Dai tuffi al cuore

di Corydona
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'esordio olimpico ***
Capitolo 2: *** Il bellimbusto ***
Capitolo 3: *** La mia testa ***
Capitolo 4: *** Mezze rivelazioni ***
Capitolo 5: *** Il messaggio ***



Capitolo 1
*** L'esordio olimpico ***


 

Quando sei lì sul trampolino, sei da sola. Tu e lui. E l'acqua, ovviamente, che brilla sotto di te, per i riflettori o alla luce del sole, con quegli schizzi che servono a farti capire a che punto sei.

Sistemo con il piede la ruota che regola l'elasticità della tavola e lancio un'occhiata a Rebecca, che sembra nervosa molto più di me. Nonostante questa sia la mia seconda gara seria, non sento su di me alcuna pressione. Lei, invece, si asciuga la treccia castana e continua a pizzicarsi il costume da diversi minuti, già da prima di avvicinarci ai nostri trampolini. 

La sento buttare fuori un lungo sospiro, prima di chiedermi, come da rituale: - Pronta?

Siamo a Roma e ci sono le Olimpiadi; e noi le giochiamo in casa. È il primo giorno, il che significa che per noi dei tuffi la prima gara è il sincro da tre metri donne. Io neanche sarei dovuta esserci, ma la compagna di sincro di Rebecca ha avuto un incidente in moto qualche mese fa. Quindi lei non si è potuta allenare e io sono qui.

Tentenno un secondo prima di rispondere. Non devo pensare a niente. Il primo tuffo è facile, un semplice capofitto ritornato, ha solo mezza rotazione, in avanti per di più... l'ho fatto migliaia di volte. Inoltre io e Rebecca abbiamo una buona sincronia, anche se ci siamo allenate per questa gara solo negli ultimi mesi...

Sono pronta?

- Sì.

E allora Becky, come tutti la chiamiamo affettuosamente, conta. - Uno, due, tre.

Salto indietro, unendo velocemente il busto alle gambe tese e stringendole al petto con le braccia, conscia che Rebecca al mio fianco sta facendo lo stesso. Ben presto apro le braccia per entrare in acqua, unendo i palmi delle mani davanti a me, poco prima di immergere la testa e il resto del mio corpo. Una volta sotto il pelo dell'acqua, eseguo una piccola capriola, che dovrebbe aiutarmi a controllare l'ingresso di gambe e piedi. Sento le punte delle dita sbattere contro la superficie umida, non sono riuscita a eseguire l'entrata come avrei dovuto. E come so fare.

Rapidamente, riemergo e recupero la pelle, quel pezzo di stoffa sintetica con cui ci si asciuga prima e dopo il tuffo, senza riuscire a trattenere una mezza smorfia di disappunto. Sì, era il mio primo tuffo in una gara olimpica... ma proprio per questo volevo farlo meglio.

Mi avvicino alla figura longilinea e abbronzata di Becky che, nonostante la tensione che ho ben percepito poco fa, sembra una maschera di cera: nessuna emozione traspare dai lineamenti delicati del suo viso. Ho paura che mi guardi storto, perché so di non aver fatto un tuffo pulito, ma lei mi sorride, forse perché non ha visto quanti schizzi ho sollevato entrando in acqua o forse perché le mie gambe e le sue non hanno tremato, come entrambe temevamo. Ironico che siamo proprio noi ad iniziare la serie.

Guardo il tabellone con i voti dei giudici: 45.50. Per essere quasi il mio esordio internazionale, va bene così, anche se non è un gran punteggio. Mi butto sulla spalla la pelle umidiccia e vado da Sandro, il nostro allenatore, che già sta parlando con Becky.

- Eri poco carpiata, devi stringere di più dopo negli altri, va bene? - mi dice sbrigativo. È un uomo alto, con un accenno di barba sul mento e due scuri occhi da lupo. Indossa quasi sempre un berretto da baseball di un grigio sporco tendente al nero, anche se oggi c'è una temperatura che credo sfiori, o addirittura superi, i trenta gradi.

Annuisco e, ignorando completamente il tuffo delle australiane, vado nella vasca idromassaggio. Incrocio una delle canadesi, ma nessuna delle due guarda l'altra. In gara, soprattutto in quelle importanti, sono come in trance. Non vedo niente, non vedo nessuno, se non Sandro. Qualsiasi tipo di gara sia, io vedo solo il mio allenatore e quei suoi occhi scuri, caldi, che sin da subito ispirano fiducia.

Raggiungo Becky, che si sta avvicinando alla vasca idromassaggio, ma non le parlo, non spiccico neanche una parola. E lei sembra intenzionata a fare lo stesso: si immerge interamente nella vasca, come volendo allontanare la tensione per l'esordio olimpico. Certo, per lei non è la seconda gara internazionale a livello senior, come invece è per me, ma pur sempre la prima Olimpiade a cui prende parte.

Mi siedo a bordo vasca, e strizzo il tessuto sintetico della pelle, di nuovo con un'espressione di disappunto dipinta sul mio viso; anche se stavolta è per un motivo del tutto diverso. È il colore della pelle a infastidirmi: uno sgargiante rosa shocking, motivo per cui non l'avrei mai comprata, se avessi potuto scegliere. Ma è un regalo del mio amico Jean-Marc, un tuffatore della squadra francese, che mi ha detto di usarla alle Olimpiadi come portafortuna; credo che voglia solo mettermi in imbarazzo, però l'ho portata qui e ho lasciato quella che uso di solito, azzurrina, in albergo.

Sento il rumore del pubblico che interrompe i miei pensieri: le australiane devono aver finito il tuffo. Silenzi tombali si alternano a un gran chiasso. Viene chiamata la coppia messicana. Altre grida dagli spalti. Silenzio. Sento il suono dei loro ingressi in acqua. Applausi da parte dei tifosi e degli altri atleti, o almeno così mi pare. Non ci faccio mai caso, ma ora, con la mente libera da ogni pensiero, ascolto con attenzione.

Esco dalla vasca e vado nella camera di chiamata, in cui non penso di incontrare qualcuno, perché non sono tante coppie a saltare e la gara dura poco. Saranno tutte intorno alla piscina, chi in vasca, chi dagli allenatori e chi sotto le docce per sciacquarsi dal cloro. Ho bisogno di un momento per me stessa, per isolarmi da questo silenzio a corrente alternata. Il cuore mi batte forte nel petto all'idea di dover risalire di nuovo sul trampolino, davanti a spalti gremiti di spettatori che fanno il tifo per me e Becky. Inspiro ed espiro profondamente, abbassando la maniglia della camera di chiamata.

Inaspettatamente, lì trovo Ashley Morley, una delle britanniche. Ha la mia stessa età, e molto spesso ci siamo affrontate a livello juniores, prima che lei passasse a gareggiare con i grandi. I capelli biondi sono raccolti in una treccia ordinata che le scende sulla schiena e le guance un po' rosse per il sole preso durante gli allenamenti all'aperto degli ultimi giorni. Siede immobile su una delle sedie, guardando in basso. Forse è una mia impressione, ma sembra che abbia gli occhi lucidi, quasi sul punto di scoppiare a piangere. Che diavolo le è successo?

La mia trance da gara svanisce completamente e sto per chiederle se qualcosa non va, quando alle mie spalle la porta si apre.

- C'mon, Ash, we must go.

A parlare è stata Sarah Metcalf, la compagna di sincro di Ashley. Mi volto per scambiare un'occhiata con lei, ma la britannica è già sparita dalla mia visuale.

Ashley solleva lentamente lo sguardo, forse cercando la Metcalf, ma vede soltanto me. Accenna un mezzo sorriso e si alza dalla sedia, lasciandomi sola.

Ho giusto il tempo per pensare che se la coppia Morley-Metcalf sta per tuffarsi, la rotazione è quasi finita e tra poco tocca di nuovo a me e Becky. Esco dalla saletta, che rimane deserta. Oltrepasso le russe, le tedesche e le sudcoreane, prima di trovare Rebecca dalle parti del trampolino, che mi squadra come per chiedermi dove fossi finita.

Il nostro prossimo tuffo è un ordinario rovesciato. Si salta in avanti, ma si gira all'indietro. Abbiamo deciso di inserirlo tra gli obbligatori perché è il tallone d'Achille di Becky e neanche io amo molto i rovesciati: così abbiamo solo mezza rotazione indietro invece di due, come richiederebbe un tuffo a coefficiente libero in un programma competitivo.

