Rinnegati: Neve e Fuoco

di Luxanne A Blackheart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Neve e Fuoco ***
Capitolo 2: *** Prologo. ***
Capitolo 3: *** I ***
Capitolo 4: *** II ***
Capitolo 5: *** III ***
Capitolo 6: *** IV ***
Capitolo 7: *** V ***
Capitolo 8: *** VI ***
Capitolo 9: *** VII ***
Capitolo 10: *** VIII ***
Capitolo 11: *** IX ***
Capitolo 12: *** X ***
Capitolo 13: *** XI ***
Capitolo 14: *** XII ***
Capitolo 15: *** XIII ***
Capitolo 16: *** XIV ***
Capitolo 17: *** XV ***
Capitolo 18: *** XVI ***
Capitolo 19: *** XVII ***
Capitolo 20: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Neve e Fuoco ***



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"Noi due siamo uguali, anche se diversi, Zafiraa. Siamo uguali perché siamo stati rinnegati. Siamo diversi perché distruttivi in modo differente: tu come la neve, io come il fuoco."
Zafiraa ha diciotto anni e due problemi. È albina e anche una piratessa, una delle più temute ed odiate dei sette mari. Fattori questi che rendono il sopravvivere,  in una società fortemente maschilista e  superstiziosa, molto difficile.
Zafiraa ha un rivale che cerca di catturarla, direttamente imparentato con il sultano, che la vuole morta dopo il torto subito.
Ma non appena le loro spade affilate si incontreranno, capiranno di essere due animi affini i cui destini e passati sono fortemente collegati fra di loro.
Sono neve e fuoco.
Sono rinnegati dalla stessa terra.
Sono un uomo e una donna che non hanno un posto nel mondo e che cercheranno di crearselo. Insieme, separatamente, chi può dirlo?
L'importante è che due occhi verdi da cerbiatta e capelli rossi come il fuoco non muovano le carte in tavola, girandole a proprio favore. Perché il tempo passa per tutti, ma le abitudini restano.
Segreti mai rivelati, bugie, odi repressi e amori proibiti e immorali... siete pronti a rientrare a Palazzo Topkapi e vivere una nuova avventura?
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Salve a tutti e benvenuti nel nostro nuovo percorso!
Ci siamo lasciati con l'epilogo e adesso ci incontriamo di nuovo per affrontare quest'altro viaggio.
Non ho molto da dire, spero solo che vi piaccia e che vi appassionate assieme a me.
Vedremo molti personaggi vecchi come Hürrem, Selim, Hatice, Güllbahar, Drake e Fiammetta. Ma ce ne saranno di nuovi come Zafiraa e altri.
Siete curiosi di andare avanti?
Spero di sì!
Spero vi piaccia,

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Capitolo 2
*** Prologo. ***


Prologo.


Cominciò a piovere quando il servitore si issò con molta fatica a cavallo, cercando di non fare del male alla neonata, che nascondeva nell'interno della giacca. La temperatura si era notevolmente abbassata, rendendo difficoltoso il clima per una creatura talmente piccola ed indifesa; tuttavia ella non piangeva e continuava a dormire, muovendosi quasi impercettibilmente vicino alla figura dell'uomo scheletrico.
Il cavallo si mosse, galoppando velocemente nel buio della notte, mentre la criniera nera scintillava sotto la pioggia e il pallore lunare, nascosto dietro le nuvole grigie e minacciose.
-Spero solo di riuscire ad arrivare in tempo. - Borbottò il servitore, stringendo maggiormente la bambina estremamente pallida e bianca, per infonderle calore. Ad ogni goccia di pioggia che gli toccava l'epidermide, l'uomo rabbrividiva sempre più.
Doveva dirigersi al porto, dove avrebbe dovuto cercare una coppia, Drake e Fiammetta, a cui avrebbe dovuto affidare la bambina, circa dieci sacche d'oro per il suo sostentamento e una lettera dal suo padrone, nella quale spiegava tutto l'accaduto.
Ma doveva fare in fretta, poiché quella sera stessa i due coniugi sarebbero ripartiti sulla loro nave per chissà dove.
Arrivò, quando ormai la pioggia e il vento sembravano stessero suonando una strana musica fatta di ululati e rumore, assicurandosi che la bambina fosse ancora viva. Non voleva avere una piccola vita sulla coscienza, soprattutto senza colpe.
Il servitore vagò per il porto, cercando la locanda dove li avrebbe sicuramente trovati e quando ebbe fatto, vi si fiondò, urlando: - Signori, sto cercando il capitano Drake e sua moglie Fiammetta, sapete dirmi dove trovarli? -
Un marinaio, che teneva stretto una donna per la vita e nella mano destra un boccale di birra, si alzò, lasciando andare la donna e avvicinandosi al servitore con passo instabile. Era ubriaco.
-E chi li cerca? -
-Mi manda un loro caro amico. Ho qualcosa per loro. - Senza troppe cerimonie fece spuntare la bambina dall'interno della sua giacca, che cominciò a piangere, forse impaurita dalle grida e dal trambusto o dal puzzo di fumo e alcool.
L'ubriacone sembrò sbiancare all'improvviso e senza aggiungere altro, gli fece cenno di seguirlo al piano di sopra. Bussò per tre volte ad una delle porte di legno scadente, che sembravano stessero per cadere a pezzi.
-Che cosa c'è, Henry? - Una donna, abbigliata da uomo, aprì la porta. Era molto attraente, ma incuteva un certo potere e il servitore ne fu assoggettato. Era abituato al vero potere che le donne sapevano esercitare. In questo superavano gli uomini. Sembrava quasi non essersi accorto dell'uomo dietro il marinaio, che sicuramente apparteneva alla sua ciurma.
-Mio capitano, c'è un uomo che chiede di voi. Ha qualcosa di inaspettato... - L'ubriacone si fece da parte, facendo avanzare il servitore e la neonata che si era calmata di nuovo, fortunatamente.
-Mia signora, il mio padrone mi ha detto di mandarvi questa bambina, questo oro e questa lettera. Ha detto di leggerla, prima di accettare di prendervene cura e se la vostra risposta sarà negativa, ho il compito di ammazzarla. -
La bionda, Fiammetta, sembrò mancare per un istante e si resse alla porta, pallida come un lenzuolo. All'istante la raggiunse un uomo dai capelli scuri e gli occhi chiari, che reggeva amorevolmente tra le braccia un bambino di pochi mesi. Guardò prima la moglie con fare preoccupato, poi il servitore in cagnesco e la bambina con stupore. Non pensava che gli uomini fossero in grado di provare così tante emozioni nello stesso momento.
-Vi prego, signori, leggete la lettera e non fatemi uccidere questa neonata. -
Fiammetta e Drake si guardarono intensamente, senza parlare. Avevano quella caratteristica speciale che hanno le coppie che si amano e che stanno insieme da tanto tempo. Si capiscono anche senza parlare. E in quell'istante fra i due stava avvenendo un dialogo segreto.
Il servitore, sentendosi quasi un intruso, spostò lo sguardo sulla bimba che ormai aveva aperto gli occhietti di un colore ancora indefinito e sembrava guardarlo. Gli porse il mignolo, facendoselo stringere, sorridendo.
-E va bene. Dammi la lettera. - Disse l'uomo, porgendo la mano. La aprì in modo tale che anche Fiammetta potesse leggerla. Dopo circa pochi secondi la donna era in lacrime come straziata dal dolore, mentre all'uomo sembrava che gli avessero strappato una parte di sé.
-Lo sapevo, Costa, lo sapevo! - La donna piangeva, era un fiume di lacrime e il servitore non ne capiva il motivo, ma l'unica cosa in cui sperava era che non gli facessero uccidere la bambina.
-Scusatemi, ma cosa devo fare? Non posso restare molto lontano dal mio padrone... - C'era una certa urgenza nella sua voce.
-Dalla a mia moglie, di al nostro amico che la cresceremo come nostra e che quei dieci sacchi saranno più che sufficienti. - Fiammetta, ancora in lacrime, si alzò, afferrando la bambina e stringendola a se delicatamente, mentre le sussurrava parole in una lingua che l'uomo non conosceva. Sembrava una lingua antica, più antica del turco. - E digli anche che è un gran coglione, che la prossima volta che metterà piede sulla mia nave, lo strozzerò con le mie stesse mani! -
Il servitore sorrise, porgendogli tutte le sacche e dopo averli guardati un'ultima volta, se ne andò, lasciandoli per sempre.
La piccola aveva trovato una nuova famiglia e lui sapeva che l'avrebbero amata come se fosse stata loro, più di quanto avrebbero fatto i suoi veri genitori.


°°°°°°°°°
Dopo un interminabile blocco dello scrittore, eccomi finalmente qui con il prologo! Spero che mi seguiate anche in questa nuova avventura!
Al primo capitolo, nel quale entreremo nel vivo della storia e troverete vecchi e nuovi personaggi!
Vi lascio la foto di alcuni dei personaggi! ;)


Emilia Clark as Zafiraa 
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Kit Haringtion as Mustafa Sultan Image and video hosting by TinyPic

Jennifer Morrison and Colin O'Donnogue Fiammetta e Drake Image and video hosting by TinyPic
Meryem Uzerli and Halit Ergenç Hurrem e Selim Sultan Image and video hosting by TinyPic








 

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Capitolo 3
*** I ***



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Costa della Grecia, due anni prima.
-Ditemi cosa ho che non va. Sarei capace di pagare qualsiasi cifra, il denaro non mi manca. - La ragazza guardò la vecchia strega dalla pelle rugosa e giallastra, sperando in una risposta, in qualcosa che stava cercando da fin troppo tempo, ma che nessuno era stato in grado di soddisfare. Aveva i capelli bianchi come la neve, la pelle pallidissima dalla quale si scorgevano le vene e due occhi talmente chiari, di un azzurro/verde molto particolare. Il sole le faceva molto male, le era impossibile uscire  di giorno, quando i raggi illuminavano la terra, perché le sembrava di andare a fuoco.
Era il futuro capitano di una nave di pirati. Doveva trovare una soluzione, non poteva vivere ancora così. Le sembrava di essere un animale notturno che poteva uscire solo di notte.
-Sedetevi e datemi la mano. - Zafiraa si sedette, porgendo la mano pallida, dalle belle dita affusolate, ma dalle unghia rovinate, alla strega che la esaminò, facendo scorrere il suo ruvido dito sul palmo, seguendo le linee della pelle. -Mh... -
-Che cosa c'è? Che cosa vedete? -
-Grande dolore, vedo. C'è una coppia unita da un grande amore, ma da un grande dolore. Intorno a loro c'è odio, gelosia e sangue, tanto sangue. Una maledizione, lanciata alla donna, da una strega potente prima che tu nascessi... -
-I miei genitori? State parlando di loro, non è vero?-
-Sì, dei vostri genitori. -
-C'è qualcosa che voi possiate fare per togliermela? Come posso fare per ritornare una persona normale e non questa... questa persona talmente debole? -
-Non potete fare nulla, mia cara, la maledizione è troppo forte. Avrei dovuto agire prima della vostra nascita per spezzarla, ma adesso il danno è fatto e voi dovrete convivere con questa maledizione fino alla fine dei vostri giorni. -
-Ho del denaro, se solo faceste una prova! Vi prego, sono disperata. - La strega la guardò con compassione, lasciandole andare la mano.
-Non importa il denaro, mia cara, per voi non posso fare nulla. -
Zafiraa abbandonò sul tavolo, che a malapena si reggeva in piedi, due monete d'oro e si nascose sotto il pesante mantello nero, evitando che i suoi particolari capelli uscissero dal cappello. Le armi, che portava attaccate alla cintura dei pantaloni, tintinnavano pericolosamente ad ogni suo passo, mentre i pesanti scarponi schiacciavano il terreno rumorosamente. Quando era in pubblico cercava di non attirare l'attenzione. La gente era molto superstiziosa e avrebbe potuto prenderla e bruciarla sul rogo come strega. Era stupido discriminare una persona solo per il colore della sua pelle o dei suoi capelli, pensò la ragazza, quando passò vicino ad un gruppo di uomini che la guardavano con interesse. Li guardò disgustata, afferrando il manico della sua spada affilata, ma prima che potesse succedere qualsiasi cosa, suo padre Drake la raggiunse, afferrandola per le spalle.
-Allora, com'è andata, mio raggio di luce? -
-Non ne voglio parlare, padre, perdonami. - Drake la fece fermare, prendendola per le spalle. Le tolse il cappuccio dalla testa, facendo sì che i suoi lunghi capelli bianchi le ricadessero sulla schiena in morbide onde bianche, le stesse onde che facevano muovere la loro amata nave in modo pericoloso sulle acque salate dei mari.
-Non mi importa cosa quella strega ti abbia detto. Sei mia figlia, la mia piccola bambina dall'animo ribelle che ho cresciuto, a cui ho voluto bene dal primo momento in cui l'ho vista. Non mi importa se i tuoi capelli siano diversi da quelli miei, da quelli di tua madre o da quelli di tuo fratello, hai i miei stessi occhi, il carattere di tua madre e il senso del dovere di mio fratello. Sei sangue del mio sangue a tutti gli effetti, mi hai capito? Sei la mia erede, il futuro capitano di quella nave e sei destinata ad essere molto potente per tutte le parti uniche del tuo carattere. -
-Ma padre, i tuoi uomini mi accettano perché hanno imparato a volermi bene, ma una futura ciurma non credo lo farà mai, solo perché ho queste caratteristiche e sono una donna! -
-E allora perché la rispettano tua madre? -
-Perché lei è forte, io non so se lo sarò mai, padre. -
-Lo sarai di più. Ti insegnerò tutto ciò che c'è da sapere e tuo fratello ti proteggerà sempre, proprio come io ho fatto con Fiammetta. I pirati hanno molti difetti, mio raggio di luce, ma l'unico pregio che ci contraddistingue e il nostro accettare qualsiasi essere umano, indipendentemente dalle sue caratteristiche fisiche e preferenze sessuali. E sai perché ? Perché siamo stati tutti rinnegati dalla società e dal mondo. Quindi sii te stessa, sii forte, sii la donna che abbiamo cresciuto e sii orgogliosa di essere ciò che sei. -

Costantinopoli, Palazzo Topkapi, due anni prima.
-Mustafà, figlio mio! - Il sultano spalancò le braccia, accogliendo il figlio, finalmente di ritorno dal suo apprendistato di Manisa. La consorte Hurrem era al suo fianco, invecchiata dall'ultima volta che aveva visto l'erede al trono, ma ugualmente bella. I suoi capelli rossi erano ancora motivo di invidia e paura in tutto l'impero.
-Padre. - L'erede al trono si inginocchiò davanti al sultano in segno di rispetto, baciandogli la veste rossa. - E' bello rivedervi dopo tanto tempo. Mi siete mancato. -
-E voi siete mancato a noi, Mustafà Sultan. - Era la sultana ad aver parlato, che si era avvicinata al figliastro, porgendogli la mano, che egli prontamente afferrò baciandole l'anello reale. -Spero che questo palazzo vi sia altrettanto confortevole, rispetto a quello a Manisa. -
-Dimenticate forse che vi ho già vissuto prima del mio apprendistato, Hurrem Sultan?- Mustafà la guardò con freddezza e uno sguardo altrettanto freddo gli fu restituito dalla sultana.
-Certo che no, figliolo, eravamo molto legati, ricordate? -
-Come potrei dimenticare, mia cara Hurrem. Padre, adesso se non vi spiace vorrei andare a salutare i miei fratelli e la zia Hatice e Ibrahim. - Selim lo guardò, notando di essersi perso la sua crescita come uomo nell'ultimo anno e mezzo. Era attraente, aveva ereditato la bellezza di sua madre, ma gli occhi marroni, i capelli neri e la corporatura era quella del sultano. Un degno erede al trono per il più potente impero al mondo, pensò orgoglioso.
-Certo figliolo, puoi andare. Ti aspettano tutti con grande ansia.-
Mustafà si inginocchiò, accennando un sorriso e correndo a salutare gli altri.
Hurrem si avvicinò al sultano, prendendolo sotto braccio e guardandolo con disapprovazione.
-Lascerai ancora che tuo figlio mi risponda in modo così irrispettoso? -
-Suvvia, mia cara, tu sapresti tenere testa ad un toro. Sai come sono i giovani, tu stessa te  ne ricordi meglio di me, considerato che sei più giovane e io vecchio. -
-Ho trentatré anni, Selim, e tu solo quarantasei, non mi sembra il caso di fare la vittima. Ai miei occhi sei ancora il bell'uomo di sedici anni fa. - La sultana lo abbracciò, poggiando il capo sull'ampia spalla del marito. - Anzi sei ancora più bello, le rughe e i capelli bianchi ti donano. -
-Donano anche te, mio amore. - Hurrem alzò il capo, afferrando il viso barbuto del marito e baciandogli delicatamente le labbra. - Oggi sono l'uomo più felice della terra, poiché quasi tutta la mia famiglia è riunita sotto lo stesso tetto. Cosa potrebbe desiderare di più un umile uomo come me? -
-Perché quasi, Selim? -
-Manca Ibrahim, il mio caro fratello. - Hurrem si irrigidì all'improvviso, staccandosi dal caloroso abbraccio del marito.
-E' meglio rientrare ora, mio caro, si sta facendo buio e non vorrei che ti prendessi qualche brutta influenza. -
Selim la guardò, rintristendosi, erano passati sedici anni da quando Ibrahim era morto, sedici anni e lei non lo aveva ancora dimenticato. Ogni volta che qualcuno pronunciava il suo nome lei si irrigidiva e cambiava argomento, sorridendo falsamente. Era da sedici anni che lui si sentiva incompleto ed era da sedici anni che lui, sua moglie e sua sorella, piangevano in camere separate ogni anno, il giorno in cui era nato suo nipote, Ibrahim I del suo nome. 
Erano passati sedici anni e nessuno l'aveva dimenticato.

-Padre, mi avete chiamato? -
-Sì, figliolo, desidero che tu prenda subito in mano il tuo destino e mi dimostri quanto vali e quanto hai imparato. - Gli occhi stanchi del sultano, incorniciati da rughe scavate sulla pelle olivastra, lo guardavano in modo serio, non riuscendo a celare però tutto l'amore che prova un padre per un figlio.
-Tutto ciò che mi ordinerete sarà eseguito, padre. -
-I pirati infestano le nostre acque come orribili squali affamati e hanno minacciato più volte la capitale. In questo mese hanno saccheggiato e distrutto molte nostre città, seminando il panico fra il popolo. Desidero che tu metta fine a tutto ciò e combatta questi maledetti in mare. Devi dar loro la caccia, ucciderli e portarmi qualcuno di loro in cambio. Non mi importa quanto ci vorrà, voglio che il Capitano Drake e tutto il resto dei suoi pirati vengano fermati. Non sopporterò una delusione, mi sono
spiegato? -
-Certo padre, sarà un onore per me eseguire questo tuo ordine. -



 

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Capitolo 4
*** II ***


Due anni dopo, coste turche.


Combattevano ormai da ore, pirati contro turchi, cercando di avere la meglio l'uno sull'altro. Erano circa le cinque del pomeriggio su una spiaggia dalla sabbia nera. Zafiraa, stretta nei suoi pantaloni in pelle e nella semplice camicia bianca, armata da una spada affilata e pesante che indirizzava con abilità contro i nemici, che cercavano di disarmarla o semplicemente ucciderla. Aveva indossato un cappello marrone per nascondere i capelli bianchi, non potendo completamente mascherarsi, aveva deciso di nascondere la cosa che dava più nell'occhio.
Suo padre era alle prese con due uomini, almeno il triplo della sua stazza, sua madre con altri due. Zafiraa affondò l'arma nel ventre di uno e tagliò di netto la testa dell'altro, facendo schizzare il sangue ovunque. Il liquido le bagnò il viso e i vestiti, donandole un po' di colore, ma anche una strana e incredibile sensazione di potere. Nella battaglia, nel tenere fra le mani una spada si sentiva un dio, si sentiva superiore, anche perché sapeva di essere un'abile guerriera e spadaccina, proprio come i suoi genitori.
Si guardò intorno, cercandolo, osservando il campo di battaglia per vedere dove diavolo si fosse nascosto il suo nemico numero uno, quello che doveva cercare in tutti modi di annientare, quello che aveva predetto la loro mossa, incredibilmente.
-Mustafà, fatevi avanti, dove diavolo siete! Sono qui, tutta per voi. O avete forse paura di essere sconfitto da una donna? -
-Per Allah!- Gridò un turco, correndole incontro con la sciabola alzata al cielo. Zafiraa si scostò all'ultimo minuto, spingendolo per terra e affondandogli la lama nel petto; la sentì penetrare nel cuore dell'uomo e la sua vita lasciare il corpo lentamente, man mano che i battiti rallentavano. - Stupido turco, pensavi di potermi battere?-
-Lui certamente non era in grado di farlo, ma io sì. Zafiraa finalmente ci rincontriamo. - Mustafà era dietro di lei, l'aveva raggiunta finalmente e in lui non c'era una goccia di sangue o qualcosa che facesse credere di essere stato occupato in una battaglia.
-Adesso lasciate fare il lavoro sporco ai vostri lacchè? Che razza di uomo e capitano siete? -
-Almeno io sono un uomo e mi conviene fare questo lavoro, ma voi siete una donna. Le donne devono stare a casa, a curare i figli, non a fare questo genere di cose. Siete deboli e stupide. -
Zafiraa fece un suono simile a un ringhio e attaccò, sferrando il primo colpo che Mustafà riuscì a reggere. Si conoscevano ormai da due anni e sapevano l'uno il punto debole dell'altra, dopo innumerevoli battaglie combattute. Zafiraa sapeva che la sua gamba sinistra era quella più debole, perché lei stessa vi aveva fatto un taglio profondo e lungo con la sua spada e non si era mai ripreso; mentre Mustafà sapeva che il suo punto debole era il fianco destro, perché lui stesso vi aveva affondato la spada.
-Azzardati solo un'altra volta ad insultare il mio sesso e ti farò saltare entrambe le mani. - Zafiraa cercò di colpirlo con un calcio, ma fu afferrata per il piede e cadde a terra, battendo forte la schiena; spalancò lo sguardo quando vide la lama del suo avversario arrivarle addosso ed ebbe la prontezza di spostarsi. Tuttavia il suo cappello venne infilzato al terreno ed i suoi capelli bianchi le caddero sulla schiena come una cascata di onde. Mustafà la guardò a bocca aperta, mentre la battaglia continuava senza mai fermarsi; ma lei non lasciò che lui aprisse bocca e gli si fiondò addosso, buttando la spada al lato. Lo riempì di pugni, facendogli sanguinare il viso barbuto.
-Non mi guardate mai più così, sono stata chiara? - Un suono di tromba mise fine alla battaglia. Zafiraa si alzò da terra, abbandonando il corpo dell'uomo lì e afferrando anche la sua di spada. Alexandros, suo fratello, era riuscito a sgattaiolare sulla nave e indirizzare i cannoni sulla spiaggia. Il suono avvertiva ai suoi di ritirarsi, mentre i nemici venivano bombardati uno ad uno da palle di fuoco. Questo round lo aveva vinto Zafiraa.


*** ***
Zafiraa uscì dalla locanda, volendo respirare un po' d'aria fresca. Giocava con il medaglione che sua madre le aveva regalato per proteggerla. Era a forma di cuore sul quale erano state incise delle onde. Le aveva detto che a regalarglielo era stato suo zio Ibrahim come regalo di nozze, tanto tempo prima e lei adesso voleva darlo a sua figlia.
I suoi genitori ne parlavano sempre. Lo dipingevano come un uomo rude, anche se molto gentile e dal cuore grande. Per le persone che amava avrebbe fatto di tutto e proprio per quel motivo fu ucciso, diciotto anni prima dal sultano.
Beh, in effetti questo non glielo avevano detto i suoi genitori, ma l'aveva origliato da una conversazione avvenuta tra loro e una donna dai capelli rossi, che veniva a trovarli una volta ogni tanto. I suoi genitori si comportavano sempre in modo strano durante la sua breve permanenza, perché la nascondevano, richiudendola da qualche parte o facendole fare qualcosa che doveva portarla fuori dalla nave. Era un comportamento molto strano, perché non avevano mai manifestato quel tipo di reazione con nessuno, tranne che con lei.
Era talmente persa nei suoi pensieri che non si accorse del gruppetto di uomini, che portavano l'uniforme di Mustafà, raggiungerla ed accerchiarla.
Zafiraa portò subito la mano lì dove teneva la spada, ma si rese conto di averla lasciata a suo fratello perché la portasse ad affilare.
-Maledizione! - Borbottò fra i denti, pronta a difendersi con le mani. Ma non sarebbe servito a nulla, perché erano in netta maggioranza e lei era solo una, per di più stordita dal vino. - Che cosa volete da me, sporchi turchi ? -
-Farti fare una bella gita, strega dai capelli bianchi. - Due uomini l'afferrarono per le braccia e altri due per le gambe, ignorando le sue urla e il suo dimenarsi continuo.
-Lasciatemi o vi farò mangiare dagli squali del pacifico, maledetti turchi. Ho detto lasciatemi! Alexandros, padre, madre! - Zafiraa cercò di liberarsi mordendo la mano di uno dei suoi rapitori, ma fu inutile perché quelli non la lasciavano andare.
-Fatela stare zitta. - Uno di loro la lasciò cadere per terra per poi afferrandole la testa, sbattendola al suolo. Zafiraa perdette i sensi e in quel modo i turchi poterono portarla ad Amasya. Avevano deciso di fare un regalo inaspettato al loro padrone e futuro sultano Mustafà, una sorpresa molto gradita.


*** ***


Amasya*, sanjak* di Şehzade* Mustafa Muhlisi.




-Rumeysa, vieni qui. - Mustafà chiamò la moglie, che stava leggendo un libro delle fiabe ai figli Mehmed, Orhan e Mihrişah. Era una bellissima donna, gentile e dolce; quando l'aveva vista per la prima volta nel suo harem l'aveva colpita, per questo motivo l'aveva resa la sua Favorita e aveva avuto tre figli, meravigliosi e ben educati, che amava moltissimo. Lui, di certo, non era come suo padre, che amava solamente i figli che gli aveva dato Hurrem.
-Dimmi, marito mio, che cosa posso fare per te? -
-Devo andare a risolvere delle questioni. Mi hanno chiamato. - Mustafà le sorrise, baciandole dolcemente la fronte.
-Ma sono le nove di sera ed è una settimana che sei tornato da noi tutto dolorante e sanguinante. Il tuo bel viso deve ancora guarire da ciò che ti ha fatto quella bestia di un pirata. -
-Sarò di ritorno tra un'ora, Rumeysa, non preoccuparti. Adesso saluto i bambini. - Mustafà baciò la moglie, per poi entrare nelle sue stanze dove i suoi figli erano accoccolati, l'uno vicino all'altra. Mihrişah, la minore, si alzò e gli corse incontro, buttandogli le braccia addosso.
-Padre, non mi dite che state partendo! Io voglio stare ancora con voi! - La bimba gli tirò la barba, facendo sì che il padre la guardasse nei grandi occhi scuri. - Se partirete ora, io non vi parlerò mai più. -
Mustafà rise, baciandole una guancia e rimettendola sotto le coperte. Guardò i suoi figli, sentendo il cuore esplodergli di orgoglio e amore e disse: -Non sarò via per molto. Solo poche ore, il popolo ha bisogno di me. Devo imparare ad essere un bravo sovrano, proprio come vostro nonno, e una volta che lo avrò imparato e andremo a Palazzo Topkapi a Costantinopoli, allora prometto che non vi lascerò mai, neanche per un'ora. -
Si intrattenne ancora per qualche secondo con i figli, leggendo loro delle storie e quando si furono addormentati, andò nei sotterranei.
Alcuni membri della sua ciurmaglia lo avevano fatto chiamare, dicendogli che avevano qualcosa di molto succulento su cui poteva mettere le mani, un regalo per il suo imminente compleanno.
Incontrò i cinque uomini nei sotterranei del palazzo, i quali, senza parlare lo condussero ad una cella, l'unica piena. Stesa per terra c'era una ragazza, vestita da uomo, con i capelli bianchi come la neve.
Mustafà sorrise, passandosi la lingua sul labbro. - Adesso sì, che ci divertiremo, amici miei. -






nda: Amasya è una provincia turca affidata a Mustafà dopo essergli stato detto di andarsene da Manisa in favore del fratello, figlio di Hurrem, Mehmed. L'Amasya si trova nell'Anatolia. Sanjak significa suddivisione. Uno 'sanjak' nell'impero ottomano era una provincia o distretto, che potevano essere governato dagli eredi al trono. Şehzade significa principe in turco.

Eccomi qui| Come vi sembra questo capitolo? E' corto lo so, ma la vera storia inizierà dal prossimo. Questo è servito da introduzione ai personaggi. Avrete intuito che caratterini hanno i nostri due protagonisit! Ma di certo non saranno gli unici personaggi, ce ne saranno altri che amerete/odierete. Keep calm che siamo ancora all'inizio.
Ho realizzato il video della storia, lo trovate su YouTube, sotto il nome di 'Rinnegati: Neve e Fuoco'.
Beh, fatemi sapere tutto; impressioni, teorie, se vi è piaciuto o meno e se avete consigli da darmi fate pure.
Al prossimo capitolo xx


 

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Capitolo 5
*** III ***


Mustafà aveva fatto di lei la sua serva personale, che amava maltrattare e sottomettere a suon di frustate violente sulla schiena. Si era dovuta piegare, dopo una settimana di soprusi, accettando, non senza ribellarsi ogni volta, ogni ordine che le veniva imposto.
I suoi genitori e la sua famiglia non avevano ancora trovato il modo di venirla a liberare; probabilmente stavano elaborando un piano vincente per poterla salvare, senza provocare un gran numero di morti. Essendo una persona molto influente e avendo a disposizione un intero castello in una provincia dell'impero, Mustafà doveva anche disporre di un gran numero di soldati pronti a dare la vita in caso di attacchi esterni. La loro ciurma contava un numero cospicuo di pirati, ma non abbastanza per poter sconfiggere un intero esercito di eunuchi neri.
La teneva lontana dalla famiglia, ovvero dai figli e dalla moglie, e lasciava che si affiancasse solo ai servi, una volta schiavi, provenienti da altre terre.
Il primo giorno di prigionia era stata rinchiusa in una angusta cella che puzzava di piscio, escrementi e paglia; un mix che le faceva rivoltare lo stomaco. Lei era riversa per terra con un brutto taglio in testa che sanguinava ancora un po' e sicuramente era più pallida del solito. Mustafà era entrato con sguardo trionfante, disarmato e felice, dopo aver mandato via le due guardie che sorvegliavano la cella. Zafiraa si era ricomposta velocemente, non volendo far trasparire il suo malessere. Si sentiva profondamente debole. Aveva messo su la sua solita maschera di ghiaccio, priva di emozioni e impenetrabile a tutti, tranne alla sua famiglia. Il suo sguardo, due occhi di un verde particolare, era gelido.
-Eccoci qui, io e voi, Zafiraa. Direi che adesso il vincitore sia io e non più voi. - Il turco ghignò, avanzando di qualche passo verso la nemica. Zafiraa notò con grandissimo piacere ch'egli aveva ancora il viso tumefatto da tutti i suoi colpi.
-I giochi non sono ancora finiti, Mustafà. Che cosa volete da me? Uccidermi, torturarmi? Fate pure, ma aspettatevi la mia vendetta. -
-Non potrei mai uccidervi, voi mi servite, mia cara strega. Siete molto più importante di quanto pensiate. Adesso mettetevi questo. Vestitevi da donna, com'è giusto che sia. -
-Io mi vesto come diavolo mi pare e piace. Non sarete di certo voi a dirmelo con le vostre idee da signorotto turco. Non sono una donna qualunque, sono una pirata, il futuro capitano di una nave. -
-Non fatemi ridere. Non vedrete mai più il mare o una nave in vita vostra, ladruncola che non siete altro. Potete dire addio a tutto ciò che eravate, adesso siete una serva, la mia serva e come vostro padrone, io esigo che vi vestiate come tutte le altre donne. -
-Mai, mai obbedirò a questo vostro ordine, Mustafà. -
Un sonoro schiaffo le fece girare la testa; ne aveva avuti così tanti da quelle mani grandi e callose che ormai non le facevano più male. Bastò solo quello per farla arrabbiare e saltargli addosso. Lottarono vivacemente, prendendosi a pugni, schiaffi, morsi, dicendosi le peggio cose, ma Zafiraa non era forte abbastanza per tenergli testa, ecco perché lui riuscì a placcarla al suolo. La teneva ferma con il peso del suo corpo, mentre le braccia con le mani. Avvicinò il viso a quello della donna, ghignando divertito. -Siete mia ora, non potete fare nulla per liberarvi. Posso fare di voi ciò che più mi aggrada. - Zafiraa gli sputò in faccia, girando il viso di lato per non guardarlo. Mustafà con movimento veloci le strappò tutti i vestiti, la giacca pesante, la camicia bianca e larga e i pantaloni, avendo la decenza di lasciarle solamente la biancheria, ovvero una canottiera bucherellata in lana, dei pantaloncini in cotone e gli stivali neri. Le fece indossare l'abito grigio, che le lasciava scoperte braccia e spalle, ma che aderiva troppo al corpo, evidenziando le sue forme.
Mustafà la fece sollevare, guardandola attentamente per tutto il tempo. Sembrava una poco di buono, poiché il vestito le metteva in evidenza il seno in modo poco elegante. Era bella, questo glielo concedeva, una bellezza delicata che veniva celata dagli abiti maschili e dal comportamento rozzo. I capelli completamente bianchi li aveva legati, ma le arrivavano fin sopra il sedere, gli occhi da cerbiatta erano di un particolare verde, sembravano ci fossero delle sfumature marroncine, le labbra piccole ma carnose, che sanguinavano dopo i colpi ricevuti.
-Smettetela di guardarmi così. - Mustafà si passò la punta della lingua sulle labbra, deliziato dal metterla in imbarazzo. Si avvicinò ancora una volta, ma lei non si mosse, non aveva paura. E con un movimento veloce le afferrò i capelli, slegandoglieli, fece sì che le ricadessero sulle spalle per studiarli meglio. Non ne aveva mai visto di quel genere. Sapeva esistessero dei tipi di capelli molto chiari, una delle sue favorite li possedeva poiché di origini nordiche, ma bianchi... completamente bianchi, mai li aveva visti.
-Io posso fare tutto ciò che voglio, Zafiraa. Tutto di voi è mio, t u t t o. -
Zafiraa cercò di colpirlo ancora una volta, ma Mustafà la bloccò, sbattendola contro la parete in roccia. Il labbro continuava a sanguinarle e per provare ancora una volta il suo potere su di lei, lo leccò sulla ferita, sentendo il suo gemito di disgusto.
-Ah, considerato che adesso sei una mia serva, posso liberamente darti del tu. -




Aveva trovato la piccola piangere in un angolo dell'enorme giardino, dopo aver aiutato Mustafà a farsi un bagno; le aveva concesso del tempo libero dopo tanto tempo e così aveva deciso di uscire per andare a prendere un po' d'aria fresca in giardino. Quella reggia era bellissima, glielo concedeva.
Aveva capito subito chi avesse davanti; stessi capelli ricci, stessi occhi neri e lineamenti perfetti... Non era mai stata una particolarmente materna con i bambini; quell'istinto che aveva sua madre e che la faceva intenerire ogni volta che incontrava un moccioso per strada, non l'aveva mai avuto. Era diversa, effettivamente, da tutte le donne che aveva incontrato, includendo le puttane che la sua ciurmaglia incontrava ogni tanto. Zafiraa pensava che le persone dovessero avere un'indole particolare, che si possedeva dalla nascita, per farsi piacere quelle cose che facevano pupù, piangevano, mettevano ogni cosa in bocca e vomitavano qualsiasi cosa riuscissero a rigurgitare.
Era carina, glielo doveva concedere, anche se sembrava scomparire in tutto quel tulle rosa. Non osava immaginare cosa significava essere costretta ad indossare ogni giorno vestiti di colori così sgargianti e scomodi.
Ad ogni modo, cercò di ignorarla, sedendosi dalla parte opposta. La mocciosa però accorgendosi della sua presenza, si asciugò le lacrime e la raggiunse, osservandola. Zafiraa fece finta di niente e non le rivolse un'occhiata, le era stato ordinato di non avere nessun tipo di rapporto con la famiglia.
-Siete la serva di papà? Quella che non gli obbedisce mai, non è vero? - Zafiraa la guardò, ma non rispose. Aveva una voce stridula e fastidiosa. Mustafà era un pezzo di merda, ma fortunatamente le permetteva di tenere i suoi capelli bianchi nascosti con un foulard, in questo modo si era risparmiata una domanda sul colore dei suoi capelli. -Sapete parlare? -
-Vostro padre mi ha ordinato di non rivolgere la parola a nessuno dei suoi figli e alle sue mogli. Saremmo nei guai entrambe se lui ci dovesse scoprire.-
-Non preoccupatevi, mio padre è andato a caccia. Sarà di ritorno tra qualche ora. Io non gli dirò niente. - La bambina sorrise, grattandosi i riccioli scuri. - Io mi chiamo Mihrişah. E voi? -
-Zafiraa, ma potete chiamarmi come vi pare. Sono vostra serva e prigioniera, come mi ha già spiegato vostro padre. - Le rivolse un'occhiata dura e Mihrişah fece una smorfia mentre gli occhi le si lucidarono. - Perché stavate piangendo? -
-Perché il mio papà non ama la mia mamma. Adesso ha un'altra donna che aspetta un figlio. Si dimenticherà di me e di Orhan. - Ricominciò a piangere copiosamente. Zafiraa l'afferrò per le spalle, scuotendola come una bambola di pezza. Odiava i piagnistei. - Smettetela! Mi fate male! -
-E voi smettetela di piangere come un'idiota. Siete grande! Nessuna donna dovrebbe piangere per un uomo, neanche se quest'uomo è suo padre. Non vi dirò che vostro padre vi ama e vi darebbe la luna se potesse, perché non me ne frega niente al momento né di voi né e soprattutto di lui. Ma basta piangere! E' per le fannullone come voi che la gente pensa che le donne siano deboli. Pensate che tuo padre debba lasciare quella donna per voi? Andate e affrontatelo! Non siete una stupida e siete abbastanza grande da saper parlare per voi stessa.- Zafiraa la lasciò andare, godendosi la faccia terrorizzata e confusa della mocciosa e senza aggiungere altro se ne andò.






