lui. Con delicatezza sollevò le coperte e lo avvolse fino alle spelle. Sistemò i capelli argentei sparsi sul cuscino, portando le lunghe ciocche dietro le orecchie.
“Ora lasciamolo riposare! Credo che farà un bel sonno, fino a domani!” disse Nemyra.
Roxanne sospirò. “Dici che si sveglierà?”
“Certamente! Stai tranquilla, non devi più preoccuparti per lui!”
Insieme uscirono dalla camera, richiudendo la porta cigolante. 

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Capitolo 14
*** 6 La Dimensione Incantata - parte 2 ***


RINGRAZIAMENTI & SCUSE
Come prima cosa mi scuso per l’enorme ritardo con cui è arrivato questo capitolo, e per avervi fatto aspettare tanto per le mie recensioni, tanto attese.
Ormai mi è chiaro che le mie recensioni sono importanti per voi, quanto lo sono per me le vostre. Siete le prime persone a dare tanta importanza a quello che scrivo.
Ci tengo a dire a tutti che sono fiera ed orgogliosa di avere tra i mei recensori i Morgengabe Spettro94 e Old Fashioned, e che non potrei essere più onorata di recensirli a mia volta. (e di essere sempre ringraziata)
E ci tengo a dire a Makil che tutto il lavoro che sta facendo per me, è il regalo più grande che io possa chiedere. 
Voglio dire che sono grata a  Vanessa1995 per avermi dato vita con le sue recensioni che non potrò mai dimenticare.  
Ringrazio anche Fan of the Doors per essersi impegnata tanto a scrivere delle recensioni così lunghe per una storia che non era nemmeno sicura gli piacesse.
Per quanto riguarda, Black Daleko, Princess_of_Erebor, Ridley Jones Stark, e morethanyouknow, voglio darvi un ringraziamento particolare, per avermi inserita addirittura tra gli autori preferiti, perché ritengo che più che una preferenza, quella che mi stiate dando sia fiducia. Spero solo di non deludervi.
Ora voglio spendere altre due paroline (poi non vi scoccerò più lo giuro) per avvisarvi che la storia sta per cambiare completamente. Finora avete letto la storia di una ragazza quasi normale, ma da qui in poi entrerà in gioco un altro mondo, completamente diverso dal nostro, con delle regole e delle idee che solo i maghi sono in grado di comprendere a pieno, e che a molti potranno sembrare strane e improbabili.
Questo capitolo era bellissimo quando lo scrissi, ma più lo leggevo e più mi rendevo conto che andava riscritto, perché rappresenta il momento cruciale dell’intera storia.
Se l'ho pubblicato, è solo per farlo leggere a voi.
Buona lettura. (si spera)
 