Saltano le cinesi, saltano le britanniche e per ultime le statunitensi. Fine della rotazione.

Io e Becky saliamo sul trampolino. Mi asciugo qualche goccia d'acqua con la pelle, la annodo come faccio sempre e la butto giù. Regolo il trampolino, visto che l'americana che ha saltato prima è molto più potente di me sulle gambe, mentre io ho bisogno che sia più elastico.

Sospiro, senza guardare la mia compagna di sincro, ignorando davanti a me gli spalti che ora posso vedere. Non sento neanche un suono, è come se fossi in una bolla di sapone o circondata da ovatta. Non vedo niente, non sento niente. A malapena sento il fischio del giudice arbitro che ci costringe a tuffarci. Non ho nessuna ansia.

- Pronta?

- Sì.

- Uno, due, tre.

I passi avanti del presalto, mi stacco dal trampolino, giro indietro, buio.

 

***

 

Riapro gli occhi e vedo il soffitto bianco della camera di chiamata, dove prima ho visto Ashley Morley.

- Si è svegliata!

Sento distintamente la voce di mia madre. Sembra preoccupata, ma sono troppo intontita per capire perché.

- Fiamma...

Sandro.

Sbatto le palpebre per inquadrare bene la stanza, tirandomi su per mettermi seduta. Mia madre è inginocchiata sul pavimento alla mia destra e non mi dà neanche il tempo di fare un respiro in più, prima di stringermi a sé.

- Tesoro, stai bene... mi hai fatto preoccupare tanto!

Sospiro, confusa. Che diamine ho fatto?

- Fiamma, stai bene? - mi chiede il mio allenatore, premuroso. Da quando in qua Sandro è premuroso? Devo averla combinata grossa...

- Sì, io... credo di sì - rispondo, portandomi una mano alla nuca, che sento gelata. Mi volto e sul pavimento c'è del ghiaccio secco.

Ho sbattuto la testa al trampolino? Come ho fatto a essere tanto demente?

- Cosa è successo? - chiedo a mia volta, guardando le mie gambe distese sul pavimento freddo della stanza. Ma... dove accidenti è finita la mia pelle? L'avranno recuperata?

- La carpiatura andava bene questa volta, ma la distanza dal trampolino no - mi spiega Sandro, abbozzando un sorriso. Sembra decisamente sollevato nel vedere che ho ripreso i sensi. - Sei riuscita a fare l'apertura, ma forse è stato un gesto meccanico.

- Il tuffo era nullo?

Lui scuote la testa. - No, ma l'hanno valutato come pericoloso... I voti sono tutti due.

- E le World Series? - esclamo. - Ce la facciamo ancora a qualificarci?

La qualificazione alla competizione a tappe delle World Series passa dalle Olimpiadi... e se io e Becky non ce la facessimo a qualificarci, sarebbe solo colpa mia!

- Adesso ti preoccupi delle World Series? - grida mia madre, quasi isterica. Mi scannerizza con i suoi occhi grigi, come non riuscendo a credere che io voglia tornare subito in gara. - Ma sei svenuta in acqua, ti hanno dovuta recuperare, mi sono presa un colpo...

La sua voce esce strozzata e... mi turba. Io non mi sento provata in alcun modo, ma lei... ci credo se si è presa un colpo. La abbraccio, istintivamente, e lei mi stringe ancora più forte di prima.

- Mamma, sto bene - sussurro al suo orecchio.

Scambio un'occhiata con Sandro, in piedi vicino a un signore anziano con degli occhiali tondi che gli occupano buona parte del viso. Lo riconosco come il dottor Chiavacci, il medico degli sport acquatici... non mi ispira molta simpatia, ma purtroppo sono nelle sue mani.

- Quindi adesso andiamo a fare il triplo avanti? - chiedo ancora, speranzosa.

- Non credo proprio - mi contraddice il dottore. - Hai appena preso una brutta botta, non puoi gareggiare oggi.

- Fiamma! - Becky sbuca dalla porta che conduce agli spogliatoi e mi raggiunge in un istante. Si abbassa sul pavimento e mi abbraccia. Poi scoppia a ridere.

- Pensavo che ieri sera scherzassi! - esclama, facendo ridere anche me.

- Invece le mie gambe devono aver tremato davvero - commento, ridendo, cogliendo subito la sua allusione. Ieri sera ero davvero preoccupata di non gareggiare bene... e infatti.

Vedo la porta della camera di chiamata chiusa e a una decina di passi da me. Se mi alzassi e provassi a uscire, di sicuro ricadrei per terra. Mi prende un momento di sconforto nel pensare che quel dottoraccio mi ha detto che non posso gareggiare.

- Chi si sta tuffando adesso? - chiedo a Becky, che in risposta si alza in piedi e va ad aprire la porta come per spiare.

- È inutile, non puoi andare: ci siamo ritirati - mi dice Sandro. Ed è una pugnalata al cuore. Mi volto quanto basta per vedere Rebecca: ha indossato la tuta della delegazione. È vero che non ci tufferemo ancora.

- Le malesi. Sono andate una da una parte e una dall'altra, bella sincronia! - commenta Becky.

Lentamente mi tiro su e mi metto seduta, strisciando sul pavimento fino ad avere la schiena poggiata alla parete, mentre la mia compagna di sincro chiude la porta.

- Se ce la fai a stare in piedi, io direi di uscire al cambio dei giudici per far vedere che stai bene, che dici? - propone lei. Quindi non devo aver perso i sensi tanto a lungo, se non sono ancora arrivati alla fine della terza rotazione... sarà stato solo per pochi minuti.

Becky guarda il dottore, come attendendo il suo permesso. L'uomo annuisce, prima di puntare i suoi occhietti verso di me. - Sì, puoi tornare sugli spalti. Ma tra un paio di giorni ti sottoporrò ad alcuni controlli.

Sandro e mia madre mi aiutano ad alzarmi. Piano piano faccio qualche passo, tenendo il ghiaccio sulla testa. Non deve essermi uscito del sangue, penso, altrimenti avrebbero dovuto cambiare l'acqua della piscina e la gara a questo punto sarebbe ancora interrotta. Visto che riesco a camminare senza difficoltà, vado nello spogliatoio accompagnata da Becky e, dopo essermi asciugata, mi rimetto i pantaloni. La giacca no, perché fa troppo caldo.

Poco dopo ci ritroviamo nella camera di chiamata, con Sandro, mamma e il dottore. Saluto mia madre, che così può tornare sugli spalti dal resto della famiglia.

Aspetto su una sedia che Rebecca mi dica quando posso uscire: appena lei mi annuncia che hanno dato i punteggi delle americane, torniamo insieme a bordo piscina.

La vista luminosa del cielo quasi mi acceca: avevo dimenticato che la piscina fosse all'aperto e i miei occhi non si erano preparati a ricevere il sole del primo pomeriggio, che passa attraverso alcuni spiragli tra gli spalti molto alti. Hanno costruito questi impianti di ultimissima generazione come se dovessero essere dei palazzi di dieci piani. O forse sono solo io ad essere molto in basso rispetto a tutta la gente che ora mi sta guardando. Tanto ora c'è il cambio del pannello dei giudici, non devono concentrarsi sulla finale.

Già, la mia prima finale importante. Pazienza, mi rifarò dall'anno prossimo, ne sono convinta.

Da tutt'intorno proviene un fiume di applausi, evidentemente indirizzato a me. Saluto con la mano tutto intorno, sorridendo, senza sapere di preciso dove guardare. Poi scorgo, controsole, dove sono seduti i miei parenti, poco distante da dove finiscono gli spalti dedicati agli atleti, e mando un bacio in quella direzione. Sto bene, sono ancora tutta intera.

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Capitolo 2
*** Il bellimbusto ***


L'entusiasmo, e con esso l'applauso per avermi rivisto in piedi e camminante, si acquieta quando i giudici si siedono al loro posto. Salgo sulla parte degli spalti dedicata agli atleti e vado verso i miei compagni di squadra, seguita da Rebecca. Sandro, invece, rimane giù insieme agli altri allenatori. Mi siedo vicino ad Andrea Comini, il capitano della squadra. Anche se si tratta di uno sport individuale, c'è un capitano, scelto tra i più esperti, per fare da chioccia a noi esordienti.