-Il principe Mustafà è così attraente, quanto vorrei diventare una delle sue spose! - Una delle concubine, una bellissima ragazza dalla pelle color cioccolato, sospirò con aria sognante, mentre la sua compagna più bassa, dalla pelle chiara e gli occhi a mandorla, annuiva in accordo. -Adesso che andrà a Costantinopoli da suo padre, il Magnifico, noi rimaneremo tutte sole qui. -
Zafiraa si fermò all'improvviso, interrompendo il discorso delle due concubine, che la guardarono spaventate. Nonostante lei avesse un foulard celeste a coprirle e nasconderle il colore particolare dei suoi capelli, tutti sapevano della sua particolarità e questo le dava tremendamente fastidio.
-Che cosa vuoi, mostro? -
-Stavate parlando di Mustafà? Avete detto lui sia un principe, il figlio del Magnifico? Proprio quel Mustafà? - Zafiraa non voleva credere alle sue orecchie. Era da una vita che voleva scontrarsi con uno della famiglia reale per vendicare tutte le sofferenze che avevano portato ai suoi genitori e venire a scoprire in quel modo che il suo più grande nemico era proprio il principe, l'erede al trono in persona, la mandava fuori di testa. Pensava fosse un importante generale, un nobile di basso lignaggio, ma non un dannato principe!
-E chi altrimenti? Avevano detto fossi stupida, ma non credevo fino a questo punto. - La piratessa in un moto di rabbia sbatté al muro una delle due, mentre la cinese urlava di non farle del male. -Datemi un'altra volta della stupida e troverete la vostra insulsa lingua attaccata alle scarpe. -
La concubina tremava come una foglia, impaurita che lei potesse farle del male. La lasciò andare, sollevando quel maledetto vestito fin sopra le ginocchia e correndo verso le stanze del suo 'padrone'. Lì trovo due eunuchi a sorvegliare la porta, infatti non la fecero entrare.
-Sono qui per volere del padrone. Mi ha richiesta. -
-Il padrone è occupato con una delle concubine al momento. -
-Ne sono consapevole, ma è urgente. Se non mi farete entrare adesso egli se la prendeva con tutti e tre. E voi sapete di cosa egli sia capace meglio di me. - Senza aspettare un'ulteriore risposta, Zafiraa spalancò la porta spaventando i due coinquilini impegnati e praticamente privi di vestiti. Mustafà la guardò confuso, ma poi i suoi lineamenti si indurirono.
-Che cosa ci fai tu in camera mia? -
-Tu esci da questa stanza, ora. - Disse, ignorando le parole del principe e guardando la ragazza che si mosse, vestendosi come meglio poteva. Prima che fuggisse via però, Mustafà la fermò facendola risedere.
-Costantine, tu resti qui. -
-Ho detto di andartene via! - Zafiraa si diresse verso la ragazza, l'afferrò per un braccio e la spinse via, successivamente con astuzia e velocità impedì agli eunuchi di entrare, bloccando la porta.
Mustafà era livido di rabbia, mentre si rivestiva per coprire le sue nudità velocemente. - Adesso dovrò punirti, Zafiraa. Mi hai mancato di rispetto e non tollero quando accade. -
-Mi dovete scusare, principe, non volevo assolutamente mancarvi di rispetto. - Ella afferrò una delle spade poggiate su uno dei bauli e Mustafà la imitò. - Come potrei mai offendere il futuro imperatore? -
-Come mai tutta questa rabbia, Zafiraa? Pensavo lo sapessi. -
-E invece no! Nessuno manderebbe l'erede al trono a combattere dei pirati! Come potevo saperlo. Ho avuto per tutto questo tempo il figlio della disgrazia della mia famiglia, non avete idea di quanto io sia incazzata ora! -
-E allora vieni, fammi vedere che sai fare, donna. Questa sarà l'ultima volta che avrai modo di toccare una spada, perché quando andremo a Costantinopoli mio padre farà di te carne per cani. -
Ma prima che uno dei due avesse l'occasione di compiere la prima mossa, la porta venne scardinata e suo fratello Alexandros le sorrise.
-Scusa per il ritardo, piccola, che mi sono perso? -


A.N//
Mi scuso per l'enorme ritardo, ma sono davvero occupata e non trovo un attimo per mettermi al computer. Il lavoro ingloba tutto il mio tempo. Dalla prossima settimana, con la fine del lavoro, troverò sicuramente del tempo per poter aggiornare in modo più frequente.
Ad ogni modo datemi un parere, come vi è sembrato? Nel prossimo capitolo ci sarà altro movimento!
Grazie a tutti coloro che mi seguono e che aggiungono questa storia ai loro elenchi.
Un bacio e al prossimo aggiornamento!




 

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Capitolo 6
*** IV ***


IV.




-Mi chiedevo quando avreste fatto la vostra comparsa, sodomita. Adesso che vostra sorella non è più lì a coprirvi il culo, avete deciso di abbandonare la gonnella e mettervi i pantaloni?- Mustafà ghignò, afferrando una spada, approfittando delle chiacchiere. Erano nemici, tutti quanti, ma non erano vili e non avrebbero mai combattuto o ucciso un uomo disarmato. -Mossa coraggiosa da parte vostra, peccato che non ve la lascerò così facilmente. -
-E io speravo proprio in questo. Sarà un piacere versare il vostro sangue in questa bellissima fortezza e magari quando avrò finito, mi occuperò di vostra moglie. E' una donna bellissima e potrei fare di lei ciò che voglio. - Alexandros ghignò, facendo luccicare gli occhi celesti, come quelli di Drake. Era un armadio, largo di spalle e con gli addominali scolpiti grazie alle ore incessanti di addestramento a cui suo padre lo sottoponeva da quando aveva dieci anni. I capelli di un biondo chiaro, mossi e lunghi fin sopra le spalle lo facevano somigliare ad uno di quei dei nordici di cui sua madre leggeva loro e se non lo si conosceva, sembrava veramente un barbaro proveniente da terre lontane, pronto a violentare qualsiasi donna. - E dei vostri figli che cosa potrei farmene?-
-Magari i nostri schiavetti personali, Alex. - A Zafiraa luccicarono gli occhi, ripensando a quanto doveva essere meraviglioso averli tutti per sé. Avrebbero fatto tutto il lavoro al posto suo.
-Come osate parlare in questo modo dei miei eredi! - Urlò il principe, alzando la spada e colpendo Alexandros sullo zigomo e Zafiraa con un calcio sullo stomaco, facendola piegare in due dal dolore. Suo fratello ci rimise poco a riprendersi e non perse tempo ad attaccare il turco, che aveva osato ferire la sorella minore. Cominciarono a combattere, menando fendenti veloci, scattanti, letali, ignorando la ragazza. Era una cosa fra uomini quella, si accorse suo malgrado, poiché Mustafà aveva osato rapire sua sorella, insultarla, umiliarla, facendole indossare abiti femminili, rendendola sua schiava e per questo doveva pagare.
Zafiraa ne approfittò per andare a cercare i suoi genitori e il resto della sua ciurma, nel caso avessero bisogno d'aiuto.
Corse per tutto il castello, udendo le voci e il clangore delle spade che si toccavano l'una con l'altra, le bestemmie dei pirati e le grida di chi veniva ucciso. Quando trovava qualcuno dei suoi in difficoltà, si fermava e uccideva più eunuchi che poteva, sporcandosi quel maledetto vestito di sangue. Il foulard che le nascondeva i capelli lo aveva perso da un pezzo e non le importava di lasciarsi guardare quando combatteva, perché quando teneva in mano una spada, si sentiva potente, indomabile e libera. Era nata per fare quello.
-Zafiraa! - Quella era la voce di sua madre, avrebbe potuta riconoscerla ovunque, anche fra le confuse grida di battaglia. Lei era lì, sorretta da suo padre con un brutto taglio sul braccio. - Bambina mia, ti abbiamo trovato! -
-Madre, padre! - Lei corse verso i suoi genitori, contenta di poterli rivedere, arrabbiata e preoccupata per le sue condizioni. Era terribilmente pallida e sudata, non era normale. Era stata ferita altre volte in battaglia, ma non aveva mai avuto reazioni simili. -Che cosa è successo? -
-Le spade degli eunuchi sono cosparse di veleno. Un solo graffio e può esserci fatale. Ne abbiamo persi dieci, Zafiraa, dobbiamo andarcene adesso. Dov'è tuo fratello? -
-L'ho lasciato con Mustafà, stavano combattendo. Io ho preferito venire a cercarvi. -
-Non perdiamoci in chiacchiere ora. - S'intromise Drake, guardandosi intorno. Teneva stretta sua moglie come se ne valesse la vita del mondo ed era talmente arrabbiato che avrebbe potuto sterminare tutti gli ottomani solo con la sua spada e la sua abilità. Non poteva perdere anche sua madre, dopo aver perso suo fratello Alexandros e tutta la sua famiglia. Ne sarebbe morto poco alla volta. - Andiamo ad aiutare tuo fratello. E' ora che quel bastardo muoia. -
-Padre, io vorrei restare in realtà. - Disse Zafiraa, aiutando suo padre a sostenere sua madre. I suoi genitori la guardarono in cagnesco, muovendosi verso le stanze dell'erede al trono.
-Non dire cazzate, Zafiraa. Sei stata per troppo tempo nelle mani di questi bastardi, il tuo posto è con la tua famiglia, sulla tua nave. - Un eunuco li prese alle spalle, sorprendendoli. Zafiraa gli fu subito addosso, sferrandogli un calcio che gli fece perdere l'equilibrio e subito dopo lo perforò da parte a parte con la sua spada affilata. Ritornò da sua madre e questa volta accelerarono il passo.
-Posso vendicare la morte dei nostri famigliari e tutto ciò che abbiamo perso per colpa loro, padre. Ho un piano, ma tu devi far in modo che resti ancora qui, loro prigioniera e loro mi portino dal sultano in persona. Sono troppo importante, anche per il colore dei miei capelli e nessuno mi ucciderà. -
-E' troppo pericoloso. Sei una ragazzina, mia figlia, e non lascerò che tu faccia tutto ciò da sola. Se ti scoprissero, sai che ti giustizierebbero immediatamente? -
-Ne sono consapevole. Ma so di riuscire a farlo da sola. -
-Tuo zio era il Gran Visir, la persona più importante dopo il sultano, eppure hanno messo fine alla sua vita... - Fiammetta si commosse, come qualsiasi volta che nominavano Ibrahim e la sua tragica morte. Zafiraa si irrigidì; odiava vederla piangere. - Non sopporterei la tua morte. -
-Prometto di non morire. Ma se resterete ancora per molto, sarete voi a morire. Madre, non potete resistere per molto ancora. -
Susseguì un lungo silenzio, nel quale si udivano solamente le urla di Mustafà e Alexandros, segno che erano vicini al luogo in cui stavano combattendo. Fiammetta e Drake si guardavano seri, impassibili e Zafiraa sapeva cosa significava; fra loro avveniva un dialogo particolare, era come se riuscivano a leggersi nel pensiero e discutevano tramite i loro sguardi. Alla fine di ciò Fiammetta distolse lo sguardo e una lacrima le scivolò lungo la guancia. Era fatta.
-Ti concedo il mio permesso, Zafiraa. Ma dovrai tenerti sotto contatto con me ogni settimana. Non mi interessa come, trova il modo. - Drake la guardò negli occhi serio e lei gli sorrise. -Dio ti protegga, figlia mia. -
-Grazie, vi voglio bene e non vi deluderò. -
Quando furono in prossimità della stanza di Mustafà, trovarono Alexandros steso per terra in un bagno di sangue, il principe ridotto altrettanto male, ma era lui ad avere la meglio, poiché se sua madre Fiammetta non avesse gridato, suo figlio maggiore sarebbe già morto, trafitto in due.
Né Drake, né Zafiraa ebbero la possibilità di fermarla, prima che debole e priva di coordinazione, ma straordinariamente veloce solo come una madre può essere per salvare i propri figli, si muovesse; assalì Mustafà, impedendo che la spada si conficcasse nel petto di Alexandros. Mentre loro lottavano, suo fratello era svenuto e sei eunuchi avevano accerchiato lei e suo padre.
Non ebbero via d'uscita se non lasciare Fiammetta a lottare con Mustafà e loro affrontare tre eunuchi alla volta con una sola spada. Il primo ad ucciderne uno fu Drake e successivamente ne seguirono gli altri due, che caddero per terra senza testa e in un lago di sangue caldo e scivoloso; quando anche Zafiraa, con due tagli superficiali sulla costola, ebbe ucciso i suoi con l'aiuto di suo padre, erano stanchi ma pronti a combattere ancora.
Sua madre se la cavò bene durante lo scontro, schivando abilmente i fendenti dell'abile spadaccino e quando notò che suo marito e sua figlia non erano più in pericolo, si distrasse e venne colpita in volto da Mustafà. Fiammetta cadde per terra, ma Drake non lasciò che lei si rialzasse così prese il suo posto, mentre Zafiraa, un concentrato di rabbia e timore per i suoi unici familiari, controllava le condizioni di suo fratello. Aveva un brutto taglio sul petto che finiva poco sotto il mento e iniziava dalla coscia sinistra. In certi punto era talmente profondo che Zafiraa giurava di aver visto gli organi, ma nonostante ciò era ancora vivo. Cercò così, strappando la gonna logora del suo vestito di tamponare il sangue; non doveva assolutamente morire dissanguato.
All'improvviso entrò nella stanza la moglie di Mustafà, urlando quando vide tutto quel sangue e suo marito in pessimo stato, poiché era pieno di tagli. Bastò solo quello per permettere ai due uomini di distrarsi e a Zafiraa di prendere in mano la situazione, correndo verso la donna e puntarle una lama al collo.
-Ma guarda un po' chi abbiamo qui. La puttana di Mustafà. - Ghignò suo padre, stando attento ad ogni mossa improvvisa del suo rivale.
-State ferma o vi taglio quel bel collo da cigno che possedete, mia signora. - Le sussurrò Zafiraa nell'orecchio. Tremava la povera creatura, chiamando il nome di suo marito. Mustafà avanzò, ma Zafiraa premette più forte la lama del coltello sul collo delicato della donna, ferendola leggermente. -Lasciate andare i miei genitori e mio fratello, Mustafà e in cambio avrete me. Non scapperò e ovviamente non farò del male a vostra moglie. -
-Fa' pure, me ne troverò un'altra. Di femmine il mondo è pieno. -
Il resto successe fin troppo velocemente e in modo confusionario, tant'è che Zafiraa non riusciva ancora a spiegarselo.
Mustafà tirò fuori un piccolo pugnale dalla lama lunga e sottile che era riuscito a nascondere, lanciandolo con forza e agilità in direzione di Fiammetta, che non riuscì a schivarlo perché troppo debole e impacciata a causa del veleno; infatti esso si conficcò nell'occhio della donna e sicuramente nel cervello, tant'è che prima che toccasse il suolo, era già morta. Zafiraa la vide semplicemente cadere e non muoversi più.
-Fiammetta! Brutto figlio di puttana! - Drake ricominciò ad attaccare Mustafà, ma Zafiraa sapeva già che non aveva possibilità di sopravvivenza, poiché era fin troppo accecato dalle emozioni e durante lo scontro con gli eunuchi aveva riportato un taglio profondo sull'addome. Nel giro di pochi minuti era morto anche lui, decapitato dalla lama affilata della spada di Mustafà. Il suo sangue bagnò il viso del principe, la sua testa rotolò fino ai piedi della moglie, che spaventata la calciò via, dimenandosi.
Zafiraa, guardando prima sua madre con un pugnale conficcato nell'occhio, poi suo padre senza testa, decapitato come un animale e suo fratello quasi squartato in due, versò solo una lacrima, l'ultima in tutta la sua vita e successivamente tagliò la gola della moglie, buttandola a terra.
Era accecata dalla vendetta e il destino volle che proprio in quel momento li raggiungessero la balia assieme ai due figli di Mustafà, Orhan e Mihrişah. Quando Mustafà li vide, si apprestò nel fermare Zafiraa che aveva afferrato due spade cariche di veleno, letale per i bambini di così poca età.
-Andatevene via! -
-Mamma! Mamma! - Urlavano i piccoli, impietriti, nonostante la balia continuasse a tirarli impaurita.
-Non ti azzardare a toccare i miei eredi! I miei figli! - Mustafà l'afferrò per i capelli, buttandola sul letto e le fu subito sopra con le mani strette intorno al collo. L'aria stava cominciando ad esaurirsi poco alla volta, ma lei non aveva intenzione di farsi uccidere così facilmente, la vendetta la infiammava dall'interno.
Era un fuoco pronto a scoppiare ed incendiare tutto, un drago.
Assestò una ginocchiata nelle parti intime di Mustafà e successivamente una testata sul naso, che lo fece cadere per terra. Scese dal letto e lo prese per i capelli, trascinandolo vicino al muro per poi inchiodarlo attraverso una spalla sulla parete. Sentì la spada attraversare ossa, carne, terminazioni nervose e poi conficcarsi nella parete talmente in profondità che quel bastardo sarebbe morto lì. Non aveva urlato, ma continuava a guardare i suoi figli che non si staccavano dalla madre. La balia era sparita nel nulla, probabilmente era scappata a cercare aiuto.
-Adesso guardate, proprio come ho guardato io e soffrite. - Zafiraa lo afferrò per i capelli, mentre gli parlava, costringendola a guardare. -Questa sarà la faccia di chi ha messo fine alla vita dei vostri figli. -
Mustafà rise, sputandole in faccia. -E questa è la faccia di chi ha ucciso tutta la tua famiglia.
Zafiraa strinse i pugni e si alzò, avanzando lentamente verso la più piccola, la favorita. L'afferrò, costringendola ad alzarsi in piedi, mentre il fratello la tirava verso di sé, cercando di salvarla.
-Prendete me prima, risparmiate lei. -
-Non preoccuparti avrai anche tu il tuo torno, moccioso. -
Zafiraa sorrise e senza aggiungere altro, mentre Mustafà la guardava, spezzò il delicato collo della bambina. Cadde per terra accanto la madre, immobile, anche lei come Fiammetta era morta prima di toccare il suolo.
Il bambino invece, soffrì di più, perché venne trafitto con due spade avvelenate, una in prossimità del cuore e l'altra nell'addome. Morì dissanguato e con gli occhi ancora aperti.
Quando ebbe finito, si avvicinò a Mustafà, che guardava in un punto dritto avanti a sé e senza aggiungere altro lo liberò dalla spada che lo costringeva contro la parete.
Egli non si mosse, Zafiraa lo sapeva, perciò gli si sedette accanto, guardando tutto quel sangue, quella morte, quelle vite prese per odio, per vendetta, per sfizio.
Occhio per occhio, dente per dente.




A.N//
Penso proprio che qualcuno mi odierà adesso e le persone verranno a cercarmi con forconi e mitra per uccidermi proprio come è successo ai poveri Drake e Fiammetta. Martin, dopo questo capitolo, sarebbe fiero di me.
Bene, abbiamo visto Zafiraa vendicarsi per la morte dei suoi genitori, ma sarà abbastanza? E ora Mustafà, senza eredi e senza moglie, che cosa combinerà mai? Zafiraa verrà risparmiata? Lo scoprirete nei prossimi capitoli.
Voi fatemi sapere cosa ne pensate e noi ci vediamo al prossimo aggiornamento!
Alla prossima.


 

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Capitolo 7
*** V ***


Costantinopoli, qualche settimana dopo.


-Sono passati anni dall'ultima volta che sono venuta da te, amore mio. Diciotto oggi, che la ferita che hai lasciato nel mio cuore sanguina senza mai smettere. Percorro ogni corridoio, ogni stanza, ogni angolo del giardino nella speranza di incontrarti, di vedere il tuo fantasma almeno... Ma tu non ci sei, sei sepolto su questa collina, lontano dagli altri Gran Visir, lontano dal tuo castello, dal tuo migliore amico, dai tuoi due figli e dalla donna che ti ha amato e che continua ad amarti con tutta se stessa.
Oh, Ibrahim, se potessi tornare indietro farei di tutto per salvarti. Sono stata accecata dal potere e dai soldi per chiederti di fuggire con me e probabilmente lo eri fin troppo anche tu. Mi manchi così tanto che la notte mi sveglio urlando, ma al mio fianco non ci sei tu, c'è il tuo assassino, che ho perdonato perché amo, mio malgrado.
Ho cercato di smettere di pensarti per tutto questo tempo, ecco perché non sono venuta a trovarti per sedici lunghi anni, ma non ci sono riuscita. Oggi sono qui perché ti devo dare due notizie, entrambe cattive, anche se suppongo tu le sappia già. - Ci fu un'improvvisa brezza che mosse i capelli rossi della sultana. Roxelana sorrise e accarezzò la lapide senza nome, che riportava solo la data della sua morte. -Drake e Fiammetta sono morti, li ha ammazzati Mustafà in modo atroce per ordine di Selim. Questa terra ci ha portato tanta ricchezza e potere, ma a quale prezzo se tutto ciò che abbiamo lo viviamo nella tristezza e nella solitudine?
Ma le cattive notizie non finiscono qui... Nostro figlio sta morendo, affoga nel suo stesso sangue e non ha più via di scampo. Ti prego di vegliare su di lui, portalo con te, quando sarà il momento. Ha solo diciotto anni, è troppo giovane e non è mai uscito da palazzo. Quella maledetta strega, è stata lei a maledirlo, rendendo i suoi capelli e la sua pelle bianchi come un lenzuolo. -
Si zittì, versando altre lacrime. Non poteva sopportare la perdita di un figlio, soprattutto il primo, quello concepito con Ibrahim, l'amore della sua vita.
-Nostra figlia invece è stata catturata ed ora vive con noi a palazzo, assieme a tuo nipote Alexandros. Stanno bene, se la cavano, nonostante svolgano lavori pesanti ed umilianti, ma tengono duro. Si chiama Zafiraa e sembra essere uscita dalla tua costola, per quanto ti somiglia. Avete gli stessi modi duri e le occhiatacce gelide, gli stessi occhi di quel verde particolare e lo stesso bel viso. Ma nonostante ciò, sembra stare bene e non soffre degli stessi problemi di salute di suo fratello. Devo fare in modo di farli incontrare, amore mio, non possono sapere l'identità l'una dell'altro perché sarebbe troppo pericoloso, ma devo farli incontrare, chissà che, così facendo, Mehmed si riprenda... -
Roxelana, perché lei non aveva altro nome al di fuori di quello, accarezzò la tomba del suo amante, immaginando di fare lo stesso col suo viso.
Erano passati anni e se lo era dimenticato con il passare dell'età, ma ricordava qualsiasi momento trascorso con lui, il loro primo incontro e tutti i bisticci. Ricordava il loro primo bacio, avvenuto tra sangue, fuoco e neve... Ricordava tutto.
E ricordava anche, in quella piovosa notte di diciotto anni prima, di come avevano rinnegato la loro unica figlia, separandola dal fratello gemello, tutto per salvarla dalla morte.
Eppure nonostante i loro sforzi il destino della sua famiglia e della sua discendenza era stare in quel maledetto palazzo, essere schiavizzata da quel maledetto popolo e privata della loro libertà, così cara e vitale.
Zafiraa avrebbe sofferto e se le andava bene, avrebbe avuto anche momenti di gioia. Si trovava nell'unico posto dove avrebbe potuto avere delle risposte, vicino a sua madre, a suo fratello e nel luogo in cui suo padre visse tutta la sua vita prima di morire, ma nessuno di loro si sarebbe avvicinata a lei, reclamando diritti famigliari che ormai non spettavano più. I suoi genitori erano stati Fiammetta e Drake e adesso erano morti. Suo fratello era Alexandros ed era riuscito a scampare alla morte per miracolo, ma per quanto ancora?
Zafiraa, si rassegnò Roxelana, era solo una estranea, una figlia morta, un fantasma mandato da Allah per torturarla. Zafiraa non era più sua figlia.






-Che cosa succede qui? - Mustafà li sorprese all'improvviso e Bayezid sorrise in modo angelico, nascondendo Zafiraa alle sue spalle. La collana brillava nella leggera scollatura pallida del vestito celestino che indossava. Gliel'aveva appena regalata il principe, dicendole che la pietra portava il suo stesso nome. Si trattava di uno zaffiro, tra le più belle pietre preziose e di colore blu, che richiamava dolorosamente il colore degli occhi di suo padre, Drake.
Zafiraa l'aveva guardata e qualcosa all'interno del suo petto le aveva fatto male, un dolore così acuto, affilato, insopportabile che provava solamente quando ripensava alla morte dei suoi genitori.
-Assolutamente niente, caro fratello. Io e la tua serva stavamo solo parlando. - Bayezid era un bel ragazzo. Di un solo anno più piccolo di lei e per i tratti, merito soprattutto della madre, sembrava essere europeo. Due occhi grandi e del colore dell'oceano, quando era talmente profondo da poter inghiottire l'intera America, si sistemavano su un viso elegante, dai lineamenti fini e dalla pelle abbronzata, causa delle innumerevoli ore passate ad allenarsi con i fratelli nell'uso della spada e delle altre armi. Era bello, come doveva esserlo stato suo padre il sultano, e riscuoteva parecchio successo, nonostante la sua giovane età.
La pirata si era accorta che egli provava dell'interesse nei suoi confronti e aveva deciso di sfruttare la cosa a suo favore. Se doveva trovare un modo per sopravvivere in quell'impero maledetto, non le costava assolutamente nulla fingere o stare al gioco di quell'inetto del principe, per quanto la cosa la disgustasse. Senza armi e senza una ciurma a cui dare ordini, era solo una semplice donna, una serva la cui parola non valeva assolutamente nulla, l'ultima della catena alimentare del castello Topkapi; perciò doveva cercare di usare i metodi che altre donne più astute di lei, come la maggior parte di quelle che abitavano a palazzo usavano. Non vi erano più neanche schiavi, a cui essere superiore, poiché Hurrem, la sultana, era riuscita a cancellare qualsiasi tipo di schiavitù all'interno dell'impero ottomano.
-Meglio per te che tu le stia lontano. E' come le dannate sirene che infestano l'oceano. Ti affogherà lentamente fra dolci parole e baci e poi si ciberà dei tuoi testicoli. - Mustafà la guardò, notando con piacere il suo rossore dovuto alla rabbia che stava cercando in tutti i modi di reprimere. -Adesso meglio che tu vada. Tua madre ti stava cercando e non vorrai mica che ti veda in compagnia di una serva, malata per giunta.-
Mustafà spinse il fratello, che guardò tristemente la ragazza. Ella gli sorrise, incitandolo ad andare via e lui le obbedì anche se contro voglia.
-E così il mio fratellino si è innamorato di te. - L'erede al trono le si avvicinò, afferrando con due dita il gioiello appeso al filo nero. Fece un ghigno divertito, guardando prima Zafiraa e poi la collana. Ella, invece, non si muoveva e lo guardava con un sopracciglio sollevato e a testa alta. - Speri in una scalata sociale, ricambiando il suo amore? Sai che sua madre e mio padre non permetteranno mai che voi due vi mettiate insieme o vi spostaste? E sei davvero convinta che mio fratello, il mio viziato, volubile e stupido fratello ti desideri realmente? Per lui sei solo un giocattolo e quando ti avrà avuta, ti farà uccidere. -
-Sono una dannata sirena, come avete detto pochi minuti fa, sua magnificenza. So come staccare i testicoli a morsi a qualsiasi uomo, soprattutto a quelli viziati, volubili e stupidi. - Zafiraa gli si avvicinò per guardarlo negli occhi. Mustafà sorrise, staccandole con un colpo secco la collana di dosso.
-Io so di che cosa sei capace, Zafiraa e non intendo sottovalutarti ancora una volta. Sono tutti loro, persino il mio amato padre, a non sapere chi tu sia realmente. Sei solo una piccola e stupida servetta, che la mia defunta moglie ha assunto prima di venire uccisa e che obbedisce solo al sottoscritto. Non tirare fuori gli artigli, mia cara, perché non vorrei che mio padre scopra la tua vera identità. Abbiamo un patto e in base al quel patto io ti ho risparmiato la vita. -
-E io ho risparmiato la tua, rammentalo questo. Perché se dovesse succede qualcosa a mio fratello, la tua testa verrà mozzata ed issata al posto della bandiera sulla mia nave. - Zafiraa ghignò, portandosi i lunghi capelli bianchi, che le erano ricaduti davanti al viso, all'indietro. Mustafà li guardò, sollevò una mano e li toccò. Era strano, ma sembrava quasi ipnotizzato da essi e Zafiraa si sentiva stranamente a disagio quando accadeva. I suoi occhi scuri come la notte sapevano essere molto inquietanti quando non la guardavano con disprezzo.
-E tu non me ne dare modo, Zafiraa. Sarebbe un vero peccato se una delle nostre teste venisse staccata dai nostri colli. - La lasciò andare, facendo un passo indietro. -Questa è meglio che la tenga io, non vorrei che la mia matrigna ti facesse impiccare per essere una ladra. -
-Non credo che Bayezid lo permetterebbe. -
-Tu non conosci Hurrem, allora. - Mustafà guardò dietro di lei, in un punto indefinito, lontano nella sua memoria, nel tempo e nello spazio. -Le sue mani sono sporche di sangue, più di quanto lo siano le nostre. -
Zafiraa non rimase colpita da quella affermazione; era piuttosto affascinata da quella figura enigmatica.
I suoi capelli rossi erano insoliti per il luogo in cui viveva e da ciò che udiva nelle cucine e tra tutti i servitori, era l'unica in tutto l'impero a portarli. Lei, che aveva viaggiato per quasi tutto il globo, sapeva che esistevano altre persone come lei, con la stessa tonalità di rosso, più chiara e ancora più scura, ma non aveva mai trovato persone vive che possedevano capelli bianchi come i suoi.
Doveva essere stata dura, pensò Zafiraa mentre seguiva Mustafà nelle sue stanze, farsi largo ed arrivare così in alto. Riuscire a farsi accettare nel consiglio assieme agli altri visir e al sultano, poter esprimere la sua opinione in quanto donna all'interno di un gruppo di soli uomini, era qualcosa di ammirevole.
Ma al tempo stesso c'era qualcosa nel modo altezzoso in cui si muoveva, nel modo in cui la guardava, nel modo in cui si comportava, che non la convinceva. Era una donna pericolosa e avrebbe fatto bene a non farsela nemica, altrimenti, proprio come aveva detto Mustafà, la sua testa sarebbe finita su una picca e il suo corpo dato in pasto agli alligatori.


-Sai cosa vuol dire il tuo nome? - Domandò Mustafà, mentre Zafiraa gli strofinava la schiena delicatamente, lì dove la sua spada si era conficcata qualche settimana prima. Era andata talmente in profondità e aveva lacerato talmente tanto la carne e le ossa che la ferita ci stava mettendo più tempo del previsto per cicatrizzarsi e non era un bello spettacolo da guardare per gli altri, ma per lei era la cosa più bella che avesse mai visto. Una sorta di rivincita.
Gli aveva preparato un bagno caldo, ricco di unguenti ed erbe che sarebbero serviti per aiutare la guarigione, a detta del Guaritore.
-Perché non chiudete semplicemente il becco, razza di idiota? - Zafiraa era seduta sul bordo della vasca e tutto il calore emanato dall'acqua le stavano facendo arricciare i capelli e arrossare le guance, situazione che veniva peggiorata dal fatto che il suo peggior nemico era letteralmente nudo sotto i suoi occhi. -Reggo a stento i conati nel vedervi in questo stato, figuriamoci nel sentire la vostra stupida voce e la vostra stupida lingua. -
Mustafà l'afferrò per un braccio, costringendola ad abbassarsi al suo livello. -Vuol dire 'cosa bella' e penso che questo nome non sia assolutamente indicato per te, perché ovviamente di bello, tu, non hai nulla. - Mustafà strinse la presa, avvicinandola maggiormente a sé e metà del vestito della ragazza si bagnò. -E mancami ancora una volta di rispetto e sarò costretto a frustarti. -
Zafiraa sorrise e con una mossa veloce, afferrò una parte vitale nella vita di un uomo, stringendo la presa quanto bastava per non farsi toccare più da quell'essere. Si avvicinò al suo orecchio, sentendo i riccioli scuri dell'uomo solleticarle la guancia e sussurrò a denti stretti: - Provate anche solo a toccarmi un'altra volta con una vostra cinta e giuro che vi ritroverete a parlare con una voce molto meno maschile di ora. - Mustafà ridacchiò, quando lo lasciò andare. -Proprio niente di bello. Sei un dannato maschio. -
-E voi siete ancora un bambino. Che razza di uomo non riesce a lavarsi da solo? -
-Semplicemente adoro torturati, Zafiraa. - Con una mossa veloce e agile, Mustafà si alzò in piedi, bagnando tutto il pavimento circostante, mentre aspettava che Zafiraa gli portasse la vestaglia di seta pregiata; quando la ebbe indossata la scacciò con un gesto della mano. -Va' adesso. La mia concubina starà arrivando, a meno che tu non voglia unirti a noi. -
-Preferirei farmi asportare l'apparato riproduttore piuttosto che farmi toccare dalle vostre mani viscide. - Sputò Zafiraa, raccogliendo le gonne prima di uscire dalla stanza del principe.
-Già, proprio niente di bello! - Gli sentì dire fra le risate.
In momenti come quello Zafiraa si pentiva di non averlo ucciso quella maledetta notte. Lo odiava, soprattutto quando era di buon umore, poiché non sapeva mai come comportarsi, come reagire e cosa dire. Lo odiava, quando era allegro perché lei non lo sarebbe stata mai più dopo quella notte, poiché una parte di se stessa, la più importante, la sua anima, il suo cuore, la sua felicità, erano morte, uccise proprio come i suoi genitori. Adesso era consumata dall'odio verso quella gente, dal desiderio di vendetta e dagli incubi, dalla preoccupazione per il suo unico fratello, vivo per miracolo, messo a servire il nipote prediletto del sultano Selim, Ibrahim primo del suo nome, figlio di Hatice Sultan e del suo defunto zio Ibrahim, ex Gran Visir e traditore.
Ma nonostante ciò Ibrahim sia per lei che per suo fratello restava un estranio e doveva restare tale, poiché se lui avesse scoperto la loro vera identità probabilmente li avrebbe portati direttamente dal sultano e dalla sua perfida moglie.




Quando Ibrahim incontrò per la prima volta Alexandros, qualche settimana prima, rimase stupito.
Sembrava un vichingo pronto a salpare verso l'ovest, alla ricerca di tesori di cui appropriarsi, alto circa un metro e novanta con spalle larghe quanto un armadio e muscoli che lo rendevano molto più minaccioso di quanto non facesse già la sua altezza. Occhi di un blu molto intenso, da sembrare irreale, capelli biondi, che sembravano baciati dal sole, e mossi che spesso venivano lasciati sciolti e che gli arrivavano fin sopra le spalle. Un viso attraente, dai lineamenti duri e incorniciati da una leggera barbetta bionda, e con una piccola cicatrice sbiadita, ma non del tutto sotto l'occhio sinistro. Il suo sorriso aveva un non so che di malizioso, alimentato dal luccichio dei suoi occhi particolari.
Era rimasto stupido anche nel momento in cui l'aveva conosciuto personalmente, poiché Mustafà aveva deciso di donarglielo come suo servo personale, una sorta di regalo di compleanno.
Ibrahim aveva diciassette anni e non era mai uscito da palazzo Topkapi se non per andare a visitare la tomba di suo padre ed incontrare colei che sarebbe diventata la sua futura moglie, che ne aveva tredici.
Non era come i suoi cugini, che amavano stare tutto il giorno all'aperto per potersi allenare con la spada e tutte le armi possibili ed immaginabili. Lui era più un topo da biblioteca, solitario, che amava passare le sue giornate chiuse nelle sue stanze a studiare, ad interpretare testi della filosofia greca e latina e leggere commedie, vecchie e nuove, per poter viaggiare con il pensiero.
Alexandros era la prima vera persona, il primo vero amico, con cui amava passare del tempo, sentirlo parlare di viaggi, di culture diverse e cosa più importante di tutte, era l'unico che non aveva timore di parlargli poiché suo superiore. Sapeva come prenderlo, come scherzare con lui e anche come prenderlo in giro e gli era veramente grato per questo.
-Sai, Alexandros, sono contento che tu sia arrivato in questo palazzo. Le mie giornate ora sono più piene e soprattutto posso interagire con altre persone, oltre a mia madre, mia zia Hurrem e mio zio Selim. - Alexandros gli sorrise e i suoi occhi blu si illuminarono di gioia.
-Devi esserti annoiato veramente tanto prima del mio arrivo, eh? -
-Non ne hai idea. -
-Beh, vorrà dire che faremo in modo di fare un po' di casino. Devi formare il carattere e farla vedere a quei viziati dei tuoi cugini. Non puoi restare rinchiuso per sempre in quella dannata libreria. - Stavano guardando le stelle nell'enorme giardino di palazzo Topkapi e ne avevano approfittato per prendere un po' d'aria fresca. - Ti insegnerò tutto quello che so e dopo tutti i miei insegnamenti sarai pronto per fare il culo a tutti, persino al sultano in persona. -
Ibrahim lo guardò e in quel momento, sotto una stella cadente, sperò che Alexandros non lo abbandonasse mai.