Nemyra infilando la chiave nella serratura della porta, la fece girare tre volte per aprirla.
Sospinse Roxanne dentro mentre la porta si richiuse alle loro spalle cigolando.
La stanza era interamente nera, coperta da un grosso strato di polvere vecchia di secoli, unicamente illuminata da una piccola finestra, coperta da una tenda stracciata, molto scura, da cui entravano i sottili raggi delle due lune. A destra un enorme camino in marmo grigio, sorretto da due statue di gargouille, era talmente incrostato di cenere, da uniformarsi perfettamente a tutto il resto. Roxanne trasalì quando il fuoco si accese magicamente da solo.
“C’è un incantesimo per far risvegliare il fuoco appena un ospite fa il suo ingresso.” spiegò Nemyra nel vedere la sua espressione incantata.
La maga posò il suo capello su un comò affianco alla porta, mentre il corvo ci si posò su, e si sedette sul grande lettone, difronte al camino. Con una mano tolse dalle coperte viola scuro uno spesso strato di polvere. Dopo di ché legò le pesanti tende del baldacchino, del medesimo colore, lacere e logorate dal tempo. Roxanne posò la valigetta insieme allo zaino, vicino al cappello di Nemyra, e si sedette sul letto accanto alla maga, che si sfilò i guanti.
“Andris si riprenderà presto, non è vero?”
“Si, Roxanne! Si sentirà disorientato, e avrà bisogno di tutto il nostro aiuto per capire dove si trova! Avevi ragione su di lui, quello che ha fatto… Quello che molto probabilmente è in realtà, non è una cosa che si vede tutti i giorni!”
“E che cosa sarebbe di preciso?”
“Non ne sono del tutto sicura, Roxanne, e non sta a me scoprirlo, ma potrebbe essere un mago con uno straordinario potere!” disse Nemyra. “Però non mi hai ancora detto una cosa. Da quanto vi conoscete?” Chiese dopo un po’ con aria interrogativa.
“Non da molto! Per l’esattezza da poco prima che si schiudesse il sigillo!”
Roxanne raccontò a Nemyra del suo incontro con il giovane, e tutto quello che era successo tra loro. Nemyra rimase in silenzio con aria sconvolta, come se avesse appena sentito qualcosa d’inverosimile.
“Nei sei sicura Roxanne? Sei davvero sicura di quello che mi hai appena detto?”
Roxanne annuì con un cenno del capo.
“Allora mostrami come avete fatto!” Disse in fine la maga. “Prova ad unire la tua mano alla mia!” allungò il palmo della mano e attese che lei facesse lo stesso.
Roxanne sollevando la mano la portò verso quella di Nemyra, e con un lieve colpetto fece in modo che i due palmi si toccassero, ma non accadde nulla.
“Non è una cosa che accade facilmente quella che è avvenuta fra voi due, Roxanne!” disse Nemyra, che non sembrava per nulla interessata a riprovare, come se già sapesse, che non avrebbe ottenuto alcun risultato. “E’ come se l’origine dei vostri poteri si fosse unita!”
“Che significa?” Domandò Roxanne, che per qualche strana ragione si sentì molto preoccupata.
“Purtroppo credo di non essere in grado di fornirti una risposta a questa tua domanda. Perché nemmeno io, so ancora tutto quello che c’è da sapere sulla magia.”
La guardò per un lungo istante che a Roxanne parve un eternità.
“Oggi sei stata fantastica Roxanne!” disse sorridendo. Strinse la sua mano tra le proprie.  Nei suoi occhi si accese una nuova luce, mentre cambiava discorso “E’ davvero incredibile quello che hai fatto, per essere una Strega Donata!”
“Cos’è una Strega Donata?” domandò Roxanne. Ormai era inutile cercare di cavargli qualche altra parola su tutto quello che era successo a lei ed Andris.
“Una ragazza, che come te, è nata con poteri magici!”
“Si, questo lo so! Lo ho sempre saputo, ma c’è dell’altro. Non è vero…”
Per qualche strana ragione, in quel momento, la giovane strega sentì una stranissima sensazione dentro di sé.
Le tornarono alla mente le parole di sua madre.
“Lì dove andrai scoprirai delle verità che non ti ho ancora svelato!”
E se sua madre le avesse mentito fino a quel momento? E se anche Rosaline fosse stata una strega?
Aveva sempre sperato che il giorno in cui sarebbe andata via di casa avrebbe scoperto di aver ereditato i poteri magici da qualcuno. Soprattutto da sua madre, che aveva deciso di tenerglielo nascosto. Magari per proteggerla da un pericolo di cui non aveva mai volto farne parola. Su suo padre non aveva mai avuto dubbi. Stanford era proprio un essere privo di qualsiasi magia. 
 “Che significa?” domandò dopo quell’lungo attimo di riflessione, che la maga le aveva concesso.
“Una Strega Donata è una strega senza precedenti maghi o streghe nella sua famiglia!” disse  “Ci sono Streghe Ereditiere, figli di altre Streghe e Stregoni! E sono la maggior parte di noi. Poi ci sono una parte minima. La più rara di tutte. I Donati. Significa che i tuoi poteri magici non li hai ereditati geneticamente dai tuoi genitori, ma ti sono stati donati dal cosmo stesso!”
Roxanne ebbe la chiara conferma di quello che aveva sempre vissuto con tanto dolore. Lei era una Strega, unica nella sua famiglia, di gente comune, e per questo sarebbe sempre stata lontana da loro.
“Anche se io sono l’unica della mia famiglia ad avere dei poteri magici, questo non significa che io non possa più stare con loro?”
Nemyra la guardò per un lungo istante “Per il momento tu dovrai stare con noi, Roxanne! Finché non avrai imparato almeno le basi della magia, è improbabile che ti facciano tornare nella Dimensione Terrena!”
Ancora una volta cadde un pesante silenzio. Roxanne non aveva il coraggio di porre la prossima domanda. Sapeva che aveva bisogno di una risposta, ma sapeva anche che quella risposta non sarebbe stata necessariamente piacevole.
“Come farò a imparare ad usare i miei poteri?”
“Venendo con me alla più prestigiosa scuola di Magia del nostro mondo!”
Un dolore acuto la colpì allo stomaco, come uno stretto nodo. Come aveva temuto.
Negli occhi azzurri della maga si accese una nuova luce, e sulle sue labbra comparve un sorriso smagliante, come non lo aveva ancora visto fino a quel momento. “E per questo che esiste la Merlin Or Morgan, o più comunemente abbreviata MoM. È l’Accademia delle Arti Magiche più importante della dimensione Incantata!”
Roxanne si gettò sul materasso, con uno sbuffo.
“Non voglio tronare a scuola!” disse guardando un enorme ragno nero, che scendeva dal soffitto, infestato di ragnatele.
Non voleva mettersi a studiare, non ora, che finalmente aveva trovato la sua libertà.
“Ma… Ma…” balbettò Nemyra incerta “Perché dici così? La Accademia è bella!”
“La scuola è bella?” domandò Roxanne sgranando gli occhi, voltandosi verso di lei. “Otto ore al giorno a studiare chini sui libri, chiusi in un aula che dove non passa mai l’aria fresca! Sei ore a casa e studiare fino a tarda notte, sempre sui libri, per poi dover ristudiare le stesse cose il giorno seguente! Ragazze che ti prendono in giro nei bagni scrivendo cose umilianti su di te. Ragazzi che ti provocano e tentano di metterti le mani addosso! Professori che ti rimproverano se entri dici minuti più tardi delle otto in punto! Che ti rimproverano se ascolti un po’ di musica con le cuffie nelle orecchie senza dare fastidio a nessuno! Che ti rimproverano se fai qualche disegno sul libro di testo  sul quaderno degli appunti! E tu hai il coraggio di dire che la scuola è bella?”
Nemyra scosse la testa con un sorriso “Non so che tipo di metodi usino i Rinneganti, ma qui da noi non è così!”
Roxanne la guardò accigliata, dubitando fortemente che non fosse così.
“Vedrai che ti piacerà ne sono sicura! E ora ti spiego come fari a diventare una strega!” prese la bacchetta e con un colpo secco verso il pavimento, fece comparire un cerchio luminoso. Al suo interno comparve l’immagine di un uomo e una donna. Lui, con la lunga barba e il cappello a punta blu, stringeva una bacchetta nella mano destra, e lei invece, in quella sinistra, mentre le due mani libere erano unite per i palmi.
In alto sopra i due, era raffigurata l’immagine di una persona molto giovane, di cui Roxanne non riuscì a distinguerne il sesso, se fosse maschio o femmina.
“Loro sono Merlino, e Morgana, che uniscono i loro palmi e le loro bacchette per fondere il potere di cui sono stati Donati! Anche loro avevano ereditato i loro poteri dal cosmo!”
“E la terza persona?” domandò Roxanne curiosa.
“Lui è Ambiguo! E’ stato il mago più potente della Dimensione Incantata! Ma studierai la sua storia quando verrà il momento!”
Roxanne osservò il giovane dai capelli lunghissimi che si muovevano come se fossero mossi dal vento, mentre una sfera di luce magica alleggiava tra le due mani.
 “La prima cosa che devi sapere sull’Accademia è che ogni singolo studente, più comunamente noto come Apprendista, ha il proprio Maestro, che gli viene assegnato all’inizio dell’Apprendistato!” disse la maga riprendendo il discorso.
“E ci sono abbastanza insegnati, per ogni studente?” domandò Roxanne distogliendo lo sguardo dall’immagine.
La cosa gli sembrava strana, visto che in un aula potevano entrare al massimo venti studenti e un solo insegante. Dove si sarebbero messi tutti gli altri professori?
“Tutti i Maghi sono anche maestri. C’è una legge magica istaurata da Merlino in persona che da l’obbligo ad ogni Mago e Strega della Dimensione Incantata di prestare servizio all’Accademia, almeno una volta nella vita, per istruire un giovane apprendista. Ognuno di noi, almeno una volta nella vita verrà chiamato ad insegnare a qualcuno. Il senso del mago è proprio quello di tramandare la propria conoscenza magica a un altro mago. Un po’ come per i Rinneganti il senso di fare i padri e poi i nonni. Per un mago essere un maestro è tutto nella vita!”
“Quindi non solo dovrò fare l’apprendista, ma anche la maestra?” Roxanne era disgustata.
“Non ti preoccupare, rima pensa ad imparare, poi a trasmettere! Poi c’è un'altra cosa, molto importante che devi sapere! I maghi e le streghe si dividono in tre categorie. Merliniani, Morganesi e Ambigui.
Anche se oggi vengono più spesso definiti come Sinistri, Destri e Ambidestri. Ciò dipende da con che mano riescono a usare i loro poteri magici! Se con la destra sono Merliniani, se con la sinistra sono Morganesi, e se riescono a usarla con entrambe le mani allora sono Ambigui. Io per esempio, sono Ambidestra!”
“Quindi non potrò padroneggiare la magia anche con la destra?” Domandò ancora.
“Dovrai sempre farla partire prima dalla sinistra, e trovare un legame con la destra! Quelli come me sono molto rari, e lo diventano sempre di più. Ma di a differenza dei Rinneganti, che di consuetudine sono molto rari come mancini, i maghi di Sinistra sono tantissimi!”
“Davvero ci sono molti maghi che usano la mano sinistra per fare la maggior parte delle cose?”
“Certamente! Tu usi la sinistra per fare proprio tutto?”
“Si! Perché non lo avevi capito?”
“A volte inizialmente un mago o una strega usa una mano per compiere magie, ma col tempo, potrebbe cambiare! Ma comunque ci sarà un esame, per verificare se effettivamente  i poteri sono Destri, o Sinistri! Tutto dipende da come fluisce il potere nella bacchetta magica!”
“La bacchetta si deve usare per fare tutto?” domandò Roxanne che si chiese come avesse fatto a evocare quella barriera magica.
“No! Assolutamente no! Tutte le magie si possono fare con o senza bacchetta! Solo che se le fai con le mani, i colpi sono più deboli, e funzionano nelle brevi distanze! La bacchetta è un incanalante della magia. Aumenta la sua potenza, e la precisa, quando bisogna colpire una distanza lontana! E poi la magia si può passare anche nell’altra mano, una volta che viene evocata, se si ha bisogno di più incantesimi contemporaneamente! Adesso ti faccio vedere una cosa!” pronunciando l’ultima frase con un tono notevolmente entusiasta prese la bacchetta e fece svanire l’immagine sul pavimento. Rinfoderandola si sedette a terra con le braccia incrociate e unendo due palmi chiuse gli occhi. Roxanne scese dal letto e si sedette a gambe incrociate davanti a lei. Osservò le mani unite di Nemyra, per un lungo istante. La maga lentamente, aprendo gli occhi, allargò le mani, da cui scorrevano due fili di luce, uno viola, e uno azzurro, che si univano in una piccola luce bianca.
“Questa è l’origine dei miei poteri Roxanne!” disse a bassa voce.
Roxanne la guardò meravigliata.
“Ora prova tu! Prova ad evocare la fonte dei tuoi poteri!”
“Come faccio?” Domandò Roxanne, che per qualche strana ragione sentì il cuore accelerare i suoi battiti.
“Cercala! Cercala dentro di te! Chiudi gli occhi, e ascoltato il tuo cuore che batte! Lo sentirai attraverso il tuo respiro, attraverso tutto il tuo corpo!”
Roxanne unì i due palmi, e chiuse gli occhi. Rimase in silenzio, ad ascoltare il suono dei battiti del proprio cuore. Calò un silenzio assoluto, che la isolò dal mondo intero, lasciandola sola con se stessa. Dal buio della sua vista cieca comparve un piccolo punto di luce.
Una luce rossa come il sangue.
Lentamente quella luce si allargò, ingrandendosi e prese la forma di una fiamma.
Una fiamma rossa, contornata da lievi bagliori e sfumature di viola intenso.
Dal proprio cuore ora caldissimo, come se stesse bruciando, si diffuse un energia incredibile, che raggiunse le mani.
Roxanne aprendo gli occhi, vide una scia di luce rossa, lievemente sfumata di viola, che attraversava la mano sinistra, per infondersi nella destra. La sentì risalire lungo il braccio destro, fino a raggiungere il cuore. Poco dopo sentì la stessa energia ridiscendere dal braccio destro, con una piccola scintilla di luce bianca che emerse dal palmo della mano.
Roxanne guardò meravigliata il proprio potere che scorreva fra le due mani a dieci centimetri di distanza l’una dall’altra.
“Sei riuscita a trovare la fonte del tuo potere per ricongiungerla ad essa!” disse Nemyra.
Roxanne allargando le mani interruppe il contatto e il calore dentro di se si spense. Osservando il volto della Maga si rese conto che aveva un espressione preoccupata.
“C’è qualcosa che non va Nemyra?”
“Quando verrai assegnata al tuo maestro o alla tua maestra, ti chiederà sicuramente di mostrargli l’origine del tuo potere, lui saprà cosa risponderti!”
“Sono già state organizzate delle scelte per le assegnazioni?”
“Sicuramente! Anche se a me non è consentito sapere chi sarà il Mago o la Strega a cui verrai assegnata! Gwyneth Llewelyn non mi permette di sapere tutto! Infondo sono anche io un apprendista!
“Chi è Gwyneth Llewelyn?”
 “E’ la Maga Suprema! E’ stata lei ad avvertire tua madre quando rimase incinta di te! Ovvero la donna più potente della dimensione Incantata. E come se fosse una regina. Solo i maghi Ambidestri possono diventare Maghi Supremi! E’ quasi sicuro che domani la incontrerai!”
“E poi?” Roxanne non era poi così entusiasta all’idea di dover partecipare a un’accoglienza scolastica.
“Verrai assegnata al tuo Maestro! O Maestra.”
Roxanne aveva già avuto molte difficoltà con gli insegnanti, con tutto che di certo non potevano stare un intera giornata a pensare a lei. Cosa sarebbe capitato se avesse avuto un solo insegante? La vedeva molto male la situazione. Dubitava che sarebbe stata in grado di reggerla!
Nemyra si alzò, e posando una mano sulla parete affianco al letto, pronunciò delle parole magiche. Dalla parete scura comparve all’improvviso una porta nera con la maniglia d’argento. “S’è fatto tardi! Sarà maglio che tu dorma un po’. Domani ti aspetta una lunga giornata! Buona notte!” Nemyra aprì la porta, e la richiuse alle sue spalle. Roxanne rimasta sola in camera, guardò il corvo che dormiva appollaiato sul cappello. Si tolse il jeans e la maglietta. Stava per aprire la valigetta, quando un urlo agghiacciante risuonò da oltre la parete di fronte. Un urlo che fece volare i fantasmi che attraversarono il pavimento e il soffitto.
Roxanne aprì la porta e si precipitò nella camera di Andris. Il ragazzo si trovava seduto su un lettone circondato da una ventina di fantasmi.
“Aiuto! Aiuto! Andate via! Sparite!” stava gridando il ragazzo, in preda a un comprensibile panico. Roxanne ringraziò il cielo che quel Hotel fosse vuoto.
“Su dai non c’è bisogno di urlare così!” disse il fantasma di un uomo anziano.
“Mica vogliamo farti del male!” disse il fantasma di una donna con i capelli lunghi. “Un energia magica come la tua non si vedeva da moltissimo tempo!”
Roxanne gli si avvicinò, attraversando tutti i fantasmi che si trovavano sul bordo del letto. Si sollevarono in alto, infastiditi e si sedettero sulle assi di legno. “Che modi! Questi giovani Donati!”
“Come stai Andris! Va tutto bene?” gli chiese lei, guardandolo negli occhi, azzurri.
“Cos’è quest’incubo? Dove mi trovo? Che posto è mai questo?! Cosa cono queste proiezioni fluttuanti?”
“Calmati Andris, una cosa alla volta!”   Il ragazzo la guardò a occhi sbarrati, con la bocca spalancata, diventando improvvisamente paonazzo. “Roxanne… Ma sei quasi nuda…”
La giovane strega stava per rispondergli ma in quel momento entrò Nemyra, con la camicetta sbottonata. Andris deglutì, e si portò le coperta fino al naso. “Vedo che sei con un amica. Lei chi è?” domandò.
“Mi fa piacere vedere che ti sei svegliato! Ti avevano fatto un incantesimi per tenerti addormentato, e sei stato messo in una gabbia organica. Per un attimo temevo fossi un Rinnegante rapito, per scopi malvagi, ma fortunatamente sei un mago!”
“Sono cosa?” domandò Andris con la coperta tirata fin sopra il naso, per non far vedere il rossore sulle guance.
“Si! Sei Donato di magia!” disse Nemyra.
Roxanne con uno sguardo gli fece cenno di lasciar perdere per il momento e possibilmente di uscire di lì. La Maga capì e augurandoli la buonanotte, uscì dalla stanza. Roxanne sospirò e tornò a guardare il ragazzo.
“Mi vuoi spiegare cosa diamine sta succedendo?” chiese il ragazzo.
“Tu non ricordi proprio nulla Andris?”
“No! Ricordo che non appena sono arrivato a casa mi sono messo a dormire, e poi nel sonno ho sentito qualcosa di strano, come una presenza che mi opprimeva impedendomi qualunque cosa. Poi ho sentito un energia incredibile che si sprigionava dal mio corpo, e quando mi sono svegliato c’eri tu che mi stavi chiamando, poi ho perso i sensi un'altra volta e mi sono svegliato qui! Credevo che fosse un incubo, ma…” portò lo sguardo verso il basso “Dato che sei così reale, ho dovuto ricredermi…”
Roxanne gli raccontò tutto quello che gli era successo da quando lei era tornata a casa e di come fossero arrivati nella Dimensione Magica.
 