Andrea non è il più vecchio della spedizione azzurra, visto che ha ventotto anni, mentre ci sono le nostre due piattaformiste, Chiara e Valentina, che ne hanno poco più di trenta. Entrambe hanno annunciato il loro ritiro a fine Olimpiade e devo ammettere che mi dispiace molto: le ho seguite passo passo nella loro carriera, guardandole gareggiare in televisione... ma sono anche emozionata di poter condividere con loro queste mie primissime esperienze: sono state per anni le campionissime del sincro dalla piattaforma e spesso sono state ad un passo dal battere le fortissime cinesi. Purtroppo non è mai accaduto, ma chissà che questa, oltre ad essere l'ultima, non sia anche la volta buona...

- Quanti sono questi? - mi chiede Andrea mostrando due dita della mano.

Mi metto a ridere, puntando lo sguardo sui suoi occhi scuri. - Ci vedo, ci vedo. Come sta andando la gara?

- Cina primissima, per le altre medaglie se la giocano Canada, Gran Bretagna e Messico.

- Tutto normale, quindi.

Andrea annuisce, spettinandosi con una mano i capelli di un colore incerto, un po' biondo, un po' castano.

Peccato, forse anche io e Becky ci saremmo state bene per la lotta alle medaglie, anche se è vero che proviamo il sincro solo da qualche mese, mentre le altre si allenano insieme da almeno un paio di anni. Guardiamo in silenzio il triplo avanti delle malesi. Aveva ragione Rebecca, queste due non sanno proprio dove stia di casa il sincro. Una ha saltato troppo avanti, l'altra ha completamente sbagliato l'apertura ed è finita abbondante. Abbondante significa che, al momento di entrare in acqua, le gambe, invece di immergersi verticalmente, superano l'immaginaria linea perpendicolare. Il risultato molto spesso è un bello schizzo in avanti. Al contrario, scarso è il tuffo che non ha ancora finito di girare e, sostanzialmente, non è finito, perché le rotazioni non sono del tutto completate. L'effetto è sempre lo stesso: tanti schizzi, solo che stavolta sono nella direzione opposta alla quale stai girando.

Qualcuno mi chiama con un colpetto sulla spalla. È Jean-Marc, il mio migliore amico. È accovacciato nel piccolo corridoio di passaggio tra una sezione degli spalti e l'altra per poter parlare con me, che sono nella fila più in basso. Il gruppo italiano è a ridosso della piscina, non troppo distante dagli allenatori, a cui sono riservate, proprio sotto di noi, delle sedie in plastica sistemate una accanto all'altra in più file.

- Come stai? - mi chiede, con la voce bassa perché si stanno tuffando le canadesi. Ha il suo solito sguardo da cucciolo bastonato sul viso dal colorito pallidissimo, come sempre, ma stavolta intravedo la preoccupazione che ha provato poco fa per me. Mi poggia una mano sulla spalla sinistra, credo per non cadere se passa qualcuno, o forse solo per farmi sentire la sua vicinanza.

- Non mi sono fatta niente - gli rispondo, senza ascoltare i voti dei giudici. - Mi secca non poter continuare la gara, perché mi sento bene.

Lui scuote la testa, e so che è in segno di disapprovazione per la mia esuberanza, così diversa dal suo carattere mite; per un attimo il sole che attraversa l'impianto all'aperto si riflette sui suoi capelli ramati. - L'importante è che stai bene.

Gli sorrido, grata del fatto di essere l'unica persona del pianeta a saper interpretare con esattezza la sua mimica.  So che è preoccupato per me, ma so altrettanto bene che, dopo la botta che ho preso, lui sarebbe il primo (ancora prima del dottore e ancora prima di mia madre) a dirmi di stare buona e di non fare nulla, perché avrei bisogno di riposo. Ma anche Jean sa benissimo che non so stare ferma per più di cinque minuti.

- Ci vediamo, Fiamma - mi saluta all'improvviso con un sorriso smorzato, prima di tornare al suo posto. Forse Emilién, un suo compagno di squadra, lo avrà chiamato per commentare qualcuna delle bellezze presenti e io non me ne sono accorta. Infatti lo raggiunge dove è la striminzita delegazione francese.

- È proprio un Fantasmino, guarda come si distingue bene in mezzo a tutti - ride Andrea, alludendo al colorito di Jean. Ha ragione: è veramente bianco e si scorge anche da lontano in mezzo a tanti tuffatori molto più abbronzati. - Magari gli fa bene gareggiare qui all'aperto - scherza ancora; a volte sembra che non ne abbia mai abbastanza.

Mi volto di nuovo verso la piscina: è il turno delle britanniche, Sarah Metcalf e Ashley Morley. Doppio salto mortale avanti con un avvitamento. Lo eseguono, e anche bene. Qualche fila dietro di noi, i britannici esplodono in un tifo da stadio, mentre qualche applauso arriva anche da atleti di altre nazionali, noi compresi. I voti sono otto e mezzo e nove. Vanno dietro alle cinesi e manca l'ultimo tuffo. Dopo il turno delle statunitensi, guardo sul tabellone la classifica. Mi fa una strana impressione leggere in fondo: Salieri-Feno 57.25. È un punteggio molto strano... e parecchio deprimente, soprattutto perché riguarda anche Rebecca; ma ormai non posso fare proprio nulla per cambiarlo.

- Fiammetta - sento dire da una voce maschile e dall'accento anglosassone alle mie spalle.

Mi giro, colpita per il fatto di essere stata chiamata con il nome intero. Esclusi alcuni dei miei parenti, nessuno mi chiama così; neanche i professori del liceo mi chiamavano "Fiammetta"!

Mi volto. È David Thompson, americano, uno dei bellissimi tra i tuffatori. Ha degli occhi azzurri, chiari, da mozzare il fiato. Un viso perfetto, armonico, e un sorriso che non ti fa venire voglia di nient'altro, perché tutto quello che vuoi è continuare in eterno a guardarlo. A essere sincera, lo avevo notato già da tempo... ma ho solo considerato che, di fatto, è davvero un bel ragazzo. Non riuscirei a prendermi una cotta per un tuffatore, neanche se tanto affascinante. Nemmeno se si dichiarasse qui, in mezzo a tanta gente: in quel caso, lo prenderei a schiaffi. A due a due finché non sono dispari. Ci tengo alla mia privacy.

- How are you? - mi domanda, incurvando appena le labbra e sfoderando un sorriso che farebbe sciogliere qualsiasi ragazza; e, in effetti, devo trattenermi per non assumere un'espressione ridicolamente imbambolata. - Hai preso una bella botta!

- Sto bene - gli rispondo io, cercando di sfoderare la mia miglior pronuncia e di non far capire che se lui mi dice altre due parole, rischio di non capire più nulla nella sua lingua.

- Hai fatto preoccupare tutti quanti, sai? - continua, passandosi una mano tra i capelli chiari, con il suo fascino da divo hollywoodiano.

- Sto bene, sto bene - ripeto come una stupida. Come se in inglese sapessi solo dire "I'm fine."
Mi dà una pacca sulla spalla, amichevole.

- Good. See you.

Il bellimbusto fa un occhiolino a me e a Becky e ritorna al suo posto, sicuro di aver suscitato in me una buona impressione. Io e la mia amica ci scambiamo un'occhiata perplessa: un ragazzo dotato di tutto quel fascino che viene a fare il cascamorto con me? Ma perché?

- Abbiamo fatto colpo! - commenta complice Valentina, che ha visto la scena, seduta al fianco di Rebecca. Con una smorfia mi rimetto a seguire la gara, ignorandola. Ma avverto i suoi occhi vivaci e curiosi su di me e so che non la smetteranno di scrutarmi, finché non avrò prestato ascolto all'allusione, velata ma non troppo, della piattaformista. Cosa che io non ho intenzione di fare.

 Le messicane fanno un bel triplo e mezzo avanti, le canadesi rispondono con un doppio salto mortale con due avvitamenti (chiamato in gergo "doppio con doppio") da fare invidia anche alle cinesi e vanno ancora avanti. Seguono i tuffi di coppie che non si giocano la medaglia, ma solo la qualificazione alle World Series dell'anno successivo. A cui io e Becky, per forza di cose, non parteciperemo: alle World Series partecipano solo quelli con i migliori piazzamenti nell'anno precedente e noi siamo molto più che ultime, in fondo alla classifica. Quindi adios.