Spazio autrice!
Hola! Come state?
Scusate per il ritardo, ma adesso eccomi qui, più forte di prima e soprattutto non ho ucciso nessun personaggio. Penso che George R.R. Martin sarebbe fiero di me, voi che dite? XD
Scherzi a parte, che cosa ne pensate di questo capitolo? Abbiamo scoperto qualcosa in più su Zafiraa e abbiamo avuto un piccolo sguardo sulla nuova Roxelana, pardon Hurrem! Vi sembra cambiata adesso che ha trentacinque anni e non è più una ragazzina?
Fatemi sapere che cosa ne pensate di lei, di Zafiraa, Mustafà e tutti gli altri!
Grazie a tutti per il sostegno che mi date,
alla prossima!

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Capitolo 8
*** VI ***


-Zafiraa, giusto? - La sultana la sorprese alle spalle, facendola sussultare. Non le aveva mai rivolto la parola in tutte quelle settimane e pensava non lo avrebbe fatto per il resto della sua vita; cosa poteva mai volere da lei?
Era una bella donna, adesso che la guardava da vicino, per la sua età. Aveva qualche ruga intorno agli occhi chiari e alla bella bocca rosea, che le conferivano un'aria matura. I suoi occhi erano di ghiaccio, talmente freddi da metterle i brividi. Quando ti osservava sembrava ti stesse giudicando in malo modo. Tutto in lei trasudava potere, ricchezza e bellezza.
Se fosse stato un uomo, avrebbe sicuramente provato dell'interesse verso quella donna glaciale.
Probabilmente però erano i suoi capelli ad essere la cosa più bella che avesse mai visto. Rossi, come il fuoco; sembravano bruciare con una tale intensità, ardore, magnificenza da potersi consumare subito. Probabilmente la sua anima doveva essere così. Chissà se da giovane era stata mai impulsiva e ribelle, non così trattenuta e glaciale come appariva adesso. Doveva aver sofferto molto, per non sorridere mai.
-Sì, mia signora. In cosa vi posso essere utile? - Odiava comportarsi in questo modo, servile e ubbidiente, non era assolutamente nella sua natura. Lei non indossava vestiti femminili, non si inchinava davanti nessuno, non parlava in quel modo, lei era libera, felice, spericolata. Lei era una sirena. Non aveva bisogno di uomini, perché lei se li mangiava con la sua spada.
Non aveva bisogno di nessuno.
Lei era forte.
-Va' nelle stanze di mio figlio Mehmed Sultan e preparagli un bagno con gli aromi riportati su questo foglio. Sai leggere, vero? - Zafiraa annuì. Sapeva leggere, ma non si applicava da anni e pensava di essersene dimenticata. -Meglio così. Se non capisci qualcosa, ti do il permesso di chiedere direttamente a mio figlio. -
Zafiraa si inchinò, pensando che la conversazione fosse chiusa e cercò di andarsene. Hurrem Sultan continuava ad osservarla con un'espressione indecifrabile, che cosa voleva ora?
-Ho visto, inoltre, che mio figlio Bayezid abbia sviluppato un certe interesse nei tuoi confronti. - Hurrem arricciò le labbra, nascondendo un sorrisetto di scherno. - Ti ha anche regalato una collana, non è vero? -
-Sì, sua magnificenza. Ma Mustafà me l'ha requisita e... -
-Chiami il tuo padrone con il suo nome? Avete così tanta confidenza voi due? - Hurrem Sultan alzò un sopracciglio, squadrandola da capo a piedi. Aveva, nonostante tutti questi anni, ancora un lieve accento straniero. Sembrava russo. -Pensavo fossi una serva della nave di Drake e Fiammetta non una puttana capitata per caso... -
Zafiraa strinse i denti, assumendo la sua solita espressione dura. Aveva davanti la sultana di metà mondo, questo è vero, ma non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa da nessuno.
-Mia signora, capisco che voi siate la mia padrona e che abbiate le capacità e le forze di farmi e dirmi ciò che volete. Ma non intendo essere insultata da voi o da nessun altro qui dentro. Io ci tengo alla mia libertà. - Zafiraa alzò un sopracciglio, rincarando la dose di freddezza. Hurrem assunse per un momento un'espressione terrorizzata e sembrò impallidire, come se avesse visto un fantasma spuntare all'improvviso.
Pronunciò un nome e una frase in una lingue gutturale e dura e se ne andò, o meglio, scappò senza aggiungere altro.
Aveva pronunciato un nome familiare, che lei conosceva bene, poiché i suoi genitori lo avevano ricordato sempre: Ibrahim.










Zafiraa borbottò qualcosa, mentre si dirigeva verso le stanze del primogenito di Hurrem e del sultano, Mehmed Sultan. Non usciva mai dalle stanze. Alexandros le aveva detto che era molto malato, tutti pensavano fosse stato maledetto quando la sultana era incinta di lui e per quel motivo era nato malato e ogni giorno che trascorreva la morte gli si avvicinava.
Passava tutto il giorno al chiuso, tranne la sera che usciva per prendere un po' d'aria.
Era curiosa di vederlo, pensò Zafiraa, mentre trasportava l'enorme secchio d'acqua.
Quando girò l'angolo, notò Mustafà ed una delle concubine di suo padre, di cui egli non usufruiva più da vent'anni, una ricca nobildonna spagnola, rapita dalla sua patria, perciò si nascose, sperando che egli non la vedesse. Erano abbracciati e Mustafà le stava sussurrando qualcosa all'orecchio, che la faceva sorridere animatamente. L'erede al trono la teneva stretta per la vita e le accarezzava i morbidi ricci neri, mentre un sorriso affascinante, da abile predatore e seduttore, gli incorniciava il viso.
-Sapete, mia cara Emeralda, nei miei numerosi viaggi, ho incontrato tante donne di bellezza diversa, ma come la vostra mai. Anzi... - Sembrò pensarci su per qualche secondo e poi la guardò con un sorrisetto furbo. Era davvero un pessimo attore. - Mi è capitato solo una volta, ma non era una persona, era un oggetto. Un zaffiro blu come l'oceano. L'ho trovato per caso e ne ho fatto una collana per la donna che un giorno mi avrebbe rubato il cuore. -
-Brutto pezzo di merda! - Ringhiò Zafiraa, guardando tutta la scena. Il secchio dell'acqua le stava tagliando le mani per la pesantezza. In quel momento Mustafà tirò fuori la collana che le aveva regalato Bayezid, quella che aveva lo stesso colore degli occhi di suo padre e la diede alla ragazza. Lei sorrise, felice e Mustafà guardò Zafiraa, divertito. Lei abbandonò il secchio per terra, non importandogliene se si sarebbe versato e andò incontro ai due.
-E' questo ciò che fate, Mustafà? Regalate a tutte le donne di questo palazzo la stessa collana, riempendole di bugie per poi lasciarle il giorno dopo? - Zafiraa lo colpì sul braccio con uno schiaffo, che doveva sembrare innocente, ma che in realtà era molto più doloroso di quanto sembrasse. Mustafà, infatti, si morse l'interno guancia per non far vedere quanto gli avesse fatto male. -A me ne ha regalate due di queste collane! Mi ha detto che il mio nome significa 'cosa bella', proprio come me e che avrebbe fatto di tutto pur di rimanere al mio fianco per tutta la vita, perché io sono la cosa più bella che gli sia mai capitata. -
Emeralda si girò verso Mustafà, guardandolo in modo stupito e arrabbiato allo stesso tempo. Si allontanò dall'erede al trono, disgustata dal suo comportamento libertino e dopo averlo schiaffeggiato gli lanciò contro la collana, che sarebbe potuta cadere per terra e rompersi, se Zafiraa non l'avesse presa e messa nella scollatura del vestito. Lì era sicura che Mustafà non vi sarebbe mai arrivato.
-Non ascoltate le parole di questa stupida serva, mia cara, mente. - Mustafà cercò, invano, di giustificarsi, ma la nobildonna non gli credeva.
-Avevo sentito delle voci su di voi e sulla ragazza dai capelli bianchi, ma non credevo fossero vere! Non mi rivolgete mai più la parola, Mustafà Sultan. Io non sono quel genere di donna! - E senza aggiungere altro se ne andò, tutta capelli neri e fruscii colorati di gonna.
Zafiraa scoppiò a ridere, notando la faccia di Mustafà, un concentrato di rabbia, stupore e incomprensione.
-Tu oggi verrai punita! Razza di idiota, hai appena oltrepassato il limite. Sei la mia serva e non puoi di certo trattarmi così davanti a tutti! - Mustafà l'afferrò per un braccio, tirandola in un angolo buio, aumentando la presa man mano che la risata di Zafiraa si faceva più acuta e divertita. - E che cosa sono queste voci che si sono sparse, eh? -
-Non ne ho idea, io non bado a ciò che i servi dicono. Ma sarà sicuramente qualcosa di falso. -
-Ti uccido con le mia mani se dovesse arrivare qualcosa di strano alle mie orecchie. Sono stato chiaro?! -
-Oh cielo, aiuto! Non ho paura di voi, Mustafà, dovete mettervelo bene in quella testaccia nera e dura. Se osate sollevare un dito su di me, io farò altrettanto. Occhio per occhio, dente per dente. Ricordate? - Zafiraa lo spinse via, facendogli perdere l'equilibrio per qualche secondo. Mustafà borbottò qualcosa di incomprensibile, mentre la osservava andare a prendere il secchio e tornare da lui.
-Non hai il permesso di stare qui. Che cosa ci fai? -
-La sultana in persona me lo ha detto. Non posso disobbedire ai suoi ordini. -
-Benissimo, fa ciò che devi fare e poi vieni da me. Sarò nelle mie stanze, ho bisogno di un massaggio. -
-Non posso. -
-Come sarebbe a dire?! - Mustafà era davvero alterato e quando lo era la sua voce, di solito possente, diventata simile ad una ragazza, nonostante lui cercasse di mascherare il tutto. Era impossibile prenderlo sul serio così.
-Devo accompagnare vostro fratello Bayezid a cavallo. -
-Non se ne parla proprio, non hai il mio permesso. -
-Non siete il mio unico padrone. -
-Questo è vero. Ma io ho la priorità su di te, sei di mia proprietà. -
-E poi non voglio passare tutto il mio tempo con voi, Mustafà, non siete altrettanto bello da guardare come Bayezid. Anche voi non siete bello. -
-Se è così ci completiamo a vicenda no? - L'erede al trono sospirò, sembrava essere ritornato calmo. - Verrò anche io con voi due. Il mio povero fratellino potrebbe fare qualche domanda inopportuna ed è meglio essere lì per rispondere. -
-Non sono stupida, Mustafà, lo sapete benissimo. -
Egli non rispose e la salutò con un gesto annoiato della mano, prima di andarsene.
Perfetto, pensò, avrebbe dovuto sopportare quel maledetto assassino per tutto il pomeriggio.




Zafiraa sorrise alle due guardie che sorvegliavano la porta, prima di entrare. Sapevano chi era, Hurrem Sultan aveva lasciato detto che lei sarebbe venuta per tenere compagnia a Mehmed Sultan durante il suo bagno e la prova era anche che lei aveva un enorme secchio d'acqua da riscaldare fra le mani.
Una delle guardie aprì la porta e annunciò la sua presenza, Zafiraa non udì nessun suono.
Entrò, spalancando gli occhi e cercando di abituarsi al buio della camera. Il fuoco nel cammino era sul punto di spegnersi e la camera era gelata come il mare del nord.
Non riusciva a vedere il tanto misterioso Mehmed Sultan perché era nascosto tra quintali di coperte e veli che coprivano il letto a baldacchino e di certo l'oscurità non aiutava.
-Mehmed Sultan, sono Zafiraa e vostra madre mi ha ordinato di venire da voi per prepararvi il bagno. -
-Oh, salve, Zafiraa. - Il secondo erede al trono per linea diretta si mosse tra le innumerevoli coperte, ma Zafiraa non riusciva ancora a vederlo. - Potresti cortesemente ravvivare il fuoco? Io non posso. -
-Sì, certamente. Come preferite l'acqua? - La ragazza andò all'enorme caminetto dipinto di vari ghirigori e vi mise altra legna, smuovendolo con l'attizzatoio e soffiandovi per far ravvivare la fiamma; in pochi secondi infatti essa riprese e si sentì lo scoppiettio della legna arsa dal fuoco.
-Fredda. Va bene fredda. Mi aiutereste ora ad uscire da questo inferno gentilmente? - Zafiraa aggrottò le sopracciglia. Era così pigro da voler essere aiutato persino per scendere dal letto? Cos'altro, doveva venire imboccato?
Ma ella non disse nulla, poiché sapeva che con Mustafà poteva competere ma con gli altri membri, soprattutto con i figli di Hurrem Sultan, non poteva aprire bocca. Era impensabile farlo, considerato il modo soffocante, alle volte, in cui ella si occupava dei propri figli. Soprattutto per Mehmed, la sultana dimostrava un'apprensione maggiore, un'attenzione quasi esagerata, probabilmente perché nel caso di una dipartita di Mustafà, egli sarebbe stato il prossimo erede diretto al trono ottomano o forse perché egli era molto malato.
Si avvicinò al letto, scostando le enormi coperte di lana e il velo che circondava il letto a baldacchino. Poco alla volta la camera cominciò ad illuminarsi e lei poté osservarlo meglio.
Rimase stupita e per poco non urlò, quando vide che il figlio del sultano, quello che doveva rappresentare la massima prestanza fisica, la perfezione del sublime stato ottomano, era malato. Malato come lei!
Aveva la pelle bianchissima, così come i suoi capelli, ricci e corti, ai quali però si intrecciavano ciocche sul biondo chiaro. Gli occhi, di colori differenti, uno verde con qualche sfumatura castana e l'altro grigio- azzurro, erano circondati da ciglia folte ma chiare e da sopracciglia altrettanto chiare.
Non poteva crederci! Tra tutti i paesi che aveva visitato, tra tutti i posti in cui era andata per cercare spiegazioni, proprio in quel maledetto castello doveva trovare qualcuno come lei, anche se con qualche piccola differenza!
-Dovresti prendere la sedia, quella in legno, posta vicino la finestra e portarla qui. - Considerato che Zafiraa lo guardava senza muoversi, Mehmed le sorrise, ma il suo sorriso si spense quando notò una ciocca di capelli completamente bianchi nella serva. - Ma tu... i miei occhi mi ingannano? -
-No, se i miei non mi ingannano. - Si osservarono attentamente, reprimendo l'impulso di toccarsi. Zafiraa aveva sentito una strana sensazione di ansia, man mano che si avvicinava alle sue camere, ma non vi aveva badato. Pensava fosse dovuta alla stanchezza, poiché quel giorno avevano praticamente fatto di tutto. Si avvicinava il compleanno di Hurrem Sultan e il sultano desiderava che tutto fosse in ordine per i vari ospiti speciali che sarebbero giunti da molto lontano a rendere quel giorno sempre più speciale per la sua unica amata.
-Ma tu, sei quella nuova, non è vero? Quella che mio fratello Mustafà ha portato da molto lontano? -
-Sì, mio signore. Sono la sua serva. - Pronunciò l'ultima parola a denti stretti, facendo ridacchiare il ragazzo. Aveva una bella risata e una voce gentile.
-So che mio fratello alle volte può essere duro, a tratti cattivo, ma è una brava persona. Col tempo lo scoprirai anche tu. E' diventato così per ciò che ha passato, ha avuto un passato molto duro e mia madre è stata anche una delle cause, per sua sfortuna. - Zafiraa annuì, ma niente le avrebbe fatto cambiare idea. Aveva ucciso i suoi genitori, niente contava più per lei. Era suo nemico.
-Ha ucciso delle persone a cui tenevo, mio signore. Non penso proverò mai pietà per quell'essere. - Non sapeva perché, ma parlare con Mehmed era come parlare con se stessa. Era una sua versione, maschile, e si stupì di questo.
-I tuoi genitori, scommetto. Ma tu hai ucciso sua moglie e i suoi figli. Cosa è più grave? - Zafiraa lo guardò, non sapendo cosa rispondere. Come faceva a saperlo? Doveva dirlo a Mustafà che lui sapeva? - Non preoccuparti, so tutto. Mio fratello si fida di me e io non ho un gran rapporto con nostro padre, proprio come lui, perché sono diverso, malato e storpio. Non direi niente né a lui né a mia madre. -
-E non siete arrabbiato con me, non mi odiate? Ho ucciso i vostri nipoti. Ho ferito la vostra famiglia. -
-E lui ha ferito la vostra. Chi ha ragione, chi ha torto? Siete entrambi degli assassini, ma avevate le vostre ragioni. Tu vendetta e lui doveva pensare a se stesso, alla sua famiglia e agli ordini. Eravate in guerra, e suppongo lo siate tutt'ora e si sa che in questi casi si gioca sporco per salvarsi la vita. - Mehmed tossì e un rivolo di sangue uscì dalla sua bocca sottile e saggia. Zafiraa si affrettò ad afferrare un fazzoletto di seta e pulirgli l'angolo della bocca. Lui gli sorrise, riconoscente. - A te, almeno, è rimasto tuo fratello. A lui, non è rimasto nessuno. E' solo. -
-Quindi dovrei semplicemente essere grata che mi sia rimasto Alexandros? Dovrei accontentarmi di essere viva e di vivere in una terra che mi ha portato via la maggior parte dei miei famigliari, la mia libertà, la mia nave, la mia felicità? - Zafiraa scosse la testa, facendo oscillare i lunghi capelli bianchi. Si alzò e andò a prendere quella strana sedia, che aveva quattro ruote invece di gambe normali. Provò compassione per quel ragazzo, poiché a lui era andata anche peggio di lei. Come aveva detto lui, era diverso, malato e persino storpio. Lei era semplicemente diversa.
-No, non dico questo. Ma non dovresti farti consumare dalla vendetta. Molte persone in questo palazzo lo hanno fatto e adesso sono tormentati dal passato e da scelte che avrebbero potuto fare. - Zafiraa non poté fare a meno di pensare a Hurrem che era scappata all'improvviso, come rincorsa da qualcuno. Era forse lei, una delle tante?
-Voi mi siete antipatico, lo sapete? -
-Invece ti sono simpatico. Sono la voce della verità e sia tu che mio fratello non volete sentirvi dire le cose come stanno. - Mehmed le sorrise, circondandole le spalle con le braccia, mentre lei lo sollevava per farlo sedere sulla sedia. Spingerla era abbastanza semplice, anche se cigolava molto. Zafiraa lo avvicinò al caminetto, andando ad aprire le tende pensanti. La luce del giorno entrò e i due assottigliarono gli occhi in contemporanea, come sempre, infastiditi dalla luce solare.
-Anche a voi dà fastidio, non è vero? -
Mehmed annuì, tristemente. - Vorrei poter passare più tempo all'aperto, ma il minimo contatto mi potrebbe bruciare la pelle. E suppongo capiti lo stesso anche a te. -
-Sì, ma io non vi ho mai rinunciato. Amo troppo il sole. Cerco sempre di coprirmi il più possibile e restare lì dove c'è più ombra. - Zafiraa scrollò le spalle e gli regalò un grande sorriso sincero. Il primo dopo settimane. -Sono amante del pericolo. -
-Vorrei poterlo fare anche io. Ma non sopporto le occhiate della servitù, dei miei fratelli e di mio padre. Sono una delusione per tutti, tranne che per mia madre, mio fratello Mustafà, mia zia Hatice e mio cugino Ibrahim. Sono le uniche persone che sopportano la mia vista e passano del tempo con me. -
-Dovete imparare a fregarvene. Adesso che vi ho conosciuto, e credo che vostra madre lo abbia fatto apposta a combinare il nostro incontro, poiché siamo uguali, con me tutti vi rispetteranno. -
-Te lo puoi scordare. Io non mi muovo di qui. -
-Quanto ci scommettiamo, Mehmed Sultan? -

 

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Capitolo 9
*** VII ***


Mustafà incontrò i visir nelle segrete buie, sporche, umidicce e piene di topi. Lì era sicuro che nessuno li avrebbe uditi, a parte qualche prigioniero, giustiziato il giorno seguente.
Aveva mandato via le guardie, assicurandosi di restare da solo e aveva fatto portare del vino e del cibo.
-Sua magnificenza, abbiamo ricevuto il vostro messaggio. - Uno dei visir, tra i più anziani e al servizio dell'impero da tempo immemore, si fece avanti. Conosceva Hurrem dal primo giorno in cui venne portata come regalo di compleanno al sultano, suo attuale marito, e perciò sapeva perfettamente di che cosa ella era capace pur di mantenere il potere.
Non approvava il modo in cui ella lo aveva ottenuto, né come lo esercitava sul sovrano.
Mustafà voleva prendere la palla al balzo e cercare di assicurare il suo futuro. Gulbahar, sua madre, gli aveva spesso raccontato di che cosa le aveva fatto; aveva tentato di ucciderla, e minacciato lui, che allora era un bambino indifeso. Suo padre, ovviamente, aveva creduto alle bugie della rossa, quando sua madre si era dichiarata non colpevole del volto sfigurato di lei e li aveva mandati via per sempre. Sua madre adesso era morta e tutto il passato per il sultano sembrava esser stato dimenticato con gli anni, come se non fosse successo niente.
Con quell'incontro segreto doveva aggiudicarsi l'appoggio dei visir come unico primo erede al trono. Titolo, di cui Mustafà era sicuro, Hurrem lo avrebbe privato in tutti i modi, in onore di suo fratello Selim e di tutti i suoi altri figli. Mehmed era troppo debole per regnare, ma aveva lo stesso la carica di principe ereditario.
Mustafà era il legittimo erede.
-Mio padre è come impazzito, amici miei. Hurrem, quella puttana rossa, se ne approfitta, giocandoselo come meglio vuole. - I visir annuirono, approvando le sue parole. - Cercherà in tutti i modi di cambiare la linea di successione al trono, con l'appoggio di mio padre il sultano, favorendo il suo secondogenito Selim. Lo hanno mandato a Manisa, dopotutto, quando spettava a me come primo erede. -
-Vostro padre vive nel passato, mio principe. E' perseguitato dai fantasmi e il senno lo abbandona ogni giorno che passa. -
-E ovviamente la mia matrigna cara sa come sfruttare la sua pazzia in suo favore. - Mustafà fece una smorfia di disgusto, massaggiandosi distrattamente la barba folta.
-Non credo che il nostro sultano sia così stolto da farsi ingannare da una donna, seppur suo unico amore. E poi Hurrem lo ama. La loro storia d'amore sarà ricordata nei secoli. -
-Certo che lo ama, miei cari visir e mio caro principe. Lo ama talmente tanto da averlo tradito con quello che per lui era come un fratello, il nostro ex Gran Visir, Ibrahim Pascià. - Il vecchio visir fece una pausa, versandosi un po' di vino nel bicchiere d'oro. Era talmente vecchio che ogni movimento equivaleva ad un tremito. Mustafà, nell'udire quella notizia, spalancò lo sguardo. Non poteva crederci, Ibrahim era stato come un padre per lui e un fratello per sua madre. - Le abbiamo sentite tutti le urla della sultana, circa vent'anni fa. Erano disperate e dalla sua bocca usciva solo un nome e non era quella di suo marito. Pianse tutta la notte e quando sorse il mattino, sulla sua faccia non c'era più nessuna lacrima. La verità è che quella donna non ama nessuno realmente; ciò che ama e che amerà sempre è il potere. -
Tutti i visir si guardarono, esterrefatti, persino Mustafà non ne aveva idea. Nessuno gliene aveva mai parlato, nemmeno sua madre...
Probabilmente erano cose che ti segnavano, di cui si preferiva non parlare. Ibrahim era molto amato, ma anche molto odiato.
-Ecco perché dobbiamo fare qualcosa per impedirle di acquisire potere. I suoi figli non sono degni di sedere su quel trono. Allah lo sa, se sono figli di mio padre. -
-Potremmo sempre sfruttare questa ipotesi in vostro favore, mio principe. Ma in ogni caso noi siamo con voi. -
Gli uomini alzarono i calici, brindando ad un nuovo regno con Mustafà a capo.






Il palazzo era silenzioso, ma completamente decorato a festa, con le cucine che preparavano prelibatezze da giorni.
Era giunto il compleanno di Hurrem, che compiva trentasei anni. Tutti gli abitanti del palazzo erano chiusi in un enorme salone dove si stava festeggiando, assieme ad altri nobili ottomani e loro alleati. Tutti tranne lui, che le aveva solamente augurato di passare un felice compleanno ed era uscito, lasciando Zafiraa lì ad occuparsi di Mehmed.
Si trovava nella piccola, ma ben fornita, biblioteca, situata nelle vicinanze del primogenito di Hurrem, quando tre uomini ben piazzati ed armati lo accerchiarono.
-Salutateci Allah, vostra grazia. - Disse uno di loro prima di attaccare. Mustafà estrasse la spada con velocità, riuscendo appena in tempo a contrastare il colpo dell'uomo che aveva parlato. Erano dei dannati mercenari! Ma come avevano fatto ad entrare?
-Fatevi avanti, figli di puttana! - Il principe cercò in tutti i modi di contrastarli e combatterli, ma provava ancora molti fastidi alla spalla. Infatti egli venne disarmato e buttato per terra. L'arma sembrava pesare quanto un'intera imbarcazione.
-Ditemi quanto vi hanno pagato e io vi pagherò il doppio. - Mustafà ansimava, sfiancato. Si sentiva così inutile e idiota.
-Mi dispiace, principino, ma il prezzo è più che sufficiente. - Gli tirarono un calcio che gli ruppe il naso sonoramente. Mustafà rise, sputando del sangue per terra, mentre lo afferravano per le braccia, mentre il terzo uomo era pronto a piantarli la sua spada nel petto.
-Sapete, trovo alquanto poetico uccidere un uomo con la sua spada. Probabilmente lo prenderanno come un suicidio. - Il mercenario lo prese per i capelli mentre gli parlava con aria divertita.
-Uccidetemi pure, se vi fa piacere. Ma mio padre vi troverà e vi farà cose che voi tre non potete neanche immaginare. Poi vi curerà e vi torturerà ancora, ancora e ancora. -
-E chi vi dice che non sia stato lui a mandarci? Come avremmo fatto ad entrare altrimenti? Addio, principino. -
Se non fosse stato per il repentino intervento di Zafiraa, probabilmente Mustafà sarebbe morto stecchito. Infatti la ragazza con sorprendente velocità uccise i tre uomini in tre semplici mosse, facendo saltar loro la testa. I tre caddero per terra in un unico colpo.
Zafiraa aveva il fiatone ed era ricoperta di sangue. Suo o dei mercenari, non sapeva dirlo.
-State bene? - La ragazza si inchinò, abbandonando la spada al suo fianco e aiutando l'uomo, che si aggrappò a lei per farsi rialzare.
Mustafà annuì, deglutendo. Era pallido come un morto. - Grazie. -
Zafiraa annuì, imbarazzata, allontanandosi dal principe, che la osservò mentre si puliva le mani sul vestito. - Chi erano? -
-Mercenari assoldati per uccidermi. Chiunque li abbia mandati vive a Palazzo. -
-Avete qualche idea? - Mustafà scosse il capo, guardando il braccio sanguinante della ragazza.
-Sei ferita. -
-E' solo un graffio, sto bene. -
-Sanguina. - Mustafà le fece un cenno. - Devo fasciartela per fermare l'emorragia. Vieni entriamo -
Entrarono nella stanza di Mehmed, sapendo di non trovarlo. Anche lui stava festeggiando con la madre.






-Siediti. - Zafiraa per una volta fece come le fu ordinato, sedendosi sul bordo del letto. La camera di Mehmed era buia, come suo solito, nonostante fosse pomeriggio inoltrato. Il camino era acceso, ma sul punto di spegnersi e la luce che il fuoco emanava era l'unica fonte di illuminazione. Mustafà le dava le spalle, possenti e larghe che tiravano il tessuto della camicia nera che indossava, mentre muoveva le braccia per ravvivare il fuoco.
Zafiraa lo guardava, mentre lo aspettava. Era un piccolo taglietto, niente di così grave; era sopravvissuta a molto peggio. Era molto imbarazzata, ma capiva che Mustafà era un uomo di onore e doveva cercare di riscattarsi per avergli salvato la vita.
Si alzò, facendo schioccare le dita della mano e si inginocchiò davanti alla ragazza.
-Se qualcuno vi vedesse adesso, cosa penserebbe mai, mio signore? Il principe ereditario che cura una povera serva malata! - Cercò di sdrammatizzare, mentre Mustafà strappava un lembo delle lenzuola bianche di Mehmed e lo legava intorno al braccio per fermare la fuoriuscita di sangue.
Non la guardò per tutto il tempo, mentre Zafiraa si soffermava sulle crepe dei muri o sul fuoco che scoppiettava.
-Ecco fatto. - Mustafà la guardò, mentre si puliva con la mano dal sangue che gli sporcava la bocca. Il naso aveva assunto una strana forma, non normale. Doveva farselo rimettere a posto.
Si guardarono per un momento, non sapendo precisamente cosa dire. Non si erano mai trovati in quella situazione. Avevano sempre combattuto uno contro l'altra nelle varie battaglie e nessuno dei due si era preso cura dell'altro.
-Potevi lasciarmi morire e così scappare con tuo fratello, ritornare in libertà. Perché non lo hai fatto? Perché non hai avuto la tua vendetta? -
-Perché non siete voi quello che voglio uccidere per primo. Avete fatto il vostro dovere, lo capisco, eravate sotto assedio e dovevate difendere la vostra famiglia. E io dovevo fare la stessa cosa. Ecco perché ci siamo risparmiati a vicenda ed ecco perché avete risparmiato anche mio fratello. - Zafiraa sospirò. Probabilmente non aveva senso, ma erano molto simili e ragionavano allo stesso modo. - E poi dove potrei mai andare? La mia nave sarà sicuramente stata bruciata e la mia ciurma, be' penso che siano tutti morti. -
-Quindi mi stai dicendo che ti piace stare qui, in questo palazzo e indossare questo abito? - Mustafà la guardò, sollevando le sopracciglia. Zafiraa lo guardò inorridita e questo fece ridacchiare il principe.
-Come potete solo pensare ad una cosa del genere? Per chi mi avete presa? - Zafiraa incrociò le braccia al petto. - Certo, quando avrò avuto ciò che voglio, me ne andrò a gambe levate da qui. Ma fino ad allora sopporterò. E poi, voi ve la passate peggio di me. I miei famigliari non avrebbero mai potuto mandare qualcuno per uccidermi. -
-Certo, tu non erediterai tutta questa merda. - Mustafà sospirò, affranto. - Sai, se Mehmed non fosse nato malato e se Ibrahim fosse stato figlio di mio padre, avrei lasciato loro il comando e io me ne sarei andato lontano, avrei viaggiato e combattuto, ma... -
-Ma? - Zafiraa lo guardò. Che diavolo stava succedendo tra quei due? Mustafà afferrò una ciocca dei suoi capelli bianchi e la strofinò fra le dita. Non era la prima volta che lo faceva e non era la prima volta che glielo lasciava fare.
-… Ma la mia matrigna è una stronza manipolatrice e non potrò mai lasciare il mio regno sotto il suo controllo. Sono abbastanza sicuro che sia stata lei ad organizzare tutto questo. - Mustafà la lasciò andare, alzandosi. - Meglio che vada adesso. Devo farmi rimettere in sesto il naso e partecipare ai festeggiamenti con Hurrem. Voglio proprio vedere la sua faccia, visto che sono ancora vivo. - Si fermò vicino alla porta, offrendo il braccio alla ragazza. - Vieni? -
Zafiraa scosse la testa, rimanendo seduta. - No, i festeggiamenti mi annoiano e poi ho cose da serve di cui occuparmi. - Zafiraa forzò un sorriso, vedendo un'ombra di delusione negli occhi di Mustafà.
-Tu non sei una semplice serva, Zafiraa. - Uscì dalla stanza e lei si buttò sul letto, sfinita.






SPAZIO AUTRICE!
Buongiorno a tutti e rieccomi finalmente con un capitolo dopo anni di assenza! Mi vergogno per avervi fatto aspettare così tanto, ma non avevo ispirazione e soprattutto c'era il blocco dello scrittore che mi ha praticamente buttato giù.
Ad ogni modo, che cosa ne pensate di questo capitolo? Mustafà sta facendo magagne per assicurarsi il suo posto a palazzo e probabilmente sta facendo la scelta migliore, conoscendo la nostra Hurrem e delle cose di cui è capace. Chi sarà stato a mandare le guardie? E Zafiraa e Mustafà sembrano essersi avvicinati, loro malgrado. Sarà qualcosa di momentaneo o di duraturo?
Commentate, facendomi sapere. I pareri fanno sempre piacere!
Grazie a tutti per il supporto,
alla prossima!

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Capitolo 10
*** VIII ***


Zafiraa entrò in camera del principe Mehmed senza bussare. Il ragazzo era seduto davanti al fuoco e leggeva un libro rilegato dalla copertina rossa. I capelli chiari sembravano aver assunto il colore del fuoco e la pelle pallida si era leggermente arrossata. Avvicinò una delle sedie e gli sedette di fronte, osservandolo mentre leggeva.
Lo facevano spesso; restavano seduti l'uno vicina all'altra mentre uno leggeva e l'altra lo osservava, persa nei suoi pensieri. Non aveva mai fatto una cosa simile con suo fratello Alexandros, con lui usava le armi per sfogarsi.
Era strano, pensò Zafiraa, avevano legato subito, dal primo giorno in cui si erano incontrati per la prima volta. Fra di loro c'era una connessione particolare, non romantica, ma di un tipo più profondo. Quando gli era così vicino e stavano in silenzio, sentiva qualcosa all'altezza del cuore, nelle vene, lì dove era nascosta la sua anima, che cercava di dirle qualcosa.
Non riusciva a capire che cosa, non sapeva se qualcuno glielo avrebbe mai detto, ma quel tipo di connessione non l'aveva mai avuto con nessuno dei suoi conoscenti o famigliari. E stranamente, non la spaventava.
Lo osservò, mentre richiudeva il libro e la guardava con i suoi grandi occhi chiari e un sorriso gentile sulle labbra.
Non somigliava ad Hurrem, tranne quando corrucciava le sopracciglia quando era infastidito da qualcosa. E per quanto ne sapeva e si diceva in giro, Mustafà era la copia sputata del sultano, quindi Zafiraa non credeva che somigliasse neanche a suo padre.
-Che cosa c'è, Zafiraa? Mi stai fissando e sai che mi fai paura quando lo fai. -
-Stavo solo pensando, Mehmed. - Zafiraa scrollò le spalle e una ciocca di lunghi capelli bianchi, le cadde davanti l'occhio.
Quanto li odiava! Ripensando a quello che era accaduto qualche giorno prima, avvampò all'improvviso, aggrottando le sopracciglia. Mehmed sorrise sotto i baffi, facendo luccicare gli occhi.
Stava molto meglio e aveva messo su del peso da quando Zafiraa gli faceva visita ogni giorno e lo portava in giardino a prendere un po' d'aria. In realtà erano l'uno la medicina dell'altra.
-A qualcuno in particolare? - Mehmed fece un sorrisetto malizioso, sapendo che sfottendo la ragazza su quell'argomento, avrebbe suscitato una reazione che raggiungeva i più alti livelli di isterismo.
-Ma che cosa dici! Sei impazzito?! Sai benissimo che a me questo tipo di cose non interessa. - La voce di Zafiraa aveva raggiunto livelli talmente alti che la potevano sentire in tutto il castello.
Mehmed cominciò a ridere e quando lo faceva, le migliorava la giornata. Infatti la ragazza nascose un sorrisetto soddisfatto sotto la facciata da dura e arrabbiata.
-Allora, quale dei tanti uomini che hai letteralmente schiavizzato con il tuo charme, si tratta? - Il principe sollevò un sopracciglio, interessato. Adesso era serio.
-Io non ho schiavizzato nessuno. - Borbottò Zafiraa, colpevole. Forse era vero. Ma lo aveva fatto per vivere al meglio in quella situazione di merda. Si era fatta qualche amico importante tra le guardie, tra i servi e tra le cucine, per avere l'opportunità di poter uscire ed entrare liberamente a cavallo, poter entrare ed uscire dalla camera di Mehmed liberamente e avere qualche porzione di cibo in più per lei e suo fratello.
-Certo e io non sono uno storpio! -
-Mehmed! -
-Sì, è il mio nome. E il tuo deve essere Zafiraa. Ma cambiando argomento con me, non funziona! -
-Io ti odio, lo sai? -
-Certo, che no. - Mehmed fece un grande sorriso e luminoso.
-Ah, basta, me ne vado! Ho del lavoro da fare, al contrario tuo, principino. - Zafiraa si alzò e lo baciò sulla guancia, prima di andarsene.
-Scappa da uno storpio, mi raccomando. Allah si vendicherà della tua anima. -
-Sì, ci vedremo nel jahannam*, allora! -




Bayezid comparve all'improvviso quando lei svoltò l'angolo. Zafiraa, talmente persa nei suoi pensieri, non si accorse della sua presenza e andò a sbattergli contro. Le mani del ragazzo le cinsero la vita, stringendola in modo inappropriato, mentre un sorrisetto malizioso gli dipingeva il bel viso.
-Ti stavo cercando, mia bella. -
-Sono stata occupata, mio principe. Non potevo venire a trovarvi. - Zafiraa borbottò qualche frase sconnessa, mentre cercava di allontanarlo. Odiava quando la toccavano senza il suo permesso, era qualcosa che non riusciva a concepire. Ma il principino se lo doveva tenere buono per la sua stessa vita. Sembrava essere il favorito di Hurrem, per quanto una madre ne possa avere...
-Abbiamo un'uscita in sospeso, ricordi? Da quanto non esci da questo maledetto palazzo? Starai diventando pazza. -
-Non ne avete idea quanto. - Zafiraa sorrise. - Ma Mustafà, cioè il mio padrone, non mi consente di uscire senza la sua presenza. -
Bayezid arricciò le labbra e annuì, dandole ragione. - Già, mio fratello sa proprio essere uno stronzo. -
-Temo che non si possa fare nulla, mio principe. -
-Mai dire mai, se mettessi in mezzo mia madre, forse ti lascerebbe tutta per me. -
-Merda... - Zafiraa digrignò i denti, sperando che qualcuno la salvasse in quel momento. Ma ovviamente, quando c'era bisogno di Mustafà lui non c'era mai. Stupido idiota.
-Come, prego? -
-Meraviglioso, ho detto. Cosa avete capito? -
Bayezid scosse il capo, sorridendo. Le afferrò il viso tra le mani e si chinò su di lei, baciandole leggermente le labbra. Zafiraa trattenne i conati di vomito e forzò un sorriso.
-Allora ci vediamo dopo, mia bella. - Bayezid la lasciò andare finalmente e lei poté scappare il più lontano possibile. Che schifo di situazione!