 
“Quindi mi stai dicendo che quella ragazza è una maga, e tu sei una strega? E mi hai salvato la vita?”
Roxanne annui.
Andris si lasciò cadere sul letto con un sospiro. “Dunque era questo il posto dove dovevi andare?”
La giovane strega fece un alzata di spalle.
“Incredibile! Allora Arleen aveva ragione. Mia madre non era una pazza come si sospettava! Esiste davvero la magia, e io ne sono la prova! Mi sembra assurdo!”
Roxanne rimase incredula nel sentire quelle ultime parole.
“Cosa stai dicendo Andris?”
“I miei genitori saranno sicuramente molto preoccupati per me!” gli rispose guardando il soffitto.
A quel punto si rese conto che il giovane non gli avrebbe fornito altre spiegazioni. Era ancora troppo scosso.
Alzandosi dal bordo del letto si accinse ad uscire dalla camera, si blocco con la mano sulla maniglia abbassata quando sentì il giovane riprendere il discorso.
“Ho sempre saputo di non essere un ragazzo come gli altri! Ecco… Ho sempre avuto il forte sospetto che ci fosse qualcosa di diverso in me… Ma non avrei mai immaginato che ci fosse un intero mondo diverso da quello che conoscevo!”
Roxanne si voltò per guardarlo.
Anche Andris si voltò verso di lei. Tra i suoi capelli lunghi sparsi sul cuscino scorrevano filamenti di luce propria, come piccole scintille dorate.
“Roxanne, la magia esiste, e tu ne sei la prova! Ma ora la vera domanda che mi pongo è: Chiunque mi ha rapito per portarmi qui, era la stessa creatura che ha attaccato la tua casa? E anche la stessa che abbiamo incontrato appena ci siamo conosciuti?”
A quelle parole la ragazza non seppe cosa rispondere. Possibile che Andris fosse rimasto coinvolto in un pericolo che in realtà non riguardava lui, ma lei?
O il suo rapitore era una persona che non aveva nulla a che vedere con lei?
Dubitava che l’avrebbero scoperto da soli. Non in quel momento.
Augurò la buona notte al giovane, e tornò in camera sua.
Aprì la valigetta e prese la camicia da notte bianca, con le maniche lunghe. Portandosi una mano dietro le scapole, stava quasi per sganciarsi il reggiseno,  quando una forte esplosione alle sua spalle, oltre la parete che divideva la sua camera da quella di Nemyra, la fece saltare per lo spavento.
“Oh! Finalmente!” tuonò la voce di un uomo “Ma mi vuoi spiegare dove diamine eri finita?”
“Ero andata a prendere Roxanne!” disse la voce di Nemyra in tono forzato.
Roxanne, non poté fare a meno di avvicinarsi alla porta e di appoggiarcisi con l’orecchio per origliare.
“Ah si? E chi ti ha autorizzata a venire qui? Se non sbaglio eravamo d’accordo sul fatto che ti saresti presentata a casa degli Oswald, mentre io mi recavo dai McGowan per Ginevra, a patto che saremmo andati via tutti insieme! Non mi sembrava poi così difficile! Ero praticamente nella casa affianco!”
“C’è stato un piccolo imprevisto…” tentò di dire Nemyra.
“Nemyra, se vuoi diventare rappresentate della MoM, devi fare esattamente come ti dico io! Chiaro? Se c’è qualcosa che non va, è a me che devi riferire!”
“Mi sono smaterializzata davanti casa sua, ma lei non c’era! Era andata via, e così l’ho rintracciata! Ma quando sono comparsa davanti a lei, è fuggita! E…”
“Mi spieghi perché l’hai portata qui?”
Ci fu un attimo di silenzio.
“C’è un giovane mago non identificato!” Disse in fine Nemyra.
“Dov’è adesso?”
A quel punto Roxanne abbassò la maniglia e fece il suo ingresso nella camera spalancando la porta.
“Qui!” Disse in tono molto deciso. Davanti a lei, un uomo bruno, alto, con lunghi capelli legati dietro la testa in una grossa treccia, si trovava di fronte a Nemyra che essendo nuda, si era avvolta un lenzuolo introno al corpo.
L’uomo si voltò verso di lei per squadrarla con degli intensi occhi blu sfumati di viola. Portava un paio di orecchini dorati a forma di luna, con delle gemme rosse, che s’intonavano ai suoi abiti, e un lungo scettro in legno scuro, che si arricciava sulla sommità sorretta da una pietra di quello stesso rosso intenso.
“E’ colpa mia se ci troviamo qui! Sono stata io a chiedere a Nemyra di aiutarmi! Mi assumo le mie responsabilità! Se c’è qualcuno che dovrà pagarne le conseguenze quella sono io!” disse, sperando di salvare l’amica.
“Roxanne questo è Erasmus Roothfer, il mio maestro. Primo Rappresentate Ambidestro dell’Accademia delle Arti Magiche!” lo presentò la giovane Maga con un sorriso imbarazzato.
L’uomo la guardò accigliato, e lei ricambiò lo sguardo.
Roxanne cominciò a chiedersi se tutti i maestri di magia fossero così maleducati da entrare nelle camere delle loro apprendiste mentre queste stavano per svestirsi.
“Un’azione piuttosto avventata da parte tua, giovane Donata!” disse lui.
“Un azione che andava fatta per il bene di una persona speciale!” ribatté Roxanne.
“Che non si ripeta più signorina!” L’uomo si avvicinò a lei, a grandi passi. Dall’orlo della veste spuntarono un paio di stivali dalla punta triangolare, che echeggiarono sul legno marcio.
La giovane non poté fare a meno, di retrocedere di alcuni passi, sotto lo sguardo furibondo del mago.
L’uomo si fermò all’ingresso della porta. “Per questa volta chiuderemo un occhio, giustificando il fatto che lei è appena entrata nel nostro mondo! Ma l’avverto! Non provi a contestare le nostre regole! Con questo le auguro buona notte! Ora se non le dispiace vorrei conferire in privato con la mia apprendista!”
Afferrò la maniglia della porta a la richiuse con un tonfo.
Roxanne si gettò subito sulla maniglia, nel tentativo di aprirla, ma si rese conto che una magia l’aveva bloccata.
Non poté fare altro che origliare dalla porta.
“E ora dammi una buona ragione per non riferire a Llewelyn del tuo comportamento!” disse Erasmus una volta rimasto solo con la sua apprendista.
“Sarà necessario convocare il Consiglio Supremo, e ritardare l’accoglienza degli Apprendisti, perché quel ragazzo è un mago non identificato!” rispose Nemyra.
“Come fai ad essere sicura che sia un mago?” gli domandò Erasmus.
“Non lo sono!” rispose la voce di Nemyra “So solo che emana luce da tutto il corpo!”
Nella stanza piombò il silenzio assoluto, e Roxanne non percepì più nient’altro.
Staccandosi dalla parte andò verso la sua valigia e infilandosi il pigiama si mise sotto le coperte, sperando che sarebbe riuscita a dormire. Almeno per un paio d’ore.
 
 
Erasmus seduto sul seggio davanti al camino accesso osservò a lungo il profilo della sua apprendista che gli sedeva di fianco, mentre i bagliori delle fiamme ne illuminavano i tratti eleganti.
“Non ho mai visto una cosa del genere! Perché il suo potere ha preso quel colore?” disse, la giovane maga, con gli occhi persi nel fuoco. “Quando le ho insegnato a evocare la sfera protettiva non è successo!”
Al mago non piacque per niente quell’ultima affermazione della sua apprendista.
“Sarà maglio che vada a farmi un bagno!” disse Nemyra che si alzò dal seggio.
“Nemyra!” la chiamò lui, mentre la giovane maga si voltava per guardarlo.
“Non affezionarti a Roxanne!”
“Perché dici così! Mi avete spesso parlato di lei eppure non mi avete mai detto perché gli avete imposto un Sigillo Confinante! Da quello che ho visto questa sera direi che c’è un motivo molto serio!” disse lei, aggrottando le sopracciglia. “Qual è la fonte del suo potere, e perché avete fatto di tutto per comprimerlo?”
“Nemyra, se ti dico non devi fare domande tu non devi fare domande! E se ti dico che non devi chiedermi nulla su quella strega, non voglio che tu insista sull’argomento! Non sono tenuto a dirti il perché! Roxanne è una strega pericolosa!”
Nemyra sembrò sul punto di ribattere ma ci ripensò, chiudendosi nel bagno.
A quel punto anche Erasmus si alzò dal suo seggio. Prese la sua sfera di cristallo, che portava allacciata alla cinta, e guardandoci dentro evocò Gwyneth Llewelyn, per avvisarla dell’imprevisto. Il volto del maga comparve all’interno della sfera, mentre Erasmus apriva la porta dalla camera per recarsi in quella del giovane.
“Dimmi e successo qualcosa?” domandò la voce della maga all’interno della sfera.
“Si! Ho trovato Meleghltith e Morgonten!” Erasmus si sedette sul letto accanto al giovane. In quel momento si sentì costretto a credere alle parole della sua apprendista. I capelli del giovane, brillavano di luce propria.
Dormiva sul fianco sinistro, con la mano sotto il mento. Il mago gli spostò una ciocca di capelli dal viso, e avvicinò la sfera di cristallo, per mostrarglielo.
“Cosa ne pensi!” commentò.
Il voltò della Maga osservò quello del giovane per un lungo istante.
“E’ femmineo! Sembra avere i tratti di una fata!” gli fece notare la donna attraverso la sfera.
“Già! È quello che stavo pensando anche io!”
“E sia! Domani daremo il consiglio Supremo. Gli altri apprendisti dovranno attendere qualche giorno per l’assegnazione!”
Il volto della donna attraverso la sfera scomparve e la comunicazione s’interruppe.
“Chi sei in realtà?” domandò il mago, sfiorando il profilo del naso, con la punta del dito.
Come era possibile che ci fosse un Donato di cui loro non avevano mai scoperto l’esistenza? Solitamente la Maga Suprema sapeva sempre come rintracciare i Donati, tra i Rinneganti. Perché di lui non sapevano nulla?
Era veramente solo un Donato? O qualcosa di più?
Rimase qualche istante a guardarlo, prima di uscire dalla camera del giovane.
La faccenda non gli piaceva per niente, da quello che gli aveva raccontato la sua apprendista, sull’attacco a casa delle ragazze Oswald.
Avrebbe fatto di tutto per tenere Nemyra lontana da Roxanne.
Per il bene della sua apprendista non poteva permettere che diventassero amiche.

 
Non sono sicura di riuscire a pubblicare gli altri capitoli tanto presto. Sento che qualcosa si sia incrinato, durante la stesura e temo di dover lavorare ancora molto. Ma comunque ditemi voi come va.