Al loro turno, le cinesi fanno il loro tuffo che vale i soliti nove e mezzo. Aspetto di vedere le due britanniche, ormai intimamente faccio il tifo per loro. Quando vengono annunciate, c'è il solito boato da parte dei loro compagni di squadra, che mi strappa un mezzo sorriso, perché, di solito, quelli tanto caciaroni siamo sempre noi italiani. Triplo e mezzo avanti, lo stesso delle messicane. Ma loro lo fanno meglio. Decisamente meglio. Si vede la figura unica, persino le teste coincidono (cosa che, con tutta la sincronia del mondo, accade piuttosto di rado) e, al momento di aprire le braccia, sono identiche. Nessuno schizzo. Se non danno dieci qui, non so proprio a chi debbano darlo! Ma i giudici non danno loro più di nove. C'è un nove e mezzo, ma viene eliminato perché è voto più alto; però tanto basta. Sono seconde, dietro alla Cina e davanti al Canada. Esplosione di gioia dietro di noi e applausi anche da tutti gli altri.

- Ma noi pensavamo di giocarci la medaglia con loro? - ride Becky, rivolta a me; e rido anche io, sollevata. Non ci eravamo ancora allenate abbastanza per raggiungere quel livello: saremmo state molto fuori dalla lotta per le medaglie.

- Ci proviamo l'anno prossimo ai Mondiali - le dico. E sembra più una promessa che uno scherzo. Non è solo per farmi perdonare il ritiro di oggi: è una convinzione che voglio veder crescere anche in lei.

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Capitolo 3
*** La mia testa ***


Appena la gara termina, vedo il mio allenatore voltarsi verso di noi, e mi fa un gesto per indicarmi di stare ferma, mentre invece Becky scatta e scende giù, per complimentarsi con le vincitrici. Normalmente lo avrei fatto anche io, ma capisco che mettermi a correre da una parte all’altra non è tanto intelligente; soprattutto dopo quella botta presa. Intorno a me gli spalti si animano e tutti si alzano in piedi, chiacchierano, in un miscuglio multilingue, una Babele a cui già avevo assistito ai Giochi Giovanili; ma devo dire che qui tutto sembra nuovo, diverso, magico. Vedo passare alcuni atleti, alcuni mi domandano come sto, e io rispondo, completamente in trance, mentre loro passano con sorrisi e allegria dipinta sui volti. Siamo alle Olimpiadi e questo clima di gran festa, al primo giorno, sembra davvero appartenere a una fiaba moderna.

E io sono ferma, seduta al mio posto, piccola tra i grandi.

Mi guardo attorno, imbambolata, e incrocio lo sguardo di Chiara Irsara, la punta di diamante del team azzurro, che mi sorride complice, e quasi mi viene da pensare che lei sappia che cosa mi attraversa la testa, che anche lei, una decina di anni fa, abbia vissuto le stesse sensazioni.

- Come ti senti? - mi chiede, in piedi di fronte a me.

Stringo le spalle, senza sapere cosa risponderle. - La testa non mi fa male, se non la tocco… ma il ghiaccio si è sciolto, forse dovrei prenderne altro.

Lei annuisce, comprensiva, prima di voltarsi verso lo spazio dedicato agli allenatori. - Sandro! A Fiamma serve altro ghiaccio! - grida, per sovrastare i suoni e le voci che ci circondano.

Lui alza lo sguardo dal cellulare e la guarda confuso. - Che? - urla di rimando.

Scoppio a ridere. Agito la busta del ghiaccio secco in direzione del mio allenatore, sperando che capisca che dentro è completamente liquefatto, e in risposta ottengo un pollice altro.

Spio Sandro allontanarsi tra la folla accalcatasi dalle parti della piscina. Troppo casino perché la cerimonia di premiazione inizi presto; d’altra parte siamo in Italia, mica dobbiamo essere puntuali!

- Dai, dopo questa bella figuraccia, ora la tua carriera è tutta in discesa! - ride Chiara, sedendosi al mio fianco, cercando di farmi tornare il buon umore. Ma non mi sento abbattuta, solo un po’ rincoglionita… e credo che sia il minimo.

Sorrido per la sua battuta, eppure qualcosa colpisce la mia attenzione: il mio allenatore, in mezzo a tutte quelle persone, mi sembra un po’ ingrigito, addirittura… dimagrito, possibile? Non ci avevo fatto neanche caso… Bah, sarà una mia impressione, forse è per la capocciata al trampolino.

- In realtà la mia carriera è tutta in salita, Chià - puntualizzo. - Dopo oggi, sono obbligata a fare meglio. Anche se non sarà troppo difficile.

Lei sorride, e mi stringe a sé, come prendendomi sotto la sua ala protettiva, senza dire nulla. Non mi stupisco, perché Chiara non è mai di molte parole: ma quelle poche che dice non sono mai a caso.

- Non ti sembra dimagrito? - le chiedo, alludendo a Sandro che si sta avvicinando agli spalti.

- Un po’ sì - risponde lei. - Ma credo che sia perché ultimamente sta mangiando poco. Forse sente la pressione per l’Olimpiade. Insomma… noi gareggiamo in casa, e tu, Becky e Tommaso siete quasi all’esordio…

- Ma non prendo la tua capocciata come un fallimento personale - la interrompe il mio allenatore, porgendomi altro ghiaccio secco. Ci ha appena raggiunte, risalendo da una delle scale più lontane: per questo l’ho perso di vista.

Afferro la bustina bianca e lascio cadere il discorso iniziale tra me e la piattaformista di Bolzano, perché non mi sembra il caso di parlarne davanti a lui.

- Ho tutta una carriera per rimediare - dico, facendogli l’occhiolino. Poi cambio completamente argomento. - Posso andare dai miei per rassicurarli?

Certo, mia madre era nella camera di chiamata, quando ho ripreso i sensi, ma mio padre no; e fargli vedere che sono tutta intera sarebbe il minimo.

Sandro annuisce, così io percorro il breve spazio che mi separa dagli spalti in cui sono i miei parenti, a ridosso della barriera rimovibile che li separa dagli atleti. Incontro un paio di persone che mi chiedono come stia… capisco che si preoccupano, ma così divento un fenomeno da baraccone!

Sto bene, diavolo, bernoccolo a parte non mi sono fatta nulla!

- Papà! - chiamo, vedendolo chiacchierare con una delle zie.

- Fiamma! - strilletta Maria, la mia cuginetta più piccola, e quasi si slancia verso di me. Le mando un bacio attraverso il divisorio, e la bimba mi sorride, felice. Sì, tesoro, sono tutta intera!

Mio padre, un uomo brizzolato con spalle larghe sui quarantacinque, mi raggiunge. Mi assesta un buffetto sulla spalla, che non è così lieve come nelle sue intenzioni: spesso non sa moderare la sua forza; mi ritrovo a pensare con un sorriso che per lui non sono tanto diversa dai bagagli che carica e scarica tutti i giorni, da questo punto di vista. Ma so che mi vuole bene.

- Quindi? - mi chiede, in attesa che sia io a dire qualcosa. Con lui è sempre così: devo essere io a parlare.

- Sto bene - rispondo. - A parte il fatto che per colpa mia Becky non andrà alle World Series

- Sì, mamma me l’ha detto - mi interrompe. - Dai, torna dai tuoi amici.

“Amici”: è davvero una bella parola da usare, soprattutto in questo contesto. Sa sempre cosa dire e al momento giusto. Grande papà.

- Sì, però… rassicura mamma, non vorrei che mi venisse a rapire di notte per portarmi a casa! - scherzo su, senza poterlo evitare.

- Certo - sorride lui, consapevole che al massimo mia madre potrebbe tempestarmi di messaggi… anche se normalmente non fa neanche quello. - Ma la prossima volta salta bene, intesi?

- Intesi - annuisco, sotto lo sguardo di Maria, che continua a tenere gli occhi spalancati, come se io fossi un’eroina dei cartoni animati. No, non sono Mulan, sono solo una povera scema che ha avuto un frontale con il trampolino.

Saluto la cuginetta e mio padre, facendo poi dei cenni a mia zia per farle capire che devo tornare al mio posto e che non posso fermarmi di più.

Nel ritornare verso il gruppo azzurro, incrocio due piattaformisti britannici. Andy Blake, uno dei piattaformisti, è avvolto in una bandiera proprio davanti a me e non si accorge che non c’è abbastanza spazio per lasciar passare sia me, sia lui e Alicia Easton, che è insieme a lui. La ragazza dà una leggera gomitata al suo amico (“migliore amico”, stando a quanto mi ha raccontato Valentina). Solo in un secondo tempo mi accorgo che lei mi ha scorta e che sta indicando al bel piattaformista di fare un passo indietro. Blake mi rivolge un gran sorriso, facendomi l‘occhiolino. I suoi occhi blu sono davvero la fine del mondo, ma li ignoro, così come il suo fascino che trasuda sicurezza, perché, naso che sparecchia a parte, è davvero un bel ragazzo, tralasciando il fatto che uno dei candidati per la medaglia d’oro.