Zafiraa piombò in camera sua come una furia; Mustafà sollevò lo sguardo dal libro che stava leggendo, guardandola divertito. Aveva il viso arrossato e i capelli talmente disordinati da sembrare una sorta di cespuglio bianco sulla sua testa, poteva anche sembrare divertente, se dai suoi occhi ella non avesse sputato fuoco. Era proprio infastidita e arrabbiata.
-Quando tu entri in camera mia in questo modo, non è mai un bene. Dimmi, che cosa avrò mai fatto adesso? - Mustafà poggiò il libro sul tavolo, osservandola calmo. Si sentiva ancora debole e non ne aveva ancora discusso con suo padre, dell'accaduto. Non poteva fidarsi di nessuno, in quel momento, a parte... lei. Quella pazza di Zafiraa.
-Tu niente! Quel perseguitante di tuo fratello, invece! - Alle volte, quando era arrabbiata come in quel momento, sembrava dimenticare di non essere più un suo pari e gli parlava come quando, tanto tempo prima, combattevano l'uno contro l'altra.
-Quale degli innumerevoli? - E Mustafà, molto spesso, lasciava correre, perché a lui mancavano terribilmente quei tempi.
-Bayezid. Quello che vuole costantemente toccarmi e attaccare le sue raccapriccianti labbra sulle mie. - Rabbrividì al solo pensiero, tremando. Mustafà sollevò il sopracciglio, alzandosi e avvicinandosi a lei.
-Ha... ha per caso tentato di...? -
-No! Certo che no! Non sarebbe ancora vivo, o almeno avrebbe qualche pezzo in meno. Lo sai bene. -
Mustafà rabbrividì, ripensando a quel momento spiacevole nella vasca. Non doveva farla innervosire quando si trovava nudo in sua vicinanza.
-E per cosa sei venuta da me, allora? Di questo genere di cose ne parli personalmente con Mehmed, non con me. E poi... dopo l'ultima volta che ci siamo visti, qualche giorno fa, tu sembravi convinta a non parlarmi. -
-Lo ero, a dir la verità. Ma dobbiamo stare costantemente l'uno vicino all'altra, quindi mi sembrava inutile prolungare questo silenzio. - A volte la sua sincerità lo disarmava. - Comunque, non stavamo parlando di noi due. Ma di me. -
-Egocentrica. - Mustafà sorrise, avvicinandosi ancora, fino ad averla a due centimetri di distanza. Osservò i suoi capelli arruffati e alzò la mano per sistemarglieli. - Che cosa posso fare per te, allora? Hai il mio pieno appoggio su qualsiasi cosa, purché legale, poiché ti devo la mia vita. -
-Adesso capisco che cosa significa avere dei servi che ti leccano il culo tutto il giorno. - Zafiraa rise, notando la faccia infastidita di Mustafà. - Io propongo una tregua tra noi due. Tutto il passato dimenticato, cerchiamo di essere amici, per quanto ci si possa riuscire. Tu non hai nessuno e hai bisogno di persone su cui far affidamento, soprattutto dopo tutto l'accaduto. Mi sembra un accordo equo e giusto per entrambi. -
-Giusto. E tu sei abbastanza abile con la spada. -
-Abbastanza? - Zafiraa sollevò il sopracciglio, offesa.
-E' un grosso complimento. -
-Bene, allora affare fatto. - Zafiraa si sputò sulla mano e Mustafà fece lo stesso, prima di stringersela. - Allora, devi venire con me questo pomeriggio. -
-Dove? -
-Con me e Bayezid. Vuole portarmi fuori a cavallo e se ci sei tu, forse, non mi toccherà e così eviterai che io uccida qualche altro membro della tua famiglia. -
-Tu sì, che sai lasciarti il passato alle spalle. -
-Scusa, mi diverto ancora a prenderti per il culo. Mi serve tempo per abituarmi a te e a questa nuova cosa. Le tradizioni sono dure a morire. -
Mustafà, suo malgrado, rise. Ma la smetteva mai di parlare?
-Va bene, Zafiraa. Verrò con te e ti offro la mia completa disponibilità. -
-Bravo, principino. Ci vediamo dopo. - Zafiraa lo salutò con la mano ed uscì talmente veloce com'era tornata. Tutta capelli bianchi, fruscii di vestiti e vita.
Ma di loro e del perché lei non gli aveva parlato per così tanto tempo, non avevano discusso, ma avrebbe ripreso l'argomento, ne era certo. Era curioso.




Il principino le inviò un messaggio, nel quale le lasciava detto di incontrarlo nelle stalle; aveva saputo che anche suo fratello Mustafà avrebbe partecipato all'incontro e non desiderava molto la sua presenza, poiché quella era solo un'uscita per due, per lui e per lei, la sua amata.
Zafiraa sorrise, divertita dal desiderio che quel principino provava per lei. Poteva usare quella situazione per far sì che Bayezid si legasse maggiormente a lei e in questo modo egli gli rendesse la sua libertà.
Ci pensò veramente e prese in considerazione l'idea di potersene approfittare, ma ebbe disgusto di se stessa qualche secondo dopo. Lei non agiva in quel modo, lei preferiva brandire una spada, infilzare il nemico, sentirsi libera perché aveva lei il potere di decidere... In quel momento si sentiva inutile, una stupida serva malata che tentava la scalata sociale.
Non aveva bisogno di quei mezzucci, non voleva prendere il posto di Hurrem. La politica l'aveva sempre disgustata.
Si incontrarono nelle stalle e a lei fu dato un cavallo nero, uno che nessuno usava più da tempo. Era un stallone enorme e bellissimo con grandi occhi scuri e molto coccolone. Infatti, non appena la vide, strofinò il suo grande muso sulla sua mano e nitrì.
-Quel cavallo odia tutti. Tu sei la prima con la quale non si comporta in modo scontroso. - Mustafà ridacchiò, mentre i servi preparavano loro le selle.
Partirono a tutta velocità sui loro cavalli e viaggiarono per circa un'ora, prima di arrivare ad un enorme bosco, con alberi centenari e talmente alti da sfiorare il cielo con la loro chioma verde.
Bayezid aveva portato qualcosa da mangiare e anche un lenzuolo da stendere per terra. Sembrava proprio un'uscita romantica e Mustafà doveva reggere la candela.
La sua faccia annoiata la diceva tutta.
Ogni volta che Bayezid le si avvicinava troppo o le toccava i capelli, Mustafà li interrompeva, guardando il fratello con aria truce. Zafiraa rideva sotto i baffi, aumentando il nervoso di Mustafà.
-Oggi sei bellissima. -
-Sono vestita con gli stessi stracci di sempre. - Zafiraa sorrise, abbassando lo sguardo. Era pur sempre una donna e i complimenti le facevano piacere. Quando rialzò lo sguardo, beccò Mustafà a guardarla con una strana luce negli occhi.
-Lo saresti con tutto, mia bella. - A quel soprannome il principe ereditario alzò un sopracciglio, mentre Bayezid le accarezzava la guancia, delicatamente, e si avvicinava sempre più.
-Va bene, campione, basta così. - Mustafà lo afferrò per la spalla, allontanandolo da Zafiraa. - Andiamo adesso, abbiamo del lavoro da fare. -
La ragazza venne presa per mano dal suo padrone e allontanata in malo modo dal suo spasimante. Lo guardò, mentre risalivano sui loro cavalli, e Mustafà non sembrava più di così buon umore.
Sembrava dovesse esplodere da un momento all'altro.





jahannam*, sarebbe l'inferno islamico. O almeno questo è uno dei due nomi, riportati su Wikipedia.



AN//
RIECCOMI QUI! Questa volta non sono passati secoli per fortuna. Ad ogni modo, cosa ne pensate del capitolo? Come sempre, lasciatemi un parere su Mustafà, Bayezid e Zafiraa! Vi sembra che questa tregua tra i due durerà o è destinata a rompersi?
Ho pubblicato un'altra storia sul mio profilo, è ferma al prologo per ora. Si chiama 'Malsano Amore' di genere sempre storico. Saranno pochi capitoli, probabilmente sette. Si tratta della storia tra Lucrezia e Cesare Borgia. Se avete tempo e voglia di venirmi a trovare anche lì, mi farà molto piacere!
Alla prossima!

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Capitolo 11
*** IX ***




Mustafà scese abilmente da cavallo, lasciando le redini ad uno degli stallieri. Zafiraa fece lo stesso, rivolgendo almeno un piccolo sorriso al giovane ragazzo, che arrossì.
Il principe bipolare, nel frattempo, era scomparso all'improvviso ed ella dovette correre per cercare di raggiungerlo e cercare di capire che cosa gli era passato per quel testone.
Lo afferrò per il braccio, cercando di farlo fermare, ma lui continuava a camminare, trascinandosi la ragazza appresso.
-Ti vuoi fermare, stupido testone? - Urlava Zafiraa. Tutti i servitori e le guardie li guardavano, alcuni sembravano addirittura essere spaventati dal modo in cui lei parlava al suo padrone. Non si udivano certe urla per il palazzo da vent'anni circa, da quando il Gran Visir era morto.
-Non intendo fermarmi e non intendo parlare con te al momento, stupida ragazzina. - Mustafà scrollò il braccio, continuando per la sua strada. Zafiraa si fermò per qualche secondo, allibita. Ma era impazzito all'improvviso?
-Mustafà, ti vuoi fermare, cazzo! - Le serve la guardarono come se avesse appena ucciso un uomo davanti a loro e la faccia che fecero in seguito, fu impagabile ai suoi occhi, un mix tra il terrorizzato e l'indignato. Infatti Zafiraa cominciò a correre e si buttò sopra l'erede al trono del Sublime Stato Ottomano, placcandolo per terra. - Ti ho fermato finalmente, stronzo. Adesso dimmi che diavolo ti è preso! -
La scena sarebbe stata anche abbastanza esilarante se quei due fossero stati due persone diverse, se Mustafà non fosse stato il principe ereditario e se il sultano e la sultana non si fossero materializzati all'improvviso davanti loro, trovandoli in quella posizione scomoda. Ovvero Mustafà in posizione prona per terra e Zafiraa sopra di lui, con le mani strette intorno ai suoi capelli per guardarlo negli occhi. E come se non fosse bastato quello, i due si minacciavano e si prendevano a parolacce come una vecchia coppia di sposati.
-Bene, devo dire che questa era l'ultima cosa che mi sarei aspettata di vedere quest'oggi. - Fu Hurrem a commentare per prima, con un mix di veleno e disprezzo. Era bellissima come al solito e i suoi capelli rossi erano stati intrecciati in una semplice acconciatura, sulla quale scintillava la corona. Era tutta seta rossa pregiata, scintillio di gioielli e disprezzo per il genere umano. Una bufera di neve pronta ad inghiottire il mondo. - Dov'è mio figlio?-
I due si apprestarono a rialzarsi e Zafiraa si inchinò, sbirciando il sultano con la punta dello sguardo, che la osservava, pallido e quasi impaurito.
Doveva essere stato un bell'uomo, in passato, e notava la forte somiglianza con il figlio. Stessi capelli nerissimi e occhi scuri, barba folta e lunga, stessa altezza e stazza possente. Aveva tutta l'aria di essere un sultano, per come si vestiva e dal modo in cui i suoi occhi la soppesavano. Emanava, se possibile, ancor più potere di sua moglie Hurrem.
Sembravano una vecchia coppia sposata, il modo in cui camminavano, il modo dolce in cui si parlavano e il leggero sorriso che incorniciava loro le labbra quando erano assieme, persino il modo in cui si vestivano. Avevano dietro di loro tanti anni di matrimonio, amore, ma anche sofferenza e dolore. Quello, quello era la prima cosa che si poteva notare negli occhi chiari di lei e scuri di lui. Dovevano aver versato tante lacrime, se recentemente o tanto tempo prima, quello non sapeva dirlo, non conosceva la loro storia. Ma adesso erano felici.
La loro storia d'amore sarebbe durata nel corso dei secoli, nessuno l'avrebbe dimenticata e Zafiraa in un certo senso li invidiava, perché voleva essere fortunata come loro e avere una persona che l'avrebbe amata in modo incondizionato come quei due si amavano.
-Ibrahim... - Sembrò sussurrare la voce possente del sovrano. Zafiraa alzò lo sguardo, guardandolo negli occhi e il sultano fu come colpito da qualcosa, tant'è che le si avvicinò, scostandole i capelli dal viso. Aveva la mano grande e piena di anelli, pesante, ma liscia. - E' incredibile. Sembra essere uscita dalla sua costola... -
-Amore mio, ma che cosa dici? E' solo una serva. Ti sarai confuso con qualcun altro. - Hurrem sembrò deglutire all'improvviso e sembrava un criceto i trappola. Ma questo solo per pochi secondi, poiché allontanò il marito da Zafiraa, riassumendo la sua solita espressione. - Mi volete spiegare che cosa stavate facendo per terra? Mustafà, dovresti cercare di tenere a bada le tue serve e magari punirle quando è il bisogno. -
-Vedo che ella ha un brutto caratterino. - Il sultano rise, guardando prima la moglie, poi il figlio. - Mi ricorda qualcuno, amore mio, una certa rossa dalle manie di protagonismo. -
Hurrem gli sorrise, scuotendo il capo. Aveva una eleganza e una bellezza che Zafiraa non avrebbe mai avuto. - Fatto sta, che non può dare spettacolo davanti tutti i servi e le guardie. Con lei ci può fare ciò che vuole, ma non è modo di comportarsi. Non le dare troppa corda, Mustafà. -
-Zafiraa è di mia proprietà e io so come comportarmi con lei. E' molto testarda, questo è vero, ma dopo una degna punizione, saprà come comportarsi. Impara in fretta. -
Hurrem annuì. - Comunque ti stavamo cercando, Mustafà. Io e tuo padre vorremo parlarti di una questione importante. Riguarda il tuo futuro. -
-Certo, vado a darmi una ripulita e sarò subito da voi. Padre, Hurrem. Zafiraa, vieni. - Mustafà si inchinò e Zafiraa fece lo stesso, seguendo il suo padrone.
Era incredibile! Avevano parlato di lei come se fosse stata un oggetto, un pezzo di carne senza anima e senza sentimenti.
Il principe continuava a camminare, senza degnarla di uno sguardo e senza rivolgerle la parola, fin quando non arrivarono nella sua camera.
Egli diede di matto, buttando armi e vestiti per terra e rimanendo solo con i pantaloni neri e gli scarponi.
-Sei contenta adesso, Zafiraa? Mi hai appena messo in ridicolo davanti tutto il palazzo, davanti a mio padre e soprattutto davanti a quella maledetta puttana! - Sbraitò, tirando un calcio al letto a baldacchino, che tremò in maniera preoccupante. - Che cosa devo fare con te? Ti ho offerto la mia amicizia, una tregua e tu mi ripaghi così? Ti devo la vita, è vero, ma non a questo prezzo. Sei talmente sconsiderata e stupida a volte, da farmi innervosire! Dovrei ricordarmi più spesso dell'età che hai! -
-E tu avresti dovuto fermarti e parlarmi! Sei impazzito all'improvviso, mi hai tirata via e sembravi essere appena uscito da Dio sa cosa! - Mustafà la guardò, alzando un sopracciglio.
-Non è una motivazione, cazzo! Non siamo più in campo di battaglia che puoi mettermi le mani addosso, placcarmi così in mezzo a tutti, senza passarla liscia. Sai, che se non fosse arrivato mio padre, le guardie ti avrebbero spedito direttamente nelle segrete? E se mio padre non provasse chissà quale simpatia per te, ti avrebbe riservato un destino ben peggiore. -
-Sono in grado di proteggermi da sola. -
-Smettila, Zafiraa, smettila di fare la superdonna. Non la dai a bere a nessuno. - Mustafà sospirò, cercando di calmarsi. - Devi solo finirla, va bene? E devi farti entrare in quella dannata testaccia che in un palazzo ci sono delle gerarchie da rispettare, così come c'erano sulla tua nave. Io sono quello che tuo fratello era e tu non sei nient'altro che un dannato moccio. Il rispetto, solo questo ti chiedo. Cerca di dimenticare i tuoi dannati modi da pirata ubriacone, perché in quel mondo non vi tornerai mai più. Forse dovrei ricordartelo più spesso. -
-Quindi dovrei smettere di essere me stessa? Dovrei dimenticare la libertà che avevo una volta? Fingere... è questo che mi chiedi? Essere una persona che non sarò mai? Mi stai anche dicendo che morirò tra queste quattro mura, dietro il tuo dannato culo turco? -
-Esatto, sto dicendo proprio questo, Zafiraa. E prima te ne renderai conto e ti metterai l'anima in pace, meglio sarà per tutti noi. Io, soprattutto. Il mio posto a palazzo è in gran pericolo, devo essere perfetto e tu me lo rendi molto difficile. -
-Io? Io sono solo una serva. Un moccio. L'ultima della catena alimentare, come hai appena finito di ripetermi. -
-Ti piacerebbe esserlo e mi piacerebbe pensarlo fino in fondo. Ma per te sono andato oltre più del dovuto. Avrei dovuto picchiarti ora, per farti capire la lezione, invece di parlarti. Io non discuto con i servi, non sono amico dei servi e soprattutto non sono in debito con loro, facendomi scorrazzare come una guardia per i boschi. Avrei dovuto ucciderti e non portarti qui di nascosto con tuo fratello. - Mustafà sospirò. -Quindi no, non sei solo una semplice serva, come ti ho già ripetuto, l'altra volta in camera di mio fratello. -
Zafiraa gli si avvicinò, prendendo uno dei completi di Mustafà e aiutandolo a metterselo. Mentre gli abbottonava la camicia, lo guardava, cercando di trovare le parole.
-Scusami, non avrei dovuto comportarmi in modo così infantile. Spesso mi dimentico ciò che sono e il mio posto, non accadrà mai più, o almeno non in presenza di persone. - Mustafà annuì, afferrandole una ciocca di capelli, mentre lei finiva di sistemarlo, chiudendogli i lacci dei pantaloni scuri.
-Tutta questa situazione mi farà diventare pazzo. -




-Selim, devi fare qualcosa con tuo figlio. - Hurrem si voltò verso il marito, passandogli una tazza di tè caldo in una tazzina dipinta a mano.
Il sultano la guardò, sorseggiando lentamente e assaporandone il sapore dolce, prima di parlare.
-Che vuoi dire, mia stella? -
-Prima di tutto, deve portarmi più rispetto, poiché mi sembra e ne sono certa che io non glielo abbia mai negato. L'ho sempre trattato come un figlio, fin da quando era piccolo e odorava ancora di latte materno. - Hurrem si sedette accanto al consorte. Si trovavano nella loro stanza matrimoniale, l'unico posto nel quale non potevano essere disturbati da funzionari, politica, visir e problemi statali di vario genere. - E poi deve imparare a prendersi le sue responsabilità. -
-Mi sembra che lui se le sappia prendere le sue responsabilità, mia cara. Io alla sua età ero molto più immaturo e ribelle. -
-Non credo tu abbia dato spettacolo a quel modo, alla sua età, mio caro amore. - Hurrem gli sorrise, accarezzandogli la guancia.
-Tu non hai idea delle cose che io e mio fratello Ibrahim abbiamo combinato. - Selim, come spesso accadeva in quegli anni, si inabissava in ricordi passati; il suo sguardo si spegneva e lacrime scendevano sulle sue guance. Hurrem perse il suo sorriso e una fitta le colpì dolorosamente il cuore.
Sarebbe mai finita quella tortura? Avrebbero mai dimenticato il loro amore per quell'uomo ormai diventato polvere? Diventava ogni giorno più difficile, soprattutto con l'arrivo di Zafiraa. Anche Selim si era accorto della incredibile somiglianza con la giovane e tutto quello non andava bene.
Un brutto colpo di tosse la colpì e la donna sputò sangue sulla mano. Gemette di disgusto, guardando la malattia che la divorava da più di un anno.
Selim le pulì la mano con della stoffa bianca e la guardò preoccupato. L'unica cosa che riusciva a distoglierlo da quei ricordi passati e dolorosi era solamente lei. La causa scatenante di tutto.
-Pesavo che stessi meglio, Hurrem. Faccio chiamare un Guaritore? -
-No, Selim non ti preoccupare, sto bene. Mi passerà. - Hurrem gli fece un sorriso forzato, lasciandosi abbracciare dal marito.
-Oh, amore mio, se dovessi perdere anche te, io smetterei di vivere all'istante. Ti prego, non morire. - Selim le baciò la fronte dolcemente, ripetendole parole dolci, confortanti e cullandola nel suo amore. Hurrem chiuse gli occhi e si lasciò coccolare dall'amore della sua vita; avrebbero mai smesso di darle fastidio le farfalle nello stomaco?
-Non morirò, Selim, non morirò. Vivrò solo per te e per i nostri figli. -
Quando riaprì gli occhi, lo vide. Ibrahim, fermo davanti a loro, ricoperto di sangue e pallido come solo una creatura morta sa esserlo, che li guardava. Sorrideva dolcemente, sinceramente. Era sempre al loro fianco, non li aveva mai abbandonati.
Hurrem allungò la mano e Ibrahim gliela afferrò.
Richiuse gli occhi, sorridendo. Adesso si sentiva veramente bene, al sicuro, viva, con i due unici uomini che avrebbe mai amato in tutta la sua vita. Per sempre. Per l'eternità.




Mustafà andò a trovare Mehmed, che come suo solito, leggeva davanti al fuoco uno degli innumerevoli libri che la biblioteca conteneva.
-Dovrò farmi pagare per ricevere tutte queste visite. Magari divento più ricco di mio padre. Ma per cosa mi avete preso tu e Zafiraa, fratello? -
-Ah, sta zitto, che ti fa solo piacere vedermi. Sono l'unico qui dentro che non è costretto a venirti a trovare. - Mustafà baciò il fratello sulla fronte e gli sorrise. Era una cosa che faceva da quando erano piccoli, da quando l'aveva visto per la prima volta, il fratello maggiore aveva sentito l'impulso di difenderlo da qualsiasi cosa, di proteggerlo dal mondo.
Si sedette sulla sedia al suo fianco e si guardarono per qualche secondo.
-Hai... Hai detto che Zafiraa viene spesso da te per parlarti, no? -
-Sì, perché ti interessa? -
-Non mi interessa, era semplice curiosità. Adesso so dove cercarla quando non la trovo. -Mustafà scrollò le spalle. - Abbiamo fatto una tregua. Io aiuto lei e lei aiuta me, diciamo. Siamo ciò che, in modo molto astratto, puoi definire amici. -
-Perbacco! Non credevo avreste bruciato le tappe così velocemente. Pensavo che prima di rendervene conto, vi sareste picchiati e ripicchiati in malo modo. Che cosa sarà mai successo? -
-Mi ha salvato la vita, quando poteva benissimo lasciarmi morire. -
-Zafiraa è molte cose, fratello, ma non lascerebbe mai morire una persona in difficoltà, persino se si tratta del suo nemico. Dell'assassino dei suoi genitori. -
-Provo del rimorso per quello, caro fratello. Forse avrei dovuto lasciarli vivere... e portarli da mio padre a corte. -
-E cosa credi che nostro padre avrebbe fatto loro? Due nemici della corona? Sarebbe stato molto creativo, lo sai bene. Hai dato loro una morte veloce e soprattutto indolore, per quanto la morte lo possa essere. - Mehmed lo guardò, sorridendogli. - Sei molto più umano e gentile di quanto tu cerchi di nascondere, caro fratello. Sei una brava persona, alle volte sei un po' pazzo, ma hai fatto la cosa giusta. -
-Se la metti su questo lato, probabilmente hai ragione. -
-Ma che cosa ti fa stare più male? Il fatto di aver ucciso un uomo e una donna o il fatto che quei due erano i genitori di Zafiraa? -
-Oh, andiamo! Che cosa vorresti insinuare adesso, che io provi dei sentimenti amorosi nei suoi confronti? Non essere ridicolo, è solo una serva. -
-Certo, che non lo è per te. Altrimenti non l'avresti nascosta a nostro padre e dopo tutto quello che ha combinato a corte e ai tuoi figli, adesso non sarebbe ancora viva. - Mehmed lo guardò, serio. Mustafà era impallidito all'improvviso e sembrava sul punto di vomitare. - Non è una semplice serva per te, caro fratello. -
-E anche se fosse? Non posso pensare a lei in quei... quei termini. Nostro padre non ce lo permetterà mai e poi lei, non sto dicendo che tu abbia ragione, non prova lo stesso per me. - Mustafà sembrò arrossire all'improvviso. Mehmed gli sorrise, stringendogli la mano. Quanta fragilità e insicurezza c'era dietro un uomo così forte?
-Che cosa vuoi sentirti dire da me, Mustafà? Io più che ascoltarti, non posso. Sono solo uno storpio, che non ha mai amato nessuno e che non è mai stato amato da nessuno. Non sono nella testa di Zafiraa e non so che cosa lei provi nei tuoi confronti. - Mehmed fece una pausa. - Ma se è lei quella che desideri, dovrai farti in quattro per averla e dovrai farti in dieci per convincere nostro padre. -
Mustafà scosse il capo, come se si fosse risvegliato da un sogno. - Ma adesso non importa più. Mio padre ha in mente un altro matrimonio, un'altra donna da affibbiarmi per sfornare altri eredi. -
-Te ne ha parlato lui? -
-No, ho sentito le serve parlarne. Domani giungerà a corte una principessa, proveniente Allah sa solo da che parte del mondo. - Mustafà sospirò, alzandosi. - A proposito, sono in ritardo, devo andare da lui adesso. Sicuramente mi darà la lieta notizia. -
Mehmed lo guardò uscire e sospirò.
-Potevo scoppiare da un momento all'altro, Mehmed. - Alexandros comparve da sotto il letto, tutto impolverato. - Non pensavo fossi così bravo. -
-Sta' zitto, Alexandros e vieni qui. - Il ragazzone gli si avvicinò, baciandolo dolcemente sulle labbra. Mehmed sorrise, togliendoli della polvere dai capelli. Gli occhi blu del fratello della sua migliore amica, se così Zafiraa poteva essere definita, lo guardarono con tanto amore che si sentì morire. -Dovremmo dirlo a tua sorella? -
-Non è ancora il momento. Meno persone lo sanno, più al sicuro sarai Mehmed. Non voglio che ti succeda nulla.

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Capitolo 12
*** X ***



-Padre, eccomi, scusatemi per il ritardo. - Mustafà si inchinò davanti al sultano e alla sultana, che erano seduti su un divanetto nella loro stanza matrimoniale. Selim gli sorrise, invitandolo a sedere e a mangiare un po' di frutta e bere del vino. Il principe scosse il capo, non amava la frutta e tanto meno bere alcolici. - Di che cosa volevate parlarmi? -
-Penso tu l'abbia già capito, figliolo. Dopo la perdita di tua moglie e dei tuoi poveri figli, devi trovare un'altra sposa, di nobili origini o se preferisci sceglierla dal mio Harem, considerato che non viene più utilizzato. Fatto sta, che hai bisogno di eredi per mandare avanti l'impero e per fare ciò, hai bisogno di una o più mogli. -
-Certo, padre, ne sono consapevole. Ma intendo sbrigarmela da solo per questo tipo di faccende, se me lo consentirai. -
-La scelta è tua e io ti appoggerò qualsiasi sarà, dopotutto io sono stato il primo a rompere gli schemi. - Suo padre guardò sua moglie e i due si sorrisero. Dopo tutto quello che gli avevano detto sul conto della sua matrigna, di ciò che aveva fatto a suo padre e ad Ibrahim, la odiava di più, se possibile. Come poteva aver tradito un uomo che la amava così tanto e con il suo migliore amico, poi? Come poteva essere così meschina una persona, eppure così tanto amata da tutti? - Però, ti consiglio di dare una possibilità a Fatma. E' una ragazza di nobili origini, anche di bell'aspetto. Ne rimarrai ammaliato. -
Mustafà sorrise, inchinandosi. - Certo, padre, se è questo il vostro volere, potrei anche incontrarla. -
-Benissimo, figliolo, anche perché domani sarà ospite qui nel nostro palazzo per circa un mese. Quindi avrai tutto il tempo di sviluppare qualsiasi sentimento amoroso nei suoi confronti. - Il sultano gli sorrise e Mustafà annuì. Ormai era quasi sicuro che egli dovesse sposare quella donna, da come ne parlava suo padre e anche dal fatto che Hurrem non era intervenuta per cercare di convincerlo.




-Com'è andata? - Zafiraa lo raggiunse, camminandogli accanto nell'ampio corridoio. Il giovane principe si girò per guardarla nei grandi occhi di quel colore tanto particolare.
-Mi hanno trovato moglie. Domani sarà qui a Palazzo e mio padre vuole che la corteggi o per lo meno che ci parli e la conosca. - Mustafà sospirò, tormentandosi le pellicine delle dita. Zafiraa lo guardò.
-Brutto affare, non è vero? Ma il sultano non è ancora morto, quindi non mi spiego tutta questa velocità e urgenza per affibbiarti un'altra donna. -
-Più eredi ci sono, prima mi sistemo, meglio è per il regno. Funziona così tra reali, Zafiraa, e credo che si andrà avanti così per secoli. -
-E cosa credi di fare adesso? -
-A meno che tu non conosca una principessa o una nobildonna con la quale farmi maritare entro questa notte, non vedo altre soluzioni che accettare. -
-E se è brutta? La tua prima moglie era molto bella. O se ha uno di quei brutti nei pelosi in faccia? -
Mustafà parve pensarci per la prima volta. Non aveva preso in considerazione l'idea che suo padre potesse presentargli una racchia. - Be', in quel caso, scapperò. Capisco tutto, ma non i nei pelosi sul naso. -
Zafiraa rise, probabilmente immaginandosi il suo padrone in compagnia di una ragazza di dubbia bellezza. Il principe la guardò e sorrise a sua volta.
-Dovresti farlo più spesso. - Si pronunciò all'improvviso, interrompendola. Le si erano arrossate leggermente le gote e non sembrava più così tremendamente pallida.
-Che cosa? -
-Ri... Ridere. - Tossì, schiarendosi la voce. Si erano fermati e Mustafà non si degnò di guardarla. - Sai, ecco, pensavo che quando lo fai, sei più... sì, insomma, sei più carina. -
-Oh... - Zafiraa lo guardò, non sapendo che cosa dire. Era persino arrossita. Che cosa doveva rispondergli?
-E' stato fuori luogo? -
-Sì, un po' sì. -
-Allora scusa, me ne vado. Ci vediamo dopo. - Mustafà la guardò un'ultima volta prima di andarsene, borbottando qualcosa tra se stesso.
La ragazza scoppiò a ridere, ritornando alle sue faccende.




La pretendente di Mustafà, Fatma Sahin, giunse a Palazzo Topkapi il giorno seguente come promesso dal sultano. Assieme a lei c'era suo fratello Ahmet, che l'aveva accompagnata durante il viaggio, ma che sarebbe rimasto di meno della sorella, poiché doveva ritornare nella sua regione, per coordinare il suo palazzo.
Con disappunto di Zafiraa, Fatma era la donna più bella che avesse mai visto, così come lo era suo fratello. Era slanciata, magra ma non scheletrica; la sua pelle olivastra sembrava così liscia e delicata da non risultare reale, le sue movenze regali e affascinanti. Sapeva controllare la tonalità della sua voce, il modo in cui sorrideva era semplicemente meraviglioso e poteva irradiare il palazzo di luce per secoli. Probabilmente se non avesse avuto lunghi e profumati capelli color ebano, due grandi occhi color caramello circondati da ciglia lunghe e folte, e labbra sottili e rosee, nessuno l'avrebbe notata, ma così non era.
Suo fratello, Ahmet, era ugualmente affascinante e bello. Stessi modi raffinati ed eleganti, stesso modo incantevole di atteggiarsi davanti ad un pubblico, stessa bellezza esotica, con capelli lunghi fin sopra le clavicole e se possibile più scuri di quelli della sorella, occhi color caramello e labbra sottili.
Erano rimasti tutti abbagliati dalla loro bellezza, persino il sultano e la sultana, tranne Zafiraa.
Certo, provava invidia verso quei due, poiché fortunati, ma non in senso sentimentale. Non aveva mai provato un interesse romantico verso persone di bell'aspetto; lei preferiva quelli carini, dai modi sgarbati e rozzi, che sapevano tenerle testa.
Quando Fatma ed Ahmet erano scesi per la prima volta dalla loro grande e lussuosa carrozza d'oro, Zafiraa si trovava un passo dietro Mustafà con suo fratello Alexandros, che aveva poggiato le mani dietro la sedia di Mehmed, probabilmente per impedirgli di scivolare via. Ibrahim, il nipote del sultano, stava al loro fianco.
Si era creato uno strano gruppetto fra quei tre. Nell'ultimo periodo passavano molto tempo assieme e lei veniva ignorata da suo fratello e da Mehmed. Si sentiva fortemente trascurata.
Aveva visto tutti gli uomini trattenere il fiato, persino Mustafà aveva borbottato qualcosa in segno di apprezzamento. Quel giorno era veramente bello, per quanto lei lo potesse reputare tale, poiché aveva optato per un completo totalmente bianco, che contrastava con i suoi tratti scuri.
Quando era sceso Ahmet, invece, le donne avevano sospirato. Non si vedeva una bellezza tale dai tempi di Ibrahim, il Gran Visir. Zafiraa aveva ridacchiato, notando la faccia compiaciuta di suo fratello.
Alexandros era sempre stato diverso dal resto degli uomini; aveva sempre avuto altre preferenze fin da quando erano piccoli e per lei non era mai stato un problema. Aveva conosciuto diversi suoi amanti, che lui presentava come amici stretti, e li aveva sempre considerati di famiglia; quindi non fu stupita quando nel vedere Ahmet, suo fratello ebbe quella reazione. Anzi, la aspettava.
Mentre Fatma e Ahmet salutavano i sovrani, Zafiraa si sporse verso Mustafà. - Sei stato fortunato, Mustafà, non ti è andata poi così male. -
Il principe aveva fatto un grugnito e borbottato qualcosa che non aveva compreso. Tutta quella situazione la divertiva, divertimento che venne sostituito da una sensazione di invidia, quando la donna le si parò avanti con tutta la sua bellezza. Osservò i due promessi sposi allontanarsi senza una ulteriore parola e solo in quel momento si accorse di aver stretto i pugni.
Scosse il capo, girandosi verso Mehmed e Alexandros che la stavano fissando con la stessa espressione incuriosita e divertita.
Avvoltoi.
Quando tutti i reali, compreso Mehmed, trascinato da sua madre, scomparvero e rimasero solamente lei e Alexandros, poté finalmente sentirsi libera e non più con quella brutta sensazione di disagio opprimente.
-Ho visto la tua gelosia giungere livelli mai visti prima. Non ti vedevo così da quando nostro padre mi regalò la spada per Natale e a te regalò quella stupida bambola di pezza. - Alexandros rise, cingendole con il suo enorme braccio le spalle. Zafiraa aggrottò le sopracciglia, guardandolo infastidita.
-Io non parlo con te, né con il tuo nuovo amichetto. - Borbottò, ricambiando suo malgrado l'abbraccio. Suo fratello era l'unica persona dalla quale si faceva coccolare e aveva dannatamente bisogno di amore in un momento come quello. - Cosa volevate insinuare con quei stupidi sorrisetti? -
-Assolutamente niente, cara sorellina. - Le fece un sorriso luminoso. Era bello come il sole. - Se tu pensi che ci sia qualcosa da insinuare dietro un piccolo sorriso, forse hai qualcosa di oscuro da nascondere, non credi? -
-Vaffanculo, Alexandros. Io non sono quel genere di persona. -
-Quale? Una donna che prova dei sentimenti verso un uomo? Amare qualcuno non vuol dire rinunciare alla propria libertà, Ira.- Le aveva dato quel soprannome quando aveva due anni e da allora la chiamava sempre così, nei loro momenti dolci tra fratelli. Ira, perché si arrabbiava spesso da piccola e continuava a farlo.
-Non mi metterò mai con l'assassino dei nostri genitori. - Zafiraa si staccò da lui, rifiutandosi di guardarlo.
-Lo hai perdonato, tuo malgrado e così anche io. Mehmed ci riempie la testa di pensieri pacifici. La vendetta non ci porterà da nessuna parte. - La ragazza notò con stupore il modo in cui aveva pronunciato e il sorriso con i quali aveva pronunciato quel nome.
-Potrò anche aver cominciato ad apprezzarlo come persona e potrei anche considerare l'opzione di perdonarlo perché stava eseguendo degli ordini, ma non suo padre. Lui è stato il male più grande della nostra famiglia e io... -
-Zitta! Se ti dovessero sentire, faresti una brutta fine, Zafiraa. - Alexandros l'afferrò per un braccio, spostandosi in un posto all'ombra e più appartato. - Certe volte sei proprio un'incosciente! -
-E tu che cosa sei, fratello? Se Hurrem dovesse scoprire la tua relazione con suo figlio, il prediletto, sai che fine ti farebbe fare? Non è forse vendetta, la tua? -
-Come hai fatto a... -
-Ti conosco e conosco anche lui. Stai molto attento, Alexandros. Hai scelto un pesce molto grande su cui puntare per elevarti. E poi potevi anche dirmelo!-
-Mehmed non è uno dei miei soliti capricci, Zafiraa. Bada bene a come parli. Se non te ne ho parlato è perché non volevo che gli succedesse nulla. Lui è così fragile... -
-E va bene, scusami, non volevo dire quello. Fate comunque attenzione, tu soprattutto. Non siamo su una nave, non siamo lontano dagli occhi degli uomini e degli dei. Qui c'è un solo Dio ed è molto più crudele dei nostri. Se dovessero scoprirvi, non so che cosa succederebbe. Non posso perdere anche te. -
-Sto sempre attento, sorella. -
Zafiraa lo baciò sulla guancia e poi si lasciò abbracciare.