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Capitolo 15
*** 7 L'Attesa degli Apprendisti - Parte 1 ***


Come al solito voglio ringraziare i Morgengabe, Old Fashioned, Vanessa1995, Black Daleko, Ridely Jones Stark, Princess_of_Erebor, morethanyouknow e Makil_

7

L’Attesa degli Apprendisti

“Roxanne!”
Una voce chiamò il nome della giovane strega.
Una voce che lei non conosceva.
“Roxanne!”
Un paio di occhi si aprirono come se volessero vedere solo lei. Erano di colori diversi. Uno blu, e l’altro verde.
“Presto ci incontreremo giovane strega! Tu che di un potere immenso sei stata donata sarai mia!”
 
 
Roxanne quando aprì gli occhi credette che fosse ancora notte. Guardando in direzione della finestra vide una coltre di nubi grigie come l’inchiostro e una serie di lampi lucenti che tuonarono. Stava quasi per rimettersi a dormire, quando un orologio magicamente comparso sopra il camino, segnò le sette del mattino. Alzandosi dal letto non poté fare a meno di chiedersi a chi appartenessero gli occhi della nuova persona che gli era apparsa in sogno, e perché erano di colori diversi.
Avrebbe voluto soffermarsi più a lungo nel tentativo di ricordare meglio il suo sogno, ma sapeva che non c’era tempo. Per qualche strana ragione non ricordava nient’altro, a parte quel dettaglio.
Avvicinandosi alla finestra tirò la tenda con uno strattone, forse troppo forte, perché la tenda si staccò e cadde a terra con un tonfo. Era proprio decadente come tutto il resto di quel posto. Aprì il vetro e osservò il paesaggio. Era una desolazione. Le case del villaggio diroccato erano immerse nel silenzio.
Si voltò e avvicinandosi alla valigia si tolse la camicia da notte in gran fretta. Dopo essersi messa la biancheria intima, prese i vestiti dallo zaino e se li mise a dosso. Si infilò la maglietta, la felpa con la zip, il jeans, e gli scaldamuscoli. Poi si allacciò gli scarponi. Piegò la sotto veste e chiuse la valigetta. Frugando nel suo zaino prese anche i vestiti che aveva portato per Andris, e mettendoseli sotto braccio uscì dalla stanza. Bussò con impazienza alla camera del giovane, che sembrava non avesse alcuna voglia di aprirle quella mattina.
“Chi è?” domandò la voce rauca di un ragazzo molto assonnato. Roxanne una volta entrata, trovò il ragazzo nascosto sotto le coperte, con le ciocche di capelli luminosi che fuoriuscivano, dal brodo del copriletto. Dimenticandosi cosa fosse la gentilezza, sollevò le coperte con uno strattone, scoprendolo.
“No! Ma sei matta? Sono senza vestiti!” Andris si strinse nelle spalle lamentandosi, e tentò di riprendersi le coperte, ma Roxanne le gettò a terra.
“Per questo mi sono presa la briga di prenderti dei vestiti dall’armadio, prima di venirti a cercare!”
“Grazie…” Farfugliò il ragazzo in tono imbarazzato.
Roxanne glieli posò sul letto. “Fatti trovare pronto fra pochi minuti!”
Uscendo dalla camera del giovane, rientrò nella propria, dove un attimo dopo comparve anche Nemyra dalla porta comunicante. “Oh! Come sei bella! Solitamente non apprezzo i vestiti rinneganti! Ma tu sei talmente bella che ti stanno bene perfino i pantaloni!” disse. “Vieni giù! dobbiamo fare colazione!” la Maga Apprendista si mise il suo cappello blu sulla testa e aprì la porta della camera. Roxanne la seguì giù per la rampa scricchiolante, mentre un paio di cameriere fantasmi apparecchiavano un tavolo, con piatti e postate d’argento. Le due streghe si sedettero, mentre una delle cameriere fantasma venne con un bricco di latte e  glielo versò in una tazza di ceramica, rotta. Roxanne guardò il latte, mentre cominciava lentamente a fuoriuscire dal fondo della tazza. Sollevando lo sguardo osservò Nemyra trangugiarlo molto in fretta.
“Presto bevilo! Prima che finisca tutto sul tavolo!” le disse in tono divertito.
Una delle cameriere fantasma portò un paio di frutti marci, e fette di carne, piene di mosche e vermi. La ragazza le guardò per un attimo, inorridita. In quel momento la rampa di scale scricchiolò, annunciando l’arrivo di Erasmus, che comparve da dietro il bancone seguito da Andris.
Il ragazzo si guardava intorno ad occhi sgranati, di chi effettivamente si trovava in un mondo del tutto estraneo.
“Ma dobbiamo proprio mangiarceli?” Domandò Roxanne in un sussurro, alludendo al cibo che gli era stata offerto. Nemyra gli tirò una pedata da sotto al tavolo.
“Ahia!”
“Buongiorno signorine!” disse la voce agghiacciante del signor Vanish, improvvisamente comparso da sotto le assi del pavimento. “La colazione è di vostro gradimento?”
Andris trasalì nel vederlo.
“Si! Si! Davvero ottima!” rispose Erasmus in tono brusco. Tirò la sedia di Roxanne e la costrinse ad alzarsi in piedi.
“Non stavo parlando con te Roothfer!”
“Andiamo Roxanne!” disse Erasmus senza prestare minima attenzione al Fantasma. “Fra due minuti e trentasette secondi dobbiamo essere all’Accademia! Nemyra solleva le tue natiche da quella sedia marcia prima che finisca insieme a te sul pavimento!”
“Stia attento a come parli del mio gusto nell’arredare il posto che gestisco Roothfer!” disse il fantasma sul punto di arrabbiarsi.
Roxanne rimase accigliata nel sentire un maestro rivolgersi in quel modo alla sua apprendista, anche se doveva ammettere che non aveva tutti i toriti, dato il degrado della mobilia.
“Mamma Arpia! Se non prendi il paludino tu la mattina sei proprio..”
“Nemyra siamo in ritardo! Lei deve firmare la sua selezione! Lui deve incontrarsi con la Maga Suprema! E tu dovrai prepararti per l’accoglienza degli Apprendisti, e delle giovani Matricole!” l’afferrò per il braccio e la tirò in piedi.
“Va bene! Va bene! Adesso vado su a prendere il mio scettro!”
“Lo ho già preso io!” Da sotto il mantello rosso, fece uscire lo scettro con la pietra blu.
“Oh grazie!” In quel momento il corvo blu si posò sulla punta del suo cappello. “E’ stato un piacere Signor Vanish! Grazie per la sua ospitalità!”
“Un vero piacere per me, servirvi Signorina Meleghlith!”
“Come facciamo a raggiungere l’Accademia fra trenta secondi esatti?” domandò Roxanne, calcolando che i due minuti erano volati via durante l’inutile discussione tra il Maestro e l’Apprendista.
“In questa maniera!” disse allungando una mano verso di lei “Dammi la tua valigia!”
Roxanne gli passò la valigetta da viaggio, mentre il Mago aprì una porta in legno nero.
Erasmus mise una mano sulla sua schiena e la spinse oltre la porta. Subito dopo tirò dentro anche Amdris e Nemyra e poi la richiuse alle loro spalle. Si ritrovarano in una specie di stanzino, ingombro di casse e scatoloni, con sacchi scuciti e vecchie scope.
Il mago posò la valigetta sul pavimento al centro della stanza, e con una bacchetta dalla punta in pietra rossa, la colpì tre volte pronunciando: “Suidheachan!”
La maniglietta si aprì da sola, rivelando un imbottitura di cuscini in velluto bordeaux, da poltrona, mentre si allungava e si allarga. Dai quattro angoli comparvero improvvisamente quattro piedi dorati, e da entrambi i lati, dei braccioli imbottiti. Infine comparve un sottile poggia piedi che si allungava sorretto dalle due gambe anteriori.
“Forza sedetevi!” disse Erasmus spazientito, mentre Andris e Roxanne si scambiarono un occhiata stupita.
Le due streghe e il giovane dai capelli luminosi si sedettero sulla valigia-poltrona, cercando di stringersi il più possibile, per starci tutti e tre. Roxanne stava quasi per chiedere al Mago come avrebbe fatto a sedersi anche lui, quando Erasmus con un gesto brusco dello stivale la incitò a sollevare i piedi dal sostegno. Roxanne portandosi le ginocchia al petto, lasciò che il mago salisse sul poggia pedi davanti a lei.
“Ma vorrei proprio capire come avete fatto ad attraversare l’Infradimensionale?” disse il mago.
“Non abbiamo usato nulla per attraversalo!” disse Roxanne.
“Lanciarsi nel Infradimensionale senza usare alcun’mezzo di trasporto? Namyra sei forse diventata pazza? Potevate finire a pezzi! Avresti almeno dovuto usare un manico di scopa!”
“Non avevamo tempo da perdere! E poi siamo ancora tutti interi! E comunque ora non stiamo per attraversare l’infradimensionale giusto?”
Il mago posò una mano dietro il coperchio della valigia che ora fungeva da poltrona, e dando un colpo secco del suo scettro al pavimento, pronunciò un’altra formula magica. Improvvisamente si alzò un forte vento che scompigliò i loro capelli mentre le pareti della stanza cominciavano a vorticare in un turbine. Vennero avvolti da un immensa luce bianca e un attimo dopo comparve un’altra stanza vorticante. Toccarono il suolo con un piccolo colpo che li fece sobbalzare tutti e tre. Erasmus scese dal poggia piedi e attese che loro facessero lo stesso. Roxanne guardandosi intorno vide una serie di scettri e bacchette ben custodite in delle bellissime teche di cristallo.
Il mago la riscosse dandole la valigetta che aveva ripreso la sua forma.  Lei la prese, senza smettere di guardarsi intorno, osservando le pareti ricoperte di libri, e le teste di marmo, che raffiguravano volti di maghi e streghe dai lunghi cappelli a punta. Si avvicinò a una teca e osservò quella che non poteva essere altro che un manico di scopa, e non capiva perché un manico di scopa fosse così prezioso da metterlo sotto teca, visto che solitamente venivano usati per spazzare i pavimenti. O forse… Che le streghe volassero veramente sopra le scope?
“Nemyra vai nella tua stanza a prepararti! Ci vediamo in biblioteca fra mezz’ora!” disse il mago, indicando  un bel portone dorato ad arco, con dei bassorilievi di maghi e streghe sopra.
Nemyra si avvicinò a Roxanne e la guardò con i suoi grandi occhi azzurri. “Forse non ci vedremo per un po’!” disse.
A quelle parole Roxanne l’abbracciò strettamente a se “Ti ringrazio Nemyra, sei una vera amica!” disse “Sono felice di aver iniziato la mia nuova vita incontrandoti!”
“Oh! Su, non essere così esagerata!” si sciolse dall’abbraccio e Roxanne vide il suo volto paonazzo per la seconda volta quella mattina.
“Buona fortuna!” Lasciando le sue mani si voltò dirigendosi verso la grande porta dorata che si aprì da sola, con il corvo blu sul cappello. L’uccello si sollevò in volo e oltrepassò la porta. Roxanne la osservò finche non fu del tutto scomparsa. Andris le diede un lieve colpetto sulla spalla e Roxanne si voltò verso di lui. “Roxanne, qualunque cosa accada, non lasciarmi. Sei l’unica amica che ho in questo posto!”
“Cercherò di restarti vicino il più allungo possibile, lo prometto!” disse, anche se sapeva che presto avrebbe dovuto incontrare il suo insegnante. Afferrando il giovane per un polso lo trascinò  seguendo Erasmus attraverso il portone di fronte: Un massiccio portone legno scuro con grosse borchie dorate, e due batocchi in ottone con delle teste di gargouille.
“Nuovi arrivati!” annunciò la testa di uno dei due. Roxanne si fermò a guardarlo, meravigliata, nello scoprire che parlava.
“Questi vengono dalla Dimensione Terrena!” rispose l’altro.
Erasmus senza fare una piega aprì la porta con una tale violenza che il batocchio andò a sbattere con la faccia contro il muro. “Ahia! Roothfer ma siete forse impazzito! Non sono mica fatto di gomma!” Roxanne stava quasi per fare il giro intorno alla porta per vedere se la faccia del batocchio fosse tutta intera, quando Erasmus l’afferrò per un polso e la tirò fuori. Con uno schiocco di dita richiuse la porta alle loro spalle. “Non perdere tempo con queste cose proprio ora Roxanne! Avrai tempo di conoscere l’Accademia in un altro momento!”
Si trovavano in un ampio corridoio dalle alte colonne in marmo, e scure tende rosse che coprivano le immense finestre. Un tappeto di velluto lo attraversava per intero, mentre ai lati grandi statue di maghi e streghe, e quadri antichi l’adornavano. Roxanne le guadava sempre più affascinata, ma ancor più che affascinata, ne rimase stupita, nel rendersi conto che anche le statue stavano guardando lei.
“Beh che hai da fissare?” disse la statua di una strega dal viso arcigno.
“Su Melath, non essere sempre così bisbetica, non lo vedi che è nuova del posto!” disse la statua di un mago dalla barba riccioluta. “E’ sempre un piacere accogliere figli di Rinneganti! I loro occhi ti guardano come nessun’altro mago può guardare. Dico bene signorina…”
“Roxanne! Mi chiamo Roxanne Oswald!” rispose lei.
“Ti metti a parlare pure con le statue ora?” le domandò Andris “Statue che parlano! Non ti sembra folle?”
Lei annui, senza dire nulla, capendo che il ragazzo era ancora molto agitato.
“Roxanne, farai le chiacchere con i marmi più tardi!” gli disse Erasmus che si trovava parecchi metri più avanti di loro.
“Sempre così di buon umore vero Roothfer?” gli rispose la statua del mago.
I due ragazzi seguirono Erasmus in una stanza con due comodi divani e una serie di scaffali ricolmi di libri. Il Mago fece ad Andris cenno di sedersi su un divano. “Tu aspettami qui!” disse quando il ragazzo si fu accomodato. Roxanne stava per sedersi anche lei, ma il mago l’afferrò per un braccio “Tu vieni con me!”
A quel punto Roxanne lanciò al giovane un’ultima occhiata, cercando di essere quanto più rassicurante possibile. Il Mago la trascinò in un vasto corridoio e solo dopo qualche metro, gli lasciò il braccio. La ragazza si fermò per massaggiarsi la pelle dove l’uomo l’aveva stretta.
“Muoviti!” le disse il mago in tono perentorio. Roxanne, augurandosi che non le capitasse un Maestro come quello, si affrettò a raggiungerlo, per restargli dietro. Erasmus camminava davanti a lei con passo sicuro, di chi si sente a casa propria. La testa alta, e lo sguardo assorto, faceva intuire che si trovava immerso nei suoi pensieri.
“A cosa state pensando?” Domandò lei.
“Roxanne mi dispiace davvero molto che le cose siano andate così! Sarei dovuto venire io da te, non Nemyra, per spiegarti meglio la tua personale situazione!” il mago continuava a guardare dritto davanti a se, con aria di chi sta per dire qualcosa di scomodo.
“Personale situazione?” domandò lei incerta.
“Roxanne quando la Maga Suprema ti chiamerà per assegnarti al tuo insegnante, userà un altro nome!” fece una piccola pausa, come se stesse per pronunciare una parola molto importante “Morgonten!” disse in fine.
La ragazza si bloccò di colpo, ricordandosi che la creatura che aveva aggredito lei ed Andris aveva pronunciato quello stesso nome. Era lei che stava cercando quel nostro! “Morgonten?” domandò, con una fitta agghiacciante che le percosse la spina dorsale.
“E’ quello il tuo nome!” disse semplicemente Erasmus. “Anche se tu sei figlia di genitori Rinneganti occorre un nome magico perché tu possa accedere nella Dimensione Incantata!”
“Ma perché, cosa avete contro i figli dei Rinneganti?”
“E’ complicato da spiegare, per i Rinneganti tu potrai anche essere un Oswald. Ma qui, Roxanne, tu sei una Morgonten!”
“Ma questo si chiama razzismo! Io sono una Donata, e non vedo cosa ci sia di male nell’essere figlia di genitori senza poteri magici!”
“Non siamo razzisti nei confronti dei Rinneganti! Ma nei confronti della Dimensione Terrena, dove non c’è la magia! Qui anche i nomi, hanno dei valori magici! Oswald non è un nome magico. E quindi qui non funziona! Morgonten si!”
Roxanne non era molto convinta. Anzi, non era per niente convinta. Avrebbe voluto chiedere tante altro cose al Mago, ma dubitava che gli avrebbe fornito altre spiegazioni.
Chi aveva scelto quel nome per lei, se si era trattata di una scelta necessaria, in mancanza di un nome d’origine? E perché quella creatura lo conosceva ancora prima che venisse rivelato a lei?
L’interminabile corridoio finì ed Erasmus aprì la porta poggiando la mano su una stella magica incisa sopra. La sua mano emanò una luce dorata, e il lucchetto della porta ruotò e si aprì. Si trovarono in una piccola stanza  che si diramava in alcune scale che salivano, altre che scendevano, e un corridoio di fronte. Una dolce musica simile a una ninnananna riempiva l’intero ambiente.
 Erasmus salì la scala a chiocciola e lei lo seguì.
“Cos’è questa musica?” domandò.
“E’ un incantesimo, non ci sono né persone né strumenti che la suonano! Lo fa Llewelyn ogni mattina!” La scala a chiocciola era completamente buia, ed Erasmus dovette evocare una sfera di luce per illuminargli l’ambiente. Passarono oltre una grossa tenda rossa, e si ritrovarono in una piccola stanza ingombra di libri come quasi tutto il resto dell’Accademia, e tre lunghe scrivanie in mogano di cui due erano vuote. Al centro sedeva una vecchia donna dalla schiena ricurva, e il largo cappello nero a punta sopra una crocchia di capelli bianchi.
Oltre alla musica, Roxanne sentì un brusio di voci, che proveniva da una grossa porta sulla destra. Voci giovanili, a giudicare dalla tonalità.
Erasmus si avvicinò alla strega appoggiando i gomiti sulla scrivania.
“Sono qui con Roxanne Morgonten, per l’assegnazione del Maestro!”
“Si, deve solo leggere e firmare i documenti del Contratto Magico!” disse la strega. Si voltò verso gli scaffali alle sue spalle, e con un colpo di bacchetta, libri ed oggetti si spostarono, mentre due fogli di pergamena arrotolata si diressero verso di loro. Si appoggiarono con leggerezza sul bancone di mogano di fronte a Roxanne.
“Qui sono scritti i regolamenti e le leggi da rispettare, insieme a una serie di informazioni sul programma Accademico!”
Dal nulla comparvero due sedie di legno che costrinsero Erasmus e Roxanne a sedersi. Roxanne se non avesse avuto i fogli da leggere si sarebbe certamente girata con entusiasmo per osservare il fenomeno magico.