Tra i tuffatori c’è un’alta percentuale di bei ragazzi, anche per i lineamenti del viso. Ma c’è qualcuno che fa i casting, per caso?

Ringrazio lui e Alicia per avermi permesso di passare, e a gran fretta arrivo dai miei compagni di nazionale, prendendo posto al fianco di Rebecca. Valentina, seduta alla sinistra della mia compagna di sincro, mi chiama con un colpetto sulla spalla.

- Ignorala - mi consiglia Andrea, alzando gli occhi al cielo. - Vuole solo spettegolare.

Non mi stupisco: fra noi Valentina ha fama di essere una gran pettegola.

- Guarda che con David hai davvero fatto colpo! - esclama entusiasta, come se la notizia riguardasse lei. Non appena fiuta un pettegolezzo, le si illuminano gli occhi dal taglio all'ingiù, dall'aria triste. Se non fosse per il sorriso che di frequente le solca le guance, non si capirebbe nulla di lei: sembrerebbe una persona chiusa e introversa. Niente di più sbagliato, considerando che è una delle tuffatrici più estroverse con cui ho parlato. Inoltre, mi ha incoraggiata molto ieri sera, perché ero parecchio nervosa per la gara di oggi. Ha cercato di trasmettere molta positività sia a me che a Rebecca: anni di esperienza ad altissimo livello non sono stati invano.

Quando la mia compagna di sincro si è addormentata, Valentina è rimasta a chiacchierare con me di tutt'altro. Mi ha chiesto cosa farò all'università, ma onestamente non ne ho idea neanche io, perché ho rimandato qualsiasi decisione a dopo l'Olimpiade.

- Sì, certo, adesso Thompson non ha pensieri che per lei... è più probabile che Antonio Garcia sia davvero un pornoattore - commenta Andrea sarcastico.

Antonio Garcia è uno degli allenatori della squadra canadese, anche se lui è messicano. Andrea sostiene da anni, stando a quanto mi ha detto Chiara, che secondo lui fa il pornoattore come secondo mestiere. Sulla base di cosa lo asserisca non lo sa nessuno, per lui è solo uno dei tanti scherzi, come il fatto di definire Jean-Marc "Fantasmino".

Neanche lo avessi chiamato con il pensiero, mi dà un colpettino sulla spalla, per chiamarmi, porgendomi altro ghiaccio secco per cambiare quello che sto tenendo. In effetti con questo caldo si liquefà molto velocemente. Sorrido per la sua premura: in effetti è l’unico a essersi comportato in maniera costruttiva; gli altri si sono limitati tutti a chiedermi se stessi bene. Ma Jean è Jean.

- Non fai la gara individuale, vero? - mi chiede.

- Sono venuta qui solo per il sincro - rispondo. Oltre a Becky, c'è un'altra ragazza che fa il trampolino e che è alla sua ultima gara. Alle Olimpiadi in tanti danno l'addio alle competizioni: infatti molti di quelli che vedo qui so già che l'anno prossimo non ci saranno. È strano, gareggiano insieme per tutta la carriera, magari sfidandosi ogni volta per le medaglie, e poi smettono insieme: è il caso di Chiara e Valentina e delle due cinesi della piattaforma, che sono qui per chiudere e magari per farlo in bellezza.

Jean-Marc scuote la testa, sconsolato. - Ah, giusto, me ne ero dimenticato.

- Fantasmino, se ti sposti, riesco anche a vedere - lo prende in giro Andrea. Ma il mio amico non si scompone, né si offende, ma, anzi, quasi ne ride. Hanno instaurato un rapporto amichevole, immagino perché Jean sorride sempre alle sue battute squallide, mentre io mi rifiuto categoricamente di dare cenno di averle udite; forse all’inizio facevano ridere. Forse.

- Jean, accompagnami a prendere le mie cose - gli dico invece io, alzandomi.

Lui fa da lontano dei cenni a Emilién, poi mi segue verso gli spogliatoi. Per fortuna hanno posizionato il podio per la premiazione dall'altra parte della piscina e io e lui dobbiamo solo oltrepassare la "Zona mista", in cui sono presenti i giornalisti, sperando di non venire fermati. Non voglio che mi si chieda ancora se mi fa male qualcosa, se mi sono ripresa, eccetera. Camminiamo a testa bassa e parlottando sottovoce. Sembra funzionare: nessun giornalista ci interrompe.

Jean-Marc (o Jean, come lo chiamano i suoi amici) entra insieme a me negli spogliatoi femminili. Non c'è nessuna tuffatrice, come previsto: sono tutte o alla premiazione o ad allenarsi un po' nella palestra. Prendo la borsa e tiro fuori il telefono. Ho una marea di messaggi: neanche a dirlo, il contenuto principale è la mia testa. Mostro la schermata del telefono a Jean, che si mette a ridere, prima di sedersi al mio fianco sulla panca e di scorrere insieme a me i messaggi tra i vari social.

Risponderò più tardi, con calma: ora non ho tempo, né, a dirla tutta, voglia.

Lui afferra il telefono, all’improvviso, strappandomelo dalle mani.

- Che c’è? - gli chiedo, perplessa.

- Un messaggio di lui - sussurra Jean, smanettando con il mio cellulare. Il suo tono di voce e lo sguardo assorto mi fanno capire immediatamente di chi si tratta. - Lo cancello, così non lo leggi.

Sospiro. In effetti non ho voglia di sapere che quello stronzo mi ha cercato dopo la craniata al trampolino. Non lo sento da tre anni, ed è da ipocrita farsi vivo solo adesso… dopo quello che mi ha fatto. Niente di grave, ma ogni volta che mi arrivano notizie sulla sua esistenza, la mia testa si concentra su tutt’altro: è così che ho sviluppato uno strano senso per l’assurdo. Anche se quello che mi è accaduto poco fa supera tutte le mie strambe fantasie.

Ora sto immaginando Andrea ballare il tip-tap sulla superficie ghiacciata della piscina. Bene, funziona.

- Dovresti farti una foto da mettere sui social, così calmi tutti - mi consiglia Jean sorridendomi. Deve aver accantonato anche lui nel dimenticatoio quel messaggio.

Annuisco: è un'idea, almeno rispondo una volta per tutte. Mi metto in posa, tenendo fermo il ghiaccio sulla testa, tenendo fermo il ghiaccio sulla testa in modo che non cada. Lui si alza in piedi per scattare la foto, poi si siede di nuovo vicino a me.

- Che dici, va bene un "ho ancora la testa attaccata al collo, non preoccupatevi"? - chiedo scherzosa.

- Ma no, scrivi un ringraziamento per i messaggi e che stai bene anche se la paura è stata tanta.

Jean controlla sempre che io non faccia la figura del pagliaccio su Facebook e Instagram. Ma non ha una grande importanza, so che prima o poi troverò il modo di passare per deficiente. Con molta probabilità accadrà in mondovisione. Ah, ma è già successo un'oretta fa.

- Io non ho avuto nessuna paura, anche perché un momento stavo aprendo le braccia per entrare in acqua, il momento dopo ero distesa nella camera di chiamata - ridacchio. Nonostante il dispiacere per le World Series, non riesco a prenderla sul tragico, è più forte di me.

Riesce a sorridere anche lui, smentendo la prima impressione che fanno i suoi occhi castani da cucciolo bastonato. Ma io so che a lui piacere ridere; e che lo fa molto spesso e con allegria. - Noi invece ci siamo presi tutti un brutto spavento. Ho sentito Alicia cacciare un grido e sono sicuro che fosse lei. Emilién aveva paura che ti eri ammazzata!

- Carino da parte sua preoccuparsi per me - commento, sarcastica.

- Scema.

E scoppia a ridere. Sa che considero Emilién un tipo divertente, anche se è un po' donnaiolo, ma tutto qui. Non riesco mai a prenderlo sul serio, esattamente come mi succede con Andrea.

Insieme troviamo un modo carino e non troppo ironico per annunciare al mondo che, alla fine, è stata solo una botta in testa, come sbattere contro una finestra aperta, insomma.

Ovviamente immancabile il commento alla foto di Andrea: "Magari così diventi anche intelligente!"