Aveva passato due giorni solamente in compagnia di Fatma e suo fratello. L'aveva trovata molto affascinante e ammaliante, era bellissima e su questo nessuno poteva contestare, e anche molto dolce e timida. La guardava parlare, cercando di stare attento a ciò che le sue parole volevano dire, ma proprio non ce la faceva a sentirla veramente. Si distraeva spesso, sopratutto quando Zafiraa gli era vicino quando serviva loro del vino o del cibo. I suoi occhi passavano dal viso di una a quello dell'altra.
Quella ragazzina era costantemente nei suoi pensieri e non c'era nulla che egli potesse fare, nemmeno presenziare davanti ad una donna come Fatma di innegabile magnificenza, per togliersela dalla mente.
Lo faceva impazzire, non poterle parlare in quei giorni e non averla attorno, al suo fianco, nella sua camera da letto. Si era talmente abituato alla sua presenza, a trovarla a fine giornata seduta sul suo letto, che quando non c'era si sentiva terribilmente solo.
Si odiava per questi pensieri, voleva solamente colpirsi con pesanti sassate la testa, per cercare di riprendersi da quel maledetto stato di confusione.
Si odiava perché Mehmed aveva capito tutto fin dal principio e lui se n'era accorto solamente in quel momento.
Ma che cosa poteva fare? Lei non lo avrebbe mai visto nel modo in cui lui la guardava.
La osservava, quando lei era occupata nelle sue faccende quotidiane. La osservava di nascosto, quando si toccava i lunghi e meravigliosi capelli bianchi, mentre pensava. La osservava quando parlava con suo fratello Alexandros e sorrideva felice, come solo una bambina potrebbe fare. La osservava quando era con Mehmed e rideva, portandosi la mano davanti alla bocca, perché lui sapeva che odiava quando gli altri la guardavano in momenti di tale innocenza e vulnerabilità. La osservava, quando guardava Fatma e i suoi bei vestiti colorati e pregiati e paragonandoli al suo unico straccio lurido sospirava, quasi triste, poiché probabilmente non si sentiva all'altezza.
Proprio in quei momenti di vulnerabilità, di gioia, di felicità, Mustafà, il freddo e cattivo Mustafà, aveva voglia di andare da lei, stringerla tra le braccia e baciarle la fronte. La guardava e gli sembrava solamente una ragazza, una donna, che aveva bisogno di tanto affetto.
La osservava, quando litigavano, quando si arrabbiava con lui e i suoi capelli si arricciavano e voleva solamente afferrarla e baciarla per l'eternità. Lui, Mustafà, che amava una serva.
Era successo tutto così all'improvviso, probabilmente da un giorno all'altro che non sapeva come comportarsi, che cosa fare in una situazione del genere? Ignorare o rischiare?
Non era una persona qualsiasi, non poteva fare come qualsiasi altro uomo avrebbe potuto fare nella sua situazione, ovvero corteggiarla e amarla fino allo sfinimento. Lui era un principe, un futuro imperatore e come tale doveva pensare alla sua carica, al suo popolo, ai suoi doveri, non ai suoi inutili e insignificanti sentimenti.
Aveva fatto finta di essere un uomo tanto orribile fino a quel momento, perché abbattere quel muro? Per una ragazza?
Ma come poteva fare ad ignorare il modo in cui si sentiva con lei? Il suo cuore poteva esplodere in sua presenza. Quando era con lei il mondo e la vita sembravano aver trovato il loro posto...
Era sera ormai e aveva accompagnato Fatma nelle sue stanze; era di ritorno verso la sua camera, quando li vide.
Bayezid e Zafiraa, stretti l'uno fra le braccia dell'altro, che si baciavano. Lei era poggiata al muro e lui le stava attaccato, mentre le sue mani rovinate dal lavoro e dalle battaglie gli stringevano i capelli scuri.
Li osservò, non sapendo che cosa fare, se andare e dividerli, picchiare quel maledetto di suo fratello per aver messo le mani sulla sua proprietà, oppure andarsene, ritornare da Fatma e accettare di sposarla, come un cane con la coda tra le gambe.
Prima che avesse la possibilità di decidere, Bayezid se ne andò, lasciando la ragazza da sola. Zafiraa si toccò le labbra e guardò davanti a sé, scivolando lentamente lungo la parente fredda. Si sedette per terra, portandosi le ginocchia al petto e cominciò a singhiozzare.
Mustafà uscì velocemente dal suo nascondiglio e corse da lei, inginocchiandosi al suo fianco.
-Zafiraa, che cos'hai? - Non sapeva cosa fare. Non era bravo con le persone e con i loro sentimenti; quando qualcuno gli piangeva vicino decideva semplicemente di andarsene. Ma non poteva farlo. Non con adesso.
Lei continuava a singhiozzare silenziosamente, vedeva solamente le sue spalle scuotersi, mentre il suo viso era coperto dalle mani. Non voleva farsi vedere in quello stato da lui, era vulnerabile e lui lo sapeva.
-Bayezid... -
-Che cosa ti ha fatto quel maledetto bastardo? -
-Mi ha... mi ha baciata. -
-Contro la tua volontà? -
Lei scosse il capo, scoprendosi il viso arrossato e bagnato per le lacrime, ma non lo guardò. -Era il mio primo bacio, Mustafà e io... io l'ho dato a lui, capisci? Mi ero ripromessa che non sarebbe accaduto, che nessuno mi avrebbe mai baciata se io non lo avessi voluto. E' la mia vita, il mio corpo, le mie labbra, quindi decido io... Ma lui è il principe, non potevo rifiutarlo, se lo avessi fatto probabilmente... -
-Va bene, Zafiraa, va tutto bene, non hai bisogno di spiegare. Ho capito, ho capito tutto. - Mustafà l'abbracciò e con suo sommo stupore lei gli gettò le braccia al collo lasciandosi toccare da lui. Chiuse gli occhi, respirando il suo profumo, mentre lei si calmava tra le sue braccia. Restarono così per parecchi minuti e Mustafà per tutto il tempo cercò di respirare il meno possibile, poiché aveva paura che il minimo rumore o la minima mossa avrebbe rovinato quel momento idilliaco.
-Mi sono rammollita. Nessuno in passato avrebbe osato farmi fare una cosa che io non avrei... non avrei voluto. -
-Non accadrà più, Zafiraa, te lo giuro sul mio onore, che non ti sentirai mai più così. -
-Non fare promesse che non puoi mantenere, Mustafà. -
-Questa intendo mantenerla, possa Allah dannarmi per l'eternità. -

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Capitolo 13
*** XI ***




Aveva intravisto Mustafà mentre lei era intenta a parlare con Bayezid. Il principe l'aveva raggiunta in corridoio e si era fermata a parlare con lei di stupidaggini inutili. A dir il vero, Zafiraa lo ascoltava raramente; non poteva importarle di meno dei suoi pensieri e soprattutto delle sue parole vuote e prive di significato.
Si era poggiata al muro e aveva tirato verso di sé Bayezid, baciandolo sulle labbra. Il suo intento era un semplice bacio stampo, ma il principe aveva approfondito e per quel motivo si era trovata intrappolata in quella situazione. Per tutta la durata del bacio aveva tenuto gli occhi aperti, non concentrandosi sui suoi movimenti, ma sull'uomo dallo sguardo nero che li stava osservando nascosto in un angolo. Non poteva vederla, poiché Bayezid la copriva.
Sorrise, soddisfatta, quando il principe inetto la lasciò finalmente andare e si pulì la bocca, salutandolo.
Poi, quando fu abbastanza lontano, Zafiraa si fece scivolare lungo la parete fino a toccare il suolo e pianse, o almeno finse. Mustafà, infatti, abboccò all'amo e le corse incontro, proprio come aveva preveduto. L'aveva consolata per tutta la durata del suo sfogo e non le si era mai allontanato. Paziente, forte e sincero.
Zafiraa si era lasciata abbracciare dalle sue forti e calda braccia e aveva chiuso gli occhi, respirando il suo forte odore maschile.
Non aveva idea del perché si era comportata in quel modo talmente meschino e tanto meno non da lei. Aveva attribuito il tutto al suo disperato bisogno di attenzione, considerato che era passata da una cospicua folla di gente che la adulava, ad essere quasi del tutto ignorata da Alexandros e Mehmed che sembravano essere in luna di miele e adesso anche da Mustafà che era tutto preso da Fatma.
Sapeva di star mentendo a se stessa, sapeva che sotto c'era molto di più e che lo aveva fatto per qualcos'altro, che era tutto l'opposto della motivazione che cercava di spacciare per veritiera, ma non era quello il momento di pensarci. Voleva godersi la pace notturna dei corridoi, la sicurezza che Mustafà riusciva a donarle con solo un piccolo tocco e quella piccola tregua tra loro due.
Era stanca di litigare sempre, era stanca di essere mangiata viva dai ricordi, dal dolore, dalla vendetta, era stanca di essere così. Solo per una notte, per poche ore, voleva staccare da tutto e sentirsi donna.
Aveva cercato di essere qualcosa che non era per tutta la sua vita. Sin da quando era piccola aveva dovuto lottare contro questo suo malessere. Era fiera di essere donna, non lo avrebbe cambiato per nulla al mondo, ma c'era una piccola scintilla in lei che la faceva comportare nel modo opposto; aveva atteggiamenti prettamente maschili, non indossava mai abiti femminili se non costretta, come in quel caso, e non camminava neanche come una donna! Lei era rozza, usava parolacce, non era elegante, leggiadra e femminile, nemmeno quando si sforzata, non sapeva sedersi adeguatamente, né tanto meno camminare come un signorina della sua età sapeva fare.
Era fiera di essere donna, ma lo sarebbe stata maggiormente se le donne non fossero state trattate come oggetti, pezzi di carne da vendere al miglior offerente. Era fiera di essere donna, ma lo sarebbe stata in un altro secolo. Perché lei doveva essere libera come il vento, doveva essere indipendente e non essere alla mercé di nessun uomo, né di suo marito, né di suo fratello, né di suo padre. Voleva essere donna in un mondo giusto, nel quale le donne venivano trattate come gli uomini, un mondo nel quale indossare pantaloni maschili, saper usare la spada, uscire da sola senza nessun tipo di accompagnamento o perché no, avere non un solo uomo nel corso di tutta la vita, sarebbe risultato giusto e non talmente orribile come un omicidio.
Era fiera di essere donna, ma a volte le donne stesse di quel secolo gliene facevano vergognare.
Probabilmente le finte lacrime si trasformarono in vere, per quel suo malessere interiore, che molto spesso aveva cercato di nascondere agli altri e a se stessa. E da Mustafà si sentì compresa, perché, nonostante lui fosse stato il suo nemico, nonostante lui fosse un maschilista e che probabilmente odiava tutto il genere femminile, sapeva che anche lui viveva con un malessere tutto suo. Non era a suo agio con la sua vita e avrebbe fatto di tutto pur di cambiarla.
Dopo tutto quel tempo trascorso assieme, Zafiraa aveva imparato a conoscerlo e sapeva che erano più simili di quanto ad entrambi piacesse ammettere. Avevano costruito muri nel corso degli anni per nascondersi come codardi dagli occhi della gente, dai pregiudizi e anche dal loro io interiore, quello che solo loro conoscevano. Avevano trovato nella battaglia, nei combattimenti, nella spada, degli amici fidati.
-Su, andiamo, oggi dormi con me. - Mustafà l'aiuto a sollevarsi, quando lei si fu finalmente calmata.
-Come? -
-Non posso lasciarti così, stai malissimo. E' giusto che mi prenda cura di te. - Mustafà le sorrise, pulendole il viso con un suo fazzoletto di seta dalle lacrime. Zafiraa arrossì, non sapendo che cosa dire. - Siamo amici adesso, no? Non è così che ci si comporta? -
-Be', suppongo di sì... Ma se qualcuno dovesse scoprire che ho dormito da te, che cosa direbbe tuo padre o Fatma? -
-Sei la mia serva, è normale che tu frequenti le mie stanze. Nessuno saprà che hai dormito da me, se tu non lo dirai in giro. -
Zafiraa annuì, sorridendo. Lui la lasciò andare e si incamminò, facendosi seguire.
Quando arrivarono alla porta della stanza di Mustafà, lui fece qualcosa che la stupì, aprendola e facendola passare per prima.
-Benvenuta nella mia umile dimora, signorina. Spero che questo comodo servizio fatto di letto a baldacchino dalle migliori lenzuola indiane, possa esservi di piacimento, altrimenti ne sarei veramente deluso e amareggiato. Una tale signorina della vostra portata, si merita il meglio. Soprattutto dopo lo spiacevole evento di poco fa. Le labbra di mio fratello odoravano ancora di latte materno? -
Zafiraa rise, entrando nella camera e andandosi a sedere sul ciglio del letto, dove di solito aspettava Mustafà, quando la mandava a chiamare e lui non c'era ancora.
Si tolse la spada che portava sempre con sé, buttandola in un angolo del pavimento, assieme agli stivali in pelle e tutto il resto dei vestiti. Zafiraa si alzò dal letto, aprendo un piccolo baule posto vicino alla scrivania in legno e lo aprì, tirando fuori la camicia da notte di Mustafà. Si avvicinò, cercando di non guardare il suo petto nudo e muscoloso e gliela fece indossare.
Mustafà la osservò e pochi secondi dopo le sue grandi mani le afferrarono i fermagli che le tenevano alti i capelli, sciogliendoli. Le caddero sulle spalle in onde bianche, che vennero subito accarezzate dalle dita del suo padrone. Lei lo guardò negli occhi, respirando lentamente e poggiandogli una mano sul cuore che batteva in modo calmo e controllato.
-Potrei passare ore a guardarti i capelli, a toccarli... e non mi basterebbero. Sono bellissimi. - Sussurrò talmente piano, che a Zafiraa sembrò esserselo sognato.
-Non dire sciocchezze solo per tirarmi su di morale, Mustafà. - Gli occhi neri dell'uomo si spostarono su quelli verdi della ragazza e poi sulle sue labbra. - Sono stati causa di grande dolore. -
-Io non so mentire, Zafiraa. Dico la verità, sono meravigliosi. -
Zafiraa sorrise, interrompendo quel momento, allontanandosi e andando a prendere una delle camicie da notte di Mustafà, indossandole, dopo essersi tolta l'abito.
Si stese su un piccolo divanetto presente nel mezzo della stanza, mentre Mustafà andava a stendersi sul suo letto.
-Buonanotte. -
-Buonanotte. - Disse lui, prima di spegnere le candele.
La stanza calò nel silenzio in pochi secondi; nessuno dei due osava muoversi, fiatare, parlare. Zafiraa doveva ancora calmare i battiti irregolari del suo cuore e la sua sconsideratezza, quando sentì Mustafà muoversi, alzarsi dal letto, camminare verso di lei, sollevarla dal divanetto, senza una parola e senza nessuna opposizione e farla accomodare nella parte sinistra del suo letto, parte che restava sempre vuota.
Erano stesi l'uno di fronte all'altra, non potevano vedersi per il troppo buio, ma potevano sentire il respiro di uno sulla pelle dell'altra. Il suo alito odorava di vino e le sembrò strano, poiché sapeva che Mustafà lo detestava, era una delle tante cose che beveva se costretto.
Fu facile per lei toccarlo, con l'aiuto dell'oscurità e della sua innocenza in quel campo. E fu altrettanto facile per lui, avvicinarsi e approfittarsi del piccolo buco del suo muro, per afferrarla per la vita e avvicinarsela.
Zafiraa fece scivolare la mano sul braccio di lui, accarezzandone l'epidermide e saggiandone la forza, dovuta ad anni di allentamento sfiancante, mentre lui lo poggiava sul suo fianco e le accarezzava la schiena al di sopra della bianca camicia da notte, provocandole dei brividi lungo la spina dorsale.
Fu facile, quasi da terrorizzare i due, poggiare la fronte su di lui, sentire i loro nasi toccarsi, le labbra sfiorarsi e restare in silenzio, udendo l'uno il respiro dell'altra. Si sentirono, si tastarono, si conobbero in quel modo dolce, in quel modo di cui entrambi avevano bisogno chi per un motivo, chi per un altro.
Lei voleva non pensare per il momento, voleva lasciarsi andare, voleva essere donna. E lui, Mustafà, poteva farne, di lei, qualunque cosa avesse voluto. Zafiraa, per la prima volta nella sua vita, gli avrebbe lasciato il comando, si sarebbe sottomessa ad un uomo, per il semplice ed egoistico bisogno, il sapere, la curiosità di capire che cosa volesse dire essere come Fatma, essere desiderata da un uomo come Mustafà, essere semplicemente amata da uno sconosciuto, anche se solo per una notte, far parte di qualcosa di talmente splendido ma terrificante come l'amore. Voleva sapere talmente tanto che si sentiva bruciava, avrebbe potuto consumarsi esattamente in quel momento, se Mustafà continuava ad accarezzarle la schiena e trattarla con così tanta tenerezza da addolcirle il cuore.
Lei era così calda, in quel momento, ardeva così tanto, come una fiamma; era una fenice, un drago il cui cuore, sangue, carne, ossa, erano costituiti solo da ardente fuoco, magma, pronto ad incendiare qualsiasi cosa. Zafiraa era il fuoco, che bruciava velocemente, che ardeva e distruggeva qualsiasi cosa. Impulsiva, imprevedibile, ancora bambina per certi aspetti del suo carattere, vitale.
Lui, invece, era freddo, talmente freddo e bisognoso di calore, da sembrare morto. Si stringeva a lei, la abbracciava, la accarezzava per ricevere tutto il suo calore, succhiare come un vampiro tutto il suo fuoco e bruciare a sua volta. Mustafà era la neve, che ricopriva il paesaggio di quella surreale calma, sempre pronta a capire, che sapeva spegnere il fuoco, quando si trasformava in acqua, che rimediava ai suoi danni. Calmo, prevedibile, uomo prima del tempo, costretto a crescere dalle circostanze, dalla vendetta, dall'odio e dalla morte.
Potevano sembrare così diversi, differenti, agli antipodi, su due pianeti differenti, ma si completavano. Senza di uno, l'altra non poteva esistere.
-Che stiamo facendo? - Sussurrò Mustafà, fermandosi, quando la sua mano era arrivata sulla guancia morbida di Zafiraa. I capelli bianchi di lei, intrecciati fra le dita lunghe e affusolate di lui.
-Non lo so, con te non sono mai capace di capirlo. -
-Allora potrei prendere il comando? Perché io so, quello che voglio fare...-
-Solo questa volta, Mustafà, solo questa notte. -
-Solo questa notte. - Ripeté, Mustafà baciandole la guancia.
-E poi faremo finta di nulla. Tu ritornerai da Fatma e io a cercare di tenere lontano Bayezid. -
-Solo questa notte. - Mustafà sorrise, baciandole l'incavo del collo e Zafiraa chiuse gli occhi, pensando a quanto aveva aspettato quel momento. Chiuse le mani intorno ai suoi riccioli e quando la bocca del suo padrone raggiunse le sue labbra, venerandole come un artista fa con la sua musa, per Zafiraa fu la fine.
Mustafà aveva tra le mani una bambola e poteva fare di lei qualsiasi cosa. Distruggerla, ricomporla, strapazzarla, adularla, insultarla; Zafiraa non si sarebbe opposta, lei avrebbe obbedito a qualsiasi sua volontà, perché lei era un bravo soldato e lui, dopotutto, aveva il comando.
-Oggi sei mia, Zafiraa. Solo mia. E lo sarai per sempre, dopo questa notte. Una parte di te mi apparterà per l'eternità e una parte di me ti apparterà per l'eternità. -
E questo fu più di mille parole.






Alexandros comparve da uno dei passaggi segreti, che aveva scoperto, portasse direttamente nelle stanze di Mehmed.
E fu proprio durante questo tragitto, tra rocce spoglie, umidicce, buie e piene di topi, che lo trovo. Era un diario, rilegato in pelle rossa, tutto impolverato, le cui pagine erano ingiallite dal tempo. Lo aveva calpestato, poiché non l'aveva visto e quando se n'era accorto, l'aveva raccolto, studiandolo.
Le pagine erano ingiallite dal tempo, odorava di muffa e vi trovò anche degli escrementi di topi, probabilmente gli stessi che avevano mangiucchiato i bordi.
Lo aveva aperto e aveva riconosciuto la calligrafia ordinata, tendente verso destra e con le vocali marcate. L'aveva letta miliardi di volte fra le lettere che suo padre conservava gelosamente nel suo baule, che leggeva ogni anno e su cui sua madre piangeva ogni anno.
Era il diario di suo zio Alexandros, da colui dal quale aveva preso il nome. Era il diario di Ibrahim Pascià, come lo conoscevano a corte, il Gran Visir.
Mehmed era steso sul letto e leggeva uno dei suoi soliti libri sulla filosofia, che lui trovava tremendamente noiosi e contraddittori.
-Guarda che cosa ho trovato questa mattina, quando me ne sono andato da te. - Alexandros glielo lanciò sul letto, posizionandosi al suo fianco, poco dopo. Mehmed alzò il sopracciglio, guardandolo male. Ogni volta che Alexandros gli si presentava in modo così rude e lui era intento nella lettura, Mehmed lo guardava sempre con aria truce, perché 'rovinava la sua tanto desiderata pace interiore'.
-Ciao, Alexandros. Vedo che anche la tua giornata sia andata meravigliosamente. Sì, anche la mia, grazie di avermelo chiesto, ma sai, io sto sempre seduto e non posso fare granché e... - Alexandros rise e poi lo baciò, facendolo smettere di parlare per qualche secondo.
-Ciao, Mehmed, è sempre bello vederti. Mi fa piacere che la tua giornata sia andata bene, anche se sei sempre seduto. Adesso guarda che cazzo di roba ti ho portato e chiudi quella boccaccia larga, va bene? - Il biondo lo baciò di nuovo, lasciando ulteriormente senza parole l'altro.
Quando era con lui, il mondo sembrava finalmente aver preso una direzione. Non si sentiva più sbagliato, non giusto, cattivo, malvagio, contro natura ; con Mehmed si sentiva compreso, uomo, normale e soprattutto amato in modo così esaustivo che avrebbe potuto vomitare quelle maledette farfalle che gli solleticavano lo stomaco ogni volta che era in sua presenza.
-Sei un dannato uomo delle caverne. Non c'è bisogno che tu sia così eccessivamente rude. - Borbottò Mehmed, chiudendo il libro e afferrando il diario di suo zio. - Però! Non lo avevo mai visto. Tutti i vecchi diari di Ibrahim li custodisce mio padre gelosamente nel suo baule e mia madre non lascia nessuno avvicinarsi. Per loro è come se fossero tesori inestimabili. -
-Allora com'è finito in quei bui corridoi? -
-Non ne ho idea, Alex. Ma so che Ibrahim era un uomo molto colto e voglio leggere tutti i suoi pensieri. - Gli occhi di Mehmed brillarono come succedeva ogni volta che si parlava di libri.
Alexandros rotò gli occhi, borbottando un 'topo da biblioteca'.
-Per te andrebbe bene, se io lo leggessi, Alex? - Aveva detto tutto al suo ragazzo, dal primo momento in cui si erano conosciuti. Sapeva di poter contare su di lui.
-Sì, certo, perché no? -
-Perché era tuo zio... Un tuo parente, fratello di tuo padre. Non vorresti sapere com'era? -
-Be', sì... Ma non ne sono sicuro. -
-Potresti leggerlo con me? -
Alexandros sorrise, annuendo. -Non c'è cosa che non farei con te, Mehmed, lo sai. -
-Bene, allora cominciamo. -




25 ottobre 1550, Russia.
Sono alla ricerca di un nuovo regalo per Selim, il mio sultano, il mio migliore amico. Sono partito personalmente verso questo paese dal clima ostile e la lingua odiosa per cercare la miglior ragazza da regalargli.
Abbiamo razziato ogni singolo villaggio alla ricerca di donne e ne abbiamo collezionate un cospicuo numero, ma nessuna di loro, ahimè, sembra essere quella giusta per il mio sultano.
Devo cercare di condurre questa mia ricerca il più velocemente possibile, per poter ritornare a Palazzo Topkapi subito. Non voglio certamente restare qui per l'eternità in compagnia di questi uomini viscidi e senza onore; il mio sangue non potrebbe sopportare peggio di così questo freddo infernale e questa gente ignorante.”




-Oh... questo è stato scritto tre giorni prima la cattura di mia madre. Stava cercando lei, in questo periodo, la mia bella mamma dai capelli rossi, avrebbe vinto il premio e anche l'unica sopravvissuta tra tutte quelle ragazze. - Mehmed sorrise al suo ragazzo, continuando a leggere. - Be', mettiamoci comodi, abbiamo un bel po' da leggere e Ibrahim ha proprio un bel caratterino. -

 

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Capitolo 14
*** XII ***








02 novembre 1550, Russia.
E' passato molto tempo dall'ultima volta nella quale ho riportato i miei pensieri su questo diario, essendo accadute molte cose spiacevoli.
Tre giorni dopo, il 28 ottobre, sono riuscito a trovare lei, un concentrato di rabbia, ribellione, sfrontatezza e capelli rossi. Le ho dato il nome Roxelana per via dei suoi capelli, di un colore talmente acceso da non averlo mai visto prima. Sono certo sarà una degna concubina per il mio adorato fratello e una volta messa in riga e capito qual è il suo posto, potrà adempiere ai suoi doveri correttamente.
Credo mi odi profondamente e il sentimento è reciproco. E' di un arroganza tale da farmi impazzire e non vedo l'ora di ritornare a Costantinopoli, ritornare dalla mia adorata Hatice, il mio primo, vero e unico amore.
Siamo stati attaccati durante il viaggio di ritorno e sono riuscito a mettere in salvo Roxelana per miracolo, poiché un maledetto russo l'aveva quasi dissanguata. Tutto il resto delle ragazze che sarebbero state annesse all'Harem, sono state uccise durante l'attacco, così come quei raccapriccianti mercenari.
Io e la rossa siamo riusciti a scappare per miracolo e arrivati in una piccola città portuale, da dove abbiamo preso la nave di mio fratello Drake e Fiammetta per giungere fino a Costantinopoli. E' da qui, che adesso sto scrivendo, con un braccio ferito e Roxelana svenuta sul letto dei miei fratelli.
Credo che dopo tutta questa faccenda, dormirò per giorni interi.
Fiammetta ha avuto una delle sue visioni, nella quale affermava che sarei morto per colpa sua, di Roxelana... Ho sempre temuto le sue premonizioni molto internamente, che sia vero? Ma come? Io e la rossa non avremo più modo di parlare d'ora in avanti... Mi chiedo, se tutto ciò abbia senso e se Fiammetta sia riuscita a decifrare perfettamente la sua visione.”




Il giorno dopo Zafiraa era scomparsa. Mustafà fu svegliato dai raggi luminosi del sole, la parte che lei aveva occupato vuota e il silenzio tombale che gli faceva fischiare le orecchie.
Si mise seduto, guardandosi attorno, confuso e svestito. Guardò le lenzuola, sporche di sangue; per terra c'erano le due camicie da notte e nulla più.
-Zafiraa! - La chiamò, nella speranza che ella si fosse nascosta, ma non ricevette risposta. Si alzò, mettendosi gli stessi abiti del giorno precedente, inciampando mentre si allacciava gli stivali di corsa. - Sei un idiota, che cosa hai combinato! -
Uscì dalla stanza, correndo per i corridoi e osservando qualsiasi angolo buio, stanza aperta, interrogando qualsiasi servitore o servitrice. Di lei, dei suoi capelli, non c'era traccia. Cominciò a correre, ignorando lo spettacolo che stava dando; aveva solo un pensiero per la mente, una sola persona. Doveva trovarla, doveva dirle qualcosa e cercare di spiegarsi, come meglio poteva. Dopo una notte del genere, nella quale lei gli aveva dato tutto ciò che le era rimasto, tutta se stessa, dopo che gli aveva lasciato prendere il comando, sapendo quanto importante era per lei, non poteva, non doveva lasciarla andare in quel modo.
Solo per questa notte, aveva detto. E lui aveva annuito, drogato di lei e del suo odore. Ma doveva dirglielo, doveva dirle che sarebbe restato per tutta la vita, se solo lei avesse voluto. Avrebbe persino abbandonato Fatma per lei, avrebbe abbandonato qualsiasi cosa. Poteva sembrare prematuro un pensiero del genere, folle, non degno di un uomo forte come lui, ma i fatti stavano così; la realtà era quella e non avrebbe potuto essere più meravigliosa e spaventosa al tempo stesso.
Quando girò l'angolo, il principe ereditario si scontrò con la sultana, il sultano e Fatma, che gli sorrise felice di vederlo.
-Scusatemi, ma ho del lavoro da fare. - Disse, non degnando di un solo sguardo nessuno dei presenti e continuando a far muovere gli occhi in maniera irregolare alle loro spalle, quasi in modo demoniaco. Il sorriso di Fatma si spense e i sultani lo guardarono stupiti. Ignorò le urla e gli ordini di suo padre che gli imponevano di ritornare indietro e scusarsi, continuando a correre.
Alla fine la trovò, seduta in un angolino buio, vicino alle cucine, che giocherellava con i suoi lunghi capelli bianchi, sola. Gli altri servi le passavano accanto, facendo finta di non vederla.
-Zafiraa... - Sussurrò lui tra il fiatone e l'agitazione. Lei alzò la testa e gli puntò addosso quei grandi occhi verdi, resi lucidi dal pianto. Si inginocchiò e l'afferrò per le spalle, facendola alzare. Mustafà poggiò la mano sulle sue guance, osservandola. Lei lo guardò, ma non aggiunse altro. - Finalmente ti ho trovata. -
-E' qui che passo la maggior parte del mio tempo. Se avevi bisogno di qualcosa, potevi mandarmi a chiamare. Non devi venire qui. - Zafiraa si allontanò da lui, appoggiandosi al muro.
-Non mi servi in quel senso. Volevo parlarti. -
-Di che cosa? -
-Di questa notte. -
-Non c'è nulla da aggiungere. -
-Io credo di sì, invece, e tu lo sai benissimo. -
-Ho detto che non c'è nulla da aggiungere! - Mustafà venne spinto via da Zafiraa, che fuggì per l'ennesima volta lontano da lui e da tutti i suoi buoni propositi. - Non puoi fuggire per sempre. Per te ho trattato male mio padre, il sultano! -
-Non te l'ho chiesto io! -
-Non ti lascerò di certo farti andare via così, oggi non sarai tu ad avere l'ultima parola, mia cara Zafiraa. - Mustafà le corse dietro, sotto lo sguardo stupito di tutti i servitori, che cominciarono a sussurrare furtivi.






-Ci ha fatto fare una figuraccia, Selim, davanti alla nostra ospite! E per cosa, poi? Per seguire quella serva, quella Zafiraa! -
-In effetti, mia cara, è stato un comportamento abbastanza sconsiderato da parte sua... Non so più che cosa gli succeda. E' diventato sfrontato, ribelle, disattento. Mio figlio non era così. - Hurrem lo guardò e gli occhi le scintillarono di furbizia. Si sedette accanto al marito, sul bracciolo della sedia e gli fece posare la pipa che aveva fra le labbra.
-Probabilmente dovresti farti due domande, mio angelo. Credi davvero che Mustafà sia capace di governare un impero grande come il nostro? Non è adatto... Forse dovresti pensare a qualcos'altro o qualcuno di più adatto. Gli eredi di certo non ti mancano... -
-Che cosa stai dicendo, Hurrem? E' mio figlio, il primo, e gli spetta di diritto. -
-Tuo figlio è un inetto. -
-Il nostro primo figlio, invece, è uno storpio. Credi che qualcuno lo accetterà mai? - La rossa si mosse prima di avere la forza di fermarsi. Colpì il marito con un sonoro schiaffo che risuonò per tutta la camera matrimoniale. Il sultano voltò il capo, massaggiandosi la parte colpita. Si alzò dal suo posto, tormentandosi le mani e il labbro. Aveva appena colpito suo marito, per la prima volta, dopo venti anni di matrimonio.
Succedeva spesso che, quando qualcuno nominava il suo figlio maggiore, lo dispregiava o solo lo guardava in modo così compassionevole, il cuore le doleva incredibilmente e le faceva una rabbia talmente ancestrale che avrebbe potuto incendiare una intera città, un impero. Era il suo preferito, non poteva farci niente... Non che non amasse il resto dei suoi figli, ovviamente. Ma per lei, anche se era orribile solo pensarlo, era il figlio che amava un po' di più e per il quale avrebbe fatto la peggiore pazzia. Lo amava infinitamente, soprattutto e anche perché suo padre era stato il suo primo amore, un amore morto giovane, ucciso, che la torturava tutt'ora nei sogni.
Ma non era solo lei ad amarlo, anche suo marito, Selim, il sultano, lo amava quanto e forse più di lei. Non si era fatto condizionare dalla sua malattia, né dalla sua impossibilità fisica. No, lo aveva trattato esattamente come tutti gli altri, rimproverandolo quando faceva qualcosa di sbagliato e lodandolo quando l'istruttore personale gli raccontava della sua mente acuta, intelligente e ben predisposta allo studio, a differenza dei suoi fratelli che eccellevano nell'arte della guerra.
Si girò, con le lacrime agli occhi, andando ad abbracciare suo marito che la guardava confuso.
-Scusami, amore mio, scusami. Ma quando qualcuno chiama storpio Mehmed, sai che mi fa imbestialire. Il mio povero bambino se lo sente sussurrare ogni giorno da estranei, non voglio che lo faccia anche suo padre. - Selim sospirò, ricambiando le tenerezze. Erano invecchiati così all'improvviso, da non rendersene conto.
-Lo so, mi sento male per averlo solamente detto. Ma la realtà è questa. Nessuno dei visir accetterà mai Mehmed come loro sultano. Sarà anche molto intelligente, se ne intende di politica... Sarebbe sicuramente un buon sultano, spesso chiedo consiglio a lui come facevo con Ibrahim, ma nessuno lo vorrà mai per la sua piccola imperfezione, per la sua malattia. Il sultano deve essere sinonimo di perfezione, splendore, così come lo è il suo impero. -
-Lo so, amore mio, lo so. Ma io non intendevo lui. Io credo che ci sia del potenziale anche in Selim o Bayezid. Abdullah e Cihangir sono troppo giovani, ma cresceranno. Se noi li istruissimo da adesso... -
Selim sospirò, portandosi le mani fra i capelli. - No, non posso farlo, Hurrem. E' mio figlio. E' il suo posto, gli spetta di diritto. -
-Non è più tuo figlio, caro Selim. Tuo figlio è morto nel momento esatto in cui lo hai portato via, vent'anni fa. Suo madre lo ha plasmato nelle sue abili mani, proprio come stava cercando di fare con te, e ci è riuscita. Non è colpa sua, perché era sua madre, ma lui odia me, odia tutti i nostri figli e maggior ragione odia te, che lo hai allontanato via per stare con me. L'unico che gli sta a cuore è Mehmed, e Allah sa solo perché. - Hurrem sospirò, abbracciando da dietro il marito e baciandogli il collo. - Pensaci, so che è difficile, ma pensaci. Me lo prometti? -
-Va bene, d'accordo. Ci penserò. Vedrò come si comporta e dopo agirò di conseguenza. -
Hurrem nascose il viso tra il collo del marito, accennando un sorriso di vittoria. Avrebbe fatto come diceva lei, come sempre dopotutto. I suoi figli avrebbero governato quell'impero, nessun altro.