L’Accademia della Arti Magiche
Per i Giovani Studenti

 

S’informano i giovani, Streghe e Stregoni desiderosi di imparare le Arti della Magia e della Stregoneria Universale, che la durata dell’Apprendistato sarà di tre anni a partire dal primo giorno del Cavallo -8 luglio- Le lezioni dureranno tutto l’anno esclusi i periodi festivi delle Stelle di Ghiaccio, delle Piogge di petali, delle foglie di fuoco, e delle Chiome Verdi. Le feste Rinneganti della quale il mondo magico non prende nessuna considerazione, come il Natale o la Pasqua, non sono incluse. Per gli Apprendisti Donati o Sanguenero è consentito chiedere un permesso speciale al proprio Maestro, che manderà direttamente al/alla Mago/a Supremo/a, per conto dell’Apprendista.

L’Apprendista verrà assegnato a un unico Maestro che lo seguirà nel corso del triennio. Esso potrà avere una totale autorità e controllo sul apprendista, il quale dovrà seguirlo e ascoltarlo senza obbiezioni.

L’apprendista studierà a casa del suo Maestro personale, o ovunque il suo Maestro abbia piacere di fargli apprendere l’uso della magia. Per gli Esami ufficiali è necessario che il Maestro e l’Apprendista siano entrambi presenti all’Accademia, e che si rechino all’orario prestabilito. Ad un apprendista non è consentito cambiare Maestro una volta che gli verrà assegnato, a meno che questo non faccia abuso e commetta gravi violenze su di lui. Il Maestro avrà la facoltà di annotare ogni minimo progresso dell’apprendista, su un registro magico che gli verrà fornito dall’Accademia stessa. È consentito all’apprendista recarsi all’Accademia ogni qual volta avrà necessità di farlo, per consultare i libri magici che non sono presenti nella Biblioteca Universale. All’Apprendista verrà dato un elenco degli effetti necessari per il percorso dell’Apprendistato, dopo l’assegnazione del Maestro.   

È necessaria una firma Magica dello/la Stregone/ Strega che intende intraprendere l’Apprendistato della Magia.

Sul lato destro se questi è destroso e sul lato sinistro se questi è mancino.

                       

Firma dell’Apprendista                                                           

Firma dell’Apprendista

 
Regolamento Magico

E’ necessario che l’Apprendista conosca certe regole che vigilano nell’Accademia e nella Dimensione Incantata per poter cominciare l’Apprendistato.

*E’ vietato a un Apprendista Ereditiere o Donato di rivelare a qualsiasi Rinnegante amico e parente, l’esistenza della Magia.

* Non è consentito utilizzare altre bacchette oltre la propria, (specialmente quella del proprio Maestro)

* E’ severamente vietato all’apprendista di Utilizzare la magia al difuori della Dimensione Incantata, a meno che non si abbia un permesso speciale del/della Mago/a Supremo/a.

* E’ severamente vietato Utilizzare la magia sui Rinneganti per qualsiasi circostanza senza il permesso del/della Mago/a Supremo/a

5° E’ severamente proibito al Maestro e all’Apprendista di avere una relazione intima tramite rapporti sessuali, senza il permesso del/della Mago/a Supremo/a.