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Capitolo 4
*** Mezze rivelazioni ***


Alla fine della premiazione, molti degli atleti rimangono lì per allenarsi un po', gli altri tornano ai propri alberghi. A me non va di tornare a Casa Italia, perciò me ne rimango a bordo piscina, mentre Becky va in palestra e Andrea prova con Tommaso i tuffi da eseguire domani nel sincro maschile dalla piattaforma. Le coppie saltano una dopo l'altra, rispettando i turni.

Jean nel sincro non gareggia, perché la Francia non ha grandi piattaformisti; i francesi hanno la coppia di sincro solo dal trampolino maschile, ma il ragazzo che si tuffa insieme a Emilién ha avuto un infortunio alla schiena prima degli Europei, quindi qui all’Olimpiade partecipano solo alle gare individuale. Li ho visti con la coda dell'occhio dirigersi verso la porta che conduce alla palestra; ma non penso di raggiungerli perché mi metterei a chiacchierare e li distrarrei. Conoscendo Jean, sarà concentratissimo nei pochi momenti di allenamento, gli ci manco solo io!

Le chiacchiere possiamo farle anche a Olimpiade finita, in qualche bar, o passeggiando tra i monumenti, visto che Valentina ha in programma una mega gita insieme anche ad altri tuffatori di diverse nazionalità… e, senza chiedermelo, ha deciso che avrei fatto da guida. Certo, a me farebbe molto piacere mostrare i luoghi di Roma che più mi affascinano, ma dovrei parlare in inglese tutto il tempo, e mi sento sempre un po’ scema a confrontarmi con quella lingua.

Dalla mia parte ho il tempo: sicuramente se ne riparla l’ultimissimo giorno in cui rimaniamo qui, perciò potrò di certo prepararmi qualche discorso… al massimo mi farò aiutare da Becky, che con l’inglese è più ferrata di me! Che poi, a pensarci bene, un po’ di inglese lo parlo, anche se si tratta di concetti relativamente semplici… Diciamo che il fatto di avere ormai il francese come seconda lingua, grazie a Jean, mi ha tolto la voglia di cimentarmi con lo studio dell’inglese, persino a scuola mi bastava fare i compiti, senza esercitarmi oltre.

Sto iniziando a pensare se invece tornare a Casa Italia non sia una buona idea, così magari mi metto al lavoro, quando con la coda dell’occhio scorgo una figura dall’abbronzatura bronzea avvicinarsi agli spalti. Mi volto e mi accorgo che si tratta di Oliver Durrant, il capitano della delegazione britannica, uno dei candidati alla medaglia d’oro. Ricordo di averlo visto gareggiare dalla piattaforma, quando era un ragazzino… e che poi ha deciso di passare al trampolino, chissà per quale motivo. È uno dei pochi a gareggiare sempre ad altissimi livelli, è davvero fenomenale… anzi, mi sa che ha addirittura battuto i cinesi quando era giovanissimo! Eppure avrà soltanto un paio di anni più di me… eh sì, perché quando aveva vinto io dovevo iniziare il liceo…

Sbuffo, cercando di resettare il mio cervello, prima che parta per ragionamenti astrusi. E mi rendo conto che il britannico non sta andando nella sezione degli spalti dedicata agli atleti, ma sta camminando verso di me, con un passo abbastanza deciso.

- Can I sit here? - mi chiede, con un sorriso. I suoi lineamenti sono davvero dolci, con il mento tondo, le guance appena gonfie e quegli occhi grandi, dal taglio leggermente allungato. Si gratta la punta del piccolo naso, in attesa di una mia risposta.

Annuisco, senza sapere cosa pensare. Diavolo, tanta gentilezza tutta insieme non me l’aspettavo!

In un nanosecondo cerco di fare mente locale: c’è qualcosa di quello che Valentina mi ha detto su di lui che dovrebbe farmi preoccupare?

Sospiro. So che i suoi modi affabili, il suo accento inglese, la sua innegabile bellezza sono un fattore che fa sciogliere come gelato al sole tantissime ragazze: infatti è seguitissimo sui social, soprattutto da utenti del gentil sesso. Eppure, che io ricordi, tra i mille pettegolezzi, non credo sia fidanzato. Non che mi importi: ci vuole altro che un bel faccino, per quanto mi riguarda!

Annuisco, una volta stabilito tra me e me che è del tutto innocuo. Durrant non mi chiede come sto, per fortuna, visto che avrò parlato con non-so-quanta-gente da quando ho sbattuto la testa. Il britannico, semplicemente, si siede alla mia sinistra e guarda gli altri tuffarsi. Strano che non si stia allenando, rifletto; che diavolo sarà venuto a fare, se non per sapere se sto bene?

Intorno a noi gli spalti sono deserti, gli spettatori sono ormai andati via e l'intero impianto, vuoto, sembra immenso. Il sole passa da feritoie tra una sezione e l'altra delle scalinate che ospitano i sedili da cui si guardano le gare, mentre gli spalti, alti, fanno da corolla alle due piscine: la nostra quasi quadrata e quella lunga del nuoto in corsia. La luce del giorno sta iniziando lentamente a calare, perciò non rende accecante il colore bianco dell'impianto. Non dà affatto fastidio agli occhi, ma risulta quasi di una colorazione ambrata, inoffensiva.

- Don't trust him - mi dice.

Lo guardo. Lui è di profilo, con i suoi grandi occhi puntati castani sui due russi che stanno facendo il doppio con doppio. Come se non badasse a me, come se nessuno dovesse sapere che ci stiamo parlando. Ma sarebbe impossibile non crederlo.

- Di chi? - gli chiedo, incuriosita.

- Di David Thompson.

Ha ancora lo sguardo attento, ora sulla coppia egiziana, ma cambia poco.

- Perché?

- Prima ho visto che ti si è avvicinato.

- Mi ha solo...

- Lo so. Ma non mi piace quel tipo. Può farsi bello quanto vuole, ma, se ci prova con te, non gli dare corda. Non è una brava persona.

- Perché mi stai dicendo tutto questo?

Lui sospira e si volta, per la prima volta, verso di me. I suoi occhi color nocciola, solitamente allegri, si fanno seri.

- Non posso dirtelo. Ho promesso che non l'avrei fatto. Ma devo metterti in guardia da lui. Lo conosci appena e non sai com'è.

Annuisco. Che tipo sarà mai David Thompson? Che diamine può aver combinato perché Oliver Durrant venga a mettermi sull’attenti? Forse quel fascino ammaliante del californiano davvero nasconde qualcosa… Ma, in fin dei conti, mi importa? Cadrei ai piedi di uno che mi viene a parlare solo per farsi bello? Conoscendomi, direi di no.

Certo, che lui sia un bel ragazzo è fuori discussione… ma che razza di trip mentali mi sto facendo? Io e Thompson? Seriamente? Sì, ricordo di averlo notato, ma non è l’unico bel ragazzo che ho incontrato, né a livello juniores, né qui con i grandi… Sbatto la porta in faccia alla possibilità che ci voglia provare con me, senza neanche considerare che parla una lingua diversa dalla mia e con cui non mi trovo affatto a mio agio. E poi no: i miei affari privati rimangono fuori dalla piscina, fuori dall’Olimpiade e fuori da qualsiasi cosa possa capitare qui.

- Ok, me ne ricorderò, non ti preoccupare.

Durrant mi rivolge un sorriso, confortato dalla mia risposta. Accidenti, se è bello pure lui! Ma so bene perché sono decisa a non lasciarmi incantare da nessun tuffatore: ogni gara mi metterebbe le farfalle nello stomaco al pensiero che un qualsiasi lui sta lì a guardarmi e che potrebbe correggermi gli errori una volta che rimaniamo soli. Accetto consigli solo da Sandro e da chi è più bravo di me. Voglio gareggiare con la testa libera, e so che un fidanzato a bordo piscina sarebbe soltanto un problema, oltre che una distrazione. Nel corso degli anni sono sempre riuscita bene a tenere separati i vari aspetti della mia vita e solo Jean sa quello che mi succede; neanche a Becky ho mai confidato alcune cose sul mio quotidiano, eppure la vedo tutti i giorni!

Sorrido ad Oliver. Mi fa piacere che si sia interessato a me e che ci abbia tenuto al mettermi in guardia dal non-so-cosa-possa-fare-David-Thompson, anche se non è sceso nel dettaglio. Che i tuffatori di altre nazionalità mi vengano a parlare non è una grande novità, considerando che anche a livello juniores ci sono parecchie occasioni per confrontarsi, ma qui mi sembra strano… forse perché sono l’ultima arrivata, mentre per loro sono una tra i tanti e quindi mi trattano come tale.