Zafiraa era riuscita a nascondersi per tutto il giorno, ma non era servito a nulla. Mustafà l'aveva ugualmente trovata e lei aveva dovuto fuggire da capo, attirando l'attenzione di tutti i servitori.
Alexandros l'aveva vista urlare qualcosa in greco e le era venuto incontro, trovandole un nascondiglio tra i passaggi segreti dell'enorme palazzo e lì, tra topi, umidità e freddo, era riuscita a stare tranquilla per un po', lontana da tutti i problemi. A dir la verità, aveva anche dormito, approfittando della tranquillità di quelle mura solide e sicure. Mustafà era diventato il suo incubo.
Si era data solamente della stupida, per tutta la durata della notte, quando lui l'aveva stretta a sé e aveva dormito con la testa poggiata sul suo petto, mentre lei gli accarezzava i riccioli. Felice.
Si era data della stupida, perché aveva infranto la sua regola numero uno, non innamorarsi mai, soprattutto se lui era il figlio del tuo nemico.
Si era data della stupida perché era stata veramente felice quelle poche ore della notte, tra le sue braccia, bella, al sicuro, donna, che per tutta la sua vita. Si era sentita nel posto giusto. Si era sentita normale, non una malata che tutti evitavano per il colore dei suoi capelli e per la pelle pallidissima.
Si era data della stupida, perché aveva ceduto alla tentazione.
Si era data della stupida, perché si era innamorata e le piaceva talmente tanto Mustafà, che gli aveva persino perdonato di aver ucciso i suoi genitori. Si era data della stupida, perché scappava, perché era una codarda che non sapeva affrontare le situazioni di petto.
Si era data della stupida, perché molto probabilmente lo era e anche lui.
E poi aveva pianto, aveva versato poche lacrime e ci aveva messo tutta se stessa per farlo, perché lei non sapeva come si faceva. E si era sentita meglio, molto meglio. Aveva capito perché le donne piangevano sempre. Era veramente liberatorio!
E lui, il suo principe, arrivò proprio in quel momento. Quando lei si stava asciugando le ultime lacrime.
Zafiraa era seduta per terra, con le ginocchia vicino al petto, tirava su col naso e gli occhi rossi e gonfi. Mustafà, invece, sembrava un pazzo, con i capelli che andavano in tutte le direzioni e i vestiti spiegazzati.
-Ti ho trovata, finalmente! Ti ho cercata ovunque. Ho dovuto perdere due sacchetti d'oro contro tuo fratello, prima di farmi dire dove ti eri cacciata! - Le andò incontro, sollevandola contro la sua volontà. Zafiraa non osava guardarlo negli occhi, i suoi bei e grandi occhi neri. Osservava per terra, o i suoi piedi, o la spilla che lui portava sulla fodera della spada. Lo aveva troppo vicino, sentiva il calore che emanava la sua pelle e per lei era impossibile ragionare, non dopo la notte precedente. No, non sapeva respirare, lui le aveva tolto la facoltà e la volontà di farlo. E lui, voleva solamente deriderla, lui non provava lo stesso per lei. L'aveva solo usata. - Perché scappi sempre da me? -
-Proprio per tutto questo, Mustafà. Perché non mi piace affrontare questo genere di cose. -
-Ma noi dobbiamo parlare. -
-Di che cosa? Sono stata solo un'avventura di una notte per te, ammettilo. Lo so e non mi interessa. La mia prima volta doveva pur accadere con qualcuno. -
Mustafà rise, scuotendo i bei riccioli scuri. - Lo fai sempre. -
-Faccio cosa? -
-Quando qualcosa di ferisce, cerchi sempre di fare la strafottente, la menefreghista. E' stata la tua prima volta, con me, mi hai donato qualcosa che ti era caro. Non me ne sono approfittato della situazione, volevo farlo per un motivo preciso, non perché non avessi nessuno. E dopo questa notte, so che lo hai fatto anche tu. In un momento del genere, neanche tu, riusciresti a fingere. - Mustafà le accarezzò la guancia. Zafiraa fremette sotto il suo tocco, ispirando e arrossendo. L'aveva toccata con una simile dolcezza e tenerezza, proprio come in quel momento... Non c'era stato niente di carnale, animalesco, primitivo come nel campo di battaglia. Nessuno voleva prevalere sull'altro; c'era solo quella sensazione di dare di più, di colmare quello spazio.
-Non dire cose di cui ti potresti pentire, Mustafà, sei ancora in tempo per fuggire. -
-Fra noi due sei tu quella che fugge. - La baciò, togliendole il respiro. Zafiraa chiuse gli occhi, lasciandosi amare da lui, da quelle mani, dalla sua bocca. - Ti ho trovata, finalmente. Ho passato tutta la vita a cercarti, tant'è che avevo perso la speranza. Ti ho trovata ed eri proprio sotto il mio naso. Non avevo mai pensato di innamorarmi di te, ma ti ho trovata. La mia persona, la mia metà, il mio bene più grande. - Mustafà sospirò, notando la faccia terrorizzata e interrogativa della sua interlocutrice. Non capiva, o meglio, non voleva capire, poiché voleva dire cambiare le cose e lei odiava con tutta se stessa i cambiamenti. - Quello che voglio, molto confusamente dire, perché saper pronunciare frasi romantiche non è tra i miei innumerevoli talenti... -
-Neanche la modestia. - Borbottò Zafiraa, facendo un passo indietro, quando Mustafà le rifilò quella occhiataccia, quella che le intimava di stare zitta.
-Voglio stare con te in tutti i modi nei quali due persone potrebbero mai pensare o aspirare. Non sono un ingenuo. So, che non sarà facile. So, che dovremmo fare enormi passi in avanti per rendere tutto perfetto, o almeno normale e non strano, perché siamo soldati, più che persone che provano questo genere di sentimenti. O almeno, per me lo era, prima di conoscerti. Te l'ho detto, non sei solo una serva qualsiasi. Per me sei la mia cosa bella, sei la donna con la quale mi voglio impegnare, sei quella che si è presa il mio cuore e la mia facoltà di guardare qualsiasi altra donna e non trovarle uniche come te. Sei ciò per il quale io morirei e mi farei uccidere.-
Zafiraa lo guardò, non sapendo cosa dire, non sapendo cosa fare, cosa pensare. Cosa avrebbe mai potuto rispondere, lei che non era brava con le parole e con i sentimenti, ad una simile dichiarazione in un passaggio segreto, mentre i topi sembravano osservarla in attesa di qualsiasi cosa?
-Grazie. - Fu tutto quello che disse. Mustafà la osservò, palesemente deluso. Si aspettava qualcosa di più, qualcosa che potesse eguagliare ciò che aveva detto? Ma niente di tutto ciò che le veniva in mente avrebbe potuto rendergli giustizia. - Grazie, per tutto ciò che hai detto. Grazie, per tutto ciò che provi. -
-E quindi? Che cosa mi rispondi? Vuoi... Vorresti provare a fare questo enorme salto nel vuoto, con me? -
-E se dovesse andare male? -
-Perché pensare al peggio, quando potremmo provare? Dovremmo nasconderci, perché mio padre non approverà mai, sopratutto adesso che Fatma è a corte. Ma è te, che voglio, non farmi quello sguardo. E' solo te. - Mustafà la guardò, tutto occhi neri, vulnerabilità e speranza. Zafiraa annuì, non riuscendo a scappare. Questa volta era come incollata al pavimento e solo quando Mustafà la prese in braccio, abbracciandola, riuscì a riprendersi e sorridere.
Per un attimo, un bellissimo attimo, si dimenticò chi erano, quale era il loro passato e i loro ruoli. Per un attimo, erano solamente Mustafà e Zafiraa, un uomo e una donna comuni, che avevano appena cominciato una relazione.
Un bellissimo attimo, un momento che aveva il sapore di felicità, un sapore talmente delicato e fresco, al quale non era abituata.






AN//
Eccomi qui, con questo capitolo che penso sarà piaciuto a molti di voi. O almeno a quelli che shippano la Mustafiraa!
Lasciatemi un parere su cosa ne pensate e se secondo voi dureranno. XD
La nostra Roxelana tesse la sua tela, come un abile ragno, come sempre e Selim le da sempre ascolto. Non sono per niente cambiati dall'ultima volta, tanti anni prima!
Ad ogni modo, adoro scrivere di Ibrahim, nel suo diario, è un personaggio che ho amato veramente tanto e mi manca. Quindi, d'ora in poi ci sarà una pagina del suo diario per ogni capitolo!
Spero che questa storia vi stia piacendo, dunque, e che i capitoli siano di vostro gradimento.
Alla prossima!

 

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Capitolo 15
*** XIII ***






-Devo andare, Zafiraa, ci vediamo dopo, nella speranza che tu non scappi di nuovo. - Mustafà le sorrise, un vero sorriso, accarezzandole la guancia. Si guardarono per un po' negli occhi, imbarazzati e non sapendo bene cosa fare; nessuno dei due era pratico di quel genere di cose. Non sapevano cosa fosse l'amore romantico fino a qualche secondo prima e adesso si trovavano catapultati in quella situazione strana, ma eccitante. - Devo andare da mio padre, sarà talmente arrabbiato con me per averlo ignorato! -
-Va bene, sì, ci vediamo. - Zafiraa abbozzò un sorriso, non alzando un muscolo e restando ferma, schiacciata contro la parete solida, molto più ferma delle sue gambe che avrebbero potuto cedere da un momento all'altro. Si sentiva andare a fuoco, maledizione a lui!
-Aspettami in camera mia, non ti muovere da lì per nessuna ragione al mondo! -
-E tu non fare pazzie con tuo padre, ricorda chi sono io e chi sei tu, o almeno per il momento. -
-Mi conosci, non faccio mai pazzie! - Mustafà le sorrise, stampandole un veloce bacio sulle labbra, prima di fuggire via, veloce come il vento.
-E proprio perché ti conosco che so di cosa sei capace quando sei felice. Sei sempre imprevedibile. - Sussurrò.
Lei, aggrappandosi ai muri, riuscì ad uscire da quell'umidiccio passaggio segreto, riuscendo anche a respirare dell'aria pura. Si fermò su uno dei balconi che davano sull'enorme giardino e guardò in alto, su nel cielo azzurro e privo di qualsiasi nuvola. Il sole le pizzicava la pelle, ma lei non ci badò. Aveva imparato a sopportare il dolore, dopo una vita, e non se ne accorgeva quasi più.
Aveva bisogno di qualcosa o qualcuno che la riportasse alla realtà! Che cosa avevano fatto? Erano forse fuori di testa?
-Non andrà a finire bene. - Zafiraa sussultò, non avendola sentita arrivare. Si inchinò, abbassando lo sguardo e mettendosi in un lato all'ombra con le mani congiunte. La sultana era al suo fianco e la guardava in modo freddo e con un sopracciglio sollevato. Zafiraa deglutì, drizzando le spalle. Che cosa aveva fatto adesso, perché la guardava così?
-Che cosa, mia signora? Non capisco a cosa voi vi riferiate.-
-Lo sai benissimo, Zafiraa. Tu e il mio figliastro Mustafà. Anche un cieco non vedrebbe quello che provi nei suoi confronti e non cercare di negarlo, perché ci sono passata prima di te. -
-Voi non sapete proprio niente di me e di Mustafà, mia signora. Non sono affari che vi riguardano. - Zafiraa la guardò per la prima volta negli occhi e fu come guardarsi allo specchio. Quella situazione la destabilizzò per qualche secondo, prima di riprendersi.
-Oh, certo che lo so, figliola. -
-Non sono vostra figlia. -
Hurrem sorrise, squadrandola da capo a piedi. - Certo che non lo sei. Come potresti? Ad ogni modo, non sognare a lungo. Sei solo una serva, Mustafà è un principe ed è giusto che lui si sposi e abbia degli eredi da delle principesse o per lo meno da donne di alto lignaggio, non da nullità come te. Metti fine a tutto questo, prima che lo faccia lui e ti spezzi il tuo povero e ingenuo cuore. - Hurrem le si avvicinò, afferrandole il viso con una mano. Zafiraa la spinse via, guardandola male.
-Voi eravate la puttana di vostro marito, eppure siete qui adesso. Cosa mi impedisce di fare lo stesso? - Zafiraa si inchinò, nascondendo un sorriso. - Vostra magnificenza, con permesso, devo andare a sbrigare le mie mansioni da serva inutile quale sono. -
Zafiraa le diede le spalle, andando nell'unico posto nel quale avrebbe voluto essere. Da Mehmed a sentirsi coccolata e capita. Dopotutto, adesso, era suo cognato.




Mustafà, prima di recarsi da suo padre, andò a cambiarsi. Indossando il primo completo che aveva trovato nel suo baule. Il sultano era solo nell'enorme sala del trono, seduto sulla sua sedia regale. Della onnipresente moglie non c'era nessuna traccia.
L'erede al trono si inchinò, sorridendo colpevole, quando il padre gli rifilò una occhiataccia. Era talmente invecchiato, pensò tra sé, che non sembrava neanche lui. Aveva lo sguardo perso tra i ricordi, annacquato in lacrime che versava ormai da tempo per la perdita di una fratello e per il senso di colpa. La vita lo aveva premiato, era stata più che generosa con lui, avendogli dato un titolo, ricchezza, amore, anche se la donna che amava e lo amava era discutibile, e tanti, innumerevoli figli, che avrebbero continuato a portare il suo nome per generazioni intere. Aveva vissuto tanti anni, e adesso che era vicino ai cinquanta, poteva ritenersi soddisfatto della vita che aveva fatto. Ma per tutti c'è dolore, ci sono i sensi di colpa e la sua portava un nome preciso: Ibrahim.
E probabilmente questo senso di colpa, unito allo stress di dirigere un impero vasto come quello ottomano e in continuo ingrandimento, lo aveva fatto invecchiare in dismisura.
-Padre, sono venuto a scusarmi per il mio comportamento inammissibile di poco fa. -
-Ah, bene, vedo che tu non abbia perso del tutto le buone maniere, Mustafà. -
-Lo so, so di aver sbagliato e di essermi comportato in maniera molto scortese con tutti e soprattutto con Fatma, che è così una dolce e semplice creatura, ma avevo delle questioni personali da sbrigare. -
-Quanto personali, Mustafà? Talmente più importanti da farti ignorare la tua futura moglie? - Il sultano alzò il sopracciglio, serio. Mustafà, nell'udire quelle parole, aggrottò le sopracciglia.
-Futura? Ma io non ho ancora deciso. Avevamo un patto, padre. -
-Patto che tu non rispetti affatto. Pensi solamente ad andare dietro a quella servetta malata. Devo intervenire io per farti riprendere, Mustafà, oppure ci riesci benissimo da solo? Oltre ad essere mio figlio, sei prima di tutto un mio suddito e come tale hai il dovere di portare rispetto a me e ai miei ospiti. - Selim assunse una sfumatura di rosso, si stava alterando.
-Mi dispiace, padre, non accadrà mai più. Voi avete ragione e sarò pronto a scusarmi con Fatma tutte le volte necessarie per ricevere il suo perdono. Non intendevo ferire la sua persona in nessun modo. -
-Eppure lo hai fatto. Devi cominciare a comportarti bene, caro figliolo, mettendo da parte la tua immaturità e pensando bene alle scelte che fai. Altrimenti sarò costretto a prendere dei provvedimenti seri. -
-Ovvero? -
-Escluderti dalla successione al trono. Se mi deluderai, cosa che i tuoi fratelli non fanno, sarò costretto, alla mia morte, a dare il mio posto a tuo fratello Selim. -
-Che cosa? Padre non starete dicendo sul serio! E' mio di diritto come tuo primo figlio. Mi sono allenato per tutta la vita. Ho rinunciato a tutto per diventare un degno erede! - Mustafà non sapeva descrivere tutte le emozioni che provava in quel momento. Deluso, arrabbiato, messo da parte dal suo stesso padre. C'era qualcosa di peggio?
-Allora fa' in modo che tutto questo finisca e cerca di non deludermi. Tu e Fatma siete giovani e avrete modo di innamorarvi col tempo. L'amore è sopravvalutato molto spesso. Quella serva non è alla tua altezza e sarà solo una piccola infatuazione. -
-Sì, padre, avete ragione. Oggi stesso andrò a scusarmi con Fatma e le chiederò se vuole farmi il piacere e l'onore di diventare mia moglie. - Sapeva fosse inutile discutere con suo padre, doveva avere ragione, era il sultano e aveva il potere di fare tutto ciò che aveva detto.
-Benissimo. A quel punto potremmo organizzare tutto il matrimonio. -
-Posso andare? -
-Sì, certo. E Musafà, hai fatto la scelta migliore, non te ne pentirai. -
Il principe ereditario si inchinò e senza degnare di un altro sguardo il padre, andò a cercare la sua futura moglie.






Ibrahim aveva guardato Fatma così a lungo che temeva che da un momento all'altro la bella ragazza si consumasse all'improvviso e svanisse nel nulla. La nobildonna aveva fatto finta di niente, probabilmente abituata nel sentirsi osservata a causa della sua bellezza, e gli sorrideva di tanto in tanto.
Si trovavano a pochi metri di distanza nel grande giardino di palazzo Topkapi, ricco di qualsiasi tipo di fiore. Era affascinata dalle rose bianche, le più belle di tutte l'impero e le accarezzava, sentendone il profumo di tanto in tanto.
Alla fine, neanche si ricordava il come e il perché, la ragazza gli si era avvicinata e avevano iniziato a parlare, prima con dell'imbarazzo e poi con più confidenza del più e del meno. Avevano scoperto che ad entrambi piaceva il giardinaggio, veder crescere e prendersi cura delle piante li faceva sentire in pace col mondo, li rilassava e semplicemente era qualcosa che avrebbero potuto fare per l'eternità. Non avevano paura di sporcarsi le mani di terra, cosa che a quelli del loro lignaggio, faceva svenire solo il pensiero.
Erano dei tipi molto solitari e timidi e per questo non apparivano particolarmente affascinanti, aldilà della loro bellezza, agli occhi della gente.
Avevano parlato e riso talmente a lungo che ad Ibrahim sembrò di conoscerla da una vita ormai. Al suo fianco non si sentiva stupido, impacciato o una nullità come accadeva con il resto delle ragazze, persino con Zafiraa, che era molto disponibile. No, con lei si sentiva se stesso, un semplice ragazzo, che stava per diventare uomo, al quale piaceva il giardinaggio invece delle spade o delle armi in generale.
-Mi ha fatto veramente piacere conoscervi, Ibrahim Sultan. E' così difficile farsi degli amici per me, che averne trovato uno è un sollievo! Posso chiedervi una cosa? - Fatma si era fatta molto seria, le guance le si erano imporporate di rosso, imbarazzata; gli toccò il braccio con la piccola mano delicata, mentre i suoi grandi occhi lo guardavano con una sincerità e intensità tale da farlo arrossire e farli battere il cuore in maniera orgogliosa. Era così patetico, pensò, essere già pazzo di lei dopo poche ore di conversazione. Gli sembrava di essere un disperato che alla minima attenzione femminile perdeva la testa. Che uomo era! Fantasticava sulla futura moglie di suo cugino.
-Potete chiedermi qualsiasi cosa voi vogliate, mia signora. - sussurrò, sporgendosi maggiormente verso la ragazza.
-Come vi sembro? Sono solo come appaio oppure c'è qualcosa di più sotto? -
-Oh, Fatma, voi siete la creature più incantevole, modesta, di buon animo e che maggiormente ne capisce di giardinaggio che io conosca! Se non foste la promessa sposa di mio cugino Mustafà, vi sposerei all'istante. - Rendendosi conto di ciò che aveva appena finito di dire, sgranò gli occhi, facendo un passo indietro, ma sfortuna volle che inciampò sui suoi stessi piedi e cadde tra le stesse rose che fino ad un momento prima i due stavano ammirando. Divenne rosso all'istante e si maledì per essere talmente maldestro e goffo. Cos'aveva che non aveva?
Fatma rise, portandosi una mano al viso, vedendolo in quella scena comica. -Allah, non dovrei ridere, mi dispiace, ma siete così buffo e adorabile. Aspettate, vi aiuto. -
-No, non ce n'è bisogno, non scomodatevi, mia signora, sono un uomo e sono in grado di occuparmi da solo di me stesso. - Ibrahim sbuffò, cercando di rialzarsi, ma non sapeva dove mettere le mani, poiché le spine appuntite delle rose gli si infilavano nei palmi delle mani. Aveva spine dappertutto, persino in posti nei quali è meglio che le spine non finiscano. Provò a rialzarsi per due volte di fila, ma i suoi tentativi erano vani e inutili. Guardò Fatma che continuava a ridacchiare e disse: -L'offerta è ancora valida? -
-Certo, che lo è, mio signore. - Fatma gli offrì la mano e Ibrahim riuscì finalmente a rialzarsi senza sforzi. Aveva rose infilate ovunque nella giacca, tant'è che ne prese due e le porse alla ragazza, sorridendole in modo adorabile. - Queste sono per il vostro aiuto. Capirò se non vorrete parlarmi mai più. -
Fatma arrossì, ma sorrise, mandando via l'imbarazzo. Lei prese le rose e sfiorò le dita ferite di Ibrahim; si guardarono per qualche secondo, trovandosi da tutt'altra parte. In un mondo più giusto magari, nel quale le persone si sposavano per amore e non per convenienza. Ibrahim la guardò negli occhi e capì, capì che per Mustafà non avrebbe mai provato nulla, nemmeno col tempo e capì che in lei c'era una sorta di grido d'aiuto. Non voleva quella vita e nemmeno lui al suo posto l'avrebbe voluta. -Sono i fiori più belli che qualcuno mi abbia regalato, grazie. -
-Non saranno mai quanto lo siete voi. - Si lasciò sfuggire, ma questa volta non arrossì. Era ciò che pensava realmente.
-Ibrahim, io non vo... -
-Mia signora, mi dispiace disturbarvi ma sono venuto qui per chiederle una cosa. - I due ragazzi si girarono e videro Mustafà, tutto riccioli scuri e arrabbiatura, dietro di loro. Da quanto era lì? Perché non l'avevo sentito arrivare? -Posso disturbarvi? -
-Sì, certo, Mustafà Sultan. Ditemi. - Fatma e Ibrahim si inchinarono, ma Mustafà sembrò nemmeno far caso a loro. Era come apatico, quel giorno, privo di emozioni. Non era il solito Mustafà. Era sicuramente successo qualcosa con suo zio.
-Allora io vado. -
-No, resta, cugino, resta. - Mustafà si schiarì la voce, grattandosi la guancia sinistra. Notò che avesse del sangue sulle nocche della mano destra. Aveva fatto a pugni con qualcuno? - Vorrei chiedervi immensamente scusa per il mio comportamento di questa mattina, mi rendo conto di essere stato maleducato e di avervi mancato di rispetto. Spero voi possiate perdonarmi, ma non l'ho fatto con cattive intenzioni. Ero solo occupato a cercare una... persona. - In quel momento Ibrahim lo vide, il dolore. Si trattava per caso di Zafiraa? Aveva sentito delle voci di loro due dai servi, ma anche da Alexandros e Mehmed, secondo cui Mustafà fosse come preso da una condizione di pazzia e si fosse messo a cercare Zafiraa per tutto il palazzo come un forsennato. Allora i loro sospetti erano reali, tra quei due c'era qualcosa.
-No, non preoccupatevi, mio principe. Non me la sono per niente presa, non sono quel tipo di persona. - Fatma sorrise, gentile. Ibrahim la guardò e sospirò, era così bella! Mustafà lo guardò, aggrottando le sopracciglia. - C'è altro che dovete chiedermi? Devo andare con vostro cugino dal guaritore, si è fatto male solo per soddisfare la mia strana voglia di avere la rosa più bella e adesso gli sanguinano le dita. -
Ibrahim la guardò, non capendo. Le sue dita godevano di ottima salute.
-Volete sposarmi? - Mustafà la buttò lì, velocemente e sbrigativo. Molto romantico.
-Oh... - Fatma fu presa contro piede ed ebbe un attimo di tentennamento, nel quale guardò Ibrahim, che scosse la testa. -Sì, Mustafà. -
-Bene, vi ringrazio. - Mustafà le baciò il dorso della mano e le sorrise in maniera molto forzata, prima di borbottare qualcosa su cene, matrimoni e padri e andarsene via. Lasciò due sbigottiti Fatma e Ibrahim a guardarsi in un mix di tristezza e disperazione.








A fine giornata Zafiraa più stanca che mai, si recò in camera di Mustafà. Non l'aveva visto per tutto il giorno e lui non aveva visto lei, quindi trovarlo in camera sua, intento a mangiucchiare dell'uvetta nera, mentre leggeva su un libro rilegato di nero, fu una gioia per gli occhi. Fino a quel momento non avevano mai passato così tanto tempo lontani l'una dall'altra, mai, e lei non si era mai accorta, come vederlo ogni giorno, fosse diventata una certezza. Trovarlo seduto da qualche parte nella sua enorme camera a fare qualsiasi cosa, mentre la aspettava per andare a letto, era anche strano, soprattutto in quella situazione particolare nella quale si trovavano. Non riusciva neanche a metabolizzarlo del tutto. Era successo fin troppo velocemente; il giorno prima erano acerrimi nemici e quello dopo erano una coppia. Ma avevano futuro?
Mustafà, nell'accorgersi della sua presenza, le sorrise. Zafiraa fece per fare lo stesso, ma si bloccò. Senso di colpa, urlava senso di colpa da tutti i pori. Lo conosceva, sapeva distinguere tutti i tipi di sorrisi che la sua faccia da schiaffi riusciva a fare.
-Che cosa hai fatto? - Mustafà si alzò, venendole incontro, ma lei mise le mani avanti, facendolo fermare. - Tu non poserai un dito su di me, finché non mi dirai che cosa succede qui. -
-Forse è meglio se ci sediamo, Zafiraa. -
Zafiraa annuì, torturandosi le pellicine della dita e lo seguì, andandosi a sedere al suo fianco. Si tolse le scarpe e incrociò le gambe, girandosi per guardare l'uomo che aveva sicuramente combinato qualche danno.
-Mio padre mi ha dato un ultimatum quando sono andato a parlare con lui questa mattina, dopo averti lasciata. Mi ha fatto un sacco di paranoie sul mio dovere da erede al trono, sul fatto che dovessi sposare una donna degna del mio lignaggio eccetera, eccetera, eccetera. E mi ha costretto, in un certo senso, a sposare Fatma. Le ho fatto la proposta qualche ora fa in giardino. Domani a cena verrà annunciato davanti a tutti. -
Zafiraa annuì, schiarendosi la voce. Fu come ricevere una pugnalata al cuore, fu come morire, si sentì a disagio, rifiutata, stupida. E non voleva mai sentirsi in quel modo. - Bene, quindi mi hai praticamente presa per il culo con tutte quelle belle parole?! -
-No, certo che no! - Musafà la prese per le spalle, avvicinando la sua fronte a quella della ragazza. Le bastò sentire il suo profumo per calmarsi in parte. -Ho dovuto farlo, mi capisci? Ma dopo questa, sono pronto ad agire e voglio te al mio fianco. -
-Che cosa stai farneticando, Mustafà? - Zafiraa lo guardò, non comprendendo il suo discorso. - Secondo me tutta questa storia, noi due... Non ha senso. Non siamo fatti per queste cose. -
-Io invece non credo. Siamo stati per troppo tempo da soli, abbiamo visto fare agli altri tutto ciò che volevamo fare noi che per la paura non abbiamo fatto. Ci siamo nascosti nella vita vera, perché ci sembrava abbastanza non farlo nella battaglia. E' tempo di rischiare, è tempo di uscire dai nostri stupidi gusci e darci una mossa. - Mustafà le sorrise, baciandole la punta del naso. Zafiraa sorrise, non riuscendo a dire niente. Era sempre perfetto nei discorsi, doveva concederglielo.
-Eppure ti sei sposato. -
-Dovere. -
-Lo sono stati anche i figli? Non mi odi per quello che ho fatto loro? -
-E tu non mi odi per quello che ho fatto ai tuoi genitori? - Zafiraa non rispose, chiudendo gli occhi e abbracciandolo forte. L'uomo ricambiò, stringendola con tutto il calore che riusciva a trasmetterle. Dovevano rischiare, aveva detto, e se avesse fatto male? Non voleva soffrire, non di nuovo, non ancora.
Zafiraa era stata innamorata solo una volta, tanto tempo prima, quando la sua testa era piena delle favole che sua madre le raccontava prima di addormentarsi, quando sospirava vedendo i suoi genitori amarsi in un modo tutto loro, guardarsi con quell'amore per il quale si ucciderebbe, l'unica cosa che ci separa dai mostri senza anima. Si era innamorata qualche tempo prima e si era sentita benissimo, poteva toccare il cielo con un dito, poteva portargli la luna, il sole e tutte le dannate stelle... Ma poi aveva fatto male, terribilmente male, si era sentita rifiutata, un mostro che non merita amore, una che non avrebbe mai baciato la prima volta, una che non avrebbe mai avuto nessuno che la guardasse nel modo in cui suo padre guardava sua madre. E poi si era fatta una ragione. Ogni tanto sentiva del vuoto dentro di sé, ma passava quasi subito, quando ricordava il male che faceva, male che superava il bene. L'amare era l'unica cosa davanti alla quale sarebbe fuggita, a meno che non ci fosse stato qualcuno che le avesse fatto cambiare idea.
E quel qualcuno era lui, l'uomo che la abbracciava e che le diceva cose che nessuno le aveva mai detto. L'uomo che l'amava nonostante il suo caratteraccio e la sua malattia. L'uomo che era andato oltre i suoi pregiudizi per lei.
-Devi darmi del tempo Zafiraa, devo cercare di risolvere questa cosa con mio padre. Devo far in modo di prendere il suo posto subito, prima che Hurrem gli riempia la testa di scemenze. E quando ce l'avrò fatta, quando sarò un dannato sultano, ti ridarò la tua libertà. Tu sarai la mia regina, la mia unica moglie, la mia sultana. Ma devo sapere che tu sarai al mio fianco, per tutto il tempo e che mi sosterrai. Sei l'unica che ho a questo mondo. Non ho nessuno. - Zafiraa sorrise, accarezzandogli i ricci scuri.
-Puoi contarci. - Zafiraa si staccò dall'uomo, estraendo il piccolo diario che Mehmed e Alexandros le avevano appena dato. Mehmed le aveva detto che apparteneva ad Ibrahim, suo zio, e trattava i suoi ultimi anni di vita, ovvero da quando aveva incontrato Hurrem in quel piccolo paesino russo, fino a qualche ora prima della sua morte.
Mehmed e Alexandros avevano iniziato a leggerlo assieme, quando suo fratello lo aveva trovato in un passaggio segreto, abbandonato a se stesso. Molto probabilmente a qualcuno era caduto e non era riuscito a ritrovarlo, oppure semplicemente volevano che non venisse trovato da nessuno, poiché quei passaggi segreti venivano usati solo in caso di attacco.
-Che cosa è? -
-E' il diario di Ibrahim, di mio zio Ibrahim, il Gran Visir. Mehmed e Alexandros lo hanno trovato per caso. Mi hanno detto di leggerlo, che mi avrebbe fatto piacere conoscere il fratello di mio padre, considerato che entrambi i miei genitori lo conoscevano. - Zafiraa scrollò le spalle, toccando la superficie liscia del diario. Non era molto grande, poteva benissimo stare in una mano.
-Io l'ho conosciuto. Mi ha fatto praticamente da padre, prima che Hurrem mi facesse andare via assieme a mia madre. Erano molto legati, lui e mamma. Probabilmente perché hanno passato lo stesso inferno. -
Zafiraa annuì, mangiucchiandosi la pellicina dell'interno guancia. - Dovremmo leggerlo, secondo te? -
-Perché no? Magari troveremo qualcosa di utile da poter usare contro Hurrem. E poi se realmente lo hanno trovato per caso, è perché qualcuno voleva che lo trovassimo e lo leggessimo. - I due si sistemarono meglio sul letto e Mustafà fece in modo che Zafiraa si accoccolasse tra le sue braccia. La ragazza aprì il diario, accarezzando le pagine. Aveva una bella scrittura, molto ordinata e precisa.
Lesse le prime dieci pagine nelle quali parlava di come stesse cercando invano una concubina per il sultano, suo grande amico e fratello; di quando trovò Roxelana, primo nome di Hurrem, per via dei suoi capelli rossi e di come ne era rimasto colpito. Lesse di quando i suoi genitori lo portarono, assieme alla rossa, a Costantinopoli e pianse, leggendo i loro nomi e della visione che aveva avuto sua madre. Ci aveva visto sempre giusto, sempre, lei non si sbagliava mai. Poi c'erano diverse pagine riguardo ai problemi di corte, di Selim che era sempre più pazzo della rossa, aggettivo preferito dall'ex Gran Visir per appellare la donna, e di quanto Roxelana fosse asfissiante e insopportabile.
Poi ci fu la svolta.


20 dicembre 1550.
Credo di amarla. Non so come sia avvenuto, né per quale motivo. E' troppo piccola per i miei gusti, è maledettamente odiosa e quando litighiamo vorrei solamente assestarle un colpo con un bastone in testa e sotterrarla da qualche parte.
Non sono completamente sicuro dei miei sentimenti, anche perché credevo di aver realmente amato in tutta la mia vita solo la dolce Hatice. Ma da quando Selim mi ha vietato di parlarle o anche solo di guardarla e da quando si è sposata, i nostri rapporti sono pari a zero.
So solamente che quando lei non c'è, i miei occhi la cercano dappertutto. Quando lei non mi parla o quando mi ignora di sua spontanea volontà, vado a stuzzicarla su un argomento che so benissimo non le stia a cuore. Quando mi guarda, anche solo per sbaglio, a cena, mi sento felice, perché so che i suoi occhi si sono posati su di me. Potrei essere pazzo, me ne rendo conto, e so che non dovrei desiderare la donna di un fratello. Ammetterlo mi costa davvero tanto, il mio onore viene automaticamente messo in discussione così. Ma la amo e mi piace farlo.
Anche il freddo Gran Visir ha dei sentimenti.”

 

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Capitolo 16
*** XIV ***


L'ho baciata. Non so neanche come sia successo. Non riuscivo a dormire, era notte fonda e stavo pensando a lei, che è diventata il mio pensiero costante, la mia unica ossessione. Ho lasciato Freya da sola nella nostra camera e sono uscito, sperando di trovare un po' d'aria.
L'ho sentita arrivare, ma pensavo si trattasse di un sogno; tutti i miei sogni ultimamente riguardano lei. Tutta quella scena aveva del surreale, lei bellissima e nascosta in un mantello, l'odore di sangue e neve e io che sembravo un pazzo senza pena. L'ho baciata, l'ho stretta tra le mie braccia e mi sono sentito al sicuro, me stesso, semplicemente Ibrahim e non un Gran Visir freddo e senza cuore.
Ancora non riesco a capacitarmi dei sentimenti che provo per questa ragazzina impertinente che gioca a fare la sovrana, ma so, che per amor suo, ho tradito il mio migliore amico, mio fratello e il mio orgoglio e onore. Non so cosa succederà adesso, non sono sicuro di come tutto questo andrà a finire. Sento solo una brutta sensazione che mi opprime il cuore, ma cercherò di ignorarla. Mi sento una ragazzina in preda al primo amore. Che cosa mi ha fatto?”




C'era stata una cena, un mese dopo, nella quale Fatma e Mustafà furono presentati come futuri sposi e avevano ufficializzato il fidanzamento. Sull'anulare della bella ragazza bruna brillava un anello grande e costoso, ma nonostante ciò non sembrava essere felice. Il matrimonio sarebbe avvenuto di lì a due settimane.
Sul suo viso, Mehmed lo poteva notare, c'era un sorriso malinconico di circostanza. Se qualcuno le domandava cosa avesse, rispondeva con un semplice sorriso e scrollata di spalle, giustificando il tutto con l'ansia del matrimonio e dei vari preparativi. Diventare sultana non era cosa da tutti, sopratutto se si era così giovane.
Aveva visto spesso, mentre servivano le varie bevande durante la cena agli invitati, il modo in cui guardava Ibrahim. Era lo stesso modo in cui Zafiraa, dall'altro lato della stanza, veniva guardata da Mustafà o il modo in cui lui guardava Alexandros. C'era qualcosa nel suo sguardo, un mix di malinconia, tristezza e amore, che non aveva un nome preciso, ma che solo uno sguardo poteva far intendere.
Probabilmente era il modo in cui sua madre e Ibrahim si guardavano, quando nessuno poteva osservarli, molto diverso dal modo in cui i suoi genitori si guardavano. Il loro era il tipo di amore puro, consolidato durante gli anni, sincero; quel tipo di amore che gli uomini cercano durante tutta la vita e che in pochi trovano, quello duraturo e forte.
Con Ibrahim era diverso. Da ciò che aveva letto e dal modo in cui gli occhi di sua madre si intristivano quando per caso si parlava di lui, il loro era stato quel tipo di amore passionale, che ti consuma, che brucia, distruttivo, quel tipo di amore per il quale moriresti, ma per il quale non vivresti a lungo. Il legame che c'era tra sua madre ed Ibrahim era dotato di vita propria, un assassino, che inevitabilmente, avrebbe ucciso uno dei due.
Alexandros gli passò davanti, reggendo un vassoio sul quale c'erano dei piatti vuoti e sporchi, e gli fece l'occhiolino, sorridendogli. Mehmed abbassò lo sguardo, nascondendo un sorriso, mentre si guardava le mani.
Si chiedeva quanto tempo aveva ancora da vivere e se per lui e il suo amato ci sarebbe stato un futuro. Lo amava, come non aveva mai amato nessuno ed era grazie a lui, ma anche a Zafiraa, se aveva avuto la forza di abbandonare i suoi libri e la sua camera, per vedere altre facce. Era grazie a lui, se si era sentito normale per la prima volta in diciotto anni. Era tutto merito suo e non voleva abbandonare la ragione di tutto. Per la prima volta nella vita, Mehmed non desiderava di morire.