* E’ ancor più importante ricordare all’Apprendista di non utilizzare filtri d’amore sul proprio Maestro per favorire il proprio apprendistato, o incantare i registri magici per aumentare le note positive.

* E’ vietato a tutti gli Ereditieri che non hanno finito il loro Apprendistato di uscire dalla Dimensione Incantata.

Una penna bianca volò tra le dita della mano sinistra di Roxanne che la intinse nel calamaio. Dopo aver letto attentamente i due fogli firmò sul lato sinistro dell’iscrizione e ripiegò l’altro, chiedendosi perché mai dovessero avere tanta paura che un Apprendista e un Maestro potessero avere un rapporto carnale.
“La signorina Morgonten è pregata di aspettare nella sala qui a destra con gli altri Apprendisti, prima della cerimonia d’assegnazione!” disse la vecchia strega “Buona fortuna!”
Lei ed Erasmus si alzarono dai seggi. Il mago si avviò verso la porta sulla destra dal quale proveniva il vociare. Ma prima che lei posasse la mano sulla maniglia, il Mago la fermò posandole una mano sul polso.
“Io adesso devo andare. Andris si deve incontrare con la Maga Suprema!” disse “Ti verrò a chiamare fra un’ora! Tu in tanto aspetta qui! È molto tranquillo!”
“D’accordo! Ammesso che riesca a restare buona e tranquilla in un posto pazzesco come questo!”
“Tu provaci!”
Fu così che si allontanò tornando da dove erano entrati.
Roxanne lo guardò andare via prima di tirare giù la maniglia della porta dove molto probabilmente si trovavano un sacco di ragazzi della sua età intenti a fare baldoria.

Devo ammettere che non sono molto incline all’idea di fare domande alla fine dei capitoli, poiché credo che un lettore debba scegliere da solo cosa scrivere nella propria recensione. Ma questa mi tenta troppo.
Cosa ne pensate di quello che ha detto Erasmus, sul cognome di Roxanne? Credete che stia dicendo la verità? O c'è qualcos'altro sotto questa storia?
 PS: Se non capite il testo dei manoscritti basta che me lo dite.
 
 

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Capitolo 16
*** 7 L'Attesa degli Apprendisti - Parte 2 ***