In qualche modo mi piace pensare che quando siamo fermi sul trampolino, o sulla piattaforma, siamo soltanto noi che ci misuriamo con noi stessi. Tante persone nella stessa silenziosa solitudine, che si attenua solo nelle gare di sincro. E nella solitudine ci ritroviamo tutti insieme, perché tutti ci alleniamo tante ore al giorno per essere qui e sappiamo quanti sacrifici costi. Forse è per questo che io, tutto sommato, non sono così diversa da tutti gli altri.

- Ah, Alicia ha trovato la tua pelle vicino alla vasca idromassaggio - mi sorride ancora il britannico, come ricordandosi all'improvviso, poco prima di porgermi la mia pelle di quel colore a dir poco bizzarro. Ma dove diavolo la teneva? Non mi ero neanche accorta che ce l’avesse lui, mentre arrivava!

Nel prenderla in mano, lo ringrazio e gli dico di fare altrettanto con Alicia Easton. Stranamente è asciutta, credo il caldo che avrà fatto evaporare ogni goccia trattenuta dal tessuto sintetico. Ho il maledettissimo vizio di smarrire le cose in giro… ma come ci è arrivata nell’idromassaggio? Non l’avevo buttata giù prima della capocciata?

Oliver si alza e scende in basso dalla sua allenatrice, che lo sta chiamando. Io, invece, non ho idea di dove sia Sandro, probabilmente con Becky per prepararla alla gara individuale. Non ho davvero più nulla da fare. Il sole non è più alto nel cielo, anche se il caldo continua a persistere.

Se non avessi preso questa botta in testa, andrei a tuffarmi anche io, così starei più fresca. Invidio quelli che si stanno allenando davanti a me: almeno loro sono a contatto con l'acqua. In mano ho ancora il telefono, che non ho più lasciato da quando ho postato la foto che mi ha scattato Jean. L'ho sentito vibrare continuamente, ma di sicuro sono le notifiche sui social di gente che mi augura di tornare presto. È davvero strano avere dei fan che non conosco: pochissimi, ma ci sono. Sicuramente sono appassionati di tuffi che mi hanno vista gareggiare agli Europei o in qualche gara nazionale.

Decido di controllare e scopro di avere ragione: sui social sono praticamente invasa... In più ho i messaggi di qualche ex compagno di classe e dei parenti. Senza muovermi dal mio posto, inizio a rispondere, e mi accorgo che anche altri ragazzi del mio liceo si sono premurati di contattarmi. Che carini, davvero.

Sospiro, dirottando immediatamente il pensiero altrove. Non ho la benché minima intenzione di ricordare eventi che risalgono ormai a settimane fa. Il liceo è finito, ne sono uscita intera e rimane tutto lì, nel passato, tra ricordi che non voglio riportare a galla.

Guardo i due russi saltare dal trampolino, anche se il quadruplo e mezzo avanti di uno dei due è una mezza porcheria; il che è piuttosto strano… Non ha vinto l’oro, quattro anni fa? Bah, che importa.

- Fiamma!

La voce di Becky, che ben conosco e che distinguerei tra mille, mi chiama. Abbasso lo sguardo e la vedo sbracciarsi nella mia direzione. Di sicuro mi stava chiamando già da un po’ e non me ne ero accorta!

Scoppio a ridere, poco prima di premere invio sul messaggio che stavo digitando, e la raggiungo, mentre Sandro è di nuovo sparito. Si sta confrontando con l’altro allenatore azzurro? Boh, può essere.

- Torniamo a Casa Italia? - mi chiede Becky.

Annuisco. Saluto Jean che adesso è venuto per allenarsi dalla piattaforma, recuperiamo le nostre cose nei deserti spogliatoi e ce ne andiamo.

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Capitolo 5
*** Il messaggio ***


Più tardi, durante la cena, siamo tutti ai tavoli. La mensa di Casa Italia è enorme, oltre ai numerosissimi atleti ci sono i vari allenatori e preparatori fisici, mentre i tavoli sono da sei persone. Io e Becky siamo sedute insieme ad Andrea, Tommaso e un paio di tizi del canottaggio, che domani hanno la loro gara. Non sono molto tesi, anche se il loro sport rimane nell'oblio per quattro anni, per salire alla ribalta solo durante le Olimpiadi: raramente lo trasmettono in televisione, quindi per il grande pubblico è difficile appassionarsi. Noi invece ci siamo quasi sempre. Non quanto il calcio, ma abbiamo una buona visibilità. Per capirci, è più facile che venga ricordato il mio nome, piuttosto che quello di loro due, che ora chiacchierano scherzando con i compagni al tavolo vicino. Escludendo quello che è successo oggi, si intende: se non avessi dato la testata al trampolino, sarebbe stato lo stesso.

Andrea approfitta della loro presenza per farsi spiegare qualcosa di canottaggio. È un tipo socievole, in qualsiasi situazione, anche se domani ha una finale olimpica. Credo che abbia un po' di ansia e che cerchi di scacciarla via in questo modo.

Presto loro vanno via e rimaniamo noi quattro. Tommaso continua a mangiare silenzioso, con i suoi occhi scuri fissi sul poco cibo che riesce a mandare giù: lui sì che ha l'ansia da prima Olimpiade. Forse ieri sera avevo anche io la stessa espressione assorta... ma almeno ho chiacchierato un po' con Valentina, distraendomi. Lui risponde alle nostre affermazioni con dei monosillabi.

Rebecca è preoccupata per lui, lo capisco da come lo guarda, come se temesse di vederlo svenire a terra da un momento all'altro. Se non si calma rischia di combinare un disastro all'esordio olimpico... anche se dubito seriamente che possa fare peggio di me.

- Ha chiesto Blake se dopo ci troviamo vicino alla fontana - dice Andrea, spostando il piatto vuoto della pasta e avvicinando a sé l'insalata.

- Quale delle tante? - chiede Becky. Il villaggio olimpico è stato costruito come una piccola città, e quindi dotato di suoi piccoli monumenti, tra cui diverse fontane.

- Quella all'incrocio tra Casa Francia e Giamaica, sai quella con le api...

Lei annuisce, tagliando l'insalata, e così faccio anche io: l'abbiamo vista insieme il primo giorno qui, quando mi ha accompagnato da Jean per dargli il benvenuto. Credo che dalle parti di Piazza Barberini ce ne sia una molto simile... o non era lì?

- Ma solo noi o anche altri? - domando invece, evitando di scervellarmi troppo su dove ci sia una fontana come quella. Dopo quanto riferitomi da Durrant oggi pomeriggio, non ho tutta questa voglia di trovarmi faccia a faccia con Thompson, anche se saremmo in mezzo agli altri.

- Ha sentito i francesi, i canadesi e i russi, a quanto ne sappiamo - continua Andrea. - Ma potrebbero anche esserci i messicani e gli australiani. Però potrebbe anche presentarsi il Genio della lampada, non ne ho proprio idea.

- Basta che non ci siano gli americani - commenta Becky, sorridendo appena alla sua battuta. Mentre eravamo in camera, prima di scendere per la cena, le ho raccontato della breve chiacchierata con l'abbronzato britannico. Concorda con me sul fatto che se lui, che mi conosce appena, ha sentito il dovere di darmi quella dritta, dev'esserci un buon motivo.

Ma, soprattutto, non voglio che Valentina abbia la possibilità di far sapere a tutti che forse esiste la possibilità che tal bellone californiano abbia degli interessi verso la povera deficiente che ha dato una tranvata al trampolino.

Andrea probabilmente ha capito che Rebecca sta nascondendo qualcosa che riguarda me, ma non fa domande. Forse andrà alla carica quando io non ci sono; o magari non gliene importa un fico secco, tanto Valentina troverà comunque il modo di raccontargli tutto per filo e per segno. Ma lei non lo fa apposta, ha semplicemente un'incontinenza da gossip, come dice lo stesso Andrea. Almeno questo è quello che penso io, perché, a parte questo dettaglio, è una ragazza molto dolce e sensibile, sempre pronta a darti una mano se hai un problema. Poi lo va a dire a mezzo mondo, ma intanto ti aiuta.

Mentre continuiamo a parlare, spostando il discorso sulle gare di domani e su come hanno visto gli avversari, il mio telefono sul tavolo vibra per l'arrivo di un messaggio. Sicuramente è Jean che mi chiede se dopo ci sono. Invece no: il numero è sconosciuto. Lo apro per leggere.