Mustafà entrò nella sua stanza, dopo quella cena che sembrò durare in eterno, con Zafiraa dietro di lui. La ragazza avrebbe dovuto intrattenersi per ridare una sistemata, ma aveva chiesto la sua presenza, una volta che i sultani e i loro ospiti erano andati a dormire, così la ragazza ha dovuto seguirlo.
Il principe si tolse la spada e la cintura con la quale era legata al corpo, buttandola sul letto, mentre Zafiraa spinse la porta, che non si chiuse e rimase socchiusa. Non ci badò, poiché sapeva che tutti i servi erano impegnati in qualcosa e i padroni erano già nei loro letti. Erano le due del mattino.
-Donna, oggi sei mia prigioniera e dirai e farai tutto ciò che ti chiedo io. -
-Come, scusa? Come mi hai chiamata? - Zafiraa incrociò le braccia al petto, alzando un sopracciglio. Aveva intrecciato i capelli in due trecce particolari e complicate, aiutata dalle sapienti mani di suo fratello. Quei maledetti erano cresciuti talmente tanto che avrebbe potuto farci una coperta. - Chiamami un'altra volta così e donna ti ci faccio diventare io. -
Mustafà rise, andando verso la ragazza e abbracciandola. La stranezza, man mano che ci si abituava, stava passando e l'abbracciarsi, il prendersi in giro, lo scambiarsi tenerezze, era diventato sempre più normale, tant'è che ormai non ci pensavano quasi più. Zafiraa gli sorrise, sospirando.
-Dovresti cercare di essere più gentile con Fatma. Non sarà facile sposare un uomo che non l'ama e conviverci per il resto della vita, Mustafà. -
-Credi che lei provi qualcosa per me? -
-No, non credo. Ma tu a stento le parli. Dovrebbe trovare una persona fidata in te, sarai pur sempre suo marito e... -
-Smettila di ripeterlo. -
-Perché? E' una cosa che accadrà, ci siamo già passati sopra quest'argomento. Lo devi fare per il regno; io lo farei. - Zafiraa lo guardò, seria. I suoi grandi occhi chiari lo guardavano con sincerità, ma poteva scorgerci anche della leggera tristezza. Non è mai facile vedere l'uomo che ami e che ti ama, sposarsi con un'altra, soprattutto se questa è più bella ed elegante di te.
-Smetti di ripetere una cosa che non accadrà. - Ripeté Mustafà con più convinzione. Un sorrisetto furbo si nascondeva dietro le sue labbra.
-Ma che cosa stai dicendo! Ti avrà fatto male il cibo? Non dirmi che è stato avvelenato! -
-No, niente di tutto ciò, mia adorata! Ti devo chiedere una cosa molto importante. Posso? - Mustafà la guardò con i suoi profondi occhi scuri, accanto ai quali si formavano delle rughette quando rideva.
-Parla, maledizione! Mi farai morire di crepacuore e mi stai spaventi quando fai così. Ti ho già detto che non riesco a gestirti quando sei euforico! -
Mustafà rise, frugandosi nelle tasche e trovando ciò che stava cercando. Prese la mano della donna e vi posò sopra un oggetto di piccole dimensioni. Zafiraa sgranò gli occhi, non sapendo come interpretare quel gesto. Si trattava di un anello, ma niente di scintillante o costoso come quello di Fatma. Era un semplice anello, fatto con gusci di conchiglie e che odorava di mare. L'odore più buono del mondo.
-L'altra volta sono andato al mare, senza dirti niente, volevo prendere un po' d'aria fresca e vedendo sulla spiaggia, c'erano miliardi di conchiglie di vari colori e una sola completamente bianca. Guardandola, ho pensato subito a te e l'ho raccolta. Volevo regalarti qualcosa di speciale ed unico; una sorta di simbolo. -
-E' bellissima, grazie Mustafà, non me lo sarei mai aspettata. - Zafiraa si era sinceramente commossa, era stato un gesto veramente dolce. Nessuno lo aveva mai fatto per lei.
-So che le cose pretenziose e costose non ti piacciono, perché sei molto semplice. - Mustafà le sorrise, baciandola sulle labbra. La guardò per qualche secondo, prendendo tempo. - Tutto questo giro di parole per dirti che... -
-Sposami. -
-Come? - Mustafà sgranò gli occhi; era l'ultima cosa che si sarebbe aspettato da lei.
-Sposami e mandiamo tutti i loro piani a puttane. Una volta sposati nessuno potrà mai dirti nulla. Potremmo anche inventarci di star aspettando un bambino. - Zafiraa scrollò le spalle, infilandosi l'anello sull'anulare sinistro. Prese un coltellino che nascondeva sotto al vestito e tagliò uno dei lacci del suo vestito bianco. Lo prese e lo legò attorno all'anulare del ragazzo, che la guardava divertito. -Io amo te e tu ami me, cosa c'è di meglio? Sposami. Perché l'ultima cosa che voglio vederti fare è sposare una donna che non ami, vederti infelice, quando so, che assieme, avremmo potuto, possiamo, avere una vita meravigliosa. Ci siamo trovati e in tutta la tua vita non hai mai detto nulla di più giusto e sensato. Sei tu, sei sempre stato tu a rendere tutto più semplice, a rendere tutto più bello, anche in tutto questo. Con te, ho dimenticato la vendetta. Con te, ho perdonato il mio peggior nemico. Con te, sento di essere una persona migliore. -
-Sì, tutto molto bello ciò che hai detto, ma sai che dovresti comprarmi un anello come quello di Fatma? - Mustafà le accarezzò la guancia, sorridendole teneramente. Non voleva darlo a vedere, perché recitare quella parte da ragazza era già imbarazzante per lui, ma poteva scoppiare a piangere, come quando era un bambino, da un momento all'altro. Non aveva mai provato un sentimento del genere, non pensava di esserne capace. Le riempiva il cuore di gioia.
-Quando avrò un lavoro decente, uomo, adesso dammi una risposta. - Zafiraa lo guardò e Mustafà fece lo stesso. Un momento di serietà che sembrò durare anni con il cuore nelle orecchie e il sangue che circolava velocemente.
-La mia risposte è un sì, ma ci ho dovuto pensare perché è la proposta di matrimonio più bella che qualcuno mi abbia fatto; persino più bella di quella che volevo fare a te, prima che mi interrompessi. Ci tengo al mio ego, come ben sai. -
Zafiraa sollevò gli occhi, facendo finta di sembrare annoiata da tutta quella vanità. Mustafà tornò serio all'improvviso e la abbracciò, unendo le loro fronti.




La serva correva, ansiosa, verso le stanze della sua padrona, scontrandosi con gli altri servi e rallentando, quando passava nelle vicinanze degli ospiti. Poteva finalmente, con quella verità, avere la fiducia della potente sultana, che con i suoi errori aveva finito per perdere.
Nelle vicinanze delle stanze della padrona, cominciò a camminare, cercando di riacquistare più fiato e sistemandosi i capelli, fuggiti dalla semplice acconciatura.
Le guardie, presenti davanti alla sua porta, la fecero passare, avendola riconosciuta. La serva trovò solamente la sultana, ancora con la veste da notte, seduta sulla toeletta a pettinarsi i lunghissimi capelli rossi. Si inchinò, evitando di guardarla nei glaciali occhi chiari.
Il sultano non c'era, era andato a caccia con Mustafà, il padre e il fratello della sua futura nuora.
-Che cosa c'è? - La sua voce sembrava annoiata. Aveva un colorito non proprio salutare, era particolarmente pallida e aveva un rivolo di sangue lungo il mento; da come muoveva le spalle, velocemente e in piccoli scatti, la sultana faticava a respirare. Stava morendo, tutti sapevano, nonostante lei cercasse di nasconderlo anche meravigliosamente. Era iniziato tutto quando era riuscita ad abolire la schiavitù definitivamente nell'impero e quando aveva perso un figlio, un anno prima, dopo la nascita della principessa Mihrimah. Non si era più ripresa. Aveva iniziato con il perdere le forze, poco alla volta, e c'erano persino giorni nei quali non poteva alzarsi dal letto; poi erano iniziate le crisi di tosse e poi il sangue. Stava affogando nel suo stesso sangue ed era una scena bruttissima.
-Ho notizie su vostro figlio e la serva. -
-Non è mio figlio, stupida di una serva. - Hurrem posò il pettine sul tavolino della toeletta e le fece cenno di continuare, guardandola attraverso lo specchio. Prese un pezzo di stoffa bianco e si ripulì per bene di tutto il sangue.
-Scusatemi... - La serva si sentiva mortificata, non ne combinava una giusta con lei.
-Va' avanti, prima che perda completamente la pazienza con te. -
-Sì, Mia Magnifica. Ieri notte, mentre stavo tornando dalle vostre stanze, sono passata davanti a quella di Mustafà Sultan, che aveva lasciato la porta socchiusa. Ho sentito delle voci e mi sono accostata per origliare, dopo aver riconosciuto quella di Zafiraa. Li ho visti in atteggiamenti molto intimi e da quello che ho capito, si sposeranno. Si sono addirittura scambiati gli anelli, mia signora. -
-Ne sei completamente sicura? Questa cosa è gravissima. -
-Certo, mia sultana, che possa Allah strapparmi le orecchie se ho detto il falso. -
-Non mettiamo in mezzo Allah in argomenti che non Gli competono. - Hurrem le sorrise e sembrò acquisire un po' di colore, come se quella notizia le avesse fatto bene. - Mi sei stata molto utile, mia cara. Ma hanno detto quando? -
-No, questo non sono riuscita a capirlo, perché loro hanno cominciato ad avere... - La ragazza arrossì, non riuscendo a continuare. La sultana annuì, distratta. Stava pensando a qualcosa sicuramente.
-Tienigli d'occhio, cara ragazza e quando avrai capito il giorno del loro matrimonio, vieni subito da me. Da me, direttamente e non farne parola con nessuno. Alla fine di tutto riceverai una adeguata ricompensa per la tua lealtà. -
-Vi ringrazio, mia signora, non so come esservi grata... -
-Adesso va' e fa' venire mio figlio Bayezid e Mehmed. -
La serva si inchinò, annuendo, prima di correre dall'altra parte del castello ed eseguire gli ordini.






Fatma entrò in camera di Ibrahim, senza bussare. Si poggiò alla porta, chiudendo gli occhi e inspirando profondamente, aveva corso talmente veloce per arrivare in camera di Ibrahim e soprattutto con l'ansia di essere vista o scoperta da qualcuno, che pensava di poter perdere i polmoni.
Era da un mese che lei faceva così. Era stato un mese di ansie, paure che qualcuno potesse solo sospettare il legame che si era creato trai due. Non passavano giorni che si vedessero nella camera di Ibrahim, che era diventato un rifugio sicuro, a parlare o semplicemente ad immaginarsi un futuro assieme. Un futuro nel quale lei era una ragazza normale e lui anche. Sogni, erano solo sogni inutili, che sarebbero rimasti nel loro immaginario. La vita era quella e di certo non era una passeggiata.
Si erano innamorati dal primo momento nel quale avevano parlato, lo sapeva lui, lo sapeva lei, lo sapeva il mondo, ma non potevano stare assieme perché lei era stata promessa a suo cugino.
Ibrahim si era appena svegliato e stava facendo colazione con sua madre Hatice, la sorella del sultano. Era l'unico momento della giornata che l'uno poteva riservare all'altra senza venire interrotti.
-Oh, Fatma, che piacere avervi qui per colazione. - La principessa sorrise, dolcemente. Hatice era una bella donna, la più bella che avesse mai visto, persino della sultana. Aveva lunghi capelli neri e occhi scuri dello stesso colore, ma una dolcezza e grazia tale nei lineamenti da risultare fin da subito simpatica a chi non la conosceva. Era probabilmente la persona più buona della terra. L'aveva incontrata quando era ancora una giovane donna e adesso i suoi lineamenti erano maturati e avevano delle piccole ma graziose rughe intorno agli occhi, tipica dell'età matura.
-Buongiorno, Hatice Sultan e Ibrahim Sultan, non volevo piombare così all'improvviso e darvi fastidio, ma stavo scappando dalle sarte. Non mi danno pace! - La ragazza rise, cercando di essere il più convivente possibile. Ibrahim sembrava essere impallidito all'improvviso, Fatma temeva che si sarebbe accoltellato da un momento all'altro.
-Oh, non preoccupatevi, mia cara. - Hatice si alzò, accarezzando il volto del figlio e baciandoli entrambe le guance. Lo guardava con amore, puro amore materno. Guardandola bene, Hatice aveva gli occhi tristi. Aveva sofferto molto. - Vi lascio soli, mi sono appena ricordata di aver tantissime cose da fare! Con l'avanzare dell'età le cose vengono dimenticate. Fatma, buona fortuna per i preparativi. -
-Vi ringrazio, Hatice Sultan. - Fatma si inchinò, notando il leggero sorriso che incorniciava i tratti della principessa. Che sospettasse qualcosa?
Quando Hatice si fu richiusa la porta alle spalle, tirò un sospiro di sollievo, andandosi a buttare sul letto del ragazzo. Ibrahim sospirò a suo volta, non riuscendo a nascondere un sorriso che gli incorniciava il volto.
La guardava sempre così, pensò Fatma osservandolo a sua volta, come si guardavano le stelle cadenti: con ammirazione, speranza, dubbi e paura.
-Non possiamo continuare così, Fatma. -
-E che cosa vorresti fare, Ibrahim? - La ragazza lo guardò, poggiando il capo sul palmo della mano, una ciocca di capelli le cadde davanti il viso. Ibrahim si alzò, andandole a sedersi accanto. - Io non voglio rinunciare a te. -
-Ma in questo modo ci facciamo soltanto del male, Fatma. -
-Non mi importa. Non stare con te, non è fra le mie priorità di vita. -
Ibrahim sospirò, chinandosi sulla ragazza e baciandole la fronte. Non si erano spinti oltre semplici carezze e casti baci. Lui non la voleva rovinare.
-Ti amo, Ibrahim. -
-Anche io, ma vorrei che bastasse. -








Selim tornò dalla caccia due ore dopo, sorridente e felice. Non c'era niente di meglio che andare a uccidere qualche cinghiale nel bosco con suo figlio e i parenti della sposa. Fare cose da uomini, parlare liberamente, essere anche rozzi, insomma. Gli era mancato tutto quello e gli era mancato stare con suo figlio. E si era reso conto di aver avuto bisogno di un amico, poiché passava la maggior parte del tempo con sua moglie o con i visir. I figli non aveva mai tempo di vederli, tranne la più piccola di loro, di quattro anni circa.
Quando entrò nelle sue stanze, tutto sudato e sporco di sangue, trovò Hurrem ad aspettarlo. Come mai era ancora lì e svestita? A quell'ora doveva essere con Fatma per preparare tutte le varie liste degli invitati, il menu che i cuochi avrebbero dovuto preparare e scegliere il vestito.
-Mio amore, che cosa ci fai ancora qui? Ti senti male? - Selim si precipitò dall'amore della sua vita, da sua moglie per abbracciarla, tutto preoccupato. Spesso si scordava quanto l'amata fosse malata, poiché sapeva recitare benissimo la parte della sana.
-N0, sto bene, marito mio. - Hurrem forzò un sorriso, ricambiando l'abbraccio per pochi secondi e poi staccarsi. Lo guardò, alzando il sopracciglio e guardandolo arrabbiata. - Io ti avevo avvertito, ma tu non mi hai dato ascolto. -
-Avvertito di cosa? -
-Riguardo Mustafà. Sono venuta a sapere, da fonti certe, che tuo figlio, quel primogenito testardo che non ascolta mai e che pretende di diventare il prossimo sultano di questo grande e sublime impero, ha chiaramente disubbidito ai tuoi ordini. Ha intenzione di sposare quella serva, questa notte. -
-Che cosa? Ma che stai dicendo, Hurrem, non dire sciocchezze! Mio figlio non farebbe mai una cosa del genere. Ha già fatto la proposta a Fatma, non verrebbe mai meno alla parola data perché è un uomo di parola. - Selim scosse la testa, afferrando un pezzo di stoffa che trovò sulla toeletta di Hurrem, per pulirsi del sangue che gli sporcava il viso.
-Eppure lo ha fatto... E' inutile che tu li ferma, amore mio. Mustafà se ne sarà già andato e Zafiraa non si trova già da un po'. Quando torneranno, potrai affrontare tuo figlio. Di lei non devi preoccuparti, me ne occuperò io. - Hurrem lo baciò sulla guancia, accarezzandogli la nuca.
-Perché ha fatto così? Perché mi fa questo? E' solo una serva... -
-Si è innamorato, mio caro marito, non gliene puoi fare una colpa per questo. Ma non doveva farsi prendere dalle emozioni e sposare una qualsiasi, ma troncare la loro relazione, proprio come avevi detto tu, e sposare Fatma. -
-Che cosa devo fare adesso? Mio figlio sembrava così allegro e in pace oggi. Ha scherzato con tutti e parlava tranquillamente. Non lo vedevo così in pace da parecchi anni! E ora so il perché... -
Era fortemente deluso. Suo figlio, il suo primo figlio! Che cosa gli aveva mai fatto per meritarsi un trattamento del genere?
-Ma non finisce qui, amore mio, so che questa notizia ti farà male, ma è necessario che io te la dia per il bene di tutto l'impero. Tuo figlio e i tuoi visir ti hanno tradito, per nostra fortuna c'è ancora chi è realmente fedele. Alle tue spalle hanno organizzato delle riunioni segrete nelle quali cercavano di spodestarti perché ormai troppo vecchio e debole per regnare e anche per mandarvi mia, condannarmi a morte. Al suo fianco ovviamente c'era l'inseparabile Zafiraa. Hanno trovato un diario, di Ibrahim, quello dei suoi ultimi anni di vita. - Hurrem fece una pausa, cercando di riprendere fiato, come accadeva ogni volta che si parlava di Ibrahim. Selim, invece, sospirò. - E come ben sai, su quel diario c'è una verità che solo noi due conosciamo... Stanno cercando di rievocare vecchi fantasmi e brutti ricordi. -
-Ma perché dovrebbero mai farlo! Io sono in grado di regnare, non sono mica vecchio! - Selim alzò la voce, tirando un pugno al muro; il dolore e la rabbia lo aiutarono a ragionare. Tradito dal suo primo figlio, dalla sua prima gioia! Era questo il suo destino? Venire tradito dalle persone che più amava nella vita? Prima Ibrahim e adesso Mustafà!
-Mi odiano, Selim, ancora non l'hai capito? Tuo figlio e i tuoi visir mi odiano perché credono che io eserciti del potere su di te. Come se una donna sapesse cosa significhi regnare, capire di politica o sappia solo ragionare come un uomo! Che sciocchezze! - Hurrem ridacchiò, andando ad abbracciarlo e baciarlo gentilmente. Così gli stava dando tutto il suo conforto. - Dico bene? -
-Sì, amore mio. Non ho bisogno di una donna per prendere le mie decisioni, sono capace di prenderle da solo, senza l'aiuto di nessuno. - Sospirò, pronunciando le parole che avrebbero cambiato tutto. -Mio figlio è un traditore. Verrà cancellato dalla linea di successione al trono e incarcerato per il resto della sua vita. -
-Oh, Allah, sei sicuro? E' pur sempre tuo figlio! -
-Non voglio ucciderlo, amore mio, cosa c'è di meglio della morte per Mustafà? -

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Capitolo 17
*** XV ***


Roxelana è incinta. E' mio. Siamo spacciati. Credo che sia la notizia più bella di tutta la mia vita, ma allo stesso tempo non doveva accadere. Se solo il bambino dovesse nascere e dovesse anche solo lontanamente somigliarmi, io e lei saremmo morti; la furia di Selim ci seguirebbe fino alla tomba. Devo trovare un modo. Questo bambino, agli occhi del mondo, non deve nascere.
Ho fatto anche un sogno strano oggi... Ho sognato una ragazza dai lunghi capelli bianchi e ho questa sensazione strana, che ella sia mia figlia. Roxelana è stata maledetta dalla strega e anche i suoi figli. La morte aspetta lei e il primo frutto del suo più grande amore... Non sono uno superstizioso, ma dopo il dono di Fiammetta, non so che cosa pensare. Che sia io il più grande amore di Roxelana? Non ho la presunzione di pensarlo, ma lei, per me, lo è e lo sarà per sempre.”


Hurrem si recò in camera di suo figlio Mehmed. Era da fin troppo tempo che non passava del tempo con lui, tra tutte le cose che stavano succedendo e anche perché ormai che stava meglio, Mehmed non passava quasi mai del tempo chiuso fra quattro mura.
Lo trovò steso sul letto con un libro tra le mani, assorto nella lettura. Guardandolo, la donna aggrottò le sopracciglia, le sembrava di averlo già visto da qualche parte.
-Buongiorno, figlio mio. -
-Madre. - Il ragazzo la guardò, chiudendo il libro di scatto e poggiandolo accanto a sé. - Volevo parlare proprio con te. Siediti. -
Hurrem fu spiazzata da quella affermazione, per quel motivo fece come suo figlio le ordinò, trascinando una sedia, accanto al letto del ragazzo. Cercò di controllare il respiro, come faceva ogni volta che i polmoni le davano fastidio.
-Dimmi, amore mio, ti ascolto. - La rossa afferrò la mano del ragazzo, baciandogli il palmo. Era così fragile, così piccolo per soffrire, si meritava solamente l'amore di tutto il mondo. Era il suo bambino, il figlio preferito, la sua prima gioia.
-Di chi sono figlio? -
La sultana divenne ancora più pallida di quanto non fosse nell'ultimo tempo. Perse tutti i colori dal viso e assunse un colorito verdognolo.
-Come, scusa? Ma che domande sono?! - Cercò di mantenere la calma, deglutendo. Come faceva a saperlo?
-Non fare la stupida, madre, perché è l'ultima cosa che sei. - Mehmed si schiarì la voce, leccandosi le labbra. - E da come ti stai comportando, credo che il mio sospetto sia reale. -
-Chi te lo ha detto? -
-L'ho letto sul diario di Ibrahim o dovrei forse chiamarlo padre? -
Hurrem sgranò lo sguardo, portandosi una mano sul cuore. Si alzò, tappandogli la bocca con le mani. Sembrava che qualche demonio l'avesse posseduta all'improvviso. - Abbassa la voce, stupido di un ragazzo! Non lo sai che anche i muri hanno le orecchie?! Se si dovesse venire a scoprire una cosa del genere... -
Mehmed si dimenò, spingendo via la madre; le lacrime che volevano uscire dai suoi grandi occhi, ma che lui cercava di trattenere. L'ultima cosa che voleva in quel momento era mettersi a piangere e Hurrem lo sapeva. Il suo piccolo Mehmed odiava piangere davanti alle persone. Lo abbracciò, , stringendolo proprio come faceva quando di notte, avevano paura dei temporali.
-Tuo padre è il sultano e nessun altro. I figli sono di chi li cresce. -
-Ma se non fosse morto, mi avrebbe cresciuto! E adesso tutta la mia vita è una menzogna. Mi hai rovinato, madre, tu e tutta questa faccenda. Se fossi rimasta al tuo posto, se non ti fossi immischiata con il migliore amico di tuo marito, adesso tutto questo non sarebbe successo! -
-Ma tu non saresti mai nato! -
-E a chi importa! Sono solo un rottame, abbandonato in un angolo, madre! -
-Mehmed, ascoltami... -
-No vattene! Vattene! Non voglio vederti mai più, vattene! -
Mehmed la spinse via, in lacrime. Anche Hurrem lo era e cercava in tutti i modi di accarezzarlo, ma senza successo. Il figlio la respingeva ogni volta.
-Mehmed... -
-Vattene! -
Hurrem lo guardò, ma fece ugualmente come le venne detto.






Bayezid trovò la ragazza da sola a vagare per i corridoi. Fra le braccia reggeva un cumulo di stoffa enorme, più grande di quanto fosse possibile per il suo peso.
-Zafiraa! - La chiamò, facendola fermare. La ragazza gli sorrise innocentemente, inchinandosi. – Da quanto tempo non ci si vede! -
-Ho avuto molto da fare, mio principe. Vostro fratello deve sposarsi e io sono la sua serva, per cui ho molto da fare. -
-Certo, lo comprendo questo. - Bayezid guardò la mano sinistra della ragazza, sull'anulare c'era un anello. Il viso del ragazzo divenne immediatamente paonazzo. Sua madre gli aveva raccontato il vero e non aveva mentito! Quella maledetta serva malata si era sposata con il suo fratellone maggiore!
Fu invaso da una tale rabbia omicida, che in un impeto d'ira scagliò tutta quella stoffa che Zafiraa aveva tra le braccia per terra, la prese per i capelli e la scagliò contro il muro, inchiodandola. La ragazza trattenne il respiro, essendosi fatta male alla schiena.
-Sei solo una piccola puttana approfittatrice E pensare che avrei potuto cadere nei tuoi giochetti! -
-Ma che cosa dite, quali giochetti? - Gli occhi verdi della ragazza lo guardarono; anche lei aveva l'aria parecchio incazzata e stava cercando di dimenarsi in tutti i modi.
-La verità, Zafiraa. Ho visto l'anello e tutti sanno di voi, persino mio padre. Il matrimonio con Fatma sarà anche saltato per colpa di voi due, ma mio fratello Selim sta arrivando dal suo castello per prendere il posto di Mustafà. Adesso è lui l'erede al trono, il primo. -
-Ma che cosa dite! C'è Mehmed prima di lui. -
-Ma fammi il favore! E' solo un povero storpio malato. Non è in grado di essere il prossimo discendente. Quelli come lui venivano uccisi alla nascita. Mio padre ha buon cuore e ha deciso di lasciarlo vivere. -
-E' pur sempre vostro fratello, come potete parlare così di lui! -
-Non m'importa nulla di lui, potrebbe anche morire e non me ne importerebbe niente. Adesso tu vieni con me, mia cara. Ci divertiremo insieme, mentre tuo marito viene brutalmente torturato e poi chissà, magari ammazzato come un animale! - Bayezid rise di gola, avvicinando il naso ai capelli della ragazza e annusandoli. Zafiraa si mosse velocemente, colpendolo con una ginocchiata nell'addome. Cercò di scappare, ma Bayezid piegato dal dolore e in preda alla furia, chiamò le guardie che la circondarono all'istante, colpendola con il manico della spada in testa. Zafiraa cadde come un corpo morto per terra , i capelli banchi si colorarono di rosso.
Bayezid si rialzò, vittorioso e sorrise. O era sua o di nessuno.




Zafiraa era scomparsa. Nessuno l'aveva vista, neanche Mehmed e Alexandros. Mustafà era preoccupato.
L'ultima volta che si erano incontrati era nell'ultimo incontro tenuto, nel quale avevano deciso di agire, avendo le prove che Hurrem non era stata fedele a suo padre e anche che avesse generato dei figli con il suo amante. Mustafà e Mehmed sapevano, poiché avevano letto il diario insieme e l'avevano finito.
Diciott'anni prima la sua matrigna era rimasta incinta di Ibrahim, il Gran Visir. Aspettava due gemelli, un maschio e una femmina, Mehmed e Zafiraa. Suo padre non si trovava a palazzo nel momento della nascita dei bambini e i due amanti avevano agito velocemente, con la complicità del Guaritore.
Avevano mandato la bambina lontano, l'avevano mandata da Fiammetta e Drake, chiedendo loro di crescerla, altrimenti sarebbe morta, mentre avevano tenuto il bambino. Nessuno sapeva della loro malattia e del difetto di Mehmed, quello si è scoperto molto dopo.
Non potevano tenere entrambi, poiché essendo gemelli e nati nello stesso giorno, il sultano avrebbe dovuto uccidere uno dei due, secondo la tradizione, per evitare futuri contrasti. La bambina, in quanto donna e considerata inferiore agli uomini, sarebbe stata uccisa. Ibrahim, per evitare che uno dei suoi figli, innocenti e senza colpa, pagassero per le sue bravate, decise di mandarla via.
Zafiraa non lo sapeva ancora, aveva deciso di non rivelarle la verità. Scoprirlo così all'improvviso, sarebbe stato uno shock.
Gironzolava per i corridoi con Alexandros, alla ricerca della ragazza, ma era inutile. Non potevano dare nell'occhio.
Un servitore, sui sessant'anni circa, si inchinò al suo cospetto, fermandolo.
-Mio principe, ho sentito che voi state cercando la vostra serva. -
-Sì, è così. Voi sapete dove si trovi? Verrete pagato adeguatamente. -
-Non ho bisogno di soldi. E' stata vostro fratello Bayezid a rapirla. Da quello che ho sentito si trova nei sotterranei e vostro padre lo sa. E' stato lui a concederglielo. La sta torturando. Temo però, che non vi faranno passare, mio signore. -
-E come mai avete disubbidito agli ordini del vostro sultano? -
-Perché queste braccia rozzi sono state le prime a stringerla il giorno in cui è nata. Se quei pirati non l'avessero presa con sé, probabilmente queste mani si sarebbero macchiate di sangue. -
Mustafà annuì, dando una pacca sulla spalla dell'uomo in segno di ringraziamento.
Percorsero pochi passi, quando si sentì la voce del capo degli eunuchi, gridare: - Mustafà Sultan, per ordine del Magnifico, vi ordino di fermarvi! -
-Cazzo, questa non ci voleva! - Disse a denti stretti il ragazzo. Alexandros lo prese per il braccio, spingendolo dalla parte opposta. -Sei forse impazzito? -
-Vai da mia sorella, trovala e salvala, uccidi quel figlio di puttana se devi. Riportamela viva, per favore, è tutto quello che ho. A loro penso io. -
Mustafà annuì, lanciandogli la sua spada. -Non morire, d'accordo? -
-Ho la corazza dura, dovresti saperlo. - Alexandros sorrise, correndo verso gli eunuchi, armati. Mustafà cominciò a correre, dirigendosi verso le segrete.
Bayezid l'avrebbe pagata cara.






Lo stavano cercando tutti; era come se fosse diventato una sorta di fuggitivo all'interno del suo stesso castello, a casa sua. Si nascondeva nella penombra e percorreva i vari passaggi segreti in modo cauto. Gli eunuchi e le guardie giravano per il castello armati e compatti.
All'entrata delle segrete, trovò due guardie ad aspettarlo; riuscì a stenderle senza nessuno sforzo, ma non le uccise. Afferrò la spada di uno dei due e si addentrò, nel buio di quel posto orribile, umidiccio e freddo.
Affrettò il passo quando sentì delle voci e specialmente quella di Zafiraa urlare, mentre Bayezid rideva.
Mustafà cominciò a correre, arrivando fino all'ultima cella, la più grande, quella delle torture. Il fratello gli dava le spalle, mentre Zafiraa era stata legata ad un cerchio in legno, tutta nuda, con gambe e braccia spalancate. Nella carne bianchissima aveva scottature prodotte con la candela, lame infilate negli arti e nell'addome e il viso, il suo bellissimo viso, era tumefatto e martoriato dalle botte, così come il resto del suo corpo. Le aveva persino tagliato i capelli lunghissimi a zero e buttati in un angolo dietro di sé; ora in testa aveva solo una peluria indistinta bianca.
-Potrete farmi del male quanto volete, brutto figlio di puttana, ma non avrete mai il mio amore. Siete un essere spregevole. -
-Ucciderò Mustafà davanti ai tuoi occhi e poi ti farò mia e solo dopo interminabili torture ti avrò uccisa, tra mille sofferenze. -
-Non abuserai di me, sporco maiale turco, se non vuoi diventare una principessa. - Zafiraa rise, sputandogli in faccia un mix di sangue e saliva. Bayezid la schiaffeggiò, facendole girare la testa e arrabbiato, la slegò da quell'oggetto infernale. Zafiraa cadde per terra, senza forze, mentre il fratello poggiava i coltelli dietro di sé.
Fu quello il momento di intervenire, infatti Mustafà entrò nella cella, silenzioso e letale come un cobra, facendo segno a Zafiraa di stare zitta e continuare a distrarlo.
-E adesso cosa vorresti farmi, grande Bayezid? Stuprarmi? - Zafiraa rise di gusto. - Ma se l'unica donna nuda che avete visto è stata vostra madre il giorno della vostra nascita! Siete solo un bambino capriccioso, che vuole giocare a fare il sultano. Non siete come Mustafà, mio marito, forte, determinato, possente! Non vi amerò mai! -
Bayezid ringhiò, ma prima che la colpisse o azzardasse a fare qualsiasi altra cosa, Mustafà gli fu addosso e lo buttò per terra, cominciando a colpirlo prepotentemente.
Doveva pagare per tutto quello che aveva fatto. Aveva toccato la sua donna, la sua amata, l'amore della sua vita, la sua futura moglie. Sì, perché indipendentemente da tutte le voci che si erano sparse nel castello, Mustafà e Zafiraa non si erano ancora sposati. Non c'era stato tempo.
Meritava di morire, si soffrire, sarebbe stato lui a prendergli la vita, con le sue stesse mani.
Infuriato, con lo sguardo iniettato di sangue e le mani che agivano da sole, rese Bayezid irriconoscibile. Zafiraa lo chiamava, dicendogli di lasciarlo stare, mentre il fratello lo supplicava.
-Ti prego, fratello, risparmiami. -
-Tu non sei mio fratello. -
Zafiraa afferrò un pugnale e senza pensarci due secondi, tagliò la gola a Bayezid. Mustafà la guardò, stupefatto e confuso, prima che la ragazza svenisse.








Mentre a palazzo si consumavano omicidi e vendette crudeli, due figure incappucciate su due cavalli dalla chioma bianchissima, correvano come pazzi, fuggivano, se ne andavano lontano, alla ricerca di una vita felice e giusta.
Fatma e Ibrahim si erano incontrati e innamorati nella loro semplicità e dolcezza con il profumo di rose nell'aria. Adesso fuggivano per viverlo quell'amore, anche a costo di vivere una vita povera e di stenti, ma loro sapevano, che insieme, sarebbero stati felici.
L'Ungheria, dalla lingua strana, vicina all'occidente, terra di grandi sogni e speranze, li aspettava impaziente.




SPAZIO AUTRICE!
Ed eccoci qui! Siamo veramente giunti alla fine, poiché mancano solamente tre capitoli, epilogo incluso, alla fine di questa avventura.
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento e magari datemi un parere su cosa, secondo voi, potrebbe accadere. Che cosa aspetta ai nostri protagonisti?
Alla prossima!

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Capitolo 18
*** XVI ***




Zafiraa si svegliò, urlando. Ci impiegò qualche minuto per riconoscere il luogo nel quale si trovava e chi la stava guardando con gli occhi iniettati di sangue, l'espressione distrutta e stanca. Mustafà.
Era in camera sua, stesa sul suo comodo letto e lui le era seduto accanto, molti centimetri li separavano; non erano mai stati così tanti.
Gli sorrise, sussultando quando provò a muoversi.
Per un attimo aveva dimenticato ciò che aveva provato, qualche ora prima. Bayezid l'aveva torturata, le aveva urlato le peggio meschinità che una bocca potesse gridare, le sue sporche mani che la toccavano ovunque, i coltelli che affondavano nella pelle, la nausea e il voler proteggere la creatura che stava crescendo lentamente nel suo ventre. Poi era arrivato Mustafà, che aveva cominciato a picchiare quel pezzo di merda e lei gli aveva tagliato il collo, prima che compisse un fratricidio e si pentisse per tutta la vita.
In quel momento, nel quale stava pensando a raccogliere i pochi pezzi che le erano rimasti e stava cercando di rimetterli insieme, quando stava cercando la dignità con ancora i coltelli infilati nella carne, lei aveva pensato a lui, alla sua incolumità mentale. Era stato il suo primo pensiero e aveva agito d'impulso.
Era tutta dolorante e non sapeva quanto avesse dormito, ma era ancora lì e lui era ancora lì, vivi, distrutti, con una brutta cera, senza capelli, ma vivi. Sapeva che era rimasto sveglio tutto il tempo per vegliare su di lei.
-Ciao. -
Ma non la guardava. Evitava il suo sguardo con tutto se stesso e aveva anche gli occhi lucidi.
-Come stai, hai bisogno di qualcosa? -
-Che tu mi guardi. -
-Non posso, non posso guardarti. -
-Perché? -
-Fa male. -
Zafiraa sentì qualcosa rompersi nel petto e le mancò il fiato per qualche attimo. Non sapeva se fosse il dolore per ciò che Mustafà provava o le ferite causate da Bayezid, psicologiche e fisiche. Sentiva ancora il suo ghigno tra le orecchie, il sapore della sua sporca lingua nella bocca, il suo sguardo malizioso sul suo corpo completamente nudo e le sue mani tra i capelli, capelli che adesso non aveva più.
Incredibile come la dignità di una persona possa venire calpestata tanto facilmente.
Si avvicinò all'amore della sua vita, ma egli non si fece toccare. Si scostò, si alzò, si allontanò. Provava rabbia, dolore, si dava la colpa.
-Abbracciami. - Zafiraa gli si avvicinò di nuovo, guardandolo con i suoi grandi occhi verdi e privi di lacrime. Aveva imparato a non piangere, non più, non ne valeva mai la pena. Il viso era pieno di lividi, naso e labbra spaccate, tumefatto.
Quel viso, quel viso che aveva baciato tantissime volte, sembrava urlargli contro 'è tutta colpa tua, tu mi hai fatto questo!'.
-Non posso. - Mustafà era sofferente. Non poteva lasciarsi andare di nuovo, non adesso che le avevano fatto così male per colpa sua, non adesso che suo padre lo cercava, non adesso che la situazione era veramente critica. Doveva proteggerla.
-Ho bisogno di te, Mustafà. Stringimi e dimmi che va tutto bene. Io farò lo stesso. -
-Devo proteggerti. -
-Non ho mai avuto bisogno della tua protezione, ma di te, Mustafà, solo di te. Io me la caverò, ne ho avute di peggio, lo sai. -
-Non posso farti del male di nuovo, non reggerei a vederti così. -
-Io ti amo, Mustafà. Ti amo e non lo dico spesso, lo sai. Se tu mi abbandoni, se lo fai anche tu, di me non rimarrà nulla. -
-Vederti così mi distrugge. Tu non hai idea di che cosa vorrei fare a mio padre, al mondo, in questo momento! - Mustafà scoppiò in lacrime, stringendo quell'essere fatto di ossa, brutto carattere, vita. La strinse forte a sé, respirando il suo odore, sentendola vicina un'ultima volta. - Ti ridò la tua libertà. Adesso non sei più una serva, prendi tuo fratello e scappate. Andate via, trovatevi una nave e non tornate mai più su questa terra fatta di dolore e sofferenza. Io me la caverò. -
-Quale vita potrei mai avere senza di te? Mi rimani solo tu e nostro figlio. Alexandros non abbandonerebbe mai Mehmed. -
Mustafà spalancò lo sguardo, sbiancò. Era scioccato.
-Ma che cosa dici? -
-Sono incinta, Mustafà. -
-E me lo dici così, adesso?! -
-Avrei voluto dirtelo in un altro momento, ma purtroppo la situazione è questa. Adesso che mi hai ridato la mia libertà, possiamo fuggire, via, lontano da tutti e tutto. Possiamo farci una vita tutta nostra. Ti ho perdonato per la morte dei miei genitori e tu hai perdonato me per quella dei tuoi figli. Per te sto lasciando perdere la mia vendetta, perché ormai siamo una famiglia. Tu sei diverso dai tuoi genitori, così come io lo sono da Ibrahim e Hurrem. -
-Tu lo sapevi? -
-Ho finito quel diario in una notte, Mustafà. Pensavi di nascondermelo? -
Mustafà sorrise, colpevole. - Scusa. -
-Quello che sto cercando di dirti, Mustafà, è che non siamo i nostri genitori, non dobbiamo fare i loro stessi sbagli e soprattutto questo paese ha deciso di rinnegarci, nessuno ci vuole qui. Soprattutto dopo la morte di Bayezid, Hurrem vorrà la nostra testa. Quindi fuggi con me, stanotte, e saremo felici. -
-Se me lo chiedi così, credi che io abbia la forza di rifiutarti? -
I due si abbracciarono e si baciarono delicatamente. Poi Zafiraa si stese e dormì per altre tre ore, mentre Mustafà preparava tutto il necessario.