Roxanne aprì la porta, e non appena lo fece una serie di frecce di fuoco volarono nella sua direzione, costringendola ad abbassare la testa. La piccola sala era stipata –come aveva immaginato- di giovani ragazzi che ridevano e scherzavano, mentre sulle loro teste uno stormo di cigni bianchi voleva con eleganza. Da un angolo comparve una figura femminile, metà donna e metà pesce che volteggiava nell’aria, completamente fatta d’acqua. Mentre la sirena incanta incontrava il volo dei cigni, che da bianchi divennero neri, un'altra figura di fuoco a forma di serpente s’intromise.
In mezzo a tutta quella confusione, al centro della sala, Roxanne intravide il viso ovale di Ginevra, incorniciato dai lunghi capelli ondulati bruni.
Con tutto il fiato che aveva in gola la chiamò per nome.
La ragazza voltandosi riconobbe il suono della sua voce e si sollevò sulle punte per vedere meglio.
“Roxanne?” domandò, quasi come se non credesse ai suoi occhi.
La sala era talmente piena che Roxanne dovette farsi strada tra la folla di studenti, spingendoli uno a uno, per raggiungere l’amica. Era strano sentirsi nuovamente a scuola, con la differenza di avere per la prima volta un’amica con cui fare conversazione. Si chiese se anche gli altri ragazzi sarebbero stati disposti a fare amicizia.
“Come va?” gli domandò una volta che fu di fronte a lei.
“Bene! Ora che ci sei tu mi sento meno sola!”
“Vieni! Troviamo un posto dove sistemarci! Qui c’è troppo casino!”
Tenendosi per mano si diressero verso il lato opposto della sala e si misero vicino a un angolo. I divani e le poltrone erano tutti occupati.  Perfino gli schienali e le spalliere erano diventati degli ottimi posti dove sedersi.
Roxanne in piedi, rimase ad osservarli uno ad uno, letteralmente stupita. Tutti quei ragazzi erano come lei e Ginevra. Dotati di poteri magici. 
“Tu che dici? Secondo te riusciremo a fare amicizia con alcuni di loro?” Domandò Roxanne sotto voce, sussurrando nell’orecchio dell’amica. Era la prima volta che sentiva il desiderio di approcciare con gli altri, e si stupì del nuovo stato euforico in cui si trovava.
“Spero di si!” rispose Ginevra “Mi piacerebbe molto conoscere delle streghe nate in una famiglia di persone dotate di poteri magici! Magari loro non hanno sofferto i nostri stessi disagi!”
Nessuno stava facendo caso alla loro presenza, sebbene Roxanne non riuscisse a smettere di osservare ognuno di loro.
Le ragazze erano quasi tutte piuttosto minute pur essendo molto formose, con tutto che portavano degli incredibili stivali dai tacchi alti, e dalla punta triangolare.
Avevano quasi tutte un abbigliamento molto seducente, che non si poteva definire esattamente adatto per un primo giorno di scuola, con corpetti dalle scollature eccesive e le minigonne che lasciavano in bella mostra le calze a rete o di pizzo. Anche se molte indossavano abiti lunghi fino ai piedi, in velluto pesante. E molte portavano i tipici cappelli a punta con delle fibbie d’oro o d’argento.
I maghi invece, erano per la maggior parte tutti molto alti, e magri, e superavano le femmine di parecchi centimetri. Anche loro portavano gli sitavi con il tacco e la punta, in cui infilavano i pantaloni aderenti, che mettevano sotto delle corte tuniche dalle maniche larghe, e con dei cappucci dalla punta talmente lunga da scendere dietro la schiena. La cosa che stupì di più Roxanne, fu che quasi tutti i maschi portavano i capelli lunghi. Alcuni fino alle spalle, altri fino alla vita. Legati intrecciati o sciolti, come se fosse una vera e propria usanza.
Ciò che però li accomunava tutti, sia maghi che streghe, erano le unghie lunghe, e ben curate, insieme e delle grosse cinture in cui tenevano i foderi delle bacchette magiche, affiancate ad altri oggetti alquanto bizzarri.
Tutti ridevano e scherzavano come se si stessero godendo una gran festa. Non sembravano minimamente preoccupati o in qualche modo allarmati dall’idea di dover studiare. Sembravano molto più concentrati sulle possibili persone che gli avrebbero da Maestri. Molti sembravano già conoscere parecchi Maghi e Streghe che prestavano servizio all’Accademia, e molti altri erano preoccupati per l’aspetto o il carattere che avrebbe avuto il loro Maestro, o per lo spazio della camera che gli avrebbe concesso. Se avessero avuto un bagno tutto loro, o la possibilità di contattare le loro famiglie i loro amici anche durante la settimana.
La sala cominciò a riempiersi talmente tanto che la maggior parte degli studenti si faceva largo a gomitate. Le due giovani streghe impaciate, si sentirono entrambe spintonare da una parte e dall’altra, cercando di restare in piedi. Si spostarono di parecchi passi e un ragazzo dai capelli color latte gli passò davanti reggendo una serie di pesanti libri dalle copertine di cuoio. Una spintonata alle spalle del ragazzo e una spintonata al fianco di Roxanne fece sì che i due si scontrassero violentemente. I libri caddero a terra con un pesante tonfo, e anche Ginevra sarebbe caduta se il ragazzo non l’avesse afferrata per un braccio.
Roxanne con la coda dell’occhio intravide di sfuggita un oggetto simile ad un sasso, che rotolò via dalle tasche del ragazzo. Ma voltandosi nella direzione in cui lo aveva notato non vide nulla.
“Perdonatemi, andavo di fretta!” disse lui chinandosi a raccogliere i libri, che magicamente avevano tirato fuori i nastri di velluto che servivano a segnare le pagine, insieme a un mucchio di fogli su cui erano scritti una serie di appunti.
“No! Siamo noi che dobbiamo scusarci! È la prima volta che veniamo qui!” disse Roxanne che si inginocchiò a terra per aiutarlo a raccogliere le sue cose. Ma non appena cercò di afferrare un foglio, quello si sollevò in verticale e piegando gli angoli come se fossero stati due piedi cominciò a camminare per fatti suoi.
“Ehi voi ma dove credete di scappare?” domandò il ragazzo che estrasse la bacchetta dal fodero e fece un incantesimo per fermarli. I fogli si riadagiarono a terra, e Roxanne poté raccoglierglieli con più facilità. Guardandosi introno, cercò tra l’affollamento di piedi degli altri apprendisti qualche traccia dello strano oggetto che aveva intravisto un attimo prima. Ma non scorse nulla. Forse qualcuno lo aveva raccolto.
“siete Donate vero?” domandò il ragazzo, riportando le attenzioni su di sé.
“Si!” rispose Roxanne.
“Io sono Dairen!” disse allungandole la mano sinistra.
“Roxanne!” disse stringendo energicamente la mano. “E lei è Ginevra!”
Ginevra fece appena un cenno della mano, arrossendo violentemente.
I tre si alzarono dopo aver controllato bene che non ci fossero altri fogli sparsi in giro sul pavimento. Dairen non era molto alto, e il suo viso privo di barba gli conferiva l’aria di un adolescente particolarmente giovane. I capelli ricci erano rasati sulle tempie, mostrando una serie di tatuaggi, mentre una piccola ciocca ricadeva in una coda dietro la schiena.
“Sei sicuro di aver preso tutto Dairen? Io credo di aver visto qualcosa uscire dalla tua tasca e rotolare via!”
“Nulla Roxanne! Ho preso tutto! Forse è stata una tua impressione! E’ facile in mezzo a questa confusione! È stato un piacere ragazze! Appena questa allucinante giornata sarà finita vi contatterò con la mia sfera!” e così dicendo si a fece largo tra la folla spingendo gli altri ragazzi con i suoi pesanti libri.
Non appena fu scomparso Roxanne tornò a guardare di fronte a se, che non rimase affatto vuoto, perché in quel momento si fermò un altro ragazzo, alto, dal fisico atletico, con lunghi capelli dorati, che ricadevano a onde lungo le spalle, incorniciando il suo volto dai lineamenti fieri. Indossava una veste rosso acceso, chiusa in vita da una grossa cintura in cuoio. Stava ascoltando il discorso di un altro ragazzo, vestito di verde, con i lunghi capelli castani.
“Tu cosa ne pensi Ginevra? Come ti sembra quel Mago?” Domandò all’amica in un sussurro.
“Ecco… Sembra simpatico.” Farfugliò Ginevra con una voce talmente sottile che se non fossero state vicinissime non l’avrebbe mai udita.
Il giovane Mago spostando lo sguardo verso di loro fece l’occhiolino e Ginevra si voltò imbarazzata.
“Oh Roxanne non potevi stare zitta! Che figura imbarazzante ci fai fare?”
Ma il ragazzo le venne vicino afferrandole il polso. “Ti va di fare conoscenza Ginevra?” le chiese.
Ginevra trasalì alzando la testa per guardarlo.
“Come fai a conoscere il mio nome?”
 “Vi stavo osservando mentre parlavate con Dairen!” gli rispose “Io sono Galdric!” con la mano stretta intorno al suo polso, la trascinò verso il suo amico, che si era messo a conversare con una strega dai lunghi capelli rosso scuro. Ginevra afferrò la mano di Roxanne come se temesse di perderla.
“Ragazzi abbiamo finalmente trovato non una, ma ben due Donate!” Disse Galdric come se volesse farsi sentire dall’intera sala “Ora possiamo farci dire cos’è esattamente un Accendigas!” i due si presentarono come Stefanel e Tilva, mentre alla conversazione si aggiunse un'altra strega piccoletta, dai capelli ricci biondi, vestita di rosa. Roxanne e Ginevra si lanciarono un’occhiata d’intesa trattenendo a stento una risata, e cercarono di spiegargli cosa fosse un accendigas nel modo più chiaro possibile, rendendosi improvvisamente conto che una cosa banale come l’accendigas poteva risultare assai incredibile per chi non lo avesse mai visto. Ma ovviamente le domande non si fermarono lì, e i ragazzi vollero sapere anche cosa fosse un salvagente per il mare, e un nastro di biadesivo. In quel momento una ragazza davvero strana, con dei capelli castani riccissimi legati in due codini che si alzavano sui lati della testa, simili a delle corna, si diresse verso di loro. Era particolarmente grassa, e indossava un lungo vestito nero, con le maniche a sbuffo in tinta col piccolo cappello a punta. “Credi veramente di poter fare tutto quello che vuoi eh?” gridò puntando il dito sul petto di Galdirc. Il ragazzo la guardò inarcando le sopracciglia “Sicuramente tutto quello che non fa piacere a te, Pandora!” gli altri ragazzi scoppiarono a ridere mentre il volto della strega grassottella divenne visibilmente rosso. “So benissimo che li hai fatti sparire tu quei dolcetti! Lo so per certo! Erano un regalo per la Maestra o il Maestro a cui verrò assegnata!”
“E me ne rammarico! Ma io non centro nulla!” disse ridendo “In ogni caso sono sicuro che non avresti resistito fino alla fine della cerimonia senza mangiarteli tutti!”
In quel momento accadde qualcosa di inspiegabile. Fu un attimo, in cui nessuno di loro riuscì nemmeno a rendersi conto di quanto stesse per succedere.
Roxanne non vide cosa accadde alle sue spalle, ma un grido collettivo e un improvviso ammassamento che la spinse bruscamente in avanti, le fece intuire che stesse succedendo qualcosa di spiacevole. Soffocata da tutti i lati venne getta addosso a Galdirc che si appiattì contro la parete, schiacciando il suo amico, Stefanel.
“Ma che diavolo gli è preso a tutti quanti?” domandò Roxanne cercando di sovrastare le grida degli altri apprendisti.
“Per te che sei una Donata sarà difficile da credere, ma c’è un uovo di drago in crescita rapida proprio al centro della sala!” gli rispose Galdric come se fosse una cosa per la quale non ci fosse grande motivo di allarmarsi.
Sul volto di Ginevra si dipinse un espressione incredula, che la fece improvvisamente impallidire.
Roxanne si voltò, è capì perché entrambi erano rimasti così schiacciati. Alle sue spalle, Pandora, premeva con il suo corpo enorme contro di loro. In principio non vide l’uovo, a causa del cappello della strega, e pensò che Galdric avesse scherzato. Ma un attimo dopo, la superficie di un enorme guscio d’uovo ricoperto di macchie scure,  continuava ad ingrandirsi molto velocemente, e superò di gran lunga la punta del copricapo.
“Per quanto tempo dovremmo restare così?” chiese al mago che ora le teneva le mani sulle spalle.
“Finché qualcuno non si dimostra abbastanza intelligente da trovare una soluzione!” rispose. “Altrimenti potremo morire tutti schiacciati! Specialmente noi due!” disse in fine alludendo a Pandora che si trovava davanti a loro.
“Noi tre forse!” esclamò Stefanel che si trovava alle sue spalle. “Hai appena incontrato una strega Donata e già ti sei dimenticato di me! Oh che bell’amico che sei!”
“Oh perdonami Stefanel non credevo che fossi tu quello dietro di me.” Gli rispose Galdric “Sbaglio o la cosa ti sta eccitando?”
“Ti piacerebbe!” gli rispose l’altro.
“Ma invece di scherzare non vi sembra il caso di trovare una soluzione!” gridò Roxanne.
“La fai facile! Prima di Entrare qui dentro, quella strega della segretaria ci ha praticamente ritirato tutte le bacchette, e in più in questa sala c’è un campo sigillato che impedisce a chiunque di fare degli incantesimi d’attacco, senza essere registrato! Qualunque cosa accade qui, viene riportato nell’Ufficio della Maga Suprema se si tratta di un aggressione!”
“Ma perché tutto questo?” domandò Roxanne.
Il ragazzo non le rispose, tentando di alzare le braccia in alto. Roxanne appoggio le mani al muro, mentre sentiva il seno schiacciarsi contro il corpo di lui.
“Scusa! Mi perdonerai!” disse e senza aggiungere altro le afferrò le gambe a la sollevò in braccio, portandola sopra i suoi fianchi. Roxanne riprese a respirare, un po’ meglio, ma ora il giovane mago teneva il viso appoggiato al suo seno, e la meni intorno alle sue gambe. E la cosa la fece sentire ancor più in imbarazzo. Si voltò alle sue spalle. L’uovo continuava a ingrandirsi. La punta arrivò al soffitto, e si fermò. Per un attimo tutto rimase in mobile. Nessuno si poteva muovere, e nessuno osava farlo. Sembrava veramente che nessuno sapesse come fronteggiare la situazione.
Improvvisamente qualcuno si mosse, alle spalle di Ginevra, spingendola con violenza contro Roxanne, che venne colpita da un gomito dell’amica.
“Vuoi stare un po’ più attento! Mi stai pestando i piedi!”
“Ah in mezzo a tutto questo casino io sarei il problema!?”
Erano due ragazzi. Roxanne si voltò per guardarli. Sembravano esser fratello e sorella.
Entrambi avevano dei lunghi capelli rosso fuoco, occhi verde acqua, la pelle chiara, e i visi tempestati di lentiggini. Lei portava la riga dei capelli laterale, con un lungo ciuffo che le ricadeva sul lato destro del viso. Quelli di lui erano lunghissimi, e gli arrivano alla vita, lasciando la fronte ben in vista. La ragazza indossava un corto vestito marrone con dei lacci dorati sul corpetto. Il ragazzo invece, un panciotto verde scuro e sopra una camicia di un verde più chiaro.
“Tu sei un problema a prescindere dalla situazione!” disse la strega.
“E tu sei la strega più bisbetica che io abbia mai conosciuto!” gli rispose lui.
“E quante né hai conosciute di preciso?”
“Smettetela di litigare voi due!” s’intromise Roxanne “Non mi sembra proprio il momento! Piuttosto dobbiamo fare qualcosa per fermare l’uovo!”
La strega dai capelli rosso fuoco si voltò verso di lei e gli rivolse un sorriso divertito, come se si trovasse di fronte ad un idiota totale.
“Si è già fermato! Adesso deve schiudersi!”
“Schiudersi?” domandò Ginevra allarmata. Non ci fu bisogno di una risposta più chiara. Tutt’a un tratto un suono incrinato seguì un esplosione che fece schizzare una sostanze gelatinosa dal colore giallastro addosso a tutti. Roxanne che si trova di spalle, lo prese solo nei capelli. Solo allora capì perché il ragazzo l’avesse sollevata. L’aveva usata come scudo. I volti dei due fratelli accanto a lei né erano completamente ricoperti, e Ginevra ne aveva per metà faccia. Un ruggito agghiacciante e un grido di terrore avvolsero la sala. Al centro un cucciolo di drago color bronzo cominciò a girare su se stesso con aria spaventata. Impacciato mise una zampa avanti, mentre gli studenti si accavallavarono l’uno sull’altro, per evitare di essere schiacciati.
“Hai ragione!” disse improvvisamente la strega dai capelli rossi, rivolgendosi a lei. “Dobbiamo assolutamente fare qualcosa!”
 Roxanne si voltò e incrociò il suo sguardo deciso. Nei suoi occhi chiari lesse l’intelligenza e il coraggio di cui era dotata. Ci fu uno scambio d’intesa tra loro, come se si potessero capire comunicando solo non gli occhi. La strega fece un cenno con la testa e lei capì che doveva agire.
“Forza Cornelio, dammi le tue salsicce di salamandra!” disse la strega.
“Cosa? La mai merenda? Scordatela!”
Senza aspettare che il mago le desse il permesso, lo afferrò per il colletto della camicia e infilò il braccio nel suo cappuccio, che incredibilmente si immerse fino al gomito. Estrasse delle strane salsicce nere, dalle strisce gialle, legate l’una alla altre e se le attorcigliò introno al braccio.
“Hai delle erbe soporifere?” gli domandò dopo.
“No!” gli rispose lui molto seccato.
“Io ho una pozione del sonno!” disse Galdric intromettendosi.
“Ma quella va messa negli occhi!” gli fece notare la strega.
“Per un Mago forse! Pensi che quattro gocce negli occhi di un drago possano addormentarlo! No cara mia! Sarà necessario infilargli tutta la bottiglia giù per la gola!” gli rispose Galdric.
“E tu hai forse il coraggio di infilare una mano nella bocca di un drago per versargli una pozione in gola?” domandò il mago dai lunghi capelli rossi.
“Io? Ma no! Sono le due streghe che hanno l’intenzione di risolvere questa situazione, e a loro lasceremo risolvere la situazione!” e poi gli fece l’occhiolino, come se avesse intuito i suoi pensieri, sul non rischiare la perdita della mano.
“Non sono come te Galdric! Io mi preoccupo per mia sorella! E se potessi fare qualcosa eviterei di mandarla contro un cucciolo di drago famelico! Ma tu sai che è inarrestabile quando si tratta di affrontare una situazione difficile!” Gli rispose il giovane dai capelli rossi.
Ma Galdric non gli badò. “Roxanne infila le mani nel mio cappucci e trova una boccetta a forma di spicchio di luna!” disse in fine.
Roxanne lanciandogli un occhiata storta, delusa dal suo comportamento, infilò la mano nel cappuccio del ragazzo e si rese conto che all’interno lo spazio era notevolmente vasto. La sua mano sfiorò di tutto. Libri, fogli, penne d’oca, pietre, sacchetti. A un certo punto qualcosa le tagliò il dorso della mano.
“Ahia!” gemette non smettendo di frugare.
“Attenta c’è il mio allocco! Poverino sarà spaventato!”
“Allocco? Come è possibile tenere un allocco in un cappuccio?” domandò Roxanne che posò la mano su un oggetto di vetro e forma di mezza luna. Lo tirò fuori velocemente passandolo di fronte agli altri ragazzi.
“Ora non resta che mandarglielo giù per la gola!” disse la strega dai capelli rossi.
“Non servirà!” Disse Stefanel, che prese parte nella discussione solo in quel momento. “Ho trovato una siringa per gli animali di taglia grande, nel mio cappuccio!” e allungando una mano passò a Ginevra un siringa in vetro, dall’ago d’oro, lunga quindici centimetri.
Ginevra la prese come se non potesse fare altro che prendere parte a quell’impresa disperata.
A quel punto la strega dai capelli rossi senza troppi complimenti cominciò a spintonare tutti gli altri studenti, per farsi largo verso il draghetto. Roxanne senza perdere altro tempo, saltò giù dalle braccia di Galdric e gli corse dietro, scavalcando e pestando tutti, con la bottiglia a forma di mezza luna tra le mani, e Ginevra al suo seguito.
 Il draghetto che girava per la sala buttando tutti gli studenti contro le pareti, a colpi di coda, le vide arrivare nella sua direzione e allargò le fauci, da cui si poté intravedere un bagliore rossastro, come di una fiammata in arrivo.
Roxanne ebbe una spiacevole sensazione.
“Non toglietevi l’albume dell’uovo di dosso!” disse la giovane strega dai capelli rossi. “Serve per proteggerci dal fuoco!”
Il drago soffio e una nube di fuoco volò verso la loro direzione. Roxanne come tutti gli altri istintivamente si stese a terra, proteggendo l’ampolla stretta tra le braccia. Sentì un immenso calore su di sé, ma quando si rialzò in piedi nulla di lei andava a fuoco.
La strega dai capelli rossi era già in piedi, vicinissima al draghetto. Roxanne, seguita da Ginevra, gli fu subito dietro con un salto.
“Voi andategli alle spalle, e cominciate a salirgli dalla coda, io lo terrò impegnato con queste!” gridò per sovrastare il suo ruggito. “Ehi tu! Vieni qui! Ho una bella colazione per te!”
Si avviò verso un ampia porta chiusa, tenendo le salsicce di salamandra sollevate. Roxanne e Ginevra ora camminavano dietro il drago, che agitava la coda. Più di una volta furono costretta ad abbassare la testa, per non essere colpite. La strega si appoggiò alla porta di legno e nascose le salsicce dietro la schiena. il drago appoggiò una grossa zampa sulla porta che si infranse in mille pezzi. Fu in quel momento, che Roxanne saltò sul posteriore del drago. Ma dovette fermarsi per tenersi aggrappata, perché la strega uscì all’esterno per farsi inseguire, e il drago gli corese dietro. Ginevra che si teneva attaccate anche lei non poté fare a meno di gridare. “Come facciamo e infilare il liquido nella siringa? E cosa ancora più importante, come facciamo a fargli un iniezione?”
Erano due belle domande. Entrambe le ragazze, che si trovavano sul posteriore della creatura, nel tenersi aggrappate al suo corpo si resero conto che la pelle ricoperta di piccole scaglie era durissima e forse perfino impenetrabile.
A quel punto Roxanne sollevandosi in piedi, sul dorso del drago si rivolse alla strega dai capelli color fiamme “Dove possiamo iniettargli il siero?”
“Dietro la mascella!”
Il draghetto si mosse bruscamente, e Roxanne scivolò finendo a cavalcioni sulla sua schiena. Stappando la bottiglia, tirando via il tappo di sughero con i denti, prese la siringa dalle mani di Ginevra e tentò di versarne il più possibile, all’suo interno, mentre buona parte finiva sulle sue mani.
Rimettendosi in piedi, una volta conclusa l’operazione,  cominciò a camminare sul suo dorso. Ginevra alle sue spalle, reggeva la bottiglia mezza svuotata. Si trovavano su un ampia terrazza, che affacciava su un grande giardino ben curato. La strega staccò una salsiccia di salamandra e la gettò poco distante da lei. Il draghetto si gettò su di essa e la ingoiò. Nello stesso istante, Roxanne raggiunse la sua testa. Afferrando una delle due piccole corna, si sporse per raggiungere l’angolo della mascella, dove la pelle era priva di scaglie. Con tutta la forza che aveva nel braccio piantò l’ago nel collo, spingendo il liquido al suo interno.
Il draghetto, che un attimo prima era impegnato a divorare le salsicce, sollevò improvvisamente il collo verso l’alto, e lanciò un ruggito.
Roxanne cadde all’indietro, finendo addosso a Ginevra. Entrambe persero ancora una volta l’equilibrio, finendo sul dorso della creatura.
Il draghetto lanciò un enorme fiammata. Roxanne sentì i muscoli della creatura irrigidirsi sotto di sé. Le ali si aprirono, e con un lancio il drago spiccò il volo. Le due giovani streghe si aggrapparono in tempo al suo collo, per evitare di essere sobbalzate in aria. il draghetto lanciò un altro ruggito, ma non fece che quattro metri e poi cadde rovinosamente sulla terrazza. Il collo steso, gli occhi chiusi, e una nuvola di fumo che usciva dalle sue narici. Si era addormentato. La strega dai capelli rossi, in pedi in mezzo alla terrazza, le guardava con un sorriso soddisfatto.
“Non male per essere due Donate!” disse.
Roxanne con un salto scese dal collo del draghetto e afferrando Ginevra per mano l’aiuto a scendere. La sua amica era completamente bianca in viso. “Promettetemi che non farò mai più una cosa del genere!” si lamentò.
“Non posso offrirti garanzie!” gli rispose la strega ereditiera. “Io sono Lidia Gwilyn!”
“Ginevra McGowan!”
“Roxanne!”
Le due si strinsero la mano sinistra, e con un cenno d’intesa si avviarono di nuovo verso la porta. Roxanne lanciò un ultima occhiata al drago, prima di rientrare. La sala era ancora nel caos più totale, e mentre gli apprendisti si risistemavano con incantesimi, per ripulirsi dall’albume che pareva proprio esser più appiccicoso della colla, una voce agghiacciante raggelò l’intero ambiente.
“Enfrid!” A parlare era una strega alta, e ossuta, interamente vestita di nero, con la gonna lunga fino ai piedi, e un cappello a punta dello stesso colore. I capelli bianchi raccolti dietro una crocchia, il naso adunco e un paio di occhiali dalla montatura dorata.
“Non lo ripeterò una terza volta! Enfrid fatti avanti!”
 Non ci fu risposta.
“Molto bene! Vorrà dire che sarà la Maga Suprema stessa a prendere dei provvedimenti!”
Eccomi! Si lo confesso! Sono stato io!” gridò una voce, dal fondo della sala. Tutti si voltarono, mentre un ragazzo dai capelli biondi cespugliosi si fece strada verso la strega insegante. Era basso e mingherlino e appariva più piccolo degli altri, e forse lo era.
“Molto bene! Piccolo Enfrid, ci vuoi spiegare chi ti ha autorizzato ad entrare?” tuonò la strega. “I fratellini minori non sono ammessi in sala non è vero Galdric Enfrid?”
“Non è colpa sua!” disse in fretta il ragazzino “Mi sono infilato nel suo cappuccio!”
Roxanne era davvero preoccupata, se nel cappuccio si poteva infilare anche un ragazzo, cos’altro ci avrebbero messo?
“Bene ragazzi, io sono Samantha Yolith e sono una assistente dell’Accademia, e chiunque abbia frequentato questo luogo sa, che è meglio non farmi innervosire!” Si presentò “Sono qui per annunciarvi che la selezione degli insegnati sarà rimandata a domani mattina!”
Ci fu un boato di grida e proteste.
“Non è giusto! Sono tre giorni che siamo qui! Ci volete dire che diamine sta succedendo?” protestarono.
Roxanne che stava per ritornare da Galdric, Stefanel e Tilva, pensò che quella donna in qualche modo poteva anche appartenere a un'altra dimensione, ma restava comunque una professoressa acida e insopportabile.
Una volta che ebbe raggiunto il mago gli porse la sua ampolla.
“Abbiamo perso un intera mattinata. Per cosa? Per farci schiacciare da un cucciolo di drago!” protestò Griselda, la strega vestita di rosa, con i capelli ricci.
“No! Non è vero! Abbiamo conosciuti Roxanne, e Ginevra, e ci siamo fatti coinvolgere dai Gwylin, come al solito!” fece notare Galdric e voltandosi verso di loro le fece un sorrisino complice, con una strizzata d’occhio.
“Strano che una Donata abbia gli occhi viola! Solitamente tali colori di occhi, si tramandano solo tra Ereditieri!” disse Tilva.
Roxanne non gli badò e si voltò verso il mago dai capelli rossi “Grazie per le salsicce!” disse.
“Oh figuriamoci! Io sono Cornelio Gwylin! Il fratello gemello di quella fattucchiera la giù!”
“Siete addirittura gemelli?”
“Non identici, ma si! Io comunque sono molto più bello di lei!”
Roxanne sorrise, trattenendo a stento una vera e propria risata.
Osservandolo mentre si toglieva i pezzi di guscio dai capelli arrivò all’orrenda conclusione che quell’uovo era l’oggetto sfuggito dalle tasche di Dairen.
In quel momento Erasmus comparve da una porta laterale e scorgendola tra la folla le fece cenno di raggiungerlo. Roxanne si voltò verso gli altri Apprendisti.
“Devo andare! Spero che ci rivedremo ancora!”
“Ma dov’è che devi sempre sfuggire Roxanne?” Gli domandò Ginevra.
“E’ una lunga storia!” Gli rispose Roxanne “Poi ti racconto tutto!”