David Thompson.

Sbuffo, scocciata: avrei decisamente preferito che fosse il mio migliore amico. Inarco appena le sopracciglia, alzando lo sguardo verso il soffitto: neanche il contenuto del messaggio riesce ad attenuare il fastidio. Ma che diavolo vuole Thompson da me?

- Che succede con Fantasmino? - mi chiede Andrea, dopo aver visto la mia reazione decisamente poco entusiasta.

Sa che la maggior parte dei messaggi che mi arrivano sono da parte di Jean. Spesso li leggo anche ad alta voce, visto che mi scrive anche un sacco di stupidaggini. Come quando prima dell'Europeo eravamo usciti, nel pomeriggio, noi due insieme a Becky ed Emilién... e il suo stupido amico ha avuto la gran pensata di svuotarmi una bottiglia d'acqua sulla testa mentre ero seduta sugli scalini di una chiesa e lui era in piedi dietro di me. La conseguenza è stata minima, ma il trucco mi era colato sugli occhi e Jean la sera mi ha scritto: "Allora, panda, come va?". Quando avevo mostrato lo schermo ad Andrea durante gli Europei, lui era scoppiato a ridere e da allora l'ha preso in simpatia.

- Non c'entra Jean - dico a bassa voce, passando il telefono a Rebecca, che legge il messaggio con l'espressione basita di chi non sa che pensarne.

Tommaso, che in tutto questo non ha detto neanche una parola, ci augura la buonanotte, prima di andare in camera a dormire, anche se qualcosa ci lascia intuire che non ci riuscirà molto facilmente.

- Quando fai la doccia, vedi di non finirmi lo shampoo! - gli grida dietro Andrea, alludendo scherzosamente alla testa rasata del giovane compagno di sincro.

In tutta risposta, Tommaso si ferma, si volta verso di lui e, cercando di non colpire una ragazzina della ritmica che cerca un posto per mangiare vicino alle sue amiche, gli fa il gesto dell'ombrello in maniera plateale. Io e Becky scoppiamo a ridere come due bambine davanti a un film comico degli anni settanta.

- Che succede? - chiede ancora Andrea, appena il compagno di stanza esce dalla mensa, concentrandosi su di noi.

- È Thompson - risponde Becky al mio posto. - Dice che "the guys" gli hanno dato il numero di Fiamma e le chiede se una sera, dopo la sua gara, le va di uscire insieme.

Il piattaformista bolzanino mi guarda, perplesso. Strano, avrei giurato che fosse stato lui... O forse Tommaso, visto che se ne è andato così di corsa, ma non sarebbe credibile: lui sta solo pensando a domani.

- E che pensi di fare?

- Oliver Durrant mi ha detto di non fidarmi di lui. Se devo essere sincera, mi fido molto più di Oliver che di David Thompson.

È una sensazione a pelle e molto poco ragionata... ma sono più propensa a dare credito all'inglese che al californiano. Spero solo che l'intuito non mi tradisca.

- Quindi gli dirai di no - dice Andrea versandosi l'acqua nel bicchiere.

- Esattamente. Ma prima devo scoprire chi è stato a dargli il mio numero.

Becky mi passa il telefono. - Hai due modi per scoprirlo. O accetti di uscire e lo chiedi direttamente a lui, oppure... avrai una risposta, ma senza discrezione.

Annuisco. So perfettamente cosa intende.

 

***

 

Cinque minuti dopo, mentre le televisioni di Casa Italia trasmettono la finale del fioretto maschile in cui un italiano sfida un russo, o, in alternativa, la finale del judo femminile in cui gareggia una ragazza romana, io sto bussando alla porta della camera di Chiara e Valentina. Mi viene ad aprire proprio lei, in pigiama. Forse sta già andando a dormire, o forse si è solo portata avanti con le cose da fare. Sento il suono dell'acqua che scorre provenire dal bagno: probabilmente Chiara si starà facendo la doccia.

Do un'occhiata dentro, alle spalle della piattaformista. La piccola stanza è anonima, esattamente come quella mia e di Becky, che ha una parete in comune con la loro. I due letti sono uno al fianco dell'altro e tra di loro sono posti due comodini, sui quali le due ragazze hanno lasciato piccoli effetti personali: riesco a distinguere l'anello di fidanzamento di Chiara, che campeggia su una piccola pila di libri. La nostra campionessa ama leggere e si porta sempre dietro qualche volume, quando deve gareggiare lontano da casa; il che, in effetti, accade piuttosto spesso, considerando che lei è sempre stata, sin dal suo esordio, ad alti livelli. Sopra ai due comodini campeggia la finestra, con le serrande tirate su e i vetri spalancati per fare entrare un po' di aria fresca, come la lasciamo io e Rebecca durante la notte.

Osservo Valentina con attenzione e vedo delle stanche rughe sulla sua fronte, che durante la giornata sono mascherate da qualche crema per il viso. Gli occhi all'ingiù si accendono all'improvviso nello scoprirmi sulla soglia della sua camera: intuisce che se sono qui da lei a quest'ora il motivo dev'essere decisamente degno della sua attenzione.

- Vale, ho bisogno di un favore. Ma soprattutto, che, per almeno stasera, tu non dica niente a nessuno. Va bene?

Metto subito le cose in chiaro, mentre lei chiude la porta della camera e mi lascia entrare.

 Valentina si siede sul letto, serissima. Ha capito dal mio tono di voce e, presumo, dall'espressione del mio viso, che deve trattarsi di una questione importante. Le spiego molto brevemente del messaggio dell'americano e le chiedo se lei ha visto qualcosa a bordo piscina o in palestra. Si morde il labbro e risponde, senza pensarci su.

- Non ti piacerà per niente. Poco prima di andare via, l'ho visto avvicinarsi a Jean ed Emilién. Lì per lì ho pensato che fosse per stare anche lui nella vasca per cavoli suoi o per augurargli buona fortuna per le gare...

- Ma loro gareggiano tra qualche giorno! - esclamo, risentita. Lei alza le spalle.

- Beh, allora sono stati loro. Ora, può essere vero come non vero, se vuoi, mi informo e...

- Non ti preoccupare, me la sbrigo io con loro - dico, fredda.

Adesso sono arrabbiata nera con Jean. Perché ha fatto di testa sua, senza chiedermi? Lo sa che non esco mai con altri tuffatori e gliene ho anche spiegato il motivo!

Mi avvicino alla porta per andare a cercare quei due. Sento il sangue pulsare nelle vene e arrivare alle mie tempie a un ritmo più rapido del solito. Sono furiosa.

- Fiamma - mi chiama Valentina. - Ma c'è dell'altro?

Mi fermo, richiamata dal suo dolce tono di voce, e la guardo. Sta abbracciando un peluche che le ha regalato il fidanzato e che porta sempre con sé quando parte per le gare in giro per il mondo: un delfino con il dorso nero e la pancia bianca della stessa marca dei peluche di cui i miei genitori mi riempivano da bambina.

Se avessi il sangue calmo, mi fermerei e le direi che c'è qualcos'altro, ma non so ancora di che si tratti. Anzi, sicuramente lei mi racconterebbe anche per quale motivo Oliver Durrant abbia sentito il dovere di mettermi in guardia. Perché Valentina sa sempre tutto.

Ma scuoto silenziosamente la testa, mentre Chiara esce dalla doccia, il corpo avvolto in un asciugamano e la testa in un turbante improvvisato, sorpresa nel trovarmi lì. Brandisce in mano un asciugacapelli come se fosse uno strumento di salvezza, anche se è ben conscia del fatto che usarlo con quel caldo è una tortura.

Scambio un'occhiata con Valentina: non riesco a decifrare il suo sguardo... forse vorrebbe che io restassi ancora con loro, anche se non ne oso immaginare la ragione. Ma adesso io ho ben altro a cui pensare: Jean ed Emilién non sfuggiranno alla mia ira.

Saluto velocemente entrambe ed esco dalla loro stanza.

 

***

 

"Ma che diavolo combini, insieme a quel cretino dell'amico tuo?" è il messaggio che invio furente a Jean.

"Vieni qui e ti spiego" è la sua risposta.

Arriverò alla fontana tra Casa Francia e Casa Giamaica molto prima degli altri tuffatori, concludo tra me e me.

 

*Angolino autrice*
La faccenda si fa sempre più intricata, soprattutto per Fiamma, che si "accende" (XD) per ogni minima cosa. Pronti a scoprire come sono andate le cose tra l'americano e i francesi?

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