Selim fece muovere tutte le guardie che sorvegliavano il castello. Dovevano andare a prendere Zafiraa, quella serva malata, suo figlio Mustafà e il fratello che aveva ucciso metà dei suoi dipendenti.
Avevano trovato Bayezid in una delle celle della tortura con la gola sgozzata. Hurrem aveva urlato per ore, aveva pianto, aveva sputato sangue, aveva stretto tra le braccia il corpo del figlio morto, prima di lasciarlo andare. Poi l'aveva guardato, con i suoi occhi da cerbiatta, carichi d'odio e furia, e aveva detto: -Voglio le loro teste. Adesso. Hanno ucciso mio figlio, il mio bellissimo bambino. Dovrai prendere loro la vita, Selim, se non lo fai tu, lo farò io personalmente. -
Il sultano l'aveva guardata, gli occhi pieni di lacrime e il cuore a pezzi, e aveva annuito. Di certo non avrebbe ucciso un altro figlio, ma la vita di due servi inutili sarebbe servita da lezione per tutti. Aveva lasciato correre fino a quel momento, ma troppe cose erano successe sotto il suo naso, di nuovo. Ibrahim e Fatma erano scappati Allah solo sapeva per dove; suo figlio Selim, che doveva sposare Fatma stava arrivando e non avrebbe trovato nessuno, Bayezid era morto, ucciso dal suo stesso fratello, Mustafà era come impazzito e voleva sposare una serva malata. Il caos regnava sul suo castello. Aveva deciso di lasciar correre per un breve periodo, perché Mustafà era cresciuto prima del tempo e aveva bisogno di fare qualche piccola bravata, ma era andato fin troppo oltre. Doveva agire e mettere fine a tutto ciò.
Li trovarono, Mustafà e Zafiraa, incappucciati e a cavallo al porto; stavano cercando di prendere una nave che si dirigeva in Danimarca. I soldati riuscirono a fermarli, ma nonostante i due avessero combattuto e tramortito alcuni di loro, erano fin troppo forti e fin troppi da poter scappare. Li avevano trascinati e chiusi in cella. Per Alexandros era stato più semplice; non era scappato, si trovava semplicemente accanto al letto di suo figlio. Gli eunuchi l'avevano trascinato, le urla di Mehmed si sentivano ovunque. Gli avevano riferito che il ragazzone aveva sorriso per tutto il tempo e prima che lo uccidessero, aveva detto: - Dite al vostro caro sultano, che sta uccidendo il nipote di Ibrahim. Quante altre volte vorrà ucciderlo, prima di essere soddisfatto? -
Selim aveva sospirato, ma aveva scrollato le spalle. Non aveva ucciso Ibrahim, Ibrahim era già morto e sepolto da vent'anni. Niente contava, tranne ripristinare l'ordine, era ciò che facevano i sultani.
Si recò nelle segrete, nelle celle dove aveva rinchiuso suo figlio e la serva, seguito da due guardie.
Guardò Mustafà e Zafiraa che si tenevano le mani attraverso le sbarre e notò che ella avesse il viso martoriato, tumefatto, era senza capelli. Sicuramente era stato Bayezid, che aveva una certa vena sadica.
Suo figlio le stava sussurrando qualcosa nell'orecchio e lei sorrideva, come se non le importava dove si trovasse, ma con chi. Era amore, quello che vedeva, era amore vero come non lo aveva mai visto negli occhi di Mustafà. L'aveva trovata, per caso, e suo padre gliela avrebbe portata via.
Gli eunuchi aprirono la cella di Zafiraa, che si alzò in piedi, lasciando la mano dell'amato. Guardò prima i loro volti, nascosti dall'elmetto, e poi Selim.
-Tuo fratello è stato ucciso, serva. E adesso toccherà a te, la sua stessa sorte. Sei processata per aver ucciso mio figlio Bayezid, tuo padrone ed erede al trono. -
Ella non piangeva; restava immobile e lo guardava con i suoi grandi occhi verdi, pestati.
Mustafà si muoveva nella cella, invocando il nome del padre e urlandogli di starle lontano, di prendere la sua vita; cercava in tutti i modi di spezzare le sbarre della cella, senza riuscirsi. Se avesse potuto, si sarebbe tagliato a metà per passarvi attraverso.
-Avete ucciso Ibrahim quattro volte, Selim Sultan. Volete farlo altre due volte, uccidendo sua figlia e il suo primo nipote? - Nonostante tutto, però, la voce le tremava. Era una madre, adesso, e qualcuno stava tentando di togliere la vita al figlio che portava in grembo. Ma la notizia della sua gravidanza, non lo destabilizzò tanto quanto il sapere di chi fosse figlia. Era la figlia di Ibrahim! Ma da dove era uscita e perché non ne sapeva l'esistenza? Un ennesimo segreto che avrebbe dovuto perdonargli.
-Non sapevo della tua esistenza. Ma pensandoci, hai i suoi stessi occhi e il suo stesso carattere... - Selim sorrise, avvicinandosi ad ella.
-Padre, statele lontano! Mi avete sentito?! -
-Non le farò nulla, Mustafà, non picchio le donne. -
Zafiraa si portò le mani in grembo, accarezzandolo dolcemente, mentre lo squadrava a testa alta. Selim le accarezzò la guancia e l'abbracciò. Chiuse gli occhi e versò una lacrima. Stringere quella serva era come stringere suo fratello, Ibrahim. E adesso che sua figlia era incinta di suo figlio, erano ancora più legati. Era lì, ma era come se non ci fosse.
Fece in modo che suo figlio non lo sentisse e le disse: -Sei figlia del mio caro amico e per questo motivo risparmio la vita a te e a mio nipote. Ma devi andartene, ti consento anche di prendere il corpo di tuo fratello. Ti darò una cospicua somma di denaro in modo tale da vivere agiata per il resto della sua tua vita. Ma tu te ne andrai, senza voltarti indietro, senza ripensamenti, te ne andrai lontano, via dal mio impero in modo tale che io non ti trovi. Se dovessi trovarti o se qualcuno dovesse riconoscerti, ti farò uccidere, lo giuro su Allah. -
-Se non fossi incinta, mi farei uccidere. Non ho paura della morte, Selim Sultan, così come non ne aveva mio padre. Amare in questo paese sembra essere la cosa peggiore che a qualcuno possa capitare. -
-L'amore è tormento, mia cara ragazza, a meno che tu non sia un reale. -
Selim si staccò da ella, sorridendole. Uscì dalla cella, che venne lasciata aperta e non degnò di uno sguardo il figlio. Se ne andò, lasciando i due sfortunati innamorati a dirsi addio per l'eternità.




Mehmed la sentiva, sentiva la malattia peggiorare. E sentiva il dolore mangiarsi il suo cuore. Aveva perso il suo amante, l'amore della sua vita, quello che gli aveva fatto battere il cuore per la prima volta, quello che gli aveva fatto scoprire quanto la vita fosse bella, meravigliosa, unica, nonostante tutto il dolore, le malattie, le bugie e i pregiudizi. Alexandros era morto e il mondo aveva smesso di cessare. Nulla aveva senso, ormai, perché era di nuovo solo e malato. Zafiraa e Mustafà erano stati catturati e sicuramente suo padre aveva ucciso uno dei due. E anche sua sorella l'aveva lasciato. Aveva desiderato così a lungo conoscere una persona come lui, con la stessa problematica e quando finalmente l'aveva conosciuta, il destino aveva deciso di portargliela via.
Lanciò contro il camino il diario di suo padre, a cui diede tutta la colpa per ciò che aveva fatto, e venne arso dal fuoco poco alla volta, fino a scomparire del tutto. Le prove di ciò che erano, di ciò che i suoi genitori erano stati, furono definitivamente cancellate e sarebbero morte con lui, con Roxelana e con il sultano. Nessuno avrebbe ricordato, nemmeno i libri di storia.
Chiuse gli occhi, ripensando al viso di Alexandros, bellissimo, unico, sempre sorridente e così si addormentò, per non svegliarsi mai più.
La sua anima si era ricongiunta per sempre a quella di Alexandros e finalmente potevano danzare liberi tra le stelle, amandosi e non nascondendosi più.






-Che cosa ti ha detto, Zafiraa? - Mustafà cercava di toccarla, di abbracciarla, come meglio poteva, attraverso le fredde e arrugginite sbarre della cella. Zafiraa gli accarezzò lo zigomo dove qualcuno lo aveva colpito e cercò di imprimere nella mente tutti i particolari, mentre l'uomo che amava le accarezzava la pancia. Non avrebbe mai visto suo figlio.
-Ha detto che mi risparmierà la vita. Ma devo andarmene. -
-Che cosa?! Non può farlo.-
Zafiraa sorrise, cercando di baciargli la guancia. Gli occhi neri, il viso ovale, la pelle ruvida lì dove c'era la barba folta e nera, i capelli lunghi e ricci... Il suo Mustafà. Lo avrebbe ricordato così, con il viso pieno di sangue e gli occhi pieni di lacrime, ma lo avrebbe ricordato.
-Sì, Mustafà, può farlo. E' il sultano. Dobbiamo dirgli grazie per non averci ucciso. -
-Ma una vita senza di te, io non la sopporterei. -
-Nemmeno io, amore mio. - Zafiraa versò una lacrima, che Mustafà le asciugò, come meglio poteva. Non avevano molta libertà di movimento. -Ma tornerò, giuro sul nostro bambino che tornerò e allora scapperai con me. -
-Dovessero volerci settant'anni, ti aspetterò. -
Entrambi stavano piangendo, disperati, addolorati per doversi dire addio, ma almeno erano vivi e prima o poi si sarebbero incontrati. Si baciarono, un bacio lungo, l'ultimo per un bel po' di tempo e si guardarono, cercando di ricordare ogni minimo particolare per il resto della vita. I ricordi sono l'unica cosa a cui ci aggrappiamo per salvarci.
-Ci vediamo, Mustafà. -
-Ci vediamo, Zafiraa. -
I due si sorrisero e Mustafà la spinse via, spezzando un filo che li univa, che li collegava. Corse via, la ragazza, tra lacrime e dolore. Aveva freddo, perché il suo fuoco non c'era più a riscaldarla. Se prima era acqua, vicino a lui, adesso era neve, fredda e insensibile. Veniva rinnegata di nuovo dal suo paese e non poteva che esserne felice.






SPAZIO AUTRICE!
Mi scuuso per il ritardo, ma questa settimana è stata carica di interrogazioni e verifiche scritte, aggiungete il fatto che ho cominciato scuola guida, non ho avuto tempo per mettermi al pc e scrivere.
Ad ogni modo, meglio tardi che mai ed eccomi qui con questo penultimo capitolo, di questa storia. Il prossimo sarà l'ultimo e poi ci sarà l'epilogo. Il sequel l'avevo già pubblicato, ma ho deciso di toglierlo e aggiungerlo quando avrò rifatto il trailer che non mi convinceva molto.
Ci sono state due morti, abbastanza importanti, ma almeno si sono ricongiunti e la nostra Zafiraa e il nostro Mustafà sono ancora vivi, anche se lontani!
Nel prossimo capitolo comparirà Hurrem e posso dirvi che sarà molto interessante. Spero solo di pubblicarlo entro questa settimana, così come l'epilogo!
Spero vi sia piaciuto e fatemi sapere che cosa ne pensate. Non linciatemi, possibilmente xD
Ci vediamo al prossimo capitolo, allora!

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Capitolo 19
*** XVII ***


“Alla mia preziosa amica, la mia esistenza, la mia sultana, colei che conserva sempre i miei segreti,  il mio primo e unico amore. La  più bella tra le belle, la mia primavera, il mio amore pieno di gioia. Il mio giorno, il mio cuore, la mia sultana ridente. Oh tu che sei il mio prato, il mio fiore più bello e profumato. L’unica che non mi fa pesare nulla, l’unica che non mi angoscia, la mia Istanbul, la mia Anadolia, la mia Bagdad, la mia Damasoco, la mia terra




Era un brutto giorno per partorire, lo sapeva, lo sentiva, l'aveva intuito per tutto il giorno, ma non aveva potuto farci nulla. Il bambino voleva uscire e lei non avrebbe potuto negarglielo, per quanto avesse paura, poiché il primo. Per tutto il giorno si era sentito l'odore della pioggia e l'elettricità aveva riempito tutto l'ambiente circostante.
Era entrata in travaglio all'improvviso e tutti a Palazzo erano impazziti, correndo a chiamare il Guaritore, il Gran Visir, l'unico presente al momento, poiché il sultano era partito per una breve gita con la sorella.
-Hurrem Sultan, sta per partorire! - Urlavano le serve, affaccendate tra le mille commissioni da svolgere, gli asciugamani e l'acqua da portare. Le urla della sultana si udivano per tutto il castello e il Gran Visir aveva lasciato il trattato che stava scrivendo, per correre nelle stanze della ragazza, perché a quei tempi era solamente una ragazza. Troppo piccola per poter diventare madre, ma troppo grande per aspirare a qualsiasi altra cosa.
Ibrahim era entrato di corsa nelle stanze dei sultani, aveva spalancato la porta, pallido e sconvolto, con i capelli neri sparati in tutte le direzioni e lo sguardo come spiritato. Stava per diventare padre, Hurrem se ne rendeva conto, ma non avrebbe potuto rivendicarlo come suo figlio, poiché Selim pensava fosse suo.
Quando lo vide entrare, fu come se tutto il dolore sparisse all'improvviso e ci furono solo loro due, come sempre era capitato e come sempre sarebbe successo. Il suo Ibrahim si schiarì la gola, andandole incontro e sedendosi accanto a lei, la cinse per le spalle, mentre intrecciò le dita alle sue. Roxelana, perché era così che voleva essere chiamata quando era in sua compagnia, poggiò la testa sulla sua spalla e strinse le mani del suo amante, del padre del suo primo figlio e spinse. Notò il Guaritore distogliere lo sguardo dai due e le due serve che assistevano guardarli storto, ma non le importò. Doveva solamente espellere quella cosa dal suo grembo.
Nacquero insieme, Zafiraa e Mehmed, mano nella mano. Tirarono fuori prima lei e poi lui e nessuno riuscì a separarli subito. Si tenevano le manine paffute con forza, Mehmed piangeva e Zafiraa aveva aperto subito gli occhi e sembrava stesse guardando male il Guaritore e le serve.
Li aveva guardati e si era sentita orgogliosa di se stessa. Lei e Ibrahim li avevano tenuti e cullati per qualche minuto, l'uomo aveva addirittura pianto, guardandoli dormire vicini. Poi si era come svegliato e aveva detto: - Non possiamo tenerli entrambi. -
-Cosa, perché?! -
-Sono gemelli, un maschio e una femmina. La legge dice che due gemelli non possono essere eredi diretti per il trono, uno di essi dovrà essere ucciso e considerato che c'è una femmina, uccideranno lei. Devo portarla via, Roxelana, non possono uccidere mia figlia. -
Il Guaritore aveva tossito. Per un momento si erano dimenticato della sua presenza.
-Non direte nulla al sultano. Vi pagherò il triplo e darò una terra per il vostro erede. Quando il sultano giungerà qui, dovrete dirgli che ha un erede maschio al trono, in salute. Sono stato abbastanza chiaro? -
-Sì, mio Gran Visir. Ma se posso chiedere, cosa ne farete della bambina? Non potete uscire con lei da qui, vi vedranno. -
-Ho già un piano, non preoccupatevi. Andate, per cortesia, a farmi sellare un cavallo. Il mio, quello più veloce. Il sultano starà per arrivare, l'ho mandato a chiamare. -
Il Guaritore annuì, inchinandosi prima di uscire dalla stanza.
Ibrahim le strappò dalle braccia la bambina, aveva il dolore negli occhi. Roxelana, che tra le braccia aveva ancora Mehmed, si sporse per vedere il suo piccolo viso paffuto venire nascosto da una spessa coperta. Mehmed cominciò a piangere, non sentendo la presenza della sorella e la rossa cercò di consolarlo in tutti i modi possibili, senza riuscirci.
-Non doveva andare così, Ibrahim. Non possiamo mandarla via così, è nostra figlia.-
-Sarà al sicuro con Drake e Fiammetta, Roxelana, te lo giuro. Crescerà lontano, ma sarà viva e potremmo andare a farle visita ogni volta che vogliamo. -
-Ma non saremo noi i suoi genitori! -
-Lo so, ma non abbiamo altra scelta. -
Ibrahim si chinò, stampò un bacio sulle labbra dell'amata e sulla testolina del figlio maschio e corse verso uno dei passaggi segreti, sparendo subito dopo.
Quello fu il giorno in cui seppellì sua figlia.






Hurrem non si riusciva più ad alzare dal letto. In seguito alla morte dei due figli la sua malattia era avanzata e sembrava stesse realmente affogando nel suo sangue, così come le aveva predetto la strega tempo addietro.
Stava male, ma non sapeva dire se fosse più psicologicamente o più fisicamente. Piangeva, le lacrime le scendevano anche contro la sua volontà e ripercorreva tutta la vita passata con Bayezid e soprattutto con Mehmed, il suo piccolo bimbo malato. Sembrava che su di lei ci fosse una maledizione che le faceva seppellire tutte le persone amate. Perdere un figlio era come perdere una parte di sé, era orribile, doloroso come poche cose. Aveva perso una madre, un padre, le sue sorelle, il suo amato, ma niente era comparabile a ciò che stava provando in quel momento. Aveva perso due elementi che formavano la sua anima e il suo cuore, aveva perso coloro a cui aveva insegnato a camminare, coloro a cui aveva insegnato a parlare, coloro a cui aveva insegnato a leggere, coloro a cui aveva dato la vita. Quando si perde un figlio, nulla ha senso. C'è solo il nulla, un nulla che nemmeno gli altri figli riescono a riempire.
Ibrahim comparve all'improvviso, le si parò davanti, proprio come faceva quando la malattia si faceva sentire o quando lei aveva bisogno di lui. I raggi del sole gli passavano attraverso e Hurrem faticava a guardarlo; la sua figura appariva confusa: era lì, ma era come se non riuscisse a vederlo. Era un ricordo che stava morendo nella sua memoria. Con il passare degli anni i suoi contorni si erano affievoliti poco alla volta, rimanendo una persona con i capelli neri, gli occhi penetranti e dal colore indefinito e la voce che cambiava a seconda delle occasioni. Neanche lui era il suo eterno Ibrahim, era solo un qualcosa che era stato e che presto l'avrebbe abbandonata.
-Perché lo hai fatto, amore mio? - Ibrahim le si avvicinò, le cinse le spalle con le braccia e la baciò fra i capelli.
Roxelana chiuse gli occhi e sorrise, inghiottendo la tosse e il sangue. Niente doveva rovinare quel momento.
-Fatto, cosa? -
-Perché hai detto a Bayezid cosa stavano per fare Zafiraa e Mustafà? Perché hai rinnegato nostra figlia, ancora una volta? -
-L'ho fatto per i miei figli, Ibrahim. Non potevo andarmene senza dar loro un futuro. -
-Nostro figlio è morto per colpa tua, Roxelana. Quante volte vorrai uccidermi, prima di essere felice? -
-Ma io non avrei mai voluto che al mio bambino capitasse qualcosa di male. Sai, lo capisci, che per me sono tutta la mia vita? - Adesso piangeva. Era tutta colpa sua! Se non avesse detto niente a Bayezid, se fosse stata al posto suo, tutto quello non sarebbe accaduto. E lei avrebbe ancora i suoi bambini.
-Lo so, rossa, lo so. Ma ciò che hai fatto ha causato tanto dolore e tu adesso stai morendo. -
-Ma io non posso andarmene. Mustafà è ancora in vita. -
-Non è una cosa che ti riguarda. -
-Ma... -
Ibrahim si alzò, la guardò e le sorrise. Le pulì il lato della bocca, ancora sporco di sangue e le disse: - Il mio tempo qui è finito. Ho vegliato su mia figlia, sapendo che Mehmed fosse al sicuro con te, e non c'è altro che io possa fare. Devo andare da lui, da Alexandros, Drake e Fiammetta, mi aspettano. Tu che cosa fai, Roxelana, vieni? -
La sultana dell'impero ottomano sorrise, afferrando la mano che l'ex Gran Visir le aveva allungato e si lasciò guidare. Ad un tratto i lineamenti confusi divennero più chiari e poté finalmente ammirare ancora una volta il bellissimo viso del suo grande amore. Capelli corvini e mossi, occhi di un verde-castano, felici, caldi, come non se li ricordava, alto, bellissimo, semplicemente Ibrahim. Era vestito come il primo giorno in cui si erano incontrati, con un completo viola, ma senza turbante.
Lei, invece, non aveva più il lussuoso vestito da sultana, ma una semplice camicia da notte tutta bucherellata e sottile.
-Sei tornata come ti ricordavo, mia amata Roxelana. -
Si guardò nei suoi occhi e si riconobbe. Di Hurrem non c'era più traccia: adesso era solamente Roxelana, una semplice ragazzina che non sapeva nulla della vita, fin troppo magra e piatta e dai capelli rosso fuoco.
Era Roxelana, una ragazza fin troppo fortunata.
Era solo Roxelana e lui solo Ibrahim. Due anime che dopo vent'anni si erano incontrate e che si sarebbero sempre incontrate.






Palazzo Topkapi si era trasformato in un cimitero. Ogni membro della famiglia reale stava morendo e il sultano, in seguito alla morte dell'amata Hurrem, era impazzito. Non ragionava più, beveva solamente e restava chiuso nelle sue stanze. Quelle poche volte che usciva, lo faceva per andare a trovare la tomba della moglie. Era passata una settimana e si chiedevano chi fosse il prossimo, mentre Mustafà restava ancora rinchiuso e sigillato nelle segrete, da solo e senza l'amore della sua vita.
Si chiedeva dove fosse, Zafiraa, che cosa stesse facendo, se fosse arrivata sana e salva in Danimarca e se il suo amico Jens l'avesse accolta come avrebbe fatto con lui. Erano tempi pericolosi, soprattutto per una donna incinta. Era preoccupato Mustafà, nostalgico. Ma non aveva paura di perdere la vita, se questo avrebbe significato tenere al sicuro la sua famiglia.
Avrebbe preferito andarsene lui, che vedere sua moglie o suo figlio morire.
Non avevano scelto nemmeno i nomi da dare ai loro figli, non avevano potuto gioire abbastanza, non avevano potuto neanche pensare a come sarebbe stata una vita insieme. Avrebbero litigato, si sarebbero scannati, questo è sicuro, ma sarebbero stati felici, nel loro piccolo angolo di paradiso.
Mustafà sorrise, asciugandosi una lacrima. I veri uomini non piangevano mai, così diceva suo padre, ma voleva proprio vederlo adesso che aveva perduto la moglie, se stesse piangendo o meno.
Con Zafiraa aveva imparato molte cose: aveva imparato a sacrificarsi, a mettere da parte l'orgoglio, a sorridere, ad amare, a capire cosa sia giusto o sbagliato, a mettere da parte i suoi pregiudizi, ad essere felice, a trovare il suo posto nel mondo. Con Zafiraa aveva imparato cosa voleva dire vivere.
Suo padre comparve all'improvviso, questa volta era da solo. Lo guardava, ma senza guardarlo del tutto. Era lì, ma era anche come se fosse da qualche altra parte.
Si osservarono a lungo e a Mustafà sembrò di vedersi tra vent'anni, da solo, senza Zafiraa. Suo padre era il suo fantasma futuro, era ciò che sarebbe diventato e lui, suo figlio, era ciò che era, prima di conoscere il dolore.
Era l'uno l'ombra dell'altro.
-Le mie condoglianze, padre. -
Il sultano scosse la testa, una piccola lacrima gli scese sul viso invecchiato.
-E' tutta colpa tua, tutta colpa tua. Lei è morta per colpa tua, Mustafà, figlio rinnegato e ingrato. Lei è morta perché tu hai preferito una serva a me. Lei è morta per colpa tua ed è giusto che tu faccia la sua stessa fine. -
-Sappi padre, che tutto ciò che ho fatto è stato per salvare il mio regno. Tu eri troppo accecato per vedere le cose come stavano, tua moglie era una manipolatrice e tu da bravo babbeo ti sei fatto abbindolare. Potrai anche uccidermi, ma il tuo regno nelle mani dei tuoi figli andrà allo sfacelo. -
-E' il mio regno, io decido chi sarà il mio successore, possa egli essere anche un cavallo. Tu, Mustafà Sultan, non sei degno di questo titolo e oggi muori come traditore, muori come fratricida, muori da solo. -
-E così sia, padre. Non solo ti sei macchiato le mani con quelle di un fratello, ma anche con quelle di un figlio. Uccidimi, ma ci porterai sulla coscienza per l'eternità. -
-Senza Hurrem niente ha senso. -
-Senza Zafiraa il mondo è senza valore. Vedo che su una cosa siamo d'accordo. -
Mustafà lo guardò, deglutendo. Accettava il suo destino, questo è vero, ma sperava che la sua morte fosse indolore. Venire ucciso da un padre, da colui che ti aveva dato la vita, era la più orribile delle punizioni. Guardò in alto, pronunciando una piccola preghiera ad Allah, non che Egli avrebbe potuto aiutarlo più di tanto, ma per proteggere la sua famiglia.
-Addio, figlio mio. -
Selim lo guardò un'ultima volta, prima di dileguarsi. Subito dopo comparve un eunuco, che aprì la cella, vi entrò, estrasse la spada dalla fodera e senza ripensamenti o esitazione, affondò la lama nelle carni del principe Mustafà, facendola uscire dalla parte opposta.
Il suo corpo venne abbandonato in quella cella, da solo, senza nessuno che avrebbe potuto mai compiangerlo. Mustafà sputò sangue dalla bocca, mentre si dissanguava lentamente e le sue funzioni vitali smettevano di lavorare poco alla volta.
Morì, ripensando a tutti i suoi momenti felici.
Morì, pensando al bel viso della sua amata.
Morì, da solo, con gli occhi aperti e vuoti e una piccola lacrima al lato dell'occhio scuro.






“Mio signore e mio sultano da più di un mese ormai, non ricevo più notizie dal mio amato sultano. Non conosco più il significato del riposo senza poter contemplare il tuo volto tutti i giorni. Passo le mie notti e le mie giornate a piangere disperatamente la tua assenza. Il mondo ai miei occhi non vale più nulla senza il mio sultano. Ho perso ogni speranza mentre sei lontano da me. Sto aspettando di rivedere il tuo dolce volto impazientemente

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Capitolo 20
*** Epilogo ***




“Ogni giorno d'un passo scendiamo nell'Inferno,
senza orrore attraversando un puzzo di tenebra.”
  • Charles Baudelaire.






Otto anni più tardi...






Fu come vedere un fantasma per il Magnifico.
I suoi capelli bianchissimi, gli occhi chiari e l'aria viziosa poteva riconoscerli ovunque, perché lei, quella che aveva osato rimettere piede nel suo impero sapendo di poter venire uccisa, adesso aveva il coltello dalla parte del manico.
Una bella corona brillava sulla sua testa piccola, sulla quale erano ricomparsi i suoi folti capelli di quel colore particolare, malato, maledetto. Non indossava più abiti stracciati, luridi, puzzolenti, ma delle migliori fatture, preziosi, profumati; ne cambiava tre al giorno a seconda delle occasioni.
Erano passati otto anni, dal giorno in cui aveva ucciso suo figlio, rovinato la sua famiglia e la sua esistenza. Otto anni nei quali il fantasma di Mustafà, di Hurrem e Ibrahim non facevano altro che colpevolizzarlo per le sue mani sporche di sangue, traditrici.
E proprio quando aveva quasi dimenticato e la sua salute mentale si era risollevata dal baratro, lei ricompariva. Zafiraa, ora regina e consorte del re di Danimarca.
Aveva ventisei anni e anche per lei il tempo era passato, poiché le prime rughe cominciavano a farsi notare.
Il re danese, grande amico di Mustafà, gli aveva inviato una lettera nella quale chiedeva il permesso di venire a trovare la tomba del suo grande amico con la moglie e il figlio, dopo aver saputo della sua tragica morte.
Il sultano aveva accettato, non avendo nulla da obbiettare. Non aveva idea che Zafiraa gli si sarebbe palesata davanti agli occhi e soprattutto con un bambino di otto anni dai capelli scurissimi e ricci e gli occhi azzurri-verdi, che poteva essere la copia sputata di Mustafà. Aveva portato suo nipote, il suo primo nipote, quello che aveva rinnegato, sotto i suoi occhi malati e confusi. L'aveva chiamato Poul, un nome che non corrispondeva assolutamente con il sangue che gli scorreva nelle vene, sangue ottomano, fiero, dei più puri e valorosi.
Selim era seduto sul suo trono, quando erano entrati i tre. Prima il re danese, Jens Jonsen con la sua aria gentile, dagli occhi chiari e i capelli scurissimi; poi Zafiraa con il vestito verde ricamato con pietre preziose e una corona che brillava perfettamente sulla sua bella testolina e infine Poul, ancora impacciato, dagli occhi curiosi e stupiti da tanto lusso e sfarzo. Guardava il vecchio viso del sultano, i suoi occhi gentili, da dietro la gonna della madre, sembrava molto timido. Ma infondo, gli europei avevano un diverso modo di allevare i propri eredi.
I tre si erano inchinati davanti e Selim e lui aveva fatto lo stesso, baciando la mano bianchissima della regina, che non riusciva a nascondere il disgusto e la sfida nei suoi occhi chiari. Era lei a parlare per tutti, poiché era l'unica a conoscere la lingua. Jens si guardava intorno, così come il figlio.
-Vedo che abbiate portato mio nipote, vostra maestà. - Gli occhi del sultano scivolarono sul viso del bambino che si nascose dietro la madre. Zafiraa alzò un sopracciglio, guardandolo. -Non è mai stato vostro nipote. I suoi nonni sono in Danimarca, lì dov'è nato e cresciuto. Qui non avrebbe avuto nulla, se non vedere la morte del padre, ucciso dal suo stesso nonno. - C'era dolore nei suoi occhi, tanto dolore. Non sarebbe passato mai, lo sapeva Selim, si sarebbe solo affievolito, ma sarebbe sempre stato lì, a ricordargli che cosa aveva perduto.
-Ho notato che non ci avete messo molto a rimpiazzare mio figlio. -
-Avete perso anche il diritto di chiamarlo a quel modo. Voi non siete un padre, siete un mostro egocentrico. Non sarei mai tornata in questa terra maledetta se non fosse stato per Jens. Era molto legato a Mustafà e vorrebbe visitare la sua tomba. -
-Badate a come parlate, mia cara, non siete più in Europa, qui le donne non possono esprimere la loro opinione così facilmente. -
-Qui le donne trovano altri modi per esprimersi, sua magnificenza, come ad esempio stregare talmente tanto i mariti da renderli come giocattoli tra le loro mani. Vostra moglie è stata una bravissima giocattolaia, devo dire. -
-Hvad er der, min dronning? -
-Intet, vi diskuterer, min kærlighed. - Zafiraa sorrise al marito dolcemente. Amava Jens, ma non nel modo in cui amava Mustafà. Mai come lui, nessuno come lui. - Mio marito vuole sapere quando possiamo vedere la tomba. -
-Andate. Prima lasciate questo paese, meglio mi sentirò. -
-Il sentimento è ricambiato. Lad os gå. -
All'ordine della sovrana, figlio e marito si inchinarono e andarono avanti, seguendola. Sapeva la strada, era inutile sprecare il suo tempo e la sua compagnia con un figlicida.








Era notte fonda, tutto Palazzo Topkapi dormiva e le guardie che sostavano davanti la porta del sultano si erano addormentate e facevano sogni tranquilli. Tutte le candele erano state spente e c'era un silenzio sovrumano. Gli ospiti se n'erano andati nel tardo pomeriggio e la loro nave oramai era salpata, diretta verso l'europa settentrionale. O almeno, è cio che tutti credevano.
Zafiraa non era salpata con loro; li avrebbe raggiunti più tardi poiché aveva delle questioni da sbrigare.
Camminava lentamente tra i passaggi segreti del castello, bui, pieni di ricordi, umidicci, ma che la facevano sentire giovane, stranamente. Aveva indossato dei vecchi vestiti di suo marito Jens; spesso glielo lasciava fare quando voleva andare a svagarsi al molo e voleva mimetizzarsi. Ormai tutti la conoscevano in Danimarca; aveva trovato un posto che l'amava per ciò che era e un marito che faceva lo stesso, che aveva accettato di crescere un figlio di un altro come suo.
Non produceva alcun tipo di rumore, era silenziosa, felina, letale.
Aveva deciso di abbandonare la sua vendetta otto anni prima, per Mustafà, solo per lui e Poul, il loro bellissimo e dolcissimo bambino. Ma adesso, dopo tutto quel dolore, dopo aver perso due fratelli e l'amore della sua vita, la sua vena di sangue doveva venire soddisfatta un'ultima volta e mettere fine alla vita del fautore di tutti i suoi dolori e sofferenze. Per colpa sua aveva dovuto crescere un figlio con un altro, che aveva amato con il tempo, questo è vero, ma non era comunque il padre naturale.
Si trovò in camera del maledetto ottomano. Lui era steso sull'enorme letto matrimoniale e stava russando leggermente. Avanzò, afferrando uno dei piccoli cuscini decorativi che aveva lanciato per terra e gli si avicinò. Salì sopra l'uomo lentamente e con un'unica mossa veloce e decisa, premette il cuscino sul viso del bastardo, facendo in modo che l'oggetto del crimine non coprisse la sua visuale. Lei doveva essere l'ultima cosa che avrebbe visto.
-La mia vendetta è finalmente arrivata. - Disse, mentre la sua vittima si contorceva animatamente, cercando di liberarsi di Zafiraa. La sua volontà non era quanto quella della sua assissina. -Per ogni vita che avete rubato, perirete oggi. Mi vendico di mio padre Ibrahim, di mio marito Mustafà e dei miei fratelli Mehmed e Alexandros e soprattutto dei miei genitori Fiammetta e Drake e per tutti quelli che sono morti sotto il vostro regime. Vi aguro di finire all'inferno e di ritrovarci lì, Selim Sultan. Vi auguro che tutti i vostri discendenti mandino alla rovina questo sproco impero. Io vi maledico da qui a l'eternità.-
Selim spalancò lo sguardò nell'udire quelle parole e nel vedere tutto l'odio negli occhi della ragazza. Smise di contorcersi all'improvviso e nel suo sguardo la vita lo abbandonò poco alla volta.
Zafiraa aveva avuto la sua vendetta; il Magnifico era morto, soffocato da lei. Aveva vendicato la sua famiglia e si era tolta un enorme peso dalle spalle e dal cuore, ma non tutto. Il dolore era ancora lì e lei aveva la vita di una nuova persona fra le mani. Aveva avuto la sua vendetta, ma perché non ne era soddisfatta?
L'aveva maledetto da qui per l'eternità e la sua maledizione, così come quella della strega, avrebbe fatto il suo esito, poiché da Selim, suo figlio, l'impero ottomano si sarebbe avviato verso la rovina, la decandenza, fino ad arrivare alla sua inesistenza.






RINGRAZIAMENTI.


Ed eccoci qui, al termine di quest'altra avventura. Con la morte di Selim, Ibrahim e Roxelana è come se avessimo chiuso un cerchio, per aprirne un altro.
Come ben sapete, la fine è ancora lunga!
Ringrazio i miei cari personaggi, inanzitutto, per avermi fatto compagnia in questi mesi e mi scuso per averli fatti soffrire più del dovuto, Zafiraa ti amo, lo sai. E soprattutto, lanciamo un #Ibrahimcimanchi perché la sua mancanza penso si sia sentita per tutto il libro, almeno a me è mancato. Quando c'era lui le cose erano più semplici! XD
Ringrazio voi, cari lettori, per aver sempre espresso la vostra opinione e mi scuso anche con voi, per avervi fatto sclerare e disperare più del dovuto. Mustafà vi manda i suoi saluti e vi dice che adesso è in un posto migliore!
Spero che questa storia vi abbia lasciato qualcosa o per lo meno sia stata di vostro gradimento! Fatemi sapere le vostre ultime impressioni finali, ci tengo veramente!
Se vorrete seguirmi, vi aspetto nel sequel 'La Contessa Di Sangue', Erzsébet saprà superare Roxelana e Zafiraa, potete starne certe!
Se vorrete immergervi in una nuova avventura e vorrete continuare a seguirmi, saprete dove trovarmi. Il prologo della storia lo troverete domani, ma da oggi potete aggiungere alla biblioteca il libro, che trovate nel mio profilo!
Per chi fosse interessato, riporto qui la trama:


Il tempo è il suo peggior nemico. Lo specchio davanti al quale passa la maggior parte del giorno, osa ricordarglielo ogni volta.
In un castello dalle vette che solleticano il cielo, tra sfarzo, potere, passioni estreme che ne denotano la follia, riti satanici e omicidi orribili,
Erzsébet Báthory, contessa sanguinaria, bella come il diavolo, rincorre il tempo, senza riuscire a raggiungerlo.
Boldizsàr è appena giunto in città; che cosa potrà mai avere questa figura oscura, schiva, solitaria con la bella e potente contessa? I loro destini sono incrociati, nel bene e nel male, ma le fiamme dell'inferno sembrano già aver arso la pelle e l'anima dell'uomo, accadrà lo stesso anche a
Erzsébet?


Lasciatemi un vostro parere. Grazie ancora per tutto il supporto e alla prossima!!

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