Questa storia resterà incompiuta all’interno del sito.
 
A causa della mancanza di tempo necessaria per scrivere, e dell’atteggiamento scorretto di alcuni autori nei confronti di altri autori, sul sito, ho deciso di sospendere la pubblicazione della mia storia.
Questa storia rappresenta tutta la mia vita e non mi sta bene che la o lo stronzetto di turno si appropri delle mie idee. Non ho il tempo necessario per controllare tutte le sezioni del sito e tutte le storie degli altri siti, per verificare che nessuno mi copi.
 Mi dispiace davvero molto essermi fermata. Non credevo che fosse possibile fare copia e incolla. Se l’avessi saputo prima ci avrei pensato due volte, prima di pubblicare.
Se mai il sito dovesse trovare nuovi metodi per proteggere le nostre storie, forse tornerò e pubblicare i miei manoscritti.
Fino ad allora, pregate che il giorno della pubblicazione con una casa editrice arrivi presto.
Sono stata davvero felicissima di condividere una parte delle mie idee con voi.
Non mi sono mai sentita così apprezzata in tutta la mia vita.
Grazie.
 
Avvertenze:
Anche se non pubblicherò più nulla continuerò a recensire le storie che ho in corso, e a leggere e recensire tutto quello che mi va, senza pretendere nulla in cambio.
Questa storia non è più valida per gli scambi di recensioni.
Chiunque verrà recensito da me e si presenterà con una “recensione di scambio” sappia che smetterò automaticamente di recensirlo pur essendo l’autore più bravo del sito.
Chiunque la recensirà chiedendomi una recensione in cambio sappia che sta sprecando il suo tempo.
Chiunque vorrà recensirla solo per il piacere di farlo, sappia che sarò ben felice di rispondergli.


 

GothicGaia.




 